La committenza artistica dei papi a Roma nel Medioevo 9788867284467

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La committenza artistica dei papi a Roma nel Medioevo
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La committenza artistica dei papi a Roma nel Medioevo a cura di Mario D'Onofrio

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Copyright © 2016

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Vi ella s.r.l.

Tutti i diritti riservati Prima edizione : settembre 2016 ISBN 978-88-6728-446-7

Il presente volume è stato realizzato grazie ad un parziale contributo finanziario della Sapienza Università di Roma, ricerca d'Ateneo 2009. Cura redazionale: Eleonora Chinappi.

vie/la libreria editrice via delle Alpi 32 1-00198 ROMA tel. 06 84 17 75 8 fax 06 85 35 39 60 www. vie/la. it

Indice

Mario D'Onofrio Per un profilo della committenza artistica dei papi a Roma nel Medioevo

7

Vinni Lucherini Il IV secolo: da Silvestro I (314-335) ad Anastasio I (399-401)

51

Manuela Gianandrea

Il V secolo: da Innocenza I (401-417) ad Anastasio II (496-498)

73

Alessandra Guiglia

Il VI secolo: da Simmaco (498-514) a Gregorio Magno (590-604)

109

Alessandro Taddei Il VII secolo: da Sabiniano (604-606) a Sergio l (687-701)

1 45

Xavier Barrai i Altet L 'VIII secolo: da Giovanni VI (701-705) ad Adriano I (772-795)

181

Mario D'Onofrio Leone III (795-816)

213

Ivan Foletti e Valentine Giesser Il IX secolo: da Pasquale I (817-824) a Stefano V (885-891)

219

Giorgia Pollio

Il X secolo: da Benedetto IV (900-903) a Gregorio V (996-999)

239

Francesco Gandolfo L 'XI secolo: da Silvestro II (999-1003) ad Urbano II (l 088-1099)

255

La committenza artistica dei papi

6 Peter Comelius Claussen

Il XII secolo: da Pasquale II (1099-I118) a Celestino III (119I-1198)

275

Valentino Pace

Il XIII secolo: da Innocenza III (II98-I2I6) a Bonifacio VIII (I294-I303)

299

Claudia Bolgia

Il XIV secolo: da Benedetto XI (1303-1304) a Bonifacio IX (1389-I404)

33 1

Anna Cavallaro Il XV secolo: da Innocenza VII (I404-1406) a Martino V (14I7-143I)

361

Antonella Ballardini Stat Roma pristina nomine. Nota sulla terminologia storico-artistica nel Liber Pontificalis

381

Bibliografia

44 1

Indice dei luoghi e monumenti di Roma

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Mario D 'Onofrio Per un profilo della committenza artistica dei papi a Roma nel Medioevo

l. Premessa Il presente volume intende richiamare l'attenzione su un tema che è certa­ mente tra i più vasti e complessi della storiografia artistica sul Medioevo: la com­ mittenza papale a Roma.1 Le coordinate di fondo a cui il tema viene qui ancorato ne chiariscono il senso. È noto come lo studio dei fatti artistici dal punto di vista della committenza contribuisca non solo a capirne il significato primario inerente alla loro genesi e alla loro funzione, ma anche a cogliere un'immagine speculare e pur comple­ mentare del contesto storico e socio culturale di cui in genere i fatti stessi sono di per sé un riflesso piuttosto fedele. Anche nel caso specifico dell'arte medievale a Roma, se si predilige come referente prioritario la figura dei singoli pontefici che se ne fecero promotori, vuoi dire adottare una singolare prospettiva di stu­ dio, esaltata dal protagonismo di figure esclusive particolarmente eccellenti, ed evidenziare nello stesso tempo le valenze più sottili e recondite delle opere mo­ numentali e figurative a quei personaggi connesse. Si arriva cosi alla definizione delle testimonianze artistiche in ordine alla loro essenza di base e alla dinamica della loro storia peculiare, ovverosia in rapporto agli schemi concettuali esem­ plari e ai sottintesi culturali che sono ad esse strettamente legati sin dalla fase progettuale. Inoltre, conoscere i singoli pontefici del Medioevo seguendoli nella loro rea­ le attenzione nei confronti dell'arte a Roma aiuta non solo a calarsi più addentro nelle pieghe di un'epoca di cui essi stessi furono senza dubbio fra i più incisivi ar­ tefici, ma anche a mettere meglio a fuoco una situazione un po' atipica come quel­ la romana in cui, forse più che altrove, tutto assume una connotazione particolare - passato e presente convivono, temporale e spirituale spesso si confondono - e in cui le realtà politico culturali allora emergenti sulla scena europea riconoscono pur sempre un imprescindibile termine di riferimento.

l. Questo libro prende lo spunto da una relazione sul tema da me tenuta a Parma (D'Onofrio 20 1 1 ).

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Mario D'Onofrio

L'obiettivo che si vuole raggiungere non è tra i più agevoli se si considerano la vastità dell'orizzonte d'indagine, la varietà e la molteplicità degli studi strati­ ficati sul tema, l'esigenza di un criterio analitico interdisciplinare, la discontinua concatenazione fra loro delle singole committenze, la natura occasionate di molte di esse, l'indeterminatezza o il silenzio dei relativi dati documentari, la deforma­ zione di alcune realtà imputabile talvolta alle fonti, nonché la scomparsa di non poche opere d'arte riconducibili all'argomento in oggetto. Tuttavia, a fronte di tale situazione complessiva gli autori che contribuiscono alla realizzazione del volume si fanno carico di analizzare a fondo le iniziative papali che si registrano nell'arco dei vari secoli del Medioevo. La sequenza dei contributi segue per comodità un rigido percorso diacronico, pur nella consapevolezza che nella genesi e nello svi­ luppo dei singoli aspetti del fenomeno in questione non esistono linee temporali di demarcazione netta. Una situazione non simile si creerebbe anche nel caso in cui si preferisse inquadrare la rassegna dei papi e delle loro iniziative in fatto d'arte nell'orbita dei grandi eventi e dei movimenti storico culturali del periodo medieva­ le quali, ad esempio, la guerra greco-gotica, la discesa dei Longobardi, la nascita del dominio territoriale della Chiesa romana, le decisioni conciliari, lo scontro tra Roma e Bisanzio nella contrapposizione fra iconodulia e iconoclastia, la rinascenza carolingia, lo scisma d'Oriente, la cosiddetta lotta per le investiture, il movimento riformatore della Chiesa, il ruolo degli Ordini mendicanti o altri capitoli della storia ecclesiastica che comunque ricreano di per sé utili contesti d'inquadramento nello studio dei rispettivi fatti artistici. Il criterio cronologico adottato ai fini della rico­ struzione -secolo dopo secolo, pontefice dopo pontefice -del panorama comples­ sivo ha finito per prevalere, però senza ignorarlo, su quello di natura tematica, forse apparentemente più critico, ma pur tuttavia alquanto scomodo da gestire nelle fasi di passaggio dall'uno all'altro dei singoli eventi e pertanto anch'esso poco pratico nella strutturazione complessiva del volume. Compito del sottoscritto non è tanto quello di raccordare tra loro i contributi dei vari studiosi o elaborarne una sintesi complessiva badando a evitare il più pos­ sibile inutili ripetizioni, bensi risponde ali'esigenza di far emergere - senza alcuna pretesa di esaustività e nel pieno rispetto delle posizioni critiche altrui -le questioni trasversali di maggior peso, insieme ad alcuni concetti di fondo e agli aspetti più funzionali alla costruzione di un profilo organico della committenza artistica dei papi a Roma in età medievale che nella sua articolazione di massima sia il più orientativo possibile e aperto nel contempo a ulteriori spunti e suggestioni. In merito alla struttura del volume occorre poi evidenziarne altri due aspetti. Il primo emerge dalla constatazione che vi si privilegia esclusivamente la com­ mittenza papale, mentre intenzionalmente non si riserva la dovuta attenzione ad argomenti affini come la committenza cardinalizia che, specialmente a cavallo tra XIII e XIV secolo, si inserisce significativamente e a pieno titolo sulla scia di quella pontifi ci a costituendone in alcuni casi l'antefatto, oppure la commit­ ll'll:t.n dcJJ,Ii ordini monastici e la committenza signorile o laica, che hanno inciso ,

nnrh\�sSl' scnsihilmcntc sul tes s u to di Roma medievale. La ragione di tale scelta pnrticolnn� stuncllìallo che, proprio in virtù della loro importanza e dell'ampiezza

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dei loro contenuti, i singoli argomenti or ora enunciati meritano anch'essi - al pari della committenza papale - adeguate monografie parallele, con mirati sboc­ chi editoriali. L'altro aspetto rinvia all'ultimo capitolo del libro, in cui è parso opportuno fornire utili chiarimenti sulla terminologia storico artistica desunta dalle biografie papali, spesso usata dalla critica con ampi margini di discrezionalità e con l'im­ piego di categorie che non è detto corrispondano sempre a quelle che erano in uso nel Medioevo. Solo un'analisi comparativa delle varie espressioni in uso allora e la ricerca di riscontri oggettivi operata nell'ambito delle testimonianze artistiche ad esse correlate, comprese le verifiche che derivano dalle indagini archeologi­ che, consentono di risalire compiutamente al senso di una terminologia univoca, inequivocabile e di ampia condivisione.2

2. Il Li ber Pontificalis e non solo Sarebbe operazione troppo lunga se in apertura del volume venissero pas­ sati in rassegna i numerosi studiosi che, interessandosi di Roma medievale sotto il profilo sia storico che storico artistico, hanno fornito contributi di carattere generale o parziale di una certa importanza e utilità, da cui non può prescindere chiunque intenda trattare del tema qui prescelto. Ciononostante, una menzione a parte in relazione all'indagine specifica che viene sviluppata in questo volume meritano Louis Duchesne e Richard Krautheimer. Com'è noto, ali' abate francese si deve l'edizione critica del Liber Ponti.ficalis apparsa in due volumi tra il 1886 e ill892, con l'aggiunta di un terzo volume d ' integrazioni a cura di Cyrille Vogel del 1957.3 Si è trattato di un'operazione particolarmente complessa e multifor­ me, dove la raccolta delle biografie dei vescovi di Roma a partire da san Pietro (42-67) ed estesa fino a Martino V (1417-1431) è commentata adeguatamente e arricchita di numerosi dati con rigore esemplare. Testi e commento costituiscono una miniera inesauribile d' informazioni, imponendosi, in questo caso specifico, come fonte primaria, anche se non esclusiva,4 la cui rilevanza scientifica all' inter­ no della storiografia successiva sul Medioevo artistico romano e non solo è com­ parabile al ruolo esercitato dal papato medesimo nel mondo politico culturale di quei secoli. s Duchesne stesso faceva presente che di per sé il Liber Ponti.ficalis «è 2. Si fa riferimento al saggio della Ballardini (infra) con relativa bibliografia. 3. L'opera viene citata nelle note di tutto il volume con la sigla LP. 4. Tra la letteratura di utile supporto alle biografie papali si rinvia per ora a: Platina 1 560; Mansi 1 759- 1 798; Potthast 1 857; Grisar 1 897; Regesta Pontificum Romanorum 1 885- 1 888; Mann 1925- 1932; Id. 1 928; Caspar 1 930- 1 933; CTCR 1940- 1 953; Gregorovius 1 973; Kehr 1 906- 1 975; Armellini, Cecchelli 1 942; Seppelt 1 954- 1 957; Bertolini 1 970; Geertman 1 975a; Anda1oro 1 976; The lives ofthe eight century popes 1 992; The lives ofthe ninth century popes 1 995; Piazzoni 1 9891 990; EP 2000; ll Liber Pontificalis 2003 ; Geertman 2004; Schimmelpfennig 2006; Capo 2009; Lonardo 20 1 2 ; Wickham 20 1 3 . 5. LP, l , Prefazione.

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tra i principali documenti della storia dei papi e soprattutto della storia di Roma medievale, dei suoi monumenti, delle sue crisi interiori, delle sue istituzioni re­ ligiose e politiche».6 Ma, pur nel loro valore intrinseco, sia la raccolta delle bio­ grafie sia l 'apparato di note che l'accompagna - trascorsi ormai più di centoventi anni dall'edizione a cura di Duchesne e oltre mezzo secolo dali' edizione integrata di Vogel - vengono oggi rivisitati alla luce dei risultati esposti nella più recente letteratura critica ad essi connessa. Significativo in tal senso il progetto relativo al nucleo iniziale del Liber (secoli IV-IX) sostenuto da alcuni studiosi su impulso di Herman Geertman, dal titolo Il Liber Ponti.fica/is come fonte per la storia e la cultura materiale tardoantiche e altomedievali. Progetto di ricerche collettive sulle biografie dal 314 al/ '891.1 Quanto a Krautheimer non si può fare a meno di ricordarne non solo il monu­ mentale Corpus basi/icarum christianarum Romae,8 che delle singole chiese ana­ lizzate riporta minuziosamente la rassegna delle fonti storiche, ma anche il for­ tunato volume Roma. Profilo di una città, 312-1308,9 pure questo uno strumento di riferimento quanto mai utile, in cui, in una felice sintesi, confluiscono tutte le numerose conoscenze dell'autore su Roma medievale, intesa come «organismo vivente» in continua trasformazione. Dall'architettura delle singole chiese alle opere d'arte in esse contenute, dai palazzi del potere ecclesiastico ai monasteri, dalle dimore private duecentesche alle fortificazioni, fino all'espansione urbani­ stica in direzione dell'area vaticana, tutto è lì esposto con una sicura ricchezza di riferimenti storici, apporti e notizie, in stretta connessione con la realtà politica e con le ideologie dei papi, dei sovrani e degli stessi cittadini romani. Ma forse l'aspetto più rimarchevole del libro è che esso fornisce lo spunto per una nutrita serie di approfondimenti e per ulteriori indagini sull'argomento in questione. Reso il dovuto omaggio, ancorché fugace, ai due autorevoli studiosi, se si con­ centra ora l'attenzione sul tema delle committenze artistiche dei papi nella Roma medievale, oltre che registrare la comparsa negli ultimi quaranta-cinquant'anni di tanti altri contributi su aspetti pertinenti o comunque tangenzialmente affini, non si può non avvertire che esistono ancora ampi margini d'indagine in grado di dilatarne l'orizzonte, grazie anche alle novità che di tanto in tanto affiorano nei vari ambiti di ricerca. Valga come esempio in tema di committenza l' importante testimonianza figurativa - su cui ritorneremo più avanti - affiorata di recente sul­ la facciata della chiesa romana di Santa Sabina. 10 Partendo dai dati testuali, comprese le caratteristiche formali dei singoli ma­ nufatti artistici, e fissando l'attenzione su ogni altra testimonianza poco esplorata, è possibile ricostruire l'operato e la personalità di molti pontefici, sia di quelli ritenuti minori - considerati tali solo per il loro breve pontificato, per la scarsezza 6. Ibidem. 7. Gli obiettivi di quel progetto sono illustrati dallo stesso Geertman, in Il Liber Pontificalis 2003, pp. 1 -3 . 8. CBCR 1937- 1980. 9. Krautheimer 198 1 a. 10. Gianandrea 20 1 0; Ead. 201 1 .

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dei loro dati biografici o per altra ragione - sia di quelli troppo sbrigativamente congedati dai loro biografi a motivo della notevole quantità delle opere a loro attribuite. Quest'ultimo è il caso di Onorio I (625-638), il cui biografo tralascia intenzionalmente di dettagliarne le iniziative intraprese giustificandosi col dire: «Sed et multa alia fecit quas enumerare longurn est».11 Pertanto, se le biografie contenute nel Liber peccano spesso di incompletezza, oppure di imprecisione o unilateralità di vedute, ciò non significa che debbono essere relegate in secondo piano o dietro le quinte le figure di quei pontefici la cui partecipazione ai fatti artistici appare debole o solo ipotetica e quindi teoricamente non provata. Inoltre, dal momento che si chiamano in causa i personaggi ai vertici della gerarchia ec­ clesiastica, va pure evitato il rischio di basarsi sui cliché della letteratura celebra­ tiva o agiografica su cui talora sembra far leva la raccolta del Liber Pontificalis, come traspare, ad esempio, dalla biografia tracciata per papa Zaccaria (7 41-7 52), particolarmente estesa e ricca di alti elogi per i suoi successi politici, oppure dalle biografie che vanno dal pontificato di Adriano I (772-795) a quello di Leone IV (847-855) in cui si elencano in dettaglio i doni offerti alle chiese romane, a sot­ tolineare in un certo senso la liberalità e le capacità amministrative di coloro che hanno inteso rivolgere le loro committenze nel settore dell'artigianato. Molti vescovi di Roma, pur non ricevendo le dovute attenzioni da parte degli estensori delle loro biografie e pur non lasciando alcuna immagine di sé nei mo­ saici o nelle pitture delle chiese della città, hanno suggellato comunque, con altri espedienti e trasmettitori di memoria, la loro diretta e indiscussa partecipazione ai fatti salienti e più significativi della vita artistica, oltreché economica, dell'Ur­ be. Una figura rappresentativa, da questo punto di vista, è quella di papa Siricio (3 84-399), succeduto a papa Damaso (366-3 84). Senza entrare nel merito delle motivazioni o delle circostanze che ne dettarono la scarna biografia contenuta nel Liber Pontificalis - poche righe in tutto12 - a quel pontefice non è assegna­ ta alcuna iniziativa nel campo dell'edilizia religiosa, ma da altre testimonianze sappiamo invece che durante il suo pontificato si realizzarono a Roma edifici di culto molto importanti, sulla scia di quanto aveva compiuto Costantino a favo­ re della religione cristiana. Infatti, nel caso della basilica ostiense, demolita la piccola chiesa martiriale sorta originariamente sulla tomba dell'apostolo Paolo e garantito - forse anche su una precedente richiesta di papa Damaso - l' ap­ poggio finanziario necessario da parte degli imperatori Teodosio, Valentiniano II e Arcadio, ne fu costruita sullo stesso luogo, con l'orientamento invertito, una più monumentale rispecchiata in sostanza nella basilica attuale. Qui, per quanto debole sia l 'indizio, il nome di Siricius episcopus ricorre su una colonna sita originariamente fra quelle delle navate laterali - ora riutilizzata, dopo l ' incendio del 1823, nell'attuale portico settentrionale, detto portico gregoriano - a suggel­ lare una qualche partecipazione del pontefice a quell'evento (fig. 1). 13 Inoltre, il I l . LP, I, p. 324. 12. Ibidem, p. 2 16. 13 . CBCR 1 937- 1 980, V (ediz. ital. 1 980), p. 102 ; Cavalcanti 2000a, p. 375.

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nome di Siricio s'intreccia con le vicende delle chiese di Santa Pudenziana, San Clemente e dei Santi Marcellino e Pietro sulla via Merulana, come risulta dalle rispettive iscrizioni dedicatorie che lo ricordano. 14 Ma, come per altri pontefici in situazioni analoghe, rimane difficile precisare ulteriormente il ruolo avuto da Siricio in quelle vicende, considerata peraltro la complessa natura del patronato artistico tra IV e VI secolo, in cui compaiono anche quei personaggi del ceto ari­ stocratico che con i loro lasciti e le loro donazioni contribuiscono alla formazione e all'espansione del patrimonio ecclesiastico. Ciò a ulteriore conferma del fatto che, nonostante la sua indiscussa importanza, il Liber Pontifica/is non va inteso come unica fonte d'informazione per ricostruire il quadro delle committenze pa­ pali, dal momento che anche nel caso di biografie particolarmente dettagliate si registrano omissioni e inesattezze che vanno colmate o corrette al confronto con altre fonti narrative, testi epigrafici, ovverosia con nuove risultanze di studio, come ha chiarito Ottorino Bertolini in un saggio del 1969, 15 e come pure hanno ri­ badito più di recente Federico Guidobaldi e Antonella Ballardini, rispettivamente a proposito delle fondazioni basilicali dei secoli IV- V16 e a proposito della vita apparentemente esemplare di Pasquale I (817 -824). 17 Come accennato in apertura, la ricognizione approfondita sulla figura di ogni singolo pontefice e l'attenzione particolare rivolta alla città di Roma non solo consentono di far luce sulle implicazioni di varia natura che ne compon­ gono il tessuto culturale complessivo, ma aiutano anche a capire le cause di quelle zone d'ombra che si concentrano su alcuni secoli - quali il X e l'XI - al punto tale da fame i più bui in ordine al fenomeno della promozione storico artistica. Secondo il Liber Pontifica/is, è soprattutto con il secolo XI che si crea a Roma una profonda cesura e sembra interrompersi bruscamente ogni sorta di committenza papale, nonostante l 'esistenza di non pochi edifici ri­ conducibili a quell 'epoca (Santa Maria in Portico, detta poi Santa Galla, San Cosimato, Santa Maria in Via Lata, San Nicola in carcere, Sant'Urbano alla Caffarella), 18 comprese le incorniciature marmoree di alcuni portali d' ingresso (Sant'Apollinare, Santa Maria in Cosmedin, Santa Maria in Trastevere, Santa Pudenziana, Santo Stefano degli Abissini e porta ravenniana di San Pietro). 19 Le ragioni del silenzio possono essere molteplici: la particolare congiuntura politico religiosa segnata dall ' interferenza del potere laico nell'elezione del pontefice; l 'entrata in scena di antipapi intraprendenti; il degrado delle istitu­ zioni ecclesiastiche occidentali; le istanze di rinnovamento della Chiesa pro­ mosse soprattutto dal monachesimo cluniacense; l'ascesa sul soglio di Pietro di cinque papi tedeschi; nonché l'assenza da Roma per vari anni di Urbano II 14. Guidobaldi 1978; Id. 1 992a, pp. 280-283, 304-307; Angelelli 2002; Ead. 20 1 0. 1 5 . Bertolini 1 970. 1 6. Guidobaldi 2003. 17. Ballardini 1 999. 1 8 . Sull'edilizia religiosa a Roma nell'XI secolo basterà ricordare: Coates-Stephens 1 997; Claussen 1 992; Id. 2002 (limitatamente ai fatti architettonici accaduti nel secolo Xl). 19. Fratini 1 996; Pace 1 994; Claussen 2007; Id. 2008b.

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(1088- 1 099) e poi anche del suo successore Pasquale II (1099-1118). I l vuoto in materia di committenza che per tutto quel secolo si coglie nella raccolta delle biografie papali potrebbe imputarsi anche a un intenzionale orientamento della cancelleria pontificia, decisa a registrare gli eventi artistici di allora solo in subordine alle principali incombenze dei papi. Tra queste doveva apparire prioritaria la cura delle faccende interne della Chiesa, come bene si può intu­ ire in particolare dalla biografia di Gregorio VII ( 1 073-1085), ove l ' estensore si limita ad accennare ad alcuni interventi operati dal pontefice in San Pietro nella zona del presbiterio, oppure registra la consacrazione delle chiese roma­ ne di Santa Maria in Portico e Santa Pudenziana.2° Comunque, il vuoto che in relazione al patronato artistico si coglie nel Liber può essere compensato da fonti alternative di non minore importanza come, ad esempio, i regesti, le sillogi canonistiche, gli atti sinodali, le epistole, gli annali ecclesiastici, le cro­ nache, le epigrafi latine cristiane e quant'altro. Tra queste, sempre in rapporto all'XI secolo, è utile citare un Legendarium contenente una Vìta beati Damasi che ricorda il rifacimento promosso da Giovanni XIX ( 1 024- 1 033) dell'antica basilica di San Lorenzo in Damaso distrutta da un grave incendio (igne con­ sumpta) e riconsacrata poi da papa Stefano IX (1057- 1 05 8).21

3 . Committenza, patronato, protezionismo e mecenatismo Prescelta Roma come territorio d' indagine, l'ambito cronologico - circo­ scritto fra il pontificato di papa Silvestro I (314-335) e quello di Martino V (14171431) - abbraccia undici secoli di storia, un arco temporale particolarmente vasto che, nonostante la complessità e la disparità degli eventi che vi si succedono, lascia comunque intravedere, nel comportamento dei papi nei confronti dell'ar­ te, atteggiamenti di attenzione pressoché costanti, tali da sfociare gradatamente nell'età dell'Umanesimo in vero e proprio mecenatismo. Il concetto di committenza (da committere), che comunemente rinvia all' in­ carico conferito ad una persona di eseguire un determinato lavoro o di svolgere un compito particolare, nel campo specifico dell'arte rimanda all' invito rivolto ad un artista di produrre una precisa opera, sostenendolo in alcuni casi con il relativo finanziamento. Come tale, trattasi di un concetto che attraversa un po' tutte le epoche storiche, ma che rappresenta solo in parte l'età di mezzo, special­ mente l'alto Medioevo, per il quale appare forse più appropriato riferirsi all' idea di patronato artistico: un' idea, questa, più complessa, intorno a cui ruotano con20. LP, II, pp. 282-290. 2 1 . Cecchelli 2009b, in particolare p. 283. Quindi D'Onofrio 2009: colgo l'occasione della citazione del mio contributo su San Lorenzo in Damaso per segnalame a margine la piccola svista che, a pagina 390, fa il nome di papa Stefano IX come "promotore del rifacimento della chiesa laurenziana", mentre, come è meglio precisato nello stesso saggio, il pontefice è colui che celebra la seconda dedicazione della chiesa stessa.

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tenuti che nonnalmente non sono contemplati entro i confini puri e semplici né della committenza, né del patrocinium, inteso quest' ultimo come protezione o assistenza - non necessariamente finanziata - concessa a favore di un artista, di una sua iniziativa o di un suo progetto. Rispetto ai significati di qualsiasi altro tennine, quelli che configurano il concetto di patronato artistico appaiono de­ cisamente i più articolati, nel senso che abbracciano un più variegato spettro di situazioni con più ampi margini di interpretazione e applicazione. Infatti, stando al Liber Pontifica/is, tra i diversi aspetti del patronato che si legano all ' impegno dei vescovi di Roma a partire dalla fase precostantiniana, si distingue in prima battuta quello del protezionismo, dettato dal dominio, dal controllo, dalla ge­ stione e dalla tutela dei soli beni iniziali acquisiti dalla Chiesa (proprietà, dona­ zioni, lasciti e rendite), contro la loro eventuale alienazione e contro le pretese di dominio e di controllo reclamate sulle costruzioni religiose da parte dei laici finanziatori.22 Rientra poi nell' idea di patronato anche la riconversione degli edi­ fici privati in luoghi di culto cristiano,23 considerata operazione di non minore importanza rispetto a quella con cui il papa interveniva su edifici di pubblica proprietà dopo averne ottenuta l'autorizzazione imperiale.24 Comunque, in me­ rito agli edifici di culto pagani che finivano per essere destinati alla Chiesa, le procedure di passaggio da un soggetto all'altro avanzavano con lentezza: infatti, se nel 407/408 l'im peratore Onorio stabiliva la chiusura e la confisca di tutti i templi, la prima cristianizzazione di un tempio pagano si ha solo con il Panthe­ on, su richiesta di papa Bonifacio IV (608-615). La fonnazione, il mantenimento e la crescita del patrimonio artistico eccle­ siastico, a cui davano un forte e attivo contributo ricchi esponenti della nobiltà cittadina, dilatavano progressivamente l'orizzonte degli oneri papali, compresa la soluzione dei problemi di ordine non solo finanziario ma anche giuridico. Ciò, pur considerando che il protagonismo evergetico della stessa classe aristocratica convertita al cristianesimo, rappresentata da presbiteri e laici intraprendenti e da facoltose matrone, sembrasse oscurare in alcuni casi, specie nei primi secoli, il ruolo del papa. Tuttavia è in particolare con la nascita del Patrimonium Petri, verso la metà dell'VIII secolo, che il ruolo papale si consolidò e si definì più net­ tamente, dopo che gli impegni e le responsabilità erano aumentati sensibilmente a ragione del fatto che i pontefici, oltre che sui beni ecclesiastici iniziali, si videro investiti di pari giurisdizione anche su tutti i monumenti antichi, cristiani e non cristiani, sorti o sopravvissuti nell'Urbe e nei vari territori di loro competenza.25 Sicché, d'allora in poi chiunque avesse inteso prelevare da quei territori colon­ ne o altri marmi antichi avrebbe dovuto chiedere l'autorizzazione al vescovo di Roma: è noto il caso di Carlo Magno, autorizzato da papa Adriano I, intorno al 22. Cfr. al riguardo Ensslin 1 955. Più recentemente: Arnaldi 1 987, pp. 1 7-19 e 77; Pietri 1978; Richards 1 979, pp. 58-59, 74-76; Angenendt 1993; Puza 1 993; Sotinel 1 996; Pietri 1 9 8 1 , pp. 435453; Marazzi 1 998; Beuckers 200 1 ; Hillner 2002; Capo 2009, pp. 32-34. 23 . Krautheimer 1981a. p. 94; Brandenburg 2004, p. 250. 24. Lonardo 2012, pp. 80-8 1 . 25. Herklotz 2000, pp. 76-77.

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787, a prelevare mosaici, colonne e altri marmi (musiva et marmora) dall'antico palazzo esarcale di Ravenna, divenuta nel frattempo una delle città del Patrimo­ nium Petri, per abbellire la cappella patatina di Aquisgrana.26 Sono dunque le incombenze derivanti da questo genere di situazioni che, mentre determinano il quadro specifico del patronato, ne fanno pure emergere le differenze rispetto alla categoria della committenza, di per sé alquanto generica. Quanto al mecenatismo introdotto nell'Antichità classica e ripreso poi dif­ fusamente nel Rinascimento, si conviene come anch'esso risulti poco adeguato nelle sue forme più autentiche alla civiltà medievale, poiché nella definizione del termine è implicita una coscienza dell'arte come realtà autonoma, sostenuta e promossa all' insegna della più larga munificenza, nel presupposto di un rap­ porto disinteressato del committente mecenate con l'artista, senza alcuna inter­ ferenza dell' uno sull'altro.27 Nel Medioevo invece la libertà dell'artista, com'è noto, veniva relegata perlopiù entro i limiti della commissione pura e semplice, ovvero il singolo maestro - che nella maggioranza dei casi rientrava nella sfera dell'anonimato - pur potendo contribuire con qualche sua idea alla concezione complessiva di un'opera d'arte a lui affidata, pur potendone valutare il criterio compositivo da adottare ed esprimersi secondo il proprio stile, tutto somma­ to era tenuto ad operare nel rispetto dei dettami ricevuti, sulla scia (modo et forma) di modelli e schemi iconografici inderogabili, più o meno persistenti nello scorrere del tempo.28 Il pontefice committente poteva accentrare in sé una molteplicità di decisioni e funzioni: il suo rapportarsi all'arte, per quanto non direttamente esplicitato dalle fonti, gli consentiva di partecipare fattivamente al buon esito della committenza. Nel caso dei programmi decorativi di mag­ giore impegno egli poteva assumerne anche la veste di ideatore o concepteur.29 Tutto ciò gli veniva riconosciuto a prescindere da ogni genere di competenza specifica - anche di natura tecnica - che personalmente egli poteva far valere nella promozione di questa o quella iniziativa artistica, dalla misura di una sua eventuale partecipazione finanziaria all' impresa e tanto meno dal numero delle chiese che veniva consacrando in Italia e al di là delle Alpi. In questo contesto, l'artista che veniva chiamato ad operare sotto l'egida del papato o della curia si sentiva da parte sua garantito e messo in condizione di poter portare a com­ pimento l'opera intrapresa, anche nel caso in cui il committente fosse deceduto anzi tempo, poiché, come rileva Hetherington, quell'artista era «mantenuto dal successore» fino alla fine del lavoro.30 In considerazione del fatto che il papato poteva essere in grado di imple­ mentare in qualche misura il variegato patrimonio artistico di Roma, assumer­ ne il controllo, plasmarlo in conformità al suo pensiero, decidere e orientame 26. MGH. Epistolae m, 1 892, p. 6 14. 27. Haskell 1958, col. 940; Bagci 1 994. 28. Brenk 1 984; Id. 1 994b; Id. 2003; Castelnuovo 2004, pp. V-XXXV. 29. Brenk 2003. Ancora: Id. 1994a; Id. 1994b. 30. Hetherington 1 983, p. 539; Jordan 1 933-1934.

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i contenuti simbolici, viene subito spontanea la domanda se quel patrimonio possa essere considerato espressione diretta del suo potere effettivo, della sua gestione, sua prerogativa esclusiva, ovverosia come arte papale tout court. I l quesito sembrerebbe presupporre una risposta a sostegno d i questo tipo di sce­ nario. Ma analizzando attentamente il Liber Pontifìcalis ove lo si volesse con­ siderare non tanto come emanazione diretta del papato, come suggerisce una corrente di pensiero, bensì come portavoce dell' alto clero romano3 1 - si evince che il clero in virtù di alcuni suoi privilegi poteva approvare o disapprovare l' operato dei papi in rapporto ai propri specifici interessi, mirando cosi al con­ trollo del papato stesso. Nonostante le loro prerogative, i pontefici potevano ve­ dersi ridotta o attenuata la pienezza della gestione del patrimonio ecclesiastico in caso di sfruttamento o utilizzo improprio del medesimo derivante da una loro eventuale complicità. Ne è prova l'episodio secondo il quale il clero romano si oppose al progetto di «monasticizzazione» del palazzo del Laterano avviato da papa Gregorio Magno e da alcuni suoi seguaci.32 Inoltre, quando papa Gregorio VII (l073-1 085) fece la proposta al clero romano di impiegare i beni ecclesia­ stici per combattere l ' imperatore Enrico IV e l 'antipapa Guiberto di Ravenna col nome di Clemente III, il clero stesso gli si oppose, richiamandosi alla tra­ dizione in base alla quale gli oggetti consacrati potevano essere venduti sola­ mente per nutrire i poveri e per riscattare i prigionieri.33 Cionondimeno, a parte questo tipo di restrizione emersa dagli episodi appena ricordati, nulla impediva che sull' arte che si stava producendo a Roma, compresa quella di committenza non pontificia, il papato potesse esercitare una sorta di supervisione o esprime­ re un parere di massima, assecondando in tal modo un articolato processo di omologazione che facesse continuo riferimento alle soluzioni consolidate dalla tradizione, che favorisse la costante ripresa - nel campo della pittura - di pre­ cisi temi e schemi iconograficP 4 e accordasse la preferenza a maestranze locali autoreferenziate come, ad esempio, i marmorari della famiglia dei Cosmati e dei Vassalletto.35 Complessivamente si ha proprio l ' impressione che la mag­ gior parte dell'arte romana del Medioevo fosse diretta da una regia silenziosa, larvatamente occulta, riconosciuta unanimemente all' istituzione pontificia la quale, in virtù della sua carica, assorbì più avanti nel tempo anche il controllo urbanistico della città tramite i suoi diretti collaboratori tra cui, ad esempio, i magistri viarum o i magistri aedifìciorum Urbis.36 -

3 1 . Richards 1979, pp. 263-268. 32. Capo 2009, p. 1 02. 33. Di Carpegna Falconieri 2002, p. 66, che riporta l'episodio narrato da Bonizone vescovo di Sutri, nel Liber ad amicum (MGH, Libelli, l , 189 1 , pp. 5 7 1 -620). 34. Si pensi all'esempio analizzato da Serena Romano relativo alla scena del martirio di san Lorenzo: Romano 2000a, in part. pp. 1 55-1 59. 35. Sull'attività dei Cosmati e Vassalletto, cfr. in particolare Claussen 1 987; Id. 2002, 2008a, 20 10. 36. Cfr. Fedele 1909; Jokilehto 1 999, pp. 29-32; Vecco 2007, pp. 35-37.

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4. Pontifex maximus In riferimento al paragrafo precedente, non è poi così peregrina l' idea secon­ do la quale il patronato artistico promosso a Roma costituiva in effetti una sorta di prerogativa pressoché esclusiva della massima autorità religiosa della città. Ma non solo: tale prerogativa a partire da papa Damaso (366-3 84), con la rinuncia dell' imperatore Graziano (376-3 83), venne a comprendere anche il titolo impe­ riale di pontifex maximus, tuttora riservato al capo della Chiesa cattolica romana. Questo titolo con il relativo ufficio imponeva l'obbligo non solo di garantire la stabilità della pax cristiana, di governare il culto religioso ed esaltarne i valori racchiusi nella tradizione, ma anche di promuovere con una certa generosità strut­ ture o quant'altro si ponesse a beneficio della collettività di cui il papa era a capo. Forse anche per quest' ultimo motivo alcuni pontefici che nel Liber Ponti.fica/is sono presentati nella veste di patroni, committenti o donatori, risultano in effetti di manica larga. Vi compaiono come grandi spenditori, con l ' intento specifico di dotare le singole chiese di suppellettili e arredi sacri, paramenti, veli, tovaglie per gli altari, lumi e altri oggetti, consapevoli di investire a sostegno del patrimonio ecclesiastico cifre anche notevoli, il cui volume rispetto all'economia della città o a un ambito commerciale più vasto è stato pure oggetto di approfonditi studi.J7 Del resto, la munificenza pubblica era virtù essenziale nel mondo classico, sia per gli imperatori che per le aristocrazie urbane, per cui poteva essere naturale per i vescovi di Roma, eredi di quel tipo di cultura evergetica, adeguarsi in qualche misura ad essa, avviare committenze adeguate e mettere in atto iniziative (gesta) durevoli nel tempo attraverso il loro contributo più concreto e visibile alla conno­ tazione cristiana di Roma.Js Da questo punto di vista, un modello per molti vescovi di Roma a parti­ re dal IV secolo era costituito dal primo imperatore cristiano, Costantino: gli sforzi da costui compiuti a favore della nuova religione rivestivano un indiscus­ so interesse, in quanto segnavano l' inizio esemplare di una sorta di patronato artistico per alcuni versi nuovo, vissuto intensamente in prima persona, tanto generoso quanto ambizioso, a metà strada tra l'esercizio pubblico e l ' iniziativa privata, sostanzialmente confessionale nell' intimo, a cui successivamente, oltre ai papi, intesero ispirarsi più o meno direttamente anche molti altri committenti del Medioevo, compresi i grandi sovrani di fede cattolica.39 Tra le opere che sottolineano tale tendenza si ricorda la basilica di Santa Maria Maggiore, eret­ ta sull'Esquilino sotto Sisto III (432-440), una basilica imponente, riccamente ornata, che - escludendo ogni altra costruzione anteriore di incerta definizione - è da considerarsi verosimilmente la prima grande committenza religiosa ben conservata, realizzata dalle fondamenta (ab imis) dal papato. Anche ilfastigium argenteum, posto al termine della navata centrale della basilica lateranense, si

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37. Delogu 1988a; Id. 1988b; Delogu 1 998. Si veda anche Hodges 1993. 38. Capo 2009, p. 38. Cfr. pure Jouffroy 1977 e Caillet 2009. 39. Bardill 20 12.

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presentava come un manufatto nuovo e imponente, da intendersi verosimilmen­ te, più che una prefigurazione del ciborio, come una nuova versione in chiave tutta cristiana dell'arco di trionfo tradizionalmente riservato agli imperatori vincitori. Con questa struttura l ' imperatore non poteva suggerire una soluzione migliore per fare intendere a chiunque ne fosse stato in grado che onore e gloria andavano tributati non tanto alla sua persona, com'era sottinteso dall'arco di trionfo a lui dedicato dal senato presso il Colosseo, bensi a colui che delle sue vittorie era stato il vero ispiratore: Cristo Salvatore.40 All' indomani dell'editto di Milano, i successori di Pietro, da papa Silvestro I (3 14-335) in poi, si fanno carico della delicata missione che loro spettava nella guida della Chiesa ormai istituzionalizzata, consapevoli che il consolidamento e l'espansione del messaggio evangelico richiedevano un'adeguata e concreta ope­ ra di promozione che investisse tra l'altro ogni aspetto della vita sociale. Simile atteggiamento, definitosi meglio nel corso dei secoli successivi, sia pure lungo percorsi a volte tortuosi e complessi, divenne una costante del papato medievale: favori l'elaborazione di una nuova civiltà secondo i valori della dottrina cristiana, creando le condizioni ideali per la sopravvivenza della cultura classica. Dunque, dopo la caduta dell'impero romano d'Occidente, oltre ai compiti di carattere spirituale, i pontefici dovettero assumere pure incombenze materiali per sostituire le magistrature imperiali ormai latitanti. L' impegno andava dalla cura dell'approvvigionamento alimentare all'organizzazione della difesa della città­ perfino con la pianificazione dei turni di guardia alle mura - dagli interventi di restauro edilizio al pagamento di somme ai barbari per riscattare i prigionieri o per comprare la pace. Iniziative simili, volte alla realizzazione dei diversi ruoli, furono intraprese non solo a Roma, ma anche in altre città bisognose di tutela, come Napoli che faceva parte della metropoli ecclesiastica dell'Italia centrome­ ridionale da Roma dipendente.41 Naturalmente, la consapevolezza delle funzioni da assolvere si rese esplicita in special modo nel campo architettonico, come si evince peraltro non solo dalle fonti scritte, ma anche dalle risultanze della ricerca archeologica, le quali peraltro tendono a confermare o integrare quanto è già intuibile dalle singole biografie del Liber Ponti.ficalis relativamente alla costruzione di nuovi edifici o al restauro di vecchi.42 Se questi interventi concernevano l'edilizia sacra, quali chiese, mona­ steri, battisteri, cimiteri, a partire soprattutto dal secolo VIII, con papa Adriano I (772-795), essi vennero a comprendere anche le strutture pubbliche, come gli acquedotti che garantivano l'approvvigionamento idrico della città e il funzio­ namento dei mulini, gli ospizi, le mura cittadine e persino gli argini del Tevere, a riprova di una prospettiva più generale di cura e riorganizzazione dello spazio urbano in cui il papa, detentore del titolo di pontifex maximus, si sentiva diretta­ mente coinvolto e che solo il papa con i suoi collaboratori o i suoi rappresentanti 40. Ni1gen 1 977; Liverani 1 995; de Blaauw 200 lc. 41. Cfr. Llewellyn 1 975, pp. 57-82; Azzara, Rapetti 2009, p. 52. 42. Geertman 1989.

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era in grado di gestire.43 Il saccheggio della basilica di San Pietro da parte dei sa­ raceni nell' 846 spinse papa Leone IV (847-855) a erigere una cinta muraria attor­ no al Vaticano, ovvero a fortificare una significativa porzione dell'Urbe, da allora denominata Città leoniana,44 concretizzando cosi un'operazione socio urbanistica che può essere considerata la più rilevante di tutto l'alto Medioevo. Una cosi variegata attività comportò spese crescenti, per far fronte alle quali i pontefici si preoccuparono di razionalizzare, attraverso strutture amministrative più efficienti, lo sfruttamento delle proprietà della Chiesa, che ali' epoca erano concen­ trate in grandi complessi, facenti parte del Patrimonium Petri, sparsi in periferia, anche in regioni molto lontane del bacino mediterraneo, specie in Sicilia.45 Altre iniziative attestano l' impegno dei pontefici a favore di Roma caput mundi, confermata sede ufficiale della loro autorità universale. Tra le maggiori imprese assume un valore molto significativo l'ampliamento del palazzo dei papi al Laterano, il cosiddetto Patriarchio (fig. 2), un complesso residenziale che a pieno titolo s' impone come una tra le più rappresentative e articolate committen­ ze papali del Medioevo interne alla città, una sorta di work in progress che vede coinvolti numerosi pontefici nell'arco di più secoli, da Silvestro a Bonifacio VIII. Sicuramente si trattava del più importante palazzo del Medioevo occidentale, em­ blema dell'antagonismo tra Roma e Costantinopoli, dotato di una ricca collezione di bronzi di grande fascino e suggestione, scenario per le cerimonie in cui veniva reso omaggio al vescovo di Roma sull'esempio del cerimoniale della corte impe­ riale bizantina; un luogo di scontri tra fazioni diverse per l'elezione del pontefice; un complesso architettonico con una pluralità di uffici e funzioni burocratiche, che aggregava più strutture e ambienti (locali di rappresentanza, spazi abitativi, cappelle, corridoi di collegamento etc.) disposti progressivamente su una vasta area contigua alla basilica del Salvatore, oggi per la maggior parte scomparsi a seguito della demolizione voluta da papa Sisto V (1 585- 1 590).46 Per i soggetti decorativi eseguiti all'interno di alcune sue stanze e cappelle tra il IX e l'XI seco­ lo nessun'altra residenza avrebbe suscitato un'eco e uno scalpore tali quali sono intuibili dalle fonti. Mai nessun altro palazzo medievale sarebbe stato oggetto di impalcature ideologiche tanto complesse e di un tale intreccio di invenzioni e falsificazioni quali sono state create intorno ad esso per esaltarne l' importanza.47 Senza ripercorrerne le complesse vicende, secondo il falso documento che va sot­ to il nome di Donazione di Costantino (Constitutum Constantini) elaborato negli ambienti della curia, probabilmente all'epoca di papa Stefano II (752-757), l'an­ tico palazzo sarebbe stato ceduto a papa Silvestro dal primo imperatore cristiano 43. Pani Ennini 1 992. 44. Giuntella 1985. 45. Azzara, Rapetti 2009, p. 53. 46. Sul palazzo lateranense: Rohault de Fleury 1 877 e Lauer 1 9 1 1 . Si vedano anche i più recenti contributi di: Krautheimer 198 1 a; Il Palazzo Apostolico Lateranense 1 99 1 ; Liverani 1999b; Luchterhandt 1 999, pp. 1 09- 1 22; Herklotz 2000, dove l'autore mette a frutto alcuni suoi importanti studi pregressi sul Laterano; D'Onofrio 2002; Id. 2004; Gigliozzi 2003; Ballardini 20 1 5 . 47. Herklotz 2000, p . 9.

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insieme a tutte le altre insegne della sua regalità per trasmettere all' istituzione pontificia il dominio sulla parte occidentale dell' impero.48 5. Il senso della romanitas: innovazione nella tradizione In virtù dell'azione diversificata e pur convergente di molti pontefici, appare evidente come l'antica Urbs, nonostante la caduta dell'impero e le alterne vicen­ de, abbia continuato a mantenere viva una sua dignità e, per quanto fosse chiusa in se stessa, a rimanere per tutto il Medioevo un centro operativo piuttosto vivo e fecondo, senza però raggiungere mai - quasi paradossalmente - i livelli produttivi e gli esiti compiutamente elaborati ottenuti, ad esempio, dai cantieri che si venivano organizzando nell'Italia centrosettentrionale e, ancor più, nei paesi transalpini, per la costruzione delle grandi cattedrali romaniche e gotiche. Basti mettere a confronto la basilica onoriana di San Lorenzo fuori le mura (post 1 2 1 6), una delle più impor­ tanti di Roma cristiana, con una cattedrale francese, come quella di Chartres (post 1 1 94), per meglio cogliere le differenze tra la Roma papale e le città episcopali del versante oltremontano. Ci si renderà subito conto della sorprendente divergenza de­ gli esiti raggiunti dal monumento romano rispetto al monumento sorto a sud ovest di Parigi più o meno nello stesso giro d'anni.49 Evidentemente la committenza e gli intenti programmatici erano diversi nei due casi: se la cattedrale di Chartres, per volontà del suo vescovo, dei canonici del capitolo e delle locali corporazioni degli artigiani e dei mercanti, doveva rispecchiare le aspettative, l'orgoglio e l'identità politico religiosa di un' intera comunità cittadina territorialmente ben circoscritta, le navate della chiesa romana del Verano innestate sulla basilica pelagiana dovevano trasmettere invece il messaggio in base al quale papa Onorio III ( 1 2 1 6- 1 227), quale promotore dell'iniziativa, costituiva il garante di una tradizione coerente e conti­ nuativa che solo Roma, caput mundi, era ancora in grado di vantare esemplarmente, non solo grazie alla ripresa di una consolidata tipologia basilicale di facile percezio­ ne, concreta ed essenziale, pur sempre suggestiva ed armonica ad un tempo, quasi una sorta di simbolo architettonico universale,5° ma anche grazie al riuso di spolia monumentali nobilitanti - colonne e capitelli ionici, divenuti peraltro allora piutto­ sto rari - nonché alla presenza di capitelli appositamente eseguiti, considerati una versione ambiziosa di quelli classici, ma nel complesso di modesta fattura rispetto alla plastica monumentale, di effettiva resa classicistica, disposta sui portali della cattedrale francese.s1 48. Liverani 1999b, Tabelle l e 2, pp. 542-549; Herklotz 2000, p. 79. 49. Le riflessioni sopra esposte traggono lo spunto da Pace 2000, cap. l, pp. 5-20, in part. pp. 5-6. 50. Quindi la ripresa in San Lorenzo f.l.m. della tipologia paleocristiana esclude altre ragioni che non siano quelle ideologiche, pur nell'intenzionalità di «uniformare il nuovo al nucleo pelagia­ no ormai trasformato in un articolato vano presbiteriale con deambulatorio» (Pistilli 1 99 1 , p. 26). 5 1 . Approfondisce lo studio dei capitelli laurenziani Voss 1 990. Più recentemente: Mondini 201 0.

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L'idea di una romanità perseguita in campo architettonico giustifica anche la tipologia dei portici romani con colonne trabeate adottata nel XII secolo, quale si ritrova, oltre che in San Lorenzo fuori le mura, anche nelle chiese di San Lorenzo in L ucina, Santa Cecilia in Trastevere, San Crisogono, Santa Maria in Trastevere, Santa Croce, Santa Maria Maggiore, Santi Giovanni e Paolo, compresa la catte­ drale lateranense. Cosi è per la comparsa dei chiostri a ridosso delle chiese (Santi Quattro Coronati, San Lorenzo fuori le mura, San Cosimato, Santa Sabina, San Paolo fuori le mura e ancora San Giovanni in Laterano ). L'innovazione, se innestata nella tradizione, offriva motivi di garanzia e sod­ disfazione proprio a ragione della valenza romana di cui inevitabilmente finiva per rivestirsi. Non è escluso che simile stato di cose, come già accennato, fosse determinato in buona parte da un atteggiamento vigile e costante del papato che favoriva lo sviluppo delle singole committenze artistiche agganciandole ad un background culturale antichizzante mai assopito, ritenuto particolarmente idoneo al progresso di tutte le arti liberali e all'esternazione delle impalcature ideologi­ che del papato stesso. Nihil innovetur nisi quod traditum est: nulla sia fatto di nuovo se non quello che è secondo la tradizione.52 Sia pure riferito a un contesto diverso, questo celebre rescritto di Stefano l, pontefice di origini romane (254257), aiuta a comprendere bene come il desiderio di novità dovesse essere filtrato alla luce della tradizione, dalla quale esso soltanto poteva estrarre adeguate spinte e utili spunti per una sua felice concretizzazione.53 Come si evince dal profilo complessivo che ne traccia anche Krautheimer,54 la Roma medievale dei papi appariva senza ombra di dubbio meno smagliante rispetto a quella antica, data l'oggettiva e ineluttabile decadenza dei monumen­ ti storici. Ciononostante, la città tendeva a rinnovarsi su se stessa e continuava a sentirsi dotata - sull'onda dell'elemento mitico - di un suo particolare fasci­ no, ricca di cose meravigliose (mirabilia), fonte ispiratrice di civiltà, riferimento ideale del mondo e della cristianità: era pur sempre l'aurea Roma che iterum renovata rinasceva al mondo, come cantava Modoino, un poeta della rinascenza carolingia.ss Tutto questo all'insegna del papato romano. Pontefici più o meno colti ed eruditi, uomini pii e uomini d'azione, abili politici e diplomatici, costantemente immersi nelle questioni dottrinali e pur im­ pegnati sul piano pastorale e sociale nel nome di Cristo, hanno mostrato di as­ sicurare in misura diversa, insieme allo sviluppo delle lettere, del diritto e delle scienze, anche quello delle arti, nel senso che hanno saputo curare parallelamente alle sorti della Chiesa e della civiltà latina anche il volto della città prescelta da Pietro. Pur attraverso le numerose difficoltà, essi sono stati in grado di rispondere nei modi più opportuni e nelle più diverse circostanze all'ideale della Renovatio Urbis in senso cristiano e apostolico romano. Secondo un'iscrizione risalente a 52. Sancii Cypriani 1 996, ep. 74, 2. 53. Pace 1 994. 54. Krautheimer 198 l a. 55. MGH, Poetae Latini, I, 1 88 1 , p. 385, v. 27.

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papa Simmaco (498-5 1 4), il rinnovamento della città si concretizzava grazie al ruolo di cui erano stati investiti i due apostoli Pietro e Paolo in qualità di custo­ di e detentori delle chiavi delle due porte a loro dedicate sulle mura urbane, in corrispondenza dei due poli urbanistici rispettivamente del Vaticano e dell'area ostiense. L'antica Urbs racchiusa tra la Porta Sancii Petri e la Porta Sancii Pauli finiva per assumere una configurazione nuova, ovvero si presentava come la vera Roma scelta da Dio quale sua dimora: «[ . . . ] muros hos inter Roma est, hic sedet ergo Deus».56 Probabilmente in molti pontefici mancava la piena consapevolezza che il loro impegno sul piano pastorale, liturgico, politico-religioso e culturale in ge­ nere potesse rapportarsi in proporzione con un concreto sostegno a favore della città eterna, ovvero che potesse risultare funzionale ad un adeguato governo di essa e alla diffusione della sua immagine rinnovata. Ma nello stesso tempo, nel pensiero e nell'azione di molti altri sembra avvertirsi un progressivo orienta­ mento in tal senso. Lo si percepisce soprattutto nei pontefici romani di nascita, tra cui va ricordato Gregorio Magno (590-604), della nobile famiglia degli Ani­ cii, il cui pontificato, pur non incidendo più di tanto nel settore artistico, segnò comunque una svolta decisiva, almeno sul piano sociale, per la Roma medieva­ le. In quegli anni viene sottolineato il carattere didattico pedagogico delle pit­ ture interne alle chiese,57 mentre il popolo romano registra tra l'altro una nuova disciplina interna, l'organizzazione annonaria e amministrativa e - cosa che dovette apparire prodigiosa - la conversione al cattolicesimo dei Longobardi e la pacifica convivenza con essi. 58 Nel nome di una romanità vissuta per discendenza familiare, acquisita ideal­ mente per adozione, percepita e condivisa per raziocinio o per suggestione spon­ tanea, il papato medievale conferiva una prospettiva ecumenica alla sua politica ecclesiastica e rinsaldava nel contempo il primato della sua sede istituzionale. Prendendosi cura in qualche modo della città e della sua tradizione imperiale, l'istituzione pontificia ne salvaguardava le prerogative e ne teneva alto il nome. Non esitava a rivendicare l'eredità politica di Roma caput orbis e, a giudicare dal persistente rinnovarsi dell'arte classica a partire dal IV e dal V secolo, faceva intendere di assumerne da subito il ruolo di «custode». 59 L'idea della romanitas, per quanto incerti possano apparire gli esiti derivanti da una sua reale incidenza, fu guida anche quando a Roma, sopratutto nell'ambito della produzione artistica dei secoli VII e VIII, ebbe a infiltrarsi una forte compo­ nente bizantina ellenizzante. Quando il dissidio con l'impero d'Oriente, bramoso di affermare la sua sovranità di diritto su Roma, era diventato particolarmente acceso e nel 726 Leone III Isaurico aveva decretato la proibizione delle immagini sacre, i sentimenti antibizantini allora affioranti nell'Urbe erano sempre in grado 56. /CVR, ns, Il, n. 4 1 07 a-b. 51. Registrum Gregorii 1 983, Il, l , lib. IX, 208, p. 195 e Il, 2, lib. XI, 1 0, pp. 270-27 1 . 58. Prandi 1968, p . 98. 59. Krautheimer l 98 1 a, p. 69.

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di dare sostegno alle «memorie dell'antica gloria di Roma, che si estendevano an­ che alla città cristiana, quella di S. Pietro e del papato».60 Gli ecclesiastici di origi­ ne greca o siriaca saliti sul soglio di Pietro, a partire da Teodoro I (642-649) fino a Zaccaria (74 1 -752), seppero imporsi in materia di fede come decisi assertori dell'ortodossia romana.61 Ma, ferma restando la loro opposizione ali' iconoclastia, essi contribuirono alla diffusione di quella cultura bizantina che, soprattutto nel campo della pittura, rimarrà radicata in vario modo anche fuori Roma per quasi tutto il Medioevo. Ne diventa la più nitida testimonianza la chiesa di Santa Maria Antiqua,62 dove elementi propri del mondo orientale - planimetria, immagini di santi, schemi iconografici, forme stilistiche etc. - s'impiantano nel cuore della città, nell'area dei Fori, ai piedi del Palatino, secondo una calcolata e reiterata impronta progettuale che, accanto alla vitalità della produzione locale, vedeva coesistere soluzioni monumentali e campagne decorative sovrapposte a se stesse, derivanti appunto dal mondo bizantino. Oltre che a Santa Maria Antiqua, alcune soluzioni di quel tipo erano già apparse nelle basiliche cosiddette a galleria, come San L orenzo e Sant'Agnese fuori le mura, laddove però il piano superiore sembra rispondesse a precise esi­ genze funzionali dettate dalla orografia del suolo circostante. Sempre nel settore dell'architettura, si attingerà ancora a tipologie orientali nella strutturazione delle sale di rappresentanza (i triclini) all'interno del patriarchio lateranense di età ca­ rolingia.63 Anche nel settore della scultura, i plutei con il monogramma Iohannes utilizzati per la recinzione del coro della chiesa inferiore di San Clemente o altri manufatti in marmo del Proconneso sarebbero stati ordinati nella capitale bizan­ tina e ivi lavorati dalle maestranze locali per papa Giovanni II (533-535).64 Ma si dà anche il caso che quegli stessi elementi di marca orientale siano stati «rapidamente assorbiti», trasposti in un nuovo linguaggio e omologati nella tradi­ zione delle maestranze romane, «allo stesso modo in cui furono assimilate e inte­ grate nel rito romano le reliquie, le festività e le usanze liturgiche orientalh>.65 Nelle pieghe di tale contesto altomedievale sembra svolgere un ruolo da grande protagonista papa Giovanni VII (705-707) (fig. 3), vero anello di congiun­ zione tra Oriente e Occidente. Nell'oratorio mariano da lui voluto in San Pietro al Vaticano, accanto ai mosaici bizantineggianti, considerati tali per quel poco che conosciamo, egli seppe rivitalizzare il senso di una romanità di classica matrice attraverso il riutilizzo di pannelli scolpiti di età severiana raffiguranti divinità pa­ gane tra racemi. Ciò fece, ritenendo per nulla disdicevole il loro riuso all'interno di uno spazio di culto cristiano e valutando quindi l'aspetto estetico e funzionale dei pannelli, al di là della loro valenza profana, e forse anche a prescindere da una

60. Ibidem, p. 14 1 . 6 1 . Ekonomou 2007. 62. Brenk 2005. 63. Cfr. Ladner 1 983; Osborne 20 1 1 . 64. Cfr. Barsanti, Guiglia Guidobaldi 1 992; Guiglia Guidobaldi 2002; Russo 2006. 65 . Krautheimer 1 98 1 a, p. 137.

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loro eventuale riabilitazione concettuale in chiave cristiana.66 L a sua decisione, apparentemente ardita, esulava comunque dalla linea di comportamento seguita da alcuni suoi predecessori, in base alla quale era ancora viva l'idea della siste­ matica distruzione di ogni idolo pagano, anche se è ormai noto come il ruolo as­ segnato a papa Gregorio Magno (590-604) di massimo distruttore dei monumenti antichi sia basato su una leggendaria tradizione medievale. Preservare, grazie al papato, la romanità nella città cristiana significava an­ che alimentare i presupposti per una adeguata conservazione della memoria degli apostoli Pietro e Paolo e nello stesso tempo ottenere di riflesso dall'intercessione dei due santi martiri maggiore protezione e dignità. Grazie alle attenzioni riser­ vate soprattutto ai sepolcri dei due apostoli, ai miracoli e alle reliquie di tanti altri martiri, nonché ad un'efficace e adeguata politica di promozione culturale, Roma era diventata il centro sacrale e "magico" dell'Occidente, e quando nel 640 Geru­ salemme cadde nelle mani dei musulmani, essa rimase la città santa del cristiane­ simo più visitata dai pellegrini provenienti da ogni parte dell'Europa cristiana.67 L a città, quale comunità di fedeli governata dal papa, ricopriva cosi un ruolo del tutto incomparabile. Secondo Cassiodoro (ca. metà del VI secolo) Roma assu­ meva una dimensione nuova, squisitamente religiosa, nella cui sacralità sembrava venisse assorbita ogni altra prerogativa. L a sua più autentica natura, per Ruperto di Deutz, era riposta proprio nelle figure di Pietro e Paolo, accomunati ora da una sorta di gemellaggio ideale, in base al quale i due apostoli erano considerati i veri cofondatori della città, più di quanto lo fossero stati, secondo la leggenda, Romolo e Remo. In effetti, tale concetto, volto a porre sullo stesso piano i due apostoli, rispondeva a quanto veniva avvertito più concretamente dai promotori della nuova monumentale basilica eretta sulla via Ostiense in onore dell'apostolo Paolo, già ricordata, una basilica che coerentemente doveva eguagliare quella vaticana dedicata all'apostolo Pietro. Il legame dei papi con Roma, con la sua tradizione imperiale e con ogni altra sua prerogativa presentava dunque varie sfaccettature a cui si accompa­ gnavano istanze diverse. Tra queste, la tutela dell'immagine cittadina e la pre­ servazione del suo glorioso passato, da cui non andava disgiunta l'esaltazione del popolo romano che, visto in chiave religiosa, rappresentava la comunità ecclesiale governata dal papato stesso. Il biografo di Adriano I (772-795) men­ tre sottolinea la romanità del pontefice lo definisce espressamente, oltre che «difensore della fede e della patria», anche «difensore del suo popolo».68 Ciò in piena coerenza con una tradizione specifica, i cui più antichi segnali si col­ gono già durante il pontificato di Sisto III (432-440). L a scritta a lettere capitali posta da costui al centro dell'arcata absidale di Santa Maria Maggiore (Xystus episcopus plebi Dei) racchiude tutto un programma: il popolo di Dio, a cui è 66. Sulla decorazione dell'oratorio giovanneo basterà ricordare: Nobiloni 1 997; Ballardini 20 l O; Ead. 20 1 1 , con bibliografia precedente. 67 . Krautheimer 1 98 1 a, p. 104. 68 . /,P, l , p. 486.

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rivolta la dedica, altro non è che la comunità romana dei fedeli in cui, attraverso la guida del suo pastore, si rispecchia la comunità della Chiesa universale. L a plebs romana s'identifica con la p/ebs Dei.69 Poi, sull'esempio di Sisto III, al­ meno altri sei pontefici, per quanto oggi ne sappiamo, dedicheranno al «popolo di Dio» un'opera romana tra quelle da loro commissionate. Nell'ordine: Ilaro (46 1 -468) gli dedicherà la cappella di San Giovanni Battista comunicante con il Battistero lateranense; Felice IV (526-530) la perduta decorazione musiva e marmorea iniziata dal predecessore Giovanni I (523-526), in Santo Stefano Ro­ tondo; Onorio I (625-63 8) il perduto mosaico absidale di San Pancrazio; L eone III (795-8 1 6) la decorazione dell'oratorio nella confessio di San Paolo fuori le mura; Pasquale I (8 1 7 -824) la teca cruciforme ora ai Musei Vaticani; infine Giovanni VIII (872-882) dedicherà al «popolo di Dio» la Porta del «suburbio» di San Paolo.70 Un suggestivo senso della romanitas dai toni solenni traspariva già dal mo­ saico, ancorché oggi molto rimaneggiato, di Santa Pudenziana (databile agli al­ bori del V secolo), dove non è casuale che Pietro e Paolo, vestiti come gli altri apostoli con l'abito senatorio probabilmente come da originale, occupino nel consesso un posto privilegiato accanto a Cristo e ricevano dalle figure femminili alle loro spalle la corona d'alloro a sottolineare un riconoscimento ideale della loro "romanità" in quanto martiri e cofondatori della Chiesa di Roma, oltre che rappresentanti delle due ecc/esiae giudaica e pagana. Anche l'iscrizione che era posta sulla tomba di papa Gregorio Magno, Consul Dei, costituiva una felice designazione in cui trovavano convincente espressione la Roma pagana e la Roma cristiana. Parimenti, una naturale fusio­ ne tra la Roma antica e quella papale viene evocata figurativamente sia nella veduta dipinta da Cimabue nella crociera della chiesa superiore di San France­ sco ad Assisi ( 1 280 ca.), sia nella Bolla d'oro di L udovico il Bavaro ( 1 328). Ma lo stretto legame esistente tra antichità romane e loro trasformazione in senso cristiano suggeriva soprattutto il motivo ispiratore che attraversa i Mirabilia Urbis Romae redatti, a partire dal XII secolo, ad uso dei pellegrini diretti alle tombe dei martiri romani. Con l'ultimo quarto del Duecento subentra un periodo storico tra i più fer­ vidi e felici del Medioevo in materia di committenze papali a Roma. Vi operano artisti di alto profilo, come Pietro Cavallini, Iacopo Torriti e Filippo Rusuti, partecipi e promotori di un rinnovato orientamento di gusto in chiave natura­ listica. Vi sono presenti i grandi maestri toscani, come Cimabue, Amolfo di Cambio e Giotto. L a rinascita artistica che coincide con la presenza di costoro a Roma trova la giusta spinta nell'atteggiamento illuminato di alcuni pontefici i quali, pur ancorando le proprie scelte sulla tradizione, hanno in qualche misura 69. Cfr. Brown 1982. 70. Per i casi sopra riportati: Panvinio 1 570b, p. 75; Ciampini 1 690- 1 699, l, pp. 204-205, II, p. 1 10; Milesi Sarazani 1 638, pp. 1 80- 1 8 1 ; ILCV 1925- 1 93 1 , l, nn. 978, 1 788a, 1 860, 1 786; Brenk 1975a, pp. 36-37; ThUIW 2002, p. 84.

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precorso i tempi e favorito il formarsi lento ma progressivo di un gusto su cui si alimenterà poi la cultura umanistica. Tra i pontefici di quella stagione spicca la figura di Niccolò III, della famiglia romana degli Orsini, dal breve pontificato ma di indiscussa portata storica, che con la bolla Fundamenta militantis ecc/e­ siae emessa il 1 8 luglio 1 278 manifestava tutto il suo amore filiale per Roma definita «Civitas sacerdotalis et regia per sacram beati Petri sedem caput totius orbis effecta» [Città sacerdotale e regale, assunta a capo di tutto l 'orbe a ragione della sacra sede del beato Pietro] . Con tale documento il pontefice romano de­ plorava il cattivo stato di conservazione dei monumenti cittadini ed escludeva la possibilità che uno straniero come Carlo d'Angiò potesse riconfermarsi nella carica di senatore della città. 71 In virtù sia del suo impegno politico religioso, congiunto al suo amore per le arti e la scienza, lo stesso Niccolò III può essere considerato una fugace prefigurazione dei grandi pontefici del Rinascimento. 72 Le sue attenzioni nei confronti di alcuni esponenti della sua famiglia (i cosid­ detti «orsatti» ), il suo sogno di costituire uno o più stati italiani affiancati alla Chiesa, la costruzione di un palazzo residenziale al Vaticano ornato di pitture, circondato da spaziosi giardini e popolato da animali esotici, la diffusione dello stemma di famiglia riscontrabile in varie opere del suo tempo, il suo sostegno a favore del cantiere di Assisi, il rifacimento del Sancta Sanctorum al Laterano, la cappella di San Nicola ricavata in San Pietro per essere destinata a suo mau­ soleo sepolcrale, l'erezione di una statua in suo onore sul porto di Ancona, tutto questo suggerisce accostamenti non solo con l'azione successiva di Bonifacio VIII, ma, attraverso le concezioni unitarie di Machiavelli, anche con l'azione di Alessandro VI Borgia, Paolo III Farnese etc. Di questo risvolto larvatamente preumanistico di papa Orsini sono peraltro convinti molti studiosi. 73 Chi poi tra i papi alle soglie del Trecento si è distinto per una committenza particolarmente ardita, volta al culto della propria persona e all'affermazione del proprio potere, sull'esempio della ritrattistica antica, è segnatamente Bonifacio VIII della famiglia dei Caetani ( 1 295- 1 3 04). A motivo delle sue numerose statue ostentate a Roma (busto in Vaticano e, forse, la figura inginocchiata nella cappel­ la del crocifisso in San Giovanni in Laterano) e fuori Roma (Bologna, Orvieto, Amiens, Anagni, Firenze e Padova, quest'ultima mai eseguita) con valenze ri­ trattistiche più o meno evidenti e con la funzione politica più o meno larvata di rappresentare pubblicamente una protezione ideale del papato nei confronti di quelle singole città, papa Bonifacio è stato tacciato di idolatria, com'è noto, dagli stessi suoi contemporanei. 74

7 1 . Gay, Vitte 1 898- 1 938, n. 298, pp. 106- 1 09; D'Onofrio 1 983, p. 555; Paravicini Bagliani 1996, p. 32. 72. Cfr. D'Onofrio 1983; Allegrezza 2000. 73 . Tra gli altri : Demski 1903, pp. 339-347; Sternfeld 1 905, p. 304; SchrMer 1 93 1 ca., pp. 48 ss. ; Brezzi 1 963, p. 542; Gardner 1 97 1 ; Hetherington 1 972; Tornei 1985. 74. Cfr. Dupuy 1 655; Sommer 1 920; Gardner 1 983; Schmidt 1 986; Gardner 1 989; Coste 1 995; Pace 2003 ; Paravicini Bagliani 2004; Seiler 2007; Paravicini Bagliani 2009.

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6. L 'iconografia del papa committente Il tema prescelto impone di prestare la dovuta attenzione alle numerose te­ stimonianze visive volte a celebrare quei pontefici che nell'ambito di un contesto figurativo di tipo paradisiaco sono rappresentati con le mani velate nell'atto di porgere alla divinità il modellino della chiesa della quale sono da considerarsi con quasi assoluta certezza i committenti. Parallelamente va rivolto lo sguardo a quelle figure di pontefici che accostano al petto un libro chiuso, rilegato assai riccamente, inteso come «oggetto di particolare rispetto e venerazione» assunto a simbolo di «pratiche liturgiche di cui ci restano solo frammentari ricordi». Ciò secondo l'interpretazione di Petrucci,75 da cui però non andrebbe disgiunta l'idea in base alla quale il latore di quel genere di libro può porsi ad un tempo sia come ancoraggio cronologico desumibile dal suo pontificato, sia come persona bene­ merita, degna di essere ricordata per un suo ruolo attivo avuto nella storia della chiesa in cui si trova la sua immagine. In virtù di questa sua partecipazione non sempre meglio definibile, il pontefice viene considerato anch'egli meritevole di uno spazio commemorativo al pari di altri committenti. Questa duplice versione iconografica, utilizzata nei vari secoli del Medioevo a partire dagli inizi del secolo IV, come vedremo, fino al XIV e oltre, costituiva comunque un espediente di forte impatto comunicativo, una formula particolar­ mente idonea di comunicazione non verbale. Per questo molti vescovi di Roma, nell'intento di tramandare memoria di sé, ovvero delle loro benemerenze artisti­ che, in particolare nel campo dell'edilizia religiosa e in quello della produzione pittorica monumentale, fanno ricorso alla ostentazione pubblica della loro im­ magine sulle superfici absidali o sulle facciate delle chiese secondo uno schema preciso, mai lasciato al caso, con varianti maturate nel corso di alcuni secoli e dettate perlopiù dal contesto ideologico e culturale del momento. Alcune biografie del Liber Pontifica/is passano sotto silenzio le opere promosse da questo o quel pontefice, pur menzionandone il monumento (la basilica) di appartenenza, a meno che in tal caso con il termine basilica si vo­ lesse intendere anche il relativo contenuto. 76 Tuttavia, la presenza del ritratto del pontefice in molti contesti figurativi diventa elemento compensativo di in­ formazione, specie laddove la di lui immagine si accompagna a un'iscrizione dedicatoria (titulus) che ne celebra enfaticamente l'operato. Per cui il rapporto committente e fatto figurativo, apparentemente eluso nella fonte scritta, vie­ ne ricreato all'interno dei rispettivi spazi sacri attraverso un'incisiva forma di memoria inclusiva talora sia del ritratto del pontefice messo bene a vista, sia 75. I virgolettati sono di Petrucci 1977, p. 13. 76. Ad esempio, il Liber Pontifìca/is annota che Felice IV «fecit basilicam sanctorum Cosmae et Damiani», prefigurando forse nel nome generico di basilica tutte le sue parti, compreso il mosai­ co absidale (LP, l, p. 279). Allo stesso modo, mentre riferisce che Pelagio II «fecit supra corpus be­ ati Laurenti martyris basilicam a fondamento constructam», il Liber non cita il mosaico dell'arcata absidale, ritenendolo probabilmente per scontato (ibidem, p. 309). Ma si veda Geertman 2004.

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del suo nome leggibile nel relativo titulus, quindi «attraverso il sigillo di una duplice proclamazione: visiva e scritta».77 Studi approfonditi sono stati compiuti relativamente a questo argomento, pe­ raltro non esente per alcuni versi da difficoltà interpretative. 78 Tuttavia, data la sua importanza in virtù dell'alto valore documentativo delle non poche immagini disponibili con il ritratto del pontefice offerente, appare tanto utile quanto impre­ scindibile propome una rivisitazione d'insieme seguendo una griglia tematica e nello stesso tempo cronologica che ne restituisca il processo comunicativo nelle sue sottili declinazioni interne. Lo schema iniziale scelto dai pontefici per autorappresentarsi, a giudicare dalla soluzione suggerita orientativamente dall' immagine, ancorché rifatta nel Seicento, di Felice IV (526-530) presente nel mosaico absidale della chiesa dei Santi Cosma e Damiano, contempla la figura del papa - sull'estremità sinistra rispetto ali ' osservatore - che dirigendosi verso Cristo in posizione centrale gli offre il modellino della chiesa tenuto nelle mani velate, alla presenza di san Pietro, di san Paolo e dei santi titolari, in una dimensione paradisiaca e metasto­ rica. Prescindendo naturalmente dal precedente, piuttosto confuso, nel perduto mosaico absidale di Santa Bibiana con il ritratto di papa Simplicio (468-483)79 e da quello, meno incerto, già presente probabilmente sull'arco trionfale della primitiva San Pietro in Vaticano (325 o poco dopo), con l' immagine dell' impe­ ratore Costantino offerente il modellino della basilica a Cristo kosmokrator e a san Pietro,80 quell ' idea rappresentativa con Felice IV, ispirata anche ad alcune monete coniate in molte province dell' impero, tra la fine del I secolo d.C. e la seconda metà del III secolo d.C., appare piuttosto nuova nel panorama figurati­ vo paleocristiano, in quanto per la prima volta ammette il pontefice al cospetto dei santi e della divinità.81 L' iconografia dei Santi Cosma e Damiano verrà riproposta da lì a poco nell'arcata absidale di San Lorenzo fuori le mura, con il ritratto di papa Pelagio II (579-590) ben conservato sull'estremità di sinistra, e nel frattempo apparirà diffusa nell'ambito ecclesiastico ravennate, con il ritratto del vescovo Ecclesio nel mosaico del catino absidale della chiesa di San Vitale, eseguito tra il 540 e il 5 48, e nel mosaico, praticamente contemporaneo, sull'abside della cattedrale di Parenzo, con il ritratto del vescovo Eufrasio. Tornando a Roma, lo schema del committente con il modellino della chiesa appare replicato successivamente in tre o quattro composizioni musive, che 77. Andaloro 1992. 78. Si sono occupati in particolare di questo tema: Mann 1 928; Ladner 1 94 1 a, 1 970, 1984; Gandolfo 2000; Id. 2004. 79. LP, l, p. 249; Ladner 194 1 a, pp. 60-6 1; Waetzoldt 1 964, p. 30. 80. Cfr. CBCR 1 980, p. 177, ove si registra semplicemente la relativa documentazione, pe­ raltro cinquecentesca. Lo studioso (Krautheimer 1 967, p. 1 2 1 ) escludeva che l'arco trionfale fosse originariamente decorato con una composizione figurativa, proponendone semmai una datazione curol ingiu. Ma si veda la più convincente scheda di Liverani 2006b, pp. 90-9 1 . 8 1 . C fr. Pick 1 904: Grabar 1 936, pp. 1 54- 155.

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però risultano arricchite, rispetto agli esempi precedenti, di una seconda figura di pontefice - pressoché speculare rispetto al primo - che offre il libro prezioso tenuto chiuso tra le mani al posto del modellino architettonico. Come accennato poco più sopra, la presenza di questo secondo papa non può che attestare una particolare benemerenza da lui acquisita in relazione alla storia del sacro edifi­ cio che ne conserva il ritratto; vale a dire, sta a ricordare l'antefatto, più o meno remoto, di un' impresa compiuta dal suo omologo. La prima esemplificazione di questo schema si trova nella basilica di Sant'Agnese sulla via Nomentana, dove il mosaico nel catino absidale mostra, in posizione centrale, la santa titolare, alla sua destra il ritratto di un pontefice che in virtù del modellino tenuto tra le mani velate rinvia inequivocabilmente al committente della chiesa, mentre alla sua sinistra, quasi valore aggiunto, il ritratto di un secondo protagonista con libro chiuso rutilante di gemme. Pertanto, dei due pontefici quello con il modellino architettonico rappresenta papa Onorio I (625-63 8) il quale, stando al Liber Ponti.ficalis,82 costrul dalle fondamenta la chiesa e ne ornò l'abside con mosaico. L'altro, per quanto incerta ne sia l ' identificazione, dovrebbe rinviare non tanto all' immediato predecessore o successore - visto che nelle biografie rispettivamente di Bonifacio V (6 1 9-625) e Severino (640) non si nomina affat­ to la basilica in questione - bensl all' immagine di colui che un tempo avrebbe legato il suo nome alla promozione del culto della martire, alla sacralizzazione e valorizzazione del sito o a qualsiasi altra vicenda similare. Secondo questo profilo verrebbe di pensare a papa Simmaco (498-5 14), l' ultimo restauratore della vicina basilica costantiniana di tipo circiforme dedicata a sant' Agnese,83 un pontefice la cui attività costruttiva e decorativa fu davvero imponente,84 ma appare invece più appropriato, a mio avviso, fare il nome di papa Liberio (352366), la cui memoria sopravviveva ancora sul luogo, in virtù dei lavori di abbel­ limento da lui patrocinati direttamente nella tomba (sepulchrum) della martire, più che nella contigua area cimiteriale. 85 Una seconda composizione con lo stesso schema comparirà nell'oratorio di San Venanzio, addossato al Battistero lateranense, dove il costruttore, che sappiamo essere papa Giovanni IV (640-642), cui si deve anche la decorazione musiva,86 è riconoscibile al termine della sequenza di santi ai lati della Vergi­ ne orante, sull'estremità sinistra, nella figura con il modellino dell 'oratorio, mentre colui che è ritratto simmetricamente sulla parte opposta, ma con il libro sacro tra le mani velate sporte in avanti come gesto di donazione, può essere 82. LP, Il, p. 323. 83. «Hic (Simmaco) absidam beatae Agne quae in ruinam imminebat et omnen basilicam renovavit» (LP, l, p. 263). 84. LP, l, pp. 43-46, 260-263, 263-268; Geertman 2004, pp. 223-226; Janssens 2000, pp. 272273; Cecchelli 2000, pp. 1 1 6- 1 1 7. 85. Secondo la stessa fonte, papa Liberio rivesti di lastre di marmo il sacello della santa: «[ . . . ] ornavit de platomis mannoreis sepulchrum sanctae Agnae martirys» (LP, I, p. 208). Si veda anche Gianandrea 20 12. 86. LP, Il, p. 330.

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visto, anche a giudizio di Duchesne, 87 come papa Ilaro (46 1 -468) il quale sto­ ricamente aveva contribuito a conferire maggiore dignità cultuale al battistero, facendovi costruire a ridosso gli oratori di San Giovanni Battista e San Giovan­ ni Evangelista ed erigendo, lì dappresso, l'oratorio della Santa Croce, esistente ancora nel XVI secolo. Una situazione simile a quelle di Sant'Agnese e San Venanzio si ripeteva a distanza di alcuni decenni nella chiesa di Santa Martina (Santi L uca e Mar­ tina), al Foro, oggi del tutto modificata per il rifacimento di Pietro da Cortona. Qui, secondo L adner che ha analizzato le relative fonti letterarie conosciute, la figura al centro dell'abside rappresentava verosimilmente santa Martina, il pontefice sulla destra recante il modellino della chiesa raffigurava papa Dono (6 7 6 6 7 8), l'altro, molto probabilmente, Onorio I (625 -63 8), suo predecessore non troppo lontano, il quale in questo caso avrebbe iniziato, ma non ultimato, la costruzione. 88 Probabilmente una quarta composizione di questo tipo era suggerita dal per­ duto dipinto, non sappiamo se a mosaico o ad affresco, che nel XII secolo si disponeva nell'abside della basilica di San Lorenzo in L ucina, le cui vicende sto­ riche sono peraltro particolarmente complesse. Testimoniato solo da un disegno seicentesco, il dipinto, anziché mostrare la figura tradizionale di un papa offe­ rente, proponeva stranamente la presenza del tutto inconsueta di una figura fem­ minile - identificata come L ucina fondatrice del titulus - con il modellino della chiesa tra le mani velate, all'attacco sulla sinistra, a cui probabilmente faceva da pendant, sulla destra, il ritratto di papa Sisto II (257-258), di antica memoria, le cui reliquie erano conservate nella chiesa e il cui martirio si associava a quello dell'arcidiacono L orenzo, raffigurato anch'egli nel dipinto.89 È molto probabile che l'immagine femminile pervenutaci sia da considerarsi il risultato della in­ comprensione e della conseguente manipolazione - verificatasi in età postme­ dievale - di un precedente ritratto papale. Tuttavia, in mancanza di dati certi, non possiamo stabilire se il ritratto originario del presunto committente, ovvero della persona più referenziata a ricoprire tale ruolo, corrispondesse, più che ad altri, a quello dell'antipapa Anacleto II che nel 1 1 30, poco dopo la sua elezione, consacrò la chiesa in questione, oppure al ritratto di un pontefice che nell'ambito delle vicende pregresse della chiesa ebbe ad acquisire particolari benemerenze. Se si fosse trattato dell'antipapa Anacleto, la sua immagine sarebbe stata soggetta subito dopo la sua morte (1 1 3 8) a una damnatio memoriae per volontà del papa legittimo, Innocenzo II ( 1 130- 1 1 43). Quest'ultimo, una volta rientrato a Roma da dove era stato costretto ad allontanarsi per lungo tempo, avrebbe pensato bene di sostituire l'eventuale immagine del rivale o direttamente con la sua o con quella di un suo predecessore tra i più meritevoli di memoria, piuttosto che con quella -

87. Ibidem. 88. Cfr. Ladner l 94 l a, pp. 86-87. 89. Waetzoldt 1 964, pp. 43-44 e fig. 70; Romano 2006c.

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femminile del tutto arbitraria e inusuale di Lucina, frutto molto probabilmente di un'interpolazione successiva.90 Con l'VIII secolo la tematica iconografica del papa offerente si ripropone attraverso l'inserzione di due nuove soluzioni figurative di particolare fortuna, riconducibili entrambe, più che ad altri, a Giovanni VII (705-707}, un pontefice la cui biografia, diversamente dalla norma, si apre con il profilo delle iniziative da lui intraprese in campo artistico, quasi a bilanciarne «l'umana timidezza» riscontrata dal suo biografo - nell'affrontare le questioni dottrinarie; un pontefice che ci appare tra i più autorappresentati, a Roma, specie se si presta fede al passo della sua biografia, sia pure un po' enfatizzato, che dice espressamente: «Fecit vero per diversas ecclesias imagines quas, quiqunque nosse desiderat in eis eius vultum depictum repperiet>)91 [In verità ha fatto eseguire in diverse chiese ritratti tali che chiunque desideri identificarli vi troverà dipinto il volto di lui]. La prima novità introdotta si coglie nella comparsa intorno al capo del papa offerente di un nimbo quadrato, assunto a espediente visivo volto in genere a sot­ tolineare il ritratto, ovvero l'identità di una persona ancora in vita.92 Infatti, in un pannello superstite della decorazione musiva dell'oratorio mariano, già ricordato, voluto da Giovanni VII in onore della Vergine nell'antica basilica vaticana di San Pietro, il pontefice ivi rappresentato porge con entrambe le mani velate il modellino dell'oratorio a Maria Regina orante e mostra contestualmente l'attributo del nim­ bo quadrato.93 Parallelamente in Santa Maria Antiqua lo stesso Giovanni VII si fa ancora ritrarre coerentemente con nimbo quadrato, ma con libro (volumen) chiuso in mano inclinato in avanti, piuttosto che con il modellino architettonico, poiché in tal caso il suo intervento a favore della chiesa, limitato alla campagna decorativa, lo escludeva come committente-costruttore. Questo suo secondo ritratto è tuttora visibile, ancorché molto sbiadito, sulla parete di sinistra dell'arcata absidale.94 Altre testimonianze romane dello schema contrassegnato dagli attributi con­ giunti del nimbo quadrato e del modellino architettonico, limitatamente alle figure di pontefici, sono i ritratti di: Adriano I (772-795) in un affresco già nell'atrio di Santa Maria Antiqua (parete a destra entrando) di lato a Maria Regina in trono col Bambino, laddove la figura del pontefice è da interpretare non solo come semplice punto di riferimento cronologico, ma soprattutto come allusione diretta a colui 90. Cfr. Gandolfo 2004b, pp. 27-28, il quale sostiene che nell'ottica di una « ingegnosa solu­ zione» il ritratto di Anacleto sarebbe stato sostituito direttamente dalla santa fondatrice del titulus. 9 1 . LP, II, p. 385. Secondo Wilpert 1 9 1 6, II, p. 682, e Ladner 1 94 l a, p. 98, un altro ritratto di Giovanni VII poteva trovarsi nell'oratorio dei 40 martiri presso Santa Maria Antiqua (facciata, parete di fondo a destra dell' ingresso). Scrive, a proposito dei numerosi ritratti del pontefice, Berto 2000, l, p. 640: «La sua attenzione per l'arte è testimoniata anche dal particolare che fece dipingere vari affreschi in numerose chiese nei quali, come osserva un po' ironicamente il suo biografo, molto spesso era ritratta anche la sua effige». 92. Sul nimbo quadrato: Ladner 1 94 1 b (ripubblicato in Ladner 1 983, l, pp. 1 1 5- 1 66); Id. 1 984, III, pp. 3 1 0-3 1 8 ; Osbome 1 979, pp. 58-65; Gandolfo 2007. 93. Ancora LP, II, p. 385. Sulla decorazione musiva: Andaloro 1 989. 94. Si rimanda a Romanelli, Nordhagen 1 964; Nordhagen 1 968; Sansterre 1 982; Andaloro 1 987, pp. 1 09- 1 12, 25 1 -252.

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che ha svolto il ruolo di committente dei lavori di adattamento e abbellimento di quello spazio antistante la chiesa;95 quindi Leone III (795-8 1 6) in Santa Susanna; Pasquale I (8 1 7-824) nelle composizioni absidali di Santa Prassede e Santa Cecilia in Trastevere, derivate entrambe da quella dei Santi Cosma e Damiano; poi Grego­ rio IV (827-844) in San Marco a Piazza Venezia. In particolare il distrutto mosaico absidale della chiesa di Santa Susanna, del 799 circa, presentava la figura centrale di Cristo affiancata, alla sua destra, dalla Vergine, da san Pietro e dalla santa tito­ lare che introduceva Leone III in qualità di pontefice committente, mentre sulla sinistra si ponevano le immagini di san Paolo, dei santi martiri Gaio e Gabino e fatto piuttosto eccezionale - il ritratto stante di Carlo Magno, anch'esso col nimbo quadrato, con corona in testa e spada al fianco, a significare non necessariamente una compartecipazione diretta del sovrano franco all' impresa edilizia o ad una particolare azione cerimoniale, bensì, più probabilmente, a sottolinearne in termini celebrativi e magnificatori il ruolo di benemerito collaboratore e difensore della Chiesa romana. Questa immagine pubblica di Carlo, come si vedrà nel capitolo su Leone III , stava a sottolineare in altri termini lo stesso concetto espresso nella raf­ figurazione musiva all' interno del primo triclinio leoniano al Laterano, secondo il quale il sovrano, investito dall'autorità celeste (probabilmente san Pietro), veniva celebrato come il braccio destro della Chiesa.96 Nel mosaico absidale della basilica di Santa Maria in Trastevere, dove sviluppando un' idea mediata dagli esempi di Sant'Agnese, San Venanzio, Santa Martina e San Lorenzo in Lucina - non sono stati dimenticati i pontefici prede­ cessori, vale a dire Callisto I (2 1 7-222), Cornelio (25 1 -253) e Giulio I (337-352), che per sommi capi hanno tracciato la storia del sacro edificio, trova il suo spazio anche il ritratto del papa committente, Innocenzo II ( 1 1 30- 1 143) il quale, prima di pensare al mosaico, volle simbolicamente rasa al suolo la chiesa in cui era sta­ to cardinale titolare il suo rivale Anacleto, per poi ricostruirla dalle fondamenta (totam innovavit et construxit).97 In questo caso l'assenza del nimbo quadrato intorno al capo di Innocenzo Il, più che recuperare un vecchio schema iconogra­ fico, poteva essere dettata probabilmente dalla improvvisa morte del legittimo pontefice mentre i lavori erano ancora in corso d'opera.98 Quanto alla compresenza del nimbo quadrato e del libro chiuso tra le mani, oltre che caratterizzare Giovanni VII, la si ritrova pure nel ritratto di papa Zac­ caria (74 1 -752) sul pannello affrescato, sempre in Santa Maria Antiqua, nella cappella dei Santi Quirico e Giulitta, al di sotto della parete con la Crocifissione. Qui il pontefice è rappresentato quasi certamente in veste onorifica come autore­ vole riferimento cronologico, mentre gli fa pendant il primicerio Teodoto, ritratto 95. Wilpert 1916, Il, p. 7 1 3, tav. 1 95 ; Ladner 194 1 a, pp. 109- 1 10. 96. Una ripresa piuttosto fedele del mosaico del triclinio lateranense è suggerita da una pro­ blematica pittura nell'oratorio scomparso sulle pendici del Celio, consacrato forse a san Lorenzo, con le i mmag ini di papa Formoso (89 1 -896) e di un principe bulgaro, entrambe in ginocchio ai piedi di Cristo: Ladner 1 94 1 a, pp. 1 55-1 58. 97. LP. Il, p. 384. 98. C fr. G ando l fo 2004b, pp. 28-30; Croisier 2006.

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anch'egli col nimbo quadrato, ma con il modellino della cappella della quale poteva vantare la committenza. Occupa un posto a sé l'affresco con l'Ascensione nella chiesa inferiore di San Clemente (parete interna dell' ingresso). Qui il ritratto di Leone IV (84785 5), con nimbo quadrato sormontato da una piccola croce e libro sulle mani velate, riveste un valore puramente onorifico, più che di committenza, poiché sappiamo dall' iscrizione dedicatoria che la realizzazione dell'affresco era do­ vuta a un praesbyter di nome Leone che ne fu il vero committente, ma del quale manca il ritratto.99 La seconda soluzione iconografica, introdotta sempre a partire da Giovan­ ni VII, appare anch'essa particolarmente fortunata, sebbene fosse radicalmente diversa rispetto alla casistica precedente: si traduce per la prima volta, a quanto pare, nella tavola della Madonna della Clemenza in Santa Maria in Trastevere, già ricordata. Qui il pontefice nimbato, da identificarsi appunto come Giovanni VII, ispirandosi probabilmente ai cerimoniali imperiali, si fa ritrarre inginocchia­ to, in in una sorta di proskynesis ma con lo sguardo rivolto verso l'osservatore, ai piedi della Vergine, senza alcun modellino o libro tra le mani. 100 Da allora in poi, l' iconografia legata alla committenza papale, salvo qualche leggera variante o rara eccezione non esente da implicazioni concettuali particolari, si attesterà in­ tomo agli schemi promossi da Giovanni VII, vale a dire, intorno alla figura eretta del committente nimbato, con modellino architettonico o libro chiuso, e intorno alla figura del committente in proskynesis, con o senza nimbo quadrato, dinanzi alla Vergine o dinanzi a Cristo. Rinvia alla Madonna della Clemenza per il motivo della proskynesis anche la composizione che si configura nell'affollato affresco commemorativo, dei primi anni dell'VIII secolo, venuto alla luce di recente sulla facciata di Santa Sabina, dove però l' iconografia dell' ecclesiastico in ginocchio dinanzi alla Ver­ gine col Bambino - verosimilmente il probabile committente tra i due eccle­ siastici (l' arcipresbitero Teodoro o il presbitero Giorgio) menzionati dali' iscri­ zione che fa da cornice - prevede il nimbo quadrato e l'offerta del libro, tutti attributi che nello stesso affresco caratterizzano sia l'altro presbitero ritratto in piedi, sulla sinistra, forse in funzione celebrativa, sia il ritratto di papa Costan­ tino (708-7 1 5), anch' egli in piedi, sulla parte opposta, in funzione onorifica e di ancoraggio cronologico. 101 Procedendo nel tempo, sempre in tema di proskynesis, segue una nutrita serie di ritratti papali: ancora Pasquale I (8 1 7 -824), nimbato, in ginocchio ai piedi della Ver­ gine in trono col Bambino nell'abside di Santa Maria in Domnica (fig. 4); Callisto II ( 1 1 1 9- 1 1 24) insieme all'antipapa Anacleto II ( 1 1 30- 1 1 38), entrambi eccezional99. Ladner 194 1 a, pp. 1 46- 147; Id. 1 984, m, p. 34. 100. Sulla tavola di Santa Maria in Trastevere: Bertelli 196 1 a; Brandi 1964; Andaloro 1975; Russo 1980- 1 98 1 . Poi: scheda di Andaloro in Aurea Roma 2000, n. 377, pp. 662-663; e Jurkowla­ niec 2009. 1 0 1 . Gianandrea 20 10; Ead. 20 1 1 .

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mente col nimbo dei viventi, ai piedi della Madonna Regina nell'affresco absidale già nella cappella di San Nicola all'interno del Patriarchio lateranense; quindi il minuscolo ritratto, forse più commemorativo che altro, di Onorio Ill ( 1 2 1 7- 1 224), un pontefice molto attivo nel settore della committenza artistica, ormai defunto e quindi senza nimbo, prostrato ai piedi di Cristo in Maestà nell'abside di San Paolo fuori le mura. Qui - nel registro inferiore - compaiono anche i prosecutori dell'ini­ ziativa papale, ovverosia l'abate Giovanni Caetani e il sacrista Adinolfo, ambedue in ginocchio ma con le mani giunte in preghiera, quasi allusive della commendatio feudale, 102 e lo sguardo rivolto verso l'Etimasia. L a presenza di questi due personag­ gi costituisce un fatto piuttosto eccezionale, non tanto perché entrambi si pongono in uno spazio riservato tradizionalmente ai committenti o donatori del rango papale, ma piuttosto perché il loro atteggiamento genuflesso con le mani giunte e lo sguar­ do rivolto verso la divinità suggerirà subito un nuovo canone nell'iconografia della committenza papale, in sostituzione di quello giovanneo ispirato alla proskynesis. Esso si attesta nei seguenti casi: nel ritratto di Gregorio IX ( 1 227- 1 24 1 ), anch'egli di piccole dimensioni, nel mosaico di facciata dell'antica basilica di San Pietro in Vaticano, di cui oggi rimane solo la testa del pontefice; nel ritratto di Innocenzo IV (1243- 1 254) nel perduto affresco della tomba del cardinale Guglielmo Fieschi in San L orenzo fuori le mura, dove il pontefice figurava nell'atto di genuflettersi ai piedi di Cristo in trono, contrapponendosi all'immagine del cardinale suo nipote, rappresentato sulla destra in ginocchio;1 03 nei ritratti torritiani, anch'essi a scala ri­ dotta, di papa Niccolò N (1 288- 1 292) sia nel mosaico absidale di San Giovanni in L aterano, con phrygium sul capo, sia in quello ugualmente absidale di Santa Maria Maggiore, con tiara, dove pure è stata aggiunta, sulla parte opposta, l'immagine del cardinale titolare Giacomo Colonna, morto nel 1 3 1 8, che però portò a compimen­ to il mosaico nel triennio successivo alla morte del pontefice francescano; quindi, molto più tardi, tra il 1 323 e il 1 325, nel ritratto di Giovanni XXll ( 1 3 1 6- 1 334) ai piedi di Cristo in trono, nel mosaico sulla facciata di San Paolo fuori le mura, com­ missionato "a distanza", durante il soggiorno avignonese del papato. 1 04 A questo punto occorre considerare più a fondo gli esempi del Duecento, quando la rappresentazione della committenza sembra intrecciarsi apertamente con quella dell'ammaestramento. Più che riproporre un preciso canone celebrati­ vo tra quelli del panorama iconografico tradizionale - che peraltro stavano caden­ do in disuso - i nuovi esempi diventano occasione per sottolineare un concetto politico religioso: quello della provenienza da Cristo del potere temporale del papato simboleggiato dal phrygium conico, evocativo del copricapo imperiale conferito da Costantino a Silvestro con il Constitutum e naturale prefigurazione della tiara. 105 L'idea specifica della committenza commemorativa passava allora 1 02. Ladner 1 983, I, pp. 209-238. 103. Waetzoldt 1 964, p. 47, fig. 227. 1 04. Harding 1 997. l 05. Ladner 1 984, pp. 270-308; Paravicini Bagliani 1998, pp. 43-49, 7 1 -74; Scheller 2002, in part. pp. 76-77; Gandolfo 2004b, pp. 32-34.

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in subordine. Tramite l'ostentazione dei ricchi paramenti pontificati e soprattutto del phrygium e della tiara, ai singoli protagonisti interessava ribadire prelimi­ narmente l'ideologia teocratica della Chiesa, in linea con l'esempio particolare avanzato decenni prima da papa Innocenzo III ( 1 1 98- 1 2 1 6) nel mosaico absi­ dale dell'antica San Pietro in Vaticano (fig. 5).106 Qui, secondo la testimonianza del Grimaldi, la figura di Innocenzo III campeggiava in una posizione del tutto nuova e preminente, mai più ripetuta altrove, al di sotto del registro con la scena della Maiestas Domini e i santi Pietro e Paolo, e si poneva al fianco del trono dell'Etimasia con l'Agnello mistico, in parallelo alla figura della Ecclesia romana reggente il vessillo con il simbolo delle chiavi di Pietro.107 Il pontefice appariva in posizione eretta con il pallio e il phrygium, a significare la pienezza della sua dignità. Si presentava non più nelle vesti tradizionali di committente o offerente, ma fondamentalmente come massima autorità temporale, a cui - in qualità di vi­ cario di Cristo - era affidato il governo della Chiesa cristiana universale.108 Altro caso a parte, ma non molto dissimile concettualmente, è quello di Nicco­ lò III (1277- 1 280) raffigurato in pompa magna nel Sancta Sanctorum al Laterano (fig. 6): il papa, senza nimbo quadrato, ma con cappa rubea, pallio, guanti e tiara, vi appare come nell'atto di inginocchiarsi e, assistito dai santi Pietro e Paolo, di conse­ gnare il modellino della cappella a Cristo, il quale nel riquadro successivo mostra di accettare l'offerta. In questa composizione, suggerita verosimilmente dallo stesso pontefice, l'iconografia tradizionale della committenza, recuperata in via eccezio­ nale in virtù della presenza del modellino architettonico, viene rimodulata in termi­ ni di attualità nella proposta di un messaggio iconico prevalente adatto a veicolare simultaneamente il ruolo del papa come promotore di una specifica iniziativa arti­ stica, qual è la cappella papale, e soprattutto il suo ruolo di detentore della pienezza dei poteri - imperiale e sacerdotale - evocata dal manto rosso e dalla tiara. 1 09

7. La Riforma gregoriana e il tema della Ecclesia Con la fine dell'XI secolo e la prima metà del secolo successivo, nel clima di Riforma che prende il nome dal suo massimo sostenitore, Gregorio VII (10731 085), la committenza pontificia, a quanto sostengono vari studi in materia appar­ si negli ultimi cinquant'anni, sembra fare del ritorno alle tradizioni della Chiesa primitiva il suo manifesto. Hélène Toubert, che ha coniato per quel periodo storico

l 06. Sulla committenza dell'abside vaticana e ancor più sulla azione e sulla politica teocratica di Innocenzo III: Ladner 1 970, pp. 56-68; Maccarrone 1 972; Imkamp 1983; lacobini 1989a; Id. 199 1 ; Id. 1 996; Id. 1995; Paravicini Bagliani 1996; Bolton 1 995; Ead. 1999; Sayers 1 997; Malec­ zek 2000; Pace 2003, pp. 1 226-1244; Gesta di Innocenzo III 20l l ; Queijo 2012. 1 07. Grimaldi 1972, pp. 1 63-164. 108. Pace 2003. 109. Cfr. Paravicini Bagliani 1998, pp. 66-67. Poi i saggi nel volume Sancta Sanctorum 1 995.

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la definizione di Renouveau paléochrétien, 1 10 ne ha pure definito l'arte nei termini di art dirigé, nel senso che la Chiesa di quello scorcio di Medioevo l'avrebbe orientata su soluzioni, schemi, forme e temi di marca tardoantica e paleocristiana, finalizzati a esprimere in termini simbolici il ritorno alle sue origini, ovvero alla fase apostolica. Secondo questa tesi, di indubbio successo storiografico, a cui peraltro hanno aderito autorevoli studiosi, la Roma della Riforma gregoriana e altri centri della cristianità quali, ad esempio, Modena, Montecassino, Salerno e altri ancora, avrebbero attinto retrospettivamente da un passato lontano - rappre­ sentato in particolare nelle basiliche romane di San Pietro e San Paolo - schemi progettuali, modelli iconografici e motivi decorativi (colonnine, architravature, fregi, ovuli, racemi, volatili etc.) da applicare ai nuovi assetti delle loro chiese, facilitando così il richiamo all' idea della Chiesa primitiva.'" Segnali di tale orientamento sarebbero presenti a Roma, più o meno esplici­ tamente, nelle seguenti testimonianze figurative: affreschi della chiesa inferiore di San Crisogono ( 1 057- 1 058); frammenti della decorazione absidale di San Si­ sto Vecchio (terzo quarto dell'XI secolo); affreschi della chiesa inferiore di San Clemente (tra il 1 078 e il 1 084) e mosaico absidale di quella superiore (entro il 1 1 25); pitture dell'oratorio "mariano" di Santa Pudenziana (ultimo ventennio dell'XI secolo); perduti affreschi nel portico meridionale di San Lorenzo fuori le mura (ultimo quarto dell'XI secolo); dipinti di San Giovanni in Laterano (clau­ strum canonicorum ), di cui è oggetto di particolare interesse il panne llo staccato con la storia di Anania e Saffira, ora nei depositi della Pinacoteca Vaticana (inizi del XII secolo); affreschi nella navata di Santa Maria in Cosmedin ( 1 1 23 ca.); affreschi della cripta di San Nicola in Carcere ( 1 1 28 ca.), attualmente anch'essi nei depositi dei Musei Vaticani; scomparsa decorazione pittorica di San Lorenzo in Lucina ( 1 1 30); mosaico absidale di Santa Maria in Trastevere ( 1 1 30- 1 1 43) . 1 1 2 In tutte queste opere, dunque, si rifletterebbe la cultura riformistica antichizzante poco più sopra indicata. Ma è soprattutto nei casi di San Clemente (basilica su­ periore) e Santa Maria in Trastevere che, per quanto più avanti nel tempo rispetto al periodo vero e proprio della Riforma, è possibile cogliere l'eco di un comune concetto di riferimento, quello della Ecc/esia, che più di ogni altro avrebbe con­ ferito peso e sostanza al nucleo ideologico dell'orditura riformistica. Nella basilica superiore di San Clemente il titulus che si distende alla base del mosaico absidale allude con chiarezza all' idea dell' Ecc/esia quale vigna del Signore, vista come scelta dotta antichizzante nelle volute del tralcio di acanto1 1 0. Toubert 1 970 (ristampato in Ead. 200 1 a). 1 1 1 . Nell'ambito della numerosissima letteratura critica che tratta di produzione artistica ro­ mana e non solo, relazionata alla Riforma gregoriana, oltre alle citazioni bibliografiche sul tema riportate lungo la stesura del testo, basterà ricordare: Kitzinger 1972a; Id. 1 982, pp. 637-670; Tron­ zo 1 999; Quintavalle 1 984a; Id. 1 984b; Id. 2007; Id. 2008; Speciale 199 1 ; Zchomelidse 1 996; Desiderio di Montecassino 1 997; Cowdrey 1 998; Suckale 2002b; Filippini 2003 ; Ead 2007; Nilgen 2006; Orofino 2003, pp. 253-264; Ead . 2008; Riccioni 2006; Roma e la Riforma Gregoriana 2007; Glass 2008; Ead 2010. 1 1 2. Cfr. Romano 2006c, pp. 1 63- 1 82, e le schede del volume relative alla opere citate. .

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vite che rigoglioso ed elegante si dirama dal cespo posto alla base della croce. Quest'ultima va intesa come perno centrale dell' intera composizione da cui, tra­ mite il sacrificio di Cristo, trae nutrimento la Chiesa. Il significato è chiaro: «Ec­ clesiam Christi viti simulabimus isti [ . . . ] quam lex arentem set crus facit e(ss) e virentem» [ Noi renderemo simile la Chiesa di Cristo a questa vite [ . . . ] che la legge (quella mosaica) rende arida ma che la croce fa verdeggiare ] . Vale a dire, riconosciuta l' insufficienza della /ex mosaica e affermata la maggiore dignità del­ la legge neotestamentaria condensata nel sacrificio della croce, il benessere della vigna-Chiesa di Cristo può tornare a fiorire. 113 Nel mosaico trasteverino, legato al pontificato di Innocenzo II ( 1 1 30- 1 1 43), raffigurato come committente della chiesa da lui ricostruita dalle fondamenta, il gruppo centrale riconduce all' idea dell' Ecc/esia, simboleggiata più esplicitamen­ te dalla Vergine, quale sposa di Cristo, seduta affianco a lui sullo stesso trono. Ciò secondo una tessitura teologico culturale mediata dal Cantico dei Cantici, come recitano i cartigli retti dai due protagonisti, e trasmessa più diffusamente nei rilie­ vi esterni delle grandi cattedrali europee, specie in Francia, dove Innocenzo II fu a lungo in esilio. 114 Come fa notare Belting, in un'epoca in cui la Chiesa si sentiva minacciata dal potere temporale dell' imperatore di Germania, nessuna formula migliore si era potuto trovare per esprimere la sua autonomia e il suo trionfo: su quello stesso trono, nella persona di Maria Regina, che regna in cielo e in terra si ravvisa idealmente l' immagine della Ecc/esia romana, come suggerisce pure la vicina figura dell'apostolo Pietro che compositivamente e tematicamente fa parte del gruppo centrale. 11s Sulla base di ciò che rappresentano i due esempi romani, non si può negare che l' idea de li' Ecc/esia vi trovi una sua logica e coerente trasposizione figurativa. Tuttavia, occorre anche riconoscere come gli stessi esempi, per quanto possano riflettere un'eventuale impalcatura di tipo riformistico, non necessariamente deb­ bano essere vincolati concettualmente ad essa, poiché gli elementi di fondo di cui si compongono, mentre denunciano una matrice paleocristiana, trovano applica­ zione in altri contesti religiosi medievali. Più che rivestire accattivanti valenze riformistiche, rifiutata l'equazione fra attitudini antiquariali e ideologia della Ri­ forma, i casi esaminati si pongono come episodi di una tendenza antichizzante ricorrente in tutta la storia letteraria e figurativa del Medioevo. 116 A chiarimento di tale processo concettuale torna utile rifarsi ali ' esempio, divenuto ormai emblematico, della basilica di Santa Prassede la quale, pur essendo costruita con tutti gli "ingredienti" di una chiesa «riformata», come suggerirebbero le forti analogie - ancorché su scala ridotta - con il modello vaticano di San Pietro (visti il transetto sporgente, i colonnati architravati, la 1 1 3. Riccioni 2006. 1 14. K.inney 2002. 1 1 5. Cfr. Belting 1 987. Si veda anche Nilgen198 1 . 1 16. Greisenegger 1968; Toubert 1 973 (ristampato in Ead. 200 1 , pp. 37-55); Thérel 1973 ; Ead. 1984; Skubiszewski 1 985; Gandolfo 1 988, pp. 2 1 -32; Pace 2000; Id. 2007; Hidrio 2003 .

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cripta semianulare e quant'altro) si colloca con certezza nel IX secolo e non nella seconda metà dell' XI . 117 Una problematica analoga è sorta intorno al fenomeno della cosiddetta vi­ sualizzazione della santità, ovverosia intorno alla ripresa sistematica dei cicli agiografici giudicata aspetto fondante pressoché esclusivo della pittura dell'età della Riforma, quando invece si pone anch'essa all'interno e alla base della pro­ duzione figurativa di ogni epoca cristiana. 1 18 Le istanze del movimento riformistico con gli elementi figurativi che ne fan­ no da veicolo derivano dunque da un'attitudine che non è appannaggio esclusi­ vo di un solo momento storico, giacché rispondono a un diffuso orientamento cultumle che attmversa tutto il Medioevo e che a Roma in particolare si esplica e si rinnova mediante il supporto di una tmdizione tutta sua propria, di una com­ mittenza colta - non solo ecclesiastica - e di maestranze cittadine capaci, volte a riproporne le soluzioni decorative e narmtive. 119 Per di più, nelle absidi romane del XII secolo, comprese quelle di San Clemente e Santa Maria in Trastevere, si scorge, non solo una renovatio tematica paleocristiana, ma anche «un intellettua­ lismo avanzato e di estrema raffinatezza, una tendenza alla concettualizzazione figurativa», che operando la tessitura dei programm i ne convoglia i temi verso il grande nucleo ideologico basato sull' idea dell' Ecclesia, sposa di Cristo. 120 Altro piano di discussione su cui porre al vaglio la tesi del Renouveau paléo­ chrétien è poi suggerito dalla mancanza di fonti sincrone che consentano di at­ tivare un'ideale cinture di trasmissione tra l'orditum concettuale riformistica e le aggettivazioni artistiche che si vuole ispirate ad essa, ovverosia tra premesse programmatiche e relative esemplificazioni visive. Nella letterature artistica di quel periodo è difficile cogliere un cenno al grado di consapevolezza e alla carica ideologica che committenti e maestranze avrebbero inteso porre o trasmettere nella coeva produzione artistica. Appaiono deboli e scarse le tmcce che affiora­ no in tal senso, pur risultando indicative di una mentalità di sostegno in chiave ecclesiologica. Sia gli scritti di Gregorio VII - compreso il Dictatus papae, che tuttavia prospetta ben più nitidi scenari sul versante politico religioso - sia quelli degli altri esponenti di spicco del movimento riformistico, quali Pier Damiani, Bruno vescovo di Segni (poi abate di Montecassino), Leone Ostiense, Desiderio abate di Montecassino (il futuro Vittore III) e Raniero di Bleda (eletto papa con il nome di Pasquale Il), non convergono mai esplicitamente in una sistematica teorizzazione culturale in chiave espressamente riformistica, né fanno riferimen­ to a titolo esemplificativo a una qualsivoglia realtà artistica «pilotata» (dirigé) in quella direzione. 1 21 «Nelle fonti - sottolinea Claussen - non c'è da aspettarsi 1 1 7. Pace 2002a; Id. 2007, in particolare p. 53. 1 1 8. Sul tema: Pace 1 994, pp. 54 1 -548 e 827-830 (ristampa 2000, pp. 69-85); Id. 2007, in part. nota n. 1 7, p. 54; Herklotz 1 995, in part. p. 1 1 6; Noreen 200 1 ; Pennesi Verrocchio 2007. 1 19. Romano 2000a; Ead. 200 1 , p. 28 1 ; Pace 2007. 120. Andaloro, Romano 2000, p. 1 08. 1 2 1 . Sulla vita e il pensiero dei personaggi suddetti, cfr. Leclercq 1960; Grégoire 1 965; Id. 197 1 , pp. 2 1 -53; Cowdrey 1 986; Bloch 1986; Cantarella 1 997; Navarra 1980; Fomasari 1 996, pp.

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alcun programma sulle questioni relative alla costruzione corretta di una chiesa oppure sul suo arredo liturgico, cosi come si tace della decorazione con opere d'arte». 122 Peraltro, anche gli esempi tra quelli conosciuti che nel settore della produzione monumentale di ambito romano dovrebbero esprimere più tangibil­ mente il rinnovamento riformistico tra il l 050 circa e il primo decennio del XII secolo, sono piuttosto modesti e poco determinati, mentre i resti della scultura e degli arredi appaiono anche «contraddittori».123 Nell'arco di quei decenni, il programma della Riforma avrebbe dovuto tra­ dursi coerentemente anche in un marcato miglioramento de li' assetto generale della città di Roma, ovvero in una più larga e adeguata renovatio delle forme artistico monumentali individuate per far veicolare in maniera efficace e tra­ sparente il nuovo ordinamento della Chiesa. Si scopre invece che il periodo successivo al 1 050, per essere compreso, non va rubricato come periodo di «riforma», nemmeno in senso lato, quanto piuttosto di «crisi», come lo vissero all'atto pratico i romani. 124 Tirando le somme, a parte alcuni sporadici episodi, tra cui i dipinti della chiesa inferiore di San Clemente, nulla o quasi si per­ cepisce a livello di renovatio o di "riforma", come se la Chiesa, ancorata su posizioni soddisfacenti, non considerasse necessarie nuove forme d'arte per trasmettere i suoi programmi. Del resto, nihil innovetur nisi quod traditum est: riaffi.ora ancora la formula che consente di interpretare ad un tempo il forte de­ siderio di continuità e lo spirito scarsamente innovativo di tutta l'arte romana del Medioevo, compresa quella della Riforma gregoriana. 125 Semmai a Roma il salto di qualità si avverte nel XII secolo inoltrato, dopo i decenni della Riforma vera e propria, con gli esempi musivi più sopra esaminati di San Clemente e Santa Maria in Trastevere che, uniti ad altri manufatti ed esiti artistici segnalati da Krautheimer, danno vita al fenomeno della cosiddetta «seconda rinascita» della città, la quale muoverebbe però da presupposti diversi rispetto a quelli riformistici, verosimilmente sulla spinta delle novità che erano state introdotte nel cenobio cassinese all'epoca dell'abate Desiderio. 126 Un'ulteriore considerazione, da porre a confronto con la tesi della Tou­ bert, riguarda il problema relativo alla configurazione politica e ideologica che poté aver assunto Roma proprio nei decenni l 080 ca.- 1 1 00, quando deteneva il controllo dei luoghi chiave della città - a parte Trastevere - l'antipapa impe­ riale Guiberto di Ravenna, già ricordato, ali' insegna del quale si registrano non vaghi progetti edilizi ravvisabili nella localizzazione dei titoli e delle chiese 593-594. Si aggiunga poi il saggio di Kessler 2007. Ancora sul pensiero rifonnistico di Gregorio VII, oltre naturalmente al Dictatus papae (ed. E. Caspar, in MGH, Epistulae Selectae, Berlin 1920, pp. 20 1 -208), rimangono molto utili gli studi di: Morghen 1974; Miccoli 1999; Cowdrey 2000; Capitani 2000; Cantarella 2005. 122. Claussen 2008b, p. 204. 123. Ibidem, p. 203 . 124. Wickbam 20 1 3 . 125. Pace 1 994. 126. Krautheimer 1 98 1 a, cap. VII, pp. 205-253.

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diaconali in mano ai cardinali dello stesso partito filoimperiale. 127 La questione, tanto «provocatoria» quanto paradossale che ne deriverebbe, pur movendosi su basi incerte, finirebbe per ammettere l'esistenza di un'arte romana guibertina antiriformista. In particolare si prospetterebbe l ' interrogativo - senza trovare però risposta - se anche gli affreschi della basilica inferiore di San Clemente con le storie di san Clemente e sant'Alessio possano essere considerati non come manifesto esemplare degli orientamenti ideologici del partito riformato, come è opinione prevalente nella loro storia critica, bensi prodotto del partito opposto. t28 Ma nel dibattito circa l' ipotesi di un'arte guibertina prevale la do­ verosa riserva e la giusta perplessità quando si riconosce che i dipinti di San Clemente dal punto di vista culturale, ideologico e stilistico, più che chiamare in causa aspetti filoimperiali, sono impensabili senza il pontificato di Leone IX ( 1 049- 1 054) e senza quello di Niccolò II ( 1 059- 1 06 1 ), ovvero senza un antefat­ to o background filopapale e cassinese. 129 Andando poi oltre, suscita attenzio­ ne anche la proposta di chi, indipendentemente da rigide categorie antitetiche, suggerisce di leggere gli affreschi in questione come espressione delle idee dei loro committenti laici, i coniugi Beno di Rapiza e Maria Macellaria, per nulla in sintonia né con il partito papale riformatore, né con il partito imperiale anti­ riformatore. 130 Stando cosi le cose non si può non riconoscere alle notazioni critiche fin qui avanzate una oggettiva potenzialità a mettere in dubbio la tesi sull'arte riformata. Tuttavia, ciò non toglie che alla tesi medesima vada assegnato il merito di aver raggiunto un'intensa fortuna storiografica a ragione della sua impostazione di fondo tanto accattivante quanto problematica. 131 A questo punto, prima di chiudere il paragrafo, appare opportuno ritornare sul concetto basilare di Ecclesia e sulla sua costante riproposizione nel tempo, onde mettere in evidenza come il papato attraverso la propria immagine si sia mostrato nel ruolo di reggitore della Chiesa per incarico divino. Lo spazio più idoneo destinato a tal fine veniva individuato nell'abside della basilica vaticana di San Pietro. Qui, come si è visto, l' immagine di Innocenzo III ( 1 1 98- 1 2 1 6), occupava una posizione nuova e di grande impatto visivo, affianco al trono con l'Agnello mistico, in parallelo alla figura femminile della Ecclesia. Quest'ul­ tima figura, che non è la Vergine ma ha il connotato aggiunto di Ecc/esia, rap­ presenta direttamente la personificazione della Chiesa vistosamente incoronata come imperatrix stante, con il vessillo segnato con le chiavi di Pietro. È figura Hnls 1 977, pp. 255-272; Claussen 2007, p. 63 ; Id. 2006. Su Guiberto: Ziese 1 982. Pace 2007. Romano 2006c, pp. 26-3 1 e 1 29- 1 50, in part. p. 26. Si veda anche Toubert 2001 (ristam­ pato in Toubert 200 l a). 1 30. Miller 20 1 4, pp. 95- 1 02. 1 3 1 . Nella prospettiva di una rigorosa metodologia critica ancorata a un sistema di contestua­ lità, oltre agli studi già menzionati di F. Gandolfo sulle cattedre papali, appare utile anche il saggio sulla tavola vaticana del Giudizio universale, proveniente da Santa Maria in Campo Marzio, di Suckale 2002b. 1 27. 128. 1 29.

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della Chiesa cristiana universale, il cui governo è affidato alla massima autorità terrena nella persona del vicarius Christi. Nel contempo al papa era dato di por­ si significativamente accanto al seggio (cathedra) di Pietro nella summa sedes la basilica vaticana - riconosciuta allora, sulla spinta del stesso Innocenzo III, la mater cunctarum ecc/esiarum, come recitava l ' iscrizione del registro infe­ riore della composizione, in contrapposizione alla primazialità reclamata dalla basilica lateranense. 132 Successivamente, con Niccolò IV, tra 1 290 e il 1 299 circa, il papato ritorna a sviluppare il tema ecclesiologico, a impostazione mariana, nel mosaico absidale di Santa Maria Maggiore, affidandone l'esecuzione a Jacopo Torriti. Come a San Clemente, anche qui, al di là del rinvio tematico al versetto del salmo biblico 20,4 (Posuisti in capite eius coronam de lapide pretioso), costituisce elemento unificante della composizione il grande campo di racemi, aperto al centro da un medaglione circolare sorretto da cori angelici, al cui interno la Vergine, quale simbolo della Ecc/esia, viene incoronata da Cristo suo sposo. 133 Infine, a completamento di questo rapido excursus sul tema della Ecc/esia, non si può non ricordare il mosaico della Navicella sito nell'atrio dell'antica basilica vaticana, eseguito da Giotto per incarico del cardinale Jacopo Stefa­ neschi ( 1 270 ca.- 1 343). Durante la cosiddetta cattività avignonese, quando le committenze papali a Roma scarseggiavano, il cardinale, romano di origine, avverti l'esigenza di un'opera che evocasse la realtà in cui la Chiesa romana si veniva a trovare in quel particolare frangente storico. Descritto dal Grimaldi, 134 il mosaico rappresentava l'episodio in cui "Cristo prese per mano il beato Pietro apostolo che camminava sulle acque per impedire che annegasse": un soggetto appropriato alle circostanze, libero da velature concettuali troppo elaborate, un tema nuovo, a se stante, calato nell'attualità, che invitava a riflettere in maniera più diretta ed esplicita sulle sorti della Chiesa simboleggiata, questa volta, dalla nave sbattuta dai flutti del mare. 13s

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8. Dopo Avignone verso una nuova Roma papale

Un nuovo quadro politico si configura a Roma con i primi decenni del Due­ cento: alla propaganda della Chiesa tesa al rafforzamento dell'universalità e centra­ lità della potenza papale, a cui contribuiscono non poco i contenuti trasmessi dalle

132. Cfr. Ladner 1 970, p. 67. Per il quadro dei conflitti e delle rivalità interne al clero romano, utile a chiarire alcune dinamiche della committenza ecclesiale, in cui finiscono per contrapporsi anche la basilica di Santa Maria Maggiore e quella di Santa Maria in Trastevere, cfr.: Tronzo 1 989; Pace 2002b. 133. Cfr. per quel soggetto iconografico: Verdier 1 980; Cllmmerer 1 996. 1 34. Grimaldi 1 972, p. 1 84: «Christus beatum Petrum apostolum in ftuctibus

dextem ne mergeretur erexit». 1 3 5 . Sul mosaico: Tornei 1 989; Schwarz 1 995; Leuker 200 1 ; Andaloro 2009.

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arti, 136 si contrappone il particolarismo locale determinato dalla formazione delle grandi famiglie cittadine (Anguillara, Annibaldi, Colonna, Conti, Frangipane, Ca­ etani, Orsini, Savelli e altre). Questa duplice situazione prevede in quegli anni , sul piano della promozione artistica, una serie differenziata di interventi perlopiù non sistematici estesi anche al tessuto urbano: da una parte, sul versante pontificio, si segnalano la sistemazione presso la basilica vaticana di un'adeguata residenza pa­ pale alternativa a quella del Laterano137 e il parziale rinnovamento di alcune chiese e basiliche di pellegrinaggio, con nuovi servizi ad esse correlati, tra cui gli ospedali di Santo Spirito in Sassia, presso San Pietro, e San Tommaso in Formis sul Celio, non lontano dal complesso lateranense; dall'altra, sul versante laico, si registra la com­ parsa di numerose case-torri, ovvero di residenze e complessi fortificati e autonomi, da considerarsi espressione del peso politico delle emergenti famiglie nobiliari. Tra questo tipo di architettura si distingue la Torre dei Conti, caposaldo strategico della famiglia di appartenenza di papa lnnocenzo 111.138 Successivamente, intorno alla metà del Duecento riaffiora il modello co­ munale che in città aveva fatto la sua timida comparsa nel secolo precedente. Nell'arco di sei anni in cui fu senatore Brancaleone degli Andalò ( 1 252- 1 25 8), la rinascita dell'orgoglio civico si era tradotto emblematicamente nella costru­ zione del nuovo palazzo senatorio sul Campidoglio. Ma ben presto, nonostante il sostegno di alcune fazioni interne, il modello comunale finiva per essere as­ soggettato completamente al papato e alla sua politica nepotistica e non trovava più la forza giusta di imporsi, né tantomeno di regolamentare l'espansione della città e la sua debole vita socio economica. 139 Con la seconda metà dello stesso secolo si consolida l'entusiasmo che i pontefici da Niccolò III a Bonifacio VIII non nascosero nell'abbellire la città. Affiancati spesso da potenti cardinali anche costoro nella veste di committenti - quei pontefici, pur perseguendo una politica familiare nepotistica, ebbero l'ambizione di mantenere a Roma il ruolo di caput mundi, che però non avrebbero poi garantito a causa dell'esilio avi­ gnonese. Segni del rinnovato fervore possono essere considerati: gli affreschi che nella cosiddetta Aula gotica ai Santi Quattro Coronati fanno del complesso palatino qualcosa di più di una residenza cardinalizia per conferirgli la funzione di pertinenza del Patriarchio lateranense; 140 la ricostruzione e l'abbellimento del Sancta Sanctorum nel Patriarchio; nonché i donativi delle suppellettili sacre (vasi liturgici, reliquiari, drappi preziosi e altre opere suntuarie) riversati su numerose chiese urbane, dei quali fornisce un'idea il tesoro di Bonifacio VIII elencato nell'Inventario della Santa Sede datato 1 295.'41 Quindi, nel 1 308, con il trasferimento della sede papale, della curia e dell'amministrazione pontificia ad Avignone, venne meno il legame tra l'Urbe e 1 36. Gardner 2003 . 137. Monciatti 2005. 138. Iacobini 2003a. 1 39. Brentano 1 990. 140. Draghi 2006, p. 22. 14 1 . Gauthier 1 983.

