Le piante. Testo greco a fronte 8845271544, 9788845271540

Il testo originale del "Peri phyton" è perduto, e il trattato che leggiamo in greco, edito per la prima volta

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Le piante. Testo greco a fronte
 8845271544, 9788845271540

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Quest'opera è stata realizzata in collaborazione con il Centre for Science, Philosophy and Language Research della Fondazione · "Amone - Bellavite Pellegrini"

[ARISTOTELE] LE PTANTE Testo greco a fronte

lntroduzione, traduzione, note e apparati di Maria F emanda F errini

rRa, BOMPTANT ~

TESTI A FRONTE

TSBN 978-88-452-7154-0 © 2012 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Tedizione Testi a fronte ottobre 2012

A mia madre e a Cheti

lNrn.ODUZIONE

IL LIBRO SULLE PIANTE «NEL PRATO SEMPRE FIORENTE DELLA FILOSOFIA ARISTOTELICA» l\nò opoos Alles ist Blatt*

I testi

In alcuni codici, che contengono la retroversione greca del trattato sulle Piante (non conservato nell'originale), il testo è preceduto da un prologo, in cui l'autore, anonimo, ripercorre brevemente e parzialmente la complessa tradizione dell'opera, in uno stile ornato, .ricco di metafore tratte dal mondo vegetale, a cominciare dalla tradizionale metafora del prato :fiorito. L'originale greco è perduto, e .il trattato che leggiamo in greco, edito per la prima volta nei Geoponica (1539), e incluso, a partire dallo stesso anno (nella seconda edizione di Basilea, la cosiddetta Isingriniana), in tutte le edizioni del Corpus Aristotelicum1, è la traduzione greca di una traduzione latina, condotta a sua volta su una traduzione araba di una traduzione siriaca (di autore non noto, e perduta, eccetto alcuni frammenti). Si distinguono cinque traduzioni (siriaca, araba, ebraica, latina, greca), su cui si basa la nostra conoscenza del *Omero, Iliade 22, 126; Johann Wolfgang Goethe, WA Il 7, p. 282 (vd. le note 273 e 282).

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trattato, e due principali ramificazioni della tradizione in Oriente e in Occidente. La singolarità della tradizione di questa opera nella storia dell'aristotelismo è messa in evidenza nell'introduzione all'edizione del 1989 (divenuta ora di riferimento per i testi del De plantis), curata da H.J. Drossaart Lulofs (editore delle versioni orientali) ·e E.L.J. Poortman (editore della ve~ione latina e greca): anche altre opere del C. A. sono state ovviamente tradotte in lingue orientali, ma ciò che contraddistingue la storia del trattato sulle Piante è la sua retroversione in greco2 • Il Medioevo latino attribuisce quasi unanimemente il trattato ad Aristotele3. In Oriente si ha invece una diversificazione di posizioni; in alcune fonti, il libro di Aristotele è presentato come rielaborazione di Nicola di Damasco4, un peripatetico vissut~ nel I secolo a. C., conosciuto soprattutto per la sua esposizione della filosofi.a del Maestro5 • Come per altri trattati cosiddetti minori del C. A.6 , il problema dell'attribuzione ad Aristotele si impone con maggiore evidenza nel Rinascimento7 • Aristotele fa talora riferimento nelle sue opere a un'indagine e a un trattato sulle piante8, ricordato anche in alcuni cataloghi antichi come composto di due libri9 • Esso potrebbe essere andato perduto (così farebbe suppore la notizia data da Alessandro di Afrodisia, in cui si fa cenno alla pragmateia di Teofrasto sulle Piante, e si aggiunge che quella di Aristotele .sullo stesso argomento non era più in circolazione10), oppure non essere stato mai scritto, ma solo ideato; sia il testo di Aristotele, ammesso che lo abbia effettivamente scritto, sia il testo di Nicola di Damasco sono in ogni caso andati perduti. Paul Moraux si è chiesto in un primo momento se il nepì >16 •

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Le traduzioni

La nostra conoscenza del tra,t'tato è limitàta, come si è già detto, alle cinque traduzioni dell'opera di Nicola. La più antica di ~sse, in siriaco, è frai:nmentaria e rigua:rda solo il primo libra17 ; le altre sono complete, ma sono spesso poco accurate e oscure, talora prolisse talora eccessivamente succinte, oppure perfino fuorvianti per le manipolazioni che il testo ha subìto a ogni stadio della sua trasmissione: nel passaggio da una traduzione all'altra le possibilità di errori, di fraintendimenti e di interventi arbitrari sono, come è da aspettarsi, maggiori e hanno condotto a un progressivo deterioramento. La differenza nella struttu- · ra idiomatica delle lingue di origine e di arrivo, l'uso di termini (in particolare quelli relativi alla denominazione delle piante) non ben compresi, e la stessa diversità nella formazione, negli intenti e nelle convinzioni teoriche dei diversi traduttori, hanno contribuito a rendere molto spesso non chiara e poco coerente largomentazione. La traduzione araba è stata realizzata su quella siriaca da Isbaq ibn l:funayn18 ; essa ha un ruolo di primo piano nella conoscenza di questa opera, e nella sua trasmissione (altre fonti, dirette e indirette, ne dipendono19), data la frammentarietà della versione siriaca, tanto più deplorevole se si considera la sua importante collocazione intermedia tra loriginale greco di Nicola e la versione araba20• La traduzione ebraica di Qalonymos ben Qalonymos21, e la traduzione latina di Alfred of Sareshel (Alfredus Anglicus) sono realizzate su quella araba di Isbaq ibn l:funayn. Il nome dell'autore della traduzione latina compare in alcuni codici, con grafia incerta e varia, o nel titolo o nella sottoscrizione o in entrambi22 • Nella tradizione latina, il trattato ha il titolo De vegetabilibus et plantis, o De vege-

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tabilibus23; con essa, l'opera diventa nota in Occidente, si impone ali' attenzione di molti autori, e costituisce il fondamento della botanica medievale24 • Nella maggior parte dei manoscritti, il testo è preceduto da un prologo in cui si specifica che il trattato è stato tradotto dall'arabo e che si è intervenuti con qualche aggiunta, per colmare le angustiae del latino. Il libro di Aristotele de Vegetabilibus è presentato come piccola ma essenziale philosophiae particula25 : è molto significativa, e indicativa di tendenze e orientamenti allora diffusi, la collocazione di una conoscenza specialistica nell'ambito di un sapere più ampio. L'opera è dedicata a Roger of Hereford, cui si chiede di considerare la difficoltà e l'impegno richiesto nella sua realizzazione26 • Alfredo è una figura di rilievo tra gli intellettuali che introdussero lo studio dei libri naturales di Aristotele nell'Occidente latino27 ; tuttavia si conosce poco della sua vita. La sua cronologia e la sua attività sono oggetto di controversia fra gli studiosi28; approssimativamente, si propone il 1200, o l'ultimo decennio del XII secolo, come data puramente indicativa della sua traduzione29• Sembra esserci invece un generale accordo sulla possibilità che egli abbia soggiornato in Spagna, che vi abbia imparato l'arabo, e anche tradotto alcune opere: circostanza da tenere presente per intendere alcune sue scelte lessicali30 • Riguardo al metodo seguito nel tradurre un testo difficile, e spesso non ben compreso, si può dire, in generale, che egli non abbia mirato al principio di tradurre ad verbum, secondo la consuetudine del tempo con ·poche eccezioni; il suo periodare è tuttavia talora tortuoso, e le parole sembrano buttate giù in fretta, senza prestate attenzione alla loro connessione.31 La traduzione di Alfredo è contenuta in molti manoscritti: in alcuni, il testo è 5lCcompagnato da glosse e com-

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menti, a testimonianza dell'intensa lettura e conoscenza di questa opera.32 • Poortman divide la tradizione manoscritta in due classi, che chiama A1 e A2 (A è la sigla che nella sua edizione indica la traduzione latina di Alfredo): A1 discende con ogni probabilità dalla prima stesura della traduzione; mentre A 2 ne rappresenta una revisione3 3 • Il traduttore greco ha utilizzato un codice di questa seconda classe34 , come si vedrà nel commento. Basandosi su questa suddivisione, Poortman risolve la questione relativa alla supposta esistenza35 di un'altra traduzione medievale: nell'incipit o nell' explicit di due codici indipendenti si indica una nova translatio; nelle quaestiones di Bacone ricorrono talora le espressioni in !iterai in translatione nostra, e in alia translatione3 6 • Poortman ritiene che nel modo di esprimersi di quel tempo, nova translatio non indichi necessariamente una traduzione del tutto nuova: così poteva essere chiamatà una versione rivista37 • Rimane in ogni caso aperto un quesito: se, come sembra, c'è stata una prima traduzione, ci si chiede se ci fu mai un testo rivisto in maniera definitiva e sistematica. Alcuni emendamenti possono essere fatti risalire allo stesso Alfredo (aggiunta di congiunzioni copulative, cambiamenti tesi a migliorare lo stile o la leggibilità, semplici· aggiunte non estranee al contesto, preferenza per varianti lette in esemplari arabi diversi), ma in molti casi è impossibile dire con certezza se gli interventi (e in particolare quelli più audaci) siano dovuti a Alfredo o a un altro revisore3 8 • Non è di aiuto in questo senso il commento, strutturato in forma di glossa, che Alfredo scrisse in un periodo successivo alla traduzione, sia perché esso è parziale3 9, sia perché molto raramente sembra implicare ripensamenti o correzioni, rispetto alla traduzione. P~enti, il commento si mostra solo occasionalmente utile per la

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costituzione del testo; ebbe invece un ruolo importante nell'insegnamento unive~sitario del Xm secolo40 : esso è il pri1Ilo commffito latillo al De plantis, e rimarrà un punto di riferimento cost~te p~r altri studi e cominenti, fino all'imporsi della sùmma botanica di Alb~rt~ Magno41. R James Long ne ha curato un'edizione (1985) 42 • La traduzione di Alfredo è stata pubblicata, anonima, due volte nel XV secolo a Venezia (1482 e 1496)43 • Nel XIX secolo, essa fu riproposta all'attenzione da Meyer: la sua edizione e il suo commento (1841) hanno rappresentato un significativo avanzamento nello studio di questo problematico trattato; tuttavia ledizione si basa su un ristretto numero di manoscritti, e il testo è. spesso congetturale. Meyer spiega termini non usuali e parole arabe evideptemente corrotte, tentando di ricostruire, con risultati discutibili, quale potesse essere il testo arabo ·letto da Alfredo e spesso da lui frainteso44 • Il suo testo, rivisto e migliorato in alcuni punti, grazie alla collazione di altri manoscritti (ancora insufficiente, in ogni caso), fu pubblicato da Bussemaker (1857), ma senza il prologo di Alfredo, e insieme con la retroversione greca45 • Sul testo di Meyer è condotta la traduzione inglese di Edward Seymour.Forster (1913); la sua traduzione rivista, nell'edizione curata da Jonathan Barnes, fa ìnvece riferimento al testo di Bussemaker (1878). Alberto Magno conosce la traduzione latina di Alfredo46 e la utilizza nella sua opera De vegetabilibus, che si configura, in alcuni libri, come parafrasi del trattato sulle Piante, e che nel suo insieme costituisce non solo un commento di testi botanici precedenti, ma anche un monumentale documento del tentativo di Alberto di capire il mondo vegetale: si tratta di una summa botanica delle conoscenze e delle credenze sulle piante nella metà del XIII secolo.

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Il De vegetabilibus si inserisce nel progetto di una scienza universale, largamente condiviso in quel secolo47 , e nel vasto corpus delle parafrasi aristoteliche di Alberto: la stessa scelta della parafrasi, come metodo ermeneutico, è indicativa del suo ambizioso progetto48 • È importante osservare, in generale, che la botanica, in quanto scienza del vivente (come è stata soprattutto in ambito peripatetico), torna più volte a essere al centro del dibattito scientifico e culturale, accanto a discipline come la logica, la matematica, la linguistica, l'ermeneutica, nei periodi in cui si è più avvertita l'esigenza del confronto tra diversi modelli di scienza, e della loro necessaria integrazione. Le parafrasi aristoteliche di Alberto formano quasi la metà dei suoi scritti: sono una rielaborazione di opere aristoteliche con molte aggiunte e innovazioni, conservano spesso il titolo dell'opera di riferimento, e con poche eccezioni, non furono «oggetto. di insegnamento in aula, né l'esito di insegnamenti svolti in qualche studium. Esse furono "scritte o dettate" per i confratelli, quale impegno extracurriculare, con l'intendimento di essere lette dagli studenti per capire meglio Aristotele e acquisire il massimo possibile della sapienza umana (:filosofia), come necessario preambolo alla teologia>>49 • La dottrina esposta da Alberto è aristotelica, anche se egli corresse qualche volta Aristotele; nel De vegetabilibus, in particolare, Alberto segnala spesso la mancanza di organizzazione e l'eccessiva brevità della trattazione su singoli temi, l'oscurità del pensiero, che egli si sforza in ogni caso di interpretare e di ricondurre al dettato aristotelico, mettendo a frutto le proprie riflessioni sul principio della vita e sulle funzioni che tale principio comporta nei corpi organici: Alberto si occupò di 9gni aspetto allora conosciuto dei processi vitali5°. Così egli utilizza più volte le nozioni elaborate studiando il fenomeno del-

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la nutrizione, .centrale nella· concezione· che .Alberte>. ha della vita5 1• Alberto considera. il De plantis. come opera autentica di Aristotele; per questo forse mitiga il giudizio ·negativo sulle carenze, limitandosi a parlare di 'una certa.confusione', e attribuendo la scarsa intelligibilità alla malitia translationis o al vitiutn dei traduttori52 • La parafrasi si fonde pertanto con i suoi .interventi personali, tesi non solo ad aggiungere e a completare,.ma l:!llche a esporre quello che Aristotele intende 'effettivamente' dire: Alberto segue il testo da vicino, ma lo amplia liberamente per chiarire, per discutere il significato di termini ambigui, per inserire citazioni e passaggi mancanti della dimostrazione, per sviluppare sia le spiegazioni dei fenomeni, rendendo espliciti i criteri che possono averle sostenute, nell'argomentazione stringata di Aristotele e dei :filosofi antichi, sia gli esempi, offrendone molti altri. Non sempre tuttavia questo articolato procedimento riesce a risolvere le difficoltà del testo: l'opera di Alberto resterà in ogni caso per molto tempo il tentativo più cospicuo di renderlo comprensibile53 • Il suo contributo più originale agli studi di botanica sta nell'aver affrontato con ricchezza di osservazioni il problema della diversificazione delle piante, pur se questo impegnativo compito non ha avuto come finalità l'elaborazione di una tassonomia, di una suddivisione per 'generi' e 'spede'54 : il trattato sulle Piante è stato il punto di partenza per focalizzare i problemi di filosofia naturale, riguardanti il mondo vegetale, e di imporli ali' attenzione, come non era successo in precedenza. Il De vegetabilibus condivide con il De plantis il carattere di trattato di :filosofia naturale sulla vita vegetale; non è infatti un'opera di botanica descrittiva, anche se il VI libro può essere considerato quasi come un erbario, in cui si descrivono e si catalogano dettagliatamente le singole

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piante e le loro proprietà.5.5: la loro conoscenza è in: ogni caso subordinata alla comprensione della vita vegetale in generale. La descrizione delle piante è pertanto solo un aspetto di interessi e di compiti più ampi: parafrasare e spiegare il trattato, e rielaborare il suo contenuto (insieme a quello di altre fonti), con rma e5posizione più ordi~ nata, coerente e sistematica del materiale, con numerose variazioni e integrazioni al tema di fondo 56 • Alla scienza di Alberto Magno si oppose, come noto, Ruggero Bacone: la sua critica si inserisce nell'ambito del diffuso· dibattito sui principi del metodo filosofico e scientifico, vivo nelle scuole e nelle università europee del XIII secolc57. Entrambi tuttavia perseguirono l'obiettivo di una scienza universale, un programma di ricerca unitario, tendente alla realizzazione di un'intera enciclopedia del sapere. L'interesse di Bacone per la botanica è molto più circoscritto rispetto a quello di Alberto Magno58 ; Alan Gilbert Morton nella sua storia della botanica, mentre è pronto a riconoscere ad Alberto «some refreshingly originai observations», è invece molto critico nei confronti di Bacone, che pur riconoscendo, con maggiore consapevolezza dei suoi contemporanei, il ruolo dell'osservazione e dell'esperimento, si lascia andare, con le sue quaestiones sul De plantis a uno sterile esercizio, forse trascinato, in questa «diversion», dall'entusiasmo. di leggere un testo che egli ritiene di Aristotele59• Significativamente inoltre Bacone sceglie, per la sua esposizione, il commento per modum quaestionis, applicando il metodo della disputa.L'argomentazione (oggetto, obiezione e/o approvazione, affermazione, e soluzione) è costantemente scandita da formule introduttive: queritur utrum (queritur ani queritur del dubitatur utrum); contra (contrarium)! dicendum (quod concedo); solutio 60 • L'og-

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getto della quaestio è di volta in volta il tema affrontato nel De plantis, titolo peraltro mai ricordato nelle Questiones di Bacone (tranne che nell'intestazione), così come non vi è mai nominato Alfredo61 • Il commento parte dagli interrogativi sollevati dal prologo di Alfredo («Tria ut ait Empedocles in tota rerum va~ietate principia, etc.»), e continua con la discussione del quesito fondamentale e più articolato, da cui dipendono tutti gli altri, in stretta consequenzialità: «Queritur primo utrum in plantis sit ponere animam»62 • «These Questiones represent an account of lectures held by Roger Bacon [ .. .] in Paris during the fìve weeks devoted to the subject»: così Poortman presenta in sintesi il contributo di Bacone alla fortuna di questo testo63 • Le glosse di Alfredo e la parafrasi di Alberto Magno sono i testi di riferimento per la Sententia super librum 'De vegetabilibus et plantis' composta da Pierre d'Auvergne (Petrus de Alvernia) 64 • I dati biografici di Pietro sono pochi e in parte incerti; controversa è anche la questione sulla sua identità, sulla datazione della Sententia e sulla sua autenticità65. Poortman propone questi punti di riferimento: Pietro fu Magister Artium all'Università di Parigi in un periodo compreso all'incirca tra il 1272 e il 1290, e forse Rettore dell'Università nel 1275; i numerosi commenti a opere del C.A. risalgono probabilmente a questi anni, e sono connessi con la sua attività di Magister e con il carattere e~cidopedico dell'aristotelismo del XIII secolo66 • Pietro divenne vescovo di Clermont Ferrand nel 1302, e morì nel 130467 • Il suo commento si configura appunto come sententia; esso consiste in una resa libera del testo interpretato: il senso (sententia) è spiegato attraverso una dettagliata e ampia parafrasi. L'opera ha la struttura di una lectio: il lemmi sono seguiti dalla divisio textus e dalla expositio; talora la parafrasi si conclude con una 'nota' (notai no-

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tandum est), in cui si aggiungono spiegazioni o si richiama lattenzione su alcuni aspetti. Con esclusione della divisio textus, dell'introduziohe di propri punti di vista, soprattutto nelle 'note', attraverso le formule dico, credo, e di alcune·osservazioni botaniche, che sembrano dovute allo stesso Pietro, il commento deve moltissimo al De vegetabilibus di Alberto Magno: molti passi sono semplicemente trascritti, altri ne dipendono da vicino o ne sono ispirati, senza che lautore avverta il lettore della fonte, se non eccezionalmente68• Il commento sia di Alberto sia di Pietro consiste essenzialmente in una parafrasi; per originalità, profondità e ampiezza tuttavia quello di Alberto supera ogni altro commento del tempo.D'altra parte diversi sono gli intenti dei due autori: «Albertus' objective was to make Aristotle's basic notions intelligible to his fellow-Dominicans by means of commentaries, or rather paraphrases [...]. By contrast Petrus' Sententia De vegetabilibus should primarily be regarded as an exposition for the students of the Parisian Faculty of Arts, where the De plantis was part of the curriculum; that is to say as a subject prescribed for study: the students had to know the text. As such it was a university textboolo>69• ' In confronto ad Alberto, le conoscenze botaniche di Pietro sono limitate (forse anche per questo egli fa costante riferimento al De vegetabilius), pur se non mancano considerazioni che sembrano il frutto di personali osservazioni. L'interesse del commento di Pietro sta nel modo in cui viene seguita o meglio ricostruita l'articolazione logica del testo: la sua attenzione precipua è rivolta proprio a cogliere (o~ stabilire) collegamenti, connessioni e suddivisioni, secondo i principi della logica aristotelica, assunti ed elaborati nel Medio Evo, che regolano il concatenarsi consequenziale del discorso.

