L'officina della guerra. La grande guerra e le trasformazioni del mondo mentale

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L'officina della guerra. La grande guerra e le trasformazioni del mondo mentale

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L'officina della guerra lntroduiione: Guerra e modernità

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Prologo: Fantasmi della guerra moderna

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1. li marchio in Ma ai medici appartengono appunto la contabilità empirica della mutilazione e della morte, l'attitudine e il compito di registrarle nella molteplicità del concreto e non semplicemente nella scolorita astrazione statistica. Appena 1aglia1e con un colpo di forbici le fascia1ure freuolose - scrive un medico francese - apiniono le feri1e, le ferite raccapriccianti degli obici, delle 1orpcdini e delle granale, che scavano nc:lle carni fosse e mine, strappano i muscoli, stritolando le ossa, recidendo i nervi cd i tendini. Tu110 è chiazzalo, tullo sanguina e geme. Schiacciamenti, sinppolamenti di carne. Di qucs1a mano non resta più che un mignolo appeso ad un lembo; di ques10 viso non ci son più che rimasugli di naso e di bocca; di questa coscia, nien1'altro più che un amm:uso sanguinan1e di ossa e di muscoli. Polmoni perforali, cervelli schizza1i fuori, vesciche lacerale, intesdni scopeni: qui ci sono brandelli di tu110 il corpo umano. 86

Riaffiorano qui, in modo particolarmente marcato, quella conta• minazione, quella perdita di confine tra vita e morte, tra uomo e mate• ria, tra umano e disumano, che abbiamo visto profilarsi nelle pagine dei medici a proposito della guerra russo-giapponese, e ancor prima nelle incisioni dei chirurghi di guerra: ritratti di esseri indefinibili, di uomini-animali, in cui il corpo vivente sembra dissolversi e confondersi nella materia, popolando un mostruoso teatro biologico della guerra. Nella letteratura specializzata, nell'osservazione professionale, i medici appaiono i più precisi interpreti della guerra come olocausto industriale e come follia, come esperienza che trasforma e deforma, dal punto di vista fisico e mentale, intere generazioni. Deterioramento e deformazione, corruzione e contaminazione sono la materia abituale del loro lavoro, il tessuto stesso del loro discorso. Essi colgono il ver• sante biologico di un conflitto che ha enfatizzato al massimo le sue

upitolo primo

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valenze ideologiche; portano in primo piano la follia nella guerra che ha esaltato al massimo le sue componenti sacrali. Ciò che altrove appare coperto dalla mistica del sacrificio o sublimato dalla retorica patriottica, oscurato dal pudore o dal bisogno di autodifesa psicologica, dai limiti delle risorse linguistiche o dall'intenzionale falsificazione dei linguaggi ufficiali, qui diventa oggetto pieno e legittimo di osservazione, di argomentazione, di discorso: non la guerra bella e santa, ma la guerra oscena, insuperabile produttrice di mostri. Semmai, ciò che rende intrinsecamente tendenzioso il loro discorso, è l'abitudine a trasformare sempre la sofferenza in patologia, la paura in sintomo di inferiorità, il rifiuto in devianza: ma questo non esclude la possibilità di compiere il cammino inverso, dalla malattia alla sofferenza. Ed è quanto in queste pagine cerchiamo di fare. 7. Medici i11 guerra

Quanto abbiamo detto concerne evidentemente la peculiarità dello sguardo e soprattutto del linguaggio clinico, non coinvolge i ipedici come categoria sociale e non identifica il loro ruolo nel contesto della guerra. Quando non si tratti del linguaggio clinico propriamente detto, nel discorso dei medici non mancano certo la dimensione ideologica, la retorica patriottica, la collaborazione alla costruzione del consenso. La loro adesione a tali processi e valori è anzi incondizionata. In parallelo alla generale mobilitazione degli intellettuali e al coinvolgimento dei medici nell'apparato dello Stato militarizzato, cresce anche la loro mobilitazione propagandistica. L'ideologia patriottica ridefinisce il ruolo del medico, collocandolo nel perimetro dei suoi imperativi irrinunciabili e imponendogli persino compiti che sembrano contraddire !a sua funzione primaria di difensore della vita. Nel nostro corpo ~nitario militare - scri\'c «La riforma medica» sollo il titolo U/fi· eia/i m~Jici ai·iatori d«onJti - accanto alle doti di intuito clinico, di cultura, di filantropia e di de\'ato spirito di sacrificio, brillano quelle \'irtù di indomito coraggio che mille \'Ohe conducono i nostri medici militari a curare i feriti oltre le prime lince, in zone ba11ute dal fuoco nemico; che tanto spesso li tra11engono ultimi ai posti di medicazione, nei ripiegamenti, e che or.i ne spingono taluni a sor\'olarc \'illoriosi le \'ie del ciclo, non già per recare - in contrasto CO'l la loro sacra missione - distru• zio ne e morte, alle popolazioni nemiche:, ma per difendere il proprio suolo dalle incur• sioni di un feroce a\'\'ersario e per colpire implacabilmente le tristi officine O\"e prepara cd affila le sue insidiose armi.~'

Sullo sfondo dell'orrore, la sacralizzazione della figura del medico diviene una componente fondamentale del mito patriottico nazionale, garanzia ulteriore della fusione degli sforzi e della ricomposizione degli affetti: «Sibilano e ronzano diabolicamente sul capo i proiettili, scoppiano, folgorano, percotono, trapassano, fracassano, sbattono, annien• tano; il Medico inginocchiato, curvo, attento, magari sorridente, lava, deterge, stagna, protegge, benda, salva il figliolo alla accorata aspet• tazione della madre»!' E, quando la morte è più forte di lui, eccola cooperare a un disegno di dignità e di grandezza: «Non tu sei vit• tima, tu che muori per la patria. Tu sei parte della Divinità, della Immortalità (... ) Tu morendo crei e cementi nuova grandezza di patria, nuova gloria e nuova vita»." Al confronto diretto con la morte, la mutilazione e la malattia, gli sforzi di costruzione dell'etica del sacrificio devono anzi moltiplicarsi. L'opera di sublimazione e di trasfigurazione monumentale deve farsi più intensa. Basta sfogliare li libro d'oro, pubblicazione celebrativa dedicata dai «medici italiani ai loro eroi», per rendersene conto.~ Nelle incisioni del pittore Duilio Cambelotti che illustrano il volume, la simbologia trasforma la morte in un evento misterioso e solenne. Ferita, mutilazione e malattia smettono le loro sembianze mostruose per circondarsi di un alone di sacralità. Le une e le altre vengono dccon• testualizzate rispetto alle loro dimensioni reali ricontestualizzate in un universo simbolico di valori. Anziché come prodotto della conca• tenazione di eventi necessari, programmato nei calcoli della guerra di massa, la morte appare come destino imperscrutabile e come evento glorioso, come compimento di una missione e di un dovere: tutti significati che si leggono altrettanto bene attraverso le didascalie e soprattutto attraverso le motivazioni delle decorazioni al merito e alla memoria, cui le immagini {anno da contrappunto visivo. « Nessuno sfuggiva al suo destino che era uguale per tutti. E la Patria provvedeva infaticabilmente a rifornire gli uomini nuovi». 91 Il massacro generalizzato, di cui i medici sono stati spettatori privilegiati e in questo caso anche vittime, non viene rimosso, ma sublimato. Benché la morte renda tutti uguali, essa non è, in queste pagine, anonima, non è morte di massa. Men che meno è un fatto puramente meccanico, o biologico, come altrove appare: le motivazioni delle decorazioni cercano di distinguere i morti l'uno dall'altro, di individualizzarli, di sottrarli all'anonimato. E benché a livello individuale la

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morte sia un evento fortuito, i dispositivi delle decorazioni cercano di trasformarlo in un evento motivato, corrispondente a una scelta, quindi eroico: «Sotto violento fuoco di fucileria, con calma e fermezza, prodigava la sua opera benefica a numerosi feriti. Incurante del pericolo, benché ammalato, con profondo sentimento del dovere, più volte attraversava zone intensamente battute, per ricevere e curare feriti gravi, dando nobile esempio». 91 Doppiamente sacra è insomma la morte del medico, e di tutti coloro che in guerra svolgono funzioni sanitarie e di soccorso: «La tragica chiesetta detta di Dobcrdò commenta la motivazione di una decorazione, accanto all'incisione dedicata all'avvenimento - (... ) trasformata in posto di medicazione, il giorno 27 agosto ha visto cadere tre nobili figure di medici (... ) I tre giovani professionisti erano intenti a ricomporre trame di vita doloranti, peste, lacerate, alle centinaia di feriti coperti di sangue e di fango».') Non sempre del resto tale operazione è possibile: « Nell' a~empimento del suo dovere, per crudele infortunio automobilistico, riportava la frattura alla base del cranio» recita un'altra moth•azione.~ Cosl «disgraziati accidenti», «morbi crudeli» e «destini imperscrutabili» cooperano nel produrre la carneficina, che tuttavia mantiene il carattere di cosa sacra.

8. Realtà e finzione Dopo le vittime e i medici, rimane da dire dei «poeti» come autori di un discorso sulla guerra. Il che non significa occuparsi in generale della letteratura di guerra, campo ovviamente sterminato, tanto più se considerato al di fuori di precisi confini nazionali. Il problema è, ancora, quello dell'autenticità delle testimonianze, del loro rapporto con l'evento, e della specificità dei linguaggi. Di un poeta, in particolare, abbiamo già parlato. Una testimonianza come quella di Andrcev, che no11 ha visto la guerra, può essere persino più «autentica» di un resoconto di chi l'ha vista. In ogni caso le sue pagine sembrano talvolta la trasposizione letteraria di altre pagine di osservatori diretti, quelle dei medici e degli psichiatri. Ma il suo sguardo sembra spingersi oltre l'evento nella sua specificità, per cogliere nella forma di incubo attuale una parte della storia futura. Come nel caso di Thomas Hardy richiamato da Fussell,?) «quasi per una miste-

Lr Grwndr G11mrz:

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riosa preveggenza» egli sembra capace di rappresentare la guerra e lo sterminio di massa, prima che tutto ciò sia in atto compiutamente. Raccontando la storia di una guerra particolare, anzi più precisamente l'incubo dei combattenti e il proprio personale incubo di fronte a quella guerra, Andreev avanza una profezia, quasi una pre-visione, di quel che sarà la guerra in generale d'ora in poi, di quanto il mondo moderno ne risulterà oscuramente invaso. Questa sua capacità di prefigurazione risulta d'altra parte largamente inconsapevole, o almeno inintenzionale: la letteratura mostra qui una sorta di «autenticità involontaria».% Come ha scritto una studiosa polacca, «la grande letteratura diventa raramente documento nel senso comune del termine, spesso invece diventa una simbolizzazione che assume più di una volta il carattere di prefigurazione, anticipazione e persino profezia, nella misura in cui l'autore sa strappare alla realtà il suo segreto prima che esso diventi sapere comune».9 7 Ma può accadere anche il contrario, ossia che la realtà superi le stesse capacità della finzione: ci sono nel racconto di Andreev «alcune scene persino meno terrificanti dei semplici resoconti giornalistici ». 91 Ci1ando le pagine di un medico francese che abbiamo prima ripreso, Gae1ano Boschi faceva notare che il suo racconto era stato giudicato più raccapricciante di quella che appariva pur sempre una delle massime denunce della disumanità e dcli' oscenità della guerra, Il fuoco di Barbussc: «Fu permesso a Barbusse pubblicare durante la guerra Le /eu; ma non fu permesso al dott. Pasteur Vallery-Radot pubblicare il racconto fedele ed esatto di ciò che egli, medico, aveva veduto. Si temeva di spaventare».w In questo caso, la testimonianza letteraria era apparsa meno cruda e veritiera, perciò meno impressionante, di quella medica. Ma talvolta la letteratura sembra uguagliare se non superare, nella descrizione degli orrori, il discorso medico; spesso supera le possibilità della testimonianza diretta, del linguaggio comune. Céline esprime il disgustoso senso della contaminazione e dell'oscenità come nessun testimone sembrerebbe po1er fare al di fuori della mediazione letteraria: «Il cavalleggero non ci aveva più la testa, null'altro che un'apertura al di sopra del collo, con del sangue dentro che crogiolava in un glu-glu come della marmellata nella marmitta ».100 Dove tale mediazione è presente, tornano ad apparire con frequenza quei mostri che abbiamo visto popolare i racconti di Bierce e la letteratura medica sulla guerra russo-giapponese: « La bocca gli

