L'orologio di Einstein. La riflessione filosofica sul tempo della fisica 884911835X, 9788849118353

La relatività ha messo in discussione l’idea che esista un tempo unico che scorre indipendentemente dal’osservatore, fav

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L'orologio di Einstein. La riflessione filosofica sul tempo della fisica
 884911835X, 9788849118353

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Vincenzo Fano - Isabella Tassani

l'orologio di einstein la riflessione filosofica sul tempo della fisica

il

ClliEB

Prefazione

Fin dall'apparire della relatività ristretta all'inizio del Novecento, ci si è resi conto dell'importanza di questa teoria per la nozione di tempo in generale. I primi contributi significativi che mettono in luce tale re­ lazione sono quelli di Hans Reichenbach e Henri Bergson, ma con il secondo dopoguerra la riflessione sull'impatto filosofico della fisica per la nozione di tempo si è estesa e approfondita, toccando vertici di sofisticazione veramente notevoli nei lavori di Adolf Gri.inbaum, Law­ rence Sklar, John Earman e Michael Friedman. La relatività ristretta ha messo in discussione l'idea che esista un unico tempo che scorra indipendentemente dall'osservatore, favoren­ do la tesi metafisica secondo cui il passare del tempo sia una sorta di illusione soggettiva. La meccanica statistica ha fatto intravedere la pos­ sibilità di ricondurre l'enigmatica nozione di "direzione del tempo" al concetto di entropia. La relatività generale ha reso possibile concepire dei veri e propri viaggi nel tempo. Questi e altri sono i temi che af­ fronteremo nel presente volume, studiando contributi ormai classici di filosofi e fisici, presentati dalle nostre ampie introduzioni. Non ab­ biamo considerato la gravità quantistica e la cosmologia, perché sono teorie che, in relazione al concetto di tempo - ma non solo - aspetta­ no ancora una definitiva sistemazione. Con l'aiuto delle nostre introduzioni il libro può essere utilizzato proficuamente da chiunque si ricordi la fisica del liceo e abbia interes­ se per i problemi filosofici che essa suscita. Il volume è diviso in cinque parti, più un'appendice. Nella prima si prendono le mosse dalle pagine di McTaggart in cui egli presenta la classica distinzione fra serie temporale A, che fluisce, e serie temporale B, che è statica. Successivamente, Gri.inbaum argomenta, sulla base dei risultati della fisica, che la serie A è puramente soggettiva, mentre

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Prefazione

Capek, sempre rifacendosi alle teorie fisiche, propende per l'oggetti­ vità del flusso temporale. Nella seconda parte Carnap presenta in mo­ do semplice e chiaro le procedure di misurazione del tempo dal punto di vista operativo. Bergson cerca invece di mostrare come il tempo fi­ sico non sia realmente tempo, ma tempo spazializzato, e infine Rei­ chenbach argomenta contro quest'ultimo punto di vista. Con la terza parte si entra nello specifico della relatività ristretta. Il manuale di Rindler sulla relatività è uno di quelli filosoficamente più attenti; ab­ biamo scelto per questo la sua presentazione della critica relativistica al concetto di simultaneità. Salmon, seguendo Reichenbach, sostiene che la simultaneità non è solo relativa al moto del sistema di riferi­ mento rispetto al quale viene osservata, ma è anche convenzionale al­ l'interno del sistema prescelto, dato che la velocità della luce si può misurare solo su un percorso di andata e ritorno. Friedman infine ar­ gomenta in modo incisivo contro la convenzionalità della simulta­ neità. La quarta parte comincia con la splendida lezione in cui Feyn­ man presenta con chiarezza il fenomeno relativistico delle dilatazioni temporali e il conseguente paradosso dei gemelli, traendo anche delle conclusioni metafisiche sulla natura del tempo. Bergson sostiene l'ir­ realtà di questi fenomeni relativistici, mediante argomenti in parte er­ rati, che però mostrano anche la debolezza della tesi metafisica di Feynman. Rindler, in una bella pagina del suo manuale, stabilisce una distinzione importante utile per comprendere gli errori di Bergson. Salmon infine fornisce una soluzione chiara e ormai accettata del pa­ radosso dei gemelli. La quinta parte è dedicata al difficile problema della direzione del tempo. Nel suo classico libro, Reichenbach intro­ duce la distinzione fra ordine e direzione del tempo, cercando poi di ridurre quest'ultima a un rapporto causale. In particolare, egli, se­ guendo Boltzmann ed Eddington, propone una versione statistica del­ la nozione di direzione del tempo, basata sul concetto di entropia. Earman argomenta con acume contro questa impostazione, mostran­ do che è in parte incompatibile con lo spaziotempo relativistico. Sklar, infine, mostra con chiarezza quale possa essere il senso epistemologico del problema dopo questi contributi. Infine nell'appendice abbiamo esposto le basi fisiche che rendono concepibili i viaggi nel tempo e le difficoltà filosofiche suscitate dal cosiddetto "paradosso del nonno". Ogni parte è preceduta da un'ampia nota illustrativa e alla fine del volume si possono trovare delle schede biobliografiche degli autori presenti nell'antologia.

Prefazione

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Il libro è il frutto di un'assidua collaborazione fra i due curatori, che ne hanno discusso assieme ogni singola pagina; ciò malgrado le traduzioni e la bibliografia sono soprattutto opera di Isabella Tassani, mentre le introduzioni alle cinque parti e l'appendice sono soprattutto opera di Vincenzo Fano.

RINGRAZ IAMENTI Ringraziamo Silvio Bergia, Eddy Carli, Mauro Dorato e Guido Fano per i preziosi suggerimenti e le acute osservazioni.

I Il divenire è soggettivo o oggettivo?

Il modo più naturale di definire le determinazioni temporali di ciò che accade è mediante l'uso di un calendario. Ad esempio, sappiamo che l'Italia è stata liberata il 25 aprile 1 945 e che l'armistizio è stato dichiarato 1'8 settembre 1 943, per cui possiamo dire che "la liberazio­ ne è successiva all'armistizio" oppure che "l'armistizio è precedente alla liberazione". Queste relazioni temporali di precedenza e successione sono permanenti, ovvero il valore di verità delle suddette affermazioni non dipende dal momento in cui le enunciamo; in altre parole esse sono sempre vere. Ciò significa che è possibile introdurre una serie temporale che ci consente di ordinare gli eventi in modo assoluto e definitivo. D'altra parte, possiamo guardare alla serie temporale degli eventi anche in un altro modo sostanzialmente diverso. Ad esempio, oggi sto scrivendo alcune pagine sul tempo e la fisica, mentre ieri face­ vo una passeggiata in montagna, e domani andrò a un congresso. È chiaro che questi tre eventi sono ordinati da relazioni fisse di prece­ denza e successione definite dal calendario; tuttavia nel momento in cui li determino temporalmente mediante le espressioni "oggi", "ieri" e "domani", li inserisco in una serie temporale diversa da quella prece­ dente. Infatti, mentre stavo facendo la passeggiata, le affermazioni "ie­ ri stavo facendo una passeggiata in montagna'' e "oggi sto scrivendo alcune pagine su tempo e fisica'' erano false, mentre adesso sono vere. Inoltre, domani l'affermazione "domani andrò al congresso" sarà pre­ sumibilmente falsa, mentre adesso è vera. In altre parole, le afferma­ zioni temporali definite in questi esempi non hanno sempre lo stesso valore di verità, cioè non sono atemporali. Si delinea quindi una contrapposizione fra la serie temporale defi­ nita dalle relazioni di precedenza e successione e quella determinata da ciò che è passato o foturo, cioè da ciò che è relativo all"'adesso". La pri-

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Introduzione I

ma ci consente di formulare enunciati che hanno validità atemporale, mentre il valore di verità degli enunciati che esprimono le relazioni temporali della seconda variano continuamente. In definitiva noi pos­ siamo esprimere e pensare il tempo in due modi differenti, uno statico e uno dinamico, uno indipendente dal presente, l'altro relativo all'a­ desso. McTaggart, nelle pagine che qui traduciamo, enuclea per primo con chiarezza questa distinzione, chiamando la serie temporale dina­ mica serie A e quella statica serie B. A partire dal lavoro del filosofo inglese, nella filosofia analitica del Novecento si è sviluppata una vera e propria contrapposizione fra coloro che sostengono che la serie A sia più originaria della serie B , cioè che le relazioni della serie B siano riducibili sulla base di quelle della serie A, e, viceversa, coloro che so­ stengono che le relazioni della serie B siano più fondamentali, perché le relazioni della serie A sarebbero riconducibili a esse. Un teorico A ritiene innanzittutto che il tempo è essenzialmente legato alla nozio­ ne di "adesso" o di "presente" che cambia continuamente. Inoltre so­ lo in questo ambito si ha vero cambiamento, cioè le cose mutano so­ lo nel passaggio dal futuro al presente al passato. Infine il presente impone un'asimmetria oggettiva fra passato e futuro. Per contro, i teorici B credono che l'adesso transiente sia sostanzialmente soggetti­ vo, cioè che dipenda dalla mente; inoltre, secondo il loro punto di vi­ sta, per avere cambiamento è sufficiente che qualcosa sia differente in istanti diversi della serie B; infine la distinzione fra passato e futuro è illusoria. In questo contesto ci interessa sapere se la fisica può fornire argo­ menti a favore della teoria B o della teoria A. Questo sarà possibile so­ lo se non abbracciamo una posizione del tutto scettica a proposito del realismo scientifico, cioè se riteniamo che le teorie scientifiche confer­ mate ci possano dire almeno in parte come è realmente fatto il mon­ do, al di là della loro corrispondenza con i meri dati osservativi. Ad esempio, se la teoria della relatività ristretta è la migliore spiegazione dei corpi in movimento in un universo senza masse gravitazionali, al­ lora lo spaziotempo di Minkowski in un qualche senso ci fornirà informazioni effettive su come è realmente il tempo nel mondo in cui viviamo, nella misura in cui possiamo considerarci in un sistema lo­ calmente inerziale1 • 1 Il maggiore oppositore di questo punto di vista è van Fraassen ( 1 980), che criti-

Il divenire è soggettivo o oggettivo?

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I due brani di Griinbaum e Capek, che presentiamo, traggono dal­ la teoria della relatività conclusioni in buona parte contrapposte. Il primo argomenta in modo convincente contro la possibilità che la fi­ sica renda conto del concetto di adesso o presente, criticando soprat­ tutto il tentativo di Reichenbach di interpretarlo sulla base dell'inde­ terminismo quantistico. Egli quindi prosegue sostenendo che le no­ zioni di presente, passato e futuro, cioè quelle che determinano le re­ lazioni della serie A, dipendono dalla prospettiva soggettiva di un esse­ re cosciente. Su questo si può esprimere qualche dubbio, perché il fat­ to che la fisica non sia in grado di descrivere il presente transiente non implica necessariamente che esso sia del tutto dipendente dalla mente2• Nelle ultime pagine Griinbaum difende implicitamente la teoria B del tempo, sostenendo con Weyl che in relatività ristretta il flusso del tempo ha senso solo dal punto di vista di una coscienza che scorre lungo la linea di universo del suo corpo, per cui solo la serie B del tempo è reale. In effetti, il fatto che in relatività ristretta la simulta­ neità sia relativa, cioè, come vedremo meglio nella terza parte, non sia più possibile definire una simultaneità che valga per sistemi di riferi­ mento che sono distanti e in moto uno rispetto all'altro, ci suggerisce che non esiste una nozione di presente che sia indipendente dall' osser­ vatore, in quanto ciò che per un osservatore è presente dipende dal suo stato di moto. Bisogna però tenere in considerazione il fatto che, da un lato, non si può esautorare completamente il valore cognitivo della nostra esperienza del presente, e, dall'altro, che questi effetti rela­ tivistici diventano significativi solo a velocità paragonabili a quella della luce, per cui nei nostri normali rapporti fra uomini essi sono so­ stanzialmente irrilevanti. Infine Griinbaum critica l'impostazione di Capek, che, invece, nel suo L'impatto filosofico della fisica contemporanea\ aveva argomentato a favore di quella che possiamo chiamare una teoria A del tempo, pur basandosi sulla stessa teoria della relatività ristretta. ca in maniera convincente le posizioni realiste di Boyd, Putnam e altri. Sull'intera questione si veda Papineau ( 1 996) . Senza abbracciare il realismo scientifico, ci sembra impossibile negare che la fisica possa aiutare a comprendere la natura del tempo, an­ che se probabilmente non è l'unica fonte di conoscenza al riguardo, né fornisce risul­ tati definitivi e non perfettibili. 2 Si veda ad esempio Shimony ( 1 993}, vol. 2, cap. 1 8. 3 Capek ( 1 96 1 ) .

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Introduzione I

Il ragionamento di Capek è veramente notevole e mostra come una stessa teoria fisica, pur suggerendoci delle indicazioni sulla natura del tempo, non possa comunque fornirci al riguardo una risposta definitiva. Egli si occupa dei concetti di simultaneità e successione di eventi "omo­ topici" (che avvengono nello stesso luogo) ed "eterotopici" (che avven­ gono in luoghi diversi). Nello spaziotempo di Minkowski gli eventi omotopici, che siano simultanei o successivi, mantengono il loro ordine temporale visti da qualsiasi altro sistema di riferimento. Lo stesso vale per gli eventi eterotopici successivi, quando sono collegabili causalmen­ te, cioè quando uno è nel cono di luce futuro dell'altro. Questo significa che in questi tre casi l'ordine temporale è assoluto, cioè indipendente dal sistema di riferimento. Per contro, gli eventi simultanei eterotopici e quelli successivi eterotopici non collegabili causalmente hanno un ordi­ ne temporale che dipende dal sistema di riferimento da cui vengono os­ servati. Questo, secondo Capek, non implica che l'ordine temporale venga relativizzato allo stato di moto del sistema di riferimento, per cui diventerebbe privo di senso parlare di un divenire temporale, bensì che la nozione di universo ad un istante perde di senso. Ovvero, non è tanto il tempo che viene relativizzato, quanto lo spazio che viene indissolubil­ mente legato al concetto di tempo, ovvero dinamicizzato. In altri termi­ ni, il fatto che non si possa parlare di ordine temporale per eventi di­ stanti spazialmente, a meno che non siano connettibili causalmente, si­ gnifica che lo spazio perde la sua autonomia ontologica rispetto al tem­ po. Dunque in questa prospettiva la relatività, invece di suggerirei una teoria B del tempo, sembra proporci una teoria A del tempo. In realtà queste conclusioni vanno riconsiderare criticamente. In­ nanzittutto resta il problema che il passaggio del tempo in quanto ta­ le, come ha mostrato Griinbaum, rimane comunque fuori dalla teoria fisica, per cui l'interpretazione dello spaziotempo di Minkowski pro­ posta da Capek non può dare senso oggettivo alla serie A. Inoltre, l'ir­ realtà dell'altrove sostenuta da Capek presuppone un'interpretazione fortemente verificazionista, secondo cui ciò che non è misurabile di­ rettamente non è reale. Non è quindi chiaro se la relatività della si­ multaneità ci porti a dire che la serie temporale può essere diversa in luoghi diversi, per cui manchi di oggettività, oppure se essa implichi la dinamicizzazione dello spazio e la sua riduzione all'ordine tempora­ le di un sistema di riferimento, come vorrebbe Capek. È però ragionevole ritenere che nell'insieme la relatività ristretta porti più acqua al mulino dei teorici B che a quello dei teorici A.

Prima

e

dopo, passato

e

futuro 1

di John Mc Taggart

È opportuno iniziare la nostra ricerca chiedendoci se ciò che esiste

possa avere la caratteristica di esistere nel tempo. Tenterò di mostrare che questo non è possibile. Sembra estremamente paradossale asserire che il tempo non è rea­ le, e che tutte le affermazioni che implicano la sua realtà sono errate. Una simile asserzione comporta un allontanamento dalla posizione naturale dell'uomo che è di gran lunga maggiore rispetto a quello che deriva dall'asserire l'irrealtà dello spazio o della materia. Infatti è vero che nell'esperienza di ogni uomo c'è una parte - i suoi stati interiori, che gli sono noti mediante l'introspezione - che ancora non gli appare sotto forma spaziale o materiale, tuttavia noi non facciamo alcuna esperienza che non ci sembri temporale. Anche i nostri giudizi, secon­ do i quali il tempo non è reale, sembrano essi stessi essere nel tempo. Eppure in tutte le epoche e in tutte le parti del mondo la credenza nell'irrealtà del tempo si è mostrata straordinariamente durevole. Nel­ la filosofia e nella religione dell'Occidente - e ancora di più, suppon­ go, in quelle orientali - troviamo che la tesi dell'irrealtà del tempo si ripresenta continuamente. Né la filosofia né la religione si sono mai tenute a lungo lontane dal misticismo, e quasi tutto il misticismo nega la realtà del tempo. Nella filosofia il tempo è considerato non reale da Spinoza, da Kant e da Hegel. Tra i pensatori più moderni, lo stesso punto di vista è assunto da Bradley. Una simile concordanza di opi­ nioni è estremamente significativa e non lo è meno per il fatto che la concezione assume forme cosl diverse ed è sostenuta da argomentazio­ ni cosl differenti.

1 Tradotto da McTaggan

(1968), cap. 33, pp. 9-22.

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John Mc Taggart

Credo che niente di ciò che esiste possa avere una dimensione tem­ porale e che perciò il tempo sia irreale. Ma lo credo per ragioni che non sono state avanzate da nessuno dei filosofi che ho appena nominato. Le posizioni nel tempo, per come il tempo ci appare prima facie, ven­ gono distinte in due modi. Ogni posizione è Precedente ad una e Succes­ siva ad un'altra. Per costituire una simile serie è necessaria una relazione transitiva e asimmetrica, nonché un gruppo di termini tali che, se se ne prendono due qualunque, o il primo della coppia sia in questa relazione con il secondo, o il secondo sia in questa relazione con il primo. Possiamo prendere qui o la relazione "precedente à' o la relazione "successivo à', che, naturalmente, sono entrambe transitive e asimmetriche. Se prendia­ mo la prima, allora i termini devono essere tali che, presi due qualunque, o il primo è precedente al secondo, o il secondo è precedente al primo. In secondo luogo, ogni posizione è Passata, Presente o Futura. Le distinzioni del primo tipo sono permanenti, mentre quelle del secon­ do no. Se M è precedente a N, è sempre precedente. Ma un evento, che ora è presente, era futuro e sarà passato. Poiché le distinzioni della prima classe sono permanenti, si potreb­ be pensare che esse siano più oggettive e più essenziali alla natura del tempo, rispetto a quelle della seconda classe. Credo, tuttavia, che que­ sto sarebbe un errore e che la distinzione tra passato, presente e futuro sia un elemento essenziale per il tempo quanto la distinzione tra prece­ dente e successivo, mentre in un certo senso, come vedremo, può es­ sere considerata più fondamentale rispetto alla distinzione tra prece­ dente e successivo. Ciò accade perché le distinzioni tra passato, pre­ sente e futuro mi sembrano essere essenziali per il tempo, dato che io considero il tempo non reale. Per ragioni di brevità chiamerò serie A quella serie di posizioni che si succedono dal lontano passato attraverso il passato prossimo fino al presente, e poi dal presente attraverso il futuro prossimo sino al lonta­ no futuro, o in senso opposto. Chiamerò serie B la serie di posizioni che vanno dal precedente al successivo, o in senso inverso. I contenuti di ogni posizione nel tempo formano un evento. I diversi contenuti simultanei di una singola posizione costituiscono, naturalmente, una pluralità di eventi. Ma, come ogni altra sostanza, essi formano un gruppo2, e questo gruppo è una sostanza composta. E si può appro-

2 Per "gruppo" McTaggart intende un insieme di sostanze che non sono ricondu­ cibili a un concetto comune [N. d. T.] .

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priatamente dire che una sostanza composta che consiste di eventi si­ multanei costituisca essa stessa un evento3• La prima questione che dobbiamo considerare è se sia essenziale al­ la realtà del tempo il fatto che i suoi eventi formino una serie A così come una serie B. È chiaro, tanto per cominciare, che nell'esperienza presente non osserviamo mai gli eventi nel tempo, se non come costi­ tutivi di entrambe queste serie. Noi percepiamo gli eventi nel tempo come se fossero presenti e quelli sono gli unici eventi che percepiamo effettivamente. E tutti gli altri eventi che, per effetto della memoria o per inferenza, crediamo essere reali, li consideriamo presenti, passati o futuri. Così, gli eventi del tempo che vengono osservati da noi forma­ no una serie A. Tuttavia, si potrebbe dire che questo sia soltanto soggettivo. Po­ trebbe essere che la distinzione delle posizioni nel tempo in passato, presente e futuro sia solo un'illusione costante delle nostre menti, e che la vera natura del tempo contenga solo le distinzioni della serie B le distinzioni tra precedente e successivo. In tal caso non percepi­ remmo il tempo come è realmente, sebbene potremmo essere in grado di pensar/o per come è realmente. Questo non è un punto di vista molto comune, ma richiede un' at­ tenta considerazione. Per quanto mi riguarda, credo che sia insostenibile perché, come ho detto prima, mi sembra che la serie A sia essenziale alla

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3 È molto comune riflettere sul tempo mediante una metafora del movimento spaziale. Ma movimento spaziale in quale direzione? Il movimento del tempo consiste nel fatto che progressivamente i termini passano nel presente, o - che è la stessa cosa espressa in un altro modo -che il presente passa progressivamente ai termini successi­ vi. Se prendiamo il primo modo, stiamo prendendo la serie B che scivola lungo una serie A fissa. Se prendiamo il secondo modo, stiamo prendendo la serie A che scivola lungo una serie B fissa. Nel primo caso il tempo si presenta come un movimento dal futuro al passato. Nel secondo caso si presenta come un movimento dal precedente al successivo. E questo spiega perché diciamo che gli eventi spuntano dal futuro, mentre diciamo che ci muoviamo verso il futuro. Infatti ogni uomo identifica se stesso spe­ cialmente con il suo stato presente, invece che con il suo futuro o il suo passato, per­ ché questo è il solo che lui percepisce direttamente. E questo lo porta a dire che si sta muovendo con il presente verso eventi successivi. E siccome quegli eventi sono ora fu­ turi, egli dice che si sta muovendo verso il futuro. Perciò la questione del movimento del tempo è ambigua. Ma se ci chiediamo che cos'è il movimento dell'una o l'altra delle due serie, la domanda non è ambigua. Il movimento della serie A lungo la serie B è dal precedente al successivo. Il movimento della serie B lungo la serie A è dal futuro al passato.

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natura del tempo e che ogni difficoltà a considerare la serie A come reale comporti ugualmente una difficoltà nel ritenere il tempo reale. Suppongo che sarebbe universalmente ammesso che il tempo im­ plica il mutamento. Nel linguaggio ordinario, infatti, diciamo che qualcosa può rimanere immutato attraverso il tempo. Ma non potreb­ be esserci alcun tempo se niente è mutato, e se una cosa muta, allora tutte le altre cose cambiano con essa. Infatti, a causa del suo muta­ mento, devono cambiare alcune delle loro relazioni ad essa, nonché le loro qualità relazionali. La caduta di un castello di sabbia sulla costa inglese cambia la natura della piramide di Cheope. Quindi se una serie B senza una serie A può costituire il tempo, il mutamento deve essere possibile senza una serie A. Supponiamo che le distinzioni tra passato, presente e futuro non si applichino alla realtà. In tal caso, si può applicare il mutamento alla realtà? In base a questa ipotesi, che cosa potrebbe mutare? Possiamo dire che, in un tempo che ha formato una serie B ma non una serie A, il mutamento è consistito nel fatto che l'evento ha cessato di essere un evento, mentre un altro evento ha cominciato ad essere un evento? Se cosl fosse, avremmo certamente un mutamento. Ma questo è impossibile. Se N è sempre precedente a O e successi­ vo a M, sarà sempre, e sempre è stato, precedente a O e successivo a M, perché le relazioni di "precedente à' e "successivo à' sono perma­ nenti. Così N sarà sempre in una serie B. E poiché, secondo la nostra ipotesi attuale, una serie B da sola costituirebbe il tempo, N avrà sem­ pre una posizione in una serie temporale, e sempre ne ha avuta una. In altri termini, N è sempre stato un evento, e sempre lo sarà, e non può cominciare o cessare di esserlo. Oppure dovremmo dire che un evento M si fonde in un altro evento N, mentre ancora preserva una certa identità per mezzo di un elemento immutato, così che si può dire, non solo che M è cessato e N è cominciato, ma che è M che è divenuto M Tuttavia si ripresenta la stessa difficoltà. M e N possono avere un elemento in comune, ma essi non sono lo stesso evento, altrimenti non ci sarebbe alcun cam­ biamento. Se, perciò, M è mutato in N ad un certo istante, allora in quel momento M avrebbe cessato di essere M, e N avrebbe iniziato a essere N Ciò implica che, in quel momento, M avrebbe cessato di es­ sere un evento, e N avrebbe cominciato ad essere un evento. E noi ab­ biamo visto, nel paragrafo precedente, che, sulla base della nostra at­ tuale ipotesi, questo è impossibile.

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N é s i può cercare tale mutamento nei diversi istanti del tempo as­ soluto, anche ammesso che tali istanti esistano. Infatti in questo caso varrà lo stesso argomento. Ogni momento di questo genere avrà il suo posto nella serie B, perché ognuno sarebbe precedente o successivo ri­ spetto ad ognuno degli altri. E , poiché la serie B dipende da relazioni permanenti, nessun momento potrebbe mai cessare di esistere, né po­ trebbe diventare un altro momento. Il cambiamento, dunque, non può sorgere da un evento che cessa di essere un evento, né da un evento che sta mutando in un altro. Al­ lora in quale altro modo può sorgere? Se le caratteristiche di un evento mutano, allora c'è certamente mutamento. Ma quali caratteristiche di un evento possono cambiare? Mi sembra che ci sia solo una classe di caratteristiche di tal genere, ed è la classe costituita dalle determinazio­ ni dell'evento in questione mediante i termini della serie A. Prendiamo un evento - ad esempio, la morte della regina Anna - e consideriamo quali mutamenti possono aver luogo nelle sue caratteri­ stiche. Quell'evento è una morte, la morte di Anna Stuart, e ha tali cause e tali effetti - ogni caratteristica di questo genere non muta mai. "Prima che le stelle si vedessero a vicendà', l'evento in questione era la morte di una regina. Nell'ultimo istante di tempo - ammesso che il tempo abbia un ultimo istante - sarà ancora la morte di una regina. E sotto tutti gli aspetti, eccetto uno, è ugualmente privo di mutamento. Ma da un punto di vista esso cambia. Una volta era un evento del fu­ turo remoto; divenne in ogni momento un evento del futuro più prossimo e infine era presente. Poi divenne passato, e rimarrà per sem­ pre passato, sebbene in ogni momento divenga un passato sempre più remoto4• Tali caratteristiche sono le uniche che possono mutare; perciò, se c'è un mutamento, deve essere cercato nella serie A, e solo nella serie A. Se non c'è nessuna serie A reale, allora non c'è alcun mutamento reale. La serie B, perciò, non è sufficiente da sola a costituire il tempo, dato che il tempo implica il mutamento. 4 Il passato, perciò, muta continuamente, se la serie A è veramente reale, perché ad ogni istante un evento passato è più lontano nel passato di quanto non fosse prima. Questa conclusione segue dalla realtà della serie A, ed è indipendente dalla verità della nostra prospettiva secondo la quale ogni mutamento dipende esclusivamente dalla se­ rie A. Vale la pena rilevare ciò, perché la maggior parte delle persone combinano l'idea che la serie A sia reale con quella secondo cui il passato non può mutare - una combi­ nazione che è inconsistente.

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La serie B, tuttavia, non può esistere se non come serie temporale, dato che il precedente e il successivo, che sono relazioni che connetto­ no i suoi termini, sono chiaramente relazioni temporali. Perciò ne consegue che non ci può essere alcuna serie B, quando non c'è alcuna serie A, perché senza una serie A non c'è tempo. Dobbiamo considerare ora tre obiezioni che sono state avanzate a questo modo di vedere. La prima è implicata dalla prospettiva sul tempo che è stata assunta da Russell, secondo la quale il passato, il presente e il futuro non appartengono al tempo per se, ma solo in rela­ zione a un soggetto che conosce. I.; asserzione che "N è presente" signi­ fica che esso è simultaneo a quella affermazione, l'asserzione che "esso è passato o futuro" significa che esso si verifica precedentemente o successivamente a quella affermazione. Di conseguenza, esso è solo passato, presente o futuro in relazione a una qualche asserzione. Se non ci fosse alcuna coscienza, ci sarebbero eventi precedenti o succes­ sivi rispetto ad altri, ma nessuno sarebbe in alcun senso passato, pre­ sente o futuro. E se ci fossero eventi precedenti a qualunque coscien­ za, quegli eventi non sarebbero mai futuri o presenti, sebbene potreb­ bero essere passati. Se N fosse sempre presente, passato o futuro in relazione a una cer­ ta asserzione V, lo sarebbe per sempre, perché qualunque cosa sia mai simultanea a, precedente a, o successiva a V, lo sarà sempre. Che cos'è, allora, il mutamento? Troviamo le opinioni di Russell su questo argo­ mento nei suoi Principi di matematica5: "Il mutamento è la differenza, dal punto di vista della verità o della falsità, tra una proposizione ri­ guardante un'entità e il tempo T, e una proposizione riguardante la stessa entità e il tempo T', a condizione che queste proposizioni si dif­ ferenzino solo per il fatto che T compare nell'una dove T'ricorre nel­ l'altrà' . In altri termini, nella prospettiva di Russell, c'è cambiamento se la proposizione "al tempo T il mio attizzatoio è caldo" è vera, e la proposizione "al tempo T'il mio attizzatoio è caldo" è falsa. lo non riesco a concordare con Russell, perché in tal caso dovrei ammettere che, qualora due proposizioni di questo genere fossero ri­ spettivamente l'una vera e l'altra falsa, allora ci sarebbe mutamento. Ma io sostengo che non ci può essere tempo senza una serie A. Se, con Russell, rigettiamo la serie A, mi sembra che anche il mutamento ven­ ga negato con essa e che, perciò, venga rigettato anche il tempo, per il 5 Russell

(1903), par. 442; tr. it. pp. 702-703.

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quale il mutamento è essenziale. In altri termini, se la serie A viene re­ spinta, nessuna proposizione del tipo "al tempo T il mio attizzatoio è caldo" può mai essere vera, perché il tempo non esisterebbe. Si sarà notato che Russell cerca il mutamento non negli eventi del­ la serie temporale, ma nell'entità a cui quegli eventi accadono, o di cui essi costituiscono gli stati. Se, per esempio, il mio attizatoio è caldo in un lunedì particolare e mai prima o dopo, l'evento "essere caldo" del­ l'attizzatoio non muta. Ma l'attizzatoio cambia, perché c'è un tempo in cui questo evento gli sta accadendo, e un momento in cui ciò non avviene. Ma questo non genera alcun mutamento nelle qualità dell'attizza­ toio. È sempre una qualità di quell'attizzatoio l'essere caldo in quel particolare lunedì, ed è sempre una qualità di quell'attizzatoio il non essere caldo in qualsiasi altro momento. Entrambe queste qualità sono vere di esso in qualsiasi tempo - il tempo in cui esso è caldo e quello in cui è freddo. Perciò sembra errato dire che c'è un cambiamento qualsiasi nell'attizzatoio. Il fatto che esso sia caldo in un punto di una serie e freddo in altri punti non può dare il mutamento, se nessuno di questi fatti muta - e nessuno di loro lo fa. Né muta qualunque altro fatto riguardante l'attizzatoio, a meno che il suo essere presente, essere passato o essere futuro non cambi. Consideriamo l'esempio di un altro tipo di serie. Il meridiano di Greenwich passa attraverso una serie di gradi di latitudine; possiamo trovare due punti in questa serie, S e S', tali che la proposizione "in S il meridiano di Greenwich passa per il Regno Unito" è vera, mentre la proposizione "in S'il meridiano di Greenwich passa per il Regno Uni­ to" è falsa. Ma nessuno direbbe che questo ci darebbe il mutamento. Perché dovremmo dire così nel caso dell'altra serie? Naturalmente troviamo una risposta soddisfacente a questa do­ manda se parliamo correttamente dell'altra serie come una serie tem­ porale: infatti, fin dove c'è tempo, c'è mutamento. Ma allora l'intera questione diventa se essa sia una serie temporale. Il mio assunto è che se eliminiamo la serie A dalla natura prima facie del tempo, ci rimane una serie che non è temporale e che non ammette il mutamento più di quanto non faccia la serie delle latitudini. Se, come ho sostenuto, non ci può essere alcun cambiamento a meno che non mutino i fatti, allora non ci può essere nessun muta­ mento senza una serie A. Infatti, come abbiamo visto con l'esempio della morte della regina Anna e anche nel caso dell'attizzatoio, nessun

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fatto riguardante alcunché può mutare, a meno che esso non sia un fatto riguardante il suo posto nella serie A. Qualunque altra qualità es­ so abbia, ce l'ha per sempre. Ma quella che sarà futura, non sarà sem­ pre futura, e quella che era passata non è stata sempre passata. Da ciò che abbiamo detto consegue che non ci può essere nessun mutamento se alcune proposizioni non sono talvolta vere e talvolta false. Questo è il caso delle proposizioni che hanno a che fare con il posto di qualcosa nella serie A ad esempio, "la battaglia di Waterloo è nel passato", "ora sta piovendo"- ma le cose non stanno così con qualsiasi altra proposizione. Russell sostiene che simili proposizioni sono ambigue e che per ren­ derle precise dobbiamo sostituirle con proposizioni che sono sempre ve­ re o sempre false - "la battaglia di Waterloo è precedente a questo giudi­ zio", "la caduta della pioggia è simultanea a questo giudizio". Se egli ha ragione, tutti questi giudizi sono o sempre veri o sempre falsi; allora, af­ fermo io, nessun fatto muta, e quindi il mutamento non esiste affatto. Credo, come Russell, che non ci sia nessuna serie A (le mie motiva­ zioni a sostegno di questo verranno esposte in seguito) . Inoltre consi­ dero la realtà che giace dietro l'apparenza della serie A in modo non del tutto dissimile da quello che ha assunto Russell. La differenza tra noi sta nel fatto che egli pensa che, quando la serie A viene eliminata, il mutamento, il tempo e la serie B possano ancora essere mantenuti, mentre io sostengo che il rifiuto della serie A implica il rigetto del mu­ tamento e, di conseguenza, del tempo e della serie B. La seconda obiezione si fonda sulla possibilità di serie temporali non esistenti - come, ad esempio, le avventure di Don Chisciotte. Questa serie, si dice, non fa parte della serie A. In questo momento io non posso giudicare se essa sia passata, presente o futura. Infatti, so che non è nessuna delle tre. Tuttavia si è detto che essa è certamente una serie B; infatti l'avventura dei galeotti, ad esempio, viene successi­ vamente all'avventura dei mulini a vento. E una serie B implica il tempo. La conclusione che si trae allora è che una serie A non è essen­ ziale al tempo. Replicherei a questa obiezione nel modo seguente. Il tempo appar­ tiene solo all'esistente. Se c'è una qualche realtà nel tempo, ciò implica che la realtà in questione esiste. Questo, penso, verrebbe ammesso universalmente. Si può discutere se tutto ciò che esiste sia nel tempo, o anche se qualsiasi cosa realmente esistente sia nel tempo, ma non si dovrebbe negare che, se qualcosa è nel tempo, esso deve esistere. -

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Ora, che cosa c'è di esistente nelle avventure di Don Chisciotte? Niente, perché la storia è immaginaria. Gli stati della mente di Cervan­ tes quando ha inventato la storia, gli stati della mia mente quando pen­ so alla storia - questi esistono. Ma allora questi fanno parte di una serie A. rinvenzione della storia da parte di Cervantes è nel passato. Il mio pensare la storia è nel passato, nel presente e - confido - nel futuro. Ma le avventure di Don Chisciotte potrebbero essere ritenute da un bambino fatti storici. E nel leggerle io posso, con uno sforzo della mia immaginazione, considerarle come se fossero realmente accadute. In questo caso, le avventure sono credute esistenti, o vengono consi­ derate come esistenti. Ma allora questo significa che le crediamo ap­ partenere alla serie A, o le consideriamo come se esse fossero nella se­ rie A. Il bambino che le crede fatti storici crederà che esse siano acca­ dute nel passato. Se io le ritengo esistenti, le considererò come se fos­ sero accadute nel passato. Allo stesso modo, se ho creduto che gli eventi descritti nell'After London di Jefferies esistano, o li ho conside­ rati esistenti, dovrei credere che essi esisteranno nel futuro o conside­ rarli come esistenti nel futuro. Se poniamo l'oggetto della nostra cre­ denza o della nostra considerazione nel presente, nel passato o nel fu­ turo, dipenderà dalle caratteristiche di quell'oggetto, ma da qualche parte nella serie A esso verrà posto. Così la risposta all'obiezione consiste nel dire che nella misura in cui una cosa è nel tempo, essa è nella serie A. Se è realmente nel tem­ po, essa è realmente nella serie A. Se si crede che sia nel tempo, si cre­ de che essa sia nella serie A. Se è considerata esistente nel tempo, essa è considerata come esistente nella serie A. La terza obiezione è basata sulla possibilità che, se il tempo fosse dav­ vero reale, ci potrebbero essere nella realtà molte serie temporali reali e indipendenti. I.:obiezione, se la comprendo correttamente, è che ogni se­ rie temporale sarebbe reale, mentre le distinzioni tra passato, presente e futuro avrebbero un significato solo entro ciascuna serie e, perciò, non dovrebbero essere considerate reali in assoluto. Ci sarebbero, ad esempio, molti presenti. Ora, naturalmente, molti punti del tempo possono essere presenti. In ogni serie temporale sono presenti molti punti, ma devono essere presenti in successione. E i presenti delle diverse serie temporali non sarebbero successivi, dato che non sono nello stesso tempo6• E i di6 Non sarebbero neppure simultanei, dato che questo implica ugualmente l'essere nello stesso tempo. Essi non starebbero in alcuna relazione temporale fra loro.

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versi presenti, si direbbe, non possono essere reali a meno che non siano consecutivi. Cosl le diverse serie temporali, che sono reali, devono essere in grado di esistere indipendentemente dalla distinzione tra passato, pre­ sente e futuro. Non posso, tuttavia, considerare valida questa obiezione. Senza dubbio, in un caso simile nessun presente sarebbe il presente - sareb­ be solo il presente di un certo aspetto dell'universo. Ma allora nessun tempo sarebbe il tempo - sarebbe solo il tempo di un certo aspetto dell'universo. Sarebbe una serie temporale reale, ma a me non sembra che il presente sarebbe meno reale del tempo. Naturalmente io non sto sostenendo che non c'è alcuna difficoltà nell'esistenza di molte serie A distinte. Nella seconda parte di questo capitolo tenterò di mostrare che l'esistenza di una qualsiasi serie A è impossibile. Ciò che io asserisco qui è che, se ci potesse essere davvero una serie A, e se ci fosse una ragione per supporre che ci sono molte serie B distinte, non ci sarebbe alcuna difficoltà aggiuntiva nel suppor­ re che ci sia una distinta serie A per ciascuna serie B. Concludiamo, allora, che le distinzioni tra passato, presente e futu­ ro sono essenziali al tempo e che, se le distinzioni non sono mai vere della realtà, allora nessuna realtà è nel tempo. Questo punto di vista, vero o falso, non ha in sé nulla di sorprendente. Era stato sottolineato precedentemente che noi percepiamo sempre il tempo come se avesse queste distinzioni. E generalmente si è sostenuto che la loro connessio­ ne con il tempo sia una caratteristica reale del tempo e non un'illusione dovuta al modo in cui noi lo percepiamo. La maggior parte dei filosofi, che abbiano creduto o meno che il tempo sia vero della realtà, hanno considerato le distinzioni della serie A come essenziali al tempo. Quando è stato avanzato il punto di vista opposto, è stato fatto ge­ neralmente, io credo, perché si credeva (giustamente, come cercherò di mostrare) che le distinzioni tra passato, presente e futuro non po­ tessero essere vere della realtà e che, di conseguenza, se la realtà del tempo deve essere salvata, si deve mostrare che la distinzione in que­ stione non è essenziale al tempo. Questa supposizione, si credeva, era per la realtà del tempo, e questo ci darebbe una ragione per rifiutare la serie A come non essenziale per il tempo. Ma, naturalmente, questo ci darebbe solo una supposizione. Se l'analisi della natura del tempo ha mostrato che, eliminando la serie A, il tempo viene distrutto, questa linea argomentativa non rimane più aperta. Passerò ora alla seconda parte del mio compito. Essendo riuscito,

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per quanto mi sembra, a dimostrare che non ci può essere tempo sen­ za una serie A, rimane da provare che una serie A non può esistere e che perciò il tempo non può esistere. Questo implicherebbe che il tempo non è affatto reale, dato che si ammette che l'unico modo in cui il tempo può essere reale è esistendo. Il passato, il presente e il futuro sono caratteristiche che noi attri­ buiamo agli eventi e anche ai momenti del tempo, se questi sono presi come realtà separate. Che cosa intendiamo con passato, presente e fu­ turo? In primo luogo, sono relazioni o qualità? Mi sembra abbastanza chiaro che non sono qualità ma relazioni, sebbene, naturalmente, co­ me altre relazioni produrranno qualità relazionali in ognuno dei loro termini?. Ma anche se questa prospettiva fosse sbagliata ed essi fossero in realtà qualità e non relazioni, ciò non influirà sul risultato che noi raggiungeremo. Infatti, le ragioni per rifiutare la realtà del passato, del presente e del futuro, che stiamo per considerare, si applicherebbero tanto alle qualità quanto alle relazioni. Dunque, se qualcosa deve correttamente essere chiamata passato, presente o futuro, deve esserlo perché è in relazione con qual cos'altro. E questo qualcos'altro con cui è in relazione deve essere qualcosa di esterno alla serie temporale. Infatti, le relazioni della serie A sono rela­ zioni che mutano, e nessuna delle relazioni che sono esclusivamente tra i membri della serie temporale può mai mutare. Due eventi sono esattamente negli stessi posti nella serie temporale, l'uno rispetto al­ l'altro, un milione di anni prima che essi abbiano avuto luogo, mentre ciascuno di loro sta accadendo, e quando sono un milione di anni nel passato. Lo stesso è vero della relazione fra momenti, se i momenti so­ no presi come realtà separate. E lo stesso sarebbe vero delle relazioni tra gli eventi e i momenti. La relazione che muta deve essere rispetto a qualcosa che non è nella serie temporale. Il passato, il presente e il futuro, allora, sono relazioni fra gli eventi e qualcosa di esterno alla serie temporale. Queste relazioni sono sem­ plici, o possono essere definite? Penso che siano senz'altro semplici e 7 È vero, senza dubbio, che la mia anticipazione di un esperienza M, l'esperienza stessa, e il ricordo dell'esperienza sono tre stati che hanno qualità originarie diverse. Ma non sono l'M futuro, l'M presente e l'M passato che hanno queste tre diff e renti qualità. Le qualità sono possedute da tre diversi eventi -l'anticipazione di M, M stes­ so e il ricordo di M- ognuno dei quali a turno è futuro, presente e passato. Così que­ sto non dà sostegno al punto di vista secondo il quale i cambiamenti della serie A so­ no mutamenti di qualità originarie.

