La bella storia di Shidōken [1 ed.]
 9788831771900

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Ironico, pungente e dissacratorio, paladino dell'autenticità della propria cultura contro l'inerte e servile acquiescenza a valori prestabiliti, beffardo fustigatore di costumi, fine manipolatore della parola, Hiraga Gennai (ca. I728-178o) si propone come una delle personalità più eclettiche del periodo Tokugawa (r6o3-r867). Scrisse prosa e testi teatrali di successo, libelli e racconti fantastico-allegorici, fu scienziato e inventore, studioso di «Cose olandesi», botanico, pittore e famoso ceramista. Come uomo di mondo e frequentatore dei quartieri di piacere e dei teatri ebbe molto successo, mentre i risultati come ricercatore furono talvolta contrastanti: lo sfruttamento di miniere di rame e di ferro con nuovi metodi, le «invenzioni>> del tessuto d'amianto, di bussole, di una livella ad acqua, di una macchina elettrostatica per scopi terapeutici non dettero gli effetti sperati, ed egli si ritenne sempre rifiutato dalla società alla quale addebitava . . 1 suot msuccesst. Tra le sue altre opere sono da ricordare Nenashigusa (Erba senza radici, 1763-69), una briosa descrizione della smodata passione per i giovani attori del teatro kabuki, nella quale è coinvolto anche l'onnipotente Enma, re degli inferi, e Hohiron (Sui peti, 1774), nel quale manifesta apertamente il suo disprezzo per le forme prefissate e codificate della lingua e del sapere, nulla più che vuota aria senza significato. .

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In coperrina: Masanobu, Shidoken narra storie di antiche battaglie, sumie colorato a mano, ca. 1743 (parricolare).

La bella storia di Shidoken (1763) narra la fantastica avventura di Asanoshin il quale, con l'ausilio di un ventaglio magico, dapprima visita i luoghi «deputati» in patria e poi si inoltra nel mondo del «diverso»: i Paesi dei Gambalunga e dei Lunghebraccia, dei Pettiforati, dei Pigmei e l'Isola delle donne, per approdare alla fine in Cina dove vive un'esperienza «al contrario», gli abitanti del quartiere di piacere sono uomini e i clienti sono le donne. Il viaggio è occasione per Gennai di condannare, con sferzante ironia, la passiva sudditanza culturale del Giappone nei confronti del continente, i soprusi del potere, le mistificazioni messe in atto da confuciani e buddhisti. Suoi portavoce sono l'anacoreta FOrai Sennin con i due sermoni che incastonano il racconto del viaggio, e infine Shidoken, che intrattiene il pubblico davanti al tempio con lazzi e sberleffi, scandendo il tempo del suo narrare con un fallo di legno. ha curato per la Letteratura universale Marsilio Storia di un tagliabambù di Anonimo (1994, 20074) e Yoshino di Tanizaki Jun'ichir6 (1998, 20061) nell'ambito della collana di classici giapponesi «Mille gru>> da lei diretta. ADRIANA BOSCARO

Letteratura universale Marsilio

MILLE GRU

Collana di classici giapponesi diretta da Adriana Boscaro e Luisa Bienati

Hiraga Gennai La bella storia di Shidoken a cura

di Adriana Boscaro

Marsi! io

Traduzione dal giapponese di Adriana Boscaro

Hiraga Gennai

(Fiirai Sanjin

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Furyu Shidoken den

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© 1990 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia Prima edizione: giugno 1990

ISBN 978-88-317-7190 www.marsilioeditori.it

INDICE

1 1 Introduzione

di Adriana Boscaro LA BELLA STORIA DI SHIDÒKEN 41 43 61 78 93 111

Prefazione Libro primo Libro secondo Libro terzo Libro quarto Libro quinto

1 3 1 Note 155 Appendice. I quartieri di piacere. Lo Y oshiwara 167 Hiraga Gennai: la vita, le opere 185 Glossario

AVVERTENZE

Il sistema di trascrizione seguito è lo Hepburn, che si basa sul principio generale che le vocali siano pronunciate come in italiano e le consonanti come in inglese. In particolare si tengano presente i seguenti casi:

eh è è h è j è

un'affricata come l'italiano «C» in cena sempre velare come l'italiano «g» in gara sempre aspirata un'affricata (quindi «Sanjin» va letto come fosse scritto Sangin) s è sorda come nell'italiano sasso sh è una fricativa come l'italiano «sc» di scena (quindi «Shidoken» Scidoken) u in su e in tsu è quasi muta e assordita w va pronunciata come una «U» molto rapida y è consonantico e si pronuncia come l'italiano «i» di ieri x è dolce come nell'italiano rosa o smetto; o come in zona se iniziale o dopo >, cioè le Curili, che all'epoca erano poco cono­ sciute, dove incontra nani e giganti, dèmoni e le aggressive abitanti dell'Isola delle donne, che riesce però ad ammansire tutti sino alle lacrime con il suo flauto, dal quale sa trarre suoni meravigliosi28• Ma egli ha anche una missione, che è quella di ricuperare alcuni rotoli di scritture magiche che dovranno assicu­ rare la supremazia della casata dei Minamoto . La missione di Asanoshin è invece quella di dimostrare, attraverso le sue esperienze, che il «diversm> non esiste ma solo che «i costumi differiscono da contrada a contrada», come gli fa osservare Furai Sennin. Alcuni degli strani paesi visitati erano patrimonio comune della cultura dell'epoca. Gennai attinge a piene mani dallo Wakansansaizue, un'enciclopedia molto diffusa che trattava di argomenti diversi ma che aveva anche un cap itolo dedicato ai «Barbari stra­ nieri» . Di matrice cinese, il testo (composto nel 1712) riporta un lungo elenco di stranezze, di difformità, di diversità, tutte illustrate e commentate. Il lettore di Gennai era quindi già a conoscenza dell'esistenza di tali esseri, ma la novità sta nell 'approccio di Asanoshin e nei suoi commenti : la comprensione e la gentilezza dimostrata in alcuni casi, e in altri lo stupore di vedersi considerato un diverso . Questa sorpresa, quasi uno sbigottimento, nel vedere capovolta una verità data per certa, offre anche 2" La musica del flauto (jue) è sempre stata considerata capace di placare gli spiriti inquieti e gli esseri più violenti e sanguinari , tanto che lo strumento ha avuto un ruolo fondamentale nei riti sciamanici.

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una chiave di lettura della personalità di Gennai : accanto all'intellettuale affermato e acclamato che sciorina la sua larghezza di vedute, s'affaccia lo scien­ ziato frustrato. Quando Asanoshin è preso addirittura per un misemono, un fenomeno da baraccone, e messo in mostra alla fiera del paes�9 (lui, un fiero figlio del Giappone ! ) , e quando è cacciato via dal paese dei Pettiforati, perché «menomato», dopo esser stato osannato quando ciò non si sapeva, si sente tutta l'amarezza di chi è convinto di essersi dedicato al bene del Paese e vede il suo genio non riconosciuto e lui stesso considerato un «diverso» . I n compenso l'ignoto non terrorizza più : questa è la grande lezione del testo . L'orizzonte del mondo si è allargato anche per il giapponese che non può mate­ rialmente uscire dal proprio paese, ma che viaggia sulle ali della fantasia dell' autore dell'Onzoshi shima­ watari, di Gennai e, più tardi, di Takizawa Bakin10• La lezione di Furai Sennin non si esaurisce però qui. Bisogna «stare al passo coi tempi e adeguarsi ai

29 Sulla fonuna che i misemono ebbero in periodo Tokugawa, si veda il saggio di H. Maes, Attractions /oraines au Japon sous /es Tokugawa, in appendice a Histoire galante de Shidoken, Paris, L'Asiathèque, 1979, pp. 93- 124. Maes ripona di un misemono «costruito» da Gennai nel 1778 : sul pelo nero di un vitello appariva, in bianco, l'invocazione «Namu Amida Butsu», e la bestia veniva reclamizzata come un myogoushi, «Vitello buddha». Gennai fu però ripagato della stessa moneta perché anche una delle sue tante «innovazioni» fu messa alla berlina (si veda a p. 172, nota 6). Sulla passione degli abitanti di Edo per conei e parate dove sfilavano «eccentricità» come elefanti, cammelli ecc., si veda Ronald P. Toby, Korean Embassies in Edo -Period Art and Popular Culture, in «Monumenta Nipponica», 4 1 , 4, 1986, pp. 4 15-456. . . 10 Su altri testi di letteratura fantastica di viaggi, in pamcolare t! di H . Musoby6e kocho monogatari ( 1809- 10) di Bakin, si rimanda al saggio Maes, Les voyages ficti/s dans la littérature japonaise de l'époque d'Edo, m appendice a Histoire galante de Shidoken, cit . , pp. 127- 146.

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cambiamenti», ma allo stesso tempo conviene anche rifugiarsi nell'ironia osservando con distacco tutto ciò che ci circonda. Così Shidoken che si ritrova - il cerchio si è chiuso - ancora una volta monaco, è adesso un monaco considerato «balordo» che induce la gente a riflettere facendola ridere. Ma il vero «balordo», suggerisce Gennai, non sarà chi prende sul serio questa storiaH ? ADRIANA BOSCARO

li La bella storia di Shtdoken ha due prefazioni e un epilogo. Mentre la prefazione di mano di Gennai ( alla quale si riferiscono le ultime parole dell'Introduzione) è altamente godibile e non necessita di alcuna spiega­ zione, gli altri due interventi sono nello stile abituale dei bun}in , con un linguaggio quasi da iniziati e con una serie di similitudini e di esempi che esulano dal contesto, ma molto indicativi del tipo di divertissement in uso tra i bunjin di Edo. Non si è ritenuto opportuno riportarli per esteso in quanto i riferimenti sono spesso troppo ricercati e di non immediato interesse, ma si acceMa qui all'argomento trattato. La prefazione, scritta in kanbun cioè in sino-giapponese, e quindi formale, è di un amico di Gennai, Kawana Rinsuke, un ronin che si firma con lo pseudonimo di Dokko Sanjin. Inizia col tessere le lodi dell'autore di La bella storia qualificandolo superiore ai più classici esempi cinesi, poi sentenzia che è errato criticare uno scrittore che dice cose non conformi alle leggi, e termina con una difesa a spada tratta dell'amico: «Con queste parole difendo Sanjin dalla derisione della gente. Mi criticheranno perché lodo qualcosa che mi piace, ma non me ne importa proprio nulla»_ L'epilogo invece, a firma di Shiitake Kanpyo (Hezui Tosaku, altro amico di Gennai ) , è scritto in giapponese e risale alle origini mitiche della risata. Si rifà all'episodio citato nel Kojiki della danza discinta della dea Ame no Uzume per ottenere che il dio Sarudahiko lasciasse passare Ninjgi (sceso a prendere possesso del Giappone in nome della dea Amaterasu Omikami) e ad altri esempi cinesi e giapponesi, per giudicare La bella storia. . . , che coi parametri dell'epoca era considerato un kokkeibon, cioè un libro comico_ Parla del vero Shidoken e dell'importanza della risata, anche quando questa non è compresa e viene derisa: «Per fmire, con una risata ho aggiunto questo epilogo che verrà preso in giro da tutti». . . .

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LA BELLA STORIA DI SHIDOKEN

Furyu Shidoken den

PREFAZIONE

Sciocco non è appellativo unico. Ha varianti come deficiente, idiota, matto, babbeo o balordo, re degli scemi. Se si chiama uno «sapientone» si sfuma e si addolci­ sce la cosa, se lo si definisce «tontolone» raramente si arrabbia, tuttavia, comunque la si metta, un balordo resta pur sempre un b alordo. Ora, qui in questa storia, c'è uno che si chiama Shidoken, un grande balordo . Visto che si fa beffe della gente di questo mondo, la sua fama è più alta del monte Fuji, e dawero bisognerebbe chiamarlo il re dei balordi. Inoltre, ogni giorno escono dal recinto del tempio di Asakusa Kannon numerosi babbei che si sbellicano dalle risate e che si tengono la pancia dal gran ridere per le sciocchezze udite. Sono certo che a questo mondo i babbei sono innumerevoli. Lo sono anch' io, s in da quando facevo «uè», e ora che ho scritto quest 'opera in cinque libri. Se non sono uno scemo , cos'altro potrei essere ? D'altra parte, se c'è un idiota che lo scrive e lo 41

illustra, c'è anche un matto che ha intenzione di pubblicarlo. E se infine ci fosse qualcuno che pren­ dendolo in mano lo leggesse con aria convinta, tutto sommato il vero balordo non sarebbe lui ? Shiendo Fiirai Sanjin altro nome di Tenjiku Ronin che scrive in una misera casa d'affitto di questo mondo che vale solo tre bu e cinque rin sigillo : Fiirai sigillo : nudo vale cento kan

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LIBRO PRIMO

Qui a Edo, nel recinto del tempio di Asakusa, c'è un ciarlatano di nome Shidoken. Con il richiamo di racconti epici raduna attorno a sé una folla di perdi­ giorno, e poi, ritmando le sue parole con uno strano oggetto di legno dalla forma di un fungo matsutake, li fa ridere a crepapelle con argomenti licenziosi e farse­ schi 1 . Non sono che discorsi senza capo né coda, storie assurde : tuttavia che sufficienza, che stravaganza, in questo vecchietto rinsecchito di quasi novant'anni quando raggrinza la faccia contraendo la bocca sden­ tata o quando lancia severe occhiate sull'umanità che gli sta dinnanzi. E con che meravigliosa abilità riesce a imitare gesti e voce degli onnagata F Quanto predica è un guazzabuglio senza senso su divinità shintoiste, Confucio, e Buddha, un'insalata pepata su Laozi e Zhuangzi, una minestra fredda, una frittura mista, frivolità tali da far ridere un bimbo in lacrime, e persino i portatori di zorl a sentir dire «quel matto» sanno che si parla di Shidoken, tanto è rino­ mato questo monaco unico nella storia3 • 43

