La parola universitaria
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Pierre Macherey La parola universitaria

a cura di Antonio Stefano Caridi

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PRESENTAZIONE

LE CONDIZIONI

DELL'UNIVERSUÀ

ORDINE DEL DISCORSO E RAPPORTI Dl POTERE DI UN'ISTITUZIONE DA REINVENTARE

on vuol avere nulla di accademico la rìRessione sull'università condotta da Pierre Macherey ne La pa,-ole universitarie, priva com'è di quello sguardo distaccato) oggetrivo e aspirante ad una neutralità che .si ammanta di universalità che il discorso universitario - così come ne parla Jacques Lacan ha sempre preteso avere. È plutrosro in linea con quella «filosofia in senso ampio>) 1 che è ormai divenrara la cifra fondamentale dell'impegno intellertuale dello studioso francese, una delle voci più autorevoli della cultura filosofica d'oltralpe, che ha saputo valorizzare e rinnovare la lezione dei suoi maestri Althusser e Canguilhem rimanendo fedele ad una prospettiva polemica che non abbandona mai il rigore concettuale, ma d1e è la conseguenza naturale del fare filosofia rimanendo situati in un contesro storico-sodale dererminaro. Senza rassegnarsi ad una rigida ed astratta divisione disciplinare che prerend.a regolare il discorso filosofico secondo linee di confine stabilite a priori, Macherey ha voluto prendere sul serio la celebre affermazione di Canguilhem, secondo cui «la filosofia è una riRessìone per la quale ogni materia estranea è bnona, anzi potremmo dire: per la quale ogni buona materia deve essete estranea,, aprendo la riflessione filosofica al confronto con le scienze urnane e non disdegnando mai di immergersi nella fouca.ultiana «ontologia dcli' attualità,,,

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Tutti i diritti riservati Titolo originale: La parole universitaire Copyright© 201 l La Fabrique édìtions, Paris Copyright© 2013 Orrhotes, Napoli-Salerno Traduzione di Antonio Stefano Caridi JSBè'! 978-88-97806-25-7 Orthotes Editrice Via Palermo 22/B 800 l O Napoli \\.rvvw.orthotes.com

Philosophù.: au it:rlS large è il nome del gruppo di studio ddl'Université LiHe - III animaro da Pierre ?:vfacherey, nel quadro detr'Cnité Mìxte de Rechcrche (UMR) del CNRS dal tirolo Savoir lixtts Langagt. Tutti i lavori daboraci da qu~,o gruppo di s.mdio sono accessibili al due indiriui web: htcp://philolarge.hypmheses.org/progran1me-2009~ 20'1 O e http:/ /philolarge,hyporheses.or'l}annce-2010-2011, particolarmeme utili anche perché contengono una bibliografia. completi dei lavori di Pierre Macherey e un dossier .mll'Università con i lavori seminariali che sono all'origine di questo libro.

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Le condizioni dell'università

Antonio Stefano Caridi

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Allievo rra i più metti dl Althusser, col quale collabora nel!' elaborazione di Li>-e /e Capitai,' che ha segnato una svo~ra ndla n~ez10ne di Marx nel Novecento, spingendo il maoosmo a lare 1 conti c_on le acquisizioni più innovative delle scienze u~ane e dello stru~~rahs1:10: Macherey ha legato sicuramente il suo pm ~ro~cu? e on_gmale rmpegno teoretico ed ermeneutico agli smdt spmozI.~1, che m Francia: a partire dalle opere di Martìal Gueroulr e Gilles Deleuze entrambi usciti sìonificativan1ente nel 1968/ sono stan sopranucto un banco di prova"della stagione dello strutturalismo e del!' ami-umanesimo che intendeva portare a fondo la critica alle filosofie deHa cosaenza e del soggetto: di questa stagione filosofica, con le sue teconde ap~rture e le sue rigidità teoriche, Macherey è staro un protagornsta, delmeando campi di ricerca. che hanno caratterizzato una stagione filosofico .. po4 litica, con rilevanri conseguenze anche sul dibattito italiano. Accanto 2 È questo uno dei pochi cesti di Macherey rradorm in italiano, P, ~HER~, A propwito del processo di esposizione del ;!_Capitale», in L Alrhusscr, Uggere il Cap,tttle,

u. it. Mimesis, Milano 2006. lilla fine degli anni sessanra era stato rradorto Per una u:oria della produzione letteraria, La:rerza, Baci 1969, con un'inn:odu:z,ione di .E.~:ronL Su questo tesro cfL la postfazione di E DtNU!'..LlO, Cultura di mtma, 1deowg;.a e classe oggi, a P. Machcrey, jules Verne o il racconto in difett0, Mìmesis, Milano 20 l 1, che è la trnduzione dd cap. UI, Juks Vcrne ou k réci.t en défaut di P. MAcHElffX, Pow une théorie de 14 production littémire, Parls, Maspero 1966, ttalasdato, per ragioni che Denunzio acmamenre dcosrruisce, nella traduzione italiana, L'altro libro di Macherey tradorro in italiano è P. MACHEREY, De Canguilhem à Foucautt, la farce des normes, 1.a fabrique édirions, Paris 2009, tr. ir Da Canguilhem a Fouc1111lt. La fòrZP delle norme,

Edizioni ETS, Pisa 2011. 3 M. GuEROUL'l\ Spino:::a, r. J, Dieu, Aubier-!vionraigne, Paris 1968;. G, DELTIUZE, SpinoZP et le pmblème de l'expression, Édirions de ~1inuìt, Paris 1968. Sull'imporran;,a degli studi di Gueroult nd ciaprite anche jn Francla il dibardro storiografico su Spinoza, Ddeure ritorna ndh nota Spinoza et la méthode générale de Ai Gueroult, in «Revue de- Métaphysique et de morale», lXXN, n. 4, octobre-décembre 1969, p. 426.-437, raccolto in G. DELEUZE, L'ile déserte et autres teste, èdirions de Minuit, Paris 2002, tt ir., Tiso/.a deserta e altri ,aggi, Einaudi, Torino 2010, p. 207-212. Sull'imporranza di queste due opere per la thpertura di una Spiwm-renais:.ance in Francia a partire dagli anni sessanra, cfr. P. MAcREREY, Spino~ 13&}: Gueroul:t ~u!et Deku7:e, in P. ::Vfanigller (sous la dìrectkm de), Le mo-,nent phtlosophtque dt:s annes 1960, PUF, Pari.s2011,pp.221-248, . , , . 4 Le opere di Machetey dedicare a ~pinoza coprono quasi ,un vemenmo ~t ,ncer" che, a cominciare da Hegel 011 Spinoza, E..iitions Ma.spero, ParJ.S 1979; Avee SpmoM, · PUF Parìs 1992 e, infine, il commentario ai cinque libri dell'Etica usciro sempre per dal 1994 al 1998, Tale ìnretpreraz.ione spinoziana è stata una delle fonri più significative del lavoro critico condorro da Toni Negt~ sul :fi.i~s?fo o~d~se a pa_rrire ~a L'anomalia selvaggia, Feluinelli, Milano 1979, In cui la posr1.1onc di Spinoza si staglia

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a questo filone interpretativo, ricco di suggestioni teoriche e filosofico-politiche, che faceva entrare in risonanza in 1naniera_ feconda le implicazioni del marxismo alchusseriano e le aperture teoriche dello mutruralismo francese, Macherey, nel corso della sua più che quaranrennale produzione filosofica, ha però saputo cenere vive altre linee di ricerca, con saggi e monografie capirali su classici della filosofia come Pascal, Hegel e Comte, interessandosi inoltre dello scatuto della filosofia in Francia durante il periodo pose-rivoluzionario,' della teoria del!a produzione lerreraria, 6 di alcuni concecri e temi del dibattiro sul marxismo,' di epistemologia storica, del problema della norma in Canguilhem e in Foucault, delle valenze filosofiche e sociologiche della quotidianità,' dell'utopia' e, da ultimo, su che cos'è diventata oggi l'istituzione universitaria e che cos'è rimasto del progetro filosofico intorno al quale è srara costruita nella modernità. Ali' origine de La parole universitarie vi è però, innanziturro, il disagìo, diventato progressìvamence insofferenza;, per la condizione attuale dell'università, dominata da una rerorica dell'eccellenza che ha finiro per permeare ogni aspetto della sna organizzazione, snaturandone le finalità originarie o, quantomeno, sovvertendone le priorità. Encrato ad insegnare all'Universirà nel 1966, Macherey ha vissuro la stagione come ca.posripite di quella linea cricica del Moderno alremarìva al pensJero dialertJco e ìn grado di pensare adeguatamente la potenza cosriruri'va della moltltudìne: del rapporto lnrellenuale con Negd, con tutre le convergenze e i punti di arrrito, !vfa~ cherey parla ndl'inrroduzione che scrisse nd 1982 all'edizione francese de ranoma/Ja selvaggia per PlJF nel 1982 (rr. ìr. in A. NEGW., Spinoza, Derive Approdi, Roma 1998, pp, 9-12). Per una valmazione critica di questo dibauiro scoriografico e filosoficopolidco, si può vedere adesso B. DE Gmv~>\._'iNI, Hcgel e Spinoza.. Dut.lego sul moderno, Guida, Napoli 2011, che smoma la pretesa di chi, come M:acherey e Negri, in rendano porre una semplice ahemadva ua il monismo spinoziaoo e la dialecrica hegeliana, per leggerli piuttosto enrrambi come una risposca che il Moderno b.a cercaro di dare al problema di fondare ìl finito. A tal proposito, è udie consultare il numero che la rivisra ((Il Pensiero», n. 2; 2011, ha dedicato a Spinoza. La politica e il moderno, con comrìburi di De Giovanni, M. Adinolfi, F. Pellecchia, C. Ramond e C Sini. s MAçHEREY, Comte. La philosophie et /es sciences, PUF, Pafls 1989. 6 ID., Pour une théorie de la production littéraire, op, dr., ln,, A qoui pente I.a letterature?, PUF, Pads 1990. 7 In,, 1vfarx 1845. Lés "Thèus" sur Feuerhach. Traduction et commentaire, Édltions Amsterdam, Parfa 2008. H In,, Petits riens. Omièro et dhivei du quotidien, Édirions Le bord de l'ean,

e

F'aris 2009. 1 lo,, De l'Utopie!, De Llncidence Édireur, Paris 2011.

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Anmnio Stefano Caridi

ricca di promesse e di speranze della contestazione del 68, iu un momento storico in cui l'università rtadizionale si apprestava a diventar/ efferrivamenre università di massa; sotto la spinta apparentemente irresistibile dei movimento studentesco che reclamava) e a volte orceneva anche, riforme incisive sul modo di insegnare e sul controllo partecipato della politica uuiversirarìa. Una stagione con tante aperture importanti, anche al netto delle ingenuità utopiche e dei velleitarismi rivoluzionari che non possono certo far rimpiangere il vecchio e definitivamente tramontato mito dell'Alm,E mater, dell'uuhrersltà riservata solo al le élites, Ma rifacendo il bila udo di quella stagione, Macherey non può esimersi dal consratare che la condizione attuale dell'università in Francia ma il discorso si può estendere al resto d'Europa, con rlnte ancora più fosche se pensiamo al nostro paese non solo non ha mantenuto nulla delle promesse che hanno animato quella stagione di rìvolgirnenri, ma si è tramutata, sorto la spinta deff ondata neoliberale che dalla fine degli anni Onama ha imposto una strutturazione e una governance dell'istruzione tutta all'insegna della riduzione dei costi e della subordinazione alle logiche di efficienza aziendalistica, in unisti, tuzione pìù preoccupata a sdezionare che a formare, privilegiando programmi e piani di studio più consoni ad una visione della società e del mercato del lavoro che non riesce ad allungare la prospettiva al di là di una contabilizzazione tutta giocata sul breve periodo.

Le missioni dell'università he cosa significa infatti la tematica dell'eccellenza, che ormai si è impadronita del mondo universitario, irnponendosi come un'evidenza che non ha bisogno di giustificazioni, se non che le attività universitarie sono orn1ai sottop~ste ad un regime di comperizione e di concorrenza accanita che puntano rutto sulla selezione? Nei fatti, e come se fosse sconrato 1 senza che si sìa aperta una discussione al proposito, afferma Macherey, l'università è diventata un meccanismo di selezione, di fabbricazione della disuguaglianza, un'evoluzione nella quale è stata trascinata insieme a tutto l'apparato scolastico, che sembra aver smarrito altra funzione che non sia selezionare i più bravi. Le conseguenze sono sotto gli occhi di rutti: frammenrazìone degli studi, condannati a distribuire degli spicchi di competenze senza le basi che potrebbe fornire solo una formazione generale progressiva impòStata

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Le c1Judizioni delltmiver.sitit

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sulla conrinuitt marginalizzazione dei percorsi di studio considerari meno redditizi, valorizzazione della speciali:xazione a discapito della formazione complessiva e dello srudente, E come se, nel ventaglio di missioni che storicamente l'università ha sempre cercato di a$solvere, avesse deciso di privilegiarne una a discapito di rune le altre. È Macherey stesso ad usare il plurale in riferimento alle missioni dell'università, perché una delle difficoltà, la principale forse, è che, fin dal!' origine medievale, l'università si è incaricata di assolvere contemporaneamente più funzioni rispondenti a degli obiettivi non sempre tra loro compatibili, dovendo fare i conti con esigeme provenienti da diverse, se non opposte, direzioni: da una parte, la richiesta dì un luogo di ricerca pura e disinteressata, in cui solo le esigenze incondizionate del sapere dovrebbero essere prese in conto e, dal!'altra parre, una soderà concre~ ìn cui gli studenti formati netl'università aspirano a uova.re una collocazione lavorativa. in linea con le competenze che sono loro riconosciute. Le prime università medlevalì avevano risolto il problema posto da questa dualità dotandosi di un'organizzazione gerarchica che stabiliva una netta separazione tra) da una parte, una facoltà iuferiore, la Facoltà delle arti, alla quale spettava dispensare, sotto l'autorità della ragione, una formazione generale ordinata attorno a due grandi divisioni disciplinari del trivium (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivium (aritmetica> musica, astronomia, geometria) e, dall'altra, le tre Facoltà superiori della Teologia, del Diritto e della Medicina che avevano il compito di preparare, qualificare e impiegare degli specialisti - il prete, il magistrato e il medico - con un ruolo preciso da svolgere nella società, per il quale si giustificava il fatto che le attività di queste tre Facoltà superiori fossero poste sotto il controllo dell'autorità politico-religiosa. Seguendo il lavoro fondamentale di Dutkheim su L'évolution pédagogique e,i France,'° il vero ispiratore de!la riforma universitaria del sistema moderno francese, Macherey riporta al!' organizzazione delle Facoltà del!' epoca medievale la fonte, o perlomeno una delle fonti, della divisione presente 10 E. DuRKHEIM, L'E11olutù1n _ptfd4gogiq11,e en France, Paris, PUF 1938, cr. ii:. Dmoluzume pedagogica in Francia. Storia def/Jnsegrldmento secondario, Bo!}onia University Press, Bologna 2006. Sulla storia dell'insegnamento universitario francese cfr. anche R Fox, G. Wmsz (eds.), lhe organization ofrcience and tecfmolbgy in France, 1808-1914, Cambridge Universicy Press - Èditions de la M:tison des Sciences de l'Homme, Cambridge-Paris 1980; G, \'\'Exsz, 1hr: EmergenceofModertl Universities in

France, 1863-1914, Princeron Universìty Pm1,, Princeton 1983,

Le condizioni dell'università

Amonio Stefano Caridi

in Francia rra ie due filiere deffinsegnamen~o .,.5~perì?:e rise~ato

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srudenti usciti dal liceo, cioè da una parte l Urnvemta ptopnamente detta, rifugiata nella fortezza della sua autonomia, e dall'altra le grandi scuole [ Grandes Ecoles] che partecipano direttamente al gioco sociale nel quale sollo in n1rto implicare in quanto assicurano l:3, formazione di quella che Pierre Bourdieu chiamava una «nobùsse d'Etat». Divisione che si regge su logiche d'insegnamento, di selezione e valutazione completamente differenti, con le prime, le Università, che hanno nell'esame, cioè nella verifica ex post, il loro momento saliente, con una valutazione che si concentra sulle capacità maturare durante il corso d'apprendimento, mentre nelle grandi scuole è lo spirito del concorso · a prevalere:, con turro il carico di competizione e di selezione compa~ rata su quello che è staro il percorso di vira precedente degli srudenri, in primis le diverse estrazioni sociali e famìHarL Owiamente, la distinzione tra Università e grandi scuole è peculiare del sistema francese, ma quello che si può registrare, a livello europeo, è un progressivo avvicinamento di tutti i sistemi unìversirarl ad una logica del concorso che, basandosi sulla remarica dell'eccellenza, rende sempre meno universale il diritto allo studio, condizionandolo a criteri di riuscita che rispondono più a logiche aziendali che ad esigenze qualitative di ricerca e dì crescita culturale e scientifica. Ma non è solo su questa gen le fa prendere coscienza dei conflitti da cui è atttaversata, sollecitandola ad aprirsi a nuove forme di equìlibrio. L:autonomia dell'università quella che altrove Derrida chiama «Luniversità senza condizione)) 17 - non vuol dire quindi un'università separata, 17 J, DERRlDA, L'universiti saru conditkm, Galilée, Paris 2001, rr. iL Jn J. Derrida, ~/~, Rov3:1l, L'unlw:_rsità senz:.t. condizione, RaffaclJo Cortina, Milano 2002, riprende 11 molo dt una conferenza renuta all'Cniversità di Stanford in Califomia nei I 988, il cui titolo completo era L'avenir de la prefession (JU L'universiti sam condition (gràu aux: «Humanitls'; ce qui pourrait a:voir lieu demain, Sull'in8uenz.a di Derrida, e della ge-

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Antonio Stefano Caridi

protetta come una fortezza dille sue mura da cui rifiuta di allontanarsi, collocandosi unicamenre sotto la protezione dei suoi regolam~nti e dei suoi statuti, ma è un1 università che acconsente a prendere per dentro il suo fuori, che si espone cioè al rischio di rendere conro delle divisioni che si producono all'interno della società. I.:università di cui parla Derrida è quindi una «cosa» attraversata da conHitri che non sono soltanto dei conflitti dominali o delle rivalità personali, poiché hanno la loro origine nell'insieme del campo sociale di cui e.ssa riflette le conrraddizioni iu una maniera che può essere anche esplosi.va, perché si tratta di un luogo di ricerca e di discussione che non può sorrrarsi alia necessità dì rivolgere su sé stesso il proprio sguardo critico: «Per conservarsi, pet sopravvivere, l'Università non può insediarsi srabilmente e confortevolmente nella regione immaginaria del ,;,come se» ( ... ]È necessario che l'Università sc~nda dal cielo in terra e che, uscendo dal suo bozzolo, raggiunga il mondo reale, le sue condizioni e i suoi rischi, Occorre che lo faccia non soltanto perché costrena, sotto minaccia) dunque in una posizione tendenzialmente di asservimento, ma per quanro possibile in uno spirito di responsabilirà, prendendo la giusra misura di queste condizioni e risd1i, impossibili da esorcizzare e fare scomparire con un colpo dì bacchetta magica, rifugiandosi nel suo buon diritto. E vi può arrivare solo prendendo lucidamente coscienza delle proprie mancanze, che sono anche aperture tramite le quali comunica con il fuori, un fuori che, lo voglia o meno, lo sappia o meno, è anche dentro)), 18

PIERRE MACHEREY

LA PAROLA UNIVERSITARIA

Antonio Stefano Caridi R.oma, febbraio 2013

nerazione deglì ìnrellecruali francesi dd posr~struttural.ismo, s11Ua vie-a çulturale delle nnlversità nord-americane., dr. F. CussnT, French 1heor;: Foucault, Derrida, Deleuze & Cie et !es mutations dr: la 1.Jie intellecroelle aux États~Unis, Édirions La découverre, Pads 2003, tr. it., French 1hr:ory: FfJuc@lt, Derrida, De!euu & Co. all'asMlro dell'Ame-

rica, IJ Saggi:itùre, Milano 2012. " Cfr. infaa, p. 85.

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IxTRODUZIONR LUNNERSITÀ

[è',;

QUESTIONI 1

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un dato di fatto che lo statuto della res universitaria è oggi in questioni [en questions], al plurale per mettere in evidenza che, oltte ad e-ssere di fatto minacciata la sua esistenza su tutti i fronti, è la sua stessa realtà che fa problema, neHa misura in cui natura e funzioni sembrano rimesse ìn causa in quanto ralL A che cosa serve l'università? Che cosa vi si fa in concreto? Che tipo di discorso, peculiare per forma e contenuto> vi si clene? Che tipo di relazioni si intrecciano tra coloro che, a titolo diverso, vi appartengono? A che condizioni può funzionare correttamente, cioè adempiere le missioni di cui è investita, che legittimano il fatto che si cerchi di perpemarla o eventualmente adattarla a nuovi bisogni da definire? Queste domande si impongono oggi con urìindiscutìbile urgenza, in uu contesto di diffidenza e disperazione, sulla base del sospetto o della paura che l'idea stessa di università possa davvero aver fatto il suo ternpo e dover lasciare il posto ad altro, senza che si possa intravedere che cosa questo «altro» passa essere e che prezzo bisognerebbe pagare per esso. Tuttavia, le dìffic.oltà segnalate da tali questioni non sono nuove: è da quando esiste, cioè da più di otto secoli, che si sono manifestate;, con periodi di calma, cioè di assopimentç,, scanditi da momenti di grande ìnquietudine e agitazione che rivelano come la. cosa w1iversitatia non abbia cessato di essere oggetto di preoccupazìone., senza .. .poter rimanete cranquìlla nel suo angolo, librata sulle sue franchigie, al riparo dallo sguardo della collettivltà con la quale deve pur imrat, ,cenere delle relazioni di scambio cheJ in ceree cìrcostanze, possono . ·:rivestite un andamenro tumultuoso e mettere in pericolo i dispositivi · ordinari da cui dipende il suo funzionamento normale, o considerato

comincia ad avere un minimo di credibilità. Un centinaio d'anni dopo Nietzsche, Bourdieu e Passeron, in uno srndio su Linguaggio e situazione pedagogica realizzato nel 1965 sulla scia del loro libro su Les Héritiers- Les étudiants et la culture,' hanno proposto una descrizione del rapporto tra astudeun e astudù destinata a mettere in evidenza la «logica della messa a distanza» che ne è alla base:

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Il professore crova nella parricolarìtà dello spazio che gli prepara l'isciruzione (fa pedana, la carredca e la sua posizione al cenno di convergenza degli sguardi) le condizioni materiali d1e gli permertono di mantenere glì srudenci a distanza rispettosa e che ve lo obbligherebbero anche se lui vi si sottraesse. Innalzarn e chiuso nello spazio che lo consacra oratore, sepaca:o dall'udirorio per quanro I1affiuenza lo permetca ~ da alcune file deserte che segnano marerialmeme la distanza che il profano conserva timorosamente davanti al mana dd verbo e che sono sempre occupate, in ogni caso, dai più impeccabili zdarori, devoti vicari della parola magistrale, 11 professore, lontano e inarrivabile, MW absconditus circondato da dkerie vaghe e recrìbHi che sono come mitologie, è di fatti condannato da una sìruazione molto più coercitiva della più cogenre regolamentazione al monologo reatrale e all'esibizione vircuosistica. 5 ,

Come faceva già Nietzsche, Bourdìeu e Passeron insistono sul carattere oggettivo del condizionamento di e attraverso la parola, che previene le intenzioni di coloro che entrano in questa relazione, quale che sia il posto che vi occupano in quanto emittenti o riceventi della comunicazione effettuata. Il prof=ore crede di essere lui a parlare a " Éd.. de Minuit, 1964. 5 Teseo pubblicato in Les Temps ModerneJ, n. 232, sertembre 1965, p. 447; lo stesso studio serve da incrodutlone al n. 2 dei Cahiers du Centre dc Sociologie européenne, ), dispositivo considerato attualmente obsoleto -e di fatti sempre più difficile da far funzionare- arrivando a preferirgli altre procedure che permettono di diluire gli effetti alienànti della parola calata dall'alto e come proveniente da un altro mondo - da parte di un maestro inaccessibile, insieme facondo e muto, inesauribile sulle macerie artinenti la lezione e del tutto discreto sulle motivazioni e i presuppasti che sono alla base del suo modo di trattarle e su cui mantiene il riserbo. Analogamente alla dignità simbolica attribuita alla «cattedra»> si è fatto scomparire anche ciò che la rappresentava nella sua plasticità materìale, la pedana, con l'intenzione di collocare tutto su uno stesso piano_; e ad un ìnsegnamenro didatticamente impartito in maniera unilaterale_, sì sono sostituite pratiche desrinate ad incoraggiare soprattutto gli scambi, come quelli dei lavori coordinati_, del lavori pratici o di seminario. i cui partecipanti sono sollecitati, nell'ambito di gruppi ristretti, ad intervenire democraticamente come formalmente uguali. Il maestro si è trasformato ìn conslgl.iere, in tutor, in fratello grande che si rassegna a lasciar fare per meglìo orientare~ dunque si accontenta di dirigere sottobanco, quando non sì tiene completamente in disparte rispetto allo svolgimento delle operazioni, la situazione per lui più riposante: intervallate da lunghe pause) sistemate con flessibilità, le ore concesse all'insegnamento e registrate nei servizi passano veloci. E quando il professore è in congedo per malattia o in missione alf estero, la sua assenza passerebbe quasi inosservata, poiché i suoi interventi erano diventati così discreti che rutto avviene come se non ci fosse mai stato, anche durante i periodi di presenza effettiva, in cui la sua posizione si era inavverritamente avvicinata a quella del!' uomo invisibile come descritto nei racconci dì fantascienza. Ma non bisogna illudersi: queste innovazioni pedagogiche, per quanto seducenti possano essere a prima vista> non pongono fine al carattere alienante della relazione «acroamadca» e della «logica della messa a distanza» che la sostiene, e sono come il miele che si

L'Università in questioni

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spalma sui bordi della razza per far meglio ingerire la pozione amara. Il Joro effetto più tangibile è di svuotare le sale dei corsi. in cui sono proposti solo degli sc.,arnbi incerti, privi dì contenuto reale~ sotto tutti gli aspetti inefficaci. Prendere coscienza del carattere: illusorio di queste innovazioni non deve portare ad un ripiegamento sul passato. Dopo otto secoli di esistenza, la forma universitaria_, se continua ad avere un senso, resta ancora in gran parte da inventare: è per questo che - se ne è già fatra allusione - la parola d'ordine «difesa dell'università», che sì iscrive implicitamente in una prospettiva di conservazione, che dà per scontato che questa forma sia essenzialmente acquisita e che basterebbe trovare i mezzi per perpetuarla identica a sé stessa, l'.'. insoddisfacente, Ovviamente, mantenere funiversità cosl com'è è diventato impossibile, in una co,ngiuntura in cui, più che mai, il ,,così com'è>, risulra problematico, ésposto alla contestazione, Ma allora, quale università vogliamo? O piuttosto, di quale università abbiamo bisogno oggi? Per rispondere a questo genere di domanda, dobbiamo in primo luogo indagare in maniera più lucida le condizioni, al plurale perché non sono rune dello stesso ordine, da cui dipende resistenza di questa forma universitaria che sta per esplodere sono i nosrri occhi) e che sarebbe vano pretendere di conservare intatta, quando purtroppo è già diventata solo l'ornbra di sé stessa. Se l1universirà ha, come si può tuttavia sperare, un futuro, esso si colloca in regioni dello spazio sociale che sono ancora in gran patte da esplorare, essendo esse stesse in via di costituzione, sottoposte pertanto alla legge del provvisorio, dell'incompiuro e dell'incerto. Tre approccii inevitabilmente parziali, della cosa universiraria saranno qui proposti; si esaminerà l'università come sì presenta allo sguardo dei filosofi nel linguaggio e coi concetti che sono loro propri; in seguito, si indagherà 11 discorso universitario sulla sua idenrità e sulla pertìnenza delle sue pratiche, servendosi degli strumenti per definizione obiettivi fomiti dalle scienze umane come la psicanalisi e la sociologia; infine, ci si sforzerà di portare alla luce alcuni paradossi della forma-università con l'aiuto della letteratuta. Queste tre prospettive non esauriscono certamente i problemi dell'università e non permettono di programmarne la soluzione, ma, tutt"al più, possono permettere di avere una visione un po' più chiara suì loro presupposti e di sottollnearne l1urgenza> in mancanza di rimedi.

