La bellezza come metodo. Saggi e riflessioni su fisica e matematica 9788897404187

C'è solo una roccia che può sopravvivere a ogni tempesta e alla quale ci possiamo aggrappare strettamente: l'i

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La bellezza come metodo. Saggi e riflessioni su fisica e matematica
 9788897404187

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Graham Farmelo

ruomo più strano del mondo Vita segreta di Paul Dirac, il genio dei quanti

Étienne Klein

Sette volte la rivoluzione I grandi della fisica contemporanea

Amir D. Aczel

Entanglement Il più grande mistero della fisica

Robert Gilmore

Alice nel paese dei quanti Le avventure della fisica

Peter Goodchild

Il vero dottor Stranamore Edward Teller e la guerra nucleare

Paul A.M. Dirac

La bellezza come metodo Saggi e riflessioni su fisica e matematica A cura di Vincenzo Barone

~ Raffaello Cortina Editore

www .raffaellocortina.it

Traduzione Francesco Graziosi

ISBN 978-88-3285-065-9 © 2019 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4 Prima edizione: 2019 Stampato da Consorzio Artigiano LVG, Azzate (Varese) per conto di Raffaello Cortina Editore Ristampe

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INDICE

L'anima pura della :fisica (Vincenzo Barone)

9

Cronologia di Paul A.M. Dirac

39

Nota editoriale

43

La mia vita da :fisico

45

La relazione tra la matematica e la :fisica

61

L'evoluzione dell'immagine :fisica della Natura

73

Speranze e paure

91

Lo sviluppo della concezione della Natura del :fisico

97

L'influenza di Einstein nella :fisica

115

La veri:fìca del tempo

121

Indice dei nomi

127

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L'ANIMA PURA DELLA FISICA LA FILOSOFIA NATURALE DI PAUL A.M. DIRAC

Vincenzo Barone

Perché un elettrone dovrebbe preferire un'equazione bella a una brutta? Perché l'universo dovrebbe danzare sulla musica di Dirac? Con il suo stile di scoperta, Dirac ha formtÙato queste domande in maniera più nitida di chiunque altro. Ancor più di Newton e Einstein, egli usò il criterio di bellezza come un modo per trovare la verità. FREEMAN DYSON

Paure e coraggio

È difficile immaginare una concentrazione di intelletti paragonabile a quella che caratterizzò l'ambiente accademico di Cambridge nei primi due decenni del secolo scorso. Alle Tavole Alte dei Collegi sedevano - per fare solo qualche nome - personaggi del calibro di Bertrand Russell, Ludwig Wittgenstein, G.E. Mòore, J.J. Thomson, Ernest Rutherford, G.H. Hardy, John Maynard Keynes, protagonisti della cultura filosofica e scientifica, ma anche della vita sociale della cittadina inglese. Improvvisamente, nel 1925, una nuova stella apparve in questo firmamento già straordinariamente ricco: una stella solitaria e diversa da tutte le altre, destinata a raggiungere in brevissimo tempo fama mondiale e a lasciare una traccia indelebile nella storia della scienza. Quando l'articolo intitolato "The fundamental equations of quantum mechanics"' giunse a Gottingen, una delle capi1. P.A.M. Dirac, "Tue fundamental equations of quantum mechanics", in Proceedings of the Royal Society of London, A, i09, 1925, pp. 642-653.

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LA BELLEZZA COME METODO

tali della fisica teorica dell'epoca, Max Born si chiese chi fosse quel P.A.M. Dirac, "Senior Research Student, St John's College", che aveva formulato con ammirevole lucidità e in modo autonomo la teoria su cui egli stesso stava lavorando da mesi assieme a due giovani assistenti, W erner Heisenberg e Pascual Jordan. Tutto era cominciato alla fine delluglio del 1925, quando Heisenberg aveva inviato alla rivista Zeitschrzft /ur Physik un lavoro fondamentale, ma incompleto e a tratti oscuro, dal titolo "Uber quantentheoretische Umdeutung kinematischer und mechanischer Beziehungen" (Reinterpretazione quantoteorica di relazioni cinematiche e meccaniche), in cui venivano poste le basi della meccanica quantistica. A settembre Dirac ebbe modo di leggere le bozze dell'articolo, che il suo tu tor Ralph Fowler aveva ricevuto da Heisenberg. In un primo momento, non ne rimase particolarmente impressionato. Poi, però, fu attratto da un breve capoverso in cui Heisenberg segnalava una "difficoltà significativa" della nuova teoria: il prodotto di due grandezze quantistiche non godeva della proprietà commutativa della moltiplicazione, cioè dipendeva dall'ordine dei fattori. Dirac intuì che la differenza tra i prodotti diversamente ordinati di due grandezze - che chiamò "commutatore" - poteva essere messa in relazione con una quantità della meccanica analitica nota come parentesi di Poisson. Ciò permetteva di trasferire nel contesto quantistico l'intero formalismo canonico classico e di scrivere le equazioni del moto quantistiche in perfetta analogia con quelle classiche (le equazioni di Hamilton). La teoria che ne risultava era identica a quella formulata da Born, Heisenberg e J ordan, ma il punto di vista di Dirac era molto diverso: laddove i primi vedevano - sul piano del contenuto fisico - una drastica rottura con la vecchia meccanica, Dirac percepiva - sul piano formale - una confortante continuità, perché le variabili dinamiche delle due teorie obbedivano alle stesse leggi matematiche. 2 2. Cfr. M. De Maria, F. La Teana, "Il contributo 'non ortodosso' di Dirac alla meccanica quantistica ortodossa (1925-1927) ", in Scientia, 118, 1983, pp. 613-626. L'opera scientifica di Dirac è analizzata in H.S. Kragh, Dirac. A Scientific Biography, Cambridge University Press, Cambridge 1990.

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L'ANIMA PURA DELLA FISICA

Nel corso di un'intervista concessa allo storico e filosofo della scienza Thomas Kuhn nel 1963, Dirac rifletté sulla genesi del proprio approccio 'alla teoria quantistica e in particolare sul fatto di avere assunto come punto di partenza fondamentale quello che a Heisenberg era apparso, invece, come un elemento problematico della nuova meccanica, vale a dire la non-commutatività delle grandezze fisiche. 3 L'atteggiamento di Heisenberg esemplificava, a parere di Dirac, l'ansia tipica di colui che concepisce un'idea radicalmente nuova e si chiede se essa sia giusta o sbagliata, temendo che possa emergere qualcosa - un effetto inatteso, un dato empirico - che la invalidi. Spetta a chi viene subito dopo l'innovatore - Dirac, nel caso in questione-, e non ha le sue stesse paure (dal momento che non sta mettendo in gioco una propria creazione), sviluppare compiutamente l'idea e trarne tutte le conseguenze. Dirac riprese queste considerazioni nel 1969, in un articolo su Eureka, la rivista degli studenti di matematica di Cambridge, dove illustrò con vari esempi quella che gli appariva come una costante nella storia della scienza: Le speranze sono seìnpre accompagnate da paure, e nella ricerca scientifica le paure tendono a prendere il sopravvento. [. .. ] Per queste ragioni chi presenta una nuova idea non è sempre la persona più adatta a svilupparla. Qualcun altro, senza i timori dell'innovatore, potrà applicare metodi più audaci, e compiere progressi più rapidi. 4

Se nel 1925 Dirac si era trovato nella comoda posizione di chi viene immediatamente dopo l'iniziatore di una nuova idea, due anni più tardi fu lui a sperimentare le ansie della creazione, quando conseguì il suo più importante risultato, l'equazione quantistica e relativistica degli elettroni che porta il suo nome. A metà del 1927 Dirac aveva cominciato a dedicarsi al progetto di combinare le due teorie della nuova fisica, la mecca3. "Intervista a Paul A.M. Dirac", in Archive /or the History o/ Quantum

Physics, 7 maggio 1963. 4. Cfr. p. 91. Se non diversamente specifìcato le citazioni di Dirac sono tratte dai testi raccolti nel presente volume.

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LA BELLEZZA COME METODO

nica quantistica e la relatività ristretta, per ottenere un'equazione del moto per le particelle valida anche a velocità vicine a quella della luce. La prima equazione di questo tipo comparsa nella letteratura, dovuta a Oskar Klein e Walter Gordon, aveva il difetto di fornire delle probabilità negative e di essere incompatibile con la formulazione della meccanica quantistica che lo stesso Dirac aveva elaborato, la cosiddetta teoria delle trasformazioni. 5 Dirac si mise a cercare un'equazione che soddisfacesse due requisiti generali: 1) fosse coerente con la teoria delle trasformazioni; 2) obbedisse al principio di simmetria relativistica, cioè fosse invariante rispetto a trasformazioni del sistema di riferimento. L'obiettivo fu raggiunto dopo qualche mese di ricerche, 6 condotte secondo il tipico stile di lavoro di Dirac: "giocare con le equazioni e vedere che cosa danno" .7 Scaturita da considerazioni puramente teoriche, l'equazione di Dirac spiegava perfettamente il moto e le proprietà degli elettroni, compreso il loro momento rotatorio intrinseco, lo spin, la cui descrizione aveva richiesto fino ad allora ipotesi piuttosto artificiose. Dirac si limitò ad applicare la nuova equazione al primo grado di approssimazione, temendo che agli ordini successivi potesse risultare in disaccordo con i dati: toccò così al suo collega Charles Galton Darwin (nipote del grande naturalista) dimostrare che l'equazione forniva predizioni esatte, valide a tutti gli ordini. Ma non fu la sua sola esitazione. Quella più clamorosa riguardò un'altra importante proprietà dell'equazione: l'esistenza di soluzioni corrispondenti a energie negative. In un primo momento Dirac pensò di poter semplicemente trascurare queste soluzioni in quanto fisicamente prive di senso; ma capì presto che la teoria quantistica ammetteva la possibilità di transizioni discontinue dai livelli di energia positiva a quelli di 5. Dal punto di vista matematico, il problema nasce dal fatto che l'equazione di Klein-Gordon contiene la derivata seconda della funzione d'onda rispetto al tempo. 6. P.A.M. Dirac, "The quantum theory of the electron", in Proceedings o/ the Royal Society o/ London, A, 117, 1928, pp. 610-624. 7. "Intervista a Paul A.M. Dirac", cit.

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L'ANIMA PURA DELLA FISICA

energia negativa: questi ultimi, di conseguenza,, non potevano essere ignorati. Per quasi due anni il problema delle energie negative rappresentò, come disse enfaticamente Heisenberg, il "capitolo più triste della fisica moderna". La via di uscita fu trovata da Dirac alla fine del 1929. Basandosi su un'analogia con la teoria chimica della valenza, egli ipotizzò che i livelli di energia negativa, il cui insieme è noto come "mare di Dirac", fossero tutti occupati da elettroni inosservabili. Ciò comportava una radicale ridefinizione del vuoto: da stato privo di materia a stato popolato da infiniti elettroni di energia negativa. Il salto quantico di uno di questi elettroni a un livello di energia positiva renderebbe osservabile quell'elettrone e, nello stesso tempo, produrrebbe una "buca" - anche questa osservabile nel mare. Gli oggetti fisici reali sarebbero, quindi, gli elettroni di energia positiva e le buche del mare. Ma a quali particelle corrispondono le buche? Dal momento che gli elettroni sono carichi negativamente, le buche - che sono lacune elettroniche - devono essere cariche positivamente. Non volendo postulare l'esistenza di nuove particelle- sia perché l'opinione corrente era contraria a questo tipo di idee, sia perché non c'erano evidenze sperimentali in merito-, Dirac identificò le buche con gli unici corpuscoli di carica positiva allora conosciuti, i protoni. Ma il matematico Hermann Weyl, che non aveva le sue stesse remore, fece notare che, in virtù della simmetria dell'equazione di Dirac, le buche dovevano avere esattamente la stessa massa degli elettroni e non potevano, dunque, corrispondere ai protoni, molto più pesanti. Finalmente, nel 1931, dopo tre anni di tentennamenti, Dirac trasse la conclusione definitiva. In uno straordinarfo articolo, intitolato "Quantised singularities in the electromagnetic field", predisse l'esistenza e le proprietà dell'antielettrone (poi chiamato positrone), una particella di massa identica a quella dell'elettrone e carica elettrica opposta. Era il primo esempio di antimateria. Il secondo esempio, l'antiprotone -1' antiparticella del protone - compariva nello stesso articolo, poche righe dopo. TI resto del lavoro, che rompeva definitivamente il tabù dell'invenzione di nuove particelle, era dedicato a un terzo og13

LA BELLEZZA COME METODO

getto ipotetico, il monopolo magnetico, introdotto per spiegare la quantizzazione della carica elettrica elementare. Nel 1932 il fisico americano Carl Anderson comunicò di aver trovato nei raggi cosmici una particella con le caratteristiche del positrone, bruciando sul tempo Patrick Blackett e Giuseppe Occhialini che, al Cavendish Laboratory di Cambridge, avevano fatto alcuni mesi prima la stessa scoperta ma avevano esitato a pubblicarla, in attesa di ulteriori conferme. Molti decenni dopo questi eventi, al fisico teorico americano Murray Gell-Mann, l'inventore dei quark, che gli chiedeva come mai non avesse previsto da subito l'esistenza dei positroni, Dirac rispose nel suo solito modo spiazzante: "Per pura vigliaccheria". 8 Bandite le paure, per tutto il resto della sua vita scientifica (mezzo secolo di attività caratterizzata da importanti risultati ma non agli stessi livelli dei primissimi anni- e da non pochi insuccessi), Dirac si trasformò in un inguaribile rivoluzionario, un "Trockij della fisica teorica", come lo ha chiamato il suo biografo Graham Farmelo. 9 Cominciò, nel 1936, con il mettere in dubbio la validità universale di una delle leggi fondamentali della fisica, la legge di conservazione dell'energia. Sulla base di un esperimento effettuato da Robert Shankland, sostenne che nei processi quantistici e relativistici che coinvolgono elettroni di alta velocità interagenti con fotoni l'energia non si conserva. Fu l'unica occasione in cui si lasciò influenzare da un risultato sperimentale - e se ne pentì, perché le misure si rivelarono sbagliate. "Dopo Shankland" scrisse all'amico Blackett "sono molto scettico circa tutti i risultati inaspettati che vengono dagli esperimenti". 10 Il coraggio di Dirac si manifestò soprattutto nei suoi innumerevoli tentativi di trovare un'alternativa ali' elettrodinamica quantistica, la teoria degli elettroni e dei fotoni. Paradossalmente, questa era una sua creatura. Era stato lui, infatti, a 8. M. Gell-Mann, The Quark and the Jaguar, Abacus, London 1995; tr. it. Il quark e il giaguaro, Bollati Boringhieri, Torino 2000, p. 210. 9. G. Farmelo, The Strangest Man, Faber & Faber, London 2009; tr. it. L'uomo più strano de/mondo, Raffaello Cortina, Milano 2013, p. 443. 10. Lettera di Dirac a Patrick Blackett, 12 febbraio 1937, in G. Farmelo, cit., p. 362.

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quantizzare per primo, nel 1927, il campo elettromagnetico. Heisenberg e Pauli avevano poi esteso la teoria introducendo le interazioni dei fotoni con gli elettroni. Ed era sorta subito un'enorme difficoltà, perché si era scoperto che molte grandezze risultavano avere, sulla base dei calcoli, un valore infinito. La risposta pragmatica al problema fu quella che Wolfgang Pauli chiamò sarcasticamente la "fisica delle sottrazioni": vennero ideate delle procedure - piuttosto arbitrarie e parziali per sottrarre gli infiniti e ottenere così dei risultati fisicamente accettabili. Ma si trattava di Jna soluzione insoddisfacente, e la questione rimase sul tappeto per vari anni. Dirac riteneva che la presenza degli infiniti fosse il sintomo di una crisi profonda della teoria quantistica dei campi, che andava quindi radicalmente rifondata. Nel 193 8 propose di ripartire in un certo senso da zero, cioè di rivedere la teoria classica dell'elettrone in maniera tale che la quantizzazione non facesse emergere quantità infinite. Nel 1942 avanzò un'altra idea sorprendente: introdurre in meccanica quantistica delle probabilità negative, proprio come quelle che la sua equazione aveva eliminato. Il prezzo da pagare, riguardo all'interpretazione fisica della teoria, era evidentemente alto; ma era compensato, a suo parere, dalla scomparsa degli infiniti. Nel frattempo, c'era chi stava seguendo una linea diversa, consistente nel mantenere la teoria quahtistica ordinaria cercando un metodo più coerente per sbarazzarsi degli infiniti. L'ispirazione venne, curiosamente, da un lavoro del 1934 dello stesso Dirac, in cui si mostrava che, per effetto della produzione di coppie elettrone-positrone nel vuoto, la carica elettrica viene parzialmente neutralizzata, cosicché il valore osservato è più piccolo di quello inizialmente assunto (un fenomeno noto come polarizzazione del vuoto). Sulla scorta di questo risultato, Vietar Weisskopf e Hans Kramers proposero di riassorbire gli infiniti in una ridefinizione dei parametri della teoria - una procedura che sarebbe poi stata chiamata "rinormalizzazione". L'idea della rinormalizzazione è che le quantità che compaiono inizialmente nella teoria di campo (la carica elettrica e la massa dell'elettrone, nel caso dell'elettrodinamica quantistica) sono 15.

LA BELLEZZA COME METODO

"nude", cioè non osservabili. Per ottenere le corrispondenti quantità fisiche - quelle effettivamente misurate - bisogna correggere ("rinormalizzare") le quantità nude, tenendo conto delle interazioni degli elettroni con i fotoni della radiazione. Sia le quantità nude sia le correzioni sono infinite, e la "magia" della rinormalizzazione sta nel fatto che questi infiniti si cancellano, lasciando dei residui finiti. La rinormalizzazione si rivelò la carta vincente. Dopo la parentesi della Seconda guerra mondiale, alla fine degli anni Quaranta lelettrodinamica quantistica fu posta su solide basi da Richard Feynman,Julian Schwinger, Sin-Itiro Tomonaga e Freeman Dyson, i quali dimostrarono che nella 'teoria rinormalizzata tutti gli infiniti, a qualunque ordine di approssimazione, si cancellano, permettendo così di ottenere risultati fisicamente sensati ed empiricamente controllabili. La nuova teoria ricevette un'immediata conferma dagli esperimenti, perché permise di spiegare, con grandissima precisione, due effetti che non erano previsti dalla meccanica quantistica relativistica: il cosiddetto Lamb shi/t- una piccolissima separazione tra due livelli energetici dell'atomo di idrogeno-, e il momento magnetico anomalo dell'elettrone. Si trattò di una rivoluzione scientifica paragonabile a quella che aveva dato origine alla meccanica quantistica, ma "realizzata da fisici che, a dispetto della loro giovane età, agivano da conservatori, rinunciando a cercare delle soluzioni radicali, come i loro predecessori" .11 Se prima del 1950 l'idea di una drastica revisione delle teorie quantistiche fondamentali non era considerata particolarmente eccentrica, dopo quella data tutti i fisici concordarono sul fatto che lelettrodinamica quantistica nella sua forma matura, comprendente la procedura di rinormalizzazione, fosse la teoria definitiva degli elettroni e dei fotoni. Tutti tranne Dirac, che continuò nella sua infruttuosa ricerca di una teoria diversa, mettendo in campo una serie di idee e congetture eterodosse che andavano contro tutti gli schemi consolidati. Suggerì, per 11. S. Weinberg, The Quantum Theory o/Fields, vol. 1, Cambridge University Press, Cambridge 1995, p. 38.

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esempio, di riesumare l'etere, reinterpretato come un campo di velocità (compatibile con la teoria relativistica, alla luce del principio di indeterminazione di Heisenberg), oppure di modificare la teoria di Maxwell dell'elettromagnetismo, o ancora di ipotizzare che gli elettroni non siano corpuscoli puntiformi, ma minuscole sferette. Dopo le titubanze degli anni giovanili, la condotta scientifica di Dirac, come ha detto il fisico teorico Frank Wilczek, sembrò conformarsi alla massima gesuitica "È meglio chiedere perdono che chiedere permesso" .12 Ma che còsa imputava Dirac ali' elettrodinamica quantistica rinormalizzata? Non certo l'inadeguatezza empirica, perché, come si è detto, l'accordo con i dati sperimentali era eccellente. I difetti che egli attribuiva alla teoria erano altri: l'illogicità e l'ineleganza. Freeman Dyson lo incontrò nel 1950, quando l'elettrodinamica quantistica aveva appena ricevuto le sue prime spettacolari conferme, e gli chiese che cosa pensasse di quegli sviluppi. "Avrei potuto pensare che le nuove idee fossero corrette se non fossero così brutte" fu la laconica risposta di Dirac. 13 Quella che per tanti anni combatté contro la teoria che aveva contribuito a creare fu dunque, in primo luogo, una battaglia in nome della bellezza.

Il principio di bellezza Nel 1972 una straordinaria compagnia di fisici- comprendente almeno una dozzina di premi Nobel, passati o futuri - si riunì a Trieste per festeggiare il settantesimo compleanno di Dirac. Il discorso del banèhetto ufficiale fu tenuto da un celebre alumnus di Cambridge, C.P. Snow, fisico, romanziere, pari del Regno Unito e autore del famosissimo saggio Le due culture .14 Snow incentrò il suo breve intervento sul concetto di 12. F. Wilczek, "The Dirac equation", in H. Baer, A. Belyaev (a cura di),

Proceedings o/ the Dirac Centennial Symposium, World Scientifìc, Singapore 2003, p. 73. 13. F.J. Dyson, From Eros to Gaia, Pantheon Books, New York 1992; tr. it. Da Eros a Gaia, Rizzoli, Milano 1993, pp. 313-314. 14. C.P. Snow, The Two Cultures, Cambridge University Press, Cambridge 1959; tr. it. Le due culture, Feltrinelli, Milano 1964.

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"mente classica", la "suprema espressione dello spirito razionale dell'uomo" .15 Le caratteristiche distintive di una mente di questo tipo - sostenne - sono la lucidità di pensiero, l' austerità e, soprattutto, uno spiccato senso estetico. Come massimo esempio di mente classica nella scienza del Novecento, Snow indicò per l'appunto Dirac e, accanto a lui, a un gradino più basso, pose G.H. Hardy, uno dei più grandi matematici di inizio secolo. Sul piano della personalità e del carattere, Hardy e Dirac erano agli antipodi: il primo era un colto e raffinato uomo di mondo, abile praticante del tipico sport intellettuale inglese, la conversazione arguta; il secondo era privo, o quasi, di interessi extrascientifici e patologicamente taciturno. I due condividevano, però, una profonda convinzione: che la scienza dovesse obbedire a rigorosi canoni estetici. Snow raccontò di aver chiesto una volta a Hardy se avrebbe accettato una dimostrazione brutta del teorema di Goldbach. La secca risposta era stata: "È impossibile. Se fosse brutta, non potrebbe in alcun modo essere una dimostrazione del teorema di Goldbach". L'Apologia di un matematico di Hardy è in effetti un vero e proprio inno alla bellezza della matematica pura. Vi si legge, tra l'altro: I modelli di un matematico, come quelli di un pittore o di un poeta, devono essere belli; le idee, come i colori o le parole, devono legarsi in modo armonioso. La bellezza è il requisito fondamentale: al mondo non c'è posto per la matematica brutta. 16

Nel campo della fisica teorica, la posizione di Dirac è identica: un ricercatore che tenti di scoprire le leggi fondamentali della Natura - scrive nel 1939 - "deve mirare soprattutto alla bellezza matematica" .17 In seguito arriverà ad affermare che "è più importante che le equazioni siano belle piuttosto che 15. C.P. Snow, "The classica! mind", inJ. Mehra (a cura di), The Physicist's Conception o/ Nature, Reidel, Dordrecht 1973, pp. 809-813. 16. G.H. Hardy, A Mathematician's Apology, Cambridge University Press, Cambridge 1940; tr. it. Apologia di un matematico, De Donato, Bari 1969, p. 60 (corsivo originale). 17. Cfr. p. 63.

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in accordo con gli esperimenti", aggiungendo che "se si lavora con il proposito di ottenere equazioni dotate di bellezza, e si possiede un'intuizione davvero solida, si è sicuramente sulla strada del progresso" .18 Il principio di bellezza matematica è, per Dirac, una di quelle" credenze di base" cui i fisici teorici si aggrappano - "un po' come ci si potrebbe aggrappare a una fede religiosa" - quando devono avventurarsi su terreni incerti, e che cercano di incorporare nelle loro teorie, perché sentono che "la Natura è costruita in un certo modo". 19 Esso svolge in fisica una duplice funzione: di guida euristica e di criterio valutativo. 20 Nel contesto della scoperta, la bellezza determina la direzione e le priorità della ricerca, per esempio influenzando la scelta della matematica da adottare come base di una teoria. Nel contesto della giustificazione - ed è questa la tesi più forte -, la bellezza è la qualità che permette di giudicare una teoria, più ancora dell'accordo con le osservazioni. L'esempio che Dirac predilige per illustrare il ruolo del principio di bellezza matematica è quello della relatività (ristretta e generale): [Einstein] era guidato solo dal requisito che la teoria avesse la bellezza e l'eleganza che ci si aspetta di trovare in una descrizione fondamentale della Natura. Il suo lavoro muoveva esclusivamente dall'idea di come la Natura dovrebbe essere e non dalla necessità di dar conto di certi risultati sperimentali. [ ... ] Il risultato di questo modo di procedere è una teoria di grande semplicità ed eleganza nelle sue idee di base. Ne deriva la netta convinzione che i suoi fondamenti devono essere corretti, del tutto indipendentemente dal suo accordo con le osservazioni. 21 18. Cfr. pp. 77-78. 19. P.A.M. Dirac, Basic Belie/s and Fundamental Research, conferenza tenuta il 22 gennaio 1973 al Center for Theoretical Studies, University of Miami, Coral Gables (Dirac Papers, 2/49/28, Florida State University). Sono grato a Graham Farmelo per avermi fornito questo documento. 20. Cfr. J. W. McAllister, "Dirac and the aesthetic evaluation of theories", in Methodology and Science, 23, 1990, pp. 87-102. 21. Cfr. p. 125.

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C'è qui un punto che conviene chiarire. Dirac contrappone

il principio di bellezza matematica, impostasi con la teoria della relatività, al "principio di semplicità" -1' assunzione che le leggi fisiche debbano essere semplici-, cui obbedirebbe invece la fisica classica: la teoria relativistica sarebbe più bella, ma meno semplice, della teoria newtoniana. 22 La semplicità che Dirac ha in mente nell'esprimere questo giudizio è la semplicità pratica, ossia la facilità di descrizione o di calcolo: le equazioni di Newton sono più semplici delle equazioni di Einstein in quanto la loro matematica è più elementare. Ma se si guarda alla semplicità logica, intesa come economia concettuale,23 il giudizio va capovolto: la teoria einsteiniana del moto e della gravità è più semplice in senso logico della teoria newtoniana, perché è minore il numero dei suoi concetti primari. La semplicità logicala scoperta del minimo insieme di proposizioni generali da cui si possano dedurre tutte le uniformità esistenti in Natura-è lo scopo che John Stuart Mili, nel suo Sistema di logica (1843 ), 24 attribuisce alla scienza, ed è bene ricordare quanto questo libro sia stato determinante nella formazione metodologica sia di Einstein sia di Dirac (il quale, in campo filosofico, non lesse pressoché nient'altro). Ora, mentre la semplicità pratica può confliggere con la bellezza (quando, per esempio, questa si manifesti attraverso una matematica sofisticata), la semplicità logica si accompagna sempre a essa, e anzi ne è una componente essenziale. Ma che cosa succederebbe se emergesse una discrepanza tra le predizioni di una teoria come quella einsteiniana e i dati sperimentali? Bisognerebbe concludere che la teoria è sbagliata? La risposta, secondo Dirac, è un perentorio no: Chiunque apprezzi la fondamentale armonia che esiste tra il modo in cui funziona la Natura e alcuni princìpi matematici 22. Cfr. per esempio pp. 62-63. 23. Sulle varie forme di semplicità nella scienza vedi M. Bunge, "The weight of simplicity in the construction and assaying of scientifìc theories", in Philosophy ofScience, 28, 1961, pp. 120-149. 24. J. Stuart Mili, A System of Logie, Ratiocinative and Inductive, J.W. Parker, London 1843; tr. it. Sistema di logica deduttiva e induttiva, a cura di M. Trinchero, UTET, Torino 1968.

