La fabbrica della cultura. Ritrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del paese

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La fabbrica della cultura. Ritrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del paese

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Walter Santagata

La fabbrica della cultura Ritrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del paese

- Contemporanea

La fabbrica della cultura Rrtrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del paese Nelle sue varie forme - dai monumenti ai musei, alla musica, al paesaggio, alla gastronomia, alle industrie culturali e creative - la cultura è un capitale che può produrre reddito e posti di lavoro. In quanto tale va valorizzata con politiche appropriate, che si preoccupino della sua conservazione e produzione. Tuttavia i due modelli non sono di pari importanza: il valore aggiunto della produzione sovrasta di gran lunga quello della conservazione e del consumo. Partendo da una solida e informata base documentaria, il volume mostra come risorse e attenzioni andrebbero dedicate alla catena di produzione del valore del bene d'arte. Riqualificando questo settore strategico attraverso la formazione e valorizzazione di artisti e mestieri creativi si alimenta il mercato del lavoro e lo sviluppo di tutto il sistema Italia. E accorte politiche culturali orientate in tal senso potranno contribuire a far raggiungere al nostro paese una posizione di spicco nella società globale della conoscenza, dell'innovazione e della creatività.

Walter Santagata Insegna Economia dei beni e attività culturali nell'Università di Torino ed è membro del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici.Tra le sue pubblicazioni ricordiamo «La Mode. Une économie de la créativité et du patrimoine» (2005, La Documentation Française, con C. Barrère), «Indagine sull'arte contemporanea italiana nel mondo» (Skira, 2005, con P.L. Sacco e M. Trimarchi) e «Simbolo e merce» (11 Mulino, 1998).

€ 10,00 CO\ er design: !\liguel Sal & C. In copertina: \J1work \IS&C

Società editrice il �ulino

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ISBN 978-88-15-11854-7

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Menandro

Walter Santagata

La fabbrica della cultura Ritrovare la creatività per aiutare lo sviluppo del paese

il Mulino

I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it

ISBN 978-88-15-11854-7

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Indice

Introduzione. La domanda che viene da lontano

p. 9

PARTE PRIMA: UN MODELLO DI PRODUZIONE DI CULTURA

I.

Produzione di cultura, conservazione di cultura

15

II.

La catena di produzione della cultura

23

1. La selezione degli artisti 2. La creazione come concezione e realizzazione dell'opera 3. La distribuzione 4. Il consumo

23 27 30 31

Creatività come risorsa, emozioni come requisito

37

1. La creatività come processo 2. La mente e il cervello, il corpo e le emozioni 3. L'emozione conta; l'ambiente conta

39 41 42

III.

PARTE SECONDA: LE POLITICHE PER LA PRODUZIONE DI CUL­ TURA E LE POSTE IN GIOCO NEI SETTORI STRATEGICI

IV.

Effetti della creatività sui mercati internazionali: il brillante caso della moda francese 1. Il processo di rinnovamento della creatività 2. La creatività e la successione delle generazioni 3. Il vantaggio creativo della Francia: l'ondata dei beni di lusso 4. Il vantaggio di arrivare primi 5

47 48 50 52 54

V.

I distretti culturali potenziali e la produzione di cultura materiale 1. I fondamenti teorici dei distretti culturali 2. Modelli e tipi di distretti culturali 3. Casi rimarchevoli di distretti culturali istituzionali potenziali 4. Il ruolo dei distretti culturali nei paesi sviluppati e in via di sviluppo

VI.

I diritti della proprietà intellettuale prendono il comando 1. Crescita della componente intellettuale dei beni e servizi 2. Diritti d'autore e diritti della proprietà industriale 3. Diritti individuali e diritti collettivi 4. Una procedura per migliorare la qualità con i marchi collettivi

p. 57 58 62 64 69

75 75 77 80 82

VII. Industria culturale, industrie creative e industrie dello spettacolo

89

1. {;industria culturale italiana all'inizio del XXI secolo 2. La posta in gioco

91 96

VIII. Il mercato dell'arte contemporanea

IX.

99

1. Accademie di belle arti 2. Il mercato italiano e la mancanza di centri nonmuseali indipendenti 3. Il mercato e i distretti culturali dell'arte contemporanea: l'esempio di Pechino

103

Produrre cultura a mezzo dei musei

111

1. 2. 3. 4.

112 113 116

Da museo a centro culturale Elogio della gratuità e del contributo volontario Elogio del decentramento e della democratizzazione Elogio del museo co-agente di sviluppo economico e sociale 6

106 106

117

Conclusioni. Un Libro verde sulla creatività e sulla produzione di cultura in Italia p. 123 1. L'Italia da qui al 2025 2. Priorità per il 2025

126 127

Riferimenti bibliografici

133

Abstract

139

7

Introduzione. La domanda che viene da lontano

Silenzi forse troppo lunghi, come pause da colmare, facevano capire che una calca di domande affollava la sua mente. Aspettava a farle, perché voleva essere sicuro di non apparire incauto. Era vestito in modo inusuale con panni morbidi e cappello, ma nella varietà internazionale dello street à porter non destava attenzione, né curiosità. Fino a quel momento era stato un crescendo di meraviglia. Il volto intenso e austero del genio era sbalordito. Le tecnologie lo avevano sempre appassionato e le loro applicazioni attuali andavano al di là della sua immaginazione, che era stata la più fervida e penetrante di tutto il suo secolo. Macchine semoventi, congegni parlanti, figurine viventi, tutto era meraviglioso, ma di fronte alla coda di visitatori davanti alla Nuova Galleria Sabauda, quelle domande riaffioravano, ancora senza risposta. Il momento più commovente fu quando rivide nella penom­ bra di una stanza sotterranea il suo autoritratto. Leonardo si emozionò. Non poteva toccarlo perché uno spesso cristallo lo proteggeva. Se ne domandò il perché, ma subito la memoria di quel lontano giorno gli colmò la mente. Ricordò il foglio bianco che si animava segno dopo segno, immagine viva di materia viva. La bocca, il naso, e poi gli occhi fissi nei suoi a scrutare, come in un doppio specchio che moltiplica le immagini senza fine, l'infinita profondità della mente. I lunghi capelli canuti e la barba fluente facevano ondeggiare quel volto nella penombra, isola zen in un I capitoli di questo libro sono in parte originali e in parte costituiscono rielaborazioni di precedenti saggi che ho scritto nel corso degli ultimi anni e che wno citati in bibliografia. Ringrazio i coautori con cui ho lavorato per l'affettuosa disponibilità a rivedere testi comuni e gli amici e i colleghi con cui ho discusso molte delle tesi sostenute. 9