Orbene, nella nostra città di Edo ci sono due persone famose : Ichikawa Ebiz6, che scriveva con il nome di Hakuen4, e appunto il monaco Shidoken . Ma Hakuen ha già lasciato questo mondo e quindi si può ben dire che Shidoken , che gli è sopravvissuto, è ora l'unica celebrità di Edo' . È per questa ragione che il suo profilo compare dappertutto , sulle stampe, sulle ceramiche d'lmado, sulle lanterne votive, sugli shoji dei locali degli acconciatori . Per di più, al solo vedere una testa di muggine o un fungo matsutake, viene subito da pensare a Shidoken e si ride: davvero è un vecchietto simbolo di allegria ! Come mai è giunto a fare un mestiere del genere? Per saperlo , risaliamo all'inizio . Il padre di Shidoken, di nome Fukai Jingozaemon, svolgeva con grande zelo funzioni di intendente presso il suo signore, ed era un uomo retto . Giunto ai quarant'anni senza aver avuto figli, l'affranto Jingozaemon si era recato con la moglie al tempio di Kannon ad Asakusa e per ventun giorni vi si erano rinchiusi, immersi tutta notte in assidue preghiere6 • La notte che segnava la fine del loro voto stava per dileguarsi, quando la donna vide comparire da sud uno splendente matsutake che le si conficcò nell'om­ belico : ben presto si ritrovò incinta e mise al mondo un bimbo, che altri non era che il nostro Shidoken. Folli di gioia, i genitori decisero, in onore di Kannon di Asakusa che aveva esaudito il loro voto, di chia­ marlo Asanoshin7• Lo coccolarono e lo attorniarono di cure come pupilla dei loro occhi: per festeggiare l'arrivo dell'anno nuovo gli diedero lo hamayumi, la dafne che gli uomini usano come simbolo di longevità, i kagamimochi rituali, e sullo stendardo per la festa dei ragazzi apposero la coppia dei due vecchi « . . . sino a 44

quando vivrà il pino? »8• Tale era il cieco amore dei genitori per il figlio. Ben presto ci fu la cerimonia del kamioki, poi quella dello hakamagi e così via, le notti e i giorni passarono veloci come un proiettile di fucile9• Quando Asano­ shin era sui sette-otto anni fu mandato a scuola e si applicò ai primi esercizi di calligrafia. Anche se la ragione dei genitori non è di solito ottenebrata, questo avviene quando devono giudicare i loro figli. Asano­ shin vergava la lettera «i» come le corna di una vacca, ma essi si ostinavano a lodare l'abilità del suo pen­ nello 10. Senza indugio gli fu dato da leggere il Grande Insegnamento che così inizia : «Quest'opera è il testa­ mento di Confucio : è la porta attraverso la quale ci si addentra nel cammino della virtù . . . » e Asanoshin, che entrasse o uscisse, era sempre accompagnato da per­ sone che lo allevarono con cura straordinaria. Dato che inoltre dimostrava una certa predisposizione, si era già appropriato in tenera età delle regole della «nettezza», dell' « accoglienza» e del « decoro»; per non parlare della Via del tiro con l'arco e dell' equita­ zione, era versato nell'ikebana, nella cerimonia del tè, nel tiro al pallone, nel gioco degli archi in miniatura, nella poesia cinese e in quella giapponese, nel renga e nello haikai, e in tutte le arti d'intrattenimento senza esclusione alcuna 1 1 • Quando raggiunse i quindici anni, suo padre e sua madre si convinsero che il ragazzo, nato per interces­ sione di una divinità buddhista e per di più dotato di una simile intelligenza, senza dubbio avrebbe avuto vita breve. Dato che, per fortuna, dopo Asanoshin erano nati - che sorpresa ! - altri due maschietti, non rimaneva che far prendere gli ordini al primo. La sua esistenza ne sarebbe stata prolungata e avrebbe potuto 45

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pregare per il riposo eterno dei suoi antenati. Annun­ ciarono la loro decisione al giovane, il quale, benché non avesse poi tanta voglia di farsi monaco, non poteva certo opporsi al desiderio dei suoi genitori . Così lo mandarono al Komyoin , che da sempre era il tempio di famiglia. Asanoshin, nel suo candore infantile, meditò: «Non è che sia proprio d'accordo di lasciare questo mondo, ma se mamma e papà mi parlano così è senza dubbio per intervento di Buddha. Non mi rimane che dedi­ care tutte le mie forze a comprendere gli arcani della Legge e a divenire un monaco famoso in tutto l'uni­ verso, al fine di contribuire alla salvezza degli esseri umani». Quindi giorno e notte, mattina e sera , si sprofondò nei siitra ; instancabile si dedicava agli eser­ cizi dei quattro atti fondamentali del camminare, fer­ marsi, sedersi e sdraiarsi, e si nutriva solo di sapere. Quando le sere d'estate lo invitavano a vedere i fuochi d'artificio egli sapeva che i piaceri degli uomini di questo mondo sono fugaci come lo sfarfallio di un lampo o la scintill a di una pietra focaia; e a primavera lo splendore della fioritura sul monte Asuka lo faceva mormorare : « Se gli uomini si affollano qui, la colpa è dei ciliegi» 12 • « [ Se manca il lume] , ci si serve della luna e delle lucciole» : questo doveva essere lo spirito degli antichiu. Lavorava così in piena solitudine davanti alla finestrella di bambù e al suo calamaio, in compagnia di esseri di un mondo scomparso 14 • Tutto intorno la natura era in festa, e i peschi che nel giardino spiega­ vano a profusione il loro splendore parevano fieri d'incarnare la primavera. Mentre tale spettacolo lo faceva riandare, tutto assorto, al Paese Incantato, una rondine che aveva costruito il suo nido nell'incavo del tetto, entrò dalla finestra e andò a posarsi sullo scrit 48

toio: timoroso di spaventarla, rimase immobile . La rondine depose un uovo sulla tavola e poi se ne andò , chissà dove. Asanoshin lo prese pensando di metterlo nel primo nido che avesse trovato . Ma ecco che l' uovo si ruppe in due e ne uscì una forma umana. «Proprio come con la storia di quel vecchio tagliabambù che nel cavo di un bambù ha trovato la principessa Kaguya ! » 1 � . In un batter d'occhio la creatura crebbe e in breve divenne una persona di taglia normale, e di tale bellezza da non aver uguali al mondo. Il viso splendente come una gemma, le nere sopracciglia dai riflessi corvini, la fanciulla riuniva in sé i trentadue segni d'eccellenza del Buddha. Ogni volta che guar­ dava Asanoshin con un leggero sorriso, le forze lo abbandonavano e si ritrovava in uno stato d'ebbrezza. Lenta e graziosa, la bella passò nel giardino da dove gli fece segno di seguirla. Quindi lo prese per mano e si avviarono piacevolmente insieme verso una colli­ netta artificiale; là, sotto i peschi in fiore, un cumulo di pietre segnava l'entrata di una piccola caverna : i due vi entrarono. Vista dal di fuori la cavità era larga appena una spanna ma, una volta dentro, c'era abba­ stanza spazio da lasciar passare un uomo. Dopo aver percorso circa venti metri, sbucarono su di un terreno pianeggiante : da lontano giungevano fievoli latrati di cani e starnazzio di volatili, e piante di ogni specie formavano una ricca vegetazione. Tra i rami di susino volteggiavano gli usignoli, le siepi rifulgevano dei candidi fiori di deutzia, il cielo era visitato dai cuculi, tra gli aceri rossi bramivano i cervi ; altrove, tra nugoli di pivieri, spirava una fresca brezza fluviale, i fiocchi di neve formavano a terra un tap­ peto ; fiori e frutta delle quattro stagioni gareggiavano nello sbocciare, anche il colore della sabbia era inso49

lito, e il mormorio dell 'acqua aveva un che d'irreale. Se ne erano già allontanati di un bel po', quando un inebriante profumo giunse alle loro nari e, insieme, si udì l 'eco lontana di un'orchestra : poi apparve un palazzo costellato di gemme. Sui pavimenti, rena d'oro e d'argento ; gradini di lapislazzuli; balaustre d'agata : tutto di uno splendore incomparabile. Asano­ shin, giuntovi, esitò , ma la bella gli disse : «Vieni da questa parte» . La seguì per un lungo corridoio sul quale si aprivano innumerevoli stanze, e infine giun­ sero ad una sala d.ove essa lo invitò ad entrare. Vi si aggirava una folla di belle ragazze, che a turno gli servirono tè e pasticcini. Erano tutte ancor più belle di quella che era uscita dall 'uovo , e le loro vesti, diversamente ricamate, erano splendide . Era un conti­ nuo andare e venire , portando cibi e bevande in quantità, e cantando canzoni alla moda : un luogo dove vi era tutto ciò che si può immaginare. Di tanto in tanto una di queste bellezze si avvicinava a Asano­ shin, gli prendeva le mani, o gli massaggiava i piedi, con una premura fuori dell 'ordinario . Sopraffatto da questa atmosfera, il giovane si lasciò andare nel bere, e ben presto eccolo addormentato, la testa in grembo a una bella . AI risveglio, qualche tempo dopo, attorno a lui né fanciulle, né tavole imbandite, né palazzo. Pensò si fosse trattato di un sogno . Sopra di lui pini e querce stendevano i loro rami: unico suono il fran­ gersi dell'acqua di un torrente contro le pietre. E per di più non gli pareva nemmeno di trovarsi nel recinto del suo tempio. Sospettò di essere vittima dell'incante­ simo di una volpe o di un tanuki1", e mentre se ne stava lì attonito, lo sguardo perso nel nulla, ecco dal cielo calare delle nubi e uscirne uno strano essere, rivestito di foglie d'albero , la testa coperta da un cappuccio , 50

nella sinistra un bastone fatto con un ramo di cheno­ podio e nella destra un ventaglio di piume. Fece segno a Asanoshin di avvicinarsi : «Bene, bene, ti ho fatto venire qui con i miei poteri magici perché ti voglio insegnare una cosa. Non aver paura». Così dicendo gli si fece appresso e il giovane poté osservarlo meglio. L'aspetto era quello di un vecchio, ma la carnagione risplendeva come una perla ed egli non pareva avere più di trent'anni: i capelli neri, la barba lunga, lo sguardo sereno, aveva un portamento maestoso, ma non minaccioso, e Asanoshin si prostrò. Allora il sennin17 gli disse : «Che i tuoi genitori, con un figlio di molto superiore agli altri esseri umani, ti abbiano fatto prendere gli ordini solo per rispetto alla legge buddhista, è proprio gettare oro nel fango ! Ti ho fatto venire qui per tirarti fuori da questo imbro­ glio . Sappi dunque che, per la legge di Buddha, il dogma è l'entrata nel nirva1Ja e ciò che chiamano Inferno o Paradiso non sono altro che espedienti buoni per le vecchie nonne e le donnette ignoranti e imbecilli, non una dottrina da insegnare agli uomini di buon senso . L'uomo è formato di yin e di yang, il che si può paragonare alla pietra e al ferro che, strofinati, producono il fuoco. La vita dell'uomo equivale al tempo che il legno alimenta le fiamme. Quando il fuoco si spegne, resta la brace : è il cadavere . E dove va il fuoco che s'è spento ? All'Inferno ? In Paradiso ? Se sai dove va, solo allora puoi dire che Inferno e Para­ diso esistono)) . A siffatta rivelazione Asanoshin batté l e mani: «Maestro, nell 'udire il tuo insegnamento vedo tutti gli errori nei quali sono vissuto sinora dissiparsi come un sogno, e quindi è bene che rinunci subito al progetto di farmi monaco. Tuttavia sono sempre in un mondo 51

