La razza nemica. La propaganda antisemita nazista e fascista

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LA RAZZA NEMICA La propaganda antisemita nazista e fascista

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Gangemi Editore spa Via Giulia 142, Roma www.gangemieditore.it

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ISBN 978-88-492-374-

Nella stessa collana: 1938 LEGGI RAZZIALI. Una tragedia italiana AUSCHWITZ – BIRKENAU. A 65 anni dalla Liberazione I GHETTI NAZISTI 16 OTTOBRE 1943. La razzia degli ebrei di Roma LA LIBERAZIONE DEI CAMPI NAZISTI 16 OTOBRE 1943. La razzia

In copertina: Collage di articoli antisemiti fascisti e nazisti

Questo volume è stato realizzato grazie al contributo di ACEA

LA RAZZA NEMICA La propaganda antisemita nazista e fascista

a cura di

Marcello Pezzetti e Sara Berger

LA RAZZA NEMICA La propaganda antisemita nazista e fascista Roma, Casina dei Vallati 30 gennaio - 7 maggio 2017

A cura di Marcello Pezzetti Sara Berger Consulenti scientifici Christine Kausch Amedeo Osti Guerrazzi Michele Sarfatti Staff Marco Caviglia David Di Consiglio Konstantin Ploechl Organizzazione Micaela Felicioni Micol Mieli Si ringrazia infinitamente il gruppo di volontari che permette alla Fondazione di offrire al pubblico, soprattutto scolastico, visite guidate di particolare interesse per tutto il periodo di apertura della mostra. Promotori, curatori e organizzatori desiderano esprimere i loro ringraziamenti ai seguenti musei, istituzioni, assicurazioni, fondazioni, enti, archivi e biblioteche e ai loro Presidenti e Direttori. Archivi, biblioteche e musei italiani coinvolti Accademia delle scienze, Torino Archivio Centrale dello Stato, Roma Archivio fotografico Istituto LUCE, Roma Archivio Storico Capitolino, Roma Archivio storico del Centro bibliografico dell'Unione delle

Comunità Ebraiche Italiane, Roma Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Roma Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze Biblioteca Nazionale Centrale, Roma Biblioteca Statale Isontina, Gorizia Emeroteca Tucci, Napoli Museo della guerra per la pace “Diego de Henriquez”, Trieste Centro di Ricerca Etnografica del Comune di Carpi La Fondazione è particolarmente grata a Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano (Laura Brazzo) Istituto Storico Germanico (DHI), Roma (Thomas Hofmann) Fototeca civici musei del Comune di Udine (Loris Milocco, Silvia Bianco, Vania Gransinigh) Archivi, biblioteche e musei esteri Archivio di AuschwitzBirkenau Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino Bayerische Staatsbibliothek, Bildarchiv, Monaco Biblioteca Germania Judaica, Colonia Bibliothek im Bundesarchiv, Berlino Bundesarchiv

Bildarchiv, Coblenza Deutsches Filminstitut, Francoforte Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz Stadtarchiv Nürnberg United States Holocaust Memorial Museum, Washington Collezione private Collezione privata famiglia Gai, Roma The Gillespie Collection, Australia Collezione Wolfgang Haney, Berlino Collezione Alessandro Matta, Cagliari Collezione Gianfranco Moscati Archivio privato Amedeo Osti Guerrazzi, Roma Collezione Enrico Sturani, Roma Questa esposizione non avrebbe potuto essere realizzata senza la generosità e la professionalità del caro amico Wolfgang Haney, Berlino.

Organizzazione generale e realizzazione C.O.R. CREARE ORGANIZZARE REALIZZARE Presidente Alessandro Nicosia Responsabile del progetto Federica Nicosia Segreteria Generale Mariangela Scaramella Amministrazione Emilia Ginnetti Servizi tecnici Simone Pascucci Mirko Furcas Progettazione espositiva BC Progetti di Alessandro Baldoni Giuseppe Catania con Francesca Romana Mazzoni Progetto immagine grafico-pubblicitaria Studio grafico L'Asterisco* di Barbara Elmi Assicurazioni In Più Broker Pannellistica Pubblilaser Con il contributo di

Collaboratori Ufficiali Un ringraziamento particolare al Presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia

Indice

Mario Venezia

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Marcello Pezzetti e Sara Berger

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Alessandro Nicosia

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Catia Tomasetti

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PREMESSA

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L’antisemitismo in Europa agli inizi del ’900

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La propaganda nel fascismo e nel nazismo

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LA PROPAGANDA ANTISEMITA NELLA GERMANIA NAZISTA

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L’antisemitismo della Germania nazista

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L’invenzione delle razze

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Der Stürmer

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La propaganda antisemita nella quotidianità

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L’antisemitismo nazista sullo schermo

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LA PROPAGANDA ANTISEMITA NELL’ITALIA FASCISTA

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L’antisemitismo dell’Italia fascista

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La Difesa della Razza

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Razzismo

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Le caricature antisemite in Italia

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LA PROPAGANDA ANTISEMITA NAZISTA E L’ITALIA FASCISTA Jud Süss EPILOGO

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La mostra sulla propaganda antisemita nella Germania nazista e nell’Italia fascista prosegue, ampliandolo verso altri orizzonti, il percorso e gli obiettivi che ci siamo dati da tempo come Fondazione Museo della Shoah. In modo particolare vogliamo che un numero sempre maggiore di persone capisca come sia potuto accadere che centinaia di migliaia di uomini comuni abbiano potuto condividere e sostenere una delle pagine più tragiche e tristi della storia dell’umanità e che gli storici, comunemente, definiscono un unicum. Il lavoro svolto dai nostri ricercatori e dallo staff della Fondazione, a cui va il mio ringraziamento, affronta un tema estremamente delicato e lo fa attraverso una serie di documenti e filmati che fanno comprendere, anche con un impatto visivo molto forte, come i due regimi abbiano lavorato abilmente e in modo insidioso sulle popolazioni arrivando a inoculare il veleno dell’odio verso l’ebreo mostrandolo in tutte le sue forme più dispregiative e arrivando a convincere le persone che l’ebreo, mostrato costantemente con il naso adunco e dai modi ambigui e striscianti, fosse il colpevole di qualsiasi cosa negativa accadesse nel mondo. Fumetti, giornali, libri, filmati, cartoni animati, discorsi: tutto contribuì a far sì che accadesse quello che poi accadde in modo tragico. Ma la mostra nella sua complessità e delicatezza cerca di far comprendere come quella pericolosità e quei mezzi oggi, con sistemi estremamente più evoluti e perfezionati, siano estremamente attuali. Per questo intendiamo rivolgerci con ancora più forza e attenzione in particolare ai giovani che verranno a trovarci da soli o con le scuole cercando di mostrare e di spiegare come l’uso incauto o inconsapevole dei mezzi di informazione moderni possano, se non utilizzati con consapevolezza, essere veicolo e strumento dell’antisemitismo e razzismo di oggi. È la prima volta che il tema della propaganda viene trattato in questo modo, con un materiale così particolare e d’impatto e in molti casi inedito. Il nostro auspicio è che anche questa mostra trovi il riscontro positivo delle precedenti mostre da noi curate e che quanto in essa contenuto sia da monito contro l’antisemitismo e contro ogni razzismo. Un monito del quale, oggi come ieri, la nostra società ha bisogno. Mario Venezia Presidente Fondazione Museo della Shoah

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Centinaia di migliaia di “uomini comuni” hanno partecipato attivamente alla persecuzione e all’uccisione della minoranza ebraica dell’intera Europa. Per comprendere come ciò sia stato possibile, è fondamentale analizzare quale ruolo abbia avuto la propaganda antisemita nella Germania nazista e nell’Italia fascista. È a causa delle stereotipizzazioni e di distorte interpretazioni di fatti storici e politici, lontane dalla realtà dei fatti, che si sviluppò una visione dell’altro, in questo caso degli ebrei, come di un nemico pericoloso da combattere e infine da eliminare fisicamente. L’esposizione è introdotta da una sintetica descrizione del ruolo della propaganda nei due stati totalitari, fenomeno che ha potuto aver luogo nella cosiddetta società di massa e grazie alla nascita e alla diffusione di nuovi media (stampa, radio, cinema e successivamente la televisione). Parallelamente viene offerto uno sguardo sull’evoluzione dell’antisemitismo, e in particolare sull’ultima sua fase, quella caratterizzata da motivazioni non più teologiche, socio-economiche, culturali, politiche, ma “genetiche, “biologiche”, assolutamente pseudoscientifiche. Si passa quindi a proporre, attraverso fonti iconografiche in parte inedite, il ruolo della propaganda antiebraica nelle due realtà a confronto: la Germania nazista e l’Italia fascista. La stereotipizzazione “biologica” dell’ebreo in senso negativo, obiettivo centrale della propaganda antisemita, viene costruita con manifesti, fotografie, oggettistica, la stampa in genere (giornali, riviste, libri) e la nuova “arma più forte”: il cinema (fiction, documentaristica, film d’animazione). Un breve spazio viene dedicato alla reazione degli ebrei in Italia alla campagna propagandistica. L’analisi finale si concentra sulle conseguenze che tale propaganda ha avuto sulla sorte della popolazione ebraica europea, dalle misure persecutorie allo sterminio fisico. Marcello Pezzetti e Sara Berger Curatori dell’esposizione

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“L’attrazione del nazismo risiedeva non solo nel suo discorso ideologico esplicito, ma anche nel potere delle emozioni, delle immagini, della fantasia” Saul Friedländer Questa esposizione, voluta fortemente dalla Fondazione Museo della Shoah, mette in rilievo uno spaccato della tragica storia della persecuzione degli ebrei, che meritava un giusto approfondimento. “LA RAZZA NEMICA. La propaganda antisemita nella Germania nazista e nell’Italia fascista” permette di leggere le cause di questo sterminio e in particolare le motivazioni che hanno portato le persone “comuni” a sostenere la persecuzione di tanti innocenti. La vergognosa propaganda messa in atto dal nazismo, portata avanti in maniera simile e a volte difforme dal fascismo, viene profusa attraverso tutti quei canali che la comunicazione dell’epoca offriva; prima paventando motivazioni sociali, culturali, politiche, poi asserendo differenze genetiche che con scherno e deplorevole convinzione hanno messo in moto la macchina dell’assoggettamento di massa. I documenti, gli oggetti, i manifesti, le cartoline, i filmati inseriti all’interno del percorso espositivo mostrano quindi l’evoluzione e la consequenziale azione di questa campagna che ha portato allo sterminio di migliaia di persone. Dagli oggetti di uso quotidiano come la caricatura del volto di un uomo ebreo utilizzata per uno schiaccianoci o ai giochi di un luna-park con il volto dalle “fattezze ebraiche” sul quale lanciare palline, fino ai boccali di birra con scene antisemite. Questi sono alcuni dei manufatti esposti, concessi in prestito dalla Collezione Wolfgang Haney, che spiegano fin dove l’odio razziale sia riuscito ad arrivare. Nelle immagini dell’Archivio Storico Luce e nei manifesti della propaganda, gli ebrei vengono disegnati come dei personaggi di fantasia, non umani, nemici “in casa” da combattere, anzi da annientare. Il messaggio che l’esposizione vuole lanciare al visitatore è sicuramente quello di fare Memoria, di non dimenticare questa immane tragedia, affinché pagine come questa non siano più scritte sui libri di storia. Inoltre la mostra, rivolta particolarmente alle nuove generazioni, vuole far riflettere sull’immensa forza dei mezzi di comunicazione; usarli in maniera distorta può portare a conseguenze irrimediabili, così come avvenuto con la propaganda antisemita. Vorrei infine ringraziare quanti hanno permesso la migliore riuscita del progetto: il presidente della Fondazione Museo della Shoah, Mario Venezia; i prestatori pubblici e privati; i curatori, Marcello Pezzetti e Sara Berger, che con grande professionalità hanno lavorato in questi mesi di preparazione dell’esposizione; mia figlia Federica che con passione e determinazione ha contribuito all’organizzazione di questa importante mostra.

Alessandro Nicosia Presidente di C.O.R. Creare Organizzare Realizzare

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Il rispetto delle diversità e l’impegno per l’uguaglianza sono responsabilità fondamentali che Acea sostiene ogni giorno e che ha posto tra i principali obiettivi del proprio piano pluriennale di sostenibilità. Per questo motivo Acea condivide profondamente la missione che sta alla base di questa esposizione: ricordare la tragicità dell’Olocausto e implicitamente continuare a combattere tutte le forme di razzismo e di antisemitismo, anche attraverso l’analisi di quei meccanismi perversi che alimentarono l’odio, a partire dalla “propaganda” e dall’errato utilizzo della “comunicazione”. L’informazione, che da sempre è uno strumento di potere, all’epoca si mise al servizio di quella che fu una orribile campagna d’odio e nello stesso tempo una promessa di ‘salvezza’. Si rivelarono strumentali tutte le forme di espressione che ritroviamo in questa preziosa esposizione che consente al pubblico, ma soprattutto alle nuove generazioni che privilegiano le immagini, una sottile lettura attraverso il linguaggio iconografico. L’importante documentazione “visuale” – dalle cartoline illustrate alle vignette, dai cartoni animati ai documentari, ai film – esprime l’efficacia e l’abilità di ‘spiegare’, attraverso la fusione del fattore visivo con quello ideologico, come veniva rappresentato il pericolo della minaccia ebraica a una società acritica e abituata al culto dello Stato. Un metodo all’apparenza banale, ma che purtroppo come sappiamo si è rivelato estremamente efficace per ottenere il consenso e la complicità del popolo. Le imprese tutte, sono state chiamate a ripensare la loro natura non solo in termini puramente economici, ma assumendo comportamenti eticamente responsabili e sostenendo i valori umani per l’intera comunità civile. L’attività di Acea, le scelte strategiche di questi anni dirette all’ambiente sociale, sia esterno che interno, hanno rappresentato un fattore indiscutibile di cambiamento. Per continuare a costruire e consolidare questa progettualità, abbiamo investito in programmi dedicati alla tutela delle pari opportunità e delle diversità perché la discriminazione è un male che si osteggia con la cultura dell’inclusione e della valorizzazione. Il processo di globalizzazione, la liberalizzazione degli scambi, non può avere solo effetti economici, ma deve avere un effetto positivo anche nel superamento dei preconcetti e degli etnocentrismi. Lavoriamo per la globalizzazione culturale, per vincere ogni forma di nazionalismo e di razzismo. Nel ringraziare i promotori e curatori della mostra, rinnovo a nome di Acea l’impegno nel continuare a partecipare, anche attraverso progetti come questa esposizione, alla costruzione di una cultura che contrasti vigorosamente l’intolleranza e ogni forma di odio razzista, affinché le nuove generazioni non si lascino illudere da quelle ideologie che fomentano l’avversione e i preconcetti nei confronti di altri popoli, e di altre culture o più in generale del diverso da sé, poiché trattasi di propaganda, oggi come allora, di falsi obiettivi che rischiano di distrarci dal trovare soluzioni e azioni positive per la convivenza e la tolleranza.

Catia Tomasetti Presidente Acea S.p.A.

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PREMESSA

L’ANTISEMITISMO IN EUROPA AGLI INIZI DEL ’900 In Europa l’antigiudaismo tradizionale, basato soprattutto su motivazioni religiose, non sparisce con l’emancipazione degli ebrei, ottenuta faticosamente nel corso dell’800 dopo secoli di emarginazione, ma si trasforma. Da un lato, gli ebrei diventano quasi ovunque cittadini come i cristiani; dall’altro, questa loro integrazione suscita sospetto e ostilità, soprattutto con la nascita dei nazionalismi in tutto il continente. La possibile loro assimilazione è vista come una minaccia per l’esistenza stessa della nazione. Essi incominciano a essere considerati come “stranieri”, una vera e propria “nazione nella nazione”, con una tradizione culturale pericolosamente “diversa”, responsabili del dilemma del progresso e della temuta “modernità”. È vissuta come drammatica la partecipazione di molti di essi ai movimenti liberali e socialisti, così come la capacità di adattarsi all’industrializzazione dei vari paesi in cui vivono. Queste nuove motivazioni trasformano il tradizionale odio “antigiudaico” in una nuova forma di avversione, più profonda e complessa, che viene definita “antisemitismo”. La “diversità” ebraica non è più considerata come “religiosa”, ma assume le caratteristiche – negative – di “diversità” sociale, etica e persino politica. L’ebreo diventa la personificazione di tutti i mali che minacciano una nazione. Strettamente legato a ciò si pone la nascita e il diffondersi della teoria cospiratoria: se gli ebrei sono stranieri nella nazione in cui vivono, e se, come in Germania, si sostiene che non possano far parte della Volksgemeinschaft (comunità del popolo), essi sono portati a cospirare contro di essa, fino ad assumere una funzione disgregatrice per ottenere il loro vero obiettivo, la conquista del mondo. Il mito della cospirazione e quello della cosiddetta “internazionale ebraica” trovano la loro massima espressione nei Protocolli dei Savi di Sion, uno dei falsi più grossolani e tragici della storia. Redatti in Russia tra il 1902 e il 1903 e diffusi nelle altre lingue europee dal 1919, i Protocolli consistono sostanzialmente nei verbali (inventati) di una riunione (inventata) tenuta da dirigenti “mondiali” ebrei (inesistenti) allo scopo di realizzare la (fantomatica) conquista del mondo. In questo contesto si sviluppa un’immagine del “tipico ebreo” – diffusa dalla letteratura, ma soprattutto da stereotipizzazioni visuali – che fissa le caratteristiche di questa minoranza come “negative in assoluto e per l’eternità”. Questa immagine, pur non essendo ancora connotata da motivazioni di natura “biologica”, renderà possibile l’accettazione della fase più devastante dell’antisemitismo, quello caratterizzato dalle nuove teorie pseudoscientifiche della “razza”.

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Boccali di birra, prodotti agli inizi del ’900 e negli anni ‘20, raffiguranti motivi antisemiti. Su due di essi compare la scritta “Trau keinem Fuchs auf grüner Heid und keinem Jud bei seinem Eid” (Non fidarti della volpe nella verde brughiera e non fidarti dell’ebreo quando giura). Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Cartoline antisemite che mostrano le immagini di un ebreo che si sarebbe arricchito grazie alla guerra (1914-1917) e di altri che, con la “pugnalata alle spalle”, avrebbero provocato la sconfitta dell’”eroico” esercito tedesco. Collezione Wolfgang Haney, Berlino Theodor Fritsch, Handbuch der Judenfrage (Manuale sulla questione ebraica), Amburgo, Sleipner Verlag, 1919. Pubblicazione del 1887 basata sul “Catechismo degli antisemiti” (AntisemitenKatechismus), fino al 1945 ristampato in 49 edizioni dallo stesso autore. Fondazione Museo della Shoah, Roma

Dopo una gita in montagna, cartolina di Enzo Van Dock, inizi ‘900. Collezione Enrico Sturani, Roma

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1924, elezioni del Reichstag. Manifesto del blocco di vari partiti dell’estrema destra (Völkisch-Sozialer Block) in cui l’ebreo viene raffigurato come comunista. In alto, la scritta: “Il vero capo dei marxisti della lista unica è Giuda.” Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Plak 002-032-021) Pipa raffigurante la “classica” figura stereotipata di un ebreo. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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L’internazionale ebraica. I “protocolli” dei “Savi anziani” di Sion, con appendice e introduzione di Giulio Cesare Andrea Evola, La vita italiana. Rassegna Mensile di politica, Milano, Baldini e Castoldi, 1938. Già nel 1921 viene stampata, sempre da La vita italiana, la prima edizione italiana del più noto testo di propaganda antiebraica, con una nota introduttiva di Giovanni Preziosi. Fondazione Museo della Shoah, Roma

L’internazionale ebraica. I “protocolli” dei “Savi anziani” di Sion, con appendice e introduzione di Giulio Cesare Andrea Evola, La vita italiana. Rassegna Mensile di politica, Milano, Baldini e Castoldi, 1938. Già nel 1921 viene stampata, sempre da La vita italiana, la prima edizione italiana del più noto testo di propaganda antiebraica, con una nota introduttiva di Giovanni Preziosi. Fondazione Museo della Shoah, Roma Nell’autunno 1919 il settimanale ebraico Israel denuncia l’antisemitismo di Gabriele D’Annunzio nell’impresa di Fiume e riporta il comunicato della Presidenza delle Università Israelitiche in risposta allo stesso D’Annunzio. Gabriele D’Annunzio rivela alle popolazioni croate gl’infernali intrighi dei banchieri ebrei, Israel, 20 ottobre 1919 Il Comitato delle Comunità a Gabriele d’Annunzio, Israel, 20 novembre 1919. Archivio storico del Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Roma

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LA PROPAGANDA NEL FASCISMO E NEL NAZISMO Il fascismo è il primo regime dell’Europa occidentale ad utilizzare in forma massiccia la propaganda, sfruttando ogni forma più moderna di comunicazione (stampa, radio, cinema) per influenzare e plasmare l’opinione pubblica. Già prima della trasformazione del governo di Mussolini in dittatura (1925-1926), il fascismo ha saputo utilizzare in maniera particolarmente efficace i giornali, si pensi al quotidiano nazionale (Il popolo d’Italia) e ai circa ottanta periodici locali. Con le leggi sulla soppressione della stampa libera (emanate tra il 1925 ed il 1928), il governo ha di fatto il monopolio dell’informazione. Negli anni ‘30 l’apparato propagandistico diventa sempre più centralizzato ed efficace. Nel 1934 viene creato il Sottosegretariato per la stampa e la propaganda, trasformato in ministero l’anno successivo. La radio (con la creazione di un ente di stato, l’EIAR), e il cinema (con la statalizzazione dell’Istituto cinematografico “Luce”, nel 1925, e la nascita di un ente di stato per la produzione cinematografica, “Cinecittà”, nel 1937), sono utilizzati e finanziati in maniera massiccia dal regime. Assieme all’uso degli strumenti più moderni dell’epoca, la propaganda fascista si distingue per il tentativo di creare un vero e proprio “culto della personalità” attorno alla figura di Mussolini, il “Duce”, raffigurato di volta in volta come sportivo, intellettuale, lavoratore indefesso e soprattutto guerriero. Il regime nazionalsocialista si pone come obiettivo fondamentale quello di realizzare una “rivoluzione totale” che riesca ad abbracciare e a modificare ogni aspetto della vita pubblica. Perché niente potesse sfuggire alla sua idea totalizzante, il nazismo cerca di imporla all’intero corpo sociale, sfruttando ogni mezzo di espressione artistica. L’intero popolo va conquistato al “Nuovo Stato”. A tal fine, l’11 marzo 1933 viene creato il Propagandaministerium (Ministero del Reich per l’istruzione del popolo e la propaganda – Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda), con a capo il giovane e nuovo ministro Joseph Goebbels, competente “per tutte le questioni riguardanti l’influenza spirituale sulla nazione, la propaganda per lo Stato, la cultura e l’economia, l’informazione dell’opinione pubblica interna ed estera relativa a questi ambiti e l’amministrazione di tutte le istituzioni utili a tali scopo”. Questi, convinto della totale manovrabilità dell’uomo, struttura il Ministero della Propaganda in un sistema organizzato in sei settori: radio, stampa, letteratura, belle arti, cinema e teatro, musica. Una siffatta organizzazione della cultura segna uno sviluppo per i “nuovi media”, la radio, il cinema e infine la neonata televisione, ritenuti i mezzi più efficaci per supportare gli sforzi del principale strumento della politica totalitaria: la propaganda e l’educazione. Ma è soprattutto con il cinema documentario che il regime cerca di sviluppare in ogni spettatore la coscienza di essere legati al “Nuovo Stato” e alla sua ideologia, ed è con questo genere di immagini, ritenuto solitamente “neutro”, che i nazisti visualizzano la realtà dei loro sogni, esercitando su di esso un controllo totale. È attraverso questa “propaganda di Stato” che, come scrive Victor Klemperer nel 1946, il nazismo riesce a penetrare “nella carne e nel sangue della gente grazie a singole parole, a frasi fatte, e a slogan che vennero loro imposti attraverso la ripetizione ossessiva”.