UNO

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L:U::,uvERSITÀ DEI FILOSOFI

I.

Kant e Il Conflitto delle Facoltà

-P Conflitto delle Ftfcoltà1 è proprio

l'ultimo testo pubblicato da nel 1798. E degno di interesse il farto che Kant abbia dedicato il momento finale della sua immensa opera Jìlosolica ad una riflessione sul carattere istituzionale della filosofia, che stabilisce quali sono i rapporti che qu_esra inrrattiene di diritto con le altre discipline insegnate nelle facoltà, nel contesto storico proprio di una certa congiuntura universitaria. Il Conflitto delle Facoltà si situa direttamenre sulla scia de La Religione nei limiti della semplice ragione, opera apparsa cinque anni prima, nel 1793, che si era attirata la diffidenza della censura prnssiana ed ern valsa al suo aurore una reprimenda indirizzatagli personalmenre dal re Federico Guglielmo II, figlio e successore del grande Federico II di cui non aveva né la cultura né l'altezza di visione politica. Indipendentemente dalla relazione con La Religione nei limiti d,lla semplice ragione e con il resto dell'opera teorica di Kant, questo scritto attira l'attenzione anche per il fatto di collocarsi in un momem:o chiave della storia della forma universitaria su cui fornisce una tesrimonìanza insostituibile: il momento è quello in cui !1 organizzazione delrunìversirà fu ripensata in fun1Jone di un certo ideale filosofico della scienza e della rappresentazione del ruolo fondamengiocato dalla cultura, basata sull'ideale nello sviluppo nazionale di ciò che si chiamò allora in Prussia Kulturnation, cioè la nazione che trova nella cultura la condizione della propria unità organica. La riflessione proposta da Kanr in questo contesto 1 in cui la questione dell'università rinviava a questioni che riguardavano la società intera, mira alla sistematicità architettonica che costituisce il marchio di

1 Kant,

1 t KANT, Der Streit der Fakultiiten, in Kams Werke, Akademie Textausgabe, Berlin !968, VII, pp. 1-116, tr. it., Il eanjlitto de& Facoltà, a cura dì D. Venturelll, Morcelliam1, Brescia 1994.

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Uno

L'UniverJità dei filosofi

fabbrica dell'insieme della sua opera e tende a fissarne le articolazioni, contrassegnandole con un cerro immobilismo sub specie aeternittttfr. ( E, allo sresso tempo, attraverso proprio le irregolarità e le lacune di quest'opera rardiva, in cui sono raccolti degli scritti disparati e in cui 1

abbondano le digressioni, cosa che non le impedisce di essere attraversato da Hluminazioni acute, tale riflessione lascia emergere lo slancio proprio di una dinamica dì trasformazione, dinamica storica che traduc·e la presa di coscienza di una mutazione in via di effenuarsì insie-

me sul piano reorico delle idee e sul piano pratico delle istituzioni. l;n aspetto del pensiero dì Kant troppo raramenre messo in evidenza è lo straordinario senso storico da cui è animato, che testin1onia di una sensibilità acuta ai cambiamenti che riguardano_, oltre alla maniera di ragionareJ il modo in cui la soderà si organizza dispiegando dei dispositivi su tutti i piani di cui ha la responsabilità, compreso quello in cui si pongono concretamente i problemì dell'insegnamento, con

le forme collettive di soluzione da essi richieste. Kant a/fì-onra rali problemi con i mcrzì della filosofia, avendo cosl l'occasione di delineare una certa idea dell'università colta in qualche modo nel suo momento

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. Fu fdice_l.'idea di chi per primo co.ncepl e propose dì attuare pubblicam.ente d progetto d'organi:z.zare l'intero complesso _del sapere (proprt1rnente le menti che vi sl dedicano) medfante !a div!Sion; deì l~v?rì, press'a poco sul mode!UJ di una fabbrica dove fossero :niplegat1, m base al numero delle discipline scienrifiche, un numero ·ezuale di insegnanti pubblici, di profijsori, nel ruolo di deoosìtari delle sd_em:e, eh;, .rìun~t~, cosrituìssero una specie di comunÌtà del sapere chiamata_Umver~ta (o anche scuola superiore) dotata di una propria autonooua perchc solo dei doni sono capaci dì giudicare altri dotti). Questa, per mezzo del]e sue facoltà (piccole società) distinte in base alla ,d~v7rst~ principali rami del sapere, in cui si dividono i dotti d':ll Cmvers1:ta; doveva dunque essere autorizzata sia ad ammettere gli studenti eh~ ~pira.no ad a:~dervi daJle scuole ìnferiorì, sia, dopo un esame preltmmare, a conferire mon.;: proorìo :ti liberi ìnseanantl . • d, ·{ 1 0 eh . ramat~ otton \c~e non sono membri dell'Univetsità) una dignirà nconoscmtada tutn (ad accordare loro un grado), insomma a crearne

~;i

~

Ia figura. 3

comincia a definire la configurazione che gU è propria nelle condizioni che gli sono offerte dall'antico.

In quanto uscita direttamente dal cervello di un creatore inventivo e patt.i°:larmenre ben ispirato, l'Università presenta dunque delle catattért'it!Che che tendono a confermarne rappartenenza ad una ce ., . l na moderruta:. m app ìcazione del principio della divisione ra:Lionale del lavoro nelhndustria) principio che era cominciato ad essere teorizzato

Nell'introduzione alla prima ddle tre sezioni che compongOno Kant propone una constatazione lucida della maniera in cuj l'università è costìtuìta nella sua epoca. Egli la rappresenta in manie-

del] ~con:1n11a pol1t1ca, essa si presenta sotto 1a forma di un vero ma come il risultato di una scelta razionale

rnzza~1?ne uue~~tuale eh~ racc.oglie ciò che Kant chiama un po' oltre "dotti ~orporanv1 1); essa si dedica, con un massimo di efficacia~ a.Ha produz10ne e alla trasrniss.ione dei saperi ed il suo funzionamento cen~e ad una completa autonomia, realizzata in particoJare attraverso il libero conseguimento di gradi, di cui FUniversità si riserva l'esclusiva rivendicando il ~iritto di definire il profilo di tali gradi, cioè crearli. ' I_l problema e che questa organizzazione razionale, alla quale l'Universna deveJo scaruco di corpo relativamente auronomo, non copre rotalmenre il campo della creazione intellettuale, in cui le idee circolano e h~nno un ruolo da giocare nella società. Il monopolio che essa nvendrca su queste operaz.ìonfi in particolare attraverso la pratica

iniziale, quando comincia a prendere forme e si effettua il capovolgimento dell>anrico nel nuovo, dunque nel momento in cui il nuovo

qu~che anno pri°:: dai filosofi scozzesi creatori della nuova disciplina

1' opera,

che dipende da un'iniziativa individuale, trasversale in rapporto alla successione temporale, essere fondanre:2

il cui valòre sarebbe stato e

continuerebbe ad

7 Questo modo dì presenrare le cose è in risonanza con 1o schema espo~to nel passo famoso della prefazione alla seconda edizione della Cririca della ragion pura dedìcaro all'origine deHa raùonalità scientìfic-a in cui Kant spiega che da rrasformazione in scienxa. vada atrribnìta ad nna tivoluz.ione, ac-ruara daJla felù:;e idea di nn singolo uomo ~ ... ] coluì che per primo ... ecc». (p. 29), formule che pos....çono essere consìden.re come rappresenrarive di un topos di analisi ripìcamemc ka.m:iano che hanno il valore di una fìm.u.

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Uno

della raccolta di gradi, che permette di cenificare e di registrare le comperenze riconosciute, si trova così contestata dall'esistenza di altfe istanze e di alui attori, cosa che, inevitabilmente, è fonte di tensioni e di conflini più o meno larvati. Innanzhuno, vi è la massa eteroclita di persone che, senza piegarsi ali' obbligo di osservare una regola comune che unifichi a priori le loro atdvirà facendole rienuare tutte in un unico modello, si dedicano ad una libera ricerca della verità, facendo a meno di un riconoscimento isrituzionale del tipo di quello che rilascia e garantisce, per esempio, il conseguimento dei gradi: Oltre ai dotti membri della corporazione [i professori universirari, caregoria professionale alla quale Kant sresso apparteneva], possono essercene anche di indipendenti, che non fanno parte dell'Università, ma, elaborando solo una parte del grande complesso del sapere, o cosrituiscono certe libere associazioni (chiamate Accademie, o anche Società delle scienze) cpe sono quasi altrenanti laboratori, o vivono per così dire nello stato di natura del sapere, e si occupano da dilettanti

del suo ampliamento e della sua diffusione, ciascuno per conto proprio, senza ubbidire a norme e regole pubbliche. 4 Gli universitari che, in virtù del principio della divisione del lavoro, base della loro otganizzazi~ne, rivendicano il diritto di occupare tutto il terreno della conoscenza, sul doppio piano della sua produzione e della sua diffusione, si vengono a trovare dunque in competizione con alue isranze che effenuano quelle stesse operazioni secondo modalità differenti, seguendo altre vie, sia che si presendno sotto forma di corporazioni indipendenti che si danno regole proprie, sia che facciano a meno di ogni forma, pubblica o privata, di raggruppamento istirnzionale, arrivando a fare una ricerca della verità in maniera selvaggia, senza regole, in assenza di ogni possibilità di controllo. Repertoriando quesre figure dell'intellettualirà che rivendicano a livelli diversi la propria indipendenza, Kanr lascia intendere che l'universitario quale egli è non può evitare di sentirsi abusivamenre insidiato dall'esistenza di persone che, in qualche maniera, vanno a caccia nelle sue terre facendo a meno degli obblighi e delle sanzioni che condizionano l'appartenenza allo Stato scienrifico costituito di diritto dall'Università. La li berrà che essi rivendicano non è indebita? Soprattutto, l'esistenza di «dilettanti)), per quanto illustri essi siano, che si attribuiscono di pro" lbid, p. 68.

L'Università dei filosofi

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pria iniziativa il. permesso di mettere il naso dappertutto e di perorare a volontà su tutto, costituisce un pericolo maggiore per l'Università, contestata nelle sue prerogative, esposta al rischio di essere usurpata dei suoi diritti e - perché no? - sottoposta ad un attacco virulento del tipo di quello lanciato da Voltaire nel!' articolo Lettere, gente di lettere o letterati del Dizionario filosofico, in cui scrive: I letterati che hanno reso la maggior parre dei servizi al piccolo numero di esseri pensanti diffusì nel mondo, sono i lerterati isolati, i veri dotti rinchiusi nel loro studio, che non hanno argomentato sui banchi dell'Università né detro le cose amerà nelle Accademie; ed essi sono srati quasi sempre perseguirati. Sullo sfondo della discussione che qui si-profila si trova una questione scottante: fino a che punto gli insegnanti dell'Università, sopratiutto quando sono diventati dei funzionari dello Stato, dunque dei professionisri stipendiati della conoscenza, dispongono di una reale autonomia, come da loro preteso? La condizione per godere effettivamenre di questa libertà non sarebbe di prendere un massimo di distanza dalle istituzioni le cui abitudini restrittive, e i vantaggi che esse procurano sono forma di onorificenze, salari o gratificazioni, significano l'assoggettamento ad un potere da esse rappresentato, in nome del quale esse parlano, senza disporre nei suoi confronti di alcuna padronanza? Un vero dotto non è, al contrario, colui che, rivendicando tutt'al più l'appartenenza ad una ideale Repubblica delle lettere dalle frontiere indefinite e in cui nessuno è in posizione di legifetare, ricerca la verità da sé stesso, sorro la sua sola autorità, al di fuori di una garanzia istituzionale nella quale intravede una limitazione della sua libertà di pensate? È con questo spirito che Spinoza, nella lettera del 16 febbraio 1673 al rettore Fabririus che, in nome del Principe Palatino, gli offriva di insegnare nella prestigiosa univershà di Heidelberg, aveva declinato l'offerta, giustificando il proprio rifiuto con il suo «amore della tranquillità», che spiega il fatto che «non sia mai stato tentato dall'insegnamento pubblico» e questo in particolare perché, scrive nella lettera, ignoro in che limiti la mia libertà dovrebbe essere contenuta affinché io non sembri voler metrere in pericolo la religione ufficialmente stabilita.

Kant si era da poco confrontato con questo rischio quando era incorso uelle ire della censura, proprio perché aveva preteso fìlosofue sui problemi della rdigione. A seguire il ragionamento sottosrante alle prese di posizione radicili di Spinoza e di Voltaire, solo la situazione - priva di legami di outsider garantirebbe l'apertura intellettuale che manca agli studi accademici per il furto di essere sottomessi, prima ancora di esserlo a quella ... esterna della polizia, ad una sorveglianza interna all'istituzione che assume quindi le sembianze di ud autocensura.

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Uno

1

ad ogni condizionamento, e in particolare rispetto alle pressioni che esercira su cli loro l'opinìone) attraverso i media dì cui sono diventati gli strumenri involontari O consenzientì. In un contesto in cui dei creatori ìnd ipendenti arrìvano a far sentire la propria voce, una voce

che può diventare altisonante, è inevitabile che coloro che fanno parte

del

storica ddle idee Frances YatesJ che solo ìn età avanzata occupò una posizione prestigiosa nell'Università inglese, spiega che ciò fu per lei un'occasione eccezionale, dovuta alla situazione familìare alquanto particolare che le aveva ìmpedito di seguire un corso regolare di studi,

campo accademico, che si sono guadagnati per questo un diritto d'ingresso spesso abbastanza alto, si sentano spogliati, o perlomeno sottoposti ad un'indebita concorrenza in un ambito di cui rivendica~ no, in virtù della selezione spietata che hanno dovuro subire, esclusiva. Tuttavia, Kant non affronta questo dibartìto, poìché ciò che lo interessa in primo luogo, nel quadro della riflessione che imposta sul .. conflino delle Facoltà,>, è l'esistenza di un alrro tipo di concorrenza, ben più preocqipance ancora ai suoi occhi, poiché, invece di prendete

di formatsi e di intraprendere le sue ricerche senza dover entrare in un

la forma di una contescazione dall'esterno dei privilegi e dei diritti del-

contesto «legale» che, fatalmente, ne avrebbe limitato la brillantezza e soprattutto avrebbe ostacolato la disponibilità ad interessarsi di questioni considerate marginali, come il molo giocato dal tema dell' eso-

a dei finì ehe non sono direttarneme quelli della ricerca ddla verità:

Nei suoi interessantissimi Frammenti autobiografici, la grande

terismo e delr ermetismo nel Rinascimento europeo, cui ha dedicato degli studi che le sono valsi tutta la sua grande tepurazione:

In nessun momento ho avuto una vita da normale smdemessa, né considerato il sigiHo dell'istituzione universitaria come importante per me, Umio ideale era una. vha dì ozio intellettuale che mi offrisse ia, possibilità dì dedicarmi alla ricerca, alla riflessione, alla medicazione e alla preghiera, e di incamminarmi verso un perfezionamento creativo indetìnito, forse poetico, .. 5 U rì esperienza come quella di Frances Yares è per definizione unica e sl possono solo ttarne lezioni negative~ come per esen1pio la messa in evidenza deì limiti dentro i quali si rinchiuder esercizio accaden1ko

del pensiero, e ciò il più delle volte a sua insaputa, con la conseguenza di avere serie difficoltà a controllare gli effetti di tale limitazione.

Molto più generalizzabile sarebbe il caso dei «saggisti», che occupano oggi una grande porzione del campo culturale senza essete sottomessi

alle costrizioni formali che regolano il funzionamento dell'ordine ac, cademico, cosa che non significa tuttavia che essi siano liberi rispetto

5

F. Y: acL"Olgano certe determinate dotttine, e ne escludano quelle contrarie. Esso infatti non insegna, ma sì accontenra di comandare a que1lì che insegnano (a prescindere dal problema della verità), perché questi, all'atto dj enttarc in carica, vi hanno acconsentito pattuendo col governo un conttatto. Un governo che s'intromettesse nelle dottrine e quindi anche nell'ampliamento e nel perfezionamento delle scienze, che riservasse di conseguenza al sovrano Ja parte del dotto., per questa pedanteria finirebbe coi perdere il rispetto che gli è dovuto, ed è al di sotto della sua dignità accomunarsi al popolo (aUa sua classe dotta), che non intende scherzi e pettina tutti a un modo coloro che nelle scienze s'ìmmischiano. 9

I. KA.'lr, 11 Conf/ìtw de/i, Facoltà, cir., p. 69-70.

5I

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Che non abbia trasgredito le supreme intenzioni del Sovrano, a me ben note, nemmeno come maestro del popolo, negli scrìrti, non in specie nel libro La religione entro i I.imiti della sola ragione, che non abbia insomma recato pregiudizio alla religione di. .Jtl1tò, r!sulta già chiaro dal fatto che quel libro non è adatto a questo scopo, essendo piuttosto per il pubblico un Hbro chìuso 1 inintellegìbHe, che prospetta so]o una discussione tra i dotti delle facoità, un dibattito di cui il popolo non si cura. fvia le facoltà sono libere di giudicarne pubblica.mente secondo la loro migliore scienza e coscienza, e solo ~ maestri incaricati dell'insegnamento popolare (nelle scuole e dal pulpito) sono vincolati a quel risultato delle discussioni scientifiche che ottiene la sanzione del Sovrano al fini dell'insegnamento pubblico ... "

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.

" Ibid., p. 60.

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L'Università dd filosofi

lJno

Il dotto corporativo qual è Kant si ritiene ~n diritto di _essere trattato diversamente da un istitutore popolare, direttamente m confatto con il pubblico che inlluenza con le sue afrèrmazioni: derro altrimenri, per difendere la sua autonomia, rifiuta lo staruto di educatore del popolo la cui attività deve essere normaJmente seguita n10lto da vicino

e, eventualmente, sanzionata dall'autorh:à politica.

rirornando alle

difficolcà che accompagnarono la "pubblicazione de La Religione nei limiti de!/a, semplice ragione) avanza questo argomento sorprendente: dopo tutto, non si tratta che di un libro, di un semplice libro, che in quanto tale non interessa il pubblico, semplicemente perché il suo contenuto glj resta incomprensibile. Non si può che rimanere sorpresi dal vedere un dei ragionamenti che, visti dall'esterno, dal punro di vista delle loro conseguenze, possono sembrare contestabili. Nello spirito proprio di questa maregia difensiva, un dotto, membro della Facoltà inferiore in cui in principio conta solo la ricerca della verità, può egli stesso essere chiamato a tenere due tipi di discorso, che riguardano norme di valutazione nettamente distinte: un discorso propriamente esoterico, cioè volto verso l'interno, indirizzato ai pari e ad essi soli;'e un discorso essoterico, cioè volto verso l'esterno e che, con molte precauzioni e usando forme appropriate, comunica a chicchessia informazioni accuratamente filtrate sui risultati ottenuti dai ricercatori qualificati a1 termine di ricerche che> fondamentalmente, riguardano solo loro" cosa che giustifica il fu.ero di essere poste sotto la loro piena responsabilità, Secondo quesra logica divisa, i filosofi dell'Antichità, che associano strettamente la ricerca della verità alla missione d'insegnare, praticavano già due tipi d'insegnamento, quello destinato ai futuri colleghi del loro collegio, che trattavano già come colleghi, e quello rivolto al grande pubblico, su basi che non potevano essere esattamente le stesse, Quando Platone faceva incidere sul fron-

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tone dell'Accademia la formula «Entri solo chi è geometra», indicava che dovesse esserci una netta separazione tra) da una parte, ciò che avviene all'interno della Scuola) ed è riservato ad un'élite scelta con 1 cura e, dall alt.ra, ciò che è degno di essere conosciuto delle sue attività ~ffesterno, dalla massa di coloro che non sono per nascira «geOmetri». E successo, per una sorta di astuzia della smriaJ che degli insegnan1entì di Platone rimanga solo la parte essoterica; i Dìaloghi, che componeva per diffondere la buona parola nella forma che giudicava meglio comprensibile da _parte di persone che non avevano in quanto tali una natura filosofica, Mentre degli insegnamenri di Aristotele, di cui sì sa che anch'egli compose dei dialoghi destinati alla grande lettura pubblica, si è conservata essenzialmente solo la parte esorerica, il contenuto degli insegnamenti forniti nel!' ambito chiuso del Liceo, come si è potuto ricostituire diversi secoli più tardi, ovvia1nente sulla base degli appunti degli allievi, da parte di editori alessandrinL Borges avrebbe poruto scrivere uno dì quei racconti paradossali di cui conosceva il segn::toJ nel quale Platone e Aristotele satebbero stati, come la stella del mattino e della sera, due nomi diversi che designano in realtà uno stesso essere, uno stesso filosofo che avrebbe dispensato il suo pensiero in forma essoterica sotto l1appellarivo di Platone e in form.a. esorerka in quella di Aristotele: una tale finzione permetterebbe di spiegare ciò che) accomunandoli, separa questi due pensatori, secondo le due prospettive proprie di un insegnamento destinato ad influenzare il pubblico e dì un insegnamento rivolw a dei futuri filosofi, prospettive che n?n possono c~incìdere assolutamente, tratt.1ndosì allo stesso rempo d1 sapere se, e fino a che punto> la loro differenza possa trasformarsi in divergenza. Apriamo una parentesi. Dal suo primo senso, ,,rivolto ai n1embri di una scuola», la parola esoterico è passata ad un significato più ampio e ha voluto quindi dire «riservato a degli adepti o a degli iniziati», con un contenuto di conseguenza oscuro, e al limite incomprensibile, per coloro che non dispongono di chiavi indispensabili per la decodifica. Esoterico è allora diventato quasi sinonimo di ermetico, parola appartenente originariamente al vocabolario tecnico dell'alchimia, per destgnare 1I fatto che un recipiente sia stato ben chiuso, senso che si è conservato oggi nella lingua corrente, in cui si p~rla di una bottiglia «ermeticamente» tappata: di qui si è passati al senso di «chiuso", «dissimulato)>i , «misterioso>), «segreto». Seguendo queste dedve semantiche, si arriva a considerare che vi potrebbe essere