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d'uomini, e non vorrei vivere per poi marcire come le piante. lnsegnami un'arte che possa intraprendere>> . I l sennin , sollevando il suo ventaglio d i piume, disse : « Vedo che confidi nelle mie parole. Ti raccon­ terò quindi la mia vita, e ti mostrerò quella che sarà la tua. Sono nato molto tempo fa, durante l'era Gen­ ryaku, e benché fossi ancora piccolo l'eco delle guerre tra i Taira e i Minamoto si impresse nella mia mente. Quando infine il paese fu rappacificato, l'amministra­ zione pubblica passò nelle mani degli sh ogun di Kamakura e il popolo poté così gioire dei benefici di una grande pace18• lo ero cresciuto lontano, in campa­ gna, ma il mio pensiero era profondo. Mi dicevo che Gaozu aveva fondato la dinastia degli Han, durata ben quattro secoli, con una spada lunga un metro . " Non si nasce generali " era il motto di Chen She, re di Chu19• Col senno di poi, se consideriamo le signorie grandi e piccole di tutto il paese, molte sono state fondate da gente umile che, seguendo l'esempio di Y ori tomo e di Y oshitsune, hanno fatto la fortuna delle stesse. Vis­ suto in un periodo di pace, io non potevo far ricorso alle armi senza incorrere in colpe nei confronti delle divinità, e quindi mi misi a cercare nelle " arti coltivate per diletto" il mezzo per elevare la mia casata. Ma cosa intende l'uomo di questo mondo per arti d'intratteni­ mento ? «La cerimonia del tè? Sperperare somme folli per delle coppe antiche e per degli scopini di bambù, per poi ritrovarsi in una stanzetta di quattro !atami e mezzo nella quale bisogna entrare strisciando attra­ verso una piccola entrata portandosi in mano gli zori: non è certo un'occupazione degna di un uomo . «L'arte di disporre i fiori ? Si cerca di riprodurre in un solo vaso l'effetto di una miriade di piante diverse, 54

ma non è con dei chiodi e del fil di ferro che si riesce a ottenere un paesaggio naturale. «Giocare a go? I giocatori non fanno che disporre e mescolare le loro pedine in continuazione, la loro erudizione non va al di là delle trecentosessanta caselle della loro scacchiera. Da morti vanno al Sainokawara e attaccati alla manica di Jizo piagnucolano : " Uno , voglio papà, due, voglio la mamma . . . " ; inoltre accu­ mulano sassi a uno a uno e si lamentano perché i dèmoni distruggono la pila con delle verghe2°. «Gli shogi? Sostengono che servano ad esercizi di strategia, ma nessuno ha sentito dire che i generali Han Xin e Kong Ming abbiano mai praticato questo gioco. Si affidi il bastone di comando a un maestro di shogi e lo si impegni in battaglia : verrà subito sopraf­ fatto dai ryume dell 'avversario; i suoi keima si lance­ ranno all'attacco, ma si faranno prendere dai pedoni2 1 • «Gli esperti di incensi ? Fanno u n sacco di smorfie con aria da intenditori, come se governassero l'impero con il naso, si gloriano d'aver afferrato i segreti del mestiere vantandosi di essere onnipotenti e onni­ scienti in materia di profumi, ma in fin dei conti la loro arte è un divertimento da niente, e mi fa morir dal ridere vedere che reputazione di ill etterati di prima classe si fanno coi loro " sei paesi "22 • «Il tiro con l' arco in miniatura ? Si può scommettere che anche a far centro cinquecento volte su cento , al momento di mirare a un topo non serve a niente. Il gioco della palla ? Tutto quello che se ne ricava è la pancia vuota quando si ha finito, e il permesso di indossare un vestito fastoso avuto in premio, ma che bisogna pagare. I virtuosi di shakuhachi non sanno che trarre suoni lisci come peti di fanciulle dal loro stru­ mento, utile unicamente a fornire l'equipaggiamento 55

per i samurai che partono camuffati per mettere in atto la loro vendetta, con il solo risultato di perdere i denti23• Lo " yahhaa" dei suonatori di tsuzumi e il " tereterete te te " del tazko ? Per quanto uno possa diventare abile in ciò, tutto quello che se ne ricava non è che il piacere fugace di un suono che entra da un orecchio e esce dall'altro . Non è certo così che si riesce a immortalare il proprio nome. Lo stesso discorso vale per tutto ciò che la gente comune chiama arte: non sono che semplici trastulli da bambini. «Le uniche cose degne di essere apprese sono le scienze, la poesia cinese e giapponese, la calligrafia e la pittura a inchiostro : nient'altro. Tuttavia anche que­ st'ultime, se sono insegnate male, producono dei " confuciani sulle nuvole " o peggio ancora dei " conta­ dini letterati " che lavorano ai loro pozzi in kamishimo o che coltivano patate dolci in una scatola da attrezzi per accendere il fuocd4• Alcuni sono così intestarditi nella loro cieca adorazione per le ammuffite cartacce cinesi, che non sanno più disporre di loro stessi ed eccoli simili a quelle armature esposte il giorno del mushiboshi2�. Anche a battere ovunque, non c'è verso di far saltar fuori l'intelligenza dove non c'è. Il risul­ tato è che invece di elevarsi al di sopra della gente, ne precipitano al di sotto. Persone del genere sono chia­ mate " confuciani marci " o meglio ancora " confuciani flatulenti " . «Come ben si sa il miso che puzza di miso e l'intellettuale che puzza di cultura sono due cose insopportabiliu'. Dei lungimiranti Maestri, che se ne sono accorti, hanno cominciato a farsi beffe dell'am­ pollosità esteriore dei confuciani di epoca Song, ma anche essi stessi per raddrizzare le corna, uccidono la vacca . Tra la truppa dei loro seguaci, confuciani 56

allineati, alcuni salgono su di un choki e suonano lo hichiriki, altri accennano motivi cinesi sullo shami­ sen27, infine pare proprio che nel pugno dove avreb ­ bero dovuto tenere l'impero scuotano invece i dadi di un qualche gioco d'azzardo: che imperdonabili pal­ loni gonfiati ! «Tutto perché non si conosce la virtù della modera­ zione, e non ci si strappa i peli dal nasd8• La Cina è la Cina, il Giappone è il Giappone, il passato è il passato, il presente è il presente. Hai voglia a voler tenere come ideale il periodo delle Tre Dinastie : l'Etichetta e la Musica non sono più quelle di allora29• Era conforme alle buone maniere di quei tempi stare eretti a mani giunte, ma oggigiorno è impensabile starsene in piedi davanti ai nobili. E il capo villaggio che, per seguire la politica dei Saggi, volesse dividere i campi " a pozzo " si farebbe dare del cretino dai contadinP0• Con ciò non voglio dire che non si debba far ricorso allo studio e alla tecnica, ma senza un abile carpentiere che sappia il suo mestiere o senza una spada di ottima tempra e ben affilata, è difficile ottenere dei buoni risultati. «Per quanto mi riguarda, visto che non ero di indole cattiva, me ne andai a Kamakura e, proget­ tando di dedicarmi al bene dell'umanità, dall'angolo più oscuro di una casa sul retro me ne stetti a osser­ vare come avanzava il mondo, insinuandomi nel cam­ mino della vita simile a un 'anguill a o a un ghiozzo . Dopo che i T aira furono inghiottiti dal mare occiden­ tale, tutti si rallegrarono per i benefici che la pace avrebbe apportato. Ci furono ancora dei saggi, ma non si seppe più apprezzare quanto sapevano. Chi non aveva delle entrature presso gli Hojo o i Kajiwara non poteva far carriera. 57

disse Asa­ noshin, e quelli a fargli un'accoglienza davvero gran­ diosa con mille regali. Due o tre giorni dopo gli dissero : «Andiamo a fare un picnic», e lo fecero 88

montare su un palanchino . Lo portarono in un luogo affollatissimo, e poi in un locale chiuso ai quattro lati da grate di giunco, dove lo misero su una predella, e ritmando il tempo su flauti e tamburi dalle forme st rane, si misero a scandire a voce altissima : «Esibi­ zione di un giapponese vivo, un leggiadro ometto, un minuscolo coso che si può far camminare sul palmo della propria mano. Non è un automa, né un uomo artificiale : è proprio vivo e vegeto come lo vedete. Sensa . . . zzzionale ! Sensa . . . zzzionale ! »28• Giovani e vec­ chi , uomini e donne erano n a spingersi e spintonarsi per vedere lo spettacolo, senza un attimo di sosta. Tutti si sbellicavano puntando il dito verso di lui. Asan>. Com­ mosso sino alle lacrime, tirò fuori la principessa dal­ l' inro e la rimise dove l'aveva presa. «Che storia incresciosa ! ». Rimontò sul suo ventaglio di piume e se ne volò via verso nuove avventùre.

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LIBRO QUARTO

Incurante di tutti i passati avvenimenti, Asanoshin riprese le sue scorribande aeree sul ventaglio piumato e, giunto a un largo fiume che si snodava da nord a sud, si posò sulla riva. Tra la vegetazione che cresceva nei paraggi ve ne era di forme insolite e persino l'acqua del fiume aveva un colore inconsueto . «Ecco delle belle storie da raccontare al mio ritorno - si disse. - Proviamo a passare a guado». Ma all'idea che non sapeva nemmeno quanto fosse profondo il letto del fiume, ci ripensò e, appoggiato al ceppo di un pino, preferì attendere che qualcun altro attraversasse. Lasciando errare lo sguardo, vide nel bel mezzo del fiume quattro o cinque uomini che passavano a guado c l'acqua arrivava loro appena alla cintola. Ne dedusse che il fiume era meno profondo di quanto pareva e, ri mboccatosi le vesti, tentò la traversata. Ma il fiume pe scava più di dieci piedi; travolto, malgrado i suoi sfo rzi, dalla violenta corrente, sballottato dai flutti, ora a ga lla ora sottacqua, si trovò in pericolo di morte. Allora fece di nuovo ricorso al ventaglio di piume: lo 93

calò sulle acque vorticose e queste si ritirarono in tutte le direzioni, tanto che raggiunse a piedi la riva opposta come se camminasse sulla nuda terra. Tutto bene, ma . . . e quella gente che prima stava guadando ? Diede un'occhiata attorno e capì: era il Paese dei Gambalunga1 • I suoi abitanti avevano il corpo di dimensioni simili a quelle dei giapponesi, ad eccezione delle gambe, lunghe ben più di quattro metri ; non c'era quindi da meravigliarsi che la cor­ rente non li avesse trascinati via. Tuttavia, essendo stati testimoni del potere magico del ventaglio d' Asanoshin durante la traversata, i Gambalunga si riunirono per tramare il modo di portarglielo via. A essere troppo precipitosi si rischiava di rovinare il piano, e si rivolsero quindi ai loro vicini, i Lunghebraccia, dalle braccia anch'esse lunghe ben più di quattro metri, che facevano del ladrocinio il loro mestiere. Nel frattempo, Asanoshin, del tutto all'oscuro di tale macchinazione, stanco morto per le fatiche della perigliosa traversata, si riposava in una locanda lungo la strada. Lungo disteso dietro a un paravento nella sua stanza d'affitto era immerso in un sonno pro­ fondo, immemore di ogni cosa. Ma d'un tratto, che è . . . ? Un rumore lo svegliò : e che vide? Da una piccola botola sopra la sua testa, un braccio magro e lunghis­ simo si fiondò, afferrò il ventaglio e scappò via. «Ehi là, furfante ! Non avrai il mio ventaglio. Ti farò vedere io come Watanabe no Tsuna trattò tempo fa il dèmone Ibarakidoji nei disegni di Toba ! »2 • Estrasse la daga e fece a fette il braccio del malfattore. Grande tumulto ovunque : tamburi d'assalto, urla di guerra tali da scuotere cielo e terra . «Ahi, ahi, si mette male», pensò Asanoshin ; raccolse le forze e si 94

precipitò fuori a dare un'occhiata. Miriadi di Gamba­ lunga con sulle spalle miriadi di Lunghebraccia l' insieme di gambe e braccia raggiungeva i nove metri - formavano una folla che lo circondava a ranghi serrati dieci, venti volte, come riso , canapa, bambù o giunchi Per quanto grande fosse il magico potere del ventaglio, era possibile che anche a librarsi nell'aria Asanoshin venisse arpionato . «È certo il momento più critico della mia vita» si disse e, rivolta in cuor suo una preghiera al sennin, si slanciò sugli avversari colpendoli a dritta e a manca sugli stinchi con il ventaglio. I Gambalunga, resi ancora più vulnerabili dal peso dei Lunghebraccia che avevano a cavalcioni, vennero stesi uno dopo l'altro, quali pertiche di bambù abbattute. Quelli che rimasero in piedi tenta­ rono tutti insieme di afferrarlo stendendo le lunghe braccia, ma dato che il loro unico pregio era la stravagante lunghezza ed essi le agitavano con goffag­ gine, Asanoshin, scivolando a destra e schivando a sinistra, sfuggì loro : e così bene che alla fine tutte le miriadi di Lunghebraccia e Gambalunga finirono a terra, sino all'ultimo. A cavalcioni sul ventaglio che lo riportava tra le nubi, guardò in giù e vide i Lunghe­ braccia che arrancavano ogni dove, culo all'aria. Ma i Gambalunga, loro, non possono rialzarsi da soli, e c osì portano alla cintola un tamburo da battere una volta caduti a terra. In genere, in risposta al richiamo, gli altri accorrevano da lontano per tirarli su con delle carrucole, come si fa con l'albero mastro di una grande nave, ma questa volta, visto che tutti er a no a terra, nessuno poteva venire in loro aiuto, e li vide contorcersi in mille modi, impossibilitati a rimettersi in piedi . Al pensiero che se li abbandonava alla loro sorte sarebbero morti di fame, agitò sopra di .