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Nel prologo70 , che precede il primo lemma com!llentato, Viene espressa'inoltre un'opinione clie resta isolata nel c~ntesto culturale del 'teìripo: il trattato sulle Piante è ritenuto opera di Teofrasto. L'autore cominèia con il delineare la figura del naturalis philosoph'us, e a enunciare quali siano i suoi intenti e quale debba essere il suo carretto modo di procedere, ricorrendo a citazioni da Platone, da Aristotele e da altri autori, tra cui Avicenna71 ; la scientia naturalis è considerata inoltre come maxima pars phi!Osophiae, che tutti desiderano conoscere72 , Stabilita la necessità di procedere alla ricerca delle cause principali («quae sunt materia et forma,- efficiens et finis») 73 , Pietro precisa che è necessario conoscere le res naturales, non solo in communi/ in universali, ma anche in speciali! in particulari; la vera conoscenza richiede che ~i debba «descendere ad particularia»74 • Aristotele ha condotto essenzialmente una ricerca riguardante la scientia rerum naturalium in communi, e solo parzialmente si è dedjcato alla scientia rerum naturalium in specialt75 • Egli ha trattato solo brevemente de mineralibus alla fine del terzo libro della f.4eteorologia 76 , e non ha pubblicato un libro sulle Piante; è stato invece Teofrasto a colmare questa lacuna: «Librum etiam de plantis non edidit, sed curo mortuus fuisset, habuit duos discipulos sibi volentes in regimine succedere, quorum unus vocabatur Theophrastus, alius Philemon. Sed ab aliis Theophrastus fuit in magisterium praeelectus-: Iste Theophrastus defectum magistri sui Aristotelis complevitr quod librum De plantis composuit>>77 • Nel suo commento, Pietro si riferisce ·a Teofrasto come autore e compositore del De plantis, utilizzando il termine actor, mentre lascia il più ovvio termine auctor per indicare altre 'autorità', come per esempio Empedocle78 • L'interesse per il trattato sulle Piante, testo su cui si basava nel Medio Evo la conoscenza della botanica pe-

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ripatetica79 , si inquadra, come si è detto, nella più generale tendenza ali'enciclopedismo80 e nel più ambizioso e impegnativo progetto di una scienza universale, di cui Alberto Magno e Ruggero Bacone sono due rappresentanti di rilievo, seppure con posizioni diverse. La scienza botanica e il trattato sulle Piante, in particolare, offrivano inoltre materia di discussione intorno al concetto di anima vegetativa, rientrando pertanto in una prospettiva più specificamente :filosofica, e nel vivo e acceso dibattito sul tema dell'anima81 . Sarà in parte così anche nel Rinascimento82, dove tuttavia si creano le premesse per svolte e progressi significativi nella storia della botanica. Il commento di Giulio Cesare Scaligero alle Piante rappresenta una novità rispetto a quello scolasticol!-2, nel metodo e nei contenuti (Scaligero si è occupato a lungo del linguaggio e di :filosofia del linguaggio, oltre che di :filosofi.a naturale84), nella sperimentazione della forma del dialogo come cornice, e nell'ambientazione conviviale della lettura e della discussione, certamente sulla scia di suggestioni antiche85 . : essa diventa nel Cinquecento , %. · L'atteggiamento n;iolto critico dello Scaligero nei confronti del trattato sulle Piante, di cui esclude la paternità aristotelica, non impedì che esso continuasse a essere un punto di riferimento essenziale, restando per lunghissimo tempo l'opera rappresentiva della botanica aristotelica e peripatetica; al contrario, 108 • Le questioni relative all'ordinamento, alla classificazione, attraverso somiglianze o differenze, e alla nomenclatura delle piante; alle loro funzioni vitali e riproduttive, e al fine che con .esse si consegue; al rapporto tra le parti e il tutto; e gli interrogativi relativi allo stabilire ciò che può essere considerato 'comune' o 'specifico', oppure 'analogo' tra piante e animali, e alla differenziazione gerarchica tra il 'genere' e la 'specie' 109 ,

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sono affrontati secondo metodi e criteri propri dell'indagine :filosofi.ca sulla natura. L'impulso che gli studi di botanica ebbero nel Rinascimento è noto, ed è stato più volte riconosciuto e descritto: tra i motivi che lo spiegano ci sono l'ampliamento di conoscenze della flora di paesi lontani, dovuto ai viaggi di esplorazione, e le edizioni, le traduzioni e i commenti -di opere antiche di botanica. Un'efficace sintesi dell' apporto di sollecitazioni sia antiche sia moderne al clima culturale che si instaura, e che favorisce questi studi, possono essere le parole di Charles B. Schmitt: : invece «ora tutte le discipline sono restituite, e le lingue instaurate: la Greca, senza la quale è vergogna .che una persona si chiami dotta, l'Ebraica, la Caldaica, la Latina>>112• Lo ammonisce pertanto a impegnarsi nello studio della. lingua greca, per prima fra le altre lingue, e di tutte le discipline e arti, e a dedicarsi «con gran diligenza>> alla «conoscenza dei fatti naturali>>: «che non ci sia mare, fiume o fontana di cui tu non conosca i pesci; e che di tutti gli uccelli dell'aria, tutti gli alberi, arbusti e frutici delle foreste, tutte le erbe della terra, tutti i metal" li sepolti in fondo agli abissi, e le pietre preziose.di tutto l'Oriente e dei paesi del Sud, niente ti sia sconosciuto»113 • Le «ammirevoli virtù>> dell'erba, èhiamata Pantagruelion («perché Pantagruele ne fu il ritrovatore») ricordano, seppure molto vagamente, al lettore dell'Odissea, la magica proprietà dell'erba moly. La sua descrizione accurata, l'accenno alla presenza dei «due sessi, maschio e femmina>> in varie piante, la preparazione del «celebre Pantagruelion>>, la disquisizione sull'uso e sulle singolari proprietà di questa erba, tra cui quella di non essere consumata dal fuoco, e sul modo di denominare le piante, .mostrano la riuscita fusione («in questa così veridica storia>>) di conoscenze botaniche, tratte anche da fonti antiche, di suggestioni letterarie, di credenze popolari114 • · Nel XVIII secolo, nell'epoca di Linneo, non tanto i libri scritti dagli uomini, quanto il libro aperto della natura, · che è sotto gli occhi di tutti, la potenza dello sguardo botanico, la capacità di osservare e ammirare direttamente la natura saranno esaltati da J ean-Jacques Rousseau come il presupposto di conoscenze naturalistiche, di conquiste filosofi.che, e di recupero di sé in un tempo finalmente 'ritrovato'. L'interazione, nell'opera di Rousseau, fra argomenti filosofici e botanici è un'interessante conferma del

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fatto che il collegamento tra botanica e :filosofia è rimasto costante nel tempo, anche quando gli studi sulle piante sono usciti propriamente dall'ambito della :filosofi.a della natura, e la sperimentazione e I'esplorazione sono condizioni ed esigenz-e ormai acquisite e imprescindibili: come altre discipline, la botanica continuerà a riflettere una visione del cosmo e del posto che l'uomo vi occupa. A Linneo, Rousseau scrive una reverente lettera: «Vi prego di ricevere con benevolenza, signore, I'omaggio d'un discepolo dei vostri discepoli, ignorantissimo ma molto zelante, il quale deve in gran parte alla meditazione dei vostri scritti la tranquillità di cui gioisce, nel mezzo d'una persecuzione tanto più crudele quanto più è nascosta, e che copre, con la maschera della bontà e dell'amicizia, il più terribile odio che mai l'inferno abbia eccitato. Solo, con la natura e voi, trascorro ore deliziose nelle mie passeggiate campestri e traggo un profitto più reale dalla vostra filosofia botanica che da tutti i libri di morale. Apprendo con gioia che non vi sono del tutto sconosciuto e che volete destinarmi qualche vostra opera. Siate persuaso, signore, che esse renderanno dilettevole la mia lettura e che questo piacere diverrà ancora più vivo per il fatto di riceverlo da voi. Do svago a un vecchio atteggiamento infantile col fare una piccola collezione di frutti e semi. Se tra i vostri tesori di questo tenore si trovasse~o alcuni avanzi con i quali voleste rendere qualcuno felice, degnatevi di pensare a me. Li riceverò con riconoscenza, unico compenso da offrirvi, ma che il cuore da cui viene non rende indegno di voi. Addio, signore, continuate a dischiudere agli uomini, e a interpretare per essi, il libro della natura. Per quanto mi riguarda, contento di decifrarne alcune parole, al seguito vostro, nella pagina del regno vegetale, vi leggo, vi studio, vi medito, vi onoro, e vi amo con tutto il mio cuore»115 •

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La retroversione greca e il prologo Sulla versione latina di Alfredo è condotta,. come si è detto, una traduzione greca116 ; successivamente, il trattato fu letto essenzialmente nella retroversione greca e nelle due traduzioni latine umanistiche, fatte su di essa117 : la prima, del 1542, è anonima; la seconda, del 1543, è di Andrés ctle Laguna, traduttore anche della Fisiognomica del C.4. 118 Nel prologo, l'autore non dice il proprio nome; ma fa riferimento alla propria comunità di appartenenza, quella degli Ausoni119 • Ermolao Barbaro dà notizia di un' attribuzione, corrente al suo tempo, secondo cui l'autore della versione greca sarebbe Massimo, identificato da -molti studiosi con Massimo Planude (c. 1255-1305)120 • Poortman avanza tuttavia l'ipotesi che il traduttore sia invece da identificare con Manuele Olobolo, contemporaneo di Massimo Planude: i due personaggi sarebbero stati t'alora confusi l'uno con l' altro 121 • · Il prologo comincia proponendo un'immagine tradizionale, costantemente richiamata anche nel corso dell'esposizione, e abilmente sfruttata per realizzare un gioco di facili ma studiate ambiguità, di connessioni, e di sovrapposizioni fra l'oggetto del trattato, le piante, e la loro valenza metaforica. La :filosofia aristotelica è paragonata a un prato, a un giardino in cui continuamente crescono e danno frutto piante rigogliose: le piante sono i libri; i frutti sono le conoscenze e gli stimoli che deriva- . no dalla loro lettura e dal loro approfondimento 122 • Tra queste preziose piante, il trattato nepì qnnrov è una pianta piccola, ma di ottima qualità, piacevole e utile, capace di suscitare il 'desiderio' degli 'amanti del sapere' di ogni parte del mondo, come tutte le altre opere di Aristotele: in questo contesto, l'autore nomina, con vero orgoglio di

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appartenenza, gli Ausoni, famosi e senza rivali nel campo della letteratura e della cultura123 • Segue uno schizzo molto interessante della storia della trasmissione di questa opera: pur nella scarsezza di informazioni precise e nel suo carattere enfatico e immaginifico, esso mostra che l'autore ha consapevolezza dello stato degli studi aristotelici nel mondo greco e latino. La sorte della 'pianta', per motivi sconosciuti, è stata non solo di inaridirsi, subendo quel deterioramento che il tempo è solito determinare, ma anche di essere estirpata radicalmente e ricacciata nel nulla, come se non fosse stata curata da nessun giardiniere, e non fosse mai venuta alla luce124 • Sconosciuta anche al mondo latino, solo gli Arabi hanno potuto goderne abbondantemente i frutti 125 , :fino a quando un personaggio di stirpe celtica, molto colto, da non cedere il pri1no posto a nessuno, e desideroso nello stesso tempo di ampliare le proprie conoscenze, i1npara l'arabo e diventa mediatore tra la cultura latina e quella araba. Grazie a i1npegno e a doti naturali, acquisisce la capacità di tradurre dall'arabo in latino, e viceversa; così anche questa opera viene tradotta e 'trapiantata', finalmente e con un successo di cui ci si è rallegrati, nel mondo latino 126 • La notizia dell'esistenza di questo trattato raggiunge l'autore, che spera e prega ardentemente di leggerlo, di saziarsi dei suoi frutti e di arricchirsi delle sue idee. Dopo una lunga attesa, in cui il desiderio ri1nane fermo, costantemente confortato dalla speranza e dalla preghiera127 , un giorno, d'i1nprovviso, arriva un Italos molto istruito e colto, lo saluta gentilmente e gli consegna il libro tanto desiderato128 • Pieno di gioia, egli si i1npossessa avidamente del libro, si dedica con zelo al suo studio, riconoscendo subìto Aristotele e il suo metodo di discussione129 •

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Grato dell'inaspettato dono, non vuole tenerlo solo per sé, e sente il dovere di ritradurlo in greco, così che esso possa essere inserito tra gli scritti aristotelici130• L'autore si sofferma poi sulla difficoltà d€l suo compito; il motivo della confusione è della scarsa comprensibilità del testo è individuato nei cambiamenti e nelle distorsioni che si sono prodotti nel corso del passaggio da una traduzione ali' altra, passaggio delineato problematicamente (sarebbe esistita una versione latina intermedia tra l' originale greco e la versione araba), così: dal greco al latino, - dal latino ali' arabo, e poi di nuovo dall'arabo in latino, e infine dal latino in greco 131 • Le difficoltà pongono l'autore di fronte a una scelta di metodo nel tradurre: la resa può essere letterale, ad verbum (-1rn-rà M:l;tv), oppure libera, ad sententiam (Km' ~wotav). Soppesati i vantaggi e gli svantaggi (la prima è esatta; ma rischia di essere oscura; la seconda è chiara, ma rischia di non essere esatta), adotta una soluzione di compromesso: dichiara di mirare ali' esattezza e di attenersi al metodo più sicuro e inattaccabile, come ha fatto altre volte, ma per ovviare ali' oscurità, aggiungerà spiegazioni e note. I dotti 'viaggiatori' saranno così presi per mano e condotti su una via facile e ampia, evitando tortuosità e luoghi impervi132 • L'autore conclude, dando un significato religioso al proprio compito e echeggiando passi biblici: rende l9de e ringraziamento a Dio, il solo sapiente e potente, di cui sono pieni il cielo e la terra, a cui appartengono la terra e quanto essa contiene, e per il quale ogni campo si adorna di ogni specie di pianta 133 • Dal prologo emerge, oltre alla passione dell'autore per la letteratura e a una certa rivalità con i Latini, l'intento di recuperare, di far conoscere e di preservare un'opera dell'antichità, e di aggiungerla agli scritti di Aristotele134 ,

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intento riuscito solo più tardi135• L'interesse per il contenuto specifico, per fa botanica, non è altrettanto in rilievo, nel prologo; come Alfredo, tuttavia,· il traduttore si mostra consapevole della complessità del testo, che richiede un'attenzione particolare, e necessita di annotazioni. Esiste un sostanziale accordo tra gli studiosi nell'attribuire al traduttore stesso gli scoli (o la maggior parte di essi) che si leggono in alcuni codici, nel margine o nell'interlinea136; in qualche caso, la glossa è incorporata nel testo, che viene così parafrasato. Dagli scoli appaiono la formazione culturale e le conoscenze del traduttore: 137 • Il giudizio molto negativo che, come si è detto, Giulio Cesare Scaligero diede di questa opera, sia del contenuto sia dello stile e delle scelte lessicali, sembra aver costituito un punto di vista ricorrente138 • È stato Meyer a rivalutare l'opera come fonte per la storia della botanica antica; successivamente la versione latina, da lui edita, fu ritenuta più affidabile della retroversione greca139 • Poortman condivide in generale questa opinione: la 'legge', secondo cui nel passaggio da una traduzione all'altra il testo si deteriora, appare inesorabile; e l'ingenua aspettativa, espressa nel prologo dal traduttore greco, di restituire per i suoi compatrioti un'opera perduta di Aristotele non si è certamente realizzata140 • Invita tuttavia a una valutazione più equilibrata e differenziata della retroversione greca, considerando che il traduttore aveva di fronte un testo latino difficile, che non conosceva l'arabo e non avrebbe potuto per questo cogliere eventuali errori o fraintendimenti, da parte di Alfredo, soprattutto nella denominazione delle piante. Egli tentò di rendere giustiZia al suo modello, di tradurlo adeguatamente seguendolo da vicino, pur senza essere rigidamen-

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te. vincolato a .una n:sa parola per parola, e di fare del proprio meglio di fronte alle numerose difficoltà incontrate, spe5so insormontabili per hri141 • Di fatto, tra le due traduzioni ci spno molte differenze (come ci sono tra la versione araba e quella latina): il testo greco si configura talora come alternativo, e in alcuni punti incomprensibile, come _si vedrà nel commento. Il traduttore greco è talvolta fuorviato da errori del suo modello, ma soprattutto introduce spesso dei cambiamenti, per ragioni non sempre chiare: di volta in volta può trattarsi di evitare termini. di cui non .si intende il significato, di semplificare passi oscuri, o di spiegarli o di migliorarli anche stilisticamente, o di infarcire i periodi di espressioni idiomatiche della lingua greca142 • Aggiunte più rilevanti, ma anche sostituzioni e. omissioni, e interventi più consistenti, introduzione di errori propri dovuti a trascuratezza e a fraintendimenti di parole o di frasi latine saranno evidenti dal commento ai singoli passi .. Si segnaleranno tuttavia anche casi in cui il traduttore greco corregge con successo erronee lezioni del suo modello 143 •

Le Piante e la.botanica antica Il primo tema affrontato fa emergere subito un aspetto essenziale di questo trattat.o, per il quale esso si configura come testo di botanica 'fìloso:fica' 144 • :Uautore parte da un'ammissione, largamente condivisa nella cultura greca, ma non senza dibattito: le piante hanno vita, come gli animali (uomini compresi); è necessario tuttavia indagare in che cosa essa consista, dato il suo diverso modo di manifestarsi. Spicca così il posto che I'opera ha nel quadro della botanica antica, accanto ad altre trattazioni di carattere biologico, e rispetto a opere di botanica descrittiva o me-

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dica. Parimenti è evidente l'attualità della questione posta, cioè l'essenza e la definizione del concetto di 'vita', ripetutamente esaminata nel corso del tempo, e oggi più che mai cruciale e decisiva in ambiti disciplinari diversi145 •

Le origini della botanica antica sono oscure, sentenzia Wtlhelm Capelle; le prime opere conservate, dedicate interamente ali' argomento, sono di Teofrasto: con esse lo studio delle piante costituisce già una disciplina scientifica146 • L'attenzione per il mondo vegetale comincia tuttavia molto prima, come documentano i frammenti dei cosiddetti Presocratici, sia quando si traggono metafore e parallelismi dal mondo vegetale, nell'ambito della più ampia indagine cosmologica e biologica, sia quando si affrontano temi specifìci147 • Parallelamente si costituiscono un repertorio di credenze popolari e un sapere specialistico di vari gruppi professionali, a cui possono aver attinto anche i primi studi di carattere :filosofico e scientifico. «Nel folclore greco le piante non sono meno numerose degli animali, anche se sono forse meno rappresentate in opere di alto livello letterario come i poemi omerici. Gli ambienti peculiari del sapere botanico sono comunque due. Il primo è il mondo dell'agricoltura e dell' orticoltura, con le sue vaste e diffuse conoscenze sulla coltivazione dei diversi cereali, degli ortaggi e della frutta. E sappiamo che i primi trattati specialistici sull'agricoltura, peraltro non conservati, compaiono verso la fine del quinto secolo. Il secondo è l'ambiente della medicina, dove le piante ebbero una rilevanza ancora maggiore degli animali. Anche qui possiamo presupporre una conoscenza piuttosto estesa, o almeno diffuse credenze popolari, su piante di uso comune come farmaci, sulle proprietà e gli effetti della cicuta, ad esempio, o delle diverse varietà dell'elleboro e di altri comuni purganti. Nello stesso tempo, anche qui

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non mancano gli specialisti, reali o presunti che siano. La medicina greca elaborò col tempo -qna vasta farmacopea~ comprendente diverse specie esotiche e comuni dì pi.ante. Testimonianze su {armaci vegetali usati nel quinto e nel quarto secolo si frovano nei trattati ippocratici e m Teofrasto, benché in generale gli autori medici siano più interessati agli aspetti dietetici e medicinali e non si preoccupino di descrivere le piante stesse. Ma apprendiamo da Teofrasto (e da altri autori) che accanto a colorò che si definivano iatroi, o medici, esistevano persone specializzate nella raccolta, nella preparazione e nella vendita di farmaci vegetali. Nel nono libro delle Ricerche sulle piante, Teofrasto parla ad esempio dei rhizotomoi, o cercatori di radici, e dei pharmakopolai, o venditori di farmaci, nominandone alcuni particolarmente celebri o significativi, come Trasia di Mantinea. Anche se i termini usati fanno pensare a una netta distinzione tra la raccolta di piante e la vendita di medicinali, non c'è dubbio che le due funzioni erano in parte coincidenti. A sua volta, anche la distinzione fra questi due gruppi e i medici può essere molto sottile e dipendente dalla pretesa, più o meno marcata, di praticare la medicina con metodi non farmacologici. Ma anche qui la possibilità di una certa sovrapposizione fra i due campi è suggerita dal fatto che un medico e scrittore di medicina della fama di Diocle compose, secondo la tradizione, un'opera dal titolo Rhizotomikon (quarto secolo). Se gran parte delle conoscenze sui farmaci vegetali appartenevano alla tradizione orale, non tutti i "cercatori di radici" erano invece illetterati, come dimostra il fatto che Crateva, autore di trattati botanici nel primo secolo a. C., era ancora definito con quel termine»148 • Dell'erbario di Crateva parla Plinio, mettendo in evidenza sia l'efficacia e il p;tere suggestivo delle illustrazioni,

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sia i loro limiti per uri.a corretta identificazione delle erbe, e opponendo la maggiore utilità della trattazione solo verbale e della conoscenza diretta: «Oltre a questi, si sono occupati della materia [erbe officinali spontanee] alcuni · autori greci [. ..]: tra essi Crateva, Dionisio, Metrodoro, che hanno adottato un tipo di trattazione molto suggestivo, ma dal quale quasi nient'altro si può ricavare se non l'idea della difficoltà dell'argomento. Hanno infatti disegnato la figura delle piante e, sotto, ne hanno indicato le proprietà. Ma la riproduzione è già di per sé poco fedele a causa della grande varietà dei colori, soprattutto quando vuole gareggiare con la natura; inoltre produce molte alterazioni la negligenza dei ricopiatoci. E poi è insufficiente disegnare le piante come sono in un solo periodo dell'anno, dal momento che il loro aspetto si modifica nel corso delle quattro stagioni. Per questi motivi gli altri autori hanno lasciato sull'argomento solo trattazioni verbali; alcuni non hanno neppure dato indicazioni sulla forma delle piante e se la sono sbrigata per lo più riportandone semplicemente i nomi, dato che sembrava loro sufficiente fame conoscere le proprietà e l'efficacia a chi se ne volesse informare. Eppure questa conoscenza in sé non è difficile; io, almeno, ho avuto la possibilità di osservare tutte le piante, eccetto pochissime, sfruttando la perizia di Antonio Castore, la massima autorità del nostro tempo in quel settore; ho infatti visitato il suo orticello, dove ne faceva crescere moltissime. Aveva superato i cento anni di vita e non sapeva che cosa fosse un malanno :fisico, e la sua memoria e la sua vitalità non erano state neppure sfiorate dal passare del tempo. E non si potrebbe trovare cosa che più di questa abbia destato l'ammirazione degli antichi» (Storia naturale XXV 8-9). Subito dopo Plinio delinea una breve storia dell'utilizzazione delle erbe a scopo magico e terapeùtico, sovrap-

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ponendo mito e realtà storica, dominato dal fascino delle storie raccontate, forse anche incredibili, ma in ogni caso interessanti e da cui si lascia attrarre, nonostante il richiamo iniziale alle conquiste scientifiche, che dovrebbero far pensare a diversi rapporti di causa èd effetto: «Già da tempo è stato trovato il modo di stabilire con anticipo le scadenze cronologiche, non soltanto quelle relative al giorno e alla notte, ma anche il momento delle eclissi di sole e di luna; e ciononostante è radicata in gran parte della gente la convinzione atavica che questi fenomeni si-ano causati da stregonerie e da erbe, e che questa scienza, l'unica che compete alle donne, sia più credibile di tutto il resto. E in effetti, dove non si sono diffuse le favole di Medea di Colchide e delle altre, prima fra tutte l'itala Circe, annoverata p~rsino fra gli dèi? Penso che derivi di lì il fatto che Eschilo, uno dei più antichi poeti, parlasse dell'Italia come terra ricca di erbe potenti [vd. Teofrasto IX 15, l; Amigues 2006, ad loc.]; e che molti abbiano detto questo del Circeo, dove lei abitò; una valida prova a tale proposito si trova ancora oggi presso i Marsi (popolazione discesa da suo figlio), poiché è noto che essi sono soggiogatoci di serpenti. Omero certo, la prima fonte delle scienze antiche, in altri casi pieno di ammirazione per Circe, in fatto di erbe ha concesso il primato all'Egitto [vd. Odissea 4, 229 ss.], quando l'Egitto non era ancora una terra irrigata, ~ome poi divenne per l'accumularsi dèl limo del :fiume. Comunque, egli racconta che erbe egiziane furono date in gran numero dalla moglie del re alla sua Elena, tra cui quel famoso nepente [vd. Odissea 4, 220 s.; Plinio XXI 159] che fa dimenticare gli affanni e induce al perdono, e che Elena avrebbe certo dovuto offrire come bevanda .a tutti i mortali. Ma fu Orfeo il primo, fra tutti quelli che si ricordano, a tramandare qualcosa sulle erbe con una qualche cura. Dopo di lui, abbiamo già detto in

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quanta consi4erazione Mu~eo ed Esiodo abbiano tenuto il polio. Orfeo ed Esiodo. ne raccomandano i suffumigi. Omero fa menzione, designandole per nome, anche di altre erbe [... ].Dopo di lui Pitagora, famoso per la sua sapienza, è stato il primo che ha scritto un libro sui suoi effetti:· egli rie àttribuisce la scoperta e lorigine ad Apollo, a Esculapio e in genere agli dèi immortali. Anche Democrito scrisse un libro sull'argomento; l'uno e laltro, dopo aver visitato i Magi della Persia, dell'Arabia, dell'Etiopia, dell'Egitto. Gli antichi furono tanto entusiasti di fronte a queste cose che fecero in proposito affermazioni persino incredibili a riferitsi. Lo storico Xanto, nel suo primo libro, racconta che un cucciolo di drago che era stato ucciso fu riportato in vita dal genitore grazie a un'erba che egli chiama bali: la stessa che fece resuscitare Tilone ucciso da un drago. Anche Giuba racconta che in Arabia un uomo fu riportato in vita da un'erba. Democrito ha detto - e Teofrasto vi ha dato credito - che c'è un'erba la quale, portata dall'uccello di cui abbiamo parlato [vd. X 40: si tratta del picchio di Marte; cfr. Democrito 68 B 300, 8, II p. 215 D.-K.; Claudio Eliano, Natura degli animali I 45], riesce a far schizzare via, al solo contatto, il cuneo inserito dai pastori nell'albero. Anche se tutto ciò appare incredibile, desta tuttavia un grande interes. . se, e spinge ad ammettere che una buona parte di vero ci sia. Perciò, a quanto ho modo di constatare, anche la maggior parte della gente ritiene che tutto possa essere fatto utilizzando le virtù delle erbe; pensano però che di moltissime siano sconosciute le proprietà. Tra queste persone, il famoso medico Erofilo, secondo il quale, dicono, alcune erbe forse portano giovamento al solo calpestarle. Certo si è osservato, all'arrivo di coloro che abbiano fatto un viaggio a piedi, una recrudescenza delle ferite e delle affezioni in genere. Questa era la medicina antica, al