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Uno

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L'Unìversità deifiio.soji

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'{

nelta conoscenza scientifica qualcosa di fonda~ent~lmente rìse1aro3 che la trattiene dal perseguire le sue procedure m piena luce/ sotto lo sguardo di rutti. Si parlerà allora a questo proposito di impenetrabilità, nel senso proprio dell'inaccessibilità (sotto forma, per esempio, dd divieto di entrare rivolto a coloro che non sono { cioè dell'interesse deUa verità e dove la ragione deve avere il diritto di parlare pubblicamente: perché senza ques"Ca facoltà 1a verità non verrebbe aila luce (a danuo del governo stesso), dal rnomemo che la ragìone è libera per sua natura e non ac,e~n:a ordini di tenere per vero qualcosa (non un crede, ma solo un libero credo). --- Ma il mocivo per cui la facoltà di filosofia, pur avendo ques:o grande prìvHegio della liberrà, viene tuttavia chiamata infer!ore, deve trovarsi nella natura dell'uomo: H fu.no è che dli può comandare, sebbene sia a sua voka l\unile servitore di un altro, presume d'essere più sl.:,01.1ore di chi davveto è lìbero, ma non ha nessuno cui comandare. 12 [argomentazione cht: Kanr segue qui sembra eccessivamente ror~ tuosa; ma ciò si spiega con il fatto ehe si sforza, e la cosa è del tutto semplice, di far convergere i dati empirici del!' uso, che preoccupano essenzialmente il governo, e le esigenze della ragione, sulle quali si concentra l'interesse del filosofo. Il risultato al quale giunge tale tentativo di conciliazione si può cosl riassumere: dato che è impossibile che l'Università sia totalmente libera, dunque che il governo si disinteressi compleramence dei suoi affari 1 la sola pùSsibìlità di preservarvi almeno in parre una libertà di pensiero è che> in essa, si dia perlomeno un cerrirorìo particolare, riservato, che disponga totalmente di que-

sra libertà, nella forma di un'unica Facoltà dedicata alla ricerca della verità} ricerca chei per conservare la propria aurentidrt deve essere

:1 I. KANT, Il Conflitto delle Facoltà~ cit., p. 70-71, Credo, ,do credoµ, persona indicativa; 1..7Me, «credi!» è un imperativo rivolro ad alrri.

e la prima

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t:no

indipendente da un controllo che alla fine assuma la forma di un'interferenza o di una censura. Che questa Facoltà1 contro ognf buon senso, sia defìnira «inferiore:-ì è un male minore; se bisogna fare questa concessione alla vanità di coloro che, non appartenendo a questo corpo d'élite, non possono che esserne gelosi e svilirlo, le conseguenze non sono gravi e devono essere sopportate, essendo la natura umana quello che è. Dunque, è qui che si colloca la posta in gioco principale della discussione., dato che è impossibile proteggere globalmente gli affari universi rari. da ogni colpo pocr:aco dal governo, non resta che arrangiarsi per fur passate all'interno del suo ambito, non potendola respìngere sul limite esterno 1 una frontiera che garantisca da qùesri colpi alcune delle sue attività, se non la totalità. Quali sono queste attività, che tale frontiera interna difende contro intrusioni indesiderabili? Sono quelle che, dice Kant, riguardano esdus.ivamente la ricerca. della veritt in una maniera che non può che essete disinteressata, nel senso in mi i filosofi dell'Antichità definivano la forma pura della thtoria, epurata di ogni preoccupazione tecnica o pratica. Ora, perché tale forma pura sia preservata, è richiesta una condizione sussidìaria; che le artivirà in questione «non comandino alcuno», siano dispensare dal le une superiori e l'alrra inferiore, i cui com~ piri sono stati affrontati finora solo su un piano formale, quello della relazione che ipcrauengono dì diritto con la libertà e la verità. Ma, ovviamenre, non è possibile fermarsi qui. Lo sviluppo seguenre del saggio di Kant, intitolato Sul rapporto delle Facoltà, affronta questo aspetto dd problema, che non riguarda una deduzione a priori, ma fa inrervenire usi che vengono da molro lontano, dato che perpetuano tradizioni instaurate nel Medioevo. Le Facoltà superiori, come esistono ancora in Germania alla fine dd :>,.'V.[lJ secolo, sono la Facoltà dì Teologia, la Facoltà dì Diritto e la Facoltà di Medicina. Spetta ad esse formare e qualificare coloro che, in un passo analizzato precedentemente, Kanr aveva presentato come dei «tecnici della scienza», attribuendo loro l'appellativo, alquanto peggiorativo in bocca sua, di "uomini d'affari». Sono persone che si servono delle conoscenze acquisite all'Università per por:tare a rennine obiettivi pratici; si interessano di ~onseguenza solo ad aspetti del lavoro intellettuale che sembrano dìretramente sfrurtabili dal loro punto di vista, nel quadro del!' esercizio delle loro responsabilità professionali; ma la verità in quanto cale non costituisce la loro preoccupazione centrale. Essa li riguarda solo nelle sue forme applicare, con la conseguenza che la ricerca fondamentale sì trova respinra da loro stillo sfondo, dato che non sono interessad ai suoi temi propri, perlomeno è quanto credono trovandosi in difficoltà di fronte alla necessità nella quale si trova la ricerca, per essete «applìcara», di disporre dì un capitale teorico da applicare: ci si immagina di poter acquisire questo capitale volta per volta, immediatamente e su comando, cosa che finisce per svalorizzarne il contenuto. Il rapporto particolare che intrattengono con la verità il prete, ~l magisHato e il medico, che si

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L'Universitil dei fiwsofi

Uno

sentono autorizzati a trattarla come un mezzo e non come un fine, si spiega con il fatto che 1e missioni di cui sono iuvestiti li condtlcono ad intervenire direttameure nello svolgimenro della vira sociale, dunque, per riprendere l'espressione che abbiamo già incontrato, ad esercitare un'influenza sul pubblico, cosa che non è il caso del dotto puro, che si tiene sistematicamente a distanza dalle conringenze proprie di questa vita, che disturberebbero il rapporto che intrattieue con la verità fissandolo su degli scopi particolari, con la conseguenza inevitabile di bloccare il tentativo di giungete ad una razionalità globale. Tali contingenze sono proprio oggetto privilegiaro del governo che, di conseguenza, intrattiene una relazione parricolarmente srretta Con le Facoltà superiori le cui occupazioni lo interessano in modo particolare, cosa che giustifica il fatto di sorvegliarle da vicino, dato che è consapevole dei rischi di disordini cui possono dar vita se vengono m~no al loro ruolo che è, al contrario) di prevenire ed eventualmenre sanzionare gli scatri in rapporto alla regola: non è dunque il caso che si dedichino lìbetameme a queste occupazioni, poiché ciò aprirebbe la porra ali' anarchia sociale. Il modo in cui sono regolate le quesrioni di reologia è un affare di Stato) nella misura in cui definisconoj dal punto di vista dello spirito pubblico, ciò che è desiderabile e conveniente, cioè ciò che ci si può aspertate dalla vita e le regole che bisogna osservare per ottenerlo. Il trattamento degli affari giuridici ha un impatto diretto sulla gestione temporale della vita collettiva, che sonomette a delle norme fisse, .la cul interpretazione è manrenuta entro stretti limiti. E infine l'esercizio della medicina implica una certa concezione della sanità pubblica che sia oggetto di un intervento politico calcolato, premeditaro ed ordinato. Sulla ba.se del rapporto diretto che esse intrattengono con quesre questioni pratiche, le Facoltà superiori sono dunque in qualche modo delle Facolrà «politid1e», che sviluppano con la conoscenza una relazione essa stessa «politica ii, inevitabilmente intaccata rispetto invece agli interessi propri della ragione considerata in sé sressa, che ha per scopo prioritario la ricerca della verità. Tale ricerca della veritlt, da cui l'Università non può prescindere del tutro se vuole mantenersi ad un certo livello intellettuale, è affidata alla responsahilirà della Facoltà inferiore che, nella misura in cui si occupa solo dì questa ricerca} ad esclusione di ogni altro scopo, uon riceve ordini dal governo, non più di quanto essa stessa non abbia ordini da date al pubblico riguardo alla maniera di vivere, sul piano spirituale, giuridico o su quello della salute del corpo. Mentre il prete,

r

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•J magisrrato e il medico sono dei tecnici, nel senso che applicano delle :euole a dei =si concreti, pregando, prendendo decisioni fondate sulla Je~slazìone in vigore o somminisu·ando dei rimedi, il membro della facoltà inferiore è un puro teorieo, che privilegia la considerazione dei principi a priori rispetto a quella dei fatti, derto altrimenti, nel linguaggio di Kanr, un ,(filosofo)), nozione che deve essere qui intesa in senso ampio: essa designa quindi colui che si occupa di questioni che riguardano non la vira pratica ma la ragion pura. La Facoltà riore è dunque per Kant la Facolrà di «filosofia», tutte le attività della quale sono rivolte verso la scienza pura, libera dalla considerazione di oggetti concred. Queste attività procedonu, sottu la cundotta della ragione, per concetti o costruzione di concetri;, al dì fuori di ogni altro elemento da cui fanno una volta pet tutte astrazione, cosa che giustifica il fartp di essere libere in rapporto ad una legislazione esterna e di non dover obbedire ad alcuno, neanche al governo. Kant precisa che questa Facoltà di filosofia comporta essa stessa due divisioni, l'una dedicata alle scienze storiche (stoda, geografia, linguistica, stndì umanistici), l'alrra alle scienze razionali pure (matematica pura, filosofia pura, merafi.sica del.la natura e dei costumit con una trasposizione nel linguaggio della sua epoca delle «arti» medievali del trivium e del quadrivium: i «filosofi» membri della Facolrà inferiore sono così gli eredi dei maestri d'arte delle università del Xlll secolo, i cui ambiti di competenza erano nettamente separati da quelli assunti dai professori delle Facoltà di teologia, di diritto e di medicina, i quali non erano semplici (, ma dei dottori patentati, che disponevano a questo titolo di un grado elevato di autorità di cui i primi erano privi. Notiamo anche che la divisione della Facoltà inferiore in due diparrimenti, l'uno dvolto alle discipline ,;, cioè adempiano al loro ruolo sociale.

porcata, l'una lccccrale o acura, ossia strettamente istituzìonale, l'alrra più fondamentale e sotcostance alla precedente. Ma si può tradurre l'una nell'altra, La critica organizzauice e interfacoltà prende di mira l'unila:craHcà dal punto di vista kanriano: è il punto di visra della finirudine che oppone filosofia e ceologia. Esso fa dunque della filosofia il campo del pensiero finito, In una volra, esso dà alla disdplina filosofica troppo e uoppo poco. Troppo poco: esso la limita ad nna disciplina fra le alrre. Troppo: esso le concede una Facoltà. Schc1ling, che preferisce tagliar corco, propone molto semplicemente che non vi siano più i;fipartimem:i dt filosofia, e non per cancdla.re fa filosofia dalla carta unìversìrada, ma al contrario per riconoscerle il suo vero luogo, che non è ogni luogo: ,~ciò che è turco non pnò per questa stessa ragione essere nienre di partlcolare,>. 13

Dato che la filosofia non può essere sìmulraneamenre dapperrnrto

E quando ha creduto che fosse possibile aggirare le conseguenze disegualirarie di queste gerarchie, nel corso di una sorta di norte del_4

e da qualche parte, cosa che sarebbe insieme una contraddizione in

che trasferirebbe in toto il potere universitario alla filosoha e ... alla ragione che conduce la sua ricerca della verità, Kant, secondo ScheHing, ha commesso non solo un errore politico, ma una pecca

niera di risolvere questo dilemma sarebbe che essa non sia da nessuna

agosto 13

rerrnini e qualcosa d'impossibile da realizzare nei furti, la miglior maparre, cioè che sia formalmente radiata dalla carta dell'Università; ciò

In effetti, delle due l'una: o la filosofia rivendica di avere nell'Univer-

implica che essa cessi di essc:rvi insegnata come disciplina o come materia specifica, condizione perché la sua influenza si diffonda in tutta l'Università, nel modo in cui lo spirito è presente nel mondo dove non è assegnato ad un territorio delimitato~ finito, nel quale la sua esistenza sarebbe una volta per tutte accantonata: non si tratta dunque per ii

sità un posto determinato.; e allora occorre che rinunci all'ambizione

filosofo di tenersi completamente fuori dall'Università, come Spinoza

di regolare tutte le altre attività, dunque che sì accontenti di disporre di un'indipendenza relativa per gestire in base alla Sllil ide-, ciò che

aveva scelto di fare, ma di esservi presence, e anche onnìpresentej in furme discrete, cioè mimetizzate, tanto piì:1 itlHuenlj quanto agisco-

iI progetto di occupare il

no col sigillo del segreto, senza di fatto apparire ufficialmeme nel1' organigramma dell'Università. Questa soluzione radicale, se sembra conforme alle esigenze della logica, sembra a!rrettanto difficilmenre applicabile, e si fa fatica a vedere i filosofi rinunciare di propria inizia-

logica: ha creduto che la filosofia potesse essere insieme il tutro e una parte 1 essere dentro l'Università il suo dentro, cosa che è razionalmente inconcepibile, perché «il tutto non può essere niente di particolare)).

spetta al suo ambito proprio; o mantiene

terreno nella sua globalità, di comandare tutto, perlomeno in maniera uffidosa1 e allora non le resta che rassegnarsi ad essere solo qualcosa in particolare, perché non vi è altro mezzo per diffondere la sua influenza all'insieme degli altri dipartimenti che compongono l'Università.

tiva ad occupare una posizione chiara all'interno deleUniversitt per

esercitarvi, nella più perfetta discrezione, solo delle funzioni ufficiose Testo di Schelling citato daJ. DEJUUDA, Du droit rÌ laphWJwphi.e, rr. ir. p, 214. Il riferimemo, noto a tutti i francesi, è al 4 agosro 1789, quando l'Assemblea Cosciruente decise di abolire i dìrhtJ feudali, :.-egnando di fatto la .fine dell'Ancien Rigime [N,d.T.]. · 11 12

15

J.

OERRmA,

Du droù à la philosopbie, dc.,

cr.

it. p. 171.

74

Uno

dì consulente universale. All'inizio del XIX secolo sono le concezioni del tardo Rinascimento, e il gusto deciso per mrro ciò che d/occulto e nascosto le caratterizza. che ScheHing, grande 1errore e ammiratore dì Giordano Bruno, sembra voler} in maniera anacronistica) riattivare. Quale che sia la via scelra1 la via rivoluzionaria teorizzata da Kant o guella reazionaria suggerita da Schelling, resta lo stesso obiettivo, doè che la filosofia, che sia da qualche parte o che acconsenta a non essere da nessuna parce, si trovi in realtà dappercutto nell'Università sulla quale regna. per mezw della democrazia parrecipativa o tramite l'aristocrazia selettiva, e che il suo potete rivesta una forma spirìruale o temporale. È ciò che sottolinea il commento di Derrida: Schelting non dice solcaaco che non deve aversi dipartimento di filosofia. Egli dice che non se ne ha mai. Quando si crede di dlSri:iguer~ lo, ci si inganna: ciò che per usurpazione si chiama con questo nome non è aurenticamente filosofico. Questa ((affermazione» (Behauptung)

schellinghiana sembra frontalmente antìkantiana. Di facci, essa resta fedele ad un ceno proposlro kantiano. Apparentemente accantonata nel suo iuogo, assegnata alla :ma competenza specifica, la Facoltà di :filosofia è in verità dappertutto~ secondo Kant, e ìa sua opposizione alle altre resta secondaria ed esteriore. Cì sono Jnsomma due Kam [., .] C'è il Kant dd Conflitto, che vuol fare esistere un dipardmemo di filosofia e proteggerlo Cn parckolare dallo Stato). Per proteggerlo, bisogna delimitarlo. E poi c•è il Kant che accorda alla facolrà di Filosofia il diritro di sorveglianza critica e panoccica su tutti gli altri dipartimenti, per potervi intervenire in nome della verità. 20

Ciò significa che il discorso che Kam tiene in nome della semplice ragione è in realtà un discorso duplice: e l'obiezione dì Schdling non fa che incunearsi· per dissiparne l'unità fittizia. La loro discussione sullo starnto concesso alla filosofia all'interno dell'Universirà, in cui è messa a confronto con l'alternativa era essere da qualche parte ed essere da nessuna parte) essendo lo stesso l' obìettìvo perseguito nei due casi, cioè essere dappercutto, è rivelatore di un equivoco fondamentale. In effetti, se lo scopo è essere dappertutto, non si può evitare di domandarsi dappertutto dove? Poiché i! dappertutto dell'lJniversità, che il filosofo cerca in tutci i modi di investire, non sfugge neanclì esso alla necessità di essere da qualche parte, cosa che inficia il concetto sresso dì universitas1 e il riferimento all'univetsale che , con la garanzia di conservare uno statuto d'idealità, al di là di ogni rischio di corruzione o di fraintendimento? Quando segue minuziosamente i meandri del testo di Kant, per individuare le «pteoccupazionh> da cui questi è segnato, Derrida va a cadere del tutto naturalmente su un problema che gli è del testo familiare. Tale problema riguarda la fragilità della distinzione stabilita da Austin tra gli aspetti «constativi)) e gli aspetti (,, e non possono di conseguenza rivendicare l'innocuità delle loro ricerche per appoggiare la richiesta che esse siano condotte in maniera del tutto libera, nella misura in cui i loro risultati sono destinati fin dall'inizio ad essere diffusi, applicati, e sono di conseguenza configurati in conformità a tale destinazione, tendendo quiudi estremamente difficile distinguere la pura intenzione dal passaggio all'atto, il virtuale dall'effettivo: in questo caso, il constativo è già performativo. Si può vedete però che tale distinzione non è meno difficile da mantenete quando si tratta di procedure speculative della Facoltà inferiore, procedure che, per il fatto di aver avuto luogo )Università, anche se è a titolo del «dentto del dentro» che, a costo di ogni sotta di ambiguità, ne sancisce il carattere eccezionale, non possono rivendicare una perfetta invisibilità che le tenderebbe

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Uno

P.·.,-

1f

L'Unìvmità dei filosofi

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~

che sì esercita per mezzo delle sole idee, distinto in principio, ma solo in principio, da un porere del fuotì, che richiede delle forze n\ateriali per agire, Che cosa assicura, però, che l'una di queste forme non scivoli nell'altra, cosa che aV\1ene quando il potere del dentro diventa, a sua stessa insaputa, lo srrumento più o meno cieco o cosdenre del potere del fuori? Ritorniamo al punto di partenza di questa discussione. Quello che Kant rìd1icde è che, grazie alla posizione eccezionale di cui dispone all'interno dell'Università che giustifica il facto che essa controlli e sanzioni tutto il sistema degli studt in ragione dello sguardo critico che, in virtù del diritto d1e le conferisce la ragione, essa volge su dì esso senza limitazione, la filosofia, ancora di più, assolva la funzione di istanza di sorveglianza e dì regolazione della società nel suo insieme, per la sua capacità dì legalizzarne i conflitti; cioè di tracciare una netta linea di demarcazione tra conflitti legittimi e illegittimi. Tale esigenza è esorbitante, Rivendicando che la filosofia possa esercitare senza limiti, in ragione della posizione eccezionale che detiene nell'Università e nella sodecà, un dirìtro di esame su tutte !e questioni che sono di sua. competenza, o sedicenti tali, cioè le questioni di teoria pura) il filosofo, non può ignorarlo, va incontro ad attacchi, processi alle intenzioni) contestazioni in tutte le forme che inevitabilmente sorgono da questa rivendicazione di auronomia la cui porcata, benché mantenuta entro screcti Hrnìti, la reputazione di Hegel era dovuta a quattro grandi opere: la prima redatta a lena, la Fenomenologia dello Spirito (1807), la seconda a Norimberga, la Scienza della Logica (1812-1816), la terza a Heidelberg, !'Enciclopedia delle scienzefilosofiche (18,17) e la quarta a Berlino, i Lineamenti della filosofia del diritto (1821). E possibile dividere questi quattro libri in due grandi gruppi distinti formalmente in base al modo d'esposizione: la Fenomenol»gìa del!» Spirito e la Scienza della Logica sono testi a carattere speculativo e dogmatico, la cui esposizione procede per grandi blocchi, con lunghi sviluppi insieme complessi e compattì, in cui i1 ragionamento sembra svolgersi in maniera inesorabile, spinto da una sorra di necessità interna ìl cui flusso non può essere né trattenuto né spezzettato, rendendo la comprensione particolarmente ardua; l'Enciclopedia delle scienze filosofiche e i Lineamenti della filosofia del dùitto sono al contrario presentati ìn una forma didatdcaj come dei compendi o manuali composti da Hegel in vista dell'insegnamento all'università, con la divLsione in brevi paragrafi numerati, in grado di essere esaminati uno ad uno, ciascuno per sé, come si può fare nell'ambito del corso. È degno di nota che raie cambiamenrn di stile coincida con l'accesso definitivo di Hegel a delle funzioni universitarie, che lo portò a modificare il proprio sistema d'esposizione, dandogli la forma di ciò che si può definire «discorso universitarirnr, rìvolro non a dei puri lettori chiamati a padroneggiare per como proprio, sorto la propria responsabilità, i contenuti di pen-

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L'Università dei fikrsofi

Uno

siero che sono loro offerti ma a d=lì sasrudiatir come dice Lacan I ' propriamente degli studenti che occorre guidare passo passo n~l loro sforzo progressivo di assimilazione di materie che sono loro sconosciute in partenza e sulle quali non dispongono personalmente di alcuna presa. Da quesro punto di vista, si può parlare di una vera svolra: se essa non riguarda direttamente e non modifica sostanzialmente il pensiero filosofico di Hegel, ne modifica nondimeno in maniera significativa il modo di comunicazione, che procede con uno spirito del tutto differenre. A distanza, è possibile leggere i discorsi inaugurali del 18 I 6 e del 18 I 9 ai quali adesso presreremo la nostra attenzione come dei renrativi di giustificazione di questo cambiamento di orientazione, che sancisce, sul piano stesso dell'esposizione, il passaggio dal dogmatico al didattico. Heidegger, a differenza di Hegel, svolse senza inrerruzionì, a Freìburg im Breisgau, fu.era eccezione per un passaggio a Marbourg rra il 1922 e il 1928 1 una carriera universitaria che aveva incominciato senza difficoltà, sotto l'egida di Hussed, nel 1916, ali' età di ventisette anni. Dato che non aveva fino ad allora esercitato alcuna responsabilità amministrativa o politka, prese la decisione, o si lasciò convincere ad accettare nel 1933, dunque al momemo in cui Hitler e la sua cticca ascesero al potere, la carica di Fuhrer-&ktor cieli' università dì Friburgo, carica che esercitò) con grande pena a suo dire, per quasi un anno. ln tale occasione, aderì al parrito nazionalsodalisca, arrivando a prendere un cerro numero di posizioni pubbliche che andavano senza riserve e sfumature nel senso della politica di quel partito, in particolare in dichiarazioni e articoli che sì concludevano con la formula di riro «Heil Hitlen> che, allora, non gli faceva accapponare la pelle. Il 27 maggio 1933, al momento della presa di servizio in quanro rettore, pronunciò il famoso Discorso dì retto,-ato, successivamente pubblicato in forma separata, un testo breve, di una densità sorptendente, che in seguiro avrebbe dato luogo a innumerevoli commenri: vi esponeva in tono serioso e con enfusi, nel linguaggio proprio del filosofo, le sue considerazioni generali sull'essenza delfUniversità, in un momento cruciale della storia tedesca ed europea in cui raie essenza si trovava, nei farti, rimessa fondamemalmente in quesdone. [esperienza del rettorato durò solo fino al 1934 e Heidegger, che non poté, dopo il 1945, sottrarsi all'obbligo di rendere spiegazioni, parlò lui stesso a questo proposiro di un errore e di un fallimento. Di sicuro non esercirò più in seguito responsabilità del genere e si limirò ali' attività di J

-.-:,

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•nsegnante-pensatore, eccetto il periodo 1945-1950 in cui fù sospeso :i,.ll'incarico: anche le sue ricerche nell'ambito del pensiero puro coobbero dopo l'espetienza fallimentare del rettorato una «svolta», la ~mosa Kehre, che le portarono a concentrarsi soprattutto sullo studio dei presocratici e di poeti come Holderlin o Trakl, o su speculazioni tiqUardanti l'opeta d'arte e la sua origine. Il discorso dì rettorato, in c;;; si proponeva una riflessione sull'essenza precisiamo: sul!' essenza dell'Università ,edesca, formula che sembta dal punto di vista di J-Ieidegger ridondante, daro che ritiene che l'Università sia tedesca nella sua essenza, o piuttosto che si avvjcini alla sua essenza solo nella forma tedesca - rappresenta un momento chiave di quesra evoluzione: ben al dì là dì un discorso di circostanza, esso costituisce, di fatto, l'espressione dì una posizione filosofica nitidamente affermata, con le difficoltà e gli equivoci sul quali getta uno sguardo disincantato, cosa che giustifica il farro che questo testo, che Hcidegger non rinnegò, e al quale avrebbe più volte fatto rifetimemo in seguito, sia stato anali:u.ato parola per parola da parte dei commentatori. Indubbiamente, esso riveste un considerevole interesse per quelli che si interessano) anche ìndipendenremente dagli orientamenti propri della filosofia heìdeggeriana, ai problemi dell'Università. Adesso più che mai ci sl divide sulla questione se Heidegger sia stato> controvoglia, un nazista occasionale, sforrunatamente fuorviato in un terreno in cui non aveva niente a che fare, come cercò lui stesso in seguito di far credere) o se il suo atteggiamento nel momento in cui Hitler salì al potere e cercò dì riformare da cima a fondo la vita politica, con le conseguenze che si sanno, rillerresse le tendenze proprie del suo pensiero lìlosolìco, in altre parole se sia staro il suo approccio di pensatore a portarlo al nazismo che, da parre sua, gli era ): Rullo di tamburi, come al circo, per annunciare

