Mater Florum. Flora e il suo culto a Roma
 9788822266194

Table of contents :
0005
0006
0007
0008
0009
0010
0011
0012
0013
0014
0015
0016
0017
0018
0019
0020
0021
0022
0023
0024
0025
0026
0027
0028
0029
0030
0031
0032
0033
0034
0035
0036
0037
0038
0039
0040
0041
0042
0043
0044
0045
0046
0047
0048
0049
0050
0051
0052
0053
0054
0055
0056
0057
0058
0059
0060
0061
0062
0063
0064
0065
0066
0067
0068
0069
0070
0071
0072
0073
0074
0075
0076
0077
0078
0079
0080
0081
0082
0083
0084
0085
0086
0087
0088
0089
0090
0091
0092
0093
0094
0095
0096
0097
0098
0099
0100
0101
0102
0103
0104
0105
0106
0107
0108
0109
0110
0111
0112
0113
0114
0115
0116
0117
0118
0119
0120
0121
0122
0123
0124
0125
0126
0127
0128
0129
0130
0131
0132
0133
0134
0135
0136
0137
0138
0139
0140
0141
0142
0143
0144
0145
0146
0147
0148
0149
0150
0151
0152
0153
0154
0155
0156
0157
0158
0159
0160
0161
0162
0163
0164
0165
0166
0167
0168
0169
0170
0171
0172
0173
0174
0175
0176
0177
0178
0179
0180
0181
0182
0183
0184
0185
0186
0187
0188
0189
0190
0191
0192
0193
0194
0195
0196
0197
0198
0199
0200
0201
0202
0203
0204
0205
0206
0207
0208
0209
0210
0211
0212
0213
0214
0215
0216
0217
0218
0219
0220
0221
0222
0223
0224
0225
0226
0227
0228
0229
0230
0231
0232
0233
0234
0235
0236
0237
0238
0239
0240
0241
0242
0243
0244
0245
0246
0247
0248
0249
0250
0251
0252
0253
0254
0255
0256
0257
0258
0259
0260
0261
0262
0263
0264
0265
0266
0267
0268
0269
0270
0271
0272
0273
0274
0275
0276
0277
0278
0279
0280
0281
0282
0283
0284
0285
0286
0287
0288
0289
0290
0291
0292
0293
0294
0295
0296
0297
0298
0299
0300
0301
0302
0303
0304
0305
0306
0307
0308
0309
0310
0311
0312
0313
0314
Blank Page
Blank Page

Citation preview

BIBLIOTECA DELL' «ARCHIVUM ROMANICUM» Serie I: Storia, Letteratura, Paleografia -------

492

-------

LORENZO FABBRI

MATER FLORUM FLORA

E

IL SUO CULTO A ROMA

LEO S. OLSCHKI EDITORE M M XIX

ISSN 0066-6807

ISBN 978 88 222 6619 4

Oggi Flora viene comunemente associata ai fiori e al mirabi­ le ritratto che di lei ha saputo fare Botticelli nella celeberrima Primavera, ma per gli antichi Romani ella era una dea ben più complessa di quanto si possa pensare. Il dominio sulla fioritu­ ra è senza dubbio la sua caratteristica principale, che deve ori­ ginariamente essere ricondotta alla sfera agraria e alle piante eduli per poi estendersi sempre più alle piante ornamentali, dando efficace dimostrazione di come ella, non diversamente da tutte le altre divinità antiche, non sia un'entità immutabi­ le, ma si adatti al cambiamento dei tempi e dei costumi. La complessità della sua figura è confermata dal culto a lei ri­ servato, che trova la sua massima espressione nei Floralia, fe­ sta gioiosa e licenziosa durante la quale le prostitute giocano un ruolo di spicco in qualità di mime, ma che prevede anche l'esecuzione di pratiche finalizzate a scopi agrari (sparsiones e venationes). La presente monografia analizza tutti gli aspetti concernenti la dea e i riti a lei dedicati, estendendo la trattazione anche alle testimonianze provenienti dai territori italici e all'icono­ grafia, che spazia da quella antica a una selezione di opere moderne.

In copertina: NICOLAS PoussrN, n reame di Flora (particolare), 1631, Dresda, Gemaldegarie Alte Meister.

LORENZO FABBRl è uno storico delle religioni del mondo classico, già autore in questa stessa collana della monografia n papavero da

oppio nella cultura e nella religione romana. Laureato presso l'Uni­ versità degli Studi di Milano, ha conseguito la specializzazione in Scienze della Cultura presso la Scuola Internazionale di Alti Studi di Modena, il titolo di dottore di ricerca in Antichistica presso l'U­ niversità degli Studi di Milano e una borsa di studio post-dottorato presso la Fondazione Fratelli Confalonieri di Milano. Nel 2013 ha partecipato al PRIN "Moneta e identità territoriale: dalla polis an­ tica alla civitas medievale". n suo principale interesse è rivolto allo studio della simbologia botanica in relazione alle religioni classi­ che, con particolare attenzione per quella romana.

BIBLIOTECA DELL' «ARCHIVUM ROMANICUM» Serie I: Storia. Letteratura. Paleografia -----

492

LORENZO FABBRI

MATER FLORUM FLORA

E

IL SUO CULTO A ROMA

LEO S. OLSCHKI EDITORE MMXIX

Tutti i diritti riservati

CASA EDITRICE LEO

S.

0LSCHK.I

Viuzzo del Pozzetto,

8

50126 Firenze www. o

lschki it .

Lo svolgimento della presente ricerca e la sua conseguente pubblicazione sono stati resi possibili da una borsa di studio post-dottorale fmanziata dalla Fondazio­ ne Fratelli Giuseppe Vitaliano, Tullio e Mario Confalonieri.

ISBN 978 88 222 6619 4

A Clara, Flora mea

RINGRAZIAMENTI

Il mio più sentito ringraziamento va innanzitutto alla Fondazione Fra­ telli Confalonieri di Milano e al suo Comitato Scientifico per aver creduto fermamente in questo progetto non solo finanziandone la ricerca, ma an­ che la sua pubblicazione. Desidero esprimere la mia più profonda e sincera gratitudine alla Prof. ssa Giampiera Arrigoni, per essersi dimostrata sempre disponibile nei miei confronti, per avermi fornito preziosi suggerimenti e indicazioni e per aver supervisionato l'intero lavoro. Un grazie particolare al Prof. Massimo Gioseffi per avermi sostenuto nella scelta di trattare questo argomento, per la stima sempre dimostratami e per la gentilezza con la quale mi ha sempre accolto in questi anni. Una menzione speciale merita la Dott.ssa Anna Però, amica fidata e collega insostituibile, cui desidero rivolgere tutta la mia riconoscenza per il suo aiuto, per la sua costante presenza e la pazienza riservatami durante le nostre lunghe conversazioni riguardanti gli sviluppi della ricerca. Infine, vorrei nuovamente ringraziare il Dott. Daniele Olschki, la Dott.ssa Georgia Corbo, la Dott.ssa Erika Marchetti e tutta la Casa Editrice Leo S. Olschki non solo per aver dimostrato ancora una volta tutto il loro apprezzamento e il loro genuino interesse verso il mio lavoro, conferen­ dogli come sempre la miglior veste grafica possibile, ma soprattutto per la cordialità e la gentilezza che hanno sempre posto nei miei riguardi.

-

VII

-

INTRODUZIONE

Il mio interesse per Flora è nato qualche anno addietro quando, nel corso della ricerca condotta per il mio studio sul papavero da oppio nella cultura e nella religione romana, mi sono imbattuto collateralmente nella dea e nella sua festa, che hanno immediatamente suscitato in me un vivo interesse, dal momento che mi sono spesso occupato della relazione che intercorre tra le divinità e le specie botaniche loro associate, in particolare nel mondo romano. Da qui è derivato il mio desiderio di studiare Flora in modo approfondito e grande è stata la mia sorpresa quando, approccian­ domi per pura curiosità alla materia, mi sono reso conto che in realtà si trattava di un campo sostanzialmente inesplorato, cui erano stati dedica­ ti lavori quantomeno parziali: oltre ai lemmi relativi a Flora e ai Floralia presenti nei più importanti corpora, che peraltro per loro stessa natura si limitano spesso a fornire una più o meno abbondante mole di informazioni cui non segue una discussione delle problematiche inerenti, il più completo studio (ma non il migliore) rimane ancora oggi quello redatto nel1931 da Franz Altheim che, nel suo volume intitolato Terra Mater. Untersuchungen zur altitalischen Religionsgeschichte, ha dedicato un ampio paragrafo alla dea. Va da sé che le teorie espresse dallo storico delle religioni tedesco risultano ormai superate e quindi non più accettabili, anche se a lui va riconosciuto il merito di aver analizzato molti degli aspetti riguardanti Flora e il suo culto. A dimostrazione di quanto tale argomento sia stato solo parzialmen­ te esaminato, va ricordato come due auctoritates quali Georg Wissowa e Georges Dumézil gli abbiano riservato solo poche pagine. Attualmente, a chiunque voglia approcciare la tematica non resta altro che rivolgersi a Henri Le Bonniec che, nel suo libro dedicato a Cerere, ha inserito un breve paragrafo in cui ha trattato sia della figura di Flora sia della festa in suo ono­ re, rifacendosi a sua volta agli studiosi precedenti e in particolare ad Alfred Merlin, cui si deve una rapida analisi condotta nel 1 906. Anche in alcuni studi più recenti è possibile trovare solo sporadici riferimenti a specifiche questioni, che vengono indagate all'interno di più ampi lavori dedicati ad argomenti differenti; fanno eccezione rari articoli mirati ad approfondire singoli aspetti (come la genesi dei Floralia o le monete raffiguranti la testa -

IX

-

INTRODUZIONE

della dea), il più recente dei quali è ad opera di Albert Foulon, che nel 20 1 0 ha redatto un articolo puramente esplorativo su quanto narrato d a Ovidio in merito a Flora. Da qui l'idea di colmare la lacuna, redigendo un testo che indagasse la materia nella sua complessità e che rendesse conto delle numerose proble­ matiche a essa associate, tentando ove possibile di formulare ipotesi esege­ tiche, benché sia ben consapevole della difficoltà di pervenire a soluzioni definitive soprattutto a causa della scarsità delle fonti disponibili, che spesso presentano informazioni molto concise e criptiche. Sebbene il fulcro cen­ trale della mia ricerca sia stato lo studio di Flora nel mondo romano, ho ritenuto necessario ampliare il panorama e rivolgere lo sguardo anche alle realtà extra Urbem, sulla scorta di preziose testimonianze provenienti da altri contesti culturali, primi fra tutti quelli delle popolazioni italiche. Al fine di agevolare la consultazione del testo e per rendere più facilmente fruibile la trattazione dei diversi argomenti affrontati, ho reputato opportuno suddi­ videre il materiale raccolto in tre diverse macro sezioni: la prima è riservata all'esame delle funzioni e delle caratteristiche di Flora, punto di partenza imprescindibile per la redazione e la conseguente comprensione delle due successive, dedicate rispettivamente al culto a lei riservato e ai rari reperti iconografici pervenuti. Va da sé che le varie tematiche trattate non sono e non devono essere slegate le une dalle altre, ma al contrario si collegano e si compenetrano vicendevolmente. Si è cercato quindi di ovviare all'inevi­ tabile schematizzazione che deriva da qualunque tipo di ripartizione, peral­ tro necessaria per la costruzione di una monografia, inserendo numerosi rimandi intertestuali atti a richiamare concetti precedentemente espressi. Il presente lavoro non rappresenta un caso isolato nel panorama degli studi di storia delle religioni del mondo classico, ma al contrario si inserisce nella ben consolidata tradizione di quella saggistica volta alla trattazione di singole divinità: per quanto riguarda in particolare quelle legate alla sfera vegetale, esistono illustri esempi quali Le culte de Cérès à Rome des origines à la fin de la République (Paris 1 958) di Henri Le Bonniec (cui ha fatto seguito The Roman goddess Ceres, Austin 1 996, ad opera di Barbette Stanley Spaeth), Ops et la conception divine de l'abondance dans la religion romaine jusqu 'à la mort d'Auguste (Roma 1 98 1 ) di Pierre Pouthier; per quanto riguarda le pub­ blicazioni più recenti, vanno segnalati The cult of Silvanus. A study in Roman folk religion (Leiden-New York-Koln 1 992) di Peter Dorcey e fl dio elegante. Vertumno e la religione romana (Torino 20 1 5) di Maurizio Bettini. Affrontare questo tipo di studio è ovviamente un'operazione piuttosto complessa e può comportare inconvenienti metodologici: già john Scheid, in una lezione introduttiva al suo corso tenuto al Collège de France e inti­ tolato Dieux de Rome, dieux des Romains. Réjlexions sur les théologies romaines, -

X

-

INTRODUZIONE

ha individuato alcune criticità presenti nei testi finora redatti. La prima os­ servazione, che intende mettere in guardia dall'adottare un approccio di matrice positivistica caratteristico degli inizi del XX secolo in merito alla ricostruzione delle origini di una divinità, può forse ritenersi superata dal momento che gli studiosi hanno ormai abbandonato questo tipo di ricerca. Scheid ha inoltre evidenziato come spesso le monografie tendano ad arre­ stare la loro analisi in concomitanza con l'età augustea, quasi non esistesse la necessità di indagare oltre, e talvolta siano basate su visioni anacronisti­ che influenzate da correnti di pensiero moderne, che assai di rado rispet­ tano le concezioni proprie degli antichi. L'ultima riflessione espressa dallo studioso riguarda la tendenza a isolare la divinità oggetto di indagine da tutte le altre, senza tener in debito conto quei legami che intercorrono fra di loro e che sono parte fondamentale della natura stessa di un dio o di una dea, nel pieno rispetto del politeismo antico. 1 Facendo tesoro di tali considerazioni, dal canto mio ho cercato di evi­ tare i limiti in cui sono incorsi i lavori precedenti: il materiale esamina­ to spazia infatti dalle fonti letterarie a quelle epigrafiche e iconografiche senza sottostare a rigidi confini temporali, al fine di delineare la figura di Flora nella maniera più completa possibile. Allo stesso modo, il metodo da me adottato si fonda su una scrupolosa attenzione verso i singoli dati che emergono dalle fonti, senza attribuire a esse quelle idee preconcette che spesso ne alterano il significato. Uno dei miei principali obiettivi è stato quello di dimostrare l'infondatezza dell'ancora vigente teoria che lega l'esi­ stenza e la venerazione di una divinità strettamente connessa alla natura e agli elementi vegetali a concetti quali fecondità e fertilità, di cui ella diver­ rebbe simbolo: una simile interpretazione si rivela oggi troppo generica e priva di riscontri oggettivi, oltre al fatto che tende a porre la maggior parte delle divinità (soprattutto quelle femminili) sullo stesso livello, attribuendo loro sfere di competenza pressoché identiche. Proprio per questo motivo, nella prima sezione ho voluto esaminare le funzioni e le caratteristiche attribuite a Flora dai Romani, cercando di far emergere le sue peculiarità allo scopo di comprendere in che modo ella interagisse con le altre divinità agrarie e quale fosse il suo specifico ruolo nel processo del ciclo vegetativo. Ciò è stato possibile attraverso un rigoro­ so approccio storiografico, mirato a contestualizzare nel periodo storico e culturale di appartenenza le informazioni fornite dalle fonti. La seconda sezione ha per argomento l'esame dei riti riservati a Flora: quando si pensa al tipo di culto celebrato in suo onore, si è subito portati a l

Cfr. ScHEID 201 3-2014, in particolare pp. 468·47 1 . -

XI

-

INTRODUZIONE

richiamare alla mente la festa dei Floralia, famosa (o famigerata) per la sua licenziosità, che sin dall'antichità suscitò scandalo soprattutto fra gli autori e gli apologeti cristiani (quali Agostino o Arnobio) e che culminava nella cosiddetta nudatio mimarum messa in scena in teatro dalle prostitute. Gli studiosi che hanno affrontato il problema si sono forse troppo concentrati sulla componente lasciva della festa, avanzando interpretazioni spesso le­ gate a generici concetti di sessualità e di fertilità che dal mio punto di vista poco spiegano in merito al significato delle pratiche svolte. In realtà i Flo­ ralia non si esaurivano soltanto in attività voluttuose, poiché prevedevano ad esempio anche sparsiones di legumi e venationes di animali domestici nel Circo Massimo: da qui l'esigenza di riconsiderare la festa cercando di com­ prendere il motivo che spinse i Romani a istituire pratiche così licenziose in onore di una dea alla quale, almeno in apparenza, non sarebbero state particolarmente adatte, e di ricondurre l'intera celebrazione all'interno del più ampio ciclo delle cerimonie agrarie. Tuttavia, con ogni probabilità il culto concernente la dea non si esau­ riva con i soli Floralia, che peraltro vennero istituiti in epoca molto tarda rispetto all'entrata 'ufficiale' di Flora nel pantheon romano. Lo studioso che intende condurre una disamina approfondita non potrà non tener conto di alcuni preziosi riferimenti tramandati da diverse fonti che sembrano aprire prospettive più ampie circa il suo culto (che non era prerogativa esclusiva di Roma, ma trovava espressione anche in altre realtà italiche, come nel celebre caso di Agnone) e al contempo sollevano problematiche per certi aspetti sorprendenti, tanto stimolanti quanto di difficile soluzione. L'obiet­ tivo è stato dunque quello di riflettere, alla luce di quanto emerso dallo studio delle caratteristiche e delle funzioni della dea, sulle possibili impli­ cazioni concernenti i diversi riti, cercando al contempo di comprendere il loro significato e non solo gli eventuali rapporti che legavano le feste di Flora tra loro (se ve ne erano), ma anche quelli che intercorrevano con ulteriori celebrazioni dedicate ad altre divinità e officiate in prossimità di quelle in suo onore. Infine, la terza sezione è incentrata sull'esame dei reperti iconografici esistenti: per quanto riguarda l'antichità, le uniche rappresentazioni certe della dea si esauriscono purtroppo in due soli esemplari numismatici; la ri­ cerca è stata però estesa anche a quelle opere d'arte cui è stato assegnato il nome convenzionale di Flora, dedicando loro un tipo di analisi che potesse rendere conto della ragione di una simile attribuzione e al contempo veri­ ficare l'effettiva corrispondenza tra il soggetto raffigurato e la sua tradizio­ nale denominazione. Proprio la scarsità di manufatti artistici provenienti dall'antichità mi ha spinto a interrogarmi circa quanto e in che modo la dea della fioritura sia stata ritratta nei secoli successivi: una volta individuati -

XII

-

INTRODUZIONE

alcuni casi particolari che hanno destato il mio interesse, mi sono posto l'obiettivo di indagare come Flora sia stata percepita nel corso del tempo e i motivi che spinsero artisti e committenti a realizzare opere di cui ella è pro­ tagonista, evidenziando al contempo continuità e discrepanze con l'antico. Da questa breve presentazione, si sarà già intuito che lo studio di Flora porta inevitabilmente a esplorare numerosi e inaspettati campi d'indagine: a questo proposito, già Albert Foulon era consapevole di quanto la dea sia stata di norma sottovalutata e di come per certi aspetti non sia stata colta la sua importanza all'interno del pantheon romano. Per tale ragione egli auspicava che gli storici della religione romana si facessero carico di uno studio della divinità che andasse al di là delle banalizzazioni e delle genera­ lizzazioni sino a quel momento espresse, attribuendo a Flora la dignità che merita e rivalutandone al contempo il ruolo.2 Anche john Scheid, malgra­ do le criticità evidenziate, ha riconosciuto l'importanza di realizzare mano­ grafie dedicate agli dei e si è rammaricato del fatto che negli ultimi tempi gli specialisti abbiano trascurato questo tipo di analisi, osservando come sarebbe certamente utile poter contare su testi che raccolgano ed elaborino il relativo materiale disponibile.3 Personalmente, mi auguro che il presente volume possa soddisfare le aspettative che un simile lavoro attualmente comporta e possa costituire non solo un semplice repertorio di fonti cui attingere, ma soprattutto un testo in grado di fornire una nuova chiave di lettura dei dati e dei problemi sollevati dalle diverse testimonianze antiche, offrendo al contempo ulteriori spunti di riflessione che consentano una migliore comprensione delle dinamiche proprie della religione romana e delle sue divinità.

z Cfr. FouLON 2010, pp. 45

e

54.

3 Cfr. ScHEID 20 13-20 14, p. 472.

-

XIII

-

SEZIONE I LA DEA FLORA: SFERE DI COMPETENZA E CARATTERISTICHE

l

UNA DEA ROMANA O SABINA?

La trattazione del ruolo svolto da una divinità all'interno di un pantheon politeistico ampio e complesso come quello romano non può prescindere da un'accurata disamina di tutte le sue caratteristiche e delle dynameis che la contraddistinguono; a questo proposito, l'analisi etimologica del nome costituisce da sempre un buon punto di partenza, sebbene assai raramente di arrivo. Per quanto riguarda Flora, l'etimologia è piuttosto sicura, dal momento che gli studiosi sono concordi nel far derivare il suo nome dal so­ stantivo jlos (fiore), termine comune a molte lingue italiche, seppur con al­ cune varianti: 1 mai come in questo caso la dea possiede quello che a buon diritto si può definire un nomen omen. Prima però di entrare nel merito della questione relativa ai fiori e alla fioritura e al conseguente valore da assegnare a Flora e alla sua azione at­ traverso le fonti pervenute, merita di essere indagata l'origine della dea, a partire dalla testimonianza fornita da un importante (benché assai proble­ matico) passo del De lingua Latina di Varrone, in cui l'erudito latino elenca alcune divinità di presunta derivazione sabina. Vale la pena riportare il bra­ no nella sua interezza (V 74) : Feronia, Minerva, Novensides a Sabinis. Paulo aliter ab eisdem dicimus h(a)ec: Pa­ lem, Vestam, Salutem, Fortunam, Fontem, Fidem. E(t) ar(a)e Sabinum linguam olent, quae Tati regis voto sunt Romae dedicatae: nam, ut annales dicunt, vovit Opi, Flor(a)e, Vedio[io]vi Saturnoque, Soli, Lunae, Volcano et Summano, itemque Larundae, Termino, Quirino, Vortumno, Laribus, Dianae Lucinaeque; e quis nonnulla nomina in utraque lin­ gua habent radices, ut arbores quae in con.finio natae in utroque agro serpunt: potest enim Saturnus hic de alia causa esse dictus atque in Sabinis, et sic Diana[e], de quibus supra dictum est. l Cfr. a tal proposito ERNour - MEILLET 1 9854, p. 24 1 ; WALDE - HoFMANN ( 1 9654) 1 982, p. 5 1 8. Cfr. anche STEUDING 1 886· 1 890, p. 1 483 ; FRAZER 1 929, p. 2 1 ; COLLART 1 954a, p. 1 9 1 ; RAoKB 1 965, p. 1 3 0 ; DuMÉZIL ( 1 974) 201 1 , p . 243 ; PourHIER 1 98 1 , p . 3 8 ; PoRTE 1 983 , p . 879; PORTE 1985, p. 239; FANTHAM 1 998, pp. 273-274; 8ERNSTEIN 1 998, p. 207; PERFIGLI 2004, p. 1 49; MuRGATROYD 2005, p. 5 1 .

-

3

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

Feronia, Minerva, Novensides provengono dai Sabini. In maniera leggermen­ te diversa diciamo provenire da loro [scii. i Sabini] questi nomi: Pales, Vesta, Salus, Fortuna, Fans, Fides. E odorano di lingua dei Sabini gli altari che sono stati dedi­ cati a Roma per voto del re Tazio : infatti, come sostengono gli Annali, ne consacrò a Ops, a Flora, a Vediovis e Saturno, a Sole , a Luna, a Vulcano e Summano e così pure a Larunda, a Terminus, a Quirino, a Vertumno, ai Lari, a Diana e Lucina; alcuni tra questi nomi hanno le radici in entrambe le lingue, come gli alberi che, nati sul confine, si diffondono in ambedue i terreni: Saturno può infatti essere qui

[scil.

a Roma] chiamato in tal modo per motivi diversi rispetto a quanto avviene

nella Sabina, e così Diana, dei quali si è detto sopra .

Il testo di Varrone solleva non poche questioni, dal momento che sem­ bra far derivare dai Sabini un alto numero di divinità abitualmente venera­ te a Roma, come se a questa popolazione spettasse il merito di averle 'in­ trodotte' all'interno del pantheon civico romano. 2 L'erudito latino fa inoltre riferimento a tempi molto antichi, appena successivi alla fondazione della città da parte di Romolo, quando menziona la figura del re sabino Tito Ta­ zio, che come noto affiancò il leggendario fondatore nell'amministrazione dello stato. 3 Essendo Flora inserita in questa sorta di 'lista', è necessario domandarsi se davvero la dea fosse considerata di origine sabina; a que­ sto scopo, si dovrà inevitabilmente indagare sui primordi di Roma e sulla presenza dei Sabini al momento della genesi della città e di conseguenza sul loro eventuale contributo alla formazione delle istituzioni (soprattutto religiose) dell'Urbe. Va sin da ora segnalata l'estrema difficoltà di condurre una simile in­ dagine: intraprendere il cammino attraverso le asperità di un'epoca così remota e priva di documentazione diretta comporta un alto rischio di mo­ dellare le scarse - e per giunta assai problematiche - notizie pervenute se­ condo le proprie esigenze, ricostruendo così una storia che rispecchia più la visione generale e le convinzioni del singolo studioso moderno che i possibili avvenimenti realmente occorsi nell'antichità. 4 D'altronde oggi la z È stata notata, non senza una certa sorpresa, la mancata menzione di Semo Sancus, divinità la cui origine sabina è più sicura (cfr. CATO MAIOR Orig. F 58 Cugusi-Sblendorio Cugu­ si; AEL. STIL. GRF F 9, p. 60 Funaioli): cfr. EvANS 1 939, p. 1 52; COLLART 1 954a, p. 1 89; CoLLART 1954b, p. 238. Per il tempio del dio cfr. COARELLI 20 14, pp. 1 29- 130. 3 Cfr. C1c. De re pubi. I I 13 (et regum suum [sdl. di Romolo] cum illorum rege sociavit [sdl. Tito Tazio]); Liv. I 13, 8 (inde non modo commune sed concors etiam regnum duobus regibus [sdl. Romolo e Tito Tazio] jùit); DION. l-IAL. Ant. Rom. II 46, 2; Ov. Met. XIV 804; STRAB. V 3, 2; SVET. Tib. l; APPIAN. I 5; Purr. Romul. 19, 9; AuGusT. De dv. Dei III 13. Secondo D!ON. l-IAL. Ant. Rom. II 50, 4, la durata della coreggenza fu di cinque anni . Sul doppio ruolo regale cfr. PoucET 1 967, pp. 267-27 1 . 4 Era già pienamente consapevole di questo pericolo PoucET 1 972, pp. 1 24-125.

-

4

-

l.

UNA DEA ROMANA O SABINA?

ricerca scientifica ha ormai abbandonato la chimerica indagine delle origini tanto in voga tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento: malgrado l'apporto di numerosi ed eminenti studiosi, i tentativi di ordinare la sto­ ria attraverso precisi punti di partenza e di arrivo sono stati puntualmen­ te frustrati e negati dall'oggettiva impossibilità di ricostruire epoche così lontane attraverso la scarsissima quantità di materiali a esse risalenti. Ciò vale soprattutto nel campo della mitologia e della religione, che affondano le loro radici negli albori dell'umanità, ma delle quali è possibile venire a conoscenza solo a partire dal momento in cui esse sono ben consolidate.5 Tenendo dunque presenti tali considerazioni, il mio intento non è certo quello di dirimere definitivamente la questione sulle origini o sull'introdu­ zione di Flora nel pantheon romano, ma quello di riflettere su come era in­ tesa la dea all'epoca di Varrone e sul motivo del suo inserimento nella lista di divinità di matrice sabina, offrendo al contempo (nei limiti del possibile) spunti per una maggiore comprensione dei dati a disposizione. Innanzitutto bisogna esaminare attentamente le informazioni forni­ te dall'erudito latino, poiché egli distingue chiaramente nella sua lista tre nuclei fondamentali: il primo comprende le divinità che secondo l'autore sarebbero effettivamente derivate dai Sabini (Feronia, Minerva e i Noven­ sides), il secondo quelle che in maniera leggermente diversa (paulo aliter) rispetto alle prime possono essere fatte risalire ai Sabini, e infine la terza, che raggruppa una serie di dei e dee i cui altari «odorano di lingua dei Sa­ bini» (E(t) ar(a)e Sabinum lingu.am olent). 6 Tale discrimine non è certo se­ condario né può essere fatto passare sotto silenzio: come ha giustamente notato Jacques Poucet, sembra che il grado di 'sabinità' di questi dei sia diverso già per lo stesso Varrone a seconda della classe in cui essi sono sta­ ti inseritU Nel caso specifico, Flora compare nel terzo gruppo, ovvero in quello che sembra possedere meno degli altri stretti legami con i Sabini, ma soltanto un'indefinita sfumatura di sabinità.8 Sebbene non sia semplice comprendere appieno che cosa intendesse l'erudito latino con l'espressione per noi piuttosto enigmatica E( t) ar(a)e Sabinum lingu.am olent, vi sono pochi dubbi sul fatto che essa non possa essere utilizzata come assoluta conferma s Cfr. a tal proposito le più che condivisibili osservazioni di ScHEID ( 1 983) 2004, pp. 7172 in merito alla possibilità di ricostruire la religione romana delle origini. Cfr. anche SCHEID ( 1 998) 2009, pp. 2 1 -22; BEARD - NoRTH - PRicE 1 998, pp. 1 - 1 8 ; ScHEID 20 13-20 14, p. 468. 6 Cfr. RAoKE 1 954, p. 29 1 ; PoucET 1967, p. 47. 7 PoucET 1 972, p. 103 . s I n questa sede non c i s i occuperà degli altri gruppi n é delle altre divinità menzionate. Per maggiori dettagli in merito si rimanda a EvANS 1 939, pp. 1 55-240; RAoKE 1 954, pp. 29 1 -3 1 0; TERROSI ZANCO 1 96 1 , pp. 1 89-207.

-

5

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

dell'origine sabina degli dei menzionati. 9 È stato inoltre giustamente notato come il passo relativo alla terza categoria varroniana non sia una considera­ zione personale dell'autore, essendo stato ricavato dagli Annales; 10 Varrone non ha quindi inventato arbitrariamente relazioni tra gli dei citati e i Sabini, essendo opinione comune (almeno nell'annalistica latina) che tali divinità fossero in qualche modo connesse con questo popolo. Se da un lato dun­ que è certamente condivisibile il monito espresso da più di uno studioso a utilizzare con particolare cautela e cum grano salis il passo in esame a causa dell'origine sabina dell'autore, 1 1 dall'altro tale avvertenza non ha ragione d'essere in relazione al terzo gruppo di divinità. Anzi, a ben vedere, risulta abbastanza sorprendente il fatto che nell'intero passo di Varrone non vi sia alcuna traccia di compiacimento o di esaltazione della propria patria. 12 Ne consegue quindi che la notizia secondo cui gli altari di determinate divinità «odorano di lingua dei Sabini» deve essere problematizzata seriamente, al fine di capire il motivo che spinse dapprima gli annalisti e in seguito un eru­ dito del calibro di Varrone a riportarla nelle loro opere. 13 Il quesito, come spesso accade, è di difficile soluzione: 1 4 innanzitutto, è bene partire dal testo dell'antiquario reatino, contestualizzando il passo in esame. Ci si accorgerà ben presto che il De lingua Latina è incentrato sulla spiegazione etimologica di termini latini e, più nello specifico, la se­ zione del V libro che si apre con il paragrafo 57 e si chiude proprio con il 74 affronta il problema della derivazione del nome degli dei. 1 5 Dunque la

9 Ha frainteso SALMON 1 967, p. 1 63 , il quale ha sostenuto con certezza che Varrone abbia considerato Flora una dea sabina, portando come prova proprio il passo in esame. IO EVANS 1 939, p. 1 53 ; POUCET 1 967, pp. 47-48; POUCET 1 972, pp. 1 02-103; 0UMÉZIL (1974) 20 1 1 , pp. 1 60- 1 6 1 ; POUCET 1985, p. 93; POUTHIER 1 98 1 , p. 32. I l Così già EvANS 1 939, p. 1 53 . In seguito si è giunti a parlare esplicitamente del cosid­ detto 'sabinismo' (o sabinomania) varroniano: a questo proposito cfr. CoLLART 1 954a, p. XXI; CoLLART 1954b, pp. 229-243; PoucET 1 963, pp. 1 74- 1 76; PoucET 1985, pp. 78-79 e nota 1 5 . Per il passo in esame cfr. COLLART 1 954b, p. 239; PoUCET 1967, p. 53, nota 207; POUCET 1 972, p. 103; PoUTHIER 1 98 1 , p. 39. Non va infatti dimenticato che Varrone era nato a Rieti, città appartenen­ te al territorio della Sabina prima della conquista romana. 12 Cfr. PoucET 1967, p. 5 1 : «On aurait attendu de la part d'un Sabine d'origine et de creur comme Varron un peu plus d'enthousiasme envers cette donnée de l'annalistique». Cfr. anche POUTHIER 1 98 1 , p. 37. 1 3 Del tutto ingiustificata l'affermazione di LATTE 1 960, p. 232, nota l, secondo cui «Die Einfiihrung des Kultes [sci!. di Luna e Sole] durch Titus Tatius [ . . . ] ist Erfindung Varros wie die tibrigen "sabinischen" Kulte der Stelle». Svalutare in toto le informazioni di Varrone significa eliminare arbitrariamente una fonte assai preziosa. 1 4 Cfr. già PoucET 1 967, p. 5 1 . 1 5 Cfr. in particolare VA RRO De !ing. Lat. V 57: Quod ad !oca qu(a}eque his coniuncta fuerunt, dixi; nunc de his quae in locis esse solent immortalia et mortalia expediam, ita ut prius quod ad deos pertinet dicam. -

6

-

l.

UNA DEA ROMANA O SABINA?

relazione con i Sabini non riguarda tanto le divinità in sé, quanto più la loro denominazione: come ha giustamente notato Jacques Poucet, Varro­ ne è attento a non affermare mai la loro diretta provenienza dal pantheon sabino. 16 Nel caso che qui interessa maggiormente, ovvero il terzo gruppo e in particolare Flora, l' autore aggiunge un importante dettaglio: l'origine di alcuni nomi riportati può essere fatta risalire sia alla lingua sabina sia a quella latina. Gli esempi citati si concentrano su Saturno e Diana, già men­ zionati nel corso dei paragrafi precedenti e per i quali era stata rilevata la derivazione dal latino, 1 7 ma di certo queste due divinità non devono essere considerate le uniche cui va riferita la specificazione delle radici comuni. 18 Anzi, per quanto riguarda Flora, si potrebbe ipotizzare che il suo nome fos­ se compreso tra queste ultime dal momento che, come si è già osservato, la sua etimologia deriva da jlos, termine latino comune ad altre lingue ita­ liche . Pertanto, almeno dal punto di vista etimologico, la presunta prove­ nienza di Flora dai Sabini non sembra essere supportata da indizi probanti. Rimane tuttavia aperto il problema relativo alla notizia degli Annales secondo cui, tra gli altri, l'altare della dea sarebbe stato eretto in seguito a un voto espresso da Tito Tazio, la cui provenienza dalla Sabina (più precisa­ mente da Cures, nella Bassa Sabina o Sabina tiberina, a pochi chilometri di distanza da Roma) 1 9 è fuori discussione.2 0 La figura e le azioni del re sabino che affiancò Romolo alla guida della città sono ammantate da un alone di leggenda - fatto comune a tutti i sette sovrani di Roma - e quindi non possono essere considerate 'storiche' in senso stretto, 21 ma è comunque si­ gnificativo che, almeno nell'ottica degli annalisti e di Varrone stesso, il voto degli altari non sia attribuito al fondatore dell'Urbe, bensì al suo pari grado sabino. Bisogna dunque ammettere che, stando alla tradizione annalistica 16 PoucET 1 967, p. 48 e, in maniera minore, PoucET 1 972, p. 103. Per una disamina più approfondita circa i problemi etimologici sollevati dal gruppo di divinità menzionate cfr. Pou­ CET 1 967, pp. 48-5 1 . 1 7 VARRO De !ing. Lat. V 64 (Saturno) e 6 8 (Diana). 1 8 In passi precedenti Varrone connette etimologicamente con termini latini altre divinità della lista: VARRO De !ing. Lat. V 64 (Ops); V 68 (Luna); V 69 (Lucina); V 70 (Vulcano). Cfr. PoucET 1 967, pp. 48-50. 1 9 Per l'esistenza di 'due' territori sabini, separati dalla catena montuosa dei Monti Sabini, cfr. PoucET 197 1 , pp. 144- 146; PoucET 1972, pp. 1 14- 1 1 5 ; Musn 1985, pp. 80-8 1 ; SPADONI 2000, pp. 1 8- 1 9 . Su Cures cfr. MuzziOLI 1 980, in particolare per la Cures dell'età del ferro pp. 28-34. 20 A titolo esemplificativo, cfr. VARRO De !ing. Lat. VI 68; C1c. De re pubi. II 1 3 (...T. Tatio, rege Sabinorum); LIV. I 10, l (T. Tatium, regem Sabinorum); DION. HAL. Ant. Rom. II 37, l (Tanoc; ò tiòv l:a�ivrov �aatÀE6ç); PwT. Romul. 17, 2 (oi ÀOutoi l:a�tvot Tanov ci1tooe�avn:c; atpa"tTlyòv). Cfr. STRAB. v 3, l . 2 1 Cfr. PouCET 1 972, p. 48.

-

7

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

romana, il ruolo svolto dai Sabini alle origini di Roma sia stato tutt'altro che trascurabile, come dimostrerebbe anche la lunga serie di episodi mitici che li vede protagonisti, a partire dal celeberrimo ratto delle Sabine, cui fa seguito lo scontro tra i Romani capeggiati da Romolo e i Sabini di Tito Ta­ zio (in cui si inserisce l'altrettanto ben nota vicenda di Tarpeia), conclusosi con la pacifica annessione di questi ultimi all'interno della città.22 Tutta­ via, è necessario domandarsi sino a che punto le fonti che trattano questi avvenimenti, certamente molto posteriori all'epoca cui fanno riferimento, possano essere considerate documenti a favore dell'importanza dei Sabini nella costruzione dello stato e della cultura romana. Gli studiosi si sono a lungo interrogati circa il reale impatto del popolo italico sulle origini di Roma, dividendosi in due schieramenti opposti: da una parte i 'tradizionalisti' , che hanno considerato degne di fede le infor­ mazioni fornite dagli antichi e si sono dichiarati favorevoli alla tesi duali­ stica che ravvisa una contrapposizione etnica tra Latini e Sabini, dall'altra i 'non tradizionalisti' , che al contrario non hanno considerato determinanti le prove fornite dalle fonti e hanno ritenuto infondata la tesi dualistica, ri­ dimensionando così il ruolo sabino nella 'costruzione' dell'Urbe. Non è questa la sede opportuna per riaprire il dibattito sulla questione, peraltro già affrontata e dettagliatamente illustrata da jacques Poucet; 23 qui ci si li­ miterà a sottolineare come le rimostranze dei 'non tradizionalisti' abbiano basi più solide rispetto a quelle della controparte. Innanzitutto, pare più che giustificata la cautela con la quale si devono esaminare le informazioni fornite da autori molto distanti nel tempo dai presunti fatti: è stato infatti convincentemente dimostrato come le storie narrate per esteso da Livio, Dionigi di Alicarnasso e Plutarco (per limitarsi solo agli autori più noti) non possano essere considerate totalmente attendibili per la ricostruzione storica di un passato molto anteriore all'epoca in cui essi vissero e opera­ rono. D' altronde però, tali avvenimenti non possono certo essere ritenuti frutto dell'invenzione deliberata di un singolo, ma vanno ricondotti a una tradizione annalistica precedente; il problema fondamentale sta nell'im­ possibilità di stabilire a quale secolo essa risalga, fermo restando il term.i­ nus ante quem del III secolo a.C . , fissato sulla scorta della testimonianza di 22 Cfr. FAB. PicT. FRH I FF 6-7 Cornell FGrHist 809 FF 5-6; CINC. AuM. FRH 2 F 3 Cornell; CALP. P1s. FRH 9 F 7 Cornell; L1v. I 9- 1 3 ; DION. HAL. Ant. Rom. 11 30-47; PLUT. Romul. 14-20. Per una lista più completa delle fonti cfr. CARANDINI - CARAFA 20 10, pp. 4-45 (ratto delle Sabine); pp. 72- 1 03 (episodio di Tarpeia e occupazione del Campidoglio); pp. 1 03- 1 53 (pace tra Romani e Sabini). 2 3 Cfr. in particolare PouCET 1 972, pp. 48-92 (dove si discute la bibliografia precedente). Cfr. anche CARANDINI - CARAFA 20 1 0, pp. 239-243 . =

-

8

-

l.

UNA DEA ROMANA O SABI NA?

Fabio Pittore e di Cincia Alimento circa il ratto delle Sabine e gli scontri successivi. 24 Al riguardo, jacques Poucet ha tentato di chiarire il problema del ruo­ lo sabino agli albori di Roma: lo studioso belga ha considerato le leggen­ de pervenute come creazioni posteriori al VI-V secolo a.C . , modellate su fatti storici realmente accaduti, ovvero la migrazione dei popoli dell'Italia centrale (in particolare dei Sabini) verso Roma, le successive lotte che i Romani intrapresero con essi e la loro annessione e integrazione all'inter­ no della comunità cittadina romana.25 Avrebbero inoltre dato un ulteriore apporto alla costruzione degli episodi leggendari gli scontri tra i due popoli avvenuti nel III secolo a.C . , cui fece seguito la conquista della Sabina da parte di Manio Curio Dentato. 26 Al ridimensionamento della componente sabina concorrerebbero anche i dati archeologici, che non hanno sinora mai concretamente dimostrato la presenza di elementi sabini riconducibili all'VIII secolo a.CY Tuttavia, sarebbe di certo esagerato negare in maniera categorica qualsiasi tipo di influsso sabino sulla Roma delle origini o peg­ gio ancora svalutare l'importanza delle relative leggende: 28 non va infatti scartata l'eventualità che gruppi di Sabini fossero presenti nell'Urbe sin dai suoi primordi e più o meno velocemente integrati nel tessuto urbano,29 2 4 FAB. PICT. FRH l FF 6-7 Cornell FGrHist 809 FF 5-6; CINC. ALIM. FRH 2 F 3 Cornell. Cfr. MOMIGLIANO ( 1 9 8 1 ) 1984, pp. 408-4 1 1 («The vital question is from where these early anna­ lists [ . . ] derived their information about the monarchie period of Rome»). CARANDINI - CA­ RAFA 2010, p. 1 9 1 si sono schierati a favore di una notevole antichità della componente sabina, «poiché la presenza dei Sabini nella saga è un motivo canonico e antico». Tuttavia, rimane aper­ to il problema circa il valore da assegnare 'all'antichità': dal momento che non si hanno dati oggettivi a disposizione, qualsiasi ipotesi in merito si configura come una semplice congettura, per quanto una datazione 'alta' sembri non certo impossibile. Per un'ipotetica ricostruzione cronologica cfr. ivi, pp. 254-255. 2 5 Per tutti i dettagli cfr. PoucET 1 972, pp. 93- 1 0 1 . Cfr. anche AMPoLO - MANFREDINI 1 988, pp. XXXVI I-xxxvm; BRIQUEL 2000, pp. 29-34. Per l'analisi degli episodi leggendari cfr. PouCET 1967, pp. 155- 1 83 ; pp. 1 87-2 1 3 . 26 PoucET 1 972, pp. 1 1 8- 1 20. Dubbi i n merito sono stati espressi d a CAMous 2004, p . 5 1 . 2 7 Cfr. POUCET 1 972, pp. 1 1 2- 1 1 4; MOMIGLIANO ( 1981 ) 1 984, pp. 407-408; POUCET 1 985, pp. 1 40- 144. Cfr. anche CORNELL 1 995, pp. 75-76, dove viene giustamente messa in evidenza la stretta comunanza tra la cultura sabina e quella delle popolazioni limitrofe: «This means that it would be diffi.cult to differentiate between Romans and Sabines from materia! fìnds alone». 28 Concordo con AMPOLO - MANFREDINI 1 988, p. XXXVI I I e soprattutto con CORNELL 1 995, p. 76 ( avoltroÀ.toeç): FF 97- 1 04 Kassel-Austin. Sull'uso delle corone in Gre­ cia cfr. l'ampio lavoro di BLECH 1 982, in particolare per la connessione con la sfera religiosa e le divinità pp. 246-365. 67 PLIN. Nat. Hist. XXI 1 1 .

-

54

-

3 . LA DEA D E L LA F I O RITURA: FLORA E I F I O RI O RNAMENTALI

di fiori presa da una statua di Marsia. L'autore mette inoltre in evidenza la discrepanza di costumi tra Roma e Atene, dove era lecito per i giovani gozzoviglianti (comissabundi iuvenes) cingersi con serri floreali durante la notte e frequentare al mattino le scuole dei filosofi. Solo in un caso lo stato romano tributò un omaggio floreale a un suo cittadino, Scipione detto Se­ rapione: quando costui venne a mancare, non disponendo la sua famiglia della somma necessaria per pagare le spese funebri, il popolo che lo amava tanto si 'autotassò' per permettere lo svolgimento del funerale, durante il quale vennero ininterrottamente lanciati fiori. 68 Non vi sono dubbi che, secondo l'austera mentalità romana, utilizzare corone a scopo ornamentale dovesse costituire un'inutile frivolezza e uno sfarzo che strideva con i rigidi dettami del mos maiorum. Plinio stesso nota come con l'andare del tempo le ghirlande fossero diventate manifesto del lusso (soprattutto femminile): dalla già di per sé raffinata corona di rose si passò alle corone composte soltanto da petali cuciti insieme, cui fecero seguito preziose ghirlande provenienti da paesi lontani ed esotici, come l'India. 69 È dunque evidente che in origine i Romani non apprezzassero particolarmente né utilizzassero spesso i serti floreali, in particolare come ornamento della persona; solo in seguito, con il progressivo aumento della raffinatezza dei costumi (o - per dirla con Catone - con il loro progressivo decadimento) iniziarono man mano a farne uso sino a eccedere nell' osten­ tazione più smodata. D'altronde Plinio stesso conferma come la composizione di ghirlan­ de fosse una pratica frivola quando dichiara di voler trattare l'argomento botanico in maniera seria, segnalando ciò che più era degno di nota e n­ fiutandosi di «intrecciare corone», poiché id enim fiivolum est.70 È ancora il medesimo autore a testimoniare come i Romani considerassero adatte a comporre ghirlande soltanto poche specie floreali, in particolare la rosa e la viola, e dunque - almeno in principio - non desiderassero ornamenti ec­ cessivamente elaborati. 7 1 Ciò non significa che con l'andare del tempo essi non facessero uso delle cosiddette pancarpiae: stando a Pesto, queste erano ghirlande composte da vari generi di fiori (pancarpiae dicuntur coronae ex vario genere jlorum factae),72 ma il nome di chiara origine greca rivela come 68 lvi, XXI 8- 1 0. 69 lvi, XXI 1 1 . 7o lvi, XXI 13-14. 7 1 La sobrietà del gusto romano in materia di corone è stata sottolineata anche da GUIL­

LAUME-COIRIER 1 999, p. 368. Una lunga digressione sulle corone floreali e sui fiori che le com­ ponevano in ATHEN. XV 669f-686c. n FEST. s. v. pancarpiae, p. 246 Lindsay. - 55 -

SEZIONE I - LA DEA FLORA

esse non appartenessero ai tradizionali usi italici.73 Come ha ben dimostra­ to Germaine Guillaume-Coirier, il mestiere stesso del coronarius, ovvero colui che intrecciava le corone, venne sempre considerato umile e di basso profilo sociale, nonostante la grande maestria necessaria per comporre i magnifici serri floreali, di cui non mancava certo la richiesta. 74 Non bisogna inoltre dimenticare che per la creazione dei propri giardi­ ni i Romani prediligevano piante sempreverdi, come ad esempio l'alloro, il bosso, il cipresso, l' oleandro e l'edera: queste infatti garantivano abbondan­ za di fogliame, che doveva svolgere una vera e propria funzione decorativa in quanto perfetta rappresentazione del rigoglio della natura. Queste piante non erano infatti soggette al ciclo stagionale e quindi garantivano il mante­ nimento del valore ornamentale dell'intero giardino, che non si sarebbe mai presentato brullo o privo di foglie. Ovviamente ciò non implica che i Roma­ ni non apprezzassero gli elementi floreali e non li utilizzassero per la com­ posizione dei propri horti: i fiori, collocati generalmente in primo piano nelle zone perimetrali, avevano il compito di interrompere la monocromia, inse­ rendo variopinte macchie di colore che contribuivano senza dubbio ad allie­ tare lo sguardo dello spettatore. 75 Tuttavia, essi si configuravano come una preziosa ed elegante aggiunta, ma non costituivano l'elemento principale dell'intera composizione vegetale, come al contrario accade al giorno d' og­ gi, dove il fiore riveste il ruolo di assoluto protagonista dei nostri giardini. Stando a quanto si è dimostrato sinora, potrebbe essere facilmente comprensibile il motivo che portò gli autori latini a dare maggior risalto a Flora quale dea dei fiori ornamentali rispetto alla Flora collegata prevalen­ temente all a fioritura delle piante eduli: così come l'importanza e l'impiego dei fiori e delle ghirlande crebbe con lo scorrere del tempo parallelamente all'ingentilimento dei costumi romani, anche la funzione svolta dalla dea venne via via connessa sempre più con gli elementi floreali decorativi. Tut­ tavia, non è lecito intravvedere in questo cambiamento una vera e propria acquisizione di competenze assunte ex novo da Flora, ma al contrario si trat­ ta molto più verosimilmente di uno spostamento graduale verso un ambito già posto sotto la sua protezione, cui però si era dato con tutta probabilità minore importanza. Infatti la pragmatica mentalità che da sempre ha ca­ ratterizzato il popolo romano doveva in origine essere attenta principal73 GUILLAUME-COIRIER 1 995, p. 1 097; GUILLAUME·COIRIER 1 999, p. 269. 74 GmLLAUME-COIRIER 1 995, p. 1 098. Spesso i coronarii (che potevano essere sia uomini che donne) erano schiavi affrancati. L'argomento è affrontato per esteso ivi, pp. 1 094- 1 099. 75 Cfr. GRIMAL ( 1944) 1990, pp. 277-279. Un magnifico esempio di giardino romano - sep­ pur idealizzato - è visibile nelle pitture parietali che ornavano la camera ipogea della villa di Uvia: per maggiori dettagli sul tema mi permetto di rinviare a FABBRI 20 1 7, pp. 1 8 7-204.

- 56 -

3 . LA DEA DELLA F I O RITURA: FLO RA E I F I O R I ORNA M E N TALI

mente all' ottenimento di risultati utili e concreti, assicurati senza dubbio dalla Flora 'agraria' in quanto garante della buona riuscita del raccolto e quindi anch'ella dispensatrice di nutrimento per gli uomini, mentre la Flora 'ornamentale' avrebbe potuto offrire soltanto elementi decorativi che, per quanto splendidi e piacevoli alla vista, sono per definizione non necessari, accessori e dunque superflui. Ecco forse spiegato il motivo per il quale la dea assunse 'nuovi' tratti solo a partire dall'epoca in cui i costumi romani si allontanarono sempre più dall'austera tradizione del

mos m.aiorum,

per av­

vicinarsi e adeguarsi alla raffinatezza e all'eleganza che caratterizzavano da tempo le altre civiltà del Mediterraneo, soprattutto quella greca ed egizia. 76

FLORA E VENERE Tale cambiamento coinvolse inevitabilmente anche l'immagine stessa

di

Flora, di cui vennero enfatizzati gli aspetti legati alla grazia e alla bel­

lezza, certamente più confacenti alla signora dei fiori ornamentali: venne dunque delineandosi il ritratto di una divinità delicata, elegante e amante delle gioie della vita, che trova la sua massima espressione nei versi ovidia­ ni. Non vi

è

dubbio che si assista anche a un processo attraverso il quale

Flora venne progressivamente allontanata dall'ambito 'cereale' e dalla dea delle messi (di cui si sono già segnalati i legami con la dea della fioritura) ,77 per entrare a far parte della cerchia di divinità connesse a Venere, alla quale meglio si adattavano le 'nuove' caratteristiche della dea . 78 La conferma di questo 'passaggio'

è ben visibile già nei versi di Lucrezio, il quale fa giunge­

re Flora durante la primavera proprio insieme alla dea dell' amore e al suo nunzio alato, Cupido.79 Di certo può apparire curioso che Ovidio, al quale come noto Venere era particolarmente cara, 80 non sottolinei mai esplici­ tamente il legame tra le due divinità, ma

è

comunque possibile scorgerne

tracce 'tra le righe' quando il poeta menziona le Horae e le Cariti intente a

76 Va comunque sottolineato che, almeno stando a PuN. Nat. Hist. XXI 3 , anche in Grecia l'abitudine di cingersi con serti floreali non era antichissima, malgrado tale affermazione si scontri con la realtà dei fatti (cfr. supra, p. 54, nota 66). Per le corone 'egizie' cfr. PuN. Nat. Hist. XXI 5; ATHBN. XV 679f-680c. Cfr. anche LucAN. X 1 64- 1 65, che ricorda (non senza una punta polemica contro l'eccessivo lusso) corone di fiori di nardo e di rose perenni utilizzate dagli Egizi durante il banchetto. 77 Cfr. supra, pp. 3 1 -36. 7 8 Cfr. C1cu 1 988, p. 28. 79 LUCR. v 73 7-740. 80 Ne dà prova Ovidio stesso in Fast. IV 1 - 1 4 .

