La possibilità e il senso. Un itinerario intorno al tema della possibilità nella filosofia del pensiero. Meinong, Husserl, Wittgenstein 9788860813398, 8860813395

Quanti di noi hanno sentito parlare del principio di non-contraddizione? Ma che cos'è questa nozione? Primo di una

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La possibilità e il senso. Un itinerario intorno al tema della possibilità nella filosofia del pensiero. Meinong, Husserl, Wittgenstein
 9788860813398, 8860813395

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Claudio Badano

LA POSSIBILITÀ E IL SENSO Un itinerario intorno al tema della possibilità nella “filosofia del pensiero”: Meinong, Husserl, Wittgenstein

ARMANDO EDITORE

BADANO, Claudio La possibilità e il senso. Un itinerario intorno al tema della possibilità nella “filosofia del pensiero”: Meinong, Husserl, Wittgenstein ; Roma : Armando, © 2008 304 p. ; 22 cm. (Scaffale aperto - Filosofia) ISBN: 978-88-6081-339-8

1. Filosofia teoretica 2. Il tema della possibilità nella filosofia del pensiero 3. A. Meinong/E. Husserl/L. Wittgenstein

CDD 100

Il presente volume è stato realizzato con il patrocinio dell’Institut für Pflege und Kommunikation Hohenzollerndamm, 123, 14199, Berlino.

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Sommario

7

Introduzione

19

PARTE PRIMA: ALEXIUS MEINONG

(Moglichkeit) e gli "obiettivi"

21

Capitolo secondo: Il semplicemente-possibile (das blofl Mogliches) e la possibilità capace di incremento (steigerungs­ fiihige Moglichkeit)

33

(Vermutung) e probabilità

45

(Nurmoglichkeiten) e possibilità applicate (angewandte Moglichkeiten)

63

(unmogliche Gegen-

77

(Wahrnemuhungsmo-

95

Capitolo primo: La possibilità

(Objektive)

Capitolo

terzo:

Supposizione

(Wahrscheinlichkeit) Capitolo quarto: Possibilità pure

·

Capitolo quinto: Gli "oggetti impossibili"

stiinde) Capitolo sesto: La possibilità percettiva

glichkeit) Capitolo settimo: Il "fuori-essere"

(Auflersein)

Capitolo ottavo: La libertà illimitata delle assunzioni

115

(Annahmen)

131

·

PARTE SECONDA: EDMUND HUSSERL

145

Capitolo primo: Possibile ed impossibile fenomenologici

147

Capitolo secondo: Il sistema delle possibilità eidetiche

159

Capitolo terzo: Il noema del possibile

175

Capitolo

187

quarto:

Le possibilità problematiche ifragliche

Moglichkeiten) Capitolo quinto: Le possibilità vuote dell'immaginazione

201

Capitolo sesto: L'apparenza trascendentale: la possibile irreal-

219

tà del mondo

PARTE TERZA: LUDWIG WITTGENSTEIN

239

Capitolo primo: Contingentismo e possibilità logico-grammati-

241

cale Capitolo secondo: Grammatica degli spazi e limiti di possibilità

253

Capitolo terzo: Il superamento della concezione "umbratile"

265

della possibilità Capitolo quarto: La contraddizione e le forme di vita

291

Introduzione

L' assunzione metodologica di ipotesi di carattere controintmtlvo è stata, nella fisica, la condizione preliminare della rivoluzione che la teoria della relatività apporta, all' inizio del ' 900, nella concezione dello spazio. L' atto battesimale di questo nuovo atteggiamento epistemologico risale alla costruzione, un secolo prima, di quelle geometrie non-euclidee che, relativizzando il fino ad allora indiscusso V postulato euclideo, affermano appunto l' idea che si possano creare sistemi, svincolando gli assiomi dal requisito dell' evidenza intuitiva e quindi anche dal riferimento ad un mondo fisico che ne costituisca l ' interpretazione1 . Il rinnovamento di pro­ spettive, così promosso nella fisica, ha un effetto di riflesso sugli altri saperi assiomaticamente fondati, da cui anche la filosofia non rimane esente2. Uno dei primi a trarre le conseguenze di questa nuova situazione è il logico polacco Jan Lukasiewicz: i risultati raggiunti dalla logica sim­ bolica, egli dice, consentono di pensare ad uno sviluppo della logica, che fuoriesca dal quadro di assiomi aristotelici a cui essa è rimasta finora vin­ colata3 . Il processo di sviluppo a cui qui si allude è quello inaugurato, verso la metà dell' 800, dalla formalizzazione matematica che - riprenden­ do l ' idea della leibniziana characteristica universalis - trasforma la logi­ ca in un sistema di calcolo: un programma che autonomizza quindi la logi­ ca da premesse ed implicazioni metafisiche - il problema della verità e della genesi dei concetti -, rimanendo però fedele al principio di non-con­ traddizione, cioè ali' assioma fondamentale che a partire da Aristotele governa la catena deduttiva di ogni sistema filosofico4. Pur stimolate dagli sviluppi della logica simbolica, le considerazioni che Lukasiewicz matura rimangono invece nell ' ordine della problematica logico-filosofica ed hanno di mira proprio il principio di non-contraddizione, che sta a capo del sistema aristotelico5 . Di esso il saggio Sul principio di contraddizione in Aristotele, del 1 9 1 O, fornisce un' analisi, il cui intento è mostrare come nell' argomentazione aristotelica vengano ad assommarsi in modo interpo­ lato tre profili: quello antologico, logico, psicologico. Aristotele, dice il logico polacco, sovrappone l' accezione antologica 7

e quella logica del principio di contraddizione: la impossibilità che ad una cosa spetti e non spetti - nello stesso tempo e sotto lo stesso riguar­ do - una determinata proprietà è resa equivalente alla impossibilità che i due enunciati che affermano rispettivamente il possesso ed il non posses­ so di questa proprietà siano contemporaneamente veri . Una sovrapposi­ zione - questa - alla cui base sta il principio della adaequatio rei et intel­ lectus: solo presupponendo che i nostri enunciati rispecchino la struttura profonda del reale, che siano cioè immagini delle cose con le quali stan­ no in una relazione diretta di carattere biunivoco, l ' incongruenza antolo­ gica diviene anche una incongruenza logica. In senso psicologico il prin­ cipio di non-contraddizione corrisponde, invece, all 'impossibilità di cre­ dere contemporaneamente alla esistenza ed alla inesistenza di una stessa cosa, all ' impossibilità cioè di due atti sincronici di credenza dal contenu­ to contraddittorio. In questo caso, è l' impossibilità logica ad essere inter­ polata col piano psicologico. Gli atti psicologici però, osserva Lukasiewicz, in quanto prodotti di causalità psichica, sono di natura empirica e non rispondono ai criteri logici del vero/falso, che valgono solo per gli enunciati: è quindi sul piano empirico che andrebbe dimostra­ ta la incompatibilità di due atti di credenza contraddittori ; ma a questo risultato la ricerca non è ancora giunta6. Le osservazioni critiche luka­ siewicziane sono volte a mostrare come, in assenza di un procedimento dimostrativo rigoroso, l ' argomentazione aristotelica poggi su sottintese assunzioni antologiche. Formulando una tesi che andrebbe a sua volta dimostrata, Aristotele pone il principio di non-contraddizione come indi­ mostrabile e tende comunque a giustificarlo attraverso dimostrazioni di carattere elenctico (la confutazione di una tesi attraverso la contraddizio­ ne della conclusione da essa derivata) e di carattere apagogico (median­ te la reductio ad impossibile)7. In particolare, la seconda dimostrazione elenctica - quella che si richiama all ' identità non-contraddittoria dell' es­ senza - ha per presupposti l ' esi stenza metafisica della sostanza e la prio­ rità assegnata al modo dell' attualità: sono essi ad escludere la sussisten­ za potenziale di elementi contraddittori, possibile invece nella dimensio­ ne ancora indeterminata del diveniré. Fondamentalmente, il principio logico di non-contraddizione risponde in Aristotele ad una funzione onta­ logica: escludere la contraddizione dall ' ente9. L' insieme di questi rilievi costituisce il retroterra da cui Lukasiewicz muove per condurre il proprio programma di revisione della logica classi­ ca ed il cui primo risultato è la costruzione di un sistema di logica trivalen­ te. Richiamandosi alla questione nota come l ' argomento dei "futuri contin­ genti" - il problema, presentato da Aristotele nel De interpretatione, di sta­ bilire il valore di verità un evento futuro - Lukasiewicz afferma, nella memoria Sulla logica trivalente del 1 920, che un enunciato relativo ad un 8