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momento in cui si trasferiva per intero nelle lingue della Greci.a>> (ibid. 10-16). Nelle opere autentiche di Aristotele, la riflessione sulle piante è inserita nella discussione di temi più ampi, di carattere psicologico o biologico, ed è in un certo senso subordinata o collaterale a essi, ma costituisce un impulso molto significativo e determinante per la ricerca seguente. Anche due trattari confluiti nel CA., i Problemi e i Colori, affrontano temi botanici nel quadro più vasto di una raccolta di doxai, riguardanti argomenti molto vari, . o nella trattazione specifica della formazione dei colori e del loro vario manifestarsi nelle cose, nelle piante e negli animali149 • I pochi frammenti che ci restano di Pania (Phainias) confermano l'interesse e l'impegno del Peripato negli studi botanici150 , di cui le opere di Teofrasto rappresentano la realizzazione più compiuta e· matura. La sua ricerca si situa nel solco della tradizione aristotelica, ma con lui diventa speci3.listica e sistematica, e affronta tutti gli aspetti della vita e della riproduzione delle piante, ampliando il campo d'indagine: molta attenzione viene dedicata a questioni pratiche, legate all'agricoltura, all'orticoltura e alle proprietà delle piante officinali. Successivamente, la sempre maggiore separazione tra scienza e filosofia fece abbandonare in que5to ambito l'individuazione delle cause e l'approfondimento di problemi teorici e di metodo. Ebbe invece uno straordinario sviluppo lo studio farmacologico delle piante, già 'affrontato peraltro nel discusso libro nono delle Ricerche di Teofrasto 151 • Dopo Teofrasto si impone così la botanica medica; lo studio delle piante è finalizzato a uno scopo, quello terapeutico: esse non sono considerate per sé stesse e nella loro finalità intrinseca, in quanto enti di natura. In Dioscoride e in Plinio, lo studio delle piante significherà essenzialmente

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studio delle piante medicinali. Un passo di Plinio'. offre un quadro sufficientemente riasslJlltivo dell'impègno dei medici nella ricerca di rimedi che la natura stessa elargisce e mette a disposizione: «Presso gli antichi le cure erano queste che noi riportiamo (allora la natura .stessa in· un certo senso creava il rimedio): e sono rimastele Stesse per lungo tempo. E appunto, i libri di Ippocrate, il quale per primo e nella maniera più egregia espose i precetti della medicina, li abbiamo trovati pie~ di riferimenti .alle erbe; e così anche quelli di Diocle di Caristo, che sta al secondo posto in ordine di tempo e per rinomanza; e quelli di Prassagora, e di Crisippo, e poi di Erasistrato di Ceo. Ad ogni modo, il metodo più decantato fra quelli di cui abbiamo avuto notizia è opera di Ero:fil9, anche se egli fondò una scuola troppo sofisticata= ma sta già scivolando gradatamente verso la vuota loquacità, perché in tutti i campi la maestra più efficace è la sperimentazione, e comunque lo è in particolare nell'ambito dellà medicina. Era infatti più piacevole star seduti nelle scuole intenti ad ascoltare le lezioni, piuttosto che camminare per luoghi solitari alla ricerca di erbe diverse nei vari periodi dell' anno»152 • La Materià medica di Dioscoride è per noi la più completa e dettagliata farmacopea dell'antichità, fonte insostituibile di informazioni riguardanti le sostanze naturali, tratte dal regno vegetale, animale e minerale, utilizzate per preparare farmaci. Essa descrive ed esamina le piante . dal punto di vista morfologico, fratta del loro habitat e delle indicazioni terapeutiche, tenta una classificazione sistematica del mondo vegetale, e si propone una :finalità pratica153 • Se il meraviglioso e il bizzarro sono qualche volta prevalenti nella letteratura botanica successiva a Teofrasto, Dioscoride costituisce invece un'eccezibne154 • La lista di piante medicinali data da Dioscoride costituì un punto di riferimento costante dall'antichità all' e-

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poca moderna, insieme con· quella di Galeno, redatta tuttavia a scopo esclusivamente terapèutico; nella consapevolezza della necessità, per un medico, di acquisire una propria e diretta conoscenza delle proprietà e degli effetti dci rimedi vegetali155. L'opera di Dioscoride è molto probabilmente tra le fon'ti di Plinio (o entrambi attingono a una fonte comune), che tuttavia non la cita, come invece fa ampiamente per Teofrasto e per molti altri autori greci e latini che scrissero di botanica e di agricoltura (di alcuni, le opere non sono arrivate fino a noi) 156 • Nei libri XII-XXVII della sua Storia naturale confluisce molto materiale relativo alle conoscenze antiche di botanica, raccolto con una curiositas animata dalla ricerca di un'informazione il più possibile esaustiva e ricca, dalla convinzione dell'importanza dell'agricoltura, e anche da un sentimento della natura quale generosa dispensatrice di beni da ammirare e da comprendere, unitamente a una costante laudatio temporis acti. Meno evidente è la competenza specifica di Plinio, più compilatore che studioso di botanica, e incline ad accogliere il 'meraviglioso'; pochi e marginali sono pertanto 1 passi in cui si evidenziano la sua esperienza personale e il suo contributo. Una cospicua sezione di questa summa pliniana è dedicata alla botanica officinale: di particolare interesse è il libro ventiquattresimo, che dipende quasi esclusivamente da fonti greche, e offre un quadro degli sviluppi di questa branca della botanica in epoca ellenistica, in collegamento con l'espansione greca in Asia, che favorì i contatti con la sapienza orientale 157 • La botanica è parte, in Plinio, dell'enciclopedia delle scienze, che è a sua volta il frutto di una tendenza inversa rispetto a quella espressa dal Peripato e continuata nell'Ellenismo, in cui prevalgono la specializzazione e la relativa autonomia delle diverse discipl~e. Ma 158 • Diventa pertanto ancora più evidente l'importanza storica dello scritto sulle Piante, che si configura come rm trattato (pur se di carattere compilativo e non di ricerca, e quindi non propriamente di carattere teofrasteo, nonostante i contenuti desrmti, soprattutto in alcrme sezioni, dalle Ricerche sulle Piante), e non come erbario; esso inoltre riflette rm'impostazione diversa da quella di Dioscoride e di Plinio, e mostra la persistenza di rm interesse puramente teorico. La botanica peripatetica sarà nota essenzialmente attraverso le Piante, sia nel Medio Evo, sia nel Rinascin;i.ento, quando pure si recuperano i testi di Teofrasto. L'indagine preliminare, teorica, che l'autore delle Piante annrmcia, occupa solo una parte dell'argomentazione (815 a 10-818 a 4), ma riaffiora qua e là anche nel seguito riguardo soprattutto all'analogia tra piante e animali, e alla distinzioni tra parti 'omeomere' e 'anomeomere'. Il resto dell'esposizione assomiglia a rma successione di 'schede', in cui confluiscono nozioni di morfologia e di fisiologia botanica, e ha rm andamento empirico e descrittivo, rirmendo materiale di varia provenienza, e in gran parte desrmto da Teofrasto. Questa struttura, in cui rma parte teorica precede rma parte empirica, di carattere descrittivo, si nota anche in altri trattati cosiddetti minori del CA., dove tuttavia ha una funzione diversa: mettere in evidenza i presupposti della ricerca, e richiamare principi e teorie precedenti, accolti o rifiutati, per dare una base a un sapere specifico, a una

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techne, sorretta da regole e dal logos. Analogo è invece l'interesse che proprio le introduzioni di carattere teorico suscitano: esse costituiscono le sezioni più interessanti e vivaci di questi trattati, destinate a incidere profondamente nella riflessione seguente; sono anche le più -compatte, dal punto di vista strutturale e argomentativo. Nel caso delle Piante, se si riconosce l'autore in Nicola di Damasco, vissuto in un'epoca relativamente tarda, la preoccupazione di dare un fondamento a una techne sembra secondario. L'autore non ha, se non occasionalmente, idee o opinioni originali; il suo intento appare quello di offrire una compilazione di temi botanici, destinata a lettori curiosi e interessati a rielaborazioni e a divulgazioni di conoscenze nei vari settori della scienza159, o anche a scopi didattici160 • L'opera appare come un agglomerato di parti giustapposte, di nozioni e argomenti che si accumulano nel corso dell'esposizione: questo suo carattere è difficilmente contestabile, anche se essa conserva una certa unità, data dall'incastro dei temi, per associazione analogica o semplice ripresa, e dai principi teorici che la sostengono, pur se essi sono semplicemente applicati é non discussi. La connessione appare tuttavia esiguamente motivata e argomentata, e lo sviluppo delle varie sezioni è spesso del tutto insufficiente. Nonostante ciò, il tentativo di riunire due fondamentali indagini, quella comparata e quella eziologic~, di Aristotele e di Teofrasto, caratterizzate sia da affinità sia da divergenze, rappresenta un momento interessante nella storia della botanica, considerando anche la diversa impostazione che i trattati di botanica hanno nel periodo successivo all'attività dei due maestri della scuola peripatetica. L'autore non approda a una visione organica, di sintesi o di superamento, di avanzamento verso significati-

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ve novità; ma il rilievo che viene dato alla questione del sesso dclle piante p~ò .essere considera~~ parzialmente (di per sé, e non. per le _nozioni che vengono espresse al proposito) anticipatore della più proficua attenzione rivolta a questo aspetto ess~nziale della riproduzione delle piante dai ricercatori di età modema161 • · ·

L' àmpia sezione introduttiva attinge a varie opere di Aristotele, in cui si parla dell'anima delle piante e delle sue funzioni, e delle differenze con quella degli animali162 • Il confronto dialettico con chi in precedenza si è occupato dello stesso teina (Empedocle, Anassagora, Democrito, Platone e altri autori anonimi) scandisce e articola l' esposizione, secondo una modalità tipicamente aristotelica, ben individuata, si è visto, anche dall'autore del prolo. go della retroversione greca. Come in Aristotele, inoltre, l'argomentazione si arricchisce del confronto con lo studio sugli animali: l'indagine comparata tra piante e animali/uomini, tipicamente aristotelica (Teofrasto è a questo proposito molto più cauto), si basa sulla possibilità e sulla legittimità di stabilire analogie tra di essi, riguardo all'anima, alle funzioni e alle capacità, alle parti del 'corpo' vegetale e animale. Nelle Piante, il ricorso all'analogia sembrerebbe essenzialmente motivato. dall'opposizione iniziale 'palese' I 'nascosto': la vita, nelle piante, non si manifesta altrettanto chiaramente, come negli animali; l'analogia è pertanto un mezzo per scoprirla, secondo un noto principio. Constatata l'esistenza della vita nelle piante e- negli animali, ci si interroga sulle somiglianze e sulle differenze che la contraddistinguono; sul tipo di anima che le piante hanno, o non hanno; sulla capacità o incapacità di percepire, di provare desideri e 'passioni', come il piacere e il dolore. La sensazione emerge, aristotelicamente, quale

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possibile e convincente discrimine tra esseri viventi163 • Si indaga anche sulla possibilità o impossibilità di attribuire alle piante caratteristiche tipiche della :fisiologia animale: la respirazione, l'alternarsi degli stadi di veglia e di sonno, la presenza di residui, la distinzione dei sessi e la loro funzione nella riproduzione. Il concetto di movimento, che nella sua complessità implica, oltre allo spostamento locale (evidentemente escluso nelle piante che sono fissate al terreno), anche il mutamento e l'alterazione nella quantità e nella qualità, e che è strettamente legato al concetto di vita in Aristotele, costituisce un'altra s:fida per il botanico, che non voglia fermarsi alle apparenze. Tipi e meccanismi con cui gli esseri si riproducono, durata e :finalità della loro esistenza sono altrettanti temi oggetto di ricerca. Si configura così immediatamente, anche se solo in modo implicito, l'ambito teorico in cui queste considerazioni si inseriscono: il posto delle piante nella scala naturae; il passaggio graduale e continuo dall'inanimato ali' animato, dalle piante agli animali, dall'essere più semplice a quello più complesso, dall'incompletezza alla completezza, dall'imperfezione alla perfezione; il limite tra ciò che può essere considerato vita e ciò che non può esserlo. Nella molteplicità dei problemi sollevati e delle soluzioni prospettate, si inserisce anche l'accenno al concetto di 'parte', asse portante dello studio comparato condotto nelle opere aristoteliche: ai mele diorismena degli animali si contrappongono quelli adiorista delle piante164 • Esso può essere considerato qui come anello di congiunzione tra la prima sezione e la seguente165 • Le parti sono nominate e classi:ficate a ~econda delle loro caratteristiche, qualità e proprietà, e della già ricordata distinzione fra parti omeomere e parti non omeomere, basilare in Aristotele e in Teofrasto. Le moltepli-

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ci differenze, di çui bisogna timer çonto, rinviano a una questione fondam~tale, che: affiora .dall'insieme dell' argomentazione un po' farraginosa: la difficoltà di definire lessenza delle piante e le loro parti, e il problen;ia del rapporto fra parti dell'anima e parti della pianta166• Ciò sembra riflettere più da vicino le osservazioni di Teofras.to sui margini di appliq:1bilità dell'analogia con le parti degli animali167 • La stessa classifiçazione del mondo vegetale168 rkhiama quella proposta da Teofrasto; così come l'insistenza sulle molteplici differenze da individuare, sulle distinziorii da fare fra parti comuni a tutte le piante e parti tipiche di alcune, sul rapporto fra 'parte' e 'natura' della pianta, rinvia alle sue opere. Più generalmente, il. problema e la n~cessità della classificazione, .i criteri su cui basarla, le somiglianze e le differenze significative, il valore degli esempi e delle descrizioni, il loro apporto all'argomentazione, e il ruolo del ragionamento costituiscono temi e interrogativi centrali nella botanica filosofi.ca antica, che la botanica moderna eredita ed elabora, con consapevolezza sempre maggiore della complessità, sia per la scoperta di nuove specie sia per la sfida epistemologica implicata nel 'classificare'. Uno degli argomenti più ricorrenti nella bQtanica antica è quello del rapporto tra le piante e lambiente in· cui vivono, le caratteristiche (fisiche e chim,iche, diremmo oggi) del luogo, del terreno, del clima, i mutamenti accidentali che possono intercorrere nel loro habitat in relazione a questi fattori, con conseguenze sulla loro vita, sulla capacità e sulle modalità di riproduzione, sulla frut- tifi.cazione, e sulle loro proprietà alimentari o medicinali. Nell'antichità, l'attenzione a questo rapporto e le conoscenze che ne derivano hanno in. prevalenza fìni pratici, di utilità per agricoltori e raccoglitori di erbe. Questo

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rapporto assume tuttavia un significato più ampio, come è evidente dallo stesso accurato rituale di raccolta1 ~9; la pianta non è sòlo influenzata dall'ambiente esterno, ma lo influenza a sua volta, trae forza da tutti gli elementi, è infissa e affonda le radici nel terreno, ma si dirige anche verso l'alto, diventando mediatrice di tre mondi: essa ha un posto significativo nella struttura e nell'armonica organizzazione del cosmo, anch'esso vivente. Nel nostro trattato, il collegamento tra ambiente, natura e qualità della pianta è funzionale a mettere in evidenza le variazioni nella forma e nelle caratteristiche, a porre l'accento sulle 'cause', seppure immediate (e legate essenzialmente alla dinamica relazione tra gli elementi e le loro qualità), che consentono di rendersi conto sia dei cambiamenti attesi sia delle deviazioni da ciò che ci si aspetta, secondo un'impostazione prettamente peripatetica. Il tema diventa così sempre più centrale nell' argomenta.Zione, come dimostrano le sue continue riprese, dopo che se ne è parlato nell'ambito dell'analisi delle diversità indotte dall'esterno 170 • Nell'introduzione, i riferimenti teorici sono rappresentati dagli studi sull'anima e sulle sue funzioni; nelle sezioni seguenti è la speculazione sugli elementi a fare da guida. Intorno a questi due poli continuerà per moltissimo tempo a imperniarsi la ricerca botanica di impostazione filosofica, che si ispira, direttamente o indirettamente, alle Piante. Nel secondo libro si descrivono empiricamente la costi. tuzione e le qualità delle piante, in relazione agli elementi di cui sono costituite, e si esamina il 'movimento' che permette la loro nutrizione, considerandolo in modo essenzialmente meccanico171 • La descrizione dei processi di nutrizione e di accrescimento comporta un nuovo confronto con quanto accade

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negli animali, e si avvale anche dell'analogia con alcuni fenomeni naturali, e di esempi tratti dal mondo inorganico. Emergono inoltre due concetti tradizionalmente ricorrenti nella spiegazione di fenomeni vari: 'attrazione' e 'cozione'. La peculiare conformazione delle piante, in cui sono assenti quegli organi deputati all'introduzione e all'elaborazione del cibo negli animali, implica che esse 'attraggano' il cibo, in gran parte già elaborato, dalla terra. Il procedimento di cozione è comune al mondo organico e inorganico, ma si esplica con modalità e con effetti diversi nelle piante, negli animali, e nel mondo inorganico. Diversa è poi la natura dell'agente comune e determinante, cioè il calore: negli animali si tratta del calore innato; nelle piante, al calore·innato si aggiunge il contributo decisivo del calore esterno. Analogie e differenze sono riscontrabili anche nel modo in cui il nutrimento si diffonde e si distribuisce alle varie parti. Generazione e sviluppo delle piante sono strettamente connessi con il luogo in cui vivono; si torna così a quello che appare il tema 'ecologico' di gran lunga dominante172• L'autore mette in evidenza due condizioni necessarie per la nascita di una pianta: la materia per accrescersi e il luogo adatto alla sua natura. Individua poi più da vicino nel seme, nel terreno, nell'acqua, in giusta quantità, e nell'aria confacente i fattori e le possibilità di generazione e di crescita. Oltre che da un seme, le piante possono prodursi da umidità in putrefazione (per generazione spontanea), dall'acqua, dalla terra o, come parassite, da un'altra pianta. In questa sezione, si fa un accenno alla relazione tra il loro luogo di crescita e le loro proprietà alimentari o medicinali. I temi già affrontati vengono ripresi nell'ultima parte, focalizzando l'attenzione su certi mutamenti e variazioni che possono prodursi nella generazione, nella costituzio-

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ne interna e nell'aspetto, nelle qualità accidentali, delle piante. Tra questi ampliamenti, spiccano per estensione e per interesse, se si pensa all'eredità che essi raccolgono e all'influenza che essi hanno esercitato, il problema della direzione di crescita e di sviluppo delle piante; e la spiegazione della caduta delle foglie, e del manifestarsi dei colori, diversi in relazione a fattori esterni, legati all'ambiente, e al tempo, int~o sia come stagione dell'anno sia come periodo della vita di una pianta: i colori, come nell'omonimo trattato del CA., sono connessi con glielementi e gli stati della materia, e con i succhi. I rapporti e la reciprocità d'azione delle qualità (caldo, freddo, secco, umido), che sono costantemente alla base dei fenomeni di volta in volta descritti, guidano anche l'argomentazione conclusiva, relativa ai 'succhi' delle piante e ai sapori dei loro frutti, affrontata in alcune opere antiche (anche in relazione ai colori, e alle proprietà culinarie e terapeutiche) e destinata a larga fortuna: si intravede qui l' abbozzo di una classificazione più capillare dei sapori, che diventerà abituale nel Medioevo173 • Il trattato, nonostante le oscurità, e lo stato attuale del testo (o meglio, dei testi), che non sempre permette di capire quale fosse il pensiero originario dell'autore, ha un'importanza storica rilevante: in esso confluisce una serie di nozioni e di questioni botaniche, derivate da fonti diverse e diversamente impostate, secondo una tendenza a riproporre, in modo quasi dossografìco ed eclettico, la speculazione precedente, per un pubblico più vasto di cgriosi o per quello più ristretto della scuola. L'indagine sulla vita e sulla sua specificità, sul sesso, sulla struttura e sulla costituzione delle piante, sui processi che in esse avvengono, sulla classificazione del mondo vegetale, e il confronto con gli animali si ricollegano alla botanica filosofi.ca; l'andamento della maggior parte

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del trattato è tuttavia descrittivo. I due momenti, quello teorico e quello empmco, che si fondono efficacemente nell'opera di Teofrasto, sono invece qui giustapposti. Inoltre, la finalità dello studio delle piante (finalità più volte sottolineata da Aristotele), volto a integrare e a completare quello del cosmo e degli esseri, che in esso vivono e che occupano un posto diverso in senso scalare, e a indagare sull' an.llna e sulle sue funzioni, è solo parzialmente e implicitamente riflessa nella parte introduttiva, ma continuerà a essere un aspetto essenziale della ricerca botanica, almeno fino a quando essa resta nell'ambito delle 'storie naturali', e non entra a far parte della 'biologia' 174 , assumendo una prospettiva storica, nel passaggio appunto dalla storia naturale alla storia della natura. Oggi la domanda sull'essenza e sull'origine della vita, sulla sua comparsa sulla terra, il concetto di 'biodiversità' e la ricerca delle 'specificità' del vivente richiamano concetti e problemi antichi, ma in modo radicalmente rinnovato nei metodi e nei contenuti, oggetto peraltro di continuo approfondimento, e di dibattito ancora aperto in varie discipline.