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il papato che durava ormai da un millennio. «Roma - scrive Krautheimer - ces­ sò di formare un'unica entità col papato e per quasi tutto il secolo seguente non fu più caput mundi>).142 Durante tale periodo, la città di Roma e il Patrimonio pontificio subirono anche un deterioramento economico e finanziario, mentre la corte di Avignone assorbiva sempre più denaro, anche a motivo delle enormi spese che la curia doveva affrontare per il funzionamento ordinario, special­ mente della burocrazia. Fra le spese straordinarie vanno annoverate quelle per la costruzione del palazzo papale e l'acquisto della stessa città di Avignone che Clemente VI rilevò dal regno di Napoli nel 1 348. La lontananza della curia comportò a Roma la mancanza quasi totale di nuovi monumenti significativi, ma non impedi che vi si registrassero commis­ sioni di una certa importanza sollecitate a distanza dai pontefici. Tra questi: il mosaico, già ricordato, sulla facciata della basilica ostiense datato al pontificato di Giovanni XXII (tra il 1 323 e il 1 325), ma oggi totalmente rifatto; il busto marmoreo di Benedetto XII affidato ad un magister Pau/us de Senis 1 43 e collo­ cato nella controfacciata della basilica vaticana ( 1 34 1 ); il restauro del tetto del­ la stessa basilica; nonché il restauro della basilica di San Giovanni al Laterano ( 1 36 1 ) con la costruzione del baldacchino attuale commissionato a Giovanni di Stefano e destinato ad ospitare i due busti reliquiario d'argento dei santi Pietro e Paolo eseguiti dall'orafo senese Giovanni di Bartolo ( 1 368), già attivo ad Avignone. 144 Questi ed altri interventi stanno comunque a significare come, nonostante tutto, la situazione romana fosse sempre motivo di preoccupazione e attenzione costante per il papato. Dunque, pur prendendo atto della precarietà del quadro generale determi­ natosi a Roma con l'esilio avignonese, si ha quasi l' impressione che, nonostante l'assenza del papa e la conseguente emigrazione degli artisti, la riduzione del numero delle committenze romane, ancorché in buona parte inevitabile, non sia stata poi cosi accentuata. Certamente non si registrò un abbassamento del livello qualitativo: lo si deduce sia dall' impegno sostenuto dal cardinale Jacopo Stefane­ schi, che affida a Giotto il mosaico, già menzionato, della Navicella in San Pietro e il polittico che dal prelato stesso prende il nome, 145 sia da altre committenze non papali che contribuirono al decoro della città, tra cui la statua eretta in onore di Clemente VI ( 1 342- 1 3 52) nell'Ospedale di Santo Spirito in Sassia, la scalinata antistante la chiesa mariana dell' Aracoeli ( 1 348), il tabernacolo voluto dal nota­ io Francesco Felici per l' icona della Madonna nella stessa chiesa dell' Aracoeli ( 1 3 72) e il ricostruito campanile di Santa Maria Maggiore, per il quale il papa

142. Krautheimer 1 98 1 a, p. 287. 143. Da non confondersi con il più tardo magister Paulus da Gualdo Cattaneo, autore fra l'altro dei monumenti funebri realizzati a Roma per il Gran Maestro gerosolimitano Bartolomeo Carafa in Santa Maria del Priorato, del l 405, e per il cardinale Pietro Stefaneschi in Santa Maria in Trastevere, del 1 4 1 7 (cfr. Cesari 200 l). 144. Cfr. Milntz 1 88 1 ; Monferini 1 962; D'Alberto 20 13. 145. Cfr. Kemp 1 967; Gardner 1 974; Kempers, de Blaauw 1 987; Lisner 1 995.

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Gregorio XI ( 1 370- 1 378), rispondendo alle richieste dei canonici della basilica, aveva concesso ingenti somme di denaro. Quando Urbano V ( 1 362- 1 3 70) con la sua corte decise di lasciare Avigno­ ne e fece il rientro in Roma nell 'ottobre del 1 367, al suo seguito si spostarono anche alcuni artisti, tra i quali il pittore viterbese Matteo Giovannetti che tanto successo aveva riscosso in Avignone e Gaucelin de Pradelle che assunse l' in­ carico di director operum del palazzo vaticano scelto dal papa come suo allog­ gio. Il pontefice si mise a restaurare subito palazzi e chiese, opere pubbliche e istituti in rovina, dispensando oggetti liturgici provenienti dal tesoro papale avignonese. Sembravano profilarsi all'orizzonte i segni antichi di una graduale rinascita. Ma il soggiorno a Roma del pontefice si rivelò deludente e scarsa­ mente incisivo: la città era ridotta al rango di un modesto capoluogo di provin­ cia, mentre sui gradini della basilica di San Pietro cresceva l'erba e pascolavano gli armenti. Spinta anche dalle turbolenze interne e dalla nuova congiuntura politica europea, la curia si ristabili nuovamente ad Avignone, dove Urbano V mori meno di tre mesi dopo. Sarà Gregorio XI ad abbandonare la sede francese per sempre e a rientrare in Roma il 1 7 gennaio 1 377, stabilendosi ancora una volta in Vaticano, che da allora divenne la sede ufficiale del papato. Con il Quattrocento cambiarono non poche cose e le idee. Dopo le incer­ tezze politiche d'inizio secolo, i romani assistettero alla nascita di una nuova Roma papale, popolata da importanti comunità straniere, servita da confrater­ nite e ospizi, abbellita da nuove chiese nazionali, frequentata da valenti artisti di diversa provenienza. La città ridisegnava concretamente il suo volto nella proiezione universale della sua tradizione spirituale e temporale. Ciò sempre grazie all'azione fattiva e fruttuosa dei pontefici. L' atteggiamento mentale di costoro procedeva di pari passo con i tempi, attraverso una committenza più aperta, più eterogenea, meno esclusiva, destinata a imporsi prepotentemente nella storia artistica ed ecclesiastica di Roma. Nel recuperare e rivitalizzare, attraverso l'Umanesimo delle arti e delle lettere,«la quintessenza del retaggio dell' Antichità» 1 46 di cui Roma era pur sem­ pre depositaria, i pontefici aprivano la strada al Rinascimento e facevano del­ la città eterna il teatro e il riflesso delle loro nuove ambizioni, dei loro arditi progetti, delle loro nuove sfide. Al Laterano, rimasto pressoché isolato in una zona periferica della città, si preferiva ormai il Vaticano, 1 47 dove la basilica di San Pietro doveva costituire idealmente il simbolo centrale della cristianità. Sul piano della promozione artistica subentrava in termini più incisivi una diversa cultura, in cui però finiva per venir meno quella gloriosa tradizione radicata nel tempo e nella storia, costantemente costruita e perseguita dal papato a concla­ mato motivo di vanto. La tradizione con il suo prezioso bagaglio di memorie veniva rivisitata e utilizzata dai pontefici del Rinascimento per legittimare la 146. Espressione tratta da Vauchez 200 1 , p. XXX . 147. Paravicini Bagliani 2002.

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loro nuova visibilità e l'esaltazione della Chiesa all' insegna di un'arte più ricca e vistosa, sempre più celebrativa e magniloquente. La memoria storica, con­ divisa e custodita con zelo dall' istituzione pontificia nel corso di tutto il Me­ dioevo come categoria sacrosanta, ineludibile e indelebile, ora, per iniziativa dello stesso papato, cedeva il passo al desiderio di novità e magnificenza. Nella mente di più pontefici balenava persino l' idea che anche il monumento più pre­ stigioso della cristianità, ovvero la basilica vaticana, reliquiario monumentale delle spoglie di Pietro, contenitore di tante memorie artistiche e non solo sedi­ mentatesi nel tempo per l ' iniziativa di tanti illustri predecessori, dovesse essere sostituita completamente e ricostruita dalle fondamenta. La decisione non tardò ad essere messa in atto di li a poco, impietosamente.

O curatore

esprime vivo ringraziamento a quanti hanno contribuito alla realizzazione del presente volume. In particolare ringrazia Manue/a Gianandrea, Alessandra Guiglia e Carlo Costantini per il sostegno prestato e per i preziosi consigli. Ed inoltre Eleonora Chinappi per l 'impegno profuso nella cura redaziona/e.

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Fig. l . San Paolo fuori le mura, portico gregoriano, iscrizione con il nome di papa Siricio (foto dell'autore). Fig. 2. Il complesso lateranense, pianta del Contini-Severano (da CBCR 1980).

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Fig. 3. Grotte Vaticane, ritratto di Giovanni Vll (da Fragmenta Picta 1 989).

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Fig. 4. Santa Maria in Domnica., mosaico absidale (da Hubert, Porcher, Volbach 1 98 1 ). Fig. 5. Disegno del mosaico absidale di San Pietro in Vaticano (da Grimaldi 1 972).

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Fig. 6. Cappella del Sancta Sanctorum, ritratto di Niccolò ill (da Sancta Sanctorum 1 995).

Vinni Lucherini Il IV secolo: da Silvestro I (3 1 4-335) ad Anastasio I (399-40 1 )

La principale fonte testuale sugli edifici sacri costruiti durante il IV secolo dai vescovi di Roma (fig. 1 ), oltre che sugli oggetti donati per l'illuminazione e lo svolgimento della liturgia, è il Liber Ponti.ficalis, 1 che in questo secolo annovera le Vite di dodici presuli:2 Marcellino (296-304), Marcello (306-309), Eusebio (dal 1 8 aprile al 1 7 agosto 308 o 309 o 3 1 0), Milziade (3 1 1 -3 14),3 Silvestro (3 1 4-3 1 335),4 Marco ( 1 8-336),' Giulio (337-352), Liberio (352-366),6 l'antipapa Felice II (355358),7 Damaso (366-384),8 Siricio (384-399)9 e Anastasio (399-40 1 ).10 Eccezion fatta per gli antipapi, 11 e per Liberio, tutti questi vescovi furono anche santi.

l. Negli ultimi decenni le ricerche di maggior impatto metodologico sul Liber Pontificalis si devono a Herman Geertman, che nel proporre una precisa ricostruzione del sistema di redazione con il quale il testo si venne componendo, lo ha sottoposto a un'analisi tematica sistematizzando le informazioni sulle architetture, l'apparato di illuminazione degli edifici e gli arred i liturgici: Geertman 1 975a; Geertman 1 989; // "Liber Pontifica/is " 2003; Geertman 2003a; Geertman 2003c; Geertman 2003d; Geertman 2004. Altre importanti fonti - epigrafiche, letterarie, periegetiche e soprattutto archeologiche - hanno contribuito negli ultimi due secoli a completare il quadro delle committenze episcopali che emerge dal Liber Pontificalis. Per ragioni di spazio, ma anche perché gli studi sull'archeologia cristiana romana e sui diversi aspetti epistemologici connessi ai temi tra­ dizionali di questo ramo della disciplina hanno assistito a un balzo in avanti più che rimarchevole sia dal punto di vista dei contenuti che da quello del metodo (in particolare nelle ricerche condotte nell'àmbito del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana), le citazioni bibliografiche si concen­ treranno, salvo alcune eccezioni, sulle voci più aggiornate e recenti, alle quali si rinvia per tutti i riferimenti alla storiografia otto-novecentesca e al dibattito critico sui singoli argomenti. 2. La cronotassi dei papi usata in questo contributo è basata sulla sequenza del Liber Pontificalis dal 296 al 40 1 circa: LP, l, Table chronologique, pp. CCLX-CCLII. 3. Di Berardino 2000a, 2000b, 2000c, 2000d. 4. Scorza Barcellona 2000. 5. Vian 2000. 6. Simonetti 2000b; Simonetti 2000c. 7. Simonetti 2000d. 8. Carletti 2000. 9. Cavalcanti 2000a. 10. Pollastri 2000a. 1 1 . Dall'elenco del Liber Pontificalis manca il secondo antipapa, Ursino (366-367), sul quale si veda Pennacchio 2000f.

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Testo complesso e stratificato, il Li ber Ponti.fica/is registra in alcune Vite le informazioni sulle commissioni architettoniche e artistiche dei vescovi, 12 ma fu redatto a distanza di molti decenni dagli eventi rievocati - nel corso del secondo quarto del VI secolo per la sezione che qui ci interessa -, usando documenti di varia tipologia rielaborati a seconda delle necessità narrative; sua finalità prio­ ritaria non era peraltro né la storia, né la descrizione delle architetture o degli arredi voluti, pagati o patrocinati dai vescovi di Roma, elementi che rientrano nel racconto biografico soltanto se parte integrante dell'attività amministrativa e pastorale dei presuli, o come frutto di un dono a loro offerto da altri autorevoli personaggi.13 Non sorprende quindi che le prime quattro Vite di IV secolo non comprendano alcun riferimento ad architetture, fondazioni o donazioni, tranne la Vita di Marcello, nella quale si dice che «fecit cymiterium Novellre, 14 via Sa­ laria, et XXV titulos in urbe Roma constituit, quasi diocesis, propter baptismum et preniteniam multorum qui convertebantur ex paganis et propter sepulturas martyrum». 1 5

l . La Vita Silvestri nel L iber Pontificalis romano Il papa Silvestro è celeberrimo nella storia dell'arte medievale per la quantità di rappresentazioni figurative che gli furono dedicate, per la maggior parte basate sugli enfatici Actus Silvestri, uno scritto agiografico dall'articolata vicenda co­ dicologica, già diffuso tra fine V secolo e inizio VI, 1 6 nel quale Silvestro diventa «un rappresentante della tradizione apostolica, un campione della fede cristiana nei confronti dei giudei per la vittoria nella disputa che sostiene da solo con loro, e dei pagani per la sconfitta del drago, e in cui sempre associato a Costantino si presenta come il fondatore della nuova Roma cristiana».17 Negli Actus si narra che l'imperatore, dopo esser stato battezzato da Silvestro in una piscina del Palaz­ zo L ateranense e dopo aver emanato una significativa serie di editti a favore della Chiesa e del vescovo di Roma, si recò sulla tomba di Pietro per confessare i pro­ pri peccati: qui tracciò le linee delle fondamenta della nuova chiesa che intendeva costruire, e il giorno seguente diede l'avvio all'edificazione della Basilica L atera­ nense. L ungi dal corrispondere al dettato degli Actus, la figura storica di Silvestro è però difficilmente percepibile, a ragione della mancanza di informazioni sicure sul suo pontificato, e la Vita contenuta nel Liber Ponti.ficalis presenta una diversa 12. LP, l, pp. CXLI-cuvn; Pietri 1 976, p. 79; Geertman 2003d. 1 3 . Bauer 2004, pp. 27-37. 14. Per le ipotesi di localizzazione: LTUR 2006, p. 1 2 1 . 1 5 . LP, l, pp. 1 64- 1 65, e nota 4 . Sulla riorganizzazione ecclesiastica promossa dal papa at­ traverso l'istituzione di venticinque parrocchie destinate anche alla catechesi dei catecumeni e dei lapsi: Geertman 1 975a, pp. 1 43- 1 53; Guidobaldi 2000; Guidobaldi 2003; Bonfìglio 20 10. Sul sito del "titulus Marcelli": CBCR 1 962, pp. 207-2 1 7. 1 6. Canella 2006. 1 7. Scorza Barcellona 2000, p. 325.

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sequenza dei fatti relativi alle architetture cristiane monumentali fondate durante il suo governo.18 La prima informazione su un sito di culto fornita dal Liber Ponti.fica/is in relazione a questo vescovo rinvia ali' istituzione di una chiesa titolare19 («Hic fecit in urbe Roma ecclesiam in prredium cuiusdam presbiteri sui, qui cognominabatur Equitius, quem titulum Romanum constituit, iuxta termas Domitianas, qui usque in hodiernum diem appellatur titulus Equitii, ubi et hrec dona constituit: patenam argenteam, ex dono Augusti Constantini» },20 alla quale furono donati dali' impera­ tore sia oggetti di uso liturgico, sia beni immobili situati dentro e fuori la città. Ma è in effetti all'imperatore Costantino e non a Silvestro che il redattore della Vita attribuisce la fondazione dei più importanti edifici sacri costruiti durante il gover­ no di questo vescovo, siti destinati a segnare non solo la storia di Roma e della sua Chiesa, ma l' intera storia dell'architettura medievale e moderna. Basandosi su fonti di IV secolo relative a Costantino e ai suoi familiari,21 il redattore della Vita Silvestri inserisce infatti in una stesura più antica del testo, tra il racconto delle ordinazioni e quello sulla sepoltura del papa nel cimitero di Priscilla,22 un lungo elenco di architetture (sette basiliche e due battisteri a Roma, altre basiliche fuori dalla città) e donazioni di committenza imperiale, traendolo verosimilmente 18. LP, l, pp. CIX-CXX, pp. 170- 1 87. 19. Sulla relazione tra il culto dei santi e la denominazione delle chiese titolari romane: Don­ figlio 20 1 0. Sulla terminologia relativa ai luoghi di culto: De Santis 200 1 . 20. LP, l , CLII-CLIII, pp. 1 70- 1 7 1 , 1 87; LTUR 1999 (IV), pp. 325-328; Scorza Barcellona 2000, p. 33 1 . Si tratta del sito sul quale poi sorse San Martino ai Monti, per volontà del papa Simmaco (498-5 14), accanto alle terme di Traiano: CBCR 1967, pp. 87- 124; Accorsi 2002. Si riferisce a que­ sto stesso titulus anche la notizia aggiunta alla fine della Vita Silvestri, laddove si dice che il papa «constituit in urbe Roma titulum suum in regione m iuxta thermas Domitianas, qui cognominantur Traianas, titulum Silvestri, ubi donavit Costantinus Augustus», al quale l'imperatore donò materiali liturgici e possedimenti terrieri; la doppia denominazione rinvia probabilmente al fatto che il podere su cui sorse apparteneva al presbitero Equizio: Guidobaldi 2003, pp. 6-7. Quanto alla sua struttura, «non è affatto chiaro di cosa si trattasse in questi casi, ma almeno una ecclesia doveva esserci e quindi poteva essere in qualche modo percepibile nel tessuto urbano» : Guidobaldi 200 l c, p. 4 1 . 2 1 . LP, l, cun: «notre compilateur a e u sous les yeux un document où étaient cataloguées les libéralités de Constantin à l'égard de l'église romaine et de plusieurs autres églises d'Italie. Ce document avait été rédigé d'après des pièces authentiques et probablement d'après les actes de fondation. [ . . . ] ce /ibel/us a pu contenir aussi celles de la notice de Mare, où l'on fait encore inter­ venir Constantin comme donateur et le pape comme solliciteur». Nella Vita fu quindi incluso «un documento d'archivio che conteneva l'inventario di tutte le iniziative edilizie e di arredo di chiese prese a Roma dall'imperatore Costantino e dai suoi figli. La prospettiva cronologica del documento fu un po' accorciata dai redattori in quanto essi attribuirono all'imperatore anche la costruzione del­ la basilica cimiteriale con annesso mausoleo di Costanza sulla via Nomentana. Questo complesso, opera di uno o più figli di Costantino, fu invece edificato verso la metà del IV secolo. Allo stesso modo venne presumibilmente anticipato l'arredamento della cappella palatina del Sessorium quale reliquiario della croce di Cristo. Anche in senso inverso la prospettiva cronologica fu accorciata in quanto le prime trattative per la costruzione della chiesa episcopale del Laterano devono aver avuto luogo già alla fine del 3 12 o all'inizio del 3 1 3, cioè sotto il vescovo Milziade, predecessore di Silvestro» : Geertman 2003a, p. 29. 22. Attestata anche nella Depositio episcoporum: CT 1 942, p. 13 e nota l .

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da un documento d'archivio contenente un vero e proprio inventario, del quale mantiene la struttura catalogativa,23 formalizzando da un punto di vista materiale il legame tra Costantino e Silvestro già sancito esemplarmente, proprio all'inizio della Vita, dal resoconto della guarigione dell'imperatore e del suo battesimo («Hic exilio fuit in monte Seracten et postmodum rediens cum gloria baptizavit Constantinum Augustum, quem curavit Dominus a lepra» ). Alla formula «Huius temporibus fecit Constantinus Augustus basilicas istas quas et ornavit» segue il riferimento alla «Basilica Constantiniana»,24 vale a dire la Basilica Lateranense, che a partire dalla metà del VI secolo sarà menzionata nel Liber Ponti.fica/is come Basilica Salvatoris,25 accompagnata dalla lista di altari,26 ornamenti e oggetti liturgici che la arricchivano,27 e dalla lista di beni fondiari che lo stesso imperatore aveva associato alla nuova costruzione (fig. 2).28 All'espressione «ubi posuit ista dona» si accompagna innanzitutto il gran­ dioso «fastidium argenteum battutilem, qui habet in fronte Salvatorem sedentem in sella et XII apostolos cum coronas argento purissimo; item a tergo, respiciens in absidam, Salvatorem sedentem in throno ex argento purissimo, et angelos 1111 ex argento, cum gemmis alabandinis in oculos, tenentes astas; fastidium ipsum ex argento dolaticio», con una «camaram29 ex auro purissimo et farum ex auro purissimo qui pendit sub fastidium cum delfinos L ex auro purissimo, cum catenas», e quattro corone d'oro, una «cameram basilicre ex auro trimita in longum et in latum»,30 altari, patene d'oro e d'argento, scifi d'oro e d'argento tra i quali uno «singularem ex metallo coralli ornatum ex undique gemmis pralini et yaquintis, auto interclusum», e ancora amre d'oro e d'argento, e calici minori d'oro purissimo e ministeriali.3 1

23. «L'ordine in cui nella biografia di Silvestro vengono presentate le istituzioni costantiniane non è cronologico ma storico-devozionale e tende a combinare tre linee: la cura per la chiesa del vescovo, il battesimo e la sepoltura della famiglia imperiale, la venerazione per Pietro, Paolo, per il legno della croce e per Lorenzo» : Geertman 2002, p. 1 225. 24. Jastrzçbowska 1 993; LTUR 1 999 (N), pp. 230-233; Iwaszkiewicz-Wronikowska 2002; Liverani 2005; Lusuardi Siena 2012. 25. Geertman 1 975a, p. 1 32; CBCR 1980, pp. 1-96; de Blaauw 1994b, I, pp. 1 09 ss.; Branden­ burg 2004, pp. 20-37. Sui castra equitum singularium, sui quali, una volta rasi al suolo, fu eretta la Basilica Lateranense: LTUR 1 993, pp. 246-248. 26. In generale, sulle relazioni tra liturgia e spazi nella prima architettura cristiana: de Blaauw 1994b; Bauer 1999b; Liccardo 2005. 27. Sugli arre di: Guiglia Guidobaldi 2000. 28. La costruzione della Basilica Lateranense potrebbe essere stata progettata già alla fine del 3 1 2 o all'inizio del 3 1 3, al tempo del vescovo Milziade: Il Liber Pontificalis 2003, p. 1 33. 29. Sul concetto di camera: Guarducci 198 1 . Sulle decorazioni murali dei primi luoghi di culto: Bisconti 2002; Nordhagen 2002; Mazze i 2002. 30. Questa parte della Vita Silvestri è l'unica fonte che attesta la forma e le parti costitutive delfastigium. Per il dibattito critico novecentesco e le diverse ipotesi di datazione e di ricostruzione di questa struttura: Engemann 1993; de Blaauw 1 994b, pp. 1 19- 1 26; de Blaauw 200lc; Geertman 2003b. 3 1 . Su queste tipologie di oggetti e la loro denominazione: LP, I, pp. CXLIV-CXLV.

Il IV secolo: da Silvestro I (3 14-335) ad Anastasio I (399-40 1)

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Tenninata l'elencazione degli oggetti pertinenti all'altare maggiore della Ba­ silica Costantiniana e al suo ciborio, il redattore della Vita ricorda come «orna­ mentum in basilica» un «farum cantharum ex auro purissimo, ante altare, in quo ardet oleus nardinus pisticus, cum delfinos LXXX>>; un «farum cantharum cum delfinos, ubi ardet oleus nardinus pisticus»; altri fara in gran numero destinati «in gremio basilica:», «parte dextera basilica:» e « in leva basilica:» ; altrettanto nume­ rosi «cantara cirostata in gremio basilica: argentea»; metretas in argento purissimo «portantes medemnos» ; «candelabra auricalca numero VII ante altaria cum ornatu ex argento interclusum sigillis prophetarum», e infine i possedimenti terrieri desti­ nati a provvedere all ' illuminazione.32 Ultimo dei doni imperiali è il sacro fonte in cui fu battezzato Costantino,33 in porfido rivestito all' interno e all'esterno di argento purissimo («in medio fontis columna porfyretica qui portat fiala aurea ubi candela est, ubi ardet in diebus Pascha: balsamum nixum vero ex stippa amianti; in labio fontis baptisterii agnum aurem fundentem aquam; ad dexteram agni, Salvatorem ex argento purissimo, in leva agni beatum Iohannem Baptistam ex argento tenentem titulum scriptum qui hoc habet: "Ecce agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi"»), del quale facevano parte anche sette cervi d'argento dai quali scendeva l' acqua, e al quale furono donate importanti proprietà terriere.34 La seconda voce dell'elenco di basiliche imperiali cosi recita, invertendo l ' ordine di fondazione tramandato dagli Actus Silvestri: «Eodem tempore Au­ gustus Constantinus fecit [ex rogatu Silvestri episcopi] basilicam Beato Petro Apostolo in templum Apollinis, cuius loculum cum corpus sancti Petri ita recon­ dit» (fig. 3).35 Dopo aver descritto la tomba nella quale fu posto il corpo di Pietro (circondata di bronzo da ogni lato e sonnontata da colonne porfiretiche e da altre colonne portate dalla Grecia},36 il redattore compila la lista degli oggetti, delle decorazioni e dei possedimenti che l ' imperatore - e nel caso della croce aurea,37 anche sua madre Elena - avevano donato alla chiesa dedicata al santo martire che era stato il primo vescovo di Roma: prima tra tutti, una «camera basilica: ex trimma auri fulgentem et super corpus beati Petri, supra a:ra quod conclusit fecit crucem ex auro purissimo, ubi scriptum est hoc : "Constantinus Augustus et Helena Augusta hanc domum regalem simili fulgore coruscans aula circumdat", scriptum ex litteris nigellis in cruce ipsa»; quattro candelabri «aurocalca, argento conclusa cum sigillis argenteis actus Apostolorum»; calici d' oro «cum gemmis pralini et yacintis»; «metretas argenteas» ; amre d'oro e d 'argento; una patena d' oro «cum turrem, ex auro purissimo cum columbam, omatam gemmis pralini

32. Pavolini 2003. 33. Sulla liturgia del battesimo a Roma e i luoghi predisposti: Cosentino 2002; per una rico­ struzione della fase costantiniana del Battistero lateranense: Brandt 2002; per la discussione critica degli studi su questo monumento: Brandt, Guidobaldi 2008. 34. Su queste voci e sulle fonti alle quali il redattore della Vita attinse: LP, l, pp. CXLVDI-CLI. 35. CBCR 1 980, pp. 1 7 1 -285; de Blaauw 1994b, II, pp. 45 1 ss.; Brandenburg 2004, pp. 921 03; Il Liber Pontificalis e la storia materiale 2003, p. 295; LTUR 2006, pp. 1 85- 1 95. 36. Liverani 1 999a, pp. 40-4 1 ; Brandenburg 201 1 , pp. 2 1 7-229; Liverani 20 12c. 37. Sul valore della croce come simbolo anche imperiale: Heid 2002.

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et yachintis qui sunt numero margaritis CCXV»; altre patene auree, una corona d'oro «ante corpus, qui est farus cantharus, cum delfinos», «fara argentea in gre­ mio basilicre» e «fara argenteam ad dexteram basilicre» ; l' altare già nominato «ex argento auroclusum cum gemmis pralini et yaquintis et albis ornatum ex undique, numero gemmarum CCCC», e un «tymiamaterium ex auro purissimo cum gemmis ex undique ornatum numero LX)), ai quali segue una lunga lista di possedimenti d ' oltremare. La terza voce, molto più breve, è relativa alla basilica di San Paolo Apostolo,38 fondata dall'imperatore su consiglio del papa sul luogo della sepoltura di Paolo,39 alla quale furono donati vasi d' oro, d' argento e di bronzo, una croce d' oro da porsi sulla tomba e alcuni possedimenti (fig. 4).40 La quarta voce annovera la fondazione da parte di Costantino di una basilica in Palatio Sessoriano, >, 1 8 da identificarsi con il complesso ca­ tacombale di Priscilla e, forse, con la cosiddetta basilica subdiale di San Silvestro, dove egli scelse di farsi seppellire tra illustri pontefici e religiosi, quali Silvestro stesso, Liberio (probabilmente), Siricio e Marcello, segno non solo di un legame

12. Cfr. nota 1 0. 13. LP, I, p. 207; Geertman 2004, p. 1 92. 14. De Rossi 1 883, pp. 4 1 -46; de Rossi 1 885, pp. 1 49- 1 84; Spem 1 997, pp. 207-2 1 1 ; Cerrito 1 998, pp. 1 55- 1 83. 15. CBCR 1 942, pp. 75-76: « [ . . . ] venies ad sanctam Felicitatem [ . . . ] ibi illa pausat in ecclesia sursum, et Bonifacius papa et martyr in altero loco, et filii eius sub term deorsum)) . 16. Picard 1 969, pp. 725-782; Janssens 2002, pp. 22 1 -263. 17. Pietri 1 976, pp. 607-6 1 7; Brown 1 983, passim; Fiocchi Nicolai 200 1 , pp. 63-92. 18. Hadriani Epistula 1 960, p. 80 1 .

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speciale con quel Cimitero e i martiri ivi sepolti ma anche della sua comunione spirituale con tali importanti predecessori . 19 A Celestino, infatti, così prodigo e impegnato nell'affermazione del primato del vescovo di Roma e della sua autorità20 non poteva oramai sfuggire il ruolo storico-ideologico di papa Silvestro e, più in particolare, l' importanza del Cimitero di Priscilla come luogo privilegiato di sepoltura di molti pontefici e prelati di spicco nei primi secoli della cristianità.21 Riguardo alle pitture commissionate, gli studiosi ritengono che potesse trattarsi delle storie dei santi Felice e Filippo - le cui reliquie, stando anche alle indicazioni della Notitia, riposavano nella medesima chiesa22 sulla base di un' iscrizione, nota attraverso copie, inneggiante a Cristo e ai due mar­ tiri che, credendo in lui, sarebbero entrati nel regno dei cieli.23 In realtà l'epigrafe potrebbe collegarsi, in base al suo contenuto, anche a un precedente intervento di papa Damaso e nessun elemento certo la mette in relazione con le pitture di Cele­ stino, tanto che non possiamo ad oggi determinarne né la collocazione precisa, né il soggetto. Come per lnnocenzo, le fonti note non permettono di attribuire a papa Celestino alcun patrocinio diretto di un'opera d'arte; allo stesso modo ricordano, però, che egli dedicò una basilica Iulii,24 da identificarsi, secondo la storiografia più recente, con la chiesa iuxta forum Traiani/5 importante edificio che sarà so­ stituito in seguito, più o meno con la stessa ubicazione, dai Santi Apostoli.26 Che il termine «dedicavit» debba essere inteso in senso restrittivo, ovvero come una semplice consacrazione o riconsacrazione e non come un'edificazione, lo conferma non solo la poc 'anzi citata situazione dei Santi Gervasio e Protasio ma l'utilizzo generale di tale verbo nel Liber Ponti.ficalis, dove lo troviamo da solo (a indicare quindi l 'esclusiva dedicazione) o, di sovente, proprio in aggiunta o in antitesi afe-

19. LP, I, p. 230: «Qui etiam sepultus est in cymiterio Priscillae [ . . . ]». La collocazione della sepoltura di Celestino è confermata e precisata dalla Notitia Ecc/esiarum Urbis Romae: «[ . . . ) ad Sancti Silvestri ecclesiam; ibi multitudo sanctorum pausat. Primurn Silvester sanctus papa [ . . . ] et ad pedes eius sanctus Syricius papa, et in dextera parte Celestinus papa, et Marcellus episcopus», cfr. CBCR 1942, p. 77. Sulla difficile questione della chiesa di San Silvestro si veda la recente sin­ tesi di Giuliani 2008, pp. 86-90. 20. Gori 2000, pp. 406-4 1 5 . 2 1 . Picard 1 969, pp. 725-782; Janssens 2002, pp. 22 1 -263. 22. «ad Sancti Silvestri ecclesiam [ . . . ] Philippus et Felix martires et multitudo sanctorum sub altare majore», cfr. CBCR 1 942, p. 77; sulla questione delle pitture Damaso e i martiri 1 985, pp. 43-44; Janssens 2002, pp. 244-245. 23. L'ipotesi è di de Rossi 1 880, pp. 43-54, che riporta naturalmente il testo dell'iscrizione; come lui Duchesne (LP, l, p. 23 1 , nota 5), Damaso e i martiri 1 985, pp. 43-44, Janssens 2002, pp. 244-245. 24. LP, l, p. 230; Geertman 2004, p. 205. 25. Duchesne (LP, I, p. 23 1 , nota 3) vi riconosceva la chiesa di Santa Maria in Trastevere; per primo Cecchelli 1 933, p. 25 preferiva identificarla con la chiesa fondata da papa Giulio presso la zona dei Fori. Così anche Verrando 1 985, pp. 102 1 - 1 06 e Geertman 1987, pp. 63-9 1 , che fissa punti importanti sulla questione. 26. Su questo aspetto ibidem; Brandenburg 2004, pp. 1 1 8- 1 1 9. Diversamente Guidobaldi 2003, p. 9 pensa più a una sostituzione da parte del titulus Marcel/i.

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cit/construxit.21 Celestino dona personalmente una ricca suppellettile in argento alla basilica Iulii (che ne era stata forse privata durante il sacco dei Goti), compiendo, quindi, le medesime operazioni svolte da Innocenzo per il titulus Vestinae, ossia la dedicazione dell'edificio e il dono di preziose suppellettili, che sembrano pertanto delinearsi come prerogative esclusive del pontefice. L'attenzione rivolta da Cele­ stino alla riqualificazione della chiesa fondata da papa Giulio nella zona dei Fori palesa la notevole rilevanza dell'edificio, che risulta pure dalla lunga lista di costosi doni ad esso offerti, in particolare dalla donazione di ventiquattro canthara cereo­ stata, identica nel numero a quella fatta dal medesimo papa alle basiliche vaticana e ostiense, nonché alla successiva elargizione di Sisto III per Santa Maria Maggiore.28 In posizione eminente, vicina ai principali monumenti della Roma antica, ancora intensamente frequentati all'epoca, la basilica Iulii rientrava, con il vicino titulus Marci, in un programma edilizio ecclesiastico che rispondeva non solo alla cura delle anime ma anche e soprattutto all'esigenza di rappresentanza della Chiesa, visto anche che il nostro edificio non viene mai definito titulus, un luogo quindi destinato alla cura dei fedeli, ma sempre e solo come basilica. Con la costruzione nel IV secolo dei due luoghi di culto nei pressi della via Lata la curia romana vo­ leva, senza dubbio, rimarcare la propria presenza nel centro di Roma, preludio alla cristianizzazione della città intera, e segnare punti importanti nel percorso tra il La­ terano e il Vaticano. L'interesse e la solerzia di Celestino nel dedicare nuovamente la basilica Iulii, il cui restauro doveva essere iniziato subito all' indomani dell' in­ cursione dei Goti, e nel dotarla di una ricca suppellettile scaturirono, dunque, dalla centralità di questo edificio prima nello sviluppo dell'urbanistica cristiana di Roma e poi nell'organizzazione religiosa dell'epoca, in cui la nostra chiesa, insieme alla Liberiana, doveva avere un posto di sicuro rilievo e funzionare in sostanza quale diramazione della basilica episcopale lateranense.29 Infatti la basilica Iulii è tea­ tro di elezioni papali (Ursino, Bonifacio), di sinodi (50 1 )3° e ricoprirebbe, secondo Geertman, anche un ruolo assai importante nella liturgia stazionale dell'epoca, dal momento che lo studioso vi riconosce la chiesa indicata nel Capitulare di Wiirzburg come ad apostolos, presente nel gruppo delle principali stationes con il Laterano, Santa Maria Maggiore, San Pietro, San Paolo, San Lorenzo e la Hierusalem. 31 La 27. Geertman 1 975b, pp. 1 88- 1 92. 28. Geertman 2004, p. 205, nota 1 1 8. 29. Geertman 1 987, pp. 63-9 1 . 30. lbidem, pp. 28-30. Nel caso dell'elezione d i Bonifacio nel 4 1 8 è , senza dubbio da preferire a basilica Juliae, accettata da Duchesne (LP, l, p. 227), la variante dei manoscritti B, C, D Julii o fu/i, già indicata da Geertman (2004, p. 203, nota 109). 3 1 . Il Capitulare, datato variamente dagli studiosi tra VII e VIII secolo, riporterebbe una situazione liturgica risalente al tempo di papa Ilaro (46 1 -468) o di papa Simplicio (468-483) op­ pure alla prima metà del VI secolo, cfr. Chavasse 1 952, pp. 84-9 1 e 1 982, pp. 1 7-32; Geertman 1 975a, pp. 1 94- 1 97; Saxer 1 989, pp. 9 1 7- 1 032. Nel calendario delle stationes di Quaresima e Pasqua la chiesa ad apostolos appare ben due volte, in particolare anche nella settimana dopo Pasqua insieme appunto agli edifici religiosi più importanti di Roma. Svolge un ruolo di primo piano anche nella liturgia natalizia e in quella delle Quattuor Tempora. Riguardo all' identifica­ zione della basilica lulii con quella ad apostolos del Capitulare Geertman 1 987, pp. 2 1 -3 1 . In

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tesi di Geertman, basata sulla convinzione che la Iulii sia il precedente diretto, an­ che nominale quindi, della basilica dei Santi Apostoli eretta nel VI secolo, trascura, però, sia la possibilità (remota) che con la denominazione ad apostolos ci si riferi­ sca alla basilica Apostolorum (San Sebastiano) sull'Appia antica, 32 sia soprattutto il legame tra la scelta dell' intitolazione a Filippo e Giacomo e la figura di papa Pelagio (556-56 1 ), fondatore della chiesa,33 che rende improbabile una dedica agli Apostoli per la Iulii iuxta forum Traiani, indicata peraltro sempre in questo modo nelle fonti. D'altra parte è indubbio che nell'edificio ad apostolos, costantemente presente anche nelle compilazioni liturgiche più tarde,34 sia logico riconoscere la chiesa di VI secolo di Filippo e Giacomo. La situazione è, dunque, più complessa e potrebbe spiegarsi con l' ipotesi che il Capitulare utilizzi la denominazione degli edifici in uso al tempo della sua compilazione, fra VII e VIII secolo, come farebbe pensare non solo il caso in esame ma anche quello della stazione ad scm Vìtalem, che inizia a sostituirsi all'originario titolo dei Santi Gervasio e Protasio solo dalla fine del VI secolo circa.35 A questo punto se il Capitulare propone un'organizza­ zione liturgica attiva già dalla fine del V secolo, con un aggiornamento però delle intitolazioni degli edifici, si può agevolmente pensare che la chiesa degli Apostoli Filippo e Giacomo, che aveva con probabilità sostituito materialmente e nelle fun­ zioni la Iulii iuxtaforum Traiani, ne abbia preso anche il posto nella pratica stazio­ nate romana. Analogamente a quanto immaginiamo sia successo tra la Liberiana e la Santa Maria Maggiore di Sisto III, come vedremo. Alla basilica di Giulio, re­ staurata e riconsacrata da Celestino, si può dunque riconoscere un ruolo importante nella vita liturgica romana di V secolo. Come ricordato da un'epigrafe, Celestino rivolse le proprie cure anche al Vaticano, portando a termine i lavori di abbellimento del cantaro posto nel qua­ driportico di San Pietro.36 Senza dubbio, però, l'edificio di Roma a cui il nome di Celestino è rimasto indissolubilmente più legato è quello di Santa Sabina all ' Aventino,37 pur non essendone stato - precisiamolo subito - il fondatore. Il generale vale la pena evidenziare come la chiesa di San Pietro in Vincoli, che aveva un'antica dedicazione agli apostoli, venga indicata con ad vincu/a. 32. Questa idea è proposta in Nieddu 2009, p. 392. All' ipotesi, che ritengo poco probabile, osterebbe il costante riferirsi a questa chiesa già nelle fonti altomedievali con il nome di San Seba­ stiano o al massimo come basilica Apostolorum, anche se rimane indubbia l'importanza dell'edi­ ficio quale memoria della presenza nel corso del III secolo dei corpi di Pietro e Paolo, tradizione rimasta sempre viva nel Medioevo romano. 33. Per la chiesa dei Santi Apostoli CBCR 1 937, pp. 78-83; Zocca 1 959; anche il saggio di Alessandra Guiglia in questo volume: alla scelta di Pelagio non dovette essere estraneo il lungo soggiorno a Costantinopoli, prima in veste di apocrisario poi accanto a Vigilio come suo diacono, e dunque la conoscenza diretta del più celebre Aposto/eion, ricostruito proprio poco tempo prima da Giustiniano e consacrato nel 550. 34. Saxer 1 989, pp. 9 1 7-1032. 35. Huetter, Golzio 1 938, pp. l O- l i . 36. CBCR, 1 980, p. 1 79. 37. Berthier 1 9 10; Darsy 1 96 1 ; CBCR, 1 976, pp. 69-94. Sulla chiesa aventinese è in prepara­ zione un volume monografìco da parte di chi scrive.

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pontefice viene, però, ricordato in apertura della celeberrima iscrizione musiva di controfacciata, la quale precisa comunque subito che «haec quae miraris» sono opera del presbitero di origine illirica Pietro, uomo degno, ricco per i poveri ma povero per se stesso.38 La paternità di Pietro è confermata ulteriormente dal Li­ ber Pontificalis nelle pagine della biografia del successore di Celestino, Sisto III (432-440), in cui si ribadisce che «fecit Petrus [ . . . ] basilicam [ . . . ] sanctae Savinae»,39 chiarendo con l' uso del solito verbofacere il ruolo predominante del presbitero nella costruzione della chiesa. È chiaro, tuttavia, che Celestino dovette appoggiare e sostenere l ' impresa edilizia, che manifesta nella monumentalità della sua architettura e, soprattutto, nelle linee del suo perduto programma decorativo40 un'adesione alla politica del pontefice, fin dall' incipit dell'epigrafe di controfacciata. Qui Celestino non si li­ mita ad essere indicato come referente cronologico della costruzione - sul tipo del «Salvo lnnocentio» di Santa Pudenziana per intenderei - ma viene definito come il primo e più importante dei vescovi nel mondo («[ . . . ] primus et in toto fulgeret episcopus orbe [ . . . ]» ) , in linea dunque con la politica del pontefice tutta tesa all'affermazione dell'autorità e del primato delle sede episcopale romana sia in ambito disciplinare che dottrinale, segno che i lavori nella chiesa di Santa Sabina si svolsero non semplicemente sotto l'egida del papa ma in stretta colla­ borazione con questi. Rimane comunque indiscutibile che la committenza effet­ tiva sia da ascrivere al presbitero Pietro, similmente a quanto già visto in Santa Pudenziana, come confermato anche dal «fecit» utilizzato dal compilatore della biografia di Sisto III per descrivere l 'operato del prete illirico.

2. Sisto III: la nascita del patronato artistico dei papi?

Secondo un consolidato e prospero punto di vista, Roma iniziò subito dopo la morte di Costantino il Grande (337) la sua irreversibile metamorfosi da città degli imperatori a città dei papi. Abbandonata e trascurata dai sovrani, l 'Urbe sarebbe risorta nel V secolo a nuova gloria grazie all'azione dei pontefici, in particolare di Sisto III (432-440) e di Leone I (440-46 1 ), veri eredi degli impe­ ratori del passato.41 Roma, parafrasando Richard Krautheimer, tornava ad essere caput mundi, una moderna capitale ma, per la precisione, la capitale del vesco­ vo.42 Quest' ultimo, unica vera autorità rimasta nell'Urbe, si sarebbe sostituito all' imperatore, sempre più lontano, nel sistema di potere e di governo della città, coadiuvato dall' inoltrato IV secolo dalle grandi famiglie senatorie oramai con38. Alla bibliografia citata nella nota precedente, si aggiWlga specificatamente sul mosaico la scheda di G. Leardi in Andaloro 2006, pp. 292-297.

39. LP, I, p. 235; Geertman 2004, p. 2 1 0. 40. Sulla perduta decorazione pittorica, anche in relazione al contesto storico-sociale, Gianan­ drea 20 1 5b, pp. 1 39- 1 52. 41. Krautheimer 1 96 1 , I, pp. 29 1 -30 1 ; Id. 1 980, I-II capp.; Id. 1 98 1 , passim. 42. Ibidem, pp. 99, 1 2 1 , passim.

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vertitesi al cristianesimoY Questa visione è stata da lungo tempo applicata anche al campo della storia dell'arte e della storia della committenza artistica, per cui il patronato imperiale, dopo la partenza di Costantino, si sarebbe ridotto drasti­ camente fino ad esaurirsi per risorgere poi con la nuova veste di committenza papale grazie alla figura di Sisto III, ritenuto l'iniziatore di questo straordinario fenomeno che caratterizzerà l'arte di Roma nel Medioevo. In generale ai decenni successivi al sacco del 4 1 0 e, in particolare, agli anni del pontificato di Sisto è stata attribuita anche una produzione artistica volutamente improntata al recupero di forme e di motivi decorativi classici, storiograficamente nota con l'appellativo di "rinascenza sistina".44 La situazione è, in realtà, molto più complessa, non cosi semplicisticamente lineare, assai più ricca di sfumature e di protagonisti.45 Lungi dal voler togliere a papa S isto (e alla storiografia passata) meriti e primati consolidati e autentici, sarà più opportuno definire al meglio il contesto storico-sociale in cui si verificarono gli eventi artistici e individuare stimoli e apporti anche allogeni. La biografia di Sisto III contenuta nel Liber Ponti.ficalis si apre con la cele­ bre informazione sulla fondazione di Santa Maria Maggiore: «Hic fecit basili­ cam Sanctae Marie», a cui segue naturalmente l'elenco non solo della preziosa suppellettile liturgica offerta ma anche di tutti i possedimenti donati dal papa per il sostentamento della neonata basilica.46 La sicurezza sul patrocinio di Sisto in relazione alla costruzione della basilica, dichiarato dal fecit utilizzato nella sua biografia, è stata a lungo offuscata dall'altrettanto famosa specifica che l'edificio mariano «ab antiquis Liberii cognominabatum e dal fatto che entrambe le chiese fossero localizzate «iuxta macellum Libiae».47 La relazione archeologica tra i due edifici è stata sufficientemente chiarita dagli ultimi scavi, che hanno escluso la possibilità di localizzare la Liberiana sotto l'attuale Santa Maria Maggiore;48 più complessa appare la definizione della relazione storica tra le due chiese, anche se l' ipotizzato ruolo di basilica patriarcale ante litteram per la Liberiana (insieme alla basilica Iulii) potrebbe indicare una sorta di passaggio di funzioni da questa all'edificio mariano di Sisto, esplicitato appunto nella biografia papale dal sibillino «ab antiquis Liberii cognominabatur».49 La chiesa di Liberio, spesso menzionata nelle fonti con ruoli e compiti di tutto rispetto,50 scompare infatti 43. Sul ruolo dell'aristocrazia convertita al cristianesimo, oltre ai già citati saggi di Krauthei­ mer, si veda Pietri 1 976; Liverani 2000, pp. 49-5 1 ; Humphries 2003, pp. 27-46; Id. 2007, pp. 2 1 -58; Hillner 2007, pp. 225-26 1 . 44 . Oltre alla bibliografia già citata nelle note precedenti, Brenk 2002, pp. 1 00 1 - 1 0 18; critico nei confronti dell'idea di un rinascimento del V secolo è Deichmann 1 966, pp. 334-358. Per un buon inquadramento del sacco dei Goti e delle sue conseguenze Roma e il sacco del 410 20 12. 45. Marazzi 2000, pp. 3 1 8-354; Gillet 200 1 , pp. 1 3 1 - 1 67; Humphries 20 1 2, pp. 1 6 1 - 1 82. 46. LP, 1, p. 232. 47. Ibidem. Nella biografia di Liberio si legge «Hic fecit basilicam nomini suo iuxta macellum Libiae», cfr. LP, 1, p. 208. 48. Magi 1 972a; Liverani 1 987, pp. 45-53; de Blaauw 1 994b, l, pp. 335-34 1 . 49. Geertman 1 987, pp. 63-9 1 ; de Blaauw 1 994b, I, pp. 335-34 1 . 50. Geertman 1 987, pp. 63-9 1 .

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poco prima della costruzione della basilica d i Si sto, che d i questi ruoli e compiti si fece in effetti carico. Ignoriamo le ragioni della sostituzione, che poterono essere pratiche come ideologiche, quali ad esempio il desiderio di monumenta­ lizzare l'edificio che fungeva da chiesa secondaria del vescovo, mentre parzial­ mente più chiare appaiono le motivazioni della dedica alla Vergine. A queste, infatti, non può ritenersi del tutto estraneo il compiersi della vicenda nestoriana, conclusasi nel 43 1 con il Concilio di Efeso, che sancì la condanna della dottrina del vescovo Nestorio e il titolo di theotokos per Maria.51 Per quanto le lettere ufficiali ci testimonino un papato forse più attento alle questioni politiche e al riconoscimento del primato della sede episcopale romana che alle controversie dottrinali, è fuor di dubbio che la vicenda ebbe un peso nello sviluppo del culto mariano e, quindi, nella scelta della dedicazione dell'erigenda basilica. 52 Forse la scelta di sostituire l'antica Liberiana con una nuova e più monumentale chiesa, consona al ruolo di "quasi concattedrale", può trovare un' ulteriore ragione anche nel desiderio di offrire, a Roma, un edificio alla madre del Salvatore, dedicatario della cattedrale cittadina. Il legame con la vicenda nestoriana ha fatto da tempo ipotizzare che il progetto e forse l'avvio dei lavori di Santa Maria Maggiore possano risalire proprio agli anni di Celestino, 53 sebbene non vi siano prove con­ crete. Le fonti testuali ed epigrafiche assicurano, invece, sul ruolo di Sisto, a cui deve essere riferita con certezza perlomeno la realizzazione dei mosaici della chiesa, vista la coerenza del programma decorativo e le due iscrizioni con il suo nome presenti sull'arco absidale e in controfacciata (questa perduta ma tradita da Panvinio) . 54 La prima risulta particolarmente interessante, perché nella de­ dica «Xystus episcopus plebi dei» (fig. l ) si afferma solennemente la funzione guida del vescovo di Roma nel condurre verso la salvezza tutta la comunità cristiana, quella dei Giudei e quella dei Gentili (rappresentati da Pietro e Paolo), uniti oramai in una sola plebs 55 La posizione poi dell' iscrizione, sulla sommità dell'arco subito sotto l'etimasia, rafforza ulteriormente il ruolo del pontefice, in rapporto anche all'asse ideale volutamente creato tra il trono di Cristo dipinto e la cattedrale papale posta nel presbiterio immediatamente sotto di esso. Questi dettagli iconografici come la committenza di Sisto più volte ribadita dalle varie fonti hanno di sovente portato ad indicare Santa Maria Maggiore come la pri­ ma, grande basilica fondata e decorata per sola iniziativa del vescovo di Roma, .

5 1 . Ga1tier 1 93 1 , pp. 1 69- 199 e 269-298; Grume1 1 93 1 , pp. 293-3 1 3 . 52. Amann 1 949, pp. 5-37 e 207-244; Id. 1950, pp. 28-52 e 235-265; Gori 2000, pp. 406-4 1 5 . Sul dibattuto legame tra l a decorazione della basilica e l a controversia nestoriana s i rinvia in sintesi a Marini Clarelli 1996, pp. 323-344. 53. Addirittura Krautheirner (CBCR 1 97 1 , pp. 55-56) pensa a un progetto iniziato sotto lnno­ cenzo I e proseguito fino a Sisto; per de Blaauw 1 994b, I, p. 337 il progetto può essere ascritto a Celestino; di questa idea anche M. R. Menna in Anda1oro 2006, p. 306. 54. Vastissima è la bibliografia sui mosaici di Santa Maria Maggiore, per brevità si rimanda solo a Brenk 1 975; Gandolfo 1987, pp. 85- 1 23 e, in sintesi, alla ricca scheda di M.R. Menna in Andaloro 2006, pp. 339-345. 55. Brenk 1 975a, pp. 35-39; Gandolfo 1 987, p. l l 6; Menna in Andaloro 2006, pp. 340-34 1 ; Foletti 20 12, pp. 33-46.

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senza insomma alcuna ingerenza imperiale. Si tratta di un'affermazione vera ma a forte rischio di dogmatizzazione, perché nel desiderio di individuare l'origine precisa di un fenomeno, quale il patronato artistico papale, si corre il pericolo di non dare il giusto peso alla committenza di tituli ma anche di importanti ba­ siliche (si pensi alla Liberiana appunto o alla Iulii) da parte dei predecessori di Sisto.56 Allo stesso modo si rischia un discorso troppo semplicistico e lineare - da committenza imperiale costantiniana a committenza papale sistina - non calando l'evento nel più ampio contesto dell'epoca, in cui il patrocinio di edifici religiosi da parte di imperatori, aristocratici o laici facoltosi fu ancora molto dif­ fuso nel V secolo,57 e basterà in tal senso pensare solo all ' imponente basilica di Santo Stefano Rotondo, oramai unanimemente ritenuta di patronato imperiale. 58 Tali riflessioni nulla tolgono alla portata dell' intervento di Sisto e al suo ruolo nello sviluppo del patronato papale ma cercano solo di inserirlo nel quadro di una realtà chiaramente più articolata e ricca di sfumature. Il Liber Pontifìca/is attribuisce al papa la costruzione anche di un'altra ba­ silica, dedicata al martire Lorenzo, che nel corso del tempo è stata riconosciuta dagli studiosi ora nel complesso presso la sepoltura del Santo al Verano, ora nella chiesa del Campo Marzio, comunemente detta in Lucina.59 Quest'ultima ipotesi ha a lungo prevalso in virtù soprattutto della specifica, seguente alla fondazione, «quod Valentinianus Augustus concessit», che ha fatto pensare alla necessità di un permesso imperiale per la presenza sotto la chiesa di San Lorenzo in Lucina dell ' Horologium Augusti. Tuttavia gli studi più recenti, che hanno smentito tale collocazione, e le argomentazione già da tempo addotte da Geertman hanno spin­ to a riconsiderare anche la prima ipotesi ovvero che la basilica fondata da Sisto sia la grande circiforme nell 'area del Verano, che si sarebbe andata ad aggiungere a un'ecclesia ad corpus voluta da Costantino nel IV secolo, sostituita poi nel VI dall'edificio di Pelagio II (579-590).60 A valutare, perlomeno, questa ipotesi spinge, in particolare, la scelta di Sisto di farsi seppellire presso il complesso laurenziano sulla Tiburtina ma, più in generale, la riflessione che la portata degli 56. Basta scorrere in tal senso le biografie del Liber Pontificalis. Nello specifico Lucherini in questo stesso volume. 51. Pietri 1 916, passim; Hillner 2006, pp. 59-68; Ead. 2007, pp. 190-224; Gianandrea 20 1 5a, pp. 497-5 10. 58. Santo Stefano Rotondo 2000; Brandenburg 200 1 , pp. 27-54. 59. De Rossi 1 864, pp. 4 1 -45 collegò l'evergetismo di Sisto al complesso del Verano, ritenen­ do che parte della sua chiesa fosse stata inglobata nella più tarda costruzione di Onorio m ( 1 2 1 61227); giudicava, naturalmente, la grande basilica circiforme l'edificio fondato da Costantino nel IV secolo. Cosi anche Krautheimer (CBCR 1 962, pp. 1-144). Invece Pesarini 1 9 1 3 , pp. 37-52 pro­ pose l'identificazione con la chiesa in Campo Marzio. 60. Di questa idea Geertman 1 976, pp. 277-295; de Blaauw 1 994b, l, pp. 353-354; Id. 2002, pp. 1 225- 1247; Brandt 201 0, pp. 1 95-208. Contrari, tra gli altri, Krautheimer (CBCR, 1 962, pp. 1 6 1 - 1 86), Fiocchi Nicolai 200 1 , p. 56 e 98, Brandenburg 2004, pp. 9 1 -93. È utile evidenziare come Sisto scelse il complesso del Verano quale luogo di sepoltura, dimostrando chiaramente una specia­ le devozione per Lorenzo e per il santuario sulla Tiburtina: «Qui etiam sepultus est in via Tiburtina, in crypta, iuxta corpus beati Laurenti», cfr. LP, l, p. 235.

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interventi attribuiti alla persona di Costantino dal Liber Ponti.fica/is debba essere sempre più criticamente vagliata, alla luce dell'alone mitologico che alla data di collazione delle prime biografie papali già lo circondava.61 Questo per dire che Costantino potrebbe aver tranquillamente commissionato per il martire Lorenzo non una grande circiforme ma una chiesa di minori dimensioni, come accaduto di fatto per lo stesso apostolo Paolo.62 Non è naturalmente questa la sede per dirimere la questione ma lo è per evi­ denziare come in questi anni debba essersi verificato, innanzitutto, un incremento del culto di Lorenzo: i passi del De Officiis Ministrorum di Ambrosio, il panegi­ rico di papa Damaso (costruttore peraltro della basilica laurenziana iuxta thea­ trum ), i testi di Agostino e Massimo di Torino, il Peristephanon di Prudenzio, le celebrazioni di papa Leone Magno e la leggendaria Passio Polychronii documen­ tano un'esaltazione di Lorenzo e del suo compito di diacono,63 che divengono testimonianza del ruolo fondamentale ancora nel V secolo del diaconato nella struttura organizzati va della Chiesa e immagine-simbolo dell'episcopato di Roma che raccoglie non solo l'eredità apostolica ma anche quella diaconale delle origi­ ni. Ciò si riverbera in una crescita di importanza della sua chiesa martiriale sulla via Tiburtina, che, a partire dalla metà del V secolo, assume nella liturgia quare­ simale romana un ruolo di primissimo piano, inferiore solo a quello del Laterano e di Santa Maria Maggiore, unica peraltro tra le basiliche cimiteriali ad avere tale posto d'onore nelle stationes.64 Ne consegue infatti, nella seconda metà del V secolo, un interessamento costante da parte della committenza romana, tutto vol­ to ad arricchire e amplificare il complesso laurenziano al Verano con la costruzio­ ne di oratori, balnea ed edifici annessi. Non è un caso che progressivamente, ac­ canto al culto di Lorenzo, si imponga a Roma a partire dalla metà del V secolo anche quello di Stefano, diacono per eccellenza, a cui verranno dedicate, come vedremo, importanti basiliche, oratori e monasteri. Proprio il legame stabilito tra i due santi diaconi consiglia di non sottovalutare nell'affermazione e nella pro­ mozione del loro culto (anche a Roma) il ruolo svolto dai membri della famiglia imperiale teodosiana, in particolare da Pulcheria, Eudocia, Galla Placidia ed Eu­ dossia, che avevano di fatto scelto Stefano e Lorenzo quali martiri "dinastici", come attestano, tra l'altro, il recupero di reliquie e la fondazione di chiese sia in Oriente che in Occidente.65 Si tratterebbe in tal senso di un' ulteriore conferma del 6 1 . Sulla cronologia della composizione del Liber Ponti.ficalis Geertman 2003c, pp. 267284. 62. Sullo sviluppo della chiesa ostiense CBCR 1980, pp. 97- 169; Filippi 2004, pp. 1 87-224; Docci 2006, passim. 63. Carletti 1 966, coli. 1 08- 1 22. 64. Ciò emerge in maniera chiara dal Capitulare di Wilrzburg, cfr. nota 3 1 . 65. Ci s i riferisce al rinvenimento e alla valorizzazione delle reliquie d i Stefano a Gerusalem­ me e, naturalmente, alle chiese di San Lorenzo e Santo Stefano a Costantinopoli: Holum, V!kan 1 979, pp. 1 1 5- 1 33 ; Berger 1 988, pp. 2 1 5-2 1 7, 529, passim; Kalavrezou 1 997, pp. 57-62 Barsanti 2007, p. 93; sulle figure delle "imperatrici", Holum 1 989. Bisogna, poi, tenere presente l'Oratorio di San Lorenzo presso Santa Croce a Ravenna, ovvero il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia, cfr. da ultimo Deliyannis 20 10, pp. 74-84. Inoltre la complessa vicenda della basilica di San Lorenzo

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rinnovato rapporto instauratosi tra il papato romano e gli imperatori nel corso del V secolo e dell' idea che non fu l'assenza di questi ultimi a cagionare la nascita di una sorta di nuovo sovrano cristiano di Roma e di un'alternativa committenza episcopale ma che la famiglia imperiale fu di fatto partecipe e motore integrante della grande stagione artistica del V secolo di Roma e della sua effettiva trasfor­ mazione in capitale cristiana. 66 Basta rileggere con attenzione proprio la biografia di Sisto III nel Liber Pontifica/is per rendersene ampiamente conto: Valentiniano III e sua madre Galla Placidia appaiono sostenitori premurosi del papa nelle sue varie attività e, in particolare, in quelle evergetiche, come non accadeva dai tem­ pi di Silvestro e Costantino, sebbene "relegati" stavolta, da fonti comunque par­ ziali, nel ruolo di illustri ma subalterni collaboratori.67 Infatti molte delle opere offerte da Valentiniano sono sollecitate, stando al compilatore del Liber Pontifi­ calis, da una richiesta di Sisto, come nel caso del fastigium argenteum donato al Laterano in sostituzione di quello costantiniano rubato dai Goti o dell' immagine in oro e pietre preziose con la raffigurazione di Cristo e degli apostoli posta sopra la confessio di San Pietro in Vaticano.68 Se a queste donazioni aggiungiamo la confessio argentea offerta dal solo imperatore a San Paolo e l'omologa per San Lorenzo fuori le mura o la decorazione in argento per quella di San Pietro elargi­ te dallo stesso Sisto, riusciamo a cogliere l'essenza di un programma di interven­ ti volto a risarcire dopo il sacco gotico le principali basiliche romane e ad abbel­ lirle, con uno spirito di equiparazione tra gli edifici martiriali e la chiesa episcopale. In effetti i donativi riservati al presbiterio della basilica vaticana sem­ brano pensati per evocare la situazione dell'ecc/esia Sa/vatoris in Laterano, so­ prattutto nel prezioso rilievo con Cristo e gli apostoli inseriti in inquadrature di archi e colonne ( «portae») che richiama, in parte, alla mente alcune delle raffigu­ razioni delfastigium lateranense.69 Nell'ampio programma di rinnovamento delle basiliche patriarcali promosso da Sisto si inserisce a pieno titolo anche quello del Battistero lateranense, che viene dotato dal papa, secondo il Liber Pontificalis, di un ricco epistilio, poggiante su otto colonne di porfido (risalenti addirittura a Co­ stantino) e arricchito da versi (fig. 2).7° L'entità dell' intervento sistino, per anni oggetto di discussione sulla sua reale natura (costruzione ex novo, restauro, ab­ bellimento?), se inquadrato come la biografia papale ci indica, cioè una sorta di restauro principalmente incentrato sull'area della vasca e della sua cornice archia Milano con l'annesso Sacello di Sant'Aquilino: in sintesi La basilica di San Lorenzo 1985; vari saggi in Milano capitale 1 990; Fieni 2004; Johnson 2009. 66. Gillett 200 1 , pp. 1 3 1 - 1 67; Humphries 2003, pp. 27-46; Id. 20 1 2, pp. 1 6 1 - 1 82; Gianandrea 20 1 5a, pp. 497-5 1 0. 67. Leggendo la vita di Silvestro nel LP (1, pp. 1 70-20 l ) emerge chiaramente come il ruolo di protagonista nella fondazione degli edifici religiosi venga ricoperto da Costantino e non dal papa. 68. Nella biografia papale ricorrono, infatti, le formule «ex huius supplicatione» o «ex ro­ gatu Xysti», cfr. LP, I, p. 233. Sul fastigium Geertman 2003a, pp. 29-43; de Blaauw 1 994b, I, pp. 1 1 7- 1 27. 69. Ibidem, II, pp. 476-478 70. LP, I, p. 234.

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tettonica, trova di fatto riscontro nelle più recenti riflessioni di Guidobaldi e Brandt, che attribuiscono la gran parte dell'edificio (fino a circa 9 m di altezza) ad una prima fase costantiniana, totalmente mantenuta nell'operazione di Sisto.71 A questi vengono tradizionalmente attribuiti anche l'assetto e la decorazione dell'originario vestibolo d'ingresso, soprattutto in virtù della schiacciante somi­ glianza tra i pezzi scultorei iv i utilizzati e quelli impiegati nell'epistilio sistino. 72 Tuttavia appare opportuno anticipare qui come il progetto di Sisto per il Battiste­ ro lateranense ebbe, in realtà, una durata più lunga del suo pontificato e vada senza dubbio correlato agli interventi promossi in seguito da papa Ilaro (46 1 468), come indicato da diverse fonti, tanto che alcuni degli interventi andranno inevitabilmente collocati durante il governo di quest'ultimo.73 Tornando agli ele­ menti di spoglio, essi dichiarano nel loro monumentale splendore di nuovo l' in­ negabile sostegno all' impresa evergetica papale dell' imperatore, senza il cui per­ messo sarebbe stato impossibile utilizzare questi pezzi. Proprio tale aspetto sollecita una più generale riflessione: al pontificato di Sisto III va, fuor di dubbio, riconosciuto e ascritto l' inizio di un grande progetto di rinnovamento, valorizza­ zione e abbellimento del Laterano, di San Pietro, di San Paolo fuori le mura e di San Lorenzo al Verano (a cui va aggiunta la neonata Santa Maria Maggiore) ov­ vero di quei complessi che costituivano oramai a Roma i cardini della vita reli­ giosa e i centri chiave della liturgia. Analizzando, infatti, in un quadro d' insieme le committenze dei pontefici del V secolo emerge con chiarezza un interessamen­ to quasi univoco per questi poli chiesastici, in un tentativo di monumentalizzare, arricchire e abbellire i luoghi-simbolo del vescovo di Roma nel momento in cui si iniziava a trasformarla in una "capitale cristiana". Si tratta di un percorso pro­ babilmente già iniziato sotto Celestino, a cui infatti si può attribuire il rinnova­ mento dell'altro edificio chiave per la religiosità e la liturgia dell'Urbe, la basilica Iulii presso il Foro di Traiano (forse la più compromessa dal sacco del 4 1 0), e l'avvio del cantiere di Santa Maria Maggiore, a sostituzione della Liberiana, poi condotto a termine da Sisto. A quest'ultimo spetterebbe, infine, anche la fonda­ zione di un' istituzione monastica suburbana annessa al cimitero ad Catacumbas sulla via Appia, che inaugurò una serie di altre fondazioni analoghe promosse da vari pontefici del V secolo presso i grandi santuari del Laterano, del Vaticano e della Tiburtina al fine di ampliarne l'articolazione e di potenziarne il profilo inse­ diativo e l'offerta dei servizi necessari all'assistenza dei pellegrini.74 Il pontificato di Sisto segna, dall'altro lato, l'assestamento dell'ampio fenomeno della fonda­ zione dei tituli, che proprio entro i primi trenta/quarant'anni del secolo risultano 7 1 . Brandt, Guidobaldi 2008, pp. 1 89-282. Sulla complessa vicenda della fondazione del Bat­ tistero, degli interventi successivi e della varie posizioni critiche si rimanda per brevità a Brandt 20 1 2c, pp. 33-85. 72. Krautheimer 1 96 1 , pp. 29 1 -302; Romano 199 1 , pp. 3 1 -70; de Blaauw 1 994b, Il, pp. 1 331 36; Brandt 20 1 2c, pp. 72-76 con bibl. precedente. Sulla decorazione musiva e marmorea si veda­ no, da ultime, le schede di F. Moretti e G. Alfano in Andaloro 2006, pp. 348-357 con bibl. 73. Si veda infra. 74. LP, l, 234; Ferrari 1 957, pp. 1 63 - 1 65; Milella 2008, pp. 1 35-145.

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distribuiti con una copertura del tutto omogenea del territorio urbano, a sancire una definitiva presenza della Chiesa e una capillare cura delle anime dei fedeli.75 Rispetto al passato, da un punto di vista architettonico questi tituli si presentano nel V secolo non più come riadattamenti di strutture preesistenti ma, molto spes­ so, quali edifici costruiti ex novo, di forti pretese monumentali e artistiche, impo­ nenti e riconoscibili nella maglia urbana. Basterà pensare in tal senso ai Santi Gervasio e Protasio, ai Santi Giovanni e Paolo, a Santa Sabina o a San Pietro in Vincoli, solo per citarne alcuni. Da questo momento, in sostanza, l'attenzione dell'evergetismo papale sem­ bra concentrarsi per ragioni anche ideologiche sui grandi santuari - il Laterano, San Pietro, San Paolo, San Lorenzo fuori le mura -, i luoghi simbolo dell'affer­ mazione e del potere della Chiesa di Roma.

3 . La committenza di Leone Magno tra mito e realtà Accanto a Sisto, papa Leone I (440-46 1 )76 è abitualmente riconosciuto quale grande evergeta nonché iniziatore del patronato artistico papale a Roma, con la conseguente attribuzione alla sua iniziativa di molte opere e monumenti. Questa tradizione merita, tuttavia, un serio vaglio critico alla luce di un'attenta rilettura delle fonti e di studi recenti. Il Liber Pontifica/is gli assegna la costruzione ( «fe­ ci t») di una sola basilica, dedicata a Cornelio e posta nell'area del Cimitero di Callisto sull'Appia, e di un monastero («constituit») forse intitolato ai Santi Gio­ vanni e Paolo presso San Pietro in Vaticano, il primo di una serie che nel tempo affiancherà la basilica.77 Per il resto il verbo più utilizzato dal biografo per indi­ care l'attività evergetica di Leone è «renovavit»/8 che non stupisce per un ponti­ ficato che ha vissuto nel 455 il sacco dei Vandali di Genserico. Si inizia, infatti, con un rinnovo, proprio «post cladem Wandalicam», della suppellettile liturgica di tutti i tituli e delle basiliche laterana, vaticana e ostiense. A questi ultimi tre edifici, protagonisti delle attenzioni di quasi tutti i pontefici del pieno V secolo, sono poi dedicati alcuni restauri, di controversa interpretazione, caricati a volte di eccessivi significati e oggetto in studi recenti di importanti revisioni.79 L' informa­ zione del compilatore del Liber Pontifica/is che Leone rinnovò la chiesa di San Pietro, restaurò la «cameram» in San Paolo e ne fece un'altra al Laterano ha da tempo dato man forte all ' idea di un'attribuzione al pontefice della realizzazione 75. Guidobaldi 1 989a, pp. 3 8 1 -396; Id. 200 1 c, pp. 40-5 1 ; Fiocchi Nicolai 200 1 , passim; Spera 20 l l b, pp. 309-348; Spera 20 12b, pp. 33-58. 76. Su questa imponente figura vari saggi in I Sermoni 1 997; Cavalcanti 2000c, pp. 423-442. 77. LP, I, p. 239; Ferrari 1 957, pp. 166- 1 72. 78. Ibidem. 79. Ibidem: «Hic renovavit basilicam beati Petri apostoli et cameram et beati Pauli post ignem divinum renovavit. Fecit vero cameram in basilica Constantiniana». Il passo del LP è riportato, peraltro, in modo diverso nelle varie redazioni. Chi se ne è occupato preferisce quella poc'anzi riportata: Geertman 2004, p. 2 1 2; Liverani 2003, pp. 1 7- 1 8.

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delle celebri storie testamentarie delle basiliche vaticana e ostiense. I cicli di af­ freschi, perduti ma noti da disegni e acquerelli, ricoprivano le pareti della navata centrale delle due chiese con episodi del vecchio e del nuovo Testamento, che co­ stituirono un modello di riferimento per tutto il Medioevo, non solo romano. 80 La loro datazione al pontificato di Leone Magno non poggia, tuttavia, su alcuna base documentaria certa ma solo su una consolidata tradizione storiografia.81 Partendo dall' iscrizione dell'arco trionfale di San Paolo, in cui viene ricordato il celebre intervento congiunto, a favore della chiesa, di Galla Placidia e di papa Leone (fig. 3),82 gli studiosi hanno attribuito a quest'ultimo anche la committenza delle storie testamentarie della navata, sulla base pure della già citata notizia del Liber Pon­ tificalis per cui il papa « [ . . . ] [basilicam] Pauli post ignem divinum renovavit»,83 trascurando forse troppo l'altrettanto ben nota indicazione epigrafica sulle vicen­ de dell'edificio, secondo cui «Teodosius coepit, perfecit Honorius aulam [ . . . ]», che spingerebbe a tenere perlomeno in considerazione l' ipotesi che al termine dei lavori fosse già stata eseguita una decorazione pittorica nella basilica. 84 Due elementi ancora meritano di essere tenuti in conto: il Lapidario paoliniano con­ serva una grande lastra con i versi che celebrano, in modo peraltro pomposo e altisonante, i lavori eseguiti in basilica da Felice e Adeodato per ordine di papa Leone, a cui si riconosce però solamente il restauro del tetto. 85 Qualche secolo dopo, a dire il vero, anche Adriano I nella lettera sulla funzione delle immagini indirizzata a Carlo Magno, dopo aver ricordato Leone come decoratore di molte chiese, scrive: «Magis autem in basilica beati Pauli apostoli, arcum ibidem majo­ rem facies, & in musivo depingens Salvatorem [ . . . ] seu vigintiquattuor seniores [ . . . ]», 86 scegliendo, quindi, di citare in modo esplicito quella che riteneva la com­ mittenza più eclatante («magis autem») di Leone in tema di immagini cioè l'arco trionfale di San Paolo. Sorge immediatamente spontanea la domanda sul perché Adriano, qualora Leone avesse patrocinato gli affreschi di San Pietro e San Paolo, avrebbe omesso un intervento così significativo senza sfruttarlo in un discorso 80. In sintesi sui due cicli si leggano le schede di Manuela Viscontini in Andaloro 2006, pp. 37241 1-4 1 5. Sulla funzione di modello della decorazione di San Pietro in particolare Kessler 1989. 8 1 . Ad esempio Matthiae 1 965, pp. 59-69; opinione ribadita anche da MariaAndaloro nell'Ag­ Kiornamento scientifico del volume ( 1 987, p. 23); Cecchelli 1 988, p. 42; in ultimo anche le schede curate da Manuela Viscontini in Andaloro 2006, pp. 372-378, 4 1 1-4 1 5. 82. Tale mosaico, staccato dalla sua sede a seguito dell'incendio del l 823, sebbene non avesse riportato gravi danni, venne totalmente rifatto, copiando l'originaria iconografia, dai mosaicisti della Fabbrica di San Pietro e ricollocato nel 1 852, cfr. ibidem, pp. 395-402 (scheda di G. Bordi). L' iscrizione, disposta lungo la curva dell'arco, recita: «Placidiae pia mens operis decus homne patemi l gaudet pontificis studio splendere Leonis». 83. LP, l, p. 239. 84. Iscrizione tràdita in copia e collocata, dopo i restauri ottocenteschi, lungo il margine su­ periore della fronte dell'arco. Se ne ignora l'originaria posizione. Sulla riedificazione per mano dei tre imperatori della basilica paolina e la sua cronologia si veda da ultimo Liverani 20 1 2b, pp. 1 07- 1 23. Per le questioni relative a una datazione anticipata per le pitture di San Paolo Guj 2002, pp. pp. 1 873- 1 892. 85. LP, l, p. 240, nota 6. Anche Di Stefano Manzella 1 988, p. 27 1 . 86. Hadriani Epistula 1 960, p. 80 l . 3 78,

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proprio sulla liceità delle immagine. Le notevoli affinità nei sistemi iconografici interni delle basiliche di San Paolo e San Pietro, incentrati sulle storie bibliche e sui ritratti papali, hanno portato poi a ipotizzare una concezione unitaria dei due complessi decorativi da parte di Leone, estendendo a San Pietro quella che già per San Paolo era solo una supposizione. A conferma del patronato del pontefice per il ciclo testamentario di San Pietro sarebbe per molti studiosi anche l'esecuzione durante il suo pontificato e con il suo favore dell'antico mosaico di facciata della basilica.87 Si tratta, dunque, solo di prove indirette che non garantiscono minima­ mente la paternità di papa Leone per le storie testamentarie e che, anzi, trascu­ rano più del dovuto il fatto che il ciclo di San Paolo possa essere una successiva derivazione di quello petrino, dal momento che la chiesa ostiense venne eretta a immagine e somiglianza della basilica vaticana per rendere effettive, anche sul piano monumentale, la rivalutazione di Paolo e la concordia tra i due apostoli, te­ nacemente perseguite dalla seconda metà del IV secolo dalla Chiesa di Roma per l'affermazione della propria forza e del proprio primato.88 Appare in tal senso au­ spicabile un attento riesame della questione che, al di là dei dogmi storiografici, valuti al meglio l ' ipotesi che se non altro il ciclo pittorico di San Pietro (almeno in una primitiva redazione) possa risalire al pieno IV secolo, come già sostenuto, ad esempio, da Herbert Kessler, 89 in linea anche con un possibile completamen­ to della basilica durante il governo degli eredi di Costantino.90 Giova, peraltro, considerare come la chiesa vaticana - che probabilmente non ha mai conosciuto una fase aniconica - avesse già da tempo accolto nel catino absidale il tema della Traditio /egis,9 1 la cui enorme diffusione nel pieno IV secolo lascia intendere l'esistenza di un modello illustre, concepito in ambito martiriale e in stretto lega­ me con il contesto petrino. È dunque probabile che l'opera di decorazione figura­ ta dell'edificio comprendesse nella seconda metà del IV secolo anche i cicli del vecchio e del nuovo Testamento, ideale completamento della tematica teofanica 87. Tale informazione si ricava da un'iscrizione dedicatoria, tramandata da una trascrizione di un pellegrino del VII secolo, che ricordava l'ex prefetto e console Mariano quale committente dell'opera, eseguita appunto con il favore di papa Leone l, cfr. Andaloro 2006, pp. 4 1 6-4 1 8 (scheda di G. Bordi). 88. Sulla rivalutazione del ruolo di Paolo si veda: Bisconti 1 998a, pp. 1 52- 1 56; Pietro e Paolo 2000; San Paolo 2009; Pau)o apostolo martyri 20 1 1 . Sul tema della Concordia Apostolorum: Pietri 196 1 , pp. 275-322; Huskinson 1 982. 89. Kessler 1 987, pp. 265-275; Id. 1989, passim. Di questa idea anche Proverbio 2008-2009. Sulla scia di Kessler, in particolare per San Paolo, Guj 2002, pp. 1 873-1 892. 90. Per le ipotesi sui tempi di costruzione di San Pietro: CBCR 1 980, pp. 1 7 1 -285; Arbeiter 1 988; Bowersock 2002, pp. 209-2 1 7 ; St. Peter 's in Vatican 2005; vari saggi in Old St. Peter 's 20 1 3 . Di recente, addirittura, per un' ipotesi di costruzione al tempo di Costanzo II Westall 20 1 5 , pp. 205-242. 9 1 . Molti gli studiosi convinti di una originaria decorazione aniconica: per brevità, si rinvia alla recente sintesi in Andaloro 2006, pp. 87-80 (scheda di F.R. Moretti). Diversamente Liverani 2003, pp. 13-27 e Brandenburg 2004, p. 98 tendono ad anticipare la presenza della Traditio. Preci­ siamo che l'ipotesi che l'abside di San Pietro fosse in origine ornata da una Traditio Legis è stata messa recentemente in dubbio da Spieser 2004. Per una discussione generale sul tema anche Foletti, Quadri 20 13, pp. 1 6-37.

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dell'abside. D'altronde che a questa data l'utilizzo di historiae fosse presente nei programmi decorativi basilicali lo attestano anche i tituli che Prudenzio e, probabilmente, Ambrogio documentano in riferimento a una basilica spagnola e a quella ambrosiana di Milano.92 Non si può trascurare inoltre la testimonianza di Paolino da Nola, che più volte nei suoi componimenti conferma la presenza di cicli pittorici narrativi di argomento sacro nel complesso di Cimitile.93 In fondo, tornando a Roma, l' ipotizzata realizzazione tra i pontificati di Celestino e di Sisto III di un ciclo dipinto anche sulle pareti della navata di Santa Sabina all'Aventino induce a riflettere ulteriormente sull' ipotesi che almeno la basilica di San Pietro avesse già sperimentato tale assetto decorativo.94 Non è questa naturalmente la sede per affrontare in modo completo e definitivo un problema così spinoso ma in uno studio destinato ad analizzare la committenza diretta dei singoli pontefici è apparso indispensabile sollevarlo. Di cosa si occupò allora Leone nelle chiese di San Pietro e di San Paolo? Più arduo fare ipotesi per la prima, data la mancanza di altre testimonianze, mentre possiamo almeno azzardare un tentativo di definizione per San Paolo: la già citata epigrafe che ricorda i lavori al tetto della basilica può essere agevolmente colle­ gata alla notizia del restauro della camera, visto che gli studi di Liverani hanno oramai chiarito come con questo termine si intenda appunto il tetto e la copertura degli edifici.95 Il successivo, generico rinnovo della basilica ostiense, ascritto dal Liber Ponti.fica/is a Leone, potrebbe del resto riferirsi al mosaico dell'arco trion­ fale, che più fonti permettono di ricondurre a lui con un ampio margine di sicu­ rezza: dal Liber Ponti.fica/is alla lettera di Adriano I a Carlo Magno fino all'iscri­ zione posta lungo la curva dell'arco. Qui, sebbene venga citato il nome di Galla Placidia, risulta chiaro il ruolo attivo di Leone, visto che l'Augusta «gaudet [ . . . ] studio [ . . . ] Leonis», lasciando emergere l' impegno diretto e primario del papa nella committenza dei mosaici dell'arco. Semmai il nome di Galla Placidia serve a sottolineare la continuità di quell ' interessamento (anche economico evidente­ mente) che la famiglia imperiale mostrava da generazioni per la basilica di San Paolo e, più in generale, il clima di intensa collaborazione fra papato, famiglia imperiale, aristocratici e alti funzionari pubblici nel patronato artistico di questi anni. Nella scelta del tema raffigurato - Pietro e Paolo sovrastati dai ventiquattro vegliardi, che offrono le loro corone a un Cristo a mezzo busto - riconosciamo un argomento caro alla cultura artistica dell'epoca, quello della ecclesia bipar92. Per la paternità ambrosiana dei tituli (ancora discussa): Visonà 2008, pp. 5 1 - 1 07. Nel Dittochaeon, composto intorno al 400 e generalmente attribuito a Prudenzio, si riportano 48 tetra­ stici forse per una basilica spagnola (Saragozza o Calagurris), dal programma chiaro, visto che 24 riguardano l'antico Testamento e 24 il nuovo, cfr. Pillinger 1 980. 93. Per Paolino da Nola, i riferimenti più significativi si trovano nei Carmina XXVII (vv. 580-595) e XXVIII (vv. 1 70- 1 74); sulla perduta decorazione pittorica del complesso di Cimitile si vedano i vari saggi in Cimitile e Paolino 2003; Paulinus Nolanus 2004. 94. In generale Andaloro 2006, p. 295 (scheda di G. Leardi); nello specifico Gianandrea 20 1 5b, pp. 139- 1 52. 95. Liverani 2003, pp. 1 3-27.

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tita, dei Giudei e dei Gentili, unificata in Cristo, già presente in forme diverse, ma analoghe nella sostanza, nei mosaici di Santa Pudenziana, Santa Sabina e Santa Maria Maggiore.96 Accanto a ciò, non sfugge come la complessa materia apocalittica, in linea con l'esegesi di Vittorino di Petovio, Ticonio e Agostino, sia interpretata principalmente come allegoria della presenza di Cristo nel tempo della Chiesa e, quindi, come un'epifania vittoriosa e, alla fine, celebrativa della trionfante Ecc/esia attuale.97 Arduo appare imputare con sicurezza la scelta del soggetto a Leone,98 poiché non possiamo escludere che questi abbia restaurato o sostituito una decorazione precedente del tempo di Onorio e Teodosio99 (ricordia­ moci che il Liber Pontifìca/is usa sempre il verbo «renovavit» ), 100 visto anche che i rilievi ottocenteschi dell'arco hanno evidenziato problemi statici e modifiche già in antico. 101 Inoltre è stato da tempo ipotizzato che una composizione analoga ornasse l'arco absidale di San Pietro in Vaticano, a completamento della Traditio /egis dell'abside,102 e che il mosaico di San Paolo potesse da questa aver preso spunto. Un soggetto simile a quello dell'arco ostiense viene probabilmente scel­ to anche per la coeva facciata della basilica di San Pietro, dove, in base al noto disegno conservato a Windsor, i ventiquattro Seniores rivolgevano la loro offer­ ta all'agnello inserito in un clipeo e circondato dai simboli degli evangelisti . 103 Molta fortuna ha avuto l ' ipotesi critica che l'agnello sia un'aggiunta dovuta a papa Sergio I ( 687-70 l ), per protesta contro il canone 82 emanato dal Concilio in Trullo (692), in sostituzione dell' immagine di Cristo nel clipeo. 104 Sarei, invece, propensa per una serie di ragioni a ritenere che il mosaico di epoca leonina preve­ desse ab origine la figura dell'Agnus Dei. Innanzitutto per ragioni di aderenza al testo dell'Apocalisse, dove i ventiquattro Vegliardi indossano corone e onorano l'Agnello, offrendogli coppe d'oro, al cospetto dei quattro viventi, anch'essi ado­ ranti («E quando prese il rotolo, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno un'arpa e coppe d'oro colme 96. Si vedano, per brevità, le schede di M. Andaloro, G. Leardi, M.R. Menna in Andaloro 2006, pp. 1 14- 1 24, 292-304, 306-346. 97. Nello specifico Fredriksen 1 992, pp. 20-37; in generale per l'interpretazione e la diffusio­ ne in ambito decorativo dell'Apocalisse, si veda sul piano teorico Corsini 1 980, per quello relativo ali' iconografia artistica Christe 1974, Kinney 1 992, Christe 1 996. 98. Andaloro ( 1 992, pp. 574-576) insiste molto su questo aspetto, attribuendo in tal senso a Leone molte innovazioni formali e iconografiche. Anche G. Bordi in Andaloro 2006, p. 399. 99. Argomento sostenuto da Kessler (2004, p. 20), riprendendo una tesi propugnata già da vari studiosi (Bovini, Deckers etc.). 1 00. Per San Paolo tutte e tre le redazioni del LP utilizzano questo verbo, cfr. Geertman 2004, p. 2 12. 1 0 1 . Andaloro 2006, p. 399. 1 02. Casartelli Novelli, Ballardini 2005, pp. 1 45- 1 64. Sull'unione dei due temi Christe 1 976, pp. 42-55. 1 03 . De Blaauw 1 994b, Il, pp. 464-465; la scheda di G. Bordi in Andaloro 2006, pp. 4 1 6-4 1 8, per una sintesi sulle varie posizioni. 1 04. Questa tesi, propugnata da Grisar 1 899, pp. 482-483, fu accettata da Matthiae 1965, p. 60 e, più di recente, ripresa da Wisskirchen 2003, p. 476. Nello specifico naturalmente anche il saggio di Alessandro Taddei in questo stesso volume.

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di profumi, che sono l e preghiere dei santi»). 105 Inoltre questa tipologia iconogra­ fica, con l'agnello al centro della composizione, ha avuto una eco tale (archi ab­ sidali dei Santi Cosma e Damiano, di Santa Prassede e di Santa Maria in Pallara, abside della cripta di Anagni etc.)106 da poterla considerare in un certo senso "sto­ ricizzata" e da far presupporre - volendo - un modello di riferimento autorevole, quale poteva essere la facciata della basilica di San Pietro in Vaticano. Infine la delicata questione della possibile sostituzione per volontà di Sergio I di un eventuale busto di Cristo con l'agnello. Non esiste, in primis, nessuna prova concreta di un'opposizione specifica di Sergio al canone 82 del Trullano e, dunque, di un collegamento diretto - azione/reazione per intenderei - tra questo ipotetico dissenso e le raffigurazioni in chiave polemica dell'Agnus Dei a Roma. Il rifiuto da parte della Santa Sede di accogliere gli atti del Concilio ebbe, per cominciare, una ragione assai generale e fu dettata dall'impostazione del tutto cesaropapista di quest' ultimo, che propugnava l' idea di una Chiesa marcatamente imperiale, dato che l'incontro ecumenico venne di fatto gestito in toto da Giusti­ niano 11. 107 Nello specifico poi l' 82 non fu in assoluto tra i canoni intesi in modo più spiccatamente "antiromano" come, invece, quelli sul celibato del clero o il digiuno del sabato, che si ponevano davvero in antitesi con pratiche consolidate per la Chiesa latina, fino al canone 36, con il quale si rinnovavano al Patriarcato di Costantinopoli privilegi uguali alla sede di Roma. 108 Peraltro va rilevato come, solo una manciata di anni dopo il pontificato di Sergio, l'articolo 82 del Concilio venisse largamente utilizzato nella polemica romana anti-iconoclasta da Gregorio II, Giovanni Damasceno, Adriano l, a dimostrazione di una ricezione del tutto positiva a Roma del suo contenuto. 109 In sostanza il dissenso e i contrasti che ci furono tra papa Sergio e Giustiniano sul corpus canonico trullano non sembrano focalizzarsi in alcun modo sul canone 82, eliminando di fatto la possibilità di un riverbero in ambito artistico sulla raffigurazione dell'agnello e, dunque, di una sostituzione nel mosaico petrino del busto di Cristo con l'agnello stesso. 110 Dal punto di vista della committenza, anche nel caso del mosaico della fac­ ciata di San Pietro ci si trova di fronte a un'articolata cooperazione tra papato e laici, poiché, di fatto, a patrocinare la realizzazione dell'opera furono, assolvendo 105. Ap. 4, 4-8; 5, 8. 106. Opie 2002, pp. 1 8 1 3 - 1 840; Casartelli Novelli, Ballardini 2005, pp. 145- 1 64. 107. Sul Trullano si vedano, in generale, gli importanti saggi in The Council in Tru/lo 1985, che riporta anche il testo del Concilio in greco, latino e inglese. 108. Su questo aspetto Ohme 1 985, pp. 307-32 1 ; McManus 1995, pp. 79-96; Ohme 1 995, pp. 35-44. 1 09. In particolare Brunet 2007, pp. 37-65. 1 10. Di questa idea già Andaloro 1 976, pp. 69-77; Opie 2002, pp. 1 830- 1 833; Ballardini in Casartelli Novelli, Ballardini 2005, passim. Un'ultima riflessione (oltre a quelle già proposte da Opie sul verbo innovare) può essere fatta anche sullo stesso passo del LP (l, p. 375) in cui si è vo­ luta rinvenire traccia dell'intervento di Sergio sulla facciata di San Pietro: «Hic musibum, quod ex parte in fronte atrii eiusdem basilicae fuerat dirutum, innovavit» ; credo che se il compilatore avesse voluto indicare la facciata della basilica non avrebbe fatto riferimento alla fronte dell'atrio: cosi detto sembra si tratti della fronte esterna del quadriportico.

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a un voto, il console ed ex pretètto del pretorio Marianus e sua moglie Anasta­ sia. 1 1 1 L'epigrafe di corredo alla decorazione, tramandata da una sylloge del VII secolo, 1 12 mostra però il papa comunque in prima linea nella realizzazione del mosaico, come ben attestato dai verbi provocare (sollecitare) e peifìcere (com­ piere, perfezionare) riferiti ai voti di Marianus e alla loro trasformazione in opere. Di recente Paolo Liverani ha aggiunto un ulteriore, importante tassello alla storia di questo mosaico, proponendo, attraverso la serrata analisi di un gruppo di iscri­ zioni, che esso comprendesse anche un' immagine dell' imperatore Costantino, accompagnato da un'epigrafe inneggiante a Cristo e a Pietro come guaritori della sua malattia. 113 Se così fosse la presenza del primo imperatore cristiano accre­ scerebbe i molteplici significati della composizione apocalittica sia in relazione al ruolo salvifico dell'agnello, sia in riferimento alla celebrazione della Chiesa odierna attraverso la figura di Pietro, d'altronde collegata all 'affermazione del primato della sede romana fortemente perseguita da Leone. 114 Un'altra collaborazione con il patriziato laico caratterizza l'attività edili­ zia dell'età di Leone, quella con la virgo Christi Demetriade, matrona romana dell' importante gens Anicia che aveva scelto, come spesso accadeva all'epoca, di seguire la vita ascetica. 115 La notizia del Liber Ponti.fica/is ( «Huius temporibus fecit Demetria ancilla dei basilicam sancto Stephano via Latina, miliario III, in praedio suo») unita a un'epigrafe metrica informano che Leone fece costruire per volontà e grazie al lascito testamentario della stessa Demetriade una chiesa dedicata a Santo Stefano in un terreno privato della matrona lungo la via Latina. 1 16 L'operazione, gestita da Tigrinus, presbitero di fiducia del pontefice, ricorda per molti aspetti quanto avvenuto tra papa lnnocenzo I e la nobile matrona Vestina in merito alla fondazione del titulus dei Santi Gervasio e Protasio, delineando dunque una prassi piuttosto consolidata per l'epoca. Differentemente stavolta, però, il lascito e la conseguente edificazione della basilica avevano come scopo la cristianizzazione delle campagne, che procedeva in effetti molto a rilento, con una sollecitudine da parte dell'autorità ecclesiastica centrale romana verso la cura delle anime residenti nel Suburbio.117 Leone si interessa anche ai martyria, come molti dei suoi predecessori (che conservano sempre il ruolo di pressoché unici impresari del culto martiriale), fondando presso il Cimitero di Callisto la basilica 1 1 1 . Si tratta del prefetto nell'anno 422, console nel successivo, ancora in vita nel 448, cfr. PLRE, Il, 1 980 pp. 723-724. 1 12. «Marianus vir inl(ustris) ex p(rae)ftecto) [praet(orio)] et cons(ul) ord(inarius) cum Ana­ stasia inl(ustris) fe[m(ina) eius] debita vota beatissimo Petro apostolo persolvit quae precibus pape Leonis in ei [pro]vocata sunt atque perfetcta» . Cfr. de Rossi 1 888, p. 55. La silloge colloca l'iscri­ zione sulla facciata della basilica « in fronte foras in ecclesia sancti Petri ubi 1111 animalia circa Christum sunt picta» . 1 1 3. Liverani 2008, pp. 155- 1 72. 1 14. Cavalcanti 2000c, pp. 423-442. 1 1 5. PLRE 1 980, II, pp. 3 5 1 -352; De Francesco 2005, pp. 90-94; Kurdock 2007, pp. 190-224. 1 16. LP, l, p. 238. L'iscrizione è riportata in CBCR 1 976, p. 230. Sull'edificio naturalmente ibidem, pp. 230-242; Bartolozzi Casti 2008, pp. 1 06- 1 09; Brandenburg 2004, pp. 257-258. 1 1 7. Episcopo 1 996a, pp. 297-308.

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di Cornelio, con un' interessante operazione che propone un raro potenziamento cultuale mediante la duplicazione dello spazio del santuario rispetto al luogo del­ la sepoltura in ambiente ipogeo. 118 In conclusione, papa Leone segue senza dubbio la strada della committenza già tracciata da Sisto III e calcata poi dai suoi successori, quella di un'attenzione specifica verso i grandi santuari romani (Laterano, San Pietro, San Paolo, San Lo­ renzo fuori le mura), guidata dalle esigenze di una Chiesa che non necessitava più di un'espansione sul territorio e di una "semplice" gestione della cura animarum ma di affermarsi trionfalmente anche attraverso edifici monumentali e lussuosi. L'effettiva e reale entità di questi interventi abbisogna ancora di un definitivo vaglio critico, dal momento che l'attribuzione a Leone di numerose committenze assai significative sul piano storico-artistico nasce, possiamo dire, dal suo essere dive­ nuto ben presto "Magno", ovvero dalla fortuna che la sua figura e i suoi scritti hanno conosciuto sin dal Medioevo stesso. 1 19 La notevole quantità di testi di Leone conservatisi, redatti peraltro in un linguaggio incisivo ed efficace, il suo ruolo di strenuo difensore dei dogmi ortodossi e del primato di Pietro nonché la sua effettiva influenza sulla prassi liturgica lo hanno giustamente consacrato al mito, 120 accre­ sciuto e amplificato non poco in età rinascimentale e barocca dalla riattualizzazione in una nuova chiave interpretativa dell'incontro con Attila.121 Tutto ciò ha spinto buona parte degli studiosi, non solo di matrice cattolica, a vedere in papa Leone il naturale committente di opere di capitale importanza, quali ad esempio i cicli pitto­ rici di San Pietro e San Paolo, prescindendo in parte da sicuri appigli documentari e contribuendo alla nascita di inossidabili dogmi storiografici. Questi si rivelano, dunque, frutto soprattutto di proiezioni moderne, del desiderio di una buona parte di una storiografia passata di individuare grandi protagonisti e icone di un'epoca.

4. Sul crinale. La committenza papale e lafine dell 'Impero d 'Occidente Ciò che abbiamo detto poc'anzi trova piena conferma nella biografia di papa Baro (46 1 -468), che nella sua considerevole attività di patrocinatore rivolge in toto le proprie attenzione alle basiliche patriarcali, in particolare a San Pietro, a San Paolo, a San Lorenzo fuori le mura e al Laterano. Alla residenza papale sono dedicati, senza dubbio, gli sforzi maggiori con l'offerta di una serie di oggetti liturgici sia alla basilica del Salvatore, sia al Battistero e, soprattutto, con la co­ struzione degli oratori annessi a quest'ultimo. 122 In verità, di recente, è stato rico­ nosciuto a Ilaro un ruolo di maggior rilievo anche nella ristrutturazione del Bat1 1 8. LP, l, p. 239; Spera 20 1 2b, p. 4 1 . 1 1 9. Cremascoli 1 997, pp. 149- 1 70. 1 20. Studer 1 997, pp. 1 9-49; Folsom 1 997, pp. 7 1 -99; Nardi 1 997, pp. 1 0 1 - 1 1 9. 1 2 1 . Basti pensare al successo in ambito pittorico e scultoreo della rappresentazione de li' even­ to, dalle Stanze di Raffaello in Vaticano ai rilievi di Algardi in Sant'Agnese in Agone a Roma. 122. LP, I, pp. 242-248; Geertman 2004, pp. 2 1 3-2 1 7.

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tistero stesso: Federico Guidobaldi e Olof Brandt, ricostruendone attraverso una serrata analisi dei vari dati le fasi costruttive, hanno infatti dimostrato in modo assai convincente come la parte alta dell'edificio e il portico debbano essere stati progettati insieme alla cappella della Santa Croce, sicuramente commissionata da Ilaro. 123 Rivedendo dunque la questione, a quest' ultimo andrebbe attribuito l'am­ pliamento del Battistero e a Sisto III, invece, la realizzazione del solo colonnato centrale: in fondo - a ben guardare - questa ipotesi trova perfettamente riscontro nelle fonti testuali ed epigrafiche, come il Liber Pontifica/is, che per Sisto dice esclusivamente che «constituit columnas [ . . . ] ex metallo purphyretico numero VIII, quas erexit cum epistolis suis et versibus exornavit», fino alla poco nota iscrizione riportata dalla silloge Laureshamensis nella quale si ricorda un consi­ stente intervento di Ilaro a favore del Battistero. 124 Il patronato di questo pontefice è, invece, indubitabile per quel che riguar­ da la costruzione degli oratori di Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e del­ la Croce per via non solo delle parole del Liber Pontificalis125 ma anche grazie alle iscrizioni poste sopra gli ingressi delle tre cappelle. Più lineare l'epigrafe di quella del Battista, in cui Ilaro offre l 'oratorio al Santo quale «famulus dei» (fig. 4), più interessante l ' iscrizione della cappella dell' Evangelista, a cui il papa, che si definisce sempre servo del Signore, si rivolge come suo liberato­ re, forse in ricordo del fatto che egli avesse trovato rifugio presso il santuario giovanneo ad Efeso durante i tumulti seguiti al Concilio del 449. 126 Nella sua dedica al popolo di Dio, l ' iscrizione della cappella della Croce si allinea, in­ vece, a quanto già proposto da Sisto III sull'originario arco absidale di Santa Maria Maggiore. 127 Tutti e tre gli oratori vengono abbelliti con una ricca de­ corazione musiva e mannorea, in parte conservata, in parte perduta ma nota da descrizioni e disegni successivi. 128 Nel sacello dedicato ali ' Evangelista il mosaico della volta, a fondo d'oro, è diviso in settori da un complesso sistema di fasce con motivi fitomorfi che inquadrano al centro l'agnello nimbato, posto all ' interno di una ghirlanda; negli spazi di risulta sono inseriti volatili di varie specie affrontati a coppe colme di frutta (fig. 5). Una decorazione analoga carat­ terizzava anche la cappella di San Giovanni Battista, andata purtroppo perduta 123. Brandt, Guidobaldi 2008, pp. 1 89-282; opinione ribadita in Brandt 20 1 2c, pp. 33-85. 1 24. «Hic locus, olim sordentis cumuli squalore congestus sumptu et studio Xpi famuli Hilari Epi iuvante Dno tanta ruderurn mole sublata quantum culminis nunc videtur, ad offerendum Xpo Do munus, omatus atq. dedicatus est». Solitamente tale iscrizione non viene riferita in maniera esplicita al perfezionamento del Battistero ma solo a una sua parte: Lauer 1 9 1 1 , pp. 34-35; Johnson 1 995, pp. 129- 1 30; Cuscito 200 1 , p. 445. Brandt e Guidobaldi (2008, pp. 2 8 1 -282) propongono, invece, di riferirla ali' intero edificio. 125. LP, l, 242-243 : «Hic fecit oraturia III in baptisterio basilicae Constantinianae, sancti lohannis Baptistae et sancti Iohannis evangelistae et sanctae Crucis». 1 26. «Liberatori suo beato lohanni evangelistae Hilarus episcopus famu1us Christi». Sul tra­ dizionale evento Pennacchio 2000a, pp. 442-447. 127. «Hilarus episcopus sanctae plebi Dei». 128. Si rimanda, in sintesi, alle schede di S. Pennesi in Andaloro 2006, pp. 425-436, con ampia bibl.

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ma ricostruibile attraverso la descrizione del Panvinio e la celebre incisione del Ciampini.129 Abbellita di marmi e stucchi sulle pareti, prevedeva nella volta di nuovo l 'Agnus Dei al centro di un'articolata incorniciatura, con candelabre negli spazi di risulta e le figure degli evangelisti nelle lunette. Di più difficile interpretazione, soprattutto per la frammentarietà e la discordanza delle fonti iconografiche, è la decorazione musiva dell 'oratorio della Santa Croce che ave­ va certamente sontuosi marmi alle pareti, uniti allo stucco, e anch' esso una vol­ ta a crociera sottolineata da elementi vegetali ma che sembra recasse nelle vele scene figurate di una certa complessità; 130 dalle parole di Panvinio pare di capire che quattro angeli-cariatidi sorreggessero un clipeo racchiudente una croce al centro della volta. 131 Ilaro provvede a dotare gli oratori anche di un congruo arredo liturgico: relativamente più modesto quello delle cappelle giovannee (la confessione è rivestita di 1 00 libbre d'argento con porticine in bronzo decorato d'argento), più ricco per la Santa Croce, dove la confessione «ex argento et lapidibus pretiosis», con porticine interamente in argento, era sormontata da due colonnine d'onice e da un archetto d'oro, che facevano da cornice a una statuetta aurea del l ' agnello, illuminata da corone e lampade d'oro. 132 E in effetti la cappella dedicata alla Croce si caratterizzava anche per una maggiore artico­ lazione architettonica, essendo dotata di un bellissimo triportico d'accesso con pregiate colonne, vasche, un ninfeo e piccoli oratori annessi. 133 La ragione si può trovare nella funzione dell 'edificio, che doveva probabilmente fungere da "succursale" della Hierusalem nella conservazione ed esaltazione della signifi­ cativa reliquia della vera Croce134: in un passo della biografia di Ilaro si legge, infatti, che questi pose nella confessio dell'oratorio lateranense il «lignum [ . . . ] domini». Si tratta, purtroppo, di un passo controverso, dato che uno dei mano­ scritti del Liber Pontificalis riporta la variante «agnum» al posto di «lignum», accettata da alcuni studiosi che la collegano alla poc'anzi citata statuetta aurea dell'agnello posta sull ' altare della cappella. 135 Ritengo, tuttavia, più plausibi­ le l' idea che questa ospitasse una reliquia della Croce,136 cosi da giustificare, innanzitutto, dedicazione e sontuosità del l 'ambiente e in linea poi con quanto farà papa S immaco (498-5 1 4) nell'omonimo sacello in Vaticano. 137 A questo punto pare importante evidenziare come, secondo alcuni manoscritti del Liber Pontificalis, Ilaro commissionò anche un quarto oratorio presso il Battistero 129. Per la descrizione di Panvinio cfr. Lauer 1 9 1 1 , p.467. L'incisione è pubblicata in Ciam­ pini 1 690, tav. 75. 130. Le fonti testuali e iconografiche sono analizzate in Johnson 1 995, pp. 128- 1 55 ; anche la scheda di Pennesi in Andaloro 2006, pp. 432-436. 1 3 1 . Ibidem. Panvinio è riportato in Lauer 1 9 1 1 pp. 467-468. 1 32. LP, l, pp. 242-243 . 133. Ibidem. 134. In generale vedi Gerusalemme a Roma 20 12. 135. Geertman 2004, p. 2 1 3, nota 1 46. 1 36. Questa versione è accetta da Duchesne (LP, I, 242). 137. LP. l, pp. 26 1 -262. In sintesi de Blaauw 1994b, l, pp. 567-568; Janssens 2000, pp. 266267 e naturalmente il saggio di Alessandra Guiglia in questo stesso volume. ,

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lateranense dedicato a Santo Stefano. 138 La frase, non accettata nella redazione del Duchesne, merita, invece, un approfondimento, dal momento che un codice del XII secolo dell'Archivio Capitolare del Laterano, il Passionario A (f. 1 24a), spiega come le reliquie dei santi dalmati e istriani portati nel VII secolo da papa Giovanni IV (640-642) vennero deposte «in ecclesia S. Stephani iuxta fontem Lateranensem», sostituita poi con la cappella di San Venanzio. I39 Quest' ultima ne occupò probabilmente solo una parte, visto che i due edifici continuarono a esistere entrambi, come attesta la Tabu/a magna Lateranensis del principio del secolo XVI, dove la cappella di Santo Stefano è indicata col suo altare, come annessa agli oratori del Battistero, compreso quello di San Venanzio, ma da essi distinta e posta verso tramontana. 140 Ancora al martire Stefano, il cui culto era davvero in grande ascesa a Roma nel corso del V secolo, Ilaro dedica - secondo un altro passaggio piuttosto ostico della sua biografia un complesso monastico presso la basilica di San Lorenzo al Verano, dotato di una foresteria e di due balnea.141 Si trattava, quindi, di una struttura assistenziale, volendo legata alla cura dei poveri e dei pellegrini, annessa all ' importante santuario laurenziano, che già dai tempi di Sisto e fino a quelli di Ilaro aveva conosciuto un potenziamento e un arricchimento; quest'ultimo gli offre, infatti, in dono moltissima suppellettile liturgica di pregio, destinata sia alla basilica maior, sia alla struttura ad beatum Laurentium. 142 Nello specifico la ne­ cessità di realizzare nel complesso monastico due bagni, secondo il modello ap­ plicato più tardi da Leone III (795-8 1 6) al Vaticano, potrebbe indicare usi diversi, con un balneum destinato ai religiosi e uno ad uso pubblico; in effetti il collega­ mento con un centro martiriale, cui il monastero doveva essere funzionale, può far ipotizzare che almeno uno degli impianti potesse essere utilizzato dai pelle­ grini. 143 Nel medesimo polo religioso vengono realizzate anche due biblioteche. 144 A Ilaro si attribuisce, inoltre, la costruzione di un monastero «intra urbe Roma ad Lunam», mai più citato in seguito e, pertanto, di difficilissima localizzazione. 14s In linea con quanto già rilevato per i precedenti pontificati, anche quello di Ilaro vede la collaborazione con l'evergetismo laico nella realizzazione di im­ portanti opere. Un'iscrizione poetica in sei versi, perduta ma tramandata dalle sillogi di Einsiedeln e Laureshamense, celebra lo splendore della nuova chiesa di Sant'Anastasia al Palatino, raggiunto grazie alla fede e all' impegno di papa -

138. «Fecit autem oratorium sancti Stephani in baptisterio Lateranense». Cfr. LP, l, p. 247, nota l l ; Geertman 2004, p. 2 1 6, nota 1 57. 1 39. LP, l, p. 247, nota l l ; de Rossi 1 899, p. 54. 140. Rohault de Fleury 1 877, p. 506. 1 4 1 . LP, l, p. 247, nota l O; Ferrari 1957, pp. 254-27 1 ; Geertman 2004, p. 2 1 6, nota 1 57. La chiesa del monastero potrebbe essere quella consacrata da Simplicio, il successore di Ilaro. 142. LP, l, p. 244. La devozione di Ilaro per il santuario sulla Tiburtina doveva essere molta, visto che lì scelse anche di farsi seppellire. 143. Stasolla 2002, p. 144. 144. LP, l, p. 245. Scalia 1 977, pp. 39-63 . 145. LP, l, p. 245; Ferrari 1 957, p. 13. Vaga l'ipotesi di posizionarlo sull'Aventino.

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Baro e dei fedeli Severo e Cassia, due sconosciuti benefattori, forse già defunti al tempo dell'esecuzione dell'opera. 146 Per molti studiosi si tratterebbe della de­ corazione absidale della chiesa - essendo ricordata dalle sillogi «in absida» o «in trono» -, che ne andava a sostituire una precedente del tempo di papa Damaso (366-3 84), menzionato proprio al principio dell'epigrafe. 147 Al successore di Ilaro, Simplicio (468-483), che vede la drammatica fine dell'Impero Romano d'Occidente nel 476, il Liber Pontifica/is non sembra ri­ conoscere alcuna committenza diretta: al verbo dedicare, scelto per indicare l'azione compiuta dal papa verso una serie di chiese, deve, infatti, di necessità attribuirsi il significato di consacrare/dedicare/legittimare e non costruire/fondare o affini, 148 facendo pensare che Simplicio abbia unicamente consacrato edifici costruiti grazie ali' impegno, ali' interessamento e al sostegno economico di altri committenti 149 o, al massimo, già esistenti e solo convertiti ad uso religioso. E in effetti scorrendo la lista di queste chiese tale lettura sembra trovare conferma. La chiesa di Sant'Andrea, presso Santa Maria Maggiore, detta comunemente Cata­ barbara, nasce infatti dal riadattamento della preesistente basilica privata del con­ sole Giunio Basso, a quanto pare grazie alla munificenza del generale goto Flavio Valila, il cui nome si ricava dalla perduta iscrizione a corredo dell'antico mosaico absidale ( «Haec tibi mens Valilae devobit praedia Christe/cui testator opes detulit ipse suas/Simpliciusq[ ue] papa sacris caelestibus aptans/effecit vere muneris esse tui/et quod apostolici deessent limina nobis/martiris Andreae nomine composuit/ utitur haec heres titulis ecclesia iustis/succedensq[ue] domo mystica iura locat/ plebs devota veni perq[ ue] haec commercia disce/terreno censu regna supema peti»).150 Un atteggiamento cauto è suggerito dall' ipotesi formulata qualche anno fa da Margherita Cecchelli che, basandosi soprattutto sul fatto che alcuni copisti riportano la variante valide al posto di Valilae e che questi non venga ricordato con nessuno titolo o epiteto, ha proposto di negare la presenza del donatore, at­ tribuendo in toto l' iniziativa a papa Simplicio.ISI Tuttavia non solo la struttura grammaticale della frase ( «Haec ti bi mens Valilae devo bit praedia Christe/cui testator opes detulit ili e suas [ . . . ]») sembra meglio predisposta per la presenza di un nome proprio ( Valilae) e non di un avverbio (valide) ma, soprattutto, va evidenziata la diffusione generale di tale formula e, in particolare, proprio nelle iniziative evergetiche in collaborazione, come attesta l'epigrafe dell'arco di San 146. De Rossi 1 888, p. 24, n. 25. Ignoriamo completamente l'identità dei due patrocinato­ (una coppia di coniugi?) ma si può pensare che fossero già defunti all'epoca di realizzazione dell'opera per l'uso del termine o/im per Severo e di mens per Cassia. 147. CBCR 1 937, p. 62; Cecchelli 1 993a, pp. 37-38; Mazzoleni 2002, pp. 278-279; Cerrito 20 1 1 , p. 35 1 . 148. LP, l, p. 249. Sull'uso di questo verbo Geertman 1 975b, pp. 1 88- 1 92. 149. Basterà ricordare il già citato episodio di papa Innocenzo I e della matrona Vestina per la chiesa dei Santi Gervasio e Protasio, eretta con il finanziamento della donna, il lavoro dei presbiteri e che il papa semplicemente «dedicavit». 1 50. Sulla chiesa, la sua decorazione e la figura di Valila principalmente CBCR 1 937, pp. 6465; Cecchelli 1 993b, p. 39; De Francesco 2005, pp. 95-98; Kalas 20 13, pp. 279-302. 1 5 1 . Cecchelli 1 99 1 , pp. 6 1 -7 1 . Poco citato nelle voci prosopografiche pubblicate in seguito. n

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Paolo («Placidiae pia mens operis decus homne patemilgaudet pontificis studio splendere Leonis») o quella della perduta decorazione di Sant'Anastasia (« [ . . . ] papae Hilari meritis olim devota Severilnec non Cassiae mens dedit ista Deo» ) Giova, a questo punto, ricordare che un Flavio Valila, magister utriusque militiae proprio nel nostro scorcio di V secolo, è ricordato per aver finanziato nel 4 7 1 un edificio di culto presso Tivoli e per il lascito di molte proprietà alla Chiesa. 152 Una figura, quindi, di grande benefattore religioso perfettamente sovrapponibile alla nostra di Sant'Andrea Catabarbara e che, forse, poteva già essere stato celebrato nella nuova chiesa con i suoi titoli in un'altra iscrizione. Le operazioni riferi­ te al pontefice nell'epigrafe di Sant'Andrea - cioè l'adattamento di una struttu­ ra preesistente a chiesa, l'intitolazione al Santo, l 'attribuzione all'edificio delle prerogative ecclesiastiche -, nonché il ruolo riconosciuto in precedenza a Valila (mens volontà; testator donatore per lascito), chiariscono perfettamente il significato da attribuire a «dedicavit», scelto appunto dal compilatore del Liber Ponti.ficalis per far comprendere come il pontefice avesse ricevuto in dono un edi­ ficio con una diversa funzione originaria, per convertire legittimamente il quale doveva compiere precise azioni. Infatti la biografia papale utilizza il medesimo verbo anche per le chiese di Santo Stefano in Agro Verano, di Santa Bibiana e di Santo Stefano Rotondo, che, mutatis mutandis, rientrano tutte nella categoria di edifici commissionati da altri o già esistenti e solo adattati al culto. Mentre per Santo Stefano sulla Tiburtina la spiegazione può trovarsi nella vita di papa Ilaro, che avendo iniziato la costruzione di tale chiesa ne lascia, probabilmente per ragioni di tempo, la consacrazione (con le implicite incombenze legali) al suo successore, 153 per le altre due chiese i motivi, come vedremo, appaiono più arti­ colati. Il Liber Ponti.fica/is colloca la basilica dedicata da Simplicio alla martire Bibiana «iuxta palatium Licinianum [ . . . ] ubi corpus eius requiescit»,154 che la Passio e ad altre fonti indicano unanimemente nella casa patema. 155 A margine è interessante interrogarsi sulla natura del luogo dove sorse il culto della martire, visto che ci si trova in una zona intramuranea, tanto da non far escludere l' ipotesi di una memoria domestica rispetto a un effettivo spazio funerario. 156 In gene­ rale, comunque, dai riferimenti testuali sembra potersi dedurre che l'originaria basilica si sarebbe insediata nelle strutture di una casa patrizia sita nei pressi di un Palatium collocato, a partire dalla storiografia erudita della metà del XIX secolo, vicino agli Horti cosiddetti Liciniani, in un settore della città occupato da lussuose residenze ricche di giardini. 157 Santa Bibiana sarebbe, pertanto, sorta nella seconda metà del V secolo, quando in effetti il suo culto inizia realmente .

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1 52. Regesto tiburtino 1 880, doc. l, a. 47 1 , p. 1 5; Geertman 20 1 1 , pp. 599-6 12. 1 53 . Si veda supra. Per la localizzazione di Santo Stefano presso San Lorenzo fuori le m ura Serra 2002, pp. 677-690. 1 54. LP, l, p. 249. 1 55 . Fedini 1 627, p. 58. 1 56. Varie sono le ipotesi in tal senso, cfr. Fiocchi Nicolai 200 1 , pp. 3 1 6-3 1 8. 1 57. Sulla chiesa nello specifico CBCR 1 937, p. 94. Anche sugli Horti Cima 1 998, pp. 425452; Guidobaldi 1 998b, pp. 485-5 1 8.

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ad affermarsi, 158 sfruttando un edificio preesistente collegato al luogo di sepoltura della martire; a questo punto la conversione in chiesa di una struttura abitativa potrebbe tranquillamente giustificare l'utilizzo del verbo dedicare in relazione all'azione compiuta da Simplicio. Si tratta di una spiegazione estesa talvolta pure alla basilica di Santo Stefano Rotondo159 sebbene gli ultimi indirizzi di studi sembrino indicare un'altra via da seguire, dal momento che lo straordinario edificio religioso sul Celio viene oramai ritenuto una struttura eretta ex novo con funzione memoriale per volontà imperiale, collegabile all'affermazione del culto del protomartire all' indomani della pubblicizzata riscoperta della sua tomba a Gerusalemme.160 Brandenburg, che fissa grazie a un accurato studio archeologico, topografico e all'analisi delle travi !ignee la possibile erezione della chiesa a partire dalla metà del V secolo circa, propende per una committenza di Maggiorano o di Libio Severo, di cui peraltro sono state rinvenute monete durante lo scavo. 161 Non mi sento, tuttavia, di escludere le figure dell 'imperatore Valentiniano III e di sua moglie Eudossia, che potrebbero essere stati almeno all'origine del progetto, per il legame con il culto del martire Stefano, ritenuto a tutti gli effetti il Santo dinastico della fami­ glia teodosiana, e quello con la città di Roma, dove trascorrono buona parte della loro esistenza, soprattutto negli ultimi anni di regno, e a cui riservano numerose attenzioni evergetiche. 162 Alla diretta cura di Simplicio vanno, invece, riferiti alcuni significativi in­ terventi in San Pietro, documentati da iscrizioni perdute. La prima, vista «in limin(ibus) in introitu eccl(esiae)», reca un contenuto da cui ben poco, purtrop­ po, possiamo ricavare dal punto di vista della committenza, dal momento che ci informa solo che a Simplicio, in quanto presule, viene ordinato di tenere i sacra iura e di accrescere il «cultus venerandae aulae». 163 Non possiamo, pe­ raltro, escludere che si faccia riferimento alla nuova amministrazione liturgica organizzata da Simplicio, che aveva previsto per le tre basiliche cimiteriali (San Paolo, San Lorenzo e, appunto, San Pietro) l ' assegnazione di gruppi di presbi­ teri titolari che con turni settimanali si adoperassero per impartire i sacramenti del battesimo e della penitenza.164 Più celebre ma altrettanto sibillina la seconda epigrafe, ricordata dalle fonti nel quadriportico della basilica vaticana: «Simpli­ cius praesul sacraria celsa petenternlporticibus iunctis texit ab imbre viam >> , 165 1 58. Il nome della Santa non compare, infatti, nei sacramentari di quel tempo, Leoniano e Gelasiano, ma, per la prima volta, solo nel Martirologio di Adone (IX secolo), cfr. Gordini 1963, coli. 177- 1 8 1 . 1 59. Sin dal XV secolo è stata ritenuta un edificio pagano trasformato poi in chiesa ( un tem­ pio, un macellum, l'aula di un palazzo imperiale) cfr. CBCR 1 976, p. 204. 1 60. Fondamentali in tal senso gli studi di Brandenburg. Si rimanda ai vari saggi in Santo Stefano Rotondo 2000 e a Brandenburg 2004, pp. 480-505. 1 6 1 . /bidem. 162. Gillett 2001 , pp. 1 3 1 - 1 67; Humphries 20 12, pp. 1 6 1 - 1 82; Gianandrea 20 1 5a, pp. 504-5 10. 1 63. De Rossi 1 888, p. 1 0, n. 4 1 03 . 164. L P, l , p . 249. de B1aauw 1994b, Il, pp. 501 -502. 165. De Rossi 1 888, p. 1 0, n. 4 1 04.

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da sempre (malgrado qualche voce discordante) riferita alla costruzione dei due bracci laterali del quadriportico petrino, sistemato poi in via definitiva da Simma­ co (498-5 1 4) . 166 Tale soluzione implicherebbe, naturalmente, che l'atrio dall'età costantiniana alla fine del V secolo fosse rimasto privo dei lati lunghi, forse con qualche soluzione provvisoria. Ciò sembra difficile, innanzitutto, perché il ter­ rapieno e le fondazioni dell'atrio, corrispondenti alle misure della nave centrale della basilica, devono essere stati realizzati contemporaneamente ad essa, 167 ren­ dendo improbabile l' idea che l'alzato sia stato eseguito in tempi così lunghi o che nei decenni vi si fossero ammassate costruzioni non previste. Inoltre in una celebre Epistola del 396-397, in cui Paolino da Nola descrive il ricco banchetto funebre offerto da Pammachio in onore della moglie, si parla per San Pietro sia di un «atrio)), sia di un «vestibulo)), 168 che - credo - possano costituire almeno una spia dell'esistenza, già alla fine del IV secolo, di un quadriportico, soprattutto nella scelta del termine atrio, che implica di necessità il riferimento a uno spazio ben delimitato e, di norma, chiuso, che in effetti potrebbe più agevolmente spie­ gare l' esplicito riferimento nella lettera di Paolino alle «ianuis atrii)) .t69 È altresì molto probabile che il vescovo nolano avrebbe scelto un altro termine al posto di «atrium)) se avesse voluto indicare uno spazio aperto, una sorta quindi di piazza o campo. Nel latino classico come in quello più tardo, infatti, l'atrio «est area ante aedem portibus et columnis cincta)). Così peraltro è inteso più volte anche nel Liber Ponti.ficalis. l1o In realtà è la stessa biografia di Simmaco, compresa proprio nella raccol­ ta delle vite pontificie, a stimolare qualche ulteriore riflessione, se letta con at­ tenzione. Ancor prima dell 'enigmatica espressione «lpsum vera atrium omnem compaginavit)) - ossia dell ' ipotizzata indicazione di costruzione dei portici la­ terali e, quindi, dell'erezione di un vero atrio quadriporticato - il cortile della basilica viene già chiamato qualche riga prima «quadriporticum)), 171 come se con il verbo compaginare si volesse intendere non una costruzione ex novo (per la quale peraltro il compilatore del Liber Ponti.ficalis avrebbe potuto usare come di consueto fecit o construxit) ma solamente una più corretta "impaginazione" della struttura. Tanto è vero che subito dopo si elenca la realizzazione di varie scale di collegamento tra le parti esterne del complesso, di fontane e di «episcopia)), che sicuramente contribuirono allora a meglio definire, collegare e sistemare (signi1 66. Nella biografia di Simmaco (LP, l, p. 262) si legge, infatti, che «atrium [ . . . ] compagi­ navit». Tra le voci fuori dal coro Picard 1974, pp. 857-858, che collegava l'iscrizione allaporticus esterna e non all'atrio della basilica. Convinti della prima ipotesi Krautheimer (CBCR 1 980, pp. 273-274) e de Blaauw 1 994b, Il, pp. 463-464. 1 67. CBCR 1 980, pp. 267-274. 1 68. Paulinus Nolanus, Epist. XIII , 13, in PL, 6 1 , 1 847, col. 2 1 5: «quave praetento nitens atrio, fusa vestibulo est». 1 69. Du Cange 1 840, I, pp. 465-466. 1 70. Si vedano, ad esempio, le biografie di Dono (676-678) e di Sergio I (687-701 ), cfr. LP, l, p. 348 e 375. 1 7 1 . LP, l, p. 262.