- 57 -

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

raccogliere e intrecciare fiori nel giardino di Flora: 81 queste infatti sono per tradizione figure appartenenti al corteo di Venere e della greca Afrodite. Nel corso dei secoli sarà proprio la connessione con la dea dell'amo­ re a prendere il sopravvento, a discapito di quella con Cerere, nonostante quest'ultima fosse con tutta probabilità più antica: ecco dunque che anche Marziano Capella presenta Flora in un contesto matrimoniale presieduto da Venere, tra la personificazione della voluttà (Voluptas) e le tre Grazie,82 mentre Prudenzio, trattando e criticando la scelta di conferire onori divini a Livia, sostiene che l'imperatrice divinizzata ottenne un posto «tra le Flore e le Veneri», confermando quindi l'associazione tra le due divinità.83 Si è già accennato al fatto che il poeta del Carmen contra Paganos consideri la dea dei fiori addirittura magistra Veneris, 84 opinione che venne poi ridimen­ sionata in età medievale, come testimoniato da Remigio di Auxerre nel commento a Marziano Ca pella, dagli Scholia recentiora a Giovenale (con buona probabilità opera dello stesso Remigio) e da Sedulio Scoto, autori per i quali Flora era soltanto ministra Veneris. 8 5 In maniera non dissimile da quanto si è già osservato per il legame tra Flora e Cerere, la crescente connessione con aspetti solitamente legati a Venere ha portato gli studiosi a interrogarsi circa una possibile ellenizza­ zione della figura della dea, in particolare attraverso l'influenza di Afrodi­ te.86 L'ipotesi fu proposta già nel l 836 da johann Adam Hartung, il quale ravvisò una correlazione tra le due dee, entrambe legate ai fiori e al mese di aprile, che secondo lo studioso coincideva con il greco Antesterione del calendario attico. 87 In seguito Ludwig Preller intravvide delle somiglianze 8 1 Ov. Fast. V 2 1 7-220. 82 MART. CAP. IX 888. 8 3 PRuo. Contr. Symm. I 265-266. 84 Carmen contra Paganos 1 1 2- 1 1 3 Bartalucci

Anth. Lat. 4, 1 12- 1 1 3 R.Z Anth. Lat. 3, 1 121 1 3 Shackleton Bailey. Secondo RuGGIERO 20 1 5 , p. 1 27, il collegamento tra Flora e Venere nel carme è dovuto alla vicinanza calendariale delle feste celebrate in loro onore. Personalmente credo che la relazione tra le due divinità abbia fondamenti più profondi e connessi alla conce­ zione delle loro figure, entrambe legate alla sfera amorosa. 8 5 REMIGIUS AUTISSIODORENSIS, Commentum in Martianum Capellam IX 470.4 Lutz; ScHOL. REC. Iuv. VI 250, 3 Grazzini; SEouuus Scorus, In Donati artem maiorem II, p. 1 3 5 Lofstedt. 86 LEONARD - SMITH 1 942, p. 707 hanno addirittura ipotizzato che il culto di Flora avesse un'origine greca, teoria oggi confutata e non più accettabile. 8 7 HARTUNG 1 836, p. 143 . In realtà Antesterione corrisponderebbe più o meno agli attuali mesi di febbraio-marzo e non ad aprile. Quest'ultimo mese, secondo una tradizione sacro a Ve­ nere (dr. Ov. Fast. IV 14; 89-90. Cfr. anche il menologium rusticum Colotianum e quello Vallense: CIL F, pp. 280-281 DEGRASSI 1 963, p. 288; p. 295), si apriva con una festa a lei dedicata (nella sua qualità di Verticordia) e si chiudeva proprio con quella in onore di Flora, che sconfinava poi sino ai primi giorni di maggio (cfr. Ov. Fast. IV 947; V 1 85-1 86: incipis Aprili, transis in tempora Mai i: l alter te .fugiens, cum venit, alter habet). =

=

-

58

-

=

3 . LA DEA DELLA F I O RITURA : F L O RA E I FIORI ORNAM E N TALI

tra la celebrazione del culto di Flora e quello dell'Afrodite «nei giardini» (tv Ki}notç) di Atene,88 mentre un'auctoritas del calibro di Georg Wissowa sostenne che, sotto le mentite spoglie di un nome italico, il culto di Flora nascondeva senza dubbio pratiche di chiara matrice greca, derivanti con buona probabilità dall'Afrodite Antheia venerata a Cnosso. 89 Esattamente come già sottolineato per l'associazione tra Flora e Cerere, a mio giudizio anche in questo caso non è affatto necessario ricorrere a non meglio defini­ te influenze di Afrodite per spiegare la progressiva associazione tra la dea dei fiori e Venere.90 Quest'ultima era infatti considerata dai Romani come una divinità preposta, tra le altre funzioni, alla cura e alla tutela dei giardi­ ni, in particolare di quelli fioriti. Le fonti letterarie confermano il legame tra la dea dell'amore e i fiori,91 in questo caso in maniera analoga a quanto testimoniato per Afrodite, il 88 PRELLER 1 88 1 3 , p. 1 5 1 . Per l'Afrodite èv riptOtç venerata sull'Acropoli cfr. PAus. I 27, 3 ; lo stesso autore (I 19, 2) ricorda un tempio dedicato ad Afrodite «dei giardini» e situato nella valle dell'Ilisso, all'interno del quale si trovava una statua realizzata da Alcamene (cfr. anche PuN. Nat. Hist. XXXVI 16; LuCIAN. Imag. 4; 6; Dia!. mer. 7, 1). Per maggiori informazioni sulla dea cfr. PIRENNE-DELFORGE 1 994, pp. 48-66; BRuLÉ 1 987, pp. 89-9 1 ; MorrE (1971) 1 973 , pp. 130-137. Cfr. anche CALAME 1 992, pp. 1 1 7- 1 1 8. 89 WissowA 1 9 1 22, p. 1 97 («Die Erwahnung der sibyllinischen Biicher und der ausgelas­ sene Charakter der Spiele [ . . . ] lassen keinen Zweifel daran aufkommen, daB hier unter dem Deckmantel eines italischen Namens ein griechischer Kult eingefiih rt wurde, wobei man am ehesten an eine griechische ì\�ppolliTTJ ì\v9eia denken mochte»). Cfr. FERRI 201 0a, pp. 1 2 1 - 1 22; DuMÉZIL (1974) 20 1 1 , p. 243 (il quale ha ammesso un'influenza della dea greca, pur ritenendo Flora genuinamente romana); GJERSTAD 1 973 , p. 238 (Flora venne identificata con Afrodite o Kore) . Difficile credere a FowLER 1 899, p. 92, nota 2, secondo cui i Floralia furono influenzati dal culto di Afrodite a Hierapolis. HESYCH. s.v. Jf vOeza Latte conferma la localizzazione in Cnosso. FLEISCHER 1 984, n. 1 1 68 ha riconosciuto la raffigurazione di Afrodite Antheia in un personaggio femminile circondato da fiori su un cratere a volute apulo, ma l'ipotesi è tutt'al­ tro che certa dal momento che manca qualsiasi prova a suo sostegno. PIRONTI 2007, p. 1 96 ha ritenuto che l'Afrodite Antheia svolgesse la sua funzione specialmente sul 'fiore della società', cioè i giovani, e quindi ha inteso l'epiteto e il concetto stesso di fioritura in senso lato. Dal mio punto di vista, una simile teoria è forse eccessiva: non c'è ragione per non assegnare ad Afrodite Antheia il concreto dominio sui fiori in quanto principali oggetti di ornamento e di bellezza. Con questo non si vuole escludere la possibilità che la dea potesse presiede­ re alla giovinezza (cfr. ivi, pp. 1 78- 1 92), ma solo come conseguenza della sua potestà sugli elementi floreali. 9 0 L'idea di un collegamento tra Flora e Afrodite venne ritenuto non convincente già da STEUDING 1 886- 1 890, p. 1 486; HILD 1 896a, p. 1 1 89 («Ces ressemblances [scii. tra il culto di Flora e quello di Afrodite èv ripr01ç] sont purement fortuites» ); MERLIN 1906, p. 1 89 («la ressemblance entre les deux divinités repose sur cles détails accidentels»); ALTHEIM 1 93 1 , p. 145; TORELLI 1 966, p. 308. Tanto Merlin quanto Altheim e Torelli hanno sostenuto che Flora e il relativo culto vennero sì ellenizzati, ma attraverso l'influenza di Demetra. 9 1 Cfr. LucR. I 1 -9; Dirae 20-2 1 ; Lydia 1 3 ; APUL. Asin. aur. X 32; De rosis nascentibus 1 7-22. Venere quale protettrice degli horti: PLAUT. in PuN. Nat. Hist. XIX 50; VARRO De ling. Lat. VI 20; De re rust. I l, 6; CIL IV, n. 2776.

-

59

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

cui collegamento con gli elementi floreali è ampiamente comprovato.92 Se proprio non si vuole rinunciare a scorgere possibili influssi ellenici, questi devono essere messi in relazione a Venere la quale, come la maggior parte delle divinità romane, col tempo assunse sempre più i caratteri propri della dea greca: 93 la presunta ellenizzazione di Flora sarebbe dunque soltanto 'di secondo grado', dal momento che si sarebbe potuta attuare attraverso Venere ellenizzata e non per mezzo di un'influenza diretta di Mrodite, in particolare nella sua qualità di Antheia o èv KTJ1tOtç.94 Personalmente riten­ go che il processo di ellenizzazione di Flora non possa essere rapportato soltanto a presunti parallelismi (peraltro sempre difficili da dimostrare) con singole divinità, ma debba essere ricondotto a un fenomeno di più vasta scala che interessò l'intera cultura e la stessa mentalità romana che, come si è già evidenziato poc'anzi, si allontanò progressivamente dai rigi­ di dettami del mos maiorum per uniformarsi ai più raffinati costumi della civiltà greca. FLORA E CHLORIS Anche Ovidio sembra dare prova del fatto che Flora non venne associata a una specifica divinità greca: 95 il poeta infatti, volendo evidentemente asse­ gnare alla dea latina una provenienza dalla Grecia per nobilitarne la figura, narra in maniera sorprendente come in principio ella fosse nient'altro che Chloris, una Ninfa dei «campi felici» in cui risiedevano gli «uomini fortunati» 92 Per tutti i dettagli circa il rapporto tra Afrodite e i fiori cfr. LAMBRUGO 20 1 8 , pp. 329-340. Cfr. anche MorrE (1971) 1 973 , pp. 1 22-127. 93 ScHILLING 1 954, pp. 1 6-30 ha ritenuto che la funzione di protettrice dei giardini svolta da Venere fu acquisita dalla dea nel corso del tempo (forse intorno al III secolo a.C.) e con tutta probabilità favorita dalla sua crescente ellenizzazione. Lo studioso ha però giustamente ag­ giunto (p. 1 90) che i tratti dell'Afrodite greca non vennero trasferiti in toto alla Venere romana e non vi fu mai una totale e completa assimilazione tra le due figure divine. 94 Va inoltre sottolineato come in Grecia l'epiteto di Antheia non fosse prerogativa della sola Afrodite: è testimoniata infatti anche una Hera Antheia, venerata ad Argo, dove le era dedicato un santuario in cui le donne celebravano la dea attraverso l'offerta di fiori. Cfr. PAUS. II 22, l ; Etym. magn. s. v. Jf v8eza; POLLUX IV 78; HESYCH. s. v. 'Hpouav8eza Latte; Suo. s. v. Jf v8eza; PHOT. s. v. 'Hpouav8eza Theodoridis. PIRONTI 2007, p. 1 96 ha spiegato l'epiteto in connessione a Hera collegandolo con la tutela dei giovani, nel medesimo modo di quanto già osservato per Afrodite. Cfr. anche PIRENNE-DELFORGE - P1RONTI 2016, p. 4 1 , dove viene ripreso il problema, segnalando le differenze tra le funzioni delle due dee. Il culto di Hera Antheia era presente anche a Mileto, dove le era sacrificata una pecora gravida: cfr. SoKOWWSKI 1 955, pp. 1 1 3-1 14, n. 4 1 ; PIRENNE-DELFORGE - PIRONTI 20 1 6, p. 4 1 , nota 77; p. 122, nota 87. 9 s Secondo BARCHIESI 1994, p. 1 79 e CoRSo 2004, p. 207, Flora non ha controparti in Gre­ cia, affermazione forse eccessiva, come si vedrà di seguito.

-

60

-

3 . LA DEA DE LLA FIORITURA : FLORA E I F I O R I O RNAM ENTALI

lfortunatis viris),96 e che il suo nome venne modificato in Flora dalla lingua latina.97 Come è stato osservato dalla quasi·unanimità degli studiosi, tale tra­ dizione non trova alcuna conferma e si rivela pertanto una probabile inven­ zione di Ovidio stesso,98 il quale creò ad hoc un legame con una Ninfa che nulla aveva a che fare con la dea dei fiori, ma il cui nome poteva in qualche modo suggerire - attraverso le opportune modifiche - una relazione fone­ tica con Flora, alla quale allude il poeta stesso quando sostiene che i Latini storpiarono l'originario nome greco.99 D'altronde nella mitologia greca il nome Chloris è assegnato a diversi personaggi femminili, ma nessuno di questi viene mai collegato con la fioritura: la prima menzione è riscontrabi­ le già in Omero, dove la giovane è presentata come figlia di Anfione (re di Orcomeno) e sposa di Neleo, con il quale generò diversi figli; Odisseo vide la sua ombra quando si recò nel mondo dei morti, al di là delle colonne d'Er­ cole, e ne ricordò la straordinaria bellezza. 1 00 Secondo un'altra tradizione, di origine tebana, Chloris era una delle figlie di Anfione e Niobe, la sola a esse­ re risparmiata dalla punizione di Apollo e Artemide, i quali sterminarono i Niobidi dopo che la loro madre si era vantata di essere superiore a Latona. 1 0 1 96 Ovidio potrebbe qui alludere ai campi dell'Isola dei Beati: cfr. SCH1LLING 1 993, p. 1 44; FUCECCH1 1998, p. 386, nota 56. 97 Ov. Fast. V 195· 1 98. Secondo PROP. IV 7, 72, Chloris era una sorta di perfida megera, responsabile di aver indotto il poeta a trascurare la sua amante attraverso l'uso di erbe. 9 8 Cfr. ToLA 2009, p. 320 («falsa etimologia entre Chloris y Flora»); FucECCH1 1998, p. 386, nota 55 («falsa derivazione probabilmente escogitata da Ovidio»); SCHILLING 1 993, p. 1 44 («L"'équivalence sémantique" Flora-Chloris [ . . ] est sans doute une invention fantai­ siste d'Ovide»); PoRTE 1 983, pp. 879-880; PoRTE 1985, p. 239 («Hélas, c'est encore une fantaisie d'Ovide, qui "témoigne d'un hellénisme impénitent"»); FRAZER 1929, p. 21 («This derivation of the name Flora from Greek Chloris [ . . ] is of course false»). Cfr. anche BMER 1 958, p. 304. Bom 2000, p. 92 ha osservato come Flora / Chloris non dichiari mai l'identità dei suoi genitori e ha interpretato tale fatto come ulteriore indizio della creazione del passato della dea da parte del poeta. BLANC - GuRY 1986, n. 26 hanno ipotizzato che una pittura murale pompeiana possa raffigurare l'incontro tra Zefiro e Chloris, ma purtroppo non vi sono prove concrete a sostegno di una simile interpretazione. 99 Cfr. Ov. Fast. V 1 95- 1 96. La derivazione di Flora da Chloris è attestata anche da LACT. Div. inst. I 20, 8 e da [CLAuo.] Carm. appendix 1 5, 1 -2 Hall, ma entrambi gli autori traggono l'informazione da Ovidio (cfr. PoRTE 1 983 , p. 880). La tradizione ovidiana continua in epoca medievale: cfr. CoNRAous DE MuRE (XIII secolo), Fabularius, lexicon F, p. 295 (dove si menziona la Ninfa Gloris). 1oo HoM. Od. XI 28 1 -287. Cfr. PHERECYDES F 1 1 7 Fowler FGrHist 3 F 1 1 7; STRAB. VIII 3, 19; PAus. IX 36, 8; APoLLOD. Bibl. I 9, 9; ScHOL. Apoll. Rhod. I 1 56- 1 60b. HYG. Fab. 14, 5 e ScHOL. Apoll. Rhod. I 65 ricordano una Chloris moglie di Ampico e madre di Mopso. 101 Droo. Src. IV 68, 6; Hvc. Fab. 9-1 1 ; 14, 14; APoLLOD. Bibl. III 5, 6. PAus. II 2 1 , 9 ricorda che ad Argo, nel santuario di Latona, vi era una statua di Chloris accanto a quella della dea. Lo stesso autore (X 29, 5) testimonia come Chloris fosse rappresentata anche nel celebre dipinto raffigurante la Nekyia, opera di Polignoto e situato a Delfi. .

.

=

-

61

-

SEZIONE I - LA DEA FLORA

Per la verità, in Grecia esistono figure mitiche che condividono alcune caratteristiche con Flora: come già accennato, per i Greci i fiori erano gene­ ralmente posti sotto il dominio di Afrodite, oppure, benché più di rado, di Thalia (E>clM:ta, da 9aÀ.À.ro, «fiorire»), preposta fra l'altro alla buona fioritura delle piante, come testimoniato in modo particolare da Plutarco. 1 02 Fiori e corone floreali erano inoltre connesse soprattutto con le Cariti; 1 03 il nome Antheia (ovvero «la fiorita»), che sarebbe stato per certi aspetti più consono per la denominazione greca di Flora, non compare invece quasi mai per in­ dicare un personaggio mitologico, con notevoli eccezioni: Esichio riporta come l'epiteto Antheiai designasse le Horae, mentre su una lekythos apula di metà IV secolo a.C. è ritratta una Esperide con in mano un fiore, al di sopra della quale è posta proprio l'iscrizione ANE>EIA. 1 04 Tuttavia, Ovidio non avrebbe di certo potuto mettere in relazione Flora con una Esperide o con le Horae, con le quali la dea romana non aveva assolutamente nulla a che fare; Thalia al contrario poteva essere una buona soluzione ma il suo nome, non diversamente da Antheia, non offriva alcun possibile appiglio fonetico con quello di Flora. In sostanza dunque, il poeta si trovò in diffi­ coltà nell'individuare un corrispettivo greco della dea latina, inconveniente con cui dovette con tutta probabilità fare i conti già Dionigi di Alicarnasso quando, trattando degli dei i cui templi e altari furono votati da Tito Ta­ zio (tra cui era compresa anche Flora), afferma di non riuscire a trovare per alcuni di loro l'equivalente nome greco. 1 05 La relazione instaurata dal 1 02 PLUT. Quaest. conv. 745a; cfr. PAPE - BENSELER 1 9 1 13, p. 478 (s. v. @ti.I.Ew), i quali hanno considerato Thalia «eine Gottin der Landleute». Stando alla tradizione più comune, Thalia era una Musa (cfr. a titolo esemplificativo HoR. Carm. IV 6, 25; Ov. Fast. V 54; Her. 1 5 , 84; Trist. IV lO, 56; v 9, 3 1 ; MARTIAL. IV 8, 1 1-12; IV 23, 4; VII 1 7, 4; VII 46, 4; VIII 73 , 3; IX 26, 8; IX 73 , 9; x 20, 3 ; XII 94,3 ; PLUT. Quaest. conv. 746e; A.P. IX 504, 10; IX 505, 7; XIV 3, 6; SCHOL. Apoll. Rhod. III l -5b), mentre secondo HoM. n. XVIII 39 una Nereide (cfr. anche VERG. Aen. V 826; HYG. Fab. praef. 8). Dal canto loro, HES. Theog. 77; 909 e APOLLOD. Bibl. I 3, l assegnano il nome Thalia sia a una Musa sia a una delle tre Cariti. Un'altra tradizione narra del rapimento della Ninfa Thalia da parte di Zeus / Giove; dall'unione sarebbero nati i Palici: cfr. [CLEM. RoM.] Hom. V 1 3 , 5; RuFIN. [Clem. Rom.] Recogn. X 2 2 , 3 ; MACROB. Sat. V 19, 1 8 ; SERV. Aen. IX 5 8 1 . Una pelike pro­ veniente da Ampuria (Spagna) mostra una figura femminile con accanto l'iscrizione «Thalea»: cfr. HEINEMANN 20 1 3 , pp. 304-305. Per le rappresentazioni della Ninfa Thalia e relativo ratto cfr. CuRTIUS 1937, in particolare pp. 1 1 1 - 1 12; KosSATZ-DEISSMANN 1 994a, nn. 1-10. In alcune iscrizioni vascolari il nome «Thalia» è associato a una Menade: cfr. KossATZ-DEISSMANN 1 994b, nn. 1 -7. Il nome Thalia era utilizzato anche come nome proprio di donne comuni: cfr. A.P. V 47, l ; VII 568, 2. 103 PINO. Nem. V 54-55; SAPPH. FF 8 1 ; 94 Voigt; IBYC. PMG F 288; BACCHYL. Dith. I 6 Maeh­ ler; APuL. Asin. aur. X 32; NoNN. Dion. XXXI 203-208. Cfr. anche BoMER 1 958, p. 305. 104 HESYCH. s. v. Jl.vBewt Latte. Lekythos: McPHEE 1990, n. 36. APOLLOD. Bibl. II 7, 8 cita una Antheia figlia di Tespio. 10 5 DION. HAL. Ant. Rom. II 50, 3. Cfr. supra, p. 1 1 .

-

62

-

3 . LA DEA DELLA F I O RITURA : FLORA E I FIORI O RNAM ENTALI

poeta di Sulmona risulta ancor più curiosa se si tiene conto del fatto che il termine greco Chloris significa «la giallognola», 1 06 colore che si addice solo in parte a Flora, alla quale invece sono connesse le molteplici tonalità cromatiche che caratterizzano le diverse varietà floreali, come peraltro te­ stimoniato dallo stesso Ovidio nel prosieguo del suo excursus. 1 0 7 A dire il vero, non è da escludere che nella tradizione romana esistesse una figura che condivideva il nome con la dea: ne dà testimonianza Plutar­ co - che probabilmente segue quanto narrato da Fabio Pittore - quando menziona la figlia dell'usurpatore Amulio, chiamata in maniera emblema­ tica Anthò (Avero - da liv9oç, «fiore»), la quale avrebbe pregato a lungo il padre affinché non condannasse a morte Rhea Silvia, già incinta di Romolo e Remo. 1 0 8 Tale personaggio non compare più nel prosieguo della vicen­ da, ma gioca comunque un ruolo fondamentale per la nascita di Roma, in quanto salva la madre dei futuri fondatori dell'Urbe con la sua interces­ sione. La probabilità che nel racconto tradizionale romano il suo nome coincidesse con quello di Flora o un suo derivato è tutt'altro che remota: il fatto che Fabio Pittore abbia utilizzato il nome Anthò potrebbe dipendere dalla sua scelta di scrivere in lingua greca e dalla conseguente necessità di trovare l'adatto corrispettivo greco del termine latino. ALTRE COMPETENZE ASSEGNATE A FLORA: MIELE E CERA

Oltre agli aspetti sin qui trattati, è opportuno soffermarsi brevemente su due ulteriori funzioni - forse meno note - svolte dalla dea, di cui dà notizia ancora una volta Ovidio, una delle quali si riferisce al ruolo non secondario che ella riveste nel garantire la buona riuscita del vino, poiché anch'esso do­ veva «fiorire» nelle cantine, ovvero «fermentare, spumeggiare». 1 09 Il poeta inoltre le assegna la facoltà di donare il miele agli uomini, poiché è grazie alla sua azione che le api traggono il nettare dai fiori. 1 1 0 Tuttavia, Flora non deve essere considerata la divinità del miele in senso stretto: infatti il suo legame con la sostanza non dipendeva tanto dalla sua effettiva tutela, fun106 Secondo PAus. II 2 1 , 9, la fanciulla (figlia di Niobe) si chiamava in principio Melibea: il nome le fu cambiato poiché, a causa del terrore provocatole dallo sterminio dei suoi fratelli, ella assunse un colorito giallognolo. 10 7 Cfr. Ov. Fast. V 355-359. 10s PwT. Romul. 3 , 4 FAB. PICT. FRH l F 4b Cornell. 109 Ov. Fast. V 269-270. Per un utilizzo simile del verbo jloreo cfr. COLUM. XII 30, 1 -2. u o Ov. Fast. V 271 -272. Difficile intravvedere in questo caso allusioni metaforiche tra mie­ le e poesia, come proposto da ToLA 2009, p. 323 . =

- 63 -

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

zione che era assegnata e svolta da Mellonia o Mellona, 1 1 1 quanto più dal fatto che ella garantiva l'indispensabile 'materia prima' attraverso cui le api avrebbero potuto realizzare il prodotto. In qualità di signora dei fiori, la dea era in grado di assicurare nettare in abbondanza e di favorire al contempo il corretto sviluppo delle specie floreali più apprezzate dalle api. Gli autori antichi infatti offrono spesso consigli su quali varietà semi­ nare nei pressi delle arnie per ottenere miele in grandi quantità e di ottima qualità: Varrone raccomanda di piantare la rosa, il serpillo, la melissa, il pa­ pavero, una serie di piante leguminose (fava, lenticchia e pisello), il cipero, l'erba medica e soprattutto il citiso (utile alle api anche come medicinale) e il timo, la pianta più adatta per la produzione di miele. 1 1 2 Dal canto suo Ovidio, oltre agli immancabili citiso e timo, ricorda anche la viola, così come Virgilio, il quale menziona la cassia, il serpill o e la santoreggia, men­ tre Columella e Plinio riprendono buona parte delle specie già citate da Varrone, aggiungendo però il giglio, la veccia, l'origano, la cassia, il melilo­ to, la cerinte, il rosmarino, l'edera, il narciso, il giacinto, il croco, l'amelio, l'asfodelo e una serie di alberi (il pino, la quercia, il pero, il pesco, la tame­ rice, il mandorlo, il tiglio, il lentischio e il terebinto). 1 1 3 n legame tra Flora e le api non deve essere certo considerato marginale anzi, al contrario, nell'antichità esso doveva rivestire particolare importanza soprattutto dal punto di vista agricolo, dal momento che le api assicurava­ no la fecondazione del fiore attraverso l'impollinazione e quindi garantiva­ no la produzione del frutto, grazie ai cui semi era al contempo assicurata la riproduzione delle diverse specie vegetali. 1 1 4 n miele stesso era un prodotto estremamente utile non solo in ambito alimentare - era di fatto l'unico dol­ cificante disponibile - ma anche in altri campi della vita quotidiana (come ad esempio la medicina) ed era ritenuto un'ottima offerta persino per gli dei. 1 1 5 Parimenti nel mondo antico era riservata particolare considerazione 1 1 1 Mellonia o Mellona era il nome della dea del miele, come testimoniato da ARNos. Adv. nat. IV 7 (Mellonia dea est pollens potensque in apiùus, mellis curans custodiensque dulcedinem) e da AuausT. De civ. Dei IV 34. Cfr. PERFIGLI 2004, p. 143 . 1 1 z VARRO De re rust. III 1 6 , 1 3 . Cfr. anche ivi, III 1 6 , 25-26, dove viene redatto un ulteriore elenco di piante dalle quali le api potevano trarre le sostanze per produrre non solo il miele, ma anche la cera e il cibo per il loro stesso sostentamento. 1 1 3 Ov. Fast. V 272; VERG. Georg. IV 30-32; CoLUM. IX 4, 2-6; PuN. Nat. Hist. XXI 70. TÉTART 2004, pp. 2 1 -29 ha riscontrato interessanti analogie tra la terminologia e i metodi di allevamen­ to delle api (definita appunto «apicoltura») e la coltivazione delle specie vegetali. 1 1 4 Circa l'importanza attribuita alle api, cfr. ad esempio PLIN. Nat. Hist. XI I l che, dimo­ strando tutta la propria ammirazione, le considera gli unici insetti creati appositamente per l'uo­ mo. Sul ruolo delle api quali 'strumenti' per la fecondazione vegetale cfr. TÉTART 2004, pp. 35-38. m Per il miele come offerta cfr. VARRO De re rust. III 1 6, 5 . A proposito dei differenti con-

- 64 -

3 . LA DEA DELLA F I O RI T U RA : FLORA E l F I O RI ORNAMENTALI

all'apicoltura e alle api, come dimostrano le numerose informazioni in me­ rito al loro corretto allevamento (che permetteva oltretutto di ricavare lauti guadagni) offerte da Varrone, Vrrgilio, Columella e Plinio. 1 16 Tuttavia, il miele non era l'unico prodotto creato dalle api a godere di una connessione con Flora: una sostanza altrettanto fondamentale per la vita umana era infatti la cera, come testimonia un carme attribuito a Claudiano, intitolato emblematicamente De cereo. Qui il poeta si rivolge direttamente alla dea e le indirizza una preghiera affinché ella protegga i suoi fiori e i suoi orti, dai quali egli non desidera certo ottenere il miele, di cui poco si cura, ma proprio la bianca cera. 1 1 7 Dunque, in qualità di patrona dei giardini e dei fiori, Flora sembra presiedere - seppur indirettamente, è bene sottolinearlo di nuovo - anche alla produzione di tutto ciò che da essi si ricava; pertanto il suo collegamento con le api non solo appare per­ fettamente logico, ma si rivela al contempo estremamente funzionale alle caratteristiche stesse della dea. 1 18 Al contrario, da quanto sin qui emerso, è possibile sfatare una credenza erronea ma ben radicata nella communis opinio: spesso infatti Flora viene considerata la dea della primavera, senza tuttavia tenere conto di come ella non sia mai stata designata in tal modo da alcuna fonte antica. 1 1 9 Con testi di utilizzo cfr. BORMETII 2014, pp. 30-33; BORTOLIN 2008, pp. 22-27; GIUMAN 2008, pp. 67-72 e BALANDIER 1 993, pp. 1 00- 1 1 3 . Per l'uso nella farmacopea antica cfr. anche CILLIERS - RETIEF 2008, pp. 1 0- l l ; 13- 14; VAzQUEZ Hoys 1 99 1 , pp. 67-68. Recentemente la problematica del miele e delle api nel mondo greco è stata studiata in maniera approfondita da GIUMAN 2008, al quale si rimanda per tutti i dettagli (in particolare pp. 95-222 per quanto riguarda il mito). Circa l'im­ portanza del Iniele nell'arte culinaria romana cfr. ANDRÉ 19812, pp. 1 86- 1 89. 1 1 6 VARRO De re rust. III 16, 1 -38; VERG. Georg. IV 1-314; COLUM. IX 2- 16; PLIN. Nat. Hist. XI 1 1 -70. Cfr. già AiuSTOT. Hist. anim. 553b-554b; 626a-627b e successivamente AELIAN. Hist. anim. V 10-13; Geop. XV 3-9. Per la concezione che gli antichi avevano delle api cfr. GmMAN 2008, in particolare pp. 8-37. Cfr. anche CILLIERS - RETIEF 2008, pp. 1 2- 1 3 . Per la questione econoinica cfr. BALANDIER 2004, pp. 1 86- 196; BALANDIER 1 993, pp. 98- 1 00. 1 1 7 [CLAuo.] Cann. appendix 15, 5-8 Hall (cerea materies apibus debetur amicis. /Floribus atque hortis sit, precor, aequa meis, / non ut mel rapiam, cuiu.s non tangor amore, lsed cera in talem jiat ut alba diem). Secondo PLIN. Nat. Hist. XI 1 8, le api producono la cera da tutti i tipi di fiori, tranne quelli della romice e della buglossa. Una lista delle specie che favoriscono la produzione di cera in COLUM. IX 4, 5. Tale materiale non era di scarsa importanza, poiché veniva impiegato anche in cerimonie religiose, come ad esempio durante i Saturnalia, dove era previsto che i clienti donassero candele di cera al proprio patronu.s, usanza regolamentata nientemeno che da una legge (la !ex Publicia de cereis) del 209 a.C., finalizzata a limitare le eccessive richieste (spesso irrealizzabili per le persone meno abbienti) da parte dei patroni: cfr. MACROB. Sat. I 7, 33. Lo stesso autore (Sat. I 7, 3 1 -32) offre anche la spiegazione eziologica del rito. Sulla lex cfr. BOITIGLIERI 2002, pp. 108- l l4. 1 18 Cfr. CoLUM. IX 4, 4 (jlores amicissimos apibus). 1 1 9 Non a caso Ov. Met. II 27 menziona esplicitamente la personificazione della primavera quando vuole fare riferimento alla dea di quella stagione.

- 65 -

S E Z I O N E I - LA DEA F L O RA

questo non si vuole certo negare l'evidente relazione esistente tra lei e la primavera, relazione peraltro ben testimoniata dagli autori antichi, 12 0 ma circoscrivere il suo operato soltanto a questa stagione è una semplifica­ zione dei suoi compiti. Se infatti nessuno può mettere in discussione che proprio in primavera la maggior parte delle piante inizino il processo di fio­ ritura, è altrettanto vero che i fiori possono sbocciare anche in altri periodi dell'anno: 121 dunque l'intervento di Flora doveva essere assicurato anche al di fuori della stagione primaverile. IL CONCETIO DI FIORITURA IN SENSO METAFORICO Meritano infine particolare attenzione i versi conclusivi dell' excur­ sus che Ovidio dedica a Flora, poiché essi portano a interrogarsi su altre possibili sfere di competenza attribuibili alla dea, sollevando al contempo problemi intriganti ma di difficile soluzione. Il poeta infatti, una volta sod­ disfatte le proprie curiosità circa alcune usanze messe in pratica durante i Floralia, esorta la dea dei fiori a colmargli il cuore con i suoi doni, affinché la propria poesia possa «fiorire» (jloreat) in eterno nel corso del tempo. 122 Preso atto del fatto che Flora ha evidentemente esaudito la preghiera di Ovidio, è doveroso sottolineare come egli attribuisca alla dea la facoltà di presiedere alla fioritura anche in senso lato, assegnando al termine un valo­ re metaforico. All 'interno della letteratura latina infatti, il sostantivo jlos, il verbo jloreo e i vocaboli da essi derivati alludono spesso al raggiungimento del massimo fulgore, sia esso riferito all'età, e quindi allo sbocciare della giovinezza, sia a momenti di particolare splendore che caratterizzano la vita di un uomo o la condizione di una città, di un popolo et similia. Gli esempi in tal senso sono davvero numerosi e si concentrano pre­ valentemente nelle opere in prosa, benché non manchino testimonianze anche nella poesia, come dimostrano alcuni versi di Lucrezio in cui si fa rife­ rimento al fatto che le città «fioriscono» liete grazie alla crescita e all' abbon­ danza delle messi. 123 Anche Vìrgilio utilizza il verbojloreo in senso metafori1zo Si ricorda soprattutto LucR. V 737-740 e Ov. Fast. V 20 1 (Vere fruor semper, afferma Flora stessa). I Z I Cfr. VARRO De re rust. I 39, l . 1zz Ov. Fast. V 377-3 78. Cfr. FANTHAM 1 993 , p. 52; BoYD 2000, p. 78; ToLA 2009, p. 325. È possibile che i versi ovidiani riprendano il modello callimacheo (Aet. I F 9, 13-14 Massimilla F 7, 1 3 - 1 4 Pfeiffer. Cfr. anche CATULL. l , 8- 1 1 ), come notato da BARCHIESI 1 994, p. 123. I Z 3 LucR. I 252-255 . Cfr. l'esempio 'negativo' di SIL. IT. XV 92-93 , dove si fa riferimento a città un tempo fiorenti, ora rovinate dagli eccessi e dal lusso. =

- 66 -

3 . LA DEA DELLA F I O RI T U RA : F L O RA E I F I O RI ORNA M E N TALI

co per indicare come l'Italia fosse ricca di potenti armate già al tempo della guerra tra le popolazioni latine e i Troiani guidati da Enea; 124 una simile considerazione è presente anche in Livio in relazione all'esercito cartagine­ se, fiorente più che mai di forze (maximejlorens viribus). 125 Ancor più diffusi sono gli esempi che collegano il concetto di fioritura alla prosperità di una singola città al momento del proprio apogeo: già Virgilio stesso fa riferi­ mento ad Agilla (Cerveteri) che fiorì per molti anni (multosjlorentem annos), mentre Livio menziona Lavinio fiorente e opulenta già all'epoca di Enea, e Atene ancora florida prima della guerra contro Siracusa. 126 Simili consi­ derazioni sono presenti anche in Cicerone, Velleio Patercolo, Silio Italico e Tacito; 127 ovviamente, non stupiscono certo i riferimenti a Roma quale città floridissima e ai Romani quale popolo «fiorente», come ben testimonia­ no lo stesso Cicerone, Livio e Valerio Massimo. 128 Non mancano nemmeno esempi di località ritenute il 'fiore' di un territorio: è questo il caso di Atene e di Ipata, città della Tessaglia; 129 naturalmente, il concetto di fioritura può essere esteso anche a una regione, a un regno o a uno stato in generale, nel momento in cui essi raggiungono il periodo di maggior prosperità. 13 0 Come già accennato, l'uso traslato del verbo jloreo e conseguentemente dei suoi derivati può riguardare anche gli esseri umani, le loro abilità e le loro imprese, poiché anch'essi possono «fiorire» sino a raggiungere l'apice della fama, come testimonia Cicerone per se stesso e per Cesare nelle Let­ tere ad Attico. 1 3 1 Dal momento che anche in questo caso gli esempi sono 1 24 VERG. Aen. VII 639-644. 12 5 L1v. XXVII 9, 4. Cfr. C1c. Philip. 12, 1 6 . 12 6 Liv. I 3, 3 ; XXVIII 4 1 , 1 7. 1 2 7 C1c. Philip. 2, 1 02 (Capua); 1 3 , 20 (Modena); De re publ. II 34 (Tarquinia); VELL. PAT. I 6,

3 (Sparta); I 7, 4 (Capua); SIL. IT. XVII 280 (Capua); TAc. Hist. III 34, l (Cremona). Cfr. anche Ciris 464 (Corinto); 470-471 (Cicladi). 1 2 s C1c. Cat. 2, 29; Caec. Nig. 69; L1v. VII 20, 3-5; VAL. MAX. I l, l . 129 C1c. De nat. deor. III 8 1 (Atene); Tusc. IV l , 2 (città della Magna Grecia); APuL. Asin. aur. I 25 (lpata). Cfr. C1c. Pro Lig. 32, dove il territorio sabino è presentato come il fiore dell'Italia (agrum Sabinumjlorem Italiae). 1 3 0 Gli esempi sono molto numerosi, pertanto se ne segnalano qui soltanto alcuni: CAES. De bel!. Gal!. l 30, 3; IV 3, 3; C1c. Verr. II 4, 46; Philip. 2, 1 5 ; Pro Val. Flacc. 16; 64; Pro Rose. A m. 50; De orat. III 8; De amic. 13; Ov. Met. XIII 484; Liv. VIII 5, l; XXX 1 1 , 3; XXXI 7, lO; 1 1 , 8; XXXIV l , 5 ; CoRN. NEP. Reg. 2 , 3 ; CuRT. RUF. X 9 , 5 ; VAL. MAX. VIII 14, l ; SEN. De tran. an. 5 , 3 ; Nat. quaest. III praef. 9; Epist. 90, 6; Phaedr. 435-436; Phoen. 1 85 ; TAc. A nn. II 88, 2. 1 3 1 Cic. Epist. ad Att. IV 3, 6 (Cicerone); X 8, 6 (Cesare). In TAC. Agric. 44, 5 compare pro­ prio l'espressione fiorente fama. Cfr. C1c. Brut. 227, dove si fa cenno all'oratore Publio Antistio, il quale si affermò soprattutto durante l'epoca sillana. Cfr. anche C1c. Brut. 80 e 325, rispettiva­ mente in merito al fiorire di giovani oratori al tempo di Catone il Vecchio e al raggiungimento del massimo successo da parte di Quinto Ortensio Ortalo. Cfr. anche la testimonianza di VELL.

- 67 -

S E Z I O N E I - LA DEA

FLORA

assai numerosi, in questa sede ci si limiterà soltanto a riportarne alcuni: trattando del generale spartano Epaminonda, Cornelio Nepote sostiene che questi «fioriva» (eccelleva) nell'arte militare, mentre Artaserse II Mne­ mone «fiori» per la sua fama di uomo moderato. 132 Né mancano riferimenti al fiorire delle famiglie ad opera dei loro esponenti più illustri, 133 all'ottimo esercizio di una carica politica o alle singole capacità di un individuo, che conferivano allo stesso il titolo diflorentissimus: 134 esemplificativo in tal sen­ so si rivela un passo di Cicerone relativo alla figura di Pericle, considerato fiorente di ogni tipo di virtù (floreret omni genere virtutis ), prima fra tutte l'e­ loquenza. 1 35 Esistono pochi ma significativi casi in cui il sostantivo «fiore» viene utilizzato per definire la statura eccelsa di un singolo personaggio, che emerge tra gli altri nello stesso modo in cui un fiore spicca tra le va­ rie parti della pianta: ecco dunque che Attis diviene «il fiore del ginnasio», mentre Marco Cornelio Cetego è qualificato dagli stessi cittadini romani come «il più bel fiore del popolo» a causa della sua abilità oratoria. 1 36 Analogamente a quanto avviene per le persone, anche concetti astratti possono godere del loro periodo di massima 'fioritura' : è questo il caso del­ la pace che caratterizzava lo stato romano, cui fa cenno Livio definendola fiorente e beata. 137 Lo stesso autore testimonia come la pace stessa sia la condizione primaria per far sì che la città prosperi e raggiunga il massimo grado di floridezza; egli infatti narra delle speranze di liberarsi del nemico cartaginese che aveva invaso l'Italia durante la seconda guerra punica: solo così si sarebbe potuto finalmente godere di una jlorens pax. 1 38 Dal canto suo Seneca, trattando del buon governo da parte del principe, si riferisce PAT. II 36, 2 circa il «fiorire» dei più eminenti oratori e di AuL. GELL. XV 23, l circa gli storici greci Ellanico, Erodoto e Tucidide. Ov. Trist. V 8, 1 9-20 ricorda malinconicamente il periodo in cui egli godette di fama e fortuna a Roma (nos quoquejloruimus), constatando al contempo come il fiore del suo successo fosse caduco, di breve durata. Cfr. C1c. Epist. ad Att. IV 3, 6; TAc. Ann. II 7 1 , 2; V 2, 2. Cfr. anche Llv. XXVI 3, 10, dove si menziona Quinto Fulvio Fiacco «fiorente» di fama. 1 3 Z CoRN. NEP. Epam. 5, 3 ; Reg. l, 4. Cfr. anche C1c. De off. III 33, 1 1 6 per la figura di Epicuro. 1 33 C1c. Philip. 9, 4 (famiglia degli Ottavii); Pro Val. Flacc. 1 06 (famiglia dei Valerii ) . Cfr. anche Cic. Pro Rab. Post. 2. 1 34 C1c. Pro Piane. 32; 64 (carica politica); Pro Quinc 72; Pro Sest. 33 (abilità). TAc. Ann. III 30, 2 definisce Sallustio rerum Romanarum Jlorentissimus auctor. Cfr. C1c. Tusc. III 1 0, 2; Epist. ad Att. III 10, 2; VAL. MAX. III 7, 1 1 . VELL. PAT. II 48, 6 sostiene che Quinto Lutazio Catulo, i due Luculli, Metello e Ortensio riuscirono a raggiungere posizioni di grande rilievo (floruissent) nella vita pubblica senza suscitare invidie. m C1c. Brut. 28. 1 36 CATULL. 63 , 64 (Attis); ENN. Ann. IX 304·308 Skutsch Cic. Brut. 58. 1 37 LIV. XXXIV 5 ' 5o 1 3 8 lvi, xxx 2 1 , 6. .

=

-

68

-

3 . LA DEA DELLA F I O RI T U RA : FLORA E l F I O R I O RNAM ENTALI

ai concetti di giustizia, pace, pudicizia, sicurezza e dignità che sarebbero fioriti grazie alla corretta guida dello stato, al cui bene l'imperatore deve subordinare qualunque decisione. 139 Anche Ovidio testimonia come il buon operato di Augusto garantisca l'applicazione e il rispetto delle leggi, che quindi «fioriscono» durante il suo regno. 14° Curiosa e interessante è l'informazione fornita da Cicerone nelle Verrin e: condannando la condotta di Verre, che aveva rubato numerose opere d'arte per destinarle all'orna­ mento della propria abitazione, il grande oratore afferma che le dimore di coloro che hanno agito nell'interesse della res publica, come i più celebri condottieri della storia romana (Marco Claudio Marcello, Lucio Corne­ lio Scipione Asiatico, Tito Quinzio Flaminino, Lucio Emilio Paolo, Lucio Mummio ), «fiorivano» per merito dell'onore e delle virtù dei loro padroni, i quali avevano destinato le ricchezze ottenute dalle conquiste militari alla magnificenza di Roma e all'edificazione di nuovi monumenti. 141 Tutte le testimonianze che documentano il vasto uso metaforico dei termini derivanti da jlos e da jloreo portano inevitabilmente a una consi­ derazione: il fatto che Flora sia la dea della fioritura e presieda a tutto ciò che fiorisce potrebbe avallare l'ipotesi di estendere questo suo ruolo anche ai molteplici aspetti della vita umana. In sostanza, è possibile assegnare a Flora il compito di favorire simili 'fioriture', ovvero il raggiungimento del massimo grado di splendore, prosperità e floridezza nei vari contesti sin qui menzionati? 142 Per quanto suggestiva, una simile ipotesi si scontra con la quasi totale mancanza di prove a suo favore, dal momento che le fonti non collegano mai direttamente la dea a tutti quegli ambiti che esulano dalla vera e propria fioritura vegetale, eccezion fatta per i già ricordati versi di Ovidio, 143 che aprono un piccolo ma prezioso spiraglio in tal senso, e per un problematico passo di Giovanni Lido (ripreso da Fozio) circa il nome sacrale di Roma, di cui si tratterà diffusamente in seguito. 144 Un discorso a parte merita il valore metaforico della fioritura e dei fiori legato allo sbocciare della giovinezza, intesa come momento di massimo vigore e bellezza di una persona: a questo proposito, esistono innumerevoli attestazioni, soprattutto per quanto riguarda la ricorrente espressione jlos 1 39 SEN. De clem. I 19, 8. Potevano tuttavia «fiorire>> anche concetti negativi, come la malvagità (nequitia): cfr. TAc. Hist. IV 42, 5 . 1 4 0 Ov. Fast. II 1 4 1 (jlorent sub Caesare leges). 1 4 1 C1c. Verr. II l, 5 5 . 1 4 2 La floridezza dello stato dipendeva infatti dalla benevolenza degli dei, come conferma LIV. VIII 5, 3 . 1 43 Ov. Fast. V 3 77-3 78. 1 44 Cfr. il paragrafo dedicato all'argomento: infra, pp. 1 00- 1 1 1 .

-

69

-

SEZIONE l

-

LA DEA FLORA

aetatis o iuventae l iuventutis che, opportunamente tradotta, mantiene anco­ ra oggi intatto il proprio significato. Essa appare più volte già in Lucrezio, 145 mentre Virgilio descrive i giovinetti latini nel fiore degli anni che gareggia­ no tra loro, ed Evandro che ricorda il fiorire della sua giovinezza. 146 Simili riferimenti ricorrono spesso nella letteratura latina nei più vari contesti, ma nulla cambia circa l'uso che di questa locuzione fanno i vari autori. 147 Non ci si stupirà dunque di trovare testimonianze che spaziano dall'ambito matrimoniale, dove si esalta la giovinezza della sposa, 148 a quello militare, dove si descrivono schiere di soldati imberbi nelle prime file dell'esercito o la scelta da parte di Scipione di trecento giovani, i più prestanti per età e per vigore. 149 Tuttavia, vi è almeno un caso in cui il «fiore dell'età» non coincide con la gioventù: Seneca infatti, pur constatando il suo declino fi­ sico, sostiene che l'animo è ancora forte e, in un abile gioco letterario, fa dire a quest'ultimo come proprio la vecchiaia debba essere considerata il fiore della vita, affermazione che, pur con qualche comprensibile dubbio, il filosofo accetta di buon grado. 15 0 Non diversamente da quanto osservato in precedenza, è legittima la domanda circa l'eventualità che Flora presieda al fiore dell'età e quindi alla giovinezza: in questo caso, pur non potendo disporre di dati incontroverti­ bili che le assegnino una simile funzione, la possibilità sembra derivare da due versi - seppur generalmente considerati spuri - dei Fasti, nei quali le si attribuisce l'invito ad abbandonarsi alle gioie della vita durante l'età gio1 45 LucR. III 769·770; IV 1 1 05- 1 1 06; V 847. Cfr. anche I 564 (aevijlorem); V 888 (aevojlorente). 1 46 VERG. Aen. VII 162- 1 65 ; VIII 1 60. Cfr. VERG. Bue. VII 4. Per indicare il viso fiorente di

giovinezza di Cidimo morente, STAT. Theb. V 227-228 usa l'espressione «fiore delle guance» (florem genae), ovvero la barba. 1 47 Si segnalano qui alcuni esempi: TIBUL. I 8, 47; Ov. Met. IX 436; HoR. Ars poet. 1 1 5- 1 16; Liv. VIII 28, 3 ; XXI 2, 3 ; XXI 3 , 4; XXVIII 2 1 , 9; XL 6, 4; CAES. De beli. Gal!. VII 32, 4; CoRN. NEP. Milt. l , l; Cic. Verr. II 4, 80; Philip. 2, 3; 2, 37; Pro Val. Flacc. 75; Pro Cael. 9 e 79; De sen. 20; De div. I 22; CuRT. RuF. III 5, 8; IV 8, 7; VII 2, 4; VII 9, 19; X 5, lO; VAL. MAX. VI 2, 8; VII 7, l ; SEN. Cons. ad Mare. 20, l ; Epist. 66, 42; Nat. quaest. I 1 7, 4 ; Phaedr. 620; MANIL. III 6 1 3 ; CALP. S1c. II 89; VAL. FLACC. I 1 0 1 ; S!L. IT. I 60-6 1 ; I 376; v 1 8 ; v 23 1 ; v 4 1 2-4 1 3 ; IX 533; xv 32-33 ; xv 69; XVI 405; STAT. Silv. II 3, 72; III 5, 23; IV 6, 93 ; V 5, 1 8 ; Theb. V 107- 108; VII 30 1 ; TAC. Ann. II 42, 2; MARTIAL. IX 74, 3; X 86, 3; PuN. MIN. Epist. IV 2 1 , 2; V 2 1 , 4; APUL. Asin. aur. VI 9; IX 28; X 29; De mag. 68; AusoN. Parent. 9, 5; 10, 1 1 ; 1 5 , 5; 1 6, 3. Ov. Met. XV 1 99-205 paragona il ciclo stagionale alle età della vita: ovviamente la primavera è messa in relazione alla giovinezza, momento in cui tutto fiorisce. 1 4 8 CATULL. 1 7, 14; 6 1 , 57. Cfr. anche STAT. Silv. I 2, 276-277. L1v. XXX 12, 1 7 descrive Sofo­ nisba, che diverrà sposa di Massinissa, bellissima e nel fiore della giovinezza. 1 49 LIV. VIII 8, 6; XXIX l , 2. l 5 0 SEN. Epist. 26, 2. Secondo C1c, De amic . 4, Catone il Vecchio era stato «fiorente» più di ogni altro negli anni della vecchiaia, mentre VAL. MAX. VII 7, 9 (ext.) sostiene che attraverso l'attività la mente del vecchio può conservare «il fiore della giovinezza». -

70

-

3 . LA DEA DELLA F I O RI T U RA: FLO RA E I FIORI O RNAMENTALI

vanile, quando gli animi sono esuberanti e i corpi vigorosi (nos quoque idem facimus tum, cum iuvenalibus annis/luxuriant animi, corporaque ipsa vigent) . 1 5 1 Nel prosieguo del discorso ovidiano, il poeta allude alla dea come colei che esorta i giovani a godere della propria felice condizione finché questa dura, dal momento che nel giro di breve tempo essa viene meno, così come ac­ cade anche ai più bei fiori che appassiscono rapidamente. 1 52 Al riguardo, potrebbe essere significativo un epigramma contenuto negli Epigrammata Bobiensia (IV-V secolo d.C.), in cui viene ripreso il topos letterario ellenistico del lancio di un pomo da parte di un innamorato alla propria amata come invito ad abbandonarsi all'amore: ella infatti, proprio come il frutto, è de­ stinata ad avvizzire. 1 53 Come già intuito da Francesca Romana N occhi, non è probabilmente un caso che il nome attribuito dal poeta alla fanciulla sia quello di Flora, scelta quanto mai opportuna poiché possibile allusione alla dea dei fiori, in qualità di colei che esorta a godere delle gioie della vita e del piacere dei sensi durante il breve periodo della giovinezza. 1 54 1 5 1 [Ov.] Fast. V 273-274. Cfr. SEGARRA CRESPO 2009, p. 107 (di cui non condivido l'insistito riferimento alla sessualità). SCHILLING 1 993, p. 5 1 non ha tuttavia ritenuto valide le motivazioni addotte da alcuni editori per sostenere la non autenticità dei versi. 1 5 2 Ov. Fast. V 3 53-354. Anche PLIN. Nat. Hist. XXI 2 sottolinea la caducità dei fiori e la utilizza come ammonimento per gli uomini (jlores vero odoresque in diem gignit, magna, ut pa­ lam est, admonitione hominum, quae spectatissime jloreant, celerrime marcescere). In Ov. Ars amat. Il 1 1 3- 1 1 6 viene sottolineato come la bellezza non duri per sempre, così come il fiore della viola, del giglio e della rosa perdono presto i propri petali. Un'ulteriore esortazione a cogliere il fiore della giovinezza e della bellezza, che altrimenti cadrà miseramente, in Ov. Ars amat. III 79-80. Cfr. anche Ov. Met. XIV 763-764; TIBUL. I 8, 47-48 e soprattutto HoR. Carm. Il 3, 13-16, poeta cui - come noto - è particolarmente caro il tema del carpe diem. Sulla caducità delle cose cfr. C1c. Philip. 1 1 , 39 (nihil enim semperjloret); MANIL. IV 821 -822. L'effimera bellezza dei fiori, destinata presto a venir meno, ha offerto a poeti e letterati la possibilità di creare immagini di grande potenza espressiva: un esempio per tutti è la magnifica metafora floreale presente in CATULL. 6 1 , 39-47. Il poeta paragona la giovane sposa ancora vergine (intacta) a un fiore nato in un giardino nascosto, dove è potuto crescere sino a raggiungere il suo massimo splendore; esso è quindi particolarmente desiderato sia dai ragazzi sia dalle ragazze, allo stesso modo della fanciulla, ardentemente amata dai suoi coetanei. Tuttavia, così come i giovani perdono presto interesse una volta colto e appassito il fiore, anche la sposa non desta più alcuna attrazione nel momento in cui perde la propria verginità (castum jlorem). 1 53 Epigr. Bob. 32. L'offerta del pomo sottintende generalmente un invito erotico e trova illustri precedenti in A.P. V 79-80; LuciAN. Dia!. meretr. 12, l . Non è un caso che nella celebre sto­ ria di Aconzio e Cidippe il frutto scelto per ingannare la fanciulla sia proprio un pomo: CALLIM. Aet. III, FF 1 66- 1 74 Massimilla FF 67-75 Pfeiffer; ARISTAENET. I 10. Per una lettura del racconto cfr. ARRI GONI 20 13, pp. 509-5 1 1 . Un significato diverso è attribuibile ai pomi d'oro presenti nel mito di Atalanta e Ippomene: cfr. ARRI GONI 20 14, pp. 141- 144. Per maggiori informazioni sull'e­ pigramma in esame cfr. NocCHI 20 16, pp. 2 1 5-2 19 (dove è segnalata la bibliografia precedente). 1 54 Cfr. NoccHI 20 16, p. 2 1 8 ; CANALI - NoccHI 20 1 1 , p. 9 1 . Eccessiva la considerazione di NoccHI 20 16, p. 2 1 6 circa il ruolo svolto da Flora, intesa dalla studiosa addirittura come �. Exponit, quem. petat illa locum, addidit et causam. Verbis solabar amicis: rmon - inquit - verbis cura levanda mea est. Si pater est factus neglecto coniugis usu Iuppiter et solus nomen utrumque tenet, cur ego desperem. fieri sine coniuge mater et parere intacto, dummodo casta, viro? Omnia tem.ptabo latis medicamina terris etfreta Tartareos excutiamque sinus>>. l

Ov. Fast. V 20 1 -206. -

73

-

SEZIONE I

-

LA DEA FLORA

Vox erat in cursu: voltum dubitantis habebam. «Nescio quid, nymphe, posse videris>> ait. Ter volui promittere opem, ter lingua retenta est: ira Iovis magni causa timoris erat. ((Fer, precor, auxilium! - dixit - Celabitur auctor et Stygi.ae numen testificatur aquae». ((Quod petis, Oleniis - inquam - mihi missus ab arvis flos dabit: est hortis unicus ille meis. Qui dabat, "Hoc - dixit - sterilem quoque tange iuvencam, mater erit". Tetigi, nec mora, mater erat». Protinus haerentem decerpsi pollice florem: tangitur et tacto concipit illa sinu. Iamque gravis, Thracen et laeva Propontidos intrat fitque potens voti, Marsque creatus erat. Qui, memor accepti per me natalis, ((habeto tu quoque Romulea - dixit - in urbe locum». Persino Marte , se lo ignori, fu generato grazie alle mie arti: prego che Giove non lo sappia, come è stato finora. Essendo nata Minerva senza madre, la sacra Giunone si dolse che Giove non avesse avuto bisogno del suo intervento. E andava per lamentarsi con Oceano delle azioni dello sposo; stanca per il cammino, si fermò presso la mia soglia. Non appena la vidi, dissi: «0 Saturnia, che cosa ti ha spinto sin qui?» . Ella mi spiega verso quale luogo si dirige e aggiunge il motivo. lo la consolavo con parole amiche : «Il mio affanno - dice - non può essere alleviato dalle parole. Se Giove è diventato padre senza congiungersi con la sposa e da solo si è appropriato del nome di entrambi,

perché io devo disperare di diventare madre senza marito e di partorire restando casta, senza virile contatto? Tenterò tutti i rimedi esistenti nelle vaste terre ed esplorerò i mari e le profondità del Tartaro» . Ero sul punto d i parlare : avevo il volto d i c hi esita. «Non so che cosa, o Ninfa, ma mi sembra tu possa fare qualcosa» disse. Tre volte volli prometterle aiuto, tre volte la lingua venne trattenuta: l'ira di Giove era la ragione del mio grande timore . «Aiutami, ti prego ! - disse

- il soccorritore rimarrà celato

e sarà testimone il dio della palude stigia» . «Ciò che chiedi - risposi - lo darà un fiore che mi fu mandato dai campi olenii: esso è unico nei miei giardini. Chi me lo diede disse : "Tocca con questo persino una sterile giovenca e sarà madre" . La toccai e senza indugio divenne madre».

- 74 -

4. FLORA E LA NAS C I TA DI MARTE

Subito con il pollice colsi il fiore ben radicato: sfioro Giunone ed ella nel grembo toccato concepisce . Ormai gravida, entra nella Tracia e nella parte sinistra della Propontide e il voto viene esaudito, e Marte è dato alla luce . Egli, memore di aver ricevuto i natali grazie a me, dice: «Avrai anche tu sede nella città romulea».

