La pazza saggezza 8834011147, 9788834011140

Il libro raccoglie i seminari sulla dottrina della "pazza saggezza" di Chögyam Trungpa, undicesima reincarnazi

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Italian Pages 160 [155] Year 1993

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La pazza saggezza
 8834011147, 9788834011140

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Chö g y a m Tr ung pa

LA

PAZZA SAGGEZZA Uns e nt i e r oi ne s or a bi l eepa r a dos s a l e ,manon puoia g g i r a r l o,pe r c hés e it uc hel ot r a c c i .I nc omi nc ic olmor de r t il ac odaefini s c ic olmor de r t il aboc c a .Al l or ape r c héme di t a r e ?Pe r c hé nonus c i r eag i oc a r e ?

Ubal di niEdi t or e-Roma

LA PAZZA SAGGEZZA

di CHòGYAM TRUNGPA

Titolo originale dell'opera CRAZY WISDOM (Shambhala, Boston & London)

Traduzione di GIAMPAOLO fiORENTINI

© 1991, Diana J. Mukpo © 1993, Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma, by arrangement with Shambhala Publications, lnc., P.O. Box 308, Boston

Chogyam Trungpa

LA

PAZZA SAGGEZZA a cura

di

SHERAB CHODZIN

Ubaldini Editore - Roma

Prefazione del curatore

Nel dicembre del 1972, il Venerabile Chogyam Trungpa Rim­ poche tenne due seminari sulla pazza saggezza. Entrambi ebbero la durata di circa una settimana. Il primo fu ospitato in un albergo, altrimenti deserto, nei pressi di Jackson Hole sui monti Teton, nello Wyoming. Il secondo si tenne nella sala sportiva del munici­ pio di Barnet, una cittadina del Vermont, poco più a valle del centro di meditazione fondato da Trungpa Rimpoche col nome di Coda della Tigre, oggi noto come Karme-Choling. Rimpoche era arrivato in America due anni e mezzo prima, nella primavera del1970. Era un periodo di fermenti e di trasfor­ mazioni sociali alimentati da fenomeni come gli hippy, l'LSD e il 'supermercato spirituale'. In risposta all'inesauribile profusione di insegnamenti che Rimpoche dava in modo diretto, chiaro e molto pragmatico, si era formato un gruppo di studenti appassionati e in continua crescita. Nell'autunno del1973, Rimpoche fece una pau­ sa strategica e si concesse tre mesi di ritiro in una casa sperduta nei boschi del Massachusetts. Furono tre mesi visionari. Rimpoche contemplava la direzione che avrebbe preso il suo lavoro in America e gli strumenti a dispo­ sizione. Nuovi piani vennero stesi. L'ultima notte del ritiro non dormì. Chiese ai pochi studenti che lo accompagnavano di prepa­ rare un banchetto utilizzando tutto ciò che avessero sotto mano. Rimpoche stesso si prodigò nella preparazione, poi riapparve alle .due del mattino, splendidamente abbigliato e colmo di straordina­ ria energia. La conversazione si protrasse per tutta la notte. Rim­ poche parlò per due ore filate descrivendo con vividezza e ricchez­ za di particolari un sogno avuto la notte prima. All 'alba partì e viaggiò per tutto il giorno. La sera, senza aver chiuso occhio, tenne la prima lezione del seminario sulla "Pazza saggezza" a

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Prefazione del curatore

Jackson Hole. Quando, al mattino presto, si era messo in viaggio presentiva certamente che si apriva una nuova fase del suo lavoro, di cui anticipò alcuni elementi nella lezione conclusiva del semi­ nano. Infatti il suo stile di insegnamento cambiò dopo il primo semi­ nario dedicato al Vajradhatu (tenuto nel1973 ma deciso durante il ritiro del 1972). Divenne più metodico, per guidare meglio gli studenti lungo i vari stadi del sentiero. I due seminari sulla " Pazza saggezza" conclusero il periodo introduttivo degli insegnamenti di Rimpoche in Nord America e ne rivelano la spettacolare abilità nel trasmettere in un sol colpo i diversi livelli di insegnamento. Il ciclo introduttivo era stato caratterizzato da un' atmosfera molto fertile, grazie alle grandi possibilità offerte dal sentiero improvviso. L'at­ mosfera non cambiò quando Rimpoche diede agli insegnamenti, tanto preliminari che avanzati, la forma di un unico e profondo flusso di istruzioni, da cui recideva spietatamente gli onnipresenti tentacoli del materialismo spirituale. Può essere utile considerare i due seminari raccolti in questo libro nel contesto della battaglia contro il materialismo spiritua­ le. Benché progettati in seguito alla richiesta di insegnamenti sugli otto aspetti di Padmasambhava, Trungpa Rimpoche aveva spostato leggermente l'accento intitolandoli alla pazza saggezza. Tanto gli studenti 'avanzati' che i nuovi avevano un vorace appetito di precise tecniche spirituali, di principi a cui aderire e con cui identificarsi. L'esotismo iconografico degli otto aspet­ ti di Padmasambhava, se esposto nei termini tradizionali, ri­ schiava di trasformarsi in succulenti bocconi insanguinati per pescecani spirituali. Ciò spiega in parte perché Trungpa abbia evitato una descrizione accurata e dettagliata degli otto aspetti, preferendo invece una presentazione della pazza saggezza cruda e scandita. Il materiale originario ha richiesto un certo lavoro di revisione per migliararne la leggibilità. Si è però rispettato l'ordine in cui sono stati presentati gli insegnamenti, e non è stato omesso nulla. Si è fatto ogni sforzo per non abbellire il linguaggio di Trungpa Rimpoche e per non alterarne il modo di esprimersi rendendolo più normale. Mi auguro che il lettore possa gustare le frasi che sgusciano attraverso i nostri veli mentali e ci toccano dove i

Prefazione del curatore

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concetti convenzionali non arrivano. Alcuni passi potranno rima­ nere oscuri, ma una seconda lettura li farà splendere di signifi­ cato. Siamo di fronte al poderoso ruggito di un leone del dharma. Possa mettere in fuga i due imbroglioni della speranza e della paura. Possano i suoi desideri avverarsi per il bene di tutti gli esseri. SHERAB CHODZIN

I: autore

Il Venerabile Chogyam Trungpa nacque nel1940 nella provin­ cia di Kham, nel Tibet orientale. A tredici mesi viene riconosciuto come tUlku, maestro reincarnato. Secondo la tradizione tibetana un maestro illuminato può, in virtù del voto di compassione, reincarnarsi in forma umana di generazione in generazione. Prima di morire lascia uno scritto o un indizio del luogo della prossima incarnazione. In seguito, studiosi e altri maestri realizzati esamina­ no attentamente questi indizi e, basandosi anche sullo studio di sogni e visioni, conducono ricerche per individuare il successore. In questo modo si sono formati specifici lignaggi di insegnamento, che in alcuni casi coprono vari secoli. Chogyam Trungpa è l'undi­ cesimo del lignaggio conosciuto come i tiilku Trungpa. Dopo essere stati riconosciuti, i giovani tiilku iniziano un perio­ do intensivo di studi teorici e pratici del Buddhismo. Trungpa Rimpoche (Rimpoche è un titolo onorifico che significa 'Prezioso' ) , dopo essere stato nominato abate dei monasteri di Surmang e governatore del distretto omonimo, iniziò un periodo di studi che durò diciotto anni fino alla sua partenza dal Tibet, nel 1959. La sua formazione di tiilku Kagyii incluse la pratica sistematica della meditazione e lo studio della filosofia buddhista. Il lignaggio Kagyii, uno dei quattro grandi lignaggi tibetani, è conosciuto come il 'lignaggio della pratica' . Trungpa Rimpoche fu ordinato novizio all'età di otto anni. Dopo l' ordinazione si applicò allo studio e alla pratica delle discipline monastiche tradizionali, oltre alla calligrafia, la pittura delle thangka e la danza monastica. I suoi principali insegnanti furono J amgon Kongtriil di Sechen e Khenpo Kangshar, maestri dei lignaggi Nyingma e Kagyii. Nel 1958, a diciotto anni, terminò gli studi con il titolo di kyorpon (dottore in divinità) e khenpo (mae-

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stro di studi). Gli venne inoltre conferita la piena ordinazione a monaco. La fine degli anni '50 portò grandi sconvolgimenti in Tibet. Facendosi chiare le intenzioni della Cina comunista di impadronir­ si con la forza del paese, monaci e laici scelsero la fuga. Trungpa Rimpoche passò mesi strazianti tra le cime dell'Himalaya (narrati nel libro Nato in Tt'bet). Scampato d'un soffio alla cattura, nel 1959 raggiunse l'India dove Sua Santità Tenzin Gyatso, quattor­ dicesimo Dalai Lama, lo incaricò della guida spirituale della scuola per giovani lama di Dalhousie. Ricoprì l'incarico dal 1959 al 1963. La sua prima occasione di venire in contatto con l'Occidente fu una borsa di studio dell'università di Oxford. A Oxford seguì i corsi di religioni comparate, filosofia e belle arti. Studiò l'arte della disposizione dei fiori, diplomandosi presso la Sogetsu School. Du­ rante il suo soggiorno in Inghilterra, Trungpa Rimpoche inizia a insegnare il dharma (gli insegnamenti del Buddha) agli occidentali e nel 1968 fonda a Dumfriesshire, in Scozia, il Samye Ling Meditation Centre. Nello stesso periodo pubblica due libri in in­ glese: Born in Tibet (Nato in Tibet) e Meditation in Action (trad. it. La pratica della meditazione, Mediterranee, Roma1977). Nel1969 si reca in Bhutan per un ritiro solitario di meditazio­ ne, che origina un grande cambiamento nel suo stile di insegna­ mento. Tornato in Inghilterra ritorna allo stato laico, abbandona gli abiti monastici e adotta normali abiti occidentali. Sposa un'in­ glese, con la quale lascia la Scozia alla volta degli Stati Uniti. Nonostante la sorpresa e la riprovazione di molti suoi studenti, Rimpoche espresse la convinzione che, per poter mettere radici in Occidente, il dharma doveva essere trasmesso senza orpelli cultu­ rali e fascinazioni religiose. Gli anni '70 furono in America un periodo di fermento politico e culturale, e di grande interesse per l'Oriente. Trungpa Rimpoche critica l'approccio materialistico e commercializzato alla spirituali­ tà che vi incontra, descrivendola come un. " supermercato spiritua­ le " . Nelle conferenze e in due libri, Cutting Through Spiritual Materialism (trad. it. Al di là del materialismo spirituale, Ubaldini, Roma1976) e The Myth o/ Freedom (trad. it. Il mito della libertà, Ubaldini, Roma 1978) indica nella semplicità e nell'immediatezza

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della meditazione seduta la via per superare tali adulterazioni del viaggio spirituale. Trùngpa Rimpoche insegna per diciassette anni in Nord Ameri­ ca, guadagnandosi la stima di insegnante dinamico e controverso. Padrone della lingua inglese, è uno dei primi lama in grado di comunicare direttamente con gli studenti occidentali senza la me­ diazione di un interprete. Viaggia in lungo e in largo in Nord America e in Europa, tenendo centinaia di conferenze e seminari. Fonda centri nel Vermont, nel Colorado e nella Nuova Scozia, oltre a centri di studio e di meditazione in varie città americane ed europee. Nel 1973 il Vajradhatu diviene il centro amministrativo della rete da lui creata. Nel1974 fonda il Naropa Institute, l'unica università a indirizzo buddhista approvata dal governo. Rimpoche vi tiene moltissime lezioni, e un intero corso vede la luce in forma di libro: Journey Without Goal (trad. it. Viaggio senza meta, Ubaldini, Roma1983). Nel 1976 dà l'avvio a un programma di studi, il Shambhala Trai­ ning, articolato in seminari di fine settimana per portare la medi­ tazione nel comune contesto quotidiano. Il libro Shambhala: The Sacred Path of the Warrior (trad. it. Shambhala. La via sacra del guerriero, Ubaldini, Roma 1985) descrive bene quest'ottica. Trungpa Rimpoche è attivo anche nel campo delle traduzioni. Assieme a Francesca Fremantle lavora a una nuova traduzione del Libro tibetano dei morti (trad. it. Ubaldini, Roma1977) , pubblica­ to nel 1975. Costituisce un'équipe, il Nalanda Translation Com­ mittee, allo scopo di tradurre testi e liturgie per gli studenti e di rendere di pubblico dominio testi fondamentali. Dimostra un grande interesse per le arti, grazie all'intuizione del rapporto tra disciplina contemplativa e creatività. Artista lui stes­ so, produce calligrafie, dipinti, disposizioni floreali, poesie, testi teatrali e interventi sull'ambiente. L'atmosfera creata al Naropa Institute attira artisti e poeti di fama, che lavorano alla stimolante scoperta del processo creativo alla luce delle discipline contempla­ tive. Pubblica due libri di poesie: Mudra e First Thought Best Thought (Il primo pensiero è il migliore). I libri sinora pubblicati rappresentano una piccola parte dell'im­ mensa eredità del suo insegnamento. In diciassette anni mise abil­ mente in piedi tutte le strutture necessarie a fornire agli studenti

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uno studio completo e sistematico del dharma. Dalle conferenze introduttive ai discorsi durante ritiri intensivi di gruppi avanzati, il suo insegnamento sottolinea l'equilibrio tra studio e pratica, tra ragione e intuizione. Studenti di tutti i livelli hanno l'opportunità di approfondire i propri interessi nel campo della meditazione e del sentiero buddhista avvalendosi di una grande varietà di meto­ di. Gli studenti anziani si incaricano attualmente di dare insegna­ menti e istruzioni di pratica meditativa all'interno dei programmi tracciati. Oltre agli insegnamenti prettamente buddhisti, Trungpa Rimpoche espose gli insegnamenti Shambhala, che mettono l' ac­ cento sull'educazione mentale distinta da ogni pratica religiosa, sull'intervento sociale teso alla creazione di una società illuminata, e sulla valorizzazione della propria vita quotidiana. Trungpa Rimpoche è morto nel1987, a quarantasette anni. Lascia la moglie, Diana, e cinque figli. Al momento della morte, Trungpa Rimpoche era ormai considerato una figura cardinale per l'intro­ duzione del dharma in Occidente. Lo sposalizio tra la stima per la cultura occidentale e la profonda conoscenza della propria cultura lo resero capace· di un approccio rivoluzionario nella trasmissione del dharma, approccio in cui gli insegnamenti più antichi e pro­ fondi vengono esposti in termini assolutamente contemporanei. Trungpa Rimpoche è stimato per una proclamazione del dharma priva di paura, libera da tentennamenti, fedele alla purezza della tradizione e straordinariamente fresca. Possano gli insegnamenti mettere radici e fiorire per il bene di tutti gli esseri senzienti.

La pazza saggezza pnmo semmano .

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Jackson Hole, 1972

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Padmasambhava e il materialismo spirituale

L' argomento di cui ci occuperemo è estremamente complesso. Alcuni forse ne resteranno confusi, ma è altrettanto probabile che altri ne ricaveranno qualcosa. Parleremo di Guru Rimpoche, che in Occidente è meglio conosciuto come Padmasambhava. Ne esa­ mineremo la natura e gli stili di vita che sviluppò nel lavoro con i suoi studenti. Si tratta di una materia estremamente ardua, e alcuni suoi aspetti sono difficili da mettere in parole. Mi auguro che nessuno voglia considerare questo mio umile tentativo come il vero ritratto di Padmasarnbhava. Per cominciare dobbiamo sapere chi era Padmasambhava, come si colloca nel contesto del buddhadharma (gli insegnamenti buddhi­ sti) e i motivi per i quali è tanto amato in Tibet. Padmasambhava era un maestro indiano che portò gli insegna­ menti del buddhadharma in Tibet. Continua a essere la nostra fonte di ispirazione ancora oggi, anche qui in Occidente. Ne ab­ biamo ereditato l'insegnamento e, da questo punto di vista, oserei dire che Padmasambhava è vivo e in ottima salute. Penso che il modo migliore per presentarlo a un pubblico oc­ cidentale di cultura cristiana sia definirlo un santo. Ne esaminere­ mo la profonda saggezza, lo stile di vita e la capacità di lavorare con gli studenti. I suoi studenti erano tibetani, gente selvaggia e ignorante. L' avevano invitato in Tibet, ma dimostrarono scarsa confidenza con il giusto modo di accogliere un grande guru che arrivava da un altro paese. Erano testoni, rozzi e prosaici. Lo ostacolarono in tutti i modi. Però gli ostacoli non nascevano sol­ tanto dai tibetani ma da un paese diverso, un clima diverso e una

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diversa realtà sociale. In un certo senso, Padmasambhava si trovò ad affrontare una situazione simile alla nostra. Gli americani sono ospitali, ma certi aspetti della loro cultura sono rozzi e violenti. Spiritualmente, la cultura americana non è certo favorevole a chi si limita a rivelare la chiara luce aspettandosi che venga accet­ tata. Calza un paragone: i tibetani di allora sono gli americani di adesso, e Padmasambhava è sempre Padmasambhava. Prima di scendere nei particolari della vita e degli insegnamenti, credo sia bene esaminare l'idea di santità nella tradizione buddhista. I concetti di santo del Cristianesimo e del Buddhismo sono in certa misura in conflitto. Il santo cristiano è considerato una per­ sona in diretta comunicazione con Dio; ne è inebriato e, in questa ebbrezza, sa trasmettere agli altri determinate certezze. Il santo è considerato un esempio di coscienza superiore o di un grado più alto di sviluppo. L'approccio buddhista alla spiritualità è diverso. Non è teistico, non postula una divinità esterna, e ignora quindi la possibilità di strappare promesse alla divinità e trasportarle da quel piano a questo. L'approccio buddhista alla spiritualità è legato al risveglio interiore e non al mettersi in relazione con qualcosa di esterno. La concezione del santo come una persona in grado di espandersi per mettersi in relazione con un principio esterno, riportarne qualcosa e condividerlo con gli altri, è sconosciuta e insostenibile dal punto di vista buddhista. Il santo buddhista (come Padmasambhava o un grande essere quale il Buddha stesso) incarna il fatto che gli esseri umani, as­ solutamente ordinari e illusi, hanno la capacità di risvegliarsi: rein­ tegrarsi e risvegliarsi attraverso i normali eventi della vita. n dolo­ re, la sofferenza, l'infelicità e il caos che sono parte della vita iniziano a svegliarci, a scuoterei. Dallo scossone nasce la domanda: " Chi sono? Che cosa sono? Come mai succedono tutte queste cose ? " . Spingendoci oltre, comprendiamo che in noi c'è qualcosa che pone queste domande, qualcosa di realmente intelligente e niente affatto illuso. Succede a tutti. Avvertiamo un senso di confusione (quella che sembra confusione), ma la confusione porta a galla qualcosa che vale la pena esaminare. Gli interrogativi che ci poniamo, avvolti

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dalla confusione, si rivelano domande poderose, domande sentite nel profondo. "Chi sono? Che cosa sono? Che cos'è tutto questo? Che cos'è la vita ? " , e così via. Esaminando sempre meglio, ci domandiamo: "Chi, in realtà, pone queste domande? Chi chiede: 'Chi sono?'. Chi chiede: 'Cos'è? ', o addirittura: 'Cos'è questo co­ s'è?' " . Continuiamo a indagare, sempre più a fondo. In un certo senso, questa è spiritualità non teistica nel suo significato più pie­ no. Gli stimoli esterni non ci spingono più a modellarci sulle situazioni esterne. Anzi, le situazioni esterne ci rimandano la no­ stra confusione e ci stimolano a pensare di più, a riflettere più a fondo. Ed ecco nascere l'altro problema: una volta scoperto chi e che cosa siamo, come applicarlo alla nostra situazione esistenziale? Come metterlo in pratica? Sembrano esserci due possibili approcci. Uno: cercare di vivere secondo ciò che vorremmo essere. Due: cercare di vivere ciò che siamo. Cercare di vivere come vorremmo essere equivale a fingerci un essere divino, una persona realizzata o comunque vogliamo chiamare il nostro modello. Quando vediamo ciò che non va in noi, la debolezza, i problemi e le nevrosi, scatta la tentazione automatica di comportarci nel modo opposto, come se non ci fossimo mai accorti dei nostri errori e delle nostre illusioni! Dicia­ mo a noi stessi: " Pensa in modo positivo ! Comportati come se fossi assolutamente OK ! " . Sappiamo che c'è qualcosa di sbagliato, in noi, nella nostra situazione, a livello della più banale quotidianità, ma tendiamo a sottovalutarlo. Ci diciamo: "Dimentichiamo queste 'vibrazioni negative'. Pensiamo nel modo opposto. Fingiamo di essere positivi" . Questo atteggiamento è conosciuto, nel Buddhismo, come ma­ terialismo spirituale. Significa non essere realistici o, per usare il gergo degli hippy, 'essere fuori' . "Dimentichiamo le cose negati­ ve e fingiamo di essere positivi " . Potremmo classificare come materialismo spirituale qualunque approccio (buddhista, induista, ebraico o cristiano) che ci fornisce le tecniche per entrare in contatto con il bene, il meglio, l'ottimo, o il sommo bene, il di­ vino. Entrando in contatto con il bene, il bene ci rende felici. Ci sentiamo colmi di gioia. "Finalmente ho trovato la risposta ! " , pen­ siamo. La risposta è che l'unica cosa da fare è considerarci già

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liberi. Poi, una volta consolidato questo punto di vista, dobbiamo soltanto lasciare che le cose seguano il loro corso. -A questo punto diamo un tocco finale per rafforzare il nostro materialismo spirituale: tutto ciò che, nella nostra ricerca spiritua­ le, non conosciamo o non capiamo, lo attribuiamo a quello che, nelle varie scritture, viene descritto come al di là della mente, al di là della parola, ineffabile: l'ineffabile Sé, e così via. Associamo la nostra mancanza di comprensione per ciò che ci accade con l'in­ dicibile e l'inesprimibile. In questo modo la nostra ignoranza viene trasformata in una scoperta di immensa portata. Quindi ricol­ leghiamo la 'grande scoperta' a qualche formulazione dottrinale: il 'salvatore' o una qualche interpretazione delle scritture. Prima ignoravamo tutto; adesso 'conosciamo' qualcosa al cui riguardo ignoriamo tutto. Ora c'è qualcosa al di là di noi che non riusciamo a rendere con parole o concetti, ma abbiamo scoperto che, come prima cosa, dobbiamo convertirci al bene. Finalmente disponiamo di un punto di partenza: tradurre subito e apposita­ mente la nostra confusione in qualcosa di assolutamente non con­ fuso. Facciamo così solo perché inseguiamo il piacere, piacere spi­ rituale, e sosteniamo che il piacere di cui andiamo in cerca è di natura inconoscibile perché, di fatto, non sappiamo che razza di piacere spirituale riusciremo a spremere dalle nostre manovre. Possono andare bene tutte le interpretazioni dell'inconoscibile che troviamo nelle scritture, perché ignoriamo i nostri obiettivi spiri­ tuali. Comunque ora siamo definitivamente aggrappati a una con­ vinzione spirituale poiché abbiamo soffocato i dubbi su chi e su che cosa siamo, il senso di non essere forse niente del tutto. L'ab­ biamo soffocato e, forse, non lo incontreremo più. Soffocata la perplessità dell'io che ci forniva i gradini per giun­ gere allo sconosciuto, la cui natura non abbiamo compreso, ci ritroviamo con due giochi confusionali: il gioco dell'ignoto e il gioco dell'ignoto trascendente. Entrambi appartengono al materia­ lismo spirituale. Non sappiamo chi o che cosa siamo, ma sappia­ mo benissimo che vorremmo essere qualcuno o qualche cosa. Decidiamo di insistere in ciò che vorremmo essere, anche se non sappiamo cosa sia. Questo è il primo gioco. E, come ciliegina sulla torta, oltre a essere qualcosa, vorremmo scoprire che c'è qualcosa, nel mondo o nell'universo, che corrisponde al ' qualcosa' che noi

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siamo. Alimentiamo il senso di poter scoprire questo qualcosa che vogliamo conoscere, ma che di fatto non riusciamo a capire, facen­ dolo diventare un ignoto trascendente. Poiché non riusciamo a comprenderlo, diciamo: "Trasformiamo questa confusione sempre più grande e intricata nell'infinità spirituale della divinità " , o roba del genere. Questo dovrebbe fare già un po' di luce sul materialismo spiri­ tuale. Il pericolo è che, sotto l'influsso del materialismo spirituale, costruiamo supposizioni su supposizioni. Prima vengono le suppo­ sizioni personali, casalinghe, che costruiamo con la speranza di trovarvi la felicità. Poi vengono le supposizioni spirituali, che na­ scono dal fatto che la nostra grande, enorme scoperta trascendente rimane un mistero. Di qui a ipotesi ancora più grandi: non sappia­ mo che cosa ricaveremo dall' ottenimento dell'oggetto ignoto ma lo coloriamo di vaghe definizioni come, ad esempio, di 'essere rias­ sorbiti nel cosmo'. E, dal momento che nessuno ci è ancora riusci­ to, se qualcuno mette in discussione la scoperta del 'riassorbimento nel cosmo', ribattiamo con astruse argomentazioni o ricorriamo alle scritture o altre fonti autorevoli. Il risultato di questo modo di procedere è di trovare conferma a noi stessi e trovare conferma all'esperienza che stiamo sostenen­ do. Nessuno ha il diritto di metterla in discussione. A un certo punto, la discussione sarà bandita del tutto. Ci ritroviamo una visione solidificata, senza spazio per la critica. Potremmo chiamar­ lo l' ottenimento dell' egoità, opposto all'ottenimento dell'illumina­ zion e. Se a quel punto vi aggredisco con il mio entusiasmo, e voi non l'accettate, la colpa è vostra. Non capite l'ineff abilità dello spirito, perciò siete in errore. Per venirvi in aiuto non mi resta altro che lavarvi il cervello, strapparvi la mente e il cuore, trasfor­ marvl m una marionetta in mio completo potere. *

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Questa è una descrizione molto grossolana del materialismo spirituale, il primo approccio: cercare di vivere secondo ciò che vorreste essere. Ora esaminiamo il secondo approccio: cercare di v ivere ciò che siete. Questo secondo metodo consiste nel vedere la confusione, l'in­ felicità e il dolore senza trasformare immediatamen te la loro sco-

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perta in una risposta. Al contrario, esamm1amo sempre meglio e sempre più a fondo, ma senza cercare una risposta. È un lavoro con noi stessi, con la nostra vita e la nostra psicologia, che non cerca una risposta ma vede le cose così come sono: vede in modo semplice e diretto, assolutamente alla lettera, ciò che accade nella nostra mente. Se riusciamo a fare questo lavoro, ci sono ottime possibilità che la confusione (il caos e la nevrosi della nostra mente) diventi la base per un' indagine ancora più approfondita. Guardiamo sempre meglio, sempre più vicino, sempre più in profondità. Non trasformiamo ogni minima cosa in un punto capitale o in una risposta. Abbiamo scoperto una cosa in noi che non va, ed eccoci a pensare: ho trovato il punto, individuato il problema, questa dev'essere la risposta. No. Non fissiamoci lì, e andiamo oltre. " Perché è così ? " . Guardiamo più a fondo: "Per­ ché la spiritualità? Perché il risveglio? Perché questo momenta­ neo sollievo? Perché la scoperta del piacere della spiritualità? Perché, perché, perché? " . Andiamo sempre più a fondo, sempre più a fondo, fino al punto in cui non c'è più risposta e non ci sono più domande. Domanda e risposta muoiono assieme. Fanno reciprocamente frizione fino a entrare in corto circuito. A questo punto lasciamo andare la speranza in una risposta, lasciamo an­ dare tutto quanto. Non nutriamo più speranze, di nessun genere. Diventiamo puramente e semplicemente senza speranza. Se vole­ te metterla in termini più eleganti, chiamiamola speranza trascen­ dente. L'assenza di speranza è l'essenza della pazza saggezza. Priva di speranza, assolutamente senza speranza, e al di là dell'assenza di speranza. (Naturalmente è possibile tornare a confonderci, per non dir peggio, se tentiamo di trasformare l'assenza di speranza in una risposta) . Il processo consiste nell'andare sempre più a fondo senza avere nessun punto di riferimento spirituale: senza il punto di riferimen­ to di un salvatore, senza i punti di riferimento del bene e del male, senza punti di riferimento in assoluto ! Così raggiungeremo il livel­ lo base della non speranza, o speranza trascendente. Ciò non si­ gnifica che faremo la fine di uno zombie. Avremo invece una grande energia, tutto il fascino della scoperta, dell'assistere a que­ sto continuo processo che si rivela, si rivela, si rivela sempre di

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più. La scoperta si rigenera da sé, permettendoci di scendere sem­ pre più a fondo, sempre più a fondo. Andare sempre più in pro­ fondità è il processo stesso della pazza saggezza, ed è ciò che caratterizza il santo buddhista. Gli otto aspetti di Padmasambhava, che ora esamineremo, illu­ strano questa penetrazione psicologica: l'aprirci un varco attraver­ so lo strato psicologico per perforare un altro strato e una serie infinita di strati, sempre più a fondo, sempre più a fondo. Proprio allo studio di questo processo ci dedicheremo studiando la vita di Padmasambhava, i suoi otto aspetti e la pazza saggezza. L'approccio buddhista alla spiritualità consiste nel perforare implacabilmente ogni possibilità di conferma a noi stessi lungo i vari stadi di sviluppo del sentiero spirituale. Se scopriamo di aver fatto progressi nel cammino spirituale, dobbiamo considerare qua­ lunque progresso come un ostacolo al dispiegarsi di ulteriori pro­ gressi. Non concediamoci la possibilità di fermarci, adagiarci e congratularci con noi stessi. È un viaggio spirituale da farsi tutto d'un fiato, inesorabilmente dinamico. Questa è l'essenza della spi­ ritualità di Padmasambhava. Padmasambhava si trovò a lavorare con i tibetani della sua epoca. Potete immaginarvelo. Un grande mago e pandit indiano, un gran­ de vidyadhara, o maestro tantrico, arriva in Tibet, il paese delle nevi. I tibetani credono che sia venuto a esporre splendidi inse­ gnamenti spirituali sull'essenza della mente. L'attesa è enorme. Ma il lavoro di Padmasambhava consiste invece nello sfrondare una dopo l'altra le aspettative dei tibetani, tutte le loro supposizioni riguardo alla spiritualità. Alla fine della sua missione in Tibet, quando si manifestò come Dorje Trolo, tutte le aspettative erano saltate. I tibetani avevano incominciato a capire che la spiritualità sta nel perforare speranza e paura, e nell'improvvisa scoperta del­ l'intelligenza che si accompagna a questo lavoro. *

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Studente Qual è la differenza tra la pazza saggezza e la pazzia? Qualcuno potrebbe semplicemente rimanere nella sua pazzia e nella sua confusione, con la scusa che sia la pazza saggezza. Qual è la differenza? Trungpa Rimpoche Ho tentato di spiegarlo in tutto il discorso

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La pazza saggezza

precedente, ma proviamo ancora. Nella comune pazzia, ciò che cerchiamo di fare è vincere al gioco: Possiamo anche tentare di trasformare la pazzia in una credenziale per emergere sugli altri. Oppure, cercare di magnetizzare gli altri con il nostro entusiasmo o distruggerli conI a nostra aggressività. Nella mente ci sono giochi continuamente in atto. I giochi della mente (le sue interminabili strategie) possono darci un momentaneo sollievo, che siamo obbli­ gati ad alimentare ricorrendo a sempre più aggressività. È una pazzia costretta incessantemente ad autoalimentarsi. Nella pazzia primordiale della pazza saggezza, non ci lasciamo sedurre dalla passione né provocare dall'aggressività. Entriamo in rapporto con queste esperienze per quello che sono; e se, in que­ sta perfetta normalità, qualcosa pretende di essere importante, lo stronchiamo senza alcuna considerazione per ciò che è buono e ciò che è cattivo. La pazza saggezza è l'azione della verità, che abbatte tutto. Non si prende la briga di convertire la falsità in verità, azione che rappresenta già di per se stessa un corrompi­ mento. È inesorabile perché, se vuoi la verità totale, se vuoi essere totalmente e integralmente integro, tradurre l'esperienza nei tuoi termini personali e interpretarla secondo i tuoi schemi non va neppure preso in considerazione. La normale pazzia è invece bra­ vissima in questo genere di cose: adattare tutto al tuo modo di vedere. Farlo adattare a ciò che vuoi essere, farlo adattare a ciò che vuoi vedere. La pazza saggezza, invece, rispecchia accurata­ mente la realtà delle cose. Questo è lo stile, il modo di agire di Padmasambhava. Studente Che rapporto c'è tra la disciplina e l'essere ciò che sei realmente? Mi sembra che la disciplina implichi un'imposizione. Trungpa Rimpoche La disciplina più ardua è essere ciò che sei. Sforzarti continuamente di essere ciò che non sei è molto più facile, perché siamo stati educati a ingannare noi stessi e gli altri, a incasellare tutto in categorie. Se facciamo piazza pulita, la fac­ cenda diventa troppo noiosa, troppo irritante. Non resta nulla di cui dobbiamo convincerci, tutto è così semplice. Studente Ricorri spesso all'umorismo per spiegare le cose. L'umo­ rismo, come lo usi tu, è identico alla pazza saggezza? Trungpa Rimpoche Non esattamente. L'umorismo è ancora trop­ po inclinato verso l'altro aspetto, verso la speranza e la paura.

Padmasambhava e il materialismo spirituale

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Rivela una mentalità dialettica, mentre la pazza saggezza è un approccio globale. Studente La disciplina di una pratica spirituale è il mezzo per metterei in rapporto con la speranza e la paura? Trungpa Rimpoche Questo è un ottimo argomento. Sì, perché tutto ciò che è inesorabile, che non sa nulla di speranza e di paura, è in rapporto con la pratica spirituale.

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Abbiamo visto due possibili approcci alla spiritualità: il materia­ lismo spirituale e il suo trascendimento. La via di Padmasambhava è appunto il trascendimento del materialismo spirituale, lo svilup­ po della sanità di base. Lo sviluppo della sanità di base è un lavoro su se stessi in cui l'area di lavoro è il sentiero stesso, non il raggiungimento di uno scopo. È il sentiero che ci ispira, non la promessa di un qualcosa più in là. Non è l'asino e la carota. Per chiarire meglio la differenza tra il materialismo spirituale e il suo trascendimento: nel materialismo spirituale le promesse sono la carota sventolata davanti all'asino per in durlo a camminare con l'inganno, mentre nel trascendimento del materialismo spirituale non c'è scopo. Lo scopo è in ogni momento della vita, in ogni attimo del viaggio spirituale. Il viaggio spirituale diventa meraviglioso ed eccitante, come se fossimo già buddha. Sempre nuove scoperte, sempre nuovi mes­ saggi, sempre nuovi awertimenti. Assieme a un continuo abbatte­ re, a lezioni dolorose ma anche piacevoli. Il viaggio spirituale del trascendimento del materialismo spirituale è un viaggio completo in se stesso, che non dipende da una meta esterna. La completezza del viaggio è il tema di questo seminario sulla vita di Padmasambhava. Incominciamo a individuarne alcune ca­ ratteristiche: la completezza contiene lo spazio fondamentale, o totalità; comprende l'energia e il gioco; e ne comprende le appli­ cazioni pratiche, il rapportarci alle situazioni vitali così come sono. Abbiamo quindi tre principi: la totalità, come ambito globale del sentiero; il gioco; la pragmaticità. Prima di considerare nei particolari gli otto aspetti di Padmasam-

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bhava, esammtamo questi tre principi vedendo in che modo Padmasambhava ce li propone come sentiero. Per prima cosa, vediamo più da vicino la natura del sentiero. Il sentiero è il nostro sforzo, l'energia che investiamo nelle situazioni della vita quotidiana. Consiste nell'impegno a lavorare con le si­ tuazioni quotidiane in quanto processo di apprendimento: situa­ zioni creative, distruttive o quali che siano. Rovesciare una tazza di caffè sulla tavola del vicino o passargli il sale . . . è la stessa cosa, eventi della vita quotidiana. Agiamo in continuazione, accettiamo o rifiutiamo continuamente situazioni. È un gioco incessante. Non sto parlando di spiritualità ma di vita quotidiana, degli awenimen­ ti che si susseguono senza tregua nel quotidiano. E questo è· il sentiero. Il sentiero non deve ricevere obbligatoriamente un'etichetta spirituale. È un viaggio, un viaggio fatto di scambi con questa o quella realtà o, se preferite, con l'irrealtà di questo o quello. Rap­ portarci a tali scambi, al processo della vita, dell'esistenza: ecco il sentiero. Forse pensiamo al nostro sentiero in termini di ottenimento dell'illuminazione, di ottenimento dell'egoità o di qualunque altra cosa. In ogni caso non siamo mai bloccati, anche quando credia­ mo di esserlo. Possiamo sentirei annoiati della vita, ma in realtà non è mai una noia statica, non siamo mai bloccati. La ripetitività della vita non è solo ripetizione: è fatta di awenimenti e di situa­ zioni in costante cambiamento. Questo è il sentiero. Da questo punto di vista il sentiero è neutrale, non è prevenuto in un senso o nell'altro. C'è un viaggio in continuo farsi che inizia nel momento della scissione fondamentale, quando incominciamo a relazionarci alle cose in termini di io, altro, mio, nostro, e così via, cioè come se fossero entità separate. Questa cosa viene defini­ ta 'io', e quella 'lui' o 'loro'. Qui inizia il viaggio, qui awiene la prima creazione di samsara e nirvana. Quando, all'inizio, decidem­ mo di partecipare all'energia delle situazioni, ci siamo coinvolti con il viaggio, con il sentiero. Dopo di che sviluppiamo un certo modo di essere sul sentiero, orientandoci verso la mondanità o verso la spiritualità. In altre parole, la spiritualità non è in sé il sentiero, ma un orientamento del nostro sentiero, della nostra energia. Il sentiero viene orientato in base alle tre categorie cui abbiamo

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accennato. Può procedere, ad esempio, in termini di totalità del­ l' esperienza: la nostra prima categoria. La totalità dell'esperienza è dunque un aspetto di come ci rapportiamo al nostro sentiero. n sentiero procede comunque e noi sviluppiamo un certo tipo di rapporto, un certo atteggiamento nei suoi confronti. È così che diventa mondano o spirituale, così si origina la nostra motivazione. E la motivazione segue questo stesso schema tripartito. Nel Buddhismo i tre aspetti del sentiero prendono il nome di dharmakaya, sambhogakaya e nirmanakaya. L'orientamento del sen­ tiero dipende da questi tre aspetti. Il continuo farsi del sentiero esprime l'aspetto della totalità, assume uno schema che contiene un elemento di sanità fondamentale. Tale sanità globale, ovvero la qualità dell'illuminazione, non è particolarmente stimolante secon­ do il sentire comune. Si tratta del senso di totale apertura di cui abbiamo già parlato. Precisamente questa apertura ci consente di trascendere speranza e paura. L'apertura ci mette in grado di rap­ portarci alle cose così come sono, e non come vorremmo che fossero. Questa sanità fondamentale, questo trascendimento di speranza e paura, è la qualità dell'illuminazione. È un atteggiamento molto pragmatico. Non rifiuta niente di ciò che si presenta lungo il viaggio, né vi si afferra. Vede le cose così come sono. Ecco la totale, completa apertura: totale disponibilità a esaminare tutto ciò che accade, lavorarci ed entrarvi in rapporto in quanto parte della globalità del processo. È la qualità del dhar­ makaya: lo spazio che tutto comprende, l'accogliere tutto senza pregiudizi. È un modo di pensare più allargato, una visione più ampia delle cose. L'opposto è la grettezza, la meschinità. Seguiamo l'approccio dharmakaya se non consideriamo il mon­ do come un nemico. Il mondo è la nostra occasione, ciò con cui dobbiamo lavorare. Nulla di ciò che si presenta ci mette in conflit­ to con il mondo. Il mondo è una situazione di grande ricchezza, pieno di occasioni. L'atteggiamento ricco e generoso è l'approccio dharmakaya, il vero pensiero positivo. Tale visione ampliata è il primo atteggiamento in rapporto al sentiero. Il secondo atteggiamento è connesso al sambhogakaya. Le cose sono aperte e spaziose, ottime per lavorarci. Ma c'è dell'altro. Dobbiamo entrare in rapporto con la qualità scintillante, l'energia, gli sprazzi e la vitalità che percorrono lo stato di apertura. Dob-

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biamo prendere atto di questa energia che include l'aggressività, la passione, l'ignoranza, l'orgoglio, l'invidia e così via. Tutto ciò che accade nella mente va considerato come lampi di luce che ba­ luginano attraverso la compattezza del sentiero spirituale. Brill a continuamente, ci sorprende continuamente. È una parte del no­ stro essere così viva, così forte, così potente. Ogni attimo avviene una scoperta. Questo è il modo sambhogakaya di rapportarci al sentiero. Abbiamo visto che il sentiero racchiude la totale apertura alle cose così come sono e ciò che potremmo chiamare l'incanto per le scoperte eccitanti contenute nelle situazioni. V al la pena ricordare che non stiamo incasellando le esperienze in categorie quali virtuo­ so, religioso o mondano. Ci stiamo semplicemente mettendo in rapporto con tutto ciò che accade nelle situazioni quotidiane. Le energie e gli impulsi che incontriamo durante il viaggio ci fanno scoprire lati diversi di noi stessi, differenti angolazioni. Le cose incominciano a farsi interessanti. Dopo tutto, non siamo così amorfi e piatti come pensavamo. Infine, vi è il terzo aspetto del sentiero, connesso col nirmanakaya. È il lato pratico del nostro essere nel mondo. Dopo la totalità e dopo le diverse energie, ecco l'azione nel mondo così com'è. Que­ st'ultimo aspetto richiede enorme consapevolezza e sforzo. Non possiamo lasciare che la totalità e l'energia si facciano carico di tutto, dobbiamo applicare una certa disciplina al nostro approccio alle situazioni della vita. Tutte le discipline e le tecniche descritte nelle tradizioni spirituali sono collegate al principio applicativo del nirmanakaya. Abbiamo così la pratica meditativa, il lavoro con la mente, un maggior interesse per i rapporti con gli altri, lo sviluppo della compassione e della comunicazione, la crescita della com­ prensione o saggezza che vede la globalità della situazione e indi­ vidua il modo migliore per lavorare con le cose. Tutte discipline che appartengono al nirmanakaya. Presi insieme, questi tre principi o stadi (dharmakaya, sambho­ gakaya e nirmanakaya) ci forniscono la strumentazione completa per il nostro viaggio spirituale. Grazie a essi, il viaggio e il nostro atteggiamento verso il viaggio diventano qualcosa di fattuale, che possiamo affrontare in modo diretto e intelligente, senza dover più ricorrere a vaghe categorie quale la 'misteriosità della vita' .