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ficati, questi, ben compresi nel verbo compaginare) l'atrio e l'assetto esterno del complesso vaticano. Cosa possono essere allora i «porticibus iunctis» realizzati da Simplicio? Al di là dell'effettiva difficoltà di riferirli alla famosa porticus che accompagnava i pellegrini nel cammino verso San Pietro, innanzitutto perché già documentata prima di Simplicio e poi perché il termine viene sempre citato al singolare, 172 non possiamo escludere del tutto un riferimento al percorso coperto (a un tratto di esso, a un suo ampliamento o miglioramento). Inoltre l' idea che l ' iscrizione lascia passare, quella di una viam coperta per il riparo dalle intemperie, parrebbe alludere a un tratto di strada più lungo e articolato per l'arrivo alla basilica, non limitato allo spazio interno di un cortile. 173 Del Liber ponti.ficalis è la notizia che Felice III (483-492), successore di Sim­ plicio, dispose la costruzione di una chiesa votiva presso San Lorenzo sulla via Tiburtina, in onore di Agapito, 174 diacono martirizzato con Sisto II e sepolto nel Cimitero di Pretestato sulla via Appia. L'edificio faceva parte del complesso laureo­ ziano, già potenziato con nuove costruzioni dai predecessori di Felice, ma non se ne conosce l'esatta ubicazione, sebbene dalla Notitia Ecc/esiarum Urbis Romae e da alcuni itinerari altomedievali sembra che fosse situato non lontano dalla basilica di San Lorenzo, sul lato opposto della via Tiburtina rispetto a Sant'Ippolito. 175 Più ricche, sul piano della committenza artistica risultano le notizie relative a papa Gelasi o II (492-496): le fonti testuali gli attribuiscono, infatti, la consa­ crazione, oltre che di una chiesa di San'Eufemia a Tivoli, anche di «basilicas» (o in base ad altre redazioni del Liber Ponti.fica/is di una sola «basilicam») per i santi Nicandro, Eleuterio e Andrea sulla Via Labicana. 176 Secondo un' ipotesi di Robert Coates-Stephens, la chiesa dell'apostolo Andrea andrebbe identificata con un edificio absidato esistente al km 9,700 della Casilina, ovvero al IV miglio dell'antica via Labicana, in località Santa Maura. 177 Si fa allora più interessante il fatto che Lorenzo Quilici aveva rilevato in quest'area la presenza di almeno due costruzioni con abside, che andrebbero a confermare l 'esistenza di un complesso cultuale con più «basilicas», come attestato dalla vita del pontefice.178 A questi viene inoltre assegnata la consacrazione («dedicavit») o la costru­ zione («fecit»), in base alle differenti redazioni del Liber Pontificalis, di una basi­ lica sulla via Laurentina infundum Crispinis miliario ab urbe XXmo, 179 che risulta 1 72. Sulle porticus di Roma, Spera 20 1 1c, pp. 1 299- 1 330. 1 73. È interessante notare come uno dei manoscritti che ha tràdito l'iscrizione riporti la variante «ponticibus», cfr. de Rossi 1 888, p. l O, n. 4 1 04. 1 74. LP, l, p. 252. 1 75. lbidem; Serra 200 1 a, p. 30; Bratof 2000, p. 456. 1 76. LP, l, p. 255: Duchesne sceglie la versione «alias basilicas» mentre i manoscritti BCDE riportano «Dedicavit autem aliam basilicam» . 1 77. Coates-Stephens 1 997, pp. 1 87- 1 90. Un recente approfondimento in Zegretti 201 2, pp. 2 l l -2 1 7. 1 78. Quilici 1 974, p. 745. 1 79. LP, l, p. 255.

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di difficile localizzazione, già per il fatto che la Laurentina aveva solo sedici miglia. Ciò ha spinto alcuni studiosi a ritenere Laurentina un errore per Labica­ na, dove Gelasio aveva già avviato la costruzione della chiesa di Sant'Andrea, mentre per la Patitucci Uggeri l'edificio gelasiano potrebbe essere identificato con l 'attuale Santa Maria delle Vigne, detta la Madonnella, circa un km a sud di Pratica di Mare. 180 Al di là di tali questioni, la chiesa risulta interessante anche per la precoce dedica alla Vergine, tra le prime, dunque, dopo la costruzione di Sisto III sull 'Esquilino. Scarsissime le informazioni sull'attività di committente di papa Anastasio II ( 496-498), a cui viene ascritta solo la realizzazione di una confessio in argento per il beato Lorenzo martire.181

5 . Un incontro di forze per il papato in ascesa: facoltosi presbiteri, ricche matrone, devoti aristocratici e imperatori Si può allora affermare che il V secolo abbia visto la genesi di quel grande fenomeno che è stata la committenza artistica esclusiva dei papi a Roma nel Me­ dioevo? La nascita di un nuovo sovrano per la città eterna? E, più, in generale la fine della città imperiale a favore di una nuova identità cristiana per l'Urbe? Innanzitutto parlare per il V secolo unicamente di committenza papale sarebbe un grave errore, storico prima di tutto. Così come affermare che in precedenza i pontefici non si fossero prodigati personalmente per la costruzione di importanti edifici. La basilica Iulii ilata forum Traiani come la Liberiana, che dovevano essere strutture di una certa rilevanza nonché giocare un ruolo sostanziale nel­ la vita religiosa dell'epoca, sono frutto diretto e specifico della committenza di due pontefici, Giulio e Liberio, che già prima di Sisto III si rendono protagonisti dell'edificazione di due basiliche importanti, destinate ad affiancare San Pietro, il Laterano e i cimiteri suburbani di fondazione imperiale. 182 Inoltre se è fuor di dubbio che a Sisto vada riconosciuto il merito di una importante impresa, quale l'erezione di Santa Maria Maggiore, essa non è stata appunto la prima grande basilica commissionata da un pontefice e, soprattutto, si inserisce in un clima di evergetismo ben più ricco e articolato. lnnanzitutto gli imperatori. Infatti quello che forse è ancora oggi necessa­ rio evidenziare è che i cento anni del V secolo non sono stati un percorso svolto in solitudine dai pontefici, tracciando quell ' ideale (ma irreale) linea retta che da Costantino arriva direttamente a Sisto III per un' ipotetica rinascita di Roma nella nuova veste, da città imperiale a città papale, ma un viaggio in cui pro­ prio la famiglia imperiale assume un ruolo perlomeno da coprotagonista. Non 1 80. Per le varie posizioni degli studiosi De Francesco 2005, pp. 43-45, 53; Patitucci Uggeri 1969, pp. 1 75-1 89. 1 8 1 . LP. l, p. 258. 1 82. LP, l, p. 205 e p. 208; in generale Geertman 1 987, pp. 63-9 1 .

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a caso i primi anni del secolo e, soprattutto, quelli a partire dal pontificato di Sisto vedono uno straordinario rinnovamento di interesse da parte degli impe­ ratori verso Roma, in effetti scalzata nel dopo Costantino da altre realtà urba­ ne (Costantinopoli, Milano, Treviri), con una progressiva rinnovata presenza fisica del sovrano nell'Urbe e, ancor prima, con un suo concretizzarsi proprio attraverso la committenza artistica e la costruzione di edifici . 183 Probabilmente anche la scissione in due parti dell' Impero con la conseguente nascita di un "sovrano d' Occidente" ha contribuito a rifocalizzare l ' interesse su Roma, che si presentava come la unica e sola città in grado di rivestire la funzione di centro ideologico del potere. Ciò che Onorio in parte e, soprattutto, Valentiniano III e i suoi successori avevano ben chiaro è che solo in Roma avrebbero potuto trovare la città adatta a divenire il simbolo del loro Impero. Basta scorrere le date con i tempi di soggiorno e residenza nell' Urbe dei sovrani e la "lista" delle loro committenze artistiche e di quelle patrocinate dal papa con il loro soste­ gno per rendersi conto come sia stata la loro presenza e non la loro assenza a contribuire alla grande stagione artistica del V secolo romano, come sia stato il rinnovato status imperiale di Roma e l'appoggio dei sovrani a coadiuvare il sor­ gere di un'architettura monumentale e trionfalistica, il ricorso a un importante linguaggio classico, il riuso fondamentale di bellissimi pezzi scultorei antichi (vincolati infatti dal permesso imperiale). 184 Accanto all' impresa di Santa Maria Maggiore e alle altre committenze papali, è la famiglia imperiale ad arricchire il panorama della Roma cristiana con la fondazione della nuova, monumentale basilica di San Paolo, la decorazione del suo arco, l 'abbellimento della Hieru­ salem, le donazioni di sculture, strutture e suppellettile liturgiche a San Pietro, al Laterano e a San Paolo, la (ri)costruzione di San Pietro in Vincoli, il proget­ to di Santo Stefano Rotondo. Di risposta è anche la Roma laica a beneficiare dell ' interesse degli imperatori con l'erezione di nuovi archi, restauri alle mura e ai monumenti pubblici, riformulazione di nuovi nuclei residenziali. 185 Ma nel quadro del patronato artistico di V secolo a far sentire la propria voce, acuta e potente, accanto a quella del papa e dell'imperatore è, senza dubbio, il com­ mittente privato, nobile influente, presbitero facoltoso o autorevole militare che fosse.186 Spesso assenti negli inevitabilmente parziali documenti pontifici, i pri­ vati emergono invece con vigore dalle fonti testuali ed epigrafiche, frutto trop­ po spesso solo di casuale sopravvivenza. Le basiliche di San Vitale e di Santo Stefano sulla via Latina vengono edificate per volontà di due aristocratiche romane, Vestina e Demetriade; Santa Pudenziana e Santa Sabina per intervento dei presbiteri Ilicio, Massimo e Leopardo da una parte, Pietro d' Illiria dall'al1 83. Marazz i 2000, pp. 3 1 8-354; Gillett 200 1 , pp. 1 3 1 - 1 67; Humphries 2007, pp. 2 1 -58; Id. 2012, pp. 1 6 1 - 1 82. 1 84. Ibidem. l 85. Augenti 1 996, pp. 957-98 1 ; Marazzi 2000, pp. 3 1 8-354; Lim 1 999, pp. 265-282; Spera 201 2a, pp. 1 1 3- 1 55. 1 86. Fondamentali, in tal senso, gli studi di Pietri 1 976; 1 978, pp. 3 1 7-337; 1 98 1 , pp. 435453. Inoltre Hillner 2006, pp. 59-68; Ead. 2007, pp. 225-26 1 .

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tra; i Santi Giovanni e Paolo grazie a Pammachio e Sant'Andrea Catabarbara con il finanziamento del generale goto Valila. Accanto a questi patrocinatori di chiese, si pone poi una lunga lista di altri committenti privati che si impegnano per l' abbellimento degli edifici religiosi: dai consoli Flavio e Mariano per il Laterano e San Pietro, al prefetto Longiniano e ai coniugi Severo e Cassia per Sant'Anastasia fino al potente generale Ricimero per Sant'Agata dei Goti. In sostanza, tenendo peraltro ben presente la maggiore ricchezza delle fonti ri­ guardanti l'operato dei pontefici, si evidenzia per il V secolo un certo equilibrio nell ' attività evergetica tra patronato papale e privato. Ciò deriva, senza dubbio, dall'organizzazione sociale della città di Roma in questo periodo, in cui i pri­ vati (imperatori, nobili, importanti funzionari pubblici) risultano ancora i veri detentori di grandi ricchezze economiche, tanto che è stata proprio la comple­ ta conversione al cristianesimo della classe aristocratica, compiutasi sul finire del IV secolo, a imprimere un' impennata in chiave monumentale all'edilizia e all ' arte cristiana di Roma. Di contro la Chiesa, sebbene sia assai complesso definire con chiarezza l 'entità del suo patrimonio, a questa data non dispone probabilmente di risorse così massicce e, soprattutto, non ne aveva la gestione globale. 187 Proprio la documentazione relativa alla fondazione di tituli da parte di privati, ricca anche di elementi di tipo legale, ci illumina in tal senso, con un'attenzione particolare riservata dal conditor al fatto che i beni in dotazione fossero usati per la sua chiesa e dal pontefice al fine di evitare eventuali preva­ ricazioni da parte dei donatori. Non a caso a partire dal pontificato di Simplicio e, soprattutto, da quello di Gelasio la questione diventerà urgente e tale materia sarà oggetto di provvedimenti per creare un'amministrazione più coerente e unitaria dei patrimoni della Chiesa, tale da consentirle di contare di più sulla scena romana. 188 Nel V secolo, dunque, l 'evergetismo urbano è, senza dubbio, il frutto del l ' incontro tra un papato in ascesa, una classe aristocratica, di fresca conver­ sione ed economicamente forte e una serie di imperatori, che ancora riconosce in Roma il proprio centro ideale. Pertanto i sovrani e il patriziato continuano a investire somme cospicue per il mantenimento del patrimonio monumentale e, in parte, per la realizzazione di nuove opere (soprattutto nell ' area del Foro) e di spazi per l ' epifania del potere attraverso giochi, spettacoli ed eventi. 189 La committenza papale, affiancata dal patronato artistico religioso dei privati, mo­ stra infatti come nel V secolo non si attui affatto un processo di destrutturazione degli spazi urbani centrali, 190 non tanto per le "celebri" strategie di cautela ma semplicemente per naturali necessità politiche e sociali: il Foro continua ad es­ sere il centro della vita politica, si connota in modo chiaro per funzioni precise e ancora vivissime, e non ha pertanto alcun senso erigervi edifici cristiani. Ciò 1 87. Marazzi 1 998; Saxer 200 1 b, pp. 493-632; De Francesco 2005. 1 88. Llewellyn 1 977, pp. 245-275; Arnaldi 1 982, pp. 7-56; Marazzi 1 998, passim. 1 89. Lim 1 999, pp. 265-282; Marazzi 2000, pp. 32 1 -329; Spera 2012a, pp. 1 1 3- 1 55. 1 90. Augenti 1 996, pp. 957-98 1 ; Marazzi 2000, pp. 32 1 -329.

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non significa, però, che questi non potessero sorgere nei dintorni, come il titulus Marci, la basilica Iulii iuxtaforum Traiani o Sant'Anastasia al Palatino. Più che a questioni di prudenza converrà pensare a ragioni concrete di ruolo e funzione della zona del Foro o di connotazione giuridica del suolo. 1 91 È solo, pertanto, con l ' inizio del VI secolo, con la fine di un'epoca e la scomparsa di una precisa componente sociale che la Chiesa potrà enfatizzare la propria visibilità e influire concretamente sui meccanismi dell'evergetismo urbano. Roma nel V secolo non è una realtà in transizione, una città di attar­ damenti o di anticipazioni, e il patronato artistico di questo periodo non deve essere letto in relazione alla definizione di una nuova identità cristiana ma come la ricca identità di Roma tardoantica.

1 9 1 . Pietri 1 976, passim; Marazzi 1 988, pp. 25-34; Hillner 2002, pp. 3 2 1 -329; Ead. 2006, pp. 59-68.

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Fig. l . Santa Maria Maggiore, arco absidale (foto dell'autrice). Fig. 2. Battistero lateranense, interno (foto dell'autrice).

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Fig. 3. San Paolo fuori le mura, arco trionfale (foto dell'autrice). Fig. 4. Battistero lateranense, iscrizione dell'Oratorio di San Giovaruù Battista (foto dell'autrice).

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Fig. 5. Battistero lateranense, Oratorio di San Giovanni Evangelista, mosaico (foto dell'autrice).

Alessandra Guiglia Il VI secolo: da Simmaco (498-5 1 4) a Gregorio Magno (590-604)

Gli oltre cento anni che trascorsero dall' inizio del pontificato di Simmaco (498) alla fine di quello di Gregorio Magno (604) furono forse tra i più densi di eventi cruciali e talvolta anche assai dolorosi che Roma e il papato abbiano vissuto. Tuttavia, all'aprirsi secolo, proprio nell'anno 500, la visita nell 'Urbe di Teoderico, accolto trionfalmente dal senato, dal popolo e dal clero capeggiato dal papa, sembrava preludere ad un'epoca di pace e di prosperità qualificata da opere di restauro, ricostruzione e manutenzione degli antichi monumenti della città. 1 Il pontificato di Simmaco (498-5 1 4) si caratterizza, in effetti, per un'attività costruttiva e decorativa davvero imponente, della quale però non resta purtrop­ po quasi nulla di concreto: essa coinvolse molti monumenti urbani e suburbani della città, come testimoniano non solo la lunga biografia del Liber Pontifìca/is,2 ma anche una serie di iscrizioni celebrative che descrivevano ed esaltavano con enfasi i suoi interventi, dedicati in special modo alla basilica e al complesso di San Pietro.3 Determinanti per questo primo e più importante centro della politica edilizia di Simmaco furono le vicende che lo videro protagonista fin dal giorno della sua elezione, il 22 novembre 498, quando a Santa Maria Maggiore fu eletto contemporaneamente il presbitero Lorenzo. La questione del cosiddetto scisma

l . Righini 1 986, pp. 372-380; Johnson 1 988, pp. 73-77; La Rocca 1 993, in part. p. 475; Pani Ermini 1 995, pp. 220-225; Pani Ermini 200 1 , pp. 255-286; Pani Ermini 2007, pp. 30-32; Quaranta 2008. Tra le opere di carattere generale che delineano le vicende del VI secolo nei suoi vari aspetti si ricordano Bertolini 1 94 1 , pp. 48-284; Llewellyn 1975, pp. 5-82; Krautheimer 1 98 l a, pp. 77- 1 4 1 ; Guidobaldi 1 998a, pp. 34-40; Cecchelli 200 l c, pp. 85-9 1 ; Pani Ermini 200 1 , pp. 255-286; Coates­ Stephens 2006a; Coates-Stephens 2006b; Pani Ermini 2007; Coates-Stephens 201 1 . Si veda anche il contributo di Barclay Lloyd 1 996a, dedicato specificamente alla committenza papale ma piuttosto sommario e non privo di errori e imprecisioni. 2. LP, l, pp. 260-263 e commento alle pp. 263-268; Geertman 2003d, pp. 343-346. Fonte contemporanea è il cosiddetto Fragmentum Laurentianum, una biografia di Simmaco scritta da un esponente del partito dell'antipapa Lorenzo: LP, I, pp. 43-46. 3. LP, l, pp. 265-267. Sull'attività edilizia di Simmaco si vedano i recenti contributi di Cec­ chelli 2000 e di Janssens 2000, quest'ultimo con particolare riguardo alle iscrizioni. Si rinvia co­ munque in generale agli Atti del convegno Il papato di San Simmaco, nel quale compaiono i due articoli citati.

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laurenziano,4 che causò scontri sanguinosi per le vie della città tra le due opposte fazioni, si protrasse per diversi anni ed ebbe come conseguenza, per l'aspetto che più ci interessa, l'occupazione della sede lateranense da parte dell'antipapa e dunque la sistemazione di Simmaco al Vaticano dal 50 l al 506. Il forzato allonta­ namento dal tradizionale luogo di residenza dei pontefici divenne occasione per trasformazioni di notevole portata nel complesso petriano, come ben esemplifica­ no in primo luogo i due episcopia eretti ai lati dell' ingresso alla basilica, destinati al papa e al suo seguito, che diedero infatti vita al più antico nucleo di un palazzo papale vaticano. L'articolato programma di lavori riguardò innanzitutto una nuova monumen­ talizzazione del quadriportico, chiamato ora cosi per la prima volta,5 probabil­ mente a completamento dell'opera di papa Simplicio che aveva aggiunto i portici laterali; fu inoltre realizzata una nuova decorazione marmorea e musiva con la raffigurazione di agnelli, croci e palme, che poteva trovare posto sulle pareti dei portici. Il rinnovamento si estese anche allo spiazzo antistante, collegato tramite un'altra scalinata, nel quale furono posti un secondo cantharus, che si aggiunge­ va a quello già esistente nel quadriportico, ricordato da Paolino di Nola,6 ed altre strutture connesse ad uso dei fedeli e dei pellegrini. Proprio nell'atrio, in dextera parte cioè a sinistra salendo verso la basilica, era collocata una magniloquen­ te iscrizione che descriveva lo splendore delle opere di abbellimento condotte da Simmaco ed invitava ad entrare per ammirarle.7 Il Liber Ponti.fica/is annota anche una cospicua donazione di argenti, in particolare ben ventidue archi del peso di 20 libbre ciascuno, un tipo di arredo presumibilmente liturgico, che viene menzionato per la prima volta qui8 e in riferimento alla chiesa di San Martino ai Monti, come si dirà tra breve. Non è del tutto chiara la funzione di tali archi, in entrambi i casi in numero pari, che potevano costituire forse i rivestimenti di una struttura ad arcate di una certa ampiezza, dato il peso di circa 7 kg di ciascun elemento. Non sono documentate in effetti delle recinzioni di questo tipo in pre­ cedenza, né a Roma né in area bizantina, ove semmai viene utilizzato, al di sopra di plutei o transenne, un epistilio, interrotto eventualmente al centro da una sola arcata.9 Possiamo dunque pensare ad una innovazione dell'assetto liturgico, forse 4. Per il quale si vedano soprattutto i contributi di Wirbelauer 1 993 e Sardella 2000a, quest'ul­ timo con ampia bibliografia, ma meno utilizzabile per l'attività di committenza (ibidem, p. 472). Cfr. inoltre Carmassi 2003. 5. LP, I, p. 262; Geertman 2003d, p. 345. Sui lavori di Simmaco nel quadriportico cfr. Picard 1 974, pp. 858-860; CBCR 1 980, pp. 1 80, 273-274, 285. 6. Il cantaro che si trovava nell'atrio al tempo di Simmaco era certo quello del IV secolo, dal momento che la trasformazione con l'aggiunta della monumentale pigna bronzea, ancora esistente, viene generalmente fatta risalire all'VIII secolo: Liverani 1 986; de Blaauw 1 994b, pp. 464-465; van den Hoek, Herrmann Jr. 2000. 7. LP, I, p. 263 ; Janssens 2000, p. 263 . 8. de Blaauw 1 994b, pp. 482-483; Geertman 2003d, p. 346; Janssens 2000, p. 265. 9. Sulle recinzioni proto bizantine si veda innanzitutto Sodini, Kolokotsas 1 984, pp. 26-5 1 . Il riferimento alle testimonianze paleocristiane di area greca proposto da de Blaauw 1 994b, p. 483, non trova in realtà alcun riscontro.

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motivata proprio dalla presenza del papa al Vaticano e dunque da un cerimoniale pontificate più stabile del consueto, anche se rimane indefinito l 'aspetto di questo eventuale recinto.10 Ancor più esplicito a riguardo della sua linea politica nei confronti dell'an­ tipapa Lorenzo è l'intervento condotto nel battistero, risalente a papa Damaso e situato all'estremità settentrionale del transetto, separato da una coppia di colon­ ne. • • Ad imitazione del Battistero lateranense anche quello vaticano ebbe due ora­ toria dedicati ai santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, dotati di archi d'argento. Questa sistemazione riecheggiava ovviamente il modello del Laterano almeno nella scelta delle dediche: vi era infatti anche un terzo oratorio dedicato alla Santa Croce, collocato sulla parete ovest del medesimo braccio settentrionale del transetto, 12 sul cui altare Simmaco fece porre una croce aurea gemmata conte­ nente una reliquia della Vera Croce. Quello che potremmo definire come manifesto programmatico di una "poli­ tica liturgica" di Simmaco, che prevedeva la moltiplicazione degli altari nell'edi­ ficio di culto, è la trasformazione in chiesa, dedicata a Sant'Andrea, della grande rotonda tardo antica che, fino al XVIII secolo, si trovava a sud della basilica, 13 in asse con una seconda rotonda, mausoleo imperiale di Onorio e Maria. La dedica all 'apostolo fratello di Pietro è già di per sé assai significativa, sia perché riba­ disce la supremazia petrina rispetto alla sede lateranense in mano a Lorenzo, sia perché si inserisce nelle complesse relazioni con Costantinopoli: nella rotonda era infatti venerato anche Tommaso sicché si veniva a creare una sorta di triade apostolica in grado di rivaleggiare con quella esibita nell'Apostoleion della capi­ tale sul Bosforo, Andrea, Luca e Timoteo. 14 Che la chiesa di Sant'Andrea dovesse 1 0. Non trova ugualmente riscontro l' interpretazione degli archi come parapetti, proposta da de Blaauw 1 994b, pp. 482-483 (ove stranamente si parla di dodici anziché ventidue archi): l'evi­ denza offerta dalle testimonianze superstiti di recinti liturgici - per lo più non in situ - indirizza semmai verso plutei e transenne marmorei, decorati a quel tempo dai tradizionali motivi a squame o a cancello. Inoltre, in posizione centrale nel presbiterio vi era un arco d'argento con un clipeo e un' iscrizione che celebrava il papa committente. La notizia è conservata però nel manoscritto del Liber Pontiftcalis risalente all'VITI secolo e dunque si può collegare solo ipoteticamente a Sim­ maco. Cfr. de Blaauw 1 994b, p. 483; lo studioso ipotizza che nel clipeo ci fosse un'immagine del Salvatore, in analogia con la recinzione realizzata, però, qualche decennio più tardi nella Santa Sofia di Costantinopoli per la seconda inaugurazione del 562 e di cui ci danno testimonianza i versi di Paolo Silenziario (cfr. in proposito Fobelli 2005, pp. 1 8 1 - 1 86). 1 1 . de Blaauw 1 994b, pp. 487-49 1 , fig. 1 9. 12. de Blaauw 1 994b, pp. 567-568; Bauer 1 999b, pp. 399-40 1 ; Janssens 2000, pp. 266-267. 1 3 . L'edificio sorto in età severiana con destinazione oggi discussa - sacrale (al Phrygianum pensano ad esempio Biering, von Hesberg 1 987) o meglio funeraria - fu sopraelevato con funzione di mausoleo in una seconda fase, da alcuni collocata all'inizio del IV secolo (Tolotti 1 988a), da altri all' inizio del V (Rasch 1 990), o addirittura - ma sembra un'ipotesi poco convincente - proprio al tempo di Simmaco (Liverani 2006a) per supposte analogie con edifici cupolati bizantini di epoca successiva, come Santa Sofia di Costantinopoli e la basilica B di Filippi, oppure con battisteri dell'Italia settentrionale. 14. Alchermes 1 995, in part. p. 35, ma si veda il contributo nel suo insieme per la "politica petrina" di Simmaco e anche per le motivazioni della scelta dei martiri presenti (ibidem, p. 19),

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divenire, nelle intenzioni di Simmaco, un polo cultuale di primaria importanza accanto al sepolcro di Pietro è dimostrato anche dalla monumentalizzazione degli accessi e dal collegamento diretto con la basilica dal lato meridionale tramite alte gradinate e un portico; un cantharus analogo a quello principale completò infine l'allestimento. Un ultimo intervento, di portata minore ma non meno significativo e inno­ vativo, che chiude l 'eccezionale impresa vaticana del pontefice è quello della creazione di habitacu/a per i poveri, • s un tipo di struttura assistenziale che fu re­ plicato anche a San Paolo e a San Lorenzo, dunque presso i tre maggiori santuari suburbani e per questo forse destinati anche ai pellegrini che certo affluivano sempre più numerosi a venerare le tombe dei martiri e che non avrebbero potuto ignorare l'opera del pontefice. 16 Le tre fondazioni costituiscono anche la prima testimonianza di un intervento diretto della Chiesa nell'assistenza agli indigenti, che si affiancava così ali' evergetismo privato aristocratico, indirizzato per lo più alle zone centrali dell'UrbeY Potrebbe essere inserito in questo contesto pro­ grammatico anche uno degli interventi del papa all ' interno della città, cioè la fondazione di un oratorio intitolato ai SS. Cosma e Damiano presso Santa Maria Maggiore, 18 il primo sorto a Roma in onore dei due santi medici, antecedente di pochi anni rispetto alla comparsa nel Foro Romano della chiesa loro dedicata da Felice IV. Anche a San Paolo sull 'Ostiense i lavori si concentrarono soprattutto sull'atrio che fu dotato di gradinate di accesso, 19 poi interessarono il restauro dell'abside e la zona retrostante, ove furono installate delle canalizzazioni e un ba/neum. Que­ ste strutture di carattere utilitario sono un /eit-motiv dell'edilizia simmachiana e vennero realizzate anche nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo2° e in quella di San disposti con Andrea e Tommaso nelle sette nicchie ornate da archi d'argento, di cui quella centrale, destinata appunto al titolare della chiesa, era dotata anche di un tyburium d'argento. Sulla trasfor­ mazione della rotonda cfr. anche Cecchelli 2000 e Liverani 2006a. Per l'Apostoleion costantinopo­ litano cfr. Janin 1 969, pp. 4 1 -50. 1 5 . « . . . pauperibus habitacula construx.it» : LP, I, p. 263; Geertman 2003d, p. 346. 16. Cecchelli 2000, p. 1 14, vi legge un intento di propaganda in favore delle iniziative cari­ tatevoli di Simmaco. Cfr. anche Reekmans 1 968, pp. 1 96- 1 97. Le recenti indagini archeologiche lungo il fianco meridionale della basilica ostiense hanno rimesso in luce alcune strutture che sono state appunto messe in relazione con gli habitacu/a di Simmaco: Spera 20 I l b, p. 1 32. 17. Santangeli Valenzani 1 996- 1997, pp. 2 1 0, 2 1 6. 1 8. LP, l, p. 262; Geertman 2003d, p. 345. Il fatto che papa Gregorio TI all'inizio dell'VIII secolo abbia istituito un monastero in un gerocomio già esistente «post absidam» di Santa Maria Maggiore lascerebbe infatti pensare ad una fondazione di Simmaco assai più articolata di un sem­ plice oratorio e collegata anch'essa con un'operazione di tipo assistenziale: de Blaauw 1 994b, p. 342; Cecchelli 2000, p. 1 1 9. 19. LP, l, p. 262; Geertman 2003d, p. 345. Le parole atrium e cantarum costituiscono solo un riferimento topografico, come nel caso del quadriportico di San Pietro, giacché il cantaro esisteva già dalle origini ed era stato restaurato da papa Leone Magno. Cfr. Picard 1 975, pp. 382-383; CBCR 1 980, p. 164. 20. LP, I, p. 262; Geertman 2003d, p. 345. Cfr. Cecchelli 2000, p. 1 1 9; Janssens 2000, pp. 270-27 1 ove viene anche riportato il testo di una lunga iscrizione in nove distici, tramandata dalla

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Michele, la prima dedicata all'arcangelo a Roma, di controversa individuazione, che fu anche ristrutturata.21 L' intervento a San Paolo fu completato da lavori di difficile interpretazione nell'area della confessio, che inclusero una decorazione pittorica e una d'argento di un certo rilievo ( 1 20 libbre), forse una sorta di pali otto con le immagini di Cristo e dei dodici apostoli. 22 La particolare attenzione rivolta da Simmaco ai due grandi santuari dei Prin­ cipi degli Apostoli trova un riscontro esplicito nella lunga iscrizione che suggel­ lava il restauro e la decorazione pittorica (o musiva) della Porta Sancti Petri, situata sulla riva destra del Tevere presso il mausoleo di Adriano, in linea diretta con la sede vaticana: ianitor ante fores fixit sacraria Petrus . . .parte alia Pau­ li circumdant atria muros hos inter Roma est hic sedet ergo Deus. L' iscrizione si concludeva significativamente con la celebrazione dell'opera complessiva di Simmaco nell'Urbe: antistes portam renovavit Symmachus istam ut Romae per eum nihil essei non renovatum.23 Non trascurabile fu inoltre il programma di salvaguardia e di implementa­ zione dei santuari suburbani, che si estese a raggiera dalle due Aurelie, vetus e nova, alla Nomentana e alla Salaria;24 sull'Aurelia vetus, presso il sepolcro di San Pancrazio, venne eretta una basilica, alla quale fu affiancato, come in altri casi, un balneum. 25 È questione dibattuta se la grande chiesa attuale conservi ancora tracce concrete dell'opera di Simmaco sopravvissute alla ricostruzione di papa Onorio I (625-638) e ai rifacimenti successivi, ma sembra prevalere un'opinione decisamente negativa.26 L'entità dell ' intervento simmachiano può dunque essere Silloge di Cambridge, che costituiva lUla serie di "didascalie" a raffigurazioni già esistenti del Vec­ chio e del Nuovo testamento, dispiegate in una parte non meglio identificata della chiesa. 2 1 . LP, l, p. 262; Geertman 2003d, p. 345. Sull'identificazione della chiesa cfr. Cecchelli 2000, pp. 1 2 1 - 1 22. È stata chiamata in causa anche la basilica recentemente messa in luce presso Castel Giubileo al VII miglio della via Salaria, la cui prima fondazione risalirebbe alla fine IV-inizi V secolo (Bianchini, Di Gennaro, Vitti 2002; il riferimento a Simmaco era già in Fiocchi Nico1ai 1 998, pp. 338-349), tuttavia il fatto che nel Liber Pontifica/is la chiesa venga menzionata dopo l'espressione « intra civitatem Romanam» lascia qualche dubbio in proposito. 22. LP, l, p. 262; Geertman 2003d, p. 345. 23. /CVR, NS, II, n. 4 1 07 a-b; Janssens 2000, pp. 272-273. 24. Una basilica sanctae martyris Agathae, via Aurelia, in fondum Lardarium fu edificata a fondamento e dotata di Wl battistero, cum fonte: LP, I, p. 262; Geertman 2003d, p. 345; cfr. Reek­ mans 1 968, p. 1 85; Cecchelli 1 980 e Cecchelli 2000, pp. 1 1 4- 1 1 5 con aggiornamenti bibliografici; il termine fonte viene interpretato da Dulaey 1 977, p. 12, come fontana. Altri lavori interessarono, sulla via Salaria, il restauro della basilichetta di San Felicita e la sistemazione dell'area del sepol­ cro di San Alessandro, figlio di Felicita, nel cimitero dei Giordani, per una migliore fruizione dei santuari da parte dei pellegrini: Fasola 1 972, p. 296; Dulaey 1977, p. 1 1 ; Barbini 1997, p. 1 27. Di rilievo è il fatto che le strutture attribuite a Simmaco non prevedono sepolture, dWlque l'uso fune­ rario si era concluso. 25. LP, I, p. 262. Invece il Fragmentum Laurentianum non parla esplicitamente di basilica: LP, l, p. 46. 26. CBCR 1 97 1 , pp. 1 54- 175; Cecchelli 1 972, pp. 1 9-26; Verrando 1 990, pp. 34-40; Cecchelli 2000, pp. 1 1 5- 1 1 6. Diversamente Nestori 1 960 riteneva pertinente a Simmaco la parte anteriore del corpo della chiesa e ad Onorio il rifacimento della zona absidale con il transetto e la cripta semianu-

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solo ipotizzata in base alle notizie delle fontiY Sono invece stati individuati i segni dell' intervento di Simmaco nel complesso cimiteriale sotto e a fianco della chiesa, consistenti in scale di accesso ed in un nuovo iter diretto presumibilmente alla tomba venerata.28 Un altro celebre santuario martiriale cui il pontefice dedicò la sua attenzione è quello di Sant'Agnese sulla via Nomentana.29 Dal momento che anche qui, un secolo dopo, papa Onorio I intervenne erigendo una nuova chiesa, è piuttosto arduo stabilire se il restauro di Simmaco abbia riguardato un'eventuale - ma non accertata - basilica pre-onoriana sulla tomba della santa.30 Sembra assai più pro­ babile che la menzione del Liber Pontificalis faccia riferimento alla grande basili­ ca circiforme di età costantiniana poco distante, all'esterno della quale, in effetti, un massiccio contrafforte, maggiore degli altri, è stato riconosciuto come opera di sostegno dell ' inizio del VI secolo e denominato appunto "di Simmaco".3 1 Un lavoro di un certo impegno che, se unito ad un restauro generale della basilica, potrebbe forse giustificare la presenza del nostro papa nel mosaico absidale del­ la chiesa del VII secolo insieme ad Onorio I con il modellino in mano, ai lati dell' immagine della santa titolare.32 Anche se cosi fosse, tuttavia, l' incisivo re­ stauro subito dal volto del pontefice in questione nel corso dei secoli ci avrebbe comunque privato del ritratto autentico di Simmaco.33 Probabilmente agli anni successivi alla chiusura dello scisma laurenziano, dunque tra il 506 e il 5 1 4, risale la maggiore impresa edilizia intramuranea di Simmaco: «basilicam sanctorum Silvestri et Martini a fundamento construxit iuxta Traianas» .34 Essa si trovava nella III regione ecclesiastica, verosimilmente !are. Non sembra possibile attribuire all'edificio di Simmaco neanche le sei sottobasi marmoree - di cui quattro riutilizzate come pulvini sulle colonne del transetto - che non mostrano in nessun modo i caratteri della scultura della fine V-inizi VI secolo. Li ritengono invece del tempo di Simmaco Nestori 1 960, pp. 226-227, fig. 2, CBCR 1 97 1 , p. 1 73, Verrando 1 990, p. 38, mentre Cecchelli 1 972, p. 72, figg. 1 5, 1 7, pensa ad un reimpiego. 27. CBCR 1 97 1 , p. 1 56; Janssens 2000, pp. 268-269. Il Krautheimer (in CBCR 1 97 1 , p. 1 73), in base, tra l'altro, al peso di sole 15 libbre dell'unico arco d'argento donato, immagina un edificio di dimensioni contenute, mentre Verrando ( 1 990, p. 39) pensa invece ad una grande basilica, pari in ampiezza a quella poi ricostruita da Onorio. 28. Verrando 1 990, pp. 38-39; Barbini 1 997, pp. 234-237. Si veda anche Dulaey 1 977, pp. 1 1 - 1 2. 29. LP, l, p. 263; Geertman 2003d, p. 346. 30. Cfr. Cecchelli 2000, pp. 1 1 6- 1 1 7. 3 1 . Il contrafforte si trova nel punto di connessione tra la parete sud e la curvatura absidale: Magnani Cianetti 2002, pp. 1 4 14, 1 422- 1423, figg. 8- 1 0; Pavolini 2002, p. 1 2 1 5, figg. 8, 1 0. Senza entrare in dettaglio, la Dulaey 1 977, p. I l , attribuisce ugualmente la notizia alla basilica circiforme e giustifica l' intervento con i possibili danni causati dal terremoto del 508. 32. L'identificazione è comunque piuttosto controversa e molte sono le candidature avanzate in alternativa: sulla questione si veda il recentissimo contributo di Gianandrea 20 1 2, la quale pro­ pende comunque proprio per Simmaco. 33. Cfr. Ladner l 94 l a, pp. 78-79. 34. LP, l, p. 262; Geertman 2003d, p. 345. Diversamente si esprime il Fragmentum lauren­ tianum: LP, l, pp. 267-268, nota 35. Non ci soffermiamo qui sull' intricata questione della doppia

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nell'area dell'attuale chiesa di San Martino ai Monti che fu edificata da papa Ser­ gio II (844-84 7) senza risparmiare, a quanto sembra, le strutture della fondazione simmachiana. Fondazione di grande rilievo se, come nel complesso vaticano, il pontefice fece una cospicua donazione di arredi d'argento: dodici archi (anziché i ventidue di San Pietro) di 1 0 libbre ciascuno (anziché 20), nonché un tyburium di ben 1 20 libbre super altare e una confessio di 1 5 libbre. Si conferma così l'im­ pegno di Simmaco nel rinnovamento delle installazioni liturgiche: è infatti nella sua biografia del Liber Pontificalis che vengono menzionati per la prima volta sia gli archi, sia il tyburium, ossia il ciborio, che possiamo immaginare costituito da un supporto ligneo rivestito appunto d'argento.35 Se nulla resta della chiesa e dei suoi preziosi arredi, si possono comunque individuare eventuali testimonianze dell ' intervento di Simmaco nella cosid­ detta "sala a sei vani", una costruzione romana del III secolo, di funzione non ancora identificata, situata a ovest della successiva chiesa carolingia sotto le strutture dell'adiacente convento, che da molti viene identificata con il luogo dell'antico titulus di Equizio fondato da papa Silvestro.36 I due massicci pilastri centrali dell'ambiente ed altri pilastri perimetrali furono rivestiti di muratura laterizia databile appunto tra la fine del V e l ' inizio del VI secolo,37 sulla quale fu distesa una decorazione pittorica, oggi in pessime condizioni di conserva­ zione, ma di estremo interesse. Tra le scene meglio leggibili vi sono una tu­ netta con la raffigurazione di un santo, forse San Pietro, che presenta a Cristo un altro santo in vesti militari con la corona in mano - dunque un precedente iconografico del tema absidale dei SS. Cosma e Damiano - e un' Annunciazio­ ne. Dall'accurata analisi tecnica, iconografica e stilistica condotta ormai quasi trent'anni fa è emerso un duplice linguaggio pittorico, rivolto da un lato alle forme salde e plastiche di stampo ravennate-teodericiano e dall'altro a modelli antichi di segno impressionistico ed ellenizzante.38 È dunque un orizzonte sti­ listico ricco e composito quello rivelato dai preziosi lacerti dipinti, «scanda­ losamente diversi e coevi»,39 ai quali si aggiunge significativamente anche un brano musivo, fino a qualche anno fa immeritatamente trascurato. Il mosaico, situato in una nicchia ricavata nella parete sud della stessa "sala a sei vani", raffigura un santo vescovo ritratto fino ali ' altezza dei fianchi, con la mano destra benedicente e la mano sinistra velata che tiene un volume, tradizional­ mente identificato con papa Silvestro, fondatore del titulus.40 Un' attribuzione all ' intervento di Simmaco non contrasterebbe con le coordinate stilistiche del dedica deli' edificio e deli' eventuale esistenza di due chiese sul sito, nonché del luogo del più antico titulus equitii, per la quale si rinvia al più recente contributo di Accorsi 2002 con sintesi critica. 35. Guidobaldi 200 1 a, pp. 57, 66. Si veda anche D'Achille 1993. 36. Cfr. le varie opinioni in Accorsi 2002. 37. CBCR 1 97 1 , pp. 1 05- 1 08. 38. Davis-Weyer, Emerick 1984; Andaloro 1992, pp. 580-584. 39. Andaloro 1 992, p. 584. 40. Si vedano Andaloro 1 992, pp. 582-583, fig. 8-9 e soprattutto Andaloro 2002a, con la scarsa bibliografia precedente; cfr. anche il contributo di Moioli, Pelosi, Pogliani, Seccaroni 2002 per l'ana-

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mosaico, tutte orientate verso un trattamento morbido e fluido dei panneggi, una sottile definizione dei tratti somatici che compongono un volto assorto e profondamente spirituale.41 Quelle appena descritte potrebbero essere pur­ troppo le uniche tracce concrete del suo operato, così ricco e, come più volte abbiamo evidenziato, così profondamente innovativo. Dopo un pontificato di tale spessore, la differenza con i suoi più immediati successori è senz'altro evidente; non mancano tuttavia dati significativi tali da permettere di disegnare una fisionomia dell'attività di committenza sia di Ormi­ sda (5 1 4-523), sia di Giovanni I (523-526), entrambi forse troppo coinvolti nelle questioni politico-religiose del tempo - come la positiva risoluzione dello scisma di Acacio e dunque della riunione delle chiese di Oriente e Occidente, sancita a Costantinopoli il 28 marzo 5 1 942 - per dedicarsi ad un'estesa attività edilizia. Il nome di papa Ormisda, insieme a quello del presbitero Mercurio, il fu­ turo papa Giovanni II, è inciso su un architrave, oggi reimpiegato nella schola cantorum medievale di San Clemente, nel contesto di un'iscrizione dedicatoria che fa riferimento al dono di un altare.43 La presenza del nome del papa accanto a quello del committente riveste una precisa connotazione cronologica ma non si può escludere la sua partecipazione ad una cosi significativa donazione di arredi liturgici per una chiesa dell ' importanza di San Clemente. E del resto sono ancora sontuosi arredi liturgici quelli che Ormisda dona alle tre grandi basiliche di San Pietro, San Paolo e San Giovanni,44 in particolare archi d'argento alla basilica lateranense e alla basilica ostiense, un tipo di arredo che avevamo visto comparire per la prima volta nella biografia di Simmaco; a San Pietro, invece, Ormisda commissiona una trave ricoperta d'argento del peso di l 040 libbre e dunque di dimensioni davvero imponenti, sulla quale correva una lunga iscrizione in otto versi.45 La biografia del Liber Ponti.fica/is ricorda una sola fondazione di Ormisda, ma non a Roma, bensì ad Albano:46 essa viene generalmente identificata con l'atlisi tecnica del mosaico. Da ultima Pogliani 2006, pp. 253, 256, figg. 2, l O, tav. Il, ove viene ribadita la datazione di mosaico e pitture agli anni 506-5 14. Si veda inoltre CBCR 197 1 , p. 1 08, fig. 95. 4 1 . Per alcuni confronti, tra i quali è particolarmente suggestivo quello con i ritratti musivi di vescovi nella catacomba di San Gennaro a Napoli, cfr. Andaloro 2002a, p. 879. 42. Sulla vita e il pontificato di Ormisda e la relativa bibliografia si vedano soprattutto Papa Ormisda (514-523) 1 993 e Sardella 2000b. La pacificazione tra le due Chiese è al centro anche dell'epitaffio del pontefice composto dal figlio Silverio, a sua volta papa dal 536 al 537: de Rossi 1 888b, p. 1 30, n. 1 5; Papa Ormisda (514-523) 1 993, p. 1 1 9. 43. Altare tibi d(eu)s salvo Hormisda papa Mercurius p(res)b(yter) cum sociis of(jèrt) : Gui­ dobaldi 1 992a, pp. 1 59- 1 60, fig. 1 52; Guidobaldi 1 992b, pp. 14- 1 5, 64-66, figg. 3-4. 44. LP, I, pp. 27 1 -272; Geertman 2003d, p. 349. 45. LP, I, p. 27 1 . L'iscrizione è conservata nel manoscritto di Cambridge (JCVR, NS, Il, n. 4 1 1 5): cfr. anche de Blaauw 1 994b, p. 483. Verosimilmente essa era collocata all'ingresso del tran­ setto oppure nella zona presbiteriale, forse in collegamento con quell'allestimento di difficile inter­ pretazione realizzato poco prima da Simmaco. 46. «Hic fecit basilicam in territorio Albanense, in possessionem Mefontis» : LP, l, p. 269; Ge­ ertman 2003d, p. 347; Martorelli 2000, pp. 1 0 1 - 1 03, 1 77, 1 95-204, tavv. ID, 5, 1 5 ; VID, 15; IX.

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tuale chiesa medievale d i San Pietro, che tuttavia, apparentemente, non conserva strutture riconducibili con certezza al VI secoloY Il pontificato di Giovanni I (523-526) coincise con gli ultimi tre anni del regno di Teoderico, gli anni peggiori che videro l 'uccisione di Boezio e Simmaco e che si conclusero con la tragica morte dello stesso papa in carcere a Ravenna seguita, tre mesi più tardi, da quella del re goto.48 Giovanni I fu imprigionato, insieme ad altri legati, al ritorno dal suo storico viaggio a Costantinopoli del 526, voluto dallo stesso Teoderico perché il papa chiedesse all' imperatore Giustino I di porre fine alle persecuzioni degli ariani. I risultati ottenuti su quel fronte furono poco soddisfacenti, ma l'ambasceria si trasformò in un successo personale del pontefice - il primo a recarsi nella capitale d'Oriente - che fu accolto trionfal­ mente dallo stesso imperatore, inchinatosi davanti a lui in proskynesis.49 Veniva così confermato il clima positivo, già instaurato da Ormisda, nelle relazioni tra Roma e Costantinopoli, suggellato da un invio, da parte dell'imperatore, di pre­ ziose suppellettili liturgiche che Giovanni I offrì alle basiliche dei SS. Pietro e Paolo, di Santa Maria Maggiore e di San Lorenzo. La biografia del Liber Ponti.fica/is è dedicata in gran parte a questi eventi, ma non mancano brevi cenni all'opera del pontefice nei riguardi dei monumenti della città: si tratta principalmente di restauri ai santuari cimiteriali, come quello dei SS. Nereo e Achilleo sull'Ardeatina, di Priscilla sulla Salaria e soprattutto dei SS. Felice e Adautto nella catacomba di Commodilla.50 In quest'ultimo caso, in particolare, è stato individuato un intervento di una certa consistenza, esteso non solo all'ampliamento degli spazi e degli accessi ma anche alla ristrutturazione della basilichetta con due absidi e ad una decorazione pittorica e musiva.51 Altri interventi in chiese romane sono noti da iscrizioni e riguardano il com­ pletamento o la decorazione di edifici preesistenti, come nel caso del quadriporti47. Un piccolo indizio potrebbe essere individuabile nel frammento di lastra marmorea con croce entro losanga murato nella parete di facciata: esso infatti mostra stringenti analogie con il gruppo dei plutei del tempo di Giovanni II a San Clemente, per cui si potrebbe pensare ad una so­ pravvivenza dell'arredo liturgico della chiesa realizzato, se non dallo stesso Ormisda, forse proprio da Giovanni II per arricchire la fondazione di un suo predecessore al quale l'ex presbitero Mercurio era verosimilmente legato. Cfr. in proposito Barsanti, Guiglia Guidobaldi 1 992, p. 133, fig. 2 1 3 ; Martorelli 2000, p . 129, fig. 94, m a senza collegamento con Ormisda. 48. LP, l, pp. 275-278; Geertman 2003d, pp. 35 1 -352; Cessi 1 9 1 7 ; Sardella 2000c. 49. LP, l, p. 275. Sul viaggio del pontefice a Costantinopoli e sui dati talora contraddittori del­ le fonti cfr. in particolare Goubert 1 958, Magi 1 972b, pp. 1 0 1 - 103, Sardella 2000c, pp. 485-486. 50. LP, l, p. 276; Geertman 2003d, p. 352. Cfr. anche Dulaey 1977, pp. 12- 1 3 ; Barbini 1997, pp. 2 14-2 1 5, 220-22 1 . Nel caso dei SS. Nereo e Achilleo a Domitilla è più probabile un semplice restauro della basilica già esistente dal IV secolo, piuttosto che un rifacimento totale come si è rite­ nuto un tempo; nel caso di Priscilla si trattò forse di un intervento nella basilica di San Silvestro. 5 1 . Bagatti 1936; Carletti 1994. Ancora aperto è il dibattito sulla cronologia relativa e assoluta delle pitture, tra le quali rivestono particolare importanza la raffigurazione della Traditio c/avium con Cristo sul globo tra i santi Pietro, Paolo, Felice, Adautto e Merita e il ben noto pannello con la Vergine e il Bambino tra i santi Felice e Adautto e la defunta Turtura: Russo 1979/1 980-198 1 , pp. 35-49; An­ daloro 1 992, pp. 584-590; Deckers, Mietke, Weiland 1 994, n. 3a, pp. 50-51, tavv. 3-6 e n. 3e, pp. 6 1 65, tavv. 2 , 8- 1 3 ; Minasi 2000 ; della Valle 2002, pp. 1 669- 1 670, figg. 7-8; Russo 2006, pp. 286-288.

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co di San Pietro iniziato da Simmaco,52 oppure di Santo Stefano Rotondo, la gran­ de chiesa a pianta centrale eretta al tempo di papa Simplicio. Sembra infatti che essa fosse rimasta priva di decorazione, perlomeno di quella parietale,53 sicché fu compito proprio di Giovanni I e del suo successore Felice IV di dotarla di rive­ stimenti marmorei e musivi.54 Le indagini nell'edificio hanno evidenziato quasi ovunque i resti di tali rivestimenti e delle grappe che dovevano sostenere le lastre di marmi policromi: grazie anche ad un disegno degli Uffizi attribuito a Bal­ dassarre Peruzzi, è possibile immaginare il sistema decorativo che si sviluppava sulle pareti del tamburo, un partito architettonico a lastre verticali incorniciate da paraste,55 non molto dissimile da quello che rivestiva il tamburo del mausoleo di Costanza, pure noto da disegni rinascimentali. Le maestranze che lavorarono per Giovanni I erano dunque ancora profondamente legate alla tradizione decorativa tardoantica, di cui Roma conservava a quel tempo cospicue testimonianze. La chiesa di San Stefano Rotondo funge così da anello di collegamento con il successivo pontificato di Felice IV (526-530): oltre a quella citata poc'anzi, una seconda iscrizione confermava l ' intervento specifico del papa nella decorazione marmorea e musiva dell'edificio.56 I lussuosi decori parietali ad incrustationes costituiscono in effetti una sorta di filo rosso che ci conduce anche ali' opera più significativa di Felice IV, ovvero la chiesa dei SS. Cosma e Damiano. In questo caso però essi appartenevano alla fase tardo antica dell'aula nella quale si inserì la basilica e furono conservati intatti nel nuovo luogo di culto. 57 «Hic fecit basilicam sanctorum Cosmae et Damiani in urbe Roma, in loco qui appellatur via Sacra, iuxta templum urbis Romae»:58 nella breve biografia del Liber Pontifica/is59 la notizia relativa alla chiesa del Foro è assai sintetica 52. LP, l, p. 267; JCVR, NS, Il, n. 4 1 16. 53. È infatti verosimile che la decorazione pavimentate in opus sectile marmoreo, sia del tipo a modulo quadrato (per la quale cfr. Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi 1983, pp. 1 42- 149), sia quella a grande modulo sopravvissuta nella cappella dei SS. Primo e Feliciano (Brandenburg 2000, pp. 46-5 1 , tavv. 5-7, figg. 1 0- 1 6, tav. 3 1 , fig. 57; Brandenburg 2004, pp. 208-209, figg. 120-1 23), fosse stata messa in opera al termine della costruzione. 54. «Opus quod basilicae beati martyris stephani defuit a iohanne epo marmoris inchoatum iuuante dno felix papa addito musivo splendore scae plebi di perfecit». Per l'iscrizione, conservata nella Silloge I di Lorsch (de Rossi 1 888b, p. 1 52, n. 29), cfr. anche CBCR 1 976, p. 1 93; Branden­ burg 2004, p. 205. 55. CBCR 1 976, pp. 1 92, 225-226, fig. 1 96 (il disegno è attribuito a Simone del Pollaiuolo detto il Cronaca e datato al 1460 circa); Brandenburg 2000, pp. 5 1 -54, tav. 25, fig. 47 (lo stesso disegno, Uffizi, Coli. Santarelli 1 6 1 , è attribuito a Baldassarre Peruzzi e datato intorno al l 505). 56. «Dno iuuante felix eps di famulus forum basilicae beati martyris stephani musivo et mar­ moribus decoravit» (de Rossi 1 888b, p. 1 52, n. 32); cfr. CBCR 1 976, p. 1 93 . 5 7 . Il perduto opus secti/e parietale è riprodotto i n diversi, ben noti, disegni d i Piero Ligorio, intorno alla metà del XVI secolo, che mostrano un sistema decorativo simile, ad esempio, a quello della Basilica di Giunio Basso e che dunque ben si collocano nel corso del IV secolo; per un recente riesame cfr. Luschi 1 997, con bibliografia. 58. LP, l, p. 279; Geertman 20030, p. 353; Sansterre 2000a. 59. Oltre alla notizia relativa ai SS. Cosma e Damiano viene fatto un solo altro riferimento: alla basilica del martire Saturnino sulla via Salaria nova che, distrutta da un incendio, il papa «a solo

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ma sottende in realtà un evento di estrema rilevanza sotto molteplici aspetti. lnnanzitutto la sede: un edificio pubblico nel centro della città antica per la prima volta fu trasformato in luogo di culto cristiano per concessione del re Teoderico, il quale aveva esplicitamente favorito l' elezione di Felice dopo la morte di Giovanni 1.60 Fu scelta un' aula di grande prestigio, già riccamente decorata di marmi, che faceva parte del complesso del Templum Pacis, eretto a suo tempo da Vespasiano, ma ristrutturato prima in età severiana e poi nel IV secolo. La funzione originaria non è certa, ma è invece sicuro il collegamento con l'edificio rotondo sulla via Sacra, parte della ristrutturazione massenziano­ costantiniana.61 Prese cosi l ' avvio il processo di cristianizzazione del Foro che proseguì nella seconda metà del VI e poi nel VII secolo, modificando poco a poco il volto del cuore dell 'Urbe.62 In secondo luogo va considerata la dedica ai due santi medici Cosma e Damiano, i santi anargyroi che praticavano la loro professione senza chiedere denaro, il culto dei quali era in Oriente ben diffuso già da tempo. La scelta di due santi orientali, pressoché estranei a Roma, per la dedicazione della prima chiesa sorta nel cuore monumentale della città63 divie­ ne così un segnale forte con il quale i "committenti" Felice IV e il sovrano goto - forse più probabilmente Atalarico e Amalasunta, ben più aperta, quest' ultima, verso il mondo bizantino del predecessore Teoderico - vollero sottolineare il passaggio ormai irreversibile dall' antico al nuovo. Tutto ciò si traduce visivamente nello straordinario mosaico absidale, ac­ compagnato da un'elaborata iscrizione articolata in tre coppie di versi,64 nella quale viene esaltato in primo luogo il tema della luce, luce materica quella delle tessere musive e dei marmi, luce interiore quella della fede, che splende nell'aula ora divenuta aula Dei. I versi centrali sono dedicati ai santi medici, la cui pre­ senza rende certa la speranza di salvezza - fisica e spirituale ad un tempo - ed accresce la sacralità del luogo. Gli ultimi due versi, infine, celebrano il pontefice, i l quale, forse per la prima volta, se il restauro del XVII secolo ha replicato fedel­ mente l'immagine antica, appariva nel catino absidale nell'atto di offrire la chiesa

refecit». I resti dell'edificio (ma non sappiamo se fosse quello del VI secolo) furono visti ancora dal Bosio alla fine del XVI secolo e dal Baronio e dal Torrigio all' inizio del secolo seguente nell'area del cimitero di Trasone: cfr. Barbini 1997, pp. 123- 124; De Francesco 2002. 60. L'elezione di Felice IV fu accolta benevolmente anche dal successore e nipote Atalarico e dalla reggente Amalasunta: Sansterre 2000a, p.488. 6 1 . Episcopo 1 993, con bibliografia, e più recentemente Tucci 200 1 con discussione e nuove ipotesi sulle fasi strutturali dell'abside. 62. Per un quadro generale delle trasformazioni del centro della città tra la tarda antichità e l 'alto medioevo cfr. ad esempio Meneghini, Santangeli Valenzani 2004. 63. Per le varie ipotesi formulate in proposito cfr. i più recenti contributi di Palombi 19971998, pp. 1 30- 1 35; Brenk 2007; Osborne 2008. 64. «Aula D(e)i claris radiat speciosa metallis l in qua plus fidei lux pretiosa micat l martyri­ bus medicis populo spes certa salutis l venit et ex sacro crevit honore Iocus l optulit hoc D(omi)no Felix antistite dignum l munus ut aetheria vivat in arce poli». Cfr. il commento di Osborne 2008, pp. 1 78- 1 79.

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a Cristo, partecipe insieme agli apostoli Pietro e Paolo, ai santi Cosma, Damiano e Teodoro, dell 'evento ultraterreno della Seconda Venuta di Cristo.65 Le coordinate stilistiche del mosaico, meglio leggibili dopo il restauro del 1 988-89 che ha anche dettagliatamente circoscritto gli interventi seicenteschi,66 indirizzano verso una interpretazione sostanzialmente "romana", evidente nella resa statuaria delle figure, nel loro vigore plastico e nella compattezza del tessuto musivo; dunque un'opera "nuova" nei contenuti che utilizza però linguaggi deco­ rativi fortemente ancorati alla tradizione.67 I mutamenti strutturali che nel XVII secolo divisero lo spazio dell 'aula in due piani sovrapposti modificarono sensibilmente la percezione della decorazio­ ne musiva, ma ebbero anche un'altra conseguenza, quella cioè di isolare nella cosiddetta chiesa inferiore - ma in realtà al livello originario - l'antico altare di marmo pavonazzetto (fig. 1 ).68 Un manufatto davvero raro in questo periodo, che si presenta integro tranne la mensa: una semplice cassa con colonnine angolari, che affida la sua valenza decorativa essenzialmente alla preziosità del marmo e delle sue venature, così come avverrà qualche decennio più tardi per l'altare della chiesa dei SS. Apostoli (fig. 3). Le biografie del Liber Pontifica/is dei quattro pontefici che succedettero a Felice IV in soli sette anni - Bonifacio Il, Giovanni II, Agapito e Silverio - sono concentrate sulle drammatiche vicende politiche e religiose che condussero alla guerra tra Goti e Bizantini e quindi, per questo periodo, sono soprattutto l'eviden­ za di quanto ancor oggi sopravvive e le fonti epigrafiche e documentarie a venirci in aiuto per individuare l ' impegno di ciascuno in campo artistico e culturale. Il pontificato di Bonifacio II (530-532)69 è forse quello che offre meno spunti. È infatti solo in via ipotetica che è stata collegata ad un intervento di quegli anni un' iscrizione mutila rinvenuta a Santa Pudenziana, forse pertinente ad un qualche non meglio identificabile arredo.70 65. Per il papa committente cfr. Gandolfo 2004b, pp. 1 4- 1 5 . Per un riferimento alle iscrizioni di Simmaco cfr. Andaloro 1992, p. 598. 66. Tiberia 1 99 1 . 67. Rinvio senz'altro per la lettura stilistica del mosaico alle acute osservazioni di Andaloro 1 992, pp. 590-598 (e 6 1 1 -6 1 6 per la discussione). Per la vasta bibliografia generale sull'opera, che non trova qui spazio di analisi, cfr. ibidem ed inoltre Matthiae 1 967, pp. 1 35-142, figg. 78, 80-85, tavv. XVI-XVlli; Pace 1 985; Tiberia 199 1 ; Brandenburg 2004, pp. 222-23 1 ; Pace 2004, pp. 222225; Brenk 2007; Osbome 2008. Non includo qui il mosaico dell'arco absidale, per il quale ritengo più plausibile l'ipotesi cronologica del VII secolo (Matthiae 1 967, pp. 203-2 1 3, figg. 1 26- 1 3 1 , tav. XXVI; Tiberia 1 998; Wisskirchen 1 999) piuttosto che quella della contemporaneità con il mosaico del catino: cfr. da ultimo Osbome 2008, p. 1 79. 68. Bartolozzi Casti 1 999-2000, pp. 1 96-20 1 ; de Blaauw 200 1a p. 975, tav. III ; Claussen 2002, p. 369, fig. 295. 69. LP, I, pp. 28 1 e 282-284; Geertman 2003d, p. 354. Cfr. anche Bertolini P. 2000a con bibliografia nonché Braga 2000 per la vita dell'antipapa Dioscoro, eletto pressoché contemporane­ amente a Bonifacio ma morto meno di un mese dopo. 70. L'iscrizione inizia con le parole «salvo papa Bonif. . . »: Ferrua 1 968, pp. 1 46-14 7, n. 5, fig. 5. Il Krautheimer (in CBCR 1 97 1 , p. 283), la attribuisce invece a Bonifacio I (4 1 8-422).

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Di ben altro spessore è la figura di Giovanni II (533-535), il primo papa che mutò il suo nome al momento dell'elezione, forse per la connotazione decisamente pagana di esso. Il fatto viene evidenziato dal Liber Ponti.ficalis71 - e viene con­ fermato dal testo, ancora più dettagliato,72 di un' iscrizione rinvenuta a San Pietro in Vincoli, la chiesa dove Giovanni fu ordinato papa. Dunque l'identità tra i due personaggi è fuori di dubbio e ci pone davanti ad una figura di primo piano nel panorama della committenza papale nel VI secolo, nonostante il silenzio del Liber Ponti.ficalis. In questo caso sono i manufatti stessi che parlano, con la presenza del monogramma Iohannes scolpito sui marmi da lui fatti eseguire (fig. 2). L'opera più celebre è quella del complesso di plutei e pilastrini che componevano la recinzione presbiteriale della chiesa paleocristiana di San Clemente,73 la stessa di cui era stato orgoglioso presbitero, con il nome di Mercurio, al tempo di papa Ormisda e forse anche dei successivi pontefici. L' imponente numero di elementi sopravvissuti e reimpiegati nella schola cantorum del XII secolo (almeno 22 plutei, 3 1 pilastrini e 25 cimase) è scolpito nel marmo del Proconneso e dunque manifesta non un'occa­ sionale presenza di maestranze bizantine intenta a scolpire il marmo locale, come era avvenuto con Mercurio e i due capitelli bizonali sempre a San Clemente/4 ma piuttosto una vera e propria "ordinazione" di manufatti nella capitale d'Oriente/5 come del resto confermano le stringenti affinità con i plutei marmorei che negli stessi anni venivano scolpiti per la Santa Sofia giustinianea (532-537). 76 La "commissione" per la chiesa di San Clemente forse non fu l' unica, infatti in diverse altre chiese romane si conservano, pur se sporadicamente, plutei e pila­ strini in tutto e per tutto identici, come in particolare a Santa Maria in Cosmedin e ai SS. Cosma e Damiano. Il fatto che anche a San Pietro siano sopravvissuti alcuni frammenti di plutei dello stesso tipo, oggi nelle Grotte Vaticane, potrebbe suggerire che quel pontefice o altri di quel periodo avessero provveduto a dotare di un nuovo arredo, oltre la chiesa di San Clemente, anche la basilica vaticana. 77 Il monogramma di Giovanni II compare anche su quattro capitelli bizonali a canestro di marmo proconnesio, oggi nel Tesoro della cattedrale di Lione ma 7 1 . LP, l, p. 285; Geertman 2003d, p. 355. 72. Silvagni 1943b, tav. Xl,5; Bartolozzi Casti 1998, p. 55, con il testo completo e la datazione al 533; Pennacchio 2000c , in part. p. 503 e fig. a p. 502. 73. Barsanti, Guiglia Guidobaldi 1 992. 74. Guidobaldi 1992b, pp. 3 1 -66; Russo 2006, pp. 246-249. 75. Molto è stato scritto su questi mann i ed è ancora aperto il dibattito relativo allo stato in cui gli arredi liturgici giunsero a Roma, se cioè furono inviati già scolpiti o se le maestranze lavorarono qui i manni appena sbozzati. Questa seconda ipotesi è stata sostenuta in più occasioni da Eugenio Russo (soprattutto Russo 1 984, p. 14; Russo 1 989; Russo 2006, in part. p. 253), mentre a favore della prima opzione si sono sempre espresse chi scrive e Claudia Barsanti (Barsanti, Guiglia Gui­ dobaldi 1 992, passim e pp. 253-26 1 ; Guiglia Guidobaldi 2002, pp. 1483- 1 488). Per un'analisi più approfondita si rinvia alle schede degli elementi della recinzione clementina in Barsanti, Flaminio, Guiglia Guidobaldi c.d.s. Infine per la ricostruzione dell'originario recinto liturgico si vedano Bar­ santi, Guiglia Guidobaldi 1 992, pp. 249-252; Guidobaldi 200 1b, pp. 8 1 -85, figg. 1 -2. 76. Guiglia Guidobaldi, Barsanti 2004, pp. 89-228, 3 1 5-487. 77. Barsanti, Guiglia Guidobaldi 1 992, pp. 259-26 1 .

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certamente provenienti da Roma e pertinenti verosimilmente ad un ciborio. 78 In­ dipendentemente dalla chiesa cui erano destinati, che poteva essere anche quella dei SS. Cosma e Damiano, dove si trovavano quando uno di essi fu disegnato nel­ la prima metà del Cinquecento, i capitelli testimoniano, insieme ai marmi della recinzione, il consistente impegno di Giovanni II nel rinnovamento degli arredi liturgici. I caratteri stilistici dei manufatti indirizzano senz'altro verso le botteghe della capitale bizantina, anche se, a differenza di plutei e pilastrini, la raffinatezza della lavorazione "a giorno" può aver richiesto l ' intervento degli artefici sul luo­ go di destinazione per il completamento del traforo. Nel suo insieme, comunque, la committenza di Mercurio/Giovanni II segna il momento significativamente più positivo delle relazioni artistico-culturali tra Roma e Costantinopoli prima della riconquista. Il brevissimo pontificato di Agapito, durato meno di un anno, dal 1 3 maggio 5 3 5 al 22 aprile 536,19 coincise con la fase più critica dei rapporti tra Goti e Bi­ zantini, all' indomani della tragica fine di Amalasunta. Egli fu inviato da Teodato a Costantinopoli per trattare con Giustiniano e di nuovo il viaggio di un papa nel­ la capitale d'Oriente divenne un successo personale, ma purtroppo il papa mori poco dopo, secondo alcuni in circostanze misteriose, quando era ancora a Costan­ tinopoli. Nulla dice il Liber Ponti.ficalis su un suo eventuale patronato artistico, ma fortunatamente ci è stata tramandata dalla Silloge di Einsiedeln una preziosa iscrizione che riconosce ad Agapito il merito di un'operazione culturale di grande importanza: la fondazione di una biblioteca. L' iscrizione dedicatoria si trovava In biblioteca s(an)c(t)i Gregorii quae est in monast(erio) C/itauri ubi ipse dya/o­ gorum scripsit. 80 Il testo, un epigramma in tre distici, è ricco di informazioni : si trattava di una biblioteca di letteratura patristica, con testi in diverse lingue, certo latini e greci ma forse anche orientali; sulle pareti dell'ambiente erano raffigurati - non sappiamo se a mosaico o ad affresco - i Padri della Chiesa autori dei testi li conservati, seduti l'uno accanto all 'altro, e in mezzo a loro Agapito, colui che «con arte aveva costruito questo bel luogo per i libri»; completava la decorazione la lunga iscrizione celebrativa in versi. L'impegno del pontefice nel promuovere l'istituzione di centri di cultura lette­ raria cristiana è confermato anche da Cassiodoro: insieme avrebbero dovuto fondare una sorta di scuola superiore di studi religiosi sul modello egiziano di Alessandria e siriaco di Nisibi, per dare anche a Roma, ancora concentrata sui testi classici paga­ ni, la possibilità di un centro d' insegnamento dei testi sacri.81 La morte di Agapito e lo scoppio della guerra impedirono però la realizzazione del progetto. 78. Cfr. Guidobaldi 1 989b anche per la ricostruzione del percorso compiuto dai capitelli dal Rinascimento all' inizio dell'Ottocento attraverso un significativo passaggio nella collezione Mat­ tei; più recentemente Russo 2006, pp. 254-257. 79. LP, l, pp. 287-289; cfr. Bertolini O. 2000a. 80. de Rossi 1 888b, p. 28, n. 55; LP, I, p. 287; Die Einsiedeln Jnschriftensamm/ung 1 987, pp. 46-47, l l2. Resta fondamentale in proposito il contributo di Marrou 1 93 1 , in part. pp. 124- 1 32. 8 1 . Cassiodoro, De institutione divinarum litterarum, praefatio: PL, LXX, coli. 1 105- 1 1 06; Marrou 1 93 1 , p. 1 28; Bertolini O. 2000a, p. 506; Bartola 2007, pp. 143-144.

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La biblioteca è stata nel passato tradizionalmente identificata con i resti del­ la grande struttura absidata che sorge sulle pendici del Celio lungo il clivo di Scauro, tra il complesso dei SS. Giovanni e Paolo e quello di San Gregorio. La questione è stata affrontata nuovamente in occasione delle due recenti campagne di indagini e di restauro nel complesso, che ne hanno orientato la cronologia piuttosto entro il IV secolo;82 sembra quindi che la biblioteca di papa Agapito sia piuttosto da ricercare altrove, nell'ambito dell'articolato complesso del monaste­ ro di Gregorio Magno.sJ Il pontificato del successore di Agapito, Silverio (536-537), figlio di papa Or­ misda, fu altrettanto breve e si concluse assai tragicamente.84 A pochi mesi dalla sua elezione, il 9 dicembre 536, entrarono a Roma le truppe di Belisario; ben pre­ sto il generale bizantino, accusandolo di connivenza con i Goti, lo inviò in esilio a Patara, in Licia, nel marzo 537, anche perché inviso all'imperatrice Teodora, di fede monofisita. Successivamente, dopo un breve soggiorno a Roma, Silverio fu inviato dal futuro papa Vigilio nelle isole pontine, dove morì di fame e dove il suo corpo rimase - caso eccezionale - senza mai fare ritorno a Roma. 85 Nessuna iniziativa in campo artistico viene ricordata dalle fonti;86 resta solo la testimonianza epigrafica di un intervento, forse limitato al solo arredo liturgico, in un frammento di architrave (di struttura simile a quello di Mercurio e Ormisda a San Clemente), rinvenuto negli scavi sotto la chiesa di Santa Pudenziana, rea­ lizzato da un presbitero Ilaro al tempo di SilverioY Molto più lungo - il più lungo dopo quello di Pietro - e denso di avvenimenti fu il pontificato di Vigilio (537-55 5), il quale tuttavia trascorse gli ultimi dieci anni lontano da Roma, prima in Sicilia per essere protetto dai Goti, poi a Costan­ tinopoli, dove fu occupato dal dibattito, talora assai aspro, con Giustiniano sulla questione della condanna dei Tre Capitoli che egli si decise infine ad accettare nel concilio del 553; sulla via del ritorno a Roma, ormai vecchio e malato, sostò a Siracusa dove morì.88 Sono dunque principalmente i primi otto anni che rivestono specifico interesse per la sua attività nei confronti dei monumenti romani. Il primo impegno di rilievo del pontefice fu quello di restaurare e risistema­ re i cimiteri e i santuari dei martiri devastati dai Goti durante il lungo assedio 82. Si vedano soprattutto Giuliani, Pavolini 1999, pp. 87-97, 103- 1 06 e Pavolini 2003, in part. pp 78-87. Ma cfr. anche le precedenti considerazioni di Guidobaldi 1986, pp. 198-202. 83. Pavolini 2003, p. 85. 84. LP, I, pp. 290-295. Cfr. Sotinel 2000a. 85. Janssens 2002, p. 256. 86. Non sembra in alcun modo motivata l'attribuzione a Silverio della decorazione in opus sectile parietale di Santa Sabina, avanzata in Sotinel 2000a, didascalia della fig. a p. 509. 87. L'iscrizione recita «salvo beat(issimo) papa silverio hilarus p(res)b(iter) fecit» : Ferrua 1968, pp. 145-146, n. 4, fig. 4; CBCR 1 97 1 , pp. 303-304; Pani Ermini 1 974, n. 97, pp. 1 46- 147, tav. XLVI (ove si ipotizza che la pergula sia stata effettivamente offerta da papa Silverio ); De Rubeis 200 1 , pp. 1 08, 1 1 6, n. 4, fig. 74 (ove invece il testo viene inteso come dedica a papa Silverio); An­ gelelli 20 1 0, pp. 32, 170, 330, n. 4, fig. 1 73. 88. LP, I, pp. 296-302. Per una dettagliata ed esauriente analisi delle vicende del pontificato di Vigilio in tutti i suoi aspetti cfr. Sotinel 2000b.

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posto alla città dal marzo 5 3 7 al marzo 538.89 Nulla dice il Liber Pontifica/is in proposito, ma l 'evidenza epigrafica ne offre ampia conferma in almeno due casi, il cimitero dei Giordani sulla via Salaria90 e il cimitero di lppolito sulla via Tiburtina.91 In questo caso si trattò probabilmente di un intervento di notevole entità con la monumentalizzazione dell ' iter per l'accesso dei pellegrini al san­ tuario del martire, uno dei più tardi documentati in catacomba.92 Altre iscrizioni in diversi cimiteri del suburbio ricordano i restauri eseguiti dopo le devasta­ zioni dei Goti, ma nessuna di esse menziona esplicitamente papa Vigilio93 ed è dunque solo a causa del suo lungo pontificato che generalmente tali interventi vengono a lui attribuiti. È ancora un' iscrizione a ricordare un intervento di papa Vigilio, questa volta non nel suburbio ma nel centro della città antica, nell'attuale chiesa dei SS. Qui­ rico e Giulitta, presso i Fori Imperiali alla congiunzione tra il Foro di Augusto e il Foro Transitorio. L' iscrizione originale è andata perduta ma ne è stata conservata memoria in un'altra epigrafe del 1 584, relativa ai restauri del cardinale Alessan­ dro Medici, in occasione dei quali fu rinvenuto l'antico altare che era stato appun­ to consacrato da quel pontefice.94 Le indagini condotte sulle strutture dell'edificio attuale avevano in un primo tempo suggerito, per la fase originaria della chiesa, una datazione alla metà del VI secolo, ovviamente anche in collegamento con la notizia della consacrazione di Vigilio.95 Più recentemente,96 tuttavia, in base sia ai caratteri costruttivi, come gli ampi finestrati, sia al tipo architettonico - una struttura, forse absidata, con le pareti articolate in nicchie semicircolari e rettan­ golari - l'edificio è stato identificato con un'aula tardoantica del pieno IV secolo, molto vicina a quella in cui si insediò la chiesa di Santa Balbina all'Aventino. 89. Nella biografia di papa Silverio si annota infatti che «ecclesiae et corpora martyrum exter­ minatae sunt a Gothis» (LP, I, p. 29 1 ). 90. Il testo dell' iscrizione ci è pervenuto nelle Sillogi di Lorsch e di Verdun, ma ne furono rinvenuti anche molti frammenti che compongono, pur con lacune, una lastra monurnentale (90 x 250 cm circa), certo adeguata ad un intervento di grande rilievo opportunamente celebrato nel testo. Se ne veda la traduzione in Ferrua 1967, p. 333. Cfr. anche Fasola 1972, pp. 286-29 1 ; Dulaey 1977, p. 14; Spera 1 997, pp. 2 14-2 1 6; Sotinel 2000b, p. 5 1 8 e fig. a p. 5 1 3. A questi lavori vengono attribuiti alcuni elementi di arredo architettonico (tre mensole), anche se resta il dubbio che si tratti di sculture più antiche: cfr. Broccoli 1 98 1 , nn. 58-60, pp. 1 14- 1 1 7, tav. XIV. Sul cimitero Barbini 1997, pp. 125- 128. 91. Il lungo ma lacunoso carme ricorda l'intervento di un presbitero Andrea, praesu/e Vigilio: JCVR, VII, n. 1 9937. Cfr. Bertonière 1 985, pp. 49-5 1 ; Dulaey 1 977, p. 14. 92. Fiocchi Nicolai 1995a, pp. 774-775, fig. 4; Spera 1 997, p. 222. Anche in questo caso alcune sculture, in particolare una mensola e un pilastrino, in verità poco significativi, vengono attribuiti ai restauri di Vigilio: Broccoli 198 1 , nn. 289-290, pp. 268-269, tav. LXX. Per il cimitero cfr. Barbini 1 997, pp. 1 53-1 57. 93. Ferrua 1 967, p. 334; Dulaey 1977, pp. 1 4- 1 5 ; Sotinel 2000b, p. 5 1 8. 94. CBCR 1 976, p. 36. 95. Corbett 1 960; Corbett in CBCR 1976, pp. 35-48; Bertelli, Guiglia Guidobaldi, Rovigatti Spagnoletti Zeuli 1 976- 1 977, pp. 96-97. 96. Guidobaldi 1 986, pp. 207-208 con le note 96 e 97 a p. 454, e soprattutto Guidobaldi 2007.

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Dunque papa Vigilio con tutta probabilità trasformò in chiesa un ambiente di rappresentanza di una domus aristocratica, che forse, ma è solo un' ipotesi, ad un certo momento poteva essere entrata in possesso della sua famiglia; una famiglia di alto rango, dal momento che il nonno Olibrio fu prefetto del pretorio, il padre Giovanni prefetto del pretorio e console e il fratello Reparatus praefectus Urbi e poi prefetto del pretorio. I drastici cambiamenti, anche di orientamento, che la chiesa ha subito a par­ tire dal XVI secolo,97 rendono difficilmente accessibile la zona dell 'altare che comunque, dalla documentazione delle indagini archeologiche, era di notevoli dimensioni, costruito in muratura con pozzetto al centro per le reliquie.98 Restava­ no allora anche tracce dell'antico pavimento marmoreo in opus sectile a modulo quadrato, apparentemente allineato con le strutture, verosimilmente liturgiche, intorno all 'altare e dunque pertinente alla fase cristiana dell'edificio.99 Va inoltre segnalata la testimonianza dell'Ugonio, il quale nel 1 588 vide «ancora nella tri­ buna il musaico antico, con l' imagini da una parte di San Stefano Protomartire et dall'altra di San Lorenzo suo glorioso imitatore». 100 Dunque alla fine del XVI secolo il mosaico absidale era ancora in situ. Certo non possiamo affermare con certezza se esso fosse pertinente alla fase originaria del VI secolo o appartenesse ad un più tardo rifacimento, ma la notizia offre comunque un importante indizio sulla dedica antica della chiesa. Quando, dopo una insolitamente lunga vacanza della sede pontificia, pro­ trattasi dal 7 giugno 555 al 1 6 aprile 5 56, Pelagio divenne papa, lo scenario era molto cambiato. La riconquista bizantina era stata portata a termine e su Roma e l ' Italia governava il viceré Narsete, il generale che aveva condotto le ultime fasi del conflitto. 101 Fu forse da questa stretta relazione con la sede imperiale e dal rapporto di amicizia che sembra legasse Pelagio a Narsete 1 02 che prese l'avvio l 'unica impre­ sa edilizia ricordata nella breve biografia del Liber Pontifica/is: «Eodem tempore initiata est basilica Apostolorum Philippi et Iacobi, qui dum initiaretur fabricari, mortuus est». 103 A Pelagio spetterebbero tuttavia solo il progetto iniziale e so­ prattutto la dedica ai due apostoli Filippo e Giacomo, una scelta alla quale non dovette certo essere stato estraneo il lungo soggiorno a Costantinopoli, prima in veste di apocrisario poi accanto a Vigilio come suo diacono, e dunque la cono­ scenza diretta del più celebre Aposto/eion, ricostruito proprio poco tempo prima 97. Guidobaldi 2007 con bibliografia. 98. Corbett in CBCR 1 976. 99. Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi 1 983, pp. 149- 153, 1 84, figg. 45-46. Non è escluso però che esso possa essere stato recuperato dall'aula del IV secolo e riutilizzato nella nuova chiesa (Gui­ dobaldi 1 986, nota 96 a p. 454). 100. Ugonio 1 588, f. 277 bis; cfr. Guidobaldi 2007, p. 62. 1 0 1 . Cfr. Sotinel 2000c. l 02. Va ricordata in proposito la solenne processione che si snodò da San Pancrazio a San Pietro con Pelagio e Narsete fianco a fianco: Sotinel 2000c, p. 532. 103. LP, l, pp. 303-304.

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da Giustiniano e consacrato nel 550.104 L'edificio fu poi completato per opera del successore Giovanni III: «Hic perfecit ecclesiam apostolorum Philippi et Iacobi et dedicavit eam». 105 Molte sono le fonti, epigrafiche e documentarie, che attri­ buiscono ad entrambi i pontefici il merito di aver edificato la basilica, tra le quali innanzitutto l ' iscrizione che si trovava sull'architrave del portale d' ingressoHJ6 e quella che campeggiava nell'abside, parte della quale era ancora visibile alla metà del XV secolo quando la trascrisse il Volaterrano; 107 un' ulteriore conferma viene poi da fonti più tarde, tra le quali riveste particolare interesse la celebre lettera di Adriano I a Carlo Magno del 792 nella quale viene ricordata anche la decorazione musiva e pittorica figurata. 108 Anche se le fonti più antiche non menzionano mai, insieme ai due pontefici, il nome di Narsete, 109 si può comunque ipotizzare un coinvolgimento del viceré, e dunque indirettamente dell ' imperatore, nella costruzione dell'Apostoleion roma­ no, del quale è tuttavia difficile ricostruire la struttura originaria, date le trasfor­ mazioni subìte dalla chiesa nel corso dei secoli. Sembra comunque verosimile l' ipotesi secondo cui la forma a triconco che la chiesa aveva nel Quattrocento ricalcasse direttamente le linee della struttura antica almeno nella sua parte pre­ sbiteriale 1 10: ciò sarebbe confermato dalle recenti indagini archeologiche del 1 996 nell'abside destra, già cappella del cardinal Bessarione, 1 1 1 ricavata appunto entro un muro semicircolare, verosimilmente quello dell'abside meridionale del VI se­ colo, cui si accosta tuttora la coeva pavimentazione a grandi tessere marmoree, che mostra di appartenere ad una tipologia caratteristica dell'ambiente romano di quel tempo. 1 12 1 04. Janin 1 969, pp. 4 1 -50, in part. p. 43. 1 05. LP, I, p. 305. 1 06. «Pelagius coepit, complevit papa lohannes l unus opus amborum par micat et [meritum]» (de Rossi 1888b, p. 355): LP, l, p. 306; CBCR 1937, p. 79; Zocca 1 959, p. 8; Mazzucco 1982, p. 13. 1 07. «Hic prior antistes vestigia parva reliquit l supplevit coeptum pa pa Iohannes opus» (de Rossi 1 888b, p. 139, n. 27): LP, l, p. 306; Zocca 1 959, p. 20 con il testo completo. Per le fonti sulla chiesa cfr. CBCR 1 937, pp. 79-83; Zocca 1 959, pp. 8-22. l 08. «Dominus Pelagius atque dominus Iohannes mirae magnitudinis ecclesiam apostolorwn a solo aedificavit . . . historias diversas tam in musivo quam in variis coloribus cum sacris pingentes imaginibus»: PL, XCVIII, coli. 1 285-1286. 1 09. Zocca 1 959, p. 13. Solo il Volaterrano nel XV secolo attribuisce al patricius Narsus la concessione di materiale marmoreo di spoglio per la fabbrica in costruzione. I l O. CBCR 1 937, pp. 78-83. Il Krautheimer propone un confronto con la basilica giustinianea della Natività di Betlemme e altri edifici con terminazione a triconco di area egiziana. La Zocca 1 959, pp. 1 8- 1 9, 40, preferisce ritenere che le terminazioni absidate fossero piuttosto pertinenti al transetto di una chiesa a pianta longitudinale, nonostante l'evidenza delle piante e vedute cinque­ centesche, tra cui quella cosiddetta di Mantova (ibidem, fig. 6). I I I . Lo scavo è stato condotto nell'ambito delle indagini finanziate dal Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno tra il 1 989 e il 2005, che hanno rimesso in luce i preziosi affreschi di Antoniazzo Romano e della sua bottega (per i quali cfr. Tiberia 1 992). 1 1 2. Per la tipologia pavimentale cfr. Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi 1 983, pp. 349-459, ove si è proposta la definizione di «sectile-tessellato marmoreo» oppure «mosaico marmoreo a grandi tessere con elementi di opus sectile» . Il pavimento è trattato con maggior dettaglio in Guiglia, Guidobaldi 20 15, c.d.s.

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Altre testimonianze tangibili della fase originaria dei SS. Apostoli sono state evidenziate già nel XIX secolo durante i lavori di restauro e sistemazione della cripta ( 1 869- 1 879), in occasione dei quali tornarono in luce un breve tratto della grande abside centrale e, al di sotto dell'altare maggiore, l'altare antico, molto rimaneggiato e trasformato in una sorta di reliquiario, ma ricomposto dalle la­ stre originarie in pavonazzetto, una delle quali decorata da una elegante croce equilatera realizzata a rilievo appena aggettante con doppie profilature, di fattura probabilmente costantinopolitana (fig. 5). 1 13 Dell'allestimento liturgico del VI secolo doveva certamente far parte anche i l frammento di pilastrino, oggi murato nel portico, 1 14 tipo logicamente affine al gruppo dei pilastrini di Giovanni II a San Clemente, ma scolpito nel marmo lu­ nense, e dunque un manufatto non importato da Costantinopoli ma eseguito a Roma, con tutta probabilità da maestranze bizantine attive nell'Urbe per la gran­ dc chiesa degli Apostoli . 1 15 Se da un lato la presenza di artefici provenienti dalla capitale può essere considerata un indizio della partecipazione del governo bizan­ tino all' impresa, dall'altro lato la basilica resta comunque la fondazione di com­ mittenza papale più monumentale ed impegnativa entro la cinta urbana di Roma c corrisponde per il VI secolo a ciò che Santa Maria Maggiore e Santo Stefano Rotondo - anch'esse grandi chiese urbane non titolari - avevano rappresentato per il secolo precedente. Anche i monumenti cristiani del suburbio furono oggetto delle cure di Gio­ vanni III, del quale il Liber Pontifìca/is dice appunto: «Hic amavit et restauravit coemeteria sanctorum martyrum». 1 16 Del successivo pontificato di Benedetto (575-579) il Liber Pontifìcalis111 non ricorda alcuna fondazione o iniziativa di carattere artistico. D'altronde il mo­ mento storico era davvero difficile per Roma: la discesa dei Longobardi si era li1tta sempre più minacciosa e la città era ridotta alla fame, tanto che l ' imperatore < ì iustino II (565-578) si decise ad inviare navi in Egitto a rifornirsi di grano per dare sostentamento alla popolazione. Nel novembre 5 79, al momento della elezione di Pelagio II (579-590), i Lon­ gobardi ormai stringevano d'assedio la città, tanto che il nuovo pontefice cercò 1 13. Per tutte le vicende relative al ritrovamento dell'altare e alle sue trasformazioni si veda Mazzucco 1 982, con bibliografia precedente, in part. figg. 4-1 1 , 15; cfr. inoltre Zocca 1 959, pp. 22-26, figg. 1-3; Ferdinandi, Leonardi 1 989- 1 990, fig. l ; Bartolozzi Casti 1 999-2000, pp. 1 92- 196; Russo 2006, p. 260, figg. 33-34. Per un confronto con la mensa dell'altare di Sant'Apollinare in < "lasse si veda Sotira 20 13, p. 62, fig. 90. 1 14. Barsanti, Guiglia Guidobaldi 1 992, pp. 200-20 1 , 2 1 3, 263, 268, fig. 300. 1 1 5. Barsanti, Guiglia Guidobaldi 1 992, p. 263, con qualche perplessità non condivisa da Russo 2006, p. 260, note 1 53- 1 54. Cfr. inoltre Guiglia Guidobaldi 2002, pp. 1482- 1483. 1 16. LP, l, pp. 305-306. Si trattò probabilmente di opere di riorganizzazione funzionale; par­ t icolare attenzione fu rivolta al cimitero di Pretestato, dove sappiamo che il papa abitò per diverso tempo, il che può far supporre la presenza di qualche nuova struttura residenziale installata a quello �copo: Reekmans 1 968, p. 1 93 ; Dulaey 1977, p. 1 5; Barbini 1 997, pp. 1 87- 1 92, in part. p. 1 9 1 ; l'cnnacchio 2000d, p . 537. 1 1 7. LP, l, p. 308. Cfr. Pennacchio 2000e, p. 540.

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prima l'aiuto dei Franchi poi quello dei Bizantini. Nel 5 84 affidò l' incarico a Gregorio, il suo futuro successore, che era allora apocrisario a Costantinopoli, di chiedere l 'appoggio militare dell' imperatore Maurizio per la difesa di Roma. Dopo qualche tempo l'esarca Smaragdo strinse un accordo triennale con i Lon­ gobardi che permise a Pelagio II di godere di qualche anno di relativa tranquillità prima che i disastrosi eventi naturali del 589118 devastassero la città, seguiti da un'epidemia di peste, di cui proprio il pontefice fu una delle prime vittime. La situazione di instabilità che caratterizzò il decennio del suo pontificato non impedi a Pelagio di condurre a termine imprese edilizie e decorative di gran­ de rilevanza, prima fra tutti il nuovo santuario di San Lorenzo sulla via Tiburtina, accanto alla basilica circiforme, la maior, fondata da Costantino. 1 19 Pelagio inter­ venne in un'area cimiteriale assai articolata, sviluppatasi a partire dal III secolo e focalizzatas i intorno alla tomba del martire. Quest'ultima fu monumentalizzata da Costantino e più tardi da Sisto III e condizionò la costruzione della nuova chiesa: «Hic fecit supra corpus beati Laurenti martyris basilicam a fundamento constructam et tabulis argenteis exornavit sepulchrum eius)) } 20 Due iscrizioni si accompagnano ai dati archeologici e all 'evidenza monu­ mentale nel definire le circostanze e le modalità dell' intervento edilizio. L'una, nota anche dalle Sillogi di Tours e di Lorsch IV, è ancora conservata, con al­ cune integrazioni ottocentesche, lungo la fronte dell'arcata absidale decorata a mosaico: martyrium ftammis o/im /evvita subisti iure tuis temp/is lux beneranda dedit; 121 la seconda, ugualmente nota dalle Sillogi di Tours, di Lorsch IV e anche di Wuerzburg, è stata invece ripristinata ex novo dal Vespignani sulla faccia est della parete occidentale al di sopra del mosaico del VI secolo, ma verosimilmente doveva trovarsi alla base del catino absidale, forse disposta in tre gruppi di disti­ ci. 122 Il tema dominante, introdotto dal distico sull'arco e svolto più ampiamente dal carme, è quello della luce: essa ora entra copiosamente nella nuova aula che accoglie il popolo dei fedeli, mentre in precedenza il corpo del santo si trovava in 1 1 8. «Tantae pluviae fuerunt ut omnes dicerent quia aquae diluvii superinondaverunt» : LP, l, p. 309. Cfr. anche Sotinel 2000d, pp. 54 1 , 545. 1 19. In effetti il Geertman, attraverso una nuova lettura del Liber Pontifica/is, ha in più occa­ sioni sostenuto una cronologia al V secolo e in particolare al pontificato di Sisto Ili (cfr. da ultimo Geertman 2002, con relativa discussione alle pp. 1 26 1 - 1 262). 120. LP, l, p. 309. 1 2 1 . Il testo integrato nel l 860 mostra alcune imprecisioni, come quella che ha mutato l'ulti­ ma parola in dedit anziché redit come trascritto nelle Sillogi: de Rossi l 888b, p. 63, n. 9; p. 1 06, n. 47. Cfr. Ciranna 2000, p. 54 e più recentemente Mondini 20 1 0, pp. 323-324. 122. de Rossi 1 888b, pp. 63-64, n. I O; p. 1 06, n. 46; p. 1 57, n. 9. «Demovit dominus tenebras ut luce creata l his quondam latebris sic modo fulgor inest l angustos aditus venerabile corpus habebat l huc ubi nunc populurn largior aula capit l eruta planities patuit sub monte reciso l estque remota gravi mole ruina minax l praesule Pelagio martyr Laurentius olim l tempia sibi statuit tam pretiosa dari l mira fides gladios hostiles inter et iras l pontificem meritis haec celebrasse suis l tu modo sanctorurn cui crescere constat honores l fac sub pace coli tecta dicata tibi». L'iscrizione è trascritta e commentata anche, tra gli altri, da Krautheimer (in CBCR 1 962, p. l O); Bovini 1 97 1 , p. 1 28; Ciranna 2000, p. 54; Mondini 20 10, p. 322.

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un luogo ristretto ed oscuro; la massa rocciosa della collina minacciava di crolla­ re e fu dunque in parte sbancata. La grandiosa impresa fu realizzata - sottolinea il carme - in un momento particolarmente difficile per la città, posta inter gladios hostiles, cioè sotto la pressione dell'assedio longobardo, e dunque l'ultimo verso si conclude con un'accorata invocazione alla pace. L'aspetto attuale della basilica pelagiana è il risultato delle incisive trasfor­ mazioni che si sono succedute nel corso dei secoli: innanzitutto all'inizio del Due­ cento, quando con l' inversione dell'orientamento e la perdita del catino absidale essa è stata inglobata nella nuova basilica di Onorio lli e ne è divenuta una sorta di monumentale presbiterio (fig. 4); 123 poi, alla metà del XIX secolo, con i restauri del Vespignani, ed infine nel Novecento, con i bombardamenti della II guerra mondiale e con il successivo ripristino. Nonostante questo la chiesa eretta da Pelagio per il martire Lorenzo resta il monumento di committenza papale che, pur mutilato e re­ staurato, sopravvive al meglio tra tutti quelli finora incontrati lungo il VI secolo. Uno degli aspetti più importanti è quello del rapporto fra la basilica e la tom­ ba del martire: benché il Liber Pontifìcalis la dica costruita "supra corpus", non vi sono dati concreti che permettano di riconoscere, tra le numerose sepolture rinve­ nute all' interno dell'abside e ad ovest di essa, nell'area poi divenuta retrosanctos, quella di Lorenzo; non sembra quindi scontato che la tomba medievale insista sul luogo di quella primitiva. t24 Certo è che la particolare struttura dell'abside, aperta da grandi finestre e con fenestella al centro dell'emiciclo, agevolava al meglio la visibilità e l ' illuminazione dell'area venerata retrostante, 12� nell'ottica di una sempre migliore fruibilità del sepolcro del martire da parte dei pellegrini che potevano accedervi anche dalle navate laterali attraverso le aperture ai lati dell'abside. Un processo che troverà di li a poco una formulazione architettonica più esplicita e duratura nella cripta semianulare gregoriana di San Pietro. Un secondo aspetto di grande importanza sta nella scelta degli architetti di Pelagio di erigere una basilica con gallerie. Una scelta evidentemente dettata dal­ la particolare posizione della chiesa, inserita nelle pendici della collina tufacea a est, a nord e in parte ad ovest, che necessitava dunque sia di un accesso diretto al livello superiore a est, sia di alte pareti finestrate che costituissero fonte di luce. Restano tuttavia aperti alcuni interrogativi sulla funzione e sulla ricostruzione dell'aspetto delle gallerie,126 anche se continua, a mio avviso, ad essere un' ipo123. Per la basilica onoriana e i suoi arredi cfr. Mondini 20 10. 124. Piuttosto complessa e di controversa interpretazione è l'evoluzione dell'area venerata, messa in luce negli scavi del 1 947- 1 949, e della sua reale posizione in rapporto al contesto absidale de lla chiesa pelagiana: cfr. le diverse opinioni di Krautheimer (in CBCR 1 962, pp. 1 25- 127), e di Geertman 1995 da un lato, e di Longhi 1 997, pp. 125- 126, di Ciranna 2000, pp. 58-82 (con sintesi critica) e di Serra 2007 dall'altro; cfr. inoltre Israel l 985, pp. 1 95- 1 97 e da ultima Mondini 20 10, pp. 327-329, 447-448. 125. Cfr. de Blaauw 1 995, pp. 559-560; Serra 2007, pp. 362-369. 126. Sulla controversa questione dell'esistenza originaria di finestre nelle gallerie cfr. CBCR 1962, p. 127 ma anche Ciranna 2000, p. 55, che giustamente lascia in dubbio la questione dell'illumi­ nazione originaria anche in base all'insistenza sull'idea della luce nelle iscrizioni pelagiane.

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tesi verosimile quella secondo cui le maestranze del pontefice, per l'adozione di un'articolazione spaziale interna dell'edificio, in qualche modo nuova per Roma, 127 oltre a soddisfare le esigenze pratiche legate alla topografia del santua­ rio, avessero guardato ali ' Oriente bizantino. 128 Del tutto eccezionale è l'arredo architettonico della chiesa, composto quasi esclusivamente di spoglie marmoree, dalle ventiquattro colonne scanalate di pa­ vonazzetto e di marmo bianco ai ventiquattro capitelli corinzi e compositi - ai quali si aggiungono due esemplari figurati con trofei e vittorie alate - ai segmenti di architravi con fregi di acanto e girali abitati. 129 Sculture non del tutto omogenee tra loro, anche di diversa epoca - per lo più del II e III secolo - e di diversa pro­ venienza, ma assemblate e armonizzate con precise strategie tese ad evidenziare i percorsi e a focalizzare l 'attenzione sui luoghi-simbolo. 130 Significativo è l'al­ lestimento del triforio della galleria orientale, nel quale si concentrano manufatti più vicini nel tempo alla costruzione della chiesa accanto ad altri espressamente scolpiti per essa, vale a dire i due eleganti capitelli corinzi di manifattura costanti­ nopolitana, databili alla seconda metà avanzata del V secolo, 131 esibiti quasi a rap­ presentare la voce decorativa della capitale bizantina accanto a quella della Roma antica, e i due sottostanti plinti, sui quali poggiano colonne di granito verde, 132 che testimoniano delle scelte tematiche e formali della scultura a Roma sullo scorcio del secolo, caratterizzate da composizioni di contenuto simbolico - una croce latina o un cantaro affiancati da colombe e rosette (fig. 5)133 - che trovano più di un confronto nella produzione alto adriatica e che mostrano una resa formale di livello qualitativo elevato. Ben più modesta è la mano, verosimilmente locale, 127. Ancora dibattuta, infatti, è la cronologia della basilica semipogea dei SS. Nereo e Achilleo a Domitilla, ritenuta da alcuni della seconda metà del IV secolo e da altri del tardo VI se non dell'inizio del VII, fenno restando il fatto che qui l'esistenza delle gallerie è soltanto ipotizzabile ma non provata: si veda la sintesi critica di Zimmennann 2012. Per una recente proposta, alquanto discutibile, sulla presenza di gallerie in alcune basiliche circifonni romane del IV secolo cfr. Rasch 20 12. 1 28. Come affenna Krautheimer (in CBCR 1 962, p. 1 45), pur escludendo Costantinopoli, anche in base all'utilizzo del piede bizantino nella progettazione della chiesa; cfr. anche Ciranna 2000, pp. 100- 1 02. Del tutto contrario è invece Brandenburg 2004, p. 237. 1 29. Per la descrizione dei pezzi e per un'analisi dettagliata con ampia letteratura critica si veda il recente saggio di Ciranna 2000, in part. pp. 83- 1 1 8; cfr. inoltre Pensabene 1995, pp. l 090109 1 , figg. 8-9, tavv. 1 52- 1 53; Brandenburg 2004, pp. 237-240; Pensabene 20 15, pp. 605-65 1 . 1 30. Pensabene 1 995, pp. 1 090-109 1 ; Ciranna 2000, pp. 1 06- 1 09; Pensabene 20 1 5, pp. 6106 1 1 , 622. 1 3 1 . Cfr. innanzitutto Kautzsch 1 936, pp. 58-59, tav. 5 1 b (definiti del tipo 4 della sua classifi­ cazione); Kramer 1 997, pp. 1 47- 1 48, nn. 2-3, tav. 26, fig. 48; Barsanti 2002, pp. 1472- 1473, fig. 1 8, ove viene sottolineata la lavorazione quasi "a giorno" delle foglie d'acanto, che potrebbe indicare appunto una cronologia verso la fine del secolo (Pensabene 1 995, didascalia della tav. 1 53d, propo­ ne un'estensione anche all'inizio del VI secolo). 1 32. Pensabene 1 995, p. 1 090. Secondo il Kramer 1 997, pp. 1 47- 1 48, le colonne sono moder­ ne, così come le basi e le imposte. 1 33. Per un'approfondita analisi iconografica e fonnale dei plinti si vedano Broccoli 1 98 1 , nn. 1 72- 1 73, pp. 227-232, tavv. LI-LIV; Russo 1 984, pp. 24-29, figg. 9- 14; Guiglia Guidobaldi 2002, pp. 1 509- 1 5 1 2, fig. 1 6; Russo 2006, pp. 267-268.

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che ha scolpito i due plinti sotto la coppia d i colonne situate all'estremità ovest della chiesa, 134 decorati solo su due lati da una semplice croce ad estremità patenti e decussate e da due fiori quadri petali. Ad artefici romani va con tutta probabilità ricondotta anche l'esecuzione del decoro dei pulvini posti sopra i capitelli delle gallerie, realizzato solo con leggera incisione sulla fronte rivolta verso la navata centrale, tanto da sfuggire talora allo sguardo. 135 Questa coesistenza di due diversi livelli qualitativi nelle sculture architetto­ niche pelagiane trova eco nella disomogeneità dei soli quattro pilastrini super­ stiti della recinzione presbiteriale, oggi reimpiegati in due finestre del chiostro e nei due amboni medievali. 136 Le maestranze di Pelagio sembrano dunque avere un' identità composita, in gran parte ancora debitrice delle esperienze giunte da Oriente o dall'alto Adriatico e in parte espressione di botteghe locali, le quali ave­ vano già lasciato tracce concrete nell'altrettanto eclettico insieme di sculture del Ponte Salario edificato da Narsete nel 565. 137 Ugualmente composita era la mae­ stranza che lavorò alla decorazione pavimentate: nella navata mosaici marmorei a grandi tessere con elementi di opus sectile del tipo ampiamente testimoniato a Roma nel corso del VI e di parte del VII secolo, come quelli di Santa Maria Anti­ qua, San Clemente, Sant'Alessandro, San Crisogono138 ed anche dei SS. Apostoli, citato poc'anzi; nell 'abside invece l'opus sectile geometrico a piccoli elementi, 139 tipologia ugualmente diffusa a Roma nel VI e VII secolo, ma di chiara derivazio­ ne dall'Oriente bizantino. 140 Il patronato di Pelagio II per il santuario del martire Lorenzo è esplicitamente siglato dallo splendido mosaico che orna la parete e l'arcata occidentali, sotto alle quali si apriva l'abside sacrificata da Onorio III. Sulla parete, campita da un brillante fondo d'oro e da una sottile fascia verde a segnare il piano del terreno, si distende la solenne composizione incentrata sul Cristo benedicente assiso sul 1 34. Broccoli 198 1 , nn 1 74- 1 75, pp. 232-234, tav. LV; Russo 1 984, pp. 29-3 1 , figg. 1 5- 1 6; Guiglia Guidobaldi 2002, pp. 1 508- 1 509. 135. Broccoli 198 1 , n. 1 7 1 , pp. 226-227, tav. LX; Russo 2006, p. 270, fig. 47. Va precisato che le imposte in questione sono dieci e non dodici, come affermato dagli studiosi citati: le due imposte collocate sui capitelli proto bizantini non recano alcun decoro e sembrano essere, per la forma e il taglio della superficie, piuttosto opera non antica (cfr. Kramer 1997, pp. 1 47- 148). 1 36. Broccoli 198 1 , nn 1 65- 1 68, pp. 222-225, tavv. XLVIII-XLIX; Guiglia Guidobaldi 2002, pp. 1 502- 1 506, figg. 10- 1 1 ; Russo 2006, pp. 268-270, figg. 43-46. Se due di essi mostrano un bana­ le decoro a specchiatura, gli altri presentano una più complessa e inconsueta partizione in riquadri sovrapposti, che sembra riecheggiare alla lontana alcuni manufatti costantinopolitani: Guiglia Gui­ dobaldi 2002, pp. 1 504- 1 505, fig. 12. 1 37. Broccoli 198 1 , n. 98, pp. 136- 1 38, tav. XXII; Guiglia Guidobaldi 2002, pp. 1 49 1 - 1 502, figg. 4-7; Russo 2006, pp. 260-265, figg. 36-40. 138. Su questa tipologia pavimentate in generale si veda Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi 1 983, pp. 349-459; in part. per San Lorenzo pp. 402-407, figg. 1 26- 1 27. 1 39. I resti del pavimento dell'abside furono messi in luce dagli scavi del l 947- 1 949, ma ne restavano solo le impronte lasciate dagli elementi marmorei sulla malta di preparazione; altri resti nel nartece sono invece documentati dagli acquerelli di Vespignani: cfr. Guidobaldi, Guiglia Gui­ dobaldi 1983, pp. 307-3 1 0, figg. 96 e 1 27. 140. Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi 1 983, pp. 262-348. .

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globo, affiancato da Pietro e Paolo; a sinistra di Pietro si dispongono il martire titolare Lorenzo e il papa committente Pelagius episcopus (fig. 6), che offre il modellino della chiesa a Cristo; a destra di Paolo sono il protomartire Stefano e sant'Ippolito che offre la corona del suo martirio; nei triangoli di risulta ai lati dell 'arcata prendevano posto i plastici delle città di Gerusalemme e Betlemme.l41 Il mosaico laurenziano è una delle prime raffigurazioni - dopo quelle dei SS. Cosma e Damiano, di San Vitale a Ravenna e della Basilica Eufrasiana di Paren­ zo142 - che introduce la figura del papa committente, vivente e privo di nimbo, nel consesso dei santi e dei martiri al cospetto di Cristo: un tema iconografico che ebbe un successo crescente in ambito romano e che acquistò via via anche una dimensione politico-ideologica. 143 Di nonna destinata al catino absidale, la scena trova posto in questo caso sulla parete sovrastante, forse perché la conca ospitava la figura del martire venerato144 o altra immagine di carattere simbolico. I recenti restauri del 200 1 145 hanno chiarito, sembra in modo definitivo, gli interrogativi sulle evidenti discontinuità stilistiche tra le parti sopravvissute del­ la superficie musiva originaria, già a suo tempo individuate rispetto al restauro ottocentesco, 146 che erano state risolte con la compresenza di diversi artisti. 147 In realtà è apparso chiaro che si tratta di due fasi nettamente distinte anche dal punto di vista tecnico (tipo del supporto, natura e dimensioni delle tessere): alla fase originaria del VI secolo appartengono così le teste del pontefice, di san Lorenzo e di sant'Ippolito, nonché buona parte dei piedi dei personaggi e del globo del Cristo; ad un restauro di molto successivo, per il quale è stato proposto il secondo quarto del XII secolo, 148 si devono invece le quattro figure centrali. I nuovi dati emersi dal restauro permettono di valutare con ancor maggiore chiarezza l' identità stilistica dell'artista del VI secolo che ha dato vita ai due "ri­ tratti" di Pelagio e Lorenzo, 149 connotati da grande finezza interiore e da intensa spiritualità. La libera distribuzione delle tessere vitree e il ruolo del colore nella costruzione dei volti lasciano intravedere nell'artefice una personalità indipen14 1 . Per una dettagliata analisi iconografica cfr. Matthiae 1 967, pp. 1 50- 1 54, e Bovini 1 97 1 . 1 42. Per alcune riflessioni sull'originalità dello sviluppo del tema iconografico sull'arco ab­ sidale e l'indipendenza del mosaico Iaurenziano dagli esempi precedenti si veda della Valle 2002, pp. 1 666- 1667. 143. Per il tema iconografico del ritratto di committenza cfr. Gandolfo 2004b; in part. per San Lorenzo pp. 14- 1 5 . 1 44. Tra gli altri, Bovini 1 97 1 , p . 1 3 5 . Più recentemente Pace 2004, p . 1 52, suggerisce l a pos­ sibilità di una decorazione totalmente priva di immagini dominata dall'oro delle tessere musive. 145. Anselmi, Bianchetti, Bonelli 2002 e soprattutto Bonelli, Romano 2006, anche per le considerazioni di carattere stilistico e cronologico. Tra le prime riflessioni dopo il restauro cfr. Pace 2004, pp. 149- 1 52 146. Matthiae 1967, pp. 1 49- 1 68, figg. 89, 9 1 -97, tavv. XIX-XX. 1 47. Ad esempio Matthiae 1 967, pp. 1 54- 1 62; Bovini 1 97 1 , pp. 1 38- 1 40; Andaloro 1 987, p. 246. 1 48. Bonelli, Romano 2006, ove vengono sottolineate l'accuratezza e la meticolosità dell' in­ tervento medievale, che ha replicato quasi filologicamente il mosaico originario. 1 49. Ladner 1 94 1 a, pp. 65-69; Bertelli 1 983, p. 33, ove al volto di Pelagio viene invece colle­ gato quello di sant'lppolito, che appare piuttosto espressione di un linguaggio in parte diverso.

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dente dalle esperienze romane della prima metà del secolo, come i SS. Cosma e Damiano, ma rivolta piuttosto al mondo figurativo bizantino e ben consapevole degli esiti formali maturati nelle regioni orientali dell'impero.150 Diversa è evi­ dentemente la mano che ha costruito la testa di sant'lppolito, pur contempora­ nea alle altre due: la tessitura più compatta della superficie musiva, l'uso meno vibrante del colore e l ' impostazione più robusta dei piani riconducono ad una diversa personalità di artista, legato ancora a modi di classica tradizione.151 Completa la decorazione superstite della parete ovest il mosaico del sottarco, composto da un festone vegetale racchiuso tra due fasce gemmate e articolato in otto settori diversi di frutti e fiori, avvolti da un sinuoso nastro iridato. La resa naturalistica e tridimensionale e la raffinata scelta cromatica consentono di intra­ vedere nel mosaico, al di là dei modelli della tradizione romana cui certamente attinge, anche un riferimento puntuale alla produzione musiva bizantina del V secolo, in particolare quella di Tessalonica esemplificata dalla Rotonda di San Giorgio e dalla Panagia Acheiropoietos. 152 Durante il suo travagliato pontificato Pelagio ebbe modo di occuparsi anche della tomba dell'apostolo Pietro nella basilica vaticana col dono di rivestimenti di argento dorato153 e con altri non meglio chiariti interventi nell'area della con­ fessione, a quindici piedi di distanza dalla tomba vera e propria, come precisa Gregorio Magno.154 Questa notizia ha suggerito ad alcuni studiosi 155 la possibilità, in seguito non condivisa, che sia stato proprio Pelagio, e non Gregorio, l'autore della ristrutturazione dell'area venerata con la creazione della confessione semi­ anulare di cui si parlerà tra breve. Sempre nella basilica vaticana Pelagio fece erigere una importante compo­ nente de li' arredo liturgico, vale a dire l'ambone, purtroppo perduto ma attestato in due iscrizioni, note dalla Silloge di Einsiedeln, che erano poste sui due lati c che esortavano al canto e alla lettura della parola divina. 156 La presenza di un ambone in San Pietro è tuttavia documentata dal Liber Ponti.ficalis per la prima volta nella vita di Pelagio I (556-56 1 ), 157 ciò che lascia ritenere che questo tipo 1 50. La quasi totale assenza a Costantinopoli di mosaici figurati attribuibili al VI secolo viene mmpensata da altre testimonianze più "periferiche", tra le quali il mosaico absidale della Panagia Kanakaria di Lythrank.omi a Cipro, databile ai primi decenni del secolo, sembra la più significativa d i cui tener conto: Megaw, Hawkins 1 977, in particolare i ritratti degli apostoli Matteo, Giuda e J 'ommaso alle tavv. 1 39, 143 e frontespizio. 1 5 1 . Matthiae 1967, pp. 1 59- 1 60; Bovini 1 97 1 , pp. 1 39- l40; Andaloro 1987, p. 246. 1 52. Taddei 2002. 153. «Eodem tempore investivit corpus beati Petri apostoli tabulis argenteis deaurati»: LP, I, p. 309. 1 54. LP, l, p. 3 1 O; de Blaauw l 994b, p. 539 ; Sotinel 2000d, pp. 544-545. 1 55. Esplorazioni sotto la conjèssione di San Pietro 1 95 1 , p. 193. 1 56. In ambone sancti Petri - Scandite cantantes domino dominumque legentes ex alto po­ pulis verba superna sonent - ex alteraparte - Pelagius iunior episcopus dei famulus fecit curante ll1liano praeposito secundicerio (de Rossi l 888b, p. 2 1 , nn. l i - l la; ICVR, NS, II, n. 4 1 1 8): cfr. dc Blaauw 1 994b, p. 484; Sotinel 2000d, p. 545. 1 57. «Pelagius in ambone ascendit» : LP, I, p. 303.

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di struttura liturgica sia entrato in uso a Roma solo dopo la conquista bizantina, proprio in relazione alla grande diffusione che esso aveva raggiunto in Oriente tra V e VI secolo. L'attenzione di Pelagio II verso i santuari martiriali si manifesta anche con l' in­ tervento nel cimitero di Bassilla, sulla via Salaria vetus, e la costruzione della basi­ lica di Sant'Ermete, 158 una basilica semiipogea a navata unica divisa in tre campate da archi trasversi e chiusa da un'ampia abside. L'intervento di monumentalizzazio­ ne del santuario del martire, il cui culto proprio allora era in crescita, ben si colloca nel solco dell'opera dei suoi predecessori, nel corso del VI secolo, ed è in sintonia con le maggiori imprese edilizie extramuranee, contemporanee e successive, di San Lorenzo e di Sant'Agnese, vere e proprie basiliche ad corpus. La breve vita di Pelagio del Liber Ponti.fica/is registra infine un intervento apparentemente minore ma assai significativo: egli infatti trasformò la sua casa in un ospizio per gli anziani indigentil59 ed inoltre convalidò il lascito testamentario di un presbitero di nome Giovanni che aveva fatto altrettanto e che vi aggiun­ se anche un oratorio. Qualche tempo dopo Gregorio Magno cercò di portare a compimento questa iniziativa, chiedendo prima ad una comunità maschile poi ad una femminile di trasferirsi nella nuova sede monastica, di cui specifica la localizzazione iuxta thermas Agrippianas; non abbiamo però altre notizie che ci chiariscano la sorte di questa fondazione.160 Le trasformazioni in ospizio e oratorio delle domus di Pelagio e del presbi­ tero Giovanni ci introducono ad una nuova fase dello sviluppo della istituzione monastica a Roma, che dai santuari suburbani si sposta ormai decisamente vero il cuore della città e che vede come protagonista proprio Gregorio Magno. La breve Vita del Liber Ponti.ficalis non lascia certo trasparire la dimensione di un pontificato straordinario, le cui coordinate ci sono note grazie soprattutto agli scritti dello stesso Gregorio, preziosa e ineludibile miniera di notizie per la conoscenza della vita e della cultura degli anni attorno al 600. 161 Scritti che costituiscono in più casi l ' unica fonte per gli interventi del pontefice sui mo­ numenti di Roma, in verità non numerosi e non individuabili in nuove imprese edilizie, ma di grande portata per un rinnovamento del volto della città ormai alle soglie del medioevo. 1 58. «Hic fecit cymiterium beati Hennetis martyris>>: LP, l, p. 309. Qui il tennine cymiterium viene inteso come edificio martiriale: Spera 1997, pp. 197-207; Spera 1 998a, pp. 309-3 1 0. Ad un più semplice restauro della basilica damasiana pensa invece Krautheimer in CBCR 1 93 7, pp. 195-208. 1 59. «Hic domum suam fecit ptochium pauperum senum»: LP, l, p. 309. Non è nota l'ubica­ zione di questa domus (cfr. Guidobaldi 1995c), che solo ipoteticamente è stata identificata con uno Xenodochium Tucium vicino al Palazzo Lateranense (Santangeli Valenzani 1 996- 1 997, pp. 2 1 0-2 1 1). 1 60. L'episodio è noto da due lettere dello stesso Gregorio Magno (Ep. VI, 44, del 596, e IX, 138, de1 599); i resti del complesso sarebbero stati ipoteticamente individuati nell'area sacra di Lar­ go Argentina da Cecchelli 1 998, pp. 54-55; cfr. inoltre Ferrari 1957, pp. 1 76- 1 78; Pani Ennini 1 98 1 , p. 32; Giuntella 2000, p . 1 80; Sotinel 2000d, p . 544; Giuntella 200 1 , p . 643; Giuntella 2007, p . 90. 1 6 1 . Per la estesissima bibliografia sulla vita e le opere di Gregorio, che qui non è il caso di ripercorrere, si rinvia a Boesch Gajano 2000a, Boesch Gajano 2004, agli Atti del convegno L 'Orbis Christianus Antiquus del 2007 e all'Enciclopedia Gregoriana del 2008.