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s'è lacerata fino all'orecchio, facendolo sghignazzare: in quello squarcio dei denti ciondolano, come semi di un'arancia spremuta. Emette un ululato lungo, inarticolato, uguale». 101 Mostri ben noti ai medici della Grande Guerra, cui riappare il volto del «riso rosso», inverando la profezia di Andreev: Mentre medico, ,•edo sbucare dal maledetto cespuglio e incamminarsi a passo largo verso il posto di medicazione un altro soldato, in maniche di camicia, il cui capo splende al sole tuno rosso di sangue; pare che una violenza inumana gli abbia strap• p:llo la cute dal volto e il cuoio capelluto. Non ha membro, non ha fibra che non siano scossi da ,·iolento tremore, ha gli occhi sbarrati, ,·itrci; con un gestire esuberante accompagna poche frasi assennate dalle quali traspare l'istinto di conservazione, residuo ultimo di vita psichica, poi cade in preda a delirio, e canta a squarciagola, rosso di sanz3uc, tremante al sole d'agosto, canta una canzone dialenale del suo paese (... )10

Lo stesso discorso vale per Remarque: chi meglio di lui ha espresso

il senso del deterioramento, della decomposizione fisica e morale di una generazione? La sua testimonianza è più autentica, secondo Fussell, di quella che possano offrire le lettere o i diari dei soldati comuni: la sua scrittura poetica viola i codici di autocensura, le interdizioni e i tabù propri del linguaggio comune, e con ciò ci restituisce un'immagine della guerra altrimenti indicibile. Vero, ma non sempre. Pensiamo a una scena celeberrima di Nie111e di 1111ovo sul /ro111e occiJe,,. tale, quella dell'uccisione del tipografo Gérard Duval: Si è fano un poco chiaro. Passi affrc11a1i mi sfiorano. I primi. Si allontanano. Altri ancora. li crepitio delle mitragliatrici si estende a una catena ininterrotta. Sto per ,·oltarmi un poco e cambiar posizione, quand'ecco qualcosa ruzzola giù - un tonfo in acqua - un corpo pesante è cascato nella buca, addosso a mc ... Non penso, non decido, colpisco pazzamente, sento che il corpo sussulta, e poi si aHloscia e s'insacca: quando ritorno in mc, ho la mano bagn;i1a, viscida ... 101

E confrontiamola con un'altra scena, descritta nella sua memoria da un operaio tipografo roveretano che abbiamo già incontrato: da,•anti a mc in basso si trov:l\'a un russo sulla ,iona d'anni, questo vistomi davanti mi invitò alla lotta, presi io pure lo schioppo e mi misi sull'a1ten1i, in diffesa, io non volevo uciderlo ma non desideravo restar morto neppur io, la lotta non possio descrÌ\•ere, non ne ho il coraggio, dopo pocchi secondi mi accorsi che perdevo san• guc alla mano destra, i miei occhi si infiamarono, mi trovavo in un forte delirio, presi con forza l'arma e la genai contro il povero disgraziato, chiusi gli occhi per non vedere, e, gli apersi gli vidi il sangue a scorerc, la mia baionetta era penetrata nd collo dalla parte destra, sono la clavicola, la mia arma le era penetrata circa 5 cent. il sangue sortiva e si sparpagliava sopra il vestito, egli aveva abbandonata

L, G,.,r.Je Guem,: n-er.10 e

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l'arma appogia10 ad un 10m di terra colle mani giunte mi stava prgpando la vita, io non ebbi il coraggio di uno che di manda perdono, ucidere (... ) 1

La somiglianza è (soprattutto se si tiene presente lo sviluppo del1' episodio di Remarque oltre il brano citato) straordinaria: la stessa alternativa obbligata tra l'uccidere e il farsi uccidere, il colpo cieco e istintivo, l'orrore per il sangue, il ritrarsi inorridito dell'uccisore, il suo passaggio da attore a spettatore, quasi la scoperta delle conseguenze del gesto compiuto come fosse stato compiuto da altri, il passaggio dell'altro dalla figura di cosa (il nemico) a quella di persona implorante, umana. Viene quasi da dire: la scena è cosl autentica, cosl verosimile, da sembrare inventata. Allo stesso modo nel caso di Remarque veniva da dire: è cosl bene «inventata» da sembrare vera. Scena «autentica» e trasposizione letteraria sembrano dunque reciprocamente inverarsi, appaiono intercambiabili. Più in generale, nel contesto della guerra sembra farsi strada una sorta di intercambiabilità tra realtà e rappresentazione, tra letteratura e vita, tra immaginazione cd esperienza vissuta. E ciò precisamente perché è in quel contesto che l'umano si dilata fino ai confini del disumano, il corporeo si confonde e si fonde col meccanico, la vita si mescola con la morte in modo e in propor.doni inusitate. Per descrivere questo scenario irreale, è necessaria la forza dell'immaginazione. E tuttavia, la realtà supera talvolta l'immaginazione. L'una e l'altra sembrano inseguirsi in una corsa senza fine. I protagonisti di situazioni reali rappresentano se stessi come in una scena. Come ha scritto Fussell, analizzando la metafora del «teatro di guerra», «è il rischio reale delle situazioni militari che le rende teatrali. E anche la loro estrema inammissibilità: per colui che vi partecipa è impossibile credere che sia proprio lui a prendere parte ad azioni cosl delittuose ». 10' Ma, accanto al teatro, non bisogna dimenticare il nuovo, potente modello di rappresentazione e di racconto: il cinema. Cosl scene reali di guerra vengono raccontate con procedure cinematografiche, come vere e proprie scene di un film. Il contadino toscano Giuseppe Capacci impiega spesso nel suo diario il paragone col cinematografo per sot• tolineare la spettacolarità delle scene, per renderne il dinamismo, la confusione, i rapidi e improvvisi mutamenti di inquadratura, ma anche per sottolineare l'elemento irreale dovuto all'intervento di mezzi tecnici

upilolo pri1110

come razzi e riflettori. «Mi sembrava una rappresentazione al cinema» conclude dopo aver descritto la seguente scena di attacco aereo: Non a\•evo ancor veduto arcoplani nemici, ma n sin dal primo giorno potei esple, memarli: mi rimaneva meravigliosa vedendoli louare con nostri; sentendo stridere nell'aria le famose mc1raglie; guardando i nostri caccia1ori, a guisa di rondinella, con il volo velocissimo in su in giù spesso capo\·olgersi come colpili: invece più veloce riprendono il \ 0!0 infugando i nemici dal nosiro c[i)clo nel suo. Pur i nomi ar1iglieri con i suoi cannoni gli por1avano saluii nell'aria e l'inscguh•ano; quando non 1irava ven1i si formava nuvoleue dal fumo delle splosioni, si vedea la s1rada che avea fauo per qualche po' di 1empo. 106 0

È - per cosl dire - la scena di un film di guerra aerea. Ed ecco un'altra scena cinematografica di guerra, questa volta terrestre, sottolineata come tale: Era circa le undici di none: al lume dei razzi che salh·ano in aria come lu1i di fuoco di un incendio, mi apparh•a davan1i agli occhi come un cinema1ografo. Correvano giù e su, davanli a' re1icola1i, per 1rovarc il passo; qualche: granata arrÌ\'il\'a sul posto, che forma\•a una grossa nuba di fumo e di terra asciuua; non vedevo più niente; alsa10 e scomparso il fumo, rivedevo solda1i ancora n, alcuno aveva preso nelk spalle qualche compagno ferilo, lo porta\•a al sicuro.' 01

Capacci assiste non alla guerra, ma a un film di guerra. Egli è qui più spettatore che attore: ha afferrato e racconta insieme la fungibilità di realtà e rappresentazione, e, cosa non meno imporrante e nuova, la loro distinzione. Se altrove sono l'orrore inenarrabile e la potenza sovrumana della tecnologia distruttiva a creare il senso del fantastico, qui è soprattutto il nuovo rapporto tra naturale e artificiale, la novità di una tecnologia che modifica la percezione visiva e sonora, creando nuovi spazi dell'immaginario nel contesto della vita vissuta. La guerra tecnologica è iperrealistica: solo la finzione sembra capace di evocarne efficacemente la presenza. Ancora una volta per spiegare tutto questo occorre dunque far rife. rimento all'alto tasso di incredibilità e di indicibilità della guerra, alla sua dimensione abnorme, quella stessa che si era profilata un decennio prima in Estremo Oriente. Raccontando la sua esperienza di assistente al centro psichiatrico della seconda armata francese, André Breton ricorda: Ho incon1ra10 tra quelle mura un personaggio il cui ricordo non si è più cancellato. Si 1ra11a di un giovane, collo, che alle prime lince si era segnala10 all'inquie1udine dei suoi superiori per una temerarietà poz:tata all'estremo: in piedi sul parapeuo in

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pieno bombardamento, dirigeva col di10 i proic11ili che passavano. La sua gius1ifica• zionc da\•an1i ai medici era delle più semplici; contro ogni \'crosimiglianza e benché un 1ak aucggiamcnto non fosse nu0\'0 da parie sua, non era mai s1a10 colpilo. Quc• sic le sue cer1ezze: la pre1csa guerra non era che finzione, le par\'cnzc dei proicuili non po1cvano fare alcun male, le apparcn1i fcri1c non erano che maq11ilklg~. i morii ' prclc\'ali dagli anfi1ea1ri erano dimibui1i di none sui falsi campi di bauaglia. 1°'

Se nel padre del surrealismo l'accento batte appunto sull'intercam• biabilità di realtà e sogno, in una scena analoga descritta da Céline il tema è quello della follia travestita da ragione. Il suo sarcasmo colpisce qui la spavalderia e il desiderio di morte degli ufficiali, in contrapposizione al suo desiderio di vita: li nomo colonnello, bisogna dirlo, m1nifcs1a\•a un coraggio s1upcfaccn1c! Passcg• gia\•a nel bel mezzo della s1radae poi in lungo e in largo, Ira le 1raic11orie, con moha

1ranquilli1ì, sempliccmen1c, come se a\•essc aspc11a10 un amico sulla banchina della s1azionc, un po' impaziente sol1an10. 109

Tutto ciò è una peculiarità della prima guerra moderna, e della modernità in generale. Come ha scritto Fussell, «il fluire della storia moderna rende familiare il fantastico e normale l'orrore. E la cata• strofe che diede inizio a tutto ciò fu la Grande Guerra». 11° Chi abbia in mente l'evento limite della nostra storia, ossia i campi di concentramento e di sterminio nazisti, non può che convenire su questa drammatica diagnosi. L'epilogo è quello che le prime forme di organizzazione industriale della morte lasciavano prevedere: anche in que• sto caso, l'indicibilità e l'incredibilità sono il tratto distintivo di una realtà che offende la coscienza e ostacola la memoria, come sono in primo luogo la testimonianza di Primo Levi e la sua stessa vicenda personale a ricordarci. La percezione dell'incredibilità fa anche qui cadere il confine tra realtà e sogno, anzi tra realtà e incubo. Benché dominata in primo luogo dal perverso intento di scagionarsi dagli orrendi crimini commessi, la negazione pura e semplice della realtà da parte dei criminali nazisti, la sua trasposizione in finzione, sembra trovare un supporto nella natura stessa dello scenario cui fa riferimento, come nel caso del soldato di Breton. Uno di essi, Louis Darquier, nega tutto: «Le foto dei cumuli di cadaveri sono montaggi; le statistiche dei milioni di morti sono state fabbricate dagli ebrei (... ) la camere a gas c'erano s1, ma servh•ano solo per uccidere i pidocchi». 111

Capitolo

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L'officina della guerra

La guerre, celle qu'dlc 1e puciquc dc nos joun se préscncc

dc plus cn plus commc une cncnprisc indumicllc. Tout Pa)'S bcllignanc est une usine donc la guerre est l'indumic, donc 1·!;111 csc le p.mon cc donc k, mobili~s sonc Ics ou,·ricn. •Rc\'Uc ncurologiquc•, 1918

La m~hina e la ,-ciocie~ hanno amalgamato gli uomini, la guerra ha insq;ruco che la ,·ica di sai è ci.ca daU'annonia di ,•asci complcui umani. G. lkrcineui, 1//ib,o Jd Jopo/4,·o,o, Torino 1918, p. 101 1.

