L’erede delle cose divine (Introd. G. Reale)
 9788818700749

Citation preview

Giovanni Reale Saggio introduttivo

L' ITINERARIO A DIO IN FILONE DI ALESSANDRIA

T6TE:

KaLpòs

ivTuyxavnv

'YÉVEO'LV n'jì 1TE1TOLT)K6TL, l>TE

TTJV

ÈaUTiìS

o'Ù8ÉVELav

lyvwKEV. Il momento giusto per la creatura per incontrare il suo Creatore viene quando essa ha riconosciuto la propria nullità.

Her., 30

l. Le convinzioni di/ondo e l'ori'uonte del pensiero filoso/t'co-

religioso di Filone Gli studi moderni su Filone di Alessandria, che a partire dalla fme dello scorso secolo si sono fatti via via più frequenti!, sono pervenuti ad esiti assai problematici e, in larga misura, addirittura sconcertanti. Infatti, come alcuni hanno giustamente rilevato, il ventaglio di interpretazioni proposte è così ampio, che, al limite, ci si potrebbe talora domandare se esse si riferiscano veramente a un medesimo personaggio2. Come mai si è giunti ad una situazione così paradossale, che, si può dire, non ha analogie con nessuno dei pensatori del mondo antico? Le ragioni sono molteplici, ma riducibili a due principali: da un lato, il complesso gioco di intreccio delle due culture, greca ed ebraica, che Filone ha cercato di ridurre ad unità, senza però saper raggiungere una sintesi perfetta, e, dall'altro, la compresenza di molteplici linguaggi desunti dai diversi filosofi greci - da quello pitagorico a quello platonico, da quello aristotelico a quello stoico - non omologati, anche se in larga misura svuotati delle loro originarie valenze. È chiaro che, di conseguenza, a seconda che si faccia leva sulla componente ebraica oppure sulla componente greca, gran parte delle affermazioni di Filone cambiano notevolmente di segno e di significato. E, analogamente, a seconda che si dia maggiore o minore peso ai termini che egli desume dai filosofi greci, gli esiti delle ricostruzioni dottrinali differiscono in misura piuttosto sensibile. Antonio Maddalena, uno dei pochi studiosi italiani di Filone, ha bene individuato il nocciolo della questione nel modo seguente. Filone ebbe senza dubbio un ingegno filosofico originale, ma gli mancò quella genialità che fu tipica dei filosofi greci, i quali seppero creare, ciascuno, oltre che un pensiero, altresì un linguaggio proprio. Il nostro filosofo, invece, non seppe creare un linguaggio proprio, ma si servì dei vari linguaggi dei filosofi greci, a seconda dei casi, ossia a seconda che più li trovava confacenti a esprimere il pensiero che di volta in volta maturava e via

8

GIOVANNI REALE

via proponeva nei suoi scritti. Filone - precisa il Maddalena «... inventò o perfezionò una filosofia, ma servendosi dei vari linguaggi (né poteva servirsi di uno solo di essi, ché la sua filosofia non coincideva con alcun'altra a noi conosciuta); e di questi linguaggi si servl modificando in qualche modo il senso delle varie parole»3. La lettura di Filone si presenta, dunque, obiettivamente difficile. Tuttavia esiste una via che permette di risolvere, se non tutte, almeno le più gravi difficoltà: essa consiste nel cercare di individuare l'ispirazione di fondo e l'orizzonte spirituale del nostro filosofo e nel connettere a questo le singole affermazioni, cercando di dar loro senso in funzione dell'intero di cui fanno parte ed evitando quindi di concentrarsi solo sull'erudita anatomia del testo, sulla ricerca delle fonti e dei paralleli e sulla conseguente meccanica catalogazione delle singole affermazioni. Insomma: in Filone è solo il coglirnento del senso del tutto che spiega la parte e non viceversa; è solo la comprensione della generale temperie spirituale che rende chiare le singole dottrine; è solo l'individuazione del cespite della sua ispirazione che fa capire i vari pensieri che da essa scaturiscono4. Per la verità, già lo stesso Filone aveva sentito il bisogno di tracciare una sorta di mappa delle idee di fondo della sua "filosofia mosaica", alla fine del trattato sulla Creazione del mondo', ma più con la preoccupazione di trovare le generali tangenze con il pensiero dei Greci che non di indicare le differenze specifiche che lo diversificano da quelli. Ebbene, considerato da quest'ultimo punto di vista, l'orizzonte in cui si muove il pensiero filoniano si riassume nelle seguenti quattro idee fondamentali, fra" loro strettamente congiunte6: a) l'idea della radicale trascendenza e della assoluta onnipotenza di Dio; b) l'idea della creazione (dal nulla) come dono e grazia di Dio; c) l'idea della radicale nullità e della strutturale impotenza dell'uomo; d) la convinzione dell'impossibilità per l'uomo di conoscere Dio e la verità e di salvarsi con le sole forze proprie, e, quindi, la convinzione dell'assoluto bisogno dell'aiuto di Dio7. Si tratta, come ben si vede, di idee sostanzialmente sconosciute alla grecità e che Filone deriva dal mondo biblico. E sono proprio queste idee che risultano destinate a imprimere un nuovo segno alle stesse concezioni che egli desume dai Greci. a) La radicale trascendenza e l'assoluta onnipotenza di Dio

SAGGIO INTRODU'ITIVO

9

dipendono dalla sua in/initudine. Ora, l'infinitudine, per i Greci, coincideva con l'indeterminato e l'indefmito e, quindi, includeva in qualche modo il concetto di incompiuto. Per questo i Greci non dissero Dio infmito e lo concepirono piuttosto come finito, termine che per loro significava determinato, compiuto e, appunto in quanto tale, perfetto. Proprio a Filone spetta il merito di avere introdotto un nuovo concetto speculativo di infinito secondo la potenza o, meglio, secondo le "potenze" creanti, e quindi illimitato secondo le capacità di produrre e di donare. All'infinito "fisico" dei Greci si sostituisce l'infinito che potremmo chiamare "metafisica", di evidente ispirazione biblica. E da questo infinito, come dicevamo, dipende appunto l'assoluta trascendenza che significa l'essere-totalmente-diverso-da-tutte-le-altre-cose, in quanto tutte le altre cose sono finite, così come dipende anche l'assoluta onnipotenza che è indefettibilità di forze e illimitatezza di grazie donatrici 8. b) Strettamente connessa a questa concezione di Dio, del tutto sconosciuta ai Greci ed essa pure di genesi biblica, è l'idea di creazione. Per la verità, gli studiosi che hanno insistito nel leggere Filone con le categorie dei Greci negano che il nostro filosofo abbia guadagnato una vera e propria prospettiva creazionistica. Ma un riesame spassionato dei testi mostra il contrario, anche se Filone resta ancora lontano dalle raffinate elaborazioni dottrinali che matureranno nell'ambito della Patristica e della Scolastica. Il nostro filosofo dice chiaramente nella Creazione del mondo che Dio crea il Logos e in esso il mondo delle Idee, mentre in testi che ci sono pervenuti in versione armena dice che la stessa materia è stata creata. Il Dio filoniano produce le cose dal non essere e quindi «non è solo Demiurgo, ma Creatore». Notevole è, poi, soprattutto l'interpretazione dell'atto creativo e della creazione in chiave di "grazia" e di "dono gratuito" di Dio. Ma, per il momento, bastino questi accenni, perché su questo tema torneremo più avanti in maniera analitica9. c) Con la "creazione dal nulla" si instaura tra Dio e tutte le altre cose un rapporto del tutto nuovo, con conseguenze particolarmente importanti nei confronti dell'uomo. Nella creazione, Dio dona ciascuno di noi a noi stessi, di guisa che noi non siamo nostro possessolO. Chi assegna a sé qualcosa, sottrae ciò che appartiene ad Altri, cioè a Dio, e quindi ruball. Noi siamo a noi stessi non possesso, ma deposito, prestito12. La concezione della nullità (oudéneia) dell'uomo, in Filone,

lO

GIOVANNI REALE

dipende esattamente da questo concetto di creazione e dal connesso concetto di Dio. È quindi evidente che l'uomo si riconosce come un nulla solo quando si rapporta a Dio: «Abramo ... , avvicinatosi a Dio, subito riconobbe di essere polvere e cenere))n. Proposizione, questa, che, come vedremo, può essere, e di conseguenza, rovesciata: « ... se uno si ricorda della sua totale nullità, si ricorda altresì della totale superiorità di Dio))l4. E così vedremo, in questo trattato che stiaino presentando, chiaramente spiegato che «il momento giusto per la creatura per incontrare il suo Creatore viene quando essa ha riconosciuto la propria nullità))l5, Anche di questa dottrina (e già sulla base di quanto abbiamo detto circa la sua genesi ciò risulta ovvio) non c'è traccia presso i filosofi greci (certi spunti che si trovano in Pirrone hanno significati del tutto diversi, come vedremo). Essa ha fondamenta e valenze squisitamente bibliche. Ma anche su questo tema dovremo tornare con ampiezzal6, d) Da tutto questo che si è fin qui precisato scaturisce l'impossibilità per l'uomo di essere "autarchico", come, invece, volevano i Greci. L'uomo non è in grado, da solo, con le sole sue forze, di conoscere la verità, di individuare la via della vita salvifica. Ha invece un bisogno radicale e strutturale dell'aiuto di Dio. Non conosce Dio, se Dio non gli si dà a conoscere; non cammina sulla via della sapienza, se lo Spirito divino non scende e non rimane in luil7. Non è l'anima che genera in sé la virtù (ossia il buono e il bello), ma è Dio che in essa la impiantal8, Della famiglia di Caino è, per Filone, l'anima che confida solo in sé e si crede signora dei propri pensieri. Sono concetti, questi, che nessun filosofo greco avrebbe mai sottoscritto, e che, invece, costituiscono il fulcro della fede biblica, di cui l'invettiva di Geremia «maledetto l'uomo che confida nell'uomo ... ))l9 è una delle espressioni più struggenti. Siamo qui, anzi, addirittura agli antipodi della concezione greca, che nell'uomo aveva sempre proclamato costante ed indiscussa fiducia. Ma anche su questo dovremo ancora tornare in modo specifico più avanti20. Queste, dunque, sono le convinzioni di fondo in cui vanno inquadrate pressoché tutte le affermazioni di Filone e, in particolare, le dottrine che leggeremo nell'Erede delle cose divine, uno degli scritti più significativi e più belli del nostro filosofo21.

SAGGIO INTRODUTIIVO

11

2. Abramo, ovvero il migratore e l'erede Il protagonista del nostro trattato è Abramo, personaggio particolarmente caro a Filone, il quale gli ha dedicato per intero due altri scritti: Abramo e La migrazione di Abramo, oltre a una serie di richiami in altre opere22. Come in tutti gli altri casi (ad eccezione del solo Mosè), Filone non ha di mira il personaggio storico, la cui esistenza, peraltro, egli owiamente non nega, ma la riposta significazione allegorica ricavabile sia dai tratti essenziali del personaggio sia dai momenti particolari e significativi della sua vita. Questa trasposizione del personaggio dal piano storico a quello simbolico fa indubbiamente perdere ad Abramo quella peculiarissima cifra esistenziale che si rivela soprattutto nel momento drammatico in cui egli accetta la richiesta del sacrificio del figlio !sacco (quella cifra - tanto per intenderei - nella quale, in tempi moderni, Kierkegaard2J ha rawisato l'essenza del "paradosso" del credere, la drammatica grandezza della fede) a tutto beneficio di una dimensione intellettualistica e idealistica, in cui la vicenda di Abramo diventa la storia dell'anima (di ogni anima) che cerca la compiutezza, che lotta per raggiunger/a e, infine, che riesce a conquistarla. La cifra della storia di Abramo diventa, dunque, per Filone, il "paradigma", il "modello" di un itinerario a Dio, che deve percorrere ogni anima che sia in cerca di perfezione e di Assoluto. Il lettore moderno che voglia capire le pagine di Filone dovrà, pertanto, dimenticare, o per lo meno mettere in epoché, quasi tutti i tratti della problematica tradizionalmente connessa ad Abramo e rifarsi un pensiero vergine nei confronti di questo argomento, ossia interamente disponibile alle novità delle riletture fùoniane, senza, cioè, trasformare il giudizio, che pure dovrà dare alla fine, in pregiudizio. Quale è, allora, la caratteristica peculiare di questo "modello" di itinerario a Dio, che Filone vede espresso nella vita di Abramo? Non potrà essere il "sacrificio" di !sacco, per le ragioni che abbiamo appena spiegato. In effetti, Filone fa di questo quasi un episodio secondario e ne dà una esegesi che, se considerata in sé e per sé, risulta banale e stucchevole o, quantomeno, inadeguata. Ma, nell'ottica che cercheremo di ricostruire, questo ben si spie-

12

GIOVANNI REALE

ga, dato che Filone vede Abramo come il "celebrante" di un sacrificio in certo senso anche più radicale24. La prima connotazione che definisce Abramo personaggioparadigma dell'itinerario a Dio è la migrazione2': una migrazione destinata a portare l'anima dal sensibile all'intelligibile e a farla, così, «erede delle cose divine». Questa migrazione si scandisce in vari momenti, che, però, si possono riassumere in tre essenziali: a) migrazione dalla «terra dei Caldei»; b) migrazione «dalla sua parentela e dalla sua casa paterna», per tendere alla «terra promessa» da Dio; c) migrazione da se medesimo. I significati simbolici di queste "migrazioni", secondo Filone, sono questi che ora anticipiamo in modo sintetico e che subito sotto svilupperemo in modo analitico. a) Migrare dalla terra dei Caldei, significa migrare da quella concezione che /a del mondo Dio stesso; b) migrare-dalla propria "terra", dalla "parentela" e dalla "casa paterna", significa migrare dal corpo, dalla sensazione, dal linguaggio; c) migrare da sé medesimi, significa trascendere la stessa nostra mente, ossia uscire da qualsiasi forma di concezione che faccia dell'uomo e di ciò che è costitutivo dell'uomo un

Assoluto. Dunque, l'essenza dell'itinerario a Dio, che Filone vede espresso nella vita di Abramo, sta nel distacco dal mondo, da sé come corpo e anche da sé come intelligenza ossia in una triplice forma di "trascendimento", che ora dobbiamo puntualizzare. a) La "scienza" dei Caldei, come è noto, era- detto in termini moderni - una forma di immanentismo panteistico e di determinismo. Filone, nel nostro trattato, così riassume le caratteristiche di questa scienza: « .. .insegnava a credere che il mondo non è opera di Dio, ma Dio stesso, e che il bene e il male per tutti gli enti sono da mettere in conto al moto e alle rivoluzioni regolari dei corpi celesti, e che proprio da lì dipende l'origine del male e del bene»26. Il nostro filosofo crede, anzi, che il nome stesso di "Caldea" sia legato a tale concezione, dato che il termine "Caldea", tradotto, significa "uniformità", e appunto l'uniformità e regolarità dei movimenti celesti avrebbe indotto gli uomini a maturare quelle concezioni27. Più precisamente, scrive Filone in un passo parallelo del De migratione Abrahami: «l Caldei, più degli altri popoli, sembrano aver praticato l'astronomia e l'arte di fare oroscopi, connettendo i fenomeni terrestri con quelli atmosferici e i fenomeni celesti

SAGGIO INfRODUTilVO

13

con quelli che riguardano la superficie della terra. In tal modo hanno dimostrato attraverso rapporti musicali la perfetta armonia del tutto, in forza del comunanza reciproca e della simpatia delle parti, le quali, se risultano separate dal punto di vista spaziale, non lo sono certo dal punto di vista dell'affinità sostanziale. Costoro hanno ipotizzato che il nostro mondo di fenomeni sia il solo essere che è veramente, ossia che esso è Dio, oppure che in sé include Dio, inteso come l'anima del tutto. E , avendo divinizzato il fato e la necessità, hanno riempito la vita umana di una molteplice empietà, insegnando che al di fuori dei fenomeni non c'è nulla, che non c'è alcuna causa, ma che sono i movimenti del sole, della luna e di tutti gli altri astri a dispensare a ciascuno degli esseri i beni e i loro opposti~s. Migrare dalla Caldea, per conseguenza, significa migrare da quella /t"loso/ia che divinizza il mondo e nega la libertà umana: significa, quindi, comprendere che il mondo non è Dio «ma opera del Dio supremo)), e che le rivoluzioni celesti non sono causa di bene e di male, di felicità e di infelicità, e che il cespite di queste cose sta altrove30. Dunque, l'uomo deve abbandonare la "mentalità caldaica" e tutto ciò che essa implica, e in particolare la pretesa di scoprire i segreti del cosmo e delle sue leggi che superano le capacità conoscitive umane, ed occuparsi, invece, di studiare se stesso, la propria natura, non abitando in altro luogo che dentro di séH. b) Ma proprio questo prendere conoscenza di se medesimo, dimorando non altrove che in se medesimo, comporta un'ulteriore "migrazione", che porta, in un certo senso, non fuori, ma al fondo di se medesimo. Filone ricava la dottrina di questa peculiare "migrazione" dal commento di Gen. 12,1: «E il Signore disse ad Abramo: "Parti dalla tua terra e dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti mostrerò")). A suo avviso la terra, come già abbiamo accennato, sarebbe il simbolo del corpo, dato che il corpo, a dire della stessa Scrittura, viene dalla terra e alla terra ritorna. La parentela è, invece, la sensazione, o, meglio, il complesso delle sensazioni, che, come tali, sono proprie dell'anima irrazionale, la quale è "parente" dell'anima razionale, di cui, come sappiamo, Abramo è simbolo. La casa del padre è simbolo della parola, perché, se è vero che tutte le potenze dell'anima derivano dall'Intelletto di Dio, è altrettanto vero che la parola,

14

GIOVANNI REALE

non solo deriva da Dio, ma costituisce, per così dire, il luogo in cui Egli si manifesta, ossia in cui "abita" in maniera privilegiata. La parola (16gos), inoltre, esprime la più antica realtà creata da Dio, attraverso cui, tutto il resto è stato creato (si ricordi che, per Filone, tutto deriva biblicamente dalla Parola creatrice)32. Dunque, il significato del testo sacro risulterebbe questo: la terra che Dio mostrerà è la salveua, e la via che indica per giungervi è la purificaz.ione dell'anima che si ottiene mediante l'abbandono del corpo, della sensaz.ione e della parola profferita. Orbene, dice Filone, Vl. Antonio Maddalena, fine conoscitore della grecità pagana oltre che del pensiero filoniano, ha puntualizzato il senso storico e teoretico di questa dottrina, nel suo rapporto strutturale con la visione dei Greci, in una densa pagina che mette conto leggere per intero, perché tocca il fondo della questione: «Di nulla signore, soggetto alla morte, l'uomo, pur proclamato sovrano della terra dalla Sacra Scrittura e dai filosofi greci, che è per Filone? Grave era, se altro mai, per i Greci il peccato di superbia: ma superbo era, per i Greci, l'uomo che si credeva uguale agli dèi o al Dio, non l'uomo che attribuiva un valore, sia pur minimo, a sé. Peccatore era, nella tragedia di Sofocle, Aiace, e degno di castigo, quando ricusava l'aiuto d'Atena: ma né Aiace né gli altri eroi peccavano nel ritenersi valorosi o sapienti o magnanimi, se erano forti nelle opere di guerra, o avevano vigore d'intelletto, o erano pronti ad affrontare intrepidi il rischio di morire. Anzi, uomo dappoco era colui che giudicava se stesso uomo dappoco. Per Filone, invece, sapiente era Abramo perché, "avvicinatosi a Dio, subito riconobbe d'essere terra e cenere" (Deus, 161); e per contro superbo era l'uomo che attribuiva qualche cosa a se stesso, intelligenza o virtù; perché l'uomo umano non era, per lui, più che nulla; e superbo era chi giudicava sé più che nulla. Nel De sacrt/iciis Abelis et Caim; dopo aver ricordato che Caino aveva sacrificato a Dio solo "dopo alcuni giorni", Filone esamina quali possono essere le cause del ritardato sacrificio di grazie; e ne indica tre: la dimenticanza dei benefici ricevuti, l'opinione d'aver meritato il beneficio divino per le virtù della propria anima razionale, la credenza (oiesis) di non aver ricevuto alcun beneficio, quando uno giudica opera o conquista sua propria, e non dono di Dio, il bene che gode o la virtù che suppone di possedere o la sapienza che crede d'avere. Tutte e tre le colpe, comunque, nascono, per Filone, dalla superbia (maggiore o minore) di chi presume di sé, cioe di chi ignora non solo che la felicità dell'uomo, come sapevano Erodoto e Pindaro e i tragici greci [ma non i filosofi, vorremmo noi aggiungere], è l'ombra d'un

20

GIOVANNI REALE

sogno, ma che l'uomo stesso, con la sua mente e il suo cuore, è un nulla: e per tutti e tre i casi Filone cita, ad ammonimento e condanna, passi della Sacra Scrittura: "A ciascuno di questi parla il Discorso Sacro, rivolgendosi anzitutto a colui che ha distrutto la memoria e vivificato l'oblio, e 'O tu', egli dice, 'quando tu abbia mangiato e ti sia saziato, e quando abbia costruito belle case e stabilito in esse la tua dimora, quando ti si siano accresciute le greggia e moltiplicato l'oro e l'argento o altra cosa che tu possieda, non inorgoglirti nel tuo cuore e non dimenticarti del Signore, tuo Dio': or quand'è che uno non si dimentica di Dio? Quando si dimentica di se stesso. Perché, se ricorda la sua completa nullità, anche si ricorda della assoluta superiorità di Dio". Dall'orgoglio nasce, per il Discorso Sacro citato e interpretato da Filone, la colpa della dimenticanza; che dirà dunque la Sacra Scrittura di colui che si crede autore della propria prosperità? Ecco: "Non dire", cosl parla al superbo il Sacro Discorso, "non dire: 'La mia forza e il potere della mia mano m'hanno ottenuto questa mia potenza': ricordati del Signore Dio tuo: è Lui che ti concede forza perché tu abbia potenza": in modo simile il Discorso Sacro parla a chi si crede premiato da Dio per la sua propria giustizia: "Non per la tua giustizia, non per la pietà del tuo cuore, tu entrerai in questa terra e la possederai" (Sacri/., 5257)>>'2. Molti studiosi hanno rilevato che nell'ambito della grecità si può trovare nello scetticismo un parallelo di questa radicale svalutazione dei sensi, della parola e della intelligenza. Senza dubbio è innegabile la presenza di una componente "scettica" in Filone. Anzi, già Pirrone era addirittura giunto a parlare, a suo modo, della nullità dell'uomo. Diogene Laerzio ci riferisce: « ... Pirrone menzionava spessissimo Democrito, ma poi anche Omero, che egli ammirava e di cui era solito citare il verso: "Quale la stirpe delle foglie, tale anche quella degli uomini". E lo lodava anche perché era solito paragonare gli uomini alle vespe, alle mosche e agli uccelli. E citava volentieri anche i seguenti versi: "Dunque, amico, pure tu muori! Perché cosl piangi il tuo destino? Morì anche Patroclo che era molto più valoroso di te", e tutti i passi che alludono all'instabilità della condizione umana, all'inutilità dei propositi e alla fanciullesca follia dell'uomo>>'3. In verità, nonostante le apparenze, le convergenze con lo scetticismo sono solo parziali e periferiche e, se non comprese nel loro giusto segno e nella loro esatta portata, risultano decetti-

SAGGIO INTRODUTIIVO

21

ve. Lo scetticismo, nel contesto della filosofia greca, si pone come un discorso di chiusura e di drastica contrazione di tutte le umane aspirazioni e, paradossalmente, nello stesso tempo risulta un discorso di estrema "superbia", perché, nel momento in cui scopre l'illusorietà dei sensi, del linguaggio e della ragione, impone all'uomo di vivere in questa riconosciuta sconfitta, come situazione ultimativa e intrascendibile, dalla quale, al limite, può trarre autarchia, tranquillità e pace-'4. Nel contesto filoniano lo "scetticismo" è, al contrario, un discorso di apertura verso ulteriori orizzonti, un discorso che proprio "umiliando" la ragione, la prepara all'ultimo trascendimento. In Pirrone il riconoscimento della nullità dell'uomo è riconoscimento del suo niente e basta; in Filone, invece, come abbiamo visto, è riconoscimento dell'Essere e incontro con l'Assoluto. Se così è, possiamo affermare che, proprio nel riconoscimento della propria nullità, l'uomo celebra, paradossalmente, la propria grandezza, perché tale riconoscimento porta all'abbraccio con l'Essere, e la sconcertante "migrazione" o "uscita da sé" si rivela un "esodo" verso l'Assoluto.

4. I: «uscita da sé» e l' «estasi» pro/etica La tematica dell'uscita da sé è espressa da Filone anche in termini di estasz; che vuoi dire, alla lettera, non altro che "uscire da" sé; anzi, proprio il nostro trattato, più di qualsiasi altro, getta luce su questo punto. Filone distingue quattro forme di estasi. a) Una prima è quella della demenza in cui la mente "esce da sé" a motivo della vecchiaia o delle malattie psichiche-'-'. b) Una seconda forma è quella dello sbalordimento, che coglie la mente allorché si verificano all'improvviso fatti straordinari-'6. c) Una terza forma coincide con il riposo della mente e con l'inattività della intelligenza, come, ad esempio, avviene nel sonno-'7. d) La quarta forma è quella della ispirazione pro/etica, ed è una sorta di divina possessione. È appunto di questa che dobbiamo qui occuparci. Filone caratterizza l'estasi profetica commentando Gen. 15,12, dove si dice che «al tramonto del sole un'estasi cadde su

22

GIOVANNI REALE

Abramo». ll sole, secondo il nostro fllosofo, è simbolo del nostro intelletto, e il versetto biblico significherebbe che, quando il nostro intelletto cessa di agire in proprio, ossia desiste dalla pretesa di conoscere autonomamente ed autarchicamente, "esce da sé" ed entra in lui lo Spirito divino. Ecco le parole stesse di Filone: «Fino a quando ... il nostro intelletto non smette di risplendere e di compiere le sue attività, spandendo su tutta l'anima come un raggio di mezzogiorno, noi restiamo in noi stessi e non siamo posseduti da Dio; ma, allorché quello "tramonta", allora, come è naturale, cade su di noi l'estasi, l'ispirazione di Dio, la divina mania. Tutte le volte che risplende la luce di Dio, tramonta quella dell'uomo; quando quella tramonta, questa sorge e si leva. Questo suole accadere solo alla stirpe dei profeti: al sopraggiungere dello Spirito divino, l'intelletto che è in noi si ritira, ma quando lo Spirito se ne diparte, l'intelletto ritorna, giacché non è lecito che il mortale conviva insieme con l'immortale. Per questo il "tramonto" del pensiero con la tenebra che ne segue produce il sorgere dell'estasi e della divina mania)~s. Lo stesso concetto di fondo leggiamo nel parallelo commento al passo biblico sopra citato nelle Quaestiones et solutiones in Genesim: «Una repentina calma divina improvvisamente cadde sull'uomo virtuoso. Perché l'estasi, come il suo stesso nome mostra chiaramente, non è altro che la partenza e l'allontanamento dell'intelletto. Ma la razza dei profeti è abituata a provare questo. Poiché, quando la mente è posseduta dal divino e si riempie di Dio, non è più dentro se stessa, perché riceve lo Spirito divino ad abitare entro di sb~9. Su questa dottrina si è fatto un gran discutere. Qualcuno ha insistito sulle formule che Filone deriva da alcuni dialoghi di Platone come lo Ione e il Fedro; ma quasi tutti hanno riconosciuto che nel suo contenuto essa non è platonica. Come spesso accade, secondo quanto abbiamo già rilevato, Filone usa un particolare linguaggio greco per esprimere concetti che greci non sono60. L'estasi esprime, dunque, lo stesso concetto dell'ultima delle migrazioni, ossia il concetto dell'uscita da sé dell'intelletto. E come l'uscita da sé dell'intelletto è incontro con Dio, così l'estasi è quella uscita che coincide con il far posto allo Spirito divino che scende per innalzarci. L'estasi è, insomma, uno spogliarsi dell'umano per accogliere il divino: è l'abbandono della dimensione corporea per entrare nella dimensione dell'incorporeo.