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generali non può non sentire che una teoria- di tale bellezza ed eleganza deve essere sostanzialmente corretta. 25

D'altra parte, ricorda Dirac, sebbene i primi esperimenti sul moto degli elettroni avessero fornito risultati in disaccordo con le predizioni della relatività ristretta, Einstein aveva continuato a sostenere la superiorità della propria teoria sulle teorie alternative, che a suo giudizio erano più artificiose e meno universali (e quindi meno "belle"). 26 E le osservazioni successive gli avevano dato ragione. Il fisico, dunque, è autorizzato ad accettare una teoria bella che abbia ricevuto sul piano sperimentale un verdetto (temporaneamente) sfavorevole, e a rigettare una teoria brutta che sia invece empiricamente di successo. Rievocando alcune conversazioni avute con Dirac negli anni Trenta, George Gamow, pioniere della fisica nucleare, elaborò la seguente casistica dei rapporti tra teoria ed esperimento (e tra estetica ed empirismo): 21 Caso I. Se una teoria elegante è in accordo con gli esperimenti, non c'è da preoccuparsi. Caso II. Se una teoria elegante è in disaccordo con gli esperimenti, gli esperimenti devono essere sbagliati.28 Caso III. Se una teoria inelegante è in disaccordo con gli esperimenti, non tutto è perduto, perché perfezionando la teoria si può fare in modo che si accordi con gli esperimenti. Caso :rV. Se una teoria inelegante è in accordo con gli esperimenti, la situazione è senza speranza. 25. Cfr. pp. 124-125. 26. Cfr. J.T. Cushing, "Electromagnetic mass, relativity and the Kaufmann experiments", inAmerican Journal o/ Physics, 49, 1981, pp. 1133-1149. 27. Lettera di Gamow a Dirac (giugno 1965), riportata in G. Farmelo, cit., pp. 496-497. 28. In proposito Dirac scrive che, in caso di disaccordo tra una teoria matematicamente bella e i risultati di un esperimento, il fìsito "deve anzitutto sospettare che l'esperimento sia sbagliato e, solo dopo esaurienti controlli sperimentali, accettare il fatto che la teoria vada modificata, il che equivale a cercarne un'altra con una base matematica ancora più bella". Cfr. P.A.M. Dirac, "Quantum mechanics and the aether", in The Scientific Monthly, 78, 1954, p. 143.

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Quest'ultimo è, secondo Dirac, il caso dell'elettrodinamica quantistica di Feynman, Schwinger e Tomonaga, il cui strabiliante accordo con i dati è, a suo parere, del tutto fortuito, simile a quello della vecchia teoria quantistica di Bohr, che dava, in molti casi, risultati in linea con le osservazioni, pur essendo basata su un'idea -le orbite atomiche- che la meccanica quantistica matura avrebbe poi dimostrato essere sbagliata. La reiterata critica di Dirac alla teoria rinormalizzata dei campi indica come, nella sua filosofia naturale, il principio di bellezza matematica rappresenti un muro su cui si infrange anche lo strumentalismo. Dirac fa spesso professione di fede strumentalista - afferma, per esempio, che "tutto ciò che il fisico vuole davvero dalla sua teoria è un insieme definito di regole che gli permettano di ottenere dei risultati confrontabili con l'esperimento" - 2Q ma ritiene che il successo predittivo di una teoria non sia sufficiente se la teoria è brutta: Molti fisici [ ... ] rimuovono la difficoltà degli infiniti semplicemente per mezzo di regole operative. Dicono: discostiamoci dalla matematica ordinaria. Trascuriamo gli infiniti che si presentano nelle equazioni, quando non li vogliamo. Questo formalismo a volte porta a risultati in buon accordo con l' esperimento, e molti fisici sono soddisfatti di questo stato di cose. Ma per me è del tutto insoddisfacente. Credo che non abbiamo affatto dei concetti fisici definiti se ci limitiamo ad applicare delle regole operative matematiche; non è di questo che dovrebbe accontentarsi il fisico. 30

È il momento di affrontare una questione cruciale: in che cosa consiste la bellezza di una legge fisica o di una teoria? Dirac afferma che essa non è definibile con precisione, non più di quanto lo sia la bellezza artistica, ma, diversamente da questa, "trascende i fattori personali" ed è "la stessa in tutti i paesi e in ogni tempo" .31 Possiamo provare a tracciarne meglio i contorni ricostruendo la genesi dell'estetica scientifica del fisico inglese. 29. Ibidem, p. 144. 30. Cfr. pp. 111-112. 31. P.A.M. Dirac, Basic Beliefs, cit.

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In Recollections ofan Excitin g Era, la nota autobiografica dedicata agli anni 1919-1930, Dirac ricorda32 di aver cominciato a sviluppare una profonda sensibilità per la bellezza matematica studiando, con Peter Fraser a Bristol, la geometria proiettiva - una geometria che non fa uso dei consueti concetti metrici (angoli, distanze, eccetera). Questa rimarrà una sorta di strumento privato di ricerca per Dirac, il quale dichiarerà di avere spesso ottenuto i suoi risultati ragionando geometricamente e di averli solo in un secondo momento tradotti nel linguaggio dell'algebra e dell'analisi, più familiare agli altri fisici. 33 Dirac continua a coltivare la geometria proiettiva a Cambridge, dove insegna Henry Frederick Baker, che ha appena awiato la pubblicazione dei Principles o/ Geometry, una monumentale opera in sei volumi. Baker è un esteta, tipico rappresentante di un milieu intellettuale profondamente influenzato dai Principia Ethica di Moore, e in particolare dall'idea che il bello sia un valore morale supremo, tra i più degni di essere perseguiti. Non è un caso, dunque, che sia proprio al seminario matematico di Baker che un Dirac ventiduenne parla per la prima volta di "bellezza" di una legge fisica. Negli appunti manoscritti del suo intervento troviamo questo passo: Il fisico moderno non ritiene che le equazioni con cui ha a che fare siano arbitrariamente scelte dalla Natura. C'è una ragione (che egli deve trovare) per cui esse sono quelle che sono: una ragione tale che, una volta scoperta, lo studio di queste equazioni risulterà più interessante di quello di tutte le altre. [ ... ] Nel caso della teoria gravitazionale, per esempio, la legge dell'inverso del quadrato della distanza non riveste un maggiore interesse bellezza? - per il _matematico puro di qualunque altra legge di potenza. Ma la nuova legge di gravità [di Einstein] possiede una 32. P.A.M. Dirne, Recollections o/ an Exciting Era, in C. Weiner (a cura di), History o/Twentieth Century Physics, Academic Press, New York 1977, p. 114. 33. È interessante notare che esiste un collegamento tra la geometria proiettiva e le algebre non commutative, che potrebbe aver influenzato sotterraneamente l'approccio di Dirne alla meccanica quantistica. Cfr. O. Darrigol, From c-Numbers to q-Numbers, University of California Press, Berkeley 1992, cap. 11.

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proprietà speciale, l'invarianza rispetto a trasformazioni generali di coordinate, ed ~ssendo la sola semplice legge dotata di questa proprietà, può attrarre l'attenzione del matematico puro. 34

La legge einsteiniana della gravità - sottolinea qui Dirac è bella agli occhi del fisico e del matematico perché combina due proprietà: è dettata da un principio di ordine superiore (una simmetria, l'invarianza generale di coordinate) ed è la più semplice legge compatibile con tale principio. Essa possiede dunque un elevato grado di necessità, o inevitabilità (non potrebbe essere diversa da come è), e di semplicità (descrive con il minimo numero di concetti un'ampia varietà di fenomeni). Sono questi gli ingredienti della bellezza per il giovane Dirac. 35 È una formula estetica presente sotto traccia anche nei suoi scritti successivi, come si evince dall'accento che egli pone sulle simmetrie (quella relativistica in particolare) quali elementi costitutivi delle teorie fisiche dotate di bellezza. 36 Le simmetrie - e altri princìpi simili di grande generalità-, in quanto "leggi che le leggi di Natura devono osservare" (l'espressione è di Eugene Wigner), sono fattori che determinano e semplificano le teorie,3 7 fornendo loro quella particolare qualità che consiste - come afferma Steven Weinberg - nella "bellezza diuna struttura perfetta, in cui tutte le parti si adattano l'una all'altra e niente può essere cambiato - la bellezza della rigidità logica" .38 34. In P. Galison, "Tue suppressed drawing: Paul Dirac's hidden geometry", in Representations, 72, 2000, p. 158, e in O. Darrigol, cit., pp. 301-302. 35. E anche per Hardy, il quale vede proprio nell'inevitabilità e nella semplicità (che chiama "economia") le caratteristiche distintive dei teoremi matematici universalmente giudicati belli. Cfr. G.H. Hardy, cit., p. 76. Opinioni simili sono state espresse in tempi più vicini a noi da altri fisici teorici, per esempio Steven Weinberg e Frank Wilczek. 36. In "Quantum mechanics and the aether", cit., p. 143, Dirac afferma esplicitamente che la bellezza della teoria della relatività risiede nella sua simmetria spazio-temporale. 37. Sulle simmetrie come fattori di necessità e di semplicità mi permetto di rinviare a V. Barone, L'ordine del mondo. Le simmetrie in fisica da Aristotele a Higgs, Bollati Boringhieri, Torino 2013. 38. S. Weinberg, Dreams o/ a Final Theory, Vintage Books, New York 1994; tr. it. Il sogno del!' unità del!' universo, Mondadori, Milano 1993, p. 155.

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Se spiegare qualcosa significa acquisire delle ragioni per cui quel qualcosa deve essere così com'è e non altrimenti, allora i princìpi primi come le simmetrie spiegano le leggi fisiche, e una teoria bella, cioè una teoria semplice e necessaria basata su princìpi di questo genere, è più esplicativa, nel senso che rende la Natura meno contingente. Per questo "il criterio estetico non è solo un mezzo per trovare delle spiegazioni scientifiche e giudicare la loro validità, ma è parte integrante di ciò che intendiamo per spiegazione" .39 Dovremmo allora convenire con Dit:ac che la fisica, nel suo cammino verso una spiegazione sempre più completa dei fenomeni naturali, non può che tendere a una crescente bellezza.

La qualità matematica della Natura La prima esplicita riflessione di Dirac sui rapporti tra matematica e fisica è contenuta nell'introduzione del lavoro del 1931 sui monopoli magnetici, il cui incipit merita di essere riportato per intero: Il costante progresso della fisica richiede, per la formulazione teorica della fisica stessa; una matematica che diventi continuamente più avanzata. Il che è naturale e rientra nelle aspettative. Ciò che invece non rientrava nelle aspettative degli scienziati del secolo scorso era la forma particolare che avrebbe preso la direzione di avanzamento della matematica; ci si aspettava infatti che la matematica sarebbe diventata sempre più complicata, poggiando tuttavia su una base permanente di assiomi e definizioni, mentre in realtà i moderni sviluppi della fisica hanno richiesto una matematica che sposta continuamente i propri fondamenti e diviene più astratta. La geometria non euclidea e l'algebra non commutativa, che una volta erano considerate pure finzioni della mente e passatempi per pensatori della logica, si sono ora rivelate strettamente necessarie per la descrizione dei fatti generali del mondo fisico. Appare probabile che questo processo di crescente astrazione continui in futuro e che il progresso nella fisica debba essere associato a continue modificazioni e generalizzazioni 39. Ibidem, p. 154.

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degli assiomi che stanno alla base della matematica, piuttosto che a uno sviluppo logico di un qualche schema matematico su un fondamento fisso. 40

Queste parole segnano una svolta, alla luce delle teorie fisiche novecentesche (relatività ristretta, relatività generale, meccanica quantistica), nel percorso storico inaugurato dalla celebre immagine galileiana del libro della Natura scritto in lingua matematica. 41 Secondo Dirac, non solo la matematica è la chiave per descrivere e interpretare la Natura, ma il progresso della fisica richiede continuamente l'uso, o l'invenzione, di nuove matematiche - nuovi formalismi e sistemi assiomatici con cui rappresentare il reale. 42 Le ricerche sull'equazione quantistica e relativistica degli elettroni e sui monopoli magnetici si collocano precisamente in questa prospettiva, segnando l'ingresso in fisica della geometria spinoriale e della topologia. E quando gli strumenti matematici non sono disponibili, il fisico deve essere pronto a crearli - a suo modo, cioè senza preoccuparsi più di tanto del rigore formale: è ciò che Dirac fa, per esempio, quando introduce la "funzione delta", che i matematici poi riscopriranno, costruendovi attorno un intero ramo dell'analisi superiore: la teoria delle distribuzioni. L'articolo del 1931 prosegue con una delle affermazioni più famose di Dirac: Il più potente metodo di avanzamento che può essere suggerito al momento consiste nell'usare tutte le risorse della matematica pura nel tentativo di perfezionare e generalizzare il formalismo matematico che costituisce la base esistente della fisica teorica, e dopo ogni successo in questa direzione, provare a interpretare le nuove caratteristiche matematiche in termini di entità fisiche. 43 40. P.A.M. Dirac, "Quantised singularities in the electromagnetic field", in Proceedings o/ the Royal Society o/ London, A, 13 3, 1931, p. 60. 41. Su questo punto vedi in particolare E. Bellone, Il mondo di carta, Mondadori, Milano 1976, pp. 26-32. 42. Cfr. S. D'Agostino, Dirac: la ragionevole potenza della matematica, in Atti del XXI Congresso SISFA, Cosenza 2001. 43. P.A.M. Dirac, "Quantised singularities", cit., p. 60 (corsivo originale).

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La matematica prima (logicamente e cronologicamente), l' interpretazione fisica poi: questa la strategia proposta e praticata da Dirac. Si tratta, come è stato giustamente enfatizzato,44 di una vera rivoluzione metodologica, un drastico cambiamento rispetto alla stessa tradizione galileiano-newtoniana, in cui il punto di partenza dell'indagine fisica è la formulazione di leggi fenomenologiche capaci di descrivere i dati empirici. Dirac, al contrario, ritiene che sia attraverso la matematica che il fisico ha accesso alle leggi fondamentali della Natura: è lavorando liberamente sulle entità e sulle relazioni matematiche che si può scoprire a un certo punto che alcune di esse hanno una connessione con la realtà. L'equazione quantistica e relativistica degli elettroni è uno degli esempi di maggiore successo di questa procedura: Dirac la ricava per via squisitamente matematica, manipolando alcune matrici numeriche introdotte da Pauli, e poi estendendole e combinandole in una forma coerente con il principio di relatività.45 Il fatto che l'equazione così ottenuta rappresenti fisicamente una particella dotata di spin giunge come un risultato inatteso. Un discorso analogo vale per la teoria dei monopoli: la sua origine è in uno sviluppo matematico della meccanica quantistica che "non richiede alcun cambiamento nelformalismo, quando questo venga espresso in termini di simboli astratti che denotano stati e grandezze osservabili, ma è semplicemente una generalizzazione delle possibilità di rappresentazione di tali simboli mediante funzioni d'onda e matrici". 46 Sarebbe sorprendente, commenta Dirac, che la Natura non avesse fatto uso di questa possibilità offerta dalla matematica. Un'operazione più sottile è quella che Dirac realizza nel lavoro già menzionato del 1942, in cui propone di rifondare la meccanica quantistica introducendo valori negativi di probabi44. Cfr. G. Boniolo, P. Budinich, "The role of mathematics in physical sciences and Dirac's methodological revolution", in G. Boniolo, P. Budinich, M. Trobok (a cura di), The Role o/ Mathematics in Physical Sciences, Springer, Dordrecht 2005, pp. 75-96. Vedi anche S. Boffi, Le forme di Dirac, Bibliopolis, Napoli 2006, pp. 41-44. 45. Dirac racconta la genesi dell'equazione in P.A.M. Dirac, Recollections, cit., pp. 141-143. 46. P.A.M. Dirac, "Quantised singularities", cit., p. 71.

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lità per certi stati: qui non solo il formalismo matematico precede l'interpretazione fisica, ma questa è possibile soltanto in "un mondo ipotetico molto diverso da quello reale", e occorre pertanto postulare che i risultati ottenuti nel primo dei due mondi siano validi anche per il secondo. 47 Come un altro grande esteta dellamatematica e della fisica, Hermann W eyl, Dirac ritiene che il lavoro teorico consista nel costruire un apparato formale fatto di simboli astratti, ai quali all'inizio non viene attribuito alcun significato, e che solo in un secondo momento sono messi in corrispondenza con entità fisiche. Il suo simbolismo si delinea fin dai primissimi lavori di meccanica quantistica. Nella teoria delle trasformazioni le grandezze dinamiche sono rappresentate da numeri di un tipo speciale, non commutanti, che Dirac chiama "q-numeri". Di questi, precisa, non è necessario specificare la natura, ma solo le regole matematiche cui sono soggetti: è tutto ciò che basta per poter costruire una teoria. 48 Nella tesi di dottorato, che risale al maggio 1926, leggiamo: Quando si suppone che le variabili dinamiche siano q-numeri, si intende semplicemente dire che si introducono certi simboli algebrici ai quali sono attribuiti i nomi delle ordinarie quantità dinamiche [ ... ] , e si usano questi simboli secondo le leggi algebriche che governano i q-numeri, in modo strettamente analogo al modo in cui le quantità dinamiche di cui essi hanno i nomi sono usate nella meccanica classica. 49

Al rapporto tra matematica e fisica è dedicato il lavoro più filosofico di Dirac, la Scott Lecture del 1939, pubblicata sui Proceedings della Royal Society di Edimburgo. 50 Non c'è al47. P.A.M. Dirac, "The physical interpretation of quantum mechanics", in Proceedings o/ the Royal Society o/ London, A, 180, 1942, pp. 1-40. 48. Cfr. P.A.M. Dirac, "On the theory of quantum mechanics", in Proceedings o/ the Royal Society o/ London, A, 112, 1926, p. 661. 49. P .A.M. Dirac, Quantum Mechanics, tesi di dottorato, St John' s College, Cambridge 1926; in R.H. Dalitz (a cura di), The Collected Works o/ P.A.M. Dirac 1924-1948, Cambridge University Press, Cambridge 1995, p. 163. 50. In questo volume alle pp. 61-71 con il titolo La relazione tra la matematica e la fisica. L'eco della conferenza di Dirac giunse anche in Italia: ne

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cuna ragione logica, afferma Dirac, che giustifichi il metodo matematico nell'investigazione del mondo fisico, e tuttavia la pratica quotidiana e la storia della fisica dimostrano che tale metodo funziona (vent'anni dopo, Wigner eleverà questa osservazione a "legge empirica dell'epistemologia" nel suo celebre saggio sull"'irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali" 51 ). Ciò che si può dire è che esiste una sorta di "qualità matematica" nella Natura, che gioca un ruolo decisivo nella nostra rappresentazione del reale. Dirac, però, si spinge oltre queste constatazioni e congettura che l' apparentemente miracolosa efficacia della matematica in fisica sia il riflesso di una corrispondenza profonda - una coincidenza, persino - tra le due discipline, che non è evidente a causa dell'incompletezza delle attuali conoscenze, ma si intravede in prospettiva. "Il matematico" scrive "partecipa a un gioco di cui inventa le regole, mentre il fisico partecipa a un gioco le cui regole sono fornite dalla Natura, ma con il passare del tempo diventa sempre più evidente che le regole che il matematico trova interessanti sono le stesse che ha scelto la Natura" .52 Questo fa pensare che la matematica e la fisica tenderanno un giorno a unificarsi, con il risultato che "ogni settore della matematica pura avrà un' applicazione fisica e la sua importanza in fisica sarà proporzionale al suo interesse in matematica" .53 Se la matematica e la fisica sono, come crede Dirac, coestensive, lo spazio di applicazione della prima non può avere limiti. Nella descrizione della Natura, però, l'applicabilità della matematica è soggetta ad alcune restrizioni. La più importante di queste è legata al fatto che nella visione ordinaria del mondo parlò, due anni dopo, il filosofo Adolfo Faggi in una comunicazione all' Accademia delle Scienze di Torino, in cui propose un'interpretazione teistica del pensiero del fisico inglese (A. Faggi, "Il principio della 'bellezza matematica' nella descrizione dell'universo", in Atti dell'Accademia delle Scienze di Torino, 77, rr, 1942, pp. 37-53). 51. E. Wigner, "The unreasonable effectiveness of mathematics in the natural sciences", in Communications on Pure and Applied Mathematics, 13, 1960, pp. 1-13. 52. Cfr. p. 64 53. Ibidem.

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fisico c'è una separazione tra il dominio delle leggi di Natura, necessarie e regolari, e il dominio delle condizioni iniziali, contingenti e aleatorie. La teoria matematica si applica solo al primo dominio, non al secondo. Dirac giudica insostenibile tale separazione: con un argomento ancora oggi di grande attualità si chiede, per esempio, se le masse o le cariche delle particelle elementari debbano essere considerate delle condizioni accidentali e quindi sottratte alla teoria, o se non siano piuttosto quantità matematicamente calcolabili. La cosmologia evolutiva, con la sua idea di un'origine temporale dell'universo, sembra condurre la fisica nella giusta direzione - quella di una matematizzazione totale della realtà -, perché rende privo di significato il concetto stesso di condizioni iniziali. Ma la matematica incontra un altro limite, derivante dalla meccanica quantistica. L'indeterminismo quantistico -il fatto che i risultati delle misure di certe grandezze non obbediscano a leggi dinamiche di tipo ordinario e non possano quindi essere predetti esattamente, ma solo in termini probabilistici - fa sì che una parte della descrizione della Natura sia in effetti sottratta alla teoria matematica, ricadendo nel terreno della contingenza. Ciò non significa, secondo Dirac, che la meccanica quantistica - i cui successi empirici sono indiscutibili - debba essere respinta, ma fa sospettare che i suoi fondamenti non siano ancora definitivi. Le perplessità di Dirac nei confronti della formulazione stand~rd della meccanica quantistica non sono, dunque, di natura epistemologica, come per Einstein, ma nascono dalle restrizioni che la teoria gli sembra porre a una descrizione integralmente matematica della Natura. In futuro, prevede Dirac, queste restrizioni cadranno e nessun aspetto della Natura sfuggirà a una rappresentazione matematica: "Dobbiamo supporre" afferma "che un individuo con uha completa conoscenza della matematica potrebbe dedurre non solo i dati astronomici, ma anche tutti gli eventi storici che si verificano nel mondo, persino i più insignificanti" .54 Il matematicismo del fisico inglese raggiunge qui la sua massima vetta. 54. Cfr. p. 70.

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Un "moderno aristotelico"? Una rivoluzione scientifica di cui Dirac rion è protagonista ma attento osservatore è la nascita della cosmologia contemporanea, determinata, da un lato, dalla relatività generale di Einstein, dall'altro, da due risultati di grande rilievo: la scoperta, da parte di Edwin Hubble nel 1929, che le galassie si allonta~ nano con una velocità proporzionale alla loro distanza, segno di un'espansione cosmica, e l'ipotesi, avanzata da Georges Lemaitre nel 1931, di una singolarità iniziale (I'" atomo primitivo") da cui sarebbe scaturito l'universo così come lo conosciamo (questa idea, rivisitata da Gamow nel 1948, ha poi dato origine alla teoria del Big Bang). Dirac dà alla cosmologia un unico contributo, che rappresenta una sfida a quello che egli ritiene un pregiudizio infondato: l'invariabilità nel tempo della fisica. Se l'universo è in evoluzione - questo il suo argomento - non c'è alcun motivo per credere che le leggi che lo descrivono siano rimaste le stesse dalla sua origine a oggi, cioè su una scala temporale di alcuni miliardi di anni. Negli articoli cosmologici del 193 7 - una brevissima lettera su Nature5 5 e un lavoro più lungo sui Proceedings o/ the Royal Society _? 6 Dirac parte dalla constatazione che il rapporto tra l'intensità della forza elettromagnetica e quella della forza gravitazionale è un numero molto grande, dell' ordine di 1039 • Secondo Dirac, le leggi della Natura non possono contenere numeri arbitrariamente grandi: la loro comparsa deve essere accidentale, legata a qualche circostanza contingente. Il fatto che letà attuale dell'universo, misurata in unità atomiche di tempo, sia pari proprio a 1039 suggerisce un legame tra le due quantità: la forza elettromagnetica sarebbe molto più intensa della forza di gravità solo perché la osserviamo in un'epoca tarda (in unità atomiche di tempo) rispetto alla nascita dell'universo. Questa ipotesi ha una conseguenza immedia55. P.A.M. Dirac, "The cosmological constants", in Nature, 139, 1937, p. 323. 56. P.A.M. Dirac, "A new basis for cosmology'', in Proceedings o/ the Roya!Society o/London, A, 1938, pp. 199-208.

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ta e, in linea di principio, controllabile: l'intensità della forza gravitazionale, misurata dalla costante di Newton G, dovrebbe gradualmente diminuire. L'effetto sarebbe quantitativamente piccolissimo, ma, se osservato, segnalerebbe che la fisica non è immutabile. Dirac prevedeva che G variasse in maniera inversamente proporzionale all'età dell'universo. Ma nel 1948 Edward Teller fece notare che ciò era inammissibile. 57 Se l'andamento fosse quello, visto che la luminosità del Sole cresce rapidamente con G, la temperatura della superficie terrestre sarebbe stata in passato molto più alta, raggiungendo, 500 milioni di anni fa, valori tali da rendere impossibile l'esistenza di organismi viventi, un fatto in palese contraddizione con le prove fossili. Ciononostante, Dirac rimase affezionato all'idea di un cambiamento nel tempo di G e continuò a promuoverla, anche se non più nei termini originari. Il suo lavoro del 193 7 diede comunque inizio a una serie di ricerche sulla variazione delle costanti di Natura che hanno avuto interessanti ripercussioni in cosmologia e in teoria della gravitazione, e sono ancora di grande attualità. 58 L'ipotesi dei grandi numeri di Dirac si collocava in un particolare contesto scientifico: quello contrassegnato, a metà degli anni Trenta, dal tentativo sistematico, messo in atto da Arthur Stanley Eddington, di derivare le costanti di Natura da considerazioni a priori (con esiti piuttosto discutibili e una deriva chiaramente numerologica), e dagli studi di Edward Milne, volti a dedurre razionalmente le leggi dinamiche dal principio di omogeneità dell'universo, senza il bisogno di informazioni empiriche. Tutti questi approcci teorici furono violentemente criticati, poco dopo la comparsa dell'articolo di Dirac su Nature, dal fisico Herbert Dingle, che parlò di un "moderno ari57. E. Teller, "On the change of physical constants", in Physical Review, 73, 1948, pp. 801-802. 58. Vedi, per esempio,J.-P. Uzan, "Varying constants, gravitation and cosmology", in Living Reviews in Relativity, 14, 2, 2011. Le osservazioni più recenti indicano che l'eventuale variazione di G dal momento del Big Bang a oggi deve essere inferiore all'l %.

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stotelismo", denunciando il rifiorire, tra i suoi colleghi, della dottrina secondo cui "la Natura è il prodotto visibile di princìpi generali noti alla mente umana indipendentemente dalla percezione sensoriale" .59 Agli esponenti di quella che considerava una vera e propria "cosmolatria", accomunati dal disinteresse per le osservazioni e da una smodata venerazione per i "princìpi" e per la matematica, Dingle opponeva la lezione di Galileo, secondo cui la Natura "nulla cura che le sue recondite ragioni e modi d'operare sieno o non sieno esposti alla capacità degli uomini". 60 Il principale bersaglio polemico di Dingle era l'idealista Eddington che, nella sua opera più controversa, Relativity Theory o/ Protons and Electrons, apparsa l'anno prima (1936), aveva scritto: Non c'è niente nell'intero sistema delle leggi fisiche che non possa essere dedotto in modo non ambiguo da considerazioni epistemologiche. Un'intelligenza che non conosca il nostro universo, ma che conosca il sistema di pensiero con il quale la mente umana interpreta per se stessa il contenuto della sua esperienza sensoriale, dovrebbe essere in grado di conseguire tutta la conoscenza della fisica che abbiamo ottenuto mediante l'esperimento. 61

Dirac, nel 1939, avrebbe sostenuto-come abbiamo vistoqualcosa di simile, mettendo però la "conoscenza completa della matematica" al posto delle "considerazioni epistemologiche" e dei "sistemi di pensiero". Eddington rispose all'attacco di Dingle ribadendo orgogliosamente la propria epistemologia non galileiana. "Gran parte dello schema attuale della fisica - scrisse - è deducibile da argomenti a priori e quindi non costituisce una conoscenza di un universo oggettivo". Non c'è, secondo Eddington, 59. H. Dingle, "Modem Aristotelianism", in Nature, 139, 1937, p. 784. 60. G. Galilei, Lettera a Cristina di Lorena (1615), in Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale a cura di A. Favaro, Barbèra, Firenze 1968, vol. 5, p. 317. 61. A.S. Eddington, Relativity Theory ofProtons and Electrons, Cambridge University Press, Cambridge 1936, p. 327.

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alcun elemento oggettivo nelle leggi di Natura e nelle costanti universali; l'oggettività risiede solo "nei dettagli dei sistemi e degli eventi particolari", e sono questi a essere forrtiti dall' osservazione. Alieno da questo genere di considerazioni filosofiche, Dirac replicò a Dingle con una semplice dichiarazione di circostanza: Lo sviluppo efficace della scienza richiede il giusto equilibrio tra due metodi: da un lato, la costruzione a partire dalle osservazioni, dall'altro, la deduzione - mediante il puro ragionamento - da ipotesi congetturali. Penso che il mio lavoro soddisfi questo requisito. 62

Ma è indubbio che tra i due metodi della fisica teorica - quello bottom-up, che muove da una base fenomenologica, e quello top-down, che muove da princìpi generali e da una base matematica - la sua preferenza andasse nettamente al secondo, 63 che seppe elevare a vette di ineguagliabile virtuosismo. "Sembrava in grado di far apparire le leggi della Natura dal puro pensiero -ha detto di lui Freeman Dyson - ed è stata questa purezza a renderlo unico". 64

I grandi salti Nella conferenza tenuta a Trieste nel 1972, in occasione dei festeggiamenti in suo onore, Dirac descrive lo sviluppo della fisica come una successione continua di "piccoli passi", cui si sovrappone una sequenza diradata di "grandi salti" (un'immagine del progresso scientifico che pare richiamare la distinzione di Kuhn tra scienza normale e scienza rivoluzionaria, ma che, più probabilmente, è mutuata in chiave metaforica dalla stessa fisica quantistica). L'evoluzione per piccoli passi, dice Dirac, 62. P.A.M. Dirac, "Physical science and philosophy'', in Nature, 139, 1937,p.1001. 63. Non è un caso che il suo libro più famoso, su cui generazioni di fisici si sono formate e continuano a formarsi, rechi il titolo The Principles o/ Quantum Mechanics, nella tradizione dei tanti Principia e Principles scaturiti nei secoli dalla penna degli studiosi di Cambridge. 64. F. Dyson, cit. in G. Farmelo, cit., p. 560.