Lo studio del vivente

Lo stretto legame tra l'uomo e la vegetazione si è espresso nel corso del tempo e nelle diverse civiltà in modo altrettanto evidente e intenso quanto quello tra uomo e animale, non solo perché il mondo vegetale h~ rappresentato per l'uomo una fonte facilmente e immediatamente disponibile di cibo e di sostentamento, per soddisfare la primaria necessità di alimentarsi e per procurarsi rimedi capaci di curare ferite e malattie, e alleviare sofferenze: come è noto, il de-cisivo avanzamento della civiltà umana,

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nel passaggio dal nomadismo alla sedentarietà, è correlato anche alla pratica dell'agricoltura e dell'alleyamento. Le rappresentazioni di vegetali nelle pitture rupestri di età preistorica, seppure più rare rispett9 a quelle degli animali, t~stimoniano tuttavia già un rapporto più complesso con quel· mondo, sia che le pitture siano da intendere come manifestazione di un senso artistico, di un'attenzione verso elementi del contesto. in cui si vive, sia che esse abbiano un valore magico o rituale, La pitture della civiltà minoica e delle civiltà orientali (Egitto e Mesopotamia) sono un'espressione ormai compiuta dell'interesse per le piante (indigene o importate), sia per quelle economicamente utili, sia per quelle utilizzate e apprezzate per la loro bellezza, coltivate in giardini concepiti e costruiti anche, o prima di tutto, come luogo di piacere e di ristoro, come esibizione di ricchezza e di potenza: famosi restarono per tutta l'antichità i giardini pensili, detti di Semiramide. Fin da età molto antica è documentata l'utilizzazione delle erbe per estrarne coloranti, per la pittura o la tintura di materiali diversi; così come è noto il posto che, in Grecia e altrove, i vegetali hanno nei riti, nel culto, nella magia, nelle feste, nelle celebrazioni dei vincitori dei giochi, nelle riunioni simposiali, nei vari momenti della vita e dell'attività umana, sia in quanto costituiscono un semplice ornamento, sia in quanto ogni albero, ogni erba o fiore possono avere anche un valore simbolico e caricarsi di un significato attribuito loro dall'uomo: in moltissime religioni filitiche, gli alberi stessi sono oggetto di culto, e manifestazione della presenza divina175 • L'osservazione del ciclo stagionale di m9rte e di rinascita delle piante ha attratto e affascinato l'uomo da sempre, e lo ha gradualmente condotto a concepire una dimensione cosmica della vita, e a cogliere analogie con

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la propria condizione di caducità, con l'intento, talora, anche di spiegarla o perfino di superarla. Una riflessione più consapevole e articolata sul mondo vegetale sembra cominciare con il tentativo di strutturarlo e di mettere ordine nella sua varietà e mutevolezza, attraverso la denominazione e la classificazione delle specie, sia per un'immediata :finalità pratica, in ambito medico e alimentare soprattutto, sia per inserirlo in un articolato sistema di conoscenze, controllato da un gruppo dominante in alcune società176• A :finalità pratiche, e soprattutto all'uso medicinale delle piante, alla loro raccolta, descrizione e catalogazione, è indirizzata una parte della botanica anche in Grecia, come si è visto. Ma in Grecia, lo studio -del mondo vegetale è essenzialmente studio sul vivente, in accordo con la peculiarità della speculazione greca, tesa a un sapere che ha in sé stesso la propria validità e la propria giustificazione, rispetto a quella più tipica di altre civiltà antiche, volta in prevalenza ad acquisire un sapere di pratica utilità e di iin.mediata applicabilità177• Con la riflessione greca ha inizio la botanica come scienza, strettamente collegata all'indagine filosofi.ca sul cosmo e sugli esseri viventi, e intesa come parte della historia, della 'ricerca' sulla natura. Il termine greco phyt6s è un aggettivo verbale che significa propriamente 'formato dalla natura', 'naturale', o in senso attivo 'fertile', 'produttivo'. Il neutro sostantivato to phyt6n, reso generalmente con i termini 'pianta', o con 'albero' o con 'vegetale', indica 'ciò che spunta, cresce, germoglia' e si dice dei vegetali in opposizione a to zoon. Esso può essere utilizzato nel senso esteso di 'creatura, essere vivente', o traslato di 'progenie'178• Alla stessa radice che indica 'il germogliare, il crescere, lo Svilupparsi',

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rappresentata molto bene nelle principali lingue indoeuropee, appartiene come.è noto il termine physis, 'natura'; con la varietà delle sue accezioni179: è interessante notare che l'unica attestazione di physis in Omero (e prima attestazione per noi di un vocabolo così importante) è connessa con la descrizione di una pianta, nel contesto in cui Hermes dà a Odissea il pharmakon benefico che dovrà proteggerlo dai malefici di Circ:e: >222 • «L'anima è la causa e il principiò del corpo vivente. [...] l'essere per i viventi è il vivere, e causa e principio del vivere è l'anima>>: è l'altra nota e basilare affermazione di Aristotele nello stesso trattato223 • Fin dall'antichità si è discusso come la nozione di 'vita' venga approfondita e esplorata nei vari trattati, che hanno impostazioni diverse; in quale modo la dottrina dell'anima e le sue concezioni della vita siano congiunte, e come ciò si esprima nell'altrettanto nota formulazione secondo cui 224. Un altro problema interpretativo è costituito dai criteri differenziati, che nei diversi contesti diventano significativi ed emergono nella descrizione e nella definizione della vita: funzioni e capacità quali il nutrimento e la riproduzione, il movimento o l' automovimento, la percezione, la respirazione, il pensiero225 ; o 'strumenti' (o principi, talora) quali il calore innato/fuoco e lo pneuma, derivati anch'essi dalla tradizione226• Ancora, ci si· chiede se esista un'idea unitaria di vita; . o un divario fra le impostazioni del trattato sull'Anima e i trattati biologici, o anche all'interno di questi, e se, ed eventualmente fino a che punto, l'argomentazione relativa alle funzioni dell'anima e ai processi :fisiologici contenga contraddizioni inconciliabili, 6 difformità, o se invece i contrasti siano solo apparenti, e dovuti o a diverse prospettive, a mancate precisazioni, o anche al fatto che alcune questioni sono lasciate aperte da Aristotele227 • In relazione all'evidenza della vita nelle piante228 , e alla riflessione su di essa, condotta da Aristotele in modo comparativo e come utile supporto all'indagine zoologica, e non come questione a sé stante, si impone il proble-

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ma del loro posto nella scala naturae, e delle capacità (si nutrono e si riproducono) o incapacità (non percepiscono e non hanno movimento locale) che determinano la loro collocazione nel gradino più basso del vivente; d' altra parte, il passaggio graduale dall'inorganico all'organico, dalla non vita alla vita, in una sequenza che peraltro si ammette come continua, rende difficile e controverso l'individuare condizioni e stadi intermedi, e stabilire dei con.fini. Ogni volta, l'idea più semplice, collocata spazialmente nel gradino più basso, è assorbita nel concetto più complesso e 'alto': ciò che assicura una sequenza ordinata e in un certo senso implicitamente unitaria. Tuttavia non si comprenderebbe immediatamente il posto inferiore che le piante hanno nella scala, se esse sono appunto esseri viventi229 • Importante diventa allora la distinzione introdotta da Aristotele tra animali ('tà çcpa) e esseri viventi ('tà çrovm), accanto a quella tradizionale fra animali e esseri inanimati ('tà &,1ruxa) 230: 231 • Tra animale e pianta esiste inoltre un discrimine: >239. I.: autore, insistendo sulle inevitabili difficoltà che la :filosofi.a della scienza incontra quando affronta problemi come quelli della mente, della coscienza e della vita, sottolinea ancora che la vita «è semplicemente la reificazione del processo vitale. Si possono specificare e adottare criteri per definire ciò che è vivente, ma non vi è affatto una "vita" indipendente in un organismo vivente. Il pericolo di assegnare a questa "vita" un' e~istenza separata analoga a quella di un'anima è troppo grande [. .. ]. Evitare nomi che non sono nient'altro che reificazioni di processi facilita assai l'analisi dei fenomeni che sono tipici della biologia.>>240. L'opposizione antica fra teorie meccanicistiche e teope vitalistiche è stata più volte operante nel corso della storia241 ; oggi essa sembra reintegrata, in un certo senso e in una certa misura, in altre opposizioni o in altri modelli interpretativi ed euristici, effetto (o causa) di nuove conoscenze e del superamento di concetti inadatti, erronei, o solo troppo limitati e angusti per comprendere la complessità e la diversità della vita. Dibattuta è la stessa affermazione dell'autonomia della scienza degli organismi viventi, anche in relazione ali' obiettivo di arrivare a una scienza unica, o di ripristinare l'unità della scienza242 . Oggi la discussione di questi aspetti legati alla definizione del 'vivente', e al confine tra 'animato' e 'inanimato' è più che mai pressante e decisiva in molti ambiti, e si impone a livello non solo teorico, e nelle discipline tradizionalmen-

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te implicate in questo dibattito, ma anche pratico, nelle scelte che il singolo individuo fa, per sé o per i familiari, di fronte a certi eventi drammatici, scelte che.la bioetica è ora chiamata a orientare secondo determinati principi, enunciati proprio in relazione a ciò che può definirsi 'vita' o il suo contrario, il suo inizio o la sua :fine.. Strettamente connesso con lo studio sul vivente è il problema della nomenclatura e della classificazione, che d' al- · tra parte riguarda, soprattutto in epoca moderna, anche il mondo inorganico. Rispetto ad altre civiltà antiche, esso è stato affrontato nella cultura greca in modo molto più articolato, sia a livello teorico sia a livello pratico, e con una approfondita consapevolezza delle difficoltà e dei limiti, e del significato epistemologico. Il contributo essenziale e storicamente più influente è stato quello di Aristotele, in ambito zoologico (e solo di riflesso in quello botanico, riguardo agli stadi intermedi), e di Teofrasto, in ambito botanico243 • Uno degli obiettivi primari e comuni a molte civiltà, specialmente in determinate fasi della loro storia, o in relazione a specifiche esigenze, è stato .di mettere ordine nella molteplicità e diversità degli oggetti e degli aspetti culturali e naturali, attraverso la loro classificazione (o la semplice identificazione), il loro raggruppamento in categorie o classi. Esso ha rivestito un interesse eminentemente pratico, oppure sia pratico sia teorico, come in Grecia: il dibattito sul procedimento e sui criteri, sui metodi, sulle :finalità che lo fondano e lo giustificano è stato più che mai vivo nell'Accademia e nel Peripato. Aristotele, nel trattato sulle Parti degli animali, analizza il metodo dicotomico, seguito e affinato nell'Accademia, e da lui utilizzato nelle Ricerche sugli animali-44 , e ne mette in rilievo l'insufficienza: la critica di Aristotele

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presuppone un·dibattito sul corretto metodo da adottare nella tassonomia zoologica. «Si deve cercare di considerare gli animali secondo i generi, seguendo la via indicata dai più, che distinguono il genere degli uccelli da quello dei pesci. Ognuno di essi è definito da molte differenze, non in modo dicotomico. Seguendo quest'ultimo infatti, o non sarà affatto possibile far presa sui generi (poiché lo stesso genere ricade sotto più divisioni, e generi opposti nella stessa), oppure vi sarà una sola differenza, e questa, sia semplice sia risultante da una combinazione, costituirà la specie ultima. Se poi non si può mantenere la differenza in linea con la differenza maggiore, è necessario che, al modo di coloro che danno unità al discorso con la congiunzione, così si ottenga anche la continuità della divisione»245 • La definizione più chiara e sintetica del procedimento della zoologia aristotelica, quale risulta dall'argomentazione del primo libro delle Parti, può essere questa: «in un certo senso, è grazie alla configurazione delle parti e dell'intero corpo~ quando presenti similarità, che si definiscono i generi»246. La mancata realizzazione di una vera e propria classificazione sistematica, e il carattere non definitivo e talora mutevole (a seconda dei contesti e dei problemi esaminati) della tassonomia aristotelica sono stati a lungo indagati: «si tratta in realtà di abbozzi funzionali, che si basano su caratteri or.a anatomici ora :fisiologici (locomozione; riproduzione), é"che mai tendono a prendere il sopravvento sulla concreta individualità della ousia vivente»247 • Restano in ogni caso stabili la grande distinzione tra animali sanguigni e animali non sanguigni, e le sue suddivisioni interne; e rimane il contribùto che le enunciazioni aristoteliche sul metodo da adottare hanno dato alla ricerca seguente: «Benché la classificazione degli animali non sia l'obiettivo primario di Aristotele, che mira invece alla

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comprensione della struttura funzionale di ogni singola specie, [...] egli produsse sviluppi tassonomici in zoologia destinati a restare insuperati fino a Linneo e Buffom>248 • Nella sua indagine botanica, Teofrasto si attiene, in linea generale, ai presupposti dottrinali e metodologici di Aristotele249 • La sua classificazione dei vegetali, di tutti o della maggior parte, in eide (alberi, arbusti o frutici, suffrutici, erbe250), che trova un riflesso anche nel trattato sulle Piante, è proposta appunto sulla base della loro diversa forma, ed è presentata come essenziale e fondamentale, e come utile strumento di studio: una considerazione, questa, molto importante, se si pensa alle finalità pratiche (medicinali o alimentari) che strutturano invece la maggior parte dei testi antichi di botanica251 • Teofrasto avverte tuttavia subito dopo che le definizioni date devono essere accolte con riserva e considerate come formule schematiche: le piante possono subire dei mutamenti, oppure, se coltivate, possono differenziarsi e allontanarsi, deviare dalla loro natura252 • Altre classificazioni sono possibili e sono descritte, sempre sulla base delle diaphorai (riguardo ai mere, ai pathe, alle geneseis, ai bzoi) elencate all'inizio delle R.icerche253 : esse spesso interferiscono una con l'altra e costituiscono l'ossatura dell'opera. La loro validità relativa è costantemente richiamata: la pianta è un organismo variabile e difficile da definire in termini generali254 ; questo si può dire in certa misura anche delle parti che la compongono255 • Teofrasto avverte più volte che lo studio delle piante ha proprie esigenze e peculiarità, e che non bisogna lasciarsi tentare da analogie tra piante e animali, perché i confronti o le corrispondenze sono spesso fuorvianti e non giustificabili, date le rispettive specificità delle parti256 • Il problema della classificazione implica la questione relativa alla terminologia tecnica e alla denominazione

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delle piante. Sia in Aristotele sia in Teofrasto, come è noto, i termini genos e eidos, e altri che attengono ai procedimenti di differenziazione e di raggruppamento, non sono coerentemente utilizzati, né corrispondono ai nostri concetti tassonomici257 ; d'altra parte l'esigenza di un linguaggio tecnico è ben awertita nel Peripato258 • Anche nella definizione e nella denominazione delle piante, e delle loro parti, ci sì attiene generalmente alla tradizione e al linguaggio quotidiano, come nel caso degli animali259. I principi e i procedimenti che regolano e guidano la formazione del lessico botanico in greco e in latino sono stati oggetto di molti studi260 : insieme con quelli dedicati al lessico della zoologia e della medicina hanno portato un notevole contributo all'ampliamento della ricerca sui lessici tecnici. In epoca moderna si è imposto, nella denominazione scientifica delle piante, il sistema di nomenclatura binomiale di Linneo (nome latino del genere, il primo, e della specie, il secondo): esso ha il vantaggio di rendere immediatamente comprensibile il riferimento, e di facilitare l;memorizzazione261 • Ordinamento (dispositio) e attribuzione di npmi (denominatio) costituiscono per Linneo il duplice fondamento della botanica; «ciò che Linneo si proponeva di fare con le piante era proprio quanto John Wtlkins si era proposto di fare con le parole»262 • Fra il Seicento e il Settecento si assiste infatti a un incrociarsi, e a una ripresa, di tradizioni culturali, antiche e moderne, e a un vivace dibattito che coinvolge in modo particolare filosofi., linguisti, zoologi e botanici. Lo studio delle piante, che ha ormai assunto una sua autonomia e ha abbandonato la pura impostazione empirico-descrittiva, torna su questioni di metodo, di terminologia e di classificazione, e trova delle convergenze con lo studio sulla lingua263 • La costruzione di sistemi, il progetto di

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una lingua universale, e di una completa e ordinata classificazione delle lingue e delle cose naturali si trovarono così strettamente connessi264 • La violenta reazione di Buffon che rifiutò, oltre alla classificazione di Linneo, l'idea stessa di un sistema ·generale e universale, in nome di una 'còntinuità' della·natura e di un deciso convenzionalismo, determinò una contrapposizione, che divenne tuttavia gradualmente meno netta265 • Realismo e· convenzionalismo sono tornati a confrontarsi nella biologia contemporanea266, pur nel superamento di alcune ingenue posizioni non più condivise. Ancora attuale e controverso è il dibattito sulla classificazione tassonomica, soprattutto in relazione al concetto di specie (che è alla base della classificazione, ma per la cui identificazione non esiste un criterio univoco267 ): l' aumento dei dati e delle informazioni, l'affinamento delle conoscenze e delle acquisizioni nell'ambito della genetica, i limiti diversi assegnati al mondo delle piante hanno inoltre portato all'introduzione di altri gruppi tassonomici, e a classificazioni che sì basano su criteri diversi268 •

La quercia e la roccia

La metafora dell'uomo come pianta capovolta, con la pregnanza del suo valore analogico, ha una precisa funzione nei contesti filosofici in cui si afferma, come si è visto. Aristotele individua una peculiarità della metafora in genere, nel fatto che essa non si può apprendere da altri, e implica invece un talento naturale da parte di chi la crea. In realtà essa presuppone, come ogni altro processo cognitivo, una complessa e articolata interazione con il più ampio sistema culturale e con l'immaginario collettivo. Esiste nelle diverse culture un patrimonio di associazioni

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analogiche possibili e di immagini tradizionali: I'analogia fra la terra e la madre, e l'immagine dell'albero rovesciato sono tra le più comuni269 • Anche nella storia del rapporto fra l'uomo e la pianta, così come in quella tra l'uomo e l'animale (certamente più.indagata, sulle tracce di.una diffusa.' coscienza :fisiognomica', a vari livelli), ·si constata la reciproca proiezione di un mondo sull'altro, secondo una visione antropomorfica, attiva nei due sensi: animali come uomini e uomini come animali; piante come uomini e uomini come piante270 • Esistono d'altra parte connessioni anche tra il mondo vegetale e quello minerale, trasferimenti e assorbimenti di qualità, in base a processi metaforici e metonimici, che fanno intravedere complessi e non troppo rigidi confini tra animato e inanimato: il magnete è una pietra dotata di anima; la roccia in cui si trasforma Niobe è come edera che serra il suo corpo; l' 'albero' del corallo diventa pietra, fuori dal mare271 • Il profondo legame tra l'uomo e la pianta, tra le loro origini e i loro destini, si manifesta in varie civiltà, e in vari miti di creazione, con la credenza della nascita dell'uomo dagli alberi: le più incisive e fortunate metafore della vita sono tratte dal mondo vegetale272 • In Omero, in Esiodo, e in altri autori, le diverse espressioni proverbiali in cui compaiono insieme i termini drys e petra sembrano alludere a questa credenza, o almeno alcune di esse273 • Sia l'albero sia la roccia possono essere considerati sacri ed essere oggetto di culto, anche congiuntamente274 ; essi inoltre rappresentano, nelle manifestazioni artistiche, gli elementi essenziali e discreti sufficienti a dare o a suggerire l'immagine di un paesaggio naturale275 • Il termine drys indica generalmente la 'quercia', ma il suo significato originario è quello di 'albero'276• La concezione dell'albero come fonte di vita (l'albero cosmico)

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e di nutrimento, come emblema della ciclicità di vita e morte, di morte e rinascita277 , come asse dell'universo e come congiunzione fra tre mondi, con il suo affondare le radici sottoterra e con la sua verticalità, e come collegamento fra microcosmo e macrocosmo278 , tra opposti, è comune a molte tradizioni. I miti, univer~almente diffusi, che vi sono connessi, spiegano la costituzione dell'universo e parlano del posto che l'uomo vi occupa. Anche la terra ancora informe, o la terra che ha preso forma di roccia, di pietra può generare uomini: Prometeo plasma l'uomo dalla creta279; Deucalione e Pirra ripopolano il mondo, dopo il diluvio, gettando dietro le loro spalle 285 • La credenza in un passaggio da una forma all'altra di esistenza si struttura, in ambito :filosofìco, neÌl.e teorie della palingenesi, della metempsicosi, della metensomatosi, in stretta connessione con problematiche cosmologiche ed escatologiche286• Nella coniplessa e discussa cosmogonia di Empedocle, la vita umana appare come una delle possibili forme

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nella lunga e diversificata catena delle trasformazioni, che include anche uno stadio di vita come pianta: 292 • «Crollò come frassino che sulla cima d'un monte visibile a_ grande distanza tagliato dal bronzo sparge le tenere foglie a terra; proprio così stramazzò, su lui risonarono le armi di bronzo»293 • 294 • Non uno stramazzare rovinoso di tutto il corpo, ma un reclinare della testa ormai appesfil?.tita, è indicato invece (in mod~ consono, e rivelatore di un'attenta osservazione)

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dalla similitu:dine con il papavero; l'analogia tra le parti (:fiore e testa), e tra le posizioni assunte sotto il peso che grava, è forse rafforzata dal signifìcato simbolico del papavero, associato al sonno e alla morte: >297 • Lo schianto degli alberi a terra, il loro fragore e lo stormire del fogliame, quando sono squassati dal vento, o il loro cozzare' evocano parallele immagini dello scontro e sensazioni uditive, le urla di chi si affronta. 298 • «Come Euro e Noto fanno a gara tra loro nelle gole d'un monte a squassare una :fitta boscaglia, la quercia, il frassino, il liscio corniolo, che avventano l'uno sull'altro i lunghissimi rami con immenso fragore, s'alza un boato quando si schiantano, così Troiani ed Achei, balzando gli uni sugli altri, s'ammazzavano, nessuno pensava alla fuga nefasta»299 •

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L'impatto. del vento sulla vegetazione, il movimento e lo sconvolgimento che provoca, .è un frequente elemento di-comparazione con ciò che può abbattersi su uomini e cose. Ne è un esempio l;:i descrizion.e degli effetti deimarosi sulla barca di Od.isseo: «Come quando per la pianura Borea d'autunno trascina i cardi, ed essi si tengono stretti ammucchiati, così la portavano i venti sul mare qua e là: ora Noto gettava la barca a Borea, che la spingesse, ora Euro l'abbandonava a Zefiro, chel'inseguisse»300. Nell'Iliade, lo scontro tra il fiume Scamandro ed Efesto rappresenta lo scontro tra gli elementi, lacqua e il fuoco, e coinvolge tutte le forme di vita, le piante che crescono lungo le correnti e i pesci nell'acqua: «Come quando Borea d'autunno asciuga di colpo una vigna da poco allagata; ne gioisce chi la coltiva; così s'asciugò tutta la piana, Efesto arse i cadaveri; rivolse poi contro il fiume la fiamma splendente. Bruciavano gli olmi, i salici ed i tamarischi, bruciava il loto, il g!unco ed il cipero, che crescevano folti lungo le belle correnti del fiume; morivano pesci ed anguille, che qua e là saltavano in mezzo ai gorghi, in mezzo alle belle correnti, soffocati dalla vampa del versatile Efesto»3oi. Anche in paragoni più brevi si fa riferimento a pe.culiari caratteristiche di vegetali, per delineare aspetti e qualità di oggetti (>: 350 • Il quadro paesistico si amplia nel canto corale e assume un'ampiezza inconsueta per la tragedia351 , diventando elogio della terra attica e caricandosi di molte altre valenze: > (p. 343). Le fonti del suo testo sono indicate all'inizio della nota: «Sequentis tractatus de Plantis, quatuor exemplaria in hac editione contuli: tria Basileensia, & quartum Venetum. E Basileensibus vetustissimum a Roberto Wmtero cum Geoponicis expressum est; alterum, ab Oporino cum Theophrasti operibus: tertium, Isingrinii est; quod secutus est etiam Camotius» (p. 342 s.). Boutroue solleva il problema dell'identificazione dell' exemplar venetum: il termine exemplar sembra non rinviare in questo caso a un manoscritto; Sylburg nomina nell'ordine I' editio prznceps di Basilea del 1539, l'edizione del 1541, e ledizione Isingriniana. Per quanto riguarda l'edizione veneta, vtO)v (D.L./ P., p. 1).

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La traduzione latina medievale di Alfredo si diffuse subito ampiamente; essa fece parte di una raccolta di opere scientifiche di Aristotele: suUa divisione dei Libri natura/es in un Corpus vetustius, un Corpus recentius e un Corpus mixtum vd. Lacombe/ Birkenmajer/ Dulong/ Franceschini 1939, pp. 49-51; Minio-Paluello, 1972, pp. 486; 528: >, pp. 224; 251). 28 Vd. Wingatepp.58 s.; 64 ss.; Otte 1972; 1976; 1988; Lohr 1988 (Commentateurs), p. 21; Poortman, in D.L./ P., pp. 465-473.