Si può ben dire che, da quando la filosofia ha incominciaço a mener piede in Germania, questa scienza non è mai apparsa in così cattivo stato come da quando una tale opinione, una tale rinuncia alla conoscenza razionale, è giunta a un'arroganza e a una diffusione cosl grandi, - un'opinioue che si è rrasdnata fino a noi dal periodo precedente e che si trova in assoluta contraddizione con il puto sentì• mento [mit dcr gediegenertt GefithleJ, con H nuovo spirìto sosi::anzìale della nostra epoca. Quest'aurora di uno spirito più puro io saluto e invoco, solo ron esso ho a che fate, quando affermo che la filosofia deve invece avere un contenuto e mentre mi accingo a sviluppare questo contenuto davanti a voL 37

E prosegue accompagnando a questo virile proclama un appello agli studenti, che, non senza una certa demagogia, associa nell'impresa di rinnovamento che fustiga Je posizioni acquisite, corwdrcuìrando così I suoi colleghi insegnanti~ scl?-iacdatì nell'ordine di un passato sepolto,, una tattica che sarà quella adottata nel 1933 da Heidegger a Friburgo:

il salto perico-

loso nel qll:"-le si lancia l'acrobata sotto lo sguardo meravigliato degli spenaton, E necessano un tale frasmono perché la voce del filosofo si faccia semire all'università? Nella perorazione dell'allocuzione dì Heidelberg, pronunciata in t1n ambito più confidenziale He,,el era star0 0 più sobrio: ' Noi ':e.chi, che_ diventammo uomini fra le tempeste dell'età nopossiar:io considerare ben felic~ voi che vivete in un tempo in cui porrete ded1care senza preoccupazioni la vosrra gioventù alla vedrà e _alla sden~. Alla scienza io ho consacrato la mia vita; e sono lieto d~, trovar~1 ormai i~ nna sede, nella qua.le più intensamente e con p1u ampio taggio dazione potrò cooperare ad estendere e ravviva~e _il supe:iore i_meresse sci_~ifi. 2. L'Università, attraverso cale realtà, è strirolata, e questo non solo perché sia p:-lva di forza·dj comrasro e di resisrenza, ma perché le di-

'

l

da parre della tecnica socro l'amorirà dd principio di ragione: è dunque un modo del rutro nnovo di concepfre la scienza, separata dal rifecimemo ~--iratrn all'universale, che egli cerca di promuovere ricreando l'Università su basi nuove, il cui modello gli è afferro da una mlrka.,

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Uno

verse volontà di potere vogliono "organizzarsC a partire da se sresse, qualcosa che corrisrwnda a!Ia loro essenza di poreni~~ ("accademie" di ogni sorta - meno di così, ormai, non si può!). Conremporaneamente, attacco contro le \.•ecchie,, accademìe, le qu:JI sono certame:me invecchiate, ma non cerro nella loro essenza.; al conrrario: nessuna di esse ha potuto ancora raggiungerla {quest'essenza). Cosl l'isriruzione universitaria offre w10 dei più rristi spettacoli - dall'interno e dal~ l'esterno, E tuttavia! Non voler salvare rrìenre in essa - solo cogliere l'occasione di ritracciare, fra coloro che verranno, quelli datari l.!-Il genuino vo\ere! 51



Heidegger si guardò bene dal pubblicare il testo di questa confe-· renza inopportuna, i cui appunti furono pubblicati postumi nd 1991. Essi restimoniano della sua profonda, e alquanto tardiva, disillusione nei confronti della politica universìtarìa condotta dal regime nazional-socialista, politica della quale lui stesso aveva accerrato di farsi garante qualche anno prima) prendendo così il rischìo di farsi accusare di imtopìsmOl)} cosa che puntualmente avvenne, con suo gran disappunto. Egli constara che, nei fatti, questa politica non ha cambiato alcunché dl fondo, e anzi ha aggravato una situazione che era già inaccerrabile, come aveva segnalato fin dal 1929. Lo scopo principale

è quello che altrove chiama la «scienza politicizzata», asservita alle esigenze pragmatiche che le sono imposte a partire da una cerra "visione del mondo» (Weltanschauung), una manomissione che letteralmente la stritola. Poste dentro l'orizzonte chiuso di una visione del mondo, le attività universitarie, irrimediabilmente tecnicizzare e perfino militarizzate, sono allo stesso tempo addomesticate e private della loro Selbsbehauptung, cioè della loro capacità di condizionarsi da sé, al di fuori di un controllo esterno che pretenda sotroporle a criteri di efficienza. Da questa consratazìone, Heìdegger -crae al momento una conclusione di un pessimismo radicale: dell'Università, nella condizione ìn cui si trova attualmente, quattro anni dopo la salita al potere del nazionalsocialismo, non c'è niente da salvare; tutto ciò che sì p~ò ancora fare è, a dispetto dì tuno, sperare, aspettando la venuta, in un futuro incerto, dl «alcune individualità dotate dl un genuino volere», testando aperta la questione se «cali individualità» costituiranno il nucleo di un nuovo potere politico, o se agiranno ai margini del!' autorità politica, avendo per unica preoccupazione il sapere e la su.a essenza. Su quest'ultimo punto, Heidegger non si chifil:irà mai: scottato dal fallimento del

r

L'Università dei.filosofi

1933, considererà la realtà politica solo con sgomento e perplessità, e se ne ter:à prudent~mente a distanza, rifugiandosi nell'atteggiamento m~rmano del saggio che dialoga con le potenze essenziali dell'essere, all alteua delle quali non sì lascia più importunare dalle contingenze del mondo di quaggiù. Sarà questa una delle principali conseguenze della famosa "Kehre», che allenterà, senza scioglierlo completamente, il legame stretto della filosofia col Dasein, cioè col mondo della nuda esistenza, p_er permerrerle di dedicarsi pienamente alla visione ingombrante deU·essere, secondo il modello dell'artista che si sostituisce al politico.

La conferenza dell'inverno del 1937, che meriterebbe essa sola uno studio più dettagliaro, evoca di passaggio il tema che costituisce il filo di;"tt~re del, djscorso di rettorato del 1933: quello che manca dì più -a.Il Un1vers1tai con ia conseguenza che ha cessato di essere conforme alla sua essenza, è, ancor prima di qualcosa che sarebbe dell'ordine della conoscenza razionale e dell'intelligenza, una volontà. Infatti. come aveva visto Nietzsche, dietro il sapere vi deve essere una volont~ dalla 'l,uale trar';' la forza per affermare i propri valori. I.:appello alla volonta ntorna m turre le pagme del discorso dd rerrorato, che, nella sua perorazione, formula> in nome della que_.;;t:ione fondarnem:ale l'interrogativo seguente: ·

Scritti politici, p. 212~213,

'

Voglia.mo o no l'esser.za dell\:niversirà tedesca? [Wellen wir das Wesen der deutschen UniversitJ.t, odeY wolkn wir es nichtT;52

. Lidea s;es~a _di Selbstbehauptu~g_comporca un riferimento primordiale al prmc1p10 del volere: se l lJniversità è in abbandono in de.. '

cornpos1z1one, come _un_o:'g~ismo_ la cui unità si disfaJ è perché si è separa~ da ~~es:o prmc1p10 ~1tale: m asse~za di una volontà di sapere autennca, c10e d1 una volontà volta verso 1 essenza della scienza e non vers~ tal~ o ;alaltto fìn_e p~rticolare, Ia conoscen7.a è solo un compito tecn1co, 1 cm risultan si misurano in termini di riuscita o di fallimento materiali. La volontà dalla quale il sapere trae la sua sostam.a deve essere .innanzìtutt~ un~ v?lontà spirituale: in mancanza della quale essa tradisce la propna nuss1one, e cade nell inessenziale:

52

5:

117

_ ~· 1:lEJD~R. Dic SelhJtbehauptung der deurrchen Univerritiìt, tr. it. L'autoafferm ,.. 4 zwmfdc/,lumverrita tedesca. Il rettorato 1933134, Il Mdangolo, Genova 1988 p. 45.

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Uno

Se vogliamo l'essenza della scienza nel senso dell'interrogante star saldi allo scoperto nd cuore dell' esttema problemaricità ddl'im:ero essente, allora questa volontà d'essenza è ìn condizione dì procurare al nosc;:o popolo il suo mondo, in cui domina il rischio più indmo ~ più estremo, cioè H suo mondo veramente spirlruale [seine wahrhaft geùtige ìwltJ. Infatti, "spidro"' non è né mero ingegno, né il disinvolto gioco ddnmdligenza, né l'arredi promEovere HHmìrai:amente distinzioni logiche, né la ragione che governa il mondo, ma spìrito è decisione originarkuneme e consapevolmenre dcrerminara verso l'essenza de!r es..,;;ere [Geist ìst ursprU-nglù:h gestimmte, wissende Entschiossenheit zum Wé.ren des Sdns], ;,s

(((sapere))) è 1. Paul ;i..1azon59 traduce questo stesso verso 514 del Prometeo nella maniera seguente: ,,L:abilità è mol,ro più debole rispetto alla necessità ("ananké'),. Questa rìsposta avviene nelr ambito di uno scambio tra Prometeo e il corlfoo, al quale ha precedenremenre dìchiararo: «Tutte le arti ("technai") vengono ai mortali da Prometeo» (v. 506). Il corifeo gli risponde, in sostanza: ma a te a che cosa è servita la tua arte, se non a metterti contro Zeus? E tuttavia 1 lo si può sperare, "un giorno~ liberato da quesri legami, porrai trattate con Zeus da pari a pari» {v. 510). È qui che Prometeo rìsponde: per questo r ora non è arrivata, e la sua venuta non dipende né da me né da Zeus, poiché è quesrione della l'arca che governa la necessità {anankeì, cioè dipende dal destino di cui né gli uomini né gli dei sono padroni, e che avvolge i suoi interventi in un segrero impenetrabile, La traduzione, in questo passo, di (, insegnanre e studentesco, che il Fùhrer-Rekwr si volge per aumenrarne lo slancio, condizione perché l'Unìvecsità si elevi all'alrezza della sua essenza e recuperi la potenza che le è comunicata a partire da essa. È arrivato il momento di serrare i ranghi, di prepararsi ad andare al fronte: e la metafora guerriera, presente in maniera larente fin dall'inizio del discorso di rettorato, non tarda ad intervenire in una fotma esplicita, come confermerà ulteriormente la terza citazione tratta da Clausewitz,69 !:autonomia, all'opposto del manrenimento delle posizioni acquisite trasformate in rendite di posìzionei la si vince, la si conquìsta) la si meritai la sì strappa: è un valore autenticamente prometeico, le cui poste in gioco non si misurano in termini di riuscita materiale perché rinviano ad una potenza spirituale la cui natura, propriamente, sfida ogni misura. Siamo giunti alla svolta del discorso di rettorato, nel momento in cui il giuramento rragico, pronunciato nel tono del!' alta poesia, si trasforma nell'enunciazione di ciò che assomiglia molro ad un programma _politicamente connotato> ordin:uo atror~o ad u_n~ no1J~ne di cui non si era mal fatto menzioue :fin qm, quella d1 «:erv1210» (Dtenst), che ttasporra il ragionamento su un nuovo terreno. E q~i che,_ pe: così dire, le cose precipitano e tutto vacilla, come se le cons1derazwn1 precedenti fosst;ro state solo un pretesto per preparare il momento in cui il Fuhrer-Rektor si decide infine a gettare la maschera e, per dirlo ".olgarmente, a spurare il rospo. !:argomentazione di Heidegger, un argomentazione che ha rivestito fin dall'inizio l'aspetto di un'interpellazione, facendo sì che non le possano essere attribuite i caratten della neutralità e delroggettivìtt segue apparentemente un corso continuo; l'università può trarre legittimità solo dall'essenza del Wisse,'.; raie es: senza, che non è teorica ma prass.ica, presuppone una volonta; non V1 è volontà senza decisione, che prende la forma del coraggio dì fronre

" Jbid., p. 40-4 L " Jhid., p. 44.

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I'

L'Università dei filosofi

129

al pericolo; tale. decisione deriva da un impegno, profuso nel confronco, avendo alle spalle un rapporto di forze; impegnarsi vuol dire procedere ad un'affermazione di potenza, che uon può accontentarsi delle condizioni restrittive, negative in ultima istanza; un'affermazione di potenza, inseparabile da un'assunzione dei rischi, porra ad assumere una serie di obbligazioni, che prendono la forma di doveri; taii doveri si rraducono concreramente in r:ermini di «servizi>;; coloro che partecipano alla comunità universitaria non possono sottrarsi a questi servizi) la cui enunciazione I-Ieidegger riserva del resto nel seguito al corpo studenresco, lasciando allo Stesso tempo in sospeso la questione di sapere fino a che punto riguardino anche il corpo insegnante e a che genere di servizi esso sia tenuto. Queste enunciazioni si legano l'un l'altra logicamente, procedendo da una riflessione sull'essenza ad un insjeme di prescrjzioni le cui motivazioni sono direttamente pragmatiche. Ma non si ha a che fare con un gioco di prestigio, effettuato con una ammaHanre virtuosità retorica? La questione merita per lo meno di essere sollevata. I servizi in questione sono tre: il , spiegandole che non vi è per essa alrra maniera di restaurare la suà essenza. Tra l'altro, la concezione sviluppata da Jiinger presenrava ai suoi occhi il vanraggio di relativizzare la distinzione rra i diversi rìpi di lavori> e in particolare tra lavoro manuale e lavoro inrellettuale~ ricondotti sotto l'insegna unica del volere, cioè della decisione di fronre alla totalità dell'essente come praticara osténraramenre da Prometeo sulla sua roccia. Nell'allocuzione del 25 novembre 1933, Heidegger, riferendosi espressamente aJilngcr evoca, ad esempio del nuovo modo d1 essere assegnato al Dasein, ·(da figura del Lavoratore per ecce1len11l.i~. 74 Celebrando e consacrando la coesione organica di questa figura, la filosofia suggella l'unione con lo Stato nazional-socìalìsta, come Heidegger aveva già spiegato qualche giorno prima, I' 11 novembre 1933, nel quadro di una manifestazione di universitari tenuta a Lìpsia che invocava il sostegno al nuovo regime: 75

,,

f.·.i

!

L'Università dei ftitJsofi

133

5:rio, 11 lavoro delle- categorie sociali sortegge e rafforza la compagjne v1_vente ~ell~ Stato; rramlte il lavoro, il popolo riconquista 1-l capacità d1 st~nz1ars1 nella propria terra; rramlre il lavoro, lo Stato, in q uamo realta del popolo, vìene posto al di là di sé nel campo d'azione di tutte le porenze essenziali dell'essere umano. 77

È in questo contesto a dir poco confusionale> in cui un allineamento politico che non lascia alcun margine all)inrerpretazione si abbellisce col travestimenro di ,,porenze essenziali dell'essere umano)> che 1a nozione di (V. Kr.E..\1'.PERER, LTI. L4 lingua de! Terzo Reich, re ìr., Firem..e, Ginnrina 1998, p. 194). Ogni persona sl uova così ror-almente inserita nel sisrema della FUhrerschaft/Gefofgschaft, la cui rete la penerra nel più Ultimo, in quanto e!emeuro dd mec in tutre le menti e in tutti i cuori> con la conseguenza che tutte le forme dell'attivit:à sociale sono predestinate ad effettuarsi a suo non1e e sotto la sua aurorità. È leginimo chiedersi che cosa fa ìn questo caso la filosofia; se non apportare una garanzia intellettuale prestigiosa ad un'operazione i cui effetti deplorevoli non tarderanno a manifestarsi, su un piano quanto pìlÌ concreto possibile, e non soltanto per il popolo tedesco. lìma la difesa di Heidegger a questo riguardo si ba.sa sull'argomcnro secondo il quale la missione di guida assegnata all'Università in nome del popolo tedesco e della forma di Stato che prende attualmenre in mano il suo destino è in primo Irrogo una missione spirituale: 1

Il sapere che lavora per il popolo, il sapere che si riene pronto per il destìno dello stato in uno con il sapere che riguarda la missione

spìrìtuale, formano l'originaria, compiuta essenza della scienza, la cuJ

143

realizzazione ci è assegnata a condizione che noi sianw disposti ad

accogliere e a

nostra la remota Jngiunzione dell'ìnizio .del nostro

esserci storico-spirituale. 95

La dicbiarazione di obbedienza al nuovo regime trarrebbe dungcre valore e senso daUa relazione che intrattiene con l~ingiunzlone lonrana dell'inizio, facendo ritornare di nuovo in primo piano la figura tragica dì Prometeo sulla roccia, eroe e martire delf operazione storica di guida. Nella bocca del filosofo professore all'Università che si è preso la responsabilità della gestione dell'istituto in cui iosegna conformemente alla destinazione immemoriale del popolo tedesco-· in questo affare, il destino ha verameme le spalle latghe -, questa decisione, rivelatrice di un atteggiamento di fronte alla totalità dell'essente - an .. che la totalità del!' essente ha spalle larghe-, non si riferisce a questioni materiali) puntuali, valutabili ìn termini dì risultato: è una decisione di principio, che riguarda innanzitutto lo spirito, 96 il solo ad avere accesso all'essenza originale e piena della scienza in quanto «Iasdenzai,. Il cerchio è così chiuso e Heidegger può riprendere la fotmula di cui 1 si era servito al1 inizio dd suo Discorso per definire fUniversìtà 97 raccordandola ad un'intenzione che risponde non ad un'esigen,À attuale contingente, come si pouebbe malignamente interpretare, ma alrìngiu.nzione venuta daff'origine, da cui trae la sua profonda necessità: A una scienza cosl lntesa:ni: d si riferisce quando l'eO passo: Le grandi imprese sono sempre an ne fece penosa esperienza. Affidata alla parola dei filosofi, l'Universicà espone un inquietante lato nascosro. Ndl'intctesse delrUniversità; come in quello della filosofia, è desiderabile che allentino un po' i loro legami e che, deponendo la rentazione di una illusoria connivenza, prendano una misura un po' più esatra di ciò che le separa senza opporle.

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' LIDIOMA UNIVERSITARIO

Il professore ha p0ruto abbandonare l'errnellìno e la toga, può anche voler discendere dalla pedana per mescofars( alla folla, non può però abdicare all'ultima prorezione, l'uso professorale di una linoua e a] , O p roresso r e. ·

'Universirà dei filosofi, dì cui si è cercato dì dare un'idea rileggendo dei resti firmati dai nomi prestigiosi dì Kant, Hegel e Heidegger, è l'lJniversità come la vedono persone che non soltanto ne offrono una rappres-enuzione idealmente ordinata in~orllo ad un cen~ rro, ma pretendono occupare effercivamente tale centro, cosa a cui li predestina, secondo loro, la vocazione essenziale della filosofia: il loro punto di vista, segnato dallo sforzo dì intrattenete un rapporto intimo con la cosa universitaria, è quello deH'interiori~,3-, da cui si sentono autorizzati a farsi garanti, in pratica, della confisca di questa cosa che eonsìderano loro, che apparriene loro così come loro appartengono ad essa. A ben riflettere~ questa posizione, prima ancora che abusiva, è di un'ingenuità imbarazzante: se l'Università è una cosa è proprio perché non è di nessuno, e del filosofo meno che di altri forse. E ciò che emerge se si rivolge a questa cosa uno sguatdo che abbia deposto i fantasmi del[' appartenenza e della familiarità: essa appare allora sotto tutt'altra luce, una luce cruda, forse anche crudele, che smonta le evidenze di cui si era accreditata in maniera surrettizia. Una cinquantina di anni fa questo atteggiamento fu adottato, in Francia, da pe!Sone come Lacan o Bourdieu e Passeron che perlomeno avevano questo in comune, di non aver progettato di riflettere sull'essenza eterna della res universitaria, ma di aver intrapreso altre vie per demistificarla rispetto a quelle della filosofia, dì cui, pet buone o cattive tagioni, diffidavano profondamente. Si sono così sollevati interrogativi ispirati, direbbe qualcuno come Ricoeur, dal sospetto: per esempio, sì è cominciato a chiedersi se il di.scorso tenuto alrUniversità è~ come prereso, un di-

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Boutwmu e PASSERON, Langage pédagfJgique et situatifJn. pidagogiqr..t:, (ffemps Modernes», n. 232, septembre 1965, p. 459.

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L'idioma universitario

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scorso di verìtà che dispieva i suoi signifìcatì su un unico pìano in ' comprensione " · 1e, o s~ con1porca deg1·1(swn, e d· cuì sì offre ad una integra 1 nascosti, alla luce dei quali si rivela essere ture altra cosa, per esempio un discorso di souomissione che ìncrattiene un rapporco cripraro con fautorità, un'autorità 11 cui punto di ancoraggio è da determinare. A che cosa serve raie discorso? A diffondere un sapere o ad esercitare un certo controllo delle idee? Tra queste due opzioni estreme, occorre del resto decidere? La questione non è piuttosto di sapere come, nel quadro offerto da una tale maniera di parlare, queste due finalità sì legano inestricabilmente tendendo verso la produzione di effetri che, invece dì escludersi, si confermano reciprocamente tra loro? Le atdvirà corrosive di una psicanalisi e di una sociologia delfUniversità, pur senza convergere, si sono così .incontrace, attirando attenzione su questo problema particolare delle forme di espressio~e in uso all'Cnìversità, di cui hanno valorizzaro l'imporcanza. Controncando i tlsultati ai quali sono pervenuti, su questo punto preciso, ricerche le cui aspettative erano molto lontane_, si ha forse una possibillrà di vederci un po' pili chiaramente riguardo alle difficoltà reali che l'lJniversìtà deve affrontare su un piano in cui le sue procedure non possono più pretendere all'univocità che rivendicano in principio.