evento ancora non-accaduto è - al presente - né vero né falso e quindi «deve avere un terzo valore differente da O (il falso) e da l (il vero). Possiamo indicare questo terzo valore con "?'': esso è il "possibile", il terzo valore dopo "il falso" e "il vero"» 10. Proseguendo sulla strada intra­ presa, il logico polacco formula poi, negli anni successivi, altri sistemi modali basati su logiche polivalenti 1 1 . Il lavoro di revisione e rinnovamen­ to della logica formale intrapreso dal logico polacco ha comunque, come si è visto, il suo punto di partenza nella analisi critica del principio di non­ contraddizione: ciò che essa intende porre in discussione non è la sua vali­ dità logica, quanto l' assunto antologico che Aristotele ne deriva circa l ' i­ nesistenza di oggetti contraddittori. Il significato logico del principio non deve cioè essere di impedimento, sul piano antologico, alla possibilità di pensare qualcosa che non è contenuto nella realtà esistente. Come si dice nella Appendice annessa all' edizione italiana del saggio del 1 9 1 O, vi sono oggetti che si sottraggono al principio del terzo escluso ed ai quali esso è inapplicabile: gli oggetti generali (quelli definiti solo rispetto alle proprietà essenziali) indeterminati rispetto alle proprietà accidentali e gli oggetti reali che sono indeterminati di fatto, perché essi devono ancora attualizzar­ si12. Con queste tesi Lukasiewicz si fa interprete delle nuove prospettive logiche e semantiche che vengono a far vacillare i vecchi consolidati para­ digmi concettuali 13, richiamandone una in particolare: la teoria dell' ogget­ to (Gegenstandstheorie) ideata da Alexius Meinong, la cui proposta più originale è costituita dalla nozione di "oggetto impossibile" 14. La nozione di "oggetto" è paradigmatica del superamento dell' orizzonte della metafi­ sica 1 5 : se quest' ultimo - occupandosi delle strutture fondamentali del reale - è istituito dal discrimine operato fra il possibile e l' impossibile, fra ciò che può e ciò che non può esistere, l' antologia risale ad una dimensione che sta alle spalle di questo discrimine: ad un orizzonte che precede la divi­ sione fra possibile ed impossibile, comprendendoli entrambi 16• Conferendo sussistenza analitica anche a ciò che è contraddittorio, gli "oggetti impossibili" (unmogliche Gegenstiinde) estendono, in effetti, l'u­ niverso antologico al di là di ogni orizzonte finora stabilito 17 . Nonostante la singolare dimenticanza in cui Meinong è caduto nel nostro paese, quello compiuto dal filosofo austriaco è un percorso origi­ nale - iniziato all' interno della psicologia scientifica e da qui poi appro­ dato alla antologia -, che ha avuto un ruolo tutt' altro che marginale nel contribuire a promuovere le nuove prospettive teoretiche primo-novecen­ tesche in filosofia ed anche in psicologia. Tracce non esplicitate, oppure citate criticamente, rivelano che Meinong è senz' altro presente nell ' oriz­ zonte teoretico di Husserl e Wittgenstein, due autori fra i quali - a loro volta - sembra avvenire un singolare dialogo a distanza: non ci sono documenti che testimonino che Wittgenstein abbia letto Husserl, ma certi 9

brani dei suoi saggi - che sembrano essere scritti in risposta ad altrettan­ ti passi husserliani - lo lasciano supporre. Terreno di riflessione comune a questi autori sono i temi di natura logico-filosofica - il linguaggio come espressione del pensiero, le possi­ bilità del pensare, la natura e struttura dei pensieri, ecc . 1 8 - su cui è impe­ gnata quella che è stata denominata la "filosofia del pensiero"1 9: l ' area degli autori, legati ai filoni di ricerca inaugurati rispettivamente da Bolzano e da Brentano, fra i quali troviamo i padri della "svolta lingui­ stica" e della teoria dell' intenzionalità20. Ad accomunare in qualche modo tutti questi autori è la riflessione trascendentale sulle capacità del pensiero che fa da sfondo tematico all' analisi semantica2 1 : ad essere oggetto di indagine sono le modalità oggettive con cui i pensieri si con­ nettono per un verso alla mente e per l ' altro agli oggetti reali, i nessi che - sul fronte della psicologia, da un lato, e dell' antologia, dall ' altro - ren­ dono la struttura logica del linguaggio coestensiva a quella del pensiero e del mondo e che consentono quindi di connettere due tipi di entità oggettive: i fatti ed i significati22. In questo senso, mantenendo il riferi­ mento tematico al pensiero unitariamente inteso, questa area di autori non segue nessuna delle due vie - quella logico-oggettiva e quella empirico­ soggettiva - della biforcazione configurata dalla nascita, negli ultimi decenni dell' 800, dei due nuovi saperi disciplinari - la logica simbolica e la psicologia sperimentale - e dei loro rispettivi ambiti separati d' inda­ gine23 . Per un verso non è, infatti, la struttura sintattica dei sistemi logi­ co-formali, la verità della dimostrazione data dalla corretta deducibilità dagli assiomi, ad interessare la "filosofia del pensiero", quanto piuttosto la questione preliminare delle loro premesse: cioè la abilitazione del lin­ guaggio a rappresentare gli oggetti a cui esso si riferisce. Essa non è, d' al­ tro canto, interessata all ' indagine sulle capacità empiriche del pensiero: la "filosofia del pensiero" è antipsicologista24 ed il suo primo passo è, in questa direzione, quello di "estromettere i pensieri dalla mente"25 . Nella riformulazione in termini di teoria del significato delle vecchie questioni metafisiche26, il problema primario diviene quello di stabilire "ciò che vi è", di individuare le entità che si suppone esistenti27 : il riferi­ mento ad individui dati è, infatti, la condizione di senso dei puri concet­ ti e la verità o falsità di enunciati della lingua naturale, designanti un oggetto, implicano come presupposto la verità dell' enunciato sull' esi­ stenza dell'oggetto denotato. La funzione di assicurare il ponte fra lin­ guaggio e mondo è assolta, nell ' antologia semantica, dai nomi (categoria comprendente nomi propri e comuni, semplici e composti, definizioni) ed è la logica di primo grado che si occupa di significato e referenza, di identificare cioè la "cosa" ed i suoi possibili modi di esistenza28. Uno dei principali problemi che in quest' ordine di considerazione viene a pararsi lO