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indefinibili, ma, d'altro lato, non ritengo che esse siano isolate e indi­ pendenti. Non mi sembra che possiamo conoscere, ad esempio, il si­ gnificato dell'essere passato, se non conosciamo il significato dell'esse­ re presente o futuro. Dobbiamo cominciare con la serie A, piuttosto che con passato, presente e futuro come termini separati. E dobbiamo dire che una se­ rie è una serie A quando ognuno dei suoi termini ha, rispetto a un' en­ tità X esterna alla serie, una e solo una di tre relazioni indefinibili, l'es­ sere passato, l'essere presente e l'essere futuro, che sono tali che tutti i termini che stanno nella relazione di essere presenti rispetto a X cado­ no tra tutti i termini che stanno nella relazione di essere passati rispet­ to a X, da un lato, e tutti i termini che stanno nella relazione di essere futuri rispetto a X, dall'altro lato. Siamo giunti alla conclusione che una serie A dipende dalle rela­ zioni con un termine esterno alla serie A. Questo termine, allora, non potrebbe esso stesso essere nel tempo, e tuttavia deve essere tale che le diverse relazioni rispetto ad esso determinino gli altri termini di quelle relazioni, come l'essere passato, presente o futuro. Trovare questo ter­ mine non è facile, eppure un simile termine deve essere trovato, se la serie A deve essere reale. Ma c'è una difficoltà maggiore sulla strada che porta alla serie A. Passato , presente e futuro sono determinazioni incompatibili. Ogni evento deve averne l'una o l'altra, ma nessun evento può averne più di una. Se dico che un evento è passato, ciò implica che esso non sia né presente né futuro, e lo stesso vale per gli altri. Questa esclusi­ vità è essenziale al mutamento, e perciò al tempo. Infatti, l'unico mu­ tamento che possiamo avere è dal futuro al presente, e dal presente al passato. Perciò, queste caratteristiche sono incompatibili, ma ogni evento le possiede tutte8• Se M è passato, è stato presente e futuro. Se è futuro, sarà presente e passato. Se è presente, è stato futuro e sarà passato. Co­ sl tutte le tre caratteristiche appartengono ad ogni evento. Come può ciò essere consistente con la loro incompatibilità? 8 Se la serie temporale ha un primo termine, quel termine non sarà mai futuro, e se ha un termine ultimo, quel termine non sarà mai passato. Tuttavia il primo termi­ ne, in quel caso, sarà presente e passato, e l'ultimo termine sarà futuro e presente. E il possesso di due caratteristiche incompatibili solleva la stessa difficoltà che il possesso di tre.

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Potrebbe sembrare che ciò possa essere spiegato facilmente. Infatti, è stato impossibile enunciare la difficoltà senza quasi dare la spiegazio­ ne, dato che il nostro linguaggio ha forme verbali per il passato, il pre­ sente e il futuro, ma nessuna forma che sia comune a tutti e tre. Non è mai vero, si risponderà, che M è presente, passato e futuro. Esso è presente, sarà passato ed è stato futuro. Oppure è passato ed è stato fu­ turo e presente, o ancora è futuro e sarà presente e passato. Le caratte­ ristiche sono incompatibili solo quando sono simultanee, e non c'è al­ cuna contraddizione nel fatto che ogni termine le ha tutte e tre in suc­ cessione. Ma cosa si intende con "è stato" e "sarà"? E che cosa si intende con "è", quando, come qui, è usato con un significato temporale e non semplicemente come predicato? Quando diciamo che X è stato Y, stiamo affermando che X è Y in un momento del tempo passato. Quando diciamo che X sarà Y, stiamo asserendo che X è Yin un istan­ te del tempo futuro. Quando affermiamo che X è Y (nel senso tempo­ rale di "è") , stiamo dicendo che X è Yin un momento del tempo pre­ sente. Cosl, la nostra prima affermazione su M- che è presente, sarà pas­ sato ed è stato futuro - significa che M è presente in un momento del tempo presente, passato in qualche istante del tempo futuro, e futuro in un istante del tempo passato. Ma ogni momento, come ogni even­ to, è sia passato, sia presente sia futuro. E cosl sorge una difficoltà ana­ loga. Se M è presente, non c'è alcun istante del tempo passato in cui esso sia passato. Ma i momenti del tempo futuro, in cui esso è passato, sono ugualmente istanti del tempo passato, in cui esso non può essere passato. Inoltre, che M sia futuro e sarà presente e passato significa che M è futuro in un momento del tempo presente, e presente e pas­ sato in diversi istanti del tempo futuro. In quel caso non può essere presente o passato in tutti gli istanti del tempo passato. Ma tutti i mo­ menti del tempo futuro, in cui M sarà presente o passato, sono ugual­ mente istanti del tempo passato. Cosl otteniamo di nuovo una contraddizione, perché i momenti nei quali M ha una delle tre determinazioni della serie A sono anche momenti nei quali non può avere quella determinazione. Se cerchia­ mo di evitare questo dicendo di tali momenti ciò che precedentemen­ te è stato detto di M stesso - che qualche istante, per esempio, è futu­ ro, e sarà presente e passato - allora, "è" e "sarà" hanno lo stesso signi­ ficato che avevano prima. La nostra affermazione, allora, significa che

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il momento in questione è futuro in un istante presente, e sarà presen­ te e passato in diversi momenti del tempo futuro. Questa, natural­ mente, è ancora una volta la stessa difficoltà, e cosl accade all'infinito. Tale infinità è viziosa. l:attribuzione delle caratteristiche passato, presente e futuro ai termini di una serie porta a una contraddizione, a meno che non sia specificato che essi le posseggono in momenti suc­ cessivi. Questo significa, come abbiamo visto, che essi le hanno in re­ lazione ai termini specificati come passato, presente e futuro. Nuova­ mente, per evitare una simile contraddizione, questi devono a loro volta essere specificati come passato, presente e futuro e, poiché que­ sto continua all'infinito, il primo gruppo di termini non si sottrae mai alla contraddizione9• La contraddizione, si vedrà, sorgerebbe allo stesso modo suppo­ nendo che l'essere passato, presente e futuro fossero qualità originarie e non, come abbiamo stabilito, relazioni. Infatti, succederebbe ancora che esse sarebbero caratteristiche incompatibili l'una con l'altra, e che qualunque cosa ne possedesse una, avrebbe anche l'altra. È da questo che sorge la contraddizione. La realtà della serie A, allora, porta a una contraddizione e deve es­ sere rifiutata. E, poiché abbiamo visto che il mutamento e il tempo ri­ chiedono la serie A, la realtà del mutamento e del tempo deve essere negata. Analogamente deve esserlo la realtà della serie B, dato che essa richiede il tempo. Nulla è realmente presente, passato o futuro, nulla è realmente "precedente à' o "successivo à' qualsiasi altra cosa o tempo­ ralmente simultaneo ad essa. Nulla muta realmente, e nulla è real­ mente nel tempo. In qualunque momento percepiamo qualcosa nel tempo - che è il solo modo in cui, nella nostra esperienza attuale, per­ cepiamo le cose - noi lo stiamo percependo più o meno come in realtà non è.

9 Può valere la pena rilevare che il regresso all'infmito non è sorto dall'impossibi­ lità di definire il passato, il presente e il futuro, senza fare ricorso a questi termini nelle loro proprie definizioni. Al contrario, abbiamo ammesso che questi termini sono in­ definibili. Esso deriva dal fatto che la natura dei termini implica una contraddizione, e che il tentativo di rimuoverla comporta l'impiego dei termini e la creazione di una contraddizione simile alla prima.

Esiste un "flusso" del tempo o "divenire" temporale?1

di Adolf Griinbaum

È chiaro che l'anisotropia del tempo, che deriva dall'esistenza di pro­

cessi irreversibili, consiste nelle differenze meramente strutturali tra i due opposti sensi del tempo, ma non fornisce affatto alcun fondamen­ to per scegliere uno dei due sensi opposti come "la direzione" del tem­ po. Quindi l'asserzione che i processi irreversibili rendono il tempo anisotropo non è affatto equivalente ad affermazioni come quella se­ condo la quale "il tempo scorre in una sola direzione". Perciò dobbiamo distinguere chiaramente l ' anisotropia del tempo fisico dalla caratteristica del tempo del senso comune (tempo psicolo­ gico} , che è indicata da termini come "la transienza dell'Adesso", o "il divenire", e mediante metafore come il "flusso", lo "scorrere" o il "pas­ sare" del tempo. In questo capitolo è nostro intento stabilire le cre­ denziali effettive, se ce ne sono, dei concetti che sono rappresentati da questi termini. Poiché gli istanti del tempo anisotropo sono ordinati dalla relazio­ ne "precedente a' non meno che dalla relazione inversa "successivo a', l'anisotropia del tempo non fornisce alcuna garanzia per identificare il senso "successivo a' con "la' direzione del tempo. Piuttosto, il motivo ispiratore che ci fa parlare della direzione del tempo deriva dalla sup­ posizione che ci sia un "adesso" o un "presente" transiente, che si può affermare si sposti in modo tale da scegliere la direzione futura del tempo come il senso del suo "avanzare". La divisione transiente o in movimento del continuo temporale in passato e jùturo dipende dall'Adesso transiente e non è fornita sola­ mente dalla relazione "statica' "precedente a' o della sua inversa "suc­ cessivo a', rispetto alle quali abbiamo formulato l'anisotropia del tem1 Tradotto da Griinbaum ( 1 973), cap. 10, pp. 3 1 4-329.

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po. La sussistenza della relazione "precedente à' o "successivo a" tra due eventi o stati fisici naturalmente non dipende affatto dall'Adesso transiente2. Perciò, l'anno 1 9 1 0 viene prima dell'anno 1 920, non me­ no che il 1 950 è precedente al 1 970, e poi il 1 970, a sua volta, è pre­ cedente al 2850. E ancora, rispetto a questo che sto scrivendo nel 1 962, che è al centro della mia esperienza immediata, gli eventi del 1 970 e del 2850 appartengono al futuro, mentre quelli degli altri anni che abbiamo ricordato appartengono al passato, così che l'Adesso, che è nel 1 962, dal quale dipende questa classificazione, non è un tempo di riferimento scelto arbitrariamente. Infatti il passato è la classe di eventi precedenti a quelli che costituiscono l'Adesso, nel senso che il passato è costituito dagli eventi che "non esistono più" mentre quelli dell'Adesso o del presente "esistono attualmente". E in modo simile il futuro è l'insieme di eventi che accadono successivamente ad adesso, nel senso che essi devono ancora "acquisire esistenzà' o, per così dire, "venire in essere" . Perciò, scrivendo a proposito di se stesso nel 1 925, Reichenbach dice di avere "la sensazione che la mia esistenza sia una realtà, mentre la vita di Platone tuttora proietta solo le sue ombre sulla realtà" e afferma che noi non siamo in grado di sfuggire "alla costrizio­ ne che per noi distingue in modo assoluto un punto-Adesso come l'e­ sperienza della divisione tra passato e futuro"3• La transitorietà dell'Adesso è una caratteristica del tempo psicolo­ gico (e di senso comune) , nel senso che c'è una diversità tra i conte­ nuti dell'Adesso che si presentano alla consapevolezza immediata. Per­ ciò è un dato di fatto che l'Adesso "si spostà' nella percezione coscien­ te nella misura in cui c'è una diversità tra i contenuti dell'Adesso, allo stesso modo è un fatto che i contenuti dell'Adesso siano temporal­ mente ordinati. Ma, poiché questi diversi contenuti dell'Adesso sono ordinati rispetto alla relazione "precedente à' non meno che rispetto alla sua inversa "successivo à', è una mera tautologia dire che l'Adesso si sposta dal precedente al successivo. Infatti questa affermazione me­ taforica dello spostamento nella direzione delfuturo lungo l'asse tempo-

2 Questa indipendenza non può, ovviamente, essere contraddetta dalla seguente considerazione, mossa sulla base della teoria della relatività ristretta: nel caso di quelle particolari coppie di eventi, e solo di quelle, che non possono essere collegate da cate­ ne causali, la scelta consueta di una definizione della simultaneità fatta in quella teoria porta a una dipendenza dal sistema inerzia/e dell'attribuzione convenzionale delle rela­ zioni "successivo a" e "simultaneo à'. 3 Reichenbach ( 1 925a) , in particolare p. 140.

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rale non ci dice niente di più se non che gli Adesso posteriori sono successivi a quelli precedenti, proprio come gli Adesso precedenti so­ no anteriori a quelli successivi! Per lo stesso motivo, affermare che "il flusso" del tempo è unidirezionale è una tautologia, come l'asserzione che il tempo "scorre" dal passato al futuro. Il fatto che le precedenti affermazioni siano effettivamente vuote non deve indurci a trascurare la seguente osservazione: un'affermazione non-direzionale o direzio­ nalmente neutrale della transienza dell'Adesso e dell'ordine temporale dei diversi contenuti dell'Adesso codifica verità di fatto che riguarda­ no il tempo psicologico (di senso comune) . Vedremo in seguito nei dettagli le ragioni per le quali, data la sua dipendenza intrinseca dalla coscienza, la transienza dell'Adesso non sia anche una caratteristica del tempo fisico. Queste considerazioni ci consentono di valutare le seguenti tesi di Reichenbach: Dobbiamo distinguere qui due ordini di problemi. In primo luogo, la procedura descritta precedentemente porta a un ordine del tempo, nello stesso senso nel quale i punti su una linea sono ordinati. Una simile se­ rie di punti ha due direzioni, nessuna delle quali ha alcuna caratteristica peculiare. Anche l'ordine temporale ha due direzioni, la direzione verso gli eventi precedenti e quella verso gli eventi successivi, ma in questo caso una delle due direzioni ha una caratteristica distintiva: il tempo scorre dagli eventi precedenti a quelli successivi. Perciò il tempo non solo rappresenta una serie ordinata generata da una relazione asimme­ trica, ma è anche unidirezionale. Questo fatto viene di solito ignorato. Noi spesso diciamo semplicemente: la direzione dagli eventi precedenti a quelli successivi, dalla causa all'effetto, è la direzione del progredire del tempo. Tuttavia, in questa forma l'affermazione è priva di significa­ to, a meno che non specifichiamo cosa significhi "progredire del tem­ po" . Allo stesso modo potremmo dire che i punti su una linea progredi­ scono da sinistra a destra; ma questa asserzione è vuota, perché il pro­ gredire dei punti qui non significa nulla se non il progredire nella dire­ zione scelta. Quando parliamo del progredire del tempo, al contrario, intendiamo fare un'affermazione sintetica che si riferisce sia a un' espe­ rienza immediata sia alla realtà fisica. Questo problema particolare può essere risolto solo se formuliamo il contenuto dell'asserzione in modo più preciso. Lasceremo questo problema per il momento e ci acconten­ teremo della conclusione che la direzione che abbiamo definito come precedente-successivo è la stessa che quella del progredire del tempo. Per i problemi affrontati nella teoria della relatività, è sufficiente che ci

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sia un ordine seriale del tempo, cioè che possiamo distinguere tra due direzioni opposte l' una all'altra4•

Abbiamo visto che l'anisotropia del tempo sta nel fatto che ogn una delle due opposte direzioni del tempo ha una caratteristica peculiare. Ma Reichenbach crede che la transienza dell'Adesso gli consenta di so­ stenere l'affermazione seguente: "Una delle due direzioni ha una carat­ teristica distintiva: il tempo scorre dagli eventi precedenti a quelli suc­ cessivi" e in questo senso è "unidirezionale". Comprendendo chiara­ mente che l'asserzione, secondo cui la direzione dal precedente al suc­ cessivo è "la direzione del progredire del tempo", potrebbe essere accu­ sata di tautologia, Reichenbach sostiene che questa affermazione possa essere sintetica. E la sua motivazione è che l'asserzione rappresenta il contenuto di "un'esperienza immediatà', cosl come una caratteristica oggettiva della "realtà fisicà' . Rinviando a dopo la nostra analisi della rilevanza dell'Adesso transiente per il tempo fisico, in quanto distinto dal tempo di senso comune (psicologico) , vediamo che qui Reichen­ bach non ha rilevato un punto fondamentale: solo la sussistenza di una diversità dei contenuti dell'Adesso è un dato di fatto, ma non il carattere presumibilmente "unidirezionale" del "progredire del tem­ po". Infatti, come abbiamo rilevato precedentemente, il fatto che i contenuti dell'Adesso siano diversi non è sufficiente per dare un con­ tenuto sintetico all'asserzione che il tempo progredisce unidirezional­ mente dal precedente al successivo. E l'asserzione del carattere sinteti­ co di questa affermazione viene qui lasciata da Reichenbach dichiara­ tamente senza dimostrazione. Volgiamoci ora a un'analisi critica di quelli, tra i suoi scritti, nei quali egli ha cercato di giustificare la sua opinione, già citata, che un Adesso, e la divisione transiente ad esso associata tra passato e futuro, è una caratteristica del tempo fisico o della "realtà fisicà' non meno che del tempo psicologico (di senso comune) . Avendo notato che il concetto del supposto progresso unidirezio­ nale del tempo non ha trovato posto nella teoria della relatività, per­ ché per i problemi affrontati in quella teoria "è sufficiente che ci sia un ordine seriale del tempo"\ Reichenbach giudica incompleta la rap­ presentazione minkowskiana dell'universo, fornita da quella teoria, per le seguenti ragioni: 4 Reichenbach ( 1 957), pp. 1 38- 1 39; tr. it. p. 1 6 1 . 5 lbid. , p . 1 39; tr. it., p . 1 6 1 .

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Si può costruire una topologia del tempo in cui siano definiti i concetti base di "precedente à', "successivo à' e "simultaneo". Ma ciò che finora non potrebbe essere risolto in questo modo è il problema dell"'adesso". Che cosa significa ''Adesso" ? Platone è vissuto prima di me, e Napoleone VII vivrà dopo di me. Ma quale di questi tre vive adesso? Senza dubbio ho una chiara sensazione che io ora sto vivendo. Ma questa affermazione ha un significato oggettivo al di là della mia esperienza soggettiva?6 [ . ] Nello stato del mondo si distingue una sezione trasversale chiamata "presente"; "l'adesso" ha un significato oggettivo. Anche qualora nessun essere umano fosse più vivo, ci sarebbe un' "orà'; "l'attuale stato del siste­ ma planetario" è allora una specificazione tanto determinata quanto "lo stato del sistema planetario al tempo della nascita di Cristo". Nella rappresentazione quadridimensionale del mondo, come viene uti­ lizzata nella teoria della relatività, non c'è nessuna sezione trasversale cosl distinta. Ma questo è dovuto solo al fatto che in questa rappresentazione manca un contenuto essenziale7• ..

Che la teoria della relatività non tenga alcun conto dell'Adesso tran­ siente del tempo di senso comune è in verità corretto. Perciò l"'Ora'' nel "Qui-Ora'' del diagramma di Minkowski non designa nient'altro che una sorta di zero arbitrario o origine delle coordinate temporali: possiamo fare uso del diagramma di Minkowski a mezzogiorno del l giugno 1 962, facendo designare al "Qui-Ora" un certo evento che av­ viene dopo l'estinzione del sole. E il "Passato Assoluto" e il "Futuro Assoluto" non sono nient'altro che la serie di eventi che in modo asso­ luto sono rispettivamente precedenti e successivi all'evento arbitraria­ mente designato come il "Qui-Ora". Invece di tener conto della divi­ sione transiente del tempo in passato e futuro per lo spostamento del­ l'Adesso del tempo esperito, la teoria della relatività concepisce gli eventi come entità che semplicemente sono e sostengono relazioni del tipo precedente e successivo, ma non che "vengono in essere": allora noi esseri coscienti li "attraversiamo" "entrando" nel loro futuro asso­ luto, per cosl dire. E al momento di esperire i loro effetti immediati, li consideriamo come eventi che "hanno luogo" o "vengono in essere"8•

6 Reichenbach ( 1 925a) , p. 1 39. 7 Ibid. , p. 1 4 1 . 8 Cfr. Eddington (1 928), p . 68; tr. it. p . 67, e Eddington ( 1 953) , p . 5 1 ; tr. it. p. 72. Si veda anche Cassirer ( 1 92 1 ) , pp. 1 20-2 1 ; tr. it. pp. 602-603.

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Come Eddington9 prima di lui e G. J. Whitrow10 dopo di lui, Rei­ chenbach ha supposto che l'esclusione del concetto di progredire unidi­ rezionale del tempo da parte di una teoria fisica sia da attribuire al carat­ tere deterministico di quella teoria. E credendo - erroneamente, come ve­ dremo - che una fisica indeterministica possa fornire una base fisica per l'Adesso transiente, egli ha cercato di trovare una base fisica oggettiva per il presente o per l'Adesso, nel suo articolo del 1 92511, nel seguente mo­ do: egli ha dato un'interpretazione probabilistica della causalità secondo la quale il passato è "oggettivamente determinato", mentre il futuro è "oggettivamente indeterminato" in virtù della non esistenza di una serie completa di cause parziali, la cui conoscenza renderebbe certe le nostre predizioni. In questo contesto egli ha concepito il presente senza l'uso inammissibile della simultaneità assoluta come la classe di eventi che non possono essere causalmente connessi con "l'adesso" particolare. Ma que­ sta caratterizzazione comporta una concezione del presente che si diffe­ renzia dall"'Adesso" dell'esperienza cosciente per il seguente aspetto es­ senziale: un dato evento E2 che avviene nel punto P2 dello spazio rimarrà simultaneo per un osservatore posto nel punto distante P durante tutto un intervallo di tempo costituito da una serie ininterrotta1 di eventi che hanno una separazione spaziale da E2 (come si vede dalla figura}!

E

n

Dato che Reichenbach ha sostenuto che, sulla base del determini­ smo, "il domani è già sopraggiunto oggi nello stesso senso in cui lo ha fatto lo ieri", rendendo cosl presumibilmente assurda ogni nostra pia9 Eddington ( 1 953), p. 5 1 ; tr. it. p. 72. 10 Whitrow ( 1 96 1 ) , p. 295. 1 1 Reichenbach ( 1 925a) , pp. 1 4 1 - 1 43.

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nificazione, è per questa ragione che lui nel 1 925, appena prima del pieno avvento della meccancia quantistica, ha rigettato il determini­ smo e cercato una base fisica per il presente e quindi per il divenire. Appena prima della sua morte nel 1 953 egli sostenne12 che l'indeter­ minismo a livello microscopico introdotto dalla meccanica quantistica non è un espediente effimero dell'attuale teoria fisica, e ampliò le sue idee precedenti tentando di utilizzare le indeterminatezze della mecca­ nica quantistica. Egli scrive: Supponiamo che vengano eseguite alternativamente misurazioni consecu­ tive di due quantità che non commutano [cioè complementari] . Si ot­ terrà una serie di eventi macroscopici che non si possono predire, ma che si possono registrare. Questa serie ci fornisce una chiara distinzione tra il passato e il futuro : il passato è determinato, ma il futuro no. [ . . . ] !.:analisi della fisica classica ci ha mostrato che si può registrare il passato ma non il futuro. La combinazione di questo risultato con l'indeterminazione di Heisenberg ci porta alla conseguenza che si può conoscere il passato ma non predire il futuro [ . . . ] . [ . . . ] La scienza moderna [ . . . ] ci fornisce con precisione la differenza tra il passato e il futuro, che la fisica di Laplace non poteva riconoscere. E vero, la fisica di Boltzmann, se associata all'ipotesi della struttura rami­ ficata, ammette una certa differenza strutturale tra il passato e il futuro [ . . . ] . Ma mentre questa differenza consente di distinguere tra il passato e il futuro, essa non era associata a una differenza nella determinazione: sebbene non si possa registrare il futuro, lo si può predire sulla base della totalità delle cause. Perciò, non si può definire il futuro indeterminato [. . .] . Le cose non stanno più così nella fisica quantistica [ . . . ] . Qui sta la diffe­ renza: ci sono fatti futuri che non possono assolutamente essere predetti, mentre non ci sono fatti passati che sarebbe impossibile conoscere. In li­ nea di principio, essi possono sempre essere registrati [ . . . ] . La distinzione tra l'indeterminatezza ("l'indéterminisme") del futuro e la determinatezza ("détermination") del passato ha infine trovato espressione nelle leggi della fisica. [ . . . ] Il concetto di " divenire" acquista significato in fisica: il presente, che separa il futuro dal passato, è il momento in cui quello che era indeterminato diventa determinato, e "divenire" ha lo stes­ so significato che "divenire determinato" . [ . . . ] Il termine "determinazione" denota una relazione tra due situazioni A e B; la situazione A determina o meno la situazione B. È privo di si­ gnificato dire che la situazione B, considerata in se stessa, è determinata. 12 Reichenbach { 1 956), pp. 2 1 1 -224 e Reichenbach ( 1 953) , pp. 1 54-57.

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Se diciamo che il passato è determinato o che il futuro è indeterminato, si intende tacitamente che stiamo riferendo questo alla situazione pre­ sente; è in relazione all"'orà' che il passato è determinato e che il futuro non lo è13.

Questo punto di vista di Reichenbach è condiviso da Eddington, che scrive: La divisione tra passato e futuro (una caratteristica dell'ordine temporale che non ha alcuna analogia con l'ordine spaziale) è associata strettamente alle nostre idee di causalità e di libero arbitrio. In uno schema perfetta­ mente determinato il passato e il futuro possono essere considerati come se fossero già tracciati - tanto a disposizione dell'indagine presente quan­ to le parti distanti dello spazio. Gli eventi non accadono; essi sono là e noi li attraversiamo. " La formalità dell'aver luogo" è semplicemente l'in­ dicazione che l'osservatore nel suo viaggio di esplorazione è passato nel futuro assoluto dell'evento in questione; e non ha alcun significato rile­ vante14.

Sulla stessa linea, l'astronomo H. Bondi sostiene che "in una teoria con indeterminazione [ . . . ] il passaggio del tempo trasforma l'aspetta­ zione statistica in eventi reali"15• E. G. J. Whitrow afferma16 che "c'è infatti una connessione profonda tra la realtà del tempo e l'esistenza di un elemento imprevedibile nell'universo". Se Reichenbach, Edding­ ton, Bondi, Whitrow e altri hanno sostenuto semplicemente che quel­ la indeterminazione provoca la nostra incapacità umana di conoscere in anticipo, rispetto al loro effettivo accadere, quali particolari tipi di eventi di fatto si attueranno, allora, naturalmente, non potrebbe esser­ ci alcuna obiezione. Ma penso che loro abbiano asserito che lo status esistenziale degli eventi futuri in un mondo indeterministico è quello del venire in essere con il tempo, mentre in un mondo deterministico è semplicemente quello di essere. Credo che la questione del determinismo contro l'indeterminismo sia totalmente irrilevante per stabilire se il divenire sia un attributo si­ gnificativo del tempo della natura fisica indipendentemente dalla co­ scienza umana. E desidero ora spiegare perché considero insostenibile B Reichenbach ( 1 953), pp. 1 54-1 57. 1 4 Eddington ( 1 953), p. 5 1 ; tr. it. p. 72. IS Bondi ( 1 952) , p. 660. 16 Whitrow ( 1 96 1 ) , p. 295.

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la tesi di Reichenbach, Eddington, Bondi, Whitrow e molti altri, se­ condo la quale l'indeterminismo conferisce lo scorrere al tempo fisico. In altre pubblicazioni17 ho esposto le mie ragioni per respingere allo stesso modo l'ulteriore affermazione di Reichenbach secondo cui "il paradosso del determinismo e dell'azione pianificata è autentico"18• Nel mondo indeterministico dei quanti, le relazioni tra gli insiemi di valori misurabili delle variabili di stato, che caratterizzano un siste­ ma fisico in tempi diversi, non sono in linea di principio relazioni uno ad uno che collegano gli stati dei sistemi chiusi che si comportano classicamente. Ma questo vale per un dato stato di un sistema fisico e il suo futuro assoluto indipendentemente dal fatto che lo stato sia a mezzanotte del 3 1 dicembre del 1 800, oppure a mezwgiorno del l Marzo del 1 984. Inoltre, se consideriamo una qualunque delle regioni temporalmente successive dello spaziotempo, possiamo asserire ciò che segue: gli eventi che appartengono al suo particolare passato asso­ luto potrebbero essere specificati (più o meno) univocamente nelle re­ gistrazioni che sono una parte di quella regione, mentre il suo futuro assoluto particolare è da quel momento impredicibile mediante la meccanica quantistica. Di conseguenza, ogni "ora'', sia l"'ora'' della na­ scita di Platone sia di quella di Reichenbach, costituisce sempre uno spartiacque nel senso di Reichenbach tra il suo passato registrabile e il suo futuro impredicibile, perciò esso soddisfa la definizione di Rei­ chenbach del "presente". Ma questo fatto è fatale al suo intento di­ chiarato di fornire una base fisica per un "adesso" transiente "unico" e perciò per il "divenire"19• La recente caratterizzazione di Reichenbach della determinatezza del passato come registrabilità, opposta all'inde­ terminazione quantomeccanica del futuro, non può perciò servire a difendere la sua concezione del divenire più di quanto fece il suo arti­ colo del 1 92520, che fu criticato in modo acuto da Hugo Bergmann nel modo seguente:

17 Grilnbaum ( 1 9 52) ; Grilnbaum ( 1 9 5 7) ; Grilnbaum ( 1 957a) , e Grilnbaum ( 1 962) . Si veda anche la critica efficace di Smart ( 1 958) , soprattutto p. 76, all'asser­ zione di Reichenbach secondo la quale noi possiamo "cambiare il futuro" ma non il passato. 1 8 Reichenbach ( 1 956), p. 1 2. 1 9 Questo scopo egli lo dichiara in Reichenbach ( 1 925a) , pp. 1 39- 142. 20 Ibid.

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Così, secondo Reichenbach, una sezione trasversale nello stato dell'uni­ verso è distinta da tutte le altre; l'adesso ha un significato oggettivo. An­ che qualora nessun uomo fosse più vivo, ci sarebbe un adesso. "Lo stato attuale del sistema planetario" anche allora sarebbe una precisa frase de­ scrittiva quanto "lo stato del sistema planetario nell'anno 1 000" . Riguardo a questa definizione ci si deve chiedere: quale adesso si intende, se si dice: "lo stato attuale del sistema planetario"? Quello dell'anno 1 800 o del 2000 o quale altro? La risposta di Reichenbach è la seguente: l'ora è la soglia della transizione dallo stato di indeterminazione a quello di de­ terminatezza. Ma (se vale l'indeterminismo di Reichenbach) questa tran­ sizione è sempre avvenuta e sempre avverrà. E se la replica fosse: 'Tinde­ terminazione dell'anno 1 800 è già stata trasformata in una determinatez­ za", allora si dovrebbe chiedere: "Per chi?" Evidentemente per noi, per il presente, per il nostro adesso. Di conseguenza, questa definizione data da Reichenbach sembra riferirsi dopo tutto a un adesso che essa deve prima definire. Qual è la differenza oggettiva tra l'adesso dell'anno 1 800 e l'a­ desso dell'istante attuale? La risposta deve essere: adesso è l'istante della transizione dall'indeterminazione alla determinazione, cioè si spiega l'a­ desso attuale [ . ] mediante il riferimento a se stesso. [ . . . ] Reichenbach scrive: "Il problema può essere formulato come il pro­ blema della differenza tra il passato e il futuro. Per il determinismo non c'è tale differenza. [ . . . ] Ma l'accusa che Reichenbach rivolge al determini­ smo qui non dovrebbe essere diretta ad esso bensì alla visione del mondo della fisica, che non tiene conto di nessuna delle categorie psicologiche, per la quale non c'è nessun "lo", [ . . . ] un concetto che è inestricabilmente intrecciato con il concetto di "adesso" . Anche coloro che considerano am­ missibile la sostituzione del determinismo con l'indeterminismo, come facciamo noi, non saranno disposti ad ammettere che al concetto di "orà' può essere assegnato un posto legittimo nella fisica non deterministica. Anche se si assume - come desideriamo fare con Reichenbach - che il fu­ turo non è univocamente determinato da una sezione trasversale tempo­ rale, si può dire solo che questa indeterminazione vale tanto per Platone quanto per me stesso e che io non posso decidere con i mezzi offerti dalla fisica chi vive "adesso" , infatti questa differenza è psicologica. [ . . . ] "Adesso" è il modo temporale di fare esperienza dell'io2 1 • ..

lo sostengo con Bergmann che l'ora transiente, in relazione al quale la distinzione tra i l passato e i l futuro del tempo di senso comune e del

21 Bergmann ( 1 929) , pp. 27-28. Sellars (1 962) ha sviluppato indipendentemente la base per una simile critica alla presunta connessione tra indeterminismo e divenire, come parte del suo penetrante studio di un complesso di questioni correlate.

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tempo psicologico acquista significato, non ha alcuna attinenza con il tempo degli eventi fisici, perché non ha alcun significato al di là delle prospettive egocentriche di un essere (umano) cosciente e delle espe­ rienze immediate di quell'essere. Se questa tesi è corretta, allora sia in un mondo indeterministico che in uno deterministico, il venire in esse­

re o il divenire di un evento, distinto dal suo semplice essere, non è niente più che l'ingresso dei suoi effetti nella coscienza immediata di un organi­ smo senziente {uomo). Infatti qual è la differenza tra questi due mondi in relazione alla determinatezza degli eventi futuri ? La differenza ri­ guarda solo il tipo di connessione funzionale che lega gli attributi de­ gli eventi futuri a quelli degli eventi presenti o passati. Ma questa dif­ ferenza non provoca il precipitarsi degli eventi futuri nell'esistenza in un modo che il determinismo non faccia. Né l'indeterminazione pro­ voca una differenza qualsiasi in un qualche tempo rispetto alla specifi­ cità degli attributi degli eventi futuri stessi. Infatti in entrambi i tipi di universo, è un fatto di logica che ciò che sarà, sarà! Il risultato di una futura misurazione quantomeccanica può non essere definito prima che avvenga in relazione agli stati precedenti, e così corrispondente­ mente la nostra conoscenza precedente che abbiamo di esso può non essere definita. Ma in quanto evento, esso è pienamente definito negli attributi e accade proprio come una misurazione eseguita in un mon­ do deterministico. La credenza che in un mondo indeterministico gli eventi futuri vengano in essere o divengano attuali o reali con il passa­ re del tempo sembrerebbe confondere due cose differenti: ( l ) il preci­ pitarsi epistemologico delle effettive proprietà degli eventi futuri fuori della matrice più ampia delle possibili proprietà ammesse dalle proba­ bilità quantomeccaniche, e (2) un venire in essere esistenziale o dive­ nire attuale o reale. Solo il precipitarsi epistemologico è interessato dal passare del tempo attraverso la trasformazione di un'aspettazione stati­ stica in una parte di conoscenza definita. Ma questo non mostra che in un mondo indeterministico ci sia un qualche tipo di precipitarsi nell'esistenza o venire in essere con il passare del tempo. E anche in un mondo deterministico, gli effetti degli eventi fisici entrano nella no­ stra coscienza in un certo momento e in quel senso si può pensare che vengano m essere. La precedente dimostrazione di Bergmann che un universo inde­ terministico non riesce a definire un oggettivo adesso transiente non­ psicologico può esser estesa nel senso seguente, per giustificare la sua tesi che il concetto di "adesso" implica caratteristiche peculiari alla co-

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scienza: il "flusso del tempo" o la transienza dell"'adesso" ha un signi­ ficato solo nel contesto delle prospettive egocentriche degli organismi senzienti e non ha attinenza anche con le relazioni tra strumenti di re­ gistrazione individuali assolutamente inanimati e gli eventi fisici am­ bientali che essi registrano, come afferma Reichenbach. Infatti, ciò che può essere detto di ogni stato dell'universo può anche essere det­ to, mutatis mutandis, di ogni stato di un dato apparato di registrazione inanimato. Inoltre, l'irrilevanza dell'adesso transiente per l'aumento di segni o tracce che registrano il tempo su un nastro di registrazione inanimato emerge anche dalla corretta osservazione di William James e Hans Driesch, secondo la quale un semplice isomorfismo tra una successione di tracce cerebrali e una successione di stati di coscienza non spiega i contenuti dell'adesso di fenomeni psicologici come la co­ scienza della melodia. Infatti l'ipotesi dell'isomorfismo delle tracce e degli stati di coscienza dà conto solo della successione di stati di co­ 2 scienza, ma non della coscienza istantanea della successiont?- , che è un ingrediente essenziale del significato dell'"adesso": il contenuto dell'a­ desso, quando viene visto come tale nella coscienza, include una con­ sapevolezza dell'ordine di successione degli eventi in cui il presentarsi di quella consapevolezza costituisce un elemento distinto. E la transien­ za dell'adesso o il "flusso" del tempo sorge dalla diversità dei contenuti dell'adesso che hanno questi ultimi attributi: ci sono differenze note­ voli nell' appartenenza all'insieme degli eventi ricordati {registrati} e/o dimenticati di cui noi abbiamo una coscienza istantanea. Perciò, non penso che Reichenbach sia giustificato nel ritenere che l'aumento dei segni o delle tracce che segnano il tempo su un nastro di registrazione inanimato, così da formare una serie spaziale che si espande, descriva il "flusso" del tempo. Così, la concezione esclusiva­ mente psicologistica di questo flusso o divenire deve essere sostenuta contro Reichenbach: il flusso dipende per la sua vera e propria esisten­ za dal ruolo prospettico della coscienza, dato che il venire in essere {o divenire} di un evento non è niente di più che la registrazione dei suoi effetti nella coscienza immediata di un organismo senziente (uomo} . Prima abbiamo visto che la locuzione "Qui-Orà' del diagramma relativistico di Minkowski non lega quella teoria completamente non­ psicologica all'adesso transiente incontrato nel tempo di senso comu-

22 Cfr. James ( 1 950), pp.

1 03.

628-29; tr. it. pp. 452-453, e Driesch ( 1 933), pp. 96-

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ne. Quindi, il carattere puramente fisico della teoria della relatività ri­ stretta non può essere addotto per mostrare che l'adesso transiente è ri­ levante per il tempo fisico, cioè non può essere addotto per confutare la nostra affermazione della dipendenza dell"'adesso" e, correlativa­ mente, della divisione transiente del continuo temporale in "passato" e "futuro", dal ruolo prospettico della coscienza23• Non era altro che la falsa assunzione che il "flusso" deve essere una caratteristica del tempo fisico non meno che di quello psicologico (di senso comune) che ispirò la polemica fraintesa di Henri Bergson con­ tro la trattazione matematica del movimento, da lui accusata, senza al­ cun fondamento, di aver erroneamente spazializzato il tempo con una descrizione che non tiene conto del flusso del divenire e rende conto solo delle relazioni "statiche" precedente e successivo 24• Herman Weyl ha dato un'interpretazione metaforica della dipen­ denza del venire in essere dalla coscienza, scrivendo25: "Il mondo og­ gettivo semplicemente è, non accade. Solo allo sguardo della mia co­ scienza, che avanza26 lungo la linea di vita [cioè, la linea di universo] del mio corpo, una parte di questo universo viene in vita come un'im­ magine fuggevole nello spazio che cambia continuamente nel tempo" . Questa affermazione poetica ma corretta ha dato origine a seri frain­ tendimenti, come è mostrato dalla seguente obiezione di Max Black: Ma questa rappresentazione di un "universo-blocco" , composto da un in­ treccio atemporale di " linee di universo" in uno spazio quadridimensio­ nale, per quanto fortemente suggerito dalla teoria della relatività, è un esempio di metafisica gratuita. Siccome il concetto di cambiamento, di qualcosa che accade, è una componente inseparabile del concetto di tem­ po proprio del senso comune e una parte necessaria della visione della 23 Né l'uso di Minkowski della locuzione "Qui-Ora" mostra che la teoria della re­ latività ristretta fa un uso essenziale delle categorie temporali psicologiche nel suo contenuto assertivo (in quanto distinto dalla pragmatica della sua verifica da parte di noi umani) . 24 Cfr. Bergson (1 944) e Bergson ( 1 946) . Critiche attinenti alla trattazione berg­ soniana di altri aspetti del tempo si trovano in GrUnbaum ( 1 950) , pp. 144-55. 25 Weyl ( 1 949) , p. 1 1 6; tr. it. p. 1 40. 26 La metafora dell'"avanzare" non deve, naturalmente, essere utilizzata per sugge­ rire "l'errore metafisico", di cui è stata accusata da Smart ( 1 955), p. 240, per il quale psicologicamente il tempo stesso "scorre" spazialmente a una certa velocità misurata in un ipertempo che non esiste. Vedremo tra poco che il concetto dell'adesso che si sposta "in avanti" non implica questo errore logico.

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realtà dello scienziato, è del tutto escluso che la ftsica teorica ci chieda di sostenere la visione eleatica secondo cui nulla accade nel "mondo oggetti­ vo" . Qui, come spesso nella ftlosofta della scienza, un'utile limitazione nella forma della rappresentazione è confusa con una mancanza dell'uni­ verso 27 .

Ma, contrariamente a quanto pensa Black, l'affermazione di Weyl, se­ condo la quale il tempo della natura inanimata è privo dell ' accadere nel senso del divenire, non è affatto equivalente alla dottrina eleatica che il cambiamento è un'illusione della mente umana! È proprio del­ l' essenza della considerazione relativistica del mondo inanimato, come è espresso nella rappresentazione di Minkowski, che c'è il cambiamen­ to, nel senso che differenti tipi di eventi possono accadere (accadono) in tempi diversi: gli attributi e le relazioni di un oggetto associato con una data linea di universo possono essere diversi in tempi differenti (per esempio, la sua linea di universo può intersecarsi con diverse li­ nee di universo in tempi differenti) . Di conseguenza, gli stati totali dell'universo (quando sono riferiti al criterio della simultaneità di un particolare sistema di riferimento galileiano) sono corrispondente­ mente diversi in differenti istanti, cioè mutano con il passare del tem­ po. È l'errata identificazione, fatta da Black, del semplice cambiamen­ to con il divenire ("l'accadere") , che lo porta alla sorprendente e biz­ zarra ipotesi che la considerazione mentalistica di Weyl del divenire è indice della sua mancanza di consapevolezza che "il concetto di cam­ biamento [ . . . ] è [ . . . ] una componente necessaria della visione della realtà dello scienziato" . Black si riferisce all'intreccio delle relazioni precedente-successivo, rappresentate dalle linee di universo come "atemporali", proprio perché non rendono conto del divenire. Ed egli suggerisce che Weyl le concepisca come formanti un "quadri-spazio") , nel senso che lo spazio fisico esclude i l sistema di relazioni temporali che valgono rispetto alla relazione "precedente à' . È evidente che l'uso fatto da Black dei termini "atemporale" e "spazio" in questo contesto induce in errore fino al punto da favorire argomenti falsi e fallaci. Se­ condo la tesi di Weyl venire in essere ("accadere"), in contrasto con il semplice essere, significa solo entrare nella coscienza presente di un organismo senziente. E questa tesi non è esposta all'accusa di Black di aver scambiato "un' utile limitazione nella forma della rappresentazio27 Black (1 962) , pp. 1 8 1 -82.

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ne" per "una mancanza dell'universo", tanto più che Weyl considera importante la differenza tra spazio e tempo quando parla del mondo come "una molteplicità metrica a (3+ 1 ) dimensioni"28, piuttosto che una a 4 dimensioni. Nel tentativo di costruire una reductio ad absurdum della tesi di Weyl, Milic Capek ha proposto un'interpretazione di quella tesi anche più stravagante di quella di Black. Scrive Capek: Sebbene lo schema dell'universo di Minkowski elimini la successione nel mondo fisico, esso riconosce per lo meno il movimento della nostra co­ scienza verso il futuro. Così sorge un assurdo dualismo tra mondo fisico atemporale e coscienza temporale, vale a dire, un dualismo tra due regni completamente diversi, la cui correlazione diventa del tutto incomprensi­ bile. [ . . . ] In una simile prospettiva [ . . . ] noi siamo già morti senza render­ cene conto ora; ma la nostra coscienza, avanzando lentamente lungo la li­ nea di universo del proprio corpo, raggiungerà certamente qualsiasi even­ to preesistente e futuro soltanto di nome, che aspetta di essere alla fine raggiunto nella sua interezza dalla nostra coscienza [ . . . ] . A conseguenze così strane conducono sia la spazializzazione del tempo sia lo stretto de­ terminismo29.

Ma Capek afferma avventatamente qualcosa di falso e privo di fonda­ mento dichiarando che la visione di Weyl del mondo fisico è "atem­ porale" . Infatti, ciò che Weyl sta sostenendo è solo che il mondo fisico è privo del divenire, mentre concede pienamente che gli stati dei siste­ mi fisici sono ordinati secondo una relazione "precedente à' che è iso­ morfa, sotto importanti aspetti, alla sua controparte nella coscienza. Laffermazione di Capek della non intellegibilità della correlazione tra tempo fisico e psicologico dal punto di vista di Weyl è perciò insoste­ nibile, specialmente in assenza di precisazioni sul tipo di correlazione che Capek richiede e anche di una giustificazione di quel requisito. Più infelice ancora è il deplorevole fraintendimento del significato della metafora di Weyl, presente nel tentativo di Capek di confutare per as­ surdo la concezione di Weyl, quando Capek parla del nostro essere "già" morti senza che ne siamo consapevoli ora e della nostra morte futura pienamente realizzata, che sta aspettando di essere alla fine "rag­ giunta' dalla nostra coscienza. Questo evidente travisamento della rappresentazione metaforica di Weyl della tesi che venire in essere è 28 Weyl ( 1 950) , p. 283. 29 Capek ( 1 96 1 ) , p. 165.

