La guerra

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I A GUERRA Guerriglia Guerra Urbana e Terrorismo

Gaston Bouthoul ARMANDO

G. B O U T H O U L

LA

GUERRA

CON TRE APPENDICI SU GUERRIGLIA, GUERRA URBANA E TERRORISMO

A CURA DI RENATO AIMO

ARMANDO

19 ARMANDO

75 EDITORE

ROMA

Titolo originale La guerre © Presses Universitaires de France 1973

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Traduzione e nota integrativa di RENATO AIMO © 1975 Editore Armando Armando Via della Gensola, 60-61 - Roma

Introduzione LA P O L E M O L O G I A

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La g u e r r a r a p p r e s e n t a , senza dubbio, il p i ù spettacolare dei fenomeni sociali. Se da u n lato - come sostiene Durkheim - la sociologia « è la storia intesa in u n certo m o d o » si p u ò anche dire che la g u e r r a h a gener a t o la storia. Questa h a infatti assunto all'inizio l'aspetto esclusivo di u n a storia di conflitti a r m a t i , n é a p p a r e possibile che essa possa mai perdere c o m p l e t a m e n t e il risvolto guerresco. Di fatto, le guerre costituiscono p e r lo studioso il p u n t o di riferimento cronologico p i ù evidente e, lo si voglia o n o , il m o m e n t o qualificante dei grandi avvenimenti. Così, esse contrassegnano il t r a m o n t o delle vecchie civiltà e l'avvento delle nuove; stabiliscono o sanzionano i p r i m a t i che pongono, p e r u n t e m p o p i ù o m e n o lungo, u n certo tipo di organizzazione politico-sociale alla testa dell'umanità. D'altro canto, la guerra è il più i m p o r t a n t e dei fattori di quella imitazione collettiva che occupa u n posto così rilevante nelle trasformazioni sociali. La guerra finisce sempre, presto o tardi, p e r obbligare gli Stati più chiusi a d aprirsi; basta p e n s a r e alla Cina, al Giappone o al Marocco nel secolo scorso. Probabilmente è la forma più 1

«Polemologia» (dal greco polemos, guerra e logos, trattato): Scienza della guerra in generale, studio delle sue forme delle sue cause, dei suoi effetti, delle sue funzioni, in quanto fenomeno sociale. Termine proposto nel 1946 da GASTON BOUTHOUL ne' suo libro Cento milioni di morti. (Estratto dal « Larousse mensile », n. 401, p. 11).

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energica ed efficace di c o n t a t t o t r a civiltà differenti; romp e con la forza l'isolamento psicologico; esercita u n notevole influsso persino sulla m o d a . I n realtà il suo vincit o r e p u ò essere individuato attraverso l'osservazione del taglio delle uniformi negli a n n i che seguono la fine di u n a guerra. Dopo Napoleone si copiarono le uniformi francesi; d o p o il 1918 quelle inglesi; oggi quelle statunitensi e sovietiche. Concludendo, la guerra a p p a r e il più incisivo dei m o d i di trasformazione della vita sociale, ovvero è u n a s o r t a di passaggio accelerato. Ciò premesso, è lecito chiedersi perché si sia atteso t a n t o p r i m a di delineare u n a vera e p r o p r i a scienza della guerra, u n a Polemologia . Come è p o t u t o accadere che il fenomeno sociale più i m p o r t a n t e n o n abbia suscitato stimoli p e r u n a ricerca che n e studi obiettivamente le caratteristiche e gli aspetti funzionali? Negli ultimi cinq u a n t ' a n n i si è assistito al pullulare di laboratori destinati allo studio del cancro, della tubercolosi, della peste o della febbre gialla. Ciò è senz'altro estremamente positivo, m a n o n si capisce bene perché la guerra, capace di provocare d a sola più vittime di tutte quelle malattie insieme, n o n debba formare oggetto di analoghi approfondimenti nell'ambito di u n apposito Istituto di Ricerca. Vero è che - come afferma Aristotele - la scienza è figlia dello stupore; l'evento bellico, al contrario, n o n n e provoca alcuno. Grande è, infatti, la n o s t r a assuefazione ad u n fenomeno p u r e t a n t o stupefacente. Questo è il p r i m o ostacolo al sorgere di un'esigenza scientifica in proposito. « Nessun lettore, sostiene Proudhon, ha bisogno che gli venga spiegato che cos'è fisicamente o empiricamente la guerra. Tutti ne h a n n o un'idea o per essern e stati testimoni o p e r aver avuto con essa qualche s o r t a di r a p p o r t o o p e r avervi d i r e t t a m e n t e partecipato ». 2

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In una precedente opera abbiamo proposto di dare il nome di Polemologia allo studio scientifico del Fenomeno-guerra considerato come un fenomeno sociale, per distinguerla dalla scienza della guerra, così come la si insegna nelle scuole militari. 6

L'esigenza p r i m a r i a è d u n q u e quella di l o t t a r e contro questa p s e u d o conoscenza che, p e r a l t r o , affonda le sue radici in u n ' a b i t u d i n e c o n t r a t t a nell'età p i ù tenera. Chi di noi n o n h a m a i giocato alla guerra o ai soldati? Il secondo ostacolo a d u n a delineazione scientifica del fenomeno g u e r r a consiste nell'interpretazione volontaristica che si è p o r t a t i ad attribuirle. La guerra h a u n inizio ed u n a fine, scoppia in u n m o m e n t o preciso acc o m p a g n a t a d a formalità di ogni tipo, diplomatico o religioso; se n e forniscono motivi lungamente elaborati attraverso discussioni e deliberazioni. Per questa via, ogni conflitto a r m a t o , considerato s e p a r a t a m e n t e , appar e s e m p r e facoltativo, dipendente da decisioni lungamente m a t u r a t e . Credere al c a r a t t e r e esclusivamente volontario e cosciente delle guerre costituisce proprio il principale ostacolo ad u n o s t u d i o scientifico delle stesse. Al proposito non s e m b r a e r r a t o p a r l a r e di illusionismo giuridico. Ad onta delle mille smentite fornite dalla storia, i giuristi continuano a d assimilare, nelle loro concezioni, la guerr a ad u n a disputa t r a singoli, ad u n a rissa o ad u n duello. Per analogia con i contratti di diritto privato o con il Codice penale si assiste al sorgere ciclico di progetti di accordi internazionali, di tribunali o di leggi internazionali . Il loro fine è, di volta in volta, quello di proibire la guerra mediante u n a specie di regolamento di polizia o di applicare ai conflitti a r m a t i - p e r a l t r o tollerati - u n a normativa modellata sui codici d'onore in uso t r a duellanti cortesi o sulle clausole che reggono gli incontri di boxe o di foot-ball. Gli stessi progetti di a r b i t r a t o sono stati finora tentativi di r i p r o d u r r e il diritto privato o, t u t t ' a l più, il diritto feudale con la sua concezione dell'arbitrato sulle liti, effettuato dai pari, come nelle Corti dei Baroni. Si t r a t t a , com'è evidente, di preoccupazioni terapeutiche immediate. E ' mai possibile legiferare su ciò che n o n si conosce? Si p u ò forse dire che ci siano noti, anche 3

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Nondimeno l'attività legislativa e penale non ha impedito la costituzione di una « criminologia ».

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solo approssimativamente, la n a t u r a , le funzioni e il ruolo della g u e r r a ? Il fine m e r a m e n t e curativo dianzi p o s t o in luce, p e r q u a n t o legittimo e comprensibile, deve essere probabilm e n t e considerato come l'impedimento più serio ad u n a impostazione scientifica del p r o b l e m a in questione. La verità è che si h a fretta di trovare u n rimedio p r i m a di conoscere il male, di credere p r i m a di sapere.

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Capitolo

primo

STORIA DELL'IDEA DELLA

GUERRA

P r i m a di cercare di delimitare e definire il fenomeno guerra, analizzandone i vari aspetti, m e t t e conto ricordare le principali teorie elaborate a proposito della guerr a e i giudizi che su di essa sono stati formulati d a quando esistono l'uomo e la lotta a r m a t a .

1.

Le mitologie

Le cosmogonie dell'umanità primitiva sono generalm e n t e t r o p p o vaghe perché da esse p o s s a n o trarsi precisi insegnamenti. Al contrario, col sorgere delle civiltà storiche, le teorie sulla formazione dell'universo e le mitologie p r e s e n t a n o due elementi in c o m u n e : (a). Il r u o l o essenziale che vi gioca la guerra; (&). Il c a r a t t e r e s o m m a m e n t e lodevole dell'attività guerriera che gli Dei praticano, incoraggiano e proteggono. « Niente è più rappresentativo al riguardo del Pantheon germanico, il Walhalla, concepito a somiglianza dei festini nei quali i guerrieri d a n n o sfogo alla loro gioia dopo u n a campagna vittoriosa. Sotto lo sguardo soddisfatto di Odino, Dio delle Battaglie circondato di trofei, schiavi e prigionieri, i beati bevono l'idromele nel cranio dei loro nemici, mangiano il loro bestiame, si dividono le loro spoglie, che rinascono ogni giorno e "gioia 9

s u p r e m a , si fanno a pezzi, q u a n d o il p r a n z o sta p e r finire, nel cortile del Palazzo divino" » (PUGBT). Se la mitologia cinese è p i ù pacifica e il b u d d i s m o n o n violento, al c o n t r a r i o l'India del b r a m a n e s i m o è s t r a o r d i n a r i a m e n t e bellicosa. Nei libri sacri n o n vi si r a c c o n t a n o che c o m b a t t i m e n t i t r a dei, dee, geni e giganti cui p a r t e c i p a n o talora u o m i n i , scimmie ed altri animali. La narrazione di queste leggende riempie il Veda. I poderosi poemi epici come i Ramayana sono in g r a n d e m i s u r a consacrati all'illustrazione di analoghi fasti mitologici, punteggiati da descrizioni di battaglie. Gli stessi templi i n d ù appaiono decorati con bassorilievi in cui il soggetto d o m i n a n t e è la lotta. Gli dei Indra, Mitra, Variano, B r a h m a , e poi Visnù, Siva e la dea Kalì si fracassarono sui loro c a r r i di guerra. Q u a n t o alla mitologia greca, essa ci m o s t r a Giove e gli dei che c o m b a t t o n o i Titani, i giganti e Tifeo; Cronos l o t t a c o n t r o Ofione; Marte è circondato da Discordia, P a u r a e Terrore, e si o n o r a del titolo di Uccisore di Uomini. Minerva a p p a r e s e m p r e con la corazza ed a r m a t a di lancia e scudo. Anche Apollo possiede frecce micidiali. Presso t u t t e le civiltà conosciute, è diffusa, p r i m a delle battaglie e dopo le vittorie, l'abitudine di offrire ricchi sacrifici agli dei, sia i m m o l a n d o prigionieri, sia abb a n d o n a n d o nei templi u n a p a r t e del b o t t i n o . Gli Assiri, gli Egizi e gli Aztechi sgozzavano migliaia di prigionieri t r a fumi di incenso e grida di allegria. La logica del sacrificio si r i t r o v a anche nei riti funebri anticipati, nei quali la prevedibile m o r t e dei guerrieri e la loro apoteosi s o n o prefigurati e celebrati anzitempo. Tali cerimonie risultavano sovente accompagnate da pratiche propiziatorie, auspici favorevoli, benedizioni e riti purificatori riten u t i capaci di p r e p a r a r e u n a b u o n a m o r t e e di facilitare la resurrezione. Una curiosa m a evidente sopravvivenza dei riti funebri che p r e c e d o n o la battaglia si r i t r o v a in Giappone ai temp i della 2 g u e r r a mondiale. I giovani piloti volontari degli aerei-suicidi (kamikaze), alla vigilia della partenza assistevano con gli abiti bianchi (colore del lutto) a banchetti funebri spogliandosi, così, simbolicamente di ogni loro avere materiale. Il giorno dopo, sul campo di aviaa

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zione, o g n u n o riceveva u n a piccola scatola bianca che rappresentava l'urna contenente idealmente le loro ceneri. 2.

Dottrine ideologiche delle guerre

L'ANTICO TESTAMENTO. - Stupisce c o n s t a t a r e che, con la nascita del m o n o t e i s m o , t r a t u t t i gli a t t r i b u t i che caratterizzavano singolarmente le varie divinità dell'Olimpo (Vulcano, Giunone, Mercurio, Cerere) e r a n o quelli guerrieri che venivano di preferenza riferiti all'Unico Dio, considerato « Dio degli Eserciti ». E ' p e r o r d i n e espresso di Dio che la g u e r r a comincia; niente si fa senza di lui. « N o n aver p a u r a , l'Eterno è fra voi. Egli caccerà a poco a poco queste nazioni lontano da te, le m e t t e r à in r o t t a e farà s p a r i r e il loro n o m e dalla t e r r a » (Deut. 7-8-9). O p p u r e se gli ebrei si impadroniscono della Terra Promessa è p e r c o m a n d o di Dio. « L ' E t e r n o giudica col fuoco e castiga la carne con la spada. N u m e r o s i s a r a n n o coloro che l'Eterno ucciderà e q u a n d o si u s c i r à si vedranno i cadaveri degli u o m i n i che si sono ribellati a m e », disse il Signore (Isaia, 66). Ma la g u e r r a n o n fu s e m p r e favorevole agli Ebrei. Allorché essi si t r o v a r o n o di fronte a p o t e n t i eserciti stranieri, la g u e r r a cessò di essere a t t r a e n t e lasciando il posto a d u n n u o v o stato d'animo, come t e s t i m o n i a n o Geremia ed Ezechiele: n o n si t r a t t a più della piccola g u e r r a esaltante t r a t r i b ù e cittadine m a di u n castigo inviato da Dio. « Ecco le t e m p e s t e dell'Eterno; il furone scoppia, il temporale infuria abbattendosi sul capo dei malvagi. L ' a r d e n t e collera dell'Eterno n o n si c a l m e r à p r i m a del c o m p i m e n t o del disegno che è nel s u o cuore » (Geremia, 30).

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IL CORANO. - Per il Corano, la diffusione dell'Islam con le a r m i configura u n vero dovere religioso. La guerra è u n ideale, u n ordine di Dio: « Fate la guerra a coloro che non credono in Dio e nel giorno del giudizio o che n o n considerano proibito ciò che Dio ed il suo apostolo h a n n o vietato. Fate la guerra a quegli uomini delle Scritture che non professano la vera religione; fate loro la guerra fino a che essi paghino il t r i b u t o con le loro stesse mani e siano sottomessi ». (Cap. 9, vers. 29). Il famoso paradiso di Maometto, espresso con u n a formula, è riservato solo ai guerrieri m o r t i in combattimento. « Sacrificate i vostri beni e le vostre persone... Dio p e r d o n e r à le vostre offese e vi i n t r o d u r r à nei giardini dove scorrono i fiumi » (Cap. 9, vers. 90). LA TEOLOGIA CRISTIANA. - Il cristianesimo primitivo ha verso la guerra u n atteggiamento fortemente originale, maledicendola e rifiutandola in blocco. « Chi colpisce con la spada, m o r i r à p e r la s p a d a ». Origene, Tertulliano, Sant'Ambrogio respingono categoricamente l'uso della violenza a qualsivoglia fine. Il dogma della non violenza, r i p r e s o d a Tolstoi e da Gandhi, è u n a concezione essenzialmente cristiana. N o n d i m e n o , la Chiesa si trova ben p r e s t o nella necessità di accordarsi con il p o t e r e e, seguendo la traccia p i ù realistica indicata d a San Paolo fin dalle origini, i teologi più eminenti elaborano u n a dottrina di compromesso. Sant'Ambrogio, consapevole delle contraddizioni t r a Vecchio e Nuovo T e s t a m e n t o , sviluppa un'idea sulla giustizia di Dio che giustifica la guerra nella m i s u r a in cui essa possa a p p a r i r e espressione della volontà divina. « Se Dio, con u n a speciale prescrizione, ordina di uccidere, l'omicidio diventa u n a virtù ». Le crociate s o p r a t t u t t o m e t t o n o alla p r o v a l'abilità dialettica dei teologi; se San B e r n a r d o si pone come di12

tensore r a z i o n a l e . della guerra santa, si vedono anche chierici che l o d a n o senza ritegno gli atti più b a r b a r i . R a y m o n d d'Agiles, canonico della Cattedrale di Puy, scrisse a proposito della presa di Gerusalemme: « Si videro cose ammirevoli... nelle vie e nelle piazze della città m u c c h i di teste, m a n i e piedi. Gli uomini e i cavalieri si spostavano ovunque a t t r a v e r s o i cadaveri... Nel T e m p i o e nel Portico si procedeva a cavallo nel sangue che toccava le ginocchia dei cavalieri e la briglia degli animali... Giusto e lodevole giudizio di Dio; Egli volle che questo stesso luogo ricevesse il sangue di coloro che l'avevano così a lungo insozzato con le loro blasfemata. Spettacoli celesti... nella Chiesa ed in t u t t a la città, il popolo rendeva grazie all'Eterno ». San T o m m a s o , nella sua famosa teoria della guerra giusta, formula le condizioni suscettibili di t r a s f o r m a r e l'attività bellica in un'impresa voluta da Dio. Esse sono: 1. 2. 3.

L'autorità del principe. La giusta causa. La r e t t a intenzione.

L'equivoco insito in queste condizioni spiega le esitazioni della Chiesa allorché si t r a t t a di p r e n d e r e posizione in u n conflitto. Fino al secolo scorso, la Chiesa insegnava ancora che t r a due belligeranti solo u n o poteva sostenere di essere nel giusto: essa professa oggi, al contrario, che la guerra p u ò essere giusta p e r a m b e d u e i contendenti insieme « dal m o m e n t o che o g n u n o dei d u e avversari, senza avere la certezza del suo b u o n diritto, lo considera c o m e semplicemente probabile » . l

3.

Dottrine filosofiche sulla guerra

I FILOSOFI CINESI. - Nei secoli, n o n vi è s t a t a che u n a filosofia p r o f o n d a m e n t e e c o s t a n t e m e n t e contraria alla 1

Cfr. BRUNEAU DE SOLAGES in « Bollettino di letteratura eccle-

siastica », Tolosa 1940.

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g u e r r a : quella cinese. Confucio dice paradossalmente: « Un generale davvero g r a n d e n o n a m a la guerra, né è vendicativo e passionale ». Fino a poco t e m p o fa i cinesi h a n n o m e n a t o vanto della loro debolezza militare, t r a e n d o p r o p r i o da q u e s t o disprezzo p e r i valori guerrieri la convinzione della loro s u p e r i o r i t à sulle altre civiltà. Nella loro gerarchia tradizionale il soldato occupava il gradino più basso, subito p r i m a del brigante. I FILOSOFI GRECI. - La filosofia greca non presenta atteggiamenti morali originali nei confronti della guerra. Questa viene infatti semplicemente considerata come u n m o m e n t o dell'ordine della provvidenza. Per Eraclito, la g u e r r a r a p p r e s e n t a Io s t r u m e n t o stesso di quell'ordine, nella m i s u r a in cui divide e classifica gli uomini e persino gli Dei: « La guerra è m a d r e di t u t t e le cose, alcuni li r e n d e Dei, altri schiavi o u o m i n i liberi ». Platone e Aristotele, p u r n o n facendone l'apologia ed anzi condannandola, a m m e t t o n o la perfetta legittimità della guerra sia essa offensiva o difensiva, s e m p r e che appaia necessaria p e r il b e n e della città. Essi la considerano, s o p r a t t u t t o , u n fatto positivo indiscutibile: la città è essenzialmente u n organismo difensivo, u n a fortezza collettiva. I MODERNI. - Per KANT la c o n d a n n a delle attività belliche si deduce manifestamente dagli « imperativi categorici ». Nondimeno, K a n t n o n ignora il carattere a s t r a t t o di u n a simile disapprovazione; così egli si preoccupa p r i n c i p a l m e n t e di definire le condizioni pratiche p e r lo stabilimento della pace. Nel s u o Progetto di pace perpetua, K a n t espone u n a serie di principi assimilabili, in g r a n d e m i s u r a , a quelli ispiratori del Patto wilsoniano della Società delle Nazioni. Egli p r o p o n e , inoltre, di sott o m e t t e r e la decisione della pace o della guerra all'approvazione di t u t t i i cittadini. Dopo aver m o s t r a t o che l'idea di u n a pace p e r p e t u a implica t u t t e le contraddizioni inerenti alla nozione di eternità, il filosofo di Koeningsberg o p t a p e r l'irraggiun14

gibilità della pace perenne, facendo salva la possibilità di avvicinamento a quello stato ideale. Il p a d r e dell'idealismo, HEGEL, è generalmente considerato u n cinico apologeta della violenza e della guerra. Certo, si p o t r e b b e r o giustificare certe sue formulazioni ad oltranza r i c o r d a n d o che egli n o n fa che riconoscere u n fatto senza approvarlo; tuttavia, si r i t r o v a in lui u n a sorta di difesa della violenza intesa c o m e civilizzatrice ed identificata con il m o m e n t o di maggiore autocoscienza dello S t a t o . Napoleone, che egli a m m i r a v a incondizion a t a m e n t e p r i m a della disfatta, era p e r lui « lo spirito universale a cavallo ». Solo la realizzazione dello Spirito Assoluto p o t r à - p e r Hegel - p o r r e fine a quel male necessario che è la guerra. Il c o m o d o fatalismo del filosofo consiste nell'inchinarsi con facilità alla necessità i n c a r n a t a dai vincitori e nel possesso di u n gusto r o m a n t i c o p e r le soluzioni tragiche. La filosofia della g u e r r a di JOSEPH DE MAISTRE p u ò oggi essere definita classica e certe sue formule liriche sono divenute celebri. L'essenziale della d o t t r i n a demaistriana, che si articola in tesi periodicamente rinascenti, è contenuto nelle seguenti citazioni: « Quando l'anima u m a n a p e r d e la s u a energia per la mollezza, p e r l'incredulità e i vizi cancrenosi che accompagnano l'eccesso di civiltà, solo nel sangue essa p u ò essere ritemprata... I veri frutti della n a t u r a u m a n a (arti, scienze, grandi imprese, alte concezioni, virtù virili) attengono s o p r a t t u t t o allo stato di guerra... ». Si direbbe che il sangue sia il fertilizzante di quella p i a n t a che si c h i a m a genio. « C'è qualcosa di misterioso e di inspiegabile nel prezzo s t r a o r d i n a r i o che gli u o m i n i sono disposti a pagare p e r la gloria militare... La guerra è d u n q u e divina nel suo intimo, poiché è u n a legge del m o n d o . I n nessun'altra circostanza, la m a n o di Dio si fa sentire in maniera alt r e t t a n t o viva sull'uomo ». 15

I « bellicisti » sono avvezzi a rivendicare NIETZSCHE, ed in effetti la sua opera t r a s u d a esaltazione p e r la guerra: « Dovete a m a r e la pace come t r a m i t e per nuove guerre, la pace più breve conta più della lunga... Dite che la b u o n a causa santifica la guerra; al contrario, io affermo che la b u o n a guerra rende santa qualunque causa... Sono miei fratelli quelli che c o m b a t t o n o ». Le sofferenze generate dalla g u e r r a gli appaiono u n a eccellente scuola: « Perché la prova dia frutti concreti, occorre che il conflitto sia senza pietà. Le sole virtù sono il coraggio, la crudeltà, l'audacia, l'inganno, l'intelligenza: in u n a parola, la forza ». L'aspirazione alla felicità è, p e r Nietzsche, u n ostacolo alla grandezza dell'uomo. Occorre saper soffrire e m o r i r e : « La guerra e il coraggio h a n n o dato vita a molte più grandi cose che n o n l'amore p e r il prossimo... La guerra è la b u o n a prova, la sola competizione imparziale e giusta, invero la sola immaginabile ». In n o m e dell'istinto è necessario r i t o r n a r e alla guerra, che la ragione combatte, p e r c h é « l'istinto spinge l'uomo a t u t t o ciò che r e n d e intensa la sua vita ». Tuttavia l'ambiguità del linguaggio lirico di Nietzsche è spesso tale da giustificare la d o m a n d a se, glorificando la guerra n o n intendesse t a n t o p a r l a r e delle lotte morali q u a n t o di quelle fisiche. I n realtà, la sua o p e r a contiene violenti attacchi c o n t r o lo spirito solidaristico e solenne di u n a certa tradizione pan-germanica. I m o d e r n i NEGATORI DELLA GUERRA, appartengono a d u e categorie: gli u n i criticano gli apologisti della guerra sforzandosi di d i m o s t r a r e che gli aspetti negativi distruzione e regresso, superano quelli positivi; gli altri, come E r a s m o d a R o t t e r d a m e Rabelais, m a s o p r a t t u t t o i filo16

sofi francesi del XVIII secolo - fatta eccezione p e r Rousseau - si sforzano di dissacrare la guerra presentandola come u n ' a v v e n t u r a dove il ridicolo gareggia con l'assurdità. Questi p e n s a t o r i fanno al r i g u a r d o u n umorismo nero a n t e litteram. E' n o t a la famosa veduta p a n o r a m i c a di Voltaire sulle guerre: « Nel m o m e n t o in cui vi parlo, ci sono centomila pazzi incappellati della n o s t r a stessa specie che si dedicano alla uccisione di altri centomila animali, i n t u r b a n t a t i , p e r alcuni mucchi di fango grandi c o m e il vostro tallone... N o n si t r a t t a che di sapere se essi a p p a r t e r r a n n o a d u n tizio c h i a m a t o Sultano o ad u n a l t r o chiamato, n o n si sa perché, Cesare... Pochissimi di questi animali h a n n o m a i visto l'animale per il quale si scannano ». 4.

Le dottrine morali e giuridiche

Così come n o n esistono società, p e r q u a n t o primitive, sfornite di u n a dottrina giuridica implicita, non vi sono guerre senga regole, vaghe o precise, che accompagnano l'inizio delle ostilità e la loro conclusione. ANTICHITÀ ROMANA. - Presso i R o m a n i dell'epoca classica, il diritto di guerra comincia ab initio. Verte essenzialmente sugli aspetti formali ed è g a r a n t i t o , q u a n t o alla s t r e t t a applicazione delle n o r m e , da u n o speciale collegio di sacerdoti (i feciali). Il p u n t o p i ù i m p o r t a n t e è che la g u e r r a debba essere dichiarata secondo i riti, mentre nessun rilievo viene annesso alle ragioni o all'effetto ad essa inerenti. La guerra è giusta se i modi di dichiarazione sono minuziosamente rispettati; nel caso contrario è ingiusta e, p e r t a n t o , v o t a t a all'insuccesso e alla disgrazia. Il m a s s a c r o dei vinti e la vendita dei sopravvissuti era la regola. Siila fece tranquillamente m a s s a c r a r e nel c a m p o di M a r t e q u a t t r o m i l a guerrieri sanniti. A Reggio, t u t t a la popolazione fu passata p e r le a r m i ; d u r a n t e le guerre Puniche, i Romani, che si erano i m p a d r o n i t i del 17

c a m p o di Asdrubale, uccisero t u t t i i Cartaginesi e i loro ausiliari Galli che dormivano ubriachi sulla paglia. I Paesi conquistati da R o m a venivano sottoposti a diversi gradi di soggezione. Il diritto di conquista p i ù assoluto derivava dalla resa, la cui formula attestava la capitolazione a discrezione del vinto: « Io cedo al popolo r o m a n o la mia persona, la m i a città, la m i a terra, l'acqua che scorre, gli dei di confine, i templi, gli oggetti mobili, t u t t o q u a n t o appartiene agli dei ». I R o m a n i , osservavano, nei t r a t t a t i , u n a linea giunca m o l t o formale e minuziosa. « I giudizi eroici, dice Vico, venivano seguiti con u n rispetto scrupoloso dalle parole (religio verborum...). A seconda dei termini in cui i t r a t t a t i venivano conclusi, si vedevano i vinti miserevolmente stroncati o sfuggire all'ira del vincitore ». I Cartaginesi e b b e r o questa ventura; il t r a t t a t o che essi stipularono con i R o m a n i assicurava loro la conservazione delle vite, dei beni e delle città. Quest'ultimo t e r m i n e venne i n t e r p r e t a t o c o m e città materiale, come edificio nel senso della p a r o l a latina urbs. Al contrario, i R o m a n i si e r a n o serviti nel t r a t t a t o della parola civìtas cioè riunione di cittadini, società. Per questo essi si indignarono q u a n d o i Cartaginesi rifiutarono di abbandon a r e la riva del m a r e p e r a n d a r e a d abitare nell'entrot e r r a . N e seguirono la dichiarazione di ribelli che ad essi venne attribuita, la presa della città e la sua distruzione. Sulle basi del diritto eroico, i R o m a n i n o n ritennero affatto di aver c o m b a t t u t o u n a guerra ingiusta. DIRITTO BIBLICO DI GUERRA. - La sua espressione più significativa si ritrova in Maimonide, m a l g r a d o le influenze esercitate sul s u o p u n t o di vista dall'epoca in cui visse, costellata da guerre feudali e dalle guerre sante che periodicamente scoppiavano t r a gli Stati cristiani e quelli mussulmani. 18

I n caso di invasione, tutti dovevano combattere, mentre nelle guerre di aggressione e r a n o impegnati solo i volontari. Per q u e s t a via il filosofo medioevale già discute il p r o b l e m a degli obiettori di coscienza. « Vi sono d u e tipi di guerra: quelle necessarie e quelle volontarie. Le p r i m e p e r la difesa nazionale - ed allora il re e n t r a in campagna d'autorità - , le altre p e r l'estensione delle frontiere: in tal caso occorre al sovrano l'assenso del Sinedrio ». Anche in quest'ultima ipotesi, n o n t u t t i i cittadini erano obbligati a p r e n d e r e p a r t e al conflitto; n u m e r o s e cause di esenzione venivano prefigurate nel Deuteronomio. Ad esempio, coloro che avessero p i a n t a t o u n a vigna o costruito u n a casa o preso u n a nuova moglie godevano della dispensa dal servizio di guerra p e r la dur a t a di u n a n n o . Infine, p r i m a della p a r t e n z a dell'esercito, gli araldi dovevano percorrere le file schierate ed invitare a d a n d a r s e n e tutti quelli che avessero p a u r a o che n o n fossero convinti della giustezza del conflitto. La guerra doveva iniziare con u n tentativo di conciliazione, p e r a l t r o molto simile ad u n u l t i m a t u m , che comportava - sia p u r e su scala r i d o t t a - l'osservanza di certe n o r m e religiose: « Non si p u ò attaccare u n q u a l u n q u e nemico senza averlo p r i m a invitato a d u n a conferenza p e r il regolamento pacifico del conflitto » (Deuteronomio, XX, 10). I n caso di scoppio della guerra, si imponeva il rispetto di alcune regole di moderazione: « E ' proibito, d u r a n t e il sacco di u n a città, uccidere donne o b a m b i n i » (Deuter., XX, 14). Infine, nessun nemico poteva essere messo a m o r t e qualora le condizioni di pace fossero state accettate (Deuter., XX, 11). MEDIO Evo. - Dopo u n periodo di a t r o c i t à senza freni, si assistè alla ristrutturazione, voluta con pazienza e te19

nacia dalla Chiesa, di u n diritto delle genti che, ad o n t a delle n u m e r o s e violazioni, rese incontestabili servigi. Giuristi e moralisti, senza p e r a l t r o occuparsi del perché, del come o della n a t u r a della guerra, e l a b o r a r o n o regole t u t t e tese a d eliminarne le manifestazioni più aberranti. La più i m p o r t a n t e di quelle n o r m e era senza dubbio la Tregua di Dio, decisa nell'XI secolo. Essa proibiva i n n a n z i t u t t o di c o m b a t t e r e dal sabato sera al lunedì mattina p e r p e r m e t t e r e a t u t t i di compiere il p r o p r i o dovere verso Dio nel giorno della domenica. Tale precetto venne in seguito esteso e il suo inizio collocato nel giovedì. Più t a r d i la sospensione fu decretata d u r a n t e la Quaresima e la Pentecoste. La violazione trovava la sua sanzione nella scomunica. La piccola guerra, t r a piccoli gruppi di lingua e civilizzazione analoghe, si d i m o s t r ò propizia al sorgere di convenzioni. Questa è la ragione p e r la quale nel periodo feudale si assistè allo sviluppo del diritto di guerra. La g u e r r a manifestò la tendenza a divenire u n gioco di prìncipi, u n o sport pericoloso riservato ai nobili. Si operava in m o d o teatrale e ci si uccideva molto poco. Una pletora di dettami canalizzava il conflitto, mirava a renderlo insieme cortese e spettacolare. Le a r m a t u r e e r a n o ermetiche e su di esse si poteva colpire con g r a n d e fras t u o n o e poco d a n n o . Tutti conoscono la formula che riassume sinteticam e n t e la tesi di MACHIAVELLI. « Ogni guerra necessaria è giusta ». Il segretario fiorentino appariva s o p r a t t u t t o sostenit o r e della guerra preventiva, la sola che giudicasse ragionevole. Machiavelli ci illumina su questa necessità a l q u a n t o ambigua, e afferma: « Occorre difendere la p a t r i a sia con l'ignominia sia con la gloria; tutti i mezzi sono buoni p u r c h é essa venga difesa ». 20

A tal fine è sovente necessario attaccare p e r p r i m i : «I R o m a n i , prevedendo da lontano i futuri inconvenienti, vi si p r e p a r a v a n o subito e non lasciavano che le difficoltà peggiorassero solo p e r evitare la guerra. Essi sapevano bene che la guerra n o n si p u ò evitare e che il t e m p o lavora sempre p e r il nemico ». Quanto alle n o r m e di tipo u m a n i t a r i o , Machiavelli faceva m o s t r a di g r a n d e scetticismo: « Un le virtù vazione carità e

principe n o n p u ò esercitare i m p u n e m e n t e t u t t e nella m i s u r a in cui l'interesse della sua consergli i m p o n e di violare le leggi dell'umanità, della della religione ».

Dopo Machiavelli, fino all'inizio del XIX secolo, n o n compaiono più d o t t r i n e positive sulla guerra, al di fuori delle elaborazioni teologiche o giuridiche. Analista della guerra, dei suoi fini, dei suoi mezzi, di tutti i suoi aspetti, CLAUSEWITZ a n n o t a i fatti con spregiudicate constatazioni, anche se quasi prive di ogni valutazione. N o n o s t a n t e ciò, egli è, con Marx e Darwin, u n a delle figure p i ù incisive del XIX secolo. Quello che giustificava, p e r lui, la guerra agli occhi della ragione era l'intensità e la varietà dei sacrifici che p e r essa si facevano: occorreva d u n q u e combatterla interamente. Di conseguenza, era il nemico che comandava p e r c h é .bisognava s e m p r e essere p r o n t i a d essergli superiori nello spirito di sacrificio. Clausewitz sostenne l'indispensabilità della esistenza di u n a classe guerriera e la ancor maggiore irrinunciabilità dell'opera volta alla formazione dei soldati. Infatti, a suo avviso, « lo spirito militare trova il suo s o s t e n t a m e n t o nelle tradizioni o nella legislazione, m a non v'è che la guerra che possa crearlo ». La supremazia della politica fu u n o dei principi originali di Clausewitz: l'esercito n o n e r a p e r lui che uno s t r u m e n t o . « In effetti, le guerre... altro n o n sono se n o n espressioni o manifestazioni della politica. Voler subordinare il 21

p u n t o di vista politico a quello militare è u n n o n senso perché il fattore politico decide in q u a n t o facoltà intelligente: la guerra a p p a r e come u n suo s t r u m e n t o e n o n l'inverso. La subordinazione del p u n t o di vista militare a quello politico è d u n q u e la sola possibile ». L'importanza dell'esercito era da lui identificata nella s u a funzione di s t r u m e n t o r i s p e t t o alla politica, manifestazione qualificante della vita sociale: « La guerra si sviluppa nel senso della politica di u n o S t a t o , i suoi principi vi si t r o v a n o in nuce come lo sono i caratteri particolari dell'individuo nell'embrione ». Dunque: « Bisogna fare la guerra con t u t t a la potenza della Nazione ». Per questa via si delineano in Clausewitz i t r a t t i della guerra totale ed a p p u n t o p e r questo: « La g u e r r a è un a t t o di violenza spinto fino ai suoi limiti estremi... ingaggiare u n c o m b a t t i m e n t o con eguali possibilità è una follia pericolosa... la tendenza alla distruzione del nemico è u n corollario della idea di guerra: vittoria è sinonimo di annientamento... ».

5.

Le teorie sociologiche

Queste teorie, p u r avendo in c o m u n e la valutazione della guerra come fenomeno normale della vita dei popoli, nel senso che a quel t e r m i n e conferisce Durkheim, si distinguono p e r la loro m a n i e r a di concepire il futuro: grosso m o d o si p u ò dire che alcune, da definirsi ottimistiche, considerano la guerra il p r o d o t t o di u n a s t r u t t u r a sociale e quindi suscettibile di venir m e n o col venir m e n o di questa; e le altre, di impostazione pessimistica, guardano alla guerra come ad u n fenomeno eterno, talora benefico. LE DOTTRINE OTTIMISTICHE. - Ecco alcuni dei maggiori r a p p r e s e n t a n t i : 22

Secondo SAINT SIMON, l'era industriale p o r r à fine alle guerre. « L'industria è nemica della guerra; t u t t o quello che si guadagna in valore industriale, si p e r d e in valore guerriero ». Nell'Antichità, la vocazione guerresca dei popoli era alimentata, m a t e r i a l m e n t e , dalla schiavizzazione dei vinti. Ora, nella m i s u r a in cui i popoli m o d e r n i provvedono da soli alla produzione, lo stato di guerra o di p a c e dipende dall'industria. Il regime industriale, i n cui gli individui si sostentano c o n la produzione, va sostituendosi, p e r u n a s o r t a di evoluzione storica, al regime militare e all'antico regime feudale caratterizzati dalla circostanza che i mezzi di sussistenza derivavano p i ù o m e n o dirett a m e n t e dal furto. Collaboratore di Saint-Simon, del quale sviluppò le teorie, AUGUSTE COMTE pose ancor p i ù l'accento sulla distinzione t r a stato militare e s t a t o industriale. L'attività u m a n a h a , p e r lui, due soli fini: la conquista o l'azione sulla n a t u r a , cioè la produzione. « Una società che n o n possegga un'organizzazione volta ad u n o dei predetti fini n o n s a r e b b e che un'associazione b a s t a r d a e senza carattere. Il fine militare, ribadis c e Comte, caratterizzava l'antico sistema, quello industriale contraddistingue il nuovo ». Comte stabilisce, parallelamente alla sua legge dei tre stati, u n a legge sull'evoluzione della guerra: 1. La guerra p e r se stessa e p e r bisogno; nessuna scuola, che n o n fosse quella della guerra, poteva insegnare l'ordine alle società primitive, dove favorì la schiavitù e, m e d i a t a m e n t e , l'industria; il militarismo era dunque, oltre che inevitabile, indispensabile. 2. La g u e r r a sopravvive, m a in posizione s u b o r d i n a t a rispetto al nascente industrialismo e decresce col crescere di questo (Comte afferma che le guerre m o d e r n e sono m e n o letali di quelle del p a s s a t o p e r c h é l'insieme 23

della popolazione n o n p a r t e c i p a effettivamente: così, la sostituzione degli eserciti p e r m a n e n t i alle milizie feudali gli a p p a r e c o m e la causa p r i m a della diminuzione dello spirito militare. 3. L'industrializzazione è tendenzialmente u n fenom e n o a t t o a s o p p r i m e r e la guerra. N o n si p u ò fare a m e n o di leggere con ironia queste profezie che l'esperienza c o n t e m p o r a n e a seccamente smentisce, così come smentisce quelle di Spencer. Oggi s e m b r a piuttosto che l'industria abbia allargato i confini della guerra, coinvolgendovi t u t t o e si sia posta alle dipendenze del militarismo. S e m p r e di più essa a p p a r e al servizio della guerra e della sua preparazione. Anche SPENCER, al p a r i di Comte, si r e n d e conto della funzione positiva della g u e r r a nella formazione del mond o e al t e m p o stesso dei mali che essa arreca oggi. T u t t o concorre a questo fine. I n u n a società militare, i n o n c o m b a t t e n t i sono t e n u t i ad assicurare la vita dei comb a t t e n t i e, perciò stesso appaiono completamente utili alla guerra. La società di tipo militare, benché inferiore a quella di c a r a t t e r e industriale, n o n h a giocato u n r u o l o m e n o i m p o r t a n t e , nel senso che l'arma h a p r e c e d u t o l'utensile e in mancanza della p r i m a n o n ci sarebbe stato n e m m e n o il secondo. La differenziazione del m o n d o in Stati n o n h a p o t u t o realizzarsi che con la forza ed in m a n i e r a progressiva. Senza quest'uso della forza, si sarebbe ancora al livello delle piccole t r i b ù n o m a d i invece che allo stadio dei vasti aggregati moderni favorevoli allo sviluppo delle scienze e dell'industria. Una tipica illustrazione della tesi di Spencer è la seguente: finché d u r a la b a r b a r i e e l'infanzia della civiltà, la g u e r r a p r o d u c e l'effetto di s t e r m i n a r e le società fiacche e di eliminare i deboli dalle società forti. Tuttavia, oltre u n c e r t o grado di evoluzione, l'evento bellico diviene causa di a r r e t r a m e n t o , parallelamente « alla tendenza a scegliere e a d esporre alla m o r t e i soggetti dotati di migliore costituzione e i più robusti, lasciando agli individui fisicamente inferiori il c o m p i t o della riproduzione ». 24

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La g u e r r a è invece p e r TARDE u n m e t o d o tragico e non eterno di dialettica sociale. Essa è la risultante di due sillogismi collettivi in u r t o : « Le volontà accumulate nelle d u e nazioni finiscono con l'incarnarsi negli eserciti che m a r c i a n o l'uno c o n t r o l'altro ». E ' sufficiente u n a sola condizione perché le contraddizioni sfocino nella guerra: « Allorché u n a questione viene posta simultaneament e a d u n certo n u m e r o di uomini, t u t t i coloro che condividono lo stesso p a r e r e lo fanno contemporaneamente ed acquisiscono coscienza di tale identità e sincronismo ». Nondimeno, T a r d e vede che l'opposizione in sé n o n crea nulla: « Che si citi u n a g r a n d e battaglia che abbia gener a t o u n progresso decisivo nell'arte militare!... il progresso, in t u t t i i campi, è il frutto n o n della lotta, della concorrenza o della stessa discussione, m a della successione di b u o n e idee concepite da ingegnosi cervelli e adeguate ai tempi: in breve l'evoluzione nasce dall'adattamento e n o n dall'opposizione ». Il perfezionamento dell'arte militare a p p a r e conseguenza « delle invenzioni industriali, artistiche o d'altro tipo e n o n già delle battaglie e delle guerre che lungi dal creare u n t e r r e n o a d esse propizio, n e provocano spesso l'aborto o al m a s s i m o ne suggeriscono talora l'applicazione a l l ' a r m a m e n t o e alla tattica. Gli scontri a r m a t i sul m a r e h a n n o inghiottito nell'Antichità e nel Medio Evo innumerevoli s q u a d r e navali senza p e r a l t r o modificare il tipo di t r i r e m e ». Purtuttavia, la guerra « h a evoluto quasi q u a n t o il lavoro e p i ù dell'amore, delle belle arti e del crimine. I n essa t u t t o cambia d a un'epoca all'altra: i mezzi impiegati e i fini perseguiti ». Quando si t e n t a di riassumere le tesi di MARX e dei 2

GABRIEL TARDE, sociologo e criminologo, 1843-1904.