di fronte è quello dato dalle rappresentazioni senza oggetto (gegenstand­ lose Vorstellungen) e di quale sia la natura che va ad esse attribuita. È questo un problema di antica data nella filosofia e la teoria dell ' intenzio­ nalità di Brentano non risolve, !asciandolo in eredità ai suoi successori . Esso si ripresenta quindi, nell' area di dibattito che è in considerazione, intrecciato alla riflessione trascendentale circa i limiti della nostra possi­ bilità gnoseologica: se essi siano quelli che l ' orizzonte del mondo reale fissa all' intuizione sensibile o se e in quale misura essi siano invece tra­ scendibili dalla nostra facoltà astrattiva29. Il problema si ripresenta cioè nei termini di una aporia fra psicologia e logica del linguaggio: una apo­ ria che è, d' altronde, virtualmente già insita nelle possibilità espressive del linguaggio stesso come mezzo simbolico30• Al problema delle entità immaginarie la filosofia del pensiero risponde secondo due linee tenden­ zialmente divaricanti: quella di derivazione bolzaniana, in cui si iscrivo­ no Frege e Husserl, secondo la quale esse sono rappresentazioni senza oggetto ; quella di derivazione brentaniana, in cui si iscrivono Twardowski e Meinong secondo la quale ogni atto psichico - anche la mera rappresentazione - ha un oggetto3 1 . Attraverso l' intera gamma di intrecci a cui la questione qui accenna­ ta rimanda è la questione della possibilità a tornare alla ribalta nel dibat­ tito logico-semantico primo-novecentesco. La riflessione modale intorno al possibile si accompagna - in generale - allo sviluppo stesso della riflessione filosofica; la ritroviamo, infatti, all ' ordine del giorno in tutte le fasi di svolta segnate storicamente da un mutamento della prospettiva concettuale, richiedendo un' opera di rifondazione32. Ogni ambito disci­ plinare su cui verte l' interrogazione filosofica include una corrisponden­ te domanda sulla possibilità, testimoniando la straordinaria valenza siste­ matica di questa categoria33. Dei tre autori qui considerati, solo Meinong dedica un' opera specifica al tema della possibilità; ma evidenti sono, anche negli scritti di Husserl e Wittgenstein, i profili di una tematica del possibile. Il saggio che viene qui proposto non risponde certamente al compito di ricostruire in tutti i suoi elementi l' elaborazione di questa tematica: esso si limita a delinearne una semplice intelaiatura, assolven­ do alla funzione propedeutica di fornire alcune indicazioni per altre - più approfondite - ricerche.

Note 1 Le geometrie non-euclidee - com'è noto - sposano il presupposto che, se

si ipotizza uno spazio illimitato oppure delimitato, il postulato che due rette non-parallele siano destinate ad incontrarsi viene sospeso : prolungate all' infiIl

nito, quelle rette non si incontreranno mai; delimitate in un cerchio, esse si arrestano - prima di incontrarsi - sul punto di incontro con la circonferenza. Esse proseguono sulla via aperta un secolo prima da Saccheri col mostrare come sia possibile negare il V postulato, senza che questo pregiudichi la vali­ dità degli altri quattro del sistema euclideo. 2 La logica assiomatica presente negli Elementi di geometria di Euclide (330-277 a.C.) è, d' altronde, la stessa che si trova già nella Metafisica di Aristotele (3 84-322 a.C. circa). Che la conoscenza consista nel derivare infe­ renze entro un sistema dai principi dati come intuitive verità fondamentali costituisce il postulato fondamentale di quella "ideologia assiomatica" che accomuna - attraverso le epoche - metafisici e matematici, logici trascenden­ tali e logici formali, tramandandosi da Euclide ed Aristotele fino a Frege e Hilbert (cfr. C. Cellucci, Le ragioni della logica, Laterza, Bari 1 998). 3 «Non ci si può nascondere il fatto che la moderna logica simbolica, nei confronti della logica tradizionale, e della logica di Aristotele in particolare, presenta e significa un peifezionamento simile a quello della moderna geome­ tria nei confronti degli Elementi di Euclide. Ora, come nel corso del XI X sec . Un esame più preciso del principio euclideo delle parallele ha condotto a nuovi sistemi di geometria non-euclidei, allo stesso modo non sarebbe com­ pletamente esclusa la supposizione che un'approfondita revisione della leggi logiche fondamentali di Aristotele potrebbe forse offrire il punto di partenza per nuovi sistemi di logica non-aristotelici» (J. Lukasiewicz, Sul principio del terzo escluso, Appendice a Sul principio di contraddizione in Aristotele, «Paradigmi», Anno XVIII - Nuova Serie, N. 53, Maggio/Agosto 2000, pp. 389-390). Una considerazione analoga compare nel "secondo" Wittgenstein. La complessità del nostro linguaggio, egli dice, rende la logica fondata sulla non-contraddizione pari ad una geometria che fosse rimasta ferma ai principi della trigonometria: «La logica aristotelica bolla la contraddizione come una non-proposizione, che deve essere esclusa dal linguaggio. Ma questa logica tratta soltanto di un ambito assai ristretto della logica del nostro linguaggio ( È come se il primo sistema della geometria fosse stata una trigonometria; e come se noi credessimo ora che la trigonometria sia il vero fondamento originario della geometria, se non addirittura tutta la geometria)» (L. Wittgenstein, Ultimi scritti. La filosofia della psicologia, Laterza, Roma-Bari 1 998, p. 86). 4 Nella sua fase iniziale di "algebra della logica" la logica simbolica pre­ suppone il riferimento a realtà fisico-geometriche; anche per influenza dell'e­ mergere delle geometrie non-euclidee essa si autonomizza poi dalla matema­ tica e dalla geometria, sviluppandosi nella direzione puramente "logistica". Alla corrispondenza dei concetti alla realtà - che è il postulato della logica "filosofica" tradizionale (quella che giunge fino a Kant e Hegel) - subentra, come condizione di validità, la non-contraddittorietà degli enunciati del siste­ ma. Nel momento in cui si libera delle implicazioni della metafisica, attraver­ so, il programma logicista rivela in questo di ereditarne l ' istanza fondativa: 12