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loro il ventaglio : i Gambalunga si rialzarono di colpo , l' aria attonita. Li piantò lì e proseguì il suo volo : dopo aver percorso quattro o cinquemila leghe giunse a un altro grande paese, detto dei Pettiforati. Tutti i suoi abi­ tanti, uomini e donne, senza eccezione alcuna, ave­ vano un foro in mezzo al petto. Al punto che le persone di qualità per spostarsi non usavano il palan­ chino né altro mezzo, ma una pertica veniva passata attraverso quel foro ed erano trasportate così, senza che ne risentissero alcun danno. A ogni angolo di strada, dei villani , stanga in mano, attendevano i clienti al varco. Appena ne scorgevano uno, eccoli urlare : «Pertica ! Pertica ! » , proprio come in Giappone si grida: «Palanchino ! Palanchino ! » . Anche Asano­ shin avrebbe voluto farsi trasportare in quel modo, ma come fare visto che non aveva il foro sul petto ? Mano a mano che si addentrava nel paese, gli abitanti si facevano più numerosi e vi era più movi­ mento. Tuttavia - cosa ben normale in tutti i paesi barbari - gli indigeni avevano un aspetto rozzo . Vedendo Asanoshin, nobili e popolani, uomini e donne, accorsero in gran numero . «Guarda un po' - si dicevano. - Che aspetto straordinario ! Possibile che esista un uomo del genere ?» e la folla non diminuiva. I giorni passarono e la voce si sparse sino ad arrivare agli orecchi di Sua Maestà Grandeforo), sovrano del paese, che mandò un suo dignitario per far venire Asanoshin a corte. Quando vi giunse, tutti i cortigiani ammirarono il suo bell'aspetto . Ora, Sua Maestà, che non aveva eredi maschi, era padre di una fanciulla di sedici anni appena. Colpiti dalla bellezza di Asanosh in , Sua Maestà e la Principessa furono d'accordo per eleggerlo genero e marito e affidargli le 98

re dini del paese. Vennero convocati anche i cortigiani per metterli a conoscenza del progetto : non tutti erano dello stesso parere ma alla fine, visto che era un ordine del Re e che Asanoshin era il fidanzato della Principessa, s' applaudl alle nozze. In fretta e furia lo si mandò a cercare : le dame di corte si affollarono per aiutarlo a indossare gli abiti da cerimonia, lo accompa­ gnarono in una sala, la veste imperiale ornata di broccati multicolori, costellata d'oro e di gemme, fu deposta su di un baldacchino, e ci si accinse a slacciar­ gli l'ohi. Ma al momento di rivestirlo con l'abito imperiale, cosa si vide? Niente buco nel petto ! Prese dal panico, le dame lasciarono cadere la veste e fuggi­ rono via, mentre nella sala vicina s'elevava un brusio di voci che protestavano : «Che sia un giovane di molte qualità, d'accordo, tuttavia ciò che il suo viso non lasciava trapelare è la sua infermità ! Niente foro sul petto : come farlo sovrano del paese ? Sua Maestà Grandeforo e la Principessa devono essere messi al corrente di ciò». Asanoshin, attonito, era lì in ascolto quand'ecco arrivare il Primo Ministro che gli fece : « Sensibile alla tua bellezza, il nostro Grande Re ha annunciato in un rescritto la sua decisione di acco­ glierti e di trattarti come un figlio . Tuttavia ora siamo venuti a sapere dalle dame. di corte che il tuo corpo ha una malformazione : non hai foro sul petto . Nel nostro paese invece, tutti gli uomini hanno un foro, quelli d'ingegno ce l'hanno largo, quelli senza ingegno pic­ colo e di conseguenza quest'ultimi non possono acce­ dere ad alte cariche. Quindi è inimmaginabile che uno come te, del tutto sprovvisto di foro, divenga Figlio del Cielo ! In queste condizioni l'accordo è annullato, e abbiamo ricevuto da Sua Maestà l'ordine di cacciarti subito fuori dai confini del paese. Non puoi restare un 99

giorno di più nel paese dei Pettiforati. Nessuna discussione e vattene di corsa ! » . Già i servi lo pic­ chiavano con dei bambù appuntiti. «Anche i legami matrimoniali sono così esili che smentiscono i primi accordi», pensò Asanoshin. E invano si palpò il petto : niente da fare. Il foro proprio non c'era, nem ­ meno uno piccolo. Rimontò allora sul ventaglio4 e via a visitare, oltre Ezo e le Ryiikyii, Moru , Chanban, Somondara, Bar­ nera, Harushia, Musukovia, Begii , Armenia, Arakan, Tenjiku, Oranda, e altre terre ancora come Utentsu­ koku, il Paese degli lnfatuati, i cui abitanti si accon­ ciano alla honda e fumano pipe d'argento, indossano haori corti e geta bassi, si divertono al ;Oruri, con lo shamisen e altro, s'invaghiscono soltanto di damigella Ohana, e le sono interamente devoti. Questo paese è tuttavia talvolta devastato dalle inondazioni e allora le attività che hanno ereditate dai loro padri, la loro residenza in città, i mobili, i vestiti, tutto è travolto dalle acque, e la sventura, ancora una volta, s'abbatte su di loro . Vicino a questo paese si trova l'Isola dei Gradassi. Le dottrine di kami, Confucio e Buddha non vi sono affatto rispettate. Gli indigeni hanno la pelle che sembra una stoffa tinta a chiazze ; gettano le loro reti di maldicenze e vivono di pettegolezzi che poi anne­ gano nel sake. Bere smoderatamente e andare a zonzo con aria da bellimbusti, ecco tutto quello che sanno fare. C'è un altro paese temibile. Si tratta del paese dei medici incompetenti, detto anche Paese della Ciarlata­ neria. La gente di questo paese in genere si rade tutta la testa, ma alcuni portano i capelli raccolti all'indietro in un ciuffo. Anche se ostentano il loro sapere e 1 00

pretendono di curare i malati, da un po' di tempo in qua si ritrovano ben sviliti. Appena .scorgono un libro, sono presi dalle vertigini, non riescono a stare seduti e non trovano mai un istante per studiare. Fare strada nel mondo, ecco il loro unico scopo. Dimostrarsi ossequiosi è loro innato ; l'inganno e l'adulazione: ecco le arti nelle quali sono invero maestri. Portano haori che sono più lunghi del kimono, hanno palanchini con stuoie più spesse delle aste dei portatori. Essere buf­ foni di professione, combinare matrimoni, trafficare coi denari altrui . . . soltanto per ciò corrono a destra e a sinistra. Il loro inro, della cui esteriorità solo si occu­ pano, risplende di rifiniture d'argento, ma delle medi­ cine che contiene non sanno proprio nulla ! Sono convinti che il goshitsu sia fatto con il ginocchio di una vacca, e al sentir nominare il kakushitsu si mettono alla ricerca dei pidocchi delle gru5 • Davvero, come dicono gli antichi saggi, quel paese è proprio il più ridicolo del mondo . Vi è ancora un altro posto, un paese spigoloso, tutto squadrato. Si chiama Paese della � ifolcaggine, ma è detto anche Paese degli Imbecilli . E popolato da tizi dalla faccia larga, che fanno risuonare ai quattro venti l'accento della loro terra d'origine, e che credono sia buona creanza rivolgersi in tono arrogante a quelli di altre regioni. Questo loro fare grossolano è odioso alle ragazze, tuttavia essi non si accorgono neppure tanto sono stupidi gli abitanti di quel paese - quanto esse si prendano gioco di loro . Scese anche in un paese detto Truffaldino . Al suo arrivo, gli abitanti, accorsi in gran folla, lo fecero salire sulle loro barche e a forza di remi lo portarono in un'isola detta l'Isola dei Dadi, dove tramavano di !asciarlo alla mercé di quelle «belve dotate da uno a sei 10 1

occhi», e di spogliarlo di averi e vesti. Ma Asanoshin, comprese le loro intenzioni, se ne fuggì al più presto. E così, passando per prove diverse e molte disav­ venture, percorse, senza eccezione alcuna, tutti i paesi, tutte le isole del mondo intero. Alla fine, malgrado le magiche virtù del ventaglio , il suo vigore cominciò a vacillare, le gambe a farsi stanche, e allora raggiunse la Corea dove, per circa due mesi, si nutrì di ginseng in abbondanza. Poi scegliendo il paese ideale per ripren­ dere le forze, se ne andò nel Paese della Notte dove dormì per più di sei mesi6• Rimessosi dalle fatiche, inforcò di nuovo il ventaglio, puntò sulla Cina e raggiunse Pechino dove viveva l'imperatore Qianlong dei Qing7 • Era una città impareggiabile per la sua estensione e così fiorente da non poterla descrivere. «Andiamo a dare un'occhiata all'interno del Palazzo imperiale» si disse Asanoshin e si mise il ventaglio sulle spalle: d'un tratto persino la sua ombra scomparve, persino il suo riflesso nell 'acqua si fece invisibile . Sorrise soddisfatto . In pieno giorno attra­ versò il grande portale senza che nessuno se ne accor­ gesse. Vagabondò alla ventura e si infilò in tutti i padiglioni. Giunto al Quartiere delle donne, davanti a lui lo spettacolo di tremila dame di corte che facevano toilette: belletti rossi e bianchi, nubi di riccioli, foschia di ciglia, ,tutte così belle da sembrare gioielli messi in mostra. E ben nota la storia del sennin Kume che perse i suoi poteri magici solo per aver visto, al di sotto di un panno di cotone sollevato dal vento, le bianche gambe di una donna intenta a lavare al f�ume. Ma in mezzo a tali bellezze riunite, anche Sakya avrebbe sbavato una bava d'oro, e i grossi protube­ ranti occhi di Daruma si sarebbero ridotti a un filo . Inebriato, Asanoshin non intese più lasciare il Palazzo, 1 02

e nascosto in un angolo del Quartiere delle donne, ogni notte s'intrufolava in uno degli appartamenti delle dame. Ma la cosa si seppe. «Solo un fantasma sarebbe in grado di compiere tali misfatti» sussurrarono ministri e cortigiani, riuniti per discutere il da farsi. Non servì a niente disporre lampade in tutti gli angoli, mettere di sentinella uomini armati, nessuno scorse nulla. Ma le visite misteriose continuavano ed essi si chiesero : «Che il colpevole sia uno spirito dei boschi, delle paludi o dei torrenti? O che sia di quella razza di dèmoni che si dice siano così comuni in Giappone: quelli che si venerano all'Osakabe a Himeji o al santuario Akatenogoi, o i tanuki dalle palle così grosse da coprire otto !atami, o ancora una di quelle volpi dalle sette code8? In questo caso le armi non servireb­ bero a nulla : qui bisogna ricorrere agli esorcismi di venerabili monaci». Stavano lì a discutere senza accor­ darsi. Alla fine il Primo Ministro disse: «Che si tratti di uno spirito, d'un dèmone o di una divinità, in ogni caso, non dovrebbe lasciare tracce. E invece in certi posti nei giardini del Palazzo vi sono delle orme, è ben strano ! Ecco l'indizio che ci farà progredire nella ricerca. Aprite gli occhi, mi raccomando ! » . E fece spargere della rena finissima davanti a ogni porta. Guardie sorvegliavano nascosti quei posti, una torcia celata nella manica. Asanoshin , all'oscuro di tutti questi preparativi, mormorò tra sé : «Chissà che dorma il guardiano sulla via dei miei amori»9• Evitando gli sguardi altrui grazie al ventaglio, s'infilò alla cheti­ chella in una delle camere. Era del tutto invisibile, ma le orme che i suoi passi lasciavano sulla sabbia rivela­ rono agli uomini in agguato la sua presenza : e questi lanciarono le loro torce nella sua direzione. Prima che

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riuscisse a fare un gesto per fuggire, le fiamme Io avvolsero . Preso dalla disperazione, si strappò le vesti da dosso e se la diede a gambe, ma insieme alle vesti andò in cenere anche il ventaglio e il suo corpo nudo apparve di colpo, alla fine visibile a occhi umani. Le guardie si gettarono su di lui come un solo uomo, lo legarono come un salame, mani dietro il dorso , e lo trascinarono al cospetto dell'imperatore. È proprio il caso di dire : «Troppa felicità finisce in tristezza» 10• Le dame, che conoscevano la storia per aver scambiato con lui giuramenti segreti, bagnavano di lacrime furtive le loro maniche pensando che la sua sorte era ben crudele, ed erano molte quelle che fremevano per quanto le attendeva se la loro colpa fosse stata scoperta. Asanoshin fu quindi portato al giudizio dell'impera­ tore che, colpito dal suo aspetto , chiese : « Non sembri certo un malandrino . Perché sei entrato nel mio Quar­ tiere delle donne con simili sotterfugi ? » . Rialzata la testa, rispose : «Sono un uomo di Edo, città del Giap­ pone, e mi chiamo Fukai Asanoshin . Secondo le istruzioni del mio maestro, Furai Sennin, ho visitato tutti i paesi del mondo, proprio tutti, per rendermi conto dei sentimenti umani in ogni terra. Ma un giorno, entrato di nascosto nel Quartiere del Palazzo, sono rimasto così colpito dalla bellezza delle dame di questa Corte da dimenticare il mio primitivo scopo. Forse a causa del corruccio del sennin mio maestro, il ventaglio di piume, fonte del mio potere magico , è stato distrutto dal fuoco facendomi così perdere ogni potere. Ed eccomi qui, tutto per colpa mia, baka senza guscio 1 1 , esposto al ludibrio della gente. Dato che ormai lascerò di me un ricordo infamante in un paese straniero, supplico che la pena mi sia inflitta immanti­ nente» . 106

A tale franco modo di esporre le cose, l'Imperatore e i dignitari esclamarono : «E davvero un discorso fuori dell'ordinario», e per farsi raccontare tutto per filo e per segno, lo slegarono, lo rivestirono, e gli offrirono vino e cibo. Poi Imperatore, Principe eredi­ tario, ministri e dignitari si accomodarono di fronte a lui. Dietro, l'Imperatrice e tutte le dame di corte, per ascoltare tali meraviglie che non erano certo «le diva­ gazioni di un giapponese addormentato», avevano messo dei pezzi di carta nelle fessure delle stuoie di bambù per poter vedere e udire di nascosto12 • Finalmente a suo agio, Asanoshin per giorni e giorni raccontò le sue peregrinazioni nei vari paesi e descrisse nei dettagli gli uomini, le bestie, i monti e i mari di tutte le contrade. Soddisf�tto di quanto aveva udito, l'Imperatore commentò : «E proprio vero che il mondo è vasto, ma dubito che vi possa essere una sola grande montagna comparabile ai Cinque Monti del nostro paese'\> . «Come ha detto Vostra Maestà - proseguì Asano­ shin, - i Cinque Monti non hanno pari al mondo. Tuttavia nel mio paese natio, il Giappone, c'è una celebre montagna detta Fuji. La sua altezza supera di molto quella dei Cinque Monti. " I picchi dalle otto foglie s'innalzano al cielo, la neve che la copre non scompare mai, da qualsiasi punto la si guardi è un candido ventaglio all'ingiù che la copre " 14 : cosi è cantata in cinese ; e pure in giapponese la celebrano : " Non ci sono parole per descrivere le candide nevi del Fuji " . Dalla sua grotta fuoriescono i venti che rinfre­ scano i Tremila mondi, la sua neve, scivolando giù per i pendii, diventa shirozake dal gusto delizioso". Mon­ tagne come i vostri Cinque Monti non sarebbero neppure degni di portare i calzari al nostro Fuji» . 1 07