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solo venire nella nostra coscienza presente, poggia su un avventato frain­ tendimento delle componenti temporali e/o cinematiche presenti nei significati dei termini "già", "pienamente realizzatà', "aspettare", "raggtungere" , ecc. Ho sostenuto che nel contesto psicologico (di senso comune) , in relazione al quale l'adesso transiente ha rilevanza, è tautologico asseri­ re che il tempo "scorre" dal passato al futuro o dal precedente al suc­ cessivo. Ma desidero concludere osservando che è ingiustificato adde­ bitare quest'ultima asserzione a un errore di grammatica logica. Abbiamo visto che il concetto della transienza dell' adesso o del flusso del tempo è un concetto qualitativo senza componenti metri­ che. Perciò il concetto completamente non-metrico rappresentato dal­ la metafora "fluisce in avanti" non è affatto esposto alla reductio ad ab­ surdum metrica presentata da J. J. C. Smart30 nella forma seguente: "Il concetto del flusso del tempo o dell'avanzamento della coscienza è, tuttavia, un'illusione. Quanto velocemente scorre il tempo o avanza la coscienza? In quali unità deve essere misurato il ritmo del flusso o del­ l' avanzamento? In secondi per - ?" Max Black31 altrettanto ingiustifi­ catamente pone la questione metrica: "Quanto velocemente scorre il tempo ?" e poi passa ad affermare del tutto erroneamente che sarebbe necessario un super-tempo non-esistente per dare significato al flusso del tempo psicologico. Inoltre, Black suppone erroneamente che la metafora "scorre in avanti" impegni a dire che il tempo sta "mutan­ do"32 e che ha senso parlare della cessazione del flusso del tempo psi­ cologico. Le assurdità che Black è poi in grado di ricavare dall'inter­ pretazione letterale di queste ultime asserzioni non sono perciò in gra­ do di far perdere credito al concetto della transienza dell'Adesso, come è stato inteso in questo libro. .

30 Smart (1 954), p. 8 1 . 31 Black (1 959) , p. 57. 32 lbid.

Il mito del p assaggio "congelato" : lo status del divenire nel mon do fisico 1

di Milic Capek

Penso che sia compito di ogni relatore spiegare innanzitutto il titolo della sua conferenza. Nel 1 95 1 , il Professor Donald Williams di Har­ vard scrisse quello che il Professor Nicholas Rescher dell'Università di Pittsburgh recentemente ha definito "un saggio appassionato"; il suo titolo era "Il mito del passaggio"2• In questo articolo, l'idea del passag­ gio o del divenire era accantonata quale esempio di metafisica super­ flua, confusa e permeata di romanticismo. Ma fa parte della condizio­ ne umana che, ciò che per un uomo è un fatto, possa essere per un al­ tro un mito; e questo è particolarmente vero della condizione della fi­ losofia, finché essa rimane un libero dialogo non vincolato da nessun tipo di controllo amministrativo esterno. Siccome io sono un sosteni­ tore del "mito del passaggio", il titolo dell'articolo citato precedente­ mente richiamava il titolo o piuttosto il contro-titolo del mio; infatti l'intento del mio articolo è quello di mostrare che, se c'è una metafisi­ ca che merita di essere definita un mito, è la metafisica dell'Essere, piuttosto che quella del Divenire; e più specificatamente, che le sco­ perte della fisica del ventesimo secolo, lungi dall'indebolire lo status ontologico del divenire, lo rafforzano. Ma vorrei sottolineare che il ti­ tolo provocatorio - "Il mito del passaggio congelato" - che sto utiliz­ zando con il cortese consenso del Professor Williams - è in un certo senso ingannevole, in quanto non rende conto del fatto che c'è una considerevole area di accordo tra la sua tesi e la mia. Il nostro dialogo odierno può essere considerato, specialmente da parte di coloro che conoscono la storia delle idee, come un'altra fase, e la più recente, del dialogo tra Eraclito e Parmenide, che iniziò tanti secoli fa; invece, co1 Tradotto da Capek ( 1 965). 2 Wìlliams ( 1 9 5 1 ) .

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loro che arrogantemente respingono qualunque tipo di antologia pos­ sono considerarlo come un dialogo tra due sostenitori o due miti - il mito del passaggio e il mito del passaggio congelato. Sebbene questo saggio non sia inteso come una polemica contro quello del Professar Williams, sarà opportuno citare un passo caratte­ ristico del suo articolo, la cui analisi ci servirà come base per una di­ scussione molto più ampia del problema del divenire in generale. Pro­ prio nella prima pagina del suo articolo, il Professar Williams scrive: Il regno familiare della vita naturale, la totalità della storia del mondo, è un volume spaziotemporale, di grandezza piuttosto indefinita, e stipato di cose ed eventi. La logica, con la sua legge del terzo escluso e i suoi ope­ ratori atemporali, la scienza naturale, con le sue mappe secolari dell'uni­ verso, concordano inesorabilmente con la concezione, propria della meta­ fisica e della religione, che la verità e la realtà ifact) sono eterni. Io credo che l'universo consista, senza residui, dell'estendersi degli eventi nello spaziotempo, e che se noi accettiamo realisticamente questa trama qua­ dridimensionale di attualità giustapposte, possiamo fare a meno di quelle vaghe categorie non-fattuali che hanno confuso la nostra stirpe: il poten­ ziale, il sussistente, l'influente, il noumenico, il numinoso e il non-natu­ rale (corsivo nostro)3.

In questo passo abbiamo tutte le caratteristiche principali di ciò che Nicholas Rescher ha caratterizzato adeguatamente come "la rivolta contro il processo"\ di cui il professar Williams non è l'unico rappre­ sentante; oltre a lui, Rescher cita anche il Professar Quine, Nelson Goodman e Strawson, e nella nostra discussione ci imbatteremo in al­ tri nomi. Né dovremmo dimenticare la tradizione molto antica e rag­ guardevole di cui Donald Williams è pienamente a conoscenza quan­ do si riferisce alle concezioni concordanti dell'atemporalità della verità e della realtà presenti sia nella metafisica sia nella religione tradizionali (ho saputo che lui vorrebbe obiettare contro il mio uso delle parole "atemporale" ed "eterno" come sinonimi, perciò affronteremo il pro­ blema di stabilire fino a che punto la differenza tra questi due termini non sia meramente verbale} . In ogni caso, non c'è alcun disaccordo sul fatto che il recente rifiuto del divenire sia semplicemente la fase più attuale dell' eternismo5 persistente, che pervade l'intera storia del 3 lbid., p. 457. 4 Rescher (1 962) . 5 Il termine fu coniato da J. A. Leighton.

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pensiero occidentale senza essere confinato ad esso, come mostrano le varie forme del misticismo orientale. Perciò non dovremmo essere sor­ presi di trovare nel pensiero di Williams le stesse caratteristiche pre­ senti nella forma tradizionale dell'Eleatismo e dell' eternismo, che sono le seguenti: l . La coeternità di verità e realtà. 2 . Una fiducia illimitata nella logica tradizionale, cioè a due valori di ve­ rità; più specificatamente, l'applicabilità della legge del terzo escluso a tutte le situazioni, sia passate, sia presenti, sia future: di conseguenza, un rifiuto di ogni tipo di potenzialità, compresa la potenzialità del futuro. 3. La geometrizzazione del tempo, cioè la tendenza a considerare il tempo come una dimensione di una molteplicità quadridimensionale, essenzial­ mente non diversa dalle tre dimensioni spaziali rimanenti. È chiaro che queste tre caratteristiche non sono indipendenti dal punto di vista logico ; ciò è particolarmente vero dei punti l e 2. L'ultima caratteristica venne per ovvie ragioni messa in luce solo nel­ l' epoca post-rinascimentale, quando la tradizione eleatica trovò un alleato potente nella meccanica analitica classica e nel determinismo laplaciano, che trattava il tempo come la quarta dimensione dello spazio, simbolizzato dall'asse-t delle variabili indipendenti: ma im­ plicitamente la geometrizzazione del tempo era presente agli albori stessi del pensiero greco: il paradossale rifiuto del divenire da parte di Zenone era basato sulla sua identificazione errata del tempo con una linea geometrica. Dall'altro lato, il Professar Williams si allontana dalla tradizione eleatica e spinoziana in due punti importanti: l. Egli non accetta il mito parmenideo e plotiniano dell"'Uno Assoluto", perché accetta senza esitazione la realtà della diversità. Ma la sua diversità - o "molteplicità", per usare il suo linguaggio - è essenzialmente di tipo statico. In questo senso, Donald Williams appartiene alla tradizione del pluralismo statico del tipo di Herbart e McTaggart, al quale Bertrand Rus­ sell era molto vicino, almeno in alcuni suoi scritti. 2 . Diversamente da Spinoza, da Laplace, da Calvino, Zwingli e tutti gli altri sostenitori della predestinazione, il Professar Williams non crede che l'atemporalità della verità comporti il determinismo. Se questa afferma­ zione possa essere coerentemente sostenuta, soprattutto se la verità e la realtà siano coestensive e coeterne, è un'altra questione, la cui discussione non può essere evitata del tutto, anche se è in parte al di là dell'ambito di questo lavoro.

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La questione principale in questo scritto sarà l'affermazione, fre­ quentemente ribadita, che la concezione statica, cioè priva del pas­ saggio, priva del divenire, è sostenuta dalla teoria della relatività, in particolare dall' unione relativistica di spazio e tempo. Intendo mo­ strare che un'interpretazione statica dello spaziotempo non solo crea un insolubile problema epistemologico, ma ignora anche alcu­ ne caratteristiche molto importanti dell'unione proposta di spazio e tempo, che suggerisce un' interpretazione proprio opposta, cioè di­

namica. Nel saggio del Professor Williams non c'è alcun riferimento speci­ fico allo spaziotempo relativistico, ma solo alla molteplicità quadridi­ mensionale in generale, mentre c'è un simile riferimento nel recente libro del Professor Quine, Parola e oggetto, dove si afferma che la sco­ perta del principio di relatività "non lascia alcuna alternativa ragione­ vole alla trattazione del tempo come simile allo spazio"6• A sostegno di questa concezione non viene fornito alcun argomento, se non una semplice affermazione che "secondo il principio di relatività di Ein­ stein lo spazio e il tempo sono distinguibili solo in relazione a una ve­ locità". Ciò che il Professor Quine intende qui è che la simultaneità di eventi è relativa al sistema di riferimento dell'osservatore; in altre pa­ role, gli osservatori in diversi sistemi inerziali scindono in modo diffe­ rente la molteplicità quadridimensionale nelle sue componenti spazia­ le e temporale. Nella fisica classica newtoniana la classe degli eventi oggettivamente simultanei separava senza ambiguità il passato dal fu­ turo o, più in generale, gli eventi anteriori a una certa data dagli even­ ti posteriori a essa, mentre apparentemente nella fisica relativistica non ci sono tali confini oggettivi e privi di ambiguità. Per questo sem­ bra che sia piccolo il passo necessario per giungere alla conclusione che la relativizzazione della simultaneità comporti una relativizzazione della successione; l'oggettività dell'ordine temporale sembra essere per­ sa, almeno su scala cosmica, e l'unica realtà che sembra essere rimasta è quella della molteplicità quadridimensionale minkowskiana, che contiene le relazioni statiche descrivibili in modo esauriente mediante proposizioni atemporali. Molte volte ho tentato di mettere in evidenza il carattere fallace dell'interpretazione statica, spazializzante, dello spaziotempo; perciò

6 Quine ( 1 960) , p. 1 72; tr. it. p. 2 1 2.

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sto inevitabilmente correndo il rischio d i ripetermi7• Ma poiché lo stesso fraintendimento si ripresenta continuamente senza che sia com­ provato da alcun argomento nuovo, una certa dose di ripetitività nel criticarlo è forse perdonabile. La fonte del fraintendimento può essere rintracciata, penso, nel famoso discorso di Minkowski del 1 908 e, più specificatamente, alla sua scelta sfortunata, ma molto caratteristica, della parola mediante la quale egli definl l'unione dello spazio e del tempo in un unico continuum quadridimensionale di punti-eventi. Egli caratterizzò questo continuo come "universo quadridimensiona­ le" ("die Welt' in tedesco)8, e l'insinuante connotazione statica di que­ sta parola suggerisce chiaramente che, in modo inconscio o semi-con­ scio, egli intese l'unione di spazio e tempo come un'operazione in cui la componente temporale era, se non assimilata, almeno subordinata a quella spaziale. È poco probabile che la scelta terminologica di Minkowski sia stata casuale; diversamente sarebbe difficile spiegare perché cosl tanti fisici lo seguirono nell'usare la stessa o un'analoga terminologia statica. È casuale che quasi tutti i trattati che affrontano la teoria della relatività usino il termine "spaziotempo" e quasi nessu­ no "tempo-spazio"? In tutta la letteratura sulla relatività ho trovato so­ lo un'eccezione a questa regola: il Professor G. Giorgi, che nel suo ar­ ticolo su Scientia del 1 934 usò il termine "chronòtopo" (dal greco cro­ nos-tempo e topos-spazio) , che in italiano significa "tempo-spazio"9• Questa tendenza inconscia a dare una priorità alla componente spazia­ le sarebbe in sé innocua se fosse stata confinata solo alla semantica; sfortunatamente non è cosl. Numerose affermazioni più esplicite sia di fisici sia di filosofi indicano che lo spaziotempo relativistico era considerato come una sorta di iperspazio, con il tempo come una quar­ ta dimensione addizionale. Secondo Einstein, il "divenire" nello spa­ zio tri-dimensionale è stato trasformato nell'"essere" nell'universo a quattro dimensioni10; secondo Herman Weyl, "il mondo oggettivo è, non diviene"; esso sembra divenire solo alla nostra "coscienza bendata'' (abgeblendete Bewusstsein) che procede lentamente lungo la sua linea

7 Cfr. i miei lavori: Capek ( 1 9 5 1 ) , soprattutto pp. 40-47, Capek ( 1 955), Capek ( 1 96 1 ) , cap. XI. 8 Minkowski ( 1 923) . 9 Giorgi (1 934), p. 94. 10 Meyerson ( 1 925), p. 1 00; tr. it. p. 1 67.

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di universo verso il futuro 1 1 • Nel 1 9 1 4 Ebenezer Cunningham scrisse che "se tutti i fenomeni del moto vengono considerati da questo pun­ to di vista, essi diventano fenomeni atemporali in uno spazio quadri­ dimensionale. Tutta la storia del sistema fisico è tracciata come un tut­ to privo di mutamento" 1 2. Né è sorprendente scoprire che Ludwig Sil­ berstein, l'autore de La teoria della relatività, afferma che la teoria del­ la relatività fu anticipata dal famoso romanzo di H. G. Wells, intitola­ to La macchina del tempo, in cui un viaggiatore immaginario si sposta lungo la "quarta dimensione" tanto liberamente quanto lungo le tre dimensioni spaziali13• Nel volume di Schilpp su Einstein, Kurt Godei considera seriamente l'idea di Wells di un viaggio di andata e ritorno "in qualsiasi regione del passato, del presente e futuro e di nuovo in­ dietro", e in una nota a piè di pagina egli addirittura calcola, o piutto­ sto, fa una stima della quantità di combustibile che una navicella spa­ ziale consumerebbe per compiere questo viaggio fantastico14. Un'idea simile si trova in Ernst Cassirer, che ha affermato che nella teoria della relatività l'anisotropia del tempo scompare, in quanto la distinzione tra il passato e il futuro è puramente convenzionale, paragonabile alla differenza tra il segno "più" e "meno" nello spazio 15. Sia Weyl, sia Cas­ sirer, hanno considerato la teoria della relatività come una conferma della concezione di Kant dell'idealità del tempo; il tempo, essendo so­ lo una forma della nostra percezione, non può essere applicato alle "cose in se stesse". (È vero che questa fu un peculiare adattamento di Kant per affermare la concezione statica della realtà fisica; Kant certa­ mente non escluse il tempo dal mondo fisico che, essendo fenomeni­ co, è necessariamente percepito attraverso la forma del tempo. Sia Cassirer sia Weyl confusero il mondo fisico con il regno delle cose in sé; Kant escluse la successione da quest'ultimo, non dal primo). Tra i filosofi della scienza contemporanei, i difensori più recenti della con­ cezione di Weyl, secondo la quale lo spaziotempo quadridimensionale è privo del divenire, sono Adolf Griinbaum e O. Costa de Beaure­ gard16. 1 1 Weyl ( 1 924) , pp. 82 e 87; Weyl ( 1 949) , p. 1 1 6; tr. it. p. 140. 12 Cunningham ( 1 9 1 4) , p. 1 9 1 . 1 3 Silberstein ( 1 9 1 4), p. 1 34. 1 4 Godel ( 1 949), pp. 560-56 1 ; tr. it. pp. 507-508. 1 5 Cassirer ( 1 92 1 ), p. 1 1 9; tr. it. pp. 602-603. 16 Griinbaum ( 1 963), soprattutto cap. 10 [tradotto in questo volume] ; Costa de

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Ma ci furono alcune importanti voci di dissenso sia tra i fisici sia tra i filosofi, i quali ammonirono contro una superficiale interpreta­ zione spazializzante della fusione, proposta da Minkowski, dello spa­ zio con il tempo. Emile Meyerson, nel suo splendido libro La deduzio­ ne relativistica, sfortunatamente poco conosciuto in questo paese, cita Paul Langevin, ai cui scritti probabilmente farò riferimento ancora, quando dice che "chiamare tempo la quarta dimensione dello spazio è del tutto privo di significato"17• È ancora più significativo il fatto che Einstein stesso apparentemente esitò su questo punto. Egli era chiara­ mente consapevole che l'asimmetria del tempo è preservata anche nel­ la sua unione relativistica con lo spazio, perché, come lui disse, "non possiamo inviare telegrammi nel passato" . Il 6 Aprile del 1 922, Ein­ stein partecipò al convegno della Società Filosofica Francese a Parigi, dove Meyerson sottolineò che l'asimmetria del tempo è preservata an­ che nella teoria della relatività; Einstein concordò immediatamente, ma quando leggiamo la sua risposta di un'unica frase, non possiamo fare a meno di sentire che questo punto non era particolarmente inte­ ressante per lui, e che, nonostante il suo accordo con Meyerson, egli apparentemente non dedicò troppa attenzione a questo problema18• La sua reazione fu notevolmente diversa sei anni dopo. Meyerson svi­ luppò il suo argomento contro la spazializzazione del tempo in modo più esplicito nel libro a cui ci siamo riferiti prima, La deduzione relati­ vistica, e Einstein scrisse su di esso un commento molto favorevole e approfondito nella Revue philosophiquel 9• Einstein apprezzò particolar­ mente gli avvertimenti di Meyerson contro l'interpretazione spazializ­ zante del tempo e sottolineò che questo fraintendimento è presente non solo in numerose esposizioni divulgative della relatività, ma an­ che in alcuni lavori tecnici scritti da fisici. Sebbene più tardi Einstein sembrò propendere di nuovo per una visione statica, come si può ve­ dere dal suo evidente interesse per l'idea di Godei dell'osservatore che visita il passato e ritorna al presente2°, è chiaro che la sua concezione

Beauregard ( 1 963) . Cfr. la mia discussione con Costa de Beauregard in A. A.V.V. ( 1 959), pp. 66 sg. 1 7 Meyerson ( 1 925) . 1 8 Einstein ( 1 922), p. 1 1 2. 19 Einstein ( 1 928). 20 Schilpp ( 1 949) , pp. 687-688; tr. i t. pp. 633-634.

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dello status del tempo e del divenire era più esitante e più incerta di quanto sia generalmente riconosciuto. Simili ambiguità sono presenti anche nel pensiero di Herman Weyl. Egli sottolineò che è più esatto dire che il continuo spaziotem­ porale ha 3 + l dimensioni, piuttosto che definirlo quadridimensiona­ le21; in altri termini, la dimensione temporale preserva il suo carattere distintivo. È vero che egli ha ripetuto la sua affermazione sul carattere privo di divenire del mondo oggettivo anche più tardi, nel 1 934, nel suo libro dal titolo Mente e natura22 , ma nello stesso libro e quasi alla stessa pagina dice esplicitamente che: Ciò che viene esperito in modo immediato è soggettivo ma assoluto; non importa quanto vago possa essere, in questa vaghezza esso è qualcosa di dato senz'altro. Al contrario, il mondo oggettivo di cui noi continuamen­ te teniamo conto nella nostra vita pratica e che la scienza tenta di portare a chiarezza cristallina è necessariamente relativo [ . . . ] Chi desidera l'assolu­ to, deve prendere la soggettività, l'io per il quale le cose esistono come in più; chi tende verso l'oggettivo non può sfuggire al problema della relati­ vità23!

Sono certo che il Professar Gri.inbaum non è a conoscenza di questo passo; esso mostra chiaramente che Weyl non era risolutamente oppo­ sto allo status antologico del divenire, come egli talvolta dichiarava. Anche nel suo primo libro �s ist Materie? ( 1 924) egli affrontò la questione se l'irreversibilità del tempo soggettivo non sia basata sull'u­ nidirezionalità del tempo fisico; in altre parole, non sembrava che confinasse il divenire solo nel regno introspettivo24• Otto anni dopo scrisse un libro il cui titolo dovette suonare minaccioso alle orecchie del Professar Williams - L'universo aperto ( 1 932) ; il titolo ha un tono sospettosamente bergsoniano e lo spauracchio del passaggio sembra nascondersi dietro di esso. Due anni più tardi apparve il libro che ho citato, Mente e natura, e dall'uguaglianza proposta da Weyl tra la sog­ gettività e l'assolutezza seguirebbe, o dovrebbe conseguire, che il di­ venire intuito soggettivamente deve avere una controparte oggetti­ vamente antologica. Non affermo che Weyl abbia reso chiaro il suo 21 Weyl ( 1 922), p. 283. 22 Weyl ( 1 934), p. 76. 23 lbid. Lo stesso passo compare già in Weyl ( 1 949) , p. 1 1 6; tr. it. p. 14 1 . 24 Weyl ( 1 924), p. 84.

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punto di vista, ma difficilmente potrebbe esserci dubbio sul fatto che il suo pensiero su questo punto fosse più complesso e più ambiguo di quanto alcuni difensori di un solo aspetto della sua concezione si ren­ dano conto. Avvertimenti molto meno ambigui contro i fraintendimenti spa­ zializzanti dell'unione relativistica dello spazio con il tempo furono avanzati da A. E. Eddington, P. W. Bridgman, G. J. Whitrow tra gli scienziati, da A. N. Whitehead, H. Bergson e H. Reichenbach tra i fi­ losofi25. Questi ultimi due pensatori, che sotto altri punti di vista eb­ bero molto poco in comune, riconobbero , correttamente dal mio punto di vista, che l'interpretazione statica dell'universo di Minkowski è semplicemente la fase più recente della perenne tradizione eleatica. Nel suo libro postumo, La direzione del tempo, Reichenbach scrive in un modo quasi bergsoniano: Questo universo atemporale è un Essere parmenideo quadridimensionale, in cui non accade nulla, "completo, immobile, senza fine [ . . . ] ; esso è tutto nello stesso tempo, un uno continuo" . Lo scorrere del tempo è un'illusio­ ne, il Divenire è un'illusione; è il modo in cui noi esseri umani facciamo esperienza del tempo, ma non c'è nulla in natura che corrisponda a que­ sta esperienza26•

Reichenbach rifiutò questa interpretazione eleatica nella sua opera po­ stuma, così come nelle opere precedenti; egli si spinse fino al punto di considerare ogni eliminazione metafisica del divenire quasi come un sintomo nevrotico, una manifestazione del senso di insicurezza gene­ rato dalla rappresentazione sconfortante del mutamento senza posa: Il sopraggiungere della morte è il risultato inspiegabile dello scorrere irre­ versibile del tempo. Se potessimo fermare il tempo, potremmo sfuggire la morte - il fatto che non possiamo ci rende in definitiva impotenti, ci ren­ de uguali a un pezzo di legno che viene trascinato nella corrente del fiu­ me. La paura della morte è cosl trasformata in una paura del tempo, il flusso del tempo appare come l'espressione di forze sovrumane dalle quali non c'è via di scampo. I..: espressione "trapassare", per mezzo della quale 25 Cfr. A. Eddington ( 1 920), pp. 5 1 -52 ; tr. it. p. 72, e Eddington (1 933), cap. III, in particolare pp. 50-52; 57-58; tr. it. pp. 5 1 -54 e p. 59; Bridgman ( 1 948) , p. 74; tr. it. p. 75; Whitrow ( 1 96 1 ) , passim; Whitehead ( 1 955) pp. 53-54 e p. 1 78; tr. it. pp. 52-53 e p. 1 72; Bergson ( 1 9232) , soprattutto cap. VI; Reichenbach ( 1 957) , pp. 1 1 21 1 3; tr. it. pp. 1 32-1 35. 26 Reichenbach ( 1 956), p. 1 1 .

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parliamo in modo evasivo della morte senza usare il suo nome, rivela la nostra identificazione emozionale del flusso del tempo con la morte27•

Questo è, ovviamente, un interessante, ma controverso, esempio di psicoanalisi; ci sono altri possibili atteggiamenti emotivi rispetto al tempo, e Reichenbach ne è consapevole. Il titolo del libro di Joseph Needham, Tempo, ilfiume che si rinnova28 (che, come ho detto, piace al Professor Robert Cohen, come a me) , mostra un atteggiamento emozionale del tutto diverso da quello descritto da Reichenbach. In altri termini, usando il linguaggio della stessa metafora: ci sono certa­ mente pezzi di legno che vorrebbero fermare il loro essere trascinati dalla corrente congelando il fiume del tempo; ma ci sono altri pezzi di legno, anche più numerosi, cioè alcuni esseri viventi, ai quali piace traversare e nuotare in quel fiume e che si irriterebbero certamente di essere catturati eternamente, senza potersi muovere, e di essere conge­ lati in un blocco di ghiaccio in cui l'incanto parmenideo vorrebbe tra­ sformare l'incessante fluttuare dell'esistenza. Ciò che sto tentando di dire è che tutti questi atteggiamenti emotivi sono irrilevanti dal punto di vista filosofico; non è importante se preferisci avere un universo si­ mile a un frigorifero gigante o come una gigantesca piscina; non im­ porta realmente o per lo meno non dovrebbe essere importante se tu soffri di mal di mare e vertigine metafisica - di cui i nemici del pas­ saggio sembrano soffrire - o se sei affetto da claustrofobia metafisica vorrei dire di frigorifero-fobia - come sembra il caso degli amici del passaggio. Rilevanti sono le ragioni razionali ed empiriche che i due antagonisti adducono in favore delle loro preferenze. In altre parole, basare il giudizio di una qualsiasi concezione, sia scientifica sia filoso­ fica, su speculazioni psicologiche, psichiatriche o psicanalitiche riguar­ do alla sua origine, è discutibile e sleale; respingere "il mito del passag­ gio congelato", a causa della sua presunta origine nella paura nevrotica del passaggio, sarebbe sleale quanto rifiutare il presunto mito del pas­ saggio per la ragione fasulla che la sua accettazione rivelerebbe l'incli­ nazione romantica della mente. Reichenbach stesso ebbe ragioni di gran lunga migliori per rifiutare l'interpretazione statica dello spazio­ tempo, anche se egli non sempre trasse da esse tutte le conseguenze e anche se non espose tutte le ragioni di cui si sarebbe potuto servire. È 27 lbid., p. 4. 28 Needham ( 1 943) .

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con ragioni di questo tipo - sia razionali sia empiriche - che ora stia­ mo per sviluppare, dopo questa introduzione, un'analisi, sebbene in­ completa, delle opinioni discordanti. Consideriamo dapprima l'argo­ mento più frequente e apparentemente più plausibile a favore dell'in­ terpretazione stati ca della molteplicità spazio temporale - l'argomento a cui brevemente ho già fatto riferimento e che probabilmente con­ vinse il Professor Quine: la relativizzazione della simultaneità. La sua plausibilità è innegabile: se non c'è alcun Adesso cosmico e oggettivo, che costituirebbe un substratum per eventi oggettivamente simultanei, che cos'è più naturale che inferire che la distinzione oggettiva tra il passato e il presente perde il suo significato ? Ovvero credere che la successione stessa sia relativa, dipendente dalla scelta del sistema di ri­ ferimento e non costituisca una caratteristica oggettiva della realtà? Eppure questa conclusione è falsa e la sua apparente capacità di con­ vincere è dovuta al fatto che essa segue logicamente da una premessa che, sfortunatamente, è essa stessa falsa. Affermare senza riserve che la simultaneità e la successione di eventi sono relative è semplicemente falso. In verità, possiamo fare un'affermazione simile solo quando ignoriamo completamente le implicazioni matematiche della formula di Minkowski per la costanza dell'intervallo spaziotemporale. Anche un rapido esame di questa formula ci dice che ci sono cinque diverse possibili relazioni tra due eventi; a) La simultaneità di eventi isotopici (equiposizionali) , cioè eventi che av­ vengono nello stesso luogo. b) La successione di eventi isotopici. c) La simultaneità di eventi eterotopici, cioè di eventi che avengono in luoghi differenti. d) La successione di eventi eterotopici che sono correlati causa/mente. e) La successione di eventi che non sono correlati causalmente.

Ognuna di queste categorie di eventi richiede un'analisi separata. a) Consideriamo dapprima il problema della simultaneità degli eventi che avvengono nello stesso luogo. Nel linguaggio del diagram­ ma di Minkowski questo caso è rappresentato dall'intersezione di due linee di universo. Per esempio, lo scontro di due treni, di due stelle o la collisione di un elettrone con un protone sono rappresentati dal punto di intersezione delle due corrispondenti linee di universo. Ora, anche se le velocità di due stelle, di due treni o di un elettrone (non quella di un fotone a causa della costanza della velocità della luce!) va-

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rieranno a seconda della nostra scelta del sistema di riferimento, le li­ nee di universo corrispondenti avranno lo stesso punto di intersezione in ogni sistema. In altri termini, la simultaneità di eventi isotopici è un' invariante topo logica; tali eventi simultanei in un sistema rimarran­ no simultanei entro qualunque altro sistema. Non è per nulla sorpren­ dente che sia cosl: infatti, se gli eventi isotopici fossero simultanei in alcuni sistemi e non in altri, ciò avrebbe come risultato anomalie cau­ sali molto strane: per esempio, un proiettile colpirebbe il suo bersaglio in un sistema e non in un altro, l'effetto Compton si verificherebbe o meno a seconda della nostra scelta del sistema di riferimento. Ma il carattere assoluto della simultaneità degli eventi isotopici è chiaramen­ te incompatibile con l'affermazione generale che la simultaneità di tutti gli eventi è puramente e assolutamente relativa. b) La successione degli eventi che avvengono nello stesso luogo ha un carattere ugualmente assoluto. Come la loro simultaneità, l'ordine temporale di tali eventi costituisce un'invariante topologica; due even­ ti isotopici che sono successivi in un sistema di riferimento, rimango­ no successivi in qualunque altro sistema. Questo fu stabilito da Paul Langevin fin dal 1 9 1 1 ed è un'altra conseguenza matematica della for­ mula di Minkowski dell'invarianza dell'intervallo di universo. Secon­ do le parole di Langevin, le linee di universo, che per definizione sono costituite dalla successione di eventi isotopici, sono irreversibili in tutti i sistemi di riferimento 29• L'irreversibilità delle linee di universo è quindi assoluta nel senso pieno della parola. Questo implica che in nessun sistema di riferimento un effetto possa precedere la sua causa. Nella fisica classica, in cui non era imposto alcun limite superiore per le velocità meccaniche, era possibile, almeno in linea di principio, per­ cepire un effetto prima della sua causa; sarebbe stato sufficiente allon­ tanarsi dalla Terra con una velocità maggiore di quella della luce e guardare all'indietro: allora si vedrebbe la storia passata invertita e se tu andassi abbastanza lontano e avessi un telescopio sufficientemente potente, potresti vedere la tua nascita. Nella fisica relativistica non so­ lo l'ordine temporale di causa-effetto è irreversibile, ma neppure un'in­ versione delle loro percezioni temporali è possibile3°. La costanza della ve-

29 Langevin ( 1 9 1 2) , p. 37. 30 Ancora più precisamente: "ddle loro percezioni visive nd vuoto o in un mezzo con un indice di rifrazione trascurabile".

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locità della luce in tutti i sistemi di riferimento è la ragione di questa impossibilità. c) La situazione è alquanto diversa per la simultaneità di eventi di­ stanti, cioè etero top ici: dall'avvento della teoria di Einstein la simulta­ neità di tali eventi divenne pienamente e senza riserve relativa. In tre parole, due eventi simultanei in un sistema di riferimento sembreran­ no succedersi l'un l'altro in altri gruppi di sistemi, e appariranno in un ordine inverso in altri sistemi ancora. Solo entro quei sistemi che sono immobili rispetto al sistema originale, gli stessi due eventi appa­ riranno ancora simultanei. Nei termini del diagramma di Minkowski, gli osservatori che si muovono con diverse velocità necessariamente non saranno d'accordo su che cosa sia l'Adesso cosmico; essi divide­ ranno diversamente l'universo quadridimensionale - io preferisco molto di più dire il processo dell'universo quadri-dimensionale - e le loro sezioni istantanee tridimensionali non coincideranno. In altre pa­ role, non esiste nulla che sia "la natura in un istante" o "lo spazio in un istante"; questo è solo un altro modo per dire che non c,è alcuno

spazio assoluto, nessun istante universale, nessuna giustapposizione assolu­ ta che servirebbe come un substratum per eventi assolutamente simul­ tanei. Se capiamo la correlazione logica dei concetti di simultaneità e giustapposizione, se comprendiamo che la classe di eventi oggettiva­ mente simultanei ad un dato istante, secondo la fisica newtoniana, è costituita dalle sezioni tridimensionali istantanee attraverso il divenire quadridimesionale; se inoltre ci rendiamo conto che tali sezioni tra­ sversali istantanee sono escluse dalla relativizzazione della simultaneità degli eventi eterotopici, allora arriviamo inevitabilmente alla conclu­ sione che la relatività della simultaneità non è altro che la relatività

della giustapposizione. d) Nel considerare la successione di eventi eterotopici, cioè quegli eventi che avvengono in luoghi diversi, dovremmo differenziare netta­ mente quelle coppie di eventi che sono correlate causalmente da quelle che non lo sono. Due eventi sono in relazione causale quando la loro distanza nello spazio è in ogni sistema più piccola della loro separazione nel tempo moltiplicata per la velocità dell'azione causale più veloce. Di nuovo, un esame della formula di Minkowski della costanza dell'inter­ vallo di universo mostra che l'ordine temporale di tali eventi è indipen­ dente dalla scelta del sistema di riferimento; anche la loro successione è un'invariante topologica. Questo ci fornisce la possibilità di generaliz­ zare il nostro risultato precedente; non solo le linee di universo di "par-

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ticelle" materiali, ma tutte le linee causali sono irreversibili in ogni siste­ ma di riferimento. In verità, le linee di universo sono semplicemente esempi particolari di linee causali: ogni linea di universo di una "parti­ cellà' materiale è in realtà una linea causale isotopa o ciò che Whi­ tehead ha chiamato "un percorso di occasioni" ; essa rappresenta una carriera di vita di una particella immobile in un sistema di riferimento. Mediante un opportuno cambiamento del sistema di riferimento que­ sta particella stazionaria può essere trasformata in una particella che si muove; in altri termini, la sua linea di universo può divenire una linea causale in un senso più ampio quando diventa veicolo di una qualche influenza causale, cioè un collegamento tra due linee di universo. Ana­ logamente, non c'è alcuna differenza se parliamo di linee causali della luce o delle linee di universo dei fotoni; tuttavia, c'è una differenza si­ gnificativa nel fatto che nessun cambiamento nel nostro sistema di rife­ rimento può trasformare un fotone in una particella stazionaria. Que­ sta è una differenza tra la materia e l'energia radiante che la teoria della relatività non ha eliminato; al contrario, è una delle pietre angolari non solo della teoria della relatività, ma anche della fisica contemporanea in generale: la nozione di fotone stazionario è priva di significato. e) I.:ultima categoria è quella delle coppie di eventi che non sono correlati in maniera causale e che non possono essere correlati: la loro distanza nello spazio è in qualsiasi sistema di riferimento maggiore ri­ spetto alla loro separazione nel tempo moltiplicata per la velocità del­ l' azione causale più veloce. Di nuovo un breve esame della formula per l'intervallo temporale mostra che gli eventi, che si succedono l'un l'altro in un sistema, possono apparire simultanei in un altro sistema o addirittura apparire in ordine inverso in un terzo sistema. Questo caso in realtà è stato trattato quando abbiamo considerato la seconda cate­ goria (b) ; ma questo è ovvio, perché la relativizzazione della simulta­ neità di eventi distanti implica una relativizzazione della loro succes­ sione e viceversa. In verità, gli eventi non possono mai essere ritenuti simultanei, a meno che non siano correlati causalmente, per la sempli­ ce ragione che in natura non ci sono connessioni e interazioni istanta­ nee; e una linea puramente spaziale che congiunge due eventi simulta­ nei giustapposti è un esempio di connessione istantanea. Ma tali con­ nessioni istantanee non esistono in un senso oggettivo; ciò che è una linea geometrica, cioè una serie di punti giustapposti per un osservatore, apparirà come una successione di eventi - naturalmente di eventi non correlati causalmente - a un altro osservatore.

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Filosoficamente, il risultato più significativo sta nel fatto che, men­ tre non c'è alcuna giustapposizione di eventi che sarebbe una giustapposi­ zione per tutti gli osservatori, ci sono certi tipi di successione che rimango­ no tali in tutti i sistemi di riferimento. Questi tipi di successione sono rappresentati da serie causali, cioè da linee di universo, incluse le linee di universo dei fotoni. In altri termini, diversamente dalla giustapposi­ zione spaziale, l'irreversibilità delle linee di universo ha un significato assoluto, perché possiede una realtà autentica e oggettiva indipenden­ temente dalla scelta convenzionale del sistema di riferimento. La prio­ rità antologica del tempo sullo spazio, o più specificatamente della successione sulla giustapposizione, difficilmente potrebbe aver trovato un'esemplificazione più convincente. Nello spazio tempo relativistico io preferisco dire tempo-spazio - ci sono solo due tipi di relazioni che hanno un significato oggettivo: le connessioni causali successive e l'indi­ pendenza causale contemporanea. Quest'ultima relazione ha sostituito il concetto classico di simultaneità come confine tra il passato e il futu­ ro. Nell'universo newtoniano il passato era separato dal futuro da una sezione trasversale tridimensionale e istantanea; questa era precisa­ mente la funzione dello spazio assoluto newtoniano come substratum di eventi assolutamente simultanei. Nell'universo relativistico il passa­ to è separato dal futuro da un'area quadridimensionale a forma di cu­ neo, simbolizzata nel nostro diagramma bidimensionale dalla zona cu­ neiforme che Eddington ha chiamato "l'altrove" . In altre parole, il passato è separato dal futuro anche più efficacemente che nello schema classicoP1 Cosl siamo più che giustificati nel concludere che l'unione relativistica dello spazio con il tempo, invece di essere una spazializza­ zione del tempo, è una dinamizzazione dello spazio; questa conclusio­ ne è ulteriormente rafforzata in considerazione della teoria della relati­ vità generale. Il tempo - o dovrei dire l'entità mitica del passaggio? mi impedisce di discuterla in dettaglio; mi si conceda di menzionare solo uno o due fatti. La fusione dello spaziotempo con il cambiamen­ to del contenuto fisico nella teoria generale, nonché la dimostrazione astronomica dell'espansione dell'universo, indicano chiaramente che la dinamizzazione dello spazio è di gran lunga più marcata di quanto non suggerisca la teoria della relatività ristretta. 31 Cfr. Eddington ( 1 933), pp. 57-58; tr. it. p. 59: "Il limite alla velocità dei segnali è il nostro baluardo contro quel capovolgimento di passato e futuro, di cui la teoria di Einstein è qualche volta erro neamente accusata" (corsivo nostro) .

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Perché c'era e c'è ancora un cosl grande fraintendimento sul cor­ retto significato dell' unione relativistica di spazio e tempo? La risposta è semplice, se teniamo conto della storia delle idee: c'è un Parmenide al fondo della nostra mente, sempre pronto a trasformare il divenire in essere, il processo in sostanza, il tempo in spazio. A causa del nostro subconscio eleatico, tendiamo a fraintendere e distorcere il tempo­ spazio relativistico in una maniera statica. Inoltre, la molteplicità qua­ dridimensionale, che il Professar Williams ha discusso, certamente non è la molteplicità relativistica. Ascoltiamo ciò che egli ha scritto a pagina 468 del suo articolo: Una facile interpretazione sarebbe quella secondo la quale il contenuto dell'universo è organizzato unicamente nella direzione del tempo perché la direzione del tempo è essa stessa originariamente unica. Il sapere filoso­ fico moderno, tuttavia, consiste soprattutto nel tentare di mettere il carro davanti ai buoi, e io mi sento non poco convinto dall'ipotesi stranamente ripugnante che la peculiarità della dimensione del tempo non è cosl pri­ mitiva, ma è interamente una risultante di quelle differenze nel corso e nell'ordine meramente de facto della trama dell'universo. È allora conce­ pibile, sebbene senza dubbio fisicamente impossibile, che un'area quadri­ dimensionale della molteplicità sia ruotata di novanta gradi fino a fer­ marsi, così che l'ordine temporale di quell'area, in quanto composto dalle sue linee interne di tensione e dalla sua struttura, corra parallelo con un ordine spaziale nel suo ambiente. È concepibile, infatti, che una singola linea umana intera potrebbe disporsi trasversalmente alla molteplicità, con la sua gobba nel tempo, la sua nascita ad est e la sua morte ad ovest, e il suo flusso cosciente che forse corre lungo il sentiero del giardino di qualcuno.

Questo è un interessante brano di fantascienza o piuttosto di fan­ ta-filosofia, che, tuttavia, non può certo pretendere di essere avallata dalla fisica relativistica; al contrario, è chiaramente e disperatamente incompatibile con essa. Ciò che il Professar Williams sostiene è che è possibile sezionare la molteplicità quadridimensionale in modo tale che la linea di universo di un essere umano si estenda spazialmente ­ "lungo il sentiero del giardino di qualcuno", ad esempio - in un siste­ ma di riferimento opportunamente scelto. Questo è chiaramente im­ possibile secondo quanto abbiamo discusso prima: infatti, la succes­ sione di eventi causalmente correlati conserva il suo ordine temporale in ogni sistema di riferimento; per questa ragione, la nascita e la mor­ te, che rappresentano l'evento iniziale e finale della linea di universo

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di un essere umano, non possono mai apparire simultanei a un qual­ siasi osservatore. La degenerazione dell'ordine temporale di eventi cor­ relati causalmente in una simultaneità era possibile in linea di princi­ pio finché era ammessa una velocità infinita; un osservatore che si muovesse a velocità infinita avrebbe una visione panoramica simulta­ nea della totalità della storia - ma solo della storia passata, non degli eventi futuri (a ogni modo, "la storia futurà' è una contraddizione in termini) . Ma finché prendiamo seriamente la fisica relativistica, dob­ biamo respingere qualsiasi velocità istantanea, qualsiasi attraversamen­ to ortogonale delle linee di universo come un esempio del sorpassato modo di ragionare pre-relativistico. Ma il Professor Williams è andato anche oltre rispetto a quanto permetteva la fisica newtoniana, affermando che con un appropriato cambiamento del sistema di riferimento è possibile fare in modo che una certa linea di universo vada a ritroso nel tempo, dalfoturo al passato: È anche possibile concepire che una vita umana venga ruotata, non di

90° ma di 1 80° dalla normale struttura dell'universo. F. Scott Fitzgerald racconta la storia di Benjamin Button, che era nato nell'ultima fase della vecchiaia e diventò più giovane durante tutta la vita fino a quando morì come un embrione che diminuisce poco alla volta. Fitzgerald immaginò che l'inversione temporale fosse così imperfetta, che il flusso di coscienza di Benjamin corresse non all'indietro con il vero e proprio sviluppo del suo corpo, ma secondo il comune senso orario. Potremmo concepire me­ glio un'inversione di ogni contrazione delle cellule e rotazione degli elet­ troni, e quindi supporre che Benj amin abbia fatto esperienza della sua vi­ ta come noi della nostra, ma che lui abbia visto tutte le persone che gli stavano intorno andare all'indietro dalla tomba alla culla. Potrei sembrare presuntuoso a svelare tali speculazioni, poiché a qualcuno esse appariran­ no come un avvertimento sui danni di ogni concezione dimensionale32•

Simili speculazioni non solo sono presuntuose, ma sono anche chiara­ mente incompatibili con la fisica relativistica. eassunzione della velo­ cità istantanea implicherebbe l'appiattimento delle superfici del cono causale anteriore; la linea di universo dell'osservatore corrispondente sarebbe ortogonale al "normale" corso del tempo e l'osservatore stesso sarebbe onnipresente in tutti i suoi punti. Come giustamente nota Williams, un tempo locale, che va a ritroso, richiederebbe che la corri­ spondente linea di universo fosse ruotata di un angolo maggiore di 32 Williams { 1 95 1), pp. 468-69.