mare di onde di sabbia, superando il taglio della carta, al di là del suo limite fisico. Si ricreava il miracolo dell'aria che accarezzava quel volto attraverso il foglio, che rianimava le apparenze di uno spirito forte e indagatore. Rivide qualche disegno del Buonarroti e ne provò piacere, ma le emozioni ormai lo avevano sopraffatto. Lo accompagnarono al caffè Fiorio per un momento di pausa e di riposo. Questo viaggio dal passato aveva consumato tutte le sue energie, ma la deliziosa bevanda che stava sorseggiando era prodigiosa. Il caffè lo aiutò a superare l'imbarazzo dell'indiscrezione e sommessamente comin­ ciò a domandare dove fossero gli artisti che lavoravano in città. Aveva visto i laboratori scientifici e le fabbriche giganti. «Dove sono le botteghe dei vostri pittori?» Gli risposero che Mario Merz era morto, che Michelangelo Pistoletto se ne era andato via. Che se voleva incontrarli, Giulio Paolini e Nicola De Maria abitavano in una piazza non lontana a ridosso della collina. Giuseppe Penone, Gilberto Zorio, Marco Gastini e Piero Gilardi erano in continua attività. C'erano anche alcuni giovani, Enrico De Paris, Pier Luigi Pusole, Botto e Bruno, Enrica Borghi, ma non avevano vita facile. «Dove sono i vostri poeti?» Gli risposero che Alessandro Baricco, Giuseppe Culicchia, Ernesto Ferrero, Margherita Oggero scrivevano con grande intelligenza del mestiere. «Dove sono i mu­ sicisti, i compositori, gli architetti?» Alberto Basso e Carlo Olmo presentarono nomi anche illustri, ma la gamma era limitata. «Insomma dov'è la fabbrica della cultura? Chi produce cul­ tura?» I suoi ospiti si guardarono l'un l'altro un po' smarriti per la domanda così diretta, e non risposero. Per discrezione non si informò sul valore degli artisti che via via gli menzionavano, ma si stupì per l'esiguità del loro numero. Gli sembravano pochi e poco visibili in città, forse poco amati o poco odiati. «Dove sono i principi e i mecenati?» Gli risposero che non c'erano più, nemmeno a Milano e a Firenze. Imprese e fondazioni bancarie erano i nuovi principi della cultura, ma preferivano conservare il passato e avevano timore di produrre il nuovo. Non capì altre cose, come pagare il biglietto per entrare nelle chiese e nei palazzi che conservavano opere d'arte, chiamati 10

«musei». Non capì, infine, perché si amavano tantissimo le opere d'arte del passato e poco o nulla quelle contemporanee. Perché la produzione di cultura fosse meno importante del consumo di cultura prodotta in epoche remote e trapassate. Questo libro non è una risposta al viaggio di Leonardo da Vinci e alle sue domande. Non è nemmeno una nostalgica regressione nel passato in un Rinascimento italiano irripetibile. È piuttosto una riflessione sul bisogno di riannodare il filo della creatività e della produzione di cultura tra generazioni. Un club esclusivo di città straordinarie e fortunate sta rinno­ vando esperienze e modelli di produzione di cultura. New York, Parigi, Londra, Berlino, Pechino e poche altre sono esempi emble­ matici. Ma il mondo non sembra proiettarsi verso la produzione di cultura. Prendiamo il Medio Oriente: alla impressionante accumulazione di cultura antica non corrisponde una produzione contemporanea di eguale importanza. Lo stesso si può dire per molti altri paesi dell'Asia, dell'America Latina, dell'Africa e del­ l'Est europeo. Questo libro è anche pensato per loro, per superare i limiti del modello della conservazione, e resistere alla insinuante insistenza delle agenzie di aiuto internazionali che continuano a proporre politiche non pienamente rispettose delle produzione contemporanea di cultura. Non voglio prefigurare un modello nuovo di politica cultu­ rale, ma riconsiderare un modello abbandonato, forse vittima della politica e della globalizzazione dei mercati che sembrano voler assegnare al nostro vecchio paese una specializzazione in archeologia della cultura. Invece è una priorità assoluta recuperare creatività e muovere in avanti le frontiere della cultura, in tutte le sue espressioni. L'immagine industriale della produzione di un bene intangibile e immateriale sembra poco deferente rispetto all'aura che awolge un'opera d'arte, ma è efficace nel convincerci che si tratta di una scelta possibile e realizzabile in qualsiasi momento. Basta volerlo. Nella prima parte di questo lavoro si discutono alcuni aspetti del modello di produzione di cultura, innanzitutto confrontandolo 11

con il modello della conservazione di cultura, tipico del sistema dei beni culturali; poi si analizza la catena di fasi e procedure che consentono la produzione delle idee e dei supporti materiali che ne permettono la distribuzione e il consumo; infine si esplorano le condizioni sociali e ambientali che possono aumentare il tasso di creatività di un paese, essendo la creatività un input primario non solo della produzione di cultura, ma anche delle collegate industrie culturali. Nella seconda parte si trattano alcuni temi la cui scelta, per quanto soggettiva, vorrebbe rifletterne la rilevanza strategica per la produzione di cultura. La posta in gioco è grande perché la posizione dell'Italia nei settori analizzati indicherà la direzione o meno verso uno sviluppo economico e culturale che pone l'immagine del paese e la sua creatività al centro dei mercati internazionali e al cuore della società della conoscenza.

12

Parte prima

Un modello di produzione di cultura

1.

I

Produzione di cultura, conservazione di cultura

Che il patrimonio culturale sia una risorsa per lo sviluppo econo­ mico è una considerazione ormai largamente condivisa. Nella sua forma tangibile (monumenti, musei, archivi, biblioteche e antichità archeologiche), intangibile (musica, pittura, teatro, festival e pae­ saggio) e materiale (arti decorative e design) la cultura è un capitale che può produrre reddito e posti di lavoro sia nei paesi sviluppati sia, forse a maggior ragione, in quelli in via di sviluppo. Owiamente il capitale o patrimonio culturale va valorizzato con politiche appropriate, altrimenti non dà frutti, né di tipo simbo­ lico e identitaria, né di tipo economico. In molti casi il valore è il risultato della rivitalizzazione di risorse rimaste oziose, di musei non ammodernati, di scavi archeologici abbandonati all'incuria, di teatri mal gestiti. Obiettivo ideale di questa opzione è la con­ servazione di cultura. Si tratta, come noto [Emiliani 197 4], di un concetto molto discusso e dai contorni non sempre ben definiti. Se ne possono sintetizzare molte accezioni. Conservazione, infatti, può voler dire: 1. Esercitare la tutela come pubblico servizio: frutto secolare di una «tradizione giuridica conservativa, costruita su norme cogenti e su progressivi, sempre più ampi divieti» [ibidem, 5]. Si sottrae l'arte alla legge del mercato restituendola alla comunità e al pubblico. Si sottrae il patrimonio culturale agli interessi privati, lo si difende contro l'espansione edilizia, contro la logica dello sviluppo economico distruttore dello stesso patrimonio che lo alimenta e lo sostiene. 2. Difesa contro la pauperizzazione culturale di un territorio, attuata attraverso la mobilità della proprietà delle opere o la loro scomparsa irreversibile (divieto di esportazione, di demolizione o distruzione). 15