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I tre princ1p1 posseggono inoltre un valore psicologico cm e bene accennare. Come stato psicologico, il dharmakaya è l'essere fondamentale, la totalità in cui confusione e ignoranza non sono mai esistiti, la globalità dell'essere che non ha bisogno di punti di riferimento. Il sambhogakaya è ciò che contiene ininterrottamente un'energia spontanea, perché non dipende da un tipo di energia legata a cause ed effetti. Il nirmanakaya è appagamento innato, che non richiede strategie app licative. Questi sono i tre aspetti psicologici della natura di buddha che si sviluppano. · Ritroviamo tutti e tre i principi nella vita di Padmasambhava e nei suoi otto aspetti. Vederne i valori psicologici ci aiuta a non considerarlo una figura appartenente al mito, che nessuno ha mai incontrato. Sono aspetti su cui possiamo lavorare insieme, e che ciascuno di voi può elaborare in relazione a se stesso. ·

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Studente Si possono paragonare gli otto aspetti di Padmasam­ bhava a otto stadi di crescita psicologica? Trungpa Rimpoche Gli otto aspetti non sono stadi di sviluppo lineari, sequenziali. Più che otto aspetti distinti rappresentano un'unica situazione, un principio centrale attorniato da otto diver­ se manifestazioni. Sono presenti in tutte le situazioni. Psicologicamente, possono servire ad aprirci un varco. I testi dicono che, quando si manifestò nei suoi otto aspetti, Padmasam­ bhava era già illuminato. Non sono stadi del suo viaggio spirituale, ma sue espressioni mentre danza con le situazioni. Esprimono già la sua pazza saggezza. Voglio dire che possiamo trovare tutti e otto gli aspetti in noi stessi, in un'unica situazione. Possiamo entrare in contatto con loro. Possiamo sfondare contemporaneamente con tutti e otto. S. Quindi non è una sequenza lineare come le dieci bh umi. T. R. Questo è il sentiero immediato del Tantra, una realizzazio­ ne che non dipende da costruzioni o da smascheramenti successivi indotti dall'esterno. È qualcosa che si apre la strada dall 'interno, più che uno smascheramento indotto dall'esterno . Farsi strada dall'interno è l'approccio tantrico. In un certo senso si sostituisce alle bhumi, o stadi progressivi, del sentiero del bodhisattva. Stia­ mo parlando dell'aspetto vajra del samadhi del Buddha e del suo

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modo di rapportarsi alle cose, che ovviamente è in relazione alla natura di buddha, considerandolo come una trasmissione improv­ visa, un metodo diretto che non passa attraverso le paramita o le bhumi. L'approccio consiste nel considerarsi già buddha. Il Buddha non è tanto l' arrivo quanto il sentiero. Stiamo lavorando dall'inter­ no verso l'esterno, e la maschera cadrà da sé. Studente Padmasambhava era già buddha alla nascita? Trungpa Rimpoche Era più un essere risvegliato che un buddha pienamente realizzato. Era il dharmakaya che tentava di manife­ starsi al livello del sambhogakaya, iniziando a mettersi in rapporto con il mondo esterno. Lo possiamo considerare come un buddha in potenza alla nascita, che in seguito ruppe le barriere alla realiz­ zazione del proprio potenziale con inesorabilità e non paura. Ot­ tenne l'ill uminazione improvvisa, e noi possiamo fare altrettanto. Studente Si ricollega al 'fare il salto' di cui parli tanto spesso? Trungpa Rimpoche È più la disponibilità a fare il salto che il salto vero e proprio. Sei aperto al salto, e quindi c'è una situazione di slancio. La cosa importante è la tua disposizione interiore, la tua visione; più ancora della relazione pratica con le cose. È qual­ cosa di molto più grande. Studente Hai parlato di inesorabilità e non paura. È una ineso­ rabilità nei confronti di qualcosa di specifico, o è piuttosto la tenacia con cui si mantiene un particolare atteggiamento psico­ logico? Trungpa Rimpoche Il punto è questo: se sei inesorabile, nessuno può ingannarti. Nessuno può allettarti a prendere una direzione non salutare. Questo è il senso dell'inesorabilità, diversa dalla spie­ tatezza dell'aggressività irrazionale di un Hitler o un Mussolini. Non ti lasci più lusingare né raggirare: non sei più disposto. I tentativi di lusingarti susciteranno un'energia che si ritorcerà in modo distruttivo contro chi tenta di sedurti. Se sei totalmente aperto e totalmente sveglio alla pazza saggezza, nessuno ti trasci­ nerà dalla sua parte. 5. Si può mantenere l'inesorabilità . . . T. R. No, non sei tu che la mantieni. La tua inesorabilità è mantenuta dagli altri. Tu non mantieni assolutamente nulla. Sem­ plicemente ci sei; qualunque situazione si presenti, non fai altro che proiettarti indietro. Prendiamo l'esempio del fuoco: non è il

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fuoco a possedere la sua distruttività. Accade. li suo potere distrut­ tivo si manifesta nel momento in cui getti un oggetto nel fuoco o tenti di spegnerlo. È la natura organica, chimica del fuoco. S. Le cose accadono e tu devi essere inesorabile per respingerle, giusto? Mi pare che questo implichi un giudizio di valore: giusto o sbagliato, positivo o negativo, per poter essere compassionevole o spietato riguardo a ciò che ti accade. T. R. Non sono d' accordo. Si tratta di un'inesorabilità trascen­ dente, che non implica giudizio. La situazione stessa suscita l'azio­ ne. Reagisci perché la situazione contiene fattori di aggressività. Se ti poni in modo irriverente o non abile rispetto alla situazione, i fattori aggressivi ti ributtano indietro. L'inesorabilità sembra aver bisogno di un ambito relativo, que­ sto opposto a quello, ma in realtà non è così. È un fattore assolu­ to. Sono gli altri fattori che vivono nella relatività, la quale va trapassata. Questo modo di essere, invece, non è affatto relativo . In altre parole, il suo valore assoluto trapassa il relativismo con cui viene in contatto, conservandosi indipendente. S. Non è isolato, solo? T. R. No, perché assoluto significa tutto. Ce n'è più del neces­ sario, per così dire. S. Vuoi dire che la non speranza e la non paura sono la stessa cosa? T. R. Sì. Sono la cosa fondamentale, ultima, se riesci a lavorarci. La cosa fondamentale. Studente Come si applica l'inesorabilità all'annullamento dell'io? Sembra così poco compassionevole, così egoica. Trungpa Rimpoche Bene, è proprio l'intensità dell'io a richiede­ re mezzi 'poco compassionevoli'. In altre parole, quando la confu­ sione e la nevrosi toccano il punto più alto, l'unico modo per correggerle è distruggerle. Dobbiamo fare a pezzi tutto quanto. È un'opera di distruzione richiesta dalla confusione stessa, non c'è un qualcuno convinto che sia una buona idea distruggere la con­ fusione con la forza. Non implica nessuna riflessione: l'intensità stessa della confusione chiama la propria distruzione. Inesorabilità vuoi dire semplicemente mettere in atto questa energia, permetter­ le di consumarsi. Non sei tu che uccidi qualcosa: tu lasci soltanto che la tua nevrosi si suicidi, non la stai assassinando. Ecco l'ineso-

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rabilità. L'io si uccide inesorabilmente: tu gli fornisci la situazione adatta. Non devi dichiarare guerra. Ci sei, e perciò accade. Se invece non ci sei, nascono capri espiatori e depistamenti di ogni genere. Se ci sei, non hai neppure bisogno di essere inesorabile. Sii pre­ sente e, dal punto di vista dell'io, questo è già inesorabile.

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La scoperta del sentiero e il giusto atteggiamento nei suoi con­ fronti hanno una funzione spirituale: il sentiero ci mette in rappor­ to con l'innocenza primordiale dell'essere. Calchiamo così tanto la mano sul dolore e sulla confusione, che dimentichiamo l'innocenza di fondo. In genere ci rivolgiamo alla spiritualità cercando esperienze che ci permettano di riscoprire lo stato adulto, invece che per recuperare l'innocenza infantile. Ci lasciamo ingannare dagli appelli alla maturità e per così dire alla rispettabilità, alla salute psichica. Corrisponde all'idea che ci facciamo dell'illuminazione. Un il­ luminato è visto più o meno come un vecchio saggio; non tanto un professore quanto un padre che elargisce assennati consigli su come cavarcela nella vita, o una nonna che conosce a menadito ricette e rimedi. Questa sembra essere la fantasia che la mentalità occidentale proietta sugli esseri illuminati: vecchi saggi, maturi e solidi. Il Tantra ha una visione dell'illuminazione molto diversa, con­ nessa con la fanciullezza e l'innocenza. Il modello è rintracciabile nella biografia di Padmasambhava, in cui lo stato risvegliato della mente non è descritto come vecchio o adulto, ma come giovane e libero. Giovinezza e libertà vanno assieme alla nascita dello stato risvegliato della mente. Lo stato risvegliato della mente ha le qua­ lità dell'alba, del mattino: è fresco e splendente, completamente sveglio. E tale è la qualità della nascita di Padmasambhava. Identificatici con il sentiero e con il giusto atteggiamento verso di esso, ne scopriamo all'improvviso la bellezza. Il sentiero ha una freschezza che contrasta violentemente con la monotonia del se-

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guire un programma di pratiche. Si aprono scoperte nuove, e una Ji queste è la nascita di Padmasambhava. Padmasambhava nasce in un fiore di loto in un lago dell'Uddi­ yana. Ha l'aspetto di un bambino di otto anni. È curioso, intelli­ gente, giovane e incontaminato. Poiché nulla l'ha toccato, tocca tutto senza paura. Lo circondano dakini che gli fanno offerte e suonano strumenti musicali. Anche gli animali selvaggi vengono a rendergli omaggio al lago Dhanakosha, puro e incontaminato, nella regione himalayana dell' attuale Afghanistan. Il paesaggio ricorda il Kashmir: cime innevate e aria frizzante. L' atmosfera è a un tempo fresca e selvaggia. La nascita di un bambino in un fiore di loto in mezzo a un lago in una regione selvaggia, sfugge alla mente razionale. Intanto, i bambini non nascono dai fiori di loto. Poi, le montagne himalayane sono troppo inospitali per un neonato, anche se robusto. È un evento impossibile; ma l'impossibile, ciò che supera l'immaginazio­ ne, accade. In realtà, cose impossibili accadono prima ancora che si produca la nostra immaginazione: e per questo motivo le defi­ niamo inimmaginabili, fantastiche, inaudite. Padmasambhava nasce in un loto in mezzo a un lago. Un prin­ cipe giovane e bello ma anche intelligente, straordinariamente in­ telligente. I suoi occhi penetranti vi guardano. Non ha paura di toccare le cose. A volte mette a disagio la vicinanza di questo neonato di otto anni, splendido e buono. Lo stato risvegliato della mente può essere infantile o maturo, secondo il nostro normale concetto di maturità. La vita ci bastona e ci disorienta, ma c'è chi riesce ad attraversare il fiume impetuoso della vita e a trovare la risposta. C'è chi lavora duro e arriva alla pace della mente. Questa è la nostra idea dello stato risvegliato, ma per Padmasambhava è diverso. Padmasambhava non ha espe­ rienze, la vita non l'ha bastonato. È semplicemente nato in un loto, in mezzo a un lago dell'Afghanistan. È un messaggio molto, molto eccitante: si può essere allo stesso tempo illuminati e fanciulli. È in armonia con le cose così come sono: se siamo risvegliati, siamo bambini. Al primo stadio dell'esperienza dell'illuminazione, siamo come bambini. Innocenti, perché ritornati allo stato originario dell'essere. Padmasambhava viene invitato alla corte del re Indrabhuti. Il re

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aveva inviato i giardinieri a raccogliere loti e fiori di montagna sulle sponde del lago. Esterrefatto, un giardiniere scopre un loto gigantesco in cui siede un bambino beato e soddisfatto. Non lo tocca, atterrito dal mistero che lo circonda. Riferisce la scoperta al re, che ordina di portargli il bambino e il fiore. Padmasambhava viene incoronato principe dell'Uddiyana e riceve il nome di Padma Raja, in tibetano Pema Gyalpo: 'Re del Loto'. Possiamo riscoprire l'innocenza e la bellezza infantile, le qualità principesche in noi. Dopo aver visto tutta la nostra confusione e le nostre nevrosi, capiamo che sono innocue e inermi. E, a poco a poco, recuperiamo la qualità dell'innocenza infantile che è in noi. Ovviamente è diverso dal primo vagito, non significa affatto regredire. Significa riscoprire la qualità infantile; ritornare freschi, curiosi, vivaci; ritrovare la voglia di esplorare il mondo e di cono­ scere la vita, scrollarsi di dosso i preconcetti. Incominciare a cono­ scerci è come una seconda nascita. Scopriamo la nostra innocenza, la nostra qualità primordiale, l'eterna giovinezza. Alla prima breccia si rivela la nostra qualità infantile. Siamo ancora ansiosi sul modo di affrontare la vita, ma la vita non ci spaventa più. C'è il senso di allungare la mano per esplorare aree sconosciute per la prima volta. Tutte le esperienze dualistiche, le certezze e i preconcetti, tutto si rivela falso, va in frantumi. Per la prima volta vediamo la vera qualità del sentiero. Abbandoniamo le riserve dell'io o, almeno, le vediamo. Più conosciamo l'io e le sue nevrosi, più ci avviciniamo alla condizione infantile della mente che non sa come affrontare il passo successivo. Molti chiedono: "Se medito, cosa succederà? Se raggiungo la pace mentale, come me la caverò con i nemici e i superiori? " . Poniamo domande, queste sì, davvero infantili: " Se, avanzando nel sentiero, mi succede questo e quello, cosa accadrà dopo ? " . La vera fanciullezza è la freschezza della percezione, la scoperta sempre nuova del senso delle cose così come sono. Padmasambhava vive a palazzo, protetto e accudito. A un certo punto gli propongono di sposarsi. Ha molte riserve, in virtù della propria innocenza, ma decide di andare avanti. n giovane principe è cresciuto, esplora la sessualità e il matrimonio, entra in rapporto con una moglie. A poco a poco comprende che il mondo circo­ stante non è protettivo come i petali del loto. Il mondo è eccitan-

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te, giocoso. È come ricevere il primo giocattolo importante da svitare, smontare, fare a pezzi e rimettere insieme. È la storia commovente di un viaggio che va sempre più verso l'esterno. Dall'innocenza di base del dharmakaya, che rappresenta lo stato embrionale della natura di buddha, dobbiamo venir fuori, uscire. Dobbiamo metterei in rapporto con la giocosità del mondo al livello del sambhogakaya e del nirmanakaya. Padmasambhava bambino simboleggia la totalità infantile in cui non c'è dualismo, non c'è 'questo' e 'quello'. È uno stato che abbraccia tutto. C'è anche un senso di freschezza perché è uno stato totale, globale, senza punti di riferimento. Se non ci sono punti di riferimento, niente può inquinare concetti e idee. È una cosa assoluta e totalmente definitiva. Attraverso il matrimonio, Padmasambhava espande la propria giocosità. Sperimenta l' aggressività, scoprendo di poter usare la forza per scagliare le cose e romperle. Portando questo potere all'estremo, scopre di avere in sé la potenzialità della pazza saggez­ za. Tenendo in mano due scettri, un vajra e un tridente, danza sul tetto del palazzo. Poi li scaglia lontano colpendo una donna col figlio che si trovavano a passare di lì, uccidendoli entrambi. Il vajra colpisce il bambino alla testa, il tridente penetra nel cuore della madre. Erano la moglie e il figlio di un ministro del re. Che giocosità ! (Temo che questa non sia quella che si dice una storia rispettabile) . Il fatto ha gravi ripercussioni. I ministri, forti della loro influen­ za, chiedono al re di esiliarlo. Il crimine di Padmasambhava ap­ partiene alla selvaggia esplorazione delle cose, ancora al livello del sambhogakaya, dove si saggiano le cose e i loro lati più sottili, comprese la nascita e la morte. Padmasambhava viene esiliato. Al re dispiacque immensamente, ma il gioco del mondo fenomenico ha le sue leggi. Il mondo fenomenico è congegnato in modo for­ temente legalistico, e il gioco dei fenomeni si manifesta attraverso la legge di causa ed effetto. Ciò non implica che Padmasambhava sia soggetto al karma. Anzi, sta esplorando l'aspetto !egalitario del karma, le interazioni karmiche con il mondo esterno, che è il mondo della confusione. Proprio il mondo confuso fa di Padmasambhava un maestro. Non fu lui ad affermare: "Io sono un maestro" o "Sono il salvatore del

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mondo " . Non proclamò mai nulla del genere. Fu il mondo che incominciò a modellarlo nella figura di un maestro, di un salvato­ re. A questo scopo, per consentire questo processo, Padmasambhava commise una violenza e venne espulso dal regno di Indrabhuti, e fu costretto a recarsi nel cimitero di Silwa Tsal ('Fresco boschet­ to' ) , vicino a Bodhgaya in India. La qualità fanciullesca ed esplorativa, che si sviluppa in noi quando incominciamo a lavorare al sentiero spirituale, ci richiede di lavorare con piaceri e con i pericoli. Il carattere fanciullesco tende spontaneamente all'esterno, avendo compreso che l'illumi­ nazione improvvisa non è la fine ma l'inizio del viaggio. L'illumi­ nazione improvvisa accade, ed eccoci diventati fanciulli. Di qui in avanti impariamo a lavorare con i fenomeni, a danzare con i feno­ meni, ad entrare in rapporto con la confusione degli altri. Lavora­ re con persone confuse ci modella automaticamente secondo una certa forma, in relazione agli insegnamenti di cui esse hanno biso­ gno e alle situazioni più adatte per entrare in rapporto con loro. *

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Studente Puoi dire qualcosa di più sul dharmakaya come totali­ tà, e spiegare meglio anche il sambhogakaya e il nirmanakaya? Trungpa Rimpoche Il dharmakaya accoglie tutto. Abbraccia tutti gli estremi (che vi siano o no, non fa differenza) . In quanto tota­ lità, è uno spazio straordinariamente vasto in cui muoversi. Il sam­ bhogakaya è l'energia connessa con la totalità e che accentua an­ cora di più quella totalità. La totalità del dharmakaya è paragonabile all'oceano, mentre il sambhogakaya è paragonabile alle onde che ne rivelano l'esistenza. Il nirmanakaya è come una nave che solca l'oceano, ciò che rende l'intera situazione pratica e fattuale: puoi navigare sull'oceano. S. Che rapporto c'è tra tutto questo e la confusione? T. R. La confusione è il suo compagno. Di solito la comprensio­ ne, se presente, ha in sé i suoi propri limiti. Perciò è presente automaticamente anche la confusione, finché non si sia raggiunto il livello assoluto in cui la comprensione non ha più bisogno di se stessa, perché l'intera situazione è una situazione-comprensione. Studente Come si applica alla vita quotidiana? Trungpa Rimpoche Nella vita quotidiana è esattamente la stessa

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cosa. Lavorare con la totalità fornisce spazio per lavorare con la vita, più l'energia e la praticità. In altre parole, non ci limitiamo a un'unica cosa. Buona parte della frustrazione che sperimentiamo nella vita deriva dall'impressione di avere a disposizione mezzi inadeguati per improvvisare con le situazioni esistenziali e cam­ biarle. Il dharmakaya, il sambhogakaya e il nirmanakaya ci forni­ scono enormi possibilità di improvvisazione, infinite risorse con cui lavorare. Studente Che rapporto intercorre tra Padmasambhava e il re Indrabhuti, e che ruolo ricopre nel suo sviluppo dall'innocenza originaria? Trungpa Rimpoche Il re Indrabhuti costituì il suo primo pubbli­ co, il primo rappresentante del samsara. n trasferimento a palazzo è il punto di partenza per imparare a lavorare con gli studenti, con le persone confuse. Indrabhuti è una forte immagine della mente confusa di tipo paterno. Studente Cosa rappresentano la donna e il bambino uccisi? Trungpa Rimpoche I testi e i commentari alla vita di Padmasam­ bhava abbondano di interpretazioni. Il vajra simboleggia gli abili mezzi, quindi il bambino ucciso dal vajra è l'opposto degli abili mezzi, cioè l'aggressività. Il tridente simboleggia la saggezza, quin­ di la donna rappresenta l'ignoranza. Altre interpretazioni conside­ rano il lato karmico: la donna e il bambino avevano questo o quel cattivo karma. Credo che non sia necessario addentrarci nei parti­ colari, creerebbe solo complicazioni. A questo punto la storia di Padmasambhava è in una dimensione completamente diversa, psi­ cologica. Scenderà a un livello per così dire più realistico solo quando sarà arrivato in Tibet e avrà a che fare con i tibetani. Prima di ciò, la dimensione è soprattutto mentale. Studente C'è un rapporto tra queste due uccisioni e la spada di Manjushri che recide le radici dell'ignoranza? O tra il Buddha che espone la vacuità, sh unyata, e l'infarto di alcuni discepoli? Trungpa Rimpoche Non credo. La spada di Manjushri indica la pratica, mentre la storia di Padmasambhava rappresenta già l'arri­ vo. Dopo aver sperimentato il lampo improvviso dell'illuminazio­ ne, che cosa fate? Manjushri, il Sutra del Cuore e tutti gli altri sutra appartengono ai livelli dell'Hinayana e del Mahayana, sono rivolti all'aspirante che percorre il sentiero. Qui parliamo dell'ef-

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fetta ombrello, dello scendere dall'alto. Una volta raggiunta l'illu­ minazione, che programmi abbiamo? La storia di Padmasambhava è un manuale per buddha, e noi tutti siamo buddha. Studente Padmasambhava faceva le sue prove . con uno scopo preciso? Trungpa Rimpoche Nel reame del dharmakaya è molto difficile parlare di scopi o di intenzioni. Non c'è assolutamente . niente. Studente Vorrei saperne di più sull'aprirsi la strada dall'interno e il togliere gli strati dall'esterno. Se capisco bene, togliere gli strati è il sentiero del bodhisattva, mentre nel Tantrismo ci si apre la strada dall'interno. Ma le due metafore non mi sono chiare. Trungpa Rimpoche Il punto è che il tantra è contagioso. Evoca qualcosa di molto potente: la natura di buddha che si fa strada dall'interno, invece di essere messa allo scoperto togliendo le stratificazioni dall'esterno. Nella vita di Padmasambhava il sentie­ ro smette di essere il sentiero per trasformarsi nella meta vera e propria. La prospettiva è completamente diversa: non è più il punto di vista dell'essere senziente che cerca di raggiungere l'illu­ minazione, ma il punto di vista dell'illuminato che cerca di entrare in rapporto con gli esseri senzienti. Ecco perché l'approccio tantrico è un farsi strada dall'interno verso l'esterno. I problemi di Padmasambhava con il padre, il re Indrabhuti, e con l'uccisione della donna e del bambino sono problemi di rapporti con gli esseri senzienti. Stiamo raccontando la storia dall'interno, mvece di assistervi dall'esterno come spettatori di un film. Studente Come avviene questo farsi strada dall'interno? Trungpa Rimpoche Affrontando le situazioni in modo abile. Le situazioni sono già create per te: tu esci fuori e ti lanci con loro. È un puzzle autonomo che si è messo insiMTie da sé. Studente È il dharmakaya che crea la speranza e la paura? Trungpa Rimpoche Speranza e paura sono ovunque, come una casa infestata dai fantasmi. Ma il dharmakaya caccia tutti i fan­ tasmi. Studente La storia di Padmasambhava, dalla nascita in un fiore di loto fino alla distruzione di tutte le aspettative degli studenti e alla manifestazione finale come Dorje Trolo, è un lento passaggio dal dharmakaya al nirmanakaya? Trungpa Rimpoche Sì, è esattamente quello a cui volevo arrivare.

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Finora è uscito soltanto dal dharmakaya, e ha toccato il margine del sambhogakaya. Il sambhogakaya è il principio-energia, il prin­ cipio-danza, di cui il dharmakaya è lo sfondo globale. S. Quindi, speranza e paura devono dissolversi prima che . . . T. R. . . prima che la danza si possa avviare. Certamente. Studente L'energia del sambhogakaya è la stessa del desiderio e dell'avversione? Trungpa Rimpoche No, non è proprio così. Il sambhogakaya è la qualità positiva che rimane alla fine del processo di smascheramento. In altre parole, scopri l'assenza di aggressività e questa assenza viene trasformata in energia. S. Allora, se le contaminazioni sono trasformate in saggezza . . . T. R. Trasmutate. Ma è più ancora di una trasmutazione, non so che parola usare . . . Siamo entrati in un rapporto così completo con le contaminazioni, che la loro attività diventa inutile e diventa utile la loro inattività. L'energia del sambhogakaya non è l'energia delle contaminazioni. Studente Mi sembra di cogliere uno scherzo cosmico: devo fare il primo passo, ma non posso farlo se prima non l'ho fatto. Trungpa Rimpoche Sì, devi ricevere una spinta. Qui entra in gioco il rapporto tra insegnante e studente. Qualcuno deve dare la spinta. È il primissimo movimento iniziale. S. Tu stai dando la spinta? T. R. Penso di sì. .

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Vorrei accertarmi che ciò di cui abbiamo parlato sinora vi sia chiaro. La nascita di Padmasambhava rappresenta l' esperienza improvvisa dello stato risvegliato. La nascita di Padmasambhava non può prodursi se manca un'esperienza di risveglio che ci rivela la nostra innocenza, la nostra qualità infantile. I fatti collegati al re Indrabhuti dell'Uddiyana rappresentano i passi seguenti a un im­ provviso sprazzo di risveglio. Questo è l'insegnamento, il messag­ gio che fin qui ci trasmette la vita di Padmasambhava. Vediamo ora l'aspetto successivo. C'è stata l'esperienza dello stato risvegliato della mente; c'è stata l'esperienza della sessualità, dell'aggressività e dei piaceri del mondo; ma c'è ancora incertezza su come lavorare con queste dinamiche mondane. L'incertezza di Padmasambhava non ha nulla a che fare con la confusione: riguar­ da l'insegnamento, come entrare in rapporto con il pubblico. Anche gli studenti sono ansiosi, e il motivo principale è che sinora non sono mai venuti in contatto con un essere illuminato. Lavorare con un illuminato è un'esperienza straordinariamente delicata e piacevole ma, nello stesso tempo, può rivelarsi distruttiva. Uno sbaglio può farci del male o distruggerci. È come giocare col fuoco. Padmasambhava continua a cercare di mettersi in rapporto con la mente samsarica. Cacciato da palazzo, va incontro a nuove espe­ rienze. La sua scoperta è l'eternità. Qui, eternità significa che l'espe­ rienza del risveglio è costantemente in atto, senza cedimenti e, per quanto la riguarda, senza più decisioni da prendere. A questo pun­ to, in relazione al suo secondo aspetto, diventa predominante la non scelta nel rapporto di Padmasambhava con gli esseri senzienti. Il secondo aspetto di Padmflsambhava è il Vajradhara: il princi-

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pio o stato mentale in possesso dell'assenza di paura. Tutte le paure, della morte, del dolore e dell'infelicità, sono state trascese. Essendo state trascese, si dispiega l'eternità della vita. Questa eter­ nità non dipende dalle situazioni, né dal trasformarle in modalità più salutari, né dall'ottenimento della longevità. Non dipende da nulla di tutto ciò. Stiamo parlando di un senso dell'eternità applicabile alla nostra vita, di un atteggiamento molto diverso dalla solita nozione spiri­ tuale di eternità. Secondo l'idea convenzionale, raggiunto un certo livello di sviluppo spirituale superumano saremo liberi da nascita e morte. Esisteremo per sempre, assisteremo al gioco del mondo e avremo potere su tutto. È la concezione del superuòmo indistrut­ tibile, il buon salvatore che soccorre tutti con il suo armamentario da Superman. Una simile concezione dell'eternità e della spiritua­ lità è distorta, fumettistica: il superuomo spirituale, che ha potere sugli altri, ottiene la longevità, che non è nient'altro che il prolun­ gamento del suo potere sugli altri. Ovviamente c'è anche l' aspetto dell'aiuto agli altri. Nell'aspetto Vajradhara, l'esperienza di Padmasambhava dell'eter­ nità, ovvero la sua stessa esistenza come eternità, è ben diverso. Il superamento della paura della nascita, della morte, della malattia e del dolore, dà un senso di continuità. Padmasambhava prova l'esperienza sempre viva ed elettrica di non essere lui a vivere, ma che è il mondo a esistere, che egli è il mondo e che il mondo è lui. Egli ha potere sul mondo proprio perché non ha alcun potere sul mondo. Non desidera nessuna posizione di potere. 'Vajradhara' è un termine sanscrito. Vajra significa 'indistruttibi­ le', ,e dhara 'possessore'. È quindi come 'possessore dell'indistrut­ tibilità', 'possessore dell'inamovibilità' che Padmasambhava speri­ menta lo stato di eternità. Lo ottiene perché è nato come un bambino perfettamente puro e perfettamente innocente, tanto in­ nocente e puro che non ha paura di esplorare il mondo della nascita e della morte, della passione e dell'aggressività. Questo, come preparazione per la sua futura esistenza; ma la sua esplora­ zione si spinge al di là di questo livello. La mente samsarica, confusa, vede la nascita, la morte e altri eventi minacciosi come componenti solide di un mondo solido. Invece di vedere il mondo come una minaccia, Padmasambhava incomincia a considerarlo la

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sua casa. Così ottiene lo stato primordiale dell'eternità, ben diver­ so dall'eterna perpetuazione dell'io. L'io ha bisogno di ricostruirsi di continuo, ha bisogno di costanti conferme. Trascendendo il materialismo spirituale, Padmasambhava raggiunge uno stato du­ revole e immutabile, fondato sull'ispirazione che trae dai suoi com­ pagni confusi, dagli esseri senzienti. Il giovane principe, cacciato da palazzo, vaga in un terreno di cremazione, tra scheletri disarticolati e ciocche di capelli. Sciacalli e avvoltoi frugano il luogo, lanciando i loro richiami. L'odore di corpi putrefatti è ovunque. Il raffinato, giovane principe s'intona bene alla scena, per quanto incongruente possa parere. È senza paura. L'assenza di paura diventa la sua abitazione mentre vaga nel cimitero di Silwa Tsal, nella foresta vicino a Bodhgaya. Alberi e massi dalle forme terrificanti. Un tempio in rovina. Atmosfera di morte e desolazione. Padmasambhava è stato abbandonato, caccia­ to dal suo regno, ma va a zonzo e curiosa come se niente fosse accaduto. Nonostante la vista raccapricciante, considera il cimitero come un nuovo palazzo. Vedere l'impermanenza della vita lo por­ ta a scoprire l'eternità della vita, la continuità del processo di nascita e morte perennemente in atto. Sulla regione si è abbattuta una carestia. La popolazione muore. Corpi ancora vivi vengono gettati nel cimitero, perché la gente è stremata dal gioco della malattia e della morte. Mosche, vermi, larve e serpenti infestano il luogo. Il giovane principe, appena scacciato da un palazzo tempestato di gemme, fa del cimitero la sua nuova casa: non vede differenza alcuna tra il palazzo e il cimitero, e si diverte in quest'ultimo. Il nostro mondo civilizzato è così asettico che non abbiamo più cimiteri a disposizione. Chiudiamo i cadaveri nella cassa e li sep­ pelliamo in modo molto rispettabile. Ciò nonostante siamo circon­ dati dai cimiteri più grandi della nascita, della morte e del caos che ci circonda. Nella vita quotidiana ci imbattiamo di continuo in situazioni-cimitero. Siamo attorniati da persone vive a metà, da scheletri ovunque. Identificandoci con Padmasambhava, possiamo metterei in rapporto con tutto ciò senza paura. Possiamo trarre ispirazione dal caos, così che il caos diventi in un certo senso ordine. Da caos confuso si trasforma in caos ordinato, perché sappiamo rapportarci al mondo così com 'è.

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Dal cimitero, Padmasambhava raggiunge una vicina caverna per meditare sull'eternità della natura di buddha. La natura di buddha è eterna, niente la minaccia. La realizzazione di questo principio è il primo dei cinque stadi del vidyadhara: il vidyadhara dell' eter­ nità. Vidyadhara indica 'colui che è in possesso della conoscenza scien­ tifica', o 'colui che ha ottenuto la perfetta pazza saggezza' . Il pri­ mo stadio della pazza saggezza è quindi la saggezza dell'eternità. Niente ci minaccia, perché tutto è nostro ornamento. Maggiore è il caos, più ogni cosa ci serve di ornamento. Ecco lo stato di Vajradhara. Possiamo domandarci come un giovane principe innocente ab­ bia avuto la preparazione necessaria per cavarsela con le situazio­ ni-cimitero. La domanda deriva dalla convinzione che, per affron­ tare qualcosa, abbiamo bisogno di allenarci in precedenza, dobbia­ mo avere raccolto i frutti di una certa educazione. Dobbiamo aver letto libri che insegnano a vivere in un cimitero e possedere le giuste nozioni su cosa possiamo mangiare e cosa no. Padmasam­ bhava non ha bisogno di allenamento, perché è illuminato alla nascita. Sta passando dal dharmakaya al sambhogakaya. Un lampo improvviso di illuminazione non richiede allenamento, non neces­ sita di un sistema educativo. È natura innata, che non richiede nessun tipo di preparazione. L'idea della necessità di un allenamento comporta di fatto un approccio molto debole: ci fa credere che, non possedendo già in noi il potenziale, dobbiamo diventare migliori di ciò che siamo, dobbiamo competere con eroi e maestri. Ci buttiamo nell'imitazio­ ne di eroi e maestri convinti che, alla fine, grazie a qualche inter­ ruttore psicofisico, riusciremo a diventare loro. Noi non siamo loro, ma crediamo di poterlo diventare con l'imitazione, con l'in­ ganno, fingendo di essere ciò che non siamo. Ma quando si mani­ festa il lampo improvviso dell'illuminazione, l'ipocrisia viene meno. Non dobbiamo più fingere di essere qualcosa. Siamo qualcosa. In ogni caso, esistono in noi determinate tendenze: si tratta soltanto di metterle in pratica. La scoperta di Padmasambhava può sembrarci un po' desolante e alquanto raccapricciante se lo immaginiamo mentre medita nella caverna, tra cadaveri e bestie feroci. Ma anche nella vita quotidia-

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na siamo costretti a venire in contatto con situazioni di questo genere. Non possiamo pensare di truffare le esperienze reali o di cambiarle mediante la credenza irrealistica che le cose siano per il meglio, che alla fin fine tutto vada a posto. Se assumiamo questo atteggiamento, le cose non andranno mai a posto. Proprio perché ci aspettiamo che tutto sia buono e bello, non sarà così. Nutrire una tale aspettativa significa prendere le cose per il verso sbagliato. La bellezza è in competizione con la bruttezza, il piacere con il dolore. Nel regno del confronto non si otterrà mai nulla. Ci diciamo: "È tanto che pratico, che cerco l'illuminazione, il nirvana; ma mi trovo sempre respinto. All'inizio le pratiche mi hanno dato una certa scossa. Pensavo che sarei arrivato da qualche parte. Mi sentivo bene, beato, e pensavo di poter stare ancora meglio, di andare ancora più in là. Invece, non è successo. La pratica è diventata monotona e ho cominciato a cercare dell'altro, una nuova soluzione. Intanto pensavo: 'Non ho più fiducia nelle pratiche che mi hanno insegnato. Non dovrei cercarne altre, non dovrei volere qualcosa di diverso. Devo aver fede, tenermi stretto alla mia pratica. Va bene, farò così'. Mi tengo stretto alla pratica ma continuo a sentirmi a disagio, annoiato. Anzi, diventa fastidio­ so, persino doloroso " . E così via. C i ripetiamo. Costruiamo qualcosa e cominciamo a crederci. Ci diciamo: "Devo soltanto avere fede. Se ho fede, se credo, sarò salvo ". Prefabbrichiamo in qualche modo la fede e ne ricaviamo una scossa momentanea. Ma finisce sempre nello stesso modo: non otteniamo nulla. In questo approccio alla spiritualità c'è forzatamente questo genere di problemi. Nell'approccio di Padmasambhava alla spiritualità non cerchia­ mo nessuna scossa, ispirazione o beatitudine. Al contrario, scavia­ mo nelle asperità della vita, ci immergiamo nelle difficoltà e ne facciamo la nostra casa. Se trasformiamo le difficoltà nella nostra casa, le difficoltà diventeranno una grande gioia, gioia trascenden­ te (mahasukha), perché non sono più accompagnate dal dolore. È una gioia che non è più in rapporto col dolore, non gli è più contrapposta. Tutto diventa chiaro, preciso, comprensibile, e sia­ mo capaci di entrare in rapporto con tutto. L'adattamento di Padmasambhava al mondo attraverso l' atteg­ giamento dell'eternità, il primo dei cinque stadi del vidyadhara,

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svolge un ruolo essenziale nello studio degli aspetti rimanenti. Questo tema ricorrerà infinite volte. �'

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Studente Perché non è da considerarsi masochismo la scelta di Padmasambhava di vivere in un cimitero? Trungpa Rimpoche Anzitutto è assente ogni forma di aggressivi­ tà: Padmasambhava non vuole trascinare nessuno dalla propria parte. Si limita a stare lì, mettendosi in rapporto con le cose così come sono. Nel masochismo hai sempre qualcuno da accusare, qualcuno a cui imputare il tuo dolore. "Mi uccido, così i miei genitori capiranno quanto li odio ". Ma qui non c'è niente del genere. È un mondo inesistente, ma Padmasambhava rimane lì ed esiste assieme al mondo. Studente Non capisco la nascita extraumana da un fiore di loto, come la nascita del Cristo da una vergine. Non è un modo di presentare Padmasambhava come una figura ideale, diversa da noi, che ci obbliga al rapporto con q ualcosa al di là dell'umano? Trungpa Rimpoche Nascere da una donna o da un fiore di loto è, in certa misura, la stessa situazione. Non c'è niente di sovrauma­ no: è un miracolo, e i miracoli accadono. Chi assiste per la prima volta a un parto ne riceve spesso l'impressione di un miracolo. Nascere da un loto è altrettanto miracoloso, ma non implica nien­ te di divino o di puro. Nascere da un loto è l'espressione dell'aper­ tura. Non c'è stato bisogno di rimanere chiusi per nove mesi in un utero. È una situazione libera e aperta: il loto si apre, ed ecco il bambino. Una cosa molto diretta. La nascita da un loto non pone gli stessi interrogativi della nascita di Cristo da una vergine. In quel momento vi poteva essere solo quell'unico fiore di loto. Che poi morì. Una nascita, per così dire, gratuita. S. La nascita da un loto potrebbe anche simboleggiare la nega­ zione della storia karmica. T. R. Certo. Non c'è nessunissima storia karmica. È semplice­ mente successo che, in un certo luogo dell'Afghanistan, un fiore di loto ha avuto un bambino. Studente Puoi parlare del rapporto tra l'aspetto Vajradhara di Padmasambhava e il Buddha dharmakaya secondo il lignaggio Kagyii, che è ugualmente chiamato Vajradhara?