Molto sorpreso a un discorso del genere, l'Impera­ tore riprese: « Sin dai tempi in cui il pittore giapponese Sesshu, venuto dal tuo paese, dipinse qui quella mon­ tagna, avevo sempre pensato che paesaggi come la pianura di Miho che ora anche i cinesi conoscono, oppure Ukishima che rallegra il cuore, non fossero che menzogne d'artista, e che la realtà rappresentata da simili dipinti non valesse i nostri Cinque Monti16• Ma ora le tue parole mi dicono che il Fuji sorpassa tutte le montagne del mondo. Io che regno su più di quattrocento province e che ho tutto ciò che voglio, al solo pensiero di dovermi inchinare al Giappone, e soltanto per il Fuji, provo una stizza da non dire . Ho deciso quindi di mandare ordini in tutte le regioni del mio impero che legioni d'operai siano convocate per far loro erigere un monte Fuji, affinché con tale opera il mio nome passi alla storia . E visto che tu senza dubbio hai memoria esatta della forma della monta­ gna, ti perdoniamo la tua colpa e ti nominiamo Inten­ dente dei lavori . Prendi uno dei nostri Cinque Monti come modello, quello che vuoi, e costruisci un Fuji il più presto possibile»17• Tale fu l'ordine imperiale, ma Asanoshin replicò con rispetto : «Sono nativo del Giappone, e in quanto tale mi ricordo della forma del Fuji a grandi linee, ma non certo i dettagli . Se accettassi l'incarico che Vostra Maestà si degna di affidarmi e anche portassi a buon termine la costruzione del Fuji, potrebbe sempre suc­ cedere che il mio lavoro cadesse sotto gli occhi di un esperto : " Questo sito non è venuto bene, quella roccia è di troppo " , e, mi si darebbe del mastro bugiardo, un'onta eterna. E quindi assolutamente necessario che prima di tutto ritorni in Giappone, per fare un model­ lino del Fuj i. Ma anche questo deve essere fatto, non 1 08

c'è altro mezzo, con carta e colla che faremo venire da ogni angolo della Cina. Costruiremo così un Fuji in cartapesta con il quale copriremo la montagna che avremo elevata in Cina. Con ciò presumo che le differenze appariranno chiare». Non aveva ancora finito che il Primo Ministro, scuotendo il capo: «Tanto tempo fa - disse - all'epoca del primo imperatore dei Qin, fummo vittime di un truffatore di nome Xu Fu che ci fece credere che andava in cerca dell'elisir dell'immortalità sul monte PenglaP8• Ciò ci impone di non fidarci ciecamente delle tue parole. E inoltre, questo tuo progetto di costruire una grande montagna di cartapesta, con quello che costa la carta al giorno d'oggi, ma andiamo . . ! Non hai un'altra soluzione? » . Scuoteva la testa, il Primo Ministro, ma Asanoshin fece un passo avanti e disse : «Non dovete preoccuparvi di nulla. Le navi avranno a bordo soltanto sudditi di Sua Maestà. Come potrei quindi svignarmela o nascondermi? Per costruire il Fuji in cartone, conosco io un modo magico. Per la carta e la colla non avrete spese. Basta inviare in tutte le province e circoscrizioni della Cina un ordine di requisizione, e ne avrete quanta necessa­ ria . Se tuttavia quanto raccolto non sarà sufficiente, andrò a prendere le lettere che " Yugiri della Casa dei ventagli, vento d'amore del paese del sol levante" mandò a Fujiya Izaemon e ne farò della cartapesta per rispetto a Sua Maestà19• A ciò m'impegno, in modo onesto e veritiero : Io giuro sulla dea del sole, e il risultato non contraddirà in nulla le mie parole». Taie sciorinamento d'eloquenza fece molta impres­ sione sull'Imperatore e il suo seguito. «Ritroviamo in ciò l'antica saggezza degli uomini del Giappone. In fretta, si dia inizio ai preparativi» parlò l'Imperatore, e .

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in tutta la Cina giunse il suo ordine di radunare montagne di carta e di colla. Si raccolsero trecento­ mila grandi navi, che furono allestite giorno dopo giorno. Per tale compito furono reclutati non solo artigiani della carta e della stoffa, ma anche chi non era del mestiere purché fosse in grado di arrangiarsi. Diversi doni furono offerti a Asanoshin, e in più gli fu conferito il titolo di Gran Maestro del Fuji di Carta­ pesta. Quando tutto fu pronto, il giorno della partenza fu fissato dopo aver consultato gli astri e le trecentomila navi salparono tutte insieme: uno spettacolo d'una magnificenza senza pari .

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LIBRO QUINTO

La divinità nota come Fuji Gongen risiede nella provincia di Suruga, nel distretto di Udo. In quanto dea la si venera con il nome di Konohana Sakuyahime, figlia di Òyamatsumi no mikoto, nel santuario di Sengen1• I poteri reconditi degli dèi sono davvero infiniti. La notizia che in un paese straniero ci si accingeva a costruire un Fuji di cartapesta giunse rapida come un fulmine alla divinità. «Cosa ! - si mise a urlare. - Fare di questa illustre montagna di cui sono il guardiano una replica in terra cinese ! Che disonore per il Giap­ pone ! » . Si consultò segretamente con il venerabile dio Ashitaka, e quindi inviò di corsa le divinità dei fratelli Soga ai santuari d'Ise e di Hachiman da dove partì una convocazione a tutte le province del paese2 • Alla fine, sulla vetta del Fuji si raccolse una moltitudine infinita di ottocento miriadi di dèi : dopo aver discusso a lungo sul pro e sul contro decisero di attenersi a ciò che avvenne all'epoca dell'attacco dei mongoli : «Oggi come allora, bisogna dare ordini agli dèi dei venti e 111

delle piogge di andarsi ad appostare immediatamente sulle acque di Chikura per sbaragliare la flotta cinese al suo passaggio»3• Protestò il dio del vento : «Se mandiamo tutti sul mare di Chikura, nessuno in Giappone prenderà più un raffreddore, e i medie ! non avranno più occasione di guadagnarsi da vivere. E necessario che qualcuno di noi resti nel paese». Tale perorazione irritò molto gli altri dèi. « Se si fa una replica in cartapesta del nostro Fuji, il Giappone sarà disonorato per sempre. Davanti a un simile pericolo cosa contano le difficoltà dei medici ? Inoltre, in questi ultimi anni, i veri medici sono sempre più rari. Nella professione, non si vedono che fannulloni per nulla affezionati al loro mestiere : uno di essi, venditore di legumi, diviene Asazuke Takuan; un pescivendolo si fa chiamare lnada Anko , un pasticciere Sato Yokan, e il venditore di caramelle d'orzo, Amai Gyosen. Se questi emuli del fantastico Asabu Mokuan non fanno più affari, beh, come dice il proverbio " il coccio ritorna alla madre terra " ed essi riprenderanno a fare il loro primitivo mestiere piuttosto che morire di fame4 • Scemenze del genere non sono neppure da prendere in considera ­ zione. Se le navi cinesi fanno vela per il Giappone, che gli dèi della pioggia e del vento si scatenino, che il dio della grandine e quello della tempesta si uniscano a loro, e con il boato di fagioli scagliati contro il bat­ tente di una porta' , rapidi provochino la distruzione della flotta nemica ! » . In risposta a quest'ordine veemente, gli dèi della pioggia, del vento, della grandine e della tempesta formarono cumuli di cirri e nubi, e giù a dirotto . Nel frattempo i cinesi, all'oscuro del complotto , veleggia­ vano sui bianchi marosi e sulla spinta del vento si 1 12

stavano avvicinando al Giappone. Ma d'un tratto erano attesi ovviamente - nere nubi da ogni parte dell'orizzonte oscurarono il cielo : non c'era più tempo per invertire la rotta. Mentre la moltitudine di cinesi veniva sballottata su e giù, vento e pioggia si scatena­ rono, radunarono tutte insieme le trecentomila navi e le distrussero d'un colpo. I cinesi tentarono invano di tuffarsi in mare e di far ricorso alle loro capacità natatorie, anche la carta e la colla ammassate nelle trecentomila navi erano finite in mare e vi formarono, per quanto vasto fosse l'oceano, un ammasso viscoso come il tino di una cartiera . I naufraghi, simili a mosche, finirono impaniati nei flutti e trovarono una ben misera morte in quella salsa bianca. Ma ecco il prodigio : forse perché aveva un giappo­ nese a bordo? Fatto sta che la nave dove si trovava Asanoshin non subì alcun danno da un tale scatena­ mento di pioggia e vento. Trasportato a casaccio qua e là dai venti, il veliero abbandonato a se stesso andò alla deriva giorno dopo giorno . Viveri e acqua comin­ ciarono a scarseggiare, e mentre allo stremo delle forze gli uomini guardavano i marosi, d'un tratto apparve un'isola. Rinati, si misero ai remi e giunsero �ll'Isola delle donne : nessun maschio su quella terra6• E abitata solo da donne. Quando vogliono un figlio, si pongono nella direzione del Giappone, sciolgono l' obi, si espongono al soffio dei venti e cosi restano incinte, di femmine come loro. L'isola ha un sovrano, ma è sempre una donna . Le leggi del paese stabili­ scono che quando dei naufraghi giungono all'isola, nel momento in cui pongono piede a riva, tutte le abitanti vadano ad allineare i loro zori sulla sabbia. E l'uomo diviene lo sposo della proprietaria degli zori che ha calzato. Questa è la legge: ma l'isola è così solitaria, 1 13

così lontana che sino a quel momento non vi era giunto nessuno. L'arrivo della nave fu quindi accolto con urla di giubilo, quasi fosse un dono del cielo . Tutte le abitanti accorse sulla riva s'affrettarono a deporvi i loro zori. Mentre Asanoshin e quei cento e passa cinesi che erano con lui infilavano ciascuno un paio di zori, contenti di ritrovarsi sulla terraferma, le rispettive proprietarie si awinsero ognuna al proprio futuro sposo facendo trasparire la gioia in discorsi del tipo : «Dimmi, avresti mai trovato in Cina un partito simile ? » . Ma quelle che non avevano avuto fortuna, fecero un tal baccano che l'imperatrice del paese mandò delle funzionarie sul posto, le quali fecero salire tutti i nuovi venuti su dei palanchini, dichia­ rando che servivano allo Stato, e li portarono all 'in­ terno del Palazzo Imperiale7 • Dapprima le donne restarono di stucco come se avessero loro trafitto l'ombelico in una notte buia, ma ben presto si ripre­ sero e si misero a confabulare : «Tutte le abitanti di quest'isola , nobili e plebee, hanno un uguale desiderio d'uomo. Che crudeltà il sentirsi autorizzata a portarci via i nostri uomini sino all 'ultimo solo perché è rive­ stita del prestigio reale. Non c'è più ragione di vivere ora ! » . Messesi così d'accordo , strinsero un patto e si diressero sotto le mura del Palazzo dove cominciarono a urlare : «Restituiteci i nostri uomini ! Altrimenti abbatteremo la porta e vi daremo una buona lezione. Non siamo né Tomoe né Hangaku, così famose in Giappone, ma la volontà delle donne ha la forza di frantumare la roccia»8• Questo reclamavano , e la loro collera riempiva il cielo e la terra . Ciò mise in forte imbarazzo l'imperatrice che tenne consiglio sul da farsi. Allora parlò Asanoshin: « Alla fin 1 14

fine, è solo a causa d'un centinaio di uomini che tutte le donne del paese si stanno azzuffando. Se essi si lasciano accaparrare da quelle in alto, scontentano quelle in basso. Se vanno con quest 'ultime, ci si irrita in alto . Una simile situazione non può che provocare disordini sociali. Ma io ho un'idea. In Cina, come in Giappone, esistono i cosiddetti " quartieri di donne di piacere " . Bisognerà che d'ora in poi, questi cinesi e io ci si adatti a metterei in mostra come le prostitute; come loro faremo commercio dell'amore. E quindi le abitanti di questo paese, nobili e plebee, potenti e umili senza distinzione, potranno farci visita e diver­ tirsi secondo il denaro che hanno. In questo modo né rancori né gelosie. Che ne pensate? » . Gli risposero che l'idea sembrava buona e, appena la decisione venne resa pubblica, fu approvata da tutte e le donne che si erano raccolte attorno al Palazzo tolsero l'asse­ dio e se ne andarono. Subito dopo, si scelse un posto adatto a nord della capitale, lo si recinse di un fossato e si iniziò a costruire file di edifici affinché non mancasse nulla : dapprima le case da tè e le case d'appuntamento, poi le botteghe di commercianti d'ogni tipo . A una delle entrate si eresse un portale, e per far sì che gli uomini parcheggiati all'interno non potessero fuggire, vi si mise, come ai posti di controllo, un guardiano . Finito tutto ciò, Asanoshin e i suoi cento e passa cinesi, divisi in gruppi di cinque e dieci, si misero in mostra alle finestre dietro le grate. Se fossero state donne sareb­ bero state chiamate prostitute o ragazze di piacere, ma visto che in questa occasione erano degli uomini a fare il mestiere delle cortigiane, li chiamarono prostituti o ragazzi di piacere. A quelli tra i più anziani che assunsero le funzioni di yarite, dato che si trattava di 1 15

