La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone. Racconti dal medioevo giapponese 8831777920, 9788831777926

Nobili principi che si innamorano di fanciulle non nobili; monaci e monache che possiedono ben poco oltre al proprio sai

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La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone. Racconti dal medioevo giapponese
 8831777920, 9788831777926

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La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone Racconti dal medioevo giapponese a cura di Roberta Strippoli

Letteratura universale Marsilio

Paure, passioni e umorismo nel Giappone medievale

Gli otogizoshi sono racconti del tardo medioevo giapponese che rielaborano, con umorismo e originalità, temi e motivi appartenenti alle tradizioni orali e letterarie delle epoche precedenti, come i monogatari di corte di epoca Heian e i monogatari guerreschi di epoca Kamakura. Ne sono giunti fino a noi circa quattrocento, che si presentano sotto forma sia di rotoli illustrati sia di libretti copiati a mano o stampati e vantano molteplici origini: alcuni fmono creati e diffusi oralmente da cantastorie girovaghi, altri furono scritti da intellettuali di vario genere - monaci, guerrieri e nobili decaduti - e non conobbero mai una forma orale. Per l'estrema vivacità e inventiva del linguaggio, con descrizioni dalla fantasia quasi rabelaisiana di luoghi, personaggi e situazioni, rappresentano una delle eredità culturali più importanti del Giappone medievale.

In copertina: illustrazione cracca dal Kengaku soshi (La scoria del monaco Kengaku), rocolo del XVII secolo.

Letteratura universale Marsilio

MILLE GRU

Collana di classici giapponesi diretta da Adriana Boscaro e Luisa Bienati

La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone Racconti dal medioevo giapponese a cura di Roberta Scrippoli

Marsilio

Traduzione dal giapponese di Roberta Strippoli

© 2001 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: luglio 2001 ISBN 88-317-7792-0 www.marsilioeditori.it

INDICE

11 Introduzione

di Roberta Strippo/i

41 61 79 91 111 129 153 161 173 179

Taro il fannullone Viaggio dell'Onzoshi alle isole Oribe il petomane e Toda il buono-a-nulla Shutendoji il demone beone La monaca tuttofare Hachikazuki, la ragazza con la ciotola in testa La donna serpente e il monaco del Dojoji Shijira e la conchiglia L'uomo e lo specchio Bunsho il salinaio

207 Note 221 Glossario

AVVERTENZE

Il sistema di trascrizione seguito è lo Hepburn, che si basa sul prin­ cipio generale che le vocali siano pronunciate come in italiano e le consonanti come in inglese. In particolare, si tengano presenti i se­ guenti casi: è un'affricata come l'italiano «e» in cena è sempre velare come l'italiano «g» in gara h è sempre aspirata i è un'affricata s è sorda come nell'italiano sasso sh è una fricativa come l'italiano «se» di scena u in su e in tsu è quasi muta e assordita w va pronunciata come una «u» molto rapida y è consonantico e si pronuncia come l'italiano «i» di ieri z è dolce come nell'italiano rosa o smetto; o come in zona se iniziale o dopo «n» La lunga sulle vocali indica l'allungamento delle stesse, non il radJoppio. Tutti i termini giapponesi sono resi al maschile in italiano. Seguendo l'uso giapponese il cognome precede sempre il nome. Alcuni termini (sempre invariabili) ormai entrati nell'uso sono di conseguenza riportati in tondo, mantenendo però le caratteristiche grafiche dell'originale: kabuki, kimono, no, sake, samurai, shinto, zen. eh g

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PERIODIZZAZIONE DELLA STORIA GIAPPONESE

tardo VI secolo-71O 710-794 794-1185 1185-1333 1333-1568 1568-1600 1600-1867 epoca moderna:

1868-1912 1912-1926 1926-1988 1989-

periodo Asuka periodo Nara periodo Heian periodo Kamakura periodo Muromachi (o Ashikaga) [1336-1392 nanbokucho] [1467-1568 sengokujidaz] periodo Azuchi-Momoyama periodo Tokugawa (o Edo) Meiji Taisho Showa Heisei

10

INTRODUZIONE

Vivaci, imprevedibili, a volte drammatici: sono gli otogizoshi, racconti che rielaborano, con umorismo e originalità, temi e motivi appartenenti alla tradizione orale, alla religione, in particolare al buddhismo, e alla tradizione letteraria precedente, come i monogatari di corte di epoca Heian (794-1185) e i monogatari guerre­ schi di epoca Kamakura (1185-1333). Gli otogizoshi giunti fino a noi sono circa quattrocento (varianti escluse) e per la maggior parte hanno conosciu­ to una forma scritta in epoca medievale 1• Si presentano sotto forma sia di rotoli illustrati sia di libretti copiati a mano o stampati, sono di lunghezza media e vantano molteplici origini: alcuni furono creati e diffusi oralmen­ te da cantastorie girovaghi, per poi essere messi su carta in epoca Muromachi (1333-1568), altri furono diretta­ mente scritti da intellettuali di vario genere - monaci, guerrieri e nobili decaduti - e non conobbero mai una forma orale. I critici giapponesi hanno iniziato a occuparsi seria­ mente degli otogizoshi solo in tempi recenti, da meno di cinquant'anni, ed è a partire dagli anni settanta, grazie anche al contributo di alcuni studiosi occidentali, che 11

questi testi hanno trovato lo spazio che meritano. Leg­ gendoli ed esaminando le immagini che spesso li accom­ pagnano, non possiamo non chiederci quali siano state le cause di una tale lunga negligenza. Balza subito agli oc­ chi, infatti, l'estrema vivacità e inventiva del linguaggio, con descrizioni dalla fantasia quasi rabelaisiana di luo­ ghi, personaggi e situazioni: le proprietà terriere di un riccone sono sconfinate, i cancelli d'ingresso di una di­ mora alti fino al cielo, la barca di Yoshitsune veloce co­ me il vento, le protagoniste sono tutte belle come dee, i mostri mostruosissimi, con un numero iperbolico di braccia, gambe e corna. Anche le liste testimoniano della creatività e ricchezza di vocabolario degli autori. Si tratta di elenchi di toponimi, di animali, di qualità degli esseri umani, e soprattutto di oggetti dei più disparati. Dalla ciotola capovolta che Hachikazuki porta sulla testa fuo­ riescono le mercanzie più svariate, come gioielli, tazzine, una fiaschetta per il sake, vari capi d'abbigliamento, ad­ dirittura un ramo con dei frutti d'oro. Queste liste non sono una novità assoluta nella letteratura giapponese (basti pensare al Libro del guanciale, capolavoro di epoca Heian di Sei Shonagon), ma hanno un sapore diverso, più popolare, meno sofisticato, tutto giocato sull'abilità del narratore di tenere la platea col fiato sospeso. Così quando la ricca moglie di un capovillaggio pretende dal­ la divinità di rimanere incinta, le sue offerte sono aggres­ sive e vanno in un crescendo che non ammette rifiuti: broccati, specchi ottagonali, trentasei sciabole d'oro e cento sciabole d'argento, cento frecce di penne d'aquila, per tre anni ogni anno trentatré puledri neri, un altare costruito con le piume bianche delle gru e quelle grigie dei cigni, con un sole d'oro e una luna d'argento... Poi la minaccia: «Se non ascolterai le mie preghiere, io mi ta­ glierò il ventre nell'interno di questo tempio e scaglierò 12