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Trungpa Rimpoche Come hai detto tu il Vajradhara, secondo il lignaggio Kagyii, designa il Buddha primordiale al livello del dharmakaya, eternamente esistente. L'aspetto Vajradhara di Pad­ masambhava è invece al livello del sambhogakaya, relativo all'en­ trare in contatto con le esperienze vitali. Oppure, a un secondo livello del dharmakaya, è connesso con l'abbracciare tutti gli esseri senzienti, che sono a tua disposizione per lavorare con loro. Ma, soprattutto, rappresenta il principio del sambhogakaya. In questo senso i cinque aspetti del sambhogakaya, i cinque buddha sambho­ gakaya, sono gli otto aspetti di Padmasambhava. Studente Hai parlato dello stare con le asperità; anzi, del gu­ starle. Il concetto è che il dolore è associato al ritrarsi e al volerle evitare, mentre, entrandoci dentro o almeno avvicinandoci un po' di più, il dolore scompare? È così che si raggiunge l'illumina­ zione? Trungpa Rimpoche È un punto molto delicato. C'è il rischio di un atteggiamento sadico, che ritroviamo spesso anche in approcci combattivi alle pratiche zen. C'è poi l'atteggiamento 'ispirato' di gettarsi negli insegnamenti chiudendo gli occhi al dolore. Entram­ bi conducono a una cieca confusione. Inoltre possiamo ritrovarci a maltrattare il corpo, invece di averne la giusta cura. Nel nostro caso, il rapporto con il dolore non è basato né sull'approccio sadico o la pratica combattiva, né sull'ignorare tutto viaggiando in una propria allucinazione mentale. Si pone tra i due. Prima di tutto, il dolore viene considerato molto reale, qualcosa che esiste davvero. Non dobbiamo considerarlo come un punto dottrinale o una questione filosofica. È schietto dolore, schietto disagio psicologico. Non fuggi dal dolore perché, se lo fai, rinunci a uno strumento di lavoro. Ma neppure ti getti dentro il dolore né te lo procuri apposta, perché sarebbe un atteggiamento suicida, autodistruttiva. Perciò, bisogna trovare un punto intermedio. Studente C'è una relazione tra il prendere dimora nelle difficoltà e il principio del mandala? Trungpa Rimpoche È di per sé un mandala. Entrare in rapporto con le difficoltà ha il senso della presenza di molteplici difficoltà e dei loro infiniti sviluppi. Questo è un mandala, e tu sei lì. Il mandala è la totalità dell'esistenza, con te nel centro. Sei nel cen­ tro stesso delle difficoltà, una situazione molto potente.

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Studente Hai definito il vidyadhara come ' conoscenza scientifi­ ca'. Cos'ha a che fare con la vita di Padmasambhava? Trungpa Rimpoche Con 'conoscenza scientifica' intendo la cono­ scenza del modo esatto di reagire alle situazioni. L'essenza della pazza saggezza sta nel non afferrarsi a strategie, piani o ideali. Sei semplicemente aperto. Qualunque cosa provenga dagli studenti, tu reagisci di conseguenza. È un atteggiamento scientifico, perché è sempre in accordo con la natura degli elementi.

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Forse non avremo il tempo di esaminare i restanti aspetti della figura di Padmasambhava con la stessa accuratezza dei primi due, ma quanto abbiamo imparato finora ci ha dato le basi per consi­ derare nella sua interezza la vita di Padmasambhava e la sua espan­ sione personale. Vorrei riuscire a trasmettervi una descrizione che riunisca tutti i suoi aspetti. Non è facile, perché lo strumento verbale è limitato. Le parole costituiscono una parte minima dell'in­ tuizione. Comunque, faremo del nostro meglio. Il nostro esame di Padmasambhava non muove da una prospet­ tiva storica o mitica, entrambe 'esterne' . Vogliamo arrivare al noc­ ciolo, per così dire al suo aspetto immediato ed embrionale, e a come Padmasambhava si mette in rapporto con la vita muovendo da quello stato. È una visione sacra, tantrica, della vita di Padma­ sambhava, opposta all'interpretazione mitica o storicistica come viene applicata, ad esempio, alla figura di re Artù. La sua storia interiore illumina il rapporto tra gli episodi della sua vita e gli insegnamenti. Questa è la prospettiva in cui ho cercato di trasmettervi i due aspetti del giovane principe e poi del giovane siddha, o perfetto yogi, nel cimitero. I due episodi sono determinanti per il successivo sviluppo della sua vita. La fase seguente ha inizio con la necessità di abbracciare la vita monastica. Padmasambhava deve ricevere l'ordinazione a monaco, bhikshu, perché il rapporto con un sistema monastico gli fornisce una situazione di disciplina. Gli conferisce l'ordinazione Ananda, discepolo e attendente del Buddha. Prende il nome monastico di Shakya Simha, in tibetano Shakya Senge, che significa il 'Leone della tribù degli Shakya' . È uno degli attributi del Buddha, chia-

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mato anche il 'Saggio degli Shakya' , e attraverso questo nome Padmasambhava si identifica con l'insegnamento del Buddha. È un punto importante, perché è indispensabile un for tissimo rap­ porto con il lignaggio. Padmasambhava si associa perciò al lignaggio e ne comprende il valore. Il lignaggio del Buddha trasmette la sanità fondamentale, un rapporto con la vita sano. Farsi monaco significa condurre una vita sana, sana e santa, perché r ichiede l'adesione totale alle cose così come sono. Un monaco non trascura niente. Entra in rappor­ to con la vita sapendo che il momento presente racchiude un senso di grande vitalità e totalità, il senso di non essere in balia della passione, dell'aggr essività e di tutto il resto. Ci si rapporta alle cose come la vita monastica invita a fare: così come sono. Approfondendo l'aspetto monastico, Padmasambhava r icomin­ cia a manifestare lo stile di un giovane principe: un giovane prin­ cipe diventato monaco. Decide di diventare il salvatore del mon­ do, il portatore del messaggio del dharma. Un giorno si reca in un monastero femminile, dove vive una principessa di nome Mandarava che ha preso di recente l'or dina­ zione abbandonando radicalmente i piaceri mondani. Mandar ava vive reclusa, sorvegliata da cinquecento donne che hanno il com­ pito di controllare che non trasgredisca la disciplina. Tutto il monastero fu ovviamente colpito dall ' arrivo di Padmasambhava. Ha l'innocenza di un essere nato da un fiore di loto, un corpo puro e perfetto. È bellissimo. Padmasambhava converte le mona­ che, che diventano tutte sue studentesse. Presto il fatto giunse alle or ecchie del re, padre di Mandarava. Un mandriano riferì di aver udito provenire dal monastero una voce maschile, che insegnava e urlava. Il re aveva creduto che la figlia fosse una monaca cristallina, senza alcun r apporto con uomi­ ni. Molto turbato dalla notizia del mandriano, invia i ministr i per scoprire cosa accada nel monastero. I ministri non vengono fatti entrare, ma sospettano che vi avvenga qualcosa di poco chiaro. Riferita la cosa, il re or dina all'esercito di abbattere le porte, ir­ rompere nel monastero e ar restare il furfante che posa a maestro. Così fu fatto. Padmasambhava viene catturato e legato a una pira di legno di sandalo a cui appiccano il fuoco (in quel regno si eseguivano così le condanne a morte). La principessa viene gettata

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in una fossa piena di rovi, pulci e pidocchi. Questo era il concetto che il re nutriva della religione. ·La pira di Padmasambhava bruciò per sette giorni. Le fiamme, che in genere si estinguevano in un giorno o due, arsero per una settimana. Davvero strano . n re comincia a pensare che ci fosse qualcosa di insolito in quell'uomo che se ne andava in giro spac­ ciandosi per guru. Messaggeri mandati in ricognizione riferiscono che il fuoco è spento e che il luogo si è trasformato in un grande lago. In mezzo al lago c'è Padmasambhava, ancora una volta sedu­ to dentro un loto. Il fatto stimola il re a conoscerlo meglio. Invece di incaricare un messaggero, si mette in viaggio di persona. Arri­ vato, trasecola davanti alla figura seduta dentro un loto in mezzo a un lago profondissimo dove prima sorgeva il luogo delle esecu­ zioni e il cimitero. Il re riconosce il proprio errore e la follia del proprio comportamento, e lo invita a palazzo. Padmasambhava rifiuta: mai sarebbe entrato nella casa di un peccatore, nel palazzo di un re malvagio che aveva condannato a morte chi incarnava l'essenza spirituale di un re e di un guru, nell'abitazione di una persona che aveva ignorato la vera essenza della spiritualità. n re ripete l'invito, e Padmasambhava accetta. n re spinse personal­ mente il cocchio su cui aveva preso posto Padmasambhava. Padma­ sambhava divenne il rajguru, il guru reale, e Mandarava venne estratta dalla fossa. In questa fase della sua vita, l'approccio di Padmasambhava alla realtà fu l'estrema accuratezza, nella quale però lascia spazio per gli errori degli altri lungo il sentiero spirituale. Fino al punto da permettere che il re tenti di farlo bruciare vivo e getti in una fossa la principessa sua allieva. Sentiva di dover permettere che queste cose accadessero. È un punto basilare, che evidenzia già il suo stile di insegnamento. Era necessario che il re sviluppasse una comprensione autono­ ma della propria nevrosi, riflessa dalle sue azioni e da tutto il suo modo di pensare. Bisognava permettere alla sua comprensione di maturare da sé, anziché in seguito a una magia attuata da Pad­ masambhava (che ne era capacissimo) per non farsi arrestare. Avrebbe potuto dire: " Io sono il massimo maestro al mondo, non puoi farmi nulla. Ora vedrai la forza del mio potere spirituale " . M a non lo fece, e si lasciò arrestare.

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È una profonda indicazione del suo modo di entrare in rappor­ to con la mente samsarica, confusa: lasciare che la confusione si manifesti e si corregga da sé. Ricorda l'episodio di un maestro zen e di una sua studentessa. La donna rimase incinta e partorì. I genitori portarono il bambino al maestro, accusandolo: "È figlio tuo, prenditene cura " . Il maestro rispose: "È così ? " , prese il bam­ bino e lo allevò. Gli anni passarono, finché la donna non riuscì più a tenere nascosta la verità: il maestro non era il padre del bambino. " Il padre del mio bambino non è il maestro, è un altro " , disse ai genitori. Preoccupati, questi decisero di liberare il bambi­ no dal maestro, che meditava sulle montagne. Lo trovarono e gli dissero: "Abbiamo saputo che non è figlio tuo. Vogliamo toglier­ tela e portarlo con noi. Tu non sei suo padre". E il maestro zen rispose di nuovo: "È così ? " . Lasciate che i fenomeni giochino. Lasciate che si prendano da soli gioco di se stessi. Questo è il nostro approccio. Non serve dire: " Lasciami parlare, vorrei spiegarti tutto ". Già dire qualcosa è inadatto, senza contare la difficoltà di trovare la cosa giusta da dire. Non funziona. Il mondo fenomenico non si lascia abbindo­ lare dalle parole o dalla logica, dalla meschinità della logica. Il mondo fenomenico va affrontato dall'interno delle situazioni, nei termini della sua logica interna. È una logica più allargata, la logicità globale della situazione. Peculiare allo stile di Padmasambhava è il lasciar giocare i fenomeni, invece di fornire prove o dimostrazioni. Nella situazione successiva, cioè nel suo altro aspetto, Padmasam­ bhava viene affrontato da cinquecento eretici, in sanscrito tirthika. L'eresia che sostengono è il teismo, il Brahmanesimo; avrebbero potuto essere anche Testimoni di Geova o comunque vogliate chia­ mare l'approccio opposto al non teismo del buddhadharma. La folla si accalca attorno ai due pandit impegnati in un dibattito di logica. Un pandit teista e uno non teista disputano sulla natura della spiritualità. Entrambi viaggiano nella loro allucinazione spiri­ tuale (teisti o non teisti, tutti possiamo viaggiare nella nostra allu­ cinazione spirituale) . Entrambi espongono i propri argomenti, le convalide al proprio sentiero spirituale. La vittoria va ai teisti, che sconfiggono i buddhisti sul piano della logica. Padmasambhava viene pregato di compiere una cerimonia di distruzione, per an­ nientare i teisti e tutta la loro organizzazione. Padmasambhava

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causa una frana che uccide i cinquecento pandit e seppellisce l'ashram. Sotto questo aspetto, Padmasambhava è conosciuto come Senge Dradrok, il 'Ruggito del Leone'. n ruggito del leone mette in fuga la mentalità dualistica che vede il valore delle cose in relazione all'altra cosa: Brahma, Dio o comunque lo vogliate chiamare. L'ap­ proccio dualistico sostiene che, poiché 'quello' esiste, 'questo' è solido e reale. Per diventare Lui, o Lei, dobbiamo essere ricettivi a ciò che è più alto, alla cosa oggettiva. È un approccio sempre problematico. L'unico modo per distruggerlo, assieme a tutto il suo sistema, è evocare la pazza saggezza di Padmasambhava. Dal punto di vista della pazza saggezza, ' quello' non esiste in quanto neppure 'questo' , neppure il sé, esiste. Potremmo dire che la distruzione è una distruzione reciproca, i cui risultati vanno però a vantaggio della posizione non teistica. Esistendo Jehovah o Brahma, anche il loro percettore deve esistere per percepirne l'esi­ stenza. La pazza saggezza sostiene invece la non esistenza del per­ cettore; non esiste più o, se non altro, la sua esistenza è discutibile. Se 'questo' non esiste, anche 'quello' è fuori discussione. Un fan­ tasma immaginario. Perché una cosa immaginata esista, deve esi­ stere chi la immagina. Ecco come la distruzione del concetto di un sé centrale si accompagna alla non esistenza di ' quello '. Tale l'approccio di Padmasambhava in quanto Senge Dradrok, il Ruggito del Leone. n leone lancia il suo ruggito perché non ha paura di ' quello'; il leone è pronto a scagliarsi addosso e a sopraf­ fare chiunque perché, dal momento che non esiste, 'questo' non può più essere distrutto. In questo senso il ruggito del leone si collega allo sviluppo dell'orgoglio vajra. L' aspetto successivo è quello di Dorje Troia, che si manifestò con l' arrivo di Padmasambhava nel Tibet. I tibetani non pratica­ vano culti stranieri, non possedevano il mondo degli dèi induisti, e non conoscevano neppure la parola Brahma. Avevano lo yeshen, termine della tradizione Pon 1 che si avvicina al concetto di 'asso­ luto'. Ye significa 'primordiale' , e shen 'antenato' o 'grande ami­ co'. Arrivando in Tibet, il buddhadharma incontra una nuova ango­ lazione, un approccio nuovo. Sinora Padmasambhava ha avuto rapporti con induisti e seguaci del Brahmanesimo. In Tibet incontra una situazione radicalmente

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diversa. Il termine tibetano yeshen ha un significato analogo ad 'ancestrale' , 'antico' o anche 'celestiale'. È vicino al giapponese shin, 'cielo ', e al cinese ta, 'ciò che sta al di sopra' . I tre termini indicano qualcosa di più grande, che sta al di sopra. Designano una direzione ascendente, simboleggiata da draghi, temporali, nu­ vole, il sole e la luna, le stelle e tutto ciò che si può riferire al 'sopra', a un ordinamento cosmico più alto e più grande. Padmasambhava incontra grandi difficoltà. Non può ricorrere alla logica, perché la tradizione Pon ha sviluppato una saggezza molto, molto profonda. Se avesse dovuto affrontare il Pon con la logica, Padmasambhava non avrebbe potuto far altro che sostene­ re che la terra e il cielo costituiscono un'unità, che un cielo sentito in quei termini è irrealistico perché terra e cielo sono interdipen­ denti. Una logica traballante, perché tutti sanno che c'è la terra e c'è il cielo, ci sono le montagne e le stelle, i soli e le lune. Non si può contrastare quella concezione affermando che la terra non c'è, che non ci sono montagne né sole né luna né cielo e né stelle. La semplice filosofia Pon è molto solida, vicina alla sanità cosmica degli indiani d'America, dello Shintoismo e del Taoismo. È un approccio eccezionalmente sano, che però nasconde un problema. La sua visione è antropocentrica: il mondo è creato per gli uomini, gli animali servono agli uomini per cibarsi e vestirsi. La visione antropocentrica in realtà difetta di sanità fondamentale, è incapace di rispettare la continuità fondamentale della coscienza. Di conse­ guenza, la religione Pon prescrive sacrifici animali all o yeshen, al grande dio. Troviamo di nuovo affinità con gli indiani d'America e lo Shintoismo, dove l'uomo è il centro dell'universo. In questa visione, erba e alberi, gli animali selvaggi, il sole e la luna sono fatti a vantaggio dell'uomo. È una visione incentrata sull'esistenza umana, e qui sta il grande problema. Il Buddhismo non è una religione nazionale. Le religioni di stato tendono a essere teistiche. Il Cristianesimo, che ha ereditato la visione teistica dall'Ebraismo, lo stesso Ebraismo, lo Shintoismo, l'Induismo e molte altre religioni simili sono nazionali e teistiche. Ciascuna sviluppa un particolare senso del rapporto tra 'questo' e 'quello', tra terra e cielo. È molto difficile presentare un approccio non teistico in un paese primitivo in cui si è già diffusa una reli­ gione teistica, poiché la popolazione ha ormai formato un rappor-

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to con la propria sopravvivenza che risente del senso della terra relazionato allo splendore del cielo. Il senso dell'adorazione è già sviluppato. Trattando con le popolazioni primitive, gesuiti e altri missionari cristiani hanno adottato questo metodo: " Sì, è vero, il vostro dio esiste ma il nostro è più saggio, più potente, più efficace, eccetera eccetera" . Ma il Buddhismo si trova di fronte a un problema totalmente diverso. Non si tratta del vostro dio o del mio. Voi ne avete uno e io non ne ho nessuno, sono in uno stato di sospensio­ ne. Non ho nulla con cui sostituirlo. Dov'è allora la forza e la grandezza del mio approccio? Che non ho nulla da sostituirvi, salvo la pazza saggezza. La mente è potentissima. Tutti, animali compresi, abbiamo una mente. Ognuno ha una mente. E non importano più Egli o Essi, Essi o Egli, o comunque sia. Lo stato mentale è potentissimo. Se immagina di distruggere qualcosa, lo distrugge. Se immagina di crearlo, lo crea. Qualunque cosa vogliamo far accadere nel reame mentale, accade. Pensate a un nemico. Volete annientarlo, e sviluppate a tal fine tutte le possibili strategie, ne immaginate la distruzione in tutti i modi possibili. Ora pensate a un amico. Avete un'infinità di idee su come comunicare con lui, su come farlo sentire bene, più felice, più ricco. Ecco il motivo per cui abbiamo costruito case e strade, per cui abbiamo fabbricato letti e coperte. Ecco il motivo per cui cucinia­ mo il cibo ed elaboriamo una grande varietà di piatti. Per dimo­ strare a noi stessi che esistiamo. Questo è un approccio umanistico, non teistico: l'uomo esiste davvero, e così la sua intelligenza. L'approccio di Padmasambhava alla magia è di ordine non teistico. La folgore scoppia perché scoppia, senza ulteriori perché, senza ulteriori chi o che cosa. Accade. I fiori sbocciano perché sbocciano. È così. Non possiamo sostenere che non ci siano fiori, che non cada la neve. È così. Accade. La neve scende dall'alto, dal cielo . . . e allora? Cosa vogliamo inventare lassù? Tutto accade su questo piano, a livello terreno. Tutto avviene in modo diretto, molto pratico. Perciò inizia a svilupparsi la pazza saggezza di Dorje Trolo. È straordinariamente potente, potente al livello della più banale quotidianità, e per questo è così irritante. Anzi, proprio per questo è così potente. Infesta ogni luogo, c'è davvero.

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Dorje T rolo arriva in Tibet cavalcando una tigre gravida. La tigre è elettrica. È elettricità gravida. Addomesticata solo in parte, conserva il suo potenziale selvaggio. Dorje Trolo non conosce lo­ gica alcuna. Per quanto lo riguarda, l'unica logica convenzionale è mettersi in rapporto con il cielo e la terra. Poiché il cielo assume la sua forma specifica, ecco esistere l'orizzonte. C'è la vastità dello spazio, il cielo; e c'è la vastità della terra. Sono immensi, d'accor­ do. E con questo? Vogliamo farne una tragedia? Vorreste compe­ tere, e con chi? C'è questa vastità, ma perché non considerare anche le cose minime? Non sono forse ancora più minacciose? Un granello di sabbia è più pericoloso della vastità del cielo o del deserto: a causa della sua concentrazione, è estremamente esplosi­ vo. È uno scherzo cosmico gigantesco, mostruoso e molto potente. Più si accresceva la sua pazza saggezza, più Dorje Trolo svilup­ pava una forma di comunicazione con le generazioni future. A proposito dei suoi molti scritti, rifletté: " Forse, in questo momen­ to, queste parole non sono importanti, ma le scriverò ugualmente e le seppellirò tra le montagne del Tibet". E così fece. Pensò ancora: " In futuro, qualcuno le scoprirà e le troverà stupefacenti. Gli auguro di divertirsi " . È uno stile assolutamente unico. Gli odierni guru pensano solo a breve termine, nan cercano di espan­ dere i loro effetti nel futuro. Invece, Dorje Trolo pensò: "Se lascio dietro di me un esempio del mio insegnamento, anche le genera­ zioni future potranno conoscermi direttamente; il solo udire le mie parole sarà come una bomba. atomica spirituale" . Era un'idea mai prima udita, estremamente potente. La forza spirituale di Padmasambhava, espressa nella sua mani­ festazione come Dorje Trolo, è una comunicazione diretta che non richiede altre domande. Accade e basta. Non c'è spazio per le interpretazioni, per costruirvi sopra. È pura energia spirituale in atto, pura dinamite. Un errore, e saltate in aria. Se riuscite a vederla, ci siete. È inesorabile ma al tempo stesso compassionevo­ le, perché racchiude in sé tutta questa energia. L'orgoglio di essere nello stato di pazza saggezza è enorme, ma ha in sé una qualità amorevole. Riuscite a immaginare di venire colpiti da amore e odio nello stesso tempo? Nella pazza saggezza, siamo colpiti contemporanea­ mente da compassione e saggezza, senza possibilità di analizzarle.

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La pazza saggezza

Non c'è tempo per riflettere, non c'è tempo per elaborare le cose. È lì ma, nello stesso tempo, non è lì. E, sempre nello stesso tempo, è uho scherzo colossale. *

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Studente La pazza saggezza richiede di accrescere la propna energia? Trungpa Rimpoche Direi di no, perché l'energia si produce as­ sieme alla situazione. Per fare un esempio: l'energia è l'autostrada, non il fatto che guidi a tutta velocità. L' autostrada consente la tua velocità. L'energia non creata è già presente. S. N on temi per la macchina? T. R. No. Studente L'insegnamento della pazza saggezza è stato sviluppato da altri lignaggi, oltre che dai Nyingma? Trungpa Rimpoche Credo di no. C'è il lignaggio della mahamudra, che si basa sulla precisione e l'accuratezza. Ma il lignaggio della pazza saggezza, che ho ricevuto dal mio guru, è probabilmente molto più potente. In un certo senso, è illogico. Alcuni potrebbero avvertire come una minaccia il non sapere come entrarvi in rap­ porto. Penso sia collegato solo alla tradizione Nyingma e al lignaggio maha ati. Studente Che nome ha l'aspetto di Padmasambhava precedente a Dorje Trolo? Trungpa Rimpoche Nyima Oser, il 'Detentore del Sole' . S. Durante il rapporto con Mandarava? T. R. No. In quel periodo prende il nome di Loden Choksi, e l'iconografia lo raffigura con un turbante bianco. Studente Ci sono regole o precetti connessi con la pazza sag­ gezza? Trungpa Rimpoche Nessuno, al di fuori di se stessa. Solo la pazza saggezza. S. Neppure indicazioni? T. R. Non esiste un manuale di pazza saggezza. Leggere non guasta ma, a meno che non abbiate un'esperienza diretta di pazza saggezza venendo in contatto con il suo lignaggio (con una perso­ na saggia e pazza allo stesso tempo) , non ricaverete gran che dai libri. In realtà moltissimo dipende dalla trasmissione, dal fatto che

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qualcuno ha avuto in eredità qualcosa. Senza di ciò, tutta la fac­ cenda resta un mito. Ma incontrare qualcuno che possiede real­ mente alcuni elementi di pazza saggezza vi rassicurerà, cosa che a questo punto è assai utile. Studente Oltre al lignaggio, ci sono altre bombe a orologeria spirituali lasciate in eredità da Padmasambhava come insegnamen­ to valido oggigiorno? Trungpa Rimpoche Potremmo dire che una è questo seminario. Se non avessimo interesse per Padmasambhava, non saremmo qui. Ci ha lasciato la sua eredità, la sua figura, ed ecco perché siamo qui. Studente Hai accennato alle difficoltà incontrate da Padmasam­ bhava nel portare il dharma ai tibetani, soprattutto per il fatto che la mentalità tibetana era teistica mentre il Buddhismo è non teistico. Quali sono le difficoltà del portare il dharma agli americani? Trungpa Rimpoche Le stesse. Gli americani adorano ancora il sole, gli dèi dell'acqua e gli dèi delle montagne. È una visione molto primordiale, e alcuni americani stanno riscoprendo la loro eredità. Molti vogliono seguire l'allucinazione degli indiani d' Ame­ rica, che è splendida ma di cui abbiamo una conoscenza imperfet­ ta. Gli americani si considerano sofisticati e scientifici, esperti in tutto. In realtà, siamo ancora al livello delle scimmie. L'approccio di Padmasambhava alla pazza saggezza rappresenta uno sviluppo: possiamo diventare scimmie trascendenti. Studente Puoi dire qualcosa di più sull'orgoglio vajra? Trungpa Rimpoche L'orgoglio vajra è il riconoscimento della sanità fondamentale del nostro essere, così che non dobbiamo più cercare di dimostrarla con la logica. Non abbiamo bisogno di dimostrare che .qualcosa c'è o non c'è. L'insoddisfazione di fondo che ci spinge a cercare una conoscenza spirituale è un'espressione dell'orgoglio vajra: non siamo disposti a sottometterei alla repres­ sione della confusione, vogliamo correre il rischio. Ecco la prima espressione istintiva dell'orgoglio vajra, e di lì possiamo andare avanti ! Studente Trovo contraddittori due aspetti di Padmasambhava. Prima consente alla confusione del re di manifestarsi e di rivolger­ si contro se stessa, ma non agisce nello stesso modo con i cinque­ cento pandit (se vogliamo chiamare confusione il dualismo). Li seppellisce sotto una frana. Puoi spiegarlo?

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Trungpa Rimpoche I pandit erano sempliciotti, non avevano al­ cun contatto con gli aspetti banali e quotidiani della vita. Prospe­ ravano sull'immagine che proiettavano di se stessi. Quindi, insegna la storia, l'unico modo per entrare in rapporto con loro era di sconvolgerli scatenandogli addosso una frana per provocare uno shock, una scossa. Qualunque altra cosa l'avrebbero interpretata a modo loro. Al posto del re, i pandit avrebbero rivelato una men­ talità più incallita, meno illuminata. Arroccati nel proprio dogmatismo, non erano disposti a mettersi in rapporto con altro. In più, dovevano arrivare a capire la non esistenza di se stessi e di Brahma. Per questo subirono una catastrofe non imputabile a Brahma ma a loro stessi, ritrovandosi così in una situazione non teistica: essi stessi erano tutto l'esistente, senza possibilità alcuna di gettare la colpa su Dio, Brahma o chiunque altro.

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Mi auguro che abbiate avuto almeno un primo barlume di ciò che rappresentano Padmasambhava e i suoi aspetti. Tradizional­ mente, la vita di Padmasambhava ha tre interpretazioni: l'interpre­ tazione esterna, pratica; l'elaborazione interna, psicologica; e una lettura più alta, segreta, cioè la pazza saggezza. Ci siamo soprattut­ to soffermati su quest'ultima, con qualche aggancio alle altre due. A conclusione, è utile vedere come possiamo entrare in rappor­ to con Padmasambhava. Lo stiamo considerando come principio cosmico, più che come un santo indiano storicamente vissuto. Il principio che incarna si manifesta in molti modi: come Shakya Senge, come lo yogi Nyima Oser, il principe Pema Gyalpo, lo yogi folle Dorje Trolo e altri ancora. Il principio-Padmasambhava rac­ chiude tutti gli elementi del mondo illuminato. Tra i miei studenti si è sviluppato un approccio particolare ai suoi insegnamenti. Per prima cosa, adottiamo un atteggiamento di sfiducia: sfiducia verso noi stessi, gli insegnamenti e l'insegnante; sfiducia nei confronti dell'intera situazione. Vogliamo prendere tutto con riserva, esaminare e verificare ogni cosa a fondo, per accertarci che sia oro puro. Questo approccio ci ha condotto a sviluppare un senso di sincerità attraverso il riconoscimento delle nostre mistificazioni, che giocano un ruolo determinante. Non possiamo infatti fondare la spiritualità senza aprirci un varco nel materialismo spirituale. Dopo aver preparato il terreno con lo strumento della sfiducia, viene per così dire il momento di cambiare marcia e approdare all'atteggiamento opposto. Coltivato con accuratezza il cinismo vajra e la natura vajra, possiamo incominciare a capire cos'è la spiritua-

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lità. Scopriamo che la spiritualità è assolutamente ordinaria. Co­ munissima ordinarietà. Possiamo parlarne in termini straordinari, ma di fatto è la cosa più ordinaria. Per entrarvi in rapporto dobbiamo cambiare i nostri schemi e, come passo successivo, coltivare la devozione e la fede. È impos­ sibile metterei in contatto con il principio-Padmasambhava senza un certo calore. Se trapassiamo con sincerità le mistificazioni, ini­ zia a svilupparsi una situazione positiva. Sviluppiamo una com­ prensione positiva di noi stessi, degli insegnamenti e dell'insegnan­ te. Per lavorare con la grazia (adhishthana) di Padmasambhava, con il principio cosmico della sanità fondamentale, dobbiamo svi­ luppare un atteggiamento romantico, che riveste la stessa impor­ tanza del cinismo adottato sinora. Due sono le modalità dell'approccio romantico o di devozione (bhakti) . La prima si innesta su un senso di povertà: gli altri ce l'hanno, e noi no; ammiriamo la ricchezza di 'quello ', della meta, del guru, degli insegnamenti. La povertà ci fa sentire tutto ciò splendido, perché possiede ciò che noi non possediamo. È un atteggiamento materialistico, appartenente al materialismo spiri­ tuale e fondato in primo luogo sulla mancanza di sanità, di fiducia in sé e di ricchezza. La seconda modalità dell'approccio romantico si innesta sul senso di possederlo già: è già qui. Non lo ammiriamo come appartenente ad altri, lontano ed estraneo a noi, ma perché è qui, nel nostro cuore. È il senso del riconoscimento di ciò che siamo. Abbiamo tutto quello che ha il maestro, siamo già sul sentiero del dharma e non dobbiamo cercarlo all' esterno. È un approccio sano, fonda­ mentalmente ricco, privo di qualunque senso di povertà. È una forma di romanticismo utilissima, l'atteggiamento più effi­ cace. Distrugge il cinismo, che esiste solo a suo vantaggio, per auto­ proteggersi. Spezza il gioco egoico del cinismo e nutre un orgoglio sempre più grande: l'orgoglio vajra. C'è un senso di bellezza, di amore e di luce. Senza di ciò, il rapporto con il principio-Padmasam­ bhava è unicamente una verifica di quanto riusciamo ad approfondire la nostra esperienza psicologica. Rimane un mito, qualcosa che non ci appartiene, che suona interessante ma non sarà mai personale. Devozione e compassione sono il solo modo per metterei in rappor­ to con la grazia, l' adhishthana, la benedizione di Padmasambhava.

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Molti trovano la prima fase adottata sinora, cm1ca e scettica, fredda in modo irritante. Succede soprattutto a quanti si accosta­ no per la prima volta alla nostra visione. Non si sentono accolti, si sentono esaminati e guardati dall'alto in basso. Forse è il vo­ stro modo più sincero di rapportarvi all" altro ', che siete sempre voi. Ma a un certo punto, oltre alla freddezza, occorre sviluppare il calore. Non si tratta di cambiare temperatura (il freddo intenso è calore) , si tratta di fare una svolta. La svolta è soltanto nella mente logica e concettuale, in realtà non esiste alcuna svolta. Ma siamo costretti a definirla in qualche modo a parole. Ciò di cui stiamo parlando è caldo, potente e magnetico in modo irri­ tante. Il nostro seminario su Padmasambhava è una sorta di pietra miliare nel viaggio che stiamo facendo assieme. Rappresenta il momento di passare, per chiamarlo così, all'approccio di devozio­ ne: una devozione sana, non materialista. Questo seminario è stato casuale, anche se ha richiesto una complessa organizzazione e la soluzione di molti problemi. Ma si è prodotto casualmente. È un'opportunità preziosa poter parlare di un argomento come la vita di Padmasambhava. L'occasione di presentare un tema del genere è rara, straordinaria e preziosa. Ma una situazione così rara e preziosa si ripete continuamente, la nostra vita come parte dell'insegnamento è estremamente preziosa. Ognuno di noi è capitato qui per caso, e un caso non si ripresenta. Eccone la preziosità. Ecco perché il dharma è tanto prezioso. Tutto diventa prezioso, la vita umana diventa preziosa. La preziosità della vita umana è questa: tutti abbiamo una men­ te, percezioni sensoriali, materiali a cui lavorare. Ciascuno ha avu­ to i suoi problemi: depressioni, momenti di squilibrio, lotte. Tutto ha la sua ragion d'essere. Il viaggio continua e continuano gli incidenti: ecco perché siamo qui. Questo è il romanticismo, il calore di cui parlo. Avvicinarsi in questo modo all 'insegnamento è fruttuoso. Se non facciamo così, non potremo entrare in rapporto con il principio-Padmasambhava. '"k

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Studente Puoi raccontare come sei entrato in contatto con la pazza saggezza del tuo guru, J amgi:in Kongtriil di Sechen, se la

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possedeva, e come hai unificato i due approcci della povertà e della ricchezza mentre studiavi con lui? Trungpa Rimpoche Ho fatto il lavoro che fanno tutti. All'inizio ero affascinato e colmo di ammirazione, partivo dalla prospettiva della povertà. Era anche molto eccitante; essere in compagnia di J amgon Kongtriil Rimpoche invece di stare a sedere � mandare a memoria i testi costituiva una piacevole interruzione. Era sempre divertente osservarlo, e vivere vicino a lui era straordinario. Ero ancora mosso dalla mentalità povera, dal fascino per ciò che non avevo. Tutto ciò che avevo erano i libri di studio e il mio insegnante che mi disciplinava. Inoltre Jamgon Kongtriil, con la sua eccezionale comprensione e l'energia spirituale, mi veniva pre­ sentato come ciò che sarei dovuto diventare crescendo. Mi venne ripetuto innumerevoli volte, nello stile della povertà e del materia­ lismo. I monaci del monastero si occupavano di me, certo, ma erano anche interessati alle pubbliche relazioni: fama, gloria, illu­ mmazlOne. Avvicinandomi sempre più a Jamgon Kongtriil, smisi a poco a poco di accumulare per arricchirmi. Iniziai a godermi la sua pre­ senza, la possibilità di stargli vicino. Allora sentii il suo calore e la sua ricchezza, e potei parteciparvi. Questo è stato il lento passag­ gio dall'iniziale approccio materialista all'approccio sano della de­ vozlOne. J amgon Kongtriil possedeva tutte le qualità di Padmasambhava. A volte sembrava un bambino cresciuto: l'aspetto del giovane prin­ cipe. A volte era gentile e amorevole, altre volte prendeva un'aria cupa che vi faceva supporre che ci fosse qualcosa che non andava e vi gettava in paranoia completa. Mi sentivo a disagio, indifeso; era una situazione molto imbarazzante, ma non sapevo che fare. Studente La fase cinica che abbiamo attraversato è dovuta al fatto che siamo americani? Ha a che vedere con la cultura ameri­ cana o è legata a un aspetto dell'insegnamento indipendente dal contesto culturale? Trungpa Rimpoche Credo a entrambe le cose. In parte è dovuta alla cultura americana, e mi riferisco soprattutto al supermercato spirituale che si è prodotto in questo periodo di trasformazioni sociali. Dobbiamo avere l'astuzia di sconfiggere la mentalità da supermercato, invece di esserne risucchiati.