«L' idea di un' essenziale logicità del linguaggio, che sarebbe compito della Logica evidenziare, non è un' idea metafisica, ma la metafisica stessa» (M. Cacciari, Dallo Steinhof, Adelphi, Milano 1 980, p. 20) . È peraltro indicati vo che la critica antimetafisica neopositivista - il saggio di Rudolf Carnap Uberwindung der Metaphysic durch logische Analyse der Sprache, apparso sulla rivista «Erkenntnis» nel 1 93 2) - sceglie a proprio bersaglio non una metafisica, ma una filosofia - quella heideggeriana - che alla metafisica si contrappone per la sua logico-categoriale nell' indagine antologica. Dice Vattimo: «Queste critiche ispirate al positivismo si sono rivelate sempre più esplicitamente come critiche che intendevano semplicemente sostituire una nuova metafisica a quella tradizionale, una certa concezione dell' essere o del pensiero ritenuta più autentica e vera di quelle ereditate dal passato» (G. Vattimo, Il dimagrimento della filosofia, in «alfabeta» , n. 1 00, settembre 1 987). 5 Per una panoramica storica del dibattito sul principio di non-contraddi­ zione cfr. V. Raspa, In-contraddizione. Il principio di contraddizione alle ori­ gini della nuova logica, Parnaso, Trieste 1 999. 6 J. Lukasiewicz, op. cit. , pp. 390-396. 7 Le due tesi elenctiche sono : una proprietà necessaria implica l' impossibi­ lità del suo non-essere; una proprietà essenziale è unitaria e non può essere in essa compresa la sua negazione. Le tre tesi apagogiche sono: l' impossibilità di una totalità di proprietà contraddittorie; l' antinomia che in essa si creerebbe fra il vicendevole implicarsi di verità e falsità; la circostanza che di fatto non si hanno comportamenti che sono incongruenti rispetto alle intenzioni . Lukasiewicz indica i difetti logici di queste tesi : le tesi elenctiche ricorrono alla doppia negazione (A non è non-A) che è un principio diverso da quello di con­ traddizione; esso è correlato al principio di identità che a sua volta va distinto dal principio di non-contraddizione ; le tesi apagogiche presuppongono il prin­ cipio di contraddizione che dovrebbero dimostrare (J. Lukasiewicz, op. cit. , pp. 396-40 1 ). 8 J. Lukasiewicz, op. cit. , pp. 40 1 -404. 9 «Lo stratagemma di Aristotele è nascosto dalla destrezza con cui egli fa apparire equivalenti nella sostanza . . . le due formule del principio di non-con­ traddizione ( . . . ) un effetto di condensazione opera e svanisce impercettibil­ mente ( . . . ). In questo segreto contagio di riflessi, chi cerca di fissare la forma antologica scorge, in sovrapposizione, l' inattaccabile principio logico: tale cospirazione invisibile riesce a far sì che questo principio trascini con sé l' a­ desione surrettizia alla sua categoria antologica primaria: l ' ente, la cosa anto­ logica» (G. Bottiroli, La contraddizione e la differenza, Giappichelli, Torino 1 980, pp. 29-30 e 33). Le due formule che vengono interpolate sono quella logica (« È impossibile che la stessa cosa, ad un tempo, appartenga e non appartenga alla medesima cosa, secondo lo stesso rispetto») e quella antologi­ ca (« È impossibile che una stessa cosa nello stesso tempo sia e non sia»), c or13

rispondenti rispettivamente ai passi IV, 3, 1 005b 1 9-20 e IV, 4, 1 006a 3-4 di Metafisica. 1 0 Cfr. W.C. Kneale e M. Kneale, Storia della logica, Einaudi, Torino 1 962, p. 654. Le proposizioni indefinite "non sono né vere né false", si dice nel saggio Die logischen Grundlagen der Wahrscheinlichkeitsrechnung del 1 9 1 3 ; il grado di probabilità di una proposizione indefinita ha un valore di verità che può oscil­ lare fra O e 1 3 , si dice nella conferenza La nuova teoria della probabilità, tenu­ ta l' 1 1 dicembre 1 9 1 2 alla seduta scientifica della Società Psicologica Polacca di Varsavia (cfr. V. Raspa, Lukasiewicz versus Aristotele, in «Paradigmi», Anno XVIII - Nuova Serie, N. 53, Maggio/Agosto 2000, nota 8 1 , p. 447). 1 1 Oltre a quello trivalente, scopre già dal 1 922 che è possibile elaborare un'intera classe di sistemi polivalenti . Nel '53 Lukasiewicz giunge alla con­ clusione che le matrici quadrivalenti siano le più adatte a caratterizzare il siste­ ma modale: un sistema a quattro valori di verità (necessariamente vero; con­ tingentemente vero; contingentemente falso; necessariamente falso) riesce, infatti, a rendere quelle che sono le sfumature di intensità della contingenza o probabilità (M. Marsonet, Introduzione alle logiche polivalenti, Abete, Roma 1 976, p. 1 5 1 ). 12 J. Lukasiewicz, Sul principio del terzo escluso. Appendice a Sul princi­ pio di contraddizione in Aristotele, op.cit. , p. 4 1 1 . 1 3 «Per questo non è affatto esclusa la possibilità che costruzioni, oggi rite­ nute non-contraddittorie, contengano tuttavia un contraddizione profondamente nascosta, che finora non siamo stati capaci di scoprire» (J. Lukasiewicz, Sul principio di contraddizione in Aristotele, op. cit. , p. 408). 1 4 Cfr. J. Lukasiewicz, op. cit. , nota 1 3 , p. 408 . 1 5 Cfr. E. Tugendhat, Introduzione alla filosofia analitica, Marietti, Genova 1 976, pp. 28-43. 16 Così è già nella prefigurazione kantiana: «> (ib. , p. 1 0) ; «Il disco fonografico, il pensiero musicale, la notazione musicale, le onde sonore, tutti stan l ' uno all' altro in quella interna relazione di raffigurazione che sussiste tra linguaggio e mondo. A essi tutti è comune la struttura logica» (ib. , p. 22). Il modello riproduce le relazioni for­ mali fra gli elementi di un sistema dato, è la "forma della raffigurazione" della sua struttura; il tipo di immagini utilizzato nel modello corrisponde, invece, alla "forma della rappresentazione": la raffigurazione corrisponde, cioè, a ciò che è comune fra modello e sistema, la rappresentazione alla differenza. La "raffigurazione" è il genere che accomuna i vari possibili modelli e questi ai fatti ; la rappresentazione è più specificamente ciò che accomuna logica e realtà (S. Gozzano, Storia e teorie dell 'intenzionalità, Laterza, B ari-Roma 1 997, pp. 40-4 1 ) . 24 «Le proposizioni della logica descrivono l' armatura del mondo, o, piut­ tosto, la rappresentano. Esse "trattano" di nulla. Esse presuppongono che i nomi abbiamo significato, e le proposizioni elementari senso» (TLF, p. 70). 25 «La connessione di conoscere e conosciuto è quella della necessità logi­ ca» (ib. , p. 43). 26 «La logica riempie il mondo; i limiti del mondo sono anche i suoi limi­ ti. Non possiamo dunque dire nella logica: Questo e quest' altro v ' è nel mondo, quello no. Ciò parrebbe infatti presupporre che noi escludiamo certe possibi­ lità, e questo non può essere, poiché altrimenti la logica dovrebbe trascendere i limiti del mondo; solo così potrebbe considerare questi limiti anche dall' al­ tro lato» (ib. , p. 63). Commentando l ' incipit del Tractatus, Marino Rosso dice: «lo scopo della prima frase del Tractatus è proprio anche quello di respingere 249