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MARXISTI sulla guerra si incontra subito l'idea fondam e n t a l e che fu alla base della predicazione di Gracco Baboeuf: « N o n vi è stata che u n a guerra eterna, quella dei poveri c o n t r o i ricchi ». Sarà la lotta t r a le classi l'unica lotta senza soste. Una seconda posizione del m a r x i s m o riguardo alla g u e r r a è d a t a dall'adozione delle tesi machiavelliane della guerra di diversione accompagnata dalla nozione volt e r i a n a di mistificazione. Le classi dirigenti distolgono il popolo dalla lotta di classe suggerendogli passioni nazionali o religiose. La scuola marxista era allora, al cont r a r i o di quella di P r o u d h o n , internazionalista ed antimilitarista. A queste tendenze va aggiunta u n a spiegazione delle cause della guerra, classica delle dottrine socialiste: i conflitti a r m a t i derivano dagli antagonismi economici. Si t r a t t a , com'è evidente, di un p u n t o di vista di capitale i m p o r t a n z a nella m i s u r a in cui sottolinea e m e t t e in luce u n o degli aspetti principali ed inseparabili dei conflitti a r m a t i . 3

DOTTRINE PESSIMISTICHE. - Si trovano, tra i loro elaboratori, dei veri apologisti che preconizzano con soddisfazione l'accrescimento e la nobilitazione della guerra. Così, R . S. STEINMETZ, difensore scientifico della guerra, afferma che la g u e r r a n o n v e r r à m a i m e n o e n o n deve venir m e n o . Egli parafrasa quasi Hegel: « La vittoria è d a t a dall'intima costituzione dei popoli nel m o m e n t o della guerra ». Questa r a p p r e s e n t a il p i ù significativo processo di selezione collettiva ed a p p a r e p r o p r i a dell'umanità: « La g u e r r a è la pietra di p a r a g o n e delle nazioni. Si abbia p u r e pietà p e r i deboli, m a si faccia p o s t o ai forti ». M e n t r e ISOULET t e n t a di d i m o s t r a r e che forza è sinon i m o di virtù: e che i deboli, cioè gli immorali, son spazzati via dalla guerra. Dunque, la guerra è necessariamente morale. Il fattore dell'interazione e della associazio3

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Cfr. FR. ENGELS, Anti-Diihring, capp. II, III e IV.

ne h a d e t e r m i n a t o l'evoluzione degli organismi e lo sviluppo del « senso sociale, scientifico, industriale e morale nell'uomo ». Così come p e r Nietzsche, l'ammirazione di SOREL p e r la guerra, o più e s a t t a m e n t e p e r la lotta, è in proporzione diretta dell'odio p e r la morale cristiana che egli giudica anti-biologica. G. Sorel esalta la lotta delle masse, la g u e r r a civile che sradica il capitalismo, la guerra cronica che a n n i e n t e r à il cristianesimo, ed afferma che l'essenziale di u n a società sono i suoi miti, utili sopratt u t t o a coltivare lo spirito bellicoso delle masse. N é Sorel vede grandi differenze t r a la guerra civile e quella con stranieri: « Uno sciopero generale p u ò benissimo divenire u n a battaglia napoleonica ». Il colmo del bellicismo teorico è raggiunto da GUMPLOWICZ la cui dottrina n o n è che u n avido appello alla guerra: « Il g r a n d e e r r o r e della psicologia individualistica va identificato nella supposizione che l'uomo sia u n essere pensante. La fonte del s u o pensiero si ritrova nel suo a m b i e n t e sociale ». Egli p o s t u l a u n odio c o n n a t u r a t o ed i m m o r t a l e nei r a p p o r t i t r a u n g r u p p o ed u n a l t r o : d u n q u e lotta inevitabile e m o r t a l e t r a i gruppi. Tutte le forme sociali e le istituzioni nascono dalla guerra; l'origine stessa degli stati va ricercata nella unione t r a vincitori e vinti con u n a preminenza dei p r i m i sui secondi; analogamente, il diritto nasce dall'insieme delle regole enunciate dall'elem e n t o dirigente al fine di c o m a n d a r e e sfruttare l'elem e n t o asservito. La stratificazione e l'inuguaglianza sociale scaturiscono dalla evoluzione aristocratica dei vincitori. I n s o m m a , ogni n o r m a obbligatoria di comportam e n t o deriva dalla guerra e le è dovuta. Alle apologie o r a esposte vanno aggiunte quelle dei sociologi imbevuti di fatalismo e di crudeltà « biologica » in v i r t ù dell'applicazione dei principi darwiniani della lotta p e r la vita e dell'eliminazione dei non adatti. Tutti, da LE DANTEC a QUINTON e così via, annettono maggior 27

rilievo ai fenomeni di ostilità che a quelli di collaborazione e di divisione del lavoro che, al contrario, giocano u n ruolo decisamente superiore nell'ambito della vita sociale . 4

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L'enumerazione contenuta in queste pagine è certamente incompleta; si riferisce soltanto alle idee ed agli autori più rappresentativi. Cfr. la nostra opera Les guerres, pp. 38-109, Payot, Parigi.

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Capitolo

secondo

IL F E N O M E N O GUERRA: DELIMITAZIONE E DEFINIZIONE

Beninteso, n o n si t r a t t a qui di fornire u n a definizione provvisoria del « fenomeno-guerra » che consenta di delimitare il c a m p o di ricerca. Una definizione esauriente e definitiva, c o m e « la guerra è... », p r e s u p p o r r e b b e u n a perfetta conoscenza del fenomeno stesso, conoscenza da cui siamo b e n lontani. Di conseguenza, ci si limiterà a d identificare i t r a t t i che lo caratterizzano. Si h a generalmente la tendenza a d integrare la guerr a nell'insieme dei fatti di opposizione e di lotta, a considerarla come u n caso particolare nel contesto della lotta universale. Al contrario, la stessa generalità della nozione, lungi dal chiarire il p r o b l e m a lo complica. Passando di estensione in estensione, si finirebbe p e r conferire l'etichetta « lotta » alle azioni p i ù diverse. Si d i r à che la digestione è u n a lotta dello stomaco contro gli alimenti, che il lavoro della t e r r a è u n a lotta c o n t r o la stessa d a p a r t e del contadino e che la ricerca scientifica configura u n a lotta t r a lo studioso e d il sapere. La parola « lotta » viene anche sovente confusa con quella di « sforzo », ragione p e r cui l'ostacolo è assimilato al nemico. La p r i m a distinzione possibile t r a la guerra e le altre forme di lotta è che queste ultime si possono svolgere t r a cose inerti o avversari incoscienti. La guerra, p e r contro, p r e s u p p o n e u n nemico attivo ed organizzato, implica u n a reciprocità di azioni volontarie. Le teorie darwiniane e lamarckiane sull'evoluzione della spe29

eie h a n n o m o l t o contribuito ad avvalorare questo tipo di confusione. Esse, infatti, considerano insieme e pressoché indistintamente ogni ostacolo che una specie deve s u p e r a r e per sopravvivere e perpetuarsi. Tuttavia, le forme di lotta e di opposizione sono numerosissime e q u e s t a è la ragione per cui la nozione di guerra va n e t t a m e n t e delimitata in r a p p o r t o a t u t t e le manifestazioni di antagonismo conosciute o concepibili. Per evitare ogni confusione, il metodo più sano consiste nel procedere a delimitazioni e suddivisioni. L'aspetto che più colpisce, nella guerra, consiste nel suo c a r a t t e r e di fenomeno collettivo ed è p r o p r i o ten e n d o conto di questa particolarità che essa va t e n u t a n e t t a m e n t e distinta e separata dagli atti di violenza individuale. Né si t r a t t a , beninteso, di un m e r o fatto numerico, nel senso che il passaggio dall'una all'altra categoria dipenda dall'aggiungere una o mille o diecimila unità. I n effetti, t u t t o a p p a r e subordinato alle circostanze e all'apprezzamento, necessariamente a r b i t r a r i o . Alcuni autori ritengono che questa imprecisione m o s t r i q u a n t o sia facile avvicinare la guerra al crimine individuale, nella m i s u r a in cui t r a i due si pone t u t t a u n a serie di forme intermedie '. S a r à p e r t a n t o giocoforza attenersi ad u n criterio e s t r e m a m e n t e elastico per q u a n t o concerne l'estensione dei gruppi che si fronteggiano in u n conflitto di tipo bellico. Quei nuclei possono essere giganteschi, come nel caso dell'Impero Romano, dell'antica Cina o dei grandi Stati contemporanei, m a p o s s o n o anche essere minuscoli senza che le loro lotte a r m a t e p e r d a n o il carattere della g u e r r a vera e propria. Infatti, la guerra si differenzia dalla lotta universale e dai crimini individuali per due altri aspetti importantissimi: un elemento soggettivo: l'intenzione, ed un elemento politico', l'organizzazione. I n realtà, la guerra si p o n e al servizio degli interessi di u n g r u p p o politico, m e n t r e la violenza individuale è a sostegno di u n interesse privato. Anche questo è, p e r ò , 1

PRADIER-FODÉRE, Trattato p. 543.

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di diritto

internazionale,

voi. VI,

u n discorso m o l t o generale che va maggiormente articolato. In primo luogo, m e t t e conto ricordare che il confine t r a diritto privato e diritto pubblico si è sovente spostato. I n alcuni paesi, come il Giappone, p r i m a della capitolazione del 1945, la guerra poteva essere considerata, almeno teoricamente, come u n affare di diritto privato riguardante u n a dinastia di prìncipi i cui interessi erano difesi dal resto della nazione. Nel XVIII secolo si diceva che l'uniforme era « la livrea del Re ». In secondo luogo, occorre sottolineare che è spesso difficile distinguere t r a i fini della guerra e i suoi motivi. Si potrebbe dire, i n linea di massima, che i motivi sono di ordine individuale, m e n t r e i fini di ogni guerra rientrano nella sfera collettiva. Nondimeno, accade spesso che certe guerre, anche t r a le più grandi, n o n siano che estensioni progressive di u n conflitto t r a individui nel quale siano stati trascinati, p e r gradi, interi gruppi. Ancora oggi, le violenze subite da singoli individui sono motivo, o pretesto, di vaste deflagrazioni. Infine, e s o p r a t t u t t o , la guerra h a u n c a r a t t e r e giuridico, t a n t o c h e si è d a qualche p a r t e affermato che essa configura u n vero e p r o p r i o contratto. I n effetti, n o n esiste vera guerra che n o n sia r e t t a d a n o r m e p i ù o meno precise, d a u n diritto formale o consuetudinario. Sulla scorta di q u a n t o sostenuto d a alcuni autori, la guerra n o n a p p a r e suscettibile di essere assimilata n é al c o m b a t t i m e n t o perpetuo di Hobbes (bellum o m n i u m contra o m n e s ) n é a d u n a battaglia senza interruzione. La guerra è, invece, « lo stato di g u e r r a », cioè u n periodo d u r a n t e il quale trovano applicazione n o r m e giuridiche di particolare n a t u r a . Sono persino concepibili lunghi periodi di guerra senza ostilità: così, le lunghe guerre di posizione del XVIII secolo o la situazione che caratterizzava il fronte franco-tedesco d u r a n t e la « dróle d e guerre » del s e t t e m b r e 1939-aprile 1940. Allorché si procede allo studio del duello e delle sue n o r m e regolatrici, ci si accorge di certi aspetti della genesi e del r u o l o della guerra. Il duello è u n a rissa differita: d u e uomini che si sono insultati o che pensino 31

di essere separati da un'insopportabile controversia, rinunciano a scagliarsi l'uno c o n t r o l'altro o a tentare di assassinarsi reciprocamente, col t r a d i m e n t o o con l'imboscata, e convengono di r i t a r d a r e questa battaglia spontanea, rimpiazzandola con u n c o m b a t t i m e n t o regolare e solenne. Analogamente, nella guerra i gruppi o i loro capi frenano gli impulsi guerrieri e non danno loro lib e r o sfogo fino ad u n m o m e n t o determinato e secondo certe regole. E ' possibile, altresì, r i s c o n t r a r e analogie t r a l'aspetto di vero e p r o p r i o processo della guerra, destinata a p o r r e termine ad u n a controversia i cui motivi sono precisati in anticipo, e il duello giudiziario. Quest'ultimo n o n è più, infatti, la manifestazione di u n impulso ostile e distruttorio, m a u n m o d o di enunciare il diritto: Dio d a r à la vittoria a colui che h a r a g i o n e . Nel diritto internazionale oggi vigente, si spiega che gli Stati sono in qualche m o d o obbligati a b a t t e r s i in mancanza di u n a giurisdizione abilitata a dirimere i loro conflitti. Gli aeropaghi sì riuniscono dopo, e n o n prima, la maggior p a r t e delle guerre (vedi il Congresso di Berlino del 1878) per trarre le conseguenze giuridiche dai risultati del conflitto. T u t t o si svolge, i n s o m m a , come se i m e m b r i del Congresso organizzino tacitamente e prescrivano u n duello giudiziario, di cui a t t e n d o n o il risultato al fine di trarne lo conseguenze giuridiche. Ponendosi, di volta in volta, da ognuno di questi diversi p u n t i di vista sono state proposte n u m e r o s e definizioni della guerra. Insistendo sul suo aspetto giuridico, Quincy Wright ritiene che « la guerra sia u n a condizione legale che p e r m e t t e a d u e o più gruppi ostili di c o n d u r r e u n conflitto m e d i a n t e le rispettive forze arm a t e ». Tenendo conto delle intenzioni che sono alla base della guerra, Clausewitz afferma che « essa è u n a t t o di violenza il cui fine è di costringere l'avversario a d eseguire la nostra volontà ». Altri, come von Martens sostengono che la guerra consiste s o p r a t t u t t o in u n a « lotta tra uomini » m e n t r e d a qualche altra p a r t e si 2

2

32

V. ESMEIN, Storia del Diritto

francese.

sottolinea l'esigenza che si t r a t t i di u n confronto t r a Stati indipendenti, cioè che la guerra abbia carattere internazionale (Bynkerschoek, Twins, Gefcken, Bluntschli, Pradier, Ch. Dupuis) ecc. T r a le definizioni più complesse, m e r i t a n o di essere citate quelle di von Bogulslawski: « La guerra è il c o m b a t t i m e n t o condotto da u n certo g r u p p o di uomini, tribù, nazioni, popoli o stati contro u n g r u p p o analogo o simile »; di Lagorgette: « La guerra è lo stato di lotta violenta che insorge t r a due o più gruppi di esseri appartenenti alla stessa specie, dal c o n t r a s t o "dei loro desideri e delle loro volont à " »; o, infine, ancora di Q. Wright: « La guerra p u ò essere considerata alla stregua di u n conflitto simultaneo di forze a r m a t e , di sentimenti popolari, di dogmi giuridici, di culture nazionali ». Da p a r t e n o s t r a , proponiamo la seguente definizione: la guerra è una lotta armata e sanguinosa tra gruppi organizzati . Alcuni troveranno questa definizione troppo estensiva, altri eccessivamente restrittiva. Comunq u e sia, diciamo, p e r riassumere, che la guerra è u n a forma di violenza caratterizzata essenzialmente dalla metodicità e dall'organizzazione q u a n t o ai gruppi che la fanno e ai m o d i con cui essi la conducono. Inoltre, la guerra a p p a r e limitata nel tempo e nello spazio e sottomessa a n o r m e giuridiche particolari, m o l t o variabili secondo i luoghi e i tempi. La sua u l t i m a caratteristica è di essere sanguinosa, perché q u a n d o essa n o n comporti distruzione di vite u m a n e , n o n è che u n conflitto o u n o scambio di minacce. « La guerra fredda » n o n è, insomma, vera guerra. 3

3

Cfr.

Les guerres, op. cit., p. 36 e sgg.

33

Capitolo

terzo

CARATTERISTICHE DELLA GUERRA

1.

ECONOMICHE

Necessità di tuia preventiva accumulazione

Se la si considera dal p u n t o di vista economico, la guerra a p p a r e c o m e un'attività di lusso. Infatti, u n a volta superato lo stadio della razzia, la guerra esige u n a preparazione, a n c h e q u a n d o sia scatenata da u n paese povero c o n t r o u n o ricco con lo scopo dichiarato di impadronirsi delle sue ricchezze. Occorrono a r m a m e n t i ed approvvigionamenti che consentano all'esercito attaccante di comporsi, esercitarsi e sostentarsi almeno fino al raggiungimento dei p r i m i successi, con conseguente possibilità di ricavare risorse dal nemico. E ' impossibile ingaggiare u n a guerra senza u n a accumulazione iniziale di m a n o d'opera, di materie p r i m e e di macchine. Questa circostanza fa sì che la guerra venga assimilata, p e r molti versi, ad u n a vera e p r o p r i a i m p r e s a economica; essa comincia con u n a m m a s s a m e n t o di capitali, d e n a r o o materiali, che diviene t a n t o più sostanzioso q u a n t o più la guerra si allarga e si specializza. I n s o m m a , u n conflitto a r m a t o è sottoposto al fenomeno generale d&ll'allungamento dei processi di preparazione e di produzione configurato d a Boehm-Bawerk. Ogni guerra, dunque, pone innanzitutto dei problemi di finanziamento o, almeno, di produzione ed accumulazione. « Per fare la guerra - sosteneva il Maresciallo de Saxe - occorrono tre cose: denaro, denaro, d e n a r o ». La 35

soluzione classica fornita a questo problema, se n o n altro a p a r t i r e dalla creazione di u n a m o n e t a metallica, consiste nella formazione di u n tesoro bellico. La maggior p a r t e delle città dell'Antichità possedevano u n tesoro di guerra depositato nei templi. La potenza militare e morale di Atene si accrebbe considerevolmente con la scop e r t a di ricche miniere d'argento il cui p r o d o t t o c o n sentì la costruzione della flotta che fece di quella città la m a s s i m a potenza navale del Mediterraneo orientale. Fu, del pari, la grande disponibilità di risorse a permettere alla Repubblica mercantile dei Paesi Bassi la creazione e l'organizzazione di m o d e r n i eserciti p e r m a n e n t i ; formati da mercenari, essi costituivano q u a n t o di meglio vi fosse in Europa, in fatto di disciplina ed equipaggiam e n t o . Analogamente, lo sviluppo militare e navale della Spagna e l'organizzazione di u n esercito p e r m a n e n t e volto al perseguimento di u n a politica imperialistica in tutt a l'Europa Occidentale, furono resi possibili dall'afflusso di metalli preziosi dal Nuovo Mondo. Il famoso tesoro della t o r r e di Spandou, costituito con u n a p a r t e dell'indennità versata dalla Francia al mom e n t o della conclusione del t r a t t a t o di Francoforte ed il tesoro di Menelik, m u r a t o ai piedi della statua commemorativa della vittoria dell'imperatore, sono spettacolari sopravvivenze dell'istituto del tesoro di guerra. Ai giorni nostri, la pratica del tesoro bellico continua a d esistere nella forma più banale di riserve metalliche delle banche di emissione o di divise estere che rappresentano, indirettamente, l'oro. Ciò è provato dal fatto che tali riserve sono poste in circolazione allo scoppio delle guerre, diminuendo o a u m e n t a n d o a seconda dei risultati del conflitto. Forse, a d d i r i t t u r a , è questo lo strum e n t o migliore per identificare il vero vincitore di u n a guerra. Dopo il 1918, le riserve d'oro della Banca di Francia toccarono u n volume mai raggiunto p r i m a ; nel 1945, quel tesoro nazionale era pressoché i n t e r a m e n t e p e r d u t o . Nei quindici-venti anni successivi alla fine della I I guerra mondiale, la maggior p a r t e del prezioso metallo giaceva - a dispetto delle teorie di Strakosch sulla 36

« ridistribuzione dell'oro » - a Fort Knox costituendo il formidabile tesoro di guerra statunitense. Lo stock aureo passa da u n vincitore all'altro. Appare inevitabile che almeno fino a q u a n d o il tallone internazionale resterà p u n t o di riferimento generale, l'oro r i t o r n e r à a giocare questo ruolo di estrema riserva. Infatti, la fiducia nella m o n e t a cartacea si affievolisce i m m e d i a t a m e n t e con l'aggravarsi delle perturbazioni sociali. Non vanno, ixifine, dimenticati, dal profilo della preparazione economica della guerra, i bilanci militari. I n tutti gli Stati organizzati, u n a p a r t e del reddito nazionale è destinata agli a r m a m e n t i e al m a n t e n i m e n t o di una certa aliquota della popolazione (combattenti, tecnici, operai di arsenali e di fortificazioni, m a r i n a i , allievi delle scuole militari e navali) il cui compito è quello di p r e p a r a r e la g u e r r a o di tenersi p r o n t a a fronteggiare qualunque attacco. Per questa via, la preparazione della guerra funzion a da s t r u m e n t o di ridistribuzione dei redditi che vanno ai militari ed assimilati e alle loro famiglie. Per dirla con Keynes, la preparazione bellica contribuisce alla realizzazione del pieno impiego e, in certa misura, al raggiungimento dell'equilibrio economico. Le spese militari appaiono così bene integrate nella n o s t r a esistenza e nei n o s t r i bilanci che u n a loro b r u s c a soppressione creerebbe gravi problemi di disoccupazione e di sbocchi. Nondimeno, i bilanci militari cessano di presentarsi sotto l'angolo dell'equilibrio economico i n t e r n o nel mom e n t o in cui u n o Stato è obbligato a d i m p o r t a r e dall'estero a r m i , materie p r i m e ed altri beni. Nello stesso istante, infatti, si pongono problemi di bilancia commerciale o dei pagamenti, m e n t r e sorge la ponderosa questione dei c a m b i monetari. La guerra 1914-1918 sconvolse r e p e n t i n a m e n t e i cambi e le p a r i t à in u n ' E u r o p a in cui t u t t e le m o n e t e erano stabili. Da allora la situazione n o n h a fatto che peggiorare a m a n o a m a n o che la guerra si meccanizzava e n o n poteva, quindi, più essere c o n d o t t a solo con uomini a r m a t i in m o d o sommario. Tale situazione h a provocato il declino pro37

gressivo delle potenze che n o n dispongono di vasti territori e, s o p r a t t u t t o , di risorse complete di materie prime. La Francia, a d esempio, possedeva una forte cavaller i a il cui m a n t e n i m e n t o gravava sul reddito dell'agricolt u r a nazionale. La motorizzazione rese necessarie, in seguito, enormi importazioni di petrolio. I n ogni epoca, gli Stati h a n n o concepito, più o m e n o felicemente, tecniche e d o t t r i n e economico-monetarie volte in ultima analisi a proteggere ed incrementare i loro tesori di guerra ed il loro potenziale economico bellico. Il bullionismo, il mercantilismo, l'autarchia, la strategia economica m o d e r n a del controllo delle divise ecc. n o n sono, in fondo, che diverse risposte date a questi problemi.

2.

Conseguenze economiche delle guerre

Dopo la fase virulenta del consumo accelerato delle ricchezze (ivi comprese le distruzioni, le quali altro n o n sono che u n a forma particolare di consumo), la guerra, dal m o m e n t o in cui cessa, provoca spostamenti di ricchezze per il solo fatto che essa divide i belligeranti tra vincitori e vinti. D'altra parte, la guerra provoca variazioni nelle strutt u r e economiche, m u t a la destinazione degli investimenti, favorisce lo sviluppo di certe industrie o di alcune forme di produzione, cambia la distribuzione del reddito, l'assetto dei capitali, modifica - a causa dell'insorgere di nuove incombenze (pensioni, tributi, indennità, ecc.) - le caratteristiche del bilancio e della spesa pubblica. Per di più, in conseguenza delle clausole economiche dei t r a t t a t i di pace, la guerra cambia gli sbocchi e il commercio estero influenzando, per ciò stesso, le industrie che ne dipendono, con u n o spostamento degli u o m i n i in esse impiegati. I n definitiva, gli esiti delle guerre possono conferire u n assetto affatto nuovo alla vita ed alla s t r u t t u r a economica delle nazioni.

38

3.

Presunte cause economiche delle guerre

Alcune teorie m o l t o i m p o r t a n t i considerano i fattori economici come causa primordiale di t u t t e le guerre arrivando a d d i r i t t u r a ad a m m e t t e r e che t u t t e le altre ragioni concepibili sono fallaci o si riducono a semplici motivi. Tuttavia la p a r o l a « economico » in sé, stante l'estensione dell'uso che se ne fa, è suscettibile di ingenerare confusione. Essa comprende, infatti, p u n t i di vista diversi o a d d i r i t t u r a opposti: per esempio, le guerre di povertà e quelle di sovrabbondanza, quelle di invidia, di avidità imperialistica o di bisogno effettivo, i conflitti inizialmente o posteriormente, t o t a l m e n t e o parzialmente economici, ecc. La metodologia suggerisce che u n fenomeno così vasto esige di essere analizzato e suddiviso. Come si è visto, incontestabilmente ogni guerra produce, q u a l u n q u e siano le cause, perturbazioni economiche; in altre parole, t u t t e provocano conseguenze sul piano economico. Ciò, però, solo in seguito, perché per p o t e r affermare che i fatti economici sono all'origine delle guerre, a l m e n o dalla p a r t e dell'aggressore, occorrerebbe p o t e r sostenere che la causa o q u a n t o m e n o , il movente del conflitto è esclusivamente di ordine economico e che questo h a r a p p r e s e n t a t o l'elemento iniziale ed insieme determinante del conflitto stesso. In realtà, b e n poche sono le guerre che rientrano in questa definizione. Gli esempi m e n o discutibili sarebber o quelli delle t r i b ù primitive a s t r u t t u r a economica rigida, che attaccavano i loro vicini alla stregua delle formiche, cioè p e r impadronirsi delle loro riserve alimentari. Queste sono le sole guerre integralmente economiche. Nondimeno, q u a n d o sia questione di civiltà complesse, le guerre divengono « politeliche », articolate q u a n t o ai fini, ed al significato. D'altro canto, i bisogni e le attività delle società scientifiche e tecnologiche presentano larghissime possibilità di elasticità del livello di vita, di compensazione e di sostituibilità \ o n d e la ne1

La « legge di sostituzione » sembra esprimere il più dinamico fenomeno dell'economia politica.

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cessità economica n o n a p p a r e m a i immediata o vitale. Si p u ò forse dire di u n a delle r a r e guerre con motivo economico dichiarato, la guerra dell'oppio t r a Gran Bretagna e Cina, che corrispondesse a necessità vitali ed urgenti? S e m b r a , invece, che si possa parlare, al proposito, di guerra di lusso destinata a p r o c u r a r e u n arricchim e n t o supplementare all'economia britannica. Ma, s o p r a t t u t t o , a p a r t i r e da quale m o m e n t o si p u ò dire che la guerra è ineluttabilmente imposta da necessità economiche? Non è, invece, più saggio ed o p p o r t u n o rinunciare ad u n arricchimento o accettare di restringere il p r o p r i o tenore di vita, piuttosto che correre l'alea di un'aggressione? La d o m a n d a è legittima p e r gli Stati non m e n o che per gli individui. Esiste u n livello al di sotto del quale u n o Stato non p u ò più scendere, u n a necessità vitale assoluta, u n a frugalità insopportabile? I n realtà, la grande maggioranza delle guerre economiche, q u a n d o si approfondiscono i motivi che ne sono alla base, finiscono col divenire guerre psicologiche, perché la sete di potere è più forte di quella della ricchezza. D'alt r a parte, il detentore del potere n o n gode delle ricchezze altrui? Un capo b a r b a r o diceva che si sarebbe i m p a d r o n i t o dell'oro con il ferro. Si è sovente sostenuto, p e r esempio, che la Germania si fosse determinata alla g u e r r a del 1914 a seguito della costosissima concorrenza economica sostenuta con le a l t r e grandi potenze industriali ed esportatrici e che fosse sull'orlo della b a n c a r o t t a a causa di t r o p p o vasti investimenti e di u n uso eccessivo del credito. Niente app a r e meno certo; infatti, la Germania avrebbe p o t u t o reintegrare gli industriali ed i commercianti consacrand o loro u n a p a r t e irrilevante del costo degli a r m a m e n t i terrestri e navali e della g u e r r a stessa 1914-1918. Essa avrebbe p o t u t o altresì godere di u n a p r o s p e r i t à infinitam e n t e superiore fra il 1930 ed il 1939, se avesse investito in opere produttive u n a piccola p a r t e delle risorse e dell'energia che aveva p o s t o nelle operazioni, p r i m a clandestine poi manifeste, di r i a r m o . Infine, per alcune guerre, e n o n delle meno i m p o r t a n t i come la guerra del 1870, è 40

impossibile, a n c h e p e r i più prevenuti, t r o v a r e una sia p u r e m i n i m a c o m p o n e n t e economica. GUERRE DI PENURIA o DI SOVRABBONDANZA. - In ogni caso, le forme di squilibrio economico suscettibili di incitare alla violenza n o n possono che essere due: penuria o sovrabbondanza. Fu la scarsità delle risorse che spinse al conflitto le civiltà primitive, sfornite di u n a m e n t a l i t à commerciale ed industriale. Gli storici fanno spesso riferimento al progressivo i n a r i d i m e n t o degli altipiani dell'Asia centrale p e r spiegare l'attività espansionistica delle t r i b ù mongole. Queste iniziarono con l'invasione dei territori circonvicini, dove provocarono veri e p r o p r i sconvolgimenti, estendendo poi l'attività a zone s e m p r e più lontane a mezzo di migrazioni forzate o di corse guerriere (raids). Lo stesso vale p e r le t r i b ù n o m a d i del S a h a r a e dell'Arabia. Tuttavia, queste sono situazioni eccezionali anche p e r i primitivi, i quali, non m e n o spesso, ingaggiavano guerre p e r p r o c u r a r s i schiavi, razziare donne, vendicare offese, p e r tradizioni di ostilità reciproca o semplicemente p e r sport. Quando si t r a t t i di società complesse, la p e n u r i a è, c o m e a b b i a m o già sottolineato, difficilmente configurabile come u n a possibile causa di guerra. Il caso della Germania, nel 1914 come nel 1939, m o s t r a che la miseria e la fame sono venute solo dopo. E ' precisamente nel m o m e n t o in cui dovette subire quelle calamità che quello s t a t o divenne sinceramente pacifico. I n realtà, l'esperienza storica p r o v a che gli Stati sono t a n t o p i ù litigiosi q u a n t o p i ù sono ricchi e ciò n o n stupisce se si pensa che la guerra si prepara con i « surplus ». Si p u ò dire che allorché attaccò nel 1939, la Germania era il più ricco s t a t o europeo, disponendo di stock di risorse di ogni tipo, cioè di ricchezze reali, di p r o d o t t i esistenti, superiori in quel m o m e n t o almeno a quelle di t u t t e le altre nazioni. L'esempio delle guerre coloniali è a n c o r a p i ù impressionante: queste, infatti, sono s e m p r e state scatenate dal più ricco c o n t r o il più povero. F u r o n o gli Stati euro41

pei, allora al culmine della prosperità e della stabilità, a d aggredire le nazioni orientali decadute e l'Africa barb a r a . Allo stesso m o d o , R o m a pose m a n o alle conquiste della Gallia, della Renania e della Dacia nel m o m e n t o in cui toccava il m a s s i m o della ricchezza. LE GUERRE DI SBOCCHI. - Queste sono, analogamente, guerre di sovrabbondanza nella m i s u r a in cui presuppongono u n a nazione che disponga di « surplus » produttivi e che cerchi p e r essi acquirenti a l l ' e s t e r o . « La violenza n o n è solo u n a t t o di volontà m a esige anche, p e r p o t e r essere esercitata, condizioni prelimin a r i concrete, cioè strumenti... » ebbe a sostenere F. Engels. Reciprocamente, p o s s i a m o dire che la presenza delle a r m i n o n è sufficiente se n o n sussiste il desiderio di servirsene. Ancora, se questo « animus » non esistesse, gli u o m i n i impiegherebbero il loro potenziale p r o d u t t i v o p e r p r o d u r r e frigoriferi p i u t t o s t o che tanks, aerei da t u r i s m o piuttosto che b o m b a r d i e r i . Posta u n a interazione t r a tecnica e violenza è essenzialmente la prima che ci appare al servizio della seconda. E' l'impulso bellicoso il movente primario della produzione di armi e, in seguito, dell'uso delle stesse. 2

4.

Guerre e congiuntura economica

E ' a p a r t i r e dal XVIII secolo che si assiste all'insorgere di crisi economiche periodiche. L'importanza crescente dei nuovi mezzi di produzione è alla base della destinazione del r i s p a r m i o verso investimenti in macchine e costruzioni. Sfortunatamente, le industrie di g u e r r a presentavano, grosso m o d o , caratteristiche assai simili a 2

La guerra del 1914, per quanto concerne la Germania, è stata interpretata da molti economisti come una guerra di sbocchi, ovvero di sovrabbondanza (poiché la sua produzione industriale era a quel tempo enorme) sia come una guerra di penuria in quanto aveva quale obiettivo apertamente dichiarato quello di procurarsi le materie prime di cui mancava. L'influenza dell'economia sulla guerra è ambivalente se non contraddittoria.

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quelle dei beni di produzione, come a d esempio, la metallurgia o, in larga misura, le costruzioni (vie di comunicazioni strategiche, p o r t i di guerra, fortificazioni, caserme, ecc.). Ciò consente di c o m p r e n d e r e c o m e la guerra, o semplicemente la sua minaccia, agisca sulle congiunture economiche, per le quali è possibile operare u n a triplice distinzione: u n a congiuntura prebellica, u n a congiuntura bellica e u n a congiuntura di riparazione. L'esempio più p r o b a n t e di congiuntura prebellica è fornito dalla economia tedesca dal 1933 al 1940; essa fu caratterizzata dal risparmio obbligatorio, dalla costituzione di stock e dall'inflazione di ordinativi alle industrie metallurgiche e chimiche. Ne derivò u n a grande prosperità; l'offerta di lavoro eccedeva la d o m a n d a , i salari erano elevati, le industrie lavoravano a pieno r i t m o , lo spirito innovatore riceveva continui stimoli, t u t t o veniva rimesso a nuovo. I n s o m m a l'euforia era al culmine. Queste circostanze fecero dire che « la Germania n o n è mai t a n t o felice come q u a n d o è gravida di u n a guerra ». La congiuntura bellica p r o p r i a m e n t e d e t t a è caratterizzata d a u n c o n s u m o accelerato dei beni accumulati. Le industrie ed i p r o d u t t o r i continuano a lavorare al m a s s i m o della loro capacità; da p a r t e loro, i neutrali sono spinti a d incrementare la produzione per rifornire i belligeranti. Infine, dopo le ostilità, la congiuntura di riparazione si trova di fronte ad u n a s t r u t t u r a economica p r o f o n d a m e n t e modificata. L'attrezzatura del settore che si dedica alla fabbricazione di beni produttivi, enorm e m e n t e stimolata nel corso delle ostilità, trova, poi, u n o sbocco largamente sufficiente nell'attività di ricostruzione dei danni di guerra. Tuttavia, allorché la ricostruzione h a termine, insorge la minaccia della disoccupazione e della scarsità di sbocchi. Nasce allora la crisi, che pone un'alternativa: lasciar arrugginire u n a p a r t e del potenziale industriale o ricercare qualche soluzione ardita. Fino a d o r a si è ricaduti inevitabilmente nei p r o g r a m m i di a r m a m e n t o , sbocchi insaziabili delle industrie metallurgiche in stato di sovrabbondanza. D'altra p a r t e , le guerre, nella m i s u r a in cui genera43

no sempre u n rialzo dei prezzi ed u n incremento del consumo, si presentano con caratteristiche inverse rispetto ai periodi di crisi economica. Esse assorbono gli stock in eccedenza, sia in p r o d o t t i che in uomini, e di conseguenza eliminano la disoccupazione. Il fabbisogno in termini di uomini e le perdite causate dagli eventi bellici creano u n a d o m a n d a di m a n o d'opera che conduce ad u n a u m e n t o generale dei salari e, s o p r a t t u t t o , ad u n incremento del n u m e r o degli impieghi. In sostanza, in u n m o d o o nell'altro, la guerra provoca s e m p r e enormi sbocchi per gli uomini, in q u a n t o unità lavorativa. I n Francia, per esempio, d u r a n t e la guerra 1940-1945, il razionamento obbligatorio, il controllo dei prezzi, quello della produzione, delle organizzazioni corporative e della polizia, ebbero l'effetto di p o r t a r e il n u m e r o dei funzionari dai settecentomila circa del 1939 ai quasi 2 milioni del 1946. Per questa via, la guerra accelera il processo caratteristico della m o d e r n a economia; cioè il rigonfiamento di ciò che Colin-Clark e Fourastié denomin a n o terzo settore, quello degli impieghi tecnici ed amministrativi. I n altre parole, l'economia dirigista del periodo bellico crea u n a mobilitazione amministrativa parallela a quella militare, m a contrassegnata da u n a maggiore persistenza dovuta, essenzialmente, all'assenza di perdite. E ' incontestabile che u n a siffatta conseguenza economica della guerra provoca u n a recrudescenza delle tendenze guerrafondaie in corrispondenza con l'instaurarsi, in u n paese, di u n tenace m a r a s m a economico. Marx riteneva che il capitalismo, parallelamente all'accrescersi della concentrazione delle imprese, sarebbe stato agitato da crisi s e m p r e p i ù violente. Ciò avrebbe provocato le guerre e, di conseguenza, la distruzione totale del sistema capitalistico stesso. La crisi del 1930, a p a r t i r e dalla quale il clima di guerra si installò definitivamente nel m o n d o , s e m b r e r e b b e avallare questa concezione. Nondimeno, va n o t a t o che Marx h a conosciuto solo u n m o n d o economico contrassegnato dalle m o n e t e metalliche e quindi d a u n a forte rigidità dei mercati e 44

dei finanziamenti. Le attuali tecniche m o n e t a r i e sono invece in grado, come Keynes h a b e n considerato, di mutare l'aspetto del problema, in particolare per q u a n t o riguarda la disoccupazione. D'altro lato, le crisi economiche r a p p r e s e n t a n o u n fenomeno relativamente nuovo. Basta p e n s a r e che esse n o n h a n n o più di due secoli di vita, m e n t r e la guerra è nata con l'uomo. Per di più, le crisi, all'inizio, n o n toccavano che i paesi industrializzati, cioè la G r a n Bretagna e qualche paese dell'Europa Occidentale. Infine, n o n si p u ò sostenere seriamente che le crisi economiche portino sempre la guerra. Le crisi più atroci prodottesi in u n m o n d o sorpreso dalla loro novità ed all'oscuro della loro n a t u r a e degli eventuali rimedi, cioè quelle della p r i m a m e t à del XIX secolo, n o n provocar o n o guerre di sorta. Al contrario, questo stesso periodo a p p a r e come t r a i più tranquilli della storia europea. Non è u n caso che proprio in quel clima trovò espressione, da p a r t e di pensatori come A. Comte e H. Spencer, il convincimento secondo cui l'industrialismo sarebb e stato capace, per sua stessa virtù, di far regredire, o a d d i r i t t u r a scomparire, la guerra.

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Capitolo

quarto

ASPETTI DEMOGRAFICI DELLE GUERRE

1.

Effetti demografici della guerra

Ogni g u e r r a presenta n u m e r o s i aspetti, m a ve n'è u n o che costituisce u n residuo irriducibile. Esso attiene infatti a t u t t e indistintamente le guerre, al p u n t o che vi si p o t r e b b e individuare l'essenza stessa del fenomeno: è l'omicidio collettivo, organizzato, finalizzato. N o n ci sono guerre senza omicidio; così, le guerre h a n n o , senza eccezioni, conseguenze di c a r a t t e r e demografico, n o n foss'altro che p e r l'accrescimento a b n o r m e della mortalità da esse provocato. I soli insegnamenti sicuri che è possibile t r a r r e dallo studio oggettivo degli effetti demografici delle guerre sono i seguenti: 1. L'accrescimento della m o r t a l i t à è u n a caratteristica demografica costante e generale della guerra. Nondimeno, tale a u m e n t o varia sensibilmente secondo i casi ed anche in relazione alle fasi di u n o stesso conflitto. Né m a n c a u n nesso con l'esito dello scontro, nella mis u r a in cui la n a t u r a , le percentuali e la ripartizione delle p e r d i t e risultano diverse per il vincitore e per il vinto. I n generale, il p r i m o perde solo dei soldati, cioè degli individui giovani, m e n t r e il secondo, costretto a subire l'invasione, l'occupazione, le devastazioni e le distruzioni sistematiche, subisce perdite più n u m e r o s e e differenziate. Ora, ogni guerra c o m p o r t a l'esistenza di 47

u n vinto o, almeno, di u n a p a r t e soggetta ad invasione. Si t r a t t a di realtà sociologiche imprescindibili. 2. La g u e r r a p u ò essere collocata nel novero delle istituzioni distruttrici volontarie, alla stregua di t u t t e quelle che tendono a d impedire le nascite o a diminuire il n u m e r o dei vivi. Tali istituzioni distruttrici coscienti n o n vanno confuse con le cause inconsapevoli o involont a r i e di mortalità a n o r m a l e , come la fame o le epidemie. Le p r i m e (volontarie) sono istituzioni nel senso sociologico della parola; esse si pongono in stretta relazione con le s t r u t t u r e sociali, la mentalità e gli atti che queste richiedono. Senza dubbio, p u ò accadere che nel corso di u n conflitto sopravvengano carestie o epidemie le quali, p e r ò , si configurano come m o m e n t i dell'episodio principale o come conseguenze di esso. Si t r a t t a , in u n a parola, di ripercussioni o di strascichi '. 3. I n t u t t e le guerre, le perdite dirette consistono essenzialmente nella m o r t e di giovani. Quando vi sono combattenti di età diversa, è n o r m a l e che i più giovani vengano esposti ai pericoli più immediati. Si tratta, nella circostanza, di un'antica tradizione militare. Nell'organizzazione bellica m o d e r n a , sono le truppe dell'esercito attivo, quindi i più giovani, che sopportano i p r i m i u r t i . Queste t r u p p e furono letteralmente decimate nei p r i m i mesi del 1914. Dovunque, le unità d'assalto, quelle acrobatiche, i c o m m a n d o s , i pionieri, i paracadutisti e, u n t e m p o , i reggimenti di cavalleria - con incarichi di assoluta pericolosità - sono c o m p o s t e di giovani soldati. L'impostazione di battaglia degli eserciti romani c o m p o r t a v a t r e linee successive in ordine di età: i più giovani stavano davanti. Infine, q u a n d o d o p o u n a vittoria schiacciante il vincitore si accanisce sul vinto, l'eliminazione è sistematicamente rivolta agli elementi giovani. Nelle epoche poco evolute, in casi del genere, si procedeva al m a s s a c r o degli uomini e al sequestro delle donne. I ragazzi venivano talora risparmiati, m a si faceva m o l t a attenzione a modificare la loro mentalità. E' il caso dei giovani greci, che i t u r c h i trasformavano in giannizzeri. 1

Cfr. le opere di M . L. HBRSCH sugli effetti demografici della guerra 1914-18.

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2.

Funzione demografica della guerra

I n biologia, u n a funzione è u n a operazione che si ripete regolarmente in tutti gli organismi di u n a stessa specie. D u r k h e i m considerava la funzione p r i m a come u n sistema di movimenti vitali, a s t r a e n d o dalle loro conseguenze (es. funzione di digestione) poi come il « rapp o r t o di corrispondenza che esiste t r a questi movimenti e alcuni bisogni organici » (es. funzione della digestione). Per questa via, il termine « funzione » potrebbe attenere u n i c a m e n t e agli organismi. Perché la nozione di « funzione » sia completa, occorre farvi intervenire la ripetizione dell'atto attraverso il quale si manifesta. Per converso, negli organismi complessi, e s o p r a t t u t t o nelle società differenziate, la ripetizione n o n è sempre rigor o s a m e n t e identica. Per di più, essa lascia spazio all'innovazione e all'invenzione. Così completata, la nozione di « funzione » si applica a l t r e t t a n t o bene a d un'istituzione, oltre che a d u n organo. Ora, la guerra è incontestabilmente un'istituzione sociale. Infatti, a d onta della costernazione che accompagna l'insorgere di ogni nuovo conflitto, essa rimane u n a istituzione sociale stabile riscontrabile ovunque esista c o n t a t t o t r a gruppi u m a n i organizzati. Così, la guerra rappresenta u n a delle forme principali di relazioni t r a società. Si t r a t t a , se si vuole, di u n a cruda evidenza, m a n o n per questo m e n o vera. La guerra - che viene esercitata da organi sociali differenziati - è u n fenomeno soggetto a ripetizione, periodico o per lo m e n o periodomorfo, m a n o n d i m e n o soggetto a numerose innovazioni. E ' perciò legittimo p r e s u m e r e che essa eserciti u n a funzione, unica e polivalente . Per q u a n t o concerne l'aspetto demografico delle guerre, quale p o t r e b b e essere questa funzione? Abbiamo già visto che la guerra h a l'effetto primario di a u m e n t a r e la m o r t a l i t à e, spesso, di abbassare, anche 2

2

Sulla periodicità dei fenomeni biologici e sociali cfr. KoSTITZIN, Biologia Matematique e G. BOUTHOUL, Traiti de Sociologie Payot, Parigi 1935, p. 321 e sgg.

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se m o m e n t a n e a m e n t e , la natalità. Ci si trova d u n q u e in presenza di u n m a n c a t o incremento, o, p o t r e m m o dire, di u n « deficit demografico ». Questa circostanza rappresenta l'indizio indiscutibile di u n a funzione di distribuzione e di dispersione, o di c o n s u m o accelerato. Secondo Bergson, « c'è vita ogni volta che esiste u n sistema di corpi capaci di accumulare energia da u n a fonte come il sole, restituendo e liberando in seguito questa energia in m o d o pressoché esplosivo ». Accumulazione lenta seguita da una brusca diminuzione di tensione: questo è il c a r a t t e r e della n o s t r a fisiologia animale. Né il battito cardiaco, né la digestione, né la nascita o la m o r t e sono operazioni continue. Processi analoghi si riscontrano nella n o s t r a esistenza psicologica, specialmente nell'invenzione. Per analogia, t u t t o si svolge c o m e se la guerra fosse u n a funzione sociale ricorrente, caratterizzata dall'accumulazione nell'ambito di una società di un capitale umano che, ad un dato momento, viene parzialmente meno in modo brutale. Abbiamo p r o p o s t o di denominare « struttura esplosiva » la s t r u t t u r a demo-economica di u n certo g r u p p o che sia contrassegnato da una eccedenza di popolazione giovane rispetto ai compiti essenziali dell'economia. Tale situazione crea u n a s o r t a di predisposizione all'impulso bellicoso, poiché tende a d annullarsi in u n a repentina espansione - di tipo spasmodico e collettivo - , di cui l'emigrazione in g r u p p o e la spedizione guerriera sono due classici esempi. Infatti, la guerra non è, in definitiva, che u n a migrazione armata ed organizzata. Talora verso il nemico, talora nell'ai di là. Essa provoca d u n q u e in t u t t i i casi, e qualunque n e sia l'esito, u n a pausa, di varia entità, nel processo di crescita demografica. La curva ascendente si abbassa o si spezza del t u t t o . Non semb r a e r r a t o p a r l a r e di « rilassamento demografico » a proposito dell'eliminazione e del rallentamento b r u s c o delle nascite che fanno inevitabilmente seguito a d ogni guerra . 3

3

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Cfr. Cent millions de morts, p. 47 e sgg.