3. Mantenimento dell'integrità originaria dell'opera (restauro e manutenzione). 4. Gestione e valorizzazione adeguate dell'opera d'arte. La conservazione è anche un prerequisito che consente al bene culturale sia di adempiere ad una importante funzione identitaria, sia di soddisfare una futura funzione di consumo (visite e turismo culturale). In altri casi il valore economico non si estrae da un capitale fisico accumulato nei secoli, ma se ne usa la componente intangibile, in particolare i saperi e la cosiddetta conoscenza tradizionale. L'obiettivo di questa seconda opzione è produ"e cultura. Produrre vuol dire creare nuove espressioni d'arte e di cultura che facciano avanzare la frontiera della conoscenza, quale che sia il settore del campo culturale, lo strumento, la tecnologia, l'organizzazione, le istituzioni e l'approccio individuale o collettivo prescelto. In sostanza si contrappongono due modelli di valorizzazione: quello orientato alla conservazione (di tipo estetico, artistico, archivistico) e quello orientato alla produzione (fondato sulla creazione di nuove espressioni culturali e artistiche). Il modello della produzione può essere applicato non solo alla pittura contemporanea, al cinema, alla televisione, alla letteratura o alla cultura materiale, ma anche alle arti dello spettacolo nelle quali i registi, i cantanti e gli attori aggiungono valore alle opere originali producendo nuova cultura e anche ai musei, dove la produzione di cultura assume la forma di mostre temporanee o di decentra­ mento culturale e democratizzazione degli accessi. In teoria i due modelli non sono di pari importanza. Quello della conservazione è senz'altro sottordinato a quello della produzione per il semplice fatto che senza creazione e produzione non sono comunque possibili un uso o consumo culturale futuro né hanno senso la tutela e la valorizzazione. Anche in termini monetari la differenza è enorme: nel 2000 il valore aggiunto del settore dei beni culturali è stato stimato [Leon e Galli 2004] in 322 milioni di euro e quello dei settori di produzione, ossia, molto in grosso, musica, teatro, lirica e balletto (319 milioni di euro), editoria libra­ ria (1.641), televisione (3.483) e cinema (330), in 5.774 milioni di euro. Per quanto si correggano i dati e si affinino le metodologie 16

di calcolo (manca ad esempio il contributo significativo dell'arte visiva) il modello della produzione vale oltre venti volte quello del consumo di beni culturali. Tuttavia, se si osservano più da vicino le politiche culturali delle grandi città si nota che una impercettibile tendenza, un clinamen, ha opacizzato il modello produttivo a favore di quello della conservazione e reso il pubblico dei consumatori, fatto di turisti e visitatori, arbitro delle principali scelte strategiche. Si parla molto di più del nuovo allestimento di un museo che di una nuova composizione musicale, si snocciolano i numeri dei visitatori alle mostre d'arte, enfatizzando successi commerciali risicati, e si dimentica che, ad esempio, l'arte visiva è una delle industrie più dinamiche del paese, come dimostrano le cifre d'affari delle case d'asta nazionali e internazionali. Lo squilibrio è anche nella crescita del valore aggiunto che nel settore dei beni culturali è aumentato dell'87, 1% nel decennio 1990-2000, mentre in quello produttivo di cultura del 37,4%, ossia meno della metà [ibidem]. I due modelli, insieme, ci aiutano a definire il concetto di redditi­ vità culturale di un paese. Come una attività è redditizia quando i ricavi superano i costi, così un paese è culturalmente redditizio quando la produzione di cultura supera la conservazione. Definisco, allora, l'indice di redditività e creatività culturale come il rapporto tra produzione di cultura e conservazione di cultura, comunque espressi. Quando l'indice diminuisce, significa che il paese «conserva» più di quanto «produca»: una situazione che nel lungo periodo indebolisce il contenuto stesso della conservazione, il patrimonio accumulato. In un mondo globalizzato un paese che non accumula cultura arretra, rischia l'egemonia o l'invasione di altre culture. Quando l'indice aumenta, significa al contrario che il paese, ad esempio a parità di «conservazione», «produce» cultura. In diversi momenti della sua storia l'Italia è stata, come è noto, culturalmente molto redditizia e creativa. Qual è la situazione attuale? Ho più che l'impressione che siamo in una fase di debo­ lezza produttiva. Una stima purtroppo molto rozza, un semplice esercizio effettuato usando i dati, in questo contesto più allusivi che precisi, citati sopra [ibidem], ci dice che in Italia l'indice di 17

redditività e creatività culturale era pari a 24,4 nel 1990 e a 17, 9 nel 2000. Per quanto i dati vadano corretti e statisticamente af­ finati, l'indicazione di una tendenza al declino della produzione di cultura è evidente. A lungo andare questa tendenza che sacrifica la produzione alla conservazione e al consumo può rivelarsi negativa e cercherò di spiegare il senso di un cambiamento di direzione sempre più storicamente necessitato. Vorrei cominciare con un esempio tratto dal settore museale. Come è noto, molte aree ex industriali delle nostre città sono sottoutilizzate o addirittura inutilizzate per le crisi ricorrenti e i molti cambiamenti strutturali che ne hanno modificato la desti­ nazione d'uso. Si immagini che una impresa dell'industria tessile proprietaria dei terreni decida di metterli in vendita. La città si interroga sulle prospettive di questa scelta che vuole fortemente legata alla storia del luogo e dei saperi locali. Nella logica dei due modelli prima accennati, l'alternativa diventerebbe o investire per la conservazione culturale (ad esempio, trasformando il sito un museo dell'arte tessile) o investire per produrre cultura (proget­ tando un centro culturale, che oltre ad una collezione permanente, sia animato da laboratori e centri di formazione e di studio che alimenteranno eventi culturali, esposizioni e produzioni innovative in uno sforzo di dialogo e coinvolgimento della città e del suo territorio sociale e industriale). Entrambe le alternative mirano alla valorizzazione di un luogo storico della cultura industriale, ma la seconda è vincente nel lungo periodo. Entrambe possono creare reddito e posti di lavoro, ma la prima è su una frontiera immobile rivolta alla valorizzazione delle eccellenze del passato, la seconda è su una frontiera ideale che si muove verso scenari inesplorati e mobilita la creatività delle nuove generazioni. Senza sottovalutare l'importanza di immagine ed economica della conservazione e del consumo culturale e delle attività ad essi connesse, mi sembra che dopo tanti anni di attenzione a musei, monumenti, esposizioni e beni culturali si senta il bisogno di ri­ tornare ad interventi di struttura, come si chiamavano un tempo, relativi alla riforma delle capacità produttive artistiche e creative del paese. 18

