L'ape e l'architetto. Paradigmi scientifici e materialismo storico
 8807790971, 9788807790973

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Giovanni Ciccotti, Marcello Cini Michelangelo de Maria, Giovanni Jona-Lasinio

L'APE E L'ARCHITETTO Paradigmi scientifici e materialismo storico Introduzione di Marcello Cini

FELTRINELLI

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SCIENZA E POLITICA A CURA DI MARCEllO CINI E GIULIO A. MACCACARO

D e l l a scienza si è parl ato e si cont i n u a parlare in molti mod i : f i n o a qualche anno fa come d i u n a c h i ave che avreb­ be aperto a l l'uman ità le porte del parad iso te rrestre , piu re­ centemente come di una possibi l e s a l vezza d a l l e strette del ri catto energetico, i e r i come etica della necessità, oggi co­ m e una necessità d e l l 'etica. In ogni caso i mportava nascon­ dere l'i ntrecc i o tra s c i e nza e profitto: negare che l a scienza sia strumento modu l a b i l e per i l potere d e l l a cl asse domi­ nante, arma teleg u i d a b i l e del comando imperi a l i sta. M a V i etnam , rivoluzione culturale cinese, maggio francese, autunno caldo italiano hanno scoperto quel l'i ntreccio, rove­ sci ata questa negaz i o n e . Cosi come i l rifiuto del l a delega e l a d o m a n d a di partecipa­ z i o n e , l 'affermazi one d e l l a soggettività opera i a e l a lotta a l ­ l'orga n i zzazione capita l i stica d e l l avoro h a n n o posto l e pre­ messe per una critica di massa del feticcio scientificista. Una critica d i cl asse a l l'ideo l o g i a del capitale che cerca di attrib u i re a l l a scienza, mero prodotto d i attività l avorative deg l i u o m i n i , u n ru o l o speci a l e oggettivo che è , i nvece, del p l esso dei rapporti d i potere che tra queg l i uomini si pon­ gono. U n a critica come pratica soc i a l e per l'appropriazione da parte del l a c l asse rivo l uzionaria del l e capacità d i contro l l o del rap­ porto uomo-natura nel quadro d i final ità soci a l i a l ternative. iO a qu esta critica, severa e costruttiva i n s i e m e , che "Scienza e pol itica" apre u n o spazio u lteriore.

V o l u m i g i à pubb l i cati: AA.VV ., Scienza e potere O. VARSAVSKY, Lo scienziato e il sistema nei paesi sottosvi­ luppati. Prefaz ione di G.B, Zorzo l i

Giovanni Ciccotti, Marcello Cini Michelangelo de Maria Giovanni Jona-LasiniQ

L'APE E L'ARCHITETTO Paradigmi scientifici e materialismo storico

Introduzione di Marcello Cini

FELTRINELLI

Prima edizione: febbraio 1976 Terza edizione: luglio 1976

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© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

... l 'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio dis tingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui ben conosciuto, che de­ termina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà. K. MARX, Il Capitale, Libro I , Editori Riuniti, Roma 1964, p. 212.

Avvertenza

In questo volume sono raccolti alcuni scritti che han­ no un argomento e un fine comune: il tentativo di com­ prendere nel suo stadio piu evoluto, e perciò anche nel suo sviluppo storico, la funzione del sistema della ricer­ ca in termini di quell'attività sociale umana che è l'appro­ priazione teorico-pratica della natura, ed entro ciò di comprendere il valore della scienza. Questo tentativo si avvale degli s trumenti della concezione materialistico­ storica marxiana, ma non pretende di essere, né ambisce a esserlo, una interpretazione autentica o ortodossa di ciò che Marx intende per scienza. Vogliamo solo contri­ buire all'individuazione delle categorie concettuali ade­ guate a una ricostruzione corre tta del ruolo e del signifi­ cato della scienza nella società capitalistica contempora­ nea. Tale ricos truzione secondo noi può ess ere compiuta soltanto attraverso un'analisi del mutamento qualitativo che il sistema della ricerca e i suoi valori hanno subito nel passaggio dalla fase tecnica del capitalismo indu­ striale alla fase tecnologica del capitalismo monopoli­ stico. Tale analisi deve essere tuttavia preceduta da un tentativo di approfondimento teorico dell'intreccio na­ tura-società, ossia dell'interazione fra rapporto uomo­ natura e rapporti sociali di produzione, quale esso risulta esplicitamente o implicitamente dall'opera di Marx, e in particolare dalla sua concreta costruzione di una scien­ za della società caratterizzata da un intreccio oggettività­ soggettività che è al tempo stesso intreccio fra causalità, cioè materialismo, e finalità, cioè storia. È appunto ciò che abbiamo tentato di cominciare a fare nei primi saggi di questa raccolta. In particolare il saggio sul dibattito epis temologico affronta nella sua seconda parte alcune questioni gene7

rali che sono state successivamente approfondite e chia­ rite in quello che apre la raccolta. Abbiamo tuttavia, per evidenti ragioni di chiarezza, deciso di non seguire l'ordi­ ne cronologico nel presentarli al lettore. Per quanto etero­ genei ques ti saggi possano a prima vista apparire, essi sono in realtà legati da un filo conduttore comune, rap­ presentato dalla concezione materialistico-storica della scienza che abbiamo tentato di delineare. Si noterà che a uno di questi scritti ha contribuito Elisabetta Donini che non condivide con noi la responsabilità delle tesi sos tenute nel libro, anche se in varia m isura ne accetta le idee generali. Vogliamo perciò ringraziarla non solo per aver acconsentito a includere il suo articolo in questa raccol ta, ma anche per aver contribuito con discussioni, suggerimenti e critiche al nostro lavoro. Infine abb iamo cercato di fornire al lettore un ausi­ lio interpretativo di tutto il materiale presentato, con una introduzione che cerca di ricos truire, anche attra­ verso le memorie dirette di uno di noi, la evoluzione delle idee e delle concezioni sul ruolo della scienza che si sono succedute nell'ambito della sinis tra italiana negli ultimi vent'anni. A documentazione di ques ta ricostru­ zione vengono riprodotti in appendice alcuni vecchi arti­ coli che hanno in qualche modo aperto la strada a quel processo di elaborazione e di maturazione collettiva che ci ha portato a formulare le tesi presentate in questo libro. Queste rapide avvertenze sarebbero incomplete se non contenessero un esplicito ringraziamento per i nu­ merosi amici e compagni che ci hanno ascoltato pazien­ temente, aiutato generosamente e criticato acutamente. Fra loro ricordiamo soprattutto D. Capocaccia e M. Lip­ pi per aver contribuito attivamente durante la stesura di ques ti saggi, A. Baracca, E. Damascelli, A. Gaiano, G. Jacucci, B. Morandi, F. Navach, A. Rossi, G. Suffritti, T. Tonietti per le cri tiche e i suggerimenti, F. Marchetti per aver contribuito alla fase iniziale di questi lavori. Infine, piu che un ringraziamento un commosso ri­ cordo da parte del piu vecchio di noi. Senza Raniero Panzieri e lo stimolo della sua lucida e acuta intelligenza i primi articoli del '65-66 non sarebbero mai stati scritti. Alla sua memoria di militante rivoluzionario, oltre che di amico fraterno, è dedicato ciò che ne è risultato negli anni successivi. Gli Autori Roma, settembre 1975 8

Introduzione DI �ARCELLO CINI

1.

I compiti che vent'anni fa il movimento operaio orga­ nizzato poneva ai ricercatori scientifici della sinistra italiana erano chiari. In primo luogo favorire tutte quelle iniziative i n grado di raccogliere le forze piu aperte e moderne del mondo della ricerca per rivendicare nei confronti della classe dirigente un impegno di mezzi e un potenziamento di strutture e di funzioni a favore delle istituzioni scientifiche. Gli interessi di sviluppo dell'economia nazionale nel suo complesso - si legge a esempio nella risoluzione del convegno di ricercatori scientifici, economisti, tecnici e parlamentari comunisti e socialisti tenuto all'Istituto Gramsci nel settembre 1955 - esigono che [ . . ] lo sfruttamento della nuova fonte di energia [ nucleare, N.d.A.] e l'applicazione delle nuove tecniche abbia come obiettivo la riduzione dei costi e il potenziamento dell'intero apparato produttivo. [ ... ] nel quadro di una politica organica che coordini l'impiego di tutte le fonti di energia al servizio del pubblico interesse. [ . . . ] D'altra parte la rivolu­ zione incipiente nel campo della produzione non è esclusiva­ mente connessa alla utilizzazione della energia atomica, bensi all'apertura di molte altre possibilità legate a tecniche avan­ zate quali l'impiego dei radioisotopi, della elettronica e piu in generale l'uso sistematico e consapevole dei servomeccani­ smi. [ ... ] È oggi piu che mai evidente che l'introduzione e lo sviluppo di siffatte tecniche ha, come una delle sue necessarie condizioni, una ricerca scientifica organizzata, e aggiornata in tutti i suoi rami. I progressi, infatti, della ricerca scientifica odierna nella maggior parte dei suoi set tori non sono piu affidati tanto a studiosi singoli di eccezionale ingegno, dei quali è cosi ricca da secoli la tradizione scientifica italiana, quanto al concorde lavoro di schiere di ricercatori, all'entità .

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dei mezzi messi a loro disposizione secondo un organico pro­ gramma nazionale, e alla loro persuasione di contribuire al progresso e al benessere dell'umanità.

In secondo luogo si doveva operare a livello interna­ zionale per la ricomposizione di una comunità scienti­ fica che, al disopra di una contingente spaccatura deri­ vante dall'appartenenza dei suoi membri ai due blocchi, trovasse nella neutralità e universalità della scienza un terreno di intesa che fosse garanzia di una comune aspi­ razione umanitaria e pacifista. Né l'uno né l'altro di questi obiettivi apparivano d'al­ tra parte in contraddizione con una prospettiva politica piu radicale, di trasformazione sociale all'interno e di rafforzamento del " campo socialista" su scala mondiale. Anzi ne costituivano tappe intermedie indispensabili per raggiungere quelle mete. Per di piu, tali obiettivi non scaturivano soltanto dal­ l'articolazione settoriale di una linea politica contingen­ te, ma avevano un fondamento teorico in una tradizione marxista che, anche senza accettare in pieno i pesanti condizionamenti dello stalinismo, si rifaceva in modo assai dogmatico all'Engels deIl'Antidilhring e della Dia­ lettica della Natura e al Lenin del Materialismo ed empi­ riocriticismo. In quanto ponevano l'accento sul signifi­ cato gno seologico delle scienze della natura, questi scritti, infatti, potevano ben essere presi a riferimento concet­ tuale per una concezione del mondo fondata su una netta separazione tra natura e storia. Secondo tale concezione, codificata nel " materialismo dialettico," nella sfera della prima, a una realtà data ed es terna all'uomo non può che corrispondere, almeno se ci si limita al piano gnoseologico, una sola scienza possibile: unica fonte di conoscenza oggettiva in quanto rispecchiamento di quella realtà e, perciò, al tempo stes­ so unico strumento per trasformarla e dominarla. Nella sfera della seconda, invece, si affrontano le classi sociali all'interno di rapporti che, sia pure attraverso media­ zioni e rotture, sono determinati, in ultima analisi, dal quadro oggettivo costituito dalle tecniche incorporate nel modo di produrre, cioè dal livello raggiunto nel controllo della natura da parte dell'uomo. Di qui l'impegno prioritario dello scienziato marxista nell'amb ito specifico del proprio campo di ricerca. Impe­ gno che, fallito il tentativo staliniano di fondare sulle lO

leggi della "dialettica materialistica" lo sviluppo di una scienza "socialista" della natura piu valida e penetrante di quella "borghese," non poteva che ridursi - finché questa dicotomia non fosse stata rimessa in discussio­ ne - all'accettazione incondizionata di quest'ultima, anzi alla sua giustificazione - apparentemente a poste­ riori ma in realtà a priori - nei suoi metodi e nei suoi fini, nelle sue motivazioni e nei suoi risultati. Tale impegno era per di piu rafforzato dalla convinzione che, cosi facendo, lo scienziato marxista contribuiva a far avanzare una visione del mondo laica e razionale, affer­ mando la superiorità della metodologia scientifica nei confronti di una cultura tradizionale, sedicente umani­ s tica, in realtà fatta soprattutto di oscurantismo e di vacua retorica. Intendiamoci bene. Nessuno vuole rimpiangere Zda­ nov. Si vuole soltanto sottolineare che, se si assume che il processo di appropriazione della natura da parte del­ l'uomo sia indipendente dai rapporti sociali che inter­ corrono fra gli uomini, o - in altre parole - se si con­ sidera l 'evoluzione delle scienze della natura come una accumulazione di dati oggettivi che porta a una ricostru­ zione sempre piu approfondita e fedele di una realtà naturale data, anche se inesauribile, con la graduale espulsione dal loro corpo di ogni elemento socialmente determinato, ci sono solo due possibili scelte. O l 'assun­ zione di uno strumento esterno alla scienza, le "leggi della dialettica," come chiave per aprire tutti i forzieri ove sono racchiusi i segreti della natura, o la santificazione di ogni risultato della scienza come passo avanti nel cammino dell'umanità "dal regno della necessità al regno della libertà." La prima scelta non poteva non rivelarsi, come ogni metafisica, fallace. Né d'altra parte fu mai, in realtà, presa molto sul serio da noi i n I talia. L'alIineamento alle tesi del materialismo dialettico sovietico sulle que­ stioni della scienza non venne infatti imposto all'interno del Partito comunista (al tentativo di Sereni di accredi­ tare uffic ialmente il lysenkismo i biologi comunisti espressero un rifiuto ). È anche vero tut tavia che cri tiche aperte alla filosofia ufficiale sovietica non trovarono fa­ cilmente spazio. Soltanto dopo il XX Congresso si co­ minciò a discutere di questi problemi. La seconda scelta è una illusione sempre risorgente, e tutt'oggi vivissima all'interno della sinistra. Per l'ap11

punto essa risultò rafforzata, per reazione, dal fallimento del Diama t. Questa reazione traspare chiaramente, a esempio, nella risposta - peraltro non pubblicata che ebbi occasione di scrivere a un questionario inviato nel 1956 dalla rivista " I l Contemporaneo" ad alcuni intel­ lettuali comunisti. Alla domanda : "In che misura, a tuo avviso, SI e realizzato nel PCI il giusto e necessario rapporto tra l'attività cul turale e la direzione politica?" rispondevo : Nell'esaminare la questione del rapporto fra direzione politica e attività culturale in un partito marxista è necessario tener presente che la prima non può e non deve predetermi­ nare o circoscrivere a priori i risultati della seconda, sotto pena di isteriliria e ridurla a una ripetizione di formule prive di valore conoscitivo. Un partito marxista trae infatti dal­ l'analisi della struttura della società attuale, nelle sue con­ traddizioni e nel suo sviluppo, lo spunto per la propria azione politica, intesa a trasformare questa società. Tale azione però sarà destinata al successo solo se l'indagine, libera da ipoteche precostituite, avrà rivelato i fatti quali essi sono e non quali si vorrebbe che fossero. Per limitarmi a parlare di argomenti piu prossimi al mio campo di at tività mi pare necessario che ci ricordiamo quali gravi danni sono derivati alla scienza sovietica, e indiretta­ mente alla nostra capacità di affermazione nella cultura ita­ liana, dalla mancata applicazione dei principi sopra accen­ nati. Pretendere che un organismo di direzione politica possa giudicare della validità o meno di una teoria scientifica in biologia o in fisica o in chimica, sulla base di principi gene­ rali comuni a tutte le scienze, è altrettanto metafisico e anti­ scientifico che costruire un sistema filosofico per spiegare a priori la realtà alla m aniera dei filosofi ·idealisti. Non si vuole con questo asserire che i marxisti non debbano rivolgere la loro critica verso quegli scienziati - spesso grandissimi scien­ ziati ma cattivi filosofi - i quali con estrapolazioni arbitrarie dal campo della fisica o delle scienze naturali arrivano a teorie inaccet tabili sullo sviluppo della società o a cooce­ zioni idealistiche del mondo. E: chiaro però che la critica non si deve fare capovolgendo meccanicamente il procedimento. Ugualmente meccanicistico è ritenere che il rapporto struttu­ ra/sovrastruttura sia cosi immediato da determinare una automatica superiorità della scienza e della cultura nella so­ cietà socialista su quelle della società capitalistica. Per realizzare un rapporto fra direzione politica e attività culturale che non conduca a manifestazioni di dogmatismo ma anzi sia di stimolo alla ricerca, m i sembra indispensabile non fermarsi alla contrapposizione dei due termini, identificando le due funzioni in categorie distinte e quasi antagoniste d i comunisti, ma occorre stimolare nel politico un'attività di 12

produzione culturale e richiedere all'intellettuale specialista un impegno ad allargare il proprio orizzonte ai problemi di fondo dello sviluppo della società.