(trad. it. di L. Canali, con leggere modifiche)

Fin dal primo sguardo al testo, è lampante la cospicua disparità quan­ titativa dei versi riservati alla nascita di Marte rispetto a quelli che trattano della generazione delle diverse specie floreali dalla metamorfosi dei fan­ ciulli precedentemente ricordati. Il fatto è perfettamente comprensibile se si tiene conto che il poeta aveva già avuto modo di narrare con dovizia di particolari questi miti nelle Metamoifosi,2 per cui un'ulteriore trattazione sarebbe stata superflua. Al contempo, è ravvisabile la netta distinzione tra i due tipi di racconto: se nei miti metamorfici sono i giovinetti a dar vita ai fiori, il caso in esame presenta un processo esattamente inverso e co­ stituisce un'assoluta novità nel panorama tradizionale romano, da cui la necessità di una narrazione estesa e particolareggiata quale merita il dio capostipite del popolo romano. La Flora delineata dal genio di Ovidio, in accordo con il ritratto che il poeta fa della dea nel lungo excursus a lei dedicato, è una divinità benevola e compassionevole, pronta ad alleviare le pene di Giunone e a prestarle aiuto nonostante il timore della possibile punizione da parte di Giove. A tal proposito Paul Murgatroyd ha ritenuto ingiustificata l'apprensione della dea, poiché il padre degli dei non si sarebbe certo curato del fatto che la sua sposa generasse senza il suo aiuto,3 osservazione questa che appare un po' azzardata se si considera come alla base di tutto ci sia una volontà di rival­ sa da parte di Giunone che, mettendo in atto questa partenogenesi, ope­ ra un inganno nei confronti dell'ignaro marito. Personalmente credo che tale scelta potesse venire intesa come una sorta di tradimento che avrebbe giustificato l'ira di Giove e la conseguente punizione di colei che l'avesse favorito; d'altronde, è lo stesso Ovidio a sottolineare per ben due volte la pericolosità delle azioni di Flora, tanto che la regina degli dei la rassicura 2 Giacinto: Ov. Met. X 1 62-2 1 9 ; Narciso: ivi, III 344-5 10; Croco: ivi, IV 283; Adone: ivi, X 503-559 e 708-739. La vicenda di Attis è invece narrata in Fast. IV 223-244, ma non si fa menzio­ ne della nascita della viola dal suo sangue. 3 Cfr. MURGATROYD 2005, p. 52.

- 75 -

SEZIONE I - LA DEA FLORA

garantendole il totale anonimato tramite il solenne giuramento sulla divi­ nità delle acque stigie, cui neanche gli dei potevano venire meno.4 Va da sé che lo strumento attraverso cui si attua la volontà di Giunone non poteva essere altro che un fiore: si tratta evidentemente di una specie miracolosa, di cui nulla viene specificato se non la provenienza da non me­ glio precisati campi olenii. Al riguardo, sono state avanzate alcune ipotesi: se james Frazer si è limitato a constatare l'esistenza di due città denominate Oleno (una in Etolia, l'altra in Acaia) senza riuscire a stabilire né il perché né a quale delle due Ovidio abbia fatto riferimento, Franz Bomer e Robert Schilling si sono schierati a favore della località in Acaia, sulla scorta dell'e­ sistenza in loco di un famoso santuario di Asclepio, dio per il quale i parti miracolosi erano cose comuni.5 Danielle Porte ha espresso un'opinione del tutto differente, sostenendo come Ovidio non potesse riferirsi a una delle due città greche a causa della loro antica scomparsa; 6 ella ha dunque ipotizzato che il poeta, attraverso un erudito gioco poetico, abbia voluto richiamare alla mente quella che la studiosa ha ritenuto una sua possibile fonte, ovvero l'Inno a Hera, composto dal poeta Oleno e di cui Pausania rende noto il titolo ma assai poco del suo contenuto.7 Non sono mancati nemmeno tentativi di riconoscimento della specie floreale, che Adrien de Longpérier - prima di optare per l' arum - riconobbe come l'aristolochia, poiché Plinio fa derivare il suo nome dalle donne in gravidanza e afferma che è per loro molto utile, 8 mentre Hermann Usener la identificò con la mandragora, impiegata per combattere la sterilità.9 Il problema fondamentale rimane comunque capire i motivi alla base dell'inserimento delle vicende in esame nell'excursus dedicato a Flora: è stato giustamente ravvisato come il racconto ovidiano sia stato ispirato dalle ben più note vicende che trattano della nascita di Efesto e di Tifone, 4 Sul giuramento cfr. ad esempio HoM. n. xv 37-38; Od. v 1 84- 1 86. Cfr. BOMER 1958, p. 308. ; Cfr. FRAZER 1 929, p. 24; Bt>MER 1 958, p. 308; ScHILLING 1 993, p. 146. Cfr. anche FucECCHI 1998, pp. 390-39 1 , nota 68. 6 Cfr. PoRTE 1 983, p. 88 1 . 7 PAus. I I 1 3 , 3 . Cfr. PoRTE 1 983, p. 884. Il poeta è ricordato anche da HoT. IV 3 5 e da CALLIM. Hymn. IV 304-305. s Pu N. Nat. Hist. XXV 95. Cfr. anche D10sc. III 4. Un'interpretazione simile anche in Fou­ LON 201 0, p. 53. 9 Cfr. LONGPÉRIER ( 1 850) 1 883, p. 229; USENER 1 875, p. 2 1 7. Dopo aver riconosciuto l'im­ portanza del tentativo di stabilire la provenienza geografica del fiore, Bom 2000, pp. 77-78 ha fatto notare come il temine Olenius compaia un'altra volta nei Fasti in relazione alla preceden­ temente descritta nascita di Giove (Ov. Fast. V 1 1 3 , dove si fa menzione di una Olenia Capella per riferirsi alla costellazione della Capra) e ha sottolineato come Ovidio abbia forse utilizzato i medesimi parametri topografici per un'esigenza di coerenza interna al testo.

-

76

-

4. FLORA E LA NAS C I TA DI MART E

generati per partenogenesi da Hera in una sorta di rivalsa nei confronti di Zeus, che a sua volta aveva in precedenza dato alla luce Atena senza l'aiuto della moglie. 1 0 Tuttavia, la tradizione sulla nascita di Marte così come nar­ rata da Ovidio non trova alcun riscontro precedente né alcuna successiva ripresa da parte di altri autori: sorge quindi l'interrogativo se il poeta abbia deliberatamente inventato l'intero episodio oppure se si sia ispirato a un'al­ tra fonte per elaborare la sua personale versione. Purtroppo, la risposta a tale quesito è tutt'altro che facile per la man­ canza di dati a disposizione, ma ciò non ha impedito agli studiosi di formu­ lare ipotesi in merito: ad esempio, Hermann Usener e Wilhelm Heinrich Roscher ritennero che il racconto avesse origini italiche e andasse riferito al momento del concepimento del dio, cioè il l o di giugno, mentre Carole Newlands ha prospettato due alternative, ovvero la possibile creazione ex novo da parte di Ovidio oppure una ripresa di un mito italico tanto an­ tico quanto oscuro, legato forse all'originaria natura agraria di Marte. U Generalmente, proprio l'assenza di tradizioni simili riguardanti l a nascita del progenitore dei Romani ha suggerito alla maggioranza degli specialisti di considerare la storia ovidiana come un'invenzione del poeta. 12 Dal canto suo Paul Murgatroyd, quasi attribuendo a Flora una volontà propria, ha inteso l'intero episodio come una storia del tutto gratuita, da lei creata ad arte per dare importanza e dignità a se stessa al fine di porsi in rapporto con le maggiori divinità romane e di assumere quindi una certa autorità agli occhi dei lettori. Secondo lo studioso, la storia si ammanta di un carattere IO Cfr. BOMER 1958, p. 307; NEWLANDS 1 995, p. 105; FuCECCHI 1 998, pp. 3 88-389, nota 64; BoYD 2000, p. 75; K.RASNE 20 16, p. 134 (alla quale si deve l'aggiunta della nascita di Tifone). Per quanto riguarda le fonti cfr. HEs. Theog. 927-929; APoLLOD. Bibl. I 3, 5; HYG. Fab. praef 22; HoM. Hymn. III 305-3 52. I l Cfr. UsENER 1 875, pp. 2 1 6-2 1 8 ; RosCHER 1 894- 1 897, pp. 2433-2434 (la teoria dei due stu­ diosi è oggi inaccettabile ed è stata giustamente confutata da PoRTE 1 983, p. 878 ) ; NEWLANDS 1 995, p. 1 06. La studiosa ha fatto riferimento a FEST. s. v. Gradivus, p. 86 Lindsay per confermare il collegamento tra la sfera agraria e il dio: il lessicografo ha infatti spiegato l'epiteto di M arte riferendolo al termine gramen. Tale teoria non risulta convincente, poiché l'autore è preciso nel ricondurre il legame vegetale con la corona graminea, considerata la massima onorificenza in ambito bellico (contra l'utilizzo del passo di Pesto per spiegare il testo ovidiano già SCHILLING 1993, p. 145. Dubbi espressi anche da BOMER 1958, p. 307); ciononostante, va sottolineato come Marte rivestisse una funzione agraria in quanto protettore e difensore dei terreni coltivati: cfr. CATO MAIOR De agr. 1 4 1 , 2-3 e soprattutto le ineccepibili osservazioni di SCHEID (2005 ) 201 1 , pp. 128-130; SCHEID 20 1 3 -20 14, p . 470. Cfr. anche una serie d i denari coniati durante il regno di Vespasiano, sul cui rovescio compare Marte stante con lancia e trofeo e alle sue spalle una spiga: RIC IF, pp. 1 26-127, nn. 939-940; 949. 1 2 Oltre alla già citata Newlands, cfr. FRAZER 1 929, p. 23; BoMER 1958, p. 307; ScHILLING 1993, p. 145; FuCECCHI 1 998, pp. 388-389, nota 64; BOYD 2000, p. 76; MuRGATROYD 2005, p. 52; FOULON 201 0, p. 53; K.RASNE 20 16, p. 1 34.

-

77

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

quasi farsesco nel momento in cui la dea, pur preoccupata per la possibile vendetta di Giove, decide incautamente di narrare a Ovidio le vicende che la vedono protagonista, rendendo così manifesto il suo intervento nel favo­ rire il concepimento di Marte da parte di Giunone. 13 Tale interpretazione però sembra sminuire l'evidente gioco letterario di cui si serve il poeta: non bisogna certo analizzare il passo secondo canoni logici che poco hanno a che vedere con il contesto di riferimento e appare forzato da parte dello stu­ dioso voler dimostrare a tutti i costi la futilità a tratti vanagloriosa che egli ha attribuito a Flora, capace unicamente di preoccuparsi delle apparenze. Carole Newlands ha invece preferito concentrare la propria attenzione sulle nette differenze che caratterizzano Flora e Marte, due figure divine che sembrano avere poco a che fare l'una con l'altra e che anzi appaiono sostanzialmente antitetiche: in effetti è quasi ossimorico accostare la dea della fioritura al dio della guerra. La studiosa ha inoltre sottolineato come le due divinità possano essere considerate due estremi della religione di epoca augustea, poiché Flora avrebbe rappresentato gli antichi culti popo­ lari romani, mentre Marte - nella fattispecie nella sua qualità di Ultor - era destinatario di un nuovo culto introdotto per volontà del principe. Infine ella ha messo a confronto la tradizione della nascita autoctona degli Ate­ niesi, discendenti di Eretteo figlio del solo Efesto, con quella relativa alla genesi del mitico padre della stirpe romana, che esclude completamente l'intervento maschile. Oltre a dimostrare l'importanza della componente femminile nella religione romana, la studiosa ha messo bene in evidenza come la storia narrata da Ovidio possieda profonde implicazioni che vanno «beyond the specific character of Mars», in quanto la discendenza del dio dalla sola Giunone - con la complicità di Flora - potrebbe in qualche modo depotenziare l'orgoglio virile del popolo romano. 14 Al contrario Danielle Porte, ponendosi fuori dal coro, ha sviluppato un'esegesi complessa e articolata completamente diversa dalle precedenti che, qualora si dimostrasse fondata, renderebbe conto dell'origine dell'e­ pisodio narrato da Ovidio e del motivo del suo inserimento nei Fasti. La studiosa, partendo dal presupposto che la religione romana in origine non si preoccupava di fornire una linea genealogica per le proprie divinità, 15 1 3 Cfr. MuRGATROYD 2005, pp. 5 1 -52. 1 4 Cfr. NEWLANDS 1 995, pp. 1 06-107. Cfr. anche FUCECCHI 1998, p. 389, nota 64, che ha osservato come, togliendo a Giove la paternità di Marte, i Romani non avrebbero potuto riven­ dicare la propria discendenza dal padre degli dei. 1 5 A tal proposito cfr. anche BETTINI 201 5b, p. 18: «Potremmo dire che per i Romani gli dei ci sono e basta; o meglio, che nessuno sembra domandarsi se ci siano sempre stati, se siano sempre stati gli stessi o si siano succedute generazioni divine differenti».

- 78 -

4. FLORA E LA NAS C I TA DI MART E

ha innanzitutto sottolineato come il rapporto filiale che collega Marte a Giunone si uniformi a quello tradizionale greco, che prevede Hera quale madre di Ares, e ne ha dedotto quindi che sulla figura del dio romano il poeta augusteo abbia voluto innestare una caratteristica della 'corrispetti­ va' divinità ellenica. 16 La maternità di Hera / Giunone sembra però essere l'unico punto di contatto tra le due tradizioni, poiché tanto Omero quanto Esiodo confermano che Ares venne generato dall'unione di Zeus con la sua sposa; 1 7 per questo motivo, Porte ha dovuto rintracciare un'altra possibile leggenda da cui Ovidio avrebbe potuto attingere. Ella ha iniziato la sua ricostruzione avvalendosi dell'intuizione del clas­ sicista ottocentesco Adrien de Longpérier, che identificò il fiore provenien­ te da campi olenii menzionato da Ovidio con il cosiddetto arum o àpov, che ben si connetteva etimologicamente ad Ares. 18 Malgrado la studiosa abbia dimostrato come i due termini indichino specie botaniche ben diverse fra loro, ha comunque ritenuto possibile l'esistenza di una tradizione popo­ lare che legasse la nascita di Ares con la pianta àpov. 1 9 Ella ha continuato il proprio ragionamento osservando come Hera fosse venerata ad Argo con l'epiteto di Antheia e come, accanto al suo santuario, sorgesse quello di Latona, in cui era custodita una statua di Chloris. 2 0 Porte si è dunque domandata se nella località potesse esistere una tradizione che assegnava a quest'ultima un ruolo fondamentale nella nascita miracolosa di Ares, con­ cepito da Hera attraverso il fiore (àpov) che ne avrebbe giustificato l'epiteto cultuale. Proprio da questa presunta tradizione argiva, che avrebbe il meri­ to di collegare Chloris con Hera, Ovidio avrebbe potuto trarre ispirazione per costruire il suo personale racconto della nascita di Marte, giustificando così anche la relazione tra Flora e Chloris stessa; a ciò ha aggiunto la pos­ sibilità che il poeta si sia servito del già citato Inno a Hera di Oleno, in cui veniva cantata la nascita di Ares e Hebe quali suoi figli.2 1 Benché l'ipotetica ricostruzione operata dalla studiosa francese abbia l'indubbio merito di rintracciare il presunto precedente alla base del rac­ conto ovidiano e sia apprezzabile per il tentativo di fornirne una possibile spiegazione, si deve necessariamente osservare come tale teoria dia adito a più di una perplessità. lnnanzitutto appare per certi aspetti paradossale il 16 Cfr. PoRTE 1 983, p. 878. Simile considerazione già in RAoKE 1 965, p. 204. 1 7 HoM. n. v 889-898; HES. Theog. 921 -923 . Cfr. anche APOLLOD. Bibl. I 3, l; HYG. Fab. praef

20. Sulla relazione tra Hera e Ares cfr. PIRENNE-DELFORGE - PIRONTI 20 1 6, pp. 57-59. 1 8 Cfr. LoNGPÉRIER ( 1 850) 1 883, pp. 229-23 1 . 1 9 Cfr. PoRTE 1983, pp. 882-883 . 2o Ne dà conferma PAus. II 2 1 , 9. 21 Cfr. PoRTE 1983, pp. 883-884. -

79

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

tentativo di spiegare una vicenda senza precedenti come quella narrata da Ovidio ricorrendo a una tradizione greca di cui non è pervenuta traccia e la cui esistenza è quantomeno discutibile. Come motivare infatti la totale assenza di fonti che attestino la nascita di Ares da un fiore se persino Pau­ sania, autore notoriamente attento alle storie locali, non ne fa alcun cenno nel momento in cui descrive il santuario argivo di Hera? Come giustificare altresì il fatto che il poeta latino sia rimasto tanto nel vago circa il tipo di fio­ re utilizzato da Flora per fecondare Giunone se era a conoscenza di un mo­ dello greco così dettagliato cui fare riferimento? Inoltre, nel momento in cui si prende coscienza del fatto che la Chloris menzionata da Pausania era l'unica figlia di Niobe scampata al massacro operato da Artemide e Apollo, viene a cadere ogni tipo di speculazione in merito alla sua presunta fun­ zione di indiretta artefice della nascita di Ares, ruolo che non le appartiene in quanto protagonista di un altro contesto mitico. Non a caso il Periegeta sostiene di averne vista la statua nel santuario di Latona e non in quello li­ mitrofo di H era Antheia, dove ragionevolmente avrebbe dovuto essere se la teoria della studiosa francese avesse un qualche fondamento.22 Anche il ri­ ferimento al summenzionato Inno a Hera di O leno non costituisce un dato a supporto della tradizione immaginata da Porte: in primo luogo, Pausania ricorda il componimento quando narra di Fliunte e del santuario di Hebe o Ganimeda sull'Acropoli, in secondo luogo egli afferma semplicemente che l'inno celebrava la dea quale madre di Ares e della coppiera degli dei, senza nulla specificare in merito alla presunta partenogenesi. 23 I tentativi operati dagli studiosi hanno messo bene in luce la difficoltà di comprendere la ragione per cui Ovidio abbia voluto riferire una tradi­ zione così inusuale e dai risvolti per certi versi ambigui, che peraltro non ha trovato alcun seguito presso gli autori successivi. Secondo il mio punto di vista, ciò suggerisce il bisogno di affrontare il problema da una diversa prospettiva, focalizzando l'attenzione non tanto su singoli aspetti della nar­ razione - quali il tipo di fiore utilizzato o la sua provenienza - ma piuttosto su una visione di più ampio respiro che tenga conto del contesto in cui l'episodio è inserito. Essendo i Fasti - come indica già il titolo stesso - un poema che intende trattare le numerose feste pubbliche romane suddivise zz Azzardata la spiegazione fornita da PoRTE 1 983, p. 883, secondo cui dietro la Chloris argiva si sarebbe potuta celare una divinità minore preposta alla fecondità femminile: non vi è infatti nulla che lasci suppore tale caratteristica. Z3 È vero che, secondo una tradizione (probabilmente tarda) ricordata da MYTH. VAT. I 20 1 , p. 8 1 Kulcsar, Hebe sarebbe nata senza padre dal contatto di Hera con la lattuga, ma non vi sono elementi per stabilire che nell'inno di Oleno si facesse menzione di tale episodio. Circa i legami tra Hera e Hebe cfr. PIRENNE·DELFORGE - PIRONTI 20 1 6 pp. 275-277. ,

- 80 -

4. FLORA E LA NASC I TA DI MART E

per mese, Ovidio si è trovato nella necessità di prendere in considerazione Flora in quanto destinataria dei Floralia. Ciò avrebbe potuto costituire un problema data la natura leggera e disimpegnata della dea e soprattutto del culto libertino a lei riservato, entrambi poco confacenti ai fini dell'opera, che mirava a dimostrare in primis ad Augusto la capacità del poeta di af­ frontare temi ben più elevati del semplice lusus amoris, uniformandosi così all'austera politica promossa dall'imperatore.24 Segno di questa attenzione a non offenderne la sensibilità è quella che si potrebbe definire, con consa­ pevole anacronismo, una sorta di 'reticenza manzoniana' ante litteram nel trattare gli aspetti più scabrosi relativi alla dea, come dimostra il mancato resoconto delle azioni delle prostitute durante la festa e il soprassedere alla ragione della loro presenza, temi questi che in altro contesto il poeta non avrebbe probabilmente disdegnato di approfondire. 25 Da qui forse l'esigenza di nobilitare in qualche modo la figura di Flora per renderla degna di apparire in un'opera ambiziosa quali sono i Fasti: ecco quindi l'idea di creare, a mio giudizio ex novo ma sul modello della genesi di Efesto e di Tifone, una leggenda ammantata di grecità che la veda coinvolta addirittura nella nascita di Marte, riguardo alla quale il poeta non ha ritenu­ to opportuno fornire dati precisi, rimanendo volutamente nel vago, poiché scopo del suo racconto non era certo quello di dare una relazione dettagliata della vicenda. Proprio in quest'ottica va letto il fatto, a prima vista parados­ sale, che la dea preposta alla fioritura, dopo aver magnificato il suo operato nella creazione delle diverse varietà floreali, 26 non specifichi il tipo di fiore di cui si serve per aiutare Giunone nei suoi propositi e che anzi dichiari di averlo ricevuto da terzi, senza renderne nota l'identità. La mancanza di que­ sti dati deve a mio parere essere ricondotta alla volontà del poeta di creare un racconto mitico che prescindesse da una stretta logica interna, in quanto il suo fine ultimo era quello di assegnare a Flora un posto di tutto rispetto nel pantheon romano tramite il suo stretto legame con Marte, legame che al contempo avrebbe legittimato l'antichità del suo culto nell'Urbe, come ben dimostrano i versi conclusivi affidati al progenitore dei RomaniP

24 Ciò non significa che Augusto disprezzasse Flora, per la quale aveva programmato il restauro del tempio aventino (TAc. Ann. II 49, 1 ) . 2 5 Cfr. Ov. Fast. V 349-350. Sul culto libertino della dea cfr. infra, pp. 1 39-1 58. 26 Cfr. Ov. Fast. V 22 1 -228. 2 7 Cfr. ivi, V 259-260. FucECCHI 1 998, p. 389, nota 64 aveva già prospettato una simile eventualità. Si potrebbe discutere sulla reale necessità di dimostrare l'antichità del culto di Flo­ ra a Roma, dal momento che la tradizione annalistica la connette con Tito Tazio (cfr. supra, pp. 3 - 1 5), ma probabilmente Ovidio intendeva enfatizzare l'importanza della dea facendo san­ cire la sua presenza nell'Urbe da Marte stesso.

-

81

-

5

ALCUNI PROBLEMI APERTI

FLORA E GLI INDIGITAMENTA Esaminata la funzione di Flora legata alla fioritura sia delle piante eduli che di quelle ornamentali, è forse opportuno aggiungere ancora qualche considerazione generale circa il ruolo svolto dalla dea: infatti, proprio a causa della sua 'specializzazione' nel campo della fioritura (e, si potrebbe aggiungere, della fioritura del frumento, almeno in origine), alcuni studio­ si l'hanno ritenuta una divinità inclusa nei cosiddetti indigi.tamenta. 1 Il pro­ blema sollevato da una simile osservazione si rivela piuttosto complesso, dal momento che le informazioni di cui si dispone sono molto scarse, spes­ so criptiche e frammentarie: prima di tutto bisognerebbe essere a cono­ scenza del corretto significato del termine latino, cosa tutt'altro che facile da ricostruire, e in secondo luogo bisognerebbe stabilire la reale esistenza di una classe vera e propria di 'dei degli indigi.tamenta' . Per quanto riguarda la prima questione, si rivela prezioso un passo di Pesto in cui si afferma che il sostantivo poteva essere spiegato con i termini incantamenta o indicia.2 Incantamentum (derivato del verbo incanto, a sua volta derivato di cano) è anch'esso una parola dal significato complesso, ma è stato dimostrato che nel caso specifico il verbo cantare deve essere riferito alla pronuncia reiterata di particolari formule, dalla cui intonazione ci si aspettava di ottenere un concreto effetto sulla realtà: dunque il valore semantico di incantamenta deve essere riferito a una sorta d'insistita invo-

' Così BAYET ( 1 9 5 1 ) 197 1 , p. 96; LE BoNNIEC 1 958, p. 1 97; DELATTE 1 936, p. 402; MERLIN 1906, p. 1 88; R:iCHTER 1 9 1 6, p. 1 342 (la pone tra i dii certi); HILD 1 896a, p. 1 1 89; MARQUARDT 1 878, p. 16. DEL PONTE 1 992, p. 285 ha inserito la dea della fioritura nella lista degli dei degli indigitamenta, senza fornire ulteriori spiegazioni in merito. Anche PORTE 1985, p. 239 sembra ri­ tenere Flora una dea degli indigitamenta. Partendo dall'esame della Tavola di Agnone, ALTHEIM 193 1 , pp. 132-133 ha ritenuto Flora una Indigitation di Cerere. z FEST. s. v. indigitamenta, p. l o l Linds ay. -

83

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

cazione al fine di ottenere specifici risultati che l' orante si era prefissato. 3 Quindi si tratta sostanzialmente di una preghiera (carmen) che deve essere ripetuta in modo corretto affinché possa essere efficace, in piena conformi­ tà con il pensiero religioso romano che dava estrema importanza al rigo­ roso svolgimento delle azioni e delle formule rituali, pena l'inefficacia del rito stesso. La preghiera costituiva infatti il perfetto complemento dei gesti compiuti durante il rito, tanto che spesso l'officiante era affiancato da un aiutante che aveva il compito di garantire l'esatta recitazione, evitando che fossero commessi errori o omissioni. 4 Un discorso per certi aspetti simile concerne anche il secondo termi­ ne menzionato da Pesto, ovvero indicium, derivato del verbo indicare. Tale vocabolo era riferito all a rivelazione di un fatto, all'indicazione di precise informazioni: colui che era preposto a recitare la preghiera doveva quindi essere a conoscenza non solo della formula corretta, ma anche considera­ re attentamente il contesto nel quale l'invocazione doveva essere attuata, altrimenti essa si sarebbe rivelata vana. 5 Contribuisce a chiarire meglio il concetto un passo delle Antiquitates rerum divinarum di Varrone, in cui si so­ stiene la necessità di conoscere i nomi propri delle divinità e le loro relative caratteristiche, affinché sia possibile ricevere da loro i benefici sperati. Per esemplificare meglio la propria teoria, l'erudito reatino fa ricorso a simili­ tudini basate sulla vita quotidiana: non è utile sapere quale sia il compito del medico se si ignora che cosa sia un medico, così come è superfluo cono­ scere il nome di Esculapio se non si sa quale sia il suo compito o il motivo per il quale è necessario invocarlo. 6 Stando comunque alle (scarse) informazioni fornite dagli autori anti­ chi, il vocabolo indigi.tamenta indicava libri pontificati in cui erano contenuti lunghi elenchi di nomi di divinità e in cui si rendeva conto della ragione per la quale esse erano state denominate in quel modo: 7 in sostanza, nell' anti3 Cfr. PERFIGLI 2004, pp. 226-227. 4 Chiarissimo in tal senso PuN. Nat. Hist. XXVIII 10- 1 3 ; cfr. anche AuL. GELL. II 28, 2. Cfr. PERFIGLI 2004, p. 237; ScHEID (2005) 20 1 1 , p. 66. Cfr. anche ScHEID ( 1 998) 2009, p. 42, secondo il quale la preghiera completa perfettamente l'azione rituale, benché non aggiunga alcun signi­ ficato al gesto compiuto. Secondo DSERV. Aen. XII 794, il verbo indigito poteva essere sinonimo di precor e invoco: cfr. ZAVARONI 2006, p. 193. Per maggiori dettagli sul termine incantamentum, con relativo esame delle fonti antiche, si rimanda a PERFIGLI 2004, pp. 223-235 . s Cfr. ivi, pp. 238-239. 6 VARRo Ant. rer. div. F 3 Cardauns AuGUST. De civ. Dei IV 22. A quella sopra esposta, nel passo si aggiunge una similitudine con protagonisti il fabbro, il panettiere e l'operaio, senza i quali non sarebbe possibile vivere. 7 Questa la 'definizione' di SERv. Georg. I 2 1 : nomina haec numinum in indigitamentis inve­ niuntur, id est in libris pontificalibus, qui et nomina deorum et rationes ipsorum nominum continent. =

- 84 -

5. ALC U N I P RO B L E M I A P E RT I

chità si ricorreva alla consultazione di tali testi per ricavare maggiori noti­ zie in merito a una o più divinità specifiche da invocare in un preciso conte­ sto, al fine di ottenere il soddisfacimento delle proprie richieste. 8 Tuttavia, per lungo tempo la critica accademica ha ritenuto che gli dei contenuti nelle liste degli indigitamenta costituissero una categoria a sé stante, tanto da rivendicare l'esistenza di 'dei degli indigitamenta' (considerati come una sorta di equivalente delle divinità 'minori' o 'funzionali'), benché - come giustamente sottolineato da Micol Perfigli - nessun autore antico abbia mai utilizzato tale espressione nelle proprie opere.9 Non si procederà qui alla disamina di ciascuna delle teorie formulate dagli studiosi moderni sulla concezione degli indigitamenta nel corso dei secoli precedenti, peraltro già condotta approfonditamente nei suoi punti fondamentali da Micol Perfigli, 1 0 ma ci si limiterà a rilevare come tali teorie siano frutto di un fraintendimento e di una «ingiustificata forzatura inter­ pretativa». 1 1 Stando ai dati disponibili, non è possibile stilare un elenco di 'divinità degli indigitamenta' poiché non si hanno a disposizione sufficien­ ti elementi per procedere a una simile operazione; anzi, a ben vedere, la sola lista di entità divine chiaramente collegate agli indigitamenta è quella menzionata a proposito del sacrum Cereale (in onore di Tellus e Cerere) da Servio Danielino, il quale ricava da Fabio Pittore la notizia secondo cui il jlamen (non meglio specificato, ma con tutta probabilità il Cerealis) doveva invocare una serie di divinità agrarie minori, che avrebbero presieduto e favorito il lavoro dei campi, cioè Vervactor (per l'aratura), Reparator (per la bonifica del terreno), lnporcitor (per tracciare i solchi), Insitor (per l'inne­ sto), Obarator (per l'aratura intorno al campo), Occator (per l'erpicatura), Cfr. anche CENS. 3 , 2-4, dove si testimonia l'esistenza di un libro sugli indigitamenta ad opera di Granio Fiacco, oggi perduto. Cfr. PERFIGLI 2004, pp. 185· 1 86 e 242. a Cfr. ivi, pp. 1 88 e 220. Secondo WISSOWA 1 92 1 , p. 122, negli indigitamenta erano conte· nute anche le formule di invocazione utilizzate dai sacerdoti. Di simile avviso GUITIARD 1 998, p. 92 e ZAVARONI 2006, p. 194, che hanno considerato gli indigitamenta come libri di preghiere. Contra PIGHI 1967, p. 47, secondo cui vi sarebbero contenuti soltanto elenchi di nomi di divinità da utilizzare nelle preghiere, che però non erano presenti nel testo (cfr. anche PASTORINO 1 973 , pp. 200-20 1). AuL. GELL. XIII 23, l sostiene che le conprecationes deum immortalium erano tra· scritte nei libri dei sacerdoti del popolo romano, ma purtroppo non offre ulteriori informazioni in merito alla natura di tali libri (né viene mai utilizzato il termine indigitamenta). È comunque probabile che gli elenchi pontificali fossero consultati prevalentemente dal personale religioso romano per invocare nella maniera corretta una o più divinità: cfr. PERFIGLI 2004, p. 240. 9 lvi, p. 1 84. Chiarissimo in tal senso già BRELICH 1 959, pp. 1 1 5- 1 1 7. I O Per tutti i dettagli cfr. PERFIGLI 2004, pp. 1 88-207, dove si prendono in esame le teorie formulate da Athanasius Ambrosch, joachim Marquardt, Auguste Bouché-Leclercq, Hermann Usener, Herbert jennings Rose. u L'espressione è di PERFIGLI 2004, p. 1 84. -

85

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

Sarritor (per la sarchiatura), Subruncinator (per la ripulitura del maggese dalle erbacce), Messor (per la mietitura), Convector (per il trasporto e lo stoccaggio delle messi), Conditor (per la conservazione delle messi), Pro­ mitor (per la germogliazione). 12 Ovviamente, come è stato giustamente notato, il passo conservato da Servio non consente di ritenere che all'in­ terno degli indigitamenta dovessero comparire soltanto divinità agrarie o collegate alla vita privata, 13 poiché l'autore non fa altro che citare un singo­ lo esempio; 14 con tutta probabilità queste liste dovevano essere molto più numerose e relative ai più disparati ambiti. Era infatti caratteristica precipua della religione romana porre la quasi totalità degli aspetti della quotidianità sotto la tutela di un dio o di una dea dalle specifiche e ben definite funzioni, 15 divinità il cui nome è stato tra­ mandato soprattutto dai Padri della Chiesa, i quali non persero occasione per criticare il politeismo romano sottolineandone l'irragionevole quantità di dei, definita ad esempio da Agostino deorum turba. 16 Una delle partico­ larità che contraddistingue queste 'divinità funzionali' , o - per riprendere una celebre e fortunata espressione di Hermann Usener - Sondergotter (qui utilizzata come espressione di comodo, scevra delle considerazioni evolu­ zionistiche proprie della concezione dello studioso tedesco), l7 consiste nel 12 DSERV. Georg. I 2 1 . L'autore citato da Servio potrebbe essere Servio Fabio Pittore, ricor­ dato da Cic . Brut. 81 come dotto conoscitore di diritto, di letteratura e di antichità. Sul passo cfr. BRELICH 1 959, pp. 1 1 8- 1 19. 1 3 Come ha invece sostenuto DuMÉZIL (1974) 20 1 1 , p. 48. 1 4 PERFIGLI 2004, p. 220. 1 5 Cfr. BEVILACQUA 1 988, pp. 2 1 -22; CHAPOT 2008, pp. 333-334. Tali divinità 'funzionali" sono state oggetto di studio da parte di PERFIGLI 2004, pp. 2 1 - 1 79. Circa il modo di pensare dei Romani e la conseguente concezione del divino cfr. anche ScHEID (2005) 20 1 1 , pp. 67-70. CHAPOT 2008, in particolare pp. 33 5-338, ha analizzato come gli apologeti cristiani percepissero la problematica del frazionamento divino, proprio del pensiero pagano. 1 6 L'espressione ricorre più volte nel De civitate Dei: cfr. AuGUST. De civ. Dei IV 9; 1 1 ; 20-2 1 ; 34; I I 22; V I 9 (in questi ultimi due casi s i menziona una turba numinum). Cfr. BEVILACQUA 1 988, p. 2 1 ; CHAPOT 2008, p. 334. Cfr. anche la critica alle 'divinità funzionali" in TERTULL. Ad nat. II 1 1 , 2-3 (cfr. le osservazioni di CHAPOT 2008, pp. 338-344). WissowA 1 92 1 , p. 1 22 ha messo in guardia, a mio modo di vedere correttamente, dall'utilizzare in maniera meccanica le infor­ mazioni fornite dagli autori cristiani per la ricostruzione degli indigitamenta; anzi, secondo lo studioso tedesco, poco o nulla si può apprendere dalle testimonianze dei Padri della Chiesa a proposito delle liste pontificali (cfr. anche p. 1 29). 1 7 Sull'inadeguatezza delle teorie evoluzionistiche di Usener cfr. BRELICH 1 959, p. 1 1 7; DuMÉZIL ( 1 974) 201 1 , pp. 47-48; SCHEID 1999, p. 1 84 e pp. 1 98-20 1 ; PERFIGLI 2004, pp. 1 99-20 1 ; 205; 2 1 2; ScHEID (2005) 20 1 1 , pp. 65-66; ScHEID 201 3-2014, pp. 466-467 (dove viene riconosciuta l'importanza dello studio di Usener, ma negato il valore storiografico). Critiche alla concezio­ ne dei Sondergotter già in WISSOWA 1904, pp. 304-326; WISSOWA 1 9 1 22, p. 14 e PICCALUGA 1 982. Cfr. ELM 2003, in particolare pp. 69-76, dove si analizzano le considerazioni di Wìssowa circa le teorie di Usener.

-

86

-

5. ALC U N I P RO B L E M I A P E RT I

possedere un nome la cui etimologia è strettamente collegata alla funzione che esse dovevano svolgere. 18 A questo proposito, è di particolare interesse prendere in considerazio­ ne quanto testimonia Varrone negli ultimi tre libri delle Antiquitates rerum divinarum: malgrado l'opera sia andata perduta, gli studiosi hanno potuto recuperarne piccole porzioni soprattutto dai testi degli apologeti cristiani, i quali spesso si servirono dello scritto varroniano poiché costituiva una vera e propria miniera da cui ricavare i presupposti per la loro feroce critica alla religione romana. 19 Da questo processo di ricostruzione è stato possibile venire a conoscenza dei titoli degli ultimi tre libri delle Antiquitates, che do­ vevano esaminare i diversi tipi di divinità venerate a Roma, suddivise dall'e­ rudito reatino in dii certi (libro XIV), dii incerti (libro XV), dii praecipui atque selecti (libro XVI).20 Tale ripartizione ha suscitato alcune perplessità tra gli studiosi, poiché ci si è giustamente domandati se corrispondesse a un'idea condivisa dai Romani o se al contrario fosse una deliberata catalogazione del solo Varrone.2 1 Personalmente ritengo più probabile che la verità stia nel mezzo: come è stato già sottolineato da Maria Antonietta Cervellera e dajorg Riipke, se da un lato è indubbio il fatto che nei frammenti varronia­ ni siano presenti elementi che sembrano confermare la possibilità di una ripartizione di comodo, dall'altro tale classificazione doveva corrispondere a precisi criteri che rendevano possibile l'individuazione di gruppi distinti di divinità, raggruppabili a seconda della loro funzione.22 La classe che qui interessa maggiormente esaminare è la prima, il cui significato non deve essere frainteso traducendo l'espressione in maniera letterale, ovvero considerando gli «dei certi» coloro la cui divinità era certa e indubitabile, come invece sembra interpretare Tertulliano, il quale però aveva evidentemente altri fini. 23 È stato infatti dimostrato come la cate­ goria varroniana dovesse comprendere tutti quegli dei la cui funzione era perfettamente conosciuta dall'erudito latino, essendo essa chiara, univoca 1 s UsENER ( 1 896) 2008, p. 1 1 9. Cfr. PERFIGLI 2004, p. 1 99. 1 9 Cfr. CERVELLERA 1983, p. 185; BEVILACQUA 1 988, p. 22; CHAPOT 2008, p. 335. 20 Cfr. CA!mAUNS 1976, p. 1 3 1 . La tripartizione è stata conservata da AuGUST. De civ. Dei VI 3. 2 1 Ad esempio WISSOWA 1 904, p. 308; WISSOWA 1 92 1 , p. 1 14 e p. 130 ha ritenuto che la

divisione fosse più il frutto di una classificazione di comodo attuata da Varrone che una ripar­ tizione fondata sulla natura degli dei. Della stessa opinione HAGENDAHL 1 967, p. 603 ; LEHMANN 1983, p. 147 e soprattutto p. 1 57. 22 RiiPKE 20 12, p. 1 8 1 ; CERVELLERA 1983, p. 1 87. 2 3 Cfr. TERTULL. Ad nat. II 9, 3-5, dove si critica (tantam vanitatem!) la suddivisione varro­ niana giocando proprio sulla presunta illogicità di venerare divinità incert:ae o selectae quando si disponeva già di quelle certae. La critica di Tertulliano era parsa già ad AuGUST. De civ. Dei VII l più un motto di spirito che un'affermazione ragionevole. -

87

-

SEZIONE I - LA DEA FLORA

e specifica per ognuno di loro.24 Danno conferma di ciò Servio Danielino e Arnobio: il primo si affida all'autorità dei pontefici, secondo i quali a cia­ scuna azione corrispondevano specifiche divinità, i dii propri, chiamati da Varrone dii certi, 25 mentre il secondo conferma l'esistenza di questi ultimi, intesi come coloro ai quali era assegnata una determinata funzione (tute­ la), facoltà (licentia) e autorità (potestas).26 Gli dei presi in esame nel XIV libro delle Antiquitates erano a loro volta suddivisi in due sottogruppi: il primo era riservato a coloro che dovevano presiedere a ciò che riguardava strettamente l'uomo (dii ad ipsum hominem pertinentes),27 mentre il secondo comprendeva quelli preposti a tutelare tutto ciò che riguardava le attività umane, come il vitto e l'abbigliamento (dii qui pertinent non ad ipsum ho­ minem, sed ad ea, quae sunt hominis, sicuti victus atque vestitus) .2 8 Proprio in quest'ultima classe erano probabilmente collocati i dii agrestes menzionati da Agostino, 29 cioè quelli le cui funzioni si espletavano nel proteggere e favorire il lavoro dei campi e il conseguente raccolto e tra i quali compariva anche Flora, ricordata per il suo ruolo di patrona del frumento in fiore.3 0 Stando a questa disamina, il solo dato sicuro che si può evincere in me­ rito alla figura di Flora è che ella faceva parte degli «dei certi» varroniani, fatto per la verità abbastanza scontato se si considera come alla dea fosse inizialmente riservata la tutela di un singolo aspetto del reale e in partico­ lare la fioritura delle piante utili. A questo punto ci si potrebbe domandare se sia davvero lecito considerare Flora quale 'divinità degli indigitamenta', malgrado nessuna fonte antica giunga in soccorso per darne prova concre­ ta. Infatti una simile ipotesi presuppone che la categoria varroniana dei dii 2 4 Cfr. RiiPKE 20 12, p. 1 8 1 ; CERVELLERA 1 983, p. 1 88; DoMASZEWSKI 1 907, pp. 13-14. La cate· gorla dei dii incerti è stata variamente interpretata: vi si sono riconosciute divinità mal definite e dalla potestas indeterminata (ivi, p. 14) o mal conosciute da Varrone (WissowA 1 92 1 , p. 1 30), esseri umani in seguito divinizzati (PRELLER 1 88 1 3 , p. 72), una sintesi tra demone e persona giuridica (BICKEL 1 92 1 , p. 63). Una critica alla posizione di Bickel in LEHMANN 1 983, pp. 1 50- 1 57. CERVELLERA 1 983, in particolare p. 1 94, ha considerato i dii incerti come divinità preposte a sfere di competenza molto ampie e la cui funzione era indeterminata, mentre i selecti costituireb­ bero una categoria di sintesi tra dei certi e incerti, in quanto sarebbero caratterizzati da sfere di competenza ampie ma ben determinate. Cfr. WissowA 1 92 1 , p. 1 1 3, secondo cui il gruppo dei selecti non costituiva una categoria a sé stante, ma comprendeva divinità già trattate da Varrone nei due libri precedenti. 2s DSERV. Aen. II 1 4 1 : . . . quia et ponti.fices dicunt, singulis actibus proprios deos praeesse. Hos Varro certos deos appellat. 26 ARNo s. Adv. nat. II 65, 4. 2 7 CARDAUNS 1 976, p. 65. 28 lvi, p. 79. 29 AucusT. De civ. Dei IV 2 1 . 3 0 VARRO Ant. rer. div. F 1 72 Cardauns AucusT. De civ. Dei IV 8 . =

-

88

-

5 . ALCUNI P RO B L E M I A P E RT I certi corrispondesse esattamente alle divinità comprese nei libri pontifìcali, fatto che, benché possibile, risulta al momento indimostrabile.3 1 A com­ plicare la questione concorre Varrone stesso, poiché egli inserisce alcune divinità in due categorie distinte: è questo il caso di Giano, di Venere e di Minerva, registrati sia tra i dii certi sia tra i selecti; 32 erano dunque anch'essi presenti negli indigi.tamenta oppure lo status di dii selecti ne avrebbe 'impe­ dito' l'introduzione nei libri pontificati? Nonostante qualche studioso abbia ritenuto che il XIV libro delle Anti­ quitates venne compilato utilizzando una serie di liste tratte dagli indigi.ta­ menta,33 non pare lecito rivendicare un'uguaglianza tra i gruppi varronia­ ni e quelli indigitamentari; 34 anzi, si potrebbe ipotizzare che, se davvero Varrone avesse considerato i suoi dii certi alla stregua degli 'dei degli in­ digi.tamenta' (e - si potrebbe aggiungere - se tale categoria fosse realmen­ te esistita nella mentalità religiosa romana), egli avrebbe verosimilmen­ te potuto utilizzare un'altra espressione ben più efficace per designarli, ovvero dii indigi.tamentorum. Coloro che hanno rivendicato l'esistenza di tale categoria di divinità collegandola ai dii certi hanno sostanzialmente compiuto un'operazione deliberata e arbitraria, fondata soltanto su una convinzione personale e non su elementi concreti; 35 per questo motivo 3 1 Concordo nel caso specifico con quanto già espresso da WissowA 1 904, p. 307, il quale sosteneva che gli indigitamenta non fossero liste contenenti esclusivamente nomi di 'divini­ tà funzionali' (Sondergotter), ma che soltanto alcuni di questi ultimi fossero presenti al loro interno. 3 2 Sulla base delle informazioni fornite dagli apologeti cristiani (Tertulli ano e Agostino), CARDAUNS 1 976, pp. 1 86· 1 89 ha ricostruito una lista dei dii certi varroniani. I nomi dei dii selecti sono stati conservati da AuGUST. De civ. Dei VII 2 VARRo Ant. rer. div. F 229 Cardauns. È stato inoltre sostenuto che i dii selecti non costituiscano una categoria vera e propria, ma raggruppi­ no soltanto venti divinità già presenti tra i dii certi e incerti: cfr. WissowA 1 92 1 , p. 1 1 3 ; BEVILAC­ QUA 1 988, pp. 2 1 -22. 33 Cfr. in particolare DEL PoNTE 1 992, p. 78; LEHMANN 1983, p. 148; WissowA 1 904, p. 3 1 6; USENER ( 1 896) 2008, p. 1 1 8. 34 Come invece sembra credere PIGHI 1 967, p. 46. Più convincente l'idea espressa da BE· VILACQUA 1988, pp. 22·23 , il quale ha affermato che Varrone utilizzò certamente le liste conser· vate negli indigitamenta per la composizione delle Antiquitates rerum divinarum, ma in seguito ha giustamente sottolineato come nessuno degli ultimi tre libri possa essere identificato con gli indigitamenta stessi. In altri termini, è possibile che l'erudito latino conoscesse le liste dei libri pontificali e soprattutto il volume sugli indigitamenta di Granio Fiacco (una possibile prova della conoscenza del testo da parte di Varrone in MACROB. Sat. l 1 8 , 4); di conseguenza è altret· tanto possibile che egli abbia consultato tali volumi per ricavare il nome delle varie divinità e la relativa funzione, ma dalla ripartizione da lui attuata è impossibile risalire a quali fossero quelle incluse negli indigitamenta. 35 A questo proposito cfr. PERFIGLI 2004, in particolare pp. 1 88-1 97. CHAPOT 2008, p. 338 ha utilizzato ancora l'espressione 'divinités des indigitamenta' come equivalente delle 'divinità funzionali'. =

-

89

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

non mi pare particolarmente utile attribuire a Flora lo status di 'dea degli indigitamenta' , dal momento che tale definizione non è mai stata utilizzata dagli autori antichi. 3 6 Tuttavia, il fatto che con ogni probabilità non sia mai esistita una classe di 'dei degli indigitamenta' propriamente detta non risolve il quesito concernente le divinità che potevano essere contenute nelle liste pontificali, la cui attestazione è invece sicura: 37 Flora poteva dunque farne parte? Il problema di fondo consiste quindi nell'individuare il criterio che stava alla base del possibile inserimento di una divinità nelle liste indigitamen­ tarie: 3 8 a questo proposito, l'unico dato concreto a disposizione è la già ricordata informazione tramandata da Servio Danielino circa gli dei invo­ cati durante il sacru.m Cereale,39 dalla quale però non è possibile trarre con­ clusioni generali. Tuttavia, gli studiosi hanno tentato di affrontare la que­ stione, avanzando alcune ipotesi interpretative che vale la pena esaminare: secondo Giovanni Battista Pighi, negli indigitamenta erano compresi que­ gli dei che non avevano una precisa personalità, ma che si configuravano come semplici nomi cui corrispondeva una singola funzione. 40 A giudizio di Michele Bevilacqua, sarebbero tendenzialmente da escludere dalle liste tutte quelle divinità che erano state importate a Roma da paesi stranieri, quelle che godevano di un culto pubblico e quelle che in origine erano state esseri umani, soltanto in seguito divinizzati. Inoltre (a mio modo di vedere giustamente) lo studioso non ha ritenuto valida l'idea secondo cui nelle liste erano comprese quelle divinità il cui nome sarebbe stato utilizzato in seguito come epiteto per gli dei maggiori.4 1 Bevilacqua ha però aggiunto che tutte le precedenti considerazioni sono subordinate a un altro crite­ rio - condiviso dall a maggior parte degli studiosi - che rivestiva maggiore valore nell'individuazione degli dei indigitamentari: l'elemento dirimente sarebbe l'esistenza di una singola e specifica funzione propria di ognuna di queste divinità. 42 Lo studioso ha quindi concluso il suo ragionamento pro­ ponendo che all'interno degli indigitamenta fossero raggruppati soltanto i

3 6 Concordo in toto con PICCALUGA 1 982, pp. 1 52- 1 53 , la quale ha ribadito !"inesistenza di una precisa categoria di dei degli indigitamenta. 37 Cfr. SERV. Georg. I 2 1 ; CENS. 3, 22. 3 8 Tale problema è già stato evidenziato da BEVILACQUA 1 988, p. 24. 39 DSERV. Georg. I 2 1 . 4 0 PIGHI 1967, p. 46. 41 BEVILACQUA 1 988, p. 28. Va comunque sottolineato che da Flora non nacque mai alcun epiteto cultuale connesso alle divinità: solo per fare un esempio, non si hanno testimonianze di una Cerere o di una Venere Floralis. 42 BEVILACQUA 1 988, pp. 24-25.

- 90 -

5. ALC U N I P R O B L E M I APERT I

dii minuti, cioè «gli dei dei momenti particolari».43 Dal canto suo, Georges Dumézil ha espresso un'opinione per certi aspetti simile: partendo dall'u­ nico elenco indigitamentario disponibile (cioè quello tramandato da Servio Danielino), lo studioso ha sostenuto che gli dei minori (contrapposti agli dei maggiori) contenuti nelle liste fossero ritenuti di scarsa importanza, poiché la loro esistenza sarebbe stata limitata alla sola e specifica invocazio­ ne finalizzata all' ottenimento del beneficio relativo alla singola funzione da loro svolta. Inoltre, questi dei non sarebbero mai stati oggetto di culto né avrebbero mai posseduto un proprio sacerdote, ma avrebbero costituito una sorta di 'famiglia' di una divinità maggiore, come dimostrerebbe l'in­ vocazione attuata durante il sacrum Cereale.44 Partendo da queste interpretazioni (che, è bene sottolinearlo, costitui­ scono soltanto speculazioni ipotetiche), è possibile formulare alcune con­ siderazioni in merito a Flora: se il criterio fondamentale per stabilire se un dio fosse presente nelle liste degli indigitamenta era davvero la determina­ zione di una funzione chiara e specifica, allora la dea della fioritura avrebbe ragionevolmente potuto trovare spazio tra gli dei agrari, come suggerito anche da Henri Le Bonniec. 45 Al contrario, sorge più di un dubbio quando si prendono in esame le altre ipotesi: in primo luogo, va sottolineato che la contrapposizione 'divinità maggiori' versus 'divinità minori' non è forse il criterio migliore per dirimere l'intricata questione circa le entità divine pre­ senti negli indigitamenta, poiché alcune fonti utilizzano il verbo indigito per indicare l'invocazione di dei quali Apollo (che peraltro era considerato un dio straniero), Maia e Bona Dea.46 Ne consegue che stabilire lo status delle divinità indigitamentarie sia un'operazione assai più complessa di quanto si è creduto o ritenuto; 47 tuttavia, provando a ragionare in modo del tutto

43 lvi, p. 27. L'espressione dii minuti è ricavata da AuGusT. De civ. Dei IV 9, che li contrap­ pone ai dii maiores. 44 DuMÉZIL ( 1 974) 201 1 , pp. 48-49. Cfr. anche CoRRIAS 20 1 5 , p. 65. Non più accettabile l'idea di PASTORINO 1 973 , p. 200, secondo cui negli indigitamenta sarebbero state registrate di­ vinità 'animistiche' . 45 LE BoNNIEC 1 958, p. 1 97. Seguendo l'opinione di Aghad e Peter, BEVILACQUA 1 988, p. 27 ha ritenuto possibile che i dii agrestes (insieme ai dii pueriles, nuptiales, coniugales e a quelli della guerra e del denaro) fossero inclusi negli indigitamenta. 46 Cfr. MACROB. Sat. I 12, 2 1 ; 1 7, 1 5 . Cfr. PERFIGLI 2004, pp. 1 84- 1 85 (per il passo su Apollo cfr. in particolare pp. 245-247. Secondo ARNos. Adv. nat. II 73 , Apollo non faceva parte degli indigitamenta di Numa Pompilio). Cfr. anche DEL PoNTE 1 992, p. 84, il quale non ha ritenuto valida la distinzione tra dii minores e maiores. Per quanto riguarda il significato del verbo indigi­ tare, che indicava probabilmente la precisa scelta del teonimo divino, esplicativo della funzione del dio, si rimanda alla disamina condotta da PERFIGLI 2004, pp. 24 1-25 1 . 47 Così già BEVILACQUA 1 988, pp. 3 1 -32.

-

91

-

S E Z I O N E I - LA D E A FLORA

ipotetico e considerando comunque possibile l'eventualità che solo gli 'dei minori' fossero inseriti nelle liste, ci si accorgerà ben presto del fatto che, se da un lato non sembra possibile elevare Flora allo status di 'dea maggiore' in senso stretto, dall'altro è altrettanto difficile ammettere che ella venisse con­ siderata alla stregua di un Vervactor o di un Messor: di certo il ruolo svolto dalla dea non si esauriva nella semplice invocazione indigitamentaria. 48 Si è infatti già sottolineato come Flora fosse una dea molto antica, alla quale erano assegnati nientemeno che un jlamen e una festa pubblica cele­ brata annualmente nel corso del tempo; 49 senza dubbio ella non può es­ sere considerata una dea priva di 'personalità' , per riprendere la definizio­ ne - oggi non molto soddisfacente - di Pighi. 5 0 All o stesso modo, non mi pare lecito includere Flora tra le divinità subordinate a 'dei maggiori'/ 1 dal momento che possedeva santuari propri (almeno due) e un culto specifica­ tamente dedicato. Non credo infatti possa essere sufficiente l'informazio­ ne - peraltro molto tarda - fornita da Sedulio Scoto e dagli Scholia recentiora a Giovenale (dove Flora è definita ministra Veneris) 52 per affermare il con­ trario, poiché il dato potrebbe rispecchiare il modo in cui era concepita la dea in epoca carolingia piuttosto che rendere conto della concezione che ne avevano gli antichi, nelle cui testimonianze una simile espressione non trova paralleli. 53 Anzi, stando a quanto riportato nel Carmen contra Paga­ nos, il cui anonimo autore considera Flora magistra Veneris,54 bisognerebbe ammettere che la dea della fioritura rivestisse paradossalmente un ruolo di maggior rilevanza rispetto a Venere, nel caso specifico giudicata addi­ rittura sua 'allieva': ne consegue quindi che considerare Flora come una

4 8 Per questo motivo, non mi trova particolarmente d'accordo l'osservazione di PoRTE 1985, p. 239: trattando della Flora ovidiana, la studiosa ha sostenuto che il poeta dovette con­ frontarsi con una «obscure divinité perdue dans les Indigitamenta». 49 Proprio per questa ragione, PETER 1 890- 1 894, pp. 1 8 7-233 non incluse Flora tra gli dei appartenenti agli indigitamenta. Dubbi sul criterio dell'attestazione del culto pubblico come discrimine per le divinità indigitamentarie sono stati espressi da BEVILACQUA 1988, p. 3 1 . 5 0 Già UsENER ( 1 896) 2008, p. 1 20 faceva notare che Proserpina e Flora erano divinità che svolgevano un ruolo tutt'altro che secondario nella religione romana. Cfr. anche GUITTARD 1998, p. 86. 5 1 Come al contrario ha creduto ALTHEIM 1 93 1 , pp. 132- 1 3 3 , che si è però basato soltanto sulle informazioni fornite dalla Tavola di Agnone. 5 2 SEDULIUS ScoTus, In Donati artem maiorem Il, p. 1 3 5 Lofstedt; SCHOL. REe. Iuv. VI 250, 3 Grazzini. In merito alla lezione corretta (Veneris l Cereris) cfr. supra, pp. 33-34. 53 È pur vero che gli Scholia sostengono che Flora era considerata apud antiquos ministra Veneris, tuttavia tale specificazione deve essere probabilmente ricondotta al legarne che univa la dea e le prostitute nella celebrazione dei giochi, cui si allude nel prosieguo dello scolio. 54 Carmen contra Paganos 1 1 2-1 1 3 Bartalucci Anth. Lat. 4, 1 1 2-1 1 3 R.2 Anth. Lat. 3, 1 1 21 1 3 Shackleton Bailey. =

-

92

-

=

5 . ALC U N I P RO B L E M I APERT I dea 'minore' o subordinata ad altre divinità più importanti è un'operazione quantomeno discutibile, per non dire impropria. Ciononostante, più di uno studioso si è schierato a favore della presenza di Flora nelle liste degli indigi.tamenta: ad esempio J.A. Hild e Alfred Merlin, i quali hanno fondato la propria tesi sul proemio del De re rustica di Varro­ ne, dove l'autore invoca i dodici dei tutelari dell'agricoltura, tra cui proprio la dea della fioritura. 55 A questo proposito, bisogna chiedersi se dietro l'in­ vocazione varroniana si possa davvero celare una corrispondenza con una lista tratta dagli indigi.tamenta: a mio giudizio non vi è nulla che permetta una simile conclusione, dal momento che Varrone si è limitato a richiama­ re le principali divinità agrarie poiché meglio delle altre avrebbero potuto presiedere non solo al lavoro dei campi (argomento del suo volume), ma anche alla stesura di un trattato di agronomia. Mi pare infatti evidente la volontà dell' autore di inserirsi in una tradizione letteraria (risalente già a Omero ed Ennio, come dichiarato da Varrone stesso) che prevedeva per l' appunto l'invocazione di quegli dei ai quali il poeta chiedeva aiuto per la redazione della propria opera: si tratta dunque di un gioco letterario che certo aveva la sua funzione all'interno del testo,56 ma che non può essere considerato espressione di una specifica formula rituale. 57 Un possibile elemento a favore dell'appartenenza di Flora agli elenchi indigitamentari potrebbe essere costituito da un passo del commento di Servio alle Georgiche, in cui egli si sente in dovere di offrire maggiori detta­ gli in merito all'invocazione da parte di Virgilio di non meglio specificate divinità preposte alla cura dei campi: 58 il grammatico tardoantico dichia­ ra che i nomi di queste ultime erano rintracciabili negli indigi.tamenta, nei quali si trovava anche la spiegazione della funzione svolta da ognuna di loro, prendendo come punto di partenza l'etimologia. 59 Dal momento che Flora era una dea agraria e il suo etimo deriva con buona sicurezza da jlos, si sarebbe tentati di includerla tra gli anonimi dei menzionati da Virgilio e quindi, stando a Servio, presenti nelle liste dei libri pontificali; tuttavia, per quanto logica, tale supposizione deve al momento rimanere allo stadio di una semplice congettura, data la totale mancanza di dati concreti.