L'ottica cambia radicalmente. Non più l'enfasi sulle funzioni di tutela, valorizzazione, conservazione, gestione e fruizione del patrimonio culturale, consacrate dal Codice Urbani e interpretate in modo nobile e rigoroso da Andrea Emiliani e Salvatore Settis [2002; 2005], ma il massimo di attenzione e di assistenza alla catena di produzione del valore di un bene d'arte. La catena o la filiera di produzione di un bene d'arte è un concetto di politica economica che illustra con chiarezza ruoli e compiti dei principali attori, pubblici e privati. Si può qui breve­ mente anticiparne cinque fasi dalle quali traspare il cambiamento d i prospettiva e di responsabilità istituzionali. 1 . La prima fase della filiera di produzione dei beni d'arte e di cultura riguarda la selezione degli artisti e degli attori della creatività. Gli strumenti istituzionali, dal mecenatismo al mercato ai concorsi pubblici e alle accademie, sono spesso inadeguati alla dimensione internazionale e alla globalizzazione del mondo dell'arte e dell'industria culturale. Questa fase include anche il processo formativo e a questo proposito va sottolineato che l'au­ mento della qualità delle accademie di belle arti, dei conservatori e dei programmi pubblici e privati per l'arte e la creatività (borse, premi, aiuti ecc.) è un compito immenso, che i decisori politici temono e lasciano volentieri in disparte. 2. La seconda fase è quella della creazione delle idee, essendo l'arte un bene eminentemente intellettuale. Come vedremo, la creatività non è un'epifania, una rivelazione divina, ma un pro­ cesso che si può riprodurre e trasmettere alle generazioni future. I mercati sono sedotti dalla creatività espressa dai beni, al punto da modificare le regole della concorrenza internazionale che sempre più si fonda sulla qualità dei prodotti e sempre meno sui bassi costi di produzione. Inevitabilmente questa fase pone la questione della tutela dei diritti della proprietà intellettuale e della lotta ai mercati della pirateria commerciale. 3. La fase della produzione è una complessa articolazione di attività coordinate. Costose strutture organizzative, si pensi alle organizzazioni teatrali e all'industria cinematografica, sono stru mento di realizzazione delle idee degli artisti. Tipico della produzione culturale è la dimensione di sistema che trova esempi 19

di valore mondiale nei distretti culturali italiani: museali, della cultura artistica materiale e urbani. 4. La distribuzione delle opere d'arte è la quarta e strategica fase della filiera. Diventa sempre più importante e insieme alla fase della concezione comanda l'intera catena di creazione del valore. La creatività imprenditoriale è esposta sempre più alla sfida di logiche distributive innovative che sappiano dare risposte alle preferenze dei consumatori. La distribuzione e gestione del sistema dei beni culturali è componente importantissima di questa fase. 5. Infine la fase del consumo che richiama i temi della qualità e allargamento o democratizzazione della domanda. In queste cinque fasi settore pubblico e settore privato ridefi­ niscono compiti, sforzi e terreni di collaborazione ad un livello più alto, che in particolare restituisce al mercato e all'iniziativa individuale responsabilità, autonomia e sfida del rischio in settori culturali vasti e strategici per lo sviluppo. Il modello della conservazione dei beni culturali ha accumulato troppi difetti che ne appesantiscono il funzionamento e la spinta innovativa. Quando alla fine degli anni ottanta con Giorgio Brosio [Brosio e Santagata 1991] e con Luigi Bobbio [ 1990] riflettevamo sulle politiche dei beni culturali in Italia, il sentimento era quello di un colpevole ritardo storico rispetto a quanto si stava facendo in Francia e nei paesi anglosassoni. Scrivevamo: Di fronte alle necessità derivanti dallo stato di conservazione e dalla consistenza straordinaria dei beni culturali, storici e artistici l'impegno finanziario e organizzativo italiano, nonostante si collo­ chi ai primi posti tra i paesi europei, non sembra ancora adeguato. Eppure per introdurre una nota positiva, non è soltanto un sogno la nascita del museo moderno, operatore di grande cultura, portatore di un progetto estetico, impresa efficiente: il Nuovo Museo Egizio, la Grande Brera, la Città degli Uffizi e altri ci stanno provando tra mille difficoltà e resistenze [Brosio e Santagata 1991, 216].

Purtroppo il modello della conservazione di beni culturali si è indebolito nelle sue aspettative originali prima ancora di rea20

Jizzare quei sogni vagheggiati almeno quindici anni or sono. La lis ta dei suoi difetti è lunga e impietosa: ha sovvertito l'ordine di priorità rispetto alla produzione di arte e cultura; è rivolto alla \'alorizzazione del passato in sé; è intrinsecamente conservatore; è una lobby politico-culturale che più il sistema si decentra più è preda della politica locale, più si centralizza più si allontana dai cittadini; rappresenta, infine, un modello chiuso di cultura, quella musealizzata e istituzionalizzata. Il modello della conservazione è debole anche perché crea sinergie solo con pochi altri settori economici o parte di essi. Mi riferisco innanzitutto al turismo, alla piccola impresa di restauro, alla piccola impresa edile, alla società di informatica specializzata in catalogazione, all'editoria specializzata e poco altro. Sono forti legami in un tessuto debole. È obsoleto anche perché il consu­ matore ha cambiato abito: ha un ruolo sempre più attivo, direi produttivo: partecipa con la sua interpretazione alla creazione artistica. Consumatore e artista sono legati in una stessa esperienza creativa [Mossetto 1993]. Ben altro è il valore sistemico della produzione di cultura. Attraverso la formazione e selezione di artisti, designer e altri mestieri creativi essa alimenta il mercato del lavoro di tutto il sistema Italia e ne riqualifica il segmento più strategico, quello che Florida [Florida 2002] ha chiamato la classe creativa. Essa comprende nella sua definizione più larga ingegneri e scienziati, ma include anche gente che lavora nel campo «dell'architettura e Jel design, dell'istruzione, delle arti, della musica e dello spet­ tacolo, la cui funzione economica è creare nuove idee» [ibidem, 8]. Oltre a questo primo gruppo, la classe creativa comprende anche professionisti e manager che applicano la creatività al fun­ zio namento e sviluppo delle organizzazioni economiche o delle imprese. Attraverso il concepimento di nuove idee e la loro realizzazione la produzione di cultura si estende ad un mondo produttivo in enorme crescita a livello mondiale. Secondo stime disponibili [Howkins 2001] qualche anno fa, il t otale dell'industria creativa mondiale raggiungeva i 2.240 miliardi Ji dollari nel 1999. La cifra è considerevolissima se paragonata al 21