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All' indomani della morte di Pelagio II durante la peste del 590 la situazione di Roma era tragica e necessitava di interventi urgenti per la ristrutturazione della macchina amministrativa, il sostentamento della popolazione e il riordinamento delle proprietà della Chiesa, sicché poco tempo e attenzione restavano per la co­ struzione di nuove chiese. 162 Già diversi anni prima della sua elezione Gregorio aveva manifestato una profonda vocazione monastica che lo aveva condotto alla fondazione di un mo­ nastero nella sua casa paterna163 lungo il clivus Scauri sul Celio, nei pressi della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. Non è nota la data certa dell'istituzione, che tradizionalmente oscilla tra il 575 e il 5 8 1 , date in realtà formulate dagli eruditi di storia ecclesiastica del Cinquecento e del Seicento e dunque suscettibili di revisione. 164 Due documenti di qualche anno successivi, l'uno del 5 87, quando Gregorio era ancora diacono, e l'altro del 590-59 1 , successivo alla sua elezione, attestano comunque l'esistenza del monastero di Sant'Andrea che ricevette da Gregorio una donazione di beni. 165 Si tratta dunque di una committenza che non può dirsi a rigore papale poiché è antecedente all'ascesa al pontificato, ma le v icende del monastero sono cosi strettamente legate al Gregorio papa degli anni successivi che esso può essere considerato a tutti gli effetti uno dei suoi interventi più significativi. D'altronde è proprio nei decenni tra la fine del VI e il VII se­ colo che si intensificano le fondazioni di monasteri anche all ' interno della città, per alcuni dei quali la prima menzione è nota proprio dalle lettere di Gregorio Magno.166 Spesso le comunità di monaci utilizzavano le residenze dell'aristocra­ zia romana, ormai dismesse e concesse alla Chiesa, 167 oppure, come nel caso di Pelagio e Gregorio, trasformate dagli stessi proprietari. Sono appunto gli scritti del pontefice che offrono le informazioni più dirette sul suo monastero del clivus Scauri, ai quali si aggiunse, quasi tre secoli più tardi, la biografia di Gregorio scritta tra 1 ' 873 e 1' 875 da Giovanni Diacono. 168 162. La situazione viene efficacemente delineata da Krautheimer 1 98 1a, pp. 77- 1 14; si veda­ inoltre Pietri 1 99 1 e Pani Ermini 2007. 163. «Hic domum suam constituit monasterium» : LP, I, p. 3 12. Cfr. Ferrari 1 957, pp. 1381 S l ; Guidobaldi 1 995b. 164. Ferrari 1 957, p. 1 42, e più recentemente Bartola 2007, pp. 1 28- 133, che orienta la datazione in un periodo successivo al 573 circa, quando mori il padre Gordiano !asciandogli il possesso della domus, e precedente il 579, quando fu eletto Pelagio II che lo inviò come apocri­ �ario a Costantinopoli. 165. Per la discussione sull'attendibilità dei documenti cfr. Bartola 2007, pp. 1 2 1 - 123. 166. In generale si veda Grégoire 1 98 1 ; sui singoli monasteri Ferrari 1 957: pp. 1 1 - 1 2 (adGal­ linas Albas), 58-6 1 (Sant'Aristo), 96-99 (Corsarum), 1 3 6 (Euprepiae), 242-253 (San Pancrazio in l .aterano), 254, 258-259 (Santo Stefano a San Paolo fuori le mura), 276-280 (monasterium Renati), 14 1 -344 (Santi Vittore e Pancrazio sulla via Aurelia, istituito dallo stesso Gregorio). La menzione di Gregorio nelle lettere corrisponde in più casi ad un suo diretto interessamento alla vita e al so­ �tcntamento delle comunità monastiche. 167. Guidobaldi 1 999, p. 68. 168. Per l'analisi e la discussione critica delle fonti si rinvia al recente contributo di Bartola 2007, in part. pp. 124-1 26, 148-1 56. no

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Tre erano gli oratori del monastero: uno dedicato a Sant'Andrea, titolare dell'istituzione, un altro dedicato alla Vergine ed uno a Santa Barbara; vi erano infine un cimitero e una biblioteca, verosimilmente quella fondata da papa Agapi­ to, nella quale si dice che Gregorio scrisse i suoi Dialoghi. 169 Questo eccezionale spaccato di un monastero del VI secolo si completa con la descrizione dettagliata di Giovanni Diacono delle pitture fatte eseguire da Gregorio con i ritratti dei ge­ nitori, Gordiano e Silvia, e di se stesso, quasi a voler siglare in chiave figurata la sua amatissima fondazione monastica. 170 Un altro importantissimo monastero della Roma medievale, quello di San Saba, è stato messo in relazione con Gregorio Magno, almeno in una fase iniziale. Con l'ausilio di un passo della Vita di Giovanni Diacono è stato ipotizzato che in una delle proprietà della madre Silvia sul piccolo Aventino sia stata fondata /oco qui dicitur Cella Nova una comunità monastica con un oratorio a lei dedicato. 171 L'evidenza archeologica emersa dagli scavi del 1 900 sotto la chiesa medievale ha permesso di individuare in effetti un'aula absidata della fine IV-inizi V secolo, nella quale, in un momento non ben definito ma collocabile probabilmente tra la fine del VI e l' inizio del VII secolo, fu installato un cimitero con oltre cento tom­ be distribuite su due o tre livelli e l'aula divenne un oratorio con un nuovo livello pavimentate rialzato, decorato nella zona absidale da una preziosa stesura in opus secti/e marmoreo, di un tipo ben diffuso a Roma in quell'epoca, della quale oggi restano solo le impronte sulla malta di preparazione. 1 72 Sembra che solo in un momento successivo, dopo la metà del VII secolo, sia nato il monastero vero e proprio con l'arrivo di monaci orientali provenienti dalla Palestina. Per l' identità 1 69. Per il riesame della situazione attuale del complesso di San Gregorio al Celio in rap­ porto alle fonti storiche e letterarie cfr. soprattutto Pani Ermini 1 98 1 , pp. 35-39. Uno degli oratori viene ricordato da papa Adriano I nella celebre lettera a Carlo Magno per la presenza di pitture e sacre immagini: «Sed et sanctus Gregorius papa in monasterio suo pulchrum fecit oratorium, et ipsum diversis historiis pingi fecit, atque sacras ibidem erexit immagines» (PL, XCVIII, col. 1 285). 1 70. Iohanne s Diaconus, S. Gregorii Magni Vita, IV, 83-84, PL, LXXV, coli. 229-23 1 . Una restituzione dei ritratti è stata proposta da Wuescher-Becchi ( 1 900, tavv. VII-IX), che risulta abba­ stanza aderente al testo, una volta sfrondata da tutta una serie di elementi accessori che lo stesso autore ammette di aver attinto qua e là, persino dai mosaici di Santa Sofia a Costantinopoli. Per l'analisi delle pitture, soprattutto quella raffigurante Gregorio con una sorta di nimbo quadrato «quod viventis insigne est», si veda innanzitutto Ladner 1 94 l a, pp. 70-75 e 75-77 in rapporto al ritratto di Gregorio nel dittico di Boezio, del VII secolo (ibidem, pp. 75-77); cfr. anche Bartola 2007, pp. 148- 1 56. I ritratti dovevano certo essere scomparsi nel XVI secolo, quando al loro posto vi erano delle pitture di età medievale che raffiguravano i tre personaggi riuniti e che ispirarono le copie ad acquerello e ad incisione del Rocca, di Ciacconio e del cardinale Federico Borromeo. Sulla complessa questione si vedano ancora Ladner 1 94 l a, pp. 70-75, e Bartola 2007, pp. 1 5 1 - 1 55, cui si aggiunga Jones 1997, pp. 155- 1 57 in part. per i ritratti deli' Ambrosiana di Milano. 1 7 1 . Ferrari 1 957, pp. 28 1 -290. L'estesa bibliografia sul complesso viene riassunta e discussa nel recente contributo di Coates-Stephens 2007 cui si rinvia. Parallelamente si veda il saggio di Bordi 2008 (in part. pp. 57-66) dedicato principalmente alla stratificata decorazione pittorica. 1 72. Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi 1 983, pp. 294-307, fig. 95. Il pavimento apparteneva alla tipologia definita opus sectile geometrico a piccoli elementi entro pannelli, che abbiamo indivi­ duato anche all'interno dell'abside pelagiana di San Lorenzo fuori le mura (ibidem, pp. 341 -348).

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di questa fase intermedia tra la domus e il monastero è stata di recente avanzata una convincente proposta: 173si sarebbe trattato infatti di uno xenodochium, cioè di un tipo di istituzione assistenziale, aperta agli ospiti stranieri, che proprio nel corso del VI secolo viveva una fase di notevole espansione, grazie anche all'ever­ getismo delle famiglie aristocratiche dell 'UrbeY4 In particolare esso viene iden­ tificato con lo xenodochium de via Nova, di cui parla lo stesso Gregorio Magno in una lettera all'amministratore delle proprietà della Chiesa di Roma in Sicilia, con la quale chiede che le rendite ad esso destinate gli vengano inviate personal­ mente. Il che lascerebbe appunto supporre che potesse trattarsi di una istituzione creata nella proprietà di famiglia. t7s L'impegno vasto e profondo di Gregorio nella gestione della Chiesa e del popolo di Roma, rivolto ad un tempo ai bisogni spirituali e a quelli materiali, non contemplava evidentemente imprese edilizie di prestigio che lasciassero una traccia monumentale del suo pontificato, come tanto esplicitamente aveva fatto Simmaco un secolo prima. I soli interventi in chiese urbane che siano registrati dal Liber Pontificalis o nei suoi scritti riguardano la consacrazione al culto cat­ tolico di due chiese ariane, Sant'Agata dei Goti nella Subura176 e San Severino iuxta domum Merulanam. 177 Mentre della seconda non si ha in seguito più noti­ zia, la prima conserva ancora parte delle originarie strutture della seconda metà del V secolo, tra cui l'abside alla quale verosimilmente apparteneva il mosaico raffigurante Cristo sul globo tra gli apostoli, oggi scomparso ma documentato alla fine del XVI secolo dai disegni acquerellati della raccolta del Ciacconio.178Da un passo della lettera di Adriano I a Carlo Magno sappiamo però che, a seguito di un miracolo avvenuto in chiesa durante la celebrazione, Gregorio fece eseguire altre raffigurazioni e immagini in mosaico e pittura, di cui più nulla rimane. 1 79 1 73. Coates-Stephens 2007. 17 4. Sugli xenodochia si veda soprattutto Santangeli Valenzani 1 996- 1 997. Ancora una volta le lettere di Gregorio Magno costituiscono una delle fonti principali per il censimento di essi negli anni a cavallo tra VI e VII secolo. 1 75. Coates-Stephens 2007, pp. 247-252. Lo xenodochio in questione viene invece localizza­ to da Santangeli Valenzani 1 996- 1997, pp. 2 1 1-2 1 3, presso la via Nova severiana che corre lungo il tracciato della via Appia. 1 76. « Dedicavit ecclesiam Gothorum quae fuit in Subora, in nomine beatae Agathae mart­ yris» : LP, l, p. 3 1 2. Cfr. anche Ep. IV, 1 9 del 594 e Dialogi, III, 30, ove vengono ricordate le reliquie di Sant'Agata e San Sebastiano richieste per la consacrazione. 1 77. La chiesa è menzionata nella lettera del 593 (Ep. III, 1 9) a Pietro, suddiacono in Cam­ pania, con la quale Gregorio fa, anche in questo caso, richiesta delle reliquie del martire per la consacrazione. 1 78. Huelsen et al. 1 924; CBCR 1 937, pp. 2- 1 2 e da ultima Cecchelli 2009a. Il mosaico viene ipoteticamente ricondotto proprio a Gregorio Magno e collocato sull'arco absidale anziché nel catino da della Valle 2002, pp. 1 663 - 1 664 (opinione non condivisa da Cecchelli 2009a, pp. 206-207). 1 79. «Diversis historiis ipse beatus Gregorius pingi fecit eam; tam in musivo quam in colo­ ribus, et venerandas immagines ibidem erexit, et a tunc usque hactenus venerantur» : PL, XCVIII , col. 1286. Il miracolo del porco fuggito dalla chiesa durante la consacrazione è narrato in Dialogi, III, 30, 2-6.

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Anche se dunque Gregorio non fu committente di nuove chiese, è proprio al suo nome che è legato un intervento architettonico-liturgico di estrema importan­ za non solo per i suoi caratteri funzionali innovativi ma anche per la fortuna di cui esso godette fino al medioevo a Roma, e non solo: la confessione semianulare di San Pietro. Alla sinteticità delle parole del Liber Pontificalis «Hic fecit ut su­ per corpus beati Petri missas celebrarentur» 180 corrisponde in realtà una elaborata sistemazione della tomba dell'apostolo e dell'area circostante che permise, ad un tempo, di porre l'altare direttamente al di sopra del sepolcro venerato per la cele­ brazione della liturgia e di creare un accesso il più possibile diretto ad esso con un corridoio semianulare ed uno rettilineo sotto il podio rialzato del presbiterio. Sul­ la fronte di esso erano collocate le sei colonne vitinee del recinto costantiniano che componevano una monumentale recinzione architravata, in seguito denomi­ nata pergula; un dispositivo che, nelle ricostruzioni proposte, poteva richiamare in qualche modo quella della Santa Sofia di Costantinopoli dopo la ricostruzione della cupola e la riconsacrazione del 562, che noi conosciamo solo dall' ekphrasis di Paolo Silenziario181 ma che il pontefice aveva certo potuto ammirare durante il suo soggiorno come apocrisario nella capitale sul Bosforo. La sistemazione gregoriana di San Pietro è troppo nota perché vi ci si deb­ ba soffermare oltre, 182 ma va comunque fatto cenno almeno ad una delle varie problematiche che ad essa sono connesse e che sono rimaste ancora aperte, cioè quella dei plutei che facevano parte della monumentale pergula. Tra i numerosi materiali marmorei conservati nelle Grotte Vaticane, o temporaneamente disloca­ ti altrove, si distinguono alcuni gruppi abbastanza omogenei di sculture che sono stati variamente attribuiti alle diverse fasi del recinto. 183 Tra di essi è possibile comunque riconoscere innanzitutto un piccolo nucleo di frammenti di marmo proconnesio assimilabili in tutto e per tutto alle lastre della recinzione di San Cle­ mente del tempo di Giovanni II e dunque pertinenti ad un qualche setto liturgico della prima metà del VI secolo. 184 Un secondo gruppo, formato da tre lastre intere 1 80. LP, I, p. 3 12. Questa laconica espressione, di carattere prettamente liturgico, ha sugge­ rito la possibilità (Esplorazioni sotto la conjèssione di San Pietro 195 1 , p. 1 93) che a Gregorio si debba ascrivere solo la fase finale dei lavori, con l'erezione dell'altare e del sovrastante ciborio con quattro colonne d'argento (LP, I, p. 3 1 2), mentre la confessione semianulare vera e propria sarebbe stata già realizzata dal suo predecessore Pelagio Il, dei cui lavori in San Pietro si è già detto. Ma si vedano in proposito le considerazioni di de Blaauw 1 994b, pp. 533-534, in favore della paternità esclusiva di Gregorio. 1 8 1 . Fobelli 2005, pp. 1 8 1 - 1 86. Ovviamente il recinto di Santa Sofia non implicava un presbi­ terio rialzato. ll riferimento è in de Blaauw 1 994b, pp. 554-555. 1 82. Si ricordano solo alcuni degli interventi più significativi: Esplorazioni sotto la confos­ sione di San Pietro 1 95 1 , pp. 1 73- 1 93; CBCR 1 980, pp. 265-267, 283-284; de Blaauw 1 994b, pp. 530-556; Cecchelli 2007, pp. 105- 1 07. 1 83. Un censimento dei plutei interi e frammentari è stato proposto da Russo 1 984, cui si rinvia anche per la rassegna bibliografica. 1 84. Barsanti, Guiglia Guidobaldi 1992, pp. 1 30-1 32, 1 60- 1 6 1 , 1 78- 1 79, 259-26 1 , fìgg. 2 1 1 , 244, 273. I l Russo 1984, pp. 9- 12, v i riconosce invece proprio i superstiti plutei della recinzione gregoriana.

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molti frammenti, si impone sugli altri per le dimensioni notevoli, per il marmo lunense nel quale sono scolpite e per l'originale reinterpretazione del modello di San Clemente, con schemi a quadrati affiancati o intrecciati che vengono replicati su entrambi i lati. Tutte caratteristiche che suggeriscono di riconoscervi proprio i plutei della recinzione di Gregorio, creati appositamente per una struttura liturgi­ ca particolarmente eminente e di nuova ideazione. 185 Anche la tomba dell' apostolo Paolo fu oggetto dell'attenzione del pontefice il quale, come a San Pietro, provvide a collocare l'altare al di sopra del sepolcro; 186 tuttavia, in luogo di una struttura semianulare, creò una sorta di cripta accessibile, anche se di forma sconosciuta, scavata in profondità fino al livello costantiniano attorno alla tomba. 1B7 Due soluzioni diverse per un intendimento univoco, quello di rendere più concreto il "contatto" dei fedeli e dei pellegrini con i sepolcri dei principi degli apostoli, enfatizzando nel contempo questa gloriosa e santificante presenza con la celebrazione della liturgia ad corpus.

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1 85. Guiglia Guidobaldi 2002, pp. 1 5 1 3 - 1 5 19. Il Russo 1982- 1 983/ 1 983- 1 984 assegna in­ il gruppo alla ristrutturazione del recinto operata da Gregorio III (73 1 -74 1 ), insieme a una Ncrie di altri plutei frammentari non del tutto omogenei fra loro. Si veda anche Ballardini 2008, pp. 23 1-234. È auspicabile che la prossima pubblicazione del volume del Corpus della scultura ultomedievale dedicato al Vaticano possa portare chiarezza tra questi importantissimi ma ancora enigmatici marmi. 1 86. «[ . . ] item et in ecclesiam beati Pauli apostoli eadem fecit)) : LP, I, p. 3 1 2. L'intervento è descritto dallo stesso Gregorio nella celebre lettera a Costantina, moglie dell'imperatore Maurizio (Ep. , IV, 30). 1 87. CBCR 1980, p. 1 68; de Blaauw 1 995, p. 56 1 , e più recentemente Filippi, de Blaauw 2000, pp. 1 9-2 1 ; Filippi 201 1 , p. 1 1 1 . vece

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Fig. l . Santi Cosma e Damiano, l'altare nella chiesa inferiore (foto dell'autrice). Fig. 2. San Clemente, plutei marmorei della schola cantorum con il monogramma di Giovanni II (foto dell'autrice).

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3. Santi Apostoli, lastre dell'altare del VI secolo (foto dell'autrice, per gentile concessione di Padre Aniello Stoia, parroco della basilica). Fig. 4. San Lorenzo fuori le mura, interno verso ovest (foto dell'autrice).

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Fig. 5. San Lorenzo fuori le mUJ'8, plinto della colonna nord nella galleria orientale (foto dell'au­ trice).

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Fig. 6. San Lorenzo fuori le mura, mosaico dell'arco absidale, particolare di Pelagio II (foto V. Pace).

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l . Il ventennio posi-gregoriano (604-625). Da Sabiniano a Bonifacio V

La gestione della pesante eredità politica e culturale di Gregorio I (59 1 -604), dai complessi rapporti con l' Impero d'Oriente alle questioni inerenti la giurisdi­ zione sui territori dell 'Istria e della Dalmazia, dalla vertenza sull'ecumenicità del patriarca costantinopolitano alle rivalità fra monaci e chierici nel seno del­ la Chiesa di Roma, segnò tutto il primo quarto del secolo. Di fronte al più che decennale pontificato di Gregorio e alla sua multiforme attività, la personalità degli immediati successori, certamente a causa della brevità dei loro pontificati c delle difficoltà dei tempi, appare spesso nebulosa, sebbene qualche eccezione emerga. Così, Sabiniano (604-606), nativo della Tuscia ed ex-apocrisario di Gre­ gorio a Costantinopoli, si distaccò spesso dalle linee della politica filo-monastica gregoriana e dovette districarsi con prudenza nel quadro estremamente critico degli anni del suo pontificato (espansionismo longobardo e cronica inefficienza militare dell'Esarcato) . 1 Sebbene non si sia reso autore di alcuna commissione ar­ chitettonica diretta, forse l'aver provvisto S. Pietro di nuove lampade (luminaria) può costituire un omaggio alla cura che il grande predecessore aveva avuto per la basilica dell'apostolo. 2 Ottimi rapporti con l'Oriente bizantino ebbe Bonifacio III ( 607), figlio di un Giovanni funzionario del fisco imperiale, che ottenne il ricono­ scimento da parte dell'imperatore Foca (602-6 1 0) del primato romano sulle altre sedi patriarcali.3 Il suo brevissimo pontificato non vide committenze dirette. Dopo una lunga vacanza della Sede, il 25 agosto 608, fu consacrato l'ex di­ spensator di Gregorio, il marsicano Bonifacio. Bonifacio IV (608-6 1 5) dispiegò una * Nel contributo si fa riferimento - per ragioni di spazio e salvo casi specifici - alla biblio­ grafia più recente sui diversi contesti. Ad essa si rimanda per ogni approfondimento sul dibattito storiografìco precedente. Desidero ringraziare Antonella Ballardini, Giulia Bordi, Francesco D'Aiuto, lvan Foletti, Manuela Gianandrea, Alessandra Guiglia, Simone Piazza, Maria Luisa Zegretti: alle loro preziose conoscenze ho attinto più volte per la redazione di questo saggio. Errori e imprecisioni rimangono del sottoscritto. l . Sennis 2000a, pp. 574-576. 2. LP, I, p. 3 1 5. 3. Bertolini P. 2000b, p. 578; Ekonomou 2007, pp. 47-49, 68 nota 76.

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saggia politica di rapporti cordiali con l'Impero, riuscendo a ricomporre lo scisma dei Tre Capitoli in Istria. L'unità religiosa raggiunta gli consenti poi di guardare an­ che all'Occidente più lontano, in particolare all' Anglia, evangelizzata dagli inviati di Gregorio I e ora desiderosa di dare una struttura solida alla propria Chiesa.4 Il clima di collaborazione pratica tra Esarcato d'Italia e Chiesa romana giun­ ge al suo apice all 'atto della promulgazione di una particolare quanto inedita iussio da parte dell' imperatore Foca nel corso del 609; tale atto nasceva come risposta positiva ad una sollecitazione del nuovo pontefice volta a ottenere l'as­ senso imperiale alla trasformazione in chiesa del Pantheon di Roma.5 Si tratta della prima effettiva conversione di un edificio del culto romano tradizionale in chiesa cristiana.6 L'edificio, privato ormai delle sue funzioni dal tempo dell'editto onoriano dell'anno 407, continuava a far parte del patrimonio imperiale, diretta­ mente gestito, per tradizione, dal monarca.7 La data tradizionale del 1 3 maggio 609 (Martirologio Romano), indicata per la conversione effettiva del Pantheon in chiesa e per la dedicazione alla Vergine e a tutti i martiri - S . Maria ad Marty­ res8 - viene però messa in discussione da alcuni studi più recenti, che fissano tale dedicazione più tardi, all'anno 6 1 3 .9 Sebbene si limitasse nella sostanza alla purificazione e conversione dell' edi­ ficio pagano secondo le procedure dettate da Gregorio 1,10 l'intervento di Bonifa­ cio IV deve essersi concretizzato anche in un riattamento del pronao, verosimil­ mente riempitosi nel corso dei due secoli di abbandono di strutture provvisorie a carattere abitativo o commerciale. 1 1 Per impedire tali usi indebiti, Bonifacio IV avrebbe pertanto parzialmente sbarrato la fronte adrianea, trasformandola in una facciata "aperta" dotata di tre portali architravati la cui struttura si incastrava nei tre intercolunni centrali. Tale soluzione architettonica veniva adottata già a partire dal V secolo in Oriente - ne è un esempio il nartece della basilica di S. Giovanni di Studio a Costantinopoli - ma anche nella stessa Roma, nell'atrio del Battistero lateranense. 12 Le tracce di tale rimaneggiamento, noto attraverso i disegni ante­ riori alla risistemazione dell'edificio avvenuta nel XVII secolo, sono ravvisabili ancor oggi nei numerosi incavi di forma quadrata o a r praticati nei fusti granitici delle quattro colonne centrali del pronao. 13 La chiusura dei restanti intercolunni con setti murari rispondeva alla medesima esigenza di difendere l'avancorpo del­ la nuova chiesa da intrusioni. A Bonifacio IV si fa risalire, inoltre, l' innalzamento 4. Bertolini P. 2000c, pp. 579-58 1 ; Ekonomou 2007, pp. 49-50. 5. LP, l, p. 3 1 7. 6. DOlger 1 924, p. 1 7, n. 1 56; Thww 20 14. Le considerazioni qui esposte appaiono in versione più estesa, in Taddei 20 1 5 . 7. Fauvinet-Ranson 2006, pp. 2 1 1 -2 1 3 . 8 . LP, I , p . 3 1 7. Già a partire dall'VITI secolo sul nome ufficiale sembrerebbe aver prevalso quello popolare di « Sancta Maria Rotunda»: de Blaauw 1 994c, p. 14. 9. Per il problema della datazione Colucci 1 976, pp. 32-33. de Blaauw 1 994c, p. 1 3 . 1 0. Colucci 1 976, p . 29; de Blaauw l994c, p . 1 3 e nota 4; p . 1 5. I l . Schwarz 1 990, p. 24; Vrrgili 1 997- 1 998. 12. Mathews 1 97 1 , pp. 1 9-27; Brandt 2002; Brandt, Guidobaldi 2008. 1 3 . Schwarz 1 990, pp. 4-8, fig. 5.

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di una croce bronzea sulla sommità del frontone del pronao, ancora chiaramente discernibile nella veduta di Alò Giovannoli del 1 6 1 6. 14 L'erezione di un altare, per il quale si ha notizia di un drappo (coopertorium)15 purpureo commissionato da papa Benedetto II (684-685), come ci dice LP, 1 6 dovette rappresentare un problema sostanziale all'atto della dedicazione della nuova chiesa: nell'impossibilità di collocarlo al centro dell'edificio - al di sotto dell' opaion - ven­ ne sistemato nella nicchia esistente di fronte all' ingresso: scelta già attuata al tempo di Simmaco (498-5 14) nella conversione del mausoleo circolare vaticano in chiesa di Sant'Andrea, rinunciando all'orientamento.l7 Sull'altare maggiore del Pantheon venne collocato un ciborio d'argento, il quale risulta essere rinnovato nel 79 1 , al tempo di Adriano I (772-795), e di nuovo sotto Gregorio IV (842-843}.18 Al vasel­ lame liturgico è da aggiungere l'icona della Vergine con il Bambino, generalmente ricondotta dalla critica a committenza dello stesso Bonifacio IV al momento della dedicazione. 19 La semicupola della nicchia-abside venne rivestita di un mosaico ancora visibile nel XVI secolo - il cui soggetto principale era una croce, elemento che conduce a pensare ad un'articolazione simile a quella del piccolo mosaico absi­ dale della cappella dei SS. Primo e Feliciano in S. Stefano Rotondo.20 La medesima istanza "purificatrice" potrebbe ravvisarsi nella notizia che il poco affidabile Martirologio di Adone (sec. IX) dà in merito alla consacrazione da parte di Bonifacio IV di una cappella od oratorio dedicata ali' Arcangelo Michele sulla sommità del Mausoleo di Adriano - ove il culto micaelico si era installato nell'antico edificio non solo grazie alla leggenda dell'apparizione dell'Arcangelo al termine della pestilenza del 590 ma anche, e più concretamente, alla devozione delle milizie greco-orientali di stanza nella città.2 1 Appare invece estremamente problematica la menzione che LP fa della con­ versione in monastero della domus appartenuta a Bonifacio IV, abitazione della quale non si dà alcun riferimento topografico, neppur generico.22 Da rigettare il collegamento ipotetico con il monastero-diaconia «Sancti Bonifatii in Aventino» c con le origini della comunità monastica dei SS. Bonifacio e Alessio, non atte­ stata prima del X secolo.23 14. Schwarz 1 990, pp. 25-28, figg. 1 0, 24. 1 5 . Martiniani-Reber 1 999, p. 290. 16. LP, l, p. 363. 17. de B1aauw 1 994c, pp. 1 9-2 1 , 24, fig. 2. Architettura della Rotonda in Rasch 1 990. Onorio l ornerà la confessione della nuova chiesa con una tabula ex argento: LP, l, p. 323. 18. LP, I, p. 5 1 4; LP, IT, pp. 82-83; Guidobaldi 200 1 a, pp. 59, 67-68. 1 9. Collocata non sull'altare principale ma su di uno laterale. Oggi nel coro d'inverno: An­ daloro 2000b, pp. 662-663. L'ipotesi che la imago del Pantheon costituisca un manufatto costanti­ nopolitano, dono dell'imperatore Foca viene discussa in: Pace 2004, pp. 1 47- 149; Russo 2006, pp. 243-297; Coates-Stephens 20 1 2, p. 82. 20. de Blaauw 1994c, p. 1 9; ThUIW 20 1 5, pp. 244-245. 2 1 . Huelsen 1 927, p. 1 96; Armellini, Cecchelli 1 942, pp. 956-957; Meneghini, Santangeli Valenzani 2004, p. 22 1 . 22. LP, l , p . 3 1 7; Ferrari 1 957, pp. 76-77. 23. Ferrari 1 957, p. 76; Trinci 1 993, p. 202.

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Consacrato il 1 9 ottobre 6 1 5, il presbitero romano Deusdedit, talora noto come Adeodato I (6 1 5-6 1 9), figlio del suddiacono Stefano, restituì al clero se­ colare i posti chiave nell'amministrazione ecclesiastica, concessi in gran parte a monaci da Gregorio l. Deusdedit si trovò ad assistere alla repressione imperiale contro le truppe dell'Esarcato, rivoltatesi per i ritardi nelle paghe. Avendo dedica­ to gran parte delle sue energie alle riforme liturgiche e disciplinari,24 non sembra essere responsabile di alcuna committenza. Si dovette attendere più di un anno la conferma imperiale all'elezione del napoletano Bonifacio, figlio di Giovanni. Il ritardo va attribuito senza dubbio alla situazione critica dell'Impero d'Oriente sul fronte persiano, nonché al tentativo fallito di colpo di Stato per mano dell'esarco Eleutherios (autunno 6 1 9). Durante il suo pontificato, Bonifacio V (61 9-625) seppe trovare una via "dia­ lettica" tra le istanze filo-gregoriane e gli interessi del clero. Egli destinò grande energia allo sviluppo del culto dei sepolcri dei martiri, escludendo gli accoliti dal servizio alle reliquie.25 Ciò è segno di un crescente prestigio di tale culto, ancora pra­ ticato nei cimiteri, sebbene si fosse ormai alla vigilia dell'epoca delle traslazioni.26 Bonifacio si occupò della risistemazione (perfectio) e dedicazione del cymiterium del presbitero romano Nicomede,27 martire dell'epoca di Diocleziano, che aveva trovato sepoltura in un fondo privato.28 Il cimitero è collocato dagli itinerari presso la via Nomentana, immediatamente al di fuori della cinta muraria. Fu inizialmente posto in relazione con il sepolcreto subdiale di via dei Villini, presso il cui ingresso sorgeva una struttura absidata subito identificata con una basilica ad corpus che LP dice restaurata da Adriano I (772-795). 29 Oggi però si preferisce vedere il cimitero di Nicomede nell'area occupata dall'edificio del Ministero dei Trasporti (Piazza della Croce Rossa), ove furono rinvenute, fra il 1 9 1 7 e il 1 920, gallerie su due livelli ed un'area subdiale di età classica che restituì tre epigrafi cristiane. Nulla di quanto fu scavato sopravvive oggi.3°

2. Lo scontro con l 'Oriente monotelita (625-655). Da Onorio I a Martino I Il trentennio che va dall'elezione di Onorio I alla morte in esilio di Mar­ tino I si rivela un autentico spartiacque, soprattutto nel campo dei rapporti fra la Chiesa romana e l'Impero d' Oriente. Le ovvie implicazioni politiche della crescente crisi nei rapporti fra Roma e Costantinopoli sono però decisamente condizionate dalla controversia dottrinale sul problema della unica o duplice 24. Arnaldi 2000a. 25. Bertolini P. 2000d. 26. Spera 1 998b, pp. 49-68. 27. LP, l, p. 32 1 . 28. De Santis 2005. 29. LP, l, p. 5 1 1 . 30. Barbini 1 998; Barbini 2006. Pasquale I (8 1 7-824) traslerà il corpo di Nicomede in S. Prassede: LP, Il, p. 84.

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volontà del Logos. Le cause profonde della "crisi monotelita", nata peraltro dal tentativo di Eraclio ( 6 1 0-64 1 ) di conciliare a tutti i costi le posizioni calcedo­ niane e anti-calcedoniane, sono apparentemente circoscritte all' Oriente e alle sempre più incisive tendenze centrifughe delle province mesopotamiche, siro­ palestinesi, egiziane. Il riverbero su Roma appare tardivo ma avrà conseguenze di vasta portata. Campano, figlio del consu/ Petronio, Onorio I (625-638) appartiene all'ari­ stocrazia fondiaria latina e finché rimarrà in carica cercherà con ogni mezzo di mantenere buoni rapporti e una politica decisamente conciliante con gli ambienti di governo di Costantinopoli. Ciò anche in materia dottrinale, ove il papa si sforza di aderire alle linee guida delle politiche eracliane - condensate dalla promulga­ zione dell' Ekthesis (63 8) - , limitandosi a raccomandare l'adesione all'ortodossia dei Padri e agendo spesso da mediatore fra il Patriarcato costantinopolitano e i suoi maggiori oppositori.3 1 Questo atteggiamento gli costerà la scomunica po­ stuma al VI Concilio ecumenico. La sua personalità di politico e di committente ricalca talora le linee seguite da Gregorio 1 : da un lato lo sforzo di propaganda cattolica presso i Longobardi e le fitte relazioni diplomatiche con i regni anglo­ sassoni; dall'altro i cospicui interventi sul territorio della città e nel suburbio. I ngente dovette essere l'investimento di denaro da lui disposto.J2 Quattro appaiono i capitoli fondamentali della sua committenza: gli inter­ venti in S . Pietro, la costruzione della chiesa ad corpus di S. Agnese sulla via Nomentana, S. Pancrazio sull'Aurelia e, infine, la cura rivolta sia ai monasteri e chiese urbane sia alle aree cimiteriali del suburbio romano. Nella basilica petrina, dove aveva provveduto arredi liturgici e candelabri ar­ gentei per la tomba dell'apostolo,33 vediamo Onorio dare seguito ai lavori al tetto intrapresi da Gregorio I nel 599. Sedici nuove travi di capriata, verosimilmente destinate alla navata centrale, vengono messe in opera. I buoni rapporti con l'im­ peratore Eraclio gli fanno poi ottenere il permesso di usare le tegole bronzee del tempio di Venere e Roma per il rivestimento del tetto di S. Pietro.34 Onorio si dedica quindi alle porte della basilica: i due battenti di quella centrale vengono rivestiti d'argento con formelle cesellate, decorate da pietre preziose e recanti iscrizioni celebranti Pietro e Paolo a integrazione delle figurazioni.35 In linea con l 'attività dei suoi predecessori è la commissione del rivestimento, anch'esso in argento ( 1 87 libbre), della nicchia della confessione.36 Esso venne asportato e

3 1 . Ekonomou 2007, pp. 90-9 1 , 93, 96-98. 32. Sennis 2000b. 33. LP, l, p. 323. 34. Ibidem. de Blaauw 1 994b: 522. 35. de Rossi 1 888b, pp. 53, 78, 1 23, 1 44, 1 45. La porta centrale prende il nome di «regiae nrgenteae» come attestato nella biografia di Sergio I (687-70 1 ): LP, l, p. 375. Strappato durante il saccheggio saraceno dell'846, il rivestimento in metallo prezioso verrà ripristinato da Leone IV (847-855): de Blaauw 1 994b, p. 525 e nota 7 1 . 36. LP, I , p . 323.

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sostituito con uno d'oro nel 786, al tempo di Adriano l, nel quadro di uno dei numerosi rimaneggiamenti subiti dalla confessione.J7 Se dal cuore della basilica ci si sposta fra i numerosi edifici annessi, vedia­ mo Onorio costruire il sacello di S. Apollinare «ad Palmata»38 alla base delle gradinate d'accesso all' atrio della basilica, nella cosiddetta Cortina.39 Il sacello scomparve in occasione della demolizione del palazzo dell' Archipresbiterato, nel 1 6 1 0- 1 6 1 1 , durante la realizzazione della facciata attuale della basilica. 40 Era sta­ to proprio Onorio a introdurre la festa del protovescovo ravennate ed a stabilire una processione (laetania) settimanale del sabato, dal sacello a S. Pietro. Il suo culto verrà poi promosso da Teodoro I ( 642-649) e da Gregorio II (7 1 5-73 1 ) pro­ prio in funzione di "appropriazione" romana a probabile contrasto delle tendenze autonomiste della Chiesa di Ravenna.41 La grande basilica circiforme realizzata in epoca costantiniana al III miglio della Nomentana a celebrazione della memoria della martire Agnese venne affian­ cata per volere di Onorio da una chiesa supra corpus a tre navate con nartece e matronei privi di finestre, sul modello già sperimentato da Pelagio II nel complesso laurenziano della via Tiburtina. Il LP dice come essa fosse elegantemente ornata,42 concetto ripreso dalla Notitia ecclesiarum, che parla di una «ecclesia formosa))43 esattamente come sarà per S. Pancrazio, e dal De /ocis sanctis martyrum, che la definisce «mirae pulchritudinis».44 La morfologia del sito presenta dislivelli analo­ ghi a quelli del santuario della via Tiburtina. La chiesa di Onorio fu infatti costruita a livello inferiore rispetto alla costantiniana, sbancando parzialmente la collina in cui si trova la "rampa monumentale" di collegamento fra l'atrio di quest'ultima e la tomba della martire. Anteriormente al totale sbancamento del 1 603, la chiesa del VII secolo era immersa nella collina fino al livello delle gallerie, fatto che permise di realizzare i muri con pietrame irregolare. L'abside (in antico cieca) si trovava quindi incassata nel forte pendio che dalla Nomentana digrada rapidamente verso ovest. È impostata al di sopra di un'esedra più antica, vista al principio del Nove­ cento, forse parte della monumentalizzazione della regione cimiteriale contenente la tomba di Agnese.45 Notevoli furono i condizionamenti "ambientali" cui il proget­ to dovette far fronte per inserire la chiesa all' interno della rete catacombale: da qui le irregolarità nella pianta dell'edificio. L' introduzione a Roma delle basiliche con gallerie, la cui motivazione è fonte ancor oggi di un vasto dibattito (si veda il saggio di Alessandra Guiglia in questo 37. de Blaauw 1 994b, pp. 540-54 1 . 38. LP, l, p . 326 nota 1 0. L'etimologia del toponimo «ad Palmata» si può forse far risalire alla vicinanza con il circo neroniano: Serra 200 l b. 39. LP, l, p. 323. de Blaauw 1 994b, p. 567. 40. Huelsen 1 927, p. 20 1 . 4 1 . Geertman 1 975a, pp. 1 80- 1 83. 42. LP, l, p. 323. 43. CTCR, Il, p. 79. 44. Ibidem, p. 1 1 5. 45. CBCR 1 937, pp. 25, 28.

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stesso volume), risolve senza dubbio, nel caso della Nomentana, anche i proble­ mi pratici legati al forte affiusso di pellegrini, offrendo la possibilità di accesso ai matronei direttamente dal piano della via (non vi era collegamento diretto fra le navate e le gallerie).46 Sia dal punto di vista architettonico sia da quello della decorazione scultorea è innegabile l'esempio normativo di S. Lorenzo. Onorio I infatti predispone per il suo cantiere una dotazione cospicua di spolia: spiccano i fusti marmorei delle colonne (portasanta, pavonazzetto, breccia grigia) e la serie di capitelli corinzi o pseudo-corinzi di età imperiale, compositi o ionici sempli­ ficati (tardoantichi) nelle gallerie.47 Nell'emiciclo absidale risalta nondimeno la superstite decorazione parietale in marmo proconnesio con pseudo-lesene, lastre a capitello, rifascio orizzontale in porfido e cornici, tutti elementi di reimpiego provenienti da contesti diversi.48 Una perduta iscrizione del fondatore ricordava l'ornamentazione del sepol­ cro di sant'Agnese («[ . . . ] Hoc opus argento construxit Honorius ampio [ . . . ]»),49 confermando il testo di LP ove si parla di 252 libbre d'argento impiegate e dell'aggiunta, a coronamento, di un sontuoso ciborio in bronzo dorato,S0 alla cui struttura di sostegno potrebbero appartenere le quattro colonne in porfido ancor oggi in opera nel baldacchino di Paolo V ( 1 64 1 ).51 Il corpus epigrafico della chie­ sa onoriana proseguiva con la coppia di esametri un tempo sull'arco absidale, alludente alla policromia musiva del catino «Virginis aula micat variis decorata metallis l sed plus namque nitet meritis fulgentior amplis».52 La semicupola absi­ dale conserva il notissimo mosaico ove la santa nimbata, in vesti imperiali e con i simboli del martirio ai piedi, è affiancata da due figure di pontefici i cui volti sono tuttavia risultato di restauri moderni. Assenti i titu/i, il pontefice di sinistra non pone problemi di identificazione: reca infatti il modello della chiesa (fig. l). D'al­ tronde, nell 'iscrizione monumentale in distici collocata in tre tabulae alla base della scena si legge « [ . . . ] praesul Honorius haec vota dicata dedit»53 e il testo del LP «fecit abside eiusdem basilicae ex musibo»54 non lascia dubbi sulla paterni­ tà del mosaico. Il pontefice di destra, sorreggente un volume gemmato, è stato spesso identificato con uno dei successori di Onorio, segnatamente Giovanni IV (640-642) o Teodoro I (642-649).55 Percorsi di ricerca più recenti hanno invece postulato una valenza "storica" del mosaico, avanzando l' ipotesi che il secondo pontefice possa essere Simmaco, figura legata al complesso della via Nomentana i n quanto responsabile di interventi di manutenzione nella basilica circiforme e 46. Ibidem, p. 34. 47. Brandenburg 2004, pp. 245-246. 48. Guiglia Guidobaldi, Pensabene 2005-2006: pp. 42-45, figg. 78-8 1 . 49. de Rossi 1 888b, p. 62. 50. LP, l, p. 323. 5 1 . Brandenburg 2004, p. 246. 52. de Rossi 1 888b, pp. 63, 89, 1 04, 1 37. 53. Ibidem, p. 62. LP, I, pp. 325-326 nota 9. 54. LP, I, p. 323. 55. Gandolfo 2004b, p. 1 7.

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si vorrebbe immaginare - anche nella grande esedra (abside?) ricavata alle spalle della tomba e oggi sepolta al di sotto dell'abside di Onorio. Sebbene nulla sia per ora dimostrabile, sarebbe attraente l' idea di un legame tra committenti - Simma­ co e Onorio - legame sul quale, come si vedrà, bisognerà riflettere ancora. Secondo laNotitia ecclesiarum, infatti, Onorio «magna ex parte reaedificavit»56 - ricostruì dunque - la basilica extra corpus che papa Simmaco aveva realizzato in onore del martire Pancrazio al secondo miglio della via Aurelia vetus, in area occupata da un sepolcreto subdiale, da una vasta rete ipogea utilizzata fino al VI secolo e, da ultimo, dal Monastero di S. Vittore, istituito da Gregorio 1.57 Si trat­ ta del secondo momento significativo, dopo S. Agnese sulla Nomentana, in cui Onorio sembra "porre le mani" su edifici simmachiani al fine di accrescerne la monumentalità. Il LP insiste su una ricostruzione radicale. Il fulcro dell 'interven­ to onoriano è rappresentato dalla tomba sub divo del martire con la sua posizione eccentrica nell'ambito della primitiva aula, come sembra evincersi dal testo della perduta epigrafe dedicatoria di Onorio nell'abside.58 In essa l'antica chiesa vie­ ne detta minacciante rovina « [ . . . ] neglectu antiquitatis extructam [ . . . ]», a causa dell ' incuria e del tempo. Il pontefice edificava la nuova in maniera tale da porre la tomba "in luogo conveniente", in asse con il nuovo altare e all'interno di una cripta anulare costruita in opera listata. Se ciò implicasse uno spostamento della tomba o, viceversa, un adattamento ad essa del nuovo edificio è questione non risolta.59 È probabile che Onorio abbia rimaneggiato radicalmente la basilica di Simmaco - a tre navate divise da due serie di dieci colonne - facendone un' impo­ nente aula lunga 55 m con l'aggiunta dell'organismo formato dal transetto, forse tripartito,60 dalla nuova abside e dalla ben conservata cripta anulare. 61 L'occasione potrebbe essere stata offerta dal terremoto del 6 1 8,62 ma è fuori di dubbio che la ragione principale dovette essere quella del sempre crescente afflusso di devoti e pellegrini alla memoria del martire. Del nuovo edificio basilicale, anch'esso in opera listata, rimane visibile il paramento esterno dell'abside e consistenti tratti del muro meridionale della navata sud. All' interno della chiesa attuale - ad ec­ cezione della cripta - sono invece assai pochi gli indizi leggibili dell'organismo altomedievale. Un'esigua parte del ricco corredo di spolia antichi, quattro co­ lonne con capitelli di età imperiale, è ancor oggi in opera nei setti divisori del transetto e indica, come nel caso di S. Agnese fuori le mura e di S. Valentino, un 56. CTCR, II, p. 93 . 57. Ferrari 1 957, pp. 34 1 -344. 58. de Rossi 1 888b, p. 24: «Ob insigne meritum et singulare beati Pan/chratii martyris be­ neficium basilicam l vetustate confectam extra corpus marltyris neglecti antiquitatis extructam l Honorius episcopus, domini famulus abrasa vetustatis l mole ruinaque minante a fundamentis l noviter plebi domini construxit et corpus l martyris, quod ex obliquo aulae iacebat l altari insigni­ bus ornato metallis loco l proprio collocavi!». Nestori 1 960, p. 2 1 7; Verrando 1 990, pp. 32-33; De Spirito l 995a, p. 1 202. 59. Verrando 1 990, p. 33. De Spirito l 995a, pp. 1 202, 1 204- 1 205. 60. CBCR 1 97 1 , p. 1 72. 6 1 . Ibidem, p. 164. Brandenburg 2004, p. 248; Cecchelli 2007, p. l l 8. 62. Verrando 1 990, p. 38.

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cantiere dotato di cospicue risorse. Si aggiungano i plinti marmorei, attribuiti da tal uni studiosi al VI secolo63 ma più probabilmente da vedere quali reimpieghi di Onorio, 64 quattro dei quali oggi utilizzati quali pulvini, a coronamento delle ap­ pena citate colonne del transetto. A detta di LP, il sepolcro del martire Pancrazio riceve da Onorio un rivestimento argenteo da 1 20 libbre.65 La lista dei doni del papa alla sua chiesa prosegue con il ciborio argenteo dell'altare, i cinque archi da 1 5 libbre ciascuno, i tre candelabri aurei e altri oggetti preziosi. Nessuna traccia archeologica o architettonica può confortare il LP allorché esso attribuisce ad Onorio la realizzazione («fecit») della chiesa dei SS. Quattro Coronati al Celio.66 Quello che forse era l'antico «titulus Aemilianae», divenuto poi «quattuor Coronatorum» almeno dalla fine del VI secolo,67 occupa come noto l'aula monumentale di una domus realizzata nel IV secolo sul cosiddetto Coe­ liolus, propaggine del Celio.68 L' introduzione del titulus negli ambienti del com­ plesso tardoantico è testimoniata in maniera alquanto eloquente dal ritrovamento in anni recenti, nel chiostro attuale del monastero, di un battistero monumentale della metà circa del V secolo, avente dimensioni inferiori solo a quelle del late­ ranense.69 In assenza di ulteriori dati, si può pensare che Onorio abbia compiuto, a parte la dotazione di arredo scultoreo in funzione liturgica, 70 limitati rimaneg­ giamenti o riadattamenti delle strutture dell'aula, cosi come, più tardi, Adriano l porrà mano al rifacimento dei tetti del titulus. 71 Onorio, sensibile alle questioni politiche della sponda orientale dell'Adriatico, potrebbe aver attivamente recepito il revival della tradizione della origine pannonica dei martiri Coronati derivante dall' immigrazione in Roma di profughi a causa del progressivo venir meno, at­ torno al 600 d.C., del controllo Romano-orientale sull'area a nord del Danubio.72 Alla base dell'evanescente intervento di Onori o sul Celio si intravede una com­ plicata relazione di interdipendenza tra l'affermata tradizione romana del culto intra moenia dei quattro martiri del Celio (Claudio, Semproniano, Nicostrato e Castore) e la vicenda sovrapposta degli omonimi cinque scultori pannonici (si aggiunge un Simplicio), narrata dalla passio redatta all'inizio del VII secolo.73 Nella vecchia tradizione romana (Passio Sebastiani, sec. V), i corpi dei quattro vengono gettati in mare, segno che il culto romano non si appoggiava alla presen­ za di una loro memoria sepolcrale. La nuova passio del VII secolo, compromesso fra due tradizioni, instaura invece una precisa specularità tra i Cinque scultori 63. CBCR 1 97 1 , p. 1 65; Verrando 1 990, p. 38. 64. Cecchelli 1 972, p. 72, figg. 1 5, 1 7. 65. LP, I, p. 324. 66. Ibidem. 67. Si veda l'ampia discussione in Guyon 1 975, pp. 543-55 1 . 68. Barelli 2009, pp. 1 1 - 1 3 . 69. Pugliese 2006, pp. 20-23; Barelli, Pugliese, Sadori 2007-2008, pp. 78-93; Barelli 2009, p.

14. 70. Guiglia Guidobaldi 2002, p. 1 506 e nota 55. Pugliese 2006, p. 20. 7 1 . LP, I, p. 5 1 2; Pugliese 2006, p. 20; Barelli 2009, pp. 14- 1 5. 72. Guyon 1 987, p. 436. 73. Guyon 1 975, pp. 5 1 6-52 1 .

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fatti annegare in un fiume nella lontana Pannonia e quattro sottufficiali anonimi Romani giustiziati e poi sepolti sulla via Labicana da Sebastiano e da papa Mil­ ziade (3 1 1 -3 1 4), il quale decide di onorarne la memoria con i medesimi nomi di quattro degli scultori. La passio indica a tal proposito un arenario al terzo miglio della via Labicana, 74 ossia il cimitero dei SS. Marcellino e Pietro «ad» ovv. dall' Itinerario di Einsiedeln e nota più che altro per i donativi di Leone III (795-8 1 6). 261 Quando Sergio I vi mette mano, la chiesa è da lungo tempo sco­ perchiata. 262 Nella biografia di Leone III l'edificio prende il nome di SS. Eufemia ed Arcangelo «qui ponitur iuxta titulum Pudentis» : si trovava dunque nei pressi di S. Pudenziana, appunto lungo il vicus Patricius. La dismissione del monastero e la rettifica dell'antica arteria stradale con la creazione della via Urbana al tempo di Sisto V segnarono la sorte dell'edificio, i cui ruderi erano tuttavia ancor visibili nel XVII secolo, più o meno all'angolo tra la stessa via Urbana e via di S. Maria Maggiore. 263 256. Si veda l'appendice n. l , a firma di Marco Verità, in Tiberia 1 998, pp. 8 1 -90; Osborne 2008, p. 1 79, nota 24; Cfr. Foletti 20 1 5 . 257. Davis-Weyer 1 999; Osborne 2008; Foletti 20 1 5, p . 84. 258. Osborne 2008, pp. 1 80- 1 8 1 . 259. Wisskirchen 1 999. 260. Ekonomou 2007, pp. 224-225. 26 1 . Geertman 1975a, pp. 88-89, 92, 1 00, 1 16, 1 24. 262. LP, l, p. 375. 263. Huelsen 1 927, pp. 249-250; Ferrari 1957, pp. 1 34- 135.

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Del pari priva di copertura sembra essere stata l 'antica chiesa della martire Aurea/Chryse ad Ostia, che il pontefice «cooperuit suo studio» e rinnovò. 264 S. Aurea, la cui prima documentazione corrisponde proprio alla biografia di Ser­ gio l, è un edificio in realtà riconducibile a data assai anteriore. I resti murari e le sepolture rinvenute al di sotto dell'attuale chiesa quattrocentesca sarebbero collocabili infatti tra il IV e il V secolo.265 Si trattava di una basilica ad corpus di forma irregolare, a tre navate, con orientamento opposto a quello della chiesa rinascimentale, realizzata appunto per enfatizzare il sepolcro della martire. 266 In data ben successiva all' intervento di Sergio I, S. Aurea venne compresa entro il nucleo di Gregoriopoli, l' insediamento fortificato ostiense realizzato da Gregorio IV (827-844),267 oggi corrispondente al Borgo di Ostia Antica, dominato dalla mole del castello di Giulio II ( 1 503- 1 5 1 3 ). A conclusione della rapida rassegna sulla committenza di Sergio I poniamo quello che si configura come un intervento apparentemente più consistente ma oggi - purtroppo - non più leggibile. Si tratta del restauro radicale - «a solo» - dell 'oratorio di S. Andrea sulla via Labicana. Questo edificio, la cui ubica­ zione rimane tutt'oggi enigmatica, fu messo in relazione con un gruppo di edi­ fici ecclesiali - basiliche dei Santi Nicandro, Eleuterio e Andrea - realizzati da Gelasi o I (492-496) sul sito detto Villa Pertusa, tra il sesto e il decimo miglio della Labicana.268Al quinto miglio della Labicana (oggi km 9,700 della Casilina), all' incrocio con via di Torre Spaccata, si intravedono i resti di un complesso noto con il nome di « Santa Maura», comprendente, fra l'altro, una basilica absidata a tre navate con murature in opus vittatum, ancor oggi non identificata. Il toponimo deriverebbe da un «fundus Mauricius» facente parte della «Massa Varvariana», attestato ali' epoca di Gregorio II (7 1 5-73 1 ). 269 È stato pertanto proposto, sulla base della presenza in situ di più edifici collegati fra loro, che i ruderi di S. Maura possano corrispondere al complesso gelasiano di Villa Pertusa e dunque includes­ sero anche la chiesa su cui Sergio I aveva lasciato il segno del suo patronato.270

264. LP, l, p. 376. 265. Broccoli 1 986, p. 8 1 ; Mastrorilli 20 1 2, pp. 222-223. 266. Mastrorilli 201 2, p. 2 1 6. 267. Broccoli 1 986, pp. 79-80. 268. Fiocchi Nicolai 2006, pp. 93-94; Zegretti 20 12, pp. 209-2 1 7. 269. De Francesco 2005, pp. 227-229. 270. Coates-Stephens 1 997, p. 1 90.

Il VII secolo: da Sabiniano (604-606) a Sergio I (687-70 1 )

Fig. l . Basilica d i Sant'Agnese fuori le mura, ritratto d i Onorio I (foto M . Gianandrea). Fig. 2. Basilica di San Valentino, veduta dell'area archeologica (foto dell'autore).

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Fig. 3. Battistero lateranense, oratorio di San Venanzio, ritratto di Giovanni IV (foto M. Gianandrea). Fig. 4. Santo Stefano Rotondo, oratorio dei Santi Primo e Feliciano, ritratto di san Feliciano (foto dell'autore).

Xavier Barrai i Altet L'VIII secolo: da Giovanni VI (70 1 -705) ad Adriano I (772-795)

Durante l 'VIII secolo, da Giovanni VI (70 1 -705) a Adriano I (772-795), la storia politica e spirituale del papato segue un percorso di relazione con mondi molto diversi: dai Bizantini ai Longobardi fino ai Carolingi. 1 Il secolo comincia con alternanze di conflitti e riavvicinamenti con Bisanzio c i suoi domini italiani, un periodo che per la storia dell'arte è direttamente legato al problema delle immagini e dell' iconoclastia. L'occupazione di Ravenna da parte dei Longobardi e l 'appoggio dato dal papa all'esarca per la sua riconquista segnano il pontificato di Gregorio III (73 1 -74 1 ) e le fasi successive di accordi della Chiesa e di Roma con i duchi longobardi, fino all'appello del papa a Carlo Martello perché corresse in suo aiuto contro gli stessi Longobardi. Papa Zaccaria ( 74 1 -752) stabilisce nuovi rapporti con Bisanzio fino all'accordo con Costantino V Copronimo e vede l'avvento di Astolfo al trono longobardo, contemporanea­ mente all' intensificazione dei rapporti tra la Chiesa di Roma e la Chiesa franca.2 Ed è proprio il greco Zaccaria, infatti, che vediamo raffigurato in una pittura murale di Santa Maria Antiqua, a dare un forte impulso a un nuovo prestigio del papato che passa attraverso l'utilizzazione del concetto dell'universalità della c ittà di Roma: a lui si deve il restauro del Palazzo Lateranense come residenza stabile dei vescovi e come centro di una politica papale decisamente aperta verso l ' Europa. Stefano II (752-757), recatosi in Francia, dove consacra l'abbaziale di Saint-Denis, introduce nuove relazioni artistiche tra il mondo carolingio e quello di tradizione romana tardo-antica; la presenza di Pipino in Italia e l ' inizio del dominio temporale della Chiesa di Roma contraddistinguono con forza il suo pontificato al rientro in ltalia.3 l. Sull'VIII secolo J : Vlll secolo 20 1 0, che

si vedano i diversi contributi al convegno di Cividale del Friuli del 2008: include alle pp. 469-53 1 un'importante bibliografia delle opere citate. Si vedano poi gli Atti delle Settimane di studi del Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, in par­ ticolare: l problemi dell 'Occidente 1 973; Roma nell 'alto medioevo 200 1 . Sui singoli monumenti si veda CBCR 1 937- 1 980; e LTUR 1 993-2008. Sulle principali direzioni di ricerca attuali tra storia e urcheologia per quel che riguarda il passaggio dal Tardoantico al Medioevo si vedano i contributi e le schede del catalogo Roma dall 'antichità al medioevo 2001 , e le ricerche di M. Luchterhandt. 2. Azzara 1 997. 3. Ganshof 1 960.

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La Roma carolingia, se così possiamo chiamarla, è in un certo senso il ri­ sultato di questa lunga nuova relazione tra i Franchi e il papato. L'edilizia sacra promossa da Paolo I (757-767) si pone come la conseguenza di un nuovo sguardo oltre le Alpi, che viene a sovrapporsi all' immobile tradizione tardo-antica della città arricchitasi di puntuali contatti con Bisanzio. Ma tutte le attività dei papi dell'VIII secolo, destinate più o meno consapevolmente al desiderio di dare a Roma una nuovafacies rispetto alla sua antica presenza monumentale e una nuo­ va dignità imperiale, sono in una certa misura quasi oscurate dalla personalità di un grande papa costruttore: Adriano I, frutto immediato del consolidamento delle relazioni con il potere carolingio, dell'appello del papa a Carlo Magno, della marcia vittoriosa di Carlo Magno su Roma, della sottomissione definitiva al papa dei ducati longobardi e del trionfale arrivo in città del re dei Franchi per la Pasqua del 774. L'VIII secolo si conclude con l ' incoronazione di Carlo Magno a Roma nel Natale dell'anno 800 da parte di Leone III (795-8 1 6), che continuerà l 'opera intrapresa da Adriano I proiettandosi nel IX secolo.

l . La Roma dei papi tra longobardi e carolingi L'Italia di VIII secolo vede all'opera forze contrapposte e concomitanti, che incideranno profondamente sulla storia della penisola per i secoli a venire. È proprio nella prima metà dell'VIII secolo, con il regno di Liutprando, che innan­ zitutto si verifica la svolta decisiva nei rapporti fra il papato e i Longobardi, della quale ci danno conto due fonti contemporanee - la Historia Langobardorum di Paolo Diacono e le pagine del Liber Ponti.ficalis dedicate ai papi di questo perio­ do -, narrando gli eventi connessi ali ' occupazione del castello papale di Sutri da parte di Liutprando e la successiva restituzione al papa Gregorio Il. Ma le strade di questo re dovevano incrociarsi ancora con quelle di altri due papi, Gregorio III e Zaccaria, in un momento nel quale il papato doveva aver cominciato a far fronte alla nuova situazione che si era creata con il venir meno dell'autorità bizantina sulla Penisola. 4 Zaccaria e Liutprando si incontrarono peraltro personalmente ben due volte, a Terni e a Pavia, con un cerimoniale molto solenne, secondo il racconto datone nel Liber Ponti.fica/is da qualcuno che ne fu testimone oculare, un cerimoniale di così grande impatto (si trattava dei primi incontri ufficiali di un sovrano occiden­ tale e di un papa) da essere utilizzato anche in seguito, come si verificò nel decisi­ vo incontro del franco P ipino con il papa Stefano Il. Dalle fonti emerge un quadro di rapporti complesso ma non necessariamente conflittuale, basato su una fitta rete di relazioni reciproche e caratterizzato in ogni sua fase dal riconoscimento, da parte dei sovrani longobardi, del ruolo dei pontefici come «caput ecclesi arum Dei» . Le fonti franche posteriori al 774, anno nel quale i Franchi si sostituirono ai Longobardi al comando del Regnum Langobardorum, tacciono però di quanto era 4. Gasparri 201 1 . In precedenza, e ancora utile, Bertolini 1 972.

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uvvenuto nella prima metà del secolo, narrato dal solo Paolo Diacono: l'alleanza franco-longobarda stipulata da Liutprando e Pipino (che il re longobardo aveva udottato) e l 'aiuto dato da Liutprando a Pipino contro i saraceni. Le stesse fonti i nsistono invece sul fatto che Gregorio III avesse chiesto il loro aiuto proprio con­ tro Liutprando, inviando addirittura a Carlo Martello le chiavi di San Pietro. Alla morte di Liutprando, nel 744, il successore Ratchis firmò una pace ven­ tcnnale con il papa Zaccaria, ma nel 7 5 1 , con Ratchis ormai chiuso nel monastero di Montecassino, tutta la penisola cadde nelle mani del re longobardo Astolfo, deciso a prendere possesso di più vasti territori possibile: è a questo punto che al papa Zaccaria non restò che stringere una nuova forte alleanza con i Franchi. Ma che le cose siano andate proprio così è oggi ritenuto più una costruzione a poste­ riori di area franca che un rispecchiamento di eventi realmente verificatisi, una confezione appositamente approntata per anticipare al tempo di Zaccaria quanto invece si svolse soltanto durante il governo del papa Stefano II, il cui viaggio a Saint-Denis nel 754 sancì un effettivo balzo in avanti nelle relazioni franco-pa­ pali. Non deve infatti essere considerato un caso se, rientrato dai territori franchi, Stefano II facesse allestire, nell'area di San Pietro, la cappella dedicata a Santa Petronilla, la santa, ritenuta figlia di Pietro, il cui culto si celebrava appunto in l� uella Saint-Denis dove lo stesso Pipino era stato educato e dove poi sarà sepolto. E proprio a Saint-Denis, inoltre, che Stefano II unse personalmente, secondo una cerimonia di origine biblica già praticata dai Visigoti e dagli Anglosassoni, il re l'i pino e i suoi figli Carlo e Carlomanno, conferendo loro nel contempo il titolo di patrizi dei Romani, dunque protettori del popolo romano. 5 Nel 757 saliva sul trono longobardo Desiderio, verosimilmente per volontà d i Pipino, una delle cui figlie sposò Carlo, secondo quanto attestato dagli Anna/es Mosel/ani, da Eginardo e da altre fonti franche. Questa alleanza matrimoniale non impedì però al nuovo re longobardo di esercitare una politica territoriale forte c offensiva, non senza cercare di intervenire direttamente sull'elezione del papa, entrando nella città con guerrieri in armi. Ma la situazione di equilibrio che De­ s iderio aveva cercato di mettere in atto era destinata a dissolversi con la morte di Carlomanno nel 77 1 . Fu infatti quest'evento a determinare a catena le circostanze che condussero in Italia Carlo, ormai rimasto unico re dei Franchi: nell'estate del 774, quando sul soglio di Pietro sedeva Adriano l, persino la capitale del regno longobardo, Pavia, cadeva in mano franca. Nella Pasqua dello stesso 774, Carlo donava l ' intera Italia centrale al papa: i l contenuto della donazione ci è noto attraverso il Liber Ponti.fica/is, dunque una fonte romana, e per la prima volta in una fonte franca nel cosiddetto Ludovicia­ num dell' 8 1 7. Dalla geografia delineata si evince che il papato aveva cercato di l imitare la presenza e il peso politico-militare dei Franchi all'Italia settentriona­ le, ad eccezione di Venezia e dell'Istria, che invece erano pertinenti alla Chiesa di Roma. Ancora durante il pontificato di Adriano I (ma la datazione è tuttora 5. Su questo periodo: Iproblemi della civiltà carolingia 1954; Iproblemi comuni dell 'Europa posi-carolingia, 1 955; Bisanzio, Roma e l 'Italia nell 'alto medioevo 1988.

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oggetto di ampio dibattito critico) dové essere redatto il celebre Constitutum Constantini, nel quale si attestava la donazione dell'Occidente romano al papa Silvestro da parte dell'imperatore Costantino.6 Sebbene da secoli sia stato appu­ rato che il racconto è un falso, la sua prima redazione è stata datata proprio in un periodo compreso tra il 760 e 1' 800 (anche se l ' ipotesi più di recente formulata lo colloca al tempo del pontificato di Leone III, dopo il 795, in un momento nel quale la conflittualità si era fortemente attenuata e il papato tendeva a veicolare il proprio ruolo di difesa della fede). Confezionato a Roma, qui sarebbe stato fat­ to copiare dall'abate Fardulfo che lo portò a Saint-Denis, dove si è conservato il più antico testimone, datato all' inizio del IX secolo. Ma non si può escludere che l ' idea di fondo del Constitutum, il passaggio dell'autorità (politica) dall'impero al papato (l'impero non poteva trasmettere l 'autorità spirituale), fosse già pre­ sente e diffusa durante il pontificato di Adriano J.7 Sotto il pontificato di Adriano I il dominio franco si va quindi sempre più consolidando. È Adriano I a ungere, nella Pasqua del 78 1 , il figlio di Carlo, ribattezzato con il nome di P i pino, come re dei Longobardi.

2. Verso una nuova immagine della città Se consideriamo l' inizio e la fine dell 'VIII secolo, le questioni relative all'ar­ te promossa dai papi si riflette in due aspetti principali: la questione delle imma­ gini all ' inizio del secolo e la nuova facies monumentale della città alla fine del secolo. La Roma di VIII secolo, naturalmente, non parte dal nulla, né a livello di edilizia civile, né dal punto di vista della monumentalità del paesaggio basili­ cale cristiano. I principali assi urbani antichi si mantennero, come bene mostra l'Itinerario di Einsiedeln. 8 Il prestigio della città era per i viaggiatori e i fedeli in generale non solo quello legato alle basiliche di IV secolo, che per la loro simbologia ricordavano le origini ufficiali, pubbliche e monumentali, del cristia­ nesimo, ma si fondava ancora molto sui cimiteri e i santuari martiriali,9 luoghi di memoria attiva, vicini ai corpi dei santi, e nello stesso tempo luoghi di memoria leggendaria per quanto riguarda i racconti fortemente presenti nell' immaginario collettivo. Il processo di trasformazione delle catacombe da cimitero a santuario, caratteristico dei secoli successivi alla liberalizzazione costantiniana del culto, continua in questo secolo con la forte domanda proveniente dai pellegrini e con la codificazione del culto dei martiri promosso dai pontefici. I numerosi interventi 6. La bibliografia sul tema è molto vasta. Mi limito a ricordare alcuni studi più recenti: Lach­ mann 2006; Goodson, Nelson 20 l O, pp. 446-467 (discussione del volume di Fried 2007). Al tempo di Paolo I attribuisce la redazione del testo Delogu 2000e, p. 668. 7. Gasparri 20 1 1 , pp. 1 28-1 30. 8. Meneghini-Santangeli Valenzani 200 1 , pp. 32-33. 9. De Wahl 1 900.

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pontificati nei santuari legati alle tombe dei martiri, ampiamente documentati tra il V ed il VII secolo, verranno consolidati durante l'VIII secolo e anche al di là, fino alla fine del pontificato di Leone III: documentati dall'archeologia, tal i interventi tendevano principalmente alla cura dei santuari, ai consolidamenti c ai restauri, dovuti alla vetustà delle strutture e ai danni arrecati dagli eventi politico-militari nelle zone funerarie fuori dalle mura. 10 Si osserva inoltre un cer­ to restringimento dell'area abitata, il riuso frequente di monumenti e spazi della c ittà antica, e la stabilizzazione delle diaconie, collegate alle rispettive chiese, che durante l'VIII secolo si articolano in modo più funzionale attorno alle attività assistenziali. L'attenzione alla cinta muraria sembra essere durante il secolo una delle preoccupazioni dei papi. La nuova immagine della città è molto legata, come accennavo, alle necessi­ tà derivate dai pellegrinaggi, soprattutto per quanto riguarda i santuari sistemati v icino alle tombe dei martiri. Durante i due secoli precedenti, la tendenza papale era stata quella di dare una risposta alle domande dei pellegrini che cercavano un contatto più diretto con i corpi dei martiri: questi furono spostati progressi­ vamente dalla profondità delle catacombe ai presbiteri o alle cripte delle basi­ liche monumentali costruite in relazione alle vecchie camere sepolcrali. Nuovi tipi di basilica avevano risposto, anche con sistemi vari di circolazione, a queste nuove esigenze, e durante l'VIII secolo rispondevano ancora a queste richieste." Possiamo probabilmente affermare che nell'VIII secolo si valorizzarono nuova­ mente sistemi architettonici che avevano fatto le loro prove in precedenza, come la cripta semianulare, che durante il secondo quarto dell'VIII secolo è riadattata nella ristrutturazione della primitiva chiesa di San Crisogono e che nel IX secolo conoscerà una bella fortuna. Tale fu la funzionalità di questo specifico modello che da Roma fu copiato in altri luoghi dell'Occidente europeo. '2 Per quanto riguarda l 'architettura della chiesa come edificio di culto, le novità appaiono nell'VIII secolo poco rilevanti del punto di vista del concetto architettonico, tenuto conto della forza monumentale, della varietà e delle fun­ zionalità pratiche delle basiliche paleocristiane romane. Richard Krautheimer Ieee notare che nel corso dell'VIII secolo aumentò in tutto il regno franco la venerazione per san Pietro, e con questa un nuovo sguardo verso la città eterna che indusse a riprendere, più o meno fedelmente, i modelli architettonici roma­ n i . Ma allo stesso tempo, a Roma, alcuni esempi concreti come Sant'Angelo in Pescheria sotto Stefano II, Santa Maria in Cosmedin sotto Adriano I (fig. l ), 13 o Santa Susanna e i Santi Nereo e Achilleo sotto Leone III, hanno fatto supporre a l lo stesso studioso che elementi architettonici puntuali guarderebbero verso l ' Oriente siriaco e bizantino. Non so però se si possano prendere in considera­ zione questi dettagli architettonici concreti per formulare una teoria generale lO. Fiocchi Nicolai 2000a; Pergola 2000. l l. Reekmans 199 1 . 1 2 . Krautheimer 2008, pp. 1 5 1 ss.; de Blaauw 20 1 0b. 13. Giovenale 1927.

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su un'architettura religiosa romana di VIII secolo marcata ancora da modelli bizantini, quando a Roma stessa tutte le varietà architettoniche di IV e V secolo fornirono non solo un' ampia casistica di modelli a lungo in uso nella città, ma anche un prestigio fondato sulla tradizione. Proprio con Adriano I si manifesta peraltro un' incisiva politica di restauro delle grandi basiliche paleocristiane che si prolungherà sotto Leone III. 14 La rinascenza carolingia, nata da una consapevole ripresa di caratteri romani, liturgici, architettonici e culturali, in parte risalenti alla Roma paleocristiana, riuscì comunque a trasferire nell'Europa transalpina precisi elementi strutturali tardo-antichi, come il transetto posto a occidente, che in effetti a Roma non si erano mai più utilizzati dal principio del IV secolo: tali elementi fecero delle terre del nord una sorta di Roma ancora più romana della Roma stessa. Bisognerà attendere Pasquale Il, infatti, e la costruzione della chiesa di Santa Prassede, Js per vedere ancora una volta a Roma, dopo secoli, un transetto continuo. Malgrado ciò, l 'architettura romana sacra tardo-antica continuava a fornire modelli architettonici, come si evidenzia a Santa Anastasia, sotto Leone III, o a Santo Stefano Maggiore, oggi degli Abissini, dietro San Pietro. Il dialogo tra il passato locale e le mode diffuse nell 'Oriente mediterraneo prepara inoltre le realizzazioni più importanti di Santa Prassede e Santa Cecilia, che però appartengono già al secolo successivo. Verso la metà dell'VIII secolo la configurazione urbanistica della città si adatta progressivamente ai nuovi ruoli che la politica papale dettava nel contesto europeo, e questo malgrado le distruzioni e i saccheggi che i Longobardi avevano provocato nei dintorni di Roma. I papi dell'VIII secolo effettuarono restauri nei grandi santuari di San Pietro, San Paolo e San Lorenzo, e nelle basiliche che ac­ compagnavano i cimiteri fuori le mura. Quelli del IX secolo renderanno visibili queste politiche, ricostruendo l' intera cinta di mura e torri della città, riorganiz­ zando - come aveva fatto Adriano I - le sponde del Tevere per proteggere la città dalle inondazioni, e traducendo le iniziative in un piano urbanistico destinato a trasformare la facies della città. Per quanto riguarda gli interventi realizzati dai papi sull'architettura di VIII secolo, il Liber Pontificalis ci offre elementi suffi­ cienti per narrare la politica di committenza papale. Sulla fine del secolo ci è rimasta anche la testimonianza essenziale di Eginar­ do, che, incentrata sostanzialmente sulla relazione tra papa Stefano II e Pipino, e di Adriano I e Carlo Magno, nella guerra contro i Longobardi, sulla cattura del re Desiderio e sulla restituzione di quanto era stato sottratto ai romani, ci racconta doviziosamente dell'arrivo di Carlo Magno a Roma, dopo i giuramenti dei bene­ ventani e di Aragiso. Eginardo narra infatti che il re franco, una volta giunto nella città dei papi, passò alcuni giorni a visitare i luoghi santi prima di fare ritorno nelle Gallie. Il nuovo prestigio della città portò Carlo Magno, come è ben noto e come è ribadito nella testimonianza di Eginardo, a richiedere insistentemente 14. de Blaauw 200 1 a, pp. 52-6 1 . 1 5 . Ballardini 1 999.

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colonne e marmi per la costruzione della prestigiosa basilica imperiale e privata di Aquisgrana, desiderando che questi materiali si trasportassero da Roma e Ra­ venna. Il biografo del re pone l'accento anche sui numerosi doni fatti da Carlo Magno alla chiesa del beato Pietro Apostolo a Roma e sull'ossessivo sforzo del re «perché la città di Roma, per opera sua, riprendesse l'antica autorità, e la chiesa di San Pietro fosse non soltanto sicura e difesa per mezzo suo, ma anche, sopra tutte le altre chiese, fosse ornata e abbellita dalle sue ricchezze». 16 3 . Papi greci e papi latini

L'VIII secolo si apre con il pontificato del greco Giovanni VI, 17 fine diplo­ matico, destinato a restare sul soglio pontificio soltanto pochi anni (70 1 -705), nel corso dei quali le sue energie si concentrarono essenzialmente sul duplice fronte bizantino-longobardo che si era aperto nei decenni precedenti, 18 senza lasciare spazio a significative attività di committenza di edifici o opere d'arte. Il suo suc­ cessore, Giovanni VII (705-707), 19 anch'egli greco di origine, era stato rettore del patrimonio sulla via Appia prima della consacrazione: suo padre, un alto funzio­ nario bizantino, aveva diretto i servizi di manutenzione dell'antico palazzo im­ periale sul Palatino, eseguendovi un restauro che il figlio celebrò in un' iscrizione sepolcrale. Ebbe buoni rapporti con i Longobardi, cosa che è confermata dalla concessione da parte del re Ariperto II di un diploma che ripristinava alla Chiesa di Roma i diritti sul patrimonio delle Alpi Cozie, ma mostrò un atteggiamento debole nei confronti di Bisanzio, secondo il biografo del Liber Pontifica/is, nel momento in cui a Costantinopoli l ' imperatore Giustiniano Il, ripreso il potere nel 705, depose il patriarca Callinico che aveva appoggiato l'usurpatore Leonzio.20 Neanche un mese durò invece il pontificato del siriano Sisinnio (708-708),21 la cui elezione è stata considerata come un compromesso temporaneo tra gli elet­ tori romani e Giustiniano 11.22 Sisinnio fece solo in tempo a ordinare di mettere in funzione le fornaci per cuocere la calce necessaria alla riparazione delle mura, in modo di poter eventualmente far fronte ali ' atteggiamento minaccioso dei Longo­ bardi senza che questo proposito fosse messo in atto. Gli successe Costantino I ( 708-7 1 5),23 anch'egli siriano (si ipotizza che possa esser stato il fratello di papa 16. Eginardo 2006, p. 1 07: «Ut urbs Roma sua opera suoque labore vetere polleret auctoritate, ecclesia Sancti Petri per illum non solum tuta ac defensa, sed etiam suis opibus prae omnibus ccclesiis esset ornata atque dotata» . Si veda anche Éginhard 20 14. 17. Per i papi di VIII secolo si veda EP, l, pp. 638-704; Conte 1984. 1 8. Bertolini 194 1 ; Id. 1 955. 19. The Lives ofthe Eighth-Century Popes 1 992; LP 1 886- 1 892; LP 1 957. Per i papi di VIII secolo: LP, I, pp. 383-523. Su Giovanni VII : LP, l, pp. 385-387; Berto 2000d. 20. Breckenridge 1 972. 2 1 . LP, l, p. 388; Sansterre 1 983, l, pp. 39, 1 07; von Falkenhausen 2000b. 22. Stratos 1 980. 23. LP, l, pp. 389-395; Miller 2000. et

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Sisinnio), sotto il cui pontificato trovarono sbocco alcune delle principali tensioni che si erano aperte sul fronte bizantino.24 Nel 709 giunsero a Roma diversi espo­ nenti della Chiesa anglosassone, quali Wilfrid, vescovo di York, che previde il dono, dopo la sua morte (avvenuta il 24 aprile 709), alle basiliche di San Paolo fuori le mura e Santa Maria Maggiore, della quarta parte del tesoro del monastero in cui aveva trovato rifugio dopo che il re di Northumbria lo aveva privato della sua sede episcopale. Constantino I fu anche l 'ultimo papa a rendersi a Costantino­ poli in visita ufficiale nel 7 1 0, ma questo viaggio ebbe una conseguenza negativa sulla razzi a di Roma da parte dell'esarca di Ravenna. In ogni caso il pontefice riuscì a ristabilire dei rapporti cordiali con la Chiesa di Ravenna, 25 la corte di Pavia,26 e fu sepolto nella basilica di San Pietro. Scomparso Costantino I, chiudendo la serie dei sette papi di origine greca ed insieme l'epoca dei compromessi con Bisanzio,27 sali al potere Gregorio II (7 1 573 1 ),28 diacono romano, proveniente da una famiglia della vecchia aristocrazia senatoria, già tra i partecipanti al viaggio a Bisanzio del suo predecessore. Edu­ cato nel patriarchium lateranense, suddiacono, sacellario, bibliotecario (il primo di cui si abbia notizia), e diacono, la sua attenzione sembra che si sia rivolta fin da subito al restauro e al ripristino delle antiche strutture urbane, cosa che creò dei conflitti con le autorità cittadine: da un certo tempo, infatti, i papi interve­ nivano ben al di là delle loro attribuzioni in un contesto strettamente religioso. Nel 7 1 7, Gregorio II inviò a Montecassino, distrutta dai Longobardi, l'abate bre­ sciano Petronace, figura cardine nella storia del monastero, consentendo l' inizio di una nuova fase di splendore, come attestato da Paolo Diacono,29 e fu proprio questo papa ali ' origine della missione evangelizzatrice del monaco anglosassone Winfrith/Bonifacio (680-750), al quale consegnò un /ibellum contenente nonne romane di diritto ecclesiastico, in modo che la sua attività fosse giuridicamente suffragata dalla potenza della tradizione romana.3° Fu durante questo pontificato che l' imperatore di Costantinopoli Leone III interdisse, nel 726, il culto delle immagini sacre, aprendo la strada alla loro distruzione sistematica, una decisione alla quale Gregorio II si oppose decisamente.Jl Gregorio III (73 1 -74 1 ),32 di famiglia siriana, acclamato papa durante la ceri­ monia funebre di Gregorio Il, si trovò fin da subito coinvolto nella controversia per le immagini sacre che era sorta a Bisanzio solo qualche anno prima. Il I 24. Miller 1 974, pp. 98 ss.; Sansterre 1 984. 25. Wickberg 1 978. 26. Hallenbeck 1 982. 27. Bertolini 1 94 1 , p. 422. 28. LP, l, pp. 396-4 14. La sua Vita fu redatta mentre era ancora in vita e Beda già poté servir­ sene; analogo discorso vale per le Vite di Gregorio III e di Zaccaria, anche se alcune parti furono inserite dopo la loro morte: LP. I, pp. 233; Delogu 2000a. 29. Paulus Diaconus 1 985, VI, 40. 30. Sullivan 1 955. 3 1 . Michels 1 988, con la bibliografia precedente. 32. LP, l, pp. 4 1 5-425; Delogu 2000b.

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novembre successivo alla sua consacrazione, convocò un sinodo al quale parteci­ parono quasi cento vescovi e nel quale si certificò l'antichità e la liceità del culto delle immagini, con la dichiarazione che chiunque le avesse distrutte sarebbe sta­ to scomunicato.33 Il decreto di scomunica costituiva una novità rispetto all'atteg­ giamento del suo predecessore, che si era limitato a sancire la natura eretica del­ le deliberazioni di Leone III.J4 Durante il suo pontificato, l ' imperatore sottrasse alla giurisdizione papale le provincie ecclesiastiche della Calabria, della Sicilia e dell'Illirico, dalle quali il papato aveva sempre tratto consistenti rendite.35 L'osti­ lità papale nei confronti dei Longobardi, che comincia a manifestarsi con forza, porterà di fatto alla caduta del regno longobardo nelle mani di Carlomagno.36 Zaccaria (74 1 -752),37 di origine greca, fu il primo papa per cui non fu richie­ sto il benestare né a Ravenna né a Costantinopoli. Il suo pontificato si caratterizzò per l'assunzione di nuove funzioni di governo della città. La sua determinazione si rese evidente nei rapporti con Liutprando a proposito della sottomissione di Spoleto e dell' incontro di Terni del 742, che il papa celebrò con una grande pro­ cessione cittadina da Santa Maria ad martyres (l'antico Pantheon) a San Pietro. Dopo aver placato il pericolo longobardo e ristabilito una certa pace con l ' impero bizantino, il papa si dedicò a una serie di interventi nelle basiliche romane e nel complesso lateranense. Fu lui a legittimare, nella sua risposta a un quesito che gli era stato presentato, il potere assunto da Pipino, figlio di Carlo Martello, consen­ tendo la proclamazione di questi a re dei Franchi, a seguito della deposizione di Childerico; e fu Bonifacio, che Gregorio III aveva consacrato arcivescovo della Germania, e con il quale i rapporti erano strettissimi, a ungere per la prima volta Pipino con il crisma benedetto (prima dell' unzione da parte di Stefano II in Saint­ Denis, alla quale ho accennato più sopra).38 La sua tomba è documentata in San Pietro in portieu pontifìcium. Stefano II (752-757),39 diacono romano, fu il fautore e il responsabile dell'al­ leanza con i Franchi, in particolare con Pipino,40 in funzione anti-longobarda, e della loro discesa in Italia, prima alla fine dell'estate del 754, poi nel maggio del 756.41 Nei cinque anni del suo governo, almeno uno, l' inverno del 753-754, il papa lo trascorse in Francia, in gran parte nell'abbazia di Saint-Denis, dove ap­ punto conferi a Pipino e ai suoi due figli l' unzione regia. La politica di Stefano II nei confronti dei Franchi fu un grande successo che portò al papato vasti territori, ridusse considerevolmente la presenza bizantina in Italia, limitando la alla Sicilia, parte della Calabria, Puglia e Campania. Il longobardo Astolfo mori all' inizio 33. Mordek 1988. 34. Marazzi 1 99 1 . 3 5 . Anastos 1 957. 36. Finck von Finckenstein 1 993. 37. LP, l, pp. 426-439; Delogu 2000c. 38. Saens Ruiz-Olalde 1 988. 39. LP, l, pp. 440-462; Delogu 2000d. 40. Miller 1 973. 4 1 . Fritze 1 973; Engels 1 989; Engelbert 1 993.

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del 757. Desiderio, eletto re nel marzo dello stesso anno, cedette al papa Faenza, Gavello e il ducato di Ferrara. Paolo I (757-767),42 anch'egli diacono romano, fu eletto da un gruppo fedele al papa Stefano II nel quale si trovavano anche alte cariche della nobiltà laica romana, e prosegui la politica del suo predecessore a favore dei Franchi.43 Sotto il suo pontificato ricomparvero nuovamente il senato e il popolo romano come istituzioni al servizio del papa sotto la protezione franca. Proprio su richiesta di Pipino, Paolo I inviò in Francia codici liturgici, ma anche di geometria, gramma­ tica e ortografia, e persino un maestro di salmodia. Ospitò inoltre a Roma monaci franchi giunti nella città per istruirsi dal punto di vista musicale. Durante il suo pontificato, aumentarono i pellegrinaggi a Roma cosi da rendere necessari luoghi di sosta più o meno permanenti: una colonia franca riconosciuta presso San Pietro sarebbe all'origine della Scho/a Francorum ben nota alla fine del secolo, come confermato nel Liber Pontifica/is che per la prima volta nella biografia di questo papa menziona delle entità nazionali stabilmente organizzate per gli stranieri che giungevano nella città.44 Alla morte di Paolo l, il 28 giugno 767, si aprì un periodo difficile per la città di Roma, nel quale i contrasti tra le diverse fazioni cittadine portarono all'accla­ mazione popolare prima di un influente personaggio, Costantino (fratello di To­ tone, duca di Nepi), non appartenente al clero e ordinato in tutta fretta in modo da poter essere consacrato,45 e poi di un presbitero del monastero di San Vito, Filip­ po.46 A questi due antipapi, dalle tormentate vicende, indizio della crisi attraversa­ ta dal papato in questi anni, fece seguito il pontificato di Stefano III (768-772),47 già cubicu/arius del Patriarchio Lateranense e presbitero cardinale del titolo di Santa Cecilia sotto Zaccaria, Stefano II e Paolo l. È a questo papa che si deve una delle più importanti assemblee conciliari di VIII secolo svoltesi in Italia: il con­ cilio lateranense apertosi il 1 2 aprile 769, nel quale si discussero e condannarono le vicende dell'ultimo anno, cancellando i provvedimenti presi in quel periodo, e si prese nuovamente posizione contro le dottrine iconoclaste promulgate nel si­ nodo costantinopolitano del 754. Nel suo breve pontificato assistette all'alleanza franco-longobarda, ma morì proprio nel momento in cui quell'alleanza stava per rompersi determinando un nuovo corso della storia europea. 48 La durata di quattro anni del passaggio di Stefano III sul soglio pontificio viene ancora diminuita storicamente per il grande rilievo che ebbe il suo succes­ sore, Adriano I (772-795),49 il papa della sconfitta dei Longobardi e della vittoria 42. LP, l, pp. 463-467; Delogu 2000e. 43. Miller 1 969. 44. Stoclet 1 990. 45. Miller 2000. 46. Susi 2000d. 47. LP, l, pp. 468-485; Susi 2000e. 48. Hallenbeck 1 974, pp. 287-299. 49. LP, l, pp. 486-523; Bertolini O. 2000c; Hartmann 2006. La sua Vita è molto più lunga del­ le precedenti: il riferimento a fatti storici si ferma ai primi due anni del suo pontificato (772-774),

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dei Franchi, sul quale il biografo del Liber Pontificalis, dopo aver narrato il suo coinvolgimento nei principali e più spinosi affari politici dell'epoca, inaugura la seconda parte della Vita (siamo subito dopo il 774) con queste parole: «aman­ te delle chiese di Dio, profuse una incessante attenzione alla decorazione e al restauro di tutti gli edifici sacri», alle quali fa seguito un lunghissimo elenco di interventi sul patrimonio sacro della città di Roma. 5° Nell'aprile del 774 Carlo­ magno faceva il suo ingresso in Roma concedendo ad Adriano I quei territori che sancirono la nascita del potere temporale dei pontefici. 51 Si trattava del primo dei tre incontri tra il sovrano franco e il pontefice, nel secondo dei quali (nell'aprile del 78 1 ) il papa battezzò il figlio del re, con il nome di Pipino, e lo unse re d'Italia, e nel terzo dei quali all ' inizio del 787 il papa ricevette un'ulteriore donazione ter­ ritoriale, concernente la parte settentrionale del Principato longobardo di Salerno, che però non fu mai attuata. Alla sua morte, Adriano I fu sepolto in San Pietro, in una cappella sistemata a ridosso del transetto della basilica, tra l'oratorio di Leone Magno e quello di Paolo l. Gli successe Leone III, il papa che consacrò Carlomagno imperatore, ma siamo già in un nuovo periodo.

4. La lotta per le immagini

La complessa situazione geo-politica che si era venuta a determinare nel corso del VII secolo, con il rafforzarsi del potere longobardo e con l ' indebolirsi di quello bizantino imperiale nelle terre della penisola italiana, trovò un momento essenziale nelle risposte che Gregorio II, attraverso due lettere,52 diede ai decreti con i quali Leone III Isaurico aveva vietato il culto delle immagini sacre, av­ viando la distruzione di tutte quelle esistenti e ponendosi in tal modo contro una prassi che era parte integrante del culto cristiano. 53 Nella prima delle due lettere, il papa si ergeva coraggioso contro le intimidazioni e le minacce imperiali, indizio inequivocabile delle mutate situazioni politiche; nella seconda, a risposta di una lettera inviata da Leone III che giunse a Roma nell'autunno del 729, il papa inmentre ampio spazio è dedicato ai doni da lui fatti alle chiese di Roma, alle riparazioni di mura e acquedotti, alle nuove fondazioni (774-795), senza un ordine sistematico, ma probabilmente sulla base della sequenza cronologica dei suoi interventi, e con delle aggiunte a una prima redazione, tratte da una fonte diversa. Le liste di vasi, tessuti, arredi liturgici derivano dai registri dell'ammi­ nistrazione romana addetti alla cura del tesoro pontificate e delle spese straordinarie, vale a dire dal vestiarium ecclesiae: LP, l, pp. 234-245; Bertolini O. 2000c. Nella sua biografia risulta un preciso programma di restauri: Geertman 1 975a, pp. 14 7, 1 74; sulla chiesa Beati Apollinaris martyris men­ zionata nella vita di Adriano I e di Leone III, e già scelta da Gregorio II come chiesa stazionate per i l giovedi seguente la domenica di passione: ibidem, p. 1 70; sul monastero di Silvestro in Capite fondato da Paolo 1: ibidem, p. 1 73. 50. Per un'approfondita indagine sul testo di questa Vita: Geertman 2003b. 5 1 . Ama1di 1 987. 52. Conte 1 984. 53. Marazzi 1 99 1 . Sulle complesse relazioni tra il papato e i longobardi: Delogu 2000g; Capo 2009.

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sisteva sull' indipendenza del sacerdotium dall' imperium , invocando l'intervento di Cristo perché mandasse il demonio sull' imperatore. Ma proprio a causa di que­ sta lettera l' imperatore convocò il Senato e i dignitari di corte, per promulgare il decreto nel quale si vietava in maniera definitiva il culto delle immagini, decreto al quale fece seguito prima la rinuncia di Germano al seggio patriarcale e poi la persecuzione feroce dei trasgressori. 54 Si trattò di un evento che chiuse definitivamente l'età tardo-antica, rompendo l'equilibro che dalla fine dell'Impero romano d'Occidente aveva informato di sé le relazioni tra la Chiesa di Roma e l'Impero di Costantinopoli. 55 Le tensioni che opposero Gregorio II all ' impero sfociarono in una ribellione fiscale da parte del papa, che ampliò alla sfera politico-territoriale una lotta che riguardava sostan­ zialmente la concezione delle immagini e del loro uso nel mondo cristiano, non una questione meramente dottrinaria ma una problematica che investiva gli aspet­ ti concreti del culto cristiano e di quei fedeli che, non sapendo nulla di concetti teologici, trovavano nelle immagini un conforto quotidiano. 56 In ogni caso Grego­ rio II fu il primo papa a opporsi con convinzione all ' imperatore di Bisanzio, e non è un caso se il suo biografo lo definisse «contrariis fortissimus impugnaton> Y Va detto che già in precedenza i papi avevano espresso una chiara scelta ico­ nodula, che si era esplicitata soprattutto nel momento in cui l' imperatore Filippico Bardane, appena salito al trono, aveva proceduto a sconfessare il VI concilio ecu­ menico, trasmettendo a Roma una dichiarazione eretica di fede. Tale documento fu rifiutato dal papa Costantino I, che alle decisioni provenienti dall'Oriente contrap­ pose la realizzazione in San Pietro di un' immagine, «quod Greci Botarea vocant», illustrante i sei concili ecumenici. 58 Ma fu soltanto nel novembre del 73 1 , dopo la morte di Gregorio II, che il suo successore Gregorio III convocò a Roma un concilio al quale parteciparono novantatré vescovi e tutti i presbiteri romani, le cui conclusioni decretarono, alla presenza dei nobiles consu/es, la scomunica per coloro che negassero la possibilità di servirsi delle reliquie e della immagini per trarre conforto spirituale, e per chiunque distruggesse, rimuovesse o profanasse le immagini sacre. I testi relativi a questo concilio non riuscirono mai a raggiungere Costantinopoli, ma l'imperatore era deciso a punire la ribellione del pontefice: fu allora che con un editto devolse al fisco tutti le rendite dei beni patrimoniali situati in Italia meridionale e in Sicilia, e uni al ducato di Napoli (che fino a quel momento gli era stato fedelissimo), tutta la zona costiera meridionale del ducato di Roma insieme con Terracina e Gaeta. Nel 74 1 morivano sia Gregorio III che Leone III.59 Con il papa Zaccaria sul soglio pontificio e Costantino V Copronimo sul tro­ no di Bisanzio,60 le relazioni tra Occidente e Oriente erano destinate a pacificarsi 54. McConnick 1 994. 55. Amaldi 2000d, p. 63 . 56. Bettetini 2007. 57. Bertolini 1 972, pp. 439-452. 58. Grabar 1 957, pp. 47 ss.; Walter 1970; Thiimmel 2005. 59. Bertolini 1 972, pp. 439-452. 60. Gero 1 977.

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dal punto di vista politico, ma Zaccaria non fece alcuna marcia indietro sulla questione delle immagini, e lo stesso può dirsi anche per tutti i suoi successori, per i quali le raffigurazioni del sacro e delle sue storie svolsero sempre un ruo­ lo determinante nella città di Roma, 61 sia prima che dopo il concilio niceno del 787 nel quale si condannò l' iconoclastia e fu ripristinato il culto delle immagini nell' impero.62 Al concilio Adriano I fu rappresentato dall'arcipresbitero Pietro e dall 'abate del monastero greco di San Saba, ma non sembra che avesse informato Carlomagno delle lettere che aveva scambiato con Irene e Costantino VI, nelle quali il pontefice aveva richiesto che venissero restituite alla Chiesa le proprietà sottratte da Leone III Isaurico. Quando gli atti del concilio giunsero alla cor­ te franca, Carlomagno fece emanare un Capitulare de imaginibus (noto anche come Libri Caro/ini), nel quale, attraverso un linguaggio fortemente polemico, ci si opponeva alle decisioni di Nicea, tanto che nei territori franchi si continuò a considerare il concilio niceno come uno pseudo-sinodo, annullato dal concilio di Francoforte convocato da Carlomagno nel 794.63

5. I ritratti dei papi o la volontà di posterità L'attività dei papi dell'VIII secolo è nota, al di là delle testimonianze conte­ nute principalmente nel Liber Ponti.ficalis, da una serie di ritratti di committenza che hanno per noi un doppio interesse: da un lato, ci confermano direttamente la volontà dei singoli papi di rimanere nella memoria collettiva in quanto presenti negli edifici che contribuirono ad innalzare; dall'altro, ci permettono di mettere un volto, un profilo, e possiamo anche dire un formato fisico, a nomi astratti così ampiamente documentati testualmente.64 I ritratti dei papi, in questo caso, sollevano diverse questioni, non distanti da quelle sollevate dai papi di altri periodo del Medioevo. Al di là di comprendere il grado di volontà papale che poteva trovarsi dietro ogni ritratto, la questione più delicata è di saper distinguere il ritratto fisico da quello istituzionale, e di riuscire a riconoscere i tratti politici dell 'azione papale che si sono voluti mettere in luce attraverso gli stessi ritratti, così come attraverso l'atteggiamento, le vesti, il con­ testo, i colori.65 L' immagine del secondo dei papi del secolo, Giovanni VII, ci è pervenuta attraverso il mosaico frammentario conservato nelle Grotte Vaticane, prove­ niente dall' oratorio mariano da lui commissionato in San Pietro, dove il papa appare con un nimbo rigorosamente quadrato, in posizione stante, presentan6 1 . Andaloro 1976; Ead 2000d, pp. 3 1 -68. 62. Peny 1 996; Nordhagen 2002. 63. Maccarrone 1 988. 64. Gandolfo 2000. Rimane sempre notevole il lavoro di Ladner 1 984. 65. Esempi di tali questioni, per un periodo più tardo, possono leggersi in Bagnoli 2006; Paravicini Bagliani 20 12.

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do tra le mani un modellino di chiesa molto semplice, nell' atto di omaggiare un' immagine della Vergine in posizione orante (figg. 2-3).66 Nella mutila docu­ mentazione che possediamo sui ritratti papali di questo periodo la raffigurazio­ ne di Giovanni VII, direttamente legata ad un atto di committenza, anche se in questo caso si tratta di un oratorio privato, è particolarmente interessante per la volontà di assumere la novità figurativa del nimbo quadrato, a fondo azzurro, che troviamo nel ritratto di pontefice inginocchiato (nel quale è stato ricono­ sciuto proprio Giovanni VII) ai piedi della Vergine nella tavola detta della Cle­ menza in Santa Maria in Trastevere.67 In precedenza, a Sant' Agnese, i ritratti del donatore, Onorio I (625-638) e un altro pontefice non meglio identificabile, sono raffigurati, almeno nello stato di conservazione attuale del mosaico, senza alcun tipo di nimbo. Di Giovanni VII conserviamo anche un altro ritratto, con il nimbo quadrato ed un ricco volume tra le mani, a Santa Maria Antiqua, 68 nella sistemazione da lui voluta nel presbiterio, che prevedeva, in alto, l'Esaltazione della Croce e a segui­ re lo stesso Giovanni insieme ad altri tre papi santi ed infine quattro Padri della Chiesa al di sotto.69 Il papa rappresentato in vita con il nimbo quadrato conserva validità iconografica per tutto il secolo, come dimostra anche il ritratto di Adriano l, pure in Santa Maria Antiqua, nell'atto di sorreggere un libro. Secondo il Liber Pontificalis, il ruolo di Giovanni VII nella diffusione del ritratto papale a Roma fu notevole, visto che il biografo dice che questo papa fece eseguire immagini in diverse chiese nelle quali si poteva vedere il suo volto dipinto, notizia data non senza un certa ironia. Un ritratto di Adriano I dotato del nimbo quadrato accompagna le pitture con le quali questo papa fece decorare l'atrio della diaconia di Santa Maria Antiqua, ma l 'evoluzione dell' iconografia di committenza dei papi dell'VIII secolo non ci offre un numero tale di rappresentazioni da consentirci di osservare delle varian­ ti nelle immagini. Il punto di arrivo, all' inizio del secolo successivo, potrebbe essere individuato nel ritratto di Pasquale I a Santa Prassede, dove il pontefice è raffigurato in posizione chiaramente frontale con il nimbo rettangolare a rilievo e nell'atto di presentare il modellino della chiesa, di pianta basilicale in posizione leggermente obliqua. Poco prima, alla fine dell'VIII secolo, papa Leone III era stato effigiato nel mosaico absidale della chiesa di Santa Susanna, realizzato nel 799 e andato distrutto nel l 595, in un' immagine particolarmente interessante per il fatto che il nimbo rettangolare era attribuito anche a Carlo Magno, presente nell'abside insieme al papa: una rappresentazione che raggiungeva molto diretta­ mente il senso che Eginardo dava al rapporto tra il papato e la monarchia franca;70 66. Ballardini 20 I l . 67. Osbome 1979. 68. Nordhagen 1 968. Su questa chiesa si vedano anche Santa Maria Antiqua 2005; Lucey 2007 (con l'amplia bibliografia precedente); nel dicembre 20 1 3 si è tenuto un importante convegno su questi temi presso la British School at Rome, del quale si attende la pubblicazione. 69. Andaloro 1 987, pp. 1 5 5-273. 70. Gandolfo 2000, pp. 1 83- 1 85. In precedenza: Davis-Weyer 1965.

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una modalità iconografica ripresa, come simbolo di alte personalità ancora viven­ ti, nel perduto mosaico fatto realizzare dallo stesso Leone III sulla fronte absidale del Triclinio Lateranense, dove si vedeva san Pietro in trono nell'atto di affidare il pallio al papa e il vessillo all' imperatore.71

6. La testimonianza del Liber Pontificalis La testimonianza del Liber Ponti.ficalis è, come per altri secoli della storia dei papi, molto irregolare per quanto riguarda le informazioni fomite dai compilatori sull'attività edilizia e di committenza dei singoli papi. Mentre per i papi più no­ tevoli le notizie sono cospicue, per altri le informazioni sono molto lacunose. Le circostanze che intervennero nella redazione delle informazioni si differenziano inoltre a seconda del momento politico, e spesso sembra che ai redattori delle Vite interessino più l' immagine della città di Roma e dei suoi monumenti che i veri e precisi provvedimenti edilizi promossi dai papi. Non c'è alcun dubbio, però, che malgrado i problemi testuali ed ecdotici che la trasmissione del Liber, con la sua grande varietà di classi testuali, sollevi, non si può non considerare il suo dettato, pur nelle sue varianti, una fonte ufficiale della Chiesa di Roma e del papato.72 Il secolo comincia con il greco Giovanni VI, il quale, secondo il Liber Pon­ ti.ficalis, allesti soltanto un nuovo ambone per la basilica di Sant'Andrea, donò un tessuto per coprire l'altare della chiesa di San Marco, 73 e veli bianchi da metter tra le colonne nella basilica di San Paolo a destra e a sinistra dell'altare.74 Il suo suc­ cessore, Giovanni VII, anche lui greco come abbiamo visto, fu l'illustre commit­ tente dell'oratorio dedicato alla Madre di Dio nella basilica di San Pietro, e fece restaurare la basilica di Santa Eugenia, che si trovava in condizioni di abbandono: un sito menzionato negli itinerari di VII secolo, ma al quale non corrispondono sopravvivenze materiali. Intervenne poi nei cimiteri di Marcellino e Marco, e di Damaso, e decorò la basilica di Santa Maria Antiqua, 75 nella quale pose un nuovo ambone, e presso la quale costrui un nuovo palazzo episcopale, alle pendici del

7 1 . lacobini 1 989b. 72. Su questo punto si vedano le conclusione di Gasparri 20 I l , pp. 1 54- 1 55, e il recente studio di Capo 2009, pp. 99- 1 08. 73. Petriaggi 1 984; Riganati 2002; de Blaauw 200 1 b. 74. LP, l, pp. 383-384; Berto 2000c. 75. Oltre alla bibliografia citata, in nota 58, si veda Sansterre 1982, pp. 377-388: in risposta a chi aveva ipotizzato che la grande Crocifissione in Santa Maria Antiqua costituirebbe una trasposi­ zione visiva del canone 82 del concilio Quinisesto tenutosi nel 69 1 -692, nel quale si vietava la raffi­ gurazione di Cristo come agnello. Sansterre ha messo in evidenza che al di sotto della Crocifissione furono effigiati quattro papi (Giovanni VII e forse Leone l, a sinistra; un papa non identificato e Martino l, a destra) e quattro Padri della Chiesa (Agostino e un altro personaggio, a sinistra; Gre­ gorio Nazianzeno e Basilio a destra), con un richiamo alle immagini frontali dei Padri dello strato precedente (Leone l, Gregorio Nazianzeno a sinistra, Basilio e Giovanni Crisostomo a destra) con i cartigli contenenti passi delle loro opere relative al dibattito sulla "volontà" del Cristo.

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Palatino, dove morì. Giovanni VII, a differenza dei sui predecessori fu il primo papa a farsi inumare in un oratorio appositamente costruito in Vaticano.76 Agli interventi del siriano Sisinnio per le riparazioni delle mura della città nei primi mesi del 708, successero quelli di Costantino I sulle antiche struttu­ re urbane.77 Nell'ambito dell'architettura religiosa, Costantino I - che risiedeva probabilmente nell'episcopio fatto costruire da Giovanni VII presso Santa Maria Antiqua - sostituì le travi della basilica di San Paolo, danneggiate dalla loro ve­ tustà, ricoprendo nuovamente gran parte dell'edificio, nel quale rifece l 'altare e il ciborio d'argento che si era rovinato. In modo analogo intervenne in San Lorenzo fuori le mura e in altre basiliche che si trovavano in cattive condizioni. Rinnovò poi i monasteri di San Paolo fuori le mura, da lungo tempo abbandonati all ' incu­ ria, ripristinandone la presenza monacale; istituì un gerocomio accanto alla chie­ sa di Santa Maria ad praesepe; lo stesso fece nel monastero posto accanto alla chiesa di Sant'Andrea, nel quale non c'era più neanche un monaco. Intervenne nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, che restaurò e ricoprì nuovamen­ te, donandole un ambone marmoreo e materiali liturgici.78 Dopo la morte della madre, trasformò il palazzo di famiglia in un monastero dedicato a Sant'Agata, donando le terre necessarie al sostentamento dei monaci e allestendo un ciborio nella chiesa. Nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo al Celio è conservata la bella epigrafe con il testo di una conferma da parte di Costantino I delle proprietà del titolo dei Santi Giovanni e Paolo. Gregorio II esercitò un'attività nel campo del ripristino e nel riallestimento di alcuni dei siti più sacri della città che è troppo vasta per essere solo casuale o estemporanea. Il redattore della sua vita sottolinea spesso che si trattava di edifici in cattive condizioni, ma naturalmente le loro condizioni non erano improvvisa­ mente peggiorate con la sua ascesa al soglio pontificio. Si può invece ipotizzare che tutti questi interventi dei quali ci resta testimonianza nel Liber Ponti.fica­ /is erano dovuti a un programma generale di rinnovamento della città di Roma, non disgiunto da un nuovo interesse per la liturgia. Gregorio II rinnovò i tetti di San Paolo, San Lorenzo fuori le mura e Santa Croce in Gerusalemme; ristabilì la vita religiosa in alcuni monasteri da tempo abbandonati presso San Paolo e Santa Maria Maggiore, con l 'accordo che le comunità monastiche celebrassero l 'ufficio notte e giorno nelle basiliche vicine. Non si può neanche tacere il fatto che in quel tempo Roma era ormai divenuta meta privilegiata di pellegrinag­ gio. 79 Secondo fonti inglesi, 80 al tempo di Gregorio II fu costruita una chiesa in onore della Vergine Maria nella quali gli angli potessero celebrare gli uffici, poi rifatta dalle fondamenta da Leone IV.81 Come altri pontefici, anche questo papa fu sepolto in San Pietro, dove, nell 'atrio della basilica, si conserva un' iscrizione 76. Picard 1 969. 77. Botrè, Susanna 20 12. 78. Paroli 1 998; Ballardini 20 1 0. 79. Birch 1998. 80. Matthew Paris 1 964, l, pp. 330-33 1 . 8 1 . Coates-Stephens 1997, pp. 1 90- 1 9 1 .

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in bronzo dell'VIII secolo recante il documento con cui Gregorio II conferma la destinazione di una trentina di uliveti all' illuminazione delle basiliche di San Pietro e San Paolo. L'attività svolta dal successore, Gregorio III, sia nel campo dei provvedi­ menti presi in materia di ripristino e di manutenzione degli edifici religiosi, sia nei doni di oggetti mobili o di decorazioni pittoriche murali, fu davvero rimar­ chevole, e anche in questo caso, come in quello di Gregorio II, si può supporre l'esistenza di un piano complessivo di interventi sulla città sacra, che chiarisce la figura di un pontefice che fu anche un grande promotore di opere d'arte, in un momento nel quale il mondo occidentale e l 'Italia stavano per essere coinvolti nell'avventura franca destinata a segnare di sé la storia dell'Europa. Un apparato analogo a quello organizzato nella basilica di San Pietro, sul quale torneremo più avanti, fu posto da Gregorio III nella chiesa di Santa Maria Maggiore; nella stessa chiesa, per l'oratorio detto adpraesepe, donò un' immagi­ ne d'oro della Madonna,82 con il Bambino tra le braccia, ornata di diverse gemme. Restaurò poi il tetto della chiesa di San Crisogono, che fece decorare di pitture: vi allesti un ciborio argenteo al quale donò corone e altri materiali liturgici, oltre a vesti per l'altare e veli di seta bianca da appendere; accanto fece costruire un mo­ nastero, intitolato ai Santi Stefano, Lorenzo e Crisogono, assegnandogli un abate e dei monaci che, secondo gli uffici della basilica di San Pietro, sciogliessero lodi a Dio di giorno e di notte: per il suo sostentamento fece molti doni. All' attività di questo papa nella basilica di San Crisogono è anche attribuita l ' iniziativa della costruzione di una cripta semianulare destinata ad accogliere le reliquie dei mar­ tiri che furono trasferiti dai cimiteri suburbani. 83 Allo stesso modo si rinnovò il monastero dei santi Giovanni Evangelista, Giovanni Battista e Pancrazio, istituito da molto tempo accanto alla Basilica Lateranense, dove pure furono posti un aba­ te e una congregazione di monaci. Gregorio III ricostruì poi dalle fondamenta la basilica di San Callisto pon­ tefice e martire (probabilmente la basilica cimiteriale), alla quale offrì dei doni; e realizzò il nuovo tetto per la basilica dei Santi Processo e Martiniano sulla via Aurelia, per la Basilica Marci sulla via Ardeatina, 84 e per la chiesa di San Gene­ sio martire sulla Via Tiburtina, dove eresse un altare al Salvatore, al quale anche fece dei doni. Nella basilica di Santa Maria ad martyres restaurò la copertura che era stata privata delle lastre di bronzo da Costante II nel 663 . Riedificò dalle fondamenta la basilica di Santa Maria in Aquiro, e la fece dipingere.85 Ampliò pure dalle fondamenta la diaconia dei Santi Sergio e Bacco sita presso San Pietro, dove prima c'era un piccolo oratorio (identificato nella pianta di Tiberio Alfarano a nord del transetto della basilica).86 Istituì una stazione annuale nel 82. Delogu 1 988a. 83. Melograni 1990. 84. Fiocchi Nicolai 1997a; Fiocchi Nicolai, Del Moro, Nuzzo 1 995- 1 996. 85. CBCR Il, pp. 275-276; Coates-Stephens 1 997, pp. 1 9 1 - 1 92. 86. Ibidem, pp. 1 92- 1 93 .

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cimitero di Santa Petronilla, offrendo donativi. Restaurò e fece dipingere gli accubita che si trovavano rovinati presso San Pietro. Restaurò e sostituì le travi di una parte del soffitto della basilica di San Paolo, e lo stesso nella basilica di Santa Maria Maggiore. Nel lapidario della basilica di San Paolo fuori le mura è conservata un' iscri­ zione con un breve di Gregorio III nel quale si regolano le ablazioni quotidiane agli altari di San Paolo. Il papa rifece anche la chiesa dei Santi Marcellino e Pietro presso il Laterano, sulla via Merulana, probabilmente una basilica a tre absidi, in seguito ridotta a due,87 e i tetti dei cimiteri dei santi Gennaro, Urba­ no, Tiburzio, Valeriano e Massimo, cioè il principale santuario del cimitero di Pretestato sulla via Appia. A questa impressionante sequenza di interventi sul patrimonio monumentale sacro della città, va aggiunto che Gregorio III riuscì in quello in cui i suoi predecessori avevano fallito: rinforzare finalmente le mura della città, un'opera finanziata con le risorse personali del papa il quale, secondo il suo biografo, pagò il vitto per gli operai e la calce per la costruzione. Il suo corpo fu sepolto nell'oratorio dedicato alla Vergine che lui stesso aveva fatto costruire nella basilica di San Pietro. L'attività di papa Zaccaria è in gran parte centrata, secondo il dettato del Liber Ponti.ficalis, negli interventi compiuti nel Patriarchio Lateranense, dei quali par­ leremo più avanti. Ma a lui si devono anche molti altri interventi nel campo della valorizzazione del patrimonio sacro e delle attività assistenziali connesse agli edifici di culto. Nelle chiese di San Pietro e di San Paolo fece fare dei veli di seta da appendere tra le colonne, e donò a San Pietro tutti i suoi codici personali, oltre a un tessuto ornato d' oro e di pietre preziose per l'altare, sul quale era raffigurata la Natività, veli di seta e una corona di argento purissimo; per l'altare dedicato a Sant'Andrea a San Pietro donò vesti. Nel Liber è attestata anche la fondazione di grandi aziende agricole poste nei dintorni di Roma, le cosiddette domuscultae, finalizzate al controllo del territorio e a un più razionale approvvigionamento del­ le derrate;88 e il ritrovamento di una reliquia del teschio di san Giorgio. Zaccaria ripristinò inoltre l'antico titulus di Sant'Eusebio, che era crollato (vi interverrà poi Adriano 1), 89 e non si può escludere che sia stato il promotore di due oratori, uno al Tempio della Minerva e un altro oggi identificabile con il sito di San Gre­ gorio Nazianzeno, al Campo Marzio, edificati quando giunsero a Roma monache greche in fuga dalle persecuzioni iconoclaste di Costantinopoli.90 Il successore di Zaccaria, Stefano II, non sembra aver svolto un'attività partico­ larmente ampia nei confronti del patrimonio sacro di Roma, ma a lui si devono alcuni importanti restauri edilizi (come quello della basilica di San Lorenzo situata presso San Clemente, e del soffitto del cimitero di Sotere sulla via Appia, che era crollato); 87. Resti di questa chiesa emersero durante i lavori condotti sotto il pontificato di Benedetto XIV, ne1 1 75 1 , quando se ne avviò una completa ricostruzione: ibidem, pp. 1 93- 1 95. 88. De Francesco 1 996; Marazzi 1998; Marazz i 2003. 89. CBCR, l, pp. 20 1 -2 1 6; Coates-Stephens 1 997, p. 1 95. 90. Coates-Stephens 1997, pp. 1 95- 198.

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il ripristino di quattro xenodochia situati da tempo in città, ai quali fece molti doni, e la fondazione dello xenodochium detto in Platana, in Campo Marzio; l'allestimento di altri due nei pressi di San Pietro ai quali associò due diaconie: un segnale mate­ riale molto evidente del crescente pellegrinaggio europeo a Roma, ma anche dell'at­ tenzione che questo papa dedicò alle opere assistenziali. Un'iscrizione rinvenuta a Sant'Angelo in Pescheria gli attribuisce l'edificazione di questa chiesa, anche se il Liber Pontifìca/is non ne fa cenno e ricorda invece un donativo di tessuti e vasellame liturgico da parte di Leone ill .91 In Santa Maria Antiqua fece dorare due immagini della Vergine che si trovavano davanti all'altare e ne donò una terza a Santa Maria Maggiore, dove la Vergine era seduta in trono con il Bambino in grembo: immagine che pure rese preziosa con abbondanza di oro e di gemme. Ma sicuramente l'ope­ razione per la quale Stefano n fu a lungo ricordato è la trasformazione di un antico mausoleo imperiale che si trovava a San Pietro, sul quale ritornerò più avanti. Paolo I fondò un monastero dedicato a Santo Stefano e a San Silvestro nella propria casa paterna, dove fece allestire un oratorio nel quale depose le reliquie di questi santi per i quali, specialmente a Silvestro che secondo la leggenda aveva guarito Costantino, aveva particolare devozione: la chiesa del monastero prese poi il solo nome di San Silvestro in Capite.92 Due iscrizioni monumentali con­ servate nell'atrio della chiesa presentano, la prima, l'elenco delle feste relative ai santi le cui reliquie erano lì custodite; la seconda, le feste relative alle sante. Alla chiesa del monastero donò un ciborio d'argento e vi pose innumerevoli reliquie che provenivano dai cimiteri abbandonati. Costruì poi una chiesa sulla via Sacra, accanto al tempio di Roma, in onore dei Santi Pietro e Paolo, laddove si trovava una pietra sulla quale si credeva si vedessero le impronte lasciate dai due apostoli nel punto in cui si erano inginocchiati.93 Il papa donò poi a Pipino, su sua richie­ sta, il monastero di Sant'Andrea al Soratte, con i monasteri di Santo Stefano e San Silvestro ad esso collegati, destinandoli a luoghi di sosta e di ritiro spirituale per i pellegrini che visitavano le tombe apostoliche. Oltre agli interventi ricordati, Paolo I rinnovò il tetto della chiesa dei Santi Filippo e Giacomo sulla via Lata, che era in rovina. Morì in San Paolo e vi fu sepolto, per poi essere traslato solo in seguito in San Pietro. Non dal Liber Pon­ tifìca/is ma da un' iscrizione dipinta sappiamo peraltro che Paolo I fu all'origine della realizzazione dell'affresco absidale di Santa Maria Antiqua, e allo stesso papa è attribuita la teoria di ventidue santi, identificati con il nome in greco ac­ canto al nimbo, sulla parete della navata sinistra della medesima chiesa, al di sopra della quale vi sono le storie veterotestamentarie su un doppio registro e al di sotto un velo, con frange nere, a decorazione policroma su fondo bianco.94 Del suo successore Stefano III, il cui pontificato fu molto breve e turbolento, non sono documentati particolari interventi sull'edilizia sacra di Roma. Di Adriano tratterò 9 1 . CBCR, I , pp. 66 ss.; Coates-Stephens 1 997, pp. 1 98-200. 92. Gaynor, Toesca 1 963, pp. I l ss. 93 . CBCR, I, p. 222; Coates-Stephens 1 997, p. 200. 94. Da ultimo: La Mantia 20 1 0.

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più avanti, mentre l ' illustre Leone III, che divenne papa nel 795, appartiene già alla sequenza e alla storia dei papi di IX secolo.

7. Gli interventi nella Basilica Vaticana Il 2 1 marzo dell'anno 706 papa Giovanni VII consacrava un oratorio dedi­ cato alla Madre di Dio, situato nella navata settentrionale della basilica di San Pietro e destinato ad ospitare anche la sua sepoltura. Trasformato in oratorio per la Veronica, demolito nel 1 606, fu disegnato e descritto da Giacomo Grimaldi, le cui carte hanno consentito di ricostruire dettagliatamente la struttura, le misure e la forma del vano, il suo arredo e la decorazione muraria, costituita quest'ultima di marmi venati e di mosaici figurativi.95 Al di sopra dell'altare, incorniciato da un archivolto sorretto da colonne vitinee, la cui imposta si trovava a circa 4, 70 dal pavimento, si stagliavano immagini musive raffiguranti al centro la Madonna,96 verosimilmente in una nicchia, e ai lati un ciclo mariano e cristologico, al quale si accompagnava un altro ciclo, incentrato sugli apostoli Pietro e Paolo. Nove frammenti dei mosaici dell 'oratorio di Giovanni VII, dispersi all' inizio del Sei­ cento, si trovano ora a Roma, Firenze, Orte e Mosca. Il resto della decorazione è completamente scomparso. Il già ricordato ciclo cristologico al di sopra dell'al­ tare raccontava la vita di Cristo a partire dall'Annunciazione alla Madonna fino all ' Anastasis e alle donne al sepolcro, e accompagnava un' immagine di Maria in atteggiamento orante. Il muro settentrionale adiacente presentava scene apocrife della vita dei santi Pietro e Paolo.97 Con il riuso di colonne antiche di rara bellezza, Giovann i VII avrebbe an­ ticipato di un quarto di secolo la messa in opera nel presbiterio di San Pietro, ai tempi di Gregorio III (73 1 -74 1 ), di un lotto assortito di colonne affini a quelle donate alla basilica dall ' imperatore Costantino.98 A Gregorio III l'esarca Eutichio donò, infatti, 6 colonne tortili di onice, che il papa portò a San Pietro e pose da­ vanti alla confessione, tre a destra e tre a sinistra, in linea con altre sei più antiche (ricordate nella Vita di Silvestro), dopo averle fatte rivestire di argento purissimo, e dotate di capitelli travi e corone argentee:99 su di esse furono effigiati da un lato il Salvatore con gli apostoli, dall'altro la Madre di Dio con sante vergini. Questa testimonianza ci documenta sull' importanza che avevano le colonne nella com­ mittenza non solo papale e non solo di questo secolo. 100 Sempre nella basilica di San Pietro, nei pressi dell'arco trionfale, all'estre­ mità della navata principale, a sinistra andando verso la confessione, dalla parte 95. Ballardini 201 1 . 96. Themelly 2006-2009. 97. Nordhagen 1 965; Andaloro 1989; van Dijk 200 1 ; Id 2006. 98. LP, l, p. 1 76. 99. Geertman 2003b. 1 00. Zanichelli 20 12.

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degli uomini, Gregorio III fece un oratorio nel quale, in onore del Salvatore e della Vergine, depose reliquie dei santi apostoli e di tutti i santi martiri e confes­ sori. Nello stesso oratorio, nel quale fu istituito un servizio liturgico perpetuo, fu posta una pergola, una traversa destinata a sorreggere diversi oggetti sacri, come lampade, vasi, croci, corone: secondo Louis Duchesne questa pergola si doveva trovare, basandosi sulla descrizione che ne dà Pietro Mallio nel XII secolo, 101 applicata al pilastro «qui correspondait à la première colonnade de la nef», a sinistra, e limitava dal lato sud l'oratorio di Gregorio IIV02 Nell'oratorio furono anche affisse tre lapidi marmoree sulle quali erano incisi i decreti del concilio convocato da Gregorio II il 1 2 aprile 732 nella basilica di San Pietro, e qui il papa si fece seppellire. La liturgia di questo santuario fu affidata a tre monasteri collocati presso San Pietro: i Santi Giovanni e Paolo, Santo Stefano Maggiore e San Martino. Accanto a San Pietro il papa aveva anche ripristinato le diaconie dei Santi Sergio e Bacco. Così fece per Santa Maria in Aquiro, dotando entrambe le diaconie di rendite che ne garantissero il funzionamento. Nelle grotte vaticane è conservata un' iscrizione marmorea con i resti degli atti del sinodo del 732 in cui si deliberarono queste disposizioni. Del papa Zaccaria si deve ricordare che dotò San Pietro di una biblioteca di testi liturgici alla quale fece dono di diversi codici appartenenti alla sua famiglia. Stefano II trasformò un antico mausoleo imperiale accanto alla basilica di San Pietro (posto in asse con un'analoga costruzione che già Simmaco aveva trasformato in oratorio di Sant'Andrea) in una chiesa dedicata a Petronilla, un sito che divenne chiesa familiare dei re franchi a Roma, visto che vi si depose il corpo di una martire, ritenuta figlia di Pietro apostolo, particolarmente venerata dai sovrani franchi. 103 Nella stessa San Pietro il papa installò nell'atrio otto colon­ ne marmoree scolpite, di straordinaria bellezza, sulle quali pose una copertura, intorno al cantharus. Oltre agli xenodochia, ai quali ho già accennato, aggiunse un quarto monastero (Santo Stefano minore) ai tre che già si trovavano presso San Pietro (Santi Giovanni e Paolo, Santo Stefano e San Martino) e che erano stati organizzati da Gregorio III nel concilio del 732. Paolo I operò la solenne traslazione del corpo e del sarcofago marmoreo di san­ ta Petronilla nell'oratorio a questa santa dedicato proprio da Stefano II, traslazione alla quale il suo predecessore non aveva potuto presiedere per il sopraggiungere della morte. In questa occasione, l'ambiente fu decorato di nuove pitture (ancora visibili alla metà del Quattrocento e illustranti probabilmente episodi della vita di Costantino). Nel contesto delle relazioni tra questo papa e i Franchi, e in special modo nell'ambito del consolidamento della presenza di Pipino a Roma, Costantino I collocò e inaugurò in San Pietro una mensa d'argento che Pipino aveva donato. 104 Nella basilica di San Pietro, vicino all'oratorio di San Leone papa, allestì poi un 1 0 1 . CTCR 1946, III , pp. 382-442. 102. LP, l, p. 432, nota 1 5 . 103. Voci 1 993. 104. Angenendt 1 977.

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oratorio dedicato alla Madre di Dio, accanto alle porte che conducono alle cappel­ le di Santa Petronilla e Sant'Andrea, ornandolo di mosaici e metalli, 105 dove pose anche un'effigie della Vergine in argento dorato e dove si preparò la sepoltura. Fece inoltre una seconda cappella dedicata alla Vergine posta nel corpo d' ingresso ali' atrio di San Pietro, chiamata Santa Maria ad grada che decorò magnificamente. Questo oratorio si trovava in corrispondenza della torre elevata da Stefano Il. Alla fine del Cinquecento, Grimaldi lo vide demolire, ancora decorato dei mosaici di VIII secolo. Papa Adriano I ebbe una speciale devozione per la basilica di San Pietro, alla quale assegnò ricche donazioni, a partire dagli anni 7 72-77 4, soprattutto per la zona della confessione, dove fece fare una copertura d 'oro e di pietre pre­ ziose per l ' altare con la rappresentazione di Pietro al quale gli angeli toglievano le catene. Fece poi rivestire d'argento il pavimento d'accesso al presbiterio fino alla confessione; installò un grande lampadario davanti al presbiterio, che do­ veva essere accesso quattro volte all ' anno, i giorni di Natale e di Pasqua, quelli della nascita di Pietro e del papa. Mosaici d'oro ornavano l ' insieme. Nel 787 fece completare questo programma dell' altare con un' immagine d'oro di 200 libbre di peso che rappresentava Gesù, la Vergine, e gli apostoli Pietro, Paolo e Andrea. Ormai l 'oreficeria occupava tutto il contesto della tomba di Pietro e dell 'altare. In seguito il papa si dedicò a rinnovare i portici del vestibolo di San Pietro e la scalinata che conduceva all 'atrio, oltre che ai dintorni del Tevere nella zona antistante Castel Sant'Angelo. Volle tre diaconie per accogliere i pellegrini. Ma una delle sue commissioni più importanti fu sicuramente rappresentata dalle por­ te in bronzo, fatte venire da Perugia nel 790-79 1 , per l ' ingresso in corrispondenza della torre di Santa Maria in turris (anche attestata come Santa Maria ad grada), segno ineludibile di un grande progetto di rinnovamento che includeva come indispensabili gli elementi decorativi. A questa attività contribui peraltro anche Carlomagno, sia con manodopera che con materiali e finanziamenti pecuniari, come si evince non dal Liber ma dalla corrispondenza tra il papa e il futuro im­ peratore: fu il sovrano infatti a fornire un magister che si occupasse di reperire le lunghe travi necessarie per il restauro del tetto della basilica di San Pietro, nella quale furono trasferite nuove preziose reliquie. 106

8. Il palazzo dei papi Il palazzo del Laterano, principale dimora romana dei papi, continua a rap­ presentare, nel corso dell'VIII secolo, una parte dell'eredità costantiniana, ma so­ prattutto il fatto che il papa è il vescovo di Roma e la Basilica Lateranense la sua

1 05. Ponzo 1 996. 1 06. Bauer 2003, pp. 1 90- 1 93 .