55 HILD 1 896a, p. 1 1 89; MERLIN 1 906, p. 1 88. 5 6 Cfr. DESCHAMPS 1 995, pp. 8-9 e GUILLARD 1998, p. 88, il quale però non ha escluso che

dietro tale lista si possano celare elenchi pontificali. 57 Concordo in questo caso con LHOMMÉ - HuET 20 1 1 , p. 332. 5 8 VERG. Georg. I 2 1 -23 . 59 SERV. Georg. I 2 1 . Secondo PERFIGLI 2004, p. 222, la ratio serviana coincide con l'etimo­ logia degli dei 'funzionali', il cui nome permetteva di individuare con precisione l'attività da loro presieduta.

- 93 -

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

In conclusione, dal mio punto di vista non si può certo escludere che la dea dei fiori potesse comparire negli indigitamenta nel suo ruolo di dea agraria - ovvero in quanto patrona della fioritura delle piante utili - dal momento che vi sono indizi (per quanto piuttosto scarsi) che potrebbero permettere una simile ipotesi, soprattutto tenendo conto di come ella fosse una 'dea funzionale' (dea certa); d'altro canto però, stando alle informazio­ ni sinora disponibili che - è bene ricordarlo - mai assegnano a Flora uno spazio all'interno degli indigitamenta, vi sono altrettanti elementi per soste­ nere l'esatto contrario. Ritengo quindi che al momento sia più opportuno procedere con cautela e sospendere il giudizio, poiché qualsiasi specula­ zione in merito si configurerebbe come una scelta deliberata e arbitraria e quindi, allo stato attuale, soltanto come un argu.mentum ex silentio.

FLORA E IL MESE A LEI SACRO

Nelle pagine precedenti si è fatto riferimento all'esistenza tra le popo­ lazioni italiche del centro Italia, e in particolare presso i Vestini, di un mese che con tutta probabilità prendeva il nome proprio da Flora, come testimo­ niano due epigrafi (una databile alla metà del II o del I secolo a.C . , l'altra al 58 a . C . ) in cui compare l'espressione mense o mesene Flusare, ovvero mense Florali. 60 A questo punto è più che lecito domandarsi quando cadesse il mese dedicato alla dea e quale possa essere il corrispettivo nel nostro calen­ dario: a tal proposito però i due testi epigrafici si rivelano piuttosto cripti­ ci. Tuttavia, le difficoltà non hanno scoraggiato gli studiosi, i quali hanno comunque avanzato alcune proposte esegetiche : secondo i più, il mese di Flora dovrebbe coincidere all'incirca con luglio, mentre Gerhard Radke ha preferito collocarlo in aprile.61 Coloro che hanno sostenuto la prima ipotesi hanno basato la propria interpretazione soprattutto su quanto riportato in una delle due iscrizioni sopraccitate, la cosiddetta lex aedis Furfensis, la quale rende conto della dedica del tempio di Giove Libero a Furfo, avvenu­ ta nel 58 a . C .62 All'inizio dell'epigrafe infatti si dichiara che Lucio Aieno e Quinto Bebazio dedicarono l'edificio il terzo giorno prima delle idi di 60 CONWAY 1 897, pp. 259-260, nn. 248-249; VETIER 1 953, n. 227, pp. 1 60- 1 6 1 ; ILLRP n. 508. Cfr. supra, pp. 1 4- 1 5 . 6 1 Luglio: CONWAY 1 897, p. 26 1 ; FOWLER 1 899, p. 92, nota 7; WHATMOUGH 1 93 1 , p . 1 75; EvANS 1939, p. 1 86; Bt>MER 19812, p. 1 22; LAFFI ( 1 978) 200 1 , pp. 520-52 1 ; SEGENNI 2007, p. 389 (la quale ha riportato solo la notizia); ADAMs 2007, p. 73 . Aprile: RAoKE 1 963, pp. 3 1 3-3 14; RAoKE 1965, p. 130. DIOSONO 2009a, p. 1 3 8 ha illustrato le due possibilità. 62 ILLRP n. 508. Cfr. anche LAFFI (1 978) 200 1 , p. 54 1 .

-

94

-

5 . ALCUNI PROB L E M I A P E RT I

Quinctilis, quando erano consoli Lucio Pisone e Aulo Gabinio, nel mese Flusaris. Gli studiosi, a partire da joshua Whatmough, hanno evidenziato la corrispondenza tra Quinctilis e Flusaris: tenendo conto del fatto che nel calendario romano il primo corrispondeva a luglio, poiché come noto l'an­ no cominciava con marzo e Quinctilis indicava - come risulta già evidente dalla sua etimologia - il quinto mese dal suo inizio, l'espressione vestina mense Flusare non poteva che indicare il medesimo mese. Se da un lato una simile interpretazione sembra più che convincente, dall' altro si potrebbero comunque fare alcune osservazioni: innanzitutto bisogna sottolineare come nel caso specifico sia necessario inquadrare il problema dal punto di vista del calendario vestino, su cui non si hanno informazioni precise e che potrebbe in parte essere differente da quello romano pre-giuliano, ben più noto. Infatti, nonostante Censorino affermi che Quinctilis sia il nome di un mese che i Romani condividevano con i Latini, presso i quali rivestiva in maniera analoga la quinta posizione, 63 non si può essere certi che ciò accadesse anche presso i Vestini. D'altronde lo stesso Censorino mette bene in chiaro come nella sola penisola italiana la suddivisione calendariale variasse di molto da popolazione a popola­ zione e l'anno civile stabilito dall'una non fosse affatto identico a quello dell'altra.64 In particolare, non è assolutamente sicuro che l'inizio dell'an­ no coincidesse sempre con marzo presso tutti i popoli italici: 65 infatti, nonostante Pesto sostenga che questo era il mese da cui si cominciava a contare gli anni, egli circoscrive l'informazione ai soli Latini e non a tutti gli Italici,66 tra i quali ricadono appunto i Vestini, che occupavano parte dell'odierno Abruzzo; 67 ne consegue che il nome Quinctilis avrebbe potu­ to indicare sì il quinto mese dell'anno, ma non necessariamente a partire da marzo. Ovidio dal canto suo sembra scardinare l'idea di un'omogeneità calendariale tra Roma e le altre popolazioni quando afferma che il mese di marzo non occupava la medesima posizione all'interno del calendario delle differenti comunità latine,68 fatto che complica non poco la possibi63 CENS. 22, 1 3 . 64 Cfr. ivi, 19, 4 e soprattutto 20, l . 6 5 A tal proposito cfr. le osservazioni di ivi, 2 1 , 1 2 . 6 6 FEST. s. v. Martius, p . 136 Lindsay. 6 7 La conclusione cui è giunto WHATMOUGH 1 93 1 , p. 1 66, secondo cui vi sono buone pro­ babilità che marzo fosse il mese iniziale presso tutti i popoli italici, si rivela del tutto congettu­ rale in mancanza di dati concreti. D'altronde lo stesso studioso (p. 1 57) ha dovuto ammettere l'impossibilità di ricostruire il calendario delle comunità italiche. 68 Ad esempio presso gli Albani e per gli Aricini era il terzo mese, presso i Falisci e i Lau­ renti il quinto, presso i Sabini e i Peligni il quarto, addirittura il decimo presso gli Equi: cfr. Ov. Fast. III 87-96.

-

95

-

SEZIONE l

-

LA DEA FLORA

lità di tracciare paralleli più o meno precisi tra i fasti romani e quelli delle altre civiltà italiche . Volendo anche ammettere che la relazione Flusaris Quincti lis luglio ab­ bia validità, rimane in sospeso un problema cui si è data finora scarsa im­ portanza: per quale motivo i Vestini decisero di denominare il mese di lu­ glio con un nome derivato da Flora? Bisogna necessariamente riconoscere che una simile relazione non avrebbe senso se non vi fossero chiari motivi alla sua base, motivi che devono coincidere con funzioni, caratteristiche o quantomeno feste legate alla dea. A tal proposito, è fuori da ogni dubbio che luglio non sia il mese più adatto per un'ipotetica connessione con la dea dei fiori: se da un lato si è già osservato come la protezione delle infio­ rescenze non dovesse limitarsi alla sola primavera ma al contrario doves­ se perdurare per tutto l'anno, dall'altro è indiscutibile che la scelta di uno dei mesi primaverili sarebbe stata senz' altro più adatta. 69 Allo stesso modo, non si conoscono culti in onore di Flora celebrati in luglio, a meno che non si voglia collocare la festa menzionata nella Tavola di Agnone proprio in questo mese, come proposto a mio avviso in maniera un po' troppo az­ zardata da Whatmough: 70 non vi è infatti alcuna prova concreta che possa avvalorare una simile ipotesi. Per questo motivo dunque, Gerhard Radk.e si è discostato dalle teorie a lui precedenti, proponendo di considerare quale corrispettivo di Flusaris il mese di aprile, all'apparenza ben più confacente alla dea in quanto anche a Roma i Floralia erano celebrati a partire dal 28 di tale mese. 7 1 Va detto sin da subito che tale interpretazione non ha riscosso molta fortuna presso gli specialisti: 72 una critica alla proposta di Radk.e è stata espressa da Umberto Laffi, il quale ha evidenziato - oltre a «incongruenze e inverosimiglianze» purtroppo non meglio specificate - l'impossibilità di una corrispondenza Quinctilis-aprile, a meno di ritenere ammissibile uno scarto di tre mesi tra il calendario ufficiale e quello astronomico, eventualità che si scontrerebbe con i dati della tradizione. 73 In effetti basare la propria teoria su una simme­ tria tra quanto accadeva a Roma con i Floralia e quanto avveniva presso i -

-

69 Cfr. già RADKE 1 963 , p. 3 1 3 : «[ . . . ] daB in Italien ein "Bltitenmonat" im Hochsommer unpassend sei». 70 WHATMOUGH 193 1 , p. 1 75 . n RAoKE 1 963 , p . 3 14: «Als Bestatigung dafii r ist auch der Zusatz mense Flusare "im Mo­ nat Floralis" anzusehen, da man den vestinischen Floralis-Flusaris um so eher mit dem romi­ schen Aprilis identifìzieren darf, als in diesem Monat auch das Fest der Floralia in Rom gefeiert wurde». n Hanno concordato con lo studioso tedesco BERNSTEIN 1 998, p. 208; ADAMIK 2003 , p. 79. 73 LAFFI ( 1 978) 200 1 , p. 52 1 , nota 12.

-

96

-

5. ALC U N I P RO B L E M I APERT I

Vestini (peraltro non si è a conoscenza di specifiche feste in onore di Flora, che pure potevano esistere, celebrate da questa popolazione) è un'opera­ zione assai rischiosa, poiché non tiene conto delle specificità culturali e cultuali proprie delle due popolazioni, che non necessariamente dovevano coincidere in maniera perfetta, anzi è molto più probabile che differissero in più di un aspetto. Tuttavia, è necessario riflettere ulteriormente sulla possibile identifi­ cazione di Quinctilis, il cui riconoscimento con luglio si basa, come si è visto, su una ripartizione temporale che non è del tutto corretto attribuire anche ai Vestini. A questo proposito, alcune informazioni fornite da Ovidio potrebbero suggerire un'eventualità cui finora non si è data importanza: egli infatti sostiene che presso i Sabini e i Peligni il quarto mese dell'anno coincideva con marzo. 74 Essendo i Vestini contigui alle popolazioni appena menzionate, dal momento che risiedevano in territori limitrofi, si sarebbe tentati di ravvisare possibili paralleli tra i calendari di queste civiltà piutto­ sto che con i fasti romani. Se ciò fosse confermato, bisognerebbe ammet­ tere che anche presso i Vestini il quarto mese coincidesse con marzo e di conseguenza Quinctilis avrebbe trovato corrispondenza proprio con aprile; d'altronde le notizie ovidiane non possono essere ritenute pure e semplici invenzioni, soprattutto per quanto riguarda i popoli stanziati in Abruzzo, data la provenienza del poeta proprio da quelle terre, sulle quali doveva essere ben informato. 75 Ecco dunque che l'ipotesi di aprile quale mese dedicato alla dea non ap­ pare più così improbabile, anche se per motivi ben diversi da quelli formu­ lati da Radk.e; se tale eventualità trovasse conferme, sarebbe al contempo più che comprensibile il motivo che spinse i Vestini a denominare Flusaris il proprio mese: in qualità di protettrice dei fiori, sarebbe stato assegnato a Flora il periodo in cui questi iniziavano a sbocciare. La possibilità appena accennata ha l'indubbio merito di risolvere più di un problema, tuttavia vi è un elemento che purtroppo impedisce di con­ siderarla del tutto sicura. Infatti, leggendo con attenzione la lex aedis Fur­ fensis, ci si accorgerà che nelle prime righe vengono riportati i nomi dei consoli dell'anno 58 a.C . , il che fa propendere per un contesto 'romano' dell' incipit dell'epigrafe, conforme dunque al calendario dell'Urbe. A que­ sto punto bisognerebbe intendere la ripetizione del mese in cui avvenne la

74 Ov. Fast. III 94-96. 75 Secondo WHATMOUGH 1 93 1 , p. 1 66, la spiegazione più probabile in merito alle informa­ zioni fornite da Ovidio risiede in possibili modifiche del calendario delle popolazioni italiche occorse in seguito; tuttavia, una simile teoria rimane del tutto indimostrabile.

-

97

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

dedica come un riferimento alla sua denominazione romana ( Quinctilis) e a quella epicorica, ovvero la forma originaria del nome nella lingua indige­ na (Flusaris): 76 ecco dunque ritornare valida la proposta di luglio, a meno di non intendere la menzione di Quinctilis come un riferimento al quinto mese vestino, chiamato Flusaris e coincidente con aprile, eventualità però che appare un po' forzata e piuttosto remota, data l'evidente tautologia. Dal momento che ragionando sul calendario non sembra possibile per­ venire a una soluzione che possa risolvere tutte le problematiche connesse alla denominazione del mese, si potrebbe provare a cambiare la prospet­ tiva e tentare un approccio alla questione da un punto di vista differente, ovvero ponendo al centro le funzioni di Flora. In precedenza si è cercato di dimostrare come anticamente la dea avesse il compito di proteggere la fioritura in senso generale, ma in particolar modo quella del frumento, configurandosi così come una divinità agraria: malgrado potessero esistere alcune differenze tra la Flora romana e quella venerata dalle altre civiltà italiche, è assai probabile che tale caratteristica fosse condivisa. Stando a Varrone, il grano veniva generalmente mietuto tra il solstizio d'estate e il sorgere della costellazione del Cane, quindi circa tra la seconda metà di giugno e la metà di luglio. Lo stesso autore asserisce che le spi­ ghe stavano chiuse per quindici giorni, per altrettanti fiorivano e, una volta mature, divenivano secche in altri quindici giorni; 77 provando a fare un calcolo approssimativo, si otterrà che la fioritura del frumento doveva av­ venire tra la prima decade e la seconda metà di maggio. 78 A questo punto si sarebbe tentati di collegare quest'ultimo mese con il mensis Flusaris, poiché il territorio vestino era all'incirca sulla stessa latitudine di Roma e quindi il periodo di fioritura del grano doveva grossomodo coincidere; a ciò si aggiunga che maggio è generalmente il periodo in cui i fiori delle piante raggiungono il massimo splendore e dunque la funzione 'agraria' di Flora

7 6 Di questa idea LAFFI ( 1 978) 200 1 , pp. 520-52 1 . Anche ADAMS 2007, p. 73 ha sottolineato come l'espressione sia un ricordo del passato, «used here alongside the current Latin name in reflection of an antiquarian interest». 77 VARRO De re rust. I 32, l (Quarto intervallo inter solstitium et caniculam plerique messem faciunt, quod frumentum dicunt quindecim diebus esse in vaginis, quindecim jlorere, quindecim exare­ scere, cum sit maturum). Trattando dei diversi metodi di mietitura, anche PuN. Nat. Hist. XVIII 295-298 sostiene che essa doveva essere compiuta dopo il solstizio d'estate e prima della cani­ cola, poiché quest'ultima avrebbe potuto danneggiare le messi. Per questo motivo egli riporta due consigli per effettuare il raccolto nel momento migliore: «prima che il grano indurisca e quando ha già preso colore» (Antequam granum indurescat et cum iam traxerit colorem), ma so­ prattutto «meglio mietere due giorni in anticipo che due in ritardo» (Biduo celerius messemfacere potius quam biduo serius). 78 Per tutti i dettagli (con relativi calcoli secondo le diverse fonti) cfr. LE BONNIEC 1958, p. 126. -

98

-

5 . ALCUNI P RO B L E M I A P E RT I

sarebbe coincisa con la tutela della fioritura delle specie vegetali in gene­ rale, comprese quelle 'ornamentali' . Benché non possa essere preso come termine di paragone probante, a Roma i Floralia si prolungavano sino al 3 maggio e si è anche a conoscenza di un ulteriore sacrum dedicato alla dea, con tutta probabilità celebrato dopo la metà del mese, testimoniato soprattutto dai menologia rustica - Colotianum e Vallense - entrambi databili al I secolo d. C . (il secondo perduto forse già a partire dal XVI secolo) 79 e consistenti in una sorta di calendario epigrafico su cui erano riportati dati circa le attività agrarie da compiersi mensilmente. 80 Purtroppo però anche questa interpretazione suscita più di un dubbio dal momento che, per quanto logica possa apparire, non ha prove concrete a suo favore e si riduce quindi a una mera speculazione. Anche il possibile collegamento con maggio sembra essere invalidato dal punto di vista ca­ lendariale: nonostante a partire almeno dal l 53 a . C . l' anno romano inizias­ se da gennaio e dunque il quinto mese sarebbe coinciso con maggio, nella dedica del tempio di Furfo non compare l'espressione a. d. III idus Maias, in conformità con il nome dei mesi romani, ma a. d. III idus Quinctileis, che a Roma indicava il 1 3 luglio. Al momento è difficile trovare una soluzione pienamente soddisfacente al problema dell'identificazione del mensis Flusaris, in quanto ogni proposta esegetica ha elementi a sua favore che si scontrano con altri che sembrano metterne in dubbio la veridicità. Tuttavia è indiscutibile che, almeno da un punto di vista strettamente calendariale, il riconoscimento di Flusaris con luglio rimane al momento la spiegazione più probabile, sebbene allo stato attuale sia impossibile capire il motivo che spinse i Vestini a collegare tale mese con la dea dei fiori. Bisogna forse immaginare che presso di loro Flora avesse caratteristiche almeno in parte differenti rispetto a quanto è noto per Roma e dunque abbia potuto rivestire funzioni che si armonizza­ vano con Quinctilis, come ad esempio - in via del tutto congetturale - una relazione con la mietitura del grano? Se da un lato una simile ipotesi non può essere scartata a priori, dal momento che spesso le varie civiltà pote­ vano modificare leggermente le sfere di competenza delle proprie divinità, dall'altro rimane purtroppo indimostrabile in mancanza di dati che pos­ sano avvalorarla. D' altro canto invece, da un punto di vista meramente

79 Aluu G ONI BERTINI 2004, p. 43 5 ha evidenziato come dal XVI secolo in avanti non si abbiano più testimonianze dirette relative al menologium Vallense. so Cfr. CIL Iz, pp. 280-281 DEGRAssr 1 963, p. 288 (Colotianum); p. 295 (Vallense). Poiché in entrambe le epigrafi compare registrato il culto di lside per il 1 5 aprile, la loro datazione deve essere collocata in età imperiale, secondo Aluu GONI BERTINI 2004, p. 427 dal principato di Caligola in avanti. =

-

99

-

S E Z I O N E I - LA DEA FLORA

funzionale la proposta di aprile (o maggio) rimane la soluzione più logica in relazione alla dea della fioritura, poiché è di certo innegabile che questo mese sia «a better month for flowers than hot july)) . 8 1

FLORA E IL NOME SACRALE DI ROMA

In ultima analisi, merita di essere presa in esame un'informazione tanto complessa e problematica quanto affascinante; si tratta di un passo del De mensibus di Giovanni Lido, erudito bizantino di VI secolo d. C . , in cui viene affermato che Roma possedeva tre nomi (ÒVOJ.la'ta of: 'tfi 1tOÀ.e1 Tpia): uno civile (1toÀuuc6v), che era appunto Roma, uno segreto (n:M:anK6v), che corrispondeva a Eros, e uno sacrale (U:panK6v), che coincideva proprio con Flora. 82 Simile testimonianza si ritrova in una lettera del patriarca costan­ tinopolitano Fozio (IX secolo d.C .), che riprende sostanzialmente quanto già riportato da Giovanni Lido (da cui probabilmente dipende), con la sola eccezione del nome segreto, Amor, qui traslitterato dal latino. 83 Gli studiosi moderni si sono a lungo interrogati circa tali notizie e in particolare hanno concentrato la loro attenzione su quello che per certi aspetti costituisce l'enigma più stimolante, ovvero la reale esistenza e l' ef­ fettiva identità del nome segreto di Roma (Amor è infatti suo anagramma e bifronte) , cui si ricollega direttamente l'intricata questione connessa alla di­ vinità tutelare dell'Urbe - il cui nome non deve necessariamente coincidere con quello segreto della città 84 - e le vicende dell'enigmatico personaggio di Valerio Sorano, reo di aver divulgato l'arcano e per questo motivo con­ dannato a morte. 85 In questa sede si è deciso di non affrontare tali proble­ mi, poiché ciò implicherebbe un lungo excursus che allontanerebbe troppo il lettore dall'argomento principale del presente lavoro, senza peraltro offri­ re particolari chiarimenti circa il ruolo di Flora, la quale ha ben poco a che vedere con il nome segreto; 86 pertanto, per qualunque approfondimento

8 1 L'osservazione è di GoRDON 1 983, p. 95. 82 LYD. De mens. IV 73 . 8 3 PHOT. Epist. 257, 4-9 Laourdas-Westerink. 8 4 Concordo con ToMMASI 2014, pp. 194- 1 95 ; CAIRNS 20 10, p. 25 1 ; FERRI 201 0b, p. 224 nel

non ritenere identici il nome segreto e quello della divinità tutelare. 8 5 L'episodio, con alcune varianti, è riportato da PuN. Nat. Hist. III 65; PLUT. Quaest. Rom. 6 1 , 278f; SouN. I 4-5; DSERV. Aen. I 277; Georg. I 498; LYD. De mens. IV 73 . 86 Ha stranamente equivocato DuMÉZIL ( 1 974) 201 1 , p. 243 . CAMERON 20 1 1 , p. 6 1 2 ha giu­ stamente escluso la possibilità che dietro il nome segreto di Roma si nasconda proprio Flora. Di simile avviso già LATHOUD 1 925, p. 1 83, che aveva scartato l'equivalenza tra Flora e il Genio di Roma.

- 1 00 -

5. ALCUNI PRO B L E M I APERTI

della questione, si rimanda agli studi relativi, alcuni dei quali molto recenti e ricchi di informazioni. 87 È invece necessario soffermarsi a riflettere sul presunto nome sacrale di Roma, che almeno in apparenza suscita un certo stupore, dal momento che coincide proprio con quello della dea della fioritura e che trova il suo esatto parallelo nella tradizione civica costantinopolitana, poiché la città bizantina (spesso definita Néa 'PffiJlTJ , «Nuova Roma») era denominata An­ thousa, una trasposizione in greco di Flora. 88 Innanzitutto, prima ancora di entrare nel merito dei possibili significati che una simile informazione implica, è doveroso contestualizzare i dati riportati da Giovanni Lido e in seguito da Fozio. Alcuni studiosi hanno avanzato più di un dubbio circa l'attendibilità di tali testimonianze: in particolare, Alan Cameron ha rite­ nuto che Giovanni Lido abbia sostanzialmente creato ad hoc una corri­ spondenza tra Roma e Costantinopoli, chiamata Anthousa sin dalla metà del IV secolo d. C . , assegnando alla prima il corrispettivo nome latino e creando così una stretta relazione tra la nuova e l'antica Roma; egli ha quindi concluso che «Nothing in this passage deserves to be taken seriou­ sly». 89 Personalmente, credo che il giudizio dello studioso americano sia un po' troppo severo nei confronti dell'erudito bizantino: se da un lato è innegabile che egli abbia fornito informazioni non sempre credibili me­ scolando notizie non pertinenti (con l'unico risultato di creare ancor più confusione),9 0 dall'altro mi riesce difficile ammettere una sua deliberata e consapevole invenzione .

8 7 Sul nome segreto di Roma e relative problematiche, affrontate già da lungo tempo dagli studiosi, cfr. TOMMASI 2014, pp. 1 87- 198 e 206-208 (cui si rimanda anche per tutta la bi­ bliografia precedente); CAIRNs 20 1 0, pp. 250-258 e 264-266; FERRI 20 1 0a, pp. 1 0 1 - 1 04 e 1 1 6- 1 28; FERRI 20 1 0b, in particolare pp. 1 89- 197 e 2 1 7-228; STANLEY 1 963 , pp. 23 7-242. Su Valerio Sorano cfr. ToMMASI 20 14, pp. 1 98-204; CAJRNS 20 10, pp. 258-263 ; FERRI 201 0a, pp. 1 04- 1 1 5 e più este­ samente FERR1 2007. 88 La fonte è ancora Giovanni Lido, che menziona più volte tale parallelo nella sua opera: cfr. De mens. IV 30; 75. 89 CAMERON 20 1 1 , p. 612. Già WissowA 1909a, p. 2749 e WnTIG 1 9 1 0, p. 46 avevano consi­ derato il collegamento tra Flora e il nome sacrale come una pura e semplice invenzione. 90 Ineccepibile in tal senso l'osservazione di CAMERON 20 1 1 , p. 6 1 2 circa il ruolo svolto da Pretestato (nato nel 324 d.C.) nella fondazione di Costantinopoli (avvenuta ufficialmente nel 330 d.C.). Allo stesso modo, Lido equivoca il passo virgiliano (Bue. I 29-32) quando identifica Roma con Amarillis, prendendo seriamente quella che era soltanto una metafora poetica: cfr. CAIRNS 2010, p. 258. È tuttavia possibile, come ha giustamente sottolineato TOMMASI 2014, p. 205, nota 65, che l'erudito bizantino avesse in mente il commento di Servio (Bue. I 29) dove la rivalità tra Galatea e Amarillis è interpretata come il trasferimento del poeta da Mantova (Galatea) a Roma (Amarillis). Un ulteriore e sicuro fraintendimento attuato da Giovanni Lido è il collegamento tra Flora e la festa greca delle Antesterie, che nulla aveva a che vedere con la dea se non una relazione di tipo etimologico (iiv9oç = «fiore»).

-

101

-

S E Z I O N E I - LA DEA F LO RA

A mio parere è molto più probabile che egli - da dotto antiquario qual era - sia venuto a conoscenza dell'esistenza dei tre nomi di Roma da una fonte purtroppo ignota, che doveva far riferimento a una tradizione prece­ dente l'autore e che ovviamente non deve essere retrodatata a secoli molto anteriori, poiché nessun autore 'classico' ne ha mai fatto menzione. Allo stesso tempo, non si deve cadere nel tranello di connettere la creazione dei tre nomi alle azioni eseguite da Romolo durante la fondazione della città, di cui si parla poco prima nel passo in esame. Giovanni Lido infatti sostiene che fu il figlio di Marte a conferire all'Urbe il proprio nome, ma è ben attento a utilizzare il termine al singolare (OVOJ.la) , fatto che è perfetta­ mente coerente con l'atto fondativo che il personaggio leggendario stava compiendo. Soltanto in seguito l'autore bizantino espone la teoria dei tre nomi di Roma, senza mai affermare che essa possa essere ricondotta a Ro­ molo stesso; 9 1 per questo motivo mi pare più ragionevole ipotizzare che la tripartizione nominale sia nata in epoca tardoantica. In particolare, mi sento di concordare con quanto sottolineato da Fran­ cis Cairns che, pur considerando le informazioni fornite da Giovanni Lido poco credibili,92 non le ha svalutate completamente, ma ha cercato di con­ testualizzarle e di individuare una loro possibile spiegazione. Per quanto riguarda più specificamente Flora e il suo collegamento con il nome sacrale di Roma, lo studioso ha giustamente evidenziato come nel IV secolo d. C . l a dea godesse di un certo prestigio : a Roma venne restaurato il suo tempio per opera di Simmaco,93 ma soprattutto è noto che Costantino, in procin­ to di fondare Costantinopoli, decise di trasportare la statua della Tyche di Roma nella nuova capitale, conferendole non a caso il nome di Anthousa con la probabile volontà di richiamare il presunto nome sacrale dell'Urbe.94 Al riguardo, va sottolineato come ciò non implichi che la Tyche di Roma (di cui non viene specificato alcunché dagli autori antichi) debba coincidere con Flora: nulla conforta questa ipotesi, pur restando ferma la corrispon­ denza tra il nome latino e quello greco. Proprio questa testimonianza circa la traslazione della Tyche sembra screditare l'ipotesi avanzata da Cameron in merito alla deliberata creazio-

9 1 LYD. De mens. IV 73 . FERRI 201 0b, p. 224 ha equivocato il passo, ritenendo che Giovanni Lido abbia assegnato ait [scil. Varrone], cum idem

non ludos Florales illic, sed ipsum festum Floralia signi.ficaret. Cfr. BERNSTEIN 1998, p. 2 1 2; Ho�EK 1988, p. 137. 7 VARRO De re rust. I l , 6 (Florae ludi Floralia instituti). s Cfr. Ho�EK 1 988, p. 1 3 7: « . . . diese Einteilung hat man nicht streng vorgenommen».

- 1 17 -

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

e permesse anche agli oratori, sebbene con l' andare del tempo esse siano state sostituite da forme grammaticalmente più corrette.9 Non è quindi da escludere la possibilità che, con il trascorrere degli anni, i due termini fos­ sero considerati sostanzialmente sinonimi nell'uso comune, dal momento che i ludi si prolungavano per l'intera durata della festa, e dunque fossero utilizzati in maniera interscambiabile. Per questo motivo, al fine di evitare sgradevoli ripetizioni, anche in questa sede si è scelto per comodità di uni­ formarsi a tale usanza, pur essendo ben consapevoli della diversa accezione dei due termini, almeno dal punto di vista strettamente linguistico. Purtroppo, allo stato attuale è difficile stabilire con certezza se Velleio Patercolo e Plinio abbiano voluto consapevolmente riferirsi a due avveni­ menti distinti, oppure abbiano utilizzato soltanto due espressioni diverse per segnalare il medesimo episodio, offrendo al contempo due date dif­ ferenti. Per quanto si possa ragionare sul problema, a mio avviso non è possibile giungere a una soluzione totalmente soddisfacente, poiché non esistono elementi dirimenti a favore dell'una o dell'altra teoria; dovendo prendere una decisione, mi sentirei più incline a seguire la seconda non solo perché accettata dall'unanimità degli studiosi, ma proprio perché le testimonianze dei due autori risalgono a un periodo in cui ormai i due ter­ mini erano di fatto sovrapponibili. Chiarita per quanto possibile la controversia, vale la pena riprendere in esame la diatriba circa i due diversi anni di istituzione dei ludi Florales: ma­ lauguratamente, non si è in grado di decretare con buona sicurezza quale tra le due date tramandate sia quella in cui furono effettivamente celebrati per la prima volta i Floralia così come li conosciamo, ma il periodo coincide con gli anni immediatamente successivi alla prima guerra punica, quindi un'epoca molto posteriore alla costruzione del primo santuario della dea sul Quirinale (forse edificato già intorno al VI secolo a . C . ) . 10 Le problemati-

9 QUINT. I 5, 52. 1o I usT XLIII 4, 6 colloca durante la celebrazione dei Floralia l'attacco sferrato dai Segobri­ .

gi nei confronti di Marsiglia (colonia focese), evento databile intorno alla fine del VII e l'inizio del VI secolo a.C. Ovviamente il riferimento temporale dello storico latino non va inteso in senso letterale, ma ricondotto al contesto stesso della narrazione: come osservato da MEULDER 2004, p. 13 e nota 14, la menzione della festa di Flora deve essere messa in rapporto alla festa greca delle Antesterie, in quanto la prima sarebbe la traduzione latina della seconda. Al di là di una relazione puramente etimologica, i Floralia non hanno nulla a che vedere con la festa greca in onore di Dioniso (celebrata peraltro in un momento diverso dell'anno) e dunque l'utilizzo che ne fa Giustino deve essere ricondotto all'esigenza di rendere più chiaro il proprio discorso per il pubblico latino. Si è comunque a conoscenza di una festa chiamata Antheia in Attica, cele­ brata nella tarda primavera in occasione della fioritura del grano, per la quale cfr. PARKER 2005, p. 195. POLLUX I 37 Bethe testimonia l'esistenza in Sicilia di una festa dedicata a Kore e chiamata Anthesphoria, nella quale gli elementi floreali dovevano rivestire un ruolo importante. -

1 18

-

l . I FLORALIA

che che una simile osservazione solleva non possono essere certo ignorate: dal momento che Flora era una dea presente in Roma già dai tempi di Tito Tazio e le era assegnato un proprio jlamen, doveva necessariamente godere di pratiche cultuali a lei riservate già in epoca molto antica, altrimenti non avrebbe avuto ragione di far parte del pantheon romano; 1 1 purtroppo però, non si conosce alcun elemento concreto in merito all'antico culto in suo onore, né è dato sapere se alcune delle cerimonie originarie confluirono in quelle successive testimoniate per i Floralia. 12 Lasciando da parte tale questione - su cui tuttavia si tornerà a ragiona­ re in seguito - 1 3 è forse opportuno analizzare in maniera più approfondita il problema inerente la datazione, cercando di chiarire quale tipo di carica pubblica fosse ricoperta da Marco e Lucio Publicio Malleolo al tempo dei provvedimenti da essi promossi. Le fonti infatti non sono concordi sul tipo di magistratura assegnata ai due fratelli: se Tacito si limita a constatare il fatto che entrambi furono edili, senza aggiungere ulteriori specificazioni, Ovidio e Varrone sostengono che essi furono edili della plebe, mentre Pe­ sto li considera edili curuli. 1 4 È noto che gli edili della plebe erano compresi tra le cariche politiche romane sin dall'inizio del V secolo a.C . , mentre i secondi vennero creati intorno al 367-366 a . C . , dopo la nomina del primo console plebeo, in seguito al rifiuto degli edili della plebe di organizzare i giochi Romani che avrebbero dovuto sancire la concordia tra patrizi e ple­ bei; fu così che due esponenti dell' aristocrazia assunsero l'edilità e si fecero carico di rendere onore agli dei. 1 5 La questione è ulteriormente complicata dal fatto che a entrambe le magistrature (una aperta ai plebei, l' altra riserI l Cfr. DAGUET-GAGEY 20 1 5 , p. 262; BERNSTEIN 1998, p. 208; 0RLIN 1 997, p. 25; MORGAN 1990, p. 2 1 ; MUNDLE 1 969, p. 1 1 25; 0GILVIE 1 969, p. 82; LE BONNIEC 1 958, p. 1 96; FOWLER 1 899, p. 93 . Secondo SKUTSCH 1 986z, p. 270, i Floralia possono aver sostituito una più antica e non meglio specificata festa in onore della dea. Difficile credere all'ipotesi di R.ICHARD 1 978, p. 1 20, secondo il quale la festa sarebbe stata celebrata dalla sola plebe prima del 240 a.C., per poi estendersi in seguito a tutto il popolo romano. 12 A tal proposito, LE BoNNIEC 1 958, pp. 1 99-200 ha individuato nelle venationes e nel­ le sparsiones di legumi gli antichi riti confluiti nella nuova festa e ha sostenuto al contempo (p. 20 1 ) la celebrazione di un antico sacrum di Flora il 28 aprile. Cfr. anche MERLIN 1 906, p. 1 9 1 . Simile teoria in BERNSTEIN 1 998, p. 2 1 9, dove però vengono citate solo le cacce nel circo. Se­ condo PESTALOZZA ( 1 933) 195 1 , p. 343 , era la nudatio delle donne (successivamente diventata mimarum) l'antica pratica inglobata nel nuovo culto, affermazione che non gode però di alcun elemento a suo sostegno. 1 3 Cfr. il paragrafo dedicato al Florifertum, infra, pp. 1 75 - 1 84. 1 4 Edili: TAc. Ann. II 49, l. Edili della plebe: VARRO De !ing. Lat. V 1 58; Ov. Fast. V 287-288. Edili curuli: FEsT. s. v. Publicius clivus, p. 276 Lindsay. 1 5 Liv. VI 42, 12-14; VII l , 1 -2. Sull'istituzione dell'edilità plebea e curule si rimanda all'im­ ponente studio di DAGUET-GAGEY 201 5 , pp. 1 2-30 (edili plebei) e pp. 30-35 (edili curuli), dove viene riportata e discussa anche la bibliografia precedente.

-

1 19

-

S E Z I O N E II - IL C U LTO DI FLORA

vata in origine ai patrizi ma presto estesa anche a esponenti della plebe, senza più distinzioni di classe) 16 paiono essere assegnate sostanzialmente le medesime mansioni, in particolare quella legata alla riscossione delle multe per l'illecita occupazione dell' ager publicus, sancita dalla lex Licinia de modo agrorum del 367 a.C . : 1 7 proprio grazie a parte di quel denaro fu possibile organizzare i nuovi giochi di Flora. Il fulcro intorno al quale ruota l'intero problema consiste dunque nello stabilire quale fosse il ruolo ricoperto dai Publicii al tempo dell'istituzione dei Floralia: si potrebbe infatti ipotizzare che essi furono nominati tanto edili della plebe quanto edili curuli nel corso della loro carriera politica. Tenendo conto del fatto che questi ultimi erano eletti alternativamente tra i patrizi negli anni dispari e tra i plebei negli anni pari, 18 si sarebbe tentati di conferire ai Publicii (di estrazione plebea) l'edilità curule nel 238 a. C . , mentre quella plebea potrebbe forse essere ricondotta al 24 1 a.C. 1 9 Tuttavia, tale osserva­ zione non risolve il dilemma iniziale, poiché si è visto come entrambe le date fossero considerate quelle in cui venne promossa la riforma del culto di Flora.2 0 Malauguratamente, le difficoltà nel dirimere l'intricata questione aumentano di nuovo quando si prende atto del fatto che Varrone considera i due fratelli quali edili della plebe nel momento in cui essi promossero la creazione del clivus Publicius (una strada che rendeva più semplice la salita dei carri al colle aventino), 21 mentre Pesto assegna loro la carica di edili curuli al tempo della realizzazione del clivus.22 Tale evento non è affatto secondario in relazione all'istituzione stessa dei Floralia, poiché Ovidio sembra implicita1 6 Cfr. Liv. VII l , 5-6. 1 7 Livio ricorda due precedenti episodi di riscossione delle multe, assegnando dapprima il

compito agli edili della plebe (X 23, 13) e successivamente agli edili curuli (X 47, 4). Cfr. anche FEST. s. v. Publicius clivus, p. 276 Lindsay. Sulla facoltà di entrambe le magistrature di infliggere le ammende cfr. DAGUET-GAGEY 20 1 5 , pp. 1 45- 1 5 1 . Ciò non significa che le due cariche fossero identiche, semmai complementari: sul problema cfr. ivi, in particolare pp. 1 27- 128. Sulla lex Licinia cfr. di seguito nel testo. 1 8 Cfr. DAGUET-GAGEY 20 1 5 , p. 47; DEGRASSI 1 963 , p. 45 1 . A partire dal II secolo a.C. tale alternanza venne progressivamente meno, sparendo completamente nel I secolo a.C.: DA­ GUET-GAGEY 201 5 , p. 47. 1 9 CosÌ già BERNSTEIN 1 998, p. 2 1 0. 8ROUGHTON 195 1 , p. 2 1 9 e p. 221 ha invece assegnato ai Publicii l'aedilitas plebis nel 24 1 a.C., mentre per quella del 238 a.C. ha indicato i medesimi nomi ma non il tipo di carica ricoperta. BoMER 1 954, pp. 1 88-190; BoMER 1 958, p. 309 ha invece invertito gli anni (24 1 : edili curuli - 238: edili della plebe) senza tuttavia chiarire il motivo di una simile scelta. Tale incongruenza è già stata segnalata da BERNSTEIN 1 998, p. 210. SEIDEL 1 908, pp. 1 8- 1 9 si è dimostrato più propenso a credere che essi furono edili plebei, ma ha ipotizzato che, se mai ricoprirono l'edilità curule, dovettero amministrarla nel 240 a.C. z o Cfr. già PORTE 1 985, p. 365. z 1 Circa il Clivus Publicius cfr. CoARELLI 1 993, p. 284; CoARELLI 1 988, pp. 29-30. zz VARRO De !ing. Lat. V 1 58; FEST. s. v. Publicius clivus, p. 276 Lindsay. -

1 20

-

l. I

FLORALIA

mente alludere alla contemporaneità dei due avvenimenti, essendo entram­ bi finanziati con le multe per l'occupazione illecita di terreno pubblico. 23 A questo proposito, Franz Bomer ha ritenuto più attendibile la testi­ monianza di Varrone (cui fa seguito Ovidio) e ne ha dedotto che i due fra­ telli fossero edili della plebe nel 238 a . C .24 Le osservazioni avanzate dallo studioso sembrano di primo acchito giustificate, poiché vi sono sufficienti indizi per ritenere che Flora fosse legata in particolare alla plebe. Innanzi­ tutto, la sua comprovata funzione agraria induce a considerarla una dea particolarmente cara agli agricoltori, quindi a una classe sociale di norma non certo aristocratica; per di più iljlamen Floralis doveva essere di estrazio­ ne plebea.25 Allo stesso modo, non può essere stata casuale la decisione di edificare la nuova aedes sulle pendici dell'Aventino, colle notoriamente ple­ beo, e nei pressi del tempio di Cerere, Libero e Libera, triade intimamente connessa con la plebe, in particolare durante le lotte con il patriziato del V secolo a . C .26 Nonostante la dea non abbia mai rivestito un ruolo 'politico' di spicco nella lotta tra gli ordini dei secoli precedenti, 27 il carattere plebeo dei ludi Florales è chiaramente testimoniato da Ovidio, quando afferma che Flora invita un plebeius chorus a prendere parte alla propria festa.28 Più di re­ cente, Arme Daguet-Gagey ha sostanzialmente espresso la medesima opi­ nione di Bomer, assegnando ai fratelli Publicii l'edilità plebea e sostenendo che l'organizzazione dei giochi di Flora (così come quelli di Cerere) era compito proprio degli edili della plebe, essendo entrambe le dee intima­ mente connesse con la plebe romana. 29

2 3 Ov. Fast. V 29 1 -294. Allo stesso anno della realizzazione del clivus deve essere ricondot­ ta anche la dedica del nuovo tempio di Flora da parte dei Publicii, di cui dà testimonianza TAc. Ann. II 49, l . 2 4 BoMER 1 954, pp. 1 88- 1 90; BoMER 1958, p. 309; concorde DEGRASSI 1 963 , p. 45 1 . Cfr. an­ che ESTIENNE 2005, p. 1 04; SCULLARD 1 988, p. 1 1 0; LE 80NNIEC 1 958, p. 20 1 ; MERLIN 1 906, p. 1 92. Ha equivocato ScHILLING 1993, p. 1 47, il quale ha considerato i Publicii tribuni della plebe. 2 5 Cfr. VANGGAARD 1 988, p. 48: « . .jlamines minores [che comprendevano anche il jlam en Floralis] were, and always had been, plebeians». 26 Celebre è l'episodio che vide protagonista Spurio Cassio i cui beni, dopo la condanna a morte, vennero confiscati e consacrati a Cerere: cfr. CAZANOVE 1 989, in particolare pp. 95- 1 04; SPAETH 1 996, pp. 7 1 -72; PETRACCIA 2014, in particolare pp. 36-45. Per la stretta relazione tra la dea e la plebe cfr. SPAETH 1996, pp. 8 1 - 1 02; SABBATUCCI ( 1 988) 1 999, pp. 1 74- 1 75 e soprattutto LE BoNNIEC 1958, pp. 342-3 78. Per quanto riguarda il cosiddetto conjlict of the orders, si rimanda agli importanti studi contenuti in RAAFLAUB 20052, a R.ICHARD 1 978, in particolare pp. 433-588 e a SCULLARD 19613, pp. 49-63; 9 1 - 1 07. 2 7 Già CELS - SAINT-HILAIRE 1 977, p. 272 ha evidenziato come non si abbiano testimonian­ ze di un 'uso politico' del culto di Flora. 28 Ov. Fast. V 352: [Flora] volt sua plebeio sacra patere choro. 2 9 DAGUET-GAGEY 20 1 5 , p. 263 e p. 266. Cfr. anche FAUTH 1 978, p. 1 63 . .

- 12 1 -

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

Se da un lato le osservazioni degli studiosi appaiono più che condivisi­ bili, dall'altro un importante passo di Cicerone potrebbe mettere in discus­ sione le loro teorie: il celebre oratore infatti dichiara che, in qualità di edile designato per l'anno 69 a.C . ,3 0 era incaricato di allestire con la massima cura e venerazione (maxima cum cura et caerimonia) i giochi in onore di Cerere, Libero e Libera, quelli in onore di Flora e infine quelli dedicati a Giove, Giunone e Minerva. Egli aggiunge inoltre alcuni importanti dettagli circa i privilegi riservati alla propria carica: si tratta del diritto di preceden­ za di voto in Senato, l'adozione della toga praetexta e della sella curule e la facoltà di poter esporre la propria immagine per tramandarla ai posteri.3 1 Dal momento che Cicerone non offre alcun tipo di specificazione in merito all'edilità ricoperta, sin dalla fine del XIX secolo gli studiosi hanno cercato di individuare la magistratura cui egli fa riferimento, proponendo di volta in volta soluzioni a favore dell'una o dell'altra carica.32 In effetti il dato ciceroniano offre elementi sia a favore dell'edilità plebea (in particolare la menzione dei Cerialia e dei Floralia), sia di quella curule (la celebrazione dei ludi Romani e la serie di privilegi cui si fa cenno).33 Il problema è stato di recente oggetto di un' attenta disamina da parte di Anne Daguet-Gagey, la quale ha convincentemente dimostrato come la carica politica ricoperta da Cicerone debba coincidere con l'edilità curule: partendo dalla più che giustificata osservazione circa l'indiscutibile atten­ dibilità delle informazioni fornite dall'oratore, la studiosa ha messo in evi­ denza come la celebrazione dei ludi Romani e soprattutto l'adozione della toga praetexta, della sella curulis e il diritto di esporre la propria immagine fossero appannaggio appunto dell'edilità curule, mentre non si conoscono casi in cui tali prerogative vennero estese agli edili della plebe. 34 Stando così le cose, bisognerebbe ammettere che fossero gli edili curuli a farsi ca­ rico dei ludi Florales; tuttavia, Daguet-Gagey ha ritenuto che nella tarda Repubblica la distinzione in materia di organizzazione delle feste non fosse vincolata a rigidi dettami, come dimostrerebbe anche un passo di Diane Cassio, in cui si dichiara che in epoca cesariana (circa 45 a . C . ) gli edili della plebe si fecero carico di allestire i ludi Megalenses, culto notoriamente pa-

3 0 Cicerone fu eletto edile nell'estate del 70 a.C., ma svolse la sua mansione a partire dal gennaio del 69 a.C.: cfr. DAGUET-GAGEY 20 1 3 , p. 30. 3 1 C1c. Verr. II 5 , 36. 32 Per tutti i dettagli sulla diatriba e circa le diverse proposte esegetiche si rimanda a DA­ GUET-GAGEY 20 1 3 , pp. 34-37. 33 Cfr. ivi, p. 3 3 . 34 lvi, pp. 37-4 1 . Cfr. anche DAGUET-GAGEY 20 1 5 , pp. 1 1 2- 1 1 6.

-

1 22

-

l . l FLORALIA

trizio e dunque teoricamente prerogativa degli edili curuli. 35 I mutamenti relativi alle magistrature preposte all'organizzazione delle feste dovettero continuare anche in età imperiale, poiché Svetonio afferma che Galba si fece carico dei ludi Florales in qualità di pretore, così come lo stesso Diane Cassio allude al fatto che nel 2 1 7 d. C . i Floralia erano pertinenza dei mede­ simi magistrati. 3 6 A questo proposito, già Dario Sabbatucci aveva osservato come al tempo di Cicerone la distinzione delle mansioni riservate ai due diversi tipi di edilità fosse sempre meno netta e - si potrebbe aggiungere in particolar modo per quanto riguarda le celebrazioni dei giochi in onore delle varie divinità. 37 Tornando ora alla questione relativa all'istituzione dei Floralia e tenen­ do conto di quanto sin qui esaminato, credo si possa ragionevolmente con­ cludere che almeno in origine il coordinamento dei ludi Florales fosse com­ petenza degli aediles plebis.38 Per questo motivo ritengo - in via comunque ipotetica - che i fratelli Publicii rivestissero tale carica nel momento in cui decisero di organizzare i nuovi ludi, poiché è più probabile che la ripartizio­ ne dei compiti tra gli edili curuli e quelli della plebe fosse ancora vigente intorno alla metà del III secolo a.C .39 Al contempo però, rimane proble­ matica l'informazione fornita da Festa: dal momento che non vi è ragione di considerarla inverosimile o addirittura errata,40 la soluzione (anch'essa del tutto congetturale) potrebbe a mio giudizio ricondursi alla possibilità che il grammatico latino abbia ricordato la carica politica più prestigiosa ottenuta dai Publicii, per l'appunto l'edilità curule, oppure che all'epoca in

3; DIO CASS. XLIII 48, 4. Cfr. DAGUET·GAGEY 201 3 , p. 38. La studiosa ha ipotizzato che l'attenzione di Cicerone per i Cerialia e per i Floralia fosse dovuta a una scelta deliberata, mirata forse a ingraziarsi la plebe esprimendole riconoscenza, poiché la sua elezione alla magistratura era stata favorita dal popolo. 3 6 SvET. Galb. 6, l ; DIO CAss. LXXIX 22, l . Cfr. anche DIO CAss. LVIII 19, 1 ·2, dove il pre· tore Lucio Cesiano è responsabile dell'organizzazione dei giochi. 37 Cfr. SABBATUCCI 1 954, p. 277. Cfr. DAGUET·GAGEY 20 1 3 , p. 46. 3 8 Si hanno testimonianze dei nomi di alcuni organizzatori dei giochi in epoca imperiale: un'iscrizione proveniente da Costantina (antica Cirta, in Numidia) sembra attestare che un certo Quadratus Baebianus Vindex si fece carico delle spese per la celebrazione dei ludi Florales: CIL VIII, n. 6958. Allo stesso modo, tale Titus Ancharius Priscus, personaggio di spicco di Pi­ saurum (Pesaro), allestì tra gli altri giochi anche quelli di Flora: CIL Xl, n. 63 57. 39 Concordo sostanzialmente con quanto osservato da BERNSTEIN 1998, pp. 2 1 0-2 1 1 . 4 0 Non mi paiono condivisibili n é la lettura di Bernstein (ivi, p. 2 1 1 ), secondo cui Pesto avrebbe fornito un dato impreciso, né quella di PRAZER 1 929, p. 26, nota l e di PoWLER 1 899, p. 92, nota 4, a giudizio dei quali l'autore antico avrebbe riportato un'informazione errata: come noto infatti, il grammatico latino segue come fonte primaria Verrio Placco, autore di comprovata autorevolezza. Anche SEIDEL 1 908, p. 19 ha espresso dubbi sull'attendibilità del passo di Pesto.

- 1 23 -

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

cui scrisse l'autore le differenze tra le due magistrature in merito all' orga­ nizzazione dei giochi fossero ormai venute meno.41 Ben più difficile invece riuscire a stabilire l' anno in cui essi presero il provvedimento: tanto il 24 1 quanto il 238 a . C . sembrano allo stato attuale date possibili, poiché per i plebei non esistevano vincoli legati all'elezione all' aedilitas plebis.42 A tal proposito, Franz Bomer e Frank Bernstein hanno suggerito di ritenere più affidabile la datazione di Plinio rispetto a quella di Velleio Patercolo, poi­ ché il naturalista avrebbe alle spalle Varrone quale autorevole fonte, ma in realtà Plinio cita l'erudito reatino solo in relazione al giorno di inizio della festa e non all'anno della sua istituzione; 43 pertanto la considerazione dei due studiosi rimane al momento del tutto arbitraria. 44 Anzi, non svaluterei affatto l'informazione fornita da Velleio, poiché è collegata a un evento storico ben preciso, ovvero la fondazione della colonia di Spoleto. 45 A questo punto, il problema si sposta inevitabilmente sui motivi che portarono all'istituzione della festa in onore di Flora a partire solo dalla seconda metà del III secolo a . C . : tale questione si rivela interessante per più di un aspetto, a causa di una serie di implicazioni sul piano politico, sociale e religioso che - secondo gli studiosi - potrebbero essere alla base di un simile provvedimento. L'argomento è stato oggetto di studio da parte di janine Cels - Saint-Hilaire, la quale ha rintracciato diverse cause che avreb­ bero portato alla celebrazione dei Floralia: in primo luogo, la studiosa ha sottolineato come nel 241 a.C . vennero create due nuove tribù, la Quirina e la Velina, entro le quali confluirono - fra gli altri - i Sabini e i Vestini, popoli presso i quali Flora rivestiva grande importanza. 4 6 All a base della 4 1 Per quanto riguarda il maggior prestigio dell'edilità curule rispetto a quella della plebe cfr. 0AGUET·GAGEY 20 1 3 , p. 41 e p. 45; 0AGUET-GAGEY 20 1 5 , p. 73 e pp. 1 1 1 - 1 12. 42 Cfr. BERNSTEIN 1998, p. 2 1 0. 43 Così già LE BONNIEC ( 1 972) 2003 , p. 294: «Varron avait fìxé l es dates des retes romaines . . . ». 44 B t5 M ER 1 954, pp. 1 88- 1 90; BERNSTEIN 1 998, p. 210. Anche MUNDLE 1 969, p. 1 1 26 si è schierata a favore della datazione pliniana, sostenendo che quella di Velleio è frutto di un Re­ chenfthler. Opinione opposta in ZIOLKOWSKI 1 992, p. 32. Pare forse un po' troppo ottimistica la sicurezza di SCHILLING 1 993, p. 147 nel collocare l'istituzione dei Floralia nel 238 a.C. DA­ GUET-GAGEY 20 1 5 , p. 262, nota l O l ha preferito svalutare la testimonianza di Velleio, ritenendola errata. Già R.icHARD 1 978, p. 1 1 9, nota 1 44 sottolineava giustamente che «Le choix, comme pour les ludi, nous semble etre entre 241 et 238, sans que l'une de ces dates puisse etre préférée à l'autre pour des raisons autres que subjectives». 45 La deduzione della colonia è ricordata anche da Periochae ad Urbe condita XX 2, ma purtroppo non viene fatta alcuna menzione dei Floralia né viene specificata la data precisa: è difficile stabilirla in base alle informazioni fornite dal testo, poiché poco prima si fa riferimento alla ribellione dei Falisci (sedata nel 24 1 a.C.), mentre subito dopo alla prima spedizione contro i Liguri (238 a.C.). 46 La creazione delle nuove tribù è attestata da Periochae ad Urbe condita XIX 1 5 .