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procede per via puramente logica, consistendo nella naturale elaborazione di idee già esistenti. I grandi salti, invece, sono causati dall'introduzione di nuove idee e consistono generalmente nel "superamento di un pregiudizio". La fisica del Novecento si configura così come una lunga serie di pregiudizi abbattuti (e di conseguenti grandi salti): la simultaneità assoluta (relatività speciale), lo spazio euclideo (relatività generale), il determinismo (meccanica quantistica), il vuoto come assenza di materia (meccanica quantistica relativistica). 65 Negli ultimi anni Dirac aveva in mente il grande salto che le generazioni future di fisici avrebbero dovuto compiere: l'invenzione di una teoria quantistica libera da infiniti, in grado di predire i valori dei parametri fondamentali della Natura (come la carica elettrica elementare). 66 La rinormalizzazione come tecnica per rimuovere gli infiniti è oggi universalmente accettata, ma alcune teorie non sono rinormalizzabili. È il caso della teoria quantistica della gravità, di cui Dirac, tra l'altro, è stato uno dei pionieri. Gli infiniti di questa teoria non possono essere eliminati per mezzo della procedura di rinormalizzazione e pertanto viziano qualunque calcolo. Le teorie delle altre forze (elettromagnetica, forte e debole), riunite nel Modello Standard, sono invece. rinormalizzabili, ma contengono un gran numero di parametri arbitrari (tra i quali le cariche elettriche delle varie particeli~), i cui valori non sono derivabili. La versione aggiornata ed estesa del programma di Dirac potrebbe, dunque, essere sintetizzata così: ideare una teoria quantistica coerente delle particelle elementari e delle loro interazioni che contenga il minor numero possibile di costanti arbitrarie (al limite, nessuna). Proprio nei giorni in cui Dirac moriva, nell'autunno del 1984, questo obiettivo sembrò essere a portata di mano: due fisici, lo statunitense John Schwarz e il britannico Michael Green (che avrebbe in seguito occupato la stessa prestigiosa cattedra di Dirac a Cambridge, quella lucasiana di matematica, già di 65. Cfr. "Lo sviluppo della concezione della Natura del fisico", pp. 97-114. 66. Cfr. per esempio pp. 58-59.

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Newton), dimostrarono che una teoria quantistica di minuscole corde vibranti, le "stringhe", dotata di una simmetria chiamata "supersimmetria" e contenente una sola costante (la tensione delle stringhe), non solo unificava le particelle e le forze, ma era priva di infiniti e matematicamente coerente. Per un po', il sogno di Dirac parve avverarsi. Lee Smolin ha descritto efficacemente gli umori della comunità dei fisici durante la "rivoluzione delle stringhe" del 1984: La sensazione era che potesse esistere soltanto una teoria coerente per unificare tutta la fisica e, dato che la teoria delle stringhe sembrava farlo, doveva essere corretta. Non si doveva più dipendere dagli esperimenti per verificare le teorie! Quella era roba da Galileo. Ormai bastava la matematica per esplorare le leggi della Natura. Eravamo entrati nell'era della fisica postmoderna.67 Ben presto, però, si scoprì che la teoria delle stringhe era meno univoca di quanto si credesse: c'erano tante teorie possibili, tutte ugualménte valide, e una notevole arbitrarietà nella geometria dello spazio-tempo in cui vivono le stringhe. Il grande salto, insomma, non si era compiuto, e appare tuttora lontano. La strada percorsa dai teorici delle stringhe è stata quella che Dirac aveva immaginato: nuove matematiche e nuove idee sulle entità fisiche fondamentali. Ma egli considerava illusoria la speranza di arrivare a una descrizione completa del mondo con una singola mossa teorica. Nel 1981, a un gruppo di giovani ricercatori riuniti in un'aula di Erice per l'annuale Scuola di fisica subnucleare, impartì una lezione di umiltà scientifica: Credo che in futuro serviranno molte idee nuove, e che queste vadano ricavate una alla volta, per risolvere le singole difficoltà. Bisognerebbe accontentarsi di poter risolvere una piccola difficoltà e ottenere una teoria che rappresenti un miglioramento limitato, anziché coltivare ambizioni eccessive nella speranza di spiegare tutto in un colpo solo. 68 67. L. Smolin, The Trouble with Physics, Houghton Mifflin, New York 2006; tr. it. L'universo senza stringhe, Einaudi, Torino 2007, p. 117. 68. Cfr. p. 54.

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Oggi, in quella stessa aula, una grande riproduzione autografa dell'equazione di Dirac - icona della filosofia naturale del nostro tempo - celebra colui che tra tutti i fisici, come ebbe a dire Niels Bohr, aveva "l'animo più puro". 69

69. N. Bohr, cit. in R. Peierls, Address to Dirac Memoria! Meeting, in J. G. Taylor (a cura di), Tributes to Paul Dirac, Adam Hilger, Bristol 1987, p. 37.

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La principale biografia di Dirac è Graham Farmelo, The Strangest Man, Faber&Faber, London 2009; tr. it. L'uomo più strano del mondo, Raffaello Cortina, Milano 2013. Si veda anche: Richard Henry Dalitz, Rudolf Peierls, "Paul Adrien Maurice Dirac", in Biographical Memoirs ofFellows ofthe Royal Society, vol. 32, 1986, pp. 138-185; Berham Kursunoglu, Eugene Paul Wigner (a cura di), Reminiscences About a Great Physicist: Paul Adrien Maurice Dirac, Cambridge University Press, Cambridge 1987;John Gerald Taylor (a cura di), Tributes to Dirac, Adam Hilger, Bristol 1987. 1902 Paul Adrien Maurice Dirac nasce a Bristol 1'8 agosto, da Charles, originario del Canton V allese in Svizzera, e Florence Holten. 1914 Comincia a frequentare il Merchant Venturers' Technical College, dove il padre insegna francese. 1918 Si iscrive alla Facoltà di ingegneria elettrica dell'Università di Bristol. 1921 Si laurea in ingegneria elettrica con il massimo dei voti. Comincia a studiare matematica presso l'Università di Bristol. 1923 Si laurea in matematica con il massimo dei voti. Grazie a una borsa di studio governativa, si reca al StJohn's College dell'Università di Cambridge, dove compie gli studi post laurea sotto la guida di Ralph Fowler. 39

LA BELLEZZA COME METODO

1924 Scrive i suoi primi lavori scientifici. Conosce il fisico sperimentale russo Peter Kapitza, con cui stringe una duratura amicizia. 1925 Pubblica "The fundamental equations of quantum mechanics", uno degli articoli fondativi della meccanica quantistica. 1926 Consegue il dottorato di ricerca con una tesi dal titolo "Quantum mechanics". Visita l'Istituto di fisica teorica di Niels Bohr, a Copenhagen. 1927 Presenta la prima teoria quantistica del campo elettromagnetico. Visita l'Istituto di fisica di Gottingen. Partecipa al quinto congresso Solvay a Bruxelles. 1928 Pubblica l'articolo "The quantum theory of the electron", in cui compare l'equazione quantistica e relativistica degli elettroni, l"' equazione di Dirac". Visita per la prima volta l'Unione Sovietica. 1929 Visita per la prima volta gli Stati Uniti. Compie un viaggio in Giappone assieme a Werner Heisenberg. Elabora la teoria delle buche. 1930 Viene eletto fellow della Royal Society. Pubblica il trattato The Principles o/ Quantum Mechanics, accolto come l'equivalente moderno dei Principia newtoniani. 1931 Predice l'esistenza dell'antielettrone (in seguito chiamato positrone) e dei monopoli magnetici. 1932 È nominato professore lucasiano di matematica all'Università di Cambridge, la stessa cattedra ricoperta da Newton alla fine del XVII secolo. 1933 Gli viene assegnato il premio Nobel per la fisica, che condivide con Erwin Schrodinger. 193 7 Sposa Margit (Man ci) Balazs, sorella di Eugene Wigner. Pubblica un breve articolo cosmologico in cui formula l'ipotesi dei grandi numeri. 40

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1941 Inizia a condurre delle ricerche a scopo bellico, sulla separazione degli isotopi di uranio e sul progetto di un' arma nucleare. 1949 Tiene a Vancouver un importante ciclo di lezioni in cui sviluppa la teoria dei sistemi dinamici vincolati. 1954 Non gli viene concesso il visto per gli Stati Uniti, perché sospettato di simpatie e frequentazioni comuniste. 1955 È visiting professor presso l'Università di Mosca. 1963 Tiene presso la Yeshiva University di New York due serie di lezioni sulla meccanica quantistica e sulla teoria quantistica dei campi apparse poi in volume. 1969 Lascia per raggiunti limiti di età la cattedra lucasiana e si trasferisce negli Stati Uniti. 1971 Diventa ufficialmente professore presso la Florida State University a Tallahassee. 1973 Viene insignito dell'Ordine del Merito, la più alta onorificenza britannica. 1982 Compie la sua ultima visita in Europa. 1984 Muore il 20 ottobre a Tallahassee.

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NOTA EDITORIALE

Sono elencati di seguito gli scritti di Dirac tradotti in questo volume, con i riferimenti bibliografici originali. In "Speranze e paure" e in "Lo sviluppo della concezione della Natura del fisico" sono stati tagliati alcuni passi di carattere più tecnico. Le note a piè di pagina sono del curatore, salvo diversa indicazione. "La mia vita da fisico", tr. da "My life as a physicist", in A. Zichichi (a cura di), The Unity o/ the Fundamental Interactions, Plenum Press, New York 1983, pp. 733-749. ©Plenum Press 1983, by permission from Springer Science+Business Media B.V. "La relazione tra la matematica e la fisica", tr. da "The relation between mathematics and physics", James Scott Lecture, in Proceedings o/ the Royal Society o/ Edinburgh, 59, 1939, pp. 122-129. © The Royal Society of Edinburgh 193 9, by permission of The Royal Society of Edinburgh "L'evoluzione dell'immagine fisica della Natura", tr. da "The evolution of the physicist's picture of nature", in Scientific American, 208, 5, 1963, pp. 45-53. © Scientifìc American 1963 "Speranze e paure", tr. da "Hopes andfears", in Eureka, 32, 1969, pp. 2-4. ©Cambridge University Mathematical Society 1969 "Lo sviluppo della concezione della Natura del fisico", tr. da "Development of the physicist's conception of nature", inJ. Mehra (a cura di), The Physicist's Conception o/Nature, Reidel, Dordrecht 1973, pp. 1-14. © Reidel Publishing Company 1973, by permission from Springer Science+Business Media B.V. "L'influenza di Einstein nella fisica", tr. da "Einstein's influence on physics", in Pontificia Academia Scientiarum, Einstein Galileo.

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LA BELLEZZA COME METODO Commémoration d'Albert Einstein, Libreria Editrice Vaticana, Roma

1979, pp. 19-23. ©Libreria Editrice Vaticana 2013 "La verifica del tempo", tr. da "The test of time", in The UNESCO Courier, 32, 1979, pp. 17-23. ©UNESCO 2011, by permission ofuNESCO

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Vi parlerò della mia vita da fisico e proverò a spiegarvi perché considero molte cose in modo assai diverso dagli altri fisici. Ho frequentato una scuola specializzata in matematica, fisica, chimica e lingue moderne. Sono stato piuttosto fortunato a frequentarla; mi ha offerto proprio le materie che volevo, e gli insegnanti erano bravi. Da che ho memoria, sono sempre stato interessato alla matematica e alla fisica. Un aspetto della mia istruzione scolastica fu particolarmente propizio. A quei tempi era in corso una guerra, il Primo conflitto mondiale, con il risultato che tutti i ragazzi più grandi interrompevano gli studi per essere arruolati nell'esercito, e i più piccoli venivano mandati avanti più in fretta possibile, per riempire i posti lasciati vuoti nelle classi superiori. Così andai avanti anche io e appresi le idee generali della matematica e della scienza prima del consueto. Credo che questo mi abbia avvantaggiato. Non dovetti aspettare di soddisfare i requisiti di età, ma continuai ad avanzare nel ciclo scolastico man mano che assimilavo le nuove nozioni. Imparai quindi i fondamenti della meccanica, l'analisi matematica e la teoria atomica della chimica più precocemente rispetto alla maggioranza dei ragazzi. Finita la scuola, passai alla facoltà di ingegneria dell'Università di Bristol, ospitata negli stessi edifici e dotata di laboratori eccellenti. E anche lì, per via della guerra, foi mandato avanti il più in fretta possibile, e iniziai i corsi ali' età di sedici anni. La guerra finì poco dopo la mia iscrizione all'università.

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LA BELLEZZA COME METODO

Il corso di ingegneria ebbe su di me un forte influsso. In precedenza mi ero interessato solo alle relazioni matematiche esatte. Procedere per approssimazioni non mi piaceva, e volevo evitarlo, ma da ingegnere dovetti farmene una ragione. Un ingegnere, infatti, si occupa del mondo reale, vi fa riferimento nei suoi calcoli, e deve compiere approssimazioni di continuo. Quello bravo sa intuire quali approssimazioni andranno bene e quali daranno problemi. Ho imparato che, nel descrivere la Natura, le approssimazioni vanno tollerate, e che lavorarci può essere interessante, e a volte bello. Un'altra cosa importante che appresi durante gli studi di ingegneria riguardava la relatività. Cominciai l'università a Bristol nel 1918, e fu proprio nel novembre di quell'anno, quando la guerra finì, che a un tratto sentimmo parlare della relatività e di Einstein. Fino ad allora nessuno sapeva nulla di tutto ciò, tranne pochissimi specialisti nelle università. Nella facoltà di ingegneria di Bristol non c'era nessuno che ne sapesse alcunché. Poi, di colpo, ne parlavano tutti. Fu qualcosa che si manifestò all'improvviso, in tutto il mondo, un mondo stanco della guerra e bramoso di nuove idee. La relatività fornì proprio quel che la gente desiderava. Ma nessuno aveva informazioni precise. Tra gli studenti, e persino tra i professori, nessuno sapeva esattamente che cosa fosse la teoria della relatività. Dovevamo accontentarci di parlarne sulla base dei resoconti forniti dalla stampa popolare, riassunti perlopiù filosofici che non contenevano nessuna delle equazioni che ci occorrevano davvero. Da ingegneri, avevamo basato tutto il nostro lavoro su Newton, per scoprire adesso che, chissà come, Newton si sbagliava. Per noi quella fu una grande sorpresa. Nessuno capiva perché si sbagliasse, ma dovemmo accettare che le leggi di Newton non erano esatte. Ciò mi portò a pensare che forse tutte le leggi di Natura erano solo approssimazioni e andavano modificate con il progredire delle nostre conoscenze. In Inghilterra avevamo Eddington, l'unico che capisse veramente Einstein e la relatività. Le cose erano andate così: Eddington aveva un amico in Olanda, de Sitter. L'Òlanda era

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neutrale, dunque Eddington e de Sitter potevano comunicare tra loro, e de Sitter era in contatto con Einstein in Germania. In questa maniera indiretta, Eddington seppe della teoria di Einstein, la comprese pienamente e la spiegò al pubblico. Era molto bravo nella divulgazione, ma dovemmo attendere ancora qualche anno - fino alla pubblicazione del suo libro sulla teoria matematica della relatività - per avere una base davvero adeguata per lo studio delle equazioni. Quando il libro apparve, i lettori come gli studenti di ingegneria avevano conoscenze matematiche sufficienti per poterlo leggere fino in fondo e cogliere i veri fondamenti della teoria. Gli studi di ingegneria mi insegnarono ad accontentarmi delle approssimazioni nello studio della Natura. Forse, tutte le leggi di Natura sono soltanto approssimate, e la nostra conoscenza della Natura dovrebbe essere ritenuta tutt'altro che definitiva. Tutto è suscettibile di modifiche in virtù delle conoscenze che andremo accumulando in futuro. Credo che questo dovremmo tenerlo sempre a mente. Tutto quel che abbiamo nella scienza non è la verità ultima, ma qualcosa di soggetto a cambiamenti con il, progredire delle conoscenze. Terminai il corso di ingegneria in tre anni, nel 1921, escoprii che non riuscivo a trovare lavoro come ingegnere. All' epoca c'era una crisi economica. Rimasi all'Università di Bristol a studiare matematica, per due anni. L'argomento che mi interessò di più fu la geometria proiettiva. È qualcosa che i fisici non usano molto, ma per me fu utilissimo impadronirmi delle idee basilari di questa disciplina. Esse costituiscono una potente e assai efficace generalizzazione delle idee della geometria euclidea. Nel mio lavoro di ricerca uso continuamente la geometria proiettiva, anche se non troverete riferimenti a essa nei miei articoli pubblicati. La uso per visualizzare le relazioni tra quantità tensoriali e vettoriali nello spazio euclideo e nello spazio di Minkowski. 1 Così si può ottenere un'idea più chiara di queste relazioni. Poi, naturalmen1. Lo spazio di Minkowski è lo spazio-tempo quadridimensionale della relatività ristretta.

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te, una volta visualizzata una certa relazione, la si può spiegare senza la geometria proiettiva. In tutti i miei lavori pubblicati ho evitato la geometria proiettiva, ritenendo che la maggioranza dei fisici non l'avrebbe apprezzata, e che per loro non fosse essenziale impararla. Eppure, essa è di grande utilità nella ricerca. È impossibile raffigurarsi le cose in quattro dimensioni in modo diretto, ma le relazioni tra vettori si possono visualizzare in tre dimensioni sfruttando le idee della geometria proiettiva. A Bristol c'era un ottimo docente di quella materia, il signor Fraser, che non aveva mai fatto ricerca ma insegnava in modo molto stimolante. Dopo i due anni di matematica a Bristol mi trasferii a Cambridge in qualità di studente ricercatore, con I' aiuto di una modesta borsa di studio governativa. Lì mi fu assegnato come supervisore R.H. Fowler, esperto di meccanica statistica e teoria dei quanti. Fu allora che sentii parlare per la prima volta delle orbite di Bohr. A Bristol sembrava che nessuno ne sapesse nulla, o almeno nessuno me ne aveva mai parlato. Non se ne occupavano né gli ingegneri né i matematici. Per me fu una sorpresa totale scoprire che si potevano usare le equazioni del moto per descrivere la struttura dell'atomo, equazioni molto simili a quelle di Newton, che vanno applicate sotto speciali condizioni. Mi entusiasmai per le orbite di Bohr e cominciai a studiarle intensamente. Bisognava approfondire la questione. Se ne conoscevano solo applicazioni piuttosto elementari. Il problema maggiore era: come fanno diverse orbite di Bohr a interagire nello stesso atomo? Quando si ha a che fare con le orbite di Bohr, conviene usare i metodi Hamiltoniani della dinamica, e quindi studiai a fondo il formalismo di Hamilton e la teoria delle trasformazioni legata a esso. Mi impegnai molto cercando di estendere l'uso delle orbite di Bohr e comprendere meglio le loro interazioni nell'atomo. Fu un lavoro essenzialmente futile. Non portò a nulla. La svolta improvvisa arrivò nel 1925, quando Heisenberg introdusse la sua meccanica delle matrici. Egli si allontanò completamente dall'idea delle orbite di Bohr, concentrandosi su quantità che sono più strettamente collegate all'osservazione. 48

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Ciascuna di queste quantità è collegata a due stati stazionari di un atomo e forma una matrice. Ebbene, per me fu un grosso sforzo staccarmi dalle orbite di Bohr. Mi ci volle un po', perché fino ad allora ne ero stato intensamente attratto. Ebbi una copia del lavoro di Heisenberg poche settimane prima della pubblicazione. Era stata inviata a Fowler, che me la passò. Ricordo che, quando lessi per la prima volta quell'articolo, non mi piacque. Non ne capivo l'utilità e lo accantonai. Lo ripresi dopo un paio di settimane, e di colpo mi resi conto che forniva la chiave all'intera questione di come costruire una meccanica atomica, e mi ci tuffai con entusiasmo. Heisenberg aveva introdotto degli elementi di matrice, ciascuno associato a due livelli di energia. Ali' epoca io ero tutto preso dalla relatività, e la mia prima idea fu che ogni elemento di matrice dovesse essere associato a due valori, di quantità di moto oltre che di energia. È quel che veniva subito da pensare in quel contesto. Poi mi parve che non si potessero ammettere due valori di quantità di moto del tutto arbitrari. Forse, andavano vincolati. La condizione naturale da imporre era che la differenza delle quantità di moto fosse pari alla differenza dell'energia divisa per e (fa velocità della luce nel vuoto). Quello fu il mio primo abbozzo di lavoro di meccanica quantistica. Non pubblicai mai quell'idea, perché ben presto fui distratto da altre idee più importanti, ma la incorporai in un mio lavoro successivo sull'effetto Compton. 2 Il mio primo progresso importante nella teoria quantistica consistette nel rendermi conto che esiste un'analogia tra il commutatore di due variabili dinamiche u x v - v x u (che è diverso da zero) nella meccanica matriciale di Heisenberg e la parentesi di Poisson della meccanica classica. Ricordo che questa idea mi venne. mentre facevo una passeggiata in campagna, e ne fui esaltato. Non potei verificarla subito, perché non sapevo bene come fosse fatta una parentesi di Poisson. Era qualcosa di cui avevo letto nei miei studi sui metodi Hamiltoniani, ma il mio 2. L'effetto Compton è la variazione cli lunghezza d'onda dei fotoni diffusi da elettroni liberi.

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ricordo non era molto nitido. Dovetti aspettare di poter andare in una biblioteca per controllare la correttezza delle mie idee, e scoprire che erano giuste. Per ciò che riguarda la notazione, potrei osservare che rtei primi scritti sui metodi Hamiltoniani e sugli invarianti associati a essi ricorrono due quantità, la parentesi di Poisson e quella di Lagrange. E a quei tempi si usavano parentesi tonde per Poisson e parentesi quadre per Lagrange. Ora, la parentesi di Lagrange non è di alcuna rilevanza in meccanica quantistica. Quella di Poisson è invece molto importante. Mi sembrava che non fosse appropriato usare la parentesi tonda per Poisson: non eravamo abituati a vedere un'espressione antisimmetrica nei suoi due membri rappresentata da una parentesi tonda. È una notazione alquanto diversa da quella usata, per esempio, nell'analisi vettoriale. Perciò mi permisi di introdurre le parentesi quadre per Poisson, e sono lieto di dire che tutti mi imitarono e quella nuova notazione oggi è di uso comune. Nessuno fa più riferimento alla parentesi di Lagrange. Devo rilevare che, all' epoca,Ja comparsa dell'algebra non commutativa fu un'enorme sorpresa. Era qualcosa di completamente estraneo a quanto concepito fino ad allora dai fisici. Mi dissero che Heisenberg ne era estremamente turbato e si chiedeva se ciò avrebbe significato l'abbandono dell'intera teoria, ma ricevette molti incoraggiamenti dal suo professore Max Born, e andò avanti. Si è poi scoperto che è questa la differenza fondamentale tra la nuova meccanica e la meccanica newtoniana, come è stata sviluppata da Lagrange, Hamilton e altri. , Una volta intuito il collegamento tra il commutatore di due variabili nella teoria di Heisenberg e la parentesi di Poisson, c'erano le basi per un rapido progresso. Ero assai entusiasta e dedicai tutte le mie energie allo sviluppo di questa nuova teoria. Poi arrivò Schrodinger con un'altra teoria, e sulle prime ci rimasi molto male. Ero più che soddisfatto della meccanica di Heisenberg, volevo solo continuare a svilupparla, e non mi andava di dovermi abituare a nuove idee come richiedeva Schrodinger. Così quella fu una distrazione piuttosto sgradita. Poi venne fuori che la teoria di Schrodinger non

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era affatto in contraddizione con quella di Heisenberg, ma anzi la integrava. La teoria di Schrodinger fu utilissima nel fornire un'interpretazione fisica della nuova meccanica ideata da Heisenberg. All'epoca, nella fisica regnava una situazione senza precedenti, nel senso che lavoravamo con equazioni senza sapere esattamente quale fosse la loro interpretazione. C'erano solo alcuni semplici casi in cui eravamo in grado di dire qualcosa. Sceglievamo una certa funzione di energia, e riuscivamo a calcolarne gli autovalori. A proposito della terminologia, dirò che all' epoca gli inglesi non amavano il termine "autovalore" (eigenvalue), preferivano "valore proprio" (proper value). Mi sembrava poco adatto, per cùi insistetti sull'uso di autovalore. Riuscii a farlo diventare il termine ufficiale. L'interpretazione fisica fornita dalla teoria di Schrodinger implicava delle probabilità: c'era una funzione d'onda, si prendeva il quadrato del suo modulo e lo si interpretava come la probabilità che certe variabili avessero certi valori. Riuscii a sviluppare una teoria generale delle trasformazioni nella nuova meccanica, che permetteva di esprimere la funzione di Schrodinger in termini di un qualunque insieme di variabili commutanti che assumono valori determinati. Credo che lo sviluppo della teoria delle trasformazioni sia il lavoro che mi ha dato più soddisfazione tra quelli che ho compiuto in fisica, perché procedevo decisamente secondo una concatenazione di idee e non semplicemente per intuizioni fortuite. Questo sviluppo definito e logico portò alla teoria delle trasformazioni. Leggendo i primi scritti di Schrodinger, si nota che sono tutti non relativistici. Ora, l'idea di partenza di Schrodinger erano le onde associate alle particelle che erano state introdotte da de Broglie, e che erano collegate alle particelle in modo relativistico. Dunque l'idea di partenza era relativistica; eppure, tutti i primi scritti di Schrodinger erano non relativistici. Come era possibile? Schrodinger me lo spiegò molti anni dopo, durante una breve conversazione: mi disse che aveva ottenuto la prima equazione d'onda come generalizzazione dell'equazione di de Broglie, per un elettrone che si muove in un campo elettromagnetico. Quella prima equazione era relativistica. Poi,

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naturalmente, egli l'applicò all'elettrone nell'atomo di idrogeno. Ottenne un risultato in disaccordo con le osservazioni. Questo perché nell'equazione non c'era alcun riferimento allo spin dell'elettrone. A quei tempi si iniziava appena a parlare di spin dell'elettrone, e non c'era alcuna teoria dettagliata che lo includesse. L'equazione d'onda originale di Schrodinger non conteneva alcun riferimento allo spin e dava così un risultato errato. Quando Schrodinger lo scoprì, ne fu estremamente deluso. Credette che la sua idea fosse del tutto priva di valore, e l'abbandonò. Fu alcuni mesi dopo, quando si rimise ali' opera e notò che, in approssimazione non relativistica, il risultato dei suoi calcoli in effetti concordava con le osservazioni, che pubblicò il suo lavoro come teoria non relativistica. L'equazione relativistica originale di Schrodinger fu riscoperta in seguito da Klein e Gordon, che la pubblicarono. Così oggi è nota come equazione di Klein-Gordon, anche se era stata scoperta parecchio tempo prima da Schrodinger. Questi non ebbe il coraggio, per così dire, di pubblicare un lavoro in contrasto con le osservaziOni. Oggi la gente non ha questo tipo di riserve. A quanto pare Schrodinger fu troppo timoroso, e lo sviluppo della teoria quantistica ne fu lievemente rallentato. L'equazione di Klein-Gordon è un'equazione del secondo ordine nella derivata rispetto al tempo. È pienamente relativistica, ma non si conforma al tipo ordinario di equazioni della meccanica quantistica, quelle a cui si applica la teoria generale delle trasformazioni. Ciò mi poneva il problema di arrivare a una teoria quantistica relativistica dell'elettrone, cosa che studiai per un po' di tempo. In quel periodo, al congresso Solvay del 1927, incontrai Bohr che mi chiese: "A cosa stai lavorando adesso?". lo risposi: "Sto cercando una teoria relativistica per il moto dell'elettrone". Al che Bohr replicò: "Ma quel problema è già stato risolto da Klein e Gordon". Avrei voluto spiegargli che quella soluzione non era soddisfacente, perché non concordava con l'ordinaria teoria delle trasformazioni della meccanica quantistica. Questa richiedeva che l'equazione d'onda fosse lineare nella derivata rispetto al tempo, in modo tale che si potesse usare il quadrato del modulo della funzione d'onda 52

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per determinare la probabilità che delle variabili commutanti avessero particolari valori. In quella occasione avrei voluto spiegare a Bohr la mia insoddisfazione, ma l'inizio di un'altra conferenza interruppe la nostra discussione privata. Continuai comunque a lavorare al problema. Si trattava di ottenere un'equazione d'onda compatibile con i fondamenti della meccanica quantistica e dunque con la teoria delle trasformazioni da me elaborata, cosa che ritenevo essenziale. La teoria delle trasformazioni esigeva un'equazione d'onda lineare nella derivata temporale. E alla fine, immagino per una sorta di intuizione felice, concepii una nuova equazione d'onda, che oggi è accettata come equazione d'onda relativistica dell' elettrone. Essa forniva la probabilità di trovare l'elettrone in qualsiasi punto dello spazio. Con l'introduzione di questa equazione d'onda si poneva il problema delle energie negative dell'elettrone che diventavano rilevanti. In precedenza, le energie negative erano già lì, ma erano oscurate dal fatto che l'equazione presentava altre difficoltà più serie. Una volta eliminate queste difficoltà, l'energia negativa diventò l'inconveniente principale. Riuscii a risolverlo introducendo un vuoto con tutti gli stati di energia negativa occupati e studiando come sarebbero apparsi gli eventuali stati di energia negativa non occupati. Dapprima scrissi tutto il lavoro con le buche negli stati di energia negativa interpretate come protoni, perché avevano carica positiva. Ali' epoca i protoni erano gli unici oggetti dotati di carica positiva. L'opinione diffusa era contraria all'idea di postulare l'esistenza di nuove particelle. Ce n'erano due, elettrone e protone, associate a due cariche, negativa e positiva, e nient'altro. Tuttavia, i matematici insistevano che le buche dovevano avere la stessa massa dell' elettrone, e pertanto dovevano essere particelle di un nuovo tipo.3 Queste furono scoperte poco dopo da Anderson. Furono anche scoperte, indipendentemente e un po' di tempo prima, da Blackett che però fu lento a pubblicare il suo lavoro, perché era di natura statistica; in più, non era definitivo come quello di 3. Si tratta degli antielettroni, o positroni, il primo esempio di antimateria.