gli intestini verso lo Yakushi Nyorai; diventerò uno spiri­ to malvagio e procurerò disgrazie a tutti coloro che ver­ ranno qui. Non potrai rimproverarmi per questo» (]oruri junidanzoshi) 2 • La fantasia degli ascoltatori (e più tardi dei lettori) è quindi stimolata a immaginare oggetti sem­ pre più meravigliosi e irraggiungibili, e soprattutto sem­ pre in quantità eccessive. Tali liste potevano anche essere pedantemente didattiche o puramente descrittive, ma in ogni modo rappresentano un eltmento di continuità con la letteratura precedente, arricchito da quella vivacità che caratterizza un'epoca di grande dinamismo culturale quale il medioevo giapponese. I personaggi degli otogizoshi appartengono a tutti i ce­ ti sociali, al regno animale, o in alcuni casi al mondo so­ prannaturale. Tale varietà rappresenta una vera e propria innovazione nella letteratura giapponese: con la sola ec­ cezione dei setsuwa 3, brevi racconti a sfondo didattico di epoca Heian e Kamakura, i protagonisti delle opere let­ terarie precedenti agli otogizoshi provengono quasi uni­ camente dal ceto dei nobili o dei guerrieri. Nei monoga­ tari Heian, per esempio, si narrano solo avvenimenti ri­ guardanti i nobili di corte, in uno scenario che di rado include luoghi lontani da Kyoto, all'epoca capitale sia politica che culturale. A parte la sporadica presenza di belle fanciulle che vivono nelle province perché apparte­ nenti a famiglie decadute, nei monogatari non c'è posto, neanche come comparsa, per coloro che non rientrano nella ristretta cerchia delle "persone di qualità". I gunki monogatari, o racconti guerreschi (come il famoso Heike monogatari, Storia della casata dei Taira) che fiorirono nel successivo periodo Kamakura, offrono un'ambienta­ zione geografica più varia, ma tutti i ruoli più importanti sono appannaggio dei membri delle famiglie guerriere, e, ovviamente, degli aristocratici. Gli eroi degli otogizoshi a 13

volte possono appartenere a questi due gruppi; più so­ vente, però, si tratta di monaci di basse condizioni, men­ dicanti, piccoli commercianti, o di esseri soprannaturali. Questi personaggi, sui quali si tornerà in seguito, soprav­ vivono ancor oggi nell'immaginario dei giapponesi, tra­ scendono i limiti degli otogizoshi andando a popolare al­ tri generi, come i fumetti e i cartoni animati 4• Lingua e struttura Gli otogizoshi sono, come si è accennato, racconti di lunghezza media che si aggirano intorno alle venti o tren­ ta pagine. Sono scritti principalmente con il sillabario fo­ netico (kana), inframmezzato da alcuni caratteri cinesi (kanji). Benché il kana non standardizzato (hentaigana) in uso in Giappone fino all'inizio del 1900 non fosse af­ fatto di semplice lettura, esso era di sicuro più accessibile dei complicati caratteri importati dalla Cina. Il tipo di giapponese classico utilizzato non presenta rilevanti osta­ coli grammaticali per il lettore: solo in pochi casi si in­ contrano frasi in cui è arduo stabilire il soggetto del­ l'azione o il tempo del verbo. Qualche difficoltà pongo­ no invece i contenuti: in molti otogizoshi abbondano poesie e riferimenti letterari di non semplice compren­ sione. Le poesie (in genere waka, sul metro 5-7-5-7-7) so­ no inserite nel testo in vari modi: possono essere compo­ ste o recitate da un personaggio, oppure aggiunte dal narratore per coinvolgere il lettore nell'atmosfera o esprimere uno stato d'animo. L'arte di poetare aveva sempre goduto di grande ammirazione presso i nobili di corte del Giappone antico, e anche nel medioevo essere un bravo poeta poteva portare a un'elevazione di rango o assicurare la protezione di un potente. Fin dal passato la 14

poesia svolgeva un ruolo politico, rituale', o semplice­ mente d'intrattenimento, e seguiva delle regole di com­ posizione ben precise. Era un mezzo di espressione così importante da meritare la creazione di antologie imperia­ li, come il famoso Kokinwakashu (Raccolta di poesie giap­ ponesi antiche e moderne, inizio x secolo), che raccoglie­ vano quella che veniva considerata l'essenza dell'arte poetica delle epoche precedenti. Nelle opere di narrativa spesso si tendeva a citare poesie del passato, o·ad allude­ re a esse con sottile abilità. Nel caso degli otogizoshi le poesie sono raramente trat­ te da raccolte poetiche o da monogatari famosi, come il Genji monogatari (Storia di Genji) o l'Ise monogatari (I racconti di !se): più spesso sono di nuova composizione e alle antiche fanno solo dei riferimenti. Questi riferimenti possono essere di diverso grado di difficoltà: alcuni molto semplici, comprensibili anche a chi non abbia una grande familiarità con i classici, altri invece piuttosto complicati, individuabili solo da un occhio colto ed esercitato. Alcune espressioni convenzionali fanno spesso la loro comparsa e vengono ripetute anche a distanza di poche righe. Si tratta di frasi brevi, come l'esclamazione di sor­ presa «yume ka utsutsu ka» (sogno o realtà?) o l'abitudi­ ne di paragonare l' awenente eroina di una storia a famo­ se bellezze cinesi come Yang guifei e Madama Li 6• Il continuo ricorrere di espressioni familiari, che un lettore moderno potrebbe considerare un difetto del testo, era in realtà molto apprezzato dai lettori e dagli ascoltatori del passato. Tutti gli otogizoshi sono raccontati in te.rza persona da un narratore che, pur essendo esterno agli awenimenti, di tanto in tanto interviene con commenti personali co­ me: «Poverino!» oppure «È in una situazione veramente imbarazzante! Cosa farà adesso?» Molti possiedono una 15