Partir bisog11a

È nel corso della Grande Guerra che gli uomini sperimentano per la prima volta la presenza diretta dello Stato come potenza estranea e insieme vicina, l'estensione del suo potere, la sua rilevanza nella vita privata. In molte lettere contadine è presente questo senso dell'invadenza inedita dello Stato, la coscienza che la guerra consente e accelera la dilatazione del suo ruolo. Le lamentele vertono in particolare sulle requisizioni: «Carissima mamma ò sentito sulla vostra che avete dato la vacca al governo e avete preso f. (?) è un po poco alpreso che valgono ogi ma so che il preso lo fano lori» scrive un soldato bresciano.1 È la chiara identificazione di un potere divenuto inappellabile, per di più su una materia di immediato interesse: dare la vacca al governo è un obbligo, fissarne il prezzo non è oggetto di contrattazione. Un altro, commentando le requisizioni di fieno subite dalla famiglia, scrive: «Insomma: vi pigliano di tutto». E in un'altra lettera: «in riguardo alle bestie bisogna fare quello che' dicono( ... ) Nelle leggi governative non c'è niente da dire, oggi sono padroni da siquistrare qualinche' cosa, siamo in tempo di guerra».1 Da allora più che mai per le classi subalterne, specialmente per i contadini, esperienza·della guerra cd esperienza dello Stato si identi• ficano, fanno una cosa sola. Stato e guerra appaiono come sinonimi e come metafore l'uno dell'altra: come manifestazioni di un potere pervasivo che disarticola e ricompone legami familiari e sociali, dispone

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della vita e della morte_in maniera insindacabile, scandisce i passaggi dell'esistenza privata. E allora che la gente comune avverte in modo diretto e concreto come in 1uua Europa, con l"uniformi1à di un orologio, i singoli siano comcui a inserirsi nel mcccanismo s1a1ale complessivo, come quell'organismo, che pure è composio di singoli indh•idui, domini le sue uni1à cos1ilu1i\'e, e come ciascuno debba obbedire alla \ olon1à del sistema di cui fa parte. 1 0

Ma il meccanismo statale è innanzitutto meccanismo militare. Come annota Gemelli: Un elememo importamc e dccish·o della lrasformazione della personali1à del soldato è dato dal (auo che il soldato cessa d"csscrc un uomo e di\·cn1a Ìn\'cce la parte di un luteo. In questa guerra si è \·cdu10 a poco a poco che la socie1à ha es1cso il suo polerc sugli indi\'idui e ne ha diminui1a la libertà. Non è forse \'ero che 1u11i quan1i oggi noi scn1iamo di essere dominati da una forn che fa di noi ciò che \'UOle, che ci impone certe idee, che ci costringe a un genere di vi1a, che insomma ci tra• sforma? Ancora più eviden1e tille fauo è nel solda10, il quale perde la propria perso• nali1à individuale, la propria fisionomia, e diviene un elemcn10 come mille ahri, con• fuso nella grande massa.'

Non che in passato fosse del tutto mancata un'cspericn1.a del genere. Nell'epoca moderna, e particolarmente nella fase di formazione degli Stati nazionali, lo Stato si era già tangibilmente presentato come potere di estorsione di averi e di vita, ossia come esazione di tasse e coscrizione. Prima manifestazione della presenza capillare dello Stato in rapporto all'esistenza dei singoli, la coscrizione generale obbligatoria introduce vincoli periodici e forme di controllo regolari nelle comunità, in contrasto con la mobilità territoriale e con l'anonimato della popolazione, in quanto presuppone la fissazione dell'identità anagrafica e la certezza del domicilio. Lo Stato si afferma anche attraverso queste procedure, di cui la leva è un passaggio non secondario. La risposta tradizionale del mondo contadino a questo accerchiamento è la fuga. Renitenza e diserzione fin dall'epoca napoleonica prendono di frequente la forma del vagabondaggio e dell'emigrazione. Vagabondo cd emigrante sono minacce alla certezza dello Stato in primo luogo in quanto sono causa e conseguenza di una sottrazione all'obbligo militare. E la coscrizione obbligatoria rappresenta contemporaneamente un ostacolo e un incentivo alla mobilità geografica della popolazione. Il luogo comune di un mondo contadino «statico» e «immobile», che la Grande Guerra avrebbe per la prima volta mobilizzato, si rivela in larga parte inconsistente. Il mondo contadino è

C.pitofo s«o,rJo

caratterizzato già in precedenza da un alto tasso di mobilità, di cui sono manifestazioni rilevanti appunto il vagabondaggio, l'emigrazione stagionale o periodica e quella «permanente»; la guerra interviene semmai a modificarne la logica e il comando, introducendo un diverso tipo di mobilità, coercitiva ed eterodiretta. Mentre inibiscono la mobilità «spontanea», la coscrizione, l'esercito e la guerra regolano e controllano coattivamente i movimenti della popolazione, cosl come introducono nuove forme di regolazione del tempo e della vita.S Nel caso italiano, l'onda alta dell'emigrazione transoceanica, sul finire dell'Ottocento, si innesta sul solco antico di itinerari tracciati insieme dalla ricerca di risorse integrative e dalla pratica della renitenza. Il rapporto tra emigrazione e renitenza appare particolarmente stretto e visibile prima che quest'onda monti, nei casi di emigrazione precoce e relativamente costante, senza impennate e senza cadute, profondamente inserita nell'ordinarietà della vita contadina, com'è ad esempio quello ligure.6 Lamentele di notabili, inchieste parlamentari e registri comunali di leva lo documentano ampiamente. Nel 1850 l'intendente di Chiavari lamenta la frode degli iscritti di leva che «vanno ad attendere in lontane regioni l'esito dell'estrazione, non vincolati che da una quasi effimera cauzione».7 Trent'anni dopo, nella parte dell'btchiesta agraria dedicata alla Liguria, Agostino Bertani registra a sua volta dalle informazioni locali, sempre relative al Chiavarese, che «c'è avversione e il servizio [militare] non piace, non solo ai contadini(. .. ) Da qui gran diserzione, specie per l'America, sicché d'ordinario neppure il terzo degli iscritti per la leva si presenta al momento dell'estrazione».• Quanto ai registri comunali della leva, accanto ai nomi, numerosissimi, dei renitenti, vi si trova spesso annotata una sola parola: «America». Oppure, in modo più circostanziato: «Appartiene a famiglia della quale si sono perdute le tracce (... ) partl bambino con tutta la famiglia, si trovano a Boston (... ) partl clandestinamente per gli Stati Uniti dopo essersi presentato a questi uffici (... ) partito clandestinamente quando era sotto la leva (... ) partito per l'America non appena estratto il numero».' Tanto simile, per i suoi effetti di sradicamento, all'esperienza del servizio militare e della guerra, l'esperienza dell'emigrazione ne costituisce a lungo una delle principali alternative. Su un altro versante e con tutt'altri intendimenti, ma con singolare coincidenza, sono le scienze psichiatriche e medico-legali, nel-

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l'ultimo scorcio deU'Ottocento e all'inizio del nuovo secolo, a cogliere un filo ininterrotto di continuità tra vagabondaggio, emigrazione, fuga e diserzione, interpretati come fenomeni patologici, come segni di insufficienza evolutiva e di inadattamento alle superiori esigenze degli aggregati sociali stabili. 10 Un'unica, incoercibile tendenza sembra collegare ai loro occhi il vagabondo privo di una sede e di un lavoro sta• bili, l'emigrante che lascia il suo paese aUa ricerca di un mondo nuovo, il soldato che si sottrae, in preda a impulsi incontrollati, alla disciplina dell'esercito e all'imperativo della guerra. In effetti, desiderio di fuga e spinta a emigrare si sovrappongono talvolta nei deliri di per• secuzione, come risposta a una situazione intollerabile. È il caso di un soldato ventiduenne, detenuto e ricoverato nell'ospedale psichiatrico di Cogoleto (Genova) nel 1918, che scrive: «Cara mamma ti mando questa )etera per farvi sapere che mi trovo il manicomio di cocoleto provincia di genova Padiglione N. 9. ti prego di spedirmi subito dei danari il perche voglio pame per lamerica perche le guardie mi perscguiano». E insiste più oltre di mandargli «labicicleta che cozi faro più presto andare innamerica». 11 Pur nell'ottica distorta di un paradigma che trasforma i fenomeni sociali in fenomeni patologici, la psichiatria coglie qui un frammento di verità: vale a dire la risposta di fuga di fronte all'accerchiamento della coercizione che si presenta come Stato, arruolamento, guerra, manipolazione, sorveglianza. Il carattere della fuga si modifica tutta• via col tempo, con le trasformazioni della guerra e dello Stato. Non a caso quella che abbiamo appena citato si svolge tutta nell'interno di un manicomio o, più precisamente, non oltrepassa la soglia della sfera mentale del protagonista, quella appunto del desiderio. Come diremo meglio più avanti, in questo passaggio c'è un segmento decisivo del processo cui abbiamo fatto riferimento. Di fronte al primo esempio di coscrizione obbligatoria, quella napoleonica, la fuga, anche sotto forma di vagabondaggio ed emigrazione, era ancora pos• sibile, la diserzione quanto mai frequente: «dopo apresso di un mese - scrive un contadino savonese arruolato nelle armate, dopo aver descritto le penose peripezie attraversate - siamo partiti ancora per il nostro detino altrimenti era obligato di disertare (... ) come nera già disertata una gran soma di 90 è eravamo solamente la soma di 300 ». 11 Altri come lui fuggono, si rendono irreperibili, espatriano, si perdono nel silenzio anagrafico, cessano di esistere come individui

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upitolo s« Qui del resto la morte è in fondo ancora lontana (il nostro non è al fronte). Quando diverrà una presenza costante e ravvicinata, questo effetto si presenterà in maniera ancor più acuta. Si veda quanto scrive un soldato per comunicare la morte del fratello Consolo alla madrina di guerra di lui: il po\'cro mio fratello che combate\'a da \·aloroso finl la sua \'ita su l'asolonc il giorno 29 a pochi passi da mc simagini io come suo fratello o (atto tutto cucilo che o potutto, lo sforso incredibile, il dolore e impensabile però mi persuado col dire che Consolo si è distinto in cucsta azione come pure suo fratello Consolo si è distinto più di mc combate(?) da vero uomo che ama la sua patria è e stato proposto alla medaglia di Argento io ai gradi di aiutante abiamo combatuto sino alultimo estremo umano non sarà la morte di mio fratello che dopo tanti tempi di sacrificio morl pazienza però tutti potrano dire che i fratelli Compagnati ano combatutto da valorosi unico mio conforto cuando mi \'iene imcntc cucste parole mi ripenso(*) la forsa lo spirito il coraggio desarma(*) alla \·endctt:11.61

Le parole vengono insomma consapevolmente invocate come mezzi di resistenza di fronte al dolore e alla morte. Lo strumento linguistico, l'evocazione di concetti patriottici di valore e onore servono a fronteggiare le emozioni. In ultima analisi il linguaggio si rivela un potente strumento di autocontrollo e di controllo sociale, secondo un'intuizione che alcuni intellettuali avevano espresso lucidamente: «Se io penso alla troppa gente - scrive Boine nel 1916 - che muore lassi1 senza sapere perché, il mito della patria, che quanto a mc non mi nutrisce più, sempre pii1 mi convinco che è ufficio di umana pietà