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Anche il nome viene indicato talora in modo diverso, vd. per es. Otte 1972, p. 282 s.; French 1997, p. 224, n. 9: come si è visto nella nota precedente, French scrive Alfred of Shareshill. 29 Vd. Dod 1982, p: 70; D.L./ P., pp. XVI; 470 ss.; HugonnardRoche 2003, p. 503; vd. anche la nota 13. 30 Long (1985 p. 126), avanza l'ipotesi che la città dove Alfred svolse la propria attività fosse Toledo; ben nota è d'altra parte la sua scuola di traduttori fin dal XII secolo: la Spagna fu un luogo di incontro delle civiltà ebraica, araba e cristiana. Cfr. Wingate 1931, p. 59. Nella traduzione di Alfredo ci sono alcuni ispanismi, e sono frequenti arabismi e corruzioni di nomi arabi di piante (D.L./ P., p. 472 s.). ;i D.L./ P., p. 490. Una certa differenza esiste tra la prima stesura e quella rivista, senza però che i cambiamenti, tesi piuttosto a migliorare o abbellire il latino, influiscano sul senso. Poortman definisce la sua traduzione «singularly free from standard formulae». Nel prologo, si è visto, Alfredo si mostra ben consapevole delle difficoltà nel passaggio dall'arabo («ex tam fluido loquendi genere») al latino, dichiarando sia lo sforzo richiesto sia la necessità di qualche intervento («Haec ergo considerans, cum tantae excellentiae parvitatis meae mihi conscius nihil proprium adiectum ire praesumerem, quod tamen non infìmorum est, parvulam - essentialem tamen - philosophiae particulam, librum scilicet Aristotelis de Vegetabilibus, ex arabico in latinum transferens, nostri idio~atis angustias quantulacumque adiectione ampliavi, tibique hoc opus, dilectissime mi Rogere [...] devovi. In quo quidem opusculo non sedule quantitatem velim -consideres, sed tantam rerum diffusionem immo difficultatem miro quodam verborum compendio comprehensam, quantocumque sudore ex tam fluido loquendi genere quod apud Arabes est expressa sit, attentius si libet inspicias» (D.L./ P., p. 515 s.). Nel XIII secolo fu proprio Ruggero Bacone a denunciare i limiti di una traduzione ad verbum, sulla scia di Girolamo (vd. Bianchi 1997, p. 16 s.). ' 2 I manoscritti (159) sono enumerati e descritti da Poortman (D.L./ P., pp. 475-511); vd anche i volumi dell'Aristoteles latinus (Lacombe 1939 e 1955); e i Supplementa (Minio-Paluello 1961). "D.L./ P., pp. 483-504. Poortman ritiene che i commenti di Alberto Magno, di Petrus de Alvernia, e probabilmente quello di Vincent de Beauvais (nello Speculum naturale, vd. qui la nota 3), siano basati sul testo rivisto (p. 485). 34 L'esemplare utilizzato dal traduttore greco è moho probabilmente perduto; esso in ogni caso appartiene a questa classe (A2), e più

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specificamente al gruppo dei codici PV (D.LJ P., pp. 568-570): con la sigla P si indica il codice Parisinus lat. 478, dell'anno 1286, per la parte aristotelica; e con V, il Marcianus lat. VI. 33, dell'inizio del XIV secolo (D.LJ P., pp. 510 s.; 514). 35 V d. Wmgate 1931, p. 61 ss. 36 Vd. per es. pp. 218, 17-219, 5 nell'ed. di Steele 1932. 37 D.LJ P., pp. 504-507: in alcuni passi, Bacone sembra confrontare due versioni; è probabile perciò che scrivendo !itera o nostra translatio egli si riferisca alla prima versione, mentre quella rivista è chiamata alia translatio. 38 D.L./ P., p. 507 s. 39 Long sostiene che Alfred trascurò di commentare i paragrafi centrali (quasi due terzi dell'opera), semplicemente perché non li considerò interessanti, oppw;e non meritevoli di commento: «Yet the omitted chapters do contain several provocative issues, as Roger Bacon and Adam of Bucldìeld were soon to discover: for example, the notion ofhomologous organs, the case of plants that change their species in the course of their development, the fact that certain lrinds of logs float while other lrinds sink, and so forth>> (1985, p. 130). Poortman giudica insoddisfacente la spiegazione di Long, che non prende in considerazione la possibilità di un danno meccanico, la perdita di una parte (D.LJ P., p. 468). Long ritorna su questo problema, in un altro lavoro, confermando la propria opinione: se non si può escludere completamente la possibilità di una perdita in una prima fase della tradizione, non ci sono d'altra parte indizi dell'esistenza di un commento più completo; fino a quando non si abbia evidenza del contrario, la spiegazione più plausibile è che Alfred abbia volutamente inteso limitare il suo compito di commentatore a una parte del testo, sentendo la responsabilità di spiegare parole e frasi di fronte alle quali si era trovato in difficoltà (1990, p. 112 e n. 6). 40 Vd. Dod 1982, p. 73; Lohr 1982, p. 84 ss.; Long 1990; French 1997; Bianchi 1997 (pp. 18: (1982, p. 86 s.). La classificazione aristotelica delle scienze, e l'esigenza di disporre .di una teoria unificata della natura e di un corpo di dottrine organico, tale da poter soddisfare alle esigenze didattiche, furono alcuni dei fattori che portarono a vedere in Aristotele I'auctoritas per eccellenza. 41 Una rassegna degli autori medievali, che si sono occupati del De plantis, è offerta da Lohr (1967, pp. 323; 343; 355 s.; 388; 1968, pp. 152; 227 s.; 1970, p. 160; 1971, p. 254; 1972, p. 342; 1973, p. 120). Long (1985, p. 141) elenca le citazioni dal commento di Alfred contenute nel De proprietatibus rerum di Bartholomaeus Anglicus, nel De natura locorum di Roberto Grossatesta, in un anonimo commento alla Physionomia (cfr. Lohr 1972, p. 346), mette in rilievo l'ampia utilizzazione da parte di Adam of Buckfìeld, e ricorda l'uso che ne hanno fatto Ruggero Bacone e Henry de Renham (cfr. Callus 1943, p. 237). In un lavoro successivo, Long (1990) sottolinea il ruolo avuto dagli studiosi inglesi nella diffusione della botanica pseudoaristotelica nell'Occidente latino (p. 111), e descrive contenuto e impostazione, oltre che del commento di Alfred, di altri commenti, alcuni dei quali anonimi. Tra di essi si impone il contributo di Adam of Buckfìeld (p. 114 ss.) col suo commento (Notule), in cui spiccano l'argomentazione relativ~ alla percezione come criterio utile per distinguere vita animale e vita vegetale, e la discussione sulla sessualità delle piante: > della sua composizione (1985, p. 130); cfr. Wmgate 1931, p. 65 s. (viene indicato il periodo compreso trail 1210 e il 1215); Otte 1972, p. 291; 1976, p. 198 (per la traduzione si indica la decade 1180-1190; per il commento la decade 1190-1200); Poortman, in D.L./ P., p. 489 ss. 43 Nell'edizione del 1496, il trattato ha il titolo De vegetabilibus

(Incipit liber de uegetabilibus!Explicit liber de uegetabilibus; siue de plantis), mentre il titolo De plantis viene dato a una parte del trattato sui Colori (trattato che in questa edizione precede il De vegetabilibus) a cominciare da 794 b 19 (In omnibus autem plantis principium colorum herbeum est) fino alla fine. V d. Wingate 1931, p. 70 s.; Minio-Paluello 1972, p. 498; Ferrini 1999, p. 14 s., n. 8; Boutroue 2004, p. 91. Nel diagramma proposto nell'edizione di Drossaart Lulofs e Poortman è indicata la data del 1489; l'errore è corretto a p. 466. Poortman segnala che Amable Jourdain ebbe il merito di attribuire la traduzione ad Alfred, sulla base della sottoscrizione nel Par. 478 della Bibliothèque nationale (D.L./ P. p. 465 s.). Vd. qui le note 13e14. 44 Vd. Poortman, in D.L./ P., p. 474. 45 Poortman valuta positivamente l'edizione di Bussemaker (spesso utile per lo studio anche di altri trattati, e inopportunamente trascurata da alcuni editori), pur se il progresso, rispetto all'edizione di Meyer, è limitato a interventi basati su alcuni manoscritti parigini (D.L./ P., pp. 466; 474). 46 Alla conoscenza e all'utilizzazione della versione latina di Alfredo, anche da parte di Vmcent de Beauvais si è fatto cenno nelle note 3 e 3 3. Considerando anche le citazioni del suo commento da parte di Petrus de Alvernia si può parzialmente correggere l'affermazione di Long, secondo cui l'influenza di Alfredo non si sarebbe estesa al continente (1990, p. 122).

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47 Alberto Strumia, nella prefazione ali' edizione italiana (1994) del volume ci.irato da Weisheipl, mette in evidenza questo aspetto, condividendo I'opinione di coloro che anticipano al secolo le origini della scienza moderna: > (1994, p. 370 s.). Vd. De vegetabilibus I 1, 1 par. 1-6, pp. 1-4 (ed. Meyer/ Jessen 1867), in particolare par. 6: >: i libri I-V «costituiscono un esempio di equilibrio tra la curiosità del naturalista, il temperamento del filosofo e la responsabilità del docente>> (1994, p. 380). 55 Vd. Stannard 1994, p. 382 e ss.: «Un erbario è una serie di descrizioni di piante (in qualche caso può includere anche. animali e minerali), usualmente in ordine alfabetico, considerate medicinali, accompagnate da dati medici, farmacologici e scientifici, che riguardano i loro nomi, le loro proprietà, gli usi, l'habitat, e le relative forme di uso pratico». Tassonomia provvisoria e questioni di nomenclatura (Alberto applica la convenzione linguistica: incorpora un termine descrittivo caratterizzante la pianta, come parte del nome composto) costituiscono l'interesse principale del VI libro, al di là dei dettagli e della raccolta di dati, considerando che non esistevano una nomenclatura universalmente accettata e un preciso sistema tassonoIPico.

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Come si vedrà nel commento alle Piante, la questione della nomenclatura era complicata dall'introduzione dei nomi arabi delle piante, negli erbari e negli scritti di farmacologia. «Sebbene la traslitterazione del greco comportasse già qualche incongruenza, era emerso almeno uno schema al quale le traslitterazioni e le traduzioni greco-latine si stavano uniformando. Ma non si può dire altrettanto per le singole opere arabe [. ..]. In assenza di un metodo unico per la trascrizione dell'arabo, era difficoltoso applicare molti dei nomi delle piante, che apparivano negli erbari e in altri generi di scritti medici» (p. 396). 56 V d. in particolare l'accento posto sulle proprietà dell'anima, sull'esame del 'corpo' delle piante, della loro 'anatomia', sulle cause delle differenze, non indagate da Aristotele 1, 14 par. 109, p. 55; 2, 1 par. 110, p. 56 s.). Così, mentre il primo libro è essenzialmente una parafrasi del testo aristotelico, i libri Il e III costituiscono delle digressioni sulle parti delle piante, sulle loro differenze, sulla loro composizione materiale, sulla forma, sulle qualità (colori, sapori, profumi), e sulle loro cause. Nel N libro, Alb~o passa dalla morfologia alla fisiologia delle piante; alla parafrasi del Il libro delle Piante segue, nel V, la rielaborazione del materiale. Il V libro comincia significativamente (considerando il modo cursorio con cui vengono affrontati i numerosi temi contenuti nel secondo libro delle Piante, che si configura, ancora di più del primo, come una miscellanea) con una denuncia dell'incompletezza dei testi antichi, vd. V 1, 1 par. 1, p. 289 s. 57 Vd. Hackett 1994, p. 61 ss.; Ashley 1994, p. 88 (sia Alberto Magno sia Bacone cominciarono a studiare la scienza naturale a Parigi); Bianchi 1997. Vd. qui anche la nota 47. 58 Tra le scienze, emergono per importanza, secondo Bacone, la matematica (porta et clavis omnium scientiarum) e l'ottica. 59 «The whole is a scholastic exercisè where statements from De Plantis, and conflicting passages from various genuine works of Aristotle, are reconciled not by relation to facts or observations, but by juggling with philos()phical terms. Since Bacon recognized the role of observation and experiment in science more clearly than most of his contemporaries, his diversion into such sterile paths in botany is evidently attributable to his enthusiasm for what, unluckily, he took to be the wisdom of Aristotle» (1981, p. 92). 60 «La discussione di quesiti emergenti dallo studio del corpus aristotelicum è documentabile già nel XII secolo, ma ebbe notevole sviluppo nel secolo successivo in ambito universitario. Alle quaestiones veniva originariamente dedicata solo la parte finale della lezione, riservata a sciogliere gli eventuali dubbi emersi nei corso dell'analisi del

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testo, ma ben presto esse si fecero sempre più frequenti e cominciarono a rendersi indipendenti. Secondo molti storici, dopo una prima fase in cui la filosofia aristotelica venne prevalentemente presentata tramite parafrasi e commenti letterali, si sarebbe aperta, intorno al 1240-50, una seconda fase in cui si diffusero forme ibride, che coniugavano commento letterale e questioni; mentre dal 1260-70 si sarebbe affermato il commento per questioni che, abbandonato ogni diretto riferimento al testo, si risolveva nella trattazione di una serie di tematiche, enucleate da esso e formulate come interrogativi da sottoporre al confronto dialettico» (Bianchi 1997, p. 50 s.). 61 Vago è anche l'isolato riferimento diretto al liber che si sta commentando: «dicit Aristoteles quod pars anime reperitur in planta, scilicet vegetativa, et hoG dicit in hoc libro et in libro De Anima» (p. 177, 27-29 Steele). Più spesso ricorre una formula generica (sic)ut (quia/ quod! contra) dicit Aristoteles, di poco variata. Ampio è invece riferimento ad altri trattati, tra cui il più citato è il De anima. Sulla conoscenza e sull'utilizzazione, da parte di Bacone, della versione e del commento di Alfredo alle Piante e alla Meteorologia, e sui riferimenti espliciti o impliciti (attraverso la denominazione generica di commentator) ad Alfredo, anche riguardo al suo modo di tradurre (tema molto caro a Bacone) vd. Callus 1943, p. 236 ss.; Orte 1972, p. 279 s.; 1976, p. 206; Poortman, in D.L./ P., p. 505 ss.; Long 1990, p. 122. 62 Vd. pp. l73, 4 s.; 177, 22 Steele. La parte iniziale del commento riguarda le prime due sezioni del primo libro (815 a 10-818 a 4). La seconda parte pone i quesiti affrontati subito dopo ( la libertà con cui gli autori medievali intervengono sugli scritti altrui: «come le idee, i testi che le veicolano erano considerati un patrimonio comune e non una proprietà privata, quindi potevano essere legittimamente rimaneggiati per rispondere a nuove esigenze culturali>> (1997, p. 57). Secondo Bianchi, l'originalità non era uno scopo perseguito, e il derivare per intero lunghi passi da un autore era un'abitudine costante: ciò che noi consideriamo senz'altro un plagio, non era invece sentito come tale, ma come segno di deferenza verso l'autore preso a modello (p. 58). 69 Poortman 2003, p. XXII s. L'autore precisa che il periodo dedicato alle lezioni su questa opera era di cinque settimane: il periodo limitato non avrebbe consentito un approfondimento. . 76 Vd. Meteorologia III 6, 378 a 16 ss. 77 Poortman 2003, p. 4, 14-18. PoortmatJ. fa notare che questa presa di posizione nei confronti dell'attribuzione si trova anche in altri commenti di Pietro, ed è basata «on the commentary of Alexander of Aphrodisias on the De sensu, possibly via Thomas Aquinas' Sententia libri De sensU>>; ignota rimane invece la fonte da cui Petrus ha derivato la notizia di un certo Filemone, come concorrente di Teofrasto nella successione ad Aristotele (p. XI s.). Vd. la nota 3. 78 Sulla distinzione e sull'uso dei due termini, vd. Poortman 2003,

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19 Teofrasto fu quasi sconosciuto al Medio Evo occidentale, e riemerse nel corso del XV secolo: i Caratteri furono la prima sua opera tradotta in latino. Il testo greco dei due principali trattati della botanica antica, Ricerche sulle piante e Cause delle piante, fu edito per la prima volta nel 1497, insieme con le opere di Aristotele: in precedenza essi erano stati tradotti in latino da Teodoro di Gaza (vd. Kristeller/ Cranz 1971, pp. 245 s.; 252). V d. la nota 97, per la scarsa fortuna della traduzione di Teodoro di Gaza. 80 Oltre alla Naturalis historia di Plinio, servirono da modello al genere enciclopedico medievale le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, in gran parte riprese nel De universo (De rerum naturis) di Rabano Mauro. Tra le enciclopedie latine di maggiore successo si possono ricordare quelle di Tommaso di Cantimpré (De rerum naturis), di Bartolomeo Anglico (De proprietatibus rerum), di Vincenzo di Beauvais (Speculum maius: Speculum naturale, Speculum doctrinale, Speculum historiale). Per la tradizione enciclopedica dal XII al XV secolo, tesa a dare una imago mundi, attraverso tutti gli ambiti della conoscenza umana (divulgata e valorizzata di per sé, e in vista della formazione e dei bisogni dell'uomo), per il confuire in essa delle conoscenze botaniche e quindi anche dei temi sviluppati nel De plantis, vd. Van den Abeele 2001, pp. 549-554; Ventura 2005, p. 276 ss. Il Medio Evo ha prediletto come noto in modo particolare il sapere enciclopedico (summa, speculum, trésor); in Raimondo Lullo, esso si fonde con la tecnica combinatoria, con la mnemotecnica, e in questa connessione si diffonde nel XVII secolo. È interessante.vedere come nozioni e immagini botaniche accompagnino l'evolversi e l'ampliarsi dell'ideale enciclopedico. Ampio spazio avrà la botanica nelle varie voci dell' Encyclopédie di Diderot e d'Alembert. 81 Vd. Long 1990, p. 122; French 1997, pp. 226 ss.; 247. Cfr. Crawford 1953. Un efficace riflesso del concetto di anima vegetativa si ha in Dante: «Anima fatta la virtute attiva/ qual d'una pianta, in tanto differente/ che questa è in via e quella è già a riva/ tanto ovra poi, che già si move e sente/ come fungo marino; e indi imprende/ ad organar le posse ond'è semente>> (Purgatorio XXV 52-57;·cfr. Convivio IV 7, 11: «Sì come dice Aristotile nel secondo de l'Anima, "vivere è l'essere de li viventi"; e per ciò che vivere è per molti modi - sì come ne le piante vegetare, ne li animali vegetare e sentire e muovere, ne li uomini vegetare, sentire, muovere e ragionare, o vero intelligere -, e le cose si deono denominare da la più nobile parte, manifesto è che

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vivere ne li animali è sentite - animali, dico, bruti-, vivere ne l'uomo è ragione usare>>). 82 V d. Giglioni 1999 per il clibattito sullo statuto dell'anima vegetativa, sul suo ruolo nell'economia delle funzioni vitali e sul rapporto con l'emergere delle facoltà sensitive, in Girolamo Cardano (De subtilitate; De natura) e Giulio Cesare Scaligero (Exotericae exercitationes). 83 Stefano Perfetti considera che il tertnine 'commento' vada (2002, p. 9 s.; cfr. p. 13 sulla sperimentazione cli diverse tipologie cli commento, correlate anche alle vicende esistenziali dell'autore e alle condizioni nelle quali le opere furono concepite). 84 Vd.Jensen 1990; Perfetti2002, p. 8 s. Sulla vita e sulla formazione dello Scaligero (medico cli professione), sul suo problematico itinerario geografico e intellettuale, vd. Jensen 1990; Perfetti 2002; e la bibliografia indicata in questi studi. Perfetti suggerisce che l'ambiente padovano e la Francia siano i due estremi geografici e culturali più significativi per il suo percorso formativo: (2000, p. 41). !;autore mette in evidenza il carattere essenzialmente letterario del dialogo aristotelico del Rinascimento, contrariamente ai commenti delle epoche precedenti legati, più o meno direttamente, alla pratica dell'insegnamento: concepiti e strutturati come monologhi, scivolano talora nel dialogo tra insegnante e allievo, in relazione a richieste di chiarimento, a obiezioni, dubbi, ripensamenti. «The Aristotelian dialogues of the Renaissance, by contrast, are very much literary productions, bearing the ullrnistakable marks of composition at the author's desk. In spite of the device of questions and answers, and the participation of the various characters, we are never able to forget that the oral nature of the commentary is only a literary fiction, a merely verbal adornment of a hermeneutical experience originating in an individual's reading of a text rather than in a group discussion of Aristotelian philosophy>> (p. 49 s.). La stagione invernale è spesso immaginata come cornice temporale delle riunioni di dotti (vd. Ferrini 2010, pp. 91; 146 s., n. 174). 86 Vd. Perfetti 2002, p. 13. «Continebamur domi difficillimis hybernis tempestatibus, ego & Gabriel Minutius, qui me ut viseret, una cum Ioanne Baiulio, & Augerio Ferrerio, natalitiis feriis venerat in Aquitaniam» (p. 6). ff1 Questa edizione esce a Parigi (In libros duos qui inscribuntur De plantis, Aristotele authore, libri IT) e fu ripubblicata nel 1566, con un nuovo e più significativo titolo-(Iulii Caesaris Scaligeri, viri clarissim~ in libros De plantis Aristate/i inscriptos, C.Ommentarii: Abstrusiore tum Graecorum, tum Latinorum scriptorum doctrina, quod & Index ad calcem additus commonstrat, re/erti, Lugduni, ap~d Gulielmum Rovillium) a Lione (qui e in seguito, si cita da questa edizione, come si è detto) e a Ginevra, e nel 1598 a Marburgo (vd. Lohr 1988-Latin, p. 408). 88 J ensen contesta la posizione di chi ha colto elementi neoplatonici o addirittura mistici nel pensiero dello Scaligero, oppure ha ritenuto che egli fosse impegnato a conciliare teorie platoniche e teorie aristoteliche. Certamente i suoi interlocutori (Gabriel Minut Minutius, Augier Ferrier - Ferrerius, e Joannes Baiulius, che ha la parte maggiore nel dialogo) sono platonici, o hanno interessi mistici o prendono le difese di Platone; tuttavia, osserva J ensen, bisogna tener conto del più ampio èontesto, dell'ambientazione di amichevole e quasi informale, rilassata conversazione che lo Scaligero vuole costruire e far immaginare, e di una che pervade l'intero dialogo: ritenere che le opinioni dottrinali espresse dai partecipanti siano quelle dello Scaligero è erroneo, anche se lo è un po' meno quando si tratta di Minut; anche ai contemporanei, d'altra parte, era ben noto

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l'aristotelismo dello Scaligero, ma anche la polemica antiaverrostica (1990, pp. 38-43 ). V d. anche Perfetti 2002, pp. 3; 24 s.; 28 ss.; Giglioni 1999, p. 314 ss. 89 L'analisi filologica e linguistica caratterizza l'esegesi dello Scaligero, attento (con qualche pedanteria e con marcato accento polemico) alla forma logica degli enunciati, e alla congruità del contenuto con le teorie aristoteliche,. alla proprietà del lessico, ai problemi della nomenclatura, alle 'regole' della grammatica. Lo Scaligero mostra interesse anche per aspetti storici, geografici, folclorici, cui aggiunge il contributo di proprie e personali conoscenze ed esperienze. Ampie e dotte digressioni, con numerose citazioni di autori antichi, possono talora dare l'impressione di un insieme farraginoso; ma il lavoro è storicamente signllìcativo in quanto anticipa molti orientamenti della letteratura botanica seguente. w Vd. la nota 7. «Ego, inquit, libros illos (duo nanque sunt) non sine maximis aerumnis excussi. Cum enim, ut postea intellexi, ex Arabico in Latinum versi primum fuerint: inde Latini facti a Graeculo nescio quo, veluti postliminio pristinae patriae resti.turi [...]. Quid? inquit Minutius. Ain tu? Libri illi non sunt Aristotelis?» (p. 11). 91 Entrambe le opere uscirono postume, rispettivamente nel 1584 e nel 1566, a cura di un suo allievo, Robertus Constantinus; vd. Kristeller/ Cranz 1971, pp. 239; 269 ss.; 274 s. Lo Scaligero scrisse anche un commento alla Historia animalium di Aristotele. Sulle differenze strutturali e sullo stato di elaborazione dei suoi trattati naturalistici, vd. Perfetti 2002, p. 10 ss.: l'autore mette in evidenza il carattere ambivalente del lavoro sul De plantis. «Da una parte introduce elementi verosimilmente autobiografici nella costruzione del c;-0ntesto narrativo e nella delineazione della personalità degli interlocutori (modellati su runici realmente esistenti), dall'altra ha una evidente letterarietà»; pur trattando di questioni serissime, non lo fa come era avvenuto in passato in ambienti religiosi e filosofici, >, e sulla > (2005, p. 54). 99 Si può ricordare il contributo che in questo senso diedero Leonhart Fuchs e Pietro Andrea Mattioli. Vd. Schmitt (1979, Scienza, pp. 48; 51 ss.) per una breve ma essenziale panoramica del rapporto tra medicina e botanica nel Cinquecento. Rousseau esprimerà un giudizio molto critico riguardo all"°mfluenza che la medicina ha avuto sulla botanica (vd. la nota 115). 100 Sull'attività di Luca Ghini, vd. Meschini 1999; Schmitt 1979, Scienza, p. 51 ss.; Morton 1981, pp. 121-123. La bibliografia sugli orti botanici (e sui giardini di varie tipologie, epoche e aree geografiche) si è molto ampliata in questi ultimì anni. Schmitt è stato tra i primi a metterne in evidenza l'importanza e il signifìcato per la storia della botanica, parallelamente a quanto a~v'ìt, per la medicina col diffondersi dei 'teatri' anatomici (nel caso dell'orto botanico si osserva tuttativa una natura 'viva'): essi «rappresentano il nuovo tipo di ambiente materiale che stava diventando parte dello studio scientifico» (1979 - Scienza, p. 53). Vd. anche Callot 1951, p. 42 ss.; Morton 1981, pp. 121; 152 n. 22; Raimondo/ Garbari 1986; P. Lanzara, in Aa. Vv. 1991, pp. 755-760 (I: orto botanico- Una istituzione scientifica in un luogo del mito); Moggi 1993, p. 126 ss.; Cardona 1995, p. 119. Alla fine del XVII secolo la storia degli orti botanici si lega ai sistemi di classificazione, e si integra con quella dei musei e dei gabinetti di storia naturale. Una «sorta di protogiardino botanico» viene definito da Lloyd I'hortulus nel quale Antonio Castore fa crescere moltissime piante, come si legge in un passo di Plinio (Storia naturale XXV 9): «Questo passo presenta parecchi aspetti notevoli: leffettiva estensione della

