Io Medium - Le testimonianze 9788899994815

"Io Medium. Le testimonianze" racchiude un ciclo di contatti avuti negli ultimi anni con uomini e donne che ha

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Io Medium - Le testimonianze
 9788899994815

Table of contents :
Colophon
Frontespizio
Introduzione
Indice
Prefazione
Le Testimonianze
Cap. 1 | Maria Vittoria
Cap. 2 | Edoardo
Cap. 3 | Alberto
Cap. 4 | Clarissa (I)
Cap. 5 | Damiano
Cap. 6 | Antonio
Cap. 7 | Papà di Eva
Cap. 8 | Michael
Cap. 9 | Raffaele
Cap. 10 | Clarissa (II)
Cap. 11 | Clarissa (III)
Cap. 12 | Flavio
Cap. 13 | Angelo
Cap. 14 | Gabriele
Cap. 15 | Leon
Cap. 16 | Carlotta
Cap. 17 | Gabriele
Cap. 18 | Cristina
Cap. 19 | Massi
Cap. 20 | Nicolas
Cap. 21 | Albert
Cap. 22 | Gianluca
Cap. 23 | Gabriele
Cap. 24 | Matteo
Cap. 25 | Morris
Cap. 26 | Matteo
Cap. 27 | Jacopo
Cap. 28 | Micah
Ringraziamenti

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Sonia Benassi

IO MEDIUM LE TESTIMONIANZE

Introduzione Ed eccomi qui, con una nuova pubblicazione a tre anni dall’uscita di Io Medium, che mi ha portato inconsapevolmente alla ribalta. Questo libro, come si evince dal titolo, è una nutrita e precisa raccolta di testimonianze di una piccola parte di coloro che mi hanno conosciuta in questi anni. L’urgenza di far conoscere a tutti ciò che potremo trovare nella dimensione parallela è stata sia mia che di chi ha voluto partecipare a questo mio nuovo lavoro. Mi è sembrato doveroso lasciare un’ulteriore traccia di ciò che sono e dell’aiuto che ho dato e che potrò ancora dare.

Buona lettura a tutti, SONIA BENASSI

Indice

Prefazione LE TESTIMONIANZE CAP. 1 | Maria Vittoria CAP. 2 | Edoardo CAP. 3 | Alberto CAP. 4 | Clarissa (I) CAP. 5 | Damiano CAP. 6 | Antonio CAP. 7 | Papà di Eva CAP. 8 | Michael CAP. 9 | Raffaele CAP. 10 | Clarissa (II) CAP. 11 | Clarissa (III) CAP. 12 | Flavio

CAP. 13 | Angelo CAP. 14 | Gabriele CAP. 15 | Leon CAP. 16 | Carlotta CAP. 17 | Gabriele CAP. 18 | Cristina CAP. 19 | Massi CAP. 20 | Nicolas CAP. 21 | Albert CAP. 22 | Gianluca CAP. 23 | Gabriele CAP. 24 | Matteo CAP. 25 | Morris CAP. 26 | Matteo CAP. 27 | Jacopo CAP. 28 | Micah

Prefazione

Dal disordine organizzato dei miei pensieri, sbucano ogni giorno ricordi che sembrano carezze e domande che esigono risposte. Cosa c’è dopo la vita? Nessuno di noi può saperlo con certezza. Io so solo che per il mio ultimo viaggio non voglio preti, preghiere e frasi di circostanza. Voglio solo una canzone a tutto volume. Inizia con un senso di quiete, come quando sei bambino e aspetti pazientemente la tua evoluzione. L’attesa dura alcuni minuti, il tempo di sorseggiare i ricordi della tua adolescenza riassaporando i passaggi che ti hanno scaraventato nel mondo degli adulti. Poi scatta l’assolo e uno tsunami si abbatte sulla tua mente, giusto per farti rivivere tutte le gioie e i dolori di un’esistenza trascorsa sul filo invisibile dell’utopia. La chitarra di Pat Metheny scava dentro l’anima riportando a galla lacrime, sorrisi e tutte le persone e gli animali che hanno lasciato un segno indelebile nei quattro angoli del cuore. Poi il finale, racchiuso nel titolo del brano “The Truth Will Always Be”. La verità sarà per sempre. La parola d’ordine ideale per spiegare le ali e affrontare con coraggio il lungo volo verso l’ignoto.

Con la speranza che qualcuno possa sentire l’eco delle mie piccole battaglie e il suono delle mie parole, che hanno quasi sempre avuto i colori delicati della coerenza. Cosa c’è dopo la vita? Per tanti anni il quesito ha avuto sempre la stessa risposta. Poi, osservando con curiosità la nobile missione di Sonia, nel disordine organizzato dei miei pensieri è balenata un’altra prospettiva. Così, lentamente, il mio disincanto si è sgretolato. Ultimo step: le testimonianze di questo volume. Pagine toccanti, dense di un dolore dignitoso. Un dolore che abbraccia la speranza e stringe patti con l’universo. Capitoli che raccontano lutti impossibili da elaborare. Perdite attutite dalle voci che risuonano dall’aldilà grazie al dono di Sonia. Cosa c’è dopo la vita? Oggi, alla fatidica domanda, rispondo così: ho la convinzione che il mio viaggio proseguirà. In altri modi, in altre forme, ma continuerà. E probabilmente conoscerò un mondo molto più vivibile di quello terreno. Un mondo pieno di anime candide, ispirate dal vento e orientate verso il bene comune. Renato La Monica, blogger e scrittore

LE TESTIMONIANZE

CAPITOLO I

Maria Vittoria

CI sono date che raffigurano il dolore, giorni che rimangono eternamente incollati alle pareti dell’anima. Sono date che rimbalzano nella nostra mente come palline da ping-pong, giorni che stringono patti con il destino, giusto per ricordarci la provvisorietà delle nostre esistenze. Le traiettorie imprevedibili del vento non riescono a spazzar via quella pagina dal calendario: 9 agosto 2019. Era un venerdì di piena estate, quando uno shock anafilattico chiuse la breve parentesi terrena di Maria Vittoria. Tredici anni e tanti sogni da rincorrere nei cortili spensierati dell’adolescenza. Lei, che insieme all’altra nostra figlia Maddalena, portava luce e allegria nelle nostre fortunate vite, dopo un pomeriggio passato in compagnia di sua sorella, dei due cugini e del suo migliore amico, ci lasciò nella nebbia della disperazione che accomuna tutti i genitori che perdono un figlio. Fino ad allora le nostre giornate passavano serenamente tra il lavoro e il tempo che riuscivamo a trascorrere con le nostre ragazze,

momenti magici e irripetibili che, fatalmente, rimpiangeremo per sempre. Ma la tristezza non ci impediva di farci domande, così ci chiedevamo: “Ma lei, adesso, dove sarà?”. La nostra non è mai stata una famiglia religiosa e neppure spirituale, ma in quel frangente avevamo bisogno di ottenere risposte e, come d’incanto, gli eventi successivi illuminarono la nostra strada. Tra una lacrima e l’altra si stava approssimando il Natale, ma io, Lina, non avevo voglia di trascorrere a casa quel periodo pensando allo spirito con cui Maria Vittoria attendeva quei giorni. Mauro, al contrario, non se la sentiva di intraprendere un viaggio, così decidemmo per una soluzione alternativa: io e Maddalena all’estero, lui a casa con i suoi genitori. Ed è proprio durante quel soggiorno in terra straniera che incontrai una donna speciale. Una donna che mi spalancò le porte di un mondo nuovo e affascinante, a me totalmente ignoto. Mi parlò di alcune tecniche per comunicare con il cosiddetto aldilà, poi mi diede il numero di telefono di una medium, aggiungendo una frase che non dimenticherò mai: “Se vuoi davvero sapere dove si trova adesso Maria Vittoria, devi andare da Sonia”. Fissammo un appuntamento per metà giugno 2020 ma, siccome nulla accade mai per caso, in un freddo pomeriggio di gennaio, presa dalla disperazione, gridai ad alta voce: “Maria Vittoria, se è vero che ci sei mandami un segnale forte e chiaro”. Dopo un paio d’ore squillò il telefono: era Sonia che anticipava il nostro incontro. Il 21 gennaio 2020 partimmo in auto per Parma, io felice perché speranzosa di trovare risposte, mio marito invece dubbioso. Arrivammo all’indirizzo indicato e Sonia ci fece accomodare chiedendoci di rimandare le presentazioni a dopo la seduta. Rimanemmo in silenzio mentre lei scriveva. Non sapevamo cosa aspettarci, ma lei, dopo alcuni interminabili minuti, ci lasciò esterrefatti.

“Come?” chiederete voi. Ci è bastato leggere le prime righe di quello che aveva scritto su un foglio. Così capimmo che Maria Vittoria era lì con noi. Chiedeva di Maddalena, chiamandola con il soprannome che utilizzava quando, da piccola, non riusciva a pronunciare il suo nome. In quella magnifica seduta ascoltammo le parole di nostra figlia e da quel momento in poi, nonostante il dolore della perdita, raggiungemmo una nuova consapevolezza: la certezza che Maria Vittoria, pur non essendo fisicamente presente, poteva ancora comunicare con noi. Ancora oggi andiamo da Sonia, anima splendida a cui saremo grati per sempre. Lei funge da tramite tra le due dimensioni e ci consente di sentire la “voce” di nostra figlia. È una voce che trasmette serenità ed energia e ci dà la forza interiore di andare avanti. Non c’è stata una sessione in cui non ci abbia lasciato a bocca aperta, tipo l’ultima volta, quando ci ha detto: “Ricordate che nessuno può resuscitare, la parola resurrezione non esiste, esiste solo la rinascita”. Sono parole che possono far traballare filosofie di pensiero consolidate, ma il punto che ci preme sottolineare è un altro: in quella sessione, Sonia ci anticipò una risposta a un tema, quello della resurrezione, di cui avevamo letto. Di risposte ricevute prima ancora di formulare la domanda ce ne sarebbero tante, ma per una questione di sintesi preferiamo narrare un fatto veramente incredibile, accaduto a Maddalena. Maria Vittoria è idealmente al suo fianco ed è soprattutto a lei che indirizza i messaggi più rilevanti. Era un sabato sera e, come capitava spesso, ordinammo le pizze a domicilio da mangiare a casa dei miei suoceri. Maddalena, finita la cena, tornò a casa nostra, che si trova esattamente nel giardino di fronte. La vedemmo uscire e rientrare subito dopo.

Si avvicinò alla tavola e ci mostrò un piccolo cameo che ritraeva una rosa azzurra. Incuriositi, le chiedemmo dove l’avesse trovato e lei, ancora incredula, ci disse che le era caduto in testa mentre si trovava sotto il portico della casa dei nonni. Queste cose accadono e si chiamano “apporti”. Quando capitano a te o a qualcuno della tua famiglia, il cuore si riempie di stelle filanti, perché sai che in quel momento la persona che ha lasciato la vita terrena per passeggiare nelle vie dell’universo è proprio lì, accanto ai suoi cari. Questi eventi sono splendidi a prescindere ma poi, volendo approfondire, facemmo una ricerca sul web, e le sorprese continuarono. Scoprimmo infatti che quel prezioso cameo è il gioiello “vittoriano” per eccellenza. Il più apprezzato dalla regina Vittoria. Quella rosa azzurra simboleggia la spiritualità, la saggezza e l’intelligenza. Dulcis in fundo, regalare quel cameo con motivo floreale indica affetto imperituro nei confronti del ricevente. Lina, Mauro, Maddalena Salvadori

CAPITOLO 2

Edoardo “Sono nato piangendo mentre intorno a me tutti ridevano e morirò ridendo quando tutti intorno a me piangeranno.” JIM MORRISON

LA frase di Jim Morrison è una carezza crudele sulla mia pelle. Io e Valerio, tuo padre, ti trovammo senza vita, una volta rientrati a casa un venerdì sera. Era l’11 gennaio 2019 e tu, Edoardo, a soli diciassette anni decidesti di lasciare questo pianeta affollato, decretando, con la tua dipartita fisica, anche la nostra morte civile. Ricordo quella sera come se fosse ieri anche se, nel rievocare certi momenti, perdo lucidità. Infatti i miei pensieri, in quel drammatico frangente, si erano come azzerati. Inspiegabilmente dai miei occhi non uscirono lacrime, mentre una domanda, una sola domanda, tormentava la mia mente: “Perché?”.