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Dall'altro lato, è una modalità tipicamente buddhista. Potete immaginarla all'università di Nalanda, dove Naropa e gli altri pandit sezionavano tutto con le loro menti superlogiche. Decisamente terribile. Ma è una modalità connessa con il concetto buddhista per cui l'insegnamento prende le mosse dal dolore e dalla soffe­ renza. È la Prima Nobile Verità, un modo molto realistico di vedere le cose. Ma non basta essere ingenui e malleabili, ci vuole un po' di forza, di cinismo. Così, quando udrete parlare del sen­ tiero, la Quarta Nobile Verità, vi accorgerete di rispondere in modo positivo, dell'emergere del lato devozionale. Si tratta quindi di una combinazione di fattori intrinseci e cul­ turali. È il modo per incominciare, e incomincia così. Studente Hai usato la parola caso. Secondo te, comprende la volontà? Trungpa Rimpoche È tutte e due le cose. La volontà è la causa del caso, senza volontà il caso non si presenta. Studente Si è parlato del modo di Padmasambhava di entrare in rapporto con le persone confuse. Ritieni corretto riportare il suo atteggiamento a noi stessi, ad esempio lasciando venir fuori le nevrosi e tutto il resto? Trungpa Rimpoche Questo è precisamente il punto. In noi è presente un aspetto-Padmasambhava: la predisposizione a non accettare la confusione e la volontà di penetrarla. Abbiamo in noi qualcosa che ci dice che non siamo in potere della confusione: un aspetto rivoluzionario. Studente In questo momento del nostro studio, dobbiamo cer­ care di evitare il cinismo? Trungpa Rimpoche Credo che il cinismo rimanga tale, diventan­ do così un fattore molto importante. Non puoi cambiarlo come cambi canale alla TV. Deve continuare, e deve esserci. Ad esempio: quando incontri insegnamenti nuovi più avanzati, devi verificarli come hai fatto finora. Così otterrai più informazioni e la tua fidu­ cia sarà più fondata. Studente L'insegnamento di Padmasambhava è ancora attuale? I cambiamenti storici e culturali non esigono che anche l'insegna­ mento cambi? Trungpa Rimpoche È sempre attuale, perché si occupa del rap­ porto con la confusione. La nostra confusione è sempre attuale,

La pazza saggezza secondo seminario Karme-Choling, 1972

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Padmasambhava e l'energia del Tantra Nel corso di questo seminario studieremo il grande santo buddhista tibetano Padmasambhava. Padmasambhava fu il grande yogi e vidyadhara indiano che portò in Tibet il buddhadharma, compreso il Vajrayana o tantra. Date e notizie storiche sono incer­ te. Secondo la tradizione, nacque dodici anni dopo la morte del Buddha e visse ininterrottamente fino all 'viii secolo, quando si recò in Tibet per diffondervi il buddhadharma. li nostro sarà un approccio assolutamente non accademico, che non terrà in consi­ derazione cose come la cronologia. Sfortunatamente per quanti tra voi sono interessati alle date e ai fatti storici, non potrò fornire dati precisi. Ciò che conta è la vitalità dell'ispirazione che ricavia­ mo da Padmasambhava, qualunque sia la sua collocazione storica. Invece di esaminarne la vita e le gesta in un contesto storico, esamineremo il senso del 'padmasambhavismo', se vogliamo chia­ marlo così: i caratteri peculiari alla sua figura in relazione all'alba degli insegnamenti vajrayana in Tibet. Potremmo definirlo il prin­ cipio-Padmasambhava. Il principio-Padmasambhava aprì la mente di milioni di tibetani, così come continua ad aprire la mente degli americani e del mondo intero. In Tibet, Padmasambhava svolse la funzione di esporre gli inse­ gnamenti del Buddha rapportandosi alla cultura barbarica locale. I tibetani dell'epoca credevano nel sé e in un'autorità più alta ed esterna al sé, nota come Dio. La sua funzione consistette nel di­ struggere tali credenze. Il suo approccio fu il seguente: se non c'è la credenza nel sé, non c'è neppure la credenza in Dio. Un ap­ proccio assolutamente non teistico, temo, con cui doveva distrug-

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gere i castelli di sabbia immaginari che noi stessi costruiamo. li suo significato è dunque collegato alla distruzione di quelle cre­ denze illusorie. Il suo arrivo in Tibet provoca il crollo degli schemi spirituali teistici e illusori predominanti in quella terra. Padmasam­ bhava vi introduce il Buddhismo e scopre che, oltre a dover di­ struggere le credenze primitive degli abitanti, deve al tempo stesso elevarne le coscienze. Nel nostro studio del principio-Padmasam­ bhava affronteremo l'identico problema: distruggere ciò che va distrutto e coltivare ciò che va coltivato. In primo luogo dobbiamo eliminare le false nozioni di santità, spiritualità, bontà, paradisi, divinità e così via. Ciò che le rende false è la credenza in un sé, nell'io, che mi induce a credere che io sto praticando la bontà. In questo modo la bontà si separa da me, viene supposta una forma di relazione in cui la bontà dipende da me e io dipendo dalla bontà. Quindi [poiché nessuno dei due termini è dotato di esistenza propria] , non resta nulla su cui basar­ si. L'approccio egoico trae conclusioni basate su fattori 'altri', che ne comprovano la validità. Da questo punto di vista, non facciamo che costruire castelli di sabbia, costruire castelli su un blocco di ghiaccio. Secondo il Buddhismo l'io, o sé, non esiste. Non poggia su alcun fattore reale. Si fonda invece sulla credenza, la supposizione secondo la quale, poiché mi definisco in base a certi fattori, io esisto. Non sapendo come definirmi, ignorando il mio nome, viene meno il piedestallo su cui fondare tutta la costruzione. Siamo di fronte a una credenza primitiva che funziona così: la supposizione dell'esistenza dell'altro, di 'quello', ci convince dell'esistenza di ' questo', del sé. Se 'quello' esiste, anche 'questo' deve esistere. Credo in 'quello' perché ho bisogno di un punto di riferimento che confermi la mia propria esistenza, 'questo'. Nell'approccio tantrico, o vajrayana, introdotto da Padmasam­ bhava in Tibet, la mia esistenza in relazione all'esistere altrui si fonda su una forma di energia, su un senso di comprensione che potrebbe essere ugualmente un senso di incomprensione. Quando ci domandiamo: " Chi sei, che cosa sei? " , e ci rispon­ diamo: "lo sono questo e quello", l'affermazione, la conferma vie­ ne da ciò che introduciamo nello spazio della domanda. Una do­ manda è come un contenitore in cui immettiamo qualcosa per

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renderlo funzionale. Tra la formulazione della domanda e la rispo­ sta intercorre una produzione di energia, un processo energetico contemporaneo. L'energia che si sviluppa dal processo di doman­ da-e-risposta è collegata o all'assoluta verità o all'assoluta falsità. Stranamente, questi due termini non si contraddicono. Totale ve­ rità e totale falsità sono, in certo qual modo, una stessa cosa. Sono contemporaneamente significative. La verità è falsa, la falsità è vera. Questa forma di energia, costantemente in atto, è il tantra. Poiché in essa non si tratta di stabilire mediante la logica il vero e il falso, lo stato mentale che vi si accompagna è chiamato pazza saggezza. Sto cercando di dire che la mente è costantemente bloccata in un rapporto di 'sì o no' con le cose. n sì ne asserisce l'esistenza, mentre il no la confuta. La mente oscilla senza tregua in questo schema bipolare. L'affermazione si basa sull'identico sistema di punti di riferimento su cui poggia la negazione. n fatto che il sistema di punti di riferimento mentali sia sempre in atto, significa che è sempre in atto una forma di energia. Rispet­ to al nostro rapporto con il principio-Padmasambhava, significa che non abbiamo necessità di negare nessuna nostra esperienza. Non dobbiamo negare il nostro materialismo, né le esperienze di materialismo spirituale. Non dobbiamo sconfessarle perché negati­ ve, né affermarle perché positive. Possiamo invece metterei in rap­ porto con la nascita simultanea delle cose così come sono.2 Sembra avere un senso perché siamo sempre impegnati a com­ battere su quel campo di battaglia. Ce ne contendiamo il possesso, stiamo tra gli assalitori o i difensori, ma nessuno si dà mai pensie­ ro di verificare se il campo di battaglia esiste davvero. Affermiamo che esiste davvero. Le nostre affermazioni o negazioni riguardo al fatto che appartenga a n.oi o ad altri, non fanno differenza. Anzi, l?roprio affermando o negando scendiamo sul campo di battaglia. E il luogo in cui si producono, simultaneamente, nascita e morte. Questo, visto in relazione al principio-Padmasambhava, ci dà un senso di concretezza. Mi riferisco a una forma particolare di energia che consente la trasmissione di insegnamenti a partire dal principio-Padmasam­ bhava. n principio-Padmasambhava non appartiene al mondo di malvagità-bontà, del sì-no. Accoglie la totalità delle situazioni della

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vita. Proprio perché questa energia è presente nelle situazioni della vita umana, il principio- Padmasambhava poté introdurre il buddhadharma in Tibet. Le credenze teistiche dei tibetani (la cre­ denza nel sé e in Dio in quanto entità separate, il concetto del­ l' ascesa a livelli sempre più alti) dovevano venire distrutte. Erano credenze primitive che bisognava distruggere: esattamente ciò che stiamo facendo qui. Distruggere la mentalità primitiva che separa me dal mio oggetto di venerazione. Se prima non vengono annul­ late le nozioni dualistiche, il tantra non può avviarsi. La nascita del tantra deriva dalla non esistenza delle credenze in ' questo' e 'quello '. All'arrivo di Padmasambhava, i tibetani erano un popolo di solida impostazione. Non avevano fiducia nei sistemi filosofici né nei raggiri dei pandit. L'acume dei pandit non costituiva per loro una credenziale. La cultura Pon era solida, chiara e sana. I tibetani non erano interessati alle dimostrazioni filosofiche di Padmasam­ bhava su argomenti quali la transitorietà dell'io. Non le avrebbero capite, avrebbero considerato le argomentazioni logiche come una serie di indovinelli, in questo caso indovinelli buddhisti. I tibetani non dubitavano della realtà della vita, della mia realtà e di quella delle mie attività quotidiane: lavorare la terra e all evare animali. La coltivazione dei campi e la produzione del latte sono reali, e le mie attività in quell'ambito sono azioni sacre, le mie sadhana. Secondo la concezione Pon, queste cose esistono perché devo sfamare i miei figli, mungere gli yak, tagliare le messi, fare burro e formaggi. Credo in queste semplici verità. La tradizione Pon è ben radicata: crede nella sacralità del nutrire la vita, del ricavare il nutrimento dalla terra per i miei figli. Queste semplici cose sono molto reali. Secondo il Pon questa è religione, questa è la verità. È una semplicità simile a quella che troviamo negli indiani d'Ame­ rica. Uccidere un bisonte è un atto creativo, perché dà da mangia­ re a chi ha fame; inoltre controlla la popolazione del branco e diventa un fattore di equilibrio. È un approccio ecologico. Gli approcci ecologici di questo tipo sono sani e fondati. Alcuni americani sostengono la mentalità ecologica e altri no, e questo potrebbe far dubitare della maturità del paese a ricevere la saggez­ za di Padmasambhava. Alcuni si schierano dalla parte dell'ecologia

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in modo addirittura dogmatico, altri non ne sanno nulla. Perciò nascono dei dubbi su quale approccio applicare anche se, in com­ plesso, c'è una certa continuità in quel che sta accadendo. Questa cultura presenta un unico approccio basilare: la credenza che tutto esiste per il nostro utile. Ad esempio si assegna grande importanza al corpo, ritenuto il sostegno della mente. La mente nutre il corpo, e il corpo nutre la mente. Vogliamo che questo scambio proceda nel modo più salu­ tare, a nostro vantaggio, e siamo giunti alla conclusione che il modo migliore per riuscire nel nostro fantastico programma salutista sia incominciare dalle cose più facili: dalla nutrizione. Poi aspettia­ mo di vedere che effetti produce sulla mente·. Meno siamo affama­ ti, più saremo psicologicamente soddisfatti e quindi più in grado di immergerci nelle psicologie del profondo o in altre filosofie. Questo approccio è identico a quello della tradizione Pon: uc­ cidiamo uno yak, e staremo spiritualmente meglio. Il corpo ci guadagna in salute, e la mente sarà più elevata. Gli indiani d'Ame­ rica direbbero: uccidiamo un bisonte. Il ragionamento è lo stesso, molto sensato: non possiamo tacciarlo di stupidità. È sano, realistico, ragionevole e logico. Esiste uno schema da seguire e, mettendolo in pratica nel modo corretto, lo schema produrrà i suoi benefici effetti. Anche in questo paese è presente questo approccio. Moltissimi hanno il culto dell'americano rosso contrapposto all'americano bian­ co. n culto dell'americano rosso significa terra, tepee, figli, nipoti e pronipoti. Significa forza e dignità. Significa non temere il peri­ colo, sviluppare un carattere guerriero. �ducare i bambini nel ri­ spetto della nazione e diventare, così, un membro rispettato della comunità. Ritroviamo identiche forme culturali presso i celti, gli scandina­ vi pre-cristiani, i greci e i romani. Tutte le antiche civiltà fondate sul culto della fertilità, su religioni ecologiche pre-cristiane o pre­ buddhiste, presentano la stessa mentalità. Ebrei, celti, indiani d'America e altri. Il culto della fertilità e il rapporto religioso con la terra sono ancora vitali, molto forti e belli. Li apprezzo profon­ damente e ne sono diventato io stesso un seguace. Sono tibetano, quindi credo nel Pon. La mia forte adesione a questa mentalità mi spinge a supporre

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che ci sia qualcosa oltre alla fertilità, oltre alla mentalità stretta­ mente vincolata al corpo che ritiene il corpo responsabile della psicologia dell'illuminazione. Mi induce a prendere in esame tutto il problema. Se succede anche a voi, non significa che siate obbli­ gati a rinunciare al vostro sistema di credenze. Se sostenete la cultura dell'americano rosso, non siete obbligati a passare dalla parte dell'americano bianco. Il punto è: come si pone la vostra filosofia rispetto al lato psicologico della vita? Cosa intendiamo realmente per 'corpo'? Cosa intendiamo per 'mente'? Che cosa sono il corpo e la mente? Il corpo è ciò che va nutrito; la mente è ciò che controlla che il corpo riceva il nutrimento adeguato. La necessità di nutrimento è dunque un altro fattore della struttura dell'aggregato mentale. Il problema non sta nella necessità di una giusta nutrizione o in un programma salutista; sta nel postulare la separazione tra 'me' e 'quello'. Sono separato dal mio cibo e il mio cibo non è me; devo quindi assimilare quel particolare nutrimento perché diventi parte di me. Il Pon conosce un approccio di tipo mistico al superamento del senso di separazione, basato sul principio dell' advaita, il non due. Ma anche così non si risolve il problema finché non diventiamo la terra stessa o il creatore del mondo. Alcune cerimonie Pon rispec­ chiano uno schema di credenze molto primitivo per quanto con­ cerne il superamento del senso di separatezza. L'idea di base è questa: create un oggetto di venerazione e mangiatelo. Masticatelo, inghiottitelo. Una volta digeritolo, eccoci diventati advaita, non due. Ricorda molto l'eucarestia cristiana. C'è separazione tra voi e Dio, tra voi e il Figlio o lo Spirito Santo. Siete entità separate. Finché non vi unite alla carne e al sangue di Cristo, simboleggiati da sostanze che vengono permeate dallo Spirito Santo, non potete entrare in comunione totale. Solo mangiando il pane e bevendo il vino raggiungete l'unione. Il fatto che sia necessaria questa azione per diventare uno, dimostra che è sempre presente un senso di separazione. L'atto di mangiare e bere annulla la separazione, che però di fondo rimane. Defecando e urinando ciò che avete assimi­ lato, si riproduce la separazione. C'è evidentemente qualcosa che non va. Il senso di diventare uno non può basarsi su un atto fisico, in

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questo caso prendere parte a una cerimonia. Per diventare uno con la realtà devo abbandonare la speranza di diventare uno con la realtà. In altri termini, lascio andare le mie speranze rispetto all'esistenza di 'questo' e di ' quello' . Non sono in grado di risol­ vere il problema, e lascio andare la speranza di riuscirei, non me ne preoccupo più. Questa non speranza è il punto di partenza del processo di realizzazione. Oggi, in volo da Denver a Boston, abbiamo assistito a uno spettacolo affascinante; se volete, una visione. Dal finestrino del­ l' aereo si vedeva un anello di luce riflesso contro le nuvole, un arcobaleno che si muoveva con noi. Lontano, nel centro dell'arco­ baleno, un'ombra della forma di una nocciolina. Quando iniziam­ mo la discesa e fummo più vicini allo strato di nuvole, ci rendem­ mo conto che la nocciolina era l'ombra dell'aereo circondato dal­ l' arcobaleno. Era splendido, un vero miracolo. Più scendevamo incontro alle nuvole, più l'ombra si ingrandiva. Incominciammo a distinguere la forma dell'aereo: la coda, il muso, le ali. Atterrando, l'ombra e l' arcobaleno svanirono. Fu la fine della visione. Mi ricordai di quando guardavamo la luna nelle notti di foschia e ci appariva circondata da un arcobaleno. A un certo punto, capite che non siete voi a guardare la luna ma è la luna che guarda voi. Ciò che vedevamo riflesso contro le nuvole era la nostra ombra. È inquietante. Chi guarda chi? Chi prende in giro chi? La pazza saggezza abbandona la speranza, la speranza di capire. Svanisce la speranza di scoprire chi ha fatto che cosa, o che cosa ha fatto cosa, o perché una cosa è andata così. Lasciate andare l'ambizione di ricomporre il puzzle. Lasciatelo perdere, scaraven­ tatelo in aria, gettatelo nel caminetto. Se non abbandoniamo que­ sta speranza, questa cosa tanto cara, non c'è modo di uscirne. È come voler scoprire chi controlla il corpo e la mente, chi ha il rapporto più stretto con Dio o, come direbbero i buddhisti, con la verità. I buddhisti, che non credono in Dio, affermano che il Buddha possedeva la verità, poiché non credeva in Dio. Al contra­ rio, cristiani e altri teisti sostengono che la verità esiste perché esiste il suo creatore. Combattere queste due polarità è futile, una situazione disperata. Non capiamo, e non siamo in grado di capire niente. Cercare di capire qualcosa, di scoprire qualcosa è una situazione disperata perché, alla fine, non ci aspetta nessuna sco-

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perta, a parte quelle che fabbrichiamo noi stessi. A lungo andare, fabbricare scoperte non appaga. Anche se ce ne nutriamo, sappia­ mo che ci stiamo ingannando. Sappiamo che è scattato qualche gioco segreto tra 'me' e 'quello '. Il processo introduttivo all a pazza saggezza di Padmasambhava è lasciar andare la speranza, !asciarla andare completamente. Nes­ suno vi darà conforto, nessuno vi darà aiuto. E pensare di poter individuare la radice della pazza saggezza e una sua logica è total­ mente senza speranza. Non ci sono basi, e quindi non c'è speran­ za. E neppure c'è paura, ma è ancora presto per parlarne. '"

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Studente Questa non speranza è la stessa non speranza di cui hai parlato in rapporto alla shunyata? Trungpa Rimpoche Preferirei non metterla in rapporto neppure con la shunyata. È una non speranza che non fornisce in cambio nessuna sicurezza, neppure quella rappresentata dalla shunyata. Studente Non capisco come possa non esservi paura; anzi, mi sembra che ce ne sia molta. Trungpa Rimpoche Se non hai speranze, come puoi aver paura? Non cerchi niente, quindi non hai niente da perdere. S. Se non hai niente da perdere e niente da guadagnare, perché continuare a studiare? Perché non startene semplicemente seduto con una bottiglia di birra? T. R. Perché sarebbe un atto di speranza e di paura. Se ti siedi con la tua birra, ti rilassi e ti dici: "Bene, adesso tutto è a posto. Non ho niente da perdere, niente da guadagnare" , in sé è un gesto pieno di speranza e di paura. [In realtà stai cercando ancora un modo per uscirne] , ma non hai via d'uscita. In questo modo, la non speranza e la non paura, invece di essere liberanti, possono imprigionare ancora di più. Se sei già intrappolato nella spiritualità, ti sei creato la tua all ucinazione spirituale e ci rimani invischiato. Questo è l'altro aspetto. S. È una specie di accettazione? T. R. L'accettazione sa di filosofico. Questo invece è più dispe­ rato che accettante. S. Rinunciare? T. R. Rinunciare è disperato. Rinunci se se1 stato costretto ad

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abbandonare la speranza, non sei stato tu a chiedere di abbando­ narla. Studente Dato che non c'è via d'uscita, sembrerebbe che la strada sia scendere sul tuo campo di battaglia del sì e del no. Trungpa Rimpoche Non mi sembra la strada, perché racchiude sempre una speranza. S. Ma non c'è un altro campo di battaglia in cui agire . . . T. R. Appunto, è proprio una situazione senza speranza. Studente A una domanda precedente hai risposto che la shunyata può fornire una certa sicurezza. Trungpa Rimpoche Dipende da come ti poni. [Se la vediamo come una risposta, allora la shunyata ci darà una certa sicurezza] Finché non capiremo il senso della non speranza, signore e signo­ ri, non capiremo niente della pazza saggezza. S. Bisogna semplicemente abbandonare la speranza? T. R. La speranza e la paura. Studente E cosa fai? Non puoi startene seduto a non fare nien­ te. È insoddisfacente, e ci sarà una certa speranza che l'insoddisfa­ zione se ne vada. La speranza mi sembra un fatto molto naturale e spontaneo. Trungpa Rimpoche È un vero peccato ! Non ne ricaverai comun­ que mai niente. Un vero peccato. S. Ma accade in ogni situazione, non vedo come evitarlo. T. R. Non devi evitarlo nella speranza che si tratti del giusto atteggiamento. È un vero peccato, perché è molto semplice: tutta la situazione è senza speranza. Se cerchiamo di immaginare chi o che cosa viene prima o dopo, non c'è via d'uscita. Senza speranza ! S. Ma la storia, il Buddhismo, tutte le tradizioni danno una speranza. T. R. Si fondano sulla non speranza, e per questo danno una speranza. Se abbandoni completamente la speranza, le situazioni diventano piene di speranza. Ma arrivarci con il ragionamento è un tentativo senza speranza. Assolutamente disperato ! Non ci dà indi­ cazioni, mappe. Le mappe non farebbero altro che ripetere: "In questo punto, nessuna speranza. In quest'altro, nessuna speranza. In quest'altro ancora, nessuna speranza". Nessuna speranza. Ecco tutto. S. Speranza significa la sensazione di poter fare, di essere in grado di manipolare, vero?

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T. R. Sì, sentire di poter ottenere · qualcosa dal mio tentativo. Studente La non speranza viene ottenuta d'un fiato, gettandosi semplicemente dentro? Trungpa Rimpoche No, non è un lampo che ti salva. Assoluta­ mente no. S. Ma è qualcosa di cui tutti, a un certo punto, possiamo avere una qualche intuizione. T. R. L'abbiamo tutti, sempre. Ma neppure questo è sacro. Studente Se non ci sono indicazioni né mappe, e se tutto è senza speranza, che funzione ha un maestro oltre a dirci che tutto è disperato? Trungpa Rimpoche Tu l'hai detto ! Studente Cosa consigli: di tuffarci nella non speranza o di col­ tivarla a poco a poco? Trungpa Rimpoche Dipende da te, soltanto da te. Ti dirò solo una cosa: è impossibile sviluppare la pazza saggezza senza la non speranza, senza una totale disperazione. S. Significa diventare un pessimista professionale? T. R. No, no. Un pessimista professionale nutre grandi speranze sul conto del proprio pessimismo. Si tratta invece della solita, vecchia non speranza. Studente Com'è la non speranza? Trungpa Rimpoche La non speranza è non sperare. Nessun ap­ piglio, nessun appoggio. S. Nel momento in cui ne divento conscio, la non speranza perde la sua genuinità? T. R. Dipende se la consideri qualcosa di sacro, riferita a una religione o un insegnamento spirituale, oppure se la vivi come non speranza e basta. Sta a te. S. Parliamo della non speranza, incominciamo a sentire che questa è la chiave, e la desideriamo. Ci sentiamo disperati e diciamo: " Bene, ho trovato la via ". Questo non le toglie validità? T. R. È un vero peccato, perché se la consideri la via, con l'idea di ricavarci qualcosa, non funziona. Non c'è via d'uscita, diventa un approccio autolesionistico. Non c'è un trucco nascosto, la non speranza è esattamente quello che dice di essere. È la realtà della non speranza, non la sua dottrina. Studente Rimpoche, se è così, allora tutto il quadro che ci siamo

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fatti dell'Hinayana, del Mahayana e del Vajrayana non è che un'al­ lucinazione per portarci all'abbandono della speranza. Hai spesso parlato di una forma di judo che usa l'energia dell'io lasciando che si sconfigga da solo. Dovremmo usare l'energia della speranza per indurre la non speranza, perché si sconfigga da sé? È dawero così, o anche l'idea del judo fa parte dell'allucinazione? Trungpa Rimpoche Viene detto che, alla fine del viaggio attra­ verso i nove yana, diventa chiaro che non si è fatto alcun viaggio. Quindi anche il sentiero che ci viene presentato è, in certo modo, un fatto senza speranza: un viaggio che non occorre fare. Incomin­ ci col morderti la coda e finisci col morderti la bocca. Questa è una buona immagine. S. Sembrerebbe che, per andare avanti, devi ignorare gli awer­ timenti. Anche se sento dire che non c'è speranza, non posso procedere senza una speranza. Perché sedermi a meditare? Per­ ché piuttosto non uscire a giocare? Anche se tutto sembra un paradosso, rimango qui. Sarà anche senza speranza, ma io faccio finta. T. R. Questo è un atto di speranza, ma di per sé privo di spe­ ranza. Si divora da solo. In altre parole: credi di poter ingannare il sentiero comportandoti come un viaggiatore smaliziato, poi co­ minci a capire che sei tu stesso il sentiero. Non puoi raggirarlo, perché tu lo stai tracciando. Ed ecco che ti sei imbattuto in un chiaro segnale di non speranza. S. Allora, l'unico modo per farcela è continuare il gioco? T. R. Dipende da te. Puoi anche decidere di smettere. Hai tu la scelta. Hai due precise possibilità, che potremmo chiamare illumi­ nazione improwisa e illuminazione graduale. Dipende soltanto da te se abbandonare la speranza qui sui due piedi, o se continuare il gioco improwisando altri divertimenti. Comunque, prima ab­ bandoni la speranza e meglio è. Studente Una situazione disperata si può tollerare fino a un certo punto. Poi non ce la fai più e ti aggrappi a qualunque scusa per usc1rne. Trungpa Rimpoche Dipende da te. S. Devi costringerti continuamente a . . . T. R. No, viene con le situazioni della vita. Studente Se tutto è senza speranza, su che base decidi se ucci-

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dere un bisonte per sfamare la tua famiglia o ucciderne cinquecen­ to per appendere i trofei alla parete? - Trungpa Rimpoche Sono entrambe scelte senza speranza. Sono tentativi di sopravvivenza, cioè speranze. Quindi, sono ugualmente disperati. Dobbiamo imparare a lavorare con la non speranza. Una religione non teistica è disperata, perché non crede in niente. Ogni religione teistica si fonda sulla speranza, crede nella divisione tra me e la tetta a cui mi attacco, per dir così. Scusate la crudezza, ma funziona più o meno così. Studente Hai detto che non c'è né Dio né io. Rimane qualcosa che potremmo chiamare il vero sé, qualcosa al di là della non speranza? Trungpa Rimpoche Considera che tutto quanto diciamo è una preparazione alla pazza saggezza, che non conosce altra verità al di fuori di se stessa. Dalla sua prospettiva non esiste nessun vero sé, perché parlare di un vero sé o di natura di buddha è già un tentativo di inserire un atteggiamento positivo per sentirei a posto. Nella non speranza, tutto questo non c'è. Studente La non speranza mi sembra una rielaborazione dei­ l'idea di abbandonare l'autoprotezione, di rinunciare a qualunque tentativo per migliorare la situazione. Secondo il nostro concetto stereotipato di illuminazione, la vera comprensione sorge nel mo­ mento in cui abbandoniamo gli atteggiamenti di protezione e di miglioramento. È così ? Trungpa Rimpoche In questa via non viene fatta nessuna pro­ messa, assolutamente nessuna. Si tratta di lasciar andare tutto, incluso il sé. S. E così la non speranza ti colloca nel qui e ora . . . T. R. Molto di più: non ti colloca da nessuna parte. Non hai terreno su cui poggiare, assolutamente nessuno. Sei completamen­ te abbandonato. Ma neppure quella desolazione viene sentita come casa nostra, perché sei così disperatamente e totalmente senza speranza che neppure la solitudine può esserti di rifugio. Tutto è privo di speranza. Anche lei stessa [Rimpoche urla 'lei stessa' schioc­ cando le dita] . Sei assolutamente, completamente privato di tutto. Qualunque forma di energia messa in atto per preservare se stessa è senza speranza. Studente Se si arresta l'energia che preserva il sé e che gli forma

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attorno una specie di guscio, cessa la divisione tra il sé e ciò che lo circonda? Trungpa Rimpoche Non ti dà alcuna rassicurazione. Parlando di non speranza, si intende letteralmente nessuna speranza; e, con speranza, intendiamo ciò che si oppone alla perdita. Non puoi più aspettarti nulla in cambio. Assolutamente niente. Neppure essa stessa. S. Perde il suo sé? T. R. Perde se stessa. S. Non avere appoggi mi sembra più ancora della non speranza. Voglio dire, nella non speranza c'è ancora qualcuno che non spera più. T. R. Anche questo è sospetto . S. Che ne è degli appoggi, del terreno? Vengono tutti a manca­ re? Non capisco. T. R. Anche gli appoggi diventano non speranza. Neppure il terreno offre più solidità. S. Credo di aver capito. Tu dici che, da qualunque parte si guardi . . . T. R. . . . si trova solo non speranza. Sì: dovunque, comunque, sempre e totalmente. Sei in una situazione claustrofobica di non speranza. Ci riferiamo a un senso di non speranza come esperienza di venirci a mancare il terreno. Parliamo di un fatto esperienziale, dove l'esperienza è solo un filo in tutto l'ordito. Parliamo del­ l'esperienza della non speranza. È un'esperienza che non si può negare o dimenticare. Potrebbe negare se stessa, ma è comunque esperienza. Un filo che si dipana. Lo vedremo meglio più avanti studiando l'esperienza dell'esperienza in Padmasambhava. Ma il fatto che sia l'esperienza dell'esperienza di Padmasambhava non cambia nulla. È sempre non speranza. Studente Diresti che, dove non c'è speranza, c'è intelligenza e, dove c'è speranza, c'è ignoranza? Trungpa Rimpoche Non direi proprio, amico mio. È assoluta­ mente senza speranza. Studente Quando parli di non speranza, sembra tutto tremenda­ mente deprimente. E sembra facile lasciarsi schiacciare dalla de­ pressione fino a ritirarsi nel proprio guscio o nella pazzia.

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Trungpa Rimpoche Dipende da te, solo da te. Questo è il fatto. S. Ma c'è qualcosa che . . . T. R. Vedi, il punto è questo. Non sto fabbricando un modello di disperazione completo in tutti i più graziosi particolari per of­ frirtelo e chiederti di metterlo in pratica. L'unico modello è la tua bontà, la tua non speranza. Se prefabbricassi qualcosa per te sa­ rebbe un trucco, irrealistico. Qui si tratta della tua non speranza, del tuo mondo, del tuo retaggio familiare, della tua eredità. È la non speranza che fa parte della tua vita, della tua psicologia. Si tratta di farla uscire così com'è, ed è sempre disperata. Per quanto tu voglia trasformarla in speranza, è sempre senza speranza. lo non posso costruirla, modellarla e rifinirla. Non è un candidato alle elezioni da abbellire con cerone e rossetto per l'apparizione in televisione. Non possiamo fare così. Se è disperazione, è dispera­ zione nuda. Devi vedertela tu, a modo tuo. Studente Si può avere consapevolezza che tutto è senza speranza e rimanere gioiosi? Trungpa Rimpoche Possiamo incontrare molte e diverse situazio­ ni disperate, tutte espressione della non speranza. Immagino che una situazione come quella che mi descrivi sia possibile, ma chi stai cercando di ingannare? Studente L'episodio in cui Naropa ha delle visioni e deve sce­ gliere tra scavalcare con un salto una cagna o girarle intorno, è la stessa situazione di sì-no di cui hai parlato? Trungpa Rimpoche Sì, credo di sì. S. E la disperazione di Naropa, alla fine . . . T. R. La disperazione di N aropa prima di vedere il suo guru era totale. Capire la vita di Padmasambhava senza sentire la dispera­ zione, è perfettamente impossibile.

2 La non speranza e il Trikaya

La non speranza è il punto di partenza per rapportarci alla pazza saggezza. Se il senso della non speranza riesce a recidere le aspettative irrealistiche, la non speranza incomincia a farsi più precisa. La sua precisione sta nel fatto che smettiamo di manipo­ lare ciò che non esiste. Così la non speranza si rivela l'approccio basilare al non dualismo. n senso della non speranza è strettamente connesso al quotidia­ no. A livello pratico, la vita non accoglie sottili filosofie o esperien­ ze mistiche rarefatte. È e basta. Se riusciamo a vedere questa sua 'esseità', per dire così, vi è un senso di realizzazione. Sperimen­ tiamo l'illuminazione improvvisa. Ma, senza la non speranza, l'il­ luminazione improvvisa non può accadere. Solo l'abbandono di ogni scopo instaura lo stato fondamentale, esatto e positivo dell'es­ sere, che corrisponde alla comprensione di essere già illuminati qm e ora. Scendendo nei particolari potremmo dire che, anche facendo esperienza della natura di buddha, stiamo ancora sperimentando qualcosa collegato al lato samsarico, confuso, del nostro essere: in quanto dipende, appunto, dall'esperienza di qualcosa. Fare espe­ rienza è ancora legato al dualismo. Voi fate un'esperienza e create un rapporto con essa come se fosse una cosa separata; c'è divisio­ ne tra voi e ciò che sperimentate. Vi confrontate con un oggetto: l'esperienza. Benché vi sia ancora un senso di separazione, di dualismo, è un'esperienza di risveglio, di realizzazione del buddha in noi. Ini­ ziamo perciò a coltivare uno spazio tra l'esperienza e la sua proie­ zione. C'è un viaggio in avanti, alla ricerca di qualcosa in noi che

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è sano. Produrre questo sforzo, impegnarci in questo particolare rapporto, produce un senso di spazio. È paragonabile al momento in cui stiamo per dire qualcosa. Prima sperimentiamo il non ancora detto, avvertiamo lo spazio di ciò che non è stato ancora espresso. Sperimentiamo lo spazio e diciamo ciò che dobbiamo dire: il che sottolinea lo spazio in un certo modo particolare, lo pone in una prospettiva precisa. Per poter esprimere lo spazio, dobbiamo tracciarne i confini. Il senso di apertura presente nel momento in cui diremo o sperimenteremo qualcosa, partecipa del senso della vacuità. Una vacuità fertile, gravida. L'esperienza della vacuità è il dharmakaya. Per dare nascita a qualcosa, abbiamo bisogno dello spazio in cui l'evento possa prodursi. Il senso della nascita non ancora prodot­ tasi è il dharmakaya. Il dharmakaya è l'incondizionato. Abbiamo fatto il salto. Quan­ do prendiamo risolutamente la decisione di saltare, siamo già sal­ tati. In sé il salto è pleonastico, superfluo. Una volta deciso di saltare, il salto è già avvenuto. Stiamo parlando dello spazio in cui il salto, la nascita, sono già avvenuti senza essersi ancora manife­ stati. Benché non ancora manifesti, è come se lo fossero. Nello stato mentale di disponibilità a sperimentare qualcosa, ad esempio bere una tazza di tè, abbiamo già bevuto prima ancora di berla. Così, prima ancora di portarlo al livello dell'espressione, abbiamo già detto ciò che dobbiamo ancora dire. Questo terreno fertile, gravido, embrionale che è incessante­ mente presente nella nostra mente è anch'esso incondizionato [cioè gravido di qualcosa] . È incondizionato rispetto al mio io, o mente dualistica, alle mie azioni, al mio amore-odio, e così via. È incon­ dizionato rispetto a tutto ciò. Nel nostro stato mentale si manifesta continuamente questo barlume di incondizionato. Il dharmakaya è il punto di partenza di Padmasambhava, il suo terreno . La sua manifestazione embrionale è il dharma, il dharma delle possibilità già in atto, delle cose non ancora manifeste ma esistenti nella non manifestazione. È un senso di fertilità, della pienezza intangibile nelle nostre esperienze quotidiane. Prima che un'emozione si manifesti, c'è un moto preparatorio. Prima di dare corpo alle azioni, ci sono dei movimenti preparatori. Questo senso di spazio pieno, di spazio autonomo, è dharma. La forma, il corpo ·

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(kaya), è l'affermazione che il dharma esiste. Il corpo del dharma è il dharmakaya. Dopo di ciò, sempre all'interno del nostro essere, troviamo il secondo livello di manifestazione di Padmasambhava, il sambhoga­ kaya. È il confine tra pienezza e vacuità. C'è il senso che la sua pienezza è valida grazie alla sua vacuità. In altre parole, è una sorta di affermazione dell'esistenza della vacuità. C'è la spaziosità in cui le emozioni si formano, in cui la rabbia sta per scoppiare o inizia a farlo ma, prima di giungere a nascita completa, ha ancora bisogno di un lungo viaggio. Questo [movimento in avanti] è il sambhogakaya. Sam significa 'perfetto' , e bhoga 'gioia'. In questo contesto la gioia non è il piacere opposto al dolore ma l'attività, l'energia. Attività autonoma, emozionalità autonoma. Sono auto­ nome e, riguardo al loro terreno di origine, si può dire che non abbiano radici. Non c'è un terreno originario: le emozioni si pro­ ducono dal nulla, e la loro energia balena e lampeggia senza in­ terruzione. Viene poi il nirmanakaya. Nirmana è qui la completezza dell'ema­ nazione, la manifestazione portata a compimento, il risultato fina­ le. È paragonabile al taglio del cordone ombelicale che segna la separazione definitiva del neonato dal padre e dalla madre, per diventare un'entità indipendente. Identico all'esplodere delle emo­ zioni nell'incantato mondo esterno. È qui che l'oggetto della pas­ sione o dell'aggressività si evidenzia in modo netto e preciso. Non si tratta del tradurre in atto le emozioni: ad esempio obbe­ dire al comando dell'ira per uccidere o alla passione per sedurre. Si tratta invece di sviluppare l'esperienza dell'accadere delle emo­ zioni prima che le parole vengano pronunciate o che le azioni vengano compiute. Le emozioni sono state pienamente riconosciu­ te come eventi che non vi appartengono, avete tagliato ufficial­ mente il cordone ombelicale tra voi e le vostre emozioni. Sono diventate esterne: satelliti, cose estranee. Questa è la loro manife­ stazione finale. Alle emozioni di rabbia, di passione-entusiasmo, di ignoranza­ confusione non applichiamo più etichette moralistiche di buono­ cattivo. Le consideriamo come fenomeni ad alta intensità, gonfi di cariche energetiche che ne costituiscono la vitalità. Possiamo de­ scrivere tutta la nostra esistenza in termini di continua vitalità:

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vitalità della noia, della rabbia, dell'amore, dell'orgoglio, dell'invi­ dia. La nostra vita consiste in queste diverse vitalità, e non nelle virtù o nelle colpe che esse inducono. Stiamo parlando dell'essenza stessa di Padmasambhava. La vita­ lità di Padmasambhava si manifesta continuamente nella nostra esistenza attraverso il processo del generare: sperimentare un sen­ so di spazio, poi manifestare, e infine concludere la manifestazio­ ne. È un processo tripartito: il dharmakaya come spazio embrionale, il sambhogakaya come spinta propulsiva, il nirmanakaya in cui la spinta giunge a piena manifestazione. Questa triplicità è la vitalità stessa di Padmasambhava. Per esaminare gli otto aspetti di Padmasambhava, bisogna pri­ ma comprendere i principi del trikaya. Senza conoscere a fondo le energie incarnate da Padmasambhava, non potremo comprender­ ne la vita. Se non comprendiamo il trikaya, potremmo pensare che Padmasambhava si manifesta sotto differenti aspetti come una persona che cambi di cappello: il cilindro, il berretto da cacciato­ re, il tocco da cattedratico, il copricapo da yogi, eccetera. Non è così. Non si tratta di un semplice cambiare abito, ma della rappre­ sentazione della vitalità della vita. Il nostro studio non considera Padmasambhava come personag­ gio storico: "C'era una volta un uomo di nome Padmasambhava che nacque in India" . Non avrebbe senso, e ci limiteremmo a una lezione di storia. Vogliamo invece dimostrare che Padmasambhava è la nostra esperienza. Vogliamo entrare in contatto con la padma­ sambhavità in noi, nel nostro stesso essere. La padmasambhavità è costituita da tre elementi: il dharmakaya, lo spazio aperto; il sam­ bhogakaya, l'energia spinta a manifestarsi; il nirmanakaya, la sua effettiva manifestazione. A questo punto potremmo domandarci: " Se questa è la pazza saggezza, cos'ha di tanto pazzo? L'energia accade, lo spazio esiste. Dove sta la stranezza, dov'è la pazzia o la s aggezza? " . Di fatto non c'è nessuna pazzia e nessuna saggezza. L'unica cosa che lo rende straordinario è che è vero. Siamo infestati, posseduti da Padmasam­ bhava. Tutto il nostro essere è fatto di Padmasambhava. Ecco il perché dell'assurdità di metterei in rapporto con lui secondo mo­ dalità 'esterne', con un uomo che vive su una montagna color rame in un'isola sperduta al largo delle coste indiane.