SAGGIO INTRODUTTIVO

23

Per comprendere a fondo questa dottrina bisogna lasciare i paralleli platonici e rifarci, invece, a quelli biblici. Molto bene ha precisato questo punto il Maddalena. Scrive il nostro studioso: «Estraneo alla filosofia dei Greci, lo Spirito di Dio, che entra, quando Dio vuole, nella mente d'un uomo, non è invece estraneo alla Sacra Scrittura. Nella Sacra Scrittura lo Spirito mandato da Dio è a volte datore di vita, a volte dispensatore di sapienza e purità: sempre è soffio che viene dall'alto a vivificare, a sorreggere, a guidare, ad attrarre. Spirito di vita è quello di cui si parla nel passo del Genesi... , dove Dio, dopo aver detto che il suo Spirito non durerà eternamente negli uomini, aggiunge che "i giorni loro" saranno centovent'anni; spirito di vita è in Ps. 103,29-30: "Tu ritrarrai il loro spirito, e moriranno e torneranno alloro fango; e manderai lo Spirito tuo e saranno creati, e rinnoverai il volto della terra"; spirito di vita e creazione è forse in Geo. 1,1-2: "In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era invisibile e senza forma, e la tenebra stava sopra l'abisso: e lo Spirito di Dio aleggiava sopra l'acqua"; è ancora Spirito di vita in Job. 34,14-15: "Se egli volesse ritrarre e tenere presso di sé lo spirito, tutta la carne insieme perirebbe, ogni mortale si dissolverebbe nella terra onde fu plasmato"; e in Sap., 15,11: "Il Creatore in lui inspirò un'anima attiva, in lui infuse spirito di vita". Ma più spesso è Spirito di pietà, di sapienza, di conoscenza, d'intelligenza. Spirito di pietà e sapienza e già in Num. 11,25, dove è detto che Dio riversa negli anziani parte dello Spirito divino ch'era in Mosè, e che essi sono quindi rapiti in estasi profetica, e poi aiutano Mosè nell'amministrazione della giustizia; Spirito di conoscenza è ancora in Num., 24, 3, Spirito che entra in Balaam e lo costringe a rivelare la gloria d'Israele e a benedirne le tribù; Spirito di intelligenza in Deut., 34,9, Spirito che entra in Giosuè, quando Mosè morente lo tocca con le sue mani e gli affida la guida del popolo; e ancora e ancora: ad esempio in Ps. 142,10: "Insegnami a compiere il tuo volere, perché sei Tu il mio Dio; e il tuo Spirito mi guiderà sul retto cammino"; e in Is. 61,1: "È sceso su di me lo Spirito del Signore, e mi ha unto. Mi ha comandato di far conoscere ai miseri la buona novella, e di medicare gli afflitti, e di annunciare ai prigionieri che saran liberati e ai ciechi che vedranno" e in Jer. 10,14: "Ogni uomo fu privato di conoscenza e fatto stolto, disonorato fu ogni orefice nelle sue opere, perché esse erano menzogna: non c'è lo Spirito in esse"; e in Job. 32,7-8: "Avevo detto: è la lor età che parla in loro, ché nei

24

GIOVANNI REALE

molti anni della vita hanno appreso sapienza. Ma c'è lo Spirito nei mortali; è l'afflato dell'Onnipotente che rende sapienti; e in Sap. 9,17: "Ora, chi conosce il tuo volere, se non colui cui Tu hai dato sapienza, cui Tu hai inviato dall'eccelso il tuo Spirito santo?". Filone, come la Sacra Scrittura, usa il termine pneuma, oltre che nel suo valore originario di soffio e di vento, nei due sensi or ora segnalati di Spirito di vita e di Spirito che dona sapienza. Dello spirito vivificante egli parla nella cosmogonia: "Considerò degni di preminenza lo spirito e la luce; e Mosè quello chiamò Spirito di Dio, perché è l'elemento più vitale (zotik6taton), e Dio è causa di vita" (Opi/., 30); qui e in altri passi questo spirito vitale è l'aria elemento, lo spirito di vita della Sacra Scrittura essendo identificato con l'aria empedoclea, o con l'etere aristotelico, o con l'infocata aria degli Stoici: con questa differenza tuttavia, che l'aria empedoclea e l'etere aristotelico e l'aria infocata erano increati, e lo spirito-aria dellà Sacra Scrittura è per Filone creato, onde la vita stessa appare dono di Dio. Ma più spesso Filone usa il termine "spirito" nell'altro suo senso, di Spirito di sapienza, di conoscenza, d'intelligenza; perché nella sapienza essendo per lui il massimo bene dell'uomo, la pienezza, la seconda e più alta e più vera ed eterna vita dell'uomo, a questa egli volge la sua attenzione più che alla vita mortale»61. Ma tutto questo non potrebbe comprendersi fino in fondo, se non si tenesse ben presente la nuova antropologia filoniana, che, altrove, abbiamo già avuto modo di denominare concezione dell'uomo a tre dimensioni62, secondo la quale l'uomo risulta, appunto, costituito strutturalmente da: a) corpo, b) anima-intelletto, e c) Spirito che proviene da Dio e in vario modo "ispira". Secondo questa nuova concezione, l'anima-intelletto è essa pure qualcosa di terrestre e mortale, mentre solo il divino soffio e lo Spirito insufflato dall'alto- la terza dimensione- agganciano l'uomo al divino e all'immortale. Leggiamo due passi tratti dalle Allegorie delle Leggi, che sono fra i più chiari ed istruttivi. Ecco il primo: «"Dio plasmò l'uomo prendendo del fango dalla terra e soffiò sul suo volto un soffio di vita, e l'uomo divenne un'anima vivente"» . Ci sono due generi di uomini: l'uno è l'uomo celeste e l'altro è l'uomo terrestre. Quello celeste, in quanto è generato "a immagine" di Dio , non partecipa alla sostanza corruttibile e, in generale, "terrestre". L'uomo terrestre, invece, è costituito di materia qualsiasi che la Sacra Scrittura chiama "fango". Per que-

SAGGIO INTRODUTITVO

25

sto motivo non si dice che l'uomo celeste è stato "plasmato", ma creato "a immagine" di Dio. L'uomo terrestre è, dunque, un impasto di terra prodotto dall'Artefice, e non una sua generazione. Orbene, bisogna pensare che l'uomo plasmato di terra è l'intelletto destinato al corpo, ma non quello che vi è effettivamente introdotto. Questo intelletto sarebbe, in realtà, te"estre e corruttibile, se Dio non soffiasse in esso il principio attivo della vera vita. In tale preciso momento l'intelletto diviene anima (ma, allora, non è più "plasmato"), non un'anima passiva e informe, ma intelligibile e veramente "vivente"»63. Nel secondo passo, interpretando l'espressione biblica «Dio soffiò dentro», Filone scrive: «Essa implica tre termini: ciò che è "ispirato", ciò che riceve !'"ispirazione" e ciò che "ispira". Ora, Colui che ispira è Dio, chi riceve l'ispirazione è l'intelletto, ciò che viene ispirato è lo Spirito. Che cosa, dunque, si deduce da ciò? Si tratta dell'unione di tutti e tre gli elementi: di Dio che protende la Sua propria Potenza, attraverso lo Spirito, fino all'oggetto. E questo, per qual motivo mai l'avrebbe fatto, se non perché noi avessimo una cognizione di Lui? E, del resto, come l'anima avrebbe potuto conoscere Dio se Lui stesso non l'avesse ispirata e, per quanto è possibile, non l'avesse toccata? L'intelletto umano, infatti, non avrebbe osato salire tanto in alto da cogliere la natura divina, se Dio stesso non l'avesse tratto a séalmeno per quanto l'intelletto dell'uomo si lascia trarre- e non lo avesse informato delle Sue Potenze che sono accessibili alla conoscenza»64. È chiaro, dunque, che l'anima umana, o meglio l'intelletto Umano, sarebbe ben povera cosa di per sé considerato, se Dio non vi soffiasse il suo Spirito. L'aggancio dell'umano al divino, per Filone, non è più, come per i Greci, l'anima medesima nella sua parte più alta, ossia l'intelletto, ma lo Spirito che viene da Dio e a Dio innalza65. In conclusione, l'uomo può vivere: a) secondo la dimensione fisico-animale (corpo); b) secondo la dimensione razionale (anima-intelletto); c) secondo la superiore, divina, trascendente dimensione dello Spirito. È proprio e solo in questa superiore dimensione dello Spirito che si colloca l'estasi, appunto in quanto essa è uscita dall'umano intelletto e accoglimento del divino Pneuma. Chi ci ha fin qui seguito non faticherà, ormai, a intendere il senso della apparente paradossalità di alcune affermazioni di

26

GIOVANNI REALE

Filone, giacché, a ben vedere, esse non sono se non corollari dei teoremi sopra esposti. In primo luogo, diciamo dell'affermazione secondo cui l'estasi profetica non è propria solo dd profeta, ma di ogni sapiente e di ogni uomo virtuoso. Il trattato che stiamo introducendo, su questo punto, è estremamente chiaro ed esplicito: «La Sacra Scrittura attribuisce la virtù profetica ad ogni uomo buono: il profeta, infatti, non dice nulla di suo, ma tutto ciò che dice è di un Altro, un Altro lo ispira. Al malvagio, invece, non è lecito essere interprete di Dio, sicché, propriamente, nessun uomo malvagio è ispirato da Dio, ma solo al sapiente questo conviene, in quanto lui solo è strumento sonoro di Dio, suonato e sollecitato in modo invisibile da Dio. Dunque, tutti quelli che Mosè descrive come giusti, li presenta pure come posseduti da Dio e dotati di virtù profetica))66. In secondo luogo, diciamo della categorica affermazione di Filone secondo cui la traduzione greca della Bibbia fu fatta per ispirazione profetica. Nella Vita di Mosè si dice che i dotti chiamati da Tolomeo Filadelfo, dopo aver preso dimora nell'isola di Faro, pregarono Dio affinché li aiutasse nell'impresa, e Dio li ascoltò. E si aggiunge espressamente: «Stando così in questa solitudine, e senza che alcuno fosse presente se non gli elementi della natura, ossia terra, acqua, aria e cielo, di cui dovevano in primo luogo rivelare i misteri, giacché l'inizio della Legge è la creazione del mondo, invasati da Dio pro/etiuavano, non gli uni in modo diverso dagli altri, ma tutti quanti con le medesime parole, come se un suggeritore ispirasse in maniera invisibile ciascuno di essi))67. In terzo luogo, diciamo della convinzione che Filone aveva di essere lui stesso "divinamente ispirato" nelle sue interpretazioni allegoriche, come mostra questo passo in maniera esemplare: «Non ho vergogna di soffermarmi su una mia esperienza che conosco bene per averla vissuta infinite volte. Talora, volendo io passare alla stesura di un mio scritto, secondo l'ordine, a me familiare, dei principi filosofici, e avendo bene in mente quanto doveva essere composto, non ho trovato che un pensiero infecondo e sterile e così ho smesso prima ancora di cominciare, rimproverando la mia mente per la sua presunzione, ma vivamente colpito dalla forza di Colui che sa aprire e chiudere la matrice dell'anima. Altre volte, essendo giunto vuoto, mi sono ritrovato d'improvviso pieno di idee, irrorato e fecondato da una forza

SAGGIO INTRODUTIIVO

27

invisibile che scende dall'alto, come fossi colto da divina possessione, avendo perso coscienza del luogo in cui ero, di chi mi stava intorno, di me stesso, delle cose dette e di quelle scritte))68. Insomma, il momento estatico-profetico è, in quanto tale, il culmine dell'itinerario a Dio, che, come abbiamo visto, si incontra solo "uscendo da sé" e, quindi, costituisce una esperienza che, sia pure a di/ferenti livelli, provano tutti quelli che cercano Dio e l'incontrano. Naturalmente, bisogna dare al termine "estasi" la valenza fùoniana sopra precisata, non la valenza di unione mistica e di conoscenza intuitiva e fruizione immediata di Dio, valenza che solo nei mistici di epoca più tarda si trova69. Tuttavia non è possibile non rilevare la sorprendente analogia fra questo itinerario fùoniano che conduce all'estasi e quello plotiniano: l'uno prescrive migrazione da tutto e abbandono di tutto, l'altro prescrive lo spogliarsi di tutto (dEXE 1TaVTa)70. Senza contare poi le analogie con l'itinerario agostiniano, che ricalca addirittura alcuni dei tratti più tipici e la scansione di fondo dell'itinerario filoniano sopra descritti. 5. I.:eredità che si consegue su questa te"a Fin qui ci siamo occupati dei tratti definitori dell'"erede". È ora giunto il momento di determinare in che cosa consista esattamente '"'eredità" che tocca a tale erede. li fmale del nostro trattato è chiarissimo in merito. La "terra promessa" in eredità è la "sapienza". Leggiamo il testo: «Il sapiente, dunque, è presentato come il legittimo erede della scienza di cui abbiamo detto. Dice la Scrittura: "In quel giorno, infatti, il Signore stabilì un patto con Abramo, dicendo: Alla tua discendenza darò questa terra". A quale terra si riferisce, se non quella di cui prima abbiamo parlato, e alla quale la Scrittura fa riferimento? Il frutto di questa terra è la comprensione certa e salda della sapienza di Dio, secondo la quale Egli, per mezzo delle Sue Potenze che dividono, separando tutte le cose, mantiene le buone al riparo dal male ... ))71. Ora, la sapienza suprema è «lo splendore archetipo)) di Dio72, ossia Dio stesso. Ereditare la sapienza significa, pertanto, ereditare Dio e, con Dio, tutto. Dice infatti Filone nel De migratione Abrahami: «Quale bene, dunque, potrebbe mancare se il

28

GIOVANNI REALE

Dio che tutto conduce a perfezione è presente insieme con le grazie, le Sue vergini figlie, che Egli, il Padre, ha generato e allevato pure e incorrotte?»73. Ma il discorso, in apparenza semplice, si complica non poco, non appena si cerchi di andare a fondo del problema. Infatti Filone dice espressamente che l'erede Abramo riceverà il dono del «ritorno ai padri»74. A questo proposito scrive giustamente la Harl: «Non sarebbe sufficiente dire, per riassumere il trattato di Filone consacrato all'erede dei beni divini, che il nostro autore evoca una sapienza, o anche una contemplazione, accordata all'anima del virtuoso. L'eredità è molto più di questo: al termine della migrazione, dopo quest'ultima migrazione che è l'abbandono di se medesimo per la consacrazione a Dio, Abramo riceve da Dio la grazia del ritorno alla propria patria. L'eredità, più che in una terra o in un possesso spirituale, consiste nell'essere di nuovo piantati nel paradiso da cui Adamo fu esiliato [Plant., 47] :· consiste nell'essere di nuovo con Dio, nell'incorruttibilità»n. Meglio ancora sarebbe dire che, per Filone, l'eredità ha luogo secondo due dimensioni: una, per così dire, orizzontale e immanente, e una, per così dire, verticale, escatologica e trascendente. Già in questa terra il virtuoso ha una eredità in termini di perfezione antologica e morale, di pace spirituale e di intima felicità. Ecco, ad esempio, questa splendida descrizione che si legge nel nostro trattato: «... Dio condusse Abramo fuori di sé e disse: "Volgi i tuoi occhi al cielo e conta le stelle, se mai riuscirai a contarle. Così sarà la tua discendenza". Assai giustamente disse "così sarà" e non "così numerosa", come se dovesse essere dello stesso numero delle stelle. Infatti, non voleva solo riferirsi alla quantità, ma a molte altre cose che portano alla felicità nella sua completezza e perfezione. Dunque, egli dice che sarà "così", cioè come è l'etere visibile; "così", cioè celeste; "così", cioè piena di luce trasparente e pura, giacché nel cielo non c'è notte e nell'etere non c'è tenebra, simile in sommo grado alle stelle, ben ordinata, seguace di un ordine indefettibile, che si mantiene immobile ed identico a sé. Infatti, Egli vuoi far vedere che l'anima del sapiente è una imitazione del cielo, o, a dirla con una immagine iperbolica, che è un cielo sulla terra, perché in lei, come nell'etere, ci sono realtà pure, movimenti ordinati, danze armoniose, divine rivoluzioni, raggi di virtù in sommo grado simili alle stelle e luminosissimi. E se nessuno riesce a contare il numero delle stelle sensibili, come potrebbe contare quello delle intelligibili?»76.

SAGGIO INTRODUTIIVO

29

È questo un modo assai significativo di esprimere il concetto dell'uomo fattosi ucompiuto", come immagine o uimitazione" di Dio sulla terra, non di rado ripetuto da Filone, con terminologia desunta in prevalenza77 dal lessico platonico, ma sostanzialmente giudaico nd suo contenuto, e, in particolare, ispirato al supremo precetto: «siate santi, perché io,Jahvè vostro Dio, sono santo))78. E, nel contesto del pensiero fùoniano, questa sequela, imitazione e assimilazione a Dio, si spiega perfettamente, ancor meglio che nel contesto del platonismo. Infatti, secondo Filone, Dio ha creato una Immagine ideale dell'uomo e poi ha plasmato l'uomo reale secondo questa Immagine, sicché l'uomo risulta immagine di una Immagine79. Orbene, l'uomo di perfetta virtù già su questa terra realizza una perfetta adeguazione all'Immagine ideale, e in questo senso si assimila a Dio, diventandone quasi diretta immagine80. Si capisce, pertanto, la categorica divisione che viene presentata nel nostro trattato da Filone: « ... ci sono due generi di uomini: quello di coloro che vivono fondandosi sullo Spirito divino e sul ragionamento e quello di coloro che vivono fondandosi sul sangue, la carne e il piacere. Quest'ultimo genere è cosa plasmata di terra; il primo, invece, è impronta somigliante all'Immagine divina))81. E si capisce l'affermazione del De Gigantibus, in cui Filone dice essere «Uomo vero)) non quello in carne e ossa, bensì «quello che pratica la virtù))82. Orbene, colui che è una sorta di specchio del cielo sulla terra, e quindi di Dio, di cui il cielo è simbolo, nel trattato che ci accingiamo a leggere gode specialmente di questi tre beni supremi: libertà, pace e felicità. La promessa del uritorno ai padri" fatta da Dio ad Abramo è accompagnata da quest'altra: di vivere in pace una bella vecchiaia. Promessa che Filone così commenta: « ... noi esseri imperfetti siamo vittime di guerre e di schiavitù e a malapena troviamo scampo dalle minacce che ci sovrastano: invece la razza perfetta è libera, beata, nutrita nella pace e nella libertà più sicura))83. E dopo aver ricordato il senso usuale in cui si intendono la pace, la tranquillità e la serenità, Filone si domanda come Abramo, che ebbe vita travagliatissima, che subì perigliose migrazioni e provò addirittura i morsi della povertà e della fame, possa essere presentato come colui che «visse in pace)). E la sua risposta è, ancora una volta, che Abramo (ed ogni erede) fruisce di quella pace perfetta che è superamento e privazione delle passioni, delle ingiustizie, dell'errore84, di cui fame, guerra e prigionia sono simboli.

30

GIOVANNI REALE

Analogamente la "bella vecchiaia" di Abramo-erede non è la vecchiaia nel senso di lunga vita nel tempo, bensì l'ordine e l'equilibrio dell'anima, ossia la felicità: «"Colui, dunque, che è vissuto nella pace" e che ha condotto una esistenza serena e tranquilla, davvero è felice e beato))8:5. A conclusione, leggiamo un'ultima affermazione del nostro trattato, che compendia assai bene il pensiero di Filone su questo tema: «Se, dunque, uno riuscisse a vivere con tutte le sue forze per Dio, piuttosto che per se medesimo, ... allora godrebbe di una vita felice e beata))86. Una vita felice e beata è, dunque, una prima eredità già su questa terra.

6. I:eredità in dimensione escatologica} ovvero /}immortalità Ma l'ultima "trasmigrazione", come abbiamo già accennato, è "annunciatrice di immortalità"87. A più riprese il nostro trattato dice che l'erede erediterà realtà intelligibilt; incorporee e divine88. Nell'ultima parte dello scritto si precisa che il sapiente dopo la morte se ne tornerà «ai padri)), vale a dire al cielo89. Il trattato si conclude, infine, con la solenne affermazione che il progresso dell'erede si verifica «solo dalle cose mortali verso quelle immor-

tali»90. Che Filone abbia pensato alla immortalità personale come guadagno ultimativo dell'erede è fuori dubbio. Tuttavia, la sua posizione riguardo alla immortalità dell'anima è piuttosto inedita ed abbisogna, per essere compresa, di una serie di precisazioni. Le posizioni dei filosofi greci nella soluzione di questo problema possono ridursi a cinque: a) molti, soprattutto i Platonici, sostennero l'immortalità dell'anima in quanto tale} e quindi di tutte le anime (sia di quelle dei buoni sia di quelle dei malvagi); b) alcuni - nell'ambito dei seguaci della Stoà - ammisero una sopravvivenza dell'anima rispetto al corpo per un certo periodo di tempo (non oltre la conflagrazione cosmica), almeno per alcune anime} quelle dei sapienti; c) altri assunsero posizioni di agnosticismo, come ad esempio Socrate; d) altri negarono recisamente ogni forma di immortalità, come ad esempio gli Epicurei; e) e non è mancata nemmeno la proposta di una sorta di immortalità impersonale dell'anima: così sembra aver pensato- almeno stando alle più moderne esegesi- Alessandro di Afrodisia91.

SAGGIO INTRODUTTIVO

31

Ebbene, la posizione di Filone differisce da tutte queste, perché il nostro fùosofo ritiene immortali non tutte le anime, ma solo quelle dei sapienti (degli eredi) e giudica questa immortalità un dono o una grazia di Dio. Di per sé, infatti, l'anima, in quanto creata, è corruttibile come tutte le cose create: se non si corrompe, è per una sorta di rigenerazione concessa dalla grazia divina e operata dalla sua onnipotenza. L'anima del vizioso, invece, si dissolve e muore. Rispetto alla dottrina di Platone, la differenza sta nel fatto che Filone a) non ammette che l'anima sia per sua natura immortale, e b) concede il nuovo genere di immortalità solo come "dono" ad alcune anime, a quelle degne della divina grazia. Rispetto alla posizione di quegli Stoici che ammettevano una sopravvivenza delle anime dei saggi, la differenza è ancor più accentuata, dato che a) questa sopravvivenza è per gli Stoici "a termine", mentre per Filone è eterna; b) inoltre, per gli Stoici è priva di qualsiasi significato religioso ed escatologico, riducendosi a una sopravvivenza dovuta a una sorta di purezza "fisica" (o robustezza) dell'anima del sapiente, mentre per Filone è rigenerazione operata da Dio. Ma, poiché si tratta di un punto controverso del pensiero flloniano e ben lungi dall'essere acquisito a livello di communis opinio (perfmo lo Zeller92, su questo punto, è caduto in un errore di esegesi, e, con lui, una serie di interpreti), è opportuno fare qualche altra precisazione. Il Wolfson ha rilevato come nel giudaismo dei tempi di Filone - sia a motivo di interne sollecitazioni, sia a motivo di esterne influenze - si fossero delineate due tendenze differenti: una, propria del giudaismo palestinese, la quale sosteneva la tesi della resu"exione dei corpi, l'altra, invece, propria del giudaismo ellenistico, la quale sosteneva la tesi dell'immortalità delle anime. L'una e l'altra di queste correnti ritenevano di trovare testi nella Sacra Scrittura in appoggio alle loro tesi93. Orbene, Filone è dalla parte dei sostenitori della immortalità dell'anima (infatti, non si trova nei suoi scritti alcun cenno alla resurrezione dei corpi). Il testo base che egli cita a favore di questa tesi è il già più volte menzionato Geo. 15,15: «Tu te ne andrai dai tuoi padri in pace, dopo aver vissuto una bella vecchiaia». Ed ecco il suo commento: «Significativa è anche l'affermazione che l'uomo buono non muore, ma "va via", affinché risulti che quel genere di anima che si sia perfettamente purificata [si noti,

32

GIOVANNI REALE

non ogni anima, ma solo quelle che si siano purificate] è inestinguibile ed immortale, e destinato a un viaggio da qui fmo in cielo, e non alla dissoluzione e alla corruzione, che la morte sembra condurre con sé»94. In un passo di commento delle Quaestiones et solutiones in Genesim, parallelo a questo, Filone analogamente scrive: «Chiaramente questo indica la incorruttibilità dell'anima, che trasferisce la sua dimora dal corpo mortale e fa ritorno come alla propria città madre da cui originariamente aveva mosso la sua abitazione per venire in questo luogo. Perché, quando si dice ad una persona morente: "Andrai dai tuoi padri", cos'altro significa se non il rappresentare un'altra vita senza il corpo, che solo l'anima del saggio dovrebbe vivere?»9'>. Questo, dunque, è il destino dei buoni. Gli empi, invece, sono condannati alla eterna dissoluzione: « ... alla vita con gli empi è preferibile la morte con gli uomini pii; infatti la vita immortale accoglierà coloro che muoiono in questo modo, mentre la morte eterna accoglierà coloro che vivono nell'altro»%. Del resto, il nostro trattato istituisce fra buoni e cattivi una differenza così marcata, che da etica diviene addirittura quasi antologica e metafisica, come si è visto, e che bene spiega i due differenti destini97. Resta però da vedere che cosa significhino, più specificamente, i padri e, quindi, come sia da intendere con esattezza il "ritorno ai padri". Filone, nel nostro trattato, menziona tre diverse posizioni, che dovevano essere correnti al suo tempo. a) Secondo alcuni, egli dice, «i padri>> sono «.. .il sole, la luna e tutti gli altri astri - si pensa infatti che la nascita di tutti gli esseri terrestri sia prodotta da questi>>98. Si tratta probabilmente di interpreti che hanno cercato di fondere dottrine stoiche con alcune affermazioni bibliche, ma che Filone non segue99. b) Altri affermano, invece, che «i padri>> sono le « .. .Idee paradigmi, ossia quei modelli intelligibili ed invisibili di queste realtà sensibili e visibili, presso i quali trasmigra l'intelligenza del sapiente»too. Si tratta, ovviamente, di una esegesi ispirata al platonismotot, che Filone non respinge del tutto e che anzi, almeno in parte, fa propria, come sotto vedremo. c) Altri, infine, « ... suppongono che col nome di "padri" siano chiamati i quattro elementi e le quattro Potenze, dalle quali ha tratto origine l'universo: la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco: infatti,

SAGGIO INTRODUTIIVO

33

ciascuna realtà creata, dicono, deve dissolversi in essi ... Ciò vale per le cose corporee; ma la stirpe dell'anima, intelligente e celeste, farà ritorno all'etere più puro, come ad un padre suo. Poniamo, dunque, che ci sia, secondo l'opinione degli antichi, una quinta sostanza dotata esclusivamente di moto circolare, superiore per valore alle altre quattro, e dalla quale sembra che abbiano tratto origine gli astri e tutto il cielo: allora, per conseguenza, bisogna concludere che anche l'anima umana è un frammento di essa))1o2. Anche su questa terza soluzione Filone non si pronuncia espressamente. Egli la può infatti accettare, ma solo per quell'aspetto che potremmo chiamare del ritorno ontologico agli elementi lOl, Nell'Erede Filone non approfondisce oltre la questione; ma già nel passo parallelo delle Quaestiones in Genesim scrive: «E la Scrittura parla dei "padri" di Abramo, intendendo non coloro che l'hanno generato, i suoi nonni e i suoi antenati, ... ma, secondo l'opinione di molti, sembra che "i padri" indichino tutti gli elementi in cui si risolve la dissoluzione del corpo. A me tuttavia sembra che indichino gli incorporei l6goi del mondo divino che altrove usa chiamare angeli))104, Dunque, l'anima dell'erede salirà al cielo in compagnia delle intelligenze incorporee, cioè in compagnia degli angeli, come anche in altri trattati viene riconfermato. Nel De sacri/iciis si legge: «Abramo, lasciate le cose mortali, «è aggiunto al popolo di Dio" , ottenendo il frutto dell'incorruttibilità, una volta divenuto uguale agli angeli: gli angeli, infatti, anime senza corpo e felici, sono l'esercito di Dio))IO-'. Va però fatto rilevare che ci sono eccezioni nel destino di alcuni personaggi della Scrittura che ebbero il dono di una eccezionale "compiutezza" di vita, come ad esempio !sacco e Mosè. A !sacco (e a quelli come lui) tocca in sorte un ritorno al «genere>>, all'«intelligibile)), ossia al mondo delle Idee, che è oltre il cielo e oltre la compagnia degli angeli. A Mosè (e a quelli come lui) tocca in sorte salire oltre gli angeli e oltre il mondo intelligibile. Dio ha posto la dimora di costoro «accanto a Sé)), come è il caso di Mosè, al quale dice: «Tu sta' insieme con Me)) . Quando Mosè, dunque, fu sul punto di morire, non gli successe, come ai precedenti, di «venir meno)) e di «essere aggiunto)), non potendo accogliere in sé né addizione né sottrazione; invece egli trasmigrò «per opera di una Parola)) della Causa,

34

GIOVANNI REALE

quella Parola in virtù della quale è stato creato il mondo intero»l06.