In quell’istante tutto si paralizzò, non avevo più una base alla quale aggrapparmi, ogni certezza si era sgretolata. Noi non abbiamo capito mai nulla del tuo disagio interiore, caro Dodo. Non ci hai mai dato alcun segnale al riguardo, tanto meno hai fornito elementi di preoccupazione agli amici, ai professori, a quanti ti stavano vicino. Ricordo che spesso, in quei giorni, mi trovavo davanti un paesaggio: un’immensa distesa di cenere e detriti neri sotto un cielo cinereo. In mezzo a questo scenario desolato comparivano due germogli verdi che ho sempre pensato essere Jacopo e Nicolò, gli altri miei due figli, rispettivamente di quindici e tredici anni. Io, Elisa, ti misi al mondo quando non avevo ancora compiuto vent’anni. Fu un momento di beatitudine, perché tu eri il mio grande orgoglio. Eri sempre con me, portarti in giro mi dava grande sicurezza. Quando nascesti frequentavo il primo anno di università e ti portai con me anche il giorno della laurea. Rammento benissimo il momento della proclamazione: tu, due anni e mezzo, tutto il tempo in braccio a me. Quando poi venni chiamata di fronte alla Commissione, in un clima di assoluto silenzio, iniziasti a scandire a gran voce “mamma, mamma”, mentre io ero in uno stato di imbarazzo e soddisfazione allo stesso tempo. Gli anni sono passati veloci, sei diventato un ragazzo risoluto ma con una sensibilità non comune. Un ragazzo intelligente, curioso, educato. Abbiamo avuto anche scontri verbali, perché la personalità non ti mancava. Si sa, l’adolescenza è un territorio accidentato per noi genitori. Eri un tipo solare, vivace, molto vanitoso, con mille idee in testa e altrettanti progetti da realizzare.

Avevi una fidanzatina, Alice, ricordo in particolare un episodio: quando, una volta terminata la scuola, invitasti a pranzo la ragazza, chiedendo a tua nonna materna di preparare qualcosa di buono. “Erano molto felici quel giorno” non fa che ripetere mia madre. Purtroppo, avendo un bar, io e mio marito non rincasavamo per il pasto di mezzogiorno e il fine settimana neppure a cena. Dopo la tua scomparsa, dissi a Valerio che non poteva finire tutto così. Tu non c’eri più, ma nella nostra vita accadevano cose strane: soffi d’aria fresca, piante ritrovate in una posizione diversa da come le avevamo disposte, messaggi attraverso le canzoni, elettrodomestici che improvvisamente si spegnevano. Così, avendo colto quei segnali, iniziai a cercarti. Il desiderio di ritrovarti si concretizzò quando, a un convegno dello scrittore Marco Cesati Cassin, mi presentarono Sonia Benassi, una medium particolarmente sensibile ai decessi di questi ragazzi e alle sofferenze dei loro genitori. Mi recai al meeting con mia zia, artefice di quell’incontro. Tu, Edoardo, ti palesasti subito, tra lacrime di gioia, emozione e tanta speranza. Così conobbi Sonia, “il mio gancio in mezzo al Cielo” come la definisco io. Sono passati diversi mesi da quell’11 gennaio 2019 e tante cose sono mutate. In primis la mia concezione del tempo: sono trascorsi già tre anni o solo tre anni? Perché il lutto e il dolore erano così forti che mai e poi mai avrei pensato di arrivare all’anno successivo. Invece sono arrivata ben oltre. E allora devo dirti grazie, figlio mio, per avermi donato la gioia immensa di diventare madre, grazie per avermi accompagnata in questi diciassette anni regalandomi i tuoi sorrisi, le tue paure, i tuoi abbracci.

Grazie per avermi dato il tuo affetto e per avermi fatto conoscere l’Amore incondizionato, legame che sopravvive alla morte. Con la tua rinascita mi hai fatto comprendere che la felicità sta nelle piccole cose, mi hai insegnato che la morte, come la nascita, è solo un passaggio della nostra esistenza e che non devo temere nulla perché c’è vita oltre la vita. Oggi dico sempre che non ho qualcuno in meno ma qualcosa in più. È cambiato il mio approccio, la mia prospettiva. Adesso, grazie a te, guardo le cose da un’altra angolazione. Non è semplice accettare la morte di un figlio. Ho dovuto lavorare molto su me stessa, farmi molte domande, ma finalmente sento di aver imboccato la strada giusta. Tutto questo grazie a te, Dodo. Elisa Ferrato

CAPITOLO 3

Alberto

SEI anni fa, io e Massimo siamo caduti, ma abbiamo avuto la forza di rialzarci. Lo dovevamo a lui, Alberto, il nostro unico figlio. Alberto ci ha lasciati il 3 aprile 2016, quando aveva appena ventisette anni. Da quel giorno la nostra vita ha subito un drastico cambiamento. In un primo momento abbiamo coltivato l’insano desiderio di seguirlo nell’oltre pur sapendo che sarebbe stata una pessima scelta. Dopo qualche mese di lacrime e dolore lancinante, ecco l’idea: insieme ad alcuni suoi cari amici abbiamo deciso di fondare un’associazione per aiutare le persone bisognose, con il preciso obiettivo di ricordare Alby facendo qualcosa per i diseredati del mondo. Nel frattempo il desiderio di “ritrovare” nostro figlio è diventato ogni giorno più forte.

Per questo motivo io, Domenica, ho iniziato a seguire convegni e frequentare gruppi di genitori “orfani” di figli. Per convincermi che, come cantava De Gregori, “qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure”. Dopo un anno di tormenti e interrogativi, una cara amica mi ha messo in contatto con Sonia Benassi, descrivendola come una medium sensibile e affidabile. Dopo aver fissato un appuntamento, io e Massimo l’abbiamo raggiunta a Parma. Sonia risiede in una bella villetta, immersa nel verde e “animata” da tanti bei cani. Già al primo impatto, dopo averle stretto la mano, abbiamo avuto l’impressione di trovarci al cospetto di una “bella” persona. Ricordo nitidamente quel momento: Sonia si è seduta dietro a una scrivania, con uno dei suoi cagnolini sulle ginocchia. Dopo aver preso un blocco di fogli, ha iniziato a scrivere, invitandoci a registrare quello che avrebbe detto. Una premessa doverosa: al momento dell’incontro, Sonia conosceva solo i nostri nomi di battesimo. Dopo qualche minuto d’attesa, la medium ha iniziato a leggere quello che aveva scritto. E noi siamo rimasti a bocca aperta fin dalle prime frasi. Attraverso la sua “antenna” abbiamo sentito la “voce” di Alberto: “Ciao pa’, ci sei anche tu questa volta?”. Infatti era la prima volta che Massimo assisteva a un contatto medianico. Alberto ci ha fatto sapere che stava bene, inaspettatamente bene. E pensare che, in vita, Alby non ha mai creduto nell’aldilà. Ha poi descritto anche il luogo dove si trova adesso, definendolo “meraviglioso”. A ogni messaggio che Sonia ci inoltrava, il nostro stupore aumentava: “Ai primi di gennaio – rivolgendosi a me, la mamma – sono venuto a farti gli auguri. Te ne sei accorta?”. Infatti il mio compleanno è il 3 gennaio.

E quel giorno ho avuto un segno della sua presenza. Poi: “Salutatemi Lorenzo e Gianluca, dite loro di stare tranquilli”. Lorenzo e Gianluca sono due cari amici di Alby. E ancora: “Talco come sta?”. Talco è il suo, nostro cane. Non solo. Ci ha detto che nel trapasso la nonna Pina lo ha accolto. Sapete quali sono, però, le cose che ci hanno meravigliato maggiormente? Il suo manifestare più volte di essere stato fortunato e la conferma di star bene nella nuova dimensione. Sonia ci ha poi domandato se conoscevamo un certo Vittorio. “Perché?” le ho detto. “Perché sta chiedendo gentilmente di inserirsi nel contatto per parlarvi.” Io e mio marito ci siamo guardati, pronunciando all’unisono il nome di Vittorio. Poi abbiamo realizzato che si trattava di Vito, un carissimo amico di Massimo che, due giorni prima, era improvvisamente mancato. Con mio marito visibilmente commosso, Sonia ci ha rivelato quello che Vito le stava comunicando. “Devi dire loro di non piangere, e che tutto prende la piega giusta. Scusa se mi sono intromesso ma sei l’unico con il quale posso parlare. Sono in viaggio, sono sereno. È il viaggio più importante. Vi abbraccio, grazie.” La sera stessa, alle camere ardenti dell’ospedale di Vercelli, abbiamo portato il messaggio alla moglie e alla figlia di Vito, benché non sapessimo cosa avrebbero pensato. La figlia ci ha ringraziato infinitamente: “È il regalo più bello che il mio papà mi ha lasciato”. Poi io e Massimo siamo tornati a casa, sconvolti.

Grazie a Sonia abbiamo infatti ritrovato Alberto. Lui c’è, anche se in modo diverso. E ce lo dimostra in mille modi. Da quel giorno, ogni volta che incontriamo genitori distrutti dalla perdita di un figlio, il nostro consiglio è uno solo: rivolgetevi a Sonia Benassi. Intanto io e Massimo abbiamo preso una decisione importante: il tempo che ci resta da vivere, su questa terra, cercheremo di trascorrerlo nel migliore dei modi. Per Alberto. Perché Alberto è con noi. E sarà con noi per sempre. Domenica e Massimo Ranaboldo

CAPITOLO 4

Clarissa (I) “Quelli che non sperano in un’altra vita, sono morti perfino in questa.” JOHANN WOLFGANG GOETHE

LA frase dello scrittore tedesco mi ha sempre strappato un sorriso ma non ha cambiato la mia diffidenza riguardo all’aldilà. Dopo la dipartita di Clarissa, ho sempre cercato di dare una spiegazione logica a ogni misterioso segnale che ricevevo. Poi ho conosciuto Sonia Benassi. E, improvvisamente, tutto è cambiato. L’impatto non è stato esaltante. Infatti, la prima cosa che Sonia mi ha detto, su suggerimento di mia sorella Clarissa, è stata: “Mi manchi tanto”. E il mio pessimismo riguardo l’aldilà è addirittura aumentato.

A un tratto Sonia mi ha riferito queste esatte parole: “Sono io, la tua pulce”. E lì sono scoppiata a piangere. Nessuno poteva sapere che io chiamavo così mia sorella Clarissa, nessuno. Era una cosa nostra, un nomignolo tenero che avevamo deciso di darci. Il mio cuore ha smesso di battere per un secondo, le lacrime non finivano mai, volevo parlare ma le parole non mi uscivano dalla bocca. Poi ancora: “Bello il tatuaggio”. Dopo la sua prematura scomparsa decisi di farmi il tattoo che io e mia sorella volevamo a vicenda: un pezzo di puzzle in grado di incastrarsi, il mio con il suo. Lei purtroppo non ha fatto in tempo, allora lo feci io per lei. Pochissime persone sapevano di quel tatuaggio. Non lo mettevo in mostra, non volevo che la gente facesse domande inopportune, ero ancora parecchio scossa all’epoca e facevo fatica ad accettare tutto quanto. Ma Clarissa lo sapeva e, grazie a Sonia, ho capito che aveva apprezzato il gesto. E poi ancora: “Bella la bicicletta del nonno”. Io ridevo, incredula del fatto che con tutto quello che poteva dirmi mia sorella si focalizzasse su una bici. Comunque, in quel periodo, mio nonno mi aveva davvero regalato una vecchia bicicletta, una di quelle un po’ malandate, ma che per un giretto in città vanno sempre bene. L’incontro con Sonia mi stava suscitando emozioni fortissime e contrastanti. Piangevo e ridevo allo stesso tempo ma, pur avendo mille cose da dire, facevo fatica a parlare. Il mio stomaco era pieno di farfalle e per un momento ho realizzato di essere lì, insieme a mia sorella, per fare una piacevole chiacchierata.