Né si trattava soltanto degli scienziati della sinistra, che finalmente potevano sentirsi a loro agio nel loro ambiente, liberati da una imbarazzante connivenza. L'illu­ sione era intrinsecamente connessa alla cultura ufficiale del ·pcr. Anche la svolta in questo campo rappresentata dall'immissione di Della Volpe e di altri intellettuali della sua scuola nella direzione della rivista "Società" ebbe questo segno. Se da un lato, infatti, essa ebbe un'influenza positiva - come ricorda Colletti nella sua recente inter­ vista - sulla formazione di molti giovani intellettuali comunisti, che vennero indirizzati a ricercare in Marx e in Lenin le fonti di un marxismo che era stato abbon­ dantemente adulterato, dall'altro essa ribadi il primato metodologico delle s cienze della natura in quanto ricono­ sceva agli " scienziati," con l'identificazione di Marx come il "Galilei del mondo morale," il possesso dell'unico me­ todo corretto di conos cenza della realtà. Non soltanto tale riconoscimento costituiva dunque una conferma ideologica per ogni ricercatore comunista della validità del proprio impegno professionale. Esso rafforzava anche la convinzione che l'intera "corporazio­ ne" degli scienziati fosse intrinsecamente e oggettivamen­ te progressista, e giustificava la scelta di appoggiare ogni iniziativa che raccogliesse i suoi esponenti piu auto­ revoli, indipendentemente dalla loro pos izione politica individuale. La manifestazione culminante di questa linea fu la lotta, alla quale partecipò in prima fila la sinistra, condotta dai fisici alla fine del '59 per "ottenere un de­ finitivo assestamento della organizzazione della ricerca nel campo delle scienze nucleari." Essa ebbe successo nel senso che assicurò per qualche anno - fino al "caso Ippolito" nel 1963-64 - una relativa larghezza di mezzi alla ricerca nucleare, e in particolare al settore piu co­ stoso delle ricerche fisiche cosiddette fondamentali, quello delle "particelle elementari . " Non a caso questo settore dove era concentrata la maggioranza dei fisici piu dinamici, collegati a una "corporazione" internazionale particolarmente forte e pres tigiosa, era stato la punta di diamante dell'agitazione. I l suo successo, tuttavia, frutto anche del consenso e dell'appoggio di ambienti esterni al mondo della ricerca, può essere considerato il

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primo sintomo di un'attenzione per la scienza da parte di alcuni settori della classe dirigente che rappresenta una novità di rilievo rispetto agli anni Cinquanta. Nel '60 la Confindustria organizza un convegno a Ischia nel quale si sollecita l'intervento statale a sos te­ gno di una ricerca scientifica di cui le imprese avrebbero potuto utilizzare i risultati. Un anno dopo, nel dicembre '61 , la DC tiene un convegno sul tema "Una politica per la ricerca scientifica" destinato a presentare la piat ta­ forma programmatica del nascente centro-sinistra in que­ sto campo e ad assicurare in questo modo al nuovo corso politico l'adesione della maggior parte degli scien­ ziati progressisti. Elemento qualificante del nuovo corso è la programmazione economica: in questa prospettiva la ricerca scientifica assume, almeno nelle intenzioni, un ruolo qualitativamente importante. Tra i comunis ti comincia a porsi i l problema dell'inadeguatezza delle po­ sizioni sos tenute fino a quel momento rispetto all'evol­ versi di un quadro politico in cui non basta piu riven­ dicare l'incremento dei finanziamenti e l'aumento degli organici. L'esigenza di fronteggiare questa nuova situa­ zione appare chiaramente, a esempio, in un intervento di Lucio Lombardo Radice a una riunione della Commis­ sione culturale del PCI di quel periodo : Si sono già verificati alcuni fatti che indicano un nuovo orientamento dei gruppi monopolistici piu dinamici e della corrente maggioritaria nel partito cattolico di maggioranza per quel che riguarda lo sviluppo della scienza e dell'insegna­ mento scientifico nelle scuole. Tali fatti sono, a esempio, l'aumento dei fondi a disposizione della ricerca scientifica; i recenti provvedimenti per un aumento degli organici univer­ sitari, che mettono in primo piano le facoltà scientifiche e tecniche; il primo ( se pur timido e, come vedremo, inorganico ) tentativo di sostituire il " latino" con " elementi di scienza" nella scuola obbligatoria di 20 grado, tra gli 11 e i 14 anni (classi sperimentali attuate con la " ri forma Bosco"). È da ritenere probabile che su questa strada si vada, comunque, avanti. II " piano di ammodernamento" dei gruppi dirigenti bor­ ghesi, economici e politici, che sembra delinearsi anche nel campo della scienza e della cultura scientifica, non solo incon­ trerà resistenze conservatrici e oscurantistiche ( nel senso tra­ dizionale) da parte dei gruppi capitalistici meno forti e dei clericali tradizionalisti ( resistenza agli inves timenti "disinte­ ressati" per la ricerca scientifica; difesa a oltranza del vecchio liceo-ginnasio), ma è in se stesso, nella sua impostazione politica e ideale, insufficiente, contraddittorio, limitato. La 14

limitazione (o contraddizione) interna dominante è la pretesa di sviluppare la scienza come puro s trumento: la concezione strumentale della scienza ( come strumento, beninteso, della ripresa e dello sviluppo capitalistico). Questo " peccato originale" del piano di ammodernamento capitalistico porta come sue conseguenze (già osservabiIi) i seguenti fenomeni: 1. Finanziamento, anche massiccio, delle università e degli istituti di ricerca senza però quella corrispondente riforma organica, " istituzionale," nella organizzazione dell'alta cultura che sola renderebbe davvero fruttuosi i finanziamenti. 2. Formazione di una massa, anche numericamente note­ vole, di scienziat i specialisti di tipo americano, e non di scienziati nel senso pieno della parola, e cioè uomini di ragio­ ne, di pensiero e di cultura; sviluppo e dominio delle ideo­ logie e filosofie corrispondenti e cioè di empirismo, forma­ lismo vuoto, metodologismo puro. 3. Permanere del tradizionale divario tra scienza e cultura, tra scienza e filosofia. 4. Addestramento tecnico, e sia pure migliore, piu " mo­ derno," nelle scuole, non formazione di uno spirito scientifico. Da quanto si è fin qui detto risul ta chiaro, nelle sue linee generali, il piano di riforma scientifico-culturale che deve essere contrapposto al piano di semplice " ammodernament o " nell'ambito delle strutture economiche, politiche e ideali del capitalismo. Naturalmente, il " nuovo corso" dei gruppi diri­ genti borghesi che si va delineando, e che è determinato e condizionato anche dalle lotte democratiche e operaie, con­ sente di condurre la battaglia a un livello piu alto, con obiettivi piu avanzati, con proposte che possano momento per momento rappresentare una alternativa di riforma positiva e reale (non massimalistica ! ) ai provvedimenti e agli indi­ rizzi di semplice " ammodernamento."

Questa esigenza, tuttavia, riesce a tradursi i n una linea politica diversa soltanto in parte e con difficoltà. Continua a prevalere la tesi della priorità dello sviluppo quantitativo delle istituzioni scientifiche anche se, sul piano rivendicativo, cominciano a porsi richieste di de­ mocratizzazione degli enti di ricerca intese soprattutto a ottenere la partecipazione alla loro gestione di rappre­ sentanze, pill o meno limitate, di ricercatori e docenti subalterni. È questa la via che dovrebbe assicurare la presenza nel meccanismo della pianificazione delle com­ petenze e delle is tanze di progresso scientifico e sociale attribuite aIIa componente pill giovane e dinamica del mondo della ricerca. Negli anni successivi questa linea diventerà preva­ lente e sboccherà nel progetto di legge 2650 di riforma

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universitaria elaborato dal PCI in contrapposizione alla tristemente famosa 2314 di Gui; la proposta pili avan­ zata che fosse possibile fare senza mettere in discussione la funzione istituzionale dell'università come sede di ri­ produzione dell'egemonia ideologica della borghesia. Alla fiducia pura e semplice nello sviluppo delle forze produttive come motore del progresso sociale si aggiunge ora la richiesta che esso avvenga nel quadro di una pro­ grammazione democratica della quale gli scienziati pro­ gressisti, coscienti della loro responsabilità sociale, de­ vono essere elemento, se non esclusivo, certo determi­ nante. Questo punto di vista non era nuovo : esso era già stato sviluppato dal gruppo di scienziati marxisti o progressisti inglesi che avevano dato vita, nell'immediato dopoguerra, assieme ad altri esponenti della sinistra scientifica internazionale come Jolio t-Curie, alla World Federation of Scientific Workers. La formulazione pili coerente di questo progetto di uso sociale della scienza si trova nelle opere di J.D. Ber­ nal, alcune delle quali, tradotte in Italia dagli Editori Riuniti - nel 1956 la Storia della Scienza e, nel 1960, Mondo senza gue rra - ebbero una influenza non trascu­ rabile nella formazione del gruppo di giovani scienziati comunisti - soprattutto fisici e biologi - impegnati in quegli anni su questa linea. È a Bernal che si deve la pili avanzata e appassionata proposta di " uso alterna­ tivo " della scienza per la costruzione del socialismo, che fosse possibile nelle condizioni di carenza teorica che caratterizzano il movimento operaio in quegli anni. Essa rappresenta il primo tentativo di tener conto delle nuove situazioni che vanno maturando su scala mondiale. Da un lato, infatti, diventa insostenibile la tesi della incompatibilità fra sviluppo scientifico e rapporti sociali capitalistici. Bastava dare un'occhiata al di là dell'Atlan­ tico per accorgersi che negli S tati Uniti gli scienziati avevano a loro disposizione tutto, o quasi, quello che vo­ levano. Ma soprattutto non si poteva negare che la tecno­ logia piu avanzata, dai calcolatori alla chimica, dall'elet­ tronica all'energia nucleare, avesse in America il suo centro propulsore. Soltanto nella missilistica l'URSS appariva in vantaggio, ma, per quanto spettacolare fosse questo settore, non bastava pili ad affermare il primato scientifico indiscusso del sistema socialista. Viene messa in dubbio, all'interno della sinistra, l'idea che lo svi­ luppo scientifico e tecnologico sia un fattore specifico 16

della società socialista rispetto a quella capitalista che, giunta al suo stadio monopolistico, ne sarebbe struttu­ ralmente incapace. Al tempo stesso si comincia a cons tatare che, nel­ l'occidente capitalistico, l'impetuoso flusso di innovazioni tecnologiche, se riversa da un lato sui privilegiati fiumi di merci piu o meno utili, spesso aggrava dall'altro le condizioni di esistenza dei piu diseredati, mescolando in una stridente contraddizione spreco e miseria. Cosi, come fornisce ai potenti i piu perfezionati strumenti di dominio, la tecnologia avanzata priva sempre piu i deboli di ogni difesa. La corsa alle piu distruttive armi di s ter­ minio non è che uno degli aspetti, anche se il piu vistoso e aberrante, di questo stravolto meccanismo di dominio dell'uomo sulla natura. Si fa strada perciò nell'ambiente dei ricercatori che gravitano attorno al Partito comunista una concezione piu articolata del rapporto fra scienza e struttura sociale. Si afferma cioè che dipende dalla struttura sociale esistente se la scienza, di per sé fattore di progresso, venga o meno effettivamente utilizzata come tale. Si dis tingue perciò tra la s cienza, strumento neu­ trale che ogni società industrialmente avanzata tende a far progredire, dall'uso capitalistico della scienza, che può portare a conseguenze disastrose. Ne deriva, se­ condo questa concezione, che solo il sistema socialista è in grado di utilizzare questo strumento in modo da assi­ curare all'uomo il godimento dei benefici che possono derivarne. Particolarmente indicative di questo at teggiamento mi sembrano le frasi conclusive del discorso celebrativo che mi fu chiesto di tenere, per iniziativa della federa­ zione romana del PCI, in occasione del primo volo spa­ ziale di Gagarin : Dobbiamo guardarci tut tavia dalla tentazione di conside­ rare il progresso scientifico e tecnico di per sé come un fat­ tore di felicità e di benessere per l'uomo. La Germania nazista era progredita scientificamente, ma Eichmann è là con la sua presenza sinistra a ricordarci di quali crimini tale pro­ gresso si è fatto strumento. Né il popolo giapponese ha dimen­ ticato in che modo è stata presentata per la prima vol ta all'umanità la conquista dell'atomo. Anche senza andare a questi limiti estremi basta ricordarci del progresso tecnico di cui è vittima Charlot in Tempi Mo­ derni, della schiavitu che talvolta rende soggetto l 'uomo alle macchine, per giustificare la nostra affermazione.

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Ed essa ci viene ulteriormente confermata quando si pensi a un progresso tecnico che, pur rendendosi da un lato strumento di elevazione del tenore di vita di strati anche lar­ ghi di popolazione, rinchiuda dall'altro gli uomini ognuno nella angusta sfera dei propri immediati interessi, raggeli i loro slanci e sentimenti umani, trasformandoli in aridi uti­ lizzatori di macchine, spegnendo la loro capacità di lot tare insieme agli altri uomini per comuni ideali chc li facciano sentire fratelli. Ma quando tutto questo accade non è forse vero che, a guardar bene, dovremmo piuttosto considerare gli uomini soggetti ad altri uomini che si servono delle conquiste del progresso tecnico per mantenere il proprio predominio, anzi­ ché considerarli soggetti alle macchine stesse? Non dovremmo attribuire la colpa dell'alienazione dell 'uomo a una data orga­ nizzazione della società, piuttosto che al progresso scientifico? È solo in una società dove tutti gli uomini diventano i protagonisti della storia, che la tecnica e la scienza diventano strumenti della liberazione di ogni uomo, per permettergli di sviluppare appieno la sua personalità, anziché diventare strumenti della sua alienazione. Questa è la ragione della nostra fiducia nel socialismo, che è fiducia nella scienza, ma soprattutto fiducia nell'uomo.

Si può dire dunque che agli inizi degli anni Sessanta si delinea uno spostamento d'accento che caratterizza una frangia di sinis tra all'interno del movimento operaio organizzato sull'importanza dei diversi fattori che inter­ vengono nel processo di trasformazione sociale. Comin­ cia ad apparire illusoria la fiducia nella necessità di creare prima le basi tecnologiche e scientifiche le piu avanzate possibile entro il guscio dei rapporti sociali capitalistici, per potere successivamente, in modo facile e indolore, sostituire un involucro divenuto anacronistico con un tessuto sociale adeguato al livello raggiunto dallo sviluppo delle forze produttive. L'attenzione si rivolge ora soprattutto alle contraddizioni dei rapporti sociali. Non a caso, del resto, questo spostamento si verifica sotto il segno della riscossa operaia dei primi anni del decennio. 2. A questo punto, nel giro di u n paio d'anni, cominciò a nascere in alcuni compagni la convinzione che non fosse sufficiente fermarsi alla critica dell'uso capitalistico della scienza, ma che occorresse spingersi oltre fino a esaminare se anche nel tessuto stesso della scienza - nei 18

suoi contenuti e nei suoi metodi, nella scelta dei pro­ blemi da risolvere e nella definizione delle priorità da rispettare, nella stessa formulazione delle sue ipotesi e nella cos truzione dei suoi strumenti - non si potessero rintracciare le impronte dei rapporti sociali di produ­ zione capitalistici, nell'ambito dei quali essa viene oggi prodotta. Una tesi del genere era, dieci anni fa, eretica - e lo è in parte tuttora - per piu d'una ragione. Lo era sul piano teorico perché contraddiceva la teo­ ria della scienza come " rispecchiamento," cioè ricos tru­ zione e riproduzione sempre piu fedele e dettagliata di una realtà naturale data. Lo era dal punto di vista del giudizio sulle società , s ocialist e perché, per quanto se ne sapeva, legittimava il dubbio che, essendo ormai la scienza sovietica, dopo il disgelo, assai simile nelle sue scelte e nei suoi obiettivi a quella americana, la critica potesse accomunare alcuni aspetti non secondari delle due società. Inoltre essa rappresentava un elemento di critica a una linea di sviluppo scientifico del nostro paese demandata alle scelte autonome della corporazione degli scienziati o, tutt'al piu, della sua componente piu avanzata e dinamica. Diversi fattori tut tavia contribuirono in quegli anni a mostrare che nessuno di questi tabu era cosi intocca­ bile come poteva sembrare. Sul piano teorico il contributo di Raniero Panzieri fu di es trema importanza. Il Marx che ci veniva presentato nelle pagine dei suoi saggi sui "Quaderni ross i " ( Sull'uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo, 1961, e Plusvalore e piani­ ficazione, 1964) era un Marx vivo e sanguigno che parlava finalmente del capitalismo di oggi, e della funzione che in esso hanno scienza e tecnologia e ci aiutava a capirlo. Si deve a Panzieri l'affermazione di un punto fonda­ mentale che apriva la via alla possibilità di una critica da sinistra alle tesi del materialismo dialettico sulla scienza : Di fronte all'intreccio capitalistico di tecnica e potere, la prospettiva di un uso alternativo ( operaio) delle macchine non può, evidentemente, fondarsi sul rovesciamento puro e sem­ plice dei rapporti di produzione (di proprietà ), concepiti come u n involucro che a un certo grado della espansione delle forze produttive sarebbe destinato a cadere semplicemen t e perché divenuto troppo ristretto: i rapporti di produzione sono den tro le forze produttive, queste sono s tate "plasmate" dal capitale.