L'immortalità per Filone, è, in questo caso, così come nei precedenti, come sopra dicevamo, una sorta di "ricreazione", una "nuova creazione" che si spiega solo sulla base della generale dottrina creazionistica del nostro filosofo e sulla connessa base della credenza nella Provvidenza individuale, ossia della credenza in una Provvidenza che concerne non solo gli uomini in genere, ma gli individui nella loro singolarità. E una dottrina, dunque, che solo la matrice giudaica, oltre che quella greca, può spiegare, come H. Wolfson ha chiarito in questa pagina esemplare, che vogliamo riportare per intero perché costituisce un punto di arrivo fondamentale: «Nel giudaismo ... sulla base della fede saldamente fondata in una provvidenza individuale e in una individuale ricompensa o punizione, sia la resurrezione che l'immortalità sono considerate atti della provvidenza individuale, che si presentano ad ogni individuo come una ricompensa o una punizione per le sue azioni. Per quanto riguarda la resurrezione, è stato chiaramente stabilito che certi tipi di malvagi non saranno resuscitati (M. Sanhedrin, X,1-4). Per quanto riguarda l'immortalità, quei credenti nel giudaismo che hanno fatto loro questa fede parlano analogamente di questa come di una ricompensa riservata solo ai giusti, ma negata ai malvagi. Perciò la Sapienza di Salomone, in contrasto rispetto ai giusti, di cui l'autore afferma che "la loro speranza è piena di immortalità" (3,4), dice dei malvagi che "vuota è la loro speranza" (3,11), e in contrasto rispetto alla virtù, la cui "memoria", dice, "è l'immortalità" (4,1), dice ancora dei malvagi che "la loro memoria perirà", sebbene in modo figurato parli anche del loro essere "nel dolore" (4,19). Così anche l'autore palestinese dei Salmi di Salomone, abbastanza chiaramente parlando soltanto di immortalità, di· ce che "l'eredità dei peccatori è la distruzione e le tenebre" (15,11[10]; cfr. 14,6[9]), e che il peccatore perirà per sempre" (ibid., 15,15[13]; cfr. 15,15[12]), e "quando io ero lontano da Dio, la mia anima era quasi versata nella morte" (ibid., 16,1-2). Analogamente Filone dice che "per quanti vivono al modo degli empi sarà morte eterna" (Poster., 39). Tutte queste affermazioni in sé, è doveroso ammetterlo, non sono risolutive, poiché !'"eterna morte" di cui parla Filone può essere intesa in senso allegorico. È in tale senso allegorico, infatti, che gli studiosi della letteratura ellenistica giudaica solitamente intendono tutti i riferimenti

SAGGIO INTRODUITIVO

35

alla morte o alla perdizione dell'anima dei malvagi che si trovano sia in Filone che nella Sapienza di Salomone, convinti, evidentemente, che, visto che la fede nella immortalità dell'anima deve essere giunta loro da Platone, come Platone essi devono anche credere nella sua indistruttibilità. Sennonché, considerata la ripresa Hloniana del principio aristotelico che nulla di ciò che è creato può essere immortale, e considerata anche la sua spiegazione dell'immortalità del mondo creato come dovuta alla provvidenza divina, ne segue logicamente che l'anima, in virtù del suo

essere stata creata, deve, per sua stessa natura, essere mortale, e che, se l'anima dei giusti è immortale assolutamente, è così solo grazie alla provvidenza di Dio come ricompensa per una retta condotta. Conseguentemente, poiché è solo grazie alla provvidenza di Dio che l'anima dei giusti cessa di essere mortale, è abbastanza ragionevole ipotiuare che l'anima del malvagio non cessi mai di essere mortale e non consegua mai l'immortalità. Il puro fatto che Filone sia d'accordo con Platone circa l'immortalità dell'anima non signzfica necessariamente che debba concordare con lui anche per quanto concerne la sua indistruttibilità. Attraverso tutta la sua filosofia ... Filone modifica costantemente la filosofia platonica introducendovi alcuni nuovi elementi. L'elemento nuovo che egli ha introdotto nella dottrina platonica della immortalità dell'anima è la possibilità della sua distruzione nel caso dei malvagi, una possibilità che logicamente deriva dalla sua fede nel fatto che la sua immortalità nel caso dei giusti è dovuta solo ad un atto della provvidenza divina»I07. Dunque, "l'eredità" della immortalità è una "grazia", un dono gratuito, che Dio fa al giusto e solo al giustol08.

7.

l} aiuto

divino e la grazia come condizioni che rendono possibile altuomo diventare erede e ricevere l'eredità

Abbiamo già avuto occasione di sottolineare a più riprese le distanze di Filone dai Greci, ma solo ora siamo in grado di rilevare quella più vistosa concernente l'uomo, anche se non è quella ultimativa, che è di carattere metafisica-teologico e che consiste nel teorema della creazione, di cui diremo alla fine. Il Greco aveva sempre ritenuto che la virtù (e, quindi, la conoscenza e la felicità strettamente connesse alla virtù) dipendessero interamente dall'uomo, come già abbiamo accennato

36

GIOVANNI REALE

all'inizio. L'uomo è arte/ice autonomo dei suoi destini: è lui che sceglie il suo demone (eudaimonia), dato che il suo vero demone è la sua stessa scelta morale, e questa coincide con la perfetta attuazione della propria natura. Insomma, i Greci (in particolare i fùosofi) ritennero l'uomo, dal punto di vista etico, in tutto e per

tutto autarchico109. In Filone (e anche questo lo abbiamo già rilevato all'inizio) troviamo una posizione pressoché antitetica, come assai bene alcuni degli interpreti moderni hanno rilevato. Fra le molte abbiamo scelto due pagine di due specialisti che illustrano questo punto in modo efficace e pregnante: una della Harl e una del Maddalena. Scrive la Harl: «... si è ben lontani con Filone dall'umanesimo greco. Lo sforzo dell'uomo, per quanto grande esso sia, non può pretendere di raggiungere, di per se stesso, la perfezione: l'uomo non trova il suo compimento nel perfezionamento della propria natura. Lo sforzo egli lo deve compiere (e ne ha la possibilità: è in questo che, in ultima analisi, consiste la sua libertà), ma egli sa che non basta. Ben lontano dal trovare in se medesimo la propria sufficienza (il saggio degli Stoici, invece, conosce la autarchia [ma la Harl avrebbe potuto citare la quasi totalità dei filosofi greci e non solo gli Stoici]), Filone sa di dipendere interamente da un Dio creatore trascendente, solo Signore assoluto e giudice. Egli conosce la propria "nullità". Dire che egli si sente un essere "mediano" significa indicare la sua situazione d'attesa: egli deve passare da un lato o dall'altro e cadrà nel nulla, se non è preso dalla grazia divina» Ilo. Dal canto suo, precisa il Maddalena, ampliando il discorso con una fitta trama di raffronti: «È l'insegnamento [sal quello della nullità dell'uomo] più arduo della Sacra Scrittura: e Filone, che pur usa il linguaggio dei Greci, questo insegnamento ha appreso e trasmette. Socrate sapeva di non sapere; e gli Scettici del pari. Ma Socrate, che pur sapeva di non sapere ed obbediva al comando del Dio, non s'annullava davanti a Lui, non a Lui domandava rettitudine e sapienza; il Dio di Socrate e il Dio dei Greci, che pur faceva talora conoscere, per sogni e vaticini, il suo volere, che pur poteva far deboli i forti e forti i deboli, non entrava, mai, nelle menti, a illuminarle, a guidarle, a trasformarle: su tutto poteva aver forza ed imperio il Dio, ma non sulla mente dell'uomo, sul suo cuore segreto. Poteva, tutt'al più, il Dio di Socrate e di Sofocle, rendere folle un uomo, e cioè incapace di

SAGGIO INTRODUTTIVO

37

pensare, ma non poteva far sapiente lo stolto, pio l'empio, santo il malvagio. L'uomo, pur debole, per la sua mente aveva cosl una sua propria dignità, un suo proprio peso, un suo proprio valore: e non era superbo se li riconosceva. E meno ancora potevano gli Dei sull'uomo per gli Scettici: loro, tutta loro, era, per gli Scettici, la loro scettica ed inerte saggezza. Che se non nel Dio, ma in sé, aveva fiducia, per il suo riscatto e per la sua sapienza, Socrate, e se non negli Dei, ma in sé avevano fiducia, per la loro dubbiosa saggezza, gli Scettici, tanto più avevano fiducia in sé, nella loro propria ragione, Platone e Aristotele e gli Stoici; e, già prima, Eraclito e Parmenide. Anche Erodoto, che-pur riconosceva non essere la vita d'un uomo più che ventura, e anche i Tragici, che pur scavavano nel fondo più buio del dolore dell'uomo, e la più intima tragedia d'ogni mortale facevano nascere dalla vana illusione di poter ottenere felicità nel mondo, non al Dio, ma all'uomo, pur debole e misero, riconoscevano il merito della sua catarsi. Eracle rinnega, in Euripide, la paternità di Zeus, e si sente e vuoi sentirsi figlio solo di Anfitrione, ché troppo crudele ed ingiusto gli pare il padre divino. Eschilo, che pur canta l'inno della vittoria a Zeus perché ha spalancato all'uomo le vie del sapere vitale, non pensa a un'azione diretta del Dio, a un entrare dello Spirito di Dio nella mente e nel cuore dell'uomo per illuminarli: Zeus manda la sofferenza, e dalla sofferenza nasce nell'uomo la conoscenza; ma solitario è l'uomo nel suo cammino dalla sofferenza alla conoscenza. Né diversa è la fede di Sofocle, che pur considera suprema virtù la magnanima pietà di chi adegua la sua volontà alla volontà del sommo Iddio, di chi, nell'angoscia e nell'infamia, dice nel suo cuore: "Fiat voluntas tua": perché, se egli è certo che un premio è stato concesso ad Edipo dagli Dei per la sua pietà magnanima, anche è certo che del magnanimo è la sua magnanimità, del sapiente la sua sapienza, del pio la sua pietà. In Dio, invece, solo in Dio, ha fiducia il santo della Sacra Scrittura: ~aKapLoL 1ravns ol 1TE:1TOLe6TE:S flT ' airr4ì [beati tutti coloro che hanno fiducia in Lui] (Ps. 2,12). Dunque, superbo è, per la Sacra Scrittura, chi ha fiducia, anche la minima fiducia, in sé))tll. Il trattato che stiamo introducendo è da annoverare, a questo riguardo, per molti aspetti, fra i documenti più significativi. Interpretando il nome «Damasco Eliezer)), e intendendo "Damasco" come simbolo del sangue e del corpo ed "Eliezer" come significante Dio è mia difesa, Filone scrive: « ... questa

38

GIOVANNI REALE

nostra massa di fango plasmata, imbevuta di sangue, ha assoluto bisogno dell'aiuto di Dio; per questo sta scritto: "Costui è Damasco Eliezer". Eliezer vuoi dire "Dio è il mio aiuto", perché quell'ammasso di sangue che è di per sé destinato alla dissoluzione, ed è come un cadavere, sta insieme e riceve il suo vigore dalla Provvidenza di Dio, che lo protegge con la sua mano e lo difende col suo scudo, giacché la nostra razza di per sé non potrebbe reggersi saldamente neppure un giorno. Non noti che anche il secondo figlio di Mosè ha lo stesso nome? È scritto: "Il nome del secondo è Eliezer"; e si aggiunge anche la ragione: "Infatti il Dio di mio padre è il mio aiuto e mi strappò dalle mani del Faraone". Ma coloro che sono amici della vita del sangue e dei sensi sono soggiogati da chi è abile a disperdere i pensieri pii, che ha nome "Faraone": dal suo dominio pieno di crudeltà ed ingiustizia è impossibile liberarsi se nell'anima non nasce "Eliezer", cioè la speranza dell'aiuto di Dio unico salvatore»112. E ancora più energicamente ribadisce più avanti: f\vat Tl'Jv Toil aoct>ov cjluxflv lxouaav .ElS, 9das 1TEpL68oUS, àpnwv àaTEpo€L&aTciTas Kal 1TEpt.>.a~1Te aTciTas alrycis. El 8' à~flxavov ala&r,Twv àaTlpwv dpt9~òv EvpEtv, lTWs oùxl ~cTh­ >.ov VOTJTWV; Dio condusse Abramo fuori di sé e disse: «Volgi i tuoi occhi al cielo e conta le stelle, se mai riuscirai a contarle. Così sarà la tua discendenza» ... Egli vuoi far vedere che l'anima del sapiente è una imitazione del cielo, o, per dirla con una immagine iperboJi. ca, che è un cielo sulla terra, perché in lei, come nell'etere, ci sono realtà pure, movi· menti ordinati, danze armoniose, divine rivo· luzioni, raggi di virtù in sommo grado simili alle stelle e luminosissimi. Her., 86 e88

et> I AON

O TON SEI ON E~TI N KAI TIEPI TH~ El~ T A l ~A KAI ENANTI A TOMH~

TIEPI TOY

TI~

KAHPONOMO~

FILONE L'EREDE DELLE COSE DIVINE E LA DIVISIONE IN PARTI UGUALI E CONTRARIE Testo greco e traduzione a fronte

IlE PI TOI TI}.; O TON SEI ON EITI N KAHPONQMO}.; KAI IIEPI TH}.; El}.; TA I };A KAI ENANTIA TOMH}.; [l] 'Ev ~ÈV Tij TTpÒ Ta(rTT)S cruvniefl Tà TTE"pl Ws- l'vfìv €1r' àKpL~las BLe-ef}À8o~e-v· vwt B€

~Lcr6Wv

TTp6KE"L TaL CT)TfLV, T(S O TWV 9e-(wv TTpay~aTWV KÀT)pov6~0S' ÈO"Tlv. [2] ÈTTE"LBT} yàp 9E"crmcr9ÉVTOS' b croòs' ~KOOOE" Ày(ov TOLOlrrO'U" «O ~Lcre6s O'O'U TTO~:ÙS lO'TaL crcf>6Bpa», TTUV9tlTO'U ~apTvp(a. T6TE ydp dKÒS TÒ ~ÈV cf>wVT)Ti}pLov 5pyavov ÈTTÉXE"cr9aL, TÒV B€ KaTà BLavmav Myov àp6pou~Evov àvvTToTopQ. xpfì· creaL, voT}~aTwv où Pll~aTwv €TTaÀÀT)Àa KaÀÀT) ~ET· E"1hp6xov Kal vtiJT)y6pov Buvci~EWS cf>LÀocrocf>oDVTa. [5] 9av~aO'LOL BÈ àpETaL ~ TE E"ÙTO~(a Kal ...; fv T{i) BÉOVTL TTappT)cr(a TTpÒS" TOÙS à~dVO'US', Ws KàL TÒ KW~LKÒV àl/JE"OOWs ~aUov f) KW~LKWs Elpfìcr9aL BoKE"lV . «dv TTtf1J.É'VOLS Kat atJ.a 4>tÀo8€0'1T6TOLS àva-yKat6TaTov i) napplla(a ~IJ.a. ÀÉ'yETat yow €v 'Eçayw'Yt)· m IJ.ÈV oòv ùcf>Tl"YTITf.ì Kal 8L8acrKciÀU} xpwvTaL 9EQ, ol 8' àTEÀÉO'TEpOL T(i) crcxf>Q. 8Lò Kal ÀÉ-yoooL· ..aQ TOVT4>, Bn KÀalovcrLv È:1T' È:IJ.o(; ll'IÌ 1Tp6~aTa Kal ~&s cra'Yl'lcroVTaL iì 1rav TÒ &pos Tfìs eaMcrO'lls crwax6Jlcr€Tal Kal apKÉ'O'fl;» (Num., 11, 13. 22) Kal TÒ apaw >..a>..fìcrm È:1Tl T{il cr{il òv61J.aTL, È:K(À.OV 1TappllO'LaO'alTO; 1TayKaÀWS' OÙV È:v To1s XP'IlO'IJ.oLS cf>lX.os Q.8€Tm Mwoofìs (Es., 33, 11), tv' ooa f1TL 6dpcr€l 1TapaK€KLV8W€VIJ.ÉVa 8L€eÉ'PX€TaL, cf>LÀLQ. IJ.QÀ.À.OV ÌÌ aùeaBf(Q. 1Tpocf>É'p€0'8aL 8otcfj. 6paO'ÒT'IlS IJ.È:V yàp aùed8ovs, cf>(À.ov 8È: 6appaÀ.€6TllS olKELOV.

[22] 'AÀÀÒ. crK61TEL 1TaÀI.v, Bn Eù>..a~lQ. Tò 6appE1v d.vaKÉ'KpaTaL. TÒ IJ.È:V yàp TJaEV È'V T~ È'l.l.~ !lVTJ!lE(q! O È'TT(OKOTTOS' Mwooiìs. «E"yylaas» yap cf>TJaLv « 'A~paàll El TTE · vDv l'JpeaiJ.TJV MÀiìam TTpòs Tòv Kvpwv, E-yw 8€ d1J.L y1ì Kat aTTo86s» (Gen., 18, 27), fTTEL8~ T6TE KaLpOs f"vTvyXaVELV yÉVE"OLV ni) TTETTOLT)K6TL, lh€ TIJV ÈauTiìS' OùBÉVELaV lyvWKE"V. [31] TÒ 8€ pou Yiìs lo-rm TÒ TTE8lov. TTpòs EÙplav OVV IJ.EIJ.E"TPTJIJ.ÉVT'IS', à).X' OÙK àiJ.ÉTpou 8€'i TiìS' f"mppoiìS' e-11oL [33] BLò TTEOOOIJ.m lEilaL KÀT)pov611ov BLKalws. àa~EaTov 'YàP aÙTÒ KaTa6HilllEVOS aLOXLO'TOV Elvm VO!l((w T'IÌV Èllcr\JTOU cf>UO'LV TOU KcrÀOU 1TEpLLBfLV KcrTaÀv6ELO"crV. [37] lKÉTT)S OUV 'Y(VO!laL Kat 1TOTVLWilaL, 'lva 0'1TEpllol.I.Évwv Tò àpETiìs àvaKalT)TaL Kat àvacf>ÀÉ'YT)TaL owTT)pLov cf>É'Y'YOS. (') Àall1Ta8Ev61lEvov È1TaX.X.T)X.ms BLaBoxats looxp6vLOv 'YEvi)O'ETaL K001l4J· [38] (f\Àov Kat TOLS ÒO'KT)TLKOLS E8wKcrS TÉKVWV TWV 1/Jvxf\s 0'1TOpQS Kat 'YEVÉO'EWS, Kcrl ll0Lpa6ÉVTES Vcf>' ~Bovf\s €çEÀciÀT)O'crV El1T6VTES" LÀf}IJ.aTos. cf>(Àll!J.a 8€ 8Lacf>ÉpEL Tou cf>LXELv· TÒ IJ.È:v yàp !JroXWV lVWO'LV ap!J.o(OIJ.ÉVWV €ÙVO(~, TÒ 8È l1Tl1T6ÀaLov Kal tlJLÀTJV &~(wow XPf(as nvòs ds TaÙTò owayayoVa(vELv. [41] ùxmEp yàp Èv T(i} Ò.VaKirrrrELV OÙK lCJTL TÒ KtmT€LV oùB' lv T(i} KaTa1T(V€LV ~V 1TCiVTWS TÒ 1T(V€LV 000' Èv IJ.apo(1T1T4> b '(mros, otrrws oùB' E:v T(i) KaTacf>LÀ€1v TÒ cf>LÀ€1v, É1TEl Kal Twv E:xSpcilv IJ.Up(ous ELKOVTÉS TLV€S TaLS TOU ~(ou XaÀ€1TaLS à.vayKaLS &~LOW TaL. [ 42] T(S OVV fCJTLV il fK cf>LÀf}IJ.aTOS Ò.ÀM IJ.TJ E:~ à.tlJEu8oi)s cf>LMas illl1v CJOOTa8E1oa, cf>paow llllBÈV inrooTELMIJ.E,OS" il CwT) il oùv aloei}oEL, il 1TaCJLv wxupw!J.ÉVll, ~s à.vÉpaoTos oùBds, ftv BÉo1ToLvav !J.È:V ol 1TOÀÀO(, 8€pa1TaLVaV 8È: ol Ò.CJT€LOL VOIJ.(CouCJLV, OÙK Ò.ÀÀ6q>UÀOV f) à.pyUpWVllTOV, à.U' olKO'Y€Vll Kal Tp61TOV Tl và ÒIJ.6q>UÀOV. ofn-OL Kal 1T€1Ta(8EUVTaL KaTacf>LÀELV aÙTf}v, OÙ cf>LÀELV, fK€LVOL 8È: inrEpcf>uWs àya,.av Kal TpL1T~Tov ii'YE1o8m. [43] Aa~v B' o IJ.LC1ap€TOS OÙBÈ: KaTacf>LÀiìCJaL 8uvf}CJ€TaL TàS 1TpoCJK€KÀllPWIJ.fVaS T~ àCJKllTLK~ 8uVcfiJ.€LS, àÀÀ' inroKp(CJEWS Kal tlJnl&ilv 1TÀaC11J.aTWV Ò.VllPTTIKWs TÒV ÉaUTOU ~(ov, woavd Buax€pa(vwv, ou 1Tpòs Ò.Àf}8€laV à.Àywv, cf>llo(v· ÙK l'Jeu,)&r,v KaTacf>LÀiìoaL Ta 1TaL8(a IJ.OU Kal Tàs SuyaTÉpas» (Gen., 31, 28)· flK6TWS 'Y€ Kal 1TpoC1llK6VTWS" Elpwvdav yàp IJ.LC1€LV Ò.KaTaÀÀaKTWS É1TaL8€U8ll1J.€V. [ 44] dyd1fllCJOV OVV Ò.pETàS Kal clCJ1TaCJaL tlJuxij Tij CJ€aUTOU Kal cf>(ÀllCJOV 5VTWS, Kal T\KLCJTa ~UÀf}Lhlas 1TapaKOIJ.IJ.a 1TOL€LV, KaTacf>LÀ€LV. «IJ.fl ydp lCJTLV aÙTaLS ln IJ.Epls f) KÀllpoVOIJ.(a E:v T(i) o(i) OLK4>; oùx Ws al à.k

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 40-44

85

L'erede di Abramo non potrà essere il figlio della serva Masek [40] Chi è Masek, chi è suo figlio? Non è questione di secondaria importanza2o. Masek, dunque, significa "da un bacio". Ora, baciare non vuol dire amare: quest'ultimo sembra significare l'unione di due anime in armonia spirituale; il primo, invece, sembra significare il semplice e superficiale saluto che ha luogo quando una qualche occasione porta a riunirsi insieme. [41] Come nel verbo "sollevare la testa" (anakyptein) non c'è traccia del significato di "inchinarsi" (kyptein); e neppure nel verbo "inghiottire" (katapfnein) è compreso il significato di "bere" (pfnein); e neppure nel termine "borsa" (mdrsippos) v'è il significato di "cavallo" (hfppos); allo stesso modo, "baciare" (kataphilein) non ha nessuna attinenza con amare (philein), tant'è che molti, costretti per vivere a cedere alla forza degli avvenimenti, molte volte salutano in questo modo perfino i nemici21, [42] Chi è dunque colei che trae origine "da un bacio" e non da un verace amore? Lo dirò senza nulla nascondere: è la vita dei sensi, che in tutti noi è ben affermata, della quale nessuno è privo d'amore, che i più venerano come padrona, ma che i migliori disprezzano come serva, e non serva d'altra razza, pagata fior di quattrini, ma una serva nata in casa e, in qualche modo, della stessa razza. Costoro hanno imparato a darle un bacio, non ad amarla: gli altri, invece, l'amano alla follia e la desiderano immensamente. [43] Orbene, Labano22, il nemico della virtù, non riuscirà neppure a baciare le virtù attribuite all'asceta; egli ha fondato la sua vita sull'ipocrisia e sulle false apparenze e, fingendo disappunto ma in realtà non provando alcun dolore, dice: «Non sono stato giudicato degno neppure di baciare i miei figli e le mie figlie» (Gen. 31, 28). E questo era naturale e conveniente: infatti siamo stati educati a disprezzare senza mezze misure la simulazione. [44] Ama, dunque, le virtù, da' loro il benvenuto nella tua anima, amale sul serio, e così non vorrai mai contraffare l'amore, ossia baciare. «C'è ancora parte o eredità per

86

FILONE DI ALESSANDRIA

MTptaL t ÀO'Ylaer,aav 1rapà aol; iì où 1TÉ1rpa1cas aùTCis, Kat KaTÉa'Y€S' TÒ à.pyupLOV» (Gen., 31, 14. 15), tva IJ.T)SÈ flaa00LS' Ò.VaKOIJ.(CJaCJ9..>..' à.1rò 'YVT)alou Tou llruxiìs 1T..T)aEL · «ll>..T)CJE» 'YciP TlaLv «aÙT6v, Kat i}a1raaaVTo à.>..>..T)>..ous» (Es.,

18, 7). [4.5] (Wf1S' SÈ TpLTTÒV 'YfVOS', TÒ IJ.ÈV 1Tpòs 9€6V, TÒ SÈ 1Tpòs 'YEV€CJLV, TÒ SÈ 1J.€e6pLOV, IJ.LKTÒV Ò.IJ.oLV. TÒ IJ.ÈV OW 1Tpòs 9fÒV OÙ KaTÉ~T) 1Tpòs '!ÌIJ.ciS' où8ÈTJÀ9€V ds Tàs awiJ.aTos à.va'YKas. Tò 8€ 1rpòs 'YÉvEatv où8' B>..ws à.vÉ~ll où8' l(i)TT)CJEV à.va~f1vm, wÀEUOV 8È Èv IJ.UXOLS' "At8ou Tl\) Ò.~LWT4> ~l4> xalp€L. [46] TÒ 8È IJ.LKT6V ECJTLV, !) 1TOÀMKLS IJ.ÈV imò Tf1S' Ò.IJ.flVOVOS' Ò.'Y61J.€VOV Tae€WS 9fta(€L KaL 8Eo4>ope-1Tm, 1TOÀMKLS' 8' imò Tils XElpovos Ò.VTLCJ1TWIJ.€VOV f1TLCJTpÉ4>fL. ToOO', BTaV wcm€p È1Tt 1TMCJTL 'Y'YOS' lÌ Tf1s Kp€( TTOVOS' (wf1s IJ.Olpa TOLS' 5ÀOLS' ~plCTIJ, awEmCJ1Taa8Èv TÒ Tils tvaVTlas (wf1s ~POS' KOucf>6TaTOV axeos Q1TE4>T)V€. [ 47] MwlXJ'fls 8È TÒ Tils 1rpòs 9€òv Cwils 'YÉvos à.Kovt Tt CJTEavooas Els È1TlKptatv Tà Àol1Tà ci'YEL 8uatv Ò.1TELKa(wv 'Ywmelv, wv -rl)v IJ.ÈV à.'Ya1TWIJ.ÉVT)v, -rl)v 8€ IJ.LaouIJ.ÉVT)v KaÀ€1 1rpoo4>u€aTaTa 9€ts òv61J.aTa. [ 48] Tls 'YàP où Tàs 8t' 64>8a>..!J.wv, Tls 8' où Tàs 8t' wTwv, TlS' 8' où TàS 8tà 'YfVCJEWS òapT)aEWS' T€ Kat af1s '!Ì8oVàS' Kat TÉp$€LS' Ò.1To8É'X€TaL; TlS 8' OÙ Tà lvaVTla IJ.EIJ.lCJT)KEV, ÒÀL 'Yo8€tav, È'YKpciTEtav, aùCJTT)pòv Kat f1TLC1TT)IJ.OVLKÒV ~(ov, 'Yf ÀWTOS' Kat 1TaL8tcis Ò.IJ.ÉToxov, auwolas Kat 4>poVTl8wv Kat 1r6vwv IJ.EaT6v, l>..ov Tou 8Ewpe-1v, Ò.IJ.aelas txep6v, XPT'l-