fatto che è una volta e mezzo il prodotto interno lordo dell'Italia nel 2004, e che è il doppio del prodotto interno lordo dei paesi del Medio Oriente e dell'Africa (pari a 1. 144 miliardi di dollari nel 2004). Dati europei più recenti rivelano per i settori culturale e creativo un giro di affari di oltre 654 miliardi di euro, pari al 2,6% del prodotto interno lordo europeo nel 2003. Nel 2004, il settore occupava circa 5,8 milioni di addetti, pari al 3,1% della popolazione attiva [KEA European Affairs 2006]. Anche la definizione del settore è profondamente cambiata. Ai comparti classici delle arti visive, dello spettacolo e del patrimonio culturale naturale, monumentale e museale, oggi si aggiungono attività produttive industriali, come le industrie culturali e le in­ dustrie creative - principalmente collegate ai diritti della proprietà intellettuale - e le industrie derivate, come quella turistica, quella della formazione professionale, quella dei servizi legali, quella della pubblicità e tutta l'industria per la riproduzione digitale di suoni, testi e immagini. Produrre cultura è dunque una attività economica, diciamo, di nuovo di frontiera nell'epoca della società della conoscenza e dei mercati globali ed è sempre più complessa, perché si deve adattare a beni e servizi molto diversi per contenuti e tecnologie, e a fruitori assolutamente eterogenei. Che cosa hanno in comune, ad esempio, un quadro, un'opera lirica e una fiction televisiva? Molto più di quanto non si pensi. Ripercorrendo nel prossimo capitolo un antico sentiero lungo il quale ritroviamo gli artisti, le loro idee, realizzate e distribuite, e un popolo immenso di consumatori e amanti della cultura, sarà possibile esplorare gli anelli di una catena che rivive miracolosa­ mente per ogni prodotto culturale e rinasce ad ogni generazione di talenti creativi.

22

2.

I

La catena di produzione della cultura

I beni culturali e artistici possiedono, sotto il profilo economico, alcune caratteristiche comuni che permettono una trattazione unitaria del loro processo di produzione, a dispetto delle pro­ fonde differenze che li dividono. Il modello interpretativo della catena della produzione di cultura, quindi, può essere ridotto ad unità senza ricorrere a drastiche semplificazioni o impoverimenti Ji senso. Come detto, la catena si sviluppa in almeno cinque fasi - sele­ zione, creazione, realizzazione, distribuzione e consumo - che si awicendano, dilatandosi o contraendosi a seconda dei casi, in un processo in grado di rinnovarsi continuamente. Molti temi pertinen­ ti alle cinque fasi verranno trattati in dettaglio nei prossimi capitoli. Qui il lettore troverà un primo accenno al quadro di insieme.

1 . La selezione degli artisti L'owia fase iniziale di un processo produttivo è la messa a dispo­ sizione degli agenti e dei fattori di produzione. Nella forma più pura di prodotto artistico il capitale e il lavoro sono incorporati nella stessa persona e dunque il primo problema da affrontare è quello della selezione degli artisti, owero della scoperta dei talenti. La natura è casuale nel donare intelligenza artistica ed è perciò necessario un intervento specifico della società per riconoscere i talenti, perché ad ogni talento non valorizzato corrisponde una perdita sociale netta. Detto in maniera molto semplice, se Giotto avesse fatto il pastore invece che il pittore e l'architetto, Firenze, Napoli, Padova e l'Italia tutta avrebbero perso le opere Jel suo genio. 23

Selezione di mercato La selezione degli artisti ad opera del mercato rappresenta nel mondo moderno il più potente strumento di scelta esercitato da produttori, consumatori, amatori e collezionisti d'arte. Come vedremo il mercato sceglie remW1erando con diritti d'au­ tore e pagamenti diretti gli artisti preferiti dal pubblico. A questo riguardo va detto che se l'immagine delle motivazioni degli artisti verso il loro lavoro fosse quella dell'arte per l'arte, il mercato non avrebbe né ruolo, né senso. In realtà si diventa artisti per un insieme complesso di motivazioni: per la gioia della creazione, per la ricerca della fama e anche (in parte o per qualcuno) per motivi economici. La logica del mercato si articola sostanzialmente nell'espressione delle preferenze dei consumatori e dei collezionisti d'arte. Possono essere loro, attraverso il riconoscimento e il pagamento di W1 prezzo, come nel caso della pittura, di W1 compenso contrattuale o dei diritti d'autore e delle royalties, in molti altri casi, a sostenere economi­ camente gli artisti e indirettamente a selezionare i più amati. In altri settori, invece, è determinante la scelta di investimento di un imprenditore. Il produttore cinematografico o l'impresario teatrale hanno grande importanza nella selezione degli artisti le cui opere remunereranno l'investimento iniziale. Il mercato e le sue istituzioni industriali possono essere fattore di selezione anche in un altro modo: la formazione sul campo, ossia l'apprendimento nel corso del processo produttivo. Non ci sono più le botteghe della Firenze rinascimentale, ma in molti contesti distrettuali italiani, nel campo della moda e in generale della produzione di cultura materiale, la conoscenza tacita, ossia l'imparare guardando e vivendo in una situazione, e il learning by doing rappresentano ancora oggi eccellenti sistemi di selezione. Selezione non di mercato Altrettanto importanti sono i meccanismi di selezione non di mercato. Accennerò qui di seguito ali'azione pubblica, al mece­ natismo, all'autoselezione e al mondo della politica. 24

l . Stato. Seleziona attraverso il sistema scolastico nazionale e quello dei concorsi pubblici che assegnano borse, cariche e o pportunità, in teoria, ai talenti e ai creatori più meritevoli. Il sistema degli istituti d'arte, dei licei artistici, delle accademie di bclle arti, dei conservatori e degli istituti superiori per le industrie ,1rtistiche è in corso di riforma. Deve recuperare molto terreno rispetto ai progressi delle più famose scuole d'arte e di design americane e inglesi e ne analizzeremo alcuni aspetti nel capitolo dedicato all'arte contemporanea. 2. Mecenatismo. È un metodo di selezione che impone a livello sociale e collettivo le preferenze paternalistiche di pochi individui, ricchi di risorse. La loro è una scelta privata, senza interferenze di sorta, e come tale può essere inadeguata rispetto ai bisogni selettivi della società in cui agiscono. Quando il mecenatismo imprenditivo è una scelta di organizzazioni non profit, come ad esempio le fondazioni bancarie, la componente privata è meno forte, ma può rivelarsi negativa l'esposizione alle oscillazioni della congiuntura economica e alle difficoltà finanziarie prevedibili in fase di recessione. 3. Autoselezione. Meno convenzionali sono, invece, il meccani­ smo di autoselezione e la selezione secondo le regole della politica. li primo è un caso interessante di economia dell'informazione e di processi decisionali razionali. È una metafora della realtà, ma ricca di suggestioni e insegnamenti [Gay 1998]. Il punto di avvio sono i costi e le contraddizioni del processo di selezione degli artisti. Infatti, se la popolazione di riferimento fosse di piccole dimensioni, il costo della raccolta delle infor­ mazioni necessarie per fare confronti tra coppie di candidati e selezionare i migliori sarebbe basso. Malauguratamente, se la popolazione di partenza è troppo piccola la probabilità di catturare talenti rischierebbe di essere eccessivamente bassa e la stessa vitalità della disciplina artistica potrebbe esserne compromessa. Capovolgendo il ragionamento potremmo dire che l'affollamento degli artisti in una popolazione di riferimento molto ampia moltiplicherebbe il numero dei confronti e i costi i nformativi, ma accrescerebbe di fatto il numero di artisti di t ale nto tra cui selezionare i migliori. Un bel dilemma: affrontare 25