STRUTTURA ESPLOSIVA. - Uno dei problemi più appassionanti della sociologia consiste nella questione di sapere se la s t r u t t u r a , la composizione e l'equilibrio delle società generino ripercussioni inconscie sulla disposizione psicologica dei loro componenti. Ci si p o t r e b b e chiedere se quegli elementi n o n li inducano a certi impulsi collettivi suscettibili di scatenarsi col favore delle circostanze (spesso direttamente create) e di divenire in seguito razionali t r a m i t e pretesti e ragionamenti giustificatori, p e r a l t r o in buona fede stante l'ignoranza del loro carattere fallace. I giovani disponibili e senza impiego sono predisposti alla turbolenza e costituiscono u n a forza perturbatrice. La canalizzazione della loro turbolenza e dei loro desideri verso u n a guerra civile, una crociata ideologica, un'emigrazione o u n conflitto fuori dei confini nazionali, dipende dai p u n t i di b a s s a resistenza che si offrono loro, dalla congiuntura storica, dalle contingenti tendenze ideologiche oltre che dalle possibilità politiche e tecniche. Il p r o b l e m a è di saper utilizzare quella carica aggressiva. Questo spiega la p r o p a g a n d a demografica che i governi aggressivi ed imperialistici svolgono sistematicamente, moltiplicando, mediante la distribuzione di vantaggi finanziari o c o m m i n a n d o penalizzazioni di ogni sorta, i b a m b i n i della p a u r a ed i figli della concessione. Per questa via, ci si trova di fronte a d u n circolo vizioso in cui inciampano t u t t e le b u o n e predisposizioni. La p a u r a della guerra e la preoccupazione della difesa contro l'aggressione spingono a far nascere futuri soldati. Tuttavia, tale moltiplicazione p o n e in allarme i vicini e provoca stimoli aggressivi all'interno. Facciamo u n esempio: al t e m p o della Rivoluzione dell'89, la Francia era sovrappopolata e lo e r a sia in termini assoluti - tenendo conto delle tecniche, agricole ed industriali, d e l l ' e p o c a - sia in r a p p o r t o alla popolazione del resto dell'Europa. I b a m b i n i del periodo più prolifico della sua storia arrivavano a quel t e m p o all'età adul4

* G. LATINIER nella rivista « Population », gennaio 1946.

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ta. Questo « surplus » si gettò, con la stessa convinzione, p r i m a nella Rivoluzione idealistica della p r i m a fase, poi nelle guerre civili e nel Terrore, nelle crociate repubblicane del Direttorio e, infine, nella guerra dinastica di tipo medievale con dei paladini, appannaggi, marescialli e, a d d i r i t t u r a , u n S a n t o I m p e r o . Successivamente, t u t t o t o r n ò calmo m a con il retaggio di 1 milione e 700 mila adulti m o r t i , cioè con u n a contrazione del 16% circa della popolazione maschile. Si p u ò c o n s t a t a r e che in generale i lunghi periodi di guerra fanno seguito ai m o m e n t i di dilatamento demografico. Così, la guerra dei Cento Anni successe al fortissimo sviluppo della popolazione che caratterizzò l'inizio del sec. XIV; la g u e r r a dei 30 anni e quella di Religione al notevole livello demografico raggiunto nuovam e n t e nel sec. XVI. Analogamente, alla fine del XVIII secolo, accentuatasi la rivoluzione demografica con la diffusione della vaccinazione, scoppiano le guerre della Rivoluzione e dell'Impero. L'esperienza storica d i m o s t r a , d u n q u e , che nessun grande conflitto è spiegabile se n o n si tiene conto del clima particolare stabilito da u n o s t a t o di sovrappopolazione. Una grande guerra non è concepibile in assenza di u n a adeguata s t r u t t u r a demografica . Ciò premesso, la guerra n o n s e m b r a potersi consider a r e un fatto originale, m a piuttosto u n epifenomeno, una manifestazione patologica di squilibri sociali, principalmente di ordine demografico. Questa situazione costituisce u n a delle reazioni caratteristiche della psicologia sociale che si è in precedenza definita « impulso bellicoso collettivo ». Sono p r o p r i o siffatte fluttuazioni che spiegano perché vecchi contrasti o rivalità tra nazioni vicine restino sopite per lunghi periodi p e r riemergere in d e t e r m i n a t e fasi storiche ridivenendo insostenibili. Per la polemologia, ogni guerra h a u n aggressore: questi è colui che presenta il maggior grado di impulso 5

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Cfr. E. LEVASSEUR, La population

francaise, t. I, cap. 1"

aggressivo che desidera di più il conflitto o che vi si lascia coinvolgere, anche inconsciamente, più volentieri. Gli stimoli collettivi più profondi sono sovente i meglio mascherati, nel senso che arrivano più potentemente a d obnubilare la coscienza e lo spirito critico. Tuttavia, alla stregua di tutti i fenomeni sociali, le ripercussioni psicologiche p r o d o t t e dalle variazioni strutturali demografiche sono dotate di g r a n d e plasticità. Non varia solo il tempo di reazione, m a p u ò risultare deviata la stessa reazione che si indirizza verso altri fini o sfoghi. I n questa alternativa risiede, p e r l'umanità, la speranza di c u r a r e o migliorare la p r o p r i a sorte, in q u a n t o se da u n lato u n a funzione vitale a p p a r e insopprimibile, dall'altro è s e m p r e possibile canalizzarla differentemente o, talora, sostituirla. I n u n a parola, i contrasti suscettibili di d a r vita a d u n conflitto esistono, in ogni m o m e n t o ; il p r o b l e m a è di sapere perché l'esplosione si verifichi in un'epoca piuttosto che in un'altra. La fase attiva di u n a controversia a p p a r e d e t e r m i n a t a p r o p r i o dalla s t r u t t u r a demografica. Una nazione che abbia appena s o p p o r t a t o u n a guerra, resta calma di fronte alle più gravi provocazioni. Questa la ragione p e r cui u n a guerra preventiva, che numerosi storici raccomandano agli statisti lungimiranti, app a r e impraticabile se sfornita dell'appropriato r e t r o t e r r a demografico. I n proposito, b a s t a p e n s a r e alle nazioni dell'Europa Occidentale al m o m e n t o della rimilitarizzazione della Renania nel 1936 o di Monaco nel 1938.

3.

La funzione p r i m a r i a della guerra

N u m e r o s e ipotesi sono state formulate al riguardo. Dopo P r o u d h o n , Quinton stima che la guerra serva a perpetuare la specie attraverso la morte degli individui e a determinare la selezione dei migliori e dei più robusti. Per converso, i pacifisti r i b a t t o n o che nella fattispecie si t r a t t e r e b b e di u n a selezione retrograda, ap53

p u n t o perché la guerra provoca generalmente la m o r t e dei più vigorosi e dei più giovani. D'altro canto, se nel regno animale la lotta concerne assai sovente gli appartenenti a specie diverse, la guerra h a luogo esclusivamente t r a uomini e n o n h a d u n q u e niente a che fare con la perpetuazione della specie. Se proprio si vuole trovare u n a qualunque funzione biologica per la guerra bisognerebbe cercarla altrove e, n o n già nella selezione; la funzione in parola n o n pot r e b b e essere che la distruzione in sé e per sé. Essa app a r e e n o r m e m e n t e più stabile e d u r a t u r a nel c a m p o demografico che in quello economico. Infatti, le spese e le perdite economiche derivanti da u n a guerra possono essere r a p i d a m e n t e riassorbite grazie al bottino del vincitore; i morti, invece, restano tali e sono sostituibili solo nel giro di u n a generazione - d u r a t a minima della flessione demografica. Questa sembra essere la principale funzione biologica esercitata d a ogni guerra: m e n t r e tutte le altre funzioni sono soggette ad eclissi, la demografica è la sola che sia assolutamente costante e che presenti u n a correlazione del 100%. Le s t r u t t u r e demografiche sono le p r i m e a subire l'impatto ed a risentire le conseguenze della guerra che, in q u a n t o vera e p r o p r i a migrazione a r m a t a , estirpa dal gruppo (città, tribù, nazioni, imperi) u n certo n u m e r o di uomini con il loro allontanamento e la loro distruzione. L'adattamento della popolazione a se stessa oltre che all'ambiente geografico, economico e politico, n o n si realizza con u n movimento continuo. Alla stregua di tutti i fenomeni biologici, l'assuefazione è spasmodica e raffigurabile con curve di ricorrenza del tipo di quelle studiate dalla biologia m a t e m a t i c a (cfr. i lavori di Lotka, Volterra, Kostitzin, ecc.). La guerra è uno dei fenomeni di a d a t t a m e n t o più b r u t a l i , m a n o n è il solo. Esistono altre istituzioni p r o p r i a m e n t e dette con carattere distruttivo che provocano analoghi effetti di freno e di flessione demografica. 54

4.

Le istituzioni distruttrici

I n t u t t e le società, accanto alla m o r t a l i t à dovuta a cause naturali, si considera u n a mortalità istituzionale, cioè provocata. Questa consiste sia nella distruzione per m o r t e violenta sia nell'azione di condizioni di vita imposte a certe categorie di m e m b r i del corpo sociale, suscettibili di abbreviarne fatalmente l'esistenza. Ricordiamo: a. L'infanticidio diretto. Dice il Corano: « Non uccidere i tuoi b a m b i n i p e r p a u r a della povertà, noi darem o cibo per te e per essi ». Tuttavia nell'Arabia pre-islamica, M a o m e t t o incontrò molte difficoltà nell'eliminare la m o r t a l i t à volontaria della popolazione di sesso femminile. I n altre società primitive, erano i neonati maschi che venivano più volentieri sacrificati. Allo stesso m o d o , nelle civilizzazioni europee dell'Antichità, l'infanticidio era un'istituzione stabile e riconosciuta dalle leggi come u n diritto sacro del capo-famiglia. Quanto all'esposizione dei neonati, ci volle il Cristianesimo perché essa cessasse di essere riconosciuta o tollerata. Ricordiamo che Mose, Romolo, Ciro, Edipo, ecc. - i quali occupano u n p o s t o i m p o r t a n t e nei racconti e nelle leggende - erano dei b a m b i n i esposti. b . L'infanticidio indiretto. La negligenza di cui erano oggetto i neonati di sesso femminile si traduceva fatalmente in u n a forte m o r t a l i t à in m o l t e società arcaiche, come in Cina o presso alcune società orientali. La brutalità, i m a l t r a t t a m e n t i e l'incuria erano forme di infanticidio indiretto che si aggravavano inevitabilmente con la povertà e la sovrappopolazione. Effetti analoghi provocavano l'assenza di u n a legislazione protettiva dell'infanzia al t e m p o della nascita della g r a n d e industria - che impiegava ragazzi di 7 anni nel lavoro delle miniere - e il diritto di p r o p r i e t à del p a d r e sulla primogenitura, riconosciuto dal Diritto Romano e t u t t o r a vigente presso gran p a r t e dell'umanità. La t r a t t a dei negri veniva ali55

meritata in notevole m i s u r a dai genitori che vendevano i p r o p r i bambini. Altre forme di infanticidio indiretto erano i riti di iniziazione che accompagnavano, nelle società primitive, il passaggio dalla condizione infantile a quella adolescenziale (tatuaggi, b a s t o n a m e n t i , flagellazioni, ecc.). Sopravvivenze a questo genere di cerimoniale si r i s c o n t r a n o nelle prove imposte dai vecchi soldati alle reclute e, in generale, in t u t t e le istituzioni che Ammon definisce « selettive » - esami, concorsi, prove, servizio militare - . Queste, infatti, sfociano ineluttabilmente nella stanchezza, nello scoraggiamento, spesso nella distruzione o diminuzione fisica di u n a larga p a r t e dei giovani, sopratt u t t o dei ragazzi. Infine, q u a n d o insorgono crisi, carestie ed epidemie, sono di n o r m a i giovani a soffrirne di più. c. Le mutilazioni sessuali. Queste h a n n o avuto u n ruolo i m p o r t a n t i s s i m o nel corso della storia. Nel XVII secolo Tavernier disse che d u r a n t e u n anno furono creati 22 mila eunuchi nel solo r e a m e di Golconda, provincia dell'Impero dei Gran Mogol. La castrazione accompagnava sovente la schiavitù ed il r a t t o dei b a m b i n i , rivestendo, presso n u m e r o s e popolazioni, u n carattere simbolico: p i t t u r e egiziane ci m o s t r a n o scribi che contavano trofei di questo genere ottenuti dai soldati vincitori. Non è questa la sede a d a t t a p e r e s p o r r e dettagliat a m e n t e le diverse spiegazioni che si sono volute d a r e a siffatta usanza ed è probabile che non esista u n a motivazione universalmente valida. Nondimeno, si p u ò se n o n altro affermare che la pratica della castrazione è collegata, nelle diverse epoche e società, a credenze ed istituzioni ben definite, ponendosi come applicazione logica di queste. Ora, dal p u n t o di vista demografico, le eventuali spiegazioni p o t r e b b e r o essere valutate alla stregua di epifenomeni. Quale che sia la ragione della castrazione, il risultato r i m a n e : u n certo n u m e r o di giovani sono esclusi dall'attività procreativa. Se questa cifra è i m p o r t a n t e n o n m a n c a di ripercuotersi, in u n m o d o o nell'altro, sulla natalità. 56

d. Il monachismo. Questo provoca, senza che vi sian o mutilazioni, lo stesso risultato frenante - sia p u r e differenziato a seconda delle epoche e dei luoghi - nell'accrescimento della popolazione. Esso raggiunge talora uno sviluppo considerevolissimo, come in certi periodi del Medio Evo e nella Spagna del XVI sec. I n Francia, alla soglia della Rivoluzione, il clero contava quasi 200 mila unità; e p p u r e l'apogeo del m o n a c h i s m o era o r m a i lontano. Per q u a n t o concerne la Spagna, a d esempio, il culmine del fenomeno coincide col periodo più intenso dell'emigrazione, q u a n d o la popolazione della penisola viveva nelle Americhe. Un m o n a c h i s m o eccezionalmente sviluppato, come nel Tibet, s e m b r a far p a r t e delle reazioni inconsapevoli p r o d o t t e dall'equilibrio demo-economico . 6

e. La schiavitù. Essa è contraddistinta, dal p u n t o di vista demografico, da u n a debolissima fecondità e d a u n a e n o r m e mortalità. Le r a r e statistiche recenti in nos t r o possesso sulla mortalità degli schiavi nelle Antille all'inizio del XIX s e c , p a r l a n o di u n r a p p o r t o di 5 a 1 rispetto a quella della popolazione n e r a affrancata. La e n o r m i t à del d a t o risulta t a n t o p i ù evidente se si pensa che quella era un'epoca in cui le restrizioni poste alla t r a t t a degli schiavi avevano provocato u n notevole rialzo dei prezzi degli stessi e, per l'aumentato valore, u n miglioramento nei loro confronti. Ai giorni nostri il lavoro forzato esplica la stessa funzione distruttrice, con la circostanza aggravante che l'individuo soggetto al lavoro forzato n o n costa niente e quindi non p u ò s p e r a r e in u n t r a t t a m e n t o che Io preservi in q u a n t o u n i t à economica. E ' possibile assimilare allo schiavismo certe condizioni di lavoro come il t r a s p o r t o u m a n o . I n Cina, anche oggi, persino il lavoro delle fognature è sostituito dal t r a s p o r t o effettuato dall'uomo ed è r a r o che i « écolies » (sparsi a migliaia nelle città cinesi) superino l'età di 25 anni. 6

CHARLES BELL, Ritratto

del Dalai Lama, Londra 1946.

57

Va notato che l'Impero Cinese, come del resto l'Impero R o m a n o , u n a volta raggiunti i limiti dell'espansione e dopo aver goduto per secoli di u n a sicurezza inattaccabile, si i m p e g n a r o n o e n t r a m b i in u n ' i m m e n s a ecatombe di m a n o d'opera servile. Si direbbe che essa abbia r a p p r e s e n t a t o allora il surrogato delle perdite militari dei periodi di lotta e di pericolo. f. 77 diritto repressivo. Questo incide s e m p r e più p e s a n t e m e n t e sui giovani. Il fatto che gli stimoli agiscano più violentemente sugli elementi giovani costituisce u n incitamento alla criminalità, al vagabondaggio, ecc., predestinandoli alla repressione. I vecchi regimi europei e, in generale, i regimi dei paesi arcaici come la Cina, sono caratterizzati altresì dall'uso e s t r e m a m e n t e frequente della pena capitale, la quale viene applicata - sotto forma d'impiccagione o di altri supplizi - anche in presenza di mancanze veniali. Le prigioni erano d a p p e r t u t t o , fino al sec. XIX, veri e p r o p r i luoghi di t o r t u r a dove i detenuti venivano decim a t i dalla fame e dalle epidemie. Ciò premesso, r i g u a r d o alle istituzioni distruttrici, resta fermo che la guerra è, t r a di esse, la più efficace, nella m i s u r a in cui realizza in grande quanto le altre fanno in dettaglio. Ad ogni m o d o , la « piramide delle età » offre il criterio più attendibile p e r giudicare sia l'aggressività di u n o Stato sia l'intensità con cui esso è obbligato a ricorrere a d altre istituzioni distruttrici. Da ultimo, l'emigrazione, benché non possa essere considerata alla stregua delle istituzioni distruttrici, gioca u n ruolo assai simile. Si calcola infatti che 40 milioni di europei a b b a n d o n a r o n o il continente t r a il 1800 ed il 1914. Tale esodo di giovani chiarisce la ragione per la quale il XIX sec. fu, t u t t o s o m m a t o , u n periodo relativamente più pacifico di ogni altro. Dal canto suo, la deportazione altro non è se non un'emigrazione forzata; il suo ruolo è talora rilevantissimo nell'ambito della storia della demografia, b a s t a pensare all'Australia o 58

alla Siberia. Quanto alle perdite di guerra, esse sono assimilabili a d un'emigrazione verso l'ai di là. L'INFANTICIDIO DIFFERITO. - Tutto si svolge come se esistesse un rapporto di equilibrio e di compensazione ira il complesso delle istituzioni distruttrici da una parte e il ruolo demografico della guerra dall'altra', q u a n d o la m o r t a l i t à infantile, le carestie, la miseria, ecc. provocano relativamente m e n o vittime, le guerre in genere n e provocano di più. Siffatta tendenza all'esistenza di u n a relazione inversa trova s o p r a t t u t t o riscontro nella storia degli ultimi d u e secoli. Il r a p i d o incremento della popolazione europea inizia con l'introduzione della vaccinazione anti-vaiolosa e con i p r i m i progressi della medicina: la razza bianca si quadruplica a p a r t i r e dal 1800, m e n t r e le altre razze si r a d d o p p i a n o . E ' u n a coincidenza i m p r e s s i o n a n t e che p r o p r i o in questa fase si situino i grandi eccidi t r a popolazioni bianche: guerre della Rivoluzione e dell'Impero, guerra di Secessione, guerre civili Russa e Spagnola, senza p a r l a r e dei due conflitti mondiali (1914 e 1940). Al giorno d'oggi, s e m b r a che l'accrescimento sia p i ù accelerato nelle regioni asiatiche, onde n o n è improbabile che si assista a d u n a u m e n t o di aggressività da p a r t e delle popolazioni colà viventi. Resta p e r a l t r o ferma la possibilità che queste, essendosi affrancate dal dominio e dalle influenze europee, si rivolgano di nuovo alle loro istituzioni distruttrici tradizionali. Il t e m p o ci toglierà ogni d u b b i o . I n linea generale, infatti, la sovrappopolazione o gli squilibri demo-economici n o n spingono necessariamente alla guerra; essi tendono semplicemente a mettere in moto le istituzioni distruttrici di cui la guerra non è che un caso particolare. Fino ad ora, a t t r a v e r s o la storia, si assiste al prevalere, a seconda delle civilizzazioni dei paesi e delle epoche, di due « tendenze » principali: la p r i m a consiste nell'aggravare scientemente la m o r t a l i t à infantile con l'infanticidio e la negligenza, la seconda si concretizza nella protezione e nel s o s t e n t a m e n t o dei bambini i quali vengono poi indirizzati verso la guerra. Ecco l'infanticidio differito. 59

Capitolo

quinto

CARATTERISTICHE DELLA GUERRA

ETNOLOGICHE

1.

La guerra e la festa

La « festa » occupa u n posto fondamentale nella vita di t u t t i i gruppi. Durkheim h a affermato che, dal p u n t o di vista sociologico, la festa h a lo scopo di rafforzare la solidarietà del g r u p p o , rinnovando periodicamente i contatti, la coesione e l'unanimità t r a i suoi m e m b r i . Presso t u t t i i tipi di civiltà, la festa presenta un certo n u m e r o di caratteri costanti: a. La festa c o m p o r t a s e m p r e la riunione materiale dei m e m b r i del gruppo, sia che si t r a t t i di u n « corrob o r i » australiano, di u n a cerimonia iniziatrice di pellerossa del Mississipi, di u n t a m - t a m africano, dei Giochi Olimpici, dei misteri di Eleusis, di u n a kermesse fiamminga o del Carnevale. b. La festa è u n rito di consumo o di spreco. Il g r u p p o c o n s u m a e a volte a d d i r i t t u r a distrugge nella gioia o nel furore, m a s e m p r e nella esaltazione (libagioni, festini, eccessi gastronomici) quei beni che sono stati, accumulati p r i m a con lentezza. La festa è altresì occasione di prodigalità (gli scambi e i doni si moltiplicano) e spesso, accompagnandosi a d u n m e r c a t o o ad u n a fiera, è s p u n t o p e r rinnovare gli abiti e gli ornamenti, scambiarsi regali, invitarsi a giochi e divertimenti. 61

In questo fenomeno si trova sempre la distruzione ostentata p e r qualche verso legata alla guerra. I popoli sono fieri delle loro perdite ed i riti del trionfo implicano sempre, presso i popoli più diversi, alcune distruzioni simboliche. L'incendio di Persepoli fu verosimilm e n t e un a t t o mistico, un sacrificio in più, fatto da Aless a n d r o al Dio della Vittoria. A Roma, i capi nemici prigionieri venivano strangolati nel carcere Memertino solo d o p o la cerimonia del trionfo. 1

c. La festa si abbina s e m p r e alla sovversione delle regole morali e alla eliminazione dei tabù, o n d e atti abitualmente proibiti divengono c o m p o r t a m e n t i autorizzati, r a c c o m a n d a t i e a d d i r i t t u r a obbligatori. Tra i primitivi, la maggior p a r t e delle grandi feste implicava u n a p a r t e orgiastica in cui cadeva ogni pregiudizio sessuale. A Roma, d u r a n t e i lupercali, gli schiavi davano ordini ai p a d r o n i e, nel corso del trionfo, i soldati imprecavano volgarmente all'Imperatore. d. La festa è u n rito di esaltazione collettiva: danze, libagioni e canti provocano entusiasmi pazzeschi, gioie scomposte, azioni inabituali, furori e violenze. e. La festa genera u n a certa desinsibilizzazione fisica: gli individui affrontano la fatica, a b b a n d o n a n d o s i ad eccessi inconsueti che r e n d o n o loro accettabili persino le percosse o le mutilazioni. Ai giorni nostri, in occasione dei grandi pellegrinaggi persiani a Kerbele, migliaia di fedeli seguono le processioni coperti dal sangue delle ferite che essi stessi si sono inflitte. I n India, alcuni fedeli si fanno schiacciare dal Carro di Dio nel pellegrinaggio di Siva. /. La festa aveva u n corollario nel rito del sacrificio presso i primitivi e in t u t t e le civiltà arcaiche. Potevano essere immolati animali o uomini: il sacrificio, p e r a l t r o , e r a parziale o simbolico, come nelle rappresentazioni sa1

I doni, le distruzioni ostentate, i sacrifici si assimilano al pollateti dei popoli primitivi. Cfr. G. BATAILLE, Le part inaudite, Parigi 1949, p. 92 e sgg. 62

ere in cui alcuni a t t o r i venivano effettivamente soppressi, sia p e r s o n a l m e n t e sia attraverso eventuali sostituti (schiavi o condannati). Tutti i t r a t t i distintivi della festa, fin qui delineati, si ritrovano nella guerra la quale p o t r e b b e essere considerata come la festa suprema, la g r a n d e orgia sacra nel senso sociologico della parola. A differenza delle altre feste, che n o n n e sono che u n a pallida imitazione, la guerra si identifica con la sovversione. Mette conto ora esaminare i p u n t i di maggiore assimilazione della guerra alla festa. CARATTERE ESTETICO DELLA GUERRA. - Esso è sottolineato innanzitutto dall'abbigliamento del combattente. Gli accessori più belli che gli uomini abbiano mai creato, fatta eccezione p e r gli ultimi 50 anni, sono serviti p e r il guerriero. Metalli preziosi, cimieri, p i u m e , caschi scintillanti, stoffe variegate, incisioni, incrostazioni di pietre preziose, facevano p a r t e del suo n o r m a l e corredo. Basta visitare u n m u s e o d ' a r m a t u r e e costumi militari o sfogliare u n a l b u m dello stesso soggetto p e r ricavare u n a idea precisa al proposito. Presso le popolazioni negre, le danze precedono quasi sempre le spedizioni guerriere decise di volta in volta. Lo stesso accade t r a i Pellerossa nord-americani o indiani o polinesiani. Dal c a n t o suo, l'Antichità greca praticava in forma rituale le danze guerriere, specialmente la « pirrica », che talora veniva eseguita in a r m i .

A q u e s t a ridondanza faceva r i s c o n t r o il gusto degli spettacoli militari, riviste, p a r a t e , cortei e fiaccolate. Gli stessi c o m b a t t i m e n t i , p e r gli aspetti estetizzanti, si apparentavano allo spettacolo. La battaglia era u n balletto pericoloso e, per convincersene, è sufficiente dare un'occhiata alle sculture o alle p i t t u r e raffiguranti dei comb a t t i m e n t i , ai basso-rilievi assiri, ai fregi dei templi greci o, infine, ai q u a d r i di Van der Meulen e del b a r o n e Gros. CARATTERE DISTRATTIVO DELLA GUERRA. - La guerra s t r a p p a l'uomo alla sua vita di t u t t i i giorni, collocan-

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dolo in u n ambiente m a t e r i a l m e n t e e psicologicamente inconsueto. La guerra è, in primis, u n a incomparabile fonte di emozioni. Anche nel m o n d o m o d e r n o , la guerra presenta - alm e n o all'inizio - u n incontestabile carattere distrattivo. Colui che viene mobilitato h a d a p p r i m a la sensazione di trovarsi in vacanza, nella m i s u r a in cui è allontanato dalle meschinità quotidiane. Così, egli n o n è più obbligato a pensare alle imposte o all'affitto. D'altro canto, nelle attuali organizzazioni, chiunque sia operaio, funzionario o impiegato subisce u n danno materiale rela-. tivo a causa della mobilitazione, grazie ad u n efficace sistema di concessioni ed indennità salariali. Per questa via, la guerra r o m p e la monotonia della società tecnologica. Alcuni, come A. Huxley e s o p r a t t u t t o M. L e w i s , ritengono che p e r queste ragioni psicologiche Io spirito guerriero è destinato a svilupparsi parallelamente alla meccanizzazione ed alla tecnicizzazione della n o s t r a società. Durkheim, nel suo t r a t t a t o sul suicidio, ed in seguito Halbwachs, h a n n o constatato entramb i che in t e m p o di guerra gli indici dei suicidi t r a i n o n c o m b a t t e n t i cade in media di 2/3 rispetto al t e m p o di pace. Si p u ò ritenere, sulla b a s e di q u a n t o è avvenuto in Germania, che siffatta motivazione sia p a r t i c o l a r m e n t e aderente alla realtà nel caso dei paesi sottomessi a d u n regime molto autoritario. Un simile regime, infatti, p o n e fine ad ogni imprevisto o fantasia nell'esistenza degli individui, allorché i m p o n e l'unanimità, sopprime le lotte politiche, le controversie religiose, filosofiche e letterarie, assoggetta i cittadini al lavoro forzato e a d u n a ottusa disciplina poliziesca. Consapevolmente o no, i cittadini finiscono col r i p o r r e nella guerra l'unica speranza di distrarsi veramente, di r o m p e r e il cerchio della monotonia psicologica e di i n t r o d u r r e l'imprevisto nel prop r i o destino. T r a i primitivi, la nozione di spedizione e di razzia c o m p o r t a v a di volta in volta una pericolosa escursione 2

2

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Culture of Cities, New York 1938.

ed u n a p a r t i t a di caccia infinitamente più esaltante di quella degli animali, anche i p i ù feroci. LA GUERRA E L'ELEMENTO SACRO. - La trasformazione delle m e n t a l i t à è il p r i m o e p i ù i m p o r t a n t e effetto dello stato di guerra. Le costrizioni sociali si modificano. Gli oggetti del sacro e del profano mutano ed i loro limiti subiscono un immediato spostamento. La guerra m e t t e innanzitutto in evidenza l'omicidio, generalmente proibito in t e m p o di pace, m a improvvisamente permesso e r a c c o m a n d a t o di fronte al nemico. Altre interdizioni, volte a proteggere la p r o p r i e t à dei beni e l'integrità fisica, vengono eliminate: il saccheggio e l'appropriazione dei beni nemici, sotto diverse forme, divengono leciti. Anche il r a t t o e s o p r a t t u t t o lo s t u r p o risultano sovente ammessi, a p e r t a m e n t e o tacitamente. La trasmutazione dei valori che Nietzsche auspicava è u n effetto regolare ed immediato della guerra. Ogni conflitto infatti, ci inserisce, dal m o m e n t o in cui viene dichiarato, in u n nuovo universo morale. Si t r a t t a dell'altra faccia dell'allucinazione frammentaria, caratteristica della vita sociale nelle sue manifestazioni parossistiche. I L M A N I C H E I S M O PSICOLOGICO. - Se in t e m p o di pace la nozione di amico e di nemico a p p a r e sfumata, in tempo di guerra il termine « nemico » riconquista il significato primitivo di « hostes »: l'amicizia o l'inimicizia, contrassegnate nella vita da t a n t e variazioni e contraddizioni, si p r e s e n t a n o nel loro significato estremo, quello che conduce ex abrupto... alle soluzioni più drastiche. Occorre, ormai, uccidere il nemico e sacrificarsi interam e n t e p e r gli amici. Non esiste più via di mezzo. G. Tarde h a analizzato su u n piano generale questa situazione nella sua teoria del « duello logico ». Egli n o t a che q u a n d o esistono più tesi o tendenze contrastanti, tale varietà persiste col p e r d u r a r e di relazioni pacifiche. Al contrario, allorché le ostilità h a n n o inizio, non esistono che due campi. Così, il conflitto genera un'assoluta semplificazione logica delle opposizioni, che vengono t r a s f o r m a t e in dilemmi.

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Se u n gruppo scatena la guerra, ad esempio p e r u n a questione di prestigio, il contrasto a r m a t o n o n p o t r à essere limitato al p u n t o originario di a t t r i t o : esso si estenderà, invece, a t u t t i i settori ed assumerà rapidam e n t e risvolti economici, politici, tecnici ed intellettuali. Le attività e le credenze finiscono così col polarizzarsi intorno a d alcuni temi dualistici. I n s o m m a , la g u e r r a impone u n a mentalità manichea.

2.

Riti di guerra e riti sacrificali

I n t u t t e le mentalità primitive si a m m e t t e che gli Dei chiedano che si tolga la vita, in p r o p r i o onore, ad esseri viventi: è questo il sacrificio. Ma quali sono i legami t r a la guerra ed i riti sacrificali? I n certi casi, ad esempio presso gli Aztechi o le popolazioni dell'Oceania, la guerra trova letteralmente la sua ragion d'essere nel desiderio di p r o c u r a r e le vittime reclamate dagli Dei. Per gli Assiri o nella maggior p a r t e delle guerre religiose od anche ideologiche, il r a p p o r t o suddetto, è invece, indiretto. Si p a r t e dall'idea che il conflitto sia, nel suo complesso, u n a specie di sacrificio in m a s s a e che, di conseguenza, riesca gradito agli Dei. Nella Bibbia, nelle iscrizioni assire ed in certi passaggi del Corano un'affermazione del genere si ritrova in forma esplicita. E' curioso, poi, che il culto dei morti - decadente nelle religioni m o d e r n e - r i p r e n d a vigore a p r o p o s i t o della guerra, configurandosi come u n a sua conseguenza psicologica. Ai nostri giorni, si constata che sotto l'influenza del nazionalismo la maggioranza dei popoli tende a d a d o t t a r e delle religioni nazionali incentrate sul culto dei combattenti defunti nel corso di u n conflitto esterno o di una guerra civile. Ognuno si fa u n martirologio. Allora, come aveva p r o c l a m a t o Nietzsche, il culto degli eroi m o r t i con le a r m i in m a n o rimpiazza il culto dei santi. Dal p u n t o di vista sociologico, ci si potrebbe chiedere 66

se l'importanza variabile del culto dei morti, e sopratt u t t o l'esaltazione a morire di m o r t e violenta o ad uccidere, n o n sia correlativa a d altre variabili. I n particolare è possibile che il m o d o di t r a t t a r e il vinto sia legato ad u n insieme di condizioni demo-economiche. E ' così che si è n o t a t o come in generale i popoli dediti alla caccia uccidano i loro prigionieri a causa del bisogno di vasti t e r r i t o r i vacanti, propizi allo sviluppo della cacciagione. Al contrario, le società agricole o artigianali che p r a t i c a n o la divisione del lavoro ed abbisognano essenzialmente di m a n o d'opera, sostituiscono il massacro dei vinti con lo schiavismo e il servaggio. L'efficienza della m o d e r n a tecnologia spiega l'ampiezza senza paragoni delle n o s t r e ecatombi. Infatti, n o n sussiste più, oggi, u n interesse economico a preservare il capitale u m a n o , che è sovrabbondante. Infine, allo stesso m o d o che la più alta forma di autorità è costituita dal diritto di d a r e la m o r t e , si constata spesso la tendenza a m i s u r a r e il valore di u n a causa sulla base del n u m e r o dei m o r t i violenti che essa h a provocato. Si ritiene che ogni ideologia che abbia causato sacrifici e m a r t i r i abbia u n valore intrinseco. Poco i m p o r t a che - occorre farlo p r e s e n t e in n o m e della sincerità e della obbiettività - t u t t e le cause, le migliori e le peggiori, le più assurde e le più sensate, si siano dim o s t r a t e idonee a p r o d u r r e eroiche devozioni. Trotsky, rispondendo a Kautsky che invocava la libertà di stampa, dichiarò in u n discorso: « Le idee in n o m e delle quali si versa sangue sono per ciò stesso assolute, e non si p u ò nello stesso t e m p o considerarle verità relative suscettibili di essere p o s t e pacificamente a confronto con le altre ». E ' questo u n tipico ragionamento « necrolatra »: l ' a m m o n t a r e delle perdite costituisce il criterio ideale ai fini dell'accertamento della verità ideologica.

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Capitolo

sesto

ASPETTI PSICOLOGICI

1.

DELLA

GUERRA

Impulsi bellicosi ed aggressività

I g r u p p i u m a n i sono t r a s p o r t a t i , in certi momenti, da onde di impulsi bellicosi consistenti, come abbiamo già avuto m o d o di sottolineare, in u n o stato d'animo collettivo che spinge la maggioranza dei componenti il g r u p p o a desiderare la guerra o, almeno, ad accettarne l'idea. II t r a t t o caratteristico delle società u m a n e è che esse contano s e m p r e sulla guerra, anche se n o n nel senso che la desiderano in ogni m o m e n t o . Chi è s t a t o bellicoso ieri p u ò desiderare la pace oggi, salvo a ritrovare più tardi l'aggressività m o m e n t a n e a m e n t e assopita. Attraverso quali constatazioni e ragionamenti si fa luce nella coscienza di u n a collettività la convinzione che, ad u n determinato m o m e n t o u n a guerra si imponga? Come ed i n quali circostanze nasce nelle classi dirigenti e nel popolo il desiderio della guerra? Una serie di ricerche effettuate negli Stati Uniti p u ò servire da p u n t o di partenza p e r la n o s t r a indagine: esse m o s t r a n o le strette relazioni esistenti tra l'aggressività e la frustrazione. Quest'ultimo sentimento insorge allorché u n q u a l u n q u e ostacolo ci impedisce di soddisfare un'aspettativa o di raggiungere u n fine. Si constata che l'irritazione provocata dalla frustrazione, e che si t r a d u c e in aggressività, non si indirizza necessariamente verso colui che l'ha causata. Così, a d esempio, il subor69

dinato che sia stato m a l t r a t t a t o da u n superiore si rivarr à probabilmente sulla moglie o sui figli. M. K. Lewin e i suoi discepoli sono stati in grado, per questa via, di d e t e r m i n a r e u n a vera e p r o p r i a correlazione statistica t r a le fluttuazioni del prezzo del cotone e il n u m e r o dei linciaggi. I n altri termini, la frustrazione economica incrementa l'aggressività, la quale si manifesta nei confronti dell'elemento più debole. Nella vita politica l'aggressività provoca il malcontento verso le classi dirigenti, l'amministrazione o il p a r t i t o al p o t e r e . Le cattive condizioni economiche, l'abbassamento del livello di vita, la disoccupazione, ecc. si traducono, nei paesi democratici, nel successo dell'opposizione. Sondaggi compiuti nel Middle West americano h a n n o d i m o s t r a t o che nei periodi di siccità il p a r t i t o politico al potere viene sconfitto, generalmente, in occasione delle elezioni. Nondimeno, m e t t e conto sottolineare che le reazioni alle frustrazioni possono rivestire occasionalmente u n a forma che si p o t r e b b e definire « depressiva ». I n tal caso, la rassegnazione s u b e n t r a all'aggressività e si riscontra u n regresso mentale degli individui, che r i t o r n a n o a d u n o stadio inferiore di vita intellettuale. Se si considera l'individuo isolatamente, n o n v'è dubbio che l'aggressività si trova associata al vigore fisico: puer robustus homo malus. Presso t u t t e le specie animali, compreso l'uomo, i giovani maschi sono particolarmente turbolenti e battaglieri. Tuttavia, le cose assum o n o u n altro aspetto q u a n d o si p r e n d o n o in esame le reazioni di aggressività collettiva: n o n appena si sia in presenza di u n gruppo, le p r e d e t t e reazioni divengono più regolari e s e m b r a n o essere parti di u n a u t o m a t i s m o inconsapevole. Da ciò si p o t r e b b e logicamente d e d u r r e che u n fenomeno del genere sia t a n t o più evidente quant o più il g r u p p o sia n u m e r o s o . Basterebbe pensare, al proposito, al fatto sociale che t a n t o impressionò i precursori della sociologia: l'aggressività della folla (saccheggio, linciaggio, esplosioni di ogni tipo dovunque vi sia u n a folla, repentinamente assalita dal furore, che distrugga, massacri o faccia stragi). Malgrado ciò, un'osservazione approfondita indica che la folla è piuttosto natu70

Talmente passiva, sottomessa e conformista, e che le esplosioni di violenza sono in genere il risultato di u n preventivo i n d o t t r i n a m e n t o o di u n atteggiamento convenzionale. Ad esempio, i partecipanti a cerimonie estetiche od orgiastiche, come i « corrobori » e i tam-tam primitivi, sanno in anticipo che c a d r a n n o in « t r a n s e ». Ciò che caratterizza l'impulso bellicoso di massa, al contrario dell'aggressività di u n individuo o di u n gruppo r i s t r e t t o , è, innanzitutto la profondità e la durata, tali da farne u n a s o r t a di stato d'animo piuttosto che un'azione i m m e d i a t a di violenza. Essa r a p p r e s e n t a il sentimento della necessità di u n periodo di lotte e distruzioni; diviene u n a convinzione che p u ò anche essere u n a semplice rassegnazione ad u n a calamità considerata inevitabile. Quanto alla nozione di frustrazione, questa riveste, q u a n d o si t r a t t i di impulsi bellicosi, le forme più imprevedibili a seconda delle credenze del gruppo. Un'intera nazione p u ò sentirsi frustrata perché, ad esempio, le m a n c a il Santo-Graal o vuole occupare i Luoghi Santi; p u ò convincersi, allo stesso m o d o , che le è insopportabile n o n possedere u n o sbocco su u n certo m a r e o n o n avere pozzi di petrolio: p u ò , ancora, n o n tollerare che i vicini siano dotati di istituzioni o credenze diverse dalle proprie. Siffatta varietà di motivi, suscettibile di n u t r i r e l'aggressività collettiva, ci spinge a credere che essi n o n sian o se n o n dei pretesti o, più esattamente, delle cause occasionali. Questa circostanza rende le differenti motivazioni fallaci e, in certa m i s u r a , auto-mistificatorie. Occorre, d u n q u e , vedere se p e r caso l'aggressività del tipo indicato n o n abbia u n fondamento infrastrutturato p i ù solido e costante. P S I C A N A L I S I DEGLI I M P U L S I BELLICOSI. - Alcuni, n o n senza successo, h a n n o t e n t a t o di stabilire u n nesso t r a gli stimoli aggressivi e i complessi fondamentali della metodologia psicanalistica (complesso del fallimento, complesso di colpa e sentimenti d'inferiorità di t u t t e le forme).

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Il senso del fallimento, spesso legato al complesso di colpa, fisica o metafisica, p o r t a ad u n a personalizzazione degli insuccessi, degli inconvenienti o dell'infelicità. Si tenta, cioè, di far ricadere sugli altri le responsabilità di u n evento che ci ferisce e di cui vogliamo ignorare la vera causa. D'altra p a r t e , la consapevolezza di essere in colpa crea l'aspettativa di u n a qualsivoglia sanzione e, di conseguenza, u n a rassegnazione oscura se n o n addir i t t u r a un'aspirazione al male. In altri casi, il complesso di colpa tende a sublimarsi trasformandosi in eroismo, così il soggetto si vota a coloro che lo circondano, a d un'opera o alla patria. Nondimeno, tale eroismo resta spesso associato ad elementi p e r t u r b a t o r i che si riferiscono alla sua origine. L'eroe aspira al sacrificio, m a per m e r i t a r e u n a u m e n t o di punizione p u ò orientarsi verso nuovi crimini: « L'eroe di guerra, per esempio, p u ò avere l'anima ambivalente di u n a vittima o di u n assassino; è u n m a r t i r e che uccide: egli a s s u m e nel p r o p r i o subcosciente il sacrificio e, a m o ' di ulteriore giustificazione per esso, il crimine » Per quanto attiene ai sentimenti di inferiorità, questi possono avere n u m e r o s e origini, come si ricava dalle mirabili analisi effettuate da Adler e da Oliver Brachfeld. Il loro effetto p r i m a r i o consiste nel fatto che, nella maggioranza dei casi, essi d a n n ò vita a d u n imperioso desiderio di compensazione: in altre parole, noi cerchiamo, per fierezza, di consolarci delle nostre manchevolezze con l'uso di s t r u m e n t i che ci sono più congeniali. Un popolo che si consideri m e n o civilizzato o m e n o ricco di quelli vicini, reagirà, poniamo, sviluppando p e r compensazione la p r o p r i a forza b r u t a . L'impulso bellicoso trova talora fondamento anche nel senso di insicurezza, d o m i n a n t e nel m o n d o contemporaneo, il quale p u ò c o n d u r r e gli individui a preferire la realtà della catastrofe a d un'apprensione costante. Insomma, u n a sorta di complesso di Damocle. 1

ALEXANDER e STAUB, Le criminal et ses juges [II criminale e i suoi giudici].

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2

A l t r o v e , a b b i a m o cercato di m o s t r a r e come t u t t e le generazioni traggano i principali atteggiamenti psicologici nei complessi risultati dei fatti sociali e storici che p i ù le h a n n o emozionate nell'età infantile. Questa è la ragione p e r cui ogni generazione ascendente a p p a r e m a r c a t a dagli eventi che corrispondono all'età adulta o m a t u r a dei genitori. Lo stesso discorso vale per le reazioni affettive: queste nascono dai complessi sviluppati dai traumi derivanti dagli avvenimenti vissuti nell'infanzia. Ora, t r a tutte le perturbazioni sociali, la guerra è p a r t i c o l a r m e n t e feconda q u a n t o a d occasioni traumatiche. Tuttavia, essa rappresenta anche la soluzione catastrofica e dilettevole insieme verso cui si dirigono i nostri più intensi complessi collettivi.

2.

Il c o m p o r t a m e n t o dei combattenti

Il contrassegno essenziale della g u e r r a è che essa introduce i m m e d i a t a m e n t e i soggetti che vi sono coinvolti in u n m o d o o in u n altro, in u n universo psicologico profondamente nuovo in cui i valori appaiono rovesciati e la m e n t a l i t à letteralmente rivoluzionata. Così coloro i quali sono ostili alla p e n a di m o r t e e rimangono impressionati dall'esecuzione del peggior criminale trovano n a t u r a l e che milioni di giovani innocenti vengano m a n d a t i al massacro; quelli che si indignano per il più piccolo spreco non si stupiscono davanti alla distruzion e di intere città e alla dilapidazione improduttiva di miliardi; gli spiriti abituati alla critica ed alla libertà, a d o t t a n o i m m e d i a t a m e n t e l'obbedienza passiva, il fatalismo e, al peggio, la rassegnazione. I n s o m m a , il m o n d o delle relazioni sociali si trasforma, a p p a r e n d o sotto u n a ottica t o t a l m e n t e differente da quella del t e m p o di pace. Così come sarà necessario distinguere la psicologia dei vincitori d a quella dei vinti, occorrerà operare una differenziazione tra quella degli aggressori e quella degli aggrediti. Cosa questa non facile poiché il m a s s i m o 2

Cfr. L'invention, p. 467 e sgg.