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A dissacrare il secondo tabu furono, come si sa, per primi i comunisti cinesi. La pubblicazione, nel 1963, dei " 25 punti" nei quali il partito cinese esponeva la sostanza del suo dissenso con il partito sovietico e motivava le critiche alla linea revisionista attribuita a quest'ultimo ebbe, tra le altre, la funzione di rimettere in discussione quella concezione del nesso fra sviluppo delle forze pro­ duttive e rapporti sociali che aveva portato l'URSS a impegnarsi prioritariamente nella " costruzione delle basi materiali del comunismo" rimandando a un avvenire sempre piu mitico la cos truzione del comunrsmo dal punto di vista dei rapporti sociali. Mi preme in particolare di sottolineare che il richiamo dei compagni cinesi alla necessità di assicurare, nel processo di trasformazione sociale, il primato della poli­ tica sull'economia, implica anche, a fortiori, il rifiuto di assumere come obiettivo da perseguire prioritaria­ mente uno sviluppo scientifico e tecnologico portato avanti da specialisti che rifiutano di far entrare la poli­ tica nel loro lavoro. Un piccolo episodio vale a illustrare questo punto meglio di tanti ragionamenti. Mi capitò di visitare i laboratori di ricerche nucleari di Dubna s u invito dell'Accademia delle Scienze dell'URSS, per tenervi alcuni seminari su argomenti di fisica delle particelle, proprio poco tempo dopo che i "25 punti" erano stati resi noti. Nella sostanza le critiche dei cinesi mi sembravano giuste, ma volevo capire cosa ne pensassero i miei inter­ locutori. Perciò durante la mia visita cercai spesso di discutere di politica, oltre che di fisica, accalorandomi assai di piu nella prima circostanza che non nella se­ conda. Questo comportamento fu notato con stupore : un fisico, che risultò poi essere il segretario dell'organiz­ zazione di partito di uno dei laboratori, mi confessò che non capiva perché io apparissi cosi distaccato quando si parlava di fisica e fossi al contrario cosi coinvolto nelle discussioni politiche. "Da noi," dichiarò convinto, " acca­ de esattamente il contrario . " Non era difficile concludere che almeno su un punto i cinesi avevano ragione: gli scienziati sovietici somigliavano molto di piu ai loro " colleghi" americani che non ai loro " compagni " di tutto il mondo. Dei due termini del binomio " rossi ed esperti" il primo si era perso per s trada. Assai piu difficile era affrontare il terzo ostacolo a una critica della scienza dall'interno mirante a scoprire, nel concreto del lavoro di ricerca e di insegnamento nel 20

quale ognuno di noi era impegnato giorno per giorno, le tracce del processo di accumulazione capitalistica, e dei rapporti sociali dominanti. Ostacolo costituito dagli invi­ sibili, ma rigidi condizionamenti ideologici e materiali esercitati da una corporazione assolutamente decisa a emarginare chiunque tentasse di porre in discussione iI dogma della separazione tra giudizi di fatto e giudizi di valore e i principi dell'etica professionale in base ai quali è considerato disonesto introdurre l a politica dentro le mura della cittadella della Scienza. Si dovette aspettare il '68 perché la demis tificazione dello scientismo riuscisse a penetrare all'interno della corporazione. Le prime incrinature al suo interno risalgono tut tavia a qualche anno prima, con l'inizio della guerra del Viet­ nam. Per la prima volta apparve infatti chiaro in quella occasione che l' " internazionale degli scienziati" non solo non aveva alcuna funzione progress iva come era stato sostenuto dalla sinistra per tanti anni, ma al contrario svolgeva un preciso ruolo di copertura dell'aggressione imperialistica. La sostanziale connivenza degli scienziati americani con il proprio governo, derivante dalla sostan­ ziale coerenza fra scientismo e ideologia della classe do­ minante nella società capitalistica avanzata, si traduceva infatti in omertà di tutta la comunità scientifica interna­ zionale attraverso il ricatto dell'unità fra tutti i suoi membri al disopra delle differenze ( soggettive ) di ideolo­ gia politica. Collocarsi apertamente dalla parte del Vietnam significava p erciò anche introdurre una discri­ minante all'interno di questa comunità, e cominciare a domandarsi se non ci fosse qualche nesso profondo fra la "big science" e l 'aggressività della macchina bellica americana. Questi sono in breve, visti retrospettivamente, i dati oggettivi da cui nacquero le riflessioni che mi indussero a scrivere negli anni '65-66 i tre articoli ripubblicati in Appendice. Le considerazioni sul rapporto tra scienza e società capitalistica avanzata che vi sono sviluppate sono un primo tentativo di capire, prendendo come punto di partenza l'analisi marxiana della società capitalistica, in che modo il progresso scientifico e tecnologico sia ser­ vito al sistema capitalistico non solo per sopravvivere, superando contraddizioni che Marx prevedeva esplosive, ma anche per consolidarsi e svilupparsi vigorosamente. Nella sostanza la tesi avanzata, secondo la quale una delle cause di questo processo va ricercata nel fatto che

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scienza e tecnologia sono servite " non tanto per ridurre il tempo di lavoro necessario alla produzione dei beni di cui la società ha bisogno, quanto per creare nuovi bisogni il cui soddisfacimento richiede beni tccnologica­ mente sempre piu complessi, che possono essere prodotti soltanto con un impiego globale e addirittura crescente di forza-lavoro," mi sembra ancora oggi valida, anche se a quel tempo non mi era sufficientemente chiara l'impor­ tanza, in questo processo di espansione dell'economia, della produzione capitalis tica di beni non materiali, di servizi, di informazione mercificata. Un approfondimento di questo aspetto, fru tto del lavoro comune di questi ultimi anni con Giovanni Ciccotti e Mimmo de Maria, è presentato in questa raccolta nel capitolo 2, " La produ­ zione di scienza nella società capitalistica avanzata." Gli avvenimenti di questi ultimi dieci anni mostrano ampiamente, a mio giudizio, che era giusto suonare l 'allarme all'interno del movimento operaio sulle conse­ guenze di una accettazione acritica del progresso scienti­ fico e tecnologico americano sia da parte dell'URSS che da parte dei partiti comunisti occidentali. La tesi di fondo che in quegli articoli veniva formulata è oggi sostanzialmente condivisa da molti. È evidente - scrivevo - che il progresso tecnico, in quan­ to mezzo per intensificare la produzione di beni, non si può identificare a priori con il benessere della società. Non solo, ma diventa sempre piu chiaro che non si può considerare in astratto tale progresso come uno strumento neutro rispetto alla struttura sociale, trascurando il momento essenziale dell'influenza di quest 'ultima sul primo, influenza che appare sempre piu determinante.

Queste affermazioni non erano ovvie. Basterebbe con­ frontarle, per rendersene conto, con il contenuto degli altri articoli apparsi in quegli stessi numeri del " Con­ temporaneo."l La prima riprova che l'allarme non era ingiustificato e che la problematica affrontata coglieva aspetti di fondo del processo di trasformazione sociale la ebbi proprio dove lo scontro tra due concezioni opposte del rapporto tra l'uomo e la tecnologia attingeva il suo punto piu drammatico. Nel marzo 1967, durante la mia permanenza nel Vietnam come membro di una commissione di inchie­ sta del Tribunale Russell, mi fu chiesto di presentare e discutere, nella sede del Comitato di stato per la scien22

za e la tecnica, il mio ultimo articolo, che era arrivato ad Hanoi nella traduzione francese pubblicata dalla rivi­ sta comunista " Recherches internationales " in un numero unico dedicato al tema " Techniques nouvelles, sociétés nouvelles . " Ciò che mi colpi particolarmente in quell'oc­ casione fu non solo constatare quanto i miei interlocutori fossero proiettati verso il futuro, convinti della necessità di pensare per tempo (o tto anni avrebbero ancora do­ vuto combattere ! ) alle prospettive di sviluppo tecnico e scientifico del loro paese dopo 'la conclusione vit toriosa della guerra, ma soprattutto quanto fossero consapevoli dei pericoli di una accettazione acritica del modello di industrializzazione di tipo sovietico. La riprova definitiva si ebbe un anno dopo con l'esplo­ sione del '68.

3. L'occupazione dell'università di Roma alla fine di aprile del '66 seguita alla morte di Paolo Rossi, picchiato dai fascisti, segna la nascita di quel movimento degli studenti che meno di due anni dopo scrollerà dalle fon­ damenta le istituzioni scolas tiche e, insieme a esse, quelle politiche del nostro paese. Se infatti è vero che nella sua gestione complessiva e nei suoi obiettivi dichiarati essa rimane tutta interna al quadro tradizionale del movimento rivendicativo per il rinnovamento democratico dell'università, nella so­ stanza essa tra valica in realtà ampiamente questo qua­ dro. Non solo per la radicalità e l'estensione della mobi­ litazione di massa, che porta allo sviluppo di una dia­ 'lettica tra forme di democrazia diretta e organismi rap­ presentativi tradizionali, nella quale è contenuta in ger­ me la dissoluzione di questi ultimi e l'affermazione delle prime che caratterizzeranno le lotte degli anni successivi. Ma soprattutto perché con l'occupazione per la morte di Paolo Rossi irrompe per la prima volta con violenza la politica nelle aule dell'università e ci resterà come con­ quista irrinunciabile. Se la scienza e la cultura tradizional i non vengono ancora poste in discussione - qualcuno parlerà di " occu pazione dei trenta e lode," cioè condotta dagli s tu­ denti piu "bravi" nel significato tradizionale del termi­ ne - si creano tuttavia le condizioni per cominciare a farlo. 23

Tra i fisici il terreno per questa maturazione era par­ ticolarmente fertile. Sia per le condizioni oggettive che soggettive. In primo luogo infatti si stava già delineando quella contraddizione tra afflusso crescente di aspiranti alla laurea e carenza di sbocchi professionali che avrebbe portato rapidamente la massa degli studenti a riflettere sulla natura di classe della selezione e sulle caratteristi­ che gerarchiche del lavoro intellettuale nella società ca­ pitalistica. I n secondo luogo stava maturando, soprattutto tra i giovani ricercatori, un crescente disagio, una diffusa in­ certezza sugli scopi e sul significato del proprio lavoro, come conseguenza della frenesia produttivistica, della frammentazione e della proliferazione dei campi di ri­ cerca, della transitorietà delle mode e della perdita di un criterio unitario di validità conoscitiva, che ormai da qualche anno erano andate caratterizzando sempre piu la produzione s cientifica nei settori di punta della fisica. In terzo luogo andava sviluppandosi, dappertutto, un crescente impegno collettivo nella lotta antimperialista. Dall'autunno del '66 è un crescendo di manifestazioni, di teach-in, di lotte che strappano spazi via via piu ampi alla mobilitazione politica di appoggio alla resistenza vietnamita. Questo scontro radicalizza le posizioni e acuisce le lacerazioni all'interno della struttura corpora­ tiva del mondo universitario. La rivolta studentesca dell'anno successivo non coglie dunque di sorpresa i ricercatori e gli assistenti piu giovani, i borsisti, i neolaureati con occupazione precaria che già si stavano interrogando sulla propria collocazione e sul proprio futuro. Essi si trovano tuttavia brusca­ mente posti di fronte alla scelta fra gettarsi nel vortice di un movimento che assume in b reve tempo le caratte­ ristiche di una contestazione totale, di un rifiuto di sis tema oppure far quadrato, schierandosi attorno alla ristretta élite dei detentori del potere, a difesa delle istituzioni. Nella maggior parte essi scelgono, magari con qualche esitazione, la prima alternativa. Non è facile tuttavia la loro integrazione nel movimento. I pochi anni, talvolta i pochi mesi che li separano dal loro passato studentesco li collocano oggettivamente in una condizione sociale di­ versa da chi vive l'istituzione come puro strumento re­ pressivo da attaccare frontalmente. Il movimento passa rapidamente dalla scoperta che " la scuola ci dà la cul24

tura della borghesia" all'affermazione " la scuola non ci insegna nulla se non a obbedire.'" Viene cosi rapidamente bruciata, con l'esperienza dei controcorsi e dell' "Univer­ sità critica," la possibilità di una aggregazione di questi strati sulla base di una partecipazione alla crescita di un progetto politico culturale alternativo. Ciò, del resto, non accade a caso, data la mancanza non solo di stru­ menti e canali di mediazione con la classe operaia che permettano a essa di esercitare un'egemonia reale sul movimento degli studenti ma anche, in quella fase, di una concreta capacità della classe di adempiere tale funzione, fornendo al movimento quei riferimenti pratici e ideali ai quali soltanto può essere ancorato un pro­ getto del genere. Solo dopo l'autunno caldo del '69 e le successive lotte contrattuali del '72 i nuovi contenuti espressi dall'affer­ marsi dell'autonomia operaia nello scontro di classe potranno riproporsi nel contesto assai mutato di crisi del capitalismo che oggi viviamo, come embrioni validi di una cultura antagonistica alla cultura della classe dominante. È perciò soltanto in base a una valutazione politica sulla caratterizzazione di sinistra del movimento che alcuni docenti e numerosi borsisti e giovani assistenti lo appoggiano o partecipano piu o meno attivamente a esso impegnandosi in forme spesso radicali di rifiuto del ruolo sociale che ricoprono. Lo scontro è particolarmente vio­ lento sul nodo dell'esame, identificato come simbolo della funzione selettiva che la società assegna all'istituzione universitaria. La lotta come ogni lotta contro un simbolo era, al tempo stesso, necessaria ma astratta. Proprio per questa ragione le conquiste del movimento sono, su questo terreno, assai scarse, e soprattutto effimere dal punto di vista pratico. Ma dal punto di vista ideolo­ gico le tracce rimangono: i miti dell'oggettività del me­ tro di giudizio, della neutralità del sapere che viene tramandato, della giustizia della scala meritocratica sono fatti a pezzi. Al contrario la spinta all'egual itarismo, il rifiuto della competitività sfrenata, l'aspirazione a una partecipazione at tiva al processo di apprendimento in funzione dei propri bisogni e dei propri interessi, si affer­ mano, sia pure in modo velleitario, come potenziali valori di una società diversa. E non tarderanno a ripro­ porsi nella fabbrica qualche mese dopo, con ben altra incisività e carica dirompente. 25

Nel frattempo il PCI, dopo una iniziale os tilità nei confronti di un movimento, esploso al di fuori del pro­ prio controllo, che non rientra negli schemi tradizionali di analisi dei conflitti sociali, ne accettava a metà feb­ braio " la legittimità, senza attaccarlo, riconoscendone l'autonomia e il ruolo, fino all'incontro fra il segretario del partito e un gruppo di dirigenti dell'occupazione ro­ mana. È un rapporto di rispetto, né di polemica né di egemonia.'" La spinta a sinis tra che ne deriva stimola, qualche mese dopo, il partito a riprendere, fra l'altro, il dibattito sulle prospettive di sviluppo scientifico e tec­ nologico, tenendo conto della coscienza critica che su questi temi è andata diffondendosi anche al suo interno. Nel dicembre 1968 la commissione culturale organizzava una riunione all'Istituto Gramsci che avrebbe dovuto pre­ parare un successivo convegno sui problemi della ricerca. M i venne affidato l'incarico di stendere la parte generale della relazione introduttiva. In essa riprendevo i temi principali trattati nei miei articoli degli anni precedenti, rivisti alla luce delle recentissime esperienze della rivolta studentesca e del maggio francese. La tesi della " non neu­ tralità della scienza" vi veniva precisata e argomentata : Questo tipo di sviluppo della scienza e della tecnologia è perciò intimamente interconnesso allo sviluppo della so­ cietà capitalistica e, mentre ne condiziona e ne determina alcuni aspetti fondamentali, aprendo nel suo seno nuove contraddizioni nel momento stesso in cui permette di supe­ rarne altre, ne è a sua volta condizionato e subordinato. Entra in crisi perciò la concezione che considera la scienza e la tecnica strum enti neutrali di progresso della società, indi­ pendentemente dai rapporti sociali, e che postula un processo di sviluppo scientifico che segue una propria dinamica inter­ na, soggetta a proprie leggi, dinamica che può essere tuttalpiu favorita od ostacolata dalla struttura della società e dai suoi ritmi di sviluppo, ma non alterata o determinata nella so­ stanza. Deve essere chiaro tuttavia che l'affermazione della " non neutralità" della scienza non ha niente a che vedere con posizioni di tipo zdanoviano, né propone arbitrarie estra­ polazioni di leggi, tendenze di sviluppo, schemi interpretativi, dal campo delle scienze della società a quello delle scienze umane o di quelle della natura. Si tratta invece di riconoscere che la scienza non è soltanto un processo di soluzione d i problemi determinati, ma soprattutto una continua formula­ zione e posizione di problemi da risolvere, e che pertanto in questa fase essenziale dello sviluppo scientifico entrano non solo fattori intrinseci, ma anche fattori es terni alla scienza stessa. Questa caratteristica si accentua naturalmente man 26

mano che la scienza diventa sempre piu forza produttiva immediata, non solo perché essa viene " strùmentalizzata" ai fini produttivi, ma anche perché lo sviluppo della produzione in certe direzioni piuttosto che in altre mette a disposizione della ricerca certi strumenti piuttosto che altri, e soprattutto perché la pressione sociale che si esercita sia nella determi­ nazione delle scelte dei settori da sviluppare e degli investi­ menti da effettuare, sia nella formazione di una scala di valori di importanza e di prestigio fra le diverse branche della scienza, è conseguenza diretta della struttura di una data società, della sua sovrastruttura e dell'ideologia dominante.