uomini, si cambiò l'appellativo in torite9• Anche per tutto il resto , si prese per modello Yoshiwara. I prostituti furono divisi in classi, dai tayii sino ai koshi e ai sancha, e persino i più miserabili dei cinesi aprirono delle case «acchiappa-clienti» sulle rive del canale , dove erano stati relegati10• Per gli abiti si pensò a diverse soluzioni, ma alla fine, visto che la moda giapponese piaceva alle donne, si obbligò persino i cinesi a radersi la parte anteriore della testa e a raccogliere i capelli in un'alta crocchia, a indossare dei lunghi haori, a imbellettarsi di rosso e di bianco . Scesa la notte, a un segnale dato da una campanella, eccoli mettersi tutti in fila in mostra, alla luce delle lanterne. Allora le clienti, che da tempo attendevano questo momento, non staccavano gli occhi dalla grata «non sapendo dove cogliere l'iris>> 1 1 • Alcune donne salivano già al primo piano, e altrove la folla si accalcava compatta per vedere i gruppi che uscivano dalla case da tè o che entravano in quelle d'appuntamento - due accompagnatori e un ombrello , le lunghe falde dello haori buttate lì con negligenza, un lembo della veste in mano, a passettini rivolti all'interno . Dalla fondazione di quel regno non si era mai sentito nulla del genere e tanto meno si era visto. Per ottenere i favori dei ragazzi di piacere, le clienti si affollavano all a rinfusa, facendo a gomitate. lntender­ sela con uno subito dopo il primo incontro, discutere su chi se l'era accaparrato per prima, prendere appun­ tamenti per i giorni di festa : a poco a poco le clienti divennero esperte, appresero l'emulazione, la civette­ ria, e come equilibrare distacchi e rotture : usanze tutte che non erano affatto diverse da quelle che si possono constatare nel commercio con giovani donne. L'unica differenza con le solite prostitute era che qui non ci si 1 16

preoccupava della cerimonia della «riduzione delle maniche», né del primo annerimento dei denti 12 • All'inizio Asanoshin e i cinesi sguazzarono nella goduria di una simile vita e, convinti che nemmeno gli splendori del mondo celeste potessero essere parago­ nabili a ciò, si diedero talmente ai piaceri da dimenti­ care il loro paese. Poi, poco a poco, furono presi dal disgusto, e allora con il vento d'autunno che li riem­ piva di freddo, con le notti di pioggia, con le notti di neve, cominciarono a risentire di tutte le crude scorno­ dirà di un simile mestiere. Da quel momento, la sola vista delle clienti divenne loro odiosa, ma invano tentarono di respingere quelle per le quali non senti­ vano attrazione. A differenza degli uomini, noncuranti delle convenienze e dei pettegolezzi le donne s'ag­ grappavano, si lamentavano, piagnucolavano per delle notti intere, ed era ben difficile sbarazzarsene. Costretti al lavoro giorno e notte, i miseri, in meno di sei mesi, impallidirono, dimagrirono, e ben presto i loro accessi di tosse diedero il segnale al vento dell'a­ more che venne a prenderselil l : e così avvenne che i nostri cento e passa ragazzi di vita se ne andarono a continuare il loro mestiere nella Terra Pura d'Occi­ dente. 14 Che tristezza ! Tutto ciò che nasce è destinato a morire : è legge di natura. Effimera è la vita dell'uomo, simile alla rugiada o al bagliore di un lampo. Così dice il Buddha, e la presente disgrazia lo conferma. Tutte le abitanti dell'isola, travolte da un dolore senza pari, innaffiarono di lacrime le loro maniche ricordando che per loro erano state pronunciate le parole : «Tuo fi no all'altro mondo» . Errare notte dopo notte, questa è la legge dell'amore. Si leva verso l' alto il fumo della passione, ma invano brucia l'incenso a ricordare i 1 17

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defunti ; disorientati per le troppe porte usate, persino i fantasmi non sanno dove affacciarsi. Soltanto Asanoshin , chissà come, era sfuggito alla malattia, ed era quindi divenuto l' unico oggetto delle visite di tutte le clienti . Per soddisfarle, aveva diviso le sue notti e i suoi giorni in cinquanta parti durante le quali adempiva infaticabile il proprio lavoro . Era forse fatto di ferro ? La sua salute non ne risentiva affatto. Tuttavia, quando pensava seriamente al proprio destino aveva delle crisi di scoraggiamento . «Sono rimasto solo , senza neppure la speranza di venire riscattato1\ invano mi ammazzo di fatica : non ho awenire. Il gioco dell'amore, incantevole per molto tempo, a forza di ripetersi diventa odioso» continuava a dire tra sé e sé, tuttavia provava compassione per la sorte sia delle donne sia degli altri . A forza di star lì a rimuginare sulla vacuità delle cose terrene si era appisolato quando d'un tratto apparve, chissà da dove, Fiirai Sennin che lo colpì con il suo bastone di chenopodio . Asanoshin si profuse in scuse e si prosternò tutto mogio . Allora così parlò il sennm : «Su questa terra, ottenuto il successo e conquistata la fama, l'uomo si ritira 16; come le piante che, in pieno fiore a primavera e in estate, appassiscono in autunno e in inverno : è legge di natura. Fan Li se ne andò ai Cinque Laghi, Zhang Zifang si rifugiò presso Chi­ songzi : modelli, mai sorpassati n ella storia, di saggi che hanno saputo riconoscere il tempo dell'ascesa e il tempo del ritiro. Anche a possedere il cavallo dalle mille leghe, si ha un bel correre dietro la gloria se non si ha il proprio Bo Le17 • Stessa cosa sarebbe mettersi alla ricerca di ghiaccioli in una giornata d'estate. Così pure per il susino in serra : anche se gli spuntano dei 120

fiori, il colore è sbiadito, fievole il profumo e la sua gloria è effimera . Ancora, ammesso che un falco abile trovi un padrone, se questi s'ostina a nutrirlo col pastone dei passeri, bisogna che fugga dalla gabbia. E anche se ha in sé la forza di penetrare le nubi, se il suo corpo ha fame, tenderà ad accontentarsi di una man­ giata di semi triturati e quindi si ridurrà inferiore al passero o all'allodola. Un falco preferisce morire che mangiare un solo chicco di grano ; piuttosto che bec­ chettare sulle orme del suo padrone un pasto furtivo, deve lasciare questo mondo al più presto possibile18• «Quando si dice " nascondersi" non è detto che sia " nascondersi nel fitto della foresta " . I grandi eremiti vivono nel bel mezzo della città. Esiste più di un modo per nascondersi. Lo si può fare nella divinazione, nella medicina, nella poesia in cinese o in quella in giappo­ nese. Il luogo prescelto da Dongfang Shuo fu il Jinmamen19• Ti avevo detto : " Dopo aver ben osservato i sentimenti umani nell'universo intero, distaccatene e rifugiati nelle facezie " . Ma tu ti sei lasciato commuo­ vere ed ecco perché più di una volta sei caduto in difficoltà. Bisogna mischiarsi al mondo degli uomini come ci si immerge nella vasca di un bagno pubblico. Se si entra nell'acqua sporca non è certo per acqui­ sirne la sporcizia, ma per disfarsi della propria per mezzo della sozzura. Una volta fuori, dopo essersi risciacquati, il corpo è pulito. Chi applica questo principio nei suoi rapporti col mondo, anche se si trova a sfiorare dei corpi nudi o poco vestiti, perché dovrebbe restarne contaminato ?20 Allo stesso modo il loto non è offuscato dall'acqua fangosa nel quale si trova, per il fatto che la melma non intacca il suo candore. «Gli uomini tuttavia si lasciano sedurre dalle cose e 121

causano la rovina loro e della loro famiglia. Seduzione che non necessariamente è solo infatuazione per le donne di piacere. In ogni cosa, l'attaccamento è fonte di mali . Te ne sarai ben accorto, proprio tu che hai fatto il giro di tutti i paesi e di tutte le isole di questo mondo : ovunque si vada, tutto è sottomesso al princi­ pio delle Cinque Vie : signore-suddito, padre-figlio, marito-moglie, fratello maggiore-fratello minore, amico-amicd 1 • E ciò non avviene soltanto tra gli esseri umani. Con il loro modo di volare le api dimostrano che hanno dei prìncipi e dei sudditi. Il corvo che restituisce l'imbeccata ai genitori, e il piccione che se n� sta appollaiato sul terzo ramo al di sotto del genitore dimostrano che conoscono la cortesia filiale. Il gallo che esprime il suo amore alla femmina tenendo basse le ali, e i gatti in fregola senza vergogna testimo­ niano della Via degli sposi. Topi che ruzzano sul pallottoliere come fratelli , cani che fanno gruppo agitando la coda, sardine e giovani aterine che for­ mano branchi sotto il mare rappresentano la via dell'a­ mtctzta . «Così in tutto l'universo, in terra e in cielo , non esiste nulla di più sublime dell' insegnamento dei Saggi. Non ha quindi pienamente ragione il molto rispettabile lto a sostenere che il Lunyu sia il primo libro dell'universo?22 Tuttavia, persino nel Lunyu ci sono dei precetti che devono essere interpretati secondo le circostanze. C 'è scritto che non si deve bere alcol né mangiare carne secca acquistati al mer­ cato . Tuttavia, che io sappia, i nostri letterati non hanno mai gettato nei canali di scarico salmone salato di Echigo, sgombri di Suho, orecchie di mare allo spiedino, oloturie alla griglia . E tranne il sake dolce delle festività, non si è mai sentito che uno studioso 122

abbia fabbricato dell'alcol a casa sua. Il fatto è che la Cina non ha i nostri celebri venditori di sake d'Ikeda e d'Itami e, che, paese lontano dal mare, ignora lo squisito sapore dei cibi sotto sale. Inoltre, basti il fatto che in quel paese si mangiano maiali e cani per capire che nemmeno i precetti morali possono essere uguali ai nostri. Dicono che lo zenzero non va buttato, ma mangiato. Ma per l'etichetta giapponese, non si man­ gia la guarnizione di un'insalata di pesce. Alcuni nostri letterati, " rane cresciute in un pozzo "23, si lasciano trasportare dalla loro smisurata ammirazione per la Cina sino a chiamare il Giappone loro paese natio, la Barbarìa dell'oriente, e a diffondere ai quattro venti ­ al di là di og_ni evidenza - che la dea del Sole non è Amaterasu Omikami, bensì T ai bo, fondatore del regno di Wu24• Ma hanno un bel mettere in mostra una competenza del genere nelle lettere e nelle armi, e traspirare futilità in gergo fetido, se la loro pen­ sione in riso venisse misurata su quella di epoca Zhou, allora sì che si metterebbero a protestare con­ tro i Saggi ! «Qualcuno - si dice - sostiene che un paese non è sottomesso al gran numero di editti che vi sono affissi. Il precetto segue al disordine, la medicina alla malat­ tia. Le consuetudini della Cina, a differenza di quelle del Giappone, ammettono che si tratti con il Figlio del Cielo come fosse un prezzolato, e che lo si rimpiazzi ogni qualvolta non va più bene. " L'Impero non è di un uomo, l'Impero è di tutti "25 • Ecco l'impudente espressione che proferiscono senza tregua e di cui si fanno forti per arraffare l'Impero al loro sovrano . Proprio perché questo popolo era un mostro di vizi, i Saggi sono venuti a predicargli la morale. Il Giappone i nvece rispetta d'istinto le virtù dell'umanità e della 123

giustizia ; è questa la ragione per cui non c'è stato affatto bisogno di Saggi per vivere in pace. «La Cina, smidollata da una cultura troppo raffi­ nata, si è lasciata dominare dai tartari, e con quel loro codino tutti gli abitanti delle sue quattrocento e più province assomigliano ora a dei papaveri sfioriti26• Ciò non impedisce tuttavia che i cinesi si vantino di essere i " grandi Qing " e abbiano la puzza sotto il naso, codardi e imbecilli che non sono altro . Sin dai tempi antichi, anche il Giappone ha avuto le sue canaglie, come Kiyomori e Takatoki, ma essi non hanno mai tentato di farsi imperatori27• Quando in Giappone qualcuno osa mancare di rispetto all'Imperatore, anche a un bimbetto alto tre spanne, a rischio di apparire maleducato, gli vien voglia di protestare contro tale oltraggio. Sino a tal punto la gente di questo paese è perfetta nell'adempimento dei propri doveri nei riguardi del sovrano. Ecco perché non c'è paese al mondo dove " l 'Imperatore " sia a tutti gli effetti imperatore come in Giappone. «Non si vuoi dire con questo che le leggi della Cina siano tutte cattive. Ma quando le si vuole imporre senza tener conto dei costumi del posto, invece di adempiere al loro compito, esse nuocciono. Che per i giapponesi gli abitanti dell'Isola dei Pigmei non siano che delle bestioline, mentre i giganti esibiscono i giapponesi alla fiera, che nel Paese dei Pettiforati gli uomini senza foro siano considerati degli anomali, che Lunghebraccia e Gambalunga abbiano dei corpi mal equilibrati, tutto ciò serve a farci capire che i costumi differiscono da contrada a contrada. Il saluto indiano che consiste nel denudarsi la spalla destra e giungere le mani, lo stile di Ogasawara che si pratica in Giap­ pone28, discordano certo nei modi ma hanno in 124

comune quello di essere un segno di etichetta. Cosl come il carpentiere costruisce una casa tenendo conto delle persone che l'abiteranno, e la fa lunga o cona, grande o piccola, i Saggi seguono il criterio che le cose devono essere fatte a seconda delle circostanze. Il principio di una politica economica è d'incivilire i costumi, aggiungendo ciò che manca e sfrondando il superfluo. Bisogna cioè stare al passo coi tempi e adeguarsi ai cambiamenti. Non si spalma di colla il ponticello di un koto, così come la spatola del riso non serve da regolo. Tuttavia i gran dottori del giorno d'oggi compongono dei trattati d'economia che hanno tanto interesse pratico quanto degli esercizi natatori nel bel mezzo di un campo : e si ride a vederli sbalor­ dire il volgo con roba del genere. " Chi non ha rango adeguato non deve giudicare gli affari"29• Predicare la via dei Saggi dimenticandosi di questo loro insegna­ mento, è entrare nell'arena senza il perizoma da lotta­ tore. «In questo basso mondo ci sono anche dei letterati i quali, avendo affrontato dei lavori troppo difficili per il loro cervello solo per guadagno, finiscono per pro­ fessare delle eresie : come quello che voleva osservare il cielo attraverso il buco di un cannello o fondere una campana con un soffietto da cucina. Se poi per caso, come patate trasformate in anguille, riescono ad assu­ mere, magari solo per qualche dita al di sopra del culo, una parvenza da saggio, si dimostrano tosto sicuri della subitanea comparsa di unicorni e fenici di s econda classe per salutare tale mediocre aweni­ mento30. Sono ben numerosi nel mondo letterati di questo tipo. «Così, anche l'insegnamento dei Saggi, se passa tra le mani di confuciani pieni di vento che se ne incapric125