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inculcarlo; può nobilitare la vita e soprattutto dar significato alla morte».~ Un esempio particolarmente patetico, perché riguardante la prc• visione, ben presto avveratasi, della propria morte, è infine quello fornito dalla lettera di un soldato bresciano, dove la prosa stentata fa risaltare ancor più il peso disperato di parole apprese in fretta e con fatica da un universo linguistico estraneo e lontano ma ormai dolorosamente integrato nel proprio: « ti raccomando, se soconbcssi i miei cari banbini e dille che il suo babbo che tanto li amava e morto per la grandessa della patria». 6' Ma la stridente collisione di linguaggi diversi si presenta di continuo quando il discorso verte sulle previsioni della propria morte: «che al momento e l'altro potremo essere chadavcri Sul champo di glorria tutto per la grandessa della nostra italia», scrive un soldato, accostando la parola tremenda del corpo morto a quelle alate e impalpabili dell'italianità.'° Sono queste parole nuove che entrano violentemente nelle scrit• ture e nei pensieri dei soldati, fornendo un soccorso tendenzioso al controllo dei comportamenti e delle emozioni, aggiungendosi o sosti• tuendosi all'altra grande risorsa di controllo e conferimento di senso fornita all'universo linguistico dalla religiosità, cui con altrettanta frequenza essi fanno ricorso per dare un senso alla vita e «soprattutto alla morte».,. Quando si parla di propaganda di guerra bisogna pensare alla pro• fondità di queste intromissioni e al contesto emotivo che le favorisce. Ciò era anche l'effetto dell'adozione di nuove forme di comunicazione, tipiche di un'alfabetizzazione ancora incerta anche se in fase di impetuosa espansione. Nella guerra si fece uso per la prima volta in maniera estesa di mezzi di acculturazione di facile accesso come gli slogan sui muri e le frasi alle pareti nei luoghi pubblici, che diver• ranno pratica abituale nella comunicazione sociale del fascismo. Que• st'ultimo ne conserverà insieme la forma aggressiva cd elementare, il contenuto e lo stile altisonanti. Qualche esempio significativo si trova nei già citati Ricordi di don Minozzi, quando riferisce ad esempio la pratica in uso nelle Case del soldato di decorare le pareti delle stanze non solo con quadri di personaggi e scene del Risorgimento, ma appunto anche con «scritte animose inneggianti al dovere e alla 1>atria »:

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Anche su le pareli di ques1a sala - scri\·e ad esempio - dominano due mo11i, come due voci for1i di ammonimen10: A voi, Sokfa1i, è affidala la sacra missione di preparare i nUO\•i dcs1ini della Pa1ria (Franccsco Pais) Ricordale che il coraggio salva spesso; la paura uccide sempre (Leonardo Bianchi)."

Dove, all'oscurità del messaggio contenuto nella prima frase, fa riscontro la minacciosa chiarezza della seconda, quali che ne possano essere le interpretazioni letterali. Altrove lo stesso autore presenta un elenco completo di motti stampati sulla carta da lettere e sulle cartoline: oltre cinquanta pagine martellanti, che suggeriscono l'effetto di un bombardamento di immagini e parole, associazioni di idee che piovono a raffica sugli indifesi destinatari con argomenti quasi sempre grossolani e ricattatori del tipo «chi non ama la patria non ama la madre».' 1 Minozzi è buon testimone e apologeta di questa portata «modernizzante» della guerra che consiste nell'adozione su larga scala di messaggi verbali stereotipati e forme di organizzazione del consenso. In molte parti della sua testimonianza sembra di scorgere, tra le pieghe di un attivismo frenetico di natura saldamente cattolica e patriottica, anche l'analogia tra la scala industriale, di massa della guerra e quella su cui si esercita l'organizzazione della cultura e del tempo libero, a cominciare dall'alfabetizzazione. Come altri opuscoli descrivono cd esaltano il mirabile flusso di materiali e di armi, la movimentazione di uomini e cose, l'eccezionale dispiegamento di mezzi di trasporto, cosl l'ammirazione cade qui sul potente, inesauribile flusso di strumenti di svago, ricreazione, alfabetizzazione, intrattenimento verso le masse inquadrate: Da Gradisca, da Fogliano e da Sagrado panicolarmenie salivano rifornimcn1i con1inui di libri, di caria da scrh·crc, canoline, ma1i1e, dischi da grammofono, giuochi da 1avolo per le piccole sezioni di prima linea sul San Michele e ohre il Vallone, per 1u11a la zona carsica.14

Allineate come armi, le matite testimoniano non solo la compattez1..a dello sforzo, ma la modificazione di scala e di dimensioni, quindi anche di qualità, dei fenomeni sociali, a cominciare da quelli che concernono la comunicazione, il tempo libero, l'accesso delle masse alla lettura e alla scrittura.

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8. Lavoro e granale «In modo inatteso - ha scritto Lced - la guerra fu un'esperienza modernizzante per milioni di uomini, di tutte le classi sociali, che non avevano ancora conosciuto la totalità industriale». E, citando la tes1imonianza di un solda10 tedesco, ha ricordato la definizione di quella guerra come «un'industria per il macello umano specializzalo».:) La coscienza di tale dimensione della guerra si affaccia con frequenza nei pro1agonis1i e testimoni, sia che la subiscano come un flagello sia che la esaltino come mirabile espressione dei nuovi tempi. L'immagine dell'impresa industriale viene didascalicamente richiamala in una pagina di due medici francesi, per evocare l'idea della guerra come sforzo coordinato e possente che mobilita intorno a un unico scopo risorse lavorative, capacità direttive, organizzazione: ogni paese belligeran1e diventa insomma un' «officina», di cui la guerra è il prodotto, lo Stato è il padrone, e i soldati la forza lavoro/6 Per quanto generico quando non senz'altro improprio, il riferimento a Taylor, frequente nelle pagine dei tecnici della guerra (e specialmente di psichiatri e psicologi militari), non è dunque peregrino, ma appare come un indizio e segnala un'aHinità. In 1empo di guerra - commcn1a ancont uno s1udioso fnt= a proposi10 dei com• pili della psicologia nel rc:clu1amc:n10 e nell'organizzazione dc:ll'c:scrci10 americano - il problema più urgente rc:sia la migliore: organizzazione dcll'c:scrci10, che dev'cs• sere il centro di 1u11c: le preoccupazioni. Ont negli Stati Unili si è: pensalo che non c'è: che una organizzazione: ntzionalc:, quella basa1a sulla scienza. Sonolineiamo allora che già in 1c:mpo di pace la produzione: economica era s1a1a scientificamcnle SIU• dia1a grllZie all'impulso che il me1odo Ta>·lor a,·eva d.110 a quc:s10 genere: d'in• daginc:.n

L'imperativo della razionalizzazione si estende dunque dalla pace alla guerra, dalla produzione alla distn1zione. Il carattere industriale della guerra, e con ciò la sua modernità, si rivela non solo nell'imponente impiego di 1ecnologie, ma nelle forme di organizzazio'le e di movimentazione sincronizzata di macchine, materiali, uomini. E questo spettacolo di organizzazione che colpisce e talvolta affascina anche i comuni soldati, almeno fintantoché la sua esplicita destinazione alla produzione di morte e la diretta minaccia che ne viene alla vita dei singoli non sono recepite in tutta la loro pienezza. L'effervescenza si comunica all'intero paesaggio industriale dell'interno, ed è qui, prima

,o, ancora dell'arrivo al fronte, che si verifica per molti, specie per chi viene dalle campagne e dal Sud, il primo incontro con la civiltà industriale e con le sue meraviglie. «Brescia è una città industriale annota Annibale Calderaie nel suo Diario, raccontando il suo avvicinamento alla zona di guerra. - Vi sono decine di migliaia di operai che lavorano alle industrie di guerra, vi sono anche molti militari, si dice solo di Mitraglieri - 30 000». 1• «Traffico immenso automobili cannoni obici munizioni salmerie staffette ... - scrive un sergente di artiglieria nell'avvicinarsi al fronte - una festa uno spettacolo di ordine e di attività impareggiabile incredibile» ..., Con parole simili Gemelli descrive la straordinaria animazione delle immediate retrovie, dove uomini cose e animali si spostano come per una logica superiore: «Qua soldati che fanno esercizi, là una batteria che sta mettendosi in ordine, poi parchi di automobili, e dappertutto muli, carri e poi soldati e soldati ancora e ancora automobili (... ) E vanno vanno questi veicoli, continuamente, come se una mano invisibile li spingesse».'° Un soldato scrive a sua volta: «Se vedreste quanti soldati che c'è qua è una cosa indescrivibile, fanteria bersaglieri artiglieria cavalleria. Vi è di quei cannoni che li ho mai visti, vi hanno sotto otto cavalli ciascuno anno la bocca che ci va dentro un uomo». 11 Nel grande spettacolo della guerra, l'imponenza delle macchine di artiglieria è il primo elemento che colpisce. Qualcuno riesce anche a divertirsi nel manovrarle: «Trovavo molto divertimento a far partire i colpi del cannone» comunica un contadino. 81 Ma si tratta in genere di impressioni della prima ora. Ben presto ogni traccia di stupore ed entusiasmo tra i soldati si convertirà nell'angosciosa sensazione di essere en1ra1i in un meccanismo inesorabile quanto insensato, in un processo metodico ma senza scopo e senza fine. Il sentimento di meraviglia e persino di potenza si convertirà allora nel suo contrario, producendo stati d'animo di smarrimento, insicurezza, disperazione. Lo stupore della modernità diverrà orrore della modernità. Appariranno infatti «la noia mostruosa, lo sfinimento, la banale, meccanica quotidianità di una guerra in cui terrore, paura e morie scandivano i tempi come in un processo industriale senza fine».•> «Questa - scrive il pittore Carlo Erba, che morirà in combattimento - è la guerra che non ha vessilli e non ha inni, è la grigia, uniforme monotonia di migliaia di uomini che aspettano vigilando, muoiono avanzando nell'irto groviglio dei reticolati»."

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upitolo s«ondo

Se la guerra assume i connotati dell'impresa industriale, l'attività del soldato assomiglia in molta parte al lavoro, o più semplicemente è lavoro. La straordinarietà dell'evento morte si innesta nell'ordinarietà dei compiti ripetuti, nella monotonia della vita di trincea, come tutti riconoscono. Tra le qualità occorrenti al buon soldato, Consiglio e altri richiamano in primo luogo la «metodicità di lavoro», la ' «preparazione paziente», il «lavoro disciplinato di tutti i giorni». La guerra moderna sopra11u110, osservai a da vicino con me1odo posili\·o, più ancora che gli episodi bellici e le ba11aglie, fa manifes10 IUlto il grandioso la\·orio di prcpa• razione e di rein1cgrazione, prima e dopo i comba11imen1i: esse, costi1uiscono la 1rama ordinaria e quolidiana della viia del campo. In qucs1a trama eccelle ogni virtù di la\'Oro, di pazienza, di energia sileme cd operosa, fra fa1ichc fisiche, disagi nel mangiare e nel dormire, marce, vi1a 1ravaglia1a nelle trincee, lavori di s1erro e di fonificazione, appos1amen10, concemrazione e dislocazione di viveri, di armil di muni• zioni, di mezzi di 1raspor10, riposo spesso in1crro110 e non ris1ora1ore. 1

Il buon soldato è innanzitutto il buon lavoratore, abituato alla regolarità e alla disciplina. Anche a Prezzolini il nuovo eroismo del combattente appare quello «della costanza del lavoro»/4 Così nella guerra industrializzata la vita dell'operaio rappresenta il modello per quella del soldato.11 Segnalando la perfetta corrispondenza del lavoro di guerra alle caratteristiche del lavoro alienato, Leed ha mostrato come questo fosse tra i fattori più forti di quella disillusione che colpì i volontari nella loro attesa di un riscatto dalla modernità, di un'alternativa alla società industriale. Ma ha anche sottolineato come non per tutti l'esperienza avesse queste valenze. Per operai e contadini, minatori e manovali, la questione presenta senza dubbio aspetti diversissimi che per i volontari borghesi. Per molti il lavoro espropriato non è una scoperta ma una conferma, come lo è la fatica pura e semplice. Quel che appare nuovo per tutti è semmai il contesto nel quale il lavoro si svolge. «S'incominciò a lavorare, - annota il contadino toscano Capacci, far trincere, reticolati, strade ecc. Si andava al mattino, si ritornava la sera; il primo rancio ce lo portavano. Lo stipendio era di quaranta centesimi del lavoro, cinquanta di cinquina»." Per lui è il primo impatto con la zona di guerra, ma i_ problemi sono quelli di sempre: orari, salari, vitto. «Le giornate erano belle, - scrive ancora, - la notte la luna splendeva, il fropte taceva: come se tutto riposasse aspet· tando l'ora del lavoro!» Più tardi si renderà conto che in questo

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lavoro c'è qualcosa di diverso, quanto meno lo scenario, dove si mesco• lano rumori usuali e inusuali, gesti consueti cd emozioni nuove: Arri\'ati al camminamcntodo-.-c noi si do\ C\-a ll\'Oral'C, \'i era nla ferro\·ia e un casouo; 0

ci si distese a distanza facendoci passare picchi e badili, si posa il fucile e cibcrne e giù al la\'oro come tanti contadini. Qualche cannonata passava sopra a noi por• tando il saluto al ponte dell'Isonzo; si la\·ora\'a in mezzo a un campo di granoturco, ormai s«co, le badilate face\'ano del fracasso, qualche piccone, ballC\'a nel badile; qualche sdrappcl scranò \'Ìcino.