La parte più dolorosa è stata riconoscere il fatto che lei non fosse con me fisicamente. Il suo corpo non era lì, non vedevo i suoi bellissimi ricci, il suo sorriso magnifico. Ma potevo ascoltare il suo cuore. Una volta terminata la seduta, una domanda è esplosa nella mia testa: vedere Sonia mi ha fatto bene? Certo che sì, e lo rifarei. Io non ci credevo, non pensavo fosse possibile. Non so cosa ci sia dopo la morte, ma non ritenevo che l’energia dei nostri cari restasse per sempre con noi. Grazie a Sonia mi sono ricreduta e ho imparato a conviverci. Mia sorella è scomparsa a febbraio. Tre mesi dopo ho conosciuto Sonia. Non ricordo il giorno preciso, ma posso giurare che, dopo quell’appuntamento, ogni volta che portavo fuori i miei cagnolini, c’era una farfalla bianca che volava vicino a me. Uscivo, arrivavo all’albero da cui di solito inizio il giro, e quella farfalla era sempre lì. Mi seguiva per un po’ e poi volava via. Ogni giorno, sempre allo stesso punto, lei non mancava mai. Così la salutavo con un “Ciao, Clarissa”. Prima di conoscere la medium, la mia diffidenza avrebbe dato a quel segnale una spiegazione logica. Non ringrazierò mai abbastanza Sonia per avermi “regalato” l’anima di mia sorella. La mia pulce. Melissa Maniscalco

CAPITOLO 5

Damiano “Quando una disgrazia è accaduta e non si può più mutare, non ci si dovrebbe permettere neanche il pensiero che le cose potevano andare diversamente o addirittura essere evitate: esso infatti aumenta il dolore fino a renderlo intollerabile.” ARTHUR SCHOPENHAUER

LA frase di Arthur Schopenhauer descrive esattamente la mia sofferenza quando ho dovuto fare i conti con la scomparsa di Damiano, il mio unico e amatissimo figlio, vittima di un incidente stradale all’età di trentuno anni. Mi chiamo Nadia e non sono ancora riuscita a elaborare il lutto. Ma, se ho potuto andare avanti nonostante la mia gravissima perdita, lo devo a Sonia Benassi. Ho avuto il grande privilegio di conoscere Sonia tramite una mia cara amica.

La prima volta che ho parlato con lei è stato al telefono, previo appuntamento concessomi gentilmente dal marito. Abbiamo interagito al cellulare per colmare la distanza: io abito a Roma, lei a Parma. Dal momento in cui Sonia ha iniziato a parlarmi ho percepito la sua dolcezza, la sua disponibilità e la sua grande umanità. Pregi che fanno di lei una persona splendida. Grazie a Sonia, la “voce” di Damiano mi è arrivata subito. Insieme al mio stupore nell’ascoltare cose che lei non poteva assolutamente conoscere. Fatti così intimi e personali (per esempio la morte per malattia della sorella di mio marito, avvenuta circa un anno dopo quella di mio figlio) di cui lei non poteva in alcun modo essere al corrente. In seguito l’ho conosciuta di persona, a casa sua. È stata un’esperienza straordinaria. Oltre a poterla guardare negli occhi, per apprezzare maggiormente la sua profondità d’animo, mi sono sentita ancora più vicina a Damiano. Inoltre ho avuto un ulteriore saggio delle sue capacità medianiche, quando mi ha parlato di avvenimenti realmente accaduti, come la morte del nostro cane Charlie, avvenuta due mesi prima, e la possibilità di rivedere mio nipote Elio, figlio di Damiano. Ma la cosa più importante è stata la gioia di apprendere che Damiano sta aiutando ragazzi e bambini in difficoltà, sia sulla terra che nell’universo. La conferma me l’ha data la madre di una ragazza: sua figlia ha ricevuto il sostegno di Damiano. Fatto apparentemente inspiegabile, ma assolutamente vero. Qualche tempo dopo ho avuto modo di assistere a due eventi online di Sonia con altre persone e, ogni volta, sono rimasta sbalordita per la precisione delle informazioni date dalla medium. Credo ci sia una ragione per tutto quello che ci accade in questa vita terrena e ho imparato ad accettarlo. Perché ho avuto molto, soprattutto un figlio meraviglioso.

Penso che Sonia sia un regalo preziosissimo che Dio mi ha fatto per consentirmi di rimanere accanto a mio figlio Damiano e per migliorarmi. E allora posso solo dirti grazie, Sonia. Grazie infinite per aver alleggerito il mio dolore. Ti voglio tanto bene. Nadia Stefanoni

CAPITOLO 6

Antonio

OGNI foglia che l’autunno stacca dagli alberi rappresenta la metafora di un dolore. E io, Cecilia, negli ultimi due anni, ho visto cadere per terra troppe foglie. Negli ultimi ventiquattro mesi ho perso, nell’ordine, i miei nonni, il mio compagno a quattro zampe, mio marito e mio cugino. Quando viene a mancare una persona che ami fa sempre male. Ma se rinunciare ai miei adorati nonni e al mio inseparabile cane, tutti e tre anziani, è stato durissimo, perdere mio marito di ventinove anni in un incidente e subito dopo mio cugino di quarantasei anni per una malattia, è stato devastante. Non è vero che il tempo aiuta: più passavano i giorni e più sentivo il vuoto dentro e intorno a me, più passavano i mesi e più sprofondavo in quel vuoto senza fine. Quando ho conosciuto Sonia ero triste, confusa, inconsistente. In pratica, non vivevo più.

Sfidando la mia diffidenza, mi hanno convinto a partecipare a un corso sulla medianità. Durante il viaggio mi ripetevo: Anto e io siamo sempre stati anime gemelle, se lui vuole comunicarmi qualcosa lo farà direttamente, non c’è alcun bisogno di un tramite. Ma ero talmente prigioniera della mia tristezza, che tutto mi appariva inutile. Poi ho conosciuto Sonia Benassi, una donna dolce, vera, spontanea. Però non volevo cedere: Anto doveva parlarmi direttamente, senza filtri. Il problema non era lui, che usava tutta la sua energia per farsi ascoltare. No, ero io l’ostacolo, che chiusa ermeticamente nella mia disperazione non riuscivo a sentirlo. Per fortuna Anto ha parlato con Sonia. Ha esordito facendo riferimento a una felpa, non una qualsiasi: una felpa blu con una scritta gialla. Mia madre, mia sorella, io e soprattutto mio padre, indossavamo i suoi vestiti. Era mio marito, ma era anche il “fratello” di mia sorella e il “figlio” dei miei genitori. Lo amavamo tutti, perché non si poteva non amarlo. Lui era così, lui era Anto, il nostro Anto. Tornando alla felpa, indossavamo i suoi abiti, ma non quel capo d’abbigliamento. L’avevo nascosto in un cassetto, senza dirlo a nessuno, e lo custodivo come un tesoro prezioso. Anto ha esordito parlando di quella felpa e dicendomi che potevo usarla. Sonia non avrebbe mai potuto reperire questa informazione, se non da lui. Da quel momento tutte le barriere sono cadute.

Dopo quell’incontro ho rivisto Sonia diverse volte, e lei mi ha sempre stupito con i suoi messaggi. Sonia, con il suo dono e con la sua semplicità nel viverlo, mi ha presa per mano, ha raccolto i miei pezzi e li ha ricuciti insieme. Sonia ha riportato i colori nella mia vita. Come diceva Foscolo, “celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi”. Comunicare con i cari estinti, con i nostri angeli, non significa solo chiedere egoisticamente aiuto in caso di bisogno. Hanno bisogno delle nostre energie positive quanto noi delle loro. Anto una volta mi ha detto: “Non fare brutti pensieri, perché io li sento. La malinconia è un sentimento che non fa crescere. Bisogna rinnovare il proprio essere e trovare la serenità”. Per riuscire a interagire con loro, che ora sono lontani anni luce dalle nostre superficialità materiali, occorre avere un cuore puro e un animo sincero. Sembra facile, ma in realtà è piuttosto complicato. Ecco perché Sonia è così speciale. Perché nelle cose che fa mette tutta la sua anima. Comunicare con l’oltre significa mettersi a disposizione delle anime che vagano nell’universo per aiutarle a trovare la luce e la pace. Questa è la missione di Sonia. I suoi contatti sono semplici e naturali, ma non perdono mai di vista la concretezza. Perché, chi deve fare i conti con un lutto, ha bisogno di risposte. Risposte che arrivano puntuali, tramite questa medium straordinaria. Non finirò mai di ringraziare Sonia, che ci ha permesso di riprendere il cammino. La strada è ancora lunga, ma adesso so che Anto la percorrerà con me. Cecilia

CAPITOLO 7

Papà di Eva QUANDO viene a mancare un padre, il punto di riferimento di un figlio, ti affacci alla finestra del futuro cercando d’intravedere la sagoma della speranza. Mio padre, scomparso un anno fa, era il mio grande amore, la mia certezza, la mia guida. Non riesco neppure a descrivere la sofferenza che ho provato, mi mancava letteralmente il respiro e non sapevo come andare avanti. In quei giorni, densi di lacrime e cattivi pensieri, chiacchierando con un conoscente, sentii parlare per la prima volta di Sonia Benassi. Quel nome s’insinuò nel mio cervello, fino a quando decisi di passare all’azione. Contattai Massimo, marito di Sonia, che mi fissò un appuntamento con la medium. Dieci mesi di attesa, troppi. Pregai papà, chiedendogli di accorciare i tempi e, una sera, inspiegabilmente, ricevetti la telefonata di Massimo. “Si è liberato un posto, possiamo anticipare l’incontro al mese prossimo.” Ancora incredula per aver visto esaudito il mio desiderio, mi recai da Sonia con la mente piena di dubbi, incertezze, paure. Ma anche tante aspettative. Lei si presentò subito come una persona semplice e disponibile. Ci accomodammo e, dopo pochi minuti di silenzio, papà “arrivò”. “Sono tuo padre, dov’è tua sorella?”. Scoppiai a piangere, il mio adorato papà non aveva semplicemente chiuso i suoi dolcissimi occhi, ma era ancora accanto

a me e stavamo comunicando grazie a Sonia. Papà le riportò una serie di nomi, tutte persone passate nell’oltre da poco oppure anni prima: “Sto bene, continuate a festeggiare, io sono ancora accanto a voi”. Poi mi disse di stare attenta ai dentini di suo nipote (che in effetti in quel periodo stava andando dal dentista) e mi esortò a portare avanti il mio progetto: lui mi avrebbe aiutato. Rimasi esterrefatta perché lui rispose a una mia precisa richiesta d’aiuto, un sostegno che da mesi gli chiedevo a voce alta: “Il tuo progetto andrà a buon fine, vedrai”. Non mi sembrava possibile, ma stava succedendo davvero. Il contatto proseguì e lui ci annunciò che da lì a poco un amico di famiglia non sarebbe stato bene, cosa che, ahimè, trascorsi alcuni mesi, accadde sul serio. E l’amico di famiglia ci lasciò qualche tempo dopo. Quando uscii da quell’incontro, sentii che la mia vita stava riacquistando forma e intensità. In seguito ritornai da Sonia con una consapevolezza diversa e un desiderio mutato. Volevo solo sapere come stava il mio papà. Lui “arrivò” e rispose alla mia domanda: “Sto bene”. Un attimo dopo “arrivò” anche l’amico di famiglia scomparso da poco, che mandò un caloroso saluto alla moglie. Si rivolse a lei con il nomignolo con cui la chiamava in vita. Poi mi inoltrò uno splendido messaggio, una comunicazione che accarezzò la mia anima: “Tuo padre mi sta portando in tanti posti diversi, mi sta facendo vedere tante cose belle”. A quel punto chiesi a papà di starci accanto. Rispose che si stava già occupando di mia mamma e di mia sorella. In effetti a loro appariva di frequente in sogno, sereno e ringiovanito. “Vorrei che mamma piantasse in giardino due ortensie: una blu e una rosa.”

Sarò eternamente grata a Sonia che ha messo a disposizione il suo dono per alleviare quel distacco fisico che ti fa credere che dopo la morte non ci sia nulla. Eva Pasqualini

CAPITOLO 8

Michael

E se la morte, come la vita, fosse solo un gioco? Un gioco da non prendere troppo sul serio. E se il suicidio fosse un modo per raggiungere un luogo senza trucchi e senza inganni, un posto dove l’essere batte per distacco l’apparire? Noi, Anna e Luciano, genitori di Michael, un ragazzo che a ventitré anni ha scelto di lasciare questo mondo, ci siamo posti queste e altre domande. Per anni abbiamo inseguito il desiderio di avere un contatto con nostro figlio, per potergli chiedere il perché di quel gesto estremo, anche se lui il motivo l’aveva chiaramente espresso con il messaggio che ci aveva lasciato. Dopo diversi incontri con medium inattendibili e improvvisati, che ci hanno lasciato solo delusioni e messaggi impersonali, abbiamo avuto il nominativo di Sonia Benassi grazie a una serie di coincidenze che, sappiamo bene, non possono essere casuali.