subito una metafisica del possibile che parli al plurale delle possibilità e fac­ cia di queste altrettante entità, umbratili e incorporee quanto si vuole, ma pur sempre date come esistenti - come inserite nel mondo; una metafisica dell'e­ sistenza e inesistenza che di queste faccia quasi proprietà genuine che posso­ no convenire a quelle ambigue entità. Il mondo - per Wittgenstein - è innan­ zi tutto composto esclusivamente da quello che è attuato - da quello che c ' è (potremmo dire, allontanandoci dalla terminologia del Tractatus) . I l possibile è dato solo come residuo inespresso di potenzialità che appartengono alle con­ dizioni di quello che è attuato, di quello che c ' è» (M. Rosso, Introduzione a OSI , cit., p. XII). 27 «Come v ' è solo una necessità logica, così pure v ' è solo una impossibi­ lità logica» (TLF, p. 78). 28 «La credenza nel nesso causale è la superstizione» (ib. , p. 43 ). Rappresentare un' immagine logica mondo è, d' altronde, un compito che solo una concezione atomistica può proporsi : sarebbe improponibile per un approc­ cio di carattere olistico, data la complessità dei nessi che esso dovrebbe rico­ struire (cfr. R. Rorty, Scrittifilosofici II, Laterza, Roma-Bari 1 99 1 , pp. 79-80). 29 «x» (BT, p. 5 8 3 ) . Il riferimento di quest' ultima frase del brano è alla Introduzione alla filosofia matematica di Russell o ve peraltro - come opportunamente ricorda in nota il curatore italiano del Big Typerscript (ib. , nota 2, p. 5 83) - l ' intento del filosofo inglese è quello di disabilitare questa interpretazione . Nel saggio in questione Russell richiama, infatti , alla distin­ zione fra enunciati e funzioni enunciative : queste ultime sono le formule i cui argomenti sono le variabili e che divengono enunciati nel momento in cui alle variabili vengono assegnati dei valori. Le espressioni modali - quelle di necessità, possibilità, impossibilità corrispondenti al quantificatore universa­ le, esistenziale, nullo - possono essere formulate, dice Russell, solo come funzioni enunciative e non come enunciati che, da parte loro, possono esse­ re solo veri o falsi . È solo tenendo ferma questa distinzione - evitando quin­ di di riferire le modalità agli enunciati - che si può sfuggire, dice il filosofo inglese, alla "disperante confusione" in cui la filosofia è caduta a proposito delle modalità (B . Russell, Introduzione allafilosofia matematica, Longanesi & C . , Milano 1 947, pp. 20 1 -2 1 5) . Il problema del passaggio dal piano logi­ co a quello esistenziale concerne, nella logica simbolica contemporanea, la liceità del procedimento che trasforma enunciati de dicto in enunciati de re, intendendo per modalità de dicto quella riferita ali ' enunciato in quanto tale e per modalità de re quella riferita all ' inerenza del predicato al soggetto. Gli enunciati quantificati preceduti da modalità de dicto sono di carattere anali­ tico: asseriscono cioè una proprietà di cui vanno poi identificati i referenti ; gli enunciati in cui figurano modalità de re sono, invece, di carattere metafi­ sica: quantificano gli individui da cui la proprietà è goduta in un determina­ to dominio nel mondo attuale. Se sia legittimo stabilire una connessione logi ­ ca che da un enunciato del primo tipo consenta di dedurre un enunciato del secondo tipo è un problema, la cui discussione data dal momento in cui Ruth B arcan Marcus aggiunse nel 1 946 il cosiddetto "assioma di commistione" ai sistemi modali di Lewis. Espressa in simboli, la "formula B arcan" inerente la possibilità è: M3xq>x = 3xMq>x; essa è così traducibile : " È pos sibile che qualche cosa goda di q>" = "Qualche cosa possibilmente gode di q>" . Più in generale, la formula assume la seguente forma 03xP � 3x0Px , la quale afferma come lecito il passaggio dalla possibile esistenza di un ente ali ' esi­ stenza di un ente possibile (cfr. AA .VV., a cura di Daniela Silvestrini, Individui e mondi possibili. Problemi di semantica moda/e, Feltrinelli ed. , Milano 1 979, pp . 25-32 e C . Mangione , La logica nel ventesimo secolo, in L. 280

Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti , Milano 1 972, vol. VI, p. 666) . 3 1 «Tra una determinata enumerazione e la variabile/tra l ' enumerazione particolare e il segno generale/ non c'è una via di mezzo» (BT, p. 346). 3 2 «Tutte le mie riflessioni tendono sempre a mostrare che non serve imma­ ginare il pensare come l ' avere allucinazioni . Vale a dire che è superfluo e che la difficoltà permane. Infatti nemmeno l ' allucinazione, nessuna immagine , può colmare l ' abisso tra l 'immagine e la realtà, e l ' una non può farlo meglio dell' altra» (ib. , pp. 30 1 - 302) . 33 «l giochi di linguaggio sono modi d ' usare i segni ( . . ) sono le forme di linguaggio con le quali un bambino comincia ad usare le parole» (LBIIM, p. 26) . 3 4 /b. , p. 1 3 2 . 3 5 /b. , pp. 1 32- 1 34. 3 6 «Noi vediamo che un' estesa rete di somiglianze di famiglia connette i casi in cui sono usate le espressioni di possibilità: "potere", "capacità", "esse­ re capaci di", etc . Certi tratti caratteristici appaiono, in questi casi, in combi­ nazioni differenti: ad esempio v ' è l ' elemento della congettura (che qualcosa si comporterà in un certo modo nel futuro) ; la descrizione dello stato di qualco­ sa (come una condizione per il suo comportarsi in un certo modo nel futuro) ; il resoconto di certe prove alle quali qualcuno (o qualcosa) è stato sottoposto» (ib. , p. 1 53 ) . 37 /b. , p. 2 8 3 8 /b. , p. 27 e p. 30. 39 «Naturalmente, ciò che io intendo non è che noi chiamiamo: congettura l ' enunciato poiché esso contiene la parola "potere"; ciò che io intendo è che noi, chiamando: congettura un enunciato, ci riferiamo al ruolo di quell 'enun­ ciato nel gioco del linguaggio; e noi traduciamo con "potere" una parola usata dalla nostra tribù se "potere" è la parola che noi useremmo in quelle circostan­ ze» (ib. , p. 1 46) . 40 /b. , p. 149. 4 1 /b. , p. 53 42 /b. , pp. 78-8 1 . 43 /b. , pp. 44-6 1 . 44 /b. pp. 76-77 45 /b. ,' pp. 25 e 66-67 . 46 /b. , p. 67 47 «La proposizione, che la tua azione ha una certa causa, è un' ipotesi ( . . . ) . L a causa è oggetto non d i conoscenza, m a solo d i congettura ( . . ). Quando dico: "La causa possiamo solo congetturarla, mentre il motivo lo conoscia­ mo", questo asserto ( . . . ) è un asserto grammaticale. Il verbo "potere" si riferi­ sce ad una possibilità logica» (ib. , p. 24) . È utile ricordare, come fa il curato­ re dell ' edizione italiana, che con "regola grammaticale" (grammatische Regel) .