Roma, marzo 1934. La facciata di Palazzo Braschi ricoperta da un manifesto di propaganda con il volto di Mussolini e la scritta SI. Anni ’30. Mussolini in un fotomontaggio di propaganda. Archivio fotografico Istituto LUCE, Roma

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Cartoline di propaganda fascista. Collezione Enrico Sturani, Roma

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Cartoline di propaganda fascista. Collezione Enrico Sturani, Roma

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Scenografia propagandistica presso gli scavi al Quadraro, Roma. Archivio fotografico Istituto LUCE, Roma Il regista cinematografico italiano Domenico Paolella (1915-2002), volendo realizzare un documentario sulla Germania nazista, elenca in una nota del 1940 per l’ambasciata tedesca le scene che vuole girare, mettendo in luce “tipi di purissima razza tedesca in atteggiamenti sportivi”. Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino

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Manifesto di Schwarzhemden, la versione tedesca del film di propaganda fascista “Camicia nera”, diretta nel 1933 da Giovacchino Forzano. The Gillespie Collection, Australia

La regista Leni Riefenstahl durante le riprese per il film di propaganda “Olimpia”, agosto 1936. Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Bild 146-1988-106-29)

Norimberga, settembre 1934: SA e SS in parata durante il congresso del partito nazista (“Reichsparteitag”). Fotografo: Georg Pahl. Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Bild 102-16196)

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Aprile 1934, manifesto con un’immagine ideale di un giovane tedesco disegnato da Ludwig Hohlwein. Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Plak 003-017-117) 1932, elezioni del Presidente del Reich. Manifesto, disegnato da Felix Albrecht, raffigurante una famiglia tedesca bisognosa dell’aiuto di Adolf Hitler: Uomini! Donne! Milioni di uomini senza lavoro. Milioni di bambini senza futuro. Salvate la famiglia tedesca. Votate Adolf Hitler! Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Plak 002-016-048)

Unser Volkskanzler Adolf Hitler. Die Schule im Dritten Reich. Klassenlesestoff für die neue deutsche Schule (Il nostro cancelliere Adolf Hitler. La scuola nel Terzo Reich. Testi per la nuova scuola tedesca), a cura del Nationalsozialistischer Lehrerbund, Berlino, Verlag Heinrich Beenken, 1933. Archivio privato

“L’essenza della propaganda consiste nel guadagnare gli uomini a un’idea, ma in maniera così convincente e viva che alla fine essi ne siano imbevuti e non riescano più a liberarsene” (Joseph Goebbels, dal discorso a Berlino, l’8 maggio 1933)

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Marzo 1938, nonni e i nipoti con manifesti di propaganda nazista in Austria dopo l’entrata della Wehrmacht nel paese. E alla fine avete vinto voi! Che [meraviglia che] potevamo ancora vivere questo momento! Quando vedrò il Führer? Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Bild 146-1969-055-50) Donne e bambini ascoltano la propaganda bellica alla radio in un rifugio antiaereo di Berlino, 1940-1944. Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Bild 146-1981-076-29A)

Brückl-Fibel für den 1. Schuljahrgang, Monaco, Verlag R. Oldenbourg, 1942 p. 28: 9 novembre [1923, il giorno del fallito Putsch]. Le bandiere sventolano. Le fiamme divampano. I morti ammoniscono: siate coraggiosi e fedeli. p. 29: Alla radio. Ascoltiamo la musica. Ascoltiamo il tamburo. Ascoltiamo “Sieg Heil” [il saluto nazista]. Ascoltiamo la canzone: Germania, Germania sopra ogni cosa [l’inno nazionale] e la canzone In alto la bandiera [Il canto di Horst Wessel]. Archivio privato

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LA PROPAGANDA ANTISEMITA NELLA GERMANIA NAZISTA

L’ANTISEMITISMO DELLA GERMANIA NAZISTA L’antisemitismo che il nazionalsocialismo sostiene ufficialmente e diffonde nella società tedesca è di carattere “razzista-biologico”, le cui basi teoriche sono gettate già nell’800, quando Arthur de Gobineau, che non è antisemita, tenta di spiegare tutta la storia con il metodo delle presunte caratteristiche inferiori o superiori delle “razze”. Successivamente i principi darwiniani della “selezione naturale” e della “sopravvivenza del più adatto” vengono utilizzati per affrontare i problemi sociali; infine con Francis Galton il concetto di “selezione naturale” trova applicazione nell’eugenetica. Accanto a questo tipo di razzismo, che ha la pretesa di basarsi su prove scientifiche e che viene definito “biologia razziale e sociale”, si sviluppa anche un razzismo cosiddetto “mistico”, che identifica le radici spirituali delle “razze” con le origini nazionali. Richard Wagner, che pone l’accento sul concetto di “sangue ariano”, e i pangermanisti iniziano ad attribuire la degenerazione nazionale agli ebrei; Houston Steward Chamberlain, che tenta di dare una giustificazione filosofica al razzismo, giunge alla conclusione che l’“ariano”, portatore di cultura, rappresenti la “razza” pura, arrivando a definire gli ebrei una “razza” minore mista, in eterna lotta con gli “ariani”. Otto Weininger colloca infine il fattore sessuale come centrale per l’ideologia razzista. I nazionalsocialisti superano definitivamente le “classiche” motivazioni dell’antisemitismo – anche di quello “moderno” – facendo proprie le teorie pseudo-scientifiche del razzismo. Hitler, antisemita fanatico, completa questa fusione, adottando per di più nei suoi scritti un virulento linguaggio tratto dalla parassitologia. Nel Mein Kampf l’ebreo è considerato “sempre e solo un parassita nel corpo di altri popoli”, un essere che cerca “sempre nuovo terreno fertile per la sua razza”. Gli ebrei sono ritenuti i nemici dell’intera umanità perché distruggono l’armonia naturale, di stampo darwiniano; le nazioni sarebbero dotate di una struttura “organica” e gli ebrei rappresenterebbero la malattia che attacca i corpi sani. Il nazionalsocialismo sarebbe quindi la sana reazione del corpo: il rigetto. Per Hitler, se la Germania non fosse sufficientemente sana da rigettare gli ebrei, allora essa scomparirebbe, come già successo in passato all’Impero romano. L’antisemitismo biologico – concepito come un vero e proprio “meccanismo di difesa” – diventa il punto fisso del pensiero hitleriano e con esso il nucleo del programma del partito nazionalsocialista. Per gli ebrei tedeschi, circa mezzo milione di persone, – ma poi anche per quelli dell’intera Europa – la tragedia ha inizio con il successo elettorale dei nazisti, il 30 gennaio 1933, quando questo antisemitismo diventa la politica ufficiale del governo tedesco, il cui ossessivo obiettivo risulta essere quello di “liberare” il Reich dagli ebrei. Si inizia col cancellare le conquiste dell’emancipazione e col definire gli ebrei attraverso categorie razziste; seguono quindi promulgazioni di misure discriminatorie e persecutorie. Perché tutto il popolo accetti questa ideologia, essa viene diffusa, oltre che con misure legislative, attraverso una imponente mobilitazione propagandistica. Parole come usuraio, borsanerista, capitalista, capitale internazionale, potere finanziario internazionale, stranieri, sistema di Weimar, rivoluzione, socialismo, comunismo, ma soprattutto bolscevismo, diventano sinonimi dell’ebreo, nemico assoluto della Volksgemeinschaft (comunità del popolo). L’attitudine a cospirare per il dominio del mondo viene dichiarata come parte fondante del programma genetico della “razza ebraica”, un impulso istintivo a cui ogni ebreo non può sottrarsi. La propaganda non è diffusa soltanto in discorsi, articoli, pubblicazioni, addirittura nell’oggettistica, ma viene estesa anche alla cinematografia e al sistema espositivo. Nel novembre del 1936 è aperta a Monaco di Baviera una mostra intitolata Große antibolschewistische Schau (grande rassegna antibolscevica), 3.000 metri quadri sul “lavoro di distruzione ebraico-bolscevico” in tutto il mondo; un anno dopo nella stessa città viene inaugurata – ma successivamente esposta anche a Vienna, Berlino e in altre città – una mostra dal titolo Der ewige Jude (l’eterno ebreo), che diffama gli ebrei con tutti i mezzi della peggiore propaganda. Ancora maggiore effetto ha un film con lo stesso titolo che esce nel 1940. La propaganda raggiunge il suo culmine quando il regime diffonde in modo capillare e ossessivo l’idea che gli ebrei avrebbero ordito la seconda guerra mondiale per provocare lo “sterminio” della Germania. La “soluzione della questione ebraica” diventa quindi la questione principale: o la vittoria degli ebrei o la vittoria della Germania nazista.

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JOSEPH GOEBBELS Nato nel 1897 in Renania, dopo gli studi universitari di germanistica, filologia antica e storia si avvicina nel 1924 al movimento nazista e assume subito la direzione delle sue pubblicazioni. Nel 1926 diventa Gauleiter di Berlino-Brandeburgo e nel 1928 entra nel Reichstag. Dal 1933 al 1945 dirige il neoistituito Ministero del Reich per l’Istruzione del popolo e la Propaganda (Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda). Puntando su cinematografo e radio come strumenti per influenzare il popolo, ottiene il pieno controllo di tutti gli ambiti della vita culturale del Paese.

È il principale responsabile del boicottaggio dei negozi ebraici e del rogo dei libri nel 1933, così come dell’esclusione dalla Reichskulturkammer di tutte le persone con un solo nonno ebreo e del sequestro delle opere artistiche dichiarate “entartet” (degenerate). Dal 1940 al 1945 rende obbligatoria nelle sale cinematografiche la visione della Deutsche Wochenschau, il notiziario settimanale. Nel maggio 1945, dopo aver fatto uccidere i sei figli dalla moglie, si suicida con lei. Il suo diario viene pubblicato dopo la guerra.

Berlino, 1 aprile 1933. Joseph Goebbels mentre incita il popolo tedesco a boicottare i negozi degli ebrei. United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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Peter Deeg, Hofjuden (Ebrei di corte), a cura di Julius Streicher, Norimberga, StürmerVerlag, 1939. Wilhelm Matthießen, Israels Geheimplan der Völkervernichtung (Il piano segreto di Israele di sterminio dei popoli), Monaco, Ludendorffs Verlag, 1938. Wilhelm Matthießen, Israels Ritualmord an den Völkern (L’omicidio rituale di Israele nei confronti dei popoli), Monaco, Ludendorffs Verlag, 1939. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Elvira Bauer, Trau keinem Fuchs auf grüner Heid und keinem Jud bei seinem Eid (Non fidarti della volpe nella verde brughiera e dell’ebreo quando giura), Norimberga, Stürmer Verlag, 1936. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Bambini tedeschi leggono i libri antisemiti dello Stürmer: “Il fungo velenoso” e “Non fidarti della volpe”. Stadtarchiv Nürnberg, E39 Nr. 2381/5

Der Giftpilz (Il fungo velenoso), Norimberga, Stürmer Verlag, 1938. Biblioteca Germania Judaica, Colonia

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Alfred Vogel, Erblehre, Abstammungs- und Rassenkunde in bildlicher Darstellung (Rappresentazioni grafiche delle scienze d’eredità, della genealogia e della razza), Stoccarda, Verlag für Nationale Literatur Gebr. Rath, 1938. Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, Signatur: 2“ La 2099/487

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L’INVENZIONE DELLE RAZZE Nella Weltanschauung (visione del mondo) nazista la storia è determinata dalle “lotte delle razze” (Rassenkämpfe), e ogni razza, così come ogni singolo individuo all’interno delle razze, ha un suo posto specifico in una scala di valori. Nelle scuole, fin dalle elementari, e nelle università viene insegnata la “scienza della razza” (Rassenkunde), in base alla quale si stabilisce una “gerarchia razziale” che vede all’apice il tedesco ariano, creatore di cultura, e nel punto più basso l’Untermensch (sottouomo), l’ebreo, il distruttore dell’ordine sociale. Fra questi due estremi si collocano i sinti e i rom, gli asiatici, i neri, gli slavi, ecc. È l’appartenenza alla “razza” che determina il valore di una persona; conseguentemente il peggiore dei mali è rappresentato dalla Mischung (miscuglio). Solo una legislazione razziale può impedire la contaminazione che porta alla degenerazione. Ma le “razze” individuate dai nazisti non si dividono soltanto in ariane e non: la stessa popolazione della Germania e dell’Europa “ariana” è divisa in diverse “razze”: dalla più alta, la “razza” nordica, alle “razze” faliche (falisch), mediterranee (westisch), alpine (ostisch), fino alla “razza” baltica-orientale (ostbaltisch). Gli ebrei, di contrasto, sono definiti come un miscuglio di “razze” orientali – asiatiche – mediterranee – camite – nordiche – negroidi. Per migliorare le qualità del popolo tedesco viene “indicato” ai suoi componenti di non sposare appartenenti a “razze” considerate fisicamente e caratterialmente opposte. Alle varie “razze” vengono attribuite specifiche caratteristiche, come quelle assegnate alla nordica e alla mediterranea. “Razza” nordica (nordisch): alto, snello. Talento creativo, ha forza di volontà e dinamismo in ambito statistico e militare; deciso, eroico ed esemplare; obiettivo, capace di previsione e realista; incline alle scienze naturali e tecniche, riservato e freddo. “Razza” mediterranea (westisch): piccolo, gracile-snello. Appassionato, flessibile, affettuoso, curioso; si gode la vita e lavora poco, ha senso dell’onore e poco senso dell’ordine, predisposizione alla crudeltà e al sadismo; eloquente, tende a mettersi in risalto. Cosa sia in realtà la “razza” nemmeno i teorici nazisti lo sanno determinare. Hans Günther, il principale esperto razziale del Terzo Reich, arriva ad affermare che non è possibile analizzare razionalmente il significato e il valore della propria “razza”. Si limita a sostenere, senza alcun supporto scientifico, che sangue, “razza” e Volk (popolo) sono qualità innate che determinano il progresso dell’uomo.

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Hans Günther, Kleine Rassenkunde des deutschen Volkes (Piccola scienza della razza del popolo tedesco), Monaco, J. F. Lehmann, 1933. Fondazione Museo della Shoah, Roma Foto di persone appartenenti alle varie “razze” presenti in Germania, da Otto Schmeil / Paul Eichler, Der Mensch. Menschenkunde, Gesundheitslehre, Vererbungslehre, Rassenhygiene, Familienkunde, Rassenkunde, Bevölkerungspolitik (L’uomo. Scienza dell’uomo, medicina, genetica, igiene della razza, genealogia, scienza della razza, politica demografica), Lipsia, Verlag von Quelle und Meyer, 1936. Archivio privato Ebrei e „ariani“ a confronto, da Fritz Fink, Die Judenfrage im Unterricht (La questione ebraica in aula), Norimberga, Stürmer Verlag, 1937. Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, Signatur: Nf 1357

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Ebrei e „ariani“ a confronto, da Alfred Vogel, Erblehre, Abstammungs- und Rassenkunde in bildlicher Darstellung (Rappresentazioni grafiche delle scienze d’eredità, della genealogia e della razza), Stoccarda, Verlag für Nationale Literatur Gebr. Rath, 1938. Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, Signatur: 2“ La 2099/487 Ebrei e “ariani” a confronto, da Elvira Bauer, Trau keinem Fuchs auf grüner Heid und keinem Jud bei seinem Eid (Non fidarti della volpe nella verde brughiera e dell’ebreo quando giura), Norimberga, Stürmer Verlag, 1936. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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DER STÜRMER La pubblicazione più violentemente antisemita prodotta dal Terzo Reich è il settimanale Der Stürmer, fondato da Julius Streicher a Norimberga nel 1923. Nel 1933 raggiunge già una tiratura di 20.000 copie, che aumenta però in pochi anni fino a quasi 500.000. L’efficacia dei suoi messaggi aumenta sostanzialmente grazie al fatto che in ogni città e villaggio vengono allestite bacheche per la sua lettura pubblica (Stürmerkasten). Su ogni pagina è evidenziata la scritta Die Juden sind unser Unglück (Gli ebrei sono la nostra sfortuna), una citazione dello storico Heinrich von Treitschke del 1879, che viene spesso utilizzata anche in vignette antisemite. Le caricature sono realizzate da Philipp Rupprecht (“Fips”). Lo stesso settimanale pubblica e promuove anche i più diffusi libri antisemiti per bambini: nel 1936 Trau keinem Fuchs… (Non fidarti della volpe…) e nel 1938 Der Giftpilz (Il fungo velenoso). In Der Stürmer gli ebrei sono accusati di essere la causa di tutti i mali del mondo. Ognuno di essi è infatti indicato come responsabile di orrendi “delitti”, anche se questi sono il più delle volte in contraddizione l’uno con l’altro: dal bolscevismo al capitalismo, dalla corruzione delle donne allo scatenamento della guerra, dal deicidio all’omicidio rituale (il Talmud viene condannato come pericoloso strumento di propaganda ebraica), dalla malvagità alla condotta diabolica, dalla creazione dell’arte degenerata alla generazione di ogni crimine. Ma l’accusa più grave rimane quella della cospirazione per ottenere il dominio del mondo. Si condannano sistematicamente gli “amici degli ebrei” e si esorta la popolazione tedesca a denunciarli pubblicamente senza esitare. Inoltre, fin dalla sua comparsa, il settimanale di Streicher ribadisce la necessità di imporre un “nuovo ordine” europeo come forma di difesa di fronte al “pericolo ebraico” e invoca una “soluzione radicale” alla cosiddetta “questione ebraica” (Judenfrage). Anche Das Schwarze Korps, il settimanale delle SS fondato nel 1935, con una tiratura, nel 1944, di 750.000 copie, si distingue per un virulento antisemitismo. Diretta dal giornalista Gunter d’Alquen, questa pubblicazione non ha come solo obiettivo la lotta contro l’ebraismo, ma rivolge la sua campagna di denigrazione anche nei confronti della chiesa, del bolscevismo e di altre minoranze escluse dalla Volksgemeinschaft. Vignette e immagini di “tipici ebrei’ fotografati nei campi o nei ghetti provenienti da Der Stürmer e da Das Schwarze Korps si ritrovano poi ne La Difesa della Razza e in altre pubblicazioni antisemite italiane.

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JULIUS STREICHER (1885-1946) Nato presso Augsburg, inizia la sua carriera professionale come insegnante. Dopo la partecipazione alla prima guerra mondiale milita in organizzazioni nazionaliste ed è fra i cofondatori del ramo norimberghese del partito antisemita Deutsch-Soziale Partei, che passa con lui nel 1922 nella NSDAP. Nel 1923 fonda il settimanale antisemita Der Stürmer, fatto che lo rende milionario. Nello stesso anno partecipa al tentato colpo di stato di Hitler (Hitler-Putsch) e nel 1924 entra nel parlamento regionale bavarese. Dal 1925 si impegna nella ricostituzione del partito nazista in Baviera, ottenendo, nel 1929, la carica di Gauleiter (capo di una sezione locale del partito) della Media Franconia, più tardi dell’intera Franconia. Nel 1933 organizza il boicottaggio delle attività economiche ebraiche, così come altre azioni antisemite. Pubblica libri per bambini quali Der Giftpilz (Il fungo velenoso). Nel 1940 è costretto a lasciare gli incarichi politici dopo essere stato indagato per corruzione e per essersi arricchito con beni ebraici. Grazie alla sua amicizia con Hitler rimane però ancora editore dello Stürmer. Arrestato nel 1945 da soldati americani, viene processato dal tribunale internazionale di Norimberga. Condannato a morte, viene impiccato nell’ottobre del 1946.