Quando ci siamo presentati lei sapeva solo i nostri nomi e che avevamo perso un figlio. Non conosceva le drammatiche circostanze in cui lui aveva concluso la sua parentesi terrena e nessun particolare della nostra storia. Nostro figlio si è subito manifestato dicendo a Sonia il suo nome, Michael, che lei non poteva sapere. Poi ha detto: “Sono andato subito ai piani alti” smentendo così la convinzione comune secondo cui “chi si toglie la vita dovrà soffrire intensamente per quello che ha fatto”. Questo ci ha risollevati, ma poi quello che ha aggiunto ci ha riempito di gioia. “Sto davvero bene, mi trovo esattamente nel posto dove voglio essere, questo è il mio luogo ideale, e poi la mia anima ha completato la sua evoluzione.” Saperlo sereno ha significato molto per noi, che fin da subito abbiamo rispettato la sua scelta. Tramite Sonia abbiamo avuto diverse conferme della sua presenza nella nostra vita, attraverso segnali che spesso ci arrivano, oltre la sua positiva influenza sui nostri pensieri e sulle nostre decisioni. Sonia ci ha anche trasmesso un messaggio per Desy, la sorella di Michael. I due, per qualche disaccordo, non si parlavano da tempo, ma Michael ha voluto rassicurarla. “Ditele che io sono sempre a casa e spesso mi trovo accanto a lei, l’ho perdonata e ho lasciato andare ogni rancore.” Quel messaggio è stato fondamentale per Desy, perché lei si portava dietro il peso di essersi lasciata male con Michael. Dopo aver ricevuto la comunicazione del fratello l’abbiamo vista cambiata, più sorridente e luminosa. Conoscere Sonia ha migliorato la nostra vita, dandoci una serenità inaspettata e la conferma che i nostri cari vivono accanto, se non dentro di noi.

Quindi non possiamo che ringraziare con tutto il cuore Sonia, per il grande regalo che ci ha fatto. Anna e Luciano Santi

CAPITOLO 9

Raffaele

MI chiamo Maria Concetta e sono qui per ricordare mio figlio Raffaele, nato il 7 gennaio 2002 e salito in cielo il 30 novembre 2018. Raffaele era una presenza discreta in questo orizzonte volgare. Aveva l’eleganza della seta e la trasparenza del mare. Fin da quando era piccolo ho sempre saputo che aveva qualcosa di speciale. Vivace, allegro e socievole con tutti. Ovunque andasse non passava inosservato, grazie alla sua personalità dirompente. Crescendo non è cambiato: mai malizioso, sempre altruista e disponibile, illuminava la vita di chiunque avesse la fortuna di frequentarlo. Brillante negli studi, si impegnava seriamente in tutte le cose che faceva.

Dentro di me ho sempre saputo che la sua vera vita non era su questa terra, che il Signore aveva progetti più importanti per lui. Purtroppo non è facile portare questa croce, manca in ogni istante della nostra vita, viviamo con un vuoto immenso nel cuore. Grazie a Sonia ho avuto la conferma che lui è ancora accanto a noi. Devo confessare che, prima di conoscerla, ero piuttosto scettica, ma avevo comunque bisogno di aggrapparmi a qualcosa. Mi ha parlato di questa medium una mia amica, mamma di un altro angelo, dicendomi che a breve avrebbe avuto un colloquio con lei e mi ha consigliato di comprare il suo libro. L’ho acquistato, ma la mia diffidenza mi ha impedito di leggerlo. Poi la mia amica, piangendo, mi ha raccontato della sua seduta, così il mio scetticismo si è lentamente spento, come una candela. Ho mandato un messaggio su WhatsApp al marito di Sonia, nel frattempo ho letto il libro. Tutto mi aspettavo, ma non di avere l’incontro la settimana dopo. “Qui c’è lo zampino di Raffaele” ho pensato. Fin dall’inizio, dalle prime parole che Sonia mi ha trasmesso, ho capito che era lui: “Sonia, piacere sono Raffaele” lui era solito presentarsi così. “Dai, non ci credo, sono riuscito a portarvi qua” una frase che lui ripeteva spesso. “Questo è il regalo più grande” a lui piaceva tanto Tiziano Ferro, specialmente quella canzone: ho un video che mi ha girato Erika, la sua fidanzata, dove lui canta quel brano. Dopo quell’appuntamento, alcune esternazioni di mio figlio, apparentemente strane, hanno avuto un senso. “Martedì mi farò vedere.” Il giorno 22 dicembre, un martedì, mio marito ha avuto una sincope improvvisa. È stato una notte in ospedale, fortunatamente niente di particolarmente grave, gli hanno consigliato una scintigrafia al cuore.

Dopo qualche giorno, dato che gli avevano prenotato una visita in una data lontana, l’hanno chiamato: si era liberato un posto per il martedì successivo. “Martina è qui con me, dovrai aiutare la sua mamma.” In un gruppo Facebook di cui faccio parte ho visto un messaggio di questa madre, che ha perso la sua bimba di dieci anni, Martina. Purtroppo sono riuscita solo a mandarle un abbraccio e tutta la mia comprensione. “Sono qui con Angelo, diteglielo ai genitori, siamo in tanti e c’è anche Antonio.” Angelo è un coetaneo di Raffaele, scomparso sette mesi dopo di lui, lo abbiamo detto ai genitori, regalandogli un po’ di pace. Antonio potrebbe essere il figlio dell’amica che mi ha indirizzato verso Sonia. “Io sono nei sogni di zia Patrizia e parliamo tanto” infatti lei mi ha confermato che ci parla. “Roberta sta bene, è qui con me, siamo un’anima unica e indivisibile.” Sapere che la bimba che ho perso è lì con lui mi ha riempito di gioia. “A Eugenio, mio cugino, ci penso io, l’importante è che sia stato preso in tempo.” Eugenio doveva fare dei controlli, era in cura a Pavia, l’unico posto dove poteva essere salvato. La cosa che mi rende felice è sapere che un giorno ritroveremo Raffaele. Sarà il primo che vedremo e faremo di tutto per poterci guadagnare un posto accanto a lui. Dall’inizio alla fine non abbiamo avuto dubbi: era lui, Raffaele, a comunicare con noi. Con la stessa personalità che aveva sulla terra, la stessa grazia e dolcezza. Per me e mio marito è stata un’esperienza unica e sconvolgente. Ci ha fatto ritrovare il nostro angelo, anche se invisibile.

Questo non potrà mai colmare la mancanza fisica, ma ci fornisce quella carica in più per andare avanti. Ogni qualvolta mi assalgono dei dubbi sulla sua esistenza, ascolto la registrazione. Maria Concetta Grasso

CAPITOLO 10

Clarissa (II)

OGNI silenzio, se lo si sa ascoltare, contiene una nuvola densa di parole. Sono le parole che abbiamo rinchiuso dentro lo scrigno dell’anima, per proteggerle dai miasmi del mondo. Sono tutte le parole che non abbiamo detto, parole intime e profonde, parole sospese, che camminano sul filo invisibile dell’utopia. Tutte le parole che non ho fatto in tempo a dire alla mia Clarissa. Per fortuna, oggi lei mi parla attraverso Sonia. Conobbi questa medium straordinaria il 13 maggio 2017: il regalo più grande che la vita potesse farmi. Ricordo nitidamente quel giorno, lei bella e solare, con i suoi occhi profondi, mi fece subito un’ottima impressione. Mi raccontò un po’ di lei, della sua malattia, di suo padre. “Io non chiamo nessuno, chi deve ‘arrivare’ mi arriva naturalmente, ti sto parlando per prendere tempo e anche per

metterti a tuo agio” mi disse con un lieve sorriso. “Eccola, la sto sentendo: è una bellissima ragazza, sedici anni circa, che dal mondo dello spirito si fa chiamare Clarissa.” Iniziai a piangere mentre nell’aria avvertivo il profumo della mia bambina. “Ciao Mamy, so che vuoi delle spiegazioni: avevo il treno alle spalle, non ho sofferto, è stato come un battito di ciglia.” E poi: “La nonna Gina mi ha accolto, mi coccola spesso e mi tiene tra le sua braccia”. Durante la seduta Clarissa citò una lunga serie di fatti, già evidenziati da sua sorella Melissa in un altro capitolo del libro. Intanto mio marito, un po’ diffidente, aspettava fuori. Il colloquio andò avanti in una girandola infinita di emozioni. “Il nonno ha visto tutto” si riferiva alla scena del treno: quella mattina non era andata a fare lo stage, ma aveva atteso il diretto MilanoNovara. Non aveva camminato sui binari, come pensavamo noi, dopo aver lasciato sulla banchina della stazione il suo giubbotto e la sua carta d’identità, si era premurata di scrivere una lettera d’addio. “Io sto molto bene, mamma, puoi dire a Melissa di usare i miei vestiti, tanto a me non servono più.” E poi aggiunse: “Io non sono mai stata all’obitorio, anche se c’era tanta gente a rendermi omaggio e non sono neppure al cimitero: sono sempre stata e sempre sarò lì con voi”. Il giorno dopo quell’incontro ricorreva la festa della mamma, e Clary, tramite Sonia, mi aveva appena fatto un dono indimenticabile. Alla fine del nostro contatto, Sonia mi chiese una foto della mia bambina: l’avrebbe messa vicina ad altre istantanee di figli della Luce. Durante il viaggio di ritorno, raccontai quella splendida esperienza a mio marito, abbattendo la corteccia del suo scetticismo. Due giorni dopo venne a trovarmi un’amica, mamma di un compagno di Clarissa, e io la misi al corrente dell’incontro con Sonia.

A un certo punto mi ricordai di quel nome fatto da Clarissa durante la seduta: Francesca. La mia amica mi disse che nella mattinata di sabato un’altra ragazza della scuola aveva tentato il suicidio, era messa molto male e non si sapeva se ce l’avrebbe fatta. Non ho approfondito, ma ho il forte sospetto che quella ragazza si chiamasse proprio Francesca. A luglio presi un altro appuntamento con Sonia, in quanto mia figlia e mio marito volevano un contatto, anche se io preferisco chiamarla chiacchierata. Per prima entrò Melissa, poi fu il turno di mio marito, di entrambi troverete le testimonianze in altri capitoli del libro. In un corso di medianità con Sonia e Marco Cesati Cassin, sperimentai per la prima volta la comunicazione con il tavolino: altra esperienza fantastica. Anche in quel contesto Clarissa arrivò, con tanta energia e determinazione. Il tavolino, pur pesante, si muoveva tantissimo, fino a quando, verso le otto di sera, Clarissa disse: “Ho sonno, adesso vado”. La comunicazione si concluse così, come fosse una normale telefonata tra madre e figlia. Un altro momento “unforgettable” fu un corso di tre giorni in Liguria, io e mio marito sempre più coinvolti nella medianità. Ricordo la grande meditazione fatta da Sonia la sera del benvenuto: la sala era come rivestita da una grandissima energia curativa. Per la prima volta vidi l’arcangelo che avvolgeva mia figlia. Clarissa, che teneva in braccio un bimbo bellissimo, si presentò come un fulmine. Nominò più volte Tiziano e io mi chiesi: “Chi è, Tiziano?”. Mio marito pensò subito a Tiziano Ferro, uno dei suoi cantanti preferiti. Durante la cena, accadde una cosa incredibile, sicuramente non casuale.