trama piuttosto lineare, dove una situazione di normalità è interrotta dal sopraggiungere di un elemento dramma­ tico, che viene in seguito eliminato fino alla risoluzione finale. Nella maggior parte dei casi i malvagi vengono puniti, colui che ha commesso un errore si redime, chi cerca qualcosa riesce (solo dopo una serie di traversie) a ottenerla. Non mancano racconti più articolati, come ad esempio La monaca tutto/are, che con l'ampio spazio de­ dicato alla psicologia dei personaggi arriva quasi a sfiora­ re la complessità di un racconto breve moderno. Nonostante la struttura lineare, ai nostri occhi di occi­ dentali alcuni otogizoshi possono sembrare incompleti o lasciati in sospeso. Il finale non è sempre soddisfacente, può succedere che alcune questioni restino irrisolte e che il lettore si ritrovi senza alcun indizio sul loro possibile sviluppo. In Shutendoji il demone beone una fanciulla viene abbandonata agonizzante dagli eroi che, considera­ to il suo stato, decidono di non riportarla a casa. Non sappiamo cosa le succederà, se la ragazza sarà veramente lasciata al suo destino o se qualcuno andrà a prenderla in un secondo momento. Non mancano neppure errori di vario tipo: a volte i personaggi si contraddicono, scom­ paiono di scena all'improvviso o sono in possesso di in­ formazioni che, dati gli avvenimenti, non dovrebbero co­ noscere. Bunsho il salinaio, che all'inizio della storia si chiama Bunda, a un certo punto cambia il proprio nome in Bunsho, ma in alcune parti del testo viene di nuovo chiamato Bunda. Tali incongruenze possono scaturire da semplici errori di trascrizione, ma non è da escludere che alcune di esse appartengano al testo fin dal momento della sua prima composizione. Una rigorosa coerenza non rappresentava un requisito essenziale per l'audience degli otogizoshi, specialmente se il racconto veniva decla­ mato e non letto. 16

Background storico-sociale

I personaggi degli otogizoshi hanno, come si è detto, le più varie origini sociali. Ci sono nobili principi che si in­ namorano di fanciulle non nobili, come in Bunsho il sali­ naio o Hachikazuki; ci sono monaci e monache che pos­ siedono ben poco oltre al proprio saio e alla propria cio­ tola, come l'eremita in La monaca tutto/are; furbi campa­ gnoli in grado di conquistare fanciulle di rango elevato, come Monokusa Taro; altri meno acuti, come il vecchio in L'uomo e lo specchio, che scambia uno specchio per un demone. Ci sono anche demoni, come Shutendoji, che amano il vino e la compagnia di belle ragazze, e guerrieri pronti a rischiare la vita per sconfiggerli. A volte invece una ragazza si trasforma in serpente, come in La donna serpente, dove non esita a correre all'inseguimento del giovane monaco che ha rifiutato le sue proposte amoro­ se. Non mancano i personaggi immaginari, come quelli incontrati da Minamoto no Yoshitsune nei suoi viaggi al­ le isole: gli uomini-cavallo, i nani, i nudi e le strane abi­ tanti dell'isola delle donne, che vogliono «tagliarlo per farne dei talismani» 7• Non sono sfuggiti agli autori degli otogizoshi neanche gli animali, come le volpi, i gatti e i topi, che spesso interagiscono con gli esseri umani. La protagonista di La volpe di Kowata, per esempio, supe­ riore a tutte le volpi della sua regione per bellezza e intel­ ligenza, si trasforma in fanciulla per poter sposare l'uo­ mo di cui si è innamorata 8• Le ragioni della comp�rsa di questi personaggi posso­ no essere ricercate nei cambiamenti storico-sociali avve­ nuti durante il periodo Muromachi, epoca in cui gli oto­ giz6shi furono messi per iscritto. Durato circa due secoli, fu caratterizzato da un grande rigoglio culturale (è in 4uesto lasso di tempo che si formalizzarono molti degli 17

elementi che oggi consideriamo più significativi della cultura giapponese, come il teatro no, la cerimonia del tè, i giardini zen, alcuni concetti estetici), da dinamismo sociale, dalla crescita dell'economia, ma allo stesso tem­ po da sommosse, guerre e, in generale, da un controllo discontinuo da parte dell'autorità centrale, lo shogunato Ashikaga. Per descrivere l'atmosfera politica e sociale di quegli anni si usa spesso il termine gekokujo, a indicare quel ribaltamento di status sociale in cui l'inferiore viene a dominare il superiore, fatto impensabile sia in prece­ denza sia nel successivo periodo Edo. Un abile guerriero, pur proveniente da una famiglia contadina, poteva dimo­ strare le proprie capacità e aspirare a diventare un capo militare, così come un figlio di artigiani o mercanti pote­ va arricchirsi e magari, come era d'uso tra i nobili di qualche secolo prima, farsi protettore delle arti. Allo stesso modo, una famiglia di ricchi proprietari terrieri poteva perdere le proprie fonti di guadagno in seguito al­ le numerose battaglie. Il gekokujo rappresentò per molti la fine di un mondo, ma per moltissimi altri aprì orizzon­ ti di nuove opportunità. Nonostante l'atmosfera di instabilità, o forse proprio grazie a essa, si verificò un sensibile sviluppo economico, stimolato da vari fattori come le migliorate tecniche agri­ cole, la liberalizzazione degli scambi e quindi l'intensifi­ carsi del commercio interno ed estero. Di pari passo con l'espansione dell'economia, le città divennero, molto più che in passato, punti di riferimento. Potevano trovarsi in corrispondenza di un porto, di un crocevia o di un tem­ pio importante, e coloro che vi abitavano, i machishu (cioè "cittadini": mercanti, artigiani, ma anche nobili de­ caduti) acquisirono una posizione economica e sociale sempre migliore, grazie anche ai benefici ottenuti tramite lo sviluppo degli za, associazioni sotto alcuni aspetti si18

mili alle corporazioni europee 9 • Come nel mondo econo­ mico, anche in quello letterario sono proprio i machishii a costituire l'elemento nuovo più interessante, e gli otogi­ z6shi se ne impossessano e li portano alla ribalta con gli shusse monogatari (storie di elevazione sociale). Un'altra presenza di rilievo è costituita dai religiosi, in particolare monaci e monache buddhisti. La religione svolge un ruolo importante e i suoi insegnamenti per­ meano, a vari livelli, la maggior parte dei racconti. Spes­ so le storie terminano con l'invito al culto di una divinità oppure al rispetto di ideali confuciani, come la devozio­ ne filiale. Bunshi5 il salinaio deve il suo successo econo­ mico al proprio talento, ma la sua carriera politica alle fi­ glie ricevute in dono da una divinità. In Shi;i"ra e la con­ chiglia il protagonista è ricompensato con ricchezze e longevità per il suo comportamento devoto nei confronti della vecchia madre. Apprendiamo così che il culto delle divinità, siano buddhiste o shinto, e il rispetto dei precet­ ti confuciani, apportano benefici sia futuri (rinascita in un paradiso) che in questa stessa vita, tanto che si pensa che molti dei racconti con finale religioso abbiano avuto la funzione di talismani (omamori), che i fedeli si porta­ vano a casa dopo la visita a un tempio 10 • In periodo Muromachi si diffusero inoltre nuove cor­ renti buddhiste, che erano state introdotte durante il pre­ cedente periodo Kamakura. Tra queste, il ji5doshii, Scuola della Terra Pura, o il ji5doshinshii, Nuova Scuola della Terra Pura, che per la salvezza confidavano nell'aiuto del buddha Amida, forti della sua promessa di aiutare chiun­ que lo invocasse e avesse fede in lui 1 1 • Alle scuole amidiste appartiene la pratica del nenbutsu, che consiste nel ripete­ re per molte volte il nome di Amida. Taie pratica, tuttora esistente, era parte integrante della vita quotidiana di allo­ ra, e fa spesso capolino negli otogizoshi. Un'altra scuola 19

che riscosse molto successo fu quella fondata da Nichiren (1222-82), i cui adepti riponevano la propria fiducia nel potere salvifico del Sutra del Loto. Gli otogizoshi conten­ gono molti riferimenti al Sutra del Loto, al quale i protago­ nisti si rivolgono spesso nei frangenti più drammatici. L'idea di non contare unicamente sulle proprie forze, ma di chiedere aiuto a qualcuno per ottenere, se non l'illumi­ nazione, almeno una rinascita in forma umana o in un pa­ radiso, era all'epoca universalmente diffusa. Derivava dal­ la convinzione di trovarsi nell'era finale della legge bud­ dhista, il cosiddetto mappo 12 , dove la forza del singolo,ji­ riki, non sarebbe stata sufficiente per ottenere l'illumina­ zione senza l'intervento della forza dell'altro, tariki. Nello stesso p�riodo grande rilievo ebbe anche il buddhismo zen, introdotto in Giappone dalla Cina tra la fine del xn e l'inizio del XIII secolo. Lo zen, caratterizzato dall'impor­ tanza data alla meditazione, dalla trasmissione del sapere maestro�allievo e dalla rigida disciplina nelle pratiche reli­ giose, contribuì alla diffusione delle arti e di concetti este­ tici che ebbero grande influenza sullo spirito dell'epoca e sulla visione della vita, anche in epoche successive. I mo­ naci zen furono molto attivi come filosofi, artisti e uomini di cultura in generale. Un fenomeno interessante connesso alla religiosità (e che appare di frequente negli otogizoshi) è la diffusione sempre maggiore dei pellegrinaggi. Laici e religiosi, uo­ mini e donne, vecchi e bambini si mettevano in marcia da grandi centri come da piccoli villaggi di campagna, af­ frontando viaggi che potevano durare settimane o mesi. Tra i luoghi di culto più popolari, i tre santuari di Kuma­ no, nella penisola di Kii, la parte centro-meridionale del­ l'isola di Honshii; il monte Koya, anch'esso in quella zo­ na, che però era riservato esclusivamente agli uomini; il tempio Zenkoji, nella provincia di Nagano. 20

Taie forte presenza del buddhismo negli otogizoshi per alcuni studiosi rappresenta una testimonianza delle origi­ ni dei racconti in ambiti religiosi e della loro finalità di­ dattica; per altri, invece, si tratterebbe di un elemento inevitabile in opere nate in un periodo fortemente carat­ terizzato da movimenti e stimoli religiosi, e lo scopo esclusivo delle storie sarebbe non tanto l'istruzione, quanto l'intrattenimento del lettore o dell'ascoltatore. In alcuni casi la fede religiosa costituisce il tema centrale delle storie. Ad esempio, un gruppo molto interessante di otogizoshi è quello deglrzange monogatari, o racconti confessionali, nei quali i personaggi si raccontano l'un l'altro le proprie vicissitudini. Si tratta di monaci o mo­ nache itineranti che parlano dei motivi che li hanno por­ tati a prendere i voti. In Sannin hoshi (I tre monaci) il primo monaco r:;icconta di aver abbandonato la vita se­ colare in seguito alla scomparsa della sua sposa, uccisa da ignoti. Questa morte improvvisa lo ha aiutato a com­ prendere la caducità delle cose alle quali era attaccato. Il secondo monaco confessa di essere l'assassino della don na. Disgustato dalla propria crudeltà e soprattutto dal comportamento avido della moglie, ritornata sul luogo del delitto per tagliare i preziosi capelli del cadavere, aveva deciso di farsi monaco. I due giungono alla conclu­ sion e che la donna uccisa doveva essere una creatura di­ vina scesa sulla terra per salvarli 13 • Un altro gruppo a tema religioso è costituito dai chigo monogatari, incentrati sui rapporti tra i monaci e i giova­ ni accoliti del tempio, e dove l'idea che un bodhisattva si travesta da essere umano per soccorrere i mortali è piut­ tos to comune. L'omosessualità maschile, per nulla osta­ cola ta in epoca Muromachi, rappresenta in questi rac­ con ti il mezzo che rende possibile la salvezza del mona­ co. Un evento drammatico come l'improvvisa separazio21

ne dal giovane diletto o addirittura la sua morte, diviene infatti motivo di riflessione sulla caducità delle cose ma­ teriali e aiuta il religioso a tornare sulla retta via. Si ha quindi il paradosso apparente di una storia d'amore che, anziché nuocere alla vita spirituale, ne favorisce la realiz­ zazione 14 • Rimanendo in campo religioso, sono conside­ rate otogizoshi le storie di tipo honji 15 , sulle vite prece­ denti di varie divinità buddhiste e shinto, create allo sco­ po di attrarre l'attenzione dei devoti verso l'uno o l'altro tempio, e quelle di tipo engi, basate sul mito dell'origine di templi o santuari. Una nota a parte meritano i personaggi femminili che riflettono anche i cambiamenti sociali del periodo.. Ac­ canto a docili e passive eroine simili a quelle che popola­ vano i monogatari Heian, sono frequenti i casi di donne con un carattere che va dal poco sottomesso al molto in­ traprendente: l'autoritaria moglie di Toda in Oribe il pe­ tomane e Toda il buono-a-nulla, ad esempio, ma anche l'impudente monaca di La monaca tuttofare, oppure le fi­ glie di Bunsho, che rifiutano di sottostare alle decisioni ma!rimoniali del padre. E di questo periodo l'affermarsi di un nuovo tipo di nucleo familiare: moglie-marito-figli, residenti tutti insie­ me nella casa del marito 16 • Prima di allora si aveva un modello di tipo matrilocale, secondo il quale anche dopo l'unione matrimoniale la moglie rimaneva nella casa dei propri genitori, dove vivevano e venivano educati i figli, mentre il marito continuava a risiedere con la propria fa­ miglia e si limitava a delle visite più o meno frequenti. Il fatto che la donna si sia quasi improvvisamente trovata a vivere al di fuori del proprio ambiente familiare d'origi­ ne ha di certo rappresentato una limitazione delle sue li­ bertà. Alcuni studiosi sostengono però che il cambia­ mento ha apportato dei benefici alla condizione femmi22

nile, perché ha rappresentato una spinta verso una più diffusa monogamia. Inoltre la moglie, grazie al suo ruolo chiave nel generare gli eredi della casa, ha assunto, alme­ no per le questioni riguardanti i figli, una posizione di ri­ lievo, secondaria soltanto a quella del marito 17 • Una delle scelte che le donne Muromachi potevano effettuare con una certa libertà era quella di abbandonare la loro vita di figlie, mogli e madri per farsi monache buddhiste. L'in­ gresso nella vita religiosa non derivava da un'imposizio­ ne dall'alto, e solo in alcuni casi corrispondeva al trasferi­ mento in convento: spesso la donna si limitava a tagliarsi i capelli e a dedicarsi alle pratiche religiose pur restando in casa, altre volte invece diventava una monaca itineran­ te. Tale scelta rappresentava un'alternativa accettabile al­ la vita da sposata o da vedova, e permetteva di non dover sottostare alle regole e restrizioni imposte dalla famiglia o dalla società 1 8 •

Origini e diffusione Una categoria che ebbe un ruolo molto importante nella nascita degli otogizoshi è senz'altro quella costituita da biwa hoshi, etoki hoshi, goze, Kumano bikuni: uomini e donne che si guadagnavano da vivere come cantastorie. U n biwa hoshi che racconta le sue storie a un piccolo gruppo di passanti sul ciglio della strada non doveva es­ sere uno spettacolo raro in epoca Muromachi. Questi personaggi dichiaravano spesso un legame con la religio­ ne, ma solo raramente si trattava di monaci e ·monache che avevano ricevuto una regolare ordinazione e che po­ tevano vantare un'affiliazione con un tempio. Molti di lo­ ro avevano scelto una vita errabonda e si esibivano per il proprio sostentamento 19 • 23

Le loro rappresentazioni, che coniugavano recitazio­ ne, spiegazioni di immagini e musica, venivano tenute spesso in luoghi pubblici, come negli spazi antistanti ai templi, magari nei giorni di festa. Potevano essere effet­ tuate in un contesto formale, per il divertimento di pochi ospiti di riguardo, oppure di fronte a un pubblico più va­ sto, pellegrini provenienti da luoghi e ceti sociali dispara­ ti, ai quali leggevano, recitavano o cantavano delle storie, a volte accompagnandosi con il biwa, strumento a tre corde. Coloro che utilizzavano delle immagini, le descri­ vevano nei dettagli e ne spiegavano il significato. Per le trame dei racconti, invece, venivano sviluppati materiali che provenivano dalla fusione di fonti storico-letterarie, come i monogatari guerreschi, con la mitologia e il folclo­ re. Coinvolgere emotivamente il pubblico era uno degli scopi degli artisti, visto che la reazione degli ascoltatori determinava l'entità dell'elemosina o del compenso. Per questo motivo non si esitava a far uso di quegli argomen­ ti ai quali gli ascoltatori potevano essere più sensibili. Se i cantastorie erano legati a un tempio o altra istitu­ zione rimanevano nell'area della capitale; più spesso in­ vece si spostavano in altri luoghi e quindi le storie che raccontavano erano ascoltate da un gran numero di per­ sone, di varia estrazione sociale, abitanti in regioni e città diverse. Gli intrattenitori incorporavano nelle loro storie anche elementi che appartenevano alle tradizioni dei luo­ ghi dove si recavano, e ciò portò a una prima diffusione a livello nazionale di prodotti letterari creati con tali mate­ riali. Barbara Ruch vede in questo processo la nascita in Giappone di una letteratura nazionale, che definisce co­ stituita da una combinazione di temi, insegnamenti, at­ teggiamenti di pertinenza esclusiva di un dato paese; una letteratura che, anziché essere il prodotto o la proprietà di un particolare gruppo letterario o di un ceto sociale 24

(come potevano essere i monogatari di epoca Heian), è conosciuta e amata da tutti 20 • Molti otogizoshi nacquero quindi da questo connubio, a opera di anonimi artisti girovaghi che li componevano o sviluppavano basandosi su fonti classiche e sul folclore. Questo però non significa che tutti gli otogizoshi passaro­ no per le loro mani e vennero recitati in pubblico. Alcuni di essi ebbero infatti una diretta origine scritta, pur es­ sendo opere anonime. Chi li ha messi per iscritto non si è curato di firmarli, forse a causa della scarsa importanza attribuita alla prosa nel Giappone antico, considerata, a differenza della poesia, di second'ordine 2 1 • Coloro che misero gli otogizoshi su carta erano probabilmente mo­ naci o nobili decaduti che lavoravano su commissione di privati e di istituzioni. È possibile che a volte fossero gli stessi machishii a far eseguire dei rotoli. Questa ipotesi potrebbe essere valida in particolare nel caso degli shusse monogatari, che trattano del miglioramento economico di personaggi provenienti da ceti tradizionalmente meno agiati. È comunque importante ricordare che l'individuazio­ ne del nome di un autore non avrebbe in ogni caso molto senso, in quanto i testi sono giunti fino a noi dopo varie copiature, con molti errori, spesso con gravi mutilazioni. A volte un copista ha riscritto la storia, a volte ha scam­ biato un testo incompleto per completo, a volte ha salta­ to delle parti, a volte ha unito due o più storie che gli sembravano collegate. Dei testi degli otogizoshi non esi­ steva una forma ufficiale, considerata in qualche modo definitiva. Al contrario, i racconti medievali hanno sem­ pre costituito un materiale del tutto malleabile, che pote­ �a essere lavorato dal copista a proprio piacimento e per t propri scopi. 25

Otogizoshi come genere a se stante? Una comunanza di temi e motivi spesso awicina gli otogizoshi alle fiabe, con una certa corrispondenza di contenuti 22 • In realtà la maggioranza dei temi (ma non dei personaggi) degli otogizoshi è comune non solo alle fiabe, ma anche ai monogatari di corte, ai monogatari guerreschi, alle opere del teatro no, per non parlare della narrativa cinese. Ciò potrebbe far sorgere il dubbio che gli otogizoshi, anziché un gruppo a se stante, siano da considerare sottoinsiemi di altri generi 23 • Questa ipotesi però non tiene conto del fatto che i racconti hanno degli elementi in comune tra di loro, come la lunghezza e uno stile letterario vicino ai monogatari ma arricchito dalla vi­ vacità dei personaggi dei setsuwa, delle leggende, del fol­ clore, delle fiabe. Allo stesso tempo considerare gli otogi­ zoshi una categoria ben definita come quella dei monoga­ tari è altrettanto problematico, perché, come si è visto, sono stati composti in epoche diverse, con diversi scopi, da diversi autori. La stessa parola otogizoshi non è che un'invenzione successiva, un'etichetta di comodo scelta in epoca moderna e sulla quale solo da non molto gli stu­ diosi concordano. Il termine otogizoshi ebbe una diffusione in tutto il gaese nei primi decenni del 1700, qu�ndo a un libraio di Osaka di nome Shibukawa Seiemon venne l'idea di radu­ narne ventitré che stampò su matrice in legno in forma di libretti singoli, dalla copertina blu, con incollata una pic­ cola striscia verticale di carta che riportava, in bella gra­ fia, il titolo del racconto: caratteristiche comuni a tanti altri libri che si producevano in quel periodo. Una scato­ la di legno li conteneva tutti, rendendone .il trasporto pratico e l'aspetto più che dignitoso, anche se in fin dei conti si trattava di stampe e non di copie di amanuensi. 26

Le ventitré storie facenti parte della collezione erano state scelte tra i circa quattrocento racconti che già nel passato circolavano in forma scritta. Non sappiamo con quale criterio Shibukawa effettuò la selezione: forse scel­ se le storie più famose, quelle che conosceva meglio, le più facilmente vendibili per il tipo di cliente che aveva in mente, o semplicemente si accontentò di quelle che ave­ va a portata di mano. E ovvio però che l'esiguo numero Ji ventitré non può rappresentare in modo adeguato l'enorme ricchezza di temi e motivi presenti nel vasto corpus dal quale erano stati tratti. La raccolta di Shi­ bukawa si chiamava Otogibunko, e solo successivamente fu inserita nei cataloghi dei librai col titolo alternativo di Otogizoshi. Otogi proviene dalla forma verbale togi suru e significa "stare con qualcuno", "tener compagnia a qualcuno" (la o iniziale è un onorifico). Compagnia che a quanto pare non si limitava alla presenza passiva, ma comprendeva l'attività di raccontare o leggere storie allo scopo di sfug­ gire alla noia di notti insonni, intrattenere e istruire. Il to­ f!..Z poteva essere effettuato da una persona a beneficio di un'altra, o un gruppo di altre, o da più persone a turno, e comprendere argomenti di vario tipo, storie fantastiche, avventure a sfondo amoroso, o anche confessioni spiri­ tuali. Nel tardo periodo Muromachi si diffuse una figura di intrattenitore professionista, l' otogishu, che aveva la funzione di tenere compagnia, nelle pause delle battaglie e nelle lunghe veglie durante gli assedi, a signorotti, dai­ myo o a personaggi di ancora più alto rango. Questo tipo Ji intrattenimento forse rivestiva anche un ruolo didatti­ co; infatti più tardi, nel periodo Edo, quando le guerre terminarono, l'otogishii, che a questo punto poteva esse­ re un giovanetto, divenne il precettore dei figli dei dai­ myi5. Non sappiamo se i materiali utilizzati dagli otogishii 27

avessero qualcosa in comune con gli otogizoshi. È proba­ bile toccassero argomenti del tutto diversi 24 , ma certa­ mente l'idea che il lettore Edo si faceva sent,�ndo la paro­ la Otogibunko era quella di uno o più compagni che nar­ ravano storie per lunghe ore. Siccome bunko significava (e ancora significa) biblioteca, l'Otogibunko doveva esse­ re una sorta di "biblioteca di compagnia", una serie di li­ bretti che, al pari di un intrattenitore, consolassero, emo­ zionassero, facessero dimenticare la noia. Un significato simile aveva Otogizoshi, dove zoshi (o soshi) significa fa­ sciçolo, libretto e, per estensione, racconto 25 . E impossibile stabilire la portata della tiratura di Oto­ gibunko, ma sappiamo che vendette bene e dovette pre­ sto essere ristampato 26 . Shibukawa pubblicizzò la raccol­ ta come un manuale educativo per le donne, ricco di in­ segnamenti morali e di comportamenti esemplari da imi­ tare 27 . Un indovinato regalo di nozze, dato anche il con­ tenuto e il tono augurale di alcune delle storie. Fu pro­ prio questa destinazione a far sì che numerosi set completi e con tanto di scatola giungessero a noi. I libret­ ti venivano infatti conservati tra i tes9ri di famiglia e tira­ ti fuori e letti solo in rare occasioni, a·d esempio per l'An­ no nuovo. Le copie di Otogibunko, riposte con cura dap­ prima nei depositi e negli archivi familiari, poi in biblio­ teche pubbliche e private 28 , hanno resistito egregiamente agli attacchi del tempo, e dal dopoguerra in poi le mag­ giori case editrici ne hanno pubblicato varie edizioni an­ notate 29 . È però necessario ribadire che gli otogizoshi non rap­ presentano un gruppo omogeneo, prodotto in un certo periodo storico da una cerchia di autori, per un pubblico ben definito; si tratta piuttosto di storie appartenenti a epoche diverse, scritte in varie forme, in vari luoghi e con diverse finalità, destinate a un pubblico ben più vasto di 28

quello femminile auspicato dal libraio a caccia di guada­ gni Shibukawa Seiemon. Anche la trovata pubblicitaria Ji presentare i racconti come testi didattici per spose non deve ingannarci: all'origine, questi non erano certo stati scritti per educare un pubblico femminile.

L'aspetto esteriore I libretti stampati da Shibukawa sono solo una delle forme in cui gli otogizoshi sono giunti fino a noi. Prima Ji essere stampati esistevano infatti sotto forma di emaki e di naraehon. Gli emaki, rotoli illustrati, furono inizialmente impor­ tati da Cina e Corea nel VI secolo 30 ; tra il x e l'x1 furono sviluppati e modificati seguendo le esigenze dei testi giapponesi, e fino alla seconda metà del periodo Edo go­ dettero di grande popolarità. Si tratta di rotoli orizzonta­ li di carta montata su seta, contenenti qualsiasi tipo di opera letteraria o religiosa, dai monogatari alle poesie, al­ le scritture buddhiste agli otogizoshi. I rotoli hanno una larghezza che varia dai venti ai cinquanta centimetri e possono essere lunghi alcuni metri. Contengono quasi sempre delle immagini, che convivono con il testo occu­ pando la parte superiore o inferiore del rotolo oppure al­ tern andosi con la scrittura in sezioni distinte. A volte, in­ vece, i due elementi si fondono e le parole sono presenti anche all'interno delle immagini: possono indicare il no­ me o la qualifica del personaggio disegnato lì accanto, oppure, alla maniera del fumetto, la battuta pronunciata dal personaggio stesso. Un emaki va guardato in movimento, con la mano si­ n is tra che lo srotola e la destra che lo arrotola, in modo che se ne veda solo una sezione di circa sessanta centime29

tri. Così facendo, il testo già letto e le immagini già esa­ minate scompaiono a destra, mentre nuovi sviluppi fan­ no capolino da sinistra. I personaggi voltati verso sinistra (il lato ancora da srotolare) "vanno" , quelli voltati verso destra "tornano" , e gli awenimenti si succedono al ritmo imposto dalle dita del lettore. A questo effetto dinamico si aggiungono i risultati ottenuti tramite l'uso di una serie di tecniche, proprie (ma non esclusive) della pittura giapponese, come il non disegnare il tetto delle costru­ zioni, consentendo di vedere il contenuto delle stanze, o il rappresentare più volte uno o più personaggi impegna­ ti in azioni diverse sullo stesso sfondo. Ne è un esempio la scena della trasformazione della donna in La donna serpente. Nel rotolo, datato XVI secolo, sono raffigurate, con lo stesso sfondo e a distanza di pochi centimetri, al­ cune immagini della donna in corsa, prima completa­ mente vestita, poi mentre perde un sandalo, poi con la testa che va deformandosi, quindi con la parte superiore del corpo già trasformata in quella di un serpente 3 1 • Le immagini rappresentano una parte fondamentale, irrinunciabile, del testo, che viene così spiegato e com­ pletato, e fanno degli emaki degli oggetti di gran pregio, commissionati a un artista o gruppo di artisti da privati o istituzioni, come ad esempio i templi buddhisti. Ne ri­ mangono centinaia e centinaia, di qualità owiamente di­ versa, datati principalmente tra il xn e il XVI secolo, a te­ stimonianza della loro popolarità e diffusione nel Giap­ pone antico. Esistono anche emaki nei quali la storia vie­ ne narrata con sole immagini, ma questi non sono stati qui presi in considerazione. Nel periodo Muromachi le illustrazioni degli emaki cominciarono ad assumere uno stile di maniera, finché, verso la fine del XVI secolo, emerse una nuova tradizione di manoscritti illustrati, che ora porta il nome di na30

raehon. Il termine naraehon (testi illustrati di Nara) è · molto impreciso e ingannevole, dato che non esistono prove che essi fossero collegati con la città di Nara 32 • Si t rattava inizialmente di rotoli dipinti - per i quali veniva utilizzata un'ottima carta spesso decorata con raffinati motivi floreali - ricchi di illustrazioni multicolori dove si faceva largo uso di foglia d'oro e d'argento. Molti otogi­ zoshi vennero redatti in questa forma, così come opere quali il Taiheiki, il Genji monogatari e l'Ise monogatari. In epoca Edo si passò a produrre naraehon non più sotto forma di rotolo, ma di album verticale oppure oblun­ go n . Nonostante le illustrazioni avessero perso l'origina­ lità che possedevano in precedenza, la loro alta qualità, i colori e l'elegante grafia utilizzata fecero sì che la produ­ zione di naraehon continuasse a pieno ritmo anche dopo la diffusione della stampa nel periodo Edo 34 • La stampa su matrice era conosciuta in Giappone fin Jall'vm secolo, ma dovette passare molto tempo perchi Jivenisse il principale mezzo di produzione di libri: fino all'epoca Edo venne utilizzata in casi particolari e per la pubblicazione di testi religiosi. Fu solo a partire dal XVII secolo, quindi, che si cominciò a stampare con intento commerciale, includendo opere letterarie che fino ad al­ lora erano esistite solo in forma manoscritta. Non abbiamo informazioni precise sulle attività di co­ loro che, al pari di Shibukawa, si occupavano di produr­ re e vendere i libri 35 , ma certamente si trattava di mer­ canti che effettuavano delle vere e proprie operazioni commerciali non prive di rischi, uno dei quali era rap­ pr�sentato dalla censura del governo Edo. E considerando tutti questi elementi che possiamo guardare all'apparizione della raccolta Otogibunko del li­ b raio Shibukawa Seiemon come un risultato del proces­ so di commercializzazione della letteratura: insieme ad 31

altre opere letterarie, gli otogizoshi diventano oggetto di maggiore consumo da parte di un largo gruppo di fruito­ ri. Inoltre, la loro pubblicazione sotto forma di libretto stampato portò a un cambiamento rilevante del rapporto del lettore con le immagini. Queste, che avevano una po­ sizione di enorme importanza negli emaki e nei na­ raehon, vennero rimpicciolite, semplificate nei tratti e so­ prattutto rese monocromatiche. Gli otogizoshi quindi; fi­ no ad allora considerati oggetti di valore soprattutto per le loro illustrazioni artistiche, iniziarono a essere giudica­ ti in modo diverso: dalla pubblicazione di Otogibunko in poi l'attenzione del fruitore si sarebbe concentrata prin­ cipalmente sul contenuto del testo scritto, ovvero sulle storie, delle quali le dieci qui presentate non sono che un timido assaggio. Gli studi Fu la pubblicazione del testo di Ichiko Teiji Chusei shosetsu no kenkyu, avvenuta nel 1955, a destare l'inte­ resse degli studiosi per gli otogizoshi 36 • Il libro di lchiko conteneva, oltre a una vasta quantità di informazioni e ipotesi, una forte critica ai pregiudizi e alle imprecisioni divulgati sugli otogizoshi. Rifiutando il termine stesso otogizoshi, proponeva di definire i racconti con quello al­ ternativo di chusei shosetsu (racconti medievali). In se­ guito a tali osservazioni, molti si resero conto che fino ad allora era stato commesso l'errore di giudicare gli otogi­ ziishi servendosi dei criteri usati per i monogatari Heian o addirittura per la narrativa moderna. Ci si aspettava dagli otwgizoshi trame coerenti e ben congegnate, perso­ naggi d1 spessore psicologico, verosimiglianza dei fatti raccontati. Concentrandosi sulla ricerca di queste carat32

teristiche, gli studiosi finivano col considerare gli otogizo1hi una mera popolarizzazione dei monogatari Heian, perdendo di vista le loro qualità innovative. Uno dei problemi sentiti come impellenti fino ai primi anni ottanta era quello della classificazione dei racconti, e lo stesso Ichiko ne propose una divisione in sei gruppi, a seconda del ceto sociale dei protagonisti 37 • La questio­ ne è stata in seguito accantonata, un po' perché gli otogi­ :::,r7shi non si prestano a essere facilmente etichettati, un po' perché ci si è resi conto che queste classificazioni, benché utili quando si vogliono descrivere i racconti, re­ stano piuttosto imprecise e non aggiungono molto alla conoscenza dell'argomento. Dopo l'impulso dato allo studio degli otogizoshi dalla raccolta in tredici volumi Muromachi jidai monogatari taisei del 1973 -87 38 , un altro stimolo allo sviluppo del campo è venuto da un convegno internazionale sui na­ raehon svoltosi nel 1979, che ha attratto l'attenzione di molti studiosi sul problema otogizoshi sia dal punto di vi­ sta storico-artistico che sociale 39 • Anche riviste letterarie Ji grande importanza hanno dedicato agli otogizoshi in­ teri numeri 40 , e studiosi come Tokuda Kazuo o Kuroda Hideo continuano a occuparsene attivamente 4 1 • Di To­ kuda Kazuo è uno dei manuali più importanti: Otogizo­ shi kenkyu, pubblicato nel 1988. Oltre a una trattazione sulla formazione degli otogizoshi e dei loro rapporti con i setsuwa e col mondo degli intrattenitori girovaghi, que­ st'opera è una vera e propria miniera di informazioni bi­ bliografiche su tutti i racconti conosciuti, indicando in quali raccolte è pubblicato il testo originale e quali sono le principali fonti secondarie 42 • Dagli inizi degli anni novanta la società medievale giapponese è oggetto di interesse non solo da parte degli addetti ai lavori, ma anche di un pubblico più vasto. I 33

bestseller di Amino Yoshihiko 43 , ad esempio, hanno por­ tato alla ribalta il medioevo come momento di sviluppo culturale fondante della politica dei periodi storici suc­ cessivi e della società giapponese attuale. Inoltre, la po­ polarità dei gender studies, anche in campo storico ha fatto sì che gli otogizoshi siano utilizzati come fonti di idee e informazioni sulla situazione femminile nelle epo­ che Kamakura e Muromachi 44 . Tra gli studiosi che maggiormente hanno contribuito alla scoperta degli otogizoshi in occidente è Barbara Ruch, che con le sue pubblicazioni in inglese e giappone­ se ha fatto molto per stimolare l'attenzione nei confronti di questo segmento di storia della letteratura. Nei suoi scritti ha in particolar modo sottolineato la funzione de­ gli artisti girovaghi nella formazione degli otogizoshi. Al­ tri, come James Araki, Edward Putzar e Jacqueline Pi­ geot 4 5 hanno dato il loro notevole contributo. Negli anni ottanta, due raccolte di otogizoshi hanno visto la luce ne­ gli Stati Uniti, a opera di Margaret Childs e Virginia Skord 46 , autrici anche di articoli volti, nel caso di Childs, ad analizzare l'importanza della componente religiosa ed educativa, nel caso di Skord, a sottolineare la presenza delle classi meno agiate, della loro vita quotidiana e delle loro emozioni. Per quanto riguarda l'Italia, dopo una traduzione di Maria Teresa Orsi, risalente agli anni _settanta 4 7 , il com­ pito di aprire la strada degli studi sugli otogizoshi è spet­ tato a Yoko Kubota (1947-91) 48 , che con la traduzione di tre racconti e con interessanti introduzioni e commen­ ti, oltre a illustrarne le caratteristiche tecniche, ha saputo trasmetterne il fascino, le peculiarità di personaggi, di luoghi e di situazioni. La presente raccolta di otogizoshi, la prima in italiano, che ospita due dei racconti da lei tradotti, Taro il /annui34

Ione e Viaggio dell'Onzoshi alle isole, intende continuare nella direzione indicata da questa studiosa troppo presto scomparsa. Intende, in altre parole, riprendere quel di­ scorso che Yoko Kubota ha iniziato e che sarebbe davve­ ro un peccato lasciare interrotto. ROBERTA STRIPPOLI

1 Per medioevo si intendono i secoli che vanno dall'inizio del periodo Ka­ makura alla fine del periodo Azuchi-Momoyama, quindi approssimativamente Jal 1200 alla fine del 1500. Il termine deriva dalla storiografia occidentale e nonostante il rischio di semplificazioni e malintesi è comunemente usato da rutti gli studiosi di storia del Giappone. John W. Hall, Terms and Concepts in _lapanese Medieval History: An Inquiry into the Problems o/ Translation, in «Journal ofJapanese Studies», 9, 1 , 1983, pp. 1-32. 2 Trad. M.T. Orsi in «Il Giappone», Xl, 197 1 , p. 1 10. 3 La collezione di setsuwa più ricca e importante, che comprende migliaia Ji racconti, è il Konjaku monogatarishii (Raccolta di racconti del tempo che fu), di tardo periodo Heian, in «Nihon koten bungaku zenshii», voli. 2 1 -24, Tokyo, Shogakukan, 197 1 -76. Selezioni in Histoires qui wnt maintenant du passé (a cura di Bernard Frank, Paris, Gallimard, 1 968) e in Tales o/ Times Now Past (a cura di Marian U ry, Berkeley, University of California Press, 1979). In italiano esiste una selezione di testi tratti da varie raccolte di setsuwa a cura di Irene larocci, Memorie della luna. Storie e leggende dell'antico Giap­ pone (Parma, Guanda, 1 991) e un'altra a cura di Royall Tyler, Demoni e mo1tri del Giappone (Milano, Arcana, 1988). 4 Un esempio interessante è la raccolta di fumetti a cura di Yamada Mura­ saki, Otogizoshi (Tokyo, Chiiokòronsha, 1997), che segue pedissequamente la r rama originale e spesso utilizza i testi dei racconti, tradotti in giapponese mo­ derno. Per i cartoni animati si può citare la serie Shutendoji, ispirata ali' otogi­ zoshi omonimo, qui tradotto come Shutendoji il demone beone. Il cartone ani­ mato, ambientato in epoca contemporanea, racconta di un liceale che, a fin di bene, si trasforma in demone (Shuten °'(ii I - Il capitolo di Hyoki, Manga Vi­ deo). 5 Sull'argomento si veda Gary L. Ebersole, Ritual Poetry and the Politics o/ Death in Early Japan (Princeton, Princeton University Press, 1989), e dello stesso autore The Buddhist Ritual: Use o/ Linked Poetry in Medieval Japan, in «The Eastern Buddhist►► (New Series), 16, 2, Autumn I 983, pp. 50-7 1 . 6 Yang guifei (giapponese Yokihi) era l a concubina dell'imperatore Xuan Zong della dinastia Tang. Madama Li (o Li furen, giapponese Rifujin) era in­ vece la concubina dell'imperatore Wu della dinastia Han. Entrambe erano fa-

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mose per la loro eccezionale bellezza. Su Yang guifei si veda di Masako Naka­ gawa Graham, The Yang Kuei-Fei Legend in Japanese Literature, Lewinston (NY), Edwin Meller Press, 1998. 7 Il teatro degli avvenimenti non è più limitato alla corte e a pochi luoghi fa­ mosi. Gli otogi1.oshi espandono i confini geografici della narrativa portandoli a includere aree rimaste inesplorate dalla letteratura precedente: le zone fuori mano come le regioni dell'est, ad esempio, considerate lontane e poco civiliz­ zate, l'estero (Cina, India), nonché il ryiigii, il palazzo del re drago sotto il ma­ re e altri luoghi fantastici. 8 Kowata kitsune (La volpe di Kowata), qui non tradotto, fa parte della rac­ colta di Shibukawa Seiemon. Cfr. Oshima Tatehiko, Otogixoshishii, in «Nihon koten bungaku zenshii», voi. 36, Tokyo, Shogakukan, 1974, pp. 184-198. 9 Sulle città in epoca Muromachi si veda ad esempio l'articolo di Wakita Haruko e Susan Hanley, Dimensions o/ Development: Cities in Fi/teenth - and Sixteenth - Century Japan, in Hall, Nagahara, Yamamura (a cura di), Japan Be­

/ore Tokugawa. Politica! Consolidation and Economie Growth 1500 to 1650,

Princeton, Princeton University Press, 198 1 , pp. 295-326. Un altro testo sulla storia, società, cultura ed economia Muromachi è Hall & Toyoda (a cura di), Japan in the Muromachi Age, Berkeley, Los Angeles, London, University of California Press, 1977. Il libro di Amino Yoshihiko, Nihon chiisei toshi no sekai (La città nel Giappone medievale, Tokyo, Chikuma shobo, 1 996), offre interessanti osservazioni sullo sviluppo delle città medievali. 10 Cfr. Barbara Ruch, Medieval Jongleurs and the Making o/a National Lite­ rature, in Hall & Toyoda (a cura di),Japan in the MuromachiAge, cit., p. 303. 11 In sanscrito Amitabha. E uno dei bu