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collezione di Antonio Castore è lasciata nel vago, e la dichiarazione di avere esaminato "quasi tutte le piante" (exceptis admodum paucis) è senza dubbio esagerata. Si noti che le parole di Plinio fanno pensare a visite guidate dal proprietario più che a vere e proprie ricerche personali in questa sorta di protogiardino botanico. Tuttavia, quali che siano le sue esagerazioni, il passo mostra abbastanza chiaramente come Plinio riconosca la necessità o perlomeno il valore della ricerca diretta>> (1987, p. 105). La notizia riguardante Antonio Castore è inserita nel contesto di una discussione sul tipo di trattazione (l'erbario, così come concepito nell'antichità e nel Medio Evo) adottato da Crateva, Dionisio e Metrodoro, che hanno disegnato le figure delle piante, indicandone sotto le proprietà: sulle osservazioni di Plinio e sul rapporto fra parola e immagine, fra testo scritto e testo illustrato, vd. infra. 10 • Questo termine indicava in precedenza il libro che descrive le piante anche servendosi di illustrazioni: è generalmente un testo scritto sulle proprietà delle piante medicinali, destinato a usi pratici. Morton individua nell'uso dell'herbarium (hortus hiemalis, hortus siccus, exsiccata) e nel ricorso alle illustrazioni realistiche dal vero due innovazioni, che contribuirono in modo determinante al progresso .della botanica. Gli esemplari, secchi o illustrati, restavano a disposizione per essere ripetutamente riesaminati, potevano essere oggetto di scambio tra gli studiosi, e materiale didattico utile per l'apprendimento e la memorizzazione. Morton collega queste tecniche nuove (o rinnovate: anche per l'antichità si ha notizia, come si è visto, di illustrazioni a corredo del testo scritto) con le tendenze artistiche del tempo, nella pittura e nella scultura, e con la pratica di conservare le piante che dovevano servire da modelli per la pittura o il disegno (1981, pp. 123 ss.; 153 ss.). Per una storia degli 'erbari', vd. Arber 1953; Moggi 1986; Blunt/ Raphael 1989; e in particolare Singer 1927 per la storia dell'erbario nell'antichità: (p. 53; cfr. p. 84). 107 Ciò è tanto più significativo dei nuovi sviluppi degli studi di botanica, in quanto Andrea Cesalpino aveva studiato anche medicina:

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i suoi interessi di medico affiorano (vd. la nòta 105), ma non sono preminenti. Non è in ogni caso certamente· casuale che siano stati medici, o personaggi con formazione medica, a occuparsi delle opere antiche di botanica (vd. Repici 2003, pp. 440 s.; 450). 108 Repici 2005, p. 86; le piante costituiscono per Cesalpino >, ibid. p. 59 s.; dr. p. 61), a Malesherbes (>; p. 139: «While the name Afuoveç thus has a fairly precise local as well as national and cultura! reference, the terms '1mA.oç and 'ImA.uc6ç have no clear geographical connotation, but refer to Latin civilization and language in general. This is Byzantine usage, in which Aaiivoç and '1'taA.oç can be used as synonyms, Thus in speaking of the µotpa i 'taÀua'I our writer probably thinks in the first place of the "other" regions of the peninsula, not inhabited by Greeks, but draws no sharp mental line between these and the rest of Latin world»; p. 143 s.: «the translator was, according to his own testimony, a Greek from Southem Italy or Sicily. This does not otherwise appear in his style and vocabulary, which are those of a man who had undergone the grammatica! and rhetorical training of an educated Byzantine. We cannot judge whether it is a sign of provincialism that his writing is often clumsy and tasteless and certainly below the standard of a Maximus Planudes or a Demetrius Cydones»). Poortman invece, basandosi su altre fonti, intende il termine più generalmente riferito ai Bizantini (D.L./ P., pp. 563 s.; 567): «Labowsky's seemingly self-evident assumption that Aooovia designated Southern Italy (as against the 1'taA.oi), is open to serious doubt. As a matter of fact, it appears that at least from the 12th century on compounds with the verbal element Aucrov- were used altemately with 'Proµatot, to denote Byzanrines» (p. 563 ). 120 In Dioscoridem Corollarii I 28: > (p. 449). 159 Si può pensare per esempio al pubblico che legge i Moralia di Plutarco, oppure i romanzi, come quelli di Achille Tazio o di Eliodoro, più ricchi degli altri di disquisizioni ed excursus scientifici. 160 V d. Repici 2009, p. 93 s. 161 Rudolf Jacob Camerer (Camerarius - 1665-1721) è di solito noto come il primo ad aver dimostrato sperimentalmente la riproduzione sessuale delle piante, vd. Morton 1981, pp. 214-220; 231; 239; 394. Il mondo antico ha discusso sul sesso delle piante (vd. per es. Empedocle, Aristotele, Teofrasto), e ha distinto talora la pianta femmina dalla pianta maschio, senza arrivare però a comprendere, né tanto meno a provare, la riproduzione sessuale nel mondo vegetale. Teofrasto ha fatto importanti osservazioni di carattere morfologico sul fiore, che rimasero insuperate per secoli, ma gli sfuggì l'importanza che esso ha nella riproduzione: (ibid. pp. 86; 84). 166 Vd. 818 a 36-b 9, e il commento ad loc. 161 Il ricorso all'analogia tra animale e pianta, in Teofrasto, ma anche la consapevolezza dei limiti della sua applicazione (vd. per es. Ricerche s. piante I 1, 4 s.) ripropongono il problema del rapporto fra la botanica di Teofrasto e i modelli esplicativi di Aristotele: « Teofrasto non mostra di voler rinunciare al modello zoologico, ma lo "adatta" alla particolare natura delle piante. [. .. ] Lo scopo di questo aggiustamento non è solo quello di sottolineare delle differenze, per altro intuitive. Ma anche quello di applicare un modello fortemente strutturato in senso teleologico per spiegare l'organizzazione di compagini quali le piante, la cui natura appare più resistente, non composta, meno ordinata (ataktotera) e nel complesso.più confusa [vd. Cause d. piante Il 16, 6-7]. L'adozione del modello zoologico (aristotelico) comporta infatti che al di là di tutte le differenze la natura delle parti delle piante sia spiegata in base alla: funzione che esse compiono, cioè al perché occupano il posto che occupano e quindi al fine per il quale ciascuna è quella che è ed è chiamata col nome con cui è chiamata. [.. .] Quel che salva dall'anarchia il mondo delle piante è proprio l' analogia con gli animali, la quale consente di applicare all'ambito botanico almeno due importanti generalizzazioni: 1. ogni genere nelle piante [alberi, frutici, suffrutici, èrba - Ricerche s. piante I3, 1], e quindi ogni specie al suo interno, rappresenta un grado diverso di organizzazione in vista del raggiungimento del fine proprio dell'individuo e, per esso, della specie, cioè la riproduzione del simile; 2. il rapporto tra la parte, il nome che la identifica, la funzione che deve svolgere e quindi il suo fine, può valere in quanto tale a qualunque livello di complessità; può quindi variare [. ..] il numero o la disposizione delle parti nelle piante, ma le funzioni da assolvere e la tensione del processo verso l' acquisizione della forma perfetta restano identici. Le strategie teleologiche sono dunque adeguate alla specifica struttura :fisica degli individui in ambito botanico e non limitate rispetto all'ambito animale né ristrette ai soli esemplari che esibiscono il maggior grado di completezza nella forma: infatti, il fine migliore a cui la natura mira tra le piante risulta comune a tutti gli individui e come tale deve potersi realizzare qualunque sia il grado di completezza nelle parti>> (Repici 1985, pp. 376-379; e&. Kraak 1942, p. 258).

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Strettamente correlato è il problema dell'albero quale termine di paragone (anaphora) per gli altri vegetali, in quanto in esso la divisione in parti (merismos) è più appropriata (oikeioteros - &cerche s. piante I 1, 11; cfr. I 3, 1). (ibid. p. 378). Cfr. Repid 1998, p. 72 s. 168 819 a 41 ss. 169 Vd. Ducourthial 2003. V d. anche Lévi-Strauss 1996, p. 55: . 170 819 b 27 ss. I lemmi di alcuni scoli, relativi a questi argomenti, sono significativamente strutturati in forma di questione (dia ti .; .. ), come nei Problemi del CA. 171 822a12-824 b 34. 172 824 b 34-827 a 6. 173 Vd. le note di commento all'ultima sezione delle Piante 829 a 36 ss. 174 > (p. 15). 177 Mi permetto di ,rinviare a qualche mia osservazione in proposito, in particolare nell'introduzione ai Problemi (2002, p. IX ss.). 178 Vd. Chantraine 1999, p. 12.34; Burger 1925, pp. 27 ss.; 51 ss. m Vd. Burger 1925, pp. 27-51; Holwerda 1955; Benveniste 1975, p. 78 s.; Chantraine 1979, p. 277. Per gli usi aristotelici, vd. Bonitz 1961, pp. 835 b 50-839 b 9 (physis); 839 b 30-841 a 10 (pbyton). Nel celebre passo della Metafisica, in cui Aristotele enuncia le accezioni correnti e specifiche del termine cj>ucnç, si nota l'insistenza sull'idea di generazione e di crescita, che trova supporto nel regno vegetale e animale, in una natura concepita dai Greci come dinamica e vivente. «Natura significa, in un senso, la generazione delle cose che crescono [...].In un altro senso, natura significa il principio originario e immanente, dal quale si. svolge il processo di crescita della cosa che cresce. Inoltre, natura significa il principio del movimento primo che è in ciascuno degli esseri naturali e che esiste in ciascuno di essi, appunto in quanto è essere naturale [. ..].Inoltre, natura significa il principio materiale originario di cui è fatto o da cui deriva qualche oggetto naturale [. .. ]. Inoltre, in un altro senso, natura significa la sostanza degli esseri naturali. Per esempio, così la intendono coloro che dicono che la natura è la originaria com-

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posizione [...].Per estensione, allora, e in generale, ogni sostanza vien detta natura in virtù della forma, perla ragione che anche la forma è una natura. Dalle cose che si sono dette risulta che la natura, nel suo senso originario e fondamentale, è la sostanza delle cose che posseggono il principio di movimento in sé medesimo e per propria essenza: infatti, la materia si dice natura solamente perché è capace di ricevere questo principio, e la generazione e la crescita solamente perché sono movimenti che derivano da questo stesso principio. E questo principio del movimento degli esseri naturali, e che è in qualche modo ad essi immanente, è o in potenza o in atto» (ti. 4, 1014 b 16-1015 a 19). 180 Omero, Odissea 10, 302-306. Benveniste intende così il valore di : l'autore si dichiara favorevole a questa seconda ipotesi. Si può osservare che la funzionalità di un'immagine può cambiare a seconda del contesto, pur restando validi detenninati punti di riferimento. 215 Parti d. an. III 5, 668 a 7-13; cfr. Platone, Timeo 77 c-e: (La botanica, 2008, pp. 15 e 37). Nella forma a spirale individuò una sorta di codice archetipico della natura, in continua mutazione e stabilità nello stesso tempo, in tutte le forme viventi. !;interesse di Leonardo per il mondo vegetale, come per ogni altra manifestazione della natura e della vita, trova riflesso nei suoi quadri (la precisione della resa delle piante, :fino nei dettagli, si accompagna a un'altrettanto accurata attenzione al contesto naturalistico e luministico in cui sono inserite, e al loro valore simbolico), e nei suoi studi di morfologia e di :fisiologia delle piante, in cui indaga sui processi di nutrizione, di crescita, di risposta agli stimoli ambientali (vd. Pedretti 1982; Emboden 1987; Segre 2009). 216 I 1, 1: Tciìv cjnnciìv i:àç oiacpopàç 1Cat 'tÌjv UMT\V ljr6ow AT]TC'tÉoV Kai:a 'tE i:à JlÉPT\ JCaì i:à 1tcI0Tj JCaÌ i:àç ycvfonç Kaì wùç 13iouç ìl0TJ yàp JCaÌ 1tpal;Etç OÙlC ÉXO'\JcrtV rocrm::p i:à çt!>a. Eicrì o' ai µèv 1Ca'tà 't'iiv yÉvEmv KaÌ i:à 1tcl0Tj JCaì wùç jjiouç EÙOcropT\'tO'tEpat JCaÌ pgouç, ai oc JCai:à i:à JlÉPT\ 1tAEtO'\Jç exo'OOat 1t0t1CtA.iaç. Amò yàp i:omo 1tpéihov oi)x iJCavciìç àcj>roptmm i:à Jtoia &ì Jl.ÉPT\ Kai µit JlÉPT\ JCaA.cìv, àU' · ÉXEt nvà àxopiav. Teofrasto non affronta direttamente ed esplicitamente il problema della psyche delle piante, ma il riferimento ai loro modi di vita e di riproduzione, e al concetto di i:ò 0pE1tnJC6v (Cause d. piante I 12, 5) rinvia a una specifica funzione dell'anima delle piante. V d. Ingensiep 2001, p. 64 s.; Wohrle 2010, p. 165 ss. 217 Vd. per es. Ricerche s. piante I 1, 4 s.; Cause d. piante VI 11, 5; e la nota 167. 218 Plinio, nella Storia naturale XXV 8-9 riconosce, come si è visto, l'efficacia e il potere suggestivo dei disegni delle piante, ma segnala anche i loro limiti per una corretta idenri:ficazione delle erbe, alludendo a uri tema a lui caro: l'inopportullità di gareggiare con la natura riguardo ai colori (vd. per es. Storia naturale XXI 45 s.). Mette poi in giusta evidenza la possibilità di alterazioni, quando si ricopia il disegno, e _sostiene la maggiore utilità della trattazione solo verbale e della conoscenza diretta, senza tuttavia opporre propriamente la parola scritta (la cui efficacia e il cui potere vengono in ogni caso solitamente esaltati nell'antichità, come noto) all'immagine. Il rigore cui richiama

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Galeno e le critiche rivolte a coloro che si sono occupati di piante medicinali sono evidenti nel proemio al VI libro delle Mescolanze e proprietà dei semplici (vd. la nota 155). Queste posizioni, peraltro isolate tra chi si è occupato di botanica nell'anticliità, sarebbero all'origine del rifiuto.degli Umanisti di servirsi di illustrazioni di piante. D'altra parte, Aristotele fa spesso riferimento a anatomai (vd. Heitz 1865, p. 70 ss.; Stiickelberger 1998; si tratta forse di una collezione di illustrazioni che accompagnavano le "Ricerche sugli animali, purtroppo perduta), hypographai, diagraphai, diagrammata, a tavole e schizzi, evidentemente utili a livello di esposizione e di insegnamento, pur se il 'vivente', con la dinamicità delle sue funzioni (possibili per la 'forma'), e la sua 'immagine' non sono la stessa cosa, come non sono la stessa cosa un uomo e un uomo morto, una mano e una mano di legno o di bronzo, un aulos e un aulos di pietra, un medico e un medico dipinto, sottolinea con forza Aristotele (vd. per es. Topici! 14, 105 b 12-15; Ricerche s. an. I 17, 497 a30-33; fil 1, 510 a 29-35; Parti d. an. Il 3, 650 a 31 s.; 'Riproduzione d. an. I 10, 719 a 10; Respirazione 478 a 34-b 1; Meteorologia Il 6, 363 a 25 ss.; Parti d. an. I 1, 640 b 28-641a6). Vd. le osservazioni che ho avuto occasione di fare nell'introduzione e nel commento alla Meccanica del C.A. (2010, pp. 56-59 e le note relative, e passim nel commento). Teofrasto non fa cenno a apparati illustrativi, anche se non è escluso che si sia. servito anche lui di schizzi per l'insegnamento; si può anche pensare che egli si sia avvalso del giardino del Peripato, come di un orto botanico. Luciana Repici affronta i vari aspetti del problema, analizzando i motivi che possono aver indotto Teodoro di Gaza a non prendere in considerazione, nella prefazione alla sua traduzione di Teofrasto (vd. la nota 97), il ricorso alle illustrazioni come eventuale aiuto per il suo lavoro di traduttore. «Possiamo presumere che, come altri umanisti, Gaza seguisse l'esempio degli antichi nel ritenere inutili o non necessarie tavole illustrative nei hbri di botanica, forse anche in nome del potere della parola (scritta o orale) di stimolare in noi l'insorgere di immagini. Oò tuttavia non proverebbe ancora che questa sua eventuale scelta dipendesse dalla posizione di privilegio assegnata al linguaggio non figurato rispetto a quello figurato, di cui nessuno degli antichi aveva parlato, almeno non esplicii:amente. Di certo, negli antichi egli non trovava argomenti a favore dell'utilizzo di illustrazioni o della necessità di racchiudere in immagini gli esiti delle proprie ricerche, ne trovava anzi di contrarie, oppure incontrava il loro silenzio» (2003, p. 473 s.).

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Il possibile contributo dell'illustrazione al progresso della botanica è in stretta relazione anche con il riconoscimento del valore dell'immagine come utile strumento di conoscenza. Nel valutare questi aspetti, la posizione degli antichi e il fluttuare delle scelte in epoca moderna (all'inizio del XVI secolo, le illustrazioni botaniche non sembrano ancora avere un ruolo importante), bisogna tener conto inoltre di tutti i mutamenti che riguardano la materia e la forma del libro antico e moderno, le novità apportate dalla stampa, che tra l'altro elimina l'errore di ricopiatura, temuto conie si è visto da Plinio, l'affinarsi delle tecniche artistiche e il variare degli intenti nella pittura del paesaggio e del mondo vegeiale, il diverso valore assegnato al disegno o al colore (vd. anche la nota 101). Zucchi delinea una storia della rappresentazione botanica partendo da un confronto fra Aristotele e Linneo, e fra lo statuto dell'immagine al tempo di Aristotele e nell'età di Linneo; analizza poi due modelli visuali cui Linneo è ricorso (il riflesso speculare e la rappresentazione cartografica), e conclude con considerazioni riguardanti il rapporto tra immagine e pianta essiccata, e l'affermarsi di tre tipi di erbario: > sarebbe in parte responsabile, secondo Sorabji, Descartes, «who deliberately sought to suppress the idea of the soul as having a nutritive function, an idea he wrongly attributed to the ancients in general, not recognising it as Aristotle's innovation. He wanted to connect soul only with consciousness, and to reinforce this intention, he announced that he would drop the word 'soul' (anima), and substitute 'mind' (mens), the word which has become idiomatic for us» (1993 -Anima! minds, p. 98.). IIl realtà, vivere e possedere un'anima possono essere concetti strettamente correlati nell'antichità. 220 Vd. per es. Odissea 11, 218-222: (22 B 45, I p. 161 D.-K.). 221 VcL Vegetti 1992, p. 216 ss.; Voigt 2010, p. 17 ss.; Quarantotto 2010, p. 35 ss.; Miller/ Miller 2010, p. 55 ss. Nel Pedone di Platone, Socrate chiede a Cebete che cosa deve entrare in un corpo perché esso sia vivo, e Cebete risponde: l'anima (105 c-d: «-Allora dimmi: che cosa si deve generare in un corpo perché sia vivo? - Si deve generare l'anima, rispose. - Ed è forse sempre così? E come no? rispose. - Allora, l'anima, qualunque cosa occupi, entra portandovi sempre la vita>>). Il Pedone, come noto, rende estrema l'opposizione, di derivazione orfico-pitagorica, tra anima e corpo. Platone, osserva Vegetti, è tut-

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tavia costretto a (Reale 1994, V p. 291 s.). 223 Il4, 415 b 7 s. ('E. zz6 Vd. per es. Anima II 4-5, 415 a 14-418 a 6; ID 9-11, 432 a 15434 a 21; Moto d. an. 10-11, 703 a 4-704 b 3; e i brevi trattati riuniti sotto il nome di Parva naturalia, i cui passi saranno richiamati nelle note di commento. zz7 I diversi aspetti e problemi qui brevemente elencati sono oggetto di molti studi: il volume curato da Follinger 2010 (vd. in particolare Kullmann, p. 115 ss.; Zierlein, p. 137 ss.; Wohrle, p. 161 ss.; King, p. Ù 1 ss.; Follinger, p. 225 ss.) ne offre un'ampia e aggiornata panoramica. V d. anche i contributi raccolti in Bames et alii 1979 (in particolare Kahn, p. 1 ss.; Sorabji, p. 42 ss.; Ackrill p. 65 ss.); Movia 1991; Sprague 1991; Lloyd 1996, p. 67 ss.; Repici 2000, pp. 3 ss. e passim; King 2001; Longo2003, p.149 ss.; King2006; Gregoric2007; Morel2007; Polansky 2007; Mouracade 2008. Complesse e importanti questioni, connesse con l'indagine di Aristotele sul concetto di vita, riguardano inoltre il rapporto fra filogenesi

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e ontogenesi, fra l'individuo e la specie, tra la physis e il comportamento animale; l'influenza dell'ambiente su ogni essere viv.ente, e l'adattamento a esso; il contributo di Aristotele alla biologia moderna, o al contrario il fréno che le sue teorie avrebbero imposto (vd. Longo 2003; FOllinger 2010, in particolare Lennox, p. 239 ss.; Leroi, p. 261 ss.; Dae-Ho, p. 299 ss.; Pietsch, p. 315 ss.; Miller/ Miller, p. 55 ss.; Schr6er, p. 367 ss.: la recezione del concetto aristotelico di vita, da parte di Tommaso d'Aquino, costituisce un importante elemento di continuità e, nello stesso tempo, di rinnovamento). 228 V d. per es. Anima I 5, 410 b 22 s.: «j>aivemiyàp tate «j>mà slìv; cfr. 411 b 19-21; II 2, 413 a 25 s. Cfr. Piante I 1, 815 a 11 s. 229 Animali e piante sono anche acco~unati dalla . Si inserisce in questo articolato contesto il concetto espresso dal verbo epamphoterizein (condividere le proprietà di due o più cose, enti; essere ambiguo e intermedio), che integra in un certo senso il tra-· dizionale concetto del metechein: ci sono degli esseri intermedi tra la pianta e l'animale, che appartengono a un genos per alcune caratteristiche e a un altro per altre, vd. per es. Parti d. an. IV 5, 681a36-b 13. Anche il cosmo è d'altra parte un essere vivente; così la continuità biologica si situa in una più generale continuità di carattere cosmologico. (Longo 2003, p. 151). Esiste per Aristotele un'unità complessiva del mondo vivente, > (2001, p. 21 s.; vd. per es. Aristotele, Riproduzione d. an. I 21, 730 a 14 s.). D'altra parte nel loro capitolo introduttivo (Vita e informazione/ Che cos'è la vita?) è evidente la continuità di certe idee, che sono sostanzialmente aristoteliche, pur se affinate e aggiornate dalle acquisizioni più recenti, e dal dibattito ancora attualissimo sul darwinismo: «Ci sono due modi per definire la vita. Secondo la prima definizione, diciamo che qualcosa è vivo se possiede alcune proprietà che associamo agli esseri viventi della Terra, ad esempio se ha la capacità di crescere o di rispondere agli stimoli. Un problema legato a questo approccio è dato dalla necessità di decidere quali siano le proprie-