A modificare l'ambientazione e i ritmi del lavoro, interviene anche l'inversione dell'ordine naturale del giorno e della notte. Come e più della fabbrica, la guerra emancipa il lavoro dai tempi «naturali» propri dei cicli agrari e dei ritmi biologici: «Cosl il giorno si dormiva, la notte si faceva camminamenti, portare fare cavai di fris[i]a; la notte si passava al lavoro al lume delle stelle, ma non mi disturbava a lavo• rare: ho sempre lavorato!»~ «C'è sempre la nebbia - annota un altro combattente contadino - e un po' piove e si deve lavorare per quc• sti ripari. Qui si conosce proprio cosa vuol dire essere in guerra».w Nel suo diario il filo conduttore è dato dalla contiguità tra lavoro e morte. C'è il rischio quotidiano, la prossimità incredibile della morte, ma anche la monotonia dei compiti ripetuti, l'ininterrotta sequenza di giornate semrrc uguali, passate a lavorare e a sparare, a sparare e a lavorare. «I tiro tira tutt'oggi e qui lavoriamo per fare un po' di riparo»; «si continua a lavorare. Ci sparano e non so come non sia morto nessuno». A un certo punto sembra anzi che l'insofferenza per questo lavoro senza fine superi quella per la minaccia continua di morte: «Sempre lavoro e sempre granate. Tutti i giorni lavori e noi siamo stanchissimi». Ma anche sparare è un lavoro, con i suoi orari e i suoi ritmi prefissati: «Si comincia a sparare presto e si conti• nua tutto il giorno, ogni cinque minuti un colpo e cosl sino a sera sin quasi all'ora del cambio».' 1 Soprattutto, quello che sfugge al comune soldato è lo scopo di questo lavorio, di questo metodico sforzo organizzato: «mi parca inutile annota ancora Capacci dopo essere stato destinato a una missione rischiosa - si va alla morte senza scopo di nessun profitto». 92 Qui e altrove emerge la chiara consapevolezza della guerra come macchina che si autoriproduce, come evento indipendente dalla volontà dei singoli, sottratto al loro potere e perfino alla loro comprensione. Lo sguardo disincantato del contadino toscano registra insieme le « mera• viglie» della nuova guerra e la sua radicale incomprensibilità. Dopo

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la descrizione di una notte passata insonne in turni di guardia, dice ad esempio: «sono nottate memorabile, ma non ha spiegazioni». E a proposito degli spostamenti, con un'annotazione comunissima nelle testimonianze: « Un bel giorno il nostro capitano ci fece lui la morale dicendo: "Domani mattina si deve partire di qua". Ma per dove, noi soldati non si sapeva mai. si vedeva quando eravamo arrivati sul posto». 91 La logica e la direzione degli spostamenti sfuggono, in quanto dipendono da un disegno superiore sconosciuto. Allo stesso modo non si riesce mai ad afferrare la logica complessiva della guerra, che si presenta come una sequenza casuale di assalti e spos1amenti, attese e ritirate, lavori di scavo e di edificazione subito resi vani. Il lavoro è dunque forse quello di sempre, ma in un contesto che ne rende ancor più inafferrabili il significato e la logica, quindi ancor più evidente la na1ura espropriata.

9. L'orga11izzazio11e della morie La dimensione «industriale» della guerra, la combinazione inedita di razionalizzazione e distruzione compaiono soprattutto là dove si opera lo smaltimento dei suoi prodotti primari: morti e feriti. È n che la razionali1à pienamente dispiegata della tecnologia mostra il volto della guerra come macchina per la produzione su scala industriale di vittime umane. Non molti anni prima della Grande Guerra, un medico militare italiano, guardando con ammirazione alle forme moderne di organizzazione della guerra e alla straordinaria efficienza raggiunta dai servizi sanitari di alcuni eserciti, a proposito di un noto episodio della guerra civile americana aveva notato: « Dopo la battaglia di Gettys• burg (3 luglio 1863) giacevano a terra 21 ooo feriti; orbene, il mattino del 4 luglio non ne rimaneva più uno sul campo».'N Non solo la guerra moderna produceva fcri1i e morii su scala sempre più vasta, ma con la stessa prodigiosa rapidità era in grado di operarne la rimozione. Con automatismo e sincronia perfetti, a un'operazione seguiva quella successiva. Del resto, la rimozione dei feriti, in ragione del loro aumento numerico, s1ava diventando una vera e propria necessità fisiologica per la guerra, una condizione imprescindibile della sua durata. Il fatto è che nella guerra il)dumializzata morie, mutilazione e invalidità appaiono sempre più come il frutto dire1to di una produzione

programmata, sempre meno come la conseguenza collaterale di inefficienze e di fattori «naturali» quali le intemperie e le epidemie. Per quanto assomigli ai cataclismi naturali, la guerra moderna - lo si è visto a partire dal conflitto russo-giapponese - è piuttosto un cataclisma tecnologico. Su questo soprattutto si misura la sua distanza dalle guerre precedenti. Circa cent'anni prima, nel corso delle campagne napoleoniche e precisamente durante la battaglia di Lipsia, non era stato disponibile, per 34 ooo feriti francesi, che un solo ospedale mobile, «in cui si affollavano, ancor dopo sette giorni, fantasmi di soldati sanguinosi, fasciati con brandelli di camicie e di sacchi, e già in preda alla gangrena nosocomiale». Durante l'assedio di Sebastopoli nella guerra di Crimea, «i mutilati e i feriti [russi] erano evacuati su Symfcropoli in numero di 500, e talvolta di 1500 al giorno, per mezzo di carri pesami a quattro ruote, sprovvh,ti di apparecchi di sospensione. Ma quando la strada di Symferopoli fu tagliata, lo sgombero divenne impossibile, e la mortalità dei malati e dei feriti ammucchiati sul posto raggiunse una cifra spaventosa». Né migliore era stata al riguardo la sorte degli eserciti inglese e francese. Nel caso di quest'ultimo, «lo sgombero su Costantinopoli fu fatto su navi non adatte allo scopo, dove i feriti giacevano alla rinfusa tra i colerosi e i tifosi (... ) Basti dire che di 309 268 uomini, 83 375 morirono di malattia, e soli 10 240 in seguito a ferite!» 9 ) Ma la guerra di Crimea, col suo seguito di micidiali epidemie, è forse l'ultima a presentare questo scenario tipicamente premoderno. Proprio da quella esperienza com'è noto, lo stato maggiore britannico trasse impulso a rivedere profondamente i servizi sanitari militari.V6 A partire dalla guerra di secessione americana, la situazione comincia a modificarsi. Si profila l'intervento nuovo di apparati, di tecnici e di servizi. La guerra di secessione - osscr\'a ancora Trombetta - pose in rilie\·o progressi cosl

nole\·oli ncll'ordinamemo del scr\'izio sani1ario, che ancora una \'Oha la \ ccchia Europa do\·ette inchinarsi ammirando dinanzi alla pa1ria di Washing1on, e 1rarne u1ili inscgn:tmcn1i per le guerre fu1ure. li scr\'izio di prima linea funzionò in modo mirabile; i posti di medicazione erano rapidamcn1e evacuali, e i feriti pass,l\'ano dirci• 1amen1e dal campo di battaglia ai neni-ospedale o alle navi-ospedale (... ) Bisogna aggiungere che si sperimemarono largamcme in quella guerra le tende e baracche funzionami da ospedali da campo, dO\'C tro\•arono rico\'ero ohre r ooo ooo di uomini ira mal:t1i e ferili, con una mor1ali1à dell'S per roo.91 0

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Tecnologia dei trasporti, progressi della scienza medica e potenziamento dei servizi sanitari razionalizzano la distruzione, mutano la proporzione tra morti per ferite e morti per malattie, modificano il rapporto tra gli spazi della guerra e i luoghi dello smaltimento: ospedali, manicomi, cimiteri. L'esercito prussiano, nella guerra contro la Francia del 1870, per la prima volta vede l'inversione del rap• porto tra morti per malattie (poco più di 1 2 ooo) e per ferite (oltre 128 000): 98 non meno morti, quindi, ma una loro diversa distribuzione, una loro produzione meno casuale, su scala e con procedure industriali. È specialmente il problema dell'evacuazione, che abbiamo già visto presentarsi nel corso della guerra russo-giapponese, e quindi dei trasporti, a richiamare l'attenzione degli specialisti. Le riviste di medicina militare segnalano con enfasi i progressi del settore in tutto il periodo che precede la prima guerra mondiale: dalla ingegnosa trovata tedesca della «ciclobarella», segnalata negli «Annali di medicina navale e coloniale» nel 1911, w alle più decisive navi-ospedale, messe in opera dalla marina italiana in occasione della guerra di Libia. «Questi piroscafi - sottolinea la stessa rivista a proposito del Re d'Italia e della Regi11a Ele11a impiegati in quella guerra - sono ora qualcosa di più di semplici navi trasporta-feriti; sono, come le abbiamo chiamate, vere 11avi-ospcdale, di un'organizzazione perfetta, pronte a ogni evenienza». 100 Accanto alle navi, i treni-ospedale. Nel corso della Grande Guerra, il loro dispiegamento diviene imponente, la loro movimentazione costi• tuisce un problema nel problema dei trasporti di guerra, e i monumenti postumi allo sfor1.o nazionale ne richiamano come sempre i primati: il massimo di 58 treni sanitari messi in movimento in un giorno, il 22 agosto 1917, nel corso dell'offensiva della Bainsizza (traguardo nuovamente toccato il 30 ottobre, dopo Caporctto), e di 7300 feriti trasportati in un solo giorno (ancora il 22 agosto 1917)} 01 L'immagine del treno-ospedale e della nave-ospedale si insedia con frequenza sempre maggiore anche nell'iconografia documentaria e propagandistica di guerra, nelle fotografie, nei manifesti e nelle cartoline, insieme a quelle di medici e infermiere. In contrappunto agli scenari distruttivi e alla irreparabilità della morte, questa immagine tende a celebrare la pietosa ricomposizione ,della vita e dell'integrità e insieme allude all'efficienza della macchina militare, secondo un modulo che