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Anderson, e Blackett voleva delle conferme. Fu un po' troppo cauto, e Anderson si aggiudicò la scoperta. A quel punto avevamo una teoria soddisfacente per un elettrone che si muove in un campo elettromagnetico. In questo lavoro si era proceduto un passo alla volta, affrontando le difficoltà una a una, eliminando prima quella più complessa, poi quella immediatamente successiva, e così via. Questo mi ha portato all'opinione che tutto lo sviluppo della fisica seguirà un andamento simile. Abbiamo di fronte parecchie difficoltà. Dobbiamo trovare il modo di spiegarle una a una. Molti si affannano a cercare una teoria ultima che spieghi tutte le difficoltà, magari una teoria di grande unificazione. Trovo che sia un'impresa senza speranza. Concepire una tale teoria va ben oltre l'ingegno umano. Credo che in futuro serviranno molte idee nuove, e che queste vadano ricavate una alla volta, per risolvere le singole difficoltà. Bisognerebbe a._ccontentarsi di poter risolvere una piccola difficoltà e ottenere una teoria che rappresenti un miglioramento limitato, anziché coltivare ambizioni eccessive nella speranza di spiegare tutto in un colpo solo. Il lavoro che portò alla teoria dell'elettrone e del positrone era valido solo per le particelle in un campo elettromagnetico fissato. Il passo successivo era generalizzarlo a un campo elettromagnetico soggetto alle leggi quantistiche: un campo quantizzato. Qui ci imbattemmo in una difficoltà. Si possono scrivere le equazidni per un elettrone che interagisce con il campo elettromagnetico. Si ottiene una certa funzione Hamiltoniana,4 che porta a un'equazione di Schrodinger. A questo punto si può risolvere l'equazione con un metodo perturbativo, partendo da un'approssimazione di ordine zero, in cui non c'è interazione tra l'elettrone e il campo elettromagnetico, per poi passare a termini successivi nell'approssimazione. Questo metodo sembra valido perché la costante di accoppiamento è molto piccola. Quando si arriva al secondo ordine di approssimazione, però, si scopre che nella soluzione dell'equazione di Schrodinger appaiono degli infiniti. È così che gli infiniti 4. È la funzione che rappresenta l'energia totale del sistema.

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hanno fatto la loro comparsa in meccanica quantistica. Ogni ulteriore tentativo di costruire teorie relativistiche di particelle e campi interagenti porta sempre a degli infiniti, salvo in casi banali. Bisogna concluderne, a mio parere, che le basi della nostra teoria non sono corrette. Ma non ne abbiamo di migliori. Perciò tutti continuano a lavorare con queste equazioni che contengono infiniti. Hanno trovato un modo per rimuoverli, chiudendo un occhio, e calcolano gli effetti residui che rimangono quando si adotta questa procedura, che comporta larinormalizzazione della teoria. Ma con un fattore di rinormalizzazione infinito si trascurano quantità infinitamente grandi nelle equazioni. Si trascurano senza alcun motivo logico. Si trascurano solo per non ritrovarsele nella teoria. Ecco, io trovo tutto questo inaccettabile. Lo è soprattutto per chi ha una formazione da ingegnere. È una violazione di tutti i princìpi che ci sono stati insegnati, e che sono davvero fondamentali nella teoria. Che fare, se non si vuole accettare la rimozione degli infiniti? Si può provare a costruire un'elettrodinamica quantistica senza infiniti, introducendo un limite superiore (cutoff) nell'interazione tra l'elettrone e il campo, che tagli via certe frequenze del campo. Si suppone, allora, che i termini di interazione corrispondenti alle frequenze al di sopra del limite non si presentino nell'equazione. In questo modo, ovviamente, si rende la teoria non relativistica; la si rende brutta. Ma anche così, preferisco una teoria non relativistica e brutta a una che viola la logica al punto da richiedere di ignorare degli infiniti. Ho lavorato parecchio a questa nuova elettrodinamica quantistica e ho scoperto che, grazie alla piccolezza della costante di accoppiamento, è possibile introdurre il limite in modo tale che la correzione al primo ordine nel Lamb shi/t e quella al primo ordine nel momento magnetico anomalo dell'elettrone risultino corrette. 5 Ma è troppo complicato calcolare le correzioni di 5. Il Lamb shi/t (spostamento di Lamb) e il momento magnetico anomalo dell'elettrone sono due tipici effetti dell'elettrodinamica quantistica, usati come banchi di prova della teoria.

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LA BELLEZZA COME METODO

ordine superiore. Un buon numero di evidenze sperimentali indica che queste correzioni, così come le fornisce il metodo della rimozione degli infiniti, sono in accordo con le osservazioni; dunque, il metodo del limite superiore non è raccomandabile, e non credo che abbia un futuro. Qual è la situazione attuale? Continuo a non tollerare larimozione di quantità infinite, e ho passato molto tempo a cercare un modo di riformulare la meccanica quantistica relativistica che eviti l'apparizione di infiniti, ma senza successo. Ho provato parecchie idee. Per un po' ho lavorato, anziché con particelle singole, con correnti di materia che interagiscono tra loro. Con queste correnti si ottengono equazioni che non contengono infiniti, ma non si ha un'interazione dettagliata che permetta di ottenere dei risultati precisi. Insomma, si tratta di un problema irrisolto, che tuttavia va affrontato per arrivare a una meccanica quantistica perfezionata, in cui non si presentino infiniti. Anche se io ho fallito, è un obiettivo che vale la pena perseguire. Bisognerebbe tenere gli occhi aperti a qualsiasi possibilità in questa direzione. Un'altra questione che mi ha interessato molto riguarda il valore numerico della quantità licie2, il reciproco della costante di struttura fine a. È un valore prossimo a 13 7. La domanda è: perché la costante ha questo particolare valore? Come mai la Natura ha scelto proprio questo numero? È un problema assai dibattuto dal 1930 in poi. Eddington, in particolare, ci ha lavorato molto, e ha costruito un' argomentazione, basata su un conteggio dei gradi di libertà, che prediceva l'esatto valore 13 6. Poi corresse la sua teoria per avere 13 7. Ho studiato a fondo le argomentazioni di Eddington, ma non sono riuscito a capirle. Credo che nessun altro le abbia davvero capite. La teoria di Eddington prevedeva che il numero fosse esattamente 13 7, e ali' epoca in cui venne formulata il numero non era noto sperimentalmente con grande accuratezza. Ma dalle osservazioni più recenti pare che il valore non sia precisamente 13 7, che non sia esattamente un numero intero, e pertanto Eddington non può avere ragione. Non credo, quindi, che le sue congetture abbiano un fondamento logico, o quantomeno io non sono riuscito a trovarlo. Vorrei ora accennare

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LA MIA VITA DA FISICO (1983)

ad altri lavori su questo problema condotti da Hans Euler e da Bernhard Kockel. Prima di esaminarli, devo spiegare una modifica dell'elettrodinamica apportata da Born, una modifica della teoria di campo classica di Maxwell. Born suppose che le equazioni di Maxwell che tutti usiamo fossero valide solo per campi deboli, e che quando si passa a campi intensi, paragonabili al campo elettrico sulla superficie dell'elettrone, occorra modificare le equazioni di Maxwell. Born concepì un modo semplice ed elegante di effettuare questo cambiamento e fissò i coefficienti in maniera tale che l'energia di Coulomb totale dell'elettrone avesse proprio il valore corretto, mC2. Si tratta di una teoria interamente classica. In essa la propagazione della luce non è più governata da equazioni lineari ed è possibile la diffusione della luce da parte della luce. Si può calcolare quale sia la probabilità di tale fenomeno. Anche nella teoria quantistica standard è possibile la diffusione di luce da parte della luce. Due fotoni che vengono a contatto possono interagire e formare una coppia elettronepositrone. Questa può annichilirsi e formare due fotoni che vanno in direzioni diverse. Ora, anche se i due fotoni iniziali non hanno abbastanza energia per formare una coppia elettrone-positrone reale, possono formare una coppia virtuale che è sufficiente a produrre la diffusione della luce. Dunque, ci sono due teorie in cui la luce è diffusa dalla luce, quella di Born e l'elettrodinamica quantistica ordinaria. Si possono confrontare i coefficienti nelle due teorie: la seconda coinvolge la costante di Planck, la prima no. Perciò confrontandole si ottiene un'equazione che fissa la costante di Planck in funzione della carica elettrica. Si ricava così un valore per la costante di struttura fine. Ora, Euler e Kockel fecero questo confronto, e ottennero per 1/a un valore di circa 82, mentre avrebbe dovuto essere 13 7. Ma non era dopo tutto una discrepanza troppo grave. Dopo la pubblicazione çlel lavoro di Euler e Kockel, Infeld analizzò il problema e osservò che esistono vari modi possibili di modificare l'elettrodinamica classica ordinaria secondo il suggerimento di Born. Infeld propose un'alternativa alla teo-

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LA BELLEZZA COME METODO

ria di Born, basata anch'essa su una semplice ipotesi, e fece di nuovo il confronto tra la diffusione della luce sulla luce nella teoria di Maxwell modificata da lui e nella teoria quantistica standard. Ottenne per 1/a il valore 130. Era molto meglio; aggiungerei che, se siete interessati a questo lavoro, potete consultare l'articolo di Infeld pubblicato su Nature, volume 13 7. Queste idee, che implicano una connessione e un punto di incontro tra due teorie diverse, sono interessanti. Forse, in esse c'è della verità. Ma non credo comunque che in tal modo si otterrà mai una soluzione finale del problema. Quel che ci serve davvero è un'elettrodinamica quantistica che prescriva per 11a proprio il suo valore reale, vicino a 13 7. Ci servono equazioni fondamentali che siano coerenti solo a patto che 1/a abbia questo preciso valore. Si possono trovare equazioni simili? Passai un bel po' di tempo a rifletterci, e a un certo punto mi venne un'idea che suggeriva la possibilità di singolarità quantizzate nel campo elettromagnetico. Ma uno studio approfondito di questa idea portò alla comparsa di monopoli magnetici nelle equazioni. Il monopolo ha una carica quantizzata legata alla carica dell'elettrone. Si otteneva così una teoria che metteva in relazione il monopolo quantizzato con l'elettrone quantizzato, ma non forniva il valore in sé della carica dell'elettrone. Quando me ne resi conto, per me fu una grossa delusione. Ma dovevo pur cavarne qualcosa, perciò pubblicai il mio lavoro come teoria del monopolo. Quella teoria ha generato molti sviluppi. Ma per me rimane deludente. Lo è perché non aiuta a risolvere la questione essenziale: perché l/a ha proprio il valore che ha. Bene, credo che attualmente la fisica sia di fronte a due problemi fondamentali. Uno è quello di arrivare a una meccanica quantistica che funzioni senza infiniti, e l'altro è arrivare a una meccanica quantistica che fissi il valore della costante a, cioè della carica elettrica elementare. Ho passato anni a esaminare questi problemi, e non ci sono stati progressi significativi. Penso che per risolvere problemi del genere ci vogliano idee nuove, e che non si debba continuare con calcoli basati sulle vecchie teorie. Certo, è assai utile continuare questi calcoli e vedere

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LA MIA VITA DA FISICO (1983)

quali informazioni si possano ottenere cercando di riprodurre i risultati sperimentali. È quel che oggi fa la maggior parte dei fisici. Ma non otterremo progressi sostanziali finché non avremo un altro Einstein o un altro Heisenberg che introduca qualche idea del tutto nuova che ci aiuti a chiarire i due problemi. E questa è la sostanza di quello che volevo raccontarvi.

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LA RELAZIONE TRA LA MATEMATICA E LA FISICA (1939)

Nello studio dei fenomeni naturali, il fisico ha due metodi per compiere dei progressi: 1) il metodo dell'esperimento e dell'osservazione; 2) il metodo del ragionamento matematico. Il primo consiste essenzialmente nella raccolta di dati selezionati; il secondo permette di fare predizioni su esperimenti che non sono stati ancora effettuati. Non c'è alcuna ragione logica per cui il secondo metodo debba essere possibile; ma si è scoperto nella pratica che esso funziona e produce buoni risultati. Ciò va attribuito a qualche qualità matematica nella Natura, che l'osservatore casuale non sospetterebbe, ma che nondimeno svolge un ruolo importante nello schema della Natura. Si potrebbe descrivere la qualità matematica nella Natura dicendo che l'universo è costituito in modo tale che la matematica è uno strumento utile per la sua descrizione. Tuttavia, alcuni progressi recenti della fisica mostrano che questa è un' affermazione troppo superficiale. Il collegamento tra la matematica e la descrizione dell'universo va molto più in profondità, e lo si può cogliere appieno solo grazie a un esame scrupoloso dei vari fatti che lo strutturano. Lo scopo principale del mio discorso sarà quello di illustrare tutto ciò. Tratterò del modo in cui le opinioni dei fisici al riguardo sono state gradualmente modificate dai recenti sviluppi nella fisica, e farò poi qualche congettura sul futuro. Prendiamo come punto di partenza lo schema della scienza fisica che era accettato da tutti nel secolo scorso, lo schema meccanicistico. Esso considera l'intero universo come un siste61

LA BELLEZZA COME METODO

ma dinamico (ovviamente di estrema complessità), soggetto a leggi del moto che sono essenzialmente di tipo newtoniano. Il ruolo della matematica in questo schema è quello di rappresentare le leggi del moto tramite equazioni, e di ottenere per esse delle soluzioni in riferimento alle condizioni osservate. L'idea dominante in questa applicazione della matematica alla fisica è che le equazioni che rappresentano le leggi del moto debbano avere una forma semplice. Il successo dello schema è dovuto interamente al fatto che delle equazioni di forma semplice paiono in effetti funzionare. Il fisico dispone così di un principio di semplicità, che può usare come strumento di ricerca. Se ottiene, da esperimenti imprecisi, dati che concordano all'incirca con alcune semplici equazioni, ne conclude che se compisse esperimenti più açcurati otterrebbe dati in migliore accordo con le equazioni. Il metodo è assai limitato, però, dato che il principio di semplicità è valido solo per le leggi fondamentali del moto, non per i fenomeni naturali in genere. Per esempio, esperimenti approssimativi sulla relazione tra la pressione e il volume di un gas a temperatura fissa danno risultati in accordo con una legge di proporzionalità inversa, ma sarebbe errato dedurne che esperimenti più precisi confermerebbero questa legge con maggiore accuratezza, dato che qui si ha a che fare con un fenomeno che non è collegato in modo diretto con le leggi fondamentali del moto. La scoperta della teoria della relatività ha reso necessario modificare il principio di semplicità. Una delle leggi fondamentali del moto è la legge della gravitazione, che secondo Newton è rappresentata da un'equazione assai semplice, mentre secondo Einstein richiede lo sviluppo di una tecnica elaborata prima che la sua equazione possa essere anche solo scritta. È vero che, dal punto di vista della matematica superiore, si possono fornire ragioni a sostegno dell'idea che la legge di gravitazione di Einstein sia in realtà più semplice di quella di Ne\vton, ma ciò implicherebbe l'attribuzione di un significato alquanto sottile al concetto di semplicità, vanificando in gran parte l'efficacia pratica del principio di semplicità come strumento di indagine sui fondamenti della fisica.

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LA RELAZIONE TRA LA MATEMATICA E LA FISICA (1939)

Quello che rende la teoria della- relatività così accettabile per i :fisici, sebbene essa infranga il principio di semplicità, è la sua grande bellezza matematica. Questa è una qualità che non si può definire, non più di quanto si possa definire la bellezza nell'arte, ma che gli studiosi di matematica non hanno alcuna difficoltà a percepire. La teoria della relatività ha introdotto in una misura che non ha precedenti - la bellezza matematica nella descrizione della Natura. La relatività ristretta ha cambiato le nostre idee di spazio e di tempo in un modo che si può riassumere dicendo che il gruppo di trasformazioni1 cui è soggetto il continuum spazio-temporale non è più il gruppo di Galileo, ma quello di Lorentz. Questo secondo gruppo è molto più bello del primo - anzi, da un punto di vista matematico, il primo è un caso speciale degenere del secondo. La teoria della relatività generale prevede un altro passaggio abbastanza simile, ma in questo caso l'incremento in bellezza è considerato minore che nella teoria ristretta, con il risultato che la teoria generale è accettata con meno decisione. Vedi~mo così che occorre trasformare il principio di semplicità in un principio di bellezza matematica. Il ricercatore, nel suo sforzo di esprimere matematicamente le leggi fondamentali della Natura, deve mirare soprattutto alla bellezza matematica. Deve prendere ancora in considerazione la semplicità, ma subordinandola alla bellezza (Einstein, per esempio, nello scegliere una legge di gravità, prese quella più semplice compatibile con il suo continuum spazio-temporale, ed ebbe successo). Accade spesso che i requisiti di semplicità e bellezza coincidano, ma laddove entrino in conflitto, il secondo deve avere la precedenza. Passiamo ora alla seconda rivoluzione nel pensiero :fisico del nostro secolo: la teoria quantistica. Questa è una teoria dei fenomeni atomici basata su una meccanica di un tipo essenzialmente diverso da quella newtoniana. La differenza può essere espressa concisamente, ma in modo alquanto astratto, dicen1. Un gruppo di trasformazioni è un insieme di trasformazioni che possono essere composte tra loro e ammettono delle trasformazioni inverse.

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LA BELLEZZA COME METODO

do che le variabili dinamiche della meccanica quantistica sono soggette a un'algebra in cui non vale l'assioma commutativo della moltiplicazione. A parte questo, c'è un'analogia formale strettissima tra la vecchia me~canica e la meccanica qmmtistica. In effetti, è notevole quanto la vecchia meccanica sia adattabile alla generalizzazione dell'algebra non commutativa. Tutte le sue caratteristiche eleganti si possono trasportare nella nuova meccanica, dove riappaiono con accresciuta bellezza. La meccanica quantistica richiede l'introduzione nella teoria fisica di un nuovo, ampio settore della matematica pura, l'intero settore legato alla moltiplicazione non commutativa. Questo, insieme all'introduzione di nuove geometrie da parte della teoria della relatività, indica una tendenza probabilmente destinata a continuare. Possiamo aspettarci che in futuro altri grandi ambiti della matematica pura dovranno essere presi in considerazione per trattare gli sviluppi della fisica fondamentale. La fisica e la matematica pura stanno diventando sempre più strettamente collegate, sebbene i loro metodi rimangano differenti. Si può descrivere la situazione dicendo che il matematico partecipa a u.n gioco di cui inventa le regole, mentre il fisico partecipa a un gioco le cui regole sono fornite dalla Natura, ma con il passare del tempo diventa sempre più evidente che le regole che il matematico trova interessanti sono le stesse che ha scelto la Natura. È difficile prevedere quale sarà l'esito di tutto questo. Forse, le due discipline finiranno con l'unificarsi: ogni settore della matematica pura avrà un'applicazione fisica e la sua importanza in fisica sarà proporzionale al suo interesse in matematica. Al momento siamo, ovviamente, molto lontani da questo stadio, persino sulle questioni più elementari. Per esempio, lo spazio a quattro dimensioni è l'unico che sia importante in fisica, mentre gli spazi di altra dimensionalità rivestono pressappoco lo stesso interesse in matematica. Può darsi, tuttavia, che ciò sia dovuto all'incompletezza delle conoscenze attuali, e che gli sviluppi futuri dimostreranno che lo spazio a quattro dimensioni è matematicamente molto più interessante di tutti gli altri.

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LA RELAZIONE TRA LA MATEMATICA E LA FISICA (1939)

La tendenza verso l'unificazione di matematica e fisica offre al fisico un nuovo potente metodo di ricerca sui fondamenti della sua disciplina, che non è stato ancora applicato con successo, ma che confido si rivelerà utile in futuro. Esso consiste nel cominciare scegliendo il ramo della matematica che si ritiene formerà la base della nuova teoria. In questa scelta bisognerebbe lasciarsi guidare da considerazioni di bellezza matematica. Probabilmente sarebbe anche bene dare la preferenza a quei rami della matematica che si basano su un interessante gruppo di trasformazioni, dato che le trasformazioni giocano un ruolo importante nella teoria fisica moderna, e che sia la relatività sia la teoria quantistica sembrano mostrare che esse sono più fondamentali delle equazioni. Una volta deciso il ramo della matematica, si dovrebbe procedere a svilupparlo secondo linee opportune, cercando nel contempo il modo in cui esso si presti più naturalmente a un'interpretazione fisica. Questo metodo è stato usato da Jordan nel suo tentativo di ottenere una teoria quantistica perfezionata sulla base di un'algebra con una moltiplicazione non associativa. Il tentativo è stato infruttuoso, come ci si poteva aspettare considerando che l'algebra non associativa non è un ramo della matematica provvisto di particolare bellezza, e non è legata a un'interessante teoria delle trasformazioni. Suggerirei, come idea più promettente per perfezionare la meccanica quantistica, di prendere come base la teoria delle funzioni di variabile complessa. Questo ramo della matematica è di eccezionale bellezza, e inoltre il gruppo di trasformazioni nel piano complesso è legato al gruppo di Lorentz che governa lo spazio-tempo della relatività ristretta. Si è dunque portati a sospettare l'esistenza di un profondo legame tra la teoria delle funzioni di variabile complessa e lo spazio-tempo della relatività ristretta: un legame la cui comprensione sarà un difficile compito per il futuro. Consideriamo ora la portata della qualità matematica nella Natura. Secondo lo schema meccanicistico della fisica o la sua modifica relativistica, per la descrizione completa dell'univer-

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LA BELLEZZA COME METODO

so occorre non soltanto un sistema completo di equazioni del moto, ma anche un insieme completo di condizioni iniziali, ed è solo alle prime che si applicano le teorie matematiche. Le seconde sono ritenute non trattabili da un punto di vista teorico e determinabili solo tramite l'osservazione. L'enorme complessità dell'universo è attribuita a un'enorme complessità delle condizioni iniziali, cosa che le colloca oltre l'ambito della discussione matematica. Trovo questa posizione molto insoddisfacente da un punto di vista :filosofico, in quanto contraria a ogni idea di unità della Natura. In ogni caso, se la teoria matematica è applicabile solo a una parte della descrizione dell'universo, questa parte dovrebbe essere nettamente distinta dal resto. Ma di fatto non sembra esistere un luogo naturale dove tracciare il confine. Cose come le proprietà delle particelle elementari, le loro masse e i coefficienti numerici che ricorrono nelle loro leggi di forza sono soggette alla teoria matematica? Secondo l'angusta visione meccanicistica, si dovrebbero annoverare tra le condizioni iniziali, al di fuori della teoria matematica. Tuttavia, dato che le particelle rientrano tutte in tipi definiti, e i membri di ciascun tipo sono identici tra loro, esse devono essere governate da leggi matematiche, almeno in una certa misura (che la maggior parte dei fisici oggi ritiene piuttosto ampia). Eddington, per esempio, ha costruito una teoria per dar conto delle masse. Ma anche supponendo che tutte le proprietà delle particelle elementari siano derivabili teoricamente, non si saprebbe comunque dove tracciare il confine, perché ci si troverebbe di fronte alla seguente domanda: le abbondanze relative dei vari elementi chimici sono determinabili per via teorica? Si passerebbe gradualmente dalle questioni atomiche a quelle astronomiche. Questa situazione insoddisfacente viene peggiorata dalla nuova meccanica quantistica. Malgrado la stretta analogia tra i loro formalismi matematici, la vecchia meccanica e la meccanica quantistica differiscono drasticamente circa la natura delle loro conseguenze fisiche. Secondo la vecchia meccanica, il risultato di qualunque osservazione è determinato e lo si può 66

LA RELAZIONE TRA LA MATEMATICA E LA FISICA (1939)

calcolare teoricamente a partire da certe condizioni iniziali; ma con la meccanica quantistica c'è in genere un'indeterminazione, dovuta alla possibilità che si verifichi un salto quantico, e il massimo che si può calcolare è solo la probabilità di ottenere un particolare risultato. La questione di quale risultato si conseguirà in uno specifico caso risiede al di fuori della teoria. Ciò non deve essere attribuito a un'incompletezza della teoria, ma è essenziale per l'applicazione di un formalismo come quello della meccanica quantistica. Dunque, secondo la meccanica quantistica abbiamo bisogno, per una descrizione completa dell'universo, non solo delle leggi del moto e delle condizioni iniziali, ma anche delle informazioni su quale salto quantico si verifica in ciascun caso. Queste informazioni devono essere incluse, insieme alle condizioni iniziali, nella parte di descrizione dell'universo che risiede al di fuori della teoria matematica. Il conseguente aumento della parte non matematica della descrizione dell'universo fornisce un'obiezione filosofica alla meccanica quantistica, ed è a mio avviso la ragione per cui alcuni fisici trovano ancora difficile accettarla. La meccanica quantistica, però, non deve essere abbandonata, anzitutto perché il suo accordo con gli esperimenti è ampio e dettagliato, e in secondo luogo perché l'indeterminazione che essa introduce nei risultati delle osservazioni è di un tipo filosoficamente soddisfacente, potendosi facilmente attribuire all'inevitabile grossolanità dei mezzi di osservazione disponibili per gli esperimenti su scala microscopica. L'obiezione mostra comunque che i fondamenti della fisica sono ben lontani dalla loro forma definitiva. Arriviamo ora al terzo grande sviluppo della fisica del nostro secolo: la nuova cosmologia. Questa si rivelerà probabilmente ancora più rivoluzionaria, da un punto di vista filosofico, della relatività o della teoria quantistica, anche se le sue implicazioni più profonde non si possono ancora cogliere appieno. Il punto di partenza è lo spostamento verso il rosso osservato nello spettro dei corpi celesti lontani, segno che essi si allontanano da noi con una ve67

LA BELLEZZACOME METODO

locità proporzionale alla loro distanza. 2 Le velocità dei corpi più distanti sono così elevate che ci troviamo evidentemente di fronte a un fatto della massima importanza; non una condizione temporanea o locale, ma qualcosa di fondamentale per la nostra descrizione dell'universo. Se torniamo indietro nel passato arriviamo a un istante, circa 2 x 109 anni fa,3 in cui tutta la materia dell'universo era concentrata in un volume piccolissimo. A quel punto pare essersi verificata un'esplosione, di cui oggi osserviamo i frammenti che si stanno ancora sparpagliando. Questo scenario è stato elaborato da Lemaitre, il quale considera l'universo iniziale come un unico atomo molto pesante, che ha subìto violente disintegrazioni radioattive dando origine all'attuale moltitudine di corpi astronomici, e al tempo stesso emettendo raggi cosmici. Con un simile scepario cosmologico si è portati a supporre che ci sia stato un inizio del tempo, e che non abbia senso indagare quel che è accaduto prima. Ci si può fare un'idea approssimativa delle relazioni geometriche implicate immaginando il presente come la superficie di una sfera: tornare nel passato è muoversi verso il suo centro, e avanzare nel futuro è muoversi verso l'esterno. Si può così procedere in modo indefinito nel futuro, ma c'è un limite a quanto si può risalire nel passato, che corrisponde all'istante in cui si raggiunge il centro della sfera. Questo istante fornisce un' origine naturale da cui misurare il tempo di qualsiasi evento. Il risultato si chiama solitamente epoca di quell'evento. Dunque l'epoca presente è 2 x 109 anni. Torniamo ora alle questioni dinamiche. Con la nuova cosmologia l'universo deve essere iniziato in modo molto sem)

2. La recessione dei corpi celesti non è definitivamente accertata, dato che si può ipotizzare qualche altra causa per lo spostamento verso il rosso. Tuttavia, questa causa sarebbe presumibilmente altrettanto drastica nei suoi effetti sulla teoria cosmologica e richiederebbe comunque l'introduzione di un parametro dell'ordine di 2 x 10' anni per la sua discussione matematica; dunque non altererebbe, con ogni probabilità, le idee essenziali dell'argomento qui proposto. [NdA] 3. Questo istante è oggi collocato 13 ,8 x 10' anni fa. L'attuale stima dell' età dell'universo è infatti di 13 ,8 miliardi di anni.