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Sviluppare un rapporto di questo tipo sarebbe facile, perché stimolerebbe le aspettative ambiziose. Potremmo desiderare di raggiungerlo nel luogo in cui vive per scoprire se è un essere mitico o una persona reale. Prenderemmo l'aereo, poi la nave, alla ricerca dei luoghi in cui si dice che viva. Invocare Padmasambhava, desiderare di riportarlo nel nostro essere dall'esterno, è come aspet­ tare Godot. Non arriva mai. C'era un grande siddha tibetano, chiamato il Matto di Tsang. Viveva a Tsang, nel Tibet orientale, vicino al monte Anye Machen. Lì lo incontrò il mio guru, J amgon Kongtriil, cinque anni prima che io lo conoscessi. Jamgon Kongtriil ci raccontava spesso il suo incontro con il Matto di Tsang, un contadino qualunque che aveva raggiunto la pazza saggezza. Possedeva un tesoro: sacchi e sacchi colmi apparentemente di oggetti preziosi, che poi si rivelarono pietre e pezzi di legno. Il mio guru gli chiese: "Come fare per unirei a Padmasambhava? " , e il Matto gli raccontò questa storia. "Ai tempi in cui ero un giovane studente, un buddhista molto pio e ardente di fede, desideravo che il mio corpo diventasse uno con il corpo di Padmasambhava. Recitavo le preghiere, migliaia e milioni di mantra e invocazioni. Mi sgolavo fino a ridurmi mezzo morto. Mi sembrava che respirare tra un'invocazione e l'altra fosse uno spreco di tempo. Invocavo e invocavo Padmasambhava, per unire il mio corpo al suo. Poi, di colpo, capii: io sono, il mio corpo è Padmasambhava. Potevo invocarlo fino a perdere la voce, e non avrei ottenuto nulla. Decisi di non invocarlo mai più, e mi accorsi che Padmasambhava stava chiamando me. Tentai di soffocare il richiamo, ma non era in mio potere. Padmasambhava mi voleva e continuava a invocare il mio nome " . Questa è esattamente la situazione di cui stiamo parlando. Non siamo noi che lo cerchiamo fuori di noi, è lui che ci guarda dal nostro interno. Perché divenga reale e normale nella nostra vita, ci serve una sorta di convinzione: vedere la continua presenza del­ l'energia, un'energia che comprende la totalità. Non è né dualistica né interdipendente: è energia autonoma dentro di noi. Abbiamo passione e aggressività, abbiamo spazio, abbiamo energia: tutto è già lì. Non dipende dalle situazioni. È assoluta, totale, indipenden­ te. Libera da ogni dipendenza di rapporto. Questo è Padmasambhava. Il principio-Padmasambhava consi-

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ste nella libertà da qualunque nozione speculativa, teoria o lavoro di osservazione di se stessi. È la viva esperienza delle emozioni e delle situazioni in assenza di un osservatore. Poiché siamo già buddha, siamo anche Padmasambhava. Questa fiducia, questo or­ goglio vajra, ci dischiude una grande opportunità. Non è difficile prevedere che, sapendo perfettamente chi e che cosa siete, potete passare a esplorare il mondo perché non avete più necessità di stare a esplorare voi stessi. *

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Studente Rimpoche, se il dharmakaya è uno stato fertile, gravi­ do, non esiste un dharmakaya perfettamente vuoto che non si applica a niente? Il dharmakaya ha sempre una modalità attiva? Trungpa Rimpoche In questo caso, il dharmakaya è paragonabile all'esperienza. È diverso dal dharmadhatu, il grande dharmadhatu. Considerato come dharma e kaya è, in un certo senso, condiziona­ to. Condizionato perché gravido.3 S. Ma allora il dharmadhatu è soltanto teorico? Un argomento teorico e niente più? T. R. Non lo definirei teorico, perché non tollera nessuna defi­ nizione. Parlare del dharmadhatu serve a renderei più coscienti di noi, così che il dharmadhatu diventa più cosciente di sé. O meglio: applicargli delle parole lo rende più cosciente di sé dal nostro punto di vista. S. Il dharmadhatu è esperienzialmente diverso dal dharmakaya? T. R. Sì. Il dharmadhatu non è oggetto di esperienza. S. È lo spazio in cui i kaya . . . T. R. . . . avvengono, esatto. Il dharmakaya è già esperienza. In tibetano si chiama tangpo sangye, 'buddha primordiale' , il buddha che non diventò tale attraverso una pratica ma che rappresenta la realizzazione immediata. Questo è il non dualismo del dharmaka­ ya. Il dharmadhatu, invece, è totale ricettività che non ha entità propna. Il dharmakaya è, per così dire, una sorta di credenziale. Bisogna avere una qualche credenziale per essere il dharmakaya, ecco per­ ché è gravido. Questa credenzialità non va considerata in senso negativo o peggiorativo. I fenomeni eccitanti che avvengono nel mondo samsarico sono parte di quella manifestazione. Anche il

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dharma, nel suo aspetto di insegnamento, ne è parte: l'insegna­ mento non esisterebbe se non vi fosse qualcuno a cui insegnare. Questa è la situazione. S. Che rapporto intercorre tra Padmasambhava e il dharmadhatu? T. R. Nessuno. S. Che differenza c'è tra la potenzialità del dharmakaya, nel senso di situazione gravida, e l' aspettativa nell'accezione buddhista negativa di desiderio, di sete? In altre parole, hai descritto il dhar­ makaya come possibilità: bere il tè prima di averlo bevuto. Dov'è la differenza dal desiderare avidamente una tazza di tè? T. R. Nessuna differenza. Se la guardiamo in modo realistico, l'avidità è molto spaziosa. Di norma, invece, tendiamo a conside­ rarla un oltraggio a noi stessi. Per questo diventa un oltraggio. In realtà, l' avidità è spaziosa. È un falso problema. Molto spaziosa, il dharmakaya stesso. S. C'è un impulso che fa passare il dharmakaya da uno stato di potenziale fertilità alla manifestazione? T. R. L'impulso c'è già, in quanto c'è esperienza. L'impulso si avvia quando consideri l'esperienza sperimentabile. L'impulso è presente, e il dharmakaya è parte di quella energia. Ecco perché tutti e tre i kaya sono connessi con l'energia. L'energia più traspa­ rente, l'energia del movimento e l'energia della manifestazione. I tre kaya sono compresi in questa energia. Ecco perché prendono il nome di kaya. S. Quindi, nello spazio gravido del dharmakaya, ci sono anche il sambhogakaya e il nirmanakaya. T. R. Sì. S. A me sembra che, nel viaggio dal dharmakaya al nirmanakaya, se la manifestazione si produrrà nel mondo samsarico e il dharmakaya ne è già gravido, allora esiste già nel dharmakaya un fattore samsarico. Se ad esempio beviamo una tazza di tè prima di averla bevuta, è presente il condizionamento costruito sulle prece­ denti tazze di tè che determina l'esperienza attuale. T. R. Il punto è che Padmasambhava è il principio del trikaya, formato contemporaneamente da una combinazione di samsara e nirvana; quindi qualunque condizione o condizionamento sono validi. A questo punto, per quanto riguarda quell'esperienza, il samsara e il nirvana sono una cosa sola al suo interno. Ciò che a

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noi interessa è il fatto che si tratta di energia assolutamente libera. Non è né condizionata né incondizionata; anzi, la sua esistenza è assoluta secondo la sua modalità specifica. Non occorre assegnarle validità convincendoci che non racchiude elementi samsarici. Sen­ za di ciò [senza l'elemento samsarico] , a cosa applicheremmo la pazza saggezza? Questa è pazza saggezza, ricordalo. S. Che ruolo riveste il nirmanakaya? T. R. Il senso dell'entrare in rapporto con il tè come oggetto esterno, paragonabile al taglio del cordone ombelicale. Rapportar­ ci al tè in quanto teità esterna è il nirmanakaya. Ciò non implica necessariamente un' azione fisica. Si tratta piuttosto di tre diverse solidificazioni dell'esperienza riferita al tè, della triplice modalità della mente. S. Quindi il nirmanakaya è l"iità'. T. R. Sì: la pentolità, la tazzità e la teità. S. E il sambhogakaya? T. R. Il sambhogakaya è il senso di una debole separazione, opposta all'idea astratta di prendere il tè. C'è un certo viaggio . S. Nello sperimentare la pentolità e la tazzità, c'è un senso di isolarle dal processo globale della nascita, tagliarle fuori dal pro­ cesso esperienziale che le ha generate? T. R. Ormai è accaduto. Una volta gravidi, c'è già separazione. Al momento del parto la separazione si intensifica e diviene defi­ nitiva con il taglio del cordone ombelicale. S. Tu accetti pienamente la separazione? T. R. Sì. Altrimenti diventa molto confuso il rapporto con il nirvana, la sanità o comunque tu voglia chiamarlo. Studente Non capisco quale sia la relazione con la non speranza. Non colgo il nesso tra i tuoi due discorsi. Trungpa Rimpoche La non speranza nasce dal fatto che il pro­ cesso che abbiamo descritto non ci è di nessun vantaggio. n dharma­ kaya esiste, il sambhogakaya esiste e il nirmanakaya esiste, ciascu­ no con le sue funzioni. E allora? Non ci sono ricette per la felicità. n processo non porta felicità nelle nostre vite, né benessere, né agio, né niente del genere. È sempre una situazione disperata. Realisticamente, anche conoscendo dharmakaya, sambhogakaya e nirmanakaya da cima a fondo, che cosa te ne fai? Hai capito il principio dell'energia, l'autonomia e la potenza della tua energia.

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Ma, oltre a ciò, non c'è medicina. È sempre una situazione di­ sperata. Studente Rimpoche, vedere le cose così come sono fa ancora parte del processo esperienziale? Trungpa Rimpoche Sì. Potremmo dire che vedere le cose così come sono non è ancora un atteggiamento abbastanza pazzo. Studente Rimpoche, hai descritto il movimento dal dharmakaya al sambhogakaya al nirmanakaya come un'espansione dell'energia verso l'esterno. Si può invertire il processo? L'energia può ritorna­ re dal nirmanakaya al sambhogakaya al dharmakaya? Trungpa Rimpoche È quanto accade normalmente, il processo che ricicla se stesso. Niente di speciale. Studente Hai detto che abbiamo la scelta tra realizzazione graduale e improvvisa. Trungpa Rimpoche Sì. S. E intanto la non speranza è sempre presente. T. R. Sì. S. Allora, cosa possiamo fare? T. R. C'è un antico detto: il sentiero è la meta, e la meta è il sentiero. Ti metti in viaggio, arrivi a destinazione, e l'arrivo suscita un'altra domanda: come procedere? In questo modo, ogni meta diventa il sentiero. Soprattutto nella prospettiva tantrica, non ot­ tieni nient'altro che il sentiero. La scoperta del sentiero è l'atteni­ mento. Capisci cosa intendo? S. E che c'è di improvviso in questo? T. R. È sempre improvviso. S. In continuazione? T. R. In continuazione. Finché non abbandoni il sentiero, e la meta, c'è continuamente illuminazione improvvisa. L'unica cosa improvvisa definitiva è che devi abbandonare la scoperta improv­ visa. È sconvolgente. E davvero improvviso. S. Questo lampo improvviso che, come dici, scocca in continua­ zione, è diverso dal sentiero graduale? T. R. Sì, certo. Il sentiero graduale, se possiamo dire così, con­ sidera la meta come la meta e il sentiero come la dottrina. Il sentiero improvviso considera il sentiero come la meta, e la meta come il sentiero. Non c'è posto per le dottrine. È un fatto di continua esperienza personale. Se dovessi descrivere in un diziona-

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rio la differenza tra illuminazione graduale e improvvisa, la descriveret così. Studente Rimpoche, il processo di solidificazione dal dharmakaya al nirmanakaya, e l' atteggiamento verso di esso, si applica anche al processo psicologico della proiezione, al suo diventare sempre più solida e all'atteggiamento con cui la viviamo? Trungpa Rimpoche Naturalmente. L'intera esistenza dei tre kaya è una benevola proiezione in cui elabori le tue proiezioni. In altre parole, l'esistenza stessa del dharma è una proiezione. Follia e salute sono proiezioni. E, poiché tutto avviene in questo modo, tutto è allo stesso tempo proiezione e solidità. Studente Nella storia dell'uomo che venerava Padmasambhava con mantra e preghiere, non mi è chiaro se una simile pratica devozionale sia una perdita di tempo o se racchiuda qualche valore. Trungpa Rimpoche In un certo senso, le due cose in una. Per conoscere il valore del tempo, prima devi sprecarlo: fatto essenzia­ le per potergli assegnare un valore. S. Quindi lo stava sprecando. T. R. Ma gli servì a capire. Sprecando il tempo capì che stava sprecando tempo. S. Tutto qui? T. R. Sì. S. Non mi sembra affatto una perdita di tempo. T. R. Dipende da te, intendo dire. Studente Affermando che non c'è bisogno di fare il viaggio, vuoi dire davvero che non dobbiamo fare nessun viaggio? Trungpa Rimpoche Così non saprai mai di che viaggio si tratta. S. E perché dovrei saperlo? T. R. Per capire che non hai bisogno di farlo. È una ragnatela senza via d'uscita. Studente All'interno del dharmakaya c'è un elemento di determinismo? La progressione dal dharmakaya al sambhogakaya al nirmanakaya è inevitabile? Trungpa Rimpoche Penso che l'unico determinismo rintracciabile nel dharmakaya sia la coscienza della propria esistenza, del pro­ prio essere gravido. Questa è la prima espressione del dualismo. Studente Che relazione c'è tra i kaya e il cimitero? C'è una relazione? Trungpa Rimpoche Ogni volta che sviluppi una manifestazione,

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ti crei il tuo stesso materiale. Fin dal primo momento. li dharmakaya crea la propria esistenza e il proprio ambito. L' ambito è il cimite­ ro: un luogo di dissoluzione, cioè un luogo di manifestazione. Studente Non vedo grande diversità tra sambhogakaya e nirmanakaya. Il dharmakaya è, per dir così, la qualità del genitore; mentre il sambhogakaya è l' atto del dare nascita, la prima espres­ sione. Inoltre, non vedo dove finisce il sambhogakaya e dove inizia il nirmanakaya. Entrambi sembrano essere un completamento. Trungpa Rimpoche Potremmo dire che il sambhogakaya è il riconoscimento dell'energia e il nirmanakaya la sua messa in atto, come nell'esempio del taglio del cordone ombelicale. A parte ciò, non vi è differenza. S. Però hai detto che il sambhogakaya è paragonabile al dare la nascita, che mi sembra già un atto definitivo. T. R. Il sambhogakaya è il riconoscimento dell'energia in quan­ to ricettività della realtà. Riconoscimento del fatto che le tue proie­ zioni sono separate, totalmente separate. Ciò che poi fai con la separatezza, con le tue proiezioni, appartiene al nirmanakaya. Il nirmanakaya si può paragonare all'ambito domestico in cui risolvi i banali problemi della quotidianità, mentre il sambhogakaya è paragona bile al matrimonio che dà l'avvio a quei problemi. A sua volta, il dharmakaya è il fidanzamento: contiene già le possibilità future, è gravido di possibilità. S. Mi pare che tu abbia detto che il processo del trikaya, con­ siderato nel contesto del sé, è samsarico; considerato nel contesto del dharmadhatu, è nirvanico. T. R. Non abbiamo mai parlato del suo aspetto nirvanico. Tanto per cominciare, lo idealizzeremmo. In secondo luogo mancherem­ mo di accuratezza, perché non lo vediamo. Per questo stiamo parlando della prospettiva samsarica dell'illuminazione. S. Perché non lo vediamo? T. R. Perché vogliamo ancora risposte e conclusioni, cioè espe­ rienze che appartengono alla separatezza, la quale è samsarica. Vuoi la logica, e la logica poggia sulla mente samsarica. S. Mi pare che il processo dei tre kaya sia solo un modo diverso di vedere i dodici nidana, i sei reami di esistenza e gli stati del bardo. È così? T. R. Sì.

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Dopo aver esaminato il principio dei tre kaya come una sorta di preparazione, passiamo allo studio di Padmasambhava in quanto simbolo della pazza saggezza e contrapposto a ogni altra manife­ stazione di un vidyadhara. Potremmo dire che il carattere specifico della pazza saggezza di Padmasambhava è l'illuminazione improv­ visa. I suoi otto aspetti non formano un processo lineare: sono simultanei. La formulazione tradizionale parla infatti degli 'otto nomi', non degli 'otto aspetti' di Padmasambhava. Qual è la qualità del nome? Perché nome invece di aspetto? Con 'aspetti' indichiamo in genere i diversi lati di una persona. Parliamo del suo aspetto di genitore, di educatore, di uomo d' af­ fari. L'uso ordinario porta con sé l'idea di un cambiamentoin atto nei diversi ruoli. Quindi la visione ordinaria che parla di aspetti differenti (il che implicherebbe che Padmasambhava si trasformi, attinga a parti diverse del proprio essere o manifesti lati diversi di sé) non si applica a Padmasambhava. La molteplicità dei nomi è piuttosto in rapporto con gli atteggiamenti che i suoi studenti e gli esseri sviluppano nei suoi confronti. I nomi diversi hanno a che vedere con i diversi modi di considerarlo, e non con suoi cambia­ menti. Nome vale quindi titolo. La definizione tibetana è guru tsen gye, gli 'otto nomi del guru'. Tsen è il termine onorifico per 'nome'. Alcuni lo considerano un padre, altri un fratello, altri un nemi­ co . . . e quindi i suoi otto nomi rappresentano modi diversi di considerarlo. La sua manifestazione resta invece una sola: la pazza saggezza. I testi descrivono il possessore della pazza saggezza come colui che " sottomette chiunque vada sottomesso e distrugge chiunque

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vada distrutto" . L'idea è questa: qualunque sia la vostra nevrosi, la persona dotata di pazza saggezza ve la rimanda. La pazza saggezza è uno specchio che riflette la vostra immagine, e per questo la pazza saggezza di Padmasambhava è universale. Le forme assunte dall a pazza saggezza non conoscono restrizioni né logiche. Lo specchio non giungerà a un compromesso con voi se siete brutti, e non serve accusare lo specchio o mandarlo in frantumi. Più pezzi ne fate e più numerosi sono i riflessi del vostro volto che vi vengono rimandati. Per questo la saggezza di Padmasambhava non conosce limitazioni né compromessi. ll primo aspetto di Padmasambhava è chiamato Pema Gyalpo, in sanscrito Padma Raja. Padma Raja nasce in una regione hima­ layana tra l'India e l'Afghanistan chiamata Uddiyana, e in seguito Swat. Un luogo splendido, coronato da picchi innevati. Sembra un parco creato dall'uomo, abbellito da laghi e da stagni coperti di fiori di loto. L'aria è frizzante, il clima ideale. Uno dei laghi pren­ deva il nome di Dhanakosha, o Sindhu. Era coperto dalle foglie e dai petali dei loti. Una pianta di loto, di dimensioni enormi, non seguiva il corso delle stagioni. Era nata all'inizio dell'Anno della Scimmia e aveva continuato a crescere senza interruzione. Venne l'inverno; vennero la primavera, l'estate, l'autunno e il fiore non si apriva. Finalmente, il decimo giorno del decimo mese dell'Anno della Scimmia, il loto si aprì. Un bellissimo fanciullo siede dentro il calice. Ha l'aspetto di un bambino di otto anni, nobile e curioso. Api e uccelli gli si affollano intorno, lodandolo. Si spande il suono di una musica senza suonatori. Il lago era awolto in un'aura di bellezza, salute e mistero. Il bambino sembrava un piccolo principe allevato con ogni cura. Com'era possibile? Non aveva paura ed era deliziato da ciò che lo circondava, affascinato dal mondo esterno. Questa fu la nascita di Padmasambhava. Il punto essenziale è la sua qualità infantile. Era un neonato cresciuto (un'owia contraddizione) , uno splendido neonato-fan­ ciullo, un bambino saggio e forte, un infante che non succhiava al seno e non prendeva alcun cibo, nutrendosi di aria rarefatta. Gra­ zie al suo carattere giovanile è conosciuto come Padma Raja, 'Prin­ cipe del Loto'. Anche in noi c'è la qualità della giovinezza, lo splendido carat-

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tere infantile. Le esperienze con cui veniamo in contatto durante la vita sono come il fango che avvolge le radici del loto sul fondo del lago. Desiderio, passione, aggressività, nevrosi di ogni tipo. Eppure, da tutto ciò sgorga sempre una qualità di freschezza: il nostro carattere infantile, giovane, nuovo, curioso. La curiosità del nostro aspetto infantile non è ricerca nevrotica, ma interesse esplorativo. È naturale esplorare gli abissi del dolore, il calore della gioia, e questa è la qualità-Padmasambhava in noi. Possiamo chiamarla natura di buddha, illuminazione naturale. Ci piace scegliere un giocattolo, prenderlo in mano, esaminarlo, sca­ gliarlo per terra, sbatterlo di qua e di là, fracassarlo, smontarlo e poi rimetterlo assieme. Lo facciamo in continuazione, come i bam­ bini. Questa qualità infantile è la qualità dell'illuminazione. In genere il termine illuminazione suggerisce l'idea di una per­ sona anziana e saggia. Immaginiamo l'illuminato come un uomo maturato attraverso l'esperienza che l'ha reso saggio: di fatto, un dotto. Ha raccolto milioni di frammenti di informazioni e ciò lo rende vecchio e saggio, buono e degno di fiducia: illuminato. Dalla prospettiva della pazza saggezza, l'illuminazione è tutt' altra cosa. Non ha assolutamente niente da spartire con l'essere vecchi e saggi. Assomiglia più all'essere saggi e giovani, in virtù dell'enorme apertura all 'esplorazione delle esperienze: esplorazione psicologica, dei rapporti, della quotidianità, del livello pratico, del livello filo­ sofico, e così via. Un'altra qualità dell'illuminazione è la non paura: non considera il mondo un nemico, non teme che il mondo ci attacchi se non stiamo in guardia. C'è invece uno straordinario piacere nell'esplo­ rare il filo del rasoio, come un bambino che trova una lama spal­ mata di miele. Dà una leccata e avverte il dolce assieme al sapore del sangue. È interessante esplorare la simultaneità del piacere e del dolore dalla prospettiva di sanità della pazza saggezza. Questa [curiosità naturale] è incarnata in Padmasambhava quale principe­ bambino. È il compendio del non preoccuparsi affatto occupando­ si molto. Essere disposti a imparare e a esplorare. Probabilmente il termine imparare è fuori luogo. Non si tratta di raccogliere informazioni ma di assorbire quanto succede intor­ no a noi, mettendoci continuamente in rapporto. Non stiamo imparando per difenderci; impariamo perché conoscere le cose è

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bello e fantastico. Come i bambini con i giochi. Qualunque cosa diventa un giocattolo. Non si tratta di giochi educativi, ma sempli­ cemente delle cose che li circondano. Padmasambhava nasce da un loto. È senza genitori, perché non ha bisogno di educazione. Non gli occorrono genitori che lo tra­ sformino in un adulto ragionevole e responsabile. Alla nascita è rappresentato come un bambino di otto anni, ma ottanta andreb­ bero altrettanto bene. Non è confinato in un'età. Qualunque sia l'età rimane un bambino o, meglio, un vecchio bambino. Entrambi riportano all a stessa condizione. Uno dei punti fondamentali è l'esplorazione del nostro essere in modo indipendente dall'educazione ricevuta e dalle informazioni raccolte. Esploriamo perché ci diverte, come fanno i bambini con i giocattoli. Questa qualità infantile è sempre in noi, è la qualità­ Padmasambhava. Essa contiene la non paura. È difficile vivere l'atteggiamento di non paura, perché il nostro modo samsarico di metterei in rappor­ to con le cose ci impedisce di esplorarle in piena libertà. Pur desiderandolo ardentemente, temiamo di farci del male se esplo­ riamo troppo a fondo. Ecco la paura. La qualità infantile di Padma­ sambhava è libera da paura, perché non teme di farsi male. Non si tratta di masochismo o di sadismo ma di apprezzamento, di totale apertura nei confronti delle cose, con semplicità e immedia­ tezza. Padmasambhava non si interessa alle cose perché educative, ma perché ci sono. Il rapporto semplicemente accade, si evolve. Il giovane principe nato da un loto viene trovato da lndrabhuti, re dell'Uddiyana. Da tempo il re pregava per ricevere la benedi­ zione di un figlio, ma invano. Un giorno, un servitore arriva al lago Dhanakosha per raccogliere fiori per il palazzo e si imbatte nel misterioso loto. Il fiore è aperto: al suo interno siede un bam­ bino fresco e allegro, bello e curioso. Il servitore riferisce la sco­ perta al re che, ordinato di condurre il bambino a corte, lo adotta nominandolo principe ereditario. Padmasambhava esplora le situazioni piacevoli che il palazzo gli offre. Ma presto cibi, lussi e agi gli vengono a noia. Indrabhuti decide di dargli in sposa la figlia di un re confinante, perché possa godere di una compagna di giochi. Il matrimonio gli fornisce nuove possibilità di esplorazione: il rapporto con l'altro e la sessualità.

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Vorrei mettere in chiaro che qui non si tratta della maturazione di Padmasambhava o di un suo modo di raccogliere dati intorno alla vita. La nomina a principe ereditario, e addirittura la nascita in un loto, non furono per così dire la sua allucinazione ma quella del re Indrabhuti. Che Padmasambhava avesse bisogno di cibi, abiti e compagnia femminile era una proiezione di Indrabhuti. Padmasambhava, al contrario, infrange l'ospitalità danzando sul tetto del palazzo con in mano un tridente e un vajra. Sta danzando quando, come per caso, lascia cadere i due oggetti dal tetto. Il tridente trapassa il cuore della moglie di un ministro che passava di lì, e il vajra frantuma il cranio del figlioletto. Madre e figlio morirono sul colpo. Come credete che andò? Che Padmasambhava venne espulso dal regno. Aveva commesso un'azione illecita, gli omicidi non era­ no tollerati. Nel regno le cose venivano fatte con giustizia, nel rispetto della legge, e il misterioso bambino nato da un loto viene bandito. Era ciò che desiderava, per poter troncare la situazione e continuare l'esplorazione. Noi, in quanto suoi studenti, non dobbiamo seguirne lo stile alla lettera, ricalcarne passo passo le situazioni. Senza contare che non sarebbe possibile, perché le condizioni non lo permettono. Rimane però il fatto che il suo modello esplorativo della passione e dell' aggressività è molto, molto interessante; degno di essere conosciuto e verificato. Ma la capacità di esplorare è in rapporto alla non paura. Il nostro grado di non paura è per così dire il tachimetro [l'indicatore della velocità a cui andiamo] della nostra sanità. Attraverso di essa balugina lo stato risvegliato della mente [e più balugina, più noi procediamo] . Come affermano i testi, una persona comune non deve agire come uno yogi, uno yogi non deve agire come un bodhisattva, un bodhisattva come un siddha, né un siddha come un buddha. Se oltrepassiamo i nostri limiti, se decidiamo di comportarci in modo sballato e stravagante, ci fare­ mo solo del male. Ci viene mandato un segnale di ritorno davvero molto forte: superare i limiti è distruttivo. La pazza saggezza non significa dunque comportarci in modo sballato e stravagante. Si tratta invece di metterei in rapporto con la nostra paura. La capacità di esplorare dipende dal grado di paura fondamentale con cui ci siamo messi in rapporto, e non

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direi proprio che abbiamo vinto. Se agite secondo la quantità di paura fondamentale con cui sapete di esservi messi in rapporto, non supererete i vostri limiti. Quindi, per quanto suoni strano, si potrebbe dire che la pazza saggezza è timida, quasi codarda. Viene nutrita dalla codardia. La prudenza è la parte migliore del coraggio. La pazza saggezza si differenzia da ogni altra concezione del sentiero. Ad esempio, nel sentiero del bodhisattva c'è una crescita dalla prima bhumi alla seconda, dalla seconda alla decima, e infine si arriva all'undicesima: lo stato ill uminato. Il sentiero del bodhi­ sattva si fonda sulla crescita, la maturazione, l'acquisizione di sem­ pre maggiore esperienza. Raccogliete una paramita dopo l'altra. Raccogliete informazioni, comprensione e, salendo sempre più in alto, diventate grandi eruditi e in un certo senso grandi buddha. Nell'esempio trasmesso da Padmasambhava l'illuminazione, la rea­ lizzazione, non è ottenuta attraverso l'acquisizione di materiale, di esperienze. n suo stile è la pura esperienza delle situazioni, la risposta di un bambino nato spontaneamente e desideroso di rima­ nere sempre bambino. La tradizione maha ati designa questo prin­ cipio come shonii pum ku, il 'giovane principe in vaso' . I l vaso simboleggia una situazione embrionale e , al contempo, già giovane. Rompere il vaso è invertire il processo del trikaya. Avete raggiunto il dharmakaya: ora, rompendo il vaso, ritornate al sambhogakaya e al nirmanakaya, ritornate con i piedi per terra. Lo stesso processo è illustrato dalle immagini zen dell'addomestica­ mento del bue. Nel punto in cui svanisce il bue e svanisce anche il mandriano, siete ritornati nel mondo. L'accento è quindi posto sull'aspetto giovane dello stato illumi­ nato. È l 'immediatezza dell'esperienza, la sua qualità esplorativa. "Ma l'esplorazione non ci fa crescere, non ci fa diventare vec­ chi ? " , potremmo chiedere. " Esplorare richiede grande energia: non saremo viaggiatori che invecchiano lungo il viaggio? " . Dal punto di vista della pazza saggezza, no. Esplorare non affatica. Anche se dovrete affrontare la stessa situazione infinite volte, ogni volta ne scoprirete aspetti nuovi che vi renderanno più giovani. La scoperta è collegata all'energia che ci nutre. Conduce la vostra vita alla pienezza, alla sanità. Ogni nuova esplorazione porta nuova salute. C'è il senso del tenersi continuamente aggiornati

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nell'esperienza del mondo, della nostra vita. Tutta la faccenda si rivela un continuo processo di ringiovanimento. Ora, mentre Padma Raja, il bellissimo fanciullo, cacciato da palazzo vaga nei suburbi della città di Indrabhuti, facendo espe­ rienza dei cimiteri e dei luoghi selvaggi infestati da tigri e serpenti velenosi, facciamo una pausa nel nostro racconto. *

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Studente Il 'principe nel vaso' ha già la qualità del dharmakaya. Rompendo il vaso, ritorna indietro al nirmanakaya? Trungpa Rimpoche Sì, il trikaya viene invertito. S. Padmasambhava nasce già con la qualità del dharmakaya? T. R. Sì, poi torna sulla terra. La forza di gravità attrae la sua compassione. Quando siete il dharmakaya, non potete rimanerve­ ne là. Ritornate nel mondo passando per il sambhogakaya e il nirmanakaya. Studente Ho trovato l'immagine del miele sulla lama nel libro La vita e l'insegnamento di Naropa,4 dove viene messa in relazione alle Quattro Nobili Verità. È usata per illustrare la sofferenza che va evitata, o che un illuminato evita vedendone la presenza. L'uso che tu ne fai implica che, dalla prospettiva di Padmasambhava, le Quattro Nobili Verità non sono più valide? Trungpa Rimpoche È un approccio diverso alle Verità; più che diverso, direi autentico. La sofferenza non viene considerata come qualcosa da evitare o da abbandonare, ma come la verità. Capisci cosa voglio dire? S. È proprio ciò che stai assaggiando. T. R. Sì, ciò che assaggi mentre sei in esplorazione di tutti particolari, come fa un bambino. S. Ma l'esplorazione deve essere dolorosa? T. R. Il dolore diventa un concetto arbitrario. Le esperienze non sono considerate in quanto piacevoli e dolorose. Sono e basta. Studente Prima hai detto che il bambino era senza paura, poi che la codardia è il sentiero. Non è in contraddizione? Trungpa Rimpoche A questo punto sono la stessa cosa. Sei senza paura perché non oltrepassi certi limiti; sei senza paura 'così com'è', e quindi sei nel contempo un codardo. È molto difficile da capire, non so se sono stato chiaro.

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Studente Ho anch'io la stessa domanda. Quando dici: "Dipende da te " sembra che abbiamo una scelta per quanto riguarda le nostre limitazioni, come se le creassimo noi. Trungpa Rimpoche Non vedo perché no. Le tue limitazioni sono le tue. S. Non sembrano le mie limitazioni, ma qualcosa che scopro andando avanti. T. R. Infatti: dovevi scoprirle, e quindi le fabbrichi man mano che procedi. S. Vuoi dire che, se volessi, potrei scoprirne altre diverse? T. R. Certo ! Proprio questo è il punto. S. E riguardo al superarle? Se non sbaglio, hai detto che la pazza saggezza scoraggia dall' oltrepassarle. T. R. Sì. S. Oltrepassarle, significherebbe entrare nel territorio della pau­ ra assoluta? T. R. È davvero semplice , da asilo infantile: andare al di là delle tue limitazioni diventa un costruire altre cose, invece di andare davvero oltre le limitazioni. È costruire un mondo di sogm. S. Stai ponendo una distinzione tra limitazioni autoindotte e limitazioni reali? T. R. Appunto. S. E non si dovrebbe cercare di andare al di là di quelle reali? T. R. Non si può. Sono reali. Non puoi metterti in rapporto con loro, perché andresti oltre le tue forze. S. Superare invece le limitazioni naturali non è pericoloso? T. R. È un frequente campo di esplorazione. S. Dov'è allora la differenza tra esplorarle e superarle? T. R. Questa: se superi i tuoi limiti ti fai male. Ti viene dato un avvertimento. S. In questo caso, come si applica la non paura? T. R. Il punto è che non crediamo nelle nostre capacità. In genere non lo facciamo. Proprio qui la non paura può svolgere un ruolo determinante: nell'esplorare a fondo la portata delle tue for­ ze. Volerei spingere oltre è futile, anzi ci esponiamo alla distruzio­ ne. La non paura non significa quindi forzarti oltre le tue capacità, ma esplorare l'intera gamma delle tue forze.