costi più alti o garantirsi una buona probabilità di selezione i migliori talenti? Analizzando i modi possibili per ridurre i costi informativi, Gay si concentra sulla selezione ad opera delle accademie d'arte, la cui funzione in definitiva è sostanzialmente quella di segnalare la qualità dei loro membri. Si dimostra che potendole ordinare per qualità, ogni artista troverebbe - e sarebbe accolto da - quella accademia a lui corrispondente in termini di qualità, perché un artista nella accademia sbagliata subirebbe costi di partecipazione così onerosi da indurlo a modificare la sua scelta. Ad esempio, un artista di grande valore non si adatterebbe a una accademia mediocre, ma ne fonderebbe una nuova o aderirebbe ad una di livello superiore; un artista modesto, dovendosi confrontare con colleghi la cui qualità è per lui irraggiungibile, finirebbe in un'accademia di più basso livello. Il vantaggio dell'autoselezione consisterebbe nel fatto che non dovremmo più raccogliere infor­ mazioni su ogni singolo artista, basterà sapere a quale accademia appartiene, perché ad accademie diverse corrisponderanno talenti di qualità diversa. 4. Selezione politica. Il meccanismo selettivo cui accennerò ora esprime il punto di vista della politica, ossia del rapporto amico/nemico e della logica della clientela. La politica con le sue moderne articolazioni territoriali - a livello comunale, provinciale, regionale, e degli organi federali - è un mondo di allocazione particolare. Infatti i processi decisionali dei sistemi politici rap­ presentativi possono sostituire il sistema dei prezzi nelle scelte allocative quando i politici di professione intervengono nel campo artistico con logiche che Hayek avrebbe definito negativamente come tribali, tipiche del governo degli uomini, contrapposto all'incorruttibile governo della legge. Il campo artistico di un'area territoriale è attraversato da diversi assi che lo segmentano nelle sue componenti; sono assi magnetici che attirano e polarizzano gruppi di artisti alla ricerca dell'affer­ mazione e del successo. Uno degli assi principali osservato in un'indagine sui giovani artisti a Torino alla fine degli anni ottanta [Santagata 1998a] è quello che oppone stato a mercato, ossia da un lato artisti che concepiscono l'arte come uno strumento di critica 26

sociale; dall'altro artisti che considerano l'arte come espressione lii un mondo privato, individuale, inconscio. Quelli orientati ,ilio stato cercano di stabilire una relazione forte tra politica e cu ltura; quelli orientati al mercato sono apertamente esposti alle regole della concorrenza. I primi «lavorano» con gli assessorati alla cultura, con le fondazioni, con i musei. Non amano il rischio, sono selezionati dai politici che dispongono dei fondi pubblici. I secondi «lavorano» con le gallerie private e insieme ai mercanti rischiano il fallimento. Gli artisti le cui opere sono allocate dal e nel sistema politico devono soddisfare o per lo meno essere simpatetici con le preferenze del politici al potere; gli altri con le preferenze dei collezionisti e del pubblico. Al di là della estremizzazione dei caratteri delle due polarità, nel campo artistico sopravvivono isole di allocazione protetta politicamente. Artisti che non vendono, ma sono selezionati, che espongono in spazi istituzionali pubblici, che vincono i concorsi, le cui opere compaiono spesso sui muri degli uffici comunali o regionali, se non dei musei. Qui la dimensione simbolica si appiattisce sulla dimensione politica spesso rinnegando e a volte perdendo il suo significato universale.

2. La creazione come concezione e realizzazione del­ l'opera C li artisti al lavoro si dedicano inizialmente alla produzione di idee. A ben guardare, però, nel momento creativo si uniscono, a volte indissolubilmente, le due fasi successive della catena di p roduzione della cultura: la concezione dell'opera d'arte e la sua realizzazione. Sul piano della concezione, fenomeno istintivo, intuitivo e log ico al tempo stesso, l'opera d'arte non è che un'idea, o come ebbe a dire Gide, l'esagerazione di una idea: un atto innovativo, unico, esaltante e meditato, che può essere sia individuale che collettivo, un insieme di messaggi capaci di suscitare emozioni e sensazioni in chi crea o consuma. Tuttavia questo primo momento creativo non è in sé compiuto, perché l'opera d'arte prende forma 27

definitiva solo nel corso della successiva fase della realizzazione. Quanta distanza tra l'intuizione originale e il romanzo, il film o la sinfonia realizzati o eseguiti! Nelle arti visive e plastiche, poi, la fase della concezione e della realizzazione coincidono, e solo inscindibilmente unite permettono il rivelarsi dell'opera d'arte. L'idea del pittore prende corpo e vita solo nel momento in cui si traduce in disegno, colore e materia sulla tela. D'altra parte l'idea - la poesia, la melodia, la composizione pittorica, il design - deve essere realizzata non solo per compiersi e attuarsi, ma anche per essere rivelata al pubblico. L'arte, infatti, per essere goduta richiede che l'idea sia tradotta, o fissata, in un supporto, in un medium. Questo può essere un bene materiale - libro, disco, tela, pietra, pellicola - oppure un bene imma­ teriale - come un concerto sinfonico, una rappresentazione teatrale, frutto di una combinazione di attività organizzative e di fattori produttivi. In questo caso l'opera può essere arricchita e completata da un'altra figura artistica, che si chiama interprete. Tipico il caso dello spettacolo dove il direttore d'orchestra, il cantante e l'attore sono considerati artisti, poiché aggiungono qualcosa attraverso la loro opera all'idea originale. Nel caso del libro invece, la realizzazione della creazione letteraria non richiede, di norma, la mediazione di un interprete, ma talvolta di un traduttore. Il legame fra l'idea originaria, la sua realizzazione e il veicolo per la sua trasmissione dall'autore al pubblico è diverso a seconda delle forme d'arte considerate. Per la maggior parte delle arti il supporto non ha altra funzione che trasmettere l'idea originaria realizzata. Ad esempio il quadro, il disco, la pellicola, il libro, o il concerto. Negli altri casi, il supporto ha una sua funzione d'uso specifica: la chiesa, il palazzo, la saliera, il tappeto. Definire una chiesa oggetto d'arte significa che essa, oltre ad assolvere la funzione specifica di luogo di culto, ha caratteristiche estetiche capaci di suscitare emozioni artistiche. Sotto questo profilo tutti i beni prodotti dall'uomo e quelli esistenti in natura possono essere percepiti in modi molto differenti: in particolare possono essere oggetto di percezione artistica o sociale o semplicemente essere considerati oggetti di consumo domestico e quotidiano. 28