La critica all'accettazione da parte dei paesi socialisti del modello di sviluppo scientifico e tecnologico occi­ dentale vi era formulata con la dovuta cautela, ma ferma­ mente : In queste condizioni il fatto che i ritmi e i modi del­ l 'at tuale sviluppo scientifico e tecnologico siano in larga misura dettati dal paese capitalistico piu avanzaato pone al pensiero critico marxista il compito urgente di demistificare questo modello di sviluppo, mettendone in evidenza non solo quelle caratteristiche che sono conseguenza, piu o meno me­ diata, delle esigenze di sopravvivenza, di funzionamento e di espansione del sistema, ma anche la sua base ideologica di fondo costituita dalla tesi della " neutralità della scienza." Giò è tanto piu -i mportante in quanto questo modello tende a condizionare in alcuni aspetti essenziali lo sviluppo della ricerca, anche nei paesi socialisti attraverso una serie di mec­ canismi diversi, che vanno dalla spinta all'imi tazione di taluni modelli di consumi privati dei paesi capitalistici alla pres­ sione eserci tata dalla internazionalizzazione della ricerca che spinge alla competizione sul terreno " oggettivo" dei settori di punta. Ed è tanto piu importante per rimet tere in primo piano il problema di fondo deI ruolo della rivoluzione scientifica nel processo di trasformazione dalla società socialista alla società comunista, di quella società intuita da Marx nella quale il tempo di lavoro cessa di essere la misura della ricchezza e quindi .i1 valore di scambio la misura del valore d'uso, nella quale " il lavoro necessario della società si riduce a un minimo a cui corrisponde la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico, ecc. degli individui grazie al t empo dive­ nuto libero per tutti e ai mezzi divenuti disponibili per tut t i . " 4. 1 1 a base di questa trasformazione deve essere chiaramente posta la prospettiva dell'automazione sempre piu estesa della produzione agricola, industriale e dei servizi e al tempo stesso della eliminazione progressiva della tradizionale divi­ sione del lavoro. E: solo in ques ta prospettiva che lo stesso sviluppo della scienza può superare gli attuali suoi limiti e 27

distorsioni per diventare libera attività creativa di un numero sempre piu vasto di membri della società.

Ma soprattutto vi era combattuta con vigore anche se con qualche ingenuità l'illusione che il socialismo si po­ tesse raggiungere attraverso la cosiddetta " rivoluzione scientifica e tecnologic a " : Diventa sempre p i u utopistico - affermavo - d a un lato confidare in una crisi inelut tabile del sistema derivante da una contraddizione insolubile fra sviluppo della scienza e della tecnica e rapporti di produzione, e dall'altro ipotizzare una trasformazione che derivi da tentativi di risolvere squili­ bri, contras ti, contraddizioni .con l'aiuto della scienza e della tecnica, senza mettere in discussione il meccanismo di accu­ mulazione e le scelte che ne assicurano la continuità. La risposta deve essere oggi piu che mai una risposta poli­ tica e non tecnocratica. Una " politica della ricerca " della sinistra rivoluz-ionaria non ha senso se non è un aspetto e uno strumento dello scontro politico di classe. La risposta al sottosviluppo, in primo luogo, è la lotta antiimperialista, condotta da un lato dai popoli dei paesi sot tosviluppati ," con l'appoggio attivo e la solidarietà ope­ rante degli stati socialisti, e dall'altro dalle forze rivolu­ zionarie all'interno dei paesi capitalistici avanzati. Non a caso la lotta del Vietnam è stata anche il catal izzatore di una vigo­ rosa ripresa di lotta anticapitalistica in ques ti paesi, e non a caso le industrie di punta dello sviluppo scientifico e tecno­ logico sono, negli Stati Uniti in particolare, le industrie piu impegnate nella guerra scientifica. Ma in questo modo lo scontro di classe non è solo la risposta al sottosviluppo, è anche la risposta alle contraddizioni della società capitalistica avanzata. Non a caso ques ta risposta oggi tende già in alcuni paesi come la Francia e !'Italia a coinvolgere, con contenuti e prospettive rivoluzionarie, al tempo stesso le avanguardie operaie delle industrie tecnologicamente piu avanzate e il movimento studentesco. Si tratta degli strati piu acutamente sot toposti alla contraddizione fra la realtà oppressiva dei rapporti capitalistici di produzione, e la potenzialità libera­ trice della scienza come forza produttiva. A questa presa di coscienza rivoluzionaria possono essere conquistati quegli strati di "nuova classe operaia" ( tecnici, quadri intermedi, ecc . ) che sempre piu diret tamente vengono sottoposti allo sfruttamento nel processo di valorizzazione del capitale, soltanto se viene demistificata la proposta di soluzione tecnocratica dei problemi sociali. Questi strati, da un lato per la loro formazione professionale tecnico-scienti­ fica, dall'altro per la loro posizione sociale · di lavoratori pri­ vilegiati sul piano salariale, sono ancora largamente egemo­ nizzati dalla " razionalità scientifica" dei progetti di riforme Il

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che puntano al potenziamento dello sviluppo tecnico-scienti­ fico nell'ambito delle strutture capitalistiche senza intaccarne, anzi rafforzandone, i centri di potere: lo slogan provocatorio .. Soyez raisonnables demandez l'impossible" significa, in ter­ mini politici, comprendere che non solo la cosiddetta " razio­ nalità economica" ma la stessa pretesa " razionalità scientifica" si identificano oggi con la logica irrazionale del capitalismo. La possibilità di una conquista di ques ti strati a una prospettiva strategica alternativa, come hanno dimostrato, per esempio, gli eventi del maggio francese, dipende in larga mi­ sura dalla capacità del movimento operaio di indicare i tempi e i modi della saldatura fra rivoluzione socialista e rivoluzione scientifica_ È chiaro tuttavia che tali tempi e modi non possono essere pianificati a tavolino ( sostituendo una tecnocrazia a un'altra ) se non per quanto riguarda le linee generali di contestazione di uno sviluppo che ribadisce a tutti i livelli l'alienazione dell'uomo come produttore e come consumatore, ma devono scaturire dal vivo della lotta delle masse che si ribellano a questa condizione, e con questa stessa loro azione propongono una nuova scala di valori umani e nuove forme di rapporti sociali, ponendo nel con­ creto le basi per un processo rivoluzionario che segni l'inizio della fase di passaggio " dal regno della necessi tà al regno della libertà."

Il testo fu approvato e presentato a nome della se­ zione culturale del CC Nel dibattito' parecchi interventi colsero la novità dell'impostazione data, sottolineando l'esigenza di stimolare nel partito un approfondimento della tematica del rapporto tra ricerca, sviluppo tecnico e s truttura sociale capitalistica. Nel complesso, tuttavia, l'assenza dalla riunione di esponenti delle scienze umane e sociali e di dirigenti politici di rilievo ( con l'eccezione della Rossanda) marcava un sostanziale disin teresse del quadro tradizionale del partito, derivante da un pluride­ cennale vuoto teorico dell'intero movimento operaio pro­ prio su questa tematica. Questo vuoto può forse spiegare qualche confusione nel tentativo di colmarlo : insosteni­ bile, a esempio, appare oggi l'identificazione tout court tra " razionalità scientifica" e " logica irrazionale del capi­ talismo," tipica del '68 e ripresa nel brano sopracitato. Esso invece, se 'spiega, non giustifica la posizione del par­ tito in questo campo, caratterizzata da un lato dal per­ manere di posizioni scolastiche del tutto inadeguate a confrontarsi con la realtà e dall'altro da un eclettismo proteiforme aperto alla politica del giorno per giorno_ Le conseguenze di questa posizione non tardano a venire alla luce in circostanze clamorose. Nel luglio del

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'69 infatti a commento dello sbarco americano sulla luna, l'editoriale di Sereni 'su " l'Unità" esalta la " rivoluzione scientifico-tecnologica in atto, della quale le imprese spazi ali costituiscono ... una parte integrante e anzi uno degli aspetti piLi. caratteristici" e arriva a chiedere un crescente impegno i n investimenti del genere [ ... ] per assi­ curare l'enorme massa di conoscenze scientifiche e tecnolo­ giche, di nuovi mezzi di produzione e di nuove forze produt­ tive indispensabili per superare con la massima celerità l 'arretratezza e la m iseria d i interi continenti e di tanta parte di quelle dei paesi piu avanzati stessi.

Pochi giorni dopo " l 'Unità" pubblica una mia lettera assai polemica nei confronti dell'atteggiamento tenuto dall'organo del partito in quell'occasione. Si accende un vivace dibattito che viene concluso, ex officio, da Napo­ litano. Respinto ogni dubbio sul carattere progressivo dell'impresa lunare, viene riaffermato che lo sviluppo delle forze produttive non può non entrare, prima o poi, in contraddizione con i rapporti sociali e farli saltare. La schematica rigidità di questa conclusione secondo­ internazionalista non risolve il problema né risponde alle esigenze che l'ampiezza dei temi emersi nel dibattito aveva lasciato intravvedere. Non è strano perciò che, elusa la questione teorica, la linea del partito su queste questioni rimanesse empirica e, nella pratica, indefinita, legata com 'era alle sollecitazioni della politica quotidiana, Non avendo facoltà di replica in quella sede, la mia ri­ sposta, che riprende largamente gli argomenti della rela­ zione approvata ufficialmente pochi mesi prima, appare sulla neonata rivista " i l manifesto." È forse il piu con­ tingente degli scritti riportati in ques ta raccolta. Tuttavia chi ricorda l'atmosfera di acritica esultanza di quei giorni non potrà non concordare sulla neces sità di una drastica demistificazione di quell'orgia di retorica. Il previsto convegno si tiene soltanto nell'aprile del '70 in un clima politico assai mutato, dopo che, all'interno del partito la dialettica fra sinistra e gruppo dirigente si è risolta con la radiazione dei compagni del " manifesto," e, nel paese, la classe operaia ha vissuto la storica espe­ rienza dell'autunno " caldo" del '69. Nel convegno si scontrano due linee contrapposte. Da un lato, quella riaf­ fermata, per intendersi, nell'editoriale dì Sereni indica al movimento operaio organizzato l'obiettivo di ottenere investimenti pubblici nelle industrie dei settori tecnologi30

camente piu avanzati e lo sviluppo della ricerca nei campi a esse collegati. Dall'altro, quella portata avanti dai rappresentanti dei lavoratori degli enti di ricerca, del CNEN in particolare, che erano stati impegnati nelle lotte dei due anni precedenti. In realtà l'unica domanda che la classe operaia si deve porre nei riguardi della ricerca scientifica è quella di trovare in essa motivi e terreno dello scontro di classe

afferma il segretario del sindacato nucleari, e prosegue : La classe operaia non deve piu considerare come essen­ ziale terreno di scontro quello aperto dalle contraddizioni tra capitalismo di stato e capitalismo privato, tra capitale monopolistico e p iccole imprese, tra capitale nazionale e imperialismo straniero.

Altri compagni della Casaccia ribadiscono : Ci sembra che bisogna dire senza reticenze che lo stato, gli enti di ricerca statali, la scuola, sono profondamente inte­ grati nel sistema capitalistico, e che quindi non si può parlare di utilizzo diverso di questi enti, di " nuova committenza," se non si pone contemporaneamente l 'obiettivo della conquista del potere da parte della classe operaia.

La mediazione tra queste due linee è rappresentata dalla proposta di Giovanni Berlinguer che va appunto sotto il nome di " nuova committenza." Occorre che [00'] le indicazioni relative allo sviluppo deri­ vino non già dal capitale, dalle esigenze di profitto - si legge nella relazione introduttiva - ma dalla grande massa dei lavoratori italiani e occorre perciò che la scienza abbia una diversa destinazione sociale e una diversa gestione.

E ancora : I temi del collegamento [ tra masse lavoratrici e centri di ricerca] sono la condizione immediata dei lavoratori, le rifor­ me sociali, gli indirizzi della produzione e della ricerca, lo sviluppo economico e culturale complessivo. [ 0 0 ' ] Il movimen­ to rivendicativo si collega alle rieorme sociali , queste alle lotte contro i monopoli, alla programmazione dell'economia e allo sviluppo della scienza: programmazione e sviluppo che non rispondano a modelli astratti né si limitino a influire sui fenomeni terminali , ma abbiano radice nelle concrete condi­ zioni dei lavoratori e prendano corpo in movimenti unitari d i massa. 31

Ma negli anni successivi le novità non verranno dalla formula, come si vede ancora assai generica, della " nuova committenza. " Saranno le lotte operaie, dei metalmecca­ nici in prima linea, che porteranno avanti, in difesa della salute in fabbrica, contro l'organizzazione capitalistica del lavoro, per l 'affermazione di una egemonia operaia nella scuola attraverso lo s trumento delle 150 ore, la linea della cos truzione, nel vivo dello scontro di classe, di una " nuova scientificità" che esprima un progetto di conoscenza e di controllo della natura permeato di fina­ lità sociali alternative a quelle che improntano di sé la scienza della società capitalistica. I l pcr recepisce questa spinta in modo contradditto­ rio. Da un lato riconosce nel rapporto tra scienza e orga­ nizzazione del lavoro un nodo centrale per la strategia del movimento operaio in un paese a capitalismo avan­ zato. II Convegno del Gramsci organizzato a Torino su questo tema nel giugno '73 segna perciò una svolta impor­ tante di linea non soltanto perché contribuisce a " socia­ lizzare," all'interno del partito e al suo es terno, alcune delle piu significative esperienze dello scontro di classe in fabbrica, ma anche perché ne ammette una funzione determinante sul corso del processo di svi luppo scientifi­ co e tecnologico. Dall'altro, tuttavia, si rifiuta di spingere le conseguenze di questa svolta fino al livello della teoria marxista, ribadendo la delega agli " special isti" accade­ mici in questo campo. Frutto del connubio tra scienziati scientisti e filosofi metafisici nasce cosi, appartenente a un altro mondo rispettabile e senza età, il quaderno di " Critica marxista" intitolato " Sul marxismo e le Scienze.";

4.