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 44-48

87

esse a casa tua, oppure presso di te sono considerate come straniere? O non le hai vendute ed hai dissipato l'argento» (Gen. 31, 14-15), al punto che non hai più la possibilità di riprenderle indietro, avendo sperperato il ricavato e il prezzo del riscatto? Ed ora fai finta di volerle baciare, tu che, a giudizio di tutti, sei un loro implacabile persecutore! Aronne, invece, non bacerà Mosè, ma lo amerà col sentimento sincero del suo animo. È scritto, infatti: «Egli l'amò e si gettarono l'uno nelle braccia dell'altro» (Es. 18, 7). II tre generi di vita [45] Vi sono tre generi di vita: uno orientato verso Dio, l'altro verso il divenire, e il terzo, intermedio tra i due, è un misto dell'uno e dell'altro. La vita orientata verso Dio non scende verso di noi, non viene nelle necessità corporee23. La vita diretta verso il divenire non si eleva per nulla e non prova nemmeno ad elevarsi, ma, dimorando negli abissi dell' Ade24, s'accontenta di questa vita da morti. [46] La vita mista è quella che spesso, guidata dall'ordine migliore, è ispirata e posseduta da Dio, anche se sovente, invece, è tratta dall'ordine peggiore e devia in senso contrario. E quando è la parte della vita migliore che prevale su tutto, come sul piatto di una bilancia, anche la massa della vita contraria viene trascinata ed appare un peso leggerissimo2'. [47] Ora, Mosè, mentre diede senza esitazione la préminenza al genere di vita rivolto a Dio26, sottopone a giudizio gli altri generi, paragonandoli a due donne, che chiama, rispettivamente, «colei che è amata» e «colei che è odiata»-(Deut. 21, 15 -17)27, con nomi quanto mai pertinenti. [48] Chi, infatti, non resta affascinato dai piaceri e dalle seduzioni della vista, dell'udito, del gusto, dell'odorato e del tatto? E chi, d'altra parte, non prova repulsione per le sensazioni contrarie, cioè per una vita frugale, moderata, austera, consacrata alla scienza, aliena dal riso e dagli svaghi, pensosa, piena di preoccupazioni e fatiche, votata alla contemplazione, in lotta contro l'ignoranza, al di sopra delle ricchezze, della fama, dei piaceri, che si lascia guidare

88

FILONE DI ALESSANDRIA

,.!(iTWV ~ÈV Kat 86t11S' Kat i)BoVWV Kpd TTW, ~TTW 8È aWpoouv,.,s ~eat EÙKÀ.das ~eat ~ÀÉ1TOVTOS' où nr À.OU 1TÀ.OVTOU; 1Tp€0'~ÒT€pa ~ÈV OVV Ò.€t Tà ')'€Wfr ~aTa TflS' ~LO'OU~ÉV,.,S' Ò.p€TflS' ·

o 8€

Mwuails. d Kat V€WT€pa xp6v~. Kat TaiJTa oo€L 1Tp€0'~(wv Ò.~LOL Tà 8L1TÀéÌ 8L8oVs, TWV 8È à.mpTJO'LV «'A8àj.L TÒ lSvoi.J.a Tfls- 'YWaLKÒS' ain"ov (wi), Bn atfrrt llllTTJP nciVTwv Twv (wVTWV» (Gen., 3, 20), TWV npòs- àXT,8€Lav TÒv !Jsuxfìs- T€8vT)K6Twv 8T,nou ~tov. o\. 8€ (wVTES' lSVTWS' IJ.TJTÉpa IJ.ÈV lxoooL aocf>lav, ataat,aLv 8€ 8ouÀT)V npòs- inrrlpEatav €mLÀT,IJ.aTOS' lyvwp(aai.J.EV, 8LaawtO'TT)O'L ~Qj.LQO'K6s- - TÒ 8È IJ.€TQÀT)cf>SÉV fO'TLV ati.J.a aciKKou -, acf>68pa BwaTWs' Kat Eùeu~Xws- aciKKOV IJ.ÈV TÒ O'WIJ.a alvL~ciiJ.EVOS', ati.J.a 8€ (wrJV nìv lvmIJ.OV. [55] È"lTELBTJ 'YàP !Jsuxf! BLXWs' ÀÉ'YETaL, ~ TE BXTJ Kat TÒ TJ'YEIJ.OVLKÒV airriis- IJ.ÉPQS', () Kup(ws- ELnE'lv !Jsuxf! $uxiìS' €an, KaecinEp òcf>SaXj.Lòs- B T€ KUKÀOS' O'UIJ.nas- Kat TÒ KUpLwTaTov IJ.ÉPOS' TÒ ~ ~M­ lTOIJ.EV, l~€ T{\) VOIJ.08ÉTIJ 8LTTIÌV Kat TIÌV OÙO'(av dvaL !Jsuxfìs-, ati.J.a IJ.EV TfìS' oÀT)S', Toiì 8' TJ 'Y€ IJ.OVL KWTci TOU lTV€ i) j.LQ 8€L OV. [56] cf>TJO't 'YOUV aVTLKPUS'" «$UxTJ trciO'T)S' aapKÒS' atj.Lci fO'TLV» (Lev. 17, 11). €Ò 'Y€ TÒ lTpOO'V€LIJ.aL T{\) O'apKWV lSXÀ4l TIÌV atiJ.aTOS' È"mppoi)v, olKE'Lov olKd~· TOV 8€ vov nìv ooo(av fe où&vòs- 1'\pTT)O'€ 'Y€VllTOV, àM' inrò 8€ov KaTalTV€U0'8€LO'aV dO'~'YQ'Y€V" «EV€cf>UO'T)O'€» 'Ycip cf>TJO'LV «Ò lTOLTJTIÌS' TWV BXwv Els- TÒ np6awnov aùTOV nvof!v (wfls-, Kat È'YÉVETO ò civ8pwnos- ds!Jsuxf!v (WO'av» (Gen., 2, 7), ft Kat KaTà nìv ElK6va TOV lTOLT)TOV À6'YOS' lXEL TUlTwBfìVaL.

[57] WaT€ 8L TTÒV El8QS' àv8pWlTWV, TÒ IJ.ÈV 8€((jl lTV€UIJ.aTL ÀO'YLO'IJ. (Gen., 15, 4). (69] TT6eos OVV d TLS' da€pXE"Ta( 0'€, tlnJxfl, TWV edwv à'Yaewv KÀT)poVOIJ.fìO'aL, IJ.TJ jJ.6VOV opT)8€LO'a KaTci TLVa TTpoT)TLKÒV È:TTL8€La0'1J.6V· [70] È:v8ooou{lO'TlS' 'Yàp Kal oùtch' oUcrr)s È:v É"mrriì 8Lavolas, àÀÀ' lpwn oir pav(IJ} O'EO'O~T)IJ.EVT)S' KÒ.KIJ.EIJ.T)VU(as Kal imò TOU c5vTWS' c5vTOS' ~'YIJ.ÉVT)S' Kai dvw TTPÒS' mhò ElÀKooiJ.ÉVT)S', TTpaVTaO"Lwet,v KaTa'Yvouaa !J.ÈV aùTfìs Twv Kpl TT)p(wv Ws V€Vo8E"VIJ.EVWV Kal BfBfKaO'IJ.EVWV KàL tlJ€v8oUs lnr01T€TTÀT)O'IJ.EVWV 86eT)S', KaTayvoooa 8È KaÌ. TWV KpLVOIJ.EVWV, Ws BfÀE"aO'aL Kal àTTaTfìO'aL Kal ~K IJ.EO'T)S' TfìS' ci>OOEWS' apTTciO'aL TTJV àÀTJ8E"LaV €ÙTp€TTLO'IJ.EVWV' IJ.€TaVÉO'TT}V Kal TOU À6'YOV, 'f)v(Ka TTOÀÀTJV àÀo'Ylav aÙTou KaTÉyvwv Kal TOL IJ.ETEwplCoVTos KàL ct>oowVTos É"aVT6v. [72] h6ÀIJ.a 'YàP T6ÀIJ.T)IJ.a où IJ.LK"' p6v, 8Là O"KLWV IJ.OL O"WIJ.aTa, 8Là pT)IJ.ciTwv TTpci'YIJ.aTa, dTT€p ài.J.fJXaVOV ~V, BfLKVWaL. Ka(TOL aaÀÀ61J.€VOS TT€pL€ÀciÀ€L Kal TT€pLÉpp€L KOLV6TT)TL TWV òvojlciTWV TàS' l8L6TT)TaS' Twv inroKELIJ.Évwv àBwaTwv ~IJ.ciO"EL Tpavij TTapaaTfìaaL. [73] TTa8ouaa 8' ws dct>pwv Kal vi]mos TTats li.J.aeov, Ws- d!J.ELVov ~v dpa TTciVTwv 11èv ToiJTwv im€e€À8Etv, €KciOTov 8è Tàs

L'EREDE DELLE COSE DIVINE, 68-73

97

anche se stesso. «Colui che uscirà da te», sta scritto, «questi sarà il tuo erede» (Gen. 15, 4). [69] Se dunque, o anima, penetrerà in te qualche desiderio di ereditare i beni divini, non solo dovrai abbandonare la «terra», ossia il corpo, la «parentela», ossia la sensazione, e la «casa paterna» (Gen. 12, 1), ossia il linguaggio, ma dovrai abbandonare anche te stessa, uscir fuori da te, come chi è posseduto e come i coribanti, invasata, trasportata da Dio in una divina ispirazione profetica. [70] L'intelligenza che è riempita della presenza di Dio e che non è più in se stessa, che è scossa dall'amore celeste e che, quasi folle, è condotta da Colui che è l'Essere assoluto, tratta in alto verso di Lui, preceduta dalla verità che le spiana la strada, affinché possa viaggiare sulla via maestra: questa è l'eredità. [71] Orsù, dunque, dimmi come sei uscita da quei tre luoghi precedenti, o intelligenza, tu che fai risuonare la tua voce nelle orecchie di chi sa ascoltare pensieri spirituali e che non smetti di ripetere: «Me ne sono andata dal corpo, perché ormai non tenevo più in alcuna considerazione la carne; ho lasciato la sensazione, quando ho riconosciuto che gli oggetti sensibili non sono esseri in senso vero, condannando i suoi criteri di giudizio come impuri e corrotti, gravidi di false opinioni, condannando anche gli oggetti dei suoi giudizi, perché sono sempre pronti ad ingannare, a fuorviare, a rubare dal cuore stesso della natura la verità; ho abbandonato anche la parola, allorché ho condannato la sua grande assurdità, anche se essa si eleva e si esalta. [72] E la sua audacia era davvero grande, volendo rappresentare i corpi con le ombre e le realtà incorporee per mezzo delle parole: cose, queste, impossibili. E quantunque vacillasse, non smetteva di parlare e versava un fiume di parole, inadatte, nella loro ambiguità, a ridare con chiara espressione le particolarità proprie degli oggetti41, [73] Facendo tale esperienza, come un folle, o come un bambino in tenera età, ho imparato che era meglio uscire fuori da queste tre cose, consacrando a Dio le facoltà di ciascuna di

98

FILONE DI ALESSANDRIA

SwaiJ.ELS àva9EtvaL 9E{ij T{ij Kat TÒ awiJ.a awiJ.aTovvn Kat 1TT'J'YVUVrL Kat TJÌV ata&r)aLV ala9aV€0'9aL 1TapaaKEVTJa( 8apTOV Tpo4>f}v, ol BÈ 1T!)ÒS' TÒ Kp6W IJ.OO Kal TÒ aK6pOO, TÒ 1T€plo8WWVTa TÒS' K6paS' Kat KaKOVVTa Kal KaTai.J.UELV 1TOLOVVTa, Kal TÒS' d~S' 1rpaawv Kat VEKpWV Lx6ilwv 8ooo81J.(as-, oLKELas- AL 'Yirrrrou Tpo4>Q.S'. [80] «È"1.J.vi}a6TJI.J.EV» 'YaP aat pwv, Kdv O'UVT'l~E'p€UWV ~T)8' à.KapÈ"s dtroÀd'TTTlTaL, daw 8€ mis acxf>6s, KilV ~fl ~6vov XWPaLS dÀÀà Kat ~E"ya­ ÀOLS KM~aaL ')'iìs Bt~KLa~lvos TV"Yxop€1 tlruxfìs· ÀÉ'YE'L yap· [84] «b cJ>lÀOS, b taos 7ll !JJuxij O'OU» (Deut., 13, 6). Kat O lE'pE'ÙS ~fVTOL «av6pwtros oùtc lcrraL KaT' airròv lhav E"lal'IJ E"ls Tà dyta TWV dytwv, lws dv UlÀ8lJ» (Lev. 16, 17), OÙ O'W~aTLKWs, dÀÀà TaLS KaTà tPVxflV KLvf)O'E'O'LV. O yàp VOVs, lhE' ~ÈV Ka9apWs Àfl TOUP'YEL 9E"(i}, OÙK lcrrtv dv6p(J)mvos, àÀÀà 9€1os· lhE" BÈ" dv6pwtrlv(Jl nvt, TÉTpamaL KaTaf3às dtr' oùpavou, ~éì.ÀÀOv BÈ" lTE'O'WV ~trt ')'iìv ~~ÉPXE"TaL, Kdv ln ~ÉVIJ TÒ aw~a lvBov airrii). [8.5] òpa6TaTa oòv dpT)TaL · «E~i}yayE"v airròv l~w» TWV KaTà TÒ aw~a BE"a~wTT)plwv, TWV KaTà TàS al~O'E'LS cJ>w>.fwv, TWV KaTà TÒV àtraTE'WVa Myov aocJ>taTE'LWV, È"trl tréìatv a'ÙTÒV ~~ ~aVTOV Kat TOU 8oKE'LV airrE"~ooo(~ Kat airroKpTJatv· «àva~>.E!JJov E"ls TÒv oùpavòv Kat dp(81J.TJO'OV Toùs daTÉpas, E-àv 8U11Tl8iJS E-~apt8~i)am airro(Js. otn-ws laTm TÒ O'lT€p~a O'OU» (Gen., 15, 5). trayKaÀWS E"llTE'V «Oihws lcrrm», àÀÀ' où ToooDTov, To1s dcrrpms ladpt8~ov. où yàp TÒ trÀfì8os airrò ~6vov, àÀÀà Kat ~up(a aÀÀa TWV E"ls E'Ù8m~ov(av OÀ6KÀT)poV Kat traVTE'Àfì ~UÀfTaL trapE~cJ>fìvaL. [87] otiTws oòv laTm, ci>TJalv, Ws- lXE"L TÒ bpW~E"vov al8Éptov, o{hws oùpTicrl «TTPÒS' ain"6v· E-yw b 6Eòs b e-çayaywv 0'€ ÈK xwpas XaÀBa(wv, WcrT€ Bouval O'OL TJÌV 'YiìV TairrT)v KÀT)poVOj.lTJO'aL» (Gen., 15, 7). ToiìT' OÙX liTTOO'XEO'LV j.LOVOV, dÀÀd KaÌ. TTaÀaLaS' irrrooxÉcrEws [3Ef3alwcrLv Ej.icf>alvn. [97] TÒ j!ÈV miÀaL 8wpT)6Èv dya6òv lço8os ~v dTTò TfìS' XaÀ8a"CKfìs j.lETEwpoÀoy(as, -f\ns àvE8(8acrKEV où 6Eou lpyov, dW 6Eòv irrroÀaj.L~vnv TÒv KOOj!OV Elvm Kat T6 T€ éò Kat TÒ XELpov aTTaO'L TolS' OVO'L opaLS' Kal T€Tay1J.ÉVaLS' 1T€pL680LS' àaTÉpwV dpL6IJ.Èl0'6aL Kal ÈV6ÉVB€ TJÌV dya6ou Kal KaKOU yÉVEO'LV "JÌpTfJcr6m- TaiìTa 8' i) Twv KaT' oùpavòv OIJ.aÀT) Kat T€Ta'YIJ.fVT) K(VT)O'LS' TOÙS' €ÙX€p€0'TÉpoUS' àVÉTTELO'€ TEpaTEUEcr6al' KaÌ. ydp TÒ XaÀ8a(wv ovo11a IJ.ETaÀT)cf>6ÈV OIJ.aÀ6TT)TL TTapwVUIJ.EL -, [98] TÒ 8€ vlov àyaeòv KÀT)poVOIJ.fìO'aL aocf>lav TJÌV a8€KTOV IJ.ÈV al-

ow

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 9J-98

107

[93] n purificarsi da ciascuna di queste cose, il rifiutare la nostra fede al divenire che di per sé è del tutto indegno di fede, aver fede solo in Dio che è l'unico che sia veramente degno di fede, questa è opera di una mente veramente grande ed olimpica, che da nessuna delle realtà che ci circondano può essere ingannata48,

L'elogio della fede di Abramo [94] Giustamente è poi detto: «La fede gli fu ascritta a giustizia» (Gen. 15, 6); infatti, non vi è niente di più giusto che avere nei confronti di Dio solo una fede pura ed incontaminata. [9.5] Questo atto di giustizia e di conformità alla natura è stato giudicato eccezionale solo a motivo della mancanza di fede della maggior parte di noi. E, rimproverandoci, il Testo Sacro ci dice che, slanciarci fermamente e senza deviazioni verso l'Essere solamente, parrà, sì, straordinario agli occhi degli uomini che non posseggono alcun bene puro, ma non è affatto straordinario dal punto di vista della verità che giudica, per la quale, anzi, questo è il solo atto di giustizia. D significato della migrazione di Abramo dalla terra di Caldea [96] Dice poi la Scrittura: «E disse a lui: Io sono il Dio che ti ha condotto fuori dal paese dei Caldei per darti in eredità questa terra» (Gen. 15, 7)49. Questo indica non solo una promessa, ma la conferma di un'antica promessa. [97] n bene che anticamente era stato dato in dono consisteva nell'uscita dalla astronomia caldaica, la quale insegnava a credere che il mondo non è opera di Dio, ma Dio stesso, e che il bene e il male per tutti gli enti sono da mettere in conto al moto e alle rivoluzioni regolari dei corpi celesti, e che proprio da lì dipende l'origine del male e del bene'o. Del resto, fu la regolarità e l'ordine nel movimento dei corpi celesti che indusse quegli uomini troppo faciloni a credere in queste fandonie: e, infatti, il nome di "Caldei", tradotto, significa "uniformità"51, [98] Il nuovo bene, inve-

108

FILONE DI ALESSANDRIA

aef}a€L, v4} B' ElXucpLV€aTvM.Kiìs al ncicraa6m. [106] TTapaKaTÉ6€To 8€ O'Ol a'ÙT(\) «Jsvxi}v, À6'YOV, atcrS..,O'LV O 'qlOTTÀci(aaVTo, ot Bè ÈTaiJ.L€VO'aVTO TTpÒS KaLplWTciTllV àTT6800'lV. [107] Twv IJ.ÈV oùv voacf>LCOIJ.Évwv o'ÙK ~crnv àpL61J.ÒV €Up€tv· TLS' 'YàP TJIJ.WV «JsvX'JÌv Kal ataS..,mv Kal M'YOV, TTav6' OIJ.OU TafiT' ou cf>TJaLv Éa"UTou KTftiJ.aT' Elvm, TÒ ala6ciV€0'6aL, TÒ ÀÉ'Y€LV, TÒ KaTaÀO.IJ.~­ V€lV ol61J.€VOS Ècf>' Éa'UT e «capra». Alcuni, per egoismo, subito si appropriano di questi beni; altri, invece, li tengono in serbo per restituirli al momento più opportuno. [107] li numero di quelli che se ne appropriano è incalcolabile. Chi di noi, infatti, non afferma che la nostra anima, la sensazione, il linguaggio, insomma tutte quante queste cose sono suo possesso personale, ritenendo che il sentire, il parlare ed il comprendere appartengono a lui solo? [108] Esiguo, invece, è il numero di coloro che conservano il pegno di fede santo e veramente incontaminato. Costoro offrono a Dio queste

112

FILONE DI ALESSANDRIA

dK6TWS' Wj.LOÀ6yT)aav KaT' athòv E!vaL TdS' €KaCJTwv ÈvEpyElas, Tou vou Tàs 8tavo'fJaELs, Tov Myov TàS' EPilTJVdas, Tiìs alaei]aEws TàS' a.VTaalas. [109] ot j.LÈV ollv €aVTo1s TaDTa É"mypd.cf>ovTES' aeLa Tf)S' EQlJTWV f3a.pv8aLj.LOVLQS' É"KÀT)pWCJQVTO, tjJv~v j.LÈV hrlf3ovÀov, àMyots 1ra6Eat 1TEvpj.LÉ"VTJV Kal 1TÀ'f!6EL KQKLWV KQTELÀT)j.Lj.LÉ"VT)V, TOTÈ j.LÈV inrÒ ÀaLj.Lapy(as Kal Àayvdas 001TEp Èv XQj.LQL T1J1Td4> 1TEpLV~pL(Oj.LÉ"VT)V, TOTÈ 8€ inrò 1TÀTJ601JS' à8LKT)j.LaTWV Wa1TEp Èv 8ECJj.LWTTJPL4l Ka6Etpyj.LÉ"VT)V j.LETà KaKoup'YWV, OÙK àv6pW1TWV, àÀÀ' f1TL TT)8E1Jj.LaTWV, 1TaO'L To1s KpL Ta1s [lì TLilWPTJTa1sl àywytj.La yé"yovE, Myov 8€ CJT6j.Lapyov, i]KOVT)j.LÉ"VOV KaTà Tf)S' àÀT)6das, ~ÀQ­ ~pòv !lÈv To1s É"VTvyxavoootv, alaxvVTJv 8€ To1s KEKTT)j.LÉ"VOLS' É"1TLÉ"pOVTQ, QLO'ST)O'LV 8È àK6pEO'TOV, É"j.Lcf>opovj.LÉ"VTJV j.LÈv alEt Twv alaST)Twv, inrò 8€ àKpaTopos TfìS' É"1TL61Jj.LLQS' j.LTJ8É1TOTE fj.L1TÀTJ0'6fìvaL 8vvaj.LÉ"VTJV, àÀoyoooav Twv awpovtaTwv, Ws- 1Tapopav Kal 1TapaKOUELV Kal ooa èiv E1T' Wooe-ws BÈ ll'IÌ trpo\irroKE"LIJ.€Vlls dTe-Àfì Tà travTa. ÈV6€v& IJ.OL 80KE"l TLS ÒP1J.ll9f"ts e-òO'T6XWS d lTE"LV «dpxT) 8€ TOL 'f\IJ.LO'l.J traVT6s», dpxT)v alvLeaiJ.e-vos nìv ct>ooLv, 'f\ns W9apTov, BLKalws T(\) dct>MpTq.l trpoavE"IJ.ll9iJae-TaL, Kat d TLS Kat auv6ÀWS IJ.TJTpav BLoL yvVE"Lv dtrò dv6pc.)trou, TOU ÀO'YLO'IJ.OU Kat Myou, ~ws K~vovs, alaef]ae-u)s TE" Kat O"WIJ.aTos. [119] ò yàp BLOL yvVs- nìv llTJTpav É"KaaTwv, Tov IJ.Èv vov trpòs Tàs vo11Tàs KaTaÀT]t/JE"LS, Tou BÈ Myou trpòs Tàs 8Là ct>wviìs Ève-pye-las, Twv BÈ alaaf]ae-wv trpòs Tàs dtrò Twv inroKE"LIJ.€vwv È'Y'YLVOIJ.lvas ct>avTaaLas, Tov BÈ O"WIJ.aTos trpòs Tàs olKdovs aÙT(\) O"X€0'E"LS TE" Kat KlvTJO'E"LS d6paTOS Kat atrE"pj.LaTLKÒS Kat TE"XVLKÒS 9E"t6s ÈaTL Myos, Bs trpoO'llK6VTws dvaKdO'E"TaL T(\) traTpl. [120] Kat IJ.TJV WalTE"p al dp-

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 115-120

117

uomini e degli altri animali? Coloro che generano non sono forse, per così dire, solo cause complementari, mentre la natura è la causa più alta, più originaria e vera? [116] Lo stesso vale per le arti e per le scienze: la sorgente, la radice, il fondamento e qualsiasi altra cosa che indichi il principio originario non è forse la natura, su cui si basano le teorie di ciascuna scienza? Se la natura non stesse a fondamento di ogni cosa, tutto resterebbe senza compimento. Mi pare che proprio prendendo le mosse da queste considerazioni, qualcuno6o abbia detto cogliendo bene nel segno: «Il principio è già la metà del tutto», dove per "principio" si intende la natura, la quale, in un certo senso, è la radice gettata a sostegno dello sviluppo di ciascuna realtà: ad essa appunto, egli assegna la metà del tutto. I principi e i termini sono di Dio [117] A buona ragione, dunque, le Scritture parlano dell'offerta dei principi a Dio che è guida. Altrove sta scritto: «Parlò il Signore a Mosè e disse: Consacra a me ogni primo nato, ogni primo generato che apre l'utero materno fra i figli di Israele, a partire dagli uomini fino alle bestie: questo sarà mio» (Es. 13, 1-2). [118] Così, anche da queste parole si riconosce che le cose che sono prime, sia per tempo, sia per valore, sono possesso di Dio; in particolar modo quelle generate per prime61, Poiché, infatti, ogni genere è soggetto a corruzione, giustamente esso sarà consacrato all'Incorruttibile, e, in generale, tutto ciò che apre l'utero materno, a partire dall'uomo - la sua intelligenza e il suo linguaggio -, fino alle bestie - il senso e il corpo -. [119] Colui che «apre l'utero» di ciascuna di queste realtà, ossia della mente per far nascere le comprensioni intellettuali, del linguaggio per far nascere l'attività della parola, dei sensi per far nascere le rappresentazioni che provengono dagli oggetti, del corpo per permettere i caratteri e i movimenti che gli sono propri, ebbene, Costui è il Logos divino, invisibile, seminatore ed artefice, il quale, giustamente, si consacrerà al Padre. [120] E come i principi sono

118

FILONE DI ALESSANDRIA

xal 8Eou, ofhws Kal Tà TÉ'Àll 6€0Ù. ~apTUS 8È' MwUatpEtv Kal b~oÀo'Yfiv Tò TÉ'ÀOS T~ Kl)p(~ (Nurn., 31, 28). (121] ~apTUp€L 8€ Kal Tà ~v KOO~~· TTWs; ct>UToù ~€v dpXl'! crnÉ'p~a. TÉ'ÀOS 6' b Kaptr6s, tKaT€poV OÙ 'Y€Wp'Ylas, à.ÀÀà 4>ir C1€WS' lp'YOV. 'ITd.ÀLV ~mCJT'l'}~llS à.pXl'! ~€V 'fJ ct>oo'LS, Ws- ~&lxe,. trÉ'pas 6' où6' ~À6€v ds à.v6p(J)uous. TÉ'Àftos 'YàP où&ls ~v où6Evl Twv ~m Tll&u~d.Twv, à.ÀÀ' à.tlJEu&Jls al T€À€L6T11T€S Kal à.Kp6T11T€S €v6s dat ~6vou. ct>opou~€6' ovv ÀOmòv 'fl~Ets ~v T~ TÉ'Àous Kal à.pxi)s ~€6opl~. ~av6d.voVTES, St&iaKoVTES, 'Y€WTTOVOÙVT€S, ~p'Ya(6~€VOL TWV dÀÀWv lKaaTov Wsliv l8pWVT€S, tva TL Kal 'YÉ'V€C1LS trpd.TT€LV BoKij. (122] -yvwpt~WT€poV ~É'VTOL TàS à.pxàs Kal Tà TÉ'Àll KaTà 6€òv w~oM'YllaEv ~1Tl Tiìs Toù l(oo~ou 'YfvÉ'aEws dtrwv· 1latv «dÀllcf>a Toùs AEul Tas dVTl travTÒS trpwToT6Kou Btavol 'YOVTOS ~i}Tpav uapà Twv ulwv 'I apai}À' ÀVTpa aÙTwv laoVTat» (Num.3, 12). oÙKoùv Àa~[3dvo~Ev Kal 6l8o~Ev, à.ÀÀà Kuplws ~€v Àa~f3dvo~Ev, KaTaXPllaTLKWs 8€ 6t86vat Àf'Y6~€6a St' as al Tlas El'ITOV. €ùeu~>.ws 8€ ÀUTpa wv6~aa€ TOÙS AEul Tas· ds ~À€u8Eplav 'YàP où8€v ofhws teatpELTat TI)v Sui-

ow

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 120-124

119

di Dio, così lo sono anche i termini. Ne dà testimonianza Mosè quando ordina di prendere e di consegnare a Dio il termine (Num. 31, 28). Anche le cose che accadono nel mondo testimoniano ciò. [121] Come? Il principio della pianta è il seme; il suo termine è il frutto. Ambedue non sono opera dell'agricoltura, ma della natura. Anche il principio della scienza è la natura, come si è dimostrato, ma i suoi termini non sono raggiungibili dall'uomo. Nessuno, infatti, in alcuna delle sue attività è perfetto, ma le perfezioni ed ogni eccellenza spettano solo all'Uno. A noi non resta che tenerci in una via di mezzo tra il principio e il termine, imparando, insegnando, lavorando la terra e facendo ciascuna delle altre cose, come se conducessimo davvero a termine qualcosa, di modo che anche ciò che appartiene al divenire sembri fare qualcosa. [122] Molto chiaramente, infatti, la Scrittura riconobbe che i principi ed i termini dipendono da Dio, quando, a proposito della creazione del mondo, dice: «Iddio in principio fece» (Gen. l, 1), e poi «portò a termine il cielo e la terra» (Gen. 2, l. 2. 4). [123] Dice dunque : «Prendete per Me» (Es. 25, 2); con ciò Dio vuole assegnare a Se stesso ciò che gli spetta ed invitare a non corrompere ciò che è stato donato, ma a conservarlo in maniera degna del Donatore. Ancora in un altro passo, Egli, che non è mancante di nulla e che perciò non ha nulla da prendere, dirà di voler prendere per incoraggiare alla pietà, per incitare al desiderio della santità, per spingere al proprio servizio, per far comprendere che Egli accetta e riceve le offerte spontanee dell'anima e gli atti sinceri del culto. [124] Dice infatti: «Ecco, ho preso i Leviti al posto di tutti i primogeniti di quelli che hanno aperto l'utero materno fra i figli di Israele: saranno il (prezzo del) loro riscatto» (Num. 3, 12)62. Dunque, noi prendiamo e diamo, ma "prendiamo" nel senso letterale del termine e, invece, per i motivi che ho detto, siamo donatori solo nel senso improprio. Giustamente chiamò « riscatto» i Leviti: niente, infatti, innalza verso la verità l'intelligenza più che il farsi "rifugiato e supplice" pres-

120

FILONE DI ALESSANDRIA

vOLav Ws- TÒ 1Tp6ovya tcat ttcÉTT)V -yEvÉa6aL 8€ou. ToiJTo 8' 'il t€ pwi.I.ÉVll uÀ'JÌ AfULTwv È"1Ta'Y'YÉ ÀÀE"TaL.