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LA RELAZIONE TRA LA MATEMATICA E LA FISICA (1939)

plice. Che ne è dunque delle condizioni iniziali richieste dalla teoria dinamica? È palese che non possono essercene, o che devono essere banali. Ci ritroviamo in una situazione che sarebbe insostenibile per la vecchia meccanica. Se l'universo fosse semplicemente il moto che deriva da un dato schema di equazioni con condizioni iniziali banali, non potrebbe contenere la complessità che osserviamo. La meccanica quantistica fornisce una via di uscita. Ci permette di attribuire la complessità ai salti quantici, che ricadono al di fuori dello schema delle equazioni del moto. I salti quantici formano ora la parte incalcolabile dei fenomeni naturali, sostituendo le condizioni iniziali della vecchia visione meccanicistica. Vale la pena citare un altro punto legato alla nuova cosmologia. All'inizio del tempo le leggi della Natura erano probabilmente assai diverse da come sono oggi. Dunque, dovremmo considerarle in continuo cambiamento con l'epoca cosmologica, anziché uniformemente valide nello spazio-tempo. Il primo ad avanzare questa idea è stato Milne, il quale l'ha ricavata dall'assunzione che l'universo in una data epoca sia pressappoco uniforme e sfericamente simmetrico. Io trovo questa assunzione poco soddisfacente, perché le deviazioni locali dall'uniformità sono tanto grandi e di tale importanza per il nostro mondo che l'esistenza di un principio superiore di uniformità appare improbabile. Inoltre, se le leggi della Natura dipendono dall'epoca, dobbiamo aspettarci che dipendano anche dalla posizione nello spazio, per poter preservare la bella idea della teoria della relatività che esista una fondamentale somiglianza tra lo spazio e il tempo. Ciò contrasta ancora più radicalmente con l'assunzione di Milne. Abbiamo seguito le linee di sviluppo principali della relazione tra la matematica e la fisica fino ai giorni nostri, e a questo punto è interessante permettersi qualche congettura sul futuro. La relazione in questione ha sempre avuto una caratteristica insoddisfacente, che è quella di limitare l'applicabilità della teoria matematica nella descrizione dell'universo fisico. La parte cui la teoria non si applica ha subìto un incremento con l' avvento della meccanica quantistica e una riduzione con l'arrivo

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LA BELLEZZA COME METODO

della nuova cosmologia, ma è sempre rimasta. Questo aspetto è così insoddisfacente che trovo ragionevole prevedere che in futuro sia destinato a svanire, anche se ciò condurrà a sbalorditivi cambiamenti nelle nostre idee comuni. Significherebbe che esiste uno schema in cui l'intera descrizione dell'universo ha la sua controparte matematica, e dobbiamo supporre che un individuo con una completa conoscenza della matematica potrebbe dedurre non solo i dati astronomici, ma anche tutti gli eventi storici che si verificano nel mondo, persino i più insignificanti. Naturalmente compiere queste deduzioni è al di là delle capacità umane, dato che la vita come la conosciamo sarebbe impossibile se si potessero calcolare gli eventi futuri, ma i metodi per compierle dovrebbero essere ben definiti. Lo schema sarebbe troppo complicato per obbedire al principio di semplicità, ma potrebbe benissimo obbedire al principio della bellezza matematica. Vorrei avanzare un suggerimento su come realizzare uno schema simile. Se esprimiamo l'epoca presente, 2 x 109 anni, in unità di tempo definite dalle costanti atomiche, otteniamo un numero dell'ordine di 1039 , che caratterizza il presente in senso assoluto. Non è possibile che tutti gli eventi presenti corrispondano alle proprietà di questo grande numero, e più in generale che tutta la storia dell'universo corrisponda alle proprietà dell'intera sequenza dei numeri naturali? A prima vista sembrerebbe che l'universo sia troppo complesso perché sussista una simile corrispondenza. Ma credo che questa obiezione non possa reggere, dato che un numero dell'ordine di 1039 è straordinariamente complicato, per il semplice fatto che è così grande. Possiamo scriverlo in forma breve, ma ciò non dovrebbe farci dimenticare che deve possedere proprietà molto complesse. Esiste dunque la possibilità che un giorno si realizzi l'antico sogno dei filosofi di mettere in relazione la Natura con le proprietà dei numeri naturali. Perché ciò avvenga, la fisica dovrà compiere molti progressi per stabilire in modo dettagliato come si debba realizzare tale corrispondenza. Un'indicazione per questo sviluppo appare abbastanza ovvia: lo studio dei numeri 70

LA RELAZIONE TRA LA MATEMATICA E LA FISICA (1939)

naturali nella matematica odierna è legato inestricabilmente alJa teoria delle funzioni di variabile complessa, teoria che, come abbiamo visto, ha buone possibilità di formare la base della :fisica del futuro. L'elaborazione di questa idea porterebbe a un collegamento tra la teoria atomica e la cosmologia.

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L'EVOLUZIONE DELL'IMMAGINE FISICA DELLA NATURA (1963)

In questo articolo vorrei discutere gli sviluppi della teoria fisica generale: quelli passati e quelli che ci si aspetta si verifichino in futuro. Lo si può considerare come un processo di evoluzione, che va avanti da parecchi secoli. Il primo e fondamentale passo .di questo processo fu compiuto da Newton. Prima di lui si riteneva che il mondo avesse solo due dimensioni- quelle in cui ci si può muovere-, e la dimensione verticale pareva qualcosa di essenzialmente diverso. Newton mostrò che è possibile considerare la direzione verticale come simmetrica rispetto alle altre due direzioni, introducendo le forze gravitazionali e illustrando il posto che occupano nella teoria fisica. Si può dire che Newton ci ha permesso di passare da un'immagine del mondo con una simmetria bidimensionale a un'immagine con una simmetria tridimensionale. Einstein fece un ulteriore passo nella stessa direzione, mostrandoci come si può passare da un'immagine dotata di una simmetria tridimensionale a una dotata di una simmetria quadridimensionale. Einstein introdusse il tempo e mostrò come esso gioca un ruolo che per molti versi è simmetrico rispetto alle tre dimensioni spaziali. La simmetria, però, non è perfetta. L'immagine einsteiniana ci porta a pensare il mondo da una prospettiva quadridimensionale, ma le quattro dimensioni non sono del tutto simmetriche. Ci sono alcune direzioni che differiscono dalle altre: sono le direzioni chiamate "nulle", lungo le quali può muoversi un raggio di luce. Dunque l'immagine quadridimensionale non è completamente simmetrica. Tutta73

LA BELLEZZA COME METODO

via, tra le quattro dimensioni esiste un alto grado di simmetria. L'unica mancanza di simmetria, per quanto riguarda le equazioni della fisica, è la comparsa di un segno meno nelle equazioni tra la dimensione temporale e le tre dimensioni spaziali. Abbiamo dunque lo sviluppo da un'immagine tridimensionale del mondo a un'immagine quadridimensionale. Probabilmente il lettore si troverà a disagio in questa situazione, perché alla sua coscienza il mondo appare ancora tridimensionale. Come si può introdurre questa apparenza nell'immagine quadridimensionale che Einstein richiede ai fisici di adottare? Quello che appare alla nostra coscienza è in realtà una sezione tridimensionale dell'immagine quadridimensionale. Dobbiamo prendere una sezione di questo tipo per rappresentare ciò che appare alla nostra coscienza in un dato istante; in un istante successivo avremo una sezione diversa. Il compito del fisico consiste perlopiù nel collegare gli eventi in una di queste sezioni agli eventi in un'altra, relativa a un istante successivo. Dunque, l'immagine a simmetria quadridimensionale non ci restituisce la situazione intera. Ciò diventa particolarmente importante quando si considerano gli sviluppi introdotti dalla teoria quantistica. Questa ci ha insegnato che dobbiamo tenere conto del processo di osservazione, e le osservazioni di solito richiedono l'introduzione delle sezioni tri:dimensionali dell'immagine quadridimensionale dell'universo. La teoria della relatività ristretta, introdotta da Einstein, impone di mettere tutte le leggi della fisica in una forma che evidenzi la simmetria quadridimensionale. Ma quando usiamo queste leggi per ottenere risultati riguardo alle osservazioni, dobbiamo introdurre un elemento aggiuntivo, cioè le sezioni tridimensionali che descrivono la nostra coscienza dell'universo in un certo istante. Einstein diede un altro decisivo contributo allo sviluppo della nostra immagine fisica dell'universo: elaborò la teoria della relatività generale, che ipotizza che lo spazio della fisica sia curvo. In precedenza i fisici avevano sempre lavorato con lo spazio piatto tridimensionale di Newton, che era stato esteso allo spazio piatto quadridimensionale della relatività ristretta.

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La relatività generale contribuì in maniera davvero rilevante all'evoluzione dell'immagine :fisica, imponendo il passaggio a uno spazio curvo. I princìpi generali di questa teoria stabiliscono che tutte le leggi della :fisica possono essere formulate in uno spazio quadridimensionale curvo, ed esibiscono una simmetria tra le quattro dimensioni. Ma anche qui, per introdurre le osservazioni - cosa necessaria se vogliamo adottare il punto di vista quantistico-, dobbiamo riferirci a una sezione tridimensionale. Con lo spazio quadridimensionale curvo, qualsiasi sezione creiamo deve essere curva a sua volta, perché in generale non possiamo attribuire un significato a una sezione piatta in uno spazio curvo. Dobbiamo quindi prendere sezioni curve tridimensionali nello spazio curvo quadridimensionale e discutere le osservazioni in queste sezioni. Negli ultimi anni si è cercato di applicare le idee quantistiche alla gravitazione, e ad altri fenomeni della fisica, e ciò ha portato a uno sviluppo alquanto inaspettato: il fatto cioè che quando si guarda alla teoria gravitazionale dal punto di vista delle sezioni, si nota che vari gradi di libertà1 spariscono dalla teoria. Il campo gravitazionale è un campo tensoriale con dieci componenti. Si scopre che sei di queste sono sufficienti a descrivere tutto ciò che è fisicamente rilevante, mentre le altre quattro si possono omettere dalle equazioni. Non è possibile, tuttavia, separare le sei componenti importanti dall'insieme completo senza distruggere la simmetria quadridinìensionale. Pertanto, se si insiste a preservare la simmetria quadridimensionale nelle equazioni, non si può adattare la teoria della gravitazione a una discussione delle misure, come vuole la teoria quantistica, senza trovarsi costretti a una descrizione più complicata di quella richiesta dalla situazione fisica. Il risultato mi ha portato a ragionare su quanto sia davvero fondamentale la simmetria quadridimensionale nella fisica. Alcuni decenni fa sembrava del tutto certo che si dovesse esprimere l'intera fisica in forma quadridimensionale. Ma oggi pare che la simme1. I gradi di libertà sono le componenti indipendenti delle grandezze dinamiche.

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tria quadridimensionale non sia di primaria importanza, dato che la descrizione della Natura è talvolta semplificata quando ci si discosta da essa. Ora vorrei passare agli sviluppi determinati dalla teoria quantistica. Questa consiste nello studio di cose molte piccole, e da sessant'anni costituisce il nucleo principale della fisica. In questo periodo i fisici hanno accumulato una grande quantità di informazioni sperimentali e sviluppato la teoria corrispondente, e questa combinazione di teoria ed esperimento ha condotto a importanti sviluppi nell'immagine fisica del mondo. Il quanto fece la sua prima apparizione quando Planck scoprì che, per spiegare la legge della radiazione di corpo nero, era necessario supporre che l'energia delle onde elettromagnetiche potesse esistere solo in multipli di una certa unità, dipendente dalla frequenza delle onde. Successivamente Einstein notò che la stessa unità di energia compariva nell'effetto fotoelettrico. In questi primi lavori di teoria quantistica si doveva semplicemente accettare l'unità di energia, senza poterla incorporare in una descrizione fisica. La novità successiva fu il modello atomico di Bohr. In questo modello avevamo degli elettroni che si muovevano in orbite ben definite e ogni tanto saltavano da un'orbita a un'altra. Non sapevamo raffigurarci come si verificasse il salto. Dovevamo accettarlo come una sorta di discontinuità. La descrizione dell'atomo di Bohr funzionava soltanto in casi specifici, sostanzialmente quando era un solo elettrone a entrare in gioco nel problema. Si trattava, pertanto, di una descrizione incompleta e primitiva. La svolta nella teoria dei quanti arrivò nel 1925, con la scoperta della meccanica quantistica. Questa scoperta fu compiuta in modo indipendente da due uomini, Heisenberg prima e Schrodinger poco dopo, che lavoravano da punti di vista diversi. Heisenberg era attento ai risultati sperimentali sugli spettri che si andavano accumulando ali' epoca, e scoprì il modo di inquadrare queste informazioni in uno schema che oggi è conosciuto con il nome di meccanica delle matrici. Tutti i dati sperimentali di spettroscopia erano perfettamente riprodotti dallo 76

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schema della meccanica delle matrici, e questo portò a un'immagine nuova del mondo atomico. Schrodinger lavorava da un punto di vista più matematico, nel tentativo di trovare una teoria bella che descrivesse gli eventi atomici, e fu aiutato dalle idee di de Broglie sulle onde associate alle particelle. Schrodinger riuscì a estendere le idee di de Broglie e ottenne un'equazione bellissima, nota come equazione d'onda di Schrodinger, che descriveva i processi atomici. La ricavò per via puramente speculativa, cercando una generalizzazione delle idee di de Broglie che possedesse una certa bellezza, e non attenendosi allo sviluppo sperimentale della disciplina come aveva invece fatto Heisenberg. Potrei raccontarvi la storia, narratami dallo stesso Schrodinger, di quando, ideata la sua equazione, egli l'applicò immediatamente al comportamento dell'elettrone nell'atomo di idrogeno e ottenne risultati in disaccordo con gli esperimenti. La discrepanza nasceva dal fatto che ali' epoca non si sapeva che l'elettrone ha uno spin. Ciò naturalmente fu per lui una grànde delusione, e lo spinse ad abbandonare il lavoro per qualche mese. Ma poi si accorse che, applicando la teoria in modo approssimato, cioè non tenendo conto delle correzioni richieste dalla relatività, i risultati concordavano con le osservazioni. Pubblicò il suo primo articolo con questa approssimazione grossolana, e fu così che l'equazione d'onda di Schrodinger si affacciò al mondo. In seguito, ovviamente, quando si scoprì il modo corretto di considerare lo spin dell'elettrone, la discrepanza tra i risultati ottenuti con l'equazione relativistica di Schrodinger e gli esperimenti fu completamente chiarita. Credo che ci sia una morale in questa storia: è più importante che le equazioni siano belle piuttosto che in accordo con gli esperimenti. Se Schrodinger fosse stato più sicuro del proprio lavoro, avrebbe potuto pubblicarlo mesi prima, e presentare un'equazione più accurata. Quella equazione è oggi nota come equazione di Klein-Gordon, anche se in realtà fu scoperta da Schrodinger prima della sua analisi non relativistica dell'atomo di idrogeno. Sembra che, se si lavora con il proposito di ottenere equazioni dotate di bellezza, e si possiede un'intuizio-

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ne davvero solida, si è sicuramente sulla strada del progresso. Se non vi è accordo completo tra i risultati del proprio lavoro e gli esperimenti, non ci si dovrebbe scoraggiare troppo, perché può darsi che la discrepanza sia dovuta a qualche aspetto minore che non è stato debitamente considerato, e che verrà chiarito dagli sviluppi futuri della teoria. È così dunque che è stata scoperta la meccanica quantistica. Essa ha portato a un cambiamento drastico nell'immagine fisica della Natura, forse il più grande mai verificatosi finora. Questo cambiamento deriva dalla necessità di rinunciare all'immagine deterministica che avevamo sempre dato per scontata. Arriviamo quindi a una teoria che non prevede con certezza quel che accadrà in futuro, ma ci fornisce soltanto informazioni sulla probabilità che i vari eventi si verifichino. La rinuncia al determinismo è stata una questione molto dibattuta, e ad alcuni non piace per niente. Einstein soprattutto non l'ha mai gradita. Pur avendo ampiamente contribuito allo sviluppo della meccanica quantistica, Einstein fu sempre alquanto ostile alla forma in cui questa si era evoluta nel corso della sua vita, e che ancora permane. L'ostilità di alcuni all'abbandono dell'immagine deterministica si può far risalire a un articolo assai discusso di Einstein, Podolsky e Rosen sulla difficoltà di creare una rappresentazione fisica coerente che dia comunque risultati in accordo con le regole della meccanica quantistica. Queste regole sono ben definite. Si sa come fare i calcoli e come confrontare i risultati con gli esperimenti. Tutti concordano sul formalismo. Esso funziona così bene che nessuno può pensare di contestarlo. Eppure, l'immagine fisica dietro a questo formalismo è ancora oggetto di discussione. Propongo di non curarsi troppo di questo dibattito. Sono fortemente convinto che lo stadio attuale della fisica non sia quello finale. È solo uno stadio nell'evoluzione della nostra immagine della Natura, e dobbiamo aspettarci che questo processo continui in futuro, proprio come l'evoluzione biologica. Lo stadio attuale della teoria fisica è una semplice tappa verso stadi migliori che avremo in futuro. Si può esse-

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re del tutto sicuri che questi ci saranno, proprio alla luce delle difficoltà presenti nella fisica di oggi. È su queste difficoltà che vorrei soffermarmi ora. Il lettore non specialista potrebbe essere indotto a credere che, per queste difficoltà, la fisica teorica versi in cattive condizioni e la teoria quantistica non valga granché. Vorrei correggere questa impressione affermando che la teoria quantistica è estremamente valida e in meraviglioso accordo con l'osservazione in una vasta gamma di fenomeni. Non c'è alcun dubbio che sia una buona teoria, e l'unico motivo per cui i fisici parlano tanto delle sue difficoltà è che sono precisamente queste a essere interessanti. I successi della teoria sono ormai un dato acquisito. Non si va da nessuna parte continuando a passarli in rassegna, mentre discutendo delle difficoltà si può sperare di compiere dei progressi. Le difficoltà della teoria quantistica sono di due tipi. Potremmo chiamarle difficoltà di Classe Uno e di Classe Due. Le prime sono quelle che ho già citato: come formare un quadro fisico coerente dietro alle regole della teoria quantistica attuale? Queste difficoltà non turbano affatto il fisico. Se il fisico sa come calcolare i risultati e confrontarli con gli esperimenti, sarà soddisfatto se sono in accordo, e non gli servirà altro. Soltanto il filosofo, che vuole avere una descrizione soddisfacente della Natura, è preoccupato dalle difficoltà di Classe Uno. Abbiamo poi le difficoltà di Classe Due, derivanti dal fatto che le leggi attuali della teoria quantistica non sono sempre in grado di fornire dei risultati. Se le si spinge a condizioni estreme - fenomeni che contemplano energie molto alte o distanze molto piccole - a volte si ottengono risultati ambigui o totalmente insensati. È allora evidente che si sono raggiunti i limiti di applicabilità della teoria e che sono necessari ulteriori sviluppi. Le difficoltà di Classe Due sono importanti anche per il fisico, perché pongono un limite all'uso che egli può fare delle regole della teoria quantistica per ottenere risultati confrontabili con gli esperimenti. , Vorrei aggiungere qualcos'altro a proposito delle difficoltà di Classe Uno. Ritengo che non si debba dare loro troppo peso, perché esse si riferiscono allo stadio attuale dello sviluppo

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della nostra immagine fisica della Natura, e quasi certamente cambieranno con gli sviluppi futuri. Penso che abbiamo un ottimo motivo per crederlo. In Natura esistono delle costanti fondamentali: la carica dell'elettrone (indicata con e), la costante di Planck divisa per 2n (li) e la velocità della luce (e). A partire da queste costanti si può costruire un numero adimensionale: 2 licie2. Gli esperimenti danno per questo numero il valore 13 7, o qualcosa di molto vicino. Ebbene, non c'è alcun motivo noto per cui il numero debba avere questo valore anziché un altro. Sono state avanzate varie ipotesi, ma non c'è una teoria accettata. Ciononostante, si può essere abbastanza sicuri che un giorno i fisici risolveranno il problema e spiegheranno perché il numero ha proprio quel valore. In futuro ci sarà una fisica che funziona solo quando licie2 vale 13 7 e non altrimenti. Ovviamente, la fisica del futuro non potrà avere li, e e e come quantità fondamentali. Solo due possono essere fondamentali, e la terza deve essere derivata dalle prime due. È quasi certo che e sarà una delle due costanti fondamentali. Essa è così importante nell'immagine quadridimensionale del mondo, e riveste un ruolo talmente importante nella teoria della relatività ristretta, correlando le nostre unità di spazio.e di tempo, che deve essere fondamentale. A questo punto, delle due quantità li ed e, una dovrà essere fondamentale e l'altra derivata. Se li è fondamentale, e dovrà essere espressa in qualche modo tramite la radice quadrata di li, e sembra alquanto improbabile che una teoria fondamentale possa dare e in termini di una radice quadrata, perché le radici quadrate non sono presenti nelle equazioni di base. È molto più probabile che e si riveli essere la quantità fondamentale e che li sia espressa tramite f. In questo modo non ci saranno radici quadrate nelle equazioni. Credo sia lecito supporre che nell'immagine fisica dell'universo che avremo in futuro e e e saranno le quantità fondamentali e li la quantità derivata. Se li è una costante derivata anziché fondamentale, il nostro intero sistema di idee sull'indeterminazione sarà alterato: li compare nella relazione di u;determinazione di Heisenberg 2. Si tratta dell'inverso della costante di struttura fine a.

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che lega l'incertezza sulla posizione a quella sulla quantità di moto. 3 Questa relazione non può avere un ruolo fondamentale in una teoria in cui h non è essa stessa una quantità fondamentale. Credo sia lecito supporre che le relazioni di indeterminazione nella loro forma attuale non sopravvivranno nella fisica del futuro. Ovviamente, non ci sarà un ritorno al determinismo della teoria fisica classica. L'evoluzione non va indietro. Dovrà andare avanti. Ci dovrà essere un nuovo sviluppo del tutto imprevedibile, che ci porterà ancora più lontano dalle idee classiche ma che modificherà completamente la nostra comprensione dèlle relazioni di indeterminazione. E quando esso si verificherà, troveremo piuttosto futile l'aver tanto discusso del ruolo dell'osservazione nella teoria, perché avremo un punto di vista decisamente migliore da cui guardare le cose. Dunque dirò che, se riusciamo a trovare un modo di descrivere le relazioni di Heisenberg e l'indeterminazione della meccanica quantistica attuale che sia soddisfacente per le nostre idee filosofiche, potremo ritenerci fortunati. Ma se non ci riusciamo, non c'è nulla di cui allarmarsi. Dobbiamo semplicemente tener conto del fatto che siamo in una fase di transizione e che forse è impossibile ottenere al momento un'immagine soddisfacente. Ho liquidato le difficoltà di Classe Uno dicendo che non sono poi tanto importanti, che se si riesce a fare qualche progresso su di esse ci si può ritenere fortunati, altrimenti non c'è da preoccuparsi. Le difficoltà di Classe Due sono quelle davvero serie. Esse sorgono principalmente dal fatto che quando applichiamo la teoria quantistica ai campi nel modo richiesto dalla relatività ristretta, interpretandola in termini di quelle sezioni tridimensionali che ho menzionato prima, abbiamo delle eq~azioni che a prima vista paiono corrette, ma quando si tenta di risolverle, si scopre che non ammettono soluzioni. A questo punto dovremmo dire che non possediamo una teoria. 3. La relazione di indeterminazione di Heisenberg s.tabilisce che il prodotto delle incertezze sulla posizione e sulla quantità di moto di una particella non può essere minore di li/2.

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Ma i fisici sono molto ingegnosi, e hanno trovato un modo di progredire malgrado l'ostacolo. Il problema, quando si cerca di risolvere le equazioni, è che alcune quantità che dovrebbero essere finite sono invece infinite. Si ottengono degli integrali che divergono invece di convergere a un determinato valore. I fisici hanno scoperto che esiste un modo di trattare questi infiniti le cui regole rendono possibile ottenere risultati definiti. Questo metodo è noto come rinormalizzazione. Mi limiterò a spiegare l'idea a parole. Iniziamo con una teoria che contenga alcune equazioni. In esse sono presenti diversi parametri: la carica dell'elettrone e, la massa dell'elettrone m e altri di natura simile. Si trova che queste quantità, che appaiono nelle equazioni originali, non sono uguali a quelle misurate. I valori misurati della carica e della massa dell' elettrone differiscono di un termine correttivo, oe, om e così via, per cui la carica totale è e+ oe e la massa totale è m + om. Questi cambiamenti sono causati dalle interazioni della particella elementare con altre entità. Dunque, si dice che sono le quantità e + oe e m + om a essere importanti, in quanto osservate. La e e la m originali sono solo parametri matematici; non sono osservabili e dunque sono quantità strumentali che si possono rimuovere quando si è in grado di introdurre quelle confrontabili con le osservazioni. Questo sarebbe un procedimento assolutamente legittimo, se Oe e 8m fossero correzioni piccole (o perlomeno finite). Ma in realtà 8e e 8m sono infinitamente grandi. Ciononostante, si può ugualmente utilizzare questo formalismo e ottenere risultati in termini di e + 8e e m + 8m, interpretabili dicendo che la e e la m originali devono contenere un infinito negativo che compensi quello di 8e e 8m. Si può usare la teoria per ricavare risultati confrontabili con l'esperimento, soprattutto per l'elettrodinamica. La cosa sorprendente è che nel caso dell'elettrodinamica si ottengono valori in ottimo accordo con i dati. L'accordo si spinge fino a molte cifre significative, con un'accuratezza che prima si raggiungeva solo in astronomia. È per questo che i fisici attribuiscono un certo valore alla teoria della rinormalizzazione, malgrado la sua illogicità.