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Lacan e il «discorso universitario» el corso della sua carriera movìmenrata, durante la quale intrattenne delle relazioni particolarmente difficili con le istiruzioni del tempo, quale che ne fosse il profilo, senza rinunciare però a far tienrrare la sua pradca nell'ambito di ìsti_tuzioni origina!~, «sociecà)>, ((scuole)), ecc., di cui, avendole create lui stesso, avesse il , controllo pieno e intero, LacanJ il cui lavoro non beneficiò di alcun riconosdn1ento ufficiale, che non aveva del resto sollecitato, non cessò di avvicinarsi e di allontanarsi dall'Universicà, avendo nei suoi confronti un'infatuazione abbastan7li perverSa in cui l'amore contrastaco sembrava prendere il sopravvenro sulle figure consensuali dell'intesa cordiale. Sì ha una buona restìmonianza di questi rapporti amb1valenri nelle sedure del seminario del 1954 dedicate ad una rilertuta del testo di Freud sulla Verneinung, lettura per la quale Lacan si era assicurato il conttibuto di Jean Hyppolìte, all'epoca grande specialista universitario di studi hegdiani, che era anche uno dei suoi udicod re~

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golari. In quell'occasJone Lac,an, sfruttando tune le sorrìgliezze di una drammaturgia sofisticata di cui lui drava le fila, aveva giocato al gatto e al topo con H suo inviratot che apparencernente non si era accorto dì nulla, nd corso di una cerimonia che associava rkonoscimenw e condanna, ritrosia e seduzione, riverenza e colpo di mano, in un ambiente pieno dì sottintesi che riassumeva bene lo spirito delle sue relazioni molro complicate con il mondo universitario. 2 In fondo, Lacan nutriva una grande diffidenza, perfino disprezzo verso tutto ciò che veniva da quel mondo, col quale non voleva in alcun modo comptomet,ersì: temeva in particolare di veder inglobato il suo messaggio a discapito della sua prima autenticicà, come dimostrava in maniera imbarazzante il rnodo in cui le sue idee gli ritornavano tramite i lavori universltarì che, normalizzandole per meglio accreditarle, si concedevano ìl lusso, per lui indifendibile, di sfigurarle e banalizzarle. Ma allo stesso tempa, non poteva fate completamente a meno dell'assistenza materiale che l'Università poteva fornirgli, non evidenrernenre sotto forma di contributi didatrici che potessero essere ripresi e assimilati alla lettera, cosa che non voleva in nessun modo, ma' perché poteva servirgli da paravento nel gioco sottile che conduceva tra r altro con i suoi colleghi della psicanalisi, che fussero avversari o discepoli, nei confronrì dei quali intratteneva delle relazioni ambivalenti dì cui doveva con~· rrollare scrupolosamente le conseguenze: rìguardo ai discepoli, aveva cura dì tenerli saldamente in mano, dispensando loro la buona parola attraverso l'insegnamento che dava alrinrerno di localì messi a disposìzione generosamente da isticuzioni come l'Eco/e normale supérkure o la facoltà di diritto> in cui officiava, in anfratti secondari

  • come il tafano di Socrate: ai falsi prestigi della comunicazione, Lacan sostituisce una maieutica esigente la cui parola d'ordine potrebbe essere «Fatelo da

    soli!>)) dunque arrangiatevi per dare voi stessi liberamente un sembiante di coerenza a ciò che dico/enuncio nella forma di un messaggio che, per e,ssere efficace, non può permettersi di circolare come una lettera poscale, cosa che non gli impedisce di arrivare> eventualmente per vie indirecre. i\pproficrando dell'offerta che ci viene così fatta, cercheremo, in ciò che segue, di fare quello che possiamo, non per delineare I1il» significato di questa teoria, dam che, a dire H vero 1 non ha a poco a poco, eontamina tutta l'organizzazione dello schema, gli altri elementi del quale sono spinti anch'essi a cambiare di posto. Spingendo al limite questa ipotesi, si può proporre che il discorso universitario è nn di .. scorso del padrone deformato, sfigurato, snaturato o, volgendo la cosa in un senso più favorevole, corretto, modifìcito, emendato, perfezionato, dunque in ogni caso, indipendentemente dai giudizi di valore legati a rall n1aniere di caratterizzarlo, trasformato, cambiato, riorganizzato. AJ termine di questa riorganizzazione è S2 che, nello schema che rappresenta ;H discorso universirarìo, occupa il posro cardinale, in alto a sinistra, quello con il quale, se si segue il movimento della freccia} comincia la lettura ddlo schema, Ora, S2 è anche il «sapere)): secondo Lacan, il sapere è sempre S2, dunque qualche cosa che si sviluppa nella forma del signifiarnte dominato: in altri termini, il sapere è sempre derivato, subordinato a qualcosa di cui è poiché una tale relazione di dominio è per eccellenza arbìtraria, abusiva; solo un padrone può permettersi di commettere un tale abusoi attraverso, il quale afferma la sua posizione di padrone. Essere padrone vuol dir~ obbedire so lo a sé stessi, tenersi al riparo o in disparte rispetto a ogni appello esterno, fosse pure l'appello della ragione. Un tale atteggiamento è sistematicamente irragionevole~ cosa chei per quanro possa

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    apparire curioso, definisce una «logica• specifica, alla quale il padrone si obbliga ad attenersi tenacemente, a dire il vero il solo obbligo che egli rispetta, quello di dire qualcosa solo nelfambito imposto dalla sottomissione del sapere (S2) ad un significanre-padrone, che si sotrrae ad una spiegazione in termini espliciti di sapere. Da parte sua, il sapere, in 9,uesta configurazione, non ha più altra funzione che rappresentare 1 oggetto a, cioè un ambito di oggettività che non è il reale stesso, - poiché, come dice Lacan, cdl reale è l'impossibile", cosa che lo apparenta alla cosa in sé inconoscibile di Kant -, ma è il mondo ritagliato e confezionato a misura dal desiderio, cosa che lo relega allo statuto di artificiale. Il discorso del padrone si definLsce, così, per ìl futro che procede con un colpo di mano, e riconosce per sola regola quella del colpo di mano, che esorqizzala rentazione riduttiva di ricondurlo sul piano del puro sapere, in à.½'ti termini di un sapere che avrebbe da rendere conto solo a sé stesso. E del resto un rale colpo di mano che commette lo stesso Lacan, quando decide di simbolizzare il sapere servendosi della sigla S2, che lo colloca una volra per mrte in una posizione subordinata; inferiore, dominara. in llt1ea con una filosofia scettica, sospensiva> la sola finalmente che possa essere sostenuta da un signore, nella misura in cui ha il merito di non legarlo in nessun modo ad alcunché e, tra l'altro, di non legarlo a delle leggi che sarebbero quelle del sapere. Il padrone è naturalmente al di sopra del sapere e rifiuta con tutte le sue forze di lasciarsi dominare da esso, poiché ha coscienza cbe il sapere è dopo rutto solo del significante nella forma non della signoria, ma del!' asservimento: vi è sapere solo alla dipendem.a dì qualcosa che egli non padroneggia, se1nplicemente perché non lo conosce. In altri termini, non vi è del sapere incondizionato. li discorso universitario procede in modo completamente diverso. Secondo Lacan, questo discorso prende il sapere come il primo anello della catena, cosa che equivale a sostenere che il sapere, collocato in questa posizione, è del!' ordine dell'assoluto e non di quello del condizionato. Se si riprende lo schema kojèviano della lotta del signore e del servo, a cui Lacan si riferisce costantemente nel seminario su LEnvers de la psychanalyse, raie cambiamento di posizione del sapere, che lo fa passare al primo posro rompendo la carena che, nel discorso del padrone1 lo subordina a SI, al significante-padrone,, cioè, come è stato spiegato, a del non sapuro, corrisponde alla sostituzione del servo al '.ignare: il servo prende il posto del signore e, allo stesso tempo, libera il sap,ere dalla soggezione nella quale era mantenuto. Allo scetticismo

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    del signore, che non sì lascia incantare, _s,uccede il d~~matìsmo1 del servo; che nutre l'illusione dì non essere p1u nessuno: v1 e sofo il servo a poter credere che il sapere, essendo incondizionato, basti completamente a sé stesso ed estenda il suo ordine in maniera illimitata. Nel corso di questa operazione, il significante-padrone, S l, è stato fagocitato, messo tra parentesi: nello schema lacaniano, è passato sotto Ìa barra, cosa che significa letteralmente che è {(Sotto;) il sapere, S2i che sì dà allora per funzione di rappresentarlo, in qualche modo in sua assenza; ciò gli p~rmette di tenere dd tutto il discorso sotto il suo controllo, facendone un di.scorso di puro sapere. Da qui una prima conseguenza: a differenza del discorso del padrone che dice «Io»' e dichiara: «Sono io che lo dico!», il discorso universitario, che mette tutto sullo stesso livello, deve essere sistematicamente impersonale) cosa che si spiega col fatto che si presume parli a nome del sapere e di nessun altro, opponendosi ad interventi esterni che ne scompiglierebbero l'ordine necessario. È la ragione per cui, nella tipologia delle forme dl discorso propost:e da Lacan, il discorso universitario riceve una designazione che, di colpo, lo distingue da tutte le altre forme: non è un discorso deH'uni-versirario o dell'Cniversirt cosa che sarebbe una maniera~ per astratta che pùSSa sembrare, di ripersonalìzzarlo1 ma è discorso «universitarirn), che aspira all'universalità svolgendosi sotto la maschera dell'anonimato. È la condizione perché soddisfi l'ambizione di aprire un campa libero al sapere, al solo sapere che, secondo la sua logica propria, non può presenrarsi come il sapere di qualcuno in particolare, che questo qualcuno occupi il posto del padrone, del1' analìsra o dell'isterico, ma coltiva un'esigenza di perfetta neutrilità di posizione, come non venisse da nessuna parte> cosa eh~, ovvia:nence, è un'illusione. Il discorso universirario è dunque un di.scorso impersonale e neutro, ndla trasmisslone del quale colui che ne è strumento occasionale - in concrero t>insegnante che precisamente, la garanzia di un comune accesso >? Evidentemente no, per la ragione seguente: in questo caso preciso, il codice non è applicato alla cosa detta al modo di una forma esteriore, indifferente alla sua natura che essa aggredisce o traveste; ma appartiene alla costiruzioue scessa di quesca cosa, che esso con.figura dall'interno1 in maniera rale che non può essere concepita senza di esso. La lettera} propdamence il simbolo, non è allora una semplice maniera di parlare> un arrifìc~o di esposizione arbitraria nel suo principio~ ma un detetmìnance reale della natura dei contenuti trasmessi che, se fosse eliminata, sarebbe allo stesso tempo privata della sua consistenza. Di conseguenza, appare problematico fat rientrare la lingua dell'insegnamento scientifico e quella ddfìnsegnamento ierterario in una stessa classe, quella della lingua chiamata «letterata.». Tuttavia, resta nell'insegnamento scientifico~ indipendentemente anche dal formalismo d1e ne concrassegna necessarian1ente l'esposizione) una cacatteriscica che l'analisi ddia lingua {,letterata,) ha permesso dl mercere in evidenza: si tratta della tendenza che gli è inerente di mrnmertere l'opus operatum separandolo dal modus operandi di cui è il tisulraw. Questo opus operatum è tutto ciò che fornisce la materia a ciò che si può chiamare la. scienza dei manuali, in cui si trova raccolto un cerro stato del sapere in una forma che ne chiude il sistema su sé sresso, cosa che sembra essete la condizione perché possa essere insegnato al modo di una verità stabilita, non suscettibile di discussione ma destinata ad essere assimilata come tale. Un insegnamento che si ponesse come obiettivo di seminare i\ dubbio neUa mente degli allievi riguardo al cararcere definitivo dei risultati ottenuti, ~ resrituisse a quesd una dimensione ipotetica, porrebbe ancora aspirare alla credibilità_ e all' effica.cia? La conoscenza scientifica, però, presa nel suo reale sorgere~ non presenta mai questa apparenza tutta d'un pezzo, definitiva, che la rende intangibile; al contrario, è inseparabile dal movimento interno di concestazione che le permette di avanzare rimettendo in causa ciò che ha precedentemente acquisito; senza questo movimento, correrebbe il rischio di irrigidirsi in certezze ammesse pet convenzio-

    un punto tale che è possibile chiedersi se non abbiano preso la parte per il cucco 1 cosa che mantiene una qualche incertezza sul punto reale ( di applicaiione della loco analisi. Questa è la pri rna obiezione che si può fare alla loro impresa dì spiegazione della realtà universìrnria, che, senza valide ragiouì, hanno assimilato al funzionamento delle univers.icà dl Lercere e Scienze umane che essi conoscono benissimo personalmente, molto semplicemente perché uscivano da lt essendo porcati, inconsciamente forse, ad assolutizzarne le nocme, Si può rimpiangere che non abbiano condotto le loco ricerche fuori da questo ambito, cosa che non lì avrebbe necessariamente porcari ad abbandonarne le aspettative essenziali, perlomeno alcune di esse. Avrebbero poruro chiedersi che cosa, a dispetto di ciò che li differenzia in ragione della natura particolare dei loro contenuri, lega per una parre gli insegnamenti detti «sciencifid» agli usi dell'idioma univers:irario le cui caranerìsdche sono stare precedemememe catalogare. Per quanto riguarda il primo paradigma, quello della neutralità, è evidente che, in questo caso, continua ad applicarsi: non si insegnano le scienze come matematica e fisica a titolo personale, presentandone i ragionamenti come scoperte personali di cui si detiene l'esclusiva, ma si professa al conrracio un pieno eclissarsi rispetto alla necessità stessa della {,cosa), in questione; questo eclissarsi è confermato dai mezzi retorici, come l' utilìzzo di modi di enunciazione specsonalizzaci, per esempio il consueto CVD, che, per essere discreti, gioc,.ano nondimeno un ruolo decisivo net processo dl coinunicazione dei contenuti ìncukatI 1 e sono anche tadcamente portatori di ciò che si porrebbe chiamare un'etica della conoscenza, che si basa sull'abnegazione. Il paradigma del!'aurorirà, nella forma della doppia delega d'autorità, ìntervlene anch'esso in maniera non trascurabile: rutto ciò che può essere rrasmesso nell'ambito di un insegnamenro scientifico lo è accompagnato tacitamente dalraffermazìone «questo è vero,;, non certo perché ,,io)) lo sostengo sorco la mia autorità, ma per~ ché l'istituzione che ha la responsabilità di assicura ce questa trasmissione si impegna a farlo con la garanzia dell'autorità suprema della verità di cui è depositaria, e di cui ha trasferito all'insegnante il dePosito per delega, cosa che confetL(;ce al suo discorso il carattere d'aum-· rità e di generalità che esso rivendica. La dìflicoltà principale sarebbe legata all'intervento del terzo paradigma, il paradigma «lerterato», di cui si fatica a comprendere come può applicarsi a discipline che non riguardano, perlomeno esplicitamente, il primato della lettera. Che

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    ne, dunque artifìcialmenre. Di conseguenza, l'insegnamento scienr}fìco, per soddisfare la sua domanda di rigore, ha bisogno, non meno del più superficiale inseonamento lerrerario, di collocarsi in una posizione di simulazione, ca°n l'assistenza di procedure linguistiche che ne confermano il carattere, non solranto asserrotio ma apodirtico. E, di fatti, non si vede come sarebbe possibile fare aluimenti, nell'ambito di studi che non consistono in una partecipazione al processo reale con il quale la scienza si elabora, ma rivendicano soltanto un valore prepararorio, in attesa dello sfrurtamento ulteriore, in un ambito differenre, dei risultari assimilati in questa forma provvisoria che ha valore e presenra utilità proprio perché provvisoria. Si rirorna dunque all'idea secondo cui, in generale, l'insegnamento scolastico ha bisogno, per adempiere le missioni che gli sono assegnare, di servirsi di un cerro idioma, per mezzo del quale ritrascrive i conrenuri insegnati in forme che li rendono insegnabili: tali_ for?1e son? quelle, secondo Lacan, di un «sape~e)> di:entato comun~cab1~e per il furto di essere stato svuorato della d1mens10ne problematica d1 provocazione che definisce il suo rapporto autentico con la verità. Quesro sapere, che poggia su una cerra maniera di parlare in virtù della quale si presenta nella forma di un «discorso», è i11: realtà uno pseudo-sapere, una finzione che, per quanro istruita, non soddisfa compleramente i bisogni dell'intelligenza nella misura in ci.ii, tramite i tre paradigmi della neurralità, dell'aurorità e della letterarietà, riconduce i mareriali ideali e mentali da essa trattari al livello di un esetcizio professionale, riservato a specialisti dell'inculcamento le cui compe_ren:e _so~~ stat~ calibrate e cerrificate in base ai compiti loro assegnan nel hm1t1 stessi dell'istituzione in cui debbono metterli in opera. Ciò che abbiamo chiamato l'idioma universitario designa questo modo di parlare singolare, il cui imfiego riveste a volte, n~ll' ambito del~'insegname_nt? cosiddetro supenore, un andamento caricaturale che e sano dem1snficare. La questione è presro posra: . si . potreb~e- fare: m~no ~: :ome: - di questo idioma universitario? E concepibile un Un1v~r:1ta m cm non si parlasse l'idioma universitario e per la quale tale 1d10ma non cosrituisse il diritro d'ingresso? Limpresa di spiegazione condotta, con risultati diversi, da Lacan e da Bourdieu e Passeron sfocia su questo interrogativo al quale sembra difficile sottrarsi.

    ALLA PROVA DELLA LETTERATURA

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    uriosamente, la letteratura si è raramente interessara ai problemi della pratica istituzionale dell'insegnamento e a fortiori a quelli dell'Università: per dare solo qualche esempio, se ne fa cenno solo in maniera molto occasionale nella Commedia umana di Balzac o nell'ampia cronaca dei Rougon-Macquart di Zola, che pur si presentano come un cqmpendio della vita sociale della loro epoca, un'epoca in cui le istituzioni educative cominciano a giocare un ruolo centrale nei dispositivi che organizzano l'esistenza collettiva. Tale relativa discrezione, le cui cause molto diverse sarebbero cerramente da scandagliare, costituisce di per sé un fatto, un dato oggettivo nel quale la tealtà insegnante, e allo stesso modo la forma letteraria, sono insieme implicate, in una maniera che sottolinea il carattere paradossale della loro relazione: vi sarebbe nella pratica scolastica e universitaria qualcosa che, forse, le impedisce o la distoglie dal prestarsi ad una taflìgurazione propriamente letteraria, alla quale non pongono ostacoli di pari livello, per menzionarne solo alcune, le pratiche legate al mondo medico o al mondo giudiziario che sono state abbondantemente messe in scena dalla lettetatura. Occorre dunque orientarsi verso certe zone marginali della tradizione letteraria, e forzare un po' la portata letterale delle loro produzioni, per vedersi proiettare nello specchio della letter_atura delle immagini più o meno fedeli o deformate dell'Università. E un'esperienza di questo genere, con la parte di arbitrarietà che comporta, che si vorrebbe tentare qui, per lanciare un colpo di sonda in regioni del nostro universo sociale e culturale che la loro oscurità o, forse, il sentimento istintivo di rispettosa repulsione che genera la loro eccessiva sacralizzazione, proteggono da curiosità indiscrete. Per tentare questa esperienza, sono state scelte quattro opete letterarie alle quali, sembra, non è vietato, quando le si invita a dialogare tra loro, domandare ciò che possono dirci riguardo all'Università, anche se essa non ne costituisce a rigar di termini il tema centrale, cioè è evocata da esse solo in maniera allegoricamente indiretta, obbligando a prendersi

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    certe libertà con la loro lettera per portarle a consegnare tale tipo di messaggio: si rratra della parte conchisiva del G,1rgantua di Rabllais dedicata all'evocazione dell'abbazia dì 1hélème, del Gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse, di ]ude l'oscuro di Thomas Hardy e di Pmn di Vladìmir Nabokov, quattro storie che permettono dl riconfigurare alcuni interrogativi con i quali sì trova a dover fare i conti l'analisi della forma universitaria. Altre scelte, ovviamente, avrebbero potuto essere fatte: per esempio, letture del Wilhelm Meister di Goethe, del ciclo daboraro da Anatole France riguardo a Monsieur Bergeret, di bewhon di Samud Butler, di Copains di Jules Romain, o della produzione romanzesca di David Lodge si fàrebbe fatica a trovare molti altri riferimenti -, permetterebbero di prolungare questo tipo di ricerca e di arricchirne le conclusioni, mettendo in evidenza> alla luce dd loro trattamento da parte della lerteratura, ciò che ci si attende dal eventualmente, le contraddizioni. Dì solito è l'Universirà che interroga le produzioni della letteratura sottoposte ad. un dotto esame: con un movimento inverso, cerchetemo dl servirci della letteratura per .interrogare eUniversìtà e mettere in evidenza alcune delle sue condizioni di possibilità.

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    Dall'abbazia di Thélème al Gioco delle perle di vetro ominciamo col vedere in che c-0sa la messa in correlazione dell'episodio conclusivo di Gargantua e del Gioco delle perle di vetro può chiarire ì problemi dell'\Jnìversìrà. Questi due resti sì lnreressano di comunità in cui s~ praticano occupazioni ludiche e di srndio che, proponendo ai propri membrè un cerro modello di vita, assicurano loro un pieno svlluppoi dunque assolvono un obiettivo di formazione del tipo di quelli cui mira normalmente, nel suo grado superiore, un'istiruzìone educariva. In un caso come nell'altro, l'organfazazione di queste comunità è presentata con l'aiuto del paradigma ecclesìaie, impliciramem::e ritenuto il più adatto a render conro di prariche collettive di formazione. Il fatto che queste procedure siano, nei due casi> illustrate tramite la finzione utopica segna subito una presa dì distanza in rapporto al!' efficacia e alla coerenza della loro azione di cuì questo n1odo d~esposizione sottolinea i limid e arriv.1 anche a mettere in questione la fondatezza. In Gargantua., Rabelais racconta in successione gli anni di formazione del Gigante (cap. 1-22), la guerra contro Pricochole (cap. 23-49), e infine l'istituzione dell'abbazia di 1hélème (cap. 50-56). Quesr' ultimo passo del libro si presenta come una specie di inserto: furse Rabelais l'aveva già redatto per sé, componendolo sul modello dell'Utopia di More, prima di decidersi ad integrarlo alle gcsca gargantuesche in rapporto a cui si presenta ìn parte fuori posto. Un indice dì questo scarto è dato dall'abbandono apparente, in quesc'ulrimo sviluppo, del tono di derisione, f~rcito dì alh,sioni scar?logì ... «E eh fese a Gargantua di istituire il suo ordine in modo che fosse il concrario di cutti gli alcrL>. 3 Ne è risultata una comunità cosrruita a tavolino, al contrario di quanto avviene normalmence, alla maniera di un anriconvento in cui, In assenza di ogni furroa di clausura e di autorità, ed essendovi istituita una piacevole mescolanza, si è sostituito al potere esorbiranre della regola, - una regola che Rabelais conosceva bene per averla praticata in quanto monaco francescano e poi benedertino --- il libero principio della «volontà» o del buon volere», « Thelema,,, parola tratta dal greco dei Vangeli che si ritrova anche nel resto del «Padre Nomo: «Che sia f.ma la vostra volontà (thelema)». l beneficiari di questa inedita isricuzione, creata secondo il volere d1 frate .Jean, come dice l~i scesso ,i;econdo le mie idee», dispongono dunque di uno scaruto fuon norma: «Tutta la loro vita era governata non da leggi, statuti o regole, ma dalla loro volontà e libero arbitrio1>, ben riassunto dalla famosa seurenza: «Fa' quello che vuoi». 4 Thdema 2

    M, BACI-ITIN, L'opera di Rtbelaù e la cultura popolare. Riso, carnevale efesta nella tradizirme medievale e rinascimmtttle, TOrlno, Einaudi 2001. 5 E Rabelais, G.:trgantua e Pamagruele, tesro francese a fronte, Bompiani, Milano 2012, p. 345. 4 Jbid., p. 371.

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    Al/A prov,1 del/A lettmttura

    Tre

    è il posto sotto tutti gli aspetti ut?pico in cui vivere i_nsi'.'me ed agir!' secondo i[ proprio piacere sì conmgano senza poss1bihta di denva o di conflitto: i comportamenti degli uni e degli altri si conciliano naturalmente, senza sforzo, inquietudine e preoccupazione, in assenza di ogni prospettiva di richiamo aH' ordine, in un contesto gradevole, armonioso, letteralmente incantato, in cui for91azione e gioco, ben lungi dal porsi in alternativa, si confondano. E come un «Giardino delle delizie», dd tipo dì quelli di cui già Bosch aveva, trarmte la pittura, composto la sorprendente rappresentazione, quella di un paradiso che fosse anche un anriparadiso, se non altro perché quelli che vi abitano non sono ridotti alla coppia unica di Adamo ed Eva, la cui convivenza, lo si sa bene; non ebbe un buon esito) ma compongono un'abbondante popolazione di uomini e donne occupati, in perfetto accordo e senz.a infastidirsi l'un l'a!tto, in tutte le forme di amabile godimento che, grazie alle possibilità offerte da tale luogo completo, esaudlscono senza eccezione tutti i loro desideri. Un tale luogo, a prima vista, non ha niente di un'università nel senso tradizionale del termine, in cui il fatto di studiare da una parte è legato a certe costrizioni e dall'altra si presenta co~e ~n' attività esclusiva che presuppone la rinuncia perlomeno provv1Sona ad altre forme di realizzazione di sé, in un contesto in cui prevale il principio del lavoto e del!' abnegazione: effettivamente, le nostre università sono dei posti in cui si lav~ra o si ritiene di farlo piuttosto che dei luoghi di piacere. «Davvero», risponderebbe frate J:an: nd ':'o?do p~radossale dell'utopia, Thdema, in cui le ragazz.e amvano tr-a 1 dieci e 1 qumd1a anni e i ragazzi tra i dodici e i diciotto anni, e da cui escono una decina d'anni dopo, avendovi assimilato tutto ciò di cui hanno bisogno di sapere per condurre ufieslstenza normale di :dulti in ~rm~~ia_con sé stessli rappresenta ciò che potrebbe essere un altra Umversita nspetto a quella che conosciamo, che dispone, per riprendere la formula che ba accompagnato l'istituzione di Thelema, del «suo ordme m modo contrario a tutti gli altrh): tutti la frequenterebbero in manier~ egual_e

    per pura inclinazione, senz.a obb_lighi n_é sanzioni, :rovandov1_ soddisfazione, per lo meno per un periodo d1 prova, per 1 loro gusti personali in un' atmosfeca distesa e anchei come chiarisce in maniera. accutata1 la rassegna di Rabelais, in w1 ambiente lussuos_o, in cu~ i diver~i bisogni del!' esistenza sono soddisfutti an_cor prima d1 essere formulati, e in cui nulla manca per condurre una vita gradevole, gratificante, che prepari ciascuno ad un pieno sfruttamento delle proprie capacità, in

    I

    lll

    assenza di ogni restrizione o inquietudine rispetto all'a\'Venire, Ma, per realizzare le promesse che sono contenute nel nome di tmiversitas. ogni università non dovrebbe cercare di avvicinare quanto più possibi~ le questo modello dì vita libera e integrata dì cui Rabelais, con i mezzi della pu_ra immaginazione e dello stile, forgia un'immagine delle più a_ttraen:t, un ideale di sogno sul quale rutti coloro che, a qualunque utolo, ireq uentano le nostre università del mondo reale, molco meno riccamente dotate rispetto ali' abbazia di ]helema, non avrebbero alcun dubbio ad accordarsi' Tuttavia, s~ obietterà ancora, dove si trova, a Thelema, 11 tempo per studiare? E vero che Rabelais è poco loquace sull'argomento e, per rendere conto delle attività dei Thelemiti, si dilunga piuttosto su aspem che non hanno niente di propriamente intellettuale: leggendolo si potrebbe ,credere che, abbigliati nei loto begli abiti, essi ed esse trascorrono la maggior parte del loro tempo a caccia, cavalcando splendidi cavalli, quando non sono occupati ad ascoltare, accanto a fontane o in sale ben decorate, piacevoli musiche che li distendono dai loro sforzi fisici, Qui, come nella maggior parte della sua opera, Rabelais sembra dare priorità al corpo: una vita autenticamente liberata è quella che ne sfrutta non in maniera esclusiva e senza restrizioni le possibilità, _in r.nodo da trarne il massimo dì soddisfazioni, dunque prospemve d.1 sviluppo che, apparentemente, bastano a definire un programma di formazione, Azzardando un anacronismo, si potrebbe sostenere che Rabelais si avvicina cosl al tipo di educazione dispensata nei collegi di lusso all'inglese, in cui le predisposizioni fisiche sono coltivate perlomeno in maniera uguale alle qualìtà mentalC senza che le une siano sacrificare alle altre, in applicazione del principio secondo il quale le une non vanno senza le altre: l'abbazia dì Thdema sarebbe cosi una spede dì Ecole des Roches5 avant la lettre, in cui imparare ad and_are, a ca".allo e giocare a tennis (alla pallacorda al tempo di Rabelais) e considerato non meno formativo dello studio delle lingue morte, non avendo modo di opporre tra d1 loto tali attività che, non ~ltanto si equivalgono; ma si sostengono ed arricchiscono per il fatto ~ essere portate avanti insieme, nella 1nisura in cui permettono di liberare tutte le potenzialità dì cui ciascuno e ciascun.a sono portatori. 5

    Fo~dam_od :899 da. E. DemoHns, rEcolc des Rochcs è un istituto d'insegna~ ~emo pnvato m cm sono sta.re sperimenmte, per allievi maschi provenienti da dassl tortunate, dei metodl di pe(Ì3gogìa attiva d'isplr:a1fone anglo-amerl.cana.