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Wittgenstein non intende una regola di grammatica, ma una regola logica con­ cernente l ' uso dei termini grammaticali (ib. , nota 39, p. 75 ; nota 23 , p. 35; nota 30, p. 44). 48 «Ciò che abbiamo fatto in queste discussioni è stato ciò che sempre noi facciamo quando incontriamo il verbo "potere" in una proposizione metafisi­ ca. Noi dimostriamo che questa proposizione cela una regola grammaticale. Vale a dire, noi distruggiamo la somiglianza esteriore tra una proposizione metafisica ed una proposizione empirica, e cerchiamo di trovare la forma d' e­ spressione che soddisfi un desiderio del metafisica che il nostro linguaggio comune non soddisfa e che, in quanto insoddisfatto, produce l ' imbarazzo metafisica» (ib. , p. 75) . 4 9 « S i potrebbe forse suggerire che i l solo caso, i n cui s i a incondizionata­ mente corretto dire che io possa fare una certa cosa, sia il caso nel quale io, mentre dico di poterla fare, effettivamente la faccio ( . . . ) . Ma, se guardiamo un gioco del linguaggio nel quale: "Io posso . . . " sia usato in questo modo (ossia, un gioco di linguaggio nel quale il fare una cosa sia ritenuto l ' unica giustifica­ zione del dire che uno sia capace di farla), allora ( . . . ) (questo gioco/nota nostra) ci mostra l ' uso reale dell ' enunciato: "Se qualcosa avviene , allora cer­ tamente può avvenire", un enunciato quasi inutile nel nostro linguaggio. Esso suona come se avesse qualche significato molto chiaro e profondo, ma, come la maggior parte delle proposizioni filosofiche generali , esso è privo di signi­ ficato tranne che in casi specialissimi» (/b. , pp. 1 52- 1 53). La concezione della possibilità come pre-condizione di ciò che è reale, che è propria alla tradizio­ ne metafisica, mostra di essere ancora presente nel neopositivismo coevo a Wittgenstein: « È proprio della prospettiva originaria del Circolo che anche gli atteggiamenti preposizionali e le proposizioni modali aspirino a essere analiz­ zati vero-funzionalmente . Si pensava infatti che la "necessità" potesse essere tratta come un requisito dei giudizi analitici e la "possibilità" come una sorta di "pre-stadio" dei giudizi sintetici o una classe di giudizi sintetici "più debo­ li"» (R. Egidi , Wittgenstein e il problema epistemologico delle "altre menti ", in AA.VV., a cura di Rosaria Egidi , Wittgenstein e il Novecento. Tra filosofia e psicologia, Donzelli, Roma 1 996, pp. 1 1 8- 1 1 9) . 5 0 LBIM, pp. 1 36- 1 38 . Un' esemplificazione d i questa impostazione è data dal pensare che solo quando si avveri l' oggetto di un desiderio si possa spie­ gare compiutamente cosa si era desiderato (ib. , p. 54) . 5 1 «Vogliamo comprendere qualcosa che sta già davanti ai nostri occhi. Perché proprio questo ci sembra, in qualche senso, di non comprendere» ; « È come se dovessimo guardare attraverso i fenomeni: la nostra ricerca non si rivolge però ai fenomeni , ma, si potrebbe dire, alle "possibilità" dei fenome­ ni» (L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche [d' ora in poi citato come RF], Einaudi, Torino 1 967, p. 60) . 52 «Quando pensiamo che la macchina abbia già in sé, in qualche modo misterioso, i suoi possibili movimenti? - Bene, quando filosofiamo ( . . . ) La 282

possibilità del movimento, che cos ' è? Non è il movimento; ma sembra che non sia neanche la mera condizione fisica del movimento . . . Questa, infatti, è la condizione empirica del movimento . . . La possibilità del movimento dev' esse­ re piuttosto come un' ombra del movimento stesso ( . . . ) . Ebbene, ti indico la possibilità del movimento, poniamo, mediante un ' immagine del movimento . . . Diciamo: «non si muove ancora, ma ha la possibilità di muoversi» . . . , ma non discutiamo mai se questa cosa sia la possibilità di questo o di quel movimen­ to : 'dunque la possibilità del movimento sta in una relazione singolarissima col movimento stesso; in una relazione più stretta di quella tra l ' immagine e il suo oggetto' ; infatti si può dubitare se si tratti dell'immagine di questo oppu­ re di quell ' oggetto» (ib. , pp. 1 04 - 1 05). Questo considerazioni corrispondono a quelle formulate nei § § 1 22- 1 25 della prima parte, risalente circa al 1 9371 9 3 8 , di Osservazion i sopra i fondamenti della matematica (cfr. L. Wittgenstein, Osservazioni sopra i fondamenti della matematica [d' ora in poi citato come OM] , Einaudi , Torino 1 988, pp. 5 1 -54) . 53 L. Wittgenstein, Ultimi scritti. La filosofia della psicologia del 1 9481 95 , Laterza ed. , Bari-Roma 1 998, p. 1 27 . La nota 3 1 8 , a pagina 255, riporta anche una variante prevista da W: «Le realtà sono per il filosofo altrettante possibilità» . 54 Cfr. le proposizioni 2.202-2 .22 1 del Tractatus (TLF, p. 1 1 ). Secondo Pears, questo è un punto che si consolida nel 1 929 e permane senza variazio­ ni nella successiva visione wittgensteiniana. Esso risalirebbe però, secondo Pears, ad un' idea che si troverebbe già in nuce: quella che nega che la filoso­ fia possa teorizzare come la scienza - che essa possa, cioè, spiegare come qualcosa divenga possibile così come la scienza spiega come una possibilità divenga un fatto -, dato che «i fatti sono circondati da possibilità identificabi­ li, ma le possibilità non sono circondate da un ' ulteriore cerchia di identifica­ bili candidati alla possibilità» (D. Pears, Scienza, filosofia e solipsismo, in AA.VV., Wittgenstein e il Novecento. Tra filosofia e psicologia, a cura di Rosaria Egidi, Donzelli , Roma 1 996, p. 90) . 55 R.L. , p. 62. 5 6 TLF, p. 62 . 57 «Per i teorici del periodo culturale passato era tipico voler trovare l ' Apri ori dove non c ' era(a capo)Oppure dovrei dire, era tipico del periodo cul­ turale passato creare il concetto dell "a priori' » (L. Wittgenstein, Movimenti del pensiero. Diari 1930-1932 l 1 936-1937, Quodlibet, Macerata 1 999, p. 44) . 5 8 «Abbiamo l ' idea di un super-meccanismo quando parliamo di necessità logica, per esempio la fisica ha tentato di realizzare l ' ideale della riduzione delle cose a meccanismi, o a qualche cosa che spinge qualche cos ' altro» (L. Wittgenstein, Lezioni e conversazioni, Adelphi, Milano1 967 , p. 76) . 59 «Sì, non è ovvio che la possibilità di un gioco linguistico è condiziona­ ta da certi dati di fatto? ( . . . ) Si può dire, allora, che soltanto una certa regola­ rità negli accadimenti rende possibile l ' induzione? Il "possibile" dovrebbe, 283

naturalmente, essere "logicamente possibile"» (L. Wittgenstein, Della Certezza [d' ora in poi citato come DC] , Einaudi , Torino 1 978, p. 1 00); «Infatti come farebbe la gente in un paese dove tutto avesse soltanto un colore , a impa­ rare l ' uso dei nomi del colore? Ma allora si può dire: "Solo per il fatto che nel­ l ' ambiente che ci circonda esistono cose di diversi colori e che . . . , possiamo usare i nomi dei colori" ? ? Qui non si vede la differenza fra possibilità logica e possibilità fisica. Quello che ci interessa non è: in quali circostanze il gioco dei nomi dei colori non è fisicamente possibile - o per meglio dire non è pro­ babile. Senza scacchi non si può giocare a scacchi - questa è l ' impossibilità che ci interessa» (OFP, II, N 1 99); «Voglio sapere che succede alle mie spal­ le e mi volto. Se questo mi fosse impedito, non rimarrebbe ugualmente l ' idea che lo spazio si estende intorno a me, e che gli oggetti ora alle mie spalle potrei vederli voltandomi ? Dunque è la possibilità di voltarmi che mi procura quel­ l ' idea di spazio. Lo spazio intorno a me che ne risulta è dunque uno spazio ibrido, visuale e cinestetico ( . . . ) . Senza la sensazione della facoltà di "voltar­ mi" la mia idea di spazio sarebbe essenzialmente diversa» (OF, p. 5 3) . 60 «Infatti è impossibile conoscere i l numero delle possibili permutazioni senza conoscere le permutazioni stesse ( . . . ). Posso contare solo ciò che è effet­ tivamente presente, non le possibilità» (OF, p. 89) . 6 1 Nel passo di OF inerente la divisibilità, già citato alla nota 33 del capi­ tolo precedente, Wittgenstein dice: «Come si può distinguere, qui, tra realtà e possibilità? Deve essere sbagliato parlare, come faccio io, della restrizione della possibilità infinita al finito. Perché così sembra che una realtà infinita sia pensabile . . . Che l ' infinita possibilità sia la possibilità di un numero infinito . E questo mostra di nuovo che abbiamo a che fare con due diversi significati della parola "possibile" quando dico, rispettivamente: "il segmento può essere divi­ so in tre parti" e: "il segmento è infinitamente divisibile". (Questa distinzione è indicata anche da quello che ho scritto sopra, dove metto in dubbio che nello spazio visivo esistano reale e possibile) ( . . . ) l ' infinita - o meglio: illimitata ­ divisibilità non vuoi dire che esiste una proposizione che descriva un segmen­ to diviso in un numero infinito di parti, perché una tale proposizione non esi­ ste. Quella possibilità, perciò, non è notificata (angezeigt) da una realtà dei segni , ma da una possibilità di altro genere dei segni stessi» (OF, p. 1 1 1 ) ; «Ha un senso dire che in una direzione ci possono essere infinite cose, ma non ne ha nessuno dire che ce ne sono infinite. E questo è in contrasto col modo ordi­ nario di applicare la parola "potere"» (ib. , p. 1 1 4). 62 Wittgenstein pone il problema che una proposizione - ad es. "il cerchio si trova nel quadrato" - è in un certo senso indipendente dali ' indicazione di un luogo determinato; si può dire che il cerchio deve avere qualche grandezza, ma non si può immaginare in anticipo tutte le possibili posizioni e grandezze; l ' es­ sere nel quadrato esprime una possibilità logica, non un insieme di posizioni, una totalità di possibilità; una pos sibilità logica di questo tipo è una conoscen­ za che non dipende dal numero di tutte le possibilità fisiche di posizioni che 284