[125] AfÀCIÀlltc6TfS ow Tà 1TpÉ'1ToVTa 1T€pt Toin"wv à.va8pci1.1.wl.l.fv €1rt Tà à.pxt;s· Ù1T€Pf8ÉI.I.€8a yàp 1TOÀÀà TWV òELMvTwv à.tcpL(3w8fìvm. «Àdf3€ I.I.OL» 11crl «Bdl.l.aÀLv» dCvya tcat à.tcdtcwTov, c'maÀ'JÌv ln tcat viav tcat crpL yooav, 'flvL6XTlcrLv tcat 1rm&lav KQl imcrTacr(av fÙI.I.apws 8ieacr8aL 8uvai.I.ÉV11V «Jsuxflv· s- È'aTL TOU OlTOlT 8alou, TIÌV tEpàv wv lXa[3E trapaKaTaei)KT)v, !JJums-. alaei)aEWS', Myou, 9Elas- aocplas-, àv9pwtrlVT'lS' tmcm'U.LT)S', Ka9apWs- Kat à86ÀWS' lllÌ ~aUTl\), 1J.6V4) 8€ Tl\) lT€lTlaT€UK6TL cpuMeaVTQS". [ 130] E:t T' È'lTLÀÉ''Yfl' «8L€LÀEV airrà IJ.É'O'a,» TÒ TlS' IJ."JÌ trpoon9ElS", LVa TÒV d8nKTov È'vvoijs- 8E:òv TÉIJ.VOVTa Tàs- Twv crw!J.chwv Kat Tàs- Twv trpay!J.chwv ~eiìs- c'mciaas'IJp!J.6aeaL Kat 'i)vWa8a.L 8oKOOOQS' cp00€LS' Tl\) TOIJ.fl Twv OUIJ.lTciVTwv ~aUTou À6y4), ()s- ds- TIÌV òçUTciTT)v àKOVll8fts- àKIJ.TJV 8LaLpWV OOOÉ'lTOT€ ÀTJ'Yfl. [131] Tà yàp alaOT)Tà trciVTa È'trEL8àv IJ.É'XPL Twv àT61J.WV Kat XEyo!J.lvwv à!J.E:pWv 8LE:e€>..EhJ, trci>..Lv àtrò To6Twv Tà À6'Y4) 8fWpT)Tà fls- àjJ.uei)TOUS' Kat àtr€pl ypcicpous- IJ.O( pas- apXETaL 8LaLp€LV OÒTOS' Ò TOIJ.E:t}s-, Kat «Tà lTÉ'TaM TOU xpoolou TÉ'IJ.Vfl Tplxas-» (Es., 36, 10), Ws' TJcrL Mwoofls-, ds- IJ.iìKos- àtrXaTÈ"S" àcrw!J.chOLs- ypaw jJ.QLS' È'IJ.4>fpÉS". [132] ~KQO'TOV oÙv TWV TplWV 8L€LÀE !J.É'aov, TIÌV !J.È"V ljJuX"JÌv Els- ÀO'YLKÒV Kat d>..oyov, TÒV 8€ Myov Els- àÀT)9És- T€ Kat ljJEUBos-, TIÌV 8€ a!crST)mv ds- KaTaÀT)lTTLK"JÌV cpaVTaalav Kat àKaTciÀT)lTTov· atr€p fÒ9ÙS' TIJ.TJIJ.QTQ «àVTL1Tp60'WlTQ T(ST)O'LV à>..)..i)ÀOLS'», ÀO'YLKÒV aÀO'YOV, àÀT)9È"S" ljJEi)8os-, KQTQÀT)lTTÒV àKaTciÀT)lTTOV, àtrOÀllTWV Tà lTTT)Và à8Lalp€Ta (Gen., 15, 10)· TàS' yàp àO'WIJ.CiTOUS' Kat 9E:(as- flTLO'TTJjJ.QS' fls- IJ.QXOIJ.É'VaS' È'VaVTL6TT)TQS' à8uvaTOV TÉIJ.V€a9al.

[133] Ilo>..ùv 8€ Kat àvayKatov lSVTa Myov TÒv trE:pL Tiìs- ds- !aa TOIJ.iìS' Kat lTEpt È'vaVTLOTTJTWV OVT€ trapi)croiJ.EV OVT€ IJ.T)KUVOUIJ.EV, à>..>..' Ws- lanv €m TÉW VOVTES' àpK€0'8T')0'6jJ.E9a jJ.6VOLS' TOLS' KaLplOLS'. Ka9cilT€p yàp 'iJIJ.WV TIÌV ljJUX"JÌV Kat Tà IJ.É'ÀT) IJ.ÉO'a 8L€LÀEV ò TEXVl TT)S', OUTWS' Kat TIÌV TOU lTQVTÒS' ovalav,

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 128-133

123

della scienza umana, invece, consiste nel suscitare il pudore e la saggezza, la cui manifestazione più visibile consiste nell'arrossire in quei casi in cui merita. [129] Dice la Scrittura: «Abramo prese per Lui tutte queste cose)) (Gen. 15, 10). Questa è una lode dell'uomo buono, che ha conservato in modo puro ed incontaminato, non per se medesimo, ma per Colui che glielo aveva affidato, il sacro deposito dell'anima, della sensazione e del linguaggio, della sapienza divina, della scienza umana. [130] E in seguito dice: «Le divise a metà)), senza aggiungere chi compie l'azione, affinché tu intenda che è il Dio invisibile che taglia, l'una dopo l'altra, tutte le nature corporee e incorporee66 che sembrano formare una armonia e una unità, con il suo Logos che divide ogni cosa, il quale, affilato con un taglio della massima acutezza, non cessa mai di dividere. [131] Dopo che ha percorso tutte le realtà sensibili fino a quelle insecabili e che son dette «indivisibili)), questo Logos divisore incomincia da queste a dividere gli oggetti conosciuti della ragione in un numero incalcolabile e indescrivibile di parti e «taglia le lamine d'oro in capelli)) (Es. 36, 10), come dice Mosè, in una lunghezza senza larghezza, simili a linee incorporee. [132] Egli divise, dunque, in due ciascuno dei tre a metà: l'anima in razionale ed irrazionale, il linguaggio in vero e falso, la rappresentazione in comprensiva e non comprensiva67_ Subito le parti così ottenute ov ds t/Juxp6v T€ Kat 6€p~6v - tTIETJ~La€ BÈ TÒ ~Èv t/Jvxpòv Mpa, TÒ BÈ 6€p~ÒV ooEL 1TUp -, TÒ BÈ ~pÙ ElS iryp6v T€ aV Kat ~11p6v· ÈKaÀEa€ BÈ TÒ IJ.ÈV ~11pòv yflV, TÒ Bf irypòv tJBwp. [136] ~KaaTov BÈ Toin"wv aÀÀas To~às tBfXETo· yil ~Èv yàp fls i)1rdpous Kat vf]aovs Bt1Jp€LTO, VBwp BÈ ds aciXaaaav Kat 1TOTa~oùs Kat 8aov 1T6TL~OV, cif)p BÈ fls TàS Slpous Kat XEL~WVOS TpoTicis, 1rup BÈ Els Tò Xfl€LW&s- aTIÀllaTov B' ÈaTL Kat 4>6apTLKÒV TOUTO - Kat KaTà TOÙVaVT(ov €lS TO awTi]ptov, lS1r€p ds TT)v oùpavou aVaTaatv ciTIEKÀllpoDTo. [137] Wan€p BÈ Tà ÒÀOOXEPiì. ot.frw Kat Tà KaTà ~lpos ~T€1J.V€V, wv Tà ~Èv at/Jvxa. Tà B' ~~t/Jvxa ~v· Kat Twv àt/Juxwv Tà IJ.ÈV lv TaÙT~ lllvoVTa, wv &a~òs ~eLs, Tà B' où ~€TQ~TLKWs, aÀÀ' aÙ~llTLKWS KLVOUIJ.€VQ, uats ..; ddVTQOTOS E(ou· Kat Toin"wv Tà ~Èv Tiìs ciyplas VÀllS olanKà àyplwv Kap1Twv, o'ì. TpoT) S..,plots dalv, Tà BÈ Tiìs TJIJ.Épou, tilv yEwpyla TT}v 1TpoaTaalav KaÌ. E1TL~EÀELQV ~ÀClX€" T(KTEL BÈ Kap1TOÙS T~ 1TaVTWV TJ~€pwTo'tv Twv aKpwV. [140] otfrws b 6€ÒS àKOV110'aiJ.€VOS' TÒV TOIJ.€' a Twv O'UIJ.TiavTwv auTou Myov 8t~p€L ~v T€ d!J.opcf>ov Kat dTiotov Twv BÀWv oùalav Kat Tà le airrfìs àTioKptefVTa TÉTTapa Tou KOOIJ.OU aTOLX€1a Kat Tà Btà TOVTWV 1Ta')'ÉVTa CQUTa. [141] 'E1T€t 8' OÙ 1J.6VOV llO't oLs- lTE~v€, Soo Soo(, yfìv Kat uSwp, Tà ~d poso l XOVTa, TOLS" cf>uaE"L KOUcf>oLS", àÉpL KaL 1TUp(, KaL 1TaÀLV ~V fvl, TÒ ~È"V çllp6TaTOV T4) lrypoTaT4), yfìV tJBan, TÒ BÈ t1Juxp6TaTOV T4) 8€p~OTaT4), 1TUpL àfpa, TÒV aÙTÒV BÈ Tp61TOV Kat aK6Tos- cf>wTt Kat T)~€pav VUKTt Kat XEL~w­ VL 8Épos- KaL lapl ~€T61Twpov KaL 5aa TOVTWV auy"YE"vfì" [147] ~EyÉ8EL S' taa €v oùpav4) ~È"v ToùsnapaÀÀ'f)Àovs KUKÀOVS, To\Js- T€ LOTI~fpLvo\Js-, i"apLvòv KaL ~€T01TWpLV6V, KaL TOÙ!; Tpo1TLKOUso, 8€pLV6V T€ Kat XEL~EpLv6v, i"nt "Yfìs- 8€ Cwvas-, Soo ~€v taasàÀÀ'f)ÀaLS", aL 1TpÒ!; TOLS" 1T6ÀOLS" dat KaT€tiJuy~ÉVaL Kat SLà TouT' ào(Kl"'TOL, Suo S€ Tàs ~€8op(ous­ ToÙTwv T€ Kat Tfjs- SLaK€KaU~ÉVT'IS". as- SL' €ÙKpaa(av cf>aatv olKfi08aL, TlÌV ~È:V 1TpÒ!; TOL!; VOTlOL!;, nìv BÈ npòs- Tots- ~p€lOLS" KEq.J.ÉVT'IV. [148] ~i)KEL S' taa i"aTt Kat Tà xp6vou BLaaTi)~aTa, T) ~E"YlOTl"J

L'EREDE DELLE COSE DIVINE, 144-148

129

della uguaglianza delle grandezze, le cui dimensioni sono la lunghezza, la larghezza e la profondità: un palmo, quanto a grandezza, è uguale a un palmo, un cubito a un cubito. Altre cose sono uguali in forza e capacità, come nel caso dei pesi e delle misure di quantità78, [145] Ma un'altra forma necessaria di uguaglianza è l'uguaglianza proporzionale, secondo la quale il poco è detto uguale al molto e il piccolo al grande. Di essa solitamente si servono, in speciali circostanze, le città, quando ordinano a ciascuno dei cittadini di prelevare ugual parte dal patrimonio; certo, non uguale nel numero, ma in proporzione all'ammontare delle loro ricchezze, cosicché, se uno ha versato cento dracme, si può considerare che abbia versato lo stesso di uno che ha versato un solo talento79, Le cose sono divise a metà dal Logos secondo tutte le forme di uguaglianza [146] Premesso ciò, osserva come, nella creazione del cielo nel suo complesso, Egli, dividendo a metà, abbia effettivamente diviso in parti uguali secondo tutte le forme di uguaglianza. Così divise il pesante ed il leggero secondo l'uguaglianza aritmetica, due contro due: terra ed acqua dalla parte delle cose che hanno peso, contro aria e fuoco dalla parte di quelle leggere per natura. E ulteriormente divise, uno contro uno, il secco dall'umido, ossia la terra dall'acqua, il freddo dal caldo, ossia l'aria dal fuoco. Allo stesso modo divise l'oscurità dalla luce, il giorno dalla notte, l'estate dall'inverno, la primavera dall'autunno, e tutte le altre cose dello stesso genere. [147] Secondo la grandezza, poi, procedette a questa divisione in parti uguali: nel cielo, i paralleli, gli equinozi di primavera e di autunno, i solstizi d'estate e d'inverno; sulla terra, le regioni: due uguali fra di loro poste in prossimità dei poli, gelate e per lo più inabitabili, due poste fra quelle e le zone torride che, a motivo della mitezza del loro clima, si dice che siano abitate, l'una che occupa la regione australe e l'altra quella boreale. [148] Uguali per lunghezza sono pure gli intervalli

130

FD..ONE DI ALESSANDRIA

i)~€pa Tiì ~E'YlTICJLV «b 9E"ÒS TÒV av6pw1TOV, KaT' dK6va 9E"OU t1TO(T)CJ€V aÙT6v, apaEV Kat afì:\u t1TO(T)CJ€V» OÙKET' aÙT6v, dÀ:\' «aÙTOÙS'» tm#p€L 1TÀT)9UVTLKWs (Gen., l, 27), €4>ap~6TTWV Tà E"l8T) T(i} 'YEVE"L 8LaLp€9ÉVTa, Ws El 1TOV, lCJ6TT)TL.

[165] tlsux6s 'YE" ~'JÌv Kat Kau~a Kat e€pos Kat lap dv€'Ypatls€ (Gen., 8, 22), Tàs tTT)CJ(ous wpas 1TaÀI.v T(i) aÙT(i} To~E"L 8LaLpou~€vas. at 'YE ~'JÌv 1rpò l')Mou Tp€LS l')~Épal Tuy"JÌv €1r' airrats tlJT)cf>taaiJ.E"VOS, tv' b 116vos Kat 1Tpòs Ò.Àf}6ftav TLIJ.ciTat 6f6s· [170] Tp(TOS Bf b 1Te pt 6v61J.aTos KUp(ou, ovlas, KÀo1Tfls, IJJ€uSo1J.apTuplas, È"1Tl9U1J.(as. obTOL 'Y€VLKOL OX€SòV TTaVTWV aiJ.apTT)IJ.' OUs ~KaOTOV ava· cf>lp€09al TWV ÈV dS€l OUIJ.f3É~TJK€V.

[174] dÀÀà Kat Tàs è"v&À€x€Ls 9oo(as opq.s Els taa SL1JPTJIJ.Évas, ~v T€ irrrÈ"p ~aUTwv ol l€p€LS' rrpo· acf>lpoooL Tiìs 0€1J.LSd.À€ws Kat nìv irrrÈ"p Toù l6vous Twv Su€Lv Ò.IJ.VWV, o\Js àvact>fp€LV SLdpT)TaL. rrpwt 'YàP Tà "JÌillOTJ Twv MX9ÉVTwv Kat Tà ~T€pa &LÀLvflS' È"KÉÀ€00€V l€pOUP'YELV O V61J.OS' (Lev. 6, 20. Exod. 29, 38. 39), tva Kat inrÈ"p TWV IJ.€9' "JÌIJ.Épav Kat irrrÈ"p TWV vUKTWp àpBoiJ.ÉVWV arraaLV a'Yaawv b 8€òs €ÙXapLOTflTaL. [175] OpQS Kal TOÙS' 1TpoTL8€1J.ÉVOUS' dpTous €1rt Tiìs lEpéìs Tpa1T€CTJs, Ws- taa IJ.ÉPTJ SLaV€1J.TJ9ÉVT€S ot &l&Ka àpL91J.4l Ka9' ~€eiSa

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 170-175

141

bensì quello che è attribuito alle sue Potenze: vi è detto chiaramente, infatti, di non nominarLo invano. Il quarto riguarda il numero sette sempre V('rgine e senza madre, affinché il mondo del divenire, osservando l'inazione sua propria, richiami alla memoria Colui che, senza essere visto, fa ogni cosa. [171] n quinto riguarda l'onore dovuto ai genitori. Anche questo, in effetti, è sacro, perché fa riferimento non agli uomini ma a Colui che fa sì che tutte le cose abbiano capacità seminale e generativa: in conformità a Lui, il padre e la madre sembrano generare, ma non generano, perché sono solo gli strumenti della generazione. [172] Questo comandamento sta scritto in mezzo, fra il gruppo di cinque che mira alla pietà verso Dio e il gruppo che contiene il divieto di commettere ingiustizie nei confronti dei propri simili, proprio perché i genitori mortali sono l'ultima propaggine delle Potenze immortali: ed esse, che generano ogni cosa per loro natura, hanno concesso all'infimo e mortale genere di imitare l'arte della generazione e di procreare. n principio di ogni generazione, infatti, è Dio; il termine, invece, è questa specie ultima, mortale e senza valore. [173] L'altro gruppo di cinque contiene il divieto dell'adulterio, dell'omicidio, del furto, della falsa testimonianza, del desiderio. Questi sono, in generale, i modelli di quasi tutti i peccati; ad essi può essere fatto risalire ogni caso specifico. La divisione e l'uguaglianza delle offerte cultuali [174] Ma vedi che anche i sacrifici permanenti sono divisi in due parti uguali: l'offerta del fiore di frumento che i sacerdoti fanno per sé, e quella che fanno per il popolo della coppia di agnelli che essi hanno ricevuto l'ordine di offrire (cfr. Lev. 6, 20; Es. 29, 38-39). La Legge, infatti, prescrive ·che la metà delle offerte sia sacrificata alla mattina, e l'altra metà alla sera, affinché Dio sia ringraziato per i beni che di giorno e di notte riversa su tutti gli uominiB7. [175] Vedi anche che i pani portati sulla sacra mensa (cfr. Lev. 24, 6) sono disposti in numero di dodici, divisi in parti

142

FILONE DI ALESSANDRIA

Tl8€VTaL (Lev. 24, 6) ~VT)~€la Twv laaple~wv cf>uMlv, wv -rl)v i)~laE:Lav 1') d.pE:TI) Ada KE:K~:fu>wTaL ~e TE:Koooa cf>uMpxas, rl!v 8' ÉTÉpav i)~laE:Lav ot T€ 'PaXl'!À Kat ol TWV TTaÀMKWV v690L. [176] OpQS KaÌ. Toùs ttrt Tou troBfJpous 8oo Meous Tiìs a~apd'YBov TTp6s T€ TOlS' &eLOlS' Kat TTpòs TolS' E:ÙWVU~OLS' la6TllTL 8L1JPTI~ÉVOUS', ots Ka9' E'Y'Yf'YÀUTTTaL Tà Twv BW&Ka cf>vXapxwv òv6~aTa, 8€ta 'Ypd~~aTa EGTT'IÀL TE:U~Éva, 8€lwv cf>ooE:wv inro~vfJ~aTa (Es., 28, 9-12). [177] Tl 8'; oòxt Boo lSpT) au~j3oÀLKWs 8oo 'YÉVT'I Xa[3Wv Kat TTaÀLv la6Tlln BtaKp(vas d.vaÀo'Yoir G1J TÒ ~ÈV d.TTÉVfl~€ TOlS' E:ÒÀO'YOOOL, TÒ 8' aV TOlS' KaTapw~ÉvOLs ~e €4>' ÉKaTÉpou aTfJaas cf>uMpxas (Deut., 27, 11-13), tva TOlS' XPflOLS' VOU9E:a(as ovmv €m&(~, Bn Kat laapLS~oL E:ÒÀO'Y(ms al d.pat Kat GXE:B6V, fl 9É~LS' flTTflV, la6TL~OL; [178] b~olws 'YàP ot TE: ltraLvoL Twv d.'Yaewv Kat ol !JK>'YoL Twv ~oxST)p(j)v Wcf>E:ÀoooLv, €trd Kat TÒ cf>Uj'E:lV TÒ KaKÒV T4) Td.'Yaeòv ÉÀÉa6aL TTapà TOlS' E:V cf>povoooLv B~oLov Kat Ta'ÙTÒv €vo~la9T). [179] KaTaTTÀTJTTfl ~€ Kal 1') TWV TTpoaa'YO~ÉVWV T(j} lXaa~4) 8UE:tv TpU'YWV €trlKpLaLS' b~ou Kat 8tavo~~ Tf~VO~ÉVWV d.8fJÀ4J Kal d.TfK~apT~ TO~fl, KÀfJ~' À6'YWV 'Yàp 8UE:tV O ~È:V Tà Tfìs 9flas d.pE:TfìS' TTpa'Y~aT€00~€VOS' d.VL€poUTaL Kal d.vaT(9E:TaL 9€4}, b 8È: Tà Tiìs d.v9pwtr(VT)s KaKo8m~ovlas l(T)ÀWKWs 'YfVÉaE:L Tij cf>vya8L · Kat 'Yàp l)v lMXE:V atiTT) KÀfìpov, d.troTTo~TTatov KaÀoooLv ol XPTJG~o( (Lev. 16, 8), tTTE:L8Ì) ~fTav(aTaTaL Kat 8L(as. [180] lmafJ~wv 'Yf ~T)v Kat d.afJ~WV 00tr€p VO~La~aTWV, OVTWS' Kat TTpa'Y~UTWV lSVTWV Ev Tij cf>Ua€L TTO>J.WV O d.6paTOS' TO~fÙS' OÒ 8oK€l GOL 8L€ÀflV TTaVT' fls ~o(pas Laas Kat Tà

teaBa

L'EREDEDELLECOSEDMNE,ln-180

143

uguali secondo il numero sei, in ricordo delle tribù che sono in numero uguale: di questi, Lia, la virtù, ne ha ricevuti la metà e ha generat'J sei capi tribù (cfr. Gen. 29, 3235; 30, 17-20). L'altra metà sono i figli di Rachele, e i figli illegittimi delle concubine (cfr. Gen. 30 e 35). [176] Vedi anche che le due pietre di smeraldo che sono sull'abito talare, a destra e a sinistra, sono divise in modo uguale. Su di esse sono scritti, sei per parte, i nomi dei dodici capi tribù, parole divine, incise a ricordo di nature divine (Es. 28, 9-12). [177] Che altro? Non prese forse Mosè due montagne per indicare simbolicamente due generi, e a loro volta non le divise secondo un rapporto di uguaglianza proporzionale e riservò l'una alle benedizioni, l'altra alle maledizioni? E non pose sei capi tribù su ciascuna di essess, per mostrare a coloro che meritano d'essere ammoniti che quante sono le benedizioni, altrettante sono le maledizioni e che, se è possibile esprimersi così, esse sono quasi del medesimo valore? [178] Del resto, è ugualmente utile il lodare i buoni e il rimproverare i malvagi, dal momento che fuggire il male e scegliere il bene è, a giudizio delle persone sagge, la stessa identica cosa. La divisione dei due capri e il suo significato [179] Mi lascia sbalordito anche il giudizio e insieme la spartizione operata sui due capri portati al sacrificio espiatorio89 e spartiti da un divisore invisibile e imprevedibile: la sorte. Dei due tipi di pensiero che essi rappresentano, l'uno è quello proprio di chi è tutto teso a realizzare la virtù divina, e questo è quello che viene consacrato e sacrificato a Dio; l'altro, invece, è quello proprio di chi segue la miseria umana, e questo è consacrato al divenire, questa specie di esule. Infatti, le Sacre Scritture indicano la sorte che ha ottenuto col termine «espulso»9o (Lev. 16, 8), dal momento che il divenire se ne va, si separa e fugge lontano dalla sapienza. [180] Come esistono monete con marchio ed altre senza marchio, così non pensi tu che esistano, pure in natura, realtà in gran numero che l'invisibile Divisore ha

144

FU.ONE DI ALESSANDR~'.