Una farfalla, color arancione, nera e rossa, svolazzò in mezzo alla tavolata (una trentina di persone), si posò sulla spalla di mio marito per poi raggiungere il piatto di Sonia. Era Clarissa. Quella notte mio marito sognò finalmente la nostra bambina e lei gli fece sentire tutta la forza del suo abbraccio. La mattina dopo lui ci mise al corrente del sogno: sembrava un fatto realmente accaduto. Con questa testimonianza desideriamo ringraziare pubblicamente Sonia Benassi per tutto quello che ha fatto per noi. Per i suoi grandi insegnamenti, la sua umiltà e, soprattutto, per la sua grande anima. E ancora per tutto il tempo che dedica ai genitori come noi e agli animali indifesi. Il suo esempio è un grande conforto per noi e per tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerla. Sabrina Sara

CAPITOLO 11

Clarissa (III)

FRANÇOIS de la Rochefoucald, scrittore e filosofo francese, ha scritto che la diffidenza giustifica l’inganno altrui. Prendo atto, ma su certi temi non riesco a fare a meno di manifestare tutto il mio disincanto. Anche se qualche volta sono costretto a ricredermi. Tipo sulla medianità. Dopo qualche mese dal trapasso di mia figlia, mia moglie mi chiese se volevo accompagnarla da Sonia Benassi. Accettai precisando però che non volevo saperne di queste cose e che quindi non sarei entrato con lei a fare il colloquio. L’approccio con Sonia fu positivo, una persona semplicissima in un contesto normale. Nonostante questo, preferii aspettare fuori, dedicandomi alla lettura di un bel libro. Durante la canalizzazione, mia moglie mi chiamò dicendomi che mia figlia voleva salutarmi, ma io rimasi fedele alle mie idee ignorando la richiesta.

Mentre mi defilavo, sentii Sonia dire a mia moglie di non forzarmi, che prima o poi il mio momento sarebbe arrivato. Prima dei saluti finali, ebbi modo di scambiare qualche parola con Sonia, ricavandone un’ottima impressione. In particolare rimasi colpito da una sua affermazione: “Quello che faccio per i genitori non deve diventare una dipendenza, se così fosse dovrei interrompere immediatamente la canalizzazione”. Questo concetto mi fece capire che in lei non c’era alcun interesse personale, ma solo la volontà di donare momenti di serenità a genitori devastati dal lutto. Durante il viaggio di ritorno, mia moglie mi rese partecipe della sua esperienza, raccontandomi tutti i riferimenti e i dettagli avuti da Sonia. Questo accese la mia curiosità. Così, approfittando di un secondo appuntamento, io e Melissa, la sorella di Clarissa, seguimmo la strada tracciata dalla mia consorte. La prima a varcare la soglia della casa di Sonia fu mia figlia, poi venne il mio turno. Viste le lacrime di gioia di Melissa, intuii subito che sarei stato trascinato nei viali alberati della commozione. Una volta seduti, Sonia mi chiese di farle una domanda, io gliene proposi una particolarmente impegnativa. La risposta che volevo non arrivò, ma venni invece inondato da una serie di particolari e situazioni di una precisione sconvolgente. I miei dubbi residui svanirono all’istante e capii che la mia bambina camminava ancora al nostro fianco. I giorni trascorsi in Liguria, tra medianità e mare, mi permisero di avere altre testimonianze della presenza di mia figlia, oltre che conoscere meglio Sonia. Dopo l’ultima canalizzazione, feci un sogno. Un sogno che definirei reale, di quelli che fai poche volte nella vita, in cui percepisci il contatto con le cose: mia figlia mi abbracciava alle spalle, ricordo che sentii le sue braccia e il calore del suo corpo.

Quel sogno mi destabilizzò. Da quelle meravigliose esperienze compresi che, per loro, il tempo non esiste e che una cosa che per noi può avere una scadenza a breve, in realtà si sta verificando nel tempo. Un’altra bella avventura? Quando Sonia ci contattò in video chiamata, insieme ad altri genitori orfani di Luce, per una canalizzazione di gruppo. In quel frangente, Sonia ci parlò di un quadro sopra il divano di casa nostra. Quindi, senza essere mai stata nella nostra abitazione, descrisse il dipinto. A quel punto glielo mostrammo: lei lo stava raccontando attraverso Clarissa. Sono ormai passati tre anni dal primo incontro con Sonia e devo riconoscere che raramente mi è capitato di incontrare persone così buone d’animo. Perché lei, oltre a essere una medium eccezionale, è anche una “bella” persona. Francesco Maniscalco

CAPITOLO 12

Flavio “Noi dobbiamo essere disposti a lasciar andare la vita che abbiamo pianificato, in modo da vivere la vita che ci sta aspettando.” JOSEPH CAMPBELL

FACCIO mie le parole di Joseph Campbell, scrittore americano, perché mi aiutano a raccontare questa storia. Mi chiamo Roberto, io e mia moglie Milena abbiamo avuto tre figli ma, nel 2011, il nostro Flavio è stato colpito da un tumore ai tessuti molli. Per tre lunghi anni abbiamo lottato strenuamente per sconfiggere “l’intruso”, ma poi siamo stati costretti ad arrenderci all’evidenza. Così, il 9 gennaio 2015, Flavio ci lasciò. Inutile dire che provammo un dolore immenso, indescrivibile e inarrestabile. Ma fin dall’inizio ci attivammo per “ritrovarlo”, cercando un contatto medianico con lui.

Personalmente sono sempre stato un po’ scettico sull’argomento, anche perché nella vita di tutti i giorni mi lascio guidare dalla razionalità. Ma la voglia di ritrovare mio figlio era più forte della mia diffidenza, così cominciai a documentarmi su internet. Un giorno trovai su Youtube alcuni video di Sonia Benassi. Percepii fin da subito la sua sensibilità, rimanendo profondamente colpito dai suoi racconti. Dopo aver acquistato il suo libro, mi appassionai alla sua storia e scoprii quanta serenità fosse riuscita a regalare a persone che avevano avuto la mia stessa esperienza. Avvertii quindi l’esigenza di contattarla, fissando un appuntamento con lei. Sentivo che lei era il tramite per “raggiungere” Flavio. Aveva una valanga di incontri e avremmo dovuto attendere parecchi mesi prima di riuscire a vederla. Fortunatamente, nei fine settimana, organizzava corsi e seminari per consentire ai genitori che avevano perso un figlio di anticipare i tempi. Per noi fu un’esperienza indimenticabile. Sonia fece riferimento a nomi e fatti che riguardavano Flavio e la nostra famiglia. Magari alcune informazioni potevano essere recuperabili in rete, ma solo noi eravamo al corrente di certi particolari. Oltre a manifestarci il suo amore, Flavio ci esortò ad aiutare il prossimo. Così, a seguito della sua scomparsa, abbiamo creato un’associazione di volontariato che finanzia la ricerca contro il cancro in età infantile. Inoltre gestiamo tre case famiglia che mettiamo a disposizione dei genitori che curano i propri bambini all’ospedale Bambino Gesù e che non possono permettersi di pagare un affitto a Roma. Flavio si fa sentire anche attraverso dei segnali.

È capitato almeno tre volte di vedere piume bianche comparire per casa. Le raccolgo e le metto nel diario dove mi appunto tutte le cose che ritengo siano messaggi di Flavio. Sonia ci ha confermato che è lui a mandarci le piume. Conoscerla è stata una grande fortuna. Lei è una persona speciale, che consente alle persone di connettersi con i propri defunti. Per farlo ci vuole un cuore grande. Come quello di Sonia. Roberto Rinaudo

CAPITOLO 13

Angelo

SPESSO i miei pensieri hanno le forme e i colori degli origami. Scortano silenziosamente l’anima verso le immense distese del passato. Penso intensamente ad Angelo, mio figlio, deceduto a marzo 2018 dopo una malattia devastante. Conobbi Sonia esattamente un mese dopo, durante un convegno a Napoli. Ero ancora stordita, ma l’unica cosa che sapevo con certezza era che dovevo ritrovarlo in qualsiasi modo. Non potevo proprio immaginare di averlo perso per sempre. Sonia mi accolse nella sua stanza d’albergo e, con modi gentili e rassicuranti, mi riportò nomi e avvenimenti che solo io e mio figlio conoscevamo. In pratica mi stava facendo da ponte con Angelo, in modo tale da farmi “riabbracciare” il mio ragazzo.

A maggio 2021 tornai da Sonia, sempre a Napoli, grazie al supporto di una mia amica. Durante il contatto, Angelo mi inoltrò un messaggio che ancora oggi mette i brividi. Mi fece il nome di uno dei miei cugini, dicendomi che stava avendo dei problemi, ma che lui gli stava vicino. Mi disse che io, prima o poi avrei saputo, tranquillizzandomi: “Non è niente di grave”. Un paio di mesi dopo, sui social, un post di mio cugino mi riportò alle parole di Angelo. Gli chiesi se era tutto ok, rispose che stava aspettando un trasferimento di lavoro. Gli feci presente che il mio sentore era un altro e che gliene avrei accennato in un secondo tempo a voce, ma lui insistette. Così gli riferii le esternazioni di Angelo e allora lui mi disse che la sua compagna, a breve, avrebbe avuto il risultato di un test di gravidanza. Dopo 10 minuti mi diede conferma che il test era positivo e che stavano aspettando un bambino. Ero emozionatissima per loro e per me, avendo avuto l’ennesima conferma che Angelo ci seguiva, ci vedeva e aiutava. La sera stessa ricevetti la telefonata di mio cugino che mi raccontò tutto. Che lui era impossibilitato ad avere figli: la Fivet, le cure ormonali, esami a go go e tante rinunce per raggiungere l’obiettivo. Fino al meraviglioso finale, grazie anche al contributo “esterno” di Angelo. Scrissi subito a Sonia per raccontarle questa storia meravigliosa. Le sarò sempre grata per avermi dato il modo di ritrovare Angelo. E aver lenito le mie sofferenze. Antonella Serio

CAPITOLO 14

Gabriele

SONO passati ormai tre anni. Il tempo è volato via come una rondine, lasciando coriandoli di ricordi sulla mia pelle. Ogni sera, prima di addormentarmi, mi sembra di rivederti: hai l’espressione serena delle persone che hanno raggiunto la pace interiore e un sorriso lieve. Ti abbiamo perso il 24 settembre 2019. Tu, Gabriele, solo quattordici anni e un futuro da attraversare a piedi nudi. Da quel giorno è iniziato un lungo viaggio nel dolore, contrassegnato da continue “coincidenze” e segnali che tu ci hai fatto arrivare, attraverso persone e situazioni intorno a noi. Mi chiamo Maria e insieme a Guido, mio marito, abbiamo avuto la fortuna di conoscere Sonia, grazie a Marita, mamma di Nadia, mancata nella primavera del 2019. Marita era riuscita a vedere Sonia poco dopo la morte di sua figlia, avendo notevoli riscontri.

Poi, durante il lockdown del 2020, partecipando a una canalizzazione online con la medium, aveva ricevuto una precisa comunicazione da Nadia. “Sono insieme a tre ragazzi, uno di questi si chiama Gabriele.” In quel momento Marita non sapeva ancora nulla del nostro lutto. Successivamente la mia amica ha trovato un’agenda con all’interno una foto della figlia e il biglietto da visita di mio marito che l’aveva assistita per un lavoro. A quel punto Marita ha chiamato Guido, apprendendo così della tragica scomparsa di Gabriele. Preso atto che io e mio marito stavamo pensando di rivolgerci a una medium, la mia amica non ha esitato un solo istante a farci il nome di Sonia Benassi. Visti i lunghi tempi d’attesa per accedere alle sedute di Sonia, abbiamo deciso di iscriverci a un corso sulla medianità tenuto da lei e Marco Cesati Cassin il 26 settembre 2020 a Milano: a un anno esatto dalla morte di Gabriele. Tu chiamale se vuoi coincidenze. Il seminario, molto interessante, ci ha consentito di avere un primo contatto con nostro figlio. Sonia ha iniziato a scrivere fitto, dopo qualche minuto si è fermata, leggendo quello che aveva vergato sul foglio. In quelle parole c’era l’essenza di nostro figlio: per come si esprimeva e per quello che diceva. “Dovete cambiare auto?” ci ha detto Sonia. Io e Guido siamo rimasti senza parole. Infatti il giorno precedente eravamo andati a vedere alcune auto, in diverse concessionarie. “Guardate che a lui piace la Toyota Rav.” A quel punto tutte le barriere sono crollate, effettivamente era l’auto su cui avevamo puntato maggiormente. Gabriele ci ha fatto sapere che a lui piacciono anche Jeep e Peugeot, proprio le altre marche che avevamo visionato il giorno prima.