posso calcolare; in questo senso, lo spazio è una possibilità (logica) (cfr. : GF, pp. 2 1 6-23). 63 Il calcolo combinatorio si applica come «legge di deduzione per il pas­ saggio da una proposizione a un' altra, ognuna delle quali descrive una realtà, non una possibilità . Si può ben dire in assoluto che l ' impiego delle proposi­ zioni apparenti intorno alle possibilità - e impossibilità - è sempre il passag­ gio da una proposizione reale a un ' altra» (OF, p. 85); «un' ipotesi infinita . . . . può corrispondere in definitiva solo a una realtà finita, è chiaro» (ib. , p . 1 1 0). 64 «La parola "possibilità" è però fuorviante, perché (si dirà) ciò che è pos­ sibile dovrà pur diventare reale. Ma così si pensa sempre a processi tempora­ li, e dal fatto che la matematica non ha nulla da spartire con il tempo, si infe­ risce che in essa la possibilità è già realtà» (BT, p. 704); «Ecco il nostro modo di sentire: "In matematica non possono esserci realtà e possibilità. Tutto è su un unico piano . E precisamente, tutto è in un certo senso reale". - Ed è pro­ prio così, perché la matematica è un calcolo e di ne ssun segno il calcolo dice che sarebbe soltanto possibile. Invece il calcolo si occupa soltanto dei segni con i quali opera effettivamente» (ib. , p. 708). I brani corrispondenti in GF suonano così : «La parola "possibilità" è però fuorviante, perché, si dirà, quel­ lo che è possibile deve pur diventare reale. Ma con queste parole si pensa anche sempre a processi temporali, e da questo si conclude che la matematica non ha nulla da fare con il tempo, che in essa la possibilità è già realtà» (GF, p. 427); «In matematica tutto è algoritmo, niente è significato» (ib. , p. 429); «Sentiamo che "In matematica non possono es serci realtà e possibilità. Tutto è su un medesimo piano. E, precisamente, tutto è in un certo senso reale. E questo è vero. Infatti la matematica è un calcolo, e di nessun segno il calcolo dice che sarebbe soltanto possibile; ma il calcolo ha da fare soltanto con i segni con i quali opera effettivamente (confronta, con la fondazione della teo­ ria degli insiemi, l ' ipotesi d ' un possibile calcolo con segni infiniti)» (ib. , p. 430). Anche in OF ne troviamo una ulteriore versione : «Naturalmente , il ter­ mine "possibilità" è fuorviante, perché quello che è possibile, si dirà, diven­ terà reale, per l 'appunto. In questo si pensa sempre, per di più, a processi tem­ porali, e dalla premessa che la matematica non ha nulla a che fare col tempo, si conclude che in essa la possibilità è (di già) realtà ( . . . ). Ma, a dire il vero, è il contrario, e quello che in matematica è chiamato possibilità è proprio la stes­ sa cosa che è anche nel tempo)» (OF, p. 1 1 3 ); «i numeri - e i numeri descri­ vono i fatti ! - sono finiti , mentre la loro possibilità, che corrisponde alla pos­ sibilità dei fatti, è infinita, e si esprime, come si è detto , nelle possibilità del simbolismo» (ib. , p. 1 1 6) ; «In matematica non ci possono essere possibilità e realtà. Tutto è sullo stesso piano, e precisamente, in un certo senso, reale ( . . . ) quello che la matematica esprime con i suoi segni è tutto sullo stesso piano ( . . . ) . Però nei suoi segni è insita una possibilità, cioè la stessa che è insita nelle autentiche proposizioni dove la matematica è applicata» (ib. , pp. 1 1 6- 1 1 7) . 65 «La possibilità è resa dalla possibilità. Nei segni stessi è insita solo la -

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possibilità e non la realtà della ripetizione» (ib. , p. 1 1 6). Questo duplice signi­ ficato della possibilità è ribadito con chiarezza nello scritto Il concetto di infi­ nità nella matematica, della fine del 1 93 1 . Qui vengono discriminate le due diverse applicazioni della parola "potere" : «Nella proposizione " È possibile ogni numero arbitrario di lanci", "possibile" può voler dire "possibile logica­ mente" ("pensabile") e allora si tratta di una regola e non di una proposizione empirica . . . Potremmo però anche concepirla come una specie di ipotesi: ma allora sarebbe quel genere di ipotesi per cui non è prevista nessuna verifica, bensì di una falsificazione, e si tratterebbe perciò di una proposizione di gene­ re diverso ( . . . ). Quando vorremo dire che l ' infinità è un attributo della possi­ bilità e non della realtà, oppure che la parola "infinito" conviene sempre alla parola "possibile" e simili - si viene in fondo a dire; la parola "infinito" è sem­ pre una parte di una regola» (OFJ, Appendice B, p. 275) . 66 «Precisamente, tutto dipende dalla sintassi di realtà e possibilità. m = 2n contiene la possibilità di correlare ogni numero con un altro, ma non correla tutti i numeri con altri» (ib. , p. 1 1 3) . 67 « S i può dire che la freccia indica verso l ' infinito, m a questo vuoi forse dire che c ' è qualcosa, l ' infinito, che essa addita come una cosa?» (ib. , p. 1 1 5) . Una freccia che indica una direzione, indica la possibilità della posizione delle cose in quella direzione, non tutte le possibili posizioni delle cose: la direzio­ ne è cioè una possibilità logica, non una totalità estensiva (GF, pp. 427-428) . S e si può parlar di molte possibilità (ad es ., quelle per cui non capisco un comando - e quindi non lo eseguo -, perché esso mi viene impartito in una lin­ gua straniera, con una cadenza sbagliata, ecc.) (ib. , p. 1 2), è privo di significa­ to parlare di tutte le possibilità (ib. , p. 235): un concetto non è dato dall ' enu­ merazione degli oggetti che cadono sotto di esso, così come il significato generalità di una regola non risulta dali' elenco disgiuntivo dei casi che essa include ed esclude: in questi casi l ' importante è una specie di indeterminatez­ za, non l ' infinità delle possibilità (ib. , pp. 229-23 8); « È pensabile ogni nume­ ro finito di parti, ma . . . qui il termine "ogni" non vuoi dire che è pensabile la totalità di tutte le divisioni (questa non è pensabile, perché non esiste). Invece esiste la variabile "divisibilità" (cioè il concetto di divisibilità) , che non mette limiti alla divisibilità reale; e in questo consiste la sua infinità» (ib. , p. 1 1 0) . 68 «Allora, per designare l ' infinità (Endlosigkeit) è certo essenziale il segno "e così via" (o un segno corrispondente)» (ib. , p. 242) . "Infinita è sol­ tanto la possibilità" vuoi dire : "La parola ' infinito' è un' aggiunta a 'e così via"'. E in quanto lo è, rientra in una regola, in una legge» (BT, p. 75 1 ) ; « 'Infinita è solo l a possibilità' vuoi dire: ' infinito' è un' aggiunta a 'e così via' ". E, per quel tanto che è questo, è al suo posto in una regola, in una legge. Nella descrizione dell' esperienza non è al suo posto solo nella misura in cui con le parole 'esperienza che corrisponde a una legge ' s' intende una serie illi­ mitata di esperienza. - L' espressione 'infinita è solo la possibilità, non la realtà' è fuorviante. Si può dire: "infinita è qui solo la possibilità" ( . . . ) . 286