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ciano, induce più di una volta l' uomo in errore . In tutti gli altri campi, ancor più a ragione, l' attacca­ mento alle cose è fonte di grandi mali. Anche tu stesso, durante il viaggio che hai appena concluso attraverso i paesi di tutto il mondo per renderti conto dei sentimenti umani, sei giunto in Cina e sei pene­ trato nel palazzo imperiale dove ti sei perso d' amore per le dame di corte. E così il ventaglio ha preso fuoco e ti sei trovato in una ben difficile posizione. Ti ostinavi a pensare che non ci Josse piacere umano più grande di quelli d'amore. E per questo che ti ho inviato nell'Isola delle donne dove, assieme ai cinesi, hai costruito il quartiere dei ragazzi di vita. Ciò ti ha permesso di constatare di persona che il piacere dei sensi è insipido e attenta alla vita umana. Questo basso mondo è come un sogno. Scommetto che ti credi giovane, ma mentre te ne andavi a spasso per il mondo, ben settant'anni sono passati . Guarda, dai un 'occhiata al tuo viso», e gli porse uno specchio . Ed ecco ripetersi la nota storia di Urashima 1 1 : il giovane di una volta si era cambiato in un vecchio di ottant 'anni e passa. Il corpo scarno, il viso solcato da rughe, il mento appuntito, niente più barba né capelli alle tempie : la natura l'aveva quasi trasformato in un monaco. Sbigottito alla propria immagine, Asanoshin si guardò intorno ed ecco , d'improvviso , da lontano giunse una musica, uno splendore s'avvicinò folgo­ rante, una nuvola di porpora trasportò un qualcosa32 • In quell' istante, sentì che quel qualcosa gli si era posato nella mano destra : guardò meglio, era un oggetto di legno a forma di matsutake. Allora il sennin gli disse sorridendo : «Tempo fa, quando Kagekiyo si trovò in una situa­ zione critica, la dea Kannon del tempio Kiyomizu 128

prese il suo posto per salvarlo33 • Allo stesso modo, il tuo destino era di finire i tuoi giorni nell'Isola delle donne, insieme a tutti quei cinesi. Ma Kannon di Asakusa si è degnata di trasformarsi in un fungo di legno e di prendere il tuo posto. Quel fungo è proprio il coso che ora tieni in mano. A testimonianza della tua gratitudine verso la divinità, affrettati a tornare; con i caratteri " aspirare alla Via " , datti un nuovo nome : Shidoken. Nel recinto del tempio di Asakusa, radune­ rai della gente per far loro ascoltare delle storie comi­ che e poi, enumerando tutte le manchevolezze di questo nostro povero mondo, l' ammonirai come con­ viene. Se alle tue arringhe saranno presenti delle donne, faranno distrarre gli ascoltatori; e in quanto ai monaci sono degli arroganti. Che le tue parole siano quindi veleno sia per le prime sia per i secondi, tanto da farli fuggir�4• E adesso vai ! ». S'involò e Asanoshin credette di riuscire ad affer­ rare il bastone di chenopodio e di mettersi sulla sua scia. Illusione ! Si ritrovò, sbalordito, nel recinto del tempio d' Asakusa, appollaiato su uno sgabello circon­ dato da una cortina di giunchi. Giovani e vecchi, venuti al tempio per le loro devozioni, gli s'affollavano intorno, accovacciati su seggiolini di fortuna. Allora, con il suo fungo in mano cominciò a ritmare sul leggio : turo tum tapum, tum turo tapum, tum turo tapum . . . : «Udite, udite, la singolare istoria che vado a raccontarvi. . . Udite, udite, la singolare istoria che vado a raccontarvi . » . . .

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Autoritratto di Fukai Shinzo ( Shidoken ) 1 30

NOTE

LIBRO PRIMO

1 A causa della sua forma il fungo matsutake è considerato in Giappone un simbolo fallico e vi si fa spesso allusione in opere comiche. Del vero Shidoken si dice appunto che ne usasse uno di legno, lungo circa trenta centimetri, che batteva sul leggio per richiamare l'attenzione del pubblico e per sottolineare le battute più vivaci. (Si veda l'illustrazione di copertina). 2 Gli onnagata sono attori del teatro kabuki che recitano parti di donna, e che vi si immedesimano tanto da mantenere anche nella vita di ogni giorno atteggiamenti e intonazione di voce femminili. J Gli 1.0ri sono dei comunissimi sandali con l'infradito. L'autore intende qui indicare la gente più umile che si aggirava per la città e di conseguenza sottolineare la notorietà di Shidoken. 4 ( 1 688- 1758). Uno dei più celebri attori di kabuki sulle scene di Edo in quegli anni. Figlio del famoso Ichikawa Danjiiro 1 ( 1660- 1704) , prese il nome di Danjiiro n nel 1704 (Genroku 17) e quello di Ebizo nel 1735 ( Kyoho 2 1 ) . Era specializzato nello stile di recitazione detto wagoto. Hakuen era il suo pseudonimo letterario. ' Si tratta di Fukai Shinzo (Shidoken) nato nel 1 682 e morto nel 1765 . F u davvero monaco i n gioventù, m a poi ebbe vita avventurosa e solo negli ultimi anni si mise a «predicare» ad Asakusa davanti al tempio. Con i suoi sermoni burleschi accompagnati da una forte mimica tutta personale, contribui alla formazione del rakugo. Scrisse Motonashigusa, che Gennai riprese nel suo Nenashigusa ( 1763 ) . Alla sua morte, fu proprio Gennai a divenire la «celebrità» di Edo. 6 L'autore si fa beffe delle cosiddette storie dei moshigo, i bambini nati 13 1

Libro Primo per intercessione divina. La nascita di Asanoshin/Shidòken segue il con ­ sueto «rituale>>: la coppia che si ritira nel tempio e resta assorta in preghie­ ra per lunghi giorni, e il conseguente ottenimento della grazia da parte della divinità. Ma è il modo in cui ciò awiene, che rivela quale sarà il tono di tutto il racconto . 7 «Asa» è parte del toponimo Asakusa, dove sorge il tempio a Kannon; «shin» è suffisso per il rango più basso dei samurai. Shidòken («aspirare alla Via») è il nome che gli verrà dato alla fine delle sue awenture. 8 Hamayumi letteralmente vale «arco che sconfigge le calamità», ed è un talismano consistente di un arco, una freccia e un guerriero su una base di legno, donato ai ragazzi per l'anno nuovo. La dafne (yuzurrha) è un arbusto sempreverde usato per decorazione nella stessa occasione, e simbolo della trasmissione perenne degli averi di famiglia. I kagamimochi sono due mochi (focaccia di riso) rotondi, uno più grande dell'altro, so­ vrapposti e offerti sull'altare di famiglia. La festa dei ragazzi (tango no sekku) ha luogo il quinto giorno della quinta lunazione, e carpe di carta sventolano come stendardi a indicare l'arduo percorso che un ragazzo dovrà affrontare nella vi ta. I due vecchi sono i protagonisti del nodi Zea­ mi, Takasago, e simboleggiano eterno amore e longevità. 9 Il kamioki, che aweniva quando il bambino aveva tre anni, segnava la sua entrata nell'infanzia: ai capelli venivano applicate delle striscioline propiziatorie di carta bianca. Da quel momento li si lasciava crescere. Lo hakamagi aveva luogo al compimento dei cinque anni c consisteva nell'in­ dossare lo hakama (larghi pantaloni da cerimonia) per la prima volta . 10 Si tratta del primo segno del sillabario hiragana (i -ro -ha), mentre dal contesto si potrebbe immaginare che fossero veri e propri esercizi di cal­ ligrafia con ideogrammi. Il segno «i» assomiglia vagamente a una paren­ tesi ton da, aperta e chiusa. 11 Dopo aver ironizzato sulle qualità confuciane ritenute fondamentali, Gennai prepara il terreno per la tirata che Furai Scnnin farà poi contro le «arti d 'intrattenimentm> (geino) , contrapposte alle occupazioni «serie» alle quali un bunjin si dedica quali la calligrafia, i classici cinesi e così via. 12 Citazione da una poesia di Saigyo ( 1 1 1 8 - 1 190): hanami ni to l muretsutsu hito no l kuru nomi zo l a/ara sakura no l to ga niwa arikeru ( Gyokuyowakashii [ 1 3 1 2 ] , Haru, 2 ) . (A vedere i ciliegi in moltitudine accorre la folla, è tutta colpa dei fiori) . u L'esempio è tratto dal Mengqiu, u n a raccolta cinese d i detti c episodi di personaggi famosi di epoca Tang attribuita a Li Han, a sottolineare che l'ardore di un giovane studioso non ha ostacoli, come Sun Kang che stu­ diava al lucore della neve e Che Yin a quello di insetti fosforescenti. 1� Le due citazioni sono dallo Tsurezuregusa: «Quando sono solo c ho tempo libero, seduto davanti al calamaio ... » (Introduzione) e «Non c'è nulla di più rasserenante che sedere presso un lume con un libro aperto e far conoscenza con coloro che son vissuti nei tempi andati» (scz. 13 ).

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Libro Primo Riferimento al Taketori monogatari (x sec.). La volpe e il tanuki (una specie di tasso) sono animali che nel folclo­ re giapponese hanno poteri soprannaturali (vedi Libro Quarto, nota 8). 1 7 Un sennin (lett. «eremita/anacoreta») è un uomo che dopo lunghe pratiche d'ascesi nei recessi dei monti acquista poteri magici. Il sennin del testo è Fiirai Sennin, alter ego di Gennai di cui ricalca, nel nome, lo pseu­ donimo Fiirai Sanjin da questi scelto quando si dilettava di letteratura. 1 8 I.: era Genryaku copre gli anni 1 1 84-85 . Le guerre tra le casate dei Taira e dei Minamoto ebbero luogo dal 1 1 80 al 1 1 85 e videro alla fme vincitore Minamoto no Yoritomo, appoggiato dal fratello Yoshitsune (vedi più avanti nel testo). Il conflitto diede spunto a numerosi poemi epici. Yoritomo stabilì nel l l 92 il governo militare (baku/u) a Kamakura e divenne il primo shiigun della storia giapponese. 19 Gli altri esempi di potere preso con le armi citati da Fiirai Sennin fanno ancora ricorso alla storia cinese. Gaozu è il fondatore della dinastia degli Han Occidentali (206 a.C.-9 d.C.), e l'episodio della spada (lunga tre chr) è narrato nello Shi;i" di Sima Qian. Chen She, re di Chu, fu a capo di un'insurrezione contro lo strapotere dello stato di Qin. 20 In questa tirata di Fiirai Sennin contro le arti d'intrattenimento che non sono consone agli uomini di cultura, i giocatori di go sono paragonati ai bambini defunti di cui la tradizione dice che, condannati per le loro mancanze di pietà filiale a stare sulle rive di un fiume secco, un rigagnolo giallo di zolfo, il Sainokawara, vi devono formare delle montagnole di sassi che i dèmoni in continuazione demoliscono. I giocatori di go si com­ porterebbero allo stesso modo, rimestando le pedine senza scopo alcuno. Alla fine i bambini sono salvati dal loro protettore, il bodhisattva Jizo. 21 Il gioco degli shogi è in parte simile ai nostri scacchi. I.: autore attri· buisce termini del gioco a una vera battaglia, con intento chiaramente denigratorio. Han Xin fu generale dell'imperatore Gaozu degli Han Oc­ cidentali (206 a.C.-9 d.C.) e Kong Ming fu un famoso stratega dell'epoca dei Tre Regni (220-266). Il frequente ricorso a esempi presi dalla classicità cinese rende il discorso del sennin più pomposo e credibile. 22 Gli esperti di kiidii («via degli incensi») parlavano dell'esistenza di sei lontani paesi dai quali provenivano diverse specie di aloe: Rakoku, Kyara, Manaka, Manaban , Sasora, Sumotara [?Sumatra]. Gli intellettuali come Gennai , che non trovavano traccia di tali paesi nelle loro mappe, si facevano beffe anche di ciò. 2J Qui Gennai mette alla berlina dapprima i nobili che per vanità s 'im· pegnano nel gioco della pall a e come premio hanno la gentile conces­ sione del signore di pagarsi il costoso abito da cerimonia che potranno poi esibire; quindi i samurai che per portare a termine la loro vendetta si travestivano da monaci mendicanti (komuso), e giravano per il paese na­ scosti da un largo copricapo di bambù e suonando lo shakuhachi. Una credenza popolare sosteneva che a suonare lo shakuhachi si perdevano u 16

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Libro Primo tutti i denti. 14 Il primo riferimento è a lto Jinsai ( 1 62 7- 1 705 ) , intellettuale confu­ ciano, noto per la sua vita austera. Il kamishimo è abito da cerimonia, in genere usato dai confuciani nelle loro lezioni pubbliche. Il secondo riferimento è a Aoki Kon vo ( 1 698- 1 769 ) , studioso di cose occidentali e noto per aver suggerito al!� shogun Tokugawa Yoshimune di imponare in Giappone la coltivazione della patata dolce o batata (satsumaimo) . Gennai pare ritenere buona l'intenzione, ma insignificante per risolvere i problemi del paese. L'espressione usata si rifà al proverbio > (in quanto si pensava che i dèmoni venissero dalla Corea) per chi si appresta ad affrontare un anno «nefastO>> secondo il calendario zodiacale. Il baku era di origine ci­ nese, una grossa bestia-mostro che si diceva divorasse tutti i cattivi sogni. Non è un caso che Gennai ironizzi proprio su questa credenza, data la provenienza continentale. La nave dei tesori (takarabune) portava i sette dèi della buona fortuna, dei quali abbiamo già incontrato Ebisu e Daikoku. 48 Riferimento a una nota storia cinese, nella quale il protagonista vede in sogno tutto l'arco della sua vita nel breve tempo che si cuoce il riso. Lo stesso argomento è trattato nel no di Zeami, Kantan. La storia fu ripresa molte volte dalla letteratura popolare di Edo adattandola ai tempi (ad es. in Kinkin sensei eiga no yume [Il sogno di splendori di mastro Kinkin], 1775, di Koikawa Harumachi). LIBRO TERZO 1 Rielaborazione in chiave comica (presente anche in altre opere dd periodo Tokugawa) del mito della nascita del Giappone e della prima