Sarebbe l'intenzione estetica del creatore e dello spettatore l'ele­ mento che sottrae l'oggetto alla sua percezione puramente pratica. L'in tenzione estetica fa sì che l'oggetto - ad esempio un bolide dell a Ferrari - sia apprezzato sia per la sua /unzione, secondo le intenzioni originali del produttore, che per la sua/orma, secondo ]'intenzione con cui la si guarda [Panofsky 1939]. Il tema più delicato e, come vedremo ambiguo, a proposito della fase creativa è quello della tutela della proprietà intellet­ tuale. Gli strumenti giuridici definiti nel sistema di common law o Ji civzl law mostrano infatti contraddizioni, fino al limite della discriminazione tra creatori. È noto infatti che le idee di pittori, compositori musicali, scrittori e registi sono tutelate in modo diverso per efficacia ed estensione. I mercati illegali e criminali della contraffazione, inoltre - ad essi sarà dedicato un approfon­ dimento nei prossimi capitoli -, minacciano il sistema di tutela della proprietà intellettuale in modo permanente. La creazione dell'opera d'arte è stata per eccellenza un'atti­ vità individuale, con parziali eccezioni solo nelle arti figurative e plastiche. Oggi gli esempi di vero e proprio lavoro di squadra si moltiplicano: si pensi alla musica per film, alle équipe reda­ zionali con cui si confezionano i best seller. Inoltre, la fase della realizzazione richiede spesso la presenza di un'organizzazione complementare. Ad esempio, la compagnia di teatro, l'orchestra, il museo. Nelle arti sono presenti le forme più diverse di impresa. Da 4uelle private con fini di lucro, alle cooperative, alle non profit, agli enti pubblici. In buona parte questa varietà di forme è do­ vuta a motivi di convenienza economica. Le arti sono per taluni crea tori, esecutori o industrie culturali grande fonte di guadagno, ma possono anche essere non profittevoli, o addirittura ragione J i vere e proprie catastrofi finanziarie. Per motivi associati all'au­ mento «inarrestabile» dei costi - la controversa malattia dei costi crescenti di Baumol [Baumol e Bowen 1966] - la produzione di molti servizi artistici - come lo spettacolo di prosa, la lirica o il concerto di musica classica - può essere assai poco redditizia se non addirittura deficitaria. In effetti, molti servizi artistici sono for temente sowenzionati dai poteri pubblici in quasi tutti i paesi. 29

Senza questo aiuto, molte forme d'arte sarebbero, se non scom­ parse, certo ridotte a poca cosa. Anche nella produzione di beni - libro, quadro, disco, video - la redditività non è garantita. Proprio perché ogni prodotto arti­ stico è un originale che per affermarsi è obbligato a differenziarsi dagli altri, l'esperienza precedente conta poco e l'esito economico contiene un elevato margine di rischio. Infine i settori che producono beni della cultura materiale - vetri artistici, ceramica, oggetti di design, tessile, moda, stru­ menti musicali - presentano una tendenza elevata e straordinaria alla concentrazione industriale, o in altre parole, alla formazione di distretti culturali, luogo di integrazione produttiva di micro, piccole e medie imprese. Questa formula, di grande interesse per la teoria dello sviluppo economico locale sostenibile, sarà oggetto di un apposito capitolo in quanto è stata uno dei più originali contributi dell'Italia alla teoria e alla pratica dello sviluppo eco­ nomico.

3. La distribuzione Ogni creazione nasce da un'idea originale, che viene realizzata e messa a disposizione degli altri secondo modi di distribuzione peculiari ai singoli beni artistici e che possono essere anche più di uno per lo stesso bene. È la quarta fase: una commedia è di­ stribuita attraverso una rappresentazione teatrale, un monumento attraverso la sua esposizione al pubblico. I modi di distribuzione possono, però, essere simultaneamente diversi: infatti un'opera lirica può essere rappresentata dal vivo in un teatro, filmata e proiettata in una sala, oppure trasmessa sul piccolo schermo da una catena televisiva, o con l'ausilio di un videoregistratore. Un quadro può essere esposto in un museo, oppure essere acquistato da un collezionista privato. Per certi beni culturali - ci riferiamo alle chiese, ai palazzi o ai monumenti artistici che sono veri e propri beni a consumo collettivo - le fasi della realizzazione e della distribuzione coin­ cidono. 30

Inoltre la scelta delle modalità di distribuzione è rilevante ai fini della realizzazione dell'opera. Mi spiego meglio. Se si intende distribuire un bene artistico tramite il mezzo cine­ matografico o quello teatrale, si dispone di tecnologie e mezzi es pressivi così diversi da consentire realizzazioni qualitativamente di fferenti. La distribuzione, insieme alle nuove logiche del consumo, è oggi forse la fase economicamente e strategicamente più importante della filiera di produzione della cultura. Comanda sulla creazio­ ne e sulla fase produttiva; si espande alla conquista dei mercati mondiali; è, infine, la fase più ricettiva delle nuove tecnologie delle reti e della rivoluzione informatica. ,1 nche

4. I l consumo La quinta fase è quella del godimento dell'opera d'arte da parte del pubblico dei consumatori, innanzitutto, il cui vincolo principale i: la scarsità di tempo, e dei collezionisti, il cui vincolo principale è la scarsità di capitale. Il consumo di arte richiede la combinazione di due elementi: i beni artistici e il tempo del consumatore. La stessa cosa avviene, a dire il vero, per qualsiasi altro bene, ma nel caso dell'arte non sono possibili guadagni di tempo per ragioni tecniche sostanziali. Cerchiamo di essere più chiari: il consumo di una composizione per quartetto d'archi di Mozart richiede oggi come due secoli fo quattro interpreti e trenta minuti di ascolto, quale che sia la modalità utilizzata: il disco o la rappresentazione dal vero. Si parla a questo proposito di settori a tecnologia stagnante, dove non si realizzano guadagni di produttività né nella produzione, né nel consumo. Tutto ciò porta ad un esito paradossale. A mano a mano che una società diventa ricca, il tempo diventa più costoso ( rinunciare ad un'ora di lavoro comporta la rinuncia ad un reddito sem pre più elevato). Inoltre, se teniamo conto che l'attività di consumo in sé richiede tempo, più si diventa ricchi, minore sarà il tempo libero disponibile. È un punto di vista molto diverso da quello che associava al progresso economico quantità crescenti 31