-

1 24

-

l. I FLORALIA

celebrazione di nuovi giochi vi sarebbero stati dunque motivi di integra­ zione sociale, poiché introducendo pratiche in onore di una dea fino a quel momento secondaria, ma presente tanto nel pantheon delle popolazioni italiche quanto in quello romano già da tempi molto antichi, si sarebbe agevolato l'inserimento in Roma dei nuovi cittadini con diritto di votoY Secondo Cels - Saint-Hilaire, non fu solo questa la ragione del provve­ dimento del 24 1 / 238 a. C . , in quanto ella ha ravvisato l'esistenza di impor­ tanti risvolti sul piano politico nella decisione di istituire i Floralia. In parti­ colare, sin dalle prime battute la studiosa ha evidenziato il carattere plebeo di Flora e del suo culto, per spostare successivamente la propria attenzione sul versante politico e soprattutto sul fatto che in quegli anni esistevano due fazioni che si contendevano il potere a Roma: la prima faceva capo ai Claudii, la seconda ai Fabii. Entrambi i gruppi perseguivano una politica espansionistica, ma in direzioni opposte: i Claudii (seguiti prevalentemen­ te dalle masse urbane e dai mercanti) privilegiavano l'estensione verso il Sud Italia e il bacino del Mediterraneo, mentre i Fabii rivolgevano i propri interessi verso il Nord e i fertili territori della Pianura Padana, trovando consensi in particolare presso i medio-piccoli proprietari terrieri. Essendo i Fabii la principale forza egemonica durante la metà del III secolo a. C . , Cels - Saint-Hilaire ha rivendicato l a possibilità che tale fazione abbia favo­ rito l'istituzione della nuova festa per Flora come logica conseguenza del favoritismo nei confronti dei proprietari terrieri e dell'aristocrazia fondia­ ria, di cui si sarebbe sottolineata la supremazia anche sul piano religioso. 48 Nonostante la teoria della studiosa abbia il sicuro merito di ricostruire la storia e la situazione socio-politica degli anni in cui il provvedimento venne preso, è pur vero che ella ha dato scarsa importanza alla componen­ te religiosa che ne stava alla base, riducendone in maniera eccessiva la por­ tata e privilegiando gli aspetti politici. Infatti la nota ai Floralia inserita nei Fasti Praenestini testimonia come la nuova aedes di Flora sull'Aventino (il cui dies natalis coincideva con l'inizio dei giochi, il 28 aprile) venne edificata propter sterilitatemfrugum, ovvero per scongiurare quella che doveva essere a tutti gli effetti una grave carestia. 49 La costruzione del tempio doveva coincidere con l'istituzione dei nuovi giochi, poiché furono gli stessi Publi­ cii a decretare entrambe le iniziative in seguito alla consultazione dei Libri Sibillini e alla relativa approvazione del Senato : 5 0 proprio il fatto che si sia

47 CELS - SAINT-HILAIRE 1 977, pp. 254-255. 4 8 lvi, pp. 255-258. 49 CIL I', p. 236 DEGRASSI 1 963 , pp. 132- 1 3 3 . Cfr. ZIOLKOWSKI 1 992, p. 3 1 . 5 o Per i Libri Sibillini cfr. PuN. Nat. Hist. XVIII 286. =

- 1 25 -

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

dovuto ricorrere agli oracoli sibillini conferma la gravità della situazione e, malgrado Plinio non specifichi la ragione di tale provvedimento, essa non può che essere collegata alla penuria di cibo confermata dai Fasti Praenesti­ ni.5 1 L'interpretazione della carestia avanzata da janine Cels - Saint-Hilaire tende forse troppo a sottolinearne i possibili risvolti politici, poiché anche dietro a un simile evento e relative disposizioni la studiosa ha ancora una volta intravvisto il problema della relazione tra plebe urbana e plebe rura­ le, quest'ultima responsabile delle derrate alimentari di Roma e dunque favorita dai Fabii. 52 Con questo non si vuole negare la possibilità che gli avvenimenti siano stati strumentalizzati sul piano politico dalle diverse fazioni, ma una let­ tura limitata solo a questo aspetto non consente di comprendere a fondo quello che è inequivocabilmente un provvedimento fondato su solide basi religiose, a maggior ragione se si tiene conto che il culto di Flora doveva essere praticato (in forme e modi al momento non noti) già in epoca arcai­ ca e dunque la creazione di una nuova festa doveva configurarsi come un consistente cambiamento all'interno delle pratiche cultuali tradizionali. A questo proposito, Peter Garnsey ha dimostrato come le importanti contro­ misure di carattere religioso (quali appunto l'istituzione di un nuovo culto, la dedica di un tempio, la consultazione di oracoli e libri sacri) dovevano necessariamente essere indizi di una grave crisi alimentare.53 Egli ha inol­ tre giustamente evidenziato la differenza tra la semplice scarsità di derrate (molto più frequente nel mondo antico) e la carestia vera e propria (ben più sporadica ma assai più pericolosa), suggerendo al contempo di non consi­ derarle sullo stesso piano : 54 a mio parere , non vi è quindi dubbio che gli avvenimenti del 24 1 / 23 8 a . C . debbano essere riferiti a un rovinoso periodo di fame, cui fece seguito il ricorso a Flora nella sua funzione di dea agraria affinché facesse fronte all'emergenza attraverso la sua benefica azione.55 Esaurita l' analisi delle importanti implicazioni religiose legate al supe­ ramento della crisi alimentare, bisogna riconoscere che Cels - Saint-Hilaire n Non vi è ragione di considerare la consultazione dei Libri Sibillini un indizio relativo a una presunta ellenizzazione del culto di Flora, come ipotizzato da BERNSTEIN 1998, p. 2 1 1 . 5 2 CELS - SAINT-HII.AIRE 1977, pp. 256-257. B Cfr. GARNSEY ( 1 989) 1 997, p. 3 5 . 54 Cfr. soprattutto ivi, pp. 7-8, dove vengono anche proposte possibili definizioni per en­ trambi i termini. Sull'infrequenza delle carestie cfr. anche ivi, pp. 2 1 -22. ;; Concordo con BERNSTEIN 1998, p. 2 1 5 . Al contrario, non mi pare condivisibile l'affer­ mazione (peraltro non adeguatamente motivata) di ORLIN 1 997, p. 26, secondo cui la sola ca­ restia non sarebbe sufficiente a giustificare la costruzione del tempio sull'Aventino. Sull'argo­ mento cfr. quanto già osservato supra, pp. 28-29.

-

1 26

-

l. I

FLORALIA

ha ragione nel sottolineare come il racconto di Ovidio implichi rapporti con questioni relative alla res publica e al rispetto della legge a favore dei medio-piccoli proprietari. Il poeta infatti sostiene che i giochi in onore di Flora furono organizzati grazie alle multe riscosse da coloro che vennero giudicati colpevoli di aver per lungo tempo occupato illegalmente porzioni più o meno vaste di agerpublicus, adibendole a pascolo privato. 5 6 Parte della critica è sostanzialmente concorde nell'individuare nella lex Licinia Sextia del 36 7 a . C . il riferimento del passo dei Fasti, più precisamente nella lex Licinia de modo agrorum, cui fanno cenno varie fonti. 57 Essa prevedeva con tutta probabilità più clausole: in primo luogo, fissava il limite massimo per l'occupazione in cinquecento iugeri di terreno pubblico, in secondo luogo sanciva il numero massimo dei capi di bestiame cui era consentito il pasco­ lo e infine stabiliva di collocare un certo numero di uomini liberi preposti al controllo del campo. 58 Nonostante simili disposizioni fossero vigenti da più di un secolo rispetto agli avvenimenti narrati da Ovidio, egli si premura di sottolineare come a quel tempo nessuno avrebbe osservato le norme , anzi l'occupazione ill ecita di ager publicus sarebbe stata pratica tanto comune da far sembrare sciocchi coloro che rispettavano il divieto facendo pascolare il gregge nei propri possedimenti; 59 addirittura la tradizione annalistica ri­ tiene che anche lo stesso promulgatore della legge venne condannato per non averla rispettata. 60 Le ragioni che portarono alla denuncia presso gli edili Publicii e le con­ seguenti azioni finalizzate a reprimere i reati non vengono chiarite in ma­ niera esplicita dal poeta, il quale si limita a sostenere che agli uomini degli

5 6 Ov. Fast. V 283-292. 57 CATO MAIOR Orat. 32, F 1 2 1 Orig. V F 1 04 Cugusi-Sblendorio Cugusi; VARRO De re rust. I 2, 9; Liv. VI 35-36; DION. HAL. Ant. Rom. XIV 1 2, l ; VELL. PAT. II 6, 3 ; VAL . MAX. VIII 6, 3 ; CowM. I 3, 12; PLIN. Nat. Hist. XVIII 1 7 ; AuL. GELL. V I 3 , 4 0 ; APPIAN. Beli. civ. I l , 8; D e vi r. illust. 20, 3-4. Cfr. BERNSTEIN 1 998, p. 2 1 0; FuCECCHI 1 998, pp. 392-393, nota 73; FRAZER 1 929, p. 25. 5 8 Non intendo qui addentrarmi nell'annosa querelle intorno alla presunta storicità e at­ tendibilità della legge, che ha contrapposto a lungo gli studiosi, suddivisi in tre schieramenti: coloro che si sono dichiarati a sfavore, quelli al contrario che si sono dimostrati favorevoli e in­ fine altri che hanno rivendicato l'esistenza di due leggi distinte. Sulla questione si rimanda agli studi di FoRSÉN 1 99 1 , in particolare pp. 13-28 e di MANZO 200 1 , pp. 1 9-38. Per quanto riguarda i contenuti della legge, anch'essi problematici, si è seguita la ricostruzione avanzata da Manzo (ivi, pp. 1 20- 1 28), poiché reputata al momento la più convincente. 59 Ov. Fast. V 283-286. 60 Ne dà conferma più di un autore: LIV. VII 16, 9; DION. HAL. Ant. Rom. XIV 12, l; VAL. MAX. VIII 6, 3; CoLUM. I 3 , 12; PLIN. Nat. Hist. XVIII 1 7; De vir. illust. 20, 3-4. FoRSÉN 1 99 1 , pp. 7375 ha espresso qualche dubbio sull'attendibilità della tradizione, ritenendola «an embellishing element, a myth>>, in considerazione del fatto che in simili racconti era piuttosto comune che il promulgatore della legge fosse anche uno dei trasgressori. =

-

1 27

-

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

anni precedenti era «mancato il coraggio» di denunciare le violazioni. Mal­ grado le informazioni fornite dai Fasti non siano del tutto corrispondenti alla realtà (si è a conoscenza di almeno due precedenti in cui la legge fu applicata dagli edili: nel 296 e nel 293 a . C . ) , 61 non vi è dubbio tuttavia che simili provvedimenti furono attuati secondo precisi scopi politici, mirati a favorire la medio-piccola proprietà terriera: Ovidio stesso afferma che il popolo si interessò attivamente alla questione. 62 A questo punto appare chiaro come le cause che portarono all'istituzione delle nuove celebrazioni in onore di Flora e la contemporanea edificazione del templum ad Circum Maximum debbano essere messe in relazione in primo luogo alla seria mi­ naccia della carestia, con conseguente richiesta dell'aiuto divino, e in secon­ do luogo alla situazione socio-politica della città, che offrì l'occasione per procedere al nuovo provvedimento religioso: infatti soltanto grazie a parte dei ricavi ottenuti dalle multe comminate dai fratelli Publicii fu possibile coprire i costi dell'organizzazione dei ludi Florales. 63

L'ISTITUZIONE ANNUALE DELLA FESTA

Terminata la breve disamina delle cause che portarono alla prima celebrazione dei Floralia, Ovidio prosegue il suo dialogo con la dea (vv. 295-330):

Annua credideram spectacula facta. Negavit, addidit et dictis altera verba suis: ccnos quoque tangit honor: festis gaudemus et aris, turbaque caelestes ambitiosa sumus. Saepe deos aliquis peccandofecit iniquos, et pro delictis hostia blanda fuit; saepe Iovem vidi, cum iam sua mittere vellet fulmina, ture dato sustinuisse manum. At si neglegimur, magnis iniuria poenis solvitur, et iustum praeterit ira modum. Respice Thestiaden: jlammis absentibus arsit; causa est, quod Phoebes ara sine igne fuit. Respice Tantaliden: eadem dea vela tenebat; virgo est, et spretos bis tamen ulta focos.

6 1 Liv. X 23 , 1 3 ; X 47, 4. Cfr. FoRSÉN 1 99 1 , p. 75. 6 2 Ov. Fast. V 289. Cfr. anche CLAVEL-LÉvBQUE 1986, p. 242 1 . 63 M i sembra tuttavia un poco eccessiva l'interpretazione di EowARDS 1 993, p. 1 20, che ha

visto nei Floralia il simbolo «Of the sharing of wealth among ali citizens, of the defence of the rights of the poor against the selfishness of the rich».

- 1 28 -

l.

I

FLORALIA

Hippolyte infelix, velles coluisse Dionen, cum consternatis diripereris equis. Longa referre mora est correcta oblivia damnis: me quoque Romani praeteriere patres. Quid facerem, per quod .fierem manifesta doloris? Exigerem nostrae qualia damna notae? Excidit officium tristi mihi: nulla tuebar rura, nec in pretio fertilis hortus erat; lilia deciderant, violas arere videres, .filaque punicei languida facta croci. Saepe mihi Zephyrus "Dotes corrumpere noli ipsa tuas" dixit: dos mihi vilis erat. Florebant oleae: venti nocuere protervi; jlorebant segetes: grandine laesa seges; in spe vitis erat, caelum nigrescit ab Austris et subitafrondes decutiuntur aqua. Nec volui fieri nec sum crudelis in ira, cura repellendi sed mihi nulla fu.it. Convenere patres et, si bene.floreat annus, numinibus nostris annua festa vovent. Adnuimus voto: consul cum consule ludos Postumio Laenas persolvere mihù>. Avevo creduto che gli spettacoli fossero annuali. Flora lo negò, e aggiunse altre parole al suo discorso : «L'onore seduce anche noi: godiamo di feste e altari, e, sebbene dei celesti, siamo ambiziosi. Spesso qualcuno peccando si fece nemici gli dei, e si diffuse l'usanza di offrire vittime espiatorie per rimediare alle colpe; spesso vidi Giove, quando già si apprestava a scagliare i suoi fulmini, trattenere la mano per un'offerta di incenso. Tuttavia, se veniamo trascurati, l'offesa viene pagata con grandi pene , e l'ira oltrepassa la giusta misura. Ricorda il Testiade : arse di fiamme lontane; ne fu causa l' altare di Febe lasciato privo di fuoco. Ricorda il Tantalide: la medesima dea tratteneva la flotta; è dea vergine , e tuttavia per due volte vendicò gli altari trascurati. O Ippolito infelice, avresti voluto aver onorato Dione quando venivi fatto a pezzi dai cavalli spaventati. Sarebbe lungo ricordare le dimenticanze punite con sventure: anche me trascurarono i padri romani. Che cosa dovevo fare per rendere manifesto il mio dolore? Quale punizione esigere per l'offesa da me subita?

-

1 29

-

S E Z I O N E I l - IL C U LTO DI FLORA

Immersa nella tristezza mi passò di mente il mio compito: non proteggevo i campi, né mi era caro il fertile giardino; i gigli erano caduti, avresti visto le viole appassire

e ill anguidire le fibre del purpureo croco. Spesso Zefiro mi disse: "Non voler tu stessa guastare le tue proprietà dotali" , ma non mi importava più della dote. Fiorivano gli olivi: ma i venti protervi li danneggiarono;

fiorivano i campi, ma il terreno fu leso dalla grandine; la vite lasciava sperare, ma il cielo si oscurò per gli Austri, e i tralci vennero squassati da piogge improvvise . N é volevo che ciò accadesse, n é sono crudele nell'ira, ma non mi occupai affatto di allontanare i danni. I padri si radunarono e, se l'anno fosse risultato florido, fecero voto di celebrare feste annuali in mio onore .

Accettai il voto : il console Lenate con il console Postumio mi tributarono i giochi promessi» .

(trad. di L. Canali, con alcune modifiche)

Ovidio sembra dare quasi per scontato che, dopo la loro istituzione, i

Floralia fossero celebrati annualmente, ma in realtà le cose dovettero anda­ re in maniera diversa, poiché soltanto a partire dal 1 73 a . C . la festa entrò a far parte dei sacra annui del calendario romano. 64 Stando alle fonti di cui si dispone, nulla è dato sapere circa la loro eventuale riproposizione nell' arco di tempo che intercorre tra il 24 1 / 23 8 a . C . e il 1 73 a . C . : la totale mancanza di informazioni al riguardo potrebbe dar adito a una serie di ipotesi, tutte peraltro difficilmente dimostrabili. Infatti nulla vieterebbe di pensare che la festa fosse celebrata periodicamente secondo un intervallo cronologico prestabilito e di cui purtroppo non sono noti i termini, 6 5 oppure addirittura che si trattasse di una cerimonia messa in atto una tantum, al solo scopo di scongiurare la minaccia della carestia ingraziandosi i favori della dea. 6 6 Quest'ultima ipotesi potrebbe forse essere avvalorata dalla risposta fornita

64 La data dell'annualità dei Floralia è ragionevolmente sicura, poiché Ovidio menziona i nomi dei consoli (Lucio Postumio Albino e Marco Popilio Lenate) in carica nell'anno in cui venne sancito il provvedimento, per l'appunto il 1 73 a.C.: cfr. BROUGHTON 1 95 1 , pp. 407-408 . 6 5 Cfr. PICCALUGA 1 965, p . 1 8 («la loro celebrazione era saltuaria»). D'altronde i gio­ chi «à périodicité moyenne» sono numerosi e attestati a Roma: cfr. CLAVEL-LÉVÈQUE 1 986, pp. 2425·2426. 66 Mi pare tuttavia priva di fondamento la spiegazione fornita da WISEMAN 1 999, p. 1 96, secondo cui il Senato si rifiutò di celebrare il culto di Flora poiché l'istituzione della sua festa sarebbe stata avvertita come una manifestazione della sovranità popolare. Di simile avviso an­ che R.!CHARD 1978, p. 1 2 1 . Tali ipotesi si scontrano con il fatto che fu proprio il Senato a sancire il provvedimento, previa consultazione dei Libri Sibillini.

- 1 30 -

l. I

FLORALIA

da Flora a Ovidio circa la mancata ciclicità dei ludi: al di là dell'evidente finzione letteraria, i versi ovidiani sembrano sottintendere più di quanto venga effettivamente dichiarato. L'affermazione di Flora secondo cui gli dei, benché esseri superiori, si farebbero ugualmente allettare da feste e sacrifici in loro onore - pur avendone già altri - oltre a essere una sorta di giustificazione per aver successivamente trascurato i suoi compiti, potreb­ be confortare l'ipotesi che i Floralia siano stati celebrati in un'unica occasio­ ne. In sostanza la dea avrebbe espresso la propria delusione per la mancata ripetizione della festa a lei dedicata, quasi si sentisse defraudata di una cosa ormai sua. Contemporaneamente, è difficile credere che per circa una settanti­ na d' anni non siano più stati celebrati i ludi Florales, soprattutto tenendo conto del fatto che, essendoci già stato un precedente, la loro ulteriore organizzazione non sarebbe stata di difficile realizzazione. 6 7 Al riguardo, ha espresso una diversa opinione Frank Bernstein, il quale non ha credu­ to che i giochi venissero organizzati in maniera facoltativa, evidenziando l'inesistenza di fonti che ne possano dare conferma. Lo studioso tedesco ha quindi proposto l'esistenza di due momenti diversi per l'istituzione dei Floralia e dei ludi Florales: i primi celebrati nel 238 a . C . senza l'allestimento di giochi, i secondi solo a partire dal 1 73 a . C . 6 8 Per quanto una simile te­ oria potrebbe risolvere alcuni problemi relativi alla celebrazione del culto di Flora, essa si rivela inesatta, poiché non tiene conto di quanto affermato da Ovidio, il quale testimonia l'organizzazione di giochi sin dal 24 1 / 23 8 a. C . 69 È però possibile, seguendo l a ricostruzione proposta d a Henri Le Bonniec per i Cerialia, che alla festa di Flora siano stati aggiunti ludi scaenici nel 1 73 a.C . , mentre in origine venivano allestiti soltanto quelli circensU0 Al di là della questione legata ai giochi, di difficile soluzione dal momento che non si possiedono dati che permettano di formulare considerazioni certe, rimane aperto il problema circa il destino della festa tra il 24 1 l 238 e il 1 73 a.C . : a mio giudizio dunque, in considerazione del fatto che la

6 7 Sulla scorta di SABBATUCCI 1 954, pp. 282-283, RlcHARD 1 978, p. 120 ha ipotizzato che i giochi venissero celebrati sempre meno frequentemente, sino ad arrivare ai provvedimenti del 1 73 a.C., quando vennero promossi a ludi sollemnes. 68 BERNSTEIN 1 998, p. 212. 69 Ov. Fast. V 292 (victores ludos instituere novos). Cfr. anche VELL. PAT. I 14, 5 (che menzio­ na esplicitamente i ludi Florales per il 241 a.C.). Cfr. HANSON 1 959, p. 1 6. Riduttiva !"ipotesi di BoMER 1 958, p. 3 1 1 , che ha negato il valore storico dei versi ovidiani, da interpretare al contra­ rio come semplice corrispettivo di quanto già narrato per la festa di Cerere. Al di là dell' eviden­ te carattere fìnzionale e poetico del racconto, la storicità della celebrazione annuale dei Floralia a partire dal 1 73 a.C. è ormai comprovata. 70 LE BONNIEC 1 958, p. 325.

- 13 1 -

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

prima celebrazione dei Floralia avvenne in coincidenza di un periodo di grave crisi alimentare, non sarebbe così irragionevole pensare che i nuovi giochi in onore della dea venissero allestiti solo in caso di necessità, ovve­ ro in concomitanza con situazioni di ingente penuria di derrate/ 1 mentre normalmente la si venerava secondo l'antico culto, di cui purtroppo nulla di certo è dato sapere. Nel prosieguo del discorso, Ovidio narra come Flora patì il disinteresse dimostratole dai Romani, quasi ci si fosse dimenticati di lei o la si tenesse poco in considerazione. 72 Tuttavia, soprattutto in quest'occasione la dea dimostra il suo carattere benevolo, non reagendo in maniera severa e spie­ tata come erano soliti fare gli altri dei (Artemide / Diana in particolare), in riferimento ai quali ella cita tre celeberrimi esempi tratti dalla mitolo­ gia greca in cui i protagonisti (Meleagro, Agamennone e Ippolito) pagano a caro prezzo il mancato conferimento degli onori dovuti. 73 Per la verità Flora pensò inizialmente a una possibile punizione per l'offesa ricevuta, ma poi al contrario, sopraffatta da una profonda tristezza, suo malgrado si rinchiuse nel proprio dolore e non assolse i suoi compiti, disinteressandosi totalmente della cura dei giardini, dei campi e delle messi, con conseguenti danni ai raccolti. Fu proprio per scongiurare il ripetersi di tali avvenimenti e quindi della successiva scarsità di derrate alimentari che il Senato stabilì la celebrazione annuale dei ludi Florales: ciò risponde pienamente alla menta­ lità religiosa romana incentrata sulla pax deorum, che prevede una sorta di mutua collaborazione tra la comunità umana e quella divina, la quale deve impegnarsi a espletare le sue funzioni a fronte degli onori a lei tributati. 74 Anche Cicerone, quando in qualità di edile si appresta all'organizzazione dei giochi, conferma la necessità di «placare» la dea onorandola e gratifi­ candola, affinché sia ben disposta ad allontanare possibili minacce al raccol­ to e favorire così l'intero popolo romano.75 7 1 Dello stesso avviso C1cu 1988, p. 25 (secondo cui prima del 1 73 a.C. i Floralia erano una festa conceptiva). Anche DAGUET-GAGEY 20 1 5 , p. 265 ha intuito tale possibilità. n Solleva qualche dubbio la spiegazione in merito fornita da MoRGAN 1 990, p. 22 (seguen­ do WARDMAN 1 982, p. 8), secondo cui la mancata celebrazione di Flora sarebbe riconducibile all'alto numero di divinità - peraltro sempre in aumento - che facevano parte del pantheon e dunque era possibile che si verificasse qualche dimenticanza. 73 FUCECCHI 1 998, p. 394, nota 76; SCHILLING 1 993 , p. 147 e FRAZER 1 929, p. 27 hanno sot­ tolineato come l'affermazione ovidiana (Fast. V 299-302) sul possibile perdono divino, previa la dedica dei giusti onori, sia di chiara derivazione omerica (HoM. n. IX 497-501). 7 4 Cfr. ScHEID ( 1 998) 2009, p. 1 3 7. 75 Cic. Verr. II 5, 36 ([ . . ] mihi Floram matrem populo plebique Romanae ludorum celebritate placandam . . ). Cfr. anche LACT. Div. inst. I 20, 7. TERTULL. De spect. 6, 2 conferma che i ludi di Flora erano celebrati nell'interesse generale. .

.

-

1 32

-

l. I

FLORALIA

Appare dunque evidente che alla base dei provvedimenti relativi al suo culto vi siano sempre motivi strettamente legati a problematiche alimen­ tari, fatto che comprova una volta di più il carattere agrario della dea, che persiste inalterato ancora ai tempi di Ovidio. 76 Diversamente da quanto avvenne per la prima celebrazione dei Floralia, connessa al superamento di una grave carestia, nel caso specifico dell'approvazione della loro annua­ lità bisogna ragionevolmente supporre il susseguirsi di una serie di scarsi raccolti, come si può dedurre dai versi ovidiani in cui si allude al fatto che Flora non adempì ai propri doveri per un periodo di tempo piuttosto lun­ go. A peggiorare la situazione contribuì una terribile epidemia (circa 1 74 a . C . ) che colpì dapprima il bestiame per poi estendersi alla popolazione, provocando la morte di un così gran numero di persone che era addirittura difficile assicurare a tutti la dovuta sepoltura, come comprova ampiamen­ te Livio.77 Elinor Lieber, che ha seguito un'intuizione di Robert Maxwell Ogilvie, ha ipotizzato che si sarebbe potuto trattare di un'epidemia di an­ trace, la sola malattia a poter contagiare uomini e animali. 78 Diversa è la ricostruzione proposta da Gwyn Morgan, secondo il quale le informazioni fornite da Livio e da Ovidio si riferirebbero entrambe ai medesimi avve­ nimenti, di cui vengono sottolineati aspetti differenti. A suo giudizio, l'e­ pidemia del 1 74 a . C . sarebbe riconducibile a una micotossina che avrebbe colpito i cereali, il cui consumo avrebbe causato l'insorgere di una malat­ tia chiamata leucopenia tossica alimentare (ATA) . Secondo lo studioso, i Romani decisero di rivolgersi a Flora poiché negli anni precedenti erano già stati presi provvedimenti in onore di Cerere senza ottenere gli effetti sperati e soprattutto perché la dea della fioritura era preposta alla tutela di tutte le specie di piante: l'istituzione annuale dei ludi Florales avrebbe avuto lo scopo di riguadagnare il favore della dea troppo a lungo trascurata, fatto quest'ultimo che comportò il verificarsi degli eventi nefastU9 Per quanto tale teoria sia per più di un aspetto affascinante, il presuppo­ sto da cui parte è al momento indimostrabile, poiché nessuna fonte antica

76 A questo proposito cfr. quanto già osservato supra, pp. 52-53 . 77 Liv. XLI 2 1 , 5-1 1 . Per far fronte alla pestilenza, il Senato diede ordine di consultare i Libri Sibillini: venne stabilito un giorno di supplica e la promessa di una celebrazione religiosa e di due ulteriori giorni di suppliche se il morbo fosse stato debellato. Purtroppo lo storico non specifica gli dei destinatari di tali provvedimenti. Cfr. DAGUET-GAGEY 20 1 5 , p. 265 . 78 LIEBER 1 970, p. 343 ; 0GILVIE 1 965, p. 395. 79 MORGAN 1 990, pp. 23-26. Anche BERNSTEIN 1 998, pp. 2 1 8-2 19 ha ipotizzato che il riferi­ mento alla crisi in Ovidio corrisponda nei punti fondamentali a quella menzionata da Livio e che i due giorni di festa votati per scongiurare gli effetti del morbo possano coincidere con la celebrazione dei Floralia, per i quali in origine erano previste due giornate (28-29 aprile). Simile opinione in RYAN 2008, p. 198.

- 1 33 -

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

riferisce dell'esistenza di una malattia che abbia colpito i vegetali ma, stan­ do a Ovidio, piuttosto del verificarsi di eventi naturali avversi che rovina­ rono ripetutamente le piante. Si potrebbe controbattere che i Romani non fossero in grado di individuare il morbo, ma Morgan, nel momento in cui ha sostenuto che essi si rivolsero proprio a due divinità agrarie, sembra an­ che dare per scontato che essi fossero a conoscenza dell'origine del proble­ ma. 8 0 A mio parere, le informazioni fornite da Livio e Ovidio non possono essere messe in relazione le une con le altre, dal momento che il primo fa chiaro riferimento a una crisi sanitaria (peraltro circoscritta a un periodo di tempo relativamente breve), mentre il secondo parla di una prolungata crisi alimentare: Flora, in qualità di divinità agraria, poteva provvedere al superamento della seconda (cosa che puntualmente accadde) , ma nulla era in suo potere riguardo alla prima. Sta di fatto che la decimazione del bestiame e di coloro che dovevano provvedere alla cura e alla coltivazione dei campi ebbe certamente un effet­ to negativo sulla già precaria situazione dell'approvvigionamento alimen­ tare.8 1 È questo il motivo per cui tra la fine del III e i primi decenni del II se­ colo a . C . lo stato romano prese provvedimenti di carattere religioso rivolti in particolare alle divinità agrarie: oltre all'istituzione annuale dei Cerialia (il cui terminus ante quem è generalmente fissato al 202 a . C . ) ,82 si sentì l'esi­ genza di assicurarsi la prosperità dei raccolti tramite la dedica annuale della festa a Flora. Infatti la maggior parte degli autori antichi ne ha sottolineato le finalità, ovvero ottenere il corretto sviluppo del ciclo biologico vegetale e nel caso specifico del critico processo della fioritura. 83 Non a caso il periodo dell'anno in cui cadeva la celebrazione dei Floralia (dal 28 aprile al 3 mag­ gio), destinata non solo alla nascita ma anche alla tutela delle infiorescenze, è successivo a quello dei Fordicidia ( 1 5 aprile, festa in onore di Tellus, legata alla fertilità della terra), dei Cerialia (dal 12 al 19 aprile, rivolti a favorire la crescita delle piante, sotto la protezione di Cerere) e dei Robigalia (25 aprile, finalizzati ad allontanare la minaccia della ruggine, propiziando Robigo): in sostanza, i Romani istituirono una serie di feste atte a garantire il regola-

80 Cfr. in particolare MoRGAN 1990, p. 24. 8 1 La diffusione di epidemie e pestilenze è una delle principali cause che portano al ve­

rificarsi di periodi di penuria alimentare e a vere e proprie carestie: per i dettagli cfr. GARNSEY ( 1 989) 1 997, pp. 33-34; GARNSEY 1983, p. 58. 82 Cfr. L1v. XXX 39, 8, che testimonia la celebrazione dei Cerialia nel 202 a.C. È assai pro­ babile che la festa fosse annuale già prima di questa data e comprendesse giochi circensi: cfr. LE BONNIEC 1958, pp. 3 1 2-3 1 5 . 83 Cfr. VARRO De re rust. I l , 6; Ov. Fast. V 327; PLIN. Nat. Hist. XVIII 286; LACT. Div. inst. I 20, 7. Circa la criticità dell'antesi cfr. supra, pp. 2 1 -29. -

134

-

l. I

FLORALIA

re svolgimento della vita vegetale, collegandole l'una con l'altra anche dal punto di vista calendariale. 84 Tuttavia Janine Cels - Saint-Hilaire, in maniera non dissimile da quan­ to già proposto per la prima istituzione dei Floralia, ha voluto rintracciare motivazioni di diversa natura per la celebrazione annuale dei ludi Florales: dopo aver ammesso il verificarsi di «une catastrophe agraire sans précé­ dent» (esagerando forse un po' troppo la portata della crisi), la studiosa ha collegato tale avvenimento all'irreversibile decadenza dei proprietari terrieri medio-piccoli - collegata all'occupazione indiscriminata dei loro terreni da parte dell'aristocrazia fondiaria - e alla conseguente impossibi­ lità di sfamare la plebe urbana, aumentata a dismisura nel numero a causa dell'afflusso di una moltitudine di persone che, dopo le devastazioni della seconda guerra punica e delle scorrerie di Annibale per tutta l' Italia, si ri­ versò a Roma in cerca di fortuna. 85 Ciò comportò notevoli cambiamenti: la plebe rurale perse la propria valenza politica e con essa la fazione dei Fabii, mentre acquistò potere la massa urbana, che la nobilitas cercò di ingraziarsi al fine di attenerne il consenso indispensabile per l'elezione alle più alte cariche magistratuali. Contemporaneamente si assistette all'ascesa di una terza fazione, capeggiata dai Postumii, che giunsero a rivaleggiare con la principale forza egemonica dell'epoca, ovvero gli Scipioni, e che godette di alterne fortune. A un loro esponente, il console Spurio Postumio Albino, venne infatti affidata la soppressione dei Baccanali, sancita dal celeberri­ mo Senatus consultum de Bacchanalibus e attuata in maniera particolarmente dura e severa, tanto da instaurare tra la popolazione un clima di vero e pro­ prio terrore. 86 All a base di tale provvedimento vi era la volontà di colpire tutti quei notabili (soprattutto di origine etrusca e asco-campana) vicini agli Scipioni e impossibilitati a intraprendere il cursus honorum, che erano soliti radunarsi in circoli privati in occasione delle celebrazioni in onore di Bacco e che costituivano una minaccia per lo stato romano. 87 Questa violenta repressione ebbe come conseguenza l'alienazione del favore del

84 Sul ciclo delle festività agrarie cfr. anche HARMON 1 978, pp. 1 462- 1 466. L'eccezione sembra essere costituita da Pomona, per la quale non è mai ricordata una festa in suo onore. WISSOWA 1 9 1 2', p. 1 99 ha ipotizzato che tale festa fosse conceptiva e quindi non segnalata sui calendari. 8 5 CELS - SAINT-HILAIRE 1 977, p. 262. 86 Le vicende legate alla soppressione dei Baccanali sono narrate estesamente da Liv. XXXIX 8-19. Sulla feroce repressione e sul clima di terrore cfr. BuRKERT ( 1 987) 199 1 , pp. 72-73 ; TAKAcs 2000, p. 3 0 1 ; LuiSI 2006, pp. 148- 1 54. 8 7 Circa l'ampia bibliografia relativa ai Bacchanalia, cfr. l'imponente studio di PAILLER 1 988 (in particolare pp. 1 5 1 -324), dove vengono esaminate tutte le problematiche inerenti. Cfr. an­ che BowDEN 20 10, pp. 1 24- 1 29; TAKAcs 2000, in particolare pp. 305-3 10; GRUEN 1990, pp. 34-78.

-

135

-

S E Z I O N E I l - IL C U LTO DI FLORA

popolo nei riguardi dei Postumii, che conobbero un periodo di emargina­ zione politica durato all'incirca cinque anni ( 1 79- 1 74 a.C.), alla fine del qua­ le ritornarono sulla scena pubblica assumendo importanti magistrature, tra cui il consolato del 1 73 a . C . A compimento di questo excursus storico, l a studiosa francese si è lan­ ciata in una serie di audaci parallelismi tra le pratiche rituali previste per i Floralia e quelle contemplate per i Baccanali: viene infatti sottolineato come in entrambe le feste si facesse largo uso di vino e di corone floreali, come tanto gli uomini quanto le donne prendessero parte a celebrazioni notturne alla luce delle fiaccole e come entrambe le feste fossero permeate da un clima di spiccata licenziosità. Ella ha inoltre trovato conferma della relazione tra le due celebrazioni nella menzione di Bacco fatta da Ovidio nei versi dedicati ai Floralia,88 giungendo ad affermare che il testo di Li­ via circa la soppressione dei Baccanali presenta numerose corrispondenze con quello ovidiano per l'uso che entrambi fanno degli stessi termini: l'u­ nica evidente differenza starebbe nel fatto che mentre i riti dei Baccanali vennero considerati per loro stessa natura perversi e fonte di scandalo, le corrispettive cerimonie praticate durante i Floralia vennero curiosamente giudicate gioiose e legittimate dall'autorità statale . Non paga di tali asser­ zioni, Cels - Saint-Hilaire ha sostenuto che il culto di Bacco venne rimpiaz­ zato non solo dalla nuova festa in onore di Flora, in particolare per quanto riguarda gli aspetti più libertini e sfrenati, ma anche da quella di Cerere, durante la quale era prevista la possibilità di sottoporsi a iniziazioni miste­ fiche. In definitiva, attraverso l'istituzione delle due feste lo stato romano riuscì nell'intento di neutralizzare i pericoli causati dalle celebrazioni bac­ chiche e dalle riunioni incontrollate di cerchie non regolamentate, offren­ do al contempo nuovi giochi che avrebbero assicurato il favore del popolo. Questo processo fu favorito e realizzato dalla gens Postumia (in particolare dal console designato Lucio Postumi o Albino), che in tal modo riacquistò prestigio agli occhi dei cittadini, riuscendo al contempo a compensare la precedente soppressione dei Baccanali. 89 Malgrado alcuni studiosi abbiano sostanzialmente accettato le teorie della storica francese,9 0 dal mio punto di vista risulta davvero difficile dare credito a quanto proposto: innanzitutto anche in questo caso la compo­ nente politica alla base del provvedimento del 1 73 a. C . è preponderante 88 Ov. Fast. V 345-346. 8 9 CEI.S - SAINT-HILAIRE 1977, pp. 260-272. 90 Cfr. DAGUET-GAGEY 20 1 5 , p . 263 ; PEREA YÉBENES 2004, pp. 1 8- 1 9

LÉvEQUE 1986, p. 24 1 5 , nota 3 1 . -

1 36

-

e

nota 45; CLAVEL­

l. I

FLORALIA

(per non dire soverchiante) rispetto a quella religiosa, che peraltro non vie­ ne quasi mai presa in considerazione. Quando ciò accade, come nel caso dei presunti parallelismi tra Floralia e Baccanali, la ricostruzione avanzata da Cels - Saint-Hilaire appare ancor più inverosimile: non basta certo la menzione di Bacco all'interno della narrazione ovidiana su Flora per in­ staurare un rapporto diretto tra le due divinità, così come constatare che entrambe amano la gioia, i piaceri e le corone floreali non costituisce un elemento probante per affermare una sorta di equivalenza tra i due culti, ma al contrario queste osservazioni danno prova di una visione superficiale rivolta solo all'apparenza delle cose. Infatti bisognerebbe chiedersi in quale occasione e in che modo venisse fatto uso degli elementi vegetali e del vino nei due riti, così come sarebbe doveroso prendere atto della considerevole differenza tra le celebrazioni notturne bacchiche (che dovevano consistere in iniziazioni, durante le quali si compivano le pratiche più turpi, almeno stando alle fonti) 91 e quelle di Flora, che probabilmente si limitavano a gio­ chi teatrali (per quanto licenziosi).92 La teoria secondo cui i ludi Florales siano da considerarsi come una sor­ ta di surrogato atto a colmare il vuoto lasciato dalla soppressione dei Bac­ canali non solo è riduttiva nei confronti del loro effettivo valore, ma non è nemmeno sostenuta da concreti elementi che ne possano comprovare la veridicità: nessuna fonte antica permette di ipotizzare una simile eventua­ lità.93 Allo stesso modo, risulta infondata sotto ogni aspetto la possibilità che il culto di Bacco sia stato rimpiazzato tanto da quello in onore di Flora quanto da quello riservato a Cerere: non si capisce infatti né il motivo né l'utilità di ricorrere all'istituzione di feste diverse tra loro per sostituirne una sola, attribuendo a ognuna delle due valenze e finalità differenti (li­ cenziose per i Floralia, misteriche per i Cerialia).94 Inoltre, diversamente da 9! È probabile che la turpitudine caratterizzante i Baccanali sia stata ampiamente enfatiz­ zata dalla fazione dell'accusa, al fine di avere motivi sufficienti per attuare la repressione: sul problema cfr. ad esempio Lmsi 2006, pp. 1 54- 1 55. 9 2 Sulle cerimonie notturne dei Floralia cfr. di seguito nel testo. 93 Anche la dichiarata similitudine tra quanto narrato da Ovidio a proposito di Flora e le informazioni fornite da Livio circa i Baccanali è inesistente: in realtà sono molte più le differen­ ze riscontrabili rispetto ai punti di contatto. Già BERNSTEIN 1 998, p. 2 1 8, nota 594 si è dimostra­ to critico nei confronti delle tesi proposte da Cels - Saint-Hilaire, rilevancio come la presunta corrispondenza tra Baccanali e Floralia non sia in alcun modo supportata dalle fonti e come durante i primi non venissero affatto allestiti ludi. 94 Anche la critica avanzata da CELS - SAINT-HILAIRE 1 977, pp. 268-269 alle osservazioni di LE BONNIEC 1958, p. 43 8, il quale aveva già ben sottolineato le profonde differenze tra il tipo di misticismo legato a Bacco e quello relativo a Cerere, risulta inaccettabile. La studiosa ha infatti basato la sua rivendicazione sul fatto che fu il Senato a decretare l'immoralità delle iniziazioni bacchiche, poiché non regolamentate: in sostanza, i misteri delle due divinità sarebbero stati

-

137

-

S E Z I O N E I l - IL C U LTO DI FLORA

quanto è dato sapere circa i sacra di Flora, la festa dedicata a Cerere era in realtà celebrata almeno a partire dalla fine del III secolo a . C . (term.inus ante quem 202 a . C . ) ,95 quindi circa da un trentennio prima che venissero presi provvedimenti contro i Baccanali; la riforma dei Cerialia verifì.catasi intorno al 1 75 a . C . doveva probabilmente riguardare solo l'introduzione di giochi teatrali e non certo l'istituzione del culto vero e proprio.9 6 L'inveterata vi­ sione secondo cui fenomeni religiosi complessi debbano essere ricondotti quasi esclusivamente alle situazioni socio-politiche contingenti riduce gli stessi a mere strumentalizzazioni nelle mani dell'autorità statale: i provve­ dimenti adottati circa l'istituzione di feste e culti non sarebbero altro che un espediente tramite il quale favorire di volta in volta l'una o l'altra clas­ se sociale per ottenerne il consenso necessario a garantirsi l'elezione alle principali magistrature. A mio parere, è al contrario indispensabile dare la giusta dignità alle innegabili motivazioni religiose che stanno alla base degli avvenimenti sin qui presi in esame: trascurare completamente questo aspetto comporta il rischio di ridurre il valore intrinseco della religione privandola della sua reale funzione, poiché da sempre essa ha risposto alle esigenze e alle credenze dell'intera comunità.97 Infine, anche il presunto collegamento tra la celebrazione annuale della festa e la fazione dei Postumii non sembra fondarsi su solide basi: se da un lato Ovidio conferma senza dubbio che Lucio Postumio Albino si fece pro­ motore e garante del voto per Flora, dall'altro aggiunge che Marco Popilio Lenate ebbe il medesimo ruolo e i medesimi meriti del collega, in quanto secondo console designato. A ciò deve aggiungersi che i due magistrati serbarono fede a un provvedimento già stabilito dal Senato, ma con tutta probabilità non presero parte attiva all'organizzazione vera e propria dei giochi. Si è infatti già avuto modo di osservare come tale compito fosse ri­ servato agli edili della plebe e non certo ai consoli: 98 a differenza di quanto

diversi non tanto nella natura, quanto nell'interpretazione che ne diede lo stato romano. Tutta­ via tale opinione non tiene in considerazione come le due celebrazioni differissero necessaria­ mente negli intenti, nei modi in cui venivano attuate e nelle stesse pratiche rituali. 95 LIV. xxx 39, 8 . 9 6 Cfr. SPAETH 1 996, p . 88; L E BoNNIEC 1 9 5 8 , pp. 3 1 9-325. 97 Già MoRGAN 1 990, p. 26 faceva giustamente notare come . ! 5 7 A tal proposito cfr. Ov. Fast. V 352. 1 5 8 Ne danno esplicita conferma Cic. Verr. II 5, 36 e TERTULL. De spect. 1 7, 3. Cfr. C1cu 1988, p. 30. !59 Va inoltre sottolineato che quella di Catone non fu una presa di coscienza personale, ma fu l'amico Favonio a fargli notare l'atteggiamento del pubblico: cfr. VAL. MAX. II 10, 8. Per .

- 1 52 -

l.

I

FLORALIA

un modo per esaltare la statura morale di Catone, la cui sola presenza ini­ biva il pubblico dal reclamare pratiche licenziose; 1 60 il biasimo dell'autore nei confronti degli spettatori è dunque rivolto a dimostrare lo scarto etico tra l'Uticense e la plebe, testimoniando di conseguenza come i giochi di Flora fossero comunemente ritenuti rappresentazioni di livello non certo elevato, in conformità con quanto dichiarato anche da Ovidio. 1 6 1 Il problema si sposta dunque sulle ragioni alla base dell'esecuzione della nudatio mima rum, che avrebbe avuto a tutti gli effetti il compito di celebrare Flora, dal momento che simili giochi erano offerti in suo onore; i Romani quindi credevano fermamente di fare cosa gradita alla dea, malgrado le maligne - seppur giustificate, almeno agli occhi di un cristiano - osserva­ zioni di Arnobio. 1 62 A questo proposito, mi pare che Ovidio, nonostante la sua reticenza e la scarsità di informazioni fornite, offra implicitamente più spunti di riflessione di quanto si potrebbe credere a una prima e superficiale lettura: infatti il poeta considera Flora una dea cui sono particolarmente cari i piaceri (soprattutto quelli legati alla giovinezza), reputandola al con­ tempo fautrice e responsabile del loro godimento. Allo scopo si serve di una metafora perfettamente calzante a tratteggiare la funzione della dea della fioritura la quale, così come esorta a godere della bellezza fragile e caduca dei fiori, invita in egual maniera a godere della bellezza della gio-

questi motivi, non mi pare convincente l'idea di WISEMAN 1 999, p. 200, secondo cui moralisti come l'Uticense e puristi come Varrone avrebbero ritenuto sconvenienti i giochi di Flora. Pa­ rimenti eccessiva l'affermazione di ScuLLARD 1 98 1 , p. 1 1 0: «The younger Cato was so shocked by a strip-tease act in one of the theatrical performances that he left the theatre in disgust». 160 Non a caso Valerio Massimo inserisce l' exemplum nella sezione convenzionalmente intitolata De maiestate. 161 CoRDIER 2005, p. 222 ha spiegato la vicenda in maniera diversa: Catone avrebbe rap­ presentato il negotium, ovvero la vita attiva spesa al servizio dello Stato, che si sarebbe contrap­ posto al contesto di svago e di ilarità propria dei ludi, impedendone l'attuazione. La reazione del pubblico all'entrata del magistrato viene considerata dallo studioso espressione del disagio causato dalla presenza di un elemento estraneo al clima della festa e avrebbe in certo qual modo costretto Catone (secondo Cordier presenta tosi addirittura in toga praetexta) a lasciare il teatro. Accanto a motivazioni morali, lo stesso studioso (p. 222, nota 56) ha voluto intravvedere nel gesto di Catone significati politici legati alla sua opposizione al triumvirato, poiché il suo rifiuto di indossare vesti adatte alla festa avrebbe manifestato l'implicita condanna dello spet­ tacolo, ritenuto una bassa manovra demagogica. Queste ipotesi sollevano alcune perplessità: in primo luogo l'equivalenza instaurata tra la figura di Catone e il negotium andrebbe estesa a tutti i magistrati romani, il che presupporrebbe una loro conseguente esclusione dalla festa, fatto che si scontra con quanto testimoniato dalle fonti. Anche l'idea che l'Uticense si sarebbe presentato in toga non trova alcuna conferma nei dati a disposizione e si configura pertanto come un'arbitraria speculazione; allo stesso modo, il presunto valore politico di tale gesto è in contrasto con il fatto che i Floralia venivano allestiti annualmente per volere dello Stato sin dal 1 73 a.C. e quindi viene meno qualsiasi contingente risvolto populistico. 162 ARN os. Adv. nat. VII 33, 3 . -

1 53

-

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

ventù: et monet aetatis specie, dumfloreat, uti; contemni spinam, cum cecidere ro­ sae. 163 Quale miglior rappresentazione infatti del godimento dei piaceri se non l'ostentazione della nudità femminile, che venne ovviamente affidata alle prostitute, le sole a poter portare a termine il compito senza intaccare la propria reputazione, dal momento che la mercificazione del corpo era parte integrante della loro professione. 164 La preziosa testimonianza di Ter­ tulliano circa la presentazione e la promozione delle loro abilità deve essere inserita e intesa in relazione al clima della festa, che doveva appunto favori­ re il divertimento e il piacere dei sensi; con questo non si vuole negare che alla fine delle rappresentazioni teatrali le cortigiane potessero esercitare la loro arte sull'onda di quella sorta di 'pubblicità' appena ricevuta, che avreb­ be potuto assicurare loro un maggior numero di clienti, pur non avendo tale pratica nulla a che fare con il rito vero e proprio. 165 Anche le già citate lotte ricordate dallo scollaste di Giovenale che vede­ vano protagoniste le meretrici non dovevano essere prive di una considere­ vole componente erotica, riconducibile forse allo strapparsi delle vesti e al disvelamento - casuale o meno - di parti del corpo. D'altronde anche nella realtà le donne potevano partecipare agli scontri dell'arena, sia in qualità di gladiatrici che di cacciatrici, 166 e anche in questo caso non era trascurabile il carattere sensuale dello spettacolo, testimoniato sia da Giovenale che da un prezioso rilievo ritrovato ad Alicarnasso: nel primo caso si parla di una ve1 63 Ov. Fast. V 3 5 1 -354. 164 In tal modo diventa del tutto comprensibile il motivo per cui Ov. Fast. V 349-3 50 di­

chiara che la presenza delle prostitute durante i Floralia non è difficile da capire: la loro as­ sociazione con il piacere doveva essere immediata. Secondo SEGARRA CRESPO 2009, p. 1 12, la presenza delle meretrices trovava la sua giustificazione in quel clima di eccesso che caratterizza­ va la festa. Meno condivisibile l'idea di ricondurre le pratiche da loro svolte ancora una volta alla fertilità e alla sessualità femminile che, se correttamente incanalata e controllata, avrebbe dovuto generare 'frutti', ovvero figli: le fonti non evidenziano mai uno scopo 'generativo', ma al contrario pongono l'accento sul divertimento e sull'appagamento dei sensi. 1 65 Concordo in questo caso con BERNSTEIN 1 998, p. 222. Non mi sembra invece convin­ cente la spiegazione fornita da BoiiLS-jANSSEN 2010, pp. 1 1 3-1 14: la studiosa ha inteso i Floralia come un rito che aveva lo scopo di propiziare la fecondità della terra e quella umana. Ella ha inoltre sostenuto che la nudatio doveva favorire «le pouvoir de reproduction des hommes de la cité» e ha negato la presenza delle matrone tra il pubblico. Contro quest'ultima teoria si schiera già TERTULL. De spect. 1 7, 3-4; per quanto riguarda invece la prima, ritenere Flora una dea legata alla fertilità è già di per sé improprio (essendo ella preposta alla sola fioritura), estenderla addi­ rittura a quella umana - peraltro in mancanza di prove a sostegno - risulta ancor più azzardato. 1 66 Si è a conoscenza dell'esistenza di donne gladiatrici o lottatrici almeno a partire dall'e­ poca neroniana, benché non fosse una pratica così frequente: cfr. BRUNET 2014, pp. 479-484 e pp. 486-487 (per la rarità delle apparizioni); McCuLLOUGH 2008, in particolare pp. 1 99-200 (per le fonti) e pp. 207-208 (sulla rarità); BRIQUEL 1 992, in particolare pp. 48-49; .Aiuu G ONI 1 984, p. 876. McCuLLOUGH 2008, p. 198 ha ipotizzato che il fenomeno delle donne gladiatrici sia sorto intorno alla fine della Repubblica o nella prima età augustea. -

1 54

-

!. I

FLORALIA

natrix che combatte a seno nudo, mentre nel secondo sono raffigurate due gladiatrici a capo e petto scoperto. 16 7 Dal canto suo Marziale, rivolgendosi direttamente all'imperatore Tito, dichiara che non solo Marte lo intratte­ neva durante i giochi, ma anche la stessa Venere: 168 il poeta gioca con il nome delle due divinità per riferirsi alla presenza nei combattimenti sia di uomini che di donne, il cui collegamento con la dea dell'amore potrebbe forse dare prova della loro avvenenza. Nel caso dei ludi Florales, oltre alla componente erotica, uno degli scopi primari della lotta doveva comunque essere quello di divertire il pubblico tramite la messa in scena di una goffa parodia, rivolta in questo caso ai giochi gladiatori: nulla infatti era più ridi­ colo nella mentalità romana che vedere prostitute combattere fra loro. 169 Una volta esaminato il problema relativo alla presenza delle cortigiane durante i Floralia, dal mio punto di vista non è nemmeno trascurabile do­ mandarsi perché una festa istituita e celebrata con evidenti scopi agrari veda poi conferire una così grande importanza proprio alle prostitute, che al­ trettanto evidentemente nulla avevano a che fare con il lavoro dei campi. A questo proposito, si è per lungo tempo interpretata l'intera festa in onore di Flora come un rito mirato a garantire la fertilità della terra: ciò vale in modo particolare per la nudatio mimarum, considerata da André Piganiol come un mezzo per indurre un'azione stimolante sulla fecondità della natura trami­ te quella che egli ha definito «magie sympathique». 1 70 Uberto Pestalozza ha sostanzialmente concordato con lo studioso francese, ma ha sostenuto che in origine un gruppo di donne nude (non necessariamente prostitute) avrebbe danzato e cantato per i campi, dando così conferma che il più anti­ co rito dedicato alla dea era chiaramente agrario; con l'urbanizzazione del 1 67 l uv. I 22-23 (la cacciatrice affronta un cinghiale toscano). Per il rilievo cfr. BRUNET 20 14, p. 480 e fig. 32. 1 ; VoUT 2012, p. 250 e fig. 9; Ricci 2006, p. 97; ARRI GONI 1 984, p. 876 (e tav. 1). Il valore erotico della lotta tra donne è stato già sottolineato da BRIQUEL 1 992, p. 52. 1 68 MARTIAL. De spect. 6: Belliger invictis quod Mars tibi servit in armis, /non satis est, Caesar, servit et ipsa Venus. 1 69 Cfr. SABBATUCCI ( 1 988) 1 999, p. 1 86. BRUNET 201 4, pp. 485-486 ha Sottolineato come il reale combattimento di donne fosse tutt'altro che farsesco agli occhi dei Romani, che anzi erano affascinati dalle abilità delle guerriere (cfr. anche Ricci 2006, p. 95). Anche BRIQUEL 1 992, p. 50 ha dimostrato come la partecipazione delle donne nei giochi dell'arena non fosse conside­ rata di per sé negativa, mentre MEIJER (2003) 2004, p. 61 ha espresso parere opposto, ritenendo che gli appassionati dei ludi gladiatori non apprezzassero affatto le gladiatrici. Ne consegue che la messa in scena di lotte armate da parte delle prostitute durante i Floralia dovesse ve­ rosimilmente ridursi a una parodia dei ludi gladiatori. Come ha già sottolineato Ho�EK 1 988, pp. 1 3 7- 1 3 8, è arduo stabilire se i combattimenti facessero parte dello spettacolo teatrale oppu­ re fossero un evento a sé stante. A torto ALTHEIM 1 93 1 , p. 1 40 ha voluto intravvedere significati funebri anche nei giochi gladiatori messi in scena dalle meretrices. 1 70 PIGANIOL 1 923, p. 108. Sui limiti della teoria della «magia simpatetica» cfr. ARRIGONI 201 8b, p. 26.