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90°; in altre parole, il corrispondente cono causale sarebbe ruotato al­ l'indietro come un ombrello rovesciato. Non è necessario soffermarsi su tutte le anomalie causali e le ovvie assurdità che risulterebbero da simili situazioni; il punto essenziale è che finché rispettiamo il princi­ pio base della teoria della relatività, tutte le possibili linee causali che derivano dal Qui-Ora devono essere incluse nel cono causale anterio­ re; inoltre, nessuna linea di universo che comincia dal Qui-Ora può mai raggiungere la regione dell'Altrove; a fortiori, nessuna di esse può essere rivolta indietro per essere inclusa nel cono causale posteriore; di conseguenza, la nozione di linea di universo che si muove indietro o verso il passato non ha alcun posto nell'universo relativistico. Le fan­ tasie di H. G. Wells, Scott Fitzgerald e gli altri rivelano infatti i rischi della concezione "dimensionale" del tempo, cioè della tradizionale spazializzazione del tempo. Ho già ricordato un numero di fisici e filosofi che non concordano con l'interpretazione statica dello spaziotempo. Non avrei potuto tra­ lasciare il Professar Philipp Frank, che fin dal 1 938 criticò severamen­ te l'interpretazione statica e fatalista proposta da James Jeans dell"'uni­ verso di Minkowski"33• Va da sé che io concordo di tutto cuore con la critica di Frank, anche se penso che alcuni dei suoi argomenti potreb­ bero essere resi anche più persuasivi. Ma egli senza dubbio aveva ra­ gione a chiamare "metafisicà' l'interpretazione di Jeans; Frank tuttavia ha dimenticato di specificare da quale tipo di metafisica Jeans fosse sta­ to ispirato. La lettura di I nuovi orizzonti della scienza di Jeans gli avrebbe fornito questa informazione; a pagina 1 09, Jeans scriveva: Dai tempi di Platone in avanti, il pensiero filosofico è tornato più volte all'idea che i mutamenti temporali e il flusso degli eventi appartengono solamente al mondo delle apparenze e non formano una parte della realtà [ . . ] Per questa ragione, i filosofi hanno sostenuto fermamente che la realtà deve essere atemporale e il tempo, secondo le parole di Platone, è semplicemente "un'immagine mobile dell'eternità" . .

In seguito, dopo aver citato, approvandolo, un passo di Apparenza e realtà di Bradley, Jeans conclude: Possiamo notare come l'assimilazione dello spazio e del tempo in un'unità superiore, il continuo spaziotemporale, che li trascende entrambi ed è

33 Frank ( 1 938), pp. 46-55.

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privo di mutamento, soddisfi le richieste dei filosofi, sebbene solo al costo di relegare l'evoluzione al regno dell'apparenza34•

Questo è abbastanza chiaro. Ma se siamo severi con Jeans, dobbiamo esserlo ugualmente con Kurt Godei, che congiunge la sua interpreta­ zione alla tradizione dell'idealismo atemporale tanto esplicitamente quanto Jeans; solo che, invece di Platone, egli cita Parmenide, invece di Bradley, McTaggart, soprattutto il suo articolo che s'intitola L'ir­ realtà del tempo35. Ciò che è più sorprendente è trovare alcuni filosofi orientati in senso fisicalistico in compagnia di idealisti atemporali che si richiamano all'eredità di Platone, di Bradley e di McTaggart! Evi­ dentemente, la comune avversione al "mito del passaggio" produce delle strane compagnie. Dopo aver mostrato che il mito del passaggio congelato appartiene essenzialmente al modo di pensare pre-relativistico, l'unica via possibi­ le per salvarlo sarebbe affermare che esso è realmente indipendente da ogni particolare teoria fisica, relatività inclusa. Questo è ciò che il Pro­ fessar Quine sostiene espressamente36• Non discuterò i presunti argo­ menti positivi addotti a sostegno di questa affermazione, il più impor­ tante dei quali sembra essere la presunta atemporalità della verità; ciò che io intendo far notare sono le singolari difficoltà che questa conce­ zione comporta. Come sostiene il passo citato di Jeans, nella concezio­ ne priva di passaggio "il tempo è relegato nel regno delle apparenze". In altre parole, il tempo esiste ancora, sebbene solo a un livello sogget­ tivo, introspettivo e psicologico. Ma ciò non crea un dualismo intolle­ rabile fra il "regno della realtà" e il "regno delle apparenze", un duali­ smo metafisica di gran lunga peggiore del dualismo cartesiano ? Infat­ ti, anche il dualismo cartesiano non era così netto come quello pro­ dotto degradando il tempo a una mera apparenza: non importa quan­ to nettamente il regno degli spiriti privi di estensione contrastasse con il regno della materia spaziale, entrambi condividevano il carattere temporale: sia le menti sia i corpi erano, per Cartesio, nel tempo. D'al­ tro lato, escludendo la successione dal mondo fisico oggettivo, stiamo aggiungendo alla dualità del soggettivo e dell'oggettivo un'altra dualità tra atemporale e temporale: come sono correlati in modo intellegibile 34 Jeans ( 1 933) , p. 1 1 0. 35 McTaggart ( 1 908) . 36 Quine (1 960), p. 1 72; tr. it. p. 2 1 2 .

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questi due regni? Jeans nel passo contestato da Philipp Frank risponde allo stesso modo di Weyl: Il tempo è intrecciato con lo spazio, così che è impossibile dividerlo in passato, presente e futuro in qualunque modo assoluto. Stando così le co­ se, l'arazzo non può essere diviso coerentemente in quelle parti che sono già tessute e quelle che devono ancora essere intrecciate. Una simile di­ stinzione non può avere alcuna realtà oggettiva alle spalle [ . . ] La scorcia­ toia più breve per la consistenza logica è supporre che l'arazzo sia già tes­ suto interamente fino al suo limite estremo, così che l'intero quadro esi­ ste, sebbene noi diveniamo consapevoli di esso solo a poco a poco - come mosche separate che avanzano lentamente sopra l'arazzo37• .

La metafora di Jeans delle mosche che avanzano sopra l'arazzo che già esiste è straordinariamente simile alla metafora di Weyl della coscienza che procede sulla linea di universo del suo corpo. Il professar Griin­ baum mi ha accusato di aver preso la metafora di Weyl troppo alla let­ tera e di dedurre erroneamente da essa che noi siamo già morti senza rendercene conto ora; ma la nostra coscienza, avanzando lentamente lungo la linea di universo del proprio corpo, rag­ giungerà certamente qualsiasi evento preesistente e futuro soltanto di no­ me, che aspetta di essere alla fine raggiunto nella sua interezza dalla nostra coscienza. Ma la nostra coscienza futura creerà questo evento tanto poco quanto la scoperta di Colombo creò il continente americano38•

Griinbaum lo chiama un "avventato" ed "evidente travisamento" , seb­ bene proprio nello stesso capoverso non dica nulla di diverso, in mo­ do leggermente meno metaforico, quando definisce la tesi di Weyl co­ me quella secondo la quale "venire in essere è solo venire nella nostra coscienza presente" {corsivo di Griinbaum)39• Ora, "venire nella nostra coscienza presente" significa, ammesso che abbia un significato, che ciò di cui io faccio esperienza come una nuova ulteriore qualità intro­ spettiva e sensoriale, esisteva atemporalmente prima e indipendente­ mente da questa mia esperienza particolare; allora la morte - come ogni altro evento fisico - secondo il linguaggio proprio di Griinbaum, 37 Il passo citato è tratto dalla Lezione di Jeans dedicata a Sir Halmley Stewart del 1 935, dal titolo L'uomo e l'universo. Cfr. un passo identico in Jeans ( 1 933) , p. 1 08. 38 Capek ( 1 96 1 ) , p. 1 65. Il passo è riportato, anche se non completamente, da Griinbaum in Griinbaum (1 973), p. 328; tr. it. in questo volume, p. 45. 39 Griinbaum (1 973), p. 329; tr. it. in questo volume, pp. 45-46.

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non verrà in essere, ma verrà solo nella mia propria coscienza. La sua irritazione sembra indicare che egli percepisca vagamente l'assurdità della situazione imbarazzante in cui si trova per aver escluso il divenire dal mondo fisico. Non sono sicuro di interpretare correttamente il pensiero del Pro­ fessar Williams e del Professar J. J. C. Smart, ma ho l'impressione, ac­ quisita soprattutto dalle mie conversazioni con entrambi, che essi si spingano anche oltre rispetto a Jeans, Weyl e Grlinbaum, perché sem­ brano negare il divenire anche a livello fenomenico. Per me una simile concezione è completamente incomprensibile; anche Platone e Par­ menide non sembravano essersi spinti così lontano. Se anche un' espe­ rienza onnipervasiva come quella della temporalità viene negata, cosa si dovrebbe dire di essa? Devo raccomandare la lettura, se non del ca­ pitolo di William James sul "flusso di coscienzà', almeno di Marcel Proust e Virginia Woolf, per convincere i miei oppositori che il dive­ nire è la caratteristica che pervade la nostra intera esperienza sensoriale e introspettiva? O devo semplicemente suggerire loro soltanto di ascoltare musica, un qualsiasi tipo di musica? [unico modo significa­ tivo di difendere l'esclusione del divenire a livello fenomenico sarebbe di affermare, con Descartes, C. A. Strong e Alexius Meinong, che il nostro momento presente psicologico è un semplice istante matematico, privo di divenire, e che la successione non è mai esperita, ma sempre solo costruita. Neppure Bertrand Russell si spinse tanto lontano40• Ma anche se concediamo l'affermazione impossibile che il nostro istante psicologico è privo di spessore, inevitabilmente dobbiamo ammettere la successione di tali momenti; ma nell'ammettere questo, il disprezza­ to spauracchio del passaggio si insinua di nuovo nel nostro quadro. Sembra che, non importa quanto ingegnosa sia la nostra tecnica di re­ frigerazione, essa non ha mai successo nel congelare il flusso dell'esi­ stenza; il ghiaccio prodotto artificialmente si rompe sempre in qualche punto sotto la pressione del divenire irresistibile e non congelabile. È vero che alcuni passi di Williams sembrano suggerire che il suo disaccordo con me sia semplicemente semantico. Egli sostiene che non nega la realtà del tempo, che non sostituisce "un universo sicuro e statico, un universo blocco, un pietrificato fait accompli, un totum si­ mul, con l'attualità del rischio e del mutamento". Egli afferma che la 40 Russell ( 1 9 1 5), p. 2 1 7: "Saremo cosl costretti a concludere che un'esperienza non può durare per più di un istante matematico, il che è assurdo".

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sua teoria "non asserisce [ . . . ] che le cose future esistono 'già' o che esi­ stono 'per sempre"'. Né "rende il tempo una dimensione dello spazio", cosa che gli viene spesso addebitata, non più di quanto non renda lo spazio una dimensione del tempo41• E, cosa che è anche più impor­ tante, il Professar Williams nega che la sua molteplicità quadridimen­ sionale implichi un qualsiasi tipo di predestinazione calvinista o lapla­ ciana. Tutto questo suona come un'entusiastica adesione alla concezio­ ne dell'universo aperto e della realtà del divenire. Sfortunatamente, ci sono altri passi che contraddicono direttamente quelli appena citati. Se egli accetta effettivamente la realtà del tempo, perché crede che l'u­ niverso sia "la trama quadridimensionale delle attualità giustapposte"?42 La giustapposizione e la successione sono mutuamente esclusive, così come l'attualità e la dimensione futura. Se egli nega che le cose future esistano "per sempre", perché difende esplicitamente l'idea che c'è "una totalità universale eterna in cui gli eventi passati e quelli futuri sono determinatamente collocati, caratterizzati e realmente descrivibi­ li, quanto lo sono gli eventi a sud e a ovest" ?43 Non dubito che il Pro­ fessar Williams ritenga onestamente di credere nella realtà del tempo; ma tutte le sue metafore geografiche e, soprattutto il termine "giustap­ posizione" di cui fa uso, che è veramente rivelatore, indicano che il suo tempo, come quello di Griinbaum, è tale solamente di nome, es­ sendo un risultato della confusione della temporalità autentica con il suo simbolo spaziale. Eppure, c'è spazio per un consenso positivo e privo di ambiguità. Io concordo con il Professar Williams che il passaggio non è separato da­ gli eventi44; gli eventi concreti costituiscono il passaggio, sebbene io certamente non li consideri nello stesso suo modo atomistico. Come Williams, non credo che il verificarsi di qualsiasi evento possa essere se­ parato dalla sua vera e propria natura; sebbene diversamente da lui, io non credo che la ragione che egli invoca sia sufficiente a stabilire la spe­ cificità degli eventi futuri (penso che egli si stia mettendo in serie diffi­ coltà quando dichiara che gli eventi futuri possono essere determinati, senza essere predeterminati. Sebbene io non accetti il fatalismo del Pro-

4 1 Williams (195 1 ) , p. 470. 42 lbid., p. 458. 43 Williams ( 1 95 1 a) , p. 306. 44 Williams ( 1 95 1 ) , p. 463.

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fessor Richard Taylor, esso ha almeno il pregio della coerenza)45• Infine, concordo con lui che tutte le metafore cinematiche come lo scorrere, il passaggio, il movimento, il procedere, l'avanzare ecc. sono inadeguate; tuttavia esse sono inadeguate a causa delle fuorvianti associazioni spa­ ziali, e non perché suggeriscono il carattere incompleto, non finito del­ la realtà. Ciò che il presunto mito del passaggio asserisce non è l'esi­ stenza di un qualche fiume metafisica che scorre uniformemente, che porta con sé ogni cosa, perché un'immagine simile, presa a prestito dal nostro limitato mondo macroscopico, non può trasmettere adeguata­ mente il carattere onnipervasivo e irrapresentabile del divenire. La ne­ gazione dell'incompletezza temporale dell'universo, come ho tentato di mostrare, non può essere sostenuta dalla fisica relativistica; al contrario, è chiaramente incompatibile con essa. Inoltre, essa genera enormi diffi­ coltà epistemologiche, mentre non riesce a eliminare il divenire a livel­ lo fenomenico. Se tenta di fare anche questo, diventa un misterioso mito metafisica, completamente separato dalla nostra più ovvia e inne­ gabile esperienza.

45 Taylor ( 1 962) .

II La misurazione del tempo

La misurazione del tempo implica una serie di problemi tecnici ed epistemologici1 • I primi sono quelli legati alla scelta delle migliori pro­ cedure sperimentali e alla determinazione il più possibile esatta dell'u­ nità di misura. Di questi non ci occuperemo qui, rimandando, ad esempio, al saggio di Whitrow, The natura/ philosophy of timr?. Per quanto riguarda invece i problemi epistemologici, ne possiamo indivi­ duare due fondamentali: l ) quali sono le condizioni che devono valere affinché si possa effettuare una misurazione del tempo? e 2) quale rap­ porto sussiste fra il tempo misurato e quello della nostra esperienza di­ retta? Una chiara risposta al primo quesito ci fornirà anche degli ele­ menti per affrontare il secondo, per cui conviene innanzitutto discute­ re brevemente il punto l . Il tempo viene normalmente considerato una grandezza estensiva o additiva, cioè una grandezza per la quale è possibile trovare un'opera­ zione di congiunzione o tale che, presi due eventi a e b, il tempo dei due eventi congiunti è uguale alla somma dei tempi dei due eventi. Se chiamiamo T la misurazione del tempo avremo che:

(l)

T(a b)= T(a)+ T(b) o

I..:esempio paradigmatico di grandezza additiva è quello della lun­ ghezza, dove l'operazione o è data dall'allineare opportunamente i due corpi dei quali si vuole misurare la lunghezza. Nel caso del tem­ po non è cosl ovvio trovare un'operazione di congiunzione che soddi1 Esiste anche un'analisi formale della nozione di misurazione, per la quale riman­ diamo ad esempio a Boniolo, Vidali ( 1 999), pp. 32 1 -33 1 . 2 Whitrow (1 980) , pp. 2 1 5-22 1 .

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Introduzione II

sfi la ( l ) in tutti i casi, in quanto gli eventi non si possono spostare nel tempo cosl come i corpi nello spazio. Per cui se abbiamo due eventi esattamente consecutivi, cioè tali che uno inizia proprio quan­ do l'altro termina, allora la congiunzione che rispetta la ( l ) è realizza­ ta, mentre negli altri casi tale operazione è impossibile. Questo fatto pone dei problemi da un punto di vista operativo, perché implica che non tutti gli intervalli di tempo possono essere congiunti rispettando la ( 1 ) . Ad ogni modo, ammesso che il tempo sia una grandezza additiva, allora per effettuarne la misurazione occorre introdurre solo una rela­ zione di uguaglianza e un'unità di misura. Dobbiamo cioè stabilire una regola che ci indichi quando due intervalli di tempo sono uguali e un'altra che determini qual è l'intervallo di tempo uguale a l . Date queste due regole, per misurare sarà sufficiente dividere l'intervallo di tempo in questione in tante parti uguali all'unità di misura, contarle e cosl ottenere una grandezza numerica. È chiaro che potrebbe esserci un resto, ma per misurare anch'esso sarà sufficiente dividere l'interval­ lo unità di misura in l O parti uguali e procedere come sopra, utiliz­ zando come unità di misura uno di questi decimi. Si reitera poi questa operazione fino alla massima precisione sperimentale consentita. Normalmente, per stabilire l'unità di misura e la regola dell'ugua­ glianza nel caso del tempo ci si riferisce a un qualche fenomeno perio­ dico. Un periodo sarà l'unità di tempo e due intervalli di tempo sa­ ranno uguali quando corrisponderanno allo stesso numero di periodi. Carnap però pone il problema della scelta del fenomeno periodico presupposto da queste due regole, sostenendo che sussiste una vera e propria circolarità, in quanto non abbiamo alcun modo per stabilire l'effettiva uniformità di un fenomeno periodico, ancor prima di sape­ re come si fa a misurare il tempo. Per cui egli conclude che la scelta delle piccole oscillazioni di un pendolo o delle vibrazioni dell'atomo di cesio come fenomeni periodici di riferimento è quella che ci con­ sente di costruire delle leggi della fisica più semplici; mentre se come fenomeno periodico avessimo scelto ad esempio l'uscita e il rientro in casa del signor Rossi, tutto sarebbe stato più complicato. Questo si­ gnifica che in fondo la misurazione del tempo ha un'ineliminabile componente convenzionale, che del resto era già stata sottolineata da Reichenbach nel brano che qui riportiamo. La nostra sensazione è che questa convenzionalità derivi da un approccio eccessivamente fonda­ zionalistico, che caratterizzava l'impostazione neopositivista, dalla

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quale derivano problemi che nella pratica degli scienziati sono sostan­ zialmente assenti. Di fatto noi abbiamo una percezione non quantita­ tiva della periodicità dei fenomeni che ci può guidare; inoltre fatta una scelta è sempre possibile migliorarla mediante controlli prove­ nienti da altre procedure sperimentali. Sembra dunque che tale con­ venzionalità sia più un fatto di principio che una realtà metodologica. Chiarite a grandi linee quali sono le condizioni che consentono una misurazione del tempo, rivolgiamoci alla critica di Bergson, e cioè al problema della spazializzazione del tempo. Il filosofo francese so­ stiene che noi tendiamo a suddividere il tempo in istanti o intervalli successivi e che sommiamo e sottraiamo tali intervalli come se fossero delle parti dello spazio. Di fatto il tempo come durata interiore non ha questo carattere lineare, ma è una molteplicità qualitativa di stati che si compenetrano e si sovrappongono. Per contro, quando voglia­ mo misurare il tempo dobbiamo utilizzare degli spazi percorsi, come il moto della terra attorno al sole, che sono effettivamente divisibili in una successione di istanti. Tuttavia questo tempo spazializzato ha po­ co a che fare con il tempo originario della durata interiore. Reichenbach, nel brano che riportiamo, critica questo punto di vi­ sta senza citare esplicitamente Bergson. Egli nota che possiamo misu­ rare il tempo avvalendoci di due procedure del tutto diverse; un pri­ mo metodo è basato sul principio di inerzia, per cui un corpo che si muove liberamente senza forze applicate percorre spazi uguali in tem­ pi uguali, di modo che diventa facile far corrispondere gli intervalli trascorsi con gli spazi percorsi, ottenendo cosl una misurazione del tempo mediante quella dello spazio. Un secondo metodo, invece, uti­ lizza per misurare il tempo i fenomeni periodici, come ad esempio le oscillazioni di un pendolo. Reichenbach osserva che, mentre per il pri­ mo tipo di misurazione si può parlare forse di spazializzazione del tempo, questo certo non vale per il secondo, che dipende dal ripetersi regolare di situazioni analoghe. Ne segue che la critica di Bergson sembra essere ingiustificata3•

3 Anche Griinbaum ( 1 968) , pp. 62-3 critica il concetto di spazializzazione del tempo, ma non sembra cogliere il punto. Egli, infatti, presuppone che il divenire at­ tuale delle esperienze, anche se si tratta di fenomeni continui, sia scandito da una suc­ cessione discreta, ibidem, pp. 48 sgg., che è proprio ciò che Bergson nega. Utilizza poi la densità dello spazio per dimostrare quella del tempo, concludendo che il fatto che il tempo sia denso non significa che sia spazializzato, ma solo che ha una caratteristica

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Introduzione II

Approfondendo però la nostra analisi, ci rendiamo conto che il rapporto fra lo spazio e il tempo nella fisica, pur non essendo quello suggerito in prima istanza di una completa riduzione del secondo al primo, non è neanche esclusivamente quello di una superficiale analo­ gia strutturale. Per afferrare questo fatto, proviamo a pensare che cosa significhi, dal punto di vista percettivo, "fenomeno periodico". Perio­ dico vuol dire qualcosa che si ripete sempre uguale col passare del tem­ po. Ci chiediamo allora che cosa è sempre uguale? La risposta è molto semplice: ogni fenomeno periodico, anche se non è un moto, implica che qualcosa che si trova nello spazio si ripeta sempre uguale. Ovvero, anche se il periodo è individuato da un segnale acustico o da un virag­ gio cromatico, cioè da fenomeni che non hanno nulla a che fare con i moti, la periodicità deve essere scandita da una modificazione che per­ cepiamo nello spazio. Il suono, il viraggio cromatico ecc. avvengono in qualche luogo, per cui senza l'aiuto dell'intuizione spaziale non sa­

remmo in grado di misurare il tempo, anche avvalendoci di un fenomeno periodico4• Questo non significa che il tempo misurato sia tempo spa­ zializzato come vorrebbe Bergson, ma che comunque la misura del tempo deve avvalersi dell'intuizione spaziale.

simile a quella dello spazio. Tuttavia il problema posto da Bergson è sul concetto stes­ so di successione, che sia discreta o sia densa. 4 Kant ( 1 967), B 1 54-56 e B292-3, sostiene proprio che non si può avere una me­ trica del tempo se non per il tramite dell'intuizione spaziale.

Una definizione operativa 1

di Rudolf Carnap

Che tipo di operazione di congiunzione può essere impiegato per combinare gli intervalli di tempo? Ci si trova di fronte subito a una grave difficoltà, dato che è impossibile manipolare gli intervalli di tempo come si manipolano gli intervalli di spazio o, meglio, come si manipolano i bordi dei corpi solidi che rappresentano gli intervalli di spazio: il tempo non ha "bordi rigidi" che possano essere disposti in modo da formare una linea retta. Consideriamo questi due intervalli: la lunghezza di una certa guer­ ra fra il primo e l'ultimo colpo di fucile e la durata di un certo tempo­ rale dal primo tuono all'ultimo. Come è possibile congiungere queste due durate? Abbiamo due eventi separati, ciascuno con una certa lun­ ghezza nel tempo, ma non abbiamo modo di unirli assieme. Ovvia­ mente, se due eventi si manifestano contemporaneamente nel tempo, possiamo riconoscere questo fatto, ma non possiamo spostare gli eventi come possiamo spostare i bordi degli oggetti fisici. La cosa migliore che possiamo fare è quella di rappresentare due intervalli di tempo su una scala concettuale. Supponiamo di avere un evento a che si è manifestato fra il punto temporale A e il punto tem­ porale B e un altro evento b che si è manifestato dal punto temporale B al punto temporale C (fig. 1 ) . Il punto iniziale di b coincide con il punto terminale di a, e i due eventi sono, quindi, adiacenti nel tempo. Non siamo stati noi a disporli in questa posizione, che è, in effetti, quella in cui si sono manifestati. La lunghezza del tempo dal punto A al punto C può essere considerata come il risultato della combinazio­ ne di a e di b, non nel modo fisico in cui vengono combinate due

1 Tratto da Carnap (1971), pp. 1 03- 1 1 3.

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Rudolf Carnap A

c

�� �----�----� b

a

Figura l

lunghezze, ma in modo concettuale, cioè per il modo in cui conside­ riamo tale situazione. Loperazione concettuale, rappresentata simboli­ camente da " a " , ci permette di formulare la seguente regola di additi­ vità per la misurazione delle lunghezze temporali T:

T (a b) = T (a) o

+

T (b).

In altri termini, se si hanno due eventi, uno dei quali inizia proprio quando l'altro termina, allora la lunghezza dell'evento totale sarà la somma aritmetica delle lunghezze dei due eventi. Questa regola non è potente quanto quella dell'additività per le lunghezze spaziali, dato che si applica solo a eventi che risultano adiacenti nel tempo e non a coppie qualsiasi di eventi. In seguito, dopo che avremo sviluppato uno schema di tre regole per misurare il tempo, saremo in grado di misu­ rare le lunghezze combinate di eventi non adiacenti. Per ora abbiamo cercato soltanto un'operazione di congiunzione che fornisse le basi per una regola di additività e l'abbiamo trovata nel caso di eventi adiacenti nel tempo. Per completare il nostro schema abbiamo bisogno di due altre rego­ le: una regola di uguaglianza e una regola che definisca un'unità. En­ trambe le regole sono normalmente basate su un fenomeno periodico qualsiasi: il movimento di un pendolo, la rotazione della Terra, e così via. Ogni orologio è semplicemente uno strumento che crea un feno­ meno periodico; in alcuni orologi ciò si realizza con il pendolo, in altri con il bilanciere, mentre la meridiana misura il tempo tramite il movi­ mento periodico del Sole attraverso il cielo. Per migliaia di anni gli scienziati hanno basato le loro unità di tempo sulla lunghezza del gior­ no, cioè sulla rotazione periodica della Terra. Poiché, però, la velocità di rotazione della Terra varia leggermente, nel 1 956 fu raggiunto un accordo internazionale per basare l'unità di tempo sul movimento periodico della Terra in un dato anno e il secondo fu definito come 1 13 1 556 925,9747 dell'anno 1 900. Questa definizione fu abbandona-

Una definizione operativa

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ta nel 1 964, poiché era possibile ottenere una precisione maggiore, ba­ sando il secondo sulla velocità di vibrazione dell'atomo di cesio. Que­ sto concetto di "periodicità" , cosl essenziale nella definizione delle unità di tempo, dev'essere compreso appieno prima di passare a consi­ derare in che modo su di esso si basano la regola di uguaglianza e la re­ gola dell'unità. Innanzitutto occorre chiaramente distinguere due significati del ter­ mine "periodicità", uno lato e l'altro stretto. In senso lato, un fenomeno è periodico semplicemente se ricorre più volte: il battito di un polso è periodico, ed è periodico anche l'oscillare di un pendolo. Ma, in senso lato, è periodica anche l'uscita da casa del signor Rossi: si ripete più vol­ te, centinaia di volte, durante la vita del signor Rossi: è un fenomeno chiaramente periodico in senso lato, cioè nel senso che si ripete. Talvolta periodico significa che un ciclo unico di fasi diverse si ripete nello stesso ordine ciclico. Un pendolo, ad esempio, oscilla dal suo punto più basso fino al suo punto più alto a destra, poi torna al punto più basso, sale al suo punto più alto a sinistra e ritorna poi al suo punto più basso; in se­ guito ripete l'intero ciclo. Non ricorre un evento, bensl una sequenza di eventi. Non è, però, necessario che accada questo, per chiamare periodi­ co un fenomeno: è sufficiente che continui a ripetersi una fase del feno­ meno. Un fenomeno di questo tipo è periodico in senso lato. Spesso, quando si dice che un processo è periodico, s'intende dire che esso lo è in senso molto più stretto: oltre a essere periodico in senso lato risulta anche che gli intervalli fra le successive manifestazioni di una certa fase sono uguali. Nel caso delle uscite da casa dei signor Rossi questa condizione non è ovviamente verificata: certi giorni rimane a casa a lungo, certi altri esce da casa molto spesso. Invece, il movimento del bilanciere di un orologio di precisione è periodico in senso stretto, e vi è evidentemente un'enorme differenza fra i due tipi di periodicità. Quale tipo di periodicità dev'essere assunta come base per la misu­ razione del tempo? A prima vista, si sarebbe propensi a rispondere che occorre ovviamente scegliere un processo che sia periodico in senso stretto: non è possibile basare la misurazione del tempo sulle uscite da casa del signor Rossi, perché troppo irregolari. Non è possibile basarla neppure sul battito di un polso, poiché, per quanto il battito si avvici­ ni alla periodicità in senso stretto più delle uscite del signor Rossi, non è ancora abbastanza regolare: se uno ha corso o ha la febbre alta il suo polso batte più rapidamente del solito. Ciò che cerchiamo è un fe­ nomeno che sia periodico nel senso più stretto possibile.

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Rudolf Carnap

Ma in questo ragionamento vi è qualcosa di errato: non possiamo sapere se un processo è periodico in senso stretto, se non abbiamo già un metodo per determinare l'uguaglianza degli intervalli di tempo! Poiché questo è proprio il metodo che stiamo cercando di stabilire mediante le nostre regole, come possiamo sfuggire al circolo vizioso? Possiamo sfuggirvi soltanto rinunciando completamente alla ricerca della periodicità in senso stretto; siamo costretti ad abbandonarla, per­ ché non abbiamo ancora una base per riconoscerla. Ci si trova nella posizione del fisico ingenuo, che affronta il problema della misurazio­ ne del tempo senza neppure avere a disposizione la nozione prescienti­ fica di intervalli di tempo uguali. Non avendo a disposizione nessuna base per la misurazione del tempo, va alla ricerca di un fenomeno na­ turale periodico osservabile che possa fornire questa base; poiché non ha modo di misurare gli intervalli di tempo, non ha modo di scoprire se un fenomeno particolare sia o no periodico in senso stretto. Cerchiamo di fare proprio questo. Dapprima cerchiamo un fenomeno che sia periodico in senso lato (potrà anche essere periodico in senso stret­ to, ma questa è una cosa che non possiamo ancora sapere); quindi pren­ diamo la nostra operazione di congiunzione di due intervalli di tempo che sono consecutivi nel senso che uno inizia dove l'altro finisce e affermia­ mo, quale nostra regola di additività, che la lunghezza dell'intervallo totale è la somma aritmetica delle lunghezze dei due intervalli componenti; infi­ ne possiamo applicare questa regola al fenomeno periodico prescelto. Per completare il nostro schema dobbiamo trovare le regole per l'uguaglianza e per l'unità. La durata di uno qualsiasi dei periodi del fenomeno prescelto può servire come unità di tempo. Nella fig. 2 questi periodi sono schematizzati sotto forma di lunghezze a, b, c, d, ...

A

B

c

E

D

L--.v-----J I.-..-y----I '----�--'Lv-' a

c

b

L-...y---J l

2

Figura 2

d

Una definizione operativa

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fra i punti temporali A, B, C, D, E, ... Possiamo dire che ciascuno di questi segmenti ha lunghezza unitaria. A chi obiettasse che "il periodo b è molto più lungo del periodo a" , potremmo replicare: "Non sap­ piamo che cosa intendete per 'più lungo' dato che stiamo proprio cer­ cando di stabilire regole per la misurazione del tempo che ci consenta­ no di dare un significato al termine 'più lungo"'. Ora che abbiamo specificato la nostra unità (è semplicemente la lunghezza di ciascun periodo del fenomeno prescelto), la regola di ad­ ditività ci fornisce una base per misurare le lunghezze temporali: que­ sta regola ci dice che l'intervallo di tempo fra il punto A e il punto C è 2, fra il punto A e il punto D è 3, e così via. Possiamo, perciò, misura­ re qualsiasi intervallo di tempo, anche se abbiamo basato la nostra procedura su un fenomeno periodico in senso lato; dobbiamo sempli­ cemente contare il numero di volte in cui ricorre il nostro periodo­ unità, mentre si manifesta l'evento che vogliamo misurare: questo nu­ mero sarà la lunghezza dell'evento. La regola di uguaglianza è ovvia: essa dice che due intervalli di tempo (che possono anche essere molto lontani nel tempo) sono uguali, se entrambi contengono lo stesso nu­ mero di periodi elementari del fenomeno periodico. Con questo ab­ biamo completato il nostro schema a tre regole: abbiamo una regola per l'uguaglianza, una regola per l'additività e una regola per l'unità; sulla base di questo schema abbiamo a disposizione un metodo per misurare il tempo. Vi possono essere obiezioni. Uno schema di questo tipo può essere effettivamente basato su qualunque fenomeno periodico in senso lato? Ad esempio, può essere basato sulle uscite da casa del signor Rossi? La risposta sorprendente è sì, anche se, come spiegheremo fra breve, le leggi della fisica risultano molto più semplici, quando si scelgono fe­ nomeni diversi. La cosa importante che va ora compresa è il fatto che, una volta stabilito uno schema per misurare il tempo, magari basato su un fenomeno irregolare come le uscite del signor Rossi, si è acquisi­ to un metodo per determinare se un fenomeno periodico è equivalen­ te a un altro. Supponiamo di aver adottato come base per la misurazione del tempo il fenomeno periodico P: possiamo, quindi, confrontare P con un altro fenomeno periodico in senso lato P' per vedere se sono "equivalenti". Supponiamo ad esempio che P, il fenomeno periodico prescelto, sia l'oscillazione di un pendolo corto e che si voglia con­ frontarlo con P' , l'oscillazione di un pendolo più lungo. Dato che i

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periodi dei due pendoli non sono uguali, come possiamo confrontarli? Possiamo confrontarli contando le oscillazioni di entrambi i pendoli durante un intervallo di tempo più lungo e scoprire, così, che dieci oscillazioni del pendolo corto coincidono con sei oscillazioni del pen­ dolo lungo, e che questo fenomeno si ripete ogni volta in cui l' esperi­ mento viene ripetuto. Non siamo ancora in grado di trattare con le frazioni di periodo, quindi i nostri confronti vanno fatti prendendo in considerazione un numero intero di oscillazioni. Possiamo, però, os­ servare se la coincidenza non è esatta, ad esempio se alla fine della de­ cima oscillazione del pendolo corto il pendolo lungo ha già iniziato la sua settima oscillazione. In tal caso si può affinare il confronto consi­ derando un intervallo più lungo, ad esempio cento periodi del pendo­ lo corto, e scoprire che in questo intervallo di tempo, tutte le volte che si ripete l'esperimento, il pendolo lungo esegue sessantadue oscil­ lazioni. Con questa tecnica è possibile affinare il confronto finché si vuole e, se si scopre che un certo numero di periodi del fenomeno P coincide sempre con un certo altro numero di periodi del fenomeno P', si potrà dire che le due periodicità sono equivalenti. È un fatto di natura che esista una classe molto ampia di fenomeni periodici che sono, in questo senso, equivalenti l'uno all'altro; non si tratta, però, di un fatto che si poteva prevedere a priori, bensì di un fatto che si può scoprire solo osservando il mondo: non è possibile di­ re se questi fenomeni equivalenti sono periodici in senso stretto, ma è possibile confrontarli a due a due scoprendo che sono equivalenti. Tutti i pendoli appartengono a questa classe e così pure i bilancieri de­ gli orologi, il movimento apparente del Sole nel cielo, e così via. Tro­ viamo in natura un'enorme classe di fenomeni tali, che due qualsiasi di essi si dimostrano equivalenti, quando vengono confrontati nella maniera spiegata nei capoversi precedenti. Per quanto ne sappiamo, esiste soltanto una classe di questo tipo. Che accade se decidiamo di basare la nostra scala del tempo su un fenomeno periodico che non appartiene a questa grande classe di fe­ nomeni equivalenti, ad esempio sul battito del mio polso? Il risultato sarebbe abbastanza strano, ma vogliamo sottolineare che la scelta del battito di un polso come base per la misurazione del tempo non por­ terebbe a nessuna contraddizione logica: misurare il tempo su questa base non sarebbe "falso" in nessun senso. Immaginiamo di vivere in una fase molto arcaica dello sviluppo dei concetti per la misurazione. Non abbiamo a disposizione nessuno

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strumento per misurare i l tempo, nessun orologio, e non abbiamo, quindi, nessuna possibilità di determinare in che modo può variare il battito del nostro polso in dipendenza di differenti condizioni fisiolo­ giche; cerchiamo allora innanzitutto di sviluppare regole operative per misurare il tempo e poi decidiamo di usare il battito del mio polso co­ me base per misurare il tempo. Quando si comincia a confrontare il battito del mio polso con altri fenomeni periodici naturali che si consideravano uniformi ci si accor­ ge che essi non lo sono. Ad esempio, ci si accorge che, quando sto be­ ne, il Sole impiega un tempo corrispondente a un certo numero di battiti ad attraversare la volta celeste, mentre, quando ho la febbre, il Sole impiega un tempo molto più lungo. Questo fatto ci appare stra­ no, ma non vi è nulla di logicamente contraddittorio nella nostra de­ scrizione dell'intero universo su questa base: non possiamo dire che il pendolo è una "giustà' scelta quale base per la nostra unità di tempo e che il battito del mio polso è una scelta "erratà'. Qui non intervengo­ no il giusto e l'errato, poiché in entrambi i casi non vi è contraddizio­ ne logica: si tratta solamente di una scelta fra una descrizione semplice e una descrizione complessa del mondo. Se basiamo il tempo sul battito del mio polso, dobbiamo dire che tutti i tipi di fenomeni periodici naturali hanno intervalli di tempo che variano in dipendenza di ciò che sto facendo o di come mi sento. Se corro velocemente per un certo tempo e poi mi arresto e misuro i fenomeni naturali mediante il battito del mio polso, mi accorgo che mentre corro, e per un certo periodo successivo, le cose del mondo rallentano, ma che dopo pochi minuti ritornano di nuovo normali. Ricordiamoci che abbiamo supposto di trovarci in un'epoca preceden­ te a qualsiasi conoscenza delle leggi della natura, in un'epoca in cui nessun libro di fisica può dirci se questo o quel fenomeno naturale è uniforme. Nel nostro primitivo sistema fisico la rivoluzione della Ter­ ra, l'oscillazione del pendolo, e così via, sono molto irregolari: hanno una certa velocità, quando sto bene, e un'altra, quando ho la febbre. A questo punto dobbiamo fare una vera scelta, non fra una proce­ dura di misurazione giusta e una errata, bensì una scelta basata sulla semplicità. Vediamo che, se scegliamo il pendolo come base per il tempo, il sistema di leggi fisiche che ne risulta è enormemente più semplice di quello che si avrebbe scegliendo il battito del mio polso. Sarebbe abbastanza complicato, usando il battito del mio polso, ma sarebbe ancora più strano, se si scegliessero le uscite da casa del signor

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Rossi, a meno che il nostro signor Rossi non fosse come Immanuel Kant, che, si dice, usciva ogni mattino dalla sua casa esattamente allo stesso istante, tanto che gli abitanti del suo paese erano abituati a re­ golare gli orologi al suo apparire sulla via. I movimenti dei normali mortali non costituiscono, però, basi adatte per la misurazione del tempo. Per "adatto" naturalmente intendo conveniente nel senso che porta a leggi semplici. Quando basiamo la nostra misurazione del tempo sulle oscillazioni di un pendolo, troviamo che l'intero universo si comporta con grande regolarità e può essere descritto con leggi di grande semplicità. Può darsi che il lettore non le abbia trovate così semplici, quando studiava la fisica, ma esse sono semplici in senso re­ lativo dato che sarebbero risultate molto più complicate, se si fosse adottato il battito del polso come unità di tempo. I fisici sono costan­ temente sorpresi dalla semplicità delle nuove leggi che vanno scopren­ do: quando Einstein scoprì il suo principio generale di relatività rima­ se sorpreso del fatto che un principio relativamente così semplice fosse in grado di regolare tutti i fenomeni ai quali era applicabile. Questa semplicità scomparirebbe, se basassimo il nostro sistema di misurazio­ ne del tempo su un fenomeno che non appartiene alla classe molto vasta dei fenomeni mutuamente equivalenti. Il battito del mio polso appartiene invece a una classe estremamen­ te ristretta di fenomeni equivalenti; i soli altri membri della classe so­ no probabilmente gli eventi del mio proprio corpo che sono fisiologi­ camente connessi con le pulsazioni cardiache: il battito del mio polso sinistro è equivalente al battito del mio polso destro. Ma a parte gli eventi che hanno a che fare con il mio cuore, sarebbe difficile trovare in natura un altro fenomeno qualsiasi equivalente al battito del mio polso. Abbiamo, quindi, in questo caso una classe estremamente ri­ stretta di fenomeni equivalenti che va paragonata alla classe estrema­ mente vasta che comprende i moti dei pianeti, le oscillazioni dei pen­ doli, e così via. È, perciò, opportuno scegliere il fenomeno che deve servire come base per la misurazione del tempo entro questa ampia classe. Non ha importanza particolare la scelta dell'uno o dell'altro dei processi di questa classe, almeno finché non è necessaria una grande precisione delle misurazioni. Una volta eseguita la scelta è possibile di­ re che il fenomeno scelto è periodico in senso stretto, anche se questa è, naturalmente, una semplice questione di definizione. Ma ora tutti

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gli altri fenomeni che sono a esso equivalenti sono strettamente perio­ dici in modo non banale e non semplicemente per definizione. Ese­ guiamo controlli empirici e scopriamo in base alle osservazioni che es­ si sono strettamente periodici, nel senso che presentano una grande uniformità dei loro intervalli di tempo. Come risultato, ci troviamo in grado di descrivere i fenomeni naturali in un modo relativamente semplice. È stata l'importanza di questo punto che mi ha spinto ad accentuarlo ripetendolo molte volte. La nostra scelta di un fenomeno che serva come base per la misurazione del tempo non è questione di giusto o di errato: qualsiasi scelta è logicamente possibile, qualsiasi scelta porta a un assieme consistente di leggi naturali. Ma se basiamo la nostra misurazione del tempo su fenomeni quali le oscillazioni di un pendolo, scopriamo che essi portano a una fisica molto più sempli­ ce di quella che si avrebbe adottando altri fenomeni diversi. Storicamente, il nostro senso fisiologico del tempo, la nostra sensa­ zione intuitiva della regolarità, entrarono indubbiamente nelle più an­ tiche scelte dei processi da adottare come basi per la misurazione del tempo. Il Sole appare sorgere e tramontare regolarmente, per cui la meridiana risulta un mezw conveniente per misurare il tempo, molto più conveniente, ad esempio, del movimento delle nuvole. In maniera analoga, le antiche culture trovarono conveniente basare gli orologi sul fluire nel tempo della sabbia o dell'acqua o su altri processi che erano approssimativamente equivalenti al movimento del Sole. Ma ri­ mane sempre un punto fondamentale: si tratta di una scelta fatta in termini di convenienza e semplicità.