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della raffinatezza per u n u o m o di Stato consiste nell'imbrogliare le carte e nel far apparire come legittima difesa una guerra di aggressione. Malgrado ciò, ci s e m b r a possibile postulare che nei due campi contrapposti l'intenzione di battersi o di attaccare è sempre più forte da u n a p a r t e p i u t t o s t o che dall'altra. Il soggetto c o m b a t t e n t e p u ò essere u n coscritto, u n mercenario, u n volontario o, infine, u n fanatico. La dom i n a n t e psicologia del coscritto è la rassegnazione che p u ò essere o m e n o accompagnata da fermezza, coraggio, indignazione ecc. Il mercenario, il quale fa della g u e r r a u n a professione, aspira a d esercitarla con il m a s s i m o di profitto ed il m i n i m o di rischio, onde le guerre che oppongono l'uno all'altro eserciti di mestiere sono quelle che provocano m e n o vittime almeno t r a i soldati. L'esempio che meglio illustra u n a simile tendenza è quello dei condottieri rinascimentali italiani o degli eserciti dei recenti « signori della guerra » cinesi, le cui campagne e r a n o costose e sanguinose solo p e r le popolazioni civili che essi, di comune accordo, sottoponevan o al sacco e all'estorsione o riducevano in schiavitù. Il caso del volontario è più complesso; senza d u b b i o , per quest'ultimo la guerra presenta un'incontestabile attrazione, dal m o m e n t o che egli a m m e t t e di parteciparvi senza t r o p p i problemi. La guerra stessa non rappresenta c o m u n q u e per il volontario un fine in se stesso, nella m i s u r a in cui egli vi entra per la difesa di u n a causa. Il vero volontario è colui che si impegna in u n conflitto e r i t o r n a poi al suo ambiente, al termine delle ostilità, con il sentimento di aver a d e m p i u t o ad u n preciso dovere. Sotto il profilo intellettuale, il soldato p e r d e il fardello delle sue perplessità. Il suo dovere è s e m p r e chiar o ed univoco: « Dove è il m i o squadrone, dice Alfred de Vigny, là è il mio dovere ». Egli ha, per di più, coscienza di esercitare un nobile mestiere che lo r e n d e s t i m a t o ed a m m i r a t o dai suoi concittadini e spesso tem u t o rispettosamente dagli abitanti il paese nemico. Il giovane soldato r a p p r e s e n t a , infine, il massimo dell'attrazione erotica per le donne. 74

3.

Il c o m b a t t e n t e e la gerarchia sociale

P o r t a r e le armi costituisce u n privilegio delle classi dirigenti con cui i soldati s e m p r e si identificano, in minore o maggior misura, essendone un'emanazione. Per Simone de Beauvoir ed Oliver Brachfeld, u n a delle ragioni principali del complesso di inferiorità della d o n n a è la sua n o n partecipazione alla g u e r r a : « Nell'umanità, la superiorità è riconosciuta n o n al sesso che genera m a a quello che uccide ». L'atteggiamento di eroismo gratuito, r a r o dal t e m p o dei Cavalieri E r r a n t i , riprende vigore con il Romanticismo degli inizi del XIX secolo. Esso è fatto a d u n t e m p o di gusto del rischio e di disgusto p e r la vita saggia e regolata. La scelta del rischio guerriero è, per il giovane t o r m e n t a t o nello spirito ed agitato da inquietudini metafisiche, u n m o d o di sfuggire ai problemi più angosciosi e di sentirsi u n o s t r u m e n t o del destino. A ciò si aggiunge u n a s o r t a di ebbrezza della storia che tutti, beninteso, i n t e r p r e t a n o alla loro m a n i e r a e p e r la più grande gloria personale. Le tendenze romantiche, quali si trovano delineate nei dilettanti dell'eroismo come Chateaubriand, Byron, D'Annunzio, Barrès, autorizzano i p r o p r i proseliti a coltivare l'ispirazione; in altri termini, conziali e voluti da Dio. Siffatta mentalità è d u n q u e assai propizia allo sviluppo della guerra. Esiste nella guerra u n aspetto m o r a l e incontestabile p e r cui i p i ù intransigenti pacifisti n o n possono negare che la guerra esalti virtù nobili e commoventi: il coraggio, la devozione, la fedeltà, l'amicizia t r a commilitoni, la lealtà. L'umanità, in tutti i suoi stadi di civilizzazione, è s e m p r e stata consapevole di queste virtù etiche della guerra, annettendo loro gran pregio. Nelle società fondate sul regime delle caste, o nelle quali vigono tipi di gerarchie tendenti al regime delle caste, le virtù guerriere sono considerate particolarmente attinenti ai gruppi con tradizioni militari. Questi nuclei coltivano con cura il sentimento dell'onore, della vi75

rilità, del coraggio, c o m p o r t a n d o s i come depositari di quelle virtù. Nella mitologia indù, la casta militare vien e i m m e d i a t a m e n t e dopo quella dei b r a m i n i ed è t r a i suoi m e m b r i che vengono generalmente reclutati i principi ed i re. La stessa giustificazione della s t r u t t u r a feudale è data dalla necessità della continuità militare: le terre vengono lottizzate t r a le famiglie dei guerrieri per permettere loro di assicurare il servizio militare al r e o la difesa locale ai contadini. Anche i popoli noti sopratt u t t o p e r la loro attività mercantile riveriscono il coraggio militare, considerandolo come u n c o r o n a m e n t o del successo commerciale: a Venezia, i rampolli dell'aristocrazia dei traffici erano spesso ufficiali negli eserciti o nelle flotte repubblicane. Nelle repubbliche e nelle monarchie di tipo democratico, si è visto che la borghesia di Luigi Filippo e di Vittorio Emanuele, della I H Repubblica e della Germania Guglielmina, aspiravano all'ascesa dei p r o p r i m e m b r i giovani ai gradi elevati dell'esercito. I n quale m i s u r a questo culto delle virtù guerriere p r o p r i o di t u t t e le aristocrazie e al quale i giovani di ogni classe sono sensibili, costituisce u n a possibile causa di guerra? Ora è perfettamente concepibile che le aristocrazie militari n o n siano battagliere e che risultino soddisfatte nel loro orgoglio per le prove passate e la gloria acquisita, n o n avvertendo così il bisogno di ulteriori allori. Gli stessi s p a r t a n i avevano finito per divenire u n a nazione pacifica. Una classe di guerrieri trionfanti che godono i frutti delle loro vittorie e della situazione di « eminenti consum a t o r i » in cui quei successi li h a n n o collocati, p u ò essere estremamente raffinata. Tuttavia, la vita militare, s o p r a t t u t t o per i bassi gradi della gerarchia, è fatta piutt o s t o di costrizione e di brutalità. Le vessazioni della vita di caserma, le « corvées », l'esercizio alla durezza ed alla indifferenza per le sofferenze altrui, r a p p r e s e n t a n o la p a r t e essenziale della formazione delle giovani reclute. Si è arrivati a dire, al proposito, che il declino delle b u o n e maniere nel XVII e nel XVIII sec. è cominciato 76

con la coscrizione e l'estensione del servizio militare. Ren a n ebbe m o d o di notare come chiunque fosse passato per la c a s e r m a perdesse generalmente l'esprit de finesse. Innanzi t u t t o , la vita militare sviluppa la brutalità, generando, con il senso del pericolo, il desiderio di godere p r e s t o e senza rispetto per niente e per nessuno i vantaggi che si offrono: « Per colui che vive di m i n u t o in m i n u t o o di battaglia in battaglia, il t e m p o n o n esiste. La compensazione di q u a n t o accadrà diventa chimerica, il piacere del m o m e n t o è il solo a d avere u n a qualche certezza e, per servirsi di un'espressione a d a t t a in questo caso, ogni gioia è t a n t o di guadagnato sul nemico. Non v'è chi n o n veda il carattere c o r r u t t o r i o di siffatta lotteria di piacere e di m o r t e » . 3

4.

Il c o m p o r t a m e n t o dei dirigenti

Il ruolo dei dirigenti nelle guerre ha provocato e provoca t u t t o r a più controversie di quello dei combattenti. Il p r o b l e m a di sapere se i dirigenti n o n facciano che seguire gli impulsi o i desideri delle m a s s e o se, al contrario, n o n vi sia u n influsso dei p r i m i sulle seconde, è u n o dei più discussi in sociologia. Al riguardo, si impone u n a p r i m a distinzione t r a la classe dirigente e l'« élite ». La p r i m a esercita u n potere di fatto senza possedere, necessariamente, u n a superiorità intellettuale o tecnica rispetto alla massa; ciò che spiega p e r c h é essa si identifichi più volentieri con i dirigenti che con l'« élite ». Quest'ultima, al contrario, si distacca dalla massa, nella m i s u r a in cui si compone di u o m i n i in possesso di più vaste conoscenze, dotati di spirito inventivo e di attività superiore alla media, epp u r e sforniti di esercizio effettivo del potere. Una tale differenziazione, p o s t a con s o m m a chiarezza d a Saint-Simon, consente di credere che i dirigenti seguano in complesso la mentalità dell'ambiente più che 1

B. CONSTANT, De l'esprit de conquète

[Lo spirito di conqui-

sta].

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modificarla o precederla. E ' incredibile - diceva Tolstoi come il capriccio di u n capo o di u n a piccola m i n o r a n z a possa trascinare in u n a guerra u n a nazione pacifica. Ciò era concepibile, a rigore, all'epoca delle guerre dinastiche q u a n d o i principi combattevano con piccoli eserciti mercenari, m a n o n è pensabile nei conflitti contemporanei, la cui ampiezza esige u n a partecipazione positiva, se n o n entusiastica, dell'insieme della nazione. Una volta operata questa premessa, è possibile riconoscere che i dirigenti n o n sono m a i la causa assoluta di u n conflitto; al contrario, essi n o n fanno che rispondere ai voti reconditi del loro popolo. Certo, q u a n d o le cose si m e t t o n o male, i dirigenti possono fungere da capro espiatorio alla colpa collettiva come, ad esempio, nel caso di Hitler e Mussolini, t a r d i v a m e n t e sconfessati. Tuttavia, la storia ci m o s t r a anche che i Capi di Stato individualm e n t e pacifisti o su posizioni di resistenza agli impulsi aggressivi dell'ambiente, sono stati spesso d u r a m e n t e puniti. Ricordiamo che le reticenze di Luigi XIV nella g u e r r a di indipendenza americana segnarono il declino della sua popolarità; Io stesso effetto produsse il pacifismo di Luigi Filippo al t e m p o della tensione francoprussiana. Per l'uomo di Stato, la guerra è innanzi t u t t o u n a soluzione semplificativa. Quando la situazione interna si ingarbuglia e si avvelena, niente p u ò p o r t a r e ad u n a schiarita meglio di u n a dichiarazione di guerra. La guerr a elimina la necessità di elaborare laboriosi compromessi e di p o r r e in equilibrio interessi contrastanti. Si p o t r e b b e dire, p a r a d o s s a l m e n t e , che lo scoppio di u n conflitto tronca ogni controversia: spesso ci si b a t t e p e r odio o noia per le discussioni. La g u e r r a è il riposo dei governi, nel senso che essa p e r m e t t e loro, anche q u a n d o siano democratici, di imp o r r e ai cittadini il silenzio, la sottomissione, l'obbedienza passiva, le privazioni. Le elezioni vengono sospese ed i capi diventano inamovibili. La guerra è altresì la soluzione più affascinante p e r i governi. Il più oscuro degli uomini politici, u n a volta 78

che l'abbia dichiarata, si trasforma in u n a specie di pontefice sublime ed aureolato nel cui n o m e muoiono i combattenti. Per costoro si verifica u n fenomeno di cristallizzazione, p e r cui il capo diventa oggetto di fervore ed a t t a c c a m e n t o . Anche se crudele e dissoluto come Giulio Cesare o a s t u t o ed impietoso come Annibale, la vittoria gli assicura l'amore profondo dei soldati. Ci troviamo allora in presenza di u n incontestabile fenomeno di religiosità: la guerra rende sacri i capi. A Roma, il c o m a n d a n t e militare è circondato da pontefici, auguri ed aruspici; talora officia e sacrifica personalmente. Nel Medio Evo, il futuro cavaliere si raccoglie in veglie d'armi di sapore mistico, m e n t r e ai giorni nostri, la promozione dei giovani ufficiali, anche negli Stati ufficialmente atei, si svolge con u n impressionante a p p a r a t o di solennità. Infine, si riscontra presso i capi guerrieri che esercit a n o u n c o m a n d o assoluto, u n fenomeno che si p o t r e b b e definire come « complesso di Abramo », per cui ogni com a n d o illimitato invita chi lo detiene a d u n a vita interna mistica. Il capo s a r à inevitabilmente indotto, nei mom e n t i di responsabilità angosciosa, a rimettersi all'ispirazione nel senso mistico della parola. D'altra parte, il c o m a n d o incondizionato crea altresì degli atteggiamenti psicologici patriarcali, nella m i s u r a in cui il p a d r e è capo onnipotente e pontefice della gens. Ora, i momenti culminanti del potere patriarcale sono quelli in cui il patriarca ordina il sacrificio del figlio. Ciò avviene in u n contesto di ambivalenza psicanalitica consistente nel fatto che il p a d r e i m m o l a sia il figlio indegno sia quello perfetto, vittima incomparabile dedicata agli dei. Il sacrificio di Abramo è la conseguenza suprem a di u n ' o p e r a o di u n a politica; si ricordino, al proposito, Ivan il Terribile, Pietro il Grande, dopo J e p h t é ed Agamennone. La guerra o p e r a u n simile ufficio in m o d o indiretto; il capo, infatti, vi invia e vi dedica i migliori dei suoi figli. Da p a r t e loro, i combattenti, p i ù a m a n o ed a m m i r a n o il loro capo, p i ù aspettano che egli ordini loro sacrifici inauditi. 79

Il complesso di A b r a m o sembra contenere u n altro significato: quello di u n a manifestazione del conflitto t r a generazioni. Le generazioni dei padri, quelle cioè delle persone provvedute e sagge, si trovano s o m m e r s e da u n a gioventù ambiziosa ed ardente il cui n u m e r o eccede le possibilità di impiego e di soddisfazione. Così, essa tende a vedere più o m e n o consciamente, nella soluzione bellica, il rimedio a quella pericolosa situazione.

5.

Le conseguenze psicologiche della guerra

L'analisi dei c o m p o r t a m e n t i individuali e collettivi che fanno seguito alla guerra riveste grande interesse per la polemologia. Occorre sempre, q u a n d o si parli dell'esito di u n a guerra, tener conto del fatto che vi sono, in generale, u n vincitore ed u n vinto. Nondimeno, esistono, sia nella sconfitta che nella vittoria, gradi diversi che v a n n o dalla sottomissione totale al vincitore, capitolazione incondizionata come nell'antica formula: « rimettersi alla clemenza del popolo r o m a n o », alla semplice accettazione di u n t r a t t a t o leggermente svantaggioso. Sfumature di questo genere esistevano anche presso i primitivi. La vera funzione delle guerre si riscontra molto p i ù evidentemente nei conflitti che terminano con u n ritorn o allo s t a t u q u o senza provocare, perciò, cambiamenti di sorta, che in quelli che modificano le situazioni in profondità. I n relazione ai primi, p e r quanti sforzi si facciano, è giocoforza constatare che il loro ruolo altro n o n è stato se n o n di divorare t r o p p e energie, t r o p p i beni, troppi uomini. Anche dal p u n t o di vista psicologico il solo fatto nuovo consiste nella circostanza che l'aggressività degli individui - in particolare quella dei dirigenti e dei combattenti più virulenti - ha fine. Nelle guerre moderne è talora possibile discernere il m o m e n t o in cui l'impulso bellicoso e l'intransigenza che le accompagnan o cominciano a flettere. I n tal caso, le soluzioni di 80

c o m p r o m e s s o che apparivano indegne all'inizio, vengono prese in considerazione senza disgusto. La fine della guerra genera u n ' i m m e d i a t a ed intensa sensazione di euforia attinente in p r i m o luogo ai combattenti, i quali vedono r e p e n t i n a m e n t e venir men o la minaccia che incombeva su di loro. Tutti nuotano nella gloria dell'avventura eccitante che è finita senza provocare t r o p p i danni; nello stesso t e m p o si alleggeriscono le più pesanti incombenze militari: alcune conoscono u n a vera e p r o p r i a smobilitazione, altre attraversano m o m e n t i di sosta. Per il paese vincitore, l'euforia si spiega facilmente: esso h a raggiunto i suoi scopi e si aspetta dalla vittoria annessioni territoriali, indennità e vantaggi di cui profitteranno u n a p a r t e p i ù o m e n o grande dei cittadini. Tuttavia, anche il vinto vede arrivare la pace con u n sollievo talora più grande: se il suo territorio viene occupato, la speranza è che venga p r e s t o evacuato, che le requisizioni cessino, i prigionieri ritornino e le costrizioni scompaiano. E ' p e r a l t r o chiaro che u n simile s t a t o d'animo n o n sempre è riscontrabile; l'osservazione vale s o p r a t t u t t o nei casi in cui la guerra abbia causato, distruzioni materiali eccessive, tali d a rendere problematico u n ritorn o alla vita normale. Così, a d esempio, il sollievo che accompagnò la fine della I I guerra mondiale fu m e n o intenso di quello del 1918: per la p r i m a volta, l'Europa aveva toccato con m a n o le conseguenze di u n a guerra totale e t u t t i sapevano per esperienza che alla fine di u n conflitto n o n segue necessariamente l'avvento della prosperità. La tendenza naturale dello spirito u m a n o è di considerare che ogni guerra i m p o r t a n t e ponga fine ad un'epoca, a p r e n d o n e un'altra. Non è u n atteggiamento arbitrario quello degli storici che formulano siffatto ragionamento; essi non fanno che conformarsi allo stato d'animo generale e a d u n a tradizione millenaria. Una volta t o r n a t a la pace, gli uomini sentono di aver compiuto u n ' o p e r a i m p o r t a n t e , di aver confrontato e risolto 81

i problemi che si ponevano loro nel m o d o p i ù a c u t o . Essi h a n n o p r o c e d u t o a d u n riorientamento, h a n n o chiuso un'epoca e ne h a n n o a p e r t a u n a nuova. La guerra è l'esame dei popoli - disse von Bernhardi - e l'euforia post-bellica somiglia molto al rilassamento che succede, p e r gli studenti, al m o m e n t o cruciale dell'anno scolastico. Bene o male, l'esame è passato. Una circostanza del genere fa sì che la guerra venga considerata, t a n t o dai belligeranti che dai neutrali, alla stregua di u n a fonte di insegnamento. Esiste u n a tendenza generale a m e t t e r s i alla scuola del vincitore e, inversamente, a denigrare le istituzioni ed il carattere del vinto, r i t e n u t e responsabili della disfatta. Sotto il profilo psicologico, i periodi post-bellici gen e r a n o complessi di vario ordine. I più gravi sono manifestamente quelli di inferiorità dei popoli vinti, i quali spesso si t r a d u c o n o in atteggiamenti espiatori. Si decide allora la « g r a n d e Penitenza » come accadde in Francia dopo il 1940. E ' impossibile vedere in questi atteggiamenti di auto-fustigazione la reviviscenza di u n arcaico processo magico, riscontrabile in t u t t e le epoche e p e r t u t t i i paesi: gli Antichi, dopo la disfatta, offrivano agli Dei sacrifici espiatori e si imponevano ogni s o r t a di privazioni. Nelle civiltà m e n o arcaiche, il sacrificio persiste nella forma distorta della sanzione: è r a r o che all'ind o m a n i di u n a sconfitta n o n si assista all'esecuzione di qualche capo, e talora di u n a intera p a r t e della popolazione sotto l'accusa di aver demeritato o di aver tradito. Il sacrificio dei capri espiatori purifica così i sopravvissuti. Un'altra conseguenza delle guerre, in particolare q u a n d o sfociano in un'egemonia sufficientemente stabile, è di i m p o r r e l'imitazione dei vincitori. Da questo p u n t o di vista la g u e r r a è forse il mezzo più efficace di contatto t r a nazioni. Un paese p u ò chiudere le sue frontiere in t e m p o di pace, abbandonandosi alla xenofobia più delirante, c o m e la Cina nel XVIII secolo; m a la b a r d a t u r a crolla davanti a d un'invasione. La guerra, per questa via, r o m p e l'isolamento culturale ed econo82

mico. Analogamente, è possibile operare u n a forte differenziazione t r a i conflitti che sono semplici incidenti episodici senza conseguenze, se n o n eventuali rettifiche delle frontiere, e quelli che al contrario provocano trasformazioni nelle istituzioni e nella mentalità. Di qui l'importanza e n o r m e delle guerre coloniali, a dispettò della modestia dell'aspetto s t r e t t a m e n t e militare; esse, infatti, danno vita a vere e proprie modifiche sociologiche. Le minuscole esperienze di Cortez e Pizzarro furono p i ù incisive, p e r q u a n t o concerne la civilizzazione spagnola, delle guerre di Carlo V. L'assopimento dell'impulso bellicoso dura in genere il t e m p o che occorre p e r ricostituire le perdite del precedente conflitto. Un t e m p o questa convalescenza era lunga, stante la debolezza della crescita demografica: ai nostri giorni, invece, i più terribili massacri trovano compenso nel giro di pochi anni. Allora si risvegliano le rivendicazioni ed i vinti pensano alla rivincita. Dal canto loro, i vincitori ritengono di m e r i t a r e , per il loro sacrificio, u n a maggiore ricompensa in bottini, annessioni e d avvilimento dell'avversario. Il ciclo così si chiude e le tendenze aggressive sono di n u o v o p r o n t e a manifestarsi.

6.

Le forme del pacifismo

Conviene esaminare qui il pacifismo come p a r t e degli atteggiamenti psicologici compresi nell'insieme del fenomeno-guerra. L'INCLINAZIONE AL P A C I F I S M O È L'INVERSO D E L L ' I M P U L -

- Ecco perché esso si diffonde in genere dopo le guerre, contrassegnando la c a d u t a o la flessione del tono guerresco. Il pacifismo r a p p r e s e n t a u n a reazione psicologica diretta che tocca le convinzioni senza p a s s a r e preventivamente, come i giudizi teologici o filosofici, attraverso complicati ragionamenti. Il pacifismo n o n passa n e m m e n o , alla stregua dei piani di pace, attraverso teorie causali preventive; esso n o n è che SO BELLICO.

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l'espressione di u n atteggiamento e di u n desiderio. Ins o m m a , il pacifismo è u n c o m p o r t a m e n t o i m m e d i a t o , Uno stato d'animo ancora n o n passato al filtro del ragionamento. Poiché, tuttavia, l'uomo è fondamentalmente u n animale sociale, le reazioni spontanee assumono s e m p r e per lui u n a forma sistematica e diversificata a seconda dell'universo culturale che gli è p r o p r i o . Quando poi si t r a t t a di pacifismo, si p u ò considerare che la maniera in cui viene formulata la rivendicazione della pace dipende strettamente dalla concezione dominante sul significato della guerra. Ci sembra, di conseguenza, che gli atteggiamenti e le dottrine pacifiste possano essere classificate in due grandi categorie a seconda che i loro p r o m o t o r i , p u r maledicendo la guerra, persistano nel considerarla cosa sacra o, p e r converso, si sbarazzino di siffatta riverenza e se n e occupino come di u n a cosa profana, condannabile e degna di disprezzo. I L P A C I F I S M O SACRO. - Di questa p r i m a categoria fann o p a r t e il pacifismo biblico, quello r o m a n o e il pacifis m o fatalista. 1. Il pacifismo biblico. La guerra, essendo considerata, come si è già visto, alla stregua di u n castigo inflitto da Dio ai cattivi ed ai peccatori, il pacifismo dei profeti consisterà nel vegliare rigorosamente perché n o n vi siano empietà, i m p u r i t à o sporcizie che attirino sulle c o m u n i t à u n a sanzione divina. 2. Il pacifismo romano. E ' u n pacifismo da trionfatori saturi, stanchi di vincere e castigare m a che, nondimeno, continuano a caricare i vinti di ogni responsabilità. Il ruolo di R o m a è di regnare, governare a piacimento ed enunciare il diritto t r a i popoli. Disobbedire al popolo r o m a n o è insieme un'empietà ed u n crim i n e di lesa maestà. 3. Il pacifismo fatalista. Si riassume in u n comport a m e n t o di n o n resistenza. Quali che siano i loro sforzi, gli uomini n o n padroneggiano né la pace n é la guerra, né la vittoria, né la disfatta. La guerra è l'ineluttabile

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s t r u m e n t o del destino ed il vincitore l'eletto degli dei. Non resta che inchinarsi. I L P A C I F I S M O E S C L U S O DALLA NOZIONE DEL SACRO. - Della seconda categoria fanno invece p a r t e il pacifismo evangelico, quello lamentoso, quello « m o d e r a t o », il bellicoso e infine l'irriverente. 1. Il pacifismo evangelico. Se ci si basa su numerosi testi, p u ò a p p a r i r e strano che il Nuovo Testamento non concepisca la guerra come u n a cosa sacra. Dio, infatti, n o n è m a i responsabile della guerra che è fatto p u r a m e n t e u m a n o e, dunque, peccato. « Chi di spada ferisce, di spada perisce ». Anche q u a n d o , più tardi, è costretta a venire a p a t t i con le potenze temporali, in particolare in occasione delle crociate, la Chiesa conserva n u m e r o s i segni del primitivo atteggiamento: in linea di principio, la guerra è proibita p e r t u t t i i m e m b r i del corpo sacerdotale. E ' possibile assimilare al pacifismo evangelico le dottrine nella non-violenza (Budda, Tolstoi, Ghandi). 2 . Il pacifismo lamentoso. P a r t e dall'assunto che è sufficiente ricordare agli uomini q u a n t o le guerre siano crudeli, q u a n t e distruzioni provochino, e massacri e sofferenze, p e r p r o v a r n e disgusto. (Tuttavia i pianti non hann o guarito nessun malato). Questo genere di pacifismo sembra altresì considerare la guerra come u n errore di calcolo d a p a r t e dei dirigenti e, dal lato dei popoli, alla stregua di u n allenamento fatto di leggerezza e di collera. 3. Il pacifismo « moderato ». Mira a moralizzare la guerra p i ù che a condannarla o a d eliminarla formalmente. E ' u n a forma di pacifismo che si ritrova in t u t t i gli a u t o r i di diritto internazionale, la cui dottrina si limita a proscrivere la crudeltà ed a proibire gli eccessi. 4. 77 pacifismo bellicoso. E s o r t a i popoli a fare la guerra per eliminarla. E ' il pacifismo di cui usò ed abusò la p r o p a g a n d a di tutti i belligeranti nel 1914-1918, valendosi di espressioni come: « guerra alla guerra » e « l'ultima delle ultime ». Grandi conquistatori h a n n o spesso impiegato questa forma di pacifismo a m o ' di

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giustificazione per la loro opera. Così Napoleone spiega nelle Memorie che il suo desiderio era di realizzare la pace p e r p e t u a con la creazione di u n o Stato unico. 5. Il pacifismo irriverente. Si sforza n o n solo di dissacrare la guerra, m a anche di sottrarle l'enorme prestigio conferitole dalla letteratura epica in ogni forma e dall'educazione che noi riceviamo. Siffatto pacifismo dissimula la indignazione m e t t e n d o in ridicolo gli usi militari ed il nazionalismo aggressivo, attaccando i capi e le loro leggende. Il Candido ed il Dizionario Filosofico di Voltaire, insieme all'Isola dei Pinguini di A. France ne sono le più incisive espressioni. Il pacifismo in parola conobbe u n e n o r m e sviluppo d o p o la guerra del 1918. I n Francia, il poeta Jacques P r é v e r t ne è il r a p p r e s e n t a n t e più significativo nel c a m p o letterario, così come il « Canard enchaìné » e il « Crapouillot » in quello giornalistico. 4

4

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J. PRÉVERT, Paroles e La bataille de Fontenoy in

Spectacles.

Capitolo

settimo

CAUSE DELLA GUERRA PIANI DI PACE

E

« La frequenza stessa delle guerre, disse Novicow, s e m b r a d i m o s t r a r e che esse n o n risolvono nulla ». Un simile concetto p u ò applicarsi a l t r e t t a n t o bene alla pace ed ai t r a t t a t i che la consacrano. Sono stati e n u m e r a t i ottomila t r a t t a t i di pace conosciuti che h a n n o fatto seguito a d ottomila guerre: eppure, è s e m p r e stato necessario ricominciare d a capo. Tuttavia, si è tentato a b b a s t a n z a presto di dare alla pace basi più stabili di quelle offerte dagli accordi particolari. Dal p u n t o di vista giuridico si è fatto n o t a r e che i t r a t t a t i di pace, p e r il fatto stesso che pongono fine alle ostilità, sono t u t t i macchiati di violenza. I vinti non si p r e o c c u p a n o m a i di considerarli nulli alla p r i m a occasione. Occorreva, di conseguenza, cercare di uscire dalla spirale p e r p e t u a della violenza sostituendo le vedute generali a quelle particolari e rimpiazzando i cont r a t t i con u n o statuto od u n a legge internazionale capace di evitare il ricorso alla forza. D'altro lato, bisogna p r i m a conoscere i fatti che turb a n o la pace p e r e m a n a r e leggi in grado di eliminarli. Per questa via, è accaduto che t u t t i i progetti di pace propostici nel corso dei secoli h a n n o t r o v a t o fondamento, implicitamente o meno, in u n a teoria causale della guerra. In generale, i piani di pace vedono la luce dopo u n a serie di guerre, ponendosi come riflessi della stan87

chezza, dell'indignazione e del desiderio di smetterla che contrassegnano i periodi post-bellici. Purtuttavia, ogni epoca presenta particolari motivi di guerra che impressionano i contemporanei, alimentando le loro riflessioni. Ora, con u n processo di generalizzazione riscontrabile in t u t t e le dottrine sociologiche, siffatta motivazione si estende s e m p r e alle guerre passate, presenti e future. Gli autori dei progetti di pace dicono, in sostanza: « che u n a certa causa è alla base di u n a certa guerra ponendosi, estensivamente, come matrice di tutti i conflitti a r m a t i . Ciò premesso, essi propongono una d e t e r m i n a t a m i s u r a volta a d abolirla o a neutralizzarla e, quindi, ad assicurare la pace definitiva ».

1.

Piani economici di pace

E' possibile affermare, grosso modo, che il m o n d o europeo h a vissuto, dal t e m p o del Basso I m p e r o Romano, sotto diversi regimi di economia controllata. I n più, il bullionismo ed in seguito il mercantilismo sono stati presentati come necessari al consolidamento militare degli Stati, t r a m i t e la costituzione di tesori di guerra. Ora, poiché le guerre n o n sono m a i venute - meno, è conseguenziale ritenere che il dirigismo, il protezionismo doganale, il colbertismo ed il mercantilismo costituissero altrettante cause di guerra. Questo è il motivo p e r cui i fisiocrati si ersero c o n t r o il colbertismo ed i liberali c o n t r o il protezionismo, nella convinzione che il libero scambio dovesse p o r r e i m m e d i a t a m e n t e fine a t u t t i gli antagonismi economici interstatali. Tra le altre, mette conto ricordare la tesi di Geremia Bentham, il quale p r o p o s e la soppressione di t u t t e le colonie. La sua teoria si fonda\'a sulla circostanza che, a quell'epoca, gli Stati europei consideravano le colonie alla stregua di sbocchi economici riservati alla loro industria ed al loro commercio. A p a r t i r e dal Rinascimento, la Gran Bretagna rinunciò alle conquiste territoriali nel continente europeo, facendosi pagare con vantaggi coloniali ogni partecipazione ad u n a g u e r r a vit88

toriosa. Bentham, economista inglese, era n a t u r a l m e n t e p o r t a t o a t r a r r e la conclusione che la conquista di nuove colonie fosse la causa dell'aggressività britannica. Uno dei progetti di pace b a s a t o sulla c o n d a n n a del dirigismo è stato messo alla prova: i liberali la spunt a r o n o nel XIX secolo ed il loro trionfo conferì grande slancio alla produzione ed all'espansione europea. A dispetto di ciò, non sembra che tali trasformazioni abbian o t r o p p o influenzato l'aggressività dei gruppi e delle nazioni. Tutt'al più, si p o t r e b b e dire che il r i t m o delle guerre sia m u t a t o , non diversamente, peraltro, da quanto accade allorché si abbia u n a modificazione delle strutture degli Stati, delle popolazioni e delle colonie. A sua volta, l'economia liberale sarebbe stata accusata di essere la causa principale delle guerre. La guerra del 1914-1918 si chiuse con il trionfo delle dottrine socialiste, a quell'epoca senz'altro pacifiste, internazionaliste ed antimilitariste. Per di più, poiché i partiti socialisti n o n erano al potere in nessuno dei paesi in guerra, essi n o n ne s o p p o r t a v a n o in alcun m o d o la responsabilità attiva o passiva. D'altro lato, il capitalismo e r a il regime economico del m o m e n t o ed era facile derivarne la conclusione, a t o r t o od a ragione, che esso fosse l'unico fattore di guerre. E' possibile dire in assoluto, alla luce dell'esperienza storica, che il capitalismo sia in m o d o costante p i ù o m e n o aggressivo di altri sistemi? La sua sparizione sarebbe in grado, come si è r i t e n u t o , di assicurare la pace universale? Occupiamoci, innanzi t u t t o , dei precursori del capitalismo m o d e r n o . La politica dei p r i m i Stati commerciali (Cartagine, Venezia o i Paesi Bassi) e r a bellicosa o pacifica a seconda dei loro interessi e della congiunt u r a storica. Restava fermo, p e r ò , che essi non potevano adattarsi ad u n a situazione di guerra p e r p e t u a analoga a quella che caratterizzava il Medio Evo o civiltà primitive come quella dei Mongoli. Il commercio e gli affari, infatti, richiedono lunghi periodi di pace ed è p r o p r i o questa considerazione che indusse Spencer a stabilire u n nesso t r a lo Stato industriale e la pace. 89

D'altra parte, sotto il profilo psicologico, il culto della gloria militare è vivo a Londra, a Berlino, a R o m a e a New York, così come lo si celebrava a Venezia, Firenze ed Amsterdam. L'esperienza ci dice che oggi a quel culto n o n sono insensibili n e m m e n o gli Stati socialisti. I n s o m m a , la volontà di potenza e gli impulsi bellicosi s e m b r a n o del t u t t o indipendenti dai sistemi economici. Lo stesso vale per i tipi di gerarchia politica o sociale dell'organizzazione del lavoro o dell'appropriazione dei beni di produzione e di consumo. Aristocrazia, feudalità, plutocrazia, capitalismo, economia comunitaria o socialista, primitiva o m o d e r n a , schiavismo, lavoro libero o forzato, servitù o piccola p r o p r i e t à , in t u t t e le loro s t r u t t u r e , p r e s e n t a n o eserciti e guerre. Ogni bisogno può dare teoricamente luogo ad u n a lotta destinata a soddisfarlo a d e t r i m e n t o di altri; ogni disaccordo economico è suscettibile di avvelenare e di d a r vita ad u n conflitto. Ora, q u e s t o n o n vale p e r ogni tipo di disaccordo? Al contrario, s e m b r e r e b b e che le discussioni economiche debbano essere, p e r antonomasia, il t e r r e n o del mercanteggiamento e del compromesso. D'altra parte, è r a r o che u n a situazione economica n o n possa, al pari delle statistiche, essere i n t e r p r e t a t a in m o d i differenti. Si p u ò anche dire che nel novero delle cause economiche dei conflitti, le teorie economiche « alle quali si crede » sono t r a le p i ù i m p o r t a n t i e certo lo sono b e n più dei fatti economici p r o p r i a m e n t e detti. Infatti, noi interpretiamo ed analizziamo la situazione del m o m e n t o alla luce delle nostre credenze ed idee, in u n a parola a t t r a v e r s o la nostra mentalità. Se poi le attuali dottrine economiche ritengono che certe circostanze n o n possano risolversi se n o n con la guerra, è fatale che gli statisti e l'opinione pubblica n e siano influenzati. « La g r a n d e illusione - dice Elia F a u r e - non è di credere che la guerra paghi m a di pensare che si faccia la guerra a p p u n t o perché paga ». Comunque sia, nessun economista o storico o politico h a m a i p o t u t o definire o precisare a quale g r a d o di antagonismo economico la guerra debba necessa90

r i a m e n t e scoppiare. D'altra p a r t e , l'esperienza m o s t r a che le distruzioni di t u t t e le guerre superano in genere di m o l t o il valore della loro p o s t a economica imm e d i a t a . Quando i conflitti economici degenerano in contrasti sanguinosi vuol dire che vi si sono aggiunti fattori passionali capaci di rendere m o m e n t a n e a m e n t e sorde le p a r t i in controversia alla voce della conciliazione e del compromesso. I n u n a parola, i fattori economici sembrano essere pia spesso al servizio degli impulsi bellicosi. L'economia è s e m p r e , in tutti i casi, u n o degli s t r u m e n t i della guerra. Non è vero p e r ò il contrario: la guerra n o n è sempre s t r u m e n t o dell'economia.

2.

Piani politici di pace

P r i m a di accostarci ai diversi piani politici di pace proposti, esaminiamo r a p i d a m e n t e il risultato politico ultimo della guerra, analogamente a q u a n t o fatto p e r l'aspetto demografico ed economico. I n altri termini, poniamoci il compito di indagare sulla eventuale funzione politica della guerra. S e m b r a difficile, a meno che non si eliminino sistematicamente t u t t e le contraddizioni, stabilire u n a correlazione t r a gli effetti della g u e r r a e i tipi di società, le credenze o le tecniche. Infatti, accade di frequente che u n conflitto p r o d u c a effetti diametralmente opposti nell'ambito di società simili o a d d i r i t t u r a di u n a stessa società. Sotto il profilo delle credenze e dei sistemi politici, succede che le guerre spazzino via le sopravvivenze, così c o m e è frequente che esse finiscano di consolidarle. Per esempio le vittorie ottenute dal Giappone fino al 1945, se da u n lato convertirono quella nazione alla tecnica europea, dall'altro esse rafforzarono l'idolatria dell'imp e r a t o r e e le idee religiose tradizionali. La sola regola ricavabile dalla maggioranza delle osservazioni è che, in generale, il vincitore è confermato nelle sue credenze in q u a n t o a d esse attribuisce la vittoria: al c o n t r a r i o , 91

il vinto è indotto sovente a dubitare della p r o p r i a ideologia e delle p r o p r i e istituzioni. La disfatta è non raram e n t e accompagnata da u n a crisi di regime politico o di coscienza, dimostrandosi, sotto questo aspetto, salvo che n o n si chiuda con u n o schiacciamento totale, p i ù dinamica della vittoria. Infatti, la vittoria conferma, la sconfitta trasforma. Nondimeno, le mutazioni politiche causate dalla guerra n o n costituiscono necessariamente u n progresso, potendo talora t r a d u r s i in fattori di regresso politico. Così, la vittoria b a r b a r i c a su R o m a fece passare l'Europa, p e r secoli, da I m p e r o organizzato e s t r u t t u r a t o in istituzioni politiche e giuridiche evolute, a Stato tribale pressoché primitivo ed, in seguito, allo spezzettamento feudale. Se due Stati con diverse dottrine politiche, versano in un lungo conflitto, n o n si p u ò sapere in anticipo quale dei due p r e v a r r à ed anche quando il conflitto termini con la vittoria totale di u n o di essi, è r a r o che la s t r u t t u r a mentale e materiale dello stesso vincitore resti inalterata dopo u n tale avvenimento. E ' il caso, in particolare, delle più note guerre dell'Antichità: le guerre puniche che videro il vincitore, Roma, subire profonde modificazioni. Altre volte, l'impatto di due forze rivali dà soluzioni imprevedibili, come nel caso della lotta che contrappose p e r secoli il P a p a t o ed il Sacro I m p e r o . La feudalità conferma la sicurezza ai popoli ed ai comuni p e r il t r a m i t e del t r i b u t o concesso ai loro capi. La Chiesa, d'altro lato, raggiungeva il m e d e s i m o risultato con la sottomissione al suo dogmatismo. Alla fine, le due forze si indebolirono reciprocamente e si concretizzò u n a soluzione che nessuno aveva prefigur a t o : il Rinascimento, cioè u n a mentalità, insieme politica ed intellettuale, ed u n orientamento del t u t t o nuovi. 3.

Piani di u n o S t a t o unico

La teoria causale alla b a s e di siffatti progetti p u ò così riassumersi: la g u e r r a è la conseguenza diretta della sovranità degli Stati. Finché esisteranno Stati indipen92

denti e sovrani, grandi o piccoli, vi s a r a n n o rivalità, ambizioni e rancori il cui risultato s a r à la guerra. Ora, la esperienza indica che nazioni tradizionalmente avversarie sono divenute amiche u n a volta inglobate, spesso con la forza, in u n a stessa organizzazione politica. Il sovrano unico farà d u n q u e regnare la giustizia e la pace nel m o n d o c o m e sulle province di u n immenso I m p e r o di cui egli s a r à il Capo. Così, il cittadino romano nel I secolo, quello spagnolo nel XVII secolo e quello inglese nel XIX, formavano a l t r e t t a n t e categorie privilegiate nell'ambito di u n a moltitudine di popoli assoggettati. Una simile concezione oppressiva dell'unità potrebbe essere denominata « complesso del popolo eletto» . Ai giorni nostri, la tesi in parola è stata vagheggiata da E m e r y Reves \ il quale ritiene che il progresso tecnologico contemporaneo propizia la realizzazione dello Stato unico: « Oggi, per la p r i m a volta nella storia, la conquista del m o n d o da p a r t e di u n a sola Potenza è u n a possibilità geografica, tecnica e militare... Il mond o è tecnicamente e m i l i t a r m e n t e più piccolo di q u a n t o non fosse il territorio di u n o q u a l u n q u e dei grandi Stati dei secoli scorsi. Appare infinitamente più facile e più rapido per gli Stati Uniti c o n d u r r e u n a g u e r r a in Estrem o Oriente di q u a n t o n o n fosse per Giulio Cesare cond u r n e u n a in Inghilterra o in Egitto ». L'autore auspica che, in mancanza di un'intesa t r a gli uomini per arrivare all'universalismo con mezzi pacifici e democratici, il corso degli avvenimenti acceleri l'unificazione mediante l'azione b r u t a l e di u n conquistatore. Si r i t r o v a n o in queste tesi due argomenti principali che sono s e m p r e serviti ai conquistatori c o m e giustificazione p e r le loro imprese: il p r i m o è la ricerca della sicurezza. Tuttavia, quest'ultima somiglia all'inconoscibile di Spencer: ogni conquista accresce le zone da difendere contro eventuali aggressori, nella m i s u r a in cui allarga le frontiere estendendone le linee di comunicazione. Non esistono d u n q u e limiti alle conquiste di colui che p r e t e n d e di raggiungere la sicurezza totale. Reves 1

E. REVES, Anatomie

de la Paix, New York 1943. 93

dichiara, d'altronde, al proposito: « La spinta verso la sicurezza è la causa principale dell'imperialismo ». Il secondo argomento è che t u t t i i tentativi di'" dominio universale che h a n n o insanguinato il m o n d o avevano lo scopo dichiarato di i m p o r r e per sempre l'ordine e la pace... Un sia p u r r a p i d o sguardo alla storia fa d u b i t a r e delle virtù pacificatrici dello Stato unico. E ' sufficiente vedere quanto relativamente brevi furono i periodi di pace che seguirono la costituzione dell'Impero Cinese o di quello R o m a n o in r a p p o r t o all'enorme sforzo ed ai sacrifici sopportati dai popoli. La guerra civile finisce con I'imporsi agli Stati la cui potenza nessun altro tipo di guerra p u ò equilibrare. Le lotte tra fazioni, le controversie dinastiche ed intestine, le rivalità t r a gli eserciti e i loro capi, le rivolte dei vassalli o dei governatori delle province rimpiazzarono le guerre t r a S t a t i . 3

4.

I m p o r t a n z a storica delle guerre civili

La maggioranza degli storici tendono a considerare le guerre civili alla stregua di guerre secondarie. Al contrario, s e m b r a che le guerre civili meritino sovente il p r i m a t o per più di u n a ragione; in effetti, dal p u n t o di vista qualitativo e demografico, esse provocano in genere più distruzioni e p i ù vittime. Nel corso della m o d e r n a storia europea, le p i ù grandi distruzioni sono state provocate dalla g u e r r a dei 30 anni e dalle guerre francesi di religione. La guerra di secessione americana causò p i ù perdite u m a n e del conflitto franco-tedesco del 1870. Dopo la guerra del 1914, la Rivoluzione r u s s a fu più letale delle ostilità internazionali che l'avevano preceduta. Infine, la Spagna, neutrale di fronte alla guerra 1914-1918, subì in seguito alla guerra civile del 19361939 perdite proporzionalmente più elevate di quelle della maggior p a r t e dei belligeranti d u r a n t e il p r i m o conflitto mondiale. 1

94

Cfr. Huit mille Traités de paix, p. 23 e sgg.

Gli stati passano successivamente a t t r a v e r s o fasi di concentrazione e di spezzettamento. A seguito di favorevoli congiunture, vasti imperi sorgono per poi disgregarsi a p a r t i r e , in genere, dalle province p i ù lontane. Tuttavia i due processi, della concentrazione e della scissione, sono accompagnati da conflitti sanguinosi. Ancora meglio, la guerra rappresenta lo s t r u m e n t o stesso di questa evoluzione. Le esperienze superstatali già vissute non s e m b r a n o d u n q u e p e r niente convincenti q u a n t o alla possibilità di sopprimere la guerra servendosi di quel mezzo. T u t t o si è svolto come se funzionasse u n principio di compensazione, nel senso che le guerre p i ù piccole e p i ù frequenti t r a i feudatari o tra staterelli erano rimpiazzate, ad intervalli più lunghi, da grandi guerre civili che realizzavano, in u n sol colpo, perdite equivalenti.

5.