Julius Streicher, nel 1929, durante un discorso sul Hesselberg (Franconia). Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Bild 10201893A)

“Viviamo in un paese con una grande e lunga storia. I nostri antenati hanno lottato e dato il sangue per questo paese, ma gli ebrei mai. L’ebreo non ha nessun interesse di morire per la Germania. Conosce solo se stesso, il suo popolo, il suo futuro, il dominio mondiale e la soppressione di tutti i popoli.” (Julius Streicher, dal discorso nel parlamento bavarese, Monaco, 23 gennaio 1925)

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Copertina e caricature in copertina del settimanale Der Stürmer Luglio 1936 (30/1936), novembre 1937 (46/1937), agosto 1936 (34/1936), dicembre 1938 (52/1938), ottobre 1936 (41/1936). Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, Signaturen: 2 Ez17657/40-14,+ Sondernr..1936 ; 2 Ez17657/40-15+Sondernr..1937 ; 2 Ez17657/40-16.1938

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Copertina e caricature in copertina del settimanale Der Stürmer Maggio 1939 (20/1939), aprile 1937 (14/1937), 5.12.1940). Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, Signaturen: 2 Ez17657/40-15+Sondernr..1937 ; 2 Ez17657/40-17.1939 ; 2 Ez17657/40-18/19.1940

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Bambini leggono lo Stürmer in una bacheca. Dal libro di Elvira Bauer, Trau keinem Fuchs auf grüner Heid und keinem Jud bei seinem Eid (Non fidarti della volpe nella verde brughiera e dell’ebreo quando giura), Norimberga, Stürmer Verlag, 1936. Fondazione Museo della Shoah, Roma La bacheca dello Stürmer (Stürmerkasten) con in alto la scritta “Chi compra dagli ebrei è un traditore del popolo”. Fotografia scattata nel 1933 da Walter Tröller. Bayerische Staatsbibliothek, Bildarchiv, Monaco

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Il settimanale delle SS, Das Schwarze Korps. (9.11.1939, p. 1; 14.4.1938, p. 10; 8.7.1943, p. 1) Bibliothek im Bundesarchiv, Berlino

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Manifesto per le elezioni del Reichstag, disegnato da Philipp Rupprecht (“Fips”), circa 1932, con la scritta “Èlites e circoli borghesi con gli ebrei – Con il popolo che crea Adolf Hitler, Lista 1”. Collezione Wolfgang Haney, Berlino Manifesto, circa 1935, di propaganda che pubblicizza l’edizione speciale dello Stürmer sulla “Rassenschande” (profanazione della razza). United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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Manifesto, disegnato nel 1943 da Hans Schweitzer con la scritta „L’ebreo: iniziatore della guerra, prolungatore della guerra”. Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Plak 003-020022) Manifesto, disegnato nel 1943 da Hans Schweitzer, con la scritta “Fuori lo spirito da mercante ebraico (Schachergeist)”. United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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LA PROPAGANDA ANTISEMITA NELLA QUOTIDIANITÀ La propaganda antisemita non è affidata solo ai mezzi di comunicazione di massa (stampa, radio e cinema), ma è presente nella quotidianità della vita sociale. È rintracciabile nei volantini come sulle cartoline, nei francobolli come sugli adesivi, sui libretti dell’assicurazione medica – “Meidet jüdische Ärzte” (Evitate medici ebrei) –, negli oggetti che si utilizzano tutti i giorni come i fiammiferi, persino nei giochi dei lunapark. Alcune cartoline riportano foto, timbri, iscrizioni o manifesti della mostra antisemita Der ewige Jude; altre delle feste di carnevale – in particolare quello di Colonia –; altre ancora dello Stürmerkasten (la bacheca dello Stürmer). Una parte di tale materiale, come quello inserito sulle banconote svalutate negli anni dell’inflazione, viene offerto al pubblico prima del 1933, nel tentativo, vincente, di convincere l’elettorato a votare per Hitler. La stereotipizzazione dell’ebreo dall’aspetto disgustoso, con caratteristiche fisiche ben riconoscibili, quali l’enorme naso arcuato, è onnipresente. I ricorrenti luoghi comuni di tale propaganda portano a identificare l’ebreo come capitalista, bolscevico, dominatore del popolo tedesco, l’essere che ha voluto la guerra, il corruttore della donna tedesca, l’avvelenatore della stampa, ma soprattutto l’essere che brama la conquista del mondo. Si invitano i tedeschi, naturalmente “ariani”, a evitare tutti i contatti (commerciali, sessuali, personali) con gli ebrei e a utilizzare nei loro confronti metodi violenti, o almeno ad accettare la violenza nei loro confronti come “legittima”. Anche durante la guerra, con lo sterminio di massa in atto, si continua a invitare il popolo tedesco a non avere contatti con la minoranza ebraica, che dal 1941 è costretta anche a portare una stella gialla cucita sopra i vestiti come infamante segno distintivo.

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La testa di un “ebreo” usata come bersaglio da colpire con la palla in un luna-park. Collezione Wolfgang Haney, Berlino Stereotipizzazione antisemita del volto di un “tipico” ebreo. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Oggetti con raffigurazioni antisemite. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Oggetti con raffigurazioni antisemite. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Monete svalutate durante il periodo dell’inflazione (1923) usate per la propaganda antisemita nelle elezioni del Reichstag prima del 1933.

Una sorpresa. Dio il Giusto! Ancora una nuova cometa! Compagni del popolo, venite da Hitler, diventate nazionalsocialisti! Votate il blocco nazionalsociale! L’ebreo dell’est ParvusHelphan. Ricettatore di frumento romeno. Finanziatore dei criminali del novembre. Amico intimo di Ebert, Scheidemann e Noske. Compagni del popolo, diventate nazionalsocialisti, leggete il Völkischer Beobachter Monaco. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Retro di una moneta svalutata. La conquista della rivoluzione! (Borsa, la spirale delle tasse, economia della moneta cartacea, interessi delle banche…) Il popolo lavoratore elegge il blocco nazional-sociale. Volantino. Donazione per le elezioni – Ogni marco che doni è un colpo che lo stende. La sezione della Media Franconia della NSDAP. Busta da lettera chiusa con un adesivo con la scritta “Ragazza tedesca, non ascoltare il richiamo dell’ebreo. Ti darà soltanto un meritato calcio”. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Cartolina. Senza soluzione della questione ebraica non c‘è riscatto dell’umanità. Adesivo. Fuori gli ebrei. Gli ebrei sono la disgrazia della Germania. Adesivi. Chi compra dagli ebrei è un traditore del popolo. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Adesivo. Morte al marxismo – [Venite] da noi. Francobollo con l’immagine del manifesto disegnato nel 1943 da Hans Schweitzer, con la scritta “È lui il colpevole della guerra!”. Libretto di un’assicurazione medica di Norimberga con la scritta “Evitate medici ebrei”, 1938. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Volantini buffi – Uno divora l’altro, l’ebreo divora tutti (luglio 1943). Adesivo. Facciamola finita con lo spirito mercanteggiante ebraico.

Guerra chimica, quando gli ebrei forniscono veleno e siero. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Cartoline con foto del carnevale di Colonia e di Mainz. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Cartolina. Esaltando [la sua merce] con tanti bei discorsi. Cartolina. Susanna al bagno. Cartolina con il manifesto della mostra antisemita Der ewige Jude a Monaco, 1937. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Cartolina. Via la stampa ebraica! Avvelena la nostra mente e uccide il pensiero tedesco. Cartolina. Verso la Palestina. Cartolina. Dietro i poteri nemici: l’ebreo. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Cartolina. Massoneria, capitale dell’alcol, libero pensiero, socialismo ebraico, dominio del mondo, usura monetaria, stampa ebraica, peste del cinema, usura sulle abitazioni e terreni. Cartolina. Se vedi questo marchio…. Ebreo. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

Un aereo con la scritta “Gli ebrei sono la nostra sfortuna”, la frase dello storico Heinrich von Treitschke utilizzata come un ritornello dallo Stürmer. Stadtarchiv Nürnberg, E39 Nr. 2247/28

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Un membro della PropagandaKompanie a Litzmannstadt (Łódź) nel 1940. Le immagini di “tipici” ebrei fotografati e filmati nei ghetti vengono utilizzati a scopo propagandistico in mostre, giornali e film come “Der ewige Jude”. Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Bild 101III-Schilf-003-24) Theresienstadt, 1944. Membri della troupe diretta da Kurt Gerron durante le riprese del “documentario” di propaganda girato con lo scopo di mostrare la “piacevole vita” condotta dagli ebrei nella città-ghetto. Finite le riprese, quasi tutte le persone costrette dai nazisti a partecipare alla messa in scena sono deportate ad Auschwitz. United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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L’ANTISEMITISMO NAZISTA SULLO SCHERMO I nazisti effettuano la trasposizione cinematografica del loro odio antiebraico solo a partire dal 1939. Le prime tracce sono visibili nel lungometraggio sull’invasione della Polonia, Feldzug in Polen (La campagna in Polonia, in Italia col titolo Si avanza all’Est), di Fritz Hippler, in cui si sostiene che la “lotta contro l’ebraismo” è uno degli obiettivi primari della guerra. A partire da quest’opera ha inizio una radicalizzazione della propaganda antiebraica che dura fino agli inizi del 1942, quando si procede allo sterminio sistematico degli ebrei nell’Europa centro-orientale. La produzione di film antiebraici in Germania è dunque ridotta e molto limitata nel tempo. La prima fiction è Robert und Bertram (1939), di Hans Heinz Zerlett, una commedia musicale dove centrale è la figura del tutto stereotipata del banchiere Moïse Ipelmeyer, e in cui si sostiene che gli ebrei, profondamente differenti dagli altri tedeschi, si sarebbero arricchiti a spese del popolo germanico. Subito dopo è la volta di Leinen aus Irland (Austria, 1939), di Herbert Helbig, denuncia caricaturale degli ebrei, rappresentati come dei complottatori e al cui amorale individualismo viene contrapposto il mito della Volksgemeinschaft (comunità del popolo). Più noto è Die Rothschilds (1940), di Erich Waschneck, film intriso di un volgare antisemitismo, paragonabile a quello propagandato dal settimanale Der Stürmer, avente come tema centrale il presunto “complotto ebraico”. Qui gli ebrei sono rappresentati come esseri che speculano in borsa, mentre i popoli versano il loro sangue sui campi di battaglia. L’opera di fiction che sarebbe diventata un “classico” dell’antisemitismo, raggiungendo anche un successo internazionale, appare nello stesso anno. Si tratta di Jud Sü , di Veit Harlan. Ma il prodotto più violentemente antisemita del Terzo Reich, una vera e propria metafora dell’antisemitismo nazionalsocialista, rimane il documentario Der ewige Jude (L’eterno ebreo, in Italia col titolo L’ebreo errante) (1940), di Fritz Hippler. Tale opera è un invito non mascherato a procedere nell’eliminazione degli ebrei europei, mostrandoli come l’incarnazione del male sia a livello metafisico che biologico, in possesso di presunti “tratti ereditari tipici” messi in evidenza con immorali primi piani (colore dei capelli, conformazione degli occhi, della bocca e, soprattutto, del naso, espressione del volto, composizione del cranio). Hippler, girando la maggior parte delle scene nel ghetto di Łódź (Litzmannstadt), e aggiungendo un testo particolarmente antisemita scritto dal giurista Eberhard Taubert, cerca di definire cinematograficamente un tipo di ebreo “universale” ed “eterno”, le cui caratteristiche sarebbero l’inferiorità fisica, il parassitismo, la degenerazione morale, la perversione, la capacità di manipolazione, l’avidità, il trasformismo.

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FRITZ HIPPLER (1909-2002) Nato a Berlino, nel 1927 diventa membro del partito nazista (NSDAP). Durante gli studi di giurisprudenza è a capo dell’associazione nazista degli studenti a Berlino (Nationalsozialistischer Deutscher Studentenbund), con la quale organizza nel 1933 il rogo dei libri. Dal gennaio del 1939 è responsabile, nel Ministero della Propaganda, del notiziario settimanale Deutsche Wochenschau (al quale ha collaborato prima come assistente); poi è capo reparto “Film”. Come Reichsfilmintendant diventa l’uomo più potente nel campo della cinematografia. Uomo di fiducia di Goebbels, realizza vari film di propaganda, fra cui Der Feldzug in Polen (La campagna in Polonia, in Italia col titolo Si avanza all’est) e nel 1940 gli viene affidata la regia del prodotto più antisemita realizzato dal regime nazista, Der ewige Jude, con una retribuzione non tassabile di 60.000 RM. Nel giugno 1943 cade in disgrazia e viene inserito in una compagnia di corrispondenti di guerra. Fra il 1945 e il 1948 è incarcerato nel campo di internamento di Neuengamme. Successivamente collabora alla realizzazione di documentari, sia sotto pseudonimo, sia con la sua vera identità, e all’inizio degli anni ‘60 prende possesso di un’agenzia viaggi a Berchtesgaden. Nel 1981 pubblica Die Verstrickung, un libro col quale tenta un’inutile autodifesa, negando ogni responsabilità personale per i crimini nazisti e dichiarando, tra l’altro, che il vero regista di Der ewige Jude era stato Goebbels.

Fritz Hippler, 1942. Bayerische Staatsbibliothek, Bildarchiv, Monaco

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Manifesto del documentario antisemita Der ewige Jude, di Fritz Hippler (1940). United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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Gli ebrei vengono paragonati a ratti e parassiti nel documentario antisemita del 1940, Der ewige Jude, di Fritz Hippler. Manifesto del documentario antisemita Der ewige Jude, di Fritz Hippler (1940). United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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VEIT HARLAN (1899-1964) Nato a Berlino, inizia la sua carriera come attore nei teatri. Nel 1926 debutta anche nel mondo del cinema, interpretando il ruolo di David in Der Meister von Nürnberg, di Ludwig Berger. Nel 1933 si dichiara ufficialmente nazista. L’anno successivo intraprende la carriera di regista, prima nei teatri, poi anche nel cinema, soprattutto melodrammatici. Ottiene la stima dei responsabili nel Ministero della Propaganda con il film Der Herrscher (Il Governatore, 1936/37) con Emil Janning, un omaggio al Führerprinzip.

Nel 1940 è regista di Jud Süß. Proprio per aver dato alla luce questo film, dopo la guerra è accusato di “crimini contro l’umanità”. Viene tuttavia prosciolto in due processi ad Amburgo nel 1949 e a Berlino nel 1950. Fino al 1958 continua a fare film, nonostante le proteste di una parte della società tedesca. Il tema della colpa del padre ha portato il figlio maggiore, l’autore e regista Thomas Harlan, a dedicarsi personalmente all’elaborazione del passato, indagando su crimini nazisti e promuovendo indagini giudiziarie.

Veit Harlan, durante riprese per il film Hanna Amon (1951). Deutsches Filminstitut, Francoforte / KINEOS Sammlung / Wesel-Zeyn

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Manifesto disegnato da Bruno Rehak per la prima visione del film antisemita Jud Süß (1940). Deutsches Filminstitut / Deutsches Filmmuseum, Francoforte

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Foto di una scena tratta dal film antisemita Jud Süß. Pamphlet con una selezione di manifesti relativi al film antisemita Jud Süß di cui le sale cinematografiche tedesche possono far richiesta. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Kaufmann, nicht Händler (Commerciante, non mercante, 1934), di Ernst Kochel, è un cortometraggio d’animazione di pura propaganda che, con l’obiettivo di supportare la promulgazione delle prime misure discriminatorie antiebraiche, rappresenta gli ebrei come un’orda di parassiti che invade la Germania per violarne la cultura e sfruttare l’onesta attività dei commercianti tedeschi.

Vom Bäumlein, das andere Blätter hat gewollt (Dell’alberello che ha voluto altre foglie, 1940), di Heinz Tischmeyer, a colori, ha come tema il mito dell’ebreo errante, che viene visualizzato con tutti gli attributi iconografici della tradizione antiebraica degli inizi del ’900: una minaccia per l’intera comunità nazionale, simboleggiata dall’albero.

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In Der Störenfried (Il perturbatore, 1940), di Hans Held, Hochzeit im Korallenmeer (Matrimonio nel mare dei coralli, 1943), di Horst von Möllendorff, e Das dumme Gänslein (La stupida ochetta, 1944), di Hans Fischerkoesen, corti proposti dal regime come innocenti “fiabe di animali”, la propaganda antiebraica è proposta in modo indiretto e suadente, secondo le indicazioni di Goebbels (“Nel momento in cui si prende coscienza della propaganda, questa non ha più effetto”). Si tratta di un mascherato invito, rivolto a tutti i componenti della società, a combattere il nemico comune – l’ebreo – visualizzato simbolicamente nella figura di una volpe (nel caso di Hochzeit im Korallenmeer di una piovra).

“La miglior propaganda è quella che penetra nella vita in maniera pressochè impercettibile” (Dal discorso di Goebbels, 15 febbraio 1941)

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“Va da sé che tutti i film nazisti erano più o meno film di propaganda” (Siegfried Kracauer, 1942)

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LA PROPAGANDA ANTISEMITA NELL’ITALIA FASCISTA

L’ANTISEMITISMO DELL’ITALIA FASCISTA Fino alla metà degli anni ‘30 il fascismo non perseguita gli ebrei italiani, i quali partecipano attivamente alla vita sociale, culturale e politica del paese, esattamente come gli altri italiani non ebrei. Non essendo la dittatura fascista inizialmente antisemita, molti ebrei sono inseriti nelle fila del PNF (Partito nazionale fascista), e ad alcuni di loro vengono addirittura assegnati incarichi politici. Altre ebrei sono comunque attivi nell’antifascismo. L’Italia diventa anche una terra di temporaneo e precario rifugio per alcuni ebrei tedeschi e austriaci perseguitati dal regime nazista. La situazione cambia a partire dal 1936, quando nel paese, dopo la comparsa e la diffusione del razzismo antinero e in seguito all’avvicinamento alla Germania nazista con l’”Asse Roma-Berlino”, si sviluppa un’intensa azione propagandistica antiebraica. Questa, riproponendo motivi del tradizionale antigiudaismo cattolico, ma soprattutto mettendo in primo piano una nuova impostazione razzistico-biologica, penetra a fondo nel partito fascista, per poi raggiungere tutti gli ambiti della società, e arrivare infine a orientare l’opinione pubblica. La campagna, promossa dallo stesso Mussolini, subisce una violenta accelerazione con la comparsa di un testo programmatico pubblicato con il titolo Il fascismo e i problemi della razza (noto come Il manifesto fascista della razza, 14 luglio 1938) e dalla comparsa della rivista La Difesa della Razza. A partire dal 1938 l’Italia arriva a promulgare una legislazione antiebraica, così come era avvenuto dal 1933 nella Germania nazista e come sta avvenendo in altre parti dell’Europa, quali la Romania, l’Ungheria, poi anche la Polonia, nonché l’Austria annessa al Terzo Reich. Gli ebrei vengono definiti una “razza” che non appartiene alla “razza italiana”, considerata ormai anch’essa come “ariana”. Per promuovere le teorie e studiare provvedimenti attinenti alla nuova problematica “razziale”, in estate vengono istituiti organismi ad hoc, quali la “Direzione generale per la demografia e la razza” (Demorazza), nel Ministero dell’Interno, e l’Ufficio studi del problema della razza all’interno del Ministero della Cultura popolare. I primi decreti-legge antiebraici “per la difesa della razza” voluti da Mussolini sono approvati dal Consiglio dei Ministri del Governo fascista del Regno d’Italia tra l’estate e l’autunno del 1938 e convertiti in legge dalla Camera e dal Senato nel dicembre dello stesso anno. Negli anni successivi il regime emana innumerevoli norme di allontanamento ed esclusione; esse colpiscono anche persone di fede cattolica, poiché la definizione di ebreo è basata su criteri razzistico-biologici. Vengono vietati nuovi matrimoni “razzialmente misti”. Nel 1940, con l’entrata in guerra del paese a fianco dell’alleato tedesco, la propaganda antisemita diventa ancor più violenta e inizia ad addebitare agli ebrei la responsabilità del conflitto. Si radicalizza ancor più anche la normativa persecutoria. L’antisemitismo dell’Italia fascista si caratterizza ideologicamente in modo simile a quello della Germania nazista: gli ebrei smettono di essere concepiti come un gruppo religioso o identitario per assumere il ruolo di componenti di una “razza”; sono accusati di essere deicidi, corruttori “sessuali”, rivoluzionari bolscevichi, amorali capitalisti, ambigui pacifisti e, insieme, guerrafondai della peggior specie, traditori della nazione e, soprattutto, cospiratori per arrivare a dominare il mondo intero. Nella penisola, tuttavia, le riviste antisemite rimangono ben lontane dal raggiungere le tirature di quelle tedesche, anche percentualmente; manca quasi del tutto l’oggettistica antiebraica e non vengono realizzati film antisemiti. Inoltre, relativamente a questo tema, la propaganda è molto più breve, essendo iniziata molti anni dopo.