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Sembra impossibile dare a questa teoria delle basi matematiche solide. Un tempo la teoria fisica era tutta fondata su una matematica intrinsecamente solida. Non dico che i fisici usino sempre strumenti matematici rigorosi; spesso ci sono passaggi ingiustificati nei loro calcoli. Ma in passato, se ciò accadeva era soltanto, potremmo dire, per pigrizia. Volevano ottenere dei risultati rapidamente, senza dover compiere sforzi superflui. Era sempre possibile che intervenisse il matematico puro a rendere la teoria solida introducendo ulteriori passaggi, e magari una buona dose di notazioni ingombranti e altre cose che da un punto di vista matematico sono utili affinché tutto sia espresso in modo rigoroso, ma che non arrecano alcun contributo alle idee fisiche. La matematica di una volta si poteva sempre consolidare in questo modo, ma con la rinormalizzazione abbiamo una teoria che sfida ogni tentativo matematico di renderla sensata. Sospetto che sia qualcosa che non sopravvivrà al futuro, e che il notevole accordo tra i suoi risultati e gli esperimenti vada considerato come un colpo di fortuna. Forse ciò non deve sorprenderci troppo, perché ci sono state situazioni simili in passato. Per esempio, la teoria delle orbite elettroniche di Bohr era in ottimo accordo con le osservazioni, finché ci si limitava ai sistemi con un solo elettrone. Credo che ora tutti diranno che fu un colpo di fortuna, perché le idee di base della teoria di Bohr sono state sostituite da qualcosa di radicalmente diverso. Penso che il successo della teoria della rinormalizzazione sarà considerato alla stregua dei successi della teoria di Bohr applicata ai problemi con un solo elettrone. La teoria della rinormalizzazione ha eliminato alcune difficoltà di Classe Due, se si riesce ad accettare l'illogicità di rimuovere gli infiniti, ma non le elimina tutte. Rimangono ancora molti problemi riguardanti le particelle che non compaiono nell'elettrodinamica: le nuove particelle, come i vari tipi di mesoni e i neutrini. Qui la teoria è ancora a uno stadio primitivo. È abbastanza certo che dovranno esserci cambiamenti drastici nelle nostre idee fondamentali, prima che si possano risolvere questi problemi. 83

LA BELLEZZA COME METODO

Uno di essi è quello, già citato, di spiegare il numero 137. Altri problemi sono: come introdurre in fisica, in modo naturale, una lunghezza fondamentale, come spiegare i rapporti tra le masse delle particelle elementari e come spiegare le loro altre proprietà. Credo che per risolvere questi problemi saranno necessarie idee distinte e che le soluzioni arriveranno una per una in tappe successive dell'evoluzione futura della fisica. Su questo punto mi trovo in disaccordo con la maggior parte dei fisici. Essi tendono a credere che sarà scoperta un'idea chiave capace di risolvere tutti i problemi in un colpo solo. Bisognerebbe, invece, separarli il più. possibile e cercare di affrontarli individualmente. E ritengo che lo sviluppo futuro della fisica consisterà nel risolverli uno alla volta, e che dopo averne risolto uno rimarrà ancora il grande mistero di come affrontare gli altri. Potrei discutere certe idee che ho avuto su come.affrontare alcuni di questi problemi. Finora nessuna è stata elaborata in modo esteso, e non nutro grandi speranze. Ma credo valga la pena di farvi cenno. Una di queste idee è quella di introdurre qualcosa di corrispondente all'etere luminifero, popolarissimo tra i fisici dell'Ottocento. Ho detto prima che la fisica non evolve a ritroso. Quando parlo di reintrodur~e l'etere, non intendo ritornare all'immagine che se ne aveva nell'Ottocento, ma introdurre un'immagine nuova che si conformi alle idee attuali della teoria quantistica. L'obiezione alla vecchia idea di etere era che, immaginandolo come un fluido che riempie l'intero · spazio, esso avrebbe una velocità definita in ogni punto, il che distruggerebbe la simmetria quadridimensionale postulata dal principio della relatività ristretta di Einstein. È la relatività einsteiniana che ha ucciso la vecchia idea di etere. Ma con la teoria quantistica attuale non dobbiamo più associare una velocità definita a ogni corpo, perché la velocità è soggetta a relazioni di indeterminazione. Minore è la massa del corpo, più rilevanti sono le relazioni di indeterminazione. L'etere avrà certamente una massa molto ridotta, pertanto le relazioni di indeterminazione saranno estremamente impor84

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tanti. Dunque, la velocità dell'etere in un punto particolare non può essere considerata definita, ma sarà compresa entro un'ampia gamma di valori. In questo modo si può superare la difficoltà di riconciliare l'esistenza dell'etere con la teoria della relatività ristretta. Ciò comporterà un cambiamento importante nella nostra immagine del vuoto. Vorremmo pensare al vuoto come a una regione in cui c'è una completa simmetria tra le quattro dimensioni dello spazio-tempo, come richiesto dalla relatività ristretta. Se esiste un etere soggetto a relazioni di indeterminazione, questa simmetria non potrà essere esatta. Possiamo supporre che la velocità dell'etere sia compresa con uguale probabilità entro un'ampia gamma di valori che darebbero una simmetria solo approssimata. Non possiamo tendere precisamente al limite in cui sarebbero ammissibili tutti i valori di velocità compresi tra -e e +e, come dovremmo fare per ottenere una simmetria esatta. Pertanto il vuoto diventa uno stato irraggiungibile. Non penso che questa sia un'obiezione fisica alla teoria. Significa che il vuoto è uno stato a cui possiamo avvicinarci moltissimo, quanto vogliamo, ma che non potremo mai raggiungere. Credo che ciò sarebbe del tutto soddisfacente per il fisico sperimentale. Si discosterebbe, però, dal concetto di vuoto che abbiamo nella teoria quantistica, in cui si parte dallo stato di vuoto con la simmetria esatta richiesta dalla relatività ristretta. Questa è un'idea per lo sviluppo futuro della fisica che cambierebbe la nostra immagine del vuoto, ma in un modo che non è inaccettabile per il fisico sperimentale. Procedere sul piano teorico si è rivelato difficile, perché si dovrebbero stabilire matematicamente le relazioni di indeterminazione per l'etere, e finora non è stata scoperta una teoria soddisfacente in tal senso. Se si riuscisse a sviluppare, essa introdurrebbe un nuovo tipo di campo in fisica, che potrebbe aiutare a spiegare alcune delle particelle elementari. Un altro possibile modello teorico che vorrei citare riguarda la questione del perché tutte le cariche elettriche che si osservano in Natura debbano essere multipli dell'unità elementare e. Perché, invece, non abbiamo una distribuzione continua di

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cariche? Il modello che propongo risale all'idea delle·linee di forza di Faraday e ne costituisce uno sviluppo. Le linee di forza di Faraday sono un modo di rappresentare i campi elettrici. Se in una data regione dello spazio abbiamo un campo elettrico, allora secondo Faraday possiamo disegnare un insieme di linee che hanno la direzione del campo stesso. La vicinanza delle linee tra loro dà una misura dell'intensità del campo: esse sono ravvicinate dove il campo è forte e più lontane dove il campo è debole. Le linee di forza di Faraday forniscono una buona immagine del campo elettrico nella teoria classica. Quando passiamo alla teoria quantistica, introduciamo una discretezza nella nostra immagine di base. Possiamo supporre che la distribuzione continua delle linee di forza di Faraday che abbiamo nell'immagine classica venga sostituita da linee di forza discrete e separate. Ora, le linee di forza nella descrizione di Faraday finiscono dove ci sono delle cariche. Dunque, con le linee di forza quantizzate sarebbe ragionevole supporre che la carica associata a ogni linea - che deve trovarsi all'estremità della linea, se l'estremità esiste - sia sempre la stessa (tranne che per il segno) e sia sempre solo la carica elementare -e o +e. Ciò porta a un modello di linee di forza discrete, ciascuna associata a una carica -e o +e. Ogni linea ha una direzione, così che le due estremità di una linea non coincidono: a una corrisponde una carica +e, e all'altra una carica -e. Possiamo avere, ovviamente, linee che si estendono fino all'infinito, e in quel caso non c'è nessuna carica. Se supponiamo che queste linee di forza discrete siano qualcosa di fondamentale in fisica e stiano alla base della nostra immagine del campo elettromagnetico, avremo una spiegazione del perché le cariche si presentino sempre in multipli di e. Ciò accade perché, se abbiamo una particella su cui terminano delle linee di forza, il numero di queste linee deve essere un numero intero. In tal modo otteniamo un'immagine che è qualitativamente molto ragionevole. Supponiamo che queste linee di forza possano muoversi. Alcune di esse, formando degli anelli chiusi o semplicemente estendendosi da meno infinito a più infinito, corrisponderanno

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a onde elettromagnetiche. Altre avranno delle estremità, che rappresenteranno le cariche. Talvolta una linea di forza potrà rompersi. Quando ciò accade, appaiono due estremità, alle quali devono esserci delle cariche. Questo processo -la rottura di una linea di forza ~ può rappresentare la creazione di un elettrone e di un positrone. Sarebbe una descrizione del tutto ragionevole, e se si potesse sviluppare fornirebbe una teoria in cui e appare come una quantità fondamentale. Non ho ancora trovato un sistema accettabile di equazioni del moto per le linee di forza, e così mi limito a proporre questa idea come possibile immagine fisica per il futuro. Questa immagine ha una caratteristica molto attraente. Essa modifica del tutto la discussione della rinormalizzazione. Larinormalizzazione che abbiamo nell'elettrodinamica quantistica è dovuta al fatto che si parte da quello che viene chiamato un elettrone nudo, cioè privo di carica. A un certo punto della teoria si introduce la carica e la si attribuisce ali' elettrone, facendolo così interagire con il campo elettromagnetico. Ciò genera un termine di perturbazione nelle equazioni e causa un cambiamento nella massa dell'elettrone, quel fJm che va aggiunto alla massa iniziale. La procedura è piuttosto tortuosa perché inizia con il concetto non fisico di elettrone nudo. Probabilmente nell'immagine fisica perfezionata di cui disporremo in futuro l'elettrone nudo non esisterà affatto. Questo stato di cose è proprio quello che abbiamo con le linee di forza discrete. Possiamo raffigurarci le linee di forza come stringhe, e allora l'elettrone sarà l'estremità di una stringa. La stringa in sé rappresenta la forza di Coulomb intorno all'elettrone. Un elettrone nudo è un elettrone senza la forza di Coulomb intorno. Ma ciò è inconcepibile in questo modello, perché non si può pensare all'estremità di una stringa senza pensare alla stringa stessa. Questo, credo, è il modo in cui dovremmo cercare di sviluppare la nostra immagine fisica: introducendo idee che rendono inconcepibile ciò che non vogliamo avere. Ancora una volta, abbiamo un'immagine che appare ragionevole, ma non ho trovato le equazioni adatte per svilupparla. 87

LA BELLEZZA COME METODO

Potrei citare un terzo modello di cui mi sto occupando ultimamente. Esso comporta che si abbandoni l'idea dell'elettrone come oggetto puntiforme e lo si immagini come una sorta di sfera di dimensioni finite. L'immagine dell'elettrone come sfera non è nuova, ma in passato c'era la difficoltà di descrivere una sfera soggetta ad accelerazione e a un moto irregolare. La sfera si distorce, e sorge il problema di come trattare queste distorsioni. La mia proposta è di ammettere che l'elettrone abbia, in generale, una forma e una dimensione arbitrarie. Per certe forme e dimensioni l'elettrone avrà meno energia che per altre; tenderà quindi ad assumere una forma sferica con una dimensione corrispondente alla minima energia. Questa immagine dell'elettrone esteso è stata stimolata dalla scoperta del mesone µ, o muone, una delle nuove particelle della fisica. 4 Il muone ha la proprietà sorprendente di essere quasi identico ali' elettrone salvo un particolare: la sua massa è circa 200 volte superiore. A parte questa differenza, il muone è notevolmente simile ali' elettrone, avendo, con un altissimo grado di precisione, lo stesso spin e lo stesso momento magnetico in proporzione alla massa. Ciò suggerisce che il muone vada considerato come un elettrone eccitato. Se l'elettrone è puntiforme, risulta difficile raffigurarlo in uno stato eccitato. Ma se l'elettrone è lo stato più stabile di un oggetto di dimensioni finite, il muone potrebbe essere lo stato immediatamente successivo, in cui l'oggetto subisce una sorta di oscillazione. Questa è un'idea su cui ho lavorato di recente. Ci sono alcune difficoltà a svilupparla, soprattutto quella di incorporare lo spin corretto. Ho citato tre modi possibili in cui si può pensare di sviluppare la nostra immagine fisica della Natura. Indubbiamente ce ne saranno altri, concepiti da altre persone. Si spera che prima o poi qualcuno trovi l'idea giusta, che porti a uno sviluppo decisivo. Sono abbastanza pessimista al riguardo, e incline· a credere che nessuna idea sarà sufficientemente buona. L' evoluzione futura della fisica di base - vale a dire uno sviluppo 4. Oggi si sa che il muone non appartiene alla categoria dei mesoni, ma a quella dei leptoni.

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che risolva davvero uno dei problemi cruciali, come l'introduzione di una lunghezza fondamentale o il calcolo dei rapporti di massa - richiede probabilmente dei cambiamenti molto più drastici nella nostra rappresentazione del mondo. Ciò significa che nei tentativi attuali la nostra immaginazione adopera concetti fisici inadeguati. Se è effettivamente così, come possiamo sperare di compiere progressi in futuro? C'è un'altra linea lungo la quale si può ancora procedere con mezzi teorici. Uno degli aspetti essenziali della Natura sembra essere che le leggi fisiche fondamentali sono descritte da una teoria matematica di grande bellezza e potenza, per la cui comprensione è necessario un alto livello matematico. Vi chiederete: perché la Natura è costruita in questo modo? Si può soltanto rispondere che la nostra conoscenza attuale sembra mostrare che la Natura è costruita così. Dobbiamo semplicemente accettare questo fatto. Si potrebbe forse riassumere la situazione dicendo che Dio è un matematico di primo ordine, e che nel costruire l'universo ha utilizzato una matematica molto avanzata. I nostri deboli tentativi ci permettono di capire una piccola parte dell'universo, e man mano che progrediamo nella matematica possiamo sperare di comprenderlo sempre meglio. Questa visione delle cose ci fornisce un altro metodo per compiere progressi nelle nostre teorie. Dal solo studio della matematica possiamo sperare di indovinare quale parte di essa entrerà nella fisica del.futuro. Molti stanno lavorando alle basi matematiche della teoria quantistica, nel tentativo di comprenderla meglio e di renderla più potente e più bella. Se qualcuno riuscisse a trovare la direzione giusta per questo sviluppo, ciò potrebbe condurre a un progresso futuro in cui dapprima si scopriranno le equazioni e poi, dopo averle esaminate, si imparerà gradualmente ad applicarle. In una certa misura questo corrisponde alla linea di sviluppo aperta da Schrodinger con la sua equazione d'onda. Schrodinger la scoprì semplicemente cercando un'equazione dotata di bellezza matematica. Dopo che l'equazione fu scoperta, si vide che essa era appropriata sotto certi aspetti, ma i princìpi generali in base ai quali applicarla furono elaborati solo due o tre anni dopo. È possibile che

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i progressi futuri nella fisica avvengano secondo questa linea: si scopriranno dapprima le equazioni e poi ci vorrà qualche anno di sviluppo per trovare le idee fisiche che sono dietro a esse. Personalmente ritengo che sia una linea di progresso più probabile del tentativo di intuire delle immagini fisiche. Ovviamente, può darsi che persino questa linea di progresso sia destinata a fallire, e che rimanga solo quella sperimentale. I fisici sperimentali continuano a lavorare in modo del tutto indipendente dalla teoria, raccogliendo un vasto archivio di informazioni. Prima o poi ci sarà un nuovo Heisenberg che riuscirà a isolarne le proprietà importanti e capirà come usarle in modo simile a quello in cui Heisenberg ha utilizzato la conoscenza sperimentale degli spettri per creare la sua meccanica delle matrici. È inevitabile che lo sviluppo ultimo della fisica segua questa linea, ma dovremo aspettare a lungo se non emergeranno idee brillanti sul versante teorico.

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SPERANZE E PAURE (1969)

Un ricercatore che coltivi attivamente un'idea riguardo ai problemi fondamentali della fisica ha ovviamente grandi speranze che la sua idea conduca a una scoperta importante. Ma ha anche grandi paure - che a un tratto spunti fuori qualcosa e demolisca quell'idea, costringendolo a tornare al punto di partenza nella ricerca di una direzione di sviluppo. Le speranze sono sempre accompagnate da paure, e nella ricerca scientifica le paure tendono a prendere il sopravvento. A causa di queste emozioni, il ricercatore non procede con la mentalità distaccata e logica che ci si aspetterebbe da chi si è formato nella scienza, ma è soggetto a vari freni e inibizioni che ostacolano la strada verso il successo. Può darsi che egli esiti a muoversi verso una rapida resa dei conti, e preferisca cimentarsi con questioni minori che lascino intravedere successi modesti e gli permettano di guadagnare un po' di forza prima di affrontare la crisi. Per queste ragioni chi presenta una nuova idea non è sempre la persona più adatta a svilupparla. Qualcun altro, senza i timori dell'innovatore, potrà applicare metodi più audaci, e compiere progressi più rapidi. Di seguito vedremo alcuni esempi che illustrano tale situazione. Chiunque abbia studiato la relatività ristretta si sarà chiesto perché Lorentz, dopo aver ottenuto correttamente le equazioni della trasformazione che porta il suo nome, non abbia poi compiuto il passo successivo più naturale, cioè considerare tutti i sistemi di riferimento come equivalenti, arrivando così alla relatività dello spazio e del tempo. La storia non ci dice 91

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che cosa fu esattamente a trattenere Lorentz, ma non può che essere stata qualche paura, forse inconscia. Lorentz non osava avventurarsi in una sfera di pensiero del tutto estranea a qualsiasi cosa fosse mai stata immaginata. Preferì restare sul solido terreno delle trasformazioni matematiche, dove la sua posizione era inattaccabile. Ci voleva l'audacia di un uomo più giovane, come Einstein, per compiere il tuffo in un ambito nuovo. L'innovatore dell'attuale meccanica quantistica fu Heisenberg. In un'epoca in cui i fisici atomici annaspavano con la teoria delle orbite di Bohr-Sommerfeld e sentivano il bisogno di un drastico cambiamento dei princìpi di base, Heisenberg ebbe la brillante idea di edificare una nuova teoria interamente fondata su quantità osservabili, collegate con gli spettri. Ciascuna di queste quantità è connessa a due stati atomici, e la maniera naturale di esprimerle è sotto forma di matrici. Heisenberg arrivò così a considerare le matrici come variabili dinamiche. Non si era spinto troppo avanti con lo sviluppo di questa idea, quando si rese conto che le sue variabili dinamiche non soddisfacevano la proprietà commutativa della moltiplicazione. Ciò era estremamente fastidioso. All'epoca per un fisico era inconcepibile che delle variabili dinamiche potessero essere altro che comuni quantità algebriche, e all'apparire della non"commutatività Heisenberg ebbe paura che la sua bella idea andasse accantonata del tutto. Quando lessi il primo articolo di Heisenberg sull' argomento, avevo rispetto a lui il vantaggio di non provare la stessa paura, dato che l'idea in gioco non era mia. Potevo, dunque, vedere la questione da una prospettiva più distaccata. Mi ci vollero solo una o due settimane per rendermi conto che la non-commutatività che allarmava Heisenberg era in ·realtà l'aspetto principale della nuova teoria. L'idea di costruire una teoria esclusivamente in termini di quantità osservate sperimentalmente, pur essendo una dottrina filosofica assai attraente, era di importanza secondaria ai fini della costruzione di una nuova dinamica. Il mio lavoro iniziale sulla meccanica quantistica si concentrò, quindi, sul problema di introdurre la non-commutatività

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nella teoria dinamica. Non era poi troppo difficile, perché la precedente teoria atomica, quella delle orbite di Bohr e Sommerfeld, si basava su una forma di dinamica, quella di Hamilton, che si rivelò particolarmente adattabile all'algebra non commutativa. Heisenberg continuò a sviluppare la sua teoria in collaborazione con altri, a Gottingen. Io lavoravo per conto mio, dopo aver preso l'idea iniziale da lui. Pubblicammo degli articoli all'incirca nello stesso periodo, gettando le basi della meccanica quantistica. I nostri stili differivano per via dei diversi punti di vista adottati: il mio si basava sulla non-commutatività, quello di Heisenberg sull'uso di matrici costruite a partire da quantità osservabili. La meccanica quantistica fu scoperta in modo del tutto indipendente da Schrodinger, che seguiva una linea simile. Aveva anche lui le sue difficoltà. Ragionando sulla relazione matematica tra le onde e le particelle scoperta in precedenza da de Broglie, finì per trovare un modo di generalizzarla per descrivere un elettrone che si muove in un campo elettromagnetico. Così ottenne una bellissima equazione d'onda, conforme alla relatività. Procedette ad applicarla ali' atomo di idrogeno e le sue peggiori paure si realizzarono. I risultati non concordavano con le osservazioni. Oggi sappiamo che la discrepanza era dovuta allo spin dell'elettrone, che all'epoca era ignoto a Schrodinger, sebbene i fisici sperimentali avessero iniziato a sospettarne l' esistenza. Per Schrodinger era una situazione assai deprimente, che lo portò ad abbandonare il lavoro per qualche mese, e a pubblicarlo infine solo in un'approssimazione non relativistica, in cui la discrepanza non appariva. L'equazione relativistica fu riscoperta poi da Klein e Gordon, che diversamente da Schrodinger non temevano di andare in stampa con un'equazione in contrasto con le osservazioni. Così oggi quell'equazione porta il loro nome. È di una certa utilità nella descrizione dei mesoni di spin zero. Ben presto fu chiaro che la meccanica quantistica di Schrodinger era equivalente a quella elaborata da Heisenberg, 93

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benché all'inizio le due apparissero tanto diverse. Le equazioni fondamentali della nuova meccanica furono poste su solide basi, e divenne necessario trovarne un'interpretazione fisica. Con l'algebra non commutativa ciò non si poteva fare direttamente come nella teoria classica. Si scoprì che l'interpretazione fisica generale era solo di tipo statistico. Si potevano calcolare delle probabilità, ma in genere non si poteva prevedere un evento con certezza. Sorgeva ora una difficoltà legata ali' equazione relativistica di Klein e Gordon: la teoria forniva talvolta delle probabilità negative. Era una teoria soddisfacente solo nel limite non relativistico. Mi ci arrovellai per qualche tempo e infine concepii una nuova equazione d'onda che evitava le probabilità negative. Scoprii inoltre che essa dava automaticamente lo spin dell'elettrone, un risultato assai gratificante. Applicai la nuova equazione ali' atomo di idrogeno, prendendo in considerazione le correzioni relativistiche solo al primo ordine di approssimazione per semplificare i calcoli, e ottenni un risultato in accordo con le osservazioni. A quel punto il passo naturale sarebbe stato continuare con ordini superiori di approssimazione, ma non lo feci. Avevo paura che fossero in contrasto con i dati. Scrissi in fretta un articolù, con il calcolo solo al primo ordine di approssimazione, e lo pubblicai. Così mi parve di aver consolidato un successo modesto, e anche se gli ordini superiori avessero fallito, avrei avuto qualcosa su cui basarmi. Fu poi Charles Galton Darwin, che non condivideva le mie paure, a eseguire i calcoli a tutti gli ordini di approssimazione e a verificare che i risultati fossero corretti. [. .. ] La nuova equazione d'onda presentava una difficoltà, nel senso che ammetteva stati di energia negativa per l'elettrone. Le energie negative non si osservano mai, ma nella teoria non si potevano ignorare. Riuscii a ovviare a questo problema supponendo che nel mondo fisico tutti (o quasi) gli stati di energia negativa siano occupati, in modo che gli elettroni ordinari di energia positiva non possono saltarvi dentro. Uno stato di energia negativa non occupato è una buca che appare come una particella di energia e di carica positive.

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SPERANZE E PAURE (1969)

Fin dall'inizio avevo la sensazione che esistesse una simmetria tra le buche e gli elettroni. Questa sensazione era rafforzata dal fatto che, nella teoria chimica della valenza atomica, esiste un notevole grado di simmetria tra un elettrone al di fuori dei gusci chiusi e una buca all'interno di un guscio chiuso. Io non volevo la simmetria. Ali' epoca si credeva che tutte le cariche positive fossero nei protoni, e un protone è molto più pesante di un elettrone. Così procedetti strenuamente con la speranza che l'interazione di Coulomb generasse in qualche modo un' asimmetria tra le buche e gli elettroni, temendo che, se questa speranza fosse crollata, avrei dovuto abbandonare del tutto l'idea. Toccò poi ad altri, in particolare a W eyl e a Oppenheimer, sostenere coraggiosamente che la simmetria matematica esigeva una massa identica per le buche e per gli elettroni. Grazie a questi sviluppi fu dato ordine alla teoria di particelle singole. Rimanevano dei problemi legati all'interazione. Applicando equazioni relativistiche precise si trova che l'interazione è così violenta che esse non ammettono soluzioni. Le difficoltà non sono ancora risolte in modo soddisfacente e segnalano il bisogno di ulteriori, drastici cambiamenti nei fondamenti della teoria atomica.

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LO SVILUPPO DELLA CONCEZIONE DELLA NATURA DEL FISICO (1973)

Quando si guarda allo sviluppo della fisica, si nota che esso può essere rappresentato come un progresso costante fatto di tanti piccoli passi, a cui si sovrappone un certo numero di grandi salti. Ovviamente sono proprio questi ultimi l'aspetto più interessante. Lo sfondo di progresso costante è perlopiù logico: gli scienziati elaborano le idee che derivano da uno schema precedente secondo metodi ordinari. Ma quando si verifica un grande salto, significa che è stato introdotto qualcosa di completamente nuovo. I grandi salti, in genere, consistono nel superamento di un pregiudizio. Abbiamo un pregiudizio da tempo immemore; qualcosa che abbiamo accettato senza discutere, tanta è la sua ovvietà. A un certo punto un fisico scopre di doverlo mettere in discussione, di doverlo sostituire con qualcosa di più preciso, che porterà a uria .concezione affatto nuova della Natura. Uno dei migliori esempi di questi salti è fornito dalla relatività ristretta: essa mostra che dobbiamo sbarazzarci della concezione secondo cui la simultaneità ha un significato assoluto. In precedenza per i fisici era scontato che, se due eventi sono simultanei, ciò ha un significato preciso, un senso assoluto. Ma poi si iniziarono a fare degli esperimenti accurati sulla propagazione della luce, tenendo conto che questa ha una velocità finita, e si scoprì che quella idea andava abbandonata. Fu Einstein a cogliere appieno la necessità di abbandonare il concetto assoluto di simultaneità, e di sostituirlo con una nuova immagine del mondo in cui il tempo appare come una quarta 97

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dimensione, e lo spazio e il tempo de~ono essere considerati unitamente e sono soggetti a trasformazioni in cui la direzione dell'asse temporale è suscettibile di cambiamenti. Questo fu un grande passo avanti e portò all'esigenza di riformulare pressoché l'intera fisica. In passato, ci eravamo abituati alle nozioni di vettore e tensore in uno spazio tridimensionale. Un tensore è un concetto fisico ben definito. Può essere descritto matematicamente specificando le sue componenti in un dato sistema di coordinate ed è caratterizzato dal fatto che queste componenti si trasformano linearmente quando si compie una trasformazione del sistema di coordinate. Ma possiamo pensare a un tensore anche come a un'entità che esiste in modo del tutto indipendente da qualsiasi sistema di coordinate. È qualcosa che in qualche modo è immerso nello spazio, e le coordinate sono necessarie per la sua descrizione matematica. Con l'arrivo della relatività ristretta, tutti i nostri vettori e tensori nello spazio tridimensionale sono stati trasformati in quantità corrispondenti nelle quattro dimensioni dello spazio e del tempo. Ciò significa che dovevano avere più componenti. Un vettore, che il fisico considerava immerso nello spazio tridimensionale e che richiedeva tre componenti per essere specificato, ora diventava qualcosa di immerso in uno spazio a quattro dimensioni, con quattro componenti richieste. E tutti i concetti della fisica hanno dovuto trasformarsi allo stesso modo. Per esempio, la quantità di moto nello spazio tridimensionale ha dovuto incorporare una quarta componente, che è l' energia. In precedenza avevamo la legge di conservazione della quantità di moto e quella, indipendente, di conservazione dell'energia. Queste leggi vengono unificate. C'è un unico concetto di quantità di moto ed energia, e una sola legge di conservazione che si applica all'intera grandezza. Possiamo considerare poi altre quantità più complicate. Il tensore degli sforzi che abbiamo in tre dimensioni, per esempio, nel passaggio alla relatività ristretta si è dovuto espandere includendo un certo numero di componenti ulteriori, che rappresentano la densità di flusso della quantità di moto e dell'energia.