Piani di equilibrio t r a Stati

I progetti di equilibrio, a differenza dei piani giuridici - che si fondano su una a s t r a t t a nozione del diritt o e dell'uguaglianza t r a soggetti sovrani - tengono conto del fattore forza. Essi p a r t o n o dal p r e s u p p o s t o che la pace p o t r e b b e essere salvaguardata dall'opposizione di dinamismi che si facciano d a contrappeso e si neutralizzino vicendevolmente. I progetti in questione - che funzionano dunque d a elemento frenante - contano di assicurare la pace sia grazie alla divisione del m o n d o t r a Stati di forza equivalente capaci di tenersi in m u t u o rispetto, sia mediante il gioco degli accordi, delle alleanze e delle coalizioni. Alla loro base vi è infatti la convinzione che le tentazioni di scatenare u n a guerra sarebbero t a n t o minori q u a n t o p i ù n e t t a fosse l'uguaglianza delle forze in campo e quindi p i ù aleatoria la vittoria. Purtuttavia, m e t t e conto sottolineare l'aspetto offensivo di u n a siffatta concezione. Nella m i s u r a in cui si sforza di impedire ad ogni costo che u n a dinastia od u n a nazione a u m e n t i la p r o p r i a potenza al p u n t o di diveni-

re u n pericolo per i vicini, la dottrina dell'equilibrio costituisce u n a fonte inesauribile di guerre. Infatti, in ult i m a analisi, essa n o n fa che raccomandare alle nazioni, come già aveva d e t t o Machiavelli, di i n t r a p r e n d e r e guerr e prevenire in ogni occasione. La storia europea in par-' ticolare è costellata di interventi, alleanze, coalizioni, blocchi, guerre generali la cui matrice è s e m p r e la teoria dell'equilibrio. Incontestabilmente, l'Europa è riuscita ad impedire grazie a quelle teorie la formazione, dopo l'epoca r o m a n a , di vasti imperi, analogamente a q u a n t o si è verificato nelle civiltà del vicino e lontano Oriente. Va tuttavia riconosciuto che la pace ne h a ricavato, u n o scarso profitto... I piani di equilibrio implicanti - come ad esempio quello del Sully - una compensazione ed una distribuzione generale, sono r a r i . Il loro scopo è di sostituire u n a divisione razionale del territorio e delle frontiere alle delimitazioni storiche spesso determinate dalla sorte dei c o m b a t t i m e n t i . E ' curioso constatare, poi, c o m e le varie applicazioni storiche del detto principio abbiano presieduto allo spezzettamento e alla liquidazione volontaria e pacifica di Stati ecumenici non ritenuti in grado dai loro p a d r o n i di sopravvivere sotto quella form a . La divisione più celebre è quella dell'Impero Romano di Diocleziano. I n seguito, si ebbero la spartizione dell'Impero di Carlo Magno fra i suoi tre figli, e quello di Carlo V.

6.

Piani di pace fondati sui regimi politici e le credenze degli Stati

I regimi politici interni degli Stati sono stati spesso accusati di provocare le guerre. Vi sono sempre stati teorici p r o n t i ad affermare che certi regimi sono essenzialmente bellicosi ed altri pacifici: è p r o p r i o p e r questo che nel Medio Evo si assistè al sorgere dell'idea che la m o n a r c h i a - m e t t e n d o fine alle guerre feudali allora vera piaga europea - fosse apportatrice di pace. Sfortunatamente, la m o n a r c h i a avrebbe d a t o il via 96

a d u n a serie interminabile di guerre dinastiche, come la g u e r r a dei Cento Anni, quelle d'Italia e quelle di Luigi XIV: t u t t e si fondavano giuridicamente su u n a concezione p a t r i m o n i a l e dello Stato. Il re che iniziava u n a c a m p a g n a si appellava generalmente ad un'eredità cui pretendeva di aver diritto. Nel corso del XIX secolo, le guerre - p u r essendo meno evidentemente dinastiche che nelle epoche precedenti - rimangono sempre l'affare per eccellenza dei sovrani. Il p o s t o di p r i m o piano occupato dai r e nella guerra fece sì che i pacifisti li ponessero in cima alle loro preoccupazioni. La tesi generale fu che i sovrani vogliono le guerre p e r ambizione, cupidigia, p e r amore della gloria o anche p e r operare u n a diversione di fronte alle difficoltà intestine e m a n t e n e r e i loro popoli in soggezione. N u m e r o s i autori, dimenticando gli esempi delle repubbliche dell'Antichità o della Repubblica veneziana, si p e r s u a s e r o che la trasformazione dei r e a m i in repubbliche avrebbe condotto alla pace universale. Rousseau insisteva spesso sulla vocazione pacifista delle Repubbliche; Victor Hugo scrisse odi grandiose per maledire i r e e le dinastie. Ma i regimi democratici h a n n o , da allora, fornito a m p i a p r o v a delle loro capacità bellicose. Lo stessa coscrizione è n a t a con la Rivoluzione francese, m e n t r e il servizio militare effettivamente obbligatorio è, dopo l'Antichità, u n fatto tipico delle c o m u n i t à democratiche medievali. D'altro canto, occorreva, p e r arrivare alla guerra totale, che fossero alle prese regimi democratici e popolari. Nessun potere dinastico impose ai suoi soggetti le m o r t a l i esigenze dei capi, espressi dal popolo e d a questo eletti; si pensi a Napoleone, Hitler e via dicendo. I n realtà, è impossibile, p e r l'osservatore imparziale, fare l'apologia delle virtù pacifiste di qualche regime politico, nella m i s u r a in cui l'esperienza indica che i mut a m e n t i nella forma degli Stati o nelle classi dirigenti non esercitano alcuna influenza sulle propensioni guerresche delle nazioni. Si p o t r e b b e anche dire che, p e r q u a n t o diversi possano essere - dispotici, liberali, ari97

stocratici, popolari, monarchici o repubblicani - i governi h a n n o tutti u n c o m u n e denominatore: la tendenza a fare la guerra. Così, le ecatombe finiscono coll'annullare le differenze esistenti sul piano istituzionale ed ideologico. Lo stesso osservatore imparziale noterà che, nell'ambito di u n o stesso paese, regimi rigorosamente identici p r o p e n d o n o talora per la guerra, talaltra p e r la pace. Enrico IV, Luigi XIII, Luigi XV furono re relativamente pacifici: e p p u r e essi n o n e r a n o né meno re, né m e n o assolutisti di Luigi XIV. Lo stesso discorso vale per la Repubblica ed i Repubblicani. Sotto Luigi Filippo, p e r esempio, i repubblicani, così come i socialisti con Proudhon in testa, m o s t r a v a n o tendenze bellicose contrariam e n t e al r e ed ai realisti, di orientamenti pacifisti. D'altronde, l'identità delle credenze religiose o dei regimi politici n o n crea necessariamente u n a predisposizione alla fraternità fra le nazioni. Anche al t e m p o del fanatismo religioso, le lotte t r a cristiani o t r a mussulmani erano p i ù frequenti di quelle c o n t r o gli infedeli. Le grandi nazioni, dopo la trasformazione in repubbliche, h a n n o dato prova, nel 1940, del pacifismo c o n n a t u r a t o a quel regime. Cambiava solo l'etichetta: n o n più guerre reali, m a guerr e nazionali. Sugli elmi, le stelle o le mostrine rimpiazzano la corona, m a l'uniforme resta. Ecco d u n q u e che l'origine della guerra va ricercata altrove. // principio della nazionalità che sostituì nel XIX secolo quello di legittimità dinastica si presentò, originariamente, come fattore di pace e lo stesso Napoleon e I I I dichiarava che « le varie •nazionalità soddisfatte avrebbero p r e s t o c e m e n t a t o la solidarietà europea ». P r o u d h o n fu l'unico a n o n condividere tale p u n t o di vista affermando, come Dostoievski, che le nazionalità n o n sono mai soddisfatte. Mentre l'Europa t u t t a applaudiva P r o u d h o n attaccava Mazzini, K o s s u t h ed i democratici 'nemici dei t r a t t a t i del 1815, predicendo che le « democrazie imperiali » sarebbero state ancor più gelose della loro sovranità e più avide di gloria e di conquiste delle vecchie dinastie legittimiste. Il filosofo francese intuì 98

che le monarchie, p r o p r i o a causa della sopravvivenza del diritto feudale, potevano concepire u n a gerarchia di sovranità. Al contrario, il principio di nazionalità presentava sin dall'inizio u n a particolare virulenza e, col dare alla nazione u n a sorta di sovranità di diritto divino ne esaltava l'intransigenza contro ogni eventuale diminuzione in favore di u n a Confederazione o di un Superstato. E ' n o t o che P r o u d h o n preconizzò la creazione di vaste Federazioni le cui unità s a r e b b e r o state n o n già le grandi nazioni, m a entità economiche m o l t o più piccole. Egli era avversario della centralizzazione tipica dello Stato unitario, monarchico o democratico che fosse, e non si p u ò negare che, su questo p u n t o , le sue prefigurazioni si realizzarono: il principio di nazionalità n o n ha finora p r o d o t t o altro risultato che quello di volgarizzare a livello popolare l'ambizione dei conquistatori più megalomani. Dovunque ha trovato credito la concezione napoleonica dei cuscinetti protettivi, per cui m e n t r e si proclama di rispettare l'integrità del vicino gli si a m p u t a u n a p a r t e del territorio p e r garantire la p r o p r i a sicurezza. Ora, a u m e n t a n d o la p o r t a t a delle a r m i n o n m e n o della r a p i d i t à dei mezzi di t r a s p o r t o , quei diaframmi difensivi appaiono t a n t o p i ù efficaci q u a n t o più sono estesi: e così si arriva in capo al m o n d o . Il principio di nazionalità, che doveva c o n d u r r e l'umanità a d un'epoca idilliaca, si è rivelato di fatto, alm e n o fino ad ora, a l t r e t t a n t o fecondo di discordie sanguinose del principio dinastico. I n definitiva, la p a r t e delle n o s t r e intenzioni a p p a r e così debole che la maggioranza dei governi, di qualunque tipo siano, p u r con la più grande b u o n a volontà, finiscono con l'essere trascinati alla g u e r r a per preservare la pace. I P I A N I Di PACE PERIODICI. - Dal t e m p o dell'alto Medio Evo, n u m e r o s i giuristi h a n n o cercato di prefigurare u n progetto di organizzazione internazionale suscettibile, come u n t e m p o le assemblee dell'antichità greca, di imp o r r e la pace tra le nazioni. Pierre Dubois è senz'altro u n o dei più i m p o r t a n t i : egli p r o p o s e la creazione di u n a 99

Federazione di Stati Cristiani il cui organo centrale sarebbe stato u n Consiglio. Emeric Crucé (1590-1648) estese questo progetto alla totalità degli Stati esistenti; Sully, pensò, invece, di dividere l'Europa in quindici nazioni di uguale p o t e r e e ricchezza. Purtuttavia, bisogna attendere il grande movimento u n i t a r i o del XVIII secolo p e r assistere al sorgere di progetti, se n o n p r o p r i o realistici, almeno sufficientemente precisi nei dettagli p e r poter essere presi in considerazione dagli uomini politici. Nel 1713, al congresso di Utrecht, 1'ABATE*DI S A I N T iniziò la stesura di u n Progetto per rendere la pace in Europa perpetua. Il progetto, terminato cinque anni dopo, ebbe l'onore di formare oggetto di discussione da p a r t e degli enciclopedisti. La p r i m a condizione della pace era la costituzione di quella che l'abate chiamava u n a « Società P e r m a n e n t e »; essa doveva essere c o m p o s t a di 24 potenze firmatarie di u n t r a t t a t o b a s a t o sul rispetto dello « s t a t u quo » sancito ad Utrecht e Rastadt. Nel p r i m o articolo del progetto si diceva, infatti, che le varie sovranità avrebbero dovuto essere contenute nei limiti del m o m e n t o : nessun territorio avrebbe p o t u t o subire menomazioni o a u m e n t i in virtù di successioni, accordi t r a differenti casati, elezioni, donazioni, vendite, conquiste, sottomissioni volontarie d a p a r t e dei soggetti o altrimenti. L'articolo 2 prevedeva che t u t t i i m e m b r i della Società contribuissero alle spese comuni, in m i s u r a proporzionale ai loro redditi e alle loro spese. L'articolo scendeva anche in dettagli: si prevedeva u n bilancio di 25 milioni di cui una p a r t e i m p o r t a n t e sarebbe stata destinata alle opere assistenziali, ecc. PIERRE

Nell'articolo 3, il piano chiedeva che i grandi alleati rinunciassero, nelle controversie presenti o future, all'uso della forza, impegnandosi a seguire le vie della conciliazione t r a m i t e la mediazione degli altri m e m b r i in sede di Assemblea Generale. Il progetto prevedeva anche l'arbitrato e il ricorso a sanzioni ai danni di chi avesse iniziato indebitamente 100

u n a guerra. Occorreva d u n q u e u n esercito internazionale; Saint Pierre lo descrisse minuziosamente, m a la sua composizione, dal profilo del c o n t r i b u t o numerico, apparve densa di pericoli. Vi e r a n o ammessi turchi, t a r t a r i e moscoviti che p e r ò n o n avevano p o s t o nel Consiglio. L'abate di Saint Pierre si occupò con minuziosità della composizione e del funzionamento del Consiglio, il « Sen a t o della Pace »: 24 senatori, 24 nazioni, la loro età, lo stipendio, la d u r a t a del m a n d a t o , il n u m e r o dei supplenti ecc. L'opera dell'economista e giurista inglese J . B E N T H A M , scritta nel 1789, è stata conosciuta solo mezzo secolo dopo. Il suo piano di pace perpetua ed universale individuava l'origine delle guerre nelle rivalità commerciali: di qui la condanna del sistema coloniale. Bentham esaltò la famosa dichiarazione di Robespierre, per cui la perdita delle colonie sarebbe stata preferibile alla m o r t e di u n principio, ed indirizzò alla Convenzione u n m e m o r a n d u m destinato a d incoraggiarla all'abband o n o delle colonie. (Tali idee e r a n o verosimilmente nell'aria alla stessa epoca, poiché il 22 maggio 1790 l'Assemblea Costituente decretò che la Francia rinunciasse ad i n t r a p r e n d e r e qualunque guerra di conquista e non impiegasse mai le proprie forze contro la libertà di alcun popolo. Il seguito è noto). Il progetto di pace p e r p e t u a di B e n t h a m postulava evidentemente la limitazione degli a r m a m e n t i . Il pensat o r e inglese voleva convincere la Francia e l'Inghilterra delle difficoltà di un'invasione. Rivolgendosi all'Inghilterra, così si esprimeva: « Voi siete i grandi colpevoli, m a siete anche la nazione più forte. Voi non avete paur a della giustizia, m a avete la forza che è stata la causa principale della vostra ingiustizia ». B e n t h a m colloca alla testa della sua Assemblea delle Nazioni u n a Corte di Giustizia ed u n Congresso della Pace. Un Tribunale arbitrale, che sopprimesse le cause di guerra, avrebbe c o m p o r t a t o notevoli economie; la fiducia avrebbe sostituito la diffidenza e la gelosia. An101

cora, il Congresso della Pace, servendosi della s t a m p a e di tutti i mezzi che d i r e m m o di propaganda, avrebbe a m m o r b i d i t o gli animi allo scopo di far venir m e n o le possibili ragioni di irritazione ed avrebbe così evitato, con il consenso universale, l'uso della forza. Infine, Bent h a m insisteva sulla soppressione del segreto delle attività diplomatiche, sostenendone la inutilità ed incompatibilità con gli interessi della libertà e della p a c e . I due progetti ricordati, di Sant-Pierre e B e n t h a m , appaiono p a r t i c o l a r m e n t e interessanti, nella m i s u r a in cui contengono « in nuce » t u t t i gli istituti che si è tentato di realizzare in seguito. Gli attuali piani di giustizia, di sicurezza internazionale e di arbitrato si rifanno implicitamente alle analisi di cui si è fin qui p a r l a t o . 3

R I S U L T A T I MODERNI: I L T R I B U N A L E DELL'AIA E D I PAT-

- Il 18 maggio 1898, per la p r i m a volt a 26 stati ( t u t t i quelli europei, più la Cina, il Giappone, la Persia e gli Stati Uniti), rappresentati da cento delegati ufficiali, si riunirono all'Aja per escogitare m i s u r e atte a m a n t e n e r e la pace nel mondo. Lo s p u n t o iniziale proveniva dal Conte Mouraviev, ministro degli Esteri dell'Imperatore Nicola I I . I n u n m e m o r a n d u m diretto alle potenze, il c a p o della diplomazia zarista precisava che la corsa agli a r m a m e n t i assorbiva le economie e le forze degli Stati e proponeva di studiare n o n solo la limitazione degli a r m a m e n t i , m a anche la mediazione e l'arbitrato. Questa p r i m a Conferenza si risolse in u n fallimento, principalmente a causa della resistenza tedesca, e a d essa fecero subito eco la guerra anglo-boera e quella russogiapponese. Una seconda conferenza dell'Aj a fu convocata nel 1907 dietro pressioni di Teodoro Roosvelt; essa codificò le n o r m e internazionali di pace e di guerra, i diritti ed i doveri delle potenze e dei neutrali. Nondimeno, i pro-

T I DI ARBITRATO.

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Oggi, dopo un'esperienza trentennale di diplomazia pubblica, si magnificano nuovamente i negoziati segreti in quanto essi non « riscaldano » l'opinione pubblica.

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blemi fondamentali u r t a r o n o contro molteplici resistenze t r a cui, come nel 1898, quella della Germania, semp r e c o n t r a r i a alla limitazione degli a r m a m e n t i ed all'obbligatorietà del ricorso all'arbitrato. Malgrado ciò, si assistè alla costituzione di u n a Corte di Arbitrato le cui sentenze trovavano u n certo seguito solo quando però, vertevano s u questioni secondarie. Dopo la guerra 1914-1918, presero corpo nuove speranze di organizzare giuridicamente la pace: è il mom e n t o del P a t t o della Società delle Nazioni. Questo si fondava su due principi essenziali: l'universalità della pace ed u n Segretariato p e r m a n e n t e . I suoi m e m b r i a v r e b b e r o dovuto riunirsi periodicamente in conferenza internazionale, m e n t r e il Segretariato avrebbe assicurato la trattazione delle varie questioni nell'intervallo tra le sessioni. Tuttavia, subito dopo si consente a d ogni m e m b r o di ritirarsi, con u n preavviso, dalla Società. Così, cadendo obblighi e sanzioni, la Lega si trasforma in una sorta di libera associazione con autorità limitata ai suoi membri, i quali possono, se lo desiderano, sbarazzarsi di impegni t r o p p o gravosi. Il P a t t o Kellog è del 1928. F u sottoscritto il 27 agosto di quell'anno a Parigi dai ministri degli Esteri di t u t t i gli Stati, compresa la Germania. Con esso, i firmatari si impegnavano a rinunciare alla guerra, come strum e n t o di politica internazionale. Sappiamo q u a n t o acc a d d e in seguito... La Carta Atlantica, il 14 agosto 1944, pose a sua volta le basi della pace futura. Alla Conferenza di Dumbart o n Oaks, e s o p r a t t u t t o nella riunione plenaria di San Francisco del 1945, parteciparono 47 nazioni. Lo scopo e r a sempre lo stesso: m a n t e n i m e n t o della pace e della sicurezza internazionale attraverso la riprovazione e la c o n d a n n a della guerra. Niente di nuovo, sotto questo profilo, rispetto alla Società delle Nazioni ed al P a t t o BriandKellog. Tuttavia, nella Carta Atlantica, la quale sancisce t r a l'altro l'uguaglianza di t u t t e le nazioni, i metodi del103

la Società delle Nazioni risultano parzialmente abbandonati. Infatti: 1. Le decisioni possono essere adottate dalla maggioranza (e n o n più all'unanimità). 2. Un Consiglio di Sicurezza - composto da 11 m e m b r i di cui 5 p e r m a n e n t i (U.S.A., G r a n Bretagna, U.R.S.S., Francia, Cina), a s s u m e di fatto la responsabilità del mantenimento della pace, e m a n a n d o decisioni a d o t t a t e con il voto favorevole di 7 m e m b r i . I voti unanimi dei m e m b r i permanenti, i quali godono del diritto di veto, devono e n t r a r e a c o m p o r r e la maggioranza. La Carta di S. Francisco si allontana u l t e r i o r m e n t e dallo spirito del P a t t o Wilsoniano in q u a n t o prevede sanzioni accessorie a quelle morali: 1. Interruzione dei r a p p o r t i economici, diplomatici e dei mezzi di comunicazione. 2. Eventualmente, il Consiglio p o t r à far intervenire le forze aeree, m a r i t t i m e e terrestri necessarie al m a n t e n i m e n t o della sicurezza internazionale. I n sostanza, è questa la p r i m a volta che la sovranità degli Stati s e m b r a essere p o s t a in discussione. La Carta delle Nazioni Unite prefigura altresì l'instaurarsi di u n a cooperazione internazionale nei campi economico, sociale, culturale, medico, educativo. Analogamente, è previsto u n sistema internazionale di tutela (trusteeship) per i territori sotto m a n d a t o dei paesi ex nemici. La Carta delle Nazioni Unite r a p p r e s e n t a l'ultimo tentativo mondiale, in ordine cronologico, p e r assicurare il m a n t e n i m e n t o della pace. Si t r a t t a , certo, di u n ' o p e r a di b u o n a volontà, con u n difetto n o n trascurabile: quello di s u p p o r r e il p r o b l e m a già risolto. Infatti, t u t t i gli s t r u m e n t i elaborati p r e t e n d o n o di sopprimere la g u e r r a senza conoscerne la vera n a t u r a , le cause e le vere leggi. Ad onta delle aspirazioni universalistiche, gli sforzi dei r a p p r e s e n t a n t i dei popoli falliscono, o appaiono destinati a fallire, per il fatto che essi si concretarono nell'applicazione del m e t o d o giuridico, consistente nel vedere nella guerra u n a disputa non diversa da quelle interindividuali. Al c o n t r a r i o , le controversie t r a singoli 104

4

n o n sono né regolari n é n e c e s s a r i e . La guerra ci a p p a r e invece come u n fatto assolutamente generale riscontrabile in t u t t e le civiltà u m a n e , dalle più arcaiche alle p i ù moderne. Si p u ò n o t a r e che esiste u n altro p u n t o su cui i piani giuridici presuppongono la risoluzione del problema: il loro postulato è che la guerra sia il mezzo impiegato dagli Stati p e r arrivare ad i m p o r r e la loro volontà. Lo strum e n t o a p p a r e loro brutale; così, essi si sforzano di dichiararne l'illegalità e di procedere a d u n a sua rigorosa regolamentazione. La verità, al contrario, sembra risiedere altrove e precisamente in un'inversione del p o s t u l a t o precedente. Episodio ineluttabile di u n ciclo (i cui elementi costitutivi, le cui relazioni con le s t r u t t u r e sociali ed i cui tipi di congiuntura sono ben lontani dall'essere conosciuti) la guerra n o n è già u n o s t r u m e n t o dell'uomo, m a , al contrario, si serve di esso, si realizza per il suo t r a m i t e . E' come un'epidemia fisica, u n delirio collettivo. La guerra non è un mezzo, m a u n fine in sé o piuttosto un fine travestito da mezzo. La maggioranza delle guerre, se le si analizza, appaiono a l t r e t t a n t o assurde ed inconsapevoli di un'epidemia o di u n delirio. Il volerle regolamentare o proibire con m i s u r e giuridiche s e m b r a vano q u a n t o punire con u n a legge il fatto di c o n t r a r r e la peste o il tifo. II p a t t o Kellog, p e r esempio, p o t r e b b e essere qualificato come « p a t t o di rinuncia alla malattia ». Il ruolo pratico essenziale della sociologia deve essere quello di p e r m e t t e r e all'uomo di dominare gli impulsi sociali, s t o r n a r e e canalizzare le forze cieche della fatalità. Resta fermo, c o m u n q u e , che occorre p r i m a prenderne conoscenza . 5

4

Intanto le statistiche dimostrano ancora che in ogni società il numero annuale dei crimini e dei delitti presenta una certa regolarità. Aggiungiamo che tutti questi piani giuridici peccano alla base perché essi non possono mai definire la legittimità delle sovranità né la prescrizione e l'usucapione nel diritto internazionale. 5

105

7.

Piani psicologici ed edonistici

Essi sottintendono, generalmente, che la guerra è u n a specie di abitudine ancestrale o di deviazione di certi nostri impulsi. Occorre, di conseguenza, cancellarla dal pensiero dell'uomo m e d i a n t e l'educazione. Tutte le religioni con u n a più o meno larga componente u m a n i t a r i a p r a t i c a n o u n simile insegnamento; le preghiere quotidiane, la liturgia e le cerimonie chiedono a Dio, indistintamente, la pace: « Dona nobis pacem ». N u m e r o s e organizzazioni internazionali h a n n o compiuto grandi sforzi p e r emarginare lo spirito bellico dai manuali scolastici, m a la p r o p a g a n d a pacifista, così come i piani di pace, n o n sono riusciti in genere che ad eliminare i motivi di guerra già screditati o fuori moda. Alcuni h a n n o n o t a t o che lo spirito guerresco si è a n d a t o sviluppando nelle varie civiltà in m i s u r a proporzionale all'indebolimento del senso della festa periodica e generale: feste religiose, baccanali, Carnevale, Giochi Olimpici, grandi pellegrinaggi, ecc. Di qui la proposta di diverse m i s u r e p e r sostituirle sul piano delle distrazioni: organizzazione di vacanze, t u r i s m o , escursioni, feste, congressi, manifestazioni culturali, sportive ed anche rilassamento dei costumi volto, anch'esso, a dis t r a r r e e s o p r a t t u t t o a « scaricare » gli individui. Una siffatta concezione p u ò essere riallacciata a d u n a antichissima tendenza consistente nel ricercare surrogati edonistici delle guerre e degli impulsi violenti dell'uomo. La civiltà greca, al suo apogeo, fu la più notevole di queste organizzazioni. Più tardi, a m a n o a m a n o che la pace r o m a n a si estendeva nelle città dell'Impero, il sistema del « p a n e m et circences » si introdusse nelle città più lontane p e r sostenere, divertire ed interessare le popolazioni. Tuttavia, nelle civiltà m o d e r n e la situazione si complica per il fatto che u n a e n o r m e percentuale della popolazione trae i p r o p r i mezzi di esistenza dalla preparazione della guerra. Il meccanismo e la razionalizzazione 106

( p r o d u t t i v a ) m e t t o n o a disposizione della guerra u n num e r o s e m p r e crescente di soggetti n o n indispensabili ai compiti della produzione. Occorrerebbe, perciò, sconvolgere la n o s t r a organizzazione del lavoro ed anche la nos t r a etica, creando - come aveva presentato Fourier u n a civiltà di svaghi e di lavoro a t t r a e n t e che, forse, si esita a concepire a causa di vecchie sopravvivenze. La nostra concezione del lavoro è ancora appesantita in g r a n d e m i s u r a dai ricordi dello schiavismo, del servaggio e del lavoro forzato. I P I A N I DEMOGRAFICI. - I piani demografici consistenti in un'azione volta a restringere la fecondità n a t u r a l e , sono riscontrabili nella storia in varie forme. Fra queste, la più caratteristica è data dalla mentalità dei p r i m i cristiani, i quali rifiutavano il servizio militare ed esaltavano, con la castità, l'infecondità di u n a p a r t e della popolazione. N é vanno dimenticati i monasteri, le abbazie ed i conventi che costellavano l'Europa di imponenti edifici: essi costituivano, sotto il profilo del comportam e n t o oggettivo, altrettanti m o n u m e n t i innalzati all'infecondità. Quale che sia l'interpretazione che se ne dia, il fatto resta e la sua persistenza e generalità debbono farci riflettere. Mette anche conto menzionare numerose civiltà insulari, specialmente quelle della Polinesia, che p r a t i c a n o la restrizione delle nascite. I n Giappone fu per secoli in vigore u n a inesorabile politica di fissazione della popolazione a d u n a cifra limite, 25 milioni circa p e r t u t t o l'impero, che andava rispettata a t u t t i i costi. La teoria Malthusiana si b a s a s o p r a t t u t t o sulla tendenza dell'insufficienza delle d e r r a t e alimentari. La guerra è perciò per Malthus, così come le carestie e le epidemie, u n a forma di riequilibrio t r a popolazione e sussistenza. Malthus, così scriveva alla fine del XVIII secolo. Da allora, lo sfruttamento dell'America e di altri ricchi territori dette vita in E u r o p a a d u n a grande sov r a b b o n d a n z a che r a p p r e s e n t ò u n a contraddizione della sua tesi. Nondimeno, questa ridiventa attuale nella 107

m i s u r a in cui l'incremento demografico minaccia di eccedere quello dei mezzi di sussistenza. Il rialzo generale e persistente delle d e r r a t e alimentari s e m b r a esserne u n a prova. Tuttavia, tale teoria esprime solo u n a p a r t e del fenomeno perché la guerra, nella sua forma civilizzata, è piuttosto u n fenomeno di sovrabbondanza m a l orientata. E p p u r e , il fattore demografico vi occupa u n ruolo di p r i m a r i a importa'nza in quanto la sovrabbondanza che precede la guerra deve implicare congiuntamente u n « surplus » produttivo ed umano. Va sottolineato che i piani di pace di tipo demografico sono i soli t r a i vari citati a non aver mai conosciuto n e m m e n o u n principio di realizzazione, salvo che presso le civiltà primitive ed arcaiche: queste, p e r ò , in q u a n t o p r e s e n t a n o caratteristiche t r o p p o diverse dalle nostre, non si p r e s t a n o a fornire insegnamenti. Ciò che p i ù colpisce è la constatazione che, p u r di fronte ai progressi giganteschi della medicina e dell'igiene, la mentalità e le leggi della maggioranza degli Stati in m a t e r i a di popolazione r e s t a n o inalterate rispetto alle epoche in cui occorreva m e t t e r e al m o n d o dieci b a m b i n i per conservarne u n o . Infatti, il solo dirigismo praticato in camp o demografico, anche nei paesi più popolosi, consiste nell'incentivare u n a crescita disordinata. Al giorno d'oggi, i due paesi più adatti a precipitare il m o n d o in u n a catastrofe bellica sono p r o p r i o quelli che contano su maggiori risorse naturali ed eccedenze in uomini giovani. A seguito della loro e s t r e m a razionalizzazione industriale e tecnica, gli U.S.A. e l'U.R.S.S. sono in grado di p o r r e al servizio della guerra un'alta percentuale di giovani, senza risentirne t r o p p o sul p i a n o p r o d u t t i v o . Si t r a t t a , evidentemente, di u n a s t r u t t u r a esplosiva gravida di minacce. Presto o tardi si p o r r à , nella n o s t r a civiltà demograficamente satura, il problema del disarmo in termini di uomini: occorrerà, allora, n o n solo procedere a d u n a regolamentazione n u m e r i c a m a anche, visti i progressi della biologia e della genetica, a d una proporzionalizzazio•ne dei gruppi, delle età e dei sessi. 108

La dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, m o l t o ben discussa in sede UNESCO, h a tuttavia dimenticato u n punto essenziale. I n u n a civiltà o r d i n a t a a livello mondiale, socialista o liberale n o n fa differenza, è possibile accordare all'uomo tutti i diritti che si vorrà, salvo quello di p r o c r e a r e sconsideratamente. In caso contrario, il rischio che si corre è di c o m p r o m e t t e r e l'equilibrio economico e la sicurezza dell'insieme.

8.

Piani di disarmo

Il r a g i o n a m e n t o sul quale si fondano questi piani è t r a i più semplici: poiché ci si b a t t e con le armi, bas t e r à eliminarle perché n e risulti, per ciò stesso, abolita la guerra. Progetti che pretendono di interdire ogni tipo di a r m a sono i meno numerosi, poiché q u a l u n q u e oggetto è suscettibile di essere t r a s f o r m a t o in a r m a , dal b a s t o n e del gorilla alle pietre, tagliate o n o . Un secondo p r o g r a m m a consiste nel proibire certe armi, p e r il loro carattere sleale. Nel XII s e c , u n P a p a t e n t ò di prescrivere l'uso dell'arco e delle frecce e più tardi al Concilio Laterano interdisse la balestra. A dispetto di ciò, si assistè ad u n a rapida assuefazione. Di fatto, l'apparizione di ogni nuova a r m a è s t a t a accolta con indignazione, poi, si p u ò dire, la stessa è e n t r a t a nel costume. I b o m b a r d a m e n t i aerei, così c o m e la guerra sottomarina, sono stati sottoposti ad interdizioni di principio, s t a n t e la loro precipua destinazione alla distruzione dei n o n combattenti e dei loro beni. L'esperienza ci mos t r a q u a n t o accadde. Di fronte a questi scacchi, alcuni teorici a d o t t a n o u n p u n t o di vista antipodico; essi auspicano, infatti, che le a r m i divengano s e m p r e più letali. I n tal caso - ritengono - gli uomini non oserebbero più fare le guerre, che verrebbero così meno, per il t e r r o r e provocato dal 109

potenziale distruttivo delle a r m i . Anche in tal caso le previsioni h a n n o subito u n a d u r a smentita. Ma qual è e s a t t a m e n t e l'influenza d e l l ' a r m a m e n t o ? Al proposito occorre distinguere t r a i suoi effetti distruttivi e la sua influenza sulla storia*. Dal p u n t o di vista distruttivo, n o n s e m b r a che esista u n a relazione diretta e sicura tra il perfezionamento delle a r m i e le perdite causate dai conflitti successivi. Tutto dipende dal modo di servirsene. I più atroci massacri della storia - ad es. quelli delle guerre Puniche o di Gengis K h a n e Tamerlano - sono stati effettuati con archi, frecce, lance e piccole ridicole spade. Al contrario, i progressi nell'armamento sono in grado di garantire u n a supremazia politica o almeno un'efficace protezione p e r coloro che lo detengono. Non è improbabile che Bisanzio riuscisse a sopravvivere p e r 8 secoli all'Impero Rom a n o grazie al fuoco greco. Fu il cannone, e in generale, il progresso delle a r m i da fuoco che posero fine alle invasioni dei mongoli e dei barbari. La storia militare è quella di u n continuo sforzo di a d a t t a m e n t o t r a l ' a r m a e la corazza e, dall'altra parte, t r a la tecnica ed il numero. A fianco dei piani di limitazione degli a r m a m e n t i , si ritrovano progetti di riduzione degli effettivi o di soppressione degli eserciti. Tutti sono ispirati innanzitutto dall'idea che gli eserciti p e r m a n e n t i , o i capi di questi eserciti, sono a n i m a t i d a u n irresistibile impulso bellico. Diceva Prévost-Paradol che l'esercito ha bisogno di battersi come la locomotiva di viaggiare per non diventare u n ferrovecchio. Esso trae dalla lotta onori, distinzioni, ricompense, avanzamento e benefici (materiali). Una simile affermazione riassume le teorie anti-militariste periodicamente risorgenti m a incapaci di p o r t a r e a qualche risultato. Ogni u o m o infatti è u n soldato potenziale. Ora, se i generali sono come i chirughi dei popoli, è la m a l a t t i a o il chirurgo che deve essere attaccato? Da ultimo, è possibile avvicinare ai progetti di abolizione degli eserciti quelli che vogliono la soppressione 6

110

Cfr. FULLER, L'influence de t'armement

sur

l'histoire.

delle a r m a t e nazionali e la loro sostituzione con u n a forza internazionale, unica, al servizio della Società delle Nazioni. Certo, è u n progetto p e r molti versi suggestivo: tuttavia, anche per esso valgono le critiche formulate a p r o p o s i t o dei piani di formazione di u n o Stato unico. E ' da temere che u n esercito siffatto, rimasto il solo al m o n d o , risulti irresistibilmente indotto, dalla mancanza di competizioni con l'esterno, ad impadronirsi del potere o ad intervenire nelle lotte politiche o ideologiche interne. I suoi elementi componenti s a r a n n o tentati in molti m o d i a p r e n d e r e partito in questi tipi di conflitto seguendo le loro opinioni ed eventuali affinità. L'origine dei conflitti p o t r e b b e anche risiedere nell'ambizione personale dei capi o nello spirito di corpo delle unità che lo compongono. Come si è osservato u n n u m e r o imprecisato di volte nella storia, le rivalità individuali o addir i t t u r a u n a semplice rissa sono suscettibili di degenerare in vere e p r o p r i e guerre intestine.

Ili

CONCLUSIONE

La guerra si è ripetuta mille volte. Se si p a r t e dall'assunto che essa non sia che un fenomeno prettamente erratico ed indipendente da q u a l u n q u e causa tendenziale, se si p r e s u p p o n e che essa n o n obbedisca ad alcuna condizione o probabilità e che non sia che fantasia, capriccio o cattiveria gratuita delle nazioni e dei loro dirigenti, allora bisogna a b b a n d o n a r l a alla letteratura e rinunciare a studiarla. Altri credono che la guerra sia esclusivamente una questione di congiunture storiche, ma, p u r t r o p p o , quale che sia la congiuntura è s e m p r e possibile trovare eccellenti ragioni p e r c o m b a t t e r e . I pretesti di guerra, alla stregua di t u t t i gli altri fenomeni sociali, obbediscono a certe m o d e del m o m e n t o . Così, quello che sorride di pietà al r i c o r d o di coloro che si b a t t o n o per u n a frase di S. Agostino, è p r o n t o a farsi uccidere per u n a teoria politica che gli sta a cuore. Le competizioni t r a popolazioni sono spesso fatalità geografiche: le loro dispute r e s t a n o le stesse, q u a n t o all'origine, p e r secoli. Nondim e n o , esse sono di volta in volta sopportabili od insopportabili; si assopiscono p e r poi infiammarsi. Perché? Abbiamo rilevato p e r s o n a l m e n t e che il progetto di studiare scientificamente la guerra p r i m a di giudicarla solleva sorde resistenze. Non c'è da stupirsi se si pensa che la guerra è il dominio dei sacri terrori, come un t e m p o il fulmine ed il tuono, interdetti ai fisici sacrileghi. Ricordiamo che u n t e m p o si ammetteva la tort u r a m a n o n la dissezione. Se gli uomini, le nazioni e gli Stati si m o s t r a n o così 113

restii ad incoraggiare Io studio scientifico della g u e r r a (nessun istituto di ricerca sulla guerra costerebbe quant o u n t a n k di m e d i a p o r t a t a o u n aereo da guerra) ciò è verosimilmente da attribuirsi al fatto che essi t e m o n o di vedere sparire la loro festa più inebriante ed il l o r o estremo rifugio. La tendenza n a t u r a l e dello spirito u m a n o è di creder e p r i m a di sapere. Così, in materia di guerra il n o s t r o pensiero è d o m i n a t o da formule come « n o n r e s t a che... » o p p u r e « b a s t a che... ». Noi siamo vittime della falsa evidenza della guerra e s o p r a t t u t t o dei suoi motivi, spesso confusi con le cause. Oggigiorno la mentalità magica, finalmente emarginata dalle scienze fisiche, si riversa sulle questioni sociali. Un t e m p o , la medicina empirica nutriva la pretesa di trovare i rimedi senza studiare i malati. Tuttavia, la medicina n o n sarebbe t a n t o progredita se avesse cont a t o solo sulla p r a t i c a disgiunta dalla biologia. Ai fini del progresso reale, il laboratorio h a p i ù i m p o r t a n z a dell'ospedale. Allo stesso m o d o , non disporremo che di palliativi in fatto di guerra finché non fonderemo u n a vera, metodica polemologia d e p u r a t a dall'antropomorfismo. E ' questa la sola conclusione oggettiva e realistica che ci p a r e possibile t r a r r e , allo stato attuale delle nostre conoscenze, dallo studio della guerra. GUERRA O POLEMOLOGIA. - La n o s t r a epoca vive u n vero e p r o p r i o d r a m m a di cui t u t t i p r e n d o n o a poco a poco coscienza: oggi, come nell'Antichità e nel Medio Evo, la guerra è sottintesa nelle relazioni interstatali. Essa continua a d essere il fondamento del Diritto Internazionale e, insieme, il criterio e la giustificazione dell'indipendenza nazionale. Fino a d o r a il p r o b l e m a della guerra n o n è p o t u t o uscire dal solco tracciato da abitudini millenarie: esso oscilla t r a l'illusionismo giuridico ed il pacifismo retorico per sfociare inevitabilmente nella conclusione riassunta dal vecchio adagio r o m a n o : « se vuoi la pacep r e p a r a la guerra ». 114

Ora la guerra è u n a s o r t a di epidemia sociale e p e r p o t e r p e n s a r e seriamente all'avvento di u n pacifismo scientifico ci occorre innanzitutto arrivare alla conoscenza oggettiva del « fenomeno guerra ». Nel frattempo, lo studio della polemologia che consente di situare i problemi della guerra e della pace su u n nuovo terreno, costituisce, almeno, u n a derivazione intellettuale e u n a posizione originale, capace di dissacrare la guerra e spoliticizzare la pace. I n altri termini, nell'attuale congiuntura sembra n o n vi sia scelta t r a queste due condotte: continuare a prepararci alla guerra, a r m a n d o c i s e m p r e di p i ù e sempre meglio, i n s o m m a attendere che esploda ancora u n a volt a per u n qualunque motivo; o p p u r e considerarla come fenomeno sociale suscettibile di essere studiato nelle sue funzioni, nei suoi elementi costitutivi e nelle sue cause, cioè, in sostanza prevenirla funzionalmente. Riassumendo, siamo c o n d a n n a t i a p r e p a r a r e la guerr a o ad operare per la polemologia.

115

APPENDICI

1.

TIPOLOGIA DELLA GUERRA E GUERRIGLIA

INTEGRAZIONI DI G. BOUTHOUL AL TESTO ORIGINALE E NOTA DEL CURATORE

2. EVOLUZIONE PROBLEMATICA ATTUALE DELLA POLEMOLOGIA E NUOVE RICERCHE 3.

IL TERRORISMO

Appendice

prima

TIPOLOGIA DELLA GUERRA E GUERRIGLIA

INTEGRAZIONI DI G. BOUTHOUL AL TESTO ORIGINALE

1.

Fenomenologia ed eziologia

A p r i m a vista la guerra si p r e s e n t a sempre come u n insieme di eventi simultanei ed in p a r t e indistinti. T u t t i i suoi elementi costitutivi a p p a i o n o i n t i m a m e n t e legati t r a loro. I fattori s t r u t t u r a l i , le cause sociologiche, le motivazioni politiche ed ideologiche appaiono, a d u n prim o esame, inestricabili. L'unico elemento di p r i m o piano, capace di coprire t u t t i gli altri, è r a p p r e s e n t a t o dalla d i s p u t a i m m e d i a t a che h a fornito l'occasione p e r lo scoppio della guerra. Tuttavia, in genere si t r a t t a solo dell'elemento p i ù superficiale, t a l o r a a d d i r i t t u r a di u n m e r o pretesto, dello s c a t e n a m e n t o di u n conflitto armato. Il c o m p i t o della polemologia consiste p r o p r i o nel distinguere siffatti elementi costitutivi, analizzandoli, dosandoli e stabilendo eventuali interrelazioni fra di essi. I n altri termini, u n a metodologia ortodossa richiede che lo studio della tipologia delle guerre debba precedere (in q u a n t o fenomenologia e classificabilità) l'analisi * Le tre appendici non (N.d.E.).

appaiono nell'edizione

francese

119

della loro eziologia, nella misura in cui questa implica l'osservazione della loro gestazione e maturazione e dei fattori che vi contribuiscono. 2.

Conflitti e guerre

Il darwinismo fornì u n notevole contributo in materia di evoluzione delle specie animali; basta p e n s a r e al concetto di lotta p e r la vita e quello della sopravvivenza dei migliori. Da allora, a questi fattori se ne aggiunsero altri: scoperta delle leggi genetiche e delle mutazioni, progressi nelle tecniche selettive. Tuttavia, p e r u n a s o r t a di romanticismo d r a m m a t i co, l'attenzione si concentrò s o p r a t t u t t o sui fenomeni di lotta e di eliminazione. Si concretizzò la tendenza a spingere in secondo piano e persino a dimenticare che, per tutte le specie, i fatti di m u t u a assistenza, di difesa comune e, presso l'uomo in particolare, di divisione del lavoro, scambio ed organizzazione h a n n o r a p p r e s e n t a t o , sia per l'evoluzicne, che per la sopravvivenza e la selezione, fattori più i m p o r t a n t i della lotta m e r a m e n t e distruttrice. Occorre poi tener conto di un ulteriore elemento, più i m p o r t a n t e di q u a l u n q u e altro: l'uomo è un animale che inventa. L'invenzione e la scoperta fanno p a r t e del suo istinto: è infatti per vie spontanee che p r e n d o n o corpo nella preistoria e nella storia le risposte dell'uomo alle sfide portategli dall'ambiente, dai bisogni e dai nemici. L'esistenza di tale facoltà creatrice, tipica della specie u m a n a , esclude - almeno nei fatti sociali - l'idea stessa di u n a fatalità assoluta e sempre ineluttabile. L'invenzione devia le fatalità.

3.