-

1 55

-

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

culto di Flora, tale usanza venne in seguito trasferita in teatro e riservata alle meretrices. Lo storico delle religioni italiano ha spiegato il ricorso alla nudità sostenendo fermamente che gli antichi credevano nelle energie ma­ gico-religiose possedute dagli organi genitali, in particolar modo da quelli femminili, che avrebbero potuto trasmettere i loro presunti influssi benefici solo attraverso il completo disvelamento. 1 7 1 Anche Henri Le Bonniec ha seguito simili teorie, sostenendo che la nudità delle prostitute doveva essere un retaggio di antichi riti finalizzati a favorire la fecondità agraria. 1 72 Malgrado tali interpretazioni, legate al loro tempo, siano accettate e riprese ancora oggi da alcuni studiosi, 1 73 ricorrere al generico concetto di fertilità per spiegare ogni rito agrario celebrato nell'antichità non fa altro che aggirare il problema, evitando il tentativo di comprenderne al meglio i significati e le implicazioni più profonde : quale senso avrebbe · avuto l'i­ stituzione di un così ampio numero di feste (Fordicidia, Cerialia, Robigalia, Floralia, Ambarvalia ecc.) se il fine ultimo era il medesimo per tutte? Come si è già avuto modo di dimostrare, la peculiarità di Flora - e di conseguenza della sua festa - non era legata alla fecondità dei campi, bensì al corret­ to svolgersi della fioritura delle piante, cui dovevano far seguito la nascita del frutto e il conseguente abbondante raccolto. 1 74 Si è tuttavia osservato come , di pari passo all'ingentilimento dei costumi romani, la dea assuma caratteristiche sempre più connesse alla bellezza, alla leggiadria e alla raf­ finatezza: se anticamente ella doveva esercitare la sua funzione in modo particolare sulle piante eduli, in seguito sono quelle ornamentali a esserle maggiormente associate, a testimonianza del suo progressivo passaggio dalla sfera di Cerere a quella di Venere. 1 75 La massiccia presenza delle prostitute, vere e proprie protagoniste dei giochi di Flora, e il loro denudamento, peraltro messo in scena in un teatro appositamente allestito, non può aver in alcun modo favorito la fertilità dei campi attraverso presunti e quanto mai improbabili influssi magici, 176 ma risponde perfettamente all'esigenza di armonizzare le due componenti che caratterizzano la figura di Flora, aspetti mai in antitesi tra loro ma che al contrario corrispondono a due facce della stessa medaglia: in sostanza, 1 7 1 PESTALOZZA ( 1 933) 195 1 , p. 343 e nota 1 42. Cfr. anche HECKENBACH 1 9 1 1 , p. 6 1 . 1 7Z L E BONNIEC 1 958, p. 200. 1 73 Cfr. ad esempio ScHIMMENTI 20 10, pp. 233-234; PEREA YÉBENES 2004, p. 2 1 ; ScuLLARD

198 1 , p. 1 1 0. 1 74 Cfr. VARRO De re rust. I l, 6; Ov. Fast. V 327-328; PLIN. Nat. Hist. XVIII 286; LACT. Div. inst. I 20, 7; .ARNoB. Adv. nat. III 23 , 3 . m Per tutti i dettagli cfr. supra, pp. 57-58 . 1 76 Già BoiiLs-jANSSEN 20 10, p . 1 1 3 h a scartato questa ipotesi. -

1 56

-

L l

FLORALIA

durante la festa pubblica in onore della dea, ella veniva celebrata nella sua complessità. A questo punto sorge però un ulteriore problema, ovvero quello collegato all'introduzione delle pratiche licenziose affidate alle pro­ stitute: bisogna ritenerle parte integrante della celebrazione sin dalle sue origini oppure un'aggiunta posteriore, come sostenuto da Perea Yébenes, il quale ha proposto il I secolo a. C . come term.inus post quem.? 1 77 Personal­ mente, mi pare più corretto pensare a una messa in scena dei mimi almeno a partire dall'istituzione annuale della festa, quindi dal 1 73 a . C . (senza per questo escludere la possibilità che fossero già previsti per la celebrazione del 24 1 / 23 8 a . C . ) : 1 78 a sostegno di questa ipotesi giunge in soccorso il già citato exem.plum di Valerio Massimo, in cui la ripresa della nudatio dopo l'uscita di Catone viene esplicitamente definita priscum morem. iocorum, ov­ vero «antica usanza dei giochi». 1 79 Ciò potrebbe inoltre confermare come il progressivo avvicinamento di Flora alla sfera di Venere non debba essere fatto risalire agli ultimi decenni della Repubblica, ma piuttosto ai secoli precedenti (III-II secolo a.C .?). A conclusione di questa disamina, è necessario soffermarsi su una que­ stione sollevata da alcuni studiosi in merito alla natura stessa della dea: già Henri Le Bonniec la considerava «déesse des courtisanes», mentre più di recente Robert Turcan ha ritenuto che ella fosse «la divine patronne des prostituées», così come Sabino Perea Yébenes, il quale ha affermato che ella era «para todos, la diosa protectora de las prostitutas». 1 80 Tali considerazioni 1 77 Cfr. PEREA YÉBENES 2004, p. 4 1 , dove si ipotizza l'epoca sillana come spartiacque, ben­ ché a p. 20 lo studioso propenda per il decennio 59-50 a.C. WtsEMAN 1 999, p. 197 si è limitato a osservare come la nudatio delle prostitute dovesse essere pratica corrente almeno a partire dalla tarda Repubblica. 1 78 Cfr. Ctcu 1 988, p. 25 e p. 27. Cfr. anche FANTHAM 1 988-1 989, p. 1 55, la quale si è limi­ tata a considerare come i mimi dei ludi Flora/es siano stati inseriti nel programma ufficiale della festa nel 1 73 a.C. o in anni successivi. 1 79 VAL. MAX. II 10, 8. Dello stesso avviso PANAYOTAKIS 2006, p. 1 3 5 ; BERNSTEIN 1 998, p. 221 (il quale ha ipotizzato che durante i Floralia sia stato messo in scena un mimo intitolato Hetae­ ra, opera di Decimo Laberio: FF 66-67 Bonaria); LE BONNIEC 1958, p. ZOO; MERLIN 1 906, p. 1 94; FowLER 1 899, p. 93. MINGAZZINI 1 947, p. 1 6 1 , nota 3 ha invece considerato l'informazione di Valeria non sufficiente per confermare l'antichità dei mimi, negando anche la possibilità che il termine iocorum sia da ricondurre alla nudatio. A mio parere, non è invece da escludere che dietro il vocabolo utilizzato da Valeria possa nascondersi una sfumatura erotica prevista dai significati che poteva assumere la parola stessa (cfr. supra, p. 1 4 1 , nota 1 03), da intendersi in questo caso come rimando al denudamento. Cfr. anche SEN. Epist. 97, 8, dove si ricordano Florales iocos nudandarum meretricum. Eccessiva l'interpretazione di BoiiLs-jANSSEN 2010, p. 1 1 3, che ha considerato la nudatio una «pratique spontanée» addirittura precedente i giochi di Flora, entro cui fu istituzionalizzata. 1 80 LE BONNIEC 1958, p. 20 1 ; TuRCAN 1 998, p. 1 07; PEREA YÉBENES 2004, p. 2 1 . Cfr. anche CANALI - NOCCHI ZOI I , p. 9 1 ; NEWLANDS 1995, p. 1 07. Secondo ScuLLARD 1 98 1 , p. 1 10 e FowLER 1 899, p. 93, le prostitute avrebbero persino rivendicato per sé la festa di Flora.

-

157

-

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

sono forse eccessive, poiché la partecipazione delle meretrici ai riti di Flora è funzionale alle caratteristiche della dea e non implica alcun rapporto di tutela tra queste e la divinità. Non vi è dubbio che durante il periodo della celebrazione dei Floralia le prostitute avessero un ruolo fondamentale nel rendere i dovuti onori alla patrona della festa ma, conclusi i giochi, termi­ nava anche il loro legame: 1 8 1 Flora esorta sì a godere dei piaceri, ma è gene­ ralmente compito di Venere presiedere alla sessualità in tutte le sue forme. Non a caso il 23 aprile le prostitute partecipavano alla festa di Venere Ericina la quale, per ammissione dello stesso Ovidio, aveva il compito di proteggere la loro professione e di donare loro le migliori qualità per esercitarla. 182 Questa idea potrebbe però scontrarsi con una curiosa tradizione di stampo razionalistico l evemeristico che vede protagonista una meretrice di nome Flora: questa, arricchitasi grazie al proprio lavoro, aveva deciso di lasciare in eredità al popolo romano una cospicua somma di denaro, con la quale si sarebbero dovuti allestire giochi (che presero il nome di Floralia) per la celebrazione del suo dies natalis. 18 3 Secondo Paolina Mingazzini, questa Flora deve essere differenziata nettamente dalla dea: ella non era altro che la finanziatrice di quella parte dei ludi scaenici che prevedeva la presenza del­ le sue compagne e la conseguente nudatio mimarum. 184 Lo studioso si è di­ mostrato infatti fermamente convinto della verità del racconto, al contrario di quanto ritenuto da Wissowa, che lo ha inteso come un'invenzione creata ad hoc dai Romani per giustificare gli spettacoli licenziosi. 185 Tuttavia, se si accetta la teoria dell'archeologo italiano, si deve ammettere che essa solleva alcune problematiche che ne compromettono la veridicità: stando a quanto esposto, bisognerebbe riconoscere che la presenza e le azioni delle meretrici nei ludi Florales venne stabilita non in concomitanza con l'istituzione della festa, ma in un imprecisabile periodo successivo (necessariamente posterio­ re al 1 73 a.C . , data in cui venne stabilita la cadenza annuale dei Floralia), af­ fiancandosi alle pratiche preesistenti: dunque la nudatio non avrebbe avuto nulla a che fare con la dea, ma sarebbe stata soltanto un modo per ricordare e celebrare la ricca e magnanima prostituta scomparsa. 1 8 1 Senza per questo credere che, per tutta la durata della festa, esse venissero addirittura considerate sacerdotesse della dea, come sostenuto da PEREA YÉBENES 2004, p. 23. Tale bizzarra ipotesi è stata già scartata da BERNSTEIN 1 998, p. 222. 1 82 Ov. Fast. IV 865-868. Cfr. SABBATUCCI ( 1 988) 1999, p. 1 69; ScHILLING 1 954, pp. 260-26 1 . 1 83 Cfr. LACT. Div. inst. I 20, 6-7; MYTH. VAT. I I Suppl. BA 4 Kulcsar. 1 84 MINGAZZINI 1 947, in particolare pp. 155- 1 56; 1 60- 1 65 . 1 8 5 WISSOWA 1 909a, p . 2749; WISSOWA 1 9 1 22, pp. 1 97- 198. MINGAZZINI 1 947, p . 160 h a ag­ giunto anche Preller e Tabeling quali sostenitori di questa teoria, malgrado nei passi dei due studiosi citati non ve ne sia traccia.

-

158

-

l. I

FLORALIA

Tali considerazioni si scontrano inevitabilmente con quanto dichiarato dalle fonti, in particolare da Valerio Massimo, che come si è visto considera il denudamento un'antica abitudine, e da Ovidio, il quale menziona espli­ citamente la partecipazione delle cortigiane ai giochi in onore della dea Flora. Volendo dar credito a Mingazzini, ci sarebbe anche da domandarsi come mai il poeta non si sia avvalso della tradizione sulla Flora cortigiana, che avrebbe potuto facilitare il suç> compito, togliendolo dall'imbarazzo di dover giustificare la presenza delle meretrices all'interno di una festa pubbli­ ca. D'altra parte se esse avessero celebrato non la dea ma la sua omonima mortale, Ovidio ne avrebbe dato conto, scagionando così la divinità dal prediligere pratiche scabrose e licenziose; 1 8 6 al contrario egli preferì fare solo un breve accenno all'argomento senza scendere in particolari, che per la loro stessa natura sarebbero stati sconvenienti in rapporto al carattere dell'opera. Volendo seguire il ragionamento dello studioso, bisognerebbe ammettere che la vicenda della meretrice Flora andrebbe collocata crono­ logicamente almeno intorno alla seconda metà del II secolo a . C . o tutt'al più all'inizio del I a. C . ; tuttavia per avere la prima testimonianza al riguardo occorre attendere sino al III secolo d. C . , quando Minucio Felice ne fa velo­ ce accenno, 1 87 mentre risale solo all'inizio del IV secolo d. C . la narrazione completa riportata da Lattanzio nelle Divinae institutiones. 1 88 Questo mi porta ragionevolmente a considerarla un racconto inven­ tato piuttosto che un fatto realmente accaduto : 1 89 come giustificare altri­ menti il totale silenzio di tutti gli autori precedenti circa un episodio così curioso? Anche ammesso che Lattanzio non lo abbia creato ex novo ma lo abbia ricavato da fonti precedenti purtroppo sconosciute, mi domando se sia davvero possibile retrodatare tale tradizione di ben quattro o cin­ que secoli. A ciò si deve aggiungere il fatto che le uniche testimonianze al riguardo sono fornite da autori cristiani, 1 90 i quali avevano l'obiettivo di 1 8 6 A mio giudizio, non si può credere che Ovidio non conoscesse la storia della cortigia­ na Flora se fosse vero che non si trattava di un semplice racconto tradizionale ma di un fatto realmente accaduto, come sostenuto da Mingazzini. 1 8 7 MIN. FEL. 25, 8, che considera Flora e Acca Larentia addirittura veri e propri «morbi dei Romani», in quanto entrambe le divinità erano meretrici svergognate. 188 Lattanzio è solito adottare soluzioni di tipo evemeristico: cfr. Div. inst. I 1 7, 9· 1 0 (Afro­ dite di Pafo avrebbe inventato la prostituzione, notizia ricavata da ENN. Euhemerus F 12 Vahlen). 1 8 9 Già BERNSTEIN 1998, pp. 221 -222 ha negato il valore storico dell'episodio. Cfr. an­ che PORTE 1985, p. 364 («P. Mingazzini, et il est bien le seul, a ajouté foi à ce que nous ra­ conte Lactance!»); MuNDLE 1 969, p. 1 1 28 («[ . . ] die Quellen bieten fiir diese Hypothese keine Anhaltspunkte>>). 1 90 A mio parere è infondata l'ipotesi di WISEMAN 1 999, p. 20 1 , nota 9 (ripetuta in WISEMAN 2002, p. 294), secondo cui in Ov. Fast. V 1 9 1 - 1 92 (ipsa doce, quae sis. Hominum sententiafallax:! .

-

159

-

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

gettare discredito sui culti e sulle divinità pagane: per questo motivo essi sono concordi nel ritenere equivalenti la figura della dea Flora con quella dell'omonima prostituta, 1 9 1 ma in un carme attribuito a Claudiano (IV-V secolo d.C.) si legge ancora esplicitamente Flora venit. Quae Flora? Dea. 1 92 A mio giudizio, tenendo conto di tutte le considerazioni elencate, la tradi­ zione dal carattere chiaramente evemeristico sulla cortigiana Flora. deve essere sorta intorno al II-III secolo d. C . all'interno di circoli intellettuali di critica antipagana e modellata sul celebre esempio di Acca Larentia, la cui storia è sostanzialmente sovrapponibile. 1 93 Non vi è dubbio che i polemisti cristiani trovarono in Flora un facile bersaglio per dimostrare la perversio­ ne e la sconcezza dei culti romani: la presenza stessa delle prostitute e le pratiche indecenti da loro messe in scena dovevano favorire e supportare la convinzione secondo cui la dea fosse ella stessa una meretrice, attuando una traslazione quasi automatica tra la professione delle protagoniste della festa e la sua patrona. 194 Al di là di questa tradizione, le fonti testimoniano inequivocabilmente come alcune cortigiane abbiano adottato Flora quale 'nome d'arte': la più celebre è la bellissima amante del giovane Pompeo menzionata da Plutar­ co, ma anche Varrone e Giovenale documentano l'esistenza di prostitute di nome Flora, 1 95 così come avveniva anche in Grecia, dove sono attestate optima tu proprii nominis auctor eris) si nasconderebbe una velata allusione alla tradizione con­ cernente la prostituta Flora: i versi ovidiani devono essere infatti messi in relazione alla disputa circa il nome della dea (Chloris / Flora). C1cu 1 988, p. 30 ha messo in dubbio che tale tradizio­ ne sia nata in ambiente cristiano, sulla base del dato dello scoliaste di Giovenale; ciò tuttavia presuppone che quest'ultimo sia stato pagano, ma in realtà avrebbe potuto essere benissimo cristiano, considerando che gli scholia sono generalmente datati al IV secolo d.C. 1 9 1 Chiarissimo in tal senso LACT. Div. inst. I 20, 6-7. Oltre al già citato passo di MIN. FEL. 25, 8, cfr. anche Carmen contra Paganos 1 1 2 Bartalucci Anth. Lat. 4, 1 1 2 R! Anth. Lat. 3, 1 1 2 Shackleton Bailey; AMBROSIAST. Quaest. 1 1 4, 9; [CYPR.] Quod idola dii non sint 4; SCHOL. VET. luv. VI 250 Wessner. Tale tradizione rimane inalterata almeno sino ai tempi di Boccaccio che - trat­ tando di Flora - riporta la vicenda che la voleva prostituta, dandole credito: BoccACCIO, De mul. clar. 64, pp. 256-26 1 Zaccaria. 1 92 [CLAUD.] Carm. appendix 1 5 , 1 -2 Hall. 1 93 Le similitudini tra le due storie sono state sottolineate anche da MINGAZZINI 1 947, p. 1 54. Cfr. PRELLER 1 8813, p. 43 1 ; FowLER 1 899, p. 93 ; TABELING 1 932, pp. 54-55; RADKE 1 965, p. 130; PoRTE 1985, p. 364. Già secondo DuMÉZIL ( 1 974) 201 1 , p. 244, tale tradizione è tardiva. Anche secondo CoRDIER 2005, p. 2 1 9 le vicende della cortigiana Flora riflettono un punto di vista cristiano e forniscono una giustificazione eziologica alla presenza delle prostitute ai gio­ chi in onore della dea. 1 94 Anche Ho�EK 1988, p. 1 3 8 ha sottolineato come la tradizione di Flora prostituta fosse un mezzo con cui i cristiani combattevano il paganesimo. 1 95 Cfr. PLUT. Pomp. 2, 5-8 (la donna è ricordata anche dall'umanista quattrocentesco AN­ TONIUS BONFINIS, Symposion de virginitate et pudicitia coniugali I 229, p. 22 Apro); VARRO Sat. Me=

-

1 60

-

=

l. I FLORALIA

etere chiamate Antheia e Thalia. 1 96 Al riguardo, è necessario sgomberare il campo da possibili fraintendimenti: non vi è alcuna ragione di ravvi­ sare una relazione tra la dea della fioritura e le meretrici basandosi solo sull' omonimia. 1 97 L'assunzione di un simile nome è più che giustificata dal suo stesso significato, poiché c:Q.iamarsi «Flora-Antheia-Thalia» («la fio­ rente») aveva il chiaro scopo di richiamare alla mente quelli che sono per eccellenza simboli di bellezza, i fiori, con l'evidente intento di sottolineare l' avvenenza e il fascino delle donne di piacere, che come è naturale aspet­ tarsi dovevano giocare molto sul loro aspetto fisico e sull'essere attraenti e seducentU98 Non si deve però incorrere nell'errore di ritenere il nome «Flora» quale esclusiva prerogativa delle meretrices o comunque come un termine che avrebbe offerto un implicito suggerimento circa la professio­ ne esercitata da coloro che erano così chiamate ; anzi, al contrario, era un nome femminile piuttosto comune e diffuso non solo a Roma, ma anche nei territori assoggettati, come confermano centinaia di iscrizioni sepol­ crali. 1 99 Addirittura, alcune di queste fanno riferimento alle notevoli virtù delle donne defunte, spesso celebrate dai propri mariti: ecco dunque che Flora poteva essere coniunx optima pietate castitate incomparabilis, coniunx karissima, sanctissima o incomparabilis, uxor rarissima o piissima e ancora

rarum exemplum feminae. 200

nipp. 125 Cèbe (lo studioso - pp. 593-594 - non ha avuto dubbi nel riconoscere il personaggio come una prostituta. Inaccettabile la ricostruzione di PEREA YÉBENES 2004, p. 22, nota 67 e SEGARRA C RESPO 2009, p. 1 1 0, nota 69, che hanno collegato il frammento con la celebrazione dei Floralia); Iuv. II 49 (cfr. SCHOL. VET. Iuv. II 49, che dà conferma della professione). Cfr. anche A.P. V 1 32. Escluderei la possibilità che dietro la Flora di Epigr. Bob. 32 possa nascondersi una meretrice, dal momento che il poeta la invita ad abbandonarsi ai piaceri dell'amore finché ella è ancora in fiore; nel caso contrario, una simile esortazione sarebbe stata del tutto superflua. 1 96 Cfr. DEM. Contra Neaer. 19; ATHEN. XIII 586e e 592e; HARP. s. v. Jl vBew Keaney; Suo. s. v. Jl vBew. L'iscrizione «Thalia» compare accanto a un'etera su una kylix attica a figure rosse: cfr. CVA Deutschland XXI, pp. 12-16, tavv. 56-59; BEAZLEY 19632, p. 1 1 3 , n. 7. 1 97 C È BE 1 977, p. 593 ha invece preferito credere che l'assunzione del nome Flora fosse giustificato dalla tradizione che la considerava una cortigiana divinizzata e dalla presenza stes­ sa delle prostitute durante i ludi Florales. 1 9 8 D'altronde ancora oggi in italiano si usano espressioni quali «bella come un fiore» o «un fiore di ragazza». Non è comunque da escludere che la scelta di tale nome sia stata favorita dalla già citata presenza delle prostitute durante le celebrazioni in onore della dea. 1 99 Di seguito si riportano soltanto alcuni esempi provenienti da differenti località: CIL II, n. 6 1 59 (Spagna); CIL III, n. 1399 (Dacia); n. 3099 (Dalmazia); n. 5336 (Norico); n. 1 1 305 (Pan­ nonia); n. 1 1 923 (Rezia); CIL V, n. 1 628 (Aquileia); n. 5206 (Transpadana); n. 7392 (Tortona); CIL VI, nn. 7746; 28 1 92; 34904 (Roma); CIL VIII, n. 1 807 (Africa proconsolare); n. 6625 (Numi­ dia); n. 8605 (Mauretania); CIL X, n. 3004 (Pozzuoli); CIL XI, n. 2398 (Chiusi). zoo Cfr. CIL III, nn. 224; 2333; CIL VI, nn. 8620; 2253 1 ; CIL VIII, nn. 9293 ; 1 2702; CIL VI, n. 1 8930. -

161

-

S E Z I O N E II - IL C U LTO DI FLORA

ALTRI ASPETTI DELLA FESTA: VESTI, FIACCOLE,

VENATIONES E SPARSIONES

Le testimonianze a disposizione circa i Floralia non si esauriscono con la trattazione delle problematiche relative ai giochi teatrali e alla conse­ guente partecipazione delle prostitute, poiché Ovidio prosegue il suo dia­ logo con la dea offrendo così ulteriori preziose informazioni (vv. 3 5 5-3 76):

Cur tamen, ut dantur vestes Cerialibus albae, sic haec est cultu versicolore decens? An quia maturis albescit messis aristis, et color et species floribus omnis inest? Adnuit, et motis Jlores cecidere capillis, accidere in mensas ut rosa missa solet. Lumina restabant, quorum me causa latebat, cum sic errores abstulit illa meos: ((Vel quia purpureis conlucentfloribus agri, lumina sunt nostros visa decere dies; vel quia nec Jlos est hebeti nec fiamma colore, atque oculos in se splendor uterque trahit; vel quia deliciis nocturna licentia nostris convenit: a vero tertia causa venit>>. ((Est breve praeterea, de quo mihi quaerere restat, si liceat>> dixi: dixit et illa ((Licet>>. ((Cur tibi pro Libycis clauduntur rete leaenis imbelles capreae sollicitusque lepus?>>. Non sibi, respondit, silvas cessisse, sed hortos arvaque pugnaci non adeunda ferae. Omnia .finierat: tenues secessit in auras, mansit odor; posses scire fuisse deam. Perché tuttavia, come durante i Cerialia si indossano vesti bianche , così Flora si adorna con abbigliamento di vari colori? Forse perché la messe biancheggia di spighe mature , mentre ai fiori appartengono la bellezza e i colori di ogni genere?

Annuì , e caddero fiori dagli scossi capelli, come suole cadere la rosa sparsa sulle mense . Restavano le fiaccole, di cui mi sfuggiva la causa, quando ella così fugò i miei dubbi: «0 perché i campi risplendono di fiori purpurei, sembrò che le fiaccole fossero adatte alla mia festa; oppure perché né il fiore né la fiamma sono di spento colore, e l'uno e l' altro splendore attraggono a sé gli sguardi; oppure perché la notturna licenza si addice

-

1 62

-

l . I FLORALIA

ai nostri piaceri: il terzo motivo deriva dal vero».

«Vi è ancora una piccola cosa che mi resta da chiedere,

se è lecito» dissi: e lei disse «È lecito». «Perché per te invece di libiche leonesse si catturano con la rete inoffensive capre e timorose lepri?». Rispose che non le erano assegnate le selve, ma i giardini e i campi, dove non devono certo entrare belve feroci. Tutto si era concluso: svanì nell'aria leggera, ma restò il profumo; potevi capire che vi era stata una dea. (trad. di L . Canali, con alcune modifiche)

Il poeta continua la sua trattazione circa i Floralia soffermandosi sulla netta differenza di abbigliamento che caratterizzava la festa di Cerere, in cui era necessario utilizzare vesti bianche, 20 1 e quella di Flora, dove al con­ trario erano richiesti indumenti dai colori vivaci e sgargianti. La motivazio­ ne offerta da Ovidio per spiegare tale discrepanza ha più di un fondamento tanto che la dea stessa, nel contesto di questo gioco letterario, si limita ad annuire, dandone così conferma senza null' altro aggiungere, diversamente da quanto fatto nelle occasioni precedenti: 202 la varietà di colori era perfet­ tamente confacente alla dea protettrice dei fiori, la cui principale caratte­ ristica sta proprio nella ricchezza cromatica. 203 Tuttavia, simili vesti dove­ vano anche sottolineare una volta di più il carattere gioioso e festoso della celebrazione: dalla purezza della nivea vestis, adatta a una dea matronale e severa quale Cerere certamente era, 204 si doveva passare a quella versicolor, ben più adeguata a commemorare Flora, dea affascinante, delicata, amante del lusus e dei piaceri della vita. 205 Non a caso Marziale utilizza una similizo1 Sull'utilizzo della vestis alba durante i Cerialia cfr. Ov. Fast. IV 6 1 9-620. Il bianco era un colore adatto e gradito alla dea delle messi, poiché anche durante il Sacrum anniversarium Cereris le donne dovevano indossare una vestis candida (o nivea): cfr. Ov. Met. X 43 1 -432; VAL. MAX. I l, 1 5 . zoz Bizzarra l'osservazione di FOWLER 1 889, p . 9 5 , nota l , secondo cui Flora avrebbe ri­ sposto «doubtfully». zo3 Chiarissimo in tal senso Ov. Fast. V 221 -222. Cfr. SEGARRA CRESPO 2009, in particolare p. 1 1 3 . FAVRO 1999, p. 2 1 2 ha addirittura ipotizzato che i colori delle diverse varietà floreali pre­ senti sulle pendici dell'Aventino e del Palatino avrebbero costituito un variopinto rimando alle vesti sgargianti indossate dai partecipanti alla festa. zo4 Secondo LE BONNIEC 1958, pp. 41 9-420, le vesti bianche, oltre a simboleggiare la pu­ rezza rituale, avevano il compito di segnalare la gioia conseguente al ricongiungimento di Pro­ serpina con la madre. Lo studioso, seguendo l'interpretazione di Karl Mayer, non ha escluso la possibilità che il bianco implicasse anche un valore apotropaico contro le influenze negative (interpretazione questa oggi poco credibile). zos Cfr. anche PoRTE 1985, p. 477; LE BoNNIEC 1958, p. 20 1 .

- 1 63 -

S E Z I O N E II - IL C U LTO DI FLORA

tudine concernente l'abbigliamento per legittimare la sua poesia licenziosa e sarcastica: così come sarebbe stato incongruente indossare vesti severe durante i Floralia ed estendere l'utilizzo della casta stola (tipico indumento della matrona onorata) alle prostitute che vi prendevano parte, allo stes­ so modo sarebbe stato irragionevole eliminare la componente scherzosa e pungente dai suoi carmina iocosa.206 Bisogna però fare attenzione a non considerare l'adozione di vesti co­ lorate durante la festa di Flora come un rimando all'abbigliamento tipico delle meretrices: 207 come ha giustamente evidenziato Kelly Olson, le donne romane godevano di una notevole libertà per quanto riguardava gli indu­ menti da indossare e i relativi colori, che potevano essere di differenti to­ nalità; vi sono persino testimonianze di un utilizzo nella vita quotidiana di vestes jloridae e versicolores.20 8 Allo stesso modo, il guardaroba delle pro­ stitute era decisamente ampio e vario: al di là delle problematiche relative all'utilizzo della toga, testimoniato da alcuni autori tanto per le cortigiane quanto per le adultere e che probabilmente segnalava la loro immoralità, esse potevano indossare vesti riccamente elaborate, eleganti e seducenti (in cui i colori rivestivano certamente un ruolo importante nell'attrarre l'occhio di potenziali clienti, tanto che Seneca parla apertamente di colo­ res meretricii), 209 ma alcune di loro - verosimilmente quelle di livello più basso - utilizzavano abiti che lasciavano scoperte ampie parti del corpo. 2 1 0 Dunque, la varietà cromatica delle vesti non era necessariamente un espli­ cito segnale di dissolutezza morale o un segno distintivo delle sole prostitu­ te, tanto più che, nel caso specifico dei Floralia, gli abiti variopinti dovevano essere indossati da tutti i partecipanti, sia uomini che donne, come sugge­ risce Ovidio non facendo alcuna distinzione di sorta. 2 1 1 Non diversamente da quanto fatto per l' abbigliamento, il poeta si inter­ roga anche circa il motivo dell'impiego delle fiaccole durante la festa, senza però riuscire a darsi una risposta appropriata; 2 1 2 interviene quindi la dea, 206 MARTIAL. I 35, 8- 1 5 . Cfr. le medesime osservazioni in CITRONI 1975, p. 1 1 7. 20 7 Cfr. ad esempio PoRTE 1 985, p. 477, secondo cui le vesti colorate erano «le costume

ordinaire des courtisanes». 208 Cfr. 0LSON 2008, pp. 1 1 -14, dove viene segnalato anche un buon numero di fonti. 209 SEN. Nat. quaest. VII 3 1 , 2. Il filosofo critica la corruzione dei costumi dei suoi tempi, durante i quali gli uomini si erano a tal punto effeminati da indossare vesti colorate degne delle prostitute. 2 1 o Per tutti i dettagli circa l'abbigliamento delle prostitute si rimanda a 0LSON 2008, pp. 475 1 , dove viene affrontato anche il problema dell'impiego della toga: la studiosa, a mio avviso in maniera convincente, ha evidenziato come essa non fosse la veste distintiva delle cortigiane. 2 1 1 Cfr. Ov. Fast. 3 55-356. 2 1 2 [ CLAvo.] Carm. appendix 15, 3 Hall testimonia invece l'impiego di lucernae.

- 1 64 -

l. I

FLORALIA

la quale offre tre possibili spiegazioni al riguardo. Le prime due destano qualche perplessità, poiché la relazione instaurata tra i colori accesi dei fiori e quello delle fiamme e l'eventuale richiamo di queste ultime a prati fioriti non sembrano essere argomenti decisivi per giustificare la presenza delle fiaccole.213 Diverso invece il discorso relativo alla terza interpretazione, alla quale lo stesso Ovidio pare dare maggiore credito rispetto alle precedenti nel momento in cui afferma che a vero tertia causa venit. La dichiarazio­ ne concernente la stretta connessione tra la licenza notturna e i piaceri cari alla dea porta a immaginare che i festeggiamenti si protraessero sino a notte inoltrata, quando il buio poteva celare ciò che alla luce del giorno era sconveniente mostrare. A questo proposito, un passo di Diane Cassio potrebbe chiarire meglio il motivo dell'impiego delle fiaccole: lo storico ri­ porta un curioso episodio accaduto durante la celebrazione dei Floralia del 32 d. C . , quando il pretore Lucio Cesiano organizzò ludi scaenici sino a tarda notte. Per prendersi gioco dell'imperatore Tiberio, la cui calvizie era pale­ se, Cesiano si servì di uomini calvi e, per facilitare l'uscita degli spettatori dal teatro, decise di fare luce facendosi aiutare da ben cinquemila fanciulli con la testa rasata. Al di là dell'aneddoto, che si conclude con il perdono di Tiberio nei confronti dell'audace pretore,214 l'utilizzo delle fiaccole deve con tutta probabilità essere ricondotto non solo all'esigenza di illuminare le strade, ma anche a quella di contribuire ad aumentare il clima gioioso della festa. 21 5 In via del tutto ipotetica, si potrebbe immaginare che durante le ore notturne andasse in scena la tanto famigerata nudatio mimarum, la cui licenziosità avrebbe così trovato un'opportuna collocazione temporale.216 L'ultima richiesta di spiegazioni fatta da Ovidio riguarda la pratica di liberare nel Circo Massimo, al posto dei più consueti animali feroci, capre e lepri allo scopo di catturarle e ucciderle; con buona probabilità, queste venationes dovevano costituire l'intrattenimento dell'ultimo giorno dei gio­ chi e sono ricordate anche da Marziale. 21 7 Rivelatori sono gli aggettivi uti2 1 3 Già PORTE 1985, p. 3 1 8 ha espresso dubbi circa la reale fondatezza delle prime due

ipotesi. 2 1 4 DIO CASS. LVIII 19, 1 -2. m Cfr. in particolare [CLAuo.] Carm. appendix 1 5 , 3-4 Hall (Huius in adventum radiant de nocte lucernae; lnam nitet atque hilarat lumine cuncta suo). Cfr. PoRTE 1985, p. 3 19 (la quale ha escluso qualsiasi tipo di valore religioso); ScuLLARD 198 1 , p. 1 1 1 . CORDIER 2005, p. 2 1 7 ha inve­ ce preferito propendere per non meglio specificate processioni alla luce delle fiaccole, di cui tuttavia non si hanno notizie. 2 16 Già BERNSTEIN 1998, p. 223 ha avanzato una simile possibilità, quando ha fatto riferi­ mento a «nachtliche Mimen». 2 1 7 MARTIAL. VIII 67, 3-4 (il poeta utilizza il termine feras, da interpretare qui semplice­ mente come bestie quadrupedi: cfr. DSERV. Aen. Xl 571 : veteres enim omnes prope quadrupedes

-

1 65

-

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

lizzati da Ovidio per connotare questi animali quando definisce la capra pa­ cifica e la lepre timorosa: in particolare quest'ultima veniva comunemente cacciata, 2 1 8 ma non costituiva certo un trofeo di cui vantarsi. 2 1 9 Venendo quindi a mancare l' abituale contrapposizione tra la forza dell'uomo e quel­ la della fiera e il conseguente elemento spettacolare su cui si fondavano le venationes,22 0 bisogna trovare un' altra chiave di lettura per giustificare tale usanza. Proprio il fatto che queste prede siano inermi e inn o cue ne giustifica la presenza, poiché le cacce eseguite nel circo non dovevano pos­ sedere un carattere serio e impegnato, ma al contrario uniformarsi al clima scherzoso e leggero della festa, rientrando in quella stessa atmosfera farse­ sca che già caratterizzava i parodistici scontri gladiatori. 22 1 All'atmosfera allegra e divertente dovevano contribuire anche altre esibizioni di animali, come quelle organizzate dal futuro imperatore Galba (all'epoca pretore), che fece allestire durante i Floralia un nuovo genere di spettacolo i cui pro­ tagonisti erano nientemeno che elefanti funamboli.222 jo-Ann Shelton ha convincentemente dimostrato che il pachiderma era molto apprezzato dal pubblico per la sua caratteristica di intrattenere gli spettatori in vari modi: nel caso in esame, si tratta chiaramente di un'esibizione comica, poiché la gigantesca mole dell'elefante e la sua goffaggine, unite alle larghe orecchie e alla proboscide, dovevano farlo apparire ridicolo. 223

feras vocabant). Cfr. WISEMAN 1999, p. 197; BERNSTEIN 1998, p. 2 1 9 ; TURCAN 1 998, p. 107; FOWLER 1 899, p. 93. BERNSTEIN 1 998, pp. 2 1 3-2 1 4 ha espresso dubbi circa il fatto che le venationes fossero parte integrante della festa; dal mio punto di vista, non vedo il motivo di dubitarne. 2 l 8 A tal proposito, cfr. a titolo esemplificativo PLAUT. Capt. 1 84; VERG. Georg. I 307-308; III 409-4 10; PROP. III 13, 43; HoR. Carm. I 37, 1 7-20; Epod. II 35; Sat. I 2, 105- 1 06; MARTIAL. X 87, 17; XII 14, 1 -2 21 9 Lo conferma lo stesso Ov. Met. X 533-538 quando ritrae Venere, dea sicuramente non dedita a passatempi virili, intenta a dare la caccia ad animali non pericolosi - tra i quali è men­ zionata proprio la lepre - per compiacere e stare accanto all'amato Adone. Cfr. anche PROP. II 19, 23-24, dove il poeta prende le distanze dalla caccia pericolosa, non adatta alla sua indole, sostenendo di volersi cimentare solo con bestie innocue, tra cui cita la lepre: haec igitur mihi si t lepores audacia mollis excipere. MARTIAL. I 49, 6 si rivolge alla lepre definendola tenuis praeda. Le lepri erano considerate animali pavidi, poiché possedevano un cuore grande rispetto alle loro dimensioni, come ricorda anche PLIN. Nat. Hist. XI 1 83 . 22o Cfr. FAGAN 20 1 1 , pp. 1 26- 127 e p . 132. 221 Cfr. SABBATUCCI (1 988) 1 999, p. 186; WISSOWA 1 909b, p. 2750. 222 SvET. Galb. 6, 1: [ . . . ] praetor commissione ludorum Floralium novum spectaculi genus ele­ phantos fonambulos edidit. 22 3 SHELTON 2004, p. 369. La studiosa (in particolare pp. 364-366) ha sostenuto che l'elefan­ te simboleggiava alcuni dei più pericolosi nemici dello stato romano, come Pirro e soprattutto Annibale e i Cartaginesi: per questo motivo veniva impiegato anche nelle venationes vere e proprie. I casi in cui gli elefanti vennero portati nell'arena sono stati analizzati da SHELTON 2004, pp. 370-3 82. Cfr. anche EPPLET 20 14, p. 508; TOYNBEE 1973 , pp. 46-49; BALSDON 1 969, pp. 306307. Un'umana compassione verso i pachidermi è testimoniata da C1c. Epist. adfam. VII l , 3 . -

1 66

-

l . I FLORALIA

Tornando al passo dei Fasti, anche questa volta Flora giunge in soccor­ so del poeta offrendogli chiarimenti: in qualità di dea dei fiori e della fiori­ tura, ella non ha nulla a che fare con le selve, né con le fiere che le abitano; al contrario, ha cari i campi e i prati, e dunque le si confanno animali che risiedono in quei luoghi, come appunto la capra e la lepre. Infatti entrambe le specie facevano parte di quelle comunemente allevate nelle ville rustiche e nelle tenute di campagna, poiché il buon proprietario terriero non doveva solo occuparsi dei campi, ma farsi anche carico di allevare alcuni anima­ li particolarmente adatti al lavoro agrario o da cui trarre sostentamento e profitto, 224 essendo l'agricoltura e la pastorizia - per ammissione dello stesso Varrone - pratiche affini, pur avendo evidenti differenze.225 Se la presenza delle capre non desta alcuno stupore, altrettanto non si può dire per le lepri, oggi considerate animali selvatici; tuttavia, nell'antica Roma anch'esse venivano abitualmente allevate: addirittura dal loro nome de­ riva il termine che designa piccoli parchi recintati (leporaria) entro i quali originariamente venivano collocati solo alcuni esemplari di lepre, mentre successivamente vi trovarono posto anche cinghiali e capre.226 Malgrado Ovidio non si chieda perché durante le venationes dei ludi Florales venissero cacciate proprio capre e lepri, che non costituivano cer­ to gli unici animali da allevamento, ritengo comunque necessario inter­ rogarsi sulla ragione di tale consuetudine. Sin dall'Ottocento, gli studiosi che hanno affrontato la questione hanno di norma concordato nel ritenere entrambe le specie particolarmente feconde e prolifiche: esse avrebbero dunque rappresentato «the spirit of fertility», per dirla con William Warde Fowler, e avrebbero quindi simboleggiato la fertilità vegetale.227 Tuttavia, una simile interpretazione solleva più di un dubbio: innanzitutto, se è ef­ fettivamente comprovato che la lepre è un animale assai prolifico, tanto che può rimanere gravida anche appena dopo aver partorito o addirittura quando è ancora pregna (superfetazione),228 non altrettanto si può dire per

22 4 VARRO De re rust. II proem. 5 . 22; C fr. i n particolare VARRO D e re rust. I 2, 1 5· 1 6 . 226 Sui leporaria cfr. ivi, I I I 3, 2-3 ; I I I 3, 8; I I I 12, l ; CoLUM. I X praef Cfr. anche i l singolare

parco ricordato da VARRO De re rust. III 1 3 . Cfr. EPPLETI 2003 , p. 76; jENNISON ( 1 937) 2005, pp. 133-135. 22 7 FowLER 1 899, p. 94. Già PRELLER 1 88 1 3, p. 433 e HILD 1 896b, p. 1 1 90 avevano avanzato una simile interpretazione. Si sono uniformati e hanno accettato quanto proposto dagli studio­ si precedenti MERLIN 1 906, p. 1 9 1 , nota 5; AYMARD 195 1 , p. 77; LE BONNIEC 1 958, p. 200; 0GILVIE 1969, p. 83; FAUTH 1 978, p. 1 63 ; HARMON 1 978, p. 1464; ScuLLARD 198 1 , p. 1 1 1 ; PORTE 1 985, pp. 478-479; TURCAN 1998, p. 1 07; BERNSTEIN 1 998, p. 215; FAVRO 1999, p. 2 1 2; SEGARRA CRESPO 2009, pp. 1 1 1 - 1 1 2 (la quale ha assegnato alle prostitute il compito di effettuare le venationes). 228 Ne erano già consapevoli VARRO De re rust. III 12, 4; PLIN. Nat. Hist. VIII 2 1 9 . -

1 67

-

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

le capre.229 Inoltre, anche volendo dar credito a questa interpretazione, ri­ mane difficile capire la ragione per la quale si sarebbero dovuti cacciare animali che dovevano simboleggiare concetti positivi, spettacolarizzando la loro morte nel circo: se davvero essi erano il corrispettivo della fertilità agraria, perché eliminarli? Si rivela per certi aspetti ancor più infondata la teoria socio-politica espressa da janine Cels - Saint-Hilaire, secondo cui la contrapposizione tra bestie feroci e animali pacifici e tra la selva e il campo coltivato presente nei versi ovidiani altro non sarebbe che un'allusione alle due componenti della società romana: l'aristocrazia da una parte (bestie feroci e selva), la plebe dall' altra (animali da allevamento e lavoro agricolo) . Al tempo di Ovidio le lotte tra patrizi e plebei erano ormai giunte al termine e dunque i giochi di Flora avrebbero avuto lo scopo di integrare le diverse classi sociali della popolazione romana, riunite sotto l'egida di una dea plebea. 23 0 Va da sé che una simile ricostruzione non ha alcun elemento probante, ma al contrario risulta una forzatura interpretativa finalizzata alla continua ricerca di signi­ ficati politici anche là dove non ve ne è traccia.23 1 A mio avviso, è dunque necessario trovare spiegazioni più convincenti: a questo proposito, credo siano state sottovalutate alcune importanti ca­ ratteristiche dei due animali cacciati che potrebbero risolvere in maniera soddisfacente la questione . Ad esempio Varrone offre informazioni molto interessanti in merito all'indole della capra: trattando degli animali da alle­ vamento, l'antiquario ammonisce il contadino a non portare al pascolo le capre in zone in cui stanno germogliando i virgulti; la minaccia era tanto grave da dar vita alla consuetudine di inserire nei contratti di affitto del latifondo una clausola che vietava questa pratica. 232 Egli chiarisce meglio il significato della sua affermazione facendo notare che alcuni animali sono assai dannosi per le colture (inimicae ac veneno), in particolar modo proprio la capra, poiché divora avidamente i germogli e i frutti, 233 rovinando così irrimediabilmente le piante con la sua saliva corrosiva, mentre Plinio ag22 9 Stando a VARRO De re rust. II l , 19, le capre hanno un periodo di gestazione di cinque

mesi. 2 3 0 CELS - SAINT·HILAIRE 1 977, pp. 273·274. 2 3 1 Una critica alla teoria di Cels - Saint·Hilaire è stata già avanzata da PORTE 1 985, p. 479,

che ha giustamente osservato come: «Une interprétation sociologique d'un texte aussi limpide nous parait hors de propos». 2 3 2 VARRO De re rust. I 2, 1 7; II 3, 7. Cfr. anche LA GRECA 20 10, pp. 330-33 1 . In generale sulla capra cfr. ivi, in particolare pp. 324-334; TOYNBEE 1 973, pp. 1 64- 1 66. 2 33 Sulla voracità delle capre e sui conseguenti danni da queste provocati alla flora cfr. anche LA GRECA 20 10, p. 332. -

1 68

-

l. I

FLORALIA

giunge che il suo morso è letale anche per gli alberi e Virgilio ricorda capre e pecore tra gli animali che devastano i raccolti. 234 Anche la lepre, nonostante sia meno pericolosa rispetto alla capra, può causare ingenti danni alle coltivazioni, 235 come testimoniano alcuni episo­ di realmente accaduti nell'antichità. Sia Plinio che Strabone ricordano la grave calamità occorsa in Iberia e poi estesasi alle isole e sino al territorio di Marsiglia, quando un gran numero di lepri invase i campi e rovinò tanto le messi quanto la vegetazione rodendo le radici e i gambi delle piante, provocando così una terribile carestia: per ovviare alla crisi, gli abitanti di quelle zone inviarono un'ambasceria ai Romani per chiedere il permesso di emigrare, non potendo combattere contro una moltitudine così ampia.236 A questi eventi si aggiunge il racconto riportato da Igino che, trattando della costellazione della lepre, narra una curiosa leggenda propria dell'isola di Lero (nell'arcipelago del Dodecaneso ): in origine l'animale non era pre­ sente tra la fauna locale, ma un giovane ne portò un esemplare gravido da una terra straniera. Una volta dati alla luce i cuccioli, la popolazione si inva­ ghì perdutamente delle bestiole e per questo motivo comprò e allevò lepri in maniera smodata e quasi irrazionale, tanto che nel giro di poco tempo l'isola ne fu invasa. Dal momento che gli uomini non si preoccupavano più di dar loro da mangiare, le lepri si lanciarono voracemente sui campi colti­ vati e divorarono tutto il raccolto causando così la fame tra gli abitanti, che furono costretti a scacciare gli animali dall'isola.237 È stato inoltre proposto che le venationes (di qualsiasi genere e tipo) avrebbero favorito un sentimento di contrapposizione tra la comunità umana e gli animali ritenuti responsabili di procurare danni all'uomo o di consumare le risorse alimentari.238 La loro uccisione durante i giochi 2 34 VARRO De re rust. I 2, 1 8 ; II 3, 7; PuN. Nat. Hist. VIII 204; VERG. Georg. II 195- 1 96. Varro­ ne prosegue il suo discorso sostenendo che non a tutti gli dei è gradita !"offerta di una capra: se alcuni di loro vogliono vederla morire, dato !"odio che provano nei suoi confronti, altri la rifuggono completamente. È ad esempio il caso di Minerva, che detesta le capre poiché con il loro morso avrebbero reso infecondo !"olivo; per questo motivo ad Atene era proibito portare tale animale sull'Acropoli tranne che per sacrifìcarlo, dal momento che avrebbe potuto dan­ neggiare !"olivo sacro ad Atena (De re rust. I 2, 1 9-20. Cfr. PuN. Nat. Hist. VIII 204 ) . VERG. Bue. I 77-78 e II 64 testimonia la predilezione delle capre per il citiso in fiore: tale pianta era molto utile poiché favoriva l'aumento della massa grassa degli animali e la produzione di latte (cfr. COLUM. v 12, 1 ) . 2 35 Ad esempio, ancora oggi la lepre costituisce una minaccia per il frumento, non solo per­ ché consuma i germogli, ma anche perché può addirittura causarne la morte rodendone il gam­ bo: cfr. GIORDANI 1986, p. 1 76. Maggiori informazioni sulle lepri in ToYNBEE 1973 , pp. 200-202. 2 3 6 PLIN. Nat. Hist. VIII 2 1 7; STRAB. III 2, 6; 5 , 2. 2 37 HYG. De astr. II 33, 2. 2 3 8 Cfr. FAGAN 201 1 , p. 1 32; NEWMYER 20 1 1 , p. 93.

-

1 69

-

S E Z I O N E II - IL C U LTO DI FLORA

avrebbe dunque dimostrato e confermato la superiorità dell'uomo nei con­ fronti del mondo animale e la possibilità, attraverso l'aiuto divino, di far fronte ai possibili pericoli della natura. Jo-Ann Shelton ha ben sottolineato come gli spettatori non dovessero provare rimorso o compassione verso gli animali, poiché erano ritenuti a tutti gli effetti veri e propri 'nemici' ; la loro pubblica messa a morte era il prezzo da pagare per la minaccia che costitui­ vano nei riguardi della vita umana. 239 All a luce di queste considerazioni e delle testimonianze offerte dagli autori antichi, mi pare evidente la ragione alla base della caccia di capre e lepri durante i Floralia: essa deve essere con­ siderata una pratica 'punitivo-propiziatoria' connessa con l'indispensabile funzione agraria della dea che, rimanendo immutata nel corso del tempo, doveva necessariamente trovare spazio nella festa pubblica a lei dedicata, peraltro istituita proprio in seguito a una grave carestia e successivamente resa annuale a causa di ripetuti periodi di scarsità alimentare.240 I riferimenti alla sfera agraria dei Floralia non si esauriscono però con le venationes: malgrado Ovidio non ne faccia alcuna menzione, grazie a un passo di Persio si è a conoscenza della consuetudine da parte dei magistrati da poco eletti di gettare copiosamente ceci al popolo tumultuoso proprio durante la festa di Flora, mentre lo scollaste del poeta parla apertamen­ te di omnia semina.24 1 A questa notizia va con tutta probabilità aggiunta l'importante testimonianza offerta da alcuni versi di Orazio, il quale narra come Servio Oppidio, un ricco possidente, avesse diviso il proprio terreno in due poderi da lasciare in eredità ai figli. Ormai sul letto di morte, il padre ammonì i due ragazzi a non farsi sedurre dalla gloria e li costrinse a giurare solennemente di non diventare mai edili o pretori, pena la perdita dei diritti testamentari e la minaccia di attirare su di sé una maledizione . Il motivo di questa decisione all'apparenza tanto severa è spiegato poco dopo: secondo Oppidio, l'elezione alla carica pubblica avrebbe comportato lo sperpero dei 2 39 SHELTON 2004, p. 367 e p. 369. Tuttavia C 1 c. Epist. adfam. VII l , 3 critica l'uccisione di animali nell'arena. 2 40 FowLER 1 899, p. 94 aveva intuito il problema quando segnalava che lepri e capre era­ no specie erbivore, ma purtroppo non sviluppò ulteriormente la questione. Allo stesso modo BAYET ( 1 95 1 ) 197 1 , p. 97, rigettando le spiegazioni di Ovidio, considerate assurde, ha ritenuto che le cacce avessero lo scopo di prevenire il danneggiamento dei raccolti impedendo agli animali di brucare le piante; il limite della teoria dello studioso sta nell'aver attribuito una «fi­ guration magique» alle venationes dei Floralia. Infine, trattando delle cacce in generale, SHELTON 2004, pp. 366-367 ha giustamente evidenziato come in alcune occasioni festive venissero alle­ stiti spettacoli circensi in cui animali dannosi per la vita umana (la studiosa ha usato l'efficace termine ) venivano uccisi. 2 4 1 PERS. V 1 77- 1 79: ccVìgila et cicer ingere large rixanti populo, nostra ut Floralia possint aprici meminisse senes». Cfr. ScHOL. Pers. V 1 77, 2 Clausen-Zetzel.