Un primo momento di confronto, all'interno dell'am­ biente dei fisici, tra le contrastanti posizioni sulla scienza che caratterizzano da un lato chi si è impegnato o è stato coinvolto nel movimento e dall'altro chi l'ha combattuto piu o meno violentemente, si ha nel 1970 a Firenze, in un convegno organizzato dalla Società italiana di fisica ( SIF) sul tema " La scienza nella società contemporanea. "· Due sono le relazioni che presentano il punto di vista ma­ turato nell'area " del '68 " : quella di Silvio Bergia e la mia.7 La prima intitolata " Funzione culturale e sociale della ricerca scientifica " contiene, tra l'altro, alcuni spunti 32

nuovi di riflessione e di dibattito che negli anni succes­ sivi verranno approfonditi e arricchiti da Bergia stesso e da Angelo Baracca.' In particolare una analisi critica della finalità e della metodologia nella ricerca di punta, caratterizzata, in fisica, dalla corsa agli acceleratori di energia sempre crescente. Questa analisi, che per la pri­ ma volta mette i fisici in quanto tali di fronte a una realtà che molti di loro vorrebbero ignorare consideran­ dola una ineliminabile conseguenza del "progresso," ri­ conduce ai " rapporti di produzione dominanti nella so­ cietà" le caratteristiche principali del lavoro di ricerca : il dato di fatto che " la sperimentazione è piu spesso incentrata sulla raccolta di routine di dati che non sul­ l'esperimento di punta che dia risposte del tipo si-no," " l'aumento della produzione cartacea a cui non si accom­ pagna un corrispondente aumento dell'informazione effet­ tiva," la transitorietà delle mode nella fisica teorica che, incapace di " fare delle vere predizioni," si limita a " co­ struire via via schemi interpretativi che si adeguano via via alla realtà dei nuovi dati," la riduzione infine della aspirazione a trovare un risultato nuovo nella corsa a trovare qualcosa prima di un altro. Nella prima relazione, qui riportata in appendice, c'è una formulazione del concetto di " non neutralità della scienza" che è stata, negli anni successivi, alterna­ tivamente accolta da alcuni autori,' e criticata aspra­ mente da altri.IO Siamo portati - dicevo - a contestare il dogma della neutralità della scienza, cosi profondamente radicato nella mente e nella coscienza di tanti di noi, nella misura in cui diventiamo consapevoli che non è piu possibile separare l'oggetto del nos tro atto di conoscenza dalle ragioni di questo atto, distinguere il momento dell'indagine della realtà dal momento della formazione di questa realtà, isolare il pro­ cesso di soluzione di problemi senza individuare i l mecca­ nismo che propone i problemi da risolvere. In altre parole, nella misura in cui diventiamo consapevoli che la realtà non è una natura vergine di fronte alla quale ci poniamo come Robinson Crusoe, ma un prodotto della storia degli uomini, e di come essi da un lato sono stati condotti a stabilire tra loro determinati rapporti sociali per poter dominare e quindi comprendere la natura e dall'altro sono stati in grado di impossessarsi della natura e di trasformarla in un certo modo, come conseguenza dei rapporti sociali fra loro in­ staurati. 33

L'affermazione che "la realtà non è una natura ver­ gine [ . . . ] ma è un prodotto della storia degli uomini" è, presa alla lettera, infelice in quanto sembra implicare che essa è esclusivamente un prodotto della storia. Biso­ gnava aggiungerci un " anche. " Che essa tuttavia non andasse presa alla lettera, risulta chiaro dalla frase successiva nella quale si sottolinea l'intreccio tra rappor­ to uomo-natura e rapporti sociali che una corretta con­ cezione materialistico-storica della scienza deve impli­ care. All'approfondimento di questa concezione, frutto del lavoro portato avanti in comune negli anni successivi con al tri compagni e in particolare con Giovanni Cic­ cotti, è dedicato il primo saggio di ques ta raccolta e non è quindi il caso di anticiparne qui i dettagli. Piu utile, semmai, tentare di ricos truire alcuni momenti del pro­ cesso di maturazione delle posizioni attuali che caratte­ rizzano, fatta salva ovviamente l'autonomia di ognuno rispetto a formulazioni non esplicitamente sottoscritte, il gruppo di compagni che hanno contribuito a questa raccolta di saggi. Il primo riguarda i l sorgere di u n interesse di fondo per la storia della fisica. È a Giovanni Jona-Lasinio che si deve il riconoscimento della necessità di sottoporre il concet to di " non-neutralità della scienza" che veniva emergendo, a un confronto con la storia che, verifican­ don e l'utilità come strumento interpretativo del passato, permettesse, al tempo stesso, una convalida delle analisi del presente fondate s u di esso. Nel '71 Jona presenta al congresso della SIF che si tiene all'Aquila una relazione" nella quale espone il suo programma e le mo tivazioni teoriche che lo giustificano, frutto dell'esperienza dei tre anni di corso di Storia della fisica tenuto a Roma dal '68 in poi e della collaborazione con Giovanni Ciccotti in tutto questo periodo. La rela­ zione ottiene un grande successo : la corporazione, trava­ gliata da una crisi profonda, è ancora disposta ad acco­ gliere criteri esterni di verifica della propria identità. Basteranno tuttavia soltanto pochi anni perché la crisi venga esorcizzata con il ritorno al trionfalismo dell'auto­ giustificazione della scienza come valore culturale asso­ luto (Convegno di Ferrara della SIF, 1975 ). Punto di partenza ideale del discorso di Jona è, so­ stanzialmente, l'Introduzione del '57 di Marx a Per la critica dell' economia politica. 34

Dobbiamo recuperare - egli dice - la produzione scienti­ fica delle scienze naturali nell'ambito della totalità s torica. E in effetti la produzione scientifica è un'attività umana, e in quanto tale ci aspettiamo che risulti storicamente determinata e realizzabile in termini di relazioni, cause ed effetti. Essendo poi un'attività umana particolare e specifica, essa non è com­ pren�ibile di per sé, ma solo quando la si analizzi insieme a tutte le at tività umane di un dato periodo storico, e la si confronti con attività simili di altri periodi storici. In altre parole anche la scienza diviene comprensibile solo se riferita alla totalità dell'operare degli uomini. Ed è solo differenzian­ dola da altre at tività umane e cogliendone le caratteristiche specifiche senza introdurre elementi aprioristici che la scienza può essere concretamente e non astrattamente definita. In altre parole la scienza nella sua realtà concreta non ci è data immediatamente ma solo dopo un lungo lavoro di analisi. È opportuno ricordare a questo punto Marx: " I l concreto è concreto perché è la sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice. Nel pensiero esso appare come processo di sintesi, come risultato, non come punto di partenza, ben­ ché esso sia il vero punto di partenza e perciò anche il punto di partenza della rappresentazione e dell'intuizione. "

I l punto centrale è dunque l'individuazione del pro­ cesso di formazione del concetto che permette di com­ prendere la scienza come attività umana, e quindi attività sociale. La categoria "scienza, " secondo !'ideologia bor­ ghese dominante, definisce una attività conoscitiva, ge­ nerica, ottenuta astraendo da tutte le specificità che caratterizzano tale attività nelle differenti epoche s tori­ che. La sua evoluzione, perciò, una volta eliminati tutti questi caratteri specifici, viene ricostruita - hegeliana­ mente - come " risultato del pensiero automoventesi, del pensiero che abbraccia e approfondisce sé in se stesso . " Secondo il " metodo dell'economia politica" for­ mulato da Marx, al contrario, una categoria economica "non può esis tere altro che come relazione unilaterale, astratta, di un insieme vivente e concreto già dato. " Perciò, " anche le categorie piu astratte, sebbene siano valide - proprio a causa della loro natura astraHa per tutte le epoche, sono tuttavia, in ciò che vi è di de­ terminato in questa astrazione, il prodotto di condizioni storiche e posseggono la loro piena validità solo per ed entro queste condizioni." " Scienza" dunque è l'astra­ zione determinata che rappresenta un aspetto partico­ lare ( quello teorico-conoscitivo ) del rapporto uomo-na­ tura, all'interno di una data formazione economico­ sociale. 35

Ciò non significa, si badi bene, ridurre la scienza a puro fattore economico. Significa invece rifiuto di ridurre la scienza a pura attività dello spirito, a eterno pro­ blema filosofico. Significa caratterizzare storicamente il fine gnoseologico della scienza di volta in volta come aspetto specifico delle relazioni di una data società. " L'analisi del rapporto uomo-natura," dice ancora Jona " si riconduce in primo luogo all'analisi delle finalità im­ plicite in ogni progetto scientifico, e quindi alla compren­ sione dei rapporti sociali qi produzione. " L'indicazione programmatica di Jona si concretizza presto in una iniziativa che rappresenta un momento importante di maturazione collettiva per la generazione del 68 La SIF gli affida l'incarico di organizzare nel­ l'estate del '72 uno dei corsi della Scuola estiva di fisica che ogni anno si tiene a Varenna. Il tema scelto è: " S to­ ria della fisica del XX secolo." Un tema sufficientemente esteso da permettere l'in­ trecciarsi di discorsi assai differenti: dai racconti di alcuni protagoni sti della storia della meccanica quanti­ stica o dello sviluppo della "big science" alla presenta­ zione da parte di storici della scienza professionisti del dibattito epistemologico contemporaneo. Non c'è, per­ ché non esiste ancora, una presenza marxista coerente e articolata; la maggioranza dei partecipanti tuttavia ne sente profondamente l'esigenza, e raccoglie la proposta di un crescente impegno individuale e collettivo su que­ sto terreno. È appunto nell'incontro di Varenna che si può rintrac­ ciare l'origine del moltiplicarsi, negli anni successivi, di numerosi contributi di storia della scienza da parte di fisici e matematici che, pur at tivamente impegnati, per la maggior parte, in attività di ricerca fondamentale, sentono la necessità di analizzare criticamente, dal­ l'interno, nella loro evoluzione storica, contenuti e me­ todi della propria disciplina.1 2 La possibilità di analizzare la produzione di scienza in termini di categorie storiche e sociali cogliendo quelle caratteristiche specifiche che fanno di essa un'attività umana particolare, e quindi storicamente determinata, ha costituito per molti militanti della sinistra una con­ quista lenta e difficile. Molti slogan del '68 indicavano questa direzione, ma la costruzione di un apparato con­ cettuale adeguato era impresa di ben altra portata. Le difficoltà risultavano particolarmente gravi dato che si '

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trattava, come ho cercato di far vedere in dettaglio, di una linea di pensiero che sembrava trovare pochissimo sostegno nella tradizione marxista nota in occidente. Di grandissima importanza è stata quindi per noi la scoperta recente, attraverso la riedizione in Inghil terra degli interventi della delegazione sovietica al Convegno di storia della scienza e della tecnologia tenuto si a Lon­ dra nel 193 1 , di una corrente del materialismo dialettico apparentemente assai viva fino agli inizi dell'epoca stali­ niana, che sos teneva in modo esplicito e articolato punti di vista molto vicini a quelli espressi nei lavori qui raccol ti. Il volume menzionato è Science a t the Cross­ roads apparso nel 1 9 7 1 e pervenuto a noi meno di un anno fa. In uno scritto di Bucharin dal titolo Theory and practice trom the standpoin t ot dialectical materialism [Teoria e pratica dal punto di vista del materialismo dia­ lettico] si afferma : L'idea che l a scienza s i a autosufficiente ( l a scienza fine a se stessa) è ingenua : essa confonde le passioni soggettive dello scienziato professionista, che lavora in un sistema di divisione del lavoro assai spinta, nelle condizioni di una società divisa, in cui le funzioni sociali individuali sono cristallizzate i n una grande varietà di tipi, psicologie. passioni, ecc., con il ruolo sociale ogget t ivo d i questo genere di attività, in quanto attività di grande importanza prat ica. La feticizzazione della scienza, come di altri fenomeni della vita sociale, e la deifi­ cazione delle corrispondenti categorie è un riflesso ideologico falsato di una società in cui la divisione del lavoro ha distrutto la connessione visibile tra le funzioni sociali, sepa­ randole nella coscienza dei loro agenti come valori sovrani e assoluti.

E piu avanti precisa, a proposito del valore conosci­ tivo della scienza: II " soggettivismo di classe" delle forme di conoscenza non esclude in alcun modo il significato " oggettivo" della cono­ scenza: in una certa misura la conoscenza del mondo esterno e delle leggi sociali è posseduta da ogni classe, ma gli speci­ fici metodi di concettualizzazione, nel loro progresso storico, condizionano in vario modo iI processo di sviluppo dell 'ade­ guatezza della conoscenza; e l'avanzata della storia può con­ durre a " metodi di concettualizzazione" tali da diventare una costrizione alla conoscenza stessa. Questo accade alla vigilia della distruzione di un dato modo di produzione e dei suoi rappresentanti di classe. 37

Circa un anno dopo la scuola di Varenna, Ciccotti e Jona intervengono in un dibattito su " Scienza, Cultura e Società," promosso dalla rivista "S cientia," con un arti­ colo, che fa parte dei saggi qui presentati, in cui iniziano una analisi esplicita e concreta del carattere socialmente condizionato della scienza al livello delle scelte episte­ mologiche e metodologiche di fondo. A dimostrazione della fecondità del punto di vista ivi elaborato, in questo volume appare anche un esempio specifico di analisi storica condotta alla luce di tale punto di vista. Il saggio sul rapporto tra Boltzmann e Planck mos tra appunto in concreto come sia possibile, allargando il terreno di indagine tradizionale della storia della scienza fino a includervi alcune dimensioni cultu­ rali e produttive caratteristiche di una determinata real­ tà socioeconomica, rispondere a domande che non pote­ vano, finora, essere nemmeno form ulate. Se il primo dei filoni costitutivi della nostra matura­ zione può essere rintracciato, come si è visto, nel Marx dell'In troduzione del '57, il secondo ha le radici nella teoria marxiana del feticismo. Per quanto mi riguarda è in ques ta direzione che, fra il '70 e ii '72, si rivolgono prevalentemente i miei interessi. È infatti questo un nodo irrisolto con il quale deve fare i conti qualsiasi tentativo di analisi del capitalismo nella sua fase tecno­ logica che voglia utilizzare le categorie marxiane. Da un lato, infatti, la società capitalistica avanzata sembra esse­ re caratterizzata dalla generalizzazione a tutte le sfere del lavoro sociale di quello che Marx chiama " il processo di alienazione del lavoro " ; ossia di quel processo di inver­ sione del soggetto e dell'oggetto per cui " le merci che diventano mezzi di dominio ( come mezzi di dominio del capitale sull'operaio ) non sono a loro volta che risultati del processo di produzione, i suoi prodo tti. " Piu in gene­ rale l'uomo, non solo come produttore ma anche come consumatore, appare sempre piu dominato dalle cose, e le cose sempre piu appaiono dotate di "proprietà sociali naturali"; nella terminologia marxiana l'uomo sembra sempre piu dominato dal " feticcio della merce." D'altro lato, tuttavia, il concetto di forma di valore sul quale soltanto, secondo me,1l può fondarsi una nozione di alie­ nazione dei produttori che abbia un riferimento preciso nella s trut tura sociale e non si riduca a una generica nozione di estraniazione tutta filosofica, è oggetto di controversia da cent'anni e la sua utilizzazione appare a 38

dir poco problematica come strumento d'analisi di una formazione economico-sociale in cui molte delle astra­ zioni marxiane hanno perso un significato preciso. Non solo infatti il lavoro improduttivo sembra assu­ mere una importanza sempre crescente ( terziarizzazione ), ma nella sfera stessa della produzione di merci, materiali e non, la prevalenza del lavoro semplice sul lavoro com­ plesso è scomparsa, il monopolio e l'oligopolio hanno so­ stituito la concorrenza sul mercato fra çapitalisti, per non parlare dei problemi dello scambio sul mercato mondiale fra paesi imperialisti produttori di tecnologia e paesi sa­ telliti produttori di materie prime. E questa contraddizio­ ne tra crisi del concetto di valore e validità della nozione di feticismo che va, secondo me, affrontata, ed è in questa luce che va visto il mio contributo al dibattito sul rapporto Marx-Sraffa riprodotto in questa raccolta." La sua eterogeneità rispetto agli altri saggi è dunque pill apparente che reale per due motivi. In primo luogo, infatti, esso fornisce un elemento di supporto all'analisi del processo di produzione di scienza condotta nel capitolo 2, in quanto si propone di dimo­ strare che ovunque c'è produzione capitalistica di merce là appaiono tutti quegli aspetti del processo produttivo del capitale portati alla luce da Marx sulla base del­ l'analisi in termini di valore e plusvalore, anche se la composizione organica del capitale nei differenti settori produttivi non è costante. In particolare si vuoI sottoli­ neare che le nozioni di alienazione del lavoro e di feti­ cismo della merce continuano a essere materialistica­ mente fondate nei rapporti sociali di produzione vigenti anche in una economia reale dove i prezzi differiscono dai valori di scambio. In secondo luogo, questo saggio si ricollega diretta­ mente ai temi generali trattati nel capitolo 1 per il pre­ ciso uso del concetto di " non neutralità della scienza," e in particolare della scienza economica, che vi è discusso. Il processo che conduce alla conoscenza scientifica - si sot tolinea a questo proposito - è dunque un processo d i formulazione di " astrazioni determinate" che devono in primo luogo essere adeguate all'oggetto reale, nel senso che debbono coglierne gli elementi essenziali e specifici a un determinato livello ed a un determinato stadio di sviluppo, ma sono al tempo stesso espressione del punto d i vista socialmente con­ dizionato del soggetto, cioè del suo orizzonte pratico e teorico, della sua esperienza passata e del progetto di trasformazione 39

della natura e della società al quale egli implicitamente o esplicitamente aderisce.

Questa introduzione potrebbe fermarsi a questo pun­ to. Il suo scopo principale era infatti di illustrare al lettore il rapporto genetico e concettuale fra i vari scritti presentati in questa raccolta, sottolineandone la comune matrice e la comune finalità : quella di elaborare un quadro di riferimento e un metodo, fondati su alcuni capisaldi del pens iero marxiano, in grado di permettere una analisi materialista della scienza, in quanto attività sociale dell 'uomo. Ma non sarebbe conclusa la ricostru­ zione delle vicende e dei contributi che hanno influito su questo processo di elaborazione se non mi soffermassi a riconoscere esplicitamente u n grosso debito e a dichia­ rare al tempo stesso un netto dissenso. Debito e dis­ senso nei confronti di Lucio Colletti. Per quanto mi riguarda - ma penso che in misura maggiore o minore ciò che dico valga anche per gli altri autori degli scritti presentati in questa raccolta - posso dire che Colletti mi ha fornito la chiave per comprendere proprio quei due capisaldi del pensiero marxiano sui quali si regge il nostro lavoro : il materialismo storico e la teoria del feticismo. A riprova di ciò, mi sembra importante riportare alcuni passi del saggio su Bernstein e il marxismo della seconda Internazionale perché appaia palese quanto l'interpretazione del pensiero marxiano da noi presentata negli scritti che seguono tragga ispira­ zione dalle tesi di Colletti. Egli cita una frase di Marx particolarmente significativa : Nella produzione - dice Marx - gli uomini non agiscono soltanto sulla natura, ma anche gli uni sugli altri. [ ... ] Per produrre essi entrano gli uni con gli altri in determinati legami e rapporti e la loro azione sulla natura, la produzione, ha luogo soltanto nel quadro di questi legami e rapporti so­ ciali ...