~h È1T(TJO'L vMTTEL Tà ÈVvMçaVTL 1TpooTJK6VTws B>..os ELS' lEpàV 0'1TOV8T)V àvaO'TOLX€LW8ds àvTa1To8(8oTat• TÒ B' aò ~LKTÒV 'YÉVOS' TÒ alaaf)aH.lv ÈO'TLV, ~ tcpa.Tfì-

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 180-184

145

diviso, tutte quante in parti uguali, attribuendo quelle marchiate e preziose all'uomo dedito all'istruzione, e quelle senza marchio e senza impronta all'uomo ignorante? Dice infatti la Scrittura: «Quelle senza marchio furono riservate a Labano; quelle marchiate a Giacobbe» (Gen. 30, 42). [181] Infatti, l'anima, che, come dice un pensatore antico, è come una tavoletta di cera, se è compatta e consistente, respinge e non accoglie le impronte che le vengono impresse e resta necessariamente informe; ma se si sottomette con docilità, ed è arrendevole quanto basta, riceve in profondità le impressioni e, improntata dai sigilli, conserva perfettamente le forme impresse in modo indelebile. Esempi della divisione in parti uguali del sangue della vittima del sacrificio e della didracma [182] Meravigliosa è anche la divisione in parti uguali del sangue delle vittime. Essa fu fatta dal sommo sacerdote Mosè, il quale si servì della natura come maestra91. È scritto infatti: «Prese la metà del sangue e la versò nella coppa; l'altra metà la sparse sull'altare» (Es. 24, 6), al fine di mostrare che il genere sacro della sapienza è duplice: l'uno divino e l'altro umano. [183] genere divino della sapienza è incontaminato e puro e, per questo motivo, viene versato in sacrificio per Dio, che è senza mescolanza, puro e uno solo nel suo assoluto isolamento. Il genere della sapienza umana, invece, è misto ed impuro; esso è diffuso sulla nostra stirpe, che è mescolata, composta ed impura per suscitare concordia e comunanza, che non sono nient'altro che una mescolanza di parti e costumi. [184] Ma vi è anche una parte dell'anima non mescolata ed immune da contaminazione, ed è l'intelletto purissimo, il quale, insufflatoci dall'alto, dal cielo, quando sia mantenuto sano ed incolume, è reso a Colui che ce l'ha insufflato e che l'ha mantenuto, come si conviene, lontano da ogni male, completamente ridotto all'elemento di cui è costituito, come in una libagione sacrificale. Invece, il genere misto è quello delle sensazioni, e per esso la natura ha pro-

n

146

FD..ONE DI ALESSANDRIA

pas olKflovs 'f) ucns €8TUJ.LOUP'Yil0f. [185] Kpa'Ti\PfS 8€ òpdafws ~€v ò8a~ol, dKoiìs 8€ WTa Kat ~1JK'T'i1p€S òapf}a€WS Kat TWV dÀÀwV at ap~6TTO\r aat &ea~Eval. ToiJTms tmxft Tots Kpa'Ti\patv b tfpòs M-yos Tofl at~aTos dttwv TÒ dÀO-yov 'f}~wv ~É'pos «JJUXW&iìVat Kat Tp6TIOV TLVà ÀO"'(LKÒV "'(€VÉ'a6at, Tats ~È"v vou8E"alms TI€pt68ms àKoÀou&iìaav, a-yvfooav 8€ TWV ÒÀKÒV àtraT€WVa trpoT€LV6VTWV 8{r va~LV ala&rlTWV. [186] àpd "'(€ oùxt TOVTOV TÒV Tp6TIOV Kat TÒ 8(8paXIlOV 8t€V€1lf}lhl TÒ cl"'(LOV, tva TÒ ~È"v i\~Lau aÙTofl, TJÌv 8pax~f}v, Ka8LfpW~fv Àir Tpa 'Ti\S ÉaUTWV «JJuxfls KaTaTL9É'VT€S (Es., 30, 12. 13 ), iìv b ~6vos d«JJ€u8Ws fM00€pos Kat tM:u8E"poTIOLÒS Sfòs WlliìS Kat mKpcis tra9wv Kat d8tKT)~aTwv 8€0TIOT€(as LK€T€U9€(S, lan 8' aT€ Kat xwpts lKfalas, àvà KpciTos ÈKÀVfL, TÒ 8' hEpov ~É'pos T4) dv€ÀE:u9É'P4l Kat 8ouÀOTip€TI€L "'(É'VfL KaTaÀl TIW~fV, 00 KfKOLVWVTJKfV b M-ywv· pOVTLKWS 8LaE"p6VTWS la6TllTOS. ~apTupe-t BÈ Mwuaf\s ÀÉ')'wv· «OÙK È'TTXE"6vaaE"v b TÒ TTOÀÙ, Kat b TÒ lÀaTTOV OÙK i}ÀaTT6VTlOE'V» (Es., 16, 18), T]v(Ka T{i) Tf\s dvaÀO')'(as €xpT)aaVTo 8a.u!J.aaT{i) Kat TTE'pt~axi)n!l ~ÉTpaviì ÀL~VWTÒV 1TUpl d1T€LKciC€L · O'TaKTIJ j.I.ÈV 'Yàp 1Tapà Tàs O'Ta'Y6vas U8aTWB€s, ~TJpÒv Bi lS~ Kat 'Yfw8€s, Tij BÈ xa~VIJ TÒ 'Ji8001J.OV 1Tpòs TIÌV dlpos fiJ.aO'LV 1Tpoo€TÉ'ST)- TÒ 'Yàp €ùWB€S È'V àÉ'pl -, TW Bi ÀL~vwTc{) TÒ BLa.€~ous tyvwK6Tos dpllvouÀaKOS alE"t 6€ou.

an. [203]

[207] ~t8deas ovv ,;~a.s 1TE"pt Tiìs ds Iaa To~iìs b lE"pòs Myos Kat trpòs Tl'Jv Twv tvaVT(wv tmO"Ti)~llv ay€L daKWV 8TL Tà T~lJ~aTa «l611KE"V àVTL trp6awtra àÀÀlJÀOLS» (Gen., 15, 10). T~ yàp 5VTL miv6' ooa fV

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 201-207

155

meravigliato, quando sento dire ed apprendo dalle Scritture il modo in cui la nuvola penetrò fra i due eserciti d'Egitto e di Israele (Es. 14, 20): questa nuvola non permise alla stirpe atea e dissoluta di inseguire quella temperante ed amica di Dio, quasi fosse un'arma di difesa e di salvezza per gli amici e di offesa per i nemici98, [204] Nelle menti virtuose essa fa stillare delicatamente la sapienza, insensibile, per natura, ad ogni male: ma sulle menti miserabili e sterili di scienza fa fioccare in massa le punizioni, causando il diluvio e una miseranda distruzione. [205] Il Padre Creatore di tutta la realtà concesse all'Arcangelo99, al Logos sopra ogni altra cosa venerabile, il dono straordinario di separare, ponendosi in mezzo, il creato dal Creatore. Egli è colui che intercede in nome del mortale perennemente infelice al cospetto dell'Incorruttibile e, nello stesso tempo, è l'ambasciatore del comandante presso i suoi sudditi. [206] Egli esulta per questo dono, e, magnificandolo, dice: «Ed io rimasi in mezzo tra il Signore e voi» (Deut. 5, 5), io che non sono né ingenerato come Dio né generato come voi, ma che sto in mezzo a questi estremi e sono garante presso tutti e due: agli occhi di Chi lo genera, garantendo che il creato non sarà mai del tutto ribelle e non si allontanerà scegliendo il disordine al posto dell'ordine; agli occhi di chi è stato generato, garantendo la rassicurante speranza che il Dio benefico non distoglierà mai gli occhi dalla sua propria opera. Io sono inviato come un araldo allo scopo di stipulare la pace presso Dio che ha stabilito di distruggere le guerre ed è eterno guardiano della pace. Le parti che il Logos ha diviso e separato sono tra loro contrarie [207] La Sacra Scrittura, dunque, dopo averci edotti sulla divisione in parti uguali, passa a trattare della scienza dei contrari, dicendo che «pose le parti tagliate l'una di fronte all'altra» (Gen. 15, 10). In effetti, quasi tutto ciò che è nel mondo ha per sua natura un contrario. Cominciamo

156

FD.ONE DI ALESSANDRIA

KOO~~ axe"Bòv È"VaVT(a €lvaL TTÉ"ci>VK€V, àpKTÉ"OV 5€ àTTò Twv TTpWTwv· [208] 6€p~òv È"VaVT(ov IJruxp(l) KaÌ. e11pòv Vypil} Kat KOVcf>oV jbp€1 Kat aK6TOS' cl>wTt KQL v* TJ~É"PQ., Kat tv o'Ùpav4) ~h T) àTTÀavt)S n; TT€TTÀav..,~É'VIJ opQ., KaTà Bè TÒV àé"pa al6p(a v€wan, v..,v€~(a TTV€u~aaL, 6é"pn X€L~wv, lapL ~€T6TTwpov- T(il ~èv 'YàP àv6€t, T(il Bè Slvn Tà [81lyy€LQ -, miÀLV USaTOS' TÒ 'YÀlJKÙ T{i) TTLKpil} KQL ')'iìs ,; aT€tpa Tfl 'Yov(~~· [209] Kat TaÀÀa Bè è"vavT(a TTpoUTTTa, aw~aTa àaw~aTa, l~t/Jvxa at/Jvxa, ÀO'YLKà aÀO'Ya, 6V..,Tà à6avaTa, alaS..,Tà V011Ta, KaTaÀllTTTà àKaTaÀllTTTa, aTOLX€La àTTOT€ÀÉ'a~aTa, àpm T€Àf1.1T'f), 'YÉ"V€aLS Sopd. CwT) eavaTOS', v6aos u'Yda, ÀfvKòv ~É'Àav, &eLà €vwvv~a, BLKaLOauv.., àBLKta, p6v..,ms dpoauv..,, àvBpda &LMa, awpoaUvr} àKoÀaala, àpeTT) Kada, Kat Tà n;s ÉTÉ'pas miVTa d811 TOLS Tfls ÉTÉ"paS d&aL TTéìaL' [210] TTaÀlv 'Ypa~~anKT) à'Ypa~~aT(a, ~oooLKT) à~ooola, TTaL&la àTTaL&oola, aw6Xws TÉ"XV.., àT€XV(a, Kat Tà È"V TQLS TÉ'XVQLS, wv~€VTa aTOLX€La KaL awva, oe€LS Kat f3ap€LS 4>66'Y'YOl, €ù6€LQL Kat TT€plcl>€p€Ls 'YPa~~a(' [211] KQL ÈV C~OLS KQL ci>VTOlS a'YOVa 'Y6VL~a, TTOÀVT6Ka ÒÀL 'YOT6Ka, 4K>T6Ka C~oT6Ka, ~aÀaKna òaTpaK68€p~a. d'YpLa Tj~€pa, ~OVWTLKà à'Y€Àata· [212] Kat TTaÀLV TT€V(a TTÀOUTOS', S6ça à8oçla, Bva'YÉ'vna €'Ù'YÉ'vna, lvBna TT€pLoua(a, TT6À€~os e-tp~v..,, v6~os dvo~(a, €vvta à4>1Jta, àTTov(a TT6VOS', V€6TllS ')'iìpas, à8wa~(a BUva~LS, àaeé"vna Pcfl~ll· Kat Tl M Tà Ka6' ~KaaTov àvaÀÉ''Y€a6aL àTT€Pl'Ypaa Kat àTTÉ'paT' lSvTa T4) TTÀf}6€L; [213] TTQ'YKaÀWS OVV Ò TWV TflS ci>UafWS ÉP~llV€ÙS TTpa'Y~dTwv, n;s àp'Ylas Kat à~€ÀfTllalas

L'EREDE DELLE COSE DIVINE, 207-213

157

dalle realtà originarie. [208] n caldo è contrario al freddo, il secco all'umido, il leggero al pesante, il buio alla luce, la notte al giorno. Per le realtà che sono nel cielo, la sfera delle stelle fisse è contraria alla sfera dei pianeti erranti. Per ciò che concerne i fenomeni meteorologici, il sereno è contrario al nuvoloso, la bonaccia ai venti, l'estate all'inverno, la primavera all'autunno (nella prima fioriscono i prodotti della terra, nell'altra avvizziscono). E ancora, per quanto concerne l'acqua, quella dolce è contraria a quella salata; per ciò che concerne la terra, la terra improduttiva è contraria a quella fertile. [209] Sono evidenti anche le altre contrarietà: esseri corporei ed incorporei, esseri animati ed inanimati, esseri dotati di ragione e privi di ragione, mortali ed immortali, sensibili ed intelligibili, rappresentazioni comprensive e non comprensive, elementi e composti, inizio e fine, infermità e salute, bianco e nero, destra e sinistra, giustizia e ingiustizia, assennatezza e stoltezza, coraggio e viltà, saggezza e dissennatezza, virtù e vizio, e tutte le specie dell'una e tutte le specie dell'altro. [210] E ancora: erudizione e mancanza di erudizione, raffinatezza e rozzezza, educazione ed ineducazione, e, in senso generale, scienza ed ignoranza. Nell'ambito delle scienze, è evidente la contrarietà sussistente tra vocali e consonanti, tra suoni acuti e suoni gravi, tra linee rette e linee curve. [211] Nell'ambito degli animali-e delle piante, vi è la contrarietà tra feconde ed infeconde, tra esseri poco prolifici e molto prolifici, tra vivipari ed ovipari, tra esseri dalla pelle liscia ed esseri con la pelle squamosa, tra selvatici e domestici, tra quelli che vivono soli e quelli che vivono in gruppo. [212] E inoltre: tra povertà e ricchezza, tra onore e disonore, umiltà d'origine e nobiltà d'origine, indigenza ed abbondanza, guerra e pace, legge ed anarchia, natura ricca di doni e natura povera di doni, dolore ed immunità da dolore, giovinezza e vecchiaia, potenza ed impotenza, vigore e debolezza. Ma è proprio il caso di elencare una per una queste opposizioni che sono, per quantità, non circoscrivibili e senza limiti? [213] Dunque, l'interprete delle

158

FILONE DI ALESSANDRIA

ru.1.wv Àa!J.I3Q.vwv otKTov hacrToT' àcf>96vws àva8t&iO'KEL, Kaeà Kal vW, TIÌV àVTL TTpOOWTTOV ~"KaO'TWV 6€0'LV OVX bÀOKÀTJpn Kat 9€pandJ€a9at Kat Sopvop€ta6at npÒS' iJnaam(OVTWV ÉKaTÉpW9€V dçLW~QTOS' lV€Ka KQL ~€'YÉ9ol)S' Kat Wcf>€À€LWV, aS' TOLS' È"m 'Y€(OLS' dnaat

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 217-223

161

le altre cose in un'unica armonia. [218] Riguardo al candelabro di cui prima si diceva, l'artefice ne parla dicendo che «dai bracci spuntano delle sporgenze, tre per parte, tutte uguali fra loro: e le rispettive lampade, che sono poste sulla sommità, sporgono da esse a forma di noce, e in queste ci sono dei fiori per sostenere i lumi, e il settimo fiore è proprio sulla cima più alta al vertice del candelabro, ed è tutto quanto di oro massiccio: anche i sette lumi che stanno su di esso sono d'oro» (Es. 38, 15-17). [219] Cosicché si è ormai dimostrato mediante molti esempi che il sei è diviso in due triadi dal Logos che sta in mezzo come settimo, proprio come in questo caso. candelabro nella sua interezza, con tutte le sue parti, che sono sei di numero, è formato di sette elementi: sette lampade, sette fiori e sette lumi. [220] I sei lumi sono divisi dal settimo; allo stesso modo, i fiori sono divisi da quello che sta in mezzo, e pure le lampade sono divise dalla settima che sta in mezzo, e i sei bracci con le relative sporgenze, i quali sono divisi proprio dal fusto del settimo.

n

La struttura ebdomadica del candelabro, del cielo e dell'anima [221] Bisogna rimandare ad altra occasione il discorso su ciascuno di questi punti, perché è lungo. Qui è il caso di ricordare soltanto che il candelabro sacro, con i suoi sette lumi alla sommità, è una imitazione dei moti armoniosi dei sette pianeti nel cielo. [222] E come?, ci si potrebbe forse domandare. Perché, risponderemo noi, allo stesso modo dei bracci del candelabro, ciascuno dei pianeti reca una luce. E questi sono luminosissimi e mandano fin sulla terra i loro raggi lucentissimi, ma più di tutti li manda quello che sta in mezzo a loro sette: mi riferisco al sole. [223] Dico "in mezzo", non solamente perché occupa una posizione intermedia, come alcuni hanno inteso, ma perché è anche giusto che sia custodito e guardato a destra e a sinistra da scudieri, in considerazione della sua maestà, della sua grandezza e dei benefici che distribuisce a tutte le regioni della

162

FILONE DI ALESSANDRIA

1TapÉX€L, 8(KaLos ci>Jwls tOTL [224] TlÌV & Twv 1TÀavfJTWV TaeLV dv6pw1TOL 1Tay(ws IJ.l'J KaT€LÀT)T€S' -T( 8' ciMo Twv KaT' oùpavòv toxooav KaTavoiìaaL f3ef3a1ws: - dKoToÀoyooow, dpLOTa 8' t11ot OToxci{€a6aL 8oKOOOLV ot TlÌV IJ.Eal')V àTTOV€V€1J.T)K6T€S' 'f)).(~ TaeLv, Tp€LS' IJ.ÈV imÈp aÙTÒV KaL IJ.€T' aÙTÒV TOÙS' taous €lvaL ÀÉyoVT€S', ÙTTÈp aÙTòv IJ.ÈV cf>alvoVTa, cpaleovTa, 1Tup6€VTa, €l9' i\ÀLov, IJ.€T' aùTòv 8È OT().f3oVTa, cpwapov, T"f')v Mpos ydTova a€ÀTJVT)V. [225] i:TT(y€LOV OW I3UÀT)8€LS' àpX€Tfmou TiìS' KaT' oùpavòv acpalpa.s É1TTa$€nolìs IJ.(IJ.T)Ila TTap' 'fJIJ.'iV b T€ XV( TT)S' 'Y€VÉa9aL TTayKaÀOV lpyov TTpooÉTae€, 11ÌV ÀVXV(av, 8T)IJ.LOUp'YT)9iìVaL. BÉBfLKTaL 8È KaL 'f} TTpòs tJsux"f')v tll#PfLa aùTiìs· tJsux"f'J yàp TPLIJ.€pl')s IJ.ÉV tan, 8Lxa & lKaaTov Twv IJ.€pWV, ws t&lx9T). Tf IlV€ TaL. IJ.OL pwv 8€ 'Y€VOIJ.f vwv ~e l ~801J.OS' dK6TWS TOIJ.€Vs ~V amiVTWV b t€pòs KaL 9€LOS Myos.

[226] deLOv BÈ IJ.T)8' lK€'ivo 1rapT)avxaa9iìvav TpLwv lSVTWV tv TOLS' ay(OLS' aK€uWV, Àuxvlas. Tpa.TTÉ(T)S', 9UIJ.LaTT)p(ou, TÒ IJ.ÈV 9u1J.LaTi}pLov €LS' TlÌV imÈp TWV aTOLX€lwv €ùxapLaTlav àvciy€TaL, Ws- t&tx9T) TTp6T€pov, lTT€L KaL aÙTÒ IJ.O(pa.S' lX€L TWV T€TTapwv, 'YiìS' IJ.ÈV Tà euÀa, iJBaTOS BÈ Tà tm9UIJ.LWIJ.€Va - TTp6T€poV yàp TT)K61J.€Va ds ÀL~OOS' aùeLS' àvaÀVnaL -, Tòv & àT11òv Mpos, 1TUpòs & Tò teaTTT61J.€vovKaL 'f) auv9€aLS' BÈ ÀL~VWTOU KaL xa~VT)S' lSvux6s T€ KaL aTaKTiìS' (Es., 30, 34) TWV OTOLX€lwv aUIJ.I3ÀOV -, 'f) BÈ TpciTT€(a ds Tl')v imÈp Twv 9VT)Twv àTToT€ MaiJ.aTwv €ùxapLOTlav - cipTOL yàp Kat aTTov&ta tm Tl9€VTaL a'ÙT'fj (Num., 4, 7), ots àvciyKT) XPiìa9aL Tà Tiìs Tpocpiìs 8€61J.€Va -, 'f) & >..uxvla ds TlÌV imÈp Twv KaT' oùpavòv aTTaVTwv, tva IJ.T)BÈV IJ.Épos Tou KOOIJ.ou 8lKT)v àxapLOTlas lScpÀlJ, àM' €l8W1J.€V

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 223-226

163

terra. [224] Gli uomini non hanno colto con precisione l'ordine dei pianeti: e, d'altra parte, che cosa mai avrebbero potuto cogliere con esattezza delle cose che sono nel cielo? Essi ne hanno parlato solo per congettura. A me sembra che più degli altri si siano avvicinati al vero coloro che pongono il sole in posizione intermedia, sostenendo che tre pianeti si trovano al di là di esso ed altrettanti al di qua: al di là si trovano il pianeta Luminoso, il pianeta Lampeggiante e il pianeta Fiammeggiante, poi viene il sole, e quindi il pianeta Rilucente, il pianeta Illuminante e la luna prossima all'arial04, [225] Volendo, dunque, l'Artefice che ci fosse anche da noi sulla terra una imitazione della sfera celeste con le sette luci, che costituisce il modello, diede l'ordine di costruire un'opera meravigliosa: il candelabro. È stata dimostrata anche la sua somiglianza con l'anima: l'anima, infatti, è tripartitalo\ e ciascuna di queste parti, come si è dimostrato106, è divisa in due, mentre alle sei parti cosl ottenute va evidentemente aggiunta la settima, che è il divisore di tutte le cose, il Logos santo e divino.

n significato dei simboli del candelabro, dell'altare e del turibolo [226] Vi è un altro punto su cui è opportuno soffermarsi: dei tre oggetti che ci sono nel sacrario, ossia il candelabro, l'altare ed il turibolo, quest'ultimo, come si è mostrato primai07, eleva grazie per gli elementi, perché esso stesso ha parti dei quattro elementi: della terra per ciò che ha di legno, dell'acqua per l'incenso - questo, infatti, prima si fonde, poi si scioglie in gocce -, dell'aria per le esalazioni profumate, del fuoco per ciò che brucia - del resto, anche il miscuglio di incenso, galbano, onice e mirra (Es. 30, 34) rappresenta gli elementi. L'altare eleva grazie per le creature mortali: infatti su di esso sono posti pani e bevande (Num. 4, 7), dei quali necessariamente si servono gli esseri che hanno bisogno di cibo. Il candelabro eleva grazie per tutte le realtà celesti, affinché nessuna parte del cosmo sia

164

FILONE DI ALESSANDRIA

Bn miVTa Tà IJ.EP'I'l Tà KaT' aÙTÒv EvxapLO'TE"L, Tà O'TOLXE"LQ, Tà aTTOTE"ÀÉO'IJ.UTQ, O'Ù Tà È"TTl yiìs 1J.6VOV, aÀÀà Kat Tà EV OVpaV~. [227] d~LOV 8È O'KÉtiJaO'GaL, 8Là Tl TiìS" TpaTTÉ(TlS" KaL TOU 9UIJ.LUT11PLOU Tà IJ.ÉTpa 811ÀWO'QS" Tiìs ÀUXVLQS" oWv avlypatlJ€" ll'flTTOT€ 8L' È"KE"LVO, Bn Tà IJ.EV O'TOLXE"LQ Kal Tà 9v..,Tà aTTOTE"ÀÉO'IJ.UTQ, WV 'i) TpJaaL. & 'Yap, oljlaL, €v àv6pup6jl€VOS. aÀÀ' avw oLTdV €l8LO'iJ.ÉVOS àft Kat EVt C>TTaBòs El VaL iJ.6V(j) jl€jl€MTT)KWs. aTjlT)TOl iJ.È"V oùv al Boo OO€LS, ~ T€ €v l'JiJ.'tV TOU ÀO'YLO'iJ.OU Kat 'f) imè"p l'JiJ.dS TOU Sdou À6'YOU, aTjlT)TOL 8€ OÙO'aL iJ.Up(a aÀÀa TÉiJ.VOOOLV. [235] lS T€ 'Yàp 6€tos À6'YOS Tà l"v TiJ cf>oo€L 8L€LÀ€ Kat 8LÉV€Ljl€ TTaVTa, lS T€ l'JiJ.ÉT€pos VO\)s, aTT' civ TTapaÀooEL KoUos. lhav oòv Tà à€pon6pa al6€po~TELV ÒE"(ÀOVTQ KQTQ~(V(l, npòs XÉpO'OV àcf>LKVOUIJ.€VQ T4) KaTà cf>OOLV à8vvaT€L XPft0'9aL ~(41. [239] TOÙVaVT(ov 8€ Mwoofts Kat ooa Twv É"pnE"TWV civw BUvaTm TTT)OOV où IJ.ETplws ànoBÉXETaL" cf>TJO'L youv· «TauTa cf>ayEa9E ànò Twv É"pnE"TWV TWV nETELVWV, nopEUETaL tnt TE"O'O'apwv, lXEL O'KÉÀT) àvwTÉpw TWV noBWv, OOT€ TTT)OOV tv a\n-o1s ànò Tfts yfts» (Lev., 11, 21). TaiJTa B' taTÌ. O'UIJ.~Àa tPVXWV, &JaL Tp6nov É"pn€TWV npooEppLCwIJ.ÉVaL T4) )'T)(V4l O'WIJ.QTL Ka9ap9E"LO'aL IJ.€T€WponoÀ€LV Laxuovatv, oùpavòv àvnKaTaÀÀaçaiJ.E"VaL yfts Kat cf>9op0.s à9avaa[av. [240] nciO'T)s oòv ~pv&lLIJ.ov(as àvan€nÀft0'9aL VOIJ.LOTÉOV tKflvas, QLTLV€S tv àÉpl KQL al9Épl T4) Ka9apwTaT4l Tpacf>ELO'Ql IJ.E"TQVÉO'TT)O'QV TÒV 6€(wv àya9Wv K6pov OÙ 8l.JVT)6€LO'aL cf>ÉpELV

a

a

a

L'EREDE DELLE COSE DIVINE, 2)6-240

169

della sua molteplice partizione; cosicché quegli enti che gli assomigliano, vale a dire l'intelletto che è in noi e quello che è sopra di noi, essendo anch'essi senza parti e indivisi, potranno, senza esitazione, dividere e distinguere ciascuna delle cose che sono116,

n significato allegorico degli uccelli che scendono [237] Dopo aver parlato degli uccelli che non furono né divisi né separati, Mosè soggiunge: «Alcuni uccelli scesero sui corpi, quelli che furono divisi in due» (Gen. 15, 11). Qui si serve dello stesso termine "uccelli", ma fa capire con assoluta chiarezza, a chi è in grado di vederla, la forte differenza . Infatti, per gli uccelli è contro natura scendere, perché sono stati forniti di ali proprio per volare in alto. [238] Come, infatti, la terra è il luogo ideale per gli animali terrestri e soprattutto per i rettili 117, i quali strisciano senza sollevarsi da essa e cercano buchi e nascondigli fuggendo i luoghi sopraelevati per la loro affinità con le cose che stanno in basso, così, allo stesso modo, l'aria è il luogo proprio degli esseri alati, perché ciò che è leggero per natura si adatta agli esseri che sono leggeri per le loro ali. Ora, quando i volatili, fatti per volare nell'aria, scendono, giunti a terra, non possono condurre una vita conforme a natura. [239] Al contrario, Mosè accetta senza esitazioni quanti dei rettili sono capaci di saltare in alto. Dice così: «Voi mangerete queste specie fra i rettili capaci di volare: quelli che camminano a quattro zampe e che hanno le zampe sopra i piedi per saltare con esse sulla terra» (Lev. 11, 21)118. Questi rappresentano quelle anime che, pur essendo radicate, alla maniera dei rettili, nel corpo terrestre, dopo essersi purificate hanno la forza di innalzarsi, ottenendo il cielo in cambio della terra e l'immortalità in cambio della mortalità. [240] Bisogna credere che si siano riempite di infelicità119 quelle anime le quali, dopo essersi nutrite dell'aria e dell'etere più puro, incapaci di sopportare la sazietà dei beni divini, siano venute a finire sulla terra, che è luogo di esseri mortali mal-

170

Fll.ONE DI ALESSANDRIA

hrt TÒ fhnlTWV Kat KaKWV xwplov yiìv. lmoL TÙXJL B' ~wOLaL j.LVplaL tre-pt j.Ll.lplwv trpayj.LT) SL€cf>É:p€TO, ~ovX'JÌv imavTwv avva-ya-ywv laK61TH 1T€pt Twv BLacf>6pwv, tv', €l SwaLTo, 1T€L9ot XpWI-lr VO!) Kat TÒV e€VLKÒV 1T6MIJ.OV KaTaXtJaaL Kat T'JÌV l1J.cf>UMOV TapaX'JÌV àvÉ:XOL. TOÙS IJ.Èv -yàp ùla1T€p vlcf>os- lmppdeaVTas- àKaTaXMKTws- lxoVTas- XooL T€>-ls- ~v à1TOOK€MaaL, Tots- Si T'JÌV lTaXmàv avy-ylvHav olKHwaaa9aL. [24S] Sva1J.€V€LS' IJ.ÈV ollv d01TOV8oL Kat àKaTa>..XaKTOL -ypacf>oVTaL tiJvxfìs- àcf>poaWaL Kat àKOMalaL S€LÀlaL T€ Kat àSLK(aL KaL ooaL ciXXaL lK lTMOvaCoVa..,s- OPIJ.iìS" dW9aaL ct>U€a9aL dXo-yOL tm9v1J.laL, OKLpTWaaL Kat àlTavx€vlCmr am Kat TÒV €ò9W Sp61J.OV Tiìs- SLavolas- llTlxovaaL, lTOXXdKLS' Si Kat TÒ OUIJ.lTav airri;s- axfìlla alTapdTToooal T€ Kat KaTa~XXooom. [246] Tà S€ Twv lvalT6vSwv €lvm SvvaiJ.É:vwv lTpooKpoUaiJ.aTa TOLaDTa laTLV, 61rolas- €lvaL OVIJ.~É:~T)K€ Tàs- aocf>LaTwv Boy IJ.aTLKà!) lpLOO!)" ~ IJ.Èv -yàp 1Tpò!) ~V à1TOV€UoOOL TÉ:Xos-, 9€wplav Twv Tfls- cf>oo€ws- lTpa-yiJ.aTwv, 'Ai-yoLVT' dv €lvm cf>lXOL, ~ S' oùx OIJ.O"YVWIJ.OVOOOLV lv Tats- KaTà IJ.É:pos- C1ln'la€mv, l1J.ct>vM4l aTaa€L xpiìaem, ùl01f€p ot à-yÉ:VT)TOV €lvm 'Ai")'OVT€!) TÒ lTQV Tots- -yÉ:v€aLv dOT)-yoviJ.É:voLs- aÙTou, Kat 1raXLv ot cf>9apf}a€a9m Tots- cf>9apTòv IJ.Èv €lvm cf>ooH, IJ.T)SllTOT€ Si cf>9apT)a61J.€Vov SLà TÒ KpaTmoTÉ:P4l S€a1J.4}, Tij TOU 1T€1TOLT)K6TO!) f3ovXf}a€L, OVVÉ:X€09aL, Kat ot 1J.T)S€v €lvm OIJ.oXo-youVT€!) à>..Xà lTaVTa -ylv€a9aL Tots- inroXaiJ.~voooL TàvaVTla, Kat ot lTaVTwv XPlT IJ.aTwv dv8pw1rov IJ.É:Tpov €lvm SL€eL6VT€SO Tots- Tà aLa9f}a€WS' Kat Tà SLavolas- KpL n',pLa av-yxlovm, Kat aw6).ws- ot lTaVTa àKaTaXT)lTTa dOT)")'OUIJ.€VOL Tots- yvwplC€a9aL 1TaiJ.1To>..Xa cf>daKoooLv. [247] KaÌ.