- 1 70 -

l . I FLORALIA

beni familiari, utilizzati smodatamente per elargire nel circo ceci, fave e lupini, così da ottenere l'approvazione e il riconoscimento del popolo, che avrebbe sì celebrato il magistrato con una statua di bronzo, ma lo avrebbe al contempo portato a dilapidare il proprio capitale.242 Nonostante Ora­ zio non faccia alcun esplicito rimando ai Floralia, il contesto di riferimento deve essere ricondotto alla festa di Flora, come confermano anche i com­ mentatori del poeta, secondo i quali anticamente era usanza abituale per l'edile offrire sparsiones di legumi durante i ludi Florales.243 Dal momento che gli autori antichi testimoniano come tali pratiche avvenissero nel circo, bisogna supporre che esse fossero messe in atto du­ rante l'ultimo giorno dei giochi, quando il popolo si riuniva nel Circo Mas­ simo per assistere alle venationes. Non vi è dubbio che dietro questa usanza si celassero scopi politico-propagandistici, poiché essa doveva essere fina­ lizzata all' ottenimento di facili consensi che avrebbero favorito la scalata politica del magistrato da poco eletto, dalla cui munificenza - e dalla cui possibilità di spesa - dipendeva il favore popolare; 244 in questo caso la cari­ ca non può che coincidere con quella dell'organizzatore dei giochi, dunque in un primo tempo con l'edile e successivamente con il pretore. Tuttavia, come ha giustamente sottolineato Hugh Nibley, gli oggetti e i cibi general­ mente gettati durante le sparsiones (non solo quelle dei Floralia) dovevano possedere una loro propria simbologia, secondo lo studioso collegata in modo particolare alla fertilità e a benefici in generale.245 Anche in questo caso dunque, gli specialisti del settore hanno espresso opinioni concordi e, nel caso specifico dei giochi di Flora, hanno spesso interpretato tale pra­ tica come un ennesimo rimando alla volontà di favorire la fecondità, in particolare quella dei campi. 246 Questa lettura sembra in certo qual modo

24 2 HoR. Sat. II 3, 1 68-186. 2 43 Ps. AcRo Sat. II 3 , 1 82 (Antiquis temporibus haec dabantur ab his, qui ludos exhibebant. Haec

enim populo a magistratibus ludis Floralibus iactabantur. Antiqui aediles haec in Circo populis iacta­ bant); PoMP. PORPHYR. Sat. II 3, 1 82 (Antiqui aediles huius modi res populo Floralibus spargebant). 2 44 Cfr. NIKITINSKI 2002, p. 254. 2 45 Cfr. NIBLEY 1 945, p. 5 1 6. l Floralia non erano l'unica occasione in cui venivano eseguite distribuzioni: avvenivano ad esempio anche durante i Cerialia (dove venivano gettate noci. Cfr. SINNIUS CAPITO GRF F 16, p. 463 Funaioli; LE BoNNIEC 1 958, pp. 1 1 4-1 1 5). Sulle altre possibili circostanze cfr. NIBLEY 1 945, pp. 5 1 8-52 1 . 2 46 Cfr. FowLER 1 899, p. 9 4 (il quale aggiunse che durante le sparsiones era abitudine lan­ ciare anche medaglioni su cui erano raffigurate rappresentazioni oscene, di cui tuttavia non si hanno notizie per quanto riguarda i Floralia); NIBLEY 1 945, p. 5 1 7; LE BoNNIEC 1958, p. 200; 0GILVIE 1 969, p. 83 ; HARMON 1 978, p. 1464; SCULLARD 1 98 1 , p. 1 1 1 ; BERNSTEIN 1 998, p. 2 1 5 ; FAVRO 1 999, p . 2 1 2 . ALTHEIM 1 93 1 , pp. 135-137 h a bizzarramente preferito considerare l e distri­ buzioni come offerte per i morti. -

171

-

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

essere avvalorata dallo scollaste di Persia, il quale dà conferma del carattere agrario della festa e spiega la distribuzione degli alimenti come un'azione finalizzata a «placare la terra con i suoi stessi doni».247 Credo però ci si debba domandare il motivo dell'utilizzo del verbo p la­ care e della sua relazione con la terra e le sparsiones di legumi, considerati a tutti gli effetti .fruges: 248 tenendo conto dello stretto rapporto che inter­ corre tra i Floralia, la scarsità di derrate e la carestia, a mio giudizio le di­ stribuzioni alimentari non dovevano tanto promuovere genericamente la fertilità, quanto piuttosto propiziare la terra e la dea affinché garantissero il corretto sviluppo dei raccolti, scongiurando così possibili emergenze agra­ rie. In sostanza lanciare ceci, fave e lupini al popolo, oltre a costituire un dono gradito ai cittadini, poteva richiamare alla mente il superamento del periodo di crisi attraverso quei prodotti che venivano abitualmente con­ servati come scorta alimentare e consumati in modo particolare durante i periodi di carestia: 249 i legumi infatti garantivano il necessario nutrimento tramite l'abbondante apporto di proteine di cui sono ricchi (tanto da essere comunemente considerati sostituti vegetali della carne), venivano prodotti in gran quantità, erano facili da conservare senza subire danni ed erano un cibo umile, di immediata reperibilità e poco costoso.25 0 Le piante legumi­ nose erano inoltre molto utili all'agricoltore poiché costituivano un ferti­ lizzante naturale che arricchiva il terreno; 25 1 gli agronomi antichi insistono anche sulla lunga durata del periodo di fioritura di questi vegetali, fatto che potrebbe in qualche modo spiegare a fortiori il loro collegamento con Flora e la sua festa. 252 Quel che è certo è il valore fortemente simbolico e pratico 2 47 SCHOL. Pers. V 1 77, 2 Clausen-Zetzel: Hoc enim in ludis Floralibus inter cetera munera iactabatur, quoniam terrae ludos colebant et omnia semina super populum spargebant ut tellus velut muneribus suis placaretur. 2 4 8 Chiarissimo PLIN. Nat. Hist. XVIII 48. 2 49 Cfr. FLINT-HAMILTON 1 999, p. 382; GARNSEY ( 1 989) 1 997, p. 73 . 2so Stando a PuN. Nat. Hist. XVIII 60, il cece è pronto per la raccolta già dopo soli qua­ ranta giorni dalla semina. Cfr. FLINT-HAMILTON 1 999, p. 3 74. Soprattutto il lupino era assai poco costoso: cfr. CoLUM. II 1 0, l ; PLIN. Nat. Hist. XVIII 134- 1 3 5 . Dai legumi è anche possibile ottenere la farina (PLIN. Nat. Hist. XVIII 1 1 7 ricorda in particolare il lomentum, ricavato dalla fava); sulla facilità di conservazione cfr. VARRO De re rust. I 58; PuN. Nat. Hist. XVIII 307-308. Per la loro importanza nella cucina romana cfr. ANDRÉ 19812, pp. 34-4 1 ; FLINT-HAMILTON 1999, in particolare pp. 3 75-382. Circa i legumi quale cibo umile cfr. ad esempio HoR. Ars poet. 248-250; Sat. II 6, 63-64; 79-89; MARTIAL. I 4 1 , 5-6; 103 , lO; V 78, 2 1 -22. Cfr. anche ANDRÉ 198 1 2, pp. 48-49. m È questo ad esempio il caso della fava e del lupino: cfr. THEOPHR. Hist. plant. VIII 9, l ; CATo MAIOR De agr. 3 7 , 2 ; VARRO De re rust. I 2 3 , 3 ; CowM. I I 1 0 , l ; PuN. Nat. Hist. XVIII 1 20. Il cece costituisce l'eccezione poiché, essendo salato, brucia il terreno: CATo MAIOR De agr. 37, l ; PuN. Nat. Hist. XVIII 1 24. Cfr. FLJNT-HAMILTON 1999, p. 3 72. 2 5 2 Circa la durata della fioritura cfr. THEOPHR. Hist. plant. VIII 2, 5 ; De caus. plant. IV lO, l; PLIN. Nat. Hist. XVIII 59. Probabilmente non è un caso che Ovidio, nel suo excursus dedicato

-

1 72

-

l. I

FLORALIA

delle sparsiones compiute durante i Floralia, come dimostra un prezioso passo di Dione Cassio, che testimonia come intorno al 2 1 7 d.C. vennero effettuate in maniera discontinua tutte le elargizioni eseguite abitualmente dai pretori durante i giochi, con l'unica eccezione di quelle fatte in onore di Flora, che vennero mantenute.253 L'informazione fornita dallo storico greco suggerisce l'estrema importanza che la distribuzione dei legumi ri­ vestiva durante i ludi, non solo come strumento demagogico per ottenere il favore politico popolare, ma soprattutto come una pratica necessaria a onorare la dea in maniera adeguata e la cui mancata attuazione avrebbe potuto comportare il pericolo di danni ai raccolti. L'ultimo giorno dei Floralia doveva ragionevolmente concludersi con il sacrificio offerto alla dea, di cui purtroppo nessun autore antico ha fornito notizie; tuttavia, non credo sia azzardato affermare che esso doveva essere compiuto nel santuario aventino, anche se al momento non è possibile sta­ bilire né il tipo di offerte dedicate (cruente - le lepri e le capre cacciate - o incruente?) né colui che aveva il compito di celebrare il sacrum. Si potrebbe azzardare l'ipotesi che la partecipazione del jlamen Floralis fosse quantome­ no probabile, 254 malgrado non si possa decretare con sicurezza il ruolo da lui svolto, se quello di protagonista del sacrificio o di semplice assistente del magistrato nelle vesti di sacerdote, senza tuttavia dimenticare che quest'ul­ timo poteva rivestire contemporaneamente entrambe le cariche.255

a Flora, faccia preciso riferimento ai legumi (fave, vecce, lenticchie) e alla relativa fioritura: Ov. Fast. V 267-268. 2 53 DIO CASS. LXXIX 22, l . 2 54 Dello stesso avviso ScHEID - GRANINO CECERE 1999, p. 89: «Il n'est pas audacieux de supposer que !es flamines respectifs [scii. delle feste pubbliche] trouvaient l'occasion, pendant ces fètes, de paraitre en public et à la piace d'honneur, et notamment lors des jeux>>. Ancora più sicura FAVRO 1 999, pp. 2 1 1 -2 1 2, la quale ha ritenuto che i!jlamen presiedesse al sacrificio. m Circa la possibilità che i jlamines potessero accedere alle cariche magistratuali cfr. VANGGAARD 1988, pp. 59-62.

- 1 73 -

2 QUESTIONI APERTE LEGATE AL CULTO DI FLORA

IL FLORIFERTUM:

UN RITO IN ONORE DI

FLORA?

Se da un lato si è a conoscenza di un buon numero di informazioni re­ lative ai Floralia e al loro svolgimento, dall'altro non si può dire altrettanto per quanto riguarda il culto precedente tale festa, benché Flora dovesse essere certamente venerata prima dell'istituzione dei suoi ludi. Esiste però una breve notizia ricordata da un criptico e problematico lemma di Pesto in cui si fa menzione di un rito denominato Florifertum, relativamente al quale il lessicografo sostiene che Florifertum dictum, quod eo die spicae feruntur ad sacrarium: 1 la pratica consisteva dunque nel portare spighe a un non me­ glio specificato sacrario. Il passo del grammatico latino è l'unica fonte an­ tica in proposito; solo un'ulteriore glossa riportata nel Glossario di Carolus Labbaeus (pubblicato postumo nel 1 6 79) riporta la seguente equivalenza: Florifertum, à.v8ocpopia. 2 Va da sé che l'esiguità sia quantitativa che qualita­ tiva delle fonti a disposizione rende assai difficoltoso qualsivoglia tentativo di interpretazione e di ragionamento; tuttavia, tali ostacoli non hanno sco­ raggiato alcuni studiosi (non molti, per la verità) , i quali hanno cercato di analizzare i problemi sollevati dal lemma di Pesto, fornendo al contempo alcune ipotesi esegetiche . Il primo a studiare la questione è stato Georg Wissowa, che si è giu­ stamente posto il problema circa la divinità che doveva presiedere a tale pratica: a questo proposito ha suggerito di integrare il dato di Pesto aggiun­ gendo il genitivo Florae dopo sacrarium, collegando in tal modo Flora con il rito, considerato il più antico culto riservato alla dea, celebrato intorno alla fine di aprile o all'inizio di maggio (in seguito sostituito dai Floralia) e ' FEST. s. v. Florifertum, p. 8 1 Lindsay. z Cyrilli, Philoxeni aliorumque veterum authorum glossaria Latino-Graeca a Carolo Labbaeo col­

lecta, s. v. Florifertum, p. 76.

-

1 75

-

S E Z I O N E Il - IL C U LTO DI FLORA

non segnalato sui calendari poiché conceptivus.3 Lo studioso però, ritenen­ do giustamente che la presenza del quod sottintendesse una spiegazione etimologica, ha creduto che il termine fertum che compare nel nome della festa dovesse essere messo in relazione col sostantivo fertum o ferctum, indi­ cante una sorta di torta o focaccia che veniva consacrata agli dei: Florifertum sarebbe dunque letteralmente «un'offerta a Flora».4 La teoria di Wissowa è stata oggetto di critica da parte di Louis Delat­ te , il quale ha sostenuto che fertum non debba essere tanto ricondotto al sostantivo, quanto più al verbo fero: egli ha affermato che la presenza del quod è sì perfettamente comprensibile se collegata alla spiegazione del ter­ mine Florifertum, che però secondo lui non presuppone un legame etimo­ logico con Flora, bensì con jlos. Avvalendosi di queste considerazioni, lo studioso è pervenuto alla conclusione secondo cui il Florifertum consistesse nell'offerta di spighe in fiore (in armonia anche con la glossa riportata da Labbaeus), usanza da mettere in relazione al fatto che il delicato periodo della fioritura delle spighe dei cereali doveva godere di una particolare tu­ tela; 5 tuttavia, rimane irrisolta la questione inerente al destinatario di tale sacrificio. Delatte ha escluso Flora sostenendo l'improbabilità che venisse­ ro celebrate due feste - il Florifertum e i Floralia - finalizzate all' ottenimento dello stesso scopo, per di più collocate nel medesimo lasso temporale, e ha escluso che la prima sia stata sostituita dalla seconda, poiché l'uso del tempo presente in Pesto presuppone che la pratica fosse ancora vigente all'epoca in cui visse l'autore.6 Per risolvere il problema della divinità destinataria, Delatte ha quindi concentrato la propria attenzione sul non meglio specificato sacrarium ri­ cordato dal lessicografo: dopo aver osservato come tale termine designas­ se generalmente piccoli santuari domestici, in particolare quelli riservati ai Lari, oppure un luogo all'interno di un santuario in cui erano riposti gli oggetti sacri, lo studioso si è schierato a favore della prima possibilità per quanto riguarda quello del Florifertum. Egli infatti, pur riconoscendo la pre­ senza all'interno della Regia di un importante sacrarium dedicato a Ops Con­ siva e pur ritenendo ammissibile che a questa dea - caratterizzata da chiare funzioni agrarie - potessero essere dedicate spighe in fiore, non ha ritenuto sufficienti le prove a sostegno del fatto che l'indeterminatezza del sacrarium

3 Anche MERLIN 1 906, p. 1 88 ha ritenuto che il rito fosse riservato a Flora. 4 WISSOWA 1 9 1 22, p. 198 e nota 7. ALTHEIM 1 93 1 , p. 133 ha considerato valide le conclusioni di Wissowa. Non pare convincente la tesi di WAGENVOORT ( 1 960) 1 980, p. 145, il quale ha invece

sostenuto che il termine corretto del lemma fosse originariamente Floriferium. ; DELATTE 1 936, pp. 400-40 1 . 6 lvi, p. 402. -

1 76

-

2. Q U E S T I O N I A P E RTE LEGATE AL C U LTO DI FLORA

menzionato da Festa suggerisca implicitamente di identificarlo con quello regio, considerato il sacrario per eccellenza. Al contrario, la mancata speci­ ficazione è stata letta da Delatte come un possibile indizio in favore del rico­ noscimento dei larari domestici, cui ben si adattava l'utilizzo di un termine generico; a conclusione del suo ragionamento, egli ha sottolineato come anche i Lari fossero considerati protettori del raccolto e spesso ricevessero come offerte corone floreali o mazzi di spighe: tanto sarebbe bastato per ritenere verosimile che il Florifertum fosse un rito loro riservato. 7 Dal canto suo, Henri Le Bonniec ha riconosciuto la validità di più di un'osservazione espressa da Delatte, in particolare quella relativa al tra­ sporto di spighe in fiore quale atto caratterizzante il Florifertum, a discapito della vecchia interpretazione fornita da Wissowa circa l'offerta di torte o focacce . Egli tuttavia si è dimostrato concorde con l'illustre studioso tede­ sco sul fatto che Flora fosse la destinataria di tale pratica, che doveva costi­ tuire l'antico rito italico e che non venne affatto soppresso con l'istituzione dei Floralia. 8 Le Bonniec non ha inoltre giudicato valide le considerazioni formulate da Delatte in merito all'individuazione del sacrarium e ha reputa­ to «surprenante» la conclusione cui questi è pervenuto circa la connessione tra la festa e i Lari; per tale motivo, egli ha ritenuto più corretto interpre­ tare il vocabolo come un implicito rimando all'antico santuario di Flora collocato sul Quirinale, da intendersi come modesto sacello.9 Più di recente, la questione del Florifertum è stata riesaminata da Aldo Prosdocimi, il quale ha recuperato e riconsiderato alcune ipotesi formulate dagli studiosi precedenti: dopo aver scartato le teorie elaborate da Wissowa e aver concordato con Delatte circa il tipo di pratica messa in atto durante il Florifertum (ovvero il trasporto di spighe in fiore) e circa l'inesistenza di qualsiasi tipo di relazione tra il rito e Flora, ha sottolineato che il periodo di fioritura delle spighe doveva coincidere grossomodo con il momento in cui veniva preparata la mola salsa, da lui collocato poco prima della metà di maggio. 10 In base a queste premesse, Prosdocimi è giunto alla formulazio­ ne di due ipotesi: la prima (definita minor) considera le spicae menzionate da Festa appartenenti al medesimo «ciclo ideologico» della realizzazione della mola, sebbene non siano quelle destinate a essere macinate, poiché il

7 lvi, pp. 402-404. s Cfr. anche VAN DoREN 1 958, p. 4 1 , che ha ritenuto Flora la destinataria del rito. Secondo

MuLRYAN 201 1 , p. 2 1 9, il Florifertum era invece compreso all'interno delle pratiche dei Floralia. 9 LE BoNNIEC 1958, pp. 197- 1 99. Cfr. le medesime considerazioni in GJERSTAD 1 973 , p. 237 e in POUTHIER 1 98 1 , p. 1 54. to Lo studioso è giunto a tale conclusione basandosi sull'interpretazione di DSERV. Bue. VIII 82 e ritenendo le spicae ivi nominate come spighe in fiore.

- 1 77 -

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

Florifertum sarebbe stato una festa conceptiva a differenza della preparazione della mola, eseguita in tre periodi dell'anno prestabiliti. La seconda ipotesi (definita maior), cui il linguista italiano ha dato più credito, ribalta la prece­ dente in quanto prospetta una sorta di equivalenza tra il trasporto di spighe in fiore al sacrario e la preparazione della farina, azioni considerate due facce della stessa medaglia: in sostanza, il Florifertum non deve essere inteso come una festa vera e propria, ma semplicemente come il «nome tecnico della operazione o di una operazione della confezione della mola»Y Lo studioso si è dunque concentrato sul problema del riconoscimento del sa­ crario e della sua conseguente attribuzione alla divinità patrona del rito : a tal proposito, egli ha recuperato le teorie espresse da Delatte, pervenendo tuttavia alla conclusione opposta. Prosdocimi ha scartato la possibilità di interpretare il sacrario come il larario domestico poiché, se si desse credito a questa ipotesi, nel testo sarebbe stato verosimilmente inserito il vocabolo al plurale (sacraria), più adatto a indicare gli altari dei Lari presenti nelle singole dimore. Egli ha quindi dedotto che il sacrarium non può essere che quello di Ops Consiva, dea in stretto rapporto con le Vestali (responsabili della preparazione della mola salsa), l'unico a essere tanto importante da non necessitare di alcuna specificazione. 1 2 Alla luce delle teorie appena riportate, non sembra possibile pervenire a una soluzione soddisfacente circa la divinità destinataria del Florifertum (che pure, almeno agli occhi di un antico romano, doveva essere eviden­ te), dal momento che gli studiosi hanno espresso opinioni difformi e non di rado contrastanti. Fermo restando che per noi moderni la natura delle informazioni fornite da Festa è estremamente vaga e rende possibile la for­ mulazione di svariate interpretazioni basate più sulle personali convinzioni dei singoli studiosi che su dati concreti (peraltro oggettivamente mancan­ ti), vale comunque la pena di soffermarsi a ragionare su quel poco che si ha a disposizione, al fine di formulare un'ipotesi esegetica circa l'esistenza di un eventuale legame tra Flora e il Florifertum. Innanzitutto, credo che si debba porre quale punto fermo l'acuta os­ servazione di Delatte, peraltro accettata dalla totalità degli studiosi suc­ cessivi, in merito alla natura dell'offerta: essa doveva essere costituita da spighe in fiore, possibile spiegazione anche per giustificare il nome stesso del rito, che sembra presupporre la presenza dell'elemento floreale. A que-

' ' PRosoociMI 20 1 5 , in particolare pp. 1 085-1 086. Egli aveva già espresso le proprie opi­ nioni in merito al Florifertum una ventina di anni prima (cfr. PROSDOCIMI 1 99 1 , pp. 1 3 1 0- 1 3 1 5 , ripubblicato poco dopo i n PROSDOCIMI 1996, pp. 62 1 -627), m a h a poi recuperato il proprio lavo­ ro nella pubblicazione più recente, cui si è fatto riferimento. 1 2 PROSDOCIMI 20 1 5 , p. 1 087 e p. 1 090. -

1 78

-

2. QUESTIONI A P E RTE L EGATE AL C U LTO DI FLORA

sto proposito, non mi pare però convincente l'ipotesi che assegna ai Lari la paternità della festa poiché, se è vero che potevano essere loro destinate offerte vegetali, esse consistevano appunto o in corone di fiori o in mazzi di spighe, mentre non si è a conoscenza di dediche di spighe in fiore. A ciò si aggiunge la più che fondata considerazione espressa da Prosdocimi in merito all'utilizzo della forma al singolare del termine sacrarium, che deve riferirsi con tutta probabilità a un singolo edificio. Al contrario, trovo meno condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il linguista italiano e in particolare quella che presuppone Ops Consiva quale destinataria del rito. Egli infatti è partito da una premessa a mio modo di vedere difficilmente sostenibile, ovvero quella che mette in relazione il Florifertum con la prepa­ razione della mola sulla base della sola coincidenza calendariale: 1 3 non era infatti così raro che i Romani celebrassero contemporaneamente feste di natura assai diversa e riservate a divinità che poco avevano a che fare l'una con l'altra, come dimostra il caso della stessa Flora, durante la cui festa cadevano i sacra destinati a Bona Dea e ai Lares Praestites. D'altro canto, l'idea di Prosdomici presuppone che le spicae menzionate da Pesto siano quelle di farro, da cui i Romani ottenevano la mola salsa: 1 4 benché ciò sia certamente possibile, bisogna ammettere che data la man­ canza di specificazioni nel testo vi è la stessa probabilità che si tratti di un qualsiasi altro cereale, come ad esempio il frumento o l'orzo, il che implica la conseguente perdita di credito della 'teoria della mola' . Anche il fatto che si faccia riferimento all'impiego di spighe in fiore (e quindi prive di grani) per l' ottenimento della farina suscita più che giustificate perplessità, che lo studioso ha cercato di superare ipotizzando la natura 'rituale' di tale prassi, da contrapporre a quella 'reale' messa in atto tre volte l'anno da parte delle Vestali: 1 5 in sostanza la mola del Florifertum non avrebbe avuto nessun utiliz­ zo fattuale. 16 Personalmente ho difficoltà ad accettare una simile spiegazio1 3 A tal proposito, DSERV. Bue. VIII 82 sostiene che tra le none e subito prima delle idi di maggio le tre Vestali Massime a giorni alterni dovevano porre nelle ceste per la mietitura spi­ ghe di farro, che non devono intendersi in fiore (come fatto da PROSDOCIMI 20 1 5 , pp. 1 072- 1 074) semplicemente perché in quel periodo avveniva la fioritura dei cereali, ma devono considerarsi a mio avviso spighe conservate dopo la mietitura dell'anno precedente (conservazione attesta­ ta ad esempio da VARRo De re rust. I 63 e dai Fornacalia, festa che cadeva in febbraio e che pre­ vedeva la torrefazione del farro, evidentemente quello raccolto l'anno precedente e preservato sino a quella data. Cfr. anche SABBATUCCI ( 1 988) 1 999, pp. 73-74); quelle stesse spighe infatti erano utilizzate dalle Vestali per ottenere la farina. 1 4 Cfr. ad esempio FEST. s. v. Mola, p. 124 Lindsay; PuN. Nat. Hist. XVIII 7; DSERV. Bue. VIII 82. 1 5 Stando a DSERV. Bue. VIII 82, durante i Lupercalia, i Vestalia e alle idi di settembre. 1 6 Lo studioso ha espresso tali considerazioni nella «Postilla 2000 a 1991 mola»: cfr. PRo­ sooCIMI 20 1 5 , pp. 1 092- 1 094.

-

1 79

-

S E Z I O N E I I - IL C U LTO DI FLORA

ne, che mi pare eccessivamente artificiosa e contorta, dal momento che non vedo la necessità di sdoppiare la pratica della realizzazione della farina ritua­ le; peraltro Prosdocimi non ha nemmeno dato conto dello scopo ultimo del Florifertum e quindi della ragione che starebbe alla base della sua istituzione. Il problema verte sul tipo di beneficio che si sarebbe dovuto ottenere una volta celebrata l'offerta per la destinataria del rito che, secondo il suo ragio­ namento, coincide con Ops Consiva: che cosa doveva favorire o proteggere questa dea? Bisogna forse immaginare in maniera del tutto congetturale che sotto la sua tutela venisse garantita la corretta fioritura delle spighe, cosa assai poco probabile visto che tale funzione era svolta da Flora? 1 7 A mio parere, una simile teoria presenta troppe variabili e troppe in­ certezze, che sfociano inevitabilmente in altre e ancor più complicate pro­ blematiche, alle quali non si riesce a dare risposta. Per questo motivo, mi sembra decisamente più condivisibile l'ipotesi sviluppata da Wissowa e Le Bonniec circa il riconoscimento di Flora quale divinità cui doveva essere dedicato il Florifertum, tanto più se si tiene conto dell'ormai acclarato ca­ rattere agrario della dea: si ricorderà infatti che ella era preposta alla tutela della fioritura delle piante eduli, in particolare dei cereali e soprattutto del frumento. 18 Quale offerta migliore infatti di spighe in fiore per colei che sovrintende al corretto processo dell'antesi? 1 9 Né si può condividere l'obie­ zione mossa da Delatte, secondo cui a un'unica dea non potevano essere dedicate due feste sostanzialmente identiche (il Florifertum e i Floralia), poi­ ché lo studioso non ha intuito come esse fossero profondamente differenti nella finalità, dal momento che la prima aveva come scopo la tutela dei soli cereali, mentre la seconda era estesa alla totalità delle piante e dei fiori, in conformità ai cambiamenti occorsi alla figura della dea. 20 1 7 Il carattere agrario di Ops è evidente sin dal suo stesso nome ma, stando alla disamina condotta da PoUTHIER 1 9 8 1 , p. 7 1 , Ops Consiva «a bien en charge l'abondance et la prospérité des grains nourriciers» e ancora (p. 1 05) «protectrice du grain abondant ainsi accumulé»; dun­ que ha poco a che fare con la fioritura. Per tutti i particolari concernenti questa divinità, la cui festa cadeva il 25 agosto, cfr. PoUTHIER 198 1 , pp. 60-79 e pp. 1 02- 1 1 3 . 1 s VARRO D e re rust. I l , 6; AucusT. D e ci v. D ei I V 8; ARNos. Adv. nat. I I I 2 3 , 3 ; LACT. Di v. inst. I 20, 7; Corp. gloss. Lat. VI, s. v. Flora, p. 457 Goetz. Per tutti i dettagli cfr. supra, pp. 2 1 -23. 1 9 Anche 0ELATTE 1 936, p. 402 ha riconosciuto Flora come una dea adatta a ricevere l'of­ ferta del Florifertum, malgrado alla fine abbia scartato l'eventualità che ella ne fosse la destina­ taria. Non mi pare condivisibile l'opinione di LATTE 1960, p. 37, nota 4, secondo cui l'assegna­ zione del rito a Flora è arbitraria, poiché potrebbe essere attribuito anche a Cerere: infatti, alla dea delle messi sarebbe stata più confacente l'offerta delle.fruges , quindi di spighe mature o in maturazione. zo Una critica all'idea di Delatte è già presente in LE BoNNIEC 1958, p. 1 99, basata tuttavia solo sul fatto che il Florifertum sarebbe stato il rito più antico della Flora italica, mentre i Floralia sarebbero stati la celebrazione ellenizzata in onore della dea.

-

1 80

-

2. Q U E S T I O N I A P E RTE L EGATE AL C U LTO DI FLORA

Quanto all'individuazione del sacrarium, personalmente ritengo che questo debba appartenere alla divinità destinataria del rito, peraltro non precisata da Pesto. A mio modo di vedere, la mancata specificazione non può essere presa come un indizio probante del fatto che l'autore abbia vo­ luto necessariamente alludere al sacrario per eccellenza, ovvero quello si­ tuato nella Regia, come proposto da Prosdocimi. Al contrario, se si accetta la tesi che individua in Flora la possibile divinità cui il sacrum era dedicato, è perfettamente comprensibile la mancata segnalazione dell'appartenenza del sacrario, poiché va da sé che agli occhi di un Romano sarebbe stata su­ perfluaP Circa l'ubicazione del sacrarium stesso, credo che possano essere avanzate due ipotesi: la prima, già segnalata da Marcel Van Doren, prevede una sua possibile collocazione all'interno del santuario aventino di Flora, mentre la seconda, espressa da Henri Le Bonniec, fa coincidere il sacrario con l'antico tempietto l sacello della dea sul Quirinale. 22 Ora, stante il fatto che la notizia relativa al Florifertum è considerata molto antica dallo stesso Van Doren, sorge qualche dubbio circa la possi­ bilità che il rito venisse offi.ciato nel santuario aventino, edificato nel 24 1 o 238 a. C . , il che presuppone al contempo l'istituzione di tale cerimonia all'incirca negli stessi anni. Si è già osservato come questa data corrisponda con certezza all'introduzione dei Floralia, mentre nulla è dato sapere in merito a quella del Florifertum, la cui natura semplice e rustica fa però pen­ sare che si tratti di un rito molto antico. L'esistenza di un piccolo santuario di Flora sul Quirinale, risalente con tutta probabilità all'epoca arcaica (VI secolo a.C .?), suggerisce che sia questo il luogo di celebrazione dell'offer­ ta delle spighe in fiore; tuttavia il sacrario non deve tanto coincidere con il tempio stesso (peraltro probabilmente assai modesto), 2 3 quanto con un luogo non meglio definito in cui venivano conservati gli oggetti sacri alla

21 Di simile avviso anche VAN DoREN 1958, p. 41 e LE BoNNIEC 1958, p. 1 99, nota 3, il quale ha però basato il proprio ragionamento sull'etimologia di Florifertum, che ha ritenuto suffi· dente per escludere qualsiasi possibile fraintendimento. Per quanto riguarda l'integrazione del testo proposta da Wissowa, mi trovo d'accordo con PROSDOCIMI 20 1 5 , pp. 1086· 1 087 nello scartare l'eventualità che Pesto o Paolo Diacono abbiano eliminato in maniera arbitraria il ge­ nitivo Florae dalla versione originale di Verrio Fiacco. Alle osservazioni di Prosdocimi devono aggiungersi quelle avanzate da VAN DoREN 1958, p. 42 il quale, dopo aver rifiutato la proposta esegetico-integrativa di Wissowa, ha sottolineato come la notizia riportata da Pesto sia stata con tutta probabilità tratta dai libri pontifìcali, consultati da Verrio e da altri eruditi. Dando credito a questa ipotesi, a mio avviso è ancora più evidente l'inutilità di aggiungere ulteriori specificazioni, ritenute superflue da parte dei pontefici. 22 Cfr. ivi, p. 41 (lo studioso ha però sottolineato come «> . 75 L'idea è di Mommsen: cfr. CON WAY 1 897, p. 62, n. 46. 76 Ibid. n

n

- 191 -

S EZI O N E II- IL C U LTO DI FLORA

re (anche solo ipoteticamente) il tipo di pratiche svolte e la loro finalità. Dall'esame della documentazione epigrafica, si può comunque affermare con buona probabilità che Flora doveva godere di un certo prestigio all'in­ terno del culto locale, poiché sono state ritrovate in loco più iscrizioni su cui è riportato il nome della dea, purtroppo senza ulteriori specificazioni. 77 Un caso per certi aspetti eccezionale è costituito da una serie di cippi iscritti, ritrovati nel 1 962 durante una prima sessione di scavi presso l'asilo comunale di Banzi (l'antica Bantia), località lucana in provincia di Potenza. Su uno di questi compare l'iscrizione abbreviata dell'o sco jlus[ai o ae], che deve ancora una volta essere messa in connessione con Flusa/ Flora; tale fatto è degno di nota, in quanto costituisce l'unico caso certo di utilizzo della lingua indigena tra i cippi rinvenuti nel santuario. 78 Poiché i reperti dell'area sacra sono stati datati all'inizio del I secolo a.C./9 periodo in cui l'egemonia romana in quei territori era da lungo tempo consolidata, ci si sarebbe ragionevolmente aspettati di ritrovare il nome latino della dea. A questo proposito, Mario Torelli ha giustificato tale oschismo affermando che Bantia doveva possedere lo statuto di municipium e, in quanto tale, po­ teva godere di una certa autonomia non solo in ambito amministrativo ma anche religioso. 80 Tuttavia, la particolarità del cippo in esame sta nel fatto che - come dimostrato dallo stesso Torelli - esso faceva parte di un templum augurale o auguraculum (ovvero il luogo in cui venivano presi gli auspici) di cui, in­ sieme agli altri, delimitava i confini. 81 Spiegare il motivo per il quale la dea della fioritura compaia tra le divinità dell'area santuariale non è cosa sem­ plice: Torelli ha innanzitutto ipotizzato che la ragione fosse da ricondurre al grande prestigio che ella doveva rivestire all'interno del pantheon loca­ le, 82 osservazione che, essendo purtroppo di carattere generale e indefinito e quindi valida per qualunque divinità presente sui cippi, non costituisce una spiegazione soddisfacente. Lo studioso ha però sviluppato ulteriori 77 CIL l'V, nn. 7073 ; 8840. In un"altra iscrizione compare il termine FL]oralis (purtroppo la sezione è assai lacunosa, fatto che rende difficile formulare ipotesi circa la sua funzione): sull'epigrafe cfr. CAMODECA 1 999, pp. 8 1-83 , n. 24. Per altre possibili iscrizioni relative a Flora trovate a Pompei (per lo più dubbie), cfr. ADAMS 2007, pp. 73-74. Un'ulteriore epigrafe (CIL IV, n. 7988e) potrebbe testimoniare l'allestimento degli spettacoli teatrali da parte del collegio degli Augustales in occasione dei Floralia: cfr. PocE ITI 20 17, p. 236. 78 Cfr. OIOSONO 2009a, p. 1 37. 79 Così ToRELLI 1 966, p. 295; 0IOSONO 2009a, p. 137. 80 TORELLI 1 966, p. 308. 8 1 Cfr. ivi, pp. 293-295 . Per tutti i dettagli sul templum di Bantia si rimanda ivi, in particola­ re pp. 296-3 1 5; Go iTARELLI 2003 , in particolare pp. 1 40- 142. sz Cfr. ToRELLI 1 966, p. 308.

-

192

-

2. QUEST I O N I APERTE LEGATE AL C U LTO DI FLORA

considerazioni, basandosi su un passo di Marziano Capella (IV-V secolo d. C . ) sulla suddivisione delle regioni del cielo e sul cosiddetto 'fegato di Piacenza' (un modello bronzeo di fegato di pecora con iscrizioni etrusche, usato dai sacerdoti aruspici per le divinazioni).83 Avvalendosi del fatto che in entrambi i documenti compaiono divinità legate alla terra, Torelli ha attuato una sorta di automatismo implicito rivendicando per Flusa / Flora la stessa caratteristica e considerandola alla stregua di Tellus, aggiungendo infine che ciò avrebbe trovato corrispondenza in un passo di Varrone circa gli dei magni. 84 Tuttavia, a mio modo di vedere, la teoria dell'archeologo risulta quan­ tomeno azzardata: infatti in nessuna delle fonti da lui utilizzate compare mai il nome di Flora, fatto che mina alla base il castello di supposizioni costruito dallo studioso; anche la presunta sovrapposizione tra la dea della fioritura e Tellus non trova alcun possibile riscontro tra i dati pervenuti, stante la totale inesistenza di testimonianze al riguardo. È dunque prefe­ ribile procedere con molta cautela, poiché la ricerca di motivazioni che giustifichino la presenza di Flusa nell'augu.raculum di Bantia è attualmente destinata a scontrarsi con la mancanza di informazioni sul ruolo svolto dalla dea, senza per questo negare il fatto che l'impiego del cippo a lei rela­ tivo doveva essere sostenuto da valide ragioni, con la logica conseguenza che anche la dea stessa doveva essere funzionale alle finalità dell'area sacra. Se si fosse a conoscenza delle effettive sfere di competenza della divinità asco-sannita, oltre a quella ormai assodata di protettrice della fioritura, si potrebbero forse avanzare ipotesi esegetiche meno speculative . In mancan­ za di ciò, basare le proprie teorie su una sorta di equivalenza tra la Flora romana e la Flusa locale può indurre a deduzioni ingannevoli, poiché in tal caso non si terrebbe conto delle specificità che potevano caratterizzare le divinità di ogni singola popolazione . Un altro importante reperto è costituito da un frammento di coppa a vernice nera, datato tra la fine del III e l'inizio del II secolo a.C. e prove­ niente dal tempio di Villa San Silvestro (frazione di Cascia in provincia di Perugia), sul quale compare l'iscrizione anch'essa frammentaria[- - -]mi Flo r[ - -j.85 Al di là delle numerose ipotesi di ricostruzione del testo, che ne­ cessariamente non conducono a nulla di certo, mi sembra che la soluzione più probabile sia quella di collegarlo a Flora, poiché la posizione dell'iscri-

83 MART. CAP. I 45-62. Sul 'fegato di Piacenza' cfr. RacCHI 1 993, in particolare pp. 20·25 (lista degli dei per zona ). 84 VARRO De !ing. Lat. V 58. Cfr. TORELLI 1 966, pp. 309·3 10. 85 DIOSONO 2009a, p . 137, n . 28. '

'

- 193 -

S EZIO N E I I - IL C U LTO DI FLORA

zione all'interno del vaso suggerisce l'idea di una dedica sacra.86 Allo stesso modo, il luogo di ritrovamento consente di considerare il recipiente come un'offerta destinata alla dea, evidentemente venerata all'interno del san­ tuario (probabilmente dedicato a Ercole),87 dato questo assai prezioso ma non certo sorprendente se si considera che il templum era situato ai confini del territorio sabino: Flora faceva infatti parte del pantheon delle popolazio­ ni stanziate in quell'area. 88 È comunque degno di nota il fatto che il tempio venne edificato dai Ro­ mani poco dopo la conquista della Sabina, avvenuta intorno al 290 a.C. ,89 in un luogo in cui non sorgevano strutture templari precedenti: a questo proposito, Francesca Diosono ha ipotizzato che il santuario avesse almeno in parte lo scopo di favorire il controllo e la gestione del territorio da poco assoggettato, oltre alle evidenti motivazioni di carattere religioso.90 Oggi è ormai assodata l'idea secondo cui la creazione di un'area sacra doveva rispondere a precise finalità non solo cultuali, ma anche identitarie: in so­ stanza, l'edificazione ex nova di un templum doveva contribuire ad affermare l'identità della popolazione indigena. Il fatto che i Romani abbiano deci­ so di dedicare la nuova aedes a Ercole, divinità ben nota anche ai Sabini,91 mira con tutta probabilità a rispettare le tradizioni e i culti locali, tra i quali quello di Flora, che poteva dunque legittimamente trovare il suo spazio all'interno del santuario: 92 il tempio di Villa San Silvestro potrebbe dunque dare conferma della volontà da parte di Roma di favorire l'integrazione, anche cultuale, tra le popolazioni locali e i nuovi coloni, accomunati dalla venerazione per le medesime divinità. Dello stesso avviso ivi, p. 1 3 7, alla quale si rimanda anche per le teorie ricostruttive. Il ritrovamento di un frammento di braccio dalla muscolatura imponente, che doveva far parte di una colossale statua di culto (circa tale reperto cfr. l'analisi di DIOSONO 2009b, p. 1 34, n. 1 7), ha indotto i responsabili degli scavi a interpretare la figura come Ercole: cfr. CO ARELLI - DIOSONO 2009, p. 67; DIOSONO 2009c, p. 1 5 . 88 S u Flora e i Sabini cfr. supra, pp. 3-20. 89 Cfr. CO ARELLI - DIOSONO 2009, p. 60. 90 DIOSONO 20 1 6, p. 249. La stessa studiosa (p. 259) ha concluso il suo ragionamento soste­ nendo che il santuario in esame aveva la funzione di «materializzare con il linguaggio del sacro un centro amministrativo di riferimento che permettesse di mantenere il contatto politico, cul­ turale e amministrativo tra la colonia viritana e l'Urbs e costituisse un elemento di mediazione tra i coloni e la popolazione locale». 9I Cfr. DIOSONO 2009c, p. 15; DIOSONO 20 1 6, p. 256. 92 Diosono (ivi, pp. 256-259) ha messo bene in evidenza il valore assegnato a Ercole nel più ampio panorama delle esigenze espansionistiche di Roma: attraverso il suo culto e la creazione di un suo santuario, i Romani avrebbero potuto affermare non solo il proprio ruolo egemonico sul territorio, ma anche creare un luogo di incontro per le comunità locali, al fine di favorire gli scambi commerciali e l'integrazione . 86 87

-

194

-

2. QU E S T I O N I APERTE LEGATE AL C U LTO DI FLORA

Almeno in epoca imperiale, il culto di Flora doveva essere praticato anche fuori dall'Italia, come testimonia incontrovertibilmente un' epigra­ fe proveniente da Costantina (Cirta), in Numidia: datata al II secolo d.C . , l'iscrizione commemora u n certo Quadratus Baebianus Vindex (personag­ gio che ricopri più cariche politiche nella città) cui, tra le altre cose, spettò il merito di finanziare personalmente l'allestimento dei ludi Florales.93 Il do­ cumento dimostra dunque come la festa in onore della dea fosse celebrata anche nelle province dell'impero e bisogna immaginare che non si disco­ stasse in maniera significativa dai Floralia romani. Per certi aspetti simile è un'iscrizione onorifica (seconda metà del II secolo d. C . ) ritrovata a Pesa­ ro, dove si commemora tale Titus Ancharius Priscus, illustre personaggio che rivestì numerose magistrature nella città e che per la sua munificenza si meritò la dedica di una biga nonché i favori della plebe; in occasione dell'inaugurazione del monumento, il figlio Titus Ancharius Priscianus si fece carico di onorare il padre attraverso uno spettacolo di gladiatori e una legitima venatio. Tra gli atti di evergetismo compiuti da Titus Ancharius Priscus - che organizzò per otto volte giochi gladiatori - sono ricordati anche gli ancor più numerosi allestimenti dei ludi Florales.94 Si dispone di un'ulteriore attestazione della celebrazione della festa in onore di Flora ad Alba Fucens (nel Sannio), dove una stele ricorda un certo Lucius Septimius Philadespotus, cui si rende omaggio per i suoi meriti e per l'organizzazione dei Floralia.95 Ben più problematica, ma da un certo punto di vista anche più affasci­ nante, si rivela un'ulteriore iscrizione proveniente da Mogontiacum (l' odier­ na Mainz, in Germania) e databile allo stesso periodo della precedente (Il secolo d.C.). Il testo è purtroppo gravemente danneggiato e frammentario, fatto che infida non poco la sua corretta interpretazione: di certo doveva trattarsi di un'epigrafe dedicatoria (vi compare infatti il termine sacr[u]m), in cui si fa chiara menzione del dedicante (tale Gaius Sextius Felix), mentre del nome del destinatario sono sopravvissute soltanto poche lettere, inte93 CIL VIII, n. 6958 : T(ito) Anchario T(iti)j(ilio) Pal(atina) Prisco l aedi!(i) quaest(ori) Ilvir(o) l quaest(ori) alimentorum l huic primo Ilvir(o) biga posita l ob eximias liberalitates et l abundantissi­ mas in exemplum largitiones l et quod ex indulgentia Aug(usti) octies l spectaculum gladiator(ium) ediderit l amplius ludos Florales l ob haec merita plebs urbana l cuius dedicatione l T(itus) Ancharius Priscianus .filius l aedilis quaestor adsedente l patre gladiatorum paria decem ad[i]ecta l venatione legitima edidit l l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum). 94 CIL XI, n. 63 57. Cfr. PETRACCIA LuCERNONI 1 988, pp. 2 1 3-2 1 4, n. 322; GREGORI 1 989, pp. 34-3 5, n. 15. 95 CIL IX, n. 3947: L(ucio) Septimio l Philadespoltd (d=o) pro suis l meritis et l Floralibus cipp(us) l p(ositus).

- 195 -

SEZI O N E II- IL C U LTO DI FLORA

grate generalmente con Fl]or(a)e .96 Se la ricostruzione si rivelasse esatta, si sarebbe in presenza di una sicura dedica a Flora; tuttavia, ben più difficile è stabilire ciò che le era stato offerto in dono. Le ipotesi più probabili sembra­ no essere sostanzialmente due: è possibile che l'iscrizione fosse posta su un altare della dea oppure segnalasse la dedica di una sua statua, e in tal caso l'epigrafe costituirebbe parte della base. Al momento i dati di cui si è in pos­ sesso non consentono di andare oltre simili supposizioni, ma l'eventualità dell'attestazione di un culto di Flora nella Germania Superiore è certamente degna di considerazione. All' iscrizione appena analizzata se ne deve aggiun­ gere un'altra proveniente dalle Isole Brioni (all'epoca territorio della Regio X, oggi in Croazia) e databile sempre al II secolo d.C . , dove si ricorda come un certo Marcus Aurelius Iustus abbia dedicato la stele a Flora - cui qui viene aggiunto l'epiteto Augusta- in adempimento a un precedente voto.97 Merita infine di essere presa in esame una questione piuttosto intricata e oscura concernente l'interpretazione della cosiddetta ara cerei e il rito relativo, per i quali sono stati proposti legami di vario tipo con Flora. Il problema nasce dal ritrovamento di una serie di iscrizioni provenienti da alcune località dell'Mrica del Nord (Algeria e Libia), tutte databili in un pe­ riodo di circa sessant'anni (dal 198 al 259 d. C.): in esse si fa menzione della consacrazione di un particolare altare (definito per l'appunto ara cerei), a eccezione di un caso in cui si fa riferimento semplicemente a una dedica.98 Innanzitutto, è necessario soffermarsi sui punti fermi e grossomodo comu­ ni a tutte le epigrafi: come ha ben sottolineato René Rebuffat, la principa­ le divinità invocata è Giove Ottimo Massimo, cui in un caso si aggiungono Giunone, Minerva (formando così la triade capitolina), Marte e Vittoria Augusta. La consacrazione dell'ara, la cui responsabilità ricadeva sull' eserci­ to (più precisamente su una vexillatio), era finalizzata a favorire (pro salute) l'imperatore e la sua famiglia; colui al quale era riservato il compito di sovrintendere alla cerimonia era il centurione (in un caso il decurione), ma gli autori effettivi del rito erano gli stessi soldati. In merito alla consecratio dell'altare, nulla viene specificato oltre all'og­ getto stesso e ciò induce a immaginare - come suggerito dallo stesso Re­ buffat - che l'espressione utilizzata fosse all'epoca chiara e inequivocabile, 96

CIL XIII, n. 6673 : ------](f) l [Fl]or(a)e(?) sacrl[u]m G(aius) Sextius l [F]elix in suo l[[[------]]] l

l(ibens) [l(aetus)] m(erito). 97 AE 1983, n. 425: Flor(a)e l Aug(ustae) l M(arcus) Aure(lius) l Iustus l v(ivus) l(ibens) s(olvit) v(otum) l l(aetus) [---]Jrecit). Cfr. anche CIL XI, n. 5022 (Il secolo d.C., da Bevagna, in Umbria): Florae l sacr(um) l C(aius) Caesius Her l mes. 98 Cfr. REBUFFAT 1982, p. 9 1 1. Per il testo completo delle iscrizioni si rimanda ivi,

pp. 9 12-9 13 .

- 196 -

2. QUESTIONI APERTE LEGATE AL C U LTO DI FLORA

malgrado non si possa dire lo stesso per noi moderni.99 Oggi si è concordi nel tradurre il termine ara cerei con «altare del cero»; 1 00 in che cosa esso consistesse è invece più difficile da stabilire, dal momento che una sola tra le epigrafi rinvenute (quella proveniente da Menaa, in Algeria) è stata rico­ nosciuta con certezza come altare . 1 0 1 Le ipotesi ricostruttive al riguardo si restringono sostanzialmente a due possibilità: la prima prevede che i bloc­ chi di pietra su cui compaiono le iscrizioni non fossero are vere e proprie ma, se poste su specifici piedistalli, avrebbero potuto svolgerne la funzione; in questo caso il cero sarebbe stato collocato sulla parte superiore della ste­ le (purtroppo mancante in tutti gli esemplari) . La seconda invece presuppo­ ne che le epigrafi e l' ara cerei siano due elementi ben distinti l'uno dall'altro e dunque considera le prime come semplici iscrizioni commemorative. 1 02 Sin qui dunque tutto quello che è dato sapere circa questa insolita ceri­ monia; a questo punto però, rimane ancora da esaminare il possibile colle­ gamento tra il rito e Flora: che cosa avrebbe a che fare la dea con quanto fin qui esposto? A una prima disamina, la risposta più ragionevole sembrereb­ be essere poco o nulla; tuttavia i testi epigrafici concordano nel collocare la consacrazione dell' ara cerei cinque giorni prima delle none di maggio, ovvero il 3 del mese, 1 0 3 data che coincideva con la giornata conclusiva dei Floralia. 1 04 Al riguardo, René Rebuffat ha cercato di trovare una spiegazio­ ne che potesse rendere conto della contemporaneità dei riti: egli ha fatto ricorso a un passo dei Fasti di Ovidio, dove il poeta ricorda Flora quale divinità da cui dipende la produzione del miele. 1 0 5 Partendo dunque dal presupposto che ella era la «déesse du miel et cles abeilles», lo studioso ha concluso il suo ragionamento osservando che la dea doveva sovrintendere anche alla creazione della cera: la consacrazione dell'ara cerei il 3 maggio sarebbe quindi stata un'operazione perfettamente pertinente con l'ultimo giorno della festa a lei dedicata. 1 06 A mio giudizio, le conclusioni cui è pervenuto l'archeologo francese sono condivisibili, sebbene altrettanto non si possa dire per i dati portati a 99

Cfr. ivi, pp. 9 1 4-9 1 5 . Sull'ara cerei cfr. anche CooLE Y 20 1 2, pp. 280-28 1 . Cfr. REsuFFAT 1 982, pp. 9 1 5-9 1 6 . 1 0 1 Cfr. ivi, p . 9 1 7. L o studioso h a evidenziato che l'epigrafe d i Menaiì. è l'unica in cui non compare l'espressione ara cerei, ma il testo è riconducibile con buona certezza a tale cerimonia. 10Z Cfr. ivi, p. 9 1 8. Lo studioso ha anche ipotizzato che, dando credito alla seconda ipotesi, l'altare stesso fosse composto da materiale deperibile o combustibile . 1 0 3 Cfr. ivi, p . 9 1 1 . 1 04 Aveva già notato la coincidenza PICARD 1 944, p. 1 5 1 . 1 05 Ov. Fast. V 27 1 -272. 1 06 REsuFFAT 1 982, p. 9 1 6 . Cfr. anche CooLEY 20 12, pp. 280-28 1 . 1 oo

-

197

-

SEZI O N E II- IL C U LTO DI FLORA

supporto: il passo di Ovidio, incentrato interamente sul miele, non mi pare una testimonianza probante al fine di tracciare un collegamento diretto tra Flora e la cera. Nondimeno, si è già avuto modo di osservare come la connessione tra la dea della fioritura e la sostanza prodotta dalle api sia incontrovertibilmente confermata da un carme (dall'emblematico titolo De cereo) attribuito a Claudiano, dove le viene indirizzata una preghiera affinché favorisca l' ottenimento di alba cera. 1 0 7 Dal mio punto di vista, è però necessario differenziare nettamente la celebrazione dei Floralia dalla consacrazione dell' ara cerei: il loro rapporto doveva esaurirsi con la sola coincidenza calendariale, di certo non casuale ma riconducibile al fatto che Flora, tramite la sua funzione di protettrice dei fiori e quindi indiretta­ mente della produzione della cera, avrebbe garantito la materia prima per officiare il rito. D'altronde, come dimostra l'assenza del suo nome tra le divinità invocate, la dea non rivestiva alcun ruolo in un contesto celebrati­ vo a esclusivo appannaggio delle truppe militari, contesto che aveva come fine ultimo scopi ben lontani dalle caratteristiche e dalla natura leggiadra e gioiosa di Flora. 1 0 8

107

[CLAuo.] Carm. appendix 1 5 , 5-8 Hall . Cfr. supra, p. 65.

10s Al riguardo, non trovo del tutto pertinente l'osservazione di REBUFFAT 1 982, p. 9 1 7,

secondo cui il culto «populaire et rustique» (ripresa di una definizione di HILD 1 896a, p. 1 1 90) di Flora ben si sarebbe adattato ai soldati; questo fatto avrebbe istituito una sorta di legame tra le due cerimonie che avrebbe giustificato la scelta della data del 3 maggio per la consacrazione dell'altare. Questa affermazione sembra però scontrarsi con la netta differenza che intercorre­ va tra il riconosciuto carattere giocoso dei Floralia e la solennità che doveva contraddistinguere il rito dell'ara cerei, compiuto pro salute imperatoris. Secondo CooLEY 20 12, p. 28 1 , le iscrizioni dimostrerebbero la partecipazione dell'esercito a un'importante pratica rituale collettiva, che avrebbe ribadito la lealtà verso l'imperatore in concomitanza con una festa tradizionale. -

198

-

SEZIONE III

L'ICONOGRAFIA DI FLORA

l

FLORA NELL'ICONOGRAFIA ANTICA

Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, si è in possesso di scarsissimi manufatti che rappresentano con sicurezza Flora; il fatto può apparire ancor più singolare se si considera come la dea, per la sua stessa valenza estetica, avrebbe potuto offrire agli artisti un modello di sicuro fa­ scino ed eleganza per la realizzazione di opere raffinate, in maniera non dissimile da quanto fece Ovidio in ambito poetico, tratteggiando quello che rimane a tutti gli effetti il più suggestivo ritratto di Flora. Malgrado non sia particolarmente utile formulare ipotesi circa i motivi che hanno provocato la perdita del materiale iconografico, Radislav Hosek ha comun­ que fatto un tentativo: lo studioso si è domandato se la mancanza di statue della dea possa essere in qualche modo collegata con la tradizione che la considerava una meretrix, dunque non degna di raffigurazioni. 1 Personal­ mente tenderei a scartare questa eventualità: si è già osservato infatti che, diversamente dalla successiva tradizione avente probabilmente matrice cri­ stiana, Flora era considerata dai Romani una dea a tutti gli effetti e come tale destinataria legittima di statue, prime fra tutte quelle cultuali, che do­ vevano con ogni probabilità essere presenti nei suoi santuari, soprattutto in quello aventino, più ricco e monumentale rispetto a quello del Quirinale, tanto da godere della presenza di un tempio decorato da colonne corinzie. 2 Lasciando momentaneamente da parte i problemi relativi alla statua­ ria, vale la pena di concentrarsi sulle sicure attestazioni iconografiche della dea, che nel caso specifico si riducono soltanto a due serie monetali emesse intorno alla metà del I secolo a . C . , a pochi anni di distanza l'una dall'altra. La più antica, già menzionata sin qui più volte, risale al 5 7-52 a.C. e mostra sul diritto la testa di un personaggio femminile ornata da orecchini e da una corona vegetale (floreale?), i capelli raccolti in uno chignon; all'estrema 1 Ho�EK 1988, p. 13 8. z Cfr. VITRuv. I 2, 5.