Ci ha poi detto che era lì con mio padre, nonno Gerardo, mancato nel 2001. Poi ha parlato di un evento negativo, risalente a due anni prima, la mia malattia: avevo scoperto di avere un tumore esattamente da ventiquattro mesi. Durante il corso, abbiamo partecipato al cosiddetto “tavolino”, con Gabriele che si è palesato con tutta la sua energia. Mi ha chiesto scusa per quanto accaduto (lui è mancato a causa di un gioco finito tragicamente) e poi, il secondo giorno, roteando il tavolino con una forza pazzesca, lo ha appoggiato sulle gambe di Guido, come se si fosse seduto in braccio a lui. In dicembre siamo finalmente riusciti ad andare da Sonia. In quell’occasione Gabriele ci ha comunicato di avere al suo fianco Lola, la nostra terranova mancata a maggio 2019, e il bisnonno Guido, oltre a essere l’angelo custode di due bambini, figli di amici. Tre mesi dopo siamo ritornati da Sonia con un senso di pace e carichi di aspettative. Dovendo affrontare una cosa molto importante per me, avvertivo l’esigenza di porre una domanda a mio figlio. Tramite Sonia, Gabriele ha esternato: “Mamma devi stare tranquilla, io ti terrò la mano per tutto il tempo”. Inoltre, parlando di persone che sono con lui, ha citato un certo Jacopo. A questo punto serve una premessa, per far capire come le “coincidenze” ci conducano a loro. Durante il corso di settembre ho conosciuto una mamma, Erika, che aveva perso suo figlio Jacopo, sedici anni. Io e lei siamo diventate molto amiche, spesso abbiamo pensato che i nostri figli ci abbiano volute far incontrare per sostenerci a vicenda, avendo vissuto la medesima tragedia. Erika, sapendo che quel giorno sarei andata da Sonia, ha chiesto a suo figlio un segno, di farsi riconoscere, di venire e presentarsi. E lui l’ha fatto, confermando di essere lì, con Gabriele.

Sonia è come un cerotto sulle nostre ferite. Sa metterti a tuo agio e possiede l’empatia giusta. Averla conosciuta è stata una grande fortuna. Sono convinta che sia stato Gabriele a portarci da lei. Le coincidenze sono state tantissime, inequivocabili. Tra queste sicuramente il fatto che Sonia ami David Bowie: il cantante preferito di mio figlio. Grazie Sonia, la nostra gratitudine e riconoscenza non ha limiti. Maria Ventura

CAPITOLO 15

Leon

CI sono persone che riconosci subito. La profondità del loro sguardo, la trasparenza della voce, l’estrema delicatezza dei gesti. Sono persone che hanno una qualità particolare: la leggerezza di chi si muove sulla terra pur sapendo di appartenere al cosmo. Mi chiamo Cornelia, sono una mamma “sospesa” tra terra e cielo, una madre che da un anno a questa parte affronta la vita senza il suo bambino. All’età di sette anni e mezzo Leon mi è stato strappato via dopo un tragico incidente stradale. Per descriverlo non mi basterebbero tutte le pagine di questo libro, quindi cercherò di trasmettere la sua essenza in poche righe. Mio figlio era un bambino molto saggio, che dava tanto agli altri. Lui conosceva solo il linguaggio del cuore. Amava la natura, gli animali, soprattutto i gatti, e parlava con i fiori.

Campione di karate a soli sei anni, sensibilità spiccata, portava il sorriso ovunque andasse. Posso dire che Leon mi ha insegnato davvero tanto. Oggi Leon è un’anima elevata, una creatura che ha trovato la sua collocazione dentro l’universo. La sua “presenza” ci ricorda la nostra essenza. Ho scoperto tutto questo grazie a Sonia Benassi, a cui sarò eternamente grata. Lei è il “nostro” tramite. L’ho trovata facendo una ricerca su internet e leggendo vari libri: il mio istinto mi ha suggerito di andare da lei. Una scelta azzeccata, visto che Leon è “arrivato” tutte le volte e ci ha sempre stupiti con racconti facilmente riscontrabili. Al nostro primo contatto mi ha chiesto di mostrare il pigiama che avevo portato con me. Era il suo pigiama preferito, bianco con le stelline celesti. Inutile dire che quella richiesta, così precisa, mi ha fatto sobbalzare dalla sedia. Recentemente, partecipando al corso di attitudine alla medianità con Sonia, ho conosciuto Anna, una signora che si era iscritta al seminario per pura curiosità. Anna è rimasta profondamente colpita dalla mia storia e siamo diventate amiche. Lei abita a Milano, io a Roma, ma il telefono colma ogni distanza. Un giorno mi ha mandato un drammatico messaggio: suo figlio si era tolto la vita. Sono rimasta senza parole, poi, per farle coraggio, le ho scritto che avrei chiesto a Leon di accogliere suo figlio. Un paio di giorni dopo ho fatto un sogno un po’ confuso, in cui vedevo mio figlio insieme ad altri ragazzi, tutti seduti in una grande tavolata. Penso che tra di loro ci fosse anche Albert. Allora Anna, sconvolta dall’accaduto, si è rivolta a Sonia e, con grande sorpresa, Albert gli ha riferito che è stato accolto nel

passaggio tra terra e cielo proprio da Leon. Va detto che Sonia non era al corrente del rapporto intercorso tra me e Anna: per una volta eravamo state noi a sorprendere lei. Grazie a questo ulteriore riscontro, ho capito che loro ci sono, ci sentono e vogliono farci sapere che stanno bene. E noi dobbiamo solo affidarci alla loro anima. Leon è l’artigiano degli arcobaleni, me ne manda uno ogni volta che ne ho bisogno. Anche senza la pioggia. Lui è il mio angelo e Sonia la persona che mi ha ridato la speranza. Cornelia Coda

CAPITOLO 16

Carlotta

C’È una canzone dei New Trolls che parla dell’aldilà. Dovrebbero ascoltarla tutte le persone che hanno subito un lutto e che non si sono rassegnate a perdere i propri cari. Il brano s’intitola “So che ci sei”, facilmente rintracciabile su Youtube. Noi siamo Sara e Michele, cristiani praticanti e genitori di Carlotta, “rinata in cielo” il 15 ottobre 2020 all’età di due anni per una rarissima forma di tumore al cervelletto. Da quel giorno ci siamo posti tante domande. Perché dobbiamo continuare a vivere? Dove sarà ora la nostra bambina? Chi si prenderà cura di lei? Perché Dio non ha preso noi? Tutte domande che hanno trovato risposte esaustive grazie a Sonia Benassi.

Di Michele l’idea di contattarla, richiesta insolita, visto che lui non si è mai interessato a certi argomenti. Milioni sono le domande che rimangono senza risposta nelle teste di noi genitori affranti dal dolore per la perdita di un figlio, così dopo la funzione e le pratiche abbiamo deciso di prenderci una pausa, raggiungendo l’abitazione di famiglia in Calabria: il posto che Carlotta amava tanto. Là abbiamo ritrovato lei e ci siamo ritrovati un po’ anche noi. Appena svegli ci immergevamo nella natura dei nostri ulivi, ed era lì che con costanti cuori, animali, fruscii, segni dal cielo, Carlotta si faceva sentire. Ci diceva che lei era un “angelo”, che doveva raggiungere il nonno paterno Luigi, scomparso nel 2003 e che lei non aveva mai conosciuto. Ci ricordava il video di quando eravamo in ospedale dopo la prima operazione, con lei che mangiava la sua adorata pizza e guardava fuori dalla finestra. “Guarda cielo, tutto blu, questo cielo è mio” diceva. Quel video lo avevamo fatto noi, ma non c’eravamo resi conto di quello che diceva. Lei lo sapeva e ci stava aiutando, voleva prepararci al duro evento, ma quale genitore può mai essere pronto? Una sera la zia Isabella ci ha parlato di un libro che stava leggendo, Io medium, in cui era scritto che le anime comunicavano attraverso i canali della medianità. Da quel giorno Sonia Benassi è diventata parte della nostra vita. Il 14 gennaio 2021 l’abbiamo finalmente incontrata. C’era tantissima emozione e agitazione quel giorno, ma lei e Massimo, il marito, ci hanno fatto sentire subito a nostro agio. “Come vi chiamate?” ci ha detto. “Sara e Michele, anche se mio marito ha un secondo nome” ho risposto. Lei ha replicato: “Non importa, va benissimo quello utilizzato”. Silenzio e concentrazione, poi Sonia ha iniziato a scrivere.

Ci ha fatto leggere quello che aveva vergato sul foglio: Carlotta. Nostra figlia si era presentata così e Sonia non conosceva ancora il suo nome. “Vi ho portati qua, questo è il regalo più bello, sto bene da questa parte e cerco di farmi sentire in tutti i modi, non sono da sola poi vi dico chi c’è con me, grazie a te Sonia che mi fai parlare, il secondo nome di mio papà è Giuseppe, io invece mi chiamo Carlotta, tanto contenta di essere qua con voi.” Carlotta ci ha stupito e commosso, rivelando a Sonia il secondo nome di mio marito. La canalizzazione è proseguita con altre parole di Carlotta: “Sono molto in alto, ci sono tanti bambini, animali, gli unicorni, c’è Gesù e il mare qui è ancora più bello”. Ma il bello doveva ancora arrivare. Tempo fa, desiderando un altro figlio, avevo chiesto a Carlotta di convincere suo padre, in quanto mio marito continuava a ripetermi che, per lui, ci sarebbe stata solo e sempre Carlotta. “Sto preparando Matteo, il bimbo che verrà, si deve chiamare così perché è un dono di Gesù, è qui con me, è pronto, angelo io angelo lui” altre sconvolgenti frasi di nostra figlia. Sonia ha aggiunto: “Tempo tre mesi”. Quindi di lì a poco Matteo sarebbe arrivato. “Continua con le cure dopo il tuo intervento al cuore, è la cosa giusta, mamma” altre esternazioni di Carlotta. Ci ha raccontato anche quale fosse il suo compito nel cosmo: accogliere i bambini che si presentavano con la testa fasciata: proprio come era lei quando è mancata. La canalizzazione è andata avanti, con altri nomi: da nonno Luigi, a zio Ste, un nostro amico mancato all’età di trent’anni, in prima fila quando Carlotta ha raggiunto l’oltre, lei lo chiamava zio. Poi ha parlato di Candy, il gatto di zia Isabella, che adesso è con lei. Più altri messaggi per chi è ancora qui sulla terra: da zia Monica, che deve continuare a suonare, a nonna Pina, fino a Maya il gattino di mio fratello e mia cognata.

Carlotta ha concluso così: “Vi amo tanto e adesso sono io la vostra mamma e il vostro papà”. Da quel giorno non abbiamo mai smesso di parlarle e di dialogare con i nostri cari disincarnati. I mesi sono passati, la nostra meraviglia ci manca terribilmente, ma tante delle nostre domande, seguendo un cammino spirituale, hanno avuto risposte. Abbiamo aperto un’associazione in memoria di lei, “Il regalo di Carlotta”, con cui aiutiamo famiglie bisognose del nostro territorio. In sostanza la nostra vita è cambiata e abbiamo capito che l’importante è amare e aiutare, che Dio non ha colpe, Dio è Amore. Abbiamo imparato che tutto serve per la nostra evoluzione, che non bisogna accumulare: si arriva nudi e si torna nudi. La vera ricchezza è quella che la nostra anima apprende in questo favoloso viaggio. Il 9 maggio 2021, festa della mamma, ho scoperto di essere incinta, i conti fateli pure, ma vi dico che erano passati tre mesi esatti dalla comunicazione di Sonia. Matteo stava per arrivare tra di noi! Il 5 giugno 2021 siamo tornati da Sonia e volete sapere qual è la cosa che ci ha chiesto Carlotta appena iniziata la canalizzazione? “Mamma sei contenta del bambino?”. Sono scoppiata a piangere prima di informare Sonia che quello che Carlotta le aveva comunicato era realmente accaduto. Poi Carlotta ci ha detto che viaggia molto, viene anche qui sulla terra. Ci ha parlato di Carlo, il figlio di Anna, tata di Carlotta (zia acquisita). Quindi ci ha mandato un altro messaggio: “Dite ai nonni che io sono la loro guardiana, che non devono aver paura della morte”. Tante altre cose ci ha detto nostra figlia: che dobbiamo stravolgere la sua cameretta, che bisogna trasformarla per Matteo, che lei ci indicherà come. Il 1º luglio 2021, abbiamo avuto la

conferma dell’arrivo di un maschietto, Matteo, come lei ci aveva comunicato. Il fratellino di Carlotta è venuto alla luce nel 2022 e la nostra vita è tornata ad avere un senso. Per questo dobbiamo dire grazie a Sonia, che ha saputo trasformare in energia positiva il dolore per la perdita di nostra figlia. Carlotta è sempre con noi, si fa sentire continuamente e ci aiuta ad andare avanti ogni giorno. Sara e Michele Bompignano

CAPITOLO 17

Gabriele

LA nostra vita può cambiare all’improvviso, ma noi crediamo che nulla avvenga per caso. Era una splendida giornata d’inizio settembre 2019. Un bel sole caldo invitava a organizzare un pranzo in giardino con tutta la famiglia. E c’eravamo proprio tutti, i nonni e noi, Katia e Andrea, genitori di un unico figlio, Gabriele. Nulla lasciava presagire che quella sarebbe stata, purtroppo, l’ultima volta insieme. Tre ore dopo eravamo ancora tutti riuniti, ma stavolta intorno al corpo del nostro piccolo grande Gabriele che, a soli tredici anni, era stato investito da un’auto lanciata a folle velocità, mentre con la sua bicicletta andava a trovare gli amici in paese. Gabriele era, anzi è ancora, un ragazzo speciale. La sua era una presenza che si faceva sentire.