L'intreccio di questi due processi - prosegue Col­ letti è la chiave del materialismo storico. -

Il materialismo tradizionale, che considera gli uomini come un prodotto e un risultato dell 'ambiente, dimentica - dice Marx - che gli uomini modificano a loro volta l 'ambiente e che " l 'educatore stesso deve essere educato"; dimentica che non basta considerare le circostanze pratico-materiali come causa e l 'uomo come effetto, ma che occorre tener presente 40

anche il movimento inverso: giacché, come l 'uomo, che è effetto, è insieme causa della sua causa, cosi quest'ultima è a un tempo effetto del suo effetto. In breve: prodotto della causazione materiale oggettiva, l 'uomo è al tempo stesso anche l'inizio di un processo causale nuovo che è l 'opposto del primo e nel quale il punto di par­ tenza non è piu l 'ambiente naturale ma il concetto, /'idea dell'uomo, il suo processo mentale. [ ... ] Ora la simultaneità di questi due processi [ ... ] è non solo la chiave e il segreto del materialismo storico nella sua semplice accezione appunto di causalità (materialismo) e finalità ( s toria), ma consente anche di spiegare quel luogo nevralgico dell'opera di Marx, che è il suo concetto di " produzione" o " lavoro" in quanto produzione di cose e insieme produzione ( oggettivazione) di idee, produzione e comunicazione intersoggettiva, produ­ zione materiale e produzione di rapporti sociali .

D a queste premesse Colletti deriva il rifiuto della "opposizione tra giudizi di fatto e giudizi di valore, tra scienza e ideologia." Al contrario, egli sottolinea l 'inevitabile presenza dei giudizi di valore nell'indagine scien­ tifica [ ... ] che è il nesso stesso scienza-politica, conoscenza­ trasformazione del mondo realizzato da Marx nel campo sto· rico-morale, e che permette anche di intendere come ciò che Bernstein e tanti altri hanno additato come il difetto e la debolezza del Capitale - l a compresenza in esso di scienza e ideologia - ne rappresent i al contrario la piu profonda originalità e l'elemento di maggior forza.

Ma - e qui sta il dissenso - a questa apparente con­ cordanza di formulazioni generali corrispondono, nella sos tanza, conclusioni assai diverse. Per Colletti - la tesi è esplicitata con molta chia­ rezza ed onestà nell'Intervis ta politico-filosofica, ma è già implicita nei suoi scritti precedenti - quelle stesse affermazioni che abbiamo riportato non riguardano la scienza della natura, anzi, "la scienza " come egli la chia­ ma per antonomasia, assumendola a ideale di " vera" scienza. Sembra che ques ta scienza idealizzata non faccia parte di quel rapporto uomo-natura, cosi inestricabil­ mente intrecciato - come egli stesso ci insegna - con i rapporti sociali tra gli uomini. Si direbbe che per essa non valga ciò che Colletti stesso affermava, forse senza coglierne la generalità, nel lontano 1 959: ossia che l'unico modo concreto in cui può essere enucleato il rapporto natura-società è " pensando la priorità della natura dall'interno di quella condizione

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s torico-concreta in cui sorge il problema e che è eviden­ temente la condizione dove, oltre alla natura, è già pre­ sente l'uomo che l'interroga e dunque la società, e dove quindi il processo semplicemente naturale si è già rove­ sciato in un rapporto sto rico-naturale." In altre parole Colletti rifiuta, nel caso della scienza della natura, di porsi il problema del modo in cui - per dirla con l'In troduzione del '57 il concreto " appare nel pensiero come processo di sintesi, come risultato e non come punto di partenza, benché sia l'effettivo punto di partenza e perciò anche il punto di partenza dell'intui­ zione e della rappresentazione." È come se ci fosse una corrispondenza b iunivoca tra concreto reale e concreto pensato, e quindi come se le categorie della scienza rap­ presentassero nel pensiero soltanto elemcnti di una realtà oggettiva data. Non c'è posto, dunque, per quella " inevi­ tabile presenza dei giudizi di valore nell'indagine scien­ tifica" che pure appariva come un punto importante acquisito di una definizione materialistico-storica di scien­ za. Ma una volta che sia stato postulato che la scienza della natura altro non è che fedele, anche se approssi­ mata, riproduzione della oggettività del concreto reale, la non-contraddittorietà di tale concreto reale - che discende, direi quasi per definizione, dal suo essere pre­ categoriale, cioè "punto di partenza dell'intuizione e della rappresentazione " - diventa ipso facto non con tradditto­ rietà del concreto pensato che lo rappresenta - afferma­ zione che mi sembra inconciliabile con il suo essere " sin­ tesi di molte determinazioni e unità, quindi, del molte­ plice." Se poi, dellavolpianamente, si assume questa ( falsa ) immagine di scienza della natura a paradigma di ogni s cienza, e si tenta di ricondurre il marxismo a scienza della società, " nel senso serio ( ! ) della parola, cioè scien­ za al modo stesso delle scienze della natura," non s tu­ pisce che Colletti si trovi davanti due Marx. Intendiamoci bene. Credo che Colletti abbia ragione - anche se non sono in grado di affermarlo con certez­ za - a sos tenere che, in nuce, un'ambiguità esiste anche in Marx fra una concezione delle scienze della natura improntata in ultima analisi a Kant, e la sua opera di cos truzione di una s cienza della società caratterizzata da un intreccio oggettività-soggettività non compatibile con la prima. Ma ciò non segue in nessun modo che si debba buttare a m are la seconda in nome della prima. -

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Invece di prendere da Kant ( cioè da Newton ) un modello di scienza " vera" e constatare, con disappunto, che non si adatta all'opera di Marx - ma, si badi, neanche alle moderne scienze della natura -, secondo noi conviene di gran lunga assumere quest'ultima come esempio para­ digmatico di scienza, " nella sua duplice accezione di causalità (materialismo) e finalità ( stori a ) " e andare a vedere se essa non permetta assai meglio di compren­ dere, nel suo sviluppo storico cosi come nella sua realtà concreta, il significato e la validità di quell'attività so­ ciale umana che è l'appropriazione teorico-pratica della natura, di comprendere cioè il valore della scienza. È quello che, sia pure per tentativi ed errori, abbiamo cer­ cato di cominciare a fare nelle pagine che seguono.

No te I L . Geymonat, tanto per fare un esempio, sosteneva che il pro­ gresso tecnico è "una delle piu straordinarie conquiste della ragione umana; è uno dei vanti dell'era moderna." Dove il giudizio sostanzial­ mente valido se riferito a una determinata formazione economico-sociale (l 'affermarsi della borghesia come classe rivoluzionaria) diventa gene­ ricità retorica quando venga arbitrariamente e astoricamente esteso a un 'altra con caratteristiche opposte (lo stadio del capitalismo tecno­ logico). 2 Vedi il libro di R . ROSSANDA, L'anno degli sllldenti, De Donato, Bari 1968, per una ricostruzione a caldo degli avvenimenti e un giudizio che, anche a sette anni di distanza, appare sostanzialmente corretto. 3 R . ROSSANDA, op. cito • Vedi " Bollettino CESPE , " n. 25 del 1968. 5 Tra i pochi contributi che tentano di affrontare problemi reali mi sembra tuttavia doveroso ricordare quello di Bruno Cermignani . • Gli atti del Convegno sono· stati pubblicati da De Donato, Bari 1968, sotto il titolo La scienza nella società capitalistica. 7 È interessante notare il consenso che alcune delle tesi sostenute sulle connessioni tra ricerca e sviluppo capitalistico ricevono da parte di un altro relatore, l 'economista Siro Lombardini, estraneo a queIl 'area, anzi di parte governativa. L'ottusità degli " scienziati" tradizionali, che negano tali connessioni, risalta particolarmente al confronto. I Vedi il libro La spirale delle alte energie, Bompiani, Milano 1 975. 9 G. JONA-LASINIO, Mutamenti de/la prassi scientifica ne/la società tecnologica, qui in Appendice , pp. 227 sgg.; G.A. MAccAcARo, in AA.VV . , Scienza e potere, Feltrinelli, Milano 1975 , p . 30_ IO S _ PETRUCCIOLI e TARSlTANI, in "Critica marxista , " quaderno n. 6, p. 74; L . GEYMONAT, in · Scientia ," luglio-agosto 1973. I l Il testo riportato in Appendice è una rielaborazione successiva ( '72) di questa relazione, ma ne riproduce sostanzialmente lo spirito e i contenuti. 1 2 Ci limitiamo a ricordare le ricerche di Braccesi e quelle di Ba-

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racca e Rossi, che gettano luce sull 'origine, storicamente riconducibile al contesto sociale, di alcuni concetti comunemente assunti come defini­ zioni assiomatiche in fisica: in particolare quello di lavoro. Vedi anche gli atti ( in corso di pubblicazione) del Convegno di Lecce del luglio 1975 sul tema " Aspetti strutturali e ideologici nel rapporto tra scienze fisiche e matematiche.· 13 Esistono tuttavia tentativi di sciogliere il nesso tra volontà del concetto di feticcio e forma di valore: vedi a es. M. LIPPI in "Problemi del Socialismo, " nn. 21-22 e 23. 14 Le idee contenute in questo saggio ovviamente impegnano solo me stesso, poiché su questa questione non c'è ancora accordo tra tutti noi .

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PARTE PRIMA

Razionalità storica della prassi scientifica

1.

L a progettualità scientifica contro

lo scientismo DI GIOVANNI CICCOTTI, MARCELLO CINI, MI­ CHELANGELO DE MARIA

1. Introduzione L'odierna rivoluzione industriale - diceva N . Wiener deve svalutare il cervello umano, quanto meno nelle sue funzioni piu semplici e abitudinarie. Naturalmente, come il falegname, il meccanico e il sarto qualificato sono soprav­ vissuti in un modo o nell'altro alla prima rivoluzione indu­ s triale, cosi anche lo scienziato e l'amminis tratore qualificato possono sopravvivere alla seconda. Ma immaginiamo che questa seconda rivoluzione sia già stata realizzata. In tal caso l'uomo medio, dotato di capacità medie, se non inferiori, non potrà offrire per la vendita niente che valga la pena di comprare. L'unica soluzione consiste nel costruire una società fondata su valori umani, diversi dalla compravendita. Per la costru­ zione di questa società è indispensabile una grande prepara­ zione e una grande lotta.'

Nel frat tempo questa lotta non è ancora stata vinta e il processo, di cui parla Wiener, si è allargato e appro­ fondito coinvolgendo a fondo la scienza che oggi si pre­ senta, per parafrasare una frase celebre, come un'immane raccol ta di " rompicapi." Da qui il sorgere, a l ivello di massa e negli ambienti scientifici impegnati nella lotta per la trasformazione della società, di una crisi di sfidu­ cia nell'utilità e nel senso della scienza. Questa crisi è stata spesso esorcizzata con un processo alla scienza insoddisfacente perché superficiale e per lo piu solipsi­ sticamente irrazionalistico.2 Tuttavia la crisi c'è, quale che sia il valore delle sue formulazioni e queste ultime hanno avuto almeno il me­ rito di mostrare che il problema del valore della scienza 47

e della sua funzione sociale era piu complicato, piu inte­ ressante e piu ricco di conseguenze di quanto lasciassero supporre la superficiale sicumera dello scientismo e le sue facili soluzioni per luoghi comuni. Tanto piu grave è la responsabilità di chi,' facendo leva sulla debolezza e sul carattere misticheggiante delle argomentazioni dei critici irrazionalisti, propone il falso dilemma: o oscurantisti o scientis ti. Questo, infatti, non è il modo di affrontare una crisi di valori, di finalità e di comprensione, ma è un modo di esorcizzarla. Esso inol tre contribuisce a tenere in piedi la vecchia idea falsa e dannosa che abbiano senso solo gli aspetti piu propriamente tecnici del problema della scienza, storici o epis temologici che siano. Chiunque, tecnico o ricercatore o cittadino responsa­ bile, viva quotidianamente le condizioni della crisi, e tuttavia non abbia alcuna simpatia per gli atteggiamenti irrazionalistici, sa bene quanto siano inutili le lunghe e dotte dissertazioni accademiche in cui si evoca la scienza per difenderla contro i suoi denigratori e la si rappre­ senta in un modo che ha ben poco in comune con il suo vero essere. Egli sa anche che, finché non si avranno ri­ sposte positive agli interrogativi che si sono andati po­ nendo nel corso degli anni e si continueranno a dare soluzioni formali e a livello sovrastrutturale dei proble­ mi, sarà impossibile avviare un processo reale di riap­ propriazione, soggettiva e oggettiva, della potenza di do­ minio sulla natura che nei mezzi di produzione e nella scienza è oggettivata. Per chiarire meglio i l senso della nostra ricerca con­ viene anticipare alcune considerazioni che discuteremo piu ampiamente in seguito ma che qui servono per indi­ viduare i problemi reali da cui partiamo e il metodo che intendiamo utilizzare. I risultati dell'attività produttiva possono essere otte­ nuti come applicazioni della tecnica o della tecnologia. Intendiamo con ciò distinguere fra produzione basata su procedimenti empirici, che non faccia cioè sis tematica­ mente uso delle conoscenze naturali precedentemente sta­ bilite, e produzione le cui condizioni teoriche siano for­ nite dalle scienze naturali. Quest'ultimo caso si può rifor­ mulare dicendo che la produzione tecnologica è caratte­ rizzata dal fatto di essere idealmente sussunta dalle scienze della natura, sicché essa risulta dall'applicazione di un piano ideale di attività che è dato prima che l'at ti48

vità di produzione abbia inizio. In questo senso la co­ s truzione da parte di Newton del suo teles copio a rifles­ sione è una tipica attività tecnologica. Definiamo ora fase tecnologica la situazione - che si presenta solo nel nostro secolo - in cui in tutti i settori produttivi le scienze costituiscono un ingrediente fonda­ mentale. Notiamo qui che, sebbene ciò non sia apparen­ temente necessario, questa situazione si è realizzata insieme alla produzione su larga scala i n tutti i settori, sicché essa si è realizzata nelle condizioni di massima interdipendenza economica di tutti i produttori." È chiaro allora che nella fase tecnologica - e solo in essa - le scienze at tingono la loro massima socializzazione e d è anche chiaro che capire il valore, il significato e la fun­ zione sociale della scienza diventa importante per chiun­ que abbia interesse a ricos truire il movimento generale della società. Magari per trasformarla. Che questo pro­ blema esista non saranno in molti a negarlo, ma ciò che ci preme sottolineare è che esso non può essere ri­ solto utilizzando le dicotomie che la cultura accademica ci offre a questo scopo. Si dice : se si ha interesse a ca­ pire come viene usata e che funzione ha la scienza nella società, ci si rivolga alla sociologia o magari all'analisi economica della società moderna; se invece si ha inte­ resse a definire il valore della scienza ci si riferisca all'epistemologia, o , meglio ancora, s i faccia della buona scienza; se infine si hanno problemi cOSI generali come quelli concernenti il significato delle scienze nella cul tura o nella civiltà, si faccia riferimento alla filosofia pratica, o magari si esaminino gli esempi storici pill istruttivi. Ebbene noi riteniamo che queste dis tinzioni, pur utili per definire i propri oggetti di ricerca e per individuare alcuni livelli di analisi, non abbiano alcun fondamento rigoroso. Pensiamo infatti che sia impossibile ricos truire gli aspetti sociali della scienza senza dare una definizione di scienza adeguata a quella società, cOSI come viceversa non è possibile costruire solo dall'interno dell'operare scientifico una definizione di scienza cOSI articolata da permettere di spiegare le caratteristiche del suo impatto sulla società. Ci pare molto interessante, a questo proposito, l'accor­ do che troviamo con l'accademico sovietico B. Kedrov che difficilmente la nostra cultura ufficiale potrà tacciare di irrazionalismo. Dice dunque Kedrov in un articolo " sulle leggi dello sviluppo della Scienza" : 49

Nei fatti, i fat tori materiale e spirituale ( in questo caso, il logico) non agiscono mai separatamente nello sviluppo sto­ rico. Essi sono interconness i e interagiscono lasciando un profondo segno uno sull'altro. E: solo in astratto che noi possiamo convenzionalmente separare un aspetto dall'altro e parlare o delle cause materiali di qualche evento storico­ scientifico o della continuità logica nella sua relazione con altri eventi. La pratica materiale non può creare da se stessa uno s tadio sufficientemente avanzato di conoscenza a meno che siano sorte le necessarie premesse cognitive per il rag­ giungimento di quello stadio. [ ... ] Viceversa, uno stadio logico che è maturato nello sviluppo della scienza non può essere realizzato senza l 'incentivo fornito dalla pratica. Questo mo­ dello di dipendenza (la intercondizionalità dei due aspetti della questione della legge fondamentale dello sviluppo della scienza) può essere visto e capito solo se lo studio degli aspetti materiale e logico dello sviluppo della scienza è con­ dotto non separatamente ma nella loro unità, con l'uso di un singolo metodo scientifico. Si deve essere dispiaciuti del fatto che noi siamo ancora praticamente incapaci di studiare i fattori materiali e spirituali dello sviluppo storico contempo­ raneo (incluse le scienze naturali) nella loro connessione e intercondizionalità, cioè, in termini concreti.'