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5. Che cosa trattiene una persona priva di paura dall'estendere l'esplorazione al di là della sua portata? T. R. Gli avvertimenti che riceve. S. E questo basta per non spingersi oltre, per non estendere l'esplorazione a tutto? T. R. La non paura è ancora una situazione condizionata, cioè quella persona non è senza paura nei confronti di tutto. S. Quindi si tratta di usare la codardia con intelligenza? T. R. Sì. 5. È questo l'aspetto saggio della pazza saggezza? T. R. In qualche modo, sì. Considerare la pazza saggezza come totale smodatezza non è buono né salutare. Ti candidi all a distru­ zione. Purtroppo è proprio la concezione comune: se vuoi sballa­ re, spingi ancora più forte, ancora più forte. 5. Parrebbe che i confini presuppongano una struttura indipen­ dente dalla persona, uno schema limitante oltre il quale non ci si può avventurare. T. R. Non esattamente. Dipende dal rapporto che sviluppiamo con la struttura. 5. Il messaggio che ne ricavo è questo: essere consapevoli dei propri limiti per non oltrepassarli e non farsi male. T. R. Non è proprio così: si tratta più di un atteggiamento di cautela. 5. Come sai quando stai agendo con cautela? Questo mi sembra il punto. Come fai a sapere quando ritirarti e quando avanzare? T. R. Devi metterti in rapporto con la globalità del processo. Appena noti il sorgere di mistificazioni come: "Forse mi conviene provare qualcosa di meglio" , significa che stai alimentando la pau­ ra perché in realtà non ti sei mai avventurato prima in quell'area. Anche la mistificazione è un avvertimento. 5. Come si diventa consapevoli della mistificazione? T. R. Molto semplice. Solo noi possiamo conoscerci, siamo la persona che ci è più vicina. Solo noi sappiamo se ci stiamo o non ci stiamo ingannando. Non servono dimostrazioni, è una faccenda tra te e te. 5. Forse un maestro è utile per incoraggiarti in alcune aree. T. R. Hai già le tue aree, e hai già la possibilità di scoprire le tue forze e le tue capacità. I maestri non possono starti appiccicati,

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vivere sotto il tuo stesso tetto e dormire nel tuo letto. Il maestro non è sempre lì a guidarti, ma la mistificazione sì. Studente li karma inizia a formarsi nel dharmakaya? Trungpa Rimpoche È un punto su cui le varie scuole sostengono tesi diverse. Alcuni affermano che non vi si forma alcun karma; altri dicono di sì, in quanto il dharmakaya è anch'esso un'entità separata e si trova in posizione di sudditanza rispetto al nirvana. Longchen Rabjam, il grande maestro maha ati, risponderebbe af­ fermativamente. La nostra scuola ritiene quindi che il karma si sviluppi già nel dharmakaya. Il dharmakaya ti porta un messaggio di sanità a causa dell'insanità già presente in te. È un'azione re­ lazionale, e un'azione relazionale si è già sviluppata. In altre paro­ le, si è già messa in moto la ruota del vasaio del secondo nidana. Studente Perché Padmasambhava sceglie di esprimere in modo così teatrale il suo malcontento per la vita a palazzo? Perché sca­ gliare tridente e vajra, trapassando un cuore e sfondando un cra­ nio? Perché non si limita ad andarsene? Trungpa Rimpoche Andarsene sarebbe un sottrarsi. Scomparire per non farsi trovare sembra l 'azione di una persona molto traspa­ rente che ha paura di comunicare e opta per la fuga. Padmasam­ bhava sceglie un modo molto più brutale. Studente La paura è soltanto una proiezione? Trungpa Rimpoche La paura è al tempo stesso il radar e il segnale che compare sullo schermo. Di !iolito è una situazione di rapporto. Non assoluta, e non indipendente dal dualismo. La paz­ za saggezza non considera la paura solo come un blocco, ma ne vede l'intelligenza. La paura è degna di fede, perché reca un av­ vertimento. Se la rigettiamo come un ostacolo o la ignoriamo, rischiamo di andare a sbattere. La paura è un saggio avvertimento. S. Dalla mia esperienza, la paura sembra la manifestazione più seria della mia confusione. Nel quotidiano la vivo come una men­ zogna e una trappola, una trappola tremendamente potente. E cerco di non cascarci dentro. T. R. Vedi, il fatto è che non puoi ingannarla né spaventarla. Devi averne rispetto. Puoi provarti a convincere che non è reale, che è un inganno, ma resta un tentativo molto dubbio. Meglio sviluppare rispetto nei suoi confronti e capire che anche la nevrosi è un segnale, non un mucchio di spazzatura buono solo per sbaraz-

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zarsene. Questo è il punto di partenza: vedere che il samsara e il nirvana sono la stessa cosa. Allora il samsara non è più considerato un fastidio, ma portatore di un messaggio degno di rispetto. S. Io sono ben lontano dallo sbarazzarmene ! Nello stesso tem­ po, non voglio farla diventare il problema centrale né un sacro mistero. È un equilibrio molto complesso tra il cercare di non rifiutarla e il !asciarla andare. T. R. Bene. Ne hai già fatto esperienza e non devi più interro­ gare lo sperimentatore su come affrontarla con diplomazia. S. Non sembra esserci molta scelta. Il potere della paura è spa­ ventoso. T. R. Ottimo. Così non hai modo di ricamarci sopra o di elabo­ rare strategie. Salta ! S. C'è una paura che rappresenta una minaccia per l'io: quella che minaccia una mia illusione. C'è differenza tra questa paura e la paura di oltrepassare i limiti? T. R. Sì, penso di sì. C'è la paura di non saper affrontare ciò che hai, e il senso di aver bisogno di più di ciò che hai già. L'incertez­ za nell'affrontare ciò che hai può essere vinta facendo il salto, ma il bisogno di improvvisare ulteriori divertimenti è una mistificazione. S. La mistificazione di poter oltrepassare i propri limiti . . . T. R. Sì. S. Posso fare il salto senza preoccuparmi dei miei limiti? T. R. Se puoi, salta. Se non salti, è comunque perché non puoi. Ma, se puoi, fai il salto. Saltando, ti ritrovi naturalmente [nel rapporto giusto con i tuoi limiti] . A meno che tu non voglia ten­ tare un salto sensazionale. In quest'ultimo caso non sai neppure cosa stai facendo, lo tenti per divertirti. È come farsi un'overdose. Studente Il senso di scoperta di cui parli equivale al mantenere il proprio spazio aperto? O è una cosa diversa? Trungpa Rimpoche È la stessa cosa. La scoperta non dev'essere la manifestazione di qualcosa, ma un atteggiamento di disponibi­ lità ad accogliere qualunque cosa accada. Conserva in qualche modo una valenza dualistica. S. Spesso, viaggiando nelle allucinazioni spirituali, specialmente se sono fornite di pratiche spettacolari, c'è la tendenza a volere pratiche di cui non si sa assolutamente niente. È una scoperta, un'esplorazione positiva?

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T. R. No, se non sai dove ti vai a cacciare. È molto diverso esplorare ciò che c'è o ciò che non c'è. Quando un bambino gioca col filo del rasoio, la lama c'è e c'è anche il miele. Se invece sta esplorando all'aperto, oltre il bordo del terrazzo, non c'è più nien­ te salvo lo strapiombo. È un suicidio. Studente Perché, dopo aver raggiunto la pazza saggezza, uno diventa come il Matto di Tsang e un altro come il tuo guru? Trungpa Rimpoche Credo che dipenda semplicemente dalla no­ stra manifestazione e dalla nostra visione delle cose. Dipende da ciò per cui siamo pronti. Il mio guru faceva da spettatore per il Matto di Tsang, e io facevo da spettatore per il mio guru. A quel tempo non ero così pazzo, e quindi n-on lo era neanche lui. Il Matto di Tsang, invece, era così matto perché il mio guru era abbastanza matto da sostenere il rapporto con lui.

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La morte e il senso dell'esperienza

L'esplorazione delle situazioni della vita fatta dal giovane prin­ cipe è connessa con un senso di eternità. Esplorare le situazioni significa fare amicizia con il mondo, e fare amicizia con il mondo significa dargli fiducia. [Il mondo diventa degno di fiducia] perché racchiude un senso di eternità. Parlando di eternità non intendia­ mo l'immortalità di un'entità specifica che si continua, come nel credo filosofico degli eternalisti. Nella nostra visione, anche la discontinuità è espressione dell'eternità. Ma, prima di parlare del­ l' eternità, prendiamo in esame la morte. La morte è la sconsolata esperienza in cui i nostri modelli abi­ tuali non possono più continuare come vorremmo. Gli schemi cui siamo abituati cessano di funzionare. Una nuova forza, una nuova energia assume il comando: la 'mortalità', o discontinuità. Non ci sono modalità per entrare in rapporto con la discontinuità; è qual­ cosa con cui non si può comunicare, una forza alla quale non possiamo renderei graditi. Non potete farvela amica, non potete raggirarla, non potete convincerla. È terribilmente potente e infles­ sibile. Questa inflessibilità blocca le aspettative per il futuro. Elaboria­ mo piani e progetti; anche se siamo annoiati della vita, preferirem­ mo comunque avere la possibilità di curare la noia; nutriamo la speranza che dalle situazioni dolorose possa venire qualcosa di buono; vogliamo prolungare il più possibile le situazioni piacevoli. La morte, invece, è definitiva, organica, molto reale. State per morire, e può darsi che né i medici, né i parenti, né gli amici ve lo dicano. Gli è difficile annunciarvi la vostra prossima

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morte, e al suo posto vi trasmettono una tacita compassione dietro la quale c'è qualcosa. Nel mondo convenzionale c'è resistenza a metterei in rapporto con un amico che muore. Non vogliamo coinvolgerci personal­ mente nella sua esperienza della morte. C'è un reciproco imbaraz­ zo, un senso di tragedia di cui si preferisce non parlare. Se abbia­ mo una mentalità meno convenzionale, forse riusciamo a entrare in rapporto con un morente e dirgli: "Stai per morire "; ma il messaggio che gli trasmettiamo è: "In fondo non è così brutto. Là starai meglio. Pensa alle promesse di immortalità, a Dio, alla sal­ vezza eterna" . Ci rifiutiamo ancora di toccare il vivo dell'esperien­ za. Non parliamo di inferni, purgatori o della tormentosa esperien­ za del bardo. Cerchiamo di affrontare la situazione, ma con disa­ gio. Anche se riusciamo a dire: " Stai per morire . . . " , aggiungiamo subito: " . . . ma starai meglio. Tutti ne siamo sicuri, e ti amiamo. Porta con te il nostro amore quando lascerai questo mondo, quan­ do morirai" . Tale l'atteggiamento [di rifiuto] che manteniamo nei confronti della morte. Come ho già detto, la morte viene in genere vista come la cessazione dell'esistenza. La normale routine della vita quotidiana si arresta, e ci trasformiamo in qualcos' altro. Che crediate o no nella rinascita, l'impatto con l'esperienza della morte è uno solo: la discontinuità in ciò che state facendo. Vi separate dalle persone che vi circondano, non potrete più leggere il libro che non avete finito, né continuare il corso che state seguendo. Chi crede nella dottrina della rinascita dirà: "Quando ritornerai, potrai finire il tuo libro. Sarai di nuovo tra di noi, forse rinascerai come nostro figlio. Quante possibilità! " . Si sostengono cose del genere e si tende a fare ogni tipo di promesse. Promesse sulla vita accanto a Dio o sul ritorno su questa terra per riprendere le cose interrotte. In tutto ciò c'è una mancanza di apertura. C'è una sorta di paura reciproca, nonostante le credenze nell'eternità o nella rein­ carnazione. Il contatto con la morte suscita paura o disagio. C'è sempre un senso di indesiderabilità, anche se state leggendo al­ l' amico un capitolo del Libro tibetano dei morti.5 Potreste dirgli: "Ti sta accadendo qualcosa di tremendo, ma qualcosa di molto più grande ti aspetta. Hai la possibilità di fare le esperienze de­ scritte nel libro tibetano dei morti. E noi ti aiuteremo ! " . Possiamo

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tentarle tutte ma resta il senso di qualcosa che non si può aggiu­ stare, per quanto positivo sia il quadro che vogliamo dipingere. È abbastanza sorprendente che per molte persone, specie in Occidente, la prima lettura del Libro tibetano .dei morti sia parec­ chio entusiasmante. Riflettendoci, sono giunto alla conclusione che dipende dalle enormi promesse che contiene. Il fascino delle pro­ messe esorcizza la morte stessa. Cerchiamo sempre di esorcizzare ciò che ci turba, e la morte non fa eccezione. I ricchi affrontano spese folli per la bara, per comporre il cadavere e vestirlo con gli abiti più eleganti. Pagano funerali di gran lusso, e tutto per stem­ perare l'imbarazzo della morte. Per questo il Libro tibetano dei morti è diventato così popolare e viene considerato un testo me­ raviglioso. Allo stesso modo, anche l'idea della reincarnazione venne accol­ ta con eccitazione ed entusiasmo. Qualche decina d'anni fa, quan­ do iniziò a diffondersi, l'idea della reincarnazione elettrizzò un po' tutti. Era un altro modo per esorcizzare la morte. "Tu ti continue­ rai. Hai i tuoi debiti karmici da saldare e i tuoi amici a cui riunirti. Forse rinascerai come mio figlio " . Ma nessuno si fermò a riflettere che, alla stessa stregua, si può ritornare come un cane o un gatto, o come una zanzara. Si tratta di un atteggiamento nei confronti della morte molto strano, davvero molto strano. Vajradhara, l'aspetto successivo di Padmasambhava, scopre l'eter­ nità non in quanto vittoria sulla morte o come sostitutivo del turbamento legato alla morte. È un 'eternità connessa alla visione realistica della vita. Esiste il dolore ed esiste il piacere. Esiste l'aspetto negativo del mondo, che non impedisce di metterei in rapporto con il mondo. L'eternità di cui parliamo è un fare ami­ cizia. Possiamo considerare qualcuno un ottimo amico, anche se presenta lati minacciosi. Anzi, proprio questi ultimi ci stimolano a diventargli amici. Entrare in rapporto con questa eternità significa diventare un re della vita, un signore della vita. Perché il signore della vita sia tale, deve includere anche la morte nei suoi dominii. Il signore della vita è signore della vita e della morte. Prende il nome di Vajradhara. Il giovane principe, cacciato dal suo regno, decide immediata­ mente di adattarsi alla brutalità del cimitero e al principio di eter-

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nità. li fatto è conosciuto come esperienza della mahamudra. L' espe­ rienza della mahamudra consiste nel mettersi in relazione con la qualità vivente dei fenomeni. Il cimitero è completamente reale: scheletri, corpi a pezzi, animali feroci, corvi, sciacalli e così via. Nel cimitero il giovane principe scopre un nuovo atteggiamento verso la vita o, meglio, un nuovo atteggiamento verso la vita sco­ pre lui. Potremmo dire che Padmasambhava diventa un cittadino modello: l'eternità gli reca l'indistruttibilità, nel senso che nulla viene sentito come una minaccia e nulla come una sicurezza. Questa è l'eternità di cui stiamo parlando. La morte smette di rappresen­ tare una minaccia. Padmasambhava sperimenta la morte in quanto aspetto della vita. Non gli interessa perpetuare la propria persona­ lità, la propria esistenza individuale. Adotta un atteggiamento su­ periore a quello di uno yogi, di un siddha o di un buddha, perché non considera ottenimenti le proprie esperienze. Non sono scoper­ te, vittorie o vendette. Sono esperienze che semplicemente accado­ no e, per il fatto stesso che accadono, Padmasambhava entra in sinfonia con loro. Così Padmasambhava diviene Vajradhara, il si­ gnore della vita e della morte; il detentore del vajra, dell'energia indistruttibile: un buddha sambhogakaya. Padmasambhava si mette in viaggio. Vuole esplorare tutti gli insegnamenti ed entrare in rapporto con i migliori maestri del­ l' epoca. Si reca da uno dei massimi esponenti della tradizione maha ati, Shri Simha, che si diceva originario della Tailandia o del Siam e che viveva in una caverna in un cimitero. Vajradhara, l'aspetto sambhogakaya di Padmasambhava, gli chiede come si distrugge il senso dell'esperienza. Shri Simha riduce Padmasam­ bhava alla sillaba HUM, che è la penetrazione. Non cerchiamo di dissolvere l'esperienza o di considerarla illusoria, ma la penetria­ mo. L'esperienza è come una cassa piena di buchi: non può offrire riparo, rifugio. Penetrarla, perforarla è come sforacchiare una como­ da amaca appesa all 'ombra degli alberi. [Una volta che è tutta un buco] sedetevi dentro e vi ritroverete per terra. Ecco la penetrazione della sillaba-seme HUM. Riducendolo allo HUM, Shri Simha inghiot­ te Padmasambhava dalla bocca e lo espelle dall'ano: simbolo del­ l'aspetto-nirmanakaya della capacità di penetrare totalmente e com­ pletamente il mondo fenomenico, la capacità di portarvi un mes­ saggio.

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Distrutto il senso della sopravvivenza personale e guadagnato il senso dell 'eternità , Padmasambhava sviluppa un senso di penetrazione. (Ovviamente non sta sviluppando un bel niente, ma si limita a passare attraverso queste fasi. Stiamo raccontando la sua storia secondo il nostro modo di costruirla, senza pretendere che egli abbia fatto davvero quelle cose). Fu così che Padmasambhava divenne noto come il grande yogi che poteva comandare al tempo; comandare al giorno, ali� notte e alle ..stagioni. Nel suo aspetto di yogi è chiamato Nyima Oser. Nyima Oser penetrò tutti i concetti: il tempo, il giorno e la notte, le stagioni. L'iconografia lo raffigura mentre tiene fermo il sole, usando i raggi come guinzaglio. Non è che vivere qualche sottile esperienza vi porti a un tale assorbimento da non distinguere più tra il giorno o la notte, o da confondere le stagioni. Piuttosto l'abitudine a concettualizzare il giorno, la notte e le stagioni (a concettualizzare il dolore, il piacere e tutto quanto), viene penetrata e attraversata. n giorno, la notte e le stagioni ci danno sicurezza; la sensazione di essere in rapporto con la realtà, con gli elementi naturali. " Adesso siamo in rapporto con l'estate, in rapporto con l'autunno, in rapporto con l'inverno, e ora siamo in rapporto con la primavera. Che bello essere vivi ! Com'è bello vivere su questa terra, il posto ideale per l'uomo, la nostra casa! Be', si fa tardi, è quasi ora di cena . . . Incominceremo la giornata con una ricca colazione . . . " , e così via. Tutta la nostra vita è regolata da concetti. n tempo passa e ci sono tante cose da fare; entrare in rapporto con tutte le cose è come dondolarci in un'ama­ ca, un comodo letto all'aria aperta. Ma Nyima Oser ha sforacchiato l'amaca. Non potete spassarvela oltre dondolandovi e sonnecchian­ do piacevolmente all'aria aperta. È intervenuta la qualità penetrante.

Studente Stai dormendo beatamente nell'amaca, e decidi di bucarne l'apparente comodità. Dove ti ritrovi: in piedi? Trungpa Rimpoche Ti ritrovi per terra. S. Sveglio? T. R. Sì, c'è più un senso di risveglio che di assorbimento. Studente L'immagine di Padmasambhava come grande yogi che controlla il tempo, significa che il tempo non lo controlla come fa con noi?

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Trungpa Rimpoche Per l'esattezza, non si tratta di controllare il tempo o di non farsene controllare. Si tratta di scoprire la non temporalità. 'Controllare il tempo' è un'espressione un po' grosso­ lana. Studente Hai sottolineato più volte che Padmasambhava non mette in atto un processo di apprendimento, e ciò nonostante conosce tutto. Non capisco perché non possiamo considerarlo un comune essere umano, come tutti noi, che ha imparato varie cose passando per stadi successivi. Trungpa Rimpoche Potremmo benissimo metterei in rapporto con i nostri stadi. Il nostro sviluppo spirituale, o comunque voglia­ mo chiamarlo, è un disimparare più che un collezionare nuove esperienze. Padmasambhava smaschera e disimpara, rimuove strati su strati di rivestimenti fenomenici. S. Questa sequenza di smascheramenti e di progressivo disimpa­ rare assomiglia a una serie di morti. Perché dev'essere così dolo­ roso? Perché non può essere una liberazione e accompagnarsi a sensazioni di gioia? T. R. È gioioso. Forse siamo noi che ci lamentiamo troppo. Siamo più consapevoli dello spessore delle tenebre che della chiarità della luce. S. Sembrerebbe che la cosa migliore sia mettersi in rapporto con la morte senza strategie preconcette. Ma, per abbandonare le strategie, devi prima abbandonare la paura? O basta entrare in relazione con la paura? T. R. In realtà, la paura è molto interessante. Accanto alla cecità del panico, ha una capacità di insight. Se abbandoni la speranza di ottenere qualsiasi cosa, allora entrare in sintonia con la paura è entrare in sintonia con l'insight. Dalla paura nascono spontanea­ mente gli abili mezzi, perché la paura è ricca di risorse. Infatti, è l'opposto della disperazione. Ma la paura ha in sé anche l'aspetto panico, e quella qualità sorda e ottusa di riuscire a cavartela sem­ pre nel modo migliore. Al contrario, la paura priva di speranza può produrre grandi insight. S. L'insight sta soprattutto nel capire perché si ha paura? T. R. Non solo. La paura ha un aspetto intuitivo che va al di là delle conclusioni della logica. Possiede una spontanea pienezza di nsorse. .

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S. Puoi dirne di più? T. R. Se riesci a metterti in rapporto con la tua paura capisci di avere già spiccato il balzo, di essere a mezz'aria. Capirlo ti riempie di risorse. S. Ma non è quello che facciamo tutti: inventare risorse dal niente? T. R. Non sappiamo di essere già a mezz'aria. Studente Rimpoche, hai detto che la paura priva di speranza è intelligente. Vale anche per le altre emozioni intense? Trungpa Rimpoche Speranza e paura costituiscono da sole la quasi totalità delle emozioni. Rappresentano la dinamica dualistica dello spingere e del tirare, che è alla base di tutte le emozioni. Le emozioni sono aspetti diversi di un'unica modalità, tutte nascono dallo sperare o dal temere qualcosa: tirare e attrarre, o schivare. S. La paura è anche il desiderio di ciò che temi? T. R. Sì. Ma se capisci che non c'è nulla da desiderare (il desi­ derio, come sai, è il lato speranza della paura) , se dawero lo capisci, tu e la tua paura siete nudi entrambi. S. Quindi entri in rapporto con la paura senza conservare nes­ suna speranza. Ma come si fa? T. R. È un rapporto privo di reazioni di ritorno. Allora la situa­ zione acquista automaticamente intensità o si fa più chiara. S. Lo stesso approccio è valido per la rabbia? Quando c'è rab-. bia, invece di esprimerla o di soffocarla, entro semplicemente in rapporto? Fermo la rabbia e mi metto in rapporto con il processo mentale? T. R. Tu non fermi nessuna rabbia, tu sei la rabbia. La rabbia esiste per i fatti suoi. Questo è il modo di metterei in rapporto con la rabbia, che diventa più vivida e non incanalata, si propaga come energia pura. Questa forma di rapporto non ha niente a che vede­ re con un rapporto di tipo interpersonale. In tibetano si chiama rang sar shak, letteralmente: '!asciarlo al suo posto '. Lascia che la rabbia se ne stia al suo posto. Studente Continuo a non capire perché cercare di comunicare con una persona che sta morendo. Trungpa Rimpoche Vedi, la morte è un'esperienza molto reale e in genere non ci colleghiamo alla realtà. Abbiamo un incidente, ci accade qualunque cosa, e non la consideriamo un'esperienza reale,

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anche se restiamo feriti. È reale in termini di dolore e di danni fisici, e tuttavia non è reale perché passiamo immediatamente a considerare come potremmo cambiarla. L'idea comune è il pronto soccorso o un intervento riparatore della situazione. L'idea da trasmettere a un amico o un parente che muore è che la morte è un'esperienza reale, non uno scherzo passeggero da cui ci ripren­ deremo presto. Si è soliti dire cose come: "La vita è un gioco. I grandi santi dicono che non è reale. La vita è irreale. Che cos'è mai la morte? " . È un atteggiamento che ci rende nervosi e appren­ sivi, e finiamo col trasmettere il nostro nervosismo al morente. Invece, dobbiamo aiutarlo a capire che la morte è reale.

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Abbiamo gettato uno sguardo sull'assenza di tempo, o eternità. Vincere o trascendere l'esperienza si rivela qualcosa di assoluta­ mente non dualistico, e potremmo chiama�lo sanità. L'aspetto di Padmasambhava conosciuto come Nyima Oser rappresenta la sa­ nità nei confronti del concetto di tempo e nei confronti delle idee, o esperienze, connesse con l' ottenimento spirituale. Dopo questa rapida occhiata, possiamo passare a esaminare un altro aspetto di Padmasambhava: Shakya Senge, Padmasambhava in quanto buddha. n principio collegato a questo aspetto è il seguente: una volta vinto il desiderio di un qualsiasi ottenimento nel mondo relativo, occorre andare oltre e metterei in rapporto con la sanità perfetta e totale, lo stato risvegliato della mente. Shakya Senge, Padmasam­ bhava-buddha, è il rapporto con lo stato risvegliato. Shakya Senge non è un buddha secondo lo spirito dell'Hinayana ma secondo lo spirito del Mahayana. Il carattere mahayanico di Padmasambhava è collegato al ruggito del leone che, nell'insegnamento mahayana, annuncia la shunyata, la sanità definitiva. Questo aspetto di Padma­ sambhava esprime perciò la sanità definitiva. Potremmo chiederci: "Come può la sanità definitiva situarsi ancora più in là della vittoria sulla concettualità e sul senso di fare esperienza? Come può esserci altro? Non è già abbastanza? " . C'è, ed è molto più sottile. La vittoria sulla concettualità e sul senso di fare esperienza è un passo in direzione della proclamazione. Prima dovete sconfiggere il nemico, poi potete proclamare la vittoria. Nel proclama noto come il ruggito del leone, Padmasambhava­ buddha riafferma la sanità. Il ruggito del leone non è una dichia­ razione di sfida, ma un ornamento. Non è una sfida per stabilire

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se si è ottenuta o no la vittoria, ma l'eccellente notizia di una vittoria ormai raggiunta. La proclamazione di questa buona notizia è il ruggito del leone. Rispetto alla vita di Padmasambhava, tale buona notizia è asso­ luta, definitiva: la buona notizia che il viaggio spirituale non ha bisogno di essere percorso. Il viaggio è già completato, non occor­ re ricercare altri insight. Proprio la non necessità di percorrere il viaggio spirituale è la buona notizia. Questo proclama il ruggito del leone. È più ancora di quanto annunciano i sutra mahayana, che parlano del raggiungimento della perfetta sanità attraverso la comprensione che la forma è vuoto, il vuoto è forma, eccetera. Il nostro ruggito del leone è di più, si spinge a proclamare che la buona notizia definitiva non dipende da vittoria alcuna. È risolu­ tiva in se stessa. In questo contesto, in che modo Padmasambhava manifesta la pazza saggezza? Egli è il monarca universale che si pone al di sopra degli yana rappresentati dai diversi insegnamenti, invece di assumere una posizione inferiore di rispetto. La storia vuole che Padmasambhava studiasse con Ananda, di­ scepolo e attendente del Buddha. Dallo stesso Ananda ricevette l'ordinazione a bhikshu, e comprese il messaggio del Buddha. Pad­ masambhava considerava Ananda più come un guru che come un precettore. È un punto fondamentale. Lo vedeva come un guru; non come un maestro di disciplina, un informatore, un professore o un insegnante nel senso più comune, perché Ananda appartene­ va al lignaggio della trasmissione diretta del Buddha. Lavorare con lui significava avere un rapporto vivo con gli insegnamenti. Anche noi possiamo entrare in rapporto vivo con la realizzazio­ ne di Padmasambhava: il senso di dignità che annuncia, secondo verità, che il viaggio spirituale non richiede di essere percorso. L'idea che vi sia un viaggio spirituale da percorrere è un inganno. In quest'ottica, anche le dieci bhumi del sentiero del bodhisattva sono un'adulterazione. Poiché non vi sono bhumi, come potrebbe­ ro esservene dieci? Vedere le cose in questo modo esprime l'immediatezza, la totale immediatezza della pazza saggezza. Implica entrare direttamente in rapporto con la sanità, o mente della bodhi; partecipare all' espe­ rienza del Buddha che realizza il samadhi simile al vajra sedendo

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all'ombra dell'albero della bodhi. Inoltre è un passo in avanti verso la fiducia nella propria natura di buddha. A questo punto, non possiamo più chiamarla natura di buddha, perché il termine 'natura' implica un che di embrionale. E noi non ci stiamo più riferendo a una possibilità embrionale, ma al Buddha vivente. Padmasambhava si congiunge al Buddha e scopre la sanità. Ananda fu il tramite che ne risvegliò l'ispirazione. Di fatto, il guru non ci trasmette né trasferisce dentro di noi le realtà spirituali, ma ci ricorda la sanità già presente in noi. Così Ananda si limitò a fornire a Padmasambhava, come Padmasam­ bhava fornisce, l'indicazione che le cose sono così. Potremmo avere difficoltà nel capire il significato di questa espe­ rienza e nell'identificarci con essa. Potremmo ascoltarla come si ascolta una storia in cui, dopo varie vicende, tutti vivono felici per sempre. La storia di Padmasambhava è qualcosa di più. Se entria­ mo in rapporto con gli eventi della sua vita, li troveremo molto realistici e applicabili alla nostra persona. Scoprendo la sanità, questa viene da sé. Riconoscere la sanità è una disciplina o una finzione: fingete di essere buddha, credete di essere buddha. Di nuovo, non ci stiamo riferendo alla natura di buddha in quanto stato embrionale ma alla viva buddhità già presente. All'inizio partiamo da una finzione, o meglio da una credenza. È una credenza perché, anche se la nostra buddhità è a quanto sembra irreale, la assumiamo come una real­ tà. Bisogna pur ricorrere a un trucco. Per poi scoprire che il trucco ci ha illuminati. L'insegnamento conosce un'ampia gamma di trucchi, meglio noti come abili mezzi. È un eufemismo bello e buono. Gli abili mezzi sono parte integrante della tradizione spirituale. Il comportamento adottato con gli studenti dai guru del lignaggio è una disciplina tradizionale. Gli abili mezzi sono indispensabili per correggere la tendenza a rifuggire la sanità. Gli studenti pos­ sono trovare la sanità troppo spaziosa, troppo irritante. Preferi­ remmo una modesta insania claustrofobica, protetta e sicura, il che equivale a strisciare a ritroso dentro il marsupio. Questa è la ten­ denza comune, perché sperimentare l'accuratezza e la sanità è trop" po frizzante, troppo fresco, troppo freddo. È ancora troppo presto per svegliarsi, meglio tornare a letto. Tornare a letto è dare via

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libera alle illusioni della mente, che preferiamo di gran lunga. Ci piace sentirei un po' confusi, e lì eleggiamo la nostra residenza. Le nostre preferenze non vanno alla sanità, all'illuminazione. Il vero problema sta qui, non nel fatto che non abbiamo sanità o non riusciamo a raggiungerla. Se la nostra preferenza andasse davvero alla sanità, all'illuminazione, avremmo un'irritante possibilità di farcela. L'aspetto Shakya Senge di Padmasambhava simboleggia proprio la preferenza di diventare come il Buddha. Cercò Ananda e gli parlò del Buddha. Studiando con Ananda, lavorando con lui, di­ ventò buddha. "Troppo in fretta " , potreste obiettare. Ma è ciò che accadde. L'aspetto successivo di Padmasambhava è quello di Senge Dra­ drok, collegato anch'esso al ruggito del leone. Il nome significa infatti 'ruggito del leone' o, letteralmente, 'fare il verso del leone' . Padmasambhava si manifesta in questo aspetto come grande mago, difensore della fede. Nell'India di quei tempi c'era una forte corrente di eretici, in sanscrito tirthika. Erano induisti, definiti eretici a causa della cre­ denza nel dualismo, nell'esistenza di un essere divino esterno e di un suo ricettacolo interiore, o atman. Molti ritengono che i libri sacri dell'Induismo siano degni di venerazione, specie gli insegnamenti mistici quali il Vedanta. In realtà il Vedanta non è così dualistico, non appartiene allo stile dualistico della spiritualità. Gli eretici con cui Padmasambhava · ebbe a che fare sostenevano invece la verità letterale del dualismo. Fraintendendo il senso profondo degli insegnamenti mistici, di­ stinguevano tra un dio esterno e un sé interno. Stranamente, la credenza in questa divisione può indurre grandi poteri psichici, produrre miracoli e favorire la comprensione tecnica e intellettuale degli insegnamenti. Verso gli eretici Padmasambhava si comporta come un agente naturale, un fattore organico. Se trattate con incuria il fuoco nel caminetto, brucerà la casa. Se affettate le carote senza fare atten­ zione, vi taglierete un dito. Il carattere dell'eresia sta appunto nell'incuria e nella disattenzione verso la situazione. Invece di ve­ dere le situazioni secondo la realtà del non dualismo, cercate di interpretarle in modo da confermare la vostra esistenza. Credere

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nell'esistenza di Dio vi rassicura della vostra esistenza. Cantare le lodi di Dio rende più felici voi, perché siete voi che ne state cantando le lodi. C'è un buon pubblico, un buon ricettacolo, e quindi Dio esiste. Dalla prospettiva buddhista è una concezione eretica. A quei tempi i grandi monasteri buddhisti in alcune regioni dell'India erano minacciati dai pandit induisti che vi si recavano a insegnare. I monaci si convertivano rapidamente all'Induismo e, poiché si profilava la catastrofe, Padmasambhava venne invitato a ritornare. " Non possiamo misurarci sul terreno intellettuale con i pandit induisti" , gli dissero. "Salvaci con una magia, forse è l'uni­ ca soluzione" . Padmasambhava andò a vivere in un monastero e un giorno, puntando il tridente verso i pandit induisti, scatenò un terremoto. Le montagne franarono e seppellirono cinquecento pandit. Che cosa vi suggerisce questo episodio? Che la nostra irragionevolezza causa la nostra stessa distruzione. Non voglio presentarvela in modo che non condanniate Padmasam­ bhava e le sue azioni. Non sono il suo portavoce e non sostengo che: "Nonostante le sue azioni, è un bravo ragazzo" . Padmasam­ bhava si comportò come un agente naturale, un fattore organico, che rimette al loro posto gli elementi irragionevoli creati dagli uomini. Poco tempo fa si progettò una strada tra l'India e il Bhutan, la Bhutan National Highway. Grandi lavori, bulldozer, ingegneri in­ diani. Furono spesi milioni e milioni di rupie, e la strada era bellissima. Ma, quando arrivò il monsone, fu spazzata via dalle frane. La strada richiese un intervento sulle montagne, sulla strut­ tura della roccia. La natura reagì all'intervento scatenando enormi smottamenti. A quel punto vennero stanziati molti altri milioni di rupie, e il processo ricominciò. Di nuovo, durante una visita uffi­ ciale del presidente indiano in Bhutan, l'aereo che recava i doni del governo indiano al re e al governo del Bhutan si perse nella nebbia e si schiantò contro una montagna. Mentre il presidente indiano si preparava a lasciare il paese, le montagne scatenarono enormi frane a mo' di saluto. Non sto accusando il presidente indiano di eresia. La definizio­ ne di eresia è molto delicata. Se non siete in armonia con la natura

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della realtà, vi trasformate in un bersaglio o in un satellite inutile. Nessuno vi dà da mangiare. Non c'è carburante per voi. Solo le vostre risorse e, poiché non potete rigenerarvi attingendo ad altre risorse, morirete. Proprio questo accadde ai pandit uccisi da Padmasambhava. È un'azione poco compassionevole, immorale, ma Padmasambhava non agisce come mago bianco o mago nero: simboleggia la natura della realtà. Non abbiamo ricevuto istruzioni su come annientare i pandit. Anche se gli insegnamenti sono stati tramandati di generazione in generazione senza interruzione né alterazioni, e siamo quindi in possesso della loro globalità, nessuno ci spiega come eliminare gli eretici. Gli insegnamenti ci dicono invece come lavorare alla pra­ tica e quale atteggiamento organico adottare verso di essa. Basta ciò perché i corruttori degli insegnamenti si distruggano da soli. Questo è il messaggio di fondo, l'aspetto di Padmasambhava co­ nosciuto come il 'ruggito del leone', Senge Dradrok. *

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Studente Gli elementi naturali proteggono in modo organico chi non corrompe gli insegnamenti? Trungpa Rimpoche Chissà. Studente L'azione organica di Padmasambhava in rapporto agli elementi è identica a quella dei dharmapala, i protettori degli inse­ gnamenti? Trungpa Rimpoche In parte, sì . Supera però l'ambito dei dharmapala, ai quali spetta la funzione di far ricordare. Qui, inve­ ce, abbiamo il messaggio nella sua globalità. S. Quello che definisci 'azione organica' o 'globalità del messag­ gio' non è in un certo senso semplicemente un' azione karmica? T. R. È un'azione karmica in quanto awiene qualcosa di organi­ co; ma comporta anche un organico particolare, caratterizzato dalla deliberazione. Siamo di fronte a due schemi: una frana in una miniera di carbone è diversa dalla frana che seppellisce gli eretici. Studente Non mi è chiaro il trucco che mi trasforma in buddha. Usare la mente per ingannarmi mi sembra molto poco buddhista. È diverso da ciò che chiami mistificazione, ingannare se stessi, ingannare l'esperienza? Trungpa Rimpoche Molto diverso. La mistificazione, l'autoingan-

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no, si basano su strategie complesse ed elaborate, mentre ritrovarti buddha grazie a un trucco è immediato. Lo diventi sui due piedi. S. Ma se mi dico: " Sono un buddha", senza sapere cos'è dawe­ ro un buddha . . . T. R. Non ha importanza. Il punto è precisamente questo: non sappiamo che cos'è buddha. E, forse, non sapere che cos'è buddha, è buddha. S. Allora non occorre far niente. O devo fare qualcosa? T. R. Sta a te. Devi sviluppare un tuo sistema. S. E la fiducia non basta . . . T. R. No. È un cambiamento repentino, come se ti togliessero il tappeto da sotto i piedi o ti strappassero i piedi dal tappeto. Ma si può fare, è vero. S. È come sballare completamente? T. R. Sballare completamente richiede un mucchio di prepara­ zione. Cascare nel tuo trucco ti prende di sorpresa, come se niente fosse accaduto. S. Ha a che fare con mantra e visualizzazioni? T. R. Molto più immediato. È un cambiamento d'ottica: invece di cercare di diventare buddha, capisci che buddha sta cercando di diventare te. S. C'entra con l'abhisheka, il conferimento di potere attraverso una iniziazione? T. R. Sì, è il quarto abhisheka, l'entrata improwisa nel presente. S. Eppure ci dovrà essere tutto un processo preparatorio perché awenga questo cambio di prospettiva. T. R. Devi essere disponibile a farlo. Quella è la liberazione. Non c'è altro da fare. La cosa essenziale è la tua disponibilità. Devi sentirti di affrontare i disagi che vengono dall'essere buddha. Studente Hai parlato dell'eternità e di come Padmasambhava venne trasformato nella sillaba HUM. Essere trasformati in HUM è un'esperienza di morte? Devi dissolverti per penetrare l'esperien­ za? Devi morire? Trungpa Rimpoche La penetrazione non è necessariamente col­ legata con la morte. Essere trasformati nello HUM significa diven­ tare intensi; diventare un essere condensato, concentrato, con un profondo senso di essere te stesso. Sei come un granello di sabbia: invece di dissolverti ti intensifichi in un punto.

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5. Dopo essere stato inghiottito e defecato da Shri Simha, Pad­ masambhava era sempre lui? T. R. Certo. Inghiotti un diamante e, quando lo defechi, è sem­ pre un diamante. Studente La penetrazione sembra implicare un senso di affilatez­ za. Sei nel mezzo di una manipolazione egoica ed ecco che qual­ cosa di affilato ti risveglia. Trungpa Rimpoche L' affilatezza che recide la mente nevrotica è come una lama a due tagli che recide contemporaneamente in due direzioni. Quindi, l'unica cosa che esiste è l' affilatezza. Non è un ago o una scure. Recide contemporaneamente la proiezione e chi la proietta. Ecco l'aspetto-pazzia: il tagliatore viene tagliato dalla lama assieme a ciò che taglia. Oltre che pazzo, è buffo. Non c'è nessun vincitore. L'assalitore viene distrutto assieme al difensore, nello stesso istante. Davvero pazzo. Combattete pensando di vin­ cere ma, in questo caso, non vincerete. I contendenti perdono entrambi, nessuno vince. In altre parole, vincono entrambi. Studente Mi sembra collegato alla shunyata. Ogni istante può aprirsi uno spazio, dove c'è un altro tipo di affilatezza . . . Trungpa Rimpoche È molto diverso. Dove c'è già spazio aperto, la lama non può tagliare niente. È auto- alimentantesi, come l'HUM. Da questo punto di vista, la shunyata e la pazza saggezza sono diverse. Shunyata ci fornisce una casa, una casa comune, una casa confortevole, mentre la pazza saggezza è un tagliare infinito. L' ap­ proccio tantrico è collegato all'energia, mentre l'esperienza della shunyata è solo saggezza, senza l'energia. È scoperta, esperienza, e una sorta di tana. Studente Che motivazione spingeva Padmasambhava a diventare buddha? Mi riferisco a quello che hai detto a proposito del non volere una situazione scomoda, perché si preferisce la comodità della claustrofobia e dell'insania. Trungpa Rimpoche Finché è in gioco la mente samsarica, la motivazione è sempre distorta. Si tratta invece di andare contro il desiderio di farci una casa, di andare contro il classico consiglio dei genitori: "Perché non ti sposi, non cerchi un lavoro e una casa invece di startene seduto a meditare ? " . 5. Esiste una motivazione indipendente dalla mente samsarica? T. R. L'estrosità, lo stato selvaggio .