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Il direttore della Rivista di Milano, Aristide Raimondi, nel 1922 chiede a Mussolini di adottare metodi radicali contro gli ebrei, rappresentati come socialisti e capitalisti nello stesso momento: “Comandare, e se occorre, fucilare! […] Mussolini sa meglio di noi che il socialismo era la testa di turco dell’ebreo finanziere.” A. Raimondi, Mussolini al governo, Rivista di Milano, 10 novembre 1922, pp. 98-101. Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Roma

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Padre Agostino Gemelli (18781951), fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, nel 1924, nel necrologio di Felice Momigliano, augura la morte a “tutti i Giudei”. Necrologio a Momigliano, Vita e pensiero, agosto 1924, p. 506. Biblioteca Nazionale Centrale, Roma Dopo l’arresto di alcuni ebrei antifascisti di Torino, Mussolini chiede in un Comunicato stampa, il 30 marzo 1934, di dare importanza al fatto che sono “israeliti”, alimentando così l’accusa che gli ebrei siano avversari dell’Italia fascista. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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La Direzione Generale della Stampa Italiana del Ministero della Cultura Popolare chiede a Mussolini, il 9 giugno 1937, un anno prima della promulgazione delle leggi razziali, linee guide per la campagna giornalistica sul “problema ebraico” in Italia. Archivio Centrale dello Stato, Roma

Paolo Orano, Gli ebrei in Italia, Roma, Pinciana, 1938 [1° ed. 1937]. Archivio privato Amedeo Osti Guerrazzi, Roma Raccolta di recensioni e commenti al libro antisemita di Paolo Orano, ad opera di un certo Abramo Levi (pseudonimo del giornalista non ebreo Alfredo De Donno). Abramo Levi, Noi ebrei, in risposta a Paolo Orano, Roma, Pinciana, 1937. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Nel punto 9 del cosiddetto Manifesto della razza viene precisato che gli ebrei non fanno parte della “razza italiana”. Il Manifesto, pubblicato in forma anonima sul Giornale d’Italia del 15 luglio 1938 con il titolo Il Fascismo e i problemi della razza, segna l’inizio ufficiale dell’antisemitismo di stato. Razzismo italiano, La Difesa della Razza, 5 agosto 1938. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Nella Dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio Fascista, riportata da tutti i giornali, viene definito chi è di “razza ebraica” e si dichiara che “l’ebraismo mondiale” è stato “l’animatore dell’antifascismo” e “ostile al Fascismo”. La dichiarazione del Gran Consiglio, La Difesa della Razza, 20 ottobre 1938. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Piero Pellicano, Ecco il diavolo, Israele, Milano, Baldini e Castoldi, 1938. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano Niccolo Giani, Perché siamo antisemiti, Milano – Varese, Officine grafiche Amedeo Nicola, 1939. Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Roma Aurelio Maria Pizzo, Distruggiamo gli ebrei, Roma – Milano – Napoli, S.A.I.R, 1942. Fondazione Museo della Shoah, Roma Gabriele Mastrojanni, Marte ed Israele, Bologna, Licinio Cappelli, 1943. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

“L’ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irriconciliabile del fascismo. In Italia la nostra politica ha determinato, negli elementi semiti, quella che si può oggi chiamare, si poteva chiamare, una corsa vera e propria all’arrembaggio. Tuttavia gli ebrei di cittadinanza italiana, i quali abbiano indiscutibili meriti militari o civili, nei confronti dell’Italia e del Regime, troveranno comprensione e giustizia. Quanto agli altri si seguirà nei loro confronti una politica di separazione. Alla fine, il mondo dovrà forse stupirsi più della nostra generosità che del nostro rigore, a meno che i semiti di oltre frontiera e quelli dell’interno, e soprattutto i loro improvvisati ed inattesi amici, che da troppe cattedre li difendono, non ci costringano a mutare radicalmente cammino.” (Benito Mussolini, Trieste, 18 settembre 1938)

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Il Secondo Libro del Fascista, Milano, A. Mondadori, 1941, pp. 86-87. Fondazione Museo della Shoah, Roma

Anche nelle scuole elementari vengono insegnate le “teorie della razza” secondo le quali gli ebrei sono rappresentati come un pericolo per le “razze nordiche” e per l’Italia “erede della gloriosa civiltà romana”. Luigi Rinaldi, Il libro della quinta classe elementare, Roma, La Libreria dello Stato, 1941. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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LA DIFESA DELLA RAZZA Uno degli strumenti più efficaci che il regime fascista decide di usare per produrre una vera e propria trasformazione antropologica del paese è La Difesa della Razza, che si rivela la pubblicazione più violentemente razzista e antisemita della storia d’Italia. Il quindicinale, pubblicato dalla casa editrice Tumminelli di Roma e diretto dal noto antisemita Telesio Interlandi, compare dal 5 agosto del 1938 fino al 20 giugno del 1943. Una poderosa campagna pubblicitaria e un notevole aiuto finanziario e politico ne accompagnano l’apparizione. Il giorno dopo la sua comparsa, il Ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai con una circolare chiede a tutti i rettori delle università e a tutti i direttori degli istituti scolastici superiori di contribuire alla diffusione capillare della rivista. La tiratura de La Difesa della Razza, la cui distribuzione avviene per abbonamento, passa tuttavia dalle 140-150.000 copie dei primi numeri alle 19-20.000 copie nell’autunno del 1940. La rivista si pone come la voce ufficiale, esplicita e aggressiva, del razzismo e dell’antisemitismo italiani, che si caratterizzano, come nella Germania nazista, principalmente per la loro impostazione biologica, anche se compaiono spesso le ragioni del razzismo “nazionalista” ed “esoterico”. “Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri”, scrive sulla rivista Giorgio Almirante, segretario di redazione dal settembre 1938. Facendo ricorso a una grafica di impressionante impatto comunicativo, dal primo all’ultimo numero gli ebrei vengono presentati come un pericolo biologico, razzialmente non-assimilabili, anti-italiani (“razza estranea all’Italia”), simbolo dell’antifascismo, all’origine della prostituzione, responsabili della guerra, pericolosi rivoluzionari (si parla di tre presunte “rivoluzioni giudaiche”, quelle del 1649, del 1789 e del 1917), bolscevichi, irriducibili complottisti. Si sostiene che nei loro confronti non si debba usare alcun “pietismo”, iniziando dal controllo ferreo dei matrimoni, fino a invocare il ricorso alla violenza: “… contro gli ebrei le leggi servono a ben poco… l’azione violenta alla quale sono giunti certi paesi [è] l’unico mezzo per ridurre alla ragione gli ebrei”. Interlandi arriva persino a invocare contro gli ebrei un pogrom, “tempestivo e risolutivo”. Il comitato di redazione è composto da esponenti del mondo scientifico quali Guido Landra (assistente di antropologia all’Università di Roma, considerato l’estensore del Manifesto della Razza, feroce antisemita), Lidio Cipriani (professore di antropologia, direttore del Museo nazionale di antropologia ed etnologia di Firenze), Leone Franzì (assistente nella clinica pediatrica dell’Università di Milano), Marcello Ricci (assistente alla cattedra di Zoologia a Roma) e Lino Businco (assistente alla cattedra di Patologia all’Università di Roma, vice direttore dell’Ufficio studi sulla razza del Ministero della Cultura popolare). Alla rivista collaborano anche personaggi che nel dopoguerra avrebbero raggiunto grande notorietà, come Indro Montanelli, Giovanni Spadolini e Amintore Fanfani, il quale sostiene che “per la potenza e il futuro della nazione gli italiani devono essere razzialmente puri”. .

TELESIO INTERLANDI (1894-1965) È uno dei giornalisti più importanti del fascismo, voce della sua corrente più dura e intransigente. La sua carriera ha inizio nei giornali La Nazione e L’Impero; nel 1924 fonda il giornale Il Tevere (di cui è anche direttore) e nel 1933 il settimanale Quadrivio. Tutti i periodici da lui diretti hanno, anche prima dell’emanazione delle leggi razziali, uno spiccato tono antisemita. Nel 1938 fonda e dirige il più diffuso e violento organo di propaganda razzista, il quindicinale La Difesa della Razza. Dopo l’armistizio aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, dove lavora alla radio. Viene arrestato nell’ottobre del 1945 ma riesce a evadere e a rimanere in clandestinità fino al 1946, l’anno dell’amnistia. Muore a Roma il 20 gennaio 1965 senza aver mai pagato per le sue colpe.

Telesio Interlandi, nel 1937. Archivio Amaldi (Eva Paola Amendola / Pasquale Iaccio, Gli anni del Regime, Roma, Editori Riuniti, 1999, p. 178).

“[…] la caratteristica facoltà degli ebrei di adattarsi all’ambiente, il loro innato opportunismo, la loro avidità di lucro e la frequente mancanza di scrupoli, rappresentano un costante pericolo per i superiori interessi della Nazione. Pericolo generalmente mascherato dalla tessera del Partito, da alte onorificenze, da solide posizioni finanziarie, da autorevoli amicizie, da intelligenti elargizioni e benemerenze, e talora persino da un provvidenziale battesimo cristiano.” (Telesio Interlandi, La Difesa della Razza, 1939)

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Telesio Interlandi, Contra Judaeos, Roma – Milano, Tumminelli e C. Editori, 1938. Fondazione Museo della Shoah, Roma Il pittore Aldo Gay (1914-2004), nel 1938, disegna se stesso con in mano il primo numero de La Difesa della Razza del 5 agosto 1938. Collezione privata famiglia Gai, Roma Copertina de La Difesa della Razza. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Copertine de La Difesa della Razza. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Copertine de La Difesa della Razza. Fondazione Museo della Shoah, Roma Trieste, 1938. Un rivenditore ha decorato l’edicola di via della Pietà 3 con le copertine del quarto numero della rivista La Difesa della Razza. Foto pubblicato ne La Difesa della Razza, 5 ottobre 1938. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Il Ministro della Educazione Nazionale, Giuseppe Bottai (1895-1959), in una lettera del 10 agosto 1938 informa Mussolini che ha chiesto alle Università, alle scuole superiori e ad altri istituti di diffondere la rivista La Difesa della Razza. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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RAZZISMO I teorici del razzismo sostenevano e sostengono ancora oggi che tutti gli esseri umani appartengono a differenti gruppi “razziali”, ciascuno dei quali possiede una particolare fisionomia e una propria matrice linguistica. Ma, soprattutto, questi pseudo-scienziati affermavano e affermano esplicitamente che le caratteristiche spirituali e culturali, buone o malvagie, dipendono da quelle fisiche, e che queste sono immutabili. Viene fissato come universalmente rilevante l’ideale della bellezza classica, ritenuta la perfetta forma umana entro cui un’anima ben equilibrata trova la sua sede. Nasce l’ideale-tipo e, conseguentemente, il suo contrario e questi non cambiano sostanzialmente per due secoli. Questi principi razzisti inizialmente non vengono applicati agli ebrei, ma ai neri. Risulta immediatamente evidente che le teorie razziste sembrano fornire una “scientifica” giustificazione al colonialismo. Nell’Italia fascista, in vista dell’avvio della sanguinosa aggressione dell’Etiopia (ottobre 1935maggio 1936), Mussolini mette in moto una campagna per trasformare l’Italia in uno Stato razzista e gli italiani in un popolo di razzisti. La contrapposizione tra “razza bianca” e “razza nera”, la “naturale” inferiorità di quest’ultima e la necessità della dominazione italiana, vengono giustificate e teorizzate da scritti pseudo-scientifici, ideologici e da articoli propagandistici. La campagna militare è accompagnata anche dalla raffigurazione di belle etiopi che attendono i maschi soldati della penisola. La sua conclusione coincide con l’avvio di una legislazione contro il meticciato e per la difesa del “prestigio di razza” degli italiani. Nelle colonie si susseguono disposizioni sempre più drastiche di separazione e di apartheid.

Cartoline di propaganda ad uso delle truppe italiane dell’Africa Orientale, disegnate dal vignettista Enrico De Seta (Edizioni d’arte V.E. Boeri), nel 1935/1936. Collezione Enrico Sturani, Roma

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Cartolina disegnata da Rosetta, nel 1935/1936. Collezione Enrico Sturani, Roma

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Cartoline disegnate da Aurelio Bertiglia e da E. Ligrano (Bologna, Arti Grafiche) nel 1935/1936. Collezione Enrico Sturani, Roma

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Il settimanale a fumetti Argentovivo! (1936-1937), creato e diretto dal vignettista italiano Enrico De Seta (1908-2008), propone fra le sue caricature anche fumetti sulle Colonie in cui la popolazione locale è disegnata in maniera stereotipata e razzista. Quando il Goggiam era in fiamme…, Argentovivo!, 30 gennaio 1937. Figurine con immagini disegnate dall’illustratore Angelo Bioletto (1906-1987), appartenenti alla serie I quattro Moschettieri, della Perugina/Buitoni del 1936, in cui le persone di colore sono raffigurate come dei “selvaggi”. Archivio privato Amedeo Osti Guerrazzi, Roma

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Il settimanale La Difesa della Razza è la pubblicazione italiana più violentemente razzista e antisemita. La Difesa della Razza, 5 gennaio 1940.

Scienza. Caratteri fisici della razza italiana, La Difesa della Razza, Roma, settembre 1938. Fondazione Museo della Shoah, Roma Nelle cartoline di propaganda le persone di colore vengono raffigurate come il simbolo della presunta violenza delle truppe anglo-americane. Collezione Enrico Sturani, Roma

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In una lettera a Mussolini, il 22 ottobre 1940, il direttore de La Difesa della Razza, Telesio Interlandi, denuncia il fatto che a Roma si sono viste persone di colore passeggiare senza pudore con donne bianche. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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LE CARICATURE ANTISEMITE IN ITALIA La propaganda antisemita fascista si rifà agli stessi temi e usa gli stessi stereotipi di quella nazista. Entrambi i paesi si pongono l’obiettivo di “educare” la popolazione a una visione razzista della storia e della società. Perché queste idee siano efficaci si ritiene necessario fondere il fattore ideologico con quello visivo. Per “provare” l’inferiorità “razziale” della popolazione ebraica, si ricorre all’uso della caricatura, della pittura e della fotografia, strumenti utilizzati per fissare una volta per sempre le caratteristiche somatiche dei “tipici ebrei”. Si definiscono le proporzioni del corpo, del viso, la statura, la postura, la forma del labbro inferiore, il taglio dell’orecchio e dell’orbita; si arriva conseguentemente a un’integrazione visiva tra gli stereotipi proposti ciclicamente da esperti di discipline pseudoscientifiche quali la fisiognomica (si deducono i caratteri psicologici ed etici di una persona dalla lettura del suo volto) o la frenologia (si caratterizza un individuo sulla base della configurazione della testa). Ma queste “caricature” razziste si rifanno anche alla più classica e diffusa tradizione antiebraica, in base alla quale gli ebrei vengono presentati come esponenti di un capitalismo senza freni, crudeli rappresentanti del bolscevismo, corruttori delle donne, impuniti deicidi, indefessi cospiratori. Questa propaganda, tuttavia, non si limita a denunciare la presunta pericolosità della presenza ebraica, ma invita vigorosamente gli italiani a reagire, a marginalizzare gli ebrei, a sostenere la loro persecuzione, ad accettare, infine, la loro scomparsa. Tutto ciò non viene proposto soltanto nelle testate più ferocemente antisemite, come La Difesa della Razza di Telesio Interlandi, il Giornalissimo di Oberdan Cotone, Il Regime Fascista di Roberto Farinacci, o Avanguardia, il settimanale delle SS italiane, fondata durante l’occupazione nazista nel 1944, ma appare su tutta la stampa nazionale.

Ebrei capitalisti

Avanguardia, Milano, 27.01.1945 Istituto Storico Germanico (DHI), Roma Il Giornalissimo, Roma, 28.10.1938 Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano La Difesa della Razza, Roma, 20.01.1941 Fondazione Museo della Shoah, Roma La Difesa della Razza, Roma, 05.09.1938 Fondazione Museo della Shoah, Roma

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La Difesa della Razza, Roma, 05.09.1941 Fondazione Museo della Shoah, Roma Marc’Aurelio, Roma, 08.01.1936 Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino Marc’Aurelio, Roma, 12.02.1936 Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino

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Ebrei bolscevichi

Il popolo di Alessandria, 10.08.1944 Istituto Storico Germanico (DHI), Roma

La Difesa della Razza, Roma, 05.02.1941 Fondazione Museo della Shoah, Roma

Roma Fascista, Roma, 20.01.1938 Archivio Storico Capitolino, Roma

La Difesa della Razza, Roma, 20.10.1938 Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Ebrei pericolo biologico

Il Balilla, Roma, 29.01.1939 La Menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Centro Furio Jesi (a cura di), Bologna, Grafis edizioni, 1994, p. 170 Corriere adriatico, Ancona, 28.9.1938 Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano La Difesa della Razza, Roma, 05.07.1941 Fondazione Museo della Shoah, Roma

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La Difesa della Razza, Roma, 05.11.1942 Fondazione Museo della Shoah, Roma La Difesa della Razza, Roma, 15.08.1939 Fondazione Museo della Shoah, Roma La Difesa della Razza, Roma, 20.03.1939 Fondazione Museo della Shoah, Roma

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La Difesa della Razza, Roma, 20.06.1941 Fondazione Museo della Shoah, Roma La Difesa della Razza, Roma, 20.08.1938 Fondazione Museo della Shoah, Roma Roma Fascista, Roma, 15.09.1938 Archivio Storico Capitolino, Roma

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Motivi classici

Il Fascio, Settimanale del fascismo repubblicano milanese, Milano, 7.1.1944 Istituto Storico Germanico (DHI), Roma La Difesa della Razza, Roma, 05.02.1939 Fondazione Museo della Shoah, Roma La Difesa della Razza, Roma, 05.02.1939 Fondazione Museo della Shoah, Roma

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La Difesa della Razza, Roma, 05.04.1939 Fondazione Museo della Shoah, Roma La Difesa della Razza, Roma, 20.01.1941 Fondazione Museo della Shoah, Roma La Difesa della Razza, Roma, 05.04.1941 Fondazione Museo della Shoah, Roma La Difesa della Razza, Roma, 20.02.1939 Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Congiura ebraica

Avanguardia, Milano, 20.05.1944 Istituto Storico Germanico (DHI), Roma Avanguardia, Milano, 25.11.1944 Istituto Storico Germanico (DHI), Roma

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Cartolina, Primo nucleo italiano per lo studio del problema ebraico, Bologna, 1943 Collezione Gianfranco Moscati Il Giornalissimo, Roma, 11.11.1938 Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano Il Regime Fascista, Cremona, 10.08.1941 Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Colpire gli ebrei

Il Balilla, Roma, 22.01.1939 La Menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Centro Furio Jesi (a cura di), Bologna, Grafis edizioni, 1994, p. 169 Il Giornalissimo, Roma, 11.11.1938 Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano La Difesa della Razza, Roma, 20.10.1939 Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Libro e Moschetto, Milano, 14.09.1940 La Menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Centro Furio Jesi (a cura di), Bologna, Grafis edizioni, 1994, p. 149 Il Lambello. Quindicinale dei fascisti universitari del Piemonte, 10.10.1938 Accademia delle scienze di Torino

Quadrivio, Roma, 26.05.1940 La Menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Centro Furio Jesi (a cura di), Bologna, Grafis edizioni, 1994, p. 231

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Il Giornalissimo, Roma, 18.11.1938 Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano La Difesa della Razza, Roma, 05.12.1939 Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Il Giornalissimo. Settimanale di Attualità, di Cotone Oberdan, fondato nel febbraio del 1938, si distingue per una feroce propaganda antisemita, espressa nei testi e nelle numerose caricature inserite. Il Giornalissimo, 3.12.1938, 12.2.1938 e 9.10.1938. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

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ROBERTO FARINACCI Nato a Isernia nel 1892, inizia la sua carriera politica come socialista. Nel dopoguerra aderisce al movimento fascista fin dalla sua nascita. Eletto alla Camera nel 1923, diventa Segretario nazionale del Partito fascista nel febbraio del 1925. Nel 1926, per contrasti con Mussolini, viene sostituito e allontanato da tutte le cariche più importanti, anche se riesce a mantenere un notevole potere personale a Cremona e a rimanere comunque uno degli uomini più vicini al dittatore. Nel 1938 il suo giornale, Il Regime fascista, è uno dei più decisi nella campagna antisemita. Lui stesso si impegna in una serie di conferenze intitolate La Chiesa e gli ebrei. Nel settembre del 1943 aderisce alla RSI, pur senza avere alcun ruolo ufficiale. Fino al 1945, il suo giornale continua a ripetere con ostinazione tutti gli stereotipi della propaganda antisemita. Muore sulla piazza principale di Vimercate, fucilato dai partigiani, il 28 aprile del 1945.

Roberto Farinacci e Julius Streicher nel gennaio del 1939 a Berlino. Bundesarchiv Bildarchiv, Coblenza (Bild 183E01187)

“Ora sono terribilmente chiari i fatti, le parole, gli intenti della Internazionale ebraica, ora è evidentissimo l’odio di questa razza contro gli Stati fascisti e il proposito non più dissimulato di corrompere, dissolvere e fiaccare le energie nazionali, la missione storica, la eroica volontà di due fra i più grandi popoli della terra: l’italiano e il tedesco.” (Roberto Farinacci, La Chiesa e gli ebrei, 1938)

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Il problema giudaico dal punto di vista storico-politico, Il Regime Fascista, 5 luglio 1942. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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GIOVANNI PREZIOSI (1881-1945) Ex prete, si avvicina alle correnti politiche nazionalistiche e razziste durante la prima guerra mondiale. Subito dopo il conflitto traduce e pubblica sulla sua rivista, La Vita Italiana, i Protocolli dei Savi anziani di Sion. Durante il regime, oltre a La Vita Italiana dirige e collabora con altri giornali, denunciando in continuazione ipotetiche congiure ebraiche contro il fascismo e l’Italia. Grazie all’appoggio di Roberto Farinacci, nel 1942 diventa Ministro di Stato. Dopo l’armistizio aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, proponendo a Mussolini di inasprire ulteriormente le leggi antiebraiche. Nel marzo del 1944 viene nominato Ispettore Generale per la Razza, un ruolo teoricamente importante ma in realtà privo di significato, perché il potere, in questo campo, è ormai completamente nelle mani dei tedeschi. Si suicida il 26 aprile 1945.

Giovanni Preziosi Archivio privato Giovanni Preziosi, Giudaismo bolscevismo plutocrazia massoneria, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941. Fondazione Museo della Shoah, Roma

“Chi segue la Vita Italiana sa che da diecine di anni questa rivista combatte il pericolo ebraico e considera tale lotta come uno dei suoi principali doveri. Sa che mi sono fatto banditore da questa rivista di una riscossa dalla loro preponderanza e dal loro giogo; e sa pure che ho costantemente impostata la soluzione radicale del problema degli ebrei italiani sul riconoscimento di quella loro sostanziale differenza dal resto della collettività nazionale” (Giovanni Preziosi, La Vita Italiana, 1938)

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Giovanni Preziosi, Per la soluzione del problema ebraico, L’Assalto. Il settimanale della Federazione provinciale fascista, 3 ottobre 1942. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Il dossier Gli ebrei e la Francia, Tempo, 4-11 dicembre 1941, illustra l’esposizione antisemita Le Juif et la France, organizzata a Parigi dal 5 settembre 1941 al 15 gennaio 1942 dall’ L’Institut d’étude des questions juives. Si tratta di un adattamento per la Francia della mostra Der ewige Jude di Monaco. Dopo Parigi, la mostra viene esposta anche a Bordeaux e a Nancy.