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cattedrale. 107 Per questa ragione ogni intervento nel palazzo papale si configura come un atto pubblico. Oltre a Costantino I, che verosimilmente ebbe a mostrare attenzioni sul piano della committenza artistica, fu il papa Zaccaria a intervenire in maniera determi­ nante sul Palazzo Lateranense, lasciato in abbandono dal momento in cui alcuni pontefici avevano preferito risiedere nel sito fatto allestire da Giovanni VII presso Santa Maria Antiqua. Il palazzo fu così restaurato e rimesso in funzione. Furono costruiti e decorati nuovi ambienti. Così ci racconta il suo biografo: in Lateranense Patriarchio ante basilicam beate memorie Theodori papae [si trattava di una grande sala dedicata al papa Teodoro, che doveva trovarsi vicino all 'entrata principale del palazzo e della grande scala, in prossimità dell' oratorio di San Sil­ vestro] a novo fecit tricliniwn quem diversis marmorewn et vitro metallis atque musibo et picture ornavit.

Si trattava dunque di un triclinio, ornato, secondo la fonte, di decorazioni musive e pittoriche; di sacre immagini ornò anche l'oratorio di San Silvestro e il portico. Fece anche una torre, davanti allo scrinium, con porte e cancelli di bron­ zo, affiggendo all' ingresso un' immagine del Salvatore; al piano superiore, sulla stessa torre, fece costruire anche un altro triclinio, pure fornito di cancelli di bron­ zo, sulle cui pareti fece dipingere una descrizione del mondo (carte geografiche?) accompagnata da versi «et per ascendentes scales in superioribus super eandem turrem triclinium et cancellos aereos construxit, ubi et orbis terrarum descriptione depinxit atque diversis versiculis ornavit». Il Laterano doveva mostrarsi a questo punto completamente trasformato: dotato di nuovi ambienti di ricevimento e de­ corato sontuosamente. Ma quando si parla del Palazzo Lateranense nel corso dell'VIII secolo, non si può non ricordare la storia dell' icona del Salvatore, una delle più importanti immagini della Roma medievale, ritenuta acheropita, cioè non dipinta da mano umana, e ancora oggi visibile sull'altare del Sancta Sanctorum, cappella privata dei pontefici, scrigno di alcune delle più preziose reliquie della Chiesa di Roma. La grande popolarità del Salvatore lateranense prese forma per la prima volta proprio durante l'VIII secolo, quando è menzionata per la prima volta nella bio­ grafia di Stefano II (752-757) nel Liber Ponti.ficalis, come «sacratissima imagine domini Dei et salvatoris nostri lesu Christi quae acheropsita nuncupatur>> . 108 I lavori compiuti da Zaccaria in Laterano diedero una nuova visibilità al palazzo in quanto residenza pontificate, con la decorazione dell'oratorio di San Silvestro, il portico frontale del palazzo, il triclinio e altri interventi monumentali. Con Adriano I i lavori ripresero con la chiara volontà di rendere il palazzo l 'equi­ valente dei palazzi reali e imperiali europei, ma anche di dotarlo di strutture di carità. Negli anni 774-776, il biografo di questo papa è molto dettagliato sulle sue 107. de Blaauw 1 994b; Le Pogam 2005. 108. LP, I, p. 443. Andaloro 199 1 ; Ead 2000c ; Romano 2000b; Ead. 2002; Noreen 2006; Lucherini 2009c; Ead 20 15. .

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attività a favore del palazzo: costruzione di una torre nella zona orientale colle­ gata con un portico, destinato ad accogliere la mensa dei poveri e accompagnato da un bagno.

9. Il papa del rinnovamento: Adriano I Ad Adriano I (9 febbraio 772-25 dicembre 795), il cui pontificato fu decisivo nella storia del potere temporale del papato di Roma, 109 sono attribuite dalle fonti un numero di commissioni di opere d'arte e di architettura che non trova confron­ ti durante l'VIII secolo in nessuno dei suoi predecessori. 1 10 La principale fonte di informazioni su questo papa è il Liber Ponti.fica/is, 111 che c i fornisce una sorta di immagine a tutto campo della città alla fine dell'VIII secolo, ma anche la perce­ zione che di quel rinnovamento si aveva nella città. La biografia si struttura in due parti : la prima ci dà notizia sulle vicissitudini politiche e le relazioni tra il papa e i Franchi, dall'elezione di Adriano fino alla visita a Roma di Carlomagno nel 774. Vi troviamo poi una lista molto puntuale, anno per anno e chiesa per chiesa, delle iniziative prese dal pontefice nella sua attività di committente di opere d'arte e di architettura. Differenti ipotesi sono state formulate sulla ragione dell' interruzione del racconto nel 774, ma si tratta di un dibattito che esula dal nostro proposito. Con Adriano, le reliquie dei papi ancora conservate nelle catacombe presero il "cammino" delle basiliche, come per esempio nel caso delle spoglie di quattro dei suoi predecessori che si trovavano nella catacomba di Callisto. Numerose chiese, come Santa Maria in Cosmedin, furono dotate di nuove reliquie. Volendo riassumere i suoi interventi per aree, Adriano restaurò le chiese di San Marco, di San Marcello e dei Santi Apostoli sulla Via Lata; di San Lorenzo in Lucina, di San Lorenzo in Damaso (dove nel frattempo era stato trasferito il corpo di Damaso), tutte nella zona del Campo Marzio, cosi come probabilmente anche il monastero di San Lorenzo Palatinis; poi San Felice sul Pincio; Santa Susanna sul Quirinale; Santa Prassede, Sant'Eusebio, Santa Pudenziana, nel 782783, tra il Viminale e la Suburra, e nella stessa area Santa Maria Maggiore (alla quale era associato il monastero dei Santi Lorenzo e Adriano, presso la gradinata della basilica), San Lorenzo ad Formonsum, San Silvestro in Orfea, San Mar­ tino iuxta titulus Sancti Si/vestri; il titulus Apostolorum (San Pietro in Vincoli) sul colle Oppio; Santa Croce in Gerusalemme; San Clemente, Santi Giovanni e Paolo, Santi Quattro Coronati e Santo Stefano Rotondo, sul Celio; San Giovanni a Porta Latina e San Sisto sull'Appia; Santa Prisca sull'Aventino (dove fu restau­ rato anche il monastero di San Saba); Santa Maria in Trastevere, della quale qui è attestata per la prima volta la titolazione alla Vergine. Intervenne inoltre sulle dia­ conie: due le fondò ex novo (Sant'Adriano, e Santi Cosma e Damiano), mentre ne 1 09. Hartmann 20 1 0. I l O. Bauer 2003 . 1 1 1 . LP, l, pp. 486-5 14.

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fece restaurare altre due (Santa Maria Antiqua, e Santi Sergio e Bacco). Ampliò Santa Maria in Cosmedin, aggiungendo tre absidi, due navatelle, un portico, e la arricchì di pitture e di marmi; sotto il presbiterio fece scavare una cripta a forma di piccola basilica: Diaconia vero sanctae Dei genitricis semperque virginis Mariae quae appellatur Co­ smidin, dudwn breve in edificiis existens, sub ruinis posita, maximwn monwnentwn de Tuberttinos tufos super ea dependens( . . . ]. Simulque collectio ruderum mundans, a fundamentis aedificans, praedictamque basilicam ultro citroque spatiose largans, tresque absidas in ea construens praecipuus antistes, veram Cosmidin amplissima noviter reparavit.

Per quel che riguarda la basilica di Santa Pudenziana, il monogramma del papa fu inserito nel mosaico dell'abside che fu verosimilmente restaurato, cosi come quello di Santa Maria Maggiore. Il corpo di san Paolo, sepolto nella basilica a lui intitolata, fu rivestito di la­ mine argentee, 1 12 e a questa stessa basilica furono offerti altrettanti doni analoghi a quelli per San Pietro; fu restaurato il tetto, le navate laterali e anche laporticus, fu ripavimentato l'atrio. Tessuti, veli e cortine furono donati anche alla basilica di Santa Maria Maggiore, e così alla basilica Lateranense e a quella di San Loren­ zo. Meno consistenti ma forse ugualmente preziosi furono i tessuti donati a San Valentino, San Pancrazio, San Marco, San Lorenzo ad Taure/lum, San Felice in Pincis, San Lorenzo in Damaso, Santi Apostoli in via Lata: in queste ultime cin­ que fu rifatto o restaurato il tetto che era in cattive condizioni. Intervenne poi nel cimitero dei Santi Pietro e Marcellino, nella basilica di Sant'Adriano, nel titolo di Santa Prisca, nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano: restaurò e offrì tessuti a molte altre chiese della città. Ma non si fermò ai luoghi sacri: rifece anche le mura e le torri che erano andate distrutte o crollate, 113 e intervenne sugli acque­ dotti, ricostruendone completamente quattro; rifece i portici che conducevano alle principali mete di pellegrinaggio. Fondò poi il monastero di Santo Stefano Catabarbara, sito presso San Pietro, dove si cantassero le lodi come negli altri tre monasteri della basilica. Organizzò pure molte altre nuove domuscultae. A nord d i Roma, su un terreno di proprietà familiare, il papa fece costruire una azienda agricola al fine di usarne i benefici per la carità ai poveri. Ma troppo lungo è l 'elenco degli interventi per poterlo qui sintetizzare. Basti dire che con Adriano I si assisté in effetti a un processo di rinnovamento che coinvolse l' intera città, e tutti gli ordini di edifici di culto, un'attività sul quale il biografo papale del Liber Ponti.ficalis possedeva documenti di prima mano. 1 14 Per quanto riguarda gli oggetti mobili, anche in questo caso i suoi doni furono di grande ricchezza e distribuiti in tutta la città, a cominciare dal tessuto destinato u ricoprire l 'altare di San Pietro: di straordinaria bellezza, fatto di oro e di gemme, 1 12. Geertman 2003. 1 13. Pani Ennini 1 992. 1 14. Bauer 2003.

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illustrava la storia della liberazione di san Pietro dal carcere da parte degli angeli. Oltre a questo, altri tessuti di varia fattura destinati alla medesima basilica, e an­ cora vasellame liturgico, in particolare un calice magnifico che doveva sostituime uno perduto, secondo il Liber, sotto Paolo I, e un ciborio di argento purissimo per la chiesa di Sant'Andrea lì accanto. Rifece poi le scale che portavano dall'atrio al nartece della basilica e quelle che conducevano alla chiesa dai portici laterali; restaurò il tetto della chiesa, e il mosaico absidale; istallò nuove porte bronzee nell'atrio; ripristinò le tre diaconie che facevano capo a San Pietro. L'ampiezza delle operazioni papali nel campo dell'edilizia, 1 15 della decora­ zione1 16 e dei donativi impressiona così tanto il compilatore della sua Vita che questi ad un certo punto li riassume, dando la sua interpretazione dei fatti: A t vero cum omnibus spiritualibus studiis quae iisdem ter beatissimius atque almi­ ficus pontifex tam pro augmentum et utilitatem profectibus sanctae Romanae ec­ clesiae perficiendis quamque pro restaurationibus ecclesiarum Dei et divini cultus meliorationibus gerere videbitur, magnam etiam sollicitudinis curam et amoris af­ fectum in sancta et veneranda patriarchii domus certum est habuisse.

per poi riprendere la catalogazione delle diverse operazioni di restauro e di donazione che avevano visto protagonista il pontefice. Per meglio mettere in valore l'opera costruttiva del papa, il Liber Ponti.ficalis insiste molto sullo stato di abbandono, di decadenza e di rovina nella quale si trovava la città di Roma nel momento dell'elezione del papa, e usa di frequen­ te i termini vetustas e deso/atio per sottolineare come quegli edifici fino a quel momento in tali condizioni risplendessero ora nuovamente. Adriano I è infatti anche il papa sotto il cui pontificato la città è descritta come un sito nel quale le costruzioni sacre versavano nella più completa rovina, tanto da necessitare di un enorme rinnovamento, nel quale Adriano I emerge come un campione del restauro architettonico, 1 17 sia sacro che civile, tanto più rilevante quanto più i suoi predecessori si erano resi colpevoli di aver abbandonato a se stessi gli edifici: non tanto una città da cambiare, quindi, quanto una città da riportare a un antico splendore, quello idealizzato della Roma del primo cristianesimo monumentale. Con Adriano I ci troviamo di fronte al papa di VIII secolo al quale sono attribuite più commissioni in assoluto, 1 18 in totale centotrentaquattro interventi, di cui solo due fondazioni ex novo, e tutti gli altri restauri e donazioni: più che a un papa costruttore, ci troviamo di fronte a un papa restauratore, animato da una volontà fortissima di ripristinare, restaurare, rifare, ridecorare una città che, malgrado i torbidi di cui era stato palcoscenico nel corso del secolo, conservava ancora monumenti rimarchevoli sia del passato cristiano che di quello pagano della sua storia. Sotto il suo pontificato si riprese peraltro la produzione di mat­ toni con la finalità di fornire i materiali necessari a tutte queste riparazioni e 1 1 5. Fondò anche due diaconie, per le quali si veda Bertolini 1 947. 1 1 6. Andaioro 2003 . 1 1 7. Rolfi Ozvald 2006. 1 1 8. Bauer 1 999a.

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costruzioni; si restaurarono gli acquedotti e quattro si ripristinarono; si ricostruì l ' intera cinta muraria, rafforzandola con torri; si diede nuova vita ai siti subur­ bani, le catacombe, 1 19 i cimiteri, le basiliche subdiali, e non ultimi ai portici che conducevano alle principali basiliche. Fu ampliato e incrementato, con il fine di sfruttare in modo ottimale l 'agricoltura, il sistema delle domuscultae fondato da Zaccaria, fonte di notevoli entrate economiche. L' intera città fu resa funzionale attraverso le sue strutture più importanti: il popolo, il clero e i pellegrini che vive­ vano o arrivavano nella Roma di Adriano I dovettero trovarsi di fronte a una città cantiere, ma soprattutto a una città, non trasformata, ma profondamente rinnova­ la. Alla fine del secolo, però, nel 79 1 , una disastrosa inondazione del Tevere si scatenò sul paesaggio monumentale di Roma: ce ne resta testimonianza nel Liber Pontifica/is. 1 20

l O. Un racconto visuale: / 1tinerario di Einsiedeln

Sulla topografia cristiana e la sua utilizzazione dal punto di vista del pelle­ grinaggio degli edifici religiosi della città di Roma, 121 ci dà ampia testimonianza i l cosiddetto Itinerario di Einsiedeln, che trae il suo nome del monastero svizzero nel quale è tuttora conservato il manoscritto che lo ha tramandato. 122 L' itinerario è databile nel suo nucleo più antico in un momento anteriore al pontificato di Adriano I, considerata l 'assenza di riferimenti agli importanti restauri condotti da lJUesto papa. 123 L'ipotesi tradizionale sull' itinerario lo ha interpretato come una /egenda di una perduta pianta di Roma, che nel 1 907 HUisen suggeri fosse stata circolare, ma si sarebbe dovuto trattare di una pianta enorme includente più di cento toponimi, un' idea che non trova conferma nella documentazione figurativa superstite, nella quale il più antico esemplare di rappresentazione urbana in cui i monumenti sono sistemati in relazione alla loro effettiva posizione nella topogra­ fia di Roma non risale a prima della metà del Trecento (fra' Paolino da Venezia). Non è più considerata attendibile neanche l' ipotesi che ha voluto vedere nell' iti­ nerario una guida per i pellegrini, e si è fatta strada la supposizione che si possa t rattare di «uno strumento, estremamente formalizzato, per descrivere lo spazio urbano usando un codice esclusivamente verbale» . 124 L' itinerario elenca dieci percorsi che attraversano la città, completati da un e lenco di luoghi sacri extraurbani: la lista, al di là delle chiese, ricorda anche le principali porte della cinta aureliana, le terme, gli acquedotti, i circhi, il Foro Ro­ mano e il Foro di Traiano, ma non annovera nessun tempio. 125 L'assenza di questa 1 19. Spera 1 997. 120. Manacorda 200 1 , p. 1 30 (doc. 30). 1 2 1 . Topogrqfia urbana 1 973. 122. Santangeli Valenzani 200 1 ; per l'edizione critica: Del Lungo 2004. 123. Belardini, Delogu 2003 . 124. Santangeli Valenzani 200 1 , p. 1 57. 125. Belardini, Delogu 2003 .

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monumentalità pagana nell'elenco non deve essere considerata come il segnale della scomparsa della Roma antica, né materialmente, a livello monumentale, né simbolicamente, nell ' impatto che i monumenti antichi produceva nei visitatori,126 ma è dovuto al fatto che l' itinerario annovera soltanto i siti di culto cristiano come sedi di un culto attivo e soprattutto come luoghi essenziali del paesaggio urbano, 127 malgrado che la Roma di VIII secolo continuasse a essere una città cri­ stiana, nella quale l'arco di Costantino, il Colosseo e le colonne tortili erano ben presenti nella realtà e nell'immaginario cittadino. La Roma di VIII secolo, soprattutto durante e a seguito del pontificato di Adriano I, doveva però apparire profondamente diversa rispetto alla città tardo­ antica. 128 Ne fa fede in primo luogo il dettato del Liber Ponti.ficalis, che ricor­ da continuamente durante l ' intero secolo gli interventi di restauro, dando inoltre l ' immagine di una città nella quale anche gli edifici sacri più antichi si mostravano in condizioni di degrado. 129 A proposito di Gregorio II, ad esempio, il biografo ri­ corda che «diversas ecclesias in ruinis positas innovavit, quas per ordinem dicere longum est». Nelle Vite di Stefano II ma soprattutto di Adriano I si raggiunge un picco inedito di operazioni volte al ripristino di edifici preesistenti. Proprio nella Vita di Gregorio II si fa anche riferimento ai danni provocati dalla piena del Te­ vere che «domos evertit, agros desertavit, eradicans arbusta et segetes; nam nec serere ipso potuit tempore pars maxima Romanorum» : un passaggio testuale nel quale ben a ragione si è visto il segnale di una ruralizzazione già in atto del pae­ saggio urbano di Roma, un paesaggio molto legato alla periferia extra muros. 130

1 1 . La città dei papi al centro del potere carolingio L'VIII secolo termina di fatto con la morte di Adriano I, alla fine del mese di dicembre del 795. Roma e il papato si trovavano finalmente al centro del potere carolingio non solo dal punto di vista religioso, politico o economico, ma anche sociale e culturale. 13 1 Come esempio puntuale di queste nuove relazioni ricor­ deremo il Sacramentano gregoriano inviato da Roma da Adriano I su richiesta espressa di Carlo Magno. 132 Sotto il portico della basilica di San Pietro in Vatica­ no si conserva la celebre lapide che contiene l ' iscrizione fatta eseguire in Francia 1 26. Santangeli Valenzani 2003. 1 27. Belardini, Delogu 2003, pp. 205-223. 128. Nella visione di Krautheirner, il periodo tra la fine del VII secolo e l'inizio deii'Vlll si configura come una sorta di età buia prima della cosiddetta rinascenza carolingia. Questa interpre­ tazione è stata rivista, con l'ausilio dei dati archeologici, da Coates-Stephens 1 997. 1 29. Bauer 2004. 1 30. Santangeli Valenzani 2003, p. 228: «un'indifferenziata commistione tra danni alle strut­ ture urbane (domos evertit) e a quelle rurali, le difficoltà per gli abitanti della città derivano non più dall' impossibilità di svolgere attività tipicamente urbane, ma dal fatto di non poter mietere» . 1 3 1 . Delogu 1 998b. 1 32. Palazzo 1 993, pp. 73-79.

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da Carlo Magno per la tomba di Adriano I,133 (fig. 4) e sulla cui commissione ci i n forma un ben noto passaggio degli Annali di Lorsch. 134 Si tratta di un lungo epitaffio scritto nel marmo in lettere d'oro, con una bella calligrafia antichizzante c una cornice ornata di intrecci vegetali,135 per la scrittura del quale furono im­ pegnati i principali intellettuali della cerchia di Carlo Magno, che esaltarono il programma di renovatio intrapreso da Carlo Magno con l'appoggio del papa. 136 Come testimonianza di questo coinvolgimento si conoscono due testi importanti redatti alla memoria di Adriano I, uno attribuito a Teodulfo d' Orleans, 137 l'altro ad Alcuino. 138 Nell'anno 800 ebbe luogo l' incoronazione imperiale di Carlo Magno a Roma, in San Pietro: un evento anticipato qualche mese prima dalla figurazione di papa Leone III e Carlo Magno nel mosaico del Triclinio Lateranense, la più fervente manifestazione dell'alleanza della regalità franca con il papato. Il suc­ cessore di Adriano I, Leone III (26 dicembre 795- 1 2 giugno 8 1 6), 139 si concentrò in particolare sugli interni delle chiese, laddove Adriano I non era arrivato. Ma questo appartiene al capitolo successivo.

133. de Rossi 1 888a; Favreau 1 997, pp. 64-68. 1 34. MGH, I, p. 36. 135. La lastra è riprodotta in Silvagni 1 943. Sulle belle iscrizioni di questo periodo impaginate in moduli verticali si veda De Rubeis 200 1 . 1 36. Treffort 2007, pp. 9- 1 3 . 1 37. MGH, I , pp. 489-490. 138. MGH, I, pp. 1 1 3- 1 1 4; Treffort 2004, pp. 1 1 - 1 4. Su questa problematica si veda in prece­ denza Wallach 1 95 1 ; Scholz 1 997. 1 39. Delogu 2000f.

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Fig. l . Santa Maria in Cosmedin, interno (foto dell'autore).

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Fig. 2 . Disegno dell'Oratorio mariano di Giovanni VII in San Pietro (da Grimaldi 1 972).

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Fig. 3. Grotte Vaticane, ritratto di Giovanni VII dall'Oratorio mariano in San Pietro (da Grimaldi 1 972). Fig. 4. San Pietro in Vaticano, portico, lapide di Adriano I (da De Rubeis 200 l ).

Mario D'Onofrio Leone III (795-8 1 6)

Intorno a papa Leone III, che chiude un secolo e ne apre un altro, appare op­ portuno proporre alcune considerazioni a parte, a motivo non tanto del suo lungo pontificato, decisamente più sbilanciato sul IX secolo, o della sua biografia, tra le più estese del Liber Ponti.fica/is, né a esclusiva ragione della portata storica della sua politica ecclesiastica. L'attenzione particolare che a questo pontefice si vuole riservare nasce soprattutto dali' esigenza di mettere a fuoco le iniziative più note, quelle di maggiore spessore simbolico, da lui promosse nel campo specifico dell'arte e che stanno a segnare peraltro il momento iniziale della rinascenza ca­ rolingia, considerata forse la più vasta e la più fervida di tutto il Medioevo. Il contesto politico vede Leone III protagonista soprattutto a Roma. Giunto al pontificato, egli dovette subito far fronte alle turbolenze interne alla città, pre­ murandosi di garantire la pace e la legalità tra i cittadini, allora divisi in fazioni, con la nobiltà locale che gli era decisamente ostile. A tal fine egli non esitò a chie­ dere la collaborazione del re dei Franchi, Carlo Magno, a cui inviò alcuni doni particolarmente pregevoli per il loro significato intrinseco, ovvero le chiavi della confessione di San Pietro e il vessillo di Roma, con il chiaro intento di eleggere il sovrano quale definitivo braccio armato della cristianità, il defensor della città di Roma e della sua popolazione, confermandolo nel titolo di patricius Romanorum. Ciò sulla scia dei suoi pontefici predecessori e nella convergenza di vedute con lo stesso sovrano franco. Infatti, sia Leone III che Carlo Magno condividevano l' idea che loro spettasse il compito di evangeli zzare il mondo allora conosciu­ to, il pontefice facendo leva sulla preghiera, il sovrano ricorrendo all 'uso delle armi, ove necessario. Entrambi pensavano di impersonare la quintessenza di una missione teocratica trasmessa loro direttamente dall'autorità celeste. Non a caso troviamo una esplicita trasposizione visiva di tale orizzonte concettuale nella de­ corazione musi va di una grande sala di rappresentanza triabsidata del patriarchio lateranense, ovvero il Triclinium per cerimonie non religiose fatto costruire dallo stesso Leone III poco prima dell'anno 800 (fig. l ). La costruzione, pur ricalcando il modello delle grandi aule dei palazzi imperiali di Costantinopoli, costituiva tuttavia un manufatto carolingio sostanzialmente più romano per la forte valenza simbolica di cui si rivestiva, in quanto suggeriva eguaglianza di dignità tra il papa e l ' imperatore bizantino. Inoltre, l'esigenza comunicativa ivi espressa a livello

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iconico faceva perno significativamente sulla ripresa di alcuni dettagli iconogra­ fici propri del panorama tardoantico e paleocristiano, come vedremo, e conferiva pertanto al triclinio il valore di testimonianza emblematica tra le più significative dell' incipiente rinascenza carolingia. Rifacendosi alle vittorie del re franco sui Sassoni e sugli Avari ed alla con­ seguente evangelizzazione di questi popoli, Leone III fece raffigurare sull'abside centrale di detto triclinio (ricomposta nella sistemazione attuale nel 1 743 sotto Benedetto XIV) la Missio Apostolorum, come tema emblematico di una nuova vi­ sione provvidenziale della storia, mentre sull'arcata della stessa abside fece porre due figurazioni parallele di tre personaggi ciascuna: a destra, san Pietro, seduto in trono al centro, che dona il pallium a Leone III e lo stendardo di patrizio a re Carlo, questi ultimi inginocchiati ai suoi piedi; a sinistra, con eguale disposizione è raffigurato Cristo in trono, che tende le chiavi a papa Silvestro (forse identifica­ bile anche con san Pietro) e il labaro a Costantino. L'accostamento tra l ' impero fatto cristiano con Costantino e quello sostenuto da Leone III e Carlo Magno appare esplicitato qui in tutta evidenza nella sua intrinseca valenza simbolica: da una parte, Cristo investe dei simboli della potestà spirituale e temporale rispetti­ vamente papa Silvestro I (oppure san Pietro) e Costantino; dall'altra, san Pietro dona a Leone III il pallio e a Carlo Magno la bandiera quale emblema della città di Roma. Secondo un concetto espresso già dalla ritrattistica bizantina, l' imma­ gine del nuovo sovrano franco - che non a caso in quegli anni doveva apparire in piedi e con il nimbo quadrato anche nell'abside della scomparsa chiesa di Santa Susanna - oltre che suggerire una certa venerazione, come se si trattasse della persona del Basi/eus, voleva pure testimoniare che Carlo è il sovrano (rex) della stessa città in cui si pone l' immagine (fig. 2). Quindi, il triclinio in questione ­ dove peraltro la ripresa del mosaico quale medium espressivo, unitamente ad al­ cune soluzioni iconografiche ivi adottate, farebbe pensare ad una sorta di revival paleocristiano - costituisce non solo la memoria monumentale preordinata di un determinato fatto storico, ma anche la testimonianza visiva di un riconoscimento spontaneo, ormai già pubblico e consensuale, della sovranità di Carlo, ovverosia di una imminente translatio imperii nelle sue mani. Con l ' incoronazione della notte di Natale dell'anno 800, nella basilica vaticana di San Pietro, la prefigu­ razione del nuovo impero poteva ormai concretizzarsi ufficialmente e codificar­ si nei termini della cristianità romana. Nasceva l 'imperium christianum, primo nucleo del Sacro Romano Impero, fuoco di nuova vita composto dalle rimosse ceneri del passato. Per iniziativa del pontefice, secondo una formula riportata dal Liber Pontifica/is, si acclama in coro ad alta voce: «A Carlo piissimo augu­ sto, incoronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria». Nessuna reale improvvisazione da parte dei principali protagonisti della vicenda, anche se non si esclude che qualche perplessità o imbarazzo potesse suscitare in Carlo l'impressione che venisse sacrificata, a fronte del nuovo titolo di "imperatore dei Romani", la coscienza della pur prestigiosa stirpe franco germanica. Comunque, tutto veniva a corrispondere pienamente a quella diffusa concezione teocratica dello Stato verso cui lo stesso Carlo si lasciava guidare non solo dall'azione dei

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pontefici romani, già operanti i n tal senso nei confronti del padre Pipino, m a an­ che dalla dottrina degli imperialisti ecclesiastici convocati alla sua corte. Al triclinio fin qui illustrato del Laterano, occorre aggiungerne un secondo, che Leone III, ispirandosi ancora al palazzo imperiale di Costantinopoli, fece co­ struire non molto distante, ma più ampio, con un'abside centrale mosaicata e ben cinque absidi per lato, tutte affrescate. Si accedeva a questo ambiente, denomi­ nato in seguito aula conci/ii, sia direttamente dalla vicina basilica del Salvatore, tramite uno scalone interno, sia dall' ingresso principale del patriarchio voluto da papa Zaccaria (74 1 -752), tramite un lungo corridoio che raccordava i due triclini, chiamato macrona, dotato di loggia (so/arium). Nell'abside centrale, secondo la documentazione grafica e letteraria disponibile, era rappresentato Cristo tra gli apostoli e altri santi, forse con l' inclusione anche del committente, mentre sull'ar­ cata absidale figurava il tema apocalittico di Cristo tra i simboli degli evangelisti e i 24 seniori. Sulle dieci absidi laterali erano illustrate, come riferisce il Liber Ponti.fica/is, le Predicazioni degli apostoli davanti alle genti; dunque, un tema che sviluppava concettualmente la Missio Apostolorum del primo triclinio. Quanto fin qui esposto, mentre da una parte ha inteso porre in primo piano il senso politico dei due triclini, dall' altra ha voluto anche ribadire il fatto che il mosaico, assente a Roma dai tempi di Giovanni VII (705-707), ricompare e si diffonde quale medium comunicativo proprio con il pontificato di Leone III. Questi non solo lo sfoggia all 'interno di architetture non religiose, ma ne fa uso in tante altre sue committenze artistiche di cui ci è tramandata memoria. Infatti, rientrano nella lunga lista delle opere musive realizzate dal papa: i mosaici di un terzo triclinio fatto costruire al Vaticano; quelli già ricordati di Santa Susanna; i mosaici degli oratori della Santa Croce e di San Michele Arcangelo al Laterano; nonché quelli, molto restaurati, sopravvissuti sull'arcata absidale dei Santi Nereo e Achilleo, che compongono tre scene evangeliche (a partire da sinistra, Annun­ ciazione, Trasfigurazione, Epifania) i cui contenuti danno risalto a quei dogmi dell' incarnazione di Cristo, della sua divinità e della divina maternità di Maria messi in dubbio dall'eresia adozionista. In tale specifico contesto diventa parimenti significativo il fatto che i mosaici di Leone III, anche laddove danno l ' impressione di essere permeati da una cultura antiquaria - peraltro persistente nel corso del Medieovo - oppure laddove appa­ iono attraversati da qualche venatura bizantineggiante, manifestano comunque i sintomi di un diffuso rinnovamento interno alle varie arti, compresa la miniatura, non meno di quanto riescano a esprimerli i successivi mosaici di papa Pasquale I (8 1 7 -824) Se poi, in riferimento a tale processo, appare difficile cogliere l' ef­ fettiva incidenza esercitata sul piano dello stile dai mosaici leoniani, considerate la loro esiguità e le manomissioni subite, è in virtù del recupero di alcuni modelli iconografici del passato che essi consentono di parlare di revival o renovatio. Come tali, i mosaici in questione creano un ponte tra la precedente pittura di marca greca e la successiva di Pasquale I e rappresentano in ogni caso un "incu­ nabolo" della rinascenza carolingia sul piano dell'organizzazione compositiva. Vale a dire, i modelli paleocristiani a cui si ispirano vengono citati e fatti rinascere .

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nei dettagli come adattamento originale in un contesto contemporaneo, come pro­ dotto nuovo, dove il modello appare riconoscibile, ma assume una forma inedita. Sia sufficiente rifarsi alla Missio Apostolorum del primo triclinio leoniano. Qui la composizione complessiva sembra configurarsi come novità pressoché tota­ le, giacché non la si ritrova esplicitamente nel repertorio delle absidi romane; tuttavia, limitatamente alla triade centrale con Cristo e due apostoli, vi appare evidente il rimando al tema piuttosto diffuso della Traditio /egis. Inoltre, la figura di Cristo con l'ampio gesto del suo braccio destro, decisamente modulato sugli esempi tardoantichi e paleocristiani, non denota più un senso declamatorio o epi­ fanico, bensì rimanda realisticamente all'ordine evangelico impartito, ovvero alle volontà di chi lo compie. Quanto alle altre committenze di cui si ha notizia, è necessario aggiungere che Leone III, già all' indomani della sua elezione e per tutto il suo pontificato, si mostrò determinato nel perseguire gli interessi economici e patrimoniali della Chiesa romana, accaparrando possessi e rendite in favore dell'amministrazio­ ne papale. Da ciò derivò una straordinaria quantità di risorse economiche che, unite alle ricchezze donate da Carlo Magno, gli consentirono, come accennato, di ampliare notevolmente la residenza papale contigua alla basilica lateranense conferendole l'assetto che manterrà sostanzialmente fino al XVI secolo. Grazie alle disponibilità finanziarie, il pontefice, nelle vesti di generoso patrono o di munifico benefattore, poté intraprendere altresì l'opera di restauro e abbellimento delle chiese cittadine. Nella basilica vaticana di San Pietro concepì un nuovo battistero di forma circolare, con colonne di porfido intorno alla vasca, a somi­ glianza di quello lateranense e fece dono, inoltre, di due monumentali crocifissi d'argento. Sempre in Vaticano, nelle adiacenze della basilica, ristrutturò una vec­ chia residenza papale, ovvero gli episcopia risalenti all'epoca di papa Simmaco (498-5 1 4), eresse un grande triclinio non dissimile da quello triabsidato fatto co­ struire al Laterano e migliorò le attrezzature ricettive destinate ai pellegrini con la costruzione di due bagni e un ospedale. Nella basilica del Salvatore al Laterano intraprese il restauro del mosaico absidale e promosse l'allestimento di un nuovo ciborio sorretto da quattro grandi colonne di puro argento, decorate con scene a rilievo. A Santa Maria Maggiore, intorno all'altare fu sistemato il ciborio preleva­ to dalla basilica vaticana e ai lati dello stesso altare pose due crocefissi, l' uno di 1 0 libbre d'oro e l'altro di 1 2 libbre d'argento. In San Paolo, molto probabilmente fu ritoccata la decorazione dell'arco trionfale realizzata all'epoca di Leone Ma­ gno. Ma ogni altra chiesa romana rientrava nelle attenzioni del pontefice, il quale fu particolarmente munifico nel concedere a ciascuna di esse oggetti di varia natura (vasi sacri d'oro e d'argento, paramenti, drappi di seta e porpora, cibori, lumi d'argento, immagini sacre d'oro e d'argento e altre suppellettili liturgiche) di cui è menzione in una lunga lista dell'anno 807, considerata documento storico e topografico di notevole interesse. Comunque, nell' intento di ricreare un' idea del quadro economico del momento, è stato calcolato che durante il suo pontifi­ cato Leone III ha restaurato 2 1 chiese, tra cui le principali basiliche apostoliche, e due cimiteri extraurbani; ha ristrutturato e abbellito, oltre a Santa Anastasia,

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Santa Susanna (dove era stato ordinato sacerdote) e Santa Sabina (di cui era stato prete titolare), anche la chiesa dei Santi Nereo e Achilleo, dove sopravvivono solo i mosaici dell'arcata absidale, nonché le chiese vaticane di San Pellegrino e Santo Stefano degli Abissini; ha fatto dono di suppellettili liturgiche e arredi per complessive 22. 1 00 libbre d'argento (più di 7 tonnellate) e 1 446 libbre d'oro (più di 470 chili); ha donato inoltre paramenti liturgici in seta e altri tessuti pregiati, per lo più importati dall' Oriente, in ragione di oltre 1 030 drappi, utilizzati come vela negli intercolunni e come vestes, ossia tovaglie per rivestire gli altari. Solo nell'anno 807 distribuì lampadari d'argento a 1 1 9 chiese di Roma, cioè probabil­ mente a tutte quelle allora in funzione. In conclusione, queste ed altre iniziative, compreso il progetto urbanistico - a cui dovette però rinunciare - di recintare la regione del Vaticano, non solo consentono di immaginare quale splendido addob­ bo ostentassero le chiese romane di quegli anni, ma nel complesso offrono altresì un' idea delle capacità gestionali del pontefice a cui va riconosciuto il merito di aver saputo tenere le fila di situazioni e impegni di varia natura, sia religiosa che civile, offrendo così lo spunto per la più ampia rinascenza maturata nei decenni successivi.

Bibliografia essenziale LP, II, pp. 1 06- 1 39; Ladner 1 93 5 ; Krautheimer 1 942; Matthiae 1 964; Davìs­ Weyer 1 966; Ead. 1 968; Walter 1 970; Ead. 1 974; Belting 1 976; Id. 1 978; Iacobini 1 989b; Curzi 1 993 ; Luchterhandt 1 999; Delogu 2000f; Curzi 2003 ; Gandolfo 2004a; Moretti 2006, pp. 2 1 7 -220; Ballardini 20 1 5a.

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,;.. " ' 7 r .

. ...

• _. ,, .. ...�r , I C > come riferita alle pareti della navata: JCVR 1 888, 11.1, l'· 306 . 23. Giordani 1994, in part. pp. 293-298, con bibl. precedente. Danno credito ad un rifacimento tlcl mosaico absidale nell'ambito dei lavori di incipiente X secolo anche De Spirito, che però pro­ pone una diversa ipotesi sulla scorta di un ipotetico confronto con il perduto e altrettanto discusso mosaico absidale della basilica di Montecassino, e Claussen: De Spirito 2004, p. 128; Claussen 2008a, p. 95. Per la più recente sintesi sul dibattito relativo all'originaria iconografia del mosaico nbsidale cfr. Leardi 2006. 24. Panvinio 1 9 1 1 , p. 434. Questo il brano per esteso: «Frons basilicae intus tota picturis et purum elegantibus exornata est Christi scilicet Salvatoris nostri novissimo die humanum genus ludicandi». 25. Wilpert 1 916, l, p. 209; Hoffinann 1 978, p. 3 1 , nota 6 1 ; cfr. anche C1aussen 2008a, pp. 30, 4 1 -42, con status quaestionis. 26. Hoffinann 1978, p. 3 1 . 27. Ibidem; cfr. anche Gandolfo che però sulla datazione del Giudizio finale descritto da Pan­ vinio sospende il giudizio: Gandolfo 1 983, p. 85. 1111

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della navata sud di San Clemente e la successiva celebre tavola proveniente da San Gregorio Nazianzeno,28 gli esemplari noti per i secoli successivi si contano sulle dita di una mano:29 nel corso del XII secolo sono San Benedetto in Pisci­ nula, l'Immacolata di Ceri, che presuppone un modello romano, e San Giovanni a Porta Latina; nel secolo seguente si aggiungono l'Oratorio di San Silvestro ai Santi Quattro Coronati, Santa Cecilia in Trastevere e Santa Maria di Vescovio, cattedrale della Sabina. Se la cattedrale di Roma avesse esibito precocemente un simile soggetto, dato il suo valore esemplare ne avrebbe forse assicurato una maggiore popolarità. Forse anche per la controfacciata di Santa Maria Maggiore nell'ambito dei lavori patrocinati dal medesimo Nicola IV era stato in origine previsto un Giudizio finale e questo potrebbe essere un argomento a favore della datazione tardo duecentesca del dipinto lateranense.30 Se il grosso dei restauri promossi da Sergio III rimane tutto da interpretare, non lascia invece spazio alla fantasia l'elenco dei doni offerti dal papa a risarci­ mento delle avvenute spoliazioni, pignolo e dettagliato come quelli a cui ci ha abituato il Liber Ponti.fica/is dei secoli precedenti.31 La lista, come di consue­ to gerarchicamente ordinata in base al valore venale dei manufatti, si apre con un'effigie del Salvatore decorata da cinque libbre di oro, seguita da un ciborio in oro, argento e gemme, pesante 250 libbre del quale si sottolinea la bellezza;32 28. Per la datazione al X secolo del pannello di San Clemente cfr. Bordi 20 l O, p. 408. Sulla tavola oggi presso la Pinacoteca Vaticana, con una datazione circa il l 06 1 - 1 07 1 , Suckale 2002b; Romano, Dos Santos 2006. 29. Pace 200 1 , pp. 575-584, a pp. 578-579. 30. Gardner 1 973d, pp. 1 -50, a p. 20. Conviene con la proposta di Gardner Pace 200 1 , p. 579. Escludono la pertinenza alto-medievale del lacerto descritto da Panvinio in San Giovanni in Late­ rano anche Romano, Dos Santos 2006, p. 50. 3 1 . A tramandare questa iscrizione è la Descriptio Laleranemis &clesiae, in CTCR, m, p. 369; p. 1 39: «Postquam in honore tui nominis, mundi Salvator, et commemoratione tui, sancte lohannes Baptista, de tuis donis per multa certamina et labores prefatus domnus Sergius tertius papa hanc basi­ lica in ruinis positam a fundamentis construxit, cum omnia ornamento aurea et argentea atque aenea ex ea ablata fuissent ab invasoribus, reparare et offerre tibi alia cum devoto animo studuit, quamvis in multis esset perturbationibus constitutus, non omisit tamen tui servire maiestati. Fecit autem et obtulit omnipotentiae tuae istam pulcherrimam imaginem, quam quinque libris auri decoravit; ciborium vero mirae pulchritudinae ex argento et auro purissimo, cum gemmis; eius perfectionem CCL librar(um) numeros et pondus assumpsit; crucem auream cum crucifixo; argenteas duas, unam habentem cruci­ fìxum totum de auro et agnum de auro cum gemmis; coronam de auro cum crucibus duabus, et alias duas ex mistis metallis; fibulam de auro cum gemmis; [vas parvum de cristallo ligatum cum auro et crucem parvam de auro; flascones de argento cum gemmis;] duas bursellas de argento deauratas, cum gemmis quinque; coronas de argento cum delphinis suis decem; canistro de argento XXX et IX, gavatas de argento XXV; cruces argenteas IV in quibus gavatae pendent, et unam modicam similiter argenteam; calices argenteos m. unum ex his deauratum; patenam de argento; thuribula de argento m; imagines de argento tres, unam ex his habentem dexteram de auro et fibulam in pectore cum gemmis; arcus argenteos VI; travicula de argento VI; mala argentea XII; vestes intextas auro duas; cooper­ torium cum auro et alium purum ; vela serica LII. Haec omnia devotus tibi praeparavit, et non cessabit, dum spiritus eius rexerit artus, praeparare et offerre tibi domnus Sergius papa tertius». 32. Il ciborio in argento elencato nella lista potrebbe corrispondere al «pulchro ciborio» citato ancora nella Descriptio Lateranensis Ecclesiae, in CTCR m, p. 336 e persino nel poema che deplora

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verso la fine sono registrate altre tre imagines in argento, una delle quali con la mnno destra dorata e una fibula con gemme sul petto e, a seguire, sei arcatelle con

11ltrcttante travicelle e dodici pomi, tutti in argento. Questi elementi architettonici pu tre bbero aver costituito un setto presbiteriale realizzato al cospetto dell'altare mnggiore, ad inglobare i quattro fusti delle colonne bronzee costantiniane, ed è MINsibile che le immagini descritte facessero parte integrante della struttura.Jl La hctu include candelabri a corona d'oro e d'argento, coperture d'altare, 52 vela di 11ctu e numerosa suppellettile liturgica, compresi degli oggetti apparentemente tlcNtinati alla funzione di reliquiari, nonostante che di reliquie non si faccia men­ tlone alcuna.34 Pur in assenza di un possibile riscontro materiale, è probabile che 11 l meno parte di questi preziosi manufatti fosse di produzione locale, postulando 111 sopravvivenza nell'Urbe di officine qualificate in grado di soddisfare una cosi � levata committenza.3s Del resto, un documento romano del 958 conserva la me­ moria di un Angelus aurifex proprietario di una vigna. 36 Resta un fatto che Sergio III riusci a promuovere e a portare a termine un'im­ presa articolata e impegnativa che prevedeva l'impiego di grandi capitali e l'ap­ l')(lrto di competenze diverse, anche di elevata specializzazione, risolvendo le dif­ ficoltà che avevano arrestato i suoi predecessori. Un' impresa indicativa di una 1mtcnte volontà di riaffermare la centralità della cattedrale romana e con essa, 11robabilmente, del vescovo di Roma stesso, messo "sotto tutela" da un ceto gen­ t i l izio locale in ascesa, ma, si direbbe, febbrilmente impegnato a salvaguardare 11111rgini di autonomia.l' Forse va nella direzione di questo sforzo accentratore anche il leggendario li fill l ito tentativo di appropriazione dell'icona della Madonna di Tempulo, il cui rrestigio presso le comunità monastiche romane è testimoniato dalle numerose filiazioni nei secoli successivi.38 Secondo il racconto, la Madonna di Tempulo, 11ottratta al monastero titolare per essere trasferita in una cappella della basilica

I

l ll11nni dell'incendio del 1 308: Rithmus de basi/icae Lateranensis combustione tempore Clementis V, in Lauer 191 1 , pp. 245-250, a p. 247. 33. De Spirito 2004, p. 1 30; Claussen 2008a, p. 1 86. de Blaauw 1 994b, p. 177 ipotizza che 111111 simile struttura esistesse già circa 1'800. 34. Claussen 2008a, p. 1 87, nota 804. 35. I. Lori Sanfilippo nel suo saggio sulle corporazioni a Roma nel Medioevo osserva che tmchc nei momenti di maggiore crisi risulta documentata la produzione di artigianato suntuario: l .nri Sanfilippo 200 1, p. 2 16. 36. Carte del Monastero dei SS. Cosma e Damiano 1 98 1 , p. 33, doc. V: « [ . . . ] vinea Angelus

flllfJUe

1111ri lcx» .

3 7. Parrebbero andare in questa direzione gli abboccamenti con Berengario del Friuli per una eventuale incoronazione imperiale, nonostante il saldarsi dell'asse romano-spoletino sancito &lnll' unione tra Marozia e Alberico di Spoleto: cfr. Gnocchi 2000. 38. Su questa narrazione leggendaria, ma ritenuta attendibile: Koudelka 196 1 , di nuovo pub­ hl lcuto come segue: Koudelka 1 992, pp. 49- 1 3 1 , a pp. 6 1 -68. Dà credito al racconto anche Bertelli d1c, inoltre, illustra la popolarità a Roma della Madonna di Tempulo: Berte Ili 1 96 1 b, pp. 82- 1 1 1 . Id. l W l , pp. 68 1 -72 1 , alle pp. 695-697. Data l'origine costantinopolitana de li' icona, tramandata dalla le�enda ma credibile, secondo Bertelli ( 1 99 1 , p. 697) il tentato furto è indicativo di un'inclinazio­ ne di Sergio m per la spiritualità greca. � 1111

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lateranense, accendendosi di luce propria avrebbe terrorizzato il papa per costrin­ gerlo a renderla alle monache: persino un pontefice volitivo come Sergio III si dovette arrendere a un convento che doveva essere influente e ben protetto. Il pontificato del suo successore, Anastasio III (9 1 1 -9 1 3 ), fu breve e sfuggen­ te.39 Conosciamo ben poco delle sue iniziative, eppure Ciacconio gli attribuisce un rinnovamento della chiesa di Sant'Adriano al Foro, in rovina, dove consacrò un altare.40 L'unica testimonianza in Sant'Adriano imputabile al X secolo consi­ ste in una Madonna /actans attorniata da santi, ancora visibile sulla controfaccia­ ta, a destra del varco principale per chi entra, sebbene in condizioni precarie, ma sembra del tutto estranea al patrocinio di Anastasio 111.41 Infatti, la presenza tra i protagonisti di san Benedetto, riconoscibile dallo scapolare, hanno indotto Giulia Bordi ad una condivisibile datazione del pannello alla seconda metà del X seco­ lo, quando la riaffermazione del monachesimo benedettino nell'Urbe e dintorni favorisce la diffusione delle rappresentazioni di san Benedetto e dei suoi disce­ poli.42 Tra i personaggi raffigurati si può, inoltre, distinguere una coppia di laici, un uomo ed una donna, probabili committenti.43 Dunque la tardiva testimonianza di Ciacconio rimane la sola traccia di quello che si qualifica, comunque, come un intervento rilevante: risulta infatti l'unico caso noto per il X secolo di patrocinio papale per una semplice chiesa, anziché per le antiche basiliche apostoliche o la cattedrale. Sarebbe interessante capire se a stimolare la sollecitudine del pontefice possano aver concorso lo statuto di diaconia di Sant'Adriano o il suo importante ruolo di basilica stazionate, eventuali indizi di una perdurante attenzione alla rete assistenziale urbana o alla liturgia stazionate. Potrebbe essere stata la vittoria sui Saraceni stanziati alla foce del Gariglia­ no a ispirare a Giovanni X (9 1 4-928) il restauro dell'A cheropita lateranense, da tempo "palladio" della città di Roma.44 Tanto più che l 'antica e veneratissima immagine a causa delle unzioni rituali alle quali era sottoposta doveva ormai versare in pessime condizioni. Secondo l'analisi di Wilpert, che ottenne l' ec­ cezionale privilegio di esaminare l' icona senza il consueto rivestimento metal­ lico, Giovanni X dispose che la tavola fosse provvista di una nuova cornice e che sul retro le fosse applicata una tela di canapa decorata da quattro gammule negli angoli e da una croce gemmata a bracci patenti al centro.45 Ai due lati della 39. Bertolini 2000f. Chac6n/Ciacconio 1 60 1 , l, col. 963: «Diaconiam S. Hadriani, vetustate collabentem, restituit altareque in ea propriis manibus consecratwn dedicavit [ . . . ]». Cfr. anche Mancini 1967-1968, p. 207. 4 1 . Bordi 200 1 , p. 479. 42. Bordi 20 1 1 , p. 429. 43 . lbidem. 44. L'eventuale nesso causale tra la sconfitta dei Saraceni e il restauro deii'Acheropita era sta­ to adombrato da Wilpert e in seguito apertamente sostenuto da Carlo Berte Ili: Wilpert 1 907, p. 168; Bertelli 1994, p. 225. Per il dibattito sull'importanza del ruolo di Giovanni X in questo episodio bellico cfr. Gnocchi 2000. 45. Il resoconto, le valutazioni e la documentazione fotografica di Wilpert rimangono di im­ portanza capitale nello studio deli'Acheropita lateranense. Per la moderna campagna fotografica conseguente ali 'ultimo restauro cfr. Andaloro 1 99 1 , con tavole alle pp. 86-88. 40.

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croce resta l ' iscrizione dedicatoria della quale Wilpert riuscì a risolvere solo la prima riga: HANC CONAM DECIMUS RENOVAVIT PAPA IOHANNES.46 Questa tela decorata con l ' importante rivendicazione è l ' unica sicura testimo­ nianza dell'intervento di Giovanni X (fig. 2). Secondo Wilpert, però, il rinnova­ mento interessò anche l ' immagine del Cristo: sullo sciupatissimo volto dovette esserne incollato uno nuovo, a sua volta in seguito sostituito e quindi perduto, così come andò persa la nuova aureola gemmata, mentre il resto della figura, lasciata intatta, fu occultato da veli. Era opinione di Wilpert che l'attuale stra­ niante viso risalga all'epoca di Innocenzo III, quando l' immagine fu dotata del prezioso rivestimento metallico: le sue insolite fattezze si spiegherebbero con l ' intenzione di riprodurre il "barbaro" precedente di X secoloY Fermo restando che la datazione e gli ascendenti del volto dell'A cheropita lateranense sono an­ cora ad oggi tutt'altro che pacifici, il più recente restauro avrebbe evidenziato clementi che indurrebbero a suppome un'esecuzione addirittura posteriore alla copertura metallica.48 Stando al Chronicon di Benedetto monaco di Sant'Andrea al Soratte, Gio­ vanni X avrebbe anche promosso un rinnovamento del palazzo lateranense, per il quale avrebbe fatto realizzare delle pitture.49 Successivamente Bonizone di Sutri attribuisce a Giovanni X l'erezione di una basilica nel palazzo lateranense e la sua testimonianza, sebbene non sempre giudicata attendibile, potrebbe essere quan­ tomeno una conferma di eventuali lavori patrocinati da Giovanni X.50 Se poi si sia trattato della fondazione di un ambiente ex novo o della ristrutturazione di una cappella preesistente non è dato sapere.s1 Di Giovanni XII (95 5-964), al secolo Ottaviano, figlio del princeps Alberi­ co, le fonti coeve tramandano un ritratto a tinte fosche:52 già la sua assunzione

46. Wilpert 1 907, p. 1 68. Si dà qui solo la prima riga dell' iscrizione, perché la seconda risultò illeggibile già a Wilpert. 47. Ibidem, p. 174. Una buona riproduzione a colori del volto dell' Acheropita è in Il Palazzo Apostolico Lateranense 1 99 1 , p. 88. 48. Andaloro 1 99 1 , p. 85 che ne propone di conseguenza una datazione successiva al pontificato di lnnocenzo m, ma comunque entro il xm secolo. Serena Romano, invece, non ne esclude un'ese­ cuzione ancora più tarda ed una possibile provenienza orientale: Romano 2000b, pp. 39-4 1 . Carlo Bertelli in un primo momento aveva ritenuto plausibile che il volto in questione risalisse all'intervento di Giovanni X: Bertelli 1 99 1 , p. 70 1 , salvo successivamente sospendere il giudizio (Bertelli 1994, p. 240, nota 1 05). Wolf propone che l'attuale volto applicato sull'antica immagine possa risalire al restauro di Giovanni X o, al più tardi, al Xll secolo exeunte: Wolf 1990, p. 40. 49. Benedetto Monaco di Sant'Andrea al Soratte, in Chronicon, p. 1 59: «renovavit igitur Io­ hannes decimus papa in Lateranensis palatium; tria mirifice composuit, picta decorate, et versis ex utraque partes exarare studere iussit». 50. Bonizone di Sutri 1 862, I, p. 6 1 8: «Et de Iohanne tusculano, fratre maiore Alberici, qui pugnavit cum Sarracenis [ . . ] Hic aedificavit basilicam in palatio lateranensis». Duchesne riteneva che Bonizone confondesse Giovanni X con Giovanni XI o Xll, mentre Zucchetti sembra accordare l'rcdibilità alla sua testimonianza: LP, II, p. 353; n Chronicon di Benedetto monaco, p. 1 59, nota 2. 5 1 . Lauer 1 9 1 1 , p. 140; Delle Rose 1 99 1 , p. 25. 52. Pauler 2000. .

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al soglio sarebbe avvenuta in violazione del diritto canonico;s3 quindi, l 'ancorn troppo giovane pontefice fu chiamato in giudizio al cospetto dell' imperatore per rispondere di un'infinita serie di nefandezze: dall'adulterio alla stregone­ ria.s4 Le forti tensioni con Ottone l, in un primo tempo assecondato e consacrato imperatore, si risolsero nella deposizione del papa. Persino il Liber Pontifica/i.� non risparmia a Giovanni XII una biografia insolitamente loquace, nettamente sfavorevole e, di conseguenza, priva di alcun riferimento a sue eventuali inizia­ tive apprezzabili, men che meno in campo edilizio.ss Eppure anche Giovanni XII, secondo la Descriptio Lateranensis Ecc/esiae, volle lasciare memoria d i sé nella cattedrale romana, disponendo l'erezione nel suo portico di un oratorio con funzioni di "secretarium", vale a dire sacrestia per la liturgia stazionate papale.s6 L'oratorio, dedicato a San Tommaso, fu demolito nel 1 647, ma è pos­ sibile ricostruime l'aspetto anche con l ' ausilio di fonti graficheY Si insediava nell 'estremità meridionale del portico architravato, murandone gli intercolumni e occupandone circa un terzo, in una posizione che ricalcava quella della sa­ crestia papale di Santa Maria Maggiore, risalente all ' 800 circa.ss L'ambiente, desinente a sud in un'absidiola, si apriva sul portico della basilica con un por­ tale, mentre due piccoli varchi lo mettevano in comunicazione con la navatella meridionale. Al di sopra del portale, ad una data sconosciuta, furono dipinti due pannelli, rispettivamente dedicati ad un corteo papale e alla vestizione rituale di un papa, in conformità con la destinazione liturgica dell'ambiente. Natural­ mente entrambi sono noti solo grazie alle riproduzioni eseguite prima dell'ab­ battimento dell' oratorio.s9 Il corteo papale in base ai dettagli iconografici è stato ascritto al XIII secolo.60 La scena della vestizione papale, invece, è stata

53. Per l'accusa di elezione non canonica, perché eletto al soglio da laico, ibidem, con rife­ rimento a un'epistola di Raterio, vescovo Verona: Die Briejè des Bischofs Rather von Verona, in MGH, n° 1 6, pp. 7 1 - 1 06, a p. 80. 54. Pauler 2000. Il processo si svolse in occasione del sinodo di novembre 963. I capi di impu­ tazione sono elencati da Liutprando da Cremona, di dubbia attendibilità, data l'accesa partigianeria filo-imperiale: Liutprando da Cremona, Liutprandi Liber de rebus, in MGH, 1 9 1 5, pp. 1 59-74, l O, pp. 1 66 e sgg. Per un recente esame della struttura retorica del suo celebre pamphlet antipapale cfr. Chiesa 1 999. 55. LP, Il, pp. 246-49. 56. Descriptio Lateranensis Ecclesiae, in CTCR, m, 1 946, p. 350: «In atrioquoque ipsius basilicae oratoriurn est pulchrurn et ibi est altare sancti Thomae apostoli. In hoc quidem oratorio. quod fecit Iohannes papa [XII] induit se papa vestimenta sacerdotalia et pontificalia quando debet celebrare missam in stationibus istius basilicae». 51. Per tale ricostruzione, da ultimo Claussen 2008a, pp. 6 1 -62, che si avvale in particolare di una planimetria della basilica datata 1 646 (Vienna, Albertina AZ Rom 373a; ibidem, p. 40, fig. 6) c del tondo con la veduta di Andrea Sacchi pertinente al ciclo affrescato con la storia della fondazione costantiniana nel battistero (ibidem, p. 38, fig. 4). 58. de Blaauw 1994b, p. 4 1 7; Claussen 2008a, p. 6 1 , nota 1 95. 59. Le copie note sono cinque, per l'elenco completo cfr. Waetzoldt 1 964, pp. 36- 37. 60. Grimaldi, BAV, Barb. lat. 2733, f. 59v, in Ladner 1 94 1 a, p. 1 65, fig. 1 2 1 . Se ne contano tre copie: Waetzoldt 1 964 pp. 36-37.

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Nnl itamente attribuita all ' intervento di Giovanni XII (fig. 3).6 1 Infatti, l'autore del l'esemplare eseguito nel 1 63 3 , su commissione del cardinale Francesco Bar­ hcrini, in un'annotazione in calce all' immagine dichiara che un tempo presso In pittura si leggevano le iniziali abbreviate di Giovanni XII, onnai perdute. 62 l>i recente l'attendibilità di questa infonnazione è stata messa in dubbio e cosi Il perduto dipinto è stato escluso dal novero di testimonianze dell'intervento di (i i ovanni XII. 63 Non disponiamo di elementi cogenti per riferire questa scena ud un'epoca successiva, magari in fase con l' illustrazione del corteo papale con In quale avrebbe potuto fare pendant, o per restituirla alla datazione alto medie­ v n le. Resta da chiedersi perché l'esecutore della copia Barberini avrebbe dovu­ tn artatamente introdurre la notizia per attribuire l'opera al peraltro screditato ( liovanni XII. Sembra più logico supporre che avesse accesso a fonti non più tlisponibili. Al di là che il discusso dipinto risalga o meno all' iniziativa di Gio­ vnnni XII, resta il fatto che l ' interessamento di questo papa per la fondazione di una sacrestia finalizzata alla liturgia stazionate della cattedrale romana collide cnn l'accusa mossagli di aver consacrato un diacono in una stalla, in spregio nllc consuetudini liturgiche.64 Giovanni XIII (965-972) nel 968 battezza con il nome di Iohannes la prima cumpana ad uso della cattedrale di cui abbiamo conoscenza.65 A Roma, del resto, le campane avevano fatto una relativamente precoce comparsa circa due secoli prima, nella basilica di San Pietro, dotata da Stefano II (752-757) di tre campane, probabilmente sulla scorta de li 'esempio transalpino dove le campane erano già in uso da tempo.66 Nulla sappiamo della struttura destinata ad alloggiare questa cam6 1 . Ladner 1941a, pp. 1 63-167; de Blaauw 1994b, p. 1 7 1 ; The Paper Museum 1 998, Il, pp.

Kf•-K7.

62. La copia più antica risulta essere quella di Grimaldi, del 1617 (Milano, Ambrosiana A. 178 1964, fig. 89). Segue la copia in questione datata 1633, contenuta nel codice ll11rb. lat. 44 10, f. 27r; questo è il testo dell'annotazione in calce alla tavola (tratto da Ladner 194 1, p. l fl7): «Pictura antiquissima extans super ianuam secretarii veteris in basilica Lateranens is quod vocatur rli11m sacellum S. Thomae aedificatwn a Jhoanne papa XII cuius effigie hic exprimitur quando induitur 111 1lcmni pianeta iturus ad sacra peragenda ad maius altare [ . . . ] legebatur ibi nomen dicti + IOHES PP. Xli sed deletum fuit ob ibi ponendos aliquos lateres. Nec ibi modo apparet signum eius nominis». Da nnlurc che l'anonimo copista dell'esemplare Barberini riferisce di aver consultato le precedenti copie 1lcl Grimaldi del 1605 e il trattato di Giulio Mancini che vide la pittura nel 1618. La copia conservata a Windsor (RL 9097) risulta molto prossima a quella del 1633. The Paper Museum 1998, p. 86). 63. Claussen 2008a, p. 62. 64. Anche Ladner sottolineò l'evidente attenzione alla liturgia di Giovanni XII: Ladner 1941 a, l'· 1 65. È uno dei capi di imputazione nel già citato processo del 963: Liutprando da Cremona, 10, l'l'· 1 66 e sgg.; Pauler in EP 2000. 65. de Blaauw 1994b, p. 1 74 che trae la notizia da Baronio (ed. 1 744), p. 192; per la tradizione 11i battezzare con un nome le campane, de Blaauw 1994a, p. 383. 66. LP, l, 445: Stefano II «fecit super basilicam turrem quam ex parte inauravit et ex parte 11rgcnto investivit in quo tribus posuit campanas»; mentre Krautheimer ritenne ovvio che questa Nlrultura fosse in legno, de Blaauw ha in seguito osservato come le successive vicende conservative 1lcll'edificio consentano di postulame una realizzazione in solida muratura: CBCR 1977, p. 175; de llluauw 1993, p. 369; cfr. anche Neri 2006, p. 8. lnf., f. 99r; cfr. Waetzoldt

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pana, ma è stato proposto che più che una torre campanaria in muratura potesse trattarsi di un tiburio ligneo o un campanile a vela.67 Data la complessità tecnica della fusione delle campane, sarebbe interessante capire se nell'Urbe fossero di­ sponibili artefici in grado di sopperire alla commissione o se sia stato necessario ingaggiare maestranze allogene, magari reclutate da qualche importante centro monastico vicino, come quello di Farfa le cui carte riportano la sottoscrizione di un Azo campanarius in calce ad una charta donationis del 947.68 La campana rinvenuta a fine Ottocento presso Canino (VT), oggi custodita presso il Museo Pio Cristiano (Musei Vaticani), con la sua plausibile datazione tra IX e X secolo, ci può forse restituire l'aspetto del perduto esemplare lateranense.69 Giovanni XIII, nonostante il doveroso interessamento per la cattedrale di Roma dove aveva anche ricevuto la sua educazione religiosa, sceglie di essere sepolto nella basilica di San Paolo fuori le mura.70 Il monastero al servizio del­ la basilica ostiense era stato da poco riformato secondo la regola cluniacense e sottoposto a un discepolo di Odo, Baldovino. Come i suoi predecessori, anche Giovanni XIII, pur in assenza di riscontri specifici, potrebbe essere stato sensibile alle nuove istanze riformatrici. La lapide, conservata presso il /apidarium della basilica, è tutto ciò che re­ sta del suo solenne monumento funebre noto, però, grazie alla copia trattane da Eclissi.71 Lo scrupoloso copista colloca l'epigrafe sul fronte della tomba: data la grandezza della lastra, se Eclissi ha rispettato le proporzioni, il monumento doveva essere imponente.72 L'epitaffio era sormontato da una lunetta dipinta (fig. 4): l' immagine del pontefice a mezzobusto, con il capo circondato dal nimbo qua­ drato, i Vangeli nella sinistra e la destra levata a benedire, era inclusa in un clipeo affiancato dai due principi degli apostoli in trono, di minori dimensioni tanto da evocare l' immagine dei portatori di scudo in uno stemma.73 Pietro e Paolo erano connotati dai rispettivi attributi della chiave e del rotolo delle leggi e tutti e tre i protagonisti erano identificati dai nomi iscritti. L'iconografia dell' imago c/ipeata 67. de Blaauw 1994b, p. 1 72. 68. I l regesto di Farfa 1 879- 1 888, III, p. 85, doc. 382. Si suppone che qui campanarius sia da intendere come fonditore di campane, ma può anche riferirsi a colui che le suona: Du Cange 1 883-1 887. 69. Neri 2006, pp. 16- 1 9, tav. I, fig. l, con la precedente bibliografia relativa al dibattito per la datazione del manufatto. 70. Per il profilo biografico di Giovanni XIII cfr. Pauler 2000. La sua espressa volontà di essere sepolto nella basilica ostiense si ricava dali' epitaffio, infra. 7 1 . La copia è in BAV, Barb. lat. 4406, f. 1 4 1 r. Per l'epitaffio cfr. Silvagni 1943b, tav. III, l e LP, Il, 254, dal quale si trae il testo: +PONTIFICIS SVMMI HIC CLAVDVNfVR MEMBRA IOHANNIS l QVI PRVDENS PASTOR PERSOLVENS DEBITA MORTIS l ISTIC PREMONVIT MORIENS SVA MEMBRA LOCARI l QVO PIETATE DEI RESOLVTVS NEXIBVS ATRIS l EGREGII PAVLI MERITIS CONSCENDAT IN ETHRA IINTER APO­ STOLICOS CAELORVM GAVDIA METAT l GAVDEAT EXVLTET SOCI AT VS COETIBVS ALMIS l DICITE CORDE PIO RELEGENTES CARMINA CVNCTI l XPE TVI FAMVLI MISERTVS SCELERA PVRGA l SANGVINE QVI SANCTO RE­ DEMISTI CRIMINE MVNDVM l HlC VERO SVMMVS PONTIFEX IOHANNES IN APOSTOLICA SEDE l SEDIT ANNOS VII DEPOSITIONIS EIVS DIES VIII IDVS SEPTEMBRIS l AB INCARNATIONE DNI ANNI DCCCCLXXII.

72. 1 12x234 cm. Per questa condivisibile osservazione: Herklotz 200 1 , p. 2 1 1 . 73. Ladner 1 94 1 a, p. 1 69.

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di origine paleocristiana può aver trovato un'ovvia ispirazione nella galleria di ritratti papali disposta lungo la navata della stessa basilica ostiense, ma, come ricorda Herklotz, almeno un caso ne attesta la persistenza nel corso dell' Altome­ dioevo locale.74 Analogamente, la tipologia di sepolcro ad arcosolio con ritratto del defunto non appare del tutto isolata nel contesto dei primi secoli del medioevo romano: non solo doveva essere ad arcosolio la perduta tomba di papa Gregorio Ili (73 1 -74 1 ) in San Pietro in Vaticano, ma questa soluzione, ad una data più prossima, è ancora riscontrabile nell'odierna basilica inferiore di San Clemente, in quello che è stato ragionevolmente riconosciuto come il monumento funebre d i san Cirillo (m. 869).75 Dunque Herklotz invita a chiedersi se sia più opportuno parlare di survival paleocristiano, piuttosto che di revival. Così il monumento d i Giovanni XIII più che evocare deliberatamente modelli paleocristiani poteva i nserirsi nel solco di una radicata tradizione. È infine la basilica apostolica di San Pietro, ormai sullo scorcio del secolo, a riscuotere l'attenzione papale: Giovanni XV (985-996) dispone la realizzazione d i pitture nella cappella di Santa Maria in gradibus.76 La cappella, ovviamente perduta in seguito alla demolizione dell'antico edificio, era denominata anche Santa Maria in turri, o mediana e sormontava il varco di accesso al fabbricato oc­ c identale dell'atrio, come documentano alcune vedute che mostrano anche i resti del la decorazione musiva esterna, verosimilmente risalente ali 'VIII secolo. 77 Non c i è giunta invece alcuna testimonianza che consenta di ricostruirne la decorazio­ ne interna. Si ignora persino se le pitture si trovassero nell'androne o nel vano al piano superiore, cosi come sono sconosciute le ragioni di questo intervento che �i possono, dunque, solo ipotizzare. Nei decenni precedenti, già due sovrani ave­ vano ricevuto in San Pietro la corona imperiale e lo stesso Giovanni XV mori in procinto di consacrare imperatore Ottone III. Bisogna attendere la seconda metà del XII secolo perché Santa Maria in Turri faccia la sua ufficiale comparsa come luppa del cerimoniale d'incoronazione imperiale: qui il futuro imperatore giurava fedeltà al pontefice.78 Si può, però, immaginare che, pur in attesa del consolida­ mento e della codifica del rituale, la cappella aperta nell'atrio della basilica vati74. Uno dei ritratti episcopali presente nelle catacombe di San Gennaro a Napoli è stato at­ trihuito ad una bottega romana di lX secolo: cfr. Herklotz 200 1 , p. 2 1 1 , fig. 43, con bibliografia precedente. 75. Sulle tombe ad arcosolio nell'alto Medioevo romano, ibidem, pp. 208 e sgg. Per l'identi1 lcuzione della tomba di san Cirillo cfr. Osbome 1 98 1 b. 76. LP, II, p. 260: «Qui et oratorium Sanctae Mariae in Gradibus picturae decoravit». Duche­ HIIc (ibidem nota 2) erroneamente escluse che questo oratorio si trovasse a Roma; per la sua corretta localizzazione cfr. CBCR, pp. 1 75, 230; per le relative pitture de Blaauw 1 994b, pp. 526-527. 77. Una buona testimonianza grafica è costituita dalla Veduta della facciata dell 'atrio di San Pietro di Marten van Heemskerck (Wien, Albertina), pubblicata in Romische Veduten 1 932, v . l, tav. 1 7. de Blaauw 1 994b, p. 526 osserva come la tradizionale attribuzione di questi mosaici n l'aolo I (757-767) non abbia fondamenti attendibili, ma la loro datazione all'VIII secolo rimane mgionevole. 78. I primi Ordines coronationis a noi giunti datano al XII secolo: de Blaauw 1 994b, pp. 733714; bisogna aggiungere che secondo l'Orda coronationis più antico, della prima metà del secolo,

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cana già avesse una sua importanza. In una fase di relativa concordia tra il papato romano e la corona sassone Giovanni XV poteva ambire ad una degna cornice per ricevere il giuramento di Ottone III. Come è noto, sarà invece un papa sassone, Gregorio V (996-999), al secolo Brunone, figlio del conte Ottone di Worms, a incoronare imperatore il cugino Ottone III, nel maggio del 996. Così come proverrà dalla cerchia imperiale anche il suo successore, Gerberto d' Aurilliac, papa con l'eloquente nome di Silvestro Il (999- 1 003 ). Con lui, però, si giunge ormai alla soglia dell'anno Mille: il principio di un nuovo evo e di una nuova storia.

il giuramento rituale si svolgeva sulla piattaforma di ingresso alla basilica, ma è possibile che non essendo ancora codificata la cerimonia ci fosse una certa oscillazione tra le sedi delle tappe.

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Hg. l. Berlino, Staatliche Museen, Kunstbibliothek, Hdz. 4467, Bottega di Carlo Borromini, Rilie­ vn dell'alzato dell'estremità occidentale della navata nord di San Giovanni in Laterano, anno 1646 11!11 CBCR 1977). Hg. 2. Sancta Sanctorum, Icona del Salvatore, retro (da Wilpert 1907).

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Fig. 3. Windsor, Royal Library, RL 9097, Vestizione di un pontefice, copia da un dipinto del perduto oratorio di San Tommaso, presso il portico di San Giovanni in Laterano (da The Paper Museum li/ Cassiano Dal Pozzo 1998). Fig. 4. Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 4406, f. 1 4 1 r, A. Eclissi, Riproduzione del monu­ mento funebre di Giovanni Xlii (da Herklotz 200 1 ).

Francesco Gandolfo L'Xl secolo: da Silvestro II

(999-1003) ad Urbano II (1088-1099)

Largamente prodigo, per tutti i secoli precedenti, di notizie sulle donazioni e Nug l i interventi operati dai pontefici nei confronti delle chiese romane, fin quasi al limite di una puntigliosità maniacale, il Liber Pontificalis, quando giunge all'XI, v hme colto, su questo specifico argomento, da una totale afasia. 1 In nessuna delle hlografie dei pontefici regnanti nell'arco di quel secolo viene ricordato un inter­ v"nto che si possa riconoscere con i contorni di una loro diretta committenza, con tutte le caratteristiche di decisionalità e di finanziamento o, magari, anche soltan111 di motivazione e di spinta culturale che sono pur sempre necessarie perché si JlllSsa davvero far rientrare una certa iniziativa all' interno di quella specifica cate­ woria. Certamente è possibile invocare a giustificazione dell'assenza una diversa Incl inazione culturale riposta nelle biografie e un mutare dei criteri nella valuta­ t.lone del ruolo da parte di autori evidentemente inclini ormai a esaltare i meriti tll natura politica, piuttosto che a quantificare la bontà dell'operato attraverso il numero o il valore delle elargizioni. Si passa cosi dal profluvio rutilante delle donazioni di ori, argenti, avori e sete che affolla le vite dei pontefici del periodo nltomedievale, alla secca narrazione dei fatti di natura politica ed ecclesiale che vedono coinvolta l'attività pastorale di quelli dell' XI secolo. Ovviamente è anche abbastanza facile comprendere che alla radice di questa 11ltuazione vi furono delle cause storiche, agevolmente individuabili, che si pos­ Nimo sintetizzare in un quadro d' insieme dai contorni assai semplici. 2 Nell'arco tll tempo in cui la carica fu appannaggio delle famiglie nobili romane e in par­ ticolare dei conti di Tuscolo, i pontefici regnanti nella prima metà del secolo, "!!pressione diretta di quella situazione storica, furono tutt'altro che inclini ad occuparsi fattivamente della diocesi romana e infatti, nei tempi successivi, furono �ostantemente ricordati solo e soltanto per l'alto grado di corruzione e di inerzia. llmto è vero che le loro biografie si condensano tutte nella semplice indicazione ti" Ila loro presenza sul soglio di Pietro. Dunque è inverosimile pensare che, in una "ltuazione storica di tale fatta, quegli stessi pontefici abbiano operato significativi 1. LP. n. pp. 263-295. 2. Per la ricostruzione della situazione storica complessiva relativa al papato dell'XI secolo l'lr. Morghen 1 974.

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interventi di committenza a favore delle basiliche romane e che soltanto il caso abbia fatto sì che di quelle iniziative si sia persa ogni traccia storica. La stessa considerazione, sia pure ribaltata nelle motivazioni, vale anche per i pontefici della seconda metà del secolo, quando ormai la situazione politica e culturale era completamente mutata ed era stato avviato, da parte della Chiesa, quel processo di ampia revisione, anzitutto del clima morale, poi della prassi politica, che sareb­ be sfociato in un radicale cambiamento dei costumi del clero e dei suoi rapporti nei confronti dell'impero. 3 I pontefici impegnati in quest'opera di profonda revisione della Chiesa e del­ le sue prerogative furono totalmente presi dall'azione riformatrice e dalla quoti­ diana prassi politica, in situazioni che spesso ne imposero la lontananza da Roma o una presenza tormentata da minacce interne ed esterne incombenti. Anche in questo caso, il clima storico fu tutt'altro che favorevole a una pacifica azione di patronato pontificate nei confronti delle basiliche romane, uno stato di cose che invece sarebbe letteralmente e significativamente esploso, per ampiezza e impe­ gno di iniziative, nei primi decenni del secolo seguente, quando, avviandosi or­ mai a conclusione lo scontro con l' impero e delineandosi una sostanziale vittoria del papato, il tema di un trionfalismo espresso attraverso l'eloquente ricchezza dei monumenti riprendeva a farsi strada come possibile strumento di propaganda. Dunque è abbastanza ragionevole pensare che nel momento più duro e agitato dello scontro, nel momento in cui l' impero contrapponeva al pontefice romano vescovi scismatici e antipapi, tutte le sue energie siano state assorbite da quella vicenda politica e che non vi sia stato spazio, anche sul piano economico, per iniziative di committenza di un qualche significato. In conclusione, anche per il versante della seconda metà del secolo, è lecito pensare che il Liber Pontificalis non sia stato reticente e che davvero gli estensori delle biografie non abbiano avuto a disposizione testimonianze concrete e meritevoli di citazione a proposito di iniziative di patronato promosse dai pontefici di quel periodo. Del resto una situazione non molto differente si registra se si passa a cer­ care eventuali tracce o testimonianze che possano in qualche modo essere il segnale di una fattiva presenza dei pontefici all' interno delle basiliche romane. Un caso significativo può essere quello del ritratto di papa Benedetto VIII, in carica dal 1 0 1 2 al 1 024, conservato in un disegno ad acquarello all'interno del Codice Barberiniano Latino 5407 della Biblioteca Vaticana. 4 È una testi­ monianza, proveniente dalla controfacciata della basilica di San Paolo fuori le mura, nella porzione al di sopra della zona di ingresso, che ha bisogno di essere circostanziata. I dati forniti dall'immagine sono decisamente ambigui. 3 . Una puntuale ricomposizione della situazione romana, nell'arco della seconda metà dell'XI secolo, vista attraverso le testimonianze pittoriche, è stata formulata da Romano 2006d: un testo dalla cui lettura appare evidente la totale assenza di documentate committenze papali, a fronte di fenomeni, nuovi e significativi, come l'emergere in questo campo di una consistente presenza dei laici. 4. Biblioteca Apostolica Vaticana, Codice Barberiniano Latino 4406, f. 1 3 5r: sul disegno cfr. Ladner 1 94 1 a, pp. 1 75-179 e Waetzoldt 1964, p. 56, n. 585.

L'XI secolo: da Silvestro II (999- 1003) ad Urbano II ( 1 088- 1099)

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Si tratta infatti del ritratto di tre quarti di un pontefice che indossa una pianeta

rossa e, al di sopra di questa, il pallio con una croce scura. L' identificazione del personaggio è fornita da una iscrizione che è stata composta su tre righe, in un riquadro disegnato a lato della sua figura, sulla sinistra, e che è stata interpreta­ In, sciogliendo le abbreviazioni e correggendo le anomalie, come «Benedictus V 111 papa» . s Nel disegno il ritratto è accompagnato, subito sopra, da una scena di Andata n l Calvario e, sulla destra, da una immagine di pontefice, leggermente chino in nvanti, con una pianeta gialla e il pallio con una croce scura. Questo secondo pontefice ha sul capo una tiara a tre corone, con una croce conclusiva, che lo tl ualifica come personaggio vissuto non prima del tempo di Bonifacio VIII. A fronte di questo stato di cose è evidente che il ritratto di Benedetto VIII appartie­ ne a uno strato pittorico più antico, rispetto a quello del pontefice con il triregno. l \d è altrettanto evidente che anche la scena dell 'Andata al Calvario, per via dei cnratteri stilistici che traspaiono dalla sua ragione compositiva e dal suo impianto rnppresentativo, non può essere riferita agli inizi dell'XI secolo. Semmai può ndattarsi più ragionevolmente a una fase intermedia tra quelle testimoniate dai t l ue ritratti di pontefici. Perché, se dobbiamo credere allo stato dei fatti indicato tlnl l 'acquerello, la scena non ha un punto di accordo neppure con la figura dell'al­ tro pontefice, per il quale è stata proposta da Ladner l'identificazione con il papa nvignonese Giovanni XXII del quale è ben noto il coinvolgimento nei lavori di decorazione musiva della facciata della basilica, anche se obiettivamente non vi t' nessuna concreta ragione a favore di questa ipotesi. 6 Il ritratto di Benedetto VIII, insieme con le pitture circostanti, è stato ri­ prodotto anche da Saroux d' Agincourt, sia pure con delle varianti non influenti tuttavia sulla sostanza del riconoscimento del quadro d' insieme.? Lo stesso au­ le 1rc riporta la esistenza, tra le rappresentazioni dell'Andata al Calvario e quella contigua di una Deposizione, di un monogramma che è stato interpretato come liUel lo dell'immediato predecessore di Benedetto VIII, papa Sergio IV. Sulla base del la presenza di queste testimonianze è stata avanzata l' ipotesi che il ricordo dei due pontefici, in quella zona della basilica, fosse legato al restauro dei tondi con l ritratti papali eseguiti in età paleocristiana sulla controfacciata.8 Come è facile Intuire si tratta di una indicazione che non ha alcuna possibilità di riscontro, per­ ché le testimonianze superstiti non permettono di cogliere l'aspetto fondamentale llclla situazione e cioè la stratigrafia degli intonaci e l'effettiva collocazione dei dipinti in rapporto alla struttura muraria. Se poi ci si attiene al ristretto del dato Iconografico, cosi come è fornito dal codice barberiniano, la ragionevolezza im­ pone di constatare che il ritratto di Benedetto VIII ne propone la figura in una Sulla figura del pontefice, uno dei cosiddetti "tuscolani", cfr. Tellenbach 1 966. Ladner 1 94 1 a, pp. 1 17- 1 78. 7. Saroux D'Agincourt 1 824- 1 835, VI, tav. 96. 8. L'ipotesi risale a De Bruyne 1 934, pp. 136- 1 3 8 ed è stata ripresa da Ladner 1 94 1 a, pp. 176-177. 5. 6.

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posizione frontale e iconograficamente indeterminata che non ha in sé specifiche caratteristiche come ritratto di committenza.9 Semmai vale la pena di notare che quel tipo di rappresentazione papale trova nello stesso Codice Barberiniano Latino 4406 due termini di confronto a testi­ monianza anch'essi di opere esistenti, un tempo, nella basilica di San Paolo fuori le mura, lungo le murature d'ambito. Il primo si riferisce con certezza a papa Giovanni XIII, in carica tra il 965 e il 972.1 0 Nel suo insieme la rappresentazione prevede un arcosolio al cui interno è collocato un tondo con il ritratto del ponte­ fice a mezzo busto, colto nell'atto di benedire con la mano destra e di reggere un volume chiuso con la sinistra, mentre un nimbo quadrato gli si dispone intorno alla testa. Ai lati del tondo, rappresentati seduti e a figura intera, compaiono i santi Pietro e Paolo. Tutti i protagonisti sono identificati tramite delle iscrizio­ ni. Sempre nello stesso manoscritto è presente una rappresentazione iconogra­ ficamente simile, anche se non identica nel dettaglio, da collocare anch'essa in San Paolo fuori le mura.11 In questo caso, all' interno di un arcosolio compare, al centro, il ritratto che dobbiamo supporre a mezzo busto di un pontefice con il nimbo quadrato, con ai lati le sole teste, di proporzioni maggiori, dei santi Pietro e Paolo. Il disegno riproduce lo stato di degrado, esistente già all'epoca in cui è stato realizzato, di tutta la porzione inferiore della pittura, ponendo in evidenza la caduta degli intonaci, il che determina una situazione che non permette di capire le ragioni del marcato divario di proporzioni tra le teste dei due santi e la figura centrale, per la cui identificazione è stato proposto da Ladner il nome di papa Gio­ vanni XVIII, in carica dal 1 004 al 1 009, sulla base della esistenza nella basilica di una iscrizione che ne conserva il ricordo, anche se nulla la pone in rapporto diretto con la perduta pittura. In entrambi i casi si è ipotizzato che queste testimonianze di ritratti papali fossero legate a delle sepolture, soluzione certamente indotta dalla incorniciatura ad arcosolio. Tuttavia l' unico elemento iconograficamente certo che vi compare è la presenza del nimbo quadrato, messo in rapporto con il ritratto centrale del pon­ tefice, il che appare decisamente in contraddizione con l' idea di una immagine funeraria. Semmai la presenza, ai lati, delle immagini dei due principi degli apo­ stoli sembra piuttosto suggerire una situazione di tipo glorificante per il pontefice rappresentato al centro, secondo una formula che lascia pensare a un intervento di committenza terza e non a una iniziativa personale del diretto interessato. Anche il ritratto di Benedetto VIII potrebbe dunque rientrare in questa stessa categoria, tenuto conto che le testimonianze concordano nel riferircelo come il brandello di una rappresentazione più ampia disposta su un intonaco sottostante a quello di affreschi più recenti e interessati da tutt'altre rappresentazioni. In tal caso non si 9. Sulle caratteristiche del ritratto di committenza nel medioevo romano cfr. Gandolfo 2004b. l O. Biblioteca Apostolica Vaticana, Codice Barberiniano Latino 4406, f. 1 4 1 ': sul disegno cfr. Ladner 1 94 1 a, pp. 1 68- 1 70 e Waetzoldt 1964, p. 56, n. 588. 1 1 . Biblioteca Apostolica Vaticana, Codice Barberiniano Latino 4406, f. 142': sul disegno cfr. Ladner 1 94 1 a, p. 1 72 e Waetzoldt 1 964, p. 56, n. 589.

L'XI secolo: da Silvestro II (999-1003) ad Urbano II (1088-1 099)

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tratterebbe della testimonianza di un intervento fattivo del pontefice nei confronti della basilica, ma dell'omaggio reso alla sua persona da parte di un anonimo committente, facendo irrimediabilmente cadere la possibilità di riconoscere in quel disegno la traccia di un episodio di patronato. Altrettanto intrigante è la proposta di identificare nel ritratto di monaco basi­ l iano presente nel mosaico con la rappresentazione dellaDeesis, posto al di sopra del portale di ingresso alla abbazia di Grottaferrata, il pontefice Benedetto IX, un altro dei cosiddetti ''tuscolani", Teofilatto figlio del conte di Tuscolo Alberico III, più volte cacciato e riammesso al pontificato in un arco di tempo che va dal l 032 al 1 048.12 In questo caso a suffragare l'ipotesi è stata utilizzata la notizia, ancora tutta da dimostrare, in base alla quale, indotto al pentimento da san Bartolomeo, egli avrebbe abbandonato il pontificato e, fattosi monaco, si sarebbe ritirato pres­ so l'abbazia di Grottaferrata dove sarebbe stato anche sepolto.IJ In ogni caso, a rendere inaccettabile l' ipotesi che egli possa essere stato il committente del mosaico e che per tale motivo vi sia stato celebrato, sta la ragione stilistica che ri­ manda ad un periodo decisamente posteriore, rispetto a quel preteso riferimento, portando a una più ragionevole identificazione del personaggio rappresentato ai piedi del Cristo con l'egumeno Nicola II che verosimilmente fu colui che fece re­ uli zzare l'opera, in un momento che è da valutare intorno agli anni trenta del XII secolo. 14 In questo modo viene a cadere un'altra possibilità di trovare un pontefice del secolo precedente in una condizione certa di diretta funzione di committente. Ed è abbastanza significativo del quadro storico descritto in precedenza e di que­ sta generale situazione di vuoto che l'unica testimonianza, non diciamo sicura, ma in un certo senso concreta, di un intervento di quel tipo da parte di Urbano Il, si riferisca a una realtà non romana. Il caso è quello del mosaico pavimentate della chiesa abbaziale di Saint­ Victor a Cruas, nell' Ardèche, che doveva contenere un perduto ritratto di prelato rappresentato nei panni di committente, con un modellino della chiesa in mano, mentre una iscrizione, anch'essa scomparsa, sottolineava come papa Urbano II nel 1 095 avesse provveduto a far decorare l'edificio in cui era uso pregare.15 Ov­ v iamente queste indicazioni ci giungono per via indiretta e non abbiamo stru­ menti per valutare se vi fosse un rapporto concreto tra ritratto e iscrizione. In ogni caso non vi sono motivi per mettere in dubbio la notizia che il pontefice, nel l 095, avesse provveduto a finanziare una decorazione nella chiesa. Quello che non è possibile fare è identificare con certezza questo intervento con il mosaico 12. Sul personaggio cfr. Capitani 1 966. 13. L'identificazione è stata argomentata da Ladner 1 941a, pp. 99-1 05. Sulla inattendibilità tlclle notizie che sostanziano il rapporto tra Benedetto IX e l'abbazia di Grottaferrata e sulle ragioni Ntoriche che hanno portato alla loro divulgazione cfr. Parenti 2005, pp. 1 1 8-125. 14. Questa ipotesi di identificazione, con la correlata cronologia, è stata proposta da Andaloro I'JK3, pp. 266-269. Di un momento leggermente precedente, «intorno al l lOO o nei primissimi anni 1lcl XII secolo», giudica il mosaico Pace 1987, pp. 56-6 1, il quale di conseguenza non esclude la possibilità che il ritratto possa essere un omaggio postumo a Benedetto IX. 15. Sul ritratto del pontefice cfr. Ladner 1941a, pp. 229-23 1 .

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pavimentate del catino absidale, anche se è in rapporto ad esso che la notizia ci viene tramandata, tanto più che effettivamente in quell'anno Urbano II si trovava nei pressi di Cruas e provvide a una consacrazione dell'edificio, sia pure in via del tutto provvisoria. Come è stato sottolineato di recente è verosimile pensare che il mosaico pavimentate, al cui interno una seconda iscrizione riporta la data del l 098, legata alla dedicazione a Maria Vergine dell'altare presente in quel con­ testo, sia stato realizzato dopo la morte del pontefice, forse già agli inizi del XII secolo.16 Questo stato di cose dunque non permette di legare in maniera diretta e certa la scelta iconografica fatta nell'occasione con la sua iniziativa di commit­ tenza. Il mosaico presenta infatti le figure dei profeti Enoc ed Elia, racchiuse en­ tro due riquadri, intervallati al centro da un terzo che contiene le rappresentazioni di un albero di fico, la pianta paradisiaca del bene e del male, e dell'albero della vita, individuato come lignum.17 La scelta iconografica operata nel mosaico pavimentate trova una singolare consonanza con il modo con cui, nello stesso tomo di anni, nelle cattedrali di Mo­ dena e di Cremona si celebrò la data della fondazione, rispettivamente nel l 099 e nel 1 1 07. Li i due profeti erano stati chiamati a reggere le iscrizioni che ricordano l'avvenimento ed è evidente, cosi come del resto a Cruas, che alla loro presenza veniva attribuita una valenza beneaugurante. L'esegesi medievale individuava in essi, mai morti perché assunti in cielo, i testimoni della fede che, secondo Apoca­ lisse 1 0, 3-1 1 , verranno inviati a combattere contro la bestia che sale dall'abisso la quale li vincerà e li ucciderà, ma dopo tre giorni e mezzo Dio li resusciterà e li accoglierà nel giardino del Paradiso che dopo sarà riservato a tutti gli eletti. 18 È ragionevole pensare che questa loro presenza in rapporto al ricordo epigrafico della fondazione di edifici assumesse un preciso valore in relazione al contesto storico e politico all' interno del quale quegli avvenimenti si collocavano. Esemplare in questo senso è il caso di Modena dove la fondazione della cat­ tedrale avvenne nel corso di una violenta contrapposizione tra il partito imperiale e scismatico e quello filopapale che fini con l'avere il sopravvento con l'arrivo, nell'anno successivo alla fondazione, del vescovo Dodone che prese definitiva­ mente in mano la situazione della diocesi e alla cui iniziativa è da attribuire anche la scelta degli elementi simbolici destinati a organizzare il corredo figurativo del­ la nuova cattedrale.19 Se, in altri termini, nella ragione iconografica della lapide di fondazione della cattedrale modenese, si può individuare una scelta operata dal partito papale, ripresa poi anche a Cremona, nel caso di Cruas non abbiamo gli strumenti storici e documentari per confermare, senza tema di dubbio, che quella 16. Barrai I Altet 20 10, pp. 278-284. 17. La connessione iconografica dei due profeti Enoc ed Elia con il tema del giardino paradi­ siaco è già presente, nel secondo quarto del VI secolo, nel mosaico pavimentate del braccio meri­ dionale del transetto della chiesa di San Demetrio a Nikopolis in Epiro: cfr. Kitzinger 195 1 . 1 8. Gandolfo 1 985, pp. 5 1 9-52 1 . 19. Sulla situazione storica modenese cfr. Simeoni 1949 e Bocchi 1989. Per i riflessi artistici di questa situazione storica cfr. Gandolfo 1 982; Frugoni 1 984; Quintavalle 1 99 1 ; Frugoni 1 999; Glass 20 10, pp. 1 09- 1 98.

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indicazione iconografica, funzionale a sottolineare il favore divino riservato alla Chiesa e dunque al partito papale, originasse da una scelta esplicita effettuata in prima istanza da Urbano Il, certamente una delle figure di pontefice storicamente impegnate sul fronte delle rivendicazioni a favore della Chiesa riformata, in con­ trapposizione alle pretese imperiali. Questa considerazione apre di riflesso il problema della totale inesistenza, anche nella Roma della seconda metà dell'XI secolo, di tracce di interventi pa­ pali in campo artistico nei cui programmi decorativi si possa cogliere una decisa volontà programmatica legata all'ambiente riformato. Da questo punto di vista, è necessario tenere ben distinto il ricordo dei pontefici regnanti al momento della celebrazione della liturgia di consacrazione di edifici nei quali si erano svolti lavori di ricostruzione o di riadattamento, rispetto a un eventuale diretto interes­ samento a quegli stessi interventi, con la conseguente possibilità di una scelta di indirizzo ideologico nei loro confronti. È questo il caso ben documentato epigra­ ficamente in relazione al pontefice più significativo, sotto il profilo della prassi politica, nell 'ambito della riforma della Chiesa, Gregorio VII, in occasione della consacrazione delle chiese di Santa Maria in Portico e di Santa Pudenziana. Nel primo episodio il dato epigrafico ci informa che il pontefice provvide in prima persona alla consacrazione dell'edificio, il che è aspetto liturgicamente ovvio, trattandosi pur sempre del vescovo della diocesi romana.20 Nel secondo caso (fig. l ) la presenza fisica del pontefice alla celebrazione non viene affatto annotata e il suo nome compare nel contesto della semplice indicazione, di natura cronologica, che la consacrazione ebbe luogo durante il suo pontificato.21 Anzi in questo se­ condo caso il testo è esplicito nell' indicare che il rinnovamento dalle fondamenta dello spazio architettonico interessato dai lavori avvenne per iniziativa del cardi­ nale titolare Benedetto. Se ci si attiene al dettato dei documenti, che del resto è l'unico spazio di azione concesso a uno storico, occorre convenire che, nel caso di quei due mo20. Riccioni 2005; Riccioni 2007. 2 1 . Come sottolinea CBCR 1 97 1 , p. 283 e p. 304 l'iscrizione, oggi addossata alla parete della navata sinistra, fu vista da Onofrio Panvinio (cfr. Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Vat. lat. 6780, f. 66) nella cappella di San Pastore. Dunque non è detto che essa si riferisca alla chiesa nel �uo complesso, ma potrebbe invece riguardare soltanto quell'annesso, tanto più che vi si fa espli­ cito riferimento al fatto che l'ambiente venne consacrato, in quell'occasione, a san Pastore e a san Oiovanni il Precursore. Per una traduzione dell'epigrafe cfr. Morghen 1 974, p. 235. L'ipotesi, del lutto labile, che la cerimonia sia da collocare nel 1 080 si basa sul fatto che la data del 26 di luglio, indicata nell'iscrizione senza ulteriore notazione cronologica, cadeva in quell'anno di domenica giorno ritenuto più idoneo per una consacrazione. Occorre tuttavia notare che nel caso della con­ �acrazione di Santa Maria in Portico, la data indicata per la celebrazione, 1'8 luglio, in quell'anno cadeva di lunedi, vanificando l'ipotesi. È perciò decisamente più logico lasciare aperto in proposito uno spazio ampio, corrispondente all'intero arco del pontificato di Gregorio VII , dal 1 073 al 1085. Come ho già avuto modo di sottolineare (cfr. Gandolfo 1 985, pp. 530-53 1 ) l'iscrizione «non può essere, per il suo tenore, contemporanea all'avvenimento che ricorda ma gli è certamente posterio­ re e composta tra l'altro su informazioni lacunose. Diversamente non ometterebbe le indicazioni cronologiche relative al pontificato di Gregorio VII e all'anno in cui si sarebbe svolta la cerimonia di consacrazione».

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numenti, non vi fu nessuna provata ingerenza papale nel gestire i lavori che si svolsero al loro interno, così come la documentata presenza di Gregorio VII, nel 1 080, in occasione della consacrazione dell'altare della confessio della chiesa di Santa Cecilia non può significare una sua fattiva presenza in relazione a eventuali lavori nella chiesa, tanto più che cardinale titolare ne era in quel momento l'abate di Montecassino Desiderio, dunque un personaggio che, sul piano della organiz­ zazione dei fatti artistici, non aveva certo bisogno di suggeritori.22 Analoghe con­ siderazioni si possono fare anche a proposito del ricordo di altre consacrazioni di edifici romani di cui furono attori liturgici in prima persona pontefici legati agl i ambienti riformati come è il caso, nel l 049, di Leone IX in relazione alla chiesa d i San Ciriaco e d i Stefano IX che, tra il 1 057 e il l 058, provvide alla consacrazione di quella di San Lorenzo in Damaso.2J Naturalmente nulla impedisce di pensare che quegli interventi abbiano ri­ cevuto l'approvazione papale, ma questo a sua volta non autorizza a ritene­ re che vi sia stata una sorta di concatenazione logica per cui nei loro aspetti compositivi e decorativi si debba necessariamente essere sostanziata una realtà formale animata da una precisa ragione ideologica, coagulata intorno a esi­ genze simboliche e dimostrative proprie della Chiesa della riforma. Tanto più che della effettiva realtà di quei monumenti poco o nulla sappiamo. E anche in quei casi in cui, come a proposito dei frammenti superstiti del portale di Santa Pudenziana (fig. 2), si è voluta legare la loro testimonianza al momento della consacrazione della chiesa, la prudenza avrebbe dovuto prima di tutto portare a valutare che nulla connette l'avvenimento, in maniera diretta, alla figura del pontefice e che le nostre conoscenze sulla effettiva cronologia delle poche scul­ ture presenti a Roma, tra XI e XII secolo, sono talmente labili e in nessun caso ancorate a puntuali e consistenti ragioni documentarie, da rendere difficile i l portare avanti dei discorsi che possano davvero consentire il riconoscimento di valenze simboliche che, per essere sostanziate e credibili, avrebbero invece la necessità di un timbro cronologico ad annum o quasi e soprattutto l'esigenza di documentati ed effettivi percorsi di committenza.24 Del resto non è che il bottino delle notizie si accresca anche a voler rincor­ rere, quasi per disperazione, le iniziative artistiche promosse a Roma dai futuri pontefici, prima della loro assunzione alla carica. Nel caso di Giovanni Graziano, il futuro Gregorio VI, si hanno notizie relative a un rifacimento delle pareti la­ terali della canonica di San Giovanni a Porta Latina, nel momento in cui egli ne era l'arciprete. Ma a smorzare gli entusiasmi sta anche la dichiarazione resa dallo stesso interessato, nel concilio di Sutri del 1 046, che si sarebbe concluso con la sua deposizione, di avere utilizzato i denari destinati al restauro della chiesa per 22. Claussen 2002, pp. 228-229. 23. Per la consacrazione di San Ciriaco cfr. Cavazzi 1 908, pp. 1 05- 1 06. Per quella di San Lorenzo in Damaso cfr. Claussen 20 10, pp. 249-250. 24. Convinti assertori della cronologia gregoriana del portale sono stati in tempi recenti Fra­ tini 1 996; Claussen 2004; Claussen 2007; Claussen 2008b. In proposito non posso che rinviare alle osservazioni esposte nel testo e alla nota 20.

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avviare il traffico simoniaco che lo avrebbe portato a ottenere il papato.25 Che in­ tomo al l 056- 1 057, quando era cardinale titolare della basilica di San Crisogono c abate di Montecassino, Federico di Lorena, che di li a poco sarebbe stato eletto papa con il nome di Stefano IX, abbia fatto realizzare gli affreschi con le storie di san Benedetto nella navata laterale della basilica inferiore è una ipotesi seducente che tuttavia non ha a suo favore alcun sostanziale fondamento documentario.26 Essa trae le sue ragioni cronologiche non da un dato concreto, ma da una sorta di processo a ritroso per cui si è ritenuto che i contenuti iconografici del ciclo si adattassero, come scelta, a quel presunto committente, da qui una loro collocazio­ ne nel tempo diversa rispetto a quella tradizionale, nella seconda metà del secolo precedente.27 Lo stesso discorso vale per il rapporto tra il futuro Pasquale II e i perduti affreschi del portico laterale della basilica di San Lorenzo fuori le mura di cui, come Ranieri di Bieda, era abate o con quelli della basilica inferiore di San Clemente, chiesa di cui era cardinale titolare.28 In entrambi i casi un nesso diretto tra il personaggio e i contenuti delle opere e quindi la presenza di una sorta di cor­ to circuito ideologico tra quella che sarà la sua prassi politica, una volta assurto al papato, ribaltata all' indietro a dare sostanza a quelle pitture è, ancora una volta, ipotesi sfiziosa ma tutt'altro che dimostrata. Una situazione analoga coinvolge Ildebrando, il futuro Gregorio VII, nel momento in cui, come abate della basilica di San Paolo fuori le mura, nel l 070, uccoglie la porta bronzea fatta realizzare a Costantinopoli dal console amalfi­ tano Pantaleone e da lui donata alla basilica. 29 Come già prudentemente notava Matthiae, il pensare che Ildebrando avesse chiesto a Pantaleone una porta si­ mile a quella che egli aveva visto a Montecassino è congettura priva di ragioni dimostrative, basata sulla semplice trasposizione a posteriori, nella realtà ro­ mana, della notizia, riferita da Leone Ostiense, dell'abate Desiderio che aveva ummirato la porta bronzea della cattedrale amalfitana e aveva deciso di averne una simile per la propria abbazia.30 Ma in proposito lo stesso Leone Ostiense 25. Sulla vicenda storica cfr. Borino 1 904 e Morghen 1 974, pp. 1 7-22. Sul monumento, in una cfr. Sartori 1999, pp. 303-306 e Claussen 2007, pp. 66-69. 26. L'ipotesi risale a Brenk 1984; Brenk 1 985. Da ultimo cfr. Romano 2006e e Mazzocchi l1HI7. 27. Era questa la datazione proposta tra gli altri da Matthiae: cfr. Andaloro 1987, pp. 199-200. 28. Il riferimento per entrambi i casi è stato suggerito da Toubert 1 976. Da ultimo per gli nll'rcschi di San Lorenzo fuori le mura cfr. Romano 2006g e Acconci 2007, pp. 97- 1 1 1 e per quelli tlcllu basilica inferiore di San Clemente, Romano 2006f. 29. Bloch 1986, I, pp. 1 4 1 - 1 5 1 ; Frazer 1 990, pp. 274-275; da ultimo, Bevilacqua 2009, la qua­

tl hncnsione possibilista,

le ritiene che il ricco repertorio narrativo della porta, a differenza di quanto accade nei casi di altri manufatti simili, renda di per sé inevitabile pensare a un intervento programmatore di Ildebrando,

reputando che Pantaleone non fosse culturalmente adeguato a svolgere un tale ruolo: ovviamente N i trutta di una ipotesi che non godrà mai del beneficio della dimostrazione, ma che ha l'utile van­ '""'gio di trasformare in un fatto concreto quello che è soltanto un giusto desiderio di far tornare i t'unti storici. 30. Matthiae 197 1 , pp. 73-82; per il passo di Leone Ostiense cfr. Die Chronik 1 980, p. 385, 111.

18, 10- 1 4.

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riferisce che la porta bronzea, una volta giunta a Montecassino dopo che, nel frattempo, l 'abate aveva deciso di procedere alla ricostruzione della chiesa, si rivelò incompatibile con le misure del nuovo portale, per cui dovette attendere molto tempo prima di essere montata, operazione che ebbe luogo solo all 'epoca dell'abate Oderisio Il, così da rendere anzitutto inverosimile l' ipotesi che Ilde­ brando potesse averla vista e chiesto di averne una eguale.Jl Certamente egli ap­ provò il dono operato da Pantaleone: lo sottintende l ' iscrizione che ne riporta il nome, sicuramente realizzata a Roma, ma forse nemmeno contemporanea agli avvenimenti perché contiene, come è noto, un vistoso errore nella indicazione del pontefice regnante che la rende poco attendibile.JZ Dunque, in assenza di documenti che lo provino, la situazione non ci autorizza a pensare che egli sia intervenuto a priori nella programmazione dei contenuti dell 'opera, una scelta che lo stato dei fatti ci consente di attribuire solo all' iniziativa, diretta o indi­ retta che sia stata, del vero committente che infatti compare rappresentato tra Cristo e san Paolo (fig. 3), nei tradizionali termini iconografici bizantini della proskynesis, atti a interpretare tale ruolo. Anche a proposito di un documentato e significativo committente come l'abate di Montecassino Desiderio il rapporto con Roma appare laconico. Certa­ mente il suo pontificato con il nome di Vittore III, tra il l 086 e il l 087, fu troppo breve per lasciare una qualsivoglia traccia. Tuttavia fin dal l 059 egli era stato creato cardinale titolare della basilica di Santa Cecilia e in quello stesso tomo di tempo, precisamente nel l 06 1 , la chiesa di Santa Maria in Pallara divenne una dipendenza cassinese.33 Ciò malgrado è difficile individuare delle iniziative artistiche che gli possano essere attribuite. Nella chiesa l'unica testimonianza che può essere riferita a quel tempo è il pannello con san Benedetto (fig. 4), affiancato dai santi Zotico e Sebastiano che si sovrappone agli affreschi del catino absida­ le della fine del X secolo.34 Una piccola cosa la cui sola ragione sostanziale è quella di testimoniare dell'origine benedettina della scelta iconografica e dunque di confermare come ragionevole il riferimento cassinese per quel contesto, non certo per quello delle ragioni di stile. Il nome di Desiderio compare anche su un reliquiario di san Matteo conservato nella basilica dei Santi Cosma e Damiano: tuttavia una iscrizione riferisce che le reliquie del santo furono portate a Monte3 1 . Bloch 1 986, I, pp. 465-494. 32. Come è noto, apposto su una cornice e steso con caratteri completamente differenti ri­

spetto a quelli utilizzati nelle altre due iscrizioni presenti nella porta, il testo confonde il pontefice regnante Alessandro II con Alessandro IV: non volendosi arrendere di fronte al fatto che con ogni verosimiglianza si tratta del frutto di un intervento molto posteriore rispetto alla fase di primo montaggio del manufatto, l'ipotesi sulla quale tutti si sono adagiati è che si debba correggere la lettura dell'inequivocabile «quarti» con un improbabile «cum arte», attribuendo l'errore a chi ha inciso l'iscrizione. Si tratta però di una soluzione che complica le cose, anziché semplificarle, per­ ché questa dizione, nello specifico del contesto, non ha nessun senso. Penso che la ragionevolezza debba portare invece ad ammettere la presenza di un errore causato dalla lontananza nel tempo della stesura dell'iscrizione rispetto ai fatti che descrive: cfr. anche Bloch 1986, I, pp. 143-145. 33. Bloch 1 986, l, pp. 3 1 9-323. 34. Gandolfo 1988, pp. 1 9-20 e p. 25 1 .

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cassino da Salerno e che a trasferirle a Roma fu Cencio Frangipane, sicuramente entro il 1 086, limitando l' iniziativa dell'abate alla sola prima operazione.35 Altrettanto indeterminabile, nella concretezza dei fatti, è il rapporto che De­ siderio ebbe con la basilica di cui fu cardinale titolare. Nell'arco di tempo in cui egli svolse tale funzione si può contare sulla progressiva consacrazione di ben sei altari: già agli inizi, nel l 060, si ha notizia di una prima cerimonia di tal fatta; nel 1 07 1 si provvede a consacrare l'altare di Santa Maria e nel 1 072 quello di San Giovanni Battista; nel 1 073 è la volta dell'altare sul luogo del martirio, il cosiddetto "bagno"; sempre nel 1 073 viene dedicato un altare a Sant'Andrea e nel 1 080, come si è già detto, l'altare della confessio viene consacrato da papa Gregorio VII.36 Malgrado tanta abbondanza di notizie, in realtà a nessuna di que­ ste corrisponde la possibilità di legare un intervento di cui possano essere definiti i contorni formali e che permetta una valutazione sui modi e sulla qualità delle eventuali operazioni compiute, poiché si può anche dare il caso che tutto quel fervore di iniziative coinvolgesse solo gli altari in quanto tali e le reliquie che in essi erano o stavano per essere contenute e niente altro. Se la cautela deve dunque indurre ad astenersi da qualunque giudizio su quali possano essere stati gli indirizzi artistici dei pontefici dell'XI secolo nei confronti dei monumenti romani, occorre invece registrare il fatto che negli ul­ timi decenni tale prudenza non è stata usata, proprio partendo da quella che fu certamente la più documentata operazione di committenza posta in atto da Desi­ derio e cioè la ricostruzione del complesso conventuale di Montecassino e in par­ ticolare della chiesa abbaziale. Non vi è dubbio sul fatto che quella operazione fu condotta in un clima generale di ripresa di modelli dalle antiche basiliche romane e di diretto recupero di materiali classiciY L'acquisto a Roma dei marmi antichi necessari a condurre l'operazione, l' impianto basilicale concluso da un grande transetto continuo, la scelta del mosaico come tecnica decorativa del catino absi­ dale, fino ai tituli composti dall'arcivescovo di Salerno Alfano per accompagnare quella decorazione, tutte queste scelte furono operate con l'occhio attento a re­ cuperare i termini compositivi di una tradizionale basilica paleocristiana romana. Fin qui dunque niente di strano, nel senso che l'operazione appare finalizzata a garantire la magnificenza della chiesa abbaziale, sulla base di un modello lunga­ mente frequentato e apprezzato nel corso dei secoli. Il problema nasce nel momento in cui si è dato particolare ascolto all' idea espressa prima da Alfano di Salerno poi da Leone Ostiense che la rinascita del mosaico avvenisse dopo centinaia di anni che in occidente la capacità di operare con quella tecnica decorativa era scomparsa.38 Si tratta ovviamente di una falsità 35. Rossi 1 975, p. 1 9 1 , scheda 5; Bloch 1 986, l, pp. 82-88. 36. Per la puntuale elencazione degli altari e la documentazione relativa alla loro consacrazio­ ne cfr. Claussen 2002, pp. 227-228. 37. Un quadro d'insieme degli spiriti che animarono l'impresa desideriana è offerto da Spe­ ciale 1997. 38. Lentini, Avagliano 1 974, pp. 1 7 1 - 1 78, carme 32, de situ, constructione ac renovatione [eiusdem] coenobii , in particolare p. 1 76, vv. 1 40- 149: «His Iabor in vitrea potius l

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patente, buttata li senza troppo pensarci, al fine di ottenere gli effetti di una vio­ lenta enfasi retorica. Ciò malgrado gli storici dell'arte l'hanno presa molto sul serio e si sono convinti che dietro a quella indicazione si nascondesse una chiara e cosciente posizione ideologica e che la ricostruzione della abbazia di Montecas­ sino, nelle sue motivazioni formali e nel suo rapporto con le antiche basiliche ro­ mane, rappresentasse niente altro che l' adeguamento a una scelta programmati ca formulata dal papato della riforma, dunque dal papato della seconda metà dell'Xl secolo, il quale, istituendo una sorta di "MinCulPop" ante litteram, avrebbe de­ ciso di porre in atto quella che ormai è diventata, nella dizione corrente, "l'arte della riforma", la quale avrebbe avuto tra i suoi caratteri precipui anzitutto una logica formale fondata sulla ripresa simbolica dell'antico.39 Cosi, per singolare ironia della sorte, dopo che la prima metà del Novecento si era adagiata nell' idea della esistenza di un'arte benedettina, propagatasi per mezza Europa, proprio par­ tendo da Montecassino, fino alla radicale e irrimediabile stroncatura di quella ipotesi interpretativa attuata da De Francovich nel 1 955, forse per ritrovare un approdo sicuro al quale non si voleva rinunciare, solo pochi anni dopo, il presunto ruolo guida di Montecassino è rinato come paradigma del cosiddetto fenomeno dell'arte della riforma e con una pretesa in più: che attraverso i labili ricordi del cantiere desideriano si potessero trovare le tracce della contemporanea vicenda artistica romana e papale.40 Tutto questo è avvenuto senza che vi fosse la benché minima traccia di una documentazione diretta, senza che vi fossero dei testi scritti che indicassero espli­ citamente l'esistenza di un dibattito contemporaneo in merito, senza che vi fosse­ ro delle fonti e dei documenti che permettessero una lettura dei fatti storici prima ancora che artistici davvero orientata in quella direzione.41 Se ci atteniamo ai dati materia datur eximia; l nam variata coloribus haec l sic hominis decorat speciem l non sit ut alter in effigie. Il Lustra decem novies redeunt, l quo patet esse laboris opus l istius urbibus Italiae l illi­ citum; peregrina diu l res, modo nostra sed efficitur». (cfr. anche Acocella 1 97 1 , pp. 285-3 1 9). Dic Chronik 1980, p. 396, m, 27, 20-24: «Et quoniam artium istarum ingenium a quingentis et ultra iam annis magistra Latinitas intenniserat et studio huius inspirante et cooperante Deo nostro hoc tem­ pore recuperare promuerit, ne sane id ultra ltalie deperiret, studuit vir totius prudentie plerosque dc monasterii pueris diligenter eisdem artibus erudiri». A dare particolare valore dimostrativo a queste due indicazioni, a favore di una radice cassinese dell'arte romana dell'ultimo quarto dell'XI secolo. è stato Kitzinger 1972a; Kitzinger 1972b. Altrettanto significativi, in quella stessa direzione, sono stati i lavori di Toubert 1970; Toubert 1976; Toubert 1990 e Toubert 1997. 39. Significativo in questo senso è l'intervento di Tronzo 1999. Su questo punto mi sono già espresso molti anni addietro e non vedo ragioni per modificare quanto ho detto in quella occasione, visto che lo ritengo ancora pienamente attuale: cfr. Gandolfo 1989. Alcune delle mie perplessità sono state fatte proprie anche da Pace 2007. 40. Come è noto l'idea di una realtà artistica che, nata a Montecassino, avrebbe da li in­ fluenzato le zone limitrofe si era sviluppata grazie alla pionieristica ricerca di Bertaux 1903, l, pp. 1 55-308. Successivamente l'ipotesi era letteralmente deflagrata, fino a portare a ravvisare caratteri "benedettini" nelle più disparate situazioni storiche e geografiche: fu questo l'aspetto stigmatizzato da De Francovich 1 955, pp. 475-5 17. Sullo stesso argomento cfr. anche Pantoni 1959. 4 1 . Il lodevole tentativo compiuto da Kessler 2007 di scandagliare gli scritti di Pier Damiani e di Bruno di Segni alla ricerca finalmente di una posizione originale sul problema delle arti che

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di fatto non possiamo non constatare che il modo di operare posto in essere a Montecassino, con la scelta della tipologia basilicale, caratterizzata dali 'utilizzo di materiale di spoglio, dal transetto continuo, dal decoro musivo dell'abside, dal quadriportico antistante alla facciata, altro non fu che il voluto rifarsi a soluzioni che da sempre facevano parte della tradizione del medioevo romano e non solo di quello paleocristiano, al di là di qualunque immediata e cogente scelta forma­ le, attuata nell' urgenza dimostrativa e polemica della lotta politica condotta dal papato nella seconda metà dell'XI secolo.42 Se si scorre il testo più significativo e davvero polemico che si lega a quel momento storico, il Dictatus papae di Gre­ gorio VII, è quasi ovvio constatare che gli unici spazi visivi che in esso vengono proposti alla nostra attenzione sono quelli relativi agli strumenti e ai modi dimo­ strativi dell' idea che un esponente della Riforma ha della natura e delle prerogati­ ve del potere papale, nel momento in cui sottolinea che al solo pontefice romano spetta l' uso delle insegne imperiali e che solo ad esso è riservato l'omaggio, tipi­ camente imperiale e bizantino, della proskynesis, con relativo bacio del piede da parte di tutti i principi.43 Noi sappiamo che questa presa di posizione si è immediatamente riversata nella iconografia rappresentativa dei papi, con l'ingresso in campo di nuove in­ segne e di nuovi comportamenti, dal phrygium al trono leonino, fino all'uso di materiali come il porfido, che intendevano sottolineare, con l' icastica immedia­ tezza del dato visivo, un deciso cambiamento di rotta nella ideologia politica.44 La prima ed esemplare trascrizione, in termini figurativi, di questo stato di cose la si ha con la contrapposizione tra la commemorazione papale e quella imperiale (fig. 5), introdotta nell'exultet Barberiano Latino 592 della Biblioteca Vaticana, verosimilmente composto a Montecassino intorno al l 087, in concomitanza con l'elezione a pontefice dell'abate Desiderio.45 Il papa vi appare dotato degli attri­ buti che sono stati ricordati poc'anzi e che si rifanno ai contenuti della donazione constantiniana, mentre l' imperatore è colto con insegne che vogliono suggerirne possa essere attribuita all'ambiente riformatore mostra con efficacia, grazie ai contenuti evocati, che in quel contesto non vi fu un progetto artistico unitario e programmato e che l'interesse per i problemi figurativi fu occasionale e di carattere squisitamente iconografico, in chiave dottrinale e moralistica, come è ovvio che fosse e come era sempre stato nel corso del medioevo, al di là delle occasionali sfumature interpretative. 42. La volontà del recupero romano era posta in tutta evidenza dai tituli per la basilica de­ sideriana di Montecassino composti dall'arcivescovo salemitano Alfano e ricalcati su quelli delle basiliche lateranense e vaticana: cfr. Acocella 197 1 , pp. 189-232 il quale riteneva che il tetrastico riportato da Leone Ostiense come collocato, nel contesto absidale, al di sotto delle immagini dei due san Giovanni (cfr. Die Chronik 1980, p. 396, III, 28, 8- 1 3) fosse originale e ripreso a sua volta nella basilica lateranense e non viceversa, una ipotesi la cui inconsistenza è stata dimostrata da Bloch 1986, I, pp. 53-58. 43. «VIII . Che il papa solo possa usare insegne imperiali (Quod solus papa possit uti imperia­ libus insigniis.) VIIII . Che solo del papa i principi bacino il piede (Quod solius pape pedes omnes principes deosculentur)» : cfr. Morghen 1974, p. 194. 44. Gandolfo 198 1 . 45. Sull'exultet cfr. Speciale 1 99 1 e Speciale 1994.

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un ruolo di sottoposto, nell'ordine gerarchico feudale, nei confronti del pontefice. Sono queste le scelte di repertorio e di tono rappresentativo che dobbiamo impu­ tare ai papi dell'ultimo quarto dell'XI secolo ed è la decisione più rivoluzionaria che possiamo riconoscere nella loro attività di committenti. Altra cosa invece, del tutto indimostrata, è pensare che essi abbiano sciente­ mente attuata una politica delle arti finalizzata a sostenere con le sue forme, im­ postate sull' idea di un recupero dei modi delle antichità cristiane, e con specifici programmi decorativi la prassi politica contingente. Il semplice buon senso deVl' portare a pensare che se scelte antichizzanti e programmi decorativi vi furono, nel senso di rifarsi alla tradizione imposta da secoli dalle due basiliche apostoliche di San Pietro e di San Paolo, questi rientravano nella tradizione del gusto forma­ le romano, tanto è vero che di recente e a ragione è stato fatto osservare come quelle forme avrebbero potuto tranquillamente incontrare il favore dell'antipapa Clemente III, fatto eleggere dall'imperatore Enrico IV nel 1 080, in contrapposi­ zione a Gregorio VII, il quale per quasi un ventennio si sarebbe contrapposto ai legittimi pontefici e per lunghi periodi si sarebbe trovato anche ad essere padrone incontrastato della città di Roma.46 Tutto questo non vuoi dire che a Roma non vi possano essere state iniziatiVl' artistiche legate ai temi ideologici e politici della riforma della Chiesa, solo chl• non ne conosciamo che siano attribuibili ai papi della seconda metà dell'XI seco­ lo, per cui è bene evitare, per questo periodo, di formulare giudizi categorici che si potrebbero rivelare fallaci. L'unica considerazione che si può fare, anch'essa ovviamente in attesa di conferma, è che se iniziative furono prese in quella di­ rezione, con tutta probabilità esse non si mossero nella logica di un esclusivo l' banale ricalco delle antichità cristiane, come la sopravvalutazione dell'episodio cassinese ha portato a ritenere, ma dovettero cercare la loro ragione d'essere in scelte iconografiche e in programmi decorativi del tutto nuovi e pensati per l' oc­ casione, come del resto avvenne anche altrove.47 Lo dimostra, in maniera esemplare, il piglio quasi laico, del tutto origi­ nale e inventivo, con cui, ormai all' indomani del 1 1 22, furono rappresentat i i pontefici che avevano condotto la lotta per le investiture, nella decorazio­ ne pittorica della cosiddetta camera pro secretis consiliis fatta realizzare, nel palazzo lateranense, da Callisto II, subito dopo la stipula del concordato d i Worms che, d i quella lunga e drammatica vicenda, sanciva l a fine.48 Disposti in una rigorosa sequenza cronologica, essi vennero colti nell 'atto di calpestare gl i 46. Claussen 2007, pp. 63-65. Analoghe perplessità sono state riprese in Claussen 2008b, p. 203 e p. 2 1 3 , insieme a un ridimensionamento del ruolo che l'iniziativa desideriana di Montecas�i­ no avrebbe potuto svolgere a Roma. 47. Molto opportunamente Glass 2008 sottolinea l'inadeguatezza dell'episodio desideriano u fare da motore al fenomeno dell'arte della riforma il quale trova invece degli esiti significativi ne i programmi decorativi elaborati nel mondo padano, agli inizi del XII secolo, in particolare a partire dal cantiere della cattedrale di Modena. 48. Sul ciclo, perduto ma documentato graficamente, cfr. Ladner 194 l a, pp. 195-20 1 ; Waetzoldt 1 964, p. 39; Walter 1970.

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antipapi che il partito imperiale aveva loro contrapposti nel corso della lotta, grazie a un programma decorativo elaborato sul momento e sulla scorta di una logica stringente dettata dagli avvenimenti. Per quanto fondata su una ragione iconografica, il calpestare il nemico vinto, risalente al mondo romano e da qui passata in quello bizantino, la efficacia esplicita di quel ciclo, sul piano della comunicazione visiva, prescindeva dal ricorso a qualunque ragione simbolica o evocativa, aspetti che troppo spesso noi moderni siamo inclini a giudicare presenti nelle immagini del passato, partendo da testimonianze e da riferimenti che nulla dimostra che fossero non solo nella conoscenza, ma soprattutto nel gradimento del committente, invece di accontentarci del poco che è possibile ricavare, in maniera diretta e concreta, dai documenti che effettivamente riguar­ dano, nel tempo e nello spazio, la sua azione: i testi figurativi.

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Fig. l . Santa Pudenziana, epigrafe (foto dell'autore). Fig. 2. Santa Pudenziana, architrave del portale (foto dell'autore).

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l · ig. 3. San Paolo fuori le mura, porta bronzea, il committente Pantaleone tra Cristo e san Paolo

( ( è lto dell 'autore).

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Fig. 4. San Sebastianello al Palatino, affresco, san Benedetto tra i santi Zotico e Sebastiano (foto dell'autore).

L'XI secolo: da Silvestro II (999- 1003) ad Urbano II ( 1 088- 1 099)

H�t. 5. Biblioteca Apostolica Vaticana, 'lpl'l·iulc 1 99 1 ).