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tà davvero importantiper definire la vita. [...] Una definizione alternativa sarebbe quella di indicare come vivente ogni popolazione di esseri dotati delle proprietà necessarie.affinché la popolazione possa evolvere per selezione naturale. Sarebbero cioè vive quelle entità che hanno le proprietà della moltiplicazione, della variabiabilità e dell' ereditarietà>>. Tutte queste caratteristiche non sono però sufficienti se l'ambiente non è adeguato (p. 7 s.). La trattazione privilegia l'aspetto del metabolismo o l'aspetto genetico, proponendone poi una sintesi. Cfr. Regis2010, p. 5. L'atteggiamento e l'espressione di 'meraviglia' con cui il mondo antico, e Aristotele in particolare, ha guardato alla varietà e alla molteplicità delle varie forme di vita, sono gli stessi con cui Darwin ha voluto chiudere la sua opera sull'Origine delle specie: «Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue molte capacità, che inizialmente fu data a poche forme o ad una sola e che, mentre il pianeta seguita a girare secondo la legge imniutabile della gravità, si è evoluta e si evolve, partendo da inizi così semplici, fino a creare infinite forme estremamente belle e meravigliose>> (ed. it., a cura di Omodeo, 1991 p. 428). 240 Ibid. p. 74. 241 >, ibid. 2 b 11-14, trad. di M. Zanatta, Milano 2002), e nemmeno con le differenze relative al 'luogo' (-r6noç), che egli considera un criterio molto importante (Ricerche I 4, 2). Teofrasto è meno interessato · alla classificazione in sé stessa, che al confronto e al raggruppamento basandosi sulle parti che egli sceglie, e di cui osserva le relative proporzioni e sviluppi. La sua suddivisicine «correspond à une logique évidente et suit l'ordre des apparences» (Desautels 1988, p. 234). Consapevole delle molteplici problematiche e delle questioni difficili da risolvere in maniera netta, considera sufficienti suddivisioni gene~ rali, che hanno se non altro il merito di inserirsi nella tradizione. L'esame delle parti domina la descrizione seguente, ma non mira a raggiungere un grado elevato di sistematizzazione; piuttosto si ripartiscono i vegetali in gruppi naturali, senza l'intenzione di arrivare a ~a classificazione organica. Questa distinzione secondo la forma, ancora utilizzata in alcune presentazioni della varietà del mondo vegetale e nel linguaggio comune, e confrontabile con quella di altre società e culture (vd. Desautels 1988, p. 234; Amigues 2010, p. 9, n. 12; Cirdona 1995, pp. 119 s.; 123; Lévi-Strauss 1996, p. 48 ss. e passim), è ben lontana dall'ordine, dal rigore e dalla coerenza che ci aspetteremmoin una classificazione sostenuta da una teoria unificante, ed è in ogni caso ben diversa dalla capillare e minuta tassonomia scienti:fìca, tema peraltro ancora oggi dibattuto, nella consapevolezza che non esistono classificazioni 'oggettive' e universalmente valide. In essa si riflette la comune tendenza, valida anche nel classificare la fauna, a cogliere le manifestazioni più salienti: ta Bi fon icaì µÉ'j'l.&ta icaì axel5òv Uqi' d>v :1tcivt' fj ltÀ.El.ma :ltEpté:x;e-rcn t ha portato a dare rilievo alla mancanza di criteri capaci di garantire ordine, sistematicità, rigore e coerenza al lessico antico. Più proficuo sarebbe invece studiare più a fondo i parfillletri e le finalità che sostengono la classificazione antica, e le procedure di designazione, attraverso le parole già esistenti, e di coniazione di nuove parole: su questi promettenti orientamenti della ricerca, vd. la nota 260, e in particolare Amigues 2002, pp. 279 ss.; 291 ss.; 351 ss.; Tribulato 2010. 252 Ricerche s. piante I 3, 2-3. 253 I 1, 1; dr. Aristotele, 'Ricerche s. an. I 1, 487 a 11 s. Altre differenze di carattere generale, sempre a partire da ciò che appare esteriormente, potrebbero essere prese in considerazione: le dimensioni, il vigore, la longevità. Altrettanto importante è tener conto della distinzione tra specie domestiche o selvatiche, tra piante fruttifere o senza frutto, con :fiori o senza, con foglie persistenti o caduche; le differenze possono riguardare la pianta nel suo complesso, o le sue parti. Non si può inoltre non tenere conto del luogo: ci sono specie acquatiche e specie terrestri, altre sono anfibie (I 3, 4-6; 4, 1-4). 254 Ricerche I 1, 10: OÀ.roç oè 7tOÀUXOUV 'tÒ mòv x:aì 7tOl.riÀOv, x:aì XUÀE1tÒV El1tElV x:a00À.OU. 255 Ricerche I 1, 1. La nozione stessa di 'parte' non è definibile in modo soddisfacente nelle piante: il numero di ciò che potrebbe essere considerato tale è indeterminabile e non è mai lo stesso; inoltre alcune 'parti' sono annuali, altre perenni; alcune appartengono a tutte le piante, altre no (1, 2-5). Molte sono le differenze da considerare (1, 6-8). Pertanto, si può solo procedere a una distinzione generale, che tiene conto delle parti essenziali e comuni alla maggior parte delle specie (1, 9). Non potendo definire nettamente le parti e le loro funzioni, come è invece possibile per gli animali, e ancora meno stabilire

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rapporti di analogia o di omologia, a seconda dei casi, Teofrasto ~ti­ lizza «ce critère décisif de la ressemblance morphologique qui est le rapport du µéiUov x:aì llTIOV, le plus et le moins. Il fera appel à sa façon au sens de la différence età l' affìnité des formes dont parle Aristote - le eìooç ovyyevtKOV>> (Desautels 1988, p. 231; cfr. Aristotele, Ricerche s. an. N 7, 531 b 22). La nozione di 'somiglianza' tra esseri viventi ha esercitato da sempre una funzione decisiva negli studi biologici; oggi sembrano contrapporsi due correnti di pensiero della sistematica, in cui essa è diversamente implicata: la cladistica, o sistematica :filogenetica, secondo cui la classificazione degli organismi deve rispettare rigorosamente le derivazioni :filogenetiche attraverso le quali le specie attuali ed estinte si sono formate; e la fenetica, secondo cui gli unici elementi su cui può essere fondata una classificazione degli organismi sono ricavati dalle somiglianze che intercorrono tra i caratteri considerati e non dalla derivazione :filogenetica (vd. le rispettive voci del Vocabolario Treccani, Roma 19972). Sulle concezioni di 'affinità' e di 'analogia' nella biologia moderna, vd. Mayr 1990, p. 151 ss. 256 Vd. per es. Ricerche I 1, 3. Vd. la nota 167 (la discussione di Repici su questo teina). 217 Vd. per es. Bonitz 1961, pp. 150-152 (in particolare p. 151a57 ss.); 217-219; Balme 1962; Desautels 1988, pp. 232; 235; 238. 258 Vd. Hindenlang 1910; Stromberg 1937; Desautels 1988, p. 237 ss.; Vegetti, in Lanza/ Vegetti 1996, p. 825 ss. 259 Teofrasto fa un'osservazione preliminare, nelle Ricerche sugli animali (I 14, 4), riguardante le piante selvatiche, senza nome, per la maggior parte, e poco conosciute rispetto a quelle domestiche. 260 Oltre.a Stromberg 1940, vd. André 1956; 1958.(Notes); 1985; Cardona 1990, pp. 51 ss.; 69 ss.; 88 s.; Gély 1992; Skoda 1993; Amigues 2002, p. 279 ss.; Stearn 2005; Bernhardt 2008; Tribulato 2010. 261 L'idea della classificazione come arte della memoria si rinsalda tra Cinquecento e Seicento, proprio per l'aumento dei dati, per le numerose nuove specie vegetali conosciute, e la conseguente difficoltà di identificarle e ricordarle. La costruzione di tavole universali degli oggetti naturali rappresentò un'esigenza molto diffusa. Scrive significativamente Rousseau in una lettera del 1772: >, anche se Linneo e gli studiosi seguenti gli sembrano essersi «comportati come legislatori i quali, meno preoccupandosi di ciò che è, che di ciò che do\rrebbe essere, non tengono nessun conto della natura>> (vct. Origine del saggio sulla metamorfosi delle piante, ibid. p. 52 s.). · La nomenclatura adottata da Linneo rappresenta a livello pratico una notevole semplificazione, ma ha anche implicazioni metafisiche: · >; egli lo espose per la prima volta nel Systema naturae (1735). >. Cfr. Museo 2 B 5, I p. 23 D.-K.; Mimnermo fr. 8, 1 ss. Gent.-Pr.; Aristofane, Uccelli 685-689: «Uomini nati nel buio della vostra vita,. simili alla stirpe caduca delle foglie, esseri fragili, impasto di fango, vane figure d'ombra, senza la gioia delle ali, fugaci come il giorno, infelici mortali, uomini della razza dei sogni, date ascolto a noi: immortali e sempre viventi, creature del cielo, ignari di vecchiezza, esperti di indistruttibili pensieri>> (trad. di Dario Del Como, Milano 2005 6). 290 Per la sopravvivenza del tema e per le sue variazioni nel mondo antico, vd. Fantuzzi 1987. 291 Iliade17, 51-60. 292 Iliade 13, 389-393; 16, 482-486.

N01E ALL'INTRODUZIONE 287-305

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293Iliade13, 178-181. 294 Iliade4, 482-489. 295 Iliade 8, 306-308. Cfr. Odissea 4, 220-229, dove si parla del pharmakon che Elena versa nel vino, capace di fugare > (190-204). Cfr. Iliade 13, 612 s.: «la splendida ascia di bronzo, col manico di legno d'olivo, lungo e ben levigato»; Odissea 5, 234-236: «Una scure grande gli diede, da impugnare a due mani, di bronzo, affilata a due tagli: v'era infisso un bel manico di legno d'ulivo». !:ulivo, si ricorda, è lalbero sacro ad Atena; sulla possibile valenza, nel caso dell'albero-letto di Odisseo, dell'ulivo come «albero cosmico o albero universale>>, vd. Borghini 1994. Nell'Antro delle Ninfe ·di Porfirio, un ulivo è piantato vicino all'antro, come immagine del cosmo (vd. Simonini 1986). 309 V d. per es. Eschilo, Agamennone 966 s. («quando sopravvive la radice, il fogliame raggiunge le case stendendo un velo d'ombra che ripara dalla canicola»); 1525 (Èpvoç); Eumenidi 661 (Èpvoç); Agamennone 197 (èiv0oç); Supplici 592 (na't'Ì]p utoupyoç); Sofocle, Filottete 364 (mtÉpµa); Elettra 422 s. ((3A>; 94-97: «Chi di essi mangiava il dolcissimo frutto del loto non aveva più voglia d'annunziare e tornare, ma preferiva restare lì tra i Lotofagi a cibarsi di loto, e obliare il ritorno». ·I.;identi:ficazione di queste piante, loto e giacinto, è controversa, vd. per es. Herzhoff 1984; Stadler 1914; Garlick 1921; Haarhoff 1956; Amigues 2002, p. 395 ss. Problematica, come si è visto, è anche l'interpretazione di tutto il passo in cui si descrive il pharmakon esthlon chiamato moly (Odissea 10, 302-306), vd. la nota 180. 314 Si è già detto che l'associazione di 'erbe e :fiori' è rimasta viva per abbracciare l'intero regno vegetale (vd. la nota 250); osserva Cardona che la categoria di ':fiore' «è una vera e propria forma di vita; un informatore potrebbe addirittura eliminare la forma di vita 'erbe' in un primo momento, salvo a recuperarla su sollecitazione, ma certo non dimenticherebbe quella dei ':fiori'» (1995, p. 123). Teofrasto distingue tra :fiori primaverili, estivi e autunnali, e aggiunge che nessuna stagione manca di :fiori, nemmeno l'inverno, nonostante il clima avverso (Ricerche s. piante VI 8, 1-4). Sulla simbologia dei :fiori, vd. la nota 354. 315 Odissea 5, 63-73. Si è notato che sono nominati insieme alberi che crescono in luoghi diversi, umidi o secchi; inoltre con il sedano crescerebbero non le viole, ma il sio (così Ateneo, I sofisti a banchetto 61 c); vd. il commento di J.B. Hainsworth (Milano 1982, ad loc.: riguardo alla compresenza di alberi adatti ad ambienti diversi, si osserva che il poeta non si cura di queste sottigliezze botaniche; la lettura ofou invece di fou è di Tolomeo Evergete). 316 Odissea 5, 59-61; 73 s. 317 Odissea 6, 291-293. 318 Odissea 7, 112-132. Cfr. Diodoro Siculo, Biblioteca storica II 56, 7. Vd. Richter 1968, H 140 ss.; Somville2001, pp. 24 e27. 319 Odissea 24, 220-247. Cfr. Odissea 18, 365-375: «Rispondendo. gli disse l'astuto Odisseo: "Eurimaco, oh sorgesse una gara tra noi, di lavoro, nella stagione novella, quando i giorni volgono lunghi, in un prato, e io avessi una falce ricurva e una ne avessi anche tu, per provarci al lavoro, digiuni, fino alla tenebra, ed erba ci fosse; o ci fossero buoi da guidare, i migliori, bruni e grandi, entrambi sazi di erba, pari di età e di forze, e avessero forte vigore, e ci fosse un campo di

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.quattro misure, e la zolla cedesse all'aratro: allora vedresti se il solco lo traccerei ininterrotto!». La descrizione dei tre giardini, di Calipso, di Alcinoo e di Laerte, contribuisce anche alla caratterizzazione dei tre diversi personaggi, vd. Romilly 1993 («Calypso est une nymphe immortelle; Alkinoos un souverain légendaire dans un pays plus qu'humain; et l'Odyssée s'achève avec le jardin de Laerte - un homme>>, p. 1); Aubriot 2001,. p. 55. Sui termini kepos, orchatos, aloe, leimon, alsos, e su altri termini che indicano la terra in quanto coltivata, o uno spazio recintato, vd. Richter 1968, H 92 ss. e in particolare H 96 ss. Il loro uso meriterebbe un approfondimento, dato che non sempre hanno un valore univoco. Significativa è l'osservazione di Strabone a proposito di èiA.croç: i poeti abbelliscono la realtà chiamando boschi sacri tutti i santuari, anche se sono senza alberi (Geografia IX2, 33; cfr. Iliade 2, 506); subito dopo cita un frammento di Pindaro. Vd. Chantraine 1999, p. 65, s.v. 320 Vd. Esiodo, Teogonia 215 s.: «le Esperidi che, al di là dell'inclito Oceano, dei pomi aurei e belli hanno cura, e degli alberi che il frutto ne portano». Cfr. la descrizione della nascita di Afrodite: «attorno l'erba sotto gli agili piedi nasceva» (Teogonia 194 s.; cfr. 576 s. a proposito della 'formazione' di Pandora); La distinzione tra i vari tipi di giardino non. deve essere considerata tuttavia troppo netta, data l'interferenza tra credenze religiose ed esigenze estetiche, ricreative ed economiche. Semmai, una distinzione si può fare tra i luoghi in cui la vegetazione è la manifestazione della potenza generatrice della physis, e quelli in cui è opera della techne. 321 Il mito di Adone, che Frazer intende come 'spirito della vegetazione', è stato oggetto come noto della reinterpretazione strutturalista di Marcel Detienne: > (2001, p. 46). La grotta, che arricchisce il giardino in cui si concentra l'universo stesso, diventa un luogo di memoria e di ispi· razione: «Si peu d'images ont hanté les Grecs autant que celles de la prairie fleurie et de l'alsos [. ..]. Alexander Pope, inspiré dans une grotte qui reliait deux jardins de Mémoire, apparait comme un authentique nympholepte moderne, qui avait intuitivement assimilé la quintessence d'une culture antique dont il avait fait sa patrie d'adoption>> (p. 49 s.). Cfr. BaltruSaitis 1983, p. 120 s. 325 Storia naturale XIX 49: . 326 Storia· naturale XIX 50-53: «Anche i re romani si dedicarono alla coltivazione degli orti: anzi, fu proprio dal suo orto che Tarquinio il Superbo mandò al figlio quel messaggio feroce e sanguinario. Nelle XII Tavole che contengono le nostre leggi non si trova mai menzione della villa, ma sempre, con questo significato, dell'hortus, e dell'heredium nel senso di hortus. Per quèsto motivo agli orti è stata associata una sorta di venerazione religiosa, e po5siamo vedere che solamente nell'orto e nel Foro vengono co'nsacrare, come rimedio contro il malocchio, delle immagini di satiri, sebbene Plauto consideri gli orti affidati alla protezione di Venere. [...] A Roma, invero, l'orto era essenzialmente il campo della gente modesta: dall'orto si riforniva il popolo, con alimenti tanto meno dannosi! [. ..] Ma, per Ercole, quanto sarebbero a buon prezzo i prodotti dcll' orto, quanta disponibilità ve ne sarebbe per un nutrimento gradevole e sufficiente, se non fossero oggetto di quello stesso disdegno che domina dappertutto! Proprio questo dovevamo sopportare: che nascessero frutti ricercati - e inaccessibili per la gente modesta- quali per il sapore, quali per le dimensioni, quali per le caratteristiche prodigiose>>. Nel 'giardino' romano confluiscono elementi di varia provenienza e tradizioni latine, italiche, greche e orientali; sugli horti romani, e sulla loro localizzazione, sullo sviluppo dell'ars topiaria, sulle strutture architettoniche connesse, sulla flora e sulla fauna che li compongono e li arricchiscono, e sulle diverse tipologie (giardini rustici, funerari, parchi pubblici e giardini privati, giardini imperiali), vd. Grimal 2000. Per l'età tardo· antica e bizantina, i Geoponica (vd. in particolare i libri X e XI) costituiscono, insieme con le testimonianze artistiche,

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una preziosa fonte che attesta la continuità .con la tradizione precedente; nel senso della contemporanea presenza di piante ornamentali e di piante da frutto: «Chi desideri avere· un giardino, deve scegliere un luogo adatto, se vi è disponibilità di spazio, all'interno del suo podere; in caso contrario, nelle sue vicinanze; in tal modo, non si potrà solo osservare da lontano qualcosa di gradito alla vista, ma l'aria, impregnata da ciò che sale dalle piante, renderà anche più salubre il possedimento. Il giardino deve essere circondato accuratamente con un recinto o con qualcos'altro. Non si facciano nascere le piante senza ·un ordine, né tutte assieme, mescolate, perché, come si dice comunemente, la varietà delle piante crea la bellezza; al contrario, si collochi ciascuna delle piante separatamente specie per specie, affinché quelle più deboli non siano vinte da quelle più forti, o siano private del nutrimento. Il terreno rimanente tra specie e specie si riempia di rose, di gigli, di viole e di croco, gradevolissimi sia alla vista, sia all'olfatto, sia all'uso; essi aumentano inoltre il valore del terreno e sòno molto utili alle api» (X 1, 1-3 ); vd. Lelli 2010, Il p. 939 ss.; G. Parlato, in Radici Colace 2010, p. 594. 327 Storia naturale XIX 50-51. J2S Il termine xapaon!Joç è un prestito iranico, che Senofonte usa parlando di parchi persiani: xapaoci> (ibid., p. 206). Si può

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dire che l' agricoltùra fa da mediatrice tra l'esuberante vitalità della natura e l'ordine. m Plutarco narra come Alcibiade riuscì a conquistare la protezione di Tisaferne, grazie alla sua versatile intelligenza e alla sua abilità (24, 5): «Così avvenne che Tisaferne, il campione dell'odio contro gli Elleni tra i Persiani, si lasciò sopraffare da Alcibiade e cedette a tal segno, da adularlo e superare anzi con le proprie le adulazioni dell' ospite, se pose nome Alcibiade al più bel parco che possedeva, ov'erano ruscelli e prati ameni, dimore e recessi tranquilli arredati con sfarzo degno d'un re. Anche in seguito tutti lo chiamarono s=pre così» (24, 6-7 -204 B-C; trad. di C. Carena, Milano 1974). 332 «Nei pressi dell'acropoli, c'era anche il giardino detto "pensile", costruito non da Semiramide ma da un. successivo re siro, per compiacere una sua concubina: dicono infatti che questa, che era di origine persiana e desiderava i prati delle sue montagne, chiedesse al re di imitare, mediante l'abile realizzazione tecnica del giardino, la caratteristica propria della terra persiana. Il parco si estende da ciascun lato per quattro pletri, con la linea ascendente tipica dei monti e le costruzioni una dopo l'altra, in modo da avere un aspetto come di teatro. Sotto le salii:e artificialmente realizzate erano state costruite delle gallerie che sopportavano tutto il peso del giardino, e che a poco a poco divenivano progressivamente l'una più alta dell'altra secondo il progredire dell'ascesa: la galleria più in alto, alta cinquanta cubiti, reggeva su di sé il piano più in alto del giardino, posto a un livello pari a quello della cinta protettiva. Inoltre i muri, sontuosamente eseguiti, erario spessi ventidue piedi, e ciascun passaggio era largo dieci piedi. I tetti erano coperti con travi di pietra, lunghe - con le estremità sporgenti - sedici piedi e larghe quattro. La copertura al di sopra delle travi comprendeva innanzitutto uno strato di canne con abbondante bitume, quindi una doppia serie di mattoni cotti connessi tra loro con gesso, e come terzo strato sovrapposto aveva delle tettoie · di piombo, perché l'umidità proveniente dalla terra accumulata sopra non trapassasse in profondità. Al di" sopta di questi strati era accumulato un sufficiente spessore di terra, che bastasse per le radici degli alberi più grandi: la terra, livellata, era piena di alberi di ogni specie che potessero, per la loro grandezza e le altre loro bellezze, rallegrare chi li vedesse. Le gallerie, che ricevevano la luce per il fatto di essere l'una più alta rispetto all'altra; contenevano molte ·stanze reali di ogni genere: ce n'era una che al piano più alto aveva dei fori e delle macchine per il drenaggio delle acque, grazie a cui veniva tirata su una gran quantità d'acqua dal fiume, senza che nessùno al di fuori

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potesse rendersi conto di quel che avveniva. Questo parco, dunque, come ho detto prima, fu costruito in seguito» CII 10; ed. a cura di L. Canfora, Palermo 1986). Vd. Grimal2000 (I:arte), p. 9 ss. 333 L' ekphrasis dei giardini come topos retorico sarà teorizzata in età imperiale (vd. per es. Ermogene, Le forme dello stile Il 4, p. 331, 15 ss. Rabe; e la nota 307); vd. Rohde 1960, p. 545, n. 1; Schoenbeck 1962; Curtius 1967, pp. 202-209; Elliger 1975, p. 295 ss.; Wamberg 2009, I p. 423 ss. 334 Meriterebbero un approfondimento la nozione stessa di 'paesaggio' nel mondo antico e nel mondo moderno, e i termini che la esprimono nelle varie lingue. Utili spunti di riflessione in questo ambito, e suggerimenti bibliografici, si possono leggere in Croisille 2010, pp. 11-15. Vd. anchelanota275. 33? Idillio VII 131-146. Per il rapporto tra paesaggio e mondo pastorale, vd. Fantuzzi 2002, p. 187 ss., in particolare pp. 191ss.;203. 336 Dafni e Cloe Il 3, 3-5: «Possiedo un giardino - JciPtoç, opera delle mie mani, che presi a lavorare con cura da quando a causa della vecchiaia smisi di andare al pascolo, e che mi produce in ogni periodo dell'anno tutto quanto le stagioni offrono: in primavera rose, gigli, giacinti e viole d'entrambe le specie; in estate papaveri, peruggini e mele d'ogni varietà; ora, in autunno, uva, fichi, melagrane e verdi mirti. In questo giardino ali' alba si radunano stormi di uccelli, alcuni per trovare cibo, altri per cantare, dato che è ricco d' ombre e irrigato da tre sorgenti; se si togliesse il muretto che lo recinge, si crederebbe di vedere un boschetto sacro» (trad. di M.P. Pattoni, Milano 2005). 337 IV 2, 1-6. Lamone si prende cura di questo giardino per apprestare al suo padrone «un soggiorno - x:mayorrfiv - che sotto ogni aspetto risultasse piacevole alla vista>> (IV 1, 2, dr. Platone, Fedro 230 b). Nel commento, la Pattoni richiama l'attenzione sulla funzione del giardino di Dionisofane (che fa da scenario a gran parte del libro quarto), funzione che spiegalo spazio notevole riservato alla sua descrizione (2005, p. 433 s., n. 3), e sul confronto con > che coinvolse la società olandese, a tutti i livelli, per un fiore esotico, 'inutile' e 'senza storia' in Occidente, in un periodo in cui mercanti e botanici sollecitavano l'interesse per la scoperta di nuove piante, conduce un'interessante indagine Michad Pollan (2009, pp. 71-113). Le preferenze