L’esposizione antiebrea di Parigi, Il Tevere, 19 novembre 1941. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Durante l’occupazione nazista la propaganda antisemita si inasprisce: sono ancora più frequenti gli articoli sulla congiura ebraica, sull’ebreo dietro i poteri nemici – quasi per giustificare gli arresti e le deportazioni – misure definite come “mezzo di difesa”. Nel diffondere l’antisemitismo si distinguono soprattutto alcuni giornali fondati durante la RSI: Avanguardia. Settimanale della legione SS italiana, 12.8.1944, p. 1 Camicia Nera. Foglio dei volontari della Guardia, 15.11.1944, p. 1 Crociata Italica. Settimanale Politico Cattolico, 16.4.1945, p. 1 Il popolo di Alessandria. Bisettimanale della Federazione dei Fasci Repubblicani di Combattimento, 20.4.1944, p.1. Istituto Storico Germanico (DHI), Roma

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Il BarbagiAnni. Settimanale storico umoristico, 18.1.1945, p. 1. Istituto Storico Germanico (DHI), Roma

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Roma, 16 ottobre 1943. Il giorno della grande razzia contro gli ebrei il quotidiano Il Messaggero pubblica in prima pagina un articolo antisemita intitolato Il nemico numero uno. Archivio Storico Capitolino, Roma Lo stesso giorno della retata contro gli ebrei a Firenze, il 6 novembre 1943, il periodico fiorentino Repubblica esce con un articolo antisemita intitolato La razza nemica. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

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Collage di articoli antisemiti apparsi fra il 1937 e il 1945 sulle testate italiane. Archivio Centrale dello Stato, Roma; Istituto Storico Germanico (DHI), Roma; Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Roma; Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino; Archivio storico del Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Roma; Emeroteca Tucci, Napoli; Archivio Storico Capitolino, Roma; Fondazione Centro di Documentazione Ebraica, Roma.

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Gli Ebrei considerano l’Italia come un albergo, come una stazione di transito. (Gli ebrei bàrano, Il Tevere, Roma, 22.-23.11.1937) Popolazione costituita da elementi razziali non europei, la ebraica è estranea all’Italia, e la sua intrusione nel vivo della pura razza italiana è inammissibile e insopportabile. (Telesio Interlandi, Era tempo, Il Tevere, 15-16.07.1938) Già la sorpresa di molti, che non si erano mai posti il problema della convivenza con gli ebrei, fu grande quando si apprese che questi non appartenevano alla razza italiana. La sorpresa era anch’essa dovuta all’ignoranza dei fatti e dei metodi ebraici: dell’ebraismo si conosceva soltanto la maschera remissiva e non il volto tracotante. […] Avevamo dunque strappato le maschere ad Israele e riconosciuto che la pianta ebraica non ha radici nel nostro paese; essa è parassita, non vive con noi ma di noi. […] L’invasione giudaica non è soltanto una presa di possesso di posti di comando, è l’adulterazione della razza e del genio popolare. È la sovrapposizione di elementi estranei al nostro particolare genio e la lenta soffocazione di questo; è la morte dell’Italia. […] Né diaspora, né sionismo; ma Diaspora più Sionismo, cosmopolitismo e nazionalismo, essere ebrei fra i non ebrei e ebrei fra gli ebrei; a un solo scopo: dominare le razze inferiori, realizzare i fini politici e religiosi dell’ebraismo consacrati da una tradizione millenaria. (Telesio Interlandi, Conoscere gli ebrei, La Difesa della Razza, Roma, 20.08.1938) Spettava alla Scuola Fascista il privilegio d’esser la prima a riscattarsi dalla manomissione ebraica. […] La borghesia italiana si lasciò gentilmente ebraizzare; vale a dire che dimenticò d’essere italiana e divenne, sotto la guida degli ebrei, una classe europea, senza più volto italiano, d’una Europa dominata dagli ebrei. (La resa dei conti, La Difesa della Razza, Roma, 05.09.1938) Riguardo i caratteri antropologici di questi due gruppi, risulta che quelli che seguono il rito Sephardim hanno cranio essenzialmente dolicomorfo, fisionomia fine, naso sottile, spesso regolarmente convesso, complessione prevalentemente scura, mentre quelli che seguono il rito Aschenazim hanno tratti più grossolani, testa più larga, spesso realmente brachicefala, naso grosso, carnoso, talora capelli ricci, complessione chiara più frequente. (Giuseppe Genna, direttore dell’Istituto di Antropologia dell’Università di Roma, Gli ebrei come razza, La Difesa della Razza, 05.09.1938) Il provvedimento di difesa della razza contro l’immigrazione giudaica ha profonde ragioni etnico-politiche che a noi forse non sono ancora potute apparire in tutta la loro complessa importanza. (Il problema giudaico in Fiume, La Vedetta d’Italia, Fiume, 14.09.1938)

Un ebreo debraizzato resta ebreo… è un fatto razziale. (Francesco Callari, L’ebreo non si assimila, La Difesa della Razza, Roma, 20.10.1938) Ma, a parte che i giudei non rappresentano che un aspetto del problema della razza – in questo momento l’aspetto più cospicuo ed impellente, si potrebbe dire, anzi, quasi l’aspetto esclusivo! – bisognava afferrare il problema della razza là dove la razza trae il suo perenne alimento: nel matrimonio. (La risonanza internazionale delle leggi per la difesa della razza italiana, Il Giornale d’Italia, Roma, 12.11.1938)

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Concludo: l’antisemitismo è un fenomeno generato non da opposizione di razza contro razza (bisogna sfatare una buona volta questo equivoco), ma dall’atteggiamento giudaico in confronto degli altri popoli. La ispirata invocazione dei profeti “fiat iustitia, pereat mundus” si è poi tradotta nella volontà di rovesciare i popoli per esaltare quello che s’infatuò nell’idea di possedere in esclusiva la perfetta iustitia. In tal modo le antinomie fondamentali capovolsero gl’insegnamenti dell’Eterno, trascinando il popolo d’Israele a essere verso gli altri essenzialmente ingiusto. (Carlo Cecchelli, La muraglia talmudica fra i giudei e gli altri popoli, Corriere della Sera, Milano, 25.11.1938) E’ apparso recentemente a Zurigo un opuscolo intitolato “Giuda risvegliati! – proclama al popolo ebraico”. A quanto si può dedurre, l’autore, Ben Chaim, è un ebreo fuggito dalla Russia bolscevica e successivamente dalla Germania, il quale dalla conoscenza dei movimenti giudaici e dall’esperienza della sua vita errante è stato indotto a studiare le cause per cui “da millenni, in tutti i Paesi del mondo”, gli ebrei furono perseguitati. Egli riscontra all’origine di tutti i mali la folle presunzione dei giudei di costruire la razza eletta. È il razzismo ebraico che crea negli altri popoli la necessità della difesa razzista. Le leggi di Norimberga non sono che la logica risposta all’atteggiamento giudaico. Il pregiudizio israelitico sulla superiorità della razza “ci rende estranei ai popoli in mezzo ai quali viviamo”. Esso “ci impedisce di essere dei sinceri patrioti nei nostri rispettivi Stati”. Malgrado qualche rara eccezione, “la grande maggioranza degli ebrei si mantiene estranea, moralmente e spiritualmente, ai popoli che li ospita”. (G. Polv., Un ebreo contro gli ebrei, Il Popolo d’Italia, Milano, 14.12.1938) Si può rilevare che le ricerche italiane sulla razza si sono svolte in modo assolutamente autonomo ed indipendente e non soltanto di nuova data. La politica italiana della razza non è un germoglio appena sbocciato, bensì un virgulto di forza originaria dell’eterno albero fascista. […] Il concetto di “razza italiana” è in sostanza il concetto più importante e più originale del nostro razzismo, che è basato contemporaneamente su dati di fatto antropologici, storici e idealistici. (Guido Landra, Il concetto di razza in Germania e in Italia, La Difesa della Razza, Roma, 05.03.1939) … gli ebrei anche di religione cristiana non potranno avere mai una razza ed una nazionalità diversa da quella ebraica. (E. Belindo Giannetti, I falsi convertiti, La Difesa della Razza, 05.03.1939) L’antitesi fra razzismo ariano e razzismo ebraico riflette i caratteri tipici degli ariani come popoli produttori e degli ebrei come popolo predatore. (Razzismo ariano e razzismo ebraico, Il Brennero, Trento, 20.04.1939) Nell’israelita, essendoci una maggiore tendenza all’obesità, è minorata la possibilità di una buona efficienza funzionale del cuore, perché, come sappiamo, negli ebrei si creano singolari difficoltà di circolazione… Le malattie croniche colpiscono in maniera decisamente preferenziale gli ebrei rispetto agli altri popoli. Insomma, i soggetti di razza ebrea più di quelli di razza italiana sono esposti ad alcune malattie: specialmente delle arterie periferiche e del ricambio. (Bruno Della Maggiore, La patologia circolatoria nella razza italiana e nell’ebraica, La Difesa della Razza, Roma, 05.07.1939)

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L’ebreo rimane sempre tale, in quanto non si può spogliare di questa sua caratteristica cerebrale, come non si può spogliare delle sue caratteristiche strutturali, non si può amalgamare, non si può fondere. (E. Zavattari, Ambiente naturale e caratteri razziali, La Difesa della Razza, Roma, 05.03.1940) Tolti gli ebrei dalla faccia della terra, scaraventati e obbligati a vivere in qualche angolo remoto del mondo isolati totalmente dalle altre razze come una vera peste bubbonica, allora, e solo allora, i rapporti fra i popoli troveranno una base e una via per una pacifica intesa. (Domenico Vanelli, Basta con gli ebrei, Vent’anni, 07.09.1940) L’epurazione dall’elemento ebraico sarà proseguita sempre più energicamente. (Lotta sempre più energica contro l’ebraismo in Ungheria, Il Tevere, Roma, 17.02.1941) L’unità non di razza ma di sangue è dunque il fondamento biologico della nazione concepita razzialmente: questa unità di sangue, attraverso un processo storico-culturale che venga coscientemente indirizzato dallo Stato acquista una individualità spirituale sempre più perfetta, divenendo un vero popolo. […] La catastrofe francese è derivata in primissima linea dal disprezzo per la propria razza, dalla commistione con popoli inferiori, dall’universalismo democratico; insomma, dai miti dell’89 che culminano fatalmente nella soggezione ad Israele, a questo popolo fondamentalmente avverso alle nostre razze e supremamente dotato della facoltà di corrompere e disgregare ogni società nazionale. La Lega di Ginevra è fallita. Sorge un nuovo programma, quello sostenuto dall’Italia, dalla Germania e dal Giappone. La formula è: autarchia entro un determinato e sufficiente “spazio vitale”. Il particolarismo nazionale si allarga, si trasforma e risorge sotto la nuova formula dello “spazio vitale” entro il quale un popolo conduttore, potentemente industrializzato, e animato dal concetto razzista, guida altri popoli minori, europei e esotici, incapaci di sviluppo industriale ma costituenti mercati sicuri di assorbimento e di consumo. Attualmente, Italia, Germania e Giappone lottano dunque per la loro libertà e per la conquista del loro spazio vitale contro l’egemonia mondiale degli anglosassoni sotto la comune guida ebraica. Volenti o nolenti, questi Stati saranno razzisti, dovranno esserlo, pena la loro scomparsa. Si tratterà di Stati ariani o arianizzati, Stati cioè in cui l’elemento ariano avrà una parte dirigente, predominante. (Emilio Canevari, La politica della razza e il nuovo ordine europeo, La Difesa della Razza, Roma, 05.03.1941) Quanti ebrei a Roma! E come trafficano! […] Questi giudei credono che da mattina a sera non si debba pensare che a loro. (Quanti ebrei e Roma!, Il Piccolo, Trieste, 19.04.1941) Troppi ebrei in giro per le spiagge, per le stazioni termali di gran marca, per gli alberghi di tutta l’Italia, alla ricerca di fresche aure nel duro clima della guerra. Troppi ebrei che circolano liberamente, ottimamente accolti ovunque, ben ricevuti in ogni società, molto compatiti in ogni centro di qualche importanza. (Ivon De Begnac, Ebrei a diporto, Corriere Adriatico, Ancona, 04.09.1941) Una volta soltanto gli ebrei sono scesi in campo: quando si è trattato di propagare con le armi il bolscevismo. (Abramo va alla guerra, Il Lavoro, Genova, 22.09.1941)

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Gli ebrei sanno che si tratta ormai del loro essere o non essere. […] Sempre nel corso di molti secoli, i Giudei sono riusciti a trarre il loro utile dalle guerre dei popoli. L’ebreo è uscito fuori come unico vincitore dalla maggior parte delle guerre svoltesi negli ultimi duemila anni. […] Il mondo ebraico mobilizzi pure le sue ultime riserve di energia: non gli servirà nulla. […] E il giudaismo mondiale dovrà tramontare. (La guerra ebraica, Rivoluzione Fascista, Siena, 13.10.1941) Il problema della razza è sempre esistito in Italia. (Ebraismo e bolscevismo, La Volontà d’Italia, Roma, 17.10.1941) La cospirazione mondiale degli accaparratori farabutti: ladri d’intelligenza, fatica, sangue altrui: intelligente soltanto nel truffare ai lavoratori il frutto del loro lavoro (I savi di Sion, La Vedetta d’Italia, Fiume, 23.10.1941) Troppi ebrei in Italia. […] Troppi ebrei circolano ancora in Italia, gavazzano e s’impinguano nei luoghi di villeggiatura, lanciano la frase e la barzelletta disfattista agli ordini di Delano e di Churchill. (Erasmo, Spunti ed appunti, Combattere, Bolzano, 03.11.1941) Gli ebrei moralmente non rappresentano più nulla. (La frode ebraica, Il Popolo delle Alpi, Torino, 15.11.1941) I giudei non hanno alcun diritto di spargersi fra noi come uguali. (“Finirla con gli Ebrei”, Il Popolo d’Italia, Milano, 15.11.1941) L’evoluzione degli avvenimenti che ha spinto sul campo palese della battaglia tutte le forze nemiche alla rinascente civiltà europea, mostrano sempre più chiaramente le maglie di puro stampo ebraico che formano la catena invano tesa a strapparla. (Ancora gli ebrei, Corriere dell’Irpinia, Avellino, 20.11.1941) L’ebreo non si frega. Ma lo fregheremo noi! (O. R., Giudei in armi, Gazzetta di Parma, Parma, 30.11.1941) … la guerra si combatte contro “ebrei e solo contro ebrei”. (Ebrei e solo ebrei, Eja!, Ascoli Piceno, 01.12.1941) Noi vogliamo che in Italia l’ebreo sia considerato come tale e non permettiamo che degli artifici dialettici trasformino gli ebrei in ariani. Nello stesso modo noi crediamo necessario che anche in Italia si incominci a pensare più efficacemente all’igiene razziale. (Guido Landra, Fondamenti biologici del razzismo, La Difesa della Razza, Roma, 20.03.1942) Il razzismo ha da esser cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve esser quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve esser quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto lo spirito alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti, finiremo

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per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come han potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche laboriose e dispendiose – fingere un mutamento di spirito e dirsi più Italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’alto là al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue. (Giorgio Almirante, Chè la diritta via era smarita... – Contro le “pecorelle” dello pseudorazzismo antibiologico, La Difesa della Razza, Roma, 05.05.1942) È risaputo che gli ebrei hanno sempre disprezzato il lavoro manuale, considerato un’occupazione destinata a classi inferiori od agli stranieri. (La prima giornata del lavoro obbligatorio per gli ebrei a Roma, Il Messaggero, Roma, 05.06.1942) Con questa tradizione millenaria di maniaco furore imperialista, di subdola invadenza, di corruzione ideologica, non è strano che i Giudei sentano odio per noi. (Il problema giudaico dal punto di vista storico-politico, Il Regime Fascista, Cremona, 05.07.1942) Il testo [...] indica i risultati a cui il popolo Ebreo è già arrivato e quali mete dovrà ancora raggiungere per possedere il monopolio della forza, cioè del diritto, cioè del dominio del mondo. […] Il lettore ariano rimane impressionato dinanzi ad un’opera così macchinosa e gigantesca, così ammalata di criminalità con tanta tenacia e spaventosa perseveranza condotta attraverso ai secoli da esseri che si sono sempre tenuti nell’ombra ed al riparo di propizi paraventi. […] In questo intento il popolo eletto [...] ha lottato e lavorato per allontanare i “gentili” sempre più da una visione realistica della vita, per gettarli in braccio all’utopia, per indebolire la forza dei loro governi e per carpire nel frattempo le loro sostanze per mezzo della speculazione. […] Gli ebrei preparano la rivoluzione francese, l’aristocrazia cade nelle loro mani per mezzo del denaro, il clero viene combattuto e discreditato per mezzo della critica e della stampa. […] Quando non esisteranno più nerbi di forza che si possano opporre [...] gli ebrei imporranno la loro autocrazia, solida, forte e decisa, unita nella persona del monarca del sangue di Davide, imperniata sulla divisione gerarchica delle caste. […] Questo odio degli ebrei contro il Fascismo è la causa prima della guerra attuale. La vittoria degli avversari solo in apparenza, infatti, sarebbe una vittoria degli anglosassoni e della Russia: in realtà sarebbe una vittoria degli ebrei. A quale ariano, fascista o non fascista può sorridere l’idea di dovere in un tempo non lontano essere lo schiavo degli ebrei? (Giorgio Bocca, I “Protocolli” dei Savi anziani di Sion, La Provincia grande, Cuneo, 14.08.1942) Gli imperi moderni quali siamo noi, li concepiamo e sono basati sul cardine “Razza“, escludendo pertanto l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti. (Eugenio Scalfari, Roma Fascista, 24.09.1942) Nel 1914 Hitler ancora non aveva riconosciuto il pericolo dell’ebraismo attorno a cui gravitano le forze dissolvitrici del genio del male. (Giovanni Preziosi, Giudaismo, bolscevismo, plutocrazia, massoneria, Il Messaggero, Roma, 02.07.1943) La riproduzione dei “Protocolli” – del documento base dell’ebraismo internazionale – servirà a chiarire a molti italiani le responsabilità degli Ebrei in questo conflitto ed in tutti in conflitti precedenti. (I “Protocolli” dei “Savi Anziani” di Sion, Il lavoro fascista, Roma, 27.28.10.1943)

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Sono degli ebrei erranti, fabbricati con lo spirito e con la veste del loro protòtipo classico ed eterno. (Gino Sottochiesa, S.A.N.E.T. (Siamo Ancora Noi Ebrei Torinesi), La Riscossa, Torino, 06.01.1944) Gli ebrei stessi ci forniscono indicazioni sufficienti per ben valutare il significato del pensiero di Carlo Marx nonché della parte che esso vuol far sostenere ai lavoratori ariani. (L’ebreo Mardocai e il popolo lavoratore, Italia Nuova, Venezia, 02.04.1944) È noto che gli ebrei, come individui e come popolo, non sono mai stati degli esemplari di modestia. (Nino Barranca, Presunzione ebraica e “Protocolli di Sion”, La Riscossa, Torino, 25.05.1944) Banche, industrie, commerci, scambi internazionali, stampa, tutto è dominato dagli ebreomassoni. (L’obbiettivo ebraico: rovesciare il Fascismo, Bergamo Repubblicana, 17.06.1944) La descrizione della eterna lotta contro il parassitismo mondiale serve a provare nel modo migliore che tutti i popoli hanno in tutti i tempi dovuto combattere una continua ed incessante lotta contro Giuda, pur senza avere mai raggiunto la meta dell’eliminazione di un male ereditario. […] Mai il non ebreo ebbe a combattere contro l’ebreo, ma è sempre l’ebreo a combattere contro il popolo che lo aveva ospitato! (L’eterna lotta contro il giudaismo, Avanguardia, Milano, 02.09.1944) Spingendo, per quanto è possibile, a ritroso l’indagine storica, troviamo sempre il giudaismo quale parassita e sfruttatore della forza nazionale dei popoli. […] I giudei vedevano nei nuovi spazi culturali dell’Europa centrale e occidentale, che l’impero romano aveva disarticolato, un campo redditizio per la loro attività parassitaria, dove senza dubbio essi incontrarono a varie riprese, nei singoli paesi, forti resistenze e da dove furono nuovamente espulsi. (Tremila anni di pestilenza giudaica, Avanguardia, Milano, 23.09.1944) Il giudaismo americano oggi si sente sufficientemente forte per togliersi la maschera che ha portato sino ad ora e presentarsi alla popolazione come l’arbitro di tutti i poteri. (Il tuonante Roosevelt è diretto dai giudei, Avanguardia, Milano, 14.10.1944) Dovremmo allora rassegnarci ed accettare il dominio dell’ebreo? (Guido Scotto, Perché siamo antisemiti, Camicia nera, Milano, 15.11.1944) Da ciò appare evidente l’odio del giudaismo internazionale verso i Paesi dell’Asse. […] L’attività politica e finanziaria in America è totalmente dominata da una massa enorme di ebrei. (r. r., Tollerare i giudei è alimentare il disfattismo, La Riscossa, Torino, 23.12.1944) L’ebraismo prima, la massoneria poi, tutte e due insieme infine, da tempo ci hanno combattuto, ci hanno vessato, hanno tentato di dividerci disgregarci, annullarci. (Vittorio Castelli, Avanti, ariani d’Italia, Crociata Italica, Cremona, 16.04.1945)

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Le principali razze umane, s.d., anni Trenta, Edizioni Dal Soglio. Distribuzione delle razze, s.d., anni Trenta, Edizioni Dal Soglio. Biblioteca Statale Isontina

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“Manifesto” di Capuano (Napoli), primo classificato ne “Le mostre Prelittoriali”, pubblicato su Libro e Moschetto, 11 marzo 1939. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Manifesto di Luigi Barbieri (Guf Bologna) pubblicato su Libro e Moschetto, Milano, 1 aprile 1939. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

Quale sarebbe il vostro lavoro… se vincessero gli alleati? Pieghevole di propaganda antisemita, anni della guerra. Collezione Enrico Sturani, Roma

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Difendilo!, manifesto (1944). Istituto storico del Risorgimento e di storia contemporanea, Milano (La Menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Centro Furio Jesi (a cura di), Bologna, Grafis edizioni, 1994, p. 206)

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Amici? (1944/45), manifesto che raffigura Josef Stalin, Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt seduti a un tavolo, al cui centro è posta una Menorah, nel momento in cui si spartiscono parte dell’Europa, tra cui l”’Italia invasa”. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

L’ebreo semina, cartolina stampata a Bologna nel 1943 come parte di una serie del “Primo nucleo italiano per lo studio del problema ebraico”. Collezione Wolfgang Haney, Berlino Verona, scritta antisemita tracciata con colore nero, fotografata da Diego de Henriquez in una delle vie centrali della città, quasi di fronte al Castelvecchio, il 4 dicembre 1942. Museo della guerra per la pace “Diego de Henriquez”, Trieste

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Volantino diffuso a Trieste nel 1941 che propaganda la lettura dei Protocolli dei savi di Sion. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Volantino antisemita diffuso in Italia negli anni della guerra. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

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Volantini antisemiti diffusi in Italia negli anni della guerra. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano La propaganda fascista mira ad aumentare l’odio contro gli ebrei nel mondo arabo attraverso vignette antisemite. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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La Divisione Polizia Politica, il 1 agosto 1938, fa un rapporto sull’opinione pubblica di fronte alla propaganda antisemita sulla stampa dopo la pubblicazione del Manifesto della Razza. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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L’8 ottobre 1938 l’Ufficio Razza propone al Ministro della Cultura Popolare, Dino Alfieri (1886-1966), di istituire delle lezioni sul “problema razziale” presso l’Università Radiofonica Italiana. Archivio Centrale dello Stato, Roma

Settembre 1938. Nota stilata dall’Ufficio Razza del Ministero della Cultura Popolare a proposito di un articolo del regista Domenico Paolella che chiede all’Istituto Luce di realizzare efficaci cortometraggi sulla “difesa della razza”. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Nel 1941 il Ministero della Cultura Popolare programma un “ciclo di conversazioni alla radio sulla questione ebraica”, con massimi esponenti dell’antisemitismo fascista quali Giulio Evola, Piero Pellicano e Giovanni Preziosi. Tale ciclo ha come obiettivo quello di accusare pubblicamente la “congiura ebraica” (inventata di sana pianta). Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Piano provvisorio delle "conversazioni alla radio sulla questione ebraica". Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Programma definitivo, stilato nel settembre 1941, delle "conversazioni alla radio sulla questione ebraica". Archivio Centrale dello Stato, Roma

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FERNANDO MEZZASOMA (1907-1945) Inizia la sua carriera politica nelle organizzazioni universitarie fasciste. Nel 1930 è tra i fondatori della Scuola di mistica fascista Sandro Italico Mussolini, un istituto che deve formare la nuova classe dirigente del Partito. Grazie a questo suo impegno, dalla metà degli anni Trenta la sua carriera conosce una decisa accelerazione. Viene nominato membro del Direttorio Nazionale del Partito Fascista nel 1937, vicesegretario nazionale del Partito dal 1939 al 1943 e insieme Consigliere nazionale, cioè membro della Camera dei deputati.