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S. È una parte di noi che possiamo scoprire e coltivare? T. R. Sta a noi verificarlo. Non ci sono ricette. S. Abbiamo già fatto ogni tanto esperienza dell'estrosità di cui parli, o è una cosa completamente nuova? T. R. Io non lo posso sapere. Scoprilo da te. Studente Hai parlato del buddha che cerca di diventare te. È questo il fattore motivante? Trungpa Rimpoche Avviene una cosa davvero strana. Sei perfet­ tamente felice e a tuo agio così come sei, eppure lo senti atroce­ mente doloroso. Non sei sicuro se vuoi rimanere come sei, il che è molto piacevole, o se non vuoi rimanere come sei, perché allo stesso tempo è molto doloroso. È sempre in atto uno spingere e un tirare, e questo è un tipo di motivazione. Vuoi conservare i tuoi modelli abituali, ma ti annoiano: ecco un'altra motivazione. Voglio dire che non possiamo definire esattamente la motivazione, non possiamo conoscere con precisione la direzione del viaggio. Le direzioni si confondono. Sai benissimo se stai andando o tornan­ do, su questo non sei confuso; ma vuoi ancora manipolare la situa­ zione. Questo è il carattere contagioso della natura di buddha, che vuole splendere sempre.

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L'aspetto successivo di Padmasambhava è appunto Padmasam­ bhava. Per qualche strana ragione, 'Padmasambhava' è diventato il nome generico che raggruppa tutti gli aspetti del nostro personag­ gio. Forse è dovuto a un influsso dei Gelukpa. I tibetani seguaci di Padmasambhava lo chiamano in genere Guru Rimpoche o Pema Jungne, 'nato dal loto' ; in sanscrito Padmakara. Il nome Padma­ sambhava indica solo uno dei suoi aspetti. Ciò sembra collegato a una disputa settaria in cui una fazione non lo accetta come prin­ cipio cosmico, ma lo considera solo un pandit. Padmasambhava è infatti il suo aspetto di pandit, di studioso. Come tale, studiò la triplice disciplina all'università di Nalanda: meditazione, moralità e saggezza. Le tre discipline corrispondono alle tre partizioni delle scritture buddhiste, il Tripitaka. Una par­ tizione espone la disciplina monastica, un 'altra gli insegnamenti contenuti nei sutra, e la terza la struttura piscologica degli esseri. Si pone spesso la domanda: "È possibile percorrere il sentiero spirituale senza studio? Non possiamo e raticare molta meditazione e imparare dalla nostra esperienza? " . E opinione diffusa che, se­ dendo e meditando intensamente, non ci sia bisogno di testi e di studio. Basterebbe meditare per capire tutto. È un approccio uni­ laterale, che non dà spazio all'affinamento e alla disciplina della mente. Non tiene conto della comprensione che ci protegge dal­ l'indulgere in stati di assorbimento, comprensione che ci fa vedere la necessità di abbandonare questi stati e ci colloca in un diverso ordine di idee. Per noi lo studio riveste un ruolo molto importan­ te, simboleggiato dall' aspetto-pandit di Padmasambhava.

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Un problema connesso con l'intelletto e la comprensione intel­ lettuale è questo: se cerchiamo e costruiamo risposte, conclusioni e deduzioni logiche, tendiamo a formarci un'alta considerazione della nostra capacità di capire. Sviluppando solo questo aspetto, non sapremo sperimentare nel modo giusto le cose né imparare dagli insegnamenti. Ci sclerotizziamo nello studio, come topi di biblioteca. Possiamo incominciare a pensare che le pratiche siano pericolose se prima non le svisceriamo attraverso la dotta erudizione. Questo approccio può spingersi tanto in là da sostenere che, se volete studiare il Buddhismo, dovete prima imparare il sanscrito, il giapponese e il tibetano. Finché non avrete imparato queste lingue e studiato i testi, non potete neppure iniziare la pratica della meditazione. Questo approccio insinua che lo studente debba trasformarsi in erudito. Ottenuta la perfetta erudizione, ecco ottenuta la buddhità. Saprà a menadito tutte le risposte, conoscerà tutto quanto per diritto e per rovescio. Questa specie di onniscienza, sostiene tale punto di vista, fa di noi un buddha. Pretendere che un illuminato sia un dotto e uno studioso è un travisamento, l'altro estremo. L'illuminazione non è una raccolta di informazioni. Accorgendosi che il Buddha non sapeva, poniamo il caso, montare i pneumatici da neve, una mentalità nozionistica incomincerebbe a nutrire dei dubbi. Se ci si aspetta l' onniscienza, come potrebbe un buddha non cavarsela in un'operazione del genere? Il perfetto buddha dovrebbe stupirei in qualunque cam­ po. Dev'essere un ottimo cuoco, un ottimo meccanico, un ottimo scienziato, un ottimo poeta, un ottimo musicista: ottimo in tutto. È un'idea del buddha a dir poco annacquata e ampollosa. n buddha non è un esperto universale o un super-dotto. Allora: se la giusta comprensione intellettuale e il giusto affina­ mento mentale non stanno nell'ingerire miliardi di informazioni per trasformarci in una biblioteca ambulante, dove stanno? Nello sviluppo dell' affilatezza e dell'accuratezza in relazione alla natura della realtà. Niente a che vedere col poggiare su conclusioni e concetti logici: lo studio intellettuale dell'insegnamento deve pog­ giare su un atteggiamento neutrale, né solo critico né solo devo­ zionale, senza voler balzare immediatamente alle conclusioni. Lo scopo dello studio non è balzare alle conclusioni, ma fare espe-

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rienza delle cose in modo logico e sensato. È la via di mezzo [tra i due estremi del rifiuto e dell'apoteosi dell'intellettualismo] . Distinguersi negli studi intellettuali significa in genere formarsi convinzioni personali, e la fama di uno studioso dipende dalle sue scoperte intellettuali. Le scoperte di cui noi parliamo non riguar­ dano però il campo accademico, ma l'esame e il lavoro con le esperienze personali. L'esperienza personale viene pienamente eia­ borata. Per riprendere un'immagine dei testi: fusa, martellata e forgiata come l'oro. Mettete in bocca, masticate, inghiottite e dige­ rite la vostra esperienza. Così l'esperienza diventa lavorabile nella sua interezza, non più limitata al solo desiderio di eccellere come studioso e diventare il grande buddhologo, il grande tibetologo e COSÌ VIa. In altre parole, 'intelletto' significa qui assenza di un osservato­ re. Finché ci osserveremo imparare, ci osserveremo crescere, svi­ lupparci e diventare sempre più dotti, continueremo a paragonarci all'altro. Aumentiamo il peso dell'io, sempre in gara con l"altro'. Spogliato di un osservatore, lo studio diventa molto diretto e im­ mediato. L'intelletto privo di osservatore possiede qualità simili a quelle che abbiamo trovato nel giovane principe: aperto, pronto a esplorare, libero da atteggiamenti preconcetti, libero dal desiderio che accada qualcosa di diverso da quello che sta accadendo, dal desiderio di sostituire l'ignoranza con l'informazione. È una sco­ perta inesauribile di nuove situazioni e di come esse vengono pre­ sentate nei testi e nelle scritture. Significa scoprire le sottigliezze e le emozioni legate ai diversi aspetti del Buddhismo. Significa capi­ re gli insegnamenti in tutta la loro portata, senza sentirsi disorien­ tati di fronte ad approcci nuovi, a nuove forme di saggezza. Non rimaniamo disorientati perché sappiamo a quale lato della psicolo­ gia umana fanno appello i vari approcci. Tutto ciò che è in rap­ porto con l'insegnamento diventa allora molto semplice, facile e praticabile. Questo è il messaggio di Padmasambhava nel suo aspet­ to-Padmasambhava, che divenne un grande pandit valendosi del­ l'intelletto privo di un osservatore. Sulla scorta del suo esempio, anche noi possiamo lavorare con l'intelletto senza che ci sia un osservatore. Ci si potrebbe chiedere: "Se non c'è un osservatore, come sap­ piamo di aver capito ciò che impariamo ? " . È possibile affrontare

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lo studio e la comprensione da un'ottica diversa dalla raccolta di informazioni mirata ad accrescere la personalità o nutrire un nuo­ vo io. Non è questa l'unica strada. Ci sono altri modi per svilup­ pare al meglio lo studio e l'intelletto, ed è possibile farlo senza un osservatore. Un altro aspetto di Padmasambhava è conosciuto come Loden Choksi, un rajguru, il maestro spirituale di una famiglia reale in­ diana. La storia di come Loden Choksi divenne un rajguru è molto interessante. Vagando di luogo in luogo, giunge in un monastero femminile dove dà insegnamenti alla monaca responsabile, la prin­ cipessa del regno di Sahor nell'attuale Himachal Pradesh, stato dell'India settentrionale. La principessa era una persona preziosa: molti stati confinanti e grandi imperi come la Cina, la Persia e, narra la storia, addirittura Roma, le avevano offerto di diventare regina ma, non volendo aver nulla a che fare con il potere e i piaceri mondani, aveva rifiutato. Desiderava diventare monaca bud­ dhista, e così fu. Il re del Sahor temeva che, se la principessa non avesse mantenuto lo stato monacale [cosa che sarebbe parsa un inganno e un affronto dai regni le cui offerte non aveva accettato] , il suo regno sarebbe stato attaccato. [Perciò la circondò di cin­ quecento monache con il compito di sorvegliarne il comporta­ mento] . Padmasambhava stava dando insegnamenti alla principessa e alle cinquecento monache quando un mandriano, passando sotto le mura, udì una voce maschile provenire dal monastero. La voce corse rapidamente per il regno, suscitando un grave scandalo. Quando giunse alle orecchie del re, della regina e dei ministri, essi tentarono di soffocare lo scandalo gridando alla calunnia, ma il principale testimone, il mandriano, era scomparso. Disposero nel cortile del palazzo una montagna di doni, da consegnare al testi­ mone se fosse venuto a prenderli. C'erano oro, argento, gioielli e seta. Infine il mandriano si presentò e venne creduto, perché non aveva motivo di seminare lo scandalo nel paese. Il re inviò un ministro a verificare ciò che accadeva nel mona­ stero. li ministro trovò le porte sbarrate. Le monache non faceva­ no entrare nessuno, nemmeno il messo del re venuto in ispezione. Sospettando che nel monastero avvenissero cose poco chiare, il re inviò le guardie. Fatta irruzione, le guardie trovarono Padmasam-

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bhava seduto in trono nella sala delle assemblee, intento a dare insegnamenti alle monache. Le guardie fecero per catturarlo ma, con loro stupore, si accor­ sero di non riuscirei. Il re montò su tutte le furie e mandò l'eser­ cito. Padmasambhava e le monache vennero fatti prigionieri. Era tradizione di quel regno bruciare i condannati su una pira di legno di sandalo. La principessa fu gettata in un sotterraneo irto di rovi, e Padmasambhava salì sul rogo. Il fuoco, calcolato per spegnersi dopo ventiquattro ore, non si spegneva. Fiamme e fumo continuarono a levarsi per tre settimane. Il re e la popolazione erano stupefatti: chi era mai il vagabondo che avevano condannato al rogo? Il re ordinò di portargli frammenti delle ossa del giusti­ ziato, nel caso possedessero proprietà magiche. n messo arrivò sul luogo e, dove sorgeva la pira, trovò un lago profondo sulle cui rive ardevano ancora gli ultimi tronchi. Nel centro del lago, Padma­ sambhava sedeva in un fiore di loto. n re capì di avere commesso un grave errore e si recò da Padma­ sambhava, che intonò un canto che diceva: "Benvenuto, grande peccatore; benvenuto, re irretito nella confusione " . n re lo invitò a palazzo. Alla fine Padmasambhava accettò e, dice la storia, cele­ brò alcune sadhana del mandala del vajradhatu nel palazzo reale. Come risultato, continua la storia, il regnò si svuotò completamen­ te nel giro di sette anni. La civiltà scomparve man mano che tutti gli abitanti diventavano grandi yogi, abbandonando casa e lavoro. Erano tutti impazziti. La storia di Loden Choksi, l'aspetto-rajguru di Padmasambhava, ci descrive un miracolo. Il miracolo non fu la conversione del re, ma il modo di porsi di fronte alle minacce e alle accuse. Loden Choksi manifesta infatti l'invincibilità di Padmasambhava. Per lui le minacce non sono pericoli, ma ornamenti in più. Nella pazza saggezza gioca un ruolo determinante l'utilizzo degli ostacoli come mezzi per lavorare con le situazioni della vita. L'idea è familiare a quanti già conoscono gli insegnamenti della pazza saggezza. Per gli altri, che ritengono che la spiritualità sia pura bontà, opposizioni e ostacoli sono cons�derati opera del de­ monio. Considerare gli ostacoli come ornamenti è un'idea abba­ stanza strana. Appena si profila una minaccia per l'insegnante o l'insegnamento tendiamo immediatamente a bollarla come 'opera

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del demonio', in un'ottica che, invece di metterei in rapporto con gli ostacoli, li rigetta come fatti negativi, nemici dell'insegnamento. L'intervento demoniaco richiede perciò una purificazione. Bisogna rifuggerlo, invece di esplorarlo in quanto parte della globalità dello sviluppo organico della situazione con cui stiamo lavorando. Così finiamo per considerarlo un problema e niente più. Penso che, guardando in profondità in se stessi, anche quelli di noi che conoscono già l'insegnamento della pazza saggezza trove­ rebbero tracce della stessa mentalità. Conosciamo il lato filosofico e teorico dell'insegnamento, sappiamo di dover lavorare con le negatività e usarle come ornamenti, eppure resta un desiderio re­ siduo di alternative, di una promessa in qualche modo nascosta. Succede a molti studenti. Si parla di entrare in rapporto con la negatività in quanto parte dell'evolversi della situazione, ma poi si considera questo approccio come una soluzione alternativa della negatività, vista ancora come un problema. Anche vecchi studenti, in pubblico e in privato, pongono domande basate sull'approccio della soluzione alternativa. Continuano a credere nell'esistenza del 'modo migliore', di una via alla felicità. Sappiamo che ci viene richiesto di metterei in rapporto con il dolore e il disagio in quan­ to elementi del sentiero, ma continuiamo a considerarla una via alla felicità, un modo per risolvere il problema, un 'alternativa migliore. Se ci fossimo trovati nei panni di Padmasambhava il rajguru, ci saremmo messi a discutere con i soldati venuti ad arre­ starci per farci salire al rogo. "È un errore, non fatelo. Non sapete cosa state facendo ! " . E altri tentativi dello stesso genere, invece di lasciar accadere gli eventi, di lasciare che i fatti parlino più forte delle parole. All'interno del nostro approccio resta un senso di timidezza. Siamo timidi perché, per quanto gli insegnamenti siano sottili o chiari, non abbiamo ancora fatto nostro il messaggio: "Dolore e piacere sono ornamenti ugualmente belli da indossare" .6 Lo leggia­ mo, lo pronunciamo ma continuiamo a capovolgerne il senso e a voler valutare positivamente il dolore e la negatività: "Dobbiamo lavorarci, ed è quello che sto facendo. Ho scoperto cose molto aspre, cose molto dure nella mia vita e nella mia mente. Non è particolarmente piacevole ma, dopo tutto, è interessante " . Resta una sfumatura di speranza. Considerare la negatività 'interessante'

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significa sperare che, col tempo, ci salveremo. Il tacito sottinteso è che tutta la faccenda si rivelerà alla fine piacevole e positiva. È un meccanismo molto sottile; come se vi fosse il tacito accordo che, alla fine, tutte le strade portano a Roma. Siamo ancora alle prese con la mentalità hinayana, anche se stiamo studiando gli insegnamenti più profondi della pazza saggez­ za. Continuiamo a pensare che la pazza saggezza ci porti la felicità, che le stampelle del Vajrayana ci aiutino a camminare su un buon sentiero hinayana. Ciò rivela che il nostro rapporto con tutta la cosa non è ancora disperato, totalmente privo di speranza. Alla ricerca di una scappatoia, consideriamo la non speranza come una soluzione. Ci comportiamo come se, per tacita intesa, nonostante ciò che si dica, in realtà lavorassimo per ottenere una qualche felicità. Non è questo il messaggio dell'aspetto-rajguru di Padma­ sambhava. Il suo atteggiamento è: "Se la felicità viene, che venga; nel frattempo, se devono giustiziarmi, che lo facciano " . Accettate di essere u n criminale, avanti, siatelo ! Padmasambhava lo fu, e venne giustiziato in quanto tale. Allora qualcosa cambiò. Accogliere come vostri gli errori degli altri è davvero difficile; eppure, il dolore è il sentiero. Non vogliamo venire incolpati per le azioni altrui, la nostra prima reazione è: "Non è stata colpa mia". Non tolleriamo di essere accusati ingiustamente. È logico, nessuno ama sentirsi accusare. Ma immaginiamo di assumerci la responsabilità dell'intera situazione e di !asciarci accusare: che cosa avverrebbe? Sarebbe molto interessante scoprirlo seguendo l'esem­ pio di Padmasambhava (se questo vi fa sentire meglio) . È un approccio molto interessante; non particolarmente sottile ma abbastanza ovvio. Diventa sottile solo con il capovolgimento del capovolgimento del capovolgimento operato dall a mistificazione, che è un capovolgimento in vista di uno scopo. *

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Studente Vorrei saperne di più sul capovolgimento operato dalla mistificazione. Trungpa Rimpoche Ci sarebbero moltissime cose da dire, ma il punto principale è smetterla con la scusa del: "Prima o poi andrà tutto a posto, c'è comunque la promessa di una ricompensa". Anche credere che non ci sia nessuna promessa diventa una sorta di

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promessa. È continuamente in atto un capovolgimento di questo tipo. Solo accettando di venire accusati ingiustamente possiamo recidete le nostre mistificazioni. È molto difficile. Siamo pronti a mentire per il nostro tornaconto, ma non siamo disposti a mentire per il bene degli altri. Non siamo disposti ad assumerci il dolore altrui. O, se ne siamo disposti, lo facciamo immancabilmente pre­ sente: " Guarda che cosa enorme sto facendo per te, e tutto a tuo vantaggio " . Può darsi che accettiamo di farlo, ma prima vogliamo farlo sapere. Studente Padmasambhava è il leone del dharma. Lo accusano di un'azione malvagia, e la sua reazione è: "Certo, fate pure; sporcate il mio nome" . Non capisco bene. Se non avesse avuto altra scelta sarebbe stato un comportamento sensato, ma poteva reagire altri­ menti: rappacificare, integrarç, incantare e così via. Ammettere un'accusa infondata sembra piuttosto voler evitare la situazione. Non vedo il rapporto intelligente con la situazione. Trungpa Rimpoche La situazione divenne più potente proprio perché non ricorse al potere di incantare. Si arrese, ma con tale forza che la situazione ricadde su chi l'aveva provocata. n risultato fu che non toccò a Padmasambhava scagionarsi, ma dovettero farlo gli altri. Il messaggio, per noi suoi seguaci, è questo: visto che non ricor­ riamo poi troppo spesso (per dirla così) a queste tecniche, vale la pena almeno di tentare. Non dobbiamo razionalizzare e affermare che arrendersi totalmente alla situazione è l'unica via. Non si tratta di questo. Siamo in possesso di una grande varietà di tecniche, e questa è tra le più interessanti. È degna di attenzione. Voglio dire che avete a disposizione otto stili di vita (ciascun aspetto di Padma­ sambhava porta un messaggio differente) , e questo è uno. Studente La resa di Padmasambhava è simile a quella di Cristo? Avere semplicemente permesso che la situazione accadesse? Trungpa Rimpoche Sì, è evidente. Si addossò la colpa. Studente Non mi è chiaro l'invito a non evitare il dolore. Se non cerchiamo di evitarlo, che senso ha la Nobile Verità della cessazione della sofferenza? Trungpa Rimpoche La cessazione della sofferenza sta nel vedere il dolore dal rovescio, dall'altra parte, e non nell'eliminarlo. S. Vuoi dire che ti ritrovi dall 'altra parte del dolore? _

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T. R. Sì, [dall'altra parte] di ciò che crea il dolore: la confu­ swne. Studente Mi sembra che tanto Cristo che Padmasambhava siano ricorsi alla magia per ottenere la vittoria finale. Trungpa Rimpoche Non necessariamente. Può darsi che la magia si sia prodotta da sé. S. Voglio dire: il lago, stare seduto in un fiore di loto . . . T. R. Queste non sono magie, fu semplicemente ciò che accad­ de. Anche la resurrezione può essere vista come niente affatto magica: è ciò che avvenne nella situazione del Cristo. S. Con 'magico' voglio dire insolito. Se non è magia, cos'è? T. R. Allora è magia anche quello che stiamo facendo qui, qual­ cosa di decisamente insolito in America. La cosa si è sviluppata da sé, non possiamo aver creato noi tutta la situazione. Il ritrovarci assieme per parlare di questo argomento è accaduto da sé. Studente Rimpoche, quello che hai detto a proposito dell'usare il dolore come ornamento mi pare riferirsi alla differenza tra la semplice raccolta di informazioni e la reale esperienza. Non vedo però come si possa essere sicuri di rimanere davvero in contatto con l'esperienza. Trungpa Rimpoche Non bisogna considerare l'intera faccenda come un modo per andare al di là dell'io: entratevi semplicemente in rapporto in quanto processo dinamico. Non intervenire, vai semplicemente avanti. È un sistema molto informale. Studente Che cosa significa il nome Loden Choksi? Trungpa Rimpoche 'Loden' significa 'che possiede l'intelligenza', e 'choksi' 'mondo supremo' o 'esistenza suprema'. In questo aspet­ to il nome non sembra significativo come negli altri casi. È meno eloquente di Senge Dradrok o Dorje Trolo. Loden Choksi ha a che vedere con l'abilità. Studente Qual è la differenza tra la percezione intellettuale di­ retta di cui hai parlato e altre forme di percezione? Trungpa Rimpoche Se sei sempre alla ricerca di risposte, non puoi percepire niente. L'intelletto, correttamente usato, non cerca risposte ma vede. Prende annotazioni mentali. Anche così, non hai lo scopo di raccogliere informazioni: l'intelligenza si esprime en­ trando semplicemente in rapporto con quello che c'è. In questo modo, la tua intelligenza non si lascerà abbindolare da suggerì-

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menti non pertinenti. Al contrario, si affinerà e potrai confrontarti direttamente con ciò che accade. S. Ma cosa la contraddistingue da altre forme di percezione? T. R. In genere la nostra percezione è una mescolanza, le perce­ zioni sono condizionate dal voler affascinare o distruggere. Con­ tengono passione, aggressività e tutto il resto, motivazioni di ogni genere che si oppongono al puro vedere, al guardare le cose con precisione e perspicacia.

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Dorje TrolO tre stili della trasmissione

L'ottavo aspetto di Padmasambhava è Dorje Trolo, la qualità ultima e definitiva della pazza saggezza. Per comprendere l'ottavo aspetto di Padmasambhava dobbiamo avere qualche conoscenza dei modi [tradizionali] di trasmissione degli insegnamenti. L'idea di lignaggio è connessa alla trasmissione dell'adhishthana, letteral­ mente 'energia' o, se volete, 'grazia', che passa dal guru trikaya agli esseri senzienti come una corrente elettrica. La pazza saggezza è infatti un flusso continuo di energia che, scorrendo, si rigenera. La si può rigenerare solo irradiandola e trasmettendola, mettendola in atto e traducendola in pratica. È diversa da altre forme di energia che si esauriscono con l'uso. L'energia della pazza saggezza si rigenera attraverso il nostro viverla. Mentre la vivete, l'energia si rigenera; non vivete per la morte ma per la nascita. Vivere è una nascita ininterrotta, non un processo di logoramento. Il lignaggio adotta tre stili di trasmissione dell'energia. n primo è detto kangsak nyen-gyii e avviene attraverso le parole, le quali utilizzano idee e concetti. In un certo senso è un metodo relativamente rozzo e primitivo, un approccio in qualche misura dualistico che, comunque, è valido ed efficace. Se vi sedete a gambe incrociate come se meditaste, dopo un certo tempo avete buone probabilità di ritrovarvi effettivamente a meditare. Equivale a ottenere la sanità fingendo di averla, compor­ tandovi come se foste effettivamente sani. Allo stesso modo è possibile utilizzare parole, termini, immagini e idee negli insegna­ menti orali o scritti, come se fossero un mezzo assolutamente per­ fetto di trasmissione. La procedura è la seguente: si espone l'idea,

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si confuta l'idea opposta, e quindi la si riporta a un testo o un insegnamento dato in passato. . Credere nella sacralità di determinate cose è, a livello primitivo, il primo passo della trasmissione. Secondo la tradizione non si devono calpestare libri e testi sacri, né sederci sopra o trattarli comunque senza cura, perché racchiudono cose molto potenti. Maltrattare i testi equivale a maltrattarne il messaggio. C'è la cre­ denza in una entità, un'energia, una forza: una qualità vivente. Il secondo stile di comunicazione, o insegnamento, è il rigdzin da-gyu. È il metodo della pazza saggezza, anche se a livello relativo e non ancora assoluto. La trasmissione avviene provocando inci­ denti che sembrano casuali, non imputabili a nessuno, e che inve­ ce sono stati provocati. In altre parole il guru si sintonizza sul­ l' energia cosmica, o comunque vogliate chiamarla. Se ad esempio occorre creare una situazione di caos, il guru indirizza l'attenzione verso il caos e questo, come per caso o per errore, si manifesta. Il tibetano da significa 'segno', 'simbolo'. Il senso è che il guru della pazza saggezza non si esprime né insegna a parole ma mediante la creazione di un simbolo, di un mezzo. Il simbolo in questione non è qualcosa che richiama qualcos'altro, ma manifesta la vivente qualità della vita trasformandola in messaggio. Il terzo stile di trasmissione è detto gyalwa gong-gyu. Gong gyu significa 'pensiero-lignaggio' o ' mente-lignaggio' . Dall'ottica del pensiero-lignaggio, anche il precedente metodo di provocare una situazione è rozzo e primitivo. Qui invece la reciproca compren­ sione crea un'atmosfera globale in cui il messaggio viene compre­ so. Se il guru della pazza saggezza è autentico, allora si produce l'autentica comunicazione che non richiede né parole né simboli. Basta esserci per trasmettere un senso di accuratezza. Può assume­ re l'aspetto di un aspettare . . . niente, o di fingere di meditare insieme . . . senza fare nulla. Può prendere la forma di un rapporto assolutamente informale in cui si parla del tempo o dell'aroma del tè; di come si prepara il curry o il chop suey, o di cucina macro­ biotica; si chiacchiera di storia, dei vicini di casa o di un argomen­ to qualsiasi. La pazza saggezza del pensiero-lignaggio assume a volta forme deludenti per lo zelante destinatario dell'insegnamento. Forse vi siete preparati con gran cura per una visita al guru, e lui non

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mostra il minimo interesse di parlare con voi: è assorto nella let­ tura del giornale. Oppure può assumere un'aria cupa e seria, che crea un'atmosfera di minaccia. Non succede niente, a tal punto che ve ne andate con un sospiro di sollievo, lieti che sia finita. Poi, in seguito, in voi accade qualcosa, come se in quei momenti di silenzio o di forza fosse accaduto tutto. Il pensiero-lignaggio è più una presenza che l'accadere di qual­ cosa. Inoltre, possiede una qualità straordinariamente ordinaria. Nelle cerimonie tradizionali di iniziazione (abhisheka), l'energia del pensiero-lignaggio viene trasmessa nel vostro organismo al li­ vello del quarto abhisheka. Poi il guru potrebbe improwisamente chiedervi: " Come ti chiami ? " , o "Dov'è la tua mente ? " . L'improv­ visa domanda recide momentaneamente il vostro chiacchiericcio inconscio, generando uno smarrimento di tipo diverso [da quello generalmente in atto nella mente] . Cercate una risposta e capite di avere un nome che lui vuole conoscere. È come se, finora, non aveste nome e ora scopriste di averne uno. All'improwiso. Naturalmente le cerimonie sono soggette a degenerazioni. Se il maestro segue pedissequamente i testi e i commenti, e se lo stu­ dente è teso nell'aspettativa di qualcosa di straordinario, entrambi hanno perso il treno. La trasmissione del pensiero-lignaggio è l'insegnamento del dharmakaya; la comunicazione mediante segni e simboli, owero la creazione di una situazione, è il livello sambhogakaya dell'insegna­ mento; la comunicazione verbale è il livello nirmanakaya. Ecco i tre stili con cui i guru della pazza saggezza comunicano con i potenziali studenti. Tutta la faccenda non è così scandalosa. C'è comunque la ten­ denza latente ad approfittare delle contraddizioni della realtà, e çiò induce un senso di follia o l'impressione che questa o quella cosa non sia troppo solida. Vengono attaccate le vostre sicurezze, così che il destinatario della pazza saggezza, lo studente ideale della pazza saggezza, si senta insicuro, minacciato. Metà pazza saggezza la costruite voi, e l'altra metà il guru. Entrambi, guru e studente, sono all'erta rispetto alla situazione. La mente non ha nulla su cui fare affidamento. Si è aperta un'improwisa frattura, uno smarrimento. È uno smarrimento diverso dalla perplessità dell'ignoranza. È

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piuttosto la sospensione che si crea tra la domanda e la risposta, il confine tra il chiedere e il rispondere. Viene posta una domanda e, mentre state per rispondere, c'è un momento di sospensione. Avete distillato la vostra domanda, e la risposta non è ancora arrivata. La risposta è già nell'aria, qualcosa è lì lì per accadere, ma nulla è ancora accaduto. È il punto in cui la risposta sta per nascere e la domanda è appena morta. È una strana combinazione chimica: la combinazione tra la morte della domanda e la nascita della risposta genera una incertezza. Incertezza intelligente, vigile, curiosa. Qui sta la diversità dalla perplessità dell'ignoranza, che ha perso del tutto il contatto con la realtà perché avete ormai instaurato il dualismo e siete perplessi sul prossimo passo. Siete confusi a causa della tendenza dualistica dell'io. Lo smarrimento di cui parliamo non è ignorare che cosa fare, ma l'incertezza di qualcosa che sta per nascere e non è anco­ ra nato. La pazza saggezza di Dorje Trolo non è ragionevole ma tirannica, perché la saggezza non accetta compromessi. Se cercate un com­ promesso tra il bianco e il nero vi ritroverete con un colore gri­ giastro, né bianco né nero. È una via di mezzo triste, deludente, niente affatto gioiosa. Vi spiace di essere scesi a un compromesso, anzi ne siete costernati. Per questo la pazza saggezza non conosce compromessi. Il suo stile è questo: costruirvi, costruire il vostro io fino al massimo livello di assurdità, portarlo alla sua rappresenta­ zione comica, alla farsa e . . . !asciarlo improwisamente cadere. Un bel ruzzolone alla Humpty Dumpty: "Tutti i cavalli e gli uomini del re l non poterono rimetterlo assieme " . Torniamo a Padmasambhava come Dorje Trolo. Una divinità tibetana gli chiede: "Che cosa temi di più ? " , e Padmasambhava risponde: "La colpa nevrotica " . In tibetano, il termine dikpa signi­ fica tanto 'colpa' che 'scorpione', per cui la divinità pensò di po­ terlo spaventare assumendo l' aspetto di uno scorpione gigantesco. L'animale venne ricacciato nella polvere, come si conviene a uno scorp10ne. I tibetani credevano che la loro terra fosse interamente circon­ data da montagne innevate, a cui sono . preposte le dodici dee protettrici del Tibet. All'arrivo di Dorje Tro1o, una di queste dee rifiutò di sottomettersi. Fuggì, scappò ovunque e si arrampicò su

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una montagna solo per ritrovarselo davanti intento a danzare sulla vetta. La dea si precipitò giù dalla montagna e di nuovo lo ritrovò, seduto alla confluenza di due valli. Dovunque andasse, non riusci­ va a sfuggirgli. Decise di nascondersi in fondo a un lago. Padmasambhava trasformò le acque in metallo fuso, e la dea ne riemerse con il solo scheletro. Infine dovette arrendersi, perché Padmasambhava era ovunque. Una situazione claustrofobica. Una caratteristica della pazza saggezza è infatti questa: non potete sfuggirle. È ovunque (qualunque cosa essa sia). Padmasambhava si manifestò come Dorje Troia a Taktsang, in Bhutan. Trasformò la propria consorte, Yeshe Tsogyal, in una tigre gravida in groppa alla quale scorrazzava sulle colline di Takt­ sang. Questa manifestazione simboleggia l'assoggettamento delle energie psichiche del paese, che mantenevano in vita credenze primitive sull 'io e su Dio. Un'altra espressione della pazza saggezza è infatti il controllo delle energie psichiche. Non si tratta di creare un'energia psichica ancora più forte, il che rappresenterebbe un inasprimento delle ostilità e un aumento delle spese, come la guerra del Vietnam. Se elaborate una contro-strategia, innescate una contro-contro-strate­ gia che richiede un'ulteriore contro-contro-contro-strategia. Non occorre evocare una super-energia. Per controllare l'energia psichica delle credenze primitive basta scatenare il caos. Infiltrare la confu­ sione nel bel mezzo delle energie, confondere il modo di pensare della gente. Confondeteli, costringeteli a pensarci due volte. È come il momento del cambio della guardia. Quando cominciano a pensarci due volte, esplode l'energia della pazza saggezza. Così Dorje Troia poté controllare le energie psichiche delle credenze primitive scatenando la confusione. Mezzo indiano e mezzo tibetano, aveva i tratti fisici di un indiano e l'abbigliamento di un tibetano matto. Impugna un vajra e un pugnale, fiamme gli escono dal corpo e cavalca una tigre gravida. Effetto decisamente strano. Molto diverso da una divinità locale e da un guru conven­ zionale. Non è né un re né un guerriero, ma certo non una per­ sona comune. Cavalcare una tigre è estremamente pericoloso, ma ci riuscì. Voleva travestirsi da tibetano? Cosa cercava di fare? Non dava alcun insegnamento specifico, non agiva come un sacerdote Pan o come un missionario. Non convertiva nessuno, cosa che

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non fu mai nel suo stile. Si limitava a scatenare il caos dovunque arrivasse. Persino gli dèi locali erano confusi e perplessi. Quando partì per il Tibet, gli indiani si allarmarono. Sentivano di perdere qualcosa di molto prezioso, perché sembrava che Padmasambhava avesse deciso di dare insegnamenti di pazza sag­ gezza solo ai tibetani. Si sentirono insultati. Si vantavano di essere i supremi ariani, la razza più intelligente, i più bravi a recepire gli insegnamenti elevati. E ora Padmasambhava se ne partiva per la selvaggia terra del Tibet, oltre il confine, avendo deciso di insegna­ re ai tibetani. n re dell'Uttar Pradesh, Surya Simha, inviò tre acharya, maestri spirituali, con un cortese messaggio per il re del Tibet: Padmasambhava è un ciarlatano, un mago nero; poiché è troppo pericoloso per il Tibet, meglio che lo rimandiate indietro. Il punto interessante è che gli insegnamenti di pazza saggezza possono essere dati soltanto in terre selvagge, dove c'è maggiore possibilità di trarre vantaggio dal caos, dalle anfetamine, o comun­ que vogliate chiamare questo fattore. L'aspetto di pazza saggezza di Padmasambhava in quanto Dorje Trolo è quello di un guru che non viene a compromessi. Ostaco­ latelo, e sarete distrutti. Dubitate di lui, e lui ne approfitterà. Veneratelo, consegnatevi a lui con fede cieca, e vi sconcerterà. n lato ironico del mondo è per lui molto serio. Fa scherzi su larga scala, e molto devastanti. Interessante è anche la tigre, che nella simbologia è connessa a fiamme, fumo e fuoco. La tigre gravida è la più perversa della sua specie: famelica, folle, irrazionale. Non potete individuarne la psi­ cologia e applicarvi criteri razionali. È capace di sbranarvi da un momento all'altro. Tale la natura del mezzo di trasporto di Dorje Trolo, il suo veicolo. Il guru della pazza saggezza cavalca un'ener­ gia molto pericolosa, gravida di possibilità. La tigre può essere vista come il simbolo degli abili mezzi, abili ma pazzi. Dorje Troia, la pazza saggezza, li cavalca. Che splendida coppia ! In Tibet, Padmasambhava manifesta un'altra caratteristica che non fa parte degli otto aspetti. Per i tibetani è una figura paterna che chiamano Guru Rimpoche, il guru per eccellenza. Egli si in­ namorò dei tibetani e li colmò di attenzioni (non esattamente le stesse attenzioni prodigate dai missionari alle popolazioni africa­ ne) . I tibetani avevano fama di essere stupidi, materiali ed ecces-

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sivamente pratici. Si apriva quindi un'enorme possibilità di intro­ durre la pazza saggezza del contrario della praticità: abbandonate la vostra fattoria, rinunciate ai mezzi di sussistenza e vagabondate sulle montagne avvolti nei bizzarri costumi degli yogi. Accettando questi consigli di sanità, i tibetani hanno prodotto eccellenti yogi: hanno trasferito alla disciplina yogica la loro men­ talità pratica. Avevano coltivato con fermezza i loro campi, alleva­ to con fermezza i loro animali, e con la stessa fermezza si dedica­ rono al mestiere di yogi. I tibetani non possedevano il temperamento artistico dei giap­ ponesi ma erano ottimi contadini, ottimi mercanti e maghi eccel­ lenti. La religione Pon era molto materiale, interessata al lato pra­ tico della vita. Anche le sue cerimonie sono molto pratiche, ad esempio la sacra accensione del fuoco sulle montagne - che vi fa stare al caldo. La mentalità tortuosa esibita dai tibetani nel corso degli intrighi politici del ventesimo secolo non appartiene al loro carattere; la corruzione e l'arte dell'intrigo giunsero in Tibet dal­ l'esterno, dai filosofi ariani dell'India e dai politici dell'impero cmese. L'approccio di Padmasambhava fu splendido e le sue profezie predissero tutto, compresa la futura corruzione. Profetizzò che i cinesi avrebbero invaso il Tibet nell'Anno del Cavallo, avanzando alla maniera dei cavalli . La Cina comunista invase effettivamente il Tibet nell'Anno del Cavallo, e vennero costruite strade tra la Cina e il Tibet e in tutto il territorio nazionale per poter avanzare con veicoli a motore. La profezia continua dicendo che, nell'Anno del Maiale, il paese si sarebbe ridotto al livello di un maiale, con riferimento all'indottrinamento dei tibetani con ideologie primitive e straniere. Secondo un'altra profezia di Padmasambhava, il Tibet sarebbe finito quando le suppellettili dello Tsang, la provincia settentriona­ le, fossero state ritrovate nel Kongpo, la provincia meridionale. Effettivamente si verificò nello Tsang un'inondazione provocata dallo smottamento dei ghiacciai in un lago. Il fiume Brahmaputra straripò, trascinando nella sua corsa monasteri e villaggi, e molte suppellettili dello Tsang furono portate dalle acque sino al Kongpo. Un'altra profezia dice che un segno della fine del Tibet sarebbe stata la costruzione di un tempio giallo ai piedi del Potala, a

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Lhasa. Il tredicesimo Dalai Lama, in seguito a una visione, fece infatti erigere in quel luogo un tempio a Kalachakra, che venne dipinto di giallo. Ancora una profezia: l'arcobaleno del Potala scomparirà nel suo quattordicesimo stadio. Il 'quattordicesimo sta­ dio' si riferisce all'attuale Dalai Lama, il quattordicesimo. Il Potala è il palazzo d'inverno del Dalai Lama. Il re e i ministri rimasero profondamente colpiti dalle profezie di Padmasambhava, e lo supplicarono di intervenire. "Cosa possia­ mo fare per salvare il nostro paese? ", gli chiesero. Rispose: "Non c'è altro da fare che salvare gli insegnamenti e nasconderli in luoghi sicuri " . Il suo consiglio fu di seppellire i tesori, i testi sacri. Mise molti suoi scritti in contenitori d'oro e d'argento, e li seppellì in luoghi diversi del Tibet perché le generazioni future potessero riscoprirli. Seppellì anche oggetti: gioielli di sua proprie­ tà, gioielli appartenenti al re e alla corte, e comuni manufatti. L'idea era che la popolazione sarebbe regredita a un livello tanto primitivo che nessuno avrebbe più saputo produrre con le proprie mani oggetti di tale qualità artistica. Si adottarono i migliori procedimenti scientifici, probabilmente di origine indiana, per preservare le pergamene e gli altri oggetti destinati alla sepoltura awolgendoli dentro strati protettivi di car­ bone, gesso e altri materiali dotati delle proprietà chimiche richie­ ste. Lo strato protettivo esterno veniva awelenato, come protezio­ ne contro i ladri e contro chiunque fosse sprowisto della retta conoscenza. Tali tesori furono scoperti in seguito da grandi mae­ stri ritenuti tiilku dei discepoli di Padmasambhava. Una visione psichica (qualunque cosa essa sia) li informava di dove scavare. Si approntava la cerimonia di disseppellimento, a cui assistevano molti fedeli mentre gli sterratori scavavano. A volte si dovette scavare nella roccia. La riscoperta dei tesori si è protratta fino ai nostri giorni, por­ tando alla luce innumerevoli testi sacri. Uno di questi è il Libro tibetano dei morti. Altro modo per conservare i tesori è il pensiero-lignaggio. Mae­ stri appropriati hanno riscoperto antichi insegnamenti semplice­ mente ricordandoli, e poi trascrivendoli così come li avevano ri­ cordati. L'atteggiamento paterno di Padmasambhava verso i tibetani si ·

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coglie nell'avvertimento che diede al re Trisong Detsen. Si avvici­ navano le celebrazioni del capodanno, che includevano corse a cavallo e gare con l'arco. "Quest'anno, né corse di cavalli né gare con l' arco " , disse Padmasambhava. I cortigiani elusero l'avverti­ mento e il re venne ucciso da una freccia scagliata durante le gare. Padmasambhava amava tanto i tibetani che ci aspetteremmo che rimanesse in Tibet per sempre. Invece, e questo è un altro punto importante della sua storia, se ne andò. C'è un tempo adatto per prendersi cura di una situazione. Quando il paese si fu riunificato, spiritualmente e politicamente, e la popolazione ebbe sviluppato un po' di sanità, Padmasambhava lasciò il Tibet. È ancora vivo, in senso letterale. Non in uno stato del Sudamerica ma in un continente di vampiri, in un luogo remoto chiamato Sangdok Pelri, la 'Montagna di rame splendente' . Egli vive ancora. Poiché egli è il dharmakaya, la dissoluzione del corpo non lo tocca. Se lo cerchiamo, abbiamo buòne probabilità di trovarlo. Ma, mi spiace per voi, sarete molto delusi dall'incontro. Naturalmente, non parleremo più solo dei suoi otto aspetti. Sono sicuro che, da allora, ne ha sviluppato qualche milione in più. *

*

*

Studente Parlando della trasmissione attraverso il pensiero­ lignaggio hai detto che metà pazza saggezza è creata dall'insegnan­ te, e l'altra metà dallo studente. Io pensavo che la pazza saggezza fosse increata. Trungpa Rimpoche Sì, è increata. Ma esiste spontaneamente. Tu ne possiedi una metà, e l'insegnante l'altra metà. Non è stata co­ struita sul momento, c'era. Studente Ritieni che l'America sia abbastanza selvaggia per rice­ vere la pazza saggezza? Trungpa Rimpoche Non c'è bisogno di dirlo. Studente Non ho capito una tua espressione: "vivere per la morte ". Puoi spiegarla? Trungpa Rimpoche L' atteggiamento normale verso la vita è che, con ogni inspirazione e ogni espirazione, ci avviciniamo alla morte. Ogni ora che passa ci porta più vicini alla morte. Nella pazza saggezza, invece, l'energia ringiovanisce continuamente.