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si ripeterà nella seconda guerra mondiale. A noi essa ricorda in primo luogo il carattere nuovo della guerra, la sua capacità inedita di movimentazione sincronizzata a fini distruttivi di macchine, mate• riali, uomini e corpi senza vita. Vero è che a un certo punto il ritmo di produzione della morte diviene superiore a quello delle operazioni di sgombero. Ed è in certo senso questa eccedenza, sempre pit1 marcata mano a mano che la guerra si prolunga, a iterare nel tempo gli effetti della morte e a dilatarne gli echi nell'immaginario. Come ha ricordato Paul Fusscll, passeggiando oggi nella campagna della Somme, non solo si può sentire l'odore dei rottami di ferro di allora, ma può capitare di incontrare frammenti di ossa. 10, Lo stesso poteva accadere fino a poco tempo fa nei dintorni di Gorizia, avverando una facile previsione dei testimoni del tempo: Nel ritorno - scriveva nel suo diario di guerra Attilio Frescura - ci siamo fermati mllc: vecchie trincee dei Sci Busi, lo sterminato campo della banaglia di agosto. Da allora, da più di due mesi una interminabile processione di formiche umane opera il risanamento del campo di battaglia. I morti sonerrati, il materiale recuperato sai• gono a delle: cifre impressionanti. Ma quando si arriva qui, in questo caos do\·e regna la morte, si può disperare che il tempo cancelli la traccia della loua feroce (... ) Si 1•c:dono ancora questi caduti che nessuno aveva potuto raccogliere (... ) Da più di due mesi si sotterra si rimuo\·e si risana. Ma questi morti sono iroppi. 11>
Diverso è il caso dei feriti. Assillati dal numero delle vittime, i medici descrivono il lavoro febbrile nei posti di medicazione, l'incessante opera di smistamento e trasporto: «Quando il combattimento si prolunga per vari giorni il numero giornaliero dei feriti è tale, che si impone la necessità di sgomberarli al più presto». Ed ecco, altro segno di modernità, soccorrere le autoambulanze, «gloria dell'industria italiana, con le quali si sono potute in poche ore sgomberare centinaia di feriti». 106 Tutti i servizi - scrh·e il Boschi - subirono incremento, svolgimento, \'Orrci dire pcrfenissimo. li delicatissimo còmpilo degli sgomberi si corredò di mezzi sliuanti

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C,pitolo ~or.do

e: di 1c:lc:fc:rkhc: nc:llc: zone: montane:. (... ) Tu11i i mc:zzi di 1raspor10 furono impic:gati: mc:zzi flu\'iali, lagunari, e: più t.irdi anche: mc:zzi ac:rc:i, amc:zzando le: carlinghe: con barc:l!c: comode: sospc:sc: opportunamc:ntc:. (. .. ) E le: autoambulanze: stc:ssc: e: le: barc:llc: furono sempre: più affinate: mc:ccanicamc:ntc:. E continuano studi e: propos1c:: pc:r l'a\'• \'c:nirc: ... (... ) Si moltiplicarono i treni amc:zza1i, sempre: più 1rasformandoli in finiti trc:ni ospc:dali. 101

Tecnologia, industria e principio di organizzazione penetrano pro• fondamente nelle operazioni della guerra, anche perché, mentre razionalizza la morte e ne trasforma il carattere, essa moltiplica le vittime permanenti. Fra i problc:mi che: sorgono dalla guc:rra - lc:ggiamo sulla • Riforma mc:dica- nel 1916 - e: che: si impongono fin d'ora alla considerazione: del mondo ci\'ilc:, uno dei più gra\'i, senza dubbio, apparisce: quc:llo dc:i soldati colpiti da in\'alidità, rc:si cioè mutilai i, storpi o cic:chi pc:r c:ffc:110Jc:llc: loro gloriose: ferite:. Il contingc:ntc: di questi reduci S\'c:nturati non è stato mai cosl tc:rribilmc:ntc: alto, come: nella guc:rr:1 attuale:: ciò che: si spiega non solo a causa delle: masse: c:normi di comba11c:nti che: \'C:ngono a confli110, e: della potenza e: ferocia dei mc:zzi di distruzione: messi in opera, ma anche:, come: pc:r una prowida antitesi, in \'irtù dc:i progressi raggiunti dalla chirurgia moderna, la quale: ric:scc: a conservare: in \'ila un gran numero di in\'alidi, che: nelle: guc:rrc: passate: soccombc:\'ano alle: loro ferite:. 1"' 10.

Invalidi al lavoro

È a questo punto che si riaffaccia l'imperativo della razionalizzazione e tornano in campo le analogie con i suoi apostoli nel settore della produzione industriale, da Taylor a Ford. Come nella fase di rimozione, smistamento e smaltimento dei corpi consumati dalla guerra tecnologica, cosl anche in quella del recupero e della rieducazione opera in trasparenza lo spirito cf ficientistico dei nuovi tempi. « Una gara ... americana. In parecchi ospedali degli Stati Uniti, sempre dinanzi a numerosi spettatori, i soldati mutilati di una sola mano usano misurarsi in una gara assolutamente nuova: a chi si veste in minor tempo»: con questa didascalia, sulla «Domenica del Corriere» del 30 novembre-7 dicembre 1919, compare una tavola di Achille Behrame che presenta le vittime della guerra nell'insolita gara, osservate sullo sfondo di una camerata di ospedale da un pubblico di ufficiali, suore e borghesi benestanti in atteggiamento partecipe. L' atmosfera dell'immagine non-è scherzosa ma neppure drammatica; l'atteggiamento dei soldati impegnato, non torvo. Il contesto in cui la

I. 'o//ìci,,11 Jdlll v,ma

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tavola è proposta è quello della curiosità per le «americanate», stravaganze e usi spregiudicati di gente che è entrata per tempo nella modernità e vi si muove con disinvoltura. La mutilazione, marchio di un corpo che è diventato pezzo della macchina bellica, non appare segno irrimediabile di menomazione, ma occasione per nuove prove di efficienza tecnica, organizzazione ottimale del lavoro e intraprendenza personale. Il principio di efficienza si è sposato senza traumi a quello di distruzione. La natura del problema e persino il carattere dell'esempio sono molto simili a quelli che avevano mosso le prime riflessioni dei coniugi Gilbreth amici di Taylor, alle prese con le operazioni domestiche di prima mattina (vestirsi, lavarsi) in una famiglia numerosa: ridurre i tempi. 109 Solo è mutato il contesto, lo scenario: nel paesaggio sociale e industriale postbellico i mutilati sono un'importante componente nuova. 110 L'organizzazione è entrata nella guerra, e insieme sono entrate nella vita quotidiana. La lezione dcli' America si rivela quanto mai importante. Nel corso del 1915 compare sulla «Riforma medica», a firma del suo vicediret• tore Luigi Ferranini, una serie di articoli dal titolo L 'orga11izzazio11c scic11ti/ìca del lavoro per gli storpi e i 11111/ilati di guerra. L'autore, pur avanzando qualche riserva sulla «mentalità americana la cui molla è sempre il cronometro che deve regolare e spingere in un vertiginoso turbine la vita», si mostra entusiasta dei princlpi tayloristici, convinto assertore della loro applicabilità al, recupero dei mutilati e della loro integrazione nella pratica medica. E infatti il medico che, dopo accurato esame, stabilisce «la capacità operaia del soggetto in base allo studio dell'ampiezza dei movimenti e della forza muscolare misurata con l'artrodinamomctro, ne prccis[a] l'utilità per l'officina più opportuna, lo avvi[a] all'apprendimento dei movimenti professionali necessari per l'economia e gli automatismi dello sforzo».1 11 La parcellizzazione del lavoro si innesta cosl direttamente sulla parcellizzazione dei corpi al lavoro, perché la guerra ha prodotto in gran numero corpi parziali, incomplcti. 111 Cercando di calcolare le possibilità di recupero, Fcrranini propone una divisione scientifica del lavoro muscolare nei seguenti tipi: lavoro in cui agisce solo il peso del corpo; lavoro in cui operano solo gli arti inferiori o superiori (bicicletta e carriaggio, martello, scalpello, lima ccc.); lavoro complesso (che implica una disponibilità articolata del corpo). Poi suggerisce l'applicazione di mezzi grafici e cinematografici per riprodurre in fotogrammi sue-

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upitolo s«o,,Jo

cessivi i movimenti razionali, e per proporli agli invalidi «educandi». E questo allo scopo di ottenere, anche dai mutilati, «il massimo rendimento con il minimo sforzo». m Tutto intento a magnificare i risultati del lavoro a catena, qualche anno più tardi Henry Ford ripro• porrà nella sua Autobiografia una visione analoga. Come abbiamo già notato, anche nelle pagine di Ford il problema è quello di moltiplicare le occasioni di utilizzazione di corpi parziali, monchi e storpi, inserendoli armonicamente nella nuova organizzazione del lavoro: E noi trovammo che 670 [tipi di lavoro) potevano essere: affidati a uomini privi del, l'uso delle: gambe:, 2637 a uomini con una gamba sola, 2 a uomini senza braccia, 715 ad uomini con un braccio solo, e: 10 a ciechi( ... ) Al tempo dc:ll'uhima analisi degli impiegati, risultarono 9563 uomini a lh-c:llo fisico inferiore:. Di questi, 12 3 erano mutilati o amputati all'a,•ambraccio, al braccio o alle: mani. 1\d uno mancavano tulle: e: due: le: mani. C'erano quamo colpici di cc:cit:i totale:, 207 ciechi da un occhio, 253 che: da un occhio quasi non ci ,·edc:vano, 37 sordomuti, 6o c:pilc:uici, 4 mancanti d'ambo le: gambe: o d'ambo i piedi, 234 con una gamba o con un piede: solo. Gli ahri avc:,•ano lesioni minori. 11

Brandelli d'uomini, monche marionette senza vita popolano il paesaggio sociale della guerra e del dopoguerra e in particolare quello della fabbrica. In Francia - leggiamo nella recensione di un libro in argomento, comparsa su « li manicomio• del 1919 - la guerra ha portato nella parte: più valida della popolazione: maschile: dei vuoti spa,·c:ntosi: e: per ciò il personale: delle: usinc: (sie) e: degli stabilimenti militari, prÌ\'O di gran parte: delle: maestranze: e: della manodopera c:sistc:ntc: ance: bc:llum, ha acquistato tutto un nuo,·o elemento avventizio costituito da donne: e: da mutilati e: feriti di guerra, già riformati e: beneficiati di pensione privilegiata. 1u

La razionalizzazione e l'imperativo che vuole l'impiego di tutte le energie disponibili non si arrestano di fronte a questo materiale umano, lo incorporano come componente ineliminabile del lavoro nelle condizioni nuove che la guerra ha creato, mettendo a frutto esperienze già avviate in questo senso nel corso del conflitto, specie dal lato delle alienazioni mentali. Il fatto è che il lavoro della guerra sembra teso a utilizzare sia capacità fisiche incomplete sia la pura forza fisica anche separata dall'integrità mentale. Vi sono nelle: zone: di Guerra - scri,·c:vano i «Quaderni di psichiatria- nel 1917 molti lavori materiali, per i quali bastano le: braccia senu la partecipazione: del pc:n• siero: la,•ori di sca,•o o di sterro per le: trincc:c:, trasporti di munizioni e: di riforni• menti varii, costruzione: di ripari ccc. Perciò, dato pure: che fra le: truppe: in servizio

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attivo rimangano dei frc:nastc:nici calmi e obbedienti, non si deve rinunziare troppo presto a utilizzarne gli sforzi muscolari.