Nel marzo 1942 diventa direttore generale della stampa italiana presso il Ministero della Cultura Popolare, carica di grande importanza che mantiene fino alla caduta del fascismo. Fedelissimo a Mussolini, dopo l’armistizio aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, dove gli viene affidata la mansione di Ministro della Cultura Popolare. È quindi uno dei maggiori responsabili della propaganda della Repubblica. Viene fucilato a Dongo, il 28 aprile 1945, dai partigiani.

Fernando Mezzasoma tiene un discorso davanti a volontari di guerra universitari fascisti, 15 marzo 1941. Archivio fotografico Istituto LUCE, Roma

“Il concetto fondamentale in base al quale deve essere inizialmente impostata la propaganda è quello del sangue, concetto che costituisce anche l’innovazione più importante, dal punto di vista delle nuove leggi, in rapporto alle precedenti. Il concetto di sangue si presta ad una efficace propaganda in quanto è facilmente accessibile anche ai non preparati e può essere trattato in forma popolare come in forma scientifica.” (Fernando Mezzasoma, Appunto per Mussolini, 1943)

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Il personale più intransigente e radicale nel Ministero della Cultura Popolare, fra cui il Ministro Fernando Mezzasoma e il suo capo gabinetto Giorgio Almirante, si raccoglie nel cosiddetto “Gruppo fascista” e redige, fra il 1944 e 1945, un bollettino chiamato Mi Cup. Il Foglio del gruppo Fascista della Cultura Popolare, che esalta i repubblichini e combatte i badogliani, la Chiesa, la monarchia, gli Alleati e gli ebrei. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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La propaganda antisemita non trova soltanto sostenitori o indifferenti, ma anche avversari coraggiosi che protestano. Il Ministro dell’Interno, l’8 settembre 1938, viene informato che la sera precedente, durante la sfilata dei carri di Piedigrotta, a Napoli, sono stati rinvenuti per terra fogliettini con scritto “Abbasso il razzismo” e “Viva il cattolicesimo universale”. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Controcorrente è anche il mensile L’igiene e la vita, pubblicato a Torino sotto la direzione di Giulio Casalini, in cui si scrive, nel settembre 1938, che “dichiarare che la popolazione dell’Italia attuale sia solo di origine ariana, è un vero errore”. Il mensile verrà soppresso nell’anno successivo dal prefetto di Torino e dal Ministro della Cultura Popolare con la seguente motivazione: “atteggiamento antirazzista”. Sicor, Alcune osservazioni sulle razze, L’igiene e la vita, settembre 1938, pp. 245-247. Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Roma

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Trieste, il 30 luglio 1938. In un rapporto sulla “Questione ebraica” per la Direzione Generale della Demografia e la Razza si analizza l’atteggiamento della popolazione italiana. Le recenti manifestazioni di stampa ed espressioni di alte autorità del Regime, hanno avuto una larga eco in tutti gli ambienti cittadini. Il problema razzista trova larghissimi consensi tanto più che è strettamente connesso e forse meno sentito, dato che là le relazioni con gli elementi e gruppi semiti sono state sempre molto tenui.1

L’Ovra di Bari analizza la pubblica opinione in Puglia e Lucania, il 2 agosto 1938, “sui problemi della razza”. Sul tema della politica razzista del Fascismo si vanno delineando correnti contrastanti nella pubblica opinione. Negli strati meno elevati della popolazione i problemi della razza non sono ancora nettamente compresi e vengono generalmente intesi come tendenza antisemita. Tra le categorie più elevate – professionali, borghesi e operaie – la questione della difesa della integrità della razza comincia a interessare e a formare oggetto di discussioni, le quali dividono le opinioni in campi opposti. Sono prevalenti da una parte gli elementi di salda fede fascista, ed in particolare i giovani, i quali sentono la profondità dei concetti razzisti del Regime sotto l’aspetto della conservazione dei caratteri biologici e del genio della stirpe italica; dall’altra si muovono riserve e restrizioni mentali dai timorati delle ideologie liberali, dai pavidi, dagli incerti, dagli opportunisti, che costituiscono la zona grigia dei Fascisti calcolatori. Costoro vedono nello sviluppo della politica razzista del regime i segni precursori di più gravi difficoltà internazionali, se non addirittura del deprecato conflitto mondiale. Essi traggono prevalenti motivi di incertezze e di dubbi dal

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contrario indirizzo della politica Vaticana e dalle opposte dottrine formulate in recenti articoli polemici di Arturo Labriola e di Massimo Rocca apparsi nel periodico parigino – ritenuto espressione di una corrente Fascista – La tribuna d’Italia, molto letti e commentati in questi giorni. Non mancano, poi, le sommesse vociferazioni, nettamente ostili, di elementi sovversivi o antifascisti, per i quali il razzismo Fascista è di pura marca hitleriana in omaggio alla politica dell’asse Roma-Berlino. Infine, nel clero si attendono con circospetta diffidenza gli orientamenti pratici delle proposizioni razziste enunciate dal Fascismo e che si ritengono già condannate dal Pontefice, in una recente allocuzione a un gruppo di suore francesi, siccome contrarie alla fede di Cristo e allo spirito universale della Chiesa cattolica.2

Anche a Milano, il 23 agosto 1938, si analizza l’opinione pubblica sulla “questione ebraica”. La questione ebraica, connessa a quella della razza, è motivo di discussione in tutti gli ambienti, nei quali non mancano coloro che trovano alquanto spinta l’azione contro gli ebrei, dato che moltissimi di essi furono uomini di Governo, come Luzzatti e Sonnino, ed altri combatterono con valore durante la grande guerra, ed anche in quella per la conquista dello Impero. Altri, poi avrebbero militato nelle squadre di azione per la rivoluzione fascista. Sotto questi aspetti, i commenti alla questione ebraica, prenderebbero forma di commiserazione e l’azione del Regime quella di persecuzione. A tale mutamento di opinione pubblica sulla interessante questione non sarebbe estranea la subdola azione dei preti e dell’Azione Cattolica, non che di propagandistici ebraici. Non mancano coloro che non malvedrebbero l’azione governativa contro gli ebrei, però, aggiungerebbero che se tutto il mondo li scaccia dove essi dovrebbero

rifugiarsi? Si destini loro una parte del mondo come Patria e si costringano a recarsi colà. Soltanto allora la questione potrà raccogliere la totale adesione dell’opinione pubblica.3

Il 3 settembre 1938 la Direzione Generale Stampa Estera del Ministero della Cultura Popolare spiega, in un appunto per il Ministro della Propaganda, cosa ha risposto a esponenti della stampa estera. Sul problema della razza sono stati chiesti da parte di esponenti della stampa estera i seguenti chiarimenti: Smothers del “Chicago Daily News” ha chiesto se, dato il carattere radicale delle misure adottate bruscamente, si possa far risalire a qualche fatto specifico la determinazione del severo atteggiamento del Governo Fascista verso gli ebrei. È stato risposto riprendendo gli argomenti già svolti dalla stampa italiana sulla continuità dell’atteggiamento fascista, insistendo sulla maturità dei tempi per il razzismo italiano e sul fatto che nel crescente accanimento antifascista delle note correnti massoniche-democratiche ecc., la partecipazione ebraica è stata identificata costantemente presente. Si domanda se si debba aggiungere qualche altra cosa.4

Il 18 luglio 1941 il prefetto di Venezia, Vaccari, spiega alla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza che è contrario alle scritte sui muri come mezzo della propaganda antisemita. E veniamo alle scritte antigiudaiche; non mi è sembrato decoroso e opportuno che le mura dei palazzi cittadini fossero imbrattate con colore nero indelebile e in modo grossolano con scritte e diciture antiebraiche del seguente tenore: “Morte ai porci ebrei!” “Ebrei porci traditori di tutte le epoche e di tutte le razze!” “Ebreo porco!” ecc. Mi è sembrato che la campagna antiebraica

debba fondersi su altri elementi e compiersi con altre azioni o sistemi invece di esaurirsi nell’imbrattare in modo sconcio le mura dei palazzi; ciò in definitiva dava l’impressione di ben poca serietà anche perché si risolveva esclusivamente in forma di poco decoro civico. È per questa ragione che ho dato ordine al Podestà di Venezia di far ripulire le diciture di cui sopra. Ed in base al mio convincimento ho scritto al Segretario Federale pregandolo di impedire che elementi facilmente individuabili perché iscritti al Partito sporcassero notte tempo le mura cittadine. Allo stesso Federale ho ripetutamente fatto presente come intendo che ben altri debbono essere metodi ed azioni per una seria campagna antigiudaica. È falso che qualche strato della popolazione commenti la “frenesia podestarile” di cancellare le scritte di cui sopra considerandole come l’inizio di una politica più benigna verso i figli di Giuda. È altrettanto vero che si commenta invece la “tiepida debolezza della nostra politica antiebraica” desumendola dai fatti che mai si sono presi decisivi provvedimenti a carico degli ebrei stessi e che mai si sono mantenuti perché attenuati da successive disposizioni quei provvedimenti che furono presi in un primo tempo.5

La scrittrice Ernesta Bittanti Battisti (1871-1957), moglie dell’irredentista Cesare Battisti, si pone fin dall’inizio contro la propaganda antisemita del regime commentandola così nel suo diario nel novembre 1938. In Autunno, l’apparire dei decreti antiebraici in Italia. La grande massa ne è sbalordita. Non comprende. La stampa che è tutta statale, e vuole avere uno spirito antiebraico, dà uno spettacolo pietoso ributtante di incongruenze, contraddizioni, spropositi storici, nefandezze da sciacalli. […] Lo spettacolo di un pagliaccio ubriaco. Ma dálli, dálli, dálli, il senso di diffidenza e di odio si appiccicherà, si diffonderà (a nostra

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vergogna) forse. Non mancano già i pappagalli ed i malvagi. Chi vuol comprendere la ragione del decreto = Voci: Uno: Obbedienza a Hitler, in cambio della intangibilità dell’Alto Adige. Due: Per farla all’Inghilterra, in difesa dell’Islam (vedi i fatti di Palestina) o per ringraziarsi gli arabi di Tunisia, contro la Francia. Tre: Per vendetta contro una banca ebrea, che ha rifiutato un prestito. Quattro: Per vendetta di altri rifiuti del genere. Cinque: Collo spauracchio dell’internazionale comunista, che si vuol far passare come ebraica. Sei: Intrighi di donne e di femmine (di cui si fanno i nomi). Ma punto probabile. Sette: Metter le mani sulle proprietà degli ebrei, sul loro denaro per sanare l’urgente bisogno dello stato (infatti vi sarebbero le “Assicurazioni generali”). Otto: Opera di malvagità e di pazzia senza scopo. Nove: Un po’ di tutto questo. Dieci: Un “ritorno”. Uno dei tanti aspetti della reazione fascista ai principi della rivoluzione francese Giudizi. In alcuni, esecrazione (ed io esecro). Ci ributtano indietro di parecchi secoli. La legge è un reagente, che fa affiorare negli ariani i più bassi istinti e mette in evidenza deficienze, ignoranze e risuscita gli odi superstiziosi. Sfogo della malvagità umana: meglio che si sfoghi su un piccolo gruppo, che in più larga cerchia!! È inumano prendersela cogli ostaggi. Politica da cannibali. Osservazioni La reazione degli italiani ariani: Uno: Pubblica: nessuna protesta.

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Due: Privata: si dice di preghiere presentate da qualche personalità, o non accolte o a cui si fecero promesse non mantenute di po’. Tre: Obbedienza supina agli ordini […]. 15 gennaio [1939] La campagna antisemita dei giornali è fatta di menzogne storiche, di racconti immaginari grossolani, di bislacche teorie ed enunciazioni, l’una in contrasto coll’altro: uno sconcio spettacolo di briachi. Sul popolino ignorante può far presa. […] 25 [gennaio 1939] Continua sui giornali la discussione pseudofilosofica, pseudo-religiosa, per dimostrare che il buon cristiano deve essere antisemita!! E che nel vero cristianesimo non c’entra l’ebraismo!! […] 20 marzo [1939] Particolarità della lotta antisemita giornalistica: “Il Telegrafo” di Livorno (proprietà Ciano) non se la prende cogli Ebrei nell’edizione di Livorno, dove gli Ebrei numerosi pare si abbia bisogna e dove essi essendo ben conosciuti, non si possono inventare cose troppo grosse per essere credute; mentre ne sono piene le edizioni per Firenze.6

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Archivio Centrale dello Stato (ACS), MI, DG Demorazza, AD, busta 4, fasc. 16, inserto IV-12. 2 ACS, MI, DGPS, AGR, PS, 1939, busta 7F, fasc. Bari. 3 ACS, MI, DGPS, AGR, PS, 1939, busta 7G, fasc. Corrispondenza. 4 Ministero Affari Esteri – Archivio Storico Diplomatico, Minculpop, busta 185, fascicolo Questione ebraica. 5 ACS, MI, DGPS, AGR, PS, 1941, busta 5B, fasc. Venezia. 6 Ernesta Bittanti-Battisti, Israel-Antisrael (Diario 19381943), Calliano, Manfrini Editori, 1984, pp. 52-43, 75, 86.

Prima delle leggi razziali del 1938, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane protesta energicamente contro la propaganda antisemita di alcune testate, come il 15 gennaio 1935, in una lettera del Presidente Felice Ravenna (1869-1937) al ministro per la Cultura Popolare, Galeazzo Ciano (1903-1944). Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Anche le singole Comunità israelitiche si rivolgono alle autorità politiche per contrastare la propaganda antisemita, come fa il 29 gennaio 1935 il capo rabbino della comunità di Venezia, Adolfo Ottolenghi (18851944), che verrà deportato e ucciso ad Auschwitz, in una lettera a Mussolini. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Al prefetto di Torino è rivolta, nel giugno 1937, la protesta dei consiglieri della Comunità israelitica della città per l’apparizione di articoli antisemiti su giornali come La Stampa. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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I consiglieri della Comunità israelitica di Roma inviano al Ministro della Cultura Popolare una lettera contro un articolo comparso il 23 novembre 1937 sul giornale Il Tevere, fornendo anche la foto del manifesto pubblicitario della stessa pubblicazione appeso in una strada di Roma. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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1937, edicola romana con una locandina de Il Tevere in cui si afferma che “Gli ebrei barano”. Archivio Goglia, Roma (La Menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, Centro Furio Jesi (a cura di), Bologna, Grafis edizioni, 1994, p. 229) L’ebreo fascista Ettore Ovazza (1892-1943), che qualche anno dopo verrà ucciso sul Lago Maggiore dai nazisti, risponde con un suo libro alla tesi di Paolo Orano che gli ebrei italiani sono irriducibili nemici dell’Italia. Ettore Ovazza, Il problema ebraico. Risposta a Paolo Orano, Roma, Pinciana, 1938. Fondazione Museo della Shoah, Roma

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Il 23 gennaio 1938 il socialista ebreo Gino Luzzatto (1878-1964) scrive, in una lettera a un amico intercettata dalla Prefettura di Napoli, a proposito della “campagna che si è scatenata in quasi tutta la stampa contro di noi”, che “bisognerebbe essere ciechi per non accorgersi che siamo di fronte ad un piano prestabilito e largamente organizzato, che non si propone un semplice scopo di intimidazione, ma mira a risultati concreti.” Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Il 4 agosto del 1938 l’ingegnere fiorentino Gualtiero Cividalli (1899-1997), in una lettera alla moglie Maria D’Ancona, commenta così la propaganda antisemita: “A chiacchierare fra noi non ci si fa cattivo sangue; ma qui è un affare serio perché tutte le mattine i giornali hanno tre o quattro articoletti, o notizie, o frasi intercalate nelle corrispondenze più disparate che ti farebbero montare il sangue alla testa se tu non avessi ormai lo spirito corazzato.” Poco tempo dopo Gualtiero e Maria emigrano in Palestina per dare un futuro migliore ai loro cinque figli. Fondazione Museo della Shoah, Roma Fondo Gualtiero Cividalli

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Il giovane storico torinese Emanuele Artom (1915-1944), che morirà da partigiano, copia il 16 ottobre 1941 le scritte antisemite apparse nelle strade di Torino. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

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Il presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, Felice Ravenna, scrive il 24 gennaio 1936 al Ministro per la Stampa e la Propaganda, Galeazzo Ciano. Gli ebrei italiani, nella coscienza di aver in ogni momento della vita nazionale corrisposto al pari degli altri cittadini ai loro doveri patriottici, col sentimento più profondo ed illuminato, sono dolenti di constatare in qualche organo della stampa italiana voci poco benevoli nei riguardi dell’Ebraismo. Si attribuiscono infatti agli Ebrei, presi collettivamente, sensi od azioni contrari all’Italia in questo storico e glorioso momento della sua storia, facendo dell’Ebraismo un alleato irriducibile e costante o colla finanza internazionale, o colla massoneria, o col bolscevismo, o confondendolo con quelle misteriose forze organizzate contro l’Italia e contro la pace dell’Europa. Queste accuse incontrollabili partono talvolta da organi autorevoli quali il Giornale d’Italia (Virginio Gayda segnalava per esempio nel n° 18 dicembre 1935 l’Ebraismo come una di quelle oscure forze che, colla massoneria e col bolscevismo russo, congiurano all’estero ai danni dell’Italia), più spesso da minori organi della stampa italiana e sono accompagnate da vignette (come quella comparsa nel “Tevere” la più recente delle quali, del 14 Gennaio 1936 è riportata da un giornale antisemita di Berlino). Mi permetto richiamare l’attenzione dell’E.V. su queste voci dolorosissime per noi, come italiani e come ebrei, poiché esse turbano quella mirabile concordia e quella pace che, sotto l’egida del Fascismo e per suo altissimo merito, regna fra tutte le classi del popolo italiano.1

L’antifascista Vittorio Foa (1910-2008), condannato a quindici anni di reclusione dal Tribunale Speciale, scrive dal carcere di Roma alla sua famiglia, il 29 luglio 1938.