La durata reale e il tempo misurabile1

di Henri Bergson

Sia che lo concepiamo in noi o fuori di noi, il tempo che dura non è misurabile. La misura che non è puramente convenzionale implica, in effetti, divisione e sovrapposizione. Si potrebbero sovrapporre delle durate successive per verificare se sono uguali o ineguali; per ipotesi, l'una non è più quando l'altra appare; l'idea di uguaglianza constata­ bile perde qui ogni significato. D'altra parte, se la durata reale diviene divisibile, come vedremo, per la solidarietà che si stabilisce tra essa e la linea che la simbolizza, essa stessa si compone di un progresso indivisi­ bile e globale. Ascoltare la melodia con gli occhi chiusi, pensando solo ad essa, e non giustapponendo più su di un foglio o su di una tastiera immaginaria le note che conservavate cosl l'una per l'altra, che accet­ tavano allora di diventare simultanee e rinunciavano alla loro fluida continuità nel tempo per congelarsi nello spazio: ritroverete indivise, indivisibili, la melodia o la porzione di melodia che avrete riposto nel­ la durata pura. La nostra durata interiore, considerata dal primo all'ul­ timo momento della nostra vita cosciente, è qualcosa come questa melodia. La nostra attenzione può distogliersi da essa e di conseguen­ za dalla sua indivisibilità; ma, quando proviamo a frammentarla, è co­ me se passassimo bruscamente una lama attraverso una fiamma: divi­ diamo solo lo spazio da essa occupato. Quando assistiamo a un movi­ mento molto rapido, come quello di una stella cadente, distinguiamo molto nettamente la linea di fuoco, divisibile a piacere, dall'indivisibi­ le mobilità che sottintende: è questa mobilità che è pura durata. Il Tempo impersonale e universale, se esiste, si può prolungare senza fine dal passato al futuro: è tutto d'un pezzo: le parti che vi distinguiamo sono semplicemente quelle di uno spazio che ne disegna la traccia e 1 Tratto da Bergson ( 1 997), pp. 43-53.

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che ne diviene ai nostri occhi l'equivalente; dividiamo ciò che è svolto, non lo svolgimento. Innanzi tutto, come passiamo dallo svolgimento allo svolto, dalla durata pura al tempo misurabile? È facile ricostruire il meccanismo di questa operazione. Se faccio scorrere il mio dito su un foglio di carta senza guardarla, il movimento che compio, percepito dall'interno, è una continuità di coscienza, qualche cosa del mio flusso, in breve della durata. Se adesso apro gli occhi, vedo che il mio dito traccia sul foglio di carta una linea che si conserva, in cui tutto è giustapposizione e non più successione; in questo caso ho qualcosa che è svolto, che è la registrazione dell' ef­ fetto del movimento, e che ne sarà così il simbolo. Questa linea è divi­ sibile, misurabile. Dividendola e misurandola, potrei dunque dire che divido e misuro la durata del movimento che la traccia. È dunque vero che il tempo si misura tramite l'intermediario del movimento. Ma bisogna aggiungere che, se questa misura del tempo tramite il movimento è possibile, lo è soprattutto perché noi stessi sia­ mo capaci di compiere dei movimenti e che questi movimenti hanno allora un doppio aspetto: come sensazione muscolare, fanno parte del­ la corrente della nostra vita cosciente, durano; come percezione visiva, descrivono una traiettoria, si dànno uno spazio. Dico "soprattutto", perché si potrebbe a rigore concepire un essere cosciente ridotto alla percezione visiva che arriverebbe niente meno a costruire l'idea di tempo misurabile. Bisognerebbe allora che la sua vita fosse rivolta alla contemplazione di un movimento esterno che si prolunga all'infinito. Bisognerebbe così che potesse estrarre dal movimento percepito nello spazio, e che partecipa alla divisibilità della sua traiettoria, la pura mo­ bilità, più esattamente la solidarietà ininterrotta del prima e del dopo che è data alla coscienza come un fatto indivisibile: facciamo subito questa distinzione quando parliamo della linea di fuoco tracciata dalla stella cadente. Una tale coscienza avrebbe una continuità di vita costi­ tuita dal sentimento ininterrotto di una mobilità esterna che si svol­ gesse all'infinito. E l'interruzione dello svolgimento resterebbe ancora distinta dalla traccia divisibile lasciata nello spazio, la quale è ancora qualcosa di svolto. Questa si divide e si misura perché è spazio. Laltro è durata. Senza lo svolgimento continuo, ci sarebbe solo spazio, e uno spazio che, non sottintendendo più una durata, non rappresenterebbe più il tempo. Supponiamo ora che ciascuno di noi tracci nello spazio un movi­ mento ininterrotto dall'inizio alla fine della sua vita cosciente. Potreb-

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be camminare notte e giorno. Compirebbe cosl un viaggio coestensivo alla sua vita cosciente. Tutta la sua storia si svolgerebbe allora dentro un Tempo misurabile. È a un tale viaggio che pensiamo quando parliamo di Tempo im­ personale? Non completamente, perché viviamo una vita sociale e an­ che cosmica, come e più di una vita individuale. Sostituiamo sempli­ cemente al viaggio che faremmo il viaggio di un'altra persona, poi un movimento ininterrotto qualunque che sarebbe contemporaneo a es­ so. Chiamo "contemporanei" due flussi che sono per la mia coscienza uno o due indifferentemente, poiché la mia coscienza li percepisce in­ sieme come uno svolgimento unico se vuole dare un atto unico d' at­ tenzione; al contrario li distingue completamente se essa preferisce di­ videre la sua attenzione tra loro, facendo anche l'uno e l'altro allo stes­ so tempo se decide di dividere la sua attenzione e, tuttavia, di non ca­ gliarla in due. Chiamo "simultanee" due percezioni istantanee che so­ no prese in un solo e medesimo atto dello spirito, l'attenzione potreb­ be qui ancora farne uno o due, a piacere. Cosl posto, è facile vedere che abbiamo ogni interesse a considerare come "svolgimento del tem­ po" un movimento indipendente da quello del nostro corpo. A dire il vero, lo troviamo già fatto. La società l'ha adottato per noi. È il movi­ mento di rotazione della Terra. Ma se l'accettiamo, se comprendiamo che questo sia tempo e non solo spazio, è perché un viaggio del nostro corpo è sempre là, virtuale, e avrebbe potuto essere per noi lo svolgi­ mento del tempo. Poco importa d'altronde che adottiamo un mobile o un altro come contatore del tempo. Dal momento che abbiamo esteriorizzato la no­ stra propria durata in movimento nello spazio, il resto segue da sé. D'ora innanzi il tempo ci apparirà come lo svolgimento di un filo, cioè come il tragitto del mobile incaricato di contarlo. Avremo misu­ rato il tempo di questo svolgimento e di conseguenza anche quello dello svolgimento universale. Ma tutte le cose non ci sembrerebbero svolgersi con il filo, ogni momento attuale dell'universo non sarebbe per noi l'estremità del filo, se non avessimo a nostra disposizione il concetto di simultaneità. Considereremo subito il ruolo di questo concetto nella teoria di Ein­ stein. Per il momento, vorremmo sottolineare bene l'origine psicologi­ ca, di cui abbiamo già parlato. I teorici della Relatività parlano solo della simultaneità di due istanti. Prima di quella, ce ne è tuttavia un'altra, la cui idea è più naturale: la simultaneità di due flussi. Dice-

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vamo che è proprio dell'essenza stessa della nostra attenzione potersi spartire senza dividersi. Quando siamo seduti al bordo di un fiume, lo scorrimento dell'acqua, lo scivolamento di un battello o il volo di un uccello, il mormorio ininterrotto della nostra vita profonda sono per noi tre cose differenti o una sola, a piacere. Possiamo interiorizzare il tutto, avere a che fare con una percezione unica che trascina, confon­ de, i tre flussi nel suo corso; o possiamo lasciare esterni i primi due e spartire allora la nostra attenzione tra il di dentro e il di fuori; o, me­ glio ancora, possiamo fare l'uno e l'altro in una volta, collegando e pertanto separando con la nostra attenzione i tre flussi, grazie al privi­ legio singolare che possiede di essere una e molteplice. Questa è la no­ stra prima idea di simultaneità. Chiamiamo allora simultanei due flus­ si esterni che occupano la stessa durata perché derivano l'uno e l'altro nella durata da una terza, la nostra: questa durata è solo la nostra quando la nostra coscienza riguarda solo noi, ma diviene ugualmente la loro quando la nostra attenzione abbraccia i tre flussi in un solo at­ to indivisibile. Adesso, dalla simultaneità di due flussi non passeremmo mai a quella di due istanti se restassimo nella durata pura, perché ogni dura­ ta è densa: il tempo reale non ha degli istanti. Ma noi formiamo natu­ ralmente l'idea di istante, e anche quella di istanti simultanei, appena abbiamo preso l'abitudine di convertire il tempo in spazio. Perché se una durata non ha degli istanti, una linea termina con dei punti2• E, dal momento che a una durata facciamo corrispondere una linea, a delle porzioni della linea dovranno corrispondere delle "porzioni di duratà', e a una estremità della linea una "estremità di duratà': tale sarà l'istante - qualche cosa che non esiste attualmente, ma virtual­ mente. Listante è ciò che terminerebbe una durata se essa si fermasse. Ma essa non si arresta. Il tempo reale non saprebbe dunque fornire l'i­ stante; questo è nato dal punto matematico, cioè dallo spazio. E per­ tanto, senza il tempo reale, il punto sarebbe solo punto, non ci sareb­ be l'istante. Istantaneità implica cosl due cose: una continuità di tem­ po reale, o meglio di durata, e un tempo spazializzato, più precisa­ mente una linea che, descritta attraverso un movimento, è divenuta 2 Che il concetto di punto matematico sia del resto naturale, è ciò che sanno bene quelli che hanno insegnato un po' di geometria a dei bambini. Gli spiriti più refrattari ai primi elementi si rappresentano immediatamente, e senza difficoltà, delle linee sen­ za spessore e dei punti senza dimensione.

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perciò simbolica del tempo: questo tempo spazializzato, che comporta dei punti, rimbalza sul tempo reale e vi fa sorgere l'istante. Non sareb­ be possibile, senza la tendenza - feconda di illusioni - che ci porta ad applicare il movimento contro lo spazio percorso, far coincidere la traiettoria con il tragitto, e scomporre allora il movimento che percor­ re la linea come scomponiamo la linea stessa: se ci piace distinguere sulla linea dei punti, questi punti diventeranno allora delle "posizioni" del mobile (come se questo, mutevole, possa mai coincidere con qual­ che cosa che è a riposo! come se non rinunciasse così immediatamente a muoversi!) . Allora, avendo puntato sul tragitto del movimento delle posizioni, cioè delle estremità di suddivisione della linea, le facciamo corrispondere a degli "istanti" della continuità del movimento: sem­ plici arresti virtuali, pure visioni dello spirito. Abbiamo già una volta descritto il meccanismo di questa operazione; abbiamo mostrato così come le difficoltà sollevate dai filosofi attorno alla questione del movi­ mento si vanificassero appena si percepiva il rapporto dell'istante con il tempo spazializzato, e quello del tempo spazializzato con la durata pura. Limitiamoci qui a far notare che l'operazione per quanto sembri sapiente, è naturale allo spirito umano; la pratichiamo istintivamente. La ricetta è depositata nel linguaggio. Simultaneità nell'istante e simultaneità del flusso sono dunque co­ se distinte, ma che si completano reciprocamente. Senza la simulta­ neità del flusso, non considereremmo sostituibili l'uno all'altro questi tre termini, continuità della nostra vita interiore, continuità di un movimento volontario che il nostro pensiero prolunga all'infinito, continuità di un movimento qualunque attraverso lo spazio. Durata reale e tempo spazializzato non sarebbero dunque equivalenti, e di conseguenza non ci sarebbe per noi il tempo in genere; ci sarebbe solo la durata di ciascuno di noi. Ma, d'altra parte, questo tempo può esse­ re contato solo grazie alla simultaneità nell'istante. Occorre questa si­ multaneità nell'istante per l o notare la simultaneità di un fenomeno e di un momento dell'orologio, 2° contrassegnare, lungo la nostra pro­ pria durata, le simultaneità di questi momenti con dei momenti della nostra durata che sono creati dall'atto stesso. Di questi due atti, il pri­ mo è l'essenziale per la misura del tempo. Ma, senza il secondo, ci sa­ rebbe una misura qualunque, sfocieremmo in un numero t rappresen­ tante qualsiasi cosa, non penseremmo al tempo. È dunque la simulta­ neità tra due istanti di due movimenti esterni a noi che ci permette di misurare il tempo; ma è la simultaneità di questi momenti con dei

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momenti punteggiati da loro lungo la nostra durata interna che fa di questa misura una misura del tempo. [. . .] Si è visto prima, come la durata interiore si esteriorizza in tempo spazializzato, e come questo, spazio piuttosto che tempo, sia misurabile. Ormai misuriamo ogni intervallo di tempo tramite la sua intermedia­ zione. Poiché l'avremo diviso in parti corrispondenti a degli spazi uguali che sono uguali per definizione, avremo in ogni punto della divisione una estremità d'intervallo, un istante, e prenderemo per unità di tempo l'intervallo stesso. Potremo considerare allora qualsiasi movimento che si compia vicino a questo movimento modello, qualsiasi cambiamento: lungo questo svolgimento contrassegneremo delle "simultaneità nell'i­ stante". Tanto avremo constatato queste simultaneità, altrettanto conte­ remo delle unità di tempo sulla durata del fenomeno. Misurare del tem­ po significa dunque numerare delle simultaneità. Tutt'altra misura im­ plica la possibilità di sovrapporre direttamente o indirettamente l'unità di misura all'oggetto misurato. Tutt'altra misura si basa dunque sugli in­ tervalli tra le estremità, anche quando ci si limita, di fatto, a contare queste estremità. Tuttavia, quando si tratta di tempo, si possono solo contare delle estremità: si converrà semplicemente nel dire che si è con questo misurato l'intervallo. Se adesso si rileva che la scienza opera esclusivamente su delle misure, si scorgerà che per quel che riguarda il tempo la scienza conta degli istanti, nota delle simultaneità, ma resta senza presa su ciò che accade negli intervalli. Essa può accrescere all'infi­ nito il numero delle estremità, restringere all'infinito gli intervalli; ma l'intervallo le sfugge sempre, le mostra solo le sue estremità. Se ogni mo­ vimento dell'universo si accelerasse tutto d'un tratto nella stessa propor­ zione, ivi compreso quello che serve di misura al tempo, ci sarebbe qual­ che cosa di cambiato per una coscienza che non fosse solidale ai movi­ menti molecolari intra-cerebrali; tra il sorgere e il tramontare del sole non riceverebbe lo stesso arricchimento; constaterebbe dunque un cam­ biamento; allo stesso modo, l'ipotesi di una accelerazione simultanea di tutti i movimenti dell'universo ha senso solo se, a rappresentarsela, è una coscienza spettatrice, della quale la durata interamente qualitativa comporta il più o il meno senza essere per questo accessibile alla misura­ zione3. Il cambiamento esisterebbe solo per questa coscienza capace di 3 È evidente che l'ipotesi perderebbe di significato se si rappresentasse la coscienza come un "epifenomeno", venendo ad aggiungersi a dei fenomeni cerebrali di cui essa

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paragonare lo scorrere delle cose a quello della vita interiore. Riguardo alla scienza non ci sarebbe niente di cambiato. Inoltre, la rapidità di svolgimento di questo Tempo esteriore e matematico potrebbe divenire infinita, tutti gli stati passati, presenti e futuri dell'universo potrebbero trovarsi dati in un sol colpo, al posto dello svolgimento potrebbe esserci solo qualcosa di svolto: il movimento rappresentativo del Tempo sareb­ be diventato una linea; a ogni divisione di questa linea corrispondereb­ be la stessa parte dell'universo svolto che gli corrispondeva prima nell'u­ niverso in svolgimento; niente sarebbe cambiato agli occhi della scienza. Le sue formule e i suoi calcoli resterebbero quelli che sono. In realtà, nel momento preciso in cui si fosse passati dallo svolgi­ mento a qualcosa di svolto, sarebbe stato necessario dotare lo spazio di una dimensione supplementare. Facevamo notare più di trent'anni fa\ che il tempo spazializzato è in realtà una quarta dimensione dello spazio. Da sola, questa quarta dimensione ci permetterà di giustap­ porre ciò che è dato in successione: senza di essa, non sapremmo dove farlo. Anche se un universo ha tre dimensioni, o due, o una sola, o an­ che non ne abbia affatto e si riduca a un punto, si potrà sempre con­ vertire la successione indefinita di tutti i suoi eventi in giustapposizio­ ne istantanea o eterna per il solo fatto di concedergli una dimensione aggiuntiva. Se non ne ha nessuna, riducendosi a un punto che cambia all'infinito di qualità, si può supporre che la rapidità di successione delle qualità diviene infinita e che questi punti di qualità siano dati tutti d'un tratto, purché a questo mondo senza dimensioni si apporti una linea in cui i punti si giustappongono. Se aveva già una dimensio­ ne, se era lineare, avrà bisogno di due dimensioni per giustapporre le linee di qualità - ciascuna all'infinito - che erano i momenti successivi della sua storia. La stessa osservazione sarebbe ancora valida se ne avesarebbe solo il risultato o l'espressione. Non possiamo qui insistere su questa teoria della coscienza-epifenomeno, che si tende sempre più a considerare arbitraria. �ab­ biamo discussa in dettaglio in molti dei nostri lavori, specialmente nei primi tre capi­ toli di Matière et Mémoire e in diversi saggi di L'énergie spirituelle. Limitiamoci a ri­ chiamare: l o che questa teoria non rende conto per niente dei fatti; zo che se ne ritro­ vano facilmente le origini metafisiche; 3° che, presa alla lettera, sarebbe contradditto­ ria con essa stessa {su quest'ultimo punto, e sull'oscillazione che la teoria implica tra due affermazioni contrarie, vedere Bergson ( 1 959) , pp. 967 sgg. ; tr. it. Bergson (1 990) , pp. 1 57- 1 64. Nel presente lavoro, prendiamo la coscienza come ce la dà l'e­ sperienza, senza fare delle ipotesi sulla sua natura e le sue origini. 4 Bergsn (1 989) , p. 74; tr. it. p. 65.

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Henri Bergson

va due, se era un universo superficiale, tela infinita sulla quale si dise­ gnerebbero all'infinito delle immagini piatte che la occupano ciascuna tutta intera: la rapidità di successione di queste immagini potrà ancora divenire infinita, e da un universo che si svolge passeremo ancora a un universo svolto, purché ci sia accordata una dimensione aggiuntiva. Avremo allora, impilate le une sulle altre, tutte le tele che ci dànno senza fine tutte le immagini successive che compongono la storia inte­ ra dell'universo; le possiederemo insieme; ma da un universo piatto saremmo dovuti passare a un universo voluminoso. Si comprende dunque facilmente come il solo fatto di attribuire al tempo una rapi­ dità infinita, di sostituire ciò che è svolto allo svolgimento, ci contrad­ direbbe nel dotare il nostro universo solido di una quarta dimensione. Solo per questo, la scienza non può specificare la "rapidità di svolgi­ mento" del tempo, consta di simultaneità ma lascia necessariamente da parte gli intervalli, poggia su di un tempo di cui possiamo così sup­ porre la rapidità di svolgimento infinito, e perciò conferisce virtual­ mente allo spazio una dimensione aggiuntiva. Immanente alla nostra misura del tempo è dunque la tendenza a svuotare il contenuto in uno spazio a quattro dimensioni di cui passa­ to, presente e futuro sarebbero giustapposti o sovrapposti per tutta l'e­ ternità. Questa tendenza esprime semplicemente la nostra impossibi­ lità a tradurre matematicamente il tempo stesso, la necessità che ab­ biamo di sostituirlo, per misurarlo, con delle simultaneità che contia­ mo: queste simultaneità sono delle istantaneità; non partecipano alla natura del tempo reale; non durano. Sono delle semplici visioni dello spirito, che delimitano con arresti virtuali la durata cosciente e il mo­ vimento reale, utilizzando per questo fine il punto matematico che è stato trasportato dallo spazio al tempo. Tuttavia, se così la nostra scienza giunge solo allo spazio, è facile vedere perché la dimensione spazio che rimpiazza il tempo si chiama ancora tempo: significa che vi è presente la nostra coscienza. Essa re­ ispira la durata vivente nel tempo inaridito in spazio. Il nostro pensie­ ro, interpretando il tempo matematico, rifà in senso inverso il cammi­ no che ha percorso per attenerlo. Dalla durata interiore era passato a un certo movimento indiviso che vi era ancora strettamente legato e che era divenuto il movimento modello, generatore o misuratore di Tempo; da ciò che c'è di mobilità pura in questo movimento, e che è il legame del movimento con la durata, è passato alla traiettoria del movimento, che è puro spazio; dividendo la traiettoria in parti uguali,

La durata reale e il tempo misurabile

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è passato dai punti di divisione di questa traiettoria ai punti di divisio­ ne corrispondenti o "simultanei" della traiettoria di tutt'altro movi­ mento: la durata di quest'ultimo movimento si trova cosl misurata; si ha un numero determinato di simultaneità; ciò sarà la misura del tem­ po; ciò sarà ormai il tempo stesso. Ma è solo questo il tempo poiché si può riferire a ciò che si è fatto. Dalle simultaneità che delimitano la continuità dei movimenti si può sempre risalire ai movimenti stessi, e da loro alla durata interiore che ne è contemporanea, sostituendo cosl a una serie di simultaneità nell'istante, che si contano ma che non so­ no più tempo, la simultaneità del flusso che ci riconduce alla durata interna, alla durata reale.

Luniformità del tempo 1

di Hans Reichenbach

La soluzione che abbiamo offerto per il problema della geometria fisi­ ca si basa sull'idea della definizione coordinativa. La prima definizione coordinativa si riferiva alla unità di lunghezza e la seconda alla con­ gruenza. Che due segmenti lineari distanti siano o no eguali, non è una questione di conoscenza ma di definizione; e questa definizione consiste, in ultima istanza, in un riferimento ad un oggetto fisico coordinato col concetto di unità. Riconosciamo la necessità di una sif­ fatta definizione coordinativa poiché altrimenti il problema rimarreb­ be indeterminato. Non è di ordine tecnico, ma di ordine logico l'im­ possibilità di confrontare segmenti lineari distanti senza una prece­ dente definizione coordinativa di congruenza. La definizione di con­ gruenza per mezzo di corpi rigidi si è dimostrata della massima utilità, poiché si è dimostrato che tale definizione è indipendente dal tragitto lungo cui vengono trasportati i corpi rigidi. Considerazioni analoghe vanno fatte per quanto riguarda il proble­ ma del tempo. È talmente ovvio che dobbiamo determinare una unità di tempo, che ci limiteremo ad accennare a questa prima definizione coordinativa. Ma anche nel caso del tempo interviene un confronto fra lunghezze. Prima di addentrarci in un'indagine epistemologica, esaminiamo dapprima quali intervalli di tempo la fisica consideri di eguale lunghezza. La rotazione della terra è l'esempio più importante: noi diciamo che gli intervalli di tempo che la terra richiede per com­ piere una rotazione completa sono eguali. Per la suddivisione di siffat­ ti intervalli di tempo ricorriamo ad un metodo diverso, ossia alla mi­ surazione di angoli. Consideriamo eguali quegli intervalli di tempo che corrispondono ad angoli eguali della rotazione della terra. Aura1 Tratto da Reichebach ( 1 977), pp. 1 36-42.

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verso la combinazione di questi due metodi otteniamo la misura del tempo, e il fluire del tempo che abbiamo cosl ottenuto viene detto uniforme. Il problema della congruenza degli intervalli di tempo ci porta dunque al problema della uniformità del tempo. La misurazione del tempo che abbiamo ora descritta impiega due metodi essenzialmente differenti. Se consideriamo le rivoluzioni della terra come aventi eguale durata, lo facciamo poiché esse rappresenta­ no periodi dello stesso tipo. È implicito lo stesso principio se diciamo che i periodi di un pendolo sono egualmente lunghi. Il conteggio di periodi è il primo e più naturale tipo di misurazione del tempo. Il se­ condo metodo consiste nel suddividere il periodo diurno mediante l'angolo della rotazione della terra. In questo caso, tempi eguali ven­ gono misurati con l'aiuto di grandezze spaziali eguali. Questa riduzio­ ne di misure del tempo a misure dello spazio è presente anche nel mo­ to inerziale. Secondo la legge d'inerzia, se un corpo si muove libera­ mente, senza subire l'azione di forze acceleratrici o ritardatrici, coprirà distanze eguali in intervalli di tempo eguali. Possiamo cosl usare il suo movimento come misura di uniformità e considerare come eguali i tempi di transito attraverso distanze eguali. Infine, il movimento della luce ci permette di usare un metodo analogo, poiché la luce copre di­ stanze eguali in tempi eguali. Abbiamo pertanto due tipi fondamenta­ li di misura del tempo: l'uno consiste nel contare processi periodici e l'altro nel misurare distanze spaziali corrispondenti a certi processi non periodici. È stata espressa talvolta l'opinione che non vi siano effettive misure del tempo e che tutte le misure temporali debbano ridursi a misure spaziali. Ciò non è esatto. La riduzione si applica soltanto al secondo tipo di misura del tempo; il primo metodo non ha nulla a che vedere con misure spaziali. Se contiamo eventi periodici, come ad esempio il ticchettio di un orologio, usiamo una scala genuinamente temporale. Udiamo una serie di suoni e chiamiamo eguali gli intervalli di tempo intermedi. Il fatto che li chiamiamo eguali si basa sull'altro fatto che ciascun suono rappresenta la fine di un periodo intero al termine del quale il pendolo oscillante ha raggiunto la sua posizione precedente. Come si muova entro ciascuno di questi periodi non ha la minima importanza. È risaputo che il movimento di un pendolo è tutt'altro che uniforme e tuttavia consideriamo eguali gli intervalli dei periodi completi. Il fatto che un periodo sia completo si riconosce in base al ritorno del sistema alla sua situazione originaria; non v'è nessun biso-

�uniformità del tempo

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gno di una misurazione spaziale. Questa misura del tempo si basa dunque sulla ricorrenza della stessa situazione. �orologio è un'ottima illustrazione di questo procedimento. Il meccanismo interno ha in questo caso soltanto il significato di un dispositivo di conteggio, e il tra­ gitto angolare delle lancette è soltanto una misura del numero di denti che l'ingranaggio ha fatto avanzare e quindi anche una misura del nu­ mero di periodi completi del bilanciere. La misura del tempo dell'oro­ logio è dunque fornita dal bilanciere; le lancette indicano semplice­ mente il numero delle unità di misura e ci risparmiano la noia di con­ tare. Di fatto, con questo metodo possiamo misurare soltanto un nu­ mero intero di intervalli di tempo. Se l'unità scelta è sufficientemente piccola, tuttavia, l'approssimazione risultante può essere resa molto piccola. In certi casi particolari il singolo periodo si svolge uniformemente, come ad esempio nel caso della rotazione della terra. Giungiamo ad una suddivisione in accordo al secondo metodo misurando il tragitto angolare della rotazione della terra rispetto alle stelle fisse. Questa sud­ divisione della misura del tempo comporta genuine misure spaziali, ossia misure di distanze angolari, e differisce pertanto dall'uso pura­ mente apparente di misure angolari nel caso dell'orologio. Per riassumere le nostre idee, dobbiamo dire che la misura di inter­ valli di tempo eguali si ottiene attraverso meccanismi che, secondo la nostra assunzione, compiono i loro periodi in tempi eguali. Di fatto non misuriamo mai un "tempo puro", ma misuriamo sempre un pro­ cesso, che può essere periodico come nel caso dell'orologio, oppure non-periodico come nel caso del punto-massa che si muove libera­ mente. Ogni lasso di tempo è connesso con qualche processo, giacché altrimenti non potrebbe essere minimamente percepito. La misura del tempo si basa pertanto su una assunzione concernente il comporta­ mento di certi meccanismi fisici. Come possiamo verificare questa assunzione? V'è soltanto una ri­ sposta: non possiamo verificarla affatto. In ultima analisi, non v'è al­ cun mezzo di confrontare due periodi successivi di un orologio, cosl come non v'è alcun mezzo di confrontare due regoli di misura quando sono disposti l'uno dopo l'altro. Non possiamo arretrare l'intervallo di tempo successivo e metterlo accanto al precedente. È possibile fare af­ fermazioni empiriche concernenti orologi, ma tali affermazioni riguar­ derebbero qualcos'altro. Due orologi sono situati l'uno accanto all'al­ tro, e noi osserviamo che tanto l'inizio quanto la fine dei loro periodi

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Hans Reichenbach

coincidono. Ulteriori osservazioni possono mostrare che la fine dei lo­ ro periodi coincide sempre. Questa esperienza ci insegna che due oro­ logi situati l'uno accanto all'altro ed aventi eguali periodi una volta, avranno sempre periodi eguali. Ma questo è tutto. Se entrambi gli oro­ logi richiedano o no maggior tempo per compiere periodi successivi, ciò non si può determinare. Perché è impossibile tale determinazione? Le leggi della fisica, ad esempio quelle del moto di un pendolo, non ci obbligano a credere nella eguaglianza dei periodi? È vero che le leggi, così come vengono presentate nei manuali, suggeriscono tale credenza; ma se ci chiedia­ mo di dove traggono origine queste leggi, troveremo che si ottengono attraverso osservazioni di orologi calibrati secondo il principio della eguaglianza dei loro periodi. La dimostrazione è, dunque, circolare. Se avessimo usato una scala diversa per le nostre misurazioni, avremmo ottenuto leggi differenti le quali a loro volta ci avrebbero costretto a considerare quest'ultima scala come quella corretta. E tale circolarità non può venire eliminata neppure ricorrendo a misurazioni del tempo di processi non-periodici. La legge d'inerzia prescrive sì una certa mi­ sura del tempo, ma questa legge potrebbe facilmente venire riformula­ ta per un tipo diverso di misura del tempo in cui un corpo in movi­ mento libero rallenti e un corpo che cade verso la terra si muova con velocità-uniforme: una riformulazione del genere non porterebbe mai a contraddizioni interne. Si ottiene una soluzione soltanto quando applichiamo i nostri pre­ cedenti risultati concernenti la congruenza spaziale e introduciamo nella misura del tempo il concetto di definizione coordinativa. :Legua­ glianza di intervalli di tempo successivi non è questione di conoscenza, ma di definizione. Come nel caso della congruenza spaziale, anche qui bisogna stabilire una certa regola prima di definire il confronto fra grandezze. Questa determinazione può anch'essa essere fatta soltanto in riferimento ad un fenomeno fisico: un processo fisico, come la ro­ tazione della terra, viene preso come misura dell'uniformità per defini­ zione. Tutte le definizioni sono egualmente ammissibili. Potremmo definire come uniforme il movimento che ha luogo nel campo gravi­ tazionale della terra e ottenere conseguentemente un rallentamento per un corpo che si muova liberamente. La fisica, però, ha deciso di adottare una definizione particolare con proprietà specifiche. Essa usa tre metodi indipendenti per la definizione dell'uniformità del tempo: l . La definizione per mezzo di orologi naturali.

�uniformità del tempo

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2. La definizione per mezw delle leggi della meccanica. (Questo metodo comprende non solo la definizione per mezw del moto iner­ ziale, ma anche quelle definizioni che usano la rotazione della terra o il pendolo.) 3. La definizione che usa il movimento della luce (orologio a luce) . Possiamo affermare: è un fatto empirico che queste tre definizioni portino alla medesima misura del fluire del tempo. Dal momento che queste definizioni hanno questa proprietà, l'orologio si dimostra come la misura naturale del tempo nello stesso senso in cui il regolo di mi­ sura rigido è la misura naturale dello spazio. I processi della natura determinano così un certo fluire del tempo. Non è, però, una necessità epistemologica usare l'orologio come defi­ nizione di uniformità. In senso epistemologico qualsiasi altra defini­ zione è egualmente ammissibile, a condizione soltanto che porti ad una descrizione della natura univoca e non-contraddittoria. Per ragio­ ni pratiche si sceglie la definizione per mezzo di orologi poiché essa semplifica considerevolmente la descrizione della natura. Questa sem­ plicità non ha nulla a che vedere con la verità, giacché si tratta mera­ mente di una semplicità descrittiva. D'altra parte, è una affermazione di fatto che esista un fluire del tempo di questo genere; e che pertanto tutti i processi periodici, e inoltre il moto inerziale e il movimento della luce, portino alla mede­ sima misura del tempo. Questa affermazione non si dovrebbe conside­ rare come una affermazione a priori, ma come il risultato dell' espe­ rienza. Essa potrebbe essere falsa. Oggi sappiamo che essa si applica in senso stretto soltanto nello spazio gravitazionale libero e in campi gra­ vitazionali di particolare semplicità (in campi stazionari) . Dal mo­ mento che, rigorosamente parlando, campi del genere non esistono, la nostra caratterizzazione del fluire uniforme dei processi naturali è vali­ da soltanto in misura approssimativa. Questa approssimazione si adatta ai rapporti terrestri ed astrono­ mici in così alto grado che le deviazioni si mantengono molto al di sotto dei limiti di esattezza. V ' è, dunque, una buona ragione perché gli astronomi cerchino di rendere il tempo uniforme indipendente dalle fluttuazioni del movimento della terra dovute alla sua stessa ro­ tazione, ad oscillazioni del suo asse, alla sua rivoluzione attorno al so­ le, e ad influssi lunari. Queste difficoltà mostrano che la definizione coordinativa di uniformità non può essere data in forma così facile da poter venire concepita schematicamente. Non v'è nessun movi-

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mento periodico che sia completamente libero da influenze esterne e che ritorni a situazioni esattamente identiche. Anche la rotazione del­ la terra presenta queste proprietà soltanto fino ad un certo, sebbene molto alto, grado di approssimazione. La p recessione dell'asse della terra ha per effetto che la terra occupi una posizione leggermente di­ versa dopo ogni rotazione e pertanto non raggiunga esattamente la stessa situazione. Per questa ragione il tempo uniforme non viene considerato come identico al tempo direttamente osservato, ma viene derivato indirettamente da quest'ultimo attraverso una serie di corre­ zioni. Questo metodo è eguale a quello usato nella misura della lun­ ghezza, ove l'unità di lunghezza non è data direttamente dal regolo di misura trasportato, ma viene calcolata indirettamente con l'aiuto di fattori correttivi per la temperatura, ecc. È evidente, naturalmente, che questo metodo non ci permette di scoprire un tempo "vero", ma che gli astronomi si limitano a determinare con l'aiuto delle leggi del­ la meccanica quel particolare fluire del tempo che risulta definito im­ plicitamente dalle leggi della fisica. Una ridefinizione di uniformità attraverso un mutamento delle leggi della fisica darebbe all' astrono­ mo un tempo differente. Il suo lavoro è paragonabile all'indagine del fisico volta a determinare l'unità CGS di corrente elettrica, se l'ampè­ re sia definito dalla separazione elettrolitica di una specifica quantità di argento. Questo è un compito estremamente difficile, che ha una grande importanza, ma esso non ci insegna come dovrebbe essere grande l'unità di corrente. Possiamo schematizzare la definizione di uniformità data dalle leg­ gi della fisica nello stesso modo in cui abbiamo schematizzato la defi­ nizione del confronto fra lunghezze. A tal fine abbiamo introdotto la distinzione tra forze universali e forze differenziali. Le forze universali sono quelle che agiscono egualmente su tutte le sostanze, mentre le forze differenziali agiscono su di esse in maniere differenti. Useremo la stessa distinzione nella nostra definizione di orologio, che abbiamo precedentemente definito come un sistema periodico chiuso. Tuttavia, il concetto di sistema chiuso non risulta definito fintantoché si am­ mettono forze universali. Se considerassimo il periodo di rotazione della terra come variabile - ad esempio (partendo da un punto arbi­ trario) se chiamassimo la seconda rotazione due volte più lunga della prima, e la terza tre volte più lunga - allora questa definizione diven­ terebbe apparente nelle equazioni della fisica attraverso la comparsa di una forza che era dunque stata introdotta per definizione. Questa for-

{;uniformità del tempo

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za avrebbe !"'effetto" d i aumentare costantemente i l periodo d i rota­ zione. Troveremmo che questa forza ritarda in eguale misura tutti gli orologi e che essa ritarda il movimento di tutti i corpi che altrimenti si muoverebbero liberamente; essa ha tutte le proprietà di una forza uni­ versale. Poniamo ora questa forza eguale a zero per definizione, ossia definiamo il sistema chiuso come libero da forze differenziali, ma tra­ scuriamo le forze universali. Questa definizione determina pertanto il punto zero dal quale vengono misurate le forze. Senza un siffatto pun­ to zero la grandezza di una forza verrebbe lasciata indeterminata, giac­ ché una forza è qualcosa che consideriamo come la causa di un cam­ biamento, e un cambiamento di intervalli temporali e spaziali può ve­ nire determinato soltanto se si sia data precedentemente una defini­ zione coordinativa di congruenza. Per questa ragione la definizione della congruenza di intervalli di tempo è connessa col problema di un campo di forza. La definizione di congruenza per il confronto tempo­ rale costituisce, dunque, anche la base per la misura di una forza, e in­ versamente questa definizione di congruenza può venire data attraver­ so le regole per la misura di una forza. Dobbiamo infine ricordare un'altra difficoltà che sussiste per qual­ siasi definizione di sistema chiuso. Non possiamo mai costruire un si­ stema completamente isolato da forze differenziali esterne, poiché ciò è possibile soltanto fino ad un certo grado di approssimazione. Di conseguenza possiamo definire soltanto il concetto di chiuso fino ad un certo grado di approssimazione. Questo grado di approssimazione, però, dipende dal rapporto esistente tra le forze esterne e le forze in­ terne del sistema. In un dato campo di forze esterne (differenziali) un sistema può essere relativamente ben chiuso, un altro può essere relati­ vamente mal chiuso. Inoltre lo stesso sistema può talvolta essere relati­ vamente ben chiuso, e talvolta relativamente mal chiuso, a seconda del campo esterno (differenziale) .

III La simultaneità

Uno dei punti di partenza del lavoro di Einstein sulla relatività ristretta è la discussione del concetto di simultaneità a distanza. Se abbiamo due orologi che sono approssimativamente nello stesso luogo, è facile trova­ re una procedura sperimentale per sincronizzarli, in quanto, essendo a contatto fisico, possono interagire causalmente in modo istantaneo. Un po' più complesso è, invece, sincronizzarli se sono spazialmente distan­ ti, diciamo nei punti A e B, in quanto occorre mandare un segnale dal­ l'uno all'altro. Tuttavia in un mondo retto dalla meccanica classica il problema è risolvibile, poiché è possibile mandare da A a B dei segnali sempre più veloci, in modo da sincronizzare sempre meglio i due oro­ logi. Per contro, in relatività ristretta, non solo la velocità della luce è uguale in tutti i sistemi di riferimento inerziali, ma è anche la velocità limite, cioè nessun segnale può viaggiare a una velocità maggiore di c. Perciò due orologi distanti non possono essere sincronizzati mediante questo sistema con una precisione arbitrariamente grande. Se la distan­ za fra A e B è d, un segnale per percorrere questo tragitto impiega alme­ no d!c secondi, per cui l'orologio in B può sapere come è stato messo a punto l'orologio in A solo dopo questo intervallo di tempo. È importante sottolineare la distinzione fra: C l . L'invarianza della velocità della luce. La velocità della luce è uguale in tutti i sistemi di riferimento inerziali; C2. c è una velocità limite. Nessun segnale causale può viaggiare a una velocità maggiore di quella della luce. Si può dimostrare che C l e C2 sono logicamente indipendenti, cioè che la velocità della luce può essere invariante, ma non essere una velocità limite e viceversa. Benché nella formulazione standard della relatività ristretta valgano entrambi, C2 ha come conseguenza l'im­ possibilità di sincronizzare gli orologi a distanza, mentre C l implica un importante effetto fisico, cioè la relatività della simultaneità.