    ~

    212

    Alia prova ,Mb lettemtura

    Tre

    «Fil ciò che vuoi)> vuole dire, tra raltro: non sacrificare il corpo allo spjrito, ponendo tta loro una vacua gerarchia> ma sviluppali. i~sieme; armoniosamente. Sì è dovuro aspettare a lungo i cerramenre 11 :XX: secolo) perché dei luoghi universitari fucessero spazio a delleyalesr.re fornite di docce, un'innovazione di cui sì può vedere una prefigurazione nella descrizione minuziosa che fa Rabelais degli spaziosi impianti deH' abbazia di Thelema. Detto ciò, in essa i piaceri dello spirito, perché lo spirito, non meno del corpoj ha i s~oì pi~c~rì- no~ ~no dim~nticati. ovviamente, ed è la ragione per cut non e il caso d1 ddungarst troppo su questo argomenrn. Tutto un diparrimenro dell'e.sagono_che ne:=?-. srituisce la pianta è dedicaro, forse sul modello del Collegm delle lte Lingue che Erasmo aveva contribuito a crea~e a Lovanio e n~ quale ~ì è potuto vedere una prefigurazione del College de France d1 Franço1s I, con «le sue sei belle grandi librerie di Greco, Latino, Ebreo, Francese, Toscano e Spaonolo»i che si può presumere siano frequentate dai criovani e dalle gi~vani d1élite che trovano l'occasione di ìncrodarsi mani sfoliando insieme le pagine dei libri. Se non sono iniziati ai misteri dell: lingua araba o alle asperità del tedeseo, acq.uisiscono le basi fondamentali della cultura umanistica secondo lo spmto che comincia a diffondersi al tempo di Rabelais. «Ben educati, frcquentanri oneste compagnie». i Telemiti ~ierano co.sl nobilmente educati, d_1e tta di loro non e' era uomo né donna che non sapesse leggere, scnvere, cantare, suonare strumenti n1usicali, parlare cinque o sei ling~e, e in 6 queste Hngue comporre sia in versi sia in pros~)_- Que~to è ~l_ti~o pe: eccellenza di una formazione completa ed eqmhbrata, m cut I b1Sogm dello spiriro sono soddisfàttì come quelli .del corpo, se~za rfachio che "'li uni prevarichino sugli altri, a svanragg10, alla fine, d1 tuttt. i:, Per riuscirci; il tiPo di educazione praticato a Thdema" che è una scuola senza maestri, in cui non sono previste delle aule, e in cui tutti apprendono gli uni dagli altri senza sforzarsi, si basa sul prindpìo di emulazione reciproca, tramite cui le disposizioni spontanee d1 Cia~cuno o dì ciascuna vengono a svilupparsi simultaneamente, in perfetto accordo, senza far intervenire lo spirito di competizione o la sottomissione ad una qualche aurorità. Erasmo, dal quale Rabelais sembra aver tratto una gran parte della sua ispirazione s~ que~to f:lun:o, av~va definito, in particolare in De pueris statim ac liberaltter tnstttuen~ts p_ubblicato a Friburgo nel 1529, gli orientamenri dì una pedagogia ltbe-

    le

    ' lvi, p, 371-373.

    213

    raie secondo la quale le principali cause di corruzione si troverebbero nella costrizione che imbriglia gli slanci naturali, li svia dal loro corso normale, h fa entrare in opposizione, e così impedisce il loro pieno sviluppo mentre, d1 per sé, senza esservi obbligati) anzi sopratrutto se non vi sono obbligati; essi si prestano a farlo, Allo stesso modo 1 gli allievi di Rabelais «ha11no per natura u11 impulso, uno stimolo, che essi chiamano onore e che li spinge sempre ad azioni virruose e le allontana dal vizio».7 Ora questo onore, questa virtù viene praticata insieme dai Thelemiti, con uno stesso movimento, in uno slancio comune che, lungi dal!' ostacolare o mutilare le loro capacità individuali, le corrobora, sulla base dì una libertà condivisa che consumano collettivamente con gusto: «Grazie a questa libertà, furono presì dalla lodevole emulazione di fare mrri quello che vedevano piacere ad uno solo. Così, se u~o diceva ,:Beviamo", rutti bevevano; se uno diceva "Giochiamo!", tutti giocavano; se uno diceva "Andiamo a diverritci nci campi!'\ tutti ci andavano. Se si trattava di falconare o cacciare le dame in groppa a belle giumente, con il loro palafreno di parata'. sul pugno graziosamente guantaro porrav-ano ciascuna uno sparviero o un falco lanario o uno smeriglio, mentre gli uomini pottavano gll alrri uccelli».' Nessuna necessità di impiego del tempo, di modeÌli di,;;dplinari o di guide allo .studio; si improvvisa sempre; si reinventa il tempo, senza che ciò dia luogo a dispute, in un clima di intesa che, non essendo sottomesso ad alcuna regola arrificiale, è allo stesso re1;1po premunito contro il rischio di essere dismrbato, perrurbato, ofiuscaro, tradito: «E siccome negli ordini religiosi di quesro mondo tutto è misurato, limitato e regolato sulla scansione deile ore, si stabilì che in quelr abbazia non vi fosse né orologio né meridiana) ma che tutte le occupazioni sarebbero distribuite a seconda delle situazioni e delle opportunità».' Da questo punto di vista, lo stile di vita praticato a Thelema si avvicina ad una sprezzatura, allo stesso tempo liberrà di comportamento e leggerezza di tono, paragonabile a quella praticata nello studiolo" del castello di Urbino, come descritto da Castiglione nel suo Libro del cortegiano, la cui pubblicazione, nel 1528, è quasi contemporanea di quella del Gargantua.

    lbid. lvi. " lbid., p. 347. tD In ira.limo nel testo [N .d. T.}. 8

    214

    Tre

    A prima vista, questo appello alla_ spomaneità colletriva, che s; basa sul dialogo di tutti con rutti> sfocia m un seducente programma di riforma degli studi nniversicari, che ne stempera il rigore formale e lascia piutrnsto spazio allo spirito d'invenzione, a condizione che quesro non sia coltivato in maniera solitaria e nel segreto, ma serva a moddlare delle forme di vìta comunitaria in cui rurd e tutte siano costantemente esposti allo sguardo di tutti e tutte, e si esercirìno recìprocamente ad agire di concerto, trovando piacere _meno a dedìcarsi -a questa o a quella co1"a in partkolare, quanto a tarla insieme, o a prepararsi in maniera collegiale, in perfetta intesa fraterna e sororale. Sarebbe sconveniente rifiutare di aderire a un siffatto progetto che, conrrariamente a ciò che si fa il più delle volte) incita le università a trasformarsi in luoghi dì incomro e di scambio che non accolgono soltanto transazioni verbali prefabbricate e ilio sresso tempo impersonali, destinate ad imporre con la costrizione un conformìsmo artificiale> ma favoriscono al contratio la creatività di tutti. I Thelemìri danno l'esempio di ciò che potrebbe essere un organismo di formazione fondaco sul principio del collettivo, che non si accontenta di rractare esistenze individuali separate in maniera da accentuarne la separazione impegnandole in un regime di competizione tramite cui la promozione di taluni avviene a deuimento dei concorrenti: essi dimostrano nei fatti, gioiosamente, qudlo che si guadagna a crescere insieme) unanimemente, senza che ciò che è concesso agli uni debba essere preso agli altri, o sembri esserlo~ nella forma di una suddivfsione disuguale e gerarchizzata. Da questo punto di visra, si delinea a prima vista dal testo di Rabelais una lezione positiva> a cui sarebbe inoppor~ tuno rifiutare il proprio assenso. Ma Rabelais è troppo imelligente, e troppo sicuro della propria sctirruta specificamente letteraria, perché il suo messaggio possa essere ricondotto a questa dimensione pacificata e consensuale. Quando, nella seconda edizione del &àrgantua, aggiunge l'appello a1 lettore nel quale dichiara: «Qy,i non troverete stimolo a perfezionarvi, se non nella tisara,)/ 1 per prendere le distanze dalle interpcerazionl {(serìose» e astruse, è chiaro che questa pmscrizione si applica sia allo sviluppo dedicato ali' abbazia di Thelema sia al resto del libro, che è attraversato da cima a fondo da uno spirito di canzonatura e di beffa. È dunque legittimo chiedersì se non si tratta, in fondo, di una monwnenrnle " Ibid., p. I 1.

    Alla p,-ova deil1 ktteratura

    215

    t11rlupinatura. In ei:furti, non bisogna dubitarne, il sistema pedagogico in opera nell'abbazia, dove regna la fantasia, è valido solo jn un uni-verso anch'esso di fantasia, completamente chimerico: se, completamente consegnato al principio di piacere che costituisce Ia principale risorsa della narrativa utopica, elude la possibilirà di un intervento del principio di realtà) è perché que-..st'ultlmo non ha posto in un mondo esso stesso privo di realtà. Rabelais non poteva ignorarlo. È la ragione per cui, ad un esame attento, emerge alla lettura del suo testo un'impressione ambigua, sfumata d'ironia, tra senso e non senso, che provoca insieme incanto e disillusione, cioè denunda critica. Per dirlo in maniera brutale, da qualche parte si va a sbatrere: il sistema dì formazione messo in opera a Thelema va talmente bene che, lo si constata esaminandolo bene, di facro non va, o piuttosto, nel mondo reale, non può andare, perlqmeno in quel modo. Innanzitutto, prima restrizione, ed è di non poco conto, questo sistema poggia su un'implacabile selezione. Occorre che i Thelemici siano «gente libera, di buona famiglia", che capacità naturali e statuto sodale predispongano ad un'esistenza eccez.ionafe: se essi ed esse si capiscono così bene è perché, in partenza, senza preparazione 1 si riconoscono) in quanto membri di una casta, come fatti della stessa stoffa e appartenenti alla medesima sponda, quella del bene, quella in cui, senza averla nemmeno dovuto scegliere, si trova ud élite predestinata; ìn senso proprio un'aristocrazia degli spìrlti e dei corpi. Rabelais non precisa come avviene il reclutamento dei fruitori delrìstiruzlone, per esempio sul titoli o tramite concorso: proprio perché improvvisamente, del tutto naturalmente~ avviene la scelta con cui, senza passare per una procedura d~ammissione, sono identificati coloro che sono det:rnl di frequentarla, se ne conclude che un'educazione liberale è per ge~te chej ancor prima di essere stata educata, è ritenuta libera, nella fotma di una libertà ili nascita di cui occorre solo mettere a frutto le potenzialicà. A lhelema, secondo l'auspicio di frate Jean, non vi è recinzione: vi si entra e se ne esce liberamente~ nella maniera più facile> senza cosrrizioni o regole. Ma questa libertà ha un prezzo: non rutti hanno la vocazione di appartenere ali' ordine delle persone «libere e dì buona famiglia», cosa che dipende inrerarnente da una decisìone che non ha bisogno di essere prescrirra per applicarsi, e che di conseguenza è imputabile alla sola natura benefica. Vedere nell'abbazia di Thelema la prefigurazione di ciò che potrebbe essere una politica educativa «democratica,;~ realizzata anraverso delle istituzioni cui tutti siano nella

    2i6

    Ai/i; prova del/i, letteraiHr,,

    'Ire

    Possibilità di accedervi, sarebbe un' aberr~zione e niente nel cesto 1di Rabelais incoraggia in cal senso_; al contrano,_una s_ua lettura abba~tanza attenta mostra che l'ideale dì una formazione libera a regola d arte ha come condizione l'acceccazione di una regola sottìntesa, che vale come un non ~detto, cosa che, dandoie ufi apparenza di leggerezza, la rende ancor più pesance, più inesorabile, Derto ciò, l'attenzione è attirata da certi dertagli del testo che, ad

    una prima lettura, potrebbero p~sare inosservati. Per es~pio,_ pe~· rendere conto della maniera in cm Gargamua ha creato I abbazia di Thelema in maniera da tenderla meglio conforme al principio della libeta volontà da cui trae il nome, Rabelais si è divertito a parodiare il gergo giuridico dei contrarci che) in senso esa_namer,ue invers?,, pone degli obblighi e dei limiti: i'Si è ,d"'.'retato--, Si è o:dmato, '.' S1 e asse: gnato, ,,Si è si:abilito .. , Si e cosutmto, .. , La hbe:t• tota.le'.' decreta, _si ordina: non dipende piuttosto dal buon volere dr un pnncipe bonario e accorto, come lo è proprio Gargantua} detentore di una rradizìone ancestrale di saggezza trasmessa da padre in figlio nella _dinastia dei Giganti, sovrani di Utopia come precisa espressamenre 11 ce:ro? C1ò suggerisce che l'assenza di regole debba, a?ch' essa pr?ndere la lorm~ di una regola, cosa che è alquanro buffa: e il caso d1 dire, .come dichiara l' appeHo al lettore, -,Qui non troverete stimolo a perfez10narv1, se .non nella risata);, Con lo stesso spirito, avendo presentato la sospensione di ogni forma di chiusura come una delle caratreri'.tiche :'ssenzìali dell'istituzione di Thelema, che fa di essa una contro-1sntuz10ne, Rabelais dedica turto un capitolo a passare minutan1em:e in rassegna l'iscrizione collocata sulla Porta d'ingresso, che redige comicamente nello srile degli imbonitori da fiera: «Non entrate (quattro volte) ... Emrare (,re volte) ... ,, Calcando la mano, l'iscrizione fu espressamente una scelta

    rea persone che non sono benvenute (Ipocriti, bigotti, vecchi scimmiotti. .. tra i quali si possono riconoscere i soliti frequentatori della Facoltà di reologia; legulei mangiatutto, scribacchini della Baso~he'. succhiasangue del popolo, .. ' 2 quelli che hanno appreso alla Facolta di diritto l'arte di spennare la geme semplice; avari usurai, ingordi, glùottoni che sempre ammassate.,, 13 attaccabrighe e istìgarori di dissìdi dì ogni genere), e quelli che, al contrario, sono a~colt! fav~~evolmente (Nobili cavalieri.., Bei tipi allegri, buonremPom, vo1 rum m generale nobili compagni, Compagni nobili) serenL spiriti sottili...;,. a cui sono " Ibid., p. 353. '' lvi. t ➔ Ivi.

    217

    proposti gli (iStrumenth,, cioè gli strumenti della gaia scienza; Voi che il sanm_ Evangelo nella sua purezza annunciate, contro ogni opposizione ... b i rappresentanri dell'umanesimo cristiano predicato da Erasmo, esposto come lo stesso Rabelais alla censura della Sorbona; e infine, non sono dimenticare, Voi, darne dì alto lignaggio ... fiori di beltà, dal viso celesriale ... 16 cosa che, implicitamente, esclude dal grande ambito della cultura quelle che non dispongono di tali attrattive). Se l'abbazia di ~Thelcma è un'università, e finanche un'università di lusso, è fatta su misura, destinata a persone privilegiate che sono capaci dì apprezzarne adeguatamente ì benefici secondo dei criteri identid, in assenza dunque di ogni possibilità di disaccordo e di conflitto: a 'Thelema sì resta tra simili, si serrano le fila tra persone nate bene, in un contesto generale in cui il regime di "ita è, sotto tutti gli aspenì, eccezionale, costinùsce cioè un'anomalia. Al di_ sor~o _dell'idealizzazio_ne del sìstem,a si avvertono dunque alcunt scriccluoln. A Thelema SI conduce un esistenza nobile, distinta> proterra naturalmente dalle derive e oltraggi cui è esposta la popolazione ordinaria. Ciò non impedisce che questi bei e belle giovani, che sono nati con la camicia, non siano esseri umani come tutti, e non una specie di divinità che plana su un cielo etereo. La magnifica fontana in alabastro, posta al centro del!' edificio di cui è il più beli' ornamento, è sormontata da (. 32 Sono pertamo formalmente abolite le fronticte ua gli ambiti separati del sapete, cosa che permette allo stesso tempo di unificare le capacità 1 d intervento sul mondo, mobilitando i mezzi dì un'ingegneria sintetica e globalizzame. Ciò può far pensare alla Nuova Aclamide immaginata da Bacone durante la prima merà del XVII secolo, anch'essa una sorta di universicà riservata ad un'élite qualificata e le cui attività convergend sono orientate prioritariamente verso la ricerca scientifica e tecnica e l'arricchimento ddl.a cultura mnana. Non bisognerebbe soprattutto credere che questa unificazione proceda tramite un uguagliamento. Al contrario, essa implica l'istituirsi :,: lbid., p. 30-31-

    }~ Ibid., p.

    34.

    di una rigida _gerar"'hia, gerarchia tra gli elementi del sapere coordinati 1n condiz1on1 che impediscono dì concepirli separatamente ma an5

    che, e soprattutto, gerarchia all'interno del sistema umano che rende passibile il raggiungimento di questo approccio enciclopedico, la cui padronanza completa è accessibile solo ad alcuni. Mentre Thelema è un mondo in cui l'armonia si realizza spontanean1enre, senza rife-rìmen:o ad un principio di autorità, ad un potere di alcun genere, Omaha rappresenta il modello di una comunità in cui la solidarietà si distrib,uìsce. su diver~i livelli strettamente subordinati gli uni agli alm_ nel! ambito di_ un organizzazione piramidale. Da questo pumo d1 vista, essa s1 avv1erna enormemente ad un'istituzione ecclesiastica o c~nvent_uale ordi?~ria, con la differenza però che la sola religione prat.1~a~a, in uno spinto completamente laicizzaro, è quella della spirituahta m tutte le forme cognitive ed artistiche~ senza esclusioni e frontiere, liber~ta ~alla presa che eserciterebbe su di essa un dogma rigido, se ! Castaliam sono animati da un certo senso del dìvino, ciò non li ~nduce mai ~ ~ronun~re H nome di Dio, La gerarchia castaliana è incarnata nell esistenza d1 un Ordine, ordine un1ano che sì mantiene in ~rmonia e, si potrebbe dire, in simpatia., cou l'ordìne delle cose, arnvando a definire logica fondamentale del «Gioco,, un gioco che, per ess~r~ g1ocaw, i~phc~ accett:izlone di cene regole, dunque fa sottom:ss1one .ad ~n au~onta superiore le cui decisioni non possono essere rimesse m discussione. Questa autorità si esercita assolutamente perché non ~ppartiene _ad alcuno in particolare: il potere collettivo che rappresenta e per defimzione anonimo. Tutti coloro che rientrano nell'Ordine, cosa che conferisce loro il diritto di partecipare, ad un grado o ad un altro, al_ g10co, de~ono abbandonare i propri desideri personali e la prete.sa a sviluppare liberamenre la loro individualità. La funzione di Magister Ludi, alto responsabile delle cerimonie di celebrazione collertiva ~elle quali co1_1sìste, sulla base di una preparazione appropriata, lo svolgimento del gioco, è assolta da qualcuno che decreta ed ordina In fu~zione _di inte~si superiori dì cui è il depositario, e non a nome proprio: egli stesso e solo un tassello di un insieme, un elemento del Grande Gioco al quale partecipa dedicandovi e lasciandosi assorbire corpo ed anima, a parcire dalla rinuncia e dair ascesi, in un'atmosfera austera che, a diffi:renza dì quello che avviene a Thelema, non lascia posto o solo in minima parte alla libera ricerca dei piaceri. Per pracic~re tale g10c~ occorre ~ccettarne senza riserve le regole, in uno spirito di totale ades10ne che implica il sacrificio di sé, dei propri desideri: è

    fa

    f

    224

    Alla prova della lenenimra

    Tre

    un gioco al quale non si vince nulla in particolare, se non una cer9 forma dì riconoscimento collettivo, che è l'unica gratificazione che èi si possa aspettare, . Il cronista al quale Hesse ha conferito l'incarico della narrai.ione espone rutto ciò in maniera diretta, con una grave compunzione, in perfetta buona tì::de: dali_a maniera in cui ne parla, _si capisce che _vi d crede fermamente, ammato da un sennmento d1 ades10ne Slmile a quello che Bourdieu definiva servendosi del con?etto di i!lusio, _che definisce il fatto di entrate completamente rn un gioco pnvandos1 fin dall'inizio della capacità di rimettere in discussione le regole. Non è impossibile che Hesse, delegando ad un narratore particolarmeme · credulone il compito di descrivere la sroria e la struttura del Gioco, abbia cercato, - secondo il dispositivo proprio dell'ironia romantica come teorizzata da Friedrich Schlegel- di provocare il lettore lasciandoglì il compito di individuare da si: le anomalie che comporta questa presenra:zione troppo levigata, troppo consensuale per poter essere presa così com'è: dietro la voce sottomessa e consenziente del narr~tore in ammirazione davanti all'Ordine di .cui perperua il ricordo, la capolino un'intenzione di tutt'altra natura, i:° forma di smentita. A questo propo.sito u~ sospetto nasce quando s1 p.rende conoscen~a del titolo completo del! opera: «Il Gioco delle perle d, vetro- Saggio biografico su!Magister Ludi Joseph Knechf" pubblicato insieme con i suoi scritti post:umù. La recensione del sistema virale e culturale tappresentaro dal Gioco, che antepone il principio dell'impersonalità, si trova così focalii.zata sulla storia di qualcuno in particolare, «soggerto» in tutti i sensi del termine del racconto, un certo Joseph Knechr, di cui sono riferite, oltre la biografia che costimisce il corpo dell'opera, tre vite immaginarie, allegate al testo, presentate in forma dì fiabe, di racconti di iniziazione la cui redazione è amibuira a Joseph Knecht. Mentre Rabelais si era ben guardaro dall'attribuire a qualcuno in particolare la sua relazione sulla cultura fusionale dei Thelemiti - sulla quale Gargantua e frate Jean sembrano ave~e, dall'esterno, uno sg~ardo divertito piunosro che realmente complice -, Hesse, al conrrano, fu ricorso per evocare quella dei Casralianì ad una singola incarnazione individuale. Che senso ha questa iperpersonalizzazione di un racconto

    )¼ I:edi.zione francese al quale .M.acherey fa rlferimenlo rraduce il nome pmprìo dd protagonisraKnechr, che in tedesco significa ~ppunto "'_se:--o"', co~ l' eq:11~en~e Vakt, mentre l'edizione italiana che noi segmamo lascia il nome m ongmale :N.d, ~.].