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Un piccolo problema sorge per ciò che riguarda il momento angolare. Nello spazio tridimensionale questo è un vettore, ma dovrebbe essere trattato come un vettore assiale, che è il prodotto di due vettori ordinari. Quando ci spostiamo nelle quattro dimensioni, questo vettore forma una parte di un tensore di rango 2, che è antisimmetrico nei suoi due indici. Ciò richiede l'aggiunta di tre nuove componenti da identificare. Ebbene, il momento angolare in sé è una grandezza molto importante, ma le tre componenti aggiuntive necessarie a descriverlo nello spazio a quattro dimensioni si rivelano di scarsa importanza, perché sono legate a un definito asse nello spazio-tempo, che ha un carattere effimero. La legge di conservazione del momento angolare svolge un ruolo rilevante nella teoria non relativistica. Anche le tre componenti aggiuntive si conservano, ma per via del loro carattere non permanente sono di scarsa importanza. Le uniche applicazioni di rilievo del momento angolare sono in ambito non relativistico, dove ha senso fissare un asse temporale. Abbiamo discusso i cambiamenti introdotti dalla relatività ristretta, che consistono sostanzialmente nel superamento del pregiudizio del tempo assoluto. Quando passiamo alla relatività generale, si verifica un altro cambiamento, abbastanza simile. Il pregiudizio che dobbiamo superare in questo caso è l'idea che lo spazio euclideo si applichi al mondo fisico. Gli assiomi di Euclide, formulati molti secoli fa, ovviamente sono assiomi validi se li si accetta e si procede a derivarne le conseguenze, che costituiscono la geometria euclidea. Ma la questione è se gli assiomi si applichino davvero alle distanze misurate dai fisici. Si è sempre pensato di sì, perché le osservazioni mostrano che quantomeno essi valgono con grandissima precisione, e la precisione assoluta è sempre stata vista con favore. Ma si scopre che anche questo è un pregiudizio da accantonare. Le distanze misurate dai fisici non si conformano alla geometria euclidea. Come lo sappiamo? Le differenze sono estremamente piccole. Troppo piccole per essere apprezzate con l'osservazione diretta. Forse, in futuro, quando sarà possibile compiere osservazioni molto più accurate, le differenze

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si potranno vedere. Alla necessità di modificare la geometria euclidea si arriva in modo indiretto. Il superamento della geometria euclidea consiste nel supporre che lo spazio vada immaginato curvo, uno spazio con un numero maggiore di dimensioni. Anche in questo caso fu Einstein a mostrare la strada, mosso dal bisogno di conciliare la gravitazione con la relatività. Newton aveva pensato che la legge di forza dell'inverso del quadrato governasse tutte le masse, ma questa legge venne criticata, in quanto contemplava un'azione a distanza. I filosofi dissero che un corpo non può agire dove non si trova. Pertanto, doveva esserci qualcosa di errato nella legge di Newton. Questa, però, non è affatto una critica valida. Si può infatti introdurre il concetto di campo. In fisica abbiamo un campo quando c'è una quantità fisica definita in tutti i punti dello spazio e che varia, solitamente in modo continuo, da un punto a un altro vicino. Si scoprì che la legge della gravitazione di Newton si poteva formulare in maniera alternativa con l'aiuto di un campo, legato al potenziale newtoniano, e in questo modo non c'è bisogno di un'azione a distanza. Una particella si muove per effetto solo del campo nelle sue vicinanze. Questa formulazione soddisfaceva i filosofi, ma per i fisici il campo e l'azione a distanza sono da considerarsi del tutto equivalenti, perché basta una trasformazione matematica per passare dall'uno ali' altra, e le due descrizioni danno sempre gli stessi risultati quando vengono applicate. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti per i quali la formulazione in termini di campi si rivela più vantaggiosa. Consideriamo l'elettrodinamica. Le leggi originali, come quella di Coulomb, contemplavano un'azione a distanza. Non erano accurate e hanno dovuto essere riformulate. Le nuove leggi, ottenute da Maxwell, erano espresse in termini di campi, il che portò alla possibilità delle onde elettromagnetiche. Qui si vede uno sviluppo che non sarebbe stato possibile con l'azione a distanza, e la formulazione con i campi risulta superiore. Essa si rivela necessaria per descrivere la gravitazione nella teoria della relatività generale. Einstein inventò nuove equazioni che coinvolgevano grandezze legate 100

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a un campo, e il potenziale unico della teoria newtoniana fu sostituito da dieci potenziali. Ma non mi inoltrerò nei dettagli. In tal modo abbiamo avuto un notevole sviluppo nelle nostre idee di spazio. Prima di tutto, il passaggio da tre dimensioni a quattro. Poi, l'idea di introdurre nello spazio la curvatura. Lo spazio risultante è uno spazio riemanniano. 1 A volte ci si è domandati se il processo con cui i fisici hanno modificato l'idea di spazio debba arrestarsi a questo punto. C'è il campo elettromagnetico, che per molti versi è simile a quello gravitazionale. Entrambi prevedono forze a lungo raggio, e in ciò si distinguono dagli altri campi fisici che entrano in gioco nella teoria atomica. Qualcuno ha immaginato che dovrebbe esistere una qualche unificazione tra loro, e da quando Einstein ha mostrato che il campo gravitazionale si può spiegare in termini geometrici, si è sospettato che lo stesso valga per il cainpo elettromagnetico. Occorrerebbe una geometria più generale di quella riemanniana, che forma la base della teoria gravitazionale di Einstein. È stato fatto molto lavoro in questo senso, ma i risultati non sono soddisfacenti. Non voglio menzionare gli sviluppi infruttuosi dei concetti della fisica, ma limitarmi a quelli che hanno avuto successo. Bisogna allora conservare lo spazio di Einstein, cioè lo spazio riemanniano a quattro dimensioni, che è valido ancora oggi e costituisce lo spazio fondamentale della fisica, quello in cui si verificano tutti i processi fisici. Quanto abbiamo visto fin qui rappresenta un particolare sviluppo dei concetti della fisica. L'altro sviluppo principale verificatosi in tempi recenti è la teoria dei quanti, ovvero la teoria della struttura atomica. Nel discutere di questo argomento, credo che il titolo della mia conferenza sia un po' infelice. Il titolo è, infatti, "Lo sviluppo della concezione della Natura del fisico". Ciò sembra implicare che tutti i fisici abbiano la stessa idea su come si sono sviluppati i loro concetti. Ma questo non è affatto vero per 1. Uno spazio riemanniano (dal nome del matematico tedesco Bernhard Riemann) è uno spazio di dimensione arbitraria su cui è possibile definire le nozioni di distanza tra due punti e di curvatura.

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la teoria dei quanti. Qui i nuovi concetti non sono facilmente spiegabili come.nel caso della relatività. Sono più reconditi e la questione di quali siano quelli importanti, quelli fondamentali, può ricevere risposte assai diverse da un fisico ali' altro. Credo che un titolo migliore sarebbe "Lo sviluppo della concezione della Natura di un fisico". Devo fornire il mio punto di vista, ma preciso fin da ora che non ritengo sia l'unico punto di vista ragionevole. Ce ne sono altri, ammissibili e difendibili. lo preferisco questo, perché nel mio caso è risultato il più proficuò. La teoria dei quanti si è sviluppata attraverso varie importanti tappe. La prima, ovviamente, è l'introduzione da parte di Planck dei quanti finiti di energia tiella descrizione del campo elettromagnetico; cosa che i fisici faticarono molto ad accettare, e che fu loro imposta dali' evidenza sperimentale. Poi ci fu una grande mole di dati spettroscopici, che ali' inizio apparvero misteriosi.Non si riuscì a ordinarli fino a quando non venne fuori la regola di combinazione di Ritz, secondo cui la frequenza di ogni riga spettrale si poteva esprimere come differenza tra due termini. Fu una sorta di espediente che non fornì una vera teoria, finché Bohr non elaborò il suo modello dell'atomo. Questo fu forse il più grande passo nello sviluppo della teoria atomica, perché mostrò che si potevano applicare le leggi della meccanica classica agli elettroni che si muovono nell'atomo, a patto di imporre certe condizioni aggiuntive e di fare certe approssimazioni. Le approssimazioni consistevano nel trascurare lo smorzamento radiativo, e le condizioni aggiuntive erano quelle quantistiche che fissavano gli stati stazionari di Bohr. Furono sviluppi davvero notevoli nella concezione della Natura del fisico, forse troppo drastici per poterli descrivere come un semplice superamento di pregiudizi. Dopo l'introduzione degli stati stazionari di Bohr, lo sviluppo ulteriore della fisica evidenziò la necessità di considerare delle quantità relative a due stati. Il principio di combinazione di Ritz, che aveva portato alla condizione di Bohr sulla frequenza, mostrava che ogni frequenza delle righe spettrali era collegata a due stati atomici. Einstein introdusse poi i coefficienti di emissione e di assorbimento, anche essi colle102

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gati a due stati. Ci fu infine l'importante formula della dispersione di Kramers-Heisenberg, basata interamente su quantità relative a due stati. Ciò portò Heisenberg a un passo avanti magistrale, che diede origine alla nuova meccanica quantistica. La sua idea fu di creare una teoria interamente fondata su quantità riferite a due stati. Queste si possono scrivere come matrici, il che significa che bisognava considerare delle tabelle di numeri. Il contributo davvero cruciale di Heisenberg non consistette solo nell'introdurre questi elementi di matrice, ma nel rendersi conto che la matrice in sé era un concetto fisico importante che corrispondeva a una variabile dinamica. Di conseguenza le variabili dinamiche sono soggette a un' algebra come quella matriciale, in cui si possono eseguire operazioni di addizione e di moltiplicazione, ma quest'ultima è in generale non commutativa: a x b, di solito, non è uguale ab x a. Fin dall'inizio, quando vidi l'articolo originale di Heisenberg che esponeva queste idee, mi parve che la novità più importante fosse il fatto di dover considerare delle variabili dinamiche soggette a un'algebra non commutativa. Introdussi un nuovo nome per queste variabili. Le chiamai q-numeri, e chiamai i numeri ordinari, per distinguerli, e-numeri. I q-numeri divennero un concetto nuovo a cui i fisici dovettero abituarsi. Essi sostituirono le variabili dinamiche con cui avevano lavorato in precedenza. Erano soggetti a un'algebra diversa. Inizialmente, i q-numeri mi parvero qualcosa di molto misterioso. Feci diverse ipotesi su di essi, soltanto per poter costruire una teoria e applicarla, e queste ipotesi erano spesso errate. Ma il concetto di q-numero si sviluppò comunque. La natura matematica di un q-numero mi era in un primo tempo completamente ignota. Ma era chiaro, dalla relazione con il formalismo di Heisenberg, che talvolta i q-numeri si potevano sostituire con matrici. In seguito risultò che ciò era sempre possibile. Possono essere rappresentati da matrici, come si dice oggi. Ma ciò può accadere in vari modi. La matrice andrebbe considerata come un insieme di coordinate per il q-numero proprio come le componenti di un tensore sono le 103

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sue coordinate. Si può pensare a un tensore come a qualcosa che esiste indipendentemente da ogni sistema di coordinate, e allo stesso modo si può pensare a un q-numero come a qualcosa che esiste indipendentemente da ogni sistema di matrici. Quando fu chiaro che i q-numeri potevano essere sempre rappresentati da matrici, la loro natura matematica, ovviamente, non fu più un mistero. Si poteva desumere tutto ciò che si voleva sul loro conto, e si potevano correggere i miei errori iniziali. Tutto quel che rimaneva del q-numero era il concetto di qualcosa che ha un significato fisico indipendente da ogni rappresentazione matriciale, ed è dunque da considerare alla stregua di un tensore. Il lavoro iniziale con i q-numeri consistette solo in deduzioni algebriche compiute usando l'algebra con la moltiplicazione non commutativa, e ovviamente l'interpretazione dei risultati di queste deduzioni restava assai oscura. Si fecero delle congetture su qualche semplice caso. Si scoprì che una certa interpretazione forniva la risposta corretta e l'interpretazione venne così gradualmente generalizzata e consolidata. L'interpretazione generale della meccanica quantistica fu favorita moltissimo da un altro sviluppo, che si deve a Schrodinger, a partire dalle idee di de Broglie. Esso comportò l'introduzione in fisica di un nuovo concetto, quello di stato quantistico. Nella meccanica classica si parlava già di stati. Un determinato sistema classico ammette vari possibili stati, corrispondenti alle soluzioni delle equazioni del moto. Ma la particolarità è che uno stato quantistico non corrisponde semplicemente a uno stato classico. Esso corrisponde a un intero insieme di stati classici, una famiglia -per così dire - di stati classici, matematicamente legati tra loro in un modo particolare, scoperto da Hamilton cento anni prima della meccanica quantistica. Hamilton scoprì questa speciale relazione tra stati classici solo attraverso considerazioni di bellezza matematica, nel tentativo di arrivare a una formulazione potente delle equazioni. E il suo lavoro è esattamente quel che occorre per prepararci alla comprensione degli stati quantistici. Ognuno di questi corrisponde a una delle famiglie di stati di Hamilton. 104

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A questo punto si nota, sorprendentemente, che gli stati quantistici ammettono delle relazioni di sovrapposizione. Ciò significa che possono essere immaginati come una sorta di vettori. Sono quantità che si possono sommare tra loro producendo quantità della stessa natura. A rigore, si dovrebbe dire che lo stato quantistico non corrisponde a uno di questi vettori, bensì alla direzione di un vettore, ma questo non è un punto essenziale. In genere i vettori che nella teoria quantistica corrispondono agli stati fisici sono definiti in uno spazio a infinite dimensioni, e quando si introducono opportune condizioni di convergenza diventano vettori di Hilbert. Abbiamo così dei nuovi vettori che assumono importanza in fisica. Quando si presenta un nuovo concetto importante, mi piace assegnargli un nome nuovo, come per i q-numeri. Ho quindi coniato il termine "ket". Non mi soffermerò a spiegare le ragioni di questa terminologia. 2 I ket, dunque, corrispondono a stati fisici ed esiste una relazione tra loro e i q-numeri. Qualsiasi q-numero può essere moltiplicato per un ket dando origine a un altro ket oppure, se preferite, si può dire che il q-numero è una sorta di operatore lineare che può agire sui ket. I fisici hanno dovuto abituarsi alle nuove nozioni di q-numero e di ket. I q-numeri si possono rappresentare mediante matrici. Così facendo si ottiene una rappresentazione corrispondente del ket, cioè un insieme di coordinate per ogni ket. Queste coordinate sono ciò che solitamente viene chiamato funzione d'onda. Il motivo è che nella prima formulazione di Schrodinger queste coordinate formavano appunto una funzione d'onda nello spazio tridimensionale - se la teoria è applicata a una particella singola e si usa un'opportuna rappresentazione. Oggi i fisici adoperano il termine "funzione d'onda" in modo assai generale per le coordinate di un ket in un qualunque sistema di coordinate, anche quando il risultato non ha alcuna relazione con le onde. È così che le onde entrano nella teoria quantistica. Esse sono un modo di rappresentare gli stati fisici. Alcuni tendono a 2. Dirac chiama i vettori di stato "ket" e "bra" dall'inglese bracket (parentesi) e introduce degli speciali segni grafici per rappresentarli.

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pensare che le onde siano forse l'elemento fondamentale della teoria atomica e che le particelle siano meno importanti. Personalmente non sono di questo parere. Si può fare molta strada descrivendo le cose soltanto in termini di onde, ma non credo convenga tentare di andare fino in fondo. E vorrei mantenere l'immagine che vi ho presentato finora, con particelle le cui variabili consistono mq-numeri, e che possono trovarsi in vari stati, descritti da funzioni d'onda. Con questi concetti, i fisici hanno potuto costruire un'interpretazione fisica potente della meccanica quantistica. Hanno potuto ottenere delle regole generali per calcolare le probabilità che le variabili dinamiche assumano certi valori in un determinato stato. L'affermazione importante qui è che noi calcoliamo delle probabilità, non prevediamo che, date certe condizioni iniziali, qualcosa accadrà. Ciò significa che l'interpretazione è di tipo statistico. Non abbiamo il determinismo della meccanica classica. Questo è un altro dei concetti a cui i fisici hanno dovuto abituarsi. Hanno dovuto superare il pregiudizio a favore del determinismo, e per loro è stato piuttosto difficile. Alcuni sperano di reintrodurre il determinismo in qualche altro modo, forse per mezzo di variabili nascoste o qualcosa di simile, ma ciò non funziona secondo le idee accettate. Potrei aggiungere che, personalmente, coltivo comunque questo pregiudizio contro l'indeterminazione nella fisica fondamentale. Devo accettarla, perché al momento non possiamo fare nulla di meglio. Può darsi che forse in qualche sviluppo futuro potremo tornare al determinismo, ma solo a costo di rinunciare a qualcos'altro, a qualche altro pregiudizio che attualmente sosteniamo con forza. · In ogni caso, non serve a molto fare congetture su quel che porterà il futuro. Voglio dire soltanto che, se l'indeterminazione nelle leggi fondamentali della fisica vi provoca disagio, non siete i soli a sentirvi così. Molti provano disagio. lo stesso. Schrodinger e Einstein vi si sono opposti sempre. Ma occorre accettarla come il meglio che si possa fare allo stato attuale delle nostre conoscenze.

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Uno dei maggiori sviluppi seguiti all'introduzione dei ket o funzioni d'onda riguarda l'applicazione della teoria a sistemi di particelle identiche. La funzione d'onda includerà le variabili di tutte queste particelle e si può supporre che sia simmetrica rispetto allo scambio delle particelle. Se il mondo ha avuto inizio in uno stato simmetrico rispetto allo scambio di particelle, rimarrà per sempre simmetrico, e se ne ricaverà la legge che in Natura esistono solo funzioni d'onda simmetriche. Questa è una legge di tipo nuovo, del tutto indipendente da qualunque cosa si possa immaginare nella teoria classica, e non può essere considerata come il superamento di un pregiudizio. Una possibilità alternativa è che in Natura esistano solo funzioni antisimmetriche. Sembra che la Natura sia effettivamente costruita secondo queste linee. Ci sono alcune particelle, chiamate bosoni, che sono descritte solo da funzioni d'onda simmetriche, e altre, chiamate fermioni, descritte solo da funzioni d'onda antisimmetriche. 3 Vorrei tornare ora al concetto di q-numero e dire qualcosa su come può essere sviluppato. I q-numeri sono stati introdotti in primo luogo con una funzione analoga a quella delle variabili della dinamica classica. Ma servono delle leggi di commutazione tra loro. Se ci viene detto che a x b non è uguale a b x a, dobbiamo fare un'ipotesi sulla differenza a x b - b x a. Non è stato difficile indovinare quale fosse questa quantità, perché quei sistemi dinamici hanno un analogo classico, cioè la parentesi di Poisson. Grazie a questo collegamento, il formalismo della meccanica quantistica diventa una generalizzazione del formalismo classico. Dato un certo sistema in meccanica classica, che coinvolga un insieme di particelle interagenti secondo partico~ lari leggi di forza, si può definire il sistema corrispondente in meccanica quantistica. In seguito è stato possibile sviluppare l'idea di q-numeri associati a qualsiasi oper~tore lineare che agisca 3. Le particelle descritte da funzioni d'onda antisimmetriche, i fermioni, obbediscono a una statistica quantistica scoperta indipendentemente da Fermi e da Dirac nel 1926. Le particelle descritte da funzioni d'onda simmetriche, i bosoni, obbediscono a una statistica quantistica scoperta da Bose e da Einstein nel 1924.

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sui ket. In tal modo si sono potuti introdurre dei q-numeri che non hanno un analogo nella meccanica classica, e aumentare di molto il potere del formalismo della meccanica quantistica. [ ... ] Un altro sviluppo di cui vorrei parlare è quello che riguarda gli operatori che cambiano il numero delle particelle, per esempio aumentandolo o diminuendolo di una unità. Si tratta di operatori di emissione o di assorbimento,4 che possiamo incorporare nella teoria. Sono proprio come i q-numeri che avevamo in precedenza e sono anch'essi soggetti a equazioni del moto. Introducendoli nella teoria possiamo costruire un formalismo in cui il numero di particelle può cambiare. Nella meccanica classica non esiste tale possibilità, ma introdurla nella teoria quantistica non comporta alcuna difficoltà. Quanto vi ho detto finora illustra lo sviluppo della meccanica quantistica, e noterete che si tratta di una teoria molto potente e che funziona benissimo. Ha solo un grave difetto, che è quello di non essere relativistica. Le equazioni del moto originali di Heisenberg, su cui è basata; contengono una derivata rispetto a una particolare variabile temporale, e ciò è contrario alla relatività. Finora ho parlato di due sviluppi della fisica, la relatività e la meccanica quantistica. Come facciamo a metterli insieme? La fisica deve essere unificata. Dobbiamo avere una sola teoria che sia conforme sia ai princìpi della relatività sia a quelli della teoria quantistica. Come possiamo arrivarci? Partiamo da un esempio semplice, quello di una singola particella. Possiamo scrivere per essa una funzione d'onda, che contenga le variabili x, y e z, che individuano la posizione della particella, e, se questa varia temporalmente, anche il tempo t. Abbiamo quindi una funzione d'onda che dipende da quattro variabili e che può essere trattata relativisticamente, supponendo che le variabili descrivano un punto nello spazio-tempo. Possiamo provare a inventare un'equazione d'onda relativistica per questa funzione, in accordo con i princìpi generali della meccanica quantistica. Anzi, ciò è possibile, e la cosa sorprendente (io ne fui molto sorpreso quando lo scoprii) è che la so-

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4. Chiamati anche operatori di creazione di distruzione.

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LO SVILUPPO DELLA CONCEZIONE DELLA NATURA DEL FISICO (1973)

luzione più semplice del problema non si ha per una particella di spin nullo, ma per una particella di spin~. Questo valore sembra svolgere in Natura un ruolo speciale, nel senso che per particelle di spin ~ è possibile costruire una teoria quantistica relativistica, che soddisfa tanto i requisiti della relatività ristretta, quanto quelli della meccanica quantistica. Dobbiamo quindi considerare lo spin~. Questo porta a un concetto nuovo, cui i fisici hanno dovuto abituarsi, il concetto di spinore, che è una generalizzazione del concetto di tensore. Un tensore è pensabile come qualcosa che è immerso nello spazio euclideo, o nello spazio-tempo, e possiamo immaginare di applicare a esso degli operatori di rotazione. Uno spinore ha proprietà simili ma è tale che, se lo ruotiamo una volta attorno a un asse, ci ritroviamo con qualcosa che ha segno opposto a quello di partenza, contrariamente a quanto accade con un tensore. Queste quantità si rivelano del tutto ammissibili da un punto di vista matematico: quantità immerse nello spazio che cambiano di segno quando effettuiamo una rotazione attorno a un asse. Sono oggetti matematici di questo tipo che dobbiamo introdurre per poter descrivere lo spin~. Lo spin ~ che vediamo apparire naturalmente nell' equazione d'onda relativistica si rivela assai utile, perché è caratteristico di molte delle particelle elementari in Natura, in particolare dell'elettrone e del protone. Abbiamo perciò una teoria che si applica agli elettroni. Ma fin dall'inizio emerse una difficoltà: quando applichiamo le solite regole di interpretazione della funzione d'onda, troviamo che sono ammessi stati di energia negativa oltre che stati di energia positiva. Questo era un grosso ostacolo, ma si scoprì che lo si poteva aggirare in modo assai elegante, a costo di cambiare il concetto di vuoto. In precedenza i fisici avevano sempre pensato al vuoto come a una regione in cui non c'è assolutamente nulla, ma anche questo era un pregiudizio da superare. Secondo una definizione migliore, il vuoto è lo stato di più bassa energia. Ora, se c'è la possibilità che degli elettroni abbiano energia negativa, dovremmo averne quanti più possibile per ottenere l'energia più 109

LA BELLEZZA COME METODO

bassa. Gli elettroni obbediscono alla statistica di Fermi che corrisponde alle funzioni d'onda antisimmetriche. Essi soddisfano il principio di esclusione di Pauli, per il quale due elettroni non possono occupare lo stesso stato. Otteniamo, dunque, lo stato di più bassa energia in una certa regione di spazio quando tutti gli stati di energia negativa sono occupati da un ele~trone ciascuno. È il numero massimo di elettroni di energia negativa che possiamo avere. Questa è un'immagine ragionevole che possiamo dare del vuoto, una volta superato il pregiudizio che esso non contenga nulla, e si è rivelata soddisfacente. Ha condotto alla possibilità di costruire stati che differiscono dal vuoto in due modi, cioè avendo degli elettroni nei livelli di energia positiva o delle buche nei livelli di energia negativa. E queste ultime apparivano come particelle con energia e carica positive, che in seguito sono state interpretate come positroni.5 La nuova immagine del vuoto comporta la possibilità che la materia sia creata dall'energia radiante. Se un elettrone salta da un livello di energia negativa a un livello di energia positiva, ecco che appaiono un elettrone ordinario e un positrone, e l' energia necessaria al salto si è convertita in una forma materiale. Possiamo inoltre perturbare la distribuzione degli elettroni di energia negativa nel vuoto per mezzo di un campo elettrico o magnetico, e ottenere così una sorta di polarizzazione del vuoto. 6 Tutti questi sviluppi sono una conseguenza dell'equazione d'onda relativistica dell'elettrone. Ho detto che la combinazione della relatività con la teoria quantistica ha portato allo spin ;6. Ora, esistono molte particelle il cui spin non ha questo valore. Il caso di maggiore interesse, ovviamente, è quello del fotone, che ha spin uguale a 1. Che fare di queste altre particelle? Si pone una difficoltà seria. Possiamo formulare per esse una teoria quantistica considerando degli stati riferiti a un particolare asse temporale dello 5. Il positrone è I' antiparticella dell'elettrone: ha la stessa massa dell' elettrone e carica elettrica opposta (dunque positiva). 6. Questo fenomeno consiste nel fatto che la creazione di coppie elettrone-positrone scherma parzialmente le cariche elettriche.

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LO SVILUPPO DELLA CONCEZIONE DELLA NATURA DEL FISICO (1973)

spazio-tempo e osservando come cambiano quando cambiamo la direzione di questo asse. Ma il problema è che tali cambiamenti non sono locali; Per un insieme di particelle possiamo definire delle grandezze che cambino in modo locale, ma quando le interpretiamo come probabilità di particelle, otteniamo di nuovo qualcosa di non locale. 7 Ebbene, io credo che sia alquanto contrario allo spirito della relatività avere delle quantità che si trasformano in modo non locale. Sigriifìca che abbiamo una certa quantità nello spaziotempò riferita a una particolare direzione dell'asse temporale, e quando cambiamo questa direzione la nuova quantità non dipende dalle condizioni nell'intorno del punto in cui era definita la quantità originale, ma da condizioni fisiche in punti lontani. Il che assomiglia a una teoria di azione a distanza. È contraria allo spirito della relatività, ma è il meglio che possiamo fare attualmente. Questa difficoltà si presenta anche quando abbiamo molte particelle interagenti. L'unica teoria che possiamo formulare al momento è di tipo non locale, e naturalmente non ci soddisfa. Credo si debba dire che il problema della riconciliazione della teoria quantistica con la relatività è irrisolto. I concetti che i fisici usano attualmente non sono adeguati. Diventano molto artifìciosi quando li si applica in maniera formale. La difficoltà risalta al massimo quando si considera l'interazione, per esempio, tra elettroni e campo elettromagnetico. Se si usa un modello puntiforme dell'elettrone, si ottengono degli infiniti nelle equazioni. Questi infiniti, ovviamente, non si possono tollerare. Occorre eliminarli in qualche modo, e il modo naturale di farlo è dire che l'elettrone non è una carica puntiforme, ma che la carica è distribuita su una certa regione. Molti fisici danno per scontato che le cariche siano puntiformi e rimuovono la difficoltà degli infiniti semplicemente per mezzo di regole operative. Dicono: discostiamoci dalla matematica ordinaria. Trascuriamo gli infiniti che si presentano 7. Le quantità non locali sono quelle che non dipendono da un solo punto dello spazio-tempo, ma da due punti distanti.

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LA BELLEZZA COME METODO

nelle equazioni, quando non li vogliamo. Questo formalismo a volte porta a risultati in buon accordo con l'esperimento, e molti fisici sono soddisfatti di questo stato di cose. Ma per me è del tutto insoddisfacente. Credo che non abbiamo affatto dei concetti fisici definiti se ci limitiamo ad applicare delle regole operative matematiche; non è di questo che dovrebbe accontentarsi il fisico. Potrei accennare a un'idea molto discussa in questi tempi, quella di rinormalizzazione. Essa era già presente nella teoria classica con il modello dell'elettrone di Lorentz. Secondo Lorentz, l'elettrone ha intorno a sé un campo, essenzialmente il campo di Coulomb con qualche modifica se l'elettrone è in moto. Il campo avrebbe un'inerzia, che si andrebbe ad aggiungere alla massa dell'elettrone; questa va dunque considerata come derivante in parte dalla massa associata al campo di Coulomb attorno all'elettrone. Può darsi che l'intera massa dell'elettrone sia generata in questo modo.Dobbiamo abbandonare di nuovo il modello puntiforme dell'elettrone, perché altrimenti la massa del campo di Coulomb circostante sarebbe infinita. Nella teoria classica la massa originale è modificata dal campo prodotto dalla particella. Questo effetto persiste in meccanica quantistica, e fa sì che la massa originale dell'elettrone presente nelle equazioni di partenza dsulti diversa dalla massa osservata. La massa osservata è chiamata massa rinormalizzata. Il guaio è che l'effetto della rinormalizzazione è infinitamente grande, se lavoriamo con un elettrone puntiforme. C'è unarinormalizzazione simile della carica, derivante dal fatto che ogni carica produce una polarizzazione del vuoto circostante, che in una certa misura neutralizza la carica stessa. Anche in questo caso l'effetto è infinito per un elettrone puntiforme. Abbiamo illustrato lo sviluppo della teoria quantistica fino ai giorni nostri. Quanto detto mostra che la nostra posizione attuale è tutt'altro che soddisfacente, per l'incapacità di conciliare la teoria quantistica con la relatività. Molti degli sviluppi occorsi nella fisica in tempi recenti hanno riguardato l'introduzione di nuove particelle. Anche in que112

LO SVILUPPO DELLA CONCEZIONE DELLA NAWRA DEL FISICO (1973)

sto caso i :fisici hanno dovuto superare un pregiudizio. Fino al 1930 circa i :fisici ritenevano che esistessero solo due particelle fondamentali, l'elettrone e il protone. Il motivo era che esistono due tipi di elettricità, positiva e negativa; a ciascuna è associata una particella, e tanto basta. C'era molta riluttanza a postulare l'esistenza di nuove particelle. Ciò mi portò sulla cattiva strada quando formulai inizialmente le mie idee sulle buche nella distribuzione degli elettroni nel vuoto. Credevo che le buche dovessero rappresentare dei protoni perché avevano sicuramente carica positiva. Pensai subito di dovermi aspettare che fossero simmetriche rispetto agli elettroni e che avessero la stessa massa. Ma per me era inconcepibile che ci fosse una nuova particella di carica positiva e con la massa dell'elettrone. Il mio ragionamento era che, se tali particelle fossero esistite, i :fisici sperimentali le avrebbero sicuramente viste. Perché i :fisici sperimentali non le avevano viste? Perché avevano dei pregiudizi nei loro confronti. Avevano effettuato molti esperimenti in cui le particelle si muovevano in un campo magnetico lungo traiettorie curve. Se si conosce il segno della carica, la curvatura indica in quale direzione la particella si muove lungo la traiettoria. I fisici sperimentali vedevano regolarmente elettroni provenienti da una sorgente, con la giusta curvatura della traiettoria. Ma a volte vedevano la curvatura opposta, e attribuivano le tracce a elettroni entranti nella sorgente, anziché a particelle di carica positiva uscenti. Quella era la sensazione diffusa. Tale era il pregiudizio contro l'esistenza di nuove particelle che nessuno studiò mai la statistica delle particelle entranti per rendersi conto che ce n'erano davvero troppe. A partire dal 1930, l'opinione diffusa riguardo alle nuove particelle è cambiata completamente. Molte particelle sono state scoperte, e tanto i fisici sperimentali quanto i teorici sono assai inclini a postularne di nuove all'apparire del più tenue degli indizi. [. .. ] Per concludere, vorrei spendere alcune parole sul futuro. Lo sviluppo della concezione :fisica della Natura, ovviamente, non si è arrestato. Dunque, è un errore attribuire troppa importanza ai concetti attuali. Si tratta solo di uno stadio tempo-

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LA BELLEZZA COME METODO

raneo e dobbiamo aspettarci sviluppi futuri che saranno fondamentali. Lo saranno, credo, tanto quanto il passaggio dalle orbite di Bohr alla meccanica quantistica di Heisenberg. Non so quanto tempo dovremo aspettare prima che questi sviluppi si verifichino. Ma certamente dovranno verificarsi e, come ho accennato prima, forse getteranno nuova luce sul conflitto tra determinismo e indeterminismo. Si è tentato spesso di immaginare un modo per arrivare a questi nuovi concetti. Alcuni lavorano all'idea della formulazione assiomatica della meccanica quantistica attuale. Io non credo che servirà a qualcosa. Se si fosse lavorato alla formulazione assiomatica della teoria delle orbite dì Bohr, non si sarebbe mai giunti alla meccanica quantistica di Heisenberg. E non si sarebbe mai pensato alla legge commutativa della moltiplicazione come a un assioma discutibile. Allo stesso modo, qualsiasi sviluppo futuro dovrà prevedere un cambiamento in qualcosa che finora non è mai stato messo in discussione, e che non potrà emergere da una formulazione assiomatica. Ci si è domandati spesso se non occorra cambiare i concetti di spazio e tempo, magari introducendo una struttura discreta. Ma finora non c'è un ente matematico che possa sostituire lo spazio-tempo ordinario usato dai fisici. Trovo che non sia molto utile fare ulteriori congetture su tali questioni, e dunque mi fermerò qui.