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Introduzione III

Nel breve brano di Rindler che riportiamo, questo punto viene sotto­ lineato con grande chiarezza, mostrando come la relatività della simulta­ neità non sia un fatto epistemologico, ma fisico. Per spiegarci meglio rias­ sumiamo una forma un po' modificata di un celebre esempio di Einstein. Se due osservatori sono agli estremi di un treno che viaggia a velocità v e al centro del treno viene emesso un segnale luminoso, esso sarà percepito dai due osservatori che stanno agli estremi del treno nello stesso istante, cioè l'arrivo del segnale in cima e in coda al treno sarà simultaneo. D'altra parte, se un osservatore si trova invece fermo a terra lungo le rotaie pro­ prio nel momento in cui il treno passa a velocità v con il segnale luminoso in viaggio, a causa di C l egli vedrà il segnale luminoso che si muove sem­ pre alla stessa velocità c e non a c+ v come se fosse un oggetto classico. D'altra parte, per chi sta a terra l'osservatore che sta nella coda del treno viaggerà verso il segnale a velocità v, mentre quello che sta in cima si al­ lontanerà dal segnale a velocità v. Questo implica che l'arrivo del segnale luminoso ai due osservatori non sarà più simultaneo, ma quello in coda precederà quello in cima al treno. In altre parole la simultaneità degli eventi fisici è relativa allo stato di moto dal quale li osserviamo. I..: e ffetto che abbiamo appena descritto è una conseguenza del fatto che la velocità della luce è invariante in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Ora torniamo invece a C2, cioè al principio secondo cui la velocità della luce è una velocità limite. Consideriamo un diagramma spaziotemporale in cui i punti P e Q siano reciprocamente fermi. Al fine di stabilire la simultaneità a di­ stanza fra P e Q, mandiamo l'oggetto più veloce che abbiamo a dispo­ sizione, cioè un raggio di luce, da P a Q. In P viene dunque emesso un raggio di luce al tempo ta che arriva in Q al tempo tb e ritorna in P al tempo te:

p

Q

La simultaneità

105

Ora, chiediamoci quale sia in P l'istante simultaneo all'arrivo del raggio di luce in Q. In P abbiamo notizia dell'arrivo del raggio in Q solo al tempo t2 cioè quando il raggio è tornato in P. È abbastanza naturale supporre che la velocità della luce nel viaggio di andata PQ sia uguale a quella del viaggio di ritorno QP, per cui si definisce come si­ multaneo di tb l'istante t; (l)

l td = tIl + - (tc - ti/\

2

Stando così le cose, si vede immediatamente in cosa consista la re­ latività della simultaneità. Se, infatti, il punto Q cominciasse ad allon­ tanarsi da P con velocità u, allora la sua linea di universo si inclinereb­ be verso destra e td non sarebbe più simultaneo con l'arrivo della luce in P. Questo fatto, che è assolutamente incontrovertibile, ed è parte essenziale della relatività ristretta, non va confuso con la tesi secondo cui la definizione stessa di simultaneità è convenzionale, indipenden­ temente dallo stato di moto di P. Un conto è l'affermazione secondo cui in sistemi di riferimento in moto l'uno rispetto all'altro la simulta­ neità cambia - relatività della simultaneità - un conto, invece, che in un unico sistema di riferimento la simultaneità possa essere definita in modo diverso - convenzionalità della simultaneità. In effetti, se consideriamo la ( l ) da un punto di vista strettamente operazionistico, al posto del fattore 1 /2 si potrebbe porre qualsiasi nu­ mero reale E compreso fra O e l , dato che la velocità della luce, se è una velocità limite, può essere misurata solo su un percorso di andata e ritorno: (l)

La figura mostra con una linea tratteggiata un percorso possibile diverso da quello che deriva ponendo E = 1 /2 in cui nel viaggio di an­ data la velocità della luce è superiore a c, mentre nel viaggio di ritorno è inferiore a c; ovviamente la velocità media sul percorso di andata e ritorno resta comunque c. In altre parole, dal punto di vista operativo, essendo la velocità della luce una velocità limite, possiamo misurarla solo su un percorso di andata e ritorno, per cui il valore di E diventa convenzionale. In una prospettiva radicalmente operazionista, quindi, si potrebbe

1 06

Introduzione III

affermare non solo la relatività della simultaneità, ma anche la con­ venzionalità della simultaneità; tuttavia, come abbiamo già detto, la prima è un elemento intrinseco della teoria della relatività ristretta, mentre la seconda è conseguenza di un atteggiamento strettamente operativo, tanto che non tutti l'hanno sostenuta. La convenzionalità della simultaneità è stata difesa da Reichenbach, Griinbaum, e da Sal­ mon, il quale argomenta il suo punto di vista nelle pagine che presen­ tiamo qui di seguito. Salmon discute lungamente se effettivamente si possa o meno misurare la velocità della luce su un percorso di sola an­ data, o se operativamente sia possibile rilevare solo la velocità media su un percorso di andata e ritorno. Egli mostra come tutte quelle che sembrano delle misurazioni della luce su un solo percorso nascondano delle ipotesi sulla sincronizzazione degli orologi a distanza, per cui di fatto non sono realmente quello che sembrano. Arriviamo quindi alla conclusione che da un punto di vista strettamente operazionistico sembra che non sia possibile misurare la velocità della luce di sola an­ data. Ci possiamo però chiedere se, da un punto di vista epistemologico, sia vero che ciò che non è operativamente definibile sia convenzionale. Benché dobbiamo accettare che la velocità della luce di sola andata non sia misurabile direttamente, per cui essa è un termine teorico del­ la teoria fisica, sappiamo però che i termini teorici hanno un significa­ to empirico che acquisiscono indirettamente per il tramite dei termini osservativi con cui sono collegati all'interno della teoria. Proprio in questa direzione si muovono le pagine di Friedman che presentiamo. Egli riporta l'osservazione di Malament1 , secondo cui la scelta E 1 12 ha una connessione importante con la struttura dello spaziotempo di Minkowski, ovvero che essa consente una definizione univoca dell'ipersuperficie di simultaneità di un osservatore, mentre se fosse E ;f:. 1 12 tale definizione univoca non sarebbe più possibile, a me­ no di non aggiungere ulteriori caratteristiche allo spaziotempo di Minkowski. Questo significa che ipotizzare una velocità della luce di­ versa nei viaggi di andata e ritorno comporterebbe una modifica del­ l'intera teoria della relatività. Nulla esclude che tale modifica radicale prima o poi diventerà necessaria per ragioni teoriche o empiriche, tut­ tavia ci sembra che già il solo fatto che la scelta di E sia così intercon=

1 Malament ( 1 977).

La simultaneità

l 07

nessa ad altri elementi della teoria sia sufficiente a suggerirei che essa non è convenzionale. Per mostrare meglio questo punto, Friedman discute anche il "tra­ sporto lento di orologi", proposto da Ellis e Bowman. Per comprende­ re questo metodo, riformuliamo il problema della convenzionalità nel modo seguente, proposto da Reichenbach: se scegliamo un certo valo­ re di e, quando andiamo a misurare la velocità della luce su un solo percorso, tale valore non può che essere confermato, perché non ab­ biamo nessuna maniera di misurare questa velocità, indipendente­ mente dal valore di e che abbiamo scelto. Immaginiamo ora di man­ dare da P a Q una serie di orologi, sincronizzati con un orologio fer­ mo in P, sempre più lenti, cioè tali che la velocità v del loro trasporto tende a zero. Ora consideriamo il rapporto fra il tempo tP dell' orolo­ gio in P e il tempo tQ degli orologi che arrivano in Q, e chiediamoci quando accade che:

(2)

lim (tQ - t� = O �o

cioè quando, trasportando orologi sempre più lenti, la differenza fra i tempi in P e in Q tende a zero. Se assumiamo la metrica dello spazio­ tempo di Minkowsk.i, si può facilmente mostrare che questa differen­ za tende a zero proprio quando e = 1 /2. Questo significa che, se noi assumiamo un qualsiasi valore di e, poi mandiamo effettivamente de­ gli orologi sempre più lenti da P a Q, e sulla base di queste sincroniz­ zazioni misuriamo la velocità della luce su un pecorso di sola andata, se lo spaziotempo è realmente quello di Minkowski, allora le velocità mi­ surate dovrebbero convergere in modo tale che e tenda a 1 /2. Questo non vuol dire che sia possibile misurare direttamente la velocità della luce su un percorso di sola andata, perché potrebbe essere che e '# 1 /2 e la metrica dello spaziotempo sia diversa da quella di Minkowsk.i, tuttavia il trasporto lento mostra che la scelta e = 1 /2 è strettamente collegata alla metrica di Minkowsk.i, per cui è tanto confermata quan­ to può essere confermata quest'ultima. Friedman riporta un altro argomento a favore della non conven­ zionalità della simultaneità. Ricordiamo che secondo la teoria causale del tempo, sostenuta da Reichenbach e Grtinbaum, la relazione "E' segue E' può essere definita nei termini della relazione "E causa E'". Diventa allora naturale sostenere che la simultaneità non è convenzio­ nale se è definibile univocamente nei termini della relazione di con­ nettibilità causale K: EKE' sse i due eventi E ed E' sono connessi da

1 08

Introduzione III

una curva nulla o da una curva di tipo tempo. Si può dimostrare che la relazione di ortogonalità nello spaziotempo di Minkowski è defini­ bile nei termini di K Si può allora stabilire che E ed E' sono simulta­ nei per l'osservatore inerziale O sse presi due eventi R e S sulla linea di universo di O, il vettore E' -E è ortogonale al vettore R-S. Questa defi­ nizione di simultaneità è equivalente a quella standard in cui e = 1 12, E

E'

R

o s

come si vede dalla figura, in cui EE' e RS sono ortogonali e gli eventi E ed E' sono simultanei nel senso standard. Malamenrl dimostra che l'unica relazione di equivalenza definibile a partire da K per O, oltre a quella di simultaneità appena menzionata, è la relazione universale. Questo significa che la simultaneità è univocamente definibile in mo­ do causale e quindi non è convenzionale. Friedman utilizza questo argomento contro la convenzionalità del­ la simultaneità sostenuta da Griinbaum; tuttavia recentemente Sarka e Stachel hanno messo in discussione questo risultato, proponendo la definizione di due nuove simultaneità non-standard3• D'altra parte, R. Rynasiewicz, al Congresso della Philosophy of Science Association tenu­ tosi a Vancouver nel novembre del 2000, ha dimostrato che tali defi­ nizioni non rispettano i requisiti minimi del concerto logico di defini­ bilità all'interno di un sistema formale. Sembra quindi che il teorema di Malament sia ancora valido. Turtavia resta problematico stabilire se questo risultato sia rilevante per il problema della convenzionalità della simultaneità, in quanto pre­ suppone che chi è convenzionalista debba accettare una teoria causale del tempo, o quantomeno la tesi secondo cui ciò che è definibile univo­ camente sulla base della connertibilità causale non è convenzionale in relatività ristretta. Ci sembra dunque che la precedente analisi di Fried2 Malament (1 977) . 3 Sarka e Stachel ( 1 999), pp. 208-220.

La simultaneità

l 09

man, che mostra la stretta connessione fra la sincronizzazione standard e la metrica di Minkowski sia un argomento più conclusivo a favore della non convenzionalità della simultaneità, di quello di Malament. Lo spaziotempo di Minkowski presenta altre due caratteristiche strutturali molto peculiari che riguardano la simultaneità. In primo luogo, se esistessero segnali che viaggiassero più velocemente della lu­ ce, allora sarebbe possibile agire causalmente nel passato; in secondo luogo, in un certo senso sembra che tutti gli eventi siano codetermi­ nati. Analizziamo questi due punti cominciando dal primo. Due os­ servatori O' e G' si trovano nel punto P, ma G' si allontana subito dopo a velocità costante. Al momento dell'incontro lanciano un se­ gnale luminoso l' nella direzione opposta al moto di G', che arriva in Q e poi (l') viene riflesso in P. È chiaro che per O' e per G' l'istante simultaneo all'arrivo della luce in Q - chiamiamo questo evento e - è diverso, a causa della relatività della simultaneità. Usando la definizio­ ne standard di simultaneità, avremo che per O' e è simultaneo a e ' e per G' e è simultaneo a é', come si vede dalla figura.

e

o

p

Consideriamo un evento é" che per G' sia precedente a é', ma successivo a s, dove s è dato dall'incontro del piano di simultaneità di e ' con la linea di universo di G'. Ora, per O' é" è successivo a e, poi­ ché e è simultaneo a s e s è precedente a é" . Dunque, dal punto di vi­ sta di O' è possibile mandare un segnale da e a é" . D'altra parte, que­ sto segnale dovrebbe viaggiare più veloce della luce, dato che arriva in P molto prima del segnale di ritorno l'. Ammettiamo che questo sia possibile e mettiamoci dal punto di vista di G'. Per quest'ultimo, e è simultaneo con é', per cui è precedente a é" ; ne segue che il segnale superluminale da e a é" risulta da un evento successivo a un evento

1 10

Introduzione III

precedente, costituendo cosl una vera e propria anomalia causale. In conclusione, nello spaziotempo di Minkowski i segnali superluminali possono provocare delle anomalie causali. Per quanto riguarda il secondo punto, invece, si può dimostrare che, in un certo senso, qualsiasi evento che sta nel futuro assoluto di un evento è codeterminato rispetto a esso. Si dice che un evento x è codeterminato rispetto a un evento y sse, se tutte le proprietà di y sono determinate, allora anche tutte le proprietà di x sono determinate. A questo punto facciamo la seguente assunzione, che ci servirà dopo:

A. Se un evento x è nell'iperpiano di simultaneità di un altro even­ to y, allora x è codeterminato rispetto a y. l i nea di mondo di

e

simul taneità di e '

S i consideri u n evento e e u n altro evento e ' che sia nel futuro as­ soluto di e, ovvero tra le linee tratteggiate della figura, che indicano il cono luce di e. Spostandosi a sufficienza sulla ipersuperficie di simul­ taneità di e sarà sempre possibile trovare un evento é', in moto rispet­ to a e, la cui ipersuperficie di simultaneità comprende e ' . Quindi, dal punto di vista di é', e ' è simultaneo; perciò, applicando l'assunzione A, é' è codeterminato rispetto a e. Ma, dal punto di vista di e, é' è si­ multaneo, dunque, applicando sempre A, é' è codeterminato rispetto a e. Ne segue che, se vale la transitività della relazione di codetermina­ tezza, e ' è codeterminato rispetto a e. Ne risulta dunque che tutte le proprietà di e ' , che sta nel futuro assoluto di e, saranno determinate se tutte le proprietà di e sono determinate. Questo argomento proposto da Putnam4 sembra suggerire che la

4 Putnam ( 1 967) .

La simultaneità

111

relatività ristretta imponga una concezione statica del tempo oggetti­ vo, in cui tutti gli eventi sono codeterminati fra di loro. Esso ha pro­ vocato un ampio dibattito, esaminato criticamente da Dorato5. Tutta­ via la conclusione non sembra corretta perché, come osserva Stein6, in relatività gli iperpiani di simultaneità non sono invarianti, ovvero se e avesse una linea di mondo inclinata diversamente rispetto a quella della figura, allora non sarebbe più simultaneo rispetto a é'. Questo si­ gnifica che, benché e" sia codeterminato rispetto a e, dal punto di vista di e, non è detto che lo sia dal punto di vista di un osservatore che transita in e con una velocità diversa. In altre parole, la relazione di codeterminatezza definita in precedenza sembra avere scarso valore oggettivo in relatività ristretta.

5 Dorato (1 994) . 6 Stein ( 1 968) .

La relatività della simultaneità1

di Wolfgang Rindler

Secondo il punto di vista classico, il tempo consisteva in una succes­ sione regolare di momenti universali o "fette di storia". "Essere nello stesso momento" era il criterio adottato per indicare la simultaneità, e questo era considerato assoluto. Tuttavia, una conseguenza immediata dell'adozione dei due postulati della relatività ristretta è che la simul­ taneità deve essere relativa. Adotteremo qui la seguente definizione operativa di simultaneità: due eventi P e Q che accadono nei punti P e Q di un sistema inerzia­ le S, sono simultanei in S se un segnale luminoso, emesso nel punto di mezzo del segmento PQ, in S raggiunge P e Q. Altrimenti, possiamo chiedere che i segnali luminosi provenienti da P e Q si incontrino in M; oppure che delle palle di cannone sparate simultaneamente verso P e Q da cannoni identici in M arrivino in P e Q. Tutte queste defini­ zioni devono essere equivalenti se i sistemi inerziali sono omogenei e isotropi per tutta la fisica. Due orologi posti in P e Q rispettivamente, potrebbero venire sincronizzati da un esperimento di questa natura e, per l'omogeneità e l'isotropia, dovrebbero restare sincronizzati anche in seguito. Consideriamo ora un aereoplano veloce che vola in cielo e sup­ poniamo che un lampo di luce si produca esattamente nel mezzo della sua cabina. Allora i passeggeri che si trovano in fondo e all'ini­ zio della cabina vedranno il lampo nello stesso istante, diciamo quando i loro orologi indicano 3 unità. Supponiamo poi che noi os­ serviamo questo segnale luminoso dalla terra. Anche nel nostro si­ stema di riferimento la luce viaggia con uguale velocità verso la pop-

1 Tradotto da Rindler ( 1 977) , pp. 28-29.

1 14

Wolfgang Rindler

pa e verso la prua. Cosl i passeggeri che sono nella parte posteriore, che viaggiano verso il segnale, lo riceveranno prima dei passeggeri della parte anteriore che si allontanano da esso. La parte superiore della figura l a mostra un'istantanea che noi scattiamo agli orologi posti nell'aereo nel momento in cui il segnale raggiunge la parte po­ steriore della cabina. Poiché non ha ancora raggiunto la parte ante­ riore, gli orologi posti davanti indicheranno meno di 3, diciamo l (in unità molto più piccole dei secondi!) . Queste due diverse letture degli orologi sono eventi simultanei nel nostro sistema di riferimen­ to. Perciò, la simultaneità è relativa! Aggiungiamo ora all'argomento un secondo aereo, che viaggia al­ la stessa velocità, ma nella direzione opposta. Se, quando scattiamo l'istantanea, l'aereo è esattamente allineato con il primo - come nel­ la figura l a - allora per simmetria anche i suoi orologi indicheranno due unità di differenza, diciamo ancora 3 e l se gli orologi sono stati azzerati adeguatamente. Osserviamo ora: l'estremità anteriore del se­ condo aereo oltrepassa il primo aereo al tempo 3 (secondo il calcolo del primo aereo) , ma la sua estremità posteriore ha raggiunto il pri­ mo aereo prima, al tempo l . Perciò il primo aereo deve considerare il secondo più corto rispetto a se stesso. Qui abbiamo il fenomeno della contrazione relativistica delle lunghezze. Si noti la sua perfetta simmetria: anche per il secondo aereo l'altro è più corto rispetto a se stesso. Infine, consideriamo un'altra istantanea, scattata nel momento in cui le estremità posteriori delle cabine si incontrano. Chiaramente gli orologi in ciascun aereo indicheranno ancora esattamente due unità di differenza, ma le letture effettive dipenderanno dalla velocità e dalla lunghezza degli aerei. Supponiamo che ora esse siano 4 e 2, come nel­ la figura l b. Osserviamo di nuovo: nell'istantanea (a) l'orologio poste­ riore del primo aereo è avanti di due unità rispetto all'orologio dell'al­ tro aereo che esso ha appena oltrepassato, mentre nell'istantanea (b) quello stesso orologio non è affatto avanti. Cosl, messo a confronto con gli orologi sincronizzati del secondo aereo, l'orologio posteriore del primo aereo ha perso tempo. Questo è il fenomeno della dilatazio­ ne relativistica del tempo. Si noti di nuovo la sua perfetta simmetria ri­ spetto ai due aerei. Dobbiamo notare che mentre le palle da cannone, o i segnali so­ nori nell'aria in quiete ecc., possono essere usati tutti al posto della luce per definire la simultaneità in qualsiasi sistema di riferimento

La relatività della simultaneità

115

inerziale, gli argomenti precedenti non sarebbero stati validi se avessimo usato simili metodi. La luce è peculiare: ha la stessa velo­ cità in tutti i sistemi di riferimento, e di conseguenza si può usare lo stesso lampo per sincronizzare orologi in sistemi di riferimento

diversi.

(a )

(b )

Figura l

Orologi e simultaneità nella relatività speciale1

di Wesley C. Salmon

La prima discussione di Einstein della simultaneità, nel suo famoso articolo del l 905, "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento" (l'ar­ ticolo originale in cui egli per primo espone la teoria della relatività ri­ stretta) , si riferisce al problema di stabilire relazioni di simultaneità al­ l'interno di un unico sistema di riferimento. È questo il problema del­ la sincronizzazione di orologi che sono immobili l'uno rispetto all'al­ tro in qualsiasi sistema di riferimento inerziale. Si deve affrontare tale questione prima di considerare gli effetti relativistici che sorgono dal moto relativo tra due o più sistemi di riferimento inerziali, ed Einstein la discute nel paragrafo l del suo articolo originale. La sua soluzione di questo problema è apparentemente semplice. Dati due orologi, col­ locati nei punti A e B molto lontani in un sistema di riferimento, "sta­ biliamo per definizione che il 'tempo' richiesto alla luce per viaggiare 2 da A a B è uguale al 'tempo' necessario per viaggiare da B ad A" • Che Einstein intendesse sottolineare il carattere definitorio di questa sin­ cronia è evidenziato dal fatto che le virgolette nel passo citato sono sue, e dal fatto che il titolo del paragrafo l è: "Definizione di simultanetta . Se un segnale luminoso, inviato da A, è riflesso in B, così che ritor­ na ad A, si può utilizzare un orologio posto in A per misurare il tem­ po globale necessario alla luce per il viaggio di andata e ritorno da A a B. Se tA è l'istante in cui il segnale luminoso viene inviato da A, e t 'A è l'istante in cui il segnale luminoso ritorna ad A, prosegue Einstein, "in accordo con l ' esperienza assumiamo inoltre che la quantità .

' ))

1 Tradotto da Salmon ( 1 975), cap. 4, pp. 1 00- 1 1 5 . 2 Einstein ( 1 905), p . 40; tr. it. p . 1 5 1 .

118

Wesley C. Salmon 2AB

---

=C

sia una costante universale - la velocità della luce nello spazio vuoto" (corsivo nostro)3. Così Einstein, nel primo paragrafo del suo articolo del 1 9 0 5 , enuncia due principi distinti che riguardano l a velocità della luce. Il secondo di questi principi è un'ipotesi empirica, che asserisce che la velocità media della luce in un viaggio di andata e ritorno nel vuoto è una costante c. Questo principio - afferma Einstein - è sorretto dall'e­ sperienza; se è vero, esso descrive un dato di fatto di natura. Il primo principio eguaglia la velocità della luce in ognuna delle due frazioni di un viaggio di andata e ritorno nel vuoto. Diversamente dal secondo principio, questo è una definizione. Non può esserci nessuna questio­ ne circa la sua verità o falsità, e in nessun caso lo si può interpretare come se esprimesse chiaramente un dato di fatto qualsiasi della natu­ ra. I due principi possono essere confrontati e riassunti nel modo se­ guente: l . Principio della velocità della luce di sola andata (una convenzio­ ne) : in un percorso di andata e ritorno nel vuoto la velocità della luce all'andata è uguale alla sua velocità nel viaggio di ritorno. 2. Principio della velocità della luce di andata e ritorno (un'ipotesi empirica) : in ogni percorso di andata e ritorno nel vuoto, la velocità media della luce per tutto il viaggio è uguale a una costante c. Ovviamente, presi insieme questi due principi comportano che la velocità della luce in qualsiasi percorso di sola andata nel vuoto sia uguale alla costante c. Nella maggior parte delle discussioni sulla rela­ tività, è la congiunzione dei due principi che prende il nome di "prin­ cipio di costanza della velocità della luce", ed è questo principio con­ giunto che vogliamo utilizzare nella maggior parte dei contesti. Ein­ stein stesso usa il principio congiunto nelle parti successive del suo ar­ ticolo del 1 905. Tuttavia, quando ci sforziamo di fare attenzione ai fondamenti logici, come ha fatto Einstein all'inizio del suo famoso ar­ ticolo, è di importanza decisiva distinguere le componenti convenzio­ nali da quella empirica del principio congiunto. 3 Einstein ( 1 905), p. 40; tr. i t. p. 1 5 1 .

Orologi e simultaneità nella relatività speciale

1 19

Per sottolineare la distinzione tra i due principi della velocità della luce, consideriamo un classico metodo per misurare la velocità della luce, dovuto ad Armand Fizeau, che ideò un dispositivo con una ruo­ ta dentata per eseguire la misurazione (vedi Fig. 1 ) . Luce

A, c. -- -

"r - . .

Sperimentatore

\

·

· . . ·.

J

- -- - -- -

Specchio

Figura l - Il metodo di Fizeau per determinare la velocità della luce. Alla giusta velocità di rotazione, la ruota percorrerà la distanza tra due denti adia­ centi nel tempo richiesto da un impulso di luce per viaggiare dalla ruota allo specchio e tornare indietro.

Una ruota con delle aperture tra i denti viene fatta ruotare davanti a una sorgente luminosa, che manda un raggio verso uno specchio. Quando nella traiettoria della luce si frappone un dente, nessun rag­ gio luminoso può passare attraverso il dispositivo, ma quando in quel punto c'è un'apertura, un impulso luminoso lo attraversa fino allo specchio, dove viene poi riflesso. Al suo ritorno, l'impulso luminoso riflesso può incontrare un dente o un'apertura; se trova l'apertura, l'attraversa un'altra volta, ma se c'è un dente verrà bloccato. Variando la velocità angolare della ruota e osservando le velocità che permetto­ no all'impulso riflesso di passare attraverso il dispositivo, Fizeau fu in grado di misurare la velocità della luce. Il suo metodo era sostanzial­ mente simile a quello usato successivamente da Michelson; la misura­ zione è palesemente la determinazione di una velocità di andata e ri­ torno. Vale la pena notare che chiaramente l'esperimento di Michel­ son e Morley, che è spesso citato come prova della costanza della ve­ locità della luce, confronta anche le velocità medie di andata e ritor­ no su percorsi perpendicolari l'uno rispetto all'altro (vedi Fig. 2) . Queste sono le evidenze sperimentali a sostegno del principio della velocità della luce di andata e ritorno, ma chiaramente, siccome si tratta di metodi per verificare e confrontare velocità di andata e ritor­ no, non hanno niente a che fare con il principio della velocità della luce di sola andata.

1 20

Wesley C. Salmon

T�---....._ le l

Specchi per r1fle1lere componenti del ragg 1o 1n Ul'l unico punlo 1 e confrontar1e

l i,l:

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Specchi o semi-argentato che divide il fascio di h. SA , piuttosto che SB < SA . E vediamo che l'inferenza dal tempo all'entropia porta allo stesso risultato, sia che sia riferita a eventi successivi, sia a quelli precedenti. Questo fatto esprime la sim­ metria della direzione del tempo per la curva entropica. Questi risultati furono derivati da Boltzmann e successivamente analizzati in dettaglio da P. e T. Ehrenfest10• Boltzmann giudicò questa considerazione come una risposta all'obiezione della reversibilità1 1 • Siccome ci autorizza ad aspettarci che uno stato ordinato A s i trasfor­ merà in uno stato disordinato B, è effettivamente una risposta quando consideriamo l'inferenza dal tempo all'entropia. Per esempio, quando togliamo la separazione nel contenitore, possiamo aspettarci con mol­ ta probabilità che, quando analizzeremo i gas a un tempo successivo, li troveremo ben mescolati. Per un contenitore di grandezza ordinaria, una differenza temporale l!.t anche di pochi minuti porterà a una pro­ babilità elevata in modo schiacciante in favore di un aumento dell' en­ tropia. La probabilità del processo inverso non diminuisce questa pro­ babilità in modo percettibile. Siccome, tuttavia, si può trarre la stessa conclusione per uno stato B che precede A temporalmente, vediamo che l'inferenza dal tempo all'entropia non presuppone una direzione temporale della curva dell'entropia; essa esprime semplicemente il fat­ to che la curva possiede livelli più alti e livelli più bassi e sta nei livelli 10 Ehrenfest ( 1 9 1 1), p. 43. 11 Si veda, per esempio, la trattazione di Boltzmann dell'obiezione della reversibi­ lità in Boltzmann ( 1 895). Un'esposizione più dettagliata di questo punto di vista si trova nella prima risposta di Boltzmann a J. Loschmidt, in Boltzmann (1 877), p. 72, e nella sua ultima pubblicazione sul tema della teoria dei gas, scritta in collaborazione con ]. Nabl, in Boltzmann, Nabl ( 1 907), pp. 5 1 9-522. In queste pubblicazioni Boltz­ mann dice ripetutamente che "la seconda legge della termodinamica non può mai es­ sere dimostrata matematicamente solo per mezw delle equazioni del moto" (si veda Boltzmann (1 895), p. 4 1 4) . Con questa osservazione Boltzmann non intendeva soste­ nere che una dimostrazione come quella data da John von Neumann e George Birkhoff fosse impossibile; egli voleva dire semplicemente che non è possibile alcuna dimostrazione che l'entropia deve sempre aumentare. Noi possiamo provare solo che tale aumento è molto probabile.

236

Hans Reichenbach

superiori molto di più che in quelli inferiori. Una curva di questo tipo potrebbe essere usata per definire la differenza tra livelli più alti e più bassi, ma non per definire una differenza tra sinistra e destra, cioè tra tempo positivo e tempo negativo. Le inferenze che abbiamo presentato possono essere meglio chiari­ te dal seguente modello. Immaginiamo un altopiano ad un'altitudine media di quattromila piedi, che è attraversato qua e là da canyon di profondità diverse che si estendono da nord a sud, in modo tale che una sezione trasversale verticale di questo territorio in direzione est­ ovest assomigli alla curva della figura 2. Un uomo cammina verso est lungo l'altipiano; quando giunge al canyon scende, poi risale lungo l'altro lato con la stessa velocità, sempre mantenendo la sua direzione abituale verso est. Possiamo ora fare la seguente affermazione: se l'uo­ mo è a un'altitudine di duemila piedi (in un canyon) , allora in due ore probabilmente sarà ad un livello più alto. Ma possiamo anche dire: se l'uomo è a un'altitudine di duemila piedi, allora due ore prima proba­ bilmente era a un livello più alto. Entrambe le affermazioni sono vere. Questa simmetria esprime il fatto che una sezione trasversale di que­ sto territorio non definisce una direzione, ma rende i livelli più alti più probabili di quelli più bassi. Potremmo supporre che secondo questi risultati dobbiamo molto spesso trovare il sistema vicino a un punto sella. Questa conclusione non è corretta, perché richiederebbe che A fosse sia seguito sia prece­ duto da uno stato di entropia più alta entro un piccolo intervallo !!t. Ma per !!t piccoli la probabilità di entrambi questi eventi non è molto elevata, e la probabilità del loro verificarsi congiunto è più bassa di quella di un evento preso da solo. Si può mostrare che è anche più bassa del prodotto dei due, vale a dire, gli eventi non sono indipen­ denti, ma piuttosto parzialmente incompatibili. Perciò, c'è solo una piccola probabilità di essere vicino a un punto sella. Esaminiamo ora una questione del secondo tipo, che riguarda l'in­ ferenza dall'entropia al tempo, che ha la forma seguente: dati due stati A e B, tali che l'entropia S8 di B è maggiore dell'entropia SA di A, qua­ le dei due stati è quello che viene dopo ? Dal risultato precedente consegue che a questa domanda non si può rispondere usando la curva dell'entropia. Che A preceda B è tanto probabile quanto che B preceda A. Questa conclusione segue anche dalla discussione precedente dell'obiezione della reversibilità. Ora è ovvio che se vogliamo definire una direzione del tempo, dobbiamo es-

Un'interpretazione statistica

237

sere in grado di rispondere a domande del secondo tipo, che riguarda­ no l'inferenza dall'entropia al tempo. Che noi possiamo rispondere a domande del primo tipo, riguardanti l'inferenza dal tempo all'entro­ pia, non ci aiuta quando non conosciamo ancora la direzione del tem­ po. E vediamo che l'obiezione della reversibilità rimane valida quando vogliamo usare la curva entropica per una definizione della direzione del tempo, perché la curva non fornisce tale direzione. Il paradosso della direzione statistica rimane irrisolto: la reversibilità dei processi elementari è trasferita ai processi macroscopici; perciò non si può di­ mostrare che la direzione statistica di sistemi isolati, proprio come la direzione dei processi elementari, sia unica. Se vogliamo risolvere il paradosso e rispondere a domande del se­ condo tipo, dobbiamo perciò cercare altri metodi. La curva entropica e, con essa, l'obiezione della reversibilità, si riferisce a un ensem ble temporale, cioè alla storia di un sistema. Scopriremo meglio i metodi per rispondere alla nostra domanda quando abbandoneremo l' ensem­ ble temporale e ci volgeremo allo studio di quello spaziale. La direzione del tempo e lensemble spaziale

Se desideriamo trovare un modo per definire una direzione del tempo, è consigliabile studiare le procedure reali che vengono usate per trarre delle inferenze sulla direzione del tempo. Abbiamo detto che se S B >SA la teoria degli ensem ble temporali ci dice che A può essere sia precedente che successivo a B. Tuttavia in tutte le applicazioni pratiche da SB >S A siamo disposti a in ferire che A precede B. Ad esempio, se un osservatore ci dice che egli vede i gas in un contenitore abbastanza ben separati, benché essi non siano divisi da una barriera, e un altro osservatore ci informa che egli vede i gas ben mescolati, noi concluderemo che la seconda osservazione è stata fatta dopo la prima. Aggiungeremo inoltre che in origine i gas erano separati da una barriera, e che qualcuno deve averla rimossa subito prima che fosse fatta la prima osservazione. Questo significa che piut­ tosto che andare verso l'assunzione che il sistema gassoso sia chiuso tutto il tempo, assumiamo che esso sia originariamente in interazione con il suo ambiente: e concludiamo che lo stato improbabile è il pro­ dotto di questa interazione piuttosto che il risultato di una separazio­ ne prodottasi per puro caso nella storia del sistema chiuso. Siccome

238

Hans Reichenbach

questa inferenza include un riferimento a sistemi differenti da quello osservato, essa non è contemplata dalla curva della figura 2 e deve quindi essere esaminata più da presso. Il nostro ambiente è ricco di processi che, o per produzione natu­ rale o per l'intervento dell'uomo, creano come parte del loro risultato sotto-sistemi ordinati, i quali da quel momento in poi restano isolati e percorrono un'evoluzione verso il disordine, come mostrato nel setto­ re iniziale 1 -2 della curva nella figura 2. Per "isolato" non intendiamo completamente isolato; è sufficiente che il processo interno al sottosi­ stema presenti scambi energetici grandi rispetto all'interazione con l'ambiente. Se prendiamo un cubetto di ghiaccio fuori dal frigorifero e lo mettiamo in un bicchiere d'acqua, abbiamo un sistema isolato, seb­ bene l'isolamento termico non sia molto buono; la fusione del cubetto è rappresentata nel settore 1 -2 della curva di entropia nella figura 2. Una roccia immersa nella neve è scaldata dal sole; durante questo pro­ cesso il sistema costituito dal sole e dalla roccia aumenta la sua entro­ pia a causa dell'assorbimento di radiazione della roccia. Di notte la roccia e la neve assieme formano un sistema che, a causa della sua dif­ ferenza interna di temperatura, ha un'entropia bassa; e il raffredda­ mento della roccia assieme allo scioglimento della neve rappresenta una transizione verso un'entropia maggiore. Processi chimici come il fuoco o la respirazione degli esseri viventi creano differenze di tempe­ ratura nel loro ambiente, che portano a processi di compensazione, i quali procedono dall'ordine al disordine. La creazione di sistemi ini­ ziali ordinati - di cubetti di ghiaccio che navigano in un bicchiere d'acqua, di differenze di temperatura risultanti da processi chimici in questi casi non è ottenuta in sistemi isolati che subiscono un decre­ mento dell'entropia, ma in sottosistemi di sistemi più comprensivi la cui entropia totale aumenta, mentre il sottosistema viene posto in uno stato di entropia relativamente bassa. La natura abbonda di sistemi ra­ mificati di questo tipo, cioè di sistemi che si ramificano da un sistema più comprensivo, e restano isolati da quel momento per un certo tem­ po. La loro evoluzione comincia con uno stato ordinato, cioè con uno stato di entropia relativamente bassa, e progredisce verso il disordine, ovvero verso un'entropia relativamente alta. Qui usiamo la parola "re­ lativamente" per indicare che questa entropia si riferisce al sottosiste­ ma e non all'universo o al sistema principale. Questi sono i fatti osservativi a cui deve riferirsi la definizione sta­ tistica della direzione del tempo. Quando dalla disuguaglianza SB >SA

Un'interpretazione statistica

239

inferiamo che con tutta probabilità A è prima di B, questa probabilità è di tipo diverso rispetto a quella discussa in relazione all'obiezione della reversibilità: essa non si riferisce alla sequenza degli stati del siste­ ma isolato a cui appartengono gli stati A e B, ma alla serie di stati si­ mili concepita come un ensemble di sistemi ramificati. In altre parole, essa si riferisce non a un ensemble temporale, ma spaziale. La natura settoriale della direzione del tempo1 2

[ . . . ] DEFINIZIONE. La direzione in cui avviene la maggior parte dei processi termodinamici in sistemi isolati è la direzione positiva del tempo. Assumiamo, per esempio, che il nostro universo sia al momento su una salita della sua curva entropica. Le statistiche a noi accessibili ri­ guarderanno allora sempre probabilità verticali o relative a molti siste­ mi, ristrette a questa salita della curva complessiva. Non possiamo os­ servare le probabilità orizzontali nella forma delle frequenze, perché la durata delle possibili osservazioni non è abbastanza lunga. Perciò, le probabilità osservabili saranno sempre tali che la probabilità che uno stato a bassa entropia sia seguito da uno stato ad alta entropia sarà maggiore della probabilità che lo stesso stato a bassa entropia sia pre­ ceduto da uno stato ad alta entropia, fornendo quindi la definizione di tempo positivo. Vediamo, tuttavia, che queste statistiche esprimono semplicemente la direzione generale del settore della curva entropica sul quale ci capita di vivere. rentropia complessiva del mondo nel suo stato attuale non è troppo alta: l'universo negli stati ordinati ha grandi scorte, per così dire, che spende nella creazione di sistemi ramificati e così si adopera a fornirci una direzione del tempo. Questa considerazione comporta conseguenze particolari. La defi­ nizione del tempo data per la salita della curva complessiva può essere applicata ugualmente bene a una discesa. Qui, tuttavia, essa sceglie la direzione opposta come direzione del tempo positivo: a giudicare dalle disposizioni in questo settore, l'universo si muove ancora una volta verso un'entropia maggiore, se definiamo il tempo positivo in modo corrispondente. Ne consegue che non possiamo parlare di una dire-

12 Tradotto da Reichenbach ( 1 956), pp. 1 27- 1 3 5 .

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Hans Reichenbach

zione per il tempo nel suo complesso; solo certi settori del tempo han­ no delle direzioni, e queste direzioni non sono le stesse. Il primo ad avere il coraggio di trarre questa conclusione è stato Ludwig Boltzmann13• La sua concezione di direzioni alternate del tempo, che vengono definite solo in singoli settori mediante processi statistici, rappresenta una delle intuizioni più acute sul problema del tempo. I filosofi hanno tentato di derivare le proprietà del tempo dalla ragione; ma nessuna delle loro concezioni equivale a questo risultato che un fisico ha ricavato ragionando sulle implicazioni della fisica ma­ tematica. Come in molti altri punti, la superiorità di una filosofia ba­ sata sui risultati della scienza qui è diventata evidente. Non c'è nessu­ na necessità logica di affermare l'esistenza di un' unica direzione del tempo complessivo; se ci sia una sola direzione del tempo, o se le dire­ zioni del tempo si alternino, dipende dalla forma della curva entropica tracciata dall'universo. Boltzmann ha spiegato che l'alternarsi delle direzioni del tempo non rappresenta alcuna assurdità. Egli riferisce la nostra direzione del tempo al settore della curva entropica nel quale viviamo. Se dovesse accadere che "successivamente" l'universo, dopo aver raggiunto uno stato ad alta entropia ed essere rimasto in esso per lungo tempo, en­ trasse in una lunga discesa della curva entropica, allora, in questo set­ tore, il tempo avrebbe la direzione opposta: gli esseri umani che even­ tualmente vivessero durante questo periodo considererebbero come tempo positivo la transizione verso l'entropia più alta, e cosl il loro tempo scorrerebbe in una direzione opposta alla nostra. Siccome que­ sti due settori dalle direzioni temporali opposte sarebbero separati da eoni di stati ad alta entropia, in cui gli organismi viventi non possono vivere, rimarrebbe per sempre ignoto agli abitanti del secondo settore di tempo che la direzione del loro tempo era diversa dalla nostra. Ana­ logamente, due settori che partono da un punto sella in direzioni op­ poste sarebbero separati da lunghi periodi in cui la vita non potrebbe sostenersi, perché in uno stato di bassa entropia ci sarebbero alte tem­ perature localizzate in masse di materia, come palle di gas incande­ scente. La vita è limitata alle zone temperate di transizione nella curva entropica. Cosl un'alternanza delle direzioni del tempo non compor­ terebbe alcuna contraddizione per le esperienze a noi accessibili. lnfat-

B Boltzmann { 1 898) , pp. 257-258.

Un'interpretazione statistica

24 1

ti, forse siamo abitanti di un secondo settore, in cui l'entropia "in realtà" scende, senza che noi lo sappiamo. Cosa significano queste affermazioni? Ovviamente, non ha alcun significato dire di uno dei settori che la sua entropia "in realtà" au­ menta, o che la sua direzione temporale è "in realtà" positiva. Boltz­ mann paragona questo problema alla questione se noi, o quelli che vi­ vono agli antipodi rispetto a noi, abbiamo "in realtà" una posizione diritta. Tuttavia, dire che l'universo consiste di linee temporali separa­ te ma unite insieme, che vanno in direzioni opposte, ha un significa­ to, perché l'ordine temporale può essere definito nella meccanica clas­ sica e non presuppone l'entropia. Perciò possiamo parlare di un super­ tempo che ordina la curva anche nei settori di equilibrio, dove l'entro­ pia rimane praticamente costante, o nei punti sella, dove il gradiente entropico inverte la sua direzione. Il supertempo non ha alcuna dire­ zione, solo un ordine, mentre contiene settori individuali che hanno una direzione, sebbene queste direzioni si alternino da settore a setto­ re. Per le parti orizzontali della curva entropica, tuttavia, non si può definire in modo significativo una direzione del tempo14• [ . . . ] Con la sua definizione statistica di una direzione del tempo li­ mitata a un settore del tempo complessivo dell'universo, Boltzmann ha mostrato il modo di risolvere il paradosso della direzione statistica, cioè il problema di conciliare la natura unidirezionale del tempo ma­ croscopico con la reversibilità dei processi microscopici. Questo risul­ tato è il grande contributo di Boltzmann alla fisica e alla filosofia. E l'importanza di questo risultato non è sminuita dal fatto che egli abbia basato le sue considerazioni su un modello meccanico dell'atomo che non è più adeguato. Si vedrà, al contrario, che la fisica quantistica dei nostri giorni ha bisogno delle idee di Boltzmann tanto quanto la fisica basata sulla meccanica di Newton, per la semplice ragione che anche la fisica moderna non ha scoperto l'irreversibilità dei processi elemen­ tari. La natura statistica della direzione del tempo sembra essere la conclusione ultima di tutte le ricerche sulla natura del tempo. Questo fatto non sminuisce la portata che la direzionalità delle relazioni tem­ porali ha per la nostra concezione del tempo. Al contrario, si vedrà che esperienze nel nostro ambiente quotidiano offrono sostengo all'in1 4 Boltzmann ( 1 898), p. 258, parla anche della possibilità che l'universo possa consistere di domini diversi, separati da grandi spazi vuoti, che hanno simultanea­ mente direzioni del tempo opposte.

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Hans Reichenbach

terpretazione statistica della direzione del tempo, che ci dicono diret­ tamente, per cosl dire, ciò che Boltzmann ha trovato attraverso astra­ zioni dai processi termodinamici. Con la sua analisi statistica Boltz­ mann ha svelato il nucleo logico del concetto di tempo. Ma se la direzione del tempo è una questione di probabilità e di statistica, è necessario riferirsi all'insieme dei sistemi ramificati. La sto­ ria di un sistema isolato preso nel suo complesso non fornisce una di­ rezione del tempo. E anche un settore di questa storia, una salita della curva entropica, non può rispondere all'obiezione della reversibilità a meno che questo settore non mostri una struttura modellata con siste­ mi che si ramificano dal sistema principale. Lidea di replicare all'obie­ zione della reversibilità riferendosi a sistemi i cui stati iniziali a bassa entropia sono prodotti da cause esterne, è stata proposta ripetutamen­ te15. Ma questi tentativi sono stati spesso considerati come non riusci­ ti, a causa dell'opinione diffusa che deve essere possibile definire una direzione del tempo utilizzando le probabilità di un singolo sistema, cioè valide per sistemi isolati. Che questo scopo non possa essere com­ pletamente raggiunto e che rappresenti una restrizione non necessaria dovrebbe ora essere sufficientemente chiaro. Una definizione statistica della direzione del tempo presuppone una pluralità di sistemi che nelle loro fasi iniziali non siano isolati, ma raggiungano i loro improbabili stati iniziali attraverso l'interazione con altri sistemi, e da allora in poi rimangano isolati per un certo tem­ po. Che il nostro universo, che è un sistema isolato, possieda una dire­ zione del tempo è dovuto non solo all'innalzamento della sua curva entropica complessiva, ma al fatto che esso include una pluralità di si­ stemi ramificati come quelli descritti. La direzione del tempo è fornita dalla direzione dell'entropia, perché la seconda direzione diventa evi­ dente osservando il comportamento statistico di un grande numero di sistemi separati, generati individualmente nella deriva universale verso stati sempre più probabili.

!5 Per esempio, questo punto di vista è stato espresso da van der Waals ( 1 9 1 1 ) , pp. 547-549, e da Hertz (1 922), p. 76. Considerazioni simili sono presenti anche in Rei­ chenbach ( 1 929) , p. 63. Tuttavia, una sirnbolizzazione per mezzo di un reticolo pro­ babilistico non era ancora stata utilizzata in queste pubblicazioni.

Un tentativo di impartire una direzione al "problema della direzione del tempo" 1

di John Earman2

l . Introduzione

Di tutti i problemi che si trovano al confine tra la filosofia e la scienza, forse nessuno ha fatto versare tanto inchiostro, ha suscitato più con­ troversie ed emozioni del "problema della direzione del tempo". Le ra­ gioni per le quali anch'io verso altro inchiostro è che ho trovato che stranamente gran parte della controversia non è informativa e che molta carica emotiva è curiosamente infruttuosa. Questo non significa negare che, in senso lato, il problema abbia favorito la creazione di ot­ tima scienza - il lavoro iniziato da Boltzmann sull'approssimarsi all'e­ quilibrio dei sistemi termodinamici è più che sufficiente per dimo­ strarlo. Ma si è progredito molto poco sulle questioni fondamentali che il "problema della direzione del tempo" comporta. In sé ciò non sarebbe particolarmente sorprendente, perché i problemi discussi sono profondi e difficili. Ciò che è curioso, tuttavia, è che nonostante tutto l'inchiostro versato, le controversie e l'emotività, si è progredito poco nel chiarire le questioni fondamentali. Infatti, non sembra una gran esagerazione dire che la difficoltà principale nel "problema della dire­ zione del tempo" è capire in che cosa consista o in che cosa si suppone consista il problemaP Questo ci porta alla prima parte della mia analisi dell'insoddisfa­ cente situazione attuale. "Il problema della direzione del tempo" non

1 Tradono da Earman ( 1 974), pp. 1 5-23. 2 Sono debitore a Larry Sklar di molte idee e consigli: alcune idee sono buone, qualche consiglio è valido. 3 Per un'opinione simile, si veda Carnap ( 1 963) , p. 954; tr. it. pp. 933 sgg.

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John Earman

costituisce un problema unico, ma una selva di problemi, che non so­ no mai stati sufficientemente districati. Se mai, alcuni sono stati posti raramente in modo esplicito, altri sono stati posti, ma non in modo sufficientemente chiaro. La seconda parte dell'analisi riguarda quello che è stato considerato un dogma indiscutibile: la considerazione dell'irreversibilità e dell' en­ tropia è assolutamente decisiva per tutti gli aspetti del problema. Seb­ bene io ritenga ovvio che il dogma contenga elementi di verità, vorrei suggerire l'ipotesi eretica che esso non sia inviolabile e che il fatto di non mettere in discussione il suo status, ritenuto incontestabile, sia stato in parte responsabile della mancanza di progressi nel mettere be­ ne a fuoco i problemi. Quindi nel mio articolo intendo procedere nel modo seguente: in via preliminare cercherò di districare alcune delle numerose questioni che sono state discusse sotto l'etichetta "il problema della direzione del tempo" e di presentare alcune proposte provvisorie su alcuni loro aspetti, soprattutto tramite l'eresia dell' irreversibilità. Innanzi tutto de­ vo mettere in evidenza due punti: in primo luogo, questo lavoro è preliminare e rivedibile. Anche se non sono soddisfatto di gran parte del lavoro fatto in questo ambito, non credo in alcun modo di avere la risposta definitiva. Ciononostante, per favorire la discussione spesso è utile proporre obiettivi specifici facendo richieste precise, anche se non mi preoccuperò sempre di fermarmi e di etichettare queste asser­ zioni come "preliminari" e come "rivedibili". Il secondo punto riguar­ da l'eresia; sono pienamente consapevole del pericolo che corre un eretico, voglio correre questo rischio, non perché desideri essere marti­ rizzato, ma perché spero che la boccata d'aria portata dall'eresia aiu­ terà a far progredire la discussione su queste importanti e complesse questioni4•

4 La letteratura sul problema della direzione del tempo è vastissima, e qui non tenterò neppure di presentare una bibliografia esauriente. Ma il lettore può trovare un varco nella parte filosofica della letteratura in Black ( 1 962a), Griinbaum (1 963a) , Griinbaum ( 1 963) , Reichenbach ( 1 956) , Smart ( 1 963), Smart ( 1 967) , Smart ( 1 968) ; per la parte fisica della letteratura si veda Fraser ( 1 972), a cura di; Gold ( 1 967), a cura di; Stuart, Brainard, Gal-Or ( 1 970) .