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per questo o quel fiore da parte di scrittori e poeti sono ironicamente illustrate in un recente pamphlet di Umberto Pasti (2010). L'antropologo Jack Goody ha studiato il ruolo e significato dei :fiori in molte culture, quasi tutte attratte, ma in modo diverso, da essi (1993). Vd. anche la nota 312. 361 Stimolanti spunti di riflessione offre la lettura del saggio Die Landschaft di Joachim Ritter (vd. trad. it. 2001); vd. anche Assunto 1973; Simmel 1985; i saggi raccolti da Belli /Rosenberg 1993. 362 Barsann 2010, p. 166. L'albero diventa un prospetto della natura con Buffon: (Barsanti 1992, p. 76). Nella scelta del prospetto dell'albero, della scala o della mappa intervengono concezioni e criteri diversi, quali la continuità o la discontinuità della natura, l'importanza delle affinità o delle differenze, il procedere per analogie o opposizioni. Di per sé, lalbero rappresenta un'idea fondamentale di unità, pur nella ramificazione: nella concezione di Lullo (si pensi al suo progetto

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di un' ars magna; l'unità della conoscenza umana corrisponde all'unità del cosmo), di Bacone e di Cartesio, la conoscenza è simile a un albero rispetto al quale le differenti discipline sono i rami che nascono da uno stesso tronco (Rossi 1992, p. 48). 363 Vd. per es. Platone, Fedro 246 e-249 b; Repubblica VI 509 d-511 e; Timeo 27 a ss.; 77 a-c; 89 e-92 c; Aristotele, Ricerche s. an. VIII 1, 588 a 16-589 a 9; Parti d. an. I 3-5, 643 b 12-646 a 4; II 1, 646 a 8-b 10; IV 5, 681 a 12-15; 10, 686 b 29-687 a 5; Politica IV 4, 1290 b 21-1291 b 7. Sulla scala come prima immagine della natura, con cui si riaffermano nel corso del tempo, la continuità, la pienezza, la progressione e la gerarchia naturale, e con cui l'Antichità e il Medio Evo hanno espresso «qualcosa di più e di diverso da un'immagine della natura in senso proprio e stretto», vd. Barsanti 1992, pp. 7-41 e passim; 2010, p. 157 ss.: salendo la scala «si passa, gradualmente, dal semplice al complesso, dall'abbozzato al compiuto, dall'imperfetto al perfetto: come risulta da una delle prime visualizzazioni della metafora, in cui si assiste a un costante incremento di proprietà che porta, senza salti, a raggiungere "cose" che divengono sempre più sofisticate. Con essa si passa, sostiene Lullo, "dalle cose inferiori a quelle superiori"». 364 Vd. Barsanti 1992, p. 75 ss.; Brosse 1998; Blum 1999; Van den Abeele 2009; Rainini 2009; Klapisch-Zuber 2009; Lepape 2009; Liithy/ Smets 2009; Wamberg 2009, I p. 405 ss. L'immagine dell'Albero (Morpurgo-Davies 1996, p. 240 s.). I; origine dell'albero genealogico delle lingue è molto discussa, nelle sue relazioni con la biologia (visione biologico-genetica dell'evoluzione linguistica) e con la filologia, come si è accennato. Già nel Seicento, d'altra parte, Claude de Saumaise (Salmasius), sviluppando, nel De Hel· lenistica Commentarius, il concetto di .metaptosis ('mutamento, differenziazione'), che egli intende in senso negativo, come passaggio da una condizione superiore a una inferiore, e affrontando il problema della differenziazione linguistica, mostra di avere mrov éxei KOtva. OtO'tl oè exoum. 'tUUta tà cp'U'ta, Kaì .'tÒ èm0uµi~ Òlcrautroç Ka'téxecrem èmcneoov. 'AJ.J..à 1tprotov tol.ç avepo'iç elto: Ko:Ì to'iç x:ex:puµµévoiç CÌKoÀou0ilcrroµEv. Ai:.yoµEv 'toivuv cOç Èàv eì n -rpÉcpe'tat, ì\011 x:o:ì Èm0uµE'i x:aì TJOUVEtat µèv t

mòv 16 çrov fonv, ìlòTt wuw 1Caì çov Ei1totµEv èiv. oùoaµroç· Kaì yàp OUmou à1t0òt06vat 'tÙ otm.KftcrEt 'tilç wuxfìç wu çc{iou. Tò yàp -rà cj>mà wu çfjv à1to- 17 5 cj>Urncov omroç, 'tOfuO ÈO"nV on OÙK O:ta0àvOV'tat. KO:t yap EÌcn KO:i nva sQ'ìa yYcOOEroç ÈO"'tEpTtµÉVO:. È1tEÌ OÈ TJ cj>Ucnç 'ti{V WU,

PIANTE 815 b 21 - 816 a 6

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esiste senza la sensazione, e il :fine di ciò chè vogliamo cambia in relazione alle sensazioni che si hanno 17 • Ora, nelle piante non troviamo né la sensazione, né una parte capace di percepire, o qualcosa di somigliante, né una· forma determinata, o qualcosa che vi si approssima, né movimento, né un modo per avvicinarsi ali' oggetto percettibile, né un indizio per cui si possa ritenere che esse posseggano la sensazione, e che corrisponda a quei segni per cui sappiamo e con~tatiamo che le piante si nutrono e crescono18 • Stabiliamo questo con sieurezza, solo perché pensiamo che la facoltà nutritiva e la facoltà di crescita siano parti dell'anima. Pertanto, quando troviamo che la pianta ha queste caratteristiche, cioè ha ip sé una parte dell'anima, di questa natura, dobbiamo pensare che un'anima ce l'abbia. Ma quando manca di facoltà percettiva, non si deve ammettere che sia capace di percepire: la percezione dà lu"ce alla vita, mentre la facoltà nutritiva fa sì che una creatura vivente cresca19 • Queste differenze cli opinione emergono a questo punto, perché è .difficile concepire uno stadio intermedio tra la vita e la sua mancanza, in un unico s16a oggetto. Forse potremmo definire senz'altro la pianta un animale, in quanto vive. Ma non possiamo farlo, perché non si può pensare di spiegare la realtà e le funzioni della pianta con il modo in cui l'anima governa l'animale. Di fatto, si dice che le piante non vivono, perché non percepiscono; e ci sono d'altra parte anche animali privi della facoltà di conoscere.

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ARISTOTELE

çcpou scoitv Èv 'tmoiì.. oùic Ea'tat oè povdç È1tÌ 't'iJ ÉÀ.icuoi;:t 'tftç 'tpoftç aioefioecoç 'tÒ 1tapa1tav on mxv 'tÒ 'tpEO)IBVOV XPUset év 1s Ti.i oiiceiçt 'tpo1ì ouo 1tOlO'tf)'trov nvcilv, 0epµO-t11't6ç Tlµt icaì 'l'UXPO't11't0mòv 'tOtaUTIJ Ò1toì6v Èonv ÉKa'tEpov aù'tcilv. [2] OtEpeuvitoOO)IBV oiiv icaì 'tOU'tO, ò 1tpOT)'YTtOO'tO Èv 1:0 itµe'tÉpcp À.6ycp, 1tEpÌ ém0uµiaç U'tOU KaÌ KlvTtOE©ç aÙ'tOU KaÌ 'flU25 xftç toi.aç, icaÌ Et n àvaÀ.UE'tat cl1t' aÙ~oiì 'tOU moiì, foov Eiç 1tVofjv. Aval;ay6paç yàp EÌ1tE wiìw ÈXEtv icaì 1tVofjv. lWÌ rréòç, dn;ep EÙptOlCO)IBV n;oUà ç.pa µit ÈXOV't(l 1tVOfjv; Kaì 1taÀ.tv cùpi.01Coµev àicptj3éòç on 'tà qiu'tà omi:: ooronoucnv OU'tE yp'T]'Yopoum · 'tÒ yàp yp'T]'Yope'ìv oùMv fonv Ei µit CÌ1tÒ ow30 0foi::roç 'tftç aioefioi::roç, 'tÒ oè Ù1tVOO't't:Etv oùoèv EÌ µit ào0éVEta aùTiìç icaì oùx i::ùpi.01Ce'tai n wirrrov 8v 1tpayµan 'tpEoµévcp µèv 1taom.ç mpmç icmà OlOtlCT)OlV µi.av, év 't'ij oiiceic;x oè UoEl µit aio0avoµévcp. T0 yàp çcpcp O'tE 'tpÉE'tat 'tl, ouµj3ai.vi::t 'tÒ àvaj3ai.vi::tv àva0uµi.amv CÌ1tÒ Tiìç 'tpoftç 1tpòç 'tftv

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PIANTE 816 b 12-34

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deriva da un principio naturale, ed è comllile agli animali e alle piante; inoltre, nell'assorbirlo non in~ terviene affatto la capacità percettiva, perché ogni essere che si nutre ha bisogno di due qualità nel proprio nutrimento, cioè del caldo e del freddo: anche per questo necessita di un nutrimento sia umido sia secco25 • Ora, il caldo e il freddo si trovano negli alimenti secchi e umidi, ma nessuna di queste qualità è separata dalla sua compagna; per questo, l'essere che si nutre ha continuamente bisogno di nutrimento dal suo inizio fino al momento della sua fine: sia animali sia piante devono assumerlo, ciascuno secondo la propria natura26 • 2. Passiamo ora all'indagine su una quesfione già anticipata nel nostro discorso, riguardante il desiderio e il movimento delle piante, la loro anima specifica, e la possibilità che da esse emani qualcosa, per esempio nel respiro27 • Anassagora, a questo proposito, afferma che anche· le piante respirano. Ma com'è possibile, se constatiamo che molti animali non respirano? Abbiamo poi la certezza che le piante non dormono e non si svegliano. Si sa che lo svegliarsi non dipende da altro se non da uno stato della facoltà percettiva, mentre il dormire è connesso con una sua debolezza: niente di tutto questo si individua in un essere legato a un'unica e continua funzione vegetativa, e che per sua intrinseca natura non ha percezione28 • Di fatto, quando un animale si nutre, accade che un'esalazione dal cibo sale fino alla testa dell'animale

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PIANTE 817 b 2-30

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loro potenzialità prima separate, e da due esseri ne deriva uno solo; questo non si verifica nelle piante: quando si uniscono, i sessi e le loro potenzialità non restano in seguito separati34• Giusto è il procedimento della natura, di mescolare il maschio con la femmina, perché nelle piante non troviamo altra attività, oltre alla produzione dei frutti. Negli animali, invece, il _maschio è separato dalla femmina, se si esclude il momento del coito: questa separazione è dovuta alle loro molteplici attiV:ità e conoscenze35 • Alcuni considerano le piante esseri completi e ritengono che la loro vita sia il positivo risultato di due loro capacità: hanno il nutrimento necessario al loro sostentamento, vivono a lungo, e lungo è il periodo della loro vita in cui crescono e fruttificano; inoltre, ringiovaniscono periodicamente, e non producono residui. La pianta non ha bisogno di dormire per molti motivi: sta a terra e vi è come legata. Non ha inoltre movimento proprio, né una definita divisione nelle sue parti, non possiede neppure capacità percettiva, né movimento volontario, né un'anima completa: ha solo una delle parti dell'anima. Ancora, la pianta è stata creata solo per l'animale, mentre l'animale non è stato creato per la pianta. Se si dice poi che la pianta ha bisogno di un nutrimento semplice e povero, ammesso che sia vero, ne ha bisogno tuttavia con molta regolarità, continuità e senza dispersione3 6• Questa sarebbela prova che la pianta è in qualche modo superiore all'animale: ne consegue di necessità

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PIANTE 817 b 31- 818a17

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che esseri senza anima siano migliori di quelli che ne hanno una. Tuttavia una sola funzione degli animali supera ogni altra funzione della pianta; del resto negli animali si trovano tutte le potenzialità della pianta, e altre ancora, mentre nort è vero il contrario37 • È sempre Empedocle a dire che le piante nacquero in un mondo ancora imperfetto e non completamente formato, e che quando questa compiutezza fu raggiunta si generò un animale. Ma questa argomentazione non è corretta, perché il cosmo è perfetto e perpetuo, e non cessa mai di generare animali, piante e ogni altra specie. In tutte ·le specie vegetali, ci sono calore e umidità naturali: stsa le piante diventano deboli, invecchiano, muoiono, si seccano quando questa umidità -si è consumata; alcuni definiscono morte questo processo, altri no38 • 3. Alcune piante contengono una sostanza molle, come resina, gomma, mirra, incenso, gomma arabica39 • Altri alberi hanno fibre40 , vene41 , ventre42 , tronchi, corteccia, e midollo all'interno43 ; alcuni consistono quasi interamente di corteccia44 • In alcuni, il frutto è sotto, vicino alla corteccia, cioè tra la corteccia e il tronco45 • Alcune parti dell'albero sono semplici, come la linfa, al loro interno, le fibre e le vene; altre parti sono composte a partire da queste, come i rami, i virgulti, le foglie: queste parti non si trovano sempre in tutte le piante46 . Alcune piante hanno, oltre a queste, altre parti: virgulti, foglie, rami, fiori, germogli e buccia che avvolge il frutto 47 . Come negli animali, così anche nell~ piante ci sono parti omogenee; inoltre tutte le parti composte

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PIANTE 819b29-820a14

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che peri e altre piante simili sono selvatiche, perché ·non provengono da una coltivazione95 • Alcune piante fanno frutti, altre no, come i salici e alcune specie di querce; alcune producono olio, altre no; alcune hanno foglie, altre no; in alcune le foglie cadono, in altre no; alcune hanno rami, altre no96 • Molte cose si possono certamente dire sulle differenze tra le piante, grandi o piccole, belle o brutte, produttrici di frutti buoni o cattivi. In confronto con gli alberi coltivati, quelli selvatici sono più fruttiferi, ma i frutti degli alberi coltivati sono migliori di quelli degli alberi selvatici97 • Alcune. piante nascono in luoghi secchi, altre nel mare; alcune nei fiumi, altre nel Mar Rosso; alcune crescono grandi in un luogo e piccole in un altro; alcune crescono sulle rive dei fiumi, altre nelle pa- 820a ludi98 • Tra le piante che nascono in luoghi secchi, alcune crescono in montagna, altre in pianura; alcune vivono poi in luoghi molto secchi, come quelle che vivono in Etiopia: là crescono meglio che altrove. Alcune vivono in luoghi alti, altre in luoghi bassi; alcune vivono in luoghi umidi, altre in luoghi secchi; alcune sia negli uni sia negli altri, come il salice99 • Certamente, le piante cambiano notevolmente in relazione alle differenze dei luoghi: anche in base a questo, bisogna capire.le loro differenze100• 5. Ancora, alcune piante sono saldamente connesse al terreno, da cui non vogliono essere separate; altre invece si lasciano spostare in luoghi più favorevoli. Allo stesso modo alcuni frutti sono migliori in un luogo che in un altro 101 •

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PIANTE 822 a 2-26

e la conservazione: perché i frutti di alcuni durano, di altri no, e per quali motivi alcuni marciscono rapidamente, altri lentamente142 • Bisogna indagare anche le proprietà delle piante, e soprattutto delle radici: perché i frutti di alcune piante sono molli, di altre no; perché alcuni sono afrodisiaci o soporiferi, oppure causano la morte. Molte altre differenze devono essere oggetto di indagine; per esempio: perché i frutti danno un latte in alcune piante, in altre no 143 •

II L'albero ha tre potenzialità: la prima gli deriva dall'elemento terra; la seconda dall'elemento acqua; la terza dall'elemento fuoco. La crescita della pianta è dovuta alla terra, il suo rinsaldarsi all'acqua, la sua saldezza e coesione al fuoco 144 • Constatiamo la presenza di molti di questi componenti negli oggetti di coccio, in cui ce ne sono tre: il fango, con cui si fa un mattone di terracotta, poi l'acqua che lega l'argilla, e infine il fuoco che rinsalda le sue parti, fuio a che con la sua azione esso sia completato145 • Questo processo di unificazione operato dal fuoco è dimostrato dal fatto che gli oggetti di terracotta sono porosi, costituiti di singole parti. Una volta che il fuoco abbia mescolato tutte queste parti, la materia umida si esaurisce, e le parti dell'argilla si uniscono saldamente; si fa strada il secco al posto dell'umido. Così pure avviene la cozione in ogni animale, pianta o minerale,

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PIAN1E 822 b 37 - 823 a 22

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che, quando avviene un terremoto, sorgenti e fiumi si uniscono 155 • Questo non accade alla pianta perché c'è aria nelle sue parti porose; ne è una ulteriore indicazione 823a il fatto che non si ha terremoto nei luoghi sabbiosi, ma nei terreni compatti e duri, quali appunto sono quelli in cui scorre l'acqua, e su cui sorgono i monti: il terremoto si verifica in questi luoghi, perché acqua e pietre sono compresse156 . È tipico dell'aria calda e secca sollevarsi per la sua leggerezza. Quando le sue parti si aggregano e prendono il soprawento, esercitano tutte insieme una pressione sull'area, da cui scaturisce una violenta evaporazione. Se però il terreno è poroso non awerrà così, ma sarà come nel caso del terreno sabbioso: anche da qui si ha evaporazione, ma in modo graduale; per questo non si verifica il terremoto. Insomma questo (intendo dire la fuoriuscita graduale di aria) non si verifica mai nei terreni compatti. Quando le parti di aria si aggregano, possono spaccare la terra: questa è la causa del terremoto nei terreni compatti157 • Si hanno scosse in ogni genere di cose, tranne che nelle parti delle piante e degli animali: capita spesso negli oggetti di coccio, nel vetro, e in altri minerali158 • Quando un corpo è molto poroso, il vapore abitualmente sale: la sua leggerezza è dovuta ali' aria. Possiamo osservare spesso questo fenomeno, quando si lascia cadere oro, o qualche altro materiale pesante, nell'acqua: subito va a fondo; invece se vi si lascia cadere un pezzo di legno poroso o piccolo,

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PIAN1E 823 a 23 - b 5

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esso galleggia e non va a fondo. Per questo, non sono le foglie a impedire l'immersione del legno, che molte volte va a.fondo, come non è il suo supposto peso a farlo andare a fondo: la causa sta piuttosto nel fatto che il legno può essere duro e compatto, oppure poroso: ora, ciò che è poroso non va mai a fondo 159 • L'ebano e i legni simili vanno a fondo, perché sono poco porosi, e non contengono neppure aria che possa renderli leggeri; si immergono pertanto, perché le parti di cui sono composti sono molto compatte e dure 160 • L'olio e le foglie galleggiano sempre sulla superficie dell'acqua: adesso lo dimostriamo. Sappiamo che in essi ci sono umidità e calore, e che l'umidità tende ad aggregarsi con le particelle d'acqua, e il calore fa salire l'umidità:· 10 stesso effetto si ha nel caso dell'aria 161 • L'acqua tende a sollevare ogni cosa alla sua superficie, :fino al punto di contatto con laria, e così la fa risalire; ma lacqua ·non supera il limite della propria superficie; perché essa è un tutt'uno con quella dell'aria. Per questo anche lolio ~ora sulla superficie dell' acqua162 • Anche alcune pietre galleggiano sulla superficie dell'acqua, perché i loro spazi vuoti sono maggiori delle parti che le costituiscono, e perché lo spazio 823h occupato dall'aria è più grande di quello occupato dall'elemento terroso. È naturale che lacqua scorra sopra la terra, e che laria sormonti lacqua; così l'aria racchiusa nelle pietre per sua natura sale sopra l'acqua, e si congiunge con la massa dell'aria: ogni

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PIANTE 824 b 26 - 825 a 8

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agisce sull'acqua salata, le sue parti si. rarefanno, e sale l'evaporazione che si era formata sul pavimento del bagno, mentre tornano indietro le parti solide e salate insieme con l'umidità naturale, dal momento che non sono della natura dell'aria per seguire l'evaporazione, che avanza e sale: una nuvola dopo l'altra. Quando questa evaporazione è continua e abbondante, fa pressione sul soffitto e qui si ammassa, si condensa e ricade poi sotto forma di gocce di acqua dolce. Così, nei bagni di acqua salata, e' è acqua dolce 184• I vegetali che nascono in acque salate non possono svilupparsi pienamente a causa della secchezza. Di due cose ha bisogno la pianta, di materia e di luogo adatti alla sua natura: la pianta si sviluppa quando siano compresenti queste condizioni185 • Quando invece troviamo una materia molto lontana dalla giusta mescolanza, essa non serve a niente, perché il fatto di trovarsi in un luogo non temperato è di ostacolo all'esistenza della pianta186• Normalmente non troviamo una pianta che cresca 825a nella neve; pur se talora osserviamo che qualcuna vi spunta, e che vi sono alcuni animali, specialmente vermi, che nascono proprio nella neve, come anche il verbasco e tutte le erbe amare187 • Non è però la neve a favorire questo sviluppo, a meno che non ci sia un'altra causa concomitante, cioè questa: la neve che cade è simile al fumo, poi il vento la rende solida e l'aria contribuisce alla sua compattezza188 • Tuttavia nelle sue parti c'è una certa porosità, poiché vi è trattenuta una porzione calda di aria, per cui vi

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PIANTE 826 b 15-40

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con violenza in quella regione e la terra si rinserra in sé244 , l'aria rinchiusa si comprime, e il vento addensa l'umidità245 : da essa spunteranno piante che non differiscono molto tra di loro per aspetto e forma, a causa della permanenza e della densità dell'acqua, e a causa del calore del sole incombente246• Ancora, riguardo alle piante che vivono in luoghi umidi, e che appaiono come una chiazza verdeggiante sulla superficie della terra, dico che in un posto così c'è poca porosità247 • Pertanto, quando il sole vi picchia e smuove l'umidità in esso, e riscalda il terreno con il movimento che ne risulta e con il calore racchiuso all'interno della terra248 (cosa che non si verifica là dove la pianta non abbia le condizioni per crescere), e quando poi l'umidità si espande naturalmente e si disperde, un vapore si alza sopra la terra, come un tessuto verdeggiante; in seguito a ciò nasce una pianta che non ha foglie2 49 , dello stesso tipo di quella che si vede sulla superficie dell'acqua, ma più grande, perché è vicina alla terra, anche se non può crescere in altezza né espandersi250 • Spesso una pianta cresce senza radici su un'altra, dissimile e non della stessa specie. Il suo sviluppo avviene così251 : quando una pianta molto spinosa si muove in un liquido grasso, le sue parti si aprono; il sole fa poi evaporare ciò che vi è di putrido, ne determina così la cozione e secondo la propria natura porta soccorso nel luogo putrido con un giusto calore252 • In seguito a questo, la pianta cresce e si espande sotto forma di fili sopra tutta I' altra pianta. Questa è una peculiarità delle piante che

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PIANTE 827 b 35 - 828 a 17

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in altezza ha una causa: la loro natura appare nel midollo, .attrae il calore e comprime in sé laria contenuta nelle parti porose; esse assumono così una forma piramidale, come fa il fuoco quando si leva sui materiali che lo alimentand75 • Nelle piante che tendono invece in basso, i pori sono serrati. Avvenuta la cozione, la materia acquosa, in cui è il midollo, si raddensa; ciò che è leggero si s2sa sposta in alto, mentre l'umidità ritorna verso le parti basse, perché è il suo stesso peso a causare questo movimento276 • Nelle piante che hanno uno sviluppo intermedio, le cose stanno invece così: l'umidità si assottiglia, perché, nel momento della cozione, si ha una condizione di giusta mescolanza; inoltre i pori sono di misura intermedia, e la materia si diffonde sia in alto sia in basso277 • La prima cozione avviene alla base della pianta, la seconda nel midollo, che esce fuori dalla terra e si trova nel mezzo della pianta. Successivamente ha luogo una distribuzione che dipende dalla seconda cozione, non dalla prima278 • La terza forma di cozione si ha nell'animale: questa non avviene se non per la diversità delle membra e per la reciproca differenziazione delle loro naturali caratteristiche279 • Le piante, d'altra parte, sono affini le une alle altre, e per questo si moltiplicano in molti luoghi. Per lo più, la loro materia tende verso il basso280 • Le forme delle piante dipendono dalla natura e dalla quantità dei semi; i fiori delle piante e i frutti

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ARISTOTELE

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