- 20 1 -

SEZI ONE I I I - L'I CONOGRAFIA DI FLORA

sinistra, dietro il capo, è raffigurato un lituus, mentre a destra si legge l'i­ scrizione FLORAL PRIMVS. Sul rovescio compaiono due figure corazzate e armate di scudi e spade, stanti l'una di fronte all'altra, sotto le quali è posta la scritta C . SERVEIL C .F. (Fig. 1). 3 Se oggi ci sono pochi dubbi sul riconoscimento della dea presente sul diritto, identificata dalla quasi to­ talità degli studiosi come Flora (cui ben si adatta la ghirlanda vegetale) a causa dell'esplicita legenda, 4 altrettanto non si può dire circa il significato complessivo veicolato dalla moneta. n problema fondamentale verte intorno all'interpretazione dell'iscrizio­ ne posta a fianco dell'effigie: per lungo tempo è stata accettata la proposta ricostruttiva di Theodor Mommsen, secondo il quale la dicitura corretta sa­ rebbe stata FLORAL(ia) PRIMVS (fecit).5 Ammettendo la validità di questa integrazione, i denari dovrebbero necessariamente essere ricondotti alla ce­ lebrazione di colui che per primo istituì la festa in onore di Flora ma, stante il fatto che i primi in assoluto furono i fratelli Publicii, l'istituzione cui si fa riferimento deve essere quella annuale del 173 a.C., provvedimento preso verosimilmente da un antenato di C. Servilius, che avrebbe ricoperto la cari­ ca di edile in quell'anno. Anche Michael Harlan ha collegato le monete con la celebrazione dei primi Floralia e ha sostenuto che i Servilii cercarono di attribuirsi i meriti di una tradizione appartenente a un'altra famiglia (i Pu­ blicii Malleoli, come ricordano le fonti), al fine di aumentare il proprio pre­ stigio e di ottenere il favore popolare, indispensabile per la carriera politica. 6 La teoria di Mommsen è stata oggetto di critica da parte di Michael Crawford, il quale ha sottolineato l'irragionevolezza di una simile spiega3

CRAWFORD 1 974, n. 423 / 1 ; Ho�EK 1 988, n. 2; Hou.STEIN 1 993 , n. 423 . Cfr. MOMMSEN 1 860, p. 645; BABELON 1 886, p. 45 1 ; STEUDING 1 886- 1 890, p. 1 486; HILD 1 896a, p. 1 1 90; WISSOWA 1 909a, p. 2749; FRAZER 1 929, p. 29; LE BoNNIEC 1 958, p. 325; CRAWFORD 1 974, n. 423 / 1 ; MAREK 1985, p. 77, n. 1 34; HO�EK 1 988, n. 2; HOLLSTEIN 1 993, p. 256; HARLAN 1 995, pp. 1 57- 1 5 8 ; BERNSTEIN 1 998, p. 2 1 7; FAVRO 1 999, p. 2 1 1 ; PEREA YÉBENES 2004, p. 20; RtiPKE 2005, p. 1284, nota 3; RYAN 2008, p. 193; DAGUET-GAGEY 20 1 5 , p. 265 . L'unica voce fuori dal coro è costituita da CELS - SAINT-HILAIRE 1 977, p. 272, la quale ha ipotizzato possa trattarsi di Cerere, eventualità che non trova alcuna conferma. s Cfr. MoMMSEN 1 860, p. 645 e nota 538. Hanno concordato BABELON 1 886, p. 45 1 ; HILD 1 896a, p. 1 1 90; SEIDEL 1 908, pp. 3 7-38 ; GREUBER 1 9 1 0, p. 469, n. 3 8 1 6; WISSOWA 1 9 1 22, p. 1 97; FRAZER 1 929, p. 29; BROUGHTON 1 95 1 , p. 408 ; 0EGRASSI 1 963 , p. 45 1 ; MUN DLE 1 969, p. 1 1 26; BA­ DIAN 1 984, p. 57; PoRTE 1 985, p. 365. Anche PEREA YÉBENES 2004, p. 20 e nota 53 ha accettato l'o­ pinione di Mommsen, ma desta profondo sconcerto (nonché un certo imbarazzo) la correzio­ ne da lui apportata all'integrazione della legenda (ritenuta scorretta nella totalità dei repertori nurnismatici), da intendersi secondo lo studioso FLORAL(iam) PRIMVS (fecit), dal momento che il verbo transitivo avrebbe richiesto un accusativo singolare: egli ha però commesso un grave errore grammaticale nel considerare il termine Floralia un nominativo singolare, quando il vocabolo è chiaramente un pluralia tantum neutro. 6 Cfr. HARLAN 1 995, pp. 1 58-1 59. 4

-

202

-

l . F LORA NELL' I C O NOGRAFIA ANTICA

zione, poiché l'iscrizione presente sulla moneta sarebbe stata «a very bizar­ re abbreviation» al posto della più estesa (e comprensibile) Floralia annua primus fecit. Per questo motivo, il numismatico britannico ha preferito opta­ re per la lettura FLORAL(is) PRIMVS, instaurando così una relazione tra la moneta e la celebrazione del primo jlamen Floralis, esponente non meglio specificato della famiglia dei Servilii ; tuttavia, pur riconoscendo l'antichità del sacerdozio, Crawford ha negato la possibilità che la sua istituzione ri­ salisse all'epoca di Numa (nonostante la testimonianza di Ennio sia chiara in tal senso) e dunque il jlamen in questione sarebbe da collocare in secoli successivi da lui purtroppo non indicati. 7 Jorg Riipke ha provato a risolvere il problema identificando in M. Servilius Pulex Geminus il personaggio cui farebbero riferimento i denari in esame: questi, console nel 202 a. C . , avreb­ be per primo ricoperto il flaminato di Flora dal 2 1 0 al 1 6 7 a . C . ma, come si è già osservato, per quanto affascinante tale teoria rimane purtroppo del tutto congetturale.8 L'interpretazione avanzata da Crawford ha suscitato diverse perplessi­ tà, a partire da quelle presentate da Ernst Badian, che ha sostanzialmente accettato la vecchia interpretazione di Mommsen e ha evidenziato come nella ricostruzione dell'iscrizione monetale non vi sia nulla di «bizzarro». Lo studioso ha ritenuto più che possibile che il monetiere abbia celebrato il proprio antenato fornendo quelle che per noi sarebbero da considerarsi 'fal­ se informazioni' : egli ha richiamato alla mente quanto all'epoca fosse pras­ si comune 'falsificare' i dati storici per aumentare il prestigio della propria famiglia, soprattutto in ambito numismatico. Ne consegue che la legenda delle monete coniate da C. Servilius doveva riferirsi sì alla celebrazione dei Floralia, ma non certo alla prima, e la comparsa del termine PRIMVS corri­ sponderebbe proprio alla volontà di ingigantire i meriti del proprio antena­ to. Badian ha inoltre criticato la possibilità che i denari siano da collegarsi con il jlamen Floralis e ha considerato insostenibile - a mio parere più che giustamente - la svalutazione della testimonianza di Ennio e l'ipotesi di collocare l'istituzione del primo flamine in epoca storica.9 Ai dubbi espressi dallo storico austriaco si devono aggiungere quelli manifestati da Wilhelm Hollstein che, oltre a ritenere più che fondate le rimostranze di Badian, ha rilevato come nella monetazione di epoca repubblicana si era soliti indicare il flaminato attraverso la raffigurazione dell' apex, il caratteristico copricapo 7 Cfr. CRAWFORD 1 974, pp. 447·448. Contra l'interpretazione di Mommsen anche MoRGAN 1990, p. 2 1 , nota 36. s Cfr. RtiPKE 2005, p. 1284 e nota 3 . Cfr. supra, pp. 1 85·1 86. 9 Cfr. BADIAN 1984, pp. 56-58.

- 20 3 -

SEZIONE I I I - L' I C ONOGRAFIA DI FLORA

di questo sacerdozio. 1 0 Il numismatico tedesco ha quindi sostanzialmente accettato la ricostruzione di Mommsen, ma ha aggiunto che l'iconografia del diritto avrebbe celebrato non solo l'edile della plebe del 1 73 a.C . , ma anche l'augurato di M. Servilius Pulex Geminus, segnalato dal lituus. 1 1 Più di recente, Francis X . Ryan ha proposto una nuova interpretazione della serie monetale coniata da C. Servilius: dopo aver dimostrato l'infon­ datezza e i limiti delle precedenti teorie, lo studioso ha concentrato l'at­ tenzione su un elemento piuttosto trascurato sino a quel momento dagli specialisti (con l'eccezione di Hollstein), ovvero il lituus. U Secondo Ryan, la presenza di quest'oggetto è fondamentale per ricostruire il messaggio veicolato dalle monete e deve essere messo in relazione all'iscrizione stes­ sa, dal momento che ne costituirebbe una sorta di integrazione in immagi­ ne. Lo studioso, riprendendo in parte un'intuizione già avanzata da Ernst Babelon, 13 ha sostenuto che il caratteristico bastone ricurvo fosse l' attribu­ to che contraddistingueva per eccellenza gli auguri e dunque la sua raffi­ gurazione nel campo degli esemplari numismatici debba essere letta come un chiaro rimando all'augurato (in conformità con quanto espresso anche da Hollstein) : a suo giudizio, proprio i denari in esame confermerebbe­ ro la partecipazione di questi sacerdoti alla celebrazione dei giochi, nel caso specifico dei ludi Florales. Tuttavia, lo studioso ha dovuto riconosce­ re che allo stato attuale delle informazioni non è dato sapere in che cosa consistesse l'intervento degli auguri durante i ludi, ma non ha escluso che essi potessero forse avere una funzione di controllo sul regolare e corretto svolgimento della festa. 14 In definitiva, Ryan ha proposto di ricostruire la legenda in FLORAL(ibus) PRIMVS e ha inteso la serie di monete in esa­ me come la commemorazione della prima partecipazione di un augure ai Floralia (probabilmente avvenuta nel 1 72 a.C.), evento particolarmente importante poiché avrebbe dato avvio a una prassi che divenne in seguito abituale; il sacerdote in questione sarebbe stato proprio quel M. Servilius C fr. HoLLSTEIN 1993, p. 258. C fr. ivi, p. 260. Cfr. anche HARLAN 1995, p. 157. 1 2 Cfr. in particolare RYAN 2008, p. 194. MAREK 1985, p. 77 ha accettato la teoria esegetica di Crawford e ha giustificato la presenza dell'oggetto collegandolo al flaminato, senza tuttavia portare prove decisive (cfr. anche Ho�EK 1988, p. 13 8). Giustamente HoLLSTEIN 1993, p. 259 ha scartato tale eventualità, poiché il lituus è il simbolo caratteristico dell'augure, cui va riferito. 1 3 BABELON 1886, p. 451. Cfr. anche GREUBER 19 10, p. 469, nota 2 . 1 4 L'ipotesi s i basa sostanzialmente s u u n passo d i Cicerone, i n cui s i dichiara che spettava proprio agli auguri supervisionare il buon esito degli eventi durante i riti (De har. resp. 18: [ . ] rerum bene gerundarum auctoritates augurio). Lo stesso autore (De har. resp. 23) conferma che an­ che i giochi dovevano svolgersi in conformità alla prassi tradizionale e rituale, e che le eventuali infrazioni dovevano essere espiate tramite una nuova esecuzione dei ludi. IO Il

. .

-

20 4

-

l . FLORA NELL' I C ONOG RAFIA A N T I C A

Pulex Geminus console nel 202 a.C. e cooptato nel collegio augurale già nel 2 1 1 a . C . U L a teoria di Francis Ryan h a l'indubbio merito di offrire una lettura com­ plessiva dell'immagine monetale che tenga conto di tutti gli elementi pre­ senti nel campo; in particolare, l'attenzione posta sul lituus quale elemento significante da mettere in relazione all'intera iconografia trova più di una giustificazione nel momento in cui esso non può essere inteso come sempli­ ce marca di controllo, poiché compare invariabilmente in tutti gli esemplari numismatici di cui si dispone. A mio giudizio tuttavia, anche tale interpreta­ zione può prestare il fianco a una possibile critica: a mia conoscenza infatti, la serie di denari coniati da C . Servilius sarebbe la sola a commemorare la prima partecipazione di un augure a una festa pubblica e dunque bisogne­ rebbe considerarla un unicum nel panorama numismatico romano, even­ tualità di certo possibile, ma al contempo poco probabile nel caso in cui si ammetta che la presenza del sacerdote abbia rivestito un così grande rilievo. Data la sinteticità dell'iscrizione, ogni proposta integrativa della legen­ da ha una propria dignità e può essere più o meno condivisibile, fermo restando che la soluzione dell'intricato problema sta nel riuscire a trovare il filo conduttore che possa collegare in maniera soddisfacente tutti gli ele­ menti dell'immagine, esigenza questa alla quale meglio delle altre si adatta l'interpretazione di Ryan. Non sottovaluterei però un'altra eventualità si­ nora non contemplata: mi domando infatti se l'ipotesi di collegare FLO­ RAL PRIMVS con il flaminato di Flora possa rivelarsi più adatta a quelle che a buon diritto sono da considerarsi come monete celebrative . Di certo le spiegazioni fornite da Crawford non possono essere portate come prove convincenti e la maggior parte delle critiche mosse appaiono più che con­ divisibili; tuttavia, non escluderei a priori la possibilità che l'immagine sul diritto possa rendere conto delle cariche sacerdotali rivestite dall'antenato del monetiere. Se questi coincidesse davvero con M. Servilius Pulex Gemi­ nus (come sostenuto da Riipke), il suo discendente avrebbe reso evidente l'augurato attraverso l'inserimento del lituus, mentre il flaminato sarebbe stato segnalato dall'iscrizione; la mancanza dell'apex, sottolineata da Holl­ stein, potrebbe trovare giustificazione nel fatto che la presenza della legen­ da lo avrebbe reso superfluo. Anche la ragione che spinse C. Servilius a mettere in risalto la carica di jlamen Florali.s rispetto a quella di augure potrebbe essere facilmente spiega­ bile se si considera che il flaminato era un sacerdozio ben più prestigioso, 1 5 Cfr. RYAN 2008, pp. 1 95-198. Per l'augurato di M. Servilius Pulex Geminus cfr. RtiPKE 2005, p. 1 284 e nota 2.

-

20 5

-

SEZI O N E I I I - L' I C O NOGRAFIA DI FLORA

nonostante quello di Flora facesse parte dei dodicijlamines minores. Rimane però aperto il problema relativo al termine PRIMVS, che personalmente penso debba essere riferito non certo al primo jlamen in assoluto, ma al primo esponente della famiglia del monetiere a ottenere tale carica, 16 av­ venimento questo che avrebbe notevolmente aumentato la reputazione di una gens di estrazione plebea quali erano i Servilii. 1 7 Poiché l'iconografia del rovescio, in cui compaiono due soldati posti l'uno di fronte all'altro, dovrebbe commemorare la virtus militaris di M. Servilius Pulex Geminus, capace di sconfiggere il nemico in duello uno contro uno per ben ventitré volte, 18 l'intera moneta dovrebbe essere letta come l'esaltazione del con­ sole, esponente di spicco della famiglia, di cui vennero segnalati i meriti in campo religioso e l'intrepido valore in battaglia. La seconda serie monetale pervenuta, composta da aurei e denari, è di poco posteriore a quella appena presa in esame, poiché è datata intorno al 4 1 a. C . : sul diritto compare una testa femminile simile alla precedente, ornata con una ghirlanda vegetale (floreale?) e con capelli raccolti in uno chignon; sulla sinistra, dietro il capo, è visibile un fiore a calice (forse un gi­ glio) e la sigla C . P. , mentre sulla destra compare l'iscrizione C . CLODIVS. Il rovescio mostra una figura femminile panneggiata e velata, seduta verso sinistra; con la mano destra regge il culullus, un vaso di terracotta bicorno utilizzato sia dai pontefici che dalle Vestali, mentre alle sue spalle è posta la legenda VESTALIS (Fig. 2). 19 L'identificazione di Flora sul diritto è ormai comunemente accettata, dato che il confronto con l'iconografia del dena­ rio di Servilius offre un parallelo probante in tal senso; la presenza del fiore dietro l'effigie, sempre presente nel campo e dunque elemento significan­ te, è un ulteriore indizio a conferma del corretto riconoscimento. Tuttavia, anche in questo caso la lettura complessiva del messaggio espresso dalle monete risulta problematica: sin dal Settecento, a partire dal dotto numi­ smatico Joseph Hilarius Eckhel, si è ritenuto che gli esemplari si riferissero a un antenato del monetiere C. Clodius Vestalis, ovvero quel C. Claudius 16 VANGGAARD 1 988, pp. 74-76 ha giustamente sottolineato che il flaminato non era pre­ rogativa esclusiva di una singola gens, ma al contempo ha dimostrato che alcune famiglie (in particolare i Valerii, i Cornelii e i Postumii) fornirono più volte esponenti che ricoprirono la carica di jlamen, ravvisando così una sorta di continuità. 1 7 L'estrazione plebea dei Servilii è confermata da BADIAN 1 984, p. 49. 18 Così HARLAN 1 995, p. 1 57; HoLLSTEIN 1 993, p. 259; GREUBER 1 9 1 0, p. 469, nota 2. I combattimenti sono ricordati da L1v. XLV 39, 1 6- 1 8 e PwT. Aem. 3 1 , 4. Meno convincente l'idea espressa da MAREK 1 985, p. 77, secondo cui l'immagine sul rovescio potrebbe raffigurare due gemelli e quindi riferirsi al nome del personaggio. 1 9 CRAWFORD 1 974, n. 5 1 2; Ho�EK 1 988, n. 3; MAREK 1 985, n. 1 69; SIMON 1 990, p. 237; SEAR 1 998, n. 3 1 7. -

206

-

l . FLORA NELL' I C ONOGRAFIA ANTICA

Cento console nel 240 a.C . , data presa come possibile anno in cui si sareb­ bero istituiti per la prima volta i Floralia. 20 Tale interpretazione è stata criticata e scartata da Michael Crawford, che ha sottolineato come la prima celebrazione della festa di Flora debba essere ricondotta al 238 a.C. (seguendo Plinio); va da sé che, stando così le cose, le monete non avrebbero nulla a che vedere con C . Claudius Cento. 21 Nondimeno, le rimostranze del numismatico britannico non sono state ritenute sufficientemente valide da Timothy Peter Wiseman, il quale ha accolto la lettura tradizionale e ha collegato la serie monetale alla volontà di celebrare la connessione tra la gens Claudia e Flora. Egli ha infatti eviden­ ziato come le osservazioni di Crawford si basino soltanto sul passo relativo ai Floralia riportato da Plinio, senza tenere in debito conto quello di Velleio Patercolo, che colloca la loro istituzione nel 24 1 a. C . ; poiché la cronologia dei primi giochi era dibattuta persino dagli antichi Romani,22 lo studioso ha concluso il suo ragionamento sostenendo che i ludi scaenici vennero introdotti l'anno seguente e dunque anche la creazione della festa di Flora sarebbe da ricondursi alla medesima data. 23 A mio parere, è assolutamente condivisibile l'idea che le datazioni of­ ferte dagli autori antichi possano non essere precisissime, come peraltro dimostra in maniera evidente il caso dei Floralia; tuttavia, disponendo di due date esatte (24 1 o 238 a.C.), reputo più ragionevole seguire le fonti e quindi collocare l'istituzione della festa in uno di questi due anni. Stabilire una diversa cronologia appare un'operazione possibile, ma al contempo del tutto arbitraria e dettata dalla comprensibile volontà di trovare una giu­ stificazione soddisfacente per la lettura dell'iconografia monetale. Stante la mancanza di ulteriori dati documentari, penso sia preferibile procedere con maggior cautela; al contrario non sottovaluterei un'interessante ipo­ tesi formulata da David Sear, che ha messo in evidenza la perfetta corri2o Cfr. EcKHEL 1 795, pp. 1 72- 1 73 ; BoRGHESI 1 864, pp. 1 82-183; BABELON 1 885, p. 353; MER­ LIN 1 906, p. 1 89, nota l; GREUBER 1 9 1 0 , p. 564, nota 3; MAREK 1985, p. 95; Ho�EK 1988, p. 139 (che però ha solo riportato la notizia); SEAR 1 998, p. 1 94. Per i possibili legami tra C . Clodius Vestalis e C. Claudius Cento cfr. WISEMAN 1 979, p. 94, nota 1 24. In merito alla presenza della Vestale sul rovescio, mi pare più condivisibile la spiegazione offerta da SEAR 1 998, p. 1 94, secon­ do cui essa «may represent nothing more than a punning allusion to the moneyer's cognomen», rispetto ad altre che la identificano in Claudia Quinta o Claudia figlia di Appius Claudius Pul­ cher (per la prima ipotesi cfr. GREUBER 1 9 1 0, p. 564, nota 3; per la seconda cfr. CRAWFORD 1 974, p. 521). Secondo SIMON 1 990, p. 237, la figura femminile rappresenterebbe Vesta. 2 1 Cfr. CRAWFORD 1 974, p. 52 1 . 22 Wiseman ha portato come prova C1c. Brut. 72, dove però si fa riferimento alla prima volta in cui vennero allestite rappresentazioni teatrali a Roma. 2 3 Cfr. WISEMAN 1 979, pp. 93-94 e nota 1 24. Cfr. anche WISEMAN 1 999, p. 1 96 e nota 6. -

20 7

-

SEZI O N E I I I - L' I C ONOGRAFIA DI FLORA

spondenza tra la data di coniazione della serie monetale e la ricorrenza del secondo centenario dell'istituzione dei Floralia. 24 Se l'intuizione si rivelasse esatta, si potrebbe dunque ricondurre con una certa sicurezza la creazione della festa al 241 a . C . , facendo così cadere qualsiasi tipo di legame tra le monete e la celebrazione del console C. Claudius Cento. Con i due enigmatici tipi monetali presi in esame si esauriscono le testi­ monianze iconografiche relative a Flora, ma è comunque opportuno ritor­ nare brevemente sui problemi concernenti la statuaria. Come si è già osser­ vato, non sono pervenute rappresentazioni scultoree della dea, ma ciò non significa affatto che all'epoca non ne dovessero esistere: 25 infatti si è in pos­ sesso di una preziosa testimonianza consistente in un'epigrafe provenien­ te da Roma, in cui si fa riferimento a un certo Aulus Herennuleius Sote­ ricus che fece voto (realizzandolo) di dedicare una base a Flora Fortuna Panthea.26 Con tutta probabilità questa base doveva fungere da piedistallo per una statua della dea, delle cui fattezze purtroppo nulla è dato sape­ re; 27 il nome con cui ella viene definita lascia però supporre che la scultura presentasse attributi riconducibili a Fortuna (timone, cornucopia?), oltre a quelli più consueti di Flora (ghirlanda floreale, fiori?).28 Un passo di Plinio sembra attestare l'esistenza di un'ulteriore statua, poiché egli dichiara la presenza in Roma, negli horti Serviliani, di un grup­ po statuario (oggi perduto) realizzato da Prassi tele e comprendente Flora, Trittolemo e Cerere. 29 È tuttavia probabile che, nel caso specifico, il dotto naturalista abbia elaborato una interpretatio Romana per un originale greco, che doveva giocoforza rappresentare divinità elleniche; se Trittolemo non ha subito variazioni e Cerere sta qui chiaramente per Demetra, la men­ zione di Flora tra le figure del gruppo stona in maniera altrettanto palese: essa doveva infatti essere in origine una Kore, terzo elemento della cele­ bre triade eleusina. 3 0 Per questo motivo, Antonio Corso ha ritenuto che 24

Cfr. SEAR 1 998, p. 1 94.

2 5 Cfr. anche DE FRANCISCIS 1 960, p. 714: «Non potevano mancare rappresentazioni di

Flora nelle arti figurative». 26 CIL VI, n. 30867: A(ulus) Herennuleius Sotericus voto sus(=c) l cepto basim posuit deae Flo­

rae Fortunae Panthea[ e]. 2 7 Così già STEUDING 1 886- 1 890, p. 1 486; WissowA 1 909a, p. 2749; DE FRANCISCIS 1 960, p. 7 1 4; HOSEK 1 988, p. 1 3 8 . 2 8 Così già MuN DLE 1 969, p . 1 1 30. 29 PuN. Nat. Hist. XXXVI 23 . Sul gruppo statuario, da non confondere con quello com­ prendente Demetra, Kore e lacco situato nel tempio di Demetra ad Atene, cfr. MARTINEZ 2007, p. 36, n. 14. J o L'identificazione di Kore nell'originale è sostanzialmente sicura: cfr. CoRSo 2004, p. 207; HosEK 1988, p. 1 3 8 ; MuN DLE 1 969, p. 1 1 29; DE FRANCISCIS 1 960, p. 714. Riprendendo -

20 8

-

l . FLORA NELL' I C ONOGRAFIA A N T I C A

l'opera prassitelica fosse situata in un santuario attico e successivamente portata nella capitale dai Romani, probabilmente dopo che gli horti Ser­ viliani divennero proprietà imperiale, avvenimento collocabile in epoca giulio-claudia; 31 lo studioso ha inoltre tentato di rintracciare un possibile schema iconografico, individuandolo in un rilievo votivo proveniente dal Plutonion di Eleusi (circa 330 a.C.). L'iconografia del manufatto prevede al centro la figura di Demetra (di cui oggi sono andate perdute le braccia e la testa) che si rivolge a Trittolemo, seduto sul consueto carro trainato da serpenti alati; alle spalle del giovane è visibile Kore, intenta a reggere due fiaccole con entrambe le mani: si tratta dunque del ben noto episodio della consegna delle sementi. 32 A mio giudizio però, l'ipotesi di Corso si rivela poco convincente, in particolare per quanto riguarda la figura di Kore / Flora: infatti, se Plinio ha potuto interpretare l'originale greco come una rappresentazione della dea della fioritura, bisogna necessariamente ammettere che il personaggio prassitelico consentisse in maniera quasi automatica tale sovrapposizione. Non si vede quindi come una Kore con fiaccole quali attributi caratteristi­ ci potesse offrire una simile possibilità; al contrario, pare più ragionevole immaginare che la statua scolpita da Prassitele prevedesse la presenza di elementi floreali (originali o di restauro, eseguito già in epoca romana),33 perfettamente confacenti tanto a Flora quanto alla figlia di Demetra, per la quale è celeberrima l' anthologia cui era intenta prima di essere rapita da Ade.34 Tale constatazione non è priva di ripercussioni concernenti la stessa iconografia di Flora, poiché l'interpretatio avanzata da Plinio porta implicitamente a formulare due preziose considerazioni: in primo luogo, un'ipotesi di Ermolao Barbaro il Giovane (celebre umanista del XV secolo che scrisse le Ca· stigationes Plinianae), OvERBECK 1 868, p. 23 1 , n. 1 1 98 non escluse che originariamente il testo dovesse presentare la lezione Cora o H ora (la nuova edizione del testo di Overbeck non riporta il commento al passo, ma conferma il riconoscimento di Kore: cfr. MuLLER-DUFEU 2002, p. 483, n. 1 3 9 1 ) . Pur schierandosi a favore dell'interpretazione di Kore, FERRI 2000, p. 279 ha evidenzia· to alcune possibilità che avrebbero potuto indurre Plinio a menzionare Flora: forse - seguendo Overbeck - una trascrizione errata dell'autore (la fonte dell'informazione è stata individuata da Ferri in un anonimo catalogo di opere d'arte presenti in Roma o negli appunti personali del naturalista), oppure una , LXIV, 2004), pp. 1 83 - 1 96. BALSDON 1 969 = ]. P. V. D. BALSDON, Life and leisure in andent Rome, London-Sydney-Toronto, The Bodley Head, 1 969. BARBERI SQUAROTTI 2009 = G. BARBERI SQUAROTTI (a cura di), Giovanni Pascoli. Poesie, IV,

Poemi conviviali; Poemi italid; Le canzoni di Re Enzio; Poemi del Risorgimento; Inni per il dnquantenario dell 'Italia liberata, Torino, UTET, 2009. BARCHAM 1 996a = W: L. BARCHAM, Tiepolo decoratore e pittore di scene storiche e mitologiche, in Giambattista Tiepolo. 1 696-1 996, Milano, Skira, 1 996, pp. 1 05- 1 1 7. BARCHAM 1 996b = W:L. BARCHAM, Trionfo di Zefiro e Flora, in Giambattista Tiepolo. 1 6961 996, Milano, Skira, 1 996, pp. 1 1 8- 1 2 1 . -

244

-

BIBLIOGRAFIA

BARCHIESI 1 994 = A. BARCHIESI, n poeta e il Principe. Ovidio e il discorso augusteo, Roma-Bari, Laterza, 1 994. BARCHIESI - RosATI 2007 = Ovidio. Metamorfosi. Libri III-N, commento a cura di A. Barchie­ si, G. Rosati, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 2007. BAROLSKY 20 1 4 = P. BAROLSKY, Ovid and the metamorphoses of modern art from Botticelli to Picasso, New Haven, Yale University Press, 20 1 4 . BARTALUCCI 1 998 = . Carmen cod. Paris. lat. 8084, introduzione, testo cri­ tico, traduzione e commento a cura di A. Bartalucci, Pisa, ETS, 1 998 («Poeti cristiani», 3). BAYARD - FuMAGALLI 20 1 1 = M . BAYARD - E. FuMAGALLI (édd.), Poussin et la construction de l'Antique, Paris-Roma, Somogy Éditions d'Art-Académie de France à Rome, 201 1 («Collection d'histoire de l'art de l'Académie de France à Rome», 1 4) . BAYET ( 1 957) 1959 = ]. BAYET, La religione romana. Storia politica e psicologica, trad. it. Torino, Einaudi, 1 959 («Biblioteca di studi etnologici e religiosi», 33). BAYET ( 1 95 1 ) 1 9 7 1 = ]. BAYET, Les ((Cerialia», altération d'un culte latin par le mythe grec, rist. in ]. Bayet, Croyances et rites dans la Roma antique, Paris, Éditions Payot, 1 9 7 1 («Biblio­ thèque historique»), pp. 89- 129. BEARD 20 1 2 = M . BEARD, The cult of the "Great Mother" in imperia! Rome. The Roman and the "foreign", in ]. RAsMus BRANDT - ].W: IooENG (edd.), Greek and Romanftstivals. Content, meaning and practice, Oxford, Oxford University Press, 20 1 2 , pp. 323-362. BEARD (20 1 4) 20 1 6 = M . BEARD, Ridere nell'antica Roma, trad. it. Roma, Carocci Editore, 20 1 6 («Sfere» 1 1 7) . M . BEARD - ]. NoRTH - S. PRI CE, Religions of Rome, I, A BEARD - NoRTH - PrucE 1 9 9 8 history, Cambridge, Cambridge University Press, 1 998. =

BEAZLEY 1 9632 = ].D. BEAZLEY, Attic red-figure vase-painters, l, Oxford, Clarendon Press, 1 9632• BELLORI 1 672 = G.P. BELLORI, Le vite de' pittori, scultori et architetti moderni, Roma, Mascar­ di, 1 672. BENASSAI 2007 = P. BENASSAI, Prospero Piatti. Catone lascia i Floralia, in M . C . BANDERA (a cura di), Dipinti italiani del Museo de Bellas Artes di Santiago del Cile, Firenze, Edizioni Centro Di, 2007, pp. 68-69 . BERLY 20 1 5 = C . BERLY, Louise Élisabeth Vigée Le Brun. Peindre et écrire Marie-Antoinette et son temps, Paris, Éditions Artlys, 20 1 5 . BERNARDI 1 988 = A . BERNARDI, La Roma dei re tra storia e leggenda, in A. MOMIGLIANO A. ScHIAVONE (a cura di), Storia di Roma, l, Roma in Italia, Torino, Einaudi, 1 988, pp. 1 8 1 -202. BERNSTEIN 1 998 = F. BERNSTEIN, Ludi publici. Untersuchungen zur Entstehung und Entwicklung der i:iffentlichen Spiele im republikanischen Rom, Stuttgart, F. Steiner Verlag, 1 998 ( «Histo­ ria. Einzelschriften», 1 1 9). BETTINI 20 1 5a = M. BETTINI, n dio elegante. Vertumno e la religione romana, Torino, Einaudi, 20 1 5 («Piccola biblioteca Einaudi. Nuova serie», 645). BETTINI 20 1 5b = M . BETTI NI, Dei e uomini nella città. Antropologia, religione e cultura nella Roma antica, Roma, Carocci, 20 1 5 («Frecce», 206) . BEVILACQUA 1988 = M. BEVILACQUA, Gli indigitamenta, «lnvigilata Lucernis», X, 1 988, pp. 2 1 -3 3 . -

24 5

-

B I B L I O G RAFIA

BICKEL 1 9 2 1 = E. BICKEL, Der altriimische Gottesbegriff. Eine Studie zur antiken Religionsge­ schichte, Leipzig-Berlin, B.G. Teubner, 1 92 1 . BIEBER 1 977 = M. BIEBER, Ancient copies. Contributions to the history of Greek and Roman art, New York, New York University Press, 1 977. BLANC - GuRY 1 986 = N. BLANc - F. GuRY, LIMC, s. v. Eros/Amor, Cupido, III, Ziirich-Miinch­ en, Artemis, 1 986, pp. 952- 1 049. BLECH 1 982 = M . BLECH, Studien zum Kranz bei den Griechen, Berlin-New York, De Gruyter, 1 982 («Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten», 38). BLUNT 1 967 = A. BLUNT, Nicolas Poussin. The A. W. Mellon lectures in thefine arts, 1 958, Na­ tional Gallery of Art, Washington, D. C. , London, Phaidon Press, 1 967 ( «Bollingen series. The A. W Mellon lectures in the fine arts», 7). BoiiLS-jANSSEN 20 1 0 = N. BoiiLS-jANSSEN, Matrona l meretrix: due! ou duo? À propos du role so­ eia! et religieux des grandes catégoriesfeminines dans l'imaginaire romain, in D. BRIQUEL - C . FÉVRIER - C . GUITTARD ( édd. ), Varietates fortunae. Religion e t mythologie à Rome. Hommage à]acqueline Champeaux, Paris, Presses de l'Université Paris-Sorbonne, 20 1 0 («Roma an­ tiqua»), pp. 89- 1 29. BoMER 1 954 = F. BoMER, Recensione a T.R. S. Broughton, The magistrates of the Roman Repu­ blic, voll. I-II, «Bonner Jahrbiicher», CLIV, 1 954, pp. 1 88- 1 90. BOMER 1 958 = P. Ovidius Naso. Die Fasten, herausgegeben, iibersetzt und kommentiert von F. Bomer, Heidelberg, C. Winter Verlag, 1 958 ( «Wissenschaftliche Kommentare zu la­ teinischen und griechischen Schriftstellern» ). BOMER 19812 = F. BoMER, Untersuchungen uber die Religion der Sklaven in Griechenland und Rom, l, Wiesbaden, F. Steiner Verlag, 1 9 8 1 2 («Forschungen zur antiken Sklaverei>>, 1 4). BoNFAIT 2000 = O. BoNFAIT, L'impero di Flora, in L'idea del Bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, Il, Roma, De Luca, 2000, p. 4 1 8. BORGHESI 1 864 = B. BORGHESI, Oeuvres complètes de Bartolomeo Borghesi. Oeuvres numismati­ ques, Il, Paris, Imprimerle Impériale, 1 864. BoRGHI 1 985 = B. BoRGHI, il .frumento, Roma, Reda Edizioni, 1 985. BoRMETTI 20 1 4 = M . BoRMETTI, Api e miele nel Mediterraneo antico, «Acme», LXVII, 20 14, pp. 7-50. BoRTOLIN 2008 = R. BoRTOLIN, Archeologia del miele, Mantova, SAP Società Archeologica, 2008 («Documenti di archeologia», 45). BoTTIGLIERI 2002 = A. BOTTIGLIERI, La legislazione sul lusso nella Roma repubblicana, Napoli, ESI, 2002 («Università degli Studi di Salerno, Dipartimento di Teoria e Storia del Dirit­ to. Sezione di Diritto Romano», 1 ) . BowoEN 20 1 0 = H. BowoEN, Mystery cults in the ancient world, London, Thames & Hud­ son, 20 1 0 . BoYo 2000 = B. W Boro, "Celabitur auctor": the crisis of authority and narrative patterning in Ovid "Fasti" 5, «Phoenix», LIV, 2000, pp. 64-98. BRADLEY 1 978 = K. R. BRADLEY, Suetonius ' lift of Nero: an historical commentary, Bruxelles, Latomus, 1 978 («Collection Latomus», 1 5 7). BRELICH 1 959 = A. BRELICH, n mondo classico nella storia delle religioni, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1 959. BRIQUEL 1 992 = D. BRIQUEL, Les femmes gladiateurs: examen du dossier, «Ktema», XVII, 1 992, pp. 47-5 3 . -

246

-

B I B LI O G RAFIA

BRIQUEL 2000 = D. BRIQUEL, Le sillon dufondateur, in F. HINARD (éd.), Histoire romaine, l, Des origines à Auguste, Paris, Fayard, 2000, pp. 1 1 -45 . BROUGHTON 1 95 1 = T. R. S. BROUGHTON, The magistrates of the Roman Republic, l, 509 B.C.-l 00 B.C. , New York., published by the American Philological Association, 1 9 5 1 («Philologi­ cal monographs», 1 5 / 1). BRULÉ 1987 = P. BRULÉ, La filZe d'Athènes. La religion des filles à Athènes à l 'époque classique. Mythes, cultes et sodété, Paris, Les Belles Lettres, 1987 («Annales littéraires de l'Univer­ sité de Besançon», 363). BRuNEL 20 1 5 = G. BRUNEL, French painting.from the sixteenth to the eighteenth century. Catalo­ gue raisonné of the Calvet Museum in Avignon, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 20 1 5 . BRUNET 20 1 4 = S. BRUNET, Women with swords. Female gladiators i n the Roman world, in P. CHRISTESEN - D.G. KYLE (edd.), A companion to sport and spectacle in Greek and Roman antiquity, Chichester, Wiley-Blackwell, 2014, pp. 479-49 1 . BuRKERT ( 1 987) 1 9 9 1 = W. BuRKERT, Antichi culti misterid, trad. it. Roma-Bari, Laterza, 1991 (, 3 ) . CICU 20 1 2 = L. CICU, n mimo teatrale greco-romano. Lo spettacolo ritrovato, Roma, Università La Sapienza, 20 1 2 («Studi e proposte», 1 4 ) . CIL = Corpus Inscriptionum Latinarum. CITRONI 1 975 = M. Valerii Martialis Epigrammaton. Liber primus, introduzione, testo, appa­

CERVELLERA 1 983

rato critico e commento a cura di M. Citroni, Firenze, La Nuova Italia, 1 975 («Biblio­ teca di studi superiori», 6 1 ) .

= M. CLAVEL-LÉvEQUE, L'espace des jeux dans le monde romain: hé­ gémonie, symbolique et pratique sociale, in W. HAAs E (hrsg.), Aufstieg und Niedergang der romischen Welt, II 1 6 . 3 , Berlin-New York, De Gruyter, 1 986, pp. 2405-2563 . COARELLI 1 988 = F. COARELLI, n Foro Boario. Dalle origini alla fine della Repubblica, Roma,

CLAVEL-LÉvEQUE 1 986

Edizioni Quasar, 1988 («Lectiones planetariae»).

COARELLI 1 993

= F. COARELLI, s. v. Clivu.s Publicius, in E.M. STEINBY (a cura di), Lexicon topo­ graphicum urbis Romae, l, Roma, Edizioni Quasar, 1 993, p. 284. COARELLI 1 995 = F. COARELLI, s. v. Flora, templum (in Colle), in E.M. STEINBY (a cura di), Lexi­ con topographicum urbis Romae, II, Roma, Edizioni Quasar, 1 995, p. 254.

-

24 8

-

B I B L I O G RAFIA

COARELLI 20 1 4 = F. COARELLI, Collis. n Quirinale e il Viminale nell'antichità, Roma, Edizioni Quasar, 20 1 4 . COARELLI - DIOSONO 2009 = F. COARELLI - F. DIOSONO, n tempio principale: architettura, fasi edilizie, committenza, in F. CoARELLI F. DIOSONO (a cura di), I templi e il forum di Villa S. Silvestro. La Sabina dalla conquista romana a Vespasiano, Roma, Edizioni Quasar, 2009, pp. 59-69. -

CoLLART 1 954a = Varron. De lingua Latina livre V, texte établi, traduit et annoté par J. Col­ lart, Paris, Les Belles Lettres, 1 954 ( «Publications de la Faculté des lettres de l'Université de Strasbourg», 1 22). CoLLART 1 954b = ]. CoLLART, Varron grammairien latin, Paris, Les Belles Lettres, 1 954 («Pu­ blications de la Faculté des lettres de l'Université de Strasbourg», 1 2 1 ). CONNORS 2000 = C . CONNORS, Imperia! space and time: the literature of leisure, in O. TAPLIN (ed.), Literature in the Roman world, Oxford, Oxford University Press, 2000, pp. 208-234. CoNWAY 1 897 = R.S. CoNWAY, The Italic dialects, I, Cambridge, Cambridge University Press, 1 897. CoOLEY 20 1 2 = A.E. CoOLEY, The Cambridge manual of Latin epigraphy, Cambridge, Cam­ bridge University Press, 20 12. CORDIER 2005 = P. CORDIER, Nudités romaines. Un problème d'histoire et d'anthropologie, Paris, Les Belles Lettres, 2005 ( «Collection d' études anciennes. Série latine», 63). CORNELL 1 995 = T.J. CORNELL, The beginnings of Rome. Italy and Rome from the Bronze Age to the Punic Wars (c. 1 000-264 BC), London-New York, Routledge, 1 995 («Routledge hi­ story of the ancient world» ). CoRNELL 20 1 3 = T.J. CoRNELL, The fragments of the Roman Historians, III, Commentary, Oxford, Oxford University Press, 20 1 3 . CoRRIAS 20 1 5 = G.M. CoRRIAS, Dei e religione dell 'antica Roma, Cagliari, Arkadia, 20 1 5 ( «Hi­ storica paperbacks», 1 ) . C o RS o 2004 = A. CoRSo, The art of Praxiteles, l, The development of Praxiteles ' workshop and its cultura! tradition unti! the sculptor's acme (364-1 BC), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2004 («Studia archaeologica», 1 3 3 ) . COSTELLO 1 950 = j . COSTELLO, The twelve pictures "Ordered by Velasquez" and the trial of Val­ guarnera, «]ournal of the Warburg and Courtauld lnstitutes», XIII, 1 950, pp. 23 7-284. CRAcco RuGGINI = L. CRAcco RuGGINI, «Fame laborasse Italiam": una nuova testimonianza sulla carestia del 383 d.C. , in L'Italia settentrionale nell'età antica: convegno in memoria di Plinio Fraccaro, fascicolo speciale di «Athenaeum», Pavia, Tipografia del Libro, 1 9 76, pp. 83-98. CRACCO RUGGINI 1 979 = L. CRACCO RUGGINI, n paganesimo romano tra religione e politica (384-394 d. C.): per una reinterpretazione del Carmen contra paganos, «Atti dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche», XXIII, 1 979, volume monografico. CRAcco RuGGINI 1 983 = L. CRAcco RuGGINI, Costantino e il Palladio, in Roma, Costantino­ poli, Mosca, Atti del 1 Seminario internazionale di studi storici "Da Roma alla Terza Roma" (2 1 -23 aprile 1 9 8 1 ) , Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1 983 («Da Roma alla Terza Roma. Studi», 1), pp. 24 1 -25 1 . o

CRAWFORD 1 974 = M.H. CRAWFORD, Roman Republican coinage, Cambridge, Cambridge University Press, 1 974. -

24 9

-

B I B L I O G RAFIA

CuRTI 1 940 = M. CuRTI, Religione e culti negli scrittori romani "De re rustica ", Udine, Istituto delle Edizioni Accademiche, 1 940. CuRTIUS 1 93 7 = L. CuRTIUS, Thalia, in Scritti in onore di Bartolomeo Nogara raccolti in oc­ casione del suo LXX anno, Città del Vaticano, Tipografia del Senato di G. Bardi, 1 937, pp. 1 05- 1 1 8 . CVA Deutschland = Corpus Vasorum Antiquorum, Deutschland, XXI, Berlin Antiquarium, 2, Mi.inchen, C . H . Beck, 1 962. D'ANGELO 200 l = Carmen defiguris ve! schematilms, introduzione, testo critico e commento a cura di R.M. D'Angelo, Hildesheim-Zi.irich-New York, C. Olms Verlag, 200 1 («Bi­ bliotheca Weidmanniana», 5). DAGUET-GAGEY 20 1 3 = A. DAGUET-GAGEY, L'édilité de Cicéron, «Revue des Études Ancien­ nes», cxv; 20 1 3 , pp. 29-49. DAGUET-GAGEY 20 1 5 = A. DAGUET-GAGEY, Splendor aedilitatum. L'édilité à Rome (I" s. avant ]. -C. -III' s. après ].-C.), Roma, École française de Rome, 20 1 5 («Collection de l'École française de Rome», 498). DE FRANCISCIS 1 960 = A. DE FRANCISCIS, s. v. Flora, in Enciclopedia dell'arte antica classica e orientale, III, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1 960, p. 7 1 4 . D E PAOLI 2004 = M . D E PAOLI, ccOpera fatta diligentissimamente>�. Restauri di sculture classiche a Venezia tra Quattro e Cinquecento, Roma, L'Erma di Bretschneider, 2004 («Le rovine circolari», 7). A. DEGRASSI (a cura di), Inscriptiones Italiae, XIII.2, Fasti anni Numani et Iuliani accedunt ferialia, menologia rustica, parapegmata, Roma, Istituto Poligrafico dello

DEGRASSI 1 963

=

Stato, 1 963 .

DEL PoNTE 1 992 = R. DEL PONTE, La religione dei Romani. La religione e il sacro in Roma anti­ ca, Milano, Rusconi, 1 992 («Orizzonti della storia»). DEL TUTTo PALMA 1 996a = L. DEL TUTTo PALMA (a cura di), La tavola di Agnone nel contesto italico, Firenze, Leo S. Olschki, 1 996 («Lingue e iscrizioni dell'Italia antica», 7). DEL TUTTo PALMA 1 996b = L. DEL TUTTo PALMA, Tavola di Agnone. L'iter delle interpretazio­ ni: 1 848-1 993, in L. DEL TUTTo PALMA (a cura di), La tavola di Agnone nel contesto italico, Firenze, Leo S. Olschki, 1 996 («Lingue e iscrizioni dell'Italia antica», 7), pp. 2 7 1 -4 1 1 . DELATTE 1936 = L . DELATTE, Recherches sur quelques fites mobiles du calendrier romain, ccL' An­ tiquité Classique», V, 1 936, pp. 3 8 1 -404. DELEHAYE 1 907 = H. DELEHAYE, Saints de Chypre, «Analecta Bollandiana», XXVI, 1 907, pp. 1 6 1 -30 1 . DELEHAYE 1 909 = H. DELEHAYE, Bulletin des publications hagiographiques 1 2 , «Analecta Bol­ landiana», XXVIII, 1 909, pp. 1 1 9- 1 23 . DEMPSEY 1 968 = C . DEMPSEY, Mercurius ver: the sources of Botticelli's Primavera, «]ournal of the Warburg and Courtauld lnstitutes», XXXI, 1968, pp. 25 1 -273 . DEMPSEY 1 992 = C . DEMPSEY, The portrayal of love. Botticelli's Primavera and humanist culture at the time of Lorenzo the Magnificent, Princeton (NJ), Princeton University Press, 1 992. DESCHAMPS 1 983 = L. DESCHAMPS, ccSabini dicti . . . thrò 'l"OV aépea(}alll , «Vichiana», XII, 1 983, pp. 1 5 7- 1 87. DESCHAMPS 1 995 = L. DESCHAMPS, La prière liminaire des Res Rusticae de Varron, «Vita Lati­ na», CXXXVII, 1 995, pp. 7-20. DEVOTO 1 967 = G. DEVOTO, ll panteon di Agnone, «Studi Etruschi», XXXV, 1 967, pp. 1 79- 1 97. -

25 0

-

B I B L I O G RAFIA

DEvOTo 1 9694 = G. DEvOTo, Gli antichi Italici, Firenze, Vallecchi, 1 9694 («Saggi Vallecchi», 1 7; «Collana storica», 79) . DIOSONO 2009a = F. DIOSONO, Coppa a vernice nera iscritta, in F. COARELLI - F. DIOSONO (a cura di), I templi e ilforum di Villa S. Silvestro. La Sabina dalla conquista romana a Vespasia­ no, Roma, Edizioni Quasar, 2009, pp. 1 3 7- 1 3 8 . DIOSONO 2009b = F. DxosoNo, Braccio marmoreo d i aerolito maschile, in F. COARELLI - F. Dm­ SONO (a cura di), I templi e il forum di Villa S. Silvestro. La Sabina dalla conquista romana a Vespasiano, Roma, Edizioni Quasar, 2009, p. 134. = F. DIOSONO, Cascia: i templi e il forum di Villa San Silvestro. La Sabina dalla conquista romana a Vespasiano, «Forma Urbis», XIV, 2009, pp. 8- 1 8 . DmsoNo 20 1 6 = F. DxosoNo, n posto degli dei: santuari extraurbani e colonizzazione romana nel III secolo a. C. n caso di Villa San Silvestro di Cascia, in A. .ANcxLLOTII - A. CALDERI­ NI - R. MASSARELLI (a cura di), Forme e strutture della religione nell'Italia mediana antica,

DIOSONO 2009c

III convegno internazionale dell'Istituto di ricerche e documentazione sugli antichi Umbri, 2 1 -25 settembre 201 1 , Perugia, Roma, L'Erma di Bretschneider, 20 1 6 («Studia archaeologica», 2 1 5), pp. 245-263 .

DooERO 20 1 7 = E. DODERO, Winckelmann e le sculture di Palazzo Nuovo: una selezione, in E. DODERO - C . PARISI PRESICCE (a cura di), n tesoro di antichità. Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento, Roma, Gangemi, 20 1 7, pp. 333-359. DOMASZEWSKI 1 907 = A . VON DOMASZEWSKI, Dei certi und dei incerti, «Archiv fùr Religions­ wissenschaft», X, 1 907, pp. 1 - 1 7. DRACK 20 1 4-20 1 5 = A . DRACK, Bine bronzenes Blumenmiidchen, «Romisches Ùsterreich. jah­ resschrift der Ùsterreichischen Gesellschaft fùr Archaologie», XXXVII-XXXVIII, 20 1 41 0 1 5 , pp. 1 1 - 1 5 . = A . DusouRDIEU -J . ScHEID, Lieux de culte, lieux sacrés: l es usage de la langue. L'Italie romaine, in A. VAUCHEZ (éd.), Lieux sacrés, lieux de culte, sanctuaires. Approches terminologiques, méthodologiques, historiques et monographiques, Roma, École

DuBOURDIEU - ScHEID 2000

française de Rome, 2000 («Collection de l'École française de Rome», 273), pp. 59-80.

DuMÉZIL 1 954 = G. DuMÉZIL, Rituels indo-européens a Rome, Paris, C . Klincksieck, 1954 («Études et commentaires», 1 9). DuMÉZIL 1 956 = G. DuMÉZIL, Déesses latines et mythes védiques, Bruxelles-Berchem, Lato­ mus, 1 956 («Collection Latomus», 25). DuMÉZIL ( 1974) 201 1

=

G . DuMÉZIL, La religione romana arcaica, trad. it. Milano, Rizzoli, 201 1 .

DuNSCH 2009 = B. DuNSCH, Religion in der romischen Komodie: einige programmatische Uber­ legungen, in A. BENDLIN - J. RtiPKE (hrsg.), Romische Religion im historischen Wandel. Di­ skursentwicklung von Plautus bis Ovid, Stuttgart, F. Steiner Verlag, 2009 ( «Potsdamer Al­ tertumswissenschaftliche Beitrage», 1 7), pp. 1 7-56. DuPONT 1 985 = F. DuPONT, L'acteur roi, ou le théatre dans la Rome antique, Paris, Les Belles Lettres, 1 98 5 . DuRANTE 1 978 = M. DuRANTE, I dialetti medio-italici, i n A. L. PaosooCIMI - M . CRISTOFANI ( a cura di), Popoli e civiltà dell'Italia antica, VI, Lingue e dialetti, Roma, Biblioteca d i Storia Patria, 1 978, pp. 789-823 . ECKHEL 1 795 = J.H. ECKHEL, Doctrina numorum veterum, V, Wien, sumptibus Iosephi Came­ sina et soc. , impressum typis Kurtzbekianis, 1 795. EowARDs 1 993 = C . EowARDS, The politics of immorality, Cambridge, Cambridge University Press, 1 993 . -

25 1

-

B I B L I O G RA F IA

ELM 2003 = D. ELM, Die Kontroverse itber die "Sondergotter". Ein Beitrag zur Rezeptions- und

Wirkungsgeschichte des Handbuches "Religion und Kultus der Romer" von Georg Wtssowa,

«Archiv fii r Religionsgeschichte», V, 2003 , pp. 67-79.

ENSOLI 2009 = S. ENSOLI, n teatro nella domus. La scenografia nella pittura parietale romana, in E. LA RoccA - S. ENsou - S. ToRTORELLA - M . PAPINI (a cura di), Roma. La pittura di un impero, Milano, Skira, 2009, pp. 56-65 . EPPLETT 2003 = C. EPPLETT, The preparation of animalsfor Roman spectacula. Vivaria and their administration, «Ludica», IX, 2003 , pp. 76-92. EPPLET 20 1 4 = C . EPPLET, Roman beast hunts, in P. CHRISTESEN - D. G. KYLE (edd.), A com­ panion to sport and spectacle in Greek and Roman antiquity, Chichester, Wiley-Blackwell, 20 1 4 («Blackwell companions to the ancient world»), pp. 505·5 1 9 . MEILLET 1 9854 = A. ERNOUT - A. MEILLET, Dictionnaire Étymologique de la langue latine. Histoire des mots, Paris, C . Klincksieck, 1 9854• EsTIENNE 2005 = S. EsTIENNE, ThesCRA, s. v. autres célébrants du culte public, V, Personnel of cult, cult instruments, Los Angeles, The J. Paul Getty Museum, 2005, pp. 1 03 - 1 06 . EvANS 1 939 = E.C. EvANS, The cults of the Sabine territory, New York, American Academy

ERNoUT

-

in Rome, 1 939 («Papers and monographs of the American Academy in Rome», 1 1 ).

FABBRI 20 1 7 = L. FABBRI, n papavero da oppio nella cultura e nella religione romana, Firenze, Leo S. Olschki, 20 1 7 («Biblioteca dell'Archivum Romanicum. Serie 1: storia, letteratu­ ra, paleografia» 469). FABBRI 20 1 8 = L. FABBRI, Le piante di Kore-Persefone in Grecia, Magna Grecia e Sicilia, in G. ARRI GONI (a cura di), Dei e piante nell'antica Grecia, Bergamo, Sestante Edizioni, 20 1 8 («Series antiqua», 6), pp. 22 1 -284. FAGAN 20 1 1 = G.G. FAGAN, The lure of the arena. Social psychology and the crowd at the Roman games, Cambridge, Cambridge University Press, 201 1 . FAGIANI 20 1 0 = M . FAGIANI, La tavola di Agnone: un tassello importante della religiosità osca, «AUlN. Annali del Dipartimento di Studi del Mondo Classico e del Mediterraneo Anti· co. Sezione Linguistica», XXXII, 20 10, pp. 129- 1 84. FANTHAM 1 988- 1 989 = E. FANTHAM, Mime: the missing link in Roman literary history, «The Classical World>>, LXXXII, 1 988- 1 989, pp. 1 53 - 1 63. FANTHAM 1 993 = E. FANTHAM, Ceres, Liber and Flora: georgic and anti-georgic elements in Ovid 's Fasti, «Proceedings of the Cambridge Philological Society», XXXVIII, 1 993, pp. 39-56. FANTHAM 1 998 = Ovid. Fasti. Book N, edited by E. Fantham, Cambridge, Cambridge Uni­ versity Press, 1 998 («Cambridge Greek and Latin classics» ). FAUTH 1 978 = W FAUTH, Romische Religion im Spiegel der 'Fasti ' des Ovid, in W HAASE (hrsg.), Aufstieg und Niedergang der romischen Welt, Il 1 6. 1 , Berlin-New York, De Gruyter, pp. 1 04- 1 86. FAVRO 1 999 = D. FAVRO, The city is a living thing: the peiformative role of an urban site in ancient Rome, the Vallis Murcia, in B. BERGMANN - C . KoNDOLEON (edd.), The art of an­ cient spectacle, Washington D. C . -London, N ational Gallery of Art-Yale University Press, 1 999 («Studies in the history of art», 56; «Symposium papers», 36), pp. 205-2 1 9 . FÉLIBIEN 1 685 = A. FÉLIBIEN, Entretiens sur les vies et sur les ouvrages des plus excellens peintres anciens et modernes, N, Paris, S. Mabre-Cramoisy, 1 68 5 . FERRI 2007 = G. FERRI, Valeria Sorano e il nome segreto di Roma, «Studi e Materiali d i Storia delle Religioni», LXXIII, 2007, pp. 271-303 . -

252

-

B I B L I OG RA F I A

FERRI 2010a = G. FERRI, Tutela segreta ed evocatio nel politeismo romano, Roma, Bulzoni, 20 1 0 ( «Mos maiorum», 4). FERRI 20 1 0b = G. FERRI, Tutela urbis. n significato e la concezione della divinità tutelare dttadi­ na nella religione romana, Stuttgart, F. Steiner Verlag, 20 l O ( «Potsdamer Altertumswis­ senschaftliche Beitrage», 32). FERRI 2000 = Plinio il Vecchio. Storia delle antiche arti, testo critico, traduzione e commento a cura di S. Ferri, Milano, Rizzoli, 2000 («Biblioteca universale Rizzoli. Classici greci e latini», 1 00). FLEISCHER 1 984 = R. FLEISCHER, LIMC, s. v. Aphrodite, Il, Zi.irich-Mi.inchen, Artemis, 1 984, pp. 2- 1 54. FLINT-HAMILTON 1 999 = K.B. FLINT-HAMILTON, Legumes in andent Greece and Rome: food, medidne, or poison?, «Hesperia», LXVIII, 1 999, pp. 3 7 1 -3 8 5 . FLORENCE 20 1 4 = M . FLORENCE, The body politic. Sexuality in Greek and Roman comedy and mime, in T. K. HuBBARD (ed.), A companion to Greek and Roman sexualities, Chichester, Wiley-Blackwell, 20 1 4 («Blackwell companions to the ancient world»), pp. 366-377. FoRSÉN 1991 = B. FoRSÉN, Lex Lidnia Sextia de modo agrorum -fiction or reality?, Helsinki, Societas Scientiarum Fennica, 1 9 9 1 («Commentationes humanarum litterarum», 96). FouLON 20 1 0 = A. FouLON, Flora et les Floralia chez Ovide, in D. BRIQUEL - C . FÉVRIER - C. GmTTARD (édd.), Varietates fortunae. Religion et mythologie à Rome. Hommage à ]acqueli­ ne Champeaux, Paris, Presses de l'Université Paris-Sorbonne, 20 1 0 («Roma antiqua»), pp. 45-54. FowLER 1 899 = W.W. FOWLER, The Roman ftstivals of the period of the Republic. An intro­ duction to the study of the religion of the Romans, London-New York, Macmillan and Co. , 1 899 ( «Handbooks of archaeology and antiquity» ). FRAzER 1 929 = Publii Ovidii Nasonis Fastorum libri sex, edited with a translation and com­ mentary by J.G. Frazer, IV, London, Macmillan and Co. , 1 929. FucECCHI 1 998 = Ovidio. I Fasti, introduzione e traduzione di Luca Canali, note di Marco Fucecchi, Milano, Rizzoli, 1 998 («Biblioteca universale Rizzoli. Classici greci e latini», 1 07). GALE 2009 = Lucretius. De rerum natura 5, edited with translation and commentary by M.R. Gale, Oxford, Oxbow Books, 2009 (