Noi non crediamo che questa interdipendenza dei vari fenomeni impedisca di dare soluzioni rigorose ai problemi posti, non abbiamo in questo senso alcuna inclinazione al misticismo né alcuna simpatia per le idee confuse, ma pensiamo che sia giunto il momento di cer­ care di ottenere il punto di vista adeguato ai problemi in discussione. In altra sede" si sono analizzati gli sforzi e le difficoltà che incontra la moderna epistemologia nel tentativo di disconoscere il nesso neces sariamente presente tra la validità del pensiero conoscitivo e la sua funzionalità al processo di trasformazione della realtà. Si è anche visto come questo atteggiamento, oltre a non fornire una de­ finizione accurata di scienza e a non spiegare in che modo si sviluppi la conos cenza scientifica, costituisca la principale ragione dell'incapacità di dare risposta agli interrogativi sollevati dalla socializzazione delle scienze nel capitalismo tecnologico. Esso inoltre impedisce l'indi­ viduazione e l'analisi di eventuali alternative. Tutto di­ venta piu chiaro e piu semplice - come mostreremo ampiamente in seguito - se ci si pone dal punto di vista del materialismo, perché allora quel nesso consegue immediatamente dal punto di vista ed è possibile indi50

viduare gli strumenti adatti all'analisi globale della scienza nella società al presente e in prospettiva. Tentia­ mo di chiarirlo e di introdurre cosi il programma della nos tra ricerca. Definiamo materialismo " la tendenza a includere la legge e il termine di ogni trasformazione nel trasfor­ mando stesso, facendo di questo la condizione e di quelli la funzione.'" Allora è chiaro che natura indica tutto ciò che esiste : quindi non solo ciò che preesiste, cioè i l ma­ teriale su cui si opera - come è proprio di ogni materia· lismo storicamente esistito -, ma anche chi compie tra­ sformazioni, la legge che ne permette il compiersi e il loro prodotto. Si può ora schematizzare questa defini­ zione enunciandola nel modo seguente : la natura è inscin­ dibilmente dato e fatto e nessuno dei due elementi può mai essere omesso in ogni definizione rigorosa di essa. Viceversa, l'unico senso che può darsi, a es., a una de­ finizione come quella di E . Cassirer, secondo la quale " nell'uso linguistico rigoroso della fisica la 'natura' non è altro che un insieme di relazioni, di leggi. [ ... ] Un insie­ me siffatto è una 'forma: " . è quello di separare rigida­ mente la realtà e la sua evoluzione dalla natura, vista come sintesi spirituale e soggettiva di ciò che si conosce, largamente estranea alla realtà. Egli introduce cosi diret­ tamente nella definizione le dannose dicotomie di cui so­ pra si è detto. Vogliamo qui notare esplicitamente invece che il punto di vista da noi sostenuto è stato espresso con molta chiarezza da Marx come is tanza materialistico­ storica. Ma torniamo al nostro problema principale. L'ipotesi materialistica fornisce intanto direttamente una sostan­ ziale omogeneità fra la natura, la società e le loro leggi, cioè le varie scienze. Ma essa ci permette anche di porre in piu stretta relazione i vari modi di far scienza che si sono storicamente succeduti e le strutture sociali e pro­ duttive entro le quali quei modi si sono affermati. Infatti, considerata da questo punto di vista, la scienza non rap­ presenta né può rappresentare altro che una legalità della natura capace di fornire la base ideale della produzione sociale o, nel capitalismo maturo, gli strumenti ideali atti a compiere la serie di trasformazioni che portano da un livello storicamente determinato di esistenza naturale a un altro. Perciò tra i modi di produzione, ossia i modi di appropriazione della natura, i rapporti sociali, e piu in generale l'organizzazione della società, e le conoscenze 51

umane organizzate, quali le scienze, deve esistere una ben determinata relazione che si può esprimere come coerenza della scienza alla società. Anticipiamo che tale coerenza si manifesta non solo nei contenuti della scien­ za, chiaramente legati agli sviluppi delle tecniche, ma anche nei metodi e nelle finalità dell'attività scientifica; osserviamo inoltre che una legalità della natura viene determ inata in vista di trasformazioni che si vogliono realizzare (o di al tre che si vogliono impedire, ma su que­ sto torneremo). Perciò il fatto che la scienza sia relativa alla società non ne inficia la validità. Questa dipende infatti solo dalla sua capacità di subordinarsi - e perciò di dominarle - alle condizioni naturali e sociali che co­ s tituiscono il punto di partenza delle trasformazioni cercate. Ora, quan to piu è avanzato il processo di social izza­ zione della ricerca scientifica, tanto piu importante e illuminante risulta l'analisi della scienza che qui propo­ niamo per la ricos truzione delle strutture fondamentali e delle tendenze di sviluppo della società. Tra le quali, si badi, vi è anche quella alla rivoluzione, cioè al cambia­ mento radicale del modo di produrre e di vivere. D'altra parte, nella fase tecnologica del capitalismo questi processi di integrazione sono giunti al loro mas­ simo livello, sicché assai pressante si presenta l'esigenza di ricos truire i nessi di coerenza di cui si è detto. Tut­ tavia un uso diretto di Marx a questo fine non risulta possibile anche se, a nostro avviso, nella sua opera vi sono la base teorica e il metodo della ricerca che propo­ niamo. Infatti, benché la ricostruzione delle tendenze di sviluppo della società sia stato lo scopo del suo lavoro, la sua analisi si concentra essenzialmente sulle forme sto­ riche della produzione ( l a natura come fatto del suo temp o ) e sui rapporti sociali che a esse corrispondono, ma non affronta che marginalmente la questione della scienza. Né d'altro canto poteva farlo perché marginale è, nella fase tecnica, il ruolo della scienza che sistema­ tizza i progressi tecnici, ma raramente li anticipa. È chiaro a questo punto che la prima cosa da fare consiste nel dare i punti di riferimento fondamentali per poter cominciare a districare l'insieme di questioni legate alla particolare natura e al ruolo delle scienze nella società capitalistica avanzata. Perciò la nostra ricerca, francamente preliminare, si svolgerà lungo le seguenti linee. Forniremo dapprima una 52

definizione materialis tica di scienza che permetta di spiegare i processi di socializzazione e di integrazione carat teristici delle scienze del nos tro tempo, ma ci ga­ rantiremo anche che essa colga i dati salienti dello svi­ luppo scientifico del passato ( questa è per noi una veri­ fica importante della bontà di una definizione). Esamine­ remo poi, alla luce di questa definizione, i nessi che sus­ sis tono fra scienza e ideologia e tenteremo su questa base una prima classificazione delle ideologie che per­ metta di individuare il valore e significato delle scienze. Questo mostrerà quanto sia ampio lo spazio di inter­ vento che si apre entro la prospettiva del processo di co­ struzione del socialismo. Dovremo perciò discutere con una certa ampiezza il metodo di indagine adeguato a que­ sti scop i : al negativo, mostrando le insufficienze del­ l'astrazione scientifica usuale che procede astoricamente in modo ipotetico-deduttivo, non discutendo mai le ra­ gioni delle proprie ipotesi, cioè delle proprie scelte impli­ cite; al positivo, introducendo il metodo simul taneamente ipotetico-deduttivo e storico che è tipico del materal ismo. Faremo allora vedere che esso è capace non solo di indi­ viduare i fini implicitamente presenti nelle astrazioni scientifiche usuali e le ragioni s toriche del loro nascere, affermarsi o scomparire, ma anche di suggerire, sulla base delle contraddizioni presenti nella società e delle alternative in essa implicite, campi e modi scientifici adeguati a perseguire un'alternativa. A voler peccare di presunzione si potrebbe dire che si tratta di un tentativo di allargare il dominio di applicazione del socialismo scientifico. Un'osservazione si impone a questo punto. Nel corso del nostro lavoro noi utilizzeremo nel modo piu ampio la concezione materialistico-s torica di Marx (e di Engel s ) e gli spunti in essa presenti concernenti la scienza e i l s u o sviluppo in relazione alla società. Sottolineiamo tut­ tavia che non abbiamo alcuna pretesa filologica né tanto­ meno pens iamo di rappresentare una qualche ortodossia marxiana. Ci interessa solo fornire elementi di riflessione su una tematica singolarmente scottante e attuale. 2. Scienza e ideologia La prima conseguenza del punto di vista materiali­ stic09 è contenuta ne lla richiesta che si dia priorità alla 53

base naturale in ogni definizione rigorosa dei fenomeni. Essa segue dalla omogeneità della realtà nelle sue varie forme ( naturali, sociali, spirituali ) e dalla priorità reale ( ontologica ) del tutto sulle parti. Cosi, a es., poiché la società non può esis tere né svilupparsi senza produrre, cioè senza che vi siano determinati rapporti con la na­ tura, punto di partenza del tentativo di comprendere la società e le sue leggi di sviluppo deve essere l'analisi dei rapporti sociali di produzione. La situazione non è diversa se ci si riferisce alle ma­ nifes tazioni spirituali in generale e al pensiero conosci­ tivo in particolare, l'unica differenza essendo che questa volta non solo la na tura ma anche la società costituisce un prius rispetto ad esse. Fin dall'inizio - dice Marx - lo " spirito" portò in sé la maledizione di essere " infetto" dalla materia, che si presenta qui sotto forma di " strati d'aria agitati, di suoni" [ ... ] linguag­ gio. II linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso, e il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini. [ ... ] La coscienza è dunque fin dall'inizio un prodotto sociale.1O

Perciò per comprendere la natura e l o sviluppo delle forme giuridiche e politiche della società e per indivi­ duare le cause delle particolari forme della coscienza sociale ( cioè della cultura) attive in ogni dato momento storico, occorre fare riferimento alla loro base reale costituita dalle forze produttive e al modo di vita che consegue dal livello di questa. Infatti, come dice Marx, il modo di produzione della vita materiale condiziona, in ge­ nerale, il processo sociale poli tico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere che determina la loro coscienza.lI

L'evoluzione delle idee cosmologiche fornisce probabil­ mente la piu esplicita esemplificazione della tesi ora esposta. Riferiamoci a esempio alla cosmologia egiziana. La terra era rappresentata come un piatto bislungo. La dimensione del piatto era parallela al Nilo. [ ... ] Chiara­ mente quest'universo è modellato sul mondo quale l'egizio lo conosceva: egli viveva in realtà in un piatto bislungo, limiS4

tato dall 'acqua nella sola dimensione in cui lo aveva esplo­ rato_1 2

Se l'attività produttiva non è pura e semplice restau­ razione del consumo, cioè se la vita umana non è rigoro­ samente ciclica nelle generazioni, è chiaro che si avrà sviluppo o regres sione delle forze produttive. Il secondo caso comporta una contrazione delle risorse disponibili per la società e rappresenta quindi una soluzione insta­ bile o distruttiva che, pur essendo possibile, qui non in teressa. Perciò non lo discuteremo. Il primo caso invece può rendere insoddisfacenti i vigenti rapporti so­ ciali di produzione. Queste sono le condizioni s toriche delle rivoluzioni sociali, e, quando esse si realizzano, cambiano radicalmente con le relazioni sociali (e le sue forme giuridiche ) le forme della coscienza sociale e quin­ di i modi di accostarsi alla realtà. Rifacendosi di nuovo allo sviluppo delle idee cosmologiche per chiarire la tesi esposta basti pensare all'universo tolemaico medievale, finito, gerarchicamente ordinato e all'universo infinito e senza un ordine precostituito del tempo di Newton e riflettere alle somiglianze che sussistono fra i valori impli­ citi in queste concezioni del mondo e quelli espliciti nei rapporti sociali delle società ( feudale e della manifattura capitalistica) che quelle concezioni hanno espresso.ll Naturalmente, durante i periodi di transizione passa­ no entro la coscienza sociale le stesse alternative che possono essere individuate riferendosi agli antagonismi dell'esistenza materiale. Sicché, sebbene in ques ti periodi le idee dominanti siano ancora quelle della classe domi­ nante entro i dati rapporti sociali di produzione, la co­ scienza sociale esprime anche punti di vista antitetici a quelle idee ed espressivi del diverso rapporto con la realtà che si vuole ins taurare e che è in nuce nel conflitto in atto fra forze produttive e rapporti sociali di produ­ zione. Ci si riferisca, per fissare le idee, alla concezione dell'infinito e degli infiniti mondi abitati di G. Bruno ( che non tarderà ad affermarsi come dominante), e si pensi al loro contras to con la coscienza finitistica e geo­ centrica dominante nell'epoca, ancora espressiva dei va­ lori tipici dell'organizzazione feudale della società, do­ minante ma non piu universale. Fin qui abbiamo tentato di mostrare che, come con­ seguenza del punto di vista materialistico, gli uomini non creano la storia né sulla base delle loro singole vo55

lontà né su quella di volontà collettive, che siano pura e semplice espressione di valori. Questo perché la s toria che gli uomini producono è il risultato di rapporti degli uomini tra loro e con la natura che sussistono oggetti­ vamente e perciò indipendentemente dalle idee degli uomini al riguardo. Tuttavia, poiché, come è evidente, so/w proprio gli uomini a fare storia (e la fanno con tutte le idios incrasie di cui sono capaci) e poiché a noi inte­ ressa appunto ricostruire i modi reali e magari caotici attraverso i quali si produce la storia, che sicuramente caotica non è, conviene rivolgersi al singolo at tore del processo ( che rischia sempre di sfumare in comparsa), al generico uomo nella società, e tentare di caratteriz­ zarne l'attività. La storia umana si distingue, dalla storia naturale essenzialmente perché è una continua alterazione del ciclo naturale." Ciò è reso possibile dal fatto che il la­ voro umano è in generale esecuzione di un piano, di un progetto ed è quindi attività secondo un fine, non pura e semplice attività is tintiva.'s Inutile aggiungere che la rea­ lizzazione di uno scopo non è automaticamente garantita, ma essa richiede la subordinabilità dello scopo alla legge del fenomeno che si vuole dominare. Questa tuttavia non è una difficoltà, in quanto gli uomini, nel corso della sto­ ria, hanno mostrato di saperne tener conto, e anche molto bene. Questa caratterizzazione del lavoro umano è stata vigorosamente espressa da Marx nel Capitale: II ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l 'ape fa vergognare molti architetti con la costru­ zione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di co­ s truirla in cera

e, poco dopo, conferm a : Alla fine del processo lavorativo emerge u n risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza, nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui ben conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, ed al quale deve subordinare la sua volontà.t6 56