    [ran;cse

    225

    il cui tema principale sernbra essere, invece, la dissoluzione delrindividualir:à nel rurro della natura e della socierà? S può giustificare solo col farto che è riconosciuto all'eslsren2a di questo Joseph Knechr un carattere esemplare, grazie al quale essa testimonia la totaliri del Gioco, di cui concentra gli aspetti cruciak Joseph Knecht, il Magister Ludi, sarebbe così il depositario dello spirito stesso del Gioco, al quale si è completamente assimilato al punto di diventarne, allo sresso rempo che l'organizzatore supremo, il rappresenrante per eccellenza. Che cosa raccontano la biografia di Joseph Knecht e i racconti di vita immaginaria che le fanno eco? Riferiscono il doppio movimento di influenza e di distacco con il quale, dopo essersi completamenre i:1tegrato al sisrema al punto da esserne divencato 1 sotto i::utti gli aspetn, un t(maestro,), questo iniziato, che è giunto ad una comprensione perfetta, intuitiya, fin nei minìmì dercagli, ha comìndaro poco a poco ad avere dei dubbi rispetto al fondamenro ultimo del progerro a cui è chiamato. In un primo momento, Joseph Knecht•si fa lo zelante propagandista del Gioco di cui ha completamente assimilaro i meccanismi. I:obiettivo che persegue è dunque di garantire alla pratica del Gioco il suo carattere sovrano, come quello attribuito -alla nozione di Sapere assoluto, che sfocia nel!a messa in opera di una cultura globalizzante. Ma, per arrivarvi> occorre pagare un prezzo moh:o alto, come riconosce più rardi Joseph Knechr nella lettera indidzzara ai responsabili dell'Ordine; vi dichiara solennemente che ha deciso di ririrarsì dal Gioco, cosa che va ad avere per lui delle conseguem.e morrali, poiché non sopravvivrà personalmente a questa decisione: La Castalia, come istituzione, il nosrro OrdJne, il nosrro lavoro sciemìfico e scoiastlco; compreso il Gioco delle perle e rutro il resro,

    sembrano alla maggior parre di noi confratelli cose ovvie e naturali come agli uomini tutt:i l' arià che respirano e il terreno sul quale camminano. Forse nessuno pensa che qudrada e quel terreno porrebbero anche non esserci, che un giorno 1' aria porrebbe mancare, il terreno sparire di sono ai piedi L... J Ii.1a come vi sono srad secoli e millenni senza l'Ordine e senza la Castalia, così sarà di nuovo in av·venire ...54

    Joseph Knechr ha dunque finiro per comprendere che il Gioco delle perle di vetro, appellativo che tende a celebrarne la preziosità e lo splendore, potrebbe anche essere cbJarnaro il Gioco delle bolle di sa" Ibid., p. 360.

    226

    Ali.a prova della letteratura

    Tre

    pone: l'assolutizzazione della cultura da cui parre, facendone l' ogger1 o

    dì un'arte perfezionata, particolarmente sottile, si rivela. essere appan-

    naggio di virtuosi brillanti chiu.si in una bolla, da cui non possono, per la narura sressa della loro impresa, uscire, cosa che li condanna a

    vivere in un mondo a patte in cui coltivano un universalismo votato all'astrazione: le loro straordinarie prodezze che il profuno, sbalordito, guarda senza comprenderne il senso profundo, vengono eseguire in questo cielo ideale, sfrondato dalle contingenze del reale. L Universitas Litterarum tanto cdebrdta si rivela alla fine una trappola, una prìgione dorata in cui vivono solo dei puri spirìri, separati dal resro del mondo per le loro occupazioni ri~~ne all'essenziale. Qu~sri sag_gi co1:1pleti,

    riuniti nel culto della rorahta, sono anche, per rann aspem, degli ignoranti: la loro eccellenza ha come correlato una mutìlazione. Il male che affiigge l'Ordine è la credenw nella sua autosufficienza: [... ] Prcsumibilmenre non abbiamo tra noi persone indegne e: riepide più di quanto sia naturale e toUerabile. Un po' meno scusabili sono la presunzione e la boria degli apparrenenti all'Ordine, fuorviati da quella nobiltà e dalla situazione privìlegiata, presunzione che del resto, a c:agione o a rnrto, si suol rinfacdare a qualunque nobiltà. NeHa storia di ogni aggruppamento sodale si puma sempre sulla formazione di una nobiltà che ne è ìl culmine[ ... : Se ora consideriamo H nostro Ordine come nobiltà e cerchiamo dì srabilìre fino a qual punto il nostro contegno verso il resto del popolo giustifichi la nosua posizione particolare, fino a qual punro il morbo ca.rarrerisdro della nobiltà, la hybris, albagia, la boria, la saccenteda 1 il parassìrìsmo ingrato ci abbiano già colpiti e d governino, tutto ciò d farà riflettere. Può dars! che l'odierno casralio manchi di obbedienza alle leggi dell'Ordine, di laboriosità, di spirìtualità coltivata: ma non gli manca spesso anche la comprensione del suo posto nel popolo, nel mondo, neHa storia universale? Possiede forse la coscienza dei fondamenti ddla sua vica, sa di essere foglia, fiore. ramo o radke di un organismo -vivenrc? 35

    r

    Quello che ha fatto dubitare Joseph Knechr della validità della cultura casraliana, che egli guarda dall'inrerno, avendone percorso rutti i gradini, è l'eccesso di intellettualità, al quale ha cercato di ri-

    35

    Ibìd., p. 361-362.

    227

    mediare preconizzando, parallelamenre agli esercizi di alta acrobazia che promuove) la pratica della ((meditazione)) ( Vi•rrenkungt in riferimento alle saggezze orientali, e più in parricolare al buddismo che ha fornìto a Hesse le basi della sua visione del mondo, e ha nu[rito1 con il nietlscheanesimo 1 una gran parte della sua produzione letteraria. Ma tale meditazione, che mira a restituire un po' dì sostanza al «Gioco,, stabilendo il legame con le potenze essenziali dell'universo e della vita che ha imprudentemente rotto, conduce finalmente alla dissoluzione dei suoi stessi obiertÌvÌ, di cui ha rivelato la vanità> e non alla loro rifondazione. Dalla narrazione di Hesse si sprigiona dunque un sentime'°;ro di disillusione e di disinganno: 36 l' Universitas Litterarum, quando ha preteso provvedere ai disordini provocati dalla dispersione dello spirito e rilanciare lo spirito creativo dell' umanirà, si rivela essere solo un>imposDy1ra 1 un ulteriore miraggio, una vana e inconsistente illusione, una sfaccettatura di quello specchio per le allodole che è l'universale Afaya che si prende a rotto per la vita reale. Con mezzi differenti, e in atmosfere del rutto lontane, i tentativi letterari di Rabelais e di Hesse arrivano dunque allo stesso risultare: la scoperta irrisoria e costernam:e che il sogno d'integrazione che è alla base delle esperienze condotte a Thelema e a Castalia è solo un sogno, che va a sbattere contro il muro della realtà. [idea di universitLts, che queste esperienze merrono in pratica e di cui permettono di sondare la validità sul terreno; fosse anche un terreno immaginario, lascia intravedere qualche crepa: è un'idea formale e vuota, che ha come contenuto (mience»j ìn ogni caso nienre di concreto o di praticabile, se non in condizioni restrittive che ne smentiscono il principio iniziale; l'universalità cui aspira la riserva ad alcun.i e realizza il suo inrem:o emanciparorio solo sorm precise condizioni; al contrario della

    sua ambizione dichiarata. Il messaggio principale che si può trarre da queste narrazioni è dunque ingannevole e negativo: è una messa in guardia contro gli eccessi generati dalla fiducia cieca in un'idea o un principio che, rrasposti sul piano della pratica, fosse pure solo una % Q:ue."ro sentimento è quello che Bes.se, nella sua vita reale, aveva provato personalmenre nella giovinezza,. quando era stato allievo del famoso istituro educa~ zione, lo Stift di 1ùbingen, frequcmarn in precedenza da persone come Kepler, Heçd, HOlderlin, Schelling. In uua delle sue prime produzioni romantiche, tradotta in francese col ritolo L'Ornière [Sotto la ruota], riprodusse l'impressione di soffocamento monifero provocato dal soggiorno in quell'isi:ìcmo.

    ,r

    228

    Tre

    pratica verbale che ha come unici strumenti le parole della letteratura, manifestano, al contrario esattamente di quello che promettono, sia ii fallimento dell'impresa che pretendono promuovere, sia una maniera per essa di arrivare al successo che ne denuncia l'inutilità, o perlomeno la necessaria limitazione. Limmagine dell'Università che si proietta nello specchio della letteratura è ambigua: seducente da un lato, inquietante dall'altro. Rabelais e Hesse sembrano passarsi la parola: essi ci invitano a guardare due volte prima di accordare credito al programma mirabolante di cui si nutre in teoria quell'istituzione prestigiosa che è l'Università, quando essa è praticabile in ultima istanza solo in condizioni estremamente restrittive che rischiano di mettere rale programma in contraddizione con sé stesso.

    JudeePnin n~ando, nel corso delle rispettive traiertor~e di vita pers~nali: '--, che lo inchioda a condizioni di vita ripetitive, segnate dall'indigenza e dalla noia. Una volta che questa idea si è impadronita di lui, egli fa degli sforzi disperati per darle corpo diventando con i propri mezzi, in un ambiente che - è il meno che si possa dire - non vi si presta e anzi lo ostacola, un «letterato»: servendosi di grammatiche e di edizioni di classici spaiati, cerca, da perfetto autodidatta, di assimilare, in maniera sconnessa, degli elementi di greco e di latino, con grande stupore delle persone che lo circondano, che disapprovano la sua fissazione nella quale vedono un segno di squilibrio e, al limite, di follia. Animato da raie passione, diventata in lui ossessiva, fa tutto il possibile non soltanto per educarsi ma per avvicinarsi fisicamente al luogo simbolico sul quale concentra le sue aspirazioni, la città vicina di Christminisrer, città colta in cui pullulano i collegi, che Hardy rappresenta sul modello oxfordiano. Ma arrivato a quella che crede la destinazione dell'itinerario che si è fissato in maniera temeraria e sconsiderata, Jude scopre che quesro obiettivo ideale al quale tende con tutte le sue forze, e di cui si è fatto una rappresentazione artificiosa, completamente astratta, non è per lui e anzi gli sfugge: il suo tentativo di forzare l'ingresso in quel mondo è vano. LUniversità, che non è fatta per lui, lo respinge nonostante tutto il male che si è inflitto per

    230

    Tre

    rendersi adatto ad essa, in maniera necessarìamenre maldestra; senza( sapere quello che è realmente questa splendida istituzione che ha sognato al punto da sacrificarle una gran parte della sua vita. Ridiventa allora ciò per cui era destinato all'inizio, un lavoratore manuale che dei gusti coltivati hanno orientato verso il resrauro di edifici religiosi, un umile tagliatore di pietre che, per sopravvivere, usa !e sue forze per attività per le quali prova solo un interesse mediocre e che gli procurano mezzi di sussistenza appena sufficienti: rimpotenza a realizzare la sua ambizione ne ha fatto un fallire, w1 declassato, cui gli studi, condotti in condizioni molto difficili con il coraggio della disperazione, la fede del carbonaro, la fiducia cieca nella possibilità di riuscirci, permettono soltanto di recitare) al termine di una notte sordida di bevute in una taverna> il testo integrale del credo in latino davanti a gentaglia stupita e beffarda, nn episodio particolarmente pietoso il cui ricordo pungente lo perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni. luttavia, durnnte il suo viaggio al termine della notte nel corso del quale, non essendo n1al riuscito a vivere con1e tutti gli altri, sempre fuori fase in rapporto alla realtà, accumula sfortune e delusioni, Jude non rinuncerà mai al suo sogno d'infanzia, un sogno in tutti i sensi puerile, come alla fine arriva a capire, restando però inconsolabile pet non essere riuscito a realizzarlo: arrivato al termine della sua caduta, finisce pet crepare miserabilmente a Chrisrminister, sotto le stesse 1nura contro le quali ha condotto la sua vana battaglia, totalmente distrutto sia dalle illusioni che lui stesso si è creato sia dal!' opposizione del tutto reale di cui è stato vit.tima da parte di un'istituzione che non ha voluto saperne di lui, senza neanche degnarsi di render conto delle ragioni di rnle rtfiuro imposto come naturale ed evidente, sulla base di una condanna di fatto, irrevocabile, sulla quale non è possibile ritornate. Il romanzo di Hardy, il cui intreccio comporta numerose svolte, la maggior parte inattese come conviene ad una finzione elabotata nella più pura tradizione inglese, non sì riduce al disegno che ne è srato presentato. In effetti, il destino totmenrato di Jude non si spiega soltanto con il rapporto mancato con l'Università, che è solo r' espressione di una delle molteplici contraddizioni che lo tormentano: accanto al dilemma dell'incultura e del sapere, del lavoro manuale e del lavoro intellettuale, vi è quello che oppane la vita in campagna e la vita in città, con tutti i gradi intermedi interpostì, di cui Hardy dà una rappresentazione di una minuzia rutta balzachiana; vi è quello che oppone come la notte e il giorno convinzioni religiose nutrite della cultura

    Alla prova della letteratura

    231

    propria del cristianesimo e di una certa forma gretta di pletisrno anglicano e le tendenze al libero pensiero confettate dall'infarinaturn di una cultuta classica rivolta verso un'Antichità pagana le cui immagini brillano luminosamente all'ori7:LOnte; vi è quello che oppane l'inreresse per le cose del passato, di cui le lingue antiche, che sia il latino di Ovidio o il greco dei Vangeli, sono un'espressione concentrata, al desiderio di progredire in un mondo esso stesso proteso verso il futuro; e infine, al di là di tutro, vi è quello che ol?pone le convenzioni sociali, con tutte le loro costrizioni che finiscono per tovinare la vita a Jude, agli slanci irrefrenabili della natura che orientano i comportamenti degli esseri un1ani in maniera lnco1nprensibile,. ìncoscienre, come se fossero marionette manipolate da forze sulle quali non hanno alcuna presa. Se Jude è ,,rOscuro,), non è soltanto in ragione delle sue origini sociali modestissime, che avrebbero dovuto distoglierlo da ambizioni fuori della sua portata, ma è anche ovviamente perché, in tutti gli aspetti della sua condotta, resta da cima a fondo opaco a sé stesso, incapace di resistere a impulsi la cui origine gli resta sconosciuta, tra cui quello che lo spinge ad elevarsi socialmente con la cultura, cosa che, in fin dei conti, si rivela del tutto assurda, ma di un'assurdità la cui responsabilità non può essergli imputata personahnente, perché è f' espressione delr assurdità della vita stessa il cui corso è necessariamente cieco. Alla fine dd XIX secolo, nel momento in cni il grande progetto della rivoluzione inglese e il m·ondo economico egoista che ha contribuito ad edificare hanno rivelato limiti e mancanze, Hardy è il grande romanziere moderno della moira, della fatalità nella quale si inabissano gli slanci sia ddla volontà sia della rappresentazione> in un ambiente in cui l'uomo in quanto tale, di cui Jude crocifisso è finalmente un simbolo universale, si trova costantemente fuori posto, in scacco, disperatamente impedito dì avanzare verso un futuro migliore. I:Università, di cui il romanzo di Hardy traccia~ attraverso il prisma degli smarrimenti di Jude, un'immagine repellente, profondamente sconfortante e deludente, è solo un ingranaggio del sisten1a disastroso, i cui effetti si fanno sentire a tutti i livelli senza eccezione. L:altro grande tema tratraro in]ude l'oscuro, accanto a quello della culrura e del sistema chiuso all'interno del quale essa si dispiega, riservandone la pratica esclusiva a dei privilegiati, è il matrimonio) nel quale Hardy denuncia con una vee1nenza fondata una convenzione fii.tra per spezzare le vite e impedire ad uomini e donne di ìnrendersi normalmente conformemente ai loro desideri personali, cosa che

    232

    Tre

    scandalizzò i lettori del tempo. Non diversamente dall'università, che gli si sottrae, Jude non ha fortuna con le donne: quelle con cui ha ashito la sfortuna di avere che fare sono una rozza e scaltra campagnola, l'orrenda Arabella, che finirà, senza averlo davvero voluto, per sposare a due riprese, e la nervosa e sensibile Sue, quella che ama davvero, ma che, in preda a torture mentali insolubili, opponendogli un rifiuto pur essendone attratta irresisribilmente, finirà ugualmente per dargli, fuori dal matrimonio, tre figli, in condizioni particolarmente equivoche e difficili che finiscono per rafforzare i suoi sensi di colpa. Questi figli moriranno poi iu maniera orribile, in uno dei passi più strazianti del romanzo, da cui emana un'impressione dì triscezza angosciante. Il fullimento della carriera universitaria di Jude è inseparabile dal contesto di questo crollo generale di cui alla fine è solo un sintomo. Detto questo~ noi andremo a concentrare la nostra lecrura del libro su questo punto particolare, che costituisce uno dei moventi principali del suo intreccio e che non smette di far da contrappunto ad altri problemi che cerca di fur emergere, per vedere quello che, tramite la traiettoria individuale di Jude spiegata solo in parte, quest'opera di Hardy può dirci a proposito dell'Università, dì cui delinea un'immagine indubbiamente parziale, estrema1 contorca, e per una gran parte datata~ ma che si può considerare con alcune precauzioni come rivelatrice sia delle idee che comunemente ci sì fa dell'Università sia delle pratiche alle quali dà luogo. Hardy, che aveva una formazione d1 architetto, aveva lui stesso un conro personale da regolare con l'Università? È pròbabile che abbia visto in essa innanzitutto il simbolo di un modo di vita essenzialmente urbano con il qttalc, lui che passò praticamente tutta la sua esistenza recluso nel Dorset in cui era nato, e dì cui tu cri i suoi libri danno wi)immagine estremamente pregnante, non sentiva - ed è il meno che si possa dire - alcuna affinità, e nel quale vedeva un concentrato di tutte le miserie umane, un'aberrazione ingiustifìcabile sul piano materiale e morale, che egli si sforzò) con la sua aree dì scrittore} di denunciare: vì è, sullo sfondo di questa creazione romanzesca di Hardy, un fobia della cìtrà, delle illusioni e dei vincoli cui dà vita, che può far pensare a Rousseau, anch'egli autodidatta e gran disprezzatore della cultura e delle sue istituzioni. All'inizio del libro, Hardy mostra come si sia sviluppato nello spirito di Jude adolescente l'irresistibile attrazione per la , una «Gerusalemme celeste» che egli vede come un sogno. Nel corso di uno deì suoì rari momenti di svago, caggiunge un osservatorio posto

    Alla prova della letterawra

    233

    in piena campagna in cima ad una collina da cui intravede da lontano una vaga luce che traspare nel!'oscurità: . Non si discemevano luci distinrej ma solo un alone, una nebbia :uminosa che sovrasrava la ciuà come nn grande arco sotto il cielo cupo" fuceodo . le lucì e la cit:à poco disranri [ ... ] Ad un rratto gli

    parve che 1l veow crasc:inasse qualcosa verso di lui ... un messaggio da qud luogo da parre di qualche anima. Ceno era il suono delle campane, 1a Voce della città; debole e armoniosa, che lo chiamava: «Siamo felid qui!» Durame qud rapjmenro aveva perso ognl cognizione della realtà circostante {... ] Come qudJ' alone aveva abbaglìaro ì suoi occhi uo quarro d) ora prima, cosl quel pensiero nuovo ìlluminava la sua menre e lo accomea,gnava ]ungo la via oscura. :,È una cirrà di luce» disse a sé stesso, «E il luogo dove cresce l'albero della conoscenzai,' aggiunse ~oR"o a~er fa:ro poc.hì p~i. «È il luogo dove partono e dov; tendono J maesm dell uman1tà)). ,,E come un cascello ab irato da dorri e da r;olo~b), E dopo questa similituàine, rimase a lungo in silenzio, fìnche: aggnmse: «È proprio il luogo che fa per me)►, 37

    Evidentemente, si inganna: quel luogo incantato, di cui brama il pos~ess.o'. ciò che gli conviene di meno, e il suo abbaglio al riguardo cosmu1ra il dramma della sua vita. Su che cosa poggia la vocazione che Jude scopre di avere? Su semplici impressioni: un alone di luci il rumore attutito delle campane. È attirato da un universo di cui

    è

    alcune impressioni sommarie gli giungono

    da lonrano, in assenza dì

    ogni_ contenuto precisamente individuabile e spiegabile: l'ingenua atrratt1va che prova per questo mondo di cultura che luccica da lontano si nutre della sua ignoranza, che lo spinge irresistibilmente a lanciarsi in una ricerca il cui oggetto resta tutto da ·determinare. Non si rende conto che l'intensità del desiderio significa in maniera premoniroria un fallimento programmato: quella città celeste si offre a lui come un al di là inaccessibile, un tempio che è anche, come dice lui, un castello guarnito, una fortezza talmente ben protetta che le speranze di penetrarvi sono vane, ciò di ·cui tutri gli episodi ulteriori del romanzo ~anno implacabile dimostrazione. E ad Hardy non resra quindi che

    svilt1ppare. con una gelida empacia, la successione di contorsioni e di torture che Jude va ad infliggere a sé stesso per sfuggire al proprio 57

    T HARDY,jude l'om+ro, rr. le a cura di E.G. Pecoia, Newton Compi:on, Roma 2012, I, 3, pp. 31-35.

    Alla prova del/,; letrerMura 2:14

    Tre

    destino> che assume la forma di un naufragio: .la cin:à di luce res1ftà per lu.i fino alla fine quale gli è apparsa nel sogno di gioventì1, un miraggio, l'immagine inconsisrente di quakosa su cui non ha presa e che sì sottrae a tutti ì suoi rentativi di avvicinamento. Essendo rìusdro, da adulro, a stabilirsi a Chrisrminìster, dove si prepara a vegetare miserevolmente> si lascia assorbire, in occasione di una prima presa di contatto esplorativa, dall' acmosfeta particolare della città, immaginandosi che questa familiarità gli assicuri un diritto di ingresso in qud luogo incanrato di cui continua a formarsi solo

    ·l "Dall' er:ar.e allucinato di Jude, di cui la cugina Sne dirà in seguito e

    un'immagine superfidak:

    h .. ➔~son11g~ia

    ad {\un uomo che sra cercando di uscire da un labirinscaturisce questo _messag?io premonitore: il mondo della tradizione dotta, che esercna su d1 lui un'oscura fascinazione por bb essere solo u 11 mon do sten'!e, Iogoro, motto, attraversato dalle ' ombre re e d" 1 un ~assat~ sepolto. Per entrare in questo mondo, occor l . • quello , re asc,ar, nebratond~1 g i uo.~1111 si occupano dei propri lavori ordìnari: otre' . ~ sua Vts10ne, Jude diventa il suo stesso fantasma è solo 1 ombra dt se stesso, ossessionato da un desiderìo insen1:aro eh' .d d I d' · e, n ucen o o a i~e~tare u_r1 p~sseggiatore solitario all'interno dì quest'alrro ;?ndo prest1g1oso d1 cui~ senza avere i mezzi per acquistare il diritro ' mgresdsol,l e non face,ndo parte del giro, cerca di forzare l'accesso, lo t.epara .bb a a comumta . . umana ,, . e lo svuota d eIla sua sostanza, come are u~vampiro. Un mqu1etudine si insinua nel suo animo provocan o parte sua un inizio dì presa di coscienza. , Tale presa di coscienza comincia a prendere forma qnando Jude si rende conto di scontrarsi con una barriera insormontabile:

    t~'':

    Le case i:n pierra grigia e tetti scuri apparivano quieti alla luce del tramonto, e ìe banderuole fissate qua e là sulle guglie e sui palazzi davano un rocco di vivacità a quel quadro dai tonì sobri [ .. ,J Dopo molte svolte, si fermò finalmente dinanzi al primo .antico edificio medievale in cui si era imbattmo. Era un collegio, come poté vedere dalla porta d'ingresso. Vì entrò e camminò un po' nei dintorni, penetrando anche negli angoH bui dove non giungeva la iuct: dei lampioni. Vicino a questo collegio ce n'era un altro, e un po' più distante un alrro ancora; e presto cominciò a sentirsi avvolto dal respiro e dallo spirito della venerabile città. Quando incontrava qualcosa che non eta in armonia con la se.a idea generale 1 lasciava che ìo sguardo vi scivolasse sopra senza vederla.

    L •1 pensiero • . Sembrava 'tmposs1·b·: 1.1e cue Lt moderno potesse abitare mcase :=:osi'dccrepne · e abbandonare. Non conosceva un solo essere · umano m. queHa drrà, e Ju de commcw . . • a sentmH . . 1S01ato· . , . e:1i sembrava . '" d .t essere 1l fantasma d.l se• sresso, con ja sensazione dt. camminare ma · ' lui ne_. u d.tro. Sosplro, pensieroso e, come se fosse d1 non essere n'e vtsrn stes:oj unghF~r:rasma_. pensò alle alrre presenza sperrrali che infestavano quet uo :, 39

    38

    Questa passeggiata solitaria che lo porta a vagare nei cortili e nei corridoi dell'edificio apparc-..ntemente deseno, in assenza di manifesrazione visibile o udibile di attività che vi si svolgono abitualmente,, è signifìcadvo della siruazione di }ude: la sua pusizione è quella di un outsider che si è introdotto in un arnbienre in cui non è arreso, in cui non ha nulla da fare, e sul quale può solo posare, in obliquo, lo sguardo dì visitatore meravigliato e, in fìn dei conti, tratto in inganno. No~ nostante l'entusiasmo, si uova allora in preda a dubbi sulla fondarciza della sua impresa: le mura che proteggono l'edificio sacro contro g\i indesiderabili1 e ne fanno una «fortezzw e, al limite, una prigione le cui saracinesche si abbassano davanti aU'ìnnuso, gli appaiono sempre più inquietanti. La città luminosa pussiede un lato d'ombra. Forse il tempio è un sepulcro, cbe dà rifugio nella sua cripta solo a fantasmi/ È in tal senso che si orienrn alla fine la sna visione:

    r

    1, p. 69.

    .