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Barb. Lat. 592, Exu/tet, Le autorità temporali e spirituali (da

Peter Comelius Claussen Il XII secolo: da Pasquale II ( l 099-1118) a Celestino III (1191-1198)

l . Il ruolo particolare del/ 'arredo

liturgico delle chiese romane nel XII secolo

Gli sforzi fatti nel XII secolo per dare nuovo lustro allo sbiadito splendore degli edifici ecclesiastici sono andati in gran parte persi. Se si considerano tutte le componenti - architettura, pittura e arredo liturgico - non si è conservato a Roma nemmeno uno spazio liturgico del Medioevo. Anche le chiese, che hanno conservato ancora i muri di quell'epoca, sono oggi, nel migliore dei casi, solo dei palinsesti. 1 L'arte romana del Medioevo si presenta come una sequenza di Renovationes, che ogni volta vanno viste come ripristino dell'ordine. Il concetto preposto è la continuità. I movimenti di rinnovamento a Roma si orientano verso lo splendore della passata grandezza come un'utopia retrospettiva e quindi come positiva con­ troimmagine della propria epoca. In questo modo l' ideale punto di riferimento della propria epoca viene irrecuperabilmente spostato nel passato. Anche per quel che riguarda la prassi artistica del XII secolo, cercare tutto nel proprio è parte integrante dell' identità di Roma.2 Anche chi vuole qualche cosa di nuovo nella città di Roma inscena ciò come Rinascita del grande passato romano.3 È possibile che all' interno di questo spirito di rinnovamento retrospetti­ vo ci siano state differenze, nelle quali si saranno riconosciuti i differenti partiti, nd esempio i gregoriani contro gli imperiali, ma ciò riguarda allora sfumature di un più o meno antiquario revival di arte antica e/o paleocristiana. Le forze di l . Qui di seguito alcuni dei contributi più importanti tratti dalla vastissima bibliografia: CBCR I 1>KO; Poeschke 1 988; Claussen 1992, pp. 87-128; Pace 1 994, pp. 587-604; de Blaauw 1 994b; K i n ney 2006; Romano 2006c. Solo dopo il compimento del manoscritto è uscito il pregevole com­

pendio di Anna Holst Blennow sulle iscrizioni dedicatorie di Roma: Blennow 20 1 1 . 2. Continuità ed esigenza di esclusività dell'arte architettonica e di arredo sussistono, se si 11rcNcinde dal mosaico absidale di San Paolo fuori le mura sotto Onorio III ( 1 2 1 6- 1 227), fino al ll('riodo attorno al 1 270 circa. 3. Gli indiscutibili rapporti artistici della Riforma romana con Montecassino, che riguardano nnl:hc l'architettura sacra, qui non sono toccati, in quanto il nuovo impianto di Desiderio su Mon­ ll'l�ussino - anche se egli nelle tecniche e nell'arte ornamentale esige assistenza bizantina - è esso NlcNso riferito alla grandezza di Roma in epoca paleocristiana. Dall'immensa letteratura cito solo: l'nntoni 1973 e Bloch 1986 e diversi contributi in: Desiderio di Montecassino 1991.

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persistenza della tradizione nella Città Eterna risultano da un' esigenza di univer­ salità, che d'altra parte era limitata al territorio romano ed evidentemente non si spinse mai così lontano ad imporre forme romane ad altre regioni.4 A Roma i marmorari romani pretendevano palesemente una specie di mono­ polio sull'arredo degli edifici e presumibilmente anche sulla loro costruzione.5 In tanta omogeneità ci si chiede se ci fosse una direzione centrale a guidare a Roma l'esercizio dell' arte; e in caso affermativo, dove andava cercata, se non presso i l papa, quale competente autorità d i diritto? Quasi inconsciamente partiamo qui dal dirigismo artistico ben attestato, ma individualmente molto differenziato, dei papi del Rinascimento e del Barocco. Alla domanda centrale, se anche i papi del Medioevo si fossero immischiati in questioni di realizzazione e di impronta for­ male e forse anche nella scelta delle botteghe e degli artisti incaricati delle com­ mittenze, non si può - a quanto so - dare per il XII secolo una vera risposta.

2. Roma papale l Arte papale? L'arte medievale a Roma è, secondo la consueta opinione, arte papale. Se però nel XII secolo si possa partire dal fatto che i papi esercitassero il loro diritto di patronato sulle chiese romane in modo tanto attivo da immischiarsi nelle que­ stioni di strutturazione degli edifici ecclesiastici o dei loro arredi, è - stando alle fonti - tanto difficile da chiarire quanto lo è la questione fino a che punto fosse­ ro competenti per il finanziamento. Solo in singoli casi è chiaro dalle cronache o dalle epigrafi tramandate, che un papa si era identificato personalmente con un rinnovamento.6 Il nuovo edificio di Santa Maria in Trastevere con l'epigrafe del donatore Innocenzo II nel mosaico absidale ( 1 143) è uno di questi casi, l'ex portico di Santa Maria Maggiore con l'iscrizione ritenuta personale di Eugenio III ( 1 1 45- 1 1 53) è un altro. Molto più spesso s' incontrano però cardinali titolari o altri alti prelati, talvolta anche dei laici, che rendono pubblica la loro donazione attraverso un'epigrafe. Ciò tuttavia non indica automaticamente che ne fossero i committenti. Non solo, quando si tratta di donazioni testamentarie, sono coinvol­ ti presumibilmente anche i competenti Organi dell'Istituzione ecclesiastica, per esempio il Capitolo o l'arciprete. È da supporre che più volte comunità canoniche e conventuali abbiano finanziato collettivamente lavori di rinnovamento, sebbene nelle fonti si trovino citate come donatori solo singole persone. Si deve partire presumibilmente dal fatto che i papi fossero competenti per i lavori di riparazione 4. Balza all'occhio tuttavia, che l'arte dei cosiddetti cosmati rimase ampiamente limitata alla zona circostante Roma. L'arte papale/romana è un'arte regionale, della quale non mi è noto alcun tentativo di affermarla almeno nel Patrimonium Petri. L'occasionale esportazione, come è docu­ mentabile nel l 1 58 per un pavimento nel duomo di Pisa, risale con certezza all'iniziativa del rispet­ tivo committente. Tolaini 199 1 . 5 . Claussen 1 987. 6. Ma anche in questi casi egli non deve aver partecipato automaticamente al finanziamento. Vedi in merito il paragrafo su Gelasio n e Callisto n sul rinnovamento di Santa Maria in Cosmedin.

Il XII secolo: da Pasquale II (l 099- 1 1 1 8) a Celestino III ( 1 1 9 1 - 1 1 98)

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alle basiliche romane. 7 Tali riparazioni vengono evidenziate nel Liber Ponti.fica/is solo nelle vite di Innocenzo II e Adriano IV. C'è da dubitare molto sul fatto che i papi si sentissero competenti per le riparazione dei tetti di tutte le quasi 400 chiese romane. Per il XII secolo il Liber Ponti.ficalis fornisce solo limitate informazioni sull'edilizia ecclesiastica romana.8 Salta all 'occhio il fatto che siano annotati con­ tinuamente palazzi come azioni di un papa,9 specialmente tutte le modifiche nella zona del Palazzo Laterano, e invece solo raramente chiese.10 Quando è il caso, si tratta spesso di rinnovamenti che - come Santa Maria in Cosmedin con Gela­ sio II ( 1 1 1 8- 1 1 1 9), Santa Croce in Gerusalemme con Lucio II ( 1 1 44- 1 1 45) o nel tardo XII secolo i Santi Sergio e Bacco con Innocenzo III ( 1 1 98- 1 2 1 6) cadono in un periodo, nel quale il futuro papa era ancora cardinale di questo titolo. 11 Per documentare quest'affermazione generale è opportuno riportare qui di seguito la sequenza dei papi del XII secolo cronologicamente secondo il Liber Ponti.ficalis assieme ad altre informazioni sugli edifici ecclesiastici romani. -

3.

1100-1120, Riforma e Restauratio. Pasquale Il (1099-1118) e Gelasio II (1118-1119)

L'anno 1 1 00 segna per il pontificato, dopo decenni di pericoli e di perdita di potere, un nuovo inizio nella città di Roma. Per la prima volta un papa del partito gregoriano poté mantenere la Città Eterna. L'antipapa Clemente III (Guiberto di Ravenna), che dal l 084 circa aveva dalla parte sua Roma e la maggioranza dei cardinali e delle chiese, 12 era scacciato nel l 099 da Roma alla fortificata Civita 7. Per San Giovanni in Laterano vedi alcune indicazioni in: de Blaauw 1994b, pp. 2 l l f con prove relativamente tarde ( 1 3 70), che riguardano la metà degli introiti dell'altare maggiore spettanti al papa. De Blaauw le riferisce anche a lavori di manutenzione edilizia: « [ . . . ]e avrà avuto la respon­ sabilità di riparazioni correnti di non grandi entità». 8. Le Vite terminano nel 1 1 30 con il pontificato di Onorio II. Per i papi successivi fino ad Alessandro III il testo del contemporaneo Boson rappresenta una fonte veramente ricca. Il filo delle informazioni tramandate si assottiglia poi del tutto per i papi dei due ultimi decenni, per i quali esistono solo le brevi e tarde registrazioni di Martino Polono. Vedi LP, Il, pp. 449 ff. Inoltre anche: EP 1 999-2000. 9. Callisto II e Innocenzo II costruirono nuovi ambienti (tra cui la Cappella di San Nicola) nel Palazzo Laterano, Clemente III lo rialzò. Altri palazzi vennero eretti da Eugenio III, Anastasio IV e Celestino III. l O. Se nella Vita di Pasquale II vengono contate molte consacrazioni di chiese in tutta Europa, queste sono azioni giuridiche come la consacrazione di preti, vescovi, etc., che denunciano in quale misura egli adempisse ai suoi doveri d'ufficio. 1 1 . In altri casi può diventare verosimile il fatto che il papa abbia voluto continuare a favorire i luoghi dove aveva agito una volta: Pasquale II la sua ex chiesa titolare San Clemente ed Eugenio III il monastero cistercense delle Tre Fontane, che aveva retto come abate fino alla sua elezione. 12. Sui rapporti di potere nel territorio urbano di Roma e sul gran numero di sostenitori di Clemente III (Guiberto) con molto materiale sulle singole chiese titolari e sui cardinali certificanti vedi: Hills 1 977, soprattutto il riassunto pp. 255-272.

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Castellana, dove morì nel 1 1 00.'3 Ancora nel 1 099, nell'elezione del successore di Urbano II ( l 088- 1 099), San Pietro in Vaticano era nelle mani del partito di Cle­ mente III. Perciò l'elezione dovette aver luogo nella chiesa titolare del cardinale presbitero Raniero, cioè in San Clemente. Questi venne eletto papa e con il nome di Pasquale II ( l 099- 1 1 1 8) guidò la curia energicamente sulla via della riforma . La nuova Roma riformata doveva distinguersi anche esteriormente dalla città più volte rovinata del tardo XI secolo. Presumibilmente alcune chiese erano ridotte a rovine fin dalla conquista di Roma da parte delle truppe di Roberto il Guiscardo nel l 084.14 Per nessun altro papa del XII secolo il Li ber Pontifica/is elenca cosi tante consacrazioni di chiese come per Pasquale II, 1s venti in tutto, di cui tre nella città di Roma: Sant'Adriano ( 1 1 00), Santa Maria in Monticelli ( 1 1 0 1 ) e i Santi Quattro Coronati ( 1 1 1 6). Ma ci sono note decisamente più consacrazioni a Roma, intraprese nel pontificato di Pasquale 11. 16 Altre quattro citano il suo nome nella datazione. Se a questo conto si aggiungono le epigrafi di consacrazioni di questa epoca, che non citano il suo nome o per le quali, da altre fonti, può essere dedotto un rinnovamento tra il l 099 e il 1 1 1 8,17 si arriva al considerevole numero 1 3 . Vedi Claussen 2007. Clemente III aveva a Roma molti sostenitori, che solo dopo la sua morte si affrettarono a cambiare partito. 14. Gli incendi dei conquistatori dovettero colpire soprattutto la zona tra il Laterano e il Co­ losseo, nonché i dintorni del Corso tra San Silvestro in Capite e San Lorenzo in Lucina. Poeschke 1 988, pp. 6ss. Rinnovamenti di chiese a partire dal l 080 circa sono tramandati solo nell'ambiente gregoriano: San Nicola in Carcere e Santa Maria in Portico. Ce ne sono stati anche nell'ambiente di Clemente III ? Ad esempio Sant'Apollinare, il cui grande portale presentava una costosa cornice di marmo con decorazioni in rilievo (nelle Grotte di San Pietro in Vaticano). Vedi Claussen 2002, pp. 93- 1 09. 15. PL, Il, p. 305: «Consecravit ecclesias XX: Romae aecclesiam sancti Adriani in tribus fatis Ilo anno sui pontifìcatus dedicavit, et aecclesiam sanctae Mariae positam in regione Areole in Iocu qui vocatur in Monticelli similiter consecravit; verum etiam ecclesiam sanctorum Quattuor Corona­ turo quae tempore Roberti Guiscardi Salemitani principis destructa erat, a fundamentis refecit atque consecravit anno pontifìcatus sui XoVIIo, mense ian., die XXmm>. 16. L'iscrizione di San Matteo in Merulana risulta un falso. Blennow 20 1 1 , pp. 204-2 10. Non si sa secondo quali criteri venisse fatta nel Liber Ponti.ficalis la scelta delle consacrazioni ascritte al merito di Pasquale Il, essa resta comunque chiaramente inferiore al numero ancora oggi du documentare: Santi Quaranta in Trastevere (oggi San Pasquale Baylon), 1 1 07 epigrafe della con­ sacrazione con indulgenze; San Matteo in Merulana, 1 1 1 O epigrafe della consacrazione di quattro altari per mezzo di Pasquale II; San Lorenzo in Lucina, 1 1 1 2 trasferimento di reliquie, iscrizione del trono; San Bartolomeo all' Isola, 1 1 1 3 iscrizione sul portale con il nome del papa nella datazione; San Pantaleo (ai Monti), 1 1 1 3 consacrazione dell'altare con il nome del papa nella datazione; San Salvatore in Primicerio, 1 1 1 3 consacrazione; presumibilmente anche Sant'Eusebio venne rinnovato in questo periodo. Il cardinale Roberto (documentato nel 1 1 00- 1 1 1 2) si fece raffigurare come dona­ tore nella pittura sulla parete. In Santi Giovanni e Paolo il cardinale Teobaldo donò nel 1 1 1 8 parti di un arredo interno. 17. San Gregorio al Celio, citazioni di consacrazioni d'altare nel 1 1 07; Santa Prisca, restauro dalle fondamenta sotto Pasquale Il; Santo Stefano del Cacco, Cencio ex Petro Germano e Nicola ampliarono la chiesa con propri mezzi finanziari, gli affreschi portano la firma degli stessi pittori attivi nella chiesa dei Santi Quattro Coronati. La nuova costruzione della chiesa dei Santi Bonifacio ed Alessio assieme alla grande cripta a sala, è rimasta priva di risonanza nelle fonti o di iscrizioni tramandate. Si presume che la chiesa venisse edificata nei primi due decenni del XII secolo. Santa

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di diciotto chiese romane, nelle quali si giunse durante il suo pontificato a rinno­ vamenti e consacrazioni. 18 Il concetto di questa ondata di rinnovamenti verrà esposto qui sotto il lemma "Restauratio" sulla base di tre edifici, il cui aspetto nel XII secolo può essere esami­ nato abbastanza bene: Sant'Adriano, Santi Quattro Coronati e San Clemente. 19 Sant'Adriano (fig. 1 ), la diocleziana Curia Senatus nel Foro, dal VII secolo un' importante chiesa titolare, fu fino attorno al 1 1 00 (come lo è oggi di nuovo) un umbiente a sala non articolato. Nel 1 099 la chiesa apparteneva presumibilmente uncora al partito dell'antipapa.20 Ma se si parte dal fatto che Pasquale II ne fosse responsabile, allora l'antico spazio dovette essere stato trasformato subito all' ini­ /.Ìo del suo pontificato, nel giro di un anno, in una basilica regolare. Le antiche massicce mura esterne della Curia vennero lasciate in tutta la loro altezza e nel­ lo spazio cubico vennero inserite le slanciate e proporzionate mura della navata centrale, di modo che vennero separate con finti matronei strette navate laterali Hcarsamente illuminate.21 Per le arcate si scelsero colonne marmoree di spoglio In parte con scanalature e capitelli corinzi di eccellente qualità. Il presbiterio con Il punto dell'altare venne innalzata sopra una cripta circolare. Nonostante l' in­ Herimento di spoglie, ben progettato e armonizzante, la regolarità e la funzione lllrono più importanti della rappresentanza. Le compilazioni del Liber Ponti.fica/is evidenziano molto bene l'impegno di l'osquale II per i Santi Quattro Coronati, il cui precedente stato rovinoso viene uccentuato nel testo e ricondotto alle truppe di Roberto il Guiscardo. Un primo tentativo di ripristino nelle dimensioni della basilica precedente non venne mai portato a termine.22 Il nuovo edificio consacrato nel 1 1 1 6 venne poi notevolmente rimpicciolito rispetto alla precedente costruzione carolingia, di modo che le tre nuvate della basilica, fortemente accorciata anche nella lunghezza, non occuparo­ no più della larghezza dell'ex navata centrale.23 L'abside carolingia con la cripta Maria in Cappella, 1 1 1 3 ; San Tomaso de' Cenci, 1 1 1 3 ; Nell'epoca di Pasquale n si aggiunsero Inoltre anche rinnovamenti essenziali in San Clemente (vedi di seguito) e in Santa Cecilia nonché nei Santi Giovanni e Paolo. 18. Direttamente da annoverare nella cerchia romana è la consacrazione papale nel 1 1 1 7 di Sunt'Agapito in Preneste (Palestrina). LP, II, p. 3 1 0, nota 65, che ha raccolto anche le altre dicias­ Ncttc consacrazioni fuori Roma. 19. Vedi Claussen 1 992. 20. Il cardinale diacono Pietro II firma ancora nell'ottobre del 1 099, ossia dopo l'elezione ,u l'asquale n, un documento dell'antipapa Clemente lll (Guiberto). Vedi Hills 1 977, p. 2 1 9. Se In nuova costruzione di Sant'Adriano fosse stata iniziata già prima di Pasquale Il, si adatterebbe Ncnz'altro al concetto del papa riformista, che a maggior ragione l'avrebbe portata avanti e con­ trnssegnata con una consacrazione papale, in quanto in questo modo si poteva far dimenticare il tlominio della parte avversaria. 2 1 . Vedi Mancini 1 967- 1 968. Claussen 2002, pp. 20-38. 22. CBCR 1 937-77, IV (ingl. 1970), pp. 30 s, cita le tracce di un primo tentativo di rinnova­ mento nelle dimensioni della basilica di Leone IV e le usa per una ricostruzione. Pasquale II bloccò, NCcondo me, l'enorme progetto e ridusse l'edificio al nucleo funzionale ecc/esiam ipsam licei mino1'/hus spatiis reparare, come lo ricorda in una sua bolla del 16 maggio 1 1 16. CBCR, IV, p. 3 . 2 3 . CBCR, IV, pp. l -36, 3 1 .

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circolare viene ripresa e ora assume tutta la larghezza del presbiterio rialzato simile a un transetto. Come in Sant'Adriano, il riutilizzo delle mura della costru­ zione precedente condiziona una struttura slanciata con matronei finti sulle navate laterali. Ai Santi Quattro Coronati si sono conservati importanti resti dell' arredo marmoreo liturgico. Sotto l'altare unafenestella confessionis consente uno sguar­ do dalla navata nell'ambiente con i sarcofagi dei martiri, che era accessibile dal la cripta circolare carolingia. Il livello di calpestio è completamento coperto da un pavimento in opus sectile dei cosiddetti cosmati.24 Un tempo nell'abside c'era un trono papale con lo schienale alto e arrotondato. La nuova costruzione di San Clemente in effetti non è attestata da alcunu fonte per l ' epoca di Pasquale II, ma si può ben partire dal fatto che il papa avesse incentivato il rinnovamento della sua ex chiesa titolare.25A commissionare e com­ pletare l'edificio fu il cardinale prete Anastasio (prima del 1 1 02- 1 1 25),26 indul­ genze tramandate sotto papa Gelasio nel 1 1 1 8 si riferiscono presumibilmente ad una consacrazione dell'altare maggiore e indicano che la chiesa era già utilizza­ bile.H Eretto secondo un nuovo progetto, l'edificio del XII secolo riduce - come nei Santi Quattro Coronati - chi aramente la larghezza di quello precedente. I n questa "modestia" s i mostra presumibilmente un adattamento alle mutate pro­ porzioni medievali e allo stesso tempo una concentrazione sulle fondamentali esigenze della liturgia.28 I pilastri che interrompono nel mezzo la fila delle arcate del corpo longitudinale, marcano l' inizio della Schola Cantorum e separano lu parte destinata ai laici da quella per i chierici. Per le transenne verso il presbiterio e la Schola Cantorum vennero riutilizzate lastre marmoree dell'arredo liturgico del VI secolo. Il mosaico absidale di San Clemente va visto come uno dei lavori spiritual i più importanti dell'epoca romana della Riforma. L'esigenza s i mostra già nel fatto che per la prima volta a partire dal primo Medioevo vengono introdotti n Roma di nuovo i mosaici. Il concetto globale ha un effetto come se si avesse voluto creare un modello per l'architettura sacra romana della Riforma.29 Il mo­ tivo principale con i suoi lussureggianti viticci dell' albero della vita, significa una ripresa della decorazione absidale romana del V secolo.3° Con la nuovu 24. Glass 1 980, pp. 124 s., lo attribuisce al gruppo di Paolo. 25. È possibile che egli avesse progettato la nuova costruzione già prima del 1099 e l'avessl" anche avviata. 26. L'epigrafe sul trono e sulla tomba lo nominano come colui che edificò e completò la chic· sa. Vedi Claussen 2002, pp. 303s., 342s. 27. Barclay Lloyd 1989; Claussen 2002, pp. 299-347. 28. Poeschke 1 988, pp. 7ff; Claussen 2002, pp. 309ss. 29. A partire da Helène Toubert si è visto il nesso diretto con la tradizione e la prassi artisticu del Montecassino desideriano. Toubert 1 970. Questo collegamento può essere afferrato concretu· mente quando si considera che il cardinale vescovo Leone da Ostia (+ 1 1 1 5), il cronista di Monte­ cassino e della nuova costruzione desideriana, stese nel periodo di costruzione la nuova versione della traslatio delle reliquie di san Clemente. Forse egli fu la forza trainante dietro il concetto programmatico della costruzione e dell'arredo di San Clemente. 30. Iacobini 1 999; Riccioni 2006.

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costruzione di San Clemente si creò un esempio programmatico di Riforma edificata. La funzione di modello è consigliata dalla regia differenziata, alla 4uale rinvia il disegno del pavimento in opus sectile della liturgia papale nelle chiese a stazioni.l1 Ancora completamente alla fase della Restauratio degli inizi del XII secolo uppartiene il breve pontificato di Gelasio II ( 1 1 1 8- 1 1 1 9). A partire dal l 088 l' eru­ dito monaco cassinese Giovanni da Gaeta fu Cancellarius papale e cardinale dia­ cono di Santa Maria in Cosmedin con continui stretti rapporti con Montecassino. Nel Liber Ponti.fica/is sono citate grandi sovvenzioni per la sua chiesa titolare, che egli avrebbe premiato con donazioni di oro e argento, di libri e paramenti li­ t urgici, nonché con case e terreni.32 Che il papa, presumibilmente già da cardinale diacono, avesse cominciato una nuova costruzione lo si può dedurre solo indiret­ lnmente dal testo. Per lo sfarzoso arredo interno arricchito con porfidi si delinea come donatore un camerario Alfano, che nei documenti della Curia non compare 1lu nessuna parte. Si è conservata la sua antichizzata edicola tombale nell'atrio ( lig. 2). L' iscrizione consacratoria del 1 1 23 sotto Callisto II cita il trasferimento del le reliquie di Gelasio II e segna il punto finale dei lavori all'arredo interno llnanziati da Alfano.33 A questi appartengono presumibilmente anche le pitture, i nai resti frammentati sono riconoscibili nel piano chiaro. Tutti gli edifici documentabili dei due primi decenni del XII secolo sono husiliche a colonne con arcate nel corpo longitudinale e quindi stanno nella tra­ &li:.�ione dell'edificio di Desiderio su Montecassino e in quella romana dell'XI •ecolo. Anche i portici dei Santi Quattro Coronati, di San Clemente e di Santa Maria in Cosmedin presentano arcate. Più o meno nella stessa epoca però entra w la\ in scena, in San Lorenzo in Lucina e in Santa Cecilia, la tipologia a colonnato �·1m alte colonne e trabeazione continua, che nei decenni successivi determinerà le facciate delle chiese. Un problema particolare è rappresentato dai campanili, che nella loro plu­ ml ità in alcune zone di Roma caratterizzano ancora oggi l' immagine della città. l'cr Anne Priester e Joachim Poeschke è verosimile, che quelli più antichi furo­ no eretti solo dopo il 1 1 25 .34 Ciò può valere per le torri campanarie conserva­ lesi, ma ci sono sporadiche informazioni di precedenti campanili. Cosi sotto il pontificato di Pasquale II, vale a dire prima del 1 1 1 8, la torre campanaria della Uusilica Laterana fu gravemente danneggiata da un fulmine e ruppe la tomba di 1111 papa che si trovava sotto.35 3 1 . Voss, Claussen 199 1 - 1 992. 32. LP. II, p. 3 12: «Diaconiam Romae quam sanctam Mariam in Cosmydin vulgariter nun­ •· upunt, sibi cardinali diacono a domino Paschale commissam, in auro ve! argento, in libris seu llllrltmentis, in domibus innumeris, in fundis et casalibus, in religione praecipue, in quantum Roma 1111l itur, super omnes inaltaverit, requirenti sagaciter luce clarius enitescit». 33. Della letteratura su Santi Maria in Cosmedin cito qui soltanto Giovenale 1927. 34. Priester 1 990; Id. 1 993. 35. LP, II, p. 301: «Rome, Lateranis, in basilica Salvatoris, fulmen turrim sacram percussit, jlltrtcm culminis et gallum aeneum vento versatilem campanasque deiecit, et quassato angulo

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4. 1120-1143, Renovatio e trionfo imperiale. Callisto 11 (1119-1124) Quando questo papa originario della Borgogna (Burgundia) un anno dopo la sua elezione nel 1 1 20 fece il suo ingresso principesco a Roma, l'abile politico aveva già preordinato i rapporti all ' interno della Curia. Come vittoria epocale poté festeggiare nel 1 1 22- 1 1 23 la formula di compromesso trovata a Worms, con la quale sembrò essere stata formalmente composta la disputa con l' imperatore sull' investitura. Nel Liber Ponti.ficalis sono riportate senza dettagli le sue opere di bene per un gran numero di chiese romane.36 San Pietro è uno dei baricentri, l'altro è il Palazzo Laterano. A quest' ultimo il papa condusse l'acqua di un acque dotto, per sistemare qui mulini, un guazzatoio per cavalli, nonché studiosissime vigne e frutteti. L'unica donazione ecclesiastica degna di essere citata - a fonda­ mento construxit è la Cappella di S. Nicola che fa parte del palazzo 37 e dove­ va servire permanentemente ai papi come cappella privata. Nelle sue immediatl� vicinanze egli eresse sopra un piano inferiore fortificato, dove presumibilmente erano conservate sotto chiave vesti e stoviglie pregiate (tuto vestario),38 due am­ bienti con volta, uno dei quali con una pittura. Nelle informazioni tramandate dal Liber Ponti.ficalis egli agisce come un sovrano che amplia la sua residenza. Per il periodo di Callisto II ad ogni modo sono tramandate sette consacrazioni di chiese, che non sono citate singolarmente nel Liber Ponti.ficalis. Oltre a quellu già citata in Santa Maria in Cosmedin, anche in San Pietro in Vaticano, Santu Quaranta in Trastevere, San Silvestro in Capite, Sant'Agnese in Agone, Santu Maria in Saxia e in Santa Cecilia in Monte Giordano.39 A queste si aggiunge un oratorio presso San Crisogono, la prima sezione di un rinnovamento generale di questa chiesa. Queste consacrazioni non si distribuirono regolarmente in tutto il pontificato, ma ebbero luogo tutte nello stesso anno, il 1 1 23, dopo la conferma del Concordato di Worms da parte del primo Concilio Laterano. Si sono conservate le lastre frontali appartenute un tempo a una transenna di San Pietro in Vaticano (ora nel vestibolo del casino di Pio IV), firmate dal maestro Paolo, il primo capo attestabile a Roma di una bottega di cosmati.40 L'altare maggiore consacrato di nuovo nel 1 1 23 , portava sulla facciata frontale l ' iscrizione CALIXTVS II PAPA ­

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eiusdem basilicae sepulchrum papae quod erat inferius omnino destruxit» . Vedi anche Clausscn 2008, p. 90. 36. LP, Il, p. 323 : «Cortinas multas et pallia, candelabra de argento, campanas et pavimen t n fundos et casalia beato Petro donavit, et multa per ecclesias alias benefitia contulit. Aquam ad U r­ bem reduxit, molendina cum vineis iuxta lacum aptavit, aecclesiam sancti Nicolai in palatio fec i t , cameram ampliavit et pingi sicut apparet hodie miro modo praecepit» . Inoltre Boson (LP, Il, pp. 378 s): «Hic a fundamento construxit in palatio Lateranensi capellam sancti Nycolai ad assiduum Romanorum pontifìcum usum, iuxta quam edifìcavit duas cameras contiguas cum tuto vestario quod sub eis fieri fecit, unam videlicet cubicularem et pro secretis consiliis alteram» . 37. Vedi Herklotz 1 989b, pp. 1 55ss. 38. Herklotz 1 989b, p. 1 60. 39. Blennow 201 1 , pp. 59-64, 72-76. 40. Claussen 1 987, pp. 1 0ss. Più antico è solo il nuovo allestimento consacrato tra il 1 099 c il 1 1 1 O del duomo di Ferentino fatto dal marmoraro Paolo. .

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ricopriva l 'altare di Gregorio Magno.41 Della nuova versione dell'allestimento l i turgico della navata faceva parte un pavimento, che il Liber Pontifìca/is annove1"11 tra le donazioni del papa.42 L'effetto dell'arredo interno di allora di San Pietro, nel suo cupo splendore di porfidi, lo possiamo immaginare forse analogo a quello I l i Santa Maria in Cosmedin, donato da Alfano. Questo «camerario personale» ( Stroll) di Callisto Il, avrebbe intrapreso il rinnovamento di Santa Maria in Co­ Hmcdin in stretta intesa con il papa, quasi su sua committenza.43 11 1 1 23 quindi non fu solo un anno di continuità della Renovatio restaurati­ V I I , ma nel contempo anche un nuovo inizio. Questo lo si può spiegare al meglio &'t msiderando le pitture, tramandate attraverso le note marginali e gli schizzi (fig. l ), di uno dei due già citati ambienti di consiglio del Palazzo Laterano.44 Si tratta Ili un programma politico percepito come tale anche dai contemporanei.45 I papi del la Riforma a partire da Alessandro II trionfarono sui loro antipapi investiti tlngli imperatori e piegati ai loro piedi in segno di sottomissione. L'ultimo della Nl'rie, Callisto Il, troneggia su Gregorio VIII (Burdino), ma allo stesso tempo a lui Hi volge una figura di sovrano in piedi, Enrico V, che su un documento srotolato &'tmsegna gli obblighi imperiali previsti nel Concordato di Worms.46 Nella mia interpretazione il 1 1 23 è legato ad un nuovo inizio del linguag­ �tio architettonico sacro in Roma, un linguaggio che inscena il trionfo della l ' h i esa in modo consapevole del proprio valore, secondo il modello costanti­ n iuno, come dimostrazione di potere imperiale.47 Si può supporre che Giovanni ''" Crema, cardinale prete di San Crisogono abbia concepito il progetto della nuova costruzione della sua chiesa titolare in forme trionfali subito dopo aver l'oncluso con successo l 'arresto dell'antipapa Gregorio VIII (Maurizio di Braga " B urdino").48 La nuova costruzione di Giovanni da Crema, una basilica con

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4 1 . de Blaauw 1994b., pp. 64 7s con documentazioni. 42. Pietro Mallio loda verso la metà del secolo i rinnovamenti optimis marmoribus vestivit et

tf,•, ·oravit. CTCR, III, p. 435. 43. Stroll 199 1 , pp. 1 - 1 5, 6s. Si presume che Alfano abbia avuto un ruolo analogo anche per t lrluNio II ( 1 1 1 8- 1 1 19). Su Alfano e sulla carica di Camerario vedi: Jordan 1 933-1934. 44. Dalla vasta letteratura cito qui solo Herklotz 1989b. 45. /bidem, pp. 1 5 1 ss. 46. Ibidem, pp. 1 90ss. 47. Puntualizzo qui qualità architettoniche, che d'altra parte non sono veramente nuove, 1 1 1 11 i nse rite in tradizioni romane. Quanto l' immagine delle rovine urbane di Roma sia intrecciata u l l id co lo gia della Renovatio e fino a che punto ogni edificio medievale si inserisca come rewri1111� in una serie di costruzioni precedenti, lo ha chiarito attraverso tante ricche idee Dale Kinney. '

� lnncy 2006. 48. Già Duchesne vide nella nuova costruzione di San Crisogono un monumento trionfale del v i t torioso Giovanni da Crema. LP, Il, p. 326, n. 23. Vedi anche Stroll 1 99 1 , pp. 36-44. Presumibil­ llll'lllc come controprestazione per questi meriti Callisto II confermò al cardinale Giovanni da Cre1 1 1 1 1 in forma insolita (sottoscrissero 30 cardinali) i possedimenti della sua chiesa titolare. In quegli ururi pcrvenirono al papa da Santiago de Compostela grandi somme di denaro, che Diego Gelmirez l l r pronto a pagare per la rivalutazione del suo vescovado. In merito vedi le ricche informazioni del­ lu 1/i.l·toria Compostelana. Vedi Jordan 1933- 1934, pp. 107-1 12. Nella letteratura si riporta ancora • h1• < ì iovanni da Crema aveva ricevuto la reliquia di un braccio dell'apostolo Giacomo regalata al

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transetto rialzato e arco di trionfo, superava l 'edificio precedente (situato sul lato nord a un livello più basso) sia in lunghezza che in larghezza. Quale segno di una nuova esigenza il corpo longitudinale è accompagnato, come nelle gran­ di basiliche costantiniane, da alti colonnati di colonne con architrave e trabe­ azione. Questa via colonnata corre verso l'arco di trionfo, sostenuto da grand i colonne di porfido e antiche trabeazioni. Nuovo è anche un ordine di colonne, che - diversamente dalla maggior parte degli edifici antichi - combina l ' archi ­ trave con capitelli ionici; gli archi - come quello trionfale - poggiano invece su capitelli corinzi.49 La nuova esigenza dà un' impronta anche alla costruzione esterna con il suo imponente nartece con architrave e con un alto campani le. La sua pianta venne posta presumibilmente ancora nel pontificato di Callisto Il, anche se il periodo principale dell'edificazione si svolse nel pontificato di Onorio II e la consacrazione finale avvenne solo nel 1 1 29.50 Rispetto alle chiese ad arcate del primo XII secolo, con i loro miscugli di colonne e capitelli, le loro proporzioni slanciate e relativamente strette e la loro mancanza di luce, in San Crisogono la via fiancheggiata da colonne della navata centrale, larga e illuminata da tante finestre, con la sua prospettiva guidata dall'ar­ chitrave verso l'altare nonché con l'arco di trionfo, si presenta con un carattere insolito. Al posto dell' ideale monastico dell'epoca gregoriana subentra una dimo­ strazione del dominio imperiale del papa. 51 Invece dell'adeguatezza parsimoniosa ora determinano l'architettura motivi di maestosità di un'estetica del potere.

Onorio II (II24-1130) Sui provvedimenti edilizi a Roma sotto Onorio II il Liber Pontifica/is serba i l massimo silenzio. Il pontificato, che durò quasi quanto quello del suo predecessore, rompe con la preoccupazione fino ad allora osservata dei papi per la manutenzione edilizia e il rinnovamento delle infrastrutture sacre. Questo è tanto più sorprendente in quanto viene riferito che il conte Ruggero di Sicilia morendo aveva messo a di­ sposizione del duca Guglielmo di Puglia una grande somma di denaro per il restauro delle chiese di Roma, in particolare per il restauro dell'atrio di San Paolo fuori le papa da Santiago. In effetti Giacomo era venerato nella chiesa. Non ho trovato ad ogni modo vere documentazioni su questa traslazione di reliquia. 49. Kinney 2006, p. 208 indica a ragione che la combinazione tra colonnato e capitelli ionici risale al modello della basilica di Santa Maria Maggiore. 50. Una prima consacrazione d'altare fatta da Giovanni da Crema è attestata già per il l l27. 5 1 . Pensieri analoghi ha espressi prima in altro contesto Kitzinger 1 982, pp. 647ss. L'impor­ tanza di San Crisogono come battistrada della ravvivata tipologia della basilica con architrave nel corpo longitudinale, è stata accentuata per primo da Poeschke 1988, pp. 1 6ss. La chiesa di San Salvatore della Corte (Santa Maria della Luce) a Trastevere, dipendente da San Crisogono e per la quale non si è tramandata alcuna iscrizione di consacrazione, avrà fatto parte, con il suo colonnato nel corpo longitudinale, delle prime imitazioni di San Crisogono attorno al 1 130. Il presunto primo edificio di questa tipologia è rintracciabile ugualmente a Trastevere: è Santa Maria in Cappella. Il piccolo edificio fortemente restaurato, venne consacrato già nel l 090 sotto Urbano II e rimanda possibilmente alla tradizione radicata in Trastevere della tipologia a colonnato di San Crisogono.

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Mura.52 San Crisogono deve le sue forme trionfali - come appena esposto - presumi­ bilmente solo alla committenza del cardinale Giovanni da Crema. Una consacrazio­ ne d'altare sotto Onorio II nel 1 128, fatta dal cardinale vescovo Corrado da Porto per San Nicola in Carcere nella zona d' influenza dei Pierleoni, ben si riferisce ai lavori di rinnovamento, finanziati da fonti diverse da quelle papali. 53 Notevoli resti di affre­ schi dalla cripta sono presumibilmente da collegare a questa consacrazione. 54

Anacleto Il (1130-1138) Nella doppia elezione scismatica del 1 1 30 la maggior parte dei cardinali votò per Pietro Pierleoni, cardinale prete di Santa Maria in Trastevere, che sali corret­ tamente al trono pontificio con il nome di Anacleto II e fu in grado di mantenere la città fino alla sua morte senza molte contestazioni. Innocenzo II invece dovette - cacciato dalla città - cercare sostegno al nord. Anacleto II divenne antipapa a Roma solo dopo la sua morte. La sua attività non è facile da ricostruire, in quanto una parte delle sue azioni fu vittima della damnatio memoriae e le cronache gli tagliarono i panni addosso. Ricerche abbastanza intense sono state portate avanti spesso nel senso di salvargli l'onore.55 Si può partire dal fatto che egli si sentisse prosecutore dei suoi predecessori: così l' unica epigrafe di consacrazione conser­ vatasi con il suo nome in San Lorenzo in Lucina completa un arredo di reliquie e altare iniziato da Pasquale 11.56 La continuità è accentuata anche dalle pitture dell'abside nella cappella di San Nicola costruita da Callisto II nel Palazzo La­ terano. Due papi con aureola negli angoli, Callisto II e, nella versione originale, Anacleto II sono inginocchiati davanti alla Madonna nelle sembianze di Maria ReginaY Sul lato di Callisto II si vedeva papa Silvestro I, sull'altro lato origina­ riamente Anacleto L Nel registro sottostante stava grande, nella nicchia centrale dipinta, il patrono della cappella, il santo vescovo Nicola da Mira. Egli era fian­ cheggiato da otto papi, tra cui con aureole tutta la sequenza dei papi riformatori da Alessandro II fino a Gelasio II. Questa iconografia programmatica continua il tema della Chiesa trionfante, voluto da Callisto II negli ambienti antistanti, 52. Stroll 199 1 , p. 93 con documentazione. Se questo tentativo di corruzione, che evidente­ mente inserisce nel progetto tatticamente la volontà di costruire dei papi della Riforma, si realizzò effettivamente, non lo so. 53. Non è chiaro se essa fosse collegata a provvedimenti edilizi. 54. Si trovano nella Pinacoteca Vaticana. Vedi Romano 2006c, pp. 272-280 (F. Dos Santos). 55. Stroll l 99 1 , pp. 106- 1 6 1 . 56. La consacrazione venne fatta da Anacleto in persona. Vi fa parte un'iscrizione di reliquia un certo presbitero Benedetto. Vedi anche Mondini, in: Claussen 2010, pp. 280s. Se egli fosse responsabile anche per la rappresentazione dipinta nell'abside (tramandata solo in disegno), nella quale egli - stando alla tesi di Francesco Gandolfo - era raffigurato un tempo al posto di Santa LuciDa, è difficile verificarlo. Va citato però il fatto che non solo Gandolfo 2000, p. 1 78, ma anche Romano 2006c, pp. 173, 294, vedono nell'iconografia una chiara ripresa della tradizione paleocri­ stiana, che essi cautamente ritengono una tendenza dell'arte anacletica. Mondini, in Claussen 2010, p. 30 l invece data la pittura a non prima di 1 196. Si può aggiungere la consacrazione di San Nicola di Calcarlo ( 1 1 32). Blennow 201 1 , pp. 96-100. 57. Ladner 194 la, pp. 202-2 1 6; Nilgen 198 1 .

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trasfonnando cosi l'appariscente posa da vincitore in un simbolo rappresentativo della Chiesa romana. È da presumere che l'arredo della cappella rimanesse inter­ rotto sotto Onorio II e venisse ripreso solo sotto Anacleto II.ss Un tale atteggiamento di riannodatura e continuità avvalora il fatto che Ana­ cleto Il, avendo avuto presumibilmente a disposizione sufficiente danaro dopo l' in­ coronazione di Ruggero II, poté continuare attivamente il programma di Renovatio del primo quarto di secolo. A San Bartolomeo ali 'Isola è stato tramandato il testo di un'iscrizione scomparsa risalente al 1 1 33, che infonna come Anacleto II avesse esaminato e convalidato le reliquie (all'epoca messe in dubbio) di San Bartolomeo e di San Paolino da Nola, nonché dato alla chiesa privilegi. Dale Kinney ed altri ne hanno dedottos9 che Anacleto fosse responsabile anche per la costruzione del X I I secolo e che l'iscrizione del portale con la menzione d i Pasquale I I fosse i l tentativo di una successiva retrodatazione, per far dimenticare le attività dell'antipapa. Mi sembra ben possibile che l'edificio di Santa Maria in Aracoeli, quello più an­ tico conservatosi nel transetto deli' odierna basilica, venisse eretto ali' epoca di Ana­ cleto II con la sua partecipazione. Da una parte si sono conservati attestati di possesso del papa relativi ali' abbazia,60 dali' altra Chacon riferisce di una consacrazione fatta da Anacleto 1.61 Nel caso in cui egli avesse visto documentata una consacrazione con il nome di Anacleto, può trattarsi in realtà solo di una consacrazione fatta da Anacle­ to 11.62 Se si può ritenere questi responsabile della nuova costruzione del XII secolo sul colle capitolino, resta ancora incerto, vista la scarsezza delle fonti.

Innocenzo II (JJ30-II43) e Celestino (Il43-44) Dopo la morte di Anacleto, Innocenzo II, della stirpe romana dei Papareschi, poté finalmente prendere in possesso Roma nel 1 1 3 8.63 E lo fece in modo molto attivo e con l' impulso di far dimenticare il dominio del papa Pierleoni. Nel Li­ ber Ponti.fica/is viene citato tra i suoi meriti a favore degli edifici ecclesiastici romani, in primo luogo il completo rinnovamento di Santa Maria in Trastevere."" Il suo contemporaneo Benedetto, canonico di San Pietro, aggiunge che egli non 58. Gandolfo 2000, p. 1 78ss., accentua la ripresa della tradizione paleocristiana nei program­ mi, che egli ritiene anacletici, specialmente però nell'abside della Cappella di San Nicola. 59. Kinney 1 986. 60. Malmstrom 1973, p. 269. Malmstr6m tuttavia non è del tutto convinto dell'autenticità. Vedi anche CTCR 1946, m, p. 362; Stroll 1 99 1 , pp. l 50ss. 61. Chacon, Vìtae: S. Anacleti. Vedi Wadding 193 1 , Il, p. 19, n. XLII. 62. Come sarà chiaro di seguito, l'avversario di Anacleto, Innocenzo Il, continuò questa rivu­ lutazione dopo i1 1 138 con il trasferimento delle reliquie di sant'Elena. 63. In precedenza era potuto venire brevemente a Roma solo nel l l 33 sotto le armi di Lotario m e Io aveva potuto incoronare imperatore nella Basilica Laterana (San Pietro restava nelle mani di Anacleto II). 64. LP, Il, p. 384: «Hic beatus pontifex ecclesiam beate Dei genitricis Marie tituli Calixti totam innovavit et construxit. Tectum Lateranensis ecclesie quod repente ceciderat magnis trabibu� optime resarcivit. In ecclesia quoque beati Pauli tectum qui ruinam minabatur, constructo super co­ Iumnis marmoreis muro, firmissime roboravit, et partem tecti eiusdem ecclesie Iongissimis trabibu� resarcivit. Preterea ecclesiam sancti Stephani in Celio monte pro nimia vetustate quassatam optimc

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Holo aveva costruito di nuovo la chiesa dalle fondamenta, ma aveva ornato anche l 'abside con uno splendore aureo, cioè con mosaici. 65 L'epigrafe della tomba rin­ novata nel primo XIV secolo nell'atrio sottolinea che egli aveva eretto la basilica n proprie spese.66 La cura del papa per le basiliche romane viene evidenziata nel Uber Ponti.ficalis prima di tutto dal fatto che tre delle più grandi, i cui tetti presen­ tavano danni, vennero messe al sicuro con nuove travi di sufficiente lunghezza. l,er la Chiesa Laterana la Descriptio di Giovanni Diacono evidenzia come il papa uvesse fatto inserire propriis expensis nuove travi portanti che gli aveva inviato re Ruggero II di Sicilia su sua richiesta, 67 e avesse inoltre restaurato il campanile in rovina.68 Per rinnovare il tetto della Basilica di San Paolo egli avrebbe fatto erige­ re un muro sopra colonne di marmo e chiuso questa parte (il transetto) con travi estremamente lunghe. In modo del tutto analogo venne coperto evidentemente unche Santo Stefano Rotondo. L'alto muro a diaframma nello spazio sotto la cu­ pola, con le sue immense arcate su colonne, forma - come il muro nel transetto di San Paolo fuori le Mura - un appoggio per le travi del tetto, che non erano più disponibili nella stessa lunghezza della tarda Antichità. Come Callisto II anche Innocenzo II fece erigere due nuovi ambienti nel l,alazzo del Laterano. E come Callisto anch'egli fece decorare i nuovi ambienti con affreschi interpretabili politicamente. Raffigurate in tre scene c 'erano sta­ zioni dell' incoronazione di Lotario III da parte di Innocenzo II ( 1 1 3 3), dove l ' imperatore che fa da scudiero al papa e altre scene sottolineano la supremazia della posizione del papa rispetto a quella del futuro imperatore.69 Sotto la defi­ nizione alia multa famosa, che il Liber Ponti.ficalis ascrive in blocco al papa, cadono alcuni rinnovamenti di chiese, le cui date di consacrazione sono state tramandate: da citare è la consacrazione di San Tomaso in Parione nel 1 1 39 con indulgenze, poi quella dei Santi Michele e Magno nel 1 1 4 1 e una nuova consa­ crazione di Santa Maria in Monticelli, che presumibilmente riguarda anche il mosaico absidale, del quale si è conservata soltanto la testa del Cristo al cen­ tro.70 Più o meno in questo periodo (o sotto Eugenio III, 1 1 45- 1 1 53) dovettero venir intrapresi anche gli ampi lavori di restauro del mosaico pelagiano sulla n:paravit. In palatio Lateranensi duas cameras a fundamento construxit et totam longuram sinino tlnnavit; atque alia multa famosa suis temporibus egit». Le /iber censuum, U, p. 169. 65. "Liber politicus" del canonico Benedetto, Liber Censuum, U, p. 1 69: «sancte Marie trans l'iberim novis muris funditus restauravit et apsidam eius aureis metallis decoravit». 66. «[ . . . ] qui presentem ecc(1esi)am ad honore(m) D(e)i Genitricis Marie sicut e(st) a l'undame(n)t(is) su(mp)t(ibus) p(ro)p(rii)s renovavit s(ub) A(nno) D(ominis) MCXL (et) c. a(d) MCXLVIII» . LP, U, p. 385, n. 2 con facsimile dell'epigrafe. Sull'originario sarcofago di porfìdo del papa nella Chiesa Laterana, vedi più avanti. 67. Johannes Diaconus, Descriptio, in: Lauer 191 1 , n. 400; CTCR, Il, pp. 348s: «renovavit lc:ctum huius basilicae, propriis expensis, novis trabibus, quas . . . Rogerius, Siciliae rex, praecibus Nuis eidem ecclesiae transmisit». 68. «[ . . . ] Turrim etiam ante ecclesiam quae ruinae vicina videbatur, renovari iussit [ . . . ]» Jo­ honnes Diaconus, Descriptio: vedi Lauer 191 1 , p. 400; CTCR, U, p. 349. 69. Ladner 1970a, pp. 17-22. Non tutti i dettagli dello schizzo di Chacon sono leggibili. 70. Romano 2006c, pp. 3 12-3 14 (J. Croisier).

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parete frontale dell' abside di San Lorenzo fuori le Mura.71 Ringrazio Danieln Mondini per avermi informato che Innocenzo II aveva portato alla chiesa sul Campidoglio le reliquie di sant' Elena e che queste erano state messe in tl l l antico sarcofago di porfido.72 Per la sua propria tomba pretese il monumenta ll• sarcofago di porfido dell' imperatore Adriano e lo fece portare dal Mausoleo d i Adriano (Castel Sant'Angelo) nella Basilica Laterana, nella cui navata centra ll• esso rimase fino alla sua distruzione nel 1 308 .73 A partire dal suo ritorno a Roma Innocenzo II concentrò i mezzi finanziari e la logistica volta a procurarsi materiali di spoglio, sulla nuova costruzione di Santa Maria in Trastevere, creando così nel giro di pochi anni la prima grandl• costruzione del Medioevo Centrale romano. Nel 1 1 43, alla sua morte, i mosaici erano già completati.74 L'arredo venne portato a termine entro il 1 1 48 dai card i ­ nali suoi parenti, a i quali aveva lasciato a tal fine somme d i denaro. L'edificio è in questo senso un monumento di trionfo sul rivale appartenente al casato dl• i Pierleoni. Qui Innocenzo I I s i servì del mezzo architettonico, che Giovanni dn Crema aveva sperimentato per il suo trionfale edificio nuovo di San Crisogono; un mezzo che egli ingrandì in dimensioni e costi e inoltre arricchi con il piil esigente mezzo di eternità, cioè con il mosaico. I colonnati che fiancheggiano la navata centrale poggiano su alte colonne con capitelli ionici, che - come hn riconosciuto Dale Kinney - provengono in parte dalle Terme di Caracalla. 7� 1> interessante come la serie degli antichi e splendidi capitelli, non avendo ev i ­ dentemente a portata d i mano sufficienti esemplari d i questa grandezza, venissl' completata con alcune imitazioni di nuova creazione. Queste nuove antichitl\, che qui sono ancora un rimedio dell'ultimo momento, nelle epoche successi ­ ve divennero oggetti standard d i un'autoconsapevole arte marmorea romana . ''' L'arco di trionfo, con le sue enormi trabeazioni di spoglio, raggiunge la monu­ mentalità antica. L' immagine nell' abside - con fregio di agnelli e santi in pied i attorno ad una figura centrale, nonché la figura del papa donatore sull' esterno sinistro - si pone nella tradizione romana, ma pensa al futuro quando al cent ro Maria e Cristo troneggiano assieme nelle figure di sposo e sposa del Cantico dl• l Cantici.77 Nell' iscrizione ai piedi della calotta del mosaico lnnocenzo I I indirit. za alla Regina dei Cieli la sua nuova costruzione sorta dalle rovine. 78 Il pontificato di Celestino II durato solo cinque mesi non ha lasciato alcunn traccia nelle chiese romane. 7 1 . Ibidem, pp. 298-301 (M. Bonelli, S. Romano); Mondini in: Claussen 2010, p. 326. 72. AASS, Aug. III, pp. 605s., 18 agosto. Daniela Mondini sta preparando uno studio piu ampio sulla costruzione medievale di Santa Maria in Aracoeli. 73. Herklotz 1985, p. 97. Accanto venne collocato nel 1 154 il grande sarcofago di porfido 1 1 1 sant'Elena come sepolcro di Anastasio IV. Herklotz 1985, p. 98. Vedi anche Claussen 2008b, pp. 2 1 h 74. Kinney 1975, pp. 2 1 0ss. 75. Kinney 1986. 76. Claussen 1992; Claussen 2000. 77. Vedi Nilgen 198 1 , pp. 27ss. 78. Vedi Romano 2006c, p. 307. Kinney 1975, p. 21 Oss. con una raccolta delle molteplici fon l i

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1144-1200, crisi e riconso/idamento. Da Lucio 11 a Celestino 111

Lucio Il (1144-1145) Il Liber Pontificalis nomina Lucio II come il rinnovatore della chiesa e del convento di Santa Croce in Gerusalemme, quando era il cardinale prete di questo titolo. 79 La reliquia del Titolo della Croce, nascosta un tempo sopra l'arco trion­ fale, venne chiusa nel 1 1 44 anche con il sigillo del cardinale, il rinnovamento edilizio avvenne quindi nell'epoca antecedente alla sua elezione a papa.80 L'ar­ chitettura trasformò una costruzione tardo antica a sala in una regolare basilica. Questa tipologia architettonica con arcate su colonne e arcate fittizie tra alti muri antichi, ricorda le forme della Restauratio sotto Pasquale II e dà vita ad un contra­ sto con le forme trionfali sotto Innocenzo 11.81 Il cardinale Gerardo Caccianemici riformò il convento della sua chiesa titolare secondo le rigide regole dei canoni­ ci regolari. Questa volontà di riforma orientata verso una vita monastica egli la mantenne anche nelle sue attività da papa. L'allestimento interno della sua chiesa segue completamente il canone romano. Il documentato ciborio dell'altare con i piani a colonne del coronamento spezzati, venne donato dal cardinale Ubaldo Caccianemici, un nipote del papa, tra il 1 1 44 e il 1 1 48, e firmato dai figli di Paolo, Giovanni, Angelo e Sasso.s2

Eugenio 111 (1145-53) Il primo cistercense sul trono papale era, al momento della sua elezione, abate del convento presso le Tre Fontane, che lnnocenzo II aveva trasferito ai cistercensi nel 1 1 43. La nuova costruzione locale dell'abbazia dei Santi Vincenzo ed Anastasio venne presumibilmente incentivata per quanto possibile da Eugenio III. Con la sua pianta d' impronta cistercense-burgunda e il piede di una volta a botte sulla navata centrale, lo spazio ha poco a che fare con la tradizione romana. La facciata però è dominata da un atrio ad architrave more romano. Nel Liber Pontifica/is non si trovano notizie di edifici ecclesiastici di questo papa.83 Esso cita solo un palazzo nuovo, che il papa avrebbe iniziato presso San Pietro, e un altro a Segni. Il lavoro edilizio palesemente più visibile del papa non viene nominato nelle cronache: è 79. LP, II, p. 385: «Hic assumptus est a domno papa Honorio et in titulum sancte Crucis curdinalis presbiter ordinatus. Quam nimirum ecclesiam sicut bonus pastor tam in edifìciis quam in posessionibus plurimum augmentavit et divitem de pauperrima fecit. Fabrica namque ipsius ccclesie a summo usque deorsum in melius refonnata et claustro cum omnibus officinis de novo edificato, canonicorum regularium conventum ibidem auctore Domino constituit». 80. Dalla vasta letteratura cito qui solo Claussen 2002, pp. 412-443. 8 1 . L'architrave dell'odierno corpo longitudinale venne inserito solo durante la trasformazio­ ne barocca dell'ambiente. Poeschke 1988, p. 16 annovera Santa Croce a torto tra le chiese, per le quali venne scelta nel XII secolo la tipologia a colonnato. 82. Tre ulteriori arredi d'altare dei figli di Paolo, risalenti a quest'epoca, si sono tramandati n conservati: in San Lorenzo fuori le mura, Santi Cosma e Damiano e San Marco. Vedi Claussen 1 987, pp. 13-19. 83. LP, II, p. 387: «Hic fecit unum palatium apud sanctum Petrum, et signie alterum».

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un portico a colonnato sulla facciata orientale di Santa Maria Maggiore, del quale si sono conservate le pietre dell'architrave con la notevole iscrizione del donatore a Maria. 84 Nelle chiese romane venne completata inoltre, sotto il suo pontificato, una serie di nuovi allestimenti liturgici, come ad esempio l'altare e il ciborio nei Santi Cosma e Damiano sotto il cardinale Pietro da Pisa, che presumbilmente giace nella tomba antichizzata posta nella rotonda.8s Anche l'allestimento dell'altare di San Lorenzo fuori le Mura e presumibilmente un coro con pulpito vennero com­ missionati nel 1 148 dall'abate Ugo in questa chiesa: sono tutte opere della citata bottega dei figli di Paolo. Daniela Mondini ha avanzato l'ipotesi che risalga anche a quell'epoca l'eliminazione dell'abside pelagiana con la conseguente apertura della basilica in direzione ovest verso il retrocoro.86 È possibile che in questa occasione venissero rinnovate ampie superfici dei mosaici del VTI secolo dell'arco di trionfo. Il pontificato di Eugenio III fu contrassegnato da profonde dispute con il senato repubblicano della città di Roma, costituito di nuovo nel 1 143- 1 1 44, quando nella città di Roma vennero creati nuovi rapporti giuridici e venne intaccato l' illimitato potere del papa come sovrano della città.

Anastasio IV (1153-54) Per il breve pontificato di questo uomo del seguito di Innocenzo II la re­ gistrazione evidenzia un palazzo di nuova costruzione, questa volta nelle vi­ cinanze del Pantheon (e un altro a Segni), nonché alcune donazioni di oggetti d' altare e vesti per la basilica di San Giovanni in Laterano, alla quale vengono sottomesse alcune altre chiese. Nella basilica del Laterano Anastasio IV si fece poi tumulare anche pomposamente e cioè nel sarcofago di porfido di sant'Ele­ na, che egli aveva fatto trasferire dal mausoleo di questa santa situato in Via Labicana e collocare qui nella navata centrale accanto al sarcofago in porfi­ do di Innocenzo 11.87 Se avesse vissuto più a lungo, avrebbe presumibilmente cercato di continuare, anche costruendo chiese, l'eredità di Innocenzo II con accenti imperiali.

Adriano IV (1154-1159) Questo inglese fece molto per la sicurezza nei territori pontifici, mentre non ci è pervenuta quasi nessuna notizia relativa a interventi edilizi a favore di chiese romane.88 Solo a San Pietro in Vaticano fece eseguire delle modifiche: l'esedra 84. TERCIVS E VGENIVS ROMANVS PAPA BENIGNVs/OBTVLIT HOC M VN VS VIRGO SACRATA TWYQVE MIJER CHRJSTI FIERI MERITO MERVISTifSALVA PERPET VA VIRGINITIJE TmifES VIA VITA SALVS TOTIVS GLO­ RIA

MVNDIIDA VENIAM CVLPIS VIRGINITIJIS HONOR.

Vedi anche Wolf 1 990, pp. 1 73s. Claussen 2002, pp. 360-385. 86. Mondini in: Claussen 20 1 0, pp. 40 1 -404. 87. Herklotz 1 985a, p. 98. 88. Non si sa con quanta concretezza si debba interpretare l'ammonizione morale del suo ex mentore Giovanni da Salisbury, secondo il quale il papa costruiva palazzi , girava vestito in porpora, anzi addirittura in oro, mentre le chiese andavano in rovina. Tellenbach 1 973, p. 1 4 . 85.

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settentrionale venne elevata fino allo spigolo superiore delle pareti della navata centrale. Inoltre fece riparare il tetto dell'esedra meridionale.89 Di certo è che negli anni dopo la metà del secolo molte chiese vennero rinnovate ed ebbero un nuovo arredo. Così proprio in quegli anni Adriano IV consacrò la chiesa dei Santi Cosma e Damiano.90 A San Marco il cardinale prete Gilberto donò nel 1 1 54 il ci­ borio per la salvezza della sua anima. Nel 1 1 5 7 seguì la consacrazione dell'altare maggiore nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo sotto il cardinale diacono Gio­ vanni da Sutri.91 Un ambone in San Giacomo alla Lungara venne donato prima del 1 1 58 da Cinzio di Pietro de Guido dei Papareschi, un nipote di Innocenzo 11.92 Si ha l'impressione come se il rinnovamento delle chiese romane proseguisse a pieno ritmo sotto cardinali autoconsapevoli, mentre i papi dovevano raccogliere tutte le forze, per affermarsi politicamente. Questo vale anche per il papa più fa­ moso della seconda metà del secolo:

Alessandro III (1159-1181) In lotta contro Federico I Barbarossa e i suoi antipapi, questo papa fu costret­ to per molti anni a dimorare lontano da Roma. Anche dopo la vittoria sul Barba­ rossa nel 1 1 77, l' importante politico non rimase incontrastato a Roma. Nel Liber Pontifica/is viene nominata solo la consacrazione di Santa Maria Nova (Santa Francesca Romana), intrapresa nel 1 1 6 1 - 1 1 62, come atto a favore del panorama di chiese romane; un rinnovamento del quale si può supporre che, essendo stato intrapreso nella "chiesa di famiglia" dei Frangipani, venisse finanziato da questi ultimi.93 Le esigenze di questo rinnovamento sono testimoniate soprattutto dal mosaico absidale:94 una Maria Regina su un trono con lo schienale a forma di lira, lru quattro apostoli, incastonata tra arcate di un'architettura celestiale. Vi si pone dnvanti un imponente portico a colonne con architrave. Al di sopra si vedeva, in una superficie rettangolare trasversale, un mosaico con l'Ascensione di Cristo tra ( 'herubini. Il ricco inserimento di mosaico indica che qui c'era sufficiente denaro n disposizione. È forse l 'ultimo inserimento di mosaico documentato a Roma nel Xl i secolo. Nel lungo pontificato di Alessandro III il rinnovamento delle chiese romane continuò con o senza patronato del papa. Cosi nel XVI secolo si poteva 89. LP, II, p. 395: «Hic beatus pontifex in ecclesia beati Petri tectum sancti Processi quod

invenit optime resarcivit et super oratoriwn sancti Iohannis in Fonte murwn a tribus lnlcribus erigens navi eiusdem ecclesie coequavit». CBCR, V, p. 1 76. 90. Il rinnovamento di questa chiesa era avvenuto però già sotto il cardinale diacono Guido da I'INn nel suo periodo da cancelliere (1 146- 1 1 49). 9 1 . Mondini in: Claussen 2010, p. 76. 92. Ibidem, pp. 1 1 ss. 93. LP, Il, p. 403: «in secundo anno sui pontificatus [ . . . ] ecclesiam sancte Marie Nove [ . . . ] so­ lrm niler dedicavit». Il papa conferma nella stessa occasione un trasferimento di beni dei Frangipani n l itvore della chiesa. Kehr 1 906, I, p. 67: « 1 16 1 Alexander m, cwn esset Romae, tribuit assenswn _ 1 1 1 1111 in eiusdem ecclesia consecratione coram populi Oddoni Fraiapani Romanorwn consuli, ut 1 lnncl bona sua». Fedele 190 1 , pp. 22-25: 4 maggio 1 162. Claussen 2002, pp. 466-487. 94 . Romano 2006c, pp. 335-345; Enckell Julliard 2004.

1IIK�ipatum

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leggere il nome di Alessandro III sull'ambone evangelico all'epoca ancora esi­ stente in Santa Maria Maggiore.95 Per San Nicola dei Funari è tramandata una consacrazione nel 1 1 80. La stes­ sa data porta la lunga iscrizione di una transenna in San Bartolomeo all'Isola, che apparteneva a un nuovo arredo liturgico, al quale avevano partecipato Nicola de Angelo e forse anche Giacomo Laurenti.96 Ad ogni modo non si può ancora parla­ re di una coordinata ondata di rinnovamento. Sotto l'aspetto strettamente statisti­ co le poche informazioni tramandate (il valore del Liber Ponti.ficalis come fonte è ad ogni modo molto modesto dopo il 1 1 8 1 ) alludono piuttosto ad un decrescere delle committenze relative a chiese, che a quanto pare nell'ottavo decennio del secolo, sotto i due successivi papi, si arrestò del tutto. Per i pontificati di Lucio III ( 1 1 8 1 -85) e Gregorio VIII ( 1 1 87) mancano quasi del tutto tracce documentate nelle chiese romane.

Clemente III (1187-1191) Nel suo corto pontificato Clemente III consolidò con intelligente politica il potere papale anche nella città, si che egli fu il primo papa dopo tanto tempo a poter risiedere a Roma con una certa sicurezza. Il Liber Ponti.ficalis (Martino Polono) annovera tra le sue azioni la costruzione del chiostro (e convento) di San Lorenzo fuori le mura, il rialzamento del Palazzo Laterano e l'allestimento di una fontana pubblica davanti al cavaliere bronzeo sulla piazza del Laterano.97 Il chiostro ampio e massiccio, con soffitto a volte e piano doppio, nel complesso conventuale di San Lorenzo, che viene annoverato tra le sue azioni, è uno dei pochi progetti architettonici interpretabile con sicurezza e uno dei più grandi del­ la seconda metà del secolo.98 Con le modifiche al palazzo e con la fontana sulla piazza del Laterano egli si mostra d'altra parte, come una volta Callisto II, simile a un principe che amplia la propria residenza. La consacrazione nel l 1 9 1 di San Giovanni a Porta Latina fatta dal successore allude al fatto che il peso principale del rinnovamento era stato sostenuto già sotto Clemente 111.99 Ciò riguarda la torre, il portale, parti dell'allestimento interno e presumibilmente anche le pitture. 100

Celestino III (1191-1198) Questi aveva servito già dieci papi da cardinale, prima di essere eletto egl i stesso papa all'età di ottantacinque anni. Nella città egli portò avanti con evidente energia l'opera iniziata dal suo predecessore, fino a quando debilitato non si di95. Ugonio 1588, p. 67. 96. Claussen 2002, pp. 164ss; Kinney 2005, pp. l 05- 1 1 7, 1 14ss. 97. LP, II, p. 45 1 (Martinus Polonus 15. Jh.): «[ . . ] claustrwn apud sanctwn Laurentiwn extru muros ordinavit, et Laterani palatiwn fecit altius, et putewn ante erewn equwn fecit fieri». 98. Mondini in: Claussen 2010, pp. 474-488; Barclay Lloyd 1996b. 99. Claussen 2010, pp. l 7 1 s. 100. Romano 2006c, pp. 322ss. .

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mise nel 1 1 97. Come già accennato egli consacrò nel 1 1 9 1 San Giovanni a Porta Latina. Rafforzò anche il convento di San Lorenzo fuori le Mura, cominciando a scavare parti della collina del Verano e collocando un'opera di consolidamento attorno al convento. 101 Questi lavori vennero continuati sotto Innocenzo III ed erano stati impiantati in modo da lasciare posto per il grande ampiamento del­ la basilica verso ovest. Il suo cancelliere Cencio donò tra il 1 1 94 e il 1 1 98 una confessione sulla tomba del santo. 102 Il papa consacrò a sua mano nel 1 1 96 San Lorenzo in Lucina. S i presume che la torre risalga a quell'epoca e forse anche l'affresco absidale. 103 Tre altari vennero consacrati nel 1 1 95 in San Salvatore delle Coppelle: il nome della donatrice, Abbasia, è citato nell' iscrizione. A quell'epoca sarà stata completata la nuova edificazione della chiesa, presumibilmente con la torre che si è conservata. Per Sant'Eustachio viene tramandata una consacrazione di sua mano nel 1 1 96 con indulgenze. Vi ebbe parte in modo determinante un certo arciprete di nome Petrus Sacoccia.104 Si può supporre che nell'ultimo decennio del secolo l'allestimento liturgico interno delle basiliche più importanti fosse in lavoro o appena cominciato. Per San Paolo fuori le mura ciò è attestato dai nomi degli artisti che vi presero parte. Il monumentale Candelabro Pasquale conservatosi, con i suoi rilievi della Passio­ ne unici a Roma, venne realizzato da Nicola de Angelo e Pietro Bassaletto (Vas­ salletto) presumibilmente negli anni attorno al 1 1 90.105 In quel periodo o poco più tardi l'ambone evangelico, un tempo presente nella basilica, venne firmato da Laurentius cum Iacobo .filio suo.106 Gli stessi artisti marmorari firmarono anche il ciborio perduto della chiesa dei Santi Apostoli, 107 e l'ambone (più tardi rima­ neggiato) di Santa Maria in Aracoeli. Il rinnovamento, forse più spettacolare, di un arredo liturgico riguardò San Pietro in Vaticano. Anche l'imponente ambone portava la firma di Laurentius e Iacobo. Il consolidamento del papa e della chiesa nel tardo XII secolo si evidenzia in forma rappresentativa anche sull'esterno di alcune chiese. Qui vanno nomi­ nati due portici che ampliarono verso una nuova monumentalità la tipologia del portico a colonnato sviluppatasi a Roma da circa settant'anni. 1 08 Il portico dei Santi Giovanni e Paolo è una donazione - presumibilmente testamentaria - del cardinale titolare Giovanni da Sutri ( 1 1 50- 1 1 80), come riferisce la lunga 1 0 1 . Mondini in: Claussen 2010, p. 339 con l'epigrafe. 102. Mondini in: Claussen 20 10, pp. 44 1s. Lo stesso completò più tardi come Onorio III ( 1 2 1 6-27) il nuovo corpo longitudinale a ovest, che presumibilmente era in costruzione già prima del 1216. Vedi Mondini in: Claussen 201 0, pp. 343ss. 103. Ibidem, p. 309. 104. Ibidem, pp. 454s, 46 1s., n. 50. 105. Claussen 1987, pp. 28-3 1, 1 08s. Bassan 1982. l 06. Questo nuovo reperto nei disegni di Chacon conservati a Madrid è stato pubblicato per lu prima volta da Ingo Herklotz. Vedi Claussen 2008a, p. 1 8. 107. Claussen 2002, p. 1 12ss. Si possono aggiungere alcune altre opere della bottega di Lau­ rcnzio, la maggior parte però fuori Roma. Vedi Claussen 1987, pp. 57ss. Ora anche Creti 2009. 108. Pensabene, Pomponi 1 992.

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iscrizione in versi sull'architrave in lettere artisticamente cesellate. 109 La trabe­ azione di oltre 3 1 m di lunghezza poggia su otto colonne di granito. I capitelli ionici sono tutti nuove realizzazioni medievali e rivelano lo studio dell'Antico e l' abilità dell 'artista. Il portico più grande del Medioevo venne collocato nel tardo XII secolo da­ vanti alla facciata orientale costantiniana di San Giovanni in Laterano (fig. 4). 1 10 Esso ci è tramandato solo da testimonianze iconografiche, ma è esistito fino nel XVIII secolo. Rispetto all'atrio della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, le dimen­ sioni sono ulteriormente aumentate, soprattutto in altezza. Le colonne usate sono di pregevole qualità. La lunga iscrizione nell'architrave allude all'epoca di Co­ stantino e S ilvestro, non indica però né il nome di un papa né un donatore. L'uni­ co nome di un contemporaneo si trova nella monumentale segnatura di Nicola de Angelo. l l 1 Un fregio a mosaico indica il ruolo storico della chiesa lateranense come chiesa madre e papale e i suoi oggetti di venerazione. È possibile spiegare il programma papale con il patronato papale? Ciò che sembra essere cosi eviden­ te, viene però messo in dubbio dalla vistosa mancanza di un nome di papa. Si potrebbe concludere ex negativo, che in questo caso anche il mancante interesse papale possa essere stata una forte motivazione di costruzione. Questa ambizio­ sissima opera architettonica del tardo XII secolo a Roma mi sembra essere stata provocata proprio dalla mancanza di un patronato papale in un'epoca, nella quale l' interesse dei papi si allontanava dalla chiesa laterana e si concentrava sempre più su San Pietro in Vaticano. 1 12 L' iscrizione e l' iconografia alludono in retro­ spettiva al rango della basilica - completamente nell' interesse del capitolo della chiesa laterana, che fondata da Costantino e Silvestro, deve valere come prima e più importante chiesa di Roma e della Cristianità.

109. Mondini in: C1aussen 20 10, pp. 87-95. 1 10. C1aussen 2008a, pp. 63-89; Herklotz 1989a. 1 1 1 . NICOLAVS ANGELI FECIT HOC OPVS. Vedi C1aussen 1 987, pp. 22-26. 1 12. C1aussen 2008a, pp. 84ss.

Il Xli secolo: da Pasquale II ( l 099-1 1 1 8) a Celestino

Fig. l. Sant'Adriano, la basilica medievale nel 1 936 (da ICCD).

Hl

( 1 1 9 1 - 1 198)

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Peter Comelius Claussen

Fig. 2. Santa Maria in Cosmedin, tomba di Alfano (foto dell'autore).

Il XII secolo: da Pasquale II ( l 099- 1 1 1 8) a Celestino m ( 1 1 9 1 - 1 198)

l l f' .l. hf'. 4. ..

Palazzo lateranense, affreschi con papi e antipapi (da Ladner 1 94 1 - 1 970). San Giovanni in Laterano, portico (da Ciampini 1 690- 1 699).

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Valentino Pace Il XIII secolo: da Innocenzo III ( 1 1 98- 1 2 1 6) a Bonifacio VIII ( 1 294- 1 303)

Il XIII secolo si apre con papa Innocenzo III sul soglio di Pietro e si chiude con papa Bonifacio VIII. 1 Ambedue fra le più importanti figure del pur secolare cammino della storia della Chiesa, le loro personalità sono state anche più volte discusse nella prospettiva del loro apporto al panorama monumentale e artistico della città di Roma e dei territori della Chiesa.2 AH' apertura del nuovo secolo papa lnnocenzo III, al secolo Lotario dei conti di Segni, afferma con evidenza il suo ruolo di "committente", promuovendo la centralità della basilica di San Pietro neli' urbe e nell' orbe cristiano, con interventi sulla basilica, cui affiancò un rinnovamento e ampliamento edilizio del contiguo palazzo vaticano, che lungo il secolo avrebbe poi trovato l'esponente maggiore in Nicola III, e la fondazione dell'ospedale di Santo Spirito in Sassia.3 A San Pietro esplicita chiaramente la sua committenza l'epigrafe che fece iscrivere sul mosaico absidale, da lui fatto rinnovare in sostituzione dell'originale redazione di IV secolo (e di suoi possibili successivi "restauri"): «SUMMA PETRI SEDES EST HAEC SACRA PRINCIPIS AEDES / MATER CUNCTARUM DECOR ET DECUS ECCLESIARUM l DEVOTUS

CHRISTO

QUI TEMPLO SERVIT IN ISTO

l FLORES

VIRTUTIS CAPIET FRUCTU­

SQUE SALUTIS».4

l. Per la storia dei singoli pontefici sia sufficiente rinviare sempre all'EP, aggiornata per i più recenti riferimenti bibliografici da Paravicini Bagliani 2010. 2. In generale sulla committenza pontificia nel XIII secolo: SchrMer 193 1 ; Belting 1987; Paravicini Bagliani 20 1 0, pp. 1 83-23 1 . Per un'essenziale bibliografia sull'arte di questo secolo a Roma: Matthiae 1 967; Ladner 1 970; Claussen 1 987; Roma nel Duecento 1 99 1 ; Die mittelalterli­ chen Grabma/er 1 994; Claussen 1 987, 2002, 2008a, 2008b, 20 1 0; Romano 20 1 2 ; Gardner 20 1 3 (qui tuttavia non tenuto in conto per la sua pubblicazione successiva alla consegna del testo). 3. Alla bibliografia sul Pontefice nella voce dell'EP, si aggiunga Innocenza III 2003. Specifi­ camente sulla committenza innocenziana: Ladner 1 970, pp. 46-79; lacobini 1 995 (oppure lacobini 2005); Iacobini 2003a; Pace 2003; Gandolfo 2004b, pp. 30-32; Iacobini 2005. Per la fase inno­ cenziana del palazzo vedi soprattutto Voci 1 992; Monciatti 2005, pp. 96- 108; Le Pogam 2005, pp. 55-59. Altre committenze, nella sfera dell'edilizia sacra furono indirizzate al radicale restauro della propria chiesa titolare dei SS. Sergio e Bacco al Foro (Bonfioli 1974; Iacobini 2003a; Claussen 20 13, p. 24 1 ), come pure alla costruzione del monastero femminile di San Sisto, per cui cfr. Barclay Lloyd 2003. 4. Per la discussa cronologia del mosaico originario cfr. Moretti, in Andaloro 2006, pp. 87-90. Sull'abside innocenziana Riccioni e Queijo, in Romano 20 1 2, pp. 62-66. Gardner 2003, p. 1 2 5 1 , ha

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Valentino Pace

Se l'epigrafe glorifica dunque la «chiesa» (aedes) di San Pietro, è il pontefice stesso, vicario di Pietro, che adesso assume una rilevanza che la versione paleo­ cristiana non gli aveva esplicitamente conferito. La simmetrica giustapposizione del pontefice e dell'«ECCLESIA ROMANA» a fianco del trono e dell'agnello indi­ scutibilmente e platealmente assimila infatti il primo alla seconda, lanciando un messaggio di contestuale glorificazione della maestà del Signore e del ruolo del pontefice, al vertice della Chiesa fondata da san Pietro. L' impegno "artistico" fu qui assolto da mosaicisti che l'esiguo resto dell'opera non ci consente di individuare con una qualche presunzione di certezza. L' ipotesi della loro provenienza siciliana è affidata a un confronto di stile, la cui circoscrit­ ta plausibilità può comunque venire indirettamente confermata dalla presenza di maestranze o, comunque, di modelli monrealesi sulle pareti della vicina chiesa del monastero greco di Grottaferrata, a una data di verosimile leggera anteriorità alla decorazione petrina.5 In quegli anni innocenziani le testimonianze di perizia musiva da parte di artefici romani erano ormai lontane di una generazione o an­ che oltre, risalendo agli anni Sessanta dell'abside di Santa Maria Nuova (Santa Francesca Romana) e potendo trovare nello stesso giro di anni solo uno sporadi­ co confronto con la lunetta della cattedrale di Civitacastellana, pur essa peraltro chiamata in causa per una possibile esecuzione, almeno parziale, dell'abside pe­ trina da parte dello stesso musivario, Iacobus.6 Il messaggio dell'abside petrina veniva ribadito, con più forte uso del lin­ guaggio simbolico, dalla sottostante cattedra, scomparsa ma ancora documentata nel XVI secolo, che significativamente utilizzava non solo immagini leonine sui fianchi, ma riprendeva anche la forma cuspidata della Cathedra Petri, nel giorno della cui festività il pontefice aveva scelto di essere consacrato, a ribadire esplici­ tamente la linea di continuità del suo potere vicario e della sua sacralità.7 Un'altra cattedra è legata al nome dello stesso pontefice, quella di Santa Maria in Traste­ vere, su cui si è ritenuto che il pontefice possa essersi seduto per la consacrazione della basilica del 1 2 1 5 . 8 La questione è tuttavia aperta nella misura in cui la stessa data agli anni innocenziani è stata messa autorevolmente in dubbio per via stili­ stica.9 Se tuttavia, per lasciare uno spiraglio alla discussione, si mantenesse fede al suo allestimento in età innocenziana, ne sarebbe più verosimile una commit­ tenza da parte del cardinale titolare della basilica, il vescovo di Palestrina Guido Papareschi, che in tal caso avrebbe peraltro di sicuro necessitato il consenso del notato la stretta assonanza fra l'iscrizione absidale e il testo del V Canone del Concilio Lateranense IV, del 1 2 1 5 . 5. Queijo, in Romano 2012, p . 64 pe r l a discussione storiografica. Inaffidabile pe r carenze metodologiche e genericità Cortese 2010. 6. Claussen 1 987, pp. 7 1 -73. 7. Gandolfo 1 985, pp. 1 1 1-1 13; Iacobini 1997, p. 94. 8. Kinney 1975; Gandolfo 1 980. 9. Claussen 1987, p. 8 1 . Anche Dale Kinney (comunicazione orale) è adesso incline a una data almeno posteriore agli anni di Innocenzo III, dubitando, oltre tutto, del necessario raccordo con la consacrazione.

Il XIII secolo: da Innocenzo III ( 1 1 98- 1 2 1 6) a Bonifacio VIII ( 1294-1 303)

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pontefice. Il programma d'immagine utilizza un simbolismo ben diverso da quel­ lo petrino, dal momento che il sedile è affiancato da due quadrupedi alati con il volto leonino sorprendentemente caratterizzato da coma, con una scelta che fa presumere l'ambiziosa allusione di «ascesa ai cieli del sedente» . 10 Lascia comun­ que qualche perplessità (con l' implicita conseguenza di una tendenziale adesione a una data post-innocenziana) che un tale simbolismo sia un hapax, soprattutto per il fatto che non lo si utilizzò per un'altra occasione dove pure sarebbe stato pertinente, ovverosia nella lunetta sovrastante il frontale figurato della nicchia petrina dei palli. 11 A San P ietro il pontefice era infatti intervenuto con un'altra committenza di forte impegno, trattandosi di un ambiente liturgico, all ' interno della Confes­ sione, così chiamato perché deputato alla custodia dei palli che sarebbero stati consegnati ai neoconsacrati arcivescovi. Complesso è il sistema di immagini, affidato a un frontale con figure ad altorilievo in lega di bronzo e smaltate, impostato sulla figura regale di un Cristo in maestà affiancata dai simboli degli evangelisti (perduti) e dal coro degli apostoli (oggi cinque) a figura intera su due livelli, sovrastata da una lunetta a traforo (anch'essa con figure ad altori­ l ievo su fondi incisi a rabeschi) il cui isolato disco centrale presenta il simbolo cristologico dell'Agnus Dei (fig. 1 ). L'Agnello, di nuovo contornato dai simboli evangelici, è sovrastato, al vertice di un archivolto, da un faldistorio di chiara referenza papale per la presenza di una mitra, anch'esso affiancato dagli apo­ stoli, qui a mezza figura, mentre sulla sottostante fascia orizzontale (una sorta di architrave, su cui poggia l'archivolto) si dispongono dodici profeti, nuova­ mente a mezza figura. Sul retro di questa lunetta il disco centrale presenta, con esclusivo uso dell' incisione sul fondo dorato, il pontefice in trono con la mitra episcopale, le chiavi e il libro, mentre tutto attorno, su archivolto e architrave, si dispongono i ventidue vescovi che, ancora privi del pallio, lo riceveranno dal pontefice al momento della loro consacrazione. Significativo l ' uso delle iscrizioni: intorno all'Agnello «Ego sum ostium in ovile ovium» (perifrasi da Ov 1 0, 8-9); fra le mezze figure degli apostoli l ' iterata "litania" di Agnus Dei, Sanctus Dominus; tutt'attorno al pontefice un testo di riferimento alla consegna liturgica dei palli: «Sp(iritus) [c(onsilii)] almus ego tegas ut tegenda te tego. Vir dico pasce greges quia nullis epulis eges>> . 1 2 Ad eseguire una tale opera ci si av­ valse, per gli altorilievi smaltati, di una bottega limosina, la cui presenza segna u Roma una significativa apertura a pratiche artistiche completamente estranee u l la sua tradizione, in anticipo su quanto caratterizzerà, al tempo dei papi e cardinali francesi della seconda metà del secolo romana, la svolta "gotica". Che una tale committenza sia stata favorita dalla conoscenza che il pontefice IO. Gandolfo 1980, p. 352. I l . Pace 2003, p. 1 240. 12. Cfr. Gauthier 1 968, cui ha apportato correzioni di lieve entità de Blaauw 1 994b, pp. 654(,56. Vedi anche Iacobini 1 99 1 , pp. 3 1 5-3 1 9, e L 'apogée 20 1 1 , pp. 124- 1 29. Doris Esch mi ha fatto

11iustamente osservare che, per mantenere l'esatto ritmo dei due esametri leonini, il genitivo «con­ Hilii», pur suggerito dalla c dell'abbreviazione ("SPC"), va tuttavia espunto dalla trascrizione.

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poté acquisire a Limoges quando vi si era recato da cardinale nel 1 1 87, è pos­ sibile, ma essa potrebbe essere anche stata suggerita da un qualche prelato di sicuro più attento alla qualità delle opere come, in particolare, Guala B icchieri, che di oreficeria limosina ben se ne intendeva. 1 3 Fra gli artefici dell' opera va comunque sottolineato che la più alta qualità spetta alla lastra incisa, al meglio nel l ' immagine papale, a mio avviso in piena consonanza con lo "stile 1 200", mentre atticciati e qualitativamente modesti sono i busti in altorilievo sul fronte della lunetta. 1 4 In stretta vicinanza con quest' opera doveva essere ammirato i l perduto antependio d i velluto rosso, tramato d' oro, ricamato con una Deesis, accompagnata da san Pietro e dall' imperatore Costantino, da lui donato, alla pari di molti altri doni per altre chiese, fra i quali, un paliotto ricamato per l'al­ tare maggiore di San Paolo fuori le mura. 1 5 Per una valenza comparativa sullo "stato dell' arte" in quegli anni è d'al­ tronde utile rivolgersi, prima di tornare al San Pietro, all'altra impresa inno­ cenziana che coinvolse due preziosissime testimonianze della fede cristiana di Roma: l ' icona acheropita e l'altare-scrigno delle reliquie nell'oratorio del Sancta Sanctorum. Per la prima il pontefice provvide infatti, come certifica l ' iscrizione, a una copertura argentea che ricopre quasi totalmente l' icona, ri­ sparmiandone il volto (che peraltro rimaneva coperto da un velo) e le stigmate, al fine di permetterne la ritualità liturgica del bacio papale. 1 6 Anche qui le parti figurative non possono certo essere qualificate al rango di capolavori, quali il prestigio della committenza e soprattutto il carisma dell'opera avrebbe potuto sollecitare: le figurine dei santi sulle fasce laterali sono piuttosto incerte nel disegno e nel modellato e viene da chiedersi, da prove come questa, quanto si possa fondatamente discutere di scelte esteticamente motivate da parte di un tal committente. Sono gli anni in cui l 'oreficeria, ovvero gli artefici che lavoravano sui metalli, raggiungevano quegli esiti la cui altezza è esemplata al meglio dal candelabro Trivolzio nel duomo di Milano, ma anche dignitosamente rappre­ sentata a Roma stessa nella statuina della Ecclesia sulla porta del patriarchio, oggi nel Battistero lateranense. Sulla coperta dell ' Acheropita niente di tutto questo e sono le parti di pura decorazione quelle che, con un ossessivo horror vacui, offrono il miglior risultato. Sull' antistante altare il nome di Innocenzo ritorna a certificare la sua committenza per la "messa in sicurezza" delle re1 3 . Gardner 2003, p. 1 246 (per la giovanile visita limosina) e Gardner 2000 (per Guala). 14. Per la Gauthier 1 968, p. 244: «La simple gravure [del retro] trahit la main d'un artiste venu de Limoges» . Nella scheda in L 'apogée 20 1 1 , p. 1 26, redatta da D. Gaborit Chopin, sulla traccia degli appunti della studiosa, se ne scrive invece che sarebbe stata eseguita «à Rome, par des artistes imitant le travail limousin» (il corsivo è mio). 15. Gardner 2003, pp. 1 246- 1247, per il primo «pretiosam vestem de examero rubeo, deaura­ tam, undique cooperientem altare»; de Blaauw 2009, p. 1 26. Per il secondo «Nobilem pannum cum imaginibus aurea textura mirabiliter insignitum ad opus altaris», con gli appropriati riferimenti ai Gesta. Ovviamente i "dona" non sono di per sé testimonianze di committenza, ma ad esse intrinse­ che e in ambedue i casi questa loro ''figuratività" non può non essere trascurata. 16. Bolton 1 992 ( Bolton 1 995, XVII) . Per il manufatto in sé, vedi Di Berardo 1 994. =

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liquie, protette da una grata e rinchiuse in uno scrigno, le cui ante recano ad altorilievo le teste in bronzo dei principi degli apostoli, di una qualità di icastico e suggestivo realismo. A San Pietro, il luogo prediletto della committenza innocenziana, è stato sup­ posto con buon margine di plausibilità che al tempo, e dunque per committenza di questo papa, sarebbero state dipinte le storie di Pietro e Paolo sulla parete setten­ trionale dell'oratorio di Giovanni VII, tese a sottolineare visualmente la primazia pontificia per la sua discendenza dall'apostoloY Vi si ribadiva dunque quanto più ostentamente veniva affermato sulla grande abside, glorificante la figura del pon­ tefice quale vicario di Cristo, proprio nella chiesa che papa lnnocenzo riteneva fosse la chiesa primaziale per eccellenza. Papa Innocenzo III progettò anche il rinnovamento dell' abside ostiense, se­ condo quanto ci documentano i Gesta: «pro musivo eiusdem basilicae, centum libras et decem et septem uncias auri». 18 I lavori furono tuttavia portati avanti (se non concretamente iniziati) solo dal suo successore, papa Onorio III, eletto il 1 8 luglio 1 2 1 6, personaggio già di spicco per le committenze "artistiche" da lui promosse quando, prima di salire al soglio di Pietro, era stato cardinale prete di Santi Giovanni e Paolo. 1 9 Nel gennaio 1 2 1 8 dovette rivolgersi al doge vene­ ziano per chiedergli «duos alios» mosaicisti, oltre a quello già inviato, per un celere completamento dell'opera.20 Il "gemellaggio apostolico" di Pietro e Pa­ olo, espresso dalle riflessioni ecclesiologiche e riverberato dalle due basiliche per le loro simili modalità architettoniche, come pure dalla diffusa iconografia del loro abbraccio, ne accredita con tutta plausibilità la progettazione innocen­ ziana. Anche qui troneggia al centro Cristo, fiancheggiato da Paolo (alla Sua destra, come a San Pietro e nella prevalente tradizione iconografica romana) e Pietro, da Luca e Andrea, la minuscola figura del pontefice venendo raffigurata presso il Suo piede destro, prostrato sul modello della proskynesis bizantina; nella fascia sottostante il centro è occupato dal Trono, sul quale spiccano il libro dei Vangeli e i signa della passione, sotto il quale si dispongono cinque figuret­ te di "innocenti", fiancheggiate da due monaci benedettini genuflessi, mentre tutt'attorno si dispongono in due semicori gli altri apostoli (inclusi l 'evange­ lista Marco, oltre a Mattia e Barnaba) che "visualmente intonano" il Gloria, con i cartigli tenuti nelle loro mani, un' eccezionale rappresentazione in termini visuali del canto liturgico (fig. 2 ).2 1 17. Queijo, in Romano 2012, pp. 5 1 -53. 18. Queijo, in Romano 20 12, pp. 83-87, con cit. dei Gesta (adesso disponibili anche in un'edi­ zione commentata e in traduzione italiana). 19. Ai SS. Giovanni e Paolo Onorio III intervenne sia da cardinale che da Papa, cosi soprat­ tutto per i lavori del portico e nel convento: Mondini, in Claussen, Mondini, Senekovic 20 1 0, pp. 87- 102 e 125- 1 27. Su questo Papa e la smentita della sua appartenenza alla famiglia Savelli (come creduto al seguito del Panvinio) vedi Carocci-Vendittelli, in EP 2000, pp. 350-362. 20. Queijo 2012, p. 83 per la citazione del documento; Riccioni e Queijo ibidem, pp. 77-87 per l'intera scheda sull'opera. 2 1 . Valenziano 2003.

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Il mosaico (che ha molto, troppo, sofferto per i restauri o, piuttosto, rifaci­ menti successivi) sottilmente allude a un contesto giudiziale che, nell' iconografia romana del medioevo, fu peraltro rarissimamente esplicitato.22 Lo denuncia infat­ ti la scritta sul cartiglio che Cristo tiene in mano: «VENITE BENEDICTI PATRIS MEI l PERCIPITE REGNUM Q(UOD) V(OBIS) P (ARAVI) A(B ) O(RIGINE) M(UNDI) » (Mt. 25, 34); oltre alla presenza del Trono con i simboli della passione (come avverrà fra l'altro nel contesto giudiziale di Santa Cecilia in Trastevere), affiancato dai santi innocenti. Con il senso "nuovo" della monumentale immagine absidale si accor­ da anche l' inusuale presentazione del pontefice, cui non viene accordato il privi­ legio, di radicata tradizione romana, della sua compresenza sulla scena accanto ai santi che fiancheggiano il Signore, ma viene visto accostato ai Suoi piedi, con ben maggiore umiltà di quanto non fosse stato per Pasquale I a Santa Maria in Dom­ nica rispetto alla Madre di Dio.23 Il pontefice peraltro non è il solo "vivente", ma è accompagnato dai due benedettini, uno dei quali viene identificato dal sovra­ stante titu/us con IOHANNES CAITANUS ABBAS mentre l'altro è ADINULFUS SACRISTA. La perduta iscrizione dedicatoria ci spiega il ruolo del primo, accreditandogli il completamento de li' opera: «TOTIUS ORBIS HONOR QUOD HONORIUS ARTIS HONORE l PAPA PRIUS FECIT FULGENTE DECORE l ABBAS POST PAPAM QUEM CHRISTUS AD ALTA l OMNE IOANNES OPUS MIRA PIETATE BEAVIT».

VOCAVIT

Non privo di significato è questo completamento, poiché introduce sulla scena della committenza pontificia attori di per sé estranei al rango papale. Che l' abate e il sacrista si siano qui ostentatamente proposti, facendo oltretutto inserire le loro immagini su una preesistente tessitura musiva, non deve far dimenticare che in precedenza, quando si fosse verificato il caso di una qual­ che forma di "corresponsabilità" in un' impresa papale, o si fossero comunque voluti ricordare meriti di altro committente, lo si era sempre testimoniato con l ' immagine di un altro pontefice, mai da religiosi di minore rango, mentre nello spazio di questa gloriosa basilica ostiense e chiesa abbaziale benedettina, essi e altri rappresentanti dell' ordine monastico ci tennero a segnalare fortemente, qui e altrove, la loro presenza.24 Altresi di spicco è quella che potremmo definire l' orchestrazione stessa dell' immagine absidale: perduta l'abside vaticana ne è impossibile il confronto di visualità e monumentalità, forse non dissimili, vista la medesima partizione fra calotta e registro sottostante; quel che tuttavia prepotentemente risalta è qui la presenza "umana" degli apostoli, ovvero, la rinuncia alla loro rappresentazione simbolica con gli agnelli.25 È vero che essa era necessaria per formulare visi­ vamente il testo del Gloria, ma è anche vero che un tale progetto non poté che 22. Pace 200 l . 23. Ladner 1 970, pp. 80-9 1 . Un modello d i "quasi simile" atteggiamento lo si vedeva nella stessa San Paolo sulla porta bronzea (anche se li il donatore amalfitano non arriva a "toccare" il piede del Signore con le sue mani). 24. Pace 1 99 1 a (oppure Pace 2000, pp. 1 25-1 36); Gianandrea 20 12. 25. L'unica presenza di una schiera apostolica di figure "umane" è quella dell'emiciclo ab­ sidale di San Clemente (oggi ridipinti, ma sulla base di quale precedente?), qui tuttavia ripetitiva

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essere ideato nel momento stesso in cui si rinunciava al tradizionale repertorio simbolico, esponendo uno scenario absidale a Roma inedito, ma per qualche ver­ so in consonanza (sit venia verbis !) con quanto avveniva in quegli anni sui grandi portali delle cattedrali gotiche di Francia: Chartres sud e Notre Dame a Parigi in primis.26 A mio avviso l'abside musiva di San Paolo potrebbe cioé, in sostanza, riflettere (o, meglio, aver riflettuto, vista la sua larga perdita) quel senso di recu­ perata "umanità" della dimensione sacra che caratterizza la figuratività europea negli anni intorno al 1 200 e oltre. Negli anni del pontificato onoriano vennero eseguiti nel complesso cimi­ teriale della basilica di San Sebastiano lavori sulla cui consistenza la storia­ grafia ha avanzato diverse proposte. A questi lavori per tradizione si è anche riferita la decorazione ad affresco dell'oratorio appunto designato "di Onorio III", o della "Platania", datata tradizionalmente al 1 2 1 8 perché questo è l'an­ no di consacrazione dell'altare del santo da parte del pontefice, che ne viene anche ritenuto il committente.27 Nulla ci attesta tuttavia la certezza di questa referenza, comunque plausibile per la possibile convergenza sul culto onoriano dei santi innocenti: d'un lato evidenziato a San Paolo fuori le mura dalla loro ostentata centralità sotto l'Etimasia con i simboli della passione, d'altro lato in questo oratorio per la presenza della scena della loro Strage nel ciclo dipinto, l' unica di estrazione evangelica in un contesto figurativo altrimenti orientato sulla devozione di santi connessi al sito per storia o per reliquie (Pietro, Paolo, Sebastiano, Thomas Becket, etc.).28 Quanto Onorio III si sia comunque interessato alla sistemazione dei luo­ ghi santi martiriali lo dimostrano sia un'esigua testimonianza relativa a Santa Bibiana,29 sia soprattutto il caso di San Lorenzo fuori le mura, nella cui basilica altomedievale, dell'età di Pelagio II (579-590), intervenne già da cancellarius e poi, soprattutto, come pontefice.3° Con lavori verosimilmente già iniziati prima dell'assunzione al trono papale e comunque a lui accreditati dalle fonti, si deter­ m inò la giunzione di un nuovo corpo basilicale a tre navate all'edificio prece­ dente, del quale fu abbattuta l'abside e rovesciato l'orientamento. L'interno, con architrave su colonne lisce dai capitelli ionici, magnificava una soluzione che in generici termini visuali ritornava al modello di Santa Maria Maggiore, nella linea del la sovrastante figurazione simbolica con gli agnelli. Minima l'attenzione storiografìca su questo uflì"esco, nel 1 7 1 5 praticamente tutto ridipinto: Claussen 2002, p. 343. 26. Sauerllinder 1 970, passim. Sottolineo e ribadisco che è lontano da me ogni riferimento wmparativo alla sostanza stilistica, ovviamente impossibile non solo per la diversità delle tecniche, mu anche dei contesti. 27. Acconci 1 998- 1 999, anche con le referenze sui possibili interventi onoriani nel sito dmiteriale. 28. Queijo 20 12, pp. 98- 1 03, con più dettagliati argomenti, sulla scorta della Acconci. 29. Cfr. Queijo 20 12, pp. 1 07- 109, per le misere tracce di un immagine di Onorio III, una volta contestuale ad altri affreschi. A supporto della committenza papale dell'edificio può servire il rurattere "onoriano" della sua architettura, per cui cfr. Claussen 2002, pp. 1 79-1 85. 30. Mondini in Claussen 201 0, pp. 3 1 7-527, in part. alla p. 337 (Per la sicura documentazione dell'attività di Cencio, poi Onorio III, al tempo del suo "cancellierato") e pp. 343 ss.

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che nel XII secolo era stata riaffermata a partire da San Crisogono e che comun­ que non avrebbe potuto non sorprendere chi l'avesse visitato venendo dall 'oltral­ pe delle cattedrali gotiche. All'esterno la facciata della chiesa presenta un cavetto (ricostruito oggi dopo il bombardamento del luglio 1 943) , sul quale s' intese forse porre un mosaico, ed è preceduta da un portico anch'esso architravato, di palese intonazione "romana". Sul suo architrave corre, ovvero correva, un fregio mu­ sivo (figg. 3-4) che, largamente distrutto nel 1 943, conserva ancora la figuretta del pontefice che una volta si accompagnava a quella del santo dedicatario ed è tuttora seguita da una figuretta inginocchiata, forse di chi partecipò alle spese dell'opera e che, pur se nell'anonimato, volle farsi ricordare, dunque con minore orgoglio dei due Benedettini del mosaico "papale" di San Paolo. L' intera impre­ sa laurenziana di quegli anni (e fino a metà secolo) fu assolta quasi in esclusiva dalla famiglia dei Vassalletto, cui risalgono (con la possibile eccezione del leone di destra del portale e dello splendido ambone "maggiore", di destra, capolavoro quasi pre-albertiano, eseguiti da "Cosmati") capitelli di navata, arredi, pavimen­ to, portale, portico. La qualità maggiore è senza dubbio quella dei capitelli, tutti "moderni" e dunque non di riuso, come in prevalenza fin allora; assai modesta, invece, la qualità del tessellato figurato musivo del fregio sul portico. Anche se il progetto laurenziano non fu tutto onoriano, ma risale fin agli anni di papa Celestino e dell'ancora cancellarius Cencio in età innocenziana, resta indubbio che questo influente edificio, proprio per la sua piena pertinenza a quei decenni, segna e caratterizza esemplarmente l'arte romana del tempo, connotan­ done grandezza e, se si vuole, limiti. Onorio III fissò la propria residenza al Laterano e lì lasciò di sé un' immagine (ad affresco o a mosaico), accompagnata da altra di un anonimo prelato, ai piedi di un Crocefisso.Jl È importante ricordarla, pur se ci sia giunta solo in una copia seicentesca, perché le loro due immagini sviluppano visualmente una devozione al crocefisso come da li a poco sarebbe stato frequente in quell'ambito francesca­ no del cui fondatore, Francesco, il pontefice confermò la "Regola". Il pontefice che salì al soglio di Pietro dopo Onorio fu Ugolino dei conti di Segni, nipote del suo predecessore lnnocenzo III, del quale tuttavia non assunse i l nome, preferendo quello di Gregorio, IX ( 1 227- 1 24 1 ) nella sua serie onomastica. Come Innocenzo, anch'egli rivolse la sua attenzione alla basilica vaticana, sulla cui facciata, in linea con una tradizione petrina (altrimenti rara nel panorama delle basiliche romane, fra le quali si ricorda, proprio in quegli anni, il raro caso di Santa Maria in Trastevere) fece esporre un programma figurativo realizzato a mosaico.32 L' intervento di Gregorio mantenne il "tema" dell 'Adorazione dei 24 Seniori che, in una rinnovata stesura, veniva adesso a far parte di un più vasto programma sul "cavetto", adesso quasi raddoppiato in altezza con l'apertura di un secondo ordine finestrato: in alto fu dunque disposta una Deesis con il tito3 1 . Queijo 20 12, p. 95. 32. Sul mosaico gregoriano e sui mosaici di facciata Harding 1 995 e 1 997; Tornei 2007; Piaz­ za 2010. Per il dibattito storiografico Queijo 201 2, pp. 1 1 3-1 16.

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lare (ovvero il Cristo in trono con la Madre alla Sua destra e san Pietro alla Sua sinistra) siglata da una figuretta del pontefice regnante inginocchiato, affiancata dai simboli dei 4 evangelisti, cui corrispondevano nel registro sottostante le loro immagini in figura corporea (quasi a ribadire la volontà del preminente interesse a una "rappresentazione" che almeno si affiancasse al tradizionale simbolismo). Che il mosaico debba considerarsi una "risposta" al manifesto politico espresso da Federico II a Capua è ipotesi affascinante, che vale di certo per evidenziare e ribadire quanto le immagini "pubbliche" del Medioevo, nella fattispecie quello romano, fossero strumenti di propaganda ideologica.33 Il titulus esplicita d'altron­ de il valore fondamentale del messaggio ecclesiologico: «CEU SOL FERVESCIT SI­ ous SUPER OMNE NITESCIT l ET VELUT EST AURUM RUTILANS SUPER OMNE METALLUM l DOCTRINA A1QUE FIDE CALET ET SIC POLLET UBIQUE l ISTA DOMUS PETRAM SUPRA

da tradursi così: «Quando arde il sole come una stella brilla su ogni cosa l Ed è come l'oro che risplende sopra ogni metallo l Ferve di dottrina e di di fede ed è potente ovunque l Questa casa edificata su pacifica pietra».34 Due soltanto sono i frammenti che ci restano di questa impresa: la testa della Vergine e quella ritenuta dell'evangelista Luca (del quale sorprendentemente non presenta la stabilizzata fisionomia), cosicché il dibattito sulla provenienza dei mosaicisti non può giungere a conclusioni certe, anche se almeno il frammento mariano è stato plausibilmente collegato con parti della maniera ostiense. Senza confronti invece la bella testa virile, che dunque può solo ammonirci sulla scarsità delle nostre conoscenze e offrirei uno spiraglio delle molteplicità formali in corso nella Roma di quegli anni. FABRICATA QUIETAM»,

Per i suoi soli diciassette giorni di pontificato il successore di Gregorio IX, il lombardo Goffredo da Castiglione, non poté ovviamente lasciar traccia di sé. Ma poca traccia lasciarono anche i papi dei decenni successivi, per via delle loro prolungate assenze da Roma, oltre che per il triennio di sede vacante fra il 1 268 e il 1 27 1 . Se infatti dei suoi undici anni di pontificato ( 1 243- 1 254) il ligure Inno­ cenzo IV, al secolo Sinibaldo Fieschi di Lavagna, ne trascorse soltanto poco più di uno nell' urbe, Alessandro IV ( 1 254- 1 26 1 ) fu a sua volta largamente assente e le consacrazioni a lui riferite non ne significano necessariamente committenze. l due papi successivi, i francesi Urbano IV ( 1 26 1 - 1 264), e Clemente IV ( 1 2651 268), non misero mai piede a Roma; Gregorio X ( 1 27 1 - 1 276) vi trascorse solo tre mesi; Innocenzo V un solo mese sui cinque di pontificato; Adriano V rimase 11 Viterbo nel suo unico mese di pontificato; Giovanni XXI vi trascorse solo uno dei suoi otto mesi, fra 1 276 e 1 277.35

33. Per gli argomenti di questa ipotesi vedi Romano 20 1 2, pp. 1 6- 1 7. 34. Riporto qui la traduzione che mi è stata fatta da Massimo Oldoni, a correzione di quella utilizzata da Iacobini 1 995, p. 98. 35. Paravicini Bagliani 2003. Furono soprattutto Viterbo e Perugia (per Clemente N), Orvie­ to e Viterbo (per Urbano N) le sedi alternative preferite. Per le scarse notizie sulla committenza di 11 Ucsti (e dei seguenti pontefici) Schmitz 20 1 3 , pp. 49-5 1 , in particolare per la presunta committenza

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È la committenza curiale che invece ci ha lasciato l'assoluto capolavoro dell' intero secolo: l'affrescatura dell'Aula gotica nel palazzo ai Santi Quattro Co­ ronati.36 Fra le poche tracce di committenza di lnnocenzo IV ricordo comunque che al suo ritorno a Roma, dopo lo scampato pericolo svevo, si interessò di San Lorenzo fuori le mura, provvedendo «con sontuosità» a riparazioni e nuove opere per l'altare e la cripta;37 è discussa l'esecuzione e l'eventuale sua committenza per le più antiche, frammentarie fasi decorative del palazzo vaticano. 38 Di Urbano IV è invece ricordata la fondazione di una modesta chiesetta al foro traianeo, dedi­ cata al suo santo omonimo.39 Interrompe questa serie di assenze la figura del pontefice che segna l ' inizio del trionfale venticinquennio conclusivo del secolo nella Roma cristiana: Nicola 111.40 Eletto pontefice il 25 novembre 1 277 al conclave di Viterbo, il cardinale diacono di San Nicola in carcere, Giovanni Gaetano Orsini, apparteneva a uno dei maggiori lignaggi della Roma del tempo e viene concordemente riconosciuto come una figura di snodo nella storia secolare della committenza papale.41 Nel complesso lateranense, vera e propria cappella di palazzo ad esclusivo uso liturgico del pontefice, il papa Orsini fece ricostruire il preesistente oratorio dedicato a san Lorenzo, affidandone almeno il coordinamento del progetto al «MA­ GISTER cosMATUS» che orgogliosamente incise la sua firma sulla parete di sinistra del corridoio di ingresso.42 Segnata da una volta a crociera costolonata e da un'ar­ ticolazione muraria di referenza gotica e francese, allora inusuale nel panorama romano, essa custodiva (e in piccola parte custodisce tuttora) nello scrigno d'altare (che il pontefice fece proteggere da sportelli bronzei su cui fece fondere le teste degli apostoli e iscrivere il proprio nome a ricordo della sua committenza) e nelle sue nicchie parietali ferrate un prezioso tesoro di reliquie. Fra le principali (al di là di quelle direttamente connnesse con Cristo) erano quelle di insignì martiri - come alessandrina di un rifacimento del ciclo pittorico a Santa Costanza, cui ha anche fatto riferimento Monciatti 2005, p. 136. 36. Draghi 2006; Draghi, in Romano 2012, pp. 137- 1 76. Purtroppo la difficile accessibilità nell'aula impedisce tuttora un approfondimento dei tanti problemi critici ancora aperti. 37. Mondini in Claussen, Mondini, Senekovié 20 10, p. 348, con citazione della Vita lnnocen­ tii IV.

38. Monciatti 2005, pp. 1 59-1 82; Comini, De Strobel, in Romano 20 12, pp. 220-222; Quadri, in Romano 2012, pp. 222-225. 39. Ceschi 1 933; Barroero 1983. La chiesa è stata sacrificata alle demolizioni fasciste. Per il ciclo ad affresco del portico vaticano, attribuito anche alla sua committenza, vedi oltre nel testo (sub Nicola III) . 40. Preferisco utilizzare la dizione di "Nicola" piuttosto che quella di "Niccolò" sia perché di più corretta rispondenza alla versione italiana del nome latino sia perché in linea con la dizione usata per gli omonimi papi precedenti. 4 1 . Per la figura di questo pontefice come committente v. D'Onofrio 1983. 42. Riferimento fondamentale ne è il volume Sancta Sanctorum 1995, da aggiornare con Ro­ mano 2012, pp. 32 1 -338. lvi Tutta la bibliografia, della quale qui ricordo solo Gardner 1973c e Wollesen 198 1 . Per il "Cosma" che ivi si firma: Claussen 1987, pp. 208-22 1 ; Le Pogam 2004b, pp. 93-95; Dietl 2009, pp. 1 386- 1388. Durante il XIII secolo era stato papa Onorio III a promuovere grandi lavori di restauro a questo edificio, come ricordato da Queijo 2012, p. 95.

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i capita di Pietro, Paolo ed Agnese, i carboni macchiati di sangue e il grasso colato dal corpo del titolare, Lorenzo - il cui liturgico dies natalis venne visualizzato su tre delle pareti, associandovisi anche sia il martirio di Stefano, per la tradiziona­ le associazione romana di questo diacono con il titolare, sia pure la scena di un celebre miracolo compiuto da san Nicola "di Bari", qui glorificato perché santo omonimo del pontefice.43 Su tutte, dominante nella visione assiale verso l'altare, posto sulla sovrastante parete e visibile anche a chi non fosse permesso l'accesso all 'oratorio, il dittico con l'Offerta dell'edificio al Signore da parte del pontefice, introdotto dai principi degli apostoli. L'altare stesso si pone al centro di un ser­ rato spazio liturgico, sulla cui parete di fondo ancora oggi è ostentata nella sua intrigante "invisibilità" l' icona "acheropita", dunque essa stessa venerata come reliquia, cui si collega tematicamente, sulla adiacente volticina, il clipeo del Cristo sostenuto da angeli in volo, mentre lungo le basse pareti si ribadisce la devozione per i santi ricordati sugli aflTeschi, qui ritratti in formato ridotto.44 Tanto esplicitamente quanto ovviamente, tenuta presente la tradizione dell' ideologia e delle immagini romane, il programma dell'oratorio sottolinea dunque il messaggio salvifico cristiano con la cruciale mediazione delle reliquie e la primazia papale, con la sola allusione personale della scelta di san Nicola, peraltro in linea con una consolidata devozione del tempo (tanto che pochi anni dopo anche un papa dell'ordine francescano sceglierà il nome di Nicola, quarto della serie). A san Nicola d'altronde il pontefice fece pure dedicare in San Pietro una cappella, dove espresse il desiderio di essere seppellito.45 Come a suo tempo lnnocenzo III, egli predilesse il Vaticano al Laterano, concentrando sul suo territorio una serie di interventi, urbanistici e architettonici, in particolare sul palazzo vaticano che collegò con Castel Sant'Angelo, di proprietà della stessa famiglia Orsini, tramite il corridoio all ' interno delle mura leonine in seguito detto "il passetto di borgo".46 Il Palazzo dovette anche essere sontuosamente decorato, da quanto può giudicarsi dai frammenti che ne restano.47 A San Pietro stessa, come pure a San Paolo e nella basilica lateranense, fece completare la sequenza dei clipei papali lungo le navate.48 Nel portico della basilica vaticana 43. Giovanni Diacono, citato da Lauer 1 9 1 1 , p. 404, ci riferisce che: «, ovvero le pitture di navata, potendosi, ma non "dovendosi" affatto intenderle inclusive del ciclo francescano, la cui realizzazione nulla osta a far ritenere compiuta solo negli anni successivi alla morte del pontefice. 70 Nella cattedrale lateranense Nicola IV fece rinnovare l'assetto absidale con la ricostruzione dell'abside e del deambulatorio, intervenendo anche sulla faccia­ ta e sul nartece. È discusso se sia stato questo papa oppure Anacleto II a modifi­ care la planimetria costantiniana con l' inserimento del transetto.71 A Santa Maria Maggiore la costruzione del nuovo transetto fu senza dubbio contestuale al totale rifacimento dell'abside. 72 Il mosaico sull'abside lateranense, pur in una versione che palesemente mostra i pesanti interventi di rifacimento resi necessari dal suo spostamento per l'estensione longitudinale del coro al tempo di papa Pio IX, ancor oggi trasmette con le immagini il senso della sua impaginazione monumentale e trionfale, men­ tre verbalmente sottolinea con le sue epigrafi l'orgoglio del committente, il presti­ gio della sede, l'autorità papale. 73 Al di sotto della calotta absidale si legge: PARTEM POSTERIOREM ET ANTERIOREM RUINOSAS HUIUS SANCTI TEMPLI A FUNDAMENTIS REEDIFICARE FECIT ET ORNARI OPERE MOSYACO NICOLAUS PAPA nn FILIUS BEATI FRAN­ CISCI ET SACRUM VULTUM SALVATORIS INTEGRUM REPONI FECIT IN LOCO UBI PRIMO MI­ RACOLOSE POPULO ROMANO APPARUIT QUANDO FUIT ISTA ECCLESIA CONSECRATA ANNO DOMINI MCC NONAGESIMO I .

Più in basso, sotto il piano di base delle finestre: « HEC

EST PAPALIS SEDES ET

PONTIFICALIS l PRESIDET ET CHRISTI DE IURE VICARIUS ISTI l ET QUIA IURE DATUR SE-

69. Per queste e per le altre committenze: Ciardi Dupré Dal Poggetto 199 1 ; Gardner 1997; Tornei 20 10. Per committenze precedenti all'ascesa al papato Gardner 201 1 . 70. Cooper, Robson 2003 ; Id. 2009. Per la questione "giottesca" (se non anche di quella c i ­ mabuesca) e la sequenza dei lavori assisiati, Belting 1977; Romano 200 1 ; Frugoni 2004 e Romano 2008. lncondivisibili le argomentazioni di Bellosi 2007 giustamente confutate da Tornei 2009 c 20 10. Più di recente anche Binski 2009 e infine Frugoni 20 1 1 , che ha più di recente proposto che la committenza e la predisposizione del «disegno di tutto il ciclo francescano» possa aver avuto già luogo entro l'agosto 1289, per via di similitudini compositive fra l' aurifrisium donato a quello data dal papa (testimoniato da disegni seicenteschi) e il ciclo, per il quale è stato comunque ancoru ribadito un nesso similmente e significativamente stretto con i Colonna. 7 1 . CBCR 1 977, V, pp. 1 -92; de Blaauw 1 994b, pp. 2 1 3-227; Claussen 2008a. 72. CBCR 1 967, li, pp. 1 -60; de Blaauw 1 994b, pp. 359-365. 73 . Ladner 1 970, pp. 24 1 -247; Tornei 1 990; Claussen 2008, pp. 34 1 -349 e Dietl 2009, pp. 1 54- 1 58. Per le più recenti pagine sul rinnovamento absidale e le iscrizioni anche Cecchelli 196 1 ; per i l rapporto fra la versione musiva paleocristiana e quella duecentesca, Gandolfo 1 985, pp. 6566, per le ragioni dell'originaria data del l 29 1 , alterata nella versione ottocentesca in 1 292.

Il XIII secolo: da Innocenzo III ( 1 1 98- 1 2 1 6) a Bonifacio VIII ( 1 294- 1 303) DES ROMANA VOCATUR l NEC DEBET VERE NISI SOLUS PAPA SEDERE

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l ET QUIA SUBLIMIS

ALli SUBDUNTUR IN IMIS>> .

Il busto di Cristo, reliquia della sua miracolosa apparizione ali' atto della con­ sacrazione secondo quanto si venne credendo dai tempi di fine XI secolo, domina dunque la composizione, alla destra del cui verticale asse "cristologico", siglato dalla croce, si dispongono, sopra un bel paesaggio fluviale, la Vergine, Pietro e Paolo, mentre alla sinistra si collocano i due Giovanni (l' evangelista prima) e Andrea, integrati, in scala minore, sui due lati, dai santi Francesco (prossimo a Maria e davanti a Pietro) e Antonio, mentre la figuretta del pontefice, genuflesso e nel gesto della peghiera, è inserita accanto alla Madonna, che poggia la Sua destra sulla tiara, ma anche in immediata prossimità a san Francesco. Fra le sottostanti finestre si dispongono infine i restanti apostoli, tre di loro isolate negli spazi cen­ trali e due teme ai margini. In margine al programma teologico, di cui si discute quanto fosse ereditato dalla formulazione paleocristiana, esso di certo innestava motivi nuovi sia nella preminenza "intercessoria" della Deesis con il suo forte apporto mariano, sia anche nell'emergenza devozionale verso santi di recente canonizzazione, come Francesco e Antonio, che grazie al papa francescano, partecipavano adesso, senza essere né apostoli né martiri, alla vicenda esposta sul palcoscenico ab­ sidale della cattedrale di Roma. Il pontefice stesso, d'altronde, non è più nem­ meno né il tradizionale committente - offerente con il modello dell'edificio, né il devoto di supremo rango, partecipe sulla scena accanto agli altri attori, ma individualmente isolato. Qui invece Nicola IV, sulla linea del predecessore che nello spazio liturgico ben più privato del Sancta Sanctorum si era stretto alla protezione degli apostoli, compie un ulteriore passo a ostentazione della sua sa­ cralità: è proprio la Madonna che poggia la mano sulla simbolica tiara, entrando in contatto con la sua figura, che precede, oltretutto, il santo del suo ordine e, distanziati, il primo vicario di Cristo e san Paolo. Minuto che egli sia per la scala minore e per la posa in genuflessione, l 'apparente modestia non può qui celare la consapevolezza (e, in un certo senso, l 'ambizione) del proprio ruolo, chi sa se davvero concretata in un vero e proprio ritratto, qui ingiudicabile per le alterazioni di restauro. 74 Quanto d' altronde la coreografia lateranense sia stata meditata lo si avverte anche da un altro indizio, che riguarda non il committente, ma proprio il prin­ cipale protagonista dell' esecuzione dell'opera, che si firmò, qui come pure a Santa Maria Maggiore, IACOBUS TORRITI PICTOR. Il mosai cista ci tenne ad essere riconosciuto anche come architetto, indirizzando l'attenzione di chi osservi il mosaico verso l'anonima figura abbigliata di saio francescano, con squadra e compasso, significativamente posta in diretta contiguità con l'omonimo apo­ stolo IACOBUS, così da sollecitare per via onomastica l ' identificazione con lui

Dal

74. Ladner 1970, p. 239, è giustamente esitante in merito per via dei restauri; Ciardi Dupré Poggetto 1 99 1 , pp. 207-208.

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stesso.75 È verosimile che Torriti abbia svolto un ruolo di primo piano anche sul programma musivo di facciata, coevo all ' interno, di cui la rinnovata versione settecentesca ha mantenuto il bel clipeo con l' immagine di Cristo.76 Nella "ristrutturazione" dell' impianto absidale il pontefice rinnovò anche la cattedra, nella cui attuale versione resta solo, in funzione di suppedaneo, il gradi­ no con la giustapposizione delle simboliche immagini, ad altorilievo, del leone e drago e dell 'aspide e basilisco, di ovvio richiamo al salmo 90, 1 3 . Su questo gra­ dino (il quarto di sei) era in origine replicato a mosaico l' inizio della "seconda" iscrizione absidale, per cui il termine di sedes veniva ad acquistare anche un con­ creto riferimento al trono stesso. A distanza di decenni Nicola IV utilizzava qui la stessa strumentazione programmatica e visuale di Innocenzo III, volgendola qui a favore del Laterano, nello stesso tempo avvalendosi del linguaggio simbolico della cattedra, che in immediata precedenza era stato usato per la cattedra papale nella basilica francescana di Assisi. 77 Nel giro degli stessi anni anche per Santa Maria Maggiore venne progettato e si iniziò a eseguire una vasta campagna di rinnovamento de li' edificio, incentrata sia sul completo rifacimento dell'assetto architettonico absidale, sia pure su una nuova decorazione musiva e pittorica. 78 Trattandosi di chiesa papale, ma allo stes­ so tempo svolgendovi un ruolo primario la famiglia Colonna, con il suo cardinale Jacopo, arciprete dal l285 circa, che si fece eccezionalmente effigiare e ricordare sul mosaico absidale così come il papa, la committenza sembrerebbe avere, per cosi dire, due "padrini". Certamente in sintonia l'uno con l'altro, se il papa poteva considerare che l ' impresa glorificatrice della Vergine e della Sua chiesa ne sigillava la sua devo­ zione e il suo ruolo, l'arciprete era altrettanto ben conscio che chiunque avrebbe riconosciuto in lui l'esponente di una famiglia aristocratica e potente che aveva fortemente prediletto questa basilica mariana. 79 L'immagine del pontefice (fig. 6), il cui volto sembra qui avere tutte le ca­ ratteristiche di un ritratto, si staglia sulla calotta absidale: a capofila, anche se ge­ nuflesso e non in piedi come i retrostanti principi degli apostoli e san Francesco, sulla fascia terrena e sullo stesso lato della Vergine, cui evidentemente rivolge lu sua preghiera, che a Sua volta la Vergine trasmette al Signore con il gesto di in­ tercessione delle Sue braccia; speculare e simmetrica la figura del card. Colonna, vicino al Battista. Ambedue sono identificati dai tituli che ne dichiarano inequi75. Per queste argomentazioni in extenso Pace 1 996 (oppure Pace 2000, pp. 399-4 1 4); Pucc 2002b, pp. 73-76, corroborate da Le Pogam 2004b, pp. 79-85. Per l'iconografia dell'"Architetto"". con compasso e squadra, valga ricordare la celebre immagine del "Creatore" al f. l v della Biblc Moralisée di Vienna (ONB, cod. 2554), il cui ruolo non riesce comunque ad essere smentito dul l u reinterpretazione di Tachau 20 I l , pp. 29ss., come conditor. 76. Hoffinann 1978, pp. 30-36; Tornei 1 990, p. 93; Claussen 2008a, pp. 48-50. 77. Gandolfo 1 985, pp. 88- 104; Claussen 2008a, pp. 1 30- 1 37. 78. Ladner 1 970, pp. 24 1 -247; Gardner 1 973d; Tornei 1 990; de Blaauw l 994b, pp. 335-447; Dietl 2009, pp. 1 4 1 5- 1 4 1 9 (Kat.A 584); Poeschke 2009, pp. 378-395. 79. Gardner 1 973d; Romano 2006b.