Conflitti e conflittologia

La nozione di conflitto, come del resto quella di aggressività, h a subito ingiustificabili estensioni, consistenti nel p o r r e sullo stesso piano ogni fenomeno che 120

implichi opposizione tra esseri u m a n i . Ora, una definizione così vasta p o r t a ad u n a confusione totale, nella m i s u r a in cui tutti i fenomeni sociali (ivi comprese le società animali) c o m p o r t a n o concorrenze, competizioni ed u r t i t r a desideri e bisogni diversi. Né va t r a s c u r a t a l'ambivalenza dei sentimenti e delle aspirazioni descritte dagli psicanalisti. Ne deriva che esistono innumeri forme di conflitti: il compito della scienza è di introd u r r e in questo caso distinzioni chiare e non già di provocare ulteriore confusione. L'uomo è u n animale conflittuale in m i s u r a assai maggiore delle altre specie. Ognuna delle sue « libidini » corrisponde a bisogni inseparabili dal suo essere: bisogni di sussistenza, esigenze sessuali e di sicurezza, quelli dell'homo ludens, dell'uomo economico, dell'uomo artefice, dell'homo sapiens, bisogni di considerazione ed a u t o r i t à legati all'esistenza di u n a gerarchia. Tutte queste predisposizioni appaiono come fonti di conflitto, differenti per intensità, violenza, frequenza, d u r a t a e generalità. Il massimo di intensità si identifica con l'omicidio. Tuttavia, malgrado siffatta analogia, esiste u n a profonda differenza t r a omicidio individuale e la guerra nel senso che, sociologicamente, essi appaiono completam e n t e distinti. Le prime manifestazioni che accompagnano il sorgere di u n a società, anche e s t r e m a m e n t e primitiva, consistono nell'istituzione di tabù sessuali e nella interdizione dell'omicidio tra m e m b r i della stessa tribù. Nel contempo, però, l'autorità tribale si riserva il monopolio dell'omicidio, organizzandone le regole e l'uso e trasformandolo in una sanzione legale e penale quando concerne m e m b r i del g r u p p o sottoposto alla medesima autorità. Si tratta, comunque, di u n a m i s u r a generalm e n t e individuale che differisce profondamente dall'omicidio organizzato e rivolto verso gruppi estranei in cui si concretizza il fenomeno guerra. Questa è la ragione per la quale quest'ultimo fatto va tenuto distinto da qualunque altra forma di distruzione. Ciò premesso, i caratteri costitutivi della guerra, in senso s t r e t t o , sono i seguenti: l'esistenza di u n gruppo 121

indipendente, che cioè n o n riconosca alcuna a u t o r i t à esterna diversa dalla p r o p r i a . Infatti, il criterio della sovranità politica internazionale si identifica con il d i r i t t o di muovere guerra q u a n d o si voglia e contro chiunque. Il ricorso alla forza è s e m p r e sottinteso nei r a p p o r t i interstatali; esso è lecito ed il suo esercizio configura u n a specie di c o n t r a t t o , il c o n t r a t t o di guerra. Sotto il profilo dell'organizzazione interna di ognun o dei belligeranti, u n ' a l t r a condizione - oltre a quella dell'indipendenza dall'esterno - è data dall'esistenza di u n a gerarchia e di u n a s t r u t t u r a militare, così c o m e l'esistenza di u n ' a u t o r i t à cui solamente faccia capo la « decisione della g u e r r a ».

4.

I criteri tipologici della guerra

La guerra è u n fenomeno assai complesso il cui studio p u ò essere affrontato seguendo direttrici diverse. Essa n o n p u ò c o m p o r t a r e u n a topologia o u n a classificazione unica ed immutabile. Per q u a n t o ci si possa p o r r e il p r o b l e m a della semplificazione, esìstono semp r e criteri imprescindibili ai fini di u n a classificazione dei conflitti a r m a t i . P e r di più, i cambiamenti subiti dalla guerra, a t t r a v e r s o la storia, impongono ulteriori distinzioni. 5.

Tipologia dei belligeranti

La guerra è classificabile alla luce della d o m a n d a : « Chi sono i belligeranti? ». Siffatta d o m a n d a comprende: a. b. c.

Gli elementi etnici; I tipi di civiltà; I r a g g r u p p a m e n t i tribali e la nazionalità.

Questi sono i q u a d r i in cui si ripartiscono i g r u p p i che si c o m b a t t o n o t r a loro, quali che siano le circostanze e gli episodi. A m a n o a m a n o che la storia h a preci122

sato le caratteristiche dei grandi raggruppamenti u m a n i , si è assistito al coesistere di conflitti di differenti dimensioni. Così, attraverso le guerre tribali e feudali della Mongolia e della Persia si è venuta delineando a poco a poco u n a coscienza dell'identità culturale del gruppo e della civiltà. Tale consapevolezza si è manifestata nella lotta secolare t r a l'Iran e il T o u r a n i cui episodi di conquista, come ad esempio quello di Tamerlano, h a n n o segnato il flusso e il riflusso successivo dell'una e dell'alt r a civiltà. D'altro canto, u n a stessa coscienza di civiltà antagoniste si palesava t r a il m o n d o ellenico e l'Impero Persiano. Le conquiste di Alessandro furono episodi culminanti di quel contrasto. N o n d i m e n o , tali grandi epopee storiche, nelle quali i m e m b r i di u n a civiltà in pericolo si univano come al t e m p o delle guerre dei Medi, n o n escludevano l'insorgere di conflitti all'interno di u n a stessa civiltà. B a s t a pensare, al proposito, alle numerosissime guerre t r a le città greche o t r a i gruppi tributali dell'impero persiano. Fino ai nostri giorni, il g r a n d e avvento storico semp r e ricorrente è consistito in accese rivalità binarie comprendenti u n o spazio geopolitico u n i t a r i o n e t t a m e n t e s e p a r a t o dal resto del m o n d o . Allorché simili rivalità toccavano il p u n t o culminante, si assisteva alla scomp a r s a dei contrasti frammentari e secondari, i quali finivano con il lasciare contrapposti i soli elementi « egem o n i ». Così R o m a e Cartagine, R o m a e l'Impero Persiano, le Crociate, la lotta t r a mongoli e turchi e il m o n d o slavo e, ai giorni nostri, t r a l'egemonia russa e quella americana. In linea di massima, siffatte lotte s e m b r a n o essere u n a fatalità di origine geopolitica ed etnica. La loro analisi m o s t r a che la congiuntura conflittuale, q u a n d o diviene intensa, invade tutti i c a m p i della vita sociale e politica; gli stimoli bellicosi trasfigurano le situazioni, suggerendo interpretazioni che conducono al panico o all'aggressione. 123

Oggi, a d esempio, gli stati più vasti del globo U.R.S.S., U.S.A. e Cina - si considerano accerchiati, assediati e risentono perciò in misura maggiore degli altri di u n a sorta di nevrosi che p o t r e m m o definire « ossidionale ». Questi grandi rivali si spiano e si sorvegliano, ossessionati come sono dalla preoccupazione di preservare l'equilibrio demo-economico e politico e, contemporaneamente, dal desiderio furioso di infrangerlo o g n u n o a proprio beneficio. Per molto tempo, nel Vecchio Continente, il principio dinastico ha offuscato l'immagine di simili realtà sociologiche. Il s u p e r a m e n t o della monarchia, che copriva le realtà nazionali, è stato seguito dall'esaltazione nazionalistica. Tale principio raggiunse il suo culmine con lo scoppio della guerra 1914-1918 il cui carattere totale h a fornito u n a conferma del giudizio di Montesquieu sulla maggiore crudeltà delle guerre popolari - c o m e del resto quelle delle antiche repubbliche, rispetto alle guerre di tipo dinastico. Basta p e n s a r e alla guerra del Peloponneso 0 alle guerre puniche. Tuttavia, dopo il 1918, il nazionalismo p u r o , quello per intenderci del Pangermanesimo, di Kippling, Cgamberlain, Déroulède e Dostoievski, perse il suo credito trovando subito u n vantaggioso surrogato nella adozione di ideologie c o n t r a p p o s t e di cui ognuno degli avversari si fece campione e che permisero di conferire alla guerra successiva il carattere di ferocia tipico delle guerr e di religione. E ' sufficiente ricordare, p e r avere una idea della follia suicida dei più convinti belligeranti, che 1 primi censimenti d o p o il 1945 indicano che la popolazione sovietica contava oltre 20 milioni di donne più degli uomini e quella tedesca quasi 14 milioni di eccedenza della c o m p o n e n t e femminile su quella maschile. 6.

I cambiamenti dell'era nucleare

Dal principio del XIX secolo, cioè dalle guerre napoleoniche, l'evoluzione tecnico-dottrinale - contrassegnata 124

da Napoleone, Hegel, Clausewitz e da tutti i teorici del nazionalismo - si orientò verso la guerra totale. Tale sviluppo venne peraltro b r u s c a m e n t e interrotto non già dall'influenza di dottrine belliciste o pacifiste, m a d a u n a nuova invenzione. L'effetto più immediato della minaccia nucleare consisté essenzialmente nel fatto che ne risultò u n o sconvolgimento totale e della capacità offensiva e - recip r o c a m e n t e - della vulnerabilità dei belligeranti. Le megalopoli, così come le grandi concentrazioni militari, apparivano o r m a i come votate alla distruzione immediata. Allo stato attuale della tecnica, sembra che per le guerre t r a grandi Stati non esista che un'alternativa: scatenare il suicidio atomico o « salvare la guerra », sospendendo l'uso delle armi nucleari, e continuare la guerra impostata sull'uso di grossi battaglioni. Peraltro, è p r o p r i o questo che si è verificato in occasione degli ultimi scontri t r a grandi Stati: si pensi al conflitto cinoamericano in Corea, a quello t r a India e Cina, t r a India e Pakistan, al Vietnam o alle frizioni cino-sovietiche sui fiumi della Siberia. Abbiamo assistito, nelle fattispecie indicate, a guerre convenzionali volontariamente moderate, analogamente a q u a n t o accadeva in E u r o p a nel XVIII secolo. I n t u t t i questi casi si è avuto l'esatto opposto del principio clausewitziano dell'« escalation ». Il XVIII secolo h a creduto nella pace. I suoi più grandi spiriti ritenevano che la guerra fosse in via di estinzione. Oggi risorge u n a speranza uguale e si pensa che la guerra non possa essere altro che u n a minaccia o, t u t t ' a l più, un « colpo di preavviso ». Oltre questo limite si avrebbe un reciproco suicidio. Ora, è possibile che u n a potenza nucleare accetti u n a invasione o una disfatta totale senza gettare sulla bilancia il proprio arsenale atomico? 7.

Prospettive e nuova tipologia delle guerre

Viene fatto di chiedersi se queste nuove limitazioni siano in grado di consentire alla guerra di continuare 125

a svolgere le sue funzioni storiche, politiche e demoeconomiche. Finora, la vita dei gruppi e delle società politicament e sovrane è stata m a r c a t a dall'alternanza t r a guerra e pace. La guerra è il p i ù i m p o r t a n t e dei fattori di riorient a m e n t o e di riequilibrio delle società: se essa dovesse cessare di esistere, le relazioni interstatali e, all'interno dei corpi statali, le istituzioni e le tecniche che govern a n o gli equilibri e le gerarchie, la divisione del lavoro e s o p r a t t u t t o la demo-economia, dovrebbero essere reinventate. In particolare, occorrerà prefigurare dei sostituti della guerra capaci di adempiere alle stesse funzioni di questa con processi diversi e, si spera, m e n o c r u e n t i . Come configurare le vie che sarebbe possibile percorrere in tal senso? Quale potrebbe essere allora la nuova tipologia della g u e r r a ? Una p r i m a osservazione si impone: all'indomani del cessate il fuoco n e l 1945, sono sorti d u e problemi: « l'arma nucleare » e il « b o o m demografico ». L'espansione n u m e r i c a dell'umanità non h a mai toccato simili vertici: l'Annuario delle N.U. del 1971 prevede che prim a della fine del secolo, l'umanità conterà 7 miliardi di individui. Ora, nulla consente finora di essere ottimisti sulla possibilità di n u t r i r l i e di integrarli in società armoniche. Per di più, la maggior p a r t e dei paesi, s o p r a t t u t t o nel Terzo Mondo - cioè là dove i livelli di vita r e s t a n o primitivi - p r e s e n t a u n a proporzione di giovani m a i registrata p r i m a (in m e d i a t r a il 50 ed il 5 7 % di individui sotto i 20 anni). N e segue u n a r o t t u r a dell'equilibrio all'interno e, di conseguenza, u n nuovo tipo di conflitto, quello generazionale. Finora, la turbolenza della popolazione giovanile eccedente i compiti essenziali dell'econom i a era stata diretta verso la guerra che, s o t t o il profilo demografico, costituiva u n infanticidio differito. Non p o t r e b b e essere che la capacità inventiva abbia creato nello stesso t e m p o i mezzi per u n a espansione illimitata degli u o m i n i e quelli per u n potenziale distruttivo adeguato? I n ogni caso, gli antibiotici sono nati insieme alle ogive nucleari. S t r a n a simultaneità questa! 126

8.

Tipologie funzionali delle guerre

Le funzioni principali della guerra sono m o l t o apparenti. Esse c o m p o r t a n o u n certo n u m e r o di elementi com u n i che si applicano alle più diverse forme di ostilità armata. Tali funzioni p r i m a r i e sono s e m p r e presenti, costit u e n d o gli effetti, spesso anche misurabili, delle guerre. Esse sono tuttavia sempre insieme m e n t r e variano la loro proporzione, il dosaggio, la d u r a t a , le circostanze e gli episodi. La polemologia deve, ogni volta, applicarsi al raffronto della situazione sociologica (nel senso più generale della parola, c o m p r e n d e n t e insieme alla demo-economia anche lo s t a t u t o giuridico e gli elementi geopolitici e tecnici) prima e dopo ogni conflitto. Le variazioni rilevate forniscono u n q u a d r o degli effetti e delle funzioni della guerra. Non è possibile sapere, q u a n d o la violenza h a inizio, n é dove n é quando si arresterà. E ' r a r o che le intenzioni 0 le previsioni dei suoi p r o m o t o r i e dei dirigenti si realizzino p u n t u a l m e n t e . Così, le guerre di religione, di cui sono noti gli spaventosi effetti distruttivi, sono cominciate con contrasti fra m o n a c i e con disordini di scarsa gravità. Hitler aveva minuziosamente programm a t o la serie delle sue « guerre-lampo » che avrebbero dovuto assicurargli nel giro di u n a n n o la pace e la dominazione mondiale. Si p o t r e b b e r o fare esempi in serie perché ogni guerra h a le sue sorprese. Ecco perché la g u e r r a (ed è u n a delle ragioni del suo fascino) è anche u n « gioco » sia nel senso del divertimento c h e nel significato di gioco d'azzardo con sconvolgenti incertezze. 1 poeti latini parlavano dei « dadi di ferro dei combattimenti ». Cerchiamo o r a di tracciare le grandi linee di u n met o d o analitico applicabile a d ogni guerra dopo aver visto quelle che si riferiscono ai loro effetti. E ' altresì possibile t e n t a r e di procedere ad u n a loro interpretazione storica, cioè sforzarsi di situarli nella successione dell'evoluzione sociologica, nelle variazioni 127

degli equilibri, dei cicli, delle congiunture e delle mentalità. Per questa via sarà possibile spiegare le origini di ogni conflitto a r m a t o e del suo svolgimento. Un simile m e t o d o non presuppone mai la necessità dello scoppio di u n a guerra, m a , tutt'al più, p e r m e t t e di indicarne la probabilità di c o n t r o alla posizione fallace e pretenziosa del fatalismo storico. Quest'ultimo spiega che le cose n o n sarebbero mai potute essere diverse da quelle che sono state. In altri termini, l'idea-base è che gli avvenimenti storici obbediscono a regole di assoluta •necessità: nisi casus nisi hiatus: La guerra, in questo caso, è concepita come u n ineluttabile « giudizio della storia ». Ma c o m e conciliare tale fatalismo con la nozione stessa di m u t a m e n t o e s o p r a t t u t t o con l'imprevedibilità delle invenzioni, che sono i veri c a m b i a m e n t i sociali? Si p u ò dire in genere che ogni guerra espleta cont e m p o r a n e a m e n t e funzioni politiche, di divertimento, ideologiche, economiche, etniche e gerarchiche. Analogamente, si p u ò t e n t a r e di classificare le guerre fondandosi sulla predominanza in ognuna di esse dell'uno o l'altro di quei fattori. Nondimeno, vi è un'ulteriore difficoltà storica e psicosociologica insieme che occorre guardarsi dal dissimulare: si t r a t t a del frequente contrasto tra le intenzioni di coloro che h a n n o deciso u n a guerra e la m a n i e r a in cui essa di fatto volge. Una delle caratteristiche principali degli impulsi bellicosi, q u a n d o si intensifichino, è che essi offuscano il giudizio, d a n d o la sensazione dell'invulnerabilità e della invincibilità. Intere nazioni sono state possedute da simili convincimenti. Si pensi agli Europei tutti nel 1914, ai tedeschi e ai giapponesi nel 1940 o agli egiziani nel 1967. Altro aspetto della tipologia della guerra: Machiavelli aveva giustamente operato una distinzione t r a guerre di sussistenza e guerre di dominazione. Le prime sono, a suo avviso, di ferocia particolare nella misura in cui m i r a n o alla soppressione dell'avversario per impadronirsi dei suoi territori e dei suoi mezzi di esistenza. Per il poco che ne sappiamo, sembrerebbe 128

che la preistoria e la p r o t o s t o r i a sono state, con le loro continue migrazioni di razze e di tribù scomparse, u n vero tessuto di genocidio. Le t r i b ù germaniche che invasero l'Impero R o m a n o erano, all'inizio, in cerca di sicurezza e di terre che consentissero loro di sopravvivere. I loro effettivi erano o r m a i deboli. La t r i b ù dei Vandali, u n a delle più numerose, comprendeva in tutto 80 mila persane, cioè l'equivalente della popolazione di u n a media città dell'Imper o . Circostanze particolarmente favorevoli fecero sì che queste t r i b ù riuscissero ad i m p a d r o n i r s i del potere trasformandosi in un'aristocrazia militare p a d r o n a del paese. Così, la guerra di sussistenza si era n a t u r a l m e n t e t r a s f o r m a t a in un'impresa di dominazione e di colonizzazione. Anche le guerre a sfondo ideologico sono suscettibili di evolvere, secondo i casi, verso la dominazione, la sussistenza o anche la guerra di sopravvivenza (assumendo l'aspetto di u n a lotta p e r l'eliminazione fisica totale del nemico). Alla stessa maniera, ogni guerra sovversiva è u n a lotta a r m a t a per il potere politico. I capi del p a r t i t o al potere, in caso di vittoria, vedono rafforzarsi per lungo t e m p o la loro posizione. I n caso, invece, di trionfo dell'insurrezione, i loro capi divengono u n a nuova classe o persino u n a casta di dirigenti che godono insieme del potere politico e dei vantaggi economici connessi. Costoro, secondo le epoche, le tecniche e le mentalità, cioè secondo il contesto sociologico, s a r a n n o i fondatori di u n a feudalità come quella dei compagni di Guglielmo il Conquistatore, dei Crociati o dei N o r m a n n i di Sicilia. I n altre parole sorgerà u n a classe di funzionari privilegiati, come nelle guerre civili m o d e r n e che h a n n o condotto alla d i t t a t u r a di u n p a r t i t o unico e, quindi, dei loro capi. Si è cercato, talora con successo, di sostituire a simili violenze dei regimi che organizzassero la trasmissione pacifica del potere, considerato t e m p o r a n e o e d a rinnovare con periodiche consultazioni. Tuttavia, il funzionamento di tali regimi, q u a l u n q u e fosse il loro grado di saggezza, n o n esclude l'azione di t u t t i gli altri fattori 129

bellici. Essi, cioè, r e s t a n o sempre esposti alla guerra, almeno fino a che questa n o n venga sufficientemente conosciuta sotto u n profilo scientifico. Infatti, la ricerca e l'organizzazione della pace passano a t t r a v e r s o la conoscenza del fenomeno-guerra.

9.

Relazioni di equilibrio t r a i tipi di conflitto a r m a t o

La più i m p o r t a n t e di queste relazioni è quella che si stabilisce nelle più diverse circostanze storiche, t r a la prevalenza (e la minaccia) delle guerre esterne e la virulenza delle guerre civili e delle guerre sovversive. Quando lo Stato è minacciato da potenti nemici esterni, u n m i n i m o di concordia è necessario alla nazione. La minaccia esterna, cioè, contribuisce a rafforzare la disciplina e la solidarietà t r a i cittadini. Nel caso in cui i pericoli esterni vengano meno o appaiano - a t o r t o o a ragione - poco credibili, i fermenti di discordia trovano via libera. D'altra p a r t e , le tendenze alla violenza che esistono in ogni società non possono essere più canalizzate in m o d o uniforme verso il nemico esterno della nazione. Esse tendono altresì a riversarsi n e i contrasti interni, qualunque ne sia la motivazione. Così, l'America Latina liberata dalla colonizzazione spagnola e p r o t e t t a dagli eventuali aggressori dalla dottrina Monroe, h a avuto u n a storia interna costellata di colpi di S t a t o . Una quindicina di anni di indipendenza degli Stati Africani protetti dalla rivalità t r a i due Grandi, h a n n o m o s t r a t o u n equilibrio evolutivo analogo. Anche colà i colpi di Stato militari sono all'ordine del giorno. E ' anche t r a m i t e u n a più approfondita conoscenza dei fattori bellici e dell'eziologia dei conflitti a r m a t i che si p u ò sperare di sfuggire a queste epidemie di violenza collettiva e di trovar loro dei sostituti, cioè delle possibilità di autoregolazione delle società che rimpiazzino le oscillazioni distruttrici destinate, finora, all'esercizio di queste funzioni. 130

10.

Ruolo e p o s t o delle guerre civili

Varie ipotesi sono state formulate a proposito di questa nuova situazione. Una di esse considera che le guerre t r a nazioni sono destinate a diminuire e, per conseguenza, ad essere rimpiazzate dalle guerre di sovversione e dalla guerriglia. Ora, q u a n d o la violenza rivoluzionaria si estende, passando dalla fase della sommossa, dello scontro isolato o del colpo di m a n o , a quella del c o m b a t t i m e n t o , quella violenza evolve verso la guerra civile. Questa h a s e m p r e occupato un ruolo sociologico di p r i m o piano ed è s t a t a spesso molto più letale dei conflitti t r a Stati. Ciò è t a n t o più vero se si pensa che le guerre civili sono state r a r a m e n t e delle semplici lotte per la conquista del potere, tendendo, invece, ad a s s u m e r e u n carattere ideologico o tribale. La guerra di secessione americana è stata la più atroce del XIX secolo; la guerra civile spagnola h a fatto, proporzionalmente alla popolazione in essa coinvolta, più m o r t i della g u e r r a 1914-1918; la guerr a civile in Russia, tra il 1917 ed il 1924, con il suo corollario di carestie e massacri, h a provocato p i ù vittim e della guerra esterna che l'aveva i m m e d i a t a m e n t e preceduta. Oggigiorno, i massacri religiosi che h a n n o salutato l'indipendenza Indiana, quelli del Biafra, dell'Indonesia e del Bengala Orientale, sono configurabili come veri genocidi parziali. Gli u l t i m i eventi h a n n o m o s t r a t o che la guerra civile non abbisogna di a r m i perfezionate p e r provocare spaventosi effetti demografici. Si p u ò temere, invero, che essa venga c h i a m a t a a d esercitare - in mancanza di misure preventive di ordine s t r u t t u r a l e - le funzioni demoeconomiche della guerra internazionale presso i popoli che vengono privati di questa. Tutt'al più, gli Stati rivali si a d o p e r e r a n n o a provocare, alimentare e sostenere le guerre civili dei loro vicini, m a senza osare, nella più p a r t e dei casi, di intervenire direttamente, per t i m o r e di esserne coinvolti. 131

11.

Guerre sovversive e rivoluzionarie

Risulta più difficile studiare obiettivamente questo tipo di guerre p i u t t o s t o che quelle internazionali in q u a n t o le p r i m e eccitano le passioni in m i s u r a maggiore delle seconde. E' d u n q u e più complicato fare accettare in questo c a m p o l'obiettività scientifica che c o m p o r t a u n a sorta di dissacrazione. Ogni guerra contro il potere costituito, c o n d o t t a all'interno da soggetti o cittadini che si sollevano, è u n a guerra di sovversione. Appare problematico fornire u n a definizione più oggettiva nel senso che la sovversione p u ò m u t a r e campo a seconda delle vicissitudini di questa lotta a r m a t a . Ad esempio, dopo la vittoria dei Protestanti in Gran Bretagna, la situazione si capovolge: con i Protestanti al potere, i Cattolici divennero a loro volta degli insorti. I n Francia, dopo che la Rivoluzione ebbe rovesciato la dinastia, i realisti condussero in Bretagna e Vandea u n a g u e r r a sovversiva contro il nuovo ordine. Quando la guerra sovversiva si prolunga, si verifica u n a divisione del territorio nazionale. Ognuna delle parti si raggruppa nella zona dove h a il p r e d o m i n i o e vi installa u n p r o p r i o governo e u n proprio esercito. Così fu per le rivolte dei Tai Ping, per la guerra di secessione e p e r la guerra civile spagnola. Spesso la guerra civile provoca interventi dall'estern o , come nel corso delle due rivolte ungheresi i cui effimeri governi furono schiacciati l'uno dall'esercito romeno (al t e m p o di Bela K u n ) e l'altro dai carri a r m a t i sovietici a Budapest. Nel XIX secolo, Mettermeli fu il grande teorico degli interventi anti-rivoluzionari della S a n t a Alleanza. Gli interventi stranieri appaiono condizionati dalla lunga d u r a t a delle guerre civili. Si pensi all'intervento francese nella guerra di indipendenza americana, a quello inglese nella g u e r r a d'indipendenza spagnola, al temp o dell'insurrezione anti-napoleonica, a quello francese nelle lotte risorgimentali e a quello statunitense nell'insurrezione di Cuba contro la Spagna. 132

T u t t e le guerre di sovversione m i r a n o a provocare la c a d u t a del potere esistente e la sua sostituzione con u n n u o v o ordine ed implicano la disponibilità di forze a r m a t e capaci di misurarsi con quelle governative. Per questa ragione, è r a r o che in siffatti conflitti a r m a t i interni gli insorti n o n dispongano dell'appoggio di u n a p a r t e dell'esercito regolare. La quasi totalità delle guerr e rivoluzionarie vittoriose h a n n o c o m p o r t a t o u n amm u t i n a m e n t o militare. L'esempio più clamoroso è fornito, nel periodo 1914-1918, dalla gigantesca defezione p r i m a dell'esercito russo, poi di quelli austro-ungarico e tedesco. Tutti e t r e agirono p e r rovesciare i rispettivi imperatori.

12.

La guerriglia

Accanto alla lotta t r a eserciti regolari, caratteristica delle guerre civili ed internazionali, sono sempre esistite ostilità condotte da piccoli g r u p p i sparsi n o n dotati di u n a organizzazione militare vera e propria. Tali gruppi si f o r m a n o in genere p e r adesione spontanea dei loro uomini che si considerano r a p p r e s e n t a n t i della volontà popolare. T r a essi, i più coerenti sono quelli che si rivolgono contro conquistatori stranieri. Il termine « guerriglia » è stato forgiato all'epoca della lotta popolare spagnola contro Napoleone. Nel corso dell'ultima guerra, movimenti di resistenza h a n n o condotto operazioni di d i s t u r b o nella grande maggioranza dei paesi occupati dai tedeschi. D u r a n t e la guerra 1940-1945, particolarmente in Polonia, Ucraina, Jugoslavia e nell'Italia del Nord, veri e p r o p r i corpi di partigiani, n u m e r o s i ed organizzati, intervennero a ridosso del nemico ed all'interno dei paesi occupati. E r a n o , in generale, formazioni partigiane oper a n t i in collegamento con la loro a r m a t a nazionale o con le a r m a t e alleate. Tali collegamenti si poterono realizzare mercé le nuove tecniche, le comunicazioni via r a d i o ed i lanci col p a r a c a d u t e . Il ricorso agli stessi metodi permise di 133

aiutare e di organizzare la Resistenza nei paesi occupati dell'Europa Occidentale. La guerriglia ha spesso accompagnato le guerre civili, quelle religiose ed i periodi di sommovimento connessi con la dissoluzione di u n o Stato. Ad esempio alla fine dell'Impero R o m a n o operavano nella Gallia i « Bagaudes » ed in Africa i « Circoncellions », b a n d e contadine cacciate dai loro territori dalle invasioni b a r b a r i c h e e dall'anarchia militare. Del pari, nei m o m e n t i di anarchia in Cina, c o m e quello recente dei Signori della Guerra, alcune b a n d e di diversa fede politica o religiosa univano il brigantaggio all'azione partigiana. La guerriglia opera essenzialmente per mezzo della sorpresa, dell'imboscata e dei rapidi colpi di m a n o . Essa può essere temibile p e r la sua sporadicità e mobilità, s o p r a t t u t t o q u a n d o attacca le retroguardie appesantite dagli effettivi e dai carreggi. Il suo effetto è ancora più deleterio q u a n d o si sia in presenza di eserciti in ritirata, demoralizzati dalle sconfitte. Tuttavia, le condizioni di sicurezza dei piccoli gruppi di guerriglieri dipendono dalla disponibilità di vasti spazi e dall'aiuto o dalla simpatia delle popolazioni. Secondo la famosa espressione di Mao-tse-Tung, essi devon o trovarsi in mezzo al popolo « come pesci nell'acq u a ». Ora, questa u n a n i m i t à non si verifica che contro u n invasore straniero, m e n t r e nei casi in cui la guerriglia si presenti come u n tipo di guerra civile - quali che siano i moventi politici, dinastici (come nelle lotte Carliste in Spagna), religiosi o ideologici - la situazione si complica generalmente per la presenza di u n a guerriglia contraria. Per mantenersi a lungo c o n t r o u n a forte occupazione straniera, la guerriglia h a bisogno di u n appoggio esterno, oltre a quello che le proviene dalla popolazione. Questo fu, ad esempio, il caso dell'aiuto inglese agli insorti spagnoli contro Napoleone. In Algeria, Bugeaud riuscì a sopprimere la guerriglia, malgrado le difficoltà delle comunicazioni, perché essa n o n riceveva aiuti dall'ester134

n o . Al contrario, negli anni 60, nello stesso paese, l'attività di guerriglia si rivelò ineliminabile a causa, appunt o , dell'esistenza di p u n t i d'appoggio fuori dell'Algeria. Oggi la guerriglia gode di u n a certa aureola dovuta in m a s s i m a p a r t e alle dottrine politico-militari di Mao; m a , probabilmente per ragioni propagandistiche, tali dottrine contengono elementi di confusione. Infatti, le operazioni della resistenza cinese c o n t r o l'invasione giapponese c o m p o r t a r o n o la guerriglia p r o p r i a m e n t e detta e nello stesso t e m p o operazioni condotte da grandi unità militari. La « Lunga Marcia » fu u n a lunga ritirata, u n a specie di Anabasi di u n grande esercito. N o n si p u ò sostenere con sicurezza che la guerriglia spagnola, i movimenti di resistenza europea nel 1944 e la guerriglia cinese avrebbero p o t u t o da soli m u t a r e il corso degli eventi. Infatti, Napoleone fu costretto a richiamare il suo corpo di spedizione in Spagna a seguito dei rovesci subiti nel t e a t r o principale delle operazioni. Dal canto loro, i tedeschi nel 1944 si risolsero all'abb a n d o n o dei territori precedentemente occupati solo dop o t r e m e n d e battaglie in cui si affrontarono milioni di uomini. Di fronte a tali forze, a p a r t e alcuni episodi, i guerriglieri n o n h a n n o che u n ' i m p o r t a n z a simbolica. Al p a r i degli eserciti napoleonici in Spagna, i Giapponesi a b b a n d o n a r o n o la Cina, la Manciuria e la Corea, dietro ordine dell'Imperatore, dopo le vittorie riportate dagli americani nel Pacifico e, s o p r a t t u t t o , in seguito a d Hiroscima. Da u l t i m o , la triste fine di « Che » Guevara, teorico ed eroe di u n a nuova dottrina sulla guerriglia, m o s t r a le difficoltà che questa deve fronteggiare ogni volta che sia costretta ad agire in ambienti n o n u n a n i m e m e n t e solidali. 13.

La guerra u r b a n a

Nel corso della guerra d'indipendenza spagnola, il t e r m i n e « guerriglia » n o n è stato adoperato p e r le azioni insurrezionali condotte s o p r a t t u t t o dalla popolazione 135

civile, come la presa di Saragozza e la rivolta di maggio a Madrid. La parola veniva invece riservata ai piccoli gruppi in lotta nelle campagne e aventi per obiettivo le retroguardie o le comunicazioni nemiche. Questa fu anche la caratteristica delle attività di resistenza nazionale nel corso dell'ultima guerra. Il termine « guerriglia u r b a n a » costituisce u n a recente innovazione proveniente dall'America del Sud. I n u m e r o s i insuccessi, analoghi a quelli di « Che » Guevara, e l'organizzazione di unità speciali di controguerriglia nelle campagne, h a n n o suggerito l'applicazione di metodi di guerriglia a gruppi operanti nell'ambito dei grandi centri cittadini. A dir il vero, è sovente difficile distinguere t r a guerriglia e t e r r o r i s m o . I nihilisti russi organizzavano dei veri e p r o p r i gruppi di « c o m m a n d o s » per realizzare i loro attentati, sempre nelle grandi città. Oggi, occorre tenere presente l'esistenza di u n nuovo elemento: la potenza degli esplosivi e l'estrema efficacia delle a r m i leggere. Tuttavia, c'è anche il pericolo di fare vittime innocenti, come, ad esempio, nel caso dell'attentato di Milano nel 1969. Simili effetti creano u n clima sfavorevole ed ostile verso i guerriglieri u r b a n i che, così, si trovano isolati ed in balia dell'ostilità e della delazione da p a r t e della popolazione. La guerriglia u r b a n a p u ò r a r a m e n t e sopravvivere a lungo in questa forma. Quando si estende e si amplia, diviene un'insurrezione aperta che m e t t e in azione masse di combattenti, rientrando così nel q u a d r o delle operazioni militari. Tale fu il caso della Comune di Parigi nel 1871 o dell'insurrezione di Budapest nel 1956. Resta fermo, però, che u n a guerra di strada n o n è u n a guerriglia. Allorché resta guerriglia, cioè clandestina e dispersa, la lotta tende a circoscriversi, fra i gruppi c o m b a t t e n t i e le forze di polizia. Fino a d ora, l'esperienza s e m b r a indicare che quest'ultima, u n a volta passata la sorpresa, finisce per avere la meglio. Anche il periodo eroico degli attentati « al vertice » di anarchici o nihilisti (assas136

sinio dell'Imperatore Alessandro, dell'Imperatrice Elisabetta, dei re U m b e r t o e Manuel, dei Presidenti Mac Kinley e Carnot) fu seguito non già da u n a recrudescenza di azione terroristica m a , al contrario, dalla loro sparizione per lunghi periodi. A seguito dell'adozione di legislazioni repressive e del perfezionamento delle tecniche poliziesche, tali reazioni rigorose cadono in disuso, in u n lungo periodo di calma, salvo a riprendere vigore dopo qualche nuovo spettacolare attentato. Dopo il 1945, l'agitazione provocata dall'instaurazion e di u n nuovo ordine in E u r o p a Orientale e dalla decolonizzazione è stata spesso accompagnata dall'insorgere di attività di guerriglia u r b a n a . Si p u ò c o n s t a t a r e che anche le p i ù virulente e meglio organizzate t r a quelle - si pensi alla Battaglia di Algeri o alla guerriglia nelle città vietnamite - sono state o soffocate o interr o t t e senza aver mai raggiunto risultati i m p o r t a n t i nello svolgimento dei conflitti a r m a t i . Appare d'altronde diffìcile assimilare alle guerriglie u r b a n e le manifestazioni e i disordini non a r m a t i che - fatta eccezione per i paesi a regime dittatoriale - semb r a n o diffondersi sempre più nelle grandi città prendendo lo spunto da conflitti politici, regionali, economici, religiosi, razziali o intellettuali. In particolare, ques t a osservazione risulta valida p e r q u a n t o concerne gli scontri t r a studenti appartenenti a diverse ideologie e sicuri dell'impunità o, almeno, della tradizionale indulgenza nei confronti delle esplosioni giovanili. E ' notevole che a tale riguardo si sia p r o d o t t a nel corso degli ultimi anni u n a specie di a d a t t a m e n t o t r a i metodi dei manifestanti e quelli della polizia. Si pot r e b b e quasi p a r l a r e di u n a specie di « contratto di moderazione ». Le caratteristiche e s t r e m a m e n t e distruttive delle a r m i m o d e r n e h a n n o i m p o s t o questa soluzione, senza la quale il p i ù piccolo scontro si risolverebbe in ecatombe. I n altri momenti, nel corso del XIX secolo, i detentori del potere, anche negli stati liberali, non esitavano a far s p a r a r e sulle folle: oggi, invece, le forze dell'ordi137

ne si limitano generalmente a d u n o scambio di lanci di pietre o all'uso del manganello, di b o m b e lacrimogene e - innovazione recente nelle città irlandesi - allo sparo di pallottole di caucciù. Ora, allorché si m a n t e n g o n o a questo livello di moderazione, le agitazioni u r b a n e fanno veramente p a r t e di u n a guerriglia? Questa, per definizione, deve apparentarsi alla guerra, cioè c o m p o r t a r e l'omicidio sistematico ed organizzato. Senza tale carattere tragico e deprecabile anche le lotte caratterizzate da violenze fisiche n o n si riducono piuttosto a semplici manifestazioni? *.

* Su guerriglia e guerra urbana l'Autore, Gaston Bouthoul, intende sviluppare ulteriormente, e aggiornare, in una seconda edizione, queste brevi note richieste dall'editore italiano, che non appaiono nel testo originale. Il Curatore del libro. Renato Aimo, uno dei capi più noti della « Resistenza » nella provincia di Cuneo, ha aggiunto un suo breve commento, che pubblichiamo a integrazione di questa prima « Appendice ».

138

NOTA DEL

1.

CURATORE

Guerriglia e resistenza oltre l'importanza

simbolica

Sul piano generale non vi sono difficoltà a condivid e r e la tesi dell'Autore. E ' p e r ò necessario sottolineare che si t r a t t a di u n a tesi che costringe ad alcune precisazioni poiché sia la « guerriglia » che i movimenti di « resistenza », n o n avendo, ovviamente, ragion d'essere avulsi dalla realtà del grande conflitto, a maggior ragione n o n sarebbero stati in grado, da soli, di « m u t a r e il corso degli eventi ». Mi p a r e , però, che d a questa considerazione, fin t r o p p o evidente p e r non riconoscerne la validità storica, n o n sia giusto giungere alla successiva affermazione per cui, secondo l'Autore, le forze della Resistenza ed i guerriglieri « n o n hanno che u n ' i m p o r t a n z a simbolica ». Né m i s e m b r a sufficiente possa d a r e u n s u p p o r t o logico a tale tesi l'isolata affermazione secondo la quale, nel 1944, i tedeschi a b b a n d o n a r o n o i territori precedentemente occupati « solo dopo t r e m e n d e battaglie in cui si scont r a r o n o milioni di uomini ». Il giudizio parziale e sostanzialmente negativo sul r u o l o assunto dalla guerriglia e dalla Resistenza nell'ult i m o conflitto mondiale, specie per q u a n t o attiene allo sviluppo delle operazioni militari degli Alleati ed all'esito delle stesse, particolarmente in E u r o p a , non è cioè qui confortato da dati obiettivi. Innanzi tutto, a d u n esame più approfondito delle varie situazioni, a p p a r e evidente che talune considerazioni riferentesi alla guerriglia spagnola nel periodo napoleonico od a quello di Mao n o n possono essere facilm e n t e estese alla Resistenza in E u r o p a dal 1941 al '45. Quest'ultima fa capitolo a sé per i concreti risultati conseguiti, per le conseguenze politico-ideologiche determ i n a t e e, non ultima, p e r l'influenza esercitata, nel periodo i m m e d i a t a m e n t e successivo, in ordine alla dilata139

zione di analoghi movimenti di resistenza in molte p a r t i del m o n d o . Né ritengo valido il tentativo di definire la « guerriglia », « riservata a piccoli gruppi in lotta nelle campagne ed aventi per obiettivo le retroguardie o le comunicazioni nemiche » come « la caratteristica delle attività di resistenza nazionale nel corso dell'ultima guerra ». E ' una definizione limitata poiché, in ogni caso, p u ò avere valore unicamente per taluni ben individuabili movimenti di resistenza sviluppatisi in alcuni Paesi. D'altro canto, la valutazione della particolare azione svolta dai « guerriglieri » n o n p u ò tradursi in u n giudizio generale di m e r i t o sulla p a r t e avuta dai più agguerriti movimenti di resistenza nel vasto q u a d r o operativo. Non è, infatti, possibile p o r r e sullo stesso piano i colpi di m a n o , le azioni di disturbo, i sabotaggi, compiuti d a piccoli gruppi, e le operazioni a più grande respiro condotte da b a n d e partigiane militarmente organizzate. E ' vero che i gruppi di sabotatori e i « m a q u i s » sono motivo di cronache interessanti, m a è a l t r e t t a n t o vero che le loro azioni si riducono a t r o p p o poco se n o n si inseriscono in u n a intelaiatura di bande, con organizzazione di tipo militare tale anche da costringere il nemico a presidiare con forze considerevoli i centri più imp o r t a n t i , a provvedere di r o b u s t e scorte i t r a s p o r t i , ecc. T o r n a quindi utile o p e r a r e u n a fondamentale distinzione t r a guerriglia e resistenza armata: si t r a t t a , in pratica, di due differenti m o d i nei quali p u ò concretizzarsi - e nell'ultimo conflitto così si è concretizzata - l'opposizione al nemico occupante, anche se, n o n di r a d o , la seconda costituisce il n a t u r a l e sbocco della p r i m a , da cui, però, va diversificandosi sia sotto il profilo strutturale-organizzativo, sia sotto l'aspetto operativo. E se è esattissimo affermare che in alcuni Paesi d'Europa, t r a il 1 9 4 1 e il 1 9 4 5 , i movimenti di opposizione all'invasore tedesco si sono limitati - per il contesto politico-militare in cui la loro azione deve necessariam e n t e inserirsi - a m e r e azioni di guerriglia, p e r a l t r o n o n prive di importanza, occorre anche riconoscere che in altri paesi dalla iniziale fase di « guerriglia », p r i m a 140

manifestazione di opposizione all'esercito occupante d a p a r t e di u n a organizzazione clandestina, si passa alla resistenza a r m a t a « aperta » con obiettivi assai p i ù vasti, compiti assai onerosi. Con ciò n o n si vuole tuttavia affermare che anche dove la resistenza si manifesta in m o d o aperto ed a r m a t o siano del tutto assenti le azioni tipiche della guerriglia; queste, anzi, oltre ad a t t i r a r e l'attenzione della popolazione civile sull'efficienza dei partigiani, al fine di ottenere u n incremento di adesioni, talvolta sono compiute con il preciso scopo di creare le premesse per u n o scontro diretto con reparti dell'esercito occupante, p r o p r i o per distogliere, in coincidenza con le operazioni militari degli Alleati, rilevanti forze nemiche dal teatro stesso delle operazioni. Poste queste sommarie p r e m e s s e solo al fine di contribuire, con rapidi richiami ai fatti, a collocare il fenomeno « resistenza » nelle sue complesse prospettive, è lecito r i m a n e r e perplessi di fronte a giudizi che tender e b b e r o a d assegnare u n significato esclusivamente simbolico a u n movimento che h a invece inciso in m a n i e r a d e t e r m i n a n t e persino nella evoluzione delle più m o d e r n e strategie belliche. Già gli stessi nazisti, ad esempio il generale Lothar Rendulitsch, scriveva a p r o p o s i t o del ruolo assunto dalla lotta partigiana: « La storia delle guerre n o n registra u n solo esempio in cui il movimento partigiano abbia giocato u n ruolo così i m p o r t a n t e come nell'ultima guerra mondiale. Per la sua p o r t a t a esso rappresentava qualcosa di assolutamente nuovo nell'arte militare. Per l'influenza colossale che esso h a esercitato sulle t r u p p e al fronte e sui problemi del vettovagliamento, sul lavoro nelle retrovie e nelle amministrazioni delle regioni occupate, esso è divenuto p a r t e della nozione di guerra totale. Il movimento partigiano si è esteso gradualmente negli anni, in Russia, in Polonia, nei Balcani, ed anche in Francia e in Italia, ed ha influito sul carattere di t u t t a la seconda guerra mondiale » 1

Itoghi vtoroi mirovoi voìni, Sbornik statiei M. Uzd-vo, II, 1957, 135. La citazione è riportata nella relazione svolta da E. Bol-

141

2.