    J

    Ora soi~to, rrov~ndosì sul posto, Ju uno dei suoi romanzi; Disperazione (1936), la sua maniera si catatterizza per «l'accanimento nel criticarsl e nel distruggersh>, cosa che ne fa un autore d1e «non scrive mai senza vedersi scrìvere,:i: 47 e quesr' atteggiamento riflessivo è più straziante che pacificato, Sartre lo·spiegava con la posizione inconsolabile dell'emigrato, dello sradiClto, propria di Nabokov\ sempre in una situazione precaria in rapporto a sé stesso, cosa che esprime praticando, sul plano stesso della scrittura, un;ironia 1;;

    J.-P. SARTRE, Situ.atiom 1; Ed, Gallimard,

    1947, p. 58 s.gg.

    240

    AJJ..i prova della ktteratura

    1k

    corrosiva, tendenzialmente autodistruttiva. Nabokov, rampollo della vecchia aristocrazia russa liberale, aveva lasciaro la Russia con la farhiglia da giovane, nel periodo della rivoluzione sovietica, completaro gli srudi a Cambridge, poi a Berlino e sì era stabilito a Parigi dove aveva vissuto una quindicina d'anni, prima di partire nel I 940 per gli Stati Untl:i. Ottenuta la nazionalità americana1 aveva insegnato lerreratura in diverse università, prima a Wellesley nei pressi di Boston, poi a Cornell a !thaca, sempre proseguendo, in lingua inglese, l'opera di scrittore comìnciaca in russo, in cui avev.a composto i primi romanzi. La grande opera del periodo americano di Nabokov, che doveva compiersi nel I 96 I, data in cui ~i traslèrì in Svizzera,_ è Lo lita, rom~nzo apparso nel 1955 e che, considerato a torto o a ragione come un libro pornografico, lo portò alla grande nororietà grazie allo scandalo. Contemporaneamente a LJJiita, Nabokov aveva serino un altro r?ma.nzo, pubblicato nel 1957, Pnin,48 il cui contenuto gli era stato tornito dalla sua esperienza di professore invitato o associato in università sulle quali aveva parrato lo sguardo curioso di un entomologo: l' entomologia, alla quale del resto dedicò un cerro :iume~o di lavori famosi (era un gran cacciatore di farfalle delle quali scopn alcune specte sconosciute) era la sua seconda specialità, accanto alla lerreratura che praticava n~lla duplice forma della scrittura e dell'insegnamento, cosa che gli permetteva di apptenderla sia dall'interno, in quanto autore, sia dall'esterno, come qualcuno che ne parla da professore. Nabokov è stato in rurta la sua opera ossessionato dal teina del 9 doppio, che è espressamente evocato di passaggio in Pnin:~ è il tema al cenrro dell'inrreccio di Disperazione, il romanzo recensito da Sartre, ispirato a DostoYevskì che era uno dei suoi principali riferimenti letterari. Pnin, il protagonista del roma1:zo eponimo, è esso sresso un doppio di Nabokov: è lui, e non è lui. E qualcun altto, una creatura immaginaria generata da.Il' arte del romanziere, ed è anche qualcuno che ha vissuto, in America:1 alYCniversidti delle esperienze sin1ilì alle sue. In Pnin, Nabokov sembra aver progertaro un'immagine deformata della propria persona, che gli ha permesso di forgiare, nello stile autoder.isorio che gli è proprio> una rappresentazione concentrata dei suoi tormenti, quelli di una persona che, sempre fuori luogo _e a disa: gio, fatica a trovare dove che sìa il suo posco, e che è spinto a nmetterSI

    .;s

    "

    V. NABOKOV, Pnin, tr. it. di E. De.A.ngeli, AdelphiJ Mila..--10 1998. Ibid, p. 145.

    241

    in discussione dalle difficoltà della situazione, sempre interrogandosi sulla fondatezza delle usanze in vigore ìn un ambiente in cui occupa la posizione di un passante ed eventualmente, è perlomeno quello che egli avverte, di un intruso. Nabokov ha messo insieme i trarti che fanno dì Pnin, che egli sembra guardare con crudele soddisfazione dibattersi in difficoltà dovure alla sua posizione precaria, un personaggio comico> una specie di clown, senza che si arrìvi a distinguere precisa.mente" nella visione che ne propone, se Pnln sia personalmente responsabile dell'andamenro grottesco del suo modo dì presentarsi e del suo comportamento, o se quest'immagine che glì sta a pennello, e dì cui non riesce, nonosrante tutti i suoi sforzi, a sbarazzarsi, gli sia imposra da un ambiente non amico_, ed eventualmente ostile, che ne rollera solo a malapena la presenza considerata indesiderabile, attivando, alla fine, ad1 espellerlo. Nelle ultime pagine del romanzo, si vede Pnin lasciare definitivamente la cicrà di Waìnddl, dove ha inseanato o una decina di anni, al volante della sua buffa macchìnecra da povero che guida alla maniera di Monsieur Hulot, 50 con il quale ha anche una certa somiglianza: ha finito per essete cacciato dalruniversìtà in cuIJ ingenuamente, avendovì trovato un rifugio provvisorio, aveva sperato di far carrìera. E, non senza perfidia, Nabokov si è divertito a rendere responsabile della disfatta di Pnin l'arrivo all'università di Waìnddl dì un nuovo professore associato) che non è altri che il narrarore del rac:conro, che è presem:aro al momento del suo arrivo iu scena come un «celebre scrittore anglo-russo». Assomiglia ancora un po' di più a Nabokov in persona, che si permette il lusso di chiamare il personaggi? del romanzo che sra per scrivere, e che è anche il protagonista di un·azione nella quale è coinvolto neìla sn::iria che racconras 7 V.

    NABOKOV,

    .::·

    '1·. ·.,•··· '

    Tre

    Pnin,

    dt.,

    p. 38.

    f

    Alla prova della letteratura

    243

    di quella di Jude: essa lo conduce non solranro a atrorno all'Università come se si trattasse di un luogo vietato in cui no.n può avere accesso, ma a praticarla surrettiziamente> in prova, attraverso tutte le vicissitudini dì cui è vittima. Essendo riuscito a oltrepassare le porte dell'Università nella quale costituisce un corpo estraneo e trapiantato, egli fa da cartina di tornasole delle sue pratiche, assumendo il ruolo di un restimone che per la posizione marginale è in condizione di meglio vedere e far vedere ì limiti e gli aspetti negativi del sistema dì cui, per la sua sola presenza, smonta i meccanismi facendone risaltare la relativa assurdità. Vi sono due maniere ben differenti dì essere sodaln1ente mar.:rinalizzato: perché si è stati messi nella situazione potenziale del pa~ia e dell'escluso., i cui comportamenti sono add.itati perché non rollerati dalla comunità; oppure perché non si è ancora effettuata un>i.titegra~ zione richiesta o desiderata 1 che non può operarsi immediatamente o auromaricamente 1 ma necessita che si soddisfino le esigenze di tutto un rito di passaggio o d'intronizzazione, che si svolge nel tempo> un tempo che può etemizzarsi. Pnin, come lo vede il gruppo nel quale cerca penosamente di integrarsi, è in una certa maniera un outsider, predsamente qualcuno che resta fuori) e che) per questa ragione, si ha la tendenza a «vedere male),, cioè ìnsieme a misconoscere e a scredita~ re; e allo stesso tempo è colui che percepisce sé stesso come stranger, sul punto di bussare ad una porta che, al massimo, gli si socchiude, in modo tale che) dopo averne varcaw la soglia, ne fa parre senza appar~ tenerle, vi è senza esserci, come se avesse un piede dentro e uno fuori. Come vede lo straniero, nel senso dello stranuer, 1a nuova confioura"' zione culturale alla quale è confrontato? Ciò òche, per il membro del gruppo che vi appartiene di diritto, cosrituìsce un mrro armonioso, si presenta a lui in una forma dìsgregara, i cui elementi che non può raccordare ad una tradizione precedentemente assimilata presenrano i caratteri della gratuità, e al limite dell'assurdità, come uno spettacolo che sì svolge sotto i suoi occhi seni.a che eg!i ne abbia le chiavi d'interpretazione: come se le contemplasse attraverso un vetro, vede delle persone comportarsi come se riuscissero a trovare faciln1ente un senso a ciò che fanno; ma quesro senso a lui sfugge in gran parte. Allo stesso tempo, le esirazioni e le incertezze della sua condotta, poiché è costantemente indotto a comportarsi in maniera obliqua.i lasciano rrasparire quello che di problematico questo senso comporta: per coloro che lo padroneggiano ha una portata evidente, e di conseguenza universale,

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    Tre

    ma per colui che non ha con esso una vera familiarità ., ha solo un valo{ re singolare, e di conseguenza per nuUa sconèlt?-~ . , Pnin 1 che sl sente a suo agio solo quando s1 ntrova in con:i~agma

    derrli alrri membri emigrati dell'inrellighenzìa :ussa che cond1v1don_o ~ lui gli sressi codici interpr_eratwi della realta, dunq_ue le stesse_ ab,~ 00 tudini di vìta e gli stessi gusUi desidera co? tutte le wrze asS1.milars1 alla cultura particolare dell'Università amencau: nella quale ha trovato una sorta di rifugio. A tal proposito, scnve Nabokov: Pnin, è bene sotr.o!inearlo, non aveva niente a che vedere con il tipo di quei bonario luogo comune tedesco dd sec~l~ scorso, der zerstret-t-te Professor. Ai contrari.o, era forse fin rropp~ d1~dente, fin crop~ cosrancemenre in guardia contro trappole diabol:che, fin rr~ppo 0

    p enosamenre all'erra per paura che il bìzzarro_ ambiente da cui_ era ~ircondato (l'imprevedibile Amerka) po~e mdurlo a un, quaìc~e ridicolo passo falso. Era il mondo a essere d1srratto, e roccava a Pmn tenerlo in riga, 54

    Quando quelli tra i suoi colleghi che lo guardano con si':'patia ce ne sono pure alcuni-, gli danno delle pacche sulla spalla c?iamandolo all'amerkana ,,Tìm>i -lui che per gli amlcì russi è { o come dice a sé stesso nella lingua natale po amerika11ski, cosa che traduce la posizione disagevole di ailonranamento nella vicinanza, dl estranea familiarità, da cui è impossibile srao:acsi. In un momento di rilassamento, wnfìda ad una delle sue affittacamere che gli è amica e lo presenta agli altri come un «dotto patecko*: «Non riesco a capire l'umorismo americano,,.57 Sa bene che !'~erica non safd.. mai la cosa fa strabuzzare gli occhi, è in realtà una caricatura. E l'.imirazìone è riuscita 56

    //Jid., p. 34. Jbid., p. 60. " Jbid., p. 37. 57

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    Tre

    proprio perché esibisce gli enormi trucchi di cui si serve: si potrebbe vedervi una manifestazione tipica delrumorismo americano al qulle Pnin resta indifferente. In risposta, Pnìn, non senza finezza, e per una volta con una certa appropriatezza, lascia intendere che potrebbe trovarsi un giorno in una simazione analoga, cioè, non fàre il vero americano che non sarà mai, ma diverrirsi1 evenrualn1ente esagerando; ad assumere questo ruolo ridicolo dì simulacro che si esibisce e si rìvela come tale: e allora, forse) è dò che egli spera, non si saprà più se è un Americano che finge di essere un Russo o un Russo che finge dì essere arnexkano, pec gioco, dunque, e non per necessità. Ciò che imbarazza Pnin è innanzitutto la lingua. A differenza di Nabokov, che era fin dalla giovemù. un perferm poliglotta, Pnin 1 è arrivato in An1erica senza sapere una parola d inglese. Si è messo d'ìmpegno col coraggio della disperazione ad apprendere quell'idioma a lui sconosciuto, urìHzzando dei metodi personali, che lo limno passate per uno sconsiderato: quando si mette in testa, più tardi, dì condurre una macchina, si appresta a questa artlvità studiando a fondo l'articolo ,,automobile» di tur'enciclopedia. E si può pensare che il suo apprendistato Hnguistico avvenga in condizioni analoghe, che testimoniano1 è jJ minimo che si possa dire, deHa sua assenza di senso pratico, proprio - perlomeno è quello che Nabokov lascia intendere del catattere russo. Il risultato è stato all'altezza dei tentativi: il suo accento si può tagliare col coltello ed è inc,pace di fare frasi che non siano ricalcare sulla struttura grammaticale della lingua russa. Irnarratore fornisc.e a questo proposito le seguenti spiegazioni: Una parricolare zona di pericolo) nel caso di Pnin, era la lingua inglese. Fatta eccezione per alcuni ammennicoli non particolarmente utili, come tt.il resto è silenzio», «mai più)), «weekend,>, «who's who», e per poche parole di uso comune quali «mangiare))~ «scrada», ,,penna scìlografican, ,.,gangster>,, «C.harlestow), «utilità margìnalcii, quando aveva lasciato la Francia per gli Stati Uniti l'inglese gli era del rutto igno.:o. Si era dunque dedicato caparbiamente al compito di imparate la lingua di Fen.imote Cooper, di Edgar Poe~ di Edison e di rrencuno presidenti. "Kel 1941, a conclusione di un anno di studio, aveva fatco progressi sufficienti a consemirgli dì usare con disinvoltura termini qualJ «wishfui thìnking,1 e ,,OK,,, Nel 1942 era in grado di intercalare nel discorso l'espressione ,,per furla breven, All'inizio del seoondo mandato di Truman, Pnin pateva parlare, in pratica, di qualsiasi argomento; ma per il resto, nonostante rurd i suoì sforzi, ogni ulteriore

    Alla prova de!ltt ktteratimt

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    progresso appariva bloccato, end 1950 ìl suo inglese era ancora pieno di magagne. Iu que:ll' autunno aveva affiancato ai corsi di russo una sede di contèrenze senimanaii neli'ambito dì un cosiddetto.simposio (,,[Europa senza ali: rassegna della cultnra continentale contemporanea)i) diretto dal dottor Hagen. Tutte le conferenze del noscro amico, comprese !e varie che tenev; fuori chtà, venivano rivedute da uno dei membri più giovani del dìpartimento di germanistica, La procedura era piuttosto macchinosa. Il profèssor Pnin traduceva faticosamente ii proprìo fluvh.ile eloquio russo, pullulante di espressioni idìomatiche, in un inglese rabberciato, Questo veniva rivisto dal giovane l\1:iller. Poi la segretaria del dorror Hagen, una cerca ?v1ìss Eisenbohr, batteva a macchina il turro. Quindi Pnin cassava! passi che non riusciva a capire. Infine ne dava lercura al suo uditorio settimanale. Senza il testo sarebbe stato assolurarnente petduco. ., 55

    In breve, anche nelle situazioni correnti della vira, per non parlare degli obblighi d'insegnante, Pnin è incapace di cavarsela da solo: come minimo, ha bisogno dell'indulgenza di coloro cui si rivolge, che si sforzano dì comprenderlo seguendo con attenzione la sua parlata stravagante che evidenzìa} una volta per tutte} che non è a casa sua, Sbarcato in un'università dell'America profonda, che !',fabokov ha situato nella città immaginaria di Waindell, Pnin vi gioca

    il

    ruolo non

    cerco di un agitatore, dato che, anche se impreca costantemente in pectorc contro dei costumi la cui legittimità gli sfugge, è tutto tranne che un contestatore, ma dì un originale che alcuni trovano commovente e buffo, ma che molti, in parricolate la maggior parte di qnelli che hanno aff università una posizione autorevole, giudicano indesiderabile. Gli studenti sono stupiti dalla sua maniera d'insegnare: Veniva apprezzato non canto per qualche sostanziale competenza, quanto per quelle sue lndimenrìcabili digresslonì, durante le quali si toglieva gH occhiali per gercarc uno sguardo radioso al passato strofinando od com:empo le lenti dd presenre, 60

    Questa frase tipica dello stile di Nabokov traduce l'impressione di indulgente sbigottìmentn che Pnin provoca nel suo uditorio, che si diverte delle sue bizzarrie:

    " Ibid., p. 16-17. -' Ibid., p. 12-13.

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    Alla prova della lettera.tura

    Tre

    Pnin sì ubriacava dei propri vioì personali via via che proponeva esempi su esempi dì quello che l>udltorio educatamente ded_uceva essere l'umorìsmo russo. In breve l'ilarità lo soverchiava; lacnme a forma di pera glì rigavano le guance abbronzare [... ] E benché ~I ~iscorso, soffocato ùalla mano sfàrfallante1 fosse ora doppiamente ,nintelligibile alla dasseJ queHa resa incondizionata a1 proprio tripudio personale si rivelava irresistibile. 61

    H

    Lo si immagina, nei corridori dell'università Pnin è bersaglio prediletto di imitatori che., anir~1ad da più .o :neno buone 1n~~n_21.on1> si procurano facile successo der1dendo la vnnma della loro es1b1z1one parodi ca. . . . Il decratcore più smaccato è il direttore del d1pammenro dr francese, il professor Blorenge che uno dei colleghi pre_senta del re;to cor_ne {{una mummia, un seccatore, una delle colonne d1 stncco dell 1struz10ne».62 Il narratore rivela al riguardo: [Blorenc-e] «aveva la netta sensazione1) (è davvero incredibile come queste pers~ne prariche siano inclini a sendre_ piu~rosto a pensa~ re) che Pnin non fosse degno neppure di aggtrars1 nelle vicinanze d1

    d:-e.

    un'università americana.c3

    Occorre dìre che quesco personaggio, effettivamente molto cosa che, in An1~ric~) è "'.1-°:a qualità altamente apprezzata, ha una maniera tutta propna di eserci-

    tare le sue alte responsabilicà: Non poteva soffrire la lerteratura ,e non sapeva il francese_. Questo non gli impediva di coprire enormi dìstanze pe.r partectpare .a congressi sulle lingue moderne, nei q~i face~ sfoggio d~a propria inenirudine come se si fosse crartato d: un nODtle vezzo ...

    Quando il dr. Hagen, sul punto di lasciare Waindell, fa un tentativo con questo Blorenge per cercare di persuaderlo a prendere_ Pmn nel dipartimento di francese sulla ba.se del fa:to che: avendo v1ssuco quindici anni a Parigi prima dì venire in Amenca, egli ha la conoscen" Jbid., p. 14. 62 Jbid,p.31. 63 Jbid., p. 138. '" Ibid., p. 137.

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    za dì qnesta lingua e della sua leueracura, si vede opporre un rìfiu,o senza appello: «Vuoi dire» chiese Blorenge irrigidendosi "che sa parlare france~ se?» [.,.] «In quesro casoi; disse Blorenge ,;non possiamo usarlo per il primo anno. Sarebbe scortese nei confronti del nosuo :\1r Smith. che in questo trimestre tiene il corso di base e che ovvfa.o::ente deve essere avanti di una sola lezione rispcrto a.i suoi studenti. C'è però 1v1r Hashimoro che ha bisogno di un assistente per il corso imermedio, che è sovraffoHato. Il tuo uomo legge il francese, olrre a parlar1o?» «Ripero, si può adattare». "So che cosa vuoJ dire adattarsll) replicò Blorenge, aggrortando la &once. ,Nel 1950, quando Hash era via, -assunsi qael maestro di sci svìzzero, e lui fece circolare sottobanco copie ciclostilate di una vecchia anrologia francese. Ci voHe quasi un anno per riporµre ]a classe. al suo livello iniziale. Ora, se come-sichfama non legge H francese ... » «Temo che lo legga" disse Hagen con un sospiro. ((Aliora non possiamo proprio servircene. Come sai, ci affidiamo solo al dischi e ad altri supporri meccanici. I libri non sono consendtb. «Resta ancora ìl corso superiore» mormorò Hagen. «Di quello d occupiamo Carolina Slavsklj t io)~ rispose Blorenge. 65

    Un altro punto del racconro dà l'idea del modo in cui il professor Blorenge e il suo assistente si occupano degli studenti avanzati: Lui teneva an corso intitolato "Grandi Francesì"., che aveva farto copiare alfa segretaria da una raccolta dello «Hastings Historical and Philosophical ìviagazine» (annate 1882-94), scovata in una soffitta e non regisrrnca presso la biblioteca dell'unlversità_cc

    Ciò spiega quest'altro momenro deHo scambio con il dr. Hagen: Il tenace Hagen disse che per parecchi uimestri Pnin si era occu~ paro in modo ammirevole del movimento romanrico, e che sarebbe stato senza dubbio in grado di lavorare su Chateaubriand e Victor Hugo sotto gli auspici del dipartimem:o di francese. «Di quella gente si occupa H dottor Slavskìji.> disse Blorenge. «In realtà, a volte penso che stiamo esagerando con la letteramra. Guardi, questa settimana

    " Jbid., p. 139. 66 Jbid., P· 138.

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    Alla prova de/1,1 lerrerarura

    Tre i\1!ss Mops:.ietstia cominda con gli esistenzialismi, il suo Bodo si occupa di Romain Rolland, e io faccio lei.ione sul generale Boulanger e

    su De Bé ranger. No, ne abbiamo fin troppa di quella roba,,.67 Vi sono tutte le ragioni per pensare che, come è stato già evidenziato, il professor Blorenge, che ha la responsabìlirà degli studi di francese all'università di Waindell, prenda Chateaubriand, sul quale nou vi sono notizie nella sua rivista di riferimento, ma di cui ha potuto

    leggere ìl nome su qualche me~u di r~t~rante, ~er uno chef Insom: ma, quello che rimprovera a Pum non e d1 essere incompetente, ma d1 essere troppo comperente, un difetro che non sì perdona nel mondo chiuso dell'università, in cui rutti si guardano con diffidenza.Attraver-

    so le affermazioni del professor Blorenge, la cui dimensione di «perso1 naggio prarico,> si conferma in quesc occasion_e, si vede d1. contrasrata, dì cui è il risultato. Il presente lavoro non si propone nient'altro che apportare un piccolissimo contributo a questa delucidazione, }\11'analisi qui proposta potre.bbe essere fatta un'altra osservazione> riguardante la scelta deì testi di riferimento. Rabelais, Kant, He~el " Hardy e anche Hegel, Hesse, Nabokov, Lacan, Bourdieu e Passeron, più vicini a noi e tuttavia già così lontani, a mano a mano che si accelera il tempo di una decadenza prograrnmara: tutto questo appare vecchlo, sfasaco rispetto ad un'attualità le cui urgenze dovrebbero interpellarci al massìmo grado 1 e di conseguenza sorpassato. A ciò si risponderà chei se si esaminano da vicino i tesd, come si è cercaro di fare, non sì può non rimanere colpiti dal fatto che i problemi attorno al quali gli aurori qui riuniti si sono arrovellati sono molto prossimi a quelli con cui ci confrontiamo noi oggi. Se l'Università, nonostante le diflìcol.tà che attraversa, ha pur sempre un futuro, questo non può essere del tutto separato dal suo passato, un passato di cui porta con

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    La parola universitaria

    sé inevitabilmenre ii peso e da cui non la può liber.a.re un colpo di baq cherrn magica. Ritornando su questo passata, si è volum contribuire a reinserire i problemì attuali nelr ampio contesto processuale in cni hanno una possìbilità di trovare, eventualmente, una soluzione, che resta tutta da inventare.

    Descartes, 62, l 04 de Stael G., 65 Durkheim E., 9, 23, 48-49, 67, 196

    INDICE DEI NOMI

    Erasmo, 212, 217 Eschilo, 121-122, 125, 129

    Althusser L, 5-6, 15, 188,219 Arisro,ele, 53 Auerbach E., 207 Ausrin J,, 77

    Bachrin M.M., 209 Bacon E, 54, 56, 222 Balibar E., 11 ' Balzac H. de, 205 Bambach C, 136 Bemer Ch., 64 Borges J.L, 53, 241 Bourdieu P., 10, 13, 35-36, 149, 168, 170-172, 174, 176, 178, 180-184, 186, 193, 199-201, 204,224,253,255 Bourger P., 78, 83 Butler S., 206 Canguilhem G., 5, 7 Oisriglione B., 213 Céline L-E, 191 Charlor. 153 Cirron Y., 13 Cousin V., 66-67 Cusset E, 18 De Giovanni B., 7 Deleuze G., 6 Demolins E., 211 Denunzio F., 6 Derrida J., 16-18, 68-69, 72-74, 77,143,176

    Fabririus J.L., 43 Federico Gnglielmo Il, 39 Fédier F. 131-132, 139 Ferry L., 11 Fichre J.G., 64, 86-87, 104 Foucaulr M., 6-7, 15-16, 154 Fax R., 9 Freud S., 150 C',alsworthy J., 250-251 Giordano Bruno, 74 Goethe J. W. von, 206 Grane! G., 139 Gueroulr M., 6 Hardy Tu., 14, 206-207, 228233, 239,242,251,253,255 Hegel G.W.F., 6-7, 16-17, 85114, 147-149, 219, 221, 227, 253,255 Heìdegger M., 16-17, 85, 88,91, 94, 96-98., 102, 112-122, 124, 126-136, 139-140, 142-149, 155,160,253 Hesse H., 14, 206, 219, 221, 224,227-228,253,255 Hirchcock A., 78-80, 83 Hirler A., 88-89, 97, 132, !46 Humboldt W. von, 87, 144 Husserl E., 88 Hyppolire J., 150

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