Quanto agli «imbecilli puri», «alcune delle loro qualità negative, ad esempio l'automatismo in luogo dell'iniziativa individuale, la reverenza per la superiorità, la mitezza scolorita della vita affettiva, saranno vantaggiose nell'adempimento di talune semplici funzioni militari».'16 E, a riguardo degli epilettici, l'illustre alienista Arturo Morselli sottolineava più tardi sulla stessa rivista: «Non pochi convulsionari ad accessi distanziati e con intelligenza integra, potranno essere destinati alla custodia di Depositi militari di oggetti innocui, quali i vestiarii, le derrate, le masserizie per casermaggio», mentre parecchi «potrebbero poi servire per lavori di facchinaggio, essendo talvolta dotati, come tutti i neurologi sanno, di vigore fisico e di muscoli potenti, cosicché, ad esempio, non mancano epilettici fra i facchini delle stazioni e fra i "camali" del Porto di Genova». Infine anche i simulatori, o supposti tali, potevano trovare un loro impiego e un loro posto nello sforzo comune: «a riattare strade i muti e i sordi, a spezzare pietre, seduti, i camptocormici e gli isterici con mioclonie alle gambe». Il tutto con molteplici e convergenti finalità: L'utilizzazione fino al massimo possibile di tutti gli indi,·idui, l'alle\•iamento dell'attuale immane lavoro che incombe: ai Tribunali militari di guerra, spessissimo oppressi da denunzie di simulazione non comprovabili, «I infine, impwendo prow«limenti di licenza o di rassegna, la diminuzione di tutte quelle forme funzionali grottesche con cui i degenerati «I amorali, entrati contro il loro egoismo a far parte dell'Eser• cito, tentano di esimersi dal compiere il loro dovere di cittadini e d'ltaliani: 11

Eserciti combattenti cd eserciti del lavoro, militarizzazione del lavoro e industrializzazione della guerra: la sovrapposizione dei modelli trova qui una letterale incarnazione, segnalando una volta di pii1 la circolarità di esperienze profondamente integrate. Per la Germania - asgiungono ancora i «Quaderni di psichiatria.. - si è saputo che un medico di Breslavia, certo dott. Kurt Thomkin, ha avuto l'idea pratica di utiliz, zare nel servizio ausiliario civile, colà org:mizzato con grande enfasi, come tutti sanno, quei militari psicopatici che fossero considerati pericolosi, sia al fronte, sia nelle retrovie. Insomma, egli propone di organizzare delle officine, in cui quegli psicopatici la,•orino sotto la sorveglianza speciale e colla direzione dei medici, in altri termini riproducendo nelle circoscrizioni militari il tipo del comune Manicomio-Officina, o del Manicomio,Colonia agricola. I medici giudicheranno quando lasciar ll\-orare i singoli malati e quando, per prudenza, allontanarli dal lavoro; se qualche malato

upitolo s«ondo

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fosse colpito da crisi o da «cessi, lo si manderebbe in padiglioni di custodia più stretta o di cura. In tal modo, dice il bra\"O medico prussiano, «nessuna forza, nes• suna energia andrebbe perduta». m

Potere militare, potere medico-psichiatrico, comando della forza lavoro, massimo impiego delle energie: una trama di interventi «eco• nomici » e disciplinari sembra emergere dalla forza plasmatrice della guerra totale, dalla sua pratica di organizzazione delle masse umane senza eccezioni di sorta. Quanto all'accenno al «buon medico prus• siano», esso sembra lasciar intravedere i possibili, sinistri esiti di tale micidiale mescolanza. 11.

Protesi

Nel maggio del 1919 la rivista statunitense «Forbes» pubblica un articolo dal titolo 1/ he has wo11, shou/d you despair?, dedicato al caso di un uomo, rimasto mutilato da entrambe le braccia a ventun anni il quale, grazie in primo luogo alla propria indomabile tenacia, ma anche alle meraviglie della tecnica, ha riacquistato molte delle capacità originarie: come mostrano le foto, mediante l'applicazione di due braccia artificiali, egli può fare quasi tutto, persino allacciarsi il bottone della camicia (come dovevano forse fare i soldati della tavola di Bcltrame e i membri della famiglia Gilbreth). Benché l'origine della mutilazione non sia bellica (la causa è stata un incidente stradale), il caso è chiaramente proposto come esempio e modello alle centinaia di soldati vittime della guerra: ad essi è in primo luogo rivolta la domanda del titolo. Lo suggeriscono implicitamente il contesto in cui è realizzata l'intervista (un congresso di specialisti organizzato a New York dall'Istituto della Croce Rossa per soldati mutilati) e in modo esplicito il commento della giornalista: « E qui il giudice Corley ha dato un inestimabile consiglio alle centinaia di nostri valorosi giovani americani che hanno compiuto il sommo sacrificio nei campi di " battaglia ». 11 ' Usata per distruggere, la tecnologia viene ora invocata per restaurare. Gli stessi mezzi che sono serviti a violare la natura in forme tanto estese - fuori dell'uomo e nel suo stesso corpo - vengono ora impiegati per surrogare le sue funzioni compromesse, per mimare le sue operazioni, per sostituirle il prodotto della tecnica, l'artificio. La commistione tra corpo e macchina che ha prodotto l'annientamento,

L '0//i Un altro applica sul petto di un sospetto simulatore di erisipela una sostanza che ha trovato tra le sue cose (la perquisizione fa parte delle procedure mediche in questo campo) e ottiene la riproduzione di una eruzione identica a quella esibita dal soldato al volto. 1"" Gustavo Pisenti cerca di sfruttare le competenze degli auto• lesionisti provetti, «ingaggiandone» addirittura uno tra quelli passati nel suo ospedale, vero e proprio maestro nel campo, che gli rilascia persino una relazione scritta. 101 Salinari raccomanda infine, per poter aggiornare continuamente le conoscenze sulle multiformi vie della simulazione, l'istituzione di un apposito centro di studi e ricerche. 108 Accanto alle forme dirette di autolesionismo, vi erano poi casi in cui la volontà di immobilizzare o menomare parti del corpo sembrava non passare attraverso il gesto consapevole, ma piuttosto imprimersi direttamente sul corpo stesso: Casi complessi, nei quali, con o scnu associazione di autolesione, con o senza i postumi o gli esiti di un trauma prc:grc:sso, si nota,•ano a carico quasi c:sclush'O delle: estremità superiore: od inferiore: dc:i disordini di moto, associati a disturbi della sensibilità, ad alterazioni ,•asomotoric:, secretorie: e: trofiche:, in modo vario da un indi,·iduo a un altro. 109

Queste fonne, riunite nel gruppo degli «atteggiamenti anomali (abitudinari, coatti, volontari) di guerra», venivano segnalate dagli autori come molto frequenti. Poco conosciute nell'infortunistica comune, rappresentavano «una triste fioritura volontaria specifica di guerra; ed in Francia, come da noi, hanno acquistato una diffusione molto notevole: le sezioni per autolesionisti ne sono piene, cosl i centri neu• rologici delle retrovie». Si erano osservate a volte «epidemie di piedi torti o di mani ri• gide, con caratteri di contagio psichico, in individui di stessa provenienza». 110 In qualche caso la ragione delle deformità deri\•ava da vere e proprie pratiche simili a quelle dell'autolesionismo, come «arti• fizi meccanici applicati di nascosto: ad es. iperestensione delle falangi ottenuta mediante trazione di un laccio che da un lato si applicava al polso e dall'altro su due dita di guanto; o piede varo conseguito col camminare in una scarpa, della quale il tacco era stato tagliato nella metà esterna». 111 A parte questi casi, varie furono le interpretazioni del fenomeno, in cui molti finirono comunque col riconoscere la conseguenza, insorgente specie nel corso delle licenze di convalescenza, della «continua preoccupazione del ritorno alla vita di trin• cea». 112 Perlopiù vittime di questi mali non erano che «poveri dia•

upitolo tm.o

voli» alla ricerca di una via d'uscita dalla situazione intollerabile, come quel «falso camptocormico» di cui riferisce il capitano medico Benassi («si raddrizzava da solo una volta sul lettuccio, e fletteva la schiena nell'atto di salirvi o scenderne»), che tuttavia non può essere imputato perché già inabile indipendentemente dalla sua simulazione: Egli a\•rebbc dunque dovuto esser considerato un simulatore; ma si riscomra\•a a suo carico un certo grado di oligoemia e di dcpc:rimcn10 organico, accoppiato ad una tale assenza di denti da imporre da sola la riforma. Vero è - si potrà notare - che egli, pur essendo assumo in servizio per una troppo larga e abusi\•a in1crpre1azionc della legge, 111111opiù che apparteneva a una classe anziana, nondimeno crasi dimos1ra10 in1cnziona10 di sourani al suo dovere con una frode, for1una1amcn1c innocua; ma lo spirito della legge vuole che non si colpisca una simulazione o pro\·oca• 1.ionc di mala11ia se non in quanto impedisca o diminuisca l'idoneità al servizio: ora questa idoneità non c'era prima, e non poteva quindi essere impedita o diminuita. 111

7. Si11111/atori Durame questa guerra la simulazione di nwa11ic, allo scopo di esimersi, magari anche solo 1cmporancamcn1c, dal servizio militare o dal servizio in prima linea, è s1a1a largamente adoperata, e 1u11a la patologia è s1a1a più o meno bene sCru11,11a; ma certa• mente la patologia mentale è quella a cui più frcqucmcmcmc si è ricorso come quella che più Cacilmcmc si presta, e che ha dato maggior con1ribu10. Dai banali inscenalori di quadri di morboso fororc pan1oclas1a, ai en\·ulsionari d'occasione su su sino ai \'Cri artisti della simulazione che riescono a riprodurre con grande parvenza di rc:ahà vere: forme cliniche classiche cd a pc:rscvc:rarvi anche: a cos10 di sacrifici, è una lunga schiera di indi\•idui, pc:r la maggior parie: psicodcgc:ncrati, anomali costi• 1uzionali, pregiudicati, contro i quali la medicina legale militare: ha dovuto aHilarc le armi e comb:mcrc s1rcnuamcn1c pc:r riuscire viuoriosa. 114

Come l'autolesionismo, la simulazione (ovvero la «perscverazione», vale a dire l'iterazione volontaria, o ancora l' «esagerazione») dei sintomi di malattia mentale appartiene alla tradizione del rapporto tra ceti contadini, coscrizione obbligatoria, guerra. Sul tema esiste una ricca letteratura nella seconda metà dell'Ottocento e all'inizio del nuovo secolo. Il dibattito si infittisce, in Italia, dopo la guerra di Libia. Nel corso della prima guerra mondiale diverrà straripante, mutando insieme carattere e finalità, al pari della discussione su altri aspetti della grande questione della «follia». Come sempre, modificando in questo campo la scala dei fenomeni, la Grande Guerra muta anche la loro qualità e insieme le strategie per comprenderli e trattarli. m Vicino a quello dell'autolesionismo, il problema della simulazione

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se ne distacca tuttavia per la maggior difficoltà di diagnosi e trattamento, per la sua intrinseca ambiguità. Sono gli stessi alienisti a sottolineare la difficoltà di stabilire un confine certo tra simulazione conclamata e autentica malattia mentale. La simulazione appare a più d'uno mezzo infimo di autodifesa, e quindi segno di inferiorità, sintomo di malattia o malattia essa stessa. Come in un circolo vizioso, chi simula una malattia mentale deve essere in qualche modo affetto da squilibrio, dà segno di una patologia. li mendacio, - scri\'C\'a Consiglio fin dal 1913, - come la simulazione, è in se s1esso un (ano morboso, coscien1e o non, o è l'espressione di una condizione morbosa dello spirito, mezzo inferiore di lolla nella vi1a, segnacolo di dcgencralionc psicomorale (... ) Un capitolo apposi10 mcrilercbbc: l'argomenlo della simulazione, spccialmen1e dal la10 psichiairico: essa, sopranuno quando si simula una malania mentale, è un segno evidenie di degenerazione; scoprirla o confessarla non significa che non si sia ammala1i, e spesso si 1rova alla base l'is1erismo, e le tendenze milomani. È assai dubbio se un sano del 1u110 sia c:apace di simulare follia, e mohi Au1ori lo escludono. 116