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Ho una raccomandazione caldissima da farvi; di non rattristarvi troppo per l’offensiva antisemita in corso, ne va della vostra salute che è cosa per me supremamente preziosa. Mi rendo benissimo conto dei vostri sentimenti, ma bisogna dominarli; bisogna considerare i fatti nella loro bruta materialità, non lasciarsi offendere dalla loro giustificazione; sul terreno logico tutto ciò è assurdo, contraddittorio, quasi ridicolo per la sua inconsistenza; gli uomini bisognosi di chiarezza logica si angustieranno di non poter replicare e confutare; ma non si tratta evidentemente di convincere nessuno. Un esempio: quando toglieranno le cattedre ai professori universitari ebrei perché antiitaliani per definizione, qualcuno fra i colpiti forse ricorderà che nel corso della grande guerra, in tutto morirono tre professori universitari italiani, e di questi tre, due erano ebrei, Viterbo e Levi, e il terzo, Giacomo Venezian grandissimo giurista irredentista eroico, medaglia d’oro, era un ebreo convertito al cattolicesimo per amore, biologicamente e razzisticamente ebreo al cento per cento... Bisogna invece prepararsi e fortificarsi l’animo agli inevitabili danni materiali e al doloroso spettacolo delle sofferenze altrui. Ma su questo punto, forse mi faccio delle illusioni, credo che si dipinga il diavolo più brutto di quel che è; mi sbaglierò ma credo proprio che almeno nei primi tempi le restrizioni saranno alquanto inferiori al livello che hanno raggiunto in Germania e che ci sta paurosamente dinanzi agli occhi, in primo luogo perché è impossibile che vada proprio del tutto smarrito il ben noto realismo dinamico della politica italiana, poi perché i rapporti internazionali non sono ancora definitivamente compromessi, e all’interno non è mai esistito e non esiste sentimento antisemita altro che in pochi gruppi di intellettuali invidiosi e consapevoli della loro mediocrità. Del resto nella stessa Germania si è passati progressivamente da un antisemitismo prevalentemente politicoeconomico, che comportava discriminazioni

in ragione della partecipazione alla vita nazionale (cosa assai deprimente dal punto di vista morale) ad un razzismo radicale, basato sul sangue indipendente dalle idee e dall’attività dell’interessato.2

Margherita Luzzatto, deportata ad Auschwitz nel 1944, scrive il 19 agosto 1938 una lettera alla figlia in cui commenta la propaganda antisemita. Speriamo bene sulla piega che prenderanno le cose, ma temo che non ci sia molto da illudersi. I giornali sono pieni di tante cattiverie e falsità che fanno da preludio e pretesto a fatti più gravi forse. Ma non ci pensiamo per ora.3

Nel novembre del 1938 il fotografo ed editore Luciano Morpurgo (1886-1971) commenta nel suo diario la propaganda antisemita. Mai, mai avrei potuto pensare che da noi, nella civile e gentile Italia “madre delle genti”, potesse allignare la trista pianta dell’antisemitismo. Ed oggi, invece, la realtà violenta e inesorabile è un’altra; oggi anche qui, nel nome della “razza”, di una cosiddetta ragion superiore che nessuno sa bene che cosa sia, che nessuno sente e può comunque giustificare, oggi anche in Italia si è scatenata l’assurda e inumana “battaglia della razza” voluta da Mussolini e dal suo Governo… per ordine della Germania, e appoggiata da tutta la stampa addomesticata e ligia agli “ordini dall’alto”. […] I prezzolati giornali ci chiamano “giudei”, e pubblicano articolesse senza capo né coda, senza senso comune, prive di obiettività, dimentiche di ogni umano decoro, che rivoltano l’animo d’ogni uomo retto. Se vi sono canaglie tra noi (come vi sono in tutti gli agglomerati umani) sono messe all’”ordine del giorno” con titoli vistosi, e le loro azioni imputate non all’indole dell’individuo, ma alla atavica condizione della sua origine; e come non

bastasse, l’assurdo ignominioso s’allarga, s’approfondisce, a formare, anello per anello, una catena sempre più dura e pesante, entro la quale si raccolgono da ogni parte detriti d’ogni sorta, sì che alla fine tutti gli atti compiuti nei campi più disparati, dagli individui più diversi, tutto che abbia in qualche modo sentore di “canagliesco”, viene a torto o a ragione attribuito agli ebrei! E la macchia s’allarga incontenibile. […] Unico conforto in tanto crollo dei valori fondamentali della vita, l’affetto e la stima di tanti amici, la comprensione di tutto il popolo italiano, che non “sente” questi provvedimenti, e li disapprova. Ma intanto, persone intelligenti e attive che non hanno la forza di resistere o non hanno la possibilità di allontanarsi per sempre dalla loro terra, dalla loro casa, dai loro affetti, vinte da una disperazione che nulla può trattenere, si sopprimono…4

Per contrastare la propaganda antisemita, l’avvocato ebreo modenese Vittorio Padoa propone il 24 ottobre 1938 alla Comunità Israelitica di Modena che tutti gli ebrei italiani facciano una dichiarazione sul loro amore per la patria. Allorchè alcuni giorno or sono lessi sui giornali italiani che si era costituita in America una lega di un milione di ebrei per combattere il Fascismo, e lessi anche i commenti che gli stessi giornali facevano al riguardo, io mi chiesi subito: “Ma come e in che cosa c’entrano o debbono entrarci gli ebrei italiani con quelli di America?” Ed allora ho considerato che, come credo nessuno possa dubitare, la maggioranza degli ebrei italiani nutre profondi sentimenti di italianità e di attaccamento alla terra che le ha dato i natali; che ha inoltre dato, e non poteva essere altrimenti, consapevolmente ed entusiasticamente piena e completa adesione al Regime che tanto bene ha fatto all’Italia, rendendola più grande e rispettata ed elevandola a prestigio imperiale; che ha

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dato così prova indiscussa di fedeltà e lealtà, mentre nulla ha né poteva avere di comune col cosiddetto ebraismo internazionale o con quella minoranza di cittadini italiani di religione ebraica che nutre sentimenti ostili al Fascismo. Penso pertanto che tutto ciò deve essere affermato e proclamato ben alto e forte. Le dichiarazioni collettive che al riguardo sono state fatte a più riprese non sono state ritenute sincere dalle sfere dirigenti. È per questo che io penso che sia il caso, in questo momento poco lieto per noi, che gli Italiani di religione ebraica sottoscrivono ciascuno una dichiarazione individuale, un solenne giuramento, press’a poco del tenore che più innanzi esporrò. Essi dovranno assumere così, ognuno per proprio conto, la propria individuale partecipazione a quelle dichiarazioni e a quell’impegno morale, e direi quasi giuridico, che non potranno del resto sinceramente e lealmente non venire sottoscritte da tutti coloro che si sentono veramente Italiani e che non amano che una sola Patria, la Patria che ha dato loro i natali, l’Italia.

Il giurista fiorentino Vittorio Pisa (19061976), nel suo diario scritto a Compiobbi nel 1938, commenta così la svolta razzista del regime. 28 agosto 1938 Il concetto di razza è derivato dalla Zoologia. In questa scienza serve alla classificazione delle varie specie animali, secondo alcuni caratteri somatici distintivi di ciascuna specie. L’antropologia mutuando questo concetto dalla zoologia, lo ha applicato all’uomo. Si è in presenza di un concetto prettamente materialistico, che non può essere applicato all’uomo integralmente, senza abbassare la creatura ragionevole al livello degli animali. L’uomo non è soltanto animalità, ma anche spirito, non ha soltanto caratteri somatici, ma anche qualità spirituali, che sovrastano di gran lunga quelle corporali, né si possono a queste ridurre. La ristrettezza del concetto di

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razza non può contenere ed esaurire quello di nazione, che è entità più vasta quantitativamente e qualitativamente più alta e cioè compartecipazione di miscugli di razze che formano un popolo, organizzato in nazione (aggregato sociale naturale). In caso contrario una mandria di animali, che possiede gli stessi caratteri somatici, dovrebbe dirsi una nazione. 31 agosto 1938 Ritenni opportuno trascrivere, ierlaltro, dalla “Rassegna internazionale di documentazione”, il brano che precede per formarsi un concetto di razza! Così, è accaduto, che tramite tali falsi assunti (falsi i razzisti ed il razzismo) e persuasivo il riportato assunto di cui sopra, è come venuto a calare un bandone di separazione per cui ci si sente a disagio, non tanto per il presente, in cui ancora l’opinione pubblica non è corrosa, ma per il pensiero di ciò che sarà, quando direttive, stampa e metodi di regime avranno gettato tanto odio e tanta malafede, sì da arroventare e mettere a fuoco. 5 settembre 1938 Oggi, considerata la sconcezza delle notizie propalate dai giornali, sempre in mala fede e sempre in atteggiamento schifoso, ho ritenuto opportuno di sospendere la lettura, perciò contrariamente agli altri giorni, non se ne è fatto acquisto e perciò non si è fatto che aumentare la già scarsa partecipazione alla compra di orribile, falsa, servile stampa: purtroppo deroghe a tale consegna dovranno essere necessariamente date, quando si tratti di notizie ufficiali.5

Il venditore ambulante Raimondo Di Neris, nato a Roma nel 1920, arrestato a Roma e deportato ad Auschwitz nel maggio 1944, racconta della sua reazione alla propaganda antisemita. E cominciò l’antisemitismo. Si sentiva, la polizia, la gente per la strada, lo

seminaveno, guarda, l’antisemitismo. […] Tutti quanti cominciavano a dì parolacce. Si andava a un cinema famigliare, al Centrale dell’Urione e al Rialto, e lì c’era ’n artista, non si può dire il nome per delicatezza… Iantaffi, Carlo Iantaffi; ebbene, questo faceva una sceneggiata e metteva battute contro gli ebrei, perché sapeva che dietro le spalle il governo era con lui. “’Sti porchi ebrei, se stanno mai zitti! So’ sempre loro, loro somari!” Diceva queste parole offendendo proprio. Io, che ero già revoluzionario, andetti con altri amici… andassimo là e je mandassimo tutto per aria! Poi l’abbiamo aspettato fori: so’ venuti in tre, j’abbiamo menato forte, ma proprio menato… mica l’ho carezzato… mai pentito! ’O rifarei ancora, perché era ’n fascistone. Però ce portarono a la centrale. Là quei tre li mandareno via e noi ci fermareno. Tre contro tre, ma il perno principale era Iantaffi, l’artista. Loro la messero che è stato un reato e allora pensareno che eravamo rivoluzionari. M’hanno preso il 28 dicembre del 1938, nun me la scordo più quella data. A Regina Cœli c’ho fatto quattro mesi, poi da lì c’hanno messo su un vagone cellulare, come ando mettono le mummie: RomaNapoli. Eh, il governo fascista è stato un fijo da ’na mignotta. Al carcere di Napoli, nove giorni c’ho passato pure lì. Poi ce rincatenano e siamo andati a prende ’a nave Tirenia, c’hanno messo a poppa, allegati così, ventiquattr’ore per arrivà a Palermo, al carcere l’Ucciardone. Che era l’Ucciardone, mamma mia, il carcere peggiore! Da lì mi misero sopra al treno e me portarono al carcere di Trapani, ci ho fatto dieci giorni. E’ una cosa indescrivibile… il Fascio erano delinquenti, mi devi crede. Insomma, dopo aver fatto tutti quei carceri là ero sfinito. A Trapani ci fecero prende il vaporetto e andare all’isola di Favignana. E là c’ho fatto ventiquattro mesi. Al confino per aver menato un antisemita.6

Aldo Ascoli, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, il 20 settembre 1939, qualche settimana dopo l’attacco della Germania alla Polonia, scrive al Ministro dell’Interno. Questa Sede si permette di far presente alla E.V. come da qualche tempo, e precisamente da quando si è iniziata la guerra germanicopolacca, alcuni periodici quotidiani del Regno abbiano ripreso una ben triste nuova campagna di denigrazione e di avvilimento degli israeliti connazionali, indirizzando, in trafiletti corsivi e in commenti ai fatti del giorno, gli animi dei lettori contro costoro. Il Telegrafo, il Tevere, il Corriere Adriatico, il Popolo di Trieste, il Resto del Carlino, hanno pubblicato espressioni di rinnovato odio di razza e di minaccia e di vero e proprio incitamento avverso questa esigua collettività che, colpita da tempo da gravi provvedimenti restrittivi, pur non ha cessato di mantenersi, come sempre, fedele alla Patria istituzioni e al Regime. In particolare alcuni di tali giornali stampano che, ove una guerra sia dichiarata nel Regno, i primi a pagarne col sangue il verificarsi sarebbero gli ebrei, trattandosi di guerra fascista, proletaria, antigiudaica, in quanto sarebbe il “giudaismo” ad aver voluto attuarla a detrimento della Nazione. Non v’è bisogno di ricordare quale sempre sia stata l’esemplare e totalitaria dedizione degli israeliti connazionali alle vicende della Patria del Risorgimento ad oggi; non v’ha bisogno di accennare al contegno sereno da essi tenuto, pur doloranti per le disposizioni adottate dal Governo, da oltre un anno a questa parte, e alle direttive di obbedienza, di normalità, di calma impartite da questa Sede rappresentativa e coordinatrice, e seguito con scrupolo da ogni comunità e da ogni singolo. Pertanto appare amarissima o infondata questa ripresa di accanimento ingiustificabile verso i correligionari nostri che non possono essere giudicati né solidali né consenzienti con qualsiasi atteggiamento che fuori dei confini, da parte di chicchessia, si esplichi in danno della comune Patria

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Imperiale Fascista. Vi preghiamo di considerare queste nostre osservazioni affinché non prosegua una ignominosa simile campagna di accusa e di calunnie che non hanno alcuna base nella realtà.7

Sabatino Finzi (1927-2012), deportato ad Auschwitz in seguito alla retata a Roma del 16 ottobre del 1943 racconta del film antisemita “Guerra ai sovietici” (1941). E mentre ce facevano lavorare, una volta per le strade misero un tendone bianco con uno che proiettava un film e tutti a sedere in tera. Faceva vedere gli ebrei e lo speaker che diceva: “Maschere di ebrei, schifo dell’umanità!”8

Il giovane storico torinese Emanuele Artom (1915-1944), morto anni dopo da partigiano, commenta il 16 ottobre 1941 le scritte antisemite su cartelli nelle strade di Torino. Per alcuni giorni sono stato occupato dai movimenti antisemiti concretatisi con scritte per le strade e con il tentativo di incendiare il Tempio. Leggere dei cartelli, che mi sono tranquillamente copiato, nei quali ci si minaccia la morte, accusandoci per esempio di tradimento e di omosessualità, è una esperienza che non a tutti è dato di vivere. La prima impressione è di curiosità, poi ritorna l’eterna domanda fondamentale, la cui ingenuità non è sommersa da tanto studio e tante discussioni: “Che responsabilità abbiamo nell’essere figli di ebrei e non di cristiani?”9

Il presidente della Comunità israelitica di Venezia, Giuseppe Jona (1866-1943), che si suiciderà durante l’occupazione nazista per non consegnare le liste degli iscritti ai tedeschi, il 23 ottobre 1941 racconta nella seduta della Giunta cosa

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ha fatto per contrastare la propaganda antisemita. Ma venne il giorno, e fu il 16 corrente, in cui l’offesa sorpassò ogni limite e si rivolse in forma concreta, a tutti gli Ebrei, a tutte le Comunità, a tutti coloro che le reggono. Infine, il n. 247 del Gazzettino nel trafiletto “Di giorno in giorno” portava scritto che a Kolosvar, per così dette frodi commerciali ivi scoperte “Rabbino Maggiore e compagni sono già in galera”. E proseguiva: “E sarebbero nelle stesse condizioni molti altri Rabbini e altri papaveri giudaici, in varii paesi del mondo, se ci si convincesse tutti, una volta per sempre, che Comunità Israelitiche equivale ad associazioni a delinquere e che sinagoga è sinonimo di luogo di ricettazione.” Mi parve allora che un intervento diretto si fosse reso necessario, qualunque ne dovesse essere l’esito, ma perché almeno non fosse lecito accusarsi di troppa remissività e di viltà. Infatti il giorno dopo (18 ottobre 1941) mi recai alla sede del Gazzettino e mi feci annunciare al Direttore dr. Cantalamessa, col mio biglietto di visita “prof. Giuseppe Jona – Medico primario emerito dell’Ospedale civile di Venezia”. Introdotto, rifiutai di sedere, e, in piedi, di fronte a lui, pure in piedi, gli dissi: “Vi prego di ascoltarmi pochi minuti, e non stupitevi se per prima cosa vi dico questo: ho 75 anni, sono un cittadino onorato, e penso che sarò rispettato qua dentro, anche se vi dirò parole sgradite. Vengo qui, quale presidente della Comunità Israelitica. Il vostro giornale ha scritto ieri che “Comunità Israelitiche equivale ad associazioni a delinquere” e “che sinagoga è sinonimo di luogo di ricettazione”. Non sono così ingenuo da chiedervi ritrattazioni o rettifiche. Vengo a chiedervi qualche cosa di molto più semplice: vi chiedo che sappiate nell’avvenire serbare una maggiore misura nella vostra campagna di persecuzione. Voi sapete bene che noi siamo un bersaglio senza difesa. Non possiamo reagire colla violenza, perché

sarebbe provocare un massacro. Non possiamo reagire per le vie legali, perché saremmo inascoltati. Perciò si può pugnalare, colla offesa atroce di tutti i giorni, sicuri dell’impunità. Comunque io non son venuto ad invocare generosità od equità. Vi ripeto, domando una cosa sola: sappiate serbare nell’avvenire maggiore misura, per rispetto a voi stessi. E questo è quanto dovevo dirvi!” Cantalamessa ascoltò senza interrompere né replicare; solo quando citai alla lettera le parole del Gazzettino mormorò un “già, sono andati troppo oltre”. Quando ebbi finito, fece un lieve accenno del capo, che poteva anche essere interpretato di assenso, e fu tutto. Dopo un breve silenzio, mi chiese se ero discriminato, e se esercitavo ancora la professione. Risposi seccamente di no. Poi chinai il capo, fui accompagnato da lui fino alla porta, e uscii. In questi pochi giorni da allora, non vi fu più nel Gazzettino un solo accenno agli ebrei. Fino a quando, non so, ma frattanto credo poter dire che la mia linea di condotta, mirante a tutelare la dignità della Comunità in tutte queste tristi vicende, ottenne quanto e più che i tempi lasciassero adito a sperare.10

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ACS, MCP, gabinetto, b. 12. Vittorio Foa, Lettere della giovinezza. Una scelta delle lettere dal carcere 1935-1943, a cura di Federica Montevecchi, Torino, Einaudi, 2010, pp. 97-98. 3 Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Dalle Leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945, Milano, Skira, 2004, p. 107. 4 Luciano Morpurgo, Caccia all’uomo. Vita sofferenze e beffe. Pagine di diario 1938-1944, Roma, Casa Editrice Dalmatia, 1946, pp. 22-23. 5 Enzo Collotti (a cura di), Razza e fascismo. La persecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943), vol. Documenti, Carocci, Roma 1999, pp. 134-135. 6 Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana, Torino, Einaudi, 2009, p. 29. 7 UCEI, Centro bibliografico, Archivio storico, busta 85B-4 Corrispondenza con comunità luglio 1938-dicembre 1939, fasc. Rapporti colle Autorità, sfasc. Ministero dell’Interno - Direzione Generale “Demografia e Razza”. 8 Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana, Torino, Einaudi, 2009, p. 44. 9 Emanuele Artom, Diario di un partigiano ebreo. Gennaio 1940-febbraio 1944, a cura di Guri Schwarz, Torino, Bollati Boringhieri, 2008, p. 20. 10 Renato Segre (a cura di), Gli ebrei a Venezia 1938-1945. Una comunità tra persecuzione e rinascita, Venezia, il Cardo, 1995, pp. 94-95. 2

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LA PROPAGANDA ANTISEMITA NAZISTA E L’ITALIA FASCISTA

Il settimanale antisemita nazista, Der Stürmer commenta la propaganda e la legislazione antisemita in Italia in vari numeri con vignette e articoli.

Dichiarazione del fascismo. La strada del destino del popolo italiano (16/33, agosto 1938, p. 1) Asse Roma-Berlino (15/34, agosto 1937, p. 5). Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, Signaturen: 2 Ez17657/4015+Sondernr..1937 ); 2 Ez17657/40-16.1938

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Scienza della razza in Italia. Gli ebrei non vengono più lasciati in pace da nessuna parte. Anche l’Italia ammette l’interesse per lo studio della questione razziale. (16/31, agosto 1938, p. 5) La lupa romana. L’ebreo deve nutrirsi altrove. (16/38, settembre 1938, p. 7). Caricature dal settimanale Der Stürmer

Spifferi: gli ebrei in Italia si sono raffreddati parecchio. (16/35, settembre 1938, p. 5) Plutocrazia sotto pressione. Germania – Italia. Abbiamo già fatto vedere con qualche noce come si fa a schiacciarla. Quindi sbrigatevi a muovere la leva, così anche la noce più dura si schiaccia. (27.6.1940, p. 1).