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Studente Rimpoche, hai affermato che Guru Rimpoche è lette­ ralmente vivo. Parli seriamente? Hai detto proprio "in senso let­ terale" . Trungpa Rimpoche In questo ambito è difficile stabilire ciò che è serio e ciò che è letterale. S. Quindi si potrebbe dire qualsiasi cosa? T. R. Suppongo di sì. Studente Hai detto che l'insegnante può creare un"' atmosfera cupa" . La crea anche lo studente? Trungpa Rimpoche Sì, con la sua timidezza. S. Hai anche detto che il guru della pazza saggezza si avvantaggia dei dubbi dello studente. T. R. Sì. S. E come? T. R. Mi chiedo se non devo lasciar perdere il gioco . . . Il dubbio è un momento di incertezza. Se sei debole, puoi prendere facil­ mente influenza e raffreddore. Alla stessa stregua, se non sei pre­ parato e non stai sulla difensiva, puoi essere preso in quello che è un momento di debolezza. L'esempio va abbastanza bene. Studente Ricordo che una volta hai detto che, nel momento dell'abhisheka, c'è un attimo di paura. Come si ricollega all'insi­ curezza e alla perdita di appoggi dello studente? Trungpa Rimpoche Qualunque contatto tra lo studente e il guru della pazza saggezza è un abhisheka. Studente Il principale fattore scatenante della pazza saggezza auto-esistente, è Padmasambhava? Trungpa Rimpoche È sia il fattore scatenante sia il retroterra. Oltre che il sambhogakaya e il nirmanakaya, Padmasambhava è anche il dharmakaya. Studente Hai descritto l' attività della pazza saggezza come un continuo processo di costruzione dell'io, fino alla sua caduta im­ provvisa. Invece, hai detto che la non speranza non avviene d'un tratto ma si sviluppa a poco a poco con le situazioni. Non vedo come le due modalità possano andare assieme. Vanno in direzioni opposte. Trungpa Rimpoche Costruirti per poi farti cadere rovinosamente è la strategia dell'insegnante di pazza saggezza. Nel frattempo, tu sviluppi a poco a poco la non speranza.

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S. La trasmissione del pensiero-lignaggio produce una frattura, un'apertura. La trasmissione sta proprio in questo fatto? T. R. Sì, proprio così. Proprio così. Ma c'è anche il contesto, in certo modo globale, che crea come il paesaggio attorno. In tutto ciò la frattura è il punto culminante. S. Mi sembra che ci troviamo sempre in situazioni di apertura e ne usciamo. Che beneficio ricaviamo dal tornarci dentro? Vede­ re lo spazio per poterei tornare, è una pratica? T. R. Non puoi ricrearlo, ma puoi creare il tuo abhisheka in qualsiasi momento: dopo la prima esperienza, dopo aver sviluppa­ to il tuo guru interiore . . . Crei il tuo stesso abhisheka, invece di cercare di ricordare ciò che è già accaduto in passato. Se tenti di fare ritorno al momento già trascorso, diventa un tesoreggiare e non serve. S. Non serve? T. R. Non serve. S. Ma è necessario fare quell'esperienza . . . T. R. L'esperienza è un catalizzatore. Ad esempio, se hai avuto un incidente automobilistico, ogni volta che ti ritrovi accanto a un guidatore folle hai la viva percezione di cos'è un incidente. Sai di poter morire in qualunque momento, il che è verissimo. Studente Ci riferiamo all'apertura come una situazione partico­ lare che si produce nella trasmissione, eppure sembra qualcosa già presente, subliminale, sempre ovunque. Si trova naturalmente die­ tro la nevrosi quando la nevrosi ci attraversa, anzi in un certo senso procede con essa. Puoi dire qualcosa di più sulla qualità spontanea dell'apertura? Trungpa Rimpoche Credo che scendere nei dettagli non serva a molto. Servirebbe solo a presentare delle tattiche da tentare di riprodurre. È come imparare a essere spontanei leggendo un libro sulla spontaneità. Non funziona. Probabilmente dovremo passare attraverso un periodo di prova.

Note del curatore Il Pon, spesso scritto Bon, è la religione del Tibet pre-buddhiSl:a. La "nascita simultanea" è una nozione tantrica riferita alla coemersione, o saggezza coemergente (tib. zhenchik kyepe yeshe). Samsara e nirvana sorgono simultaneamente, originando spontaneamente la saggezza. 3 Ciò non contraddice l'affermazione di Trungpa Rimpoche a proposi­ to del dharmakaya come incondizionato. Sebbene condizionato da un senso di gravidanza il dharmakaya, come ci è stato spiegato in preceden­ za, non viene alterato dai propri contenuti, consentendo in ogni momen­ to la possibilità di un barlume della mente incondizionata. Cfr. la rispo­ sta alla domanda sul karma e il dharmakaya, a p. 105 . 4 Herbert V. Guenther, The Li/e and Teaching o/ Naropa, Oxford University Press, Oxford 1 963 (trad. it. La vita e l'insegnamento di Naropa, Ubaldini, Roma 1 975) . 5 Francesca Fremantle & Chogyam Trungpa, The Tibetan Book o/ the Dead: Great Liberation through Hearing in the Bardo, Shambhala, Boston 1 987 (trad. it. Il libro tibetano dei morti. La grande liberazione attraverso l'udire nel Bardo, Ubaldini, Roma 1977). 6 Citazione dalla Sadhana della Mahamudra, scritta da Chogyam Trungpa e praticata dai suoi studenti. 1

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Indice analitico Abhisheka, 122, 137, 144 guru interiore, 145 quarto, 122, 137 abili mezzi, 39, 1 1 8 come tigre gravida, 140 illuminazione, 1 18 opp. aggressività, 3 9 paura, 1 13 pazza saggezza, 140 adhishthana (grazia) , 62, 135 devozione, 62 advaita (non due) , 76 aggressività, 24, 39, 87 opp. abili mezzi, 3 9 Ananda, 50, 1 17 , 1 18, 1 1 9 Padmasambhava e, 50, 1 17 - 8 animali, sacrifici, 5 5 , 75 antropocentrica, visione, 55 apertura, 86, 98-9 come essenza della pazza sag­ gezza, 49 come nascita da un loto, 47 trasmissione, 145 asperità, 48 principio del mandala e, 4 8 atman, 1 19 aria cupa, del guru, 64, 1 3 7 , 144 aspettative, 46 ·

Barlume improwiso del risveglio, 38, 39, 42 , 45

inizio del viaggio, 38

nascita di Padmasambhava co­ me, 42 bhakti, 62 vedi anche devozione bodhisattva dieci bhumi, 30, 1 0 1 , 1 17 sentiero del, 30, 39, 101 bomba a orologeria spirituale, 57, 59

bontà, 72 non speranza, 84 Brahma, 54, 60 Buddha, 3 1 , 77, 122 Ananda e, 1 1 7, 1 1 8, 1 19 buddha-sambhogakaya, 48, 1 1 1 come sentiero opp. a scopo, 3 1 dharmakaya, 47, 48 lignaggio, 5 1 , 1 17 Padmasambhava come, 3 1 , 1 16 samadhi, 1 17 trasformarsi in, 122-4 buddhadharma, 17 in Occidente, 1 1 -3 , 17-8, 55, 59, 64, 75-7

in Tibet, 1 7 , 54-9, 72-7 Buddhismo, 18, 23 , 55-6 hinayana, 1 3 1 mahayana, 1 16-7 vedi anche bodhisattva, sen­ tiero del opp. a teismo, 55-6 santità nel, 18, 23

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Indice analitico

Vajrayana/tantrico, 30, 40, 7 1 84

vedi anche buddhadharma buddhità, 1 18 erudizione e, 126 motivazione alla, 123 -4

Caos, 44, 139, 140 come controllo delle credenze primitive, 139 caso, 63 , 65 karma e, 66 ignoranza e, 67 volontà e, 65 celti, 75 cimitero eternità e, 42-9, 1 10-1 Padmasambhava nel, 38, 44-8, 111

Silwa Tsal, 38, 44 trikaya e, 94-5 cinismo, 6 1 -4, 65 cultura americana e, 64 devozione e, 6 1 -4 romanticismo opp. al, 62-3 codardia, 1 0 1 non paura e , 1 0 1 , 102, 103 pazza saggezza e, 1 0 1 , 104 colpa, assumersi la, 132 compassione adhisthana, e, 62 come forza di gravità, 102 trikaya e, 1 02 confronto, regno del, 46 confusione causa del dolore, 133 come base per l'indagine, 22 , 38 conoscere la, 66 controllo delle credenze primi­ tive, 139 distruzione della, 32

due giochi della, 20 lasciare che si manifesti, 53 , 5960, 65 -6

spiritualità e, 1 8-9, 52 contaminazioni, 4 1 continuità della coscienza, 55 esperienza vajradhara della, 43 corpo, 75, 89 mente e, 75-6 Coscienza della propria esistenza, del dharmakaya, 94 credenze primitive, 72, 74 controllo delle - mediante il caos, 1 3 9 energia psichica delle, 1 3 9 in Dio e nell'io, 1 3 9 in Tibet, 1 4 1 nella separatezza, 7 6 Cristianesimo, 5 5 senso di separatezza nel, 7 6-7 Cristo, 132, 133 cultura americana, 1 8 cinismo e , 64-5 teismo e, 5 9 curiosità, 3 6 , 98, 106 illuminazione e, 98 Dalai Lama (XIV), 142 desiderio speranza/paura e, 1 14 devozione, 6 1 -4 adhishthana e, 62 cinismo e, 6 1 -4 romanticismo e, 62-3 dharma, 86 come proiezione, 94 dharmakaya come corpo del, 86-7

senso di povertà e, 66 vedi anche buddhadharma

Indice analitico

dharmadhatu, 90, 91 dharmakaya, 28, 40, 86-7, 90, 945, 1 02

come non dualità, 90 coscienza della propria esistenza, 94 crea speranza/paura, 40 definizione del, 86-7 karma nel, 105 mancanza di punti di riferimento, 30 pensiero-lignaggio e, 137 simile all'oceano, 38 spazio del, 86 spazio fertile del, 90- 1 tangpo sangye, 90 V ajradhara come, 48 dharmapala, 1 2 1 dzkpa, colpa nevrotica, 1 3 8 Dio, 5 4 , 7 1 , 7 7 , 82 credenza in, 54, 7 1 , 77 io/sé e, 54, 74, 120 non io/ non, 82 disciplina, 24 nirmanakaya e, 29-30 discontinuità, 1 08 morte e, 108, 109 dolore e piacere, 98, 1 10 come ornamenti, 130 simultaneità di, 98 dolore/sofferenza, 65 , 102 causa di, 133 cessazione, 132 come ornamento, 130 come sentiero, 1 3 1 rapporto con il, 48 Dorje Trolo, 23 , 40, 54-7 cavalca una tigre gravida, 5 6 insegnamenti sepolti di, 57, 142 pazza saggezza di, 56-8, 135 -8, 140-1

149

Yeshe Tsogyal e, 139 dualismo, 54, 74, 1 19, 138 coscienza della propria esisten­ za come prima espressione del, 95 eretici e, 1 1 9-2 1 esperienza come forma di, 85 paura e, 1 05 tantra e, 74 dubbio, 144 Ebraismo, 55, 75 ecologiche, filosofie, 74 egoità opp. all'eternità, 43 ottenimento della, 2 1 elementi, 12 1 azione karmica e, 12 1 Padmasambhava come agente degli, 1 19, 120, 12 1 emozioni, 86-7 energia delle, 87 sambhogakaya e, 87 speranza/paura come causa delle, 1 14 energia, 88 controllo delle - psichiche, 139 delle emozioni, 87 della rabbia, 1 14 pazza saggezza e, 88 spontanea del sambhogakaya, 28-3 0

trikaya e, 9 1 vajrayana/tantra, 7 1 -8, 123 eretici (sscr. tirth ika), 1 19 dualismo degli, 1 1 9 esperienza dharmadhatu e, 90 dharmakaya e, 90 dualismo e, 85 esperienza dell', 83 , l 08- 15

150

Indice analitico

giovinezza come immediatezza dell' 1 0 1 morte e senso dell', 1 08 - 1 5 trascendere il senso dell', 1 1 6 eternità cimitero e, 42-9, 1 10-1 come esperienza della mahamudra, 1 1 1 come esperienza di risveglio, 42 come fare amicizia, 108, 1 1 0 continuità e, 43 della natura di buddha, 45 discontinuità e, 108 morte e, 108 non decisione e, 42 nozione spirituale della, 43 opp. all'io, 43 primo stadio della pazza saggez­ za, 45 senza tempo, 1 1 6 Felicità, 1 3 0 - 1 negatività e, 1 3 0 non speranza e, 13 1 fenomeni, consentire il gioco dei, 50-60

aneddoto zen rispetto ai, 53 fiducia, 90, 122 frattura, 123 prodotta dalla trasmissione del pensiero-lignaggio, 145 Godot aspettare, 89 greci, 75 guru, 1 17, 1 18 abhisheka e guru interiore, 145 adhishthana e, 135 Dorje Trolo come - di pazza sag­ gezza, 140- 1 Guru Rimpoche, 140-4 vedi anche Padmasambhava

guru tsen gye, 'otto nomi del guru', 96

Gyalwa gong-gyii (pensiero-lignag­ gio), 136-7, 144-5 insegnamento del dharmakaya come, 137 HUM

(sillaba seme), 1 1 1 , 122, 123

Ignoranza, 87 caso come, 66-7 disorientamento e, 13 7-8 materialismo spirituale e, 20 ignoto trascendente, 20- 1 illuminazione, 2 1 , 39, 40 curiosità e, 98 idea convenzionale della, 34 improvvisa opp. a graduale, 8 1 , 85, 93 -4, 101

non paura e, 98 non speranza e, 85 opp. a nozionismo, 126 prospettiva samsarica della, 95 qualità infantile della, 34-5, 978, 1 0 1

sanità d i base come, 2 8 sentiero del bodhisattva e, 1 0 1 trucco per raggiungere la, 1 1 8, 1 2 1 -2

visione tantrica della, 34 indiani d'America, 55, 59, 74-6 corpo/mente negli, 75-6 Pon e, 55, 75-6 Indrabhuti, re dell'Uddiyana, 356, 38, 39, 40, 42 , 99

Induismo, 54, 55, 1 1 9 dèi dell', 54 pandit teistici dell', 53-4, 59-60, 1 19

Vedanta, 1 1 9 inesorabilità trascendente, 3 1 -3

Inélice analitico

opp. all'aggressività, 3 1 iniziazione, vedi abhisheka innocenza primordiale, 34-4 1 insegnamenti conservazione, 142-3 sepolti, 57, 142 Shambhala, 13 tre stili di trasmissione, 135-45 intelletto, 125 -34 assenza di osservatore e, 127-8 illuminazione e, 126 meditazione e, 125-6 negatività e, 125-34 studio e, 125-7 uso corretto dell', 126-8, 1 3 3 io/sé, 144 bontà e, 72 come castello di sabbia, 72 Dio e, 54, 74, 82, 1 19 distruzione dell', 32, 54, 82, 138 innocenza primordiale e, 36 non teismo e, 54, 82 opp. eternità, 43-4 paura e, 1 06 perplessità dell' , 20 teismo e, 54, 73-4, 82, 1 19 Jamgon Kongtriil di Sechen, 1 0, 63 -4

Matto di Tsang e, 89, 107 pazza saggezza e, 63-4, 1 07 Jehovah, 5 3 , 54 Kagyii , lignaggio, 47 -8 Vajradhara e, 47-8 kangsak nyen-gyii (lignaggio della parola) , 135, 137 insegnamenti nirmanakaya del, 137

karma, 37, 1 2 1 caso e , 66-7

151

dodici nidana e , 66 nel dharmakaya, 105 Lago Dhanakosha (o Sindhu) , 35, 97 , 99

lasciar andare, 78-9 Libro tibetano dei morti, 109-10, 142

lignaggio, 135-6 del Buddha, 5 1 , 1 1 7 della parola, 135 , 137 del pensiero, 136-7, 143 -5 del segno, 1 36-7 della mahamudra, 58 della pazza saggezza, 58 limiti, 100- 1 , 102 -3 oltrepassare i, 103 -4 paura/non paura e, 100, 103 -4, 106

Loden Choksi, 58, 128-33 definizione di, 133 Longchen Rabjam, 105 Magia, 56, 133 non teistica, 56 mahamudra esperienza dell'eternità come, 111

lignaggio della, 58 mahasukha (grande gioia), 46 asperità e, 46 Mahayana, 1 16-7 ruggito del leone del, 1 16 Padmasambhava e, 1 1 6-7 vedi anche bodhisattva, sentiero del mandala lavoro con le asperità come, 48 sadhana di vajradhatu, 129 Manjushri, spada di, 3 9 masochismo, 47

152

Indice analitico

materialismo spirituale, 18, 19-2 1 , 26, 6 1

confusione e, 20 mentalità povera e, 62 pericolo del, 2 1 trascendere il, 26, 44 Matto di Tsang, 89, 107 pazza saggezza del, 89, 107 Jamgon Kongtriil e il, 89, 107 Padmasambhava e il, 89 meditazione, pratica della, 125 , 126 disciplina intellettuale e, 125-7 mentalità hinayana, 1 3 1 mente corpo e, 75-6 giochi della, 24 mistificazioni della, 1 19 potere della, 56 punti di riferimento della, 73-4 miracoli, 129 mistificazione, 104, 12 1 , 122 come avvertimento, 104 come capovolgimento in vista di uno scopo, 13 1 -2 modelli abituali, 108 monarca universale, 1 17-8 " Montagna di rame splendente" , 143

morente, comunicazione con il, 1 15 morte atteggiamenti abituali verso la, 1 08

discontinuità e, 108 esperienza della, 108-9 esperienza e, l 08- 15 eternità e, l 08 app. alla penetrazione dello HUM,

122

rifiuto della, 1 08-9 Vajradhara, signore della vita e della, 1 10- 1

Nalanda, Università di, 125 triplice disciplina di studi a, 125 Naropa, 84 non speranza e, 84 nascita del Tantrismo, 7 4 di Padmasambhava, 34-5, 42, 47, 97-9

vita come - ininterrotta, 135, 143 natura, interventi sulla, 120 natura di buddha, 3 1 , 40, 1 1 8, 124 curiosità e, 98 dharmakaya della, 3 7 esperienza della, 85 eternità della, 45 sé e, 82 negatività, 125-34 come ornamento, 129, 130 felicità e, 130 intelletto e, 125-34 speranza e, 130 nida na dodici, 66, 95 secondo - nel dharmakaya, 1 05 ninnanakaya, 28, 29, 87, 9 1 , 92, 95 appagamento innato, 30 definizione del, 87 disciplina e, 29 lignaggio della parola e, 13 7 nave sull'oceano del dhannakaya (paragone della) , 3 8 taglio del cordone ombelicale (paragone del), 95 Nobile Verità prima, 65 quarta, 65, 102 terza, 132 nomi di Padmasambhava, 96, 125 app. agli aspetti, 96 vedi anche Padmasambhava, no­ mi di

Indice analitico

non appoggio, 80, 83 non decisione, 66 intelligenza autonoma e, 66 non dualismo, 3 7 , 1 19 del dharmakaya, 90 non speranza come approccio al, 85

non paura, 44, 96- 102 codardia e, 1 0 1 , 102 come tachimetro della sanità, 100

limiti e, 10J , 106 Vajradhara e, 42-3 non speranza, 77-84, 13 1 , 144 bontà e, 84 felicità e, 1 3 1 illuminazione improvvisa e, 85 Naropa e, 84 non appoggio e, 80, 83 non dualismo e, 85 non paura e, 32, 78 opp. a pessimismo, 80 pazza saggezza e, 22-3 , 80, 82 rapporto studente-maestro e, 7980

realtà della - opp. alla sua dottrina, 80 realizzazione e, 77 shunyata e, 78 trikaya é, 85-95 non teismo, 18-9, 53 -4, 55, 60, 7 1 confusione e, 18 io e, 54, 82 magia e, 56 spiritualità e, 18-9, 53 non temporalità, 1 1 3 eternità come, 1 16 Nyima Oser, 58, 1 12 'controllo' del tempo da parte di, 1 12, 1 16 iconografia, 1 12

153

Nyingma (lignaggio) , 58 pazza saggezza e, 58 Orgoglio vajra, 54, 59, 90 romanticismo, 62 ruggito del leone, 54 sanità fondamentale, 5 9 osservatore, 127 intelletto senza, 127 ostacoli, 129-30 come ornamenti, 129-30 di Padmasambhava, 17 spiritualità e, 129 Padmasambhava come bhikshu (monaco) , 50-2, 1 17-9

come buddha, 1 16-9 come pandit, 125-8 come rajguru, 52, 128-3 1 come siddha, 5 0 dodici dee protettrici del Tibet e, 138 eretici e, 5 3 -4, 59-60, 1 19-2 1 esilio, 3 7 , 42-7 in Occidente, 1 7-8, 64-5 in Tibet, 1 7 , 23 , 39, 54-7, 7 1 -8, 138-43 nascita, 3 5 , 42 , 46-7, 97- 1 00 ostacoli, 17 principessa Mandarava e, 5 1 -2 , 128-9 profezie, 1 4 1 -2 re Indrabhuti e, 35 -6, 38, 39, 40, 42, 100 scorpione e, 1 3 8 trikaya e, 29, 40- 1 , 86-7, 9 1 , 92, 144 unirsi a, 89 vajra e tridente di, 3 7, 100 visione tantrica di, 50

154

Indice analitico

Padmasambhava, nomi di, 96, 125 Dorje Trolo, 23, 54-8, 135 -45 Loden Choksi, 58, 128-33 Nyima Oser, 58, 1 12 Padmasambhava, 125-8 Pema Gyalpo, 36-8, 5 1 , 97 - 1 02 Pema Jungne, 125 Senge Dradrok, 54, 1 19-2 1 Shakya Senge, 50-2, 1 16-9 Vajradhara, 42-9, 1 10- 1 Padmasambhava, otto aspetti, 23, 30, 48, 88, 132

cinque buddha sambhogakaya e, 48

pazza saggezza e, 22-3 Padmasambhava, principio-, 61, 62 , 7 1 -4, 87 -8, 89-90, 125

terreno del, 86 tre costituenti/trikaya, 29, 40- 1 , 86-9

paragonarsi all'altro, 127 parola-lignaggio, 135, 137 insegnamenti nirmanakaya, 13 7 passione, 24, 87 paura, 105-6 abili mezzi e, 1 13 dualismo e, 105 intelligenza della, 1 13 -4 io e, 106 limiti e, 1 0 1 non speranza e , 1 13 -4 pazza saggezza e, 100, 105 risorse e, 1 13 -4 pazza saggezza, 22-3 , 49 abili mezzi e, 140 caos e, 139, 140 codardia e, 1 0 1 , 104 come specchio, 97 descrizione del possessore di, 96 diversa dalla normale pazzia, 23 -4

energia non creata della, 5 8 eternità, primo stadio della, 45 felicità e, 1 3 1 illuminazione improvvisa e , 96 immediatezza della, 1 17 lignaggio della, 58-9 limiti e, 1 0 1 manifestazioni della, 1 06-7 mentalità hinayana, 13 1 non speranza come essenza della, 22, 77 -84 ostacoli e, 129-30 paura e, 100- 1 , 105 possessore della, 96 samsara/nirvana e, 92 shunyata e, 123 tre stili di trasmissione della, 13545

trikaya e, 88 vedi anche Dorje Trolo Pema Gyalpo (sscr. Padma Raja) , 36, 97- 1 02

Pema Jungne, 125 penetrazione attraverso lo

HUM,

122-3

pensiero, 66 intelligenza senza, 66 pensiero-lignaggio, 136-7, 143 -5 conservazione degli insegnamen­ ti mediante il, 142 frattura prodotta dalla trasmis­ sione del, 145 insegnamenti dharmakaya del, 137

percezione, 133-4 altre forme di, 134 pessimismo, 80 Pon, 54-5 , 74-6, 141 corpo/mente e, 75-6 indiani d'America e, 55, 74-6 sacrifici animali e, 55

Indice analitico

superamento della separatezza nel, 76 povertà, mentalità di, 62, 64 materialismo spirituale e, 6 1 , 62 pratiche spirituali problemi, 46 speranza/paura e, 24-5 Zen, 48 principessa Mandarava, 5 1 -2 , 128-9 profezie di Padmasambhava, 1 4 1 -2 proiezione, 94 dharma come, 94 separatezza come, 95 trikaya e, 94 protettrici del Tibet, dodici dee, 138 Rabbia, 87, 1 14 come energia pura, 1 14 rajguru, 128 Padmasambhava come, 52, 128-9 rang sar shak ( '!asciarlo al suo po­ sto'), 1 14 rapporto studente/maestro, 4 1 , 42 , 1 1 8, 137, 143 -4

abhisheka, 144-5 non speranza e, 80 rasoio, leccare il miele sulla lama del, 98, 1 02 , 107 reincarnazione, 109 - 1 0 religioni, 5 5 della fertilità, 75 nazionali, 55-6 non teiste, 55, 82 teiste, 5 3 -5, 59-60, 82, 1 1 9 rigdzin da-gyu (lignaggio del segno), 136, 137

insegnamenti sambhogakaya del, 137 risorse, 1 13 -4 romani, 75

romanticismo, 62-3

155

devozionale, 62 opp. al cinismo, 6 1 -2 orgoglio vajra e, 62 ruggito del leone, 54, 1 16-24 orgoglio vajra e, 54 vedi anche Senge Dradrok Sacralità, 1 3 6 saggezza, 3 9 opp. ignoranza, 3 9 shunyata come esperienza della, 123

trasformare le contaminazioni in, 41

Sahor, re del, 5 1 -2, 128-9 salto/saltare, 3 1 , 106 samadhi simile al vajra, 30, 1 1 7 sambhogakaya, 28, 3 7 , 92, 95 definizione, 87 emozioni e, 87 energia del, 28-9, 4 1 lignaggio del segno e , 137 onde dell'oceano (paragone delle), 3 8 Padmasambhava come buddha 48, 1 1 1

samsaralnirvana, 27 creazione- del, 27 pazza saggezza e, 92 separatezza e, 92, 95 trikaya e, 9 1 , 95 Sangdok Pelri ("Montagna di rame splendente" ) , 143 sanità come qualità dell'illuminazione, 28 definitiva, 1 1 6 degli indiani d'America, 55 di base, 26, 1 16, 1 17-8 lignaggio della, 5 1 non paura come tachimetro del­ la, 100

156

Indice analitico

orgoglio vajra e, 59 Pon e, 55 Shintoismo e, 55 shunyata e, 1 16 Taoismo e, 55 trascendimento del materialismo spirituale e, 26 visione antropocentrica della, 55 santità buddhista, 18, 23 cristiana, 1 8 scandinavi, 75 scoperta, senso della, 1 0 1 , 106 esperienziale opp. alla - intellet­ tuale, 127, 13 3 nascita d i Pa dmas ambhava come, 35 scopo come mistificazione, 13 1 come sentiero, 26, 40, 93 scorpione, 1 3 8 dzkpa e, 1 3 8 Padmasambhava e , 1 3 8 sé/io, 20, 82 Dio e, 54, 74, 82, 120 natura di buddha e, 82 non teismo e distruzione del, 54 segno-linguaggio, 136-7 insegnamenti sambhogakaya del, 137

Senge Dradrok, 54, 1 1 9 sentiero graduale, 3 1 , 93 improvviso, 30, 93 vedi anche sentiero/viaggio spi­ rituale sentiero/viaggio spirituale, 23 , 278, 34, 37, 3 8-9 come dolore, 1 3 0

disciplina intellettuale e, 125-7 disimparare, 1 13

graduale e improvviso, 93 innocenza primordiale e, 34 meditazione e, 126 non necessità di compierlo, 8 1 , 1 17

pericoli, 3 8 scopo, 26, 40, 93 trikaya, base del, 27-32, 37 separatezza, 76, 85, 95 problema della, 76-7 proiezioni come, 95 superare la, 76-7 teismo e, · 82 trikaya e, 92 Shakya Senge, 50-2, 1 1 6-9 Shintoismo, 55 shonu pum ku, giovane principe in vaso, 1 0 1 Pema Gyalpo come, 1 0 1 trikaya e , 1 0 1 Shri Simha (maestro maha ati ) , 1 1 1 , 123

Padmasambhava e, 1 1 1 , 123 shunyata (vacuità) , 39, 78-9, 1 1 6, 123

esperienza della, come saggezza, 123 non speranza e, 78, 79 pazza saggezza e, 123 ruggito del leone della, 1 16-7 Silwa Tsal ('Fresco boschetto'), 38, 44

smarrimento, 1 3 7 , 138 diverso dall'ignoranza, 1 3 7 , 138 dualismo e, 138 spazio, 88 fertile, del dharmakaya, 86, 90-1 pazza saggezza e, 88 speranza negatività, 130 opp. a perdita, 83

Indice analitico

vedi anche speranza e paura speranza e paura, 78-9, 1 14 desiderio e, 1 14 dharmakaya e, 40 emozioni e, 1 14 pratica spirituale e, 25 trascendere la, 22 , 28 Spirito Santo, 76 spiritualità, 23 , 27, 46, 52, 6 1 -2 approcci alla, 26, 34 asperità e, 46 basata sulla mente, 56 buddhista, 18, 23 confusione e, 1 8-9 non speranza e, 22 non teista, 1 8-9, 53 ordinarietà e, 62 ostacoli e, 129-3 O speranza/paura e, 23 , 78 studio, 125-6 meditazione e, 125-6 scopo dello, 126-7 supermercato spirituale, 64 superuomo spirituale, 43 Surya Singha, re dell'Uttar Pradesh, 140

Sutra del Cuore, 39

Takstang (Bhutan), 1 3 9 tangpo sangye (buddha primordia­ le), 90 Tantra, 30, 40, 7 1 -84 nascita, 74 sentiero improwiso, 30 vedi anche Vajrayana . Taoismo, 55 teismo, 53 -6, 59, 77 cristiano, 55 ebraico, 55 in America, 5 9 in Tibet, 54-7, 5 9 , 7 4 , 7 6

157

induista, 54, 55, 59-60, 1 1 9-20 io/sé e, 53-4, 74, 82, 120 nazionalismo e, 55 Shintoismo e, 55 tempo concetti, 1 12 controllo del - da parte di Nyi­ ma Oser, 1 12 tigre gravida come abile mezzo, 140 Dorje Troia e, 13 8-40 simbolismo della, 140 Yeshe Tsogyal, 1 39-40 Tibet, 140-3 alba del Vajrayana, 7 1 -8 buddhadharma in, 17, 54-7, 59, 7 1 -7

corruzione/intrighi politici, 1 4 1 credenze primitive, 1 4 1 fine del, 142 invaso dalla Cina comunista, 1 4 1 Padmasambhava in, 1 7 -8, 2 3 , 3 9, 54-7, 7 1 -8, 140-3

teismo, 54-7, 59, 74 tradizione Pon, 54-5 , 74-6, 1 4 1 tirthzka (eretici), 5 3 -4, 59-60, 1 1 9 trasmissione apertura/frattura e, 145 sacralità, 136 tre stili di, 135-45 tridente, 3 7 simbolo di saggezza, 3 9 trikaya, 26-3 3 , 3 7 , 3 8 cimitero e, 95 compassione, 102 energia, 9 1 non speranza, 85 -95 nidanalsei reami/bardo, 95 Padmasambhava, 30, 40- 1 , 87 -9 pazza saggezza, 88 samsara/nirvana, 92, 95

158

Indice analitico

sentiero spirituale, 26-32, 3 7 , 38-9

separatezza, 92 shonii pum ku, 1 0 1 Tripitaka (tre partizioni) , 125 Trisong Detsen, re del Tibet, 143 tiilku (maestro reincarnato), 10 Uddiyana, 35, 97 umorismo, 24 Vacuità fertile, 86 sanità fondamentale come, 1 17 trikaya e, 86 vedi anche shunyata vajra (scettro), 37 abili mezzi, 39 Vajradhara, 45 come buddha dharmakaya, 48 definizione, 43 non paura, 43 Padmasambhava come, 42-9

Vajrayana, 7 1 -8 energia del, 7 1 -8, 123 vedi anche Tantra Vedanta, 1 1 9 verità e falsità pazza saggezza, 73 vidyadhara definizione, 45 , 49 dell'eternità, 45 cinque stadi, 45 , 46 Vita e insegnamenti di Naropa, 102 vita umana (preziosità della) , 63 volontà, 65 caso e, 65 Yeshen (divinità Pon), 54 definizione, 54-5 Yeshe Tsogyal, 1 3 9 Dorje Teolo e, 1 3 9 tigre gravida, 139-4 1 Zen, 48 addomesticamento del bue, 1 0 1

Indice generale

Prefazione del curatore L'autore

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pag.

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10

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17

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26

3. L'innocenza primordiale

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34

PRIMO

SEMINARIO

l . Padmasambhava e il materialismo spirituale 2 . Il Trikaya.

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. . . . 4. n cimitero e l'eternità . . . . . 5. Lasciate che i fenomeni giochino . 6. Cinismo e devozione . . . . . .

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42

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50

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61

l . Padmasambhava e l'energia del Tantra

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70

2 . La non speranza e il Trikaya

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85

SECONDO

SEMINARIO

. . . La non paura . . . . . . . . . . La morte e il senso dell'esperienza . Il ruggito del leone . . . . . . . L'intelletto e il lavoro con le negatività . Dorje Trolo e i tre stili della trasmissione .

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96

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1 08

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125

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Note del curatore.

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146

Indice analitico.

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3. 4. 5. 6. 7.

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Finito di stampare nel novembre 1993 nella Tipografia "La Moderna Stampa" - Trecase (NA) per conto della Casa Ed. Astrolabio - Ubaldini, Roma