È evidente dunque come l'obiettivo di smascherare e punire la simulazione non escluda il riconoscimento del suo status di patologia. Durante la Grande Guerra viene in pieno alla luce la difficoltà di trat• tare il fenomeno, di sciogliere il nodo che presenta, ai confini tra la malattia e il rifiuto, tra la sofferenza e la follia. Il suo carattere di massa, unito alla sua ambiguità, reclama la superiore competenza della psichiatria di guerra, ma insieme ne fa naufragare i tentativi definitori e le pretese terapeutiche. Non si tratta più di casi isolati di soldati che si fingono pazzi, ma di una massa considerevole di individui sottoposti a fatiche e traumi senza eguali, che presentano sintomi di epilessia e isterismo, mutismo e sitofobia, smemoratezza, convulsioni, deliri. Una schiera imponente di vittime dell'azione deformante della guerra, tra le quali bisogna riuscire a discernere i simulatori, e inoltre valutare il grado di recuperabilità, proporre destinazioni e impieghi, punire e curare. La psichiatria tocca qui un territorio di confine, si scontra con un fenomeno esteso e irriducibile: il desiderio disperato e convulso di sottrarsi al pericolo, alla sofferenza, alla morte. Di fronte a questa realtà, prevarranno sugli altri gli imperativi della severità e l'esigenza di assicurare in qualunque modo all'esercito mobilitato il massimo delle energie disponibili. Tra gli isterici e gli epilet• tici (una categoria molto ampia di malati che affluiscono agli ospe•

dali militari durante la guerra), moltissimi vengono ad esempio classificati come simulatori e restituiti al servizio. Nei Repani di osscrvuione ddl'Arma1a Carnica, - scri\•e Anuro Morsclli, - in sci mesi, su 742 solda1i ammessi, 142 lo furono colla diagnosi di epikssia; essa fu riconosciu1a solo in 1/}, e per ragioni 1ccnichc: ques1i vennero dovu1i rinviare: ad Ospe• dali 1erri1oriali. Nel Reparto neuropa1ici di L'dinc:, diretto da Ro\•asio, in circa sette mesi, su 3692 ammessi, ben 7H lo furono per epile»ia: ma in 423 la mala11ia non fu riconosciu1a, e gli ahri si do\·c:11ero mandare a Bologna per comple1arne l'osscrvuionc:. Nel Cen1ro neurologico di Perugia, in sci mesi e mezzo en1rarono 20,2 mili1ari, di cui 6, 1 allegavano •convulsioni•: però sohan10 in 113 la epilessia \'enne accer1a1a. Si scorge come il 20% degli in\'ia1i agli Ospedali mili mi sono veri o presun1i o fals! c:pile11ici; ~rf;Cna 1/4 di essi supera infa11i la prova dell'esame clinico senza S\'egharc: sospem. '

Più avanti egli riferisce che dal servizio psichiatrico della prima armata da lui diretto, in dodici mesi erano stati giudicati 3174 casi, di cui 864 «convulsionari» (pari al 27,2 per cento). Tra questi, 148 erano «isterici» e 690 (oltre a 5 ufficiali) Le nuove tecnologie distruttive ridipingono dunque il paesaggio visivo con luci violente e colori artificiali. La chimica delle esplosioni, dei gas, dei liquidi infiammabili propone mirabili effetti di bagliori, getti, serpentine. «Non le dico quale effetto grandioso erano quelle vampe di rosso metallico con sprazzi di argento liquido, - scrive un sergente di artiglieria, - era una pioggia di stelle, un qualche cosa di fatato, d'irreale». 36 E Barzini: «Si scorgevano talvolta degli strani, lunghi serpeggiamenti di luce azzurrastra, come uno strisciare, uno snodarsi di favolosi fuochi fatui: erano getti di liquido infiammabile». L:111cia10 a lunghi geni - scrive ancora il corrispondcn1c del •Corrkrc della Sera» il liquido spcnlo, che non arri,-ò fino ai nomi, scendeva per il declivio a lunghi rivolcni invisibili e silenziosi, che poi al coniano di una capsula incendiaria di\'am• pa,•ano di colpo. Ed erano scrpcggiamemi im·erosimili di luce oscillan1c e pallida, era un fiammeggiare 1or1uoso e diafano lungo il pendio, un sacnamcmo di \'ampe spenrali, prcs10 estinte perché la 1erra assorbi\'a il liquido, e le fiamme si abbassa• \'ano. Morivano in un palpi10 scoppiename, lasciando 1uno imorno uno sfa\'illare minuscolo di brage, un paglicnio arden1e di fili d'erba accesi.81

Anche l'avanzata dei gas si preannuncia con l'insinuarsi di una nube dai funesti colori artificiali che riveste la terra. I paziemi - annoia un medico - narrano di essersi 1rova1i, quasi d'improvviso, a\'\'ohi da una nube, che, par1ila dalle lince nemiche, si dirigc\'a rapidamen1e sulle nome irinccc, nube di color \'erde-giallauro, densa, che si man1cne\'a assai bassa non lc\'andosi dal suolo ohrc i quanro, cinque meiri, e che dalle colline aride e pie•

,s, ,rose del Carso scende,•a verso la pianura dell'Isonzo lungo i burroncelli e i vallon• cclii, insinuandosi nel vallo delle trincee, im•adendo i ricoveri."

Ma il gioco dei colori presenta anche altre varianti. A detta di un altro medico, quasi 1u11i i malati, interrogati con la massima diligenza e separatamente l'uno dall'altro affermano di aver visto tali gas, lanciati mediante proieuili esplosh•i o bombe a mano o apparecchi a geuo souo forma di nebbia color giallo-,·erdamo (... ) Uno solo disse di a,·er ,•isto il fumo con colori simili a quelli dell'arcobaleno.'?

Tutto ciò configura innanzitutto un tetro scenario di morte. Ma a dominare lo sguardo e l'esperienza è la stupefazione per la potenza delle tecnologie messe in campo, capaci di definire nuovi percorsi visivi e sonori. Sulla natura al «tramonto», chimica cd elettricità costruiscono il nuovo paesaggio. Dal canto loro riflettori, megafoni e altoparlanti - nuovi protagonisti dell'esperienza comune nell'ambiente urbano degli anni venti, più tardi ingredienti essenziali dei rituali di massa inscenati dal fascismo e nazismo - entrano nel mondo sensoriale di milioni di uomini nel corso e per effetto della guerra, anche per questo, «grande», potente veicolo della modernità intesa come esperienza soggettiva della gente comune.

6. Came, materia, 11101111111e11to Guerra di masse (di uomini) e insieme di macchine e materiali, la prima guerra mondiale presenta una combinazione inedita del fattore biologico e di quello meccanico-tecnologico. Il primo viene per così dire incorporato nel secondo, plasmato e consumato da questo. Molti tratti dell'esperienza di guerra si possono ricondurre a questa combinazione e all'elemento mostruoso che essa comporta. L'annullamento del confine tra umano e disumano si presenta essenzialmente come perdita di distinzione tra il corpo e la macchina, e anche come simbiosi tra organismo vivente e materia inanimata. Sia la standardizzazione degli uomini (che si aHaccia come aspirazione delle strategie disciplinari e delle scienze della normalità) sia la loro riduzione a mate• riale di consumo e di scarto della macchina bellica ne sono manifestazioni significative. La metafora della «carne da cannone» trova così per la prima volta una specie di letterale incarnazione: costituita appunto dalla contiguità e dalla mescolanza deformante tra il fattore

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tecnologico-meccanico, qui condensato nella devastante potenza delle artiglierie (il cannone), e il fa11ore umano-biologico (la carne, il corpo). Innanzitutto, nella guerra di artiglierie e di trincea la materia compenetra il corpo, lo interseca, lo spezza: La ghisa e l'xciaio - scrh·e un medico francese citato da Gaetano Boschi - sono penetrati nei loro muscoli, nelle loro ossa, nelle loro arterie. Non sono più uomini, sono degli a\•anzi, dei cenci di carne e di sangue. Sono scalpdbti, pc:tti perforati, braccia recise, occhi collo sguardo ridotto ad un \·do di sangue. Entro le piaghe ci sono pallottole e schetti:e di granate e frammenti di bombe. C'è dd fango e ci sono brandelli di indumenti."°

La mutilazione reca poi il segno della riduzione del corpo a pezzo della macchina, e delle sue parti a segmenti scorporabili del processo produttivo della guerra: braccia e gambe, mani e piedi, occhi e nasi. Come abbiamo già notato parlando delle protesi, si tratta di parti che la chirurgia meccanica e la chimica rendono sostituibili. « L'unico mon• cone veramente indispensabile è la testa»/ 1 Per il resto, nulla di ciò che la guerra toglie è irrecuperabile, nessuna perdita è irreparabile. È quanto sembra suggerire ad esempio un servizio fotografico comparso sul periodico «La lettura» nell'agosto 1917 col titolo Occhi e ,,asi. Il servizio presenta i prodigiosi risultati di restauro dovuti a espe· rimenti di protesi «oculo-palpebrali» e di protesi «orbitaria» con rico• struzione del naso. Vi sono anche ritra11i soldati ciechi che suonano, ballano, prendono il tè allegramente. La mutilazione viene qui proposta con intenti rassicuranti in un contesto artificialmente ilare. Ma gli effetti grotteschi sembrano piuttosto inverare i lazzi folli di un personaggio immaginato da Andreev nel Riso rosso, e insieme il paradosso di Schnitzler: «Perché non si dice mai: si è fatto amputare entrambe le gambe per la patria?». In verità, si dice: «L'allegria non manca nei ricoverai i», recita la didascalia alla foto di una scena desolata in cui due mutilati ballano allacciati, sotto lo sguardo di altri con le teste bendate, appoggiati a un muro, in una specie di sordido cortile. E, sotto la foto di due ciechi con gli occhiali neri, uno dei quali in atto di impugnare il mandolino: « Due eroi che non hanno perduto il buonumore». 91 Sono questi i «figli d'Italia che hanno sacrificato alla grandezza della patria ima parte del loro giovane corpo».' 1 Se qui la retorica patriottica gioca un improbabile effe110 di sublimazione, mutilazioni e ferite si propongono a tratti nelle testimonianze dei soldati nella loro nuda materialità. Anche agli occhi delle vittime,

il corpo deformato e reso incompleto dalla macchina di guerra si presenta spesso nella sua oggettività, ossia come cosa intorno alle cui parti si instaura una strategia di contrattazione e di scambio: di qui la minuziosa descrizione delle ferite (che non di rado prende a prestito - come si è già notato - il linguaggio clinico e medico-legale), la comparazione attenta di vantaggi e svantaggi, l'elencazione di agevolazioni e indennizzi che possono derivarne. Se 011cnnc linvalidi1à - scri\·e un soldato ai congiumi di un commili1onc, allo scopo di rassicurarli - non si creda vi ci sia qualche cosa di grave, è solo perché della 1>3rtc destra dcli' areala dcma1a inferiore i dcme non ci congiungono precise e le rimane un due millirnc1ri di vuo10, dd resto la mascella inferiore che era s1a1a rolla si è saldata solo qualche pezze110 di carne: dura non la può bene tritare.?•

E un altro, dopo aver descritto l'incidente di cui è rimasto vittima: il Medico che mi prese nel primo Ospedale scrisse la seguente storia, prescma ferita da fucile 1raspossa che dalla regione glu1ca sinistra \'a ad uscire al disopra della Crc• sta iliaca, di destra quasi in corrispondenza della spina iliaca posteriore, non si può dire se lungo il tr;agiuo il proieuilc abbia leso la Colonna Vertebrale, lindividuo urina libcramcme e Cosl Dcfica ferita lacerocon1usa dorso della mano sinistra. Dunque ora è s1a10 Benissimo che la colonna \'ertebrale non è s1a1a 1occa1a, ahrimemi sarei Rimasto paralizu10 cd invece incomincio a caminarc.9 '

Grazie alle devastazioni della guerra, all'intervento della moderna chirurgia e alle rinnovate tecniche di protesi sembra qui presentarsi sulla scena l'incarnazione di quel modello di «uomo meccanico dalle parti cambiabili» che i futuristi hanno già tratteggiato come ideale estetico. Riecheggiando inavvertitamente l'elogio del «caucciù vulcanizzato» che abbiamo segnalato altrove,-x. il futurista Azari scrive: «La chirurgia meccanica e la chimica biologica produrranno un tipo standardizzato di uomo-macchina resiste11te, i/logorabile e quasi etemo».?: Il fatto è che - come si è già osservato -, mentre distrugge e disarticola la natura, fuori dell'uomo e nel suo stesso corpo, la tecnologia si candida contemporaneamente a rimpiazzarla, a surrogarla artificialmente. Se per il corpo ci sono le protesi, per quelli che gli stessi medici chiamano