Quando ritornava da scuola ed entrava in casa, tutto si animava e prendeva una forma diversa. Allegria e confusione erano le sue prerogative. Sempre disponibile a far di tutto per tutti. Amante degli scout e di qualsiasi cosa che potesse creare aggregazione. Sempre felice di frequentare la scuola. “Un leader positivo”, come lo hanno definito i professori. Gabriele giocava a basket con la maglia numero 13, e non a caso questo sarà sempre il numero con cui lo ricorderemo e lo “incontreremo”. I compagni di squadra descrivono Gabry, Gabbo o Tirry, così era soprannominato, come colui che consolava tutta la squadra dopo una sconfitta e stimolava i compagni a fare meglio nell’occasione successiva. Siamo sempre stati due genitori molto esigenti e abbiamo sempre cercato di insegnargli rispetto ed educazione, regole di vita che riteniamo siano indispensabili per vivere in una comunità fatta di persone. Poi il buio. L’oscurità si è impadronita delle nostre vite e le parole che giravano nelle nostre teste erano sempre le stesse: “E adesso che cosa facciamo?”. Negli anni abbiamo purtroppo visto altri genitori perdere i propri figli, ma per quanto tu possa cercare di immedesimarti nel loro dolore, il giorno che lo provi sulla tua pelle, scopri che non si avvicina minimamente alla realtà. Ma il mondo va avanti e tutto intorno a te continua a girare alla stessa velocità. In una vita normale, sei prima figlio, poi diventi genitore e infine nonno. Nel nostro caso siamo ritornati a essere solamente figli. Passa inesorabilmente il tempo, e noi cerchiamo di non affondare nelle sabbie mobili.

Facciamo di tutto per sorreggerci a vicenda. Quando uno piange, l’altro deve inventarsi qualcosa per cercare di portare un po’ di sollievo, altrimenti il “buco nero” è lì, pronto a inghiottirti in qualsiasi momento. Siamo consapevoli che non c’è più rimedio a quanto successo, ma non vogliamo assolutamente rimanere fermi a quel maledetto 2 settembre, e anzi, cerchiamo una via per ripartire. L’estate passa abbastanza velocemente e con una apparente leggerezza, grazie a una coppia di amici che ci “adotta” per le ferie e a cui saremo per sempre grati. Siamo coscienti di essere due presenze molto impegnative, con un carico enorme di dolore e rabbia, ma siamo anche molto bravi a mascherarci, perché mai e poi mai vorremmo essere di peso a qualcuno. Come per magia, un giorno s’accende una notifica sul computer che ci mostra la nostra spider: l’auto che desideriamo acquistare. Ci mettiamo in contatto immediatamente con Alessandro (Alex per noi), il venditore, e da lì inizia un iter complicatissimo perché l’auto è a Campobasso (seicento chilometri da casa nostra) e il proprietario vive a Roma. E noi non possiamo certo farci quattro viaggi per vederla, provarla e portarla a casa. Troviamo un primo accordo verbale con Alex e tutti i tasselli cominciano a incastrarsi. Inoltre il venditore accetta anche di avvicinarsi per farci visionare la vettura, perciò non ci resta che partire. Il viaggio inizia un sabato mattina, il 21 settembre 2019 (giorno del compleanno di Katia, nonché nostro anniversario di matrimonio), alle 8 alla stazione di Bologna, ma a causa di un disguido arriviamo a Termoli con due ore di ritardo. Solamente a sera apprenderemo che una ragazzina (di tredici anni!) ha deciso di togliersi la vita sui binari ferroviari. In un attimo il nostro pensiero va a quei poveri genitori che dovranno, come noi, iniziare a lottare con tutte le loro forze.

Dopo un vero e proprio viaggio della speranza arriviamo a destinazione. Alex è lì ad attenderci come concordato. Dopo qualche parola di circostanza – giusto per conoscerci – e un giro di prova, non abbiamo dubbi: l’auto deve essere assolutamente nostra! Ci accomodiamo al tavolino di un bar per definire alcuni dettagli e in quel momento Alex fa un’affermazione che ci lascia esterrefatti: “La scorsa notte ho sognato un ragazzo della vostra zona che non conosco, diceva di chiamarsi Andrea, il quale mi ha comunicato che Gabriele, vostro figlio, vuole assolutamente interagire con voi”. Passa qualche minuto di silenzio e gelo totale, in cui noi non riusciamo a proferire parola. Gli interrogativi si affollano nelle nostre menti e sono i più disparati: chi è questo tizio? Che cosa vuole da noi? Ci vuole forse truffare? Gli sciacalli sono sempre pronti a speculare sulle disgrazie altrui, sul dolore e sulle debolezze del prossimo. Fortunatamente Alex non fa parte di questa categoria. È una di quelle persone che entrano nella tua vita in punta di piedi, ti portano un messaggio ad hoc per la tua situazione momentanea e poi si dileguano nella stessa maniera in cui sono arrivati. Passati questi attimi di silenzio, iniziamo a realizzare che un Andrea, che vive dall’altra parte del velo, esiste davvero. Tutto è perfettamente collegato. Andrea è un ragazzo scomparso giovanissimo, figlio di una coppia, Roberto e Alessandra, che si è presentata a noi nel momento più duro della nostra esistenza e che ha saputo ascoltarci e capirci. Come abbiamo già scritto, le uniche persone che ti possono capire in questi momenti sono coloro che hanno vissuto il tuo stesso dramma.

Gli altri possono solo ascoltarti, ma non potranno mai capire fino in fondo. Ripartiamo da Termoli sulla nostra nuova vecchia spider per rientrare a Reggio Emilia con in tasca solamente il numero di telefono di Catia, un’amica di Alex che vive a Parma. Colei che probabilmente ci potrà aiutare in questa ricerca. Le nostre speranze sono tutte riposte in questo numero di telefono. Prendiamo coraggio e dopo qualche giorno contattiamo Catia, con tutti i dubbi e i timori del caso. Cerchiamo di non farci illusioni, ma nell’intimo speriamo di avere un qualche contatto, seppur piccolo, con il nostro Gabriele. Ci risponde una voce molto amichevole e cordiale: è Catia che, dopo le doverose presentazioni e spiegazioni del caso, ci parla subito di Sonia, una persona che pratica la scrittura automatica e che, con un po’ di pazienza, è probabile che possa riceverci per aiutarci nella nostra ricerca. Dopo molte esitazioni, chiamiamo per fissare un appuntamento con Sonia. Ci risponde Massimo, il marito. Ci spiega che i tempi di attesa sono abbastanza lunghi tranne nel caso di “genitori orfani”. Come noi, purtroppo. Chiediamo l’indirizzo ed ecco la prima sorpresa: Sonia è sempre stata lì, a dieci chilometri da casa nostra. In pratica siamo andati a seicento chilometri di distanza per acquistare un’auto che ci ha portato a dieci chilometri dalla nostra abitazione per parlare con nostro figlio nell’aldilà? Finalmente giungiamo al primo incontro, non avendo minimamente idea di che cosa succederà. È il 1° ottobre 2019. Sonia e Massimo ci attendono sulla porta di casa con fare cordiale e ci mettono subito a nostro agio offrendoci un caffè.

Conosciamo gli amici a quattro zampe che riempiono la loro casa mentre Sonia ci fa accomodare nel suo studio, dove notiamo le innumerevoli foto di bambini e ragazzi esposte sulla sua credenza: come se fossero tutti figli suoi! Lei inizia a scrivere e a riempire il foglio bianco, poi il successivo e quello dopo ancora. Cosa scriva e perché spesso sorrida non lo sappiamo. Proviamo una sensazione molto intensa, non abbiamo la forza di parlare e, strano a dirsi, non ci viene in mente niente da chiedere a Sonia, cioè a Gabriele. Passano alcuni minuti che sembrano infiniti, poi Sonia inizia a leggere quello che il nostro Gabriele le ha dettato: “Sono qui e finalmente siamo uniti. Visto che giro che vi ho fatto fare? Mamma sono qui e sto bene, con me c’è nonna Angela, lei mi ha accolto quando sono arrivato qui”. Poi: “Sono qui con tanti altri bambini, sono il più alto di tutti, vi guardo, vi guido e sono fiero di voi, di tutto quello che fate”. Sonia scrive “Tirry”. È il nostro cane, un Jack Russell scatenato, che è arrivato a casa nostra dopo la dipartita di Gabriele. Nostro figlio continua a esternare: “Papà mi dispiace tanto, ma non è stata colpa mia, nonno Erminio è qui con me, ottantacinque anni lui, tredici io”. Noi genitori, scaraventati in questa dimensione, non troviamo neanche il fiato per respirare. Ci sembra tutto così folle e così magico. L’unica cosa che ci riesce con estrema facilità è piangere. Ma Gabriele non vuole: “Mamma non piangere, io non ho sofferenza e cercherò di venire da te il più possibile, così tu starai meglio”. Altro messaggio: “Qui niente scuola, io so già tutto, voi dovete lavorare sul vostro dolore, così riuscirete a trasformarlo in energia positiva per aiutare chi ha bisogno”. E ancora: “So che volete provare ad avere un altro figlio, fatelo, io farò il possibile per sostenervi”.

Gabriele era un fiume in piena: “Regalate le mie cose e dite a tutti che io non ho mai avuto paura della morte”. In effetti, una settimana prima di andarsene, sul suo profilo WhatsApp nostro figlio aveva scritto “Memento mori” (ricordati che devi morire). Termina così la nostra prima esperienza con Sonia. Proviamo una sensazione di estrema stanchezza fisica, ma d’altro canto ci sentiamo leggermente più tranquilli. Non possiamo minimamente dubitare di quello che ci è stato detto, perché ce l’ha detto Gabriele e raccontato nei minimi dettagli, ma soprattutto ha riferito cose che nessuno al di fuori di noi genitori poteva sapere e, altro particolare non da poco conto, ce l’ha detto nel suo stile! Prima di lasciare Sonia e Massimo decidiamo di fissare un altro appuntamento: va bene qualsiasi data, senza fretta. Massimo ci comunica che il primo posto disponibile è il 13 dicembre alle 13. Non poteva essere diversamente, visto che Gabriele è deceduto a tredici anni. Salutandoci, Sonia ci consegna un dépliant di una onlus (fondazione Butterfly) la cui missione è aiutare le popolazioni del mondo in difficoltà, finanziando la costruzione di pozzi d’acqua, aule scolastiche e cliniche, principalmente in Etiopia. Ricordiamo allora le parole di Gabriele: bisogna fare del bene, aiutare chi ha bisogno. Questo è l’unico vero scopo della vita! Ritorniamo alla normalità della vita quotidiana cercando di elaborare quell’incontro, e pensando e ripensando a cosa chiedere la volta successiva. Il dépliant della onlus fa capolino tra le varie carte contenute nello svuota-tasche sul mobile della sala e, a ogni passaggio, diamo una sbirciatina. Tutto si risolve una mattina, quando ci alziamo decisi a fare qualche cosa in ricordo di Gabriele. Nasce perciò l’idea di realizzare un pozzo d’acqua in Etiopia in suo nome.