Un tentativo di impartire una direzione

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2. Orientabilità temporale, orientazione temporale e ordine temporale

Lo sfondo della mia discussione sarà rappresentato dallo spaziotempo relativistico, e questo per due ragioni: la prima, molto ovvia, è che l'e­ videnza empirica indica che lo spaziotempo è relativistico; la seconda, meno ovvia, è che alcuni dei punti che voglio trattare non sorgono nel contesto dello spaziotempo newtoniano, nel senso usuale del termine. M è una varietà differenziabile dove dim(M) m"è.l, al­ lora una metrica di Lorentz per M è un campo tensoriale di classe infini­ ta, simmetrico, non nullo, che non degenera, su M di tipo (0, 2) e con indice l o m-l . Definizione 2. Uno spaziotempo relativistico è una tripla dove M è una varietà differenziabile, g è una metrica di Lorentz per M, e V è Definizione

l. Se

=

l'unica connessione simmetrica lineare compatibile con g5.

Di solito si aggiunge che M è paracompatto e connesso. La prima condizione è superflua, dato che è implicata dall'esistenza della metri­ ca di Lorentz g. Tuttavia, la connessione non è superflua e verrà assun­ ta in seguito. Se si desidera più realtà, si dovrebbe aggiungere anche che dim(M) 4. =

Definizione 3. Sia uno spazio tempo relativistico e Mx, xeM, uno spazio tangente arbitrario. I.:insieme C,, di tutti i vettori VEM..., tale che g(v, VJ =

O, è il cono nullo in x.

Definizione 4. Sia uno spaziotempo relativistico. Un vettore VEM

...

è di tipo tempo (rispettivamente, nullo, di tipo spazio) se V si trova all'inter­ no (sopra, all'esterno) di C....

Il seguente Lemma caratterizza le condizioni necessarie e sufficienti per l'esistenza di una metrica di Lorentz. Lemma l. Se M ammette una metrica di Lorentz g, allora esiste su M un campo continuo non nullo delle direzioni che è di tipo tempo rispetto a g. Invece, se M è paracompatto e ammette un campo continuo non nullo di direzioni, allora M ammette una metrica di Lorentz g rispetto alla qua­ le il campo è di tipo tempo.

Dal Lemma l segue che una varietà con la topologia di 54 non può es­ sere la base per uno spaziotempo relativistico; infatti, nessuna varietà 5 La scelta delle classi di differenziabilità di M e g è lasciata aperta, dato che in ciò che segue non c'è niente di importante che dipenda da essa.

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John Earman

semplicemente connessa, compatta, quadridimensionale, può esserlo6• La dimensionalità qui è importante perché si può porre una metrica di Lorentz su 53. Così, se M è la base per uno spaziotempo relativisti­ co, la topologia di M non può essere completamente arbitraria ma, come si vedrà in seguito, può essere abbastanza strana. È importante notare che non esiste necessariamente un campo vet­ toriale che abbraccia il campo di direzioni menzionato nel Lemma l e, perciò, che non è vero che a ogni spaziotempo relativistico possa esse­ re assegnata una coerente direzione temporale.

Definizione 5. Uno spaziotempo relativistico è detto orientabile temporalmente se esiste su M un campo vettoriale continuo non nullo che è di tipo tempo rispetto a g. Per vedere il contenuto del concetto di orientabilità temporale, si scel­ ga un punto arbitrario XEM e si chiami un lobo di Cx 'lobo futuro' , e l'altro 'lobo passato' . Ignoriamo per ora a che cosa equivalga questa scelta e come si colleghi al resto della fisica. Si trasporti un vettore, che punta verso il futuro, da x lungo una curva ad un altro punto y con un metodo continuo, che mandi vettori di tipo tempo in vettori di tipo tempo. Chiamiamo il lobo di C , nel quale cade il vettore tra­ sportato, il lobo jùturo di C . La domai'tda che sorge ora è se questa identificazione possa essere fatta in modo consistente su tutto M. La condizione di consistenza è che l'identificazione di un cono arbitrario sia indipendente dalla traiettoria del trasporto, o in modo equivalente, che non ci sia alcun punto XEM tale che il trasporto lungo una curva chiusa basata su x faccia sl che un vettore, che originariamente si trova nel lo bo futuro di ex ' cada nel lo bo passato di ex. Questa condizione di consistenza è soddisfatta proprio nel caso in cui esiste un campo vettoriale di tipo tempo continuo e non nullo su M, come deriva dal seguente lemma:

Lemma 2. Se due campi vettoriali continui di tipo tempo lungo una cur­ va data concordano rispetto alla direzione del tempo in un punto della curva, concordano in tutti i punti. Ne consegue anche che un modo equivalente di caratterizzare l' orien6 Si è assunto dappertutto che M sia senza contorno. Segue dal Lemma l che qual­ siasi M non compatto ammette una metrica di Lorentz e che un M compatto ammet­ te una metrica di Lorentz se, e solo se, la sua caratteristica di Eulero è zero.

Un tentativo di impartire una direzione

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tabilità temporale per è dire che il gruppo olonomo appar­ tiene alla componente ortocrona del gruppo di Lorentz; da questo se­ gue subito dopo che ogni spaziotempo semplicemente connesso è orientabile temporalmente e che l' orientabilità temporale può sempre essere ottenuta passando a uno spaziotempo coprente. Per i nostri sco­ pi attuali, tuttavia, la caratterizzazione data nella Definizione 5 è più utile, perché può essere estesa in modo naturale, cosl che si possa ap­ plicare a una varietà dotata di una struttura a cono nullo, ma di nessu­ na struttura affine o metrica. Siamo ora nelle condizioni di porre alcuni problemi. Pl Un qualsiasi spaziotempo non orientabile temporalmente può essere escluso a priori come palcoscenico per la fisica?

Assumendo che la risposta a Pl sia negativa, possiamo andare avanti e chiedere: P2 Il mondo reale è orientabile? P3 Mediante quale tipo di evidenza possiamo conoscere la risposta alla domanda P2?

Pl-P3 hanno ricevuto poco, o nessun, riconoscimento esplicito nella letteratura filosofica. La letteratura fisica è ambivalente; una parte di essa assume, di fatto, una risposta affermativa a Pl, una parte invece no: per esempio, Schrodinger riteneva che possiamo capire perfetta­ mente il senso di un universo non orientabile temporalmente, finché le leggi dell'universo sono invarianti per inversione temporale. Assumendo l' orientabilità temporale, possiamo andare avanti e ca­ ratterizzare i concetti di orientazione e di ordine. Definizione 6. Se è uno spaziotempo orientabile temporalmen­

te, possiamo definire in modo globalmente consistente una relazione di equivalenza S( , } sull'insieme dei vettori di tipo tempo tangenti, relazione che si instaura tra due di tali vettori U e V solo nel caso in cui essi abbia­ no la stessa direzione temporale. Il quoziente dell'insieme dei vettori tem­ po mediante S( , ) ha due elementi, 0 e 0 • La scelta di un elemento, 1 2 che contiene i vettori tempo rivolti verso il futuro, è la scelta di un'orien­ tazione temporale, o direzione del tempo, per .

In un senso, qualunque spaziotempo orientato temporalmente ha un ordine temporale. Definizione 7. Sia uno spaziotempo temporalmente orien-

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John Earman

tato, dove O è l'orientazione del tempo. Si definisca la relazione E( , ) su M x M, dove E(x, y) viene interpretata che x è cronologicamente precedente a y, richiedendo che E(x,y) valga solo in caso ci sia un differenziabile cr: [O, l ] �M, tale che cr(O) = x, cr(l) = y ed entrambi cr(t)d:O(t) e cr(t)EO per ogni tE [O, l ] .

Tuttavia, E( , ) può non essere una relazione di ordine nel senso usuale. Definizione 8. Lo spaziotempo orientato ha un ordine temporale coerente solo nel caso in cui E( , ), che è necessariamente tran­ sitiva, sia asimmetrica e, perciò, non riflessiva.

Un ordine temporale nel senso della Definizione 8 esiste se, e solo se, non ci sono curve tempo chiuse dirette verso il futuro. I.:esistenza di un ordine temporale non garantisce la presenza di altre proprietà tem­ porali, come ad esempio una funzione temporale globale, che spesso sono state ritenute certe. Definizione 9. Lo spazio tempo orientato ha una funzione temporale globale se c'è una funzione di classe infinita t:M�I!l, tale che t(x) < t(y) tutte le volte che E(x, y) .

Molte delle discussioni sulla direzione del tempo danno per scontato che ci siano un ordine temporale e una funzione temporale globale.

Ma si dovrebbe sottolineare che molti dei problemi di base relativi alla di­ rezione del tempo non presuppongono l'applicabilità di questi concetti. Quindi, possono essere posti nei termini del concetto di orientazione temporale altri tre problemi: P4 Il mondo è dotato di un'orientazione temporale? P5 Se la risposta a P4 è affermativa, da dove deriva questa orientazione?

Se la risposta è negativa, che cosa spiega la nostra sensazione psicologica di una direzione del tempo? P6 Se la risposta a P4 è affermativa, come sappiamo quale delle due orientazioni possibili è quella reale?

e P5 sono espresse in una forma piuttosto grezza; uno degli scopi di questo articolo è quello di affinarle. Se c'è un ordine temporale glo­ bale, allora P6 equivale alla seguente domanda: date E(x, y) o E(y, x), come possiamo sapere quale delle due è valida? In un certo senso, tut­ ta la conoscenza di E( , ) è derivata, cioè, è derivata dalla conoscenza delle relazioni tra eventi particolari che si instaurano nei punti spazio­ temporali. Ma c'è anche un senso ancor più radicale, secondo il quale la nostra conoscenza può essere derivata; potrebbe essere che le rela-

P4

Un tentativo di impartire una direzione

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zioni tra eventi che noi percepiamo direttamente non siano esplicita­ mente temporali, ma ciò nonostante ci consentano di inferire le rela­ zioni temporali. Un simile atteggiamento epistemologico potrebbe giustificare una concezione antologica riduzionistica che, in risposta a P5, sostiene che tutte le volte che vale (o non vale) E( , ) , ciò accade in virtù del valere (o del non valere) di una relazione non temporale R( , ) . Chiaramente, tuttavia, non è necessario che questo punto di vista antologico si fon­ di su quello epistemologico. Così, per esempio, la prospettiva antolo­ gica potrebbe essere motivata invece da una generale concezione ridu­ zionistica nei confronti dello spaziotempo, che ritiene che esso non sia un palcoscenico in cui accadono gli eventi, ma null' altro che una rete di relazioni tra eventi. Un atteggiamento riduzionistico riguardo alla direzione del tempo ha suscitato invece un certo interesse e, in alcuni casi, un'attenzione ossessiva verso l'irreversibilità; infatti, si è creduto che, se c'è una rela­ zione R( , ) del tipo voluto, essa deve venir fuori dall'irreversibilità presente nel comportamento temporale dei sistemi fisici. Se questa ir­ reversibilità è il risultato della non invarianza per inversione temporale delle leggi fisiche, allora - così va la storia - il valere (o il non valere) di R( , ) seguirà dalle leggi della fisica; dall'altro lato, se le leggi corri­ spondenti sono invarianti per inversione temporale, allora l'irreversi­ bilità e, quindi, il valere (o il non valere) di R( , ) non sarà il risultato di una necessità nomologica, ma sarà solo de facto. Ma se non c'è alcu­ na irreversibilità, né nomologica né de facto, allora non potrà esserci nessuna relazione R( , ) del genere e, perciò, nessuna direzione del tempo. È chiaro che questa breve descrizione è sommaria, e non rende giustizia alla complessità della posizione riduzionistica, tuttavia spero che aiuti il lettore ad orientarsi. Essa potrebbe anche rendere il lettore pessimista. Infatti, come si potrebbe sperare di fare qualche progresso sul problema della direzio­ ne del tempo, se questo è aggrovigliato con polemiche come quelle della teoria assoluta contro quella relazionale dello spazio e del tempo, che hanno sempre imperversato sin dai tempi di Newton e Leibniz? In realtà ci sarebbero state buone ragioni per essere pessimisti, se sin dall'inizio tali controversie si fossero dovute scontrare frontalmente. Ma si può fare qualche progresso evitando inizialmente la discussione principale e chiedendo: a parte una credenza generale nella spiegazio­ ne relazionale dello spaziotempo, c'è qualcosa di speciale nel concetto

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di orientazione temporale, che sostiene il tentativo di ridurre questo concetto ad altri non temporali? Ancora, il chiedersi in generale quan­ do una proprietà o una relazione possono essere identificate con, o ri­ dotte a, un'altra proprietà o relazione, all'inizio può essere lasciato da parte in favore di domande sulla coestensività, dato che, probabilmen­ te, questa è una condizione necessaria per l'identificazione o la ridu­ zione. Inoltre, la domanda generale su quando una proprietà o una re­ lazione devono essere considerate "non temporali" può essere riman­ data, almeno per un momento, dato che in molti casi particolari sap­ piamo come fare la distinzione; ad esempio, la relazione R( , ), tale che R(s1 , s2) che si instaura tra due stati di equilibrio s1 e s2 di un sistema termodinamico nel caso in cui l'entropia di s2 sia maggiore dell'entro­ pia di s1 , è probabilmente una relazione non temporale nel senso indi­ viduato. Naturalmente, alla fine queste profonde questioni filosofiche non possono essere evitate, ma si spera che nel momento in cui esse dovranno essere affrontate, si avrà un'idea più chiara di ciò che è in gioco nel problema della direzione del tempo. Prima di entrare nei dettagli sarà utile, per amore della contrappo­ sizione, formulare esplicitamente un punto di vista che va esattamente in senso opposto alla concezione riduzionistica tratteggiata prima. Mi riferirò a questo punto di vista come all ' eresia della direzione del tempo. Essa afferma prima di tutto che, se esiste, l' orientazione temporale è una caratteristica intrinseca dello spaziotempo che non può essere ri­ dotta, né è necessario che lo sia, a proprietà non temporali; in secondo luogo sostiene che l'esistenza dell' orientazione temporale non si im­ pernia in modo cruciale sull'irreversibilità, come la concezione ridu­ zionistica vorrebbe invece farci credere. Non sono del tutto sicuro che l'eresia della direzione del tempo sia corretta, ma sono certo che il non considerarla, se ha solo lo scopo di opporvisi, porterà solo a un'ulte­ riore stagnazione. 3. La concezione di Reichenbach dell'entropia e della direzione del tempo

Per mostrare fino a che punto sono disposti ad arrivare alcuni riduzioni­ sti, è sufficiente considerare il lavoro filosoficamente più autorevole sul problema della direzione del tempo La direzione del tempo di Hans Reichenbach. Prima di esporre la proposta di Reichenbach è necessario -

Un tentativo di impartire una direzione

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fare diverse osservazioni preliminari. In primo luogo, Reichenbach non solleva da nessuna parte le domande Pl-P3; egli assume, in effetti, che l' orientabilità temporale possa essere data per certa. In secondo luogo, quando parla di entropia, egli di solito ha in mente l'entropia come è intesa da Boltzmann. Terzo, Reichenbach non affronta mai le difficoltà insite nel congiungere la termodinamica tradizionale e la meccanica sta­ tistica con la teoria della relatività7; per ragioni di semplicità qui non le prenderò in considerazione. Qualsiasi decisione si prenda sulle proprietà delle trasformazioni di Lorentz delle quantità termodinamiche, l'entro­ pia di un sistema termodinamico misurata nel riferimento a riposo di quel sistema è una nozione dotata di significato, e questo è sufficiente per gli scopi di Reichenbach. Inoltre si può scrivere l'hamiltoniana rela­ tivistica, e quindi la funzione di partizione per un gas ideale; e ancora questo è sufficiente per consentirci di illustrare le affermazioni di Rei­ chenbach sulle implicazioni della meccanica statistica. La relazione R( , ) che sceglie Reichenbach è la direzione dell' au­ mento dell'entropia per la maggior parte dei "sistemi ramificati"8• Egli pone come definizione che la direzione futura del tempo per una data regione dello spazio tempo è la direzione dell'aumento entropico nella maggioranza dei sistemi ramificati di quell'area9• Siccome, tuttavia, Reichenbach ha riconosciuto che le leggi della meccanica statistica non solo non implicano un comportamento irreversibile nel lungo termine ma, di fatto, comportano in alcuni casi che, con un'elevata probabilità, alla lunga il comportamento entropico sarà simmetrico dal punto di vista temporale, egli si è reso conto che la sua definizione non implicava l'esistenza di una direzione temporale coerente e globa­ le. Come afferma Reichenbach: "Non c'è nessuna necessità logica di affermare l'esistenza di un'unica dire­ zione del tempo complessivo; se ci sia una sola direzione del tempo o se le direzioni del tempo si alternino, dipende dalla forma della curva entropi­ ca tracciata dall'universo" 10• 7 Si veda Stuart, Brainard, Gal-Or ( 1 970) . 8 Un sistema ramificato è un sistema che "si ramifica'', cioè viene isolato, da un si­ stema più comprensivo; per maggiori dettagli si veda Reichenbach ( 1 956) . 9 La definizione d i Reichenbach, i n Reichenbach ( 1 956) , non è relativa a una re­ gione dello spaziotempo; tuttavia, dalle osservazioni di Reichenbach è chiaro che la coerenza richiede una simile relativizzazione (si veda oltre). 10 Reichenbach ( 1 9 56), p. 1 28. C&. p. 240 in questo volume.

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E se questa curva entropica ha una certa forma, allora "non possiamo parlare di una direzione per il tempo nel suo complesso; solo certi settori del tempo hanno delle direzioni, e queste direzioni non sono le stesse" 1 1 •

Il primo punto da notare è che la proposta di Reichenbach - per co­ me io l'ho interpretata - ha diverse possibili letture, che possono por­ tare a risultati diversi. I.: espressione "regione dello spaziotempo" è am­ bigua; il secondo passo citato, e specialmente la frase "solo certi settori dello spaziotempo hanno delle direzioni" indica che Reichenbach sta assumendo che lo spaziotempo può essere suddiviso in sezioni tempo­ rali (ipersuperfici di tipo spazio globali) e che una regione dello spa­ ziotempo deve essere considerata come una sezione temporale, o forse una regione che si trova tra due sezioni vicine. Ci sono due problemi con questa interpretazione. Molti spazitempo relativistici significativi non possono essere suddivisi in sezioni temporali. Dall'altro lato, se una simile partizione esiste e le sezioni sono infinite (non compatta) , può essere impossibile definire l'entropia per l'universo nella sua inte­ rezza. Inoltre, se esistono infiniti sistemi ramificati, come si interpreta la nozione di "maggioranza dei sistemi ramificati" ? Questi problemi indicano che Reichenbach si troverebbe più a suo agio a operare con il secondo significato dell'espressione "regione dello spaziotempo", se­ condo il quale una regione dello spaziotempo deve essere considerata come una parte ristretta di una sezione temporale. Questo significato viene suggerito da altri passi, in cui Reichenbach dice che le diverse parti dell'universo potrebbero avere "simultaneamente" diverse dire­ zioni temporali12• In ogni caso, la proposta di Reichenbach non è convincente13• Non si deve dimenticare che il discorso sul tempo deve essere costrui­ to come un discorso sull'aspetto temporale dello spazio tempo. Una volta che si è ricordato questo, naturalmente ci si chiede se la struttura dello spaziotempo abbia delle implicazioni per gli argomenti in di­ scussione; la risposta - mi sembra - è che ovviamente le ha. Reichen-

1 1 Reichenbach ( 1 956), p. 1 27. C&. pp. 239-240 in questo volume. 12 Reichenbach ( 1 956), pp. 1 29, 1 39- 1 40. 13 Parte della seguente argomentazione si trova in Earman ( 1 972).

Un tentativo di impartire una direzione

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bach stesso ammette che si può assumere che lo spaziotempo sia una varietà con una struttura a cono nullo, e si può presumere che sia temporalmente orientabile. Tuttavia questo sembra sufficiente per giustificare il seguente principio di precedenza: PP Assumendo che lo spaziotempo sia temporalmente orientabile, il tra­

sporto di tipo tempo continuo ha la precedenza, rispetto a qualsiasi me­ todo (basato sull'entropia o simili) , nello stabilire la direzione del tempo; in altri termini, se le direzioni del tempo stabilite da un certo metodo in due regioni dello spaziotempo (qualunque interpretazione del termine "regione" si scelga) non concordano quando vengono confrontate me­ diante il trasporto, che è continuo e che porta vettori tempo in vettori di tipo tempo, allora se una direzione è giusta, l'altra è sbagliata.

Per farla breve, PP dice che (assumendo l' orientabilità temporale) una volta che la direzione del tempo è stabilita in un qualsiasi punto nello spaziotempo, la struttura dello spaziotempo (in particolare, la struttu­ ra a cono nullo e la continuità spaziotemporale) serve per fissarlo do­ vunque. Da PP possiamo concludere che se c'è disaccordo, allora o (i) la di­ rezione temporale non è né giusta né sbagliata, oppure (ii) una è giu­ sta e l'altra è sbagliata e, perciò, il metodo dato in generale non è cor­ retto. Utilizzando il seguente fatto: F Con il metodo dell'entropia di Reichenbach è sempre fisicamente pos­ sibile, e in molti casi altamente probabile (secondo la meccanica statisti­ ca) , che ci sarà disaccordo

possiamo concludere che è sempre fisicamente possibile, e in molti ca­ si altamente probabile, che (a) riguardo alla direzione del tempo non esiste giusto o sbagliato - dire quale direzione sia "realmente" il futuro e quale sia "realmente" il passato non ha significato in tutti i luoghi dello spaziotempo, o (h) il metodo dell'entropia da qualche parte nel­ lo spaziotempo dà il risultato sbagliato. Reichenbach non può accetta­ re né (a) né (b) perché afferma che il contenuto del concetto di dire­ zione del tempo, purificato dall'analisi filosofica, è dato dal metodo dell'entropia. Che cosa si può dire in difesa di PP? Dubito che ci sia una giustifi­ cazione qualsiasi in grado di convincere qualcuno che ha rifiutato di spostarsi dalla posizione di Reichenbach. Si può sottolineare che (as­ sumendo l'orientabilità temporale) il trasporto continuo di tipo tem­ po di un vettore non porta a nessuna inversione della direzione del

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John Earman

tempo, ma mantiene sempre rivolto verso il futuro un vettore diretto verso il futuro, e rivolto verso il passato un vettore diretto al passato. Naturalmente, un sostenitore di Reichenbach non concorderebbe con il significato dell'espressione "rivolto al futuro (o al passato)" utilizzata qui. Perciò certamente PP non può essere utilizzato per risolvere le questioni poste dalle citazioni di Reichenbach. D'altro lato, non vedo come chiunque accetti gli elementi della struttura dello spaziotempo introdotti prima possa, senza aggirare il problema, contraddire PP; le considerazioni sulla struttura dello spaziotempo in generale e PP in particolare dovrebbero determinare a dir poco un certo scetticismo ri­ guardo alla posizione di Reichenbach. Una volta che questo atteggia­ mento scettico si è innestato, è molto più probabile che si esaminino le concezioni di Reichenbach con occhio critico. Un tentativo di riconciliare il metodo dell'entropia di Reichenbach con PP sarebbe quello di applicare il metodo dell'entropia a qualche regione dello spaziotempo, per determinare una direzione del tempo valida per quella regione, e quindi utilizzare un trasporto continuo di tipo tempo per stabilire una direzione del tempo per le altre regioni. Ma un simile tentativo non riesce neppure ad appianare le divergenze. Se il metodo dell'entropia funziona per una regione, perché non fun­ ziona per tutte? Se la direzione del tempo che ne risulta dipende dalla scelta della regione alla quale è applicato il metodo dell'entropia, co­ me sappiamo quale è la regione giusta a cui applicarlo? Se si risponde che non c'è nessuna regione "giusta'', dato che non c'è niente che di­ venti giusto o sbagliato, allora l'entropia diventa del tutto irrilevante e si potrebbe anche lanciare una moneta. [ ... ]

Su e gi ù, sinistra e destra, passato e futu ro1

di Lawrence Sklar

L'affermazione che la direzione del tempo può essere spiegata in relazione alla direzione in cui /entropia dei sistemi fisici aumenta nel tempo è sem­ brata entusiasmante e plausibile ad alcuni, grottescamente assurda ad al­ tri. Ritengo che parte del dissenso derivi da un fraintendimento generale su quale tipo di relazione tra asimmetria temporale e asimmetria entropi­ ca venga proposta dai sostenitori della prospettiva riduzionista. Esamineremo e metteremo a confronto due altri esempi: /associazione dei sistemi asimmetrici in direzione sinistra-destra con le asimmetrie nelle interazioni deboli, e /associazione delle direzioni spaziali 'su' e 'giù ' con il gradiente locale del campo gravitazionale. Mentre la prima non indurreb­ be una persona ragionevole a sostenere che la sinistra e la destra si riduca­ no in un qualche senso alle caratteristiche proprie delle interazioni debo­ li, la persona sensata concluderà invece che la distinzione familiare tra su e giù si riduce effettivamente a caratteristiche del mondo che possono essere definite solo nei termini della direzione locale in cui aumenta il campo gravitazionale. A quale caso dovremmo appellarci quando tentiamo di comprendere la relazione dell'asimmetria temporale con /asimmetria en­ tropica? Qui proponiamo l'ipotesi che la presunta riduzione del/asimmetria temporale a quella entropica sia di un genere simile a quello effettuato dalle riduzioni identificative nella scienza, non invece del tipo di riduzio­ ne, epistemicamente motivata, divenuta familiare ai filosofi grazie a esempi come quello della cosiddetta riduzione fonomenistica degli oggetti ai dati sensoriali. Alcuni tra i sostenitori della riduzione entropica alla­ simmetria temporale non hanno chiarito questo. Descriveremo parte del 1 Tradotto da Sklar { 1 985), pp. 305-326.

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lavoro che sarebbe necessario fare per rendere la riduzione, compresa in questi termini, plausibile. Inoltre sottolineeremo alcuni problemi fonda­ mentali che affliggeranno qualunque pretesa che una riduzione di questo genere riesca. I Poche tesi filosofiche eguagliano l'impatto spettacolare e la brillante intuizione della geniale ipotesi di Boltzmann, secondo la quale la no­ zione intuitiva della direzione del tempo è riconducibile a caratteristi­ che del mondo che possono essere definite mediante la teoria dell'or­ dine e del disordine, riassunta nella nozione di entropia. Boltzmann, sostenendo che l'evoluzione dei sistemi isolati va verso stati di altissi­ ma entropia, che sono descritti fenomenologicamente dalla seconda legge della termodinamica, e avendo dato con la sua teoria della mec­ canica statistica una spiegazione molto più profonda dei processi irre­ versibili, ha suggerito che, piuttosto che ritenere che queste teorie de­ scrivano semplicemente il cambiamento asimmetrico del mondo dal passato al futuro, dovremmo trovare in esse la base stessa della nostra idea della distinzione tra la direzione del passato e quella del futuro. Partendo dalle osservazioni piuttosto incomplete di Boltzmann, Reichenbach, in quello che molti considerano il suo maggiore contri­ buto alla filosofia della fisica, ha elaborato per noi una spiegazione molto complessa e sottile della teoria entropica dell'ordine temporale. Tuttavia, nonostante gli sforzi veramente impressionanti di Reichen­ bach e l'ulteriore illuminante lavoro di altri che lo hanno seguito, co­ me Griinbaum, Watanabe, Costa de Beauregard e altri, l'affermazione che la stessa nozione di asimmetria temporale si riduca a quella di asimmetria dei processi entropici nel tempo rimane, a dir poco, con­ troversa. A qualcuno sembra a grandi linee banalmente vera, indipen­ dentemente dai dettagli ancora necessari per completarla. A molti al­ tri, invece, l'idea stessa del programma sembra, fin dalla prima im­ pressione, assurda. Benché molto rimanga da fare dalla parte "fisicà' di questo proble­ ma, nel senso di fornirci un'unica coerente spiegazione fisica dell'ori­ gine dell'asimmetria entropica, e di descrivere definitivamente la con­ nessione fisica di questa asimmetria con le altre fondamentali asimme­ trie temporali del mondo, come il carattere esterno della radiazione e

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l'espansione cosmica; tuttavia credo che una comprensione delle origi­ ni di questa persistente controversia si possa ottenere anche tentando di esplicitare meglio alcuni aspetti filosofici della questione, riguardo ai quali non siamo ancora stati cosl chiari come avremmo potuto. In particolare, penso sia necessario chiarire meglio di quanto sia stato fat­ to finora in che senso esattamente la teoria entropica sostenga che le affermazioni sulla direzione del tempo sono "riducibili" ad affermazio­ ni sui processi entropici. Abbiamo a disposizione almeno due nozioni fondamentalmente diverse della riduzione di significato, e io ritengo che la confusione su quale sia esattamente il senso che ha in mente il teorico dell'entropia sia servita per offuscare i problemi in modo signi­ ficativo. Come via di accesso a tale questione mi piacerebbe fare alcuni con­ fronti tra tre diverse asimmetrie nel mondo: quella tra le direzioni su e giù dello spazio, quella tra sistemi orientati a sinistra e a destra, e quel­ la tra le direzioni del passato e del futuro. Penso che indagare le analo­ gie e le differenze tra questi tre casi di "asimmetrià' possa chiarire pro­ prio ciò che il teorico dell'entropia sta realmente sostenendo. Non cre­ do che la comprensione che possiamo raggiungere risolverà il proble­ ma se il teorico dell'entropia abbia ragione o meno, ma forse chiarire­ mo meglio che cosa sia lui che i suoi oppositori abbiano diritto di far valere come prova favorevole o contraria alla posizione riduzionista. II Noi abbiamo un'idea della distinzione tra destra e sinistra e in più ab­ biamo nozioni individuali dei sistemi orientati a destra e a sinistra; possiamo identificare correttamente oggetti fatti per la mano sinistra o per la destra, educhiamo altri a fare altrettanto, comunichiamo in mo­ do sensato usando espressioni come: "Portami al club del golf per mancini , eccetera. Ora, potrebbero esserci fenomeni fisici descritti da leggi non sim­ metriche rispetto alla destra e alla sinistra. La teoria fisica attuale po­ stula che sia così, come mostrano gli esempi ben noti della non con­ servazione della parità nelle interazioni deboli, sebbene rimanga anco­ ra una questione aperta se questa situazione persista fino al livello del­ le leggi "più fondamentali" . Certamente ci sono nel mondo molti fe­ nomeni - ad esempio, la preponderanza del destrosio rispetto al levu.

.,

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losio, eccetera - che, de facto, più che in conformità a leggi naturali, non sono simmetrici in maniera speculare. Ma nessuna di queste asimmetrie nell'orientazione, che sono nel mondo, ha a che fare con ciò che intendiamo con sinistra e destra? C'è qualche senso plausibile secondo cui i concetti di orientazione "si riducono" a quelli di un'o­ rientazione che, a giudicare dalla prima impressione, non è di tipo spaziale? Molti di noi pensano di no. Naturalmente succede che se volessi­ mo insegnare a qualcuno il significato, ad esempio, del termine "sini­ strà', senza portargli un particolare oggetto sinistrorso, dovremmo far­ lo per mezw di una delle caratteristiche note del mondo che, de facto o in conformità alle leggi fisiche, sono associate con l' orientazione (''la sinistra è l'orientazione in cui . . . ") . Anche in questo caso, come sap­ piamo, ci sono difficoltà nell'assumere che per l'altro valgano le stesse associazioni che valgono per noi (che cosa succederebbe se lui vivesse in un mondo di antimateria e valesse l'invarianza di CP? Che cosa se ci fosse più levulosio che destrosio sul suo pianeta?) . E, naturalmente, se uno segue la linea (discutibile) che un possibile mondo a immagine speculare sarebbe lo stesso mondo possibile rispetto a quello attuale, dovrebbe assumere che in questo mondo speculare valessero le leggi e le correlazioni de facto speculari, per soddisfare l'argomento leibnizia­ no (la somiglianza delle qualità implica l'identità dei mondi possibili) . Ma nulla di tutto ciò è sufficiente per sostenere in alcun modo l' affer­ mazione che sinistrorso sia proprio, o che "sinistrà' significhi proprio, una relazione (un termine di relazione) che può essere espresso me­ diante concetti che prima facie non sono di orientazione. Supponiamo, per esempio, che siano avvenuti in questo mondo al­ cuni miracoli straordinari nel vero senso della parola. Fra tutti, comin­ cia a verificarsi un'improvvisa emissione di elettroni provenienti da nuclei in rotazione, emissione che prevalentemente avviene nella dire­ zione opposta rispetto all'attuale direzione assiale privilegiata. Direm­ mo allora che la direzione in senso orario si è trasformata in senso an­ tiorario? Che dei guanti per la mano destra sono diventati improvvisa­ mente per la mano sinistra? Niente del genere. Infatti rimarremmo sorpresi e cercheremmo disperatamente qualche spiegazione di questa inversione speculare di una legge. Ma, credo, noi riterremmo ancora valida questa legge, cosl da poter riconoscere come prima gli oggetti destrorsi e sinistrorsi, insegnare come prima il significato dei termini che indicano l' orientazione mostrando la per astensione, eccetera.

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Noi crediamo che l' orientazione sia esattamente una proprietà geo­ metrica di base di un sistema orientato; dal punto di vista epistemico ci si presenta in un modo tanto diretto quanto qualsiasi proprietà geo­ metrica del mondo. I significati dei nostri termini di orientazione ven­ gono stabiliti mostrandoci particolari oggetti orientati e grazie alla no­ stra facilità nell'astrarre la proprietà corretta voluta dall'insegnante. Nulla che riguardi le interazioni deboli è qui in alcun modo impor­ tante. Quando scopriamo che di fatto le interazioni deboli avvengono in un modo che permette di distinguere un'orientazione, abbiamo a che fare semplicemente con la scoperta empirica di una correlazione conforme alle leggi naturali. Se anche vivessimo in un universo in cui per legge, o semplicemente come dato di fatto onnipervasivo, tutti gli oggetti rossi fossero quadrati e tutti gli oggetti quadrati fossero rossi, questo fatto da solo difficilmente costituirebbe una motivazione suffi­ ciente per dire che l'essere rosso equivalga all'essere quadrato, né che 'rosso' significhi 'quadrato'. [ . . ] .

III Considerazioni come le precedenti potrebbero indurci per analogia a fare osservazioni equivalenti sull'aumento di entropia e sulla direzione del futuro. Le cose non stanno proprio come nel caso delle interazioni deboli: noi scopriamo nel mondo correlazioni molto frequenti, un tempo il cui status non è fondato sulle leggi naturali, ma probabil­ mente non può nemmeno essere considerato solo come de facto. Ma perché questo dovrebbe in qualche modo portarci a pensare che il concetto stesso di futuro si riduca in ogni senso a quello di aumento dell'entropia? Eppure Wittgenstein ci ha messo in guardia dalle carenze causate da una dieta non bilanciata di analogie, e noi dovremmo essere cauti prima di dare un giudizio affrettato e considerare un altro esempio, che sembra fornire un'analogia a sostegno del punto di vista esatta­ mente opposto sul tempo e l'entropia. l:integratore dietetico adatto ci viene fornito dall'eccellente, anche se incompleta, presentazione che Boltzmann fa della sua concezione nelle Lezioni sulla teoria dei gas: Si può pensare al mondo come a un sistema meccanico caratterizzato da un numero enorme di componenti, e da un periodo di tempo immensa-

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mente lungo, così che le dimensioni di quelle parti che contengono le nostre "stelle fisse" siano molto piccole in confronto all'estensione dell'u­ niverso; inoltre i tempi che noi chiamiamo "eoni" siano altrettanto brevi se paragonati a un tale periodo. Allora nell'universo, che è in equilibrio termico da ogni parte e perciò è morto, si troveranno qua e là regioni re­ lativamente piccole, delle stesse dimensioni della nostra galassia (noi le chiamiamo "universi singoli") , che durante il tempo relativamente breve degli eoni si allontanano in maniera significativa dall'equilibrio termico; infatti in tali casi la probabilità dello stato tenderà ugualmente ad aumen­ tare o a diminuire. Per l'universo, le due direzioni del tempo sono indi­ stinguibili, così come nello spazio non ce su e giù. Tuttavia, come in un pun­

to particolare sulla superficie terrestre noi diciamo "giù " la direzione verso il centro della terra, così un essere vivente in un particolare intervallo di tempo di questo universo singolo distingue la direzione del tempo verso lo stato meno probabile dalla direzione opposta (la prima verso il passato, la seconda verso ilfoturo)2. (corsivo nostro)

Passato e futuro, allora, devono essere considerati come 'su' e 'giù' , e l'evoluzione verso stati di entropia maggiore come la direzione del gra­ diente del campo gravitazionale {la naturale generalizzazione della di­ rezione del centro della terra) . Vale la pena, allora, chiederci cosa effet­ tivamente diciamo e cosa invece dovremmo dire della relazione tra il su e il giù e le direzioni caratterizzate mediante la gravitazione, e cer­ care le ragioni della posizione da noi assunta. Dobbiamo allora chie­ derci se le cose stiano proprio in questo modo, con un passato, un fu­ turo e direzioni temporali che vengono individuate mediante le carat­ teristiche entropiche del mondo. IV Noi abbiamo una comprensione "prescientificà', "prefilosoficà', della distinzione tra la direzione verso l'alto e quella verso il basso dello spa­ zio. Possiamo comunicare mediante questi concetti perché sono com­ prensibili e adatti a un linguaggio intersoggettivo. Potremmo farli ap­ prendere entrambi a qualcuno, sia mediante un' ostensione che si basa sull'osservazione del comportamento degli oggetti (in senso lato, essi si muovono, quando sono senza appoggi, nella direzione verso il bas2 Boltzmann ( 1 896- 1 898), pp. 446-447.

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so) , sia facendo affidamento sul nostro "senso" interno della direzione verso il basso, cioè utilizzando il nostro senso di questa direzione per individuarla e poi mostrarla a un altro, che a sua volta quindi la iden­ tificherà mediante il proprio "senso" interno della direzione 'giù'. Di primo acchito noi la vediamo come una nozione globale, nel senso che un vettore che punta verso il basso, se viene spostato parallela­ mente, rimane puntato verso il basso. Ma poi scopriamo la gravitazione; infatti arriviamo a capire che è la direzione locale del gradiente del campo gravitazionale (sulla super­ ficie della terra, la direzione locale del centro della terra) che "indivi­ duà' in ogni punto la direzione verso il basso. Tuttavia diciamo "indi­ viduà' in un senso profondo. Non è che il gradiente locale punti vera­ mente verso il basso, e il fatto che la direzione locale del gradiente gra­ vitazionale sia rivolta verso il basso non è neppure una questione di necessità imposta dalle leggi fisiche. È piuttosto il riferimento al com­ portamento locale del gradiente della gravità che fornisce un'ampia e completa spiegazione di tutti quei fenomeni di cui ci servivamo all'i­ nizio per stabilire ciò che in primo luogo intendevamo con "la dire­ zione verso il basso" . Conoscendo la gravità, capiamo perché, in generale, gli oggetti ca­ dono verso il basso. Comprendendo la gravità e poche altre cose, sap­ piamo anche perché le mongolfiere a elio, le fiamme, eccetera, invece non cadono. La teoria della gravitazione ci dà una spiegazione com­ pleta, coerente e globale di tutti i fenomeni che abbiamo associato con la nozione di 'giù', nel senso che abbiamo utilizzato per stabilire il si­ gnificato esatto, o almeno un riferimento, al 'giù' . Sappiamo anche (sebbene, dobbiamo ammetterlo, solo in modo vago) perché capita che possiamo individuare la direzione verso il bas­ so tramite una sensazione "internà', perché possiamo sapere quale lato è quello 'giù' senza mai osservare un oggetto esterno che cade. La spie­ gazione fa riferimento alle forze, ancora una volta spiegate mediante la gravitazione, che si esercitano sul liquido che si trova nell'orecchio in­ terno. La dimostrazione o un ampio resoconto di questo fenomeno sono probabilmente di una certa complessità, ma possiamo basarci su una deduzione a partire dal comportamento degli esseri viventi più semplici. Ci sono pesci che nel corpo hanno delle sacche che conten­ gono sabbia. Se togli la sabbia, la sostituisci con del materiale ferroso e metti un magnete al di sopra del serbatoio del pesce, il pesce nuoterà capovolto. Sicuramente succede anche in noi qualcosa di simile. In

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ogni caso non mettiamo in dubbio che la spiegazione fisiologica ulti­ ma della nostra percezione interna del 'giù' si riferisca, in definitiva, all'effetto delle forze gravitazionali su qualche appropriato componen­ te di un organo corporeo. Come potremmo descrivere in modo adeguato la relazione tra il 'giù' e 'la direzione del gradiente del campo gravitazionale' ? Qui non sto cercando la descrizione ideale in termini metafisico-semantici ela­ borata in modo astratto, ma piuttosto le cose che, all'inizio, eravamo propensi a dire intuitivamente. Non sarebbe molto strano dire che la direzione verso il basso è la direzione del gradiente gravitazionale, perché ciò sarebbe vero se fosse solo per un caso fortuito che la direzione giù e quella del gradiente coincidessero. Invece abbiamo l'impressione che la direzione verso il basso sia proprio "costituità' (qualunque cosa ciò significhi) dalla dire­ zione del gradiente. Forse la locuzione corretta sarebbe: 'giù' (la stessa relazione verso il basso in se stessa) è (è identica a) la relazione tra punti, caratterizzata dal fatto che uno è più in basso nel potenziale gravitazionale rispetto all'altro. Noi identifichiamo la relazione, propria di a, di 'essere più giù rispetto a b' , con il fatto che a ha un potenziale gravitazionale più basso di b (naturalmente la cosa è più complicata di cosl, perché b potrebbe essere molto lontano da a, e in tal caso non useremmo questi termini se ci fossero, ad esempio, regioni intermedie con un potenziale più alto, ma io qui sto volutamente semplificando in modo grossolano ed eccessivo). Posta in questo modo, la "riduzio­ ne" della relazione tra su e giù a quella gravitazionale ha una stretta somiglianza con le identificazioni tra sostanze di cui si serve la ridu­ zione teorica (l'acqua è H2 0, le onde luminose sono onde elettroma­ gnetiche) . Ma si tratta di un'identificazione delle proprietà (o delle re­ lazioni) piuttosto che delle sostanze. Penso che qualcuno vorrebbe andare oltre, sostenendo che la ridu­ zione instaurata è sufficiente per dire che il vero significato di 'giù' può essere dato caratterizzando in modo appropriato una relazione me­ diante il gradiente gravitazionale. Ora, il significato è una nozione an­ cora abbastanza svincolata da una vera e propria teoria da permetterei, con una certa plausibilità, di dire molte cose diverse. Se mettessimo in evidenza la connessione del significato con i criteri di applicabilità (procedure di verificazione, definizioni operative, eccetera) , saremmo portati a dire che, sebbene 'giù' non significhi (o almeno non significa­ va) 'la direzione del gradiente gravitazionale', è stata una scoperta em-

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pirica che ci ha fatto capire che la relazione 'verso il basso' era la rela­ zione descritta facendo riferimento alla gravitazione. Da questo punto di vista si è verificato un cambiamento di significato quando gli scien­ ziati, ora pienamente consapevoli della spiegazione gravitazionale dei fenomeni 'su-giù', hanno cominciato a usare il termine 'giù' semplice­ mente per indicare la direzione locale del gradiente del campo gravita­ zionale. Sottolineando, dall'altro lato, l'associazione del significato con il ri­ ferimento, alla maniera di alcune recenti affermazioni della semantica sui nomi propri e i termini che indicano i generi naturali, potremmo invece essere propensi a fare asserzioni del genere: "'Giù' ha sempre si­ gnificato la direzione locale del gradiente gravitazionale". Naturalmen­ te è ancora una scoperta a favore della nostra posizione, che la gravità giochi il ruolo esplicativo che effettivamente ha. Da questo punto di vista potremmo anche avere la tentazione di dire che, prima che si giungesse a comprendere pienamente la spiegazione gravitazionale dei fenomeni su-giù, semplicemente non si era capito ciò che si intendeva con il termine 'giù' . E ovviamente ora si comincerà ad affermare come verità necessaria che la direzione verso il basso è quella del gradiente gravitazionale, accettando nello schema le proposizioni ora familiari, necessarie a posteriori, che risultano da una simile semantica "referen­ zialistica''3. Non voglio discutere qui nessuno degli argomenti favorevo­ li o contrari a una simile concezione del significato, ma solo sottolinea­ re ancora una volta che, per quanto una riduzione della relazione tra su e giù a quella caratterizzata nei termini del gradiente gravitazionale sia del tutto plausibile, si tratta di una riduzione che ha somiglianze molto evidenti con le riduzioni fatte per mezzo dell'identificazione di sostan­ ze, così familiare a noi in altri casi di riduzione interteorica. Essa ha una somiglianza ancora maggiore con le identificazioni tra proprietà, come nell'esempio ben noto (anche se abusato) dei filosofi: "La tempe­ ratura è (è identica a) l'energia cinetica media delle molecole". Per quanto questa affermazione possa essere eccessivamente semplicistica, l'essenza di ciò che sta suggerendo è sicuramente esatta. "'Giù' è (è identico a) la direzione del gradiente gravitazionale" sembra un' affer­ mazione dello stesso ordine e che, se mai, probabilmente necessita di meno qualificazioni e restrizioni di quante non ne siano richieste nel passaggio dalla termodinamica alla meccanica statistica. 3 Si veda Kripke ( 1 972).