Quando diciamo: "la possibilità di formare cifre decimali nella divisione l : 3 è infinita", non stabiliamo con ciò nes sun fatto di natura, ma diamo una rego­ la di calcolo. Ma se dico: "Ti lascio la libertà infinita di costruire tante cifre quante vuoi ; io non te lo impedirò" , con ciò non stabilisco una regola di cal­ colo, ma faccio una previsione: «Sì, ma pur sempre solo come descrizione di una possibilità» . - «No, di una realtà! Ma naturalmente non di quella di "infi­ nite cifre"; questo sarebbe l 'errore grammaticale che dobbiamo evitare» (/ OFJ, Appendice B, p. 276) . Per chiarire questo significato di regola che ha la possibilità come possibilità di prosecuzione dell ' esperienza, basterebbe indi­ carlo in forma di segno (il segno " 1 , x, x+ 1 ") e solo in questa veste formale può essere indicata la continuità dell ' esperienza (ib. , pp. 276-277) . 69 «Ma i n che cosa consiste la possibilità di seri vere numeri che non s i sono ancor scritti? Com ' è strana questa sensazione, che in u n modo o nell ' al­ tro siano già tutti presenti ! ( . . . ) . Qui la difficoltà sta nell' opporsi al pensiero che la possibilità sia una specie di realtà umbratile» (BT, p. 240) . 70 «D ' una fine della possibilità non posso assolutamente parlare» (ib. , p. 24 1 ). 7 1 «La domanda è questa: In una proposizione posso lasciare aperta una determinazione senza nel contempo specificare esattamente quali sono le pos­ sibilità lasciate aperte? » (OF, p. 65); una determinazione non va intesa come disgiunzione non altrimenti che in un ambito finito: al di fuori di questo le pos­ sibilità rimangono aperte (ib. , pp . 65-66) . La grammatica dei colori stabilisce l ' impossibilità che un oggetto abbia al contempo due diversi colori (ib. , p. 57); la proposizione che predica questa eventualità non è comunque un nonsenso, in quanto non si può affermare che ogni possibilità di es sere vera sia per essa esaurita: «La proposizione É(v) . É(r) non è un nonsenso, perché non tutte le possibilità di verità vengono a mancare, anche se sono tutte respinte» (ib. , p. 5 8). 7 2 «Comprendo anche la possibilità di una regola infinita per poter costrui­ re infinite proposizioni finite . Ma che significa una proposizione senza fine?» (ib. , p. 1 00) ; «Se dico "un giorno il mondo finirà", non dico assolutamente nulla, se il tempo è lasciato illimitatamente aperto. Perché con questa afferma­ zione è compatibile che il mondo esista ancora in ogni giorno dato. - A esse­ re itifinita è la possibilità dei numeri nelle proposizioni della forma "tra n gior­ ni il mondo finirà"» (ib. , p. 1 04) . 73 Cfr. ib. , pp. 1 07 - 1 08. «L' infinita divisibilità significa in un certo senso che lo spazio è indivisibile, che una divisione non tocca lui . . . Lo spazio dà alla realtà un' infinita opportunità di divisione» (ib. , p. 1 1 2) . 74 «Fino a che punto una notazione adeguata per l ' infinito presuppone l ' in­ finito spazio o l ' infinito tempo? ( . . . ) Anche qui, manifestatamente, possiamo pensare rappresentato l ' infinito, ma con ciò non facciamo certo un ' ipotesi sul tempo. Il tempo ci appare per sua essenza come itifinita possibilità ( . . . ) E se non si tratta della realtà, ma solo della pos sibilità dell' ipotesi di uno spazio 287

infinito, questa possibilità deve essere prefigurata da qualche parte» (ib. , p. 1 07). 75 «Il concetto di "infinito" è quindi una determinazione ulteriore del con­ cetto "possibile". Una possibilità infinita si presenta come infinita possibilità de/ linguaggio. Essa non si esprime nel fatto che un' as serzione sull 'infinito abbia senso, perché quest' asserzione non esiste. Una possibilità infinita non significa: possibilità dell ' infinito. La parola "infinito" contraddistingue una possibilità e non una realtà» (Ludwig Wittgenstein e il Circolo di Vìenna. Colloqui annotati da Friedrich Waismann , La Nuova Italia, Firenze 1 975, p. 2 1 6). 76 «Perciò in questo caso "infinito" è usato avverbialmente» (BT, p. 749); «Se potessimo dire che l 'infinità è una proprietà della possibilità, e non della realtà, oppure che la parola "infinitamente" spetta sempre alla parola "possi­ bile", e altre cose del genere, questo equivarrebbe a dire che la parola "infini­ to" fa sempre parte di una regola» (ib. , p. 750) ; «La possibilità corrisponde sempre a un permesso nelle regole di gioco grammaticali» (ib. , p. 752); «Per spiegare la possibilità infinita deve essere sufficiente ( . . . ) la fattualità del segno» [la possibilità così espressa dal segno è oggetto di una Annahme] ( ib. , p. 753). Questa Appendice corrisponde, salvo piccole modifiche redazionali, alla Appendice B allegata a Grammatica filosofica. Qui, si dice: «Se ora dices­ si " È possibile lanciare infinite volte un dado", vorrebbe dire "è possibile, è pensabile qualsiasi numero di lanci", ma non che è pensabile un determinato numero di lanci che si dice "infinito" . "Infinite volte" significa "quante volte si vuole"» (GF, pp. 249-250) . 77 La diversa concezione dell ' infinito separa l ' indirizzo fondazionale del formalismo da quello costruttivistico dell ' intuizionismo. L'infinito attuale cor­ risponde, nell ' indirizzo formalista, alla totalità degli enti pensabili a cui può estendersi il calcolo, sia che essi vengano intesi platonicamente come entità autosussistenti (Frege) oppure ammessi come esistenti in base alla loro non­ contraddittorietà (Hilbert) : una totalità esistente nella quale qualsiasi risultato a cui l' analisi può pervenire è già in atto. A questa idea del mondo come un' in­ finità esistente inclina il Tractatus, là dove propone l ' immagine per cui �