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 243-246

173

riempirsi di carne, dai cui attacchi ed assalti l'uomo virtuoso, volendo difendersi, si dice che «siede fra di loro» (Gen. 15, 11) come fosse un eminente consigliere o un presidente. [244] Infatti, allorché il proprio campo è in preda al disordine per i dissensi interni e le torme dei nemici erano in discordia, si convoca l'assemblea generale, per esaminare i motivi di tali dissensi, per vedere se era possibile, con la forza della persuasione, sia risolvere il conflitto esterno, sia eliminare lo scompiglio interno. Ebbene, coloro che assalgono come un nembo, con avversione irriconciliabile, conviene che vengano allontanati; con gli altri, invece, conviene riallacciare l'antica fratellanza. [245] I nemici implacabili e irriconciliabili dell'anima sono le insensatezze, le sfrenatezze, le viltà, le ingiustizie122 e tutte le altre brame irrazionali che sogliono generarsi dagli impulsi smodati; impennandosi e ribellandosi al giogo, ingombrano la retta via della intelligenza e spesso sgretolano e distruggono tutta intera la sua struttura. [246] Capita che gli attacchi di quelli che potrebbero essere alleati siano simili alle dispute dogmatiche dei Sofisti: questi, infatti, per un verso sembrano tendere al medesimo scopo, cioè alla conoscenza della realtà, e quindi li si direbbe amici, per altro verso, invece, non riescono a mettersi d'accordo sulle particolari conclusioni delle loro ricerche e, per questo, li si direbbe essere in contrasto intestino. Così, coloro che sostengono che il Tutto è ingenerato si oppongono a coloro che dicono che è generato 123 e, ancora, coloro che credono che il mondo si corromperà 124 contraddicono coloro che affermano che il mondo è, sì, per natura corruttibile, ma non si corromperà, perché è tenuto insieme da un vincolo assai forte, ossia dalla volontà del Creatore125, E coloro che ammettono che nulla è, ma tutto diviene126, si oppongono a coloro che sostengono le tesi contrarie127; coloro che dicono che l'uomo è la misura di tutte le cose12B si oppongono a coloro che mettono in crisi i criteri di giudizio dei sensi e della ragione129. E, in generale, coloro che ritengono che tutte le cose sono incomprensibili si oppongono a coloro che affer-

174

FILONE DI ALESSANDRIA

'f\ÀI.OS ~ÉVTOL Kat O'E~:flVll Kat b O'V~1TaS ovpav6s, yiì TE Kat à"JÌp Kat r&lp, Ta TE te aimilv O'XEBòV 1TaVTa TOLS O'KE1TTLKOLS lpL8as Kat c#>LÀOVELdas 1Tap€0'xflKaO'LV, ooo(as Kat 1TOL6TT')TaS, ~ETaf3ÀdS TE av Kat Tpo1TàS Kat 'YEVÉO'ELS, lTL BÈ cf>6opàs airrwv àvaCT)TOOOLV" ~€'yÉ9ovs TE 1TÉpL Kat KLvf}O'EWS' TWV KaT' ovpavòv où mip€pyov 1TOLOU~EVOL T"JÌV lp€WaV fTEpo&eOOOLV OÙ O'U~c#>€p61J.EVOL, IJ.ÉXPLS dv b ~aLEUTLKÒS b~ov Kat BLKaO'TLKÒS àV"JÌp auyKa8(aas 8€dO'T)TaL Tà Tils ÉKaaTou yEvvi}IJ.aTa cpuxfìs Kat Tà IJ.È"V O'ÙK aeLa Tpo4>i;S à1Topp(«Jn::, Tà B' imT"JiBna BLaawalJ Kat 1Tpovo(as TTìS apiJ.OTTOVO'T)S àeLWT)a( «8oo1J.àS lKaTaO'LS E1TÉ1TEO'EV T4i 'A~paaiJ., Kal [8o'Ù cf>o~OS O'KOT€LVÒS IJ.Éyas €m1T(1TT€L aùT4ì» (Gen., 15, 12). lKaTaO'LS lÌ IJ.ÉV E-an ÀVTTa 11avu:l8T)s 1rapcivmav EIJ.1TOLoooa KaTà yiìpa.s iì IJ.EM'YXoMav ""' nva OIJ.OL6Tpo1Tov aÀÀT)V alT(av, "JÌ BÈ acpoBpà KaTa1TÀT)çLS È"1Tt TOLS tçamva(ws Kat à1Tpoo8oK"f}Tws auiJ.~(vELv dw96mv, i) 8~ TJPEIJ.La BLavo(as-, d s..; 1TÉcf>UKE 1TOTE "JÌauxaCELV, "JÌ BÈ 1TaO'WV àp(O'TT') lv8EOS KaTOKWXJl TE Kat ~av(a, ~ TÒ 1Tpoc#>T)TLKÒv yÉvos XPiìTaL. [250] Tils 11€v oùv 1TpWTT')S E-v Tats 'Emvo1J.(8L ypa.c#>€(aaLs àpats 8LaiJ.ÉIJ.VT)TaL - 1Tapa1TÀT)ç(av ycip cf>T)O'L Kat dopaa(av Kat lKaTaaLv BLavo(as KaTaÀ'f}cp€0'8aL TOÙS àaEf3oiìVTaS, Ws IJ.T)BÈV 8LO(O'€LV TUcf>ÀWv €v IJ.EO'T)IJ.~p(q Ka8ci1T€p €v ~a8Et O'Kon~ $T)Xaci>WVTwv (Deut., 28, 28 s) -, [251] Tils BÈ BEUT{-

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 246-250

175

mano che moltissime cose sono conoscibili. [247] E, infatti, il sole, la luna e tutto quanto il cielo, la terra, l'aria e l'acqua e quasi tutte le cose che da queste sono composte hanno fornito materia di lotte e di contese agli Scettici nelle loro discussioni circa le qualità, sostanze, alterazioni, cambiamenti, generazioni ed anche la corruzione di quelle cose. Costoro non ritengono meno importante la ricerca sulle grandezze e sui movimenti delle realtà celesti, ma anche a questo proposito hanno opinioni dissimili, non riuscendo a mettersi d'accordo. Tutto ciò continua fino a quando un uomo ostetrico e ad un tempo giudiceno, «sedendosi in mezzo», non valuti i prodotti di ciascuna anima, e quelli che non sono degni di essere allevati li getta da parte, quelli idonei, invece, li conserva e li ritiene meritevoli di una attenzione particolare. [248] Il fatto che la filosofia sia piena di contraddizioni dipende dall'intelletto che vive nella credulità e nella congettura, essendo la verità fuggita da lui. La difficoltà di trovare e di raggiungere la verità è l'origine, io credo, della confusione delle menti. Le quattro forme di estasi [249] «Al tramonto», si dice, «un'estasi cadde su Abramo; ed ecco, una grande, oscura paura piombò su di lui» (Gen. 15, 12). In primo luogo, estasi è il furore delirante che porta alla pazzia a causa dell'età senile, oppure della malinconia, o anche di qualche altra causa simile. In secondo luogo, è anche il profondo sbalordimento che coglie davanti a situazioni che sogliono colpire inopinatamente e all'improvviso. In terzo luogo, è la calma della intelligenza, se mai la sua natura le concede di riposare. In quarto luogo, e questa è la condizione sopra ogni altra eccellente, l'estasi è la divina possessione e mania, che è propria della stirpe dei profeti. [250] n primo tipo di estasi è ricordato nelle maledizioni riportate nel Deuteronomio} dove si dice: «Follia, cecità ed essere fuori di senno» toccheranno agli empi, in nulla si distingueranno dai ciechi, «che in pieno giorno andranno a tentoni», come nel buio

176

FILONE DI ALESSANDRIA

pas troXMxou- «tçé"CJTT)» ycip cf>llcrLv «'IcraàK lKCJTam V IJ.f'Yayov dtrÒ lTQVTWV trpò TOU crÈ: tÀ8€tv, Kat €ÙÀ6'Yllcra airr6v; Kat fÙÀo'YllllÉ"VOS lcrTw» (Gen., 27, 33 ), Kat ttrt Tou 'I aKw~ àmcrTOUVTOS TOLS ÀÉ"youmv, lSn «Cij 'I W Kat dpx€L miO'llS "Yfls AL y{rrrTou»· «tçé"crTll» ycip cf>llcrL «Tij BLavolQ:, où yàp ttrlCJTfOOfV airrots» (Gen., 45, 26), Kat tv 'Eçaywyij KaTà nìv tKKÀllcrlav· «TÒ yàp 6pos» cf>llO'l a'Yf Tà ttrt Tou 8ooLacrTllplou, Tci Tf oÀoKaUTwtJ.aTa Kat Tà crTÉ"aTa»· ÀÉ"'YfTaL yàp Eùevs" ooEL KLvovtJ.fVOS Tò trci8os, Kat cf>É"PfL T4) ooKLtJ.acrTij, l>s d ooKLtJ.6v tcrn BLayvoofTaL, 8Lò dtrÒ lTQVTWV cf>ayfTaL (Gen., 27, 33 )· [2.53] trcivTa yàp Tà TfìS àcrK"f)O'fWS t8W8LtJ.a Ka8É"O'TllKfV, T) CTJTllO'LS, T) CJKÉ"cpLS, T) àvciyvwcrLs, T) àKp6aCJLS, ,; trpocroxi), ,; tyKpciTHa, ,; teaBLacf>6pllcrLs Twv àBLacf>6pwv. àtrò trciVTwv 8€ Tàs àtrapxàs 8i)trou8€v lcf>a'Y€V, à;\;\' OÙ lTQVTQ' l&L yàp ÙTTOÀ€(lT€0'8aL Kat T4) àcrKllTij Tpocf>àS olKfLaS Ws cl8Àa. [2.54] auÀOV Ws {3pa8ÙV Kat ÒICVIlpòV KaÌ. ~EÀÀTlTftV 1Tpòs Tà 1TaL8das lp'Ya, aX).' OU 1Tpòs Tà a~eoMJ.alas. [255] tp'Yo8Looas ow At')'UTTTos lxn npòs TftV TWV naewv tma1T€U8oVTas an6ÀaUaLV, Mwuoiìs 8' l~naÀI.v ~ETà anou8i)s napa'Y'YÉÀÀfL TÒ IIaaxa taalnv, TftV anò TOUTWV 8Ld{3aaLV €UwXEia9aL. ~eat 'I oUBas ct>11alv· «fl ~~ 'YàP t{3pa8wa~Ev, 1'\811 dv VrrEaTp€1/Ja~Ev Bls» (Gen., 43, 10), ofi cf>TlaL KaTÉf3TJ~€V fls AL')'UTTTOV, aÀÀ' tKEi8€v tnav€aWSTJ~€V. [256] flK6TWS Kat 'I aKW{3 T€8au~aKEV, fl ln O tv m.l~aTL VOUs, 'JW, CU npòs Ò:p€TftV Kat dpXEL (Gen., 45, 26) TOU aw~aTOS, aÀÀ' OÒIC dpXETaL npòs airrou. ~eat TaÀÀa tmwv dv ns inro8€l y~aTa TÒ:Àl18ÈS LXVEUELV 8UV118€l11. np6KELTaL 8' ou 1TEpt Towwv vflv aKpLf3oÀo'YEia9aL, 8Lò tnt Tà €~i)s TPfnTÉov), Ti)s 8€ Tpl TTJS tv ots Tà nEpt 1Ttv Ti)s -ywaLKÒS 'YEVEaLV cf>LÀOaocf>€i [257] - 11TE"Lav ò lE"pòs 'A.6yos IJ.apnr p€L" TTpo4>'flT11S yàp t8LOV IJ.ÈV OUBÈV àTTocf>6ÉyyE"TaL, àM6TpLa 8€ mivra fnn'lxovvros ÉTÉpou· cf>o.uÀql 8' oò SÉIJ.LS ÉPIJ.11VE"1 yE"vÉa6cu 6€o0, WCJTE" KVplws IJ.oxS,pòs oò&ts €v6oooLQ., 116vq~ 8€ a~ TafiT' €cf>o.p1J.6TTE"L, ÉTTd Kal 1J.6VOS 6pyavov 6€0V ÉCJTLV l'JX€LOV, Kpo001J.€VOV Kal 1TÀ11TT61J.€VOV àopdTWS fnr' a'ÙTOV. [260] TTdvTas yovv ÒTT6aous àviypmiJE" 8LKa(ou KaTE"XOIJ.iVOUS Kat TTpOllTE"UOVTaS E"[a~yayE"V. ò NW€ 8LKaLos· cip' oò Kat E"òeùs TTpo4>flT11S; T\ Tàs E"ÒXàS Kal KaTdpas as ÉTTl Tats aÙSLS "(E"VE"aLS €TTmi}aaTo (Gen., 9, 25 ss.) lpywv àÀ116€l~ f3€13aLw6€laas oò KaTE"X61J.E"VOS €9iamaE"; [261] TL 8€ 'I amiK; Tl 8€ 'I aKW~; Kal yàp OVrOL 8Ld T€ CÌÀÀLùV TTOÀÀWV Kal IJ.dÀLCJTa 8Là TWV ds TOÙS ÉKy6vous 1Tpoopf}C1€WV ÒIJ.OÀO"(OVvraL TTpo4>1lT€00aL. TÒ yàp «CJUVQX&r)T€, tva àTTayyE"(Àw T( àTTaVT~CJE"TaL UIJ.LV È'TT' €axaTq~ Twv 'liiJ.E"pWV» (Gen., 49, l) €v6oumwvros l)v· li yàp Twv 1J.E"ÀÀ6vrwv KaTaÀllt/JLS àvolKE"LOS àv6pWTTql. [262] TL 8€ Mwooiìs; oò TTpo4>flT11S 4&Tm TTavraxov; >J.yn yap· «€àv yÉv,Tm VIJ.WV TTpo4>flT1ls KVplou, €v òpdiJ.aTL a'ÙT{\ì yvwaef}aoiJ.aL, MwlJO"ij 8€ €v E"l&L, Kat oò 8L' alvL yiJ.aTWV» (Num., 12, 6. 8), Kat TTaÀLv «OÒK àvÉCJTll lTL TTpo4>flT11S Ws Mwuoiìs. &v lyvw KUPLOS a'ÙTÒv TTpWWTTOV Tipòs TTpOOWlTOV» (Deut., 34, 10). [263] TiayKaÀWS ovv Tòv €v9oooLwvTa IJ.llvUEL cf>..oueov trpooucf>o.LvEL Tfj 'Ypacf>iJ cf>ci· O'KWV «EppÉ8T') trpòs 'A~paciiJ.» (Gen., 15, 13)· 6VTWS 'YàP Ò 'TTpoTJTTIS, Kat otr6T€ ÀÉ'YELV BoK€L, trpòs à>..T]8€Lav li01.1xciCEL, KaTaxpflTm B€ lTEpos a'ÙTou Tots cf>wVllTTIPlOLS Òp'YciVOLS, CJT61J.aTL Kat 'YÀWTTIJ, trpòs IJ.TJVOOLV WV dv 8ÉÀ1J' TÉ'XVlJ 8€ àopcinv Kat 'TTQIJ.IJ.OtJ0'4J TQUTQ KpoUwV €fnlXa Kat travap1J.6VLQ Kat 'YÉIJ.OvTQ O'UIJ.cf>wv(as Tfls trciOTJS àtrOT€À€L.

[267] TLva B' È:CJTtv

a

È:ppÉST) trpo8€CJ'TTLCJ8ÉvTa, KaÀÒv àKoucraL' trpùhov IJ.ÉV, n T~ cf>LÀapÉTW KaTOLKELV où BLBwow ò 8Eòs Ws- È:v oLKELq yiJ TI{) m{)IJ.aTL, à>..>..à trapOLKELV WS È:V à>..>..oBa'TTij 1J.6VOV È:m Tpf'TT€L xwpq. «'YLVWaKWV» 'YciP cf>TIO'L IJ.€À€TQ. KQTOLKELV, O'Ù trapoLKE'iv. [268] ~v IJ.ÈV S"JÌ traL&uiJ.a ToDTo· lTEpov 8€,

o

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 263-268

183

do su noi stessi luce intelligibile mediante le rappresentazioni comprensive. [264] Fino a quando, dunque, il nostro intelletto non smette di risplendere e di compiere le sue attività, spandendo su tutta l'anima come un raggio di mezzogiorno, noi restiamo in noi stessi e non siamo posseduti da Dio; ma allorché quello "tramonta", allora, come è naturale, cade su di noi l'estasi, l'ispirazione di Dio, la divina mania. Tutte le volte che risplende la luce di Dio, tramonta quella dell'uomo; quando quella tramonta, questa sorge e si leva m. [265] Questo suole accadere solo alla stirpe dei profeti: al sopraggiungere dello Spirito divino, l'intelletto che è in noi si ritira, ma quando lo Spirito se ne diparte, l'intelletto ritorna, giacché non è lecito che il mortale conviva insieme con l'immortalen4. Per questo, il "tramonto" del pensiero con la tenebra che ne segue produce il sorgere dell'estasi e della divina mania. [266] n seguito della Scrittura continua così: «Fu detto ad Abramo» (Gen. 15, 13 ). In realtà, il profeta, anche quando sembra parlare, in verità tace, perché un Altro si serve, per rivelare le cose che vuole, degli organi della voce, della bocca e della lingua del profeta, e con arte invisibile ed armonica, percuotendo queste, ne fa strumenti musicali, melodiosi, ricchi di ogni armonia. L'uomo virtuoso vive nel corpo come se fosse in terra stra· n i era [267] È bene ascoltare le cose che furono "dette" ad Abramo come predizioni. In primo luogo fu detto che Dio non concede a chi è amico della virtù di abitare nel corpo come se fosse in una terra sua propria, ma gli permette di viverci solo come fosse in una terra stranieram. Dice infatti: «Sappi bene che la tua discendenza starà in una terra che non è la sua» (Gen. 15, 13). Per ogni uomo malvagio, invece, il corpo è il suo luogo naturale, in esso pensa di abitare in modo definitivo, e non di risiedervi in modo provvisorio. [268] Questo è il primo insegnamento; il secondo è che tutte le cose che recano all'anima "schiavitù,

184

FILONE DI ALESSANDRIA

Bn Tà BouXdav Kat Kd.Kwow Kat 8€Lvi]v, Ws- ain"òs l11. Ta1Tdvwow È"1TayoVTa Tij cpuxij Tà KaTà yiìv È"OTLV olK(8La" v68a yàp Kat ~Éva 8Lavo(as Tà awIJ.aTOS WS dÀ118WS 1TaS..,, aapKÒS È"K1TEUK6Ta, ~ 1TpoC1Epp((wTaL. [269] TETpaKOOLa 8È ~T'Il ylVETaL TJ 8ouÀEla (Gen., 15, 13) KaTà TàS TWV TETTapwv 1ra8Wv 8wa1J.ELS. dpxoOO..,s IJ.Èv yàp T]Boviìs IJ.ETEwpl(ETaL Kat ooaTaL TÒ p6v..,IJ.a, XaUV4l KOu6TllTL È"~aLp61J.EVOV" 5TaV 8È È"1Tl8U1J.(a Kpan')OlJ, ~pws" È"yy(VETaL Twv d1T6VTwv Kat TJÌV cJ1uX1'Jv Wa1TEp d1r' dyx6v..,s È"À1T(8os dTEÀOUs È"Kp€1J.aC1€" 8L$ij IJ.ÈV yàp dE(, 1TLELV 8€ d8uvaTEL TavnfÀELOV TLIJ.Wp(av inroiJ.Évoooa. [270] KaTà 8È TJÌV Tiìs XW..,s 8waOTElav awayETaL Kat OOOTÉÀÀETaL uÀÀoppooUVTWV Kat dauaLVOIJ.Évwv Tp61Tov 8lv8pwv· TÒ yàp EOOaÀÈS aini;s Kat 1rtov LaxvalvETm. 6~ou 'YE IJ.TJV TUpavvfJaaVTOS o\&ts ~TL IJ.ÉVELV d~LOL, 8paa1J.4} 8È Kat uyfj XPiìTaL, 116vws dv otfrws awaftaEa8m 1Tpoa8oKwv· €m8u1J.la IJ.ÈV yàp bN6~ 8' ~IJ.1TaÀLV dÀÀOTpL6TllTa È"IJ.1TOLWV 8LOLK((El Kat IJ.aKpàv TOU aLVOIJ.Évou 8LlC1TllaLv.

[271] al 8€

TCi3V

ÀEX8ÉVTWV l')yEIJ.OV(aL 1Ta8wv

~pEtav Tots dpxoiJ.ÉVOLS lmiyoooL BouM"lav, cixpLs

dv b ~pa~EUTJÌS Kat 8LKaOTJÌS 8EÒS' 8LaKp(VIJ TÒ KaKOUIJ.EVOV d1TÒ TOU KaKOUVTOS Kat TÒ IJ.Èv Els È"Àfu8€p(av È"~ÉÀllTaL 1TaVTEÀi1, T4) 8È TU1TlXELpa WV l~~IJ.apn:v d1ro84). [272] ÀÉYETaL yd.p· ' atiJ.aTos ~nraVTwv St~Kla8at. «Et 11'€>> yap cf>T)O'L ' OU Ka8a1T€p à1TÒ p((T)S" TÒ OKf1TTLKÒv Kat &:wpl)TLKÒv TWV Ti;scf>vaEws- 1TpayiJ.aTwv dvi~>..aaTEV lpvos-, dvo11a 'l apaf}À" È:1Tfl Kat ..>..' Wso IJ.EV lvto( cf>aatv, ~ÀLOV KaL O'f Àf}Vl)V KaL TOÙS' aÀÀOUS" àcrTÉ pas- - TlÌV yàp Twv KaTà ')'iìv ~maVTwv yÉvEatv Stà ToÒTwv Myos lXEL auvlcrTaa8at -, Ws- Sé" n vEs- vo1J.l(ooot, Tàs- àpXETooous- lSé"as-, Tà VOT)Tà Kat à6paTa È:KfLVa TWV alcr81)TWV Kat òpwiJ.É"Vwv TOUTWV 1Tapa8E( ")'IJ.aTa, 1TpòsTTÌV TOU aocf>ou Stavotav IJ.fTOLKl(Ecr8at. [281] nvè"s- 8€ 1TaTÉpas- imET61Taaav dpfla8at TàsTÉTTapas- àpxas- TE Kat SuvaiJ.ELS", €~ auvlaTT)KEv ò KOOIJ.OS, ')'iìv U&ùp àé"pa Kat 1Tiìp· fls- yàp Ta0as- lKaO"Tov TWV ")'EVOIJ.Évwv cf>aatv àva>..V€a8at &6VTws-. [282] Ka8a1TEp yàp 6v61J.aTa Kat pi}IJ.aTa

a

wv

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 2n-282

189

È scritto infatti: «ll Signore disse ad Abramo: Lascia la tua terra, i tuoi parenti ed anche la casa di tuo padre, per andare verso la terra che ti mostrerò, e farò di te un popolo grande» (Gen. 12, 1-2). [278] Colui che il precetto di Dio ha reso straniero fra i suoi, come sarebbe ragionevole che tornasse nuovamente a riallacciare i legami con gli stessi? Come potrebbe aggregarsi alla vecchia stirpe colui che è in procinto di diventare il capo di una nuova razza e di un nuovo popolo? Dio non gli avrebbe fatto dono di una razza e di un popolo in un certo senso nuovous e giovane, se prima egli non avesse del tutto spezzato i legami con quello vecchio. [279] Infatti, è veramente capostipite di un popolo e di una razza costui, dal quale, come da una radice, è spuntato un germoglio capace di osservare e di contemplare le realtà della natura, un germoglio di nome Israele. La Scrittura precisa, infatti, che bisogna «portar via il vecchio dalla presenza del nuovo» (Lev. 26,10). Di che utilità potevano essere la storia del passato, i costumi antichi e superati, per coloro sui quali, d'improvviso, senza nemmeno che se l'aspettassero, cadde una pioggia di beni molto .abbondanti e nuovi? I diversi significati della promessa del ritorno dell'anima dell'uomo virtuoso presso i padri [280] Dunque, non chiama "padri" coloro che la sua anima, nelle sue migrazioni, ha abbandonato, ossia coloro che son sepolti nelle tombe dei Caldei, bensì, come dicono alcuni139, il sole, la luna e tutti gli altri astrisi pensa, infatti, che la nascita di tutti gli esseri terrestri sia prodotta da questi -; oppure, come affermano altrii4o, le Idee paradigmi, ossia quei modelli intelligibili e invisibili di queste realtà sensibili e visibili, presso i quali trasmigra l'intelligenza del sapiente. [281] Altri, ancoral41, supposero che col nome di "padri" siano chiamati i quattro elementi e le quattro Potenze, dalle quali ha tratto origine l'universo: la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco: infatti, ciascuna realtà creata, dicono, deve dissolversi in essi. [282] In effetti,