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L'INFLUENZA DI EINSTEIN NELLA FISICA (1979)

Einstein ha esercitato una straordinaria influenza in molti campi. È stato un grande paladino della pace e della libertà, e ha reso servigi inestimabili all'umanità. Io qui, però, voglio parlare del suo contributo nella fisica, la sua opera fondamentale e di più ampia portata, che lo ha qualificato come una mente eccezionale. Il lavoro di Einstein è stato essenzialmente di carattere pionieristico. Egli inaugurò nuove correnti di pensiero in direzioni impreviste e introdusse sorprendenti novità. Altri fisici svilupparono poi le sue idee. Ci sono tre innovazioni fondamentali dovute a Einstein:

1. La relatività ristretta 2. La relazione tra onde e particelle 3. La relatività generale Ognuna di esse ha significato l'alba di una nuova era. Una sola sarebbe stata sufficiente per assicurare a uno scienziato un posto immortale nella storia della scienza. A Einstein le dobbiamo tutte e tre.

Relatività ristretta Con la relatività ristretta Einstein mostrò che le idee comuni che riguardano lo spazio e il tempo devono essere modificate. Le concezioni tradizionali non forniscono una base idonea a una descrizione accurata dei processi fisici. Esse devono esse-

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LA BELLEZZA COME METODO

re sostituite da un'immagine in cui lo spazio e il tempo siano intimamente correlati e uniti in un continuum quadridimensionale. Le nozioni elementari di cinematica e di dinamica ne risultano modificate. Qualche volta si sente dire che la relatività ristretta fu scoperta da Lorentz o da Poincaré, e ci si riferisce a lavori di questi autori comparsi prima che Einstein pubblicasse nel 1905 il suo famoso lavoro sulla relatività. Ma queste affermazioni contengono solo una parte di verità, e non la più importante. Lorentz e Poincaré credevano nell'etere. Essi ottennero alcune equazioni della relatività lavorando con riferimento ali' etere, che era sempre sullo sfondo del loro pensiero. Einstein distrusse l'etere, e così il quadro di riferimento su cui gli altri avevano costruito le loro ipotesi scomparve. Egli introdusse un nuovo principio di simmetria dello spazio e del tempo. Per lui questo principio era molto importante. Esso occupa un posto fondamentale nella fisica. Questo è stato il grande contributo di Einstein e qui la gloria è tutta sua. Oggi si sa che i princìpi di simmetria sono rilevanti in gran parte della fisica. Molte delle simmetrie con cui si ha a che fare attualmente sono soltanto approssimate e soggette a violazioni. Invece, il principio di simmetria introdotto da Einstein, che unisce spazio e tempo, è un principio esatto e svolge un ruolo dominante sugli altri. La posizione di Einstein, differente da quella di Lorentz e di Poincaré, viene evidenziata dalle loro diverse reazioni nei confronti dei risultati sperimentali. Lorentz aveva costruito un modello per l'elettrone basato sulle sue leggi di trasformazione e in accordo con i requisiti della simmetria di Einstein. Doveva sostituire il precedente modello sferico di Abraham. Esperimenti per distinguere tra i due modelli furono condotti da Kaufmann. I risultati ottenuti avvalorarono la teoria di Abraham. Lorentz e Poincaré si sentirono sopraffatti. Einstein non ne fu turbato. Egli aveva fiducia nel suo principio di simmetria. Era così bello che doveva essere esatto. Einstein era sicuro che c'era stato qualche errore nell'esperimento di Kaufmann. E alcuni anni dopo si scoprì che aveva ragione.

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L'INFLUENZA DI EINSTEIN NELLA FISICA (1979)

La relatività ristretta ebbe numerosi sviluppi. Condusse al concetto di energia a riposo associata alla massa, E= mè. Condusse a una radice quadrata nella formula per l'energia di un corpo in moto, cosicché matematicamente l'energia potrebbe essere negativa. All'inizio ciò non ebbe importanza; si sarebbe semplicemente potuto dire che gli stati di energia negativa non si realizzano. Ma con l'arrivo della teoria dei quanti emergeva la possibilità che una particella saltasse da uno stato di energia positiva a uno stato di energia negativa, il che costrinse a cercare un significato per le energie negative. Ciò portò all'idea di antimateria, che è dunque una conseguenza diretta della relatività ristretta di Einstein. La relatività ristretta pose il problema di riesprimere tutte le equazioni in una forma che rivelasse la simmetria quadridimensionale. Ciò fu abbastanza facile. Ci sono però delle difficoltà di base riguardanti la meccanica quantistica che non sono state ancora completamente risolte.

Onde e particelle Nel 1905 la teoria ondulatoria della luce basata sull'equazione di Maxwell era già consolidata, ma certi fenomeni sfuggivano a essa. Sembrava che l'emissione e l'assorbimento della luce avvenissero in modo discontinuo. Ciò portò Einstein all'ipotesi che l'energia fosse concentrata in corpuscoli discreti. Fu un'idea rivoluzionaria, molto difficile da capire, dal momento che il successo della teoria ondulatoria era innegabile. Sembra che la luce debba essere concepita qualche volta come onda e altre volte come particella, e i fisici si sono dovuti abituare a questo fatto. L'idea è stata incorporata nella teoria di Bohr dell'atomo di idrogeno, e ne è parte essenziale. La statistica di un insieme di particelle di luce venne studiata da Bose, il quale trovò che le statistiche ordinarie non erano applicabili. Le regole per la nuova statistica furono formulate congiuntamente da Bose e da Einstein. Nello studiare un atomo in equilibrio statistico, Einstein scoprì il fenomeno dell'emissione stimolata della radiazione. 117

LA BELLEZZA COME METODO

Questo effetto è, in prima battuta, estremamente piccolo, ma grazie alla nuova statistica è possibile amplificarlo con opportuni dispositivi. Si arriva così al laser, un utile strumento della tecnologia attuale, che dobbiamo a Einstein. Louis de Broglie ha mostrato che le onde sono associate a tutte le particelle e non soltanto a quelle che hanno la velocità della luce. Egli derivò la relazione matematica tra onde e particelle proprio a partire dai princìpi della relatività ristretta. Scoprì che le onde si muovono più velocemente della luce, ma non possono essere usate per trasmettere dei segnali- un importante aspetto della relatività. . La teoria di de Broglie venne estesa da Schrodinger e portò alla meccanica ondulatoria, che è fondamentale per l'odierna teoria atomica. Qui abbiamo ancora una volta una lunga linea di sviluppo della fisica, originata da Einstein.

Relatività generale Einstein fornì una descrizione geometrica della gravitazione e in tal modo inaugurò un cammino completamente nuovo per ' la fisica. In precedenza esistevano due descrizioni usuali delle forze fisiche: l'azione a distanza e l'azione tramite un campo. Nel caso della gravitazione newtoniana, sono possibili tutte e due. Per le forze elettriche e magnetiche il concetto di azione a distanza è utile, ma l'azione tramite un campo fornisce un quadro più completo, in quanto prevede le onde elettromagnetiche. Con Einstein la gravitazione viene interpretata come curvatura dello spazio e solo la descrizione in termini di un campo è possibile. La teoria di Einstein portò ad alcune piccole differenze rispetto alla teoria di Newton, e fornì ad astronomi e fisici parecchie indicazioni per controllarle empiricamente. In primo luogo, il moto del pianeta Mercurio, anomalo secondo Newton, ma brillantemente spiegato da Einstein. Poi la curvatura della luce che passa vicino al Sole, che può essere osservata durante un'eclissi totale di Sole. Osservazioni fatte nel 1919 convalidarono la teoria di Einstein. Queste osservazioni sono state ripetute molte volte e la teoria di Einstein è stata sempre confermata. 118

L'INFLUENZA DI EINSTEIN NELLA FISICA (1979)

Con la scoperta delle radiosorgenti si può verificare la deflessione delle onde radio quando queste passano vicino al Sole, e per farlo non c'è bisogno di un'eclissi totale. C'è anche un rallentamento delle onde radio che passano vicino al Sole. La teoria di Einstein è ancora una volta convalidata. Tale teoria prevede anche effetti relativi allo spostamento delle linee spettrali della luce emessa in un campo gravitazionale. Qui le opportunità di controllare accuratamente la teoria non sono generalmente moltò buone, ma i risultati la avvalon:mo secondo le aspettative. Oltre a tutti questi sviluppi astronomici e fisici derivanti dalla relatività generale, vi è stato un grande stimolo per il lavoro matematico. Il semplice tipo di spazio curvo che Einstein usò, lo spazio di Riemann, che può essere immerso in uno spazio piatto con un numero maggiore di dimensioni, fu così efficace nel descrivere la gravitazione che ci si è chiesti se tipi più elaborati di spazi curvi non potessero spiegare altri campi fisici, in particolare il campo elettromagnetico. Lo stesso Einstein lavorò per anni sul problema. Questi sforzi, però, non hanno avuto esito positivo. Mentre lo spazio curvo originale di Einstein ebbe successo, gli spazi più complicati su cui si è tanto lavorato non hanno condotto finora ad alcun risultato fisicamente rilevante. C'è poi il problema della cosmologia: la comprensione dell'universo nella sua interezza. Questa è necessaria per ottenere le condizioni al contorno su grande scala per le equazioni di campo di Einstein. Il primo modello cosmologico fu proposto dallo stesso Einstein, ma non funzionava. In seguito de Sitter propose un altro modello, anch'esso insoddisfacente. Molti altri modelli, basati sulle equazioni di Einstein, furono elaborati da Friedmann, Lemaìtre e altri. Questa è una materia piuttosto vasta, che ebbe inizio con la relatività generale. Il più semplice modello accettabile è stato proposto congiuntamente da Einstein e da de Sitter, e potrebbe essere quello da usare in futuro. In tutti gli ambiti della fisica qui trattati, l'influenza di Einstein è stata enorme. Possiamo essere sicuri che essa si estenderà nel lontano futuro. 119

LA VERIFICA DEL TEMPO (1979)

Le grandi scoperte scientifiche si fanno in due modi. Talvolta i tempi sono maturi per una certa scoperta e molti sono già sulla pista giusta. La ricerca diventa allora una gara, e chi la vince si aggiudica il merito della scoperta. Se scorrete la lista dei vincitori del Nobel, vedrete che spesso i premi sono assegnati a due o tre persone che hanno lavorato sullo stesso argomento e il merito viene diviso tra i vincitori della gara. Questo tipo di scoperta è tale che, se la persona che l'ha realizzata non fosse mai esistita, presto sarebbe stata compiuta da qualcun altro. C'è poi un altro tipo di scoperta scientifica in cui un individuo lavora da solo, segue nuove linee di pensiero per conto proprio, senza rivali né concorrenti. Si inoltra in nuovi ambiti di pensiero che nessuno ha mai esplorato in precedenza. Il lavoro di Einstein è perlopiù di questo tipo. Se non fosse esistito Einstein, le sue scoperte non sarebbero state fatte da altri per molti anni o molti decenni. Einstein, da solo, ha cambiato completamente il corso della storia della scienza. La teoria della relatività di Einstein rimase sconosciuta, salvo che a pochi specialisti, fino alla fine del 1918, al termine della Prima guerra mondiale. Fu allora che quella teoria irruppe con un impatto straordinario. Presentò al mondo un nuovo modo di pensare, una nuova filosofia. Arrivò in un periodo in cui tutti, vincitori e vinti, erano stanchi della guerra. La gente voleva qualcosa di nuovo. La relatività venne incontro a questo desiderio, diventando un tema centrale del discorso pubblico. 121

LA BELLEZZA COME METODO

Consentiva alla gente di dimenticare per un po' gli orrori della guerra appena terminata. . Giornali e riviste pubblicarono innumerevoli articoli sulla relatività. Mai prima di allora un'idea specifica aveva suscitato un interesse così forte e vasto, né lo ha mai più suscitato in seguito. Quasi tutto ciò che veniva detto e scritto si riferiva alle idee filosofiche generali e non aveva la precisione richiesta da una seria discussione scientifica. Erano disponibili pochissime informazioni corrette. Ma le persone erano comunque contente di poter esporre le proprie opinioni. All'epoca io studiavo ingegneria all'Università di Bristol, e come è ovvio gli studenti si misero a discutere dell'argomento in modo approfondito. Ma né loro né i professori avevano informazioni precise, né sapevano qualcosa delle basi matematiche. Potevamo solo parlare delle implicazioni filosofiche e accettare la convinzione diffusa che fosse una teoria valida. In Inghilterra un solo uomo, Arthur Eddington, comprese veramente la relatività e divenne una guida e un'autorità in materia. Era molto interessato alle conseguenze sull' astronomia e alla possibilità di controllare la teoria tramite osservazioni astronomiche. Furono proposti tre possibili controlli empirici della teoria. Il primo riguardava il moto del pianeta Mercurio. Si era osservato che il perielio di Mercurio (il punto della sua traiettoria più vicino al Sole) avanzava in un secolo di circa quarantatré secondi di arco in più di quanto ci si aspettasse secondo la teoria newtoniana, il che aveva lasciato perplessi gli astronomi per lungo tempo. La nuova teoria di Einstein prevedeva proprio questo effetto e le osservazioni di Eddington confermarono la previsione. Fu davvero un successo straordinario per la teoria di Einstein, ma si dice che egli non si rallegrò particolarmente quando seppe della conferma di Eddington, perché sentiva che la sua teoria doveva essere corretta comunque. Il secondo controllo riguardava la deflessione della luce che passa vicino al Sole. La teoria gravitazionale di Einstein stabilisce che la luce che passa vicino al Sole sia deflessa. Anche la teoria newtoniana prevede una deflessione, ma pari solo alla

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LA VERIFICA DEL TEMPO (1979)

metà di quella di Einstein. Perciò, osservando le stelle la cui luce passa vicino al Sole per giungere fino a noi, possiamo mettere alla prova la teoria di Einstein. Ora, noi possiamo osservare le stelle vicine al Sole soltanto durante un'eclissi totale, quando la luce del Sole è oscurata dalla Luna. Un'eclissi del genere si verificò nel 1919, e Eddington preparò due spedizioni per osservarla, guidandone una personalmente. Entrambe ottennero risultati che confermavano la teoria di Einstein. Tuttavia, l'accuratezza di questi risultati non era altissima per via delle difficoltà incontrate nelle osservazioni. Dunque, la gente non ne fu del tutto soddisfatta. L' effetto è stato verificato in molte eclissi totali di Sole verificatesi da allora e i risultati hanno sempre concordato con la teoria di Einstein, con maggiore o minore precisione. In tempi più recenti è diventato possibile verificare l'effetto con le onde radio anziché con le onde luminose. Sono state scoperte delle radiosorgenti, e quando una di esse è dietro al Sole, possiamo osservare se le onde radio che vi passano vicino vengono deflesse. Non è necessario aspettare un'eclissi totale, perché il Sole è un emettitore di onde radio molto debole. L'uso delle onde radio al posto delle onde luminose è complicato dal fatto che le onde radio sono deflesse dalla corona solare. Ma questa deflessione è diversa a seconda della lunghezza d'onda, e dunque compiendo osservazioni su due lunghezze d'onda diverse possiamo separare l'effetto causato dalla corona da quello relativistico. Il risultato è che la teoria di Einstein è confermata con un'accuratezza assai superiore a quella ottenibile con le onde luminose. Il terzo controllo riguardava la previsione della relatività generale secondo cui le onde luminose emesse da una sorgente in un campo gravitazionale saranno spostate verso lunghezze d'onda maggiori, cioè verso l'estremo rosso dello spettro: un effetto noto appunto come spostamento verso il rosso. Per osservarlo, la soluzione più ovvia è guardare la luce proveniente dalla superficie del Sole. Ma qui è difficile osservare l'effetto relativistico per via di un altro fenomeno (l'effetto Doppler), causato dal moto della materia nell'atmosfera solare, che è piut123

LA BELLEZZA COME METODO

tosto rilevante e ancora poco compreso. In ogni caso si possono stimare gli effetti di questo moto e ottenere un risultato che concorda grossomodo con le predizioni della teoria di Einstein. La scoperta delle stelle nane bianche fornisce un modo migliore di appurare lo spostamento verso il rosso. La materia delle nane bianche è in uno stato altamente condensato. L'energia potenziale gravitazionale sulla superficie di una nana bianca è molto più alta che sulla superficie del Sole, e l'effetto relativistico di spostamento delle lunghezze d'onda è conseguentemente maggiore. Se abbiamo abbastanza informazioni sulla nana bianca da poterne inferire la massa e le dimensioni, possiamo avere un ottimo controllo della teoria di Einstein. Oggi l' effetto si può verificare anche con osservazioni di laboratorio, più accurate di quelle astronomiche. Di recente, ai tre controlli empirici classici se ne è aggiunto un quarto. Riguarda il tempo impiegato dalla luce a passare vicino al Sole. La teoria di Einstein prevede un rallentamento. Questo si può osservare proiettando onde radar verso un pianeta posto dietro al Sole, e poi osservando il tempo impiegato dalle onde riflesse a tornare sulla Terra. Con l'uso delle onde radar il ritardo è ancora una volta influenzato dalla corona, e di nuovo dobbiamo usare due lunghezze d'onda diver~e per separare l'effetto della corona da quello relativistico. Le osservazioni sono state compiute da Irwin Shapiro e forniscono un'ulteriore conferma della teoria di Einstein. Questo elenco dei successi della teoria di Einstein è impressionante. In ciascun caso la validità della teoria è confermata, con maggiore o minore precisione a seconda delle osservazioni e delle incertezze che esse comportano. Supponiamo ora che compaia una discrepanza, ben accertata, tra teoria e osservazione. Come bisognerebbe reagire? Come avrebbe reagito lo stesso Einstein? Dovremmo ritenere la teoria essenzialmente sbagliata? Direi che la risposta all'ultima domanda è un no deciso. Chiunque apprezzi la fondamentale armonia che esiste tra il modo in cui funziona la Natura e alcuni princìpi matematici generali non può non sentire che una teoria di tale bellezza ed

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LA VERIFICA DEL TEMPO (1979)

eleganza deve essere sostanzialmente corretta. Se dovesse apparire una discrepanza in qualche sua applicazione, essa non potrebbe che essere causata da qualche aspetto secondario di quell'applicazione, non adeguatamente considerato, e non da un fallimento dei princìpi generali della teoria. Einstein, nel costruire la sua teoria della gravitazione, non cercava di spiegare qualche risultato osservativo. Al contrario. Tutto il suo modo di procedere tendeva alla ricerca di una teoria bella, una teoria come l'avrebbe scelta la Natura. Era guidato solo dal requisito che la teoria avesse 1a bellezza e l'eleganza che ci si aspetta di trovare in una descrizione fondamentale della Natura. Il suo lavoro muoveva esclusivamente dall'idea di come la Natura dovrebbe essere e non dalla necessità di dar conto di certi risultati sperimentali. Ovviamente, ci vuole un vero genio per poter immaginare come debba essere la Natura affidandosi soltanto al pensiero astratto. Einstein ne era capace. In qualche modo egli ebbe l'idea di collegare la gravitazione alla curvatura dello spazio. Riuscì a sviluppare uno schema matematico che incorporava quell'idea. Era guidato solo da considerazioni relative alla bellezza delle equazioni. Il risultato di questo modo di procedere è una teoria di grande semplicità ed eleganza nelle sue idee di base. Ne deriva la netta convinzione che i suoi fondamenti devono essere corretti, del tutto indipendentemente dal suo accordo con le osservazioni. Ho avuto il privilegio di incontrare Einstein in varie occasioni. La prima volta fu al Congresso Solvay del 1927 a Bruxelles, dove i maggiori scienziati del mondo discutevano degli sviluppi più recenti della fisica. A quell'epoca la teoria di Einstein era ormai affermata e universalmente accettata, e non era oggetto di discussione in quel Congresso. Il tema principale era la nuova teoria quantistica di Heisenberg, Schrodinger e altri. Ovviamente, volevamo tutti conoscere le impressioni di Einstein sulle nuove idee. Einstein era un po' ostile a esse, perché aveva ottenuto uno straordinario successo con la sua personale idea di introdurre la geometria nella fisica, e credeva che gli sviluppi ulteriori sa125

LA BELLEZZA COME METODO

rebbero derivati dall'introduzione di nuovi tipi, più esotici, di geometrie. Aveva trascorso molti anni della sua vita a lavorare in questa direzione, senza veri successi. Con ogni probabilità, queste idee di Einstein sono fondamentalmente corrette, ma non hanno ancora portato a un risultato soddisfacente. Tempo dopo incontrai Einstein a un altro Congresso Solvay; in seguito venne a Cambridge, dove io lavoravo, poi andò a Princeton e divenne membro permanente dell'Institute for Advanced Study, di cui feci parte temporaneamente. Andai alle lezioni di Einstein e a volte lui mi invitava a casa sua, il che era un privilegio enorme. In quelle occasioni potei conoscerlo di persona. Ebbi l'occasione di notare come le idee scientifiche dominassero quasi ogni suo pensiero; persino quando ti veniva offerta una tazza di tè e la mescolavi, il moto delle foglioline di tè era qualcosa che Einstein stava immaginando come spiegare. Nel corso delle sue discussioni con gli altri fisici, Einstein fece un'osservazione che è diventata celebre e oggi è scolpita nella pietra, sopra il camino della sala comune dell'Istituto di matematica dell'Università di Princeton. Per comprendere appieno questa osservazione occorre davvero essere un fisico e capire che Dio ha formulato certi problemi che il ricercatore tenta di risolvere. Inoltre, occorre cercare di penetrare la mente di Dio nel formulare tali problemi. Einstein riassunse la sua opinione al riguardo con queste parole: "Ra/finiert ist der Herrgott, aber bosha/t ist er nicht". "Sottile è il Signore, ma non malizioso."

126

INDICE DEI NOMI

Abraham, Max, 116 Anderson, Carl David, 14, 53-54 Baker, Henry Frederick, 23 Blackett, Patrick, 14 e n, 53-54 Bohr, Niels, 22, 37 e n, 40, 48-49, 52-53, 76, 83, 92-93, 102, 114, 117 Born, Max, 10, 50, 57-58 Bose, Satyendra Nath, 107n, 117 Broglie, Louis de, 51, 77, 93, 104, 118

Faraday, Michael, 86 Farmelo, Graham, 14 e n, l9n, 2ln, 34n,39 Fermi, Enrico, 107n, 110 Feynman, Richard Phillips, 16, 22 Fowler, Ralph Howard, 10, 39, 48-49 Fraser, Peter, 23, 48 Friedmann, Alexander, 119 Galilei, Galileo, 26-27, 33 e n, 43, 63 Gamow, George, 21en,31 Gell-Mann, Murray, 14 e n Goldbach, Christian, 18 Gordon, Walter, 12 e n, 52, 77, 93-94 Green, Michael Boris, 35

Compton, Arthur Holly, 49 e n Coulomb, Charles-Augustin, 57, 87, 95, 100, 112 Darwin, Charles Galton, 12, 94 Dingle, Herbert, 32-33 e n, 34 Doppler, Christian, 123 Dyson, FreemanJohn, 9, 16-17 e n, 34 e n Eddington, Arthur Stanley, 32-33 e n, 46-47, 56, 66, 122-123 Einstein, Albert, 9, 19-21, 23, 30-31, 43-44, 46-47, 59, 62-63, 73-74, 76, 78,84,92,97, 100-102, 106, 107n, 115-119, 121-126 Euclide, 99 Euler, Hans Heinrich, 57

Hamilton, William Rowan, 10, 48-50,54, 93, 104 Hardy, Godfrey Harold, 9, 18 e n,24n Heisenberg, Werner, 10-11, 13, 15, 17,40,48-51,59, 76-77, 80-81 e n, 90, 92-93, 103, 108, 114, 125 Hilbert, David, 105 Hubble, Edwin Powell, 31 Infeld, Leopold, 57-58 Jordan, Pascual, 10, 65

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INDICE DEI NOMI

Kaufmann, Walter, 21n, 116 Keynes,John Maynard, 9 Klein, Oskar, 12 e n, 52, 77, 93-94 Kockel, Bernhard, 57 Kramers, Hendrik Anthony, 15, 103 Kuhn, Th.omas Samuel, 11, 34 Lagrange, J oseph-Louis, 50 Lamb, Willis, 55 e n Lemaìtre, Georges, 31, 68, 119 Lorentz, Hendrik Antoon, 63, 65, 91-92, 112, 116 Maxwell, J ames Clerk, 17, 57-58, 100, 117 Mili, J ohn Stuart, 20 e n Milne, Edward Arthur, 32, 69 Minkowski, Hermann, 47 e n Moore, George Edward, 9, 23 Newton, Isaac, 9, 20, 32, 36, 40, 46,62,73-74, 100, 118 Occhialini, Giuseppe, 14 Oppenheimer, J ulius Robert, 95 Pauli, Wolfgang, 15, 27, 110 Planck,Max,57,76,80,102 Podolsky, Boris, 78

Poincaré, Henri, 116 Poisson, Siméon-Denis 1 10, 49-50, 107 Riemann, Bernhard, 101en,119 Ritz, Walter, 102 Rosen, Nathan, 78 Russell, Bertrand, 9 Rutherford, Ernest, 9 Schrodinger, Erwin, 40, 50-52, 54, 76-77,89,93,104-106, 118, 125 Schwinger,Julian Seymour, 16, 22 Schwarz,John Henry, 35 Shankland, Robert Sherwood, 14 Shapiro, Irwin, 124 Sitter, Willem de, 46-47, 119 Smolin, Lee, 36 e n Snow, Charles Percy, 17 e n, 18 Sommerfeld, Arnold, 92-93 Thomson, J oseph J ohn, 9 Tomonaga, Sin-Itiro, 16, 22 Weinberg, Steven, 16n, 24 e n Weisskopf, Victor, 15 Weyl, Hermann, 13, 28, 95 Wigner, Eugene Paul, 24, 29 e n, 39-40 Wilczek, Frank, 17 e n, 24n Wittgenstein, Ludwig, 9

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SCIENZA E IDEE

Ultimi volumi pubblicati 101. P. Odifreddi, La repubblica dei numeri 102. J.R. Searle, La razionalità dell'azione 103. A. Negri, Guide 104. D. Davidson, Soggettivo, intersoggettivo, oggettivo 105. G. Boniolo, Il limite e il ribelle 106. H. Rheingold, Smart mobs 107. B. McGuire, Guida alla fine del mondo 108. G. Reale, Radici culturali e spirituali dell'Europa 109. G. Gigerenzer, Quando i numeri ingannano 110. J. Derrida, Stati canaglia 111. S. Budiansky, Il carattere del gatto 112. C. de Duve, Come evolve la vita 113. N. Witkowski, Storia sentimentale della scienza 114. K. Sterelny, La sopravvivenza del più adatto 115. J. Repcheck, L'uomo che scoprì il tempo 116. D.C. Dennett, L'evoluzione della libertà 117. M. Solms, O. Turnbull, Il cervello e il mondo interno 118. W.V. Quine, Da un punto di vista logico 119. A.D. Aczel, Entanglement 120. J.-P. Luminet, La segreta geometria del cosmo 121. G. Giorello, Prometeo, Ulisse, Gilgame'f 122. P. Atkins, Il dito di Galileo 123. R. Dawkins, Il cappellano del Diavolo 124. M. Friedman, La filosofia al bivio 125. P. Galison, Gli orologi di Einstein, le mappe di Poincaré 126. S. Budiansky, L'indole del cane 127. M. Clark, I paradossi dalla A alla Z 128. S. Zizek, Iraq 129. D. Lyon, Massima sicurezza 130. E. Boncinelli, G. Sciarretta, Verso l'immortalità? 131. A.D. Aczel, L'enigma della bussola 132. J.L. Casti, Cinque platonici a Princeton