Dunque, ciò che distingue l'attività umana è il suo carattere progettuale, la presenza in essa di elementi ideali, di pensieri finalizzati. Ora solo la relazione tra il livello individuale e quello collettivo elimina l'arbitrarie­ tà che è insita nel pensiero astratto in sé considerato. Ebbene l'int egrazione 17 di tutti i pensieri e comporta­ menti espressi dai membri di una società è ciò che si può definire una cultura. Una cultura, d'altra parte, è appunto ciò che si può razionalmente comprendere i n termini d e l materialismo storico ed è essa, e non il pensiero, che pianifica la produzione del singolo lavora­ tore, che, come manifestazione della coscienza sociale, definisce un progetto per la società. Naturalmente, in quanto le condizioni storiche di cui una cultura è espressione siano intimamente contraddit­ torie e di transizione, l'integrazione di tutti i pensieri espressi in un unico proge tto può risultare impossibile; si ha allora, entro una stessa cultura, una molteplicità di progetti interpreti della stessa realtà naturale e sociale ma funzionali a interventi su di essa in generale fra loro al ternativi. Da quanto è s tato detto finora è chiaro infatti che le differenze fra i vari proge tti si possono far risalire ai contras ti strutturali di classe ( che sono appunto alter­ nativi) all'interno di una formazione economico-sociale data.18 Tentiamo di chiarire la tesi qui sostenuta esempli­ ficando. Riferiamoci, per fissare le idee, al problema del mancato sviluppo delle tecniche nell'antichità. Non che scoperte siano mancate nell'antichità, anzi esse sono state fatte, dimenticate e rifatte: il punto è che nel processo di integrazione di cui si è parlato esse non hanno mai rappresentato nulla. Infatti o esse sono state fatte già esplicitamente in un contesto di gioco, e quindi non sono s tate capite come scoperte tecniche, o sono capite come tali, ma nessun gruppo sociale le ha presentate come al ternative alla tradizionale subordinazione, tipica del­ l'antichità, dell'arte ( techne ) alla natura, sicché intorno a esse non si è coagulato nessun progetto alternativo.!9 Non stupisce allora che la scienza dell'antichità classica sia naturalistica e antimacchinistica. Questo corrisponde non solo allo stato delle forze produttive e dei rapporti sociali del tempo, ma anche all'idea che le forze sociali dominanti propongono per lo sviluppo di quelle forze produttive e di quei rapporti social i . Né quell'idea può 57

essere rimossa semplicemente per confronto con un'idea migliore : finché dietro un'altra concezione non vi sono forze sociali alternative, una crisi di adattamento della concezione dominante viene sempre risolta con un rias­ ses tamento interno della concezione stessa ( Popper direbbe con " s tratagemmi convenzionalisti " ). Basti pen­ sare al rigore delle critiche medievali alla concezione aristotelica del moto e al loro sistematico concludersi riscoprendone la complessiva validità; e confrontare questo at teggiamento ron quello sogget tivamente equi­ valente ma ogget tivam ente assai piu rivoluzionario dei critici rinascimentali.'o Tentiamo di fare il punto della situazione. Ci siamo già riferi ti nelle esemplificazioni alle scienze e speriamo che risulti chiaro in che senso lo abbiamo fatto. Tut tavia al livello teorico generale non abbiamo ancora affatto articolato il concetto di cultura che abbia­ mo introdotto, né tantomeno abbiamo stabilito se vi sia un cri terio solo di verità o piu d'uno in relazione alle varie articolazioni di quel concetto. Ciò ci permetterà di individuare, in relazione alle varie forme del pensiero conoscitivo, i problemi ai quali chiede di rispondere una definizione materiaI:stica rigorosa di scienza. Se tentiamo di separare le varie forme organizzate di pensiero che concorrono a formare una cultura, e se lasciamo da parte - solo per nostre limitazioni l'analisi delle forme artistiche, ci imbattiamo subito nella contrapposizione assai diffusa tra le forme di pensiero valide in quanto funzionali all'attività pratica e quelle universalmente e assolutamente valide. Le prime sono dette ideologiche, le seconde scientifiche. Che questa distinzione non sia molto convincente non è difficile da mostrare. Non foss'altro in sede storica. Si prenda, per es., il concetto di forza della meccanica di Keplero e si tenti di distinguere tutto ciò che vi è di animistico e magico da ciò che è empiricamente cosi ben fondato da poter essere detto scientifico. Ne nascerà, come è acca­ duto agli storici che hanno tentato questa ricostruzione, una confusione indescrivibile e sarà ben difficile decidere se Keplero era un astrologo, un santone o uno scienziato." Bene. Noi pensiamo che tutte le difficoltà cui si accen­ nava vengono dall'aver mal posto la questione. Infatti, almeno dal punto di vista materialistico, la con t rapposi­ zione di ideologia e scienza non ha alcun fondamento. 58

La questione - scrive Marx - se al pensiero umano appar­ tenga la verità ogget t iva non è una questione teoriea, ma p ra­ tica_ e nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non realtà di un pensiero che s i isoli dalla pratica è una questione puramente scola­ stica.22

Vogliamo subito sottolineare che questo criterio non va considerato pragmatistico, né ha molto a che vedere con lo scetticismo empirista, perché, al livello di astra­ zione a cui ci stiamo muovendo, la prassi di cui si parla non è quella dell'individuo isolato, ma quella dell'indivi­ duo sociale. Perciò l'oggettività in questione non è quella raggiungibile dall'attività pratica dell'individuo umano isolato, ma è legata alla coerenza fra attività reale del­ l 'umanità e sue eventuali contraddizioni e forme di pen­ siero (piu o meno consapevolmente ) a essa riferite. Per dirla con Marx : " l'essere umano non è un'astrazione im­ manente all'individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l'insieme dei rapporti sociali."B Ilenkov, un filosofo so­ vietico della nuova generazione, ha espresso questo punto con notevole efficacia: Il legame del concetto - dell'astrazione teorica che espri­ me l'essenza oggettiva dell'oggetto - con la pratica è assai piu vasto, profondo e complesso. Nel concet t o l'oggetto viene abbracciato non dal punto di vista di un fine particolare e angustamente pragmatico, ma dal punto di vista della pratica dell'umanità in tutta la sua ampiezza e in tutto il suo svi­ luppo.2'

Queste precisazioni dovrebbero tra l'al tro servire a dissipare possibili equivoci provenienti da un confronto ingenuo fra il criterio dato sopra e quelli operanti en tro sistemi linguistici formalizzati. Dunque, un unico criterio di validità per qualunque tipo di pensiero conosci tivo elimina ogni contrapposi­ zione fra scienza e ideologia. Poiché inoltre esso toglie ogni fondamento all'esis tenza di una pretesa validità uni­ versale e assoluta, cioè non condizionata, non relativa alla storia,2s ne segue che si dà un unico genere di pen­ s iero conoscitivo ed entro di esso va ricondo tta anche la scienza. Inoltre, basta confrontare la definizione usual­ mente data di ideologico e il criterio di validità da noi dato sopra per capire che questo genere è l'ideologia e 59

che la scienza non ne è che una part icolare specifica­ zione.'" A questo punto conviene fare due osservazioni. Prima di tutto va sottolineato che s tabilire l'identità generica di scienza e ideologia serve appunto non ad annullare le differenze, ma a definirle per quello che sono : differenze specifiche es senziali che hanno un senso definitorio pre­ ciso solo perché il resto è comune. Per es., nulla è piu fuorviante almeno apparentemente che definire l'uomo un mammifero; eppure questa base comune fra l'uomo e i mammiferi va tenuta presente - e se dimenticata va ribadita - perché impone che le specificità che sono la vera essenza nella definizione di uomo le siano aggiuntive e non contraddittorie ( logicamente), sicché solo in rife­ rimento alla base comune esse manifestano veramente il loro carattere definitorio. Cosi, dire che la scienza è genericamente ideologia, cioè asserire il carattere stori­ camente determinato e pertanto relativo" della conoscen­ za scientifica, non ci insegna molto sulla validità dei suoi enunciati. Tut tavia ques ta asserzione è necessaria perché fissa i limiti entro i quali hanno senso, in riferimento alle scienze, le questioni di validità. E siamo cosi alla seconda osservazione. Pensiamo che sia implicito in quanto fin qui detto, ma riteniamo opportuno ribadire che non c'è nessuna contraddizione fra origine sociale delle categorie scienti­ fiche e loro applicabilità alla natura e alla società. Infatti, origine sociale e arbitrarietà non sono affatto sinonimi sicché, come dice bene Merton, le categorie scientifiche possono benissimo essere e anzi " sono, in vari gradi, ade­ guate al loro oggetto. Ma poiché le strutture sociali va­ riano (e con loro varia anche l 'apparato classificatorio ) vi sono inevitabili elementi 'soggettivi' nelle costruzioni logiche che sono particolari di una società e diffuse in essa."2! Compito della scienza non è ( né è mai s tato, in realtà) la ricerca della verità, essa tenta, con le sue ca­ tegorie, " di costituire un insieme di relazioni astratte che si accordino non soltanto con l'osservazione e la tecnica, ma anche con la pratica, i valori e l e interpretazioni dominanti." 29 Avendo dunque ricon dotto la scienza al genere ideo­ logia, ha senso tentare una classificazione delle forme ideologiche fondamentali. A nostro avviso esse sono : la falsa coscienza, la coscienza adeguata anche se data in 60

forma mis tificata, la coscienza scient ifica o coscienza adeguata a un fine e senza forme mis tificanti. Vediamo ora di chiarire meglio la natura di queste tre forme ideologiche. La prima forma è stata introdotta tenendo conto dell'esistenza di ideologie che non sono conformi agli interessi della classe, che le assume come vere, né corrispondono in modo adeguato alla situazione'" che pure intendono spiegare e tuttavia giungono ad affer­ marsi socialmente come teorie " vere." Questa falsa co­ scienza, introdotta in generale dalla classe dominante e funzionale ai suoi scopi, costi tuisce uno dei suoi tipici s trumenti di stabilizzazione dell'ordine sociale esistente e di rafforzamento del proprio potere e permette di capire il disorientamento della classe subordinata relati­ vamente ai propri interessi reali." Cosi, per es., essa permette di capire perché il contadino piccolo proprieta­ rio, i cui interessi lo porterebbero al fianco del prole­ tariato, creda in realtà di non avere nulla in comune con esso. Di tale forma ideologica possono trovarsi oggigiorno documenti nella cosiddetta divulgazione scientifica, nelle piu scadenti realizzazioni della cul tura accademica o, infi­ ne, in tutte le forme di propaganda escatologica ancor oggi diffuse. La seconda forma rappresenta tutte quelle situazioni in cui si sono introdotti concetti dotati di valore opera­ tivo, capaci cioè di coordinare lo sforzo di comprensione e di intervento sulla società e sulla natura, ma si sono occultati i motivi di quella introduzione dietro bandiere tanto generiche quanto mis tificatori e : la verità, il bene e cosi via. In queste condizioni, poi, la ricerca dei limiti (e delle condizioni ) di validità e delle finalità implicite in queste cos truzioni teoriche risulta impossibile nei ter­ mini della teoria, appunto perché limitazioni e finalità ( i deologiche ) sono da essa in linea di principio escluse. Tentiamo di chiarire la questione esemplificando. Il migliore esempio di coscienza adeguata allo scopo, ma in forma mis tificata, ci è fornito da Engels quando discute del significato della Riforma: L'inestirpabilità dell'eresia protestante corrispondeva al­ l 'invincibilità della sorgente borghesia. [ ... ] Ivi il Calvinismo si mantenne come il vero travestimento [ corsivo nostro] re­ ligioso degli interessi della borghesia d'allora."

Ma, vogliamo sottolinearlo, a questa forma apparten­ gono spesso anche le analisi scientifiche. Consideriamo,

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per esempio, la fisica di Galileo. La sua completa incom­ prensione del significato della unificazione di fisica terre­ stre e fisica celeste che pure proponeva, e che possiamo considerare espressione di un diverso atteggiamento nella conoscenza della " realtà naturale" legato all'aver intravi­ sto la possibilità di un diverso rapporto tra questa e la " realtà sociale," è per noi paradigmatica e risalta ancor piu se la si confronta con la precisa coscienza deHe implicazioni sociali della rivoluzione scientifica galileiana mostrata dal cardinale Bellarmino." Egli infatti era di­ sposto ad accettare qualunque adat tamento deHa cosmo­ logia aristotelico-tolemaica che fosse necessario per spiegare i fenomeni, purché non si intaccasse la visione statica, gerarchica e finita del cosmo che era a fonda­ mento e ben si armonizzava con i suoi intenti di conser­ vazione dell'ordine sociale fino a quel momento domi­ nante. Sicché, per dirla schematicamente, il limite di questa forma ideologica è di confondere una schemat izzazione della realtà con l'unica possibile e di omettere le circo­ stanze storiche (e talvolta anche empiriche: si pensi al Calvinismo ! ) in cui essa è stata fatta ed entro le quali funziona e ha valore." L'errore, secondo il punto di vista materialistico, consiste nel pensare che esista, nell'analisi e nella cos truzione di un corpo di conoscenze sulla so­ cietà o sulla natura, il modo migliore a prescindere, come direbbe Ilenkov, dalle finalità implicite nella "pratica dell'umanità" o di qualche sua parte, se si è in una fase storica di transizione. Infatti, per un materialista, la natura delle idealizzazioni permissibili nell'analisi di un problema è determinata dal problema nella sua interezza e perciò dipende non solo dalle proprietà del sistema conside­ rato ma anche proprio da quali sono le domande a cui vo­ gliamo rispondere con la nostra analisi.'s

Naturalmente i periodi di sviluppo quasi s tazionario della società forniranno ben poche occasioni al sorgere di conflitti causati dai punti di vista impliciti nella scienza; ben altro accadrà invece in tempi di crisi. In tempi di crisi, infatti, il conflitto sugli scopi della scienza, e quindi su quali siano le sue astrazioni migliori, diverrà particolarmente acuto e sarà particolarmente evidente, nel contrasto fra le varie al ternative scientifiche, la mis tione di conoscenza e interesse da esse presuppo62

s ta.36 A questo punto SI Impone una osservazione. I n realtà, d a un punto di vista materialistico, non vi è alcuna difficoltà ad ammettere che in nessuna forma di conoscen­ za è possibile separare rigorosamente giudizi di fatto e giudizi di valore. Tuttavia è opinione ben radicata nella comunità scientifica che nella scienza questo possa e deb­ ba accadere. Per contribuire a s fa tare questo pregiudizio che, vogliamo ribadirlo, in termini materialistici è privo di senso, conviene fare la seguente digressione di carat­ tere epistemologico. Discutendo del problema dello sviluppo mentale del­ l'uomo per chiarire alcune questioni epis temologiche, il fisico L. Rosenfeld osserva giustamente che la possibilità del pensiero scientifico è legata al possesso delle " ope­ razioni formali," gli strumenti del pensiero logico. In questo stadio formale il linguaggio " segue uno sviluppo autonomo derivante in modo puramente astratto dai nuovi concetti che non hanno corrispondenza immediata con il dominio sensorio-motorio " dei fatti. In queste con­ dizioni di separazione tra il formale e il concreto " ritorna continuamente il problema della scelta adeguata di co­ struzioni concettuali il cui legame con l'esperienza sen­ sorio-motoria è soltanto indiretto [ corsivo nostro ] . ")' E poiché, in realtà, " nello scambio fra teoria ed espe­ rienza, è sempre la prima che inizia il d ialogo : è la teoria che determina la forma della domanda, e quindi, i limiti della rispos ta," si può ben concludere, con buona pace degli scientisti, che " chi cerca dio l o trova," come diceva Pascal ; "ma non si trova mai altro dio che quello di cui si va in cerca."" È in questa situazione e con le osservazioni ora fatte in mente che ha senso il problema della terza forma ideologica che ora definiremo. Notiamo preliminarmente che la validità storicamente condizionata di ogni forma di pens iero conoscitivo ha fondamento in due limitazioni essenzialmente distinte. La prima, che è piu propriamente una limi tazione, risiede nel fatto che " ogni epoca è carat terizzata da un certo campo di possibilità, definito non solo dalle teorie o dalle cre­ denze correnti, ma dalla natura stessa degli oggetti accessibili all'analisi, dall'attrezzatura esis tente per stu­ diarli, dal modo di osservarli e di costruirvi sopra un di­ scorso. Solo all'interno di questa regione il pensiero lo­ gico può svilupparsi, solo nei limiti sopra fissati le idee si muovono, si met tono alla prova l'una con l'altra, si 63

scontrano."39 La seconda, invece;!, che rappresenta il mo­ mento attivo del fare s toria, si basa sul fatto seguente. Nessuna conoscenza socialmente diffusa, nessun -l ivello di una cultura ( come sopra definita), ha carat tere pura­ mente riproduttivo, rispecchiativo. In ogni rappresenta­ zione del mondo è presente l'idea di una trasformazione, un'intenzionalità di riorganizzazione e modificazione del reale ( m agari rido tta alla riproduzione identica, come fra poco vedremo ), che costituisce lo scopo per la realizza­ zione del quale quella rappresentazione ( valida, si badi ! ) è costruita.'" Ebbene alla terza forma ideologica appartengono tutte le analisi della realtà, tutte le teorie che siano scientifi­ che, perché empiricamente fondate, e quindi operative, ma che, al tempo stesso, siano consapevoli del punto di vista, dello scopo a cui sono funzionali. Poiché questa forma ideologica è legata alla capacità umana di controllare ( non di creare, si badi ! ) il proprio destino e poiché questo fine è ancora assai lontano dalla sua realizzazione, non ha molto senso cercare degli esem­ pi. Tut tavia è chiaro che il nos tro paradigma è l'opera di Marx, sia per la sua capacità di affermarsi socialmente come ideologia rivoluzionaria, sia perché scienza, cioè analisi della realtà consapevolmente da un punto di vista possibile: il punto di vista della classe operaia. � chiaro inoltre che, in prima approssimazione, sono nostri esem­ pi tutti i rari casi di coscienza storica della cultura. E indichiamone uno. � noto che per Aristotele l'indagine scientifica deve spiegare le cose in quanto sono ciò che sono. Perciò per lui la natura s i presenta come un ideale che è compito dell'arte realizzare o ristabilire, come una norma della quale l'arte, per raggiungere i suoi scopi, deve seguire i precetti e le indica­ zioni,41

Viceversa l'arte, la techne greca, non può che portare a compimento l'opera della natura o imitarla nelle sue produzioni. S u questa base la scienza aristotelica fornisce una " teoria [ corsivo nostro ] , cioè una dottrina che, partendo naturalmente dai dati del senso comune, li sottomette a un trattamento estremamente coerente e sistematico. "