di tempo libero. Questa idea presupporrebbe che il consumo culturale si effettui in modo istantaneo, fuori dal tempo. Si ha dunque una sorta di contraddizione nella evoluzione del consumo di arte, o meglio l'aumento della ricchezza e un maggior livello di istruzione, che crea bisogno di sempre nuove esperienze culturali, provocano due effetti contrastanti: si desiderano e si possono comperare più beni, ma si dispone di meno tempo per consumarli. Da qui una duplice constatazione. Non essendo pensabile la dilatazione del tempo individuale dedicato ai beni culturali, per aumentare il consumo globale di arte si devono sedurre nuove generazioni e coorti di consumatori ai piaceri della pittura e dei linguaggi artistici, ma ciò può avvenire secondo un numero limi­ tato di modalità. In primo luogo aumentando l'investimento in capitale umano, ossia creando, per mezzo del sistema educativo, le condizioni per un sempre più intenso e vasto consumo di cul­ tura. In secondo luogo agendo sulla parte fisica dei beni d'arte e favorendo le tecniche che comprimono i tempi di accesso ai prodotti artistici. Questa seconda è la risposta dell'industria culturale al vincolo di tempo dei consumatori. La tendenza alla sostituzione dei beni ai servizi si attua in settori culturali via via diversi e più vasti. Questa opzione ha avuto un enorme sviluppo nel XX secolo, quando le scoperte sulle onde che solcano l'etere hanno rivoluzionato il problema della trasmissione a distanza e quando le tecniche di riproduzione hanno per la prima volta fatto intravedere le potenzialità della conservazione e dell'immagazzinamento dei suoni e del loro consumo futuro, indipendente dalla coppia spazio-temporale in cui vennero prodotti. Siamo entrati nell'epoca dell'ubiquità dei beni culturali e arti­ stici. Le tecnologie hanno modificato le possibilità di trasmissione e di riproduzione dei beni culturali iniziando il processo non ancora compiuto della grande magia del consumo a domicilio e della convergenza pressoché totale dei supporti. Nell'epoca dei castelli e delle corti il consumo a domicilio di arte era un privilegio riservato ai re e ai signori. La musica e il teatro accompagnavano e scandivano le giornate dei cortigiani 32

cd erano regolati da una etichetta formale e rappresentativa di ,,cra rchie e poteri. '" Con la nascita dello stato moderno e il cambiamento delle tecno logie e dei prezzi relativi delle attività tradizionali, lenta­ mente le orchestre, i pittori e le compagnie di attori abbandonano le corti, i teatri e le cappelle reali, sempre più in difficoltà nel sopportare i costi dello sfarzo e del prestigio principesco. Arte, musica, spettacolo, ma anche ricerca scientifica diventano sempre più un fenomeno cittadino, borghese, diremmo oggi, pubblico e collettivo. Il fenomeno giunge a compimento nel XIX secolo. La nobiltà non è più in grado di sostenere i costi di attività fastose e ostentatrici e la borghesia emergente accede al consumo artistico e culturale allargandone la base e trasformandolo in consumo popolare. Andare a teatro, ad un concerto o ad una esposizione di quadri diventa un rito borghese e nuove forme organizzative ne consentono lo sviluppo. La popolarità di certe espressioni artistiche, soprattutto l'opera, l'operetta, la commedia e il teatro di boulevard, raggiunge livelli forse di massimo successo tra l'Ottocento e il Novecento, quando compare tra le alternative al consumo dal vivo, quella della cultura a domicilio. La prima arte che ne viene coinvolta è la musica. Le n uove tecnologie permettono un risparmio di tempo di accesso ai consumi musicali e ne abbassano i costi. Nel corso di pochi decenni la sempre maggiore qualità del suono riprodotto diminuisce la superiorità naturale dell'ascolto dal vivo. Nelle scelte dei consumatori l'acquisto di beni - dischi e radio - sostituisce l'acquisto dei servizi. Lentamente il consumo a domicilio si afferma come un consumo di pregio. Anche in campo figurativo il processo si sviluppa inesorabil­ mente. L'incisione prima e la fotografia poi permettono di conser­ vare e riprodurre immagini originali. L'invenzione della televisione e oggi la trasmissione digitale di immagini su reti internazionali di telecomunicazione dà nuova grande accelerazione al consumo a domicilio di immagini e suoni. Gli aspetti positivi del consumo a domicilio sono sempre più apprezzati. L'elenco che segue non prefigura un ordine di impor­ tan za, ma è indicativo di una tipologia sufficientemente delineata. 33

Si sottolinea che il consumo a domicilio può eliminare il senso di costrizione che assale il visitatore di una istituzione museale. Il piacere della contemplazione di singole opere è più forte: mentre l'orecchio non può sentire contemporaneamente dieci sinfonie, in un museo l'occhio è assalito da un'intera quadreria. L'intelligenza, il piacere estetico e le emozioni sono avvilite da troppe opere, troppo densamente esposte. La contraddizione tra il tempo - in genere lungo - impiegato dall'autore per la creazione dell'opera e il tempo - in genere breve - impiegato per il suo consumo può essere ridotta. Mi riferisco alle possibili ricostruzioni virtuali e telematiche di un quadro. Chi guarda in fretta perde il senso del percorso pro­ blematico dell'artista, la sensibilità di processo, gode solo della qualità finale. Inoltre, con le moderne tecniche di riproduzione visiva è possibile esaminare un quadro in grande dettaglio e cogliere particolari che durante una visita in museo sono im­ percettibili. A casa propria non si è vincolati ad un programma, a una data. Scegliere il momento del consumo significa consumare arte quando la disposizione dello spirito è la migliore, in un clima poco diverso da quello in cui l'opera è stata creata. 11 consumo a domicilio, infine, abbassa i costi materiali di accesso alle opere - costi di trasporto, costi rituali (l'etichetta, la lunga passeggiata nelle gallerie) - moltiplicando le occasioni di consumo. Tra gli svantaggi non mancano quelli connessi alla traduzione dell'opera d'arte tramite mezzi meccanici ed elettronici con potenziale indebolimento delle emozioni estetiche dirette, del1'effetto di contesto, ma l'evoluzione tecnologica ha fatto grandi progressi nella qualità della trasmissione e riproduzione di suoni e immagini, e il pubblico ha apprezzato largamente l'offerta dei nuovi beni, nonostante per alcune tipologie di consumatori la dimensione privata possa aver costituito un indebolimento della componente relazionale e simbolica spesso presente nell'attività di consumo di beni culturali. L'emergere del consumo d'arte a domicilio è stato possibile in seguito alle nuove tecnologie che hanno consentito di modificare la parte fisica di un bene d'arte. Ciò è avvenuto storicamente in 34

due direzioni complementari: quella della diffusione e quella della co nservazione e riproduzione. Negli ultimi decenni nuove categorie di beni hanno sostituito - senza ovviamente eliminarli, ma cambiandone il senso - i ser­ vizi offerti dalle organizzazioni culturali: così l'impianto stereo e il Co hanno di fatto sostituito il concerto di musica dal vivo. I beni in questione hanno la particolarità di poter essere usati ripetutamente fornendo una sequenza di consumi di servizi pri­ vati. La televisione, il lettore di Co e il videoregistratore hanno oggi una rilevanza molto maggiore rispetto al consumo dei servizi corrispettivi (film, musica, /iction); ma anche l'automobile e gli elettrodomestici rispetto ai trasporti pubblici o alla collaborazione domestica. Dove prima si acquistavano servizi finali ora si acquistano beni. Una delle ragioni è il cambiamento dei prezzi relativi. Quelli dei servizi - si pensi ad esempio allo spettacolo dal vivo e agli aumenti di costi che lo contraddistinguono - sono cresciuti molto di più Ji quelli dei beni - favoriti da una forte evoluzione tecnologica e