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Staatsbibliothek zu Berlin – Preußischer Kulturbesitz, Signaturen: 2 Ez17657/40-16.1938 ; 2 Ez17657/40-18/19.1940

Anche il settimanale Das Schwarze Korps mette al corrente i suoi lettori delle SS degli sviluppi antisemiti in Italia attraverso l’inserimento di caricature sul tema. Razzismo in Italia. L’Italia e il papa (11.8.1938, p. 1). Bibliothek im Bundesarchiv, Berlino

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Caricature dal settimanale Das Schwarze Korps

L’Asse Roma – Berlino. Un fatto nei confronti del quale a lungo andare uno non dovrebbe chiudere gli occhi. (16.9.1937, p. 1) La lupa romana – per le sanguisughe anche qui non c’è più spazio! (28.7.1938, p. 2). Bibliothek im Bundesarchiv, Berlino

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JUD SÜSS Nell’autunno del 1940 in Germania compare sugli schermi quella che successivamente sarebbe diventata anche in altri paesi europei, Italia compresa, la più famosa trasposizione cinematografica dell’odio antiebraico: il film Suss, l’ebreo (Jud Süß), diretto da Veit Harlan. Tratto da una novella di Wilhelm Hauff del 1827, così come dal romanzo di Leon Feuchtwanger del 1925, scrittori tutt’altro che antisemiti, il film di Harlan diventa un incitamento all’odio razziale nel nome di una “purezza etnica” del popolo tedesco. Il regista, basandosi su una lunga tradizione letteraria e iconografica antigiudaica, narra la vicenda di Joseph Süß Oppenheimer (Ferdinand Marian), un influente ebreo che, diventato consigliere finanziario del duca di Württemberg, spinto da un rabbino satanico (Werner Krauss) perseguita i suoi concittadini “ariani”, violenta una fragile ragazza (Kristina Söderbaum) e impone il “dominio ebraico” nella regione. Per punizione verrà bruciato. Per la portata della sua propaganda, l’efficacia drammatica, la maestria tecnica e il successo ottenuto (dal 1940 al 1945 viene visto da oltre venti milioni di spettatori in tutta l’Europa occupata), è il film più rappresentativo dell’epoca nazista. Il 30 settembre 1940 Himmler in un’ordinanza chiede che vengano prese delle “misure affinché l’insieme delle SS e della polizia possano vedere questo film”. L’anteprima mondiale avviene a Venezia il 5 settembre 1940, nel quadro della Mostra del cinema; poi arriva in quasi tutte le sale della penisola. Spesso, dopo le proiezioni del film, in molte città, da Berlino a Vienna fino a Trieste, si scatenano manifestazioni antiebraiche. Questi i commenti di tre ebrei italiani dopo la visione pubblica del film: “Mi ha amareggiato veder presentare tanta e tale menzogna nei confronti degli ebrei, insomma, raffigurati come animali assetati di danaro e di sangue…” (Nedo Fiano, fiorentino). “In questo film facevano vedere gli ebrei in un modo… come Dracula. Un film che faceva più danno che qualsiasi altro giornale, qualsiasi altra rivista, qualsiasi manifesto. Anche un buon pensante, anche un amico degli ebrei… a vedere quel film già usciva un po’ turbato. Vedendolo io ho pensato… che era fatto, che toccava a noi.” (Sabatino Finzi, romano). “Una sera, quando mio padre tornò quella sera così affranto dalla proiezione di Suss l’Ebreo, qualcuno tentò di incendiare la Sinagoga. Era il 14 ottobre del 1941, e la città si coprì di manifesti antisemiti e di scritte: ‘Morte agli ebrei!’ Il mancato incendio della Sinagoga, i manifesti e le scritte erano certamente opera della fazione più radicale del fascismo italiano, ma nella Comunità si diffuse la credenza che essi fossero stati organizzati da ambienti vicini al consolato tedesco.” (Aldo Zargani, torinese) Questi gli entusiastici commenti di giovani intellettuali dell’epoca che sarebbero diventati famosi nel dopoguerra. “L’ebreo Süss è posto a indicare una mentalità, un sistema e una morale… Poiché l’opera è umana e razionale incontra l’approvazione: e raggiunge lo scopo: molta gente apprende che cosa è l’ebraismo, e ne capisce i moventi della battaglia che lo combatte” (Enzo Biagi, “L’Assalto”, 4 ottobre 1941). “Non abbiamo nessun problema nel dire che ‘Suss l’Ebreo’ è un lavoro di propaganda. Ma allora in questo caso sia la benvenuta. Questo film è infatti potente, incisivo ed estremamente efficace, ripreso in maniera impeccabile, fin troppo” (Michelangelo Antonioni, “Il Corriere Padano”, 6 settembre 1940) Anche Carlo Lizzani recensisce in modo entusiastico il film, definendolo “ottimamente riuscito” e affermando: “è un organismo così accuratamente costruito (che) se calato nel tempo, ne sforza naturalmente i limiti, ne piega la presunta autorevolezza con il peso delle nuove tesi, al contrario, ad esempio di quanto avviene in alcuni assai citati film storici” (“Roma fascista”, 9 ottobre 1941) Sandro De Feo loda Harlan perché sa descrivere con “veemente colore… quell’istinto rabdomantico della razza ebrea che permette a Süss di scoprire dove sta il denaro e come si deve fare per estrarlo” (“Il Messaggero”, 7 settembre 1940) Il regista tedesco viene lodato anche da Luigi Chiarini per “la ricerca e la conquista di un linguaggio cinematografico, di quella forma assoluta senza la quale non v’è arte” (“Primato”, 15 ottobre 1940).

Il 7 novembre 1940 l’ufficio Kult.K del Ministero degli Esteri informa che secondo il Ministero della Propaganda tedesco il film Jud Süß viene distribuito nei seguenti paesi: Belgio, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Olanda, Italia, Iugoslavia, Protettorato Boemia e Moravia, Romania, Svezia, Svizzera, Slovacchia, Spagna e Ungheria. Il Ministero della Propaganda nazista, il 21 dicembre 1940, chiede all’ufficio Kult.K del Ministero degli Esteri di consegnare il film Jud Süß (Suss, l’ebreo) al direttore dell’Alleanza Cinematografica Italiana, Vittorio Mussolini (1916-1997). Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino

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Manifesto della versione italiana della fiction antisemita Suss l’ebreo. The Gillespie Collection, Australia Cartolina pubblicitaria del film Suss, l’ebreo, proiettato il 9 novembre 1941 dal Partito fascista al Teatro dell’Aquila, in Abruzzo. Collezione Gérard Silvain – Joël Kotek

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Manifesto della versione italiana della fiction antisemita Suss l’ebreo. The Gillespie Collection, Australia

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Manifesto della versione italiana della fiction antisemita Suss l’ebreo. The Gillespie Collection, Australia

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Manifesto di propaganda contro la borsa nera con l’immagine ripresa dalla locandina del film Suss l’ebreo. Collezione Gianfranco Moscati Un volantino antisemita distribuito nel 1941 a Trieste fa riferimento al film Suss l’ebreo. Archivio Centrale dello Stato, Roma

I Rothschild, manifesto della versione italiana del film nazista antisemita Die Rothschilds (1940). The Gillespie Collection, Australia

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Parallelamente alla proiezione del film antisemita Suss l’ebreo, nel 1941, riprende anche la campagna giornalistica contro gli ebrei, come rivela un rapporto dell’OVRA. Archivio Centrale dello Stato, Roma

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Il 9 giugno 1940 l’ingegnere milanese Emilio Emmer, dopo la visione del film di propaganda nazista Si avanza all’est (Feldzug in Polen), diretto da Fritz Hippler, si congratula con il Console tedesco per il successo del documentario e dà consigli per la futura propaganda contro la “barbarie democratica” utilizzando prigionieri di colore francesi e belgi. Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino

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Conto, in data 2 settembre 1941, della Universum-Film-Aktiengesellschaft relativo a manifesti e foto del film nazista sull‘“eutanasia” Ich klage an utilizzati per l’Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia. Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino Manifesto della fiction Ich Klage an (1941) con cui i nazionalsocialisti cercano di convincere il pubblico della necessità della cosiddetta “eutanasia”. United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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A Pavia, il 25 giugno 1941, viene presentato il Film di propaganda nazista Der Sieg im Westen (Vittoria ad Occidente) davanti all’“Opera Nazionale Dopolavoro“. Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino Manifesto del film di propaganda nazista Der Sieg im Westen (Vittoria ad Occidente, 1941), presentato in varie occasioni anche in Italia The Gillespie Collection, Australia

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Il 24 ottobre 1941 il Consolato generale tedesco di Milano informa l’Ambasciata tedesca di Roma che nelle sale cinematografiche di Milano e Bologna si proiettano film con attori „indesiderati ed ebrei”. Auswärtiges Amt – Politisches Archiv, Berlino

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Ecco, l’ebreo è la versione italiana del manifesto tedesco di propaganda antisemita disegnato da Hans Schweitzer nel 1943. Istituto storico della Resistenza di Novara (Propaganda politica e mezzi di Comunicazione di massa tra Fascismo e democrazia, Istituto Storico della Resistenza in provincia di Novara "P. Fornara", a cura di Adolfo Mignemi, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1995, p. 297)

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La via del mar rosso (1944), manifesto della Propaganda-Staffel. Collezione Gianfranco Moscati

Il Gioco delle tre oche, stampato e distribuito nel 1944 dai nazisti (Propaganda-Staffel) nella Lombardia occupata. Le tre oche rappresentano i russi, gli americani e gli inglesi. Per raggiungere un “ordine nuovo” si passa per tutti i nemici della Germania nazista e dell’Italia fascista, fra cui gli ebrei. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

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Foto della mostra nazista intitolata Unione sovietica – Bolscevismo senza maschera, allestita a Udine il 19 luglio 1944. I pannelli dell’esposizione sono ricchi di materiale antisemita. Fototeca civici musei del Comune di Udine

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EPILOGO

Misure discriminatorie Le conseguenze della campagna propagandistica antisemita dei nazionalsocialisti sono evidenti da subito: l’antisemitismo razzista diventa dottrina di stato. Fin dall’inizio del 1933 vengono emanate varie disposizioni volte a colpire le categorie professionali e le attività economiche degli appartenenti alla comunità ebraica tedesca. Nel settembre del 1935, attraverso le cosiddette “Leggi di Norimberga”, si sancisce l’isolamento “biologico” degli ebrei dal resto della popolazione, in particolare proibendo i matrimoni e addirittura i contatti sessuali fra ebrei e “ariani”, e viene introdotto un nuovo reato infamante, la Rassenschande (profanazione della razza). Nel 1938 sono attivate soluzioni sempre più radicali per la cosiddetta Judenfrage (questione ebraica): gli ebrei non possono più trattare immobili e amministrare terreni; medici e avvocati perdono il diritto di esercitare; negozi ebraici vengono contrassegnati e, prima di effettuare un nuovo censimento sulla base dell’appartenenza alla “razza”, sui passaporti vengono aggiunti i nomi “ebraici” di Sara e Israel. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre dello stesso anno viene scatenata la prima concreta serie di attentati ai beni e alla stessa vita degli ebrei, la Pogromnacht (notte del pogrom), alla quale seguono altre leggi persecutorie, in particolare l’arianizzazione delle imprese ebraiche. Con l’appropriazione dei beni altrui i nazisti non si limitano a sedurre la popolazione “ariana”, la rendono complice dei loro crimini. Dal settembre del 1938 anche l’Italia inizia a promulgare autonomamente una serie di leggi persecutorie di natura razzista-biologica nei confronti della minoranza ebraica presente nel paese. Solo un cane riposa su una panchina “per soli ariani”, Vienna 1938. United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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Emigrazione Il principale obiettivo della prima fase della politica antiebraica nazista – almeno fino allo scoppio della guerra – è quello di rendere il Reich judenfrei (libero dagli ebrei). In particolare, gli effetti delle disposizioni che affossano la sfera lavorativa degli ebrei tedeschi producono un flusso migratorio verso altri paesi, che raggiunge, fino al 1937, le 125.000 unità (quasi totalmente giovani, oppositori politici, artisti e scienziati), nonostante gran parte dei beni debba essere lasciata nel Reich. In questo periodo l’Italia fascista paradossalmente si trasforma per molti di essi in un rifugio, anche se si rivelerà del tutto precario. Con il crescente numero di ebrei sempre meno abbienti che vogliono emigrare, si abbassa la disponibilità di tanti paesi di riceverli: molti chiudono le frontiere; altri, come gli Stati Uniti, riducono sensibilmente le quote di immigrazione e chiedono garanzie (Affidavit). Nel luglio del 1938 fallisce anche la conferenza di Evian, che avrebbe dovuto trovare una soluzione per gli ebrei perseguitati. Simbolo della non disponibilità dei paesi ad accogliere i perseguitati sono le vicissitudini di navi come la St. Louis, che vagano in mare aperto senza trovare paesi che offrano asilo ai loro passeggeri. Quando inizia la seconda guerra mondiale, moltissimi ebrei rimangono intrappolati nel Reich. Nonostante le limitazioni, anche migliaia di ebrei residenti in Italia raggiungono gli Stati Uniti, l’America del Sud e la Palestina.

29 giugno-3 luglio 1939. Il viaggio, in condizioni precarie, di profughi ebrei della Cecoslovacchia e della Romania dall’isola greca di Kea a Haifa. L’imbarcazione porta una parte dei circa 700 profughi ebrei partiti in marzo da Tulcea, in Romania, con la nave greca Aghios Nicolaos. Il 31 marzo, nelle vicinanze della Palestina, cadono sotto il fuoco dalle truppe britanniche (un morto) e sono costretti a ritornare all’isola greca di Kea. Collezione Wolfgang Haney, Berlino

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Ghetti Il 1 settembre 1939 la Germania nazista invade la Polonia. Per gli ebrei che vi risiedono, oltre tre milioni, è una trappola che si chiude: sono tra le prime vittime dell’occupazione. Viene elaborato un piano che prevede il concentramento dell’intera popolazione ebraica nei territori conquistati in quartieri appositamente isolati nelle principali città. Si tratta dell’istituzione dei ghetti, concepiti come una soluzione temporanea che serve a isolare la popolazione ebraica dal resto della popolazione prima della sua espulsione ancora più a Est. Il problema principale di tutti i ghetti è la loro sussistenza, perché essi dipendono in tutto e per tutto dal mondo esterno. Le condizioni alimentari e igieniche catastrofiche, unite al sovraffollamento, provocano l’insorgere e il diffondersi rapidissimo di malattie epidemiche letali. In totale, in tre anni i nazisti arrivano a istituire nell’Est occupato più di 1.100 ghetti, al cui interno muoiono almeno 600.000 persone. Anche gli ebrei ivi agonizzanti sono utilizzati dai nazisti a fini propagandistici: essi vengono continuamente fotografati dagli uomini della Propaganda-Kompanie e le immagini più stereotipate sono pubblicate sulla stampa antisemita in gran parte dei paesi europei, Italia compresa, con l’intento di dimostrare l’inferiorità “biologica” di questa “razza subumana”. Alcuni di questi ghetti diventano addirittura veri e propri set cinematografici di film di propaganda, come Jud Süß e Der ewige Jude. Un ghetto in particolare, quello di Theresienstadt, è utilizzato per svolgere una funzione propagandistica. Attraverso l’organizzazione di “eventi” artistici, culturali e persino ludici, i nazisti intendono creare l’illusione di un “ghetto modello”, in previsione di una visita della Croce Rossa Internazionale nel giugno del 1944. Per l’occasione vengono adottate diverse altre misure per “abbellire” il ghetto. Questa scenografia viene in seguito sfruttata per la realizzazione di un film di propaganda sulle condizioni di vita “privilegiate” che il Reich offrirebbe agli ebrei.

Varsavia, novembre 1940 – giugno 1941: ebrei e non ebrei polacchi costruiscono una parte del muro che deve isolare il ghetto dal resto della città. United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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Fucilazioni Nel giugno del 1941 lo stereotipo del pericolo “giudeo-bolscevismo” è saldamente presente nell’orizzonte mentale di gran parte delle forze inviate nei territori dell’URSS da conquistare. La propaganda del regime ha convinto migliaia di tedeschi che questa è una “guerra razziale di sterminio”, uno scontro tra due “civiltà”, una delle quali di devastante negatività. Alle forze che combattono al fronte vengono affiancate delle truppe “speciali”, le Einsatzgruppen, che, divise in quattro gruppi, hanno il compito di eliminare con selvagge fucilazioni di massa la popolazione ebraica che risiede nei territori che vanno dai paesi baltici all’Ucraina. I plotoni di esecuzione non sono composti soltanto da ferventi nazisti delle SS, ma anche da cosiddetti “uomini comuni” della Polizia d’ordine, che fucilano migliaia e migliaia di persone. I pregiudizi antiebraici dei tedeschi si fondono immediatamente con quelli dei nazionalisti locali. Tragicamente determinante si rivela l’attiva collaborazione di ex prigionieri di guerra sovietici, fra cui moltissimi ucraini e Volksdeutsche, appositamente addestrati a Trawniki, nel distretto di Lublino. Il bilancio totale delle vittime è di oltre 1.500.000 – tra cui anche migliaia di Sinti e Rom –, la maggior parte delle quali muore prima della fine del 1942.

Mizocz, Ucraina, 14 ottobre 1942: liquidazione del ghetto. 1.700 ebrei ivi imprigionati vengono barbaramente assassinati con fucilazioni di massa. United States Holocaust Memorial Museum, Washington

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Deportazioni Anche se alcuni convogli di ebrei del Reich iniziano a partire verso le città dell’Est dotate di ghetti, fino alla primavera del 1942 gli ebrei dell’Europa occidentale sono discriminati e perseguitati in loco da disposizioni che producono condizioni di vita sempre più difficili da sopportare, tuttavia mai paragonabili a quelle degli ebrei orientali intasati nei ghetti. Alla fine di gennaio del 1942, però, nel corso della conferenza di Wannsee, viene organizzata la deportazione di tutti gli ebrei dell’Europa centro-occidentale e del Sud verso il centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau. La quasi totalità degli ebrei rinchiusi nei ghetti in Polonia è destinata invece a essere deportata ed eliminata in altri luoghi di messa a morte: quelli della zona annessa del Warthegau a Kulmhof (Chełmno), non lontano da Łódź; gli altri in tre campi della cosiddetta “Aktion Reinhardt”, ovvero Belzec, Sobibor e Treblinka. In tutti i paesi dell’Europa occupata gli ebrei sono arrestati, rinchiusi in luoghi di transito e quindi deportati. Da dicembre del 1941 dalla Polonia; dalla primavera del 1942 dalla Slovacchia, dal Protettorato di Boemia e Moravia, dalla Francia, e dal Reich; da luglio dai Paesi Bassi, da agosto dal Belgio e dalla Croazia; da dicembre dalla Norvegia; dalla primavera del 1943 dalla Grecia, da ottobre dall’Italia. Infine è la volta dell’Ungheria (da aprile 1944) e dell’isola di Rodi (nel luglio 1944). La deportazione degli ebrei occidentali è organizzata e coordinata dall’Ufficio di Adolf Eichmann, il IVB4, del Reichssicherheitshauptamt (“Ufficio centrale di sicurezza del Reich”, RSHA) di Berlino. Perché la politica dello sterminio abbia successo, il più delle volte i nazisti nei vari paesi ricorrono alla collaborazione delle forze locali, come in Italia.

Campo di transito di Fossoli (Carpi), 1943. Qui vengono rinchiusi fra il dicembre 1943 e l’inizio agosto 1944 gli ebrei arrestati sul territorio della Repubblica Sociale Italiana prima di essere deportati ad Auschwitz o, in casi particolari, in altri campi. Centro di Ricerca Etnografica del Comune di Carpi – Foto Gasparini

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I campi della morte Il primo luogo in cui i nazisti mettono in atto lo sterminio sistematico in Polonia è ChełmnoKulmhof, nel Warthegau, dove le uccisioni avvengono in camion – appositamente adattati a Berlino (Gaswagen) –, all’interno dei cui cassoni si immette il gas di scarico dei motori. Qui sono uccise 150.000 persone. Nei tre campi dell’“Aktion Reinhardt”, Belzec, Sobibor e Treblinka, la morte viene data immettendo in camere a gas fisse il gas di scarico proveniente da motori di camion. Il bilancio è di oltre 1.500.000 vittime. Ad Auschwitz-Birkenau la morte viene data in camere a gas fisse in cui è gettato lo Zyklon-B (cristalli imbevuti di acido cianidrico). Qui è eliminato quasi un milione di ebrei. Nel Governatorato Generale altri due campi, per alcuni periodi, assumono la funzione di luoghi di sterminio: quello di Lublin-Majdanek (Lublino) e quello di Lemberg-Janowska (Lwów-Leopoli). In tutti questi luoghi sono uccisi anche migliaia di sinti e rom, in alcuni casi deportati insieme agli ebrei dai ghetti e dal Reich, in altri fatti arrivare da soli a piccoli gruppi. Una parte dei deportati nel complesso di Auschwitz-Birkenau e a Majdanek viene inserita nei campi per il lavoro forzato. Coloro che miracolosamente sopravvivono alle selezioni e alle spaventose condizioni di vita fino alla fine del 1944 sono inviati con marce di evacuazione nei campi ubicati all’interno del Reich. Pochissimi vedranno la liberazione.

Birkenau, Krematorium V, 1943. Qui vengono uccisi anche ebrei italiani, fra cui probabilmente anche quelli deportati in seguito alla grande razzia di Roma del 16 ottobre 1943. Archivio di Auschwitz-Birkenau

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“Se il giudaismo della finanza internazionale, in Europa o altrove, riuscisse ancora una volta a gettare i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra e la vittoria del giudaismo, ma l’annientamento della razza ebraica in Europa” (Dal discorso di Hitler al Reichstag, 30 gennaio del 1939) “Già nel maggio del 1940 iniziavano i bombardamenti sulle città tedesche. Tutta la popolazione civile doveva essere uccisa. La stampa tedesca e la radio annunciavano che ciò era opera dell’ebraismo internazionale e io ero convinto, in base a tutta la mia educazione politica, che questo era giusto. Quando poi, nella primavera del 1941, si seppe dell’ordine del Führer riguardante lo sterminio degli ebrei, credevo si trattasse della questione di essere e non essere del popolo tedesco. Come potevo sapere che con questo si compiva un’ingiustizia?” (Kurt Frenzel, uno dei responsabili del campo della morte di Sobibor, 1963) “Il mio atteggiamento personale è caratterizzato dal riconoscimento della necessità delle leggi di Norimberga del settembre 1934, e della loro giustizia. Per quanto riguarda il fatto che la stampa, per esempio il settimanale ‘Der Stürmer’, faceva una propaganda che oltrepassava le direttive delle leggi su nominate, e il fatto che durante la guerra in Germania furono prese misure eccessive contro gli ebrei, io personalmente ritenevo tali misure politicamente non opportune, ma – data l’unità globale di razza e spirito, fondata nella religione, nel carattere e nella mentalità ebraica – le ritenevo giuste. […] La responsabilità che incombe sull’ebraismo mondiale per aver provocato quest’ultima guerra non può essere definita oggi, ma sarà oggetto di un esame obbiettivo da parte degli storici delle future generazioni. È però ben chiaro il fatto che l’ebraismo mondiale si presentava nei riguardi della Germania come un blocco ostile e di decisiva importanza, dando così una nuova prova dell’unità superstatale degli ebrei. Anche in Italia si trovavano i rappresentanti di questa unità nemica della Germania, che in parte agiva sensibilmente sabotando la condotta della guerra per quanto era possibile, e secondo la posizione sociale e professionale dell’agente. Nei miei studi su questi fenomeni negli anni ’40-’43 mi servirono le pubblicazioni del ministro Preziosi, e i risultati dei lavori degli istituti di ricerche per la questione ebraica in Italia. (Herbert Kappler, capo dell’Außenkommando di Roma, 1946)

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E cominciò l’antisemitismo. Si sentiva, la polizia, la gente per la strada, lo seminaveno, guarda, l’antisemitismo. […] Tutti quanti cominciavano a dì parolacce. Raimondo Di Neris