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vocabilmente l'identità. I n alto, nel sovrastante clipeo stellato, la Vergine inter­ cedente è colta nell'atto di venire incoronata dal Figlio e Sposo, secondo quanto suggerito dal versetto del Cantico dei Cantici iscritto sul libro tenuto in mano da Cristo.80 Il Suo volto replica fisionomicamente l' immagine dell'antica icona mariana, esplicitando prestigio e orgoglio della chiesa che vantava nella tradizio­ ne il titolo di più antica chiesa mariana di Roma.81 Con l ' inedita inserzione del ciclo della Vergine sul registro sottostante si veniva ad onorare adeguatamente questa prestigiosa antichità, tanto è vero che esso fu non casualmente ripreso a Santa Maria in Trastevere che a Santa Maria Maggiore contendeva il primato di antichità della devozione mariana.82 D'altronde è anche a mio avviso ragionevole pensare che i lavori absidali, che fruttarono un ampiamento minimo dello spazio ecclesiale (la profondità del transetto "aggiunto" è di poco superiore ai 6 metri) fossero stati progettati proprio per la riformulazione del programma absidale, che in età paleocristiana doveva invece avere l' immagine di Cristo, senza Maria. Che Nicola IV fosse francescano e che i francescani avessero incrementato la devozione a Maria è, d'un lato, nell'ordine delle cose, d'altro lato sarebbe ingenuo ritenere che un tale esito devozionale fosse esclusivo dell'ordine men­ dicante, dal momento che la devozione a Maria è un atteggiamento perenne del cristianesimo. Storicamente più significativo è invece il sistema di riferimenti alla Terrasanta attuato nel registro sottostante, in primis dal paesaggio architet­ tonico della centrale Dormizione, ma anche dalla scelta tematica ed epigrafica del vicino pannello di san Girolamo, verosilmente simile ad altro che si trovava proprio nella chiesa della Vergine nella valle di Giosafat. Parrebbe cioé che nel programma musivo sia anche rifluita la sollecitudine del papa francescano per quei /oca sancta, in particolare legati alla Vergine, che lo stesso Francesco ave­ va visitato e che la recente caduta di Acri, nel 1 29 1 , sembrava dolorosamente allontanare dalla Cristianità. 83 80. Il testo del cartiglio (veni e/ecta mea et ponam in te thronum meum) muove da un verso del Cantico dei Cantici (4, 8), riutilizzato in un'ampia parafrasi Ietta nella liturgia per la festa dell'As­ sunzione ed era stato utilizzato anche sull'abside di Santa Maria in Trastevere; cfr. Male 1992, pp. 2 12-222 e Kitzinger 1 980. Per la discussione di nuovo materiale, che amplia la casistica della vicenda illustrativa del Cantico lungo l'arco fra XI e XIII secolo (e oltre) si veda Marchesin 2008. Il nesso epigrafico con l'Assunzione riceve peraltro ulteriore forza, se esaminato in una più ampia prospettiva geo-storica, che collega Roma con Gerusalemme, come ben chiarito da Menna 2000. 8 1 . Pace 2002b. 82. Ragionieri 198 1 ; Tronzo 1 989; Pace 2002b hanno offerto diverse motivazioni, pur se in parte coincidenti, della similitudine compositiva fra le due chiese. 83. Menna 1 987; Ead. 2000, con i dettagliati riferimenti. Il pannello con Girolamo e l'altro, Npeculare, con l'apostolo Mattia, hanno peraltro la loro prima ragione nella presenza delle loro reli­ I.JUÌe. I panne lli, contigui al ciclo, sono posti sulle spallette dell'arco absidale, la cui stesura musiva non è più quella "torritiana", ma venne rifatta negli anni Trenta dello scorso secolo, al seguito della sua pressocché completa perdita subita nei secoli postmedievali: Biagetti 1 93 la, Biagetti 1 93 1 b. Al tempo di papa Clemente IX ( 1 667- 1669) erano iniziate le demolizioni del mosaico per dar luogo a un progetto berniniano, poi osteggiato e bloccato dal clero (cfr. Anselmi 200 1 , fig. 12, p. 36) con conseguenti ripristini musivi o, comunque, restauri.

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Certamente iniziati fra il 1 288 e il 1 292, di questi mosaici, affidati a Jacopo Torriti, cioé allo stesso artista operoso a San Giovanni in Laterano, doveva essere stata conclusa entro la fine del 1 293 almeno la calotta absidale, che difficilmente avrebbe potuto essere messa in opera quando l'acerrimo nemico dei Colonna, papa Bonifacio VIII fosse stato già intronizzato. Se la lettura di una perduta iscri­ zione è corretta, solo nel 1 296 essi furono compiuti.84 Incompiuto restò appunto il programma pittorico del transetto, per via del bando papale del 1 297 contro i Colonna.85 Dalla pur lacunosa scena sul transetto di sinistra si capisce che s ' intendeva rappresentarvi almeno un ciclo veterotesta­ mentario, accompagnato in alto da una fascia decorativa con busti entro clipei, identificabili per tratti del volto e per scelte cromatiche dell'abbigliamento, con apostoli, anche se inscenati con cartigli alla stregua di profeti. 86 Era una scelta inu­ suale, perché una consolidata prassi figurativa prevedeva semmai profeti incardi­ nati alle scene neotestamentarie che avevano preannunciato, e non, come sembra accadesse qui, apostoli che integrassero un ciclo veterotestamentario. Purtroppo l'interruzione del programma, senza nemmeno tracce del suo inizio, sul transetto di destra, rende vana ogni altra speculazione, mentre è ancora aperta la questione attributiva che giuoca intorno alla mitica figura del Maestro d'Isacco.87 All' impresa del transetto era poi congiunta quella di controfacciata, di cui rimane un frammentario Agnus Dei, di alta qualità, che anche per la sua stessa posizione ha fatto pensare che fosse partecipe di un "Ultimo giudizio", mentre è più corretto scorgervi semmai una possibile valenza escatologica, che co­ munque solo la conoscenza dell' intero progetto avrebbe potuto permetterei di precisare meglio. 88 Ritenuti completamente distrutti dai rinnovamenti successivi, ma alme­ no documentati da una stampa seicentesca, è ben possibile che anche i mosai­ ci sull'esterno dell'abside rientrassero nello stesso progetto di committenza e di esecuzione, anche se dovette essere il card. Giacomo Colonna a farsene carico e assumersene il merito. 89 Se, infatti, le sante fiancheggianti la Madonna in versione "Salus populi romani" erano proprio quelle che gli erano apparse in sogno, se­ condo quanto testimoniato dalla "Vita" della sorella, la beata Margherita, scritta dal senatore Giovanni Colonna, risulta evidente che il progetto venne almeno 84. Tornei 1 990, pp. 77-78, 1 02- 1 06; Tornei 1 997. 85. Gardner 1 973c; Tornei 1 99 1 , pp. 354-357; Romano 1 992, pp. 54-6 1 ; Romano 2006a, pp. 299-300. 86. Che a Santa Maria Maggiore si tratti di apostoli lo indica appunto la tradizionale scelta cromatica (tunica azzurra, manto giallo) dell'abbigliamento di san Pietro. Cartigli nelle mani degli apostoli li si erano comunque già visti sull'abside di San Paolo fuori le mura. Sul colore come "marcatore" di identità si veda almeno Lisner 1 994, oltre ad altri suoi saggi. 87. Toesca 1 904, per "l'apertura" del problema. Romano 2008, pp. 60-83 per le più recenti pagine sulla spinosa questione di questo grande anonimo. 88. Gardner 1 973d, p. 20. Angheben in Alfa et Omega 2006, pp. 20-2 1 . Per i (rari) "Giudizi" romani: Pace 200 l . 89. De Angelis 162 1 , dopo p . 66, per la stampa seicentesca.

Il XIII secolo: da Innocenzo m ( 1 1 98- 1 2 1 6) a Bonifacio VIll ( 1294- 1 303)

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da lui ridefinito.90 I mosaici dovettero dunque essere eseguiti nell'arco d i tempo successivo alla morte del pontefice nel 1 292 e precedente al bando del 1 297, un'eventuale conferma in merito potendo forse attenersi il giorno in cui agli stu­ diosi sarà dato accesso alla documentazione del frammento della Madonna fra gli angeli, che pare sia stato ritrovato e subito secretato dal funzionario competente dei musei vaticani.9t Non inverosimilmente inclusi nel programma papale di rinnovamento, ma di certo anch' essi pienamente rispondenti alle esigenze d' immagine dei Colonna e certamente risalenti alla loro diretta committenza sono poi i mosaici sulla facciata della basilica, per la parte alta accreditabili al quinquennio post 1 292 e firmati sotto il suppedaneo di Cristo, orgogliosamente, da PHILIPPUS RUSUTI, ma com­ pletati solo dopo il ritorno dall'esilio nel 1 3 06, sigillati dall'ostentata evidenza dell 'araldica famigliare.92 Restano infine due opere, per le quali la committenza, comunque il diretto interessamento del pontefice, appare assai verosimile. In primis, poiché si è anco­ ra a Santa Maria Maggiore, il cd. "Presepe" arnolfiano (fig. 7), anche se per esso esiste il riferimento a una perduta epigrafe, che si ritenne fosse ad essa riferita e la uccreditava a un tal Pandolfo (Ipotecorvo o Postrennio), forse lo scriptor papale nel 129 1 canonico della basilica. In immediata adiacenza alla cappella del Prese­ pc si trovava d'altronde verosimilmente la tomba dello stesso pontefice.93 Il "Presepe", unanimamente attribuito ad Arnolfo anche se con differenziate opinioni sui modi della sua partecipazione, venne evidentemente commissiona­ lo per associazione devozionale con le reliquie possedute dalla chiesa, che già le avevano meritato la denominazione di Sancta Maria ad praesepem sin dal V I l secolo. La scelta del tema della Natività può bene essere stata suggerita dal­ lo stesso papa francescano, ma è significativo che esso venga qui integrato con lJUello dell'"Adorazione dei magi" (laddove sull'abside, per esempio, i due mo­ menti sono rappresentati in due distinti pannelli). In una città come Roma, dove In scultura figurativa e tridimensionale aveva tanto tardato a imporsi, la novità nrnolfiana dovette essere spettacolosa e certamente è un'eco di "allestimenti sce­ nici" che in primo luogo erano stati sperimentati per la liturgia pasquale con i �truppi lignei della Deposizione della Croce, ma che soprattutto nel Settentrione llnl iano, per esempio a Venezia, avevano più volte messo a fuoco proprio la scena dci i ' Adorazione dei Magi, mentre dalla Assisi francescana era stata incrementata In devozione alla Natività, con il celebre episodio del Presepe di Greccio.94 Se d unque la presenza di un papa francescano come Nicola IV svolse assai vero90. Gardner 1 973d, pp. 2 1 -22. In precedenza Cecchelli 1961 per il primo riconoscimento Madonna Salus Populi Romani. 9 1 . Per la notizia del ritrovamento: Romano 2006a, p. 299. 92. ThUIW 1 996; Tornei 2007. Sul ruolo della firme d'artista si veda Dietl 2009, pp. 1401-1404 l >ictl 20 10, p. 442; per l'importanza dell'araldica: Pace 1998. 93 . Pomarici 1988; Pomarici 2006; Romano 2006a, pp. 300-301 ; Kinney 20 1 1 . 94 . Moskowitz 200 1 , pp. 58-6 1 ; Pace 2006. Per il gruppo veneziano si veda Geymonat

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similmente un ruolo decisivo per l' idea progettuale del gruppo scultoreo, una qualche significativa mediazione curiale, come il viaggio a Venezia nel 1 29 1 del cardinale Monaldeschi, il vescovo di Orvieto, potrebbe aver suggerito un concre­ to riferimento alla messinscena arnolfiana.95 In secondo luogo il mosaico sul lato destro del cavetto di facciata de li' Ara­ coeli.96 La lacunosa documentazione dei suoi frammenti è sufficiente solo a farci capire che doveva esservi rappresentato san Francesco in atto di sorreggere la basilica lateranense, dunque un pregnante manifesto visivo di devozione al santo assisiate come pilastro della chiesa universale e romana, in una formulazione che aveva già trovato diffusione e ancora altra ne avrebbe avuta. Niente documenta esplicitamente il preciso ruolo di committenza del pontefice, ma il comune de­ nominatore francescano del pontefice e della stessa chiesa, affidata appunto alla comunità dei frati mendicanti dal momento della sua rifondazione duecentesca, fa presumere una buona percentuale di diretta responsabilità di Nicola IV. Questo pontefice, oltretutto, emanò nel luglio 1 29 1 un bolla che concedeva particolari in­ dulgenze ai fedeli che la avessero visitata nelle festività più care all'ordine: della Vergine, di san Francesco, di sant'Antonio e di santa Chiara. Quando (entro il 1 292 o poco dopo) e da chi il mosaico sia stato realizzato resta imprecisabile, come pure l'eventuale espansione programmatica.97 Di Nicola IV ci resta il bel ritratto sul mosaico absidale di Santa Maria Mag­ giore. Sulla sua base non si può tuttavia confermarsi la stessa identità per la statua di pontefice trovata a fine Ottocento nei pressi del tempio di Minerva Medica e oggi nel Museo di Palazzo Venezia.98 Il frammentario stato di conservazione non ha reso giustizia alla sua importanza, dovuta non tanto alla sua qualità scultorea, peraltro non disprezzabile, quanto alla sua scelta tematica: una statua di ponte­ fice, che è l'unica nell'urbe a precedere i tempi di Bonifacio VIII e, insieme con quella perduta di Nicola III per Ancona, una delle uniche due che, appunto, attesti l' inizio di una "categoria" rappresentativa, quella della statua onoraria papale, che avrà poi tanta importanza nei secoli a venire.99 Con l'accelerazione straordinaria impressa al paesaggio architettonico e ar­ tistico di Roma nel ventennio fra l'ascesa al trono papale di Nicola III e quella di Nicola IV, l'urbe cristiana sembra che si sia inconsapevolmente preparata alla di­ mensione trionfale del Giubileo del 1 3 00. Morto Nicola IV il 4 aprile 1 292, dopo il breve interludio celestiniano, venne eletto al soglio di Pietro alla vigilia del Na­ tale 1 293 il cardinale diacono di San Nicola in carcere, Benedetto Caetani. Con l'evento giubilare il centralismo teocratico e il primato universale della chiesa di Roma si sarebbero affermati con un'evidenza che oggi diremmo "mediatica", venendo siglato quel percorso che lungo il secolo, da Innocenza III in poi, aveva 95. Gardner 2009. 96. Andaloro 1 984. 97. Giovannone 2000, riferisce la presenza di «lacerti delle malte preparatorie» sulla facciata principale, che fa dedurre che il mosaico "girasse" anche sul fronte. 98. Ladner 1 970, pp. 253-254; Gianandrea 2008. 99. Ladner 1 970, p. 226, per la statua di Ancona.

Il Xlll secolo: da Innocenzo lli ( 1 1 98- 1 2 1 6) a Bonifacio VIII ( 1 294-1 303)

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ripetutamente trovato espressione negli scritti dei pontefici e nelle immagini delle loro committenze. Suona quasi ironico, ma è vero, che a Bonifacio VIII si deve invece l "'interruzione" di una "grande opera" quale era il progetto di Santa Maria Maggiore, che, al seguito dell'esilio inferto ai Colonna, venne mutilato della sua conclusione, sia per le pitture del transetto, sia per i mosaici di facciata. Il pontefice pensò a se stesso glorificandosi, a Roma e fuori, con le sue imma­ gini, affidando ai posteri il suo ricordo anche con la scena centrale di un solenne trittico pittorico sulla loggia lateranense "delle benedizioni", oltre che con un mo­ numento sepolcrale di alta visibilità nella basilica vaticana. 100 Un inventario del tesoro papale ce ne accerta non solo la sua ricchezza in sé, ma anche la presenza d i preziosi oggetti con il suo stemma di famiglia. 101 La dimensione sacrale del suo ruolo di pontefice è al massimo evidenziata dal busto, già in San Pietro e oggi negli appartamenti pontifici, opera di Amolfo di Cambio, cui è attribuito con ormai pressocché unanime consenso dagli studio­ si . 102 La sua committenza da parte di Bonifacio VIII si dà normalmente per scon­ tata, soprattutto per il rapporto con il vicino sacello funerario (se addirittura non venne ad esso aggregato), ma non è certa, se si dà credito all' iscrizione seicente­ sca che la riferisce ai canonici vaticani in segno di gratitudine per l ' incremento del loro numero e di benefici.103 Ne è principale segno visivo la tiara sul suo capo, la cui altezza di un "cubito" ne determinava il simbolico rinvio all'arca biblica ( Gen.,6, 1 5) e di conseguenza le conferiva valenza di una prefigurazione ecclesia­ le che veniva trasferita alla stessa figura del pontefice. Per essere adesso costituito da tre corone sovrapposte, questo Regnum (una definizione risalente a Innocenza I I I che fu ripresa da Bonifacio VIII e nell' immediato seguito modificata appunto i n Triregnum) simboleggiava inoltre la triplice sovranità - sacerdotale, regale e i mperiale - che in lui, possessore delle chiavi e attivo nel gesto di benedizione, si incarnava compiutamente in questa scultura. 104 Straordinaria dunque per pregnan­ za di significati, la scultura ha una sua forte "iconicità" dalla quale è difficile trar­ re valenze ritrattistiche, priva com'è di un qualsiasi segno distintivo di fisionomia c di età, con occhi senza iride (a meno che non fossero dipinte!) e nessuna ruga sulla sua tersa pelle di sessantenne; è dunque un' immagine del pontefice, non ne è d i certo il "ritratto". 105 Posizionata "nei pressi" del preesistente monumento fune­ ra ri o , come ci testimonia sin dal 1 304 la cronaca di Siegfried von Ballhausen, ma se nza che ne sia stata davvero chiarita la funzione nello spazio sacro ecclesiale, la sc ultura, proprio per la sua unicità, mantiene un quid di enigmaticità al quale ere100. Bonifacio Vl/l 2006 (dove sorprende il silenzio sul busto del pontefice). 1 0 1 . Gardner 2004. 102. Ladner 1 970, pp. 3 1 3-3 17; Butzek 1 978, pp. 44-70; Ladner 1 984, pp. 69-70; Romanini l 9113a, p. 50. Per il completo percorso storiografico rinvio a D'Achille, Pomarici 2006 e Paravicini l lugliani 20 1 0, pp. 2 1 5-2 1 7. 103. Ladner 1 970, p. 3 1 6. 104. Ladner 1934; Paravicini Bagliani 1 998, pp. 69-72; Paravicini Bagliani 2006. 105. Poeschke 2000, pp. 95-96, lo ha giustamente osservato. Per il riferimento all'impianto "" iconico" Romano 2006b, pp. 73-76.

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do che ci si deve rassegnare. Il fatto che, peraltro, vi si vedesse il pontefice "be­ nedicente" non credo che vada necessariamente problematizzato, dal momento che non può ritenersi una novità, sia perché nell'ambito della statuaria papale tale gestualità era stata anticipata proprio dal suo unico precedente (quello "acefalo"), qui discusso per la sua identificazione con Nicola IV, il foro nel quale si innestava il suo braccio destro essendo alla giusta altezza per un gesto di benedizione, ma anche perché un "papa benedicente" era nella norma rappresentativa quando ve ne fossero i presupposti, come per esempio nella scena di benedizione dell'offerta della tiara a san Silvestro da parte di Costantino ai SS. Quattro Coronati. Ancora in vita Bonifacio commissionò anche il suo sepolcro, tornando ad affidarne il progetto e, in parte, l'esecuzione ad Arnolfo, con cui collaborò Torriti. 106 La sua architettura, ovvero l 'architettura del ciborio che sovrastava l'altare (con le reliquie del suo omonimo predecessore e papa, Bonifacio IV) e il sacello funerario, la conosciamo purtroppo solo dal disegno nell'Album Grimaldi; è un tributo al linguaggio architettonico gotico, inteso more romano, che ostenta vocaboli gotici in una sintassi di "quadratura" romana, in una tale eccezionale maniera, che avrebbe certamente causato l e probabilmente causò serie perplessità a quei prelati, o comunque a quei fedeli che avessero negli occhi opere del rayonnant parigino, alla cui estetica tanto indebitamente si è ta­ lora voluta associare l'opera di Arnolfo.107 Poiché tuttavia la qualità di un'opera non si giudica certo sul metro della fedeltà ai suoi modelli di riferimento, que­ sto ciborio è pur sempre una testimonianza di altissimo rilievo per la storia del disegno architettonico nell'Italia di quei tempi. In merito all 'effigie tombale del pontefice, giacente sul catafalco, sembra che Arnolfo gli abbia voluto conferire un carattere umano: anche se identici al busto sono la morfologia del naso e delle labbra e persino il lieve turgore delle guance, la necessaria chiusura delle palpebre, serrate e distinte da un' incisione netta, precludono infatti quell' astra­ zione "iconica" dell'assenza di sguardo così tipica del busto e gli danno invece la concretezza del sonno della morte. 108 Il defunto, abbigliato dei suoi parati liturgici, giace su un catafalco i cui drappi, insieme con la base marmorea, trionfalmente e come non mai, con tan­ ta ripetitività, ostentano l ' araldica famigliare. Sulla parete retrostante, come sappiamo dalla documentazione antiquaria dell"'Album Grimaldi", si stagliava un mosaico che tornava a mostrare il pontefice, questa volta inginocchiato e a mani giunte rivolto al gruppo divino entro un clipeo, protetto da san Pietro, cui

106. Il monumento è testimoniato nell'album Grimaldi (Biblioteca Apostolica Vaticana, Fon­ do Archivio di San Pietro, A 64 ter, cc. 24 e 25). Una Silloge della Biblioteca Angelica (Ms. 1 792) ce ne trasmette l'iscrizione di Arnolfo architectus, oltre che di Torriti pictor. Su di esso Gardner 1 973a; Maccarrone 1983b; Romanini 1 990a (ivi , fra l'altro, la foto della carta del ms. 1 792 con l'epigrafe, alla fig. 53), Gardner 1992; Gardner 1 994; Die mittelalterlichen Grabmèiler 1 994; pp. 1 3 6- 1 45; Romanini 1 997; Romano 2006a. 107. Pace 1 99lc (Pace 2000, pp. 347-394, conpost scriptum alle pp. 395-397). 108. Romanini 1997, p. 59 per il confronto e una diversa interpretazione dei due "ritratti".

Il XIII secolo: da Innocenzo m ( l l 98-1216) a Bonifacio VIll (1294-1 303)

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s i appaia dall'altra parte san Paolo. 109 Se la sicura data del 1 296 (dovuta alla consacrazione dell'altare) sia il termine a quo, oppure, come preferirei pensare, l ' ad quem per la data del pannello di dedica dello Stefaneschi a Santa Maria in Trastevere, simile nell'impianto compositivo, è questione che trascende il tema di questo scritto, benché non sia senza interesse proprio per la novità di questa formulazione, che esprime il tema della "visione" della divinità, circonfusa nel­ la gloria dell'aureola. 1 1o Questo importante monumento memoriale fu largamente sacrificato al rin­ novamento della nuova San Pietro, che ne conservò solo la tomba con l'effigie del pontefice e due angeli reggicortina. Assai peggio è capitato all'altra esemplare testimonianza della committenza bonifaciana: la loggia delle benedizioni add­ dossata al patriarchio lateranense, una struttura architettonica di cui possediamo Nolo una conoscenza di seconda mano, soprattutto tramite il celebre disegno di Maarten van Heemskerk, precedente di una cinquantina d'anni alla sua distru­ l.ione del 1 5 86. 1 1 1 Costruita forse per la repentina occasione giubilare, pur non mancando motivazioni per una sua data nel quinquennio precedente, sia la genesi c l e specificità della sua architettura, sia pure l'annessa scultura esterna, quanto, Hoprattutto, il programma pittorico del suo spazio d'azione, dove si affacciava il pontefice, restano tutti largamente problematici. L'architettura della loggia, sorta di monumentale protiro, rispose evidentemente alle esigenze di messinscena delle Nolenni "apparizioni" papali al pubblico dei fedeli, con scelte che, more romano, Hcmbrano rispettare il consueto bilanciato equilibrio fra l'uso di materiali consa­ crati dalla tradizione, come gli spolia delle colonne porfiree, e le profilature di di­ Hcgno gotico. L'affresco, la cui visibilità doveva essere peraltro abbastanza scarsa per i fedeli che erano sull'antistante campo lateranense, presentava a sua volta tre 11ccne che, a detta del Panvinio, erano: la Promulgazione di una bolla pontificia du parte di papa Bonifacio (la scena da cui è tratto il frammento oggi all' interno della Basilica), il Battesimo di Costantino e la Costruzione della basilica, tutte e tre dunque funzionali alla sacralità della cattedrale romana, di cui si ricordavano le vicende storiche della fondazione e, in sostanza, la continuità primaziale con il Hig i llo della presenza pontificia per un evento di grande solennità. 112 Quale questo evento sia stato, tramontata la mitica "leggenda" dell'Indizione giubilare, resta n tutt'oggi incerto, anche se, sulla base del cartiglio tenuto in mano dal diacono

1 09. La stessa silloge citata alla nota 105 trascrive un'epigrafe che ne accerta l'autore in Jaco­ 'l>. 6 1 . Morello 1999, pp. 235-240, e p. 420, scheda n. 230. 62. Il testo integrale era il seguente: « [Hoc opus fecit fì]eri ven(erabilis) vir d(omi)n(u)s fr(ater) Iacob(us) mag(iste)r [et praeceptor] l [h]ospital(is) s(an)c(t)i sp(irit)us ad p(er)petuam [me­ moriam] l d(i)c(t)i d(omi)ni p(a)p(ae) et ambasiatorum roma[orum]». 63. Alla base del monumento comparivano dei versi relativi alla concessione del nuovo Anno Santo: «Sextus papa Clemens peccatorum crimina demens l quem sculpta praesens figura marmore docet l propter Romanorum grata petita proborum l annum centenum reduxit ad quinquagenum l jubilaeum optatum a Christo munere datum l sub anno Milleno quadragesimo primo dueno l cum trecenteno currente tempore ipso». Ho emendato il terzo verso rispetto alla versione data da Morel­ lo, ibidem. Ringrazio il Dott. Maurizio Campanelli per il suggerimento. 64. Sul revival della scultura monumentale si veda Gardner 201 3 , pp. 109- 1 56. 65. Bolgia 20 1 5, pp. 3 8 1 -400.

Il XN secolo: da Benedetto XI ( 1303- 1 304) a Bonifacio IX ( 1 3 89- 1404)

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1 346 sono documentati vari lavori al Laterano, sia nella chiesa (muri, portale, tet­ to), sia nel palazzo .66 A San Pietro sono attestati lavori al campanile, colpito da un fulmine nel 1 346, e al tetto.67 Gli interventi a San Paolo - resi necessari dai danni provocati dal terremoto del 1 349, fra i quali il crollo della torre campanaria - oltre ad essere ricordati dalle fonti, furono "siglati" con l'apposizione sul timpano in facciata di un monumentale stemma del pontefice.68 Stanziamenti per interventi di restauro sono documentati anche per il ponti­ ficato di lnnocenzo VI, al secolo Stefano Aubert ( 1 352- 1 3 62),69 ma fu solo con i l suo successore Urbano V ( 1 362- 1 370) che la committenza artistica a Roma ricevette un nuovo, e straordinario, impulso. Anche Urbano, al secolo Guillame de Grimoard, monaco benedettino e rinomato docente di diritto canonico, fu destinatario di suppliche appassionate per il ritorno della sede a Roma. È del 1 366 la famosa epistola in cui il Petrar­ ca chiedeva al pontefice come potesse dormire tranquillo sotto i soffitti dorati sulla riva del Rodano mentre il Laterano, la madre di tutte le chiese, giaceva a terra, priva dal tetto ed esposta alle intemperie. 70 Al di là della retorica del testo pctrarchesco, la cattedrale di Roma doveva effettivamente versare in pessime condizioni dopo il devastante incendio del 1 36 1 , i cui dann i furono lamentati unche da Matteo Villani.71 Ed è significativo che eminenti cittadini privati finanziarono la ricostruzione delle «colonne», offrendole «per l'anima» di un loro caro, come attestano varie epigrafi datate tra il 1 36 1 e il 1 365 .72 Tramite un disegno di Borromini che ripro­ duce la pianta della basilica lateranense prima dei lavori seicenteschi sappiamo che il restauro comportò la sostituzione di 22 colonne con 20 pilastri ottagonali in mattone (le «columnae» citate nelle iscrizioni).73 Non sembra però probabile che il restauro fosse coordinato già nel 1 3 6 1 dall'architetto Giovanni di Stefano, che solo nel 1 3 69 - dopo il rientro del papa a Roma - è documentato come «de Senis architector per nos ad opus et fabricam ecclesiae Sancti Johannis Laterani deputatus». 74 Urbano V non fu dunque insensibile agli accorati appelli per il rientro nel l ' Urbe. Già durante il periodo avignonese il suo pensiero era rivolto alla Città 66. Per una trascrizione del Registro dell'lntroitus et Exitus di quegli anni si rimanda a Lauer l , pp. 252-253. 67. Silvan 1 996, p. 252. 68. Le conseguenze del terremoto sono citate - tra gli altri - da Matteo Villani 1 995, l, p. 86 (1, 4 7 ) c da Petrarca (Fam Xl, 7: Rossi, II, Firenze 1 934, p. 338; Fam XV, 9: Rossi, m, Firenze 1 937, p. 1 62). Sui fondi stanziati da Clemente VI per i restauri: Cod. Diplom. S. Pauli, f. 234 sgg., citato In Schuster 1 934, p. 1 6 1 . Lo stemma è visibile nell'incisione citata in nota 1 5 supra. 69. Silvan 1 996, p. 252. 70. Petrarca 2009, VII, l, p. 227. 7 1 . Villani 1 995, Il, p. 543 (X, 69). 72. Se ne veda la trascrizione in Forcella 1 869- 1 884, Vill, pp. 1 9-20. 73. Malmstrom 1 968. 74. Il documento (una richiesta papale di lasciapassare indirizzata alla Signoria di Firenze) è ,•,lito in Milanesi 1 854, I, p. 269, nr. 70. 19I

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Eterna, come indica la costruzione di una galleria chiamata "Roma" nel giardino in prossimità degli appartamenti pontifici nel Palazzo dei Papi.75 Ma sarà solo i l 1 6 ottobre 1 367 che i l pontefice farà il suo ingresso trionfale neli'Urbe.76 Meno di cinque mesi dopo, nel marzo 1 368, il papa "ritrovava" nel Sancta Sanctorum le teste dei due patroni della Chiesa romana, Pietro e Paolo, e - in un' imponente cerimonia - le mostrava al Laterano alla presenza di tutti i cardi­ nali, del senatore di Roma e di una grande folla.77 L'"ostensione" (che di fatto sanciva l'autenticità delle reliquie attraverso il riconoscimento ufficiale della loro appartenenza ai corpi dei due apostoli}78 serviva in primo luogo a rassicurare i romani, dissipando la paura che i sacri resti fossero andati perduti in seguito all 'incendio del 1 36 1 . L'inventio e l'ostensio delle reliquie degli apostoli facevano parte di una po­ litica di promozione del ritrovato ruolo di Roma come centro della cristianità occidentale. Il secondo "atto" di questo programma di rilancio della santità e del prestigio della città eterna fu la translatio delle reliquie dal Sancta Sanctorum, cappella privata del pontefice, alla basilica lateranense. 79 Il trasferimento doveva avere almeno un duplice significato simbolico. La presenza dei limina apostolo­ rum, le basiliche in cui riposavano i resti degli apostoli, era elemento fondante della primazia della Chiesa romana su tutte le chiese cristiane, ed è probabile che già la traslazione delle sacre teste nella cappella lateranense tra l'VIII e il IX secolo80 avesse significato una promozione del Laterano a sede eminente della Chiesa romana. Il trasferimento dei due sacri "capi" dalla cappella privata del pontefice alla basilica lateranense, operato da Urbano V, significava promuovere la cattedrale di Roma a rinnovato caput della cristianità (superiore anche alle tombe degli apostoli, in quanto repositorio delle loro teste). 81 E nel contempo significava spostare le reliquie da una sfera sostanzialmente privata ad una sfera pubblica: la translatio era un'offerta del papa ai romani e alla cristianità intera. Si comprende dunque l' importanza che doveva avere il monumento destina­ to ad essere repositorio, all' interno della basilica lateranense, delle preziosissime teste, e che si ergeva a monumento-cardine di un'operazione di altissimo valore politico e religioso. Tale monumento può a buon diritto considerarsi il prodotto 75. Hayez 2000, p. 549. 76. Ibidem. 77. Vita I in Baluze-Mollat 1 9 1 4, l, p. 366. 78. Lori Sanfilippo 2004, p. 602. 79. L'evento ( 1 6 aprile 1 3 70) è noto non solo grazie alle Vite di Urbano V (Baluze-Mol lut 1 9 1 4, 1), ma anche - fatto estremamente interessante - tramite due imbreviature del notaio Antonio Scambi, che ne fu testimone oculare. Se ne veda la discussione in Sanfilippo 2004, pp. 602-6 1 O (con appendice documentaria alle pagine 607- 10). 80. Lauer 1 9 1 1 , p. 263, nota l . 8 1 . Poco dopo, il 23 gennaio 1 372, Gregorio XI ribadirà con una bolla, iscritta su manno cd esposta alla pubblica vista, la primazia del Laterano «inter omnes alias urbis et orbis ecclesias ac basilicas etiam super ecclesiam seu basilicam Principis Apostolorum de Urbe [ . . . ]». La "bolla mannorea" è esposta oggi nel chiostro lateranense; se ne veda la trascrizione in Forcella 1 869- 1 884, VIII, p. 2 1 .

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più importante del patronato artistico papale del Trecento a Roma che sia giunto fino a noi, sebbene alterato da pesanti rimaneggiarnenti. Mi riferisco al tabernaco­ lo-reliquiario (fig. 3) che fu eretto sul rinnovato altare maggiore di San Giovanni in Laterano e che doveva servire come fulcro visivo, liturgico e cultuale della rinnovata cattedrale di Roma.82 Oltre ad offrire una degna residenza alle veneratissime teste, il tabernacolo doveva garantirne la protezione, sottolineame l' importanza, e assicurarne centra­ l ità e "visibilità", quest' ultima almeno in occasione di speciali esibizioni al pub­ blico.83 La tipologia adottata per ottemperare a queste funzioni fu una tipologia che aveva goduto di grande successo a Roma nel corso del Duecento, e della qua­ le il più antico esempio sicuramente databile è lo smembrato tabernacolo per la Veronica in San Pietro, commissionato da Celestino III ( 1 1 9 1 - 1 1 98) e conosciuto attraverso testimonianze grafiche.84 Questa tipologia, nota come tabernacolo per reliquie, comprendeva - al di sopra di un altare - una struttura a ciborio su colonne caratterizzata da una triplice partizione della parte superiore: una prima zona, che in genere recava l 'immagine in ginocchio dei donatori o committenti e che fungeva visivamente da base per la zona centrale; una "cella" centrale o carnera per le reliquie; e infine una zona di coronamento, con timpani e copertura pirarnidale.85 Nel corso del Duecento e Trecento questa tipologia venne adottata a Roma sia per reliquie che per icone: due realtà diverse ontologicarnente ma che nell'Urbe godevano di un simile sta­ tus e quindi di un "trattamento" analogo dal punto di vista della custodia, acces­ sibilità e visibilità. Il tabernacolo lateranense ha subìto numerosi rimaneggiarnenti nel corso dei secoli, ma doveva in origine essere un vero e proprio capolavoro di microarchi­ tcttura gotica. L' interpolazione più vistosa è sicuramente costituita dagli affreschi tardo-quattrocenteschi (da collocarsi nell'ambito di Antoniazzo Romano) che oc­ cupano la zona di supporto della carnera delle reliquie.86 Sulla base di confronti 82. Su questo tabernacolo, è di riferimento Monferini 1 962, pp. 1 82-2 12. I lavori compresero nnche il rivestimento marmoreo dell'altare maggiore e, probabilmente, la decorazione pittorica 1lella cripta, di cui resta una testimonianza grafica: de Blaauw 1 994b, pp. 24 1 -247; Claussen 2008a, pp. 1 84- 1 92. 83. Nello specifico del tabernacolo lateranense tali occasioni dovevano essere le feste a cui l lrbano V aveva associato indulgenze: Lettres communes. Urbain V 1 954- 1 989, nr. 26654. 84. Bolgia 2008. È possibile che il "predecessore" del tabernacolo di Celestino appartenesse nnch'esso alla medesima tipologia. De Blaauw 1 994b, p. 749. 85. Sui tabernacoli per reliquie si veda Claussen 200 1 . Su quelli per icone rinvio alle mie relazioni Pilgrimages to Icon shrines in medieval Rome, Conferenza Internazionale Architecture ,,d Pi/grimage 600-1600, organizzata da D. Howard, W. Pullan, G. Clarke presso il Centre for Re­ Ncurch in the Arts, Social Sciences and Humanities of the University of Cambridge (2005); e Icons mul Re/ics in the "Air ": New Setting for the Sacred in Medieval Rome', presentato al Simposio ,\(lUce, Piace and Spectatorship, organizzato da E. Williamson, presso il Centre for Medieval Stud­ k·�. University of Bristol (2005). Per una pubblicazione preliminare sull'argomento si veda Bolgia !U l 3, pp. 1 14- 1 42. 86. Monferini 1962, p. 1 90.

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con strutture analoghe, si potrebbe suggerire che gli affreschi abbiano sostituito dei rilievi scultorei che includevano l' immagine di Urbano V come committente e donatore.87 La perdita della decorazione originaria di questa zona rende comunque dif­ ficile una valutazione del programma figurativo dell'opera, che si può solo par­ zialmente ricostruire sulla base delle statuette superstiti. Negli oculi polilobati si distinguono figure tradizionalmente identificate come profeti, mentre nelle edi­ cole (sebbene non in collocazione originaria) sono l'Angelo Annunciante e la Vergine Annunciata, i due san Giovanni (il Battista è più tardo), i santi Pietro e Paolo, e due figure che la Monferini propone di riconoscere come san Girolamo e sant' Ambrogio.ss Tralasciando in questa sede un accurato riesame di queste identificazioni, e del tabernacolo lateranense più in generale, un riesame che amplierebbe fuori mi­ sura i limiti di questa relazione e a cui mi riservo di dedicare un articolo specifico, vale la pena rilevare in questa sede - e mi sembra che non sia stato fatto finora che la Vergine è del tipo "già impregnato", ovvero è rappresentata secondo l' ico­ nografia cosiddetta della "Madonna del Parto". Maria è infatti raffigurata incinta, con la destra sul ventre gonfio e la sinistra che stringe l'Antico Testamento: una chiara allusione al Verbo incarnato. E l' incarnazione palesemente simboleggia i l momento fondante della Chiesa cristiana. Le immagini dei santi Pietro e Paolo reiterano la primazia di Roma su tutte le altre chiese cristiane, mentre le statuinc dei due san Giovanni riconducono la primazia di Roma alla sua cattedrale, San Giovanni in Laterano (a quel tempo intitolata al Battista e all'Evangelista). La costruzione del tabernacolo lateranense doveva essere in stato avanzato nell'aprile del 1 370, quando le sacre teste vennero deposte in preziosi reliquiari commissionati per l'occasione e portate in processione nella basilica lateranensc, dove furono collocate nella parte superiore del ciborio, alla presenza del clero, dei tredici caporioni, e della popolazione di Roma.89 I reliquiari in argento dorato, del tipo "a mezzo busto", ornati di gemme e smalti raffiguranti Storie degli Apo­ stoli, erano opera dell'orafo senese Giovanni di Bartolo, già attivo ad Avignone.OJt' Fusi alla fine del Settecento, sono noti da descrizioni e testimonianze grafiche (fig. 4), ed erano originariamente arricchiti da oggetti preziosi inviati da donatori d'eccezione: il re di Francia Carlo V aveva donato due gigli d 'oro, e le regine d i Napoli e d i Navarra una croce d'oro e perle, e una tiara tempestata d i pietre pre­ ziose. Tramite tali doni i sovrani manifestavano pubblicamente la loro alleanza con la Chiesa di Roma e nel contempo si avvicinavano fisicamente agli apostol i, divenendo eletti beneficiari della loro protezione. Il tabernacolo è punteggiato da insegne araldiche: cinque per lato (tre sugli archetti pensili della zona inferiore e due sui timpani), per un totale di venti stem87. Bolgia, La committenza di Urbano V (1362- 70) a Roma, in preparazione. 88. Monferini 1 962, p. 1 9 1 . 89. V. supra nota 79. 90. Milntz 1 888; Pomarici 1 996, pp. 1 70-1 72; Mondini 201 1 , pp. 265-269.

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mi. In aggiunta agli emblemi di Urbano V (lo stemma dei Grimoard sormontato dalla tiara) e a quello di suo fratello Anglic, cardinale di San Pietro in Vincoli e cardinale vescovo di Albano (lo stemma dei Grimoard coronato dal cappello car­ dinalizio), vi compaiono gli stemmi di Carlo V e di Papa Gregorio XI (lo stemma dei Roger de Beaufort sormontato dalla tiara). Le insegne di Carlo V sono un probabile indizio di un contributo finanziario, mentre le insegne di Gregorio XI ( 1 370- 1 378) indicano che il ciborio fu completato soltanto dopo la morte di Ur­ bano V. L'artefice di questo straordinario monumento è concordemente identificato dalla critica con il senese Giovanni di Stefano, che la già citata lettera del 1 369 descrive come architetto responsabile dell' «opus et fabricam» di San Giovanni in Laterano per incarico del papa. La statuina di san Pietro in una delle edicolette an­ golari e il volto di Dio Padre nella chiave di volta sono stati riferiti alla mano del maestro, che doveva avere vari collaboratori.91 Una revisione delle diverse mani attive al tabernacolo va ben oltre i limiti di spazio consentiti per questo studio, ma va notato sin d'ora che alcune statuine sono di qualità altissima: ad esempio l ' Angelo Annunciante e la Vergine Annunciata, quest'ultima in particolare uno dei prodotti più alti del patronato artistico papale del Trecento romano. Poco dopo il completamento del ciborio lateranense veniva edificato a Roma un altro tabernacolo monumentale di carattere schiettamente gotico, che i fram­ menti superstiti consentono di ricostruire come tipologicamente e stilisticamente affine al ciborio lateranense (fig. 5).92 Si tratta del tabernacolo commissionato dal notaio Francesco Felici per offrire una nuova e più onorevole collocazione n Ila miracolosa icona della Madonna Advocata nella chiesa francescana di Santa Maria in Aracoeli. Confronti stilistici e formali suggeriscono un'attribuzione a Giovanni di Stefano e ai suoi collaboratori.93 Ma quello che è più interessante rilevare in questa sede - nell'ambito di un discorso imperniato sul patronato arti­ !!tico - è il fatto che un eminente notaio romano, uno dei quindici cittadini romani incaricati di valutare e approvare gli Statuti di Roma del 1 363, commissionava ncl l 372 un'opera che prendeva a modello quella voluta da Urbano V al Laterano !!olo pochi anni prima.94 Il modello fu esportato anche fuori dell'Urbe: nel 1 373 il fratello del papa, il cardinale Anglic, lo scelse per il monumento di san Elzeario de Sabran, un ter­ t.iario francescano di nobili natali (parente di Urbano V per via materna), che era �lato recentemente canonizzato ( 1 369) dallo stesso pontefice.95 Del tabernacolo, edificato nella chiesa dei Minori ad Apt e in seguito smembrato, si conservano vari frammenti, mentre descrizioni settecentesche attestano che fu realizzato «ad 9 1 . Monferini 1962, pp. 205-207. 92. Bolgia 2005. 93. /bidem. 94. Le motivazioni di questa scelta sono discusse in dettaglio in Ead., S. Maria in Aracoe/i 11ml the Franciscans in Rome (c. 1250-1450), Aldershot, in c.d.s. 95. Su san Elzeario si veda Vauchez 1 989 (trad. it. A. Prandi), pp. 345-348.

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instar Romani Sancti Johannis Laterani».96 Il valore simbolico di tale richiamo tipologico e formale doveva risiedere nella volontà di offrire ai resti di san Elze­ ario una "residenza" prestigiosa, che implicitamente creava un parallelo con la "residenza" dei santi Pietro e Paolo nella cattedrale di Roma, in modo da onorare in modo degno il nuovo santo e promuoverne il culto. Nel giro di due anni dal completamento del tabernacolo lateranense, la com­ parsa di ben due opere che se ne ispiravano in modo esplicito può dare un' idea dell' impatto, in campo artistico, del ritorno (peraltro, come vedremo, solo tempo­ raneo) della sede pontificia a Roma. Urbano V aveva portato con sé nell'Urbe Matteo Giovannetti da Viterbo, che era stato responsabile della decorazione del palazzo papale avignonese almeno a partire dal 1 346.97 A Matteo, che mantenne il titolo di «pictor sacri palatii», dove­ vano far capo le imprese pittoriche condotte in Vaticano nella camera paramenti, le camerae superiores, le scale e il portico di collegamento, almeno fino alla sua morte nel 1 369.98 Anche il direttore dei lavori («director operum palacii Rome domini nostri pape»), Gaucelin de Pradelhe, veniva da Avignone. Queste scelte sembrano essere indizio di una volontà di mantenere una certa continuità tra l'ar­ redo pittorico del palazzo avignonese e quello del palazzo romano.99 Purtroppo nulla rimane degli interventi decorativi in Vaticano, se non una lista di nom i, incluso quello di un certo Johannes archipresbiter de Capralica, che sembra aver svolto un ruolo importante, paragonabile a quello di Matteo Giovannetti. 100 Per l'estate del 1 3 69 sopravvive una ricca documentazione che attesta l'attività di ventiquattro tra magistri pictores ed operarii impegnati nella decorazione della Cappella parva o secreta e della Cappella magna, che comprendeva una «fi­ guratione evangelistarum». 10 1 Tra i nomi illustri, vi sono quelli dei "fiorentini" Giovanni da Milano, Giotto di Maestro Stefano (Giottino), Giovanni e Agnolo Gaddi; vi sono poi quattro romani, vari artisti dell'Italia settentrionale (Guarne­ rius da Venezia, Paulus da Verona e Bartholomeus [Bulgarini?] da Siena) e due soli "stranieri" (Nicolaus Theotonicus e .frater Petrus Theotonicus). Giottino è simultaneamente ( 1 369) attestato anche a San Giovanni in Laterano. 102 Urbano fece inoltre distribuire in chiese e cappelle dell'Urbe numerosi og­ getti liturgici provenienti dal tesoro papale avignonese. 1 03 Il soggiorno italiano del pontefice, diviso fra Viterbo, Roma e Montefiasco­ ne, fu però turbato da epidemie, violenze, conflitti politici, e il papa decise di 96. Acta Sanctorum 1 760, p. 570. Di questo monwnento sopravvivono vari frammenti: Baron 1 978, pp. 267-83. 97. Per Matteo Giovannetti è di riferimento Castelnuovo 1 99 1 . 98. Monciatti 2005, p . 239 e 342. 99. Ibidem, p. 240. l OO. Ibidem. 1 0 1 . Ibidem, p. 24 1 , con trascrizione dell'introitus et exitus 334 alle pp. 3 1 7-29 (appendice IV). 102. l/ Libro di Antonio Bi/li 1978, pp. 8, 39. 103. Actes anciens et documents 1 897, II, p. 397, art. 67-68.

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rientrare ad Avignone. Imbarcatosi a Corneto il 5 settembre 1 3 70, raggiunse Avi­ gnone per morirvi poco dopo, come profetizzato da santa Brigida. 104 Il suo corpo fu traslato nel 1 372 a Saint-Victor a Marsiglia, dove iniziarono subito a circolare notizie di miracoli. Immagini del papa cominciarono ad essere dipinte, in edifici sia religiosi che secolari, sia pubblici che privati, a Roma e fuori, al punto che nel 1 3 82 il postulatore Olivier, incaricato di presentare la documentazione per il processo di canonizzazione avviato ufficialmente l'anno prima, poteva scrivere che queste effigi «de die in diem pinguntur». 1 05 Molte sono visibili ancora oggi, ma nessuna i mmagine "romana" sembra essere giunta fino a noi.106 Nella Royal Library di Windsor si conservano però due disegni acquerellati, recentemente identificati come copie di dipinti murali già nella chiesa di San Salvatore della Corte (odierna Santa Maria della Luce) in Trastevere (fig. 6). 107 Questi mostrano Urbano V in trono con la tiara e l'aureola, nell'atto di mostrare rispettivamente una tavoletta con le immagini dei santi Pietro e Paolo, e i due re­ l iquiari commissionati per il Laterano. Le minuscole figure a mani giunte ai piedi o a fianco del papa chiariscono che si trattava di immagini devozionali, ex-voto offerti da committenti laici. Un terzo disegno, che riproduce un' immagine trasferita da Arezzo a Roma prima del 1 642, mostra il pontefice con fanone e pallio, assiso su un trono monu­ mentale, benedicente con la destra e sorreggente il modellino del tabernacolo la­ teranense nella sinistra. 108 Una legenda lo identifica come «S. Urbano Papa Quin­ to». In questo caso si può pensare ad una originaria committenza ecclesiastica, legata all'entourage papale: inducono a pensarlo una serie di elementi romani e marcatamente papali, come il gesto benedicente del vicarius Christi, gli attributi di fanone e pallio, la monumentalità della cattedra, e soprattutto, il modellino del tabernacolo, che è molto raro. Questa forte componente romana potrebbe anche spiegare l ' interesse a far trasferire a Roma l' immagine, forse una tavola o un affresco staccato. Nel caso di "nuovi santi", la cui devozione non era stata ancora autorizzata o ufficialmente sancita, il gesto del donatore aveva anche la portata di un atto di propaganda, in quanto rendeva familiare ai fedeli il nome e l' immagine del personaggio effigiato. 109 Non sorprende che il postulatore Olivier potesse dire, a proposito delle immagini di Urbano V, che venivano onorate con la stessa devo­ zione e reverenza «sicut alie imagines sanctorum».11 0

104. Hayez 2000, pp. 549-550. 1 05. Actes anciens et documents 1 897, Il, p. 377, art. 2. 1 06. Un catalogo preliminare si trova in Bolgia 2002, pp. 563-564, note 6 e 7. A queste imma-

gini si può ora aggiungere quella dipinta su una colonna nella chiesa di Sant'Eligio a Napoli. 107. /bidem, pp. 564-568, figs. 3-4. 108. /bidem, p. 57 1, fig. 5. 109. Vauchez 1 989, pp. 455-466. 1 10. Actes anciens et documents 1 897, p. 377, art. 2.

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L' impatto visivo di questa iconografia, che di fatto recuperava il modello del san Pietro bronzeo, forse con il tramite bonifaciano, ma sostituiva il tabernacolo alle chiavi, deve essere stato notevole se ancora nel Seicento un erudito suggeriva ad Urbano VIII di farsi rappresentare in San Pietro alla maniera di Urbano V: in trono e con il modellino del tabernacolo berniniano sulle ginocchia. l l 1 Raffigurazioni di Urbano V si trovavano in passato anche in San Francesco a Ripa, San Crisogono, e nei distrutti oratori dei Santi Pietro e Paolo sulla via Ostiense e di San Giacomo al Colosseo. t 1 2 Anche se queste opere non rientrano nella committenza artistica papale intesa in senso letterale, rientrano però a buon diritto in un discorso su questa committenza, in quanto documentano l'impatto straordinario dell' intervento del pontefice al Laterano. E testimoniano anche di uno straordinario cambiamento iconografico, che riflette una trasformazione pro­ fonda sia nella concezione del ruolo del pontefice che nella concezione di santità: di fatto l'attributo del modellino (il discorso vale per il tabernacolo come per le statuette-reliquiari) si sostituisce al tradizionale attributo del martirio. Per la prima volta in una raffigurazione di un pontefice a Roma il modellino dell 'opera commissionata si trasforma da umile simbolo di offerta in attributo caratterizzan­ te, simbolo dell'evento più significativo dell'operato del pontefice. Simbolo - po­ tremmo dire - del suo patrocinio nel senso più ampio del termine, un patrocinio che pone la produzione artistica al servizio della cura e promozione di alcune delle reliquie più importanti della cristianità. Il messaggio affidato a questa nuova iconografia sembra essere l'equivalente visivo del messaggio trasmesso dagli articuli, ossia le capitolazioni, per il proces­ so di canonizzazione di Urbano V, che lo mostrano impegnato a restaurare la vita religiosa nell'Urbe proprio a partire dal ripristino in maniera splendida della de­ vozione dei santi Pietro e Paolo. 11 3 Dalla descrizione che vi viene fatta dell' attivitù di Urbano emerge l' idea di una vera e propria santificazione conseguita mediante l'adempimento dei propri compiti e l'onesto esercizio del "Buon Governo" . t 1" L' immagine documentata dal disegno RL 893 7 presenta il papa come un "buon sovrano", benedicente con la destra (e quindi detentore del potere spirituale e Vi­ carius Christi), e con un'opera d'arte nella sinistra (e pertanto promotore di unu rinascita della vita religiosa di Roma anche attraverso il patronato artistico). Il compito di riportare definitivamente la sede papale a Roma spetterà a Gre­ gorio XI, al secolo Pietro Roger de Beaufort ( 1 370- 1 3 78), che rientrava nell'Urbe il l 7 gennaio 1 3 77. La decisione di tornare risaliva però al 1 3 72, quando vennero anche avviati vari interventi di restauro, che interessarono in particolare le porte della città, San Giovanni in Laterano (incluso il completamento del tabernacolo 1 1 1 . Bolgia 2002, pp. 5 7 1 -572. 1 12. Per i primi tre casi si veda ibidem, pp. 572-74. L' immagine di Urbano V in San Giacomo in Colosseo è ricordata in Adinolfi 1 857, p. l l 5. l l 3. Per una discussione degli articuli interrogatori si veda Vauchez 1989, pp. 296-300 c 395-99. 1 14. Ibidem, pp. 296-99.

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delle teste dei santi Pietro e Paolo) e la basilica d i Santa Maria Maggiore.115 Nel caso della basilica mariana, il papa rispondeva alle richieste dei canonici, conce­ dendo loro somme considerevoli, specialmente per il rifacimento del campanile pericolante. 1 16 La ricostruita torre campanaria, con la sua mole in cotto ornata da bifore e maioliche colorate di fattura locale, è la più alta di Roma (settantacinque metri), e - nonostante numerosi restauri - conserva ancora l'aspetto originario, con l'eccezione della quattrocentesca loggia di coronamento. Lo stemma del pon­ tefice (oggi abraso), inserito in una cartella rettangolare retta da due mensole ele­ gantemente decorate, pubblicizzava il patronato di Gregorio XI e nel contempo poneva il "marchio" De Beaufort su un'altra basilica cardine di Roma. Con il pontificato di Urbano VI ( 1 378- 1 3 89), il napoletano Bartolomeo Pri­ gnano, si apriva il grande Scisma di Occidente, che vedeva la cristianità divisa tra l 'obbedienza alla chiesa romana e l 'obbedienza alla chiesa avignonese.117 L'atto più significativo di questo pontefice nei confronti della città di Roma fu la deci­ sione di decretare che il giubileo si dovesse celebrare ogni trentatré anni, affinché tutti potessero usufruirne almeno una volta nella loro vita, e di annunciare l' inizio dell'anno santo già per il Natale del 1 390. 11 8 La decisione fu presumibilmente dettata dalla volontà di riguadagnare il fa­ vore della popolazione, dimostrando l'utilità della presenza papale. Il pontefice aggiunse alle stazioni di San Pietro, San Paolo fuori le mura e San Giovanni in Laterano, anche il pellegrinaggio a Santa Maria Maggiore, restaurata dal suo pre­ decessore. 1 19 Sembra comunque che Roma versasse in cattive condizioni, se persi­ no la Via Maior era «quasi sparita del tutto» («quasi dissolveretur in totum» ).1 20 Urbano VI morirà il 1 5 ottobre del 1 3 89 e verrà sepolto in un sarcofago che merita una menzione in questa sede per essere il primo monumento funebre di un papa in San Pietro dopo il trasferimento della corte papale ad Avignone. 1 2 1 La fronte del sepolcro è articolata in tre pannelli, di cui il centrale mostra san Pietro che consegna delle chiavi di inusitate dimensioni al pontefice inginocchiato, e i laterali le insegne araldiche dei Prignano; sui fianchi sono angeli reggicandela. Il monumento fu fatto fare dal cardinale Martino Vulcani, parente del pontefice e camerario pontificio, 1 22 ma è probabile che Urbano VI o il suo successore "roma­ " no Bonifacio IX (con cui Urbano era imparentato attraverso la famiglia Bran­ caccio) abbiano avuto un ruolo nella definizione dell' iconografia, portatrice di un l l 5. Lavori sono attestati anche a San Pietro, San Paolo f.l.m, e San Lorenzo f.l.m. Si veda­ le trascrizioni dei registri della Camera Apostolica, in Kirsch 1 898, pp. 237-262; Miintz 1 89 1 . l lavori nel palazzo vaticano furono diversificati, ma d i modesta entità: Monciatti 2005, p . 229. 1 16. Pietrangeli 1 987. l l7. Ait 2000. l l 8. Esch 1 997. no

l l9. Ibidem. 120. I documenti relativi alle condizioni della città sono pubblicati da Esch 1 969, pp. 2092 1 5 ; per le chiese si veda in particolare la nota 16. 121 . Gardner 1992, p. 1 25; Die Mittelalterlichen Grabmiiler 1994, II, pp. 146-50, fìgg. 163-67. 122. LP, II, p. 530.

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messaggio "papale-romano" inequivocabile. In un momento in cui la generale incertezza su chi fosse il vero papa divideva la cristianità, la tomba di Urbano VI nella basilica vaticana (oggi nelle Grotte) doveva esibire in maniera incontrover­ tibile l' identità del legittimo erede di Pietro. Il periodo in esame si conclude con il pontificato di un altro napoletano, Bo­ nifacio IX, al secolo Pietro Tomacelli ( 1 3 89- 1404), passato alla storia soprattutto come un sovrano temporale. La prolungata assenza dei papi dall'Urbe aveva infatti contribuito a rafforza­ re il potere del Comune romano, che nel 1 363 aveva promulgato i suoi statuti e che al momento dell'elezione di Bonifacio si presentava pressoché libero da ogni ingerenza baronale e determinato a mantenere la propria autonomia. Soltanto nel 1 398, dopo alterne vicende, il pontefice riconquistava il pieno governo della città, ponendo fine al libero Comune romano, e avviava una campagna di restauro e fortificazione volta a manifestare anche visivamente la riaffermazione della pro­ pria autorità nell'Urbe.123 Oltre alla realizzazione di una platea presso il palazzo vaticano, e al probabile restauro della parte orientale del palazzo, Bonifacio fu responsabile di significativi lavori di ristrutturazione di Castel Sant'Angelo, gra­ vemente danneggiato nel 1 379 da una rivolta popolare. 124 Altrettanto carico di valenze simboliche fu poi l'intervento al palazzo sena­ torio, consistente principalmente nell'aggiunta di due torri coronate da beccatelli marmorei, che conferirono all'edificio l'aspetto di una struttura fortificata. t25 Su una delle torri è ancora ben visibile lo stemma Tomacelli, a segnalare l'appropria­ zione papale della sede tradizionale del potere comunale. Bonifacio IX finanziò inoltre lavori di restauro a Santa Maria Maggiore, San Lorenzo fuori le mura, Santa Maria in Trastevere e nella basilica lateranense, dove una statua di pontefi­ ce inginocchiato connessa ad una lastra a mosaico con lo stemma Tomacelli (ma rimontata nell'Ottocento) potrebbe testimoniare di un' iniziativa del pontefice al Laterano in connessione con il Giubileo. 1 26 Con la Dum Prece/sa del 30 Agosto 1400 Bonifacio concedeva un' indulgen­ za speciale a tutti coloro che avessero donato delle offerte per la costruzione di un nuovo tabernacolo per ospitare l' icona miracolosa della Madonna in Santa Maria del Popolo.127 È probabile che il timpano di marmo con l'Incoronazione della Ver­ gine, oggi sulla porta del corridoio che conduce alla sacrestia e databile intorno al 1 400, formasse parte del coronamento di questo tabernacolo, originariamente collocato sull'altare maggiore. 128

123. Esch 2000, pp. 570-80. 124. Monciatti 2005, pp. 250-53. Sui lavori a Castel Sant'Angelo si veda da ultimo, Rinaldi 20 1 1 , pp. 692-99. 125. Rinaldi 2008, II, pp. 28 1 -94. 126. Rinaldi 20 1 1 , p. 695. Sulla statua v. anche Claussen 2008a, pp. 246-5 1 , con bibl. 127. Roma, Archivio Generale Agostiniano, Fondo Congregazione di Lombardia, Cronico l , fol. 28 (Pergamena R, nr l). Citata in Bentivoglio, Valtieri 1 976, p . 195. 128. Strinati 1 98 1 , pp. 29-5 1 ; Parlato 2009, l, pp. 147-77, 1 5 1 -53; Bolgia 20 13, pp. 1 1 4-142.

Il XIV secolo: da Benedetto XI ( 1303-1304) a Bonifacio IX ( 1 389-1404)

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Tra i manoscritti riferibili alla committenza del pontefice si deve segnalare almeno il cosiddetto Pontifica/e di Bonifacio IX, in realtà contenente il testo dei riti per la preparazione del papa alla celebrazione della messa (Praepara­ tio ad Missam). l 29 La committenza, attestata dall'iscrizione che corre attorno all 'unica miniatura a piena pagina, è reiterata dalla presenza dello stemma Tomacelli, sormontato dal triregno, su quasi tutte le pagine miniate degli inci­ pit principali . 130 Il codice è composto da quarantaquattro fogli, molti dei quali decorati da iniziali miniate e raffinate comici, impreziosite d' oro e ornate da elementi antropomorfi dai colori intensi. L' opera fu probabilmente realizzata a Roma da una bottega di cultura composita, forse incaricata di una più ampia produzione di libri liturgici da parte di un pontefice che riprendeva possesso dell'Urbe.131 Di particolare interesse sono le miniature con scene che rappre­ sentano le fasi di vestizione liturgica: una testimonianza significativa dell'ab­ bigliamento e degli accessori adoperati nel cerimoniale papale della Roma tardo-trecentesca. Nel chiostro della basilica di San Paolo fuori le mura si trova poi una sta­ tua del pontefice in trono, con gli stemmi della sua casata, la destra benedicente e la sinistra a sorreggere un libro aperto con la seguente iscrizione secentesca: D.O. [M.] l BONIFA l CIVS.IX l P.MAX l STIRPE l THOMA l CEL l LUS GENE l RE l CffiO. L'originaria collocazione della statua non è nota, ma nel 1 8 1 5 si trovava nella navata laterale della chiesa, alla sinistra della confessione. 132 L'epigrafe sul pie­ distallo ricorda il ripristino attuato da una discendente del pontefice, Lucrezia Tomacelli ( 1 576- 1 622), moglie di Filippo Colonna, duca di Paliano. 133 Secondo la critica potrebbe trattarsi di una statua onoraria realizzata in occasione del Giu­ bileo del 1 400 oppure di un'espressione di gratitudine dei canonici della basilica verso il pontefice che agli inizi del XV secolo destinò ampi fondi «pro fabrica et reparatione». 1 34 Il monumento è in corso di studio ad opera di chi scrive, ma vale la pena anticipare qui l'attuale linea di ricerca suggerita dall'iscrizione sul piedistallo, secondo cui l 'opera sarebbe stata in origine commissionata «a Casinensi con­ gregatione». Il significato di questa affermazione è ancora tutto da verificare, ma come ipotesi di lavoro si può proporre una committenza cassinese legata 129. BAV, Ms. Vat. Lat. 3747, ora disponibile in facsimile: // Pontifica/e di Bonifacio /X2007. Ringrazio il Prof. Paravicini Bagliani per la segnalazione. 130. Manzari 2007, pp. 49-89, 49. 1 3 1 . Ibidem, e Manzari 2008, pp. 109-1 36. 132. Nico1ai 1 8 1 5, p. 259. 133. BONIFATIO IX THOMACELLO l PONT. OPT. MAX. l GRATI ANIMI MONUMENTUM l A CASINENSI

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'ONGREGATIONE l OLIM ERECTUM l MOX TEMPORUM INWRIA l COLLAPSUM l LUCRETIA TUOMACELLA l ( 'oLUMNA l PALLIANI oux l GENTILI suo RESIITUIT. L'iscrizione sul libro sembra essere coeva. 134. La prima ipotesi è di Ciaccio 1906, pp. 68-92; la seconda si trova in Ganns 1 979, pp.

1 45-159, 149-50. Si vedano inoltre Iazeolla 1984, p. 347; Negri Amoldi 1994, p. 94. Sappiamo do Vergerio che nel 1398 la basilica di San Paolo era in buona parte scoperchiata: Vergerio 201 1 , JlJl. 35-5 1, 50, nota 48. Per i documenti relativi ai restauri, si veda Esch 1 969, p . 337, note 3 1 8-19

( 1 1 .03. 1400: Reg. Vat. 3 16, f. 342v; 1 .04. 1 400: ibidem, ff. 350r-351v).

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ai Tomacelli, dal momento che il pontefice edificò sistematicamente intorno a Montecassino una vasta signoria famigliare, che culminò nel 1 396 con la nomi ­ n a ad abate d i Enrico Tomacelli. 135 Siamo dunque d i fronte all 'unico esempio superstite di statua di pontefice a figura intera del Trecento romano, un esempio che può darci almeno un vaga idea delle opere perdute e che comunque celebra e visualizza il patronato di questo potente sovrano temporale, la cui commit­ tenza, con le fortificazioni di Castel Sant'Angelo e del Campidoglio, chiude significativamente un secolo di patronato artistico volto - più che mai - alla riaffermazione dell'autorità del papa e a alla "visualizzazione" della sua pre­ senza nell'Urbe.

135. Esch 2000, p. 580. Una committenza Tomacelli non implica che l'opera fosse stata ese­ guita per Montecassino, come vorrebbe Ladner 1 934, pp. 35-69, 44-45.

Il XIV secolo: da Benedetto XI ( 1 303- 1 304) a Bonifacio IX ( 1 3 89- 1404)

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Fig. l . Edimburgo, National Gallery of Scotland, mosaico della facciata di San Paolo fuori le mura (ca. 1325-30), D1057, Anonimo, ca. 1660 (foto National Galleries of Scotland).

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Fig. 2. Grotte Vaticane, Paolo da Siena, parti superstiti de li' edicola di papa Benedetto Xll ( 134 1 ) già in San Pietro (da Pietrangeli 1 989).

Il XIV secolo: da Benedetto XI ( 1 303- 1304) a Bonifacio IX (1389- 1404)

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3. San Giovanni in Laterano, Giovanni di Stefano e aiuti, tabemacolo-reliquiario per le "sacre teste" dei santi Pietro e Paolo, ca. 1 369- 1 3 7 1 (foto Musei Vaticani, Archivio Fotografico)

Fig.

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Claudia Bolgia

Fig. 4. San Giovanni in Laterano, reliquari delle "sacre teste" dei santi Pietro e Paolo, incisione (da Seroux D' Agincourt 1 823). Fig. 5. Disegno ricostruttivo dello smembrato tabernacolo della Madonna Advocata già in Santa Maria in Aracoeli, Giovanni di Stefano e aiuti 1 372 (da Bolgia 2005).

Il XIV secolo: da Benedetto XI (1 303- 1304) a Bonifacio IX (1 389-1404)

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Fig. 6. Windsor Castle, Royal Library, RL 920 1 , disegno acquerellato riproducente un'immagine perduta di Urbano V già in San Salvatore della Corte a Roma (da Bolgia 2002).

Anna Cavallaro

I l XV secolo : da Innocenzo VII ( 1 404- 1 406) u

Martino V

( 1 4 1 7- 1 43 1 )

Il trasferimento della curia papale ad Avignone durante il XIV secolo e dal 1 3 78 l'inizio del grande scisma d'Occidente, nel corso del quale due o anche tre papi si contendevano il titolo di successore di Pietro, avevano determinato a

Roma una profonda decadenza che nei primi decenni del nuovo secolo si riflette­ va in una gravissima crisi economica contraria al fiorire di un'autonoma cultura nrtistica, come avveniva invece contemporaneamente a Firenze. Manca in questi nnni da parte dei pontefici l'attenzione per la città e la cura delle sue strutture: troppo breve fu il pontificato di Innocenzo VII ( 1 404- 1 406), il sulmonese Cosimo dc' Migliorati, e travagliato dal succedersi dei rivali antipapi e dalle lotte interne cittadine che non gli consentirono di apportare miglioramenti all'Urbe. A que­ Nto pontefice si deve tuttavia l'emissione della bolla Ad exaltationem Romanae l /rbis del l o settembre 1 406 che sanciva la riapertura dell'università romana e filvoriva la rinascita degli studi umanistici nel quadro di un auspicato rilancio culturale della Roma antica. ' Per realizzare questo programma il papa chiamò al Nuo servizio i maggiori uomini di cultura del tempo: Leonardo Bruni, Francesco du Fiano, Antonio Loschi, Cencio Rustici, Pier Paolo Vergerio, Bartolomeo da Montepulciano. La sua morte, avvenuta il 6 novembre 1 406, interruppe tutta­ via la formazione di una possibile egemonia romana nello sviluppo della cultura umanistica. Ad Innocenzo VII si deve anche il progetto di ripristinare l' aspetto originario del palazzo Senatorio al fine di restituire all'edificio la sua forma civile � la sua funzione di luogo di giustizia,2 eliminando le strutture difensive realizzate dul suo predecessore, Bonifacio IX ( 1 3 89- 1404). Ma il progetto non venne por­ tnto a termine a causa della brevità del suo regno e s'ignora anche l'entità degli eventuali lavori da lui effettuati. Gregorio XII ( 1 406- 1 409), il veneziano Angelo Correr, s' impegnò a Siena per la costruzione del collegio della Sapienza destinato a studenti privi di mezzi �conomici, ma il suo pontificato fu percorso dalla strenua opposizione agli anl . De Vmcentiis 2000, p. 584. 2. «> v. de Blaauw 201 1 , p . 40. Questo è il testo dell'epigrafe di Simmaco: «lngrederis quisquis radiantis limina templi, l in varias operum species dum lumina tendis, l inclusum mirare diem fulgore perenni, l cuncta micant si lux tota dominatur in aula. l Omavit praesul venerandas Symmacus aedes, l priscaque cesserunt magno novitatis honore», v. ILCV 1 756; ICVR-NS Il, 4 1 05, per un commento v. De Santis 201 0, pp. 1 09; 1 26; 1 69.

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che, per la prima volta nel Liber, l'atrio ad cantharus viene definito quadripor­ tico, cioè come spazio sub divo coelo delimitato architettonicamente da portici sui quattro lati.42 Per definire il tipo di intervento effettuato, il redattore ricorre al verbo compaginare (da compages, is e compingo) che, sebbene non sia attestato nell'accezione di lapidibus sternere, potrebbe alludere alla commettitura di pietre o di lastre, cioè alla messa in opera di una nuova pavimentazione.43 Secondo Picard, è invece preferibile intendere l'espressione atrium omnem compaginavit nel senso di una complessiva riqualificazione strutturale dell'atrio che già in antico accoglieva il celebre cantharus. 44 Simmaco infatti fece costruire grados sub tigno dextra /evaque, cioè scale laterali di accesso da Nord e da Sud, un' informazione che si collega nel testo con quanto detto prima e dopo, ove si ri­ ferisce dell'aggiunta di gradini alla scalinata Est (la principale) e della costruzio­ ne di due episcopia, edificati dal pontefice in eodem /oco dextra /evaque. Pertanto insieme con la nuova pavimentazione marmorea e i mosaici con agnelli, croci e palme, l' intervento di Simmaco comportò il riordino degli accessi all'atrium, an­ che in funzione delle nuove residenze episcopali e amministrative che possiamo considerare il nucleo più antico del palazzo del pontefice al Vaticano.45 Quanto al termine fores, nel LP esso designa di norma i varchi che si affac­ ciavano all'esterno, mentre regiae o portae (come la celebre porta argentea di San Pietro) indicano i varchi che preferibilmente aprivano verso l'interno di uno spazio. Oltre agli esempi citati dalle biografie di Adriano l, di Sergio Il, e anche di Adriano II (v. il libro di Fozio preforibus graduum concu/catum), si pensi allefores patriar­ chii intrinsecus . . . munitae et c/ausae che, nel racconto della contrastata elezione di Sergio I (687-70 l ), sono nominate per indicare l' impenetrabilità dall'esterno del Patriarchio lateranense.46 Anche Isidoro sembra alludere a un' idea del genere quan­ do, considerando la meccanica dell'apertura, ritiene fores e valvae due tipi distinti di porta: «le une sono chiamatefores perché si aprono fuori, ossia verso l'esterno, le altre invece valvae perché revolvuntur ossia ruotano verso l'interno e si compongo­ no di due battenti mobili)). lsidoro aggiunge però che l'uso indiscriminato di questi vocaboli ne ha fatto perdere il significato esatto,47 osservazione che in qualche mi­ sura vale anche per i lemmi fores, regiae e portae nel LP. In effetti, considerato che qualsiasi tipo di porta è per sua natura ancipite, nel LP è solo la lettura nel contesto che permette di stabilire, caso per caso, il punto di vista del redattore. Nella biogra42. LP 53 c. 7; probabilmente già Simplicio aveva costruito le ali laterali dell'atrio, v. dc Blaauw 1 994b, pp. 463-464. 43. a.v. compages, is in ThLL, m, coli. 1 997- 1 999. 44. Picard 1 974, pp. 858-860; per il cantharus di San Pietro e le sue trasformazioni nel tem­ po, v. Liverani 1 986, in part. pp. 5 1 -63 e Angelucci, Liverani 1 994, pp. 5-38. Un'altra fontana e le annesse latrine furono allestite da Simmaco all'esterno dell'atrio, ai piedi della scalinata orientale e cioèforis in campo [. . } et usum necessitatis humanae, v. de Blaauw 1 994, p. 465. 45. V. Geertman 2004a, p. 225, nota 1 88; Monciatti 2005, pp. 9 1 -96. 46. LP 86 c. 3 e c. 8, dove si nominano anchefores patriarchii tam inferiores quamque superi­ ores; inoltre LP 53 c. 7; e LP 85 c. l che nello stesso periodo alterna l'uso difores e di regiae. 47. «Sed generaliter usus vocabula ista corrupit» v. lsidoro, Ethym. , XV, 7,4. .

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fia di Leone III per esempio, il redattore nominafontes aquae antefores argenteas, certamente la porta mediana della basilica di San Pietro, ma in questo caso nella sua relazione visiva con lo spazio esterno e il cantharus dell'atrio.48 D'altra parte nell'iscrizione sbalzata sul battente di sinistra della celebre porta essa era definita proprio con il termine fores, alludendo al rivestimento prezioso che la connotava solo esternamente (in.fra).49 Ai tempi di Adriano (772-795) si nominano invece le portas aereas maiores mire magnitudinis decoratas che, fatte trasportare da Perugia, furono messe in opera a San Pietro ad turrem.50 Queste porte si sogliono identificare con le valve bronzee che ai tempi di Pietro Mallio (m. XII secolo) immettevano nel quadripor­ tico della basilica. Mallio ne descrive un particolare: sulle valve bronzee infatti un'epigrafe ricordava (secondo l'interpretazione del canonico) le donazioni di Carlo Magno alla Chiesa relative a distretti dell'Umbria e dell'Alto Lazio. Mallio afferma inoltre che l'iscrizione era realizzata in argento e dunque plausibilmente con la tecnica della ageminatura. 5 1 Preziosissima e splendente era invece l a già nominata porta mediana della basilica che, per il suo rivestimento, dalla fine del VII secolo viene chiamata argenteaY Fatta realizzare da papa Onorio I (625-63 8),53 le sue dimensioni dove­ vano essere analoghe a quelle della porta del Filarete, in opera nello stesso varco dal 1 445 .54 Accennando a questioni teologiche, i lunghi carmi che si leggevano sui due battenti celebravano gli apostoli Pietro e Paolo, ma richiamavano altresì l'attenzione sulle eccezionali caratteristiche della preziosa manifattura. Doveva trattarsi infatti di battenti lignei rivestiti di lamina d'argento (investivi! regias ma­ iores) impiegando 975 libbre di metallo (poco più di 3 1 9 kg).55 La porta argentea era dunque un'opera esemplare degli elevati standards qualitativi che distinsero il patronato di Onorio l. Una committenza a tal punto ambiziosa da far correre la voce che il papa avesse stornato, con la frode e a vantaggio dell'amministrazione ecclesiastica, il soldo destinato alle truppe bizantine di stanza a Roma. 56 48. LP 98 c. 3. 49. V. ICVR-NS II n. 4 1 : «At tuus argento praesul construx.it opimo l ornavitque fores, Petre beate, tibi» . 50. LP 91 c. 96. cfr. LP 95 c. 6* * * in atrium ante turrem sanctae Mariae ad Grada, v. de Blaauw 1994b, pp. 526-527. 5 1 . Per l'iscrizione in portis aeneis quae super gradus Beati Petrifoerunt v. Mallio (ed. l946), p. 433; v. anche il commento di Michele Cerrati in Alfarano 1 959, p. 1 9, nota l . 52. LP 8 6 c . 1 1 . 53. LP 7 2 c . 2. 54. Ogni battente della porta del Filarete misura 6,30 x l, 79 m; la superficie complessiva della porta di Onorio era pertanto di circa 22,554 mq; le misure sono congrue rispetto a quelle indicate per la porta mediana da Tiberio Alfarano (da rivedere alla luce degli appunti di Baldassarre Peruzzi), v. Krautheimer, Frazer 1980, p. 223 e Arbeiter 1 988, p. l44; da ultimo Glass 2013, pp. 348-370. 55. Cfr. ICVR-NS II, n. 4 1 19: «At tuus argento presul construx.it opimo ornavitque fores, Petre beate, tibi [ . . . ]». 56. Per vendicare il comportamento del pontefice, alla sua morte, i bizantini perpetrarono un vero e proprio saccheggio dell'episcopio lateranense v. LP 73 c. l, Delogu 1 988, pp. 273-293, in part. p. 280 e Ballardini 201 5a, pp. 889-927, in part. pp. 899-900.

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Quanto all 'aspetto della porta argentea, potendo stimare con buona appros­ simazione la superficie dei suoi battenti (complessivamente 22,5 mq), il suo ri­ vestimento doveva avere uno spessore di l ,3 mm che è un valore medio in linea con i requisiti di una lavorazione a sbalzo e a ceselloY Ne dà conferma anche la silloge Cantabrigense che trascrive i lunghi carmi della porta accompagnadol i con il lemma topografico «in lammina argentea regiae sancti Petri [ . . . ]».58 Il pro­ gramma iconografico della porta e il complesso sistema di iscrizioni inducono inoltre a pensare che il rivestimento in lamina fosse costituito da cornici e formel­ le/tabulae inchiodate sui battenti di legno. Gravemente danneggiata dai Saraceni nel 846, la lamina metallica della porta fu ripristinata ai tempi di Leone IV (847-855) - nell'occasione definito c/avigeros probabilmente integrando o recuperando e rilavorando l'argento rimasto inchiodato ai battenti dopo lo scempio della razzia. 59 Le libbre di metallo destinate ex novo al re­ stauro sono infatti solo 70 a fronte delle 3 1 9 utilizzate nel Vll secolo per l'intero rive­ stimento della porta. Le precisazioni del biografo di Leone - tra i redattori del Liber, uno dei più generosi nel dispensare dettagli su oggetti e manifatture - confermano le caratteristiche della decorazione della porta mediana: multisque argenteis tabulis, lucifluis salutiferisque historiis sculptis. Il tono stesso delle parole del biografo può considerarsi un segnale della restitutio in pristinum della famosa porta, poiché i va­ lori estetici e simbolici della luce richiamati sono i medesimi che avevano ispirato, insieme con il rivestimento d'argento, i distici dettati al tempo di Onorio 1.60 Con il restauro della porta, Leone IV promosse anche il rinnovamento de l soffitto del nartece: et camera quae ante portas argenteas iamdictae aulae esse conspicitur . . . renovans decoravit. 61 La citazione è di particolare interesse perché il contesto architettonico dell'intervento permette di riconoscere, meglio che in altri luoghi del Liber, il significato di camera. Il termine ha alimentato un vivo dibattito tra storici, archeologi e storici dell'arte che, a partire dalle attestazioni di camera nelle biografie comprese tra IV e IX secolo, hanno cercato di precisarne la corrispondenza con uno specifico elemento architettonico e decorativo. Da ultimo, in parallelo con l'analisi condotta da Sible de Blaauw sul lemma absida,62 Paolo Liverani ha puntualizzato la questione mettendo in chiaro, di voi 57. Una tecnica analoga è stata utilizzata per realizzare l a capsa cruciforme di Pasquale I (8 1 7 824), un tempo custodita nel Sancta Sanctorum. Lo spessore del metallo d i questo reliquiario ( 1 ,:\ mm) è adeguato al ricco repertorio iconografico e alla vivacità delle scene lavorate a sbalzo e rifinill' a cesello su ogni lato a vista, v. Comini 2008, pp. 1 34-138. 58. Ringrazio Alessandro e Chiara Pacini per avermi aiutato a riflettere su questo ed altri aspetti che nel LP riguardano le tecniche orafe e della metallurgia. Per le iscrizioni della portu argentea di Onorio I, v. ICVR-NS Il, nn. 4 1 1 9-4 120; per la silloge Cantabrigense che trascrive lUI apografo di VIII secolo v. Silvagni 1 943, pp. 49- 1 12, in part. pp. 62-64. 59. LP 1 05 c. 84. 60. Ecco gli incipit dei distici onoriani: ICVR-NS II, n. 4 1 19: «Lux arcana Dei, Verbwn, Su­ pientia lucis [ . . . ]»; ICVR-NS II, n. 4120: «Lwnine sed magno vibrare ianua cerno [ . . . ]». 61. V. LP 1 05 cc. 84-85 e de Blaauw 1 994b, p. 525. 62. de Blaauw 2003, pp. 1 05- 1 14.

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ta in volta nella singole citazioni, che nel LP camera non significa abside, come a lungo si è ritenuto, ma semplicemente soffitto.63 Lo studioso propone inoltre d i individuare, intorno alla seconda metà del IX secolo, «il primo sintomo» del mutamento di significato che ha consegnato il termine alla lingua volgare neli' ac­ cezione corrente.64 Nel LP la "tradizionale" interpretazione di camera come absida va dunque storicizzata. Essa è stata indotta dalla traduzione proposta dai lessici latini che, partendo dali' originario - ma non esclusivo - significato di «soffitto a volta>> (gr. KUf.Ulpa), hanno finito per identificare camera con apsis. Introdotta da Duchesne nel suo commentario al Liber, questa sinonimia è stata recepita dagli studiosi mo­ derni, giungendo a noi attraverso il Corpus Basilicarum Christianarum Romae di Richard Krautheimer e il Rea/lexikonfilr Antike und Christentum.65 Il caso è davvero esemplare del ruolo giocato da Duchesne nell'orientare l'opi­ nione anche di studiosi di settore, che hanno ritenuto non indispensabile mettere alla prova le ipotesi annotate nel commentario dell'autorevole edizione del Liber.66 Tuttavia già le parole di Isidoro di Siviglia (ca 540-636), riferibili a edifici antichi, tardo antichi e alto medievali, devono aver contribuito a insinuare tra camera e absida una qualche affinità di significato. Isidoro infatti, secondo il metodo che gli è proprio, fa discendere il significato di camera dal gr. KaJ..I.oup «cioè curvum»Y Per l ' ispalense dunque camerae sono letteralmente «i soffitti a volta (volumina) che guardano all' interno (introrsum respicientia)». Nel libro XV delle Etymologiae, nel capitolo dedicato alle parti degli edifici (De partibus aedi.ficiorum), i lemmi che seguono quello di camera e cioè laquearia e absida, ne accrescono l'ambiguità. Absida, secondo Isidoro, è parola di origine greca che mostrerebbe una qualche relazione con l 'aggettivo latino lucida: «(l'abside) risplende infatti per la luce che riceve attraverso l'arco», forse in considerazione della somiglianza grafica tra la parola cl'lf{ç e il verbo li1ttro ( accendo).68 I laquearia/lacunaria sono invece identificati con «i cassettoni che copro­ no [di sotto] ed ornano il soffitto» : laquearia sunt quae cameram subtegunt et =

63 . «In sintesi una camera in età tarda significa genericamente il soffitto qualunque sia la sua forma, a volta o piana. Di per sè non può mai indicare un abside», cosi Liverani 2003, pp. 13-27, in part. p 15; a questo studio rinvio per l'intera questione, nei suoi aspetti linguistici, storici (le fonti) e storiografici. 64. V. Liverani 2003, p. 1 9; cfr. LP 1 04 c. 20 e a. v. Camera, in Battaglia 196 1 , Il, pp. 576-579. 65. V. Liverani 2003, p. 1 3 . 66. S i rileggano l e note 7 e 8 d i Duchesne a commento d i LP 4 7 c. 6: aldilà della contro­ versa tradizione del passo, l'interpretazione di camera come abside risulta incoerente anche ris­ petto ai dati desumibili dalle testimonianze epigrafiche citate dallo studioso. Per l'edizione delle tre redazioni di questo capitolo della vita di Leone Magno, v. Geertman 2004, p. 2 1 2 e il commento di Liverani 2003, pp. 1 7- 1 8. 67. Isidoro, Ethym., XV, 8, 5. ; 1Caf.10Up non è altrimenti attestato, cfr. Isidoro di Siviglia 2004, II, p. 280, n. 82, dove si rinvia al gr. mJ.m1)M>ç TJ, ov che significa curvo. 68. Isidoro, Ethym., XV, 8, 7; cfr. Isidoro di Siviglia 2004, II, p. 282, n. 86. Sulla scorta di lsidoro, nella prima metà del IX secolo questa etimologia è riferita anche da Valafrido Strabone v. Valafrido Strabone, De exordiis, 6, cit. da de Blaauw 20 1 0, pp. 1 5-79, in part. p. 40.

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ornant.69 Il rapporto stabilito dal verbo subtego tra la camera e i suoi laquearia, non pare tuttavia sufficiente a dirimere la questione relativa all 'andamento piano o curvo del soffitto, poiché i lacunari di forma geometrica potevano essere adat­ tati anche a superfici curve e alle semicalotte absidali. È a questo proposito che la puntuale indicazione topografica nel passo citato dalla biografia di Leone IV (supra) aiuta a chiarire la questione: la camera menzionata era situata infatti nel nartece della basilica di San Pietro ed era pertanto un soffitto piano non avendo senso, davanti alla porta argentea, la menzione di un'abside o di volte. Il risalto dato alla notizia del rifacimento del soffitto decorato ai tempi di Le­ one IV (847-855) conferma l'alto valore attribuito a questa finitura architettonica «all'antica».7° Nei casi più lussuosi, infatti, a ornamento dei soffitti, si impiegavano quantitativi d'oro in foglia che potevano essere davvero ragguardevoli. Ad esempio, nella vita di papa Silvestro, vengono utilizzate 500 libbre d'oro ( 1 63,5 kg) per rende­ re .fulgens il soffitto della navata centrale della basilica Salvatoris al Laterano. 71 L'espressione ex auro trimita (o anche ex trimma auri) indica tecnicamen­ te la doratura in foglia, dal greco -rp'ì!J.!J.U [-rpipw] ovvero «ciò che è logorato e battuto».72 Anticamente infatti la riduzione dell'oro in sottilissime lamine si eseguiva per battitura a caldo con il malleus, da cui il termine malleabilità che definisce una proprietà fisica distintiva dei metalli nobili.73 Nel testo in questione, già Hermann Geertman aveva richiamato l'attenzione sul riferimento alle due dimensioni (in longum et in /atum) che qualificano geometricamente la superficie della camera della basilica Salvatoris e la definiscono senza dubbio come soffitto piano e non come calotta absidale. 74 L'appellativo di basilica aurea conferito da Gregorio Magno alla basili­ ca Lateranense era dunque ragionevole e rispondente all'intento estetico del suo architetto:75 il giallo antico di Numidia illuminava infatti le tarsie della parete sopra i colonnati e brillava nel pavimento dell'aula che, a sua volta, catturava il riflesso dorato dei lacunari: la camera .fulgens appunto che copriva la navata maggiore . 71' 69. lsidoro, Ethym., XV, 8, 6. 70. V. Liverani 2003, pp. 1 7- 1 9. 7 1 . LP 34 c. l O. 72. http://ducange.enc.sorbonne.frffRIMMA . La convinzione che la camera basilicae desig­ nasse la «vòlta a calotta absidale» insieme con una diversa interpretazione delle locuzioni ex auro trimita/ex trimma auri cioè da trimitum «pannus temis liciis textus», v. http://ducange.enc.sor­ bonne.frffRIMITUM, indussero Margherita Guarducci a ipotizzare, nella fase più antica della loro decorazione, l'impiego di tessuti in filo d'oro come rivestimento dei catini absidali paleocristiani, v. Guarducci 1 98 1 , pp. 799-8 1 7. Di recente, l' idea della Guarducci è stata ripresa e variamente riformulata da Andaloro 2002d, pp. 26-54 e da Bisconti 2005a, p. 1 8 1 . 73. V. Pacini 2004, pp. 59-73 (Tecniche antiche di doratura) con riferimento alle fonti antiche e medievali e una prova di ricostruzione del procedimento di Teofilo per fare la foglia d'oro. 74. Geertman 1 975b, p. 192 e la relativa nota a p. 242; Id. 1 989, pp. 356-357. 75. Gregorio Magno, Reg. Epist., 9, 59 1 cit. in de Blaauw 1 994b, pp. 1 14- 1 1 5. 76. Guardando anche ad altri contesti, l'epiteto di caelum aureum riferito a Sant'Apollinare Nuovo v. Agnello Ravennate, Lib. Pont. Ecci. Rav. 86, e al monastero di San Pietro a Pavia v. Paolo Diacono, Hist. Long., 6,58 si riferisce al pregio dei loro soffitti dorati, v. Liverani 2003, p. 16. =

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Quanto alla carpenteria del soffitto, a conferma delle parole di Isidoro, essa era certo realizzata con lacunari intagliati nel legno: si pensi per analogia al rifacimento della camera di San Pietro che, ai tempi di papa Adriano, fu scolpita (sculpens) e «dipinta di vari colori» sull'esempio di quella antica (exemplo o/itano). 11 La cita­ zione permette di capire come il pregio dei soffitti a camera consistesse non solo nelle quantità dei metalli preziosi impiegati per le decorazioni ma, specie durante l'alto medioevo, nella sfida che la manutenzione delle immense fabbriche ereditate dall'età antica poneva alle competenze tecniche delle maestranze oltre che per il reperimento dei materiali da costruzione. Si pensi al rilievo conferito - dal Vll se­ colo in poi - alla notizia della sostituzione delle smisurate travi delle capriate nelle basiliche costantiniane o al ricordo della straordinaria messa in opera di tegole di bronzo (tegulae aereae) prelevate dagli edifici di età imperiale. Papa Onorio (625638) è il primo ad avviare questo tipo di interventi a vantaggio della basilica di San Pietro dove furono levatae (cioè innalzate) sedici trabes. Il papa inoltre, con l'auto­ rizzazione dell' imperatore Eraclio, fece prelevare dal Tempio di Venere e Roma le tegole fuse in bronzo per trasferirle sui tetti della basilica Vaticana dove cooperuit omnem ecc/esiam: un'impresa di spoglio certo ben pianificata che, per soddisfare le necessità dell'antico San Pietro, aveva tenuto conto dell'estensione delle coperture del più grande santuario pagano della Roma antica.78 Il significato anche econo­ mico dell'operazione è dimostrato dalla sistematica razzia compiuta, ai tempi di papa Vitaliano (657-672), dall'imperatore Costante II che nei suoi dodici giorni di permanenza nell'Urbe fece spogliare delle sue tegole la chiesa di Santa Maria ad Martyres (il Pantheon) e omnia quae erant in aere ad ornatum civitatis. 19 Quanto al restauro dei tetti delle chiese e delle loro incavallature, il LP ri­ corda che per sostituire le travi vetustate quassatas della basilica di San Paolo, Gregorio II ricorse alle foreste della Calabria per reperire legnami con caratte­ ristiche adeguate.80 L'opera venne proseguita dal suo successore, Gregorio III, che rinnovò altre cinque travi, sottoponendo a revisione e manutenzione l' intero tetto della basilica (totum ... tectum ab arco a/taris et usque ad regias recursit ac restauravit). 8 1 La sola biografia di Adriano registra oltre venti interventi di questo genere che riguardarono le basiliche della città ed extraurbane, compresi

77. LP 91 c. 74, cfr. Isidoro, Ethym., XIX, 12, 1 : «Laquearia sunt quae cameram subtegunt et ornant, quae et lacunaria dicuntur quod lacus quosdam quadratos ve! rotundos ligno ve! gypso ve! coloribus habeat pictos cwn signis intermicantibus». Si rileggano, a questo punto, i versi di Paolino di Nola riportati (ma con diverso intendimento) da Guarducci 1 98 1 , pp. 802-803 : «ecce vides quantus splendor velut aede renata/rideat, insculptum camera crispante lacunar», v. Paolino di Nola, Carm., XXVII, 386-388. 78. LP 72 c. 2. 79. LP 78 c. 3. 80. LP 91 c. 2. 8 1 . LP 91 c. 2; LP 92 c. 13, la conclusione del restauro del tetto ad opera di Gregorio III avvalora l'ipotesi di Giulia Bordi che attribuisce a questo papa il completamento della serie delle imagines clipeatae dei papi che correva sopra gli intercolunni degli archi della navata di San Paolo f. le m., v. Bordi 2006, pp. 3 79-395, in part. p. 392.

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gli ambienti e i portici annessi.82 Si sa inoltre che a San Pietro, in occasione della sostituzione e della messa in opera di travi che raggiungevano la lunghezza di 80 p. r. (circa 24 metri), il papa si rivolse a Carlo Magno perché inviasse a Roma un magister capace di stimare il materiale necessario all' intervento.83 È tuttavia il biografo di Benedetto III, con l'accento enfatico che gli è proprio, a richiamare l'attenzione sull'audacia tecnica richiesta dalla manutenzione straordinaria delle capriate (procaci artificio luciflue renovavit), in occasione della sostituzione a San Pietro di sette grandi travi in corrispondenza della navata maggiore e del transetto di San Pietro (= alia nave quae super corpus [beati Petri] est). 84 Lo stesso ammirato stupore ispira ali' Anonimo romano ( 1 357- 1 3 58) un racconto che all 'immaginazione dei lettori moderni restituisce non solo la perduta scala dimen­ sionale delle basiliche tardo antiche, ma anche la concreta difficoltà tecnica e l'ar­ ditezza di certe operazioni. Nel capitolo che tratta del restauro delle capriate del tetto di San Pietro patrocinato da papa Benedetto XII, l'Anonimo ricorda infatti i carpentieri a cavalcioni delle travi da sostituire, cosi pericolosamente sospesi che non può fare a meno di dichiarare «lo non vòizera essere stato uno di quelli>> c insieme descrive un' immensa trave, ancora dell'età di Costantino, ormai fradicia a causa delle «caverne e cupaine, fatte si per l' antiquitate si per fere [cioè da fiere, da animali] le quale avevano rosicato e fatta drento avitazione; ca ce fuorno tro­ vati drento sori ci esmesuratissimi e [ . . . ] martore e [ . . . ] golpi colli loro nidi. Chi lo vidde non lo poteva credere [ . . . ]».85 Passando dalle capriate dei tetti e dai lacunari delle cameraefulgentes all'ab­ side dell'edificio di culto, l'occorrenza nelle biografie dei pontefici del termine absida, variante attardata del latino absis da apsis/hapsis (gr. à'!'i;), permette di osservare, in un arco di tempo eccezionalmente lungo, la «straordinaria coerenza della tradizione redazionale» del LP. 86 In via generale si può affermare che il termine apsis e le sue varianti designi­ no una struttura curva, cioè un arco o una volta. 87 A questo proposito, l' espressio­ ne «cubiculum in hapsida curvatum» con la quale Plinio il Giovane definisce una stanza da letto della villa Laurentinum esprime con chiarezza il concetto. 88 Come per altri termini architettonici impiegati nel Liber, la parola absida riferita alla struttura che ancora oggi designamo allo stesso modo, non avevu 82. V. LP 91 cc. 49, 50, 5 1 , 64, 65, 67, 70, 74, 75, 82, 89 (trabes e tecta). 83. LP 97 c. 64; per l'epistola di Adriano a Carlo Magno v. Codex Carolinus (rist. Berlin 1 95 7 e 1 994) (=MGH, Epistulae, III), n. 65; per una lettura del patronato di Adriano I attenta agli aspetti dell'organizzazione dei cantieri di restauro, v. Pani Ermini 1992, pp. 485-530, in part. 485-507. 84. LP 1 06 c. 29. Un'analoga perifrasi per indicare il transetto ricorre anche nella biografia di Leone III: LP 98 c. 3 1 : nave quae est super altare. 85. Anonimo romano (ed. 1 98 1 ), pp. 22-23 . 86. De Blaauw 2003, p. l l l ; cfr. a. v. absida, ae e apsis, idis in ThLL, II, l cc. 322-323 ; c http://ducange.enc.sorbonne.fr/ABSIDA2 87. Come ricorda Plinio il Vecchio, la volta per eccellenza è quella celeste: stellarum circu/u.1· v. Gaio Plinio Cecilio Secondo, Nat. Hist. , 2, 63 « [ . . . ] circulorum quos Graeci a'l'iOaç in stell i� vocant, etenim Graecis utendum erit vocabulis» . 88. Gaio Plinio Cecilio Secondo, Ep., 2, 1 7, 8.

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richiesto di essere spiegata tecnicamente, in quanto elemento architettonico noto per nome e per morfologia e consueto nell'edificio di culto. Lo conferma il fatto che nel LP l'abside viene nominata solo quando è veramente necessario, vale a dire per segnalare interventi straordinari in grado di trasformare in modo signifi­ cativo un edificio; oppure, nel caso dei triclinia, per esaltare, in ragione delle de­ corazioni che li abbellivano, il prestigio aulico degli ambienti di rappresentanza nei palazzi del papa. 89 Al primo gruppo appartiene la menzione, ai tempi di Gre­ gorio IV, di un'abside aggiunta alla chiesa di San Giorgio al Velabro;90 oppure la notizia delle modifiche e delle ricostruzioni che interessarono a più riprese l'ab­ side del titulus Callixti/Santa Maria in Trastevere91 o, ancora, ai tempi di Adriano I, il ricordo delle tre absidi di Santa Maria in Cosmedin innestate sulla struttura antica che accoglieva la diaconia intitolata alla Madre di Dio. In questo caso il racconto del redattore tocca accenti epici per descrivere l'eccezionale "messa in sicurezza" della diaconia, minacciata dal maximum mo­ numentum de Tubertinos tufos super ea dependens. L' impresa non solo richiese il concorso, per un anno intero, p/urimae moltitudinis popu/i, ma addirittura il rogo finale delle antiche strutture per ridurle in macerie, guadagnare spazio all'amplia­ mento della chiesa e finalmente costruire a Oriente tre absidi inscritte in un muro rettilineo: una soluzione architettonica originale che segnava una tappa essen­ ziale nella storia di uno dei monumenti più stratificati e complessi del medioevo romano.92 Un altro caso che per la singolarità dell ' intervento è citato dal biografo di Adriano I riguarda l'abside dei Santi Apostoli in via Lata. Essa fu sottoposta a un consolidamento strutturale (confirmavit) impiegando allo scopo canca/isferreis, un termine che potrebbe riferirsi a un dispositivo di tiranti con barre metalliche o di capochiavi e catene. Benché tardiva e graficamente difforme, l 'occorrezza di "canceri" di ferro in documenti trecenteschi del Duomo di Orvieto, dove i dispositivi furono utilizzati per fissare a parete lastre di marmo e "figure", sembra gettare luce sul significato dei più antichi canea/i di Adriano l. Canea/i e "canceri" preludono dunque all' ita­ liano gànghero (cfr. il gr. tardo KcX"fXaÀoç, cardine) che designa propriamente la spina di una cerniera, ma che indica altresi «un grosso chiodo uncinato» o «un arpione di metallo che collega due parti di una struttura architettonica».93 89. Per i triclinia v. LP 98 c. l O (al Laterano, 3 absidi); 37 (al Vaticano, 3 absidi); 39 (al Lat­ erano, 1 1 absidi); LP 103 c. 1 5 (al Laterano, 3 absidi). Da ultimo, Luchterhandt 2014, pp. 1 04- 1 1 3, in part. 108- 1 1 1 e Ballardini 201 5a, pp. 9 1 8-926. 90. LP 1 03 c. 14. 9 1 . LP l 05 c. 60; LP l 06 c. 30 e per il problematico riferimento a un altare post absidam LP 98 c. 40. 92. LP 91 c. 72; Giovenale 1 927; Krautheimer 1 962, pp. 28 1-3 1 0; da ultimo Fusciello 20 1 1 . 93. LP 9 1 c. 50, Ducange è incerto sul significato del termine, v. http://ducange.enc.sorbonne. fr/CANCALUS; il Blaise propone «barreau de fer» v. Lexicon Latinitatis 1 915, p. 1 3 3 ; v. inoltre alla voce gànghero in Battaglia 1 972, VI, p. 580 e http://www.treccani.it/vocabolario/ganghero/. Ringrazio il prof. Adriano Peroni per avermi segnalato i canceri di Orvieto, resi noti da Tigler 2002, pp. 12-25, in part. p. 18.

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Rinviando ai distinti livelli dell'analisi di Sible de Blaauw - definizione e significato di absida come puro elemento architettonico; come spazio interno; come luogo delle decorazioni - mi limito ad alcune riflessioni sull'uso del ter­ mine in relazione ad alcuni contesti monumentali nominati nel Liber.94 La pa­ rola absida corrisponde nel LP a un elemento architettonico ben riconoscibile sia all ' interno sia all 'esterno di un edificio: a seconda dell'occasione narrativa, infatti, i distinti punti di vista del redattore restituiscono un «concetto visivo» dell'abside sia come corpo sporgente all'esterno, sia come spazio concavo (ret­ tileneo o curvo) all ' interno dell'edificio.95 In quest' ultima prospettiva, il signi­ ficato di absida si precisa in rapporto con la sua funzione di spazio riservato e «dedicato». Il caso più suggestivo di absida vista dall'interno si incontra nella biografia di Sisto III96 dove si nomina l' absidam super cancel/os, cum statua beati Lauren­ tii martyris arg. pens. lib. CC. La forma della nicchia absidata con l'immagine memoriale del martire romano è qui plasticamente suggerita dal contestuale rife­ rimento alla statua di Lorenzo che forse era di dimensioni naturali.97 Nel secondo quarto del V secolo, la statua del santo nella nicchia ripropone­ va un sistema espositivo all '"antica": a chi guardasse oltre il recinto dell'altare, la statua d'argento doveva infatti apparire come il fuoco visivo e cultuale del monumento.98 Un caso eccezionale, anzi un unicum, che accerta, almeno fino all 'altezza cronologica del pontificato sistino, l'ammissione a scopo cultuale di figurazioni plastiche (in.fra). Dall'età di Onorio I in poi, diviene invece sempre più frequente la men­ zione di rivestimenti musivi.99 Essi conferivano all 'abside - intesa come sem i ­ calotta - u n sistema decorativo d i immagini bidimensionali e di tituli in versi che, con una perfetta consonanza dei distinti codici espressivi, esaltavano la qualità luminosa evocata anche da Isidoro per spiegare l"'origine" del termine absida (supra). Un altro esempio di abside "vista" dall' interno ricorre nella biografia di Gre­ gorio III (73 1 -74 1 ) quando si nomina l 'oratorio, addossato al pilastro Sud dell' ar94. de Blaauw 2003, pp. 105- 1 14. 95 . Da un punto di vista estenno all'edificio v. LP 53 cc. 8 e 9; LP 91 c. 3 (seconda recen­ sione), v. de Blaauw 2003, p. 1 07 che cita anche confronti con la Charta Cornutiana (a. 47 1 ) per In quale da ultimo v. Geertman 20 1 1 , l, pp. 599-6 1 1 . 96. LP 46 c . 5 , v. anche Geertman 2004c, p . 209 (cum statu); per la collocazione della statun Id. 1 995, pp. 1 25-1 55, ora anche in Geertman 2004b, pp. 87- 1 15, in part. p. 1 00. 97. Se le 200 libbre d'argento (quasi 65 kg e l/2) erano destinate alla sola statua di Lorenzo e se essa era stata realizzata con la tecnica impiegata al tempo di Costantino per le statue degli apostoli e del Salvatore delfastigium lateranense cfr. LP 34, c. 9, il simulacro di Lorenzo dovevn avere dimensioni naturali. 98. Solo come suggestione, si pensi alla statua di Iside-Fortuna nella nicchia absidata del "In· rario" di San Martino ai Monti, rinvenuto nel 1 885 presso una domus tardo antica sull 'Esquilino, v. Liverani 1996, pp. 63-70, in part. 66-67. 99. LP 72 c. 3; LP 13 c. 5; LP 98 c. 9, 10 e 39 (triclinia), 66; LP 100 c. 8, 1 1 , 19; LP 1 03 c. 6, 8, 15 (triclinium); LP 1 05 c. 3 1 .

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co trionfale di San Pietro (iuxta arcum principalem, parte virorum) dedicato dal pontefice al Salvatore, alla Madre di Dio e a tutti i santi.100 Sebbene la forma architettonica del sacello non sia descritta, il redattore men­ ziona un'immagine della Madre di Dio alla quale il papa offre preziosi ornamento e soprattutto arred i, lampade e suppellettili che lasciano immaginare come fosse or­ ganizzato quello spazio liturgico e devozionale. Ne ricaviamo che una pergu/a era posta davanti a un altare con confessione che, libero sui quattro lati, consentiva la celebrazione ad Orientem, cosi come avveniva per l'altare maggiore della basilica. Sopra all'altare era sospeso un lampadario a corona. mentre una lampada a calice pendeva nell "'abside": ca/icem argenteum qui pendit in absida oratorii. Il fatto che la lampada fosse appesa induce a ritenere che l'absida fosse profonda a sufficienza e che lì si trovasse l'immagine della Madre di Dio alla quale Gregorio III era devoto. Purtroppo pochi sono gli indizi che abbiamo per ricostruire l 'aspetto di questa "abside" dell'VIII secolo. La vicenda plurisecolare dell'oratorio è infatti complessa e stratificata e seguirla fino al suo smantellamen­ to, avvenuto nel 1 507, richiede una lettura attenta e paziente delle fonti medievali e di età modema. 1 0 1 Dell'antico oratorio sono pervenuti solo due documenti grafici, la cui inter­ pretazione non è priva di difficoltà. Si tratta dell' icnografia della basilica Vaticana di Alfarano (nelle diverse edizioni)1 02 e di una celebre veduta da Est della navata dell'antico San Pietro di Maartin van Heemskerck (Berlino, Kupferstichkabinett, 79 D 2a, f. 52r, 1 532-36). IoJ Alfarano nella sua planimetria, edita nel 1 590, segna lungo il lato E del pi­ lastro dell'arco trionfale una rientranza poco profonda e quasi rettangolare (v. nella pianta al n. 38), mentre Heemskerck, in corrispondenza dei resti del pilastro, abbozza una struttura arcuata. A questo punto, ci si potrebbe domandare se l'ab­ sida nell'oratorio di Gregorio III fosse davvero un emiciclo con catino o invece avesse la forma di una nicchia a fondo piano: in effetti le indicazioni di Alfarano (in pianta) e di Heemskerck (in alzato) non paiono tra loro in contrasto se le inter­ pretiamo come la rappresentazione di una nicchia a scarsella. Non abbiamo però alcun elemento per ritenere che la nicchia disegnata negli anni Trenta del Cinque­ cento risalisse all'età alto medievale. Da un punto di vista strutturale, la creazione di una nicchia del genere comportava un intervento molto delicato, andando a intaccare un pilastro portante dello spessore di 2 m. Ritengo più ragionevole che nell'VIII secolo ci si fosse limitati a costruire un archivolto addossato al pilastro, 100. LP 92 c. 7; per l'oratorio di Gregorio III, v. De Blaauw 1 994b, pp. 571-572; 596-597; 66 1 -664; Bauer 1 999, pp. 385-446, in part. pp. 425-432; e Bauer 2004 pp. 53-58. 1 0 1 . Lo ha fatto de Blaauw 1 994b, pp. 5 7 1 -572; 66 1 -664 e 702-705. 102. Alfarano (ed. 1 959), tavv. I e II; Silvan 1 989-1 990, pp. 3-23; Ballardini 2015b, pp. 38-43. 103. La veduta della navata maggiore della basilica di San Pietro, ingombra del cantiere nuovo e del tegurium bramantesco, è copia autografa da un originale (perduto) di Heemskerck (Berlino, Kupferstichkabinett, 79 D 2a, f. 52r). Una replica di questo disegno è segnalata presso il Soane Museum di Londra, v. Hillsen (a cura di) 1 9 13-19 16, II, pp. 32-33 e fig. 62; Filippi 1 990, p. 1 03 n. 3 1 .

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sostenuto anteriormente da due colonne. 104 L'immagine della Madre di Dio, illu­ minata dalla lampada a calice, poteva dunque trovarsi al riparo dell'arco. Questa ipotesi sembra coerente anche con un altro dato: stando alle parole del biografo, l' immagine della Vergine non era un dono del papa, egli infatti si era limitato a offrirle dei preziosi ornamenti ovvero «diademam auream in gemmis et collare aureum in gemmis cum gemmis pendentibus, inaures habentes iacin­ thias sex>>. È dunque plausibile che si trattasse di un'immagine dipinta ab antiquo sulla parete del pilastro105 e che l'omaggio del papa avesse trasformato la Madre di Dio in una Maria Regina o avesse voluto esaltarne gli attributi iconografici con una parure di veri gioielli: lo stephanos, gli orecchini e il maniakion con gli amandilia ovvero gli insignia regali esibiti anche dalla Madonna della Clemenza venerata in Santa Maria in Trastevere. 1 06 A Roma neli' alto medioevo la soluzione di un arco (o di un fastigio) sostenu­ to da colonne e addossato a una parete per onorare un'immagine venerata non era inusuale. Un caso particolarmente interessante che risale ai primi anni dell'V I l i secolo è segnalato da Bauer nella parete Sud del cd. presbiterio di Santa Marin Antiqua dove attorno a un' immagine della Vergine era stata creata un'edicola con queste caratteristiche. 107 Limitando alla basilica di San Pietro la ricerca di casi confrontabili con l'oratorio di Gregorio III, già al principio dell'VIII secolo, nel lu navata settentrionale della basilica, papa Giovanni VII (705-707) aveva costruito un oratorio in onore della Theotokos. In questo caso un arco monumentale fu addossato alla controfacciata e sostenuto da una coppia di colonne vitinee e l'al­ tare sottostante fu anch'esso appoggiato alla parete per garantire la celebrazione ad Orientem. Al di sopra dell'arco, in un più articolato programma iconografico a mosaico, l' immagine della Theotokos (Maria Regina) occupava una nicchia u fondo piano. 108 Giovanni VII aveva destinato l'oratorio alla propria sepoltura. prescrivendo di essere sepolto ai piedi della Vergine (sub pedibus Dominae), cioè davanti all'altare e idealmente sotto lo sguardo della Theotokos. Questo precedente non era certo passato inosservato a Gregorio III. Se infatti coglie nel segno l'ipotesi di Sible de Blaauw secondo il quale Gregorio si era fatto tumulare ai piedi del pilastro meridionale dell' arcus maior (lato Est), anche questo papa aveva scelto di riposare sotto lo sguardo della Theotokos qui effigiata. 1 09 1 04. In tal caso, è plausibile che la nicchia a scarsella disegnata da Martin van Hemskerck e la rientranza indicata sulla pianta da Alfarano fossero il frutto di un intervento di età modemu. anteriore al 1507. 105. «[ . . . ) erat quoque eius iussu [Gregorii ill] in pariete ipsius oratorii depicta imago beatuc Mariae filium amplexantis», cosi Vegio (ed. 1 953), p. 393, tuttavia non è chiaro se Vegio aves�c visto con i suoi occhi l'immagine e se essa fosse la stessa venerata ai tempi dal tempo di Gregorio m, v. Ballardini 201 5b, pp. 70-74. 1 06. Per gli insigna v. Bertelli 1 96la, pp. 66-70. 1 07. Bauer 1 999b, pp. 4 1 0-4 1 1 . 1 08. V. LP 8 8 c. l ; in questo caso la nicchia con l'immagine della Theotokos era ricavata nel più poderoso muro della controfacciata v. Ballardini 20 1 1 , pp. 94- 1 1 6, in part. p. 99. Ballardini, Pagliani 20 13, pp. 1 90-2 13, figg. I O, 1 1 -13. 1 09. de Blaauw 1 994b, pp. 663-664.

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Un caso alto medievale, ancora esistente, dimostra l'urgenza e il significato della devozione alla Vergine in contesti funerari di patrocinio papale: si pensi all'arcosolio di Teodora episcopa nell'oratorio di San Zenone a Santa Prassede: qui la madre di papa Pasquale I (8 1 7-824) riposava nella nicchia del sacello, vegliata dalle immagini a mosaico della Theotokos, delle sante Prassede e Puden­ ziana e, nell'intradosso dell'arco, dalla figurazione dell'Anastasis. 110 Tornando alle questioni lessicali poste dal Liber e al caso deli' oratorio di Grego­ rio m in San Pietro, se davvero l'immagine della Theotokos era al riparo di un arco addossato al pilastro, in asse con l'altare e la relativa pergula, dobbiamo concludere che nel LP il lemma absida non indichi esclusivamente una struttura a emiciclo e ca­ tino o a scarsella, ma designi la "funzione di absida'' assolta da strutture architettoni­ che di morfologia diversa. Nel rispetto di una concezione ordinata e gerarchica dello spazio liturgico, sembra infatti che il redattore designi l' absida innanzitutto come asse ottico deli' oratorio e del suo sistema decorativo, mirando a una comunicazione efficace che non lasciasse dubbi sulla disposizione degli arredi e delle immagini da venerare. Nella pratica del culto, ma anche nell'immaginario e nelle parole del redat­ tore, ogni oratorio si configurava cosi come «una basilica completa in miniatura» .111 La peculiarità degli oratori come spazi - di medie o piccole dimensioni riservati al culto è inscritta negli stessi lemmi oratoria e oracula che nel LP definiscono ambienti creati all' interno (o anne ssi) ad edifici di culto o residen­ ziali. 11 2 Gli oratoria, che si moltiplicavano come centri liturgici e devozionali secondari, 1 13 nei casi appena descritti assolvevavo anche una funzione funeraria. Tra devozione e uso funerario, si sarebbe dunque stabilita una connessione, a volte programmatica e altre volte spontanea, visto che la compresenza di reliquie e di immagini venerate garantiva ai privilegiati sepolti in quell'area i vantaggi di un regolare ufficio liturgico, l l4 Lo spazio dell' oratorium assicurava in effetti tanto ai morti come ai vivi una relazione più intima e personale con il divino. Isidoro di Si vi glia, usando le parole di Agostino, afferma che l'oratorio è orationi tantum consecratum cioè è un luogo in cui «nessuno deve far altro all'infuori di ciò per cui è stato costruito, donde anche il nome»Y 5 Nel suo esercizio etimologico, l'ispalense evoca però un'altra associazio­ ne suggestiva quando accosta al lemma oratorium quello di oraculum, termine che anche nel LP figura come sinonimo di oratorium. Gli oracoli, scrive Isidoro, «sono stati così chiamati in quanto luogo in cui si danno responsi, il termine ora­ culum, quindi deriva ab ore, ossia dalla bocca». A questo proposito, vale la pena 1 10. Mackie 1 989, pp. 1 72- 1 99, in part. pp. 1 83-1 87. 1 1 1 . de Blaauw 2003, p. 1 1 1 . 1 12. De Santis 200 1 , pp. 5 1 -53. 1 13. Sugli oratoria come «centri liturgici secondari» v. Bauer 1999b, Mackie 2003 e da ulti­ mo Judson J. Emerick che parla del complesso Vaticano come «many churches in one», v. Emerick 2005, in part. pp. 50-57. 1 14. Herklotz 200 1 , in part. p. 66; il servizio liturgico nell'oratorio di Gregorio m era regolato dalla charta lapidaria affissa nel sacello, v. Bauer 1999b, pp. 425-432. 1 1 5. V. lsidoro, Ethym., XV, 4, 3-4; cfr. http://ducange.enc.sorbonne.fr/ORATORIUMl .

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rammentare un celebre passo del Liber che narra dell'apparizione di santa Cecilia a papa Pasquale I, assopitosi presso la confessione di San Pietro durante l'ufficio notturno. Confermando di avere doti di eccellente narratore, 1 16 il biografo sceglie qui la forma drammatizzata del discorso diretto. Cecilia si presenta al pontefice rimproverandolo di aver desistito dalla ricerca della sua deposizione e di essersi rassegnato alle dicerie ingannevoli che volevano il corpo della santa trafugato ad opera dei Longobardi. E invece, osserva Cecilia, durante le sue ricerche, il papa si era così tanto avvicinato al luogo della sepoltura che i due avrebbero potuto parlare proprio invicem ore: è dunque questo dialogo a tu per tu con i santi ciò che definisce l' oratorium, luogo abitato dalle reliquie e dalle immagini sacre. La stessa dimensione individuale ed esclusiva della preghiera distingue an­ che l' oratorium inteso come tappeto sul quale inginocchiarsi o prosternarsi. 1 1 7 L' Ordo Romanus I ne esemplifica bene l'uso quando, descrivendo la cerimonia dell' introitus, si dice che il papa, giunto in prossimità dell'altare, si raccoglie in preghiera davanti ad esso inginocchiandosi sull' oratorium predisposto dal quar­ tus scholae.U 8 L'accenno agli oratoria e alla moltiplicazione degli spazi liturgici secondari - che nel LP sono spesso designati semplicemente come a/taria - indu­ ce a riflettere su una fenomenologia dell'edificio di culto alto medievale e medie­ vale che sfugge in parte alla mentalità moderna. Né d'altro canto disponiamo di informazioni storicamente circostanziate sul nesso tra oratoria e lo sviluppo della missa privata o su una maggiore o minore accessibilità di questi spazi alla comu­ nità dei fedeli. Va tuttavia ribadito come oratoria/oracula e a/taria, pur nel la loro varia morfologia di spazi chiusi (da veri e propri muri) o semi-chiusi (mediante septa, pergulae e ciboria) rispettassero in ogni caso la rituale separazione tra laici e religiosi e tra uomini e donne che vigeva all' interno dell'edificio di culto.

2. Del presbiterio

Nell'organizzazione gerarchica e ordinata dell'aula di culto, lapergula as­ solveva una funzione specifica delimitando architettonicamente gli spazi riser­ vati al clero che serviva e officiava il rito. Se, come ha scritto Lucien Fevrc, «vale sempre la pena di fare la storia di una parola» il caso di pergula è davvero istruttivo. 1 19 Nelle sue attestazioni nel LP, pergula si qualifica infatti come un vero e proprio neologismo semantico nato in seno alla basilica di San Pietro. I l fenomeno è interessante perché - come spicca anche dalla frequenza di no m i e di cose collegati a San Pietro in questa Nota - nei secoli dell'alto medioevo 1 1 6. Si rilegga nella stessa biografia l'episodio dell'incendio della scho/a saxonum v. LP 100 c. 7. 1 1 7. V. Jungmann 2004, p. 6 1 , nota 12. 1 1 8. V. Andrieu 1 97 1 , p. 83 e pp. 38-5 1 per la datazione dell'OR 1: «non prima degli ultimi anni del VII secolo)), forse agli anni di pontificato di Sergio I (687-70 1 ). 1 19. «Vale sempre la pena di fare la storia di una parola: breve o lungo, monotono o vario i l viaggio è sempre istruttivo)) v. Fevre 1 966, p. 5. ,

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la basilica Vaticana è stata l'edificio di culto che maggiormente ha attratto il patrocinio dei pontefici. Dalla sua fondazione e in particolari circostante storiche - segnatamente du­ rante i pontificati di Simmaco; di Gregorio Magno; di Leone Magno; di Gregorio III e di Leone III - quello di San Pietro è stato infatti un cantiere di sperimen­ tazioni e di innovazioni architettonico-funzionali e iconografiche. Nella storia dell'edificio di culto cristiano, anche in virtù della sua ininterrotta vitalità devo­ zionale, la basilica dell'apostolo si è affermata come un vero e proprio "modello", nel corso del medioevo eguagliato, per fortuna e per valore esemplare, dal solo Santo Sepolcro. 120 Tornando alla parola pergula, l'origine del suo significato è stata fatta risalire al mondo agrario che in gergo tecnico indicava con questo termine «l 'impalcatura l ignea a sostegno delle viti». 121 Oltre a questo significato il termine può tuttavia i ndicare anche uno sporto, una loggia o un poggiolo. 122 Si osservi che nella lingua volgare pergola ha mantenuto, come primo significato, proprio quello di impal­ catura per le viti e per le piante rampicanti'23 e che il lessico botanico antico com­ prende addiritura una varietà di uva pergola o pergolese. 124 Nel LP il termine fa la sua comparsa durante il pontificato di Gregorio III (73 1 -74 1 ) a proposito del già menzionato oratorio dedicato al Salvatore, alla Madre di Dio e a tutti i santi. 125 Il redattore nomina la pergula senza precisazioni di sorta, segno che la parola aveva già un significato specifico e una consuetudine d'uso. Ci si limita a riferire che la pergola viene messa in opera (faciens pergulam) e che le vengono destinati gli ornamenti consueti e appropriati (cetera quae in ornamento pergule). Potremmo pensare che proprio gli oggetti appesi all' impalcatura (lampade, turiboli etc.) abbiano suggerito il paragone con un traliccio per le piante rampi­ canti. Il fatto però che la prima occorrenza del termine nel LP indichi un arredo di San Pietro induce a considerare un'altra possibilità. Proprio a Gregorio III dobbiamo il raddoppio delle sei colonne (columnas vitineas) che, portate de Gre­ cia da Costantino per monumentalizzare la sepoltura dell'apostolo, vennero alli­ neate davanti al nuovo podio absidale in occasione del riassetto dell' intera area promosso da Gregorio Magno.126 A ben vedere - nelle rispettive varianti - già in età costantiniana (si veda la cassetta di Samagher) e poi con Gregorio Magno, il 120. Salvarani 2008. 1 2 1 . Cfr. Walde 1906, p. 554, nota 220. 122. Con il significato di loggia ricorre in un celebre episodio narrato da Plinio che ha per protagonista Apelle « [ . . . ] perfecta opera proponebat in pergula transeuntibus [ . . . ]», v. Gaio Plinio Cecilio Secondo, Nat. Hist. , 35, 84. 123. V. alle voci pergola e pergolato in Battaglia 1 986, Xlll, p. 22. 1 24. http://ducange.enc.sorbonne.fr/PERGULA3; cfr. Targioni Tozzetti 1 809, II, p. 1 05. 125. LP 92 c. 7. 1 26. LP 34 c. 16; nella biografia di Gregorio m le colonne vitinee sono definite onichinae voluti/es, v. LP 92 c. 5; in quella di Leone m (795-8 16) sono definite volti/es v. LP 98 c. 54: la fog­ gia ad asse elicoidale del fusto, frutto di una notevole perizia tecnica, era di per sè una caratteristica eccezionale v. Nobiloni 1 997, pp. 8 1 - 142, in part. pp. 126- 1 27, figg. 7 1 e 72, da ultimo La colonna santa 20 15.