Caratterizzazione della guerriglia e della resistenza nei vari paesi

Naturalmente, circa il peso avuto dai vari movimenti di Resistenza nel q u a d r o generale delle operazioni militari dell'ultimo conflitto, le valutazioni possono essere contrastanti poiché spesso discendono da u n a visione parziale del fenomeno. P u r nella diversità dei giudizi e delle valutazioni, rim a n e fermo questo p u n t o : la partecipazione dei movim e n t i di Resistenza alla g u e r r a non p u ò essere valutata secondo i termini usuali di terreni conquistati, di soldati catturati, di cannoni presi, ecc. In sostanza è quant o h a chiarito, in m o d o preciso, Henri Michel del Com i t a t o p e r la Storia della 2 guerra mondiale di Parigi in u n a sua relazione al 2° Congresso internazionale p e r la Storia della Resistenza europea . Lo stesso Michel, m e n t r e ritiene che il ruolo affidato alla Resistenza è « sempre piccolo se p a r a g o n a t o ai bomb a r d a m e n t i , ai blocchi o alle operazioni anfibie » , n o n p u ò nello stesso t e m p o n o n p o r r e in evidenza che l'app o r t o militare della Resistenza alla causa degli Alleati, per ammissione di questi ultimi, è più che considerevole. E, sull'argomento, così conclude: a

2

i

« Per s t i m a r e nel suo giusto valore ciò che esse (le Resistenze) h a n n o r a p p r e s e n t a t o nella lotta c o m u n e basta pensare a quello che sarebbe successo all'Est, nell'ipotesi in cui le nazionalità n o n russe si fossero t u t t e sollevate contro il regime sovietico, o all'ovest, ove lo schierarsi delle popolazioni dalla p a r t e dell' "Ordine Nuovo" avrebbe fatto sbarcare gli anglosassoni nella ostilità o meglio nella indifferenza generale. La disfatta nazista sarebbe stata, almeno, m o l t o r i t a r d a t a » . 4

tin dell'Istituto Marxismo-Leninismo di Mosca al 2° Congresso internazionale per la Storia della resistenza europea (Milano, marzo 1961). Gli atti del Congresso sono stati raccolti nel volume La Resistenza europea e gli Alleati, Lerici editore, Milano 1962. Relazione introduttiva al 2° Congresso, op. cit., p. 78. Ibid. * Ibid., p. 78. 2

3

142

Certo, dai dati, cui è oggi possibile fare riferimento, n o n è difficile ricostruire la differente caratterizzazione assunta dai vari movimenti resistenziali europei. Così, m e n t r e in alcuni Paesi, come la Francia, l'azione del « m a q u i s » (dell'organizzazione clandestina che, specie nella Bretagna e nel Sud, per ammissione dello stesso Generale Eisenhower, h a avuto una p a r t e considerevolissima nella completa vittoria finale degli Alleati) è stata per lunghi periodi la n o t a dominante, in altri, p e r esempio la Jugoslavia, la Resistenza h a condotto la p r o p r i a guerra, reclutando moltissimi uomini e liber a n d o , praticamente da sola, gran p a r t e del territorio nazionale. Del significato t u t t ' a l t r o che simbolico di essa, gli stessi inglesi - cui va il m e r i t o di aver sostenuto il maggior peso nel sospingere e coordinare il movimento resistenziale europeo - si sono b e n presto resi conto. Nell'agosto del 1943 u n a i m p o r t a n t e missione di ufficiali superiori inglesi p r e n d e contatti con Tito le cui formazioni partigiane già avevano dimostrato u n a notevole efficacia combattiva ed u n a eccezionale capacità d'azione contro gli eserciti nemici. Tali formazioni, di cui Tito h a sempre m a n t e n u t o il comando, nonché il controllo tattico di t u t t e le operazioni, h a n n o assolto il n o n facile compito di tenere impegnato il maggior num e r o possibile di divisioni nemiche nei Balcani, in vista delle grandi operazioni imminenti nell'Europa occidentale. Il miglior riconoscimento delle particolari caratteristiche della Resistenza jugoslava e della enorme p a r t e avuta in tante fasi del conflitto, si trova in un'affermazione del Prof. F. W. D e a k m del St. Antony's College di Oxford: « ... E sebbene fosse probabile, se n o n certo, che le forze partigiane jugoslave n o n avrebbero vinto solo la battaglia contro i tedeschi, m a anche la lotta per il potere, a guerra finita, senza aiuti estranei, decisivo fu il fattore t e m p o , che consigliava di affrettare la conclusione del conflitto, fattore che comunque, in ogni caso, 143

secondo il m i o p a r e r e - che è quello di u n testimone oculare di questi avvenimenti - era tale da giustificare l'aiuto dato ai partigiani jugoslavi » . 5

Un siffatto ruolo n o n s e m b r a possa essere compreso t r a gli « episodi senza importanza strategica »! La stessa Resistenza italiana, esplosa s p o n t a n e a m e n t e nell'Italia settentrionale dopo l'8 settembre 1943, h a n o n pochi p u n t i in comune con quella jugoslava, specie per il m o d o di c o n d u r r e la lotta e p e r le forze nemiche che vi h a impegnate. Infatti, sulla base del criterio di priorità stabilito dal Comando Alleato per gli aiuti alle varie Resistenze, criterio equivalente a d u n a vera e prop r i a classifica delle stesse, la Resistenza italiana, nel 1943, è posposta ai soli Balcani m e n t r e è anteposta a t u t t e le altre (francese, polacca, boema, ecc.). I Partigiani italiani, per esplicita ammissione degli stessi Alleati , n o n sono mai stati u n esercito segreto e n e p p u r e u n a semplice forza irregolare di guerriglieri. Sono stati u n a non trascurabile forza, avente carattere militare, capace di assorbire, sottraendolo alla macchina bellica hitleriana, t u t t o il peso militare della Repubblica di Salò nonché quello di varie divisioni tedesche. Al di là di ogni a r i d a elencazione di dati statistici, è legittimo affermare che l'apporto militare della Resistenza italiana, per riconoscimento stesso degli Alleati, è equivalente a quello di u n ' a r m a t a che h a permesso agli Inglesi e agli Americani di r i s p a r m i a r e u n a loro a r m a t a nel t e a t r o di operazioni nel territorio italiano. E chi scrive questa n o t a avrebbe qui la possibilità di ampie documentazioni dirette, da altri solo in p a r t e raccolte. R. A. 6

5

Dalla Memoria presentata dal Prof. F. W. Deakin al 2° Congresso Internazionale per la Storia della Resistenza europea, Lerici Editore, Milano 1962, pp. 118.119. Dalla Relazione sull'attività del N.L. Special Force, Parte IV. Progressi della Campagna. 6

144

Appendice

seconda

EVOLUZIONE, PROBLEMATICA ATTUALE DELLA POLEMOLOGIA E N U O V E RICERCHE

1.

Evoluzione della polemologia

L'ATOMICA. - Dopo l'ultima guerra ci troviamo in presenza di u n fatto assolutamente nuovo, n o n suscettibile di comparazione con t u t t o q u a n t o l'umanità h a subito sinora, comprese le a t r o c i t à della guerra del 19401945.

L'arma atomica h a infatti spinto le possibilità distruttive a d u n livello d a cataclisma, nella m i s u r a in cui consente di eliminare ogni f o r m a di vita in interi Stati. Oggi il m o n d o è letteralmente cosparso di missili intercontinentali a media e lunga gittata che coprono, grazie a d u n a minuziosa distribuzione, t u t t o il territorio di ognuno dei potenziali belligeranti. Con l'apparire di questo nuovo fattore, la nozione di g u e r r a e a n c o r p i ù quella di vittoria smettono di corr i s p o n d e r e alla loro concezione tradizionale. Senza dubbio chi colpisce p e r p r i m o possiede la quasi certezza di distruggere l'avversario. N o n d i m e n o , allo s t a t o attuale della tecnica, pochi m i n u t i s a r a n n o sufficienti p e r scatenare u n a risposta automatica, necessariamente successiva, che annienterebbe u n istante dopo l'effimero vincitore. I n queste condizioni, la p r o b l e m a t i c a della guerra risulta g r a n d e m e n t e sconvolta. 145

2.

Nuova problematica della polemologia

Data la «novità della situazione e stante, p e r fortuna, la totale mancanza di esperienza in questo tipo di conflitto, la problematica deve necessariamente a s s u m e r e forme originali. Infatti, non si è mai avuta u n a guerra atomica vera e propria, cioè t r a avversari a m b e d u e in possesso di a r m i nucleari. Hiroscima fu un'azione unilaterale senza possibile risposta. Quando riflettiamo sui conflitti del p a s s a t o , ci appoggiamo su fatti noti analizzabili e paragonabili tra loro. Al contrario, in m a t e r i a di conflitti nucleari siamo obbligati ad i m m a g i n a r e ogni cosa. Applicando la procedura ed i metodi della prospettiva, tentiamo di prevedere quelli che p o t r e b b e r o essere i loro svolgimenti, le forme che tali conflitti potrebbero assumere e le interferenze t r a le a r m i della strategia classica e di quella nucleare. Numerosi studi, come quelli di H e r m a n n Kahn, di Rougeron, del Generale Beaufre, sono stati p o r t a t i a compimento sui possibili aspetti di siffatta strategia. La loro difficoltà è accresciuta dalla circostanza che parallelamente al loro svolgimento vengano inventati con terribile efficacia, perfezionamenti sempre più temibili di quelle a r m i e dei vettori destinati a t r a s p o r t a r l e sugli obbiettivi a velocità s e m p r e crescenti. Si è passati dalla b o m b a t r a s p o r t a t a per mezzo di aerei alle b a t t e r i e fisse di razzi vettori, da queste ai missili mobili, poi ai « loscidon » lanciati dal fondo del m a r e grazie ai sottomarini, infine agli antimissili. Si sente già p a r l a r e di b o m b e sganciate d a satelliti e forse in futuro s a r a n n o m o n t a t e a d d i r i t t u r a batterie lunari. Non si è mai avuta u n a simile consapevolezza dell'accelerazione della storia. Le guerre napoleoniche furono, ad esempio, c o m b a t t u t e con armi inventate da p i ù di 50 anni, né 20 anni di furiose guerre a p p o r t a r o n o innovazioni nel settore. Oggi la possibile strategia m u t a ad intervalli di 5 o 10 anni. Ecco d u n q u e le principali osservazioni che riassu146

m o n o la nuova impostazione dei problemi bellici dal m o m e n t o della creazione della nuova a r m a . UNA STUPEFACENTE CONSTATAZIONE. - Per quasi 12 anni, gli U.S.A. sono stati i soli possessori dell'arma atomica operativa, cioè i m m e d i a t a m e n t e utilizzabile. I n queste condizioni, essi si trovavano ad essere letteralmente padroni dell'arma assoluta in q u a n t o nessuno poteva opp o r r e loro qualcosa di simile. Essi avrebbero p o t u t o allora manifestare tendenze imperialistiche ed i m p o r r e con la sola minaccia la loro incontestabile autorità a tutti gli altri. S e m b r a , invece, che gli U.S.A. n o n abbiano mai pensato di approfittare di questa supremazia senza precedenti storici. Una circostanza così notevole contiene immensi insegnamenti polemologici, su cui ci siamo sforzati di diffonderci in u n ' a l t r a opera I n particolare quel fatto s e m b r a provare che l'aggressività guerresca, l'imperialismo e la prepotenza non derivino necessariamente dalla potenza o dal volume degli a r m a m e n t i . Oggi queste due specie di attività evolvono indipendentemente l u n a dall'altra. Il pericolo sorgerà q u a n d o esse si troveranno a coincidere. Tuttavia, la causa dell'aggressività collettiva risiede altrove. Gli stessi a r m a m e n t i esprimono, secondo gli equilibri e gli stimoli interni di ciascuno, talora p a u r a talora combattività. DECADENZA DEL P R I N C I P I O D I « ESCALATION ». - Fino a d ora, l'arma atomica s e m b r a smentire la teoria di Clausewitz sulla tendenza delle guerre ad « andare agli estremi ». Di fatto, tutte le guerre che sono scoppiate dal 1945 in poi (Grecia, Corea, conflitto cino-indiano, Suez, Congo, ecc...) sono terminate con compromessi senza che si avesse u n a vera e p r o p r i a decisione militare. Si p u ò s u p p o r r e che i grandi rivali operanti tra le quinte per guidare, a r m a r e e sostenere gli avversari abbiano 1

Tradotta in italiano col titolo L'uomo che uccide, Longanesi, 1969.

147

imposto la fine delle ostilità p r i m a che il loro aggravarsi potesse suscitare la « tentazione atomica ». E ' sperabile che d o p o u n secolo e mezzo di guerre totali si r i t o r n i a d u n periodo di ostilità m o d e r a t e analoghe a quelle del XVIII secolo in E u r o p a . V U L N E R A B I L I T À E D ALLARGAMENTO DEGLI OBBIETTIVI.

-

Parallelamente a queste prodigiose apoteosi degli esplosivi, si assiste all'allargamento e alla proliferazione, in n u m e r o e nello spazio, degli obbiettivi e delle vittime che si offrono loro. Le antiche megalopoli si trasformano in immense zone u r b a n e facilmente annientabili con u n sol colpo e senza n e m m e n o grande disturbo, al contrario che nel 1 9 4 0 - 1 9 4 5 q u a n d o occorrevano migliaia di aerei per ottenere risultati spesso mediocri. Le valutazioni concernenti i conflitti nucleari potenziali sono sempre p i ù terrificanti. Per calcolare il potere degli ordigni atomici è stato creato il concetto di « megatone ». Analogamente, per m i s u r a r e gli effetti distruttivi sulle popolazioni è sorto il concetto di « megamorte » che prevede centinaia di milioni di vittime. D E P E R I M E N T O DEL « C A S U S BELLI ». - Un'altra osservazione si ricava dalla storia polemologica del m o n d o a p a r t i r e dal 1 9 4 5 . Fino ad oggi, ogni sforzo del Diritto Internazionale ha avuto lo scopo di p o r r e limiti nettissimi t r a lo stato di guerra e quello di pace. Uno dei più i m p o r t a n t i di essi è consistito nel circondare di riti solenni il passaggio dalla pace alla guerra. Già nell'Antichità classica, le dichiarazioni di guerra e r a n o vere e p r o p r i e solennità religiose spesso riservate ad alcuni collegi sacerdotali. Nella tradizione occidentale, la dichiarazione di guerra e r a solennemente comunicata al nemico da araldi o ambasciatori. Con grande scandalo degli storici contemporanei, il Giappone infranse questa regola a d u e riprese con l'attacco a Port-Arthur e poi con quello di Pearl H a r b o u r . Un altro aspetto di questo sforzo di separazione t r a i d u e universi sociologici (pace e guerra) è dato dalla 148

nozione di « casus belli ». E r a ammesso che certi atti - come a d esempio l'incursione a r m a t a nel territorio altrui, il blocco, il sequestro di navi, i b o m b a r d a m e n t i su zone oltre frontiera - costituissero delle sfide che esigevano o u n a riparazione i m m e d i a t a o u n a dichiarazione di guerra. Ora, dal 1945 simili atti si sono moltiplicati coinvolgendo spesso grandi nazioni, come la Cina e l'U.R.S.S. DECADENZA D E I TRATTATI D I PACE. - Si t r a t t a di u n ' a l t r a caratteristica peculiare dell'era contemporanea. Fino al 1945, la fine delle ostilità era, nella stragrande maggioranza dei casi, o p r e c e d u t a o seguita a breve scadenza dalla conclusione solenne di u n t r a t t a t o di pace. Questo reintegrava le normali relazioni tra gli Stati e definiva il r i t o r n o ad u n o statuto giuridicamente determinato t r a gli ex-nemici. Ora, esistono dal 1945 almeno u n a quindicina di frontiere che, dal p u n t o di vista strettamente giuridico, n o n sono che linee di « cessate il fuoco » sfornite di u n preciso « status » giuridico. Teoricamente, le ostilità potrebbero iniziare da u n m o m e n t o all'altro. I giuristi, gli storici e i sociologi h a n n o preso coscienza di siffatta situazione e ne h a n n o molto discusso.

a. Occorre vedervi u n a situazione analoga a quella dell'Alto Medio Evo? Cioè u n o stato di violenza permanente o almeno virtuale, senza alcuna m i s u r a stabilizzatrice? I n questo caso, la pace n o n sarebbe solo u n a tregua fondata sul timore reciproco, le alleanze, le protezioni o, semplicemente, sulla stanchezza m o m e n t a n e a derivante dalle perdite del conflitto precedente? b. Julien F r e u n d h a formulato u n a tesi originale: egli sostiene che la pace n o n è mai stata concepita né conclusa che t r a nemici. Ora, se p e r ragioni di opport u n i t à politica o per effetto di u n a dottrina filosofica si nega la nozione di nemico, è impossibile concludere giuridicamente u n a pace. 2

1

J. FREUND, Le nouvel age, p. 146 e sgg.: La paix

intrauvable.

149

La guerra non p u ò più m i r a r e che alla resa incondizionata, alla conversione o all'annessione del nemico, ciò che implica il rifiuto di vedere in esso u n gruppo auton o m o o indipendente. I n altri termini, si nega al nemico il diritto ad un'esistenza separata. E' necessario, perciò, che esso entri nell'orbita del vincitore, si s o t t o m e t t a alle sue leggi, adotti le sue convinzioni ideologiche, accetti l'annessione effettuata. I n s o m m a , la nozione di nemico costituisce il corollario necessario di quella di Stato indipendente e di tolleranza internazionale, cioè di accettazione delle differenze culturali, delle civiltà, delle razze, delle religioni e dei sistemi politici. c. La situazione attuale, cioè il rifiuto della pace formale, sarebbe u n p o r t a t o dell'esasperazione nazionalistica. Al criterio delle monarchie, che accettavano facilmente le modificaioni territoriali, lo Stato nazionale considera le frontiere intangibili e sacre, né accetta le disfatte o il p a g a m e n t o del relativo prezzo. Lo Statonazione preferisce, p i u t t o s t o che confessarsi vinto, res t a r e in u n ' a m b i g u a situazione t r a la pace e la guerra, senza curarsi degli inconvenienti che ne derivano sul piano psicologico e giuridico. Forse si t r a t t a , nella circostanza, di sopravvivenza dell'ideologia totalitaria; i dittatori che r i m a s e r o al potere p e r quasi 25 a n n i posero il principio della loro infallibilità. Hitler è o r m a i u n ricordo, m a certi suoi p u n t i di vista sono sopravvissuti divenendo p a t r i m o n i o del -nazionalismo. L A TEORIA DELLO SPAZIO VITALE. -

Nel

1914

e poi

nel

1940, il m o n d o è stato messo a ferro e fuoco s o p r a t t u t t o p e r colpa di quella teoria che servì da giustificazione all'apertura delle ostilità. Il concetto di spazio vitale era pressoché generalmente accettato: i popoli frustrati fondarono su di esso le loro rivendicazioni, m e n t r e le nazioni dotate di territori coloniali ritenevano che u n a loro perdita avrebbe significato la rovina. Ora, l'ironia della s o r t e h a voluto che la Germania ed il Giappone, schiacciate ed a m p u t a t e di p a r t e del 150

loro territorio, siano oggi gli Stati più prosperi rispettivamente in E u r o p a e in Asia. Anche il Belgio e l'Olanda, uscite dalla guerra senza i m p e r o coloniale, versano in o t t i m e condizioni economiche. LA

SACRALIZZAZIONE DELLA

GUERRA E DELLA VIOLENZA

- Le teorie politiche relative alla guerra h a n n o subito u n a profonda rivoluzione a d a t a r e dall'inizio del XIX secolo. Fino a quest'epoca, i governi consideravano che la guerra fosse uno s t r u m e n t o al servizio delle politiche dinastiche, senza procedere alla formulazione di alcuna teoria ufficiale. I n realtà, la celebre enunciazione di Clausewitz « la guerra è la continuazione con altri mezzi della politica » si applicava al XVIII secolo ed appariva tanto più plausibile in q u a n t o a quel t e m p o le guerre erano assai m o d e r a t e in r a p p o r t o alle forze reali degli Stati. Quanto ai pensatori del t e m p o , essi esternavano u n profondo disprezzo per la guerra la quale era, per loro, u n a p u r a pazzia sanguinaria. I più arditi arrivavano a c o n d a n n a r e i Principi che ad essa facevano ricorso ed apparivano convinti, poiché non avevano conosciuto che guerre dinastiche, che il principio della regalità eredit a r i a fosse la causa delle guerre. Di qui a ritenere che la distruzione della monarchia fosse l'anticamera della pace definitiva, il passo era breve. Il XIX secolo rimise la g u e r r a su u n piedistallo. Con Fichte, Hegel, De Maistre, P r o u d h o n , ecc. essa ridiventa, come nel Medio Evo, « giudizio di Dio », « giudizio della Storia », « la più alta manifestazione dello Stato », « l'esame dei popoli », « il più razionale dei fenomeni politici ». A siffatta magnificazione della guerra si aggiunsero le dottrine nazionalistiche, poi quelle imperialistiche. Le Nazioni, piccole e grandi, ne sono state tutte toccate, facendosi partecipi del nazionalismo esaltante e bellicoso. Un'aggravante fu r a p p r e s e n t a t a , nel periodo t r a le d u e guerre, dal diffondersi delle dottrine sull'autocrazia economica. N E L XIX SECOLO.

151

II popolo nel suo insieme era spinto a partecipare a questa sorta di « t r a n s e ». I n s o m m a , la guerra anticam e n t e qualificata « gioco di Principi » era divenuta « gioco di popoli » con l'incoscienza, l'accanimento e la smoderatezza che q u e s t o r a p p r e s e n t a . Per questa via, la guerra m o d e r n a m o s t r ò la tendenza a riassumere i t r a t t i più crudeli dei conflitti tribali, la cui logica conduce al genocidio nella m i s u r a in cui ognuno dei cittadini si considera direttamente toccato ed impegnato nel conflitto. Dal p u n t o di vista della nazione nel suo insieme, il nemico a p p a r e come u n a specie biologica avversa che è legittimo distruggere. Per di più, i cambiamenti demografici, cioè il prodigioso a u m e n t o del potenziale d'accrescimento numerico, d à a tutti i popoli il sentimento della facile rimpiazzabilità delle vittime. Ognuno pensa di p o t e r ripopolare senza sforzo le terre spopolate dei primitivi abitanti. L E TEORIE ANTI-FATALISTE. - Le filosofie del XIX secolo, la cui applicazione h a trovato il suo culmine nelle guerre del 1914 e del 1940, sono, in fondo, teorie fataliste. Esse considerano che gli Stati nazionali sono entità irriducibili destinate, p e r fattori di ordine biologico e geografico, a scontrarsi in m o d o distruttivo. Nello stesso contesto possono essere collocate le dottrine c o m e quella di Nietzsche che, senza esaltare la guerra, magnificavano la combattività e la durezza. Infine George Sorel fu il teorico della violenza considerata, sotto t u t t i gli aspetti, alla stregua di u n a reazione m o r a l e legittima e raccomandabile.

Simili teorie, particolarmente sanguinose, suscitaron o molte reazioni. E ' tuttavia da n o t a r e che i più le combattevano ponendosi sullo stesso piano, r i s p o n d e n d o all'esaltazione con u n ' a l t r a esaltazione. Tale fu, ed è tutt'oggi, il pacifismo demagogico, fatto di imprecazioni, maledizioni ed esortazioni. Non vi è chi n o n veda come u n pacifismo siffatto si risolva in u n ' i n d i r e t t a esaltazione della guerra, nella m i s u r a in cui ne m e t t e in evidenza il carattere di grandiosa fatalità. Nel maledire la 152

guerra, il pacifismo la rivelò, accentuandone la sacralizzazione. L'esperienza h a m o s t r a t o che era molto più facile dissacrare le guerre dinastiche che quelle popolari. Solo alcuni scrittori e poeti umoristici, ironici e satirici vi si cimentarono, m a senza successo malgrado il loro talento; si pensi a Wells, A. France e, indirettamente, Pirandello. N o n s e m b r a n e m m e n o facile combattere efficacemente quelle teorie che si appoggiano su u n fatto così evidente come l'ineluttabile successione, nel corso della storia, delle guerre e delle paci. Molti uomini politici hanno cercato di contestare indirettamente le teorie sulla fatalità storica, analizzando e criticando l'applicazione fattane dai Governi. Un a u t o r e americano contemporaneo p e n s a che « ogni potere esprime i suoi miti e, per ciò stesso, finisce p r e s t o o t a r d i per allontanarsi dalla realtà ». Si p o t r e b b e anche citare Bergson e dire che il destino non esiste e che gli interessi vitali di u n a nazione, s o p r a t t u t t o quando tendono alla distruzione, sono quelli che essa stessa inventa. Tuttavia, a queste critiche, le quali possono semb r a r e pertinenti, si p o t r e b b e o p p o r n e altre e n o n già per ritornare alla fatalità, m a ponendosi da u n p u n t o di vista di critica scientifica: la p r i m a di tali critiche è che i miti, aggressivi o pacifici, n o n nascono né svaniscono d a soli. Ognuno di essi, al contrario, fa sorgere il p r o b l e m a della sua eziologia, della sua gestazione, evoluzione e sparizione. La seconda si risolve in u n a domanda: perché, ad u n d e t e r m i n a t o m o m e n t o , u n a o più nazioni scelgono t r a più miti plausibili, ed in assoluta b u o n a fede, quelli guerrieri p i u t t o s t o che quelli pacifici? Le ricerche polemologiche si sforzano p r o p r i o di dar e u n a risposta a siffatti interrogativi. 3.

Le ricerche polemologiche

Dopo i problemi generali, sociologici, politici - quali si presentano dopo 30 anni dalla fine dell'ultima grande ecatombe e dall'invenzione dell'« esplosivo supremo » 153

si colloca u n a problematica meno grandiosa e m e n o ambiziosa m a , probabilmente, più accessibile e più indirettamente utile. Infatti, la nostra azione decisiva sui fenomeni si c o m p i e solo p e r il t r a m i t e indiretto delle cause secondarie. L E RICERCHE PSICOLOGICHE. - Quali che siano le a r m i di cui l'uomo dispone - la clava o il missile inter-continentale - è s e m p r e e solamente lui che uccide. Senza intenzione omicida, l'arma più letale non è che u n a ferraglia inoffensiva perché è nell'uomo che nasce l'amor e virulento e g e r m i n a n o l'aggressività ed il genocidio. Dunque, è all'uomo, nella sua qualità di essere che pensa e che vuole talvolta la guerra, che occorre far rifer i m e n t o nel tentativo di comprenderlo. Tuttavia, n o n s e m b r a possibile capire l'uomo isolatamente. Anche p e n s a n d o freudianamente che il « Thanatos » sia radicato nell'uomo e che r a p p r e s e n t a u n a delle sue inclinazioni congenite, non si p u ò fare a m e n o di osservare che quegli u m o r i virulenti e quegli impulsi omicidi si manifestano nell'essere u m a n o solo in particolari condizioni. Il « Thanatos » è latente, come t u t t e le altre potenzialità che p o r t i a m o in noi stessi e n o n h a grande rilievo né diventa operativo e determinante se n o n q u a n d o si p r o d u c o n o modificazioni nell'organismo e nella psiche. Occorre, perché simili tendenze distruttrici e virtuali si manifestino e scoppino in violenza e crudeltà, che alcune condizioni siano associate. Quali? G L I S T U D I SULL'AGGRESSIVITÀ COLLETTIVA. - Questi studi h a n n o avuto u n grande sviluppo nel corso degli ultimi armi, trovando la p r o p r i a radice nel fatto che si è finito per realizzare che i motivi immediati dei conflitti - cioè le ragioni della controversia p e r cui la guerra scoppia - n o n sono sufficienti per spiegare il ricorso alle ostilità a r m a t e e cruente. E' necessario, perché la motivazione divenga d e t e r m i n a n t e e assuma l'aspetto del delirio, che essa sia eccitata da u n a recrudescenza dell'ag-

154

gressività collettiva. Se non esiste la predisposizione int e r n a , la stessa provocazione o lo stesso incidente troverà facile appianamento. I n u n a parola, l'impulso combattivo costituisce l'elemento essenziale e preventivo insieme. Senza di esso n o n vi è aggressione. I principali studi pubblicati sull'aggressività inducono alle seguenti riflessioni. Una p r i m a tendenza consiste nel diluire la nozione di aggressività la quale viene estesa, di approssimazione in approssimazione, a tutti gli atteggiamenti dinamici dell'uomo. L'attività, l'iniziativa, la competizione, i giochi pericolosi, la combattività emulativa, l'ambizione o p e r a n t e sono comprese, per Antony Storr, nell'aggressività, allo stesso titolo dei peggiori massacri. Ciò ricorda l'abuso c o m p i u t o u n t e m p o del concetto di « lotta ». Il successo del darwinismo aveva esteso il termine ad ogni fenomeno della vita così che persino l'attrazione universale si trasformava in una lotta t r a gli astri, la digestione u n a competizione t r a gli elementi e lo stomaco, ecc. Ora, ogni sano m e t o d o deve, al contrario, precisare e delimitare l'oggetto dello studio; deve s e p a r a r e è suddividere le difficoltà al fine di meglio risolverle. L E RICERCHE PSICOLOGICHE SULL'AGGRESSIVITÀ. -

La

po-

lemologia p u ò unicamente tener conto della aggressività che sfocia nella « violenza fisica », che cioè si materializza nella volontà di attaccare, colpire, ferire o uccidere il nemico. La rivalità senza violenza, la concorrenza o anche la minaccia possono essere manifestazione di animosità o di odio, senza m a i collocarsi nel contesto polemologico. La « guerra fredda » senza c o m b a t t i m e n t i n é vittime n o n è guerra, m a , t u t t ' a l più, u n a metafora inquietante. La vita u m a n a e quella delle società sono costituite da u n accavallarsi di conflitti, solo alcuni dei quali, però, provocano violenze fisiche. Una seconda serie di studi recenti - i più conosciuti dei quali sono quelli di K. Lorenz - c o m p o r t a essenzialm e n t e alcune osservazioni sulle manifestazioni aggressi155

ve degli animali. L'Autore h a s o p r a t t u t t o messo in luce l'esistenza presso di essi di meccanismi frenanti. I lupi e gli altri animali avidi di carne cruda cessano di comb a t t e r e q u a n d o l'avversario si dà per vinto, p r e n d e la fuga, striscia o si piega tendendo la gola. Il d r a m m a dell'umanità - afferma Lorenz - è che simili meccanismi n o n operano istintivamente nell'uomo. Il fatto che egli sia sprovvisto di a r m i naturali, come gli artigli o i denti affilati, lo h a indotto ad inventare le armi. Nella m i s u r a s o p r a t t u t t o in cui h a n n o consentito combattimenti a distanza, giavellotti, frecce ed a r m i da fuoco, h a n n o contribuito ad accrescere le violenze e le distruzioni u m a n e . Le osservazioni precedenti non s e m b r a n o essere esatte che limitatamente ai modelli studiati da Lorenz, cioè i mammiferi e gli uccelli. Nondimeno nel m o n d o animale la p a l m a della crudeltà è d e t e r m i n a t a dagli insetti e dai r e t t i l i . 3

Tuttavia, vi è u n altro capitolo ben più i m p o r t a n t e , quello dell'aggressività n o n individuale, m a di gruppo. I n linea generale, la crudeltà aumenta, anche presso gli animali, q u a n d o si manifesta in un gruppo organizzato. Gli insetti « sociali », quali le formiche, le termiti o le api, m o s t r a n o nella gerarchia e nel c o m p o r t a m e n t o un'inesorabile crudeltà. Anche presso i mammiferi, i meccanismi frenatori descritti da Lorenz s m e t t o n o di funzionare q u a n d o si t r a t t i di combattimenti t r a b a n d e di lupi o di cani. I n casi del genere si assiste a veri e p r o p r i massacri. La crudeltà si aggrava u l t e r i o r m e n t e se quei c o m b a t t i m e n t i h a n n o p e r oggetto l'attacco o la difesa del territorio dell'orda. Lo studio delle invasioni da p a r t e di gruppi o specie antagoniste r a p p r e s e n t a u n capitolo essenziale della biologia. Studi del genere si applicano a l t r e t t a n t o b e n e ai microbi, ai topi ed ai lupi. 3

.Sì dottrine furioso: trad. it.

156

veda l'eccellente esposizione critica di tutte le recenti sull'aggressività nell'opera di FAUSTO ANTONINI, L'uomo l'aggressività collettiva, Hachette, Parigi 1970, pp. 180, Mondadori.

Ogni gerarchia u m a n a o animale implica u n a s o r t a di regolamentazione dell'aggressività. Qualunque educazione insegna a distinguere aggressività consentita ed aggressività proibita. Resta p e r ò fermo che ogni gerarchia - come h a n n o osservato Novicow e recentemente C a n e t t i - c o m p r e n d e e sottintende in ultima analisi la minaccia di morte. Tale minaccia r a p p r e s e n t a la base dell'ordine. Lo stesso discorso vale p e r le... istituzioni distruttrici che, t r a l'altro, presiedono alle gerarchie nazionali ed internazionali e agli equilibri sociali. La rivolta contro la gerarchia c o m p o r t a , sia presso gli animali che presso gli uomini, dei c o m b a t t i m e n t i , cioè l'esecuzione della minaccia di m o r t e . Il risultato consiste sempre nel consolidamento della gerarchia esistente o nell'instaurazione di u n a nuova a u t o r i t à . 4

5

Tuttavia, Lorenz n o n s e m b r a aver tenuto in sufficiente conto l'esistenza nell'uomo di fenomeni frenanti, sia di origine psicologica (pietà, timore di rappresaglie, sentimento religioso) sia istituzionali (leggi ed usi). I progressi della civiltà sono stati, da questo p u n t o di vista, ambivalenti: d a u n a p a r t e , gli s t r u m e n t i dell'aggressività sono divenuti p i ù letali; dall'altra, le tecniche di contenimento della violenza e delle sue manifestazioni sono state del pari perfezionate ed insieme complicate. Dapprima lo Stato si riserva il monopolio della violenza interdicendone l'uso ai privati. Presso t u t t e le società u m a n e vige il divieto dell'omicidio, severamente sanzionato dalle convinzioni morali e religiose e dalle leggi. S u questo p u n t o , l'uomo sociale n o n è affatto infer i o r e all'animale, nel senso che i n o s t r i meccanismi fren a n t i sono molto più ricchi. Ciononostante, l'uomo sociale (e n o n n e esiste u n a l t r o ) m o s t r a altresì u n a analogia fondamentale con le società animali. La proibizione dell'omicidio è rigorosa 4

Cfr. ELIAS CANETTI, Massa

e

potenza.

5

Nel programma dell'Istituto Francese di Polemologia figurano le ricerche sulle « Istituzioni distruttive ».

157

solo t r a individui a p p a r t e n e n t i allo stesso gruppo e sottomessi alla medesima autorità. Oltre questo limite ci si trova in presenza di forme di omicidio legate al « fenomeno bellico ». Sono caratteristiche di quest'ultim o la regolamentazione e l'organizzazione dell'omicidio collettivo in m o d o istituzionale. Le regole relative variano a seconda dei tipi di civiltà cui si riferiscono. S T U D I P S I C A N A L I T I C I SULL'AGGRESSIVITÀ E S U L L E GUER-

RE. - Alla b a s e di questi studi si collocano le celebri ricerche di Freud sull'opposizione t r a l'Eros e la Morte, cioè l'istinto della vita e quello della m o r t e . Dal c a n t o suo, Adler h a rilevato come i sentimenti di inferiorità, le umiliazioni, la p a u r a e i timori creino il bisogno di compensazione e spesso il desiderio di affermarsi e di proteggersi m e d i a n t e la violenza offensiva. Si p o t r e b b e dire che il c o m b a t t e n t e proietti sul nemico i suoi sentimenti di inferiorità e le sue frustrazioni, aspettandosi dalla vittoria la sicurezza, il conforto e la salute mentale. J u n g ha aperto la strada all'esplorazione delle attività aggressive dell'inconscio, indicando il ruolo degli archetipi storici s e m p r e p r o n t i a risorgere nella n o s t r a m e m o r i a nei m o m e n t i di crisi. A ciò occorre p u r e aggiungere gli studi di Laforgue sul « complesso del fallim e n t o » tipicamente sociale, generatore di crudeltà ed aggressività, e quelli di M. Klein e di W. Reich. Prima della psicanalisi, P. Janet aveva indagato sul ruolo capitale dell'inconscio e sulle nevrosi da agitazione; Brochard si dedicò invece allo studio delle false prospettive e delle menzogne della vita intcriore. G. Tarde, u n o dei creatori della psicologia sociale, m o s t r ò la importanza dei processi imitativi e tracciò il q u a d r o di u n a logica sociale. V. Pareto stabilì, dal c a n t o suo, la distinzione t r a « azioni logiche » e « n o n logiche » insiem e alla nozione di « residuo », derivante dalle n o s t r e credenze e dai nostri impulsi individuali e sociali. Attualmente, la maggioranza degli autori che studiano l'aggressività da u n p u n t o di vista personalistico, si mantengono nella scia di Freud. I n Germania, A. Mit158

scherlich contesta la posizione dei sociologi roussoiani, i quali postulano la n a t u r a fondamentalmente b u o n a e pacifica dell'uomo, distorta dalla società, vera responsabile dei misfatti individuali. « Mi s e m b r a preferibile, afferma al contrario Mitscherlich, a m m e t t e r e che l'ostilit à verso gli altri sia u n bisogno psichico, facile a provocarsi, dell'uomo nel q u a d r o dell'aggressività in q u a n t o caratteristica della specie ed affidare alla società il compito di attenuarla ». Ciò che colpisce è che questo autore, il cui m e t o d o consiste nell'estendere la diagnosi psicoanalitica individuale alla descrizione dei c o m p o r t a m e n t i collettivi, rimproveri alla Germania di oggi la sua « amnesia collettiva » riguardo ai crimini del periodo nazista. Tuttavia, l'oblìo s e m b r a essere u n a necessità vitale t a n t o p e r gli individui che per le generazioni successive. Senza di esso, noi r e s t e r e m m o per sempre sprofondati nel r i m u g i n a m e n t o dei nostri errori, dei nostri lutti e dei n o s t r i rancori ed ancorati ad immutabili tradizioni. Ora, però, all'oblìo individuale si contrappone il ricordo collettivo che costituisce sfortunatamente, sopratt u t t o in questa materia, u n serbatoio di astio e di rancori bellicosi sempre p r o n t i a riemergere. Forse questo ruolo pericoloso ed ingrato risulta aggravato dal gusto degli storici per il tragico, riscontrabile nel sensazionalismo c h e impone ai giornali e ai « m a s s m e d i a » nella loro funzione informativa u n carattere di priorità ai crimini e alle catastrofi. Appare impossibile e n u m e r a r e in questa sede t u t t e le efflorescenze e le derivazioni del « freudismo ». Mette conto citare ancora, t r a i più i m p o r t a n t i , il m e t o d o di Erikson impostato su u n a psicanalisi della storia imp e r n i a t a su certe tendenze o personaggi culminanti (es. la psicanalisi di Hitler). Money-Kyrie cerca anche di applicare ai gruppi i principi dell'analisi individuale, tentando u n accostam e n t o della guerra alle teorie sessuali ed edipiane. F r a n c o Fornari, nelle sue opere sulla psicologia della guerra e successivamente su quella della guerra atomi159

ca. vede la causa essenziale della guerra nella proiezione del male sul nemico. Egli nota che la p e r d i t a di u n a p e r s o n a amata, ed odiata insieme, su u n piano inconscio in virtù dell'ambivalenza dei sentimenti prefigurata da Freud, fornisce l'occasione - col p r e t e s t o della vendetta - di p r o i e t t a r e sul nemico i nostri sentimenti di colpa e tutti i nostri demoni interni. Questo è lo schema delle sue teorie sull'« elaborazione p a r a n o i c a del lutto ». Siffatto processo allo stato p u r o è riscontrabile presso i primitivi, p e r i quali la m o r t e di u n personaggio i m p o r t a n t e ( a m a t o , detestato e t e m u t o nello stesso tempo) deve essere sempre vendicata, preferibilmente attaccando u n a t r i b ù vicina considerata responsabile. Pur attraverso forme diverse e spesso più sottili, r i m a n e fermo il p u n t o principale, cioè la proiezione delle n o s t r e difficoltà interne sul nemico esterno. Ciò spiega come le t r i b ù primitive, private dai colonizzatori del diritto di muovere guerra, siano sommerse dall'angoscia e dalla tristezza fino al deperim e n t o o a d d i r i t t u r a alla m o r t e . Esse, infatti, si trovano nell'impossibilità di applicare quella terapia psicologica che le rassicurava e le consolava al contempo. Fausto A n t o n i n i critica l'eccessiva generalità di siffatta interpretazione. Egli pensa che l'elaborazione paranoica del lutto - q u a n d o a p p a r e sufficientemente intensa da suscitare conflitti a r m a t i - n o n sia che u n o dei sintomi dell'aggressività collettiva. Quest'autore osserva che la situazione p i ù favorevole all'insorgere di conflitti a r m a t i è quella della esistenza di due avversari, a m b e d u e in p r e d a alla aggressività. I n tal caso, la proiezione paranoica è reciproca. Tuttavia, occorre aggiungere il fatto che ognuno dei due, immaginando l'aggressione altrui, si p r e p a r a a difendersi. Ora, osserva Antonini, « il desiderio di attaccare n o n si distingue m a i n e t t a m e n t e dal desiderio di difendersi ». Insomma, l'aggressività è il momento primario che si assopisce e si orienta successivamente secondo le circostanze e gli « eccitamenti occasionali ». 6

6

160

FAUSTO ANTONINI, op.

cit.

4.

Ricerca sulle s t r u t t u r e bellicose

Per gli psicologi e gli psicanalisti, le spiegazioni del « fenomeno-guerra » si situano s o p r a t t u t t o nel cuore dell'uomo, nelle sue credenze e nelle sue s t r u t t u r e psichiche, cioè nella sua mentalità. Tuttavia, la mentalità è u n fenomeno essenzialmente sociologico, configurandosi come u n sistema di riferimento ed u n a tavola dei valori. Ora, la n o s t r a mentalità e i nostri sentimenti contengono in permanenza t u t t e le tendenze, quelle pacifiche come quelle bellicose, la carità n o n meno della crudeltà. La prevalenza delle u n e o delle altre va fatta risalire alle circostanze. Quando sia questione di psicologia sociale, ci semb r a che il fondamento dei vasti cambiamenti di opinione si trovi nelle variazioni delle s t r u t t u r e sociali. Di qui il m u t a m e n t o c o m p o r t a m e n t a l e , in particolare la prevalenza dell'Eros sul T h a n a t o s o viceversa. In altri termini, le fluttuazioni dell'aggressività collettiva dipendono in p r i m o luogo e, si p o t r e b b e dire, organicamente, dalle variazioni delle s t r u t t u r e sociali. I n seconda analisi, le loro manifestazioni contingenti dipendono dalla cong i u n t u r a storica. CARATTERISTICHE

DELLE

STRUTTURE

POLEMOLOGICHE.

-

La loro principale caratteristica è data dalla stabilità. Due di esse inglobano e comprendono insieme le altre s t r u t t u r e e la totalità dei fatti storici. Si t r a t t a delle due più generali categorie filosofiche: lo spazio e il tempo. 1. La geopolitica rivela l'esistenza di u n a serie di costanti geografiche. Si pensi, a quelle linee, a quelle zone od a quei luoghi fatali dove si riducono, attraverso i secoli e le civiltà successive, le invasioni e gli scontri a r m a t i . Ad esempio il Reno o l'Adriatico. Le frontiere sono, per lo più, scie sanguinose di guerre passate. La geopolitica si applica spesso anche alle s t r u t t u r e mentali, presentando certe linee di separazione t r a i 161

7

t r a t t i etnici, le culture, le religioni e le civiltà . Ogni Stato sovrano, ogni nazione, ogni cultura possiede u n a p r o p r i a geopolitica, composta essenzialmente dal ricordo delle imprese e delle battaglie, delle lotte c o n t r o i vicini, delle vicissitudini, flussi e riflussi della sua espansione. L'insieme costituisce u n vero e p r o p r i o arsenale di m e m o r i e bellicose e dai suggerimenti derivanti dalla congiuntura internazionale si ricava il ricordo di questo o quel capitolo storico. La rievocazione rinfocola o a t t e n u a le inimicizie. 2. La cronistica r a p p r e s e n t a l'altra s t r u t t u r a principale. Essa c o r r i s p o n d e al t e m p o sociale e c o m p r e n d e l'insieme dei cicli e dei ritmi che compongono la vita sociale. Il fatto di scoprire e determinare la periodicità di u n fenomeno p e r m e t t e di integrarlo nella biologia sociale. Sotto il profilo metodologico consente di ricorrere a d analogie e di applicare al fenomeno concetti, metodi ed approcci analoghi a quelli delle altre scienze biologiche. Una delle ricerche più appassionanti della polemologia è anche quella della periodicità dei conflitti. Beninteso, tale contrassegno m u t a secondo la dimensione numerica e l'area geografica delle guerre. Ad esempio, dal tempo del Rinascimento si constata nell'Europa Occidentale u n a grande guerra generale ogni secolo, con il corollario di i m p o r t a n t i conflitti limitati ogni 25-30 anni. Nel corso della storia delle civiltà sono rilevabili numerose altre serie caratterizzate da analoghe regolarità. Si vede c o m e siano i m p o r t a n t i queste ricerche quando si t r a t t i di analizzare situazioni belligene attuali o di valutare le probabilità dello scoppio dì conflitti. Tale probabilità a u m e n t a se la congiuntura cronistica e quel7

Lo storico E . F . GAUTIER ha rilevato che dopo la guerra dei Trent'anni la linea di separazione tra gli stati cattolici e protestanti seguì approssimativamente i confini romani. Lo stesso E. F. GAUTIER rileva che i paesi in cui l'Islam s'è radicato in modo più duraturo sono quelli in cui predominò a lungo l'eresia di Ario. Così ad esempio l'Egitto e la Spagna.