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È importante a questo punto mettere in evidenza il tipo di ridu­

zione a cui quella in discussione certamente non appartiene. Forse in questo contesto nessuno commetterebbe mai un errore del genere, da cui qui sto mettendo in guardia, ma credo che nel contesto del pro­ blema della direzione del tempo proprio una confusione sui diversi ti­ pi di riduzione abbia contribuito a confondere le acque. Quando di­ ciamo che la relazione su-giù è ridotta alla relazione del gradiente gra­ vitazionale, non stiamo facendo un'affermazione basata su una prio­ rità di accesso epistemico. Una simile asserzione ci è familiare quando si dice che le proposizioni sugli oggetti materiali "si riducono" a pro­ posizioni sui dati sensoriali, le affermazioni sulla metrica spaziotempo­ rale "si riducono" a proposizioni sulla congruenza locale dei concreti strumenti di misura, eccetera. In questo caso, diversamente da quelli appena citati, non si sostiene che il nostro accesso epistemico alla rela­ zione su-giù sia mediato da una sorta di "consapevolezza direttà' della relazione gravitazionale; né che qualche tipo di gerarchia nell'imme­ diatezza epistemica ci dica che le proposizioni sulla relazione su-giù inizialmente considerate, derivate dalle affermazioni sulla gravitazione, sono realmente traducibili in insiemi logici di proposizioni di tipo gravitazionale. Si afferma invece che è mediante la ricerca empirica che si scopre che la relazione su-giù è identica a una relazione più fon­ damentale, che può essere caratterizzata in relazione al campo gravita­ zionale. 'Giù' è la direzione del gradiente gravitazionale come l'acqua è H2 O, la luce è radiazione elettromagnetica e la temperatura è l' ener­ gia cinetica media. I tavoli non sono costrutti logici separati dai dati sensoriali, e le congruenze non locali sono costrutti logici separati da aste e orologi trasportati nello spaziotempo. Sarà utile a questo punto dire qualcosa di un ulteriore aspetto della riduzione della relazione su-giù a quella del gradiente gravitazionale. Prima di capire la natura gravitazionale del 'giù' noi abbiamo visto in­ tuitivamente la direzione verso il basso in modo globale: in ogni pun­ to la direzione verso il basso era parallela alla direzione verso il basso in qualunque altro punto (naturalmente questa descrizione della si­ tuazione è in un certo senso una parodia del modo in cui, lentamente nel corso del tempo, è avvenuto il cambiamento concettuale. Aristarco era ben consapevole della natura sferica della terra e probabilmente pienamente a conoscenza del fatto che il 'giù' a Tebe non era parallelo al 'giù' ad Atene) . Riconoscendo la natura gravitazionale della relazio­ ne su-giù, adesso comprendiamo chiaramente che ciò che è 'giù' per

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noi certamente non sarà parallelo a ciò che è giù per qualcuno che si trova in un punto diverso sulla superficie della terra. Noi comprendia­ mo anche che in alcuni punti dello spazio in realtà non ci sarà affatto nessuna direzione verso il basso. Ovviamente ci sono molti modi con i quali possiamo descrivere tutto ciò. Possiamo farlo, se vogliamo prendere il termine 'giù' per in­ dicare la direzione del gradiente gravitazionale nel luogo in cui siamo collocati noi, identificando la direzione verso il basso in qualche altro posto come la direzione parallela in quel punto al nostro giù. Da que­ sto punto di vista, infatti, gli Australiani vivono la loro vita a testa in giù. Per eliminare ogni confusione, potremmo introdurre un'infinità non numerabile di "giù" con un indice sottoscritto, "giù ", che indica­ no la direzione verso il basso rispetto al punto a cui si ri ferisce l'indice sottoscritto. Allora gli Australiani vivono a testa in giù rispetto agli Stati Uniti (gil1us.J ma, naturalmente, a testa in su rispetto all'Austra­ lia (suAUST) . Oppure, più elegantemente, possiamo semplicemente considerare che 'giù' abbia un significato esplicito ma che funziona al­ la maniera di un segno riflessivo, perlomeno nella misura in cui:

( l ) ciò che intende, per 'direzione verso il basso', un parlante che sta in un certo luogo è la direzione del gradiente gravitazionale in quel punto; (2) ciò che intende, per 'direzione verso il basso', un parlante che sta in un altro posto è la direzione del gradiente gravitazionale in quel punto; (3) e non c'è alcun motivo per pensare a priori che il riferimento delle due espressioni che indicano 'giù' sia lo stesso. Da questo punto di vista, è chiaro il senso in cui il significato del ter­ mine 'giù' è lo stesso per tutti i parlanti in tutti i luoghi.

v

È chiaro - a mio parere - che la teoria entropica della direzione tem­ porale, se deve essere pienamente plausibile, dovrebbe essere vista co­ me una riduzione "scientifica'', motivata dalla scoperta empirica di un'identificazio ne delle proprietà (o delle relazioni) , e non come esempio di riduzione "filosofica'', giustificata mediante l'analisi critica delle modalità di accesso epistemico al mondo a noi possibili. Forse per molti questo è evidente, ma per me non lo è sempre stato, e alme­ no qualcun altro ancora è stato tratto in inganno. La citazione che se-

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guirà, ad esempio, è forse indicativa di questa confusione delle diverse modalità di riduzione. Ritengo che qui sia appropriata, anche se si ri­ ferisce a una teoria causale della direzione del tempo, siccome, dopo tutto, la teoria è da molti anni una teoria entropica della direzione temporale, piuttosto che una teoria causale. Talvolta si è sostenuto che la direzione del tempo e la causalità sono corre­ late, perché la stessa direzione del tempo deve essere analizzata in termini causali. Tuttavia, almeno dal punto di vista dell analisi concettuale, ciò deve essere sbagliato. Possiamo pensare ad eventi che si succedono l'un l'altro nel tempo anche se non ci sono legami causali tra nessuno di essi, e tanto meno tra i membri di ciascuna coppia, uno dei quali è precedente rispetto all'altro. Inoltre, il nostro concetto della direzione del tempo è basato su un'e­ '

sperienza piuttosto semplice e immediata del fotto che un evento viene subito dopo un altro, o di un processo che avanza - diciamo del movimento di qualcosa - con una fase successiva, che ne segue una precedente. Natural­ mente che noi abbiamo tali esperienze potrebbe dipendere in qualche mo­ do da processi causali asimmetrici che avvengono dentro di noi - potrem­ mo avere indicatori di direzione temporale inconsci governati internamen­ te in maniera causale - ma anche se così fosse, ciò non significherebbe che il nostro concetto della direzione del tempo sarebbe riconducibile a quello di direzione causale. La nostra esperienza del precedente e del successivo, su

cui è basato il nostro concetto di direzione del tempo, rimane essa stessa prima­ ria, anche se ha qualche origine causale sconosciuta4•

Ma se il sostenitore della spiegazione entropica ha in mente la riduzio­ ne di tipo "scientifico", allora non dà alcun fastidio la semplice espe­ rienza immediata degli eventi precedenti e successivi, o dei processi in corso, e nessun riferimento alla capacità di immaginare (di pensare a) eventi che sono ordinati temporalmente senza essere correlati dal pun­ to di vista entropico confuterà l'affermazione, intesa in questo senso, che la relazione 'successivo-à è (è identica a) qualche relazione caratte­ rizzata in termini di entropia; non confuterà nemmeno che, secondo il significato che abbiamo sottolineato prima, 'successivo à significa in un certo senso 'che stabilisce qualche appropriata relazione a, caratte­ rizzabile mediante l' entropià.

4 Mackie ( 1 977) (corsivo nostro) . Per altre dichiarazioni di scetticismo sulla teoria entropica, si vedano Earman (1 974) , e Sklar (1 974), pp. 404-4 1 1 . Importantissimo è anche il cap. 5 di Eddington (1 928a) , intitolato "Il divenire"; tr. it. p. 82.

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Siccome in generale le due nozioni di riduzione concettuale che ho distinto vengono confuse facilmente, non ci dobbiamo sorprendere troppo che non ci sia sempre stata chiarezza nel dire a quale riduzione si riferisca la teoria entropica della direzione temporale. Ritengo tutta­ via che alcuni degli argomenti veri e propri utilizzati dai teorici del­ l'entropia abbiano reso la confusione ancora più radicata. Per esem­ pio, i sostenitori della spiegazione entropica spesso ci chiedono di esa­ minare come distingueremmo una sequenza di eventi che scorrono nell'ordine esatto dalla sequenza che va nell'ordine inverso, facendoci notare che la distinzione può essere fatta solo (o piuttosto così si affer­ ma) quando sono presenti le caratteristiche entropiche del mondo, e che è per mezzo della prevista dispersione dell'ordine nel disordine che possiamo giudicare se la sequenza sta andando nella direzione giu­ sta. Se ciò è finalizzato solo a mostrarci che le caratteristiche entropi­ che del mondo sono, almeno, le più rilevanti per l'asimmetria nell'or­ dine del tempo e, perciò, i candidati principali per una riduzione di tipo scientifico, allora tutto ciò è innocuo. Ma da questo argomento è facile scivolare nell'affermazione dubbia che noi deriviamo l'ordine temporale degli eventi nel mondo reale per inferenza dalla conoscenza dell'ordine degli stati, che viene stabilito in relazione all'entropia. Co­ me hanno sottolineato Mackie e altri, questo in realtà è incerto. Ma l'aspetto dubbio di quest'ultima affermazione è solo l'argomento con­ tro la teoria "filosofica'' della riduzione dell'ordine temporale all'entro­ pia; infatti in nessun modo questo potrebbe confutare un'affermazio­ ne riduttiva di tipo "scientifico". Consideriamo inoltre il passaggio di Reichenbach da una spiega­ zione causale della direzione a una che si serve dell'entropia. Se ciò che si sostiene è che l'unica nozione causale pertinente è la connettibi­ lità causale, che questa è simmetrica dal punto di vista temporale e perciò non è un candidato adatto ad essere la base di riduzione della relazione che stabilisce l'ordine temporale, allora questo è un punto attinente alle riduzioni di tipo identificativo. Tuttavia è facile interpre­ tare questa argomentazione nel senso che la teoria causale non è ade­ guata, perché dobbiamo essere in grado di determinare empiricamente quale tra due eventi correlati in modo causale è la causa e quale l' effet­ to, affinché la riduzione si compia, nel senso che questa determinazio­ ne richiede che prima si conosca l'ordine temporale degli eventi, e ciò rende la causalità inadatta come base di riduzione della direzione tem­ porale perché manca dell'indipendenza epistemica e della priorità ne-

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cessarie. Ma quest'ultimo argomento, ancora una volta, suggerisce che è la riduzione epistemicamente motivata che il teorico ha in mente. Quindi se egli presenta una teoria entropica in sostituzione di una causale, si è portati erroneamente a pensare che anche la teoria sia un tentativo di riduzione di tipo "filosofico". C'è anche il fatto che Reichenbach presenta la teoria dell'entropia come parte di una generale spiegazione riduzionistica dello spaziotem­ po. L'entropia deve determinare un'ultima parte della struttura dello spaziotempo, la distinzione tra passato e futuro, dopo che lo spazio­ tempo restante, e in particolare la sua topologia, inclusa la sua topolo­ gia temporale, è già stata "ricondottà' a nozioni che, prima focie, non sono spaziotemporali. In particolare, si suppone che la topologia spa­ ziotemporale sia riducibile alla struttura causale del mondo. Ora penso che si potrebbero trovare argomenti favorevoli a una ri­ duzione identificativa "scientificà' della topologia dello spaziotempo al­ l' ordine causale. Per esempio, le recenti proposte di ridurre la struttura dello spaziotempo a un qualche tipo di relazione algebrica tra eventi quantistici potrebbe essere vista come una mossa riduzionistica di que­ sto tipo. Tuttavia ritengo che la teoria causale della topologia spaziotem­ porale che Reichenbach presenta sia invece formulata in termini più ap­ propriati a, e motivata da, un tipo di riduzione "filosoficà' generato epi­ stemicamente. Se ciò è esatto, capiamo perché si cadrebbe facilmente in errore pensando di poter immaginare la spiegazione entropica della di­ rezione del tempo anche come una riduzione di quest'ultimo genere. VI

Tuttavia, se si suppone che la teoria entropica della direzione del tem­ po sia una riduzione scientifica, dobbiamo chiederci se sia o meno riuscita. La connessione dell'entropia con l'ordine temporale - come quella dei processi asimmetrici di interazione debole con la destra e la sinistra - è semplicemente una correlazione (conforme alle leggi fisi­ che o solo de jàcto) , oppure capita piuttosto come nel caso della gravi­ tazione e della direzione su e giù, in cui abbiamo la sensazione che sia quanto meno appropriato dire che la relazione su-giù è identica alla relazione caratterizzata mediante la gravitazione, e in cui noi siamo anche tentati (almeno in alcune teorie del significato) di dire che 'giù' significa nella direzione del gradiente del campo gravitazionale?

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Non è nostra intenzione cercare di rispondere a questa domanda. È invece necessario tentare di spiegare pienamente tutti i processi di cui normalmente (prescientificamente) ci serviamo per tracciare la di­ rezione del tempo, incluso il nostro "diretto" senso interno dell'ordine temporale, nei termini di un'unica spiegazione unificata, che fa riferi­ mento alla differenza di entropia e rende conto di tutti questi fenome­ ni, identificando la relazione di ordine temporale con una relazione tra eventi, caratterizzabile (almeno in parte, come vedremo) mediante l'entropia, e che non fa appello all'ordine temporale stesso come un elemento prioritario nella caratterizzazione. Malgrado gli sforzi eroici di Reichenbach in questa direzione, penso che siamo tutti d'accordo che una spiegazione simile non è ancora a nostra disposizione5• Ma, naturalmente, i tentativi di Reichenbach, dal punto di vista della na­ tura della teoria entropica, sono almeno nella giusta direzione. Dob­ biamo spiegare, mediante l'entropia, perché le cause precedono i loro effetti (almeno di solito), perché abbiamo ricordi del passato e non del futuro, perché conosciamo e diamo tanto più credito a ciò che riguar­ da il passato che al futuro, e crediamo a loro e li conosciamo in modi così diversi; dobbiamo spiegare perché sentiamo di poter cambiare il futuro ma non il passato, perché abbiamo un atteggiamento emotivo così diverso verso il futuro rispetto al passato (è finita, grazie a Dio), perché riteniamo che il passato abbia una realtà determinata e il futu­ ro invece esista, al massimo, solamente come "m era potenzialità", e infine perché abbiamo una conoscenza diretta, immediata, non otte­ nuta per inferenza, dell'ordine temporale degli eventi (interni ed ester­ ni) di cui siamo direttamente consapevoli (acquaintance nel senso di Russell) . Benché molti degli argomenti di Reichenbach in questa direzione siano brillantemente ingegnosi e suggestivi, non credo che sarò consi­ derato irriverente se qui affermo che, per molti di noi, essi non sono affatto conclusivi. Servono come geniali suggerimenti, ma deve ancora venire la teoria che alla fine il sostenitore della spiegazione entropica ci presenterà come importante conferma della sua affermazione riduzio­ nistica. Qui desidero solo fare alcune osservazioni molto generali sul programma entropico, su alcune difficoltà che incontra, e sul perché per lo meno alcune obiezioni che gli sono state mosse non sono real­ mente incisive rispetto al loro obiettivo. 5 Si veda Reichenbach ( 1 956) .

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Lawrence Sklar ( l ) Almeno parte del problema di dimostrare la teoria entropica

sta nel fatto che abbiamo una conoscenza piuttosto vaga di molte no­ zioni che nella riduzione devono essere spiegate mediante l'entropia. Confrontiamo la domanda: "Che cos'è una relazione causale?", "Che cos'è una registrazione o una traccia di un evento?" eccetera, con la domanda: "Che cos'è un oggetto che cade?" Nella teoria gravitaziona­ le della direzione 'giù' almeno abbiamo, prima della riduzione, un'idea abbastanza buona di che cosa la teoria gravitazionale deve spiegare. Nella teoria entropica della direzione del tempo noi non abbiamo af­ fatto un'idea molto chiara. Naturalmente, il sostenitore della teoria entropica potrebbe affermare molto opportunamente che è solo nel contesto della riduzione che le nostre idee su ciò che deve essere spie­ gato diventeranno chiare. Penso che Reichenbach abbia questo in mente. Per esempio, solo quando comprenderemo il ruolo giocato dalle caratteristiche entropiche del mondo nel nostro schema concet­ tuale prescientifico cominceremo realmente a capire la nostra intuizio­ ne, avvertita prima di qualunque analisi, ma compresa molto poco, che l'efficacia causale va dal passato al presente e da questo al futuro. (2) Ho evitato deliberatamente di provare a specificare esattamente con quale relazione tra gli eventi, caratterizzata mediante l'entropia, debba essere identificata la relazione "successivo à' . È chiaro che que­ sta identificazione sarà piuttosto sofisticata. Nel caso della relazione su-giù, l'identificazione è abbastanza semplice. Se b è giù rispetto ad a, allora tra loro c'è una differenza di potenziale gravitazionale determi­ nata sulla base del valore del potenziale nei due punti. Questo più al­ cuni fatti sul potenziale gravitazionale nei punti intermedi è sufficien­ te per fissare nella nostra base di riduzione la relazione "gravitazionale" appropriata. Ma il caso dell'asimmetria temporale è più difficile. Prima di tutto c'è il fatto che lo stato successivo di un sistema, anche isolato, può be­ nissimo essere uno stato di entropia più bassa rispetto a uno preceden­ te. Perciò dobbiamo tener conto del fatto che - si suppone - l'associa­ zione dell'ordine entropico con l'ordine temporale è solo statistica. Se­ condo, c'è il fatto che noi consideriamo la relazione che stabilisce l'or­ dine cronologico più estesa di quella che stabilisce l'ordine entropico, nel senso che tra gli eventi ci può essere un nesso che pone l'uno come successivo all'altro, anche se non è affatto possibile caratterizzarli co­ me stati che hanno entropia diversa.

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Ora una soluzione a questo sarebbe quella di postulare l'esistenza di un "potenziale temporale" con un gradiente nella direzione di tipo tempo, facendo in modo che il caso dell'ordine temporale assomigli molto al caso della relazione su-giù, più di quanto anch'io abbia soste­ nuto. Questo è ciò che suggerisce Weingard in un articolo del 1 9776, tuttavia ritengo che sia un modo sbagliato di procedere. Non nego che in qualche mondo possibile le cose potrebbero rivelarsi cosl, e po­ trebbe esistere un tale campo vettoriale dell'ordine cronologico come "campo fisico reale", la cui esistenza alla fine spiegherebbe le asimme­ trie temporali del mondo a noi familiari. Solo che non abbiamo alcu­ na ragione di credere che in questo mondo ci sia un simile campo. Le usuali spiegazioni che si servono della meccanica statistica per chiarire il comportamento asimmetrico dei sistemi nel tempo non si appellano a nessun campo fondamentale del genere. Anche ammesso che spesso troviamo insoddisfacenti le spiegazioni di tipo meccanico statistico, molti hanno la sensazione che allo stato attuale della nostra conoscen­ za alcuni argomenti di importanza fondamentale debbano ancora es­ sere scoperti. Ma pochi fisici accetterebbero oggi come spiegazione plausibile l'esistenza di un simile campo fondamentale che ordina il tempo come il "legame mancante" sottostante al tentativo di fornire una spiegazione completa dell'asimmetria del mondo nel tempo. Se si suppone che la teoria della direzione del tempo sia una riduzione identificativa stabilita scientificamente della relazione 'successivo-à a qualche altra relazione più fondamentale, allora deve essere dimostra­ to da un'autentica scienza fisica come effettivamente avvenga questa riduzione. Un'eventuale riduzione, che sarebbe soddisfacente in qual­ che mondo possibile ma non in quello reale, non è per noi di alcun aiuto. Né è necessario invocare uno pseudo campo per avere una spiega­ zione adeguata. Una direzione in cui muoversi ci viene offerta ancora da Reichenbach. La teoria entropica nella sua interezza presuppone una sottostante teoria dell'ordine temporale - la topologia completa del tempo (o dello spaziotempo) - in cui è stata eliminata l'unica ca­ ratteristica intuitiva dell'asimmetria tra il passato e il futuro. Di due coppie vicine di eventi (vicine per evitare la possibilità di spazitempo non orientabili temporalmente) , possiamo chiedere se d sia nella stessa direzione temporale di c come b lo è rispetto ad a. Se allora possiamo 6 Weingard ( 1 977).

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dimostrare "l'essere successivo" - diciamo - di b rispetto ad a sulla ba­ se di considerazioni che riguardano l'entropia, possiamo "proiettare" questo ordine cronologico sulla coppia c-d, prendendo d successivo a c, anche se nel caso c-d non è evidente nessuna delle considerazioni ri­ levanti dell'entropia. In realtà, ovviamente, nei dettagli la teoria po­ trebbe essere molto più complicata di cosl, facendo riferimento, possi­ bilmente, a insiemi numerosi di sistemi (nei quali le entropie possono essere assegnate a stati temporalmente distinti di sistemi isolati) e alla corrispondente differenza di entropia per la stragrande maggioranza di essi. Allora la direzione passato-futuro viene considerata come fissata da questa maggioranza di sistemi (gli stati a entropia più bassa sono precedenti rispetto a quelli a entropia più alta) , e quindi "proiettata'' mediante la comparabilità locale dell'ordine temporale su tutte le cop­ pie di eventi correlati temporalmente. Per i nostri scopi attuali i detta­ gli non sono importanti. (3) Ciò che ho appena proposto suggerisce un modo di impostare la spiegazione entropica, che fornisce una "definizione" della direzione del tempo mediante il comportamento entropico dei sistemi ramifica­ ti, secondo la terminologia di Reichenbach7• Qui potrei dire qualcosa sull'attinenza della nozione di sistema ramificato con la spiegazione generale. Con quale caratteristica entropica del mondo vogliamo identificare la direzione del tempo? Se la spiegazione generale di Boltzmann è corretta, non con la relazione entropica tra gli stati del­ l'universo nella sua interezza (assumendo che una simile nozione di entropia per l'universo nella sua interezza sia ben definita, assunzione forte e discutibile) . Più plausibile sarebbe un'identificazione della rela­ zione 'successivo-a' in un punto temporale con l'appropriata relazione entropica tra gli stati del "singolo universo" durante "l'eone" che con­ tiene il punto temporale. Infatti, per il teorico dell'entropia questa po­ trebbe essere la giusta direzione in cui procedere, piuttosto che quella delineata sopra. Perché è necessario fare appello ai sistemi ramificati di Reichenba­ ch? Se tenessimo fede a una riduzione "filosofica'' epistemicamente motivata, la risposta sarebbe ovvia. Certamente non abbiamo alcun accesso epistemico diretto all'entropia complessiva neanche del nostro 7 Reichenbach (1 956), pp. 1 1 8- 143. [Si vedano le pagine di Reichenbach tradotte in questo volume] .

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"singolo universo". Ma, forse, abbiamo accesso a sistemi locali tempo­ raneamente isolati. Cosl noi li esaminiamo, osserviamo le relazioni en­ tropiche tra i loro stati e da queste relazioni "inferiamo" l'ordine tem­ porale. La riduzione consiste allora nel sostituire nel modo usuale questa "inferenza" con una "definizione coordinativà'. Ma io sostenevo che non è questo il tipo di riduzione che il teorico dell'entropia sta realmente cercando. Qual è allora il ruolo dei sistemi ramificati e dei loro stati caratterizzabili mediante l'entropia? Penso che nella spiegazione dei diversi fenomeni che caratterizzano l' asim­ metria del mondo riguardo al tempo - nella nostra rappresentazione prescientifica associati intuitivamente con l'ordine temporale del mondo - si dovrà fare appello ai sistemi ramificati e ai loro stati. An­ che se in definitiva nella spiegazione di queste asimmetrie ci riferiamo al comportamento entropico del nostro "singolo universo" durante il suo "eone" attuale, la spiegazione farà appello in uno stadio interme­ dio a qualche spiegazione di come questa asimmetria entropica dia luogo alle asimmetrie entropiche dei sistemi ramificati, e quindi userà queste "piccole" asimmetrie entropiche per spiegare le ben note asim­ metrie nella causalità, nella conoscenza, nelle tracce eccetera, e per rendere conto del nostro immediato senso interno dell'ordine tempo­ rale delle nostre esperienze personali. Io non so se il teorico dell'entropia vorrà allora identificare la rela­ zione successivo-a con una relazione caratterizzata mediante l'entropia tra tutti gli stati "dell'universo singolo" o, invece, con una qualche complessa relazione "di maggioranzà' tra gli stati di insiemi di sistemi ramificati. Penso che avremmo bisogno di qualche ulteriore dettaglio sulla natura della teoria entropica per deciderlo, oppure forse il teorico ha una possibilità di scelta e c'è un elemento di arbitrarietà nell'identi­ ficazione da lui sostenuta. (4) Abbiamo visto che nella riduzione gravitazionale del concetto di 'su' e 'giù' a quello di direzione del gradiente gravitazionale, non c'era alcun argomento contro la considerazione che in luoghi differen­ ti dello spazio la direzione verso il basso varierebbe. Lo stesso rimane vero con la teoria entropica della direzione del tempo. Che Boltzmann avesse o meno ragione nel sostenere che in un dato istante ci sono "universi singoli" con il loro ordine temporale rivolto in direzioni op­ poste, o un unico "universo singolo" che in "eoni" diversi ha il proprio ordine temporale in direzione opposta, questa è certamente una situa-

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zio ne possibile nella descrizione che si serve dell'entropia. E nulla che riguardi questa situazione rende in alcun modo la teoria entropica me­ no plausibile. Ancora una volta possiamo scegliere tra almeno due modi per de­ scrivere la situazione. Possiamo ritenere la direzione del futuro come fissata dalle relazioni entropiche tra gli stati del nostro "universo sin­ golo" nel nostro "eone", e dire che l'entropia sta andando nella "dire­ zione sbagliatà' del tempo nei mondi rivolti in senso opposto. O, in maniera meno campanilistica, potremmo ritenere che la direzione passato-futuro sia quasi-indessicale, ponendo il 'futuro' in riferimento a quella direzione del tempo, in un punto spaziotemporale, che mo­ stra l'appropriata caratteristica entropica in "quell'universo singolo" durante quell' "eone". Nulla di tutto ciò è incompatibile con le osser­ vazioni precedenti, secondo le quali il teorico dell'entropia potrebbe voler utilizzare la comparabilità locale dell'ordine temporale per proiettare la relazione passato-futuro da qualche sistema nel suo "uni­ verso singolo" ad altri8•

VII A questo punto il mio saggio, già molto incompleto e piuttosto vago, sarà ancor meno l'esposizione di una descrizione elegante e rifinita. Infatti qui intendo suggerire che alcune delle obiezioni standard alla spiegazione entropica possono ripresentarsi a un nuovo livello, anche se quella spiegazione viene interpretata nella sua forma più plausibile come rendiconto di una riduzione identificativa "scientifici'. Ad un certo punto i programmi riduzionisti di tipo naturalistico, che procedono mediante riduzioni identificative di sostanze e pro­ prietà a quelle scientificamente più "fondamentali", e i programmi ri­ duzionisti di tipo filosofico, che procedono mediante "l'analisi concet­ tuale" di proposizioni - nel senso di un esame critico dell'intera classe di proposizioni, che potrebbe servire loro come giustificazione episte­ mica - devono essere conciliati. Naturalmente, si potrebbe rifiutare

8 Questi argomenti rispondono a Earman, che si appella specialmente a quello che egli chiama il "Principio di Precedenza"; si veda Earmann (1 974) , pp. 2 1 -23; [si veda­ no pp. 250 sgg. di questo volume] .

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del tutto il secondo tipo di riduzionismo, in quanto non giustificato, ma non penso che potremmo farlo senza rifiutare nello stesso tempo alcune delle vette più elevate e ben accette del nostro recente progres­ so scientifico; infatti - vorrei dire - gran parte della transizione dallo spazio e dal tempo allo spaziotempo relativistico avviene proprio at­ traverso una simile critica "riduzionisticà' epistemicamente motivata. Qui non discuterò questo, ma tenterò solo di mostrare come un aspetto delle riduzioni "scientifiche" introduca, nel caso specifico della spiegazione entropica della direzione del tempo, alcune difficoltà par­ ticolari, strettamente collegate al problema di far operare insieme que­ sti due tipi di analisi riduzionistica. Un noto fattore concomitante delle riduzioni identificative è la "secondarizzazione" delle proprietà. I tavoli sono insiemi di atomi. Ma che dire delle proprietà "percepite in modo immediato" dei tavoli ma­ croscopici? Sono proprietà di insiemi di atomi? Gli insiemi di atomi sono, in un certo senso, discontinui; ma che dire della macchia conti­ nua di colore percepita, che un tavolo presenta alla mia consapevolez­ za? Una soluzione (forse non l'unica e probabilmente neppure la mi­ gliore) sarebbe scindere le proprietà dal tavolo (salvo lasciare un loro residuo sotto forma di poteri o disposizioni) e riclassificarle come qua­ lità secondarie di dati sensoriali o, forse, del soggetto che percepisce attraverso i sensi (il quale è apparso rossiccio, eccetera) . La temperatura è l'energia cinetica media delle molecole. Tuttavia, che cos'è la qualità percepita che prima abbiamo utilizzato per distin­ guere gli oggetti più caldi da quelli più freddi ? Facile, una qualità se­ condaria "nella mente" del percipiente. Ogni volta che proponiamo una riduzione identificativa di qualche entità o proprietà, inizialmen­ te identificata da noi mediante "un'apprensione direttà', a qualche al­ tra entità o proprietà del mondo, abbiamo almeno la tentazione di staccare dall'oggetto la caratteristica identificativa originaria e di por­ la "nella mente" come una qualità secondaria, correlata alla proprietà nel mondo solo come effetto causale dell'azione di quest'ultima, per mezzo dell'apparato sensoriale, sulla "mente". Non sto dicendo che questa sia l'unica via da perseguire, né che sia quella giusta, ma solo che è una mossa costante, frequente e tale che intuitivamente è diffi­ cile opporvisi9•

9 Si veda Sklar ( 1 967), pp. 1 22- 1 23.

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Consideriamo ora la relazione 'successivo-a' come una relazione che si instaura nel mondo e che può essere caratterizzata in termini di en­ tropia. Ma che dire "dell'esperienza piuttosto semplice e immediata del fatto che un evento viene subito dopo un altro" ? Abbiamo la tentazio­ ne - penso - ancora una volta di separare "l'essere successivo-a'' degli eventi (immediatamente percepito e appreso direttamente), dall'ordine cronologico degli eventi che accadono nel mondo, trasformandolo in una caratteristica che essi hanno solo "nella nostra mente". Ma ora capiamo perché molti, che accetterebbero facilmente l' af­ fermazione che i tavoli sono, di fatto, insiemi di atomi, e che la tem­ peratura è, di fatto, l'energia cinetica media delle molecole, si tirereb­ bero indietro davanti all'affermazione che 'l'essere-successivo-a' è una relazione, caratterizzabile mediante l'entropia, tra eventi che accadono nel mondo. Noi sentiamo che l'ordine temporale è qualcosa che resta valido per gli eventi nel mondo e anche per gli eventi dell'esperienza interna. Dopo Kant abbiamo familiarità con l'affermazione che lo spazio è il molteplice dell'esperienza degli oggetti esterni e il tempo lo è sia del senso interno che esterno. Ma è il medesimo tempo che cor­ rela sia gli eventi esterni che quelli "nella mente". E se gli eventi ester­ ni sono l'uno successivo all'altro, non lo sono esattamente nello stesso senso in cui diciamo che le esperienze interne si presentano secondo un ordine cronologico asimmetrico? E se io faccio esperienza diretta di quest'ordine tra gli eventi nella mia vita mentale interna, non devo identificare quella relazione anche con la reale relazione 'successivo-a' che si instaura tra gli eventi nel mondo? Se questi eventi del mondo sono correlati anche da una relazione che può essere caratterizzata me­ diante l'entropia, allora questa non deve essere vista come una correla­ zione stabilita empiricamente secondo l'ordine cronologico ? E non è forse vero allora che identificare la relazione 'successivo-a' con la rela­ zione entropica non è più plausibile di quanto non lo sia identificare 'sinistrorso' con qualche proprietà di un oggetto, caratterizzata me­ diante il comportamento delle interazioni deboli? Si noti qui la differenza dal caso gravitazionale. Le nostre esperien­ ze interne non sono, in realtà, su e giù l'una rispetto all'altra. Nessun male allora nel scindere la nostra esperienza interna del 'giù' dalla reale relazione di 'essere-giù' nel mondo, e quindi nell'identificare quest'ul­ tima con una relazione caratterizzata in termini di gradiente del po­ tenziale gravitazionale. Tuttavia gli eventi interni sono realmente pre­ cedenti e successivi l'uno rispetto all'altro, e la nostra "esperienza piut-

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tosto semplice e immediatà' di questa relazione non può venire sepa­ rata impunemente, come fosse semplicemente una qualità secondaria prodotta in maniera causale, invece di essere pensata correttamente come un'esperienza diretta della vera e propria relazione di 'essere suc­ cessivo à , che esiste nel mondo solo come relazione caratterizzabile mediante l'entropia. La seguente citazione di Eddington ci suggerisce che qualcosa di simile a questo argomento risiede all'origine di molte obiezioni, forte­ mente sentite ma non molto bene espresse, mosse contro la plausibi­ lità della teoria entropica. È importante notare che questa è la citazio­ ne di uno dei primi commentatori della teoria entropica della direzio­ ne del tempo, come io l'ho descritta. In ogni tentativo di porre in collegamento i domini dell'esperienza che appartengono all'ambito spirituale e fisico della nostra natura, il tempo occupa la posizione chiave. Ho già accennato al suo duplice ingresso nella nostra coscienza - attraverso gli organi di senso che lo correlano alle altre entità del mondo fisico, e direttamente attraverso una specie di porta pri­ vata della mente [ . . . ] . Mentre il fisico direbbe in generale che la materia di questo tavolo a noi familiare è realmente una curvatura dello spazio, e il suo colore è veramente lunghezza d'onda elettromagnetica, non penso invece che direbbe che il progredire del tempo a noi noto sia realmente un gradiente entropico. [ ... ] �..? inconveniente è che dobbiamo associare due cose, che più o meno comprendiamo, e che - per come le capiamo - so­ no assolutamente diverse. È assurdo fare finta di essere nella completa ignoranza sulla natura dell'organizzazione del mondo esterno, allo stesso modo in cui ignoriamo la reale natura del potenziale. È assurdo fingere che non abbiamo alcuna idea giustificabile del "divenire" del mondo esterno. Quella qualità dinamica - cioè quel significato particolare che rende ridicolo uno sviluppo dal futuro al passato - deve fare molto di più che premere il grilletto di un nervo. Essa è così impressa nella nostra co­ scienza che l'avanzare del tempo è persino una condizione della coscien­ za. Noi abbiamo una comprensione diretta del "divenire", che mette da parte tutta la conoscenza simbolica, come su un piano inferiore. Se colgo la nozione di esistenza perché io stesso esisto, analogamente colgo la no­ zione di divenire perché io stesso divengo. È l'lo più profondo che è e che

diviene10•

10 Eddington ( 1 928a) , pp. 9 1 -97; tr. it. pp. 85-90.

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Non ho la pretesa di capire tutto ciò che Eddington qui sta dicendo, né di riuscire a dare una versione realmente coerente delle mie argo­ mentazioni esposte prima. Tuttavia penso che risulti chiaro che la no­ stra visione ultima del mondo richiederà un intreccio sottile e attento della riduzione naturalistica della scienza, che muove dall' identifica­ zione teorica, e della riduzione concettuale della filosofia, che invece deriva dall'analisi epistemica. Finché non avremo una simile descrizio­ ne sistematica generale, ritengo che lo stadio finale di una teoria en­ tropica dell'ordine temporale rimarrà incerto.

Appendice

I viaggi nel tempo

l.

Il tempo e la gravitazione

Consideriamo una particella che si trova all'altezza z nel campo gravitaziona­ le terrestre, nell'approssimazione che sia uniforme. Essa avrà un'energia po­ tenziale pari a mgz, dove g è la costante di gravitazione sulla Terra e m è la massa della particella, a cui dobbiamo sommare l'energia di Einstein m?. Se lasciamo andare la particella essa arriverà fino a terra, trasformando tutta la sua energia potenziale in energia cinetica. Immaginiamo ora che tutta l' ener­ gia della particella serva ad emettere un fotone di energia E=hv, dove h è la costante di Planck e v è la frequenza del fotone, cioè che la particella si anni­ chili e dia origine a un fotone della stessa energia. Dopo di che il fotone risa­ le il campo gravitazionale fino all'altezza z. A questo punto l'energia del foto­ ne E'=hv ' sarà senz'altro minore di E, perché altrimenti potremmo convertir­ la in una particella creando dell'energia dal nulla. Infatti E=mil+mgz, per cui, se E' fosse uguale a E, convertendo il fotone si otterrebbe una particella dall'energia E+mgz, cioè la sua energia sarebbe uguale a quella della vecchia particella più l'energia potenziale dovuta alla posizione z. Se E' è minore di E, allora v ' sarà minore di v. Ne segue che la frequenza di un fotone che risale un campo gravitazionale diminuisce (redshift gravitazionale) . Questo fatto fisico ha una conseguenza importante per la misurazione del tempo. Se due orologi atomici si trovano uno più in basso e uno più in alto nel campo gravitazionale e quello più in basso oscilla con una frequenza v e manda un segnale luminoso a quello più in alto della stessa frequenza, la fre­ quenza con cui esso arriverà in alto sarà v ' minore di v, a causa della diminu­ zione delle frequenze dovuta alla risalita del campo gravitazionale. Per cui il ritmo dell'orologio più in basso nel campo gravitazionale, visto da più in al­ to, risulterà rallentato. In conseguenza di ciò il tempo misurato in basso, sempre dal punto di vista in alto, risulterà dilatato. Viceversa, il tempo misu­ rato in alto, visto da più in basso, risulterà accelerato. La situazione è in parte simile e in parte diversa rispetto a quella delle di­ latazioni temporali dovute al moto, che abbiamo incontrato nella quarta par-

280

Appendice

te. Infatti, così come in quel caso la dilatazione viene misurata sull'altro siste­ ma di riferimento, così anche qui il cambiamento del ritmo dell'orologio vie­ ne misurato dall'altra posizione nel campo gravitazionale. D'altra parte, fra due sistemi di riferimento in moto relativo ognuno vede il tempo dell'altro dilatato, mentre qui chi è più in basso vede il tempo di chi è più in alto acce­ lerato, e chi è più in alto nel campo gravitazionale vede il tempo di chi è più in basso rallentato. Si può anche fare l'esperimento di sincronizzare due orologi a una certa altezza del campo gravitazionale, poi portare uno di questi più in basso, !a­ sciarlo Il per un po' di tempo e quindi riportarlo in alto. Dopo aver eliminato le influenze sul ritmo dell'orologio dovute agli spostamenti, risulterà che l'o­ rologio che è stato in basso sarà più indietro. Arriviamo dunque alla conclu­ sione che il ritmo degli orologi in un campo gravitazionale omogeneo viene rallentato mano a mano che si scende di quota1 •

2. La relatività generale In relatività ristretta è possibile descrivere lo spaziotempo mediante la metri­ ca pseudoeuclidea di Minkowski:

Ora, se siamo in presenza di un campo gravitazionale la variabile t che compare in questa uguaglianza subisce un'importante trasformazione concet­ tuale. Infatti, in un campo gravitazionale il tempo non scorre alla stessa ma­ niera in tutti i punti, come abbiamo appena visto, per cui possiamo supporre che valga la metrica pseudoeuclidea solo per distanze infinitesime: rJs2

=

rJx2

+ dj- + di'- - Cldf.

In altre parole, in presenza di un campo gravitazionale, che nella realtà non è mai omogeneo, lo spaziotempo si curva assumendo una forma geome­ trica complessa, che solo localmente è pseudoeuclidea. Ciò che è sconcertante della relatività generale è proprio il fatto che la geometria delle coordinate spa­ ziotemporali, che nella fisica classica era quella euclidea, che nella relatività ri­ stretta è diversa (pseudoeudidea), ma comunque uguale in tutti i punti, ora può cambiare in ogni punto a seconda della distribuzione delle masse che pro­ ducono il campo gravitazionale. In altre parole, come dice il grande fisico John Archibald Wheeler, "la materia insegna allo spazio come curvarsi". 1 Una chiara esposizione di questo punto si trova in Bergia ( 1 992), pp. 24-27.

I viaggi nel tempo

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Einstein h a formulato l e equazioni d i campo che c i dicono come l a strut­ tura dello spaziotempo si modifica in presenza di materia; esse sono del tipo:

La matematica di queste equazioni è piuttosto complessa2, ma il loro sen­ so fisico si può riassumere nel modo seguente. �-kl rappresenta la forma geo­ metrica dello spaziotempo, mentre T.. la distrib dzione delle masse e del loro moto, e k è una costante, tale che n gl caso in cui il campo gravitazionale è debole le equazioni di Einstein si riducono a quelle di Newton. Queste equa­ zioni, allora, ci dicono quale sia la struttura geometrica dello spaziotempo data una certa distribuzione di materia.

3. I buchi neri rotanti e la metrica di Kerr

M

Dal punto di vista della meccanica classica si può calcolare la velocità di fuga di una particella da una massa di raggio R, cioè la velocità v0 a cui deve muoversi un corpo sulla superficie affinché vada all'infinito. Essa risulta essere:

Considerando che la velocità massima fisicamente possibile è quella della lu­ ce, se un corpo ha un raggio e una massa tali che

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allora nulla potrà sfuggire da esso. Se una stella ha una massa sufficientemente grande, accade che le forze gravitazionali sono superiori a quelle interne che impedirebbero il collasso gravitazionale. Per cui tali stelle potrebbero evolversi verso corpi sempre più piccoli di massa sempre più concentrata, fino a soddisfare la precedente disu­ guaglianza. Si vede quindi che già all'interno della meccanica newtoniana so­ no possibili delle situazioni gravitazionali estreme. Come vedremo fra poco, la relatività generale consente una dettagliata trattazione, sostanzialmente di2 Una buona introduzione chiara e sintetica alla relatività generale si trova in Bo­ niolo ( 1 997), a cura di, pp. 1 02- 1 29.

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Appendice

versa da quella classica, di questi aggregati di materia da cui non può sfuggire nulla, che Wheeler ha chiamato "buchi neri". La prima soluzione che è stata trovata alle equazioni di Einstein è quella di Schwarzschild, che riguarda il caso di una massa statica a simmetria sferica immersa nel vuoto. In questo caso la metrica dello spazio è data da: Js2

= ( l - 2mlr)dfl - ( l - 2mlr)- 1 dr - dr (atl2 + sen1Qd