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coronamento di architravi delle prime sei colonne vitinee aveva creato avant la /ettre una pergu/a. 121 A sua volta, Gregorio III , con un'iniziativa degna del suo illustre eponimo, era riuscito a ottenere dall'esarca Eutichio altre sei colonne di analoga fattura che il pontefice fece disporre a Est delle prime sei colonne vitinee (iuxta alias antiquas sex .filopares) e coronare con una trave rivestita in laminn d'argento con figure cesellate.' 28 Per le loro peculiari caratteristiche, attorno alle dodici colonne vitinee, nei secoli è cresciuto un vero e proprio mito. Nella basi­ lica esse hanno sempre occupato un posto d'onore e la loro specialissima fonnn è divenuta quasi l'emblema della vicenda millenaria di San Pietro, al punto du ispirare la "macchina" barocca del baldacchino berniniano. 129 Basta leggere la de­ scrizione che delle colonne vitinee ha lasciato il Filarete per cogliere, nel suo tono amm irato, il carattere di eccezionalità di queste opere scultoree e per riconoscere le ragioni di un ampliamento semantico del termine pergula che - ancora oggi è il più appropriato per designare, in un edificio di culto occidentale, la trabeazione sorretta da montanti verticali che delimita il santuario. 1 30 Queste le parole del Filarete: -

Se mai v 'andate [a San Piero di Roma], guardate quelle [colonne] [ . . . ] che son fatte in strana forma. Credo che colui che le fe' le traesse da qualche arbore che lui forse vid­ de, che su per lo pie' andava ellera, la quale forma prese e adattolla a quelle colonne. E forse c'era su ucce lli e altri animali, come che molte volte se ne vede [ . . . ]. Si che piacendo a colui, l'adattò, come ho detto a queste colonne, le quali stanno molto bene: e fu vantaggiato maestro colui che le fe' . Dicono alcuni che vennono di Gerusalem. n 1

È nella biografia di Leone III che il termine pergula è finalmente impiegato per designare l' insieme delle colonne vitinee e delle rispettive travi. Alla pergula più interna (ante altare) Leone destina diciotto gabatas.fundatas . . . ex auro puris­ simo cum gemmis.132 Anche questo corredo di lampade d'oro zecchino e gemme, ribadisce come i dodici fusti elicoidali percorsi dai racemi di vite segnalassero ad limina Petri la soglia paradisiaca del santuario. Quanto all' idea di Gregorio Magno di disporre le prime sei colonne vitinee su un'unica fila davanti al podio 1 27. Nessuna fonte contemporanea a Gregorio Magno riferisce di questa trave, tuttavia nel h1 biografia di Sergio I (687-70 1 ) si nomina come già esistente una trabes ad ingressum confessioniJ, v. LP 86 c. 1 1 , cfr. De Blaauw 1 994b, pp 553-555; per il più antico assetto costantiniano, ibidem, pp. 475-477. 1 28. LP 92 c. 5. 1 29. Nobiloni 1 997; Ward Perkins 1 952, pp. 2 1 -33; Kinney 2005a, pp. 1 6-47, in part. pp. 2 3 · 24 e pp. 30-3 1 ; da ultimo Gauvain 201 5, pp. 4-35; per il mito v. Tuzi 2002. 1 30. Il termine iconostasi indica in contesti storici e culturali peculiari (i.e. la chiesa ortodossu russa del XVI secolo) una barriera presbiteriale con funzioni distinte. L'iconostasi è uno schennu opaco che nasconde il santuario, pertanto è improprio designare con questo termine tanto lapergula in Occidente quanto il templon delle chiese proto bizantine, v. Walter 1 97 1 , pp. 25 1-267. 1 3 1 . n Filarete descrive qui le colonne vitinee in opera nell'oratorio di Giovanni VII sim i l i ma distinte dalle dodici della pergula, v. Averlino detto il Filarete 1 997, pp. 86-87. Per la coppiu di colonne vitinee in opera dall'inizio dell'VIII secolo nell'oratorio di Giovanni VII, v. Ballardini 20 1 0, pp. 99- 1 00 e Gauvain 20 1 5, pp. 20-22. 1 32. LP 98 c. 34.

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absidale, è stata avanzata l' ipotesi che il pontefice si fosse ispirato non solo al mo­ numentalefastigium donato da Costantino alla basilica Lateranense, ma anche al templon che a Santa Sofia e negli edifici di culto della prima età bizantina segnava su tre lati il perimetro del santuario. 133 In effetti, nella sua prolungata permanenza a Costantinopoli come apocrisario del papa, Gregorio doveva aver maturato una certa familiarità con i dispositivi liturgici in auge in età giustinianea. 134 In ben altra congiuntura storica, segnata dal deflagrare in Oriente della prima crisi iconoclasta, Gregorio III conferma di seguire deliberatamente (e forse pro­ vocatoriamente) lo stesso modello: come nel rivestimento d'argento della trave del templon della Santa Sofia giustinianea, infatti, egli fa cesellare nella trave della pe�XUla di San Pietro, ab uno . . . et ab a/io /atere, le immagini di Cristo e degli apostoli e della Madre di Dio e delle sante vergini, ponendovi al di sopra numerose lampade. m Di queste, alcune vengono chiamate /ilia, termine che sug­ gestivamente evoca le lampade ad albero che, secondo la descrizione di Paolo Silenziario, coronavano il templon della Santa Sofia. 136 Quanto al fastigium lateranense, ai tempi di Gregorio Magno, esso doveva aver perso, almeno in parte, l'originario fasto monumentale, essendo ormai privo del corredo di statue d'argento a dimensione quasi naturale che ai tempi di Co­ stantino lo coronava. 137 Dallo studio di Ursula Nilgen in poi, le diverse ipotesi ricostruttive che sono state avanzate sulla più importante dotazione costantiniana della basilica Salvatoris hanno indotto a immaginare ilfastigium tutt'uno con le quattro colonne di bronzo dorato, ancora oggi in opera nell'altare del Santissimo Sacramento al Laterano. 138 Non va tuttavia trascurato che il termine fastigium designa propriamente un elemento sommitale139 e che l'elenco dei doni dell' imperatore, trascritto nel LP, omette ogni riferimento alle imponenti colonne di bronzo. Il passo nomina infatti solo ilfastidium argenteum battutilem, specificando il peso del suo rivestimento prezioso (2025 libbre) e il numero, il soggetto e il peso (in tutto 1 760 libbre) delle diciassette statue (Cristo, Apostoli e Angeli) che recto e verso erano collocate al 133. de Blaauw 1994b, pp. 554-555. 1 34. Boesch 2000a. 135. Per le imagines clipeatae cesellate nell'argento che rivestiva la trave del templon di San­ ta Sofia nel VI secolo, v. Xydis 2005, pp. 1 8 1 - 1 83. 1 36. Le lampade della recinzione presbiteriale di Santa Sofia sono paragonate da Paolo Si­ lenziario a « luminose infìorescenze [ . . . ] si potrebbero chiamare alberi [ . . . ]», v. Paolo Silenziario, Descrizione della Santa Sofia, vv. 871-883, traduzione, commento e proposta ricostruttiva di Fo­ belli 2005, pp. 89 e 163, figg. 28 e 38; per il significato di lilium, v. http://ducange.enc.sorbonne. fr/LILIUM.

1 37. Geertman ritiene tuttavia che nella drammatica congiuntura del 4 1 0 le statue delfastigi­ siano state messe in salvo e, una volta scampato il pericolo, ricollocate al loro posto. Li, secondo lo studioso, sarebbero rimaste fino al IX secolo inoltrato, v. Geertman 2003b, p. 36. 138. Nilgen 1 977, pp. 1 -3 1 ; e inoltre Liverani 1995, pp. 75-99. 139. «Un oggetto in alto o in posizione elevata, di forma obliqua ma anche orizzontale» cosi Geertman compedia la vocefastigium di Georges 1 9 1 3 (ris. Dannstadt 1 998), l, coli. 2695-26%, v. http://www.zeno.org/Georges- 1 9 1 3/A/fastigium; cfr. Geertman 2003b, p. 34 e p. 4 1 nota 5 . um

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sommo. 140 Ricorrendo a una sineddoche, è possibile che il redattore nominasse la parte - anche iconograficamente più connotata - per intendere l' intera struttura, colonne bronzee comprese. 141 Sta di fatto che il termine fastigium, in un'altra occorrenza, è usato nel LP nel suo significato originario, quello cioè di elemento in posizione elevata. Nella biografia di Leone III (795-8 1 6) si nomina infatti un' immagine dipinta del Salvatore dotata di sportelli (cum regiis) che viene collocata nella basilica di San Pietro in fastigio sub arco maiore. 142 E da escludere che il redattore inten­ desse la pergula perché, come si chiarisce in altro luogo, l' arcus maior o arcu,\' principalis era certamente l'arco trionfale e come tale era spostato di alcuni metri verso Est rispetto alle colonne vitinee. 143 In questo caso il fastigium è dunque du identificare con la trave sottesa all'arco trionfale che ai tempi di Leone III venivu usata anche per appendere dei lumi. Sempre ai tempi di Leone III, prestigio e funzioni analoghe doveva averle, nella basilica di San Paolo, la trabem maiorem qui est sub arco principali. Per essa il redattore non spende il nome "all'antica", sebbene alla grande trave vengu riservato un trattamento degno dell'anticofastigium costantiniano e cioè un rive­ stimento di 1 452 libbre d'argento purissimo (oltre 475 kg).144 A questo punto è lecito chiedersi quale memoria avesse lasciato di sé ilfas ti­ gium lateranense e il suo corredo di statue per essere citato, a distanza di secoli, con la competenza dovuta. È verosimile che, in questo caso, il Liber Pontifica/i,,· sia stato fonte di se stesso: la biografia di Silvestro e in essa il libellum che elencu i doni elargiti da Costantino -fastigium in testa - avrebbe dunque suggerito il recupero antiquario del nome in linea con una motivazione ideale consona allo spirito dei tempi. 145 In controtendenza con l'estemporanea ripresa del termine, tra VIII e IX seco­ lo, l'anticofastigium costantiniano al Laterano, perduto da tempo il suo prezioso coronamento di statue, aveva visto affievolire l'originaria connotazione imperiale a vantaggio della funzione di pergula che, anche nei secoli a venire, avrebbe contribuito a salvaguardare l'antico allineamento, davanti all'altare, delle quattro colonne di bronzo dorato. 146 A distanza di secoli dall'allestimento del fastigium Lateranense e della per­ gula Vaticana, è Pasquale I (8 1 7 -824) che, a Santa Maria Maggiore e a Santu 140. de Blaauw 1 994b, pp. 1 19-126 e figg. 2 e 3; Id. 200 1 , pp. 137- 1 46. L'aggettivo battuti/i,\', v. http://ducange.enc.sorbonne.fr/BAITUERE#BAITUERE-3, indica la tecnica della martellaturu usata per i metalli preziosi (oro e argento) ma anche per il rame e il bronzo. La martellatura e lo sbalzo sono descritti da Teofilo v. Teofilo, De diversis artibus, 3, 74, cfr. http://archive.org/detaiiN/ theophiliquietruOOtheouoft 1 4 1 . Cfr. de Blaauw 200 1 c, p. 142. 142. LP 98 c. 3, v. de Blaauw 1994b, p. 178. 143. Cfr. LP 92 c. 6. 144. LP 98 c. 59. 145. de Blaauw richiama l'attenzione sul passaggio del terminefastigium da contesto origi­ nario (il Laterano) alla basilica di San Pietro v. de Blaauw 1 994b, pp. 560-56 1 . 146. V. de Blaauw 1 994b, pp. 1 77-1 78, che cita fonti d i X , XI e X II secolo.

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l)rassede, ricapitola e aggiorna nel prospetto monumentale davanti all'altare le funzioni e i significati che sono alla sua origine: quello di perspectiva onorifica e glorificante, già dell'antico fastigium e quello di soglia monumentale, peculiare del templon bizantino. In linea con la tradizione e lo spirito distintivo della liturgia romana, anche nell'alto medievo il «sistema espositivo» del prospetto monumentale con colonne si conferma come diaframma che non preclude lo sguardo, ma al contrario defi­ nisce un fuoco ottico di eccezionale suggestione: l'asse verticale dell'altare/con­ lessione e, nell' apex dell'abside, del trono del papa. 147 Pertanto a Santa Prassede le colonne acantine di reimpiego e la raffinata trabeazione marmorea "a cavetto" realizzata dagli scultori di Pasquale I, citavano in modo originale la pergula Va­ licana, mentre a Santa Maria Maggiore le colonne porfiretiche (di oltre 6 m di a ltezza) e l'architrave di marmo (candidi marmoris trabem), per l'aulicità dei materiali e le dimensioni del prospetto, rinnovavano la connotazione glorificante propria delfastigium costantiniano. Sempre un modello aulico aveva ispirato al pontefice il restyling della catte­ dra di Santa Maria Maggiore, arretrata nell'apex dell'abside, realizzata in marmi pregiati e innalzata su gradini («sedem optime quam dudum fuerat pulcherrimis rnarmoribus decoratam condidit et undique ascensus quibus ad eam gradiatur construxit»). 148 Se in questo caso è plausibile l' ispirazione a un modello scritturi­ stico - ma sempre del trono di un re si tratta: quello su gradini di Salomone ( l Re, l 0-20) , le parole del redattore, spiegando le ragioni pratiche dello spostamento della cattedra, manifestano la volontà del dominus pontefice di evitare ogni pro­ miscuità con i fedeli (consortia populorum modeste declinare). 1 49 Tralasciando le implicazioni che derivano dall'esegesi di questo celebre pas­ so, quello che il redattore comunica con grande chiarezza è che nel medioevo l'aula di culto era uno spazio nel quale la circolazione dei fedeli non era libera, ma ordinata alle esigenze della liturgia e vincolata a una rigida gerarchia sociale e di genere. Vigeva pertanto una precisa separazione del clero dai laici, degli ari­ stocratici dal resto del popolo e degli uomini dalle donne.150 Allo scopo, un sistema di segnalazioni architettoniche e di consuetudini per­ metteva a chiunque entrasse in una basilica di individuare il posto che gli spettava durante la celebrazione del rito. Sia pure in altro contesto, questo modello di com­ portamento è ben riconoscibile, nella biografia di Stefano Il, ove si narra il rientro in città del papa dopo un lungo soggiorno presso la corte di Pipino il Breve. Non è casuale che il redattore racconti l'accoglienza riservata al papa come un episodio -

147. Emerick 2000 (200 1 ), pp. 129- 1 59, in part. pp. 1 42- 1 5 1 e figg. 1 0- 1 3 . 148. LP 1 00 cc. 30-3 1 . Per l a disposizione alto medievale dell'"alto coro" d i Santa Maria Maggiore con podio e cripta anulare v. gli argomenti di de B1aauw 1 994b, pp. 382-394. 149. Deér 1 959, pp. 139- 1 40. Pasquale I inaugura a Santa Maria Maggiore una tendenza che, dalla fine dell'XI secolo, ha contribuito a definire le cattedre dai pontefici romani come una catego­ ria a se stante, v. Gandolfo 1 974- 1 975, pp. 203-2 1 8 ; Id. 1 993, pp. 497-505. 1 50. Almeno dai tempi di Bonifacio (4 1 7-422) le donne, anche le diaconisse, erano escluse da ogni servizio dell'altare come toccare o lavare la palla e porre l'incenso in chiesa v. LP 44 c. 5.

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di "festosa anarchia". Appena fuori le mura, Stefano trova infatti ad accoglierlo i sacerdoti che agitano le croci e innalzano canti di ringraziamento e «similiter multitudinem promiscuo populorum turbam, tam virorum quamque mulierum» , segno che anche l e processioni ufficiali e pubbliche richiedevano d i norma i l ri­ spetto di una separazione del clero dai laici e degli uomini dalle donne. m Il biografo di Gregorio IV offre un'ulteriore testimonianza quando descrive la riorganizzazione dell'antico titulus Callixti/Santa Maria in Trastevere che, an­ cora nel secondo quarto del IX secolo, conservava l'assetto arcaico ereditato dal i n sua lunga vicenda cultuale. I corpi santi di Callisto, Cornelio e Calepodio, infatti, erano ancora dislocati nella navata sud (in meridiana plaga). L'altare si presen­ tava, senza alcun tipo di sopraelevazione, quasi a metà della navata maggiore (in humili loco . . .pene in media testudine) ma soprattutto fastidiosamente esposto dn ogni lato alla vicinanza dei fedeli (circa quod plebs utriusque sexu.� conveniens). Il pontefice era pertanto costretto a celebrare i sacri misteri con il clero mescolato confusamente ai laici (cum clero plebi confuse inmixto). Il radicale intervento comportò innazitutto la traslazione delle reliquie nell'ab­ side (in occidentali plaga . . . hoc est in ambitu abside) e la creazione, a partire dal de­ posito dei corpi santi, di un podio rivestito di marmi pregiati (comptum miris lapi­ dibus tribuna/ erigens decoravit) che integrava l'altare e la sottostante confessione a un sistema di rampe di scale. Davanti al podio venne inoltre costruito un recinto presbiteriale (presbyterium) accosto al quale - ma dalla parte della navata setten­ trionale (ex septentrionali plaga) - fu realizzato un secondo septum circondato dn plutei per accogliere le donne di rango (lapidibus circa septum matroneum). 152 Altri passi del LP confermano come nell'edificio di culto uomini e donne occupassero aree distinte, ovvero la pars virorum e la pars mulierum. 1 53 Nel caso appena esaminato di Santa Maria in Trastevere e nelle chiese con abside a oc­ cidente, le navate riservate alle donne erano le settentrionali e quelle riservatl' agli uomini le meridionali. Le fonti, anche iconografiche, sembrano infatti con­ fermare che anticamente la posizione orientata del celebrante all'altare fosse d i riferimento anche per l'ordinata disposizione dei fedeli: gli uomini alla destra del celebrante e le donne alla sinistra. La stessa partizione è documentata a San Pietro e a Santa Maria Antiqua (che hanno l'abside a occidente e a Sud-Ovest); viceversa, sempre a Roma, indicano un' inversione delle partes i mosaici dell'oratorio di San Zenone in Santa Pra!l­ sede154 e, per citare un caso particolarmente esplicito, sebbene in altro contesto, 1 5 1 . LP 94 c. 38 .. ; cfr. il resoconto di Gregorio di Tours sulla litania septifonnis indetta dn Gregorio Magno (590) riferito da Parlato 2002, pp. 55-72 in part. 58-59. 1 52. LP 1 03 c. 32. 153. LP 86 c. I l ; LP 92 c. 6; LP 97 c. 84; LP 98 c. 54. 154. L'altare di San Zenone è addossato alla parete Nord-Est. L'"orientamento" simbol ico della cappella è potenziato dalle figure a mosaico della Vergine e di Giovanni Battista che af· fiancano la monofora che illumina il sacello. Per questo schema iconografico che ricorre alla luce naturale come figura del divino v. L'Orange 1 976, pp. 1 9 1 -202, in part. 1 95-196; Pace 2000, pp. 1 05- 123, in part. p. 1 20 e lacobini 2003, pp. 63-76, in part. p. 72.

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i mosaici di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna (con abside a oriente) dove la teoria delle Vergini e dei Martiri paiono vere e proprie «proiezioni dei fedeli>>. m Il biografo di papa Sergio (687-70 1 ) è il primo a usare l'espressione topografìca pars mulierum per indicare il settore settentrionale di San Pietro, quando ricor­ da che il papa aveva destinato un' imaginem auream dell'Apostolo alla «parte delle donne».156 Un secolo più tardi, il biografo di Leone III menziona un' imma­ gine di san Pietro collocata nel vestibolo dell'altare e un'altra immagine, sem­ pre dell'Apostolo, destinata dal pontefice alla «parte degli uomini», inducendo a ritenere che nell'aula di culto si seguisse un criterio nella distribuzione delle immagini, anche moltiplicando i medesimi soggetti per soddisfare le esigenze devozionali dei distinti gruppi di fedeli. 1 s1 Quanto agli spazi riservati al clero, l'esame dei termini che nel LP li designa­ no permette una riflessione - qui limitata all'alto medioevo romano - su alcune abitudini lessicali diffuse tra i moderni storici dell'arte.158 Iconostasi, presbiterio e seho/a cantorum sono infatti i termini generalmen­ te impiegati per designare, nell'ordine: l ) lo schermo di colonne e trabeazione allineato davanti all' altare; 2) l'area dell'altare estesa nell'abside alla cattedra e ai subsellia del clero; 3) il recinto riservato ai cantores nella navata. Si tratta di una convenzione terminologica impropria, quando non si abbia lo scrupolo di verificare se, e in che misura, iconostasi, presbiterio e schola cantorum cor­ rispondano al materiale lessicale con il quale in antico si designavano arredi anche complessi che oggi - tranne rare eccezioni e disiecta membra - sono irrimediabilmente perduti. 1 59 A questo proposito, la competenza lessi cale dei moderni storici dell'arte è stata mediamente ostacolata dalla scarsa familiarità con l'ordinamento liturgico nella sua vitale prospettiva storica e dalla spontanea (e acritica) propensione a chiamare luoghi e cose di un remoto passato con un lessico debitore di consuetudini che si sono modificate nel corso del tardo medioevo e sono state ratificate o sancite in età moderna dalle riforme liturgiche della Chiesa apostolica romana.1 60 Limitando la riflessione alle scelte lessicali dei redattori del LP, tra VI e IX secolo, si deve prendere atto che il termine iconostasi (di origine greca e di uso assai tardo) non viene mai impiegato. È tuttavia significativo che il lemma com­ paia ugualmente nel commentario al Liber di Louis Duchesne e, in modo fittizio nell'indice dei nomi curato da Vogel, ove rinvia a citazioni relative alle travi delle 155. Piva 2010, pp. 7- 1 3 , in part. pp. 7-8. 1 56. LP 86 c. l l . 1 57. LP 8 6 c . I l ; L P 9 2 c . 6 ; LP 9 1 c . 84; LP 9 8 c . 54. 1 58. Da ultimo v. La piace du ch(EUr 2012. 1 59. Dopo lo studio di Mathews 1 962, pp. 73-95, in particolare Elaine de Benedictis ha proposto un riesame delle trasformazioni dell'assetto liturgico negli edifici di culto romani che, a partire dalle emergenze monumentali note a livello archeologico, pone criticamente il problema di un'appropriata terminologia per designare le sue componenti, v. De Benedictis 1 98 1 , pp. 69-85 e soprattutto Ead. 1 983, in part. pp. 9-55. 160. Nel passaggio dal medioevo all'età moderna la complessità di tali mutamenti è descritta da De Blaauw 2006, pp. 25-52.

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pergulae o a più modesti regu/ares usati per l'esposizione delle immagini: segno che il termine era già entrato autorevolmente nella tradizione degli studi. 1 6 1 Quanto a presbyterium e a schola cantorum i lemmi vanno esaminati a partire dalla loro distinta occorrenza nel Liber e, in parallelo, secondo l'impiego che ne fa l' Ordo Romanus I, la più antica annotazione ad uso del celebrante e dei suoi mini­ stri che descrive le azioni, i gesti e le parole che scandiscono lo svolgimento della solenne messa stazionate presieduta dal pontefice (fine VII-in. VIII secolo). 162 Que­ sta fonte offi'e allo storico l 'opportunità di seguire, quasi che si trattasse di un testo destinato a una rappresentazione teatrale, la messa in scena della liturgia pontificate a partire dal luogo designato (la statio ); conoscendo gli attori (dal protagonista ai fi­ guranti); i costumi; gli arred i; le suppellettili e almeno gli incipit di alcune battute. In modo essenziale, ma preciso, le rubriche dell' Ordo descrivono l'avvicen­ darsi delle azioni dinamiche e dei "quadri" secondo l'esatta scansione di segnal i visivi, acustici e persino olfattivi (v. l'accensione delle candele; le impartizioni di ordini e l'intonazione di canti; il profumo dell' incenso).163 Considerando quanto il rituale fosse parte integrante della cultura visiva di quei secoli, gli Ordines Romani, permettono allo studioso moderno di calibrare lo sguardo su una fenomenologia cultuale cosi distante per mentalità quanto intrin­ secamente collegata all'espressione artistica e ai suoi significati. 164 Nel LP la parola presbyterium è usata in tre distinte accezioni. La prima indica la dignità sacerdotale, 165 la seconda una gratificazione che il pontefice elargisce al clero in particolari occasioni, 166 la terza - che ricorre con maggior frequenza - il luogo che nell'aula di culto è riservato al clero. 1 67 L'esame e la 1 6 1 . Per esempio: «Parce que ce mot est composé de deux termes grecs ebcrov et mamç, cl parce qu'il n'a plus d'application aujourd'hui que chez les grecs, il faut bien se garder de croirc qu'il soit sans application dans l'usage latin» cosi Leclercq 1 926, VII, l, coll. 3 1 -5 1 in part. col. 3 2 . Anche in ambito bizantino il ricorso al termine iconostasi può essere improprio se non storicizzalo, v. Walter 197 1 , pp. 25 1 -267, in part. pp. 25 1 -252. 162. D'ora in poi OR I, v. Vogel l 98 l , pp. 1 0 1 -108; edizione criticaAndrieu 1 97 1 , pp. 65- 1011. Nuove precisazioni in de Blaauw 2012, pp. 25-32, in part. 26-28. 1 63. Per l'uso liturgico dell'incenso nelle chiese di Roma documentato attraverso il Liba Pontificalis v. Ballardini 201 5c, pp. 263-270. 164. Per una sintesi del «rituale esteriore» della messa stazionate romana secondo le anno · tazioni degli Ordines Romani v. de Blaauw l 994b, pp. 72- 1 03 . Quanto a «Ritual as Visuality» v. le premesse di H. Lohfert J0rgensen 2004, pp. 1 74- 1 97, in part. pp. 1 73- 1 74. 165. V. http://ducange.enc.sorbonne.fr/PRESBYTERIUMl e LP I p. 99 (première édition, restitution); LP 85 c. l e LP 98 c. l . 166. V. http://ducange.enc.sorbonne.fr/PRESBYTERIUM5, LP 93 c . 28 ; v. inoltre LP I p. 364, nota 6 e LP II p. 34 nota 5. 167. V. http://ducange.enc.sorbonne.fr/PRESBYTERIUM3 e LP 92 c. 5 (a San Pietro: columna� VI onichinas volutiles... quas statuit erga presbiterium, ante confessionem) LP 95 c. 5* (a San Pietro: rugas... in presbiterio ingredientes utraque parte dextera levaque); LP % c. 20 (a San Pietro: in medio presbyteril); LP 97 c. 46 (a San Pietrofarum maiorem.. .in tipum crucis, qui pendet ante presbiterium... ; calicemfundatum argenteum pens. lib. V quem posuit in presbiterio); c. 5 1 (a Sant'Adriano: super ru­ gas de presbiterio ubi arr:um de argento extitit); c. 57 (a San Pietro: imagines VI ex lamminis argentei.� investitas ex quibus tres posuit super rugas qui sunt in introitu presbiterii, ubi et regularem ex argento investitofecit....In secundas rugas, id est in medio presbiterii,faciens alium regularem ex argento inve-

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collazione d i questo ultimo gruppo d i occorrenze permettono d i distinguere con maggiore precisione cosa il termine presbyterium designi nelle intenzioni dei redattori. Va osservato innanzitutto che su 42 citazioni comprese tra il pon­ tificato di Gregorio III (73 1 -74 1 ) e quello di Stefano V (885-89 1 ), 26 riguar­ dano la basilica di San Pietro, mentre le rimanenti interessano altre basiliche stilo, constituit super eum reliquas tres imagines); c. 60 (a San Paolo: ex lamminis argenteis imagines III qui ponuntur super rugas in introitu presbiteri!); c. 84 (a San Pietro: rugas.. .in presbiterio a parte virorum et mulierum... ; et alias rugas in caput presbiterii ante confessionem); LP 98 c. 4 (a Santa Maria Maggiore: rugas argenteas in ingressu presbiterii, pens. lib. LXXX); c. 8 (a San Pietro: farum argenteum ante presbiterio... ;... in presbiterium posuit cerea argentea.... ); c. 9 (a Santa Susanna: pre­ sbiterium et pavimentum marmoribus pulchris ornavit); c. 28 (a San Pietro: presbiterio noviter totum in marmorum pulcritudinis sculptum compte erectum); c. 3 1 (a San Paolo: tam presbiterio quamque tota aecc/esia marmoravit); c. 34 (a San Pietro: cantara IL.. in presbiterio fecit); c. 35 (a San Pietro, per l'altare di Sant'Andrea: presbiterium ex marmoribus sculptis ornavit; per l'altare di Santa Petro­ nilla: presbiterium ex marmoribus sculptis decoravit); c. 48 (a San Pietro: vela .. in arcora argentea in circuitu altaris et in presbiterio, numero XCVI;... arcora cum columnis suis fecit ex argento purissimo in supradicta ecc/esia et in medio presbiterio, pens. simul. lib. CCLI semis); c. 5 1 (a Santa Maria Mag­ giore: arcora II, ex argento, in presbiterio, cum columnis III/, et alia arcora Vpens. simul lib. CXXXIII et semis); c. 54 (a San Pietro: cancellos jùsiles in ingressu presbiterii seu in capite dextra levaque, necnon et in ingressu vestibuli, ex argento mundissimo, pens simul lib. DLXXIII;... columnas volti/es... in capite presbiterii dextra levaque seu aparte virorum ac mulierum); c. 67 (a San Pietro:farocantaros in presbiterio numero Xliii ex argento...pens. simul lib. CCCXXXIJ, une IIL Necnon columnas VIII et arcora IIIIfecit ex argento pens. inibi lib. CLXXIIII); c. 100 (a San Pietro: vela de blatin maiores quae pendent in trabes argenteas dextra levaque presbiterii necnon in circuito sedis, numero XXX); c. 1 1 O (a San Pietro: ante presbiteriumfarum volubilem ex argento purissimo... ,pens inibi lib. CXXXVJ; une VI); LP 100 c. 8 (a San Pietro: vela chrisoclaba per arcos presbiterii..., numero XLVI), c. 13 (a Santa Maria in Domnica: per arcos presbiterii vela parva de stauraci IIII;.. .in ingressu presbiterii vela tyrea /li); c. 2 1 (a Santa Cecilia: in arcus presbiterii vela parva tyrea... , numero XII); c. 3 1 (a Santa Maria Maggiore: presbiterium... diversis marmoribus.. .in melius reparavit); c. 35 (a Santa Maria Maggiore: per arcospresbiterii.. fecit vela de chrisoclabo... numero XXVI;... et per ipsos arcos optulit vela de qua­ drapulo... , numero XXIV); c. 38 (a San Pietro: vela...per arcos presbiterii... ,numero XLVI); LP 103 c. 27 (a San Paolo: vela quae pendent in presbiterium numero XXIIII; c. 30 (a San Paolo: vela chrisoc/aba per arcos presbiterii... ,numero XXII); c. 32 (a Santa Maria in Trastevere: presbiterium ampli ambitus operosi operisfunditus construxit); LP l 04 c. 29 (a San Martino ai Monti: presbyterium ex marmoribus sculptis ornavit); LP 105 c. 1 2 (decreto: . . . ut dum sacra missarum sol/emnia in ecc/esia celebrantur, nullus ex laicis inpresbiterio stare ve/ sedere aut ingrederepraesumatur, nisi tantum sacra p/ebs); c. 1 3 (a San Pietro: vela de.fundato q uae in arcos ad ornatum e t decorationem presbiterii pendent, XXXIII); c. 23 (a San Pietro: vela quae pendent in arcos presbiterii ex auro texta .., numero XVIII); c. 55 (a San Pietro, dopo il saccheggio dei Saraceni: arcora de argento mundissimo, numero XIII, ex quibus duo vero, quem posuit a parte dextra seu sinistra in presbiterio mire magnitudinis s.p.); c. 60 (a San Pietro: fecit butronem ex argento purissimo, quipendei inpresbiterio ante altare maiore, pens. lib. CXXXVIII); c. 64 (a Santa Croce in Gerusalemme: arcora IIII qui stai in presbiterio, ex argento mundissimo, pens. lib. C); c. 87 (a San Pietro: .. cereos deargentatos, qui stani in presbyterio numero XXVII, pens. insimul lib. XL; ... et trabes in ingressu et in medio presbyterii investivi/ ex argento purissimo, pens lib LXVII et une III); c. 94 (a San Pietro: rugulas de argentofùsiles cum cancellus in ingressu presbiterii et ante confessionem beati Petri aposto/i; ... quarum II pens. lib. OCXLII; alia vero II lib. DLXXX); c. 106 (a San Pietro: cerea IIII /ignea quae a longo tempore sancto pontificum in medio presbiteriifestis erige­ bantur diebus, ... de argento purissimo investivi/ atque ut in perpetuum ibi erecta esseni constituit, ... lib. LV); LP 107 c. 17 (a San Pietro: vela in arcora presbiterii... numero XL); c. 79 (a San Pietro: pannos... qui trabes maiores in presbiterio respicientes omnes in giro complent); LP 112 c. 13 (a San Giovanni in Laterano: per singulos arcus presbiterii vela serica leonati nonaginta). .

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stazionati o antichi tituli e diaconie nelle quali si celebrava, almeno una volta l' anno, la solenne liturgia papale. I68 Il termine presbyterium, inteso come area riservata al clero, è usato per la prima volta nel LP durante il pontificato di Gregorio III. Il passo - già menzionato - descrive l'allestimento in San Pietro della seconda fila di colonne vitinee della pergula. 169 Insolitamente dettagliato, il report del biografo mira a dare il giusto risalto all'operazione promossa dal papa: prestigiosa per i risvolti diplomatici con l 'esarca di Ravenna e certo ec­ cezionale per le complesse operazioni di trasporto in basilica delle sei colonne, rare e assai delicate per i rilievi che le decoravano (duxit eas [columnas} in ecc/esiam beati Petri). La sorprendente definizione delle columnae voluti/es, chiamate dal redatto­ re onichinae (letteralmente di onice o di alabastro) è stata recentemente chiarita da Paolo Liverani. 17° Considerando che le colonne vitinee di Gregorio III, seb­ bene non omogenee per fattura, con buona probabilità sono della stessa varietà (non screziata) di marmo frigio cavato a Dokimion (Docimium, antica città della Asia Minore), lo studioso riferisce un interessante passo del De Gemmi.\· di Epifanio di Salamina (di poco anteriore al 3 94 d.C.) che, citando proprio i l marmo di Dokimion, ne riporta i l nome «improprio)) d i «onichite)) con il quale veniva da alcuni designato «per la purezza del suo candore)) . 1 7 1 Alla luce di que­ sta testimonianza, il biografo di Gregorio III sembra dunque ricorrere a un les­ sico da expertise per dare risalto all'eccezionalità, anche materiale, delle nuove colonne vitinee, veri e propri elementi di arredo "fuori serie" . 172 Dal punto d i vista della topografia della basilica, le parole del biografo sono interessanti per un altro motivo. Spesso per indicare luoghi, oggetti ed elementi d'arredo nell'aula di culto i redattori del Liber seguono un ordine descrittivo che corriponde al punto di vista 1 68. Tra le basiliche stazionali: Santa Maria Maggiore (4), San Paolo fuori le mura (4), bu­ silica Lateranense ( 1 ), Santa Croce (l); tra i tituli e le diaconie: Sant'Adriano ( l ); Santa Maria in Domnica ( l ); Santa Cecilia in Trastevere ( l ); Santa Maria in Trastevere ( l ); San Martino ai Monti (l) e Santa Susanna ( l ); cfr. de Blaauw 1 994b, pp. 27-72. 169. LP 92 c. 5. 1 70. Il significato attribuito in antico al termine onyx dal gr. òvu� non è univoco v. Liverani 2009-20 1 1 , pp. 699-704, in part. pp. 699-700. 1 7 1 . Liverani 2009-20 1 1 , pp. 700-70 1 ; sulla provenienza orientale delle colonne v. Nobiloni 1 997, p. 1 03 e p. 1 34, nota 95 (con bibliografia). 1 72. Per dare l' idea della considerazione goduta da questa varietà di marmo, tra gli oggetti esclusivi realizzati in questo materiale, Liverani ricorda il sarcofago dell'imperatore Eraclio (6 1064 1 ) che Costantino Porfìrogenito dice ano A.ieou À.lroKoil �OKlJ.nvoil ÒVUX,i'tou e custodito nellu basilica dei Santi Apostoli a Costantinopoli, v. Liverani 2009-20 1 1 , p. 702. Lo studioso ricordu altresi che nella biografia di papa Ilaro (462-468) si nomina già una coppia di colonne unychinaL' che sorreggevano un arco d'argento posto «sopra la confessione» dell'oratorio della Santa Croce ul Laterano ubi stat agnus aureus v. LP 48 c. 3. Il quantitativo d'argento che rivestiva l'arco (4 libbre = 1 ,3 kg ca) induce a pensare che le colonne in questione fossero di modeste dimensioni; come tali, non si può escludere che l'aggettivo unychinus sia qui usato in senso proprio per indicare l'alaba­ stro, si pensi al caso analogo delle colonnine di alabastro bianco con strigilatura elicoidale ancora in opera sopra l'altare dell'oratorio di San Zenone a Santa Prassede, v. Gnoli 1 988, p. 1 90.

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d i chi, trovandosi "idealmente" nel luogo più importante dell'edificio d i culto (l'altare), guarda verso la navata. 173 Come direbbe un linguista, il «discorso» del Liber è concretamente oltre che idealmente «orientato al parlante)), cioè al clero. Si tratta della stessa "pro­ spettiva" che si ravvisa - mutatis mutandis - negli Ordines Romani: qui, sebbe­ ne in una dinamica di andata e ritorno lungo l'asse longitudinale della basilica (introitus-celebrazione del mistero-exitus), l'altare è il fulcro dell' intera azione e il punto di riferimento è l' officiante nei suoi spostamenti. Poiché è storicamente documentato che le "nuove" colonne di Gregorio III raddoppiarono, in direzione della navata, il numero delle costantiniane allineate da Gregorio Magno ai piedi del podio, è possibile mettere a confronto quel che sappiamo con le parole del redattore. 174 Il biografo di Gregorio III indica il luo­ go della messa in opera della nuova serie di colonne nel modo seguente : «quas ( columnas) statuit erga presbiterium, ante confessionem, tres a destris et tres a sinistris, iuxta alias antiquas sex filopareS)) i. e. « [ . . . ] (colonne) che fece collocare di fronte al presbiterio, davanti alla confessione, tre da destra e tre da sinistra, accanto alle altre antiche della stessa fattura)). Per i motivi sopra indicati, il riferimento alla destra e alla sinistra, così come nel caso dellapars virorum e lapars mulierum, è l'indizio che il biografo "osser­ va" lapergula non dalla navata, ma dal podio. Egli inoltre, precisando l 'ubicazione delle nuove colonne vitinee, mette in risalto il fatto che esse erano state innalzate nello spazio compreso tra il presbyterium e la confessione, dove era già in opera la prima pergula. Da un punto di vista tecnico, si trattava di una movimentazione complessa che, considerando lo spazio di manovra e le dimesioni delle colonne (h. circa 4,75 m.), aveva certo richiesto cautela e precisione. l7S Secondo questa interpretazione, acquista significato anche l'alternanza delle preposizioni erga e iuxta che indicano da una parte la prossimità delle nuove colonne al presbyterium e dall'altra la vicinanza alle colonne gemelle (filopares) della primapergu/a. 176 Il presbyterium che qui si nomina non ha dunque nulla a che fare con l'area dell'al­ tare nell'emiciclo dell'abside. È evidente - e non solo perché ci è nota la collo­ cazione delle colonne vitinee - che l'area «riservata al clerm) qui menzionata si estendeva ai piedi del podio e oltre la pergula in direzione della navata. Pertanto, secondo le intenzioni del redattore, presbyterium designa il recinto presbiteriale dove, durante le funzioni liturgiche, prendevano posto i cantores e il 1 73. Se la prospettiva è diversa, è dichiarato, per es. LP l 05 c. 89: crocifocum ... qui in laeva introitus parte inter co/umnas magnas positus. 1 74. LP 92, c. 5. «Nel 1 492- 1 499 le colonne erano ancora tutte al loro posto, perchè Arnoldo di Harff [ . . ] accenna ad esse come facenti parte di un complesso unitario», v. Esplorazioni sotto la confessione di San Pietro 1 95 1 , l, pp. 1 85-1 86, e fig. 1 4 1 . 1 75. La distanza tra la prima e la seconda fila d i colonne vitinee è stata stimata d i circa 3 m, v. de Blaauw 1 994b, p. 553. Considerata la profondità del transetto, la distanza tra il podio e il pres hyterium poteva aggirarsi intorno ai 6,60 m. 1 76. Sul significato di iuxta nelle due epitomi e nella seconda edizione del LP, in contesti strettamente topografici e fino alla biografia di Leone Il, v. Giordani 1 979, pp. 203-2 1 9. .

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basso clero. A San Pietro esso, attraversava il transetto e si inoltrava nella navata inglobando sul lato meridionale l'ambone per il canto del Vangelo costruito ai tempi di Pelagio II (579-590). 177 Spesso si è richiamata l'attenzione sull'impegno speso da Gregorio III per dare alla basilica Vaticana un'efficiente organizzazione liturgica; a questo papa dobbiamo infatti il più antico documento pervenuto che regola l'ufficio quotidiano ad confessionem, garantito a turno dai quattro mona­ steri basilicali e dal sacerdote ebdomadario.178 A Gregorio III, inoltre, sono asse­ gnabili alcuni frammenti di pluteo con il motivo di palme dattirifere entro arcate che, per caratteristiche formali ed esecutive, sono tra i primi esempi di scultura schiettamente alto medievale individuabili a Roma. È plausibile che questi fos­ sero i plutei del recinto presbiteriale nominato dal biografo del papa, frutto di un riassetto complessivo dell'arredo liturgico della basilica Vaticana ereditato da Gregorio Magno.179 Per quanto riferito a una statio diversa da San Pietro (i. e. Santa Maria Mag­ giore), anche l' Ordo Romanus I conferma che una parte del clero, cioè i cantori e il clero non officiante, aveva in basilica un luogo assegnato chiamato presbi­ terium, dove sedeva attendendo il solenne ingresso del pontefice (sedentes in presbiterio). I vescovi e i presbiteri, invece, procedendo in file parallele, raggiun­ gevano l'area dietro l'altare, disponendosi ai lati della cattedra (sedis), in modo tale che «[ . . . ] quando pontifex sederit, ad eos respiciens, episcopos ad destram sui, presbiteros vero ad sinistram contueatur» (OR l, c. 24). Mai nel LP si menziona in modo così esplicito il luogo riservato all'alto clero (il pontefice, i vescovi e i presbiteri) e per uno studioso moderno è certo curioso che né Ordo Romanus I né il Liber Pontifica/is parlino mai di «presbi­ terio» quando nominano la cattedra del papa e i subsel/ia dei suoi ministri o addirittura l'altare. In quest' ultimo caso, i redattori ricorrono infatti ai sintagmi in ambitu a/taris o in circuitu a/taris come se, nell'aula di culto, il luogo dove si celebrava il mistero eucaristico rimanesse separato dal resto: 180 protetto dal ciborio, splendente d'oro e d'argento, per la luce delle lampade e per i colori dei 1 77. In realtà l'ambone di San Pietro viene citato per la prima volta nella biografia di Pelagio I (556-56 1) v. LP 62 c. 2, tuttavia v. de Blaauw 1 994b, pp. 484-485. 1 78. de Blaauw 1 994b, pp. 596-598; Bauer 2004 pp. 54-56 e Delogu 2000b. 1 79. A Eugenio Russo si deve un fondamentale studio dedicato ai marmi paleocristiani e alto medievali della basilica Vaticana. Russo ha individuato un frammento di pluteo di Gregorio lli ac­ quisito dalle collezione dei Musei di Berlino e oggi esposto nel riallestimento dell' Altes Museum­ Staatliche Museen zu Berlin, v. Russo 1 982-83/1 983-84 per una articolata scansione cronologica delle diverse "famiglie" di plutei frammentari conservati nelle Grotte Vaticane, v. Guiglia Guido­ baldi 2002, pp. 1479- 1 524, in part. pp. 1 5 1 2- 1 524; Ballardini 2008, pp. 225-246, in part. 229-236 e Ead. 2010, pp. 1 4 1 -148. 1 80. Con una prevalenza del sintagma in circuitu altaris associato ai vela appesi al ciborio dell'altare v. LP 86 c. 1 1 ; LP 98 cc . 32, 50, 93; LP 100 cc. 1 3 , 20, 39; LP 1 03 c. 27; LP 104 c. 1 9 (ambitus); LP 1 05 cc. 42, 64 , 87, 95, 96; LP 1 07 c . 36; LP 1 1 2 c . 1 1 , 1 3 , 14. Vale la pena ricordare che Isidoro, discorrendo di ambitus, richiama l'antico significato dell'ambitus aedium «spazio di due piedi e mezzo che si lascia tra edifici appartenenti a vicini diversi da poter girare attorno ad essi», v. lsidoro, Ethym., XV, 1 6, 12.

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paramenti liturgici, l'altare indicava ad ogni fedele, chierico o laico, il luogo riservato alla manifestazione del divino.181 Certo è che tra gli usi lessicali dei redattori del Liber, quello del termine presbyterium è uno dei meno equivocabili, esso infatti, quando ha un significato topografico, designa in modo stabile lo spazio che nella navata era riservato ai cantores e al basso clero e, quando esplicitamente dichiarato, anche il recinto che lo delimitava. Ancora una volta, il caso di San Pietro, per l'alto numero delle citazioni e in virtù di quanto sappiamo della storia architettonica della basilica, permette una verifica dell'uso del lemma. I82 Si può pertanto affermare che a San Pietro il presbyterium, come luogo riservato al basso clero, era il recinto che dalla nava­ ta e attraverso il transetto si allungava fino la pergula. Questa, tra le due file di colonne vitinee, delimitava uno spazio intermedio (anch'esso precluso ai laici) superato il quale si accedeva all'area antistante la fenestella confessionis e alle rampe di scale che salivano al podio absidale. Il dato si ricava dalla lettura delle biografie di Adriano e di Leone III dove, con maggior dettaglio, sono nominati distintamente a) i varchi d'accesso al presbyterium e b) i varchi laterali (a Sud e a Nord) alla pergula. Si menzionano cosi le rugae (porticine) del recinto presbite­ fiale poste lungo l'asse longitudinale della navata (in introitu presbiterii, in medio presbiterii, in caput presbyterii) e le rugae in corrispondeza delle trabes laterali della pergu/a «a destra» e «a sinistra» cioè «dalla parte degli uomini» e «delle donne». l83 Queste ultime soglie, disposte secondo l'asse Sud-Nord del transetto, separavano l'area riservata al clero dall'area privilegiata occupata dai laici di alto rango, rispettivamente il senatorium (OR l, c. 69) e il matroneum. 184 Alla luce del peculiare significato di presbyterium, va anche interpretato il decreto di Leone IV, riportato dal suo biografo, che - secundum antiquam con­ suetudinem - ribadisce l'interdizione ai laici degli spazi riservati al clero: «ut dum sacra missarum sollernnia in ecclesia celebrantur, nullus ex laicis in presbi­ terio stare vel sedere aut ingredere praesumatur, nisi tantum sacra plebs quae in amministratione sacri o:ffic ii constituta videtur>>. 18' Anche la destinazione di una speciale categoria di arredi (gli archi d'argento) e di tende o cortinaggi (vela) conferma il significato tecnico di presbyterium come recinto presbiteriale. 1 8 1 . de Blaauw 200 1 a, pp. 969-989 e tavv. I-IV. 1 82. Sulla millenaria vicenda architettonica della basilica di San Pietro v. Krautheimer, Frazer 1980, pp. 1 7 1 -285; Arbeiter 1 988; De Blaauw 1994, pp. 455-492; 0/d Saint Peter 's, Rome 20 1 3 e da ultimo Brandemburg, Ballardini, TMnes 20 15. 1 83. LP 91 c. 84; LP 98 c. 54; per il significato di ruga de Blaauw 1 994b, p. 54 1 , nota 163 e pp. 556-557; una diversa l'opinione sul significato di ruga ha espresso Saxer 200 1a, pp. 7 1 -79, in part. pp. 7 1-73. 1 84. Il matroneum non è menzionato come tale nell'Ordo che nomina invece il senatorium (cfr. OR l, c. 74). Il biografo di Gregorio IV con il termine matroneum designa invece in Santa Maria in Trastevere uno spazio riservato alle donne, chiuso da plutei (septum matroneum) cfr. LP 103, c. 32. 185. LP 1 05 c. 12 cfr. il canone 4 del Concilio di Tours (567), in Concilia Galliae 1 963, p. 1 78 e Concilium Romanum 826, MGH Conc. 2.2, p. 5 8 1 cit. da de Blaauw 20 12, pp. 25 e 28.

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È noto come nelle fasi alto medievali della decorazione pittorica di alcune chiese romane sia rimasta ampia traccia dell'uso di tessuti drappeggiati per or­ nare le pareti dell'aula e il registro inferiore dell'emiciclo absidale. Il caso più significativo è quello di Santa Maria Antiqua dove un trompe l 'oeil a imitazione dei vela si data al pontificato di Martino I (649-655):186 un'attestazione pittorica dell'uso di tessuti tra gli apparati dell'aula di culto relativamente precoce rispetto al LP dove i vela sono menzionati con una certa regolarità solo a partire dal pon­ tificato di Sergio I (687-70 l ). 1 •7 In particolare è dal principio del IX secolo che nel LP si menzionano distin­ tamente i vela che ornavano il presbyterium (recinto) e i vela destinati all'emici­ clo absidale. l88 In quest'ultimo caso per indicare la parete dell'abside si ricorre a un'espressione, non priva di ambiguità, che è bene chiarire. I redattori nominano infatti la curva dell'abside usando il sintagma che di solito designa lo spazio dell'altare delimitato dagli archi di ciborio, ovvero in circuitu altaris (v. supra). l8v Sible de Blaauw ha tuttavia richiamato l'attenzione sull'occorrenza - in altro contesto, ma a un'analoga altezza cronologica - dell'espressione in circuitu per designare la parete di un emiciclo. Nella biografia di Leone III infatti si menzio­ na il rivestimento marmoreo dell'abside del tric/inium maius, la sontuosa aula di rappresentanza edificata da quel pontefice nel palazzo patriarcale ( «[ . . . ] et in circuitu lamminis marmoreis omavit» ) . 1 90 Nel caso dell'edificio di culto, il sintag1 86. I vela di Martino I si trovano nel muro Est del quadriportico di Santa Maria Antiqua, v. Nordhagen 1 962, pp. 53-72, in part. p. 63. 1 87. LP 86 c. 1 1 ; Wl8 più antica attestazione dell'uso vela nelle chiese di area romana si riscontro nella cd. Charta Comutiana ( 1 7 aprile 47 1 ), v. de Blaauw 1 994b, p. 96 e da ultimo Geertman 20 I l , pp. 600-601; sui vela dipinti v. Osbome 1992, pp. 309-351, in part. 3 14; 324-327 e 349, a John ON­ bome rinvio per l'approccio metodologico e per la bibliografia retrospettiva sui tessuti. Da ultimo sui tessuti e il loro impiego secondo il Liber Pontiftca/is v. Brubaker 2001, pp. 80- 103, in part. pp. 82-89 e Andaloro 2003, pp. 45- 103 con la schedatura analitica dei tessuti con motivi figurati di Adriano l , Leone m , Pasquale I a cura di G . Bordi e S . Pennesi, pp. 67-96; sulla terminologia relativa ai tessuti c alle loro caratteristiche nella Charta Comutiana e nel LP, v. Geertman 20 I l , pp. 606-6 1 1 . 1 88. Vela destinati al presbyterium (recinto): LP 9 8 c . 3 4 (San Pietro: 9 3 vela ... in arcora ar­ gentea); c. 48 (San Pietro: 96 vela... in arcora argentea, in questo caso il numero comprende anche vela destinati in circuitu altaris); LP 100 c. 13 (Santa Maria in Domnica: 4 vela parva per arco.1· presbiterii e 3 vela in ingressu presbiterii); LP 1 03 c. 27 (San Paolo: 24 vela in presbiterium); I O� c. 1 3 (San Pietro: 33 vela ... in arcos ad omatum et decorationem presbiterii). Vela destinati ali' em i­ ciclo absidale: LP 98 c. 32 (27 vela in circuitu altaris) alla luce di LP 1 05 c. 13 con la variante lessicale in ambitu a/taris (25 vela). Il numero dispari dei vela è un indizio per ritenerli destinati alla curva dell'abside. Da segnalare anche LP 98 c. 8 dove si nominano dei dispositivi di illum i­ nazione: cerea argentea ... in cantaris argenteis ... tam in circuitu altaris quamque in presbiterium, sebbene non sia indicato il numero dei cantari e dei ceri d'argento, il peso del metallo utilizzato è ragguardevole (2 1 2 libbre = circa 69 kg e l/2). 1 89. Stricto sensu, ovvero come spazio dell'altare delimitato dagli archi di ciborio ai quali venivano appesi quattro vela coordinati, v. LP 86 c. 11 (tetravela); LP 98 cc. 32 e 50 (4 vela ); 93 (4 + 4 vela; tetravi/a); LP 1 00 cc. 13, 20 e 39 (4 vela); LP 1 05 cc. 42 (4 vela), 64 (olee), 87 e 95 (4 vela), 96 (3 o/eas); LP 107 c. 36 (4 vela); LP 1 1 2 cc. 11 (4 vela), 13 (4 belothera serica), 14 (3 velothera serica). 1 90. LP 98, c. lO cfr. de Blaauw 1994b, p. 565, nota 295.

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ma in circuitu altaris, che stricto sensu designava lo spazio dell'altare, esprime l' intero potenziale del suo significato indicando anche la curva dell'abside dove la cattedra del papa era affiancata dai subsel/ia dei suoi ministri. In tal modo, con un procedimento metonimico, si dava risalto alla relazione visiva privilegiata che, durante il rito, l'alto clero manteneva con l'altare, vero fuoco dell'azione liturgica. 191 Quanto alle serie di archi d'argento che il LP nomina associati ai vela del presbiterio, non è semplice comprendere dove fossero collocati. La menzione, in tempi e in contesti diversi, anche di archi singoli induce a chiedersi se essi abbia­ no assolto sempre la stessa funzione.192 Talvolta, quando donati in serie, gli archi d'argento sono designati al plurale con il termine arcora. Da un punto di vista grammaticale arcora è un sostantivo che, stando alle diverse occorrenze, mostra una declinazione irregolare. Esso è usato anche per indicare gli archi degli acquedotti, una tipologia architettonica dove la serie con­ tinua di archi è una peculiarità193 e, in altro contesto, per designare la serie degli archi dei colonnati di una basilica. 194 È dunque plausibile che arcora sia un nome collettivo che designa un insieme di oggetti con caratteristiche omogenee e che anche gli archi argentei fossero elementi d'arredo tra loro simili per fattura e dimensioni. Sia pure sulla base di stime approssimative, si può affermare che i quantitativi di argento destinati alla realizzazione degli archi confermino una loro produzione in serie. Il fatto che gli archi argentei siano citati in stretta relazione con i vela del presbyterium è inoltre in linea con la propensione a concentrare gli oggetti preziosi (lampade d'oro e d'argento; immagini e arredi con rivestimenti di metalli preziosi ed anche le pregiate manifatture dei vela) nelle aree della basilica riservate al clero. La prima menzione nel LP di archi argentei in serie è ricordata nella biografia di papa Simmaco (498-5 1 4) che donò alla basilica di San Pietro 1 2 arcos argen­ teos ciascuno di 20 libbre (poco più di 6 kg e Y:z). 195 Come osserva Sible de Blaauw questa categoria di oggetti in età carolingia è diventata un elemento tipico nell'arredo delle chiese romane. Prudentemente lo studioso non avanza ipotesi sulla loro fattura e si limita a osservare che gli archi donati in serie servivano «a recingere, oppure a mettere in risalto, il pre1 9 1 . Ne discende una distinzione gerachica tra gli spazi riservati all'alto clero e quelli riser­ vati al basso clero. A tale riguardo, particolarmente severo suona il canone 39 del IV concilio di Toledo (633) «qui rapelle que le clercs mineurs sont menacés de sanction s' ils usurpent !es places réservées aux ordres majeurs», v. Mérel-Brandenburg 20 12, pp. 33-43, in part. 33. S. de Blaauw per distinguere gli spazi riservati all'alto clero da quelli riservati al basso clero li designa convenzional­ mente «alto coro» e «basso coro» v. de Blaauw 1994b, pp. 80-8 1 . 1 92. Per esempio papa Ormisda (5 1 4-523) dona un arcum argenteum di 20 libbre da collocare ante altare nella basilica Salvatoris, e altri due archi dello stesso peso sono destinati a San Paolo v. LP 54 c. 1 1 . 193. LP 97 c. 59. 194. LP 98 cc. 6 e 34. 195. LP 53 c. 10.

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sbiterio o una parte di esso». 196 Purtroppo, quando vengono menzionati insieme con i vela del presbiterio, il redattore omette di precisare il numero dei rispetti­ vi arcus/arcora, 197 ciononostante la ricorrente associazione tra le due classi di arredi suggerisce l' ipotesi che gli archi d'argento consistessero in un dispositi­ vo, relativamente leggero e forse anche mobile, per appendere i vela nel recinto presbiteriale eretto in muratura o chiuso da plutei lapidei. A questo proposito i l termine presbyterium, usato in concreto per designare l a struttura architettonica che delimitava lo spazio riservato al basso clero, è ricordato con un'espressione singolarmente articolata nella biografia di Gregorio IV che, come già ricordato, dotò Santa Maria in Trastevere di un presbiterium ampli ambitus operosi operi,\' funditus. 198 La costruzione del nuovo presbyterium si inscrive nella riorganizza­ zione degli spazi dell'antico titulus Calixti, ma il riferimento conferma altresi come il lemma presbyterium fosse ormai entrato nell'uso corrente per designare il recinto presbiteriale come arredo liturgico. Per quanto è dato rilevare nel LP, la specializzazione del termine presbyte­ rium si è accompagnata all'aggiornamento delle più antiche recinzioni (metà V­ VII secolo) nelle forme più ampie e comode dei presbyteria di VIII e IX secolo, dove i cantores si disponevano in doppie file affrontate come prescritto nell'OR 1. 199 Già il patronato di Leone III (795-8 1 6) mostra la preferenza accordata a u n tipo di recinto presbiteriale più consono alla liturgia pontificale cantata, egli in­ fatti nelle basiliche romane promosse alcuni importanti restyling di presbyteria. Il riferimento più esplicito interessa, ancora una volta, la basilica Vaticana nel lu quale il papa, alla vigilia della visita di Carlo Magno, fa allestire un presbiterium noviter totum in marmorum pulchritudinis sculptum compte erectum.200 La noti­ zia si accorda con l' interpretazione di alcuni indizi archeologici emersi nel secolo scorso durante le esplorazioni archeologiche nelle Grotte Vaticane, che atteste­ rebbero per iniziativa di Leone III un'estensione del podio gregoriano verso Est . Probabilmente in quell'occasione, nel muro di contenimento del nuovo podio, fu reimpiegato a rovescio almeno un pluteo di Gregorio 111.201 Esso doveva prove­ nire dal più antico recinto che Leone aveva rinnovato con la messa in opera d i una raffinata serie d i plutei d i ispirazione antiquaria scolpiti i n candido marmo.2111

1 96. Conferma la relazione di un arco argenteo con il presbiterio un manoscritto di VIII seco h , conservato a Cambridge dove s i cita un arco argenteo fatto realizzare a i tempi d i papa Simmaco ;, medio presbiterio v. Levison 1 9 1 0, pp. 3 3 1 -43 1 , secondo de Blaauw (che segnala la fonte) que�lo arco cesellato (cum clipeo) era di dimensioni superiori rispetto ai 22 arcora menzionati in LP 53 r . 1 0, v . de Blaauw 1 994b, p . 483. 1 97. Cfr. LP 98 c. 34; in un caso si nominano arcora cum columnis suis ... ex argento purissi· mo . . . in medio presbiterio per un peso complessivo di 25 1 libbre e 1/2, oltre 82 kg, v. LP 98 c. 4 K . 1 98. LP 1 03 c. 32. 1 99. Cfr. OR l, cc. 42-43 ; Guidobaldi 200 1 a, pp. 55-99 in part. 86-88; v. anche De Benedici iN 1983, pp. 20-32. 200. LP 98 c. 28, v. inoltre c. 9 (Santa Susanna); c. 31 (San Paolo). 20 1 . V. de Blaauw 1994b, pp. 548-55 1 fig. 23 e Ballardini 2008, pp. 23 1 -232. 202. V. Ballardini 2008, pp. 235-240.

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Sempre a San Pietro, anche gli altari di Sant'Andrea e di Santa Petronilla, i prin­ cipali delle due rotonde, furono dotati di presbyteria fatti «di marmi scolpiti». Non abbiamo nessun elemento per chiarire se, in questo caso, ci si riferisse solo a plutei allineati davanti all'altare o a veri e propri recinti a sviluppo lon­ gitudinale, sta di fatto che nella rotonda di Sant'Andrea già papa Giovanni VI (70 1 -705) aveva rinnovato l'ambone (jecit . . . ambonem noviter) suggerendo che già al principio dell'VIII secolo fosse in opera nella rotonda un arredo liturgico consono a un edificio basilicale, al pari di quanto è documentato dal V secolo nella rotonda di Santo Stefano Rotondo al Celio. 203 Dei presbyteria allestiti in Sant'Andrea e in Santa Petronilla non va sottovalutato il riferimento all 'orna­ mentazione scultorea (ex marmoribus sculptis decoravit). 204 La notizia è tanto più rilevante perché dai tempi di Costantino, è solo con il pontificato di Leone III che nel LP è esplicitamente menzionata la pratica scultorea, in linea con la documen­ tata riorganizzazione delle officine romane.205 Esse, intorno all'anno 800, erano ormai capaci di realizzare prodotti di pregio, messi in opera accanto a eccezionali frammenti architettonici di reimpiego. 206 Quanto alla schola cantorum, nel LP la locuzione non è mai usata per in­ dicare il recinto presbiteriale, sebbene qui prendessero posto i cantori. Nel L i­ ber il termine schola designa di norma istituzioni di carattere sociale preposte ad uno scopo particolare come ad esempio le Scholae peregrinorum. Nel caso specifico che qui interessa, la seho/a cantorum è l ' istituzione che formava e istruiva il corpo scelto dei cantores al servizio della messa stazionai e papale. 207 È a partire dal VII secolo, che nelle biografie dei pontefici si trova notizia della loro educazione al canto come segno di un esemplare cursus ecclesiastico: di spicco il ruolo di Sergio I (687-70 1 ) che per la sua competenza aveva ricoperto

203 . LP 81 c. 3. Si ricordi che nel LP entrambe le rotonde di Sant'Andrea e di Santo Stefano sono chiamate basiliche. Mentre Santo Stefano era una basilica stazionale, sul ruolo liturgico di Sant'Andrea in occasione della festività del 30 novembre e della sua vigilia, si veda de Blaauw 1 994b, p. 60 l . Sul peculiare allestimento liturgico di Santo Stefano Rotondo nel V e la sua relazione con il dispositivo liturgico di età costantiniana della basilica Leteranense, v. Brandenburg 200 1, pp. 27-54, in part. 38-46 e fìgg. 2-3 . 204. LP 98 c. 35. 205 . Nella biografia di Silvestro si nomina il sarcofago porfìretico collocato nel cd. mausoleo di Elena sulla via Labicana: qui sepulchrum est ex metallo purphyriticus exculptus sigi/lis, v. LP 34 c. 26; exculptus sigillis indica la decorazione a rilievi figurati v. http://ducange.enc.sorbonne.fr/ SIGILLUS2. 206. Per il reimpiego di marmi antichi nelle fabbriche di Leone m, v. Guiglia Guidobaldi, Pensabene 2005-2006, pp. 3-74. 207. Per l' istituzione della Schola cantorum v. Carta 2007, pp. 43 1 -447. Le scholae peregri­ norum facevano capo a diversi gruppi etnici stranieri « . . . vide/icet Francorum, Frisonorum, Saxo­ norum, Langobardorum» ed erano preposte all'accoglienza dei pellegrini ad Petri limina, v. LP 98 c. 19; di scho/ae militiae si parla in LP 91 c. 35 e in LP 1 04 cc. 9 e 56, in quest'ultima occorrenza le scho/ae vengono inviate a Porto minacciata dai Saraceni. Per l'ubicazione delle Scholae peregri­ norum e la loro funzione v. Pani Ennini 200 1 , pp. 255-323, in part. 3 1 9-320 e tav. XVI; Reekmans 1 970, pp. 1 97-235 in part. 2 1 4-223 e di nuovo Pani Ennini 20 14, pp. 280-3 1 1 .

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nel coro una funzione direttiva (studiosus erat et capax in officio cantelenae. priori cantorum pro doctrina est traditus). 208 Il papa, che apparteneva a una famiglia oriunda della regione di Antio­ chia, stabili inoltre che nella liturgia della messa, tempore confractionis panis. l'Agnus Dei fosse cantato «dal clero e dal popolo» : un coinvolgimento dell' in­ tera assemblea davvero degno di nota, considerato che era ormai lontano il tem­ po in cui nelle basiliche romane «l'Amen rimbombava come tuono del cielo» .211'� Con la progressiva entrata a regime della schola, sembra infatti che la parteci­ pazione collettiva alle antiche acclamazioni e agli inni si fosse in parte ridimen­ sionata.210 Le importanti iniziative intraprese da Sergio I sul piano dottrinale c liturgico (v. introduzione delle feste mariane, delle litaniae da Sant'Adriano a Santa Maria Maggiore e della festa dell'esaltazione della Croce) hanno certo favorito l'attribuzione a questo papa della «completa sistemazione della scho ­ la», sta di fatto che già la redazione dell' OR I, cronologicamente prossima a l suo pontificato, documenta nella messa stazionate del papa un'articolata orga­ nizzazione gerarchica della schola cantorum e un collaudato coordinamento delle sue mansioni. Cercando di ripercorrere la storia delle parole e la vita mutevole del loro significato, va rilevato come nell'OR I si palesi un uso precoce dell'espressio­ ne schola cantorum per designare anche il luogo riservato ai cantores. Stando all' Ordo, infatti, quasi a conclusione della processione di introito, prima che i l pontefice giungesse ad scholam, dove i l coro - che aveva già preso posto - ac­ compagnava con il canto il solenne ingresso, i sette ceriferari che precedevano i l pontefice si aprivano in due file, da una parte e dall'altra, cedendogli il passo in modo che pertransit pontifex in caput scolae et inclinai caput ante altare (OR l c . 49). La sequenza descrive con precisione l'arri vo del papa davanti all'altare dopo aver attraversato e superato la schola. Tenendo a mente che la statio dell ' OR I è Santa Maria Maggiore, tra la finl' del VII e l'inizio dell'VIII secolo, il sintagma in caput sco/ae può essere para­ gonato con un'analoga espressione che si legge nella biografia di papa Adriano (772-795), dove a San Pietro si nominano le rugae (porticine) in caput presbiteri/ ante confessionem. 2 1 1 Valutata l a differente disposizione dell'altare nelle due basiliche all'alteu.u cronologica delle rispettive citazioni nell'OR I e nel LP, è certo che la modal itù del solenne introitus fosse la stessa e analoga la disposizione dei cantores nel recinto presbiteriale. Essi, infatti, tra i rappresentanti del basso clero, dovevano occupare postazioni prossime all'altare che agevolassero la comunicazione visivu 208. V. LP 86 c. l; v. von Falkenhausen 2000; Carta 2007, p. 43 1 ; già Leone II (682-683 ) era stato definito cantelena ac salmodia praecipuus, cfr. LP 82 c. l ; altri pontefici nel corso del l X secolo ebbero cura dell'istituzione v. LP l 04 c. 2 e LP 1 1 2 c. 17. 209. V. Jungmann 2004, p. 1 1 9. 2 1 0. Sulle forme della partecipazione del popolo durante la messa delle origini e nel corso del medioevo, v. Jungmann 2004, pp. 197-205, in part. p. 200. 2 1 1 . LP 97 c. 84.

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tra il clero officiante e il coro. Se dunque l'uso del termine presbyterium (come septum presbyterii) è intrinsecamente collegato allo status degli uomini ai quali era riservato, anche l'espressione schola cantorum è a sua volta passata nell'uso come sinonimo di presbyterium poiché era qui che i cantores avevano assegnato il loro posto. A riprova che è la vitalità di una funzione a rendere stabile e durevole la correlazione tra cosa, nome e significato, è emblematico che il venire meno del termine presbyterium per indicare il recinto riservato al basso clero sia coinciso in età moderna con la caduta in disuso degli antichi septa. La correlazione tra pre­ sbyterium inteso come recinto e il clero che vi prendeva posto era infatti ancora chiara a Giacomo Grimaldi ( 1 568- 1 623), chierico-archeologo della Basilica Va­ ticana che, al tempo di Paolo V, era stato testimone dell'aggiornamento in forme barocche delle chiese medievali di Roma. In un manoscritto diretto a Federico Borromeo, Grimaldi accompagnava infatti un disegno degli amboni e del recinto presbiteriale di San Clemente con queste parole: Piace qui aggiungere il disegno degli amboni per cantare il Vangelo e l'epistola con il presbiterio o scola (presbyterium sive schola), dei quali molte volte si fa menzione nelle prescrizioni liturgiche (in ritualibus) e nel Liber Ponti.fica/is (apud Anastasium Bibliothecarium); oggi a Roma quasi tutti sono venuti meno, visto che si è persa la tradizione di cantare il Vangelo dagli amboni e di recitare l'officio divino nello stes­ so presbiterio (in ipso presbyterio), per questo i rettori che li considerano di inutile ingombro per le chiese e le basiliche li hanno smantellati, non senza il rammarico di coloro che amano le antichità ecclesiastiche.2 12

Perdute la consapevolezza storica e la confidenza con gli usi lessicali alto medioevali e medioevali, il nostro modo di intendere il presbiterio come pars ecclesiae in qua presbyteri consistunt si è dunque modificato, adeguandosi agli spostamenti dell'area riservata al clero introdotti da nuove consuetudini e dalle riforme liturgiche. 2 1 2. Ecco per esteso la riflessione di Giacomo Grimaldi: «Placuit hic apponere exemplum ambonum ad evangelium et epistolam cantandas cum presbyterio sive schola, de quibus toties in ritualibus, et apud Anastasium Bibliothecarium mentio fit; hodie Romae omnes fere defecerunt; tum quia exoleverunt caerimoniae illae cantandi evangelium in ipsis ambonibus et divinum re­ citandi officium in ipso presbyterio, tum quia rectoribus visa sunt occupare basilicas et ecclesias defecerunt profecto non sine animi displicentia illorum qui antiquitatem amant ecclesiasticam. Defecerunt meo tempore in basilica S. Pauli; S. Mariae Maioris; in ecclesiis Sancti Sabbae in Cella nova; et in ecclesia S. Pancratii sunt hodie ambones; septum presbyterii pulcherrimis mag­ nis et integris tabulis porphyreticis ornatum amotum fuit. Et [ . . . ] placuit presbyterium cum am­ bonibus integrum et inviolatum ad haec usque tempora in titulo Sancti Clementis serpentinis et porphyretis laminis ac vitro elegante ornatum quod hodie cernitur ita fideliter representare [ . . . ])) , v. Biblioteca Ambrosiana, cod. A 1 68 inf., cc. 2 1 v-22r, cfr. anche BAV, Barb. Lat. 2733, c. 358r (( De ambonibus et presbyterio in ecclesia Sancti Clementis a Nicolao I exstructis [ . . . ] ob antiquitatem et memoriam ambonum conservandam, cum iam ex omnibus ferme ecclesiis et ba­ silicis Urbis amoti sint, et aliquo etiam tempore amovebitur presbyterium marmoreum cum am­ bonibus, quae integerrima omnia ceteris conspiciuntur hodie in ecclesia sancti Clementis papae in regione Caelii montis [ . . . ] infra eorum exempla fidel iter sumpta subiicere placuit)) .

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3. Delle immagini Imago, effigies,.figura e icona; vultus e historia sono i termini che nel LP desi­ gnano le immagini sacre esposte alla devozione. Nel Liber questi lemmi ricorrono con frequenza variabile e sono impiegati a volte in modo ampio e generico, ma a tratti anche con l'intenzione di denotare le caratteristiche peculiari di un artefatto. Imago intesa come immagine sacra «irrompe)) nel LP con la biografia di Sisto III che, redatta retrospettivamente alla metà del VI secolo, registra anche l'unica occorrenza nel Liber del termine statua (supra). Se la statua di san Lorenzo che Sisto III fa collocare nella nicchia absidata del santuario al Verano mostra il debito ancora aperto con la tradizione imperiale del martyrium-heroon, 2 1 3 l'imago aurea «con dodici porte, i dodici apostoli e il Salvatore)), ornata di gemme e forse realizzata a cesello, è la prima attestazione di un tipo inedito di immagine che adegua la forma espressiva a un nuovo im­ maginario.214 Dono sollecitato dal papa all' imperatore Valentiniano, l' immagine era destinata alla confessione di San Pietro.215 L'omissione del peso del metallo utilizzato, impedisce di stimarne le dimensioni, tuttavia la collocazione super confessionem e il soggetto iconografico, che l'oro, le gemme e la temperie sistinn fanno pensare ispirato alla visione della Gerusalemme nuova (Ap 2 1 , 9-2 1 ), indu­ cono a ritenere che l'imago avesse un formato quadrangolare.21 6 Nel passaggio tra tardo antico e alto medioevo e nella prospettiva di unn storia dell' immagine intesa, con H. Belting, come Bildwissenschaft, il primato di questa citazione nel LP ha un significato speciale proprio per la concomitantl' menzione di una statua all'antica - quella più volte nominata di san Lorenzo che, in questi termini, rimane unica in tutto il Liber. 2 1 7 Con uno sguardo al passato e all' irrisolta questione ereditata dai primi secoli del cristianesimo intorno alle immagini nella pratica del culto, il donarium d i statue offerto da Costantino a coronamento del fastigium Lateranense dovevn certo aver suscitato qualche sguardo di imbarazzo tra il vescovo di Roma e i suoi ministri.218 E forse per un decus che a quell'altezza cronologica confliggeva con 2 1 3 . Grabar 1 972, pp. 1 05- 1 09. 2 14. Casartelli Novelli 2000, pp. 269-326. 2 1 5 . LP 46 c. 4; v. de Blaauw 1 994b, p. 477-478, lo studioso riflette sulla collocazione di questa immagine super confessionem e ipotizza che l a sua forma fosse rettangolare. 2 1 6. Papa Simmaco (498-5 14) donerà una imaginem argenteam cum Salvatorem et XII apos­ tolos alla basilica di San Paolo, anche in questo caso facendola collocare super confessionem. L'imago per la confessione di San Paolo pesava 1 20 libbre, oltre 39 kg, v. LP 53 c. 8; a sua voltu Leone m avrebbe donato ali' altare di San Paolo un' imaginem auream cum Salvatorem et XII a{JI1,v tolos di 75 libbre, circa 24 kg l/2, che forse sostitui la precedente, v. LP 98 c. 6. 2 1 7. La biografia di Sisto m detiene anche un altro primato: vi si impiega per la prima voltu il termine confessio v. LP 46 cc. 4 e 5 con riferimento alle tombe di Pietro e di Lorenzo. Confe.\',1'/o significa «tomba di un martire e, in senso più stretto, il punto nella deposizione del sepolcro in cui i fedeli sono più vicini alle ossa venerate», cosi de Blaauw 1 994b, p. 474. 2 1 8. «Molti cristiani avranno forse sperato allora che con la nuova religione le imma gini cadessero in disuso una volta per sempre. Soprattutto quelli che vivevano ancora nella tradizione

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gli orientamenti nella pratica devozionale cristiana, oltre che per l'eccezionale costo dell' impresa, esso era rimasto a lungo un hapax.219 La breve collaborazio­ ne tra Sisto III e l' imperatore Valentiniano può dunque spiegare il revival della statua d'argento di san Lorenzo, pesante ben duecento libbre, l'unica idealmente e materialmente paragonabile all'esempio costantiniano.22° Certo, andrebbe inter­ pretato il fatto che, ai tempi di Leone III (795-8 1 6), in una congiuntura politica e culturale a forte vocazione antiquaria, si menzionino, pur senza ricorrere al termi­ ne statua, immagini tridimensionali di angeli e di agnelli e persino, nella parte più interna della confessio di San Pietro, un intero gruppo composto da Pietro e Paolo nell'atto di offrire l'aurum coronarium al Salvatore.221 Ciò nonostante, dall'età di ebraica avranno sognato per un certo tempo una religione senza immagini. Altri invece, deplorava­ no segretamente che la brutale distruzione subita dalle immagini delle divinità causasse la perdita di una tradizione culturale nella quale arte e religione erano collegate da secoli», cosi Belting 2007, p. 6 1 ; Brenk 20 1 0, pp. 50-52. 2 1 9. In merito alle nonne e alla pratica religiosa in fatto di immagini nel primo Cristianesimo v. Bisconti 1996, pp. 7 1 -93, in part. pp. 7 1 -75 e Rudolph 2004, pp. 49-84, in part. 50-68. 220. LP 46 c. 5; de Blaauw 200 lc, pp. 1 37- 146, in part. 145. 22 1 . Riferendosi a LP 3 7 cc. 9- 1 0 e 1 3 ( elenco delle statue delfastigium e lista dei doni al Battistero lateranense nella biografia di Silvestro) Hennan Geertman osserva come le figurazioni plastiche non vengano definite imagines o con un termine analogo, ma siano chiamate con il nome proprio di chi rappresentano o della propria categoria (angeli, agnelli etc.); un altro indice della forma plastica è individuato dallo studioso nel ricorso al verbo sto per definire la posizione eretta della figurazione. v. Geertman 2003b, pp. 29-43, in part. p. 32. Lo stesso sembra riscon­ trarsi nella biografia di Leone III, v. LP 98 c. 53: « intro confessionem Salvatorem stantem, dextra levaque eius beati apostoli Petrus et Paulus habentes pariter coronas ex gemmis pretiosis» , dove i l redattore descrive un aspetto del complessivo restyling dell'altare di San Pietro che richiese 148 kg 112 ex aurojùlvo ( 453 libbre e 6 oncie) Figure a tutto tondo sono probabilmente identifi­ cabili in LP 98 c. 57 (93 libbre di argento dorato per quattro cherubini); c. 58 ( 1 00 libbre e 112 di argento dorato per due angeli); c. 65 ( 1 8 libbre e 10 oncie di argento per un agnello) e c. 87 (64 libbre per due angeli e altre 68 libbre per quattro angeli minores). In merito ai crocifissi donati alla basilica di San Pietro da Leone III e Leone IV, v. Curzi 2004, pp. 1 5-28 e Peroni 20 12, pp. 9 1 - 1 06, in part. p. 1 0 1 che richiama le puntualizzazioni di SchUppel 2005, pp. 2 1 -46; da ultimo Eud. 20 1 3 , pp. 306-323 . Da un punto di vista strettamente lessicale, nel LP la distinzione tra crux c crucifixus non pone problemi, corrispondendo i due lemmi a piani espressivi distinti: simbolico lu crux e mimetico-narrativo il crucifixus. Riterrei inoltre che la menzione di crucifixi non signi­ lichi di per sè che il Cristo sulla croce fosse reso plasticamente. Si veda per es. nella biografia di Leone III l'espressione con la quale il redattore indica l'ubicazione a San Pietro di una conca d'argento pro luminariorum splendore posta «sub imagine Salvatoris domini nostri Iesu Christi ad crucifixum» (LP 98 c. 1 05 .). Nella basilica Vaticana il toponimo ad crucifixum identificava il luogo di un altare venerato, situato nella navata maggiore in corripondenza della Crocifissione dipinta a doppio registro sulla parete Sud. Se l'imago Salvatoris, nominata nella vita di Leone III, era davvero la Crocifissione dipinta tra i riquadri Neotestamentari della navata, si confermerebbe lu precoce monumentalizzazione di quella scena (v. Tronzo 1 985, pp. 93- 1 1 2, in part. p. 98). Con l'estensione al doppio registro, la Crocifissione aveva acquistato, rispetto al ciclo narrativo, una peculiare autonomia. Lo conferma l'illuminazione ad hoc - un dispositivo posto verosimilmente all'altezza dell'architrave del colonnato -, che suggestivamente evoca un accento devozionale del tutto consono a un"'icona" alto medievale. Crucifixi in metallo prezioso sono tuttavia nominati nella vita di Leone III v. LP 98 c. 39 (a San Pietro, di 72 libb. d'argento purissimo) e c. 48 (a San Pietro, di 52 libbre d'argento purissimo) e c. 97 (a San Paolo, di 52 libbre d'argento purissimo). A un artefatto complesso sembra riferirsi il biografo di Leone IV quando nomina un «crucifixum =

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Sisto III in poi, sono le immagini bidimensionali a tenere saldamente il campo nell'aula di culto dove, per volontà dei pontefici, esse furono realizzate con ogni tecnica esecutiva e su ogni tipo di supporto.222 È bene ora chiedersi quali siano nell'uso dei redattori le differenze tra i ter­ mini imago, effigies e figura. Va premesso che in questo, come in altri casi già esaminati, lo scopo non è quello di redigere un glossario tecnico. L'idea è piut­ tosto quella di approssimare il corretto significato delle parole nel loro contesto. Un caso rappresentativo è offerto dalla biografia di Costantino (708-7 1 5) là dove si racconta che il papa e i romani si erano rifiutati di tributare all'usurpatore Fi­ lippico Bardane gli onori tradizionalmente dovuti all' imperatore. Il popolo infatti non accettava «heretici imperatoris nomen aut chartas ve l figuram solidi [ . . . j unde nec eius effigies in ecclesia introducta est, nec suum nomen ad missarum solemnia proferebatur».223 Stando alle parole del redattore, potremmo paragonare la mancata esposizione pubblica del nome e dell' immagine dell' imperatore a una sorta di damnatio memoriae in vita o di scomunica, considerato che qui si parln dell'aula di culto.224 Tuttavia il riferimento al so/idus aureo di Filippico Bardane conferisce al passo il valore concreto di una testimonianza perché, a parte i con i i battuti a Costantinopoli, un so/idus d i Filippico Bardane fu certamente emesso anche dalla zecca di Roma e dunque con il suo atteggiamento insubordinato i l popolo mostrava d i respingere un atto d i sovranità imperiale.225 Da un punto d i vista strettamente lessicale, viene naturale osservare che l a parola.figura associata al conio del solidus non può che designare il busto dell' imperatore stampato u impressione sul dritto del moneta. Del resto anche per lsidoro di Siviglia la.figura è la rappresentazione piana di una forma, tanto è vero che si identifica per defini­ zione con la «figura geometrica».226 Tornando al passo in questione, poiché sintatticamente unde introduce In conseguenza del comportamento tenuto dal papa e dal popolo, ovvero l'ostraci­ smo sia del nome sia dell' effigies di Filippico, è evidente che, in virtù dell'acce nmirae magnitudinis constructum cum gemmis iacinctinis de argento purissimo exaurato pens. li h LXXVII et alia gemma alba maiore 1» . La descrizione si attaglia a un'opera di macro-oreficeriu e il ricorso al participio constructum fa pensare a un procedimento di assemblaggio delle part i la cui complessità è stata documentata durante il restauro dei rari esemplari medievali pervenut i (X-XII secolo), v. LP 1 05 c. 46. 222. V. Andaloro 2006, pp. 1 5-3 1 ; nello stesso volume Ead., Dalla statua all 'immagine dipin­ ta, pp. 37-52. Da ultimo Brenk 2010. 223 . LP 90 c. 10. 224. Si paragoni l'episodio con il solenne adventus dell'"icona" di Foca e della moglie Lc­ onzia, prima al Laterano e poi al Palatino, ai tempi di Gregorio Magno, (infra), a questo proposito Belting osserva: «La spedizione dell'immagine [dell'imperatore] ha come obiettivo la prosternazi­ one della popolazione, sicchè un rifiuto dell'immagine o un'accoglienza non rituale avrebbe con­ figurato un reato di lesa maestà», v. Belting 200 1 , p. 1 37. 225. V. Wroth 1 908, l, pp. xxxiv (che cita in nota il LP); e II, p. 359, n. 9. Nel solidus battuto u Roma il busto coronato di Filippico impugna nella destra il globo crocifero e nella sinistra lo scettro sormontato dali 'aquila. 226. «De figuris geometriae», v. Isidoro, Ethym. , m, 12.

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no alla.figura sulla moneta, effigies valga qui per "ritratto" o ''veridico sembiante" e abbia dunque un significato prossimo a quello moderno.227 Un'altra occorrenza di.figura, questa volta nella biografia di Zaccaria (74 1 752), conferma il peculiare significato del termine. Il passo nomina le porte bronzee che furono messe in opera nella torre fatta costruire dal papa davanti all'archivio del patriarchio Lateranense. Il redattore ricorda che le ante della porta (fores) furono ornate all'esterno per .figuram Sal­ vatoris. 128 In base a quanto detto sopra e per quel che sappiamo sull'arte e la tecnologia delle porte bronzee tra l'età tardo antica e medievale, è probabile che l ' immagine del Salvatore sulle valve della porta di Zaccaria fosse delineata a contorno con la tecnica dell' incisione o addirittura dell'agemina.229 Ritengo che avessero l'aspetto di figure piane e incise anche tre imagines d'argento con la.figura del Salvatore e le effigies di angeli, citate nella biografia di papa Nicola (85 8-867), lo conferma l'uso del verbo sca/po che indica tecni­ camente il lavoro di intaglio eseguito con il bulino o con uno scalpello tagliente (sca/prum ). 230 Come si è già visto nel riferimento al busto dell'imperatore stampato sulla moneta, la parola effigies, rispetto all'antica accezione, sembra indebolire la sua connotazione tecnica.231 Se infatti la derivazione da effingo rinvia all'atto di riprodurre e rappresenta­ re plasticamente un originale, nel Li ber la parola allude di solito (e più in genera­ le) alle sembianze di un personaggio, ritratto o rappresentato, indipendentemente dalla tecnica utilizzata. In effetti nel Liber il numero delle effigies a sbalzo si limita a una serie di im­ magini (del Salvatore e degli Apostoli e della Madre di Dio e delle Vergini) cesellate (expressae) sul rivestimento d'argento della trave della pergola di Gregorio ill .232 Un'occorrenza problematica si incontra invece nella biografia di Paolo I (757-767) che, nell'oratorio ornato di marmi e di mosaici dedicato alla Madre 227. Si pensi per esempio all'incisione di Albrecht Dnrer che lo stesso artista certifica come ledele ritratto di Erasmo da Rotterdam: IMAGO ERASMI ROTERODAMI AB ALBERTO 0URERO AD VIVAM I!FFIGIEM DELINIATA (A.D. MCXXVI), v. Panofsky 1 983, pp. 3 1 0-3 1 1 , fig. 305; cfr. a.v. Effigie, in Bat­ taglia 1972, V, pp. 59-60. 228. LP 93 c. 18, v. Massimo 2003, l, pp. 1 7-36, in part. pp. 25-27. 229. Osservati attraverso il racconto del suo biografo, i lavori di rinnovamento del patriarchio Lateranense ai tempi di papa Zaccaria, mostrano la messa in campo di tecniche decorative ricercate c costose. La ageminatura era conosciuta al Laterano almeno attraverso i battenti dell'oratorio di San Giovanni Battista annesso al battistero (V secolo). Sulla continuità di questa tecnica decorativa dei metalli in età alto medievale e un suo plausibile impiego nella decorazione anche delle porte bronzee si legga ora lacobini 2009, pp. 1 5-54, in part. 20-23. 230. LP 107 c. 79; a.v. sca/po in LTL, IV, pp. 24 1-242. 23 1 . a. v. effigies, ei in LTL, IT, p. 233, in part.: «A) Stricto sensu effigies significat id quod ad vivaro alterius similitudinem effictum est, similitudinem, imaginem, corpoream quoque ex creta, cera, metallis etc. constantem [ . . . ] B) Latiori sensu ponitur pro imagine vel signo plastica arte ef­ fìcto, raro tamen de picturis [ . . . ]»; e a. v. effigies, ei in ThLL, V, 2, coli. 1 80- 1 84. 232. LP 92 c. 5.

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di Dio in San Pietro, effigiem sanctae Dei genitricis in statu ex argento deaurato constituit. Lo sconcerto nasce in ragione del peso dell 'argento dorato destinato n questa commissione: ben 1 50 libbre (oltre 49 kg}.233 Si pensi che la statua d'oro del Salvatore sedentem in sella donato da Co­ stantino per ilfastigium lateranense pesava 1 40 libbre e raggiungeva l'altezza d i 5 piedi.234 Certo, la menzione di una statua della Vergine a dimensioni naturali fa scal­ pore alla metà dell'VIII secolo235 e, per quanto sul piano strettamente lessicalc nulla impedisca di ritenere l' effigies una figurazione plastica, stando alle occor­ renze del lemma nel Liber, l'eventualità costituirebbe un'eccezione. Nel Liber, infatti, la parola effigies si riferisce a immagini bidimensiona li (figurate e con particolare riferimento al volto) in metallo prezioso o rivestite di lamina metallica; più raramente eseguite a sbalzo o a ornamento della suppellet­ tile sacra. 236 Né mancano effigies tra le figurazioni intessute (o forse applicate ad ago o di­ pinte) delle vestes d'altare e, in un caso, anche ricamate sui vela (velum acupicti/c• habentem hominis effigiem sedentis super pavonem).23 1 Dal punto di vista sintattico, la citazione tratta dalla vita di Paolo I presenln una costruzione analoga a quella di un passo nella biografia del suo successore dove si dice che il beatissimus praesul Stefano III dona, rispettivamente alle bu­ siliche di San Pietro, di San Paolo e di Sant'Andrea, travi leggere rivestite d'ar­ gento (regulares) poste «super rugas per quas ingrediuntur ad altare, ubi imaginc� in frontespicio constitute sunt>).238 233. LP 95 c. 6**, l'edizione di Duchesne segnala che il nwnero delle libbre era annotato n margine. 234. LP 34 c. 10. 235. Belting ritiene che in Occidente la scultura plastica sia stata progressivamente riam ­ messa tra le immagini di culto come "contenitore" di reliquie: «Intorno al 946, nella cattedrale di Clerrnond-Ferrand fu eretta la prima statua in trono di Maria di cui si abbia notizia certa. Tale sta t un aveva la forma di una reliquiario ( . . . ] un testo contemporaneo dice che si distingueva dalle semplki urne o chiisses per la forma figurale. Come la Madonna di Essen [ca. 980], questa prima statua crn interamente rivestita in lamina d'oro ed esposta dietro l'altare proprio come le urne, su una colonnn in marmo con uno zoccolo di figure in agata», v. Belting 200 1 , pp. 36 1 -369. 236. Oltre alle occorrenze già citate v. LP 97 cc. 58, 60 e 6 1 ; LP c. 26; LP 1 05 c. 45; LP 107 c. 79. 237. V. LP 1 04 c. 26 (su vestis), c. 34 (su una patena), c. 35 (su vestis); LP 1 05 c. l O (�u velum acupictile), c. 21 (su vestis, anche con l'effigies del pontefice). Si noti il caso di LP 1 05 l' . 59: «vestem de fundato habentem in medio tabulam exauratam cwn effigiem Nativitatis domini nostri lesu Christi et ipsius almi pontificis», qui effigies è usata con il significato di historia/storla e cioè di immagine narrativa. È possibile però che il ritratto del pontefice, che si direbbe partt• della stessa figurazione, abbia influenzato le scelta lessicale del redattore. L'uso di historia/storia come immagine narrativa è ampiamente esemplificato nella Schedatura analitica dei tessuti etm motivi figurati di Adriano I, Leone III, Pasquale I curata da G. Bordi, S. Pennesi, in Andaloro 2003b, pp. 67-96. 238. LP 96 c. 27; cfr anche LP 104 c. 23 («basilicam [ . . . ] quae in cacwnine Faiani montis c�l constituta» ).

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Ricorre qui per la prima volta il terminefrontespicium che non ha precedenti nel latino classico, ma che godrà di un'ampia fortuna dal tardo medioevo in poi.239 Cercando di immaginare l'allestimento descritto, viene spontaneo associarlo (al­ meno sul piano funzionale) con l'antico fastigium lateranense che alla sommità schierava rectolverso il donarium di statue costantiniane. È indubbio infatti che il biografo di Stefano III si riferisca ali' atto di collo­ care/porre (constituere) le immagini sopra la trave rivestitita d'argento, appunto in frontespicio. 240 Ritengo pertanto che l ' espressione «effi.giem sanctae Dei Genitricis in sta­ tu ex argento deaurato que pens. lib. CL constituit» vada interpretata come segue: «fece collocare l ' immagine d' argento dorato della madre di Dio su una colonna (in statu) [anch'essa d'argento dorato], per un peso complessivo di 1 5 0 libbre». Il pronome relativo que ( quae, che intendo al plurale) indica i nfatti che anche la colonna era rivestita dello stesso materiale prezioso (ex ar­ gento deaurato}. 241 Questa lettura ha il pregio di non forzare né la grammatica né la sintassi del testo e rende plausibile la quantità di argento dorato annotata a margine dal redattore. Quanto all'uso di statua per colonna, l'occorrenza dimostra la discrezione lessicale del redattore che qui nomina, non una colonna architettonicamente por­ tante (che nel Liber è sempre chiamata co/umna}, ma un fusto di colonna isolato con valore onorifico sul quale viene sistemata l' immagine della Madre di Dio.242 Per quanto in una attestazione iconografica culturalmente e cronologicamen­ te distante, vale la pena ricordare la rappresentazione del Mandy/ion nei preziosi rilievi della cornice di età paleologa del Volto Santo di Genova. Nella narrazione per immagini che celebra le origini miracolose della venerata icona «non fatta da mano umana», il Mandy/ion, in quattro scene su dieci, figura esposto alla som­ mità di una colonna. In particolare in uno dei micro-rilievi, la «potente icona», =

239. Cfr. http://ducange.enc.sorbonne.fr/FRONTISPICIDM1 e a.v. Frontespizio in Battaglia 1 972, VI, pp. 387-388. 240. Nel verbo constituo (con e statuo) il significato di collocare, porre, erigere è rafforzato da una connotazione prescrittiva che allude a una assegnazione stabile e ordinata di un posto cfr. a.v. constituo in LTL, l, pp. 8 1 6-8 1 7 e in a.v. constituo in ThLL, Iv, coli. 5 1 0-525, in part. I B, 1 -2. 24 1 . Colonne di medie e piccole dimensioni rivestite d'argento sono menzionate in parti­ colare al tempo di Leone ID, v. LP 98 cc. 25, 35, 48, 57, 86, 87 (6 columnellae di argento dorato diversis depictae storiis), 88; e inoltre LP 103 c. 4 1 e LP 105 cc. 6 1 , 66 e 96. 242. Statua è propriamente ciò che è collocato in piedi ed è eretto ad arte; di solito designa statue e simulacri realizzati in metallo, in pietra o in legno honoris et memoriae causa, ma può an­ che indicare una colonna o un pilastro infatti «Dicitur etiam de columna. Vopisc. Aurei. 3 7, Statuae marmoreae. Sedul. Carm. pasch. l . 106, Statua salis», cfr. a. v. statuo in LTL, Iv, p. 476; statua con il significato di colonna figura dunque in attestazioni tarde (IV-V secolo). A proposito delle colonne onorifiche e dell'intrinseco valore simbolico della colonna, v. Gaio Plinio Cecilio Secondo, Nat. Hist., 34, 20-2 1 e 27, in part. : «Columnarum ratio erat attolli super ceteros mortales [ . . . ]». Nel Foro Romano l'ultimo monumento onorario di questo tipo fu la colonna votata nel 608 sulla quale fu collocata la statua d'oro dell'imperatore Foca, v. Verduchi 1 993, p. 307.

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eretta sulla colonna fuori delle mura di Edessa, fa precipitare un idolo pagano du un analogo piedistallo.243 Per quanto non sia provato che l 'icona eretta sulla colonna nelle vignette di età paleologa rifletta una consuetudine nelle pratiche cultuali, è certo invece che la colonna onoraria - comune a Roma come a Costantinopoli - fosse riconosciuta nel suo significato simbolico. A proposito della collocazione delle immagini nell ' aula di culto, valutan­ do i dati fomiti dai biografi del Liber, è indubbio che le immagini esposte al lu venerazione occupassero sempre un posto elevato (super rugas; in.frontespitio: super introitu basilicae; super fores; super confessionem; super trabes etc . ) e fossero associate a verbi come erigere. 244 L o confermano anche l a violenza perpetrata durante la crisi iconoclasta che si esprime innazitutto con l'atto di deponere imagines e la tenace mobilitazione dei pontefici romani pro erigendi.\' sacris imaginibus. Con un effetto sorpendente e suggestivo, ai tempi di Sergio II (844-847) e d i Leone IV (847-855), i redattori per indicare l a posizione elevata tenuta dalle sacn� immagini le rappresentano addirittura «sedute» sopra la trave davanti al vestibolo dell'altare di San Pietro (fecit travem . . . in qua sacrae ac Dei venerabiles sedent imagines). 245 Nelle numerose occorrenze attestate nel Liber, imago designa immagini tra­ sportabili, associate di norma all' impiego di metalli preziosi (argento e oro) il cui valore è espresso in libbre. La menzione di immagini come semplici tavole dipinte, prive di rivestiment i preziosi, è invece rara. È questo il caso di una imago apostolorum vetustissima che viene sostituita per l' iniziativa di Sergio I (687-70 1 ) (imagine . . . mutavit).241' L'assenza del rivestimento era forse imputabile a una ragione pratica e cio� al fatto che l' imago degli apostoli era collocata all'esterno della basilica di San Paolo, al di sopra delle porte: super fores eiusdem basi/icae. 247 Questa ubicazione offre lo spunto per un'osservazione: se è lecito parlare di una topografia delle immagini nell'edificio di culto, essa rispecchia un itine­ rario ad sacrum. Le soglie di questo percorso coincidono con le porte principa­ li dell'edificio di culto (v. il caso appena menzionato) e, una volta all' interno dell'aula, con la delimitazione degli spazi riservati al clero, i più prossimi al l uo­ go dove si celebrava il mistero sacramentale e dove si custodivano le reliquie (altare-confessione). Le porticine (rugae) del recinto presbiteriale nella navata maggiore erano in­ fatti sormontate da travi leggere (regulares) sulle quali venivano collocate le imagi243. Colette Dufour Bozzo richiamando l'attenzione sul nesso tra il Mandylion e la porta ur­ bica sottolinea la valenza sacra della colonna sulla quale l'icona è collocata, v. Dufour Bozzo 2004, pp. 25-45, in part. p. 27; Ead. 1 998, pp. 55-67, in part. 56. 244. V. per es. LP 9 1 c. 23 e LP 92 c. 4. 245. V. LP 1 04 c. 36 e LP 1 05 c. 1 08. 246. LP 86 c. 12. 247. Per il distinto significato difores, regiae e portae v. sopra.

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nes; immagini erano esposte sulla trave della pergula e in corrispondenza dei var­ chi laterali in parte virorum e in parte mulierum. 248 Immagini infine erano collocate ad a/tarem e ad sacrum ovvero nei recessi più santi delle cripte, dove la prossimità alle reliquie venerate trasformava l'esperienza visiva in una speciale epifania.249 Per quanto sia arduo deswnere da una descrizione sommaria l'aspetto di un artefatto perduto, alcune informazioni sulle caratteristiche materiali delle imma­ gini menzionate nel Liber si possono tuttavia ricavare. I redattori sembrano distinguere tra imagines d'oro o d'argento e le tavole dipinte che di prezioso avevano solo un rivestimento in lamina. Il tema del rivestimento prezioso meriterebbe un approfondimento da esten­ dere anche all'uso di coprire le sacre immagini con vela realizzati in tessuti al­ trettanto preziosi. Nel Liber questo uso è documentato solo dal principio del IX secolo,250 è tut­ tavia probabile che il suggestivo ricorso a tende e a cortine per velare e disvelare le sacre immagine seguisse un'antica tradizione che aveva le sue origini nella prossemica rituale dell'aula palatii. 251 Le immagini inoltre potevano essere schermate anche con ante di legno dipinte. Nella biografia di Leone III si nomina infatti un' immagine del Salvatore di questo tipo.252 Essa aveva una collocazione di tutto riguardo, si trovava infatti 248. Oltre all'immagine dipinta degli apostoli a San Paolo ai tempi di Sergio l, v. anche LP 97 c. 61 (a San Pietro: super introitum basilicae ... ubi portas argenteas existunt); LP 96 c. 27 (a San Pietro, a San Paolo e a Sant'Andrea: regulares... super rugas per quas ingrediuntur ad altare ubi imagines in frontespitio constitutae sunt); LP 97 c. 58 (a San Pietro: super rugas qui sunt in introitu presbiterii, ubi et regularem ex argento investitofècit etposuit super eundem regularem . . . tres imagines ... .In secundas rugas, id est in medio presbiterii, faciens alium regularem ex argento investito, constituit super eum reliquas tres imagine); c. 60 (a San Paolo: imagines tres qui ponuntur super rugas in introitu presbite­ ril); LP 98 c. 3 1 (a San Paolo: super postes in introitu); LP 86 c. 1 1 (a San Pietro: in parte mulierum); LP 98 c. 54 (a San Pietro: in parte virorum); c. 57 (a San Pietro: imaginem ... in trabe super ingressum vestibull): c. 84 (a San Pietro: in trabe argentea ... super ingressu vestibuli); c. 87 (a San Pietro: in trabe maiore super ingressum vestibull); c. 88 (a San Paolo: super ingressum vestibull); LP 104 cc. 34 e 36 (ai Santi Silvestro e Martino: imagineslvultus sanctorum ... sedentes supra vestibulum altaris); LP 105 c. 108 (a San Pietro: ante sacri altaris vestibulum .. .fecit trabem in qua...sedent imagines). 249. Tra tutte va menzionata l'immagine ad corpus nella cripta della basilica Vaticana. Si trat­ tava di una imago aurea del Salvatore, della Madre di Dio, degli apostoli Pietro, Paolo e Andrea, ai quali al tempo di Leone III si aggiunse anche santa Petronilla v. LP 98 c. 1 1 O; dopo la razzia saracena, Leone IV fece realizzare tre immagini d'argento dorato e cioè il Salvatore cum gemmis in capite per crucem ornata iacinctinis et prasinis, affiancato da Pietro e Petronilla (alla sua destra) e da Andrea (alla sua sinistra), v. LP 105, c. 24. Per le immagini destinate alla cripta delle basiliche di Pasquale I v. LP 1 00 cc. 10 (Santa Prassede) e c. 1 9 (Santa Cecilia), si tratta di immagini d'argento e di peso considerevole. 250. LP 98 cc. 32, 66; LP 1 04 c. 37. 25 1 . Si pensi agli avori cd. di Ariadne del Bargello e di Vienna dove le cortine sollevate e scostate alludono all'apparizione imperiale (prokypsis) in uno spazio sacro interdetto ai sudditi, v. Zurli 2007, pp. 248-249, n. 7 1 da confrontare con l'immagine musiva della Theotokos in abiti di regina e nella nicchia schermata da tende dell'oratorio di Giovanni VII in San Pietro (706), v. Bal­ lardini 2010, p. 99. 252. LP 98 c. 3; per la ripresa del terminefastigium in questo contesto v. sopra.

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sulla trave dell'arco trionfale della basilica di San Pietro (in fastigio sub arco maiore) e le sue ante erano dipinte in modo mirabile.253 Nel caso dei rivestimenti metallici, si può essere certi dell'esistenza di una tavola dipinta sotto una lamina preziosa solo quando il redattore menziona in modo esplicito la procedura di rivestimento. I casi esaminati mostrano però che solo i biografi di Gregorio III e di Adriano I si esprimono in questi termini. Di Gregorio III sappiamo per esempio che «imaginem sancte Dei genetri­ cis antiquam deargentavit ac investivit de argento mundissimo».254 È di nuovo l'antichità dell' immagine ad avere attirato le attenzioni di un papa che, nel caso di Gregorio III, era un fermo oppositore della ideologia iconoclasta dilagante a Oriente (supra). È noto tuttavia come l'epiteto antiqua, sia stato riconosciuto dagli studiosi come identificativo di un' immagine in particolare: quella venerata nella chiesa di Santa Maria Antiqua al Foro e dunque con i mirabili volti a encau­ sto della Madre di Dio e del bambino celati dall'Odighitria duecentesca di Santa Francesca Romana.m Sebbene sia complesso fare delle ipotesi sulle dimensioni di quella prima immagine è certo che i volti a encausto della Madre di Dio e del bambino ap­ partenessero a una sorta di megalografia. Si da il caso che l' importante quantità d'argento (50 libbre = oltre 1 6 kg) destinata da Gregorio III per rivestire l' imago antiqua giochi a favore dell' identificazione proposta, fornendo altresi un elemen­ to utile alla stima, sia pure approssimativa, delle dimensioni dell'immagine, a partire dallo sviluppo della lamina di rivestimento che escludeva sicuramente i volti e forse le mani della Madre di Dio e del bambino.256 Nella biografia di Adriano i rivestimenti metallici sono anche meglio descrit­ ti. Si nominano infatti imagines ex /amminis argenteis investitas il cui soggetto iconografico è espresso con una formula assai suggestiva, si dice infatti che le immagini avevano depictum vultum Sa/vatoris oppure praefiguratum vultum san­ ctae Dei Genitricis. 2s1 La contestualità del riferimento alla lamina metallica e ai volti dipinti o "pre­ figurati" non permette di dubitare che il redattore descriva ciò che vede e cioè

253. LP 98 c. 3 : « [ . . . ] imago Salvatoris cwn regiis mire pulcritudinis depictae ad decorem su· prascripte ecclesiae» dove depictae è da riferire a regiae per rilevarne il pregio della decorazione. 254. LP 92 c. 1 0. 255. Cellini 1 950, pp. 1-8; Andaloro 2002c, pp. 7 1 9-753 (Tavv. I-XIX), in part. pp. 723, 744· 745 (Analisi della genesi morfologica del volto della Theoto/cos) e pp. 747-749, da ultimo Leoni, Soavi 2012, p. 42. 256. Solo al tempo di Adriano l e di Leone m si registrano quantitativi paragonabili di mc· tallo prezioso destinati alle immagini v. LP 97 c. 61 (50 libbre di argento dorato); c. 87 (200 libbre, un'immagine, ma cinque soggetti de auro purissimo mirae magnitudinis); LP 98 c. 3 1 (60 libbre di argento dorato); tuttavia in questi casi non c'è modo di stabilire se si tratti di rivestimenti di imma ­ gini dipinte o di immagini di metallo a sbalzo applicate su supporto !igneo, una tipologia di "icone" assai più diffusa di quanto riusciamo a immaginare. 257. LP 97 c. 58 e c. 60.

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il volto dipinto del Salvatore o della Vergine lasciato scoperto e delimitato dal rivestimento prezioso. Sebbene distante per argomento, un altro passo del Liber aiuta a capire il si­ gnificato di questa espressione, si tratta della descrizione dell'eclissi di luna nella biografia di Leone II (682-683): «Huius temporibus [ . . . ] luna eclepse pertulit post Cena Domini, nocte pene tota sanguineo vultu elaboravit et nisi post gallum cantum coepit paulatim delimpidare et in suo reverti».2s s Il redattore per descrivere il sinistro trascolorare della luna e l'alterazione innaturale del suo aspetto non rinuncia a una delle speculazioni più antiche e po­ etiche dell'uomo, quella per la quale anche la luna ha un volto. Giocando con la metafora, il chiaro volto della luna che apre un varco nel cielo notturno esprime bene l' idea dei sembianti dipinti circondati dal rivestimento prezioso delle imma­ gini citate nel Liber. La suggestione induce anche a ipotizzare che, almeno in alcuni casi, il ter­ mine vu/tus sia usato nel LP per indicare immagini entro clipei. Questo potrebbe essere il caso dei «volti» dei venerabili padri realizzati a mosaico nell'oratorio dedicato da Giovanni VII alla Theotokos in San Pietro che - purtroppo perduti - è lecito immaginare nella forma delle imagines clipeatae fatte dipingere dallo stesso papa in Santa Maria Antiqua.2 s9 Se vale questa ipotesi, potremmo addirittura puntualizzare il significato dell' imago c/ipeata ricorrendo alla definizione di vultus che designa non solo le fattezze, ma anche quell' insieme di espressioni che rivelano i moti dell'ani­ mo e che rendono unico, irripetibile e identificabile il volto di ciascuno: «vul­ tus est habitus sive status faciei, qui pro animi affectibus alius atque alius ostenditur [ . . . ] 1tp6crro1tov».260 Una formula che non sembra contravvenire al valore e al significato riconosciuto sin dall'antichità alle immagini clipeate come immagini/ritratto pubblicamente consacrate in onore di personalità fa­ mose o venerate. 261 In linea con questo ragionamento e con il significato di 1tp6crro1tov cioè di «volto visto» che «Sta davanti agli occhi», vultus ricorre nella stessa biografia di Giovanni VII quando si nominano le immagini realizzate nelle diverse chiese della città dove «chi avesse voluto conoscere che aspetto avesse il papa» avrebbe potuto trovare «il suo volto dipinto» (eius vultum depictum). 262 A trarre tutte le conseguenze da quest'ultima citazione, con il termine vultus dovremmo designare ''tecnicamente" - o per lo meno secondo il lessico del bio-

258. LP 82 c. 6. 259. LP 88 c. l. V. Nordhagen 1 968, in part. pp. 1 7- 2 1 ; p. 94; 104 Pl. la e b; e V-:XVa. 260. a.v. vultus in LlL, IV, pp. l 045-146; per alcune riflessioni sul significato di prosopon/ persona;facieslvultus e il tema della maschera e dell'immagine nella cultura greca e latina v. Belt­ ing 2007, pp. 83-85. 26 1 . Per il significato dell'imago clipeata nella storia dell'immagine post-costantiniana v. Belting 200 1 , pp. 138- 1 46. 262. LP 88, c. 2.

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grafo di Giovanni VII - anche i cosiddetti «ritratti di committenza» incorniciati dal nimbo quadrato, la cui più antica attestazione risale appunto a quel papa.263 Tra le occorrenze di vultum merita attenzione anche il caso citato nella biogra­ fia di Stefano II (752-757) che riferisce di un'immagine della Madre di Dio, d'oro e ornata di gemme, donata dal papa alla basilica di Santa Maria Maggiore: « [ . . . ] fecit [ . . . ] imaginem ex auro purissimo, eidem Dei Genitricis in throno sedentem, ge­ stantem super genibus vultum Salvatoris domini nostri Iesu Christi, quem et multis lapidibus pretiosis adornavit, id est hyacintis, zmaragdis, prasinis et albis [ . . . ]».264 L'espressione gestantem super genibus vultum Salvatoris si presta ad es­ sere letta in una inedita prospettiva da quando è tornata alla luce sulla parete del nartece di Santa Sabina l' immagine della Vergine e il bambino con santi e donatori. Del tempo di papa Costantino I (708-7 1 5), la pittura murale presenta una peculiarità iconografica che, per quanto non sia un unicum nell'alto medioevo romano, è tuttavia piuttosto rara. La Madre di Dio è infatti assisa e porta sulle ginocchia il bambino che è avvolto in un alone luminoso.26s Discutendo se si debba o meno designare questa formula iconografica con l'epiteto Nikopoios («apportatrice di vittoria»), Manuela Gianandrea ha interpre­ tato la scelta del tema in sintonia con le decisioni del concilio di Costantinopoli (680) e con il conflitto che opponeva papa Costantino all'«usurpatore» Filippica Bardane. A favore di questa proposta e dell' identificazione dei donatori Teodoro e Giorgio, ritratti nell' immagine di Santa Sabina, con gli omonimi delegati romani al concilio Costantinopolitano, si aggiunge ora un indizio offerto dal biografo di Agatone (678-68 1). Dando conto dell'evento conciliare, egli riferisce infatti che la delegazio­ ne romana fu invitata in processione ad sanctam Dei genitricem ad Blachernas. Se la notizia corrisponde al vero, Teodoro e Giorgio ebbero modo di visitare il santuario imperiale, dove all'epoca erano custodite numerose immagini della Vergine. Tra queste, secondo Scilitze (Xl secolo), fin dall'età pre-iconoclasta era venerata una tavola di legno della Theotokos che, a parere di alcuni, serbava i l tipo della Madre d i Dio che regge un medaglione d i Cristo.266 In un quadro fortemente penalizzato dalla perdita di testimonianze figu­ rative alto medievali, la notizia dell' imago di Stefano II che rappresenta la 263. V. Ladner 1 94 1 , pp. 88-95; sulla questione del "nimbo quadrato" v. Id. 1 94 1 , pp. 1 5-45, ried. in Id. 1983, pp. 1 1 5- 166, in part. pp. 1 1 6- 1 1 7; e Osbome 1 979, pp. 58-65; da ultimo Francesco Gandolfo ha dimostrato come nel tempo l'attributo del nimbo quadrato abbia subito una manipo­ lazione e «un mutamento di valore», v. Gandolfo 2004a, in part. pp. 1 9-25. 264. LP 94 c. 45•, stando alle parole del redattore, l'imago di Stefano Il era di metallo prezi­ oso e fu sistemata ante altare tra altre due antiche immagini d'argento che il papa fece dorare. 265. Gianandrea 2010, pp. 25-30; Ead. 201 1 , pp. 399-4 1 0; Ead. 20 15, pp 355-342 e Osbomc 20 1 5 , pp. 329-334; per il contesto storico di «Roma greca>> v. Von Falkenhausen 2015, pp. 39-72, in part. pp. 46-57. 266. LP 81 c. 5; a proposito dei nomi delle icone costantinopolitane della Theotolws garanti della vittoria imperiale e protettrici della città si leggano le precisazioni di Pentcheva 201 0, pp. 100- 1 08.

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Vergine nell'atto di porgere e mostrare (gestantem) il Cristo all' interno di un clipeo splendente di pietre preziose (vultum Salvatoris quem multis /apidibus pretiosis adornavi/) conferma, oltre la metà dell'VIII secolo, la circolazione a Roma di modelli iconografici di ascendenza bizantina che sono ancora in corso negli anni del pontificato di Paolo I (757-767).267 Preziose emergenze di una koinè figurativa mediterranea più diffusa, vitale e significativa di quanto al momento siamo in grado di valutare, queste immagini della Theotokos atte­ stano, all 'altezza cronologica della fase più drammatica della crisi iconoclasta (Hieria 754) l ' irriducibile fedeltà della Chiesa di Roma alla tradizione delle immagini e al loro culto. È in effetti a partire dai primi decenni dell'VIII secolo e con l'organizzazione a Oriente della fronda iconoclasta che nel LP si registra una crescita di attenzione alle immagini da parte dei pontefici.268 In vista di quanto sarebbe accaduto di li a poco nell' Oriente bizantino, ha già il sapore di una premonizione la contesa a colpi di immagini tra papa Co­ stantino (708-7 1 5) e Filippico Bardane (7 1 1 -7 1 5). Mentre l' eretico usurpatore del trono imperiale, avverso alle soluzioni del sesto concilio, aveva ordinato di rimuoverne l' immagine nel palazzo di Costantinopoli, il papa aveva fatto «erigere» presso la basilica di San Pietro l' immagine dei sei concili universali. Certo una pubblica professione di fede della Chiesa di Roma al dettato dei sei concili, ma quella designazione "alla greca" - imaginem quod Greci Botarea vocant - suggerisce che papa Costantino avesse fatto riprodurre, con un intento polemico, un' immagine vista personalmente in gioventù nel palazz o imperiale della capitale d' Oriente (supra). 269 Il biografo del suo successore ha appena il tempo di rallegrarsi del rista­ bilimento a Costantinopoli dell'ortodossia e del ripristino di «quella immagine veneranda» («imaginem illam venerandam in qua sanctae erant sex synodus depicte [ . . . ] in pristino erexit titulo atque loco» ). 270 La tregua, infatti, si sarebbe infranta con lo scoppio del primo conflitto iconoclasta in Oriente (726) e con l' irrompere nella narrazione del Liber dell' inaudita violenza rivolta in quelle regioni contro le immagini (ita ut . . . deponeret ubicumque haberentur imagines tam Salvatoris quamque eius genetricis sanctae ve/ omnium sanctorum, easque 267. V. l'immagine delle cd. Tre Sante Madri nell'atrio di Santa Maria Antiqua dove ricorre nuovamente l'alone luminoso che avvolge il bambino, Romanelli-Nordhagen 1 964, p. 38 e Anda­ loro 1987, p. 1 92 fig. 1 6 1 e p. 285. 268. Andaloro 1976; Moretti 1 997, pp. 6 1 -73. 269. LP 90 c. 8; «collocate in importanti edifici pubblici, dove spesso erano esibiti i proclami ufficiali, le serie di immagini conciliari possedevano caratteristiche tali da assumere in qualche caso lo status di documento legale [ . . . ]», v. Corrigain 1 994, pp. 253-257. Con Teodoro, Giorgio e Gio­ vanni, papa Costantino, che all'epoca era suddiacono, aveva fatto parte della delegazione romana inviata ne1 680 da papa Agatone a Costantinopoli, v. Gianandrea 2012, pp. 404-405 e p. 409, nota 27; stando al racconto del LP i messi della sede apostolica furono ricevuti in basilica quae et Trullus appellatur, intro palatio, cfr. LP 8 1 c. 6. 270. LP 91 c. 5.

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in medio civitatis, quod dicere crudele est, igne cremaret et omnes dea/baret depictas ecc/esias) e contro gli uomini (aliquanti capite truncati, a/ii partem corporis excisi). 21 1 A Roma invece la fedeltà alle immagini e al loro culto è sancita durante di pontificato di Gregorio III (73 1 -74 1 ) non solo attraverso un inedito impulso alla devozione di immagini antiquae (supra), ma anche - e da allora in poi - chia­ mando sacrae o sacratae le immagini, al pari della suppellettile liturgica, dei paramenti da indossare durante il servizio di culto o delle tovaglie di purissimo lino destinate alla mensa dell'altare.272 Un altro segnale linguistico di rilievo per la storia dell' immagine a Roma nell'alto medioevo si registra nel LP in coincidenza dell'assedio longobardo alla città (752) e dell' imminente trionfo a Oriente del partito iconoclasta. Il biografo di Stefano II, in un brano tra i più celebri del Li ber - un autentico dramma congegnato per colpire l' immaginazione del lettore - menziona infatti per la prima volta l'acheropita Lateranense.273 È un vero peccato che il racconto della litania penitenziale, durante l a quale a piedi scalzi Stefano I I porta sulle spalle l ' acheropita, non abbia trova­ to l ' attenzione dovuta presso gli storici, come se ad un' immagine - quand'an­ che solo nominata - non fosse concesso di essere un autentico testimone.274 A Maria Andaloro dobbiamo il commento di questo passo. La studiosa, sot­ tolineando l'improvvisa ed estemporanea occorrenza nel Liber dell'epiteto di «acheropita» riferito a un' immagine, rileva anche nelle varianti della tradizione manoscritta la maldestra traslitterazione dal greco del nome della sacratissima imago que acheropsita nuncupatur. 275

27 1 . LP 9 1 cc. 1 7 e 23-24, v. Andaloro 1 976, p. 70. 272. La pratica di consacrazione delle immagini di culto mediante l'WlZione con il crisma è menzionata nella lettera inviata nel 791 da papa Adriano a Carlomagno in risposta al perduto Capitulare adversus synodum, cfr. MGH, Epistolarum V, Epistulae Karolini aevi m, pp. 5-57, in part. p. 34. Il papa nomina la consuetudine come prova del ruolo di mediazione svolto dalla Chiesa di Roma nella pratica devozionale v. in proposito v. Sansterre 1997, pp. l 09- 1 24 e Ballardini 2007. pp. 1 94-2 14, in part. p. 1 95. 273. V. LP 94 c. 1 1 ; per valutare il significato delle strategie narrative del biografo di Stefano D, rinvio allo studio di Lidia Capo dedicato al Liber Pontificalis nell'VIII secolo. A partire da un accurato riesame della genesi del testo e dal confronto con le fonti contemporanee, la studiosa ha infatti dimostrato come, prima di Stefano Il, i redattori del Liber - voce del clero dell'episcopio - non abbiano necessariamente espresso una totale comunione di vedute con il papa e il suo estab­ lishment; da Stefano II e Adriano l, invece, il Liber si sarebbe trasformato in un'autentica fonte pubblicistica comunicando però, non quanto i papi e il loro ambiente davvero pensassero, bensl «[ . . . ] quanto delle loro finalità e scelte ritenevano più utile presentare al vasto pubblico dell'opera». v. Capo 2009, pp. 99-1 09 e 1 96- 1 98. 274. Solo Ottorino Bertolini riporta l'episodio parafrasando il racconto del LP, v. Bertolini 1 94 1 , pp. 5 1 8-5 17. 275. Ecco le varianti annotate da Louis Duchesne: achaereposita/acheroposita/ancheropos­ ita/achiropyta attestate dalla tradizione manoscritta cfr. Andaloro 2000d, pp. 43-45, in part. p. 45 nota 7; v. anche Andaloro 1 976, pp. 7 1 -72, de Blaauw 1 994b, p. 1 96, Parlato 2002, pp. 59-60.

Nota sulla terminologia storico-artistica nel Liber Pontificalis

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La disgrafia del redattore è interpretata come il segno che, alla metà dell'VIII secolo, il termine e con esso il concetto d' immagine acheropita a Roma «non fosse di casa» e che «volendo introdurre quel concetto non si trovò meglio che mutuarne da Bisanzio anche il nome, senza ricorrere a una traduzione in latino, pure possibile».276 In effetti è l' idea stessa che veicola il termine acheropita/acheropsita a co­ stringere lo sguardo oltre quell' immagine che, ormai cancellata per gli effetti di una secolare devozione, si sottrae paradossalmente alla nostra vista.277 In quanto «acheropita», l'imago lateranense impone dunque di rinunciare alle nostre categorie storico-artistiche che in quelle epoche lontane «erano cosi poco indispensabili>> che si poteva anche fare a meno della mano dell'artista.278 Sul piano terminologico la parola ha una storia antica. Essa deriva da xstpo1toir11:oç che, attestato in Erodoto in un orizzonte semantico tutto immanen­ te, è termine che si insinua nella traduzione della Bibbia dei LXX per designare, in senso dispregiativo, l' idolatria dei popoli diversi da Israele. Nel Nuovo Testa­ mento la parola ricorre sempre per denotare la differenza tra l'opera delle mani dell'uomo e l'opera di Dio. È tuttavia nella lettera di Paolo agli Ebrei (Eb 9, 1 1 e 24) che viene coniato il neologismo àxstpo1toirrroç (non manu factus) per designare, nella metafora della Tenda/Tempio, il corpo di Cristo «Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione»; l'immagine torna in Mc 1 4, 58 «lo distruggerò questo tempio fatto da mani d'uomo e in tre giorni ne edifi­ cherò un altro non fatto da mani d'uomo» e in altri passi del Nuovo Testamento.279 Belting, riconoscendo all'origine del neologismo paolino un concetto di im­ magine rigorosamente filosofico, ha messo in rilievo come l 'epiteto àxstpo1tOl'f1TOç/ non manu factus non fosse concettualmente trasferibile alle immagini se non ca­ dendo in contraddizione: «poiché un'"immagine non fatta" non è di regola un'im­ magine, bensi come Paolo argomenta, il corpo trasfigurato» e infatti «le immagini 276. Andaloro 2000, p. 43 e 45 nota 8. Maria Andaloro si riferisce all'espressione quae per se facta est che nel De locis sanctis martyrum (prima metà del Vll sec.) designa un'imago custodita presso Santa Maria in Trastevere, da identificare secondo la studiosa con la Madonna della Clem­ enza. Sebbene l'icona della Clemenza sia annoverata tra le cd. acheropite della Vergine, tuttavia l'espressione quae per se facta est non è la traduzione del termine greco e potrebbe alludere a una diversa genealogia di immagini, cfr. von Dobschiltz 2006, pp. 200-20 l . Per la citazione dal De locis sanctis martyrum, v. CTCR 1 942, pp. l O l - 1 3 1 , in part. p. 122; per l'icona della Clemenza v. Bertelli 1 96 1 a; Andaloro 1 975, pp. 1 39-2 1 5; Russo 1 979 e 1 980- 1 98 1 , pp. 35-1 50, in part. pp. 4985; Andaloro 2000b, pp. 726-730 e pp. 740-744 (Analisi della genesi morfologica del volto della Theotokos e dell'angelo di sinistra) e da ultimo Lidova 2009. 277. Al paradosso della rappresentazione «non fatta da mano umana» si aggiunge quello della scomparsa deli' immagine: « [ . . . ] distrutta quasi al cento per cento, l' acheropita lateranense è il paradosso per eccellenza tra tutte le immagini sacre della città di Roma» cosi Romano 2000b, pp. 39-4 1 , in part. 39. E tuttavia per l'immaginazione di Ferdinand Gregorovius: « È la menzione più antica di questo ritratto dipinto su legno, dal volto cupo, barbuto, di stile affatto bizantino [ . . . ]», v. Gregorovius 1 973, p. 406 nota 2. 278. Belting 2007, p. 43 279. V. Fogliadini 20l l , pp. 47-49.

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