162

la geopolitica si aggiungono agli altri fattori belligeni di u n a d e t e r m i n a t a situazione. Ad esempio, la convergenza dell'aggressività collettiva in t u t t i i popoli europei nel 1914, trova in gran p a r t e u n a spiegazione nel fatto che l'intervallo ciclico di u n secolo t r a periodi di guerre generali in E u r o p a - c o m e si riscontra dall'inizio del Rinascimento - stava per concludersi (1814-1914). I FATTORI DEMOGRAFICI. - La guerra è u n a specie di rito distruttivo della popolazione. Il vincitore, nelle guerre in cui trionfa facilmente, come nelle vecchie spedizioni coloniali, perde u n m i n i m o di giovani. Le ricerche effettuate finora indicano che u n a certa attrezzatura demografica - contrassegnata da u n eccesso dì giovani rispetto ai compiti economici essenziali - è particolarm e n t e generatrice di aggressività collettiva*. Senza dubbio siffatta predisposizione demografica non è la sola. Infatti, se si sottopongono ad analisi le caratteristiche dei grandi Stati che in u n certo m o m e n t o h a n n o operato d a elementi perturbatori in u n a situazione di pace della loro epoca, si n o t a q u a n t o segue: (a) u n a popolazióne totale n u m e r o s a ; (b) u n a p i r a m i d e dell'età caratterizzata da u n a forte proporzione di maschi giovani; (c) un'alta capacità tecnica ed industriale. Tale fu il caso della Francia napoleonica e, p i ù tardi, della Germania e del Giappone. Dal p u n t o di vista demo-economico, l'imperialismo bellicoso è riservato alle nazioni più ricche e più potenti. Oggi si constata che il Terzo Mondo nel complesso è in p r e d a a fremiti aggressivi. Esso, però, dispone di u n o solo dei fattori di combattività: la sua espansione demografica. Così, in m a n c a n z a di un'adeguata attrezzatura tecnologica, quei surplus u m a n i possono consum a r s i solo in feroci guerre civili omicide; si pensi, p e r esempio, per rimanere agli ultimi 20 anni, ai massacri 8

Cfr. G. BOUTHOUL, L'infanticidio trad. it. Mondadori.

differito,

Parigi

1970,

163

in India, Biafra, Indonesia, Pakistan Occidentale e alle epurazioni della rivoluzione cinese. Ecco perché si p u ò dire, in linea di massima, che la sovrappopolazione sia n o n già u n a causa diretta della guerra, bensì u n a condizione capace di rendere più efficace e virulenta ogni altra componente belligena. I n s o m m a , la sovrappopolazione è sicuramente la condizione della aggressività distruttrice. Tutti i motivi dello scoppio delle guerre descritti dalla storia, come le ragioni ideologiche, politiche, culturali, economiche, razziali, di ambizione personale ecc. sono riattivati dalla s t r u t t u r a demo-economica. Nondimeno, lo scoppio n o n si avrebbe, o s a r e b b e molto debole, se n o n fosse facilitato d a u n ' a p p r o p r i a t a s t r u t t u r a demo-economica. RICERCHE S U I F E N O M E N I D I PASSAGGIO. - L'esistenza di r a p p o r t i t r a le variazioni delle s t r u t t u r e sociologiche e quelle dell'aggressività collettiva pongono u n altro problema. Come si p r o d u c e il passaggio da un'infrastrutt u r a stimolatrice di un'aggressività informe e vaga ad u n a combattività e ad un'inimicizia consapevoli? Questo p r o b l e m a , oltre all'interesse scientifico che presenta, p o t r e b b e essere, se risolto, di g r a n d e concreto aiuto. Innanzitutto, nella ricerca dei cosiddetti Parametri Polemologici, i quali consentono di p o r t a r e alla luce e m i s u r a r e il grado di probabilità delle tempeste belliche. La soluzione del p r o b l e m a p e r m e t t e r e b b e altresì di reperire i mezzi per intervenire efficacemente al fine di eliminare, deviare o disinnescare lo scoppio dei conflitti armati. Tra i modelli prefigurati e le ipotesi formulate, mette conto citare l'azione dei « complessi belligeni ». L'esistenza di certi squilibri strutturali provoca u n a agitazione psicologica collettiva di u n tipo particolare. E ' attraverso q u e s t a agitazione che l'aggressività, diffusa ed informe, diviene animosità cosciente ed operante, cioè ostilità diretta contro u n nemico determinato ed appoggiata da rivendicazioni e precisi motivi. 164

Un simile edificio, insieme psicologico, sociologico e politico, è costruito con il concorso di più complessi belligeni. I principali sono: • 77 complesso del capro espiatorio che ci spinge e ci obbliga a scegliere u n nemico, accusandolo di t u t t i i misfatti, imputandogli ogni n o s t r a sventura e proiettando su di lui tutti i nostri demoni. Il complesso di Damocle che fissa l'ossessione del pericolo, reale od immaginario, spingendoci alla ricerca e all'identificazione degli autori e dei responsabili. Esso finisce col suscitare reazioni di panico aggressivo e di « fuga in avanti ». Il complesso di Abramo e quello di Achille che ci fornisce il senso della invulnerabilità. Il complesso dell'ingombro. Si è proposto di aggiungere ai complessi belligeni quello dell'ingombro che occupa u n posto fondamentale nel m o n d o moderno, nella m i s u r a in cui genera fastidio, ostilità, esasperazione ed impazienza. Tale complesso è avvertito come un'oppressione ed u n a compressione, nonché come u n a violazione ed u n a diminuzione territoriale. Noi abbiamo la sensazione di un'aggressione p e r m a n e n t e da parte degli altri, sensazione che esiste a tutti i gradi; nel nostro immediato « entourage », così c o m e a livello di città o di nazione. Oggi la politica mondiale, al suo livello polemologico più pericoloso, è d o m i n a t a da u n a reazione apparentem e n t e assurda: il complesso dell'ingombro e dell'accerchiamento ossessiona p r o p r i o le nazioni più estese e p i ù potenti (Cina, U.S.A. e U.R.S.S. si c o m p o r t a n o come se ì loro territori, di dimensioni continentali, fossero zone assediate da molto vicino). Non b a s t a definire tale reazioni assurda, nel senso che u n ' a s s u r d i t à così u n a n i m e pone u n p r o b l e m a non m e n o gigantesco. Come spiegarla validamente se n o n riferendosi all'analogia delle s t r u t t u r e di questi t r e Grandi Stati? Dal 1945 a b b i a m o assistito a d u n a prodigiosa espansione in superficie dell'uomo m o d e r n o che occupa sem165

p r e più spazio p e r le sue esigenze in m a t e r i a di abitazione e di circolazione. Il n u m e r o e lo sviluppo dei suoi spostamenti sono in continuo aumento. Le villeggiature, le vacanze, i week-ends, i viaggi d'affari e di piacere si moltiplicano, provocando spostamenti di masse enormi a distanze rilevanti. L'uomo m o d e r n o è, insomma, diventato u n consumatore di spazio ad u n livello u n tempo inimmaginabile. Tuttavia, l'inconveniente consiste nel fatto che egli si muove sempre in seno a d u n a folla. Così, il suo senso dell'affollamento è destinato a d incrementarsi. A questo ingombro materiale crescente si aggiunge il sovrappopolamento psicologico. Il fatto di sapere che in gran p a r t e della t e r r a la popolazione a u m e n t a ad u n ritmo terrificante sviluppa tale inquietudine che si trasferisce anche sul piano economico. La disparità dei livelli di vita con il Terzo Mondo pone problemi di bisogni concorrenti e di aggressività. Infatti, se i cinesi, a d esempio, raggiungesser o i livelli di vita americani, ciò equivarrebbe al decuplicarsi della loro popolazione. Cioè, dal p u n t o di vista dei bisogni e dei c o n s u m i in materie p r i m e e p r o d o t t i di ogni sorta, sarebbe come se i cinesi fossero 7 miliardi e n o n 700 milioni. D'altra p a r t e , qualora essi n o n riuscissero a d accedere ai livelli di vita cui ambiscono il loro rancore sarebbe proporzionale alle loro frustrazioni ed al loro n u m e r o . Tale situazione creerebbe le condizioni per delle guerre di sussistenza che Machiavelli considerava le più crudeli di t u t t e . D'altro canto, si ritiene che, nel corso degli ultimi dieci anni (1963-1973), i livelli di vita nell'Europa occidentale siano raddoppiati; di conseguenza, ciò equivarrebbe, p e r q u a n t o concerne il consumo di m a t e r i e prime e di energia, a d u n a u m e n t o globale del 100% della popolazione nell'arco di dieci anni. Sulla b a s e di tale considerazione, immaginiamo che le popolazioni della Francia e dell'Italia siano cresciute repentinamente ciascuna da 50 a cento milioni nello spazio di dieci anni. E' u n a grande perturbazione che, 166

avvenuta quasi inavvertitamente, h a assunto p e r ò caratteri b r u s c a m e n t e appariscenti - col suo strascico di problemi economici, demografici e politici - non a p p e n a è scoppiata la crisi del petrolio cui b e n p r e s t o h a fatto seguito quella delle materie p r i m e ; crisi nelle quali attualmente ci dibattiamo. Una ricerca in corso presso il nostro Istituto m i r a a determinare i « coefficienti di spazio » (evidentemente differenti a seconda dei tipi di civiltà e delle condizioni sociali). Essi p e r m e t t e r e b b e r o di elaborare dei parametri che forniscano la m i s u r a delle aspirazioni all'espansione e forse anche di enucleare gli ottimi di popolazione n o n p i ù dal p u n t o di vista statico m a da quello dinamico. Questo m o d o di valutare gli ottimi suddetti sarebbe più realistico nella m i s u r a in cui risulterebbero combinati fattori sociologici, morali ed estetici con componenti s t r e t t a m e n t e demografiche ed economiche (le sole a d essere state finora esaminate). In definitiva si o t t e r r e b b e u n approccio più completo alla complessità inseparabile delle realtà sociologiche. L'ACCELERAZIONE DELLA STORIA. - L'accelerazione della Storia è u n fenomeno al cui rilevamento si dedicano concordemente gli storici ed i sociologi. E s s a a p p a r e c o m p o s t a principalmente di t r e fattori:

1. La prodigiosa proliferazione delle invenzioni in ogni settore. Ne risulta che si verificano nei m o d i di vita, negli oggetti, macchine, strumenti, a r m i e nelle conoscenze variazioni incessanti, le quali obbligano a d enormi ed irritanti sforzi di a d a t t a m e n t o . 2. La non meno prodigiosa espansione demografica. S e m b r a che ai giorni nostri, s o p r a t t u t t o nel Terzo Mondo, si sia intrapresa u n a corsa t r a le invenzioni e la produzione che tendono ad elevare il tenore di vita, d a u n lato, e, l'espansione demografica o p e r a n t e in senso inverso, dall'altro. Infatti l'accrescimento del n u m e r o dei c o n s u m a t o r i eccede quello della produzione. 3. L'accelerazione della storia n o n è forzatamente inquietante né pericolosa. Potrebbe significare al con167

t r a i l o u n a spinta analoga del progresso, delle conoscenze e delle risorse. Tuttavia, in m a t e r i a di polemologia, l'accelerazione della storia - di cui la guerra è stata finora l'evento più decisivo - è particolarmente inquietante. Così lo scoppio delle guerre generali della Rivoluzione e dell'Impero si situa nel 1792 e t e r m i n a nel 1814. Il conflitto generale seguente scoppia nel 1914, cioè dopo più di u n secolo; la seconda guerra mondiale h a luogo dopo 21 anni. Da allora, il p r i m o grande confronto che fece balenare il rischio della guerra atomica si verificò per Cuba diciassette anni dopo e si risolse, fortunatamente, con la dissuasione. Tuttavia, sostengono i m o d e r n i strateghi, la dissuasione che sopravviene ad u n conflitto acuto equivale a d u n a guerra cui faccia seguito u n a soluzione di compromesso. D'altra p a r t e , la guerra 1940-1945 è stata seguita d a u n a serie incessante di conflitti a r m a t i minori in tutte le zone del m o n d o . La gran p a r t e di essi sono insorti nel q u a d r o geopolitico delle vecchie guerre coloniali. Essi, tuttavia, sino al 1939, si presentavano in forma anodina e le perdite che provocavano apparivano pressoché simboliche. Al contrario, i conflitti parziali sono ora, per la loro d u r a t a , estensione e n u m e r o di vittime, paragonabili alle guerre tra grandi potenze del XIX secolo. I n particolare, i massacri e le guerre civili asiatiche h a n n o causato perdite u m a n e di gran lunga superiori alla guerra del 1870, a quella di Secessione o al conflitto russo-giapponese del 1905. RICERCHE S U L L E F U N Z I O N I DELLA GUERRA. - Non bisogna confondere i fattori e le funzioni. I p r i m i sono studiati da u n p u n t o di vista causale: si t r a t t a dei fenomeni che contribuiscono alla gestazione ed allo scoppio dei conflitti a r m a t i . La funzione deriva da u n a visione d'insieme. Per averne un'idea occorre ricercare quali siano gli effetti costanti del fenomeno studiato. I n altri termini, se eli-

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m i n i a m o le peripezie e gli episodi di guerra, quali sar a n n o i residui? Questi ultimi - che appaiono dopo t u t t e le guerre di qualunque tipo esse siano - s a r a n n o in g r a d o di erudirci sulle funzioni della guerra in t u t t i i contesti sociali là dove essa avviene. Si t r a t t a , insomma, del ruolo stabile e generale che la guerra h a nelle società. Nondimeno, questa posizione è spesso controversa in q u a n t o l'insorgere di ogni guerra dà un'impressione di novità. La guerra è accompagnata da stupore doloroso o entusiasta, come se si presentasse nel m o n d o p e r la p r i m a volta; questa è la ragione p e r cui ci è m o l t o difficile a m m e t t e r e istintivamente che la guerra sia u n a funzione biologica ricorrente, finora inseparabile da qualunque tipo di società. La conoscenza di quelle funzioni è particolarmente i m p o r t a n t e . Come p o t r e m m o , senza di essa, prefigurare soluzioni che consentano di rimpiazzare le oscillazioni distruttrici con surrogati meno atroci? PRODROMI, S I N T O M I E PROBABILITÀ. - Un altro aspetto i m p o r t a n t e di questa ricerca è la determinazione dei « b a r o m e t r i polemologici » che p e r m e t t o n o di annunciar e l'imminenza e di valutare la probabilità dei conflitti armati. I p r o d r o m i sono i segni precursori di quelle bufere sociologiche distruttrici. Essi fanno prevedere minacce strutturali a lunga scadenza, segnalando, p e r esempio, u n o squilibrio crescente t r a due o più Stati, o avvertendo della crescita di u n a s t r u t t u r a esplosiva all'intern o di u n a nazione. I sintomi manifestano u n o squilibrio o u n o s t a t o patologico già i n s t a u r a t o e pervenuto alla fase pericolosa della r o t t u r a imminente. Si t r a t t a di u n a minaccia a medio e a breve termine. L'importanza di siffatti studi sulla prossimità e probabilità delle guerre è duplice; da u n a p a r t e essi contribuiscono alla comprensione dei processi e dei meccanismi che scatenano i pericoli di distruzione e le epi-

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demie contagiose di violenza; dall'altra, il progresso delle ricerche a u m e n t e r e b b e le speranze che p o t r e m m o nutrire di deviare o dissipare quelle minacce o p e r a n d o sulle loro vere cause e n o n sui loro sintomi. Sono p r o p r i o queste le condizioni per l'elaborazione di u n vero pacifismo funzionale. Ogni altra forma di pacifismo n o n p u ò che r i t a r d a r e i conflitti a r m a t i con u n blocco politico t e m p o r a n e o , in q u a n t o la congiunt u r a politica finisce s e m p r e col cambiare. Né la minaccia, né la p a u r a , la crudeltà o l'esortazione sono m a i riuscite ad impedire i confronti cruenti. Una funzione biologica non può essere d i s t r u t t a se non q u a n d o sia s t a t a rimpiazzata. I n caso contrario il r i t a r d o n o n servirà che a generare nuove forme di ostilità. Allo stesso m o d o , allorché lo s t a t o unico a R o m a o nell'Impero cinese si furono sbarazzati delle minacce esterne, si assistè all'insorgere delle guerre civili, delle lotte t r a province e t r a dinastie, costose q u a n t o le guerre esterne. Oggi assistiamo all'elaborazione di teorie di guerra sovversiva, di guerriglia rurale e u r b a n a , di guerra economica. Questa varietà di guerre civili esprime il bisogno di trovare u n o sfogo agli impulsi bellicosi compressi, perché n o n si è mai riusciti finora a d impedire che le guerre scoppiassero con metodi p u r a m e n t e politici e giuridici. Riuscirà la polemologia a fornire u n utile c o n t r i b u t o aggiungendo i suoi metodi e le sue concezioni a quelli della politica estera e del diritto internazionale?

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Appendice

terza

IL TERRORISMO

1.

Delimitazione del t e r r o r i s m o

LE AZIONI VIOLENTE. - I conflitti, le rivendicazioni acute, gli odi ideologici t r a gruppi rivali tendono a culm i n a r e in manifestazioni di violenza collettiva; manifestazioni che, in generale, p r e s e n t a n o u n c a r a t t e r e interm i t t e n t e e rispondono, sotto il profilo delle motivazioni coscienti, a due essenziali finalità. La p r i m a si configura nella volontà di potenza che si realizza - secondo la definizione del Machiavelli - in « guerre di dominazione » il cui obiettivo consiste, p e r ogni g r u p p o nemico nell ' i m p o r r e all'altro - in u n d e t e r m i n a t o conflitto - la p r o p r i a volontà o la p r o p r i a supremazia. Il secondo gruppo di azioni violente r i e n t r a nel quad r o generale del genocidio e si presenta sotto forme diverse:

a. La distruzione fisica dell'avversario, lo sterminio. b. L'annullamento della sua identità sociologica (ed è ciò che va sotto la definizione di « etnocidio »). Per la psicologia collettiva, lo scopo finale di tali lotte è quello di far sì che l'avversario vinto, d o m i n a t o dalla p a u r a più che d a ogni a l t r o sentimento, si rassegni a subire la volontà del vincitore p e r t i m o r e di mali anc o r a più grandi. Il t e r r o r e , culminante nella minaccia di omicidio è 171

l'ultima ratio di ogni organizzazione sociale e di ogni gerarchia; esso sancisce l'autorità la cui e s t r e m a espressione è: « obbedite o morirete ». La nozione di territorio, t a n t o i m p o r t a n t e negli animali q u a n t o nelle t r i b ù più arcaiche, è fondata su quella stessa sottintesa minaccia. Una frontiera è, per definizione, u n a linea che n o n p u ò essere varcata (se non con un'autorizzazione) senza correre il rischio di perdere la vita. Ne sono esempi q u a n t o m a i attuali il m u r o di Berlino ed u n certo n u m e r o di frontiere del nostro m o n d o d'oggi, circondate da campi minati, fiancheggiate da reticolati e sorvegliate da guardie a r m a t e . I n genere, si p u ò dire che ogni manifestazione di forza, ogni gerarchia è fondata sulla p a u r a , il p r i m o sentimento che si manifesta nel neonato. La gerarchia h a u n a funzione bivalente. Da u n lato svolge u n ruolo protettivo nei confronti delle minacce esterne ed interne: questa è la funzione rassicurante; dall'altro, p e r ò , l'autorità che essa esercita è sanzionata da p a u r e o da supplizi. Trattasi di due aspetti della gerarchia c o n t r a d d i t t o r i e complementari, che p e r ò agiscon o e n t r a m b i sull'istinto di conservazione rassicurandolo e rendendolo inquieto al tempo stesso. Il t e r r o r e è alla b a s e di ogni conflitto a r m a t o e di ogni manifestazione di violenza, la cui ragione d'esser e sta nel s o t t o m e t t e r e o nel paralizzare, col timore, l'avversario. A nessuno, tuttavia, viene in m e n t e di confondere la guerra col t e r r o r i s m o . Le battaglie di Canne o di Zama, né quelle di Austerliz o di Waterloo, n o n sono atti di t e r r o r i s m o così come n o n sono atti di pirateria quelle di Lepanto o di Trafalgar. Il terrorismo si differenzia altresì dalle azioni brevi e violente con le quali si tende - mediante la sorpresa ad impadronirsi del potere. Tali sono, ad esempio, le congiure, le cospirazioni, le Rivoluzioni di Palazzo, 172

i colpi di Stato \ i « Putchs » con cui si cerca di sfrutt a r e l'elemento sorpresa m a non di terrorizzare sistematicamente l'avversario. D'altro canto, la stessa guerriglia non è necessariam e n t e un'azione terroristica: è piuttosto u n m o d o di c o n d u r r e le ostilità in determinate circostanze. E', in ultima analisi, u n a particolare forma di tattica milit a r e caratterizzata dalla dispersione e dalla mobilità, dai rapidi colpi di m a n o e da quelle che oggi vengono definite azioni di « c o m m a n d o ». La tattica della guerriglia, che evita le grandi battaglie, rientra spesso in u n a più a m p i a strategia, nell'attesa che si verifichi u n a favorevole congiuntura politica o militare. N e è celebre esempio l'azione di Fabio il « temporeggiatore » delle Guerre puniche. Le anzidette forme di violenza h a n n o tutte u n denom i n a t o r e comune e cioè gli scontri, i c o m b a t t i m e n t i grandi e piccoli, i colpi scambiati da una p a r t e e dall'altra. I nemici sono dichiarati e si riconoscono apertam e n t e come tali. Nella g u e r r a « cortese » la violenza è esercitata unicamente t r a i combattenti p r o p r i a m e n t e detti, riconoscibili dalle uniformi che indossano. La guerra n o n cortese molesta le popolazioni civili, quelle, però, del nemico. L'ultima guerra cortese fu quella del 1914. Successivamente, i b o m b a r d a m e n t i aerei delle città e più ancora i missili atomici puntati in permanenza sulle grandi metropoli p o t r e b b e r o essere consider a t i c o m e forme di t e r r o r i s m o . Nondimeno, u n a differenza, anche se sfumata, esiste dal m o m e n t o che si t r a t t a di città del nemico. CARATTERISTICHE DEL TERRORISMO. - I t r a t t i specifici del t e r r o r i s m o possono essere così delineati:

1. h&_ clandestinità: le azioni terroristiche sono condotte d a gruppi molto ristretti e segreti i quali, p u r col1

Descrizioni di tali azioni si trovano, ad esempio, nelle opere del Cardinale di Retz o nella Tecnica del colpo di Stato di C. Malaparte. La stessa cosa dicasi delle insurrezioni, delle sommosse, delle ribellioni che altro non sono se non palesi violenze.

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l a b o r a n d o sul piano generale, spesso si ignorano l'un l'altro per il t i m o r e di delazioni o di t r a d i m e n t i . 2. L'azione terroristica non è un combattimento e per di più n o n h a per obiettivo unicamente i nemici, almeno p e r la loro appartenenza, m a anche gli innocenti: e ciò nell'intento di seminare p a u r a ed insicurezza. Oggi, il facile u s o degli esplosivi consente gli omicidi e le distruzioni lasciati al caso: automobili innescate, bombe a scoppio r i t a r d a t o , lettere esplosive, b o m b e al plastico, ecc. 3. L'azione terroristica^ si circondadi^&gretezza perché la minaccia "sconosciuta, n o n identificabile, è generatrice di angoscia. Il suo scopo è quello di diffondere ondate di t i m o r e che agghiacciano ed avviliscono coloro che vivono sotto quella minaccia. La segretezza e l'anonimato rendono, nel contempo, più forte, l'orgoglio p e r l'impunità ed il sentimento paranoico di un'illimitata potenza nei terroristi che si sentono investiti di u n a autorità suprema, vale a dire del diritto di vita o di m o r t e , simbolo stesso del potere assoluto. Sotto il profilo psicologico, v'è da aggiungere che il terrorista presenta aspètti ambivalenti in q u a n t o si considera giustiziere e m a r t i r e al t e m p o stesso. Vi si mescolano p u r e fattori ludici: trattasi di u n gioco appassionante e pericoloso nel quale egli, b r a c c a t o , si sente c o n t e m p o r a n e a m e n t e cacciatore che t u t t o p u ò e selvaggina inseguita. Per il fatto che continua a scherzare con la m o r t e , la sua e quella degli altri, sorge in lui u n a specie di necrofilia, quella stessa della setta dei Thugs cui si attribuiscono, nel corso del XIX secolo in India, quasi u n milione di vittime immolate alla dea Kali. 4. La tendenza al terrorismo estremo h a altri due t r a t t i caratteristici. Il p r i m o , di ordine psicologico, è r a p p r e s e n t a t o dalla disposizione n a t u r a l e all'ossessione, alla logica assoluta della paranoia ed al fanatismo. Al t e r r o r i s t a i più atroci atti appaiono nobilitati da u n a giustificazione ideologica che, peraltro, gli fa considerare insignificanti le vittime, le sofferenze e d i lutti; 174

tali atti sono per lui u n o sfogo e u n a delirante affermazione della p r o p r i a personalità. Spesso si t r a t t a anche di u n complesso « adleriano » di compensazione, gener a t o dalle disillusioni e dalle umiliazioni i n t i m a m e n t e provate. 5. Le correnti intellettuali e. dottrinali influiscono in misura notevole sul terrorismo. Attraverso le sue motivazioni ci si p u ò r e n d e r e conto della mutevole gerarchia dei valori ideologici. A t u r n o , onde d'imitazione scatenano u n a serie di a t t e n t a t i terroristici le cui giustificazioni - seguendo la m o d a e la congiuntura - sono da ricercarsi nel p a t r i o t t i s m o , nazionalismo, razzismo, etilismo, fanatismo religioso, dottrine politiche e così via. Il terrorismo, spesso, si p r e s e n t a anche come_operazionèTUi propaganda. Mira, cioè, a pubblicizzare u n a dottrina o u n movimento" rivendicatore, applicando le tecniche moderne usate p e r le vedette dello spettacolo. Così, a d esempio, i terroristi baschi e gli anarchici irlandesi rivendicano gli a t t e n t a t i per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulla loro causa. E ' p u r e presente, nel terrorismo, u n fattore legato alla imitazione delle tecniche usate. Possiamo rilevare, per esempio, u n a serie di attentati solitari « e n tète à tète » e a bruciapelo, come gli assassini dei Capi di Stato del XIX secolo. I n seguito, venne la m o d a delle b o m b e lanciate sui cortei. Oggi, dopo i d i r o t t a m e n t i aerei, il terrorismo si orient a verso i massacri di folle, c o m e quello di Fiumicino ( 4 6 m o r t i ) e della Torre di Londra o i massacri di ostaggi, come a Maalot. In effetti, un'azione spettacolare, sopratt u t t o se r i m a n e impunita, fa sorgere, in generale, t u t t a u n a serie di imitatori. "7. Il terrorismo pone agli esecutori u n p r o b l e m a di suggestione. Esistono terroristi solitari che agiscono sotto il dominio di un'idea fissa. E ' u n caso frequente p e r q u a n t o riguarda i regicidi, c o m e Ravaillac, Damien e gli assassini del Re Umberto e del Presidente Kennedy. 175

Quando si t r a t t a di gruppi, vediamo p r e d o m i n a r e , a seconda dei caratteri, il romanticismo dell'odio e quello dell'entusiasmo ( a m o r e per u n a causa, per u n a rivendicazione, ecc.). Romanticismo e idee fisse sono alimentati dalla ripetizione, dalla p r o p a g a n d a e dalla suggestione. Si possono citare, a questo proposito, esempi celebri, come quello del Gran Maestro della Setta degli Assassini (chiamato anche il Vecchio della Montagna) il quale, nell'XI secolo, e r a riuscito a formare u n corpo di adepti, i « devoti », p r o n t i a c o m m e t t e r e - anche a costo della vita - i crimini da lui ordinati. Alcuni di tali adepti, còlti e distinti, riuscirono a d introdursi nelle Corti dei Principi vivendoci per anni fino al giorno in cui, per servire la politica del Gran Maestro, assassinavano il Principe o u n suo m i n i s t r o . Si racconta che, a r r e s t a t i e t o r t u r a t i , p r i m a di m o r i r e , denunciassero c o m e loro complici alcuni grandi personaggi della Corte, avversari della Setta. Grazie a questi metodi, il Vecchio della Montagna riuscì a dominare con il t e r r o r e i sovrani di t u t t o il Medio Oriente ed a i m p o r r e loro la sua politica. Alcuni attribuivano questo potere prodigioso al fatto che egli integrava l'indottrinamento dei « devoti » con l'uso della droga (haschich, da cui deriva « haschichiste, vocabolo che significa assassino). Attraverso questa droga egli faceva intravedere loro il paradiso. Certi crimini, commessi a t t u a l m e n t e da drogati, hann o d i m o s t r a t o q u a n t o la droga favorisca la suggestione. E' il caso, a d esempio, della « famiglia » diretta da Manson, f o r m a t a da drogati i quali, sotto l'influenza del Maestro, assassinarono, in California, u n a diva del cinema e i suoi sei invitati. Una forza di suggestione a l t r e t t a n t o efficace si riscontra in altre grandi figure del Terrore, come Hitler ed altri dittatori di questo XX secolo. Dopo aver infierito in Europa, questo tipo di Capo s'è ora trasferito in altri continenti dove fa risuscitare i vecchi despoti tradizionali. 176

2.

F o r m e del t e r r o r i s m o

I L TERRORISMO DEL POTERE. - Nella sua forma più pericolosa, il terrorismo è Io s t r u m e n t o del potere cont r o cittadini, sudditi o a m m i n i s t r a t i . E ' così che l'Inquisizione h a terrorizzato la Spagna per secoli. Altri esempi sono il Terrore, i Massacri di Settembre, i fucilati e i deportati della Gestapo e le « Purghe staliniane ». Spesso questa forma di t e r r o r i s m o ufficiale è integrata d a u n a tecnica fondata sulla suggestione per ottenere, dalle vittime, u n a confessione di auto-colpevolezza. Lo scopo era raggiunto c o m b i n a n d o , alternativamente, l'isolamento, la t o r t u r a e le persecuzioni: i risultati ottenuti e r a n o stupefacenti. Le vittime stesse invocavano la punizione . 2

Un Governo p u ò usare sistemi terroristici violenti nel corso di u n a guerra esterna, come fu, ad esempio, la g u e r r a s o t t o m a r i n a p r a t i c a t a dai tedeschi nei due conflitti mondiali. Altro esempio: i Kamikaze giapponesi che, con i loro attacchi suicidi, misero in pericolo la flotta americana. I n t u t t e le epoche, sul piano militare, gli Stati h a n n o f o r m a t o reggimenti d'urto (fanterìa d'assalto, reggimenti scelti, giannizzeri, guardie imperiali, paracadutisti, c o m m a n d o s , tutti circondati d a u n a reputazione d'intrepidità e, a volte, di ferocia). Siamo di fronte a d u n terr o r i s m o virtuale che svolge spesso il ruolo della dissuasione. L'EQUILIBRIO DEL TERRORE. - Oggi, u n p o ' per volta ci abituiamo, r e p r i m e n d o le n o s t r e angosce, a d u n a situazione, forse la più spaventosa della storia, cui è s t a t o d a t o il n o m e di « Equilibrio del Terrore ». Le popolazioni di tutte le grandi città del m o n d o costituiscono 2

Tali tecniche sono descritte nelle opere che s'ispirano all'Inquisizione. Così il Manuale degli Inquisitori redatto ad Avignone dal Domenicano Nicolan Eymerich nel 1370 ed il Martello delle Streghe di Enrico Institoris e Jacques Sprenger, apparso nel 1487. Vedasi anche A. BOESTLEH nell'opera Lo zero e l'infinito.

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altrettanti « ostaggi atomici », in q u a n t o vivono s o t t o la minaccia dei missili intercontinentali permanentemente p u n t a t i su di loro e capaci di annientarle in p o c h i secondi. Abbiamo di nuovo i m p a r a t o a vivere pericolosamente. La storia antica e r a caratterizzata dalla strategia anti-città; strategia i cui avvenimenti più spettacolari sono la distruzione delle grandi capitali, dopo secoli di splendore: Ninive, Babilonia, Persepoli, Cartagine, Roma, Alessandria, Bagdad, Cordova. Poi, nei secoli successivi, la civiltà cristiana i m p a r ò a r i s p a r m i a r l e , anche nelle sue più violenti guerre. Oggi, r i t o r n i a m o alla vecchia minaccia delle capitali rase al suolo e dei genocidi ancestrali. L'ESPORTAZIONE DEL TERRORISMO. - N u m e r o s e sono le circostanze storiche in cui vediamo Governi che organizzano o a i u t a n o il terrorismo in altre nazioni. Costruiscono, p e r i profughi o gli esiliati, c a m p i di addes t r a m e n t o p a r a m i l i t a r i o terroristici; li a r m a n o , li proteggono e quindi, al m o m e n t o o p p o r t u n o , li i s t r a d a n o . Allo stesso m o d o Luigi XIV finanziava e a r m a v a gli insorti di Catalogna. Durante le Guerre francesi di Religione, l'Inghilterra aiutava i Protestanti e la Spagna, invece, sosteneva la Lega. Similmente, più t a r d i , la Francia ufficialmente aiutava gli « insurgents » americani prim a di e n t r a r e nella Guerra d'Indipendenza. Nel corso delle « Guerre di Decolonizzazione », le zone vicine alle vecchie colonie costituivano, p e r le forze degli insorti, u n « rifugio » inviolabile.

Altra forma frequente di t e r r o r i s m o è quella u s a t a dagli Stati sconfitti i quali n o n h a n n o la forza n é le risorse necessarie p e r c o n d u r r e u n a guerra aperta e p e r affrontare battaglie campali. Allora, a t t r a v e r s o piccoli gruppi che p r a t i c a n o tecniche terroristiche, si sforzano di rendere insostenibile la situazione ai loro nemici. Questi sono stati i metodi a d o t t a t i dalle vecchie colonie e dalle Resistenze dei paesi occupati nel 1940. Uno degli aspetti più spaventosi del t e r r o r i s m o si 178

manifesta allorché d u e popolazioni, vissute insieme p e r secoli, sono, l'una c o n t r o l'altra, p o r t a t e all'esasperazione d a u n conflitto religioso o ideologico. I n questo caso si assiste, come nella sfortunata provincia irlandese, a d u n a progressiva intensificazione di atrocità che conduce inoltre, all'esportazione del terrorismo. Con il p r e t e s t ò di interessare alla loro causa l'opinione pubblica di altri paesi, i terroristi v a n n o a colpire, all'estero, stranieri innocenti. IL TERRORISMO E L E I S T A N Z E INTERNAZIONALI. - La questione del t e r r o r i s m o è diventata così attuale da provocare u n dibattito speciale alle Nazioni Unite, dove, p e r ò , fin dall'inizio è a p p a r s a la complessità dei problemi sollevati, sui quali le diverse delegazioni nazionali h a n n o assunto posizioni contraddittorie. Rilevata, quindi, l'impossibilità di procedere a d u n a seria discussione dell'intera questione, l'esame delle proposte sul t e r r o r i s m o è stato rinviato, sine die, ad u n a ulteriore sessione.

Senza dubbio, gli atti terroristici come l'assassinio, i rapimenti, gli attentati dinamitardi e i d i r o t t a m e n t i aerei sono fatti materiali incontestabili. L'ONU, p e r ò , succedendo alla Società delle Nazioni, ne ha ereditato gli inconvenienti. I dibattiti pubblici dell'Assemblea inaspriscono le controversie, eccitano le passioni nazionalistiche e religiose, l'amor p r o p r i o e l'intransigenza 3 i ognuno. Vale come precedente illustre, la Conferenza sul Dis a r m o , aperta nel 1920; p e r ragioni analoghe, non riuscì mai a definire il soldato! Infatti, q u a n d o venne p o s t a la questione, ognuno - sia che si trattasse del combattente o del terrorista - si mise a sondare i secondi fini dei colleghi ed a chiedersi quali definizioni e quali misure sarebbero state favorevoli alla p r o p r i a politica e nello stesso t e m p o d'intralcio a quella altrui. N U O V E TECNICHE DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE. -

Il

t e r r o r i s m o internazionale è s e m p r e esistito. Negli ultimi 179

anni, però, è diventato motivo di preoccupazione mondiale. La ragione è da ricercare s o p r a t t u t t o nelle n u o v e tecniche, particolarmente quelle usate nei d i r o t t a m e n t i aerei, i quali h a n n o fatto t o r n a r e in auge i tempi eroici dei banditi di strada, degli attacchi alle diligenze, dei corsari. La « Pax Britannica » del XIX secolo, i n s t a u r a n d o una legislazione draconiana e sbrigativa, aveva posto fine alla pirateria: i pirati, c a t t u r a t i in flagrante delitto, venivano impiccati all'albero m a e s t r o . Ma tale legislazione, in vigore all'inizio del XIX secolo, non poteva prevedere la pirateria aerea. Lo sviluppo dell'aviazione e dei suoi derivati, come il p a r a c a d u t i s m o , h a i n t r o d o t t o u n a maggiore efficacia anche negli a t t e n t a t i terrestri. L'aereo p e r m e t t e di organizzare altrove un'operazione e di p o r t a r e , con u n a rapidità incredibile, gli esecutori, già p r o n t i , sul posto destinato all'azione. La molteplicità delle linee aeree permette p u r e di confondere le piste, t a n t o all'andata che al r i t o r n o . A t u t t o ciò v a n n o aggiunti i perfezionamenti delle a r m i : pistole e m i t r a con maggiori possibilità di tiro, cannocchiali p e r tiratori scelti, b o m b e e g r a n a t e in miniatura. Infine, viene t u t t a la g a m m a degli oggetti-trappola, lettere esplosive, mine e b o m b e ad effetto ritardato o telecomandate via-radio. T r a t u t t i gli atti di terrorismo internazionale, i dir o t t a m e n t i aerei sono quelli che maggiormente h a n n o scosso l'opinione pubblica per il loro c a r a t t e r e spettacolare ed anche perché, in generale, i passeggeri sono di nazionalità, età e sesso diversi. Va inoltre rilevato che il pubblico si d o m a n d a , con angoscia, se certe catastrofi aeree, le cui cause sono ufficialmente sconosciute, in realtà, n o n siano stati dirottamenti che h a n n o avuto u n tragico epilogo p e r colpa di u n passeggero o di u n terrorista nervoso. E ' comprensibile che i Governi e le Compagnie aeree, per evitare il panico, preferiscano m a n t e n e r e il silenzio su tali casi. Le n o s t r e società, oggi, sono diventate più vulnerabili. La concentrazione della popolazione in qualche 180

g r a n d e città, dove la polizia è sovraccarica di lavoro e quindi insufficiente, i viadotti, le dighe, le zone industriali, i pozzi e le riserve d i petrolio moltiplicatisi in questi ultimi anni, costituiscono altrettanti obiettivi molto appariscenti e vulnerabili. Nel novembre del 1972, due pirati dell'aria americani h a n n o p i ù volte sorvolato la Centrale 'nucleare di Oakridge minacciando di far schiantare, sulla centrale stessa, l'aereo di cui si erano impossessati. LEGISLAZIONE INTERNAZIONALE E TERRORISMO. - Quando si vuole discutere sulla violenza organizzata, si ricade s e m p r e nella distinzione che S. T o m m a s o d'Aquino illustrò nella sua teoria della Guerra Giusta. Questa posizione corrisponde ad u n a inclinazione generale della natura umana. I n m a t e r i a di t e r r o r i s m o , come di fronte ad ogni altra violenza omicida, il n o s t r o p r i m o impulso è di distinguere t r a azione giusta o ingiusta; l'una da giustificare, l'altra da condannare. I dibattiti che l'ONU recentemente h a dedicato al t e r r o r i s m o m e t t a n o ancora u n a volta in evidenza questa tendenza manicheistica. La più alta e p i ù m o d e r n a organizzazione mondiale sovrannazionale si è trovata divisa d u r a n t e tali dibattiti. Infatti, alcuni stati volevano fosse introdotta u n a mozione di discriminazione per certi atti terroristici internazionali, a p p r o v a n d o cosi le giustificazioni invocate dai loro autori e gli scopi politici dagli stessi perseguiti. La richiesta suscitò l'indignazione di alcuni delegati fra cui quello austriaco che dichiarò: « La filosofia qui espressa è b a s a t a sul principio che il fine giustifica i mezzi... ». I n effetti, in m a t e r i a di t e r r o r i s m o , s o p r a t t u t t o se inserito in conflitti internazionali, si u r t a con la gelosa sovranità degli Stati e con le teorie morali e giuridiche che ne derivano. Alla teoria della Guerra Giusta, fondata innanzi t u t t o , dice S. Tommaso d'Aquino, sulla « retta intenzione », fece riscontro, circa tre secoli più tardi, quella di pa-

181

recchi grandi teologi spagnoli. « Quando i belligeranti - essi dicono i n sostanza - sono sinceramente convinti della legittimità della loro causa, e n t r a m b i fanno u n a guerra giusta ». Nel m o n d o m o d e r n o , il problema del t e r r o r i s m o collettivo sorse tragicamente, per la p r i m a volta, d u r a n t e la guerra del 1914. I sottomarini tedeschi, che siluravan o senza pietà i mercantili, provocarono l'entrata in guerra degli Stati Uniti. La seconda volta furono i problemi giuridici sollevati al Tribunale di Norimberga che giudicò i crimini nazisti. CLASSIFICAZIONE

E

S T A T I S T I C H E DEGLI

ATTI

TERRORI-

- Risulta q u a n t o mai difficile classificare gli atti terroristici basandosi sulle intenzioni dichiarate dai loro a u t o r i (anche supponendole sincere). A ciò s'aggiunge il carattere discutibile e spesso fallace dei ragionamenti giustificativi. Sotto l'aspetto sociologico, per q u a n t o r i g u a r d a la violenza si deve considerare che la sola base solida sono i fatti nella loro materialità descrittiva e statisticamente calcolabile; le motivazioni, però, restano soggettive. Da cinque anni, l'Istituto Francese di Polemologia, nel tentativo di censire le manifestazioni di violenza e d'aggressività collettiva nel m o n d o , h a u r t a t o c o n t r o q u a t t r o difficoltà principali: STICI.

1. L'Istituto - riscontrate le variazioni e le divergenze continue dei c o m m e n t a t o r i e degli inquirenti h a subito rinunciato a classificare il t e r r o r i s m o secondo le ragioni invocate dagli interessati. 2. Le statistiche sono limitate a u n certo n u m e r o di paesi; né quelli dell'Est, né la maggior p a r t e dei paesi asiatici o africani pubblicano i fatti di cronaca o t a n t o meno i dati relativi alla criminalità. Per q u a n t o riguarda, poi, le manifestazioni di terrorismo politico, che sian o l'opera del Potere o p p u r e che, siano dirette contro, e n t r a m b e costituiscono segreti di S t a t o . 3. E' spesso m o l t o difficile fare u n a distinzione Fra gli atti di t e r r o r e di colorazione politica e quelli di rapin a a m a n o a r m a t a , perpetrati da gruppi di malfattori 182

(furti, aggressioni, racket, p r e s a di ostaggi, rapine di banche). 4. Senza p r e n d e r e in considerazione il t e r r o r i s m o di S t a t o (e sappiamo che esso p u ò causare spaventose ecat o m b i nei Paesi dominati da un'ideologia politica) appar e chiaro che il n u m e r o delle vittime del t e r r o r i s m o p u r o (vale a dire n o n c o n t a m i n a t o d a atti di banditismo) è molto debole. Le statistiche dell'Istituto Francese di Polemologia d i m o s t r a n o che in m e d i a avvengono due azioni di violenza collettiva per u n a di t e r r o r i s m o . Nel 1973, nel m o n d o (o per lo meno nei paesi che pubblicano questo tipo di statistiche), « il n u m e r o delle vittime del terrorismo n o n è stato superiore - dice u n c o m m e n t a t o r e — a quello degli automobilisti m o r t i sulle s t r a d e francesi in u n bel fine-settimana estivo ». 3

E F F E T T I DEL TERRORISMO. - Le azioni terroristiche son o p e r lo p i ù destinate a colpire l'immaginazione, a suscitare sentimenti violenti di timore, d'indignazione o di simpatia; sentimenti, p e r ò , che si affievoliscono con la ripetizione di tali azioni. In alcune regioni c o m e l'Ulster ci si rassegna e s'impara a vivere sotto il terrorismo. Stanchezza e indignazione provocano l'assunzione di m i s u r e di difesa e di resistenza contro i terroristi. Situazioni analoghe causarono le leggi eccezionali a seguit o degli omicidi compiuti dagli anarchici alla fine del XIX secolo. Nei paesi democratici, il ripetersi degli a t t i terroristici inquieta l'opinione pubblica che reclama u n a maggior protezione. E questa sfocia sempre in leggi di tal genere. Le leggi eccezionali, in generale, sono abbastanza efficaci, tanto contro il t e r r o r i s m o politico (a condizione che lo Stato sia ben deciso a d impedire che si creino milizie private come quelle naziste o fasciste) q u a n t o cont r o il terrorismo delittuoso di gruppi pirati. Ne sono esempi il celebre episodio della « B a n d a Bonnot » e gli 3

Tali statistiche sono regolarmente pubblicate nella Rivista « Études Polemologiques ».

183

atti di banditismo, mascherati in t e r r o r i s m o idealista, m o l t o frequenti nei periodi t u m u l t u o s i . Le legislazioni americane « anti-gang », considerata l'ampiezza del p r o b l e m a negli Stati Uniti, sono m o l t o discusse per q u a n t o concerne i loro effetti. S e m b r a com u n q u e che limitino in maniera abbastanza larga, gli eccessi di violenza.

i84

S O M M A R I O

Introduzione:

La

polemologia

1.

Storia dell'idea 1. Le mitologie. re. - 3. Dottrine dottrine morali e logiche

della guerra 2. Dottrine ideologiche delle guerfilosofiche sulla guerra. - 4. Le giuridiche. - 5. Le teorie socio-

2.

77 fenomeno

3.

Caratteristiche economiche della guerra 1. Necessità di una preventiva accumulazione. - 2. Conseguenze economiche delle guerre. - 3. Presunte cause economiche delle guerre. - 4. Guerre e congiuntura economica

35

4.

Aspetti demografici delle guerre 1. Effetti demografici della guerra. - 2. Funzione demografica della guerra. - 3. La funzione primaria della guerra. - 4. Le istituzioni distruttrici

47

5.

Caratteristiche etnologiche della guerra 1. La guerra e la festa. - 2. Riti di guerra e riti sacrificali

61

6.

Aspetti psicologici della guerra 1. Impulsi bellicosi ed aggressività. - 2. Il comportamento dei combattenti. - 3;* Il combattente e la gerarchia sociale. - 4. Il comportamento dei dirigenti. 5. Le conseguenze psicologiche della guerra. - 6. Le forme del pacifismo

69

guerra:

Delimitazione

e definizione

9

29

185

7.

Cause della guerra e piani di pace 1. Piani economici di pace. - 2. Piani politici di pace. - 3. Piani di imo Stato unico. - 4. Importanza storica delle guerre civili. - 5. Piani di equilibrio tra Stati. - 6. Piani di pace fondati sui regimi politici e le credenze degli Stati. - 7. Piani psicologici ed edonistici. - 8. Piani di disarmo

Conclusione

Appendici

1.

Tipologia della guerra e guerriglia Integrazioni di G. Bouthoul al testo originale e nota del curatore

2.

Evoluzione problematica attuale lemologia e nuove ricerche

3.

Il

186

terrorismo

della

po-