190

FILONE DI ALESSANDRIA

Kat Tà Myou IJ.ÉPT'l miVTa crwÉOTT')KE" IJ.È"V lK Twv Tiìs ypa!J.IJ.aTLICfìS' OTOLXdwv, à.vaÀiiE"TaL 8€ miÀLv flS' laxaTa fKE"LVa, TÒV aÙTÒV Tp61TOV lKaOTOS' 'lillwv avyKpLSE"ts E"K Twv TE"TTapwv Kat BavE"LcraiJ.E"vos dcf>' fKdOTT)S' oùcr(as IJ.LKpd IJ.OpLa, Ka6' WpLOIJ.EVQS' 1T€pL68oUS' KQLpWV fKT(VE"L TÒ &iVE"LOV, E"t IJ.EV TL ~T)pòV dT), Ò.1To8L8oùs j'ij, d 8€ TL iryp6v, iiBa.TL, d BÈ" !JJuxp6v, àÉpL, d 8' lv6€p!J.OV, 1TUpl. [283) Tà IJ.È"V OWIJ.QTLKà Tafrra, TÒ 8È" VOE"pòV KQL oùpdvLOv TTlS' !JJuxfls yivos 1rpòs at6ipa Tòv Ka6apWTQTOV Ws 1TQTÉpa àcf>lçE"TaL. 1TEIJ.1TTT) yap, Ws 6 TWV àpxalwv Myos lcrTW TLS' ooola KUKÀocf>opT)TLKi), TWV TE"TTapwv KaTà TÒ Kp€LTTOV 8Lacf>€pouaa, e-ç ~S' ot T€ àcrTÉp€S' Kat 6 OUIJ.TTQS' oupavòs l~€ 'YE"'YE"vfla6m, ~S' KaT' àK6Àou6ov 6n€ov Kat -ri)v à.v6pw1Tl VT)V ljJuxflv àTI6anacriJ.a. l

[284] TÒ B€ E"ts» yaÀT)VÒV Kat €Ù8LOV KTT)OaiJ.E"VOS' ~(OV, €'Ù8a(IJ.OV' ws àÀT)6ws Kat IJ.aKapLov. TI6TE" oùv To0To OUIJ.~llOE"TQL; lhav €'Ùo8~ IJ.È"V Tà fKTÒS' 1Tpòs €Ù1Top(av Kat E"u8oçlav, E"'Ùo8"fj 8È" Tà crwiJ.aTos 1rpòs

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 282-285

191

come i nomi, i verbi e tutte le parti del discorso sono costituiti da quegli "elementi" che sono le lettere dell'alfabeto, e ciascuno di essi si può nuovamente scomporre in questi elementi ultimi, nello stesso modo, anche ciascuno di noi, che è composto dei quattro elementi ed ha preso in prestito da ognuna di queste sostanze delle piccole parti, allo scadere di un tempo fissato restituisce quello che ha ricevuto: quanto ha di secco restituisce alla terra, quanto ha di umido all'acqua, quanto di freddo all'aria, e quanto ha di caldo al fuoco. [283] Ciò vale per le cose corporee; ma la stirpe dell'anima, intelligente e celeste, farà ritorno all'etere più puro, come a un padre suo. Poniamo, dunque, che ci sia, secondo l'opinione degli antichi, una quinta sostanza dotata esclusivamente di moto circolarei42, superiore per valore alle altre quattro, e dalla quale sembra che abbiano tratto origine gli astri e tutto il cielo: allora, per conseguenza, bisogna concludere che anche l'anima umana è un frammento di essa. La pace del sapiente [284] L'espressione «dopo aver vissuto nella pace» (Gen. 15, 15). non è stata aggiunta senza un preciso scopo, bensì per indicare che quasi tutta la stirpe degli uomìni "si nutre" di guerra e di tutti i mali che seguono ad essa. C'è un tipo di guerra che ci viene da cose che sono fuori di noi: questa è scatenata contro di noi dal disonore, dall'indigenza, dall'umile origine, e da altre cose simili. L'altra ci viene da cose che sono dentro di noi. Per ciò che concerne il corpo: la mancanza di vigore, le mutilazioni, i malanni di ogni genere e una gran quantità di altri mali impossibile a descriversi. Per ciò che concerne l'anima: passioni, sofferenze, infermità di mente, insurrezioni pericolose e gravi, tirannie senza scampo prodotte dalla dissennatezza, dall'ingiustizia e da altri tiranni simili I4J. [285] «Colui» dunque «che è vissuto nella pace» e che ha condotto una esistenza serena e tranquilla, dawero è felice e beato. Ma quando si verificherà questa situazione? Quando i beni

192

FIWNE DI ALESSANDRIA

irylELav TE Kat Laxw. EOOB'ij 8€ Tà tlruxiìs upòs dn6ÀaVCJLV dp€TWV. [286] XP"QCn -ydp lKaCJTOV olKdwv Bopvcf>é>pwv· 8optxl>opEtTaL 8€ CJWjla j.LÈ"V Elr ~lq. Kat 1T€pLOoolq. Kat d6ovlq. uÀOirrov, cpv)(i) 8€ T4i TOU C1WjlaTOS bÀOKÀi)pql Kat KaTà 1T6.VTa VyL€LV4i, b 8€ voOs inrò Twv €v Tats €maTi)j.J.aLS' &wprr j.L6.Twv· €nd l.Sn "Y€ dpi)VT)S' oùx 'fìv al n6ÀE"LS' d-yoooL j.J.É'j.J.VT)TaL, aacf>ls €an Tots È'VTv-yx6.voooL Tats lEpats -ypaats· llE"YaÀovs Kat f3apEts 1TOÀÉ'j.J.OVS' 'AI3paàj.L dv€8É'eaTO, o\Js Ka6l:lpllKWs alv€TaL. [287] Kat l'] TiìS' 1TaT~S' j.J.É'VTOL yiìs du6ÀE"LcpLS' jl€TaVLC1Taj.J.É'V4> Kat naÀLv olKiìaaL llll Bwaj.LÉ'V4>, opoVj.LÉ'V'!> 8€ @&- KdK€LC1€ Kat È'pi)j.J.OVS' Kat dTpLI3Ets bBoùs dÀWj.J.É'V4> T4i llTJ &onpoulms Kat TLCJL 6€CJaTOLS' 1T€1TLC1T€VK6TL [3apÙS' ~V 1T6ÀE"j.J.QS. aÀÀ' l&L -yàp Kat Tp(TOV TL TWV oi3Epc:i)V 1TpoC1€1TL8acpLÀE"OOaCJ6a.L, Àlj.J.6V, jl€TaVaCJTaCJEWS' Kat 1TOÀÉ'j.J.OV KaKÒV XELpoV. [288] 1TOlav OW dpi)VT)V ~-ya-yEV; TÒ -yap, olj.J.aL, j.J.ETaVLCJTaCJ6a.L Kat dvl8pVTOV ElvaL KaL f3a.C1LÀÉ'WV dj.J.6.XOLS' È'VaVTLOiXJ6aL 8vv6.jl€C1L Kat Àljl4i mÉ'CECJ6a.L n6ÀE"jlOV OÙX lva, 1TOÀÀOÙS' 8È Kat 1TOÀtr Tp61TOVS' lOLKE IJ.llviJ€LV. [289] aÀÀ' lv "YE TaLS' 8L' Ù1TOVOLWV duo86CJ€C1LV dpl)VllS' dKpdTOV 8€'t-yjla lKaCJTOV aÙTWV ElVaL C1VIJ.I3É'I3TJKE" 1Ta6Wv -yàp lv&La Kat ÀLIJ.ÒS' Kat Ka6alp€C1LS' È'X6pWV a8LKllj.J.6.TWV KaÌ. jlETav6.CJTaC1LS' auò Xa~LKiìS' 86tllS' upòs TT)v LM&ov, TOVTÉ'CJTLV auÒ TOU "Y€"YOV6TOS ala61')TOU 1Tj)ÒS TÒ VOllTÒV Kat 1TE1TOLT)KÒS' a'( TLOV, EWOjl(av Kat fir CJT6.8€LaV KaTaCJK€OOCOOOLV. [290] lnrLCJXVELTaL 8È T(i} TOLairrT)v d-yoVTL Elpi)VT)v KaÀÒv yiìpas, où Bi)uov TT)v noÀvxp6vLOv ÒÀÀà TT)v IJ.ETà povDCJEWS' Cwi)v· TÒ -yàp Eùi)jlEpoV 1TOÀV€Tlas Kp€LTTOV, 004> Kat 13paXtrr€poV 4>Ws CJK6TOVS' alwvlov. jllav -yàp l']j.J.É'pav VyLWs El 1TÉ' TLS' 1TpoT)TLKÒS' avrìp l3ouÀE"CJ6a.L 13LWVaL jl€T' dp€Tfìs f) jlVpla lTT) È'v C1KL4 6av6.TOV (Salmi,

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 285-290

193

esteriori aprono la strada all'agiatezza e alla fama; quando quelli del corpo l'aprono alla salute e al vigore, e quelli dell'anima al godimento delle virtù. [286] Ogni cosa ha bisogno delle sue protezioni: il corpo è protetto dalla fama, dalla abbondanza e dalla ricchezza; l'anima, invece, è protetta dalla integrità del corpo e dalla sua perfetta condizione di salute; l'intelletto è protetto dalle conoscenze delle scienze. Infatti, a chi legge le Sacre Scritture risulta chiaro che questa pace di cui si parla non è affatto quella di cui fruiscono le città, perché Abramo affrontò grandi e pericolose guerre e da esse uscì vincitore. [287] L'abbandono della terra dei padri per chi emigra e non vi può più ritornare, sballottato qua e là, errabondo su sentieri deserti e non battuti, è una dura guerra, se non ha fede negli oracoli e nelle promesse di Dio. Ma un'altra terribile prova doveva aggiungersi per terza alle altre: la fame, un male peggiore della migrazione e della guerra. [288] Quale pace, allora, conobbe Abramo? Il migrare, l'essere errabondo, il combattere contro le forze invincibili dei re, l'essere morso dalla fame, a parer mio, sembrano essere, non una, ma molte e diverse guerre. [289] Tuttavia, nel contesto della interpretazione allegorica, ciascuna di queste circostanze trova il suo posto come esempio di una pace perfetta. Povertà e fame, infatti, di passioni, sconfitta dei nemici delle ingiustizie, migrazione dalla mentalità caldaica, verso la mentalità caratteristica dell'amore di Dio, vale a dire dal mondo del creato e sensibile verso la Causa creatrice ed intelligibile. E tutto ciò produce buon ordine ed equilibrio. [290] A chi conosce una pace del genere, Mosè promette una «bella vecchiaia», non certo una vita lunga nel tempo, ma una vita vissuta secondo saggezza. Vale più, infatti, un giorno felice che una moltitudine di anni, così come la luce di un attimo vale più che una eternità di tenebra. A ragione, dunque, un uomo profetico disse di voler vivere un sol giorno nella virtù piuttosto che mille anni nell'ombra della morte (cfr. Sal. 83, 11), intendendo ovviamente la morte nel senso di vita dei malvagi.

194

Fll.ONE DI ALESSANDRIA

83, 11), advaTov ~ÉVTOL Twv cf>a{iN.ùv alvt TT6~€VOS ~(OV. [291] TÒ Bè aÒTÒ Kal vW lp")'OLS' ~dÀÀOV pf]~aat 8taaw(Et yf]pq XPTJC6~€VOV Ka).Q, TWV 1TpÒ alJTOU ax€Bòv CL1Td.VTWV ÒÀL ")'OXpoVLWTaTOV flaf]yayf, LÀOaoWv



Kal BLBdaKwv ..;~aS', T( S' b 1rpòs- dX.f]Snav EÙ'yl'}pwstaT(v, tva ~lÌ 1TOÀÙV Tiìov E1Tl TOU cf>o.v€po0 aw~a­ T6S' 1TOT€ d1To8f~W~€6a ")'É~OVTa alCXVvTJS' Kal 1TOk Àwv òvnBwv, dU' flÌ~ouMav KaL aTa6€p6TT)Ta tlruxiìS' LB6VTES' TÒ yÉpws- d&X.òv Kal 1TapWvu~ov KaÀÒv ')'iìpaS' È'1TLTJ~(aw~Év Tf Kal ~apTupf]aw~fv. [292] Boy~aTLKWso olJv aKOUE' KaTà TÒV VO~oe€TT)V ~6VOV TÒV daTfLOV fÒyTJpwV Kal ~aKpO~lWTaTOV, ÒÀL ")'OXpoVLWTaTOV Bè TÒV cf>o.uÀOV, d1To6VlJCK€LV dfÌ. ~avedvoVTa, ~aUov Bè T"ÌV dPfTiìS' (w"Ìv ~BTJ TfTfÀfUTTJK6Ta. [293] AÉyfTaL B'

É"~fìS'·

T"ÌV lfpàV olK'f]aouat yfìv, dx.M Kal irrr€p TOU TfÀf(av d1ToKaTdaTaaLv lJIUxflS' 1TapaaTf)aaL. y( VfTaL 8€ waavfL TfTapTlJ ")'fVfQ." &v Bè Tp61TOV, a~LOV auvBLaaKÉ'lJiaa6aL. [294] d1TOKUTJ6fv TÒ ~pÉ'4>0S' axpt Tf)S' 1TpWTT)S' f1TTa€T(aS' È'v "JiÀI.K(q Tij 1TaL8uctj l~JuxflS' dKpaLvoi)s- ~f~o(pa­ Tal, À€(~ ~ciÀI.aTa €~cf>€po0s- KT)p~. ToLS' dya6wv Kal KaKWV xapaKTf)paL ~TJ1TW T€TU1TW~ÉVT)S'" Kal yàp ooa ypafa6aL 8oKf1, Uyp6TT)Tl f1TaÀ€L61..1.€Va auyXfLTaL. [29.5] 1TpWTTJ ~€v ~& ooavEl ")'fVfà l~JuxflS'· 8€UTÉ'pa Bi, finS' ~ETà T'JÌV 1Tat8LK'JÌV TJÀLdav KaKOLS' dpX€Tal au(fìv, T€ È~ É"auTf)S' dw6f yor vav l~JuXlÌ Kal ooa 1Tapà TWV aÀÀlùv da~É'VT) BÉ'X€TaL. BLBciaKaÀo( TE yàp allaPTTJI..I.ciTwv I..I.Up(m, T( T6at Kal 1TaLOO")'W")'Ol Kal ")'OVflS' Kal ol KaTà 1T6À€LS' ")'f")'pai..I.I..I.É'VOL Kal dypaot v61.l.OL 6aul..l.ci(oVT€S' a XPlÌ

a

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 291-295

195

[291] Ora, Mosè afferma le stesse cose esprimendole con fatti, piuttosto che con parole. Egli, infatti, descrive Abramo come colui che avrà una «bella vecchiaia». Eppure, lo ha fatto vivere una vita brevissima in confronto a quasi tutti i suoi antenati, volendo con questo farci conoscere e insegnare chi è colui che veramente ha una buona vecchiaia, affinché noi non ci lasciamo prendere da grande vanità per il corpo visibile, pieno di vergogna e di molta ignominia, ma, riconoscendo l'assennatezza e l'equilibrio dell'anima, correttamente dichiariamo ed attestiamo che questa è la «bella vecchiaia», il cui nome è strettamente legato a quello di "premio". [292] Ascolta, dunque, dal Legislatore questo insegnamento: solo l'uomo virtuoso ha una buona vecchiaia e la più lunga delle vite: il malvagio, invece, vivrà meno di tutti, perché non smette di imparare a morire: anzi, è già morto, almeno alla vita della virtù. Le quattro stagioni dell'anima [293] Dice poi la Scrittura: «Alla quarta generazione torneranno qui» (Gen. 15, 16), e lo dice non solo al fine di rivelare il tempo in cui avrebbero abitato in terra santa, ma anche per darci un insegnamento circa la rigenerazione de11' anima. Questa avviene, per così dire, alla quarta generazione, e il modo in cui avviene merita di essere fatto oggetto di attenta analisi. [294] Il bambino dalla nascita fino al settimo anno di vita ottiene in sorte, durante il periodo della sua infanzia, un'anima incontaminatal44, molto simile a cera liscia, non ancora segnata dalle impronte dei beni e dei mali, e tutto ciò che in essa viene scritto va insieme, cancellato dalla fluidità della cera. [295] Potremmo dire che questa è la prima "generazione" dell'anima. La seconda generazione è quella in cui l'anima incomincia, dopo l'infanzia, a convivere con i mali; quelli che l'anima suole generare da sé medesima e quelli che accoglie con piacere dagli altri. I maestri di peccati sono moltissimi: le balie, i pedagoghi, i genitori, le leggi scritte e non scritte delle città che onorano mille cose che dovrebbero essere derise. E anche senza questi come maestri,

196

Fll.ONE DI ALESSANDRIA

'YE'~c1a8aL, Kat dvE"v Twv BLBae6vTwv aùTo!J.aai)s ÈaTLV airnì Tipòs Tà irrratna, Ws- {m' E'ÙOplas dE't KaKwv ~p(8E"Lv. [296] Jywv· «OVTIW yàp àva1TE"1TÀ'flpwVTaL al àvo!J.(aL Twv 'A!J.oppalwv»

L'EREDE DELLE COSE DIVINE, 295-300

197

l'anima si orienta spontaneamente verso le colpe, così che è sempre appesantita dal sovraccarico dei mali. [296] Dice Mosè: «L'intelligenza dell'uomo si volge con sollecitudine, Hn dalla giovinezza, verso i mali)) (Gen. 8, 21). Questa è la "generazione" più disgraziata, se stiamo al senso allegorico, in quanto che, propriamente, è quella età durante la quale il corpo è nel fiore degli anni e l'anima è gonfia di presunzione, perché le passioni, riaccendendosi, si infiammano e bruciano LÀoooos Kal 8€ocf>pd81J.WV à~p ol&v, TOVTOLS 8' oùtc dvdTITEL Tàs TWV 'YLVO!J.lvwv al Tlas. È:cf>aVTaaLw8'rl 'YàP Tipe:a~uTe:pov dÀÀo È:TioxouiJ.e:vov Tots 5ÀOLS i)vL6XOU Tp61TOV f) KU(3€pvf)TOU' 'TT118aÀLOUX€L 'YàP TÒ KoLvòv Tou KOOIJ.OU aKdcf>os, 4> Tà TIfì· VaL Kal KaTaÀL 1T€LV a'ÙTà o'Ù 8wdj.J.€VOL T4) &XEdCe:a6aL KaTaiJ.fVOIJ.fV. [305] È:àV Sf 1TclO'aL al !JJe:u&ts m6av6TT)TES 8LEÀE'YX6iilmv inrò TWV àÀT)6WV TI(OTe:wv Kal 1TÀ'f)p€LS a'ÙTWV Kal È:1TLX€LÀfLS al dj.J.apT(aL

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 300-30'

199

ancora raggiunto il culmine» (Gen. 15, 16). Queste parole forniscono il pretesto a quelli più deboli di pensare che Mosè presenti il fato e la necessità come causa di tutto ciò che avviene. [301] Senza dubbio, non va ignorato che egli, da uomo di scienza e dotato di virtù profetica, conosceva la necessaria e indefettibile concatenazione delle cause, ma non era questa a cui attribuiva le cause di ciò che avviene. Egli riconosce qualcos'altro di ben più originario, che sovrasta l'universo come fosse un auriga ed un nocchiero. Questi, infatti, regge il timone di quella nave universale che è il mondo, sulla quale tutte le cose sono imbarcate; Questi tiene le redini del carro alato che è il cielo nel suo complesso, esercitando una autorità onnipotente e sovrana. [302] Che dire di ciò? Gli Amorrei non son altro che coloro che chiacchieranoi46. Ora, il più grande bene che è stato dato da natura all'uomo, cioè il linguaggio, migliaia di quelli che l'hanno ricevuto l'hanno corrotto, comportandosi in modo irriconoscente ed infedele verso la natura che glielo aveva dato. Questi sono gli imbroglioni, i millantatori, gli inventori di seducenti sofismi, buoni solo ad ingannare, ad imbrogliare, che non si curano di non dire le menzogne. Essi praticano l'equivoco, e l'equivoco porta nel discorso una profonda oscurità, e l'oscurità è complice dei ladri. [303] Proprio per questo Mosè mostrò il sommo sacerdote ornato di «chiarezza» e di «verità» (Es. 28, 30), ritenendo che la parola dell'uomo buono fosse molto chiara e veritiera. I più vanno alla ricerca della parola oscura e ingannatrice, e ad essa sottoscrive la folla sbandata degli uomini vili e negligenti. [304] Dunque, finché «i peccati degli Amorrei», ossia le parole dei Sofisti, «non hanno raggiunto il culmine», in quanto non sono confutate, avendo ancora la forza di attrarre con le loro argomentazioni seducenti, ci trascinano, e noi, non riuscendo più a volgere loro le spalle e a !asciarli, restiamo preda dei loro adescamenti. [30.5] Se, però, tutte le false seduzioni vengono confutate con prove veritiere e i peccati si rivelano pieni e ricolmi fino all'orlo di esse, allora fuggiremo via senza voltarci indietro e, non

200

FILONE DI ALESSANDRIA

1T€ptcf>avcilcnv, d1ro8paa6~€6a dl.l€TaaTp€1TTt KaL llovovo'Ù Tà à1r6yata àpci1.1€VOL Tiìs- Twv cp€OOI.lchwv Kat aocf>Lallchwv xwpas- teavax&r)a61.1€8a, TOLS" àÀrr 6f(as- Va'UÀOXWTaTOLS" inro8p61.10LS" KaL ÀlllÉaLV È"vop· 1.1laaaem È"1T€L y61.1€Vot. [306] Totofrrov BT) Tò BT}ÀOir ll€Vov U1TÒ Tiìs- 1TpoTcia€ws-· à!liJxavov yàp à1ro· aTpacf>flvat KaL llLaflaaL KaL KaTaÀL lT€LV TÒ m8aVÒV cp€U8os, d ll'JÌ TÒ lT€pL aÙTÒ allQPTT}Ila lTÀTlp€S" àvacf>avdT} KaL TÉÀ€Lov· àvacf>aV€LTaL 8€ È"K TOV ll'JÌ lT€ptÉpyws- 8t€M'YX6flvat KaTà TT)v Tov àÀT}6ofls- àvTl Taetv Kat f3€f3alwatv.

o

[307] AÉyH 8€ eefls-· «È"lT€L 8€ È"y(vno ~ÀLOS" Tipòs 8oo1.1a'is-, cf>Àò/; È"yÉV€TO» (Gen. 15, 17), 811>-Wv Bn àp€T'JÌ lTp(Ì'Yila È"aTtv òcp( yovov Kat llTJV, Ws- lcf>aaav TLV€S", Tipòs airrats- Tov ~(ou 8oo1.1a'is- [3Ef3awull€Vov. àp€T'JÌV 8€ àlT€LKQ(€L cf>Àoy(. Kae6.lT€p yàp TJ cf>Àò/; Ka(EL !lÈV T'JÌV lTapa~ÀT}6E'iaav tJÀT}V, cf>wT((€L 8È TÒV ydTova Mpa, TÒV airròv Tp6Tiov ÈJ.LlTllTpT}at llÈV Tà allaPTiJilaTa ,; àp€Ti), cf>É'Y'YOVS" BÈ TT)v BÀT}V àvaTilW TIÀT}at Btavmav. [308] à>.M. yàp ht Twv à8tmp€Twv Kat àllEPlaTWV Mywv flTLKpaT01JVTWV Ta'is- meav6TT}atv, o\ìs 'AJ.Loppalovs- àvaKaM'i, TIEptcf>av€aTaTT}v Kat daKtov aÒ'YlÌV l8Etv oò 8wciJ.LE6a · KÀL~civou 8' €lÀLKpLVÈS" lTVp OÙK lXOVTQS", àÀÀ' Ws aÙTÒS" lcf>T} (Gen. 15, 17) Ka1TVL(OJ.LÉVOU Tp6lTOV 8taKd1.1€6a, amv6flpat !lÈV Tiìs- ElTLaTi)JlT}S' WOT'Ucf>6J.L€VOL, llTJlTW 8€ Ka6apii) Tivpt OOKLilaa6flvm Kat KpaTatw6flvat 8uv6.Jl€VOL. [309) lTOÀÀ'JÌ 8È T{j) aTI€(paVTL TO'ÙS" amv9flpa5; xapLS", tva ll'JÌ VEKpWV Tp6lTOV aWilQTWV O VO\Js- imÒ Tia6Wv KaTac/Jvxefj. àÀÀ' lv8EpJ.Los- wv Kat XÀLatv61.1€vos- inrEKKaVJ.Laatv àp€Tiìs- (wTivpflTaL J.LÉXPL Tov TT)v ds Tivp l€p6v, WsNaBà~ Kat 'A~toVS (Lev. 10, 12), Bleaaeat JlETa~Ài)v. [310] KaTIVòs- 8€ ylvnm 1.1€v lTpò 1T'Up6s, ooKpiiEtv 8€ ~ta(€Tat Toùs- lTÀT}ata· (oVTaç. àl.lcf>6T€pa 8€ cf>tM'i av1.1f3alvHv· Ta'is T€

o

L'EREDE DELLE COSE DMNE, 305-310

201

appena tolte le gomene, prenderemo il largo lontano dal paese delle menzogne e dei sofismi, affrettandoci a gettare gli ormeggi nei porti e nei rifugi del tutto sicuri della verità. [306] Questo, dunque, è il significato della proposizione: è impossibile "tornare indietro" lontano dalla falsità seducente, odiarla e abbandonarla, se prima il male ad essa connesso non sarà completamente e fino in fondo manifestato. E si sarà manifestato solo quando verrà confutato non superficialmente, ma attraverso l'opposizione e la saldezza della verità. I simboli allegorici della fiamma, del forno e delle torce e il loro significato [307] Dice in seguito la Scrittura: «Quando il sole gìunse al tramonto, sorse una fiamma» (Gen. 15, 17)147, mostrando che la virtù è una realtà che nasce tardi, divenendo stabile, come dissero alcuni, proprio verso il "tramonto della vita". Egli paragona la virtù a una fiamma; infatti, come una fiamma brucia il legno che le viene gettato e illumina l'aria che è nelle vicinanze, così la virtù brucia le colpe e riempie l'intelligenza intera dei suoi raggi. [308] Quando, grazie alla loro forza di seduzione, predominano i discorsi indistinti ed indivisi, quelli che egli chiama "Amorrei", noi non possiamo vedere la luce in tutta la sua chiarezza e trasparenza, e siamo simili a un forno che non ha un fuoco puro, ma che, come dice la Scrittura (Gen. 15, 17), fa fumo. Certo, le faville della scienza ardono dentro di noi, ma non siamo stati ancora capaci di farci saggiare e purificare dalla fiamma pura. [309] Sia grande benedizione a Colui che ha seminato le faville, affinché l'intelletto non si raffreddasse alla maniera dei corpi morti, a motivo delle passioni, ma, essendo caldo di natura e riscaldato dalle braci della virtù, esso si infiammasse, fino a mostrarsi trasformato in un fuoco sacro, come avvenne a Nadab e Abiu (Lev. 10, 1-2). [310] Il fumo si produce prima del fuoco148 e fa lacrimare tutti coloro che si avvicinano. Questi due fatti si verificano normalmente. Quando noi ci accostiamo

202

FILONE DI ALESSANDRIA

'YàP àperiìs airyats TTpooxwpo0VT€S' T€XEL6TT)Ta ~k TTlCo~Ev, Kat d ~TJTTW Bwal~€8a TUXEiv a\nils, oùtc àBaKpUTt 8Ld'YO~€V àVLW~€VOL. TTO).ÙS' 'Yàp lhav t~Epos ~VTaKij, TTpòs Tl')v Tou TTo8ou~lvou ~pav imaTT€U8€L Kal dxpL TOU au).).a~€LV KaTllcp€LV àva'YKdCEL. [311] KM~v~ &: vuv tew~olwa€ Tl')v !Jivx'ftv ToO cpL).o~aeous Kat t).TTlBa TE).ELwaEws lxoVTos, tTTELB'ft Tpocpfls TTETTo~lv..,s au-yKpaTmow €KdT€pov àn€t6v taTLV, ~€v Tf}s BLà aL Tlwv cp8apTwv, i) &: Tf}s BL' àcpedpTwv àpETwv. al &: M~TTd8€s ToO TTVpòs al Bq.Bovxm)~EvaL ToO Bq.Bo{r xou 9€o0 KplaLs dalv, al M~TTpat Kat BLau-yEts, ats l9os ~laov Twv BLxoTo~ll~