Il pozzo è uno dei più grossi del Paese, visto che fornirà acqua a cinque villaggi limitrofi di circa millesettecento abitanti in totale. Quindi, avanti tutta! Il secondo incontro con Sonia ha un che di rocambolesco. La mattina del 13 dicembre 2019, nevica fitto fitto e l’appuntamento è fissato per le 13. Dato che le strade sono particolarmente innevate, decidiamo di partire con largo anticipo per non mancare l’appuntamento, che per noi significherebbe anche mancare di rispetto sia a Sonia che al nostro Gabriele. Nonostante i buoni propositi, arriviamo ugualmente a destinazione in leggero ritardo, scusandoci. Sonia, con la massima tranquillità, ci fa notare che non è un problema, in fondo sono solamente le 13 e 13 minuti! Per una questione di sintesi ci limitiamo a riportare solo un messaggio di Gabriele. “Mi fate felice! Vedete quante persone e quanti bambini possiamo aiutare? Avete dei dubbi? Ce la faremo! Voi lavorate per i vivi, anche noi lavoriamo per i vivi, ma alla fine i più vivi siamo noi.” Si parte con il progetto di riapertura di un pozzo d’acqua in Etiopia, nella regione del Tigray. Il nostro Gabriele merita tutto il nostro impegno. Pianifichiamo un evento per la raccolta di fondi, sperando di rivedere e coinvolgere tutte le persone che ci hanno conosciuto e frequentato in questi tredici anni. L’impresa, tutto sommato, non risulta essere così ardua, pare anzi una cosa fattibile. Pensiamo di organizzare un pranzo per raccogliere offerte a sostegno del nostro progetto, magari anche una tombola a premi. La raccolta fondi va ben oltre le nostre speranze. Questo grazie alle tante persone che ci hanno assistito (gruppo scout, comunità parrocchiale, gruppo Avis, attività commerciali e amministrazione pubblica del paese) e partecipato attivamente alla

realizzazione dell’evento, trasformandolo in una festa bellissima, proprio come sarebbe piaciuto a Gabriele! L’occasione ci ha dato modo di incontrare anche persone che sono venute da lontanissimo e che noi non conoscevamo assolutamente. Tante situazioni che si sono incastrate tra loro in un puzzle straordinario. E tutto questo non a caso! A fine febbraio 2020 il pozzo era pronto. Con i bagagli alla mano e tanta ansia in cuore, partiamo per andare ad assistere all’inaugurazione. Dopo un giorno intero di viaggio tra aerei, auto e jeep veniamo catapultati in una realtà inimmaginabile per noi, che ci riteniamo la parte evoluta della specie umana. Qui la fame e la povertà la fanno da padrone. Capiamo il significato del termine “non avere nulla”, ma vederlo di persona e non comodamente seduti sul divano di casa è come se ci venisse sbattuta in faccia una realtà drammatica e sconvolgente. Il giorno dell’inaugurazione del pozzo di Gabriele, l’agitazione è alle stelle e chiediamo a nostro figlio di darci la forza necessaria. La giornata scivola via in fretta. Gli abitanti dei villaggi che si serviranno del pozzo sono molto cordiali; ci offrono cibo in segno di gratitudine e ci accolgono nelle loro case, che purtroppo sarebbe più appropriato definire baracche. Ci regalano una grande festa intonando canti e balli. È tutto molto toccante e commovente, ma di segni da Gabriele, neanche l’ombra. È quasi l’imbrunire quando ripartiamo dal villaggio per rientrare alla base. Ci aspettano due ore di viaggio in mezzo al nulla su strade impervie. Sballottati sulle jeep percorriamo strade sconnesse. Tutto intorno c’è solo un brullo paesaggio montuoso fatto di sassi, sabbia e sterpaglie.

II nostro Gabriele si sta rendendo utile anche in mezzo a questo nulla. La targhetta sul pozzo reca il suo nome e mostra una delle sue ultime fotografie: ha una felpa col cappuccio in testa e lo zaino sulle spalle. E adesso è là, a migliaia di chilometri di distanza da casa sua. È lui che ha voluto tutto questo. Ma la speranza della sua presenza è svanita e in un attimo realizziamo di essere felici a metà. Nessuno però si rende conto di cosa sta per accadere. Poco dopo, dietro una curva in mezzo alle montagne più sperdute a chilometri di distanza da non si sa dove, sbuca un ragazzino a piedi che con sguardo incuriosito ci saluta con la mano e mostra un bel sorriso. Indossa una maglietta con stampigliato un enorme numero 13! Eccolo il segno che tutti aspettavamo! È arrivato dritto dritto nei nostri occhi e nel nostro cuore ed è quasi impossibile riuscire a trattenere le lacrime. Grazie, mille grazie, carissimo Gabriele per questo meraviglioso segno della tua presenza, per essere qua con noi, e scusaci tanto se abbiamo dubitato di te! Rientriamo in Italia. Tutto il mondo si è fermato! La pandemia da Covid-19 ha bloccato il pianeta. Siamo a casa dal lavoro. Tutte le nostre azioni sono congelate e stiamo vivendo una cosiddetta “vita sospesa”. Una scossa a questa noiosa quotidianità ci arriva da Sonia che ci invita a vederci in rete, proposta che noi accettiamo con immenso piacere. È un regalo fantastico dopo questi mesi di reclusione forzata e così carenti di contatti umani. La mattina del 1° aprile 2021, giorno successivo al nostro contatto via skype con Sonia, il figlio del nostro vicino di casa suona alla

porta per comunicarci che suo padre Gianpaolo è deceduto a causa del coronavirus. Con stupore realizziamo quanto ci aveva anticipato il giorno prima Gabriele. Gianpaolo e nostro figlio si conoscevano molto bene. Tutte le volte che Gabriele scendeva dallo scuolabus, passava davanti al suo cancello di casa e gli raccontava com’era andata la mattinata in classe, sciorinando aneddoti e storielle accadute coi compagni. Anche in questo caso, Sonia ha interpretato alla perfezione le parole di Gabriele, creando una sintonia con lui a dir poco sbalorditiva. Intanto, noi concentriamo gli sforzi per il conseguimento del nostro secondo ambitissimo progetto comune di cui vi abbiamo già resi partecipi. E cioè essere di nuovo genitori. Siamo fiduciosi e speranzosi che “dall’alto” qualcuno ci aiuterà, come ci era stato comunicato nell’ultimo incontro con Sonia. E così è: ai primi di giugno tutto fa ben sperare, gli esami confermano che il nostro desiderio si è esaudito, nonostante la strada appaia ancora lunga e piena di insidie. Viviamo tutto in apnea mentre il tempo passa tra una visita e l’altra e si cominciano a vedere un cuoricino, un piedino, una manina, un volto. Calcolando le settimane si prevede la nascita di Chiara vicinissima alla data di nascita del nostro amato Gabriele, che è il 26 febbraio, quindi stesso segno zodiacale, pesci. Sarebbe un bel regalo. Ma a questo punto bisogna fare un passo indietro. Quando ancora eravamo all’oscuro della gravidanza, accadde un episodio che solamente a posteriori abbiamo ricollegato a Gabriele e che ci teniamo a raccontare, visto che fa parte dei suoi famosi “segnali”. Un mattino, il nonno di Gabriele, Massimo, ci chiamò per raccontarci il suo sogno della notte precedente con protagonista

nostro figlio il quale gli disse: “La mamma è incinta, sarà una femmina, mi farebbe piacere se la chiamassero Chiara”. In effetti, le analisi fissate per l’indomani avevano confermato la gravidanza e l’ecografia programmata nei mesi successivi aveva mostrato trattarsi di una bambina. Nonostante avessimo già ricevuto la notizia, una bella dose di sorpresa ci aveva travolti ugualmente. A questo punto non restava che confermare il nome, Chiara, come suggerito dal fratello. È il 9 febbraio 2021 quando ci presentiamo all’appuntamento con Sonia, e stavolta siamo in tre! Lei ci saluta e nota la “terza” presenza. Riguardo a Sonia, possiamo solo dire che è stata la persona della svolta del nostro dolore. Spesso ci chiediamo cosa sarebbe successo se non avessimo avuto la possibilità di parlare con lei nel momento più buio della nostra vita. Abbiamo imparato che la morte non esiste, che la vita non finisce e che tutto continua in un’altra forma e in un’altra dimensione. Per questo insegnamento le saremo sempre grati. Chiara è nata il 24 febbraio 2021. È una splendida bambina. È un dono. Grazie, Gabriele! Grazie, Sonia! Vogliamo chiudere con questa frase di Maluana Rumi. “Morii come minerale e divenni una pianta, Morii come pianta e fui innalzato ad animale, Morii come animale e fui uomo. Perché dovrei temere? Son mai venuto meno morendo?”. Katia e Andrea Tiricola

CAPITOLO 18

Cristina “L’amore vero, essendo infinito ed eterno, non può che essere consumato nell’eternità.” ALDOUS HUXLEY

RISPOLVERO questa bella citazione dello scrittore inglese per ricordare la storia d’amore con mia moglie Cristina. Purtroppo, dopo quarant’anni di meravigliosa convivenza, lei, cinquantotto anni, ha lasciato questa terra. Non riuscivo a darmi pace e a trovare una ragione per la quale continuare a vivere senza di lei. Fino a quando Marina, una nostra amica, mi ha indirizzato verso Sonia Benassi. Nell’aprile 2020 Marina, che già aveva potuto apprezzare le doti medianiche di Sonia, mi ha fissato l’appuntamento che ha cambiato la mia visione del mondo.

Senza conoscermi, Sonia mi ha riferito cose, situazioni e particolari precisi su mia moglie e alcuni cari venuti a mancare negli anni precedenti. Cose che nemmeno la nostra amica Marina poteva conoscere. Posso confessare che durante la canalizzazione ho pianto lacrime di commozione e gioia allo stesso tempo. Perché ho saputo che mia moglie, anche se non fisicamente, è ancora accanto a me e a nostra figlia. Adesso so che è felice, che non soffre più come una volta, che ha finalmente raggiunto la luce. Ho anche la certezza che lei ci protegge e ci guida in ogni momento. Dopo aver acquistato il suo libro, un anno dopo quell’esperienza sono ritornato da Sonia. In tale occasione, questa medium straordinaria mi ha fatto la cronistoria di quello che mi era accaduto durante gli ultimi 365 giorni: gliel’aveva riferito mia moglie. Sonia è per me una persona speciale, un vero e proprio dono. Le è stata affidata una missione: aiutare il prossimo, consolarlo e dare una parola di conforto a chi ne ha bisogno. Grazie a lei non ho più paura della morte, perché sono convinto che rappresenta soltanto il passaggio verso la vera vita. Grazie di esistere Sonia. Enrico Pietrucci

CAPITOLO 19

Massi “A piedi cammino, in auto viaggio, in moto, sogno.” ANONIMO

NON so chi abbia detto questa frase, ma credo rappresenti lo spirito libero di mio marito Massi. Deceduto proprio per un incidente in moto, a soli quarantadue anni. La perdita del grande amore della mia vita mi ha devastata, piegandomi in due dal dolore. Ho provato a reagire, rivolgendomi a una medium. Era la prima volta che avevo a che fare con la medianità. Non sapevo cosa aspettarmi, ma Sonia Benassi mi ha immediatamente colpito per la sua sensibilità. Sonia mi ha accolta con un sorriso meraviglioso, mi ha fatto accomodare e mi ha messo subito a mio agio.

Abbiamo dialogato un po’, ma non mi ha chiesto nulla su chi volessi contattare e perché. I miei dubbi sono spariti dopo appena un minuto di seduta. Massi è arrivato subito, come se mi stesse aspettando. Oltre a sentire tutta la sua energia, ho riconosciuto il suo eloquio e il suo stile. È stata un’esperienza unica e speciale, estremamente emozionante. Sonia ha citato situazioni e aneddoti che solo io e Massi conoscevamo. Cose tutt’altro che scontate, dettagli molto personali. Prima dell’appuntamento ero piena di sensi di colpa per tutte le cose che avremmo potuto fare insieme e non siamo riusciti a realizzare in tempo, ma Massi ha voluto rassicurarmi: “Non devