La sublime scuola italiana: Poeti, Volume 8: Gli ultimi canti della Gerusalemme liberata [Reprint 2021 ed.] 9783112447567, 9783112447550

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La sublime scuola italiana: Poeti, Volume 8: Gli ultimi canti della Gerusalemme liberata [Reprint 2021 ed.]
 9783112447567, 9783112447550

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LA

SUBLIME S C U O L A ITALIANA OVVERO LE PIÙ ECCELLENTI OPERE si PETRARCA, ARIOSTO, DANTE. T. TASSO, PULCI, TASSONI, SANNAZZARO, CHIABRERA, BURCHIELLO. MACCHIA VELLI, BOCCACCIO, CASA, VARCHI, SPERONE SPERONI, LOLLIO, GOZZI, MARTINELLI, ALGA ROTTI, a, Così vidi adunar la bella Scuota ,, Del bel Paeje là, ove 'l Sì [¡tona. D a n t e Inf. C . 4 , e. C. 3 3 .

EDIZIONE si

AGOSTINO

DE'

POETI VOLUME

VALENTI. vili.

BERLINO E STRALSUNDA PRESSO

AMADEO AUGUSTO fllDCCXCVIU.

LAJNG£

GLI U L T I M I C A N T I DELLA

GERUSALEMME LIBERATA DI

TORQUATO l'

a m i n t a

TASSO suo

ED

IL PASTOR FIDO

del

CAVALIER

GUAR1NI.

E D I Z I O N E t>

i

A G O S T I N O DE' VALENTI.

BERLINO E STRALSUNDA FRESSO

AMADEO AUGUSTO LANGE MDCCXCVIII.

LA GERUSALEMME LIBERATA.

GERUSALEMME LIBERATA DI TOPiQUATO TASSO. A R G O M E N T O . Il fuo efercito immenfo in mofira chiama Ly Egizio, e poi contra i Criflian V invia. Armida che pur di Rinaldo brama La morte , con faa gente anco giungla ; E per meglio faziar fua crudel brama, Sè in guiderdon della vendetta offria. Ei veftia intanto arme fanali, dove IVlira irnpreffe dagli avi illuftre prove.

CANTO DE CIMO SETTIMO. è Città della Giudea nel Une, Su quella via che inver Pelufio mena: Pofta in riva del mare, ed lia vicina Immenfe folitudini d' arena, Le q u a i , come auftro fuol l1 onde marine. Mesce il turbo fpirante; onde a gran pena Ritrova il peregrin riparo o [campo Nelle tempefte dell' initabil campo.

A 4

Del

5

GERUSALEMME

LIBERATA.

Del Re d' Egitto % la Citth frontiera , Da Ini gran tempo innanzi ai Turchi tolta; E però eh' opportuna e prnflìma era All' alta imprefa ove la men e ha volta ! Lafciando Menfi, eh' è (uà reggia a l t e r a , Qui traslato il gran feggio, e qui raccolta Già da varie provincie infierne avea L ' iiiDiitnerubir olle all' aüemblea. M u f a , quale ilagione e qual là forte ftato di cofe, or tu mi reca a mente: Qual* arme il grande Fmperator, quai porte,' Qua! ferva avelTe, e qual compagna g e n t e . Quando del mezzogiorno in guerra molle L e forze, e i R e g i , e 1' ultimo oriente. T u fol le fchiere è i d u c i , e lotto l'arme Mezzo il mondo raccolto, or puoi dettami*. Fofcia che, ribellante, al Greco,impero Si fotraife 1' Egitto, e mutò fede; Del (angue di Macon nato un guerriero Sen fe' tiranno, e vi fondò la fede. Ei f u detto Califfo, e del primiero Chi tien lo feettro al nome anco fucccd«. Così per ordin lungo il Nilo i fuoi Faraón vide, e i Tolommei dappoi. Volgendo gli a n n i , il regno è Habilito Ed aecrefciuto in guifa ral che viene, Afia e Libia ingombrando, al Sirio lito Da' Marmarici fini, e da Cirene: E pafla addentro incontra all' infinito C O T Ì O del Nilo affai fovra Siène: E quinci alle campagne inabitata V a della (abbia, e quindi al grande Eufrate,

CANTO

DECIMOSETTIMO.

A delira ed a finiftra in se comprende L ' odorata maremma e ricco mare. E , fuor dell' Eritreo molto fi ftende Incontro al fot che mattutino appare. L* irr.pero ha in si gran forze, e più le rende 11 Re, eh' or le governa, illufori e ciliare: Oh' è per fangue Signor, ma più per matto, Neil' arti regie e m l i t a r i efperto. Quelli, or co' Turchi, or con le genti Peri« Più guerre fé': le mofle e le refpinfe : Fu perdente, e vincente : e nelle avve rfe Fortune fu maggior che quando vinfe. Poiché la grave etji più non ioffeife Dell' arme il pefo , allin la fpada feinfe ; Ma non depofe il Cuo guerriero ingegno » fc'fe d' onor il desìo vallo, e di regno. Aneor guerreggia per miniftvi : ed bare Tanto vigor di mente e di parole, Che della monnrchìa la Toma grave Non fembra agli anni tuoi loverchia mole. Sparfa in minuti regni Africa pavé Tutta al fuo nome, e 1 remoto Inda il cole: E gli porge altri volontario ajuto D ' annate genti, ed altri d' or tributo. Tanto e sì fatto Re 1' arme laguna : A m i pur adunate ornai le affretta Contra il forgente imperio, e la fortuna Franca, nelle vittorie ornai fcfpetta. Armida ultima vien: ginnge opportuna iNell ora appunto alla raflegna eletta. Fuor delle mura in fpaziolo campo Palla dinanzi a lui fchieralo il campo.

A 5

Egli

io

GERUSALEMME

LIBERATA.

Egli in fublime foglio, a cai por cento Gradi eburnei s' afcende, altero fiede : E fotto 1' orabr» d un gran ciel d' argento Porpora intefta e contra ai colpi crudi Facciam denfa teftuggine di feudi. Giunfcrii tutti feco a qnefto detto ; Tutti gli feudi alzar Covra la tefta: E gli uniron così, che ferreo tetto Facejin contra ! ' orribile tempefia Sotto il coperchio il fero ftuol riftietto Va di gran corfo, e nulla il arreita i Che la foda teftuggine foftiene Ciò che di ruinofo in giù ne Tiene,

CANTO

DECIMOTTAVO.

San già fotto le mura ; allor Rinaldo Scala drizzò di cento gradi e cento : E lei con braccio maneggiò sì faldo, C h ' agile è men picciola canna al vento. Or lancia o trave, or gran colonna o fpaldo D 1 alto difeende : ei non va fu più lento ; Ma intrepido ed invitto ad ogni (colla, Sprezzeiìa, fé cadelfe, Olimpo ed Offa. Una felva di ftrali e di ruine Eoftien fui dolio, e Cullo feudo un montai Scuote una man le mura a fe vicina, L ' altra, fofpefa, in guardia h della fronte. L* efempio a l l ' opre ardite e peregrine Spinge 1 compagni : ei non è Col che monte ; Cile molti appogian feco eccelfe fcale. Ma il valore e la forte è difuguale. More alcuno, altri cade; egli fublìraa Foggia, e quelli conforta, e quei minaccia. Tanto è già in f u , che le merlate cime Puote afferrar con le difiefe braccia. Gran gente allor vi trae, 1' urta, i l reprime, Cerca precipitarlo, e pur noi caccia, £Mirabil vifta ! } a un grande e fermo Ituole Re&iter può, fofpefo in aria, un folo. E relitte, e s ' avanza, e lì rinforza: E , come palma fuol, cui pondo aggreva, Suo valor combattuto ha maggior forza, E nella oppreflìon più fi folleva. E vince alfin tutti i nemici, sforza L ' afte e g l ' intoppi che d ' incontro a v e r » : E fale il muro, e '1 fignoreggia , e '1 renda Sgombro a ficuro a chi diretro afeende. D 2



GERUSALEMME

LIBEEAÌA.

Ed egli fteflo a l l ' ultimo germano Del pio Buglion, e h ' è di cadere in forfè. SteCa la vincitrice amici mano, Di falirne fecondo aita porfe. Frattanto., erano altrove al Capitano Varie fortune e perigliofe occorfe: Ch ' ivi non pur fra gli uomini fi pugna ; Ma le macchine infieme anco fan pugna. Sul muro aveuno i Siri un tronco alzato CUe antenna un tempo eiTer folea di nave : E fovra lui col capo afpro e ferrato, Per traverfo, fofpefa è grolla t r a v e : È indietro quel da canapi tirato, Poi torna innanzi impetuofo e g r a v e ; Talor rientra nel fuo gufeio, ed ora La teftuggin rimanda il collo fuoia. Urlò la trave immenfa, e così dure Nella torre addoppiò le fue percofle; Che le ben telte in lei falde giunture Lentando apeiTe, e la lirpinfe, e fcoile. La torre a quei bifogno armi ficure Avea già in punto, e due gran falci motte, Che, avventate con arte incontra al legno. Quelle funi troncar ch ' eran foftegno. Qnal gran fa fio talor, che o la vecchiezza Solve d ' un monte, o (Velie ira d e ' v e n t i , Ruinofo dirupa : e porta , e fpezza Le felve, e con le cafe anco g l i armenti; Tal giù traea dalla fublime altezza L' or l i b i ! trave e m e r l i , ed a r m e , e genti. Diè la t ò r t e , a quel moto, uno e duo crolli: Tremar le m u r a , e rimbombaro i colli. Parta

CANTO

DECIMOTTAVO.

$3

Pafla il Bnglion vittóriofo avanti, E già le mura d ' occupar fi credo ; Ma fiamme allora fetide e fumanti Lanciarli incontra immantinente ei vede. N e dal fulfureo fen fuochi mai tanti Il caverflofo Mongibel fuor diede : N e mai cotanti, negli eftivi ardori, Piove 1 ' Indico ciel caldi vapori. Qui vafi , e cerchi, ed atte ardenti fono : Qual fiamma nej-a, e qual fanguigna fplende. L ' odore appuzza, alTorda il rombo e '1 tuono, Accieca il f|imo, il fuoco arde e s 1 apprende, L ' umido cuojo alfin faiia mal buono Schermo-alla torre: appena oc la difende. Già fuda, e fi rincrefpa, e fe più tarda 11 foccorfo dèi ciel, convien pur eh* arda. Il magnanimo Duce innanzi a tutti Staili, e non muta ne color nfe loca: E quel conforta che fu* cuoj af iutti Verfan 1 ' onde oppreftate incontra al foco. In tale flato eran coitor vidutti : E già dell' acque rimanea lor poco. Quando ecco un vento, che improvvifo fpiia, Contra gli autori fuoi 1 1 inoendio gira» Vien contra al foco il tiirBto, e indietro Tolto. Il foco, ove i Pagan le tele alzaro , Quella molle materia in sb raccolto I.' ha immantinente, e n ' ai*de ogni riparo. Oh gloriofo Capitano , o molta Dal gran Dio cuftodito-, al gran Dio caro ! A le guerreggia il cielo: ed ubbidienti Vengoir chiamati, a fuon di trombe, i venti. D 3

Ma

54

GERUSALEMME

LIBERATA»

Ma 1' empio Ifmen, che le fulfuieo faci Vide da Borea incontra se converfe, Ritentar volle 1' arti fue fallaci Per sforzar la natura, e 1* aure avvevfe: E fra due msgho, che di lui feguaei £i fcr, fui muro agli oechi altrui s ' offerfa : E torvo, e nero, e fquallido, e barbuta Fra due Furie pare» Caronte, o Fiuto, Già il mormorar s ' udìa delle paro)« D i cui teme Cocìta, e Flegetontc: Già fi vedea 1' aria turbare, e ' 1 Sola Cinger d ' ofeuri nuvoli la fronte ; Quando avventalo fu dall' alta molo Un gran fjflo , chg fu parte d ' un monte > E tra lor col fé s ì , eh ' una percofla Spaile di tutti jnfieme il fangue e 1 1 offa. In peazi minutiflìmi e fanguigui Si difpeiTer così le inique tede; Che di fotto ai pefanti aipri macigni Sogliort poco le biade ufeir più pelle. Lafciar, gemendo , i tre fpirti maligni L ' aria ferena, e 1 1 bel raggia celeite: E feij fuggir tra 1 ' ombre empie infernali. Apprendete pietà quinci, o mortali l In quefto mezzoPalla città la torre, Cui dall' incendio il turbine ailicura, S * avvicina così, che può ben porre E fermare il fuo ponte in fu le mura; Ma Solimano intrepido v ' accorre, E ' 1 patio angufto di tagliar procura; E doppia i colpi, e ben 1' avrìa ìecifój Ma u n ' altra torre apparfc all' improvvifo»

CANTO

DECIMOTTAVO,

La gran mole ciefcente oltra i confini D e ' più alti edliìzj in aria pada. Attoniti a quel moítro i Saracini Reítar, vedendo la città più bada. Mal il fero T u r c o , ancor che in lui ruini D i pietre un nembo, il loco Tuo non lalla: Nè di tagliare il ponte anco diffida, E gli altri che temean rincora, e (grida. S ' offerfe agli occhi di Goffredo allora • Inviabile altrui, 1' Angel Michel» Cinto d ' armi celefti : e Tinto fora. I l Sol da l u i , cui nulla nube vele. E c c o , diffe, Goffredo, è giunta 1 ' ora Gli' elea Sion di fervitù crudele. J i o n chinar, non chinar gli occhi (narriti} Mira con quante forze i l ciel t 1 aiti. Drizza pur gli occhi a riguardar 1 ' immenfo Efevcito immortai eh ' è in aria accolto : C h ' io dinanzi torroni il nuvol denfo D i volila umanità, d i 1 intorno avvolto Adombrando t ' appanna il mortai fenfo » S I clic vedrai g l 1 ignudi fpirti in volto : E foitener pei breve fpazio i rai Delle angeliche forme anco portai. Mira di quei che fur campion di CriHo» X : anime fatte- in cielo or cittadine, Che pugnan teco, e di sì alto. acquifto Si trovan teca al gloriofo fino. L à ' ve ondeggiar la polve, e 1 1 fumo raifto T e d i , e di rotte moli alte ruine; Tra quella folta nebbia Ugon combatte« E delle torri i fondamenti abbatte. D 4

Beco

56

G e r u s a l e m m e

L I B E R A T A .

Ecco poi là D'ndon che 1 ' alta p o r t a A q n i l o n a r con ferro e fiamma affale I M i n i i l r a 1' arme ai c o m b a t t e n t i , eforta C h ' altri fu m o n t i , e drizza, e tien. le fcale. Q u e l e h ' V f u i c o l l e , e ' 1 facro abito p o r t a . E la corona ai crin facerdotale, È il paltore A d e m a r o , alma felice: V e d i e l i 1 ancor v i f e g n a , e benedice. Leva« piìi .in fu le ardite l u c i , e t u t t a L a grande ofte del ciel c o n g i u n t a guata. E g l i alzò il g u a r d o : 'e v i d e in ù n r i d u t t a Milizia i n n u m e r a b i l e , ed alata. T r e folte f q u a d r e , ed o g n i f q u a d r a i n i t r u t t a In tre ordini g i r a , e fi d i l a t a ; M a fi dilata piti q u a n t o p i ù i n f u o r i I cerchi f o n : Con gì" i n t i m i i m i n o r i . •Qui c h i n ò v i n t i i l u m i t e g l i alzò p o i : Nfe lo fpettacol' g r a n d e e.i p i ù r i v i d e . Ma riguardando d v ogni parte i f u o i , Scorge che a t u t t i la vittoria arride. M o l t i dietro a R i n a l d o i l l u f t r i e r o i Salìano : ei già f a l i t o i Siri uccide. II C a p i t a n , che più i n d u g i a r fi fdegna* T o g l i e d i m a n o .ài fitjo allier J 1 in fegna. 1\ paifa p r i m o il p o n t e , ed i m p e d i t a Gli è a mezzo il covfo dal Soldan la v i a . U n picciol varco è campo ad infinita V i r t ù , che in pochi colpi i v i apparaa. G r i d a t i iier Solimano :. a l l ' a l t r u i vita D o n o e confacro i o quii la vita mia. T a g l i a t e , a m i c i , alle mie fpalle o r q u e f t e P o n t e ; che q u i n o n faci! preda i ' . r i t t o . Ma

CANTO

D E C I M O T T-A V O.

Ma venirne Panatelo in volto o r r e n d o , £ f u g g i r n e etafeun vedea lontano. O r clie faid?< fe q u i la vita f p e n d o , I a fpando , dille, e la difperdo invano. E in sè nuove difese anco v o l g e n d o , Cedea libero il palio al C a p i t a n o , Che minacciando il f r u i t e , e della Tanta Croco il veflìllo in f u le m u r a pianta. La vincitrice in regna i n mille giri Alteramente fi rivolge i n t o r n o : E par che in lei p i ù riverente fpiri 1," a u r a , e che fplenda in lei p i « chiaro i l giorno Ch 1 ogni dard*}, ogni Arai che in lei fi t i r i , , 0 là d e c l i n i , o faccia i n d i r i t o r n o : Par che Sion , par che I ' oppofto morite Lieto 1 ' a d o r i , e i n c h i n i a lei la f r o n t e . Allor t u t t e le fquadre il grido alzarlo Della vittoria alti/limo e feftante : E ri insilarne i m o n t i , e replicaro Gli ultimi accenti : e quali in quello iftaote Piuppe e vinfe Tancredi ogni riparo Che gli aveva a l l ' incontro oppofto A r g a n t e : E , lanciando il fuo p o n t e , a n c h ' ei velooé Patio nel m u r o / « v ' innalzai U GjxJce* Ma verfo il M e z z o g i o r n o , ove il canuto Raimondo p u g n a , e ' 1 Paleftin T i i a n n o , 1 guerrier d i Guafco^na anco p o t u t o G i u u g e r la t o r r e alla citta non hanno : Che ' 1 nerbo delle genti ha il R e in a j u t o , Ed oftinati alla ditela Hanno : E feben q u i v i il m u r o era men f e r m o , Lh macchine v ' avea maggior lo fchermo. D 5

58

GERUSALEMME

LIBERATA.

O l t r e c h é m e n che a l t r o v e , i n q u e l l o c a n t i L a gran m o l e il rentier t r o v ò f p e d i t o . J i è tanto arte p o t è , ohe p u r a l q u a n t o D i Tua n a t u r a non l i t e g n a il lìto. F u 1 ' alto f e g n o d i v i t t o r i a i n t a n t o D a i ditenfori , e d a i G u ^ i c o n i u d i t o r E d a v v i l o il T i r a n n o , e ' 1 T o l a f a n o , C i l e la città g i i prefa c v e r f o il p i a n o . O n d e R a i m o n d o ai Cuoi, d a l l ' altra p a t t o , G i i a : o c o m p a g n i , ò la città g i à p r e f a . V i n t a ancor ne r e f i f t e ? or foli a p a r t e N ò n f a r e m n o i di s ì o n o r a t a i m p r e f a ? M a il R e , c e d e n d o ..¡fin, d i là lì p a r l e r P e r c h è ivi d i f p e r a t a è . l a difefa : E fen r i f u g g e in l o c o f o r t e ed a l t o , O v e e g l i f p e r a foftener 1 ' allalto. E n t r a ailor v i n c i t o r e il c a m p o t u t t o P e r l e m u r a n o n f o l , m a per l e porte. C h ' è g i à a p e r t o , a b b a t t u t o , arfo , e d i f i r u t t C C i ò che tor t ' o p p o n e a , r i n c h i u f o e f o r t e . S p a z i a 1 * ira del f e r r o : e v a c o l l u t t o E con 1* o r r o r , c o m p a g n i Cuoi, la m o r t e . R i l t a g n a i l f a n g n e in g o r g h i , e c o r r e in rivi F i e n i d i c o r p i e f t i n t i , o d i mal v i v i .

CAN-

CANTO

C A N T O

DEOIMOKQHOV

DECIMONONO.

A R G O M E N T O . Intera palma del famofo Argante Tancredi ottiene in fingolar tenzone* Salvo è il Re nella rocca. Erminia ha inuaHté f a f r i n o ; t quefia a lui gran co/e e/pone. Hiede inflruttQ : ella è {eco > e ' i caro amante Vi lei trovano efangue in fui ¡abbiane. Piange ella., e yl cura poi. Goffredo inietti» Quali infidie il Ptgan contro gli tende.

P a l l e difefe ogni Pagano ha tolto : E fol non s ' h dall ' e fp tignate mura Il pertinace Argante anco rivolto. Moftra ei la faccia intrepida e ficura,' £ pugna pur fra gli avverlarj avolto, Più che . m o r i r , temendo efles rifpintoi E vuol morendo anco parer non vinto. Ma fovra ogni altro feritore in fedo. Sovraggiunge Tancredi, e lui percote. Ben è il Circaffo a riconoCcer prefto, Al portamento agli atti ali ' arme n o t e , L u i che pugnò già feco x e ' L giorno ( | S t Tornar pronjife, e le proipefle i r vote. Onde gridò : così la f é , Tancredi, M i fervi t u ? così ali* y u g n » ox « s d ì ?

¿o

G e r ü s a l e m m e LIBERATA

Tardi riedi, e non Tolo : io non rifiuto Però combatter teco, e riprovarmi; Benché non qua.l guerrier, ma qui venuto Quali inventor di macchine tu parmi. Fatti feudo de' tuoi: trova in ajuto Nuovi ordigni di guerra, e infoi.te a r m i ; Che non potrai dalle mie m a n i , o-fatte Delle donne uccifor, fuggir la morte. Sorrife il buon Tancredi un cotal rifo Di sdegno, e in detti alteri ebbe rifpofto: Tardo è i l ritorno m i o ; ma pur avvifo Che (rettolofo ei ti parrà ben tolto : E bramerai che te da me divifo O 1 ' Upe avelie, o follo il mar frappofto ; E che del mio indugiar non fu cagione Tema o viltà, vedrai col paragone, Vienne in disparte p u r , tu che omicida Sei de' giganti folo e degli eroi : L.' uccifor delle femmine ti alida. •Così gli dice : indi fi volge ai f u o i , E fa Titrarli d a l l ' offefa, e g r i d a : Ceffate pur di moieftarlo or voi : Cb ' è proptio mio più che coman nemica Quefti, ed a lui mi ftringe obbligo antico. Or difendine giù folo, o fegnìto Come più vuoi (^ripiglia il fier CircalFo) Va in frequentato loco, od in romito, Che per ttuhbio, o svantaggio io non ti lalTo. Sì tatto ed accettato, il fero i n v i t o , Muovon concordi.allá gran lite il palio. L ' odio i un gli accompagna, e fa il rancore. L ' un nemic» dell ' altro , or difenfore.

CANTO

D È C I M O NORD.

Grande è il zelo d ' onor, grande il delire Che Tancredi del fangue ha del Pagano; U è la fete ammorzar crede d e l l ' i r e , Se n ' efce ft Ila fuor per altrui roano. £ con lo feudo il copre, e ; non f e r i t e , Grida a quanti rincontra anco lontano: S i che falvo il nemico infra gli amici Tragge dall ' arnie irate e vincitrici. Efcon della cittade, e dan le fpalls Ai padiglion delle accampate genti : E fe ne van dove un girevol calle Gli porta per. fecreti a v v o l g i m e n t i ; E ritrovano ombrofa angufta valle Tra più colli giacer; non altrimenti Che Te fu (Te un teatro : o fotte ad ufo D i battaglie, e di cacce intorno chiufo. Qui lì fermano entrambi: e pur fofpefo Volgeafi Argante alla cittade afflitta. Vede Tancredi che ' 1 Pagan difeto Non è di f e u d o , e ' 1 fuo lontano ei gitta. Po foia lui dice: 01° qual pender t 1 ha p r e f o ? l'enfi eh ' è giunta 1 1 ora a te prescritta ? Se antivedendo ciò timido fìai, È il tuo timore intempeitivo ornai. P e n f o , lifponde , alla città del regno D i Giudea antichiflìma Regina, Che vinta or cade ; e indarno effer foAegnO 1 0 procurai della fatai r u i n a , E che è poca vendetta al mio difdegno 1 1 capo t u o , clie 1 1 cielo 01- mi' déftina. T a c q u e , e incontra fi van con, g u n rifguArdo ; Che ben conofce 1 ' un 1 ' altro gagliardo.

62

GERUSALEMME

LIBERATA

È di corpo Tancredi agile e fciolto » £ di man veloci/Timo, e di piede. SoVrafta a lui con 1 1 alto capo, e molto t ) i groiTezza di membra Argante eccede. Girar Tancredi inchino, e in se raccolto Per avventarli, e fottentrar fi vede : £ con la fpada fu a la fpadar trova Nemica, e i n difviarla ufa ogni prova. Ma diftefo ed eretto il fero Argante Dimoftra arte limile, atto diverfo. 'Quanto egli può va col gran braccio innante t £ ceica il ferro no, ma i l corpo a w e r f o ; Quel tenta aditi nuovi in ogni inftante: Quelli g l i ha il ferro al volto ognor converta. Minaccia, e intento a proibirgli ftaili Furtive entrate, e fubiti trapali!. Così pugna naval, quando non fpira Per lo piano del mare Africo o Noto » Fra due legni ineguali egual li mira ; Che un d* altezza preval, 1' altro di moto» L" un con volte rivolte aliale e gira Da prora a poppa : e fi fta 1 ' altro immoto s £ quando il più leggier fe g l i avvicina, X> ' alta parte minaccia alta ruina. Mentre il Latin di fottentrar ritenta a Sviando il ferro che li vede opporre. Vibra Argante la fpada, e gli apprefenta L a punta agli occhi : egli al riparo accorre ; Ma lei sì preita allor, sì violenta Cala il Pagan, che '1 difenfor precorre, E ' 1 fere al fianco ; e vi ito il fianco infermo Grida: lo fchermitor vinto è di fchertao.

CAUTO

DECIMONONO.

e feroci Gli ultimi moti f u r , 1' ultime voci. Poeti

Voi. V i l i .

E

GgBUSÀEEMNIE

LIBERATA,

Kipon Tancredi il ferro, c poi devota Ringrazia Dio del trionfale onore. Ma lafciato idi forze ha «¡nati vuoto La fanguigna vittoria il vincitore. Teme egli affai che del viaggio al mdtcr Durar non pofla il Tuo fievol vigore. Pur 9 incammina, e così ppllo puffo Per le già corfe vie muove il piè laflo. Trnr molto il debil fianco oltra non pnote, E quanto più fi sforza, più s ' affanna. Onde in terra s ' aflìde, e pon le gote Su la delira che par tremula canna. Ciò che vedea, pargli veder che rote : E di tenebre il dì già gli s ' appanna, Aliìn i f v i e r e : e '1 vincitor dal vinto Non ben lari«, nel ximirar, diltinto-. Mentre qui fegae la folinga guerra t Che privata cagion fé 1 così aidente, ira de ' f i s c i or trafeorve, ed etra Per la città fui popolo nonente: Or chi giammai dell ' efpugnata terra Potrebbe ap,)ien 1 ' immagine dolente Ritrarre in carte? od adeguar parlando»* L o fpettacolo attroce e miferando ? Ogni cofa di ftrage era già pieno : Vedeanfi in mncthi e in monti i corpi aWoItL L à i feriti fu i morti , e qui gocieno Sotto morii ìnfepoiti egri fepnlti, F u g g ' a n , premendo i paigcletti al feno Le mefte madri co ' capelli fciolti; E ' 1 predator, di fpoglie e di rapino Carco, lìringea 1» vergini nel crine. Ma

CANTO

DECIMONÓSÌO.

Ma per la vie che al più fublime colle Saglion verfo Occidente, ov' è il gran Tempio Tutto del fangue citile orrido e molle Rinaldo corre, e caccia il popol émpio. La fora fpada il ' generoto eifolle Sovra gli armati capi, e ne f i fcempio. fe fchermo frale ogni elmo ed ogni feudo ì Difefa è qui 1 ' eflcr dell ' arme ignudò. Sol contra il ferro il nobil (erro pdopra t E fdegna negl' inermi e (Ter feroce: E quei eh 1 ardir non armi, arme non copra, Caccia col guardo, e con I* oribil voce. Vedrefti, di valbr mirabil ' opra ; Come or diTprezia, ora minaccia , or nuòce ; Come con rifehio difegnal fugati Sono egualmente pur nudi ed armati* (Già più imbelle volgo ancb rittratto S ' è non picciolo- ftuol del più guerriero Nel Tempio che, più volte arfo e rifatto, Si noma ancor, dàl fondator primiero, Di Salomone ; e fu per Ini gik fatto Di cedri . e d 1 oro, e di bei marmi altero» Or non sì ricco già ; pur faldo e forte E d ' alte torri» e di ferrate porte. Giunto il gfan Cavaliero ove raccolte S ' era» le turbe in loco ampio e fublime; Trovò cbiufe>le porte > e trovò molte Difefe apparecchiate in Tti le cime. Alzò lo fguardo orribile, e due volto Tutto il mirò dall' alte parti a l l ' i m e , Varco anguito cercando; ed altretiante Il circondò coti Le veloci piante. E fi

GERUSALEMME

LIBERATA.

Qual lupo predatore ali ' aer bruno L e cliiufe mandro infidiando aggira, Secco 1 ' avide fauci, e nel digiuno Da nativo odio ftimolato e d 1 ira ; Tale egli intorno fpia 8 ' adito alcuno ( Piano ed erto- che fiali ) aprirli mira. Si ferma alfiu nella gran piazza : e d' alto Stanno afperrando i tniferi 1 ' aiTalto. I n difparte giace fqual ebe fi folle L ' ufo a cui Ji fprbava) eccelfa trave; Ne così alte mai., ne così grolTo Spiega ,1' antenne fue Ligura nave. Ver la gran porta il Cavalier la mode Con quella man, cui neflun pondo è grave: E recandoli lei di lancia in modo, Utlò d ' incontro unpctuofo e fodo. Reftav non può marmo o metallo innanti Al duro urtare, al riurtar più forte. Svelta dal fallo i cardini fonanti! Ruppe i ferragli, ed abbati le porto. Non 1' ariète di far più li vanti , Non la bombarda fulmine di morte. Per la difebiufa via la gente inonda, Quali un diluvio, e il vincitor feconda. Rende mi fera ftrage atra e funefta L ' alta magion, che fu magion di Dio. Oh giuftizia del ciel, quanto men preda Tanto più gTave Covra il popol r i o ! Dal tuo fecreto provveder fu delta L ' ira n e ' cor-piatoli, e incrudelìo. Lavò col fangue 1 ' empio Pagano, Quel tempio elle già fatto avea profano.

CANTO

DECIMONOWO.

6$

Ma intanto Soliman ver la gran torre Ito fa n * è , che di David s ' appella : E qui fa de ' guerrier 1 ' avanzo accorre, E abarra intorno e quella Arada e q u e l l a : E ' 1 Tiranno Aladino anco vi corre. Come i l Soldati lui v e d e , a lui f a v e l l a : V i e n i , o famofo R e , v i e n i , e là fovra Alla tocca fortiflima ricovra, Chfe dal furor delle nemiche fpade Guardar v i puoi la tua f a ! u t e , e ' 1 regno, Oimò, rifponde, oimfe, c h e l a cittade Strugge dal fondo fuo barbaro fdegno : E la mia v i t a , e ' 1 noftro imperio cade. V i l l i , e regnai : non v i v o or p i ù , uh regno. Ben li può d i r : ' noi f u m m o ; a tutti è g i u n t o V ultimo d i , - ! ' inevitabil punto. O v ' è , S i g n o r , la tna virtute a n t i c a ? ( DiiTe i l Soldan tutto crucciofo allora ) Tolgaci i regni pur forte nemica ; Che '1 regal pregio è noilro, e in noi dimora. M a colà dentro ornai dalla fatica X*e Ranche e gravi tue membra riftora. Così g l i parla ; e fa ohe fi raccoglia I l vecchio Re nella guardata foglia. Egli ferrata mazza a due man prende, E lì ripon la fida fpada al fianco. E ftafli al varco intrepido, e difende I l diiufo delle ftrade al popol Franco. Eran mortali le percoiTe orrende : Quella che non uccide, atterra almanco. Già fugge ognun dalla sbarrata piazza , Dove appreflar Tede 1' orribil mazza. E 5

Ecco,

7PI

GE«WSAX,EM M Ì

LIBERALA

E c o , da fera compagnia f e g u ì t o , Sopraggiugeva il Tolofan Raimondo, .Al periglialo palio il vecchio ardito C o r f e , e fprezzò di quei gran colpi ilj>ondo. P r i m o ei f e r ì ; ma invano ebbe f e r i t o : . I J o n ferì invano il leritor fecondo ; Che in fronte il cdlfe, e 1 ' atterrò col pefo S u p i n , t r e m a n t e , a braccia.aperte, e ftefo. Finalmente ritorna anco n e ' v i n t i L a v i r t ù che.il timore avea f u g a t a : E i Franchi vincitori o ' f o n r i f p i n t i , O p u r caggiono uccifi in fu 1 ' entrata. M a il Soldan, che giacere infra gli cAinti I l tramortito duce ai pife lì g u a t a , Grida a l f u o i cavalier : coltui lia tratto S e n t r o alle s b a r r e , e prigionier fia fatto» Si movoti quegli ad efeguir 1 ' effetto} M a trovan dur» p faticofa impi'efa : Perchè non è da alcun d e ' fuoi negletto R a i m o n d o , e. corron t u t t i i n fua difefa. Quinci f u r o r , q u i n d i pietofo affetto Pugna : ne v i i cagione è di contefa. C i sì g r a n d ' u o m la l i b e r t à , la v i t i , Quelli a g u a r d a r , .quegli a rapir inviti*. P u r vintq avrebbe a lungo andar la p r o r a I l Soldano oftinato alla vendetta ; Che alla fulminea mazza oppor non giova O doppio feudo,, o t e m p r a d ' elmo e l e t t a : M a grande aita , a* fuoi n e m i c i , e nova D i qua di la ve(le arrivare in f r e t t a : Che dai due lati p p p o f t i . in u n fai p u n t o , 11 fopran D u c e e ' 1 gran guerriero è g i u n t o .

CÌNTO

DECTMONONO.



Cora« paftor quando , fremendo intorno 11 vento e i t u o n i , e balenando i l a i r p i , Vede ofcurar.di mille nubi il g i o r n o , Ritrae la greggia .dagli aperti campi : E folleoito cerca alcun foggiorno Ove 1' ira del ciel licuro i c a m p i ; E i col grido indrizzando e con la verga L e mandre innanzi, agli ultimi a ' a t t e r g a ; Così i l P a g a n , che già venir fentìa I ' irreparabil turbo e la tempelta, Che di fremiti ¿orrendi il ciel feria, D ' arme ingombrando e quella parte e quella; L e cuitodits genti innanzi i n v i a Nella gran t o r t e , ed egli ultimo refta. Ultimo parte, e sì cede al p e r i g l i o , Che audace appare in provvido configlio. Pur a fatica avvien che fi ripari Dentro alle porte , e lè i i i e r r a appena ; Che g i à , rotte le sbarre, ai limitari Rinaldo •ttien, uè q u i v i anco > ' afTrena. Desìo di ftiperar chi non ha pari In opra d ' a r m e , e giuramento il mena : Che non o b l i a , che in voto egli promife D i dar morte a colui che i l Dano uccife. E beo allor allor 1' invitta mano Tentato avrìa 1 1 inerpugnabil m u r o : N e forfè colà dentro era il Soldano Dal fatai Tuo nemico affai fi curo; M a g i à faona a ritratta il Capitano : Già 1" orizzonte d ' ogn ' intorno fc feuro. Goffredo alloggia nella terra, e vuole Rinnovar poi. 1* allalto al nuovo Sole. Di-

73

GERUSALEMME

LIBERATA.

Diceva ai Tuoi, lietiilìmo in fembianza: Favorito ha il gran Dio 1' armi Criftiane; Fatto è il Comma de' fatti, e poco avanza Dell 1 opra , e nuda del timor rimane. La torre (elirema, e mifera f pera »za Degl infedeli) efpugnerem dimane. Pietà frattanto a confortar v ' inviti, Con follecitp amor, gli egri e i feriti. I t e , e curate quei eli' han fatta acquiito D i quefta patria a noi col fangue loro. Ciò più convieni! ai Cavaliev di Criiìo» Che desìo di vendetta o di teforo. Troppo, ahi troppo di ftrage oggi s ' è viiio, Troppa in alcuni avidità dell 1 oro. Rapir piii oltra, e incrudelir i ' vieto. Or divulghiti le ,trombe il mio divieto. Tacque : e poi fé il ' andò là dove il Conte Riavuto dal colpo anco ne geme. Ne Soliman con meno ardita fronte Ai fuoi ragiona, e '1 duol nell' alma preme: Siate, o compagni, di Fortuna all' onte I n v i t t i , infin che verde è fior di fpeme : Clife fotto alta apparenza di fallace Spavento, oggi men grave il danno giace» Prefe i nemici han fol le mura e i tetti, E il volgo u m ì l , non la cittade han preia : Che nel capo del Re, ne 1 voftri petti, Nelle man voAre è la città comprefa. Veggio il Re falvo. e falvi i fuoi più eletti : Veggio che ne circonda alta riifefa. Vano trof«o d ' abbandonata terra Abbianfi i Franchi, alfin pei'dran la guerra.

£

C a s t o

D e c i m o n o n o .

E certo i * fon che perderanla alfine ; Che nella forte profpera infoienti Finn volti agli omicidj, alle Tapine, E d agi 1 ingim iofi abbracciamenti : E faran di leggier tra le ruine, T r a gli ftupri-e le prede opprellì e* fpenti , S e in tanta tracotanza ornai forgiunge L ' olle d * E g i t t o : e-non puote efler lungo. Intanto noi fignoreggiar eo ' faill Potrem della città gli alti edifici : E d ogni calle, onde al Sepolcro vaili, Torran le noftre macchine ai nemici. C o s ì , vigor porgendo ai cor già laiE , L a fpeme rinnovò negl* infelici. O r mentre qui tai cofe eran paflkte. E r r ò Vafrin tra mille fchiere armate. A l l ' efercito avverfo eletto in f p i a . Già dechinando il S o l , partì Vafrino : E corfe ofcura e folitavia via V o l t u r n o e fconofciuto peregrino. Afcalona palio , che non ufcia D a l balcon d 1 Oriente anco il mattino. P o i , quando fe nel meriggio il folar lampo j A vifta f u del poderofo campo. Vide tende infinite, e ventilanti Stendardi in cima azzuri e perii e g i a l l i ; E tante udì lingue difcordi, e tanti T i m p a n i e corni e barbari m e t a l l i , E voci di c a m m e l l i , e d ' elefanti, T r a ' 1 nitrir de* magnanimi c a v a l l i . C h e fra te dille : qui 1 1 Africa tutta Traslata viene, e qui 1' AJia i condutta.

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GERUSALEMME

L I - B E a JET A.

Mira egli alquante pria come Ha forte Del campo il (ito, e qual vallo i l circonde» Pofcia non tenta vio furtive e torte : Kb dal frequente popolo a 1 afeonde; M a , per dritto fentier, tra regie porta TrapalTa, ed^ or dimanda ed or rifponde* A diraande, a l'ifpofte altute e pronto Accoppia baldanzofa audace fronte. J ) i qua di là follecito s 1 aggira Per lo v i e , per le piazze, e per le tende, I g u e r r i e r , i deftrier, 1 ' arme rimira ; I I a r t i , e g l i ordini oilerva, e i nomi apprende. U è di ciò pago, a maggior cofe a f p i r a : Spia g l i occulti d i l e g u i , e parte intende. Tanto s ' avvolge, e così deliro e p i a n o , Ch ' adito s * apre al padiglion (oprano. Vede, mirando q u i , fdvufcita t e l a , O n d ' ha varco la v o c e , onde li feerne; Che là proprio rifponde, ove fon dela Starila regal le ritirate interne : Sicché i fecreti del Signor mal cela Ad uom eh 1 a [colti dalle parti efterne. Vafrin vi gpata„ e par e h ' ad altro intendi« Come lia cura fua conciai; le tenda. Stavafi i l Capitan la teña ignudo , I.e membra a r m a t o , e con purpureo ammanto», L u i g e due paggi avean l 1 elmo e lo feudo. Pr'.tie egli u n 1 afta, e v i s ' appoggia alquanto» Guardava un nom di torvo afpetto e crudo, Membruto ed a l ( o , i l qual g l i era da canteo. Vafiiuo è attento, e di Goffredo a nome Tarlar fentenfio > alza g l i orecchi al nome, Pa*U

C A U T O . DECIMONOJÌ.O. Farla il P a c e a colui: dunque lìcuro Sei così tu di dar. morte a Goffredo? Rifponde quegli : io fonne, e in corte giuro Non tornar mai , fe vincitor non riedo. Preverrò ben color, che meco furo Al congiurare : e premio altro uon chiedo, Se non eh ' ic* polla un bel trofeo dell ' armi Drizzar nel Cairo, e fottopor tai carmi: Quelle arme iu'guerra al Capitan Francefe» DiftruggitOr d e l l ' Alia, Ormondo tratte, Quando gli traiTe l* a l m a ; e le fofpefe. Perchè memoria ad ogni età ne palle. Non lia ( 1 ' altro diceà) che ' 1 Re cortefe 1/ opepa grande inonorata lalle. Ben ei darà ciò che per te fi chiede ; M a congiunto 1? avrai d ' alta mercede^ Or apparecchia pur 1 ' armi mentite: Che 1 1 gionmo ornai della battaglia e predo. S o n , rifpofe, già prette; e qui finite Quelle parole, e 1 1 Duce tacque, ed eCfo, Reftò Vflfrino, alle gran cofe u d i t e , Sofpefo e dubbio, e rivolgea in se fteffo Quali arti di congiura, e quali fieno L e mentite arme, e noi comprefe appieno* Indi partilTi ; e quella notte intera Delio palio , eli ' occhio ferrar non volfe. M a , quando poi di nuovo ogni bandiera A l l ' aure mattutine il campo fciolfe, A n c h ' ei marciò c o n ' l ' altra gente in fchiera: rermo/Ti anch' egli o v ' ella albergo tolfe: E pur anco tornò di tenda in tenda Per udir cofa, onda i l ver meglio intenda.

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GERUSALEMME

LIBERATA.

Cercando trova in fede alta e pompofa Fra cavalieri Armida, e fra donzelle: Che ih ili 'in se romita , e fofpirofa Fra sè co' f T u lo difpiezzi, difpettofa; forfè Perchè mei via più dolce hai nelle labbro« M a fé mai povertà non può donarti Co fa, eh' in te ni n (la più bella « dqjqe; M e medefmo ti dono; or perchè inietti), Scherni ed a b b o n i il dono ? non fon io D a diipiezzar, fe ben me Hello vidi Nel liquido del mar quando 1' altrieri Taceano i verni a ed ei giacca fenz' onda. Quelle mia faccia di color fanguigno, Quelle mie fpalle l a r g h e , e quelle braccia Torofe e nerborute ; e quello petto Setolo, e quelle mie velate cu (eie, Son di v i r i l i t à , di robuftezza I n d i z i o ; e fe noi credi« fanne prova. Che vuoi tu far di quelte t e n e i e l l i , Che di molle l a n u g i n e , (lolite Hunnp appena le g u a n c i e , e che con arte Difpongouo i capelli in ordinanza? Femmine nel fembiante e nelle forze Sono coltoro ; or di 1 eh' aleuta ti fogli» Per le felve e pei m o n t i , e 'ncontra g l i orli Ed incontra i cinghiai per te combatta, Non fon io brutto no : ne tu m i fprewi Perchè sì fatto io fia ; ma Colamento Perchè povero fono; ahi che le ville Seguono 1' efempio delle gran ciltadi : E veramente i l fecpl d' oro è quello, Poiché fol vince 1' oro e regna 1' oro. O chiunque, tu foAi che infegnafti Primo a vender 1' a m o r , Ha maledetto Il tuo cener fepolto e 1' offa fredde , E non fi trevi mai pallore o N i n f a ,

l6o

A JVI Ì S T A

Che lor dica padando : abbiate patii; M a le bagni la pioggia e mova il v e n t o , E con pie immondo la greggia il calpefh'i E ' l peregrino. Tu prima fvergOgnafti L a nobiltà d' amore ; ti» le fue liete Dolcezze innamariili. Amor venale, Artior Tervo dell' oro, è il maggior moftrd) E d il più abbominabile ed il piti Tozzo, Che produca la terra o '1 mar fra 1* onde. M a perchè invan m i l a g n o ? ufa ciafcuno Quel!' a r m i , che g l i ha date la natura Per tua fallite. Il cervo adopra il corta. I l leone g l i a r t i g l i , ed il bavofo Cinghiale i l dente : e fon potenza ed armi Della donna, bellezza e leggiadria. Io perchè non per mia falute adopra L a violenza, fe mi fé' natura Atto a far violenza, ed a r a p i r e ? Sforzerò, rapirò quel che coftei M i niega , ingrata in merto dell' amore : Ckè per quanto un caprai teftè mi ha detto, Ch' ofiTervato ha Tuo itile , ella ha per ufo D* andar foVente a rinfrefearii ad un fonte, E inoltrato m ' ha il loco ; i v i io difegno T r a i cefpugli appiattarmi, e tra g l i arbufti, E d afpettar fin che vi venga : e tome V e g g i a l v occalion, correrle addotto. Qual contralto col corfo o con le braccia Potrà fare una tenera fanciulla Contra m e , sì veloce e sì poflentc ? Pianga e fofpiri p u r e , ufi ogni sforzo D i pietà, di bellezza: che s' io polio Queita mano ravvoglierle nel c r i n e , Indi non partirà eli' io pria non tinga L ' armi m i e per vendetta nel fuo fangue. SCENA

ATTO

SECONDO.

S C E N A D A F N E

Da/.

E

I6I

II. TIRSI,

T i r f ì , conT io t' ho detto, io m ' era accorta, Gh' Aminia amava S i l v i a : e Dio fa quanti Buoni ufficj n' lio f a t t i , e fon per f a r l i , Tanto più volenliev , q i u n t ' or v i aggiungi L e t u e preghiere; ma torrei piuttofto A domar un giuvenco , un orfo, un t i g r e , Che a domar una femplice fanciulla, Fanciulla tanto fciocoa , quanto bella , Che non s' avveggia ancor come fian calda Iu* armi di fua bellezza, e come acute; M a , ridendo e piangendo, uccida a l t r u i ; E 1' uccida, e n»n fappia di ferire. Tir. Ma quale è così femplice fanciulla. Che uicita dalle fafeie, non apprenda L ' arte- del parer b e l l a , e del piacere? Dell' uccider piacendo, e del fapere Qual arme fera, e qual dia m o r t e , e quale Sani e ritorni in v i t a ? Daf. Chi è '1 M a f y q Di cotant' a i t e ? Tir. T u fingi e mi tenti : Quel che infegna agli augelli il canto e '1 VQIQ, A' pelei il nuoto, ed a' montoni il cozzo; Al toro ufar i l corno, ed al pavone Spiegar la pompa dell' occhiute piume. Daf. Come ha nome '1 grau Maftro ? Tir. Dafne ha nome. Do/. L i n g u a bugiarda! 'i'ir. E perchè? tu non fel Atta a tener mille fanciulle a f c u o l a ? Benché, per dir i l v e r , non han bifogno Poeti Voi. Vili. L Di

1(5 2

A m i s t à

D i m a e l t r o : maefiro è la N a t u r a , M a la madre o la b a l i a , anco v ' han parte. Daf. In fornirla tu fei goffo iniìemn e trilto. Ora per d i r t i i l v e r , non m i rilolvo Se S i l v i a è femplicetta corno pare Alle parole, a g l i a t t i : jer v i d i un legno Che me ne metta in dubb o ; io la trovai L à preflo la Cittade in quei gran prati, O v e fra Aagni giace un I(bietta, Sovra efla un lago l i m p i d o e t r a n q u i l l o , T u t t a pendente in a t t o , che parea V a g g h e g g i a r se medefima, e 'nfieme ijifieme Chieder c o n i g l i o all' a c q u e , i n q u a l maniera D i f p o r doveffe in full» fronte i ci i n i , E fovra i crini i l v e l o , e fovra '1 velo 1 fior che tenea in g r e m b o ; e fpeffo /pe/To, Or prendeva un l i g u i t r o , or una rota E T accollava al bel candido collo., A l l e g u a n c i e v e r m i g l i e , e de' colori p e a p a r a g o n e ; e p o i , ficcome lieta. C e l l a v i t t o r i a , l a m p e g g i a v a un r i f o , Che parea clie dicefle : io ptic v i v i n c o , N è porto voi per ornamento m i o . M a porto v o i fol pel - vergogna v o f t r a . Perchè fi v e g g i a quanto m i cedete. M a mentre ella s* ornava e v a g g h e g g i a v a , R i v o l f e g l i occhi a caio, e fi fu accorta, Cli' io di lei m ' era accorta, e vergognando Rizzo/Ti tolto, ed i fior lafciò cadere. Intanto io p i ù ridea del Tuo roffore, Ella p i ù s' arroflia del rifo m i o ; M a perchè accolta una parte de 1 c r i n i , E 1' altra avea fpavfa, una o due v o l t e Con g l i occhi al fonte configlier t i c o r f e , E fi m i r ò quali d i furto pure T e m e n d a , eli 1 io nel Tuo guatar g u a t a l i ! : Eiijp4 altrui Tutto cortefe ed umile Ai fembianti ed al volto. Qual jjover peregrini alhergo chiede. Per grazia e per mercede; Ma poi che dentro è accolto, A poco a poco infuperbifee e falli Oltremodo infoiente. Egli fol vuol le chiavi Tener dell' altrui core E (cacciarne fuore Gli antichi albergatori, e 'n quella vece Ricever nova gente E far la ragion ferva E dar logge alla mente. Così divieu Tiranno D ' ofpite manfueto., E perfegue ed ancide Chi gli a1 oppone, e chi gli fa. divieto. Or cV io v' ho dato i fegni E degli atti e del vifo

FI04

A M I S T À

A T T O

QUINTO.

E de* cottami t u o i , S ' egli è pur qui fra v o i , Datemi prego del m i o figliò avvifo. Ma voi non rifpondete? Forfè tenerlo afcofo a me v o l e t e ? Volete, ahi folli, ahi {ciocchi, Tenere afcofo A m o r e ? M a toflo u fcuà fu ore Dalla lingua e dagli pcchi Per iv il le indìzj aperti: Tal io vi rendo certi, C h ' avverà quello a v o i , ck" avvenir Cuoi* A colui che nel feno Crede nafconder 1* angue, Glie con gridi e col fangue al fin l o fcuoprt. M a poiché qui noi t r o v o , Prima eh' al ciel ritorni, Andrò oercando in terra altri foggiorni.

F I N E .

IL PASTOR FIDO TRAGICOMEDIA

PASTORALE

D I

BATTISTA

GUARINt.

A R G O M E N T O .

Sacrificavano gli Arcadi à Diana loro Dea ciafcun' anno una giovane del paefe : così gran tempo avanti, per celiar affai più gravi pericoli, dall' Oracolo configliati, il quale indi a non molto ricercato del fine di tanto male, aveva loro in quefta guifa rifpofto. N o n avrà prima fin quel che v ' offende, Che duoi fami del ciel congiunga Amore» E di donna infedel 1' antico errore L 1 alta pietà d' un F i S i o n F i s o ammende,

Mofio da quefio vaticinio Montano facérdote della medefima Dea; lìccotne quegli

208

ABOOMESTO.

gli che 1' origine fua ad Ercole il riferiva, procurò che fofle a Silvio unico fuo figliuolo, iìccome (biennemente f u , in matrimonio promefla Amarilli nobilisiima Ninfa; e figlia altresì unica di Titiro difcendente da Pane: le quali nozze, tuttoché inftantemente i padri loro follecitaflero, non fi recavano però al fine tlefiderato ; conciofoflecofache il giovinetto , il quale niuna maggior vaghezza aveva, che della caccia, dai penfieri amarofi lontaniffimo fi. vivefle. Era intanto della promefla Amarilli fieramente accefo un pallore nominato Mirtillo, figliuolo, ficcome egli fi credea, di Carino paitore, nato in Arcadia, ma che di lungo tempo nel paefe d' Elide dimorava ; ed ella amava altresì lui, ma non ardiva di difcoprirglielo per timor della legge che con pena di morte la femminile infedeltà feveramente puniva : la qual cofa preilando a Corifea molto conimoda occafione di nuocere alla donzella odiata da lei per amor di Mirtillo, di cui

ARGOMENTO.

209

cui effa capricciofamente s' era invaghita, fperando per là morie della rivale di vincer più agevolmente la coltantiifima fede di quel paftore; in guifa adopra con fue menzogne ed inganni * che i itliferi amanti incautamente e con intenzione da quella, che vien loro imputata, molto diverfa, il conducono dentro ad una fpelonca, dove accufati da un Satiro, ambedue fono pteiì -, ed Amarilli non potendo giuftificare la fua innocenza, alla morte vien condannata : la quale ancora che Mirtillo non d u b i t i , lei troppo bene aver meritata; ed egli per la legge, che la fola donna cafiiga, fappia di poterne andar alfoluto ; delibera nondimeno di voler morire per lei; iìccome di poter fare dalla medeiìma legge gli è conceduto. Sendo egli dunqne da M o n t a n o , a cui, per eflere facerdote, quefta cura s' appart e n e a , condotto alla m o r t e ; fopranginnto in quelto Carino che veniva di lui cercando, e vedutolo in atto agli occhi fuoi non meno miferabile che improvvifo; Posti Voi. Vili.

O

fie-

2X0

ARGOMENTÒ.

ficcome quegli che niente meno 1* amava, che fe figliuolo per natura fiato gli folle, mentre li sforza per camparlo da morte, e di provare con fue ragioni eh' egli fia foreftiero, e perciò incapace a poter efler vittima per altrui; viene, non accorgendofene egli fieiio, a feoprire c h e ' ! fuo Mirtillo è figliuolo del facerdote Montano. Il quale fuo vero padre rara« maricandofi di dover efier miniftro della legge nel proprio l'angue, da Tirenio cieco indovino vien fatto chiaro colla interpretazione dell' Oracolo IteiTo, non folo repugnare alla volontà degli Iddii che quella vittima fi confagri; ma eiTer® eziandio delle miferie d' Arcadia quel fin venuto che fu loro dalla divina voce predetto: colla quale, mentre tutto il fucceffo vanno accordando, conchiudono, che Amarilli d' altriii non polla né debba eflere fpofa che di Mirtillo. E perchè poco innanzi Silvio credendoli di faettare una fera, avea piagala Dorinda, miferamenLe accefa di Ini, è per cotale acci-

AsGOMEa r o .

a 11

accidente la folita fua durezza in attiorofa pietà cangiata ; poiclìè già età la piaga di quella Ninfa che f u creduta mortale, ridotta a termine di falute, ed era eli Mirtillo divenuta fpofa Aniarilli, aneli' elfo già fatto amante, fpofa Dorinda. Per cagione de' quali, oltre ad ogni loro credenza, feliciffimi avvenimenti, ravvedutali al fin Corifea, dopo 1' aver trovato dagli amanti fpofì. perdono t tutta raccohfolàtà, ancor che fazia del móndo» li difpone di cangiar vita.

INTERLOCUTORI. Alfeo. Silvio. Lineo. Mirtillo. Ergaflo. Corifea. Montano. Titiro. Dameta. Satiro. Dorinda, Lupino. Amarmi. 1Siandro. Coridone. Carino. Uranio. Meffo. Tirenio. Coro. Coro. Coro. Coro.

Fiume ri" Arcadia. Figlio di Montano. Vecchio fervo di Montano. Amante d' Amarilli. Compagno di Mirtillo. Innamorata di Mirtillo. Padre di Silvio, Sacerdote. Padre d' Amarilli. Vecchio fervo «li Montano. Vecchio Amante già di Corifea. Innamorata di Silvio. Caprajo, fervo di Dorinda, Figlia di Titiro. Miniiìro maggior del Sacerdote, Amante di Corifea. Vecchio, padre putativo di Mirtillo, Vecchio compagno di Carino. Cieco indovino. Di Paitori. Di Cacciatori. Di Ninfe. Di Sacerdoti. La Scena è in Arcadia.

P

R

ALKEO

O

L

FIUME

O

G

D*

O

.

ARCADIA.

S e per antica e forfè Da voi negletta e non creduta fama Avete mai d' innamorato fiume L e maraviglie udite, Che per feguir l 1 onda fugace e fcliiva Dell' amata Aretufa Corta C ° forza d* a m o r ) le più profonde Vifcere della terra E del mar penetrando; Là dove fotto alla gran mole Etnea Non fo fe fulminato, o fulminante Vibra il fiero Gigante Contra *1 nemico ciel fiamme di (degno; Quel fon i o : già 1' udifte, or ne vedete O 3

Prora

214

P Xt O L

O G O,

Prova t a l , eli' a voi ftefli Fede negar non lieo. Ecco latciando il coiTo antico e n o l o . Per incognito mar 1' onda incontrando D e l Re de' f-urne altero, Qui forgo, e lieta a riveder ne vegnn Qual' effer gi.i Talea Ubera e bella, Or defolata e ferva , Quell' antioa mia tersa-, ond' lò derivo. O Q.-.ra genitrice! o dal tuo figlia Tiiconofciula Arcadia! Riconofci il tuo caro E già non men di to famofo Atfeos Q u c l e fon lo contrade f i chiare mi t e m p o , e quelle fon le felva Ove '1 prifeo valor vifTe, e morìo. J n quclto angolo fol del ferreo manefo Cred' i o , che ricovraffo il fecol d' avo, Quando fnggia le fcelerate genti. Qui non veduta altrove, Libertà moderata e fenza invidia Fiorir fi vide ; in dolce Scurezza Non cuftodlta, 6 'n difarmata paca Cinge» popolo inerme Un muro d,' innocènza, e di viriate, All'ai più impenetrabile 4i quello, Clic d' animati fafli Canoni fjbbro alla o gran Tebe ereffV.

l ì quando più di guerre, e di tumulti Arte la Grecia, e gli altri fupi guerrieri Popoli armò 1* Arcadia , A quella fola fortunata parte,

Prologo. A quello facro afilo Strepito mai non giunte ne d' amica, Ne di nemica tromba. E fperò tanto ibi .Tebe, e Corinto, E Micene, e Megara, e Patra, e Sparta» Di trionfar del fno nemico, quanto L ' ebbe caro, e guardolla Qnefia amica del ciel devota gente, D i cui forturtatiilìmo riparo Fur effe ìji terra, ella di lor nel cielo: Pugnando altri coli' a r m i , ella co1 pricghi. E benché qui ciafcuno Abito e nome paftorale avelie ; Non fu però ciafcuno •Né di pender, ne di cofiumi rozzo: Fero eli* altri fu vago Di fpiar tra le ftelle e gli elementi D i natura, e del ciel gli alti iegreti» Altri di feguir 1* orme D i fuggitiva fera : Altri con maggior gloria D ' atterrar orfo; o d' aflalir cignale: Quelli vapido al corfo, E quegli al duro cefto Fiero moltrefli, ed alla lotta invitto. Chi lanci» dardo, e chi ferì di ftrale I l dellinato fegno : Chi d' altra cofa ebbe vaghezza, come Ciafcun Tuo piacer fegoe. L a maggior parte amica Fu delle facre M u f e : amore e Audio Beato un tempo, or infelice e vile. O 4

215



P r o l o g

o,

M i cjli m i fa veder d o p o tant' anni Q u i trafportata d o v e Scende la Dora in Pò» 1* Arcada ter va ' Quefta la chioftra è p u r , queito pur V antro D e l l ' antioa Erjcina. E q u e l , che colà forge è p u r il T e m p i o •Alla gn\n Cintin facto : or qual in' a p p a i l e Miracolo ftnpendp? Che n folito v q l o r . che v i r t ù n o v i V e g g 1 io di trafpianttT popoli e t e r r e ? O fanciulla R e a l e , I ) ' età fanciulla » « di fayer g i à donna * V i r t ù del voftro a f p e t t o , V a l o r del voftro fangne , Gran C A T E R I N A ( o r me n' a v v e g g i o ) è queft* D i quel fublime e gloriofo f a n g u e , Alla cui m o n a r c h i a nafcono i mondi. QqeiU sì grandi e f f e t t i , Che fembran m a r a v i g l i e , O p r e fon voftre ufate, opre natie, C o m e a quel So.l, che d* oriente f o r g e . Tante cote leggiadre f r o d u c e il m o n d a , erb?> fior, f r o n d i , e t a n t i Jn cielo, in t e r r a , in mare alme YÌveiifi ; C o s ì «1 voftro partente altero S o l e , Che » f c i dal g r a n d e , e per voi chiaro O c c a f o , S i yeggon d' ogni clim^ Nafcer provinole e regni > £ crefcer p a l m e , e pullular trofei A v o i dunque m' inchino altera figlia I ) i quel M o n a r c a , a cui anco quando annotta, il fol tramonta, Spofe

P R O L O G O .

SpoTa di quel gran Duce, Al cui Cenno, al cui petto, ali* cui delira Commife il cicl la cura Dell' Italiche mura. M a non bifogna più d' alpeitre rupi Schermai o d' orride balze: Stia pur la bella Italia Per voi Scura, e fuo riparo in vece Delle grand' alpi una grand' alma or f u : Quel fuo tanto di guerra Propugnacolo i n v i t t o , E per voi fatto alle nemiche genti Quaiì Tempia di pace» Ove novella Deità »' adori. Vivete p u r , vivete Lungamente concordi anime grandi, Che da sì glorialo e Tanto nodo Spera gran cofe il mondo; Ed ha ben anco ove fondar fua fpeme. Se rigira in qriente Con tanti fcetri il fuo perdutq impero, Campo fol di voi degno 0 magnanimo C A R L O , e dai velligi Dei grand' Avoli voftri ancora ipiprelTo, Augnila è quella terra , Augnili i voftri nomi, augnilo il (angue, 1 fembianti, i pender, gli animi augnili : Saran ben'anco, augufii i parti, e 1' opre; Ma voi, mentre v 1 annunzio Corone d' oro, e le prepava »1 Fato, Non ifdegnate quelle, Nelle piagge di Piqdo O

S

218

P R O L O G O.

IV erbe e di fior contefte per man -di quelle vergini canore, Che mal grado di morte altrui dan vita. Picciole offerte s ì ; ma però tali, Che fe eoa puro affetto il cofc le dona, Anco il ciel non le fdegna: e fe dal voitro Sereniamo ciel d' aura cortefe Qualche fpirto non manca ; La cetra, ohe per voi Vezzofamente or canta Teneri amori e placidi imenei, Sonerà fatta tromba, arme e trofei.

ATTO

ATTO

PRIMO.

S C E N A SILVIO

I.

E L t K C O,

Silvio, I c e v o i , che c h i u d e t t e L ' o r r i b i l f e r a , a d a r 1" u f a t o f e g n o D e l l a f u t u r a caccia. I t e f v e g l i a n d o G l i ocelli col c o r n o , c oon la v o c e i eoi'i. Se fu m a i nell' Aicadia l ' a i t a r di C i n t i a , e de' f u o i ftudj a m i c o , C u i liiinolaire il g o n e i o f o p e t t o C u r a , o g l o r i a di f e l v e , O g g i il m o f t r i , e m i fegua L à d o v e i n picciol g i r o , M a l a r g o c a m p o al v a l o r n o f t r o , i c h i n t z Quel terribil Cinghiale, O u e l i n o l t r o di n a t u r a , e delle f e l v e j Q u e l si v a i l o e sì fiero, E p e r le p i a g h e a l t r u i S ì n o t o a b i t a t o r dell' E r à n a n t o , S t r a g e delle c a m p a g n e , E t e r r o r dei b i f o l c h i . I t e v o i d u n q u e , E n o n fol precorrete , M a p r o v o c a t e ancora C o l r a u c o fc.on U fomiacchiofà a u r o r a . N o i , L i n e o , ar.diamn n v e n e r a r g l i D e l ,

220

IT PASTOR

FIDO.

Con più Ecura (corta feguirem poi la deitinata caccia: „ C h i ben commincia, ha la metà dell' o p r a ; „ Ne li comincia ben, fe non dsl cielo. Line• Lodo ben Silvio il venerar gli Dei ; Ma il dar noja a coloro C'ie fon miniftri degli O e i , non lodo. Tutti dormono ancora I cuftodi del Tempio > i quai non hanno Più tempefiivo, o lucido orizzonte Della cima del monte. Silo. A t e , che forfè non fe' dello ancora, Par, eh' ogni cofa addormentata Ha. Line. 0 Silvio, Silvio, a che ti diè natura Ne' più begli anni tuoi, Fior di beltà «ì delicato e v a g o , Se tu se' tanto a calpeftarlo intento ? Che a' avefs io , cotefta tua t i bella , E sì fiorita guancia, Addio felve direi ; E feguendo altre f e r e , E la vita pattando in feda e *n gioco, Farei la fiate ali ombra, e '1 verno al foco. Sii». Così fatti configlj Non mi defti mai più : come fe' ora Tanto da te diverfa ? £ÌHC. Altri tempi • altre cure , Così certo farei fe Silvio jFoifi. ¿ilv. Ed io fe folli Lineo ; Ma perchè Silvio fono, Oprar da Silvi;), e non da Lineo i ' voglio. JLÌKC. O garzon fplle : a che cercar lontana E perigliofa f e r a , Se 1" hai via più d' ogni altra E vicina, e domeftica, e lìeura? Silv. P a l l i tu da dovero, 0 pur v a n e g g i ? Line.

ATTO

PRIMO.

331

Line. Vineggi tu ; non io, Silv. Ed è c sì vicina? Line. Quanto tu di te Aedo. Silv. In qual fot va a' annida? Line. La felva fe' t u , S i l v i o ; E la fera crudel, che v i s' annida, È la tua feritate. Silv. Come ben m* avvifai, che vaneggiavi. Line. Una Ninfa sì bella e sì gentile; Ma che dilli una Ninfa? anzi una Dea Di mattutina rofa : Più frefea c più vezzo fa E più molle, e più candida del cigno ; Per cui non fe sì degno Paftor oggi tra noi, che non fofpiri, E non fofpiri in vano; A te folo dagli uomini e dal cielo Destinata lì ferba; Ed Oggi tu fenza fofpiri e pianti £ 0 troppo indegnamente Garzon avVenturofo aver la puoi Nelle tue braccia ( e tu la f u g g i , o Silvio Y E tu la [prezzi ? e non dirò, che '1 core Abbi di fera, anzi di ferro il peito? Silv. Se '1 non aver amore è crudeltate, Crudeltate è virtute; e non mi pento d i ' ella fia nel mio c o r , ma me ne pregio : Poiché folo con quella ho vinto amore, Fera di lei maggiore Line. E come vinto 1' hai, Se noi provarti mai ? Silv. No '1 provando l 1 ho vinto. Une. O s' una fola Volta il prova/li, o Silvio ; Se fape/Ii una volta Qual' è grazia e ventura 1'

S222

II. P A J Ì O R

F I ' D e»

I,' e (Ter amato, il p.^eileie amaiiJa Un liamante core, So ben io che diretti : Dolce viti amoroft», Perchè sì tardi nel mio cor venifli ? ì.afcia, laffcia le felve Folle garzon , lnfcia le fere» ed arai) Silv. Lineo di* pur fe fai ; Mille Ninfe darej. por una fera , Che da Melartipo mio cacciata [ode. Godati queite gioje. Chi n' ha di mo piil gufto ( io non le fonte» line. E ;olie Cernirai tu, s' amor non femi, Sola cagion di ciò, che fente il mondo? Ma crpdimi fanciullo, A tempo il fentirai, Che tempo noti avrai. „ Vuol una volta amor ne' cuori notili ,, Moftrar quant' egli vale. Credi a me pur, che '1 provo, „Non h pena maggiore, ,, Gli' in vecchie membra il pizr.icor d' a move ( „ Che mal (ì può fanar quel che 3' ulfeude, „Quanto più di fanarlo altri, procura: „Se '1 giovinetto core amor ti puguei „ Amor anco te 1' tigne : • i, Se col duolo il tormenta » „ Con la fpeme il coufola : ,, E s' un tempo 1' ancide, al fine il fana. „Ma s' e' ti giunge.in quella fredda etate, „Ove il propiio difetto, „Più che la colpa al rui fpeflb fi piagne; ,, Allora . infopportabili e mortali ,,Son lo foe piaghe, allor le pene acerbe 1 ,, Allora fe pietà tu cerchi, male „Sa non la trovi; e fe la trovi, pcptgio»

ATTO

PRIMO.

223

„ D i l i non ti fiiocacciar prima del tempo ,, I difetti del tempo; ,, Clio fé t' a il al e alla canuta etat» ,, Amotofo talento, ,, Avrai doppio tormento ,, E ili q u e l , che potendo non v o l e i ì i , ,, E di q u e l , che volendo non potrai. LaCcia, lafcia le felve, Folle garion , lafcia le fere» ed ama. Silv. Come v i t a non ila Se non q u e l l a , che nutre Amorofa infanabile follia ? Line. D i m m i , fe 'n quefta sì ridente e Vaga S t a g i o n , eh" infiora e rinovclla i l mondo, Vedeflì in vece di, fiorite p i a g g e , D i verdi prati e di veftite felve, Starli il p i n o , e 1' abete, e '1 f a g g i o , e 1' omo Senza 1' ufata lor frondofa chioma, Senz' erbe i p r a t i , e fenza fiori i p o g g i , Non diretti tu S i l v i o , il mondo l a n g u e , L a natura vien m e n o ? or quell' orrore E quella maraviglia, che dovrefii D i novità sì moftruofa avere, „ A b b i l a di te fi elfo. Il ciel n' ha dato „ V i t a agli anni conforme, ed ali elate „ S o m i g l i a n t i coftumi: e come amora „ I n canuti penlier fi difeonviene; ,, Coti la gioventù d' amor nemica „ Conti-afta al cielo, e la uatura offende. M i r a ci' intorno, Silvio, Quanto il mondo ¡ia di vago e di g e n t i l e , Opra fe d a m o r e : amante b il cielo, amaitts L a l e n a , amante il ma e. Quella che Jà fu miri inanzi all' alba Cubi leggiadra fulla , Arde d' amor aneli' ella, e del fuo fli-lio o

224

li-

PAS TOR

FIDO»

Sente le fiamme ; ed ella, che 'nnamoia , Innamorata fplende; E quella è forfè 1' o r « , Clie le furtive Tue dolcezze. e *1 feno D e l caro amante lafcia : Vedila pili- come sfavilla e rìda. Amano per le felve L e moftruofe fere: àman per 1' onde I veloci delfini, e 1' orche gravi. Q u e i r augelin , che cahta S ì dolcemente e lafcivetto vola O r dall' abete al f a g g i o , E d or dal faggio al m i r t o , S ' avelte umano fplitOj D i r e b b e , ardo d' a m o r e , ardo d' a m o r e ; M a ben arde nel cove, É parla in fna f a v e l l a , S ì che 1' intende il fuo dolce delio : E d odi a p p u n t ò , S i l v i o , II (uo dolce d e f i d . Che gli r i f p o n d e , ardo d' ¿more anch' io. M u g g e in mandrà 1' a r m e n t o , e que' m u g g i t i Sono amoro/ì inviti. R i i g g é il leone al bofeo : N è quel r u g g i t o è d' i r a ; Così d' amor fofpira. Alfine ama ogni cofa , Se non tu S i l v i o ; e farà Silvio folo, In cielo , in terrà , in maro Anima feiiza amore ? D e h lafcia ormai le felvc, F o l l e garzoni lafcia le f e r e , ed ama. Sihi A te dunque commetta F u la mia verde e t à , perchè d' a m o r i , E di pen&eri effeminati e molli

Tn

ATTO

PRIMÓ.

T u T ave/Ti a n u d r i r ? n i ti f o w i e n e Chi fe' tu , chi fon io ? Line. Uomo tono, e m i pregio D ' effer u m a n o : e teco che fe 1 d o m o , O che pinttoHo efler dovrefti, parlo D i cofa Umana ; e fe di cotal nome Forfè ti fdegni , guarda Che nel difumanarti Non diventi una fera, anzi che nn Dio, Silv. Ne sì fartiofo m a i , nh mai sì forte Stato farebbe il domatoi- de' moftri, Dal cui gran fonte il fangue mio deriva, Se non averte pria domato Amore. Line. V e d i , cièco faìiciul, come vaneggi. Dove farefli t u , d i m m i , s' amante Stato non folle il tuo famofo Alcide? Anzi fe guerre vinfe e moftri ancifo, Gran parre Amor ve n' ebbe. Ancor tion fai Clie per piacer ad Onfale, non pure Volle cangiar in femminili fpoglie D e l feroce leon 1' ilpido tergo ; Ma della clava noderofa in Vece Trattar il f u f o , e la conocchia i m b e l l e ? Cofeì delle fatiche e degli affanni Prende» l'iiioro , e nel bel fen di l e i , Quali in porto d* amor folea ritiarfi ; ,, Che fono i fuoi fofjiiri? dolci refpiri . . D e l l e pallate noje, e quali acuti „ S t i m o l i al cor nelle future imprefe; „ E come i l rozzo ed intrattabil ferro, „ T e m p r a t o oon più tenero metallo ,, Affina s i , che fempre e piii relitte, ,, E per ufo' più nobili s' adopra; „ C o s ì vigor indomito e feroce, „ C h e nel proprio furor fpeiTo fi rompe, ,, Se con le fue dolcezze amor il tempra, Poeti

Voi.

FUI.

P



226

II

PASTOR

FIDO

„ D i v i e n e ali* opra generofo e forte. £e d' e (Ter dunque iniitator tu brami D ' Ercole invitto, e fuo degno nipote. Poiché lafciar non vuoi le felve, almeno Segui le felve, e non lafciar amore: Un amor sì legittimo e sì degno Coni' è quel d' Amarilli ; che fe f u g g i Doiinda, i' te ne feufo, anzi puf lodo > CU' a t e , vago d' onore, aver non lieo D i furtivo delio 1' animo caldo, Per non far torto alla tua cara fpofa. Silv. Cile di 1 tu Litico? ancor non è mia fpofa. Line. Da lei dunque la fede Non ricevetti tu folennemente? Guarda garzon fuperbo Non irritar gli Dei. Silv. „ L ' umana liberiate è don del cielo, „ Che non fa forza a chi riceve forza. Line. Anzi fe tu 1' afcolti e ben 1' intendi, A quello il d e l ti chiama ; 11 c i e l , eh' alle tue nozze Tante grazie promette, e tanti onori. Silv. Altro penfiero appunto I fommi Dei non anno : appunto queft* L ' almo ripofo lor cura moietta. L i n e o , n i queito amor, nè quel m i piace; Cacciator, non amante al mondo nacqui: Tu che fenili iti A m o r , torna al ripofo. Line. Tu derivi dal cielo , Crudo garzon ? nè di celeiie femo T i cred' i o , uè d 1 umano ; £ fe pur fe1 d' umano, i' giurerei Che tu folti piuttofto Col velen di Tififone e d' Aletto, Che col piacer di Venere concetto, SCENA

Atto

Primo.

SCENA M I R T I L L O

ED

£27

ir. ERGASTO.

Miri. Cruda A m a r i l l i , che col nome ancora D ' amar, ahi lalTo , amaramente infegui. Amarilli del candido liguiiro Più candida e più bella; M a dell' afpide fordo E più forda , e più fugace ; Poiché col dir t' offendo, I ' mi morrò tacendo. Ma grideran per me le piagge e i m o n t i , E quella felva a cui S ì fpeiTo il tuo bel nome D i rifonare infegno : Per me piangendo i f o n t i , £ mormorando i venti Diranno i miei lamenti : Parlerà nel mio volto L a pietate e '1 dolore ; E fe fi a muta o^u' altra co[a, al fine Parlerà il mio morire, E ti dirà la motte il mio martire. Erg. „ M i r t i l l o , amor f u fempre un fier tormento, „ Ma più q ianto è più chiufo : „ Peròcch' egli dal freno ,, Ond' è l- gata 1111' amorofa lingua „ F o r z a prende, e s' avanza, „ E più fero è prigion , che non è fciolto. Già non dovevi tu sì lungamente Celarmi la cagiou della tua fiamma, Se la fiamma celar non ini potevi. Quante volte 1' ho detto, arde M i r t i l l o , Ma in cliiufo foco e' fi confuma c tace. P a

Mirt.

228

IL P A S T O R

FIDO

JW/rt. Offelì me per non offender l e i . Covtcfe Ergallo, e farei muto a n c o r a ; M a la neceilìtà m ha fatto ardito. Odo nna voce mormorar d' intorno, Che per 1' orecchio m i ferisce i l core Delle vicine nozze d' Amarilli. Ma chi ile parla ogn' altra cofa tace, Ed io più innanzi ricercar non ofo; Sì per non dar altrui di me folpetto. Come per non trovar quel che pavento. So ben Ergaito, e non m' inganna a m o r e , Ch' alla mia baila e povera fortuna Sperar non lice in alcun tempo m a i , Che ninfa sì leggiadra e sì g e n t i l e , E di f a n g u e , e di fpirto, e di fembiante Veramente divina , a me fia fpofa : Ben conofco il tenor della mia ilclla ; Nacqui folo alle fiamme, e '1 mio dettino JD' arder m i feo, non di gioirne degno; M a poicch' era ne' fati eh' io doveflì Amar la m o r t e , e non la vita m i a , Vorrei morir almen s ì , che la morte Da l e i , che n' è cagion , gradita folle, Ne li fdegnafle all' ultimo fofpiro Di inoltrarmi i begli occhi e d i r m i , muori. Vorrei prima che palli a far beato Delle fue nozze a l t r u i , eli' ella m' udifTe Almen fola una volta. Or fé tu m' ami Ed hai di me pietade, in ciò t' adopra Cortelìifimo Ergaflo, in ciò m' aita. Erg. Giuft > delio d* amante, e di chi more L i e v e m e r c è , ma faticofa imprefa. Mifera l e i , fé rifapefle il padre Ch* ella a preghi furtivi avelie mai Inchinare 1* oiechie, o pur ne foiTe Al Sacerdote fuocero a c c u f a u : Per

ATTO

PRIMO.

Per quefto forfè ella ti f u g g e , e forfè » T ' ama , ancorché no .'1 m • iftri : ebè la danna „ N e l defiar è brn di noi più f i a l e , „ M a nel celar il ino tiefio più icaltra; E fe folle pur ver eli' ella t' am«lTe, Che potrebbe altro f a r , che pur f u g g i r t i ? Chi non può dar aita , indarno afcolta ; ,, E fugge con pielk chi non s arrelta ,,Senz' altrui pena: ed è fano configlio „ Tolto lafciar quel che tener non puoi. Mirt. O fe ciò fotTe vero! o s' io '1 crede/li! Care mie pene e fortunati affanni ! M a fe—ti guardi il c i e l , cortefe Ergafto, Non mi tacer qual è il paftor tra noi Felice tanto , e delle tielle amico ? Erg. Non conofci tu Silvio unico Aglio D i Montan , Sacerdote di Diana , S ì famofo paitore oggi , e sì ricco ? Quel garzon sì leggiadro ? quegli fe delfo. Mirt. Fortunato fanciul che '1 tuo dettino Trovi maturo in così acerba etate : Nè te 1* invidio no i ma piango il mio. Erg. E veramente invidiar noi dei ; Che degno è di pietà più eh« d' invidia. Mirt. E perchè di pietà? Erg. Perchè non 1' ama. Mirt. Ed è v i v o ? ed ha core? e non è cieco? Benché fe dritto m i r o , A lei per altro cor« Non retto Gamma p i ù , quando nel mio Spirò da que' begli occhi Tutte le fiamme l u e , tutti gli amori. M a perchè dar sì preziofa gioja A chi non la conofee? a chi la fprezza? Erg. Perchè promette a quefte nozze il cielo La (alute d' Arcadia: non fai dunque P S ¿he

IL

PASTOR

FICO

Che qui fi P a g a anno alla gran Dea D c i r innocente fangue d' una N i n f a , Tributo miferabile e mortale? JWrt. Unqua più non 1' u d i i , e ciò m' ò nuove), Che nuovo ancora abitator qui f o n o , E còme vuol' Amore o 'l mio dettino, Quali pur tempre abitator de' bofchì; M.i qual peccato il maritò sì g r a v e ? Come tant* ira nn cor colette accoglie? Erg- T i narrerò, delle miferie noftre Tutta da capo la dolente iftorla , Che trar potria da quefte dure querci Pianto e pietà , non che dai petti nmani. I n quella età che '1 Sacerdozio Tanto, E la cura del tempio ancor non era A fecerilote giovane contefa , Un nobile paltor chiamato Aminta, Sacerdote in quel t e m p o , amò Lncrìna Ninfa leggiadra a maraviglia, e bella; Ma lenza fede a maraviglia, e vana. Gradì coftei gran t e m p o , o '1 moftvò f o r f è , Con iimulati e perfidi fembianti D e l giovane ^morofo. il puro affetto, E di falfe fperanze anoo nudrillo ( Mifcro mentre alcun rivai non e b b e ; M j uon sj tofto Cor vedi inftabir donna]) Rudico palloiel 1' ebbe g u a t a t a , Che i primi Iguardi non foftenne, i primi Sofpiri, e tutta al nuovo amor fi diede, Prima che gel/illa fentilTe Aminta. Mifero A n a n i a , che da lei fu pofeia E fprezzato, e fuggito s ì , eh* udirlo N e vederlo mai più 1* empia non volle 5 Se pian£;elle il mefehin , fe fofpiraiTe , Peiifal' tu che per prova intendi emore. Miit.

O i m è ? quefto è '1 dolor eh 1 ogn' altro avanaa.

ATTO

PBIMO.

23i

r.

Ma poioliè dietro al cor perduto ebbe anco I fofpiri perduti e le querele. Voltò pregando alla gran Dea ; fe mai , Ditta, con puro cor Cintia, fe mai Con innocente man fiamma t' acceli, Vendica tu la mia Tono la fede S i bella Ninfa e perfida tradita. Udì del fido amante > e del Tuo caro Sacerdote Diana i preghi e '1 pianto : Tal che nella pietà 1' ira fpirando Fe' lo fdegno più fero ; ond' ella pref» L ' arco -poffente, e faettò nel feno Della mirerà Arcadia non veduti Strali, ed inevitabili di morte. Perian lenza pietà lenza foccorfo D ' ogni feffo le g e n t i , e d' ogn' etate : Vani erano i rimedi, i l fuggir tardo, Inutil 1' arte, e prima che 1' infermo, Spedo 11 eli' opra il medico cadea. licitò fola una fpeme in tanti mali D e l foccorfo del cielo, e s' ebbe tolto A l più vicino Oracolo ricorfo , D a cui venne rifpofta affai ben chiara, Ma fopra modo orribile e funefla ; Che Cintia era fdegnatn, e che placarla Si farebbe potuto, fe Lucrina Perfida ninfa, ovvero altri per lei D i noftra gente, alla gran Dea lì foffe Per man d' Aminta in facrificio offerta. L a qual, poicch' ebbe indarno pianto, e 'ndirno Dal Tuo novo amator foccorfo attefo, F11 con pompa folenne al facro altare Vittima lagrimevole condotta; Dove a qiie' pie che la feguiro invano Già tanto, ai pie dell' amator tradito, L e tremanti ginocchia al fin piegando,

P 4

Dal

IL

PASTOR

Fino

P a i giovine ctudel morte attende». Strinle intrepido Aminta il facro ferro, £ pafca ben che dall' accefe labbia SpnafTe ira e vendetta: indi a lei volto Diflu con un fofpiv nunzio di m o r t e : l)»lla miOria tua , Lucrina , mira Qnal amante feguifti; e qual lafciafti Mirai da quefto colpo: e così d e t t o , Ferì (e flelTa, e nel fen proprio imraerfe T>'tio '1 ferro, ed efangue in braccio a lei Vittima e facerdote in un cadeo. A sì fero fpettacojo, e s» novQ' Jn/tnpidì la mifera donzella Tra viva e morta; e npn ben certa ancora J J ' eiler dal ferro, o dal dolor trafitta; Ma come prima ebbe la voce e '1 fenfo, Dille piangendo: o fido, Q forte Aminta ! 0 troppo tardi conofciuto «msnte ! Che m' hai dato rooreqdp « v i t a , « morte.: Se fn colpa il lateiarti, ecco V ammendo Con T unii teco eternamente 1' alma; 5 quefto detto, il ferro fte(Ta ancora Nel cara fangue tiepido e vermiglio • Tratta ddl morto e tardi arohto petto, J1 f|>o petto tralìfle , e fopra Ani iuta , Ohe morto ancor non era, e fenf) forfè Quel colpo, in braccia fi Ufciq cadere, 'i ni fine cbber gli amanti ;. a tal mifeiia Troppo a m o r , e perfidia amUidue traile, M i f t , O mifero paltor, ma fortunato Gli' ebbe si largo e ej famofa campa D i moftrar la fua fede, e di f ; ma del modo T ha ella detto n u l l a ? Erg. Appunto nulla, E ti dirò perchè : dice Corifea ; Che non può ben deliberar del modo Prima che alcuna cofa ella non fappia Dell' amor tuo più cena» ond' ella poflà •Meglio fpiare e .più (ìcuramante L ' animo della Ninfa; e fappia come Règgevi! o con - preghiere» o . con inganni t Quel che leatat, .quel che latciài' £a buono, B e r t u e l l o folo ,i' t i venia cercando Sì ratto, e farà beni che tu da capo Tutta IV iftoria del tuo amor mi narri; Mirt. Coti appunto farò; ma fappi Ergaflo* Che quella rimembranza £Ah troppo acerba a chi fi vive amando Fuori d' ogni fperanza ) È quafi un agitar fiaccola al v e n t o , Per cui quanto 1' incendio Sempre s' avanza, tanto All' agitata fiamma ella A ftrugge i O fcuoter pungentiflima iaetta Altamente confitta ; Che fe teliti di f v i l l a t k , maggiore Fai la piaga e '1 dolore. Ben cola ti dirò, che chiaramente Fara Veder, comi è fallace e van.a



ATTO

SECÓNDA

Là fpetne degli amanti, e come amoté La radice ha foava, il frutto amato. Nella bella ftagion che '1 eli s' avanza Sovra la notte ([or compiè 1' anno appunto3 Quella leggiadra pellegrina, quello Novo fol di beltade, Venne a far di tua villa, Quali d' un1 altra primavera adorno 11 mio folo per lei leggiadro allora £ fortunato nido Elide, e Pila, Condotta dalla madre, In que' folenui dì, ohe del gran Giovi I facrifici ed i giochi Si foglion celebrar famod tanto, Ter farne a fuoi begli occhi Spettacolo beato; Ma furpn que1 begli occhi. Spettacolo d' Amore D' ogu' altro aliai maggiore : Ond' i o , che fin allora fiamma uraorofa Non avea più Tenuta, Oimè! non così toAo Mirato ebbi quel volto, Che di fubito n' arfi; £ fenza far difefa si primo fguarda. Che mi drizzò negli occhi, Sentii coirei' nel feno Una bellezza imperiofa, e dirmi, Dammi il tuo cor, Mwtillo. Erg• O quanto può ne' petti noftri Amqrp, Ne ben il può faper, fe non eh' il prova, JVUrt. Mira ciò che fa fare anco ne' petti Più (empiici e più molli Amora inJufire : Io fo dal mio penderò una mia o r a Sorella confapevole, compagna Sella mi» cruda Ninfa Quo1

JX

PASTOR

FIDO.

Que' pochi dì eh' Elide 1' ebbe, e Pifa Da quefh fola, come Amor m* infegna Fedel confidilo ed amoiofo ajuto N«V mio bifogno i' prendo: Ella delle Tue gonne femminili Vagamente m 1 adorna, E d' ineitato crin cinge le t e m p i e ; Poi le 'njreccia e le nfìora, E 1' arco e la faretra Al ilaoco mi fofpende, E m* infegna a mentir parola e f g u a r d i , E fejnbianti nel v o l t o , in cui non era C i lanugine ancora Pur un vefti»io fola : E quando ora ne f u e , Seca là mi condtifTe ove folea l . a bella Ninfa diportarfi, e dove Trovammo alcune nobili e leggiadre Vergini di M e g a r a , E di (àngue, e d' a m o r , iìccoipe i n t e f i , Alla mia Dea congiunte : Tra quelle ella fi flava, Siccome fuol tra violette umili Nobiliflìma i o fa ; E poi eh' il) quella guifa State furono alquanto Senz 1 altro far di più diletto o c u r a , Ijevofll una donzella D i quelle di M e g a r a , e così dille : D u n q u e in tempo di g i o c h i , E di palme sì chiare e sì famofe, Starem noi neghittofe? Dunque non abbiam noi Armi da fyr tra noi finte con te fé Così ben come g l i u o m i n i ? forelle, Se '1 mio configlio di feguir v' aggrada,

ATTO

SECONDO*

2S7

Proviam oggi tra noi così da fclierzo Noi le noftr' armi, coma Contra gli n o m i n i , allor che ne £a tempo, L ' uferem da dovero : Bacianne, é fi contenda Tra noi di baci ; e quella che d' ogni a l i n Baciatrice più fcaltra Gli f a p r k d a r più [apojiti e cari, N ' avrà per fua vittoria Quella bella ghirlanda. Rifero tutte alla propella, e tutte Subito s' accordaro, E fi slìdavan molte; e molte ancora Senza che dato lor fofs' alcun fegno, Facean guerra confuta. Il che veggendo allor la Megarefe, Ordinò prima la' tenzone, e poi Difle: de' noftri baci Meritameate fia giudice quella Che la bocca ha più bella. Tutte concordemente Elellev la belli/Iìa Amarilli, Ed ella, i fuoi begli occhi Dolcemente chinando, D i modello roffor tutta fi tinfe, E moftrò ben che non men bella è dentro, D i quel die fia di fuori: O forte che '1 bel volto Avelie invidia all' onorata bocca, E s' adornafle anch' egli Della purpurea Tua pompofa velie. Quali yolede dir : fon bello anch' io. Erg. O come a tempo ti cangiafti in Ninfa Avventurofo e quafi Delle dolcezze tue prefago amante. Poeti Voi.

Vili.

R

Mht.

358

IT PASTOR

FIDO

Ulirt.

Già il Cedeva all' smorofo ufficio belli/lima g i u d i c e , e. fecondo L ' ordine e 1' ufo di Magare, andava Ciafcheduna per forte A far della fua bocca e de1 fuoi baci Frova con quél bolli/lune e divino Paragon di dolcezza: Quella bopca beata, Quella bocca gentil che può ben dirli. Conca d' Indo odorata D i perle orientali e pellegrine! E la parte che chiude , Ed apre il bel teforo Con dolciilìmo mei purpura mifta : Così potefs' io d i r t i , Ergatto m i o , ] i i i e i f t b i l dolòezza Ch' io fendi nel baciarla; M a tn da quelto prendine argomento, Che non la può ridir la bocca itefla Che 1' ha provata : accogli p u r inlierne Quanto hanno i n fe di dolce O le canne di C i p r o , ed i favi U' Ilibla Tutto c nulla rifpetto Alla foavitk eh' indi guftai. Erg. O furto avventurofo , o dolci baci 1 Sflirt. Dolci s ì , ma non g r a t i . Perchè mancava lor la m i g l i o r parte Dell' intero diletto; D a v a g l i Amor, non g l i rendeva Amore Erg. Ma dimmi ; e come ti femilii allora Che di bacciar a te cadde la forte ? Miri. Su quefte l a b b r a , Ergatto, Tutta fen venne allor 1' anima mia ; E la mia vita chiufa In così breve fpazio,

ATTO

SECONDO.

259

Non era altro che un bacio, Onde reitar le membra Quali feuza vigor tremanti e Bocche; E quando i' f u i vicino A l folgorante fguardo, Come quel che fapea Che pur inganno era quell' a t t o , e furto.. Temei la / maeilà di quel bel vifo; M a d' un tereno Tuo v.igo forriio Aificurato p o i , P u r oltre m i fofpinfi : Amor lì flava , Ergafto , Com 1 ape fuol nelle due frefch8~tofe D i quelle labbra afcofo; E mentre ella ii fletta Con la baciata bocca Al baciar della mia Immobile riltretta, L a dolcezza del mei fola guflai. M a poi di' 1 anch' ella.mi s' offeiTe, e poti» L/ una e 1' altra dolciilima fua rofa, ( Foffe o Tua gentillezza, o mia v e n t u r a , So ben che non fu a m o r e ) E fonar quelle labbra, E s' incontraro i noftri b a c i , Qo caro E preziofo mio dolce teforo, T ' ho perduto e non m o r o ? ) Allor fentii dall' amoro fa pecchi* I,a fpina pungenti/lima foave Pacarmi il cor; che forfè M i fu renduto allora Per poterlo ferire. io, poi eh' a morte m i fendi ferito. Come Tuoi difperato, Poco mancò che 1' omicide labbra R 2 Non

2tfo

II

PASTOR

FIDO

Non morderti e fegna/Il; M a m i ritenne, oimè ! 1' aura odorata«' Clie quali fpirto d' anima divina R i f v e g l i ò la modeilia E quel furore e (linfe. Erg. O modeilia moleña Degli amanti importuna. JUi/t. Già fornito il fuo arringo a vea ciafcuna E con fofpenfion d* animo grande L a fentenza attendea: Q u a n d i la leggiadri/lima Amarilli Giudicando i miei baci P i ù di quelli d' ogn' altra faporiti, D i propria man con quella Ghirlandetta gentil che fu ferbatà In premio alla vincitrice, m i cinfe il crine. M a , lalTo ! aprica piaggia Così non arfe mai fotto la rabbia D e l can colette, allor che latra e morde, Come ardeva i l cor mio Tutto allor di dolcezza e di defìo, E più che mai nella vittoria v i n t o ; Pur mi rifcoili tanto Che la ghirlanda trattami di capo A lei porfi , dicendo : Quella a te li convien ; queAa a te tocca, Che felli i baci miei Dolci nella tua bocca. Ed ella umanamente Prefala, al fuo bel crin ne fe' corona, E d' un' altra che prima Cingea le tempie a l e i , cinfe le mie ; Ed ì; quella eh' io porto , E porterò fii» al fepolcro fempre, Arida come v e d i , Per

ATTO

SECONDO.

261

Par la dolce memoria di quel giorno. Ma molto più per fegno Della perduta mia morta fperanza. Erg. Dégno fé' di pietà, più che d* invidia, Mirtillo ; anzi pur Tantalo novello ; „ C h e nel gioco d ' A m o r , chi fa da fcherzo, „Tormenta da do vero : troppo care T i coftar le tue gioje, c del tuo furto E '1 piacer, e '1 caftigo infieme avelli. Ma s' accorfe ella mai di quello inganno? Mìrt. Ciò non fo dirti Ergaito : So ben eh" ella in que' giorni Ch' Elide fu della fua vifta degno, M i fu Tempre cortefe D i quel foave ed amorofo fguardo. Ma il mio crudo dettino L a 'nvolò sì repente, Che me n' avvidi appena: ond' io lafcìando Quanto già di più caro aver folea. Tratto dalla virtù di quei begli occhi, Qui dove il padre mio Dopo tant' anni ancor, come t' è noto. Serba 1' antico fuo povero albergo, Men venni, e vidi Qah mifeio ) già corfo A lem pi temo occafo Queir amorofo mio giorno fereno, Che cominciò da sì beata aurora. Al mio primo apparir fubito (degno Lampeggiò nel bel vifo, Poi chinò gli occhi, e girò il piede altrove Mifero allora io dilli, Quelli fon ben della mia morte i fegni. Avea fentita acerbamente intanto L a non previfta e fubita partita I l mio tenero padre; R 3

E

IL

PASTOR

FIDÒ

E dal dolore oppreiio Ne caddo infermo affai vicino a morte : Ond' io coliretto fui Di ritornar alle paterne enfe. Fu il mio ritorno, ahi lalTo ! Salute al padre, infermitade al figlio, Che d' a moro fa febbre Ardendo, in pochi dì languido venni, £ dall' ufeir che fé1 di Tauro il fole Fin ali 1 entrar di Capricorno, femore In cotal guifa fletti, l ì farei certo ancora Se non avelTe il mio pietofo padre Opportuno configlio All' Oracolo cliiefto; il qual rifpofe, Che fol potea Canarini il cicl d' Aroadia. Cosi tornaimi Ergafto, A riveder colei Che mi [ano del co^po C O voce degli Oracoli fallace ) Per farmi 1' alma eternamente inferma. Erg. Strano cafo nel vero Tu rai n a r r i , M i r t i l l o ; e non può dilli Che di motta pietà non ne fìi degno. „ Ma folo una falute „ Al difperato è '1 difperar falute. £ tempo è già eh1 io vada a far di quanto M ' ai detto confapevole Corifea; Tu vanne al fonte, e lìi m' attendi dove Teco farò quanto più toilo anch' io. Mirt. Vanne felicemente, il ciel ti dia Di coteita pietà quella mercede Che dar non ti pofs' i o , coitefe Ergaflo.

SCF.X A

A T T O

SECONDO.

s c e n a Do,jtINDA,

LUPINO

263

ir. E

SILVIO.

DOT. O ¿el mio bello e d i v i e t a t o Silvio C u r a , e diletto avventinolo e lido; Foia' io si cava al tuo fignor crudele Come fé tu Melampo: egli con quella Candida man eh' a me diltringe i l cuore T e dolcemente lulingando n u t r e , £ teco i l d ì , teco la notte alberga, M e n t i ' io che 1' amo tanto, invan fofpiro, E 'nvano i l prego; e quel che p i ù mi d u o i e , T i da sì cari e sì foavi baci, Cli' un fol che n' avefa' i o , n' andrei beata ; £ per più non poter, ti bacio anch' i o , Fortunato Melampo. Or fé benigna Stella forfè d' amore a me t' i n v i a , Perchè 1* orme di lui mi fcorg intendi? Lup. Intendo. Bor. E non ufcir s' io non ti chiamo. Lup. Tanto farò.-' Dor. Va tolto. Lup. E tu fa tofto, Che fe venitTe fame a quella b e f l i a , In un boccono non mi manicalTe. Dor. O come fe' da poco : su va via. Silv. Dove, roifero m e , dove debb' io Volger più il piede a feguitarti, o caro. O mio fido IVIelampo? ho monte e piano Cercato indarno, e fon già molle e fianco. Maledetta la fera che feguifti. M a ecco Ninfa che di lui novella M i dark forfè : o come male inciampo l Quofta e colei che Ali da fempre noja, Fur foffrir mi bifogna. O bella Ninfa D i m m i , vedetti i l mio fedel Melampo Che teitè dietro ad una damma fcioliì? Dor. Io bella, S i l v i o ? io b e l l a ? Perchè così mi chiami. C i u d e l , fe bella agli occhi tuoi non fono? Silv. Ó bella, o brutta, hai tu il mio can veduto ? A quello m i r i d o n d i , o eh' io m i parto. Dor. Tu fe' pur afpro a chi t' adora, Silvio. Chi c i e d e i i a , che 'n sì foave afpetto FolTe sì crudo affetto? Tu fegui per le felve E per gli alpeftri monti Una fera fugace, e dietro 1' orme D ' un veltro, oimè, t' affanni e ti confumi, E m e , che t' amo s ì , fuggi e difprezzi: Deh non feguir damma fugace, fegui. Segui amorofa e manfueta damma, Cile

ATTO

SECONDO.

Che fenza elTer cacciata, E già pie fa e legata. Siiv. N i n f a , qui venni a ricercar Melampo, Non a perder i l tempo : Addio. Dor. Deh Silvio C r u d e l , non m i f u g g i r e , Ch' i ' ti darò del tuo Melampo nova. Silv. T u m i beffi Dorinda? Dor. Silvio m i o , Per quell' amor che m i t' ha fatta ancella, Io fo dov' e '1 tuo cane ; Noi lafciafti tede dietro a una d a m m a ? Silv. Lateiailo, e ne perdei tofto la traccia. Der. Or i l cane e la damma è in poter mio, Silv. In tuo p o t e r ? Dor. In mio poter : ti duole D' efler tenuto a chi t' adora, i n g r a t o ? Silv. Cara Dorinda mia» dammegli tolto. Dor. V e ' , mobile fanciullo : a che fon g i u n t a , Ch 1 una fera ed un can m i ti fa cara; M a v e d i , cor m i o , tu non 1* avrai Senza mercede. Silv. E ben r a g i o n ; davotti — — — £ Vo' fcliernirla coftei. ) Dor. Che m i d a r a i ? Silv. Due belle poma d' oro che 1' altr' jeri La belliflìma mia madre m i diede. Dor. A me poma non mancano, potrei A te darne di quelle che fon foffe Più faporite e belle, le i miei doni T u non aveflì a fchivo. Silv. E che vorreiti ? Un capro, od una agnella ? ma il mio pac! Non mi concede ancor tanta licenza. Dor. Ne di capro ho vaghezza, ne d' agnella; Te folo, S i l v i o , e 1' amor tuo vorrei. R 6

A66

LI-

PASTOR

FIDO

Siiti. Dor. Silv.

Nè altro vuoi che 1* amor mio ? Non altro. Sì >1 tutto te '1 dono: or dammi dunque, Cara Ninfa, il mio cane o la mia dammi. Dor- O fé fapefll quanto Vale il tefor di che sì largo fembri, £ rifpondefle alla tua lingua il corei Silv. Alcolta, bella Ninfa: tu mi vai Sempre di certo amor parlando eh' io Non fo quel eh* e' fi fìa; tu voi eh' i' t ' a m i , E t' amo quanto pofTo, e quanto intendo : Tu di' eh* i' fon crudele, e non conofco Quel che fia crudeltà, ne fo che farti. Por. O mirerà Dorinda! ov' hai tu pofto Le tue'fperanze, onde foccorfo attendi? In bel à che non fente ancor favilla Di quel foco d' amor, eh* arde ogn' amante? Amorofo fanciullo, Tu fe' pur a me foco, e tu non ardi ; E tu ¿he fpi" amore, amor non fenti. Te fotto nmana forma Di bellifliroa madre Partorì 1' alma Dea, che cipro onora: Tu hai gli Arali e '1 foco ; Ben fallo il petto mio ferita ed arfo : Giungi sgli omeri 1' ali, Sarai novo Cupido So non e' hai ghiaccio il core ; Ne ti manca d' Amor altro eh* amore, Silv. Cile cofa è queito Amore? Livr. S' i' miro il tuo bel vifo, Amove è un paradifo; Ma s' i miro il mio core, È un ihfernal ardore. Silv. Nili fi , non più parole: Dammi il mio cane ornai. DOT.

ATTO

SECONDO.

367

Dor. Silv.

Dammi tu prima il pattuito amore. Dato non tè 1' ho dunque ? oimfe che pena E '1 contentar coilei ! prendilo , fanne Ciò che ti piace: chi te '1 niega o vieta? Che vuoi tu più? che badi? Dor. Tu perdi nell' arena i Temi e 1' opra, Sfortunata Dorìnda. Silv. Che fai ? che peni! ? ancor mi tieni a bada ? Cor. Non così toiio avrai quel clie tu brami, Chfe poi mi fuggirai, perfido Silvio ! Silv. No certo t bella ninfa, Dor. Dammi un pegno. Silv. Che pegno voi? Dor. Ah, elle non ofo dirlo. Silv. Perchè ? Dor. Perchè ho vergogna. Silv. E pur il chiedi. Dor. Vorrei fenra parlar efler intefa. Sitv. Ti vergogni di dirlo, e non avreftl Vergogna di riceverlo; Dor. Se darlo Tu mi prometti, i' te 1 dirò. Sitv. Prometto, Ma vo' che tu me '1 dica. Dor. Ah non m' intendi Silvio mio ben? t* intenderei pur io S' a me il dicefli tu. Sih. Più fcaltra certo Se' tu dì me. Sor. Più calda Silvio, e meno Dì te crudele io fono. Silv. A dirti il vero, Jo non foa initovin: parla fe vuoi Effer ihtefa. ror.

2(58 Dor.

IL

PASTOR

FIDO

O mifera! u n di quelli Che ti dà la tua madre. Silv. Una guanciata? Dor. Una guanciata a chi t' adora Silvio? Silv. Ma careggiar con quelle ella fovente Mi fuole. Dor. Ah fo ben io che non fe vero t E talor non t i bacia? Silv. Ne m i bacia, N è vuol eh' altri mi baci. Forte vorrefti tu per pegno u n bacìo ? T u non rifpondi ? il tuo roiTor t' accufa : Certo mi fono appofto : i 1 fon contento J Ma dammi con la preda il can t u prima. Dor. Me '1 prometti tu Silvio, Siiv. r tei prometto. Dor. r , m e 1' attenderai? Silv. Sì ti dich' i o ; N o n mi dar p i ù tormento. Dor. Elei Lupino. L u p i n o , ancor non odi. Lup. Oh fé' nojofo. Chi chiama ? oh vengo, vengo ; io non dormiva« N o certo ; il can dormiva. Dor. Ecco il t a o cane, Silvio, eh' è più di te cortofe in quello. Silv. O come fon contento. Dar. In quefte braccia Che tanto fprezzi t u , venne a pofarfi. Silv. O dolci/limo ipio fido Melampo! Dor. Cari avendo i miei baci a i mie fofpiii. Silv Baciar ti voglio mille volte e mille, T i fé* fatto alcun mal forfè correndo? Dir. Avventnrofo can, perchè non po{To Cangiar taco mia forte ; a che fon g i u n t a , Che

ATTO Che (la Ma tu , Che fra Lup. Jq t o

SECONDO.

2 69

d' un can la gelofia m' accora? Lupin , t' invia verfo la caccia» poco io ti feguo. , padrona.

S C E N A III. S i l v i o e Dorinda. Silv.

T u . non hai alcun male; al rimanente, Dov' è la damma che promeiTa m' h a i ? "Dar. La vuoi tu v i v a , o m o r t a ? Silv. Io non t' intendo, Com' efler viva p u ò , fé '1 can 1* uccife"ti Dor. Ma Te '1 can non -1' uccife? Silv. E dunque viva. Dor. Viva. Silv. Tanto piti cara e più gradita M i fia cotefta preda ; e fu sì deftro Melampo m i o , che non 1' ha guaita o tocca? Dor. Sol è nel cor d' una ferita punta. Silv. Mi beffi t u , Dorinda, o pur v a n e g g i ? Com1 effer viva può nel cor ferita? Dor. Quella damma fon i o , CrudeliiTinio Silvio, Che fenza efler attefa Son da te vinta e prefa ; * V i v a , fe tu m' accogli , M o r t a , fe mi ti togli. , Silv. E quella è quella d a m m a , e quella preda, Che teftè mi dicevi? Dor. Quefta e non altra; oimè perchè ti t u r b i ? Non t' è più caro aver Ninfa, che f e r a ? Silv. Nè t' ho cara, ne t' amo ; anzi t' ho in odiOf Brutta, v i l e , bugiarda ed importuna. Dor.

I7O

Dar.

11

PASXOR

FIDO

Èqueito il guiderdon, Silvio crudele? È quefta la mercè, che tu mi dai ? Garzoii ingrato! abbi Metanipo in dono, £ me con lui ; che tatto, Pur di' a me torni, i' ti rimetto, e folo De" tuo' begli occhi il fol non mi li nieghi Ti feguirò compagna, Del tuo fido tVlelampo affai più fida; E quando farai fianco, 1" aCciugherò la fronte ; E Covra qtiefto fianco Clie per te mai non pofa, avrai rìprtfe. Porterò 1" armi , porterò la preda ; £ fe ti mancherà mai fera al boTco, Saetterai ,Dorinda : in quello petto IT arco tu tempre efercitat potrai; Che fol come vorrai, Il porterò tua ferva, Il proverò tua preda, E Caro del tuo itral faretra e fegno. Ma con chi parlo? ahi laila, TecO che non m1 arcuiti, e X'ia ten' fuggì ? JVIa fuggi pur: ti fegniia Dot inda Nel crudo inferno ancor, s1 alcun inferno Più crudo aver pofs' io Della fierezza tua, del dolor mio.

SCENA

IV-

COHISCA. O come f.i vorifce i miei di Cestii • Fortuna molto più eh' io non fperai : Ed ha ragion di favorir colei Che fonnacchiof* il Cuo f.. voi non chiede.

A t t o

S e c o n d o .

27»

„ Ha ben ella gran f o n a , e non la chiama „ PoiTente Dea Terza ragione i l mondo ; ,, Ma bifogna incontrarla, e falle vezzi» ,, Spianandole il fenderò : i neghitcofi „ Saran di rado fortunati mai. Se non m' avelie la mia induilria fatta Compagna di colei, che potrebb* or» Giovarmi una sì commoda e ficura Occofion di ben Condurre a fine t i mio penlier ? avria qualch' altra fciocc» La fua rivai fuggita, e fegni aperti Della Tua gelolia portando in fronte, Di mal occhio guatata anco 1' avrebbe; E male avrebbe fatto, eh' affai meglio „ D a l l ' aperto nimico altri fi guarda, „ C h e non fa dall' occulto. 11 cieco [coglia „ E quel fch* inganna i marinari ancora »,I'ifi faggi: chi non fa finger 1' amico, „ Non è fiero nemico. Oggi vedrafli Quel che fa far Corifea; ma sì feiocca Non fon io g i k , ohe lei non creda amante. A qualch* un altro fi farà creder forfè, Che poco fappia: a me non g i k , che fono Mneftra di quelt' arte. Una fanciulla Tenera e femplicetta, che pur ora Spunta fuor della buccia, in cui pur dianzi Stillò le prime fue dolcezze Amore, Lungamente feguita e vagheggiata D a sì leggiadro amante; e quel eh' è p e g g i o , Baciata , e ribaciata ; e Aarà falda ? Patzo è ben chi Co 1 crede, io già no '1 credo; M a vedi i l mio deftin come m' a i t a ; Ecco appunto Amarilli: i' vo' far viila D i non vederla« e ritirarmi alquanto.

SCENA

372

IL PASTOR

SCENA AMARILLI

FIDO

V.

E CORISCA.

Amar. Gate fetve beate, E voi folinghi e taciturni orrori, Di ripofo e di pafce alberghi veri. O quanto volontieri A rivedervi i' tomo! e te le ftelle M ' avefler dato in forte D i viver a me fteffa, e di far vita Conforme alle mie voglie; Io g i i co' campi Eliti Fortunato giardin de' Semidei, La voftra ombra gentil non cangerei. „ Chfe fe ben dritto miro „ Quelli beni mortali, ,, Altro non fon che mali :

„ Men ha chi più n' abonda ; „ E pofleduto è più chi non polliede, „Richezze no, ma lacci „ Dell' altrui liberiate. „ phe «•al ne' più verdi anni ,, Titolo di bellezza , „ O fama d' onettate, „ E 'n mortai fangue nobilà celefle? „ Tante grazie del cielo e della terra : „ Q u i larghi e lieti campi, „ E là felici piaggie, „Fecondi pafchi, e più fecondo armento, „ S e 'n tanti beni il cor non è contento? Felice paftorella, Cui cinge appena il Ganco Povera s ì , ma fcliietta E candida gonnella :

ATTO

SECONDO.

Ricca fol di fe ftefla, E delle grazie di natura adorna. Che 'n dolce povertade Nè povertà conofce, nfe i difagi P e l i « richezze ferite ; Ma tutto quel poifiede, Per cui delio d' aver non la tormentai Nuda s ì , ma contenta. Co' doni di natura I doni di natura anco nudrica : Col latte il latte avviva, E col dolce dell' api Condifce il mei delle natie dolcezze: Quel fonte ond ella b e v e , Quel [olo anso la bagna e la configli«; Paga lei, pago '1 mondo : Per lei di nembi il ciel s' ofeura indarno » E di grandine s' arma. Cliè la Tua povertà nulla paventa: Nuda s ì , ma contenta. Solo una dolce c d' ogn' affanno fgombra Cura le ila nel core : Pafce le verdi erbette L a greggia a lei commefla; ed ella pafce De' Tuo' begli occhi il paitorello amante; Non qual le deltinaro O gli uomini, o le il«Ue; Ma qual le diede Amore, E tra l' ombrofe piante D' un favorito lor mirteto adorno, Vagheggiata il vagheggia ; ni; per lui Sente foco d' amor eli« riou gli [copra, Ned ella feopre ardor, eh1 egli non finti Nuda s ì , ma contenta O vera vita, die non fa che Ga Morire inanzi morte ; Petti VoL Vili. S

«74

Ir. P A S T O R

FIDO

Potefs' io pur cangiar teco mia f o r t e ! M a vedi la Corifea. Il ciel ti g u a r d i , Dolci/Tìma Corifei,

Cor

Chi mi chiama V O più degli occhi m i e i , più del'a vita A me cara A m a r i l l i ; e dove vai Così Toletta? Amar. In iieiTun'' altro l o c o , S e non dove mi t r o v i , e d o v e meglio Capitar non p o t e a , poiché ti trovo. Cor. T u trovi chi da te non parte m a i , Amarilli mia d o l c e , e di te flava Pur or perniando, e fra '1 m i o cor dicea : S ' io fon r anima Tua, come p u ò ella Star fenza me sì l u n g a m e n t e ? e 'n quello T u m i fé' fopraggiunta anima m i a ; M a tu non i m i piìi la tua Corifea. Amar. E perchè ciò ? Cor. Come perchè ? tu '1 c h i e d i ? O g g i tu fpofa. Amar. Io fpofa ? Cor. S ì t u fpofa, E d a me no '1 palefi. Amar. E come poflb Palefar quel che non m* è n o t o ? Cor. Ancora T u t' i n f i n g i , e m e *1 neghi. Amar. Ancor m i b e f f i ? Cor. Anzi tu beffi me. Amar. D u n q u e m' affermi Ciò tu per v e r o ? Cor. Anzi te '1 g i u r o ; c certo N o n ne fai nulla t u ? Amar. So che promefTa Già f u i , ma non fo g i à che sì vicine Sien le mie nozze ? e t u da ohi '1 fapeili ?

ATTO Cor.

SECONDO.

«75

Da mio fratello Ormino, eìTo 1' ha intef» Dice da m o l t i , e non lì parla d' altro. Par che tu tene turbi : è forfè queita Novella da turbarli? Amar. Gli è un gran palio, Corifea; e già la madre mia mi dilla Che quel dì lì rinafee. Cor. A miglior vita Si rimtfce per certo ; e tu per quelto Viver lieta dovrefti: a che fofpiri? Lafcia pur fofpirar a quel mefcliino. Amar. Qual me (chino ? Cor. Mirtillo , clic trovo/li Piefeate a ciò che '1 mio fratel mi dilli ; E poco men che di dolor no 1 vidi Morire ; e certo e' fi moriva, »' io Non T svettai foccorfo, promettendo D i iiurbar quefte nozze : e benché tutto Dicefli fol per fuo conforto, io pure Sarei donna per farlo. Amar, E ti darebbe L.1 animo di fiurbarle ? Cor. E di che forte ! Amar. Come ciò farefti ? Cor. Agevolmente, Pur che tu ti difponga, e ci contenta. Amar. Se oiò fperaflì, e la tua fè mi delti D i non 1' appalefar, ti feovrirei Un penfier che nel cor gran tempo afeondo. Cor. Io palefarti m a i ? »praß prima La terra, e per miracolo in' inghiotta. Amar. Sappi, Corifea m i a , che quand' io penfo Ch' r debbo ad un fanciullo efler foggetta, Che m' ha in odio e mi fogge, e eli' altra cura Non ha che i bofclii, e eli' una fera e un cane Stima più che 1' amor di mille nini« ; s 2 niu

ÍR

PASTOR

FIDO

Mal contenta ne vivo, e poco meno Clie difperata ; ma non ofo a dirlo , Sì perehè 1* oneltii non me '1 comporta, Sì perchè al padre mio n* ho di già data, E quel eh' è peggio, alla gran Dea, la fede Che fe per opta tua , ma però tempre Salva la fede mia. falva la viti E la religione, o 1' oneftate, Troncar di quello a me sì grave nodo Si potefTer le fila, oggi fareflt Tu ben la mia falute, e la mia vita. Se per quello fofpiri, hai gran ragione, Amarilli; deh quante volte il diifi: Una cofa sì bella a ehi la fprezza? Sì ricca gioia a chi non la conofce? Ma tu fe' troppo favia a dirti il vero, Anzi por troppo fciocca; e che non parli? Chè non. ti laici intendere ? Amar. Ho vergogna. Cor. Hai an gran mal forella : io vorrei prima Aver la febbre, il fittolo, la rabbia ; Ma credi a me, la perderai tu ancora Aitiarilli sì ben: baita una fola Volta che tu la fuperi e rinieghi. Amar. Vergogna che 'n altrui ftarapò natura „Non fi può vinegur; che [e tenti „ Di caccia-ria dal -cor, (ugge nél volto. Cor. , , O Amarilli mia, chi troppo favia „Tace il fuo male, al fin da pazza il grida. Se quello tuo peniiero aveiR prima Scoperto a me, farefti fuor d' impaccio. Oggi vedrai quel che fa far Corifea: Nelle più faggie man, nelle più fide Tu non potevi capitar. Ma quando Sarai per opra mia già liberata Cor.

A t t o Secondo,

277

D ' un cattivo marito , non vorrai D ' un buon amante provederti? ¿Amor. A .quello Penferemo a beli' agio. Cor. Veramente Non puoi mancare al tuo fedel M i r t i l l o ; £ tu fai pur s' oggi è paftor di liii, Ne per valor iiè'^)er fincer.i fede» Nfe per beltà, dell' amor tuo piii degno. E tu '1 lafci morire £ali troppo c r u d a ) Senza che dir ti polTa almeno, io moro ? Afcoltalo una volta. Amar. O quanto meglio Farebbe a darH pace, e la radice Sveller di quel delio eli1 è fenza (perno. Cor. Dagli quefto conforto anzi ohe moja. Amar. Sarà piuttosto un raddoppiargli affanno. Cor. Lafaia di queiio tu la cura a lui. Amar. E di me che farebbe fe mài quefto Si rifapeiTe ? Cor. O quanto hai pcco cuore. Amar. E poco fia, pur eh' a borni mi vaglia. Cor. Amarilli, fe lecito ti fai D i mancarmi tu in queito , anch' io ben pollo Giuftamente mancarli addio. Amar. Corifea, Non ti partir, afcolta. Cor. Una parola Sola non udirei, fe non prometti« Amar. T i prometto d' udirlo, ma con quefto, Ch' ad altro non mi aftringa. Cor. Altro non. chiede. Amar. E tu gli facci credere ehe nulla Saputo i ' n' abbia. Cor. Moftrerò che tutto Abbia portato il cafo. S 3 Amar.

273

PASTOR

FIDO

Amar. E eh' indi porta Partirmi a mio piacer, n i m i contraili. Cor. Quando ti piacerà, pur che 1* afcolti. Amar. E brevemente li fpedifea. Cor. E queito Ancora fi farai. Amar. Ne m i »* accodi' Quanto % lungo i l mio darde. Cor. Oiroè che pena M ' è oggi i l lifoTmar cotefta tua Semplicità ! fuor che la lingna ogni altro M e m b r o g l i legherò, sicché Giura Star no p o t r a i ; vuoi a l t r o ? Amar. Altro non voglio. Cor. E quando i l farai t u ? Amar. Quando a te p i a c e , Pur che tanto di tempo or m i conceda 1 Ch* io torni a cafa, ove d i quefie mazza M i vo' m e g l i o informar. Cor. V a n n e , ma guarda I>i farlo accortamente; or odi quello Ch' i o vo pcn fondo, eh* oggi fu *1 m e r i g g i » Qui fota fra queil' ombre e Cena' alcuna Delle tue ninfe tu tea v e n g h i , dove M i troverò per queito effetto anch' i o : M e c o faran N e r i n a , Aglauro , Elifa, E F i l l i d e , « L i c o r i , tutte mie Non meno accorte e faggie che fedeli E fegrete compagne: ove con loro Facendo tu come fovente i n o l i . I l giuoco della cieca, agevolmente M i r t i l l o crederà, che non per l u i , Ma per diporto t u o ci Ci venuta. Amar. Quefto m i piace affai ; ma non vorrai Che quelle ninfe fodero prefenti Alle parole di M i r t i l l o : f a i ? Cor.

A T T O

S E C O N D O .

CSr,

T ' intendo; e ben avvili, e fia mia cura Che t u di qaefio alcun timor non aggi»; Ch' io 1« farò fparir quando fia tempo. Vattene p u r , e ti ricorda intanto 1}' amar la tua fedeliilima Corife». Amar. Se poitó ho it cor nelle Tue m a n i , a lei Starà di farli amar quanto le piace. Cor. Parti eh' ejla Aia falda? a quella rocca Maggior forza bifogna : s' all' all'alto Delle parole mie p u ò far difefa , A quelle di Mirtillo certamente Refifter non potrà. So ben anch' i o Quel che nel cor di tenera fanciulla Follano i preghi di gradito amante. Se ridurci fi lafcia a tal partito, L a fliingerò ben io con quello gioco, Che ,non 1' avrà da gioca ; ed io non folò X)alle parole f u e , voglia o non voglia, Potrò fpiar; ma penetrar ancora Fin r interne vifeere il fuo core s Come quello abbia in ma/no, e già padróna Sia del fcgreto f u o , farò di lei Ciò che vorrò fenza fatica alcun»', E condurrli la a quel clie hr.'jmo, in guifa CU' ella itefla nati eh' a l t r i , agevolmente Creder p o t r à , che 1' abbia a ciò condotta Il fuo sfrenato amor» non 1' aite mia.

S C E N A CORISCA.

E

Ti. SATIRO»

Cor. Oimè toh morta, ¿et. Ed io fon vivo.

$4

28o Cor.

Ix

PASTOR

FIDO

Torna « Toi'qa Amarilli m i a , che prefa i' fono. Sat. Amari Hi non t' ode : a quella volta Ti converrà ftar falda. Cor. Oimè le chiome ! Sat. T ho pur sì lungamente attefa al varco. Che nella rete fé' caduta; e fai Quello non è il mantello e '1 crin, Corifea. Coir. A me Satiro? Sat. A t e , non fe' tu quella' Corifea tanto famofa ed eccellente Maeiha di menzogne, che mentite Parole'tle e fperanze, e Unti fguardi Vendi a t i caro prèzzo: che tradito M ' hai in tanti m o d i , e dileggiato fenrpre, Ingannatrice e peiErni» Corifea? Cor. Gy v«il ; ma come il fangue Fuor non ne fpico» V deh che miro ? o (ciocco 0 mentecatto ! fenza capo lei ? Senza capo fe' tu ; chi f i d e mai Uora di te più fchernito ? or vedi «' ella Ha faphto f u g g i r , quando tu meglio 1 a prnfavi tenere? perfida maga, Non ti badava aver mentito il core, E '1 volto, e le parole, e '1 r i f a , e '1 guardo, S' anco il crin non m e n t i v i ? ecco Poeti, Quefto è 1' oro native , e 1' ambra pura Che

ATTO

SECONDO.

C h e pazzamente v o i l o d a t e : ornai Ai-rodi te i n f e n f a t i , • ricantando V o f t r o f o g g e t t o , in quella Vece fia L 1 arte d' una i m p u r i l l ì m a e m a l v a g i » I n c a n t a t i l e , che i fepolcri f p o g l i a , E dai fracidi Icfchi i l ctin furando , A l Tuo T intefle, e così ben 1 a f c o n d e , Cile v 1 ha fatto lodar q u e l , che a b b o r r i r e D o v e v a t e affai pit't che di Megera L e viperine e moftruofe chiome. Alitanti, or non fon qnefti j v o f t r i n o d i ? M i r a t e , e v e r g o g n a t e v i mefchini. E te, c o m e v o i d i t e , i voftri cori S o n p u r q u i r i ' e n u t i , ornai ciafcuno Potrà [enti fofpiri e fenza pianto R i c o v e r a r il filo M a che p i ù tardo A pubblicar le ftie v e r g o g n e ? certo N o n f u m a i sì f amo f a , ne s ì chiara l , a c h i o m a , eh' è l a fu con tante f i e l i « O r n a m e n t o del c i e l , c o m e Ile quella Per la m i a l i n g u a , m o l t o p i ù c o l e i , Che la p o r t a v a , eternamente i n f a m a .

CORO. Ah ben f u di colei g r à v e 1* e r r o r e , ("Camion del noftro m a l e ) 4 C h e le l e g g i fanti/lime d' A m o r e , D i tè m a n c a n d o , oflefe. l'.vftia eh' i n d i a' accefe D c d l i i m m o r t a l i D e i 1' ira m o r t a l a C h e per l a g r i m e a f a n g u e D i tante alma innocenti ancor n o n làngtif : C o s ì la fè di ogni v i r t ù r a d i c e , E d 1 o g n ' alma ben nata unico f r e g i o , P

286

l i . PASTOR FIDO

L a fu fi titn i n pregio. Così di farci a m a n t i , onde felice Si fa noftra n a t u r a , L ' eterno amante h a cara. Ciechi mortali, voi che tanta fete D i poiTedere avete, L ' urna amata guardando D'un cadavero d* o r , quali nud' ombra Che vada intorno al filo fepolcro errando; Qual amore o vaghezza D ' una morta bellezza i l cor v* i n g o m b r a ? ' ,, Le richezze e i tefori ,, Son infestati amori ? il vero e v i v o „ A m o r dell' alma è 1' a l m a : ogn' altro o g g e t t o , ,, Perchè (V amare è privo, „ D e g n o non è dell' amorofo affetto. , , L ' a n i m a , perchè folo è riamante, „ Sola è degna ti' a m o r , degna d' amante. Ben è foave cofa Quel bacìo che li prende Da una vermiglia e delicata rota D i bella guancia; «ppuc chi '1 vero intende, Com' intendete voi Avventuroli A m a n t i , eh' il provate. Dirà che quello è morto bacio a cui L a baciata beltà bacio nou rende ; M a i colpi di due labbra innamorate. Quando a ferir li va bocca con bocca, E che i n punto (cocca Amor con iòavilfima vendetta L ' una e 1' altra faetta, Son veri b a c i ; ove con giafte voglifc Tanto fi dona a l t i u i , quanto fi toglie. IUci pur bocca curiofa e fcaltra O feno, o fronte, o m a n o : unque non ila Ciie parte alcuna i u bella donna baci, Clio

ATTO

SECONDO.

T2Ì7

Che bacSatrice Ha Se non la bocca, ove 1' un 1 alma e 1" altra Corre, e ti bacia anch' e l l a , e con vivaci Spiriti pellegrini D.'i vita al bel teforo De' baciami rubini : Sicché parlati tra loro Quegli animati ( e fpiritof! baci Gran cofe in picciol fuono E fegreti dolcidìmi, che fono Alloi folo palei!, altrui celati. Tal gioja amando prova : anzi tal v i t a , Alma con alma unita ; ,, E fon come d'- amor bici baciati ,, Gli incontri di duo 1 cori amanti amati.

ATTO

2gg

I I

F A S t o h

A T T O

FIDO.

T E R . Z O .

S C E N A

r.

M I R T I L L O .

u Primavera, gioventit dell' a&nD, Bella madre di fiori D ' erbe novelle, e di novelli amorit T u tO^ni ben, ma teco N o n tornano i fereni £ fortunati dì delle mie gioje : T u torni b e n , tu torni ; Ria teco altro non torna, Che del perduto mio caro teforo L a rimembraiiEa mi fera e dolente, T u quella fé* » tu quell» eri p u r dianzi sì tfeziofa e bella t ftia non io già quel eh' un tempo f u i Sì caro agli bechi altrui, ,, O dolcezze amariflìme d' amore I „ Q u a n t o è pili duro perdervi, c i » m a i „ N o n v' aver o provate, O poQedute. „ Come faria 1' amar felice flato, „ Se '1 già goduto ben non fi petdefiìt, „ O quando -egli li perde» „ Ogni memoria ancora Del dileguato ben fi dileguaQe; Ma Te le mie fperanze oggi non I o n i , Com' è 1' ufato Ipr di fragil Vetro ; O le maggior del vero

A T T O

TERZO.

N o n fa la fperae i l deliai* foverchio > Q u i pujr vedrò colei CL' e '1, ibi degli occhi m i e i ; È s* altri.non m' inganna. Q u i p u r vedrolla al fuou de" miei fofpiit Fermar il pie fagace. Qui pur dalle dolcezze D i quel bel volio avrà foave c i b o , N e l fuo lungo d i g i u n , 1' avida vifta : Q u i pur vediò queir empia Girar inverfo me le luci altere, Se 11011 d o l c i , almen fere; E (e non cardie d' amovof» g i o j a , Sì crude alm^n, eh' i' moja. I l o lungamente fofpiratp invàno , A v v e n t u r o f o d ì , fe dopo tanti Folcili giorni di pianti T u m i concedi. A m o r , J ì veder o g g i N e begli occhi di lei Girar fereno il fol degli occhi miei. Ma qui mandommi E i g a f t o , ove m i diiTe CU' elTer doveajio iniieme Corifea e la bellifllma A m a i i l l i , Per fare i l gioco della cieca; eppure Qui non veggio altra cieca, Che la mia cicca v o g l i a , Che va con 1' altrui feorta Cercando la Tua l u c e , e non la trova: O pur frappofto alle dolcezze mie U n qualche amaro intoppo N o n abbia i l mio dettino invido e crudo. Quella lunga dimora D i paura o d' allarmo il cor m ' iugombi „ C h ' un fccolo agli amanti „ P a r ognora che tardi ogni momento „ Quell' afpettato ben che fa contento, l'uetì Voi. VIU. T

LI PASTOR

FIDO

M a chi « a ? troppo tardi Son fora' io g i u n t o , e qui m* avrà Corifea Fors' anco indarno lungamente attelo. F u i pur anco follecito a partirmi 1 O i m è , Ce quello è vero, i ' vo' morire.

S C E N A ADIARILLI,

II.

MIRTILLO,

NINFE

E

CORO

DI

CORISCA.

Amar. Ecco la cieca. JVlirt. Eccola appunto, ahi villa ! Amar. Or ebe fi t a r d a ? JVlirt• Ahi voce che m' hai ptinto E fanato in un punto. Amar. Ove f e t e ? che f a t e ? • t u , L i f e t t a , Che fi bramavi il gioco della cieca, Che b a d i ? e tu Corifea ove fe' i t a ? Mirt. Orsi che il può d i r e , Ch' Amor' fe cieco, ed ha bendati g l i occhi. Amar. Afcoltatemi voi Che '1 fentier m i feorgete, e quinci e quindi M i tenete per man ; come fie-n giunta L* altre uolire compagne, Gu'datemi lontau da quelle piante Ov' h m a g g i o r il v a n o , e q u i v i fola Lafciandomi nel mezzo, Ite con 1' altre in fchiera, e tutte infieme Fatemi cerchio , e s' incominci il gioco. Mirt. Ma che farà di me ? fin qui non v e g g i o Qual m i polTa venir da quello gioco Commodità che 1 mio delire adempia ; Ne fo veder Corifea, Ch' è la m i a T r a m o n t a n a , i l ciel m ' aiti. Amur.

ATTOTSRZO.

391

Amar. Al fin fete venute; e che penfaftl Di 11011 far altro che bendarmi gli occhi? Pazzarelle che fete. Or cominciamo. Coro. Cieco Amor non ti cred' i o , „ Ma fai cieco '1 delio „ D i chi ti crede, „ Che s' hai pur poco villa, hai minor fede. Cieco, o no, mi tenti invano, E per girti lontano Ecco m' allargo ; Che così cieco ancor vedi più d' Argoi Così cieco m' ingannaci. Or che vo fciolto, Se ti crederli p i ù , farei ben (tolto. F u g g i , fcherza pur fe f a i . Già non farai tu mai Ch 'n te mi lidi ; Perchè non fai fcherzar, fe non ancidi. Amar. Ma voi giocate troppo largo, e troppo Vi guardate da rifchio : Fuggir bifogna sì, ma ferir prima. Toccatemi, accodatevi, che fetnpre Non ve n' andrete fciolte. Mirt. O fonimi d e i , che m i r o ? o dovo fono, In cielo o 'n terra? o cieli I voltri eterni g i r i lfan sì dolce armonia? le voftre Aelle Han sì leggiadri afpetti? Coro. Ma t u , pur perfido cieco M i chiami a fcherzar teco, Ed ecco fcherze, E col pie f u g g o , e con la man ri sferzo; E corro e ti percoto, E tu t' aggiri a voto. T i pungo adora adora, Nè tu mi prendi ancora T 2

O

293

IE

PASTOR

FÍDO

O cieco Amore, Perchè libero h o '1 core. Amar. In buona f è , Licori » Cli' i' m i p t n f a i d' averti prefa, e trovo D ' aver prefa una pianta.: Sento ben che tu ridi. Mirt. Dell fefs' i o . q u e l l a .pianta! Or n o n vegg' io: Corifea T r a quelle fratte afeofa?, è della certo; E non fo che in" accenna. Che UOA i n t e n d o ; e p u r m ' accenna ancora. Coro. Sciolto cor fa piè f u g a c e : O lulìnghier fallace Ancor n»' 'alletti A - tuo' vezzi m e n t i t i , a' tuoi d i l e t t i ? E p u r di nuovo 1' l'iedo-, E g i r o , e f u g g o , e fìedo., E torno > e non m i p r e n d i , E Tempre ùivau- m ' attendi.. O cieco A m o r e , Perchè-libero h o '1 core. • Amar. O furti fvelta , maledetta p i a n t a , Che p u r anco ti prendo Q u a n t u n q u e i)n' altra al brancolar m i Cembri, Forfo eh' i ' non credei d* averti colto Sicura al varco a quella volta Elifa ? fljirt. E pur- anco n o n cella D ' accennarmi C o r i f e a , e si fdegnofa, Che fembra minacciar : vorebbé. forfè Che mi niifcluaffi anch' io tra quelle N i n f e ? Amar. D u n q u e giocar debb' io T u t t ' o££Ì ctfn le piante 1 Cor. Hi fogli a p u r che mal m i o grado i* parli Ed efc.i della buca: Prendila d.i pochifllmo, che b a d i ? CU' ella ti corra in braccio ?

ATTO

T e r z o .

O lafeiati al meri prendere, fa dammi Catello dardo, e valle incontra (ciocco. Mirt. O come mal «' accorda L 1 animo col defio, Sì poco ardi Ice il cor che tanto brame. Amar. Per quefta Tolta ancor tornili al gioco, Chfc fon già fianca, e per mia fc voi fete Troppo indifcrrte a farmi correr tanto. Cori, Mira nnme trionfante, A cui dà il mondo amante Empio tributo. Eccol' oggi derifó, eccol battuto Sì come ai l'ai del fole Cieca nottola fu o l e , Ch' alisei mille ha d' intorno Che le fan guerra o f00ino, E d ella picchia Col becco invano, e »' erge e fi rannicchia ; Così fe' tu beffato Amore in ogni lato: Chi 'l tergo, 'e chi le goto T i itimola e percote, E poco Tale, Perchè ftendi gli artigli, o batti 1' ale. „ G i o c o dolce ba pania amara; „ E ben 1' impara „ Augel che vi s' invefea : „ Non fa fuggir Amor chi fico ttefea.

S C E N A A M À B I L L I ,

CORISCA

HI. E

M I R T I L L O .

Amar. A f i t' ho colta, Agl.mro: T u TOÌ FUGGII ? T" abbracieró $Ì {fretta. T 5

Cor.

294

PÌSTOR

FIDO

Certamente fe contra Non gliol P aveffi allo 'mprovvifo fpinto Con sì grand' urto, faticava invano Per far eh' egli vi gifle. Amar. Tu non parli, fe' defla? Cor. Qui ripogno il fuo dardo e nel célpugUo Torno per ofTervar ciò che ne fegue. Amar. Or ti conofco s ì , tu fe' Corifea, Che fe' sì grande e fenza chioma; appunto Altra ohe te non volev' io per darti Delle pugna a mio fenno. O r te quefto, e queft" altro, E queft anco, e poi quefto ; ancor non parli ? Ma fe tu mi Iegafti, anco mi fciogli, E fa tofto cor m i o , Ch' i vo' poi darti il più foave bacio Ch' aveiG mai: che tardi? Par che la man ti tremi? fe' sì fianca? Mettici i denti, fe non puoi con 1' ugna. O quanto b ' melenfa. Ma lafcia far a me, che da ine fletta M i leverò d' impaccio. O r ve' con quanti nodi M i Iegafti tu ftretta? Se può toccar a te 1' elTer la cieca. Son pur ecco fbandata. Oimè ! che veggio ? Lafciami traditor, oimè! fon morta. 1Vlirt. Sta cheta anima mia. Amar. Lafciami dico : Cor.

Lafciami. Così dunque Si fa forza alle Ninfe? Agiamo, Elifa. Ah perfide, ove fete? Lafciami traditore. Mirt. Ecco t i lafcio. Amar. Queft' i un inganno di Corifea, or togli Quel che n1 hai guadagnato. Mirt.

AYTO Mirt.

TERZO.

295

Dove f u g g i crudele? Mira almen la mia morte; ecco m i piCb Con quello dardo i l petto. Amar. Oimè, che f a i ? Mirt. Quel che forfè ti pefa Ch' altri faccia per te Ninfa crudele. Amar. O i m è ! fon quali morta. Mirt. £ fe queir opra alla tua man fi deve. Ecco '1 ferro, ecco '1 petto. Amar. Ben i l meriterefti, e chi t' ha dato Cotanto a r d i r , prefontuofo ? Mirt. Amore. Amar. Amor non è cagion d' atto villano. Mirt. Dunque in me credi a m o r e , Poiché difcreto f u i ; che fe prendeiti T u prima m e , fon io tanto men degno D ' e (Ter da te di villania notato. Quanto con sì vezzofa Commodità d' eller ardito ; e quando Potei le leggi ufar teco d' a m o r e . F u i però ù difcreto, Che quafi mi fcordai d' elTer amante. Amar. Non mi rimproverar quel che fei cieca. Mirt. Ab che tanto più cieco Sou io di t e , quanto piti fon amante. Amar. Preghi e Infingile, e non inlìdie e furti „ Ufa i l difcreto amante. Mirt. Come felvaggia fera Cacciata dalla fame Efce dal botco e 1 peregrino affale; T a l i o , che fol de' tuoi begli occhi v i v o . Poiché 1' amato cibo O tua fierezza, o mio deftin m i nega ; Si famelico amante Ufcendo oggi de' bofchi ov 1 io fofferiì Digiun mifero e l u n g o , T 4 Quell*

z noi'fai, crudele, Chiedilo a queite felve Ohe tei diranno, e tei diran con effe Le fere loro, ei duri fterpi, e faflì Di qnefii alpeitri monti, Ch' i' ho sì fpelTe volte Inteneriti al fuon de1 miei lamenti. Ma che bifogna far cotanta fede Dell' amor mio, dov' e bellezza tanta? Mira quante vaghezze ha '1 ciel fereno, Quante la terra ; e tutte Raccogli in picciol giro, ìndi vedrai £.' alta neceflìtà dell' arder mio. E come 1' «equa feende, e '1 foco fale Per fua natura, e 1' aria Vaga, * pofa la terra, e '1 cicl s* aggira, Così naturalmente a te s' inclùi:;i, Come a fuo bene, il mio penfiero , e COITO Alle bellezze amate Con ogni affetto fuo 1* anima mia ; £ chi di traviarla Dal caro oggetto fuo forfè penfatle. Prima torcer poma Dall' ufato camino, - o cielo e terra. Ed acqua, ed aria e foco, E tatto trac dalle fue fedi il monda. Ma perchè mi comandi Cli' io dica poco £ ah -cruda ) Poco dirò, g' io dirò lol, eli' io moro, E men farò morendo, S' io miro a quel che del mio ftrazio brami ; Ma farò quello, oimè, che fot in' avanza Miferamentc amando : T 5 Ma

¡298

ILPASTOR

FIDO

M a poich' io farò morto, anima cruda. Avrai tu almen pietà delle mie pene? JDeli bella e cara, e t i foave un tempo Cagion del viver mio» mentre a Dio piacqa«, Volgi una volta; v o l g i Quelle ftelle amornfe Come le vidi m a i , così tranquille E piene di pietà, prima eh1 io moja, Che 11 morir mi fia dolce ; E dritto % ben, che Te mi furo un tempo Dolci legni di v i t a , or fien di morte Que1 begli occhi amoroii, E quel foave fguardo Che mi feorfe ad amare. M i feorga anco a morire; E chi fu T alba mia Del mio cadente d ì , 1' efpero or fia. Ma t u , più che mai dura, f a v i l l a di pietà non fenti ancora, Anzi t' innafpri p i ù , quanto più prego. . Così lenza parlar dunqua m ' afcolti? A chi parlo, infelice, a un muto m a r m o ? S' altro non mi vuoi d i r , dimmi almen, mori, E morir m i vedrai. Quefta è ben, empio amor, mi feria eftrema, Che sì rigida Ninfa, E del, mio fin sì v a g a , Perchè grazia di lei Non fia la morte m i a , morte m i n e g h i , Ne mi rifpondi; e 1' armi D' una fola fdegnofa e cruda voce Sdegni di proferire Al mio morire. j t m a r . Se dinanzi t' avefs' io Fromeflo di rifponderti, ficcome X>' afcoltar ti premili ; Qual.

ATTO

TERZO*

29Y

Qualche giufta cagion di lamentarti Del mio iìlenzio avreili. T u mi chiami crudele, imaginando Che dalla ferità improverata Agevole ti Ila forfè il ritrarmi Al ftto contrario affetto. Ne fai tu, che 1' orecchie Così non m i lulìnga il fuon di quelle Da me sì poco meritate, e molto Meno gradite l o d i . Che m i dai di beltà, come mi gioVa Il fentirmi chiamar da te crudele. eiTer cruda ad ogn' altro Già noi nego]) % peccato: „ A l l ' amante è v i r t u t e , „ E d è vera oneftate „Quella che 'n bella donna „ C h i a m i tu feritate; M a fia come tu vuoi peccato e biafimo L* effer cruda all' amante, or quando mai T i fu cruda A m a r i l l i ? Forfè allor che giuftizia Stato farebbe il non ufar piegate? E pur teco 1' ufai Tanto, eh' a dura morte i ' ti fottra/G : Io dico a l l o r , che tu fra nobil coro D i vergini pudiche, Libidinofo amantp Sotto abito mentito di donzella T i mefcolafti, e i puri fcherzi altrui Contaminando ardifti Mifehiar tra fìnti ed innocenti baci, Baci impuri e lafcivi, Che la memoria ancor fe ne vergogna; M a fallo il ciel, eh' allor non ti conobbi, E che poi conofciuto, Sde-

300

IE PASTOR

FIDO

Sdegno n' e b b i , e fevbni Dalle lafcivie tue 1' animo intatto, JSiè lafciai che corvelTe L,' amoro(b veneno al cor pudico; •Ch' al fin non violafti, Se non la fommità di queite labbia. ,, Cocca baciata a forza , „ S e '1 bacio fpnta, ogni vergogna ammorza. Ma dimmi t u , qual frutto avrefti allora Dal temerario tuo furto raccolto. Se t* avefs'' io fcoperto a quelle n i n f e ? Non fu f u i r Ebio mal S ì fieramente lacerato e morto Dalle donne di T r a c i a , i l Tracio Orfeo; Come flato dà l o r o , Sarefti t u , fe non ti dava aita L a pietà di colei, che cruda or chiami ; M a non è cruda già quanto bifogna; Chè fe cotanto ardifei, Quando ti fon crudele, Che faretti tu poi Se pietofa ti filili ? Quella fana pietà che dar potei. Quella t' ho dato : in altro modo è vano Che tu la chiedi, o fperi, ,, Che pietate amorofa „ M a l li dà per colei, „ C h e pei' fe non la t r o v a , „ Poiché T ha data altrùi ; Ama I' oneftà mia , »' amante f e i , Ama la mia falute, ama la vita. Troppo lunge fe' t u , da quel che b r a m i ; Il proibifee il c i e l , la terra il g u a r d a , £ '1 vendica la morte. M a più d' ogn* a l t r o , e con p i ù faldo feudo L ' oneftate i l difende. » CH»

A t t o

T b r ^ o ,

£01

., C!.Ì! rdegna alma ben nata ,, Più fido guardatole v Arer del proprio onote. Or datti pape Dunque Mirtillo, e guerra Non far a me: fuggi lontano, f. vivi „So faggio fe', eh' abbandonar la viw „Per foverchio dolore, „Non è atto o penliero „ D i magnanimo cuore. >, Ed fe vera virtute „ I l faperlì attener da quel Glie piace» „ S e quel che piace offende. JVlirt. ,, Non è in man di chi perde „ L ' anima, il non morire. Amar. „ Chi s" arma di virtù, viupe ogfl* affetto. JVlirt. „Virtù non vince, ove tripnfa Amoie. Amar• „ Chi nòn può .quel che vuql', quel, clie può voglia Jìiirt. „Neceflìtà d' amor legge nqn Lave, Amar• „ La lontananza ogni gran piaga falda, JVlirt. „Quel che nel cor fi porta, in vau fi fugge. Amar. Scaccierà vecchio amor novo deiìo. JVlirt. S ì , s' un altr' alma e nn' altro core avelli. Amar. Confuma il tempo fmalmento amore. JVlirt. Ma prima il crudo amor 1' alma- cofuma. Amar. Cosi dunque il tuo mal non. hjl «medio? JVlirt. Non lia rimedio alcun . (e non la morte. Amar. La morte? or tu m' afcolta, e fa che legge , T i fian quelle parole. ancor eh' i' fapfia ,, Che '1 morir degli amanti è pi.ùitpilo ufo , , D ' innamorata lingua, che delio „ D' animo in ciò deliberato e fermo : Pur fe talento mai E ai, ftrano:, & sì folle a te vei^iife ; Sappi, che la tua morte. Non tnen della mia fama. Che

3©a

LI.

P a s t o r

F i t j o

Che della -vita tira morte farebbe. V i v i dunque, fe m' ami : Vattene, e da qui innanzi avrà per chiaro Sagno che tu Ci faggio, Se con ogfei tuo ingegno T i guarderai di capitarmi innanzi. MlrU O fentenza crudele! Come viver poh" io Senza la vita? o come P a r fin fenza la morte al mio tormento? Amar. Orfìi, Mirtillo, è tempo Che tu ten vada, e troppo lungamente Hai dimorato ancora. Partiti, e ti confnla Ch' infinita fe la fchiera Degli infelici amanti. Vive ben1 altri in pianti „ Siccome tu Mirtillo : ogni ferita „ Ha feco il fuo dolore ; „ N e fe' tu folo a lagrimar d* amore. JUirt Mifero infra gli amanti GiK folo non fon' io ; ma fon ben folo Miforabile e/Tempio E de' vivi, e de' m o r t i , non potendo, N i viver, nfe morire. Amar. Orsù partiti ornai. JUirt. Ah dolente partita! Ah £n della mia vita ! Da te parto, e non moro ? e pax i' prova L a pena della morte, E Tento nel partire Un vivace morire, Che dà vita al dolore, Per far che moja immortalmente il core.

SCEKA

ATTO

TERZO.

S C E N A A

3o3

IV.

pi a r 1 x, l 1.

O Mirtillo, M i r t i l l o , anima m i a . Se vedetti qui dentro Come ita il cor di quella Che chiami crudeli/lima Amarilh, So ben, che tu di lei Quella pietà , che da lei chiedi, avrefti , O anime in amor troppo infelici ! Che giova a t e , cor mio, 1' effer amato? Che giova a me 1' aver sì caro aitiante? Perchè crudo defiino Ne difunifci t u , 8* Amor ne ftringe? E tu perchè ne l i r i n g i , Se ne parte il defiin, perfido Amore ? O fortunate voi fere felvagge, A cui T alma natura Non die legge in amar, fa non d' amore ; Legge u m a n a , inumana, Clic dai per pena dell 1 amar la morte. „ S e '1 peccar h sì dolce,' „ E '1 non peccar sì neceflario, o troppo „ Imperfetta natura, „ Che repugni alla legge ; O troppo dura l e g g e , „ Che la natura offendi. Ma c h e ? poco ama altrui, eh' il morir teme. Piaceffe pur al c i e l . Mirtillo m i o . Che fol pena al peccar folTe la morte; Santi/lima o n e f l i , che fola tei D ' alma bea nata inviolabil Nume, Queft' amorofa voglia Cb* franata ho col f a r i « D.1

IL

P A S T O R

F I D O

D e l tuo Tanto r i g o r , qual' innocente V i t t i m a a te con facro. £ tu Mirtillo ( anima mia ) perdona A chi t' è cruda fui dove pieiofa EiTer non p u ò ; perdona a quella folo N e i detti e nel fembiantc R i g i d a tua nemica ; ma nel core Pietolìilìma amante. E fé p u r hai delio di vendicarti, D e h qual vendetta aver p u o i tu m a g g i o r « D e l tuo proprio d o l o r e ? Che fe tu fei '1 cor m i o , C o m e fe' p u r mal grado D e l cielo e della terra ; Qual or piangi e f o f p i r i , Quelle lagrime tue fono il mio fangue : Q u e i fofpiri il m i o fpirto ; e quelle _pene E quel dolor che fenti, Son m i n i , non t u o i tormenti.

S C E N A CORISCA

E

V.

AMARII.TI.

Cor. N o n t' afeonder già p i ù forella mia. Amar. Mefchina me ! fon d i f e o p e v u . Cor. Il tutto Ho troppo ben i n t e f o : or non m' appo/i £ N o n ti difs' io eh' a m a v i ? or ne fon cfvta. E da m e tu ti g u a r d i ? a m e 1* a f e o n d i ? A me che t' amo s ì ? non t* arroilìre, N o n t' arro/Iìr, che quello è mal comune,. Amar. Io fort v i n t a , C o r i f e a , e tei confeiTo. Cor. O r , che negar noi p u o i , tu mei c o n f a l i . Amar.

ATTO

TERZO.

Amar. E ben m' aveggìo ; ahi latta , a» Che troppo augnilo vaio è debil cor» » A traboccannte amore. Cor. O cruda al tuo Mirtillo, E più cruda a te ilefla. Amar. „ Non è fierezza quella „ Che na(ce da pietate. Cor. „Aconito e Cicuta, „ Nafcer da falutifoia radic* „ Non li vide giammai. Clie differenza fai Da crudeltà eh' offende, A pietà che non giova? Amar. Oimfe, Corifea. Cor. Il fofpirar Corolla , È debolezza e vanità di core, £ proprio è delle femmine da poco. 'Amar. Non farei più crudele, Se 'n lui nudri/Ii. amor lenza fperanza ? 11 fuggirlo è pur legno Che i' ho coropaffione Del fuo male e del mio. Cor. Perchè Tenta Iperanza? Amar. Non Tai tu che promefTa a Silvio Tono? Non Tai t u , che la legge Condanna a morte ogni donzella eh' flggia Violata la fede? Cor. O [emplicetta; ed altro non t' arreda? Qual è tra noi più antica, La legge di Diana, oppur d1 Amore? „ Quella ne' noftri petti „Nafce, Amarilli, e con 1* etti avanza; „ Nè s* apprende o s' in legna j „ Ma negli umani cori ,, Senza maeftro la natura itefla „ Di propria man 1' imprime ; Poeti VoU FUI. U

3O5

II

PASTOR

FIDO

„ E dov' ella comanda „ Ubbidifqe anco il c i e l , non che la tetta. Amar. Eppur fe quefta legge M i toglie.iTe la v i t a . Quella d' Amor non m i darebbe aita« Cor. T u fe' troppo g u a r d i n g a , fe colali Fufler tutte le donne, E colali tifpetti aveller t u t t e , Buon tempo addio; foggatte a quefta pena Stimo le poche prattiche, A m a r i l l i : Pei quelle che fon fagge Non è fatta la l e g g e ; Se tutte le colpevoli bccideflie, C r e d i m i , fenza donne netterebbe il paefe ; e fe le fcioccho V inciampano, h ben dritto Che 'l rubar Ha vietato A chi leggiadramente Non fa celare il furto. ,, Ch* altro al fin 1' oneftjte „ N o n è , eh 1 un* arte di parare oneftar Creda ognun a fno modo, io così creda. Amar» Quelle fon v a n i t i Corifea mia ; „ Gran fenno è , Iafciar tolta „ Q u e l che non può tenerli. Cor. E chi tei v i e t a , fciocca ? „ Troppo breve è la vita „ D a trapalarla con un falò amore. „Troppo g l i uomini avari „ ( O fia difetto, o lia fierezza loro ) „ Ci fon delle lor grazie ; „ E fai , tanto iìam care, „ T a n t o gradite a l t r u i , quanto Buri fiefche. „ L e v a c i la beltà, la giovinezza, „ Come alberghi di pecchia „ Reftiamo fenza favi» fenza miele

ATTO

TERZO.

307

j> Negletti avidi tronchi. Lafcia giacchiar a^li uomini Amarilli, Perocch e/Ti non fanno, Ne fentono i difagj dalle donna ; È troppo differente Della condizion dell' nomo quella Della mifera donna: „ Quando più invecchia 1' uomo „ Diventa più perfetto, „ E fe perde bellezza, acquiita fenno; „ M a in noi con la beliate „ E con la gioventù, da cui Sì fpelTo „11 viril fenno e la poffanza è vinta, „Manca ogni noftro ben: uè fi può dire, Nfe penfar la più fozza „ Co fa, nfe la più vii di donna vecchia. O r , prima che tu giunga A quella noitra univerfal miferi*, Conofci i pregi tuoi. Se t' è la vita delira, Non T ufar a lini (tra : Che varrcbe al leone L a fua ferocità , fe non I1 ufallo a tempo i? Che gioverebbe all' uomo L ' ingegno tuo, fe non 1* u falle a tempo? Così noi la bellezza, Ch' è virtù noitra così propria come L a forza dpi leone E l 1 ingegno dell' uomo ; Ulìam mentre 1' abbiamo: Godiam forella mia, „ Godiam , che '1 tempo vola j e poilon gli anni ,, Ben riltorar i da.ini „Della pallata lor fredda vecchiezza; „ Ma s* in noi giovinezza „ Ujia volt» fi perde, V 2 „ Mai-

3o8

I l P a s t o r Fido

„ Maipiù non lì rinverde ; Ed a canuto e livido fembiante „ Può ben tornar amor, ma non amante. Alitar. T u , come credo, in quella guifa parli» Piùttofto per tentarmi, Corifea, Che per dir quel che Tenti; £ però iìi pur certi. Che (e tu non mi moftri ageyol modo, E fopra tutto onefto C i f'iggir quelle a me nimiche nozze. Ho fatto irrevocabile penfiero Di piùttofto morir, eh« macchiar mai 1/ onefià m i a , Corifea. Cor. Non ho veduto mai la più oftinata Femmina di coftei. Poiché quello conchiudi, eccomi pronta» Dimmi un poco , Amarilli, Credi tu forfè che *1 tuo Silvio fia Tanto di fede amico, Quanto tu d' oaeiUte ? Amar. Tu mi farai ben ridere; tii fede Amico Silvio? e come? S' è nemico d' amore. Cor. Silvio d' amor nemico? o femplicetta 1 Tu noi Conofci ; e* fa far e taceri. T i fo dir i o , queir anime sì fchife, che! Non ti iidat di loro. „Non è furto d' amor tanto ficuro, ,,Nè di tanta finezza , „Quanto quel che a1 afeonde „Sotto "1 vel d' onetlate. Ama dunque il tuo Silvio, Ma non giii te, forella. 'AjnaY. E quale b quella Dea, ( C h e certo efler non può donna m o r t a i » ) Che T ha d' vaore accefo } Cori

ATTO

TERZO.

Cor. N e D e a , uè anco Ninfa. Amar, O che mi narri ? Cor. Conorci t u la mia L i f e t t a ? Amar. Quale. Lifetta t u a , la pecoraja? Cor. Quella. Amar. Di' tu v e r o , Corifea? Cor. Quella è detta : Qnefta è 1' anima fua. Amar. Or vedi fe lo fchifo, S' è d* un leggiadro amor ben provvedute» Cbr. E fai come ne fpafima, e ne m o r e ? Ogni giorno s r infinge D* ire alla caccia. Amar. Ogni mattina appunto Sento fui alba il maledetto corno. Cor. E f u i fitto meriggio, Mentre elle gli altri fono Più fervidi nell' opra , ed egli allotta D a ' compagni s' invola e vien foletto Per via non dritta al m i e giardino, o r ' ella Traile feffure d' una liepe embrofa Che '1 giardin chiude, i fuoi fofpiri ardenti I fuoi preghi amorali afcolta, e p o i A me l i narra, e ride. O r odi quello Che penfato ho di fare, anzi h o già fatto Par tuo fervigio : io credo ben che fappi, C h e la raedeEma legge che comanda Alla donna il ferrar fede al fuo f p o f o , Jla comandato anco , che ritrovando. Ella il fuo fpofo in atto di perfidia, l'offa, mal grado de' parenti f u o i , Negar d' eflergli fpofa, • d' altro amante Oneftàmente provvederli. Jmar. Quello S.o inolio bene, ed anco ateuno effrrnpio U 5

IL

PASTOB

FIDO

Veduto iT h o , Leucippe a L i g u r i n o , Egle a Licora ed a Turingo A i m i l l a , Trovati fenza f è , la data feda llicoveraron tutte. Cor. Or tu m ' afcolta : Lifetta m i a , così da me avvertita, Ha col fanciullo amante e poco cauto, D" effer in quello fpeco oggi con lei Ordine dato : ond' egli è '1 più contento Garzon che viva ; fol n' attende 1' ora. Quivi vo' che tu '1 colga, i ' farò teco Per teftimonio del tutto, che fenz1 elio Vana farebbe 1' opra; e così fciolta Sarai fenza periglio e con tuo onore, E con onor del padre t u o , da quello S ì nojofo legame. Amar. O quanto bene Hai penfato, Corifea: or che ci r e t t a ? Cor. Quel eh' ora intenderai tu bene oiferva L e mie parole : a mezzo dello fpeco, Ch' è di forma aitai lunga e poco l a r g a , Sulla man dritta è nel cavato fallo U n a , non fo ben d i r , fe fatta fia O per n a t u r a , o per induitria u m a n a , Picciola cavernetta, d' ogn' intorno Tutta veQita d' edera tenace, A cui dà lume un picciolo p e r t u g i o , Che d' alto s' a p r e ; aliai grato ricetto, E de' f u r t i d' amor comodo molto. Or tu g l i amanti prevenendo , q u i v i Fa che t' a fcondi, e '1 venir loro attendi. Invierò la mia Lifetta i n t a n t o ; Poi le veftigia di lontan feguendo D i S i l v i o , come pria fcefo nell' antro Vedrollo , entrando anch' i o , fubitamente I l pi eliderò pei che non f u g g a ; e 'ufieme Farò

ATTO

T E RFCO.

Faro ( c h i così fe C o m e ai tuo b e n , coni' al g i o i r fe' m o r t o ; M o r i m o r t o Mirtillo^ H a i finita la v i t a , F i u i f c i anco i l t o r m e n t o . Efci m i i e r o a m a n t e D i que&a d u r a e angofeiofa m o r t e C h e per m a g g i o r t u o m a l ti tiene in Vitài M a c h e ! debb' i o m o r i r lenza v e n d e t t a ? F a r o p r i m a m o r i r bhi m i dà m o r t e . T a n t o i n m e li fofpenda Il delio d i m o r i r e Che g i u i t a m e n t e abbia la v i t a tolta A chi m ' ha tolto i n g i ultamente i l corèi Ceda i l dolore alla vendetta * e ceda L a pietate allo f d e g n o , E la m o r t e alla v i t a , F i n eh' abbia con la v i t i Vendicato la morte* £ *

Non

334

IL P A S T O R

FIDO

Non beva quello ferro Del Tuo fìgnor 1' invendicato fangue; E quella man non fia Miniftra di pietade. Che non ila prima d' i l a . Ben ti farò fentire, Chiunque fe' che del mio ben g i o i f c i , Nel precipizio mio la tua ruina. M ' appiatterò qui dentro Nel medelìmo cefpuglio; e come prima Alla caverna avvicinar vedrollo , Jmprovvifo aflalendolo, nel fianco J l ferirò con quello acuto dardo. Ma non farà viltà ferir altrui Nafcofamente? sì Sfidalo dunque A iinsolar contefa, ove virtute Del tuo giuito dolor poffa far fede. No : che potrebbon di leggiero in qaeito Loco a tutti sì noto e sì frequente, Accorrere i pallori, ed. impedirci, E ricercar ancor che peggio fora L a caginn che mi move ; e s' io la nego, M a l v a g i o , e s' io la fingo, fenza fede N e farò riputato; e s' io La fcopro, D etecna infamia rimarrà macchiato .Della mia donna il n o m e , in c u i , b e n d i ' io Non ami quel che v e g g i o , almen quell' amo Che fempre v o l l i , e vorrò fin eli' i ' v i r a , E che fpevai, o che veder dovrei. Moja dunque 1' adultero malvagio , Ch a lei 1* onore, a me la vita invola. M a fe 1' uccido q u i , non farà il fangue Chiaro indizio del fatto? 'e che tem' io L a pena del m o r i r , fe morir bramo ? Ma 1' omicidio al fin fatto palefa Scoprirà la cagione, onde cadrai Nel

ATTO

329

TERZO,

Nel medeiìmo periglio dell" infamia Cile può venirne a quella ingrata : or entra Nella fpelonca, e qui 1 a (Ti l i ; è buono, Qnefto mi piace; entrerò cheto oheto, S ì eh' ella non mi Tenta ; e credo bene Clie nella più fegreta chi ci fa p a r t e . Come accennò di far ne' detti Tuoi, S i farà ricovrata, ond' io non voglio Penetrar molto a dentro : una fedina Fatta nel (affo e di frondofi rami Tutta coperta, a man Eniftra appunto Si trova a pie dell' alta ice fa : q u i v i Più che il può tacitamente entrando Il tempo attenderò di dar effetto A quel che bramo : i l mio nemico morto Albi nemica mia porterò innanzi ; Così d' ambidue lor farò vendetta : Indi tri pallerò col ferro fteflo A me medefimo i l petto ; e tre faranno Gli eftinti, duo dal ferro, una dal duolo. Vedrà quella crudele Dell" amante g r a d i t o , Non men che del tradito, Tragodia miferabile e funefta; E farà quello fpeco, Ch' eiTer dovea delle fue gioja albergo, Così dell' 1' un come dell' altro amante, E quel che più. delio, Delle vergogne fue tomba e fepolcro. Ma voi o r m e , g i à tanto invan f e g u i t e , Così lido fentiero Voi mi regnate ? a così caro albergo Voi mi feorgete ? e pur v' inchino e feguo. O Corifea, Corifea Or sì m' hai detto i l vero, or s ì ti credo. SCENA

li. P a s t o ? SCENA

FIÌÌO IX.

Satiro. CoìIih crede a Corifea ? e fegue 1' orme Pi lei nell« fpelonca d' Erieina? Stupidó è ben chi non intende il refte; Ma cetto e' ti bifogna aver gran pegno J)ella fua fede in man, fe tu la ciedi, E (fretto lei con più tenaci nodi, Che noit fbb" io, qrtando nel crin la piefi; Ma nodi'più poHenti in lei dei doni Certo, avuto non bài. Quella malvagia Nertnéa Voglio) ma Lupino Ebbe la vefte mia cou 1' altro arnefe; £ dille d' afpettarmi Cou eilì-al fonte, é non Ve f ho trovato, Deli Lineo m i o , Te m' ami V a tu per quelle felve D i lui cercando che non può g i à molto EfTer lontano; ripoierò frattanto L à in quel cefpuglio : il v e d i ? i v i t' attendo; Cli' io fon dalla Itanchezza V i n t a , e dal fonno, e ritornar non voglio Con quelle fpoglie a cafa. lineto vo, tu non partire Di là fin eh' io non tornii

S C E N A

Ut.

C o r o ed E h g a s t o , Coro.

P a l l ó r i , aveté inteR) Che '1 noflio Semideo, figlio .ben degno Del gran Montano, e degno X f t e t i Voi. Vili.

Dir.

335

II

P A S T O B F I D O

Difcendente d' Alcide, O g g i n li» liberali Dalla fera t e n i b i l e che tutta Infeftava 1' Arcadia, E che già fi prepara D i fciorne il voto al tempio : Se grati efier vogliamo C i tanto beneficio, Andiamo tutti ad incontrarlo; e come NoHro liberatore Sia da noi onorato Con la lingua e col- core; „ E benché d alma valorof» e beli« onor fia poco p r e g i o ; h però quello „ Che fi può dai maggiore , r Alla virtute in terra. Erg. O fciagirrj dolente, o caia amaro, O piaga immedicabile e mortale, O Tempre acerbo e lagrime voi giorno ! Coro. Qual Tace od« d' orior piena a d i pianto Erg. Stelle nemiche alla (aiuti noftra, Così l a ffe (chef itite ? Così il noftro fperar levafti in alta. Perchè pofcia cadendo Con maggior pena il precipizio aveflTe? Coro. Quello mi par Ergaito, e cerio è dello. Erg, Ma perchè il cielo accufo?, Te pur accufa. Ergaito. T u folo avvicinarti 1 / efca peiicoltifa Al focile d ' a m o r : tu il percotefti, E tu foL tie trae ili L e faville ond è nato L ' incendio inefiinguibile e mortale. Ma- l'alio il ciel (e da buon fin mi mo/Tì, E fe f u fol pietà che mi 'ndulle.

ATTO

QUARTO,

O sfortunati amanti, O mifera Amarilli, O Titiro infelice, o orbo padre, O dolente Montano, O defolata Arcadia, o noi mefchini: O finalmente mifero, infelice Quant' ho veduto e veggio. Quanto parlo, quant 1 odo, e quanto penfo. Cora. Oimfe! qual fia cotefto Sì mifero accidente, Che ' a f i comprende ogni miferia noftrft? Andiam pallori, andiamo Verfo di l u i , eh1 appunto Egli ci vien incontra. Eterni N u m i , Ah non b tempo ancora Di rallentar lo fdegno ? Dinne Ergafto gentile, Qual fiero cafo a lamentar ti m e n a ? Che piangi? Erg. Amici cari, Piango la m i a , piango là vofira, piango La ruina d' Arcadia. Coro. Oimè, che narri? Erg. E caduto il fofteguo D' ogpi noftra fperanz*. Coro, Deh parlaci più chiaro* Erg. La figliuola di Titiro, quel folo Del Tuo ceppo cadente, e del cadente Padre appoggio e rampollo ; Quell' unica fperanza Della noftra falute, Ch' al figlio di Montana arai dal cielo Desinata e prometta, Per liberar con le fue nozze Arcadia ; Quella Ninfa celeiie, Quella faggi« Amarilli, Y a Quell

34o

IL P A S T O E

FIDO

Queir efempio » Ma fuor d' Arcadia il ciò ridir non lice. Tu dunque o fedelilfirao compagno, Diletto Uranio m i o , che meco a parte D ' ogni fortuna mia fe' flato Tempre, Po fa le membra pur che avTai ben ondò Polar anoo la mente; ogni mia forte, S' ella pur fia come 1' addita il cielo« Sarà teco comune; indarno fora D i Tua felicità lieto Carino, Se fi dolefle Uranio. Ura

Ogni, fatica Che fia fatta per t e , pur che t' aggradi, Sempre, Caribo m i o , feco ha il fuo premio. Ma qual fu la cagion che fe lafciarti. Se t' fe sì oaro, il tuo natio paefe? Car. Mufico fpirto in giovami vaghezza D' acquiftar fama ov' è più chiaro il grido. Ch' avido anch' io di peregrina gloria, Sdegnai che fola mi lodalTe, e fola M ' udilTe Arcadia la mia terra, quali Del mio crefcentc ftil termine angufto, E colà venni ov' è sì chiaro il nome D' Elide, e Pifa, e fa sì chiaro altrui. Quivi il famofo E c o s di lauro adorno V i d i , poi non dirò dai circoflanti, Ma per mia fè, dalle'Colonne ¡incora Del •tempio iieffo, e dalle dure pietra Che fenfo aver parean, lagrime amare, Fu quali in un fol punto, Acculata, convinta, e condannata. Tit. Mirerà figlia, e perchè tanta fretta? Mef. Perchè della difefa eran gli indizj Troppo maggiori;' e certa Sua Ninfa eli' ella in teftimon recava Dell' innocenza fua, Ne quivi era prefente, ne fu mai Chi trovar la fapefle. I fieri legni intanto,

382

LI. P A S T O R

FIDO

E gli accidenti moftruofi e pieni Di fpavento e d' orror che fon nel Tempio IsTon pativano indugio; Tanto più gravi a noi', quanto più nuovi £ più mai non Tentiti C a i dì. cha minacciar 1' ira celefte, Vendicatrice dei traditi amofi Del Sacerdote Aminta, Sola cagion d' ogni mil'eria noftra. Suda [angue la Dea, trema la terra, E la caverna facra Mugge tutta e rifuona D' infoliti ululati e di funeri Gemiti, e fiato sì putente fpira, Che dall' immonde fauci Più grave non cred' io 1' efali Averno. Già con 1' ordine facro Per condur la tua figlia a cruda morte Il Sacerdote s' inviava, quando Vedendola Mirtillo Co che ftupendo Caro udirai ) s' offeiTe Di dar con la Tua morte a lei la v i t a , Gridando ad alta voce : Sciogliete quelle mani, ah lacci indegni; Ed in vece di lei eh' efler dove» Vittima di Diana, Me traete agli altari Vittima d' Amarilli. Tit. O di fedele amante E di oov genorofo atto cortefe. JVIef. Or odi maraviglia: Quella che fu'pur diansi Sì dalla tema del morire oppreiTa, Fatta allor di repente Alle parole di Mirtillo invitta.

ATTO

QUINTO.

383

Con intrepido cor così rifpofe : l'enfi dunque,. Mirtillo, Di dar col trio morire Vita a chi di te vive? O miracolo ingiufto! fu minifiri, Su, che fi tarda? ornai Menatemi agli altari: Ah che tanta pitftà non volev' i o , Soggiunfe allor Mirtillo : T 3

Nic.

39O

IT

P a s t o b

F i d o

Kic.

Scodati dico ; Che con impura man- toccar non lice Co fa {aera agli Dei. Car. Caro agli Dei Son ben anch' io che con la feortà loro Qui mi conditili. JMont. Ceda, Nicandro : tidiamlo prima , c poi fi parta. Car. Deh, miniltro cortefe , Prima che fopra il capo Di quel garzon cada il tuo ferro, dimmi Perchè more il meTclnnc? io te ne prego Per quella Dea eh' adori. iWoy.t. Per nume-tal tu mi (congiuri eh' empio. Sarei fe tei negati! ; Ma che t1 importa c i ò ? Car. Più che non credi. Moat. Perch' egli ite fio a volontaria morte S' è per alrui donoto. Dunque per altrui more? Anch' io morrò per lui : deh per p i e u t t Drizza in vece di quello A quefio capo già cadente il colpo. IVIont Amico , tu vaneggi. tur. E perchè a me A nega Queir eh1 a lui fi concede? Wlont. Perchè te foreftiero. Car. E s1 io non filili, Mont. Nè fare anco il potresti; Che campar per altrui Non può chi per altrui s' offerfe a m a r t e ; M i dimmi chi Ce' tu? fo pur è ye^ft Che non fii foreftiero : Air «biio tu certo Arcade non mi fembri, C»r. Arcade fona fliont. Car.

A t t o

Q u i n t o .

391

Mont. In ^nefta terra g i à non m i f o v v i e n e D ' a v e r t i io m a i veduto. Car. In q u e l l a terra n a c q u i , e fon C a r i n o , Padre di q u e l mefchino. Mont. Padre t u di M i r t i l l o ? o come g i u g n i A te delio ed a noi troppo i m p o r t u n o , Scollati i m m a n t e n e n t e . C h e col paterno alletto R e n d e r potrefti i n f r u t t u o f o e v a n o Il facrificio n o f i i o . C « f . AL fe tu fu ili padre. •Moni. S o n p a d r e , e padre ancor d 1 unico figlio, E p u r tenero p a d r e ; n o n d i m e n o S e quello fòlio del m i o S i l v i o i l - c a p o . G i à , n o n farei men pronto A far di l u i quel che del tuo far d e g g i o ; „ Chè f a i r o m a n t o i n d e g n a m e n t e v e i U ,, C h i per p u b b l i c o ben del fuo p r i v a t o „ Comodo non fi fpo^lia. Car. L a f c i a c h e . U baci a l m e n p r i m a e h ' e 1 mora« Munt. E q u e l l o molto m e n o . Car. O fangue m i o ! E tu ancor fe' « ì crudo Che non vifpondi al tuo dolente p a d r e ? Mirt. D e h padre ornai t' acqueta JVlont. O noi m e f o h i n i , Contaminato è '1 facrificio, o D e i ! JVIirt. Chè fpender non potrei p i ù d e g n a m e n t e L a v i t a che m h a i data. JHofit. Troppo ben m ' a v v i f a i C h ' alle paterne l a g r i m e coftui R o m p e r e b b e i l lilenzio. M i r i . M i f e r o , qnal errore H o io commelTo : o come L a l e g g e del tacer m ' u f c ì d i m e n t e ? Eb 4

Kant.

392 Rlcnt

IT. P A S T O R

FIDO

M a elle 11 t a r d a ? fu m i n i f t r ì : al T e m p i o Rimenatelo tolto ; £ nella (aera cella un' altra volta Da lui li prenda i l volontario voto. Qui pofeia r i t o r n a n d o l o , portate Con e!To voi per ficrificio n o v o , Nov' a c q u a , novo v i n o , e novo f o c a : Su {peditevi toilo, Clic già s' i n c h i n a il fole,

S C E N A MONTANO,

CARINO

V. E

DAOIETAI

UTont. M a tu Vecchio i m p o r t u n o , Ringrazia pur i l ciel che padre fei ; Sa ciò non folla i* ti fa*ci ( por qlicita Sacra teiìa tei giuro ') o g g i feiUire "Quel clie può 1' ira in noe, poiché sì m a l » Ufi la folfcrenza. S a i tu forfè chi fono? S ' i tu ohe qui cori una fola verna Hoggo 1' umane e le divine cofe? Car. ,, Per domandar mercede, ,, Signoria non s' offende. JWovt. Troppo t' ho io fofferto ; e tu per queAó Stì' venuto infoiente. „ Nè fili tu clic fe 1' iva in giuRo petto „ L u n g a m e n t e (i coce, „Quanto più tarda f u ? tanto p i ù noce Car. „ T e m p e f l o f o furor non f u m a i 1' i r a „ I n magnammo petto; „ M a un fiato fol di generofo affetto, ,, Cho fpirando nell' a l m a , ,i Quand' ella è p i ù con la ragione u n i t a ,

ATTO

QUINTO
loni. Dunque è tuo figlio e tu no '1 gencrafti? Car. E fe noi generai non è mio figlio ? Mont. Non mi diceiti tu eh1 fe di te nato? Car. Diiii eh' è figlio mio non di me nato. JVlont. Il foverchio dolor t' ha fatto intano. Gar. Non fentirci dolor fe fuifi infano. UTont. Non puoi fuggir d' efler malvagio o fiolloy Csr. Come può flar malvagità col vero? Mont. Come può itar in un figlio e non figlio? Car. Può itar, figlio ó' amor, non di natura. JVloift* ' Dunque $' è figlio t u o , non è ftraniero: B fe non è , non hai ragiono in l u i : Così convinto fe' padre e non padre. Bb

5

Car.

394 Car.

Ir. P a s t o n T i c o

,< Sempre di verità non fe convinto „ C h i di parole fe vinto. JVlont. Sempre convinta è di colui 1» feda ,, Che nel fuo favellar fi contradice. Car. T i torno a dir che tu fai o p r i i n g i ù ! ! « . JWoit- Sopra quefto mio cupo , È fofpra il capo di mio figlio cada Tutta quefta i n g i u f t m a . Car. T u te ne pentirai. JHont. T i 'pentirai ben tu fe non itii lafci Fornir 1' ufficio mio. Car. In teftiTon'o ne chiamo nomini e Dei. JVlont. Chiami tu forfè i Dei che difprezzafti? Car. E poiché tu non m' o d i , Odami cielo e terra: Odami la gran Dea che q u i a1 a d o r a , Che M i r t i l l o e ftraniero, E elle non fe mio figlio, e che profani Il factiluio fanto, JWont. l i ciél m' aiti Con queft' nomo importuno. Chi b dunque fuo padre Se non è Tiglio tuo ? Car. Non te 1 fo d i r e ; So ben che non fon io. Jilont. Vedi come vacilli : È e£li del tuo f a n g u e ? Car. Ne quello ancora. JVIont. E perché figlio il cfiiami$ Càr. Perchè 1 ho come figlio Dal primo di eh' i' T ebbi l'er fin a quefta eth Tempre ntidrito Nelle mie cafe , e come fiplio amato. ]Uo*t, Il e o m p r a f l i ? i l r a p i f t i ? onde 1' avelli? Car. In Elide 1' ebb' io cortefe dono D ' uonib il ramerò. Moni.

A t t o

Quinto,

395

Wltnt. E quell' u o m o fltaniero D o n d e r ebb' e g l i ? Car. A lui L' avea dat' io. Mont. Sdegno tu m o v i in u n fol p u n t o e u f o » D u n q u e anelli tu in dono Q u e l che donato avevi ? Car. Q u e l e h ' era fuo gli d i e d i . E d e ^ l i a m e ne fa' corteCe d o n o . M a n t . E t u C p o i c h ' oggi a vaneggiar m i t i r i ) O n d ' a v u t o 1* a v e v i ? Cor. In u n c e f p u g l i o d* odorato m i r t o Poco p r i m a i ' 1* aveva Nella foce d* Alfeo t r o v a t a a enfo; Per quello folo il n o m i n a i M i r t i l l o . Mont. O come ben favole fingi ed o r n i . H a n fere i vofti i bofelli ? Car. E d i che forte ! Mont. Come n o i d i v o r a r o ? Car. Un r a p i d o t o r r e n t e L ' avea p o r t a t o in quel cefpnglio, e q u i v i Lafciatolo nel feno D i picciola Tfolelia C h e d' o g n ' i n t o r n o il difendea con 1' on&J» Mont. T u certo ordifei ben m e n z o g n e e fole« E d era Itata sì pietofa 1' onda Che n o n 1' avea f o m m e r f o ? Sou si difereti i n t u o paefe i fiumi Che niidrifcon gì' i n f a n t i ? Car. Pofava e p t r ' u n a c u l l a ; e quella il mio bambin che con la culla Rapì il fiero torrente ; Non mi di cedi tu che le contrade Tutte che bagna Alfeo cercate avevi Sena' alcun frutto? Dam. E perchè :iò mi chiedi ? Mont. Rifpondi a quello-pur; non mi dicefti Che riii-ovato non 1' a v e v i ? Dam. Il dilli. Mont. Or che bambino fe quello Ch' allor donafti in Elide a colui Che qui t' ha conofciuto? Dam. Ot fon rent' anni, E vuoi eh' un vecchia fi ricordi tanto? Mont.

398

Il Pastor

Fido

IViont. Ed egli è vecchio, eppur fe ne ricorda* Dam. Piuttofto egli vaneggia. Mont. Or il vedremo. Dove fe' peregrino ? Car. Eccomi. Da'". O folli Tanto l'otterrà. Mont. Dimmi, Non è quello il paltor che ti fe' il dono ? Car. Quello per certo. Dam. E di qual dono palli ? Car. Non ti ricordi tu quando nel Tempio Dell' Olimpico Giove, avendo quivi Dall' Oracolo avuta Già la rifpòlla e tlando Tu per partire; i' mi li feci incontro Chiedendoti di quello Che ricercavi i fegni, e tu li delti : Indi poi ti condulTi Alle mie cafe, e quivi il tuo bambino Trovaiti in culla, e me no felli il dono? Dam. Che Vuoi tu dir per quello? Car. Or quel bambino Ch' allor tu mi doil^fti, e eh' io poi fempt'è Ho come figlio appretto me nudrito, È '1 mifero gavzon eh' a quelli altari Vittima è deftinato. Dam. O forza del dettino. Mont. Ancor t' infingi ? È vero tutto ciò eh' egli t' ha detto ? Dam. Così morto fufs' io coni' è ben vero ! ÌUont. Ciò t' avverrà s' anco nel retto inenti; £ qual cagion ti mode A donar quello altrui che tuo non e r a ? Dam.

ATTO

QUINTO»

Dam. Deh non cercar piti innanzi Padron i deh non per D i o , balliti quello. Mont. Pii» feie Or me ne viene. Ancor noi tieni a bada? ancor non parli? Morto fe' tu 3* un' altra volta .il cinedo. Dam. Perchè m1 avea 1* oracolo predetto Che '1 trovato bambin correa periglio Se mai tornava alle paterne cale, £>' elTer dal patre uccifo. Car. E queito è vero, Che mi trovai pvefeote. JHout. Oimfe che tutto Già ti oppo è manifefio ; il cafo è chiarOi Col fogno e col dell'in s' accorda il fatto< Car. Or che ti reila più ? vuoi .cu chiarezza D i qnelta anco maggior? Mont. Troppo fon chiaro » Troppo dicefti t u , troppo inte»' i o : Cercato aves' io men, tu tnen Caputo J 0 Carino, Garino, Come . teco dolor canaio o e fortuna! Come gli affetti tuoi fon fatti miei : Queito è mio figlio : o figlio Troppo infelice d' infelice padre'! Figlio dall' onde aflai più. fieramente Salvato che rapito; Poiché cader per le paterne mani Dovevi ai facri altari, E bagnar del tuo fangne il patrio fuolo, Car. Padre tu di Mirtillo? o maraviglia. In che modo il perdetti? Itfoitt. Rapito fu da quel diluvio orrendo Che teftfe mi dicevi ; o caro pegno Tu fuiti falvo allor che ti perdei» lid or folo ti perdo Perchè trovato fei?

•400

Il Pastoh

Fido

Car.

O providenza eterna, Con cyial alto configlio Tanti accidenti hai Ha a qui fofpefi, Pél' farli poi cader tutti in un punto. Gran co fa hai tu concetta ; Gravida te" di moftruofo parto. O gran bene o gtfan malo Partorii ai tu certo. Movt. Quello fu quel die m i predille i l fogno» Ingannevole fogno Nel mal troppo verace; Nel ben troppo bugiardo : Qnefta fu quella infolita pittate, Quell-' improvi fo orrore Che nel mover del ferro Sentii feorrer per 1* offa; Ch' abborriva natura un così fiero Per man del padre abbominevol colpo. Car, Ma c h e ? darai tu dunque A sì nefando facrificio effetto ? JlTont. Non può per altra man v i t t i m a umana Cader a quefti altari. Car. Il padre al figlio Dark dunque la m o l t e ? TVlont. Cosà comanda a noi la noitra l e g g e , E qual farà di perdonarla altrui Carità sì poflente, fe non volle Perdonar a fe ItefTo il fido .Aminta? Car. O malvagio deftino Dove m ' hai tu condotto ? JVIont. A veder di duoi padri L a foverchia pietà fatta o m i c i d a ; L a tua verfo Mirtillo; L a mia verfo g l i Dei. T u credenti falvirlo Col negar d 1 effer padre e 1' hai perduto:

A TTO

.QUINTO.

10 corcando e credendo D ' uccider il tuo figlio, 11 mio trovo e l' uccido. Car. Ecco 1' orribii nioUro Che partoril'ce il fato; o'.caCo atroce! O Mirtillo mia vita, è queiio quello Che ni' li.i di te l' Oracolo predetto? Così nella mia lena Mi fai felice? o figlio! Figlio di rjiicito fveiitnrdto vecchio, Già fofteino e fpe/anza; oj pianto e molte. JHont. Lafcia a me qutite legvime, Carino, Che piango il faugue mio. Ah perchè fangue mio. Se I' lio da fparger i o ? mifero figlio, Perchè ti generai? perchè nafcefti? A te dunque la vita Salvò 1' enda pietofa. Perchè te la tOc,liefle il crudo padre? Santi Nursi immortali, Senza il cui alto intendimento eterno Neppur in mar un onda S i move, o in aria fpirto, o in terra fronda, Qual sì grave peccato I l o contea voi-commeflb, ond' io fia degno D i venir col mia ferne in ira al cielo? Ma s" lio pur peccai'' i a , In che peccò il mio figlio ? Chè non pèrdoui a lui ? E con un foitio del tuo {degno ardente M e folgorando, n o n a n c i d i , o Giove? Ma fe celia il tuo itrale. Non ceilerk il mio ferro« Rinnoverò d* ¿minta ]1 dolorofo «tfewpio ; E vedrà prima il figlio eflinto il padre, Fonti VeL Vili. C e Ch.

402

LI. P A S T O R

FIDO

Che '1 padre uccida di Tua mano i l figliò. M o r i dunque, Montano: oggi morire A te tacca, a te giova. Numi» non fo s' io dica Del cielo o dell 1 inferno, Che col duolo agitate La difperata mente: Ecco il voitro furore ; Poiché così vi piace, lio già concetto ; Non bramo altro che morte : altra vaghezza Non h o , che del mio fine. Un funelto delio d' ufcir di vita Tutto m' ingombra, e par che mi conforte Alla morte , alla morte. Car. O infelice vecchio ! Come il lume maggiore La minor luce abbaglia, Così il dolor che del tuo male i ' fento, Il mio dolore ha fpento : Certo fé' tu d' ogni pietà ben degno.

S C E N A TIRENIO, Tir.

VI.

MONTANO E CARINO.

Affrettati mio figlio; Ma con iicuro paffo , S ì eh' i' porta (eguirti, e non inciampi Per quello dirupato e torto calle, Col pie cadente e cieco. Occhio fé1 tu di l u i , come fon io Occhio della tua mente; E quando farai giunto Innanzi al Sacerdote, i v i ti ferpi«. Munì.

ATTO

QUINTO.

4o3

Mont. M i non è quel che colà veggio il noftro Venerando T i r e n i o , C h ' è cieco in t e r r a , e tutto vede in c i e l o ? Qualche gran cofa il move ; Che da mole' anni in qua non s' è veduto . F u o r della facra cella. Car. Piaccia all' alta bontà de' (binmi Dei (Jhe per te lieto ed opportuno giunga. Mont. Che novith vegg' io padre Tire»iio? T u fuor del T e m p i o ? ove ne v a i ? che p o r l i ? Tir. A te Colo no vengo ; E nuove cofe p o r t o , e nuove cerco. iWont. C o m e , teco non h 1' ordine '(acro ? Che t a r d a 9 ancor non torna Con la purgata v i t t i m a , e col refto Ch 1 all' interrotto facrificio m a n c a ? Tir. „O quanto fpelTo giova „ L a cecità degli occhi al veder m o l t o ; „ Ch* allor non traviata „ L ' anima ed in fe ItelTa „ T u t t a r a c c o l t a , fuole ,, Aprir nel cieco fenfo occhi lincei. „ N o n bifogna, M o n t a n o , ,, Fallar sì leggiermente alcuni gravi „ Non afpetlati cali „ C h e tra 1' opere umane han del d i v i n o , ,, Perocché i lemmi D e i . n Non convellano in terra,' „ N è favellati eon gli uomini m o r t a l i ; „ M a tutto quel di grande o di ftupendo, „ C h ' al cieoo c.ifo il cieco volgo aferive. „ Altro non è che favellar celefte ; „ Così parlan tra noi gli eterni N u m i : „ Quelle fon le lor voci ; „ Mute all' o r e c c h i e e rifonanti al core „ D i chi le ' m e n d e : o quattro volte e fei

C c 2

„ For.

4°4

I I

P a s t o r

F I D O

„ Fortunato colui che ben le 'ntende. Stava già per condili: 1' ordine facro Come tu comandarti, i l buon Nicandro; ¡Via il ritenti* io per accidente nuovo N e l Tempio occorfo, ed è ben tal die men V o con qnello a c c o p L n d o l o , che quali In un medefmo tempo È oggi a te incontrato : Un non i o che d' infolito e confuto T r a fperanza e timor tutto m ' i n g o m b r a , Che non i n t e n d o ; e quanto meu 1" intendo, Tanto maggior concetto O buono o l'io ne prendo. l U m t . Quel che tu non i n t e n d i , Troppo intend' io iniferamente, e '1 pror®. N Ma d i m m i : a te che puoi Penetrar del D t f t i u »li alti fegreti, Cofa alcuna j aiconde? Tir.

O. figlio figlio, ,, Se volontario folle „ D e l profetico lume i l divin' u f o , „Saria don di natura, e non del cielo. Sento ben 1 io ncil' indigelfa m e n t e , Che '1 ver m ' afeondo il F a t o , E fi riferii» allo fegreto in feno. Quella fola cagione a te m i m o f l e , Vago d' intender meglio Chi è colui che s è (coperto padre £ Se da Nicandro ho ben intefo il f a t t o ) L)i quel g;iizon eh' è dellinato a morte. JVlont. Troppo il conofci, o" quanto T i dorrà p o i , T i r e n i o , Ch' ei ti lia tanto noto e tanto caro. Tir.

. . L o d o la tua p i e t à , eh' umana cofa . , E 1' aver degli alllilti „ Com.

Atto

Quinto.

405

,, Compartione : o figlio-, nondimeno Fa puv che Ceco i' pnrli. flJont. Veggio ben or che 'I cielo, Quanto aver gii Colevi Di prefaga virtù te, in te fofpende ! Quel padre elle tu chiedi, E con cui biami di parlar , fon io. Tir. Tu padie di colui clt' è deilinaLO Vittima alla gran Dea ? IVIont. Son quel mifero padre Di quel mifero figlio. Tir. Di quel fido pallore Che per dar vita altrui 3' offerfe a morte? JHont. • Di quel che fa morendo Viver chi gli dà morte; Morir chi gli die vita. Tir. E quefto è vero? Moni. Eccone il teftimonio. Car. Ciò che t' ha detto è vero. Tir. E chi fé* tu che parli? Car. Io fon Carino , Padre fin qui di quel garzon creduto. Tir. Sarebbe quefto mai qusl tuo bambino Che ti rapì il diluvio? Mont. Ah tu 1' hai detto Tirenio. Tir. E tu per quefto Ti chiami padre mifero, Montano? „ O cecità delle terrene menti, „ I n qual profonda notte, ,, In qual fofea caligine d' errore ,, Son le noftr' alme immerfe, „Quando tu non le illuftii, o foir.mo fole! „ A che del faper vofiro „ Infuperbite, o miferi mortali? „ Quella parte- di noi che 'ntendo e vede, Cc 5 .. Nou

4o 6

I l Pastos

Fido

„ N o n è noftra virtù , ma vien dal c i e l o ; ,, EiTo la dà come s lui p i a c e , e t o g l i e : O M o n t a n o , di mente affai più cieco C h e non fon io di viltà. Qual pi'eftigio , qual demone t abbaglia S ì , che s' e»li è pur vero C h e qnel nobil ¡¡arzon fia di te n a t o ; N o n ti lafci veder eh' oggi fé' pure I l più felice padre, I l più caro agli Dei di quanti al m o n d o GeneralTer mai figli? E c c o r alto fecre ò C h e m ' afcoiideva il F a t o ; E c c o il giorno f e l i c e , Con tanto noftio fangue E tante «oltre l a g r i m e a f p e t i a t o ; Ecco il beato fin de' noliri affanni. O Montano , ove fé' ? torna in te fletto ; C o m e , a te folo è dalla i c e n t e ufeito L ' Oracolo f a m o f o ? I l f o r t u n o t o Oracolo nel core D i tutta Arcadia i m p r e f l o ? C o m e , col lampeggiar eh' oggi ti moitra Inafpettatameiite il caro figlio, Non fenti il tuon della celelte v o c o ? „ N o n havrà p r i m a fin quel che v ' offenda, ,, Che duo' femi del c i e l congiunga Amore. Q Scaturifcon dal core L a g r i m e di dolcezza in tanta c o p i a , „ e h ' io non pollo p a r l a r } non avrà p r i m a , „ N o n avrà prima fin quel ebe v" offende, ,, Che duo' f t m i del ciel congiunga Amore ; „ E di donna infedel 1' antico e r r o r e , alta pista d' un ammende. O r d i m m i tu , Montan : quello pallore C i cui fi parla ; e elio dorea r u o t i l e . Non

,, L'

Pastor Fico

ATTO

QUINTO.

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N o n è Teme del c i e l , s' c di te n a t o ? N o n è feme del cicl anco A m a r i l l i ? E olii g l i ha inlìeme. a v v i n t i altro che A m o r e ? S i l v i o f u dai parenti, c f u per forza C o n A m a r i l l i in matrimonio fi-retto ; C d è tanto lontan che g l i itringelTe N o d o a m o r o f o , quanto I S aver in odio è dall' amar lontano. M a s' efamini il reito , apertamente V e d r a i che di Mirtillo ha folo intefo l a fatai voce ; e qual fi vide mai D o p o il cafo d' Aminta , Fede d' amor che s' aguagliafle a q u e f t a ? C h i ha v o l u t o mai per l a . t u a donna D o p o i l fedele Aminta M o r i r , fe no.n . M i r t i l l o ? Quelta e 1' alta pietà del Paflor Fido , D e g n a di cancellar 1' antico errore D e l l ' infedele e mifera L u c r i n a : C o n queit' atto mirabile e f t u p e n d o , P i ù che col fangue u m a n o , L ' ira del cicl ti placa; E quel fi rende alla giuftizia eterna, C h e già le tolle il femminile oltraggio. Quefta fu la cagion che non sì tolto G i u n s ' egli al T e m p i o a rinnovar i l v o t o , C h e celiar tutti i moitnioii fegni. N o n ililla più dal fimoìacro e t e r m Sudor d i f a n g u e ; e p i ù non t r e m i il fuolo ; N e itrepilofa p i ù , uè più putente ìi la caverna facra ; anzi da lei V i e n sì dolce a r m o n i a , sì grato odore , C h e non 1' avrebbe più foave il c i e l o , Se voce o tpirto aver potefTe il cielo. O alta p r o v i d e n z a , o fonimi D e i ; Se le parole mie Ce 4

Folfer

IR. P A S T O R

FIDO

Fofler anime t u t t e , E tutto al vofìr" onore Ojigi le coiifeciniii, alle dovute Grazie noti balìcrian di fanto dono. Ma come pollo, C C Ì ' O le rendo, o fanti N u m i del ciel , ion le ginocchia à terra Umilmente : o qnanto V i fon io debitor perch' oggji vivo H o «li mia vita coiTi Cent' anni g i à ; uè feppi mai che forte V i v e r ; ne' ini f a mai J j a cara v i t a , fe non oggi cara. Oggi a viver c o m i n c i o : ógg' rinafco. M a che perd' io con le paiole il tempo Che lì doe dai' «IT opre? Ergimi figlio, che levar no® porto Già fenza te quefte cadenti j n e m b r a . SHa-.it. Un' allegtezta ha nel mio c o r , Tirenio fìon sì itnpenJa maraviglia u n i t a . Che fon lieto- e noi fetito. N é può r alma confuta Moftrar di fuor la xiteuuta g i o j a , Sa tutti le