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Libro Terzo unione tra le divinità lzanami e lzanagi, come sono narrate nel Kojiki (Libro 1, sez. 3 ) e nel Nihonshoki (Annali del Giappone, 1, 10). 2 Più che di una diga vera e propria si trattava di un terrapieno, di un argine, detto anche Nihonzutsumi, attraverso il quale si giungeva all'en­ trata di Yoshiwara. } Allusione a un famoso haiku di Basho: «hana no kumo lkane wa Ueno ka IAsakusa ka» (Nube di fiori, una campana: Ueno? Asakusa?). 4 Le donne di Yoshiwara usavano apporre alle loro lettere indirizzate a clienti abituali o protettori, le parole kayou kami (lett. «divinità dei pendolari») affmché venissero protetti nei loro andirivieni. L'Emonzaka era un leggero pendio (saka) che scendeva dal Nihonzutsumi a Yoshiwara, lungo il quale si diceva i clienti si riassettassero gli abiti (emon). � La Via principale (Naka no cho) attraversava Yoshiwara da est a ovest. Tutto il discorso del padrone fa �iferimento, con giochi di parole, ad alcuni dei quartieri più noti come Sakaimachi (Quaniere dei confini) e sakat (demarcazione) , Kyomachi (Quaniere della capitale) e kyo (oggigiorno) , Sumimachi (Quaniere Sumi) e sumu (finire) ecc. L'ora dell'«esposizione» era il momento in cui le conigiane andavano a disporsi in mostra dietro le grate in attesa dei clienti. 6 Citazione da uno waka di Yoshimine no Munesada (Henjo) : amatsu­ kaze lkumo no kayoiji l /ukitoji yo l otome no sugala l shibashi todomemu (Vento celeste, ferma il passaggio attraverso le nubi: trattieni qui per un po' le figure di queste fanciulle; Kokinshu, 872 ) . Composta da Henjo ricordando le danzatrici gosechi di epoca Heian, le cui danze si facevano risalire a quelle di creature celesti che l'imperatore Tenmu aveva visto sul monte Yoshino. Tali accostamenti sono molto frequenti in Gennai. 7 Si credeva che nel decimo mese tutti gli dèi si radunassero a Izumo per annodare i legami matrimoniali tra gli uomini. In tutto il resto del Giappone, lo stesso mese è detto kannazuki (mese senza dèi). 8 Gu Kaizhi (jin orientali, rv-v sec.) celebre pittore e studioso cinese. Molto versatile, eccelse nei ritratti. Noto anche perché mangiava la canna da zucchero dalla radice in su dicendo di avvicinarsi cosl, per gradi, ai «luoghi di delizie». Sui è termine che connotava l'esperienza innata dell'uomo a proprio agio nei quanieri di piacere, abile in ogni occasione e sempre padrone della situazione. 9 Dopo aver fatto dire a Asanoshin che per godere delle belle ragazze bisogna essere in giovane età, lo trasferisce a Sakaichéi, nello Shitamachi, vicino a Nihonbashi. Nella zona di Sakaichéi si trovava uno dei tre grandi teatri di Edo, il N akamuraza. I prostituti erano tutti giovani attori di kabuki, che indossavano un soprakimono (lo haort) dalle lunghe maniche. La banda di stoffa o calotta (ebosht) viola serviva a nascondere il taglio di capelli maschile, e veniva poi in pane ricopena dall'acconciatura femminile usata dagli onnagata. L'accenno al «colore autorizzata>> è un'allusione a un'antica ordinanza della eone di Heian che regolava i colori secondo i titoli.

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Libro Terzo 10 A Kobikicho, il quartiere dei segantini (attuale Higashiginza, zona dei teatri di kabukz) , c'era il Moritaza, un altro dei grandi teatri dell'epoca. Si è già accennato al tempio Shinmei ( Libro Secondo, nota 43 ) . Le , «doloroso, che fa male'h. Oppure «conversare tutta la notte a Nezu» in quanto nez.u può voler dire anche «non dormire'�>, o ancora «l'oriente che s'infiamma» e Akagi (aka significa «rosso"') . " I «posti di guardia» (tsujiban) erano quelli, illuminati, che presiede­ vano alle case dei dllimyo. Gennai intende che le varie case di piacere (qui definite isole delle donne), ill uminate anch'esse da lanterne, richiamavano, per analogia, tali tsujiban. Asanoshin avrà più avanti davvero un'avventura nell'Isola delle donne (Libro Quinto) . 16 Citazione dallo Shijing (ode 239) : «il falco vola nel cielo; i pesci guizzano nelle profondità . . . ». Nibbio e falco compaiono spesso nei pro­ verbi e nelle citazioni. Qui Gennai gioca su due ideogrammi per giungere a quello di yotaka (vedi nota successiv!l)17 . U giro di Asanoshin è completo. E sceso sin nei bordelli più abbrutiti: con « mostri mancati"' (bakez.okonaz) si indicavano le prostitute più repel­ lenti; le bikuni erano in origine monache itineranti, poi ridottesi all'ultimo gradino tanto che Gennai le paragona a tronchi che si fanno rotolare, e via . . ! Funamanju era un altro appellativo per prostituta di basso rango che operava su piccole barche (manju è una focaccia con un ripieno di pasta di fagioli dolci) ; yotaka vale «falco della notte». Queste ultime prendono il nome da una bettola, «Al falco della notte» , rifugio abituale di donne ridotte a maschere scavate dalle malattie e dal vizio. Lì si acconciavano in modo da essere «presentabili"' almeno nell'oscurità della notte. 18 Riferimento a un famoso episodio dello Heike monogatari (Storia degli Heike, 1 1 , 4). Durante la battaglia di Yashima ( 1 1 84 ) , Nasu no Yoichi riusd a colpire con una freccia l'emblema del sole levante su un ventaglio che era stato innalzato su una nave nemica. 1 9 Citazione dallo Tsurez.uregusa (sez. 9 ) : « . .Si dice che con una corda fatta con capelli di donna anche l'enorme elefante si lasci impastoiare, e che da un flauto fatto con uno zoccolo di donna il cervo autunnale venga irresistibilmente attratto». 10 L'Ise monogatari ( sez. IX) parla di un viaggio del protagonista Nari­ hira alle province orientali, ma il titolo citato è di sicuro un'invenzione. 1 1 Le località elencate si trovano tutte sul Tokaido, la grande arteria che univa la capitale, Kyoto, alle province orientali e lungo la quale sorgevano le cinquantatré stazioni di posta rese poi famose dalla serie di stampe ( Tokaido gojusantsugi, 1830) di Hiroshige. Si diceva che le donne di Kada, un porto nella penisola di Kii, fossero di costumi parecchio liberi, e che un remo posto vicino alla porta indicasse agli eventuali visitatori la presenza in casa del marito. .

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11 Shimabara era il quartiere di piacere autorizzato di Kyoto. Qui allusione a ka ryukai «mondo [kaz] dei fiori [ka] e dei salici [ryii] '�>, definizione data dal poeta di epoca Tang, Li Po. l giapponesi l'avevano rip resa e con il fiore indicavano la cortigiana, con il salice la geisha. Uno

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Libro Terzo dei primi «quartieri» di Edo all'inizio del xvn secolo, fu detto Yanagi­ machi proprio per i due alti salici (yanagi [lettura giapponese per ryu] ) che ne segnavano l'entrata. 21 Il brano che si inizia con «Visitò poi Gion . . . » è un ulteriore esempio di doppio testo, dove i giochi di parole offrono l'usuale lista di nomi di località (alla moda degli annaikt), legati tra di loro dalla parte narrativa occidentali) è più appropriato che prostituta. Diventare tayii richiedeva molte doti e di conseguenza il loro numero fu sempre abbastanza esiguo : 18 nel 1642 , 19 nel 1690, 14 nel 17 18, ridotte a quattro intorno al 1 740 e a una sola nel 1 75 1 . Seguivano molte altre «classi», tra le quali hashijoro, tsubone joro, sanchajoro, umechajoro (dove joro sta per prostituta), e poi giù giù sino alle ibaraki, le donne che catturavano da sole il cliente che passava per la strada. Il codice di comportamento vigente a Yoshiwara, infatti, contemplava regole molto precise ove i compiti assegnati dovevano essere rispettati. Anche in questo campo vi furono dei cambiamenti nel corso degli anni. Sino al 1760 il cliente usufruiva delle cosiddette « case di appuntamento», dopo quell'anno sostituite dalle « case da tè» che si incarica­ vano di tutto. La donna richiesta poteva essere o una «cortigiana» di gran fama che il cliente conosceva già per nome, oppure una joro vista durante l'esposizione lungo il Naka no cho. Ogni giorno, all'ora fissata, e al richiamo di una campanella, la maggior parte delle donne si metteva in mostra dietro delle grate di legno verticali ( come quando il nostro Asanoshin viene invitato dal padrone del bordello ad andare insieme ad «attendere l'ora dell'esposizione all'In­ crocio degli incontri [p. 82 ] ) » e i visitatori passeggiavano su e giù passandole in rassegna. Quando un cliente entrava nello Yoshiwara scattava un meccanismo che metteva in 161

moto una catena di persone: il padrone (o padrona) dello

hikitejaya ; l'incaricato che stilava un rapporto dettagliato

sul cliente da presentare alle autorità; l'intromettitore che andava a fissare la prescelta nella casa di appartenenza ; i servi che andavano a prenderla per scortarla; le giovani ragazze che formavano il seguito della donna (ovviamente più numeroso se era una tayu o una oiran) ; coloro che si occupavano di organizzare il banchetto e di fare in modo che il sake non mancasse mai nelle coppe; le yarite, alle quali era demandato di sorvegliare il comportamento sia delle «cortigiane» sia delle joro, e di denunciare ogni irregolarità (la loro stanza era posta in posizione strategica nella casa per osservare il viavai continuo) ; le inservienti della stanza dove i due si ritiravano e così via. Se era richiesta anche la presenza di geisha, bisognava mandarle a chiamare, e quelle arrivavano in gruppo di tre accompa­ gnate dalle giovani apprendiste che portavano lo shamisen, l'inseparabile strumento a corde, e da una servetta con la lampada di carta (kanban chochin) recante come contrasse­ gno il nome dello hzkitejaya. Era il padrone di quest'ultimo che si occupava di tutto e che presentava il totale (dove un complicatissimo giro di mance lasciava pure il segno) al cliente il mattino dopo. A sua volta, avrebbe saldato i conti con il padrone del bordello a cui la donna apparteneva e con tutti gli altri, ivi compresi guardie, esattori, portantinai, uomini dei risciò e una categoria tutta particolare, quella degli onnipresenti scrocconi, insediatasi stabilmente nel quartiere. Se la prescelta era una «cortigiana» la procedura era più complessa e più lunga in quanto il cliente poteva avere rapporti con lei solo al terzo incontro e sempre che la donna acconsentisse' . Era uso che una tayu (o oiran) non passasse tutta la notte con un uomo, ma ne visitasse diversi e la mattina passasse nelle varie stanze a salutarli. ' Il primo era detto shokai ( primo incontro), il secondo ura (dietro la facciata), il terzo na}i'mi ( intimità) .

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Anche le vesti, gli ornamenti, i pettini decorativi, le suppellettili delle stanze, tutto sottostava a un rigido ceri­ moniale, così come le feste che erano molto frequenti visto che si festeggiava sia quelle usuali sia quelle specifiche di Yoshiwara. Uno spettacolo grandioso era la grande parata delle «prime donne» per il Naka no cho, quando esse si offrivano agli occhi degli astanti in tutto il loro splendore ondeg­ giando dall'alto dei loro geta nella lenta camminata (detta uchi hachimonji, perché il passo strascicato «mimava» l'ideogramma del numero otto), precedute e seguite da giovani apprendiste, le kaburo o kamuro, che a loro volta sarebbero forse diventate oiran, e da servitori con stendardi e strumenti musicali. Lo spettacolo era tale che famiglie intere di chonin si affollavano apposta a Y oshiwara per ammirarlo. Si è parlato di geisha. Il termine, che significa «persona versata nelle arti di intrattenimento», «persona di talento», è antico, mentre è relativamente recente l'accezione con il quale è ora noto. Esistevano sia gli otoko geisha (uomini­ geisha) sia le anna geisha (donne-geisha)6: professionisti che intrattenevano durante banchetti e festini, ma che opera­ vano al di fuori dei quartieri di piacere (quindi non autoriz­ zati) e vi venivano chiamati solo all'occorrenza. Gli otoko geisha erano anche detti hokan, e si dividevano in due categorie: z.amochi e tazkomochi. I primi erano più versati nelle vere e proprie arti di intrattenimento, erano intenditori di ikebana, di cerimonia del tè, di incensi e suonavano diversi strumenti; i taikomochi erano buffoni di professione che rallegravano i convitati con facezie e motti di spirito, molto spesso a doppio senso, canti e danze 6 II termine geisha è formato di due ideogrammi: «gei» (talento, ane) e «sha» (persona), che son