La legge Aquilia ossia il Damnum iniuria datum: studi sul lib. IX, tit. II del Digesto

143 42 20MB

Italian Pages 271 [281] Year 1970

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

La legge Aquilia ossia il Damnum iniuria datum: studi sul lib. IX, tit. II del Digesto

Citation preview

STUDIA

JTJRIDICA XXVII

NUNΖΙΟ NATALI

LA

LEGGE AQUILIA OSSIA

IL DAMNUM INIURIA DATUM

EDIZIONE ANASΤΑΤΙCA

"L'ERMA" di BRETSCHNEIDER - ROMA 1970

ESTRATTO dalla Rivista Universale di Giurisprudenza e Dottrina anno X - Parte N

RISTAMPA ANΑSΤΑTΙCA DELL'EDIZIONE ROMA,

1896

Soc. Multigrafica Editrice - V.le dei Quattro Venti, 52/a - Roma

STUDIA JURIDICA COSTA, E. - Papiniano - 1964

Ristampa anastatica dell'edizione Bologna 1894-99

COSTA, E. - La condizione patrimoniale del coniuge superstite nel diritto romano - 1964 Ristampa anastatica dell'edizione Bologna, 1889 ARANGIO RUIZ & OLIVIERI - Inscriptions graecae Siciliae et Inflmae It αliαe ad jus pertinentes - 1965 Ristampa anastatica dell'edizione Milano, 1925 BINDER, J. - Die Plebs - 1965

Ristampa anastatica dell'edizione Leipzig, 1909

HALKIN, L. - Les esclaves publics chez les Romains 1965 Ristampa anastatica dell'edizione Bruxelles, 1897 DARESTE - HAUSSOULLIER - REINACH - Recueil des insc ri ptions juridiques grecques - 1965 Ristampa anastatica dell'edizione Paris, 1892-1904 COSTA, E. - La locazione di cose nel diritto romano - 1966 Ristampa anastatica dell'edizione Torino, 1915 STELLA-MARANCA, F. - Seneca giureconsulto - 1966 Ristampa anastatica dell'edizione Lanciano, 1926 CECI, L. - Le etimologie dei giureconsulti romani - 1966 Ristampa anastatica dell'edizione Torino, 1892 STELLA-MARANCA, F. - Il Tribunale della Plebe - 1967 Ristampa anastatica dell'edizione Lanciano, 1901 CARCATERRA, A. - Possessio - Ricerche di storia e di dommatica - 1967 Ristampa anastatica dell'edizione Roma, 1938 DE MALAFOSSE - L'interdit momentariae possessions - 1967 Ristampa anastatica dell'edizione Toulouse, 1947 BERTOLINI, G. - Il giuramento nel diritto privato romano - 1967 Ristampa anastatica dell'edizione Torino, 1886 CICCOTTI, E. - La costituzione cosiddetta di Licurgo - 1967 Ristampa anastatica dell'edizione Napoli, 1886 CEZARD, L. - Histoire juridique des persécutions contre les Chrétiens - 1967 Ristampa anastatica dell'edizione Paris, 1911 APPLETON, H. - Interpolations dans les pandectes et des méthodes propres a les découvrir - 1967 Ristampa anastatica dell'edizione Paris, 1895 XVΙΙ. DUPONT, U. - Les constitutions de Constantin et le droit privé au début du IV siècle. Les Personnes - 1968 Ristampa anastatica dell'edizione Lille, 1937

BRUGI, B. - Le dottrine giuridiche degli agrimensori rimani comparate a quelle del Digesto - 1968. Ristampa anastatica dell'edizione Verona-Padova, 1897. CARUSI, E. - L'azione pubbliciana in diritto romano - 1967.

Ristampa anastatica dell'edizione Verona-Padova, 1897.

HUVELIN, P. - Etudes sur le Furtum dans le très ancien droit romain - 1968. Ristampa anastatica dell'edizione Lyon-Paris, 1915. XXΙ.

COSTA, E. - Il diritto privato rom ano nelle commedie di Plauto - 1968. Ristampa anastatica dell'edizione Torino, 1890.

XXIΙ.

COSTA, E. - Il diritto privato nelle commedie di Terenzio 1970. Ristampa anastatica dell'edizione Bologna, 1893

XXΙΙΙ.

COSTA, E. - L'exceptio doli - 1970.

Ristampa anastatica dell'edizione Bologna, 1897. GUARNERI CITATI, Α. - Studi sulle obbligazioni indivisibili in diritto romano I. - 1970. Ristampa anastatica dell'edizione Palermo, 1921. GOEPPERT - liber einheitliche, zusam nengesetzte und Gesammtsachen nach Roemischen Recht. - 1970. Ristampa anastatica dell'edizione Halle, 1871. DEVILLA, G. M. - Il carattere della famiglia ed il regime patrimoniale dei coniugi - 1970. Ristampa anastatica dell'edizione, 1885. NATALI, N. - La legge Aquília 1970.

Ristampa anastatica dell'edizione Roma, 1896. COSTA, E. - Cicerone giureconsulto I-II 1964.

Ristampa anastatica dell'edizione Bologna, 1927. XXΙΧ.

BAVIERA, G. - Le due scuole dei giureconsulti romani 1898.

XXX.

BIONDI, B. - Studi sulle actiones arbitraires e l'arbitrium Judicis - 1912.

XXΧΙ.

BIONDI, B. - II giuramento decisorio nel processo civile romano - 1913.

XXXΙΙ.

BOLLICI, T. - La giurisprudenza e la vita di Plinio e il giovane - 1873.

XXXΙΙΙ.

BUGNAMICI, F. - La storia della procedura civile romana - 1886. CANTALUPI, P. - La magistratura di Silla durante la guerra civile romana - 1899. CARAVELLA, R. - Le limitazioni del dominio per ragioni di vicinanza ín diritto romano - 1904.

XXXVΙ.

CARLE, G. - De exceptionibus in jure romano - 1873.

XXXVII.

CICOGNA, G. - Consilium príncipis. Consistorium. Ricerche di diritto romano pubblico e privato - 1902.

CICCOLINI, S. - Degli agrimensori presso i romani antichi - 1854. COCCHIA, E. - Il Tribunato della Plebe e la sua autorità giudiziaria - 1917. COSTA, G. - I Fasti consolari romani I-II - 1910. XLΙ.

D'ANCONA, R. - Il concetto della dote in diritto romano - 1889.

XLΙΙ.

DE RUGGIERO, E. - L'arbitrato pubblico in relazione con il privato presso i Romani. Studio di epigrafia giuridica - 1894.

XLΙΙΙ.

DE RUGGIERO, E. - Il divieto di alienazione del pegno nel diritto greco e romano. Contributo papirologico - 1910. DEL PRETE, P. - La responsabilità dello schiavo nel diritto penale romano - 1937. DREYFUS, R. - Essai sur le lois agraires sous la republique romaine - 1898. GOHNSELDT, R. - Die Lehre vom Interesse nach roemischen Recht - 1865. HUVELIN, P. - La notion de l'Iníuria dans le trés ancien droit romain - 1903. JUGLAR, L. - Droit romain. Du role des esclaves et des affranchis dans le commerce - 1894. LE MONNIER, H. - Etude historique sur la condition privée des affranchis aux trois premiérs siecles de l'Empire romain - 1887. MARCHI, A. - Storia e concetto dell'obbligazione romana - 1912. MILONE, F. - La exceptio doli generalis. Studio di diritto romano - 1882. MILONE, F. - Le uníversitates rerum. Studio di diritto romano - 1894.

LIΙI.

NASALLI ROCCA, A. - Il mandato. Studio di diritto romano - 1902. POGGI, A. - Il contratto di società in diritto romano classico - 1930. ROTONDI, G. - Gli atti in frode alla legge nella dottrina romana e nella sua evoluzione posteriore - 1911. SCUTO, C. - La teoria del prolegato nel diritto romano, con riguardo alle principali legislazioni moderne e al diritto civile italiano - 1909. SERTORIO, L. - L'« Jus postliminii » ed i suoi effetti - 1915. SERTORIO, L. - La prigionia di guerra e il diritto di postliminio - 1916. SOLIMENA, C. - Plinio il Giovane ed il diritto pubblico di Roma - 1905.

TANFANI, L. - Contributo alla storia del municipio romano - 1906. VITTON, P. - I concetti giuridici nelle opere di Tertulliano 1924. LXΙΙ.

VRIND, G. - De Cassü Dionís vocabulis quae ad jus publicum pertinent - 1923.

/ncini mlens eri', omissis initüs atgue origine non repetita, algue illotis manibus (ut íta dixerími ,naterlam inferpretaimnis trattare t Fr. 1, ΙΙ, 1 be orig. iuris.

A III PADRE CHE CONSACRANDO LA VITA ALLA MAGISTRATURA ED AL CULTO DEL DIRITTO ISPIRAVAMI COL SUO ESEMPIO E CO Ι SIIOI AMMAΕSTRAMΕ ςΤΙ L'AMORE ALLO STUDIO DELLE DISCIPLINE C+IURIDICHE

INDIC ξ INTRODUZIONL TORICA. Il principio del ris ι rcimento del danno nella legge delle XII tavole e nella Legge Aquilia. . Pu=.

1

CAPITOLO I. C ΟΝ C ΕΤT Ο GENERALE DELLA LEGGE AQUILIA.

Cap. 1 della Legge Cap. II della Legge Cap. III della Legge CAPITOLI) 11. N O ZIOΝE DEL DAMNTTM E SUDI

Pag. 90 24 2î

REQUISITI

OSSIA DEL DAMNUM INIURIA DATUM CORPORE CORP Ο RI REBUS ALIEN'S.

Damnum

Requisiti del damnuummm CAPITOLO 111. LE ΑΖ ~ ΟΝΙ DELLA LI.GGE AQL'ILIA. La procedura dell'actio Aijuiiiae L'actin Aquili"e directa L'astio .4quiliae utilis L'actio Aquiliae in factu»,

Pag.

36 36

Pag.

62 64

70



CAPITOLO li. A

QUALI PERSONE COMPETEVANO LE AZIONI DELLA LEGGE AQUILIA.

Nozioni generali Pag. R5 Della distruzione e del danneggiamento delle cose legate n lasciate in fideccmmess π 41 Dell'uccisione e del ferimento di un uomo libero. 105 Della distruzione e cancellazione dei testamenti . 109

§ 5. La Legge Aquilin rispetto a coloro che, senza essere proprietari della cosa danneggiata avevano su di Pag. 111 essa un us_iυ r'r ai danni arrecati alle 6. La Legge Aquilia rispetto F, cose su cui esisteva un rapporto obbligatorio . 120 § 7. Le azioni della Legge Aqu i l i n in ordine agli eredi ed aventi causa dei danneggiato ed i l fr. 36 art. 125 CAPITOLO V. COMPETANO LE AZIONI ~ 1. Responsabilità per fatto proprio § 2. Responsabilità per fatto altrui Responsabilità solidale Cu~va i QUALI PERSONE

DELLA

LEGGE AQUILIA. Pag. 131 134 149

CAPITOLO VI. . ΑεsχτaσArιc. DAG! LEG'S AQUILTAR. Nozioni generali. La repetitio temporis. . . Pag. 158 Misura del risarcimento del danno . . . . 168 3. La cοnfegs ~n agli effetti della Legge Aquilia. . . 194 § 4. La repetitlo indebiti riguardo alla Legge Aquilia . 199 5. Della inf'ciatio 206 CAPITOLO ΝΙΤ. Pag. 209

DELLA PROVA NELLA LEGGE AQUILIA

CAPITOLO VIII. Coicoaso DELL'ACTIO AQUILIAE COLLE ALTRE AZIONI. ~ 1. Nozioni generali Pag. 221 § 2. Concorso dell'actiιu Agttiliae colle azioni penali pubbliche 223 3. Concorso deli'actio Aquiliae colle azioni private 225 CAPITOLO DELLE DIVERSE CAUSE PER LE

IX.

QUALI CESSA L'∆ CTΙO AQUILIAE Pag. 245

La legge Aquilia ossia il "damnum infuria datum. » Studio sul libro IX. tit. II, del Digesto.

INTRODIIZIONE STORIC λ. II prírcipio del risarcimento del danno nella legge delle XII Tavole e nella legge Aquilia.

1. Necessità di leggi tutel α ri dell' ο zοre. della proprietà` e dell'integrità personale altrui. Legislαzi ο ιe anteriore alla legge delle XII Tavole. La legislazione decemvirale e il principio del risarcimentu del danno. — 2. Scrittori clic negano l'esistenza della fοι`ιnulα rupitias (o ruperit) sarcita nella legge delle XII Tavole. — 3. Questione circa il nodo con cui fosse realmente concepito il passo di Festo rupitias (o ruperit) in YCI significat damnum dederit. Varie opinioni: A) Sell. — 4. B) Castellari. — 5. C) Voigt -D) Godefroy — E) altri scrittori. — 6. Nostra opinione.-

7. Scrittori che negano la esistenza del principio generale del risαreiιnentο del danno nella legge Aquilia — 8. La legge Aquilia precisò il concetto del damnum datum. — 9. La legge Aquilia f4' un plebiscito. — 10. Questione circa l'autore di essa e l'epoca in. cui fu fatta. — 11. Di quanti capitoli si componesse la legge Aquilia — Testo di detta 1

-2— legge. — 12 Varianti introdotte dai Commentatori al testo della legge — Conclusione su tali carianti. L La tradizione del princi ρiο neminen laede assorge a ll a creazione dell'uomo, rispecchiandosi sul diritto di natura. che reclama il rispetto alla proprietY, all'onore, all' integrità personale altrui. I fenomeni biologici nell' improntare ai popoli la forma sociale e nel segnarne il loro progressivo incivilimento, fi n dai tempi primitivi fecero sentire il bisogno, come del resto si riscontra nella filosofia di tutte le leggi, di regolare l'applicazione di quel principio e di assicurarne lo svolgimento nei rapporti col diritto privato; a questo fine, anche prima della legislazione delle XII Tavole, varie leggi provvidero per la tutela del danno arrecato ingiustamente (1); la legge delle XII Tavole affermó poi la regola generale del risarcimento del danno (2). Ci~~risulta: 1° Dal fr. 1, § 1, 9, 2, ad legem Aquiliam. — Lex Aquilia omnibus legibus, quae ante se de danno iniuria loeuutae sunt, derogavit, SIΙE D~ODECnI TABUL1s sire adio q-aae fuit, quas leggs nunc referre non est necesse. 2° Da vari passi di Plinio (3) e di Servio (4), riguardanti i n gran parte l'agricoltura. 3° Infine da lle due parole rupitias (ò ruperit ).. sarcito, che secondo Festo sarebbero esistite in un frammento mutilato delle XII Tavole (5). Infatti'

11einnecii, Antig. romanae, lib. 1V, tit. III, § 2, fr. 1, §1,9,2. Seraaní, last. di D. R., § 154, pag. 143; 3Ιafnz, Cours de droit ro,nain, vol. 11, § 271, pag. 463. H. Ν. XVII, 1; XVIII, 2. X.FXIII; 2. Ad Virgil. Eglog., VΙΠ, 99. _ Tay. VIII; secondo íl Qodefrov, Tay. VΙΙ (V. Comm. ad 1. XIΙ Tab.).

Festo - (in voce rupitias p. m. 415) dice: Rupitias (o rτΡ ρeritl in (X11 duodecint significat da.mnurn dederit (1). In un altri luogo lo stesso autore (in voce sarcito p. m. 423) dice : Sar-

cito in XII Serm'ius Sulykius ait sig ific αre damnum subito, 1)raesta tο (2). 2. Alcuni scrittori negano l'esistenza della formula ruρitias (ο ruρerit) sarcito nella legge delle XII Tavole; cosi il ilommsen, il Bekker, il Karlowa, il Bruns, il Pernice e lo Schall sostengono che nel passo di Festo — r ρitiαs (ο ruperit in XII significat damnum dederit invece della parola ruρitias si debba leggere ruupit, riferendo quest'ultima al fr. 2 Tab.VIlI : s i membrum rugit, ni cum eo pacit, talio esto, e ciò per legittimare la esistenza della preposizione in che il Keil (3 . aveva trovato mancante nel manoscritto di Festo. Secondo detti scrittori il passo si dovrebbe quindi ricostruire in questo modo: rupit in XII significat damnum ιlederit. Ι a ci sembra inutile ricorrere ad un cambiamento d i. parola per legittimare la presenza della preposizione in trovata mancante nel manoscritto di Festo. quando si sa che spessissimo è usato dai Romani l'ab)ativo XII Tobulís senza la preposizione in. Inoltre non si potrebbe leggere rugit riferendolo al fr. 2, Tab. im. perché (4) si giungerebbe in tal guisa all'assurda conseguenza di dovere ritenere che un danno qualunque, ι,anche di lieve enScaligero e Gotofredo, (Sca Υger zot. in Festum, Goto fredo fragm. 12,.tab. 7) credono che la parola rupitas sia una alterazione della parola rui~pere. Feste s. v. R υυρitias, es. v. S"rcito, Bruns Fontis ~urιs romanis antiqui Ediz. Tubingen, 181, Tar. VIII. 5. 3? Rhein, Museum f. Phil., vol. VI, gag. 62 3. 4) Gaio, III, ξ 223. (

-4— tit~, fosse punito colla pena del taglione (tulio estο . mentre per la frattura 'ii un osso sarebbe stata comminata una semplice ammenda, come risulta dal fr. 3 della stessa Tav. VIII: propter os friictum, aut cοllisum treeentornm as-

sinm piena erat .statuta. si libero os fract'm erat, et si servo CL (1). Inoltre dallo esame del citati frammenti 2

:

e 3 della Tavola .1111 si desume chiaramente che il legislatore volle in essi contemplare due specie di danneggiamenti particolari, il membrurn rzuptum e l'os fractum cut collisum, e perci ~~la parola rupit del fr. 2 non p υ~~avere il significato generale di damnυm dare, che ha anche nella legge Aquilia: quod uusserit, fregerit, ruperit iniuria: rapere rerbum omnes veteres sic intellexer τιιτ t: corraaperit (2). 3. Nella dottrina si fa anche questione sul modo con cui fosse concepito ii passo di Festo, riguardante la spiezione dαm π unτ dederit e sull'altro con cui il principio generale del risarci τ~entο del danno fosse nella legge delle QAI Tavole formulato. Cosi : A) Il Sell propende per ritenere che nelle XII Tavole esistesse una disposizione concepita nel modo seguente: si quis rupitias dederit sarcito — e che Festo nel suo passo intendesse d'illustrare le parole rupitias dederit, ponendo fra parentesi l' inciso in XII siynificat damnun — tra le parole si quis rupitias e la paroi 11 dederit, per evitare la ripetizione del verbo dederit: dimοché secondo il Sell il passo di Festo sarebbe il seCfr. Sell, Die acti° de rapitiis sareiendis der ΧΠ tafeln

uncle ikre Αufrebúng. di'rk die Les Agonia, Bonn 1877 ; Castellari. Arch. giur., XXII, pag. 305 e seg. Cfr. 27, § 13, 17, 18 e 20 bit. fr . 27; De Furtis, SI.1II, 2; Castellani, pag. 326. La spiegazione quindi damnuni dederit data da Festo non pub riferirsi al rupit del fr. 2, tar. Yill.

—5— guente: si quis r ι rρ it', αs i_in XII síg ιιifι cat darnn υrn dederit. 11 Sella conforto della sua opinione adduce vari esempi di evitata ripetizione di una medesima parola i:_1) e d i frasi piste tra parentesi in modo analogo a quella del passo di Festo ι2. 4. Βl Il Castellari (3) assai giustamente osserva essere aft`att ο gratuita l'asserzione che si debba leggere l'inciso in XII signifieα t dα m ιaum fra parentesi: 10 Perchè í passi citati come esempi di evitata ripetizione di una parola a nulla giovano, proponendosi Festo con essi d'illustrare gli aggettivi irurninalis, regia, rituales, stata, e supervaeanea, e gli altri esempi hanno valore soltanto se si leggano nel modo da lui proposto. 2 0 Perché è veramente strano che un glossatore, per evitare la ripetizione di una parola, desse luogo ad una ambiguit~, mentre invece avrebbe potuto usare una parola diversa, avente lo stesso significato della

Sell, pag. 6, nota 3, ορ. cit. iiuminalis dicta est ficus, quid sub ea arbore lupa mammam dederat Remo et Romulo; Regia dicitur aedis, in quam sacerdotes conveniunt; Rituales nominantur Etruscorum libri, in quibus praescriptum est, quo ritti condantur urbes; Superraccinea dicebatur ab αυ gιιribus avis, quae ex summo cacumine vncem emisisset; Stata dicebantur sacrificia, quae certis diebi ιs fiebant. Sell, ορ. cit., 1, § 1, pag. 3. Festo sub verb. rogat. 1: π gat — est consulit populnm: Mesychius (Rhein. Nus. f. Phil.. νο ]. XV, pag. 63 5 äu.ß α — Ν:~x. H αυ v. αδ Ga ': φ, r, Τ ~ , ; Festo sub. ν. Praemiosarn: Praernicisam — pro pecuniosa Cati in oratione, quam scripsic — impudentiam praemiosarn subi. Polubrumi Polubrum —pelluvium vas, quid nos peli im vocamus — attribueruiit tenunribus ac si libeiis propriis. 31 Castellari, Delle legge. Aqeilm µ. 5, 6 e 7, n. 3 e 6. —

,

-

6



prima, come fece appunto Servio Sulpicio, il quale, all'espressione damam m sunto, aggiunse la parola ρraestato. 3" Perché i glossatori generalmente imprendono ad illustrare parole e non frasi, e perch~, d'altra parte, Γ'esame del verbo dederit nulla avrebbe giovato per la illustrazinne de ll a parola rupitias. Il Castellari ρercíó ritiene che la formula rupitiassarcito esistesse realmente ad indicare il principio del risarcimento del danno, ma non crede necessario di dover ricercare il modi con cui detta formula debba essere ricostruita. 5. C) Il Voigt (1), nel ricostruire il fr. che assegna alla Tav. VII, classificandolo il 13 1 , legge: si ri'pitias fasit vel alienum servum, quadrupedemve pecudem occeslit, n--

xiam sarcito. Questa lezioue, adottata anche dal Cogliolo (2), non si può accettare, ρerchè l'aggiunta delle parole nel alienuurn servum, ecc., proprie della legge Aquilia, come a suo tempo vedremo, è affatto arbitraria, non trovando alcuna g l ustificazione. D) Godefroy (3) crede che il frammento in questione fosse tosi concepito: si injuria rupitias, ast si casu sarcito. Secondo l'opinione del detto scrittore s i pretenderebbe, se non erriamo, di non fare alcuna distinzione con le citate parole fra il danno arrecato ingiustamente ed il danno arrecato per caso fortuito, e ció in contradizione coi principi universalmente accolti da ll a coscienza giuridica dei popoli, che in ogni tempo ha posto il caso for-

Voigt, Die XII pafeln, Leipzig. Cogliolo, Manuale de lle fonti di diritto romano, Ι, p. 6, Τ . V ΙΙ, 1 3. Godefroy, Co ιum: ad 1. A quiZ.

—(— tuito e la forzi maggiore al di fuori della cerchia di ogni civile responsabilitY (1). Ej Altri ritengono che si debba leggere qui rupitiaf sarcitο ι 2 fondandosi specialmente su di un passo di Paolo in r. rupitiat; significat damnum dederit; altri. infine, leggono rupsit (3). Ma neppure queste ultime opinioni ci sembrano da accogliersi; non la prima, perché la parola rupitiat non si saprebbe da quale verbo dovesse derivare, e qualora si volesse ammettere un verbo rupitiare, la spiegazione dederit non corrisponderebbe mai al rupitiat, perché essa presuppone un tempo passato e non un tempo presente di detto verbo. Per la medesima ragione neppure la seconda delle due accennate opinioni si p υ ~~accettare, perché se Festo avesse voluto realmente illustrare la parola rupsit avrebbe dovuto usare il verbo dedit e non dederit. 6. Di fronte alle accennate opinioni noi crediamo innanzi tutto che non debba leggersi rupitias, perché la spiegazione di Festo de lle parole damnum dederit non pù~~ riferirsi certamente ad un nome, ma ad un verbo. Se Festo avesse davvero preso ad illustrare la parola rupitias avrebbe detto: rupitias in XII signi ficat damnum datum. Ci sembra per~~che la ricostruzione del principio generale sancito nella legge delle XII Tavole non sia di1 cile a farsi. Si sa infatti che i casi di responsabilità erano

V. in proposito Heinnecii Ant., lib. IV, tit. III, § 3, nota n. Heinnaecii, op. cit. Bruns, op. cit., l οc. cit., in nota; Schnell, Leg. XII, Tab. Reliq., nota in T. VΙΙΙ, 2, Ρ. 141.

-8—

da detta legge previsti subbiettivamen.te, avendo ci ο é d i mira principalmente l'agente e non l' azione, e ρerc ιò e probabile e verosimile che le relative disposizioni íncominciassero con le parole quis, si quis. .., sistema che fu poi seguito nella legge Aquilia, come in seguito vedremo. Inoltre é certo che la spiegazione dam ιim dederit data da Festo si deve riferire ad un verbo, che abbia

filologicamente tale significato e che grammaticalmente corrisponda al tempo ed al modo del verbo col quale dal giureconsulto s i ì creduto di dare la spiegazione. Se tosi é, crediamo che il principio generale del risarcimento del danno nella legge delle XII Tavole fosse formulato nel modo seguente: si quis ruperit sarcito, ed allora il passo di Festo sarebbe: ruperit in duodecim signi fieß ι t damnum dederit. Nb si creda, come taluno opina (1), che Festo abbia usato la espressione damnum dederit invece dell'altra effect υs eius qui damnwm dederit, perché con ciò si verrebbe a forzare il significato delle parole del testo, le quali sono chiarissime e non s i prestano davvero ad una siffatta interpretazione. 7. Alcuni scrittori, pu re ammettendo la esistenza della frase rúpitias sarcito, negano però che la legge delle XII Tavole affermasse il principio generale dei risarcimento del danno arrecato ingiustamente e sostengono che la medesima contenesse soltanto una semplice sanzione contro talune azioni delittuose (2). A questo proposito uno di essi. il Pecchioni (3?, osserva che i principi Castellari, op. cit., § 3. Grueber, The roma» Law of damage t. Property. Oxford, Clarendon Press., 1886. Pacchioni, 4rchΙνιο giuridico, Bibliografie, reeensioni di opere inglesi nel diritto romano, col. 1XXV III, peg. 135.

-

9

---

generali sorgono soltanto in uiio stato progredito del dirittο, quando si faccia astrazione dai casi particolari (1). E giusta questultima osservazione del Pacchioni, ma, se non erriamo, ci sembra inesatta la sua premessa, quando considera cioè la legge delle ΧΠ Tavole come uno stadio affatto primitivo del diritto, mentre invece è noto che le XII Tavole fissarono il diritto creatosi in tre secoli, precisandolo e depurandolo (2) dai vizi che istituzioni, leggi e consuetudini introdotte nella oscuritk dei tempi portavano seco sino dalle loro origini e dei quali s'ignoravano le cause (3ì: — Operum fastigia spectantur: latent fund αmentα (4). La legge delle XII. Tavole può considerarsi come una vera codificazione dei principi fondamentali del diritto pubblico e specialmente del diritto privato (5). Totam civilem scientism, descríptis omnibus civitatis utilitatibus ac partibus duodecim tabulis contineri ~6). Per la qual cosa non è affatto improbabile che nella detta legislazione decemvirale, astraendo dai casi speciali, si assurgesse a principi generali, anche relativamente al damnum iniuria datum intorno al quale altre leggi, come abbiamo gi visto, avevano precedentemente provveduto.

Coglíolo, Saggi sulla eroluzione »el d i ritto ρriναto, Acti ο e jus. Torino, Fratelli Bocca, 1885. Coglíolo, Storia del d ir i tto privato, vol. I, pag. 155; Saredo, op. cit., LXXVIII, pag. 58. Saredo, Τrattato delle leggi, pag. 3. Quintiliano, Inst. Orat., proeni. Saredo, op. dt., LXXV III, pag. 58. Cicerone, De oratio, I, 43.

— 10 — Né sono plausibili le ragioni addotte da un altro scrittore. e ci ο è dal Grueber, per abbattere la teoria comunemente seguita. Al Grueber, infatti, sembra impossibile che la parola rυiperit (ο rupitias) avesse un significato generalissimo nella legge delle XII Tavole ed un significato assai ristretto nel terzo capitolo della legge λ quilía. Ma nulla di ρi ~~naturale che un vocabolo abbia un significato piú ο ~aen ο ristretto, a seconda delle epoche e delle circostanze. e p υ~~darsi benissimo quindi che la parola rupitias sia stata usata per indicare concetti diversi, come avveniva anche relativamente ad altre parole: nella vita intellettu α le di un popolo alcune parole cadono in dissuetudine, al tre cambiano significato a seconda dell'usο, che ha ogni potere in fatto di lingua:

31utta renasceutυ r quei e lam recidere, cudentg ne, Q » ue stint in honore rocubtulaa, si volet υ sus Queni penes nrbitriiu n est et ins et n ο rιιιιι lquen ιlι (1).

11 Grueber pera, a proposito della parola sarcito, osserva che sarcire equivale ad in integrurn facere f21 e che tale significato originario di detta parola è confermato dal fatto che i Romani in quei tempi provvedevano ai loro bisogni con un sistema di economia autoproduttiva (3). Ci sembra, in verit ~ , che il Grueber su questo punto non sia molto chiaro: tuttavia, qualora egli avesse inteso di Orazio, Eµ istolιι cii Pisoni. Charisius, Grammi'tici latini ex

recensione. Henr. Kuli,

νο1. I, d. 220; ii Grueber cita pure la glossa Snlimonis ecclesiae Costantiniensis el)isccipi: sarcit, redintegrat, renornt, reconstituit, iungit. Cfr. Qoigt, ΧΙΙ; Tafeln, vol. I, pag. 16 e seg.

— 11 voler dimostrare che al tempo de ll a legislazione decemvirale il danno arrecato ad altri importasse soltanto l'obbligo della riparazione materiale, le sue osservazioni non verrebbero punto ad annientare la teoria generale, che cioé le XII Tavole affermassero il principio del risarcimento del danno; infatti l'avere la parola sarcire il significato di in integrann facere null'altro significa fuorché í . decemviri, come del resto é molta verosimile, non s'allontanassero dalla sempliciti del diritto naturale, esigendo come risarcimento del danno la restituzione materiale dell'oggetto leso (1): in altri termini l'obbligo del risarcimento del danno nella . legislazione decemvirale sari stato forse espresso in una forma diversa da quella odierna, ma la sua esistenza non ροtri certamente porsi in dubbio. Si obbietta in contrario che all'epoca de ll e XII Tavole non esisteva un'azione generale, ma si c οncedévan ο soltanto azioni in casi s ρé~iali (2); ma pυó darsi benissimo che accanto ad un'azione generale coesistessero azioni speciali, nella stessa guisa che accanto all'actio aquiline continuarono in seguito a sussistere altre azioni concesse in casi particolari di danneggiamenti (3). Concludiamo quindi col ritenere che la Iegge delle XTT Tavole contenesse il principio generals del risarcimento del. danno e che la legge Aquilía, come ritiene anche il Grue ber, costituisse uno stadio ρrοgressívο di fr onte alle altre leggi anteriori riguardanti ii damnum iniuria datum. .

-

Heinnecii, op. cit., § 3. Karl von Amira, Obligationenrecht, vol. 1, Leipzig, 1882, cap. sui torti, pag. 368.406._ Arg. dal fr. 1, § 1, h. t.

- 1 12 -~S. La legge delle XII Tavole, come si è. visto. t4i limitò, senza scendere a particolari, a porre il princpio generaie del risarciment υ dei danno si quis ruperi.1 ...ρ -' itο;; ma é da ricordare l'osseraazìone del Saredo 1 . ci,e cile in un Codice, per eccellente che sia, non mie) condensarsi tutto iutiero il diritto: se una porzione di ess ο rimane fissa e notoria, il lavoro progressivo continua sempre; d'altra parte é impossibile concentrare in poche formole tutto l'organismo della vita giuridica di un popolo (21. 11 principio del risarcimento del danno consacrato nella legge delle XII Tavole germogliò fecondi tra i costumi del popolo fino a che si senti il bisogno di raccogliere le nuove manifestazioni consuetudinarie dell'accennato principio e fissarle in iscritto; spettò perciò alla legge Aquilia il vantc di avere sviluppato e perfezionato il principio scolpito nella legislazione decemvirale, precisando i criteri dei danza um datum nella sua entit ~~e nel suoi effetti e gettando tosi le basi di una vera costruzione giuridica sulla colpa Αqυiliaυa. che., vivificata dalla interpretazione ed elaborazione della giurisprudenza, fu poi accolta da tutte le legislazioni del mondo civile (3 Α.

Saredo, op. cit., introduzione n. L111X. Saredo, op. cit., loc. cit., pag. 58. Art. 1151 e peg. Cod. civ. ital.; art. 1382, 1383 Cud. cu. franc.: art. 1293. 1294 Cod. civ. austr.: pel diritto inglese V. Swet A., 1 ιi# ι:ι n ιιrjι of English Laws, v. tort ; Β r ο o πι ' ε, ι 'ο mnr.,'t η ires o,, th. eumrm,1,os Laws, pag. 651 e sen.: arr. 18 e seg. ' ο dice penali s ρagn υο l ο del 1870 ; art. 50 Cuti , fed. svizzero, delle obbl#g., 1° gennai ο 1883; I, tit. 6. § 10 Cod. gen. Allg. (Landrecht) prussiano; art. 773 Cod. sassone, ecc.

— 13 — 9. ,La detta legge fu in realt un· ilebiscito 1), ma assunse il titolo di lex, perché pubblicata Ιιι un'epoca in cui le deliberazioni dei Comizi tributi habebant v im legis. Essa fu chiamata Aquilia, perché rogata da un tribuno dí nome Aquilio in occasione di una secessione della plebe dai patrizi, come si desume da un passe della Parafrasi di Τeο~Ιο (2) : plebs romana eo tempore, quo inter

plebern et patres erat dissensio, .quiliο (is tune tribunus jle bis erat) hanc leger rogante, contenta fuit, quod in primo capite dictione plurimi fuisset usa. Ma nel riferito passo di quale secessione si parla? Le secessioni, come si sa, furono quattro ed avvennero rispettivamente nel 261 (sul Monte Sacro), nel 305 (sull'Aventino), nel 621-631 (Discordia dei Gracchi) e nel 467 o 468 di Roma (sul Gianicolo). È chiaro che non p υ~~nel ripetuto passo di Teofilo alludersi alla secessione del 261, perché questa é anteriore perfino alla legge delle XII Tavole. che, come abbiamo visto, alla sua volta precedette la legge Aquilia; parimenti non p υ~~parlarsi di quella de1305, perché quasi contemporanea alla legge delle XII Tavole: resta esclusa infine la discordia dei Gracchi, giacché è. noto che la legge Aquilia nel 620 fu commentata da Bruto e Quinto Mucio ι3), la qual cosa fa supporre cbe gi da molto tempo essa fosse stata fatta. Rimane quindi la secessione sul Gianicolo avvenuta nel 467 o 468, ed a questa appunto crediamo che si riferisca 1l citato passo

Fr. 1, 3 1, h. t. Serafini, Ist. di diritti romano, Intr. Ill; Perezio, comm. ad Pand., lib. 1X, tit. II. § 15 Ist., Edit. Reitz, lib. Il pag. 765. Jo. Bertrand, Vit. Ictor., 29, 9. ,

— 14 —

della Parafrasi di Τe οfilο _1 l. Con ci~~rimangono escluse k opinioni di coloro, che attribuiscono la legge a Publio Aquilio Gallo, amico di Cicerone e collega del medesimo nella Pretura nel 687 e tribuno nel 698. autore de ll a stipulazione aquiliana ed inventore dell'actío doli (21, ovvero a Marco Aquilio, tribuno nel 621 e console nel 625 (3 ~, oda L. Aquilio Gallo tribuno nel 573 e pretore nella Sicilia nel 577 (4). Sebbene nel fr. 1, 1, h. t. si dica che la legge Aguilia deroga u»mibus legibus quae ante se de damno iυi τιri ιι dati lùcutas sunt, tuttavia accanto all'azione della legge Aqui lia continuarono a sussistere alcune azioni speciali concesse in casi di danneggiamenti, come, ad esempio. Patti() ai•borum furtim caesarum; l'astio noxalis 4ωomine servi, l'astio aediunt incensarum (5). La legge Aquilia era composta di tre capitoli, quali trattavano del damnum iniuria datum, come risulta Serafini, op. cit., § 154, ρα g. 143, nota 2; Doveri, Ist~t τ~xi οατ: di diritto romano, 1I, § 474, pag. 314; Gaio, ΙΙΙ, 210-214, fr. 2, pr. h. t. Perezio, Comm. ad Pand., lib. II, tit. 9, e comm. ιι 1 Cod., ΙΙΙ, 35, n. 2; Jan. Tine. Gravina, De °rig. mr. c ~r., 60, : pag. 97 : lo stesso Gravina però, De leg. et SC., § 10, pag. 748. sembra dubitare se la legge Aquilia si debba attribuire a

P. Aquilio Gallo o ad un altro Aquilío. ~íend οza, App. C. 1, n. 11. Heinneccii, op. cit., § 4; Pighio, Ann. orb. Rom. lib., pag. 330; Bach, Hist. iurispr., lib. II, c. 1, n. 37. Castellani, op. cit., pag. 8, nota 2; Donello, Comm. pur. Cit.., lib. 21, c. 3; Glück, pag. 698, h. t.; beet, Comm ad. Pand., b. t., n. 2.

— 15 —

dalle Istituzioni h. t. e dai £ramm. 2 e 27 si servus, §§ 4 e 5, h. t. Alcuni scrittori (1) hanno sostenuto l'esistenza di un quarto capitolo, fondandosi su tre passi (2), nei quali si fa parola della condemnatio in di ρlυm adversus inficiantem e dei caso in cui l' aedo aquiliae poteva essere anche un'actio νοxαlis. Ma i citati passi sono poco concludenti; infatti non è improbabile che de ll a inficiatio e dell'actiο aquiline noxalis si parlasse in un paragrafo aggiunto ad uno dei capi della legge, ma ignoto nelle fonti; come pure pub darsi che le acce mate materie non facessero parte integrante delle disposizioni della legge Aquilia, ma fossero state introdotte da ll a giurisprudenza per interpretazione estensiva della legge medesima. All'interprete d'altra parte è dato argomentare che í capitoli dell a legge Aquilin fossero soltanto tre, specialmente se si abbia riguardo al modo con cui Ulpiano esordisce riferendo il tenore del 3° capitolo 'nel fr. 27, § 5, h. t.: Caeterarum rerum, ecc. Tenendo presente che la legge Aquilia trattava solo del damnum iniuria datum, l caeterarunt dimostra che il terzo capitolo fosse l'ultimo. Del resto in proposito abbiamo un passo assai -deci -

(3 1 Heinnecii, Aft, rom., h. t., cap. V ; Noodt, Ad leg. _3 t., c. 1: Balduin, Ad leg, Aguil., h. t. 122. (2) Fr. 2. 1, h. t.: et infra deinde cavetur ut adversus inficiantem actio in duplum esset; fr. 5, § 1, de serro corrupto: haec aetio et adversus fatentem in duplum est, quamvis Aquilia infitiantem dumtasat coerceat; fr. 4, Inst., de nox~ libus action ibus : Bunt " autem constitutae nosales actiones, aut legibus, aut aedicto praetorio; legibus, ve] furti Nll Tabularum, damn ~~ iniuriae lege Aquilia.

— 16 — suo (1): haec constitutio in tria dividitur capita; í quali capitoli ci sono riferiti dalle fonti nel modo seguente : L Lege Aquilin capite prime caretur, ut qui serrum ser-

νa»ne alienum alien.amre; quadrupedem* rei pecudem injuria occident, quanti id in eo anno plurimi fuit, tantum "es dure domino damnas esto ~2 . ,Capite secundo in ad stipulatorem, qui pecunianm in fraudenm stiρulαtο is acceptam fecerit, quanti ea res esset. tanti actio consti~ νitur (3). ΠΙ. Tertio autem capite ait eadem lex Aquilin: caeterarum rerum praeter hominem et pecudem occisos, si quis alteri dumnum faxit quod usserit, fregerit, ruperit iiiiuria, quanti ea res erit in diebus triginta proximis, tantum "es domino dure damnas esto (4). 12. Alcuni commentatori banni creduto oppOrtuuo di introdurre carianti al testo della legge, quale lo abbiamo citato. Cosi quanto al I Capitolo il Iommsen (5) sostituisce all'ut qui un si quis, fondandosi sul si quis del 3" capo e delle Istituzioni di Gaio (6) e sull' εαν τι; dei Basilici i,7): ma questo cambiamento non appare ragionevole una volta che Γ espressi οne ut qui trova la sua naturale spiegazione nel significato genuino delle parole, le quali meglio, si

(1) 1'eofilo, Ραrιι fr ιsi delle Lt., pr. h. t. , edit. Reitz, lib. Ι1, pag. 753. ~(2) Gaius, lib. V ΙΙ «d aedictum provinciale, fr. 2, ρι•. h. t. Gaio, III, § 215. Blpianus, lib. δfiΙΙΙ ad aedictum, fr. 2 7. § 5, h. t. Corpus it~ris cirilis. Berolini. 1 781, in fr. 2, pr. h. t. Gaio, ΙΙΙ . § 210. 60, 3. 1 ed. Heimb. Υ, p. 263.

-1~ collegano col preYedente vocabolo cavetur, che nell'uso della lingua del tempo bene si adattava colla particella ut. La maggior parte dei commentatori poi sono d'a ~cοrdο nel leggere quadrupedernve pecudem (1) per conciliare il fr. 2 pr. h. t. (2) col § 1 Insti; 1V, 3 (3) e col fr. 2, § 2, h. t., in cui si citano ad esempio le pecore, i buoi, i cavalli, í muli e tutti gli animali (anirnalia) quae gregatim haventur, venendo cosi limitata l½ ρρlicazi οne del primo capo della legge Aquilia ai quadrupedi appartenenti al genere del peciides, a quelli (ammalia) 0108 soltanto, quae .q egatim habentur. E questo pub stare di fronte all' economia de ll a legge intera. Il Pernice (4) inoltre legge fuerit invece di fuit, per meglio esprimere la retroattivitY del risarcimento del danno; ma questa' v aríante non ci sembra giustificata da una critica diretta non ad altro che a mettere in rilievo la inesattezza del linguaggio, che ρuδ coesistere .colla originalitk dei testo. Infine Cuiaccio (5) ed altri leggono hero invece di do-

Suarez .de ieiidoza, I, c. 1, n. 2; Noodt, op. cit. cap. Ii; ilotomanusf Ind. II, Rom. loc. ... Qui servum servamve alienum alienamve, quadrupedem vel pecudem injuria occident, etc. Damni iniuriae actio constituitur per legem Aquiliam cuius primó capite cautum est, ut si quis alienum,.alienamve quadrupedem, quae pecudurn numero sit iniuria occiduit, quanti ea res in eo anno plurimi fuerit, tantum domino dare damnetur. Pernice, Zur Lehre ron d. Srιεhbeschτιdigungen n. rδrn. Rechts (Weinar, 1867. Einleit. II, p. 14). -Observai. lib. 27, c. 11. 2

— 18 — mino; ma anche senza questo cambiamento la legge rimarrebbe quella che 1, perché herus e dominus hanno il medesimo significato. Riguardo al secondo iapitolo della legge: ii Castel lari (1) all'espressione in frαuιwem stiρuiatoris crede debba sostituirsi la parola injuria, dicendo trattarsi di uria semplice parafrasi della, parola stessa, senza addurre alcun motivo. Ma οltrechè non può ammettersi che E un concetto giuridicamente equivalga all'altro, essendo il concetto di injuria molto piú vasto di quello di fraus, e basandosi l'uno e l'altro sul rapporto di genere a specie, niente autorizza l'interprete á cambiare le parole del testo. Nel ΙΙΙ Capitolo: il Pernice (2) ed i1 Mendoza (3) sopprimono l'inciso caeterarum rerum praeter hominem et pecudem occisos, reputandolo un' interpolazione di Paolo; il Castellari (4) invece crede che. essendo caduto in disuso íl 20 capitolo della legge, il citato inciso sia stato aggiunto dai compilatori per colmare una lacuna. Α noi sembra che sia inesatta - l'osservazione del Castellari, e che debba assolutamente respingersi l'opinione del Pernice e del Mendoza (5i. Infatti, . trattandosi nel 1° enel ° capitolo della legge di una stessa forma di danneggiamenti' (cοrpor~le, materiale) e nel 20 capitolo del- danneggiamento incorporale (acceptilatio in fraude»t creditoris), é logico e verosimile che si collegasse il 1° col

Castellari, op. cit., pag. 11, n. 10. Pernice, op. cit., Einleit. ΙΙ p. 14. Mendoza, op. cit., _ΙΙ, c. 1, n. 4. Castellari, op. cit.., pag. .11, nota 13. Grueber, ορ. cit., n. 7, pag. 3 82. .

,

— 19 —

3° capitolo mediante l'espressione caeterarum, ecc., la ιivale interpretazione può essere suffragata anche dalla lettera di mi passo delle Istituzioni di Giustiniano (1), in cui leggesi : capite tertio de orni caetero damno cavetur. Otornanno ,2 ) ed altri leggono: eaeterarum rerur, si quis alteri darnum faxit, quod aliquod animal praeter hominem et gecudem occiderit, ruperit, quod usserit, fregerit, ruperit, argomentando dal fr. 27, § 17, h. t., nel quale la parola rugisse è usata nel senso di ferire. Ma -questa lezione di Otomanno, come giustamente osserva Gotofredo (3), non può accogliersi, in primo luogo perchè essa verrebbe a limitare l'applicazione del 30 capitolo ai soli danni arrecati agli animali diversi dai pecudes, contro lo spirito della legge, la quale evidentemente, s i estendeva anche a i danni arrecati alle cose inanimate, come si desume dalle parole caetera rum rerum. Inoltre 'la detta lezione non si può accettare, perchè non è vero che la parola raperit avesse il significato ristretto di ferire; anzi è certo che la parola rugisse fu usata anche nel senso lato di uccidere, guastare, deteriorare, come chiaramente si desume dall'esame dei vari capitoli della legge Aquilia. Il _ Mommsen (4) finalmente vorrebbe leggere fuit e non erit, ed il Casteilari (5) legge fuerit per ragioni di immetria, come nel 10 capitolo. Il vocabolo erit ciononostante non è inconciliabile co ll a sostanza -del testo, e ,

§ 12 Inst. Otomanno, Gotofredo, :ifommsen, §5, h.t. Castellari,

Ι V, 3. lib. 1, Ibsen. 2 . nota 1 in fr. 27, § .5, h. t. us iuris ciτilis; Beroliní. 1781, in fr. 27, Gorµ -

'

op. cit., p. 12, n. 10.

— _ι0 _ quindi, secondo il nostro avviso, non .'è ragione dj attribuire all'autore di esso o il fuit o il fuerit, tenuto presente in ispecial mode il tempo in cui si scriveva, e lo stile dell' idioma con cui le leggi erano redatte. 13. Chiudiamo queste brevi osservazioni stor ~ cb • 001 confessare francamente che questa tendenza irresistibile di sopprimere un vocabolo od una frase quasi per- modo di regola, o di sostituire un vocabolo all'altro, una frase - a11' altra, quando- pure il bisogno di escludere pbssibilí pleonasmi o contraddizioni strettamente non 10 reclami, anziché servire all'utile scopo. cui mirar deve l'i υterprete. non fa che generare incertezze e confusioni, e mettere talvolta lo studioso sopra un falso sentiero (1). " Quando nelle parole della legge non haivi ambiguitá od incertezza, é necessario stare alle sue disposizioni. ,, -(2 ). Q mn n in rerbis nuΥa ambiguitas est, non est admitteuda rο? i' .tα tis quaestio (3). 1%lenτ iττisse debet iiuIe.'r ιτ e aliter ittdicet ιlua ι,ι leg ι?ιυ s

(Pr. Inst., Ile ofj: iud.). Saredu, op. cit., n. 541, pag. 392. . Fr. 25, 1,_Ι, 3; fr. 137, ~~2, de verh. sig ι.; fr. 32, 2, dc our. argen.; fr. 80, ξ 2, de cuit,'. empi.

prodi.turn est

CAPITOLO I. Cω αΕτΤο GENERALE DELLA LEGGE AQUILIA.

g 1. Cap. i della legge.

i 4. Conteτι.uto del 1° capitolo. — 15. Questione se Si debba

leggere quadrupedem vel pecudem. — 15. al Id ßynk.erhoek - b ι λ.ccιι rsiο - cl Il Caste ilari ed il Pernice. λostra oρ 'zvai πιu — .16. Aestimatio damni. 14. Q τι~~ serτ~ur.t serεanι ~e alienum alienumve g τιιιdrυρec{em ur pecudern injuria occident, quanti id in ei anno piurirni fucrit taitam aes domino dure damnas esto. Con questo capitolo della legge Aquilia si reprime il danno derivante dalla ingiusta uccisione di un servo o di una serva altrui ο di un quadrupede appartenente alla specie dei pecurles (11. Qτιαdrτιpedes en im sunt, quae dorso et collo domantur, id est, quae sarcinas vehnut et trahunt. .Pecus au tern, ut it Yarn. ab eo dicitur, quid per,pascat (2). Alla categoria perció dei '

Isidoro, Ο i'qinum, lib. λΙΙ. c. 1; Varrone, de re rτι at~ιιι, lib. 1Ι, C. 3. Heinuec λ i, ant. rom. 1. c., § 7. Qua~lruµ edτeτn alicie jιι-cudes, aliae ~ est~.ae, alias mkrtac (Gotofredo, nota 6 in fr. 2. ς 2) ; mistae quadrupedes dicuntur, quae lumen torurn operarn prrιesta>at, et tarnen natura sua ferap aunt. (Goiofredo, nota 1 in fr. 2, § 2).

-22— quadrupedes pecudes appartengono le pecore, le capre. i buoi, i cavalli, i muli, gli asini e tutti gli altri quadrupedi quae gregatim se habentur 1). Labeone inoltre riteneva che nella categoria dei quadrupedes pecudes fossero compresi anche i porci: Sed an sues pecudum appellatione

continentur quaeritur? Et rette Labeoni placet, con.tineri (2 . Vi erano esclusi i quadrupedi domestici: sed canis inter ρeeudes non est (3) e ·le bestie feroci, come i leoni, gli orsi e le pantere. Gli elefanti per ~~ed i camelli, mentre da una parte erano annoverati tra le bestie feroci, dall'altra servivano per il tiro, e rientravano quindi nella categoria delle mixtae quadrupedes (4); perc ιd la loro ingiusta uccisione cadeva sotto la sanzione del primo capitolo della legge (5). Longe magis bestiae in eo numero non sunt, veluti orsi,

leones, pantherae; elephanti autemn, et eameli quasi mixti sunt; nam et inmentorum operam praestant et natura eοrunt fera est; et ideo primo capite cantineri eas oportet. 15. 11 Bynkerhoek (6) ed altri, leggendo quadruρedeςιn roel pecudem invece di qu-adruρedemt'e pecudem credettero che nel primo capitolo la legge Aquilia contemplasse i danni arrecati ai quadrupedi ed ai pecudi; ma a questa opinione osta evidentemente il citato fr. 2, § 1. h. t. nel quale, come abbiamo visto, sono esclusi i cani. Αccur-

fr.

2, § 1, h. t.

fr. 2, § 2,_ h. t. fr. 2. § 2, h. t., F. nota (2). fr. 2, § 2, h. t.

}3ynkerhoek, ~bsernat. ~ ιιι is + οιιι.

rebus mancipi, e. 6.

~

~

lib. Ι F, c. S e De

-23- -

sii 1) ed altri scrittori, accogliendo la detta lezione, spiegano il rei, che pretendono frapposto fra le due predette parole, nel senso di id est. In proposito il Pernice (2) ed il Castellari (3) ripudiano questo parere, dicendo che detti scrittori sono incorsi nella censura di aver reso inutile uno dei due vocaboli quadrupedem o pecudern, tutti i ρecυdes essendo anche quadrupedes. Mentre peraltro ~οnνenia iο col Castellari e col Pernice in ordine-a ll a erroneita della interpretazione della particella rei dissentiamo apertamente nel motivo da essi addotto. É vero infatti che tutti í pecudes sono anche quadrupedi, ma non si é avvertito che viceversa n ~n tutti !.quadrupedi sono pecudes, come i cani, le volpi, i daini, i gatti e simili, it quali non gregutiτ ι depascurit. in modo che il quadrupes ha un significato pii ampio del peeuus. Quindi non ρυ~~dirsi che l'uria o l'altra parola sarebbe inutile, dovendo invece respingersi l'opinione di .Accursio pe r l' unica ragione rhe secondo essa s~~ dovrebbe necessariamente ritenere che la legge Aquilia avesse equiparato u n genere pif' ?usto di animali ad altro genere più ristretto, mentre c ~~~non ρυ~~essere, perché non vero che la parola gυαdruρes sia sinonimo di • ecus. Nel citato capitolo 'dunque s ~~ reprimeva la ingiusta uccisione di uno schiavo o di un quadrupede, che appar tenesse- alla categoria dei pecudi : con esso cioé si voleva ,disciplinare l'uccisione soltanto del quadrupes pecus e non di qualunque quadrupes. Non si aveva riguardo ρ ι in qual mode fosse stata ,

Aecursio, glossa in fr. 2, pr. h. t. Pernice, op. cit., II, pag. 12. Castellari, op. cit., pag. 1 5 . -



2.1

_

-prodotta la uccisione Ι. Gccisunm adent aecipere debenmus

sire gladio sue etiana fuste. rel (ilio telo, rel nrnnilms. si forte strangulant eh„t, rel ιι~.lce .petiit. rel eopíte, re•l. ¶j(7 liter qualiter. 143. L' uccisore poi doveva pagare al proprietario del1' animale o dello schiavo una somma equivalente al maggior valore che 1' animale o lo schiavo aveva raggiunto nell'anno immediatamente precedente al delitto (21, come in appresso ve τrà dimostrato. §

2. Cap. 11 della legge.

.

17. Incertezza nei tempi antichi del contenuto di detto capi-

toh - Scoperta del _manoscritto di Gaio - 1οziπne dell' adstipulatio. — 18. Genesi storica del 20 capitolo della legge. — 19. Questione se il 2° cαpitοlo si applicasse al ea o di pagαme_tο effettivamente fatto all'adstipulator. — 20. Ragioni per le quali le adstipulationes caddero in disuso. — 21. Aestimatio dama. 17. Adstipulator, qui pecuniarn aeceptαm fecerit in frauder stiρulαtiris, quanti id fuerit tantum aes stipulatori dare dαm ~ ns esto. intorno al contenuto del secondo capitolo della legge Aquila regnò fino al principio del secolo ρresentè la piìι grande incertezza; di esso nelle istituzioui di Giustiniano (8; nel Digesto (4) si sapeva soltanto che i n desuetudinem abiit; tutti gli scrittori quindi si erano abbanfr. 7, § 1, h. t. fr. 2 h. t.

§ 12, Iss t. Ι%*, '3. fr. 27, ξ 4, h. t.

--25— donati alle pilι svariate congetture, sulle quali sor οliaulo senz altro, avendo oggi esse perduto qualsiasi importanza, dopo la scol_berta del man οscrittο di Gaio (1) Latta a Verona nel 1816 dal Niebbur, nel quale si dice he nel secondo capitolo della legge Aquília si prevedeva il caso di un adstij i ~α tor, che avesse liberato il debitore mediante 1' acceptilatio fatta in frode del creditore

stiρτΡυlatori ì. Teugasi presente che le aditiρulationes erano stipulazioni accessorie, create nei tempi antichi dalla im ρο ssibilit~ di stare in giudizio mediante procura e dal divieto di stipulazioni post mortem; . in forza . di dette stiρυΙαtiοnes l'adstipulator si obbligava ad esigere dal debitore il pa gament a favore dei- creditore (stipulatoci) in suo luogo e vece. 18. Cíö posto, vediamo quai nesso potesse esistere tra . gli adstipulatores e la, legge Aquilia, esaminiamo cfoé quali furono le ragioni giuridiche e storiche che, spinsero ii- tribuno Aquilio ad inserire nella legge 411111a le accennate disposizioni del secondo capitolo per salvaguardare gli interessi della plebe. Sesso per una collusione interceduta fra il debitore. e 1' adstipulator si verificavan ο liberazioni mediante υι acceptilatio fraudolenta operata da11'adstipulator•, e siccome ci ó avveniva specialmente nei ra ςροrt ι fra plebei e patrizi, í quali erano dai primi costituiti adstipu.lutures, tosi la plebe, avvenuta nel 467 la secessione sul Gianicolo, senti il bisogno dι reprimere tali abusi, elle si ver ~ fic αyαηο da parte dei patrizi i n ordine all' αι1.4~~ι lat,o, cou apposite disposizioni, che furono inserite neAla legge Aquiiia.

(1) (iaio, ΙΙΙ, § 21g.

— 26 _— Ma non sarebbesi potuta fare una legge speciale invece di emanare provvedimenti in proposito mediante la legge Aquilia? io. poiché essa probabilmente avrebbe suscitato un vivo risentimento da parte dei patrizi e non avrebbe raggiunto quello scopo, che si proponeva una legge d'indole generale: d'altra. pa rt e è naturale che la legge Aquilia trattando nel 10 e 3 0 cap. del damw mater iale, dovesse occuparsi nel secondo anche del danno incorporeo (1). Qualche scrittore (2) crede che la nostra legge si applicasse anche al caso in cui l'adstipulator avesse realmente ricevuto il pagamento in frode del creditore; ma a noi sembra col Castellari (3) che non si possa accettare questa opinione, poiché altrimenti sarebbe caduto sotto la sanzione della legge Aquilia anche il danno proveniente da causa di lucro, contrariamente al principio generale che il danno Aquiliano deve essere arrecato non animo furti facicudi, sed tantum dantni dandi +:4 : nè la giurisprudenza ha ' mai applicata la legge per interpretazione estensiva al caso di esazione fraudolenta del credito. trattandosi in questa ipotesi di un danno affatto diverso da quello contemplato nel capitolo secondo della legge (5). In progresso di tempo pel sorgere del mandato. essendo venuta meno la ragione dell' ufficio degli adsti,

Casteilari, op. cii» pag. 21, n. 20. Van der Kemp, Ilíss. de. capite secundo 1. Α j., e. IV, ~ . 3, pag. 49. . (3) Castellari, op. cit., pag. 20, n. 19. fr. 41, S 1, h. τ. Castellari, op. cit., pag. 20, n. 19.

— 27 —

ρukrtores resosi odioso per il modo con cui era esercitato, Γαdstiρυ.lutiο cadde in disuso e scomparve poi nel diritto giustiniane ο quando furono permesse le stipulationes post mortem (1 i: con cíó si spiega come l lpíano dicesse che il secondo capitolo della legge Aquilia in desuetudi?wm absit (2!. La sanzione stabilita dal detto capitolo de ll a legge consisteva nel pagamento dí una somma equivalente al credito da parte dello adstipnlator.

3. Cap. Ι" della legge.

22. Conteu υυtο del 30 capitolo. — 23. , seinpi. — 24. Id. — 25. Aestimatio damni. 26. Elaborazione della giτιrispru.denzα - L.^. nozione ed i requisiti del damnum si perfezionano - λΝ ονe applicazioni della legge Aquilia. — 27. Alcune questioni principali risolute dai giureconsulti. (Interpretazione dei fr. 32, ,4 1, h. t., e 5, h. t. Conciliazione dei fr. 11, § 3, 1 13, § 1, h. t. di Úlpiano, col fr. 51 pr. ~ . t., di Giuliano). — 28. Conclusione. .

Caeterarum rerum praeter hominem et pecudlem occises si quis alteri damnuna-faxit quod usserit, tregerit, ruperit ininn a, quanti id fuerit in diebus triginta proximis, tantum aes domini dare damnas erto. Ιιι questo capitolo si reprimeva il danno materiale diverso dalla uccisione di un servo o di un quadrupes pecus e dalla acceptilatio in fraude»n credit pris; rientra perciY nel 3° capitolo dell a legge qualunque danno arrecato con in(1) (od. 1V. Ι 1. (2 i fr. 27, 4 h. t. .

-

28-

cendío (υsserit) (ι), mediante frattura (fregeri): (2;', ed :in Qualsiasi altro modo í31, e ρereid anche la uccisione di im animale che non-appartenga alla categoria dei quadrupedi pecudí ed íl ferimento degli schiavi e di qualuul υe animale. (Hai actknej ex hoc legis capite de οm-nibus urrim'alibus laesi8, quιΡυ e ρeendea 9W -~~ ι. nt, ageudun est, gι,.ι tα ft de cane. Sed et de αρro, et leone cαeterisgυe faeris et auibus idem e ~~ it dice m Sotto la parola ruperit poi si comprende qualsiasi danne che materialmente non,iτιre venga arrecato ad una cosa ed anche quello arrecato con frattura , od incendio; già in ispecie compreso nei predetti due vocaboli. Et nan ncgat fractum et ustum euntineri . CORBIIPTI appellati irne; sed noni esse n οι+u»n ut le:r, specialiter quibu.sda.rn en '.mera,

8,h.t. Ιι fr. 27 (2) fr. 2 'ι , ~~; fr. 2δ+ § 1: fr. 3 1, h. - t. ι3 Gaio. ΙΙΙ, 217, fr. 21, 13; h. t., §§ 1 6 , 1 7 e ; 13 Ιιι st. in f. 1 V , 3. La estensione del cap. 3 ° della legge Aqui lia λ data cbiarsmente 3 α! fr.. 29, § δ, h. t.-Cons. in g nere Donello. Cπ »τ tιι eιι t. J. (;;r, ii'! L: f1Q. , Ι, _ n. 3; t\'uodt, a-d Le em Aq., ε . XV: Cuiaeio, 0/mere., X1'd., § 81, Castellari, ορ . cit, § 73 e ' 1, in f.; Windscheid,

— 68 — cialita della stima dell'oggetto leso; questo carattere

penale era costituito poi anche dalla condanna in simplum in confitentem, la quale generalmente coesisteva in una somma di danaro superiore al valore attuale dell'oggetto leso (1), e dal potersi pretendere il pagamento dai singoli condebitori solidali. coautori di un medesimo delitto (2). 37. Abbiamo superiormente visto che Ι' αctiο Aquiliae era un'azione civilis, perpetua, stricti iuris, persοnalis e nοx αlís in taluni casi. Era civile, percha nascente da un plebiscito; perpetua, ρerchè derivante dalla legge e perché nessun testo stabiliva per essa una prescrizione speciale; stricti iuris, percha non era concessa dal pretore; personale, diretta contro la persona ad ottenere il pagamento di una somma di danaro; noxalis in taluni casi, perché talvolta tendeva alla noxae deditio (damit arrecati digli schiavi o dai figli di famiglia). L'actio Aquiliae nelle fonti si chiama altresi vulgaris e legítima (3), perché derivante da una formola volgare, cioè proposta nell'editto: legitima, ρerchè contenuta nella legge (4).

Lhrb. d. •Pend., vol. I, § 23; Miihlembruch, op. cit., § 450; Gaio, Ti, 9. Voet, Comm., h. t. n. 28; Cuiacío, in fr. 15 pr. de rei. vindicatione. Fr. 11, § 2, h. t. Fr. 1 e 2, 19, 5; fr. 42, 47, 2. Secondo il Cod, civile, l'azione di risarcimento del danno non ha più alcun carattere penale, perehè mira soltanto a ristabilire l'equilibrio turbato nel patrimonio dell'attore. Serafini, op. cit., vol. I, § 37, pag. 156.

-69— Qualche scrittore ha voluto sostenere che l' actio Aquiliae fosse una condictio. Ma la cincIictio presuppone un trasferimento dí proprietá o reale o fittizio dall'attore al convenuto, una diminuzione di patrimonio da una parte, un aumento dall'altra, come appunto si verifica nei vari casi della condietio ex mutuo sine causa, causa data, causa non sequutα, nella εοndictiο indebiti e simili, in cui l'attore mira a conseguire l'equivalente della cosa trasferita nel dominio altrui. E ci~~ non si riscontra affatto nell'actio Aquiliae, poichè non solo non vi è traslazione dí proprietà dall'attore al convenuto, ma generalmente dall'attore si domanda al convenuto una nuota prestazione, quando cioè il valore dell'oggetto leso nel momento del delitto sia inferiore a quello che l'oggetto aveva nel, mese o nell'anno precedente. In alcune ipotesi perd pu ~~esservi reale trasmissione di propriete; tosi, ad esempio, nel caso in cui l'adstipulator divenga erede del debitore, al quale egli abbia precedentemente fatto un acceptilatio in fraudem creditoris (1). In quest'ultimo caso potrb, sperimentarsi contro 1'adstipulator una condietio sine causa (2) per ricuperare la somma perduta e l' actio legis Aquiliae per la riparazione del damnum iniur ia datum; ma le due azioni resteranno fra loro distinte, ed il danneggiato potrY. intentare o l'una o l'altra d i esse. Questa appunto sembra fosse l'opisíone dei giureconsulti romani, í quali nel nominare l'actio Aquili αe non usano mai la parola condictio (3). L'actio di cui abbiamo parlato era quella derivante .

Gaio, Comm. ΤΙΙ, § 215 e 216. Fr. 23, § 8, h. t. Savigny, App., Xli ex. § 14, 19 e 20.

— 70 — direttamente dalla legge, ex verbis legis, e percι~~si chiamava diruta (1); si poteva sperimentare dal proprietario ' dell'oggetto leso soltanto nel caso di damnum injur i a- da-

turn corpore torpori.

§ 8.

L'actío Aquínae utílís.

40. L'aetio Aquiliae utilis fu ,concessa dal pretore; genesi

storica di detta azione: si poteva sperimentare nel caso di danni arrecati torpori, ma non corpore; esempi. — 41. Apparente antinomia fra l'accennato principio ed il fr. 7, § 6, IV, 3. Opinione di Accursio, Cuiacio e Castellari. — Nostra opinione. — 42. Altre fattispecie in cui aveva luogo l'actio Aquil µ are utilis. — 43. Tra l'actio Aquiliae utilis e l'actio Aquiliae in factum non esistevano differenze sostanziali. .

40. Dal fatto che l'astio Aquiliae directa era concessa soltanto al proprietario nel caso di damnum in juria datum corpore torpori derivava che' m οlte•sρecie di danneggiamenti non erano tutelate da azioni, perche non contemplate dalla legge. Così, p. e., 1' usufruttuario, il possessore di buona fede ed il peregrinus, che fossero stati danneggiati, non avrebbero potuto intentare alcuna azione. Il pretore però, come e noto, intervenne a colmare le lacune della Legge, e di fronte allo strietum ius cre ~~un aequum j us, fondato sull'equítá: perci ~~nei casi di danneggiamento, che non cadevano direttamente sotto la sanzione della legge, ma che potevano rientrarvi per identitá di ragione e per finzione di diritto, concesse un (1) ξ 16, Inst., h. t.

— 71 — actio utilis (1), così detta, perché aveva luogo in-casi analoghí a quelli contemplati nella legge e perché mirava alla stessa utilitas dell'astio directa (2).. Quest'actio utilis sorgeva nel caso di damnum arrecato corpori ma non corpore, anche se taluno avesse dato occasione semplicemente al danneggiamento (3), quantunque nel Digesto sí vegga spesso scambiata co ll a diversa denominazione dl astio in factum, la quale del resto nella sostanza produceva gli stessi effetti giuridici, quando era concessa in applicazione della legge Aquilia, come in seguito dim ο stre rem o.

Celsus autem multum interesse (dicit) occiderìt, an mortis causam praestiterit : ut, qui mortis causam praestiteritnon Aquilia, sed in factum actione teneatur. ~nde . adfert eum, qui venenum pro medicamento dedit: et (ait) causam mortis praebuisse quemadmodum eum, qui furenti gladium porrexit: nam nec hunc lege Aquili α teneri, sed in factum (4). Item si obstetrix medicamentum dederit, et inde mulier perierit, Labeo distinguit: ut, si quidem suis manibus supposuit, videatur occidisse; sin vero dedit, ut cibi mulier οfferret, in factum actionem dandam; quae sententia vera est, magis enim causam mortis praestitit, quam occidit (5)._ Si guis per vim, vel~su αsum,ici medicamentum alieni infundit, rei ore, vel clystere, vel si eum unxit malo veneno lege Αquilia (eum Ardts- Serafini, Pand., vol. II, § 324, pag. 279; § 6 Inst., h. t. ; fr. 18, § 1, 1, 1. Mendoza, op. cit., lib. III, c. 7, n. 4. § 16, Inst., h. t.; fr. 27, § 19 e 21; fr. 28, .pr. e § 1; fr. 52. Fr. 7, § fi, h. t. Fr. ÿ, pr., h. t.

.

— 72 —

teneri]: quemadmodu-m •obstetrix supp οnens tenetur- (11. Si quis hominem fame ~ecaverit. in factum actione teneri. Νcra.tius ait (2). Si servum lneum equitantem, concitato equo effeceris in /lumen praecipitari, atque ideo (homo) perierit, in factum esse dandam actionem Ofilius scribit: quemadmo dur si serous meus ab ah() in insidias deductue, ab aliο esset occisus (3). - Si funem quis quo religata nnvis erit, praeeiderit, de navi, quae periit, in factum agendum (4). Si quis alienum uinum vel frumentum consumpserit, non videtur damnum iniuria dare: ideoque utilis danda est astio (5) ; quia ACTIi LEOIS AQUILIAE pro corruptis beur habet, hoc autem non videtur corruptum, cum eo usu consumatur ad quem est inventum (6). Similmente se taluno, mediante il fumo, abbia messo in fuga le api altrui od anche le abbia uccise è tenuto non con 1'actio diretta, ma con quella in factum, ossia cοll'actiο utilis legis Aquiline ρerchè, come s i esprime LTlpiano nel fr. 19, p'., h. t., magia CABSAµ 'I MORTIS PRAESTITISSE videtur quam occxmssE. Cosi pure se taluno avesse spinto buoi altrui in luogo angusto e li avesse fatti precipitare (7 ), od avesse fatto morire di fame un gregge (S. 41. A quanto abbiamo ora esposto nel precedente numero sembra contrad ire il fr. 7, § 6, IV, 3, de dolo mali: ,

Fr. 9, § 1, h. t. Fr, 9, § 2, h. t. (3 Fr. 9, § 3, h. t. (Φ) Fr. 29, § 5, h. t. Fr. 3π, § 2, h. t. Glissa, in fr. 30, § 3, h. t. Fr. 53, h. t. L. 5, Cod. III, 35, de lege Aquilia.

-73



Si quadrupes tua dolo alterius damnum mihi dederit: quaeritur an de dolo habeam adversus eum actionem, et placuit mihi quod Labeo scribit: si diminue quadrupedis non sit solvendo dari debere de dolo: quamvis si noxae deditio sit secuta, non Auto dandam nec in id quod excedit. In questo passo si fa il caso di un animale, che per dolo di una persona diversa dai padrone, abbia ad altri arrecato danno: e si dice che avrà luogo i'actio doli contro il terzo autore del danno. Dal citato passo percíó sembrerebbe che non potesse aver luogo l'actio Aquiliae utilis in base al principio actionem de dolo non dari.ubi est alia actio (1). Accursio (2) credeva che nella ipotesi esaminata non avesse luogo l'astio Aquiliae utilis , perchè -trattavisi di dolo in omittendo; ma questa opinione non ρuδ accogliersi, perchè dal citato frammento non risulta che si tratti di dolo in omittendo, usandosi l'espressione generica dolo alterius, e perchè, come abbiamo gi dimostrato nel capitolo precedente, anche nel caso di dolo in omittendo, fu concessa dal pretore un'actio utilis. Cuiacio (3) poi dice che nel citato passo si fa il caso di un animale che abbia ad altri arrecato danno ex se feritate e che si concede l' actio doli, perchè l'actio noxalis resterebbe senza effetto alcuno a causa dell'insolvenza del proprietaria dell'animale. Ma questa interpretazione parimenti ci sembra erronea, ρoichè l'animale arrec δ danno ad altri dolo alterius e non ex se feritate, come pretenderebbe il Cuiacio. Fr. 1, § 4, ΙΥ, 3. Glissa, in fr. 7, § 6, IV, 3, de dolo. (8) €niacio, Comm. in fr. 7, § 6, de. dolo.

— 74 —

e) Il Castellari (1) crede che nel citato frammento si tratti di un caso sim il e a quello del fr.' 11, § 5, h. t.

item cum eo qui caner irritaverat, et effecerat ut aliquem morderet, quamvis eum non tenuit, Proculus respondit Aquiliae actionem esse, sed Iulianus eum demur Aquilia teneri ait, qui tenuit et effecit ut aliquem morderet. Caeterum si non tenuit in factum agendum. In questo passo, secondo il Castellari, si farebbe il caso analogo a quello fatto nel fr. 7, § 6, IV, 3, di un animale che istigato alterius, abbia arrecato danno ad altri, e che riuscendo ρercí~~ inutile 1'actio de pauperie si faceva luogo a quello in factum nomine doli, che 0 Ιρiano nel cit. fr. 7, § 6, de dolo, designa colle parole actionem dami debere de dolo. Neppure quest' ultima interpretazione ci pare ammissibile. Ι° Perchè dal citato fr. 11, § 5, non risulta che l'actio de pauperie riesca senza alcun effetto; 2° Perchè i arbitrario il ritenere che l'actio in factum di cui paria il fr. 11, § 5, sia un'actio nomine doli come pensa il Castellari, parlandosi ivi espressamente dell'astio Aquili α e utilis, come é ribadito nella glossa. Perc Ι~~ i l fr . 11, § 5, h. t., non toglie la contradizione tra il fr. 7, § 6, IV, 3, ed il principio generale, con cui s i concedeva un' astio util.s Aquiliae nel caso di damnum arrecato torpori e nan corpore, anzi detto passo viene a confermare l'accennata contradizione. L'antinomia ρerd è semplicemente apparente; infatti, non ripugna che i Romani ammettessero il principio generale: actionem de dolo non dami ubi est alfa astio (2), escludendo tosi il concursus ab initio elettive dell'astio doli ,

Castellari, op. cit., pag. 88, n. 78. Fr. 1, § 4, ΙV, 3, de

dolo malo.

— 75 -e dell'actio Aquiliae utilis, ma che vi derogassero per i danni arrecati dagli animali, dolo αlterius, concedendo l' actio doli e l' acttio Aquiliae utilis contro il danneggiante, in guisa che il danneggiato potesse a sua scelta ab initio intentare o l'una o l'altra di dette azioni; s'intende che in ogni caso 1 1 danneggiato avrebbe eem ρre potuto agire naxaliter contro il proprietario dell'animale nel qual caso per~~sarebbero cessate le altre azioni e ρercΙb anche .

l'astio utilis 9quiliae. È inut il e ricorrere di nuovo al citato frammento 11. § 5, h. t., per abbattere con quest'argomento la regola generale, perché qualora s i volesse in esso insistere, si cadrebbe in unα_ petizione di principio. Basta risapersi, che accanto a quella regola che accorda l'azione di dolo quando mancano le altre, v i ha il principio: In toto jwre generi per speciem derogatur, e da ciò si deduce che il principio generale sta fermo i n tutti i casi, men() in quello del danno arrecato da un animale dolo alterius. bu sempre è dato all' interprete di trovare la ragione di un'eccezione legislativa, e per il solo motivo che non si arrivi a trovarla, non può negarsi l'esistenza della eccezione medesima, quando coll'escluderla si pone la legge in contraddizione con sé stessa. In ogni modo poi la ragione s i pub ricercare nella maggiore audacia spiegata dal terzo che si serve maliziosamente deli' animale altrui per recare nocumento ad altri, e quindi in una ρiiι estesa tutela de ll a legge che accorda la scelta delle azioni i n favore del danneggiato. Dunque, piuttostochè accogliere interpretazioni manifestamente erronee, ovvero confessare un α aperta contraddizione nella legge, é conforme all'ermeneutica legale spiegare l'antinomia con una deroga nel case speciale alla regola generale, ciò che non ripugna in al-

— 76 — cuna guisa co lle norme dottrinali d'interpretazione delle leggi. 42. .V astio ut ihs era concessa anche nel caso del ferimento di un uomo libero (i ι, nel caso in cui si fosse fatto pascolare il gregge nel campo altrui (2) o si fosse consumato l'altrui vino o frumento (3). ed anche quando il danneggiato avesse avuto un semplice jus in re sull'oggetto leso (4). Se alcuno abbia fatto balzare da lla mano danari altrui, bisognerà distinguere: se i danari siano periti in modo che a nessuno siano pervenuti, come se, ad esempio, siano caduti in mare o nel f υme• οd in una cloaca; se poi taluno se ne sia impadronito, tratterebbesi di un vero e proprio furto, ma si potrebbe agire anche con un'actio in factum ex lege Aquilia (5). Parimenti se si fosse locato un vaso pieno di vino ed il conduttore lo avesse perforato, in guisa che il vino uscisse fuori, avrebbe avuto luogo l'astio in factum (6); non enim rinum tetigit, sed causam effusi οnis praestitit; uncle non tenetur diretta Aquiliae. sed in factum (7). 43. Qualche utore ha preteso di riscontrare differenze sostanziali circa gli effetti giuridici dell'astio Aquiliae utilis e dell'astio Aquiliae diretta, poiché, secondo essi (l) Fr. 7 pr.; fr. 13 pr., h, t.; fr. 18, § 1, Υ , 1; fr. 52,

§ 16, 17, 2. Cost. 6, Cod. h. t.; fr. Fr. 30, § 2, h. t.

39, § 1, b. t.

Fr. 11, § θ e § 10; fr. 12, fr. 17, Fr. 27, § 2], h. t. Fr. 27, § 35, h. Glossa,

t.

in fr. 27, § 35, h. t.

pr.; fr.'30, ξ 1, h. t.

— 77 — l'azione ut il e avrebbe semplicemente fatto conseguire la esatta riparazione del danno e non il maggior valore raggiunto dall'oggetto nell'anno o nel mese immediatamente precedente al danno stesso. . Ma questa opinione non trova appoggio in alcun testo delle fonti, e non pub supporsi d'altra parte che, trattandosi di differenze sostanziali fra le due .azioni, i giureconsulti non ne avessero esplicitamente trattato; inoltre nei testi delle fonti, a proposito dell'actio Aquiline utilis, si fa menzione espressamente dell'elemento penale e si usano le espressioni: actio legis Aquiline utilis ad exemplum legis Aquiline data (1), legi Aquiline accomodata (2) il che dimostra fino all'evidenza che l'aetio Aquiline utili.s dovesse produrre í medesimi effetti giuridici dell'actio Aqui-

line diretta (3).

§ 4. L'actío Aquiliae ía factum.'

44. L'actio Aquiline in factum aveva luogo quando era stato arrecato un damnum non eorpori, ovvero non torpori neque corpore; esempi. Conciliazione tra il fr. 7, $ 7. IV, 3, ed il fr. 57, 41, 1. — 45. Questione se esistessero differenze di sorta tra l' actio Aquiline utilis e l' actio Aquiline in jactum. Opinioni degli scrittori: Il Meyster

ed il Savigny. Confutazione. — 46. Continuazione: Questione se tra l'actio Aquiline dírecta e l'actio Aquiline Fr. 52, h. t. Fr. 53, h. t. Savigny, System., Y ; lYangerow, h. t., I, h. i., DCCI.

3, 3; Glück,

— 78 — utilis esistessero differenze sostanziali o formali. Varie ορinimai': a) Glück; b) Westenberg; c) Cocceio; e) Grean;

Nostra opinione. 44. Si é visto precedentemente che quando il danno non era stato arrecato corpori, ovvero non torpori neque corpore, si poteva intentare un'actiο .quiliae in factum concessa dal pretore (3.); in damnis quae lege ΑquΥia non continentur, in factum datur actio (2); quest'actio quindi era concessa, ad es., se taluno avesse fatto fuggire un servo (3), od a νesse mescolato col frumento a vino, altre materie inseparabili (4): nam glia quaedam species damni

est, ipsum quid corrumpere, et mutare, ut lex Aquilia locum habeas; ah a, nulla ipsius mutatione applicare aliud, cuius molesta separatio sit (5). Cosi pure se taluno avesse nel fondo altrui fatto mangiare ghiande ai propri porci (6); in questo caso non aveva luogo l'astio diretta, perché le ghiande ad cum usum consumptae sunt, ad quem erant (7). Parimenti, come abbiamo già visto, se taluno avesse sciolto -

un servo che era legato e lo avesse lasciato fuggire (8). Α quest'ultima fattispecie sembra contraddire il fr. 57, § 16, hτst., h. t.; Du Caùrrov, Inst., ξ i1iCLI; 1+Ι. Accarias, tit. II, pag. %O; Serafini, op. cit. § 154, . νο1. IΙ, pag. 145. Fr. 33, § 1, h. t. Fr. 64, W 7, 24 3, fr. 5, Ι 1, 6; fr. 11, 19, 5; fr. 53. Fr. 27, § 14, h. t. Fr. § 14, h. t. L. 6, Cod. III, 35. Glissa, in 1. 6, Cod. III, 35. Fr. 7, § 7, ΙΥ, 3. •

.

— 79 — 41, 1, in cui si fa il caso che una persona abbia sciolto un cinghiale, il quale stava legato, e lo abbia fatto fuggire, e si concede al proprietario del cinghiale non un'αctiο Aquiliae Ii 1"ACTUM, ma un'actio Aquiliae UrILIs. Ma l'antinomia non esiste, poiché i quest'ultimo caso il . cinghiale, essendosi fatto fuggire, é tiscito dal patrimonio del padrone, come se fosse stato ucciso, perché il cinghiale, come animale selvatico, era annoverato tra le ferae bestie,'le quaji, coll'occupazione passavano in proprietY dell'occupante: quod autem nullius est, id naturali ratione occupanti. conceditur (1). Ma se dette bestie fuggivano dalle mani dell'occupante, tornando, a riacquistare la loro naturale liberti divenivano nuovamente res nul,

lius. Et ideo si rursus fugit, et sic nocuit, non ροtest quidem dominus conveniri; quia desinit dominus esse ubi fera evasit (2). Nel case quindi proposto nel fr . 57, 41, 1 siamo in realt di fronte ad un damnum coxpoRI datum, per il quale giustamente si concedé dal giureconsulto un'actio Aquiliae utilis e non un'actio Aquiliae in factum; nel caso invece del. servo fuggitivo si ha un damnum non corpori dahon, perché, nonostante la fuga, non cessa di appartenere al proprietario, e ρerefó non diviene res nullius (3). 45. Ed ora veniamo ad esaminare se esistesse in. veriti una differenza .tra l'actio Aquiliae utilia e ructio Agus-

liae in factum. a) Il Meyster (4) e il Savigny (5) sostengono che l'actio § 12, de rerum div., 2, 1, Inst. Fr. 1, § 10, Si guadrup. µ auper. fecisse dicatur, 9, 1. Cuiaeio, in fe. 4, § 2, de .praeseriptis verbis. Meyster, Dissertatio de in factum actionibus, c. 12, pagina 148. .

Savigny, op. cit., Υ, § CCXVII, nota i.

—bη0



Αquiliae in factum fosse identica all'astio Αquiline utilis essi si fondano sull'uso promiscuo dell'espressione astio utilis ed astio in factum, che si riscontra in vari passi. Cusi, ad esempio, nella ipotesi dell'animale rinchiuso e fatto morire di fame. nel fr. 2, § 20, 47. 8, da T'lpiano si concede un'actio utilis: invece nel fr. 29, § 7, h. t., dallo stesso TJlpiano, e nel fr. 9, § 2, h. t., da Nera.zio, si concede un'actio in factum. Similmente nella ipotesi della bestia che fu spaventata e fatta precipitare nella rupe, Nerazio nel fr. 53, h. t., accorda un'actio in factum, e Gaio nel fr. 51, § 47, 2, accorda un'actio utilis. I detti scrittori credono che anche l'astio in factum, di cui si parla nel fr. 14, § 1, 19, 5, sia in realtà una vera e propria astio civilis utilis (1) e che nel citato frammer_t ο si faccia il caso di un servo, che sia stato spogliato delle vesti e che perciò sia morto di fame, e quindi di un damnum iniuria eorpori ma non corpore datum, per il quale si doveva necessariamente concedere un'actio Αquil~αe in factum: aggiungono che l' υ s ο promiscuo delle dette espressioni si riscontra anche in altri frammenti (2). Il Savigny iιi οltre (3) osserva che il § 16 Inst. h. t. (4 ) non contradice alla sua opinione, poiché nel citato passo si usa una inesattezza di linguaggio: che la maggior parte dei passi del Digesto in casi di damnum § 6, lust., h. t.; fr. 11, 19, 5; fr. 4, 11, 3. Fr. 7, § 6, 9 pr. 11, § 1, 49 pr., h. t., e Cost. 5, Cod, h. t. Savigny, lic. cit. Si ττοη corpore damnum fueril datum, negue co rpus Ζα esτιηι fuerit, sed αl~ο modo alicui damnum contigerit, eυιn non sufficiat τι eg υe directs neque utilis legis Aquiliae setio, placuit eurn, qui obnoxiu.s fuerit, in factum actione teneri.

— 81 —

corpori datum ma non corpore, concedono un'actio in factum (1) e che invece in molti casi le Istituzioni accordano un'actio utilis nelle medesime ipotesi nelle quali il Digesto parla d i actio in factum (2). 46. L'opinione del Meister e del Savigny nei termini generici con cui è concepita non é esatta, essendovi pur-troppo" una differenza fra le due azioni. C ~δ in verit si desume dalle chiare parole del citato § 16 delle Istituzioni, che accordava l'azione in factum quando mancavano l'azione diretta e l'azione utile , ed appare. altresi da altri passi de ll e Fonti. Gaio (3) infatti prevede il caso che taluno per trascuranza abbia messo in fuga i buoi od abbia fatto cadere il danaro da lle mani aitrui, ed un terzo siasi appropriato dei buoi o del danaro medesimo: Li giureconsulto si pone la questione se debba in questo caso concedersi l' actio utilis legis Aquiliae; ma lascia in sospesa la fatta domanda, rolla quale invece Giustíniano, dopo di avere letteralm ι~nbe riprodotta la frase interrogativa di Gaio, tronca la difdcolt~, dicendo: in factum aetionem dar debet. Orbene, se egli avesse ν οluto realmente riferirsi all'azione utile de lla legge 'Aquilia, per quale ragione avrebbe dovuto cambiare il testo di Gaio, mentre avrebbe potuto rispondere a lla questione proposta con una semplice affermazione? É. chiaro quindi che nella indicata fattispecie di un danno, in -cui neque corpus laesum fuit neque corpore fuit datum, l'azione in factum non puY in alcuna guisa corrispondere all'azione utile della legge Aquila. Infine Fomponio nel fr. 11, Fr. 7, § 6; fr. θ ρr.; fr. 4, § 5; fr. 29, § 5; fr. 49, ρr. h. t. § 16, Inst. h. t.; fr. 9, § 2 e § 3 h. t.

Gaio, Comm. llI, § GGII.

82 —

ΧΤΧ, 5, dice esplicitamente che l'azione utile de ll a legge Aquilia, quando non é fittizia, è redatta in factum?: e perci ~~ in massima si può affermare che fra l'actio τΡιΡ ti ι i. e Γαctio in factum DOVEVA ESISTERE UNA DIFFERENZA. I testi citati dal Saviguv e dal Meister si riferiscono sο ltaut ο a casi di danno torpori datum e l'essersi promiscuamente usato ora í vocaboli di actio utilis ed ora gli altri di actio in factum significa non gib. che l'una azione sia eguale all'altra, ma piuttosto che i giureconsulti in quei casi speciali hanno inteso accordare lo stesso valore a detti vocaboli. Questa almeno é'l'opini οne pi acce t tabile, altrimèntι bisognerebbe ammettere una manifesta c~ntra diziοne, che l'interprete deve possibilmente evitare. D'altronde questa stessa contradizione neppure si ravvisa sott'altra forma, come taluno crede, in altri testi (1' del Digesto; tosi ad esempio si prevede iu vari passi lo stesso caso della caduta in mare di un oggetto che l'acqua non 1316 guastare; ebbene, i n tale fattispecie un giureconsulto concede l'astio utilis ed un altro quella in factum. Mae evidente che nella riferita ipotesi trattasi dl damnum corροri datum per finz ιοne di diritto, inquantoché l'oggetto perduto nel mare si considera come uscito dal patrimonio del proprietario, a similitudine del cinghiale fatto fuggire mediante la recisiòne della fune, in cui si accordava, come si è gi visto, l'astio utilis. In conseguenza anche nei detti frammenti l'uso dei diversi vocaboli sta per significare l' identitY dell'azione, come negli altri testi citati dal Meister e dal Savignv. Con quanto abbiamo ora esposto resta confutata anche .

.

(t) Fr. 2 î- ,

virbis.

T

.

t.: fr. 1 4 princ.; fr. 23.

Ι/e

jirrcescriρür

— 83 — l'opinione di coloro i quali ritengono che la distinzione fra le due azioni, fatta nel § 16 Inst. fosse arbitraria e che non trovasse alcun riscontro nelle Pandette (1). Ora impo rt s, esaminare se le differenze fra le due azioni fsserο formali o sostanziali. Anche su questo punto discrepanti sono le opinioni degli scrittori. a) Il Gliik (2) crede che in proposito i gitireconsulti. romani non fossero d'acc οι dó ma cif non risulta dalle fonti. b) Altri (3) sostengono che•l'actio utilis fosse penale e che l'astio in factum invece fosse un'azione reipersecutoria; noto.' ρθr~~che la maggior parte de ll e azioni pretorie sono azioni penali (4). c ) Cocceio (5) sostiene che l'actw ut~lis Aq ι ilυ e avesse luogo anche nel case di culpa levissima, mentre fatti° Aquiliae in factum, secondo lui, si poteva intentare soltanto nel caso di colpa ta tα e di dolo; inoltre crede che l'actio Aquili.ae ifa factum come azione pretoria s i prescriveva in un anno, a differenza dell'actio Aquiliae utilis, che essendo civile; si prescriveva in 30 anni. Ma non ρυδ ritenersi che l'astio in factum avesse luogo soltanto nel caso di dole e di colpa lata, poiché, come abbiamo gι visto, la legge Aquilia ammetteva •la responsabilitá, per qualsiasi grado di colpa; inoltre non' è vero che l'astio in factum come azione pretoria si prescrivesse in un anno: 10 Perchè i giureconsulti di ci ~~non ,

.

Thomasio. ~ldd~t.'ad Huheri Praeleet. jar. civ., h. t.,' Ιib. 1, peg. 373; Fιιiο ad Cοιτηαιαυιιτ,: lib. VII, . Ct. 15, :n. 10. Glük, Ausfiihrl. Erl aut. d. Pand. vol.. X § 701, pag. 3.~2. ,

W estenberg, De caus~s obl~gatioιuι» ι, lib. V, c. 4, n. 33. ~~ 4) i\[endoza, op. cit.. lib. Ill, c. 5, sez. 1, n. 16. (5) Cocceio, Jus civ ile controrersum, h. Σ.; qiiaest. 12.

-4— fanno parola; 2° Ρerchè alla regola che le azioni pretorie si prescrivono in un anno si facevano spesso eccezioni; coli, ad esempio, l'azione praetoria de servo corrυpto era penale e perpetua (1). d} 11 Care au (2) ritiene che i' actio Aquiliae in factum mirasse a conseguire la semplice riparazione del danno, e 1'actio Aquili αe utilis producesse i medesimi effetti giuridici_ dell'actio Aquiliae directa. • 61. Noi crediamo che debba respingersi anche l'opinione del Greau, e che l'unica differenza esistente fra le due azioni consistesse nel nome, nell'origine (3) e nella procedura. (4). a) Nell'origine, perchè l'actio Aquiliae utilis si fondava sopra una finzione giuridica, mentre l'actio. Aquiliae in factum era concessa dal pretore per ragioni di equitY nè ex verbis, né ex mente legis. b) Nella procedura, perchè la formula dell'actio utilis era in in ius concepta, mentre quella dell'actio in factum era redatta in factum. Con cib concorda precisamente quanto dice Pomponio (5) e cioè che l'azione utile della legge Aquilia, quando non è fittizia, redatta in factum, e si spiega altresi la ragione per cui í giureconsulti in casi speciali si proponessero la questione se si dovesse concedere l'astio Αquiliae utilis o 'astio .Aquiliae in factum. La detta differenza per ~~era del tatto formale e scomparve quando fu abolita la proFr. 9 pr., § 2 e § 3 h. t. ; fr. ~ , § 3 e § 4

G+reau, Etude sur Ζα loi Aquilin, cap. III, pag. 51 e 52. Serafini, op. cit. vol. II, § 154, peg. 145; Mapnz, Cours de droit romain, vol. 1Ι, § 172, pag. 101; Ibsen. 2 e 174, pag. 26. Wangerow, Lerhb. d. Paad.; vil. II, § 681, arr. 1, η. 2. Fr. 1 ~, 1 9. 5. ,

.

85 cedura formulare e tutti i giudizi divennero e ctrαοrdinan~a (1): l'unica differenza allora .consisteva nel nome e nell'origine (2). Del resto a favore de lla nοstra opinione abbiamo l'espressione actio in factum legi Aquiline accomodata ed il fatto che i giureconsulti di una differenza sostanziale fra le due azioni 'ton fanno parola alcuna; mentre se la detta differenza fosse davvero .esistita, pro- babilmente ne avrebbero, come in altri casi, esplicita mente trattato. Concludiamo col ritenere che gli effetti giuridici dell'actio Aquiline diretta erano identíki a aùelli deliactio . utilis e dell'actio in factum, nei casi in cm quests ultime erano accordate in relazione alla legge Aquilia. -

CAP ITOLO.

Α QII~LI PEESONE CONPETEVANO

IV.

LE AZiONi »ELLA LEGGE AQIIILIA.

1, Nozioni generali.

47. L'actie Aquiline diretta spettava al proprietario. 48. Conseguenze ed applicazioni di questo principio: A) Le res nullius e le res religiosae. — 49. B) Cose di cui si aveva una proprietà risolubile. — 50. C) Eredità giacente. Interpretazione del ('r. 48 h. t. - 51. D) Altre applicazioni del principio generale stabilito nel n. 47. -- 52. E) Propagazione dell'incendio alla casa deLLvicino:. l'actio gυiliae e la cautio damm infetti: fr. 27, § 10 h. t. —.53. F) Danni —

,

(1) Windseheid, Lerhb. d. -Pand., voí. ΙΤ, § 455, ~ n ota 3. (2 > Serafini, lie. cit.; Castellari op. cit., pag. 9 2, n. 80. .

-86—

ar~•ecati alle res -dotales.-- 54. G) Danni αrreιαti a cose verso cui esistevano rapporti contrattuali: rinvio al , 6 di questo capitolo. — 55. R) Danni arrecati alle cοse comuni. -- 56. Íi Interpretazione del fr. 55. 'F. 3: aj'ριtrentc ow tinomia• col ρ2-inciρ iο post, nel n. 4 7. . L'actio Aquiiiae diretta spettava soltanto' al proprietario della cosa danneggiata: legis dquiliae astio h.aerο competít, hoc est domi»o (1). Domino dare damnas es to (2l. Vedremo. ora alcune conseguenze ed applicazioni dell'accennato principio. A Dall'essere e οncessa l'actio diretta solo al proprietario seguiva ch'essa hen poteva esercitarsi per í danni exrecati alle res nullius ed alle res religiosae (tombe e sepolcri), )

,

le quali ultime pèrò erano tutelate dall' interdictum quid '

vi aut clan (3 j.' Β) L'actio Αquiliae spettava anche a•colui che a'eva una proprietâ temporanea sulla cosa danneggiata: Si in eo homíne, quer -tibi redhibiturus esser,-. damnum minna . d~tzιm esset, JυΙiαnus ait, legis Aqúiliae actionem mihi coinpetere, meque curn coepero redhibere, tibi restituturunm (4. C) tinche per í danni arrecati alla eredit giacen secondo i principi rigorosi non si sarebbe potuta intentare l' actio diretta: ma siccome presso i Romani valeva il principio haereditas iacens substinet personam defuncti, (~ ) Fr. 11,' 6 e fr. 13, pr. h. t. ; • Pernice,. op. cit., XVI; T'~'indscheid, op. cit., § III; Μα~~nz, ορ. 'cit., § 271: Arndtsßera fi ni, op. cit., ξ 324; Castellari, op. cit., η. 81 e seg. Fr. 1 7 , § 1 , h. t. Fr. 2 , de seiniicro τ~olaty. Fr. 11, ξ :, h. t. .

— ε37 — così l'actio Aguiliae diretta poteva' esercitarsi dall'erede dopo l' aditio haereditatie 1), come nel caso della res haereditaria. Si ser cue hιiereditαrius occida.tur, quaeritur quis λg υiliα αgιι t, cam dι minus nullus sit hutius servi? Et ait Celsv-s leger domino damna salva esse roluisse: domin".s ergo haered-tas habebitur. Quare, adita haereditate, haeres poten t experiri (2. Ob, id quid antequam haereditatem adires, damnum admissum in ree haereditarias est, legis Aquiliae actionem habes quid post mortem eíus, cuius haeres sis, -αeeiderit (3). Né si osservi che al momento in cui il danno fu arrecato l'erede non era padrone dell'eredítA: dominum enim ler Aquiliae appellat, non utique, qui tune fuerit, cum damnum daretur. Se cosa non fosse stato si sarebbero avuti questi inconvenienti: a) l'actio Aquiliae non si sarebbe potuta trasmettere dal testatore all'erede; b) in caso di dirmi arrecati alle cose di un prigioniero caduto nelle mani del nemici, non -avrebbe avuto luogo l'actio Aquiliae a favore del danneggiato qualora questi fosse ritornato in patria; c) í figli postumi, che fossero stati istituiti eredi dai loro genitori, non avrebbero potuto esercitare l' actio Aquiliae. Del resto che l' actio Aquiliae - spettasse all'erede per i danni arrecati iacente haereditate si argomenta anche dal tatto che all'erede spettava altresi l'actio arborum furrtim caesarum,° se prima della aditio fossero stati tagliati alberi, e -l' interdetto quod ari aut clam, se alcuno avesse fatto .qualche cosa sulle res haereditariaecontro il divieto espresso o tacito di coloro ai quali spettava la erediti (4). .

Fr. 43; fr. 13, § 2, h. t. Fr. 13, § 2 , h. t.

.

Fr. 43, h. t.

Fr. 43, h. t. e Glissa in cit fr.

-88— proposito dei danni arrecati alle res haereditariae prima della aditio abbiamo il fr. 48, h. t. Si serous ante :

aditarn haereditatem damnum in re haereditaria dederit, et liber factus in ea re damnum det: utraque act u ie tenebitur. Quia alterius. et alterius fasti, hae res sunt. In questo passo si dice che se prima della adizione di una eredkk un servo abbia recato danno alle cose ereditarie e poi, divenuto libero, abbia nuovamente danneggiato quelle cose, utraque actione tenebitur, e cioè tanto coll'astio in factum in duplum quanto coll'astio ∆guiliae; la prima di dette azioni si riferisce al danno cagionato in istato di schiavitù, perché essa non si sarebbe potuta esercitare contro il padrone già morto, e d'altra parte il servo divenuto libero dopo. l'edizione dell'eredità del terzo era responsabile del dolo e della colpa lata per í danni da lui arrecati durante lo stato di schíavitii; mentre la seconda azione si riferisce al danno dal servo "stesso cagionato quando esso era già libero. D'altronde questa distinzione su cui è fondata la teorica di Baldo — diversitas factorunt exigit diversitatem. poenarum (1) — ha il suo fondamento nel principio generale altre volte affermato, che l'astio Aquiline ha luogo cοntrδ il proprietario del servo per í danni da lui arrecati, e non contro il servo stesso. 51. D) Per esercitare l' astio Aquiline non era necessario essere proprietario della cosa danneggiata al momento del danno, bastando anche che se ne fosse acquistata la proprietà posteriormente al danneggiamento, come nel caso della res haereditaria (21. Parimenti il debitore od il venditore di una cosa, a buon

(1) Baldo, in sit. fr. 2) Fr. 24, 54, 43 e 48, h. t.

-89— diritto avrebbe potuto sperimentare l'azione se il creditore prima della mora, o l'estraneo, avesse alterato o guastato la cosa promessa ο venduta (1), di guisa che la detta azione si sarebbe potuta continuare ad esercitare anche se la cosa rosse stata in seguito alienata ο fosse perita (21. Cosi pure se un servo fuggitivo fosse stato ferito, il padrone avrebbe sempre potuto esercitare l' actio Aquiliae. 52. E) Se taluno avesse incendiato una casa ed il fuoco si fosse propagato a ll a casa del vicino, sarebbe stato responsabile anche di fronte a quest' ultimo coll'actio AgτΡ tiliae e di fronte agli inquilini per la distruzione e danneggiamento de lle cose, derivanti dall' incendio. S i quis insider voluerit ream exurere, et ignis etiam ad vicini insular pervenerit, Aquilia tenebitur etiam vicino: non minus etiam inquilinis tenebitur, ob ree eorum exustas (3). Se si fosse incendiato un forno, avente una parete comune, il vicino avrebbe potuto agire c οn un' actis in factum (ossia con un'actio utilie) qualora la parete fosse stata distrutta; ma se il fuoco non avesse ancora arrecato danno al vicino, od avesse soltanto minacciato d'incendio il suo fondo, avrebbe avuto luogo una cautio damni infetti. Si fundum secundum parietem haberce, an damni iniuria tenearis? Et ait Prolucus, agi non posse; qu.ia nec cum eo, qui focum haberet. Et ideo aequius Auto in factum actionem dandam scilicet, si paries exustus sit, si autem nondum mihi damnum dederis, sed ignem h abeas; ut metu am, ,

,

Fr. 54, h. t. Fr. 56,

De oblig. et act., e 27, § 2, De reiroindicatione

Fr. 27, § 8,h.t.

-90—

ne mihi damnum des, danni -infecti Auto su «leere ca'utione» f1,. 53. .F) Se da un terzo fosse stata danneggiata una res .

dotalis, l'astio Aqui_liae sarebbe spettata al marito (2!. Ma se

questo fosse stato convenuto in giudizio per la restituzioné della dote, il marito avrebbe dovuto cedere l'astio .Aquiliae a ll a moglie. Il Mendoza i3) riferisce il fr. 18, § 1, 24, 3, al caso di un matrim~ιΙο contratto coemptione. C) Fra più persone che avessero avuto interesse alla conservazione de ll a cosa danneggiata, soltanto il dominus avrebbe potuto esercitare 1'actiο Aquiliae direct", salvo a ll e altre persane vincolate da contratto un'actio utilis (4), in alcuni casi determinati, come verrà, dimostrato gel § 8 di questo- capitolo. Β) Nel caso di danni arrecati da persona libera ad una cosa comune, ciascun condomino poteva esercitare l'azione per 1a sua quota (5). (%si pure se un servo comune fosse stato ucciso da un servo di un estraneo, uno dei condomini che agiva, poteva pretendere o la litis aestimatio pro parte o la noxae deditio in" solidum, qui" haee ress divisionem non recipit (6). .

Fr. 27, § _ 10, h. t. Fr. 18,§1,24,3. Mendoza, lib. I, cap. Y, sez. 3, n. 8. Per verità non si comprende perchè il Mendoza voglia limitare l'applicazione del testo al caso del matrimonio contratto coemptio ηe, mentre ii principio ivi st~tuitο sta in rapporto col dominio civile della dote, che risiedeva del .marito. Fr. 11, § 10, e f r. 12, h. t. Fr. 19 e fr. 20, h. t. Fr. 27, § 2, h. t. .

,

..

—1

56. I) Abbiamo detto che remctio Aquiline spettava soltanto al proprietario della cosa danneggiata. λ questo principio sembra contradire il fr. 55, V, 3, in cui si eoncede l'astio Aquiline al possessore slj buona fede: In eri eta haereditate bonae jîdei possessor quod lege ;Aquili α exegerit non simplum sed duplum restituet. Lucrum enim ex eo, quod propter haereditatena aeeepit, lacere .non debet. L'antinomia per~~non esiste, poiché nel citato frammento si fa ia ipotesi che l'astio Aquiline directa sia stata giustamente esercitata dall'erede apparente, il quale nella sua qualifica doveva essere necessaríaméme eónsiderat ο non come. semplice possessore di buona fede, ma come apparente proprietario.

§. 2. Della distrazione e del .danneggkmento de ll e cose legate o lasciate in fedecommesso.

57. Necessita di premettere alcune nozioni generali intorno

ai legati. I. Diverse specie di legati nel diritto antegiustifianeo: ii, per vindícationem; b) per danrnationem; e si nendí modo; d) per praeceptionem. Innovazioni introdotte su tali specie di legati da Costantino e da Giusti niano. Π. Varie azioni - eοneesse per conseguire il legato: a' azione ex testament(); b) vindícatio; e) azione jpothecaria. I11. Agnitio iegatí e jus deliberandi. —58. Di struzione , e. danneggiamento delle cose legate da parte dell'erede: a) ante aditionem haereditatis et agnitionem legati; b) post aditionem haereditatis et agnitionem legati. — 59. Distrlιzione e danneggiamento delle cose legate avvenuti per causa di estranei: a) ante aditionem haereditatis et agnitionem legaci: distruzione parziake e deterioramento; distruzione totale: fr. 15. pr. h. t.; b? post •

— 92 — aditionem haereditatis et agnitionem legati. Interpretarione del fr. 13, 3. h. t. — 60. Legato ripudiato: a chi spettasse l'azione pel danneggiamento. - 61. Cosa legata a più persone e rinuncia da parte di una di esse. — 62. Di-

struzione e danneggiamento di cose lasciate in fedecommesso. Danni arrecati prima della aditio haereditatis. Danni arrecati dopo Uaditio haereditatis : a i prima della restituzione; bì dopo la restituzione. — 63. Apparente antinomia tra il (r. 70, § 1, in fin. 36, 1, ed il principio saemel haeres semper haeres. — 64. Grado di responsabilità cui è tenuta la persona gravata dei legati e fedecommessi : a) erede gravato di un legato o di un fedecommesso particolare; b) legatario o fedecommissario particolare gra rata di un legato o di un fedecommesso; c) erede gravato di un fedecommes.~ o - universale. -

57. Per bene intendere le varie questioni che possono sorgere in ordine alle azioni derivanti dalla distruzione e dal danneggiamento della cosa legata di fronte alla legge Aquilia è mestieri accennare ad alcune nozioni generali sui legati. L Nel diritto antegiustinianeo vi erano quattro specie di legati, e cioè per vindicationem, per damnationem, sinendi modo e per praeceptionem. Queste diverse denominazioni di legati erano desunte dalle formule usate dal testatore. Quindi: al Dicevasi legato .per vindicationem quello in cui si concedeva al legatario il diritto di rivendicare la . cosa legata, con una delle seguenti parole: do, lego, .capito, sumita, tibi habeto, vindicat ο. b) Dicevasi legato per damnation.em quello per cui il testatore obbligava l'erede a prestarlo, co lla formola haeres ,

meus damnas esco dare, dato, haeredem meum dare. iubeo.

-93—

e) Il legato poi sinendi modo si aveva quando veniva usata dal testatore la seguente formola: haeres meus sfinito, avvero damnas esto sinere, Luciuna Titium rem illam .sumerc et sibi habere. dì Finalmente si aveva il legato per praeceptionem. quando esso veniva lasciato ad uno degli eredi con una di queste formole: Titius haeres meus illam rem jraecipito aut praeceptam habeto, e questo si soleva chiamare prelegato. Queste diverse specie di legati differivano non solamente nel nome, ma anche nella sostanza e negli effetti ( 1). Tuttavia questa differenza di legati in seguito non ebbe più importanza, perché dapprima l' imperatore Costantino aboli l'osservanza de ll e formole tanto nei legati quanto nei fedecommessi, in modo che non la qualità de ll e parole dovevasi poi riguardare, ma soltanto la volontà di chi legava o faceva il fedecommesso. Giustiniano poi stabili che una soltanto- dovesse essere la natura dei legati, qualunque fossero state le parole usate dai testatori, e perci ~~acc οrd~ , o1ltre l'azione ρerso;τ αle, anche quella reale e l'altra ipotecaria per conseguire il legato (2), e ci~~venne confermato co lla costituzione nimium 1 Cod communia de legatis et fideic οmmissís. Nelle Pandette poche vestigia si trovano del diritti antico in ordine alle accennate specie di legati, perché compilatori ebbero l'incarico di adattare i responsi alle nuove leggi, e perc~δ non riprodussero i nomi per vindicationem, per damnationem, ec~., fermi perδ -rimanendone la sostanza e gli effetti secondo il diritto nuovo. ,

.

,

L. in legati's, 21 Cod. ie lega tie, § .Sed oli ι~τ 2 Inst. de legatis; L. 15, Cod. de testamentis; L. 1, Cod, communia de legatis et fτdeieomm ~ss ~s; Heineeein. Prelezinne bqli eleιιτvWi ~~ di diritto citi/e. 605.

-

94

-

Π. La

prima azione concessa dal diritto nuovo per conseguire il legato era quella derivante dal testamento o dal codicillo, dopoché fu permesso di legare per codícillo 1 e competeva contro tutti coloro che fossero graati della prestazione dei legati, come gli eredi, i sostituiti, i fedecommissari, legatari cum οι ere e donatari ιιοι•t auusa, perché si riteneva che gli eredi coll'adire l'eredita ‚2 ad essi deferita e tutti gli altri colAaccet tare la disposizione testamentaria si fossero obbligati erso í legatari con un quasi-contratto ad eseguire la volorit(i, del defunto (3). Questazí οne aveva luogo per ogni specie di legati. senza aver riguardo se fosse stata legata una cosa certa o incerta o un corpo determinato od una quantità, perché il fondamento de ll a obbligazione stava sempre Tel quasi-contratto. La seconda azione, concessa per conseguire il legato era la rindic'atio, la quale aveva per fondamento il dominio della cosa legata che ipso iure passava nel legataric '4; quest'azione si poteva .sperimentare contro coloro che erano in possesso della-cosa legata (5, e perci~~ tanto contro l'erede quanto contro i terzi, per mo d o che se la cosa legata era posseduta da im solo degli eredi, detta azione poteva esercitarsi contro lui soltanto (6). .

(.1) Fr. ι•ünficiu κ tur, 8, § 1, de Jure, eodicill. 29, 7. § laneres 5 Inst. de oblig. quae quasi -ex c'mtri?ctu ιταseuntur, ΙΙΙ, 2θ ; fr. si quis nbsentis, 5, § haeres quoquc; 2 de oblíg. et act., XLIV, 7. Fr. 'pud Julian urn, 3, $ ult., quib#is ex cauris in passessionern ea tur, XL ΙΙ, 4. Fr. a Titio iwerede, 64, de furtis, 47, 2. § 1, hirt. dc n et., Ι Ι , 6. Arg. dal fr. si possessor, 55, de reiriιτ dicatiúne, V Ι, 1. .

Né osta che il legatario non potesse conseguire il legato se prima non lo avesse accetYato, giacché l'accettazione del legato operava in guisa da far ritenere che il legatario fosse divenuto proprietario de ll a cosa legata fin dal momento dell'aperta successione, mentre se veniva ripudiato si riteneva che la cosa non fosse stata mai nel dominio del legatario, come avveniva per la erediti deferita e quindi o adita o ripudiata ( 1). Coll'azione vindicatori a si potevano chiedere soltanto quelle cose quae corpore constant et certam sederi habent, come gli immobili e le cose mobili certe, determinate, mentre per le cose incorporali o per quelle incerte e per le altre consistenti in qùantitY, come già si è visto, non poteva sperimentarsi che l'azione personale ex testamento. L'esercizio dell' azione vindicatoria presupponeva che la pr ορriet della cosa legata appartenesse al testatore o all'erede; poiché in caso contrario avrebbe avuto luogo l'azione personale ex testamento -per costringere l'erede a procurarsi la cosa altrui legata od a pagarne l'equivalente al legatario (2). r σιd. υ nie 11 6. 2°, $ R557. Richeri, Ιυ r ιïςµ Le teoriche sopra indkate sono state sostauzialmenti. accolte dal Cod. civ. italiano. infatti per l'art. 862 qualunque legato puro e semplice attribuisce dal giorno della morte del testatore ii diritto al legatario, trasmissibile ai suoi eredi, di conseguire la cosa legata, la quale disposizione generale ha riscontro appunto nei frammenti 8 0, de legatis 2 ; 64, de furtis. '3 e 21, qeando dies legai. roi fidecomnm., cod. 26, de legatis, 3; 8, ξ 9, de usuris, e nelle (' ο stituzi οni 3, cod. d~ legatis, 1 $ 4, cod , de us,,ris et fructibus legato um . . ,

La distinzione poi dell'azione reale e personale, secondo

--

96

-

14' azione ipothecaría infine era pure concessa al legatario sopra tutti i beni del defunto a garantis che trattasi di legato di cose mobili od immobili, certe e determinate, ovvero di semplici quantità di cose fungibili, o di cose incerte ed indeterminate, ha piena corrispondenza negli art. 863, 864, 865, 866, 867, 8 76, 87 8 Cod. civ,, con cui resta confermato in massima il principio che la proprietà del legato si acquista ope legis dal legatario nel momento stesso _della morte del testatore. , Se il legatario per l'art. 863 deve domandare all'erede íl possesso della cosa legata, se per l'art. 8 65, n. 2, í frutti di essa sono dovuti dal giorno di detta morte, se infine in vista degli art. 8"~6 ed 878 la cosa stessa legata dovrà essere consegnata cogli accessori, nello stato in rui si trovava al tempo anzidetto, ed i pesi reali gravanti sulla cosa stanno a carico del legatario. ciò significa che questi, appena morto il testatore, ne diviene proprietario ipso iure. e pnò rivendicarla presso chiunque ne sia in possesso, mentre nella ipotesi di legato di cosa incerta, indeterminata o di quantità, egli potrà soltanto esercitare l'azione personale ex testamento. Le disposizioni dei Cod. civ. di sopra richiamate furono modellate sul diritto

m, comune, e cioè sui fr. 1, § 2-3; § i-7 e 11, quod legatοrµ 3 e 21 e Leg. 3 Cud. e fr. 12, § 1 e 3, quando dies legati rel fideieοmm ιssi eedat ; fr. 47, 44, § ult. e 57 de legatis 1 ; 10, § 1 18, § 1 de aiimentis rel eibariis legatis; 32, 85 e 87, § 8 de legatis 2; 2 e 16 de annuis legatis; 35, § 3, 52, § ult. ; 10, § 3; 102, § 3 de legatis 3; 2, s i servitus vindicetur; 15, § 2 de servit. praed. urban, 23, § 1; 19, § 13, 14, 15 e 16 de curo et argento legato; 18, § 2, de instrunéentis legatis ; 13, de dote praelegata; 28, familiar - ereΙscundat; § 5 e 12, Institutionum de legatis; nonchè sulle leggi: unica Cod. quod -

-

— 97 —

della prestazione del legato, di specie

ο di quan-.

tit (1). 111. Riguardo all'acquisto del legato, perchè questo potesse reclamarsi. era necessario principalmente che il legatario ne avesse fatta l'accettazione, ossia l'agnitio al qual fine era _ concesso al legatario il diritto di deliberare (2): l'accettazione poteva essere tacita od espressa (3). 58. Ci~~posto1 non sar ~. difficile risolvere le varie questioni, che possono sorgere riguardo alla distruzione od al danneggiamento della cosa legata. ,

legatorum; 1 e 4 Cod. de usuris et frι~ctibus legatorum; 46, § 4, Cod , de episeop. et eler.; Novelle 131, cap. 2; Leg. 3, Cod. in quibus causis in integr. restituatur; Leg. 7, Cod. de h.aeredit action; 6, Cod. de fideicom m.; 3 Cod. d e legatis. § Sed ohm quidem, 2, Inst. de legatis, L 1, Cod. eod. tit. Il Codice civile non attribuisce al legatario l'ipoteca le-

gale sui beni ereditari. (Art. 1969). ''oet, Comm. ad Pand., lib. 32, tit. 1°, n. 37. In quanto all'accettazione b da osservare che mentre in ordine all'erede il possessó dei beni ereditari passa a lui di diritto senza bisogno di materiale apprensione (art. 925), affinchè non abbia a rimanere in sospeso, per il legatario invece, come successore a titolo particolare, il possesso deve da lui essere domandato (cit. art. 863): che mentre cogli articoli 929 e 944 b disposto che l'eredit pub essere ccettata o ripudiata, per il legato invece b soltanto stabilito che la relativa disposizione è caduca se dal legatario vi si rinunzia. (art. 891). Dunque per i legati non b richiesta la formaliti dell' accettazione espressa, la quale del resto è implicita nella domanda diretta a conseguirli, od in altri fatti. ~~

— 98 — Ρυ~ _ darsi che la distruzione o íl deterioramento della cosa legata siano derivati dal fatto dell'erede. ed in questo caso bisogna distinguere.: a Se la distruzione od il dauueggiamento t'urino causati prima dell'adizione dell'eredit~ e prima dell' agν itiο legati., l'erede era tenuto verso il legatario coll'azione ex testamento e non avea luogo l'a stio

Aquiliae, quia laesio illata ~iit, priusquam res pieno iure legataria per agnitionem (acta est (1). Item sertum legatum haeres. ante aditam haereditatem οccíderít: quoniam prius quam ('ictus sit legatαrii, interemptus est, εessαt legis Aqui> lise astio. De dolo autem (astio) quocumque tempore eum occiderit, cessat, quia. ex -testamento .astio competit (2). b) Se invece la dístruzione od il danneggiamento furono eausati post aditionem et agnitionem, spettava l' astio Aquiliae al legatario" contro l'erede (3), perché mediante 1' αg>aitio il legatario poteva esercitare í diritti di proprietà sulla cosa legata (4): e ciò eo modo, quid id in restituzione haereditatis ex Senatusconsulto Trebellianico probabum est, nel quale si dice appunto che se prima della restituzione dell'erediti l'erede distrugga o deteriori i beni ereditari, si potrY convenire coll'astio ex testamento; se invece dopo la restituzione, avrY luogo l'aetio . Aquiliae (5 ). 59. Supponiamo ora che la cosa legata tenga distrutta o danneggiata da un estraneo; bisο gner distinguere se (])

bet, Comm. ad Pam!., lib. 32, h. t, η. 53.

Fr. et eleganter, § fieni si serεus, d e . dolo mali. Fr. 4 e fr. 13, § ult., h. t. Fr. A. Titio, 64, de furtis, ξ sed ohm g τι iλen ~~ Instit. De legatis.. bet, loc. cit., fr. si haeres Instituhis, ~~0, § si haervs, 1. ad Senatuse. Trebell.

— 99 — cι~~avvenga prima o dopo dell'adizione dell'ereditY e dell'agnitio legatio: a) Se il fatto del terzo danneggiante sfasi verificato prima dell' adizione dell'ereditli e prima. dell'agnitio legati é mestieri di nuovo distinguere se la cosa sia stata distrutta ovvero soltanto deteriorata; qualora la cosa sia stata distrutta in parte o semplicemente deteriorata, essa si dovrY consegnare al legatario, al quale l'erede dovrk cedere anche l'actio Aquiliae -c oane un accessorio della. cosa stessa (1): se invece la .cosa sia totalmente distrutta e non si possa perci δ consegnare, l'actio 9qui-liae non si dovrii dall'erede cedere al legatario, sebbene questi voglia accettare il legato; nel detto caso infatti l'accennata azione non costituisce piú un .accessorio della cosa legata, che non pu δ pül consegnarsi, né - pu δ considerarsi come legata, perchY fu legata d~1 testatore la cosa e non l'azione; perci δ l' actio Aguiliae acquisita a11'eredít ~~rimarrh, all'erede. Buie script tr~e consequens est dieci -e: t, si sante aditam haereditatem occidatur legatus ecu-eus, a'pud haeredem remaneat Aquiliae actio, per haereditatem acquisita. Quod si vulneratus sit ante aditam haereditatem, in haereditate guide t aetio remaneit, sed cedere ëam leg ~tαriο haeredem oportet (2). Non si creda ρerδ che i Romani nel caso di totale distruzione della cosa legata avvenuta prima delΓadizíone e dell'agnitio ammettessero, contrariamente al1'equit~, che al legatario venisse meno ogni útilitY e che rimanesse avvantaggiato l'erede per il fatto illecito di un terzo, potendo esso esigere la ρereτΡ nρti cοrροris aestimatio: in tal casa sarebbe stato iniquo che al legatario non dovesse essere concesso qualche mezzo per far valere le Fr. 15. h. t. Fr. Ι, pr., h. t.

-100— proprie pretese. A questo riguardo il Pacc}ioni (1'} pensa non essere improbabile che nella fatta ipotesi si provvedesse con una cοι~dictiο sine causa, colla quale il legatario potesse dall'erede pretendere la cessione dell'azione aqui liana, che senza alcun titolo trovavasi nella eredità. Noi crediamo col bet e col Richer! che l'erede, qualora avesse voluto esercttare 1'acti ο Aquiliae contro il danneggiante. avrebbe dovuto pagare al legatario la stima de ll a cosa legata distrutta, e qualora s i fosse a ciò ricusato, il legatario avrebbe potuto agire direttamente contro il danneggiante con un'actio doli; di guisa che senza il pagamento de ll a stima al legatario l'erede non avrebbe potuto esercitare l'actio Aquiliae. Paolo lo dice apertYmente nel fr. 18 § ult. de dolo mali: si servum quem tu

promiseras. alilts occiderit, de dolo malo actionern in eurn dandam plerique rette Autant, quia tu a me libera tus sis, ideique legis Aquiliae actio tibi denegabitur. E sebbene qui si tratti del promittente, mentre nel caso nostro si tratta dell'erede e dei legatario; tuttavia è identica la ragione di decidere: ubi eadem est legis _ ratio, ibi eadem esse debet legis dispositio, per il caso del promittente e per quello dell'erede. perchè ambedue sono rispettivamente padroni e debitori della cosa promessa o .legata (2). b) Se il danno fosse stato arrecato dal terzo alla cosa legata post aditionem haereditatis et agnitionem legati, l'actio Aquiliae sarebbe spettata senza alcun dubbio al legatario, ii quale era divenuto pleno iure proprietario della cosa le-

Pacchioni, Archisio giuridico, vii. 38, pag. 145. lief. Comm. ad Pond., lib. 32, tit. un., n. 54; Richeri, Iurispr. umir. § 9001 e 9002, lib. 2. ,

.

-

101—

,

gata (1'. Si servus legatus post aditam haereditatem sit, occisus, competere legis .Aquiline actionem. SI NON POST ΜΟΕΤ d servi adgnovit legatura: quid si repudiavit. cinse quens,essé ait Julianus dicere haeredi competere (2). Riguardo al citato passo la Fiorentina legge così: si non post mortem servi adgnovit legatτιm, mentre la Vulgata legge in quest'altro modo: si modo post mortem servi adgnovit legatum: secondo la Fiorentina, ci ο , era concessa l'actio Aquiliae al legatario -soltanto, se da -quest' ultím ο fosse stata fatta l'agnitio prima della morte del servo: secondo la Vulgata, invece soltanto se l'agnitiο fosse stata fatta dopo la morte del servo stesso. Ma è da preferirsi ]a Sezione della Fiorentina, poiché, se l'αgnitiο fosse stata fatta posteriormente alla morte del servo, il legato, a causa della distruzione della cosa, era già venuto a cessare, e l'azione al legatario non si sarebbe potuta concedere 3). Se un oggetto fosse stato legato ad"una sola persona, la quale avesse rinunciato, l' actio Aquiliae sarebbe spettata all'erede: quod si r'e'pudiavit, consequens esse a i t Julianus dicere haeredi competere (4). Se u~a stessa cosa fosse stata legata a due persone e fosse stato arrecato un danno mentre uno dei legatari deliberava se avesse dovuto o no accettare ~~l'altro avesse ripudiato il legato, per il jus aderescendi l'astio Aquiliae. sarebbe spettata al primo dei due legatari, quia retro

Fr. λ.. Titio 64, De furtis, § Sed ohm quidem his!. De legat is. Fr. 13. § 3, b. t. Castellari, op. cit., pag. 5 Ν. Fr. 13, § 3. in thi., b. t.

— 1Ω2 —

αccreνisse dorninium ei cidetur (1). l'ano Sicuti rep µ diαnte legatario ìegatυm haeredis est aetio peri'wie ac si soli iegatus esset (2. Parleremo ora della distruzione e del danueggiamento delle cose lasciate in fedecommesso. Nelle cose lasciate in fedecommesso, se il danno si era verificato prima della aditio haereditatis, ).'actio λgτ'~liαe spettava al fiduciario, il quale però doveva cederla all'erede fidecommissario. Quoties qui rogatur haereditatern restituere, id videtur rogatus reddere, quid fuit haereditatis. Se il danno invece ebbe luogo dopo l'edizione, bisognava distinguere se si verificò prima o dopo la restituzione dell'ereditY fatta dal fiduciario: a) se si verificò prima della restituzione, l'azione spettava all'erede fiduciario. Si danτ num in servo haereditario datum sit, lied per servum h αereditarium haeredi. competere actio coepit non tarnen trαι sit legis Αquiliαe. αctiο ad /Idekommissariurn. $ae eniin actiones transeunt, quae ex bonis defuncti pendent (3); h) se poi il danno si verificò dopo la restituzione dell'eredíth,. l'actio Aquiline competeva al fidecommissario anche contro lo stesso fiduciario: sin vero post restitutam haereditatenn horum quid adrniserit haeres, dicendunt lege Aquili.a cum ei agi posse, si serimm forte haereditarium aut vulneraeerit ant occiden t (4). Potendo il fidecommissario esercitare 1'actio Aquiliae, ne derivava ch'egii solo era il dominus. Il Fabro 5) ,

(] ) 4 'τ. 17, § 1, h. t.,34 e 35 h. t. Fr. 3 6 h. t. Fr. 66, § 2 ad SC. Trebell., 36, 1. Fr. 70, ς 1 in fin., ad SC. Trebell., 36, 1. Fabro, Comm. in fr. 7 8, § Ι, 36. 1.

— 103 —

ed il Castrense ρerci~~ (1) riscontrarono nel passo citato un'antinomia col principio semel haeres semper haeres, in forza del quale il vero proprietario sarebbe dovuto sempre rimanere l'erede fiduciario ed haeredis bei il fidecommissano, non potendo il dominio trovarsi in solidum presso due persone contemporaneamente. L'accennata antinomia per~~noni esiste, ove si rifletta che anticamente il vero e proprio erede rimaneva il fiduciario per il principio: semel haeres semper haeres; ma in seguito il Senatoconsulto Trebellianico, confermato poi anche da Giustiniano, stabili che qualunque fedecommesso universale dovesse produrre tutti gli effetti di una successione a titolo universale, per cui anche il fidecommissario era considerato come erede (:2). 64. ~. complemento di quanto abbiamo detto a proposito dei danni arrecati alle cose lasciate in legato e fedecommesso, giova ríc οrdare che di fronte al legatario la persona :gravata, sia essa erede semplice" o fiduciario, é sempre tenuta per la colpa propria. Gravi sono le dispute fra gli scrittori intorno al grado di colpa da prestarsi dal gravato nei legati e fedecommessi. Per chiarire la controversia fa d'uopo distinguere tre casi, e ci06: a) Se l'erede sia gravato di un legato ο di un fedecommesso particolare, egli é tenuto per qualsiasi colpa e ρerci ~~anche per la lievissima (3), non perché l'erede debba considerarsi come un mandatario, il quale con l'adire l'eredità .accetti il mandato conferitogli di pagare i legati ed i fidecommessi, ma perché hoc totem neg οtium Castrense, conniectua•., jib. VII. Serafini, op. cita, § 221, pag. 312. Fr. Gum res legala, 47, § penult. De legatis, I.

— 104 — quοd g ~.t,ci• test αmenti: οrdinαndi gratia inter testαtοreι t et iha. εΡ redenn agi creditur ι; l). e ρerci ~~nella disposizione del testatore si ha di mira prindipalmente l'utilità dell'erede, il quale per questo solo motivo resta vincolato in ordine alle cose ereditarie secondo le regole generali d i diritto alla prestazione de ll a colpa lievissima (2); . b e si. tratta non dell'erede, ma d i -un legatario o fidecormissario particolare gravato di un legato o di un fedecommesso. in questo caso, se egli non ritrae dall'ere dità nessun altro emolumento all'infuori della cosa che e obb ligato a prestare, in m οdσ_che -non abbia a risentire alcun vantaggio dal testamento, egli é tenuto a ll a prestazione del solo dolo, secondo l'opinione del' giureconsulto A ~r ιcan ο, nello stesso modo con cui nei coirtratti di buona fede, se essi riflettono il vantaggio di ambedue i ciiirraenti, questi sono tenuti a ll a prestazione della colpa, mentre se sono stipulati in vantaggio di .uno solo, l'altro non è tenuto che a prestare il solo dolo (3); e) Al contrario, se si tratti di - erede gravato di un fedecommesso non particolare, ma universale, egli ternito a prestare non sò10 il dolo, ma anche la còlpa lafa e timore. Un esempio della colpa lata cf é dato da Ülpiano : Sed enim si quis rogetur restituere haereditatent

et ve1 serri decesserint -rel alice res ρerierint placet non eogi cum reddere quid non habet; culpae plenαe reddere rationem rius guae dolo ρrοχinmα est. Un esempio invece della colpa § Se-d #egue, 10, inst. de te εtameιτ t~s ordinandis: Arg. dal fr. Si ut crrto, 5, § lune videnduna, 2, in fine, -

Comm&dati. (8) Fr. Si serε us legatus, 108, patis, 1 ; fr. 5. . Ρercíó se taluno uccideva un servo su cui altri aveva l'usufrutto, l'usufruttuario poteva esercitare Partii Aquiliae utilis (4), anche se autore del danno fosse stato il proprietario. S τ

insulam, cuius ' ususfructus legatus erat, incenderit, non est de dolo actio, quoniam alice ex hoc

I!OMINTS PROPRIETATIS

(I) Fr. 27, § 32, h. t. (2) Pithier, Fand, lus'., h. t., n. 34, nota 5 (3> Fr. 11, § 10, h. t. (.}~ Fr. 17. § 3, ~ , 1.

.

— 113 —

oriuntuur αctiο Bes (1i; si α rbοres in f~ιdo cuinns ususfructus ad Titium pertinet, ab extraneο, rei PROPRIETARIO s'uccisae fuerint, Titius et lege dquilia et interditti quod vi aut clam euum utroque .eorτιτττ experietur (2). 73. A proposito dei danni arrecati dal proprietario all'usufruttuario abbiamo il fr. 12, h. t.: Si proprietatis do-

minus rulnerarerit serrum rei occiderít, in quo ususfrτΡι etυυs mens est, danda est mihi ad exernplunt leyis Aquiline {,'cti ο in earn PRO PORTUOSE IISIISFRIICTIIS, ut ètiam ea par s anni in aestimationem neniat, qua nondum ususfructus meus fuit. in questo passo si fa il caso di un proprietario che abbia ferito od ucciso un servo, su cui altri aveva l'usufrutto: si decide che l'usufruttuario potrY esercitare l'actio Aquiline utilis contro il danneggiante pro portione ususfructus. Riguardo a quest' ultima espressione, il Pithier (3), il Glíick (4) ed il Pampaloni (5) credono che l'usufruttuario potesse pretendere l'intero valore dell' usufrutto, senza escludere il valore della parte di usufrutto gí i goduta. Essi in sostanza sostengono che si dovrebbe escludere l'importo dell'usufrutto gin, goduto, se si dovesse aver riguardo soltanto al valore attuale dell' usufrutto; ma siccome riguardo alla stima dell'usufrutto si ammette parimenti la repetitio tentporis, cosí a fortiori si dονr~~computare il valore dell'usufrutto dal giorno in cui cominciò ad esistere e non dal giorno in cui avvenne il danneg2, Le dolo, 1 V, 3. Fr. 13 pr., Qiod ri, 44, 24. Pithier, Pond. Inst., h. t., n. 40, nota 4. Giük. _4 fι~ h ι 1. Ει•linι t. ι1. Pond., voL 1, S 7 04, pagina :_i 72. ( 5 ) Pampaloni. ip. cit. ρα ~. 420. nota 37. Fr. 18,

8

— 114 — giumento: a questa interpretazione, secondi i detti scrittori, corrispondono le paroledel passo ut etiam ea pars anni

in αestimatiοnem veniat, qua nondum ususfructus meus fuit. Νο i però crediamo che l'espressione pro porzione ususfructus debba interpretarsi nel senso che l'usufruttuario potesse pretendere dal proprietario dello schiavo ferito od ucciso i' importo del valore deli' intero usufrutto, detratto il valore della parte di usufrutto già goduto. Esempio: venne ucciso uno schiavo su cui era stato costituito un usufrutto a favore 'ii una data persona, dell' intero valore di 10; il proprietario d οvr pagare all'usufruttuario 10 meno la somma equivalente al valore della parte di usufrutto già goduto. L' essere ammessa la repetitio temporis riguardo alla stima dell' usufrutto, non porta affatto per conseguenza, come sostengono í citati scrittori, che si debba comprendere nell'aestimatio anche il valore della porzione di usufrutto gik goduta, ροichè se cosi fosse, l'usufruttuario si sarebbe venutò indebitamente ad arricchire a danno del proprietario. Ν1 si sostenga che le parole ut etiam ea pars anni in acstimatione rf veniat qua nondum ususfructus meus fuit siano da 'interpretarsi nel senso che per punto di partenza della stima dell'usufrutto si debba prendere il giorno in cui incοminci~~l'usufrutto, poichè le dette parole significano soltanto che per la aestimatio damni si doveva risalire all'anno ρrecedente al delitto, da computarsi ρ er~~ dal giorno in cui fu arrecato il danno, sebbene ancora non fosse trascorso un anno dal momento in cui l'usufrutto era incominciato, e percib la repetitio temporis aveva luogo nel caso speciale sul maggior valore dell'usufrutto dello schiavo nell'anno immediatamente precedente a11' uccisione o ai ferimento.

— 113 — In proposito il Fabro (1) eosi annota: id est ad ratam temporis quo ususfructus constitit: e siccome gli sembra assurdo che si dovesse stimare l'usufrutto in un tempo in cui questo non esisteva, tosi vorrebbe leggere : n e, etiam ea ars anni, etc. invece di ut etiam ea ραrs anni. etc. Per le osservazioni superiormente fatte la lezione del Fabrd si deve senza dubbio respingere. Del resto quanto al fr. 23, § 7, h, t. (2) citato dal Fabro, osserveremo che la-stima dell' infante non va più oltre del momento della nascita, perché, come osserva il Fabro medesimo, la stima -dell' infante, prima della nascita è nulla e quindi l'applicazione delle regole dell' aestimatio Aquili αna non poteva interamente avér luogo: ma ciò non pub dirsi riguardo al citato fr. 12, b. t. 74. L'actio utilis legis Aquiliae era concessa, anche al possessore dí buona fede (3ì: Sed si serins bona fide alicui

serviat. un ei competit Aquiline actio? Et magis in factum, (αctiο'- — quippe cui tantum buna fides erit et praestari solet, quantum veritas, ubi lex impedimento non'est (4). Per ~~come nel case che evicta haereditate il possessore di buona fede .

d0lIa erediti doveva restituire quanto avesse conseguito ex 'lege Aquilia (5), tosi púre lo stesso obbligo a φeva £1 possessore di buona -fede dopo la rivendicazione delta

- (1) Fabro, Rat. ~ ' Fand. ad ~ . 12 cit. Si inftr ιrs sit νcriςus no n durn anniculus refus est sufhcere han, uctiúieein: ut αest ~ιnatiu ,faIar ad íd tempus, quo ~ntra ι' nnum n'nt. -.

Fr. 11. Η, h. t.; fr. 13, 1, h. t.: fr. 17, h. t.; fr. 136. be reQulis iτu-i. 4 ‚Toet, ~`onnr., 1ι. t., τι . Ο. :ι , Fr. 55. '1 , 3.

-116;

—.

a fatta dal proprietario (l : lucrum eu λm ex e ο f,.- r: .

'

uwz debet (2). Anche se il danno fosse stato arrecato dallo stess ο hoc-essere di buona fede, il proprietario avrebl:,i' ροt!~.t c irrentare contro di lui l'astio „.quiliαe: si e-) tempore. rf'O tibi meus serra. quer bina fide entisti ; serviebat, i1:*•e. a -err:, it orni studi me tec'eru rette .'eqe tao ruln. eratus est. ι ~αcµ ∆ «itia.. experiri. E giustamente, perché la legge ρυni a qualunque tatto contra jus, anche se non 'i fosse stato l'un. r/ms inruriandi. da parte del danneggiante. 11 proprietario in quest'ultimo casi poteva agire ex leggi. Aquili' separatamente od anche nel giudizio di rivendicazione (3!. Alla sua tolta anche il possessore di buona fede poteva agire contro il proprietario c ο11'actiο Agniliae (4), perché la legge puniva il fatto contra ins, che si riscontra anche nella violazione del possesso di buona fede; infatti " il possesso 1, un fatto che non ρu~~essere arbitrariamente tolto dimezzo neppure da chi ha.. diritto sulla cosa posseduta da altri, senza una usurpazione, dei diritti dello Stato ed un'infrazione dell'ordine sociale giuridico (5).', Se un uomo libero che in buona fede fosse stato schiavo di un altro, avesse a questo arrecato danno, sarebbe stato responsabile verso i l danneggiato coll'astio Aquilíae. Jυ lianus scribit, si liomo liber Ixina fide stilai serriat, ipsum lege Aquiliae mihi teneri (6). (1 (astellarí, op. ~ τ., par. 102. 2 ) Cit. fr. ~. 5. Ζ , 3. (3) Fr. 36, § 2

.

,

, 3,

Fr. 17 pr., b. t. 4β, pag. 1 ~ 2 e 183. () Sera fi ni. op. cit., vol. I i . Scié(R ) Fr ; 13, § 1, h. t. Sulla natura del (#

.

— 117 — .

75. Anche al creditore pignoratizio era concessa 1'itch° Aquil%e utili ~~(I). Sebbene aut οréνοlí scrittori pensino diversame~te, tuttavia é da ritenersi che realmente il creditore pignoratizio potesse agire coli' etctio Aquiline utili, per il fr. 30, § 1, h. t.

Pignori datns serrus, si oecisus sit, debitori actio competit. Sed, au eia creditori danda sit utilis. quia ροtest interesse eiυs, quid debitor solvendo non sit, aut quod litem tempore amisit quaeritur. Sed iniquum est et domino et creditοri eum teneri; nisi si quis putaverit nullam in ea re debitorem iniuriam passurum, cum prosit ei . ad debiti quantitatem, et quid sit amplius, eonsecuturus sit ab ei; rei ab initio in id, quod amplius sit, quam in debito debitori dandam actionem ; et ideo in his casibus, in quibus creditori danda . est aetio propter inοpianz debitoris, rei quid litentn amisit, creditor quidemn usque ad modum debiti habebit Aquiliae actionem, ut prosit hoc debitori; ipsi autent debitori in id, quod debitum excedit, competet Aquiline actio. ,

In questo passo si dice che al creditore pignoratizio era concessa l'astio utilis legis Aquiline contro colui che aveva arrecato danno alla cosa pignorata, quia ei potest interesse, e questo interesse da parte del creditore si aveva in due soli casi: 10 quando si fösse verificata la insolvenza ;del debitore; 20 quando l'azione del credito fosse estinta per prescrizione o la domanda in giudizio fosse perenta. . mmli Benedetto, ~'~st.eι~ιπ }lenernle del µ nssessιι iwl d ~r. cii. ηw?e,'no, voi. I (Ontologia dei possess ι f), cap. Ι1'.

1 λl~hlembruch, Duct. Pa,'l., vol. II, 45π : Voit, Cυηιιιτ,, t., n. 10: Tibaut, .~5η te,ιι λιι P~uτdekreclι ts, νιι1. 1 Ι, ξ 330; Caetellari op. cit., pug. 10 4 e seg. Ii.

-118— Il Cuiacio :'1 ed il Mendoza (2l ritengono che i due casi accennati fossero posti nel frammento citato demonstratioeis causa e non taxatiοnis caasa; ma questa opinione contradetta dalle parole dello stesso frammento i,31: et

ideo in his casibas. in gnibns creditori danda est astio y)ropter inopiam debitoris. rei litent amisit. In questi due casi però sarebbe stato ingiusto che il danneggiante. avesse dovuto per uno stesso delitto, essere responsabile verso_ due diverse persone: per evitare questa ingiustizia il testo stabilisce che o il creditore si fa indennizzare totalmente del danno coll'astio nntilis e ciò che supera il suo credito dονr~~restituirlo al debitore, oppure il creditore potrY sperimentare la stessa azione per essere indennizzato fino all'ammontare del suo credito, ed il debitore avrk l'astio diretta, per esigere dal danneggiante ci ~~che sopravanza. É facile comprendere per quale rYgione soltanto nei due casi accennati fosse concessa ai creditore pignoratizio l'astio utilis, mentre alle altre persone che avevano un ins in re aliena la detta azione era concessi in ogni ipotesi. L'astio legis .quuiliae utilis infatti, al pari dell'astio Aquiliae diretta, era fondata sull' interesse dí chi volesse sperimentarla, ci οé per il suo esercizio era necessaria l a esistenza di un damnum: e questo mancava totalmente quando il debitore fosse stato solvente o l'azione del cre dito non fosse estinta, ed il creditore quindi potesse essere soddisfatto senza 1'eserc ιzιο dell'astio - legis Äquiliae. C~~~risulta anche dal fr. 27, XX, 1. -

Cuiacio, Comm. ~» fr. 34 dc ιικ~ττυιιτiss ιs testamento ed irynoris. ,n fr. 30 1~6. 8 Cad, de initions µ l4lendoza, op. cit.. libro I, c. , sez. 4, η. . 16. Casteliar ~ , op. cit.. pag. 1 06 .

— 119 — 78. Al fr. 30, § 1, h. t. di Paolo si potrebbe contrapporre il fr. 17, pr. h. t. di Ε~lpianο: Si dominus servum sa u na oc-

ciderit, bonae (idei possessori, rei ei qui pignori accepit, in factum action e tenebitur. In base a questo passo potrebbe credersi che il creditore pignoratizio avesse l'astio ti.lís anche in casi diversi da quelli indicati. nel citato fr. 3 0 , § 1, h. t. Ma la contradizione non esiste, quando si consideri clic nel cit~t ο fr. 17 ., h. t. Ulpianο si limita a porre un principio generale; e Paolo poi nel fr. 30 § 1 applica lo stesso principio; . e s i deve supporre che nel fr. 17 anche Ulpiano facesse il caso di un creditore, il quale s i trovasse nella imρ ossibilit di esser soddisfatto del suo cre dito, per l' insolvenza del debitore ovvero per l'estinzione dell'azione. Con c ιó si co~cilianο benissimo i citati due frammenti. Il Mendoza sostiene che per l'ammιssibilit~~dell'aactio utilis a favore del creditore pignoratizio fosse necessario l'interesse del debitore. Ma per il debitore era affatto indifferente che il pagamento del debito venisse fatto al creditore da lu ~~o dal danneggiante: perci ~~questo interesse non poteva esistere (1). Anche se Io stesso creditore pignoratizio avesse r'cciso o ferito lo schiavo ricevuto in pegno, avrebbe avuto luοgο contro di lu ~~ l' actio'Aquiliae e l' astio pignoratizia: ma l'attore s i sarebbe dovuto contentare dell'esercizio di una sola delle dette due azioni. Sed et si is, qui pignori servum

accepit, occidit eurn, rei vulneravit; lege Aquilia et pignoratitia convenire potest. Sed aiterutra contentus esse debe.bit actοr ι 2\ Y. Castillan, op. cit., pag. 108. Fr. 1S. h. t.

— 12 α —

§ 6. La Legge Aquilia rispetto ai danni arrecati alle cose

su cui esisteva un rapporto obbligatorio.

79. (John che avevano un semplice interesse alla ιο serrαzi')ne della cosa danneggiata non potevano esercitare l'actio Aquiliae: eccezione a questo principio. — 80. Secondo alcuni scrittori spetta l'actio Aquiliae utilis anche per i danni arrecati alle cose su m i si aveva un solo interesse per la conservazione. Interpretazione del fr. 27, § 14. h. t. — 81. Secondo il Pernice spettava l'actio Aquiliae anche ad un compratore diletti nella ipotesi del fr. 13. X VIII, 6, senza fare alcuna distinzione se i letti fossero stati o no consegnati al compratore. Interpretazione del passo citato e del fr. 12, XVIII, 6. — 82. Le persone interessate alla conservazione di una cδsa potevano chiedere al proprietario di essa la cessione dell'actio Aquiliae (fr. 13, XVIII. 6 e ('r. 13, ' 12, XIX, 1). — 83. Danni arrecati dal reus stipulandi ante moram pro ~uissoris. Interpretazione del fr. 54 h. t. — 84. Interpretazione del fr. 18, § 5, IV, 3. — 85. Danni arrecati dal reus stipulandi post moram pro• missoris. 79. Per esercitare l'actio utihis legis Aq~ciliae era necessarío, come abbiamo visto, avere un diritto reale sulla cosa danneggiata; coloro perciò che avevano semplicemente interesse alla conservazione della cosa, come il comodatario, il conduttore ed il compratore prima della tradizione, non potevano esercitare 1' actio legis Aqui-

liae (1). Ad eis, qui servandum aliquid conducunt aut utendum accipiunt, damnurn . iniuria ab allo illatntin non pertinere. (1 ) Fr. 11, 5 9, h. t.; fr. 13, 3 12, XIX. 1 ; fr. 18,

5, 1 V , 3.

— 121 — Quando ρer~~si fosse verificato un danno ed il conduttore, il c οmο datarió e simili, fossero stati in colpa, siccome erano tenuti coll'azione del contratto verso il proprietario della cosa danneggiata, tosi videbantur d"umznum pati e potevano esercitare, secondo l'opinione di qualche scrittore (1), l'aetio Aquiliae utilis contro l'autore del danno. 80. Alcuni scrittori sostengono iiivece che avesse sempre luogo l' actiο Aquiline utilis a favore di coloro che avevano interesse alla conservazione della cosa danneggiata. Essi si appoggiano sul fr. 27, > 14, h. t.: Et ideo Celsue guacrit,

si lilion aut avenam in segetem alienino inieceris, quo cam inquinares, non solum quod 'vi aut clam posse agere rei, si locatus fundus sit, colonum, sed et in factum agendum, et, si colonus eam exercuit, cavere eur debere arplius non agi, scilicet ne doniim's amplius inquietet. In questo passo si prevede il caso di un danno arrecato alla campagna lavorata di un colono per mezzo di erba cattiva o di avena che da altri vi sia stata gettata: si dice che il colono potrà agire ex lege Aquilin. Ma in questo passo riscontriamo appunto una eccezione al principio che per sperimentare l'actio Agailiae utilis, era necessario un diritto reale sulla cosa ;2), la quale eccezione si pu ~~spiegare considerando •che í frutti su cui era caduto il danno stavano per entrare nel dominio del colono pe r . la imminente loro percezione, a causa della loro maturità (3) (seges), ed egli quindi sperimentando 1'actio utilis Aquiliac viene in sostanza ad agire lamquam procurator in rem suor. (4) ,

bet, Connn. ad Fand., h. t.; n. 10. Windseheid, op. cit., voi. ΙΙ, ξ 631, Anrn. t., n. 2. 1 Casteli ει ri, op. cit., pag. 109. (4) \ οολ t, cap. X ΙΙΙ, h t.; Glück h. t., 704; «angernn,lib.1'. (

)

,

— 122 — finche nel delitto di furto si riscontra la medesima eccezione a favore del colono ( 1 !. 81. Al Pernice (2 ! sembra che fosse accordo ta l ' αcti ο Aquiliae ad un compratore di letti, senza punto aver riguardo se fosse stata fatta la tradizione nell ' ipotesi se- guente del fr. 13, ΧΥΠΙ, 6: EUlQUE, CUI AEDILI, SI ID iii AURE FECISSb Τ, habiturum actionenm legis Aquiliac α ι t certe

cum venditore ex empto agendum: τιt is aetiοneç sans. guas cu:m cedili hab2uisset. ei praestaret. Ma per ben intendere l'opinione del Pernice é mestieri coordinare questo testo col precedente in cui il giureconsulto Alfeno dice: Lectos euaptos aedilis Clint in ria jubblica positi essent, conscidit. SI TRADITI ESSEΝΤ EMPTORI, AUT PER EtTII STETISSENT QUO MINUS TRADERΕΝΤU , ennptοri8 periculunb

esse placet. È chiaro che in quest' ultimo frammento si fa la doppia ipotesi che i letti sulla pubblica via siano stati danneggiati dall'edile o dopo la tradizione fattane dal venditore al compratore, ovvero prima della tradizione, ma nel caso in cui il compratore fosse in mora a riceverli e quindi versasse in colpa. In ambedue í casi, dice Alfeiio, il rischio e pericolo della cosa venduta sta a carico del compratore, e la ragione si é che nel primo caso ha luogo íl principio res perit domino e nel secondo caso non pub 1αacοlρα del compratore riversarsi sul venditore. Siccome però nel caso in cui l ' edile avesse arrecato il danno ~~ ~ ι i τι ria), sarebbe stato ingiusto ch'egli non avesse . dovuto risarcirlo, tosi Giuliano nel successivo fr. 13, tenendo presenti le due ipotesi risolute da Alfeno, decideva che

Fr. 26, S 1; fr. 52, S h. t. Perni c e , ορ. cit., pag. `? w. .

— 123 — se era avvenuta la tradizione, competeva senz'altro l' ~ ctiο Aquiliae diretta. al compratore, e c ~~~in cοnfοrmitt della regola generale che concede questa azione al proprietario: mentre nell'altro caso in cui il compratore stava in mora a ricevere la cosa, accordava al medesimo l'azione de ll a legge Aquila indirettamente, e ci οé col dargli azione a farsi cedere 1'actio Aquiliae dal venditore. Dunque in questo senso e non altrimenti deve essere intesa la citata opinione del Pernice, dalla quale non ρυ~~ dedarsi una regola generale, m una sola eccezione (1). 82. Alcuni scrittori citati dal Pernice (2) e dai Castellar (3) accordano un'aetio ex sentent ~α legis Aquiliae a qualunque interessato alla conservazione ' della cosa in forza di un vinéοlο contrattuale. Ma noi col Pecchioni (4) crediamo che questa azione rappresenti in generale gli sforzi, fatti dalla dottrina, per lo svolgimento ulteriore dei principi del diritto romano circa il danno dato, e che invece le persone interessate a ll a conservazione della cosa danneggiata potessero chiedere al proprietario della cosa stessa la cessione dell'actio Aquiliae (5). Ci~~risulta esplicitamente dal fr. 13, XVIII, 6, da noi .gik esaminato, e da altri passi delle fonti. Infatti nel fr. 13, § 12, XIX, 1, s i dice che il compratore d' uno schiavo ferito prima della traditio poteva esigere dal

1. pure Hasse, Die culpa., 2 6 ed. Bonn., 1838, § 69, pag. 244, nota 1; Pacehioni, Archivio giuridico, vol. ΧΧΧ11, pag. 392, noté 13. ' Pernice, ,op. cit., pag. 206, nota 3. Castellari, op. cit., n. 87. Pacehioni, lic. cit. Maynz, op. cit., vol. II, § 271, pag. 467.

— 124 — venditore la cessione dell'astio 4quiliae. Similmente il compratore di uno schi ~νο, che esercitava l'astio redhi bitoria doveva cedere al venditore l' actio legis 3quiliae, sorta a suo favore per il danno arrecato allo schiavo, mentre questo era in sua proprietà {1). Lo stesso principio affermato nel § 3, Inst., IV, 23 e nel fr. 16, ΧΝΙ. 3, fr. 38. XXI, 2. fr. 12 . XIII, 14. Riguardo ai danni arrecati alle cose su cui esisteva un rapporto obbligatorio abbiamo il fr. 54, h. t.:

Legis Aquiline debitori eompetit aetio cum reus stipulandi

ante moram promissum animal vulneravit. Idem est si occiderit animal. Quod si post rmorarn promissoris, qui stipulatus fuerat, occidit, debitor quidem liberatur, lege autem Aquilia hoc easu non recte experietur; far creditor ipse sibipotins quant alii iniuniam fecisse videtur. In questo passo si fa il caso che una cosa promessa, ma non ancora consegiíata, venga danneggiata o distrutta dal creditore. Il giureconsulto distingue: a) se il danneggiamento sia stato arrecato ante naoram, l'astio Αquiliàe spetterY al debitore, ρoιché pυ~~darsi che quest'ultimo abbia perduto quei vantaggi, che sarebbero potuti a lui derivare nel tempo intermedio tra il danneggiamento ed il dies solutionis (2); b) se poi il danno fu arrecato post moram, il debitore sarà liberato, ed il creditore non potrà sperimentare l`astio dquilíae, ροiché ipse

sibi potius quant alii iitiuriam ferisse ridetur. Supponiamo ora che il danno sia stato arrecato da ν ιι estraneo ante moràm. In proposito abbiamo il fr. 18, 5, IV, 3. Si serrum quer tu nmihi promi:seras, alius occi(l ) -Σr. H,

7, b. t.

( 2 ) Castellarí, op. cit. pag. 110, n.

h. t., n. 12, nota 4 .

; Putiikr.

Puijil



1 ~~ :



drit. d dolo lerig τΡι e in eunt ~~ nda υ refe pii ti" 1: gυi α -tu rι me liberatus tiis. ideoque legis Aquiline 'cti ο tibi ~lenegetυ r. Il testo dice che spetterà 1'«ctio driii al creditore; e giustamente. perché non potendogli spettare Vaetio Aquiline, non avendo né il diritto di proprietY. ré uu ii in re sullo schiavo ucciso, gli viene concessa un' atti) dili per poter conseguire la ~estinaatio rei: neppure il debitore d'altra parte potrà sperimentare l'actio Aquiline directs, poiché egli colla uccisione del servo é liberato dalla obbligazione; é certo ρerá eh' egli ρotrl intentare un'actio Aquiline υ tilis per essere risarcito del danno che ha subito per la uccisione del • ser νο prima del dies sοlτι tiο~s.

-

.

85. Quid della uccisione del servo avvenuta post moram per causa di un estraneo? Siccome il debitore rimane in questo caso ancora obbligato, cisl l'αctio -Λquιliae diretta spetterà al debitore stesso, ed il creditore avrà sempre azione contro di lui per ottenere l'adempimento dell'obbligazione (11. ?

§ 7. Le azioni delta legge Aquilin in ordtn ~~ agii eredi ed aventi causa del danneggiato ed il fr. 36 h. t.

δ6. Concessione delUactio 3.aq ι4.il~ae agli eredi ed arenti crιτιsεε

del danneggiato. Eccezione a detto principio. Ι1. t!r?'ι'etαzione del fr. 36 ~ . t. Due ipotesi. I. LTccisione ii uno schiaeo istituito erede e lib'nrο dal padrone; dα11'erede dello sch.iaro ταοη ροtrd pretendersi la perempti corporis estimatio. Qize stime se π.1 serτ•υ ed ai suoi eredi coιιαpetesse Γα ctiv Aqui(1) Bald τι in π, de 1τ,εΡ λ jιι ~Τ~ιτ. ρag. 188. .



126



lia.e utiiis per l'indennizzo delle spese della malattia; αpplicαzi ο~ze del fr. 13 h. t. Il. Uccisione del servo m^n οmesso ed istituito erede dal padroiie pro parte. Questione se il coerede possa, mortuo servo agire pro parte o per l' interο per_ esigere la perempti corporis aestimatlo. Parie opiukmi: a' Cuiacio; b) Accur.sie: c) Castellari. ipinioue dt l Pampaloni da noi seguita: in detto fr. 36 h. t.. ultima parte, possono prevedersi due ipotesi: a) morte del servo avvenuta prima di quella del ραdeοne testatore; b morte del servo avvenuta dopo di quella del padrone testatore; più verosimile la seconda delle accennate iρ~ tesi. ,

86. Le azioni della legge Aquilia spettavano al danueggiato ed ai suoi eredi ed aventi canna. Hune netion.enm et haeredi coeterisque successori bus duri consted (1). Un'eccezione_ al detto principio si riscontra nel fr. 36 h. t. Si dominus

servum, quer Titius mortifere rulneraverat, libci•u;n ct haeredemn esse iusserit, eique poste" iaevius haeres extiterit. n ι n habebit Meri us cum Titio legis Aquiliae actionern : scilicet secundunz Sabini οpiniοnent, qui pïatabat eid haeredem actiofem non trasnitf i, quay defuncto competere non potuissct. 1 am sane absurdwm accideret ut haeres pretiuni guas ceisi consequeretur eius cuius haeres extitit. Quid si ex parte eτlan dominus hueredem cum libert»te esse iusserit; cihacres eius, mortuo eo, aget lege Aquilia. del citato passo si fanno due casi pratici. I. Il primo ~~íl seguente: un padrone aveva manome s so ed istituito erede uno schiavo che Tizio avevaferito mortalmente: dopo la morte del testat ~re si verífic ~~anche quella dello schiavo. Il giureconsulto Marcello dice che

tl1 Fr.

23,

8, h. t.

— 127 — Mevio, erede dello schiavo, non potrY intentare contro l'uccisore Tizio l'actio Aquiliae, ρerchè quest'azione spettó sempre al padrone e non allo schiavo: e ciò il giureconsulto reputava, seguendo l'opinione di Sabino, il quale riteneva che non si potessero trasmettere all'erede quelle azioni, che non poterono competere al defunto. La quale ratio decidendi viene ribadita da] fr. 16 h. t: quia in eum casum res ρerrenit, a quo incipere non potest. Se si dovesse credere che Mevío potesse agire con l'actio legis Aquiliae, si gínngerebbe all'assurdo di dover ritenere che dal padrone fosse trasmessa allo schiavo l'actio de occiso e che quest'ultimo dovesse perció figurare in uno stesso tempo come persona e colne c οsa,.c οme vivente e come morto:

nam si serins agat, necesse est ut vivat; et can7: agit, oportet ut mortuus ipse agat ( 1). Imperocchè, aggiunge Marcello, sarebbe assurdo che l'erede dello schiavo conseguisse il prezzo della persona libera alla quale succede. A questo riguardo sorge la questione se al servo ed ai suoi eredi competesse un'actio utitis per 1' indennizzo delle spese della malattia e del valore delle giornate di lavoro perdute: in proposito, a nostro avviso, troverà la sua piena applicazione il fr. 13 pr. h. t.: liber homo suo nomine utilena habet actionent. Si potrebbe obbiettare che il .fr. 36, e 1 h. t. usa l'espressione generica " 1ι on habebit Maeaius cum Titio legis Aquiliae actionem, „ e che perció non possa aver luogo neppure l' actio' Aquiliae, u•tilis; m a la dimcoltk scompare all οrchè si pepasi che nelle fonti la espressione legis Aquiliae αctiο é sempre usata per indicare l'astio Aquiliae directa (2). Mendoza, op. cit., lib.I, ε. ΙV, sez. 4, pr. 6,c ο nfr. fr. 16 h. t. f'uiaeio, /bs., lib. 27, c. 10.

-- 12. —

ΙΙ. 1 al citato fr. 36 h. t. si fa poi -la ipotesi -del servo ferito mortalmente che sia stato manomesso ed istituito erede pro parte. Il passo dice: cohaeres eros, mmmortuo ei, aget leget Aquilia, il coerede cioé petrà agire con Padi0 Αquiliae diretta. Sorge ora questione se il coerede possa agire pro parte o per l' intero. a Cuiacio crede che quanto non possa essere acquistato dall'erede j ure haereditario debba spettare agli altri coeredi; egli inνο a in appoggio della sua opinione íi fr. 12, 26, 8, ed il fr. 23, 3 3, 41, 2. t,) Acc»rsjσ al contrario crede che si possa agire soltanto per la parte proporzionata .alla quota ereditaria. perché non s i ρu~~dire che lo schiavo non abbia acquistato 1' azione, potendo egli esercitarla sotto forma di actin

τιtilis. c) Il Mendoza (1) ritiene egualmente che i l coerede possa agire pro parte, perché quando fu ferito lo schiavo, questo non apparteneva ad esso coerede, ma al testatore, e perché 1'αetio_ Aquiliae, secondo lui, era indivisibile per i l convenuto (2) e divisibile soltanto per l'attore (3). d Il Castellari (4) giunge coi suoi ragionamenti alle stesse conseguenze del Cuiacio, benché per via diversa : crede cioé .che i l coerede possa agire per l'intero perché nell' ipotesi accennata . con la mo rt e del servo scompare nel coerede la qualità di haeres ex parte per non ritenere piú che quella di erede universale, e perci ~~ i l Castellari conclude dicendo che al coerede debbano trasmettersi tutte

Mendoza, op. cit., lib. 1, c. 4, sez. 4, n. 12. Arg. fr. 11, §. 4, e fr. 51, § 1, e 2 h. t. Arg. fr. 2, § 6, fr. 85, § 2, e fr. S6, 45. 1. Castellari, op. cit., µ ag. 71.

— 129 — le azioni che spettavano al de ceius e quindi anche 1'actiο legis Aquiliae. Α noi sembra 1er~~che debbano distinguersi due ipotesi, come fa appunto il Pampaloni (1). Pυ~~darsi che nel citato passo si preveda il caso che il testatore abbia congiuntamente istituito erede íl servo ed υn'altra persona, e che il serri sia morti prima del padrone; ed allora alla morte del testatore per il principio venne pro parte testatus pro parte intestates decedere potest, l' intera erediti spetterY al coerede lure adcrescendi, e perci~~si trasmetteranno per intero tutte le azioni spettanti al defunto padrone, tra cui anche l'actio Aquiliae da lui acquistata contro l'uccisore del servo, per poter conseguire 1a perenzpti corporis aestimatio: ed a questa ipotesi, come abbiamo già visto superiormente, sembra riferirsi il Castellari ι 2). Ma é piú verosimile che nel citato passo si preveda la ipotesi del serro che abbia cessato di vivere posteriormente 'alla morte del padrone, cioè del testatore; ed in questo caso, avendo il servo acquistata la libertà prima di . morire, 1'actio ti.gυiliae diretta, facente parte del compendio ereditario, si trasmetterk dal testatore al coerede, il quale per~ , nella qualiti di semplice coerede e non di erede universale, potrà agire soltanto pro parte contro l'uccisore dello schiavo, mentre l'erede di quest'ultimo potrà sempre agire con un'actio τΡι tilis spettante in generale agli effetti del fr. 7 h. t. ad nu uomo libero, che fosse stato ferito, per conseguire le spese della malattia ed il valore delle giornate perdute di lavoro (3). (1) Pampaloni, op. rit. Archiv'i giuridico. Castellani, οli. cit.. η. t?. in f. Pampaloni, op. cit., pag. 899. 9 ,

z.

399.

— 130 — Si potrebbe obbiettare che lo schiavo, se 6 stato ferito in istato di servitú, é però divenuto libero dopo la morte del testatore; ma si risponde che ció non osta, perché il proprietario di un servo ferito mortalmente avrebbe potuto esercitare l'actio Aquiliae, anche se il servo fosse morto in istato di libertà: Sed si manumissus rel ulienatus

ex rulnere peri it, de οccisο agi posse Julianus ait,-quiet rerum est emu a te occisum tunc cum rulnerabas (1). .

La seconda ipotesi accennata, che si riscontra nei Basilici (2 ì e seguita del Fabro (3) e da altri, sembra a noi la più verosimile (4). Infatti, dato come certo che Marcello nella prima parte del citato fr. 36, § 1, h. t. facesse la ipotesi di un serro istituito erede e libero e morto posteriormente al padrone; ~~ verosimile, anzi é logico che nella seconda parte del testo, quando parlava de lla istituzione di erede del servo pro parte, facesse il caso egualmente che la morte del servo si fosse verificata posteriormente a quella del padrone (5`.

. (1) Fr. 15, § 1, h. t.; fr. 56 . ÄLlτ, 7. Basilici, 60. 3, 23, § 1, in i. rel leyitimí domini haeres. Fabro, Rat, in P. ad h. t. in v. si dominus. Confr. anche Pampaloni, op. cit., pag. 399. L'azione di risarcimento secondo il Cod. civ. italiano compete a chiunque abbia risentito un danno da un fatto illecito (art. 1151) ed anche quando il fatto illecito, ai termini del Codice penale vigente, costituisca reato (art. 1 e 3 Cod. proc. pen.).

-

131 ~

CAPITOLO Ν . CONTRO QUALI PERSONE COMPETANO LE AZIONI DELLA LEGGE AQcILIA. § 1. Resροnsabilit per fatto proprio. 87 . L'actio Aquiliae si poteva sperimentare contro l'autore del danno ed i complici. — 88. Di regola l'actío Aquiliae

non si poteva sperimentare contro gli eredi del danneggiante: ecceΖfοne - Facoltà in ogni caso di esercitare contro uli eredi del danneggiante un'azione quYtenus locupletiores fatti essent. — 89. Le azioni della legge Aguilia tra coniugi. — 90. Uccisione o ferimento di uno schiavo coηΡnune. — 91. Per l'esercizio dell' actio Aquiliae non si aveva riguardo alla condizione del danneggiante - Responsabilità dei magistrati municipali - Esempi: interpretazione del fr. 29, § 7, h. t. Le azioni della legge Aquilia si potevano esercitare contro l'autore del danno ed i complici (1); 1'actio Aquiliae per~~si ροt~~esercitarec οntrο questi. ultimi soltanto quando per interpretazione estensiva de ll a giurisprudenza si concesse un actio utilis anche se n o n si fosse trattato di un damnum iniuria datum corpore torpori. L'actio Aquiliae di regola no n si poteva intentare contro gli eredi del danneggiante per il suo carattere prevalentemente penale; ma se l'autore del danno fosse morto dopo la contestatiti litis (2), la obbligazione ex de'

Serafini, op. cit., ξ 154, pag. 146. Serafini, op. cit., vol. Ι1 , ξ 154, pag. 1 4 69 bet, comm., #ι. t., n. 12.

— 132

~ctο si era giY trasformata in una obbligazione contrattuale e l'azione da essa nascente, non avendo piú il carattere penale, si sarebbe potuta esercitare anche contro gli eredi dei danneggiante in base al principio generale di diritto: Ornes actiones quae »aorte vel tempore yereunt semel inclusae iudicio sαlvae permanent. Ma se l'autore del danno fosse morto prima dell a contesta tu litis, l'erede sarebbe stato tenuto soltanto guatenus locupletiοr

factus esset (1). Hane actionem et haeredi caeterisque suεcessoribus. dan constat. SED Ii HAEREDES VEL CAETEROS HAEC ACTIO iii DABITUR, CSI 5I1' POENAWS; LISI FORTE E% DA0I1O

SΙT (2). Le azioni della legge Aquilia avevano luogo anche fra coniugi (3) : Si cum maritus ux οri margaritas extricatas

LOCLPLETIOR ΗΑERES FACTUS

dedisset in υs υ, stagne, invito vel inscio viro, perforasset; ut pertusis in linea uteretur, teneri earn lege Aquilia, sine divertit, sire nupta est adhuc (4). La moglie perö, intentando l'azione contro il marito durante íi matrimonio, poteva , esigere soltanto il simplum del danno arrecato, p οichè in permanenza del matrimonio non si concedevano azioni penali tra. coniugi (5). Chi aveva ucciso o ferito uno schiavo comune era tenuto ex lege Aquili α per quella . parte per la quale era Serafini, op. cit., vol. II, L c. Fr. 23, § 8, h. t. Secondo il Codice civile italiano l'azione d i risarcimento del danno, avendo perduto i l carattere

penale, si può esercitare anche contro gli eredi del danneggiante (art. 1131 e seg. Cod. civ., e 3 Cod. proc. pen.). Fr. 27, § 30, h. t.: Richer', op. cit., n. 2780. (4l Fr. iß, h. t. (i) Fr. 19, h. t.

— 133 — proprietario colui che agiva colI'actio Aqniliae. Sed si com-

munern seriunt occident quis, Ag τιiliα teneri eurn, Celsus ait.. Idem est si culneraverit (1). Scilicet pro ea parte., pro τf α dominus est, qui agat (2). 91. Nell'esercizio dell'actio Aquiliae non si aveva riguardo alla condizione del danneggiante, perc ~~, anche se questo fosse stato un magistrato municipale, sarebbe stato responsabile ex lege Aquilia: nmagistrαtus nauιτ iciριτ les. si damnum iniuria dederint, posse Aquiliae teneri 3). 1hfatti, ad esempio, se uno dei magistrati municipali, essendo stato nominato dal preside esecutore di una sentenza, avesse preso ρèr pegno .giudiziale una mandra e l'avesse poi fatta morire di fame, avene' ) vietato al padrone di somministrarle il cibo, si sarebbe c οncessa un'actio Agitiliae utilis contro il magistrato. Lo stesso dicasi se il magistrato fece un pignoramento ln buona fede e restitué con deterioramenti le cose pignorate, anche nel caso di pignoramento legale. Se ρer~~dal magistrato si fosse usata violenza contro taluno, che gli avesse opposto resistenza all'esecuzione della legge, e si fosse al reistento recato danno, non si sarebbe incontrata da parte del magistrato alcuna res ροnsabilitá; ex lege Aquiiia: nom (

et cum pignori senvum cepisset et ille se suspendent, nulla datur actio (4). In una parola, come per il servo (dato in pegno), che si suicida non é accordata azione peri danni, tosi la medesima non si concede centre il magistrato che Fr. 2ι1, h. t.

L. 2 Cod., Ren. omit.; Pithier, I'a,'d. lust., h. t., n . 39, nota 1. Fr. 29, $ ~ , h. t. Cit. fr. 29, Ô ~ , h. t.

134 -

l τΡ re respinge la violenza colla violenza: Vim vi repellere ()miles leges et omnia jura permittunt. 2. Responsabilità per fatto altrui.

92. A Danni arrecati dai dipendenti. schiavi e figli di famiglia - Ιnterpretaziοne del fr. 27, § 11, h. t. - 93. ~~Cοnt.). Danzi arrecati da uno schiavo sciente domino, ucrero ~nscιο et invito domino. —94. Danni arrecati da uno schiavo cornune a due persone. — 95.. L'actio noxalis pei danni commessi dagli schiavi e dai figli di famiglia. — 96. Respo,asahilità del padrone del servo, anche se questo fosse stato fuggitivo- 97. Danni arrecati dai pazzi furiosi. — 9R Ε υsum et deiectum. — 99. Β) Danni arrecati iussu alteríus. — 100. C) Diinni arrecati impulsu, istigatu et ausilio alterius. — 101. D) Danni arrecati dagli animali: danni arrecati contro gli istinti .della loro specie - L'actio de pauperie e suoi effetti giuridici: era un'actio noxalis: colitri chi si potesse sperimentare. — 102. (font.). Danni arrecati da armenti pascolanti in fondi altrui; l'actio de pastu pecoris; sua natura giuridica. — 103. (font.). Editto 104. (font.). Danni arrecati dalle degli Edili Curali. fiere. — 105. (font.). Danni arrecati dagli animali per colpa o dolo del proprietario di essi: actio ad exhibendum, actio Aquiliae; interpretazione del fr. 8, § 1, Χ, 4 e 1, §1,IX,1. —

92. 44) Danni arrecati dai dipendenti, schiavi -e figli di fan() figlia. .

Il dominus era responsabile dei delitti commessi dai servi e dai figli di famiglia; non era responsabile ρer~~ colui al quale taluno avesse servito in buona fede: Servi

— 135 —

autem οεcide'etis nomine dominus tenetur; is vero cui boria fide servit non tenetur (1). Α questo riguardo abbiamo il fr. 27, § 11, h. t.: Proeulus ai t, cum, coloni servi villani exuxissent, colonum rei ex

lοcato rei ex lege Aquilia teneri; ita ut cοlonus possit serrum noxae dedere; et, si uno iudicio res esset iudicata, αltero anmplius non agendum. Sed haec ita, si culpa colonus careat : caeteruna si noxios servos habuit, damni eum iniuria teneri, cur tales habuit. In questo passo il giureconsulto fa il caso in cui i servi dí un colono abbiano fatto incendiare una vi ll a; egli dice che se il colono non sia in colpa, il colono sari tenuto coll'actio locati e coll'actio Aquiliae; ma in ambedue le ipotesi il colono potr liberarsi mediante la noxae deditio dei servi; se poi il colono conosceva la malignitá od inesperienza dei servi, sarY. tenuto soltanto ex lege Aguilia, cur tales serins habuit; la sua colpa in quest'ultimo caso consiste appunto .nell' αvere adoperato servi, che sapeva essere disadatti a disimpegnare l'ufficio al quale erano stati destinati. Come appare evidente, il dominus era responsabile per i delitti commessi dai suoi dipendenti in quanto egli fosse in colpa, tant οché se questa non fosse esistita da parte sua, avrebbe avuto luogo, come abbiamo visto, la noxae deditio cóntrο il dmn~~us (2).

Fr. 27, § 3, h. t. Fr. 1, Princ., 5, § 6, de his qu i effud. et dejec., 9, 3. Confr. Castellarí, op. cit., n. 53; Van Wetter, Les obligations en droit romain, II I, § 217; Gaio, IV, 75 e 76; Pau li , R. S., II, 31, 9; §. 4, 7, J. de nor. act. (IV,. 8); Wangerow, op. cit., § 689; Windseheid, op. cit., § 457; Wies, Die Haftung f. fremde Culpa nach. röm. Rechte, pag. 8 e seg.; :taynz, op.



136



Cosi se un servo od altro dipendente del padrone avesse commesso un delitto sciente domino. il padrone sarebbe stato responsabile suo nomine ed in solid ιτn 1), ipse e'inz ridetur dwminus occidisse; la colpa del padrone in questo caso consisteva nell'aver prestato acquiescenza, mentre avrebbe potuto impedire la consumazione de l delitto. Se il servo poi avesse commesso un delitto inscio et invito domino, 1'actio Aquiline si sarebbe potuta sperimentare contro íi padrone soltanto noxaliter (2). Se uno schiavo appartenente a due persone avesse ucciso lo schiavo di una di esse, avrebbe avuto luogo ]' actio Aquiliae se il servo comune agi per comando del padrone; se invece i•oluntate sua fecit, non aveva luogo l' actio n on a.lis, affinché non fosse in sua fac οlt di poter essere schiavo di una sola persona e dl liberarsi perc ι~~dalla ροtestá dell'altra : Si servus communis, id est, meus et tuus, serrτυm• mneum occiderit, legi Aquiiiae locus est adverses te si ti m vohtntate fecit: et ita Proculum existimasse, Un.eiυs refert. Quod si non zoluntate tua fecit, cessare noxalem actionem ; ne fi t in pot est ate serri, ut tibi soli serviat; quod punto zeruum esse (3). Ia in quest'ultihno caso, affinché il padrone dello schiavo ucciso potesse essere indennizzato, fu concessa a lui un'actio communi dividundo quomodo noxalis (4), in forza della quale egli si sarebbe potuto indennizzare sulla

cit., § 282; Arndts- Serafini, op. cit., § 326, n. 3, ed autori da questi citati.

,

Fr. 2, Princ., Ιλ, 4; e fr. 44, § 1, h. t., e fr. 45, pr., h. t. § 4, Inst., Ιf, 8; fr. 27, § 1 e § 11, h. t. Fr. 27, § 1, h. t. (4)) Fr. 61, De frertis.

— 137 — gatte del servo comune appartenente all' altro proprietario (1), 95. Il padre di famiglia ed il padrone rispetto allo schiavo erano tenuti c οll' α t~ σ nοxalis per í delitti coinmessi rispettivamente dal figlio o danno schiavo, ρerchè gli autori deΙ•dannο si trovavano nella imρο ssibilit di pagare Ι' indennizzo del danno arrecato; hactiο noxalis si intentava contro di loro come rappresentanti del figlio o dello schiavo (2). L'actio noxalis perciò non era basata sulla colpa del dominus • o del paterfamilias : ci ~~appare dalla natura stessa di detta azione, dall' essere cioè un' actio in rem scripta; poiché essa veniva intentata non contro colui sotto la di cui potestà si trovava il danneggiante nel . momento del delitto, ma contro colui sotto la di cui pοtest ~~il danneggiante si trovava nel momento in cui l'azione si esercitava: fixa caput sequitur (3). L'accennata spiegazione trova appunto il suo fondamento nel carattere stesso della patria potestas, per la quale la persona.liti dei figli di famiglia e degli schiavi' veniva assorbita da quella del paterfamilias e del dominus. Il padre di famiglia dunque ed il padrone potevano liberarsi dalla litis aestimatio abbandonando gli .autori del danno_ : .erat enim iniquum nequitiam eorum (dei servi e figli di famiglia) ultra ipsorum corpora parentibus dominove damnosam esse. patta azione per ~~peri danni commessi dai figli di famiglia in seguito and ~~in disuso: et

Fr. 27, § l, h. t.; fr. 41, 9, 2. ian Wetter, op. cit., ξ 217; Vi'angerow, op. cit., loc. cit. Gaio, 1V, 7 "ι ; § 5, Inst. de ττοx. act.,. I i , 3; Σι•. 21, § 2, _Le nix. act., Ι%, 4.

— 138 — τ.deo placuit ipsos filiosfam ~lias

pro suis delictis - posse con-

venin ~~ (1).

(1) Fr. 34, 35, De 110x. act., 9, 4; fr. 39, De obi, et act., 44, 7. Anche secondo il Codice civile italiano ciascuno è obbli gato, non sQlo' per il danno che cag ~~ na per il fatuo proprio, ma anche per quello che viene arrecato col fatto delle persone delle quali deve rispondere, o con le cose che ha in custodia. Il padre, e in sua mancanza la madre, sono obbligati per í danni cagionati dai loro figli minori abitanti con essi: í tutori pei danni cagionati dai loro amministrati abitanti con es,i ; í padroni ed i committenti peí danni cagionati dai loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze alle quali li hanno destinati; i precettori e gli artigiani pet danni cagionati dai loro allievi ed apprendenti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. La detta responsabilità non ha luogo all οrchè i genitori, i tutori, í precettori e gli artigiani provano di non avere potuto impedire il fatto di cui dovrebbero essere responsabili (art. 1153). 11 legislatore italiano dunque nega ai committenti ed ai padroni la prova contraria di non aver potuto impedire il • fatto da cui è derivato il danno. Nella dottrina e nella giurisprudenza si disputa sulla ragione ditale divieti. Alcuni sostengono -che la legge ponga a carico dei padroni e committenti una presunzione iuris et de lure di culpa in i giland0 (Cons. Corte app. Lucca, 28 maggio 1881, Foro It., 1881, I1, 483); altri ritengono che la responsabilità dei padroni e committenti si fondi su di una culpa in vigilando et in eligendo (Sourdat, Traité général de la responsabilitt', vol. I, pag. 901;

- 139 96. Il padrone era responsabile del delitto commesso

vol. 1I, pag. 885; Larombière, Théorie et pr. des obligations sur 1'art. 1384, n. 8 . Cons. Corte cassaz. franc., 30 dicembre 1875, Journal du Palais, 1876, pag. 183: 4 febbraio 1880, Journal du Palais, 1880, pag. 1158; Corte app. Tolosa, 3 marzo 13. Journal du Palais, 1884, νοι. I, pag. 879). L'opinione prevalente fonda la responsabilità di essi sulla culpa in eli gendo (Ricci , Trattato teorico pratico di dir. civ., vol. VI, pag. 132; Giorgi, Teoria delle obbligazioni, 249, 252; Borsari, Comm. al Cod. civ. sull'ari. 1153, 36 ; Benevolo, Parte civile in giud iz io penale, n . 38 e seg., pag. 80 e seg.; Saluto, Comm. al Cod. di prit. pen., vol. VΙ, n. 2017, pag. 114 e 115; Fassa, Nota alla sentenza della Corte di cassaz. di Torino, 8 novembre 1893, Legge, 1894, I, pag. 118; Lomonaco, Ist. di dir. civ. ital. V, 106; Laurent, Droit civil, vol. XX., n. 570; Aubry et Rau, Cours de droit civil, vol. IV, pag. 760; Colmet et Santerre, Cours analytique de droit civil, vol. V, 365 bis; Demolombe, Obligations, vol. VIII, n. 610; Treílhard, Exposé des motifs, n. 11, in Lοcré, t. VI, pag. 276, nota 11; Pithier, Des obligations, n. 121 ; Corazzini, iota alla sentenza della Corte di cassaz. di Roma, 4 gennaio 1896, Legge, 1896, I, pag. 270; Cassez. Roma, 6 maggio 1891, Legge, 1891, I, 461; 9 gennaio 1891, Legge, 1891, I, 315; Cassez. Torino, 7 luglio 1892, Legge, 1893, I, 344; App. Venezia. 2 giugno 1898, Legge, 1893, II, 774; Cassez. Firenze, 4 gíugn ~~1894, Legge, 1894, Η, 707; Cassez. Roma, 4 gennaio 1896, Legge, 1896, I, 270, e Corte Suprema, 1896, materia penale, 11). Detta opinione si basa specialmente sul fr. 27, § 9 ed 11 h. t., precedentemente esaminato. Noi crediamo col Chironi (Colpa extracontrattuale, νol. 1, n. 163) che il vero fondamento della responsabilité dei pa . -

,

— 140 — dal servo, anche se questo fosse stato fuggitivi: Sed in

droni e committenti s i debba riscontrare nel r ρροrtο di rπιρρresentι'z ιuoe intercedente tra di essi ed i domestici o emmmessi, in forza del quale le personalità dei c πm ιnittenti e commessi si fondono e gli atti compiuti dai rappresentanti si considerano come eseguiti dai loro rappresentati. Tale teoria, οltrechè essere conforme alla genesi storica dell'articolo 1153, ci spiega altresì la ragione del divieto della prova contraria stabilita dalla legge pei padroni e committenti, essendo noto i l principio: frustra yrobatur quod ρ i•o b αΙυ m n οµ reler•nt, se τ. za punto dover ricorrere ad una ρresunziου e iuris et. de ~ τ~~e di culja in eligemlo, che urta col principio della prova contraria concessa ai padri, precettori e tutori, ed contrario altresi ai principi di giustizia e di equità, come píì ι diffusamente abbiamo avuto occasione di ricordare in altra mmmonο grafia (La respúnsα biliti' dei direttori di gιοrnieli e dici nella legislι' ιo,te i(diuoa, Legge, 1896, I, 319 e seg., n. 22). S' intende ρerú che i committenti ed i padroni potranno sempre essere ammessi a provare che 1l fatto dannoso non sia imputabile ai loro preposti o che fu commesso fuori dell'esercizio delle incombenze ad essi sfidate (Cons. D α11 oz, Rc?ρ. roe.- resp., n. 624 e seg.; Giorgi, op. cit., V, n. 230 e seg.; Sourdat, op. cit., vol. II, n. 880 e seg.; Cass. Torino, 2 luglio 1883 . Giurispr. tο ri~ ιι:ςe, 1883, pag. 917; Cas~az. di Roma, 15 maggio 1889, Legge, 1880, I, 677; Cassaz. Torino, 20 maggio 1892 e 23 maggi ο 1892, Giυυ rιspr. torinese, 1892, 64+, 633). CirYa la responsabilità dello Stato pei danni arrecaci dai suoi impiegati nell'esercizio delle loro funzioni: V. Ν eueci, λ rchi rιο giuridico, XXI, pag. 356; Gabba, Fori italiano, XI, 932; Mantellini, Relazione sulle arrotature erariali, Roma,

— 141 —

is, qui scream in fuga habet, teneatur nomine ei τιs J'uiliae 1880; Chiruni, Colpa extracontrattuale, vol. I, cap. VII; Aubry et Rau, op. cit., § 447; Cons. pure Lu responsabilit" degli amministratori secondo il "varo Codire di commerci'. Legge, 1882, I, 247; La responsabilitìi dei ricesitori del letto 2.0rsa i iocatori nei casi di semplice colpa, studio di Ο. Quarta,. Legge, 18 7 ß, III, 335; Sulla rusponsabilith dei riceritori del lutto nei casi di dolo e frode dei commessi, studio di V. La ilíantia, Legge, 1880, III, 300. Riportiamo ora alcune massime di giurisprudenza in ordine alla responsabilith stabilita neil'art. 1153 Cod. civ. Le guardie campestri preposte da privati alla custodia delle loro terre sono comprese tra le persone (servi e commessi) di cui è parola nell'art. 1153 Cod. cív. Ρerciò il proprietario di un fondo b responsabile del danno arrecato ad altri da una guardia privata nell'esercizio delle sue funzioni (App. Perugia, 12 giugno 1893, Legge, II, 231). Ai termini dell'art. 4 del regolamento postale l'Amministrazione delle poste non è responsabile mai della mancata consegna delle lettere semplicemente affrancate. Anche in caso di continuata fraudolenta sottrazione di corrispondenza per opera di un impiegato postale condannato in sede penale per tale reato, il danneggiato non ha'azione per risarcimento dei danni contro l'Amministrazione postale (Cassazione Napoli, I9 luglio 1895, Legge, 1895, II, 813). La sentenza penale di condanna del figlio minore costituisce cosa giudicata contro il padre civilmente responsabile, quantunque non sia stato parte nel giudizio peno'--. Però essa non impedisce che il padre, ad escludere la propria responsabilitk pei danni verso la parte lesa, deduca prove per stabilire di nun aver potuto impedire íl fatto delittuoso del

— 142 — actione, quaeritur ? Et ait Julianus, teneri. Et est .rerissimum, cum et Μαrcellus consentit (1). Pei danni arrecati dai pazzi furiosi erano responsabili i custodi: custodes furiosi non ad hoc solum adhibentnr ne quid per~iciosus ipsi in se m οliantur, sed ne aliis quoque exitio fia nt (2); quod si committantur, aggiunge la legge,

non immerito culp αe eorum adscribendum est, qui negligentiores in officio suo fuerint. Effusum et deiectum. — Nel caso in cui fosse stata scagliata da lle finestre di ira casa una materia liquida o solida, si sarebbe potuto agire, coll'actio .quiliae contro l'autore del danno; ma dovendosi in questo caso fornire la prova e difficilmente potendosi scoprire il vero autore del delitto, per garantire la sicurezza dei viandanti si concesse l'actio de effusis et deiectis in solidum contro tutti gli inquilini ed abitanti della casa dalla quale era stata figlio. L'avere .il padre sporto controquerela contro la parte lesa, a tutela del figlio suo, non importa che .egli abbia ap• ,

provato il fatto illecito di questo e ne sia quindi senz'altro responsabile, senza poter invocare la eccezione dell'art. 1153 Cod. civ. (App. Torino, 6 settembre 1887, Legge, 1888, I, 604). L'art. 1153 Cod. civ., decretando indistintafnente la responsabílíth dei padroni e dei committenti pei danni cagionati dai loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze ad essi affidate, si riferisce necessariamente ai principi generali di risarcimento di danni e perciò comprende tanto i danni cagionati da fatto positivo, quanto quelli derivanti da fatto negativo, ossia da negligenza od imprudenza (App Roma, 29 maggio 1889, Legge, 1890, ~, 299). Fr. 27, § 3, h. t.

Fr. 14, 1, 18.

— 143 — scagliata la materia .liquida o solida, í quali inquilini erano chiamati a rispondere anche per i danni arrecati dal loro famigliari e domestici. B) Danni arrecati iussu alterius. Se taluno avesse arrecato danno per comando altrui, sarebbe cessata la responsabilitY del danneggiante e sarebbe sorta quella del iubens. Liber homo s i iussu alterius

manu iniuriam dedit, actio legis Aquili αe cum eo est qui inssit, si modi ius inrperandi habuit (1), poichY is damnum dat qu i iubet dare (2); mancando il ius iubendi da parte di chi dette ii comando, era responsabile l'esecutore: quod si non habuit, cum eo agendum •est qui fecit (3). In caso di danni arrecati iussu alterius si poteva agire contro il mandante ο con 1'actio Aquiline o con l' actio decemuiralis, per conseguire la noxae dedictio del mandatario (4); tale azione si concedeva, perché si fosse potuta esercitare nel caso d'insolvenza del danneggiante, riuscendo in questa ipotesi affatto inutile 1' actio Aquiline ( 5). C) Danni arrecati impulsu, istigatu et auxilio al-

terius. Vi erano inoltre alcune persone, le quali erano tenute con un' actio Aquiline utilis : cí6 si verificava quando fossero stati arrecati danni per impulso, aiuto od istigazione altrui. Imperοcchè se taluno. istigato da altri, avesse recato danno ad un terzo, si sarebbe dovuto convenire in Fr. 37, h. t. Fr. 169, De reg. íuris., L. 17. Cit. fr. 37, h. t. Fr. 2, 1, 9, 1.

Mendoza, Comm. ad leg. _1g., lib. 1, c. 3, sez. 1, n. 13. ,

— 144 . giudizio soltanto Γ istigatore. Proin.de si quis alterius i mµΡυΙ s υ d~~mnumn dederit, Proculu:s scribit, neque eur'qui intp uι it téneri, quia nun oceidit: neque eunt qui impulsus est,

quia damnunt in~urkι non dédit. Secundunt -quid in factum astio erit da.nda in cunt qui impulit (1. Parimenti si sarebbe potuto sperimentare ui'actio utilis se taluni avesse eccitato u n . cane a mordere ad altri (2, od avesse percosso un cavallo, i l quale, inasprito dal dolore, mappe una gamba ad un viandante (3k od avesse tratto in insidie: un servo altrui per farlo uccidere (4), od avesse eccitato a salire in un albero od a discendere dal medesimo un servo altrui, che nel salire o nel discendere fosse morto o fosse rimasto ferito. 101. D) Danni arrecati dagli animali. Nel caso di danni arrecati da animali contro gli istinti della loro specie. non si poteva intentare alcuna azione verso gli animali, ρ erchè essi ratione earent (5) e non possono quindi commettere un fatto che sia contra ius: d'altra parte 1' ιι t ~Ι ità che i l padrone ricavava dall'animale danneggiante non poteva- essere tale da dar luogo alla sua responsabilità ; fu concessa perciò contro di lui l'astio dc pauperie istituita dalle XII Tavole (6 ) . Detta azione in realtà, fu concessa soltanto pei dan υi_arrecati da quadru,,edi mansueti o mansuefatti; per i danni arrecati dagli 3, h . t Fr. 11, i 5. Fr . 7,

Fr. 1,

~.

Fr. 9,

3, h. t.

Fr. 1, 1 1, Si !I σι ~1 ΙJΓ! flh?s t2lι ürì. f'ClssG Π~ 1c,lÍNr, Ι Χ , 1.

Tab. ΥΙΙ, 1( \ ΠΙ, 5 Schiιll). Cfr. 1'nigt, Die XII Τπ fε~lm,

Ι, png. 735.

— 145 —

altri animali fu concessa υn'αctiο utilis (1). Siccome peri il proprietario era considerato come difensore dell'animale, cosi nella specialità del caso l'actio de pauuperie mirava semplicemente o al risarcimento del danno o alla consegna dell' animale. Si quadrupes pauperiein faxit,

dominus ?iwxi αe aestimiam offerto; si nu it, quid noxit dato (2). Questa azione era nossale, perché mirava alla no.cae deditio, e valendo íl principio noxa sequitur caput. si poteva sperimentare soltanto contro 1' attuale possessore dell'animale, e se questo fosse morto prima della lítis cοntestatiο, si sarebbe estinta (3). Et cum etiam in quα-

drupedibus ~oxa caput sequitur, adversus d&minum haec actio datur, non cuius fuerit quadrupes cum noceret, sed cui us nunc est (4). 102. Per i danni arrecati da armenti pascolanti in fondi altrui era concessa l'actio de pastu pecoris, la quale, sebbene taluno (5) ne dubiti, era al pari dell'actiο de pauperie un'actio noxalis, come appare chiaramente dal seguente passo di Pao l o (6): Si quadrupes pauperiem fecerit

Fr. 4, Si quadr. paup. fec. die. Ταν. ΥΙΙ. Vedi pure fr. 1, ,Si quadr. patcp. fec.; fr. 1, §§ 1, 14, 15, 16 e fe, 3, Si quadr. paup. fec. d~c. ; Serafini, op. cit., vol. Π, § 158, pag. 184.

Fr. 1, § 6, S. quadr. paup. fec. dic., ΙΧ, 1. Fr. 1, § 12, S. quadr. paup. fec. die. IX, 1. A.rndts- Serafini, op. cit., vol. II, § 321. Pauli, Receptanum sententiarmn, lib. I, tit. XV. fr. 1, § 1. V. -pure L. 6, III, 35 Cod. De µα stτι. L. 1 Cod. De fondis et sαlt.ibus rei clominicae e L. 2, De pascuis gιιcbliciε et 10

— 146 —

dα m unive'ìederit quidve depasta sit, in dorninum actio datir, ut cuit damai aestimatiouem subeat aut quadrupedem dedat. Anche gli edili curuh si occuparono dei danni arrecati dagli animali nelle vie e stabilirono che certi animali non s i potessero lasciare sulla via sotto pena del pagamento dl una determinata indennità (1). L'editto degli editi in verit ha un carattere puramente amministrativo, tuttavia crediamo che per i danni arrecati dagli animali sulle vie pubbliche potesse aver luogo anche l'actio de pauperie, indipendentemente_ da ll e sanzioni penali stabilite nell'editto medesimo (2); 11 danno arrecato da ll e fiere non si doveva risarcire: i n bestiis autem propter natura km feritatem haec actio locum non habet (3). E come fiere si cοnsíderavan ο gli animali che ex eorum feritate avessero arrecato danno (4). Abbiamo visto dunque che peri danni arrecati dagli animali poteva esercitarsi l'actio de pauperie e l'actio de pastu a seconda dei casi: ma abbiamo finora supposto che il danno non si potesse in alcuna guisa attribuire al fatto del padrone degli animali. Se invece da parte del detto padrone fosse concorso dolo o colpa, :s i sarebbe potuto esercitare contro di lui l'actio ad exhiben-

hrivetis; fr. 14, § 3, De praeseriptis verbis, XIX, 5; fr. 9, § 1 , X, 4. Fr. 40 e 41, De art. XVI, 1; § 1. Inst. I1', 9. Cons. lliainoni, Del dan n o recato : dagli animali (Comm. .a11'%1t. 1154, Cod. civ.). Legge 1895, 11, 671 e seg. {3) Fr. 1, § 10, S. quadr. paup. fee. die. (4) Inet. IX, 9 pr. Voci. Comm. ad Pand., IX, 3, n. 3.

— 14 ~~—

dum ovvero 1'actio Aquiliae a seconda dei casi, coque ci attestano le fonti. Abbiamo infatti il fr. 9, 1 , Χ, 4: Glans ex arbore_ tua in fundunt nzeum inciditi ea rn ínunti s so pecore depasco: qua actione posso» t teneri? Ροmροni,fs scribit competere αctiωnert ad exhiberidunb, si DOLO pecus immisi ut glander conmederet. fiata et si glans extaret, nec patieris une tollere. ad exhibenduni teneberis. Quemadmadurn si materianz delatam in agrum suum quis auferre non pateretur. .Et placet nobis Forrzponii sente~ tia, sire gémis extet, sire cοnsutnρtα sit. Sed si extet, etianz interdicto de glande legenda, ut ntilzi tertio quoque die legendαe glandis. facultas esset, uti poteri, si damni infecti carero. Il giureconsulto Giuliano nell'accennato passo prevede il caso che due persone posseggano due fondi c οn~iantΙ, che dall'albero di uno dei fondi siano caduti frutti nel fondo dell'altro, - e che il proprietario di quest'ultimo abbia fatto pascolare nel fondo medesimo il suo gregge. giureconsulto riferisce l'opinione di Pompino seconde ευí si concede in tal caso 1'actio ad exhibendunt soltanto se il padrone del fondo mand ~~a pascolare il gregge dolοsamente, per la ragione che se dal fondo del proprietario del gregge fossero caduti frutti nel fondo dell'altro, anche egli avrebbe potuto esercitare l'actio ad exhibendnm per raccoglierli, qualora però i frutti medesimi fossero ancora rimasti sul terreno e l'altro non gli avesse dato i i. permesso di raccoglierli.-lia Giuliano aggiunge che l'actác Qd exhibendum deve aver luogo anche nel caso in cui le frutta cadute siano state consumate dagli animali pascolanti, e che se dette frutta siano ancora sui terreno, potrá sperimentarsi sino al terzo giorno anche l' interdictum de glande legenda. Se poi il proprietario del fondo avesse fatto pascolare il gregge per sua colpa nel ter-

= 148— reno in cui erano cadute le frutta 7 avrebbe avuto luogo l'αetiο utilis Aquiliae (1). Parimenti abbiamo il fr . 1, § 1, ΙX, 1, in cui si dice che se un animale avesse arrecato danno per colpi di chi lo conduceva, sarebbe cessata l'astio de ‚pauperie e sa rebbesi potuto invece esercitare l'astio 3quiliae contro la persona cui la colpa fosse imputabile. Quid si pruρter loti iniquitatem aut propter eυlpam moliοnis aut ρl,.s iu.xto oneratus quadrupes in atiquem everterit, haec astio, cess abit, damnique iniuriae agetur. Sed et si canis cum duceretur ab aliquo, asperitate sua evaserit et aticui damnum dederit, si contineri firmius ab ali poterit, rei si per eum locur induci . 11ου debuit, haec astio cessabit; et tenebitur qui cane» a tenebat. Sed et si istigato alterius fera damnum dederit, cessabit haec astio (2).

Glossa, in fr. 9, § 1, Χ, 4. Cons. Eisele, Ciedist. Klviigle. ΥII, in Jabrb. f. d. Dogm. heut. rüm. u deutsch. Priv. Ν. F. XII, pag. 840 e seg. Riguardo ai danni cagionati dagli animali dispone l'articolo 1154 Cod. civ. : « 11 proprietario di un animale o chi se ne serve, è obbligato pel danno cagionato da ess ο, tant ο se si trovi sotto la sua custodia, quanto se siYsi smarrito o fuggito ». \el diritto civile italiano dunque, a differenza del diritto romano, non si concede puìi contro il possessore dell'animale un'azione nossale, ma si accorda un'azione personale soltanto verso il proprietario o l'utente dell'animale medesimo per i danni da esso arrecati e non si fa ρ ~ h alcuna distinzione àe l'animale abbia o no agito contro natura. (Confnb Aubry et Rau, vol. IV, § 448, dag. 771; 'lares", Seell'irrt. 1385-1386 Cod. frane; Zachariae, Droit frι n ι ~•., col. II,

— 149 —

§ 3.



Responsab11 ιt solidale.

106. Danni arrecati da più persone; esempi - 1 ecís•iωιe di un serro commessa da ρii persone. — 107. Effetti giuri dici delle obbligazioni solidali derivanti ex lege Aquilia deroga ai principi generali; la •solutio fatta da uno dei condebi§ 448; Larombière, Des obligations, sull'art. 1385, n. 1 e segg. Voet, Ad Pand. lib. IX, tit. 1, n. 3; Banti, Temi veneta, 1882, .pag. 35; Cassaz. Torino, ï marzo 1877, Legge I, 1887, peg. 426; Cassaz. Firenze, 5 decembre- 1 -8 81, Legge, 1882, I, pag. 223). L'accennata responsabilitàt non grava cuihulativamexite sul proprietario dell'animale e su colui che se ne serve, ma disgiuntamente sυll' uno o sull'altro. (Ricci, TratiUto teorico pratico di diritto- civile, vol. VI, n. 101, pag. 142; citata sentenza 5 deεembre 1881 della Cassaz. di Firenze; Cons. Laurent, Pri~cipes de droit civil, vol. XX, pag. 628; Tou1lier, Droi t c~ )11, tit. VI, 1, pag. 343, n. 297), La- dottrina e la giurisprudenza sono d'accordo nel ritenere che la responsabilità del proprietario dell'animale cessi quandò si provi che il danno sia derivano da caso fortuito, da colpa dello stesso danneggiato ο di un terzo che abbia eccitato l'animale; ma è viva la discussione intorno al fondamento giuridico del citato Rrt. 1154 Cod. civ. In proposito tre opinioni si e οnte~ don ο il carneo: A) Alcuni ritengono che il ripetuto articolo, in omaggio al principio qui sent it cnmmodum et ineommmodum sentire debet, preseinda affatto dalla colpa del proprietario dell'animale e stabilisca la sua responsabilità per i vantaggi che egli ritrae dall' animale medesimo. _(Chironi. Colpa erΙra-cοntraι .ιιι le, vπ1. 1I; Angiohuui, Rivista unir. d i giur. e dottrina, Ci οΙ , 1890, I Ν, -

.

.

— 150



tori non libera gli altri - Ragione dell'accennaia deroga apiniοne degli, scrittori; confutazione; nóstra opinione; carattere penale dell'actio Aqúiliae. 108. Danni arrecati ;



60, 18). B) Altri sostengono che nell'art. 1154 Cod. civ. sia stabilita una presunzione iaris et de iure di colpa a. carico del proprietario dell'animale danneggiante. (Giorgi, Te οr~a delle obbligazioni, 3 ediz., vol. V, pag. 538, nota 1"; Aubry et Rau, Cours de .droit civil , fr αnc αιs, tit. Ii, pag. 771, Paris 1871; µ areadé, Principes de droit ciril, sull'art. 1385, n. 1; Lar οmbibre, Sull'art. 1385, n. 9; Cassaz. Torino 14 gennaio 1869, Monitore de i tribunali 1869, pag. 127; 3 marzo 1882. Giurispr. ital., 1882, I, 1, 425; 1 gennaio 1887, Legge, 1888, I, 262 ; App. Genova, 14 aprile 1894, Legge, 1894, II, 453). C) Altri infine reputano che in detto art. 1154 si stabilisca mia presunzione iurιs tυntu~n di colpa. (Ricci Op. cit., vol. VΙ, •n. 101, pag. 141, 2' edizione; llainoni, Del danno recato dagli animali, Comm. all'art. 1154 Cod. civ., Legge 1895, II, cap. VI, pag. 713; De Santis, Resp οnsαbilιtιι del proprietario di un animale pel danno da questo prodotto, Rivista universale di giurisprudenza e dottrina, Ci οlfi, 1890. IV, 1, 1 e 67, 20; Laurent, Op. cit., vol. XX, n. 827 ; Cassaz. Firenze 5 dicembre 1881, Giur. ital., 1882, I, 1, 328; Id., 8 giugno 1889, Legge, 1890, 299; Cassaz. Torino, 7 marzo 1877, Race. XXIX, 1, 538; Trib. Varese, 1° febbraio 1893, Mon. trib. mil . 1893, 173; Pret. Firenze, 31 marzo 1893, Mon. pret., 1893, 135). Noi incliniamo nel ritenere che nel citato art. 1154 si venga a stabilire una presunzione ~urιs tantum di colpa a carico del proprietario dell'animale, che h a arrecato danno. Infatti ci sembra evidente innanzi tutto che la responsabilità dell'animale debba trovare il suo naturale fondamento nella colpa in vigilando da parte di esso: i lavori prepara,

— 151 — ex familia; liberazione del padrone mediante la noaae deditio di uno degli schiavi danneggiati - 4ρρareυte antinomia tra il fr. 32 h. t. ed i f armenti 9 de iurisd. ll, tori del Codice francese, da cui fu riprodotto letteralmente l'art. 1154 nel Codice civile italiano e la ubicazione in quest' ultimo dell'aceennata disposizione ci sembrano espliciti in riguardo. Nella relazione dell'oratore del Tribunato s i legge: « il danno, perchè sia soggetto a riparazione deve essere l'effetto di una imprudenza o di una colpa da parte di qualcuno; se non p υδ essere attribuito a questa causa non che l'opera del caso di cui ciascheduno deve sopportare il peso; m a se vi è stata colpa od imprudenza, per quanto leggïera sia stata la sua influenza sul danno commesso, è dovuta Ja riparazione. È a questo principio che s i connette la res ρουsabílitá del proprietario rispetto al danno causato dagli animali ». (Terrible, Disc. in Locré). E nella relazione al Tribunato: « il ,danno deve essere imputato sia a difetto di custodia o di vigilanza da parte del padrone, sia a temerit . ed imperizia o poca attenzione di chi si servito iell'animale ». (Bertrand de Glreuille, Reipp. in Locré). La ubicazione dell'art 1154 è per noi, come abbiamo accennato, altro argomento di οn lieve importanza a nostro favore; detto articolo è posto nella sezione dei Delitti e quasi delitti; è evidente quindi che a tale materia e non ad altra dovrà esso riferirsi, altrimenti bisognerebbe supporre nella preindicata sezione la intrusione d i un'articolo affatto estraneo, senza che di essa potesse in alcuna guisa darsi giustificazione di sorta: è chiaro dunque che l'art. 1154 deve trovare la sua ragione giuridica nel concetto di colpa, perchè appunto su tale concetto si asside la teoria dei deliti e gυυαsi-delitti. secondo l'attuale legislazione civile. Si obbietta che la legge

— 152 — 1 e 34 de iniuriis, XLVII, 10. —109. Tra i condebitori non si ammstteva l'azione di regresso per il paga mento fatto da iinn di essi. 106. Se il danno fosse stato arrecato da piú persone, tutte sarebbero state responsabili solidalmente; tosi, per fa astrazione da qualsiasi colpa da parte del proprietario

dell'animale, ροichè dice che detto proprietario sarà responsabile tanto se l'animale si trovi sotto la sua custodia, quanto se siisi smarrito o sia fuggito: ma ci sembra che tale obbietto sia infondato ed . anzi conforti maggiormente la nostra opinione, potendo benissimo avvenire che l'animale danneggiato siisi smarrito o sia fuggito appunto per colpa del proprietario. La legge non ha fatto astrazione dalla colpa, anzi ci sembra ,che abbia voluto prevederla in tutte le sue manifestazioni. Ma dato dunque che nell'art. 1154 si presupponga la esistenza di colpa i» vigilando da parte del dim inue animalis, si verrà con esso articolo a stabilire un principio generale di responsabilitl e nulla più, ovvero si verrà ad addossare a carico del proprietario una presunzione di colpa Nessun dubbio che l'articolo píìι volte ripetuto abbia voluto fissare una presunzione di colpa e non un principio generale, cui avevano già provveduto gli art. 1151 e 1152 Cod. cív. ; crediamo inoltre di poter desumere dai principi generali di diritto e di ermeneutica e dalla lettera stessa della legge che detta presunzione sia jar tantam. L'art. 1154, come si è visto, stabilisce una presunzione di colpa; ora è da ricordare che quando la legge stabilisce una presunzione di colpa a carico di alcuno, questa si deve reputare inris tinter, e~ sendο insita nella natura stessa dells presIrnzirnli la facoltà della

-1b3— esempio, nel caso in cui più persone col gettare una trave avessero ucciso un servo : Si plures traben deiecerint, et homi'sen o,p,presserint, aeque veteribus placuit lege Aquilia teneri (1). Cosi pure curn ,pluree traben alienava furandi causa sustulerint quant singoli ferre non pissent, furti actione onnes teneri aexistirnantur, quamzis subtili ratione dici possit prova contraria. (Rapporto del Taubert, cap. V, della Legge III, sui contyatti e sulle obbligazioni convenzionali, pag. 36 7 e 369); inoltre è, ρerenteri ο il riflesso che l'art. 1153 Cod. civ., se si consideri nel suo complesso, in omaggio al principio generale da noi poc'anzi ricordato, stabilisce come regola lι' 2rοrα contruriι a favore dei genitori, tutori e precettori e soltanto come eccezione il divieto di detta prova pei cmnmittenti e padroni, sebbene da una superficiale lettura si possa argomentare il contrario, essendo stato in verità il legislatore poco felice nel formulare il riferito art. 11b3. Ora se i l divieto della prova contraria -non s i ripetè nell'articolo seguente a proposito dei danni arrecati dagli animali, come mai potrà parlarsi di una presunzione (uric et dé lure a carico del proprietario, presunzione che appartiene alle norme di ius singular e e che come tale non -pua estendersi a casi non espressamente preveduti dalla legge? \on è piiz vero ii principio quid eontra rutionern iuris introductunm est non est j)riducendum 'id eonsequentiius? C i sembra dunque che non vi sia bisogno d'insistere maggiormente in proposito; ma se dubbio ancora vi fosse; non avremmo che a ricordare la massima: in •re dubio benigniorem interpretutionem segui non minus instius est quam tutius. (Fr. 192, D. L. 17). (Per í danni arrecati dagli animali V. pure gli articoli 426, 428, 429, 480, 481, 482 del Codice penale ν• igψ rte (1) Fr. 1 1, 6 4, h. t.

— 154 —

r~entineni eorum te9,eri, quia ne/nineni ~erum sit earn sµ stulisse (1). Parimenti se taluno tenne ferma la vittima ed un altro produsse la mo rt e, ambedue saranno responsabili in solidum, poiché colui che tenne ferma la vittima quasi causam mortis praebuit Nel caso tu cui un servo fosse stato ucciso da più persone, ΥΙρianο fa una distinzione: se' si conosce l'autore del delitto, soltanto questo sarY responsabile, altrimenti tutti devono rispondere de ucciso (3) quid si quis absurde a nobis haee cinstitui putaverit, eoget longe absurdius constitui neutrum lege dquilia teneri aut alterum potins; cum ιieque imyunita malefacia esse οροrteαt nec facile eonstitni possit uter potins lege dquiΙiα teneatur (4). 107. In ordine agli effetti giuridici prodotti dalle obblígazi ο ni solidali (5 ex lege dquilia, riscontriamo una deroga ai principi generali. noto infatti come nelle obbligazioni solidali la solutio eseguita da uno dei condebitori liberi gli altri (6); ma nelle obbligazioni solidali nascenti da un damnum iniuria da tum la solutio fatta da uno • de i condebitori non libera gli altri: Si cum uno agatur eueteri non liberantur. M'ara ex lege Aquilia quid alias praestitit, alium ??on relevat, cum sit ρο n α. 2 in f., h. t. t 3 .) Fr. 51, (2 ) Fr. 11, § h. t. (3: Fr. 11, § h. t., e fr. 51, § 1, h. t. (4) Fr. 51, § 2, h. t., di Giuliano. Quanto alle obbligazioni solidali intendiamo riferirci

all a teoria del Landucci, seguìta dal Serafini (Ist. di. D. R., v0l. II, § 114, pag. 39). Fr. 11, § 2, b. t.

-1 5 5—

_

Alcuni scrittori (1) spiegano l'accennata deroga sostenendo che, siccome secondo la legge Aquilia si poteva supporre clie il delitto fosse stato commesso entro l'anno o mese precedente, così vi sarebbe stato senza dubbio un momento in cui í condelinquenti non agirono di concerto, perc ~δ ciascuno doveva essere responsabile, come se fossero stati commessi vari delitti separatamente. Questa opinione per δ non resiste ad una sana critica. . Infatti é vero che la legge Aquilía permetteva di ,considerare il delitto come se fosse stato commesso nell'anno o nel mese precedente al danneggiamento, ma vero altresi che questa finzione giuridica era ammessa semplicemente riguardo alla aestimatio damni e non riguardo alla res ροnsabilιt degli autori di un medesimo delitto. Secondo noi la deroga circa gli effetti giuríd ιci delle obbligazioni nascenti da un damnaa m iniuri a datum si spiega facilmente. Le obbligazioni solidali infatti in generale davano luogo ad un'actio reiρersecutοriα (2): é logico perciδ che la sοlυtíο, fatta cia uno del condebitori, dovesse necessariamente liberare gli altri, perché altrimenti i l creditore sarebbe venuto ad arricchirsi indebitamente (3). Ma .

Arndts- Serafini, Pand. , voi. II, 324, pag. 2 7 9; Pernice, Sachbeschdcl, X , pag. 129; Savigny, System., vol. Υ, pag. 234; tiVindscheid, Lehrb. d. Pαndr., νο1. ΙΙ, 455, n. 6, nota 26; Bethmann, Holiweg cirilprocess, vol. ΙΙ , pag. 298; Castellari, op. cit., pag. 84 e 85. § 27, Inst. ΙV, 6; fr. 18, pr. IV, 3; Serafini, op. cit., νο1. ΙΙ, 114, pag. 45. Serafini, lic. cit., pag. 44; Landucci, .Delle ohbl,;ycιzi οιτ i in solido secondo il diritto romano, 188 ι), vol. I, pag. 15.

— 156 — le obbligazioni solidali nascenti da un damnurn minna datum, come abbiamo in altra parte dimostrato, davano luogo non ad un'azione reipersecutonia, ma .ad un'azione mista, avente un carattere prevalentemente penale; era naturale perci ~~che il pagamento di uno del condebitori non liberasse gli altri, dovendo ciascuno dí essi subire la pena del .delitto commesso (1). Si potrebbe obbiettare, come f a appunto il Greau 121, che essendo l'actio dquiliae un'azione mista, secondo í principi generali riguardanti le azioni reipersecutorie e penali, deriverebbe che il creditore potesse esigere dagli altri condebitori, diversi da quello.escusso per primo, soltanto l'ammontare della pena e non il pagamento integrale, poichY egli altrimenti verrebbe a ricevere un indebito arricchiτ>âen~ o col farsi risarcire il danno pim4 volte. Ma a questa obbiezione si risponde che nel caso di un α obbligazione solidale nascente da un damnuum iniuria datum il pagamento integrale, che doveva farsi indistintamente da tutti í condebitori, costituiva appunto di per sè stesso un α pena nel caso di delitto commesso da pii persone. Questa spiegazione è conforme a lla ratio decidendi del fr. 11, i3 2, h. t.: Si cum uno agatur, caeteri nona

liberantun. lam ex lege dquiliae quid α~ii.s praestitit, alium nun relevαt, Cum SIT PIENA (3). οοdt, Comm. 0(1 leg. Ag.. cap.10; beet, Comm., h. t., n. 8. Greau, Εtιιιle sur la loi Aquilia, cap. Y, pag. 60.

Quanto alla res ροnsabilith. solidale dispone l'art. 1156 del Cod. civ.: κ Se il delitto o quasi delitto è imputabile a più persone, queste sono tenute in solido al risarcimento del danno cagionato ». Α differenza perù di quanto stabiliva il diritto romano, il pagamento fatto da uno dei condebitori

— 157 — 108. Se il danno fosse stato arrecato ex ~'ιι Υiιι. ossia da piιι schiavi, il dominus smiio I'URE avrebbe dovuto rispondere in solidum in nome di ciascuno dei servi; m α ex aequo et boni si stabili' che al damnum in juria datum ex familia si dovessero applicare i medesimi principi che regolavano il furto commesso da più servi, che c ~οé il padrone non dovesse essere responsabile per ciascuno, m α collettivamente, come se il delitto fosse stato _commesso da una sola persona; in 'modo che co ~~la noxae deditio di uno soltanto degli schiavi danneggianti il padrone comune rimaneva liberato. Cum eninm circa furti actionem haec ratio sit, ne ex uno delicto tuta familia careat, eaque ratio similiter et in actiοne danni iniuriae interveniat, sequi tur ut idem debeat aestimari (1). Da ci ~~ebbe origine la teorica di lldrago: Casus quuos nectit paritas, aequitas et identitas rationis non sunt quoad iuris dispositionem separandi (2). . Al fr. 32 h. t. citato, non contradicono í frammenti 9 de iuris dictione, Il, 1 e 34 de brim- s, 47, 10, nei quali si dice che vi sono píix delitti nel caso in cui familia album

libera gli altri condebitori (art. 1186), e eíb tanto nelle ubbligazioni contrattuali quanto in quelle nascenti da delitto 0 quasi-delitto. L'obbligazione poi contratta in so ido verso il creditore si divide di diritto trai debitori, í quali non sono fra loro obbligati, se non ciascuno per la propria parte (uni colo 1138). Chi si spiega considerando che nel diritto mi, dernI l'azione di risarcimento di danni ha perduto quel carattere penale, che aveva nel diritto romano. - (1) Fr. 32, h. t. (2) Oldrago, glissa in cit. fr. 32.

— 158 — ρ' αetοris cerruρerit rei cοm icium àlicui fecerit. Cuiacio (1) spiega questa apparente antinomia, osservando che: g,°a n or est causa atrocinrque iniuria quoties plures vel album praeteris corruperunt nel aliquem iniuriaierunt, qi α m Si unus album cerrtοnρα t vel conaviciuum faciat. Nei casi invece di furto o di danneggiamento sine wrius sire plures fecerint non plus damni illatι~m est a piuribus quam ab uno (2). 109. Nel caso d i darnnum iniuria datum arrecato da p ~iι -

persone, non si ammetteva l'azione di regresso fra i vari condebitori per il pagamento effettuato da uno di essi:

Nee enim ulla s οcietας >n~deficiοrum nel communieatio iuxta damni ex maleficiis est (3). Anche questa regola era una

conseguenza della natura penale dell'azione della legge 3quilia. C αΙ'ITOLO τI. ΑESTΙ3tATI0 D λDINI LΕGΙS AQUILIAE.

s 1. — Nozioni generali — La " repetitio tampons. „

110. Concetto dell'aestimatio damni; diverso a seconda delle varie specie di danni previsti dai tre capitoli della legge t3qυilia - La repetitio temporís non si ammetteva nella ° ( 1 ) Cuiacio, Ibsen., lib. TH, cap. XX . Donello, Comm., h. t., cap. ΙΙΙ , n. 7; Meier, Colleg. argentonat., h. t., n. 4 2 . pag. 598. Fr. 1, § 14, de tutela ae.t., 27, 3; fr. 30, De negot. gest., 3, 5; fr. 4, De his qui ejd., 9, 3; fr. 14, § 15; fr. 15, h. t., L. 1, Cod. de εοιιd. furt.. 4, 8; V. gavigny, Obligationenrecht, § 2 4 ; Arndts- Serafini, ορ . cit., § 14; Landucci, op. cit., pag. 38. — Cune. Tan Wetter, Obligations, § 54; 31aynz, op. cit., § 287. -



159



aestimatio per i danni previsti dal secondo capitolo della

Legge. — 111. Questione se in caso di deterioramento di un oggetto il danneggiato ροtésse esigere una somma equivalente al maggior valore raggiunto dall'oggetto nel mese precedente e. ritenere in pari tempo l'oggetto medesimo - Opinione del Pernice - Nostra opinione; interpretazione dei fr. 24, h. t. e 20 § 17, h. t. — 112. Fondamento, giuridico della repetitio temporis : a) Silenzio in proposito serbato da alcuni scrittori; b) iJastellari; confutazione; e) Pampaioni; confutazione; nostra opinione. — 113. L'aestimatio damni poteva superare il danno realmente sofferto. — 114. Punto di partenza per il computo dell'anno o dei trenta giorni precedenti al delitto. -- 115. Per la repetitio temporis si aveva riguardo all'anno di Giulio Cesare. 110. L'effetto giuridico del damnum infuria datum consisteva nell'obbligo del risarcimento del danno da parte dell'autore dei fatto illecito (aestimatio damni). Questa aestimatio damni era rappresentata da una somma pecuniaria, che variava secondo í capitoli de ll a legge Aquilia, in furia dei quali si agiva contro l'autore del danneggiamento. a) Se il danno cadeva setto la sanzione del primo capitolo della legge, il danneggiante doveva pagare una somma equivalente al maggior valore che l'oggetto leso aveva raggiunto nell'anno precedente al delitto (repetitio

temporis) (1). His autem verbis legis, QUANTI IN EO ANNO PLUami Furαrr, illo sententia exprimitur, ut si guis hominem tuum qui hodie claudus, aut mancus, aut luscus erit, occiderit, qui in eo anno integer aut pretiosus fuerit, non tanti (1) I"st.,

pr. h. t.; fr. 21 pr. h. t.

— 1t)0 —

teneatur, quanti hodie erit; sed quanti in eu annopiu imi fnerit (1 .). b Se il danno invece era previsto dal secondo capitole. Γα est εntα tiο da» ani consisteva nel valore che l'oggetto incorporale, ossia l'obbligazione, aveva nel momento in cui si verificò il delitto. In questa specie di daino non si ammetteva la reρetitiο te nροris riguardo alla stima dell'oggetto, perché, per il ristretto movimento economico di quei tempi, il valore dell'oggetto di un'obbligazione dífficílmente poteva variare, ma si manteneva quasi stazionario (2. Che nel secondo capitolo della legge Aquilia non si ammettesse la repetitio temporis si argomenta anche: 10 Dal fatto che nella ris οbιz~ οne dei dubbi sollevatisi circa il terzo capitolo dé11a legge relativamente alla repetitio tenporis si ha sempre riguardo soltanto al primo capitolo; 20 Dal fatto che si fa menzione dell'annnus e dei XXX dies pnο.cimi nel solo testo del primo e . del terzo capitolo (8). Ci~~posto, si spiegano chiaramente le parole di Caio: quanti eα res est, tanti actio constituitur (4), riferentesi al secondo capitolo della legge. c) Per í danni repressi dal terzo capitolo della legge, l'autore del delitto doveva pagare una somma di danari equivalente al maggior valore che l'oggetto leso aveva

'

(1) § θ, inst., b. t. llureau de 1α Malle, Economie politique des J?om«ins. Vues gé ιιι'rules, pag. 2 e seg. Gaio, 11I, § 210 e 218 cfr. col § 215; pr. e § 14, L ιst.ι h. t. fr. 2 pr. e fr. 27. § 5, h : t. Gaio. 1ΙΙ, § 215.

-1ß1— raggiunto nei trenta giorni precedenti (11. In questo capitolo non si ripete, come nel primo, la parola plurimi; da ci& qualche scrittore ha voluto arguire che il giudice nell'uestimatio damni dovesse aver riguardo soltanto al valore che l'oggetto aveva in uno qualunque dei trenta giorni precedenti; ma la maggioranza degli interpreti, seguendo l'opinione dí Sabino (2), ritiene il contrario, che cioè nel detto capitolo terzo si debba supplire a lla mancanza della parola pluri ιni: Haec verba quanti in triginta diebus proximie erit, etsi non habent plurimi, sic tamen ac-

cipienda, constat. 111. Riguardo a i danni previsti nel terzo capitolo sorge questione riguardo alla aestimatio dammi. Nel caso di ferimento ο di deterioramento di una cosa gli scrittori in generale, attenendosi a ll e parole della legge dicono che il danneggiante era obbligato a pagare una somma equivalente al maggior valore conseguito dall' oggetto nel mese precedente. Il Pernice (3) pure ritenendo che il danneggiato dovesse ricevere il maggior valore conseguito dalla cosa nei trenta giorni precedenti al danneggiamento, crede per&

Fr. 25, ξ 5 e fr. 29, § 8, h. t.; § 14, Inst., h. t.; Castellari, op. cit., pag. 133 (Indice); Puchta, Inst., § 277; Schweppe, Privatrecht, § 548; Baron, Fand., § 313; ArndtsSerafi, ι i, Fand., § 824; Serafini, Ist . di D. R., § 154; Doveri; Istit., § 454; Ijihlembruch, op. cit., § 450; Thibaut, System., § 622, nota di Iaynz, op. cit., II, § 271, pag. 463; Wächter, Ραιιιl., § 215, nota 12; cfr. nota 8 e. testo. Fr. 29, § 8, h. t.; § 15, Inst., h. t.; fr. 21, § 1, h. t., fr. 23, § 7, h. t. Pernice, op. cit., pag. 240. 11

— 162 — che s i dovesse da lui consegnare la cos& danneggiata, perché altrimenti il ferimento e l'uccisione s i sarebbero posti nella medesima linea, comminandosi per l'uno e per l'altra una stessa pena. L' opinione del Pernice non ci sembra accettabile: 10 perché secondo essa il proprietario danneggiato avrebbe dovuto necessariamente con- • segnare l'oggetto danneggiato o rinunziare al risarcimento dei , danni, mentre invece sembra che i Romani non ammettessero affatto tale principio (1) : 20 perché se fosse vero cι~~che sostiene il Pernice, bisognerebbe credere che spesso i danneggiati dovessero preferire di rinunziare al risarcimento, in ispecie nel caso di danni di lieve entitY arrecati a cose immobili. Noi crediamo che nel caso di ferimento o di deterioramento di un oggetto l'autore del danno dovesse pagare il maggior valore raggiunto dall'oggetto nel mese • precedente, ma che dovesse detrarsi da questo il valore pifi basso dell'oggetto dopo il delitto, quando il danneggiato non avesse preferito di consegnare al danneggiante l'oggetto leso. In altri termini siamo di parere che il danneggiante dovesse pagare la differenza fra il pi& alto valore conseguito nel mese precedente ed il p in basso _ valore raggiunto dall'oggetto a causa del delitto (2). Non s i ρυδ assolutamente credere che il danneggiato potesse esigere una somma equivalente al maggior valore raggiunto dall'oggetto nel mese precedente e ritenere

Voigt, Ζ wól f Talfein, II, § 11, in-fol. Demangeat, Cours, 3° ediz., 1876, vol. II, pag. 470 Keller, Pond., §. 356; Goschen, Υ~rl., § 590; Brinz, Ραn(i. II, § 340; Mommsen, Beitráge, II, pag. 422; Pampaloni, Archiv io giuridico, anno 32. pag. 404.

— 163 — in pari tempo l'oggetto medesimo, ned qual caso l'ingiustizia sarebbe stata flagrante, sia perché il danneggiato si sarebbe venuto indebitamente ad arricchire, sia perché tanto l'uccisione quanto il ferimento di un servo o di un quadrupede pecude sarebbero stati egualmente puniti, essendo in tal caso dιfferente soltanto il periodo di tempo entro cui si sarebbe dovuto computare il mag= gior valore dell'oggetto leso. E non é punto verosimile che i romani giureconsulti, i quali nei loro responsi si informavano sempre a principi di rettitudine e di equanimit~, avessero poi voluto sacrificare la loro sapienza soltanto di fronte alla legge Aquilia, senza che di questa pretesa eccezione sia dato a chicchessia di escogitare i l motivo. Del resto nel senso della nostra opinione crediamo die sia stato interpretato dalla giurisprudenza del periodo classico il terzo capitolo de lla legge Aquilia. Abbiamo infatti a conforto della nostra opinione due frammenti, il primo dei quali è il fr. 24; h. t. di Paolo; Hoc apertius

est circa vulneratunz honminenz: nam si confessus sit 'minerasse nec sit vulneratus, AESTIMATIONEM CUIUs PULNERIS FArs ? In questo passo si parla di AESTIMATIO VULNERus clεµ e non aestimatio corporis, e da cι~~possiamo arguire che al danneggiato dovesse in ultima analisi darsi la diminuzione di valore subita dall'oggetto a causa del fatto illecito e non l'intero valore dell'oggetto stesso, L' altro frammento é i l 20, § 17 in fine h. t. di Ulpian ο :

Ergo etsi pretio quidem nσn sit deterior ser'vus fαctus, merum sumtus in salutenm eius et sanitatem fatti sunt, in hoc mini 'ideri domnum datum, atque ideo lege Aquilia agi posse. Anche da questo passo risulta indirettamente che, qualora non s i fosse verificata la distruzione dell' oggetto

— 1 64 —

leso, non si sarebbe dovuto pagare il piiι alto valore cite l' oggetto leso aveva raggiunto nel mese precedente RI delitto. 112. Vediamo ora quale fosse il fondamento giuridico della repetitio temporis. É indubitato che la- repetitio temporis costituisce una disposizione assai singolare de lla legge Aquilin (1); infatti, per stabilire 1' aestimatio damni, si doveva aver riguardo non ' al valore di cambio nell'oggetto al momento del danneggiamento, me al maggior valore dall'oggetto leso raggiunto in un periodo anteriore al delitto: in ci ~~ appunto consisteva la repetitio temporis. Sari; quindi utile di esaminare per quali ragioni si ammettesse tale singolarith. à Alcuni autori (2), pur riconoscendo il carattere singolare della repetitio temporis, non tentano neanche ,di darne una spiegazione, perché, secondo essi, difficile a darsi. b) 11 Castellari (3), seguendo un'opinione del Löhr (4), accolta anche dal Gltick (5), tosi si esprime in proposito: "Nel caso nostro, dovendosi risarcire la illecita diminuzione, non si limita a valutare il costo de li ' oggetto .al tempo del danneggiamento; ma si suppone un istante pi ~ι remoto, nel quale esso raggiunse un più alto valore,

eιl in cui pυ3 veramente dirsi che le sostanze dell' offeso risentissero l'influenza dannosa dell' ingiuria.., Secondo il CaPampaloní, op. cit., pag. 416 e nota 21'. . Pernice, op. cit., pag. 239. Castellari, op. cit., pag. 7 3, 7 4. Löhr, Theorie der Culpa, § 703, pag. 122-123. Gluck, Cοητme ιτtιτ r., Χ , § 703, pag. 357.

— 165 — stellari dunque la repetitio temporis sembra che fosse una conseguenza del principio che il risarcimento del danno dovesse comprendere l' id quid interest. Ma l'opinione di questo scrittore non ci pare accettabile. Infatti non possiamo arrivare a supporre un istante piii remoto a quello in cui si verificò il delitto e nel quale si possa veramente dire che il patrimonio del danneggiato possa aver risentito 1' influenza dannosa dell' ingiuria. La veriti della nostra osservazione apparisce, a nostro avviso, evidente qualora si rifletta che se non si fosse verificato l'atto ingiurioso, la diminuzione di valore dell'oggetto si sarebbe verificata egualmente: manca in una parola qualsiasi rapporto fra il damnum iniuria datum e l'avvenuta diminuzione di valore dell'oggetto danneggiato: e perciò a torto si comprenderebbe nell'id quid interest il maggior valore conseguito dall'oggetto leso iii un'epoca anteriore al delitto. Ma dato pure che si volesse accogliere l'opinione del Castellari, sarebbe inconcepibile davvero come mai í codici moderni, che nel risarcimento del danno comprendono l' id quod interest, non abbiano pi& riprodotto 1' istituto Aquiliano de ll a repetitio temporis (1); inoltre non si comprenderebbe parimenti come essa esistesse anche quando la giurisprudenza non aveva ancora compreso nella aestimatio danni l' id quod interest. cl Secondo il Pampaloni (2) la repetitio temporis- troverebbe una spiegazione meramente storica. Egli infatti, dopo di aver osservato che la legge, delle 12 tavole per taluni danni arrecati iniuria stabiliva che il risarcimento Pampaloni, op. cit.. pag. 41 7 Pampaloni, luc. cit., e seg.

.

— Ich — del danno dovesse essere dato in natura, cosi si esprime: " Giusta ρerô il principio del par pari referre,quando un oggetto é distrutto, non si rende un oggetto nelle medesime condizioni, se ne rende uno nuovo. Tale é l' esigenza dei diritto di ρrορríetà ferito, che chiede vendetta; e noi vediamo tradursi nella vita pratica odierna codesta esigenza tutte le volte che la quistione dei danni si agita ai di fuori de ll e aule dei tribunali. " Il — lo rivoglio nuovo me lo ripagherai nuuouo — non ancora sparito dalla nostra coscienza giuridica. La condanna del giudice ad una somma di denaro DOVEVA PER CONSEGUENZA riferirsi al valore che l'oggetto aveva rag. giunto in un'epoca anteriore al danneggiamenti. E la legge Aquilin non fece che limitare ad un numero fisso di giorni, determinato a seconda dell'importanza dell'oggetto danneggiato, il diritto alla valutazione del danno in un'epoca anteriore.,. Con cíó non si sarY ρer~~conosciuto il fondamento dell a repetitio temporis, ροichè le parole del Pampaloni, se non erriamo, null'altro dimostrano fu οrch~~la condanna dovesse riferirsi al VALORE dell'oggetto in un' epoca an- . tenore al danneggiamento e non ai λIAGG ~ΟR VALORE. Il Pampaloni inoltre osserva che tanto per la legge delle ill Tavole, quanto per la legge Aquilia, la valutazione del danno riguardava soltanto il danno arrecato alla cosa stessa e no n l' influenza risentita dal fatto illecito nel patrimonio del danneggiato; egli dice che potrebbe anche sostenersi che la repetitio temporis fosse giustificata dal punto di vista storico, avendo essa per scopo probabilmente di compensare i danni indiretti dí cui non si teneva alcun conto, secondo la legge Aquilia,

nell'aestimatio damni.

— 167 — Ma se questa fosse la vera ragione giuridica della repetitio terροris, non si comprenderebbe davvero come essa si potesse ancora mantenere, quando la giurisprudenza interpretò estensivamente la legge Aquilia, facendo cadere sotto le sue sanzioni anche i danni indiretti prodotti da un fatto illecito. Ν~~ci si opponga ciò che dice 11 Pampaloni, che cioé la repetitio temporis sarebbe stata senza dubbio tolta di mezzo prima ancora dei codici moderni, se non vi si fosse opposto il testo positivo di una legge. Non era infatti un semplice testo di legge, che si oρρ~neνα all'abolizione di un istituto, il quale poté scomparire soltanto per una lenta evoluzione e per il cambiato modo di considerare il risarciménto del danno. Secondo noi, la repetitio temporis troverebbe il suo fondamento nel carattere eminentemente penale dell'astio .quiliae, carattere appunto che si manifesta in detto istituto. Con ció si spiegherebbe come quest'ultimo fosse conservato anche quando nel risarcimento del damnun iniuria datum si compresero í danni indiretti, e si spiegherebbe altresi come sia scomparso nei moderni codici, essendosi mutato il carattere dell' azione di risarcimento dei danni, che ora tende puramente e semplicemente alla reintegrazione del diritto leso, a ristabilire cíoé il patrimonio del danneggiato nello stato primitivo, senza punto aumentarla, come avveniva invece in forza del-

l'attio Aquiliae. 1 1 3. Α causa della repetitio temporis l'aestimatio del giudice poteva molto superare il danno realmente sofferto. Cosi, ad esempio, supponiamo che venisse ucciso un servi, che al momento della morte avesse avuto un pollice troncato e che senza avere sofferto infermit nell'anno precedente fosse stato pittore. Il padrone coll'astio Aqui-

— 168 —

lise ín questo caso avrebbe potuto pretendere una somma equivalente al valore_ raggiunto dallo scrnavo prima che gli fosse stato reciso il pollice. Parimenti se fosse stato ucciso un servo che nell'auno precedente al delitto avesse tenuto una lodevole condotta morale, si sarebbe dovuto aver riguardo al valore che esso aveva in quel tempo (1). L' anno od i trenta giorni si computavano risalendo indietro dai giorno dell'uccisione, dei ferimento o del deterioramento. Quid nel caso in cui l'uccisione non fosse stata contemporanea alla ferita? Secondo Celso si doveva prendere per punto di partenza il giorno de lla morte: secondo Giuliano invece si doveva tenere per base il giorno della ferita. Quest' ultima opinione fu seguita anche da Uipiano e da Giustiniano (2). Originariamente agli effetti di stabilire il valore dell'oggetto daanneggiato nella aestimatio danni si adottala l'anno di Numa di 355 giorni; ma poi i giureconsulti romani per ragioni di pratica utílitY seguirono l'anno di Giu li o Cesare di 365 giorni (3). § 2. — Misura

del risarcimento del danne.

Concetto della espressione quanti res est, inserita nel Ι e ΙΙΙ capitolo della legge - La repetitio temporís si Fr. 23, § 3 e § 5, h. t. e § 9, Inst., h. t.

Fr. 51, § 2, h. t. Cit. fr. 51, § 2, h. t. L'art. 1151 del Cod. civ. stabilisce l'obbligo in genere dell'autore di im delitto o quasi-delitto a risarcire il danno. Quindi in ordine ai criteri di liquidazione è mestieri ricor. .



169



estendeva al semplice valore di cambio dell'oggetto leso. — 117. Applicazioni del principio che nella aestimatio damní si doveva aver riguardo anche all'interesse attuale che il danneggiato aveva affinchè non si fosse verificato il danno Interpretazione del fr. 55, h. t., seguita dalla maggioranza degli scrittori: interpretazione del Pampa ioni. — 118. Un'altra questione intorno al fr. 55, h. t. — 119. Dubbi sull'interpretazione delle parole quern necesse haben dare del fr. 55, h. t. — 120. Ipotesi previste nel fr. 55, h. t., supponendo però che la scelta di consegnare lo schiavo 8tico o

rere alle regole generali dettate con - glie art. 1227 e 1229, comuni alle obbligazioni derivanti dal contratto e dalla legge. In base di quelle disposizioni, i danni sono dovuti in genere al creditore per la perdita sofferta e pel guadagno di cui fu privato, e quantunque l'inadempimento della obbligazione derivi da dolo o colpa del debitore, i danni relativi alla perdita sofferta dal creditore ed al guadagno di cui quest' ultime fu privato non debbono estendersi se non a ciò che una conseguenza immediata e diretta dell' inadempimento della obbligazione stessa. In >questo senso si è pronunciata la giurisprudenza italiana. (Y. Cassazione di Firenze, 14 decembre 1872. Annali, VI, 1-377), quantunque non manchi qualche scrittore, come il Ricci (Comm. al Cod. civ., vol. VI, n. 104, pag. 145 e 166), il quale pensa che i preindicati art. 1227 e 1229 siano applicabili al solo inadempimento delle obbligazioni contrattuali. La repetitio temporis non esiste nei codici moderni, perehè, eοme_abbiamο precedentemente visto, l'azione di risarcimento di danni mira non píìι ad infliggere una pena al colpevole, ma soltanto a ristabilire l'equilibrio turbato nel patrimonio del danneggiato.

— 170 — Panfilo spettasse al creditore. — 121. Soluzione d i altri casi, che possono verificarsi, riguardo alla fattispecie pre'entatα nel citato fi. 55. h. t. — 122. _ cii' aestimatio damni, secondo la legge Ag υiliα si ~ τ,era riguardo all'interesse comune e non a. gnellο di affezione. — 123. Talvolta nella stima del danno non si aera riguardoalla perempti corporis aestimatio - Interpretazione del fr. 23, § 1, 1 t. — 12.1. Apparente antinomia tra il fr. 63. 35, 2, ed il principio che nella aestimatio damni doveva comprendersi anche il prezzo d'affezione dell'oggetto danneggiato. - 125. iella aestimatio dama non si teneva conto di un profitto incerto. — 126. Conciliazione tra il fr. 29, § 3, h. t. ed il fr. 12, 19, 1- Castellari- Accursio; nostra interpretazione. —127. interpretazione del fr. 23, § 2, h. t»— 128. Aestimatio damni .nel caso del servo mortalmente ferito, poi ex intervallo ucciso da altra persona. 116. La espressione quanti res est, che si trova nel primo nel terzo cap ιtοΙο della legge Aquilia doveva essere inserita nella formola accordata all'attore dal magistrato ad essa doveva il giudice attenersi per stabilire la m isura del risarcimento del danno sofferto. Sar i quindi necessario di precisare il concetto della citata espressione. É noto come una cosa può avere un doppio valore, di cambio e di uso; il valore di cambio consiste nel prezzo di stima, il valore di uso invece varia, avendo riguardo alle condizioni soggettive e relative del proprietario. Anticamente il giudice nella stima del damée non poteva aver riguardo al valore di uso, perché questo-era incerto mutevole, e la sua stima ripugnava ai principi rigorosi dell' actio Aquiliae: ne derivava perciò che la aestimatio danni non comprendeva nel vero senso della parola il

— 171 — completo risarcimento del danno, ma il semplice valore di cambio dell'oggetto leso. Ciò era evidentemente contrario ai principi di equiti, poiché l'equilibrio turbato del patrimonio danneggiato il ρi~~de ll e volte con la detta aestiτnαtiο damni non veniva ad essere completamente ristabilito: infatti il danno poteva consistere, non solo nella stima venale dell'oggetto leso (danno emergente), ma anche in altre diminuzioni del patrimonio, che per varie circostante poteva risentire il danneggiato per il fatto illecito (lucro cessante). Per ragioni. di equità perci ~~la giurisprudenza comprese nella aestimatio dama anche l'interesse che la vittima avrebbe avuto a che non si fosse verificato il. fatto illecito. Questo interesse perb doveva essere attuale, ciοé dóνeva esistere al momento in cui si era verificato il delitto o quasi delitto, poiché la interpreta zinne della giurisprudenza mirava a compensare oltre il valore di cambio dell'oggetto anche quello d'interesse realmente esistito, il danno ci οé diverso dalla lesione materiale effetti νamente verificatosi. Ci ~~infatti risulta da ll e parole stesse dei testi. Illud non ex verbis legis, sed

ex interpretation placυit, non solum perempti c οrpοris aestímationem habendam esse secundum ea, quae diximus; sed eo amplius, quicquid praeterea perempto eo corpore damni nibis illatum ~ιerit ; reluti si servurn tuum haeredem ab (cliquo institutum ante quis occiderit quam is iussu tuo haereditatem adierit; nam haereditatis quoque amissmme rationem esse habendam constat. Item si ex pari mularunm unam, rei ex quadrigis equorum unum guis occider~t, rei ex comoedis unus sei plus occisus fucrit, m οn solum occisi fi t aestimatio, sed ei amplius quoque computatur, quanti depretiati sunt qui supersunt (1. (1)§10' lust, h. t.

— 172 — Cosi pure: Proínde si servum occidisti, Diem sub piena

tradendum promisi, utilitas venit in hoc iudicio. Item mu ιime corpore cohaerentes aestimantur: velati si quis ex co»τΡ oedis ant symaphOniacis aut yemellis aut gυυαdriga pari mularum unum rei unam occiderit. 'ion solum enim perempti c ο~ροris aestimatio facienda est, sed et eius ratio haberi debet, quo caetera corpora depretiata sunt(1). In tutti í predetti casi si suppone che esistesse un vero interesse attuale da parte del danneggiato a che il fatto illecito non si fosse verificato; e giustamente, perché non bastava che questo interesse vi fosse stato semplicemente nell'anno precedente o nei trenta giorni precedenti. Se si dovesse ammettere un principio contrario, cioè se si dovesse ritenere che la repetitio temp o ris avesse luogo riguardo a11'íι q !οd interest, si dovrebbe necessariamente credere che la repetitio temporis fosse applicabile_ a tutte le utilitY relative di cui fosse stato soggetto la cosa lesa nell'anno o nel mese precedente al delitto, e non soltanto a quelle riflettenti l'attuale possessore (2), mentre è evidente che le utilítY relative debbono essere riguardate soltanto in :. ρροrtο all'attuale proprietario, possessore della cosa danneggiata. Inoltre, ammettendo la repetitio temporis anche per 1' id quid interest, bisognerebbe giungere all'assurda conseguenza che la legge Aquilia tenesse conto anche di danni che non eransi realmente verificati, mentre il contrario risulta dai passi delle fonti (3). Del resto questa opinione é conforme a quella seguita dalla maggior parte degli scrittori, che riferiscono la -

Fr. 22, § 1, h. t: Pampaloni, op. cit., pag. 415. Fr. 23, § 2, h. t.; fr. 40, h. t.; Pernice, op. cit., pag. 95.

— 173 —

repetitiο temporis al semplice valore di cambio dell'oggetto leso (1). 11 7. Nelle fonti troviamo varie applicazioni del principio giá accennato, che c ~οé nella aestimatio dam.ni si dovesse aver riguardo anche a11' interesse attuale che il danneggiato aveva affinché non si fosse verificato il danno. Cosi nel caso di uccisione di un animale che avesse commesso una a?4ρer~es, in pendenza del giudizio nossale, l'autore del danno avrebbe dovuto pagare non solo il valore dell'animale, ma anche una somma corrispondente ai danno che il proprietario di esso non avrebbe risentito qualora avesse potuto effettuare la noxae dcdi.tiο dell'animale stesso. Si quadrupes cuius nomine actio esset .

cum domino, quod pauper ism fecisset, ab alno occisa est, et cum Co lege Αquiliα ayitτιr, aestimatio non ad corpus quadrupedis, sed ad causam eius, in quo de pauperie actio est, referri debet. Et tanti damnandus est is qui occidit, quanti actiris interest noxae potius deditione defungi, quam litis aestimatione (2). .



In questo caso il padrone dell'animale invece di pagare Ι αestimatiο damni, poteva cedere al danneggiato l'actio legis Aquiliae, affinché potesse sperimentarla contro l'uccisore del quadrupede (3). Similmente se un servo, che avesse commesso gravi frodi nella gestione degli affari del padrone, fosse stato ucciso prima che questi gli avesse fatta subire la tortura (1)

Windsclιeid,

pag. 239:

Pand., § 455, n. 5;

Pernice, op. cit., § 21,

Castellari. op. cit., pag. 7 e 103:

op. cit., § 4 50; Pampaloni, op. cit.. (_ Fr. 37, § 1, h. t. (3) Fr. 1, §16,9 ,1.

loc. cit.

~f~hlembruch,

174 — per costringerlo a rivelare i nomi dei suoi complici, si sarebbe potuto pretendere non solo il valore del servo, ma anche una somma corrispondente all' interesse che il padrone aveva alla scoperta delle frodi commesse. — Ma qui si potrebbe domandare: in che - modo si m ιsurerà l' interesse del padrone dello schiavo? Il Mendoza ( 1) risponde a questa obbiezione dicendo, che nel passo citato si fa il caso pratico seguente : Un banchire. a danno del quale erano state commesse Carie frodi, perdette la causa contro i frodatori, o perch4 non giunse ad accertare le frodi, o perché non poté sottoporre lo schiavo a ll a tortura. In seguito, essendogli stato. ucciso uno schiavo per mezzo del quale avrebbe potuto scoprire gli autori del delitto ed avendo promosso il giudizio contro l'uccisore per il risarcimnei:t ο dei danni, acquist ~~le prove di quelle frodi e venne a . sapere, che se fosse vissuto i l servo, avrebbe vinto la causa: ma siecο e in questo caso il padrone dello schiavo non poteva riassumere la causa (2) della frode, tosi l'interesse facilmente si determinava in base alla litis arnissae computatio. — Questa interpretazione del Mendoza p υ~~essere giusta allora soltanto che nel caso da lui configurato e che egli attribuisce al testo, vi sia la piena prova che la lite contro i frodatori sarebbesi vinta indubbiamente mediante i mezzi probatori. che lo schiavo poi ucciso avrebbe potuto somministrare, c~~~che del resto in pr ~ tíca ρυ~~apparire di esito difficilissimo, inquantoché spettava al giudice di valutare le prove offerte. Abbiamo inoltre i l fr . 55, h. t.: Sticu.r~ m ant Pamphilum Mendoza, op. cit., lib. I, ε. 4, sez. 2, n. 29. Fr. 35, 42, 1; fr. 2 ~ , 44, 2.

— 175 — promisi Titio, cur Sticus esset decem millium, Pamphilus vLginti: stipulator Sticum ante mortm occidit: quaesitum est de actione legis Αgaιiliae. Respondit: cum ΝmοαεnΜ OCCIDIssE PROPONITUR, in hune tractaturn nihil di/ert ab estraneo credito, . Quanti igitur fiet cesti»natio, υtrurn decent millium, quanti fuit occisus, an quanti est, quer necesse ha bei dare, id ext quanti mea interest? Et quidem dicemus, si et Pamphilus decesserit sine mira? lam pretium Stichi minuitur, quoniam liberatus est promissor?- Et su f ciet fuisse pluris cum occideretur vel intra annum. Xac quidem ratione etiam si post mortem Parnphili intra annum occidatur, pluris ìνidebihι~fuisse. Caio promise a Tizio lo schiavo Stico ovvero 1 ο schiavo Panfilo: Stico valeva 10 mila, Panfilo 20 mila; il creditore ante »coram, prima c1O8 della consegna, uccise Stico. Si dοmand~~al giureconsulto Paolo che cosa potesse pretendere il debitore mediante l'actio Aquiliae. Ed il giureconsulto rispose che nel caso proposto, trattandosi dell'uccisione del servo di minor valore, il creditore per nulla differiva da un estraneo, e che perciY dovesse essere tenuto ai termini de ll a legge Aquilia (1). Ma subito il giureconsulto fa a sé stesso un'altra domanda: il creditore dovrk pagare 10 mila, il valore cioé . dí cambio del servo Stico, oppure 20 mila, e cioè il valore di Panfilo che ii debitore sarY tenuto a consegnare? (quer necesse habei dare'. Alla fatta domanda non risponde il giureconsulto; ma da alcuni passi delle fonti (2) e dal modo con cui é posta una terza domanda nel testo citato, si argomenta che egli intese di rispondere che il creditore dovesse pagare ~~1) Conf. in questo senso íl fr. 54, h. t_ (2) Fr. 21, § 2, h. t.

-176—

ventimila, cioè dovesse computarsi nel danne anche l' id quod i,i terest. .

Ii giureconsulto poi continua a domandarsi: ma se prima del d ies solutionis (sine mira) venga a morire anche Panfilo, quid iuris? Potrà ci ο il debitore pretendere 20 mila ovvero 10 mila? Se non abbia piU luogo la consegna di Panfilo, il valore di Stico (20 mila) sarà diminuito per l'avvenuta liberazione del promittente ? n Ed il giureconsulto, secondo la maggior parte degli scrittori (1), e secondo i Basilici (2) avrebbe risposto: "Et swfficiet fuisse

pluris cum occideretur vel intra annum; „ quuoniam cuum aestimandus s i t retrorsum quanti plurimi f'erit, tanti intra annum videtur vivente Pamphilo super fuisse (3), perchè c ~οé, dovendosi per la aestimatio damni risalire al valore pii alto che lo schiavo raggiunse nell' ~nηο precedente alla uccisione, si giungerà in un'epoca di questo anno, in cui, essendo ancora vivo Panfilo, il debitore aveva interesse a consegnare Stico piuttost οché Panfilo, e perci ~~di questo interesse dovrà tenersi conto nella valutazione del danno arrecato da ll a uccisione di Panfilo. Questa è 1' interpretazione data da lla maggior parte degli scrittori all' ultima domanda, che si rivolge il giureconsulto Paolo. Qualche scrittore, per rendere piá evidente questa risposta, vorrebbe mutare l'et in at, appoggiandosi all'autorit. dei Basilici (4). 11 giureconsulto poi assai naturalY. scrittori citati dal Pampaloni, nota (8) pig. 409, op. cit. Basilici, 60, 3, 55; e specialmente in Τ. s i vero etc. Mendoza, Comm. op. cit., lib. I, c. 4, sez. 3, n. 24. I1 Srüjer ed il I%lommsen (Ediz. Dig. Berolini, 186840), ad h. 1. in v. ,et su ffkiet, v. 25; « opponi haec prι ecedentibus

— 1iî — soggiungerebbe : hue guidezn rctirne, per la mede-déna ragione, anche se Panfilo fosse premorto a Stico Ε ntι o l'anno del contratto, il danno si dovrebbe valutare ' ιΡ í ruíla. Ma l'accennata interpretazione data alla fi ne del citato passi contradice ai principio da noi giU affermato, cí ο e cl ι e la repetitio tenzporis non si estendeva alle utilité relatie che non fossero realmente e certαanente. esistite nel momento del danneggiamenti; perché, n-ell' ipotesi del fr. 55, l'interesse che il debitore aveva a che non si fosse verificata l'uccisione di Stico, - era un interesse comiiziinati, subordinato ci ο alla consegna ejfetti τ.α dello schiavo Panfilo. In altre parole, accogliendo l'interpretazione data al fr. 55 dalla maggioranza degli scrittori, si giungerebbe alla conseguenza . di dover ritenere che nella aestimatio dainni fosse compreso anche un interesse che in realtYi non era in alcuna guisa esistito, una speranza che era rimasta nel suo stato embrionale. Per togliere questa antinomia converrii dare. al citato passo la retta e piana interpretazione del Pampaloni. Questo scrittore, mantenendo la lezione- fiorentina del fr. 55 h. t., accoglie in ιianzi tutto un' interpunzione diversa da quella seguita dal llommsen: Sticumaut Panmphilum...

Et quid dieenzus, si et Pamphziius decesserit sine mira? Iam ρretiυm Stichi mizinuetur, quoniam iiher αtττs est promissor? Et suffi.ciet fuisse pluris cuan occideretur rei intra ·annum? (1) intellexét Dont hens, uanz sie pergit» &). λ α $ c' etc. rette igitur ρ ru zr ρ οpσsυιt Km7ger λr. . (1) Hanno qui il punto interrogativ alcune edizioni del Digesto, p. es. quella .di ti. da Porta ed A. I lucenti, Lug-. .duní, 1551. 12

— 178

Rae quide,» ratione eííav«si post mortem rαmphili intra aníiaam oecidatur pluris videbitur fuisse. Secondo il Pampaloni, il giureconsulto con le parole et suffieiet fuisse ‚pluris cum occideretur vel intra annum? intese di fare un'altra domanda, senza rispondere alla precedente; e ad entrambe le domande il giureconsulto, secondo il Pampaloni, avrebbe risposto dicendo: "Ma allora per . la medesima ragione, hac quidem ration e, anche nel caso in cui Panfilo fosse premorto all'altro, l' indennizzo per la uccisione di Stico sarebbe sempre eguale al valore di Panfilo. „ Il giureconsulto perciò, in ~n modo indiretto, veniva a rispondere negativamente alle fatte domande; ροichè, morto Panfilo prima di Stico, è anche più _ evidente che la stima di Stico debba consistere nel semplice valore di cambio, giacchè la condizione alla quale era sottoposta l'esistenza del maggior valore di Stico era già, mancata quando venne commesso l'atto ingiusto contro il medesimo. Con questa interpretazione il testo viene a confermare il principio che .1'id quod interest, di cui si teneva canto nella aestimatio danni doveva essere attuale, certo e reale, mentre nel citato passo l' interesse è soltanto sub conditione, cioè subordinato alla consegna di Ρ anfil ο da parte del debitore al creditore. 118. Si presenta ora la questione seguente: Se la uccisione di Stico fosse avvenuta post moram sarebbe applicabile il principio sancito dal fr. 54 h. t.? Quid si post moram promissoris, qui stipulatus fuerat occidit (a inai) debitor quidem liberatur, lege autem Aquilia hoc caso non recte experietur: nam creditor ipse potius sibi quaan cilü iniuriam fecisse videtur. .

,



179

Il Pampaloni (1) ed altri (2) sostengono che il principio del fr . 54 possa applicarsi anche nel caso in cui Stico sia stato ucciso post nzoram, cerche, essendo stato ucciso il servo di miner valore, si presume che esso sia giàpassato in proprietà. del creditore, il quale quindi reco un danno alla cosa propria e non alla cosa altrui. litri ritengono che debba applicarsi al caso nostro il fr. 54 h. t. 'per ragioni diverse, e cioè perché nelle obbligazioni alternative la mora toglie il diritto di scelta. Le dette opinioni pero non sembrano accettabili, ρoiché realmente non s ι pυ~~presumere che la cosa di minor prezzo fosse passata in proprieta del creditore e perché post moram í} debitore aveva aneora' ii diritto di scelta. Infatti, come giustamente osserva il Pescatore (3), la mira non pue togliere al debitore il diritto di scelta, ma soltanto pu~~obbligarlo, se egli voglia prestare l'oggetto rimanente, al risarcimento dei danni. Su questo avviso il Pampaloni (4) osserva che " ci ~~é vero come massima generale. Siccome ρer~~nel nostro caso lo schiavo ucciso é quello di minor prezzo, non é egli presumibile che se il debitore fosse stato puntuale, lo schiavo ucciso sarebbe stato g in proprietà del creditore? » Ma noi rispondiamo aÍ Pampaloni che non c'é nessuna ragione per presumere che il debitore avrebbe consegnato Stico, ρiuttοstοché Panfilo, perché esse si era οbbligatο a; consegnare o l'uno Pampaloni, op. cit., pag. 406. Cuía,cio in lib. % XI Ι, buaest. Pau" ad h. t. (Op. omn,

ed. Prati. vol. τ., col. 1825); Mendoza, op. cit., lib. I, ε.. 4, sez. 3, n. 24-'28; Castellari, up. cit., á 60, pag. 69. Pesc α ~or ε, .4lterucι tf,•e οδΙ íριd ~ιιη, § 32, ι ag.-189 e seg. (4 Pampaloni. op. cit.. ρη7, 407. nota 3.

1 +0— ;

l'altro, e che perció non 1)1.16 in alcuna guisa ritenersi che lo schiavo Stico fosse gi ~~passato in µΡrορ riet ~~del c.. reditοre. Concludiamo quindi col ritenere che abbia l υ cg ο Γ aetio Aguiliae a favore del debitore anche nel caso in cui il servo Stico sia stato ucciso dal creditore post miram, ii a che lo stesso debitore sia obbligato al risarcimento del danni per la mora nell'adempimento dell'obbligazione. 119. Circa 1' interpretazione delle parole gυ e.t reces8 e habeo dare del fr. 55, sono sorte varie difficoltY Dovranno esse interpretarsi nel senso che il debitore fosse costretto a consegnare Panfilo? Alcuni scrittori (1) rispondono, affermativamente; altri invece ritengono che il debitore non fosse obbligato a consegnare Pa r fimi quando avesse rinunziato all'azione della legge Αquíl ~a,•perché in quest'ultimo caso vi sarebbe stata una specie di compensazione (2). Noi crediamo che si tossano conciliare le parole guerra necesse habeo dare con l'opinione comunemente s ιguita, riferendole, come osserva anche íl Cuiacío, al caso in cui il debitore abbia scelto di esercitare l'actio Αgtai.íiae. In questo caso il debitore é costretto a consegnare Panill°, ed il danno é eguale al valore dí Panfilo, se questo eifettiνamente consegnato (3). Pescatore, op. cit., pag. 201 e seg., e gli scrittori cit. ibidem, pag. 203, nota 4, 5. Cuiacio in lib. XXII, Quacst. Pauli ad h. t.; Mendoza, ορ. cit., lib. I, c. ?P, sez. 3, n. 5 e seg.; Cas ι éllar ~ , op. cit.. pag. 69; τ aτι Wetter, Obligations, § 44, nota 21 e gli scrit.

tori cit. dal Pes ι~atore, op. cit. pag. 202, nota 2 e 3. Pampaloni, op. cit., pag. 409, nota 4. ,

151 -

Ι Ρ escatcre ±'n la =egue ττte οbbiezi ο ie : 1" Va se il del;ittore consegna Panfilo per esercitare 1'actío Aquilíac, con 01ù dimostra di non avere stimato Panfilo ρ~il di Stico: 2° Il debitore. avendo tralasciato cosa a lui vantaggiosa, non ρuú per questo chiedere un compenso. Ma, corne οsserν giustamente i l Pampaloni, il debitore, esercitando l'~tctio gei Ιiae, dimostra che l'esperimento di quest'azione é per lui cosa più utile del valore di Panfilo; inoltre i1 debitore, prestando spontaneamente Ρanfilο, esercita un suo diritto, qui suo iure-utitur nentiuui iniuriamn facit, e non aggrava d'altra parte l a condizione del ere-ditοre i n rapporto alla res ροnsabilit del delitto commesso. Riassumiamo ora tutte le fattispecie che riguardo al citato fr. 55. h. t. si possono - fare: 1° Se é ucciso Stico ante m.oram e viene consegnato Panfilo, il debitore potr' pretendere 20 mila; 2°.. Se ante moram é ucciso Stico e poi muore Panfilo, oppure se Pànfil ο premuore a Stico, che poi viene_ ucciso, il debitore ρο tr~~pretendere solo 10 mila; 3" Se Stico viete ucciso post moram e viene consegnate Panfilo, il de bitore potrY pretendere 20 mila, ma sarY obbligato al risarcimento dei danni, essendo in mora; 4° Se ambedue gli schiavi sono stati uccisi ante morarn, o contemporaneamente, o l'uno dopo l'altro, ma entro l'anno, il creditore sar i tenuto al rimborso di 30 mila; 5° Se .poi l'uccisione di ambedue gli schiavi é avvenuta post m οrαm, una de ll e due azioni ex lege Aquilia non avrli luogn; anzi nel caso di uccisone contemporanea pr οbabíl ιnente -non aνr luogo l'actio Aquiline per conseguire il valore di Stico (1).

(1) Pampaloni, op. cit.. ρ a.;;: 424 e 425.

— 182 — Resterebbe ora ad esaminare le medesime ipotesi previste nel fr. 55 h. t.. supponendo ρer~~che la scelta di consegnare o Stico o Panfilo spettasse non al reυs ρrοmitte αιli, mi allo Stiρυlatοr, cí01 al creditore. aj Facciamo l'ipotesi che ante mmoram íl creditore distrugga uno degli oggetti dovuti alternativamente: egli, senza dubbio avrà diritto ad avere l'oggetto che rimane, purché risarcisca il danno risentito per la distruzione del primo. Si fa questione però se in tal caso il creditore conservi ancora il diritto di scelta, se ci ο~~ possa liberarsi dal~ aιtio Aquiliae, rinunciando alla prestazione dell'oggetto rimanente. Il Wangerow (1). Wan Wetter (2) ed altri scrittori indicati dal Pescatore (3), reputano che il creditore non conservi il diritto di scelta; il Pescatore• in-ece ! 41 ed il bolitor (5) ritengono il contrario. Noi ci associamo all'opinione di questi ul+imi scrittori; infatti, dal momento che il creditore avrebbe avuto il diritto di scelta se l'oggetto non fosse stato distrutto, questo diritto lo conserveri egualmente quaado la distruzione di uno degli oggetti sia avvenuta per propria colpa, poiché é evidente che con ci ~~non verri affatto a peggiorare la condizione del debitore. In base a quanto abbiamo esposto, possiamo ora dare la seguente soluzione di altri casi, che possono ve-

Wangerow, Pond., luc. cit. Wan 'Vetter, Obligations, I, § 44, nota 28, e gli autori ivi citati. Pescatore. op. cit., § 44, nota 4. Pescatore, op. cit., pag. 261. Μοl~ tor, Obligations, I, § 226, f." Cfr. pure Zimmern, op. cit., pag. 337 e seg.

— 183 — riflcarsi riguardo alla fattispecie presentata nel citato í'r. 55 h. t. Uno degli oggetti dovuti perisce ante moram per colpa dello stipulante, e l'altro più tardi per caso fortuito. Il debitore é liberato e pu ~~agire coll'actio Aquiiiae per il pieno id quid interest; fino degli oggetti perisce per caso fortuito ante moram ed il secondo per colpa dello stipulante: il debitore parimenti è liberato e ρυ~~agire per il pieno id quid interest; e) Ambedue gli oggetti sono distrutti dallo stipulante l'uno dopo l'altro, o contemporaneamente ante moram il debitore ~~liberato e lo stipulante è tenuto per il pieno id quid interest per ambedue gli oggetti; d) Se la distruzione é avvenuta post mvram bisοgner ι distinguere : 1° Se la distruzione é avvenuta in·tempi diversi ed il debitore é in mora rispetto al secondo oggetto, lo stipulante é tenuto soltanto rispetto al primo oggetto; 20 se la distruzione é invece avvenuta contemporaneamente, lo stipulante é tenuto all' id quid interest di uno degli oggetti a sua scelta (1). 122. ieiAaestimatio danni, secondo la Legge Aquilin, si aveva riguardo all' interesse comune e non ' α quello di affezione: praetia rerum non metimur ex singulari affeetione, sed αestiιnatione comuni (2). Questa teorica dl Baldo ha la sua salda base nel fr. 33, h. t., di Paolo: si servum meum occidisti, non a jfeetioneιn aestimandam esse puto. Ivi si fa il caso della uccisione del mio figlio naturale, che avevo comprato tanti plurimi :

(1) Pampaloni, op. cit., pag. 426. (2`: 1 . pure Castellari, op. cit., i. 5 "ι

.



14

per ρartíc οlare- affezione, e si dice che la stira non d~ valere questo prezzo,- sed quanti oanuilms valet. Lo stesso principio é at ern~at ο da Pedio e riferito l ii detto testo, nel quale si conclude: in lege eia

l~~narυειιt consequim ur et amisisse dicem?s ιρ οι Ι atem eι1υ i. potuianus ant erogare copimus. Da tutto ciò si deduce che il quanti interest consiste appunto nel q ι »t α iiι ~ ,iidιΡ i nbfuit e nel quantum hucrari potei, e οiche il prezzo di affezione non entra in questi criteri. di stima, così e resta escluso dal quanti interest.A questo proposito il Pampaloni (1), criticando la detta teorica, e pure ammettendo che nella stima non si dl.l;a aver riguardo alla utíliti soggettivi-a del ila uneggiato, afferma che- per lana interpretazione estensiva della ^ ~ urisprude ~za fosse introdotto il sistema di corrispondere anche il prezzo di affezione nella αestiωαti ο della Legge Aquilia. Per veritb;, di fronte al citato testo di Paolo, concepito in termini chiarissimi, non sappiamo come il Pampaloni possa accennare ad una diversa giurisprudenza, mentre tutti i classici, tra cui D οnell~~(2!. Cuiacio ;3 ι, Duaremo (4), Hubero 5), nel riaermare la teorica in base del diritto romano, si limitino ad enunciare il principio senza punto parlare di una diversa posteriore giurisprudenza. Anzi é da notare che la giurisprudenza estese la legge Aquilia all' iii quid interest, mai al prezzo di affezione.

(3 ) Panipaloni, op. cit., pag. 413, nota 17 i n fine. Danel[ο, C'omkn., h. t., cap. ΙV, n. 3. Cuiacio, Obseri., lib. 11 V ΙΙ, cap. VII. Duareno, De lege Fιdcídiεz, cap. `ΙΙΙ. . ( ~ ) ΙIubero, ,uruelec.t. mr . ri ε., h. t., vol. Ι, ρα;;. 37C, n. 4.

— 185

-

1. Talvolta ne11a stima del danno non si aveva riguardo alla perempti cπrροris "estimatio. Abbiano in proposito il fr. 23, § 1, h. t. Jucliauus ο t. ' r?'N.y libi et haeres esse itυ• i's Geeisus f a£rit. 'uequ£ substii , t nnm, neq~ ι e legitimum ιι ctiουe legis Aquiline liaereditatis aesti,nmmtíonenz ci, ee ι1 f?~ rυm. quae servo c οinpete~e "oa l»~t,?it: gene sente"tia cera est. Pretii igitur solummodo fieri ο c.st ιm ιι ~ i ,',em, quia hoc interesse sol%'m substituti •videretur; ego a?~tcia poto nec pretii fieri aestimationem;.qula, si 1'aeres esset, et liber esset. Quasi tutti gli scrittori, seguendo la glossa, spiegano questo passo nel.nrοdο seguente: Giuliano si propone il caso di un servo, che sia stato istituito erede e libero dal proprietario e che muoia, vivente il testatore { 11: egli dice che υ è l'erede sostituito, nè l'erede legittimo del defnnto ,_2 +, potranno agire eοll'actiο Aquiltae per conseguire la stima dell'eredità, . che . non potè spettare al servo, essendo premorto al testatore. L'lpiano approva in cíó l'opinione di Giuliano: quae sententia• vera est. Ma Giuliano continua: " predi igitur solun1nzodo fieri aestimatiimem. quia hoc interesse solum substituti cideretuur. „ Ulpiano, opponendosi in ciò a'Giuliano, soggiunge: " Io credo invece che l'erede sostituito o l'erede legittimo non possa pretendere neppure la stima obbiettiva del corpo del servo, poiché esso erede dalla '

Glossa ad fr. 23, § 1, h. t., in ν. occisns fuerit κ scilicet in t'ito dimmi, alius stιrti»r esset lcaereS, et cisso ι! s κ bsüt»tus et leg ~tin ι ~~ testιι toris; rei die quoi! fuit sub cGnditin ιτ e i"Sti!utiis Η. Glo;sιι ad fr. •23, tertcetori~~ •>.

ς 1, h. t., in σ.

legit>a,υηι π scilicet

-136



morte del servo ha risentito un vantaggio piuttosto che. un danno: infatti. se il servo non fosse stato ucciso, né l'erede sostituto, ιιé l'erede legittimo avrebbe conseguita l'erediti del proprietario dello schiavo. Riguardo al citato passo 23, § 1, h. t» le diffic οlt ~~sorgono appunto circa l'ultima correzione apportata da 131piano all'opinione di Giuliano: secondo la detta interpretazione, infatti, Ulpíano verrebbe nel caso a negare la aestina tio del danno diretto, essendo da questo derivato un vantaggio indiretto all'erede sostituito o _legittimo: la quale interpretazione condurrebbe necessariamente ad ammettere che í Romani nel dαmnnum iniuria datum venissero in progresso di tempo per interpretazione estensiva della giurisprudenza ad ammettere quasi una specie di cοmρensazi'ne tra il danno immediato ed í vantaggi indiretti da questo occasionalmente derivati. Ma tale opinione non si p uó accogliere(1), ροιché la legge Aquilia con ;erv ~~sempre la sua impronta originaria di tutela contro certe azioni delittuose e perché 1'actio.3quiliαe, come abbiamo a suo tempo visto, era c οncess soltanto al proprietario della cosa danneggiata ed a coloro che avessero un ius in re, e non fu concessa per diminuzioni patrimoniali che non fossero derivate da un danno recato ad una cosa.. Infine il carattere principale dell'actio Aguiliae tu sempre penale. In altri termini, nonostante le modificazioni apportate alla legge Aquilía dalla interpretazione estensiva de ll a giurisprudenza, l'importanza principale fu sempre data al danno immediato, in modo che questo non sarebbe in alcuna guisa potuto scompa.

~

(1) Pampaloni, 03seraaz~oni esegetiche, λrιhιτιiο giuridico, vol. ΥΥΥΙΙ, pa,. 391.

— 187 — rire a causa di un vantaggio indiretto da esso derivato e che avesse potuto questo compensare, p οích l' actio ;υ íliae, come abbiamo gii detto, mantenne sempre lo & ορο principale di tutelare í danni arrecati a lle cose e rien la diminuzione patrimoniale: infine la compensazione fra il danno immediato ed i vantaggi indiretti, della quale non vi ha traccia alcuna nelle fonti, avrebbe condotto in molti casi all'assurda conseguenza della impuniti dei colpevoli di danno dato ingiustamente!! Ma anche supposto che i Romani nel dammim i~ iυrin datum tenessero conto dei vantaggi indiretti, bisogneri sempre ammettere che ciò facessero in relazione al patrimonio del danneggiato e non in relazione al ρatrι= monio di colui che avesse risentito un vantaggio dal danna immediato, altrimenti ne discenderebbe l'assurda conseguenza che se, ad esempio, un erede avesse risentito un danno indiretto per il danno arrecato al patrimonio del de cuins, il danneggiante avrebbe dovuto risarcire anche il danno arrecato all'erede. Se infine si fosse dovuto tener conto anche dei vantaggi indiretti derivanti da un danno immediato, l'erede non avrebbe potuto agire in factum per le spese fatte a cagione delle ferite inferte a1 de cuités, che ne produssero la mo rte! (1), perché da questa l'erede risenti un vantaggio. Noi siamo di avviso che riguardo al citato framm. 23 si debba accettare la ingegnosa interpretazione del Pampalοniτ secondo il quale in esso si farebbe il caso seguente: ano schiavo dai proprietario istituito erede e libero fu ucciso prima di avere conseguito la liberti, e ci οé prima della morte del padrone. Giuliano dice che l'erede legit(1) Pampaioni, op. cit., pag. 396 e 3 97

.

-1S8— tino del testatore o sostituito dei servo non potrà pretendere la stima deW eredità, p οichè gresta non potè competere albo schiavo, cioè non fu da esso acquistata, essendo ancora vivente il testatore medesimo da cui era stato istituit ο erede, e l'erede del proprietario perciò per l'uccisione del servo non ha perduto la ered Ι tà. Ulpiano approva questa opinione di Giuliano; ma questo continua:. però io credo che l'erede possa pretendere la stima dello schiavo in relazione alla ereditú — pretii igitur solummodo fieri aestimationem (quoa.d h αereditα tem (li, quasichè si dovesse tener conto delta istituzione di erede di un servo come causa di aumento del sue valore di cambio o dí utilità relativa » (2). λla Giuliano versava in errore, ,dimenticandosi che nel caso pratico da lui fatto si trattava di un servo istituito erede e libero, tantoché- la istituzione di erede fatta in favore di lui dal proprietario non aumentava pu ~to il suo valore di cambio odi utilità relativa, pοichè si haeres. esset et liber esset, se avesse conseguita l'eredità sarebbe stato anche libero, e come tale non" sarebbe stato suscettibile di stima. " Tin fatto dunque, che tende a far diventare il servo cosa non suscettibile di stima a termini della legge Aquilia, non può mai aumentarne íl prezzo o l'utiaita relativa; ne ρυò Vi è net prive. della 1. 21 D. h. t, un'ellissi analoga etiam « hαereditatïs aestinu'tionem re,'ire (in aestima.tione»m predi) ». Sul aignificfto della parola pretium vedi fr. 55, h. t. (Ρampalοn~, nota 1, pag. 407). Il ΡamρaΙο~~ammette fuori dubbio che la istituzione di erede aumentasse il valore di cambio del servo anche durante la vita del testatore, purchè però il serva fοs.e, stato istituito erede da u Ε S ΤRΑ ~ Εo, op. cit., pag. 402 e nota 40.

— 189

=-

' er preso in considerazione in caso~di uccisione ingiu-

ri s a. „ Ed a ragione quindi Ulpiano soggiunge: ego cutter r-.•%~tο nec pretii fieri aestinαtiοnent; quia si haeres esset, et 1;41– esset. 124. Si é visto che nella aestimatio danni per interpretazione de ll a giurisprudenza non fu compreso il prezzo di af-



fezione dell'oggetto danneggiato. A conferma di tale principio si potrebbe citare il fr. 63, 35, 2 di Paolo. Pretia rerum non ex ajfectu nec utiht αte sin.qulorum, sed communiter funρ ntur, nec enim qui filium naturalem possidet tanto locupletior est, quod eum, si alias possideret, plurimi redempturus fuisset. Sed nec ille qui filium alienum possidet ta n tum habet, quanti eurn patri rendere yotest: nec expectandum est dur rendat, sed in ρraesenti non qua filius ahcuius, sed qua homo aestimutur. .ade»t causa est eins serti, qui noxam nocuit: nec enim delinquendo quisque- pretiosior fit. Sed nec haeredem post mortem testatoris institutum serrum tanto pluris esse, quo plris venire potest, Pedius scribit: est enim absurdum ipsum me haeredern institutum non esse_ locupletiorem antequant adeam: si (auter sertus haeres institutus est, statim me locupletiorem eff'ect υm, curi multis causis accidere possit, ne iussu nostro adeat. Un testatore ha uno schiavo, figlio naturale di una ricca persona, dalla quale probabilmente verrà riscattato. Ebbene dovrà aversi riguardo al suo valore attuale e non a quello che potrà avere in seguito. Cosi pure se uno schiavo di un testatore abbia recato danno prima della morte di lui, e poi l'erede voglia ritenere lo ' schiavo pagando un prezzo superiore al valore assoluta- del medesimo, di questo• prezzo maggiore non si terrà conto. Anzi, soggiunge Pedio, neppure un servo che al tempo della morte del testatore ·si trovi istituito erede da un

— 190 — estraneo premorto si deve stimare avendo riguardo alla eredita ad esso deferita, ma da lui non adita. ρerchè sarebbe α s,surdο cbe taluno, istituito erede, prima della aidio non divenisse ρiú ricco, mentre io dovesse divenire quando fosse stato istituito erede un suo servo: sebbene un cmplico i^cssus dell'erede basti per fare adire 1'eredít ι al servo, tuttavia multis casis accidere pdtest, ne iussu nostro adcat. Ma questo passo, se bene si esamini, non si riferisce affatto al principio esposto, che cine nella aestimatio domni non si teneva conto del prezzo di affezione dell'oggetto danneggiato. Infatti il passo in, questione va esaminato totalmente in relazione alla quarta Falcidia, rispetto alla quale lo stato del patrimonio si computava relativamente ai tempo della morte del testatore (1), senza alcun riguardo agli aumenti futuri, che potevano derivare al patrimonio (2); in altri termini, -gli oggetti ereditari all'eidett ο di computare la quarte Falcidia si calcolavano secondo il loro prezzo effettivo: uestimatiο pretii rerum eæ ventate facíenda est... (3); corpora. » secundum rei veri-

tatem (Lestimanda sunt, hoc est secundum praesens praetium; nec quicquarn eorum formali praetio aestimandum esse seiendum est (4). Cí~~posto, appare evidente che il figlio naturale, che venga poi riscattato ed il servo che abbia arrecato danno ed il servo istituito erede dovevano essere valutati se= Ferrini, Teoria generale dei legati e dei fidecomnzessi, png. • 470; fr. 73, 35, 2; fr. 5β, § 1, 35, 2 ; Serafini, Inst., v. 2, pag. 298. Serafini, ορ. cit., voL II, § 217, pag. 300. .

Fr. 42, 35, 2. Fr. 62, § . 1 , 35, 2 . ,

-- 191 — condo i1 loro prezzo assoluto per il computo dell a Falcidia, ma non di fronte alla legge Aquilia. Nella aestimatio danni non si teneva conto di un profitto incerto (1.. _ In applicazione di questo principio troviamo il seguente caso (2): una nave and ~~a colpire talune reti di pescatori: Proculo e Labeone ritennero che, se l'urto avvenne per colpa dei naviganti, si poteva agire co11'actio *uiliae, ma si poteva pretendere soltanto il prezzo di costo delle reti, non quello dei pesci, ροíchè era incerto se essi si sarebbero presi o no (non piscium, qui ideo capti non sunt, neri

aestirnationenm, sum incertum fucrit an caperentur). Al fr. 29, 3, h. t. già riferito, sembrerebbe, secondo alcuni, contredire il fr. 12, 19, 1: Si iactum retis emero et iactare retem piscator noluit, h10ERTIIM EWS REI AESTIffiAiDIIM EST.

Il Castellari (3) dice " che qui, parlandosi di un pescatore il quale, venduto il getto delle reti, non volle pil ι calarle, é determinata l'epoca della stima ch'è quélla del contratto: non riesce quindi malagevole l'accertare approssimativamente l'interesse del compratore. „ La cosa, secondo il Castellari, é ben diversa nella nostra specie. ll pescatore, essendosi accorto che lè reti erano strappate solo al momento in cui le ritir ~~dall'acqua, ignora se e quanti pesci s ι sarebbero presi, e molto meno di ci~~egli ρυυ ~~dare la prova. Come dunque potrebbe ii giudice stimi re una utilità, di cui neppure l'attore p υ~~ con certezza affermare di essere stato privato? Buona ( ] ) Fr. 11, § 6,h.t. Fr. 29, § 3, h. t. Castellari, op. cit., pag. 66.

-19?perci ~ , secondo quell ο scrittore, la, ragione i, ι eertυυ mmt esse ali )8CS capere ι ttttr.

.

A noi per~ la spiegazione data dai Casteliari non sembra accettabile. Il motivo infatti per 'cui il pescatore, nei caso del fr. 29, § 3, h. t., non p1ó pretendere l' λε srm λΤΙο del pesci non pu ~~coesistere gik nella difιΡicοlt della prova. del danno . sofferto, perchè egli potrebbe benissimo ríferirsi alla quantit ~~dei pesci che altre volte prese allorché le reti erano intatte, e quindi potrebbe approssimativamente stabilire l'ammontare del danno. ' Accursio dice (1) che nel caso previsto nel fr. 29, § 3, h. t., non si tiene conto del prezzo dei pesci che si sarebbero potuti prendere, perchè la legge Aquilia non si occupava del danno futuro. Anche questa opinione è da respingersi, risulta.ndπ invece da qualche - testo del Digesto che la legge Aquilia aveva_ riguardo a nche al danno futuro, quando in realt& questo non era incerto, perchè potessi benissimo fissare come criterio di stima i i tempo del contratto, e vedere qualè fosse.l' interesse del compratore in quel momento che il danno futuro non si fosse verificato in conseguenza del - fatto delittuoso. Coal nelle fonti troviamo il caso defla distruzione di un chirografo com provante u~ a obbligazione condizionale e si dice che, qualora vengano a mancare, i testimoni à1 momento del berificarsí, della condizione, si potr ~~agire coll'actic, Aquiliae (2). In lege Aquili α, si deleturn.eltirographum m.ild esse dicane, in 'quo sub conditione mihi pecunia debita fυeι•it, et in-

terim tesiibus quoque id probare possim, qui testes esse non µΡ ossint in temροre; quo conditio existat, et si su ImatirιΡ t re expo-. '

Glossa, in fr.

Fr. 41, h. t.

29,

§

3., 1ι. t.,

Τ. i!i,,mtio,iem. ,

193—

sita ad suspicionem iudicem adducam, debebo quidem vincere. Sed tune condemnationis exactio c οmpetit cura debiti conditio extiterit. Quod si ,defecerit condemnatio nul ias ,>ires habebit. Secondo noi i due testi si possono conciliare nel modo seguente : Nel fr. 12, 19, 1, si deve stimare l' incertum rei, poiché il compratore, avendo pagato un prezzo, in corrispettivo della spesa ha acquisito il diritto di far gettare in acqua le reti e di pretendere i pesci che potranno essere presi; in questo caso perció vi é un vero e proprio danno da parte del compratore. Invece nel caso del fr. 29, § 3, h. t., si suppone che un pescatore, senza aver pagato alcun corrispettivo per pescare, getta le reti in acqua ed υna nave gliele rompe; evidentemente il pescatore risente un damnum soltanto riguardo a lle reti, ma non riguardo ai pesci; il pescatore bon aveva acquisito alcun diritto a prendere pesci, egli non aveva che una semplice fac ο1ta, una spes: relativamente ai pesci perci ~~non vi ha danno alcuno ed a ragione quindi di . essi si nega la aestimatio. 127. Come applicazione del principio che nella aestimatio damni si doveva aver riguardo anche alla perdita delle utilit relative esistenti all'epoca del danneggiamento, abbiamo il fr. 23, § 2, h. t.: Idem Julianus scribit, $Ι INSTITIITUS FUURO SUB COΝDIΤIONΕ, sl Sτιcuµ ΜΑΝΕΓΧ~SRRO,

et" Sticus sit °ccisus.p οst mortem testatoris, in ιsestim αtiònem etiam haereditatis pretium me cοnseeuturum prορter oecisionem enin' defecit conditio. -Qf λοd si, vivo" testatore, οecisus sit, haereditatis aestimationem cessare: quia retrorsum quanti plurimi fuit inspicitur.. Nel caso pratico fatto nel citato passo, se lo schiavo venga ucciso mentre vive ancora il testatore, non si potra necessariamente tener conto del valore della ereditY, quia retrorsum quanti plurimi fuit inspicitur, cioé nel fare la stima 13

— 194 — del danno ,si ha riguardo al valore che lo schiavo aveva nell'anno precedente, risalendo indietro dal giorno della sua uccisione, nella quale epoca non s i poteva avere alcun riguardo all'erediti. perché questa apparteneva ancora ad una persona vivente: viventis haereditas non datur (1). Si é detto altrove (2) che se un servo sia stato mortalmente ferito e poi ex intervallo da un'altra persona sia stato percosso in guisa tale da affrettarne la morte, l'uno e l' altro sono egualmente tenuti in forza della legge 9quilía: costoro però non sono in egual modo tenuti a prestar la stima: namn qui prior vulneravit tantum praestabit quanti in anno proximo homo plurimi fuerit...; posterior in id tenebitur quanti homo plurimi venire potuerit in anno proximo, quo vita ζxcessit, in quo proetium quoque haereditatis erít. Eiusdem ergo servi oceisi nomine alias maiorem alíus minorem aestirnationem praestabit. Nec mirum, cum uterque eorum ex diversa causa, et diversis temporibus occidisse hominem intelligatur (3). § 3. La "confessio,, agli effetti della legge Äquilia.

129. Confessio in jure. Inficiatio. Condemnatio in simplum ovvero in duplum. Termine entro cui doveva farsi il pagamento del simplum. 130. Questione se si ammettesse la retrattabilità della confessione di un damnum iniuria datum. Accenno ai principi generali sulla confessio in iure: molti scrittori credono di riscontrare una deroga a tali principia generali nel fr. 4, 52, 2. a) Greau; b) Savigny; c) Cαstellari; d) noet. A noi sembra accettabile l'opinione del b et. ,

•Prima della reale apertura del giudizio mediante -la contestatio litis l'attore interrogava il convenuto, e que-

Fr. 19, 29; fr. 21, 1Σ~, 4; Cuiacio; Ibsen., lib. gY1Ι, c. 22. 1. 26, III. (3) Fr. 51, § 2, h. t. ,



1% —

sto poteva confessare (con fessi in iure) o negare (inficjati). Nel caso di cοnfessiο in jure il convenuto doveva pagare il simplunt, mentre se avesse negato sarebbe stato tenuto al duplum; Haec etctió adversus confitentem competit

in simplum: adversus negantem in duplum (1). il pagamentο -del .simplo doveva farsi entro 30 giorni (2) dalla fatta dichiarazione, salvo che al reo fosse stata concessa una dilazione a sua domanda (3). 130. Ed ora si presenta la questione se si ammettesse . la retrattabilitY della confessione di un damnum iniuria

datum. Se in proposito dovessero valere i princípî generali, la questione si potrebbe facilmente risolvere. Infatti, secondo il Diritto romano, la confessione viziata da errore di fatto poteva rwocarsi, perchè niente è píit contrario al consenso che l'errore (4) non fatetur qui errat, dice Ú]piano, ~isi ius igιι.arα vit (5). Le difficoltà ρer~~sorgono quando si consideri che i Romani riguardo alla confessione di un danno dato ingiustamente sembra si allontanassero dai principi generali. Molti scrittori (6) in proposito hanno creduto di rintracciare questa deroga principalmente , nel fr. 4, 5 2, 2:

Si is cum quo lege Aquilia agitur, conf essus est servum oeci-

Fr. 23, § 10, 'h: t. Serafini, op. cit. vol. Ι , § .2 Π. Arg. dal fr. 21 ·, De ludicils, Υ, 1. Fr. 116, § ult., De Reg. jur. Fr. 2, 42, 2. Savignv, Trα ité de dr. rom ., Y Ι, § 30 â ; 4+reav, Etu/e sur la loi Aquilia, pag. 40; Caetellari, op. cit., pag. ~ 6.

— 196 —

disse, licet non occident, si tarnen occis us sit homo, ex confessione sua tenetur. .

Il Greau (1) così si esprime:

Si le défendeur s'avouait l'auteur du délit et ne contestait que le taux d'indemnité, la condamnation ne pourrait }glus dépasser le simple; mais elle 'devrait être prononcée en tout cas, quand même, k défendeur aurait offert après coup de prouver que son aveu était le résultat d'une erreur de fait.

La confessione una volta fatta, egli soggiunge, non puδ essere revocata, poichè ci ~~in realt è un carattere co'rune a tutte le azioni, che aumentano il doppio in conseguenza della infaciatio da parte del convenuto. La opinione del Greau. abbastanza laconica, non potrebbe essere puú arbitraria; infatti essa non trova conforto in alcun testo e si riduce ad una mera e gratuita affermazione. Il Savigny (2) dice: La raison s'en trouve dans le

caractère de transaction imprimé à l'aveu qui protège le défendeur contre le risque d'être condamné à une double réparation. Il ragionamento del Savigny per δ, come bene osserva il Greau, non sembra esatto: si comprende che in alcuni casi il convenuto, ignorando se sia o no colpevole, presti il simplo per sottrarsi al pagamento del doppio. Ma qui al contrario questa incertezza non esiste, poichè il convenuto sa- certamente di avere o no arrecato il danno e quindi di essere o no il colpevole. Inoltre manca l' hinc inde datar et remissum, che costituisce l'essenza della transazione. Greau, lic. cit. SavignF, op. cit, i Ι,

-

307.

— 197 —

c)

Il Castellari (1) su questo argomento i n verit ci sembra un po' oscuro. Egli in un punto del suo Studio sulla legge Aquilia dice: la confessio in iure obbligava colui che la emise, a pagare la semplice stima del danno; e ció anche nel caso in cui fosse erronea: „ Da queste parole sembra potersi dedurre che egli ammetta la irrevocabilit della confessione anche nel caso di errore di fatto. Il contrario invece pare risulti da altre sue espressioni. Egli infatti in altra parte del citato Studio sulla legge Aquilia. 21, dopo di avere riferito vari frammenti, in cui s i dice che nonostante la confessione, cessa l'astio Aquiliae, mancando il sog getto del delitto, soggiunge: " In questi e simili casi era consentaneo a ragione il non procedere oltre. poiché, non esistendo un danno stimabile, mancava il substrato del risarcimento. Ma, nella ipotesi di Paolo ( 3), questo dam, nzum (abbenché non da quello che se ne dichiar ~~autore) fu però cagionato; e quindi essendo strano che un uomo serio si accusi autore di un delitto che non ha commesso, la .spontanea •confessione d ι costui ne faceva, sino a prova ~οntraria, presumere la verità. Da queste ultime parole sino a prova contraria sembrerebbe che il Castellari ammettesse la retrattabilità della confessione, contrariamente a quanto aveva gi detto poco prima. el) Gli scrittori antichi poco ο nulla trattano la questione; il Voet (4) tosi s i esprime: Plane qui fatti errore -

Castellari, bp. cit., pag. 76. Castellari, op. cit., pag. 77.

Fr. 4, 52, 2. bet, Comm. ad Pand., lib. %.LII, tit. 2,

η.

3.

— 198 —

se con fessum ait, - id ipsum probare debet, cum paria sint, non esse et non apparere (arg. leg. Inde Neratius. 23, ult., h. t.); eoque pertinet quod scriptum in fr. 4, h. t., eurn cum quo lege ~guiliα agitur, si con fessus est serrτιrn occidisse, heel non occiderit, si tamen occisus sit homo, ex confesso tenetur; quia scilicet de errore suo non satis docet et corpus delitti (ut loquuntur) apparet. - λ noi sembra accettabile l'opinione del b et, crediamo cioé che i Romani ammettessero la retrattabílit della confessione per un errore di fatto anche nel dαnn"um iniuria datum, ρυτch il reo avesse fornito prove sum. cienti del suo errore. ion vi sarebbe ragione alcuna per ritenere il contrario, quando non si hanno testi che contradicono alla regola generale.-.Il fr. 4, 52, 2, non può essere addotto a sostegno della tesi contraria. In questo si dice soltanto che se alcuno confessi di avere ucciso uno schiavo e poi sostenga semplicemente di aver confessato per un errore di fatto, licet non occiderit, si tamen occisus sit homo, sar~~tenuto ex ' confesso per non avere addotto prove in suo favore; d'altronde una presunzione di reitU sta contro di lui, essendovi il corpo del delitto e sembrando strano che taluno si accusi di un delitto che non ha commesso. λ questa interpretazione corrispondono esattamente le parole del b et: quia scilicet de errore suo non satis docet et corpus delitti (ut ioquuutu?) apparet. In altri termini. ci sia lecito francamente osservare che spesse volte il solo abito scientifico della critica può rendere oscuro quello che é chiaro e far cadere questione su tutto. Su questo punto l'essere í classici d'accordo basterebbe a spiegare la vera intelligenza del citato frammento, 11 quale non fa che ribadire la regola generale — asserenti incumbit pribatio — e la presunzione della veritY dei `

— 199 — fatto confessato finche l'errore non sia provato. ion si venga a dire (e proprio qui sta l'equivoco) che per il dam far iniuria datura della legge Aquilin occorre risalire all'altro principio della condanna al deplum nella inficiatio. Non bisogna esagerare: il duplum per la inficiatio in certi casi speciali era una pena al reo negativo; ma la romana sapienza supponeva che questo reo negasse per sottrarsi alla condanna, mentre le prove del giudizio lo convincenno del contrario. Il duupinnm in sostanza era una pena inflitta per agevolare la scoperta del colpevole e la speditezza del giudizio; ma non poteva applicarsi in ogni caso, anche quando il reo, che avesse negato, in definitivo non fosse stato trovato autore o complice del delitto. Questo e non altro e il significato delle parole: licet non occident, si tannen occises sit homo. Una contraria interpretazione offenderebbe la sapienza dei giureconsulti romani, perchè sarebbe il colmo della ingiustizia. Del resto diverso sarebbe il caso se il convenuto avesse confessato, non per errore, ma nel dubbio di essere o no stato l'autore del fatto il= lecito, o di essere condannato. Allora vi sarebbe stata +unα quasi-transactio, come meglio verrà dimostrato nel paragrafo seguente. g 4. La repetitio indebiti riguardo alla legge üquilia.

131. Nel caso del damnum iniuria datum non si ammetteva la ripetizione dell'indebito: Cost., 4, Cod. IV, 5 e § 7. Inst., 1I, 28. Ricerca della ragione di tale deroga ai principι generali. Varie opinioni: a) Bartolo; b) Voet; e) laiacio; d) Duareno; e) Castellari. Nostra opinione. -132. Per quale ragione il danneggiante non poteva provare l'errore nel pagamento fatto per il danno arrecato ingiustamente. 131. Vediamo ora se si ammettesse la ripetizione dei l'indebito in ordine alla legge Aquilía. In proposito si

-

— 200 — hanno due testi espliciti, in cui si risolve la proposta quesione negativamente. Ea quac per- iνficiationeιn in lite crescunt, ab ignorante etiam _indebita soluta repeti non posse

certissimi iuris est. Sed et si cautio indebitati pecuniae ex eadem • causa interponatur, conditioni locum non esse constat (1). Solutum in , jis causis, in queis inficiando lis crescit. repeti non posse, licet indebitum fuerit solutum (2). Non si ammetteva dunque la ripetizione dell' indebito nel caso di damnum injuria datum e si ammetteva invece nel delitto più grave del furtum ec naanifestuna (3). Ricerchiamo ora le ragioni per le quali non si ammetteva la repetitio indebiti in quelle cause in queis inficiando lis crescit. A questo riguardo le opinioni deglι scrittori sono discordi. I1 Β a_tο ο (4) crede che la repetitio indebiti non s i ammettesse, perché il pagamento del simplo fatto da parte del convenuto costituiva una vera e propria transazione. Il bet (5) opina che non si potesse ripetere il pagamento del simpluni ex lege Aquilia, perché il pagamento del simplo p er timore della condemnatio dupli costituiva una quasi-transactio.

Cost., 4, cod. IV, 5. § _ 7, Inst., III, 28. Donello, Comm. posth. in Cost., 4. Cod. De condii/me indebiti, n. 4 (vol. ß'1I, pug. 681). II furto dicevasi manifesto quando il ladro veniva colto con la re furtiva prima che giungesse al luogo dove aveva stabilito di portarla (Gaio, III, 184); ogni altro furto dicevasi non manifesto (Serafini, op. cit., vol. II, § 153. nota 11). Bartolo, Repetit. in leg. 23, De condictione indebiti. bet, Comm. ad Pand., h. t., XII, 6, n. 15.

-- 201 — ç) Il Cuiacio (1'; erede che la repetitio indebiti non si ammettesse, perché il pagame~tο del simple era stato fatto scientemente per timore di essere condannato al duptunz (2).). A questa opinione accedono il Mendoza (3) ed il Castel lan (4). Il Duareno, infine, crede che non si ammettesse nel caso nostro la repetitio indebiti, perché altrimenti sarebbe divenuta illusoria la litíscrescenza. Infatti, egli dice, quando il convenuto avesse intentato la condietio indebiti si sarebbero potute presentare due ipotesi: se il danneggiato nel giudizio di ripetizione d'indebito avesse avuto prove sufficienti a suo favore per distruggere que ll e addotte dal danneggiante, costui avrebbe in realtà pagato il simptum, perché la in ficiatio provocava la èondemnatio al duplunz soltanto nel giudizio del damnum iniuria datum, e non già. nell'altro di ripetizione del simplo pagato per errore. Se poi il danneggiato fosse stato prive di prove, avrebbe avuto luogo •la ripetizione del pagato; perciò tanto nella prima quanto nella seconda ipotesi venivasi a d. eludere il principio della litiscrescenza; perchè in realtá il pagamento del simplo sarebbe stato fatto, in ogni caso, dal danneggiante in frode, per assicurarsi cioé dello stato delle prove nella lite. Il Castellari (5) a questo riguardo osserva che l'o·pinhone del Duareno .poggia sui falso presupposto che la C ιι ~ αειο, Comm. in Cost., 4. cod. De eohdictione indebiti. Fr. 26, -§ 2, De condietione indebiti, X ΙΙΙ, 6; fr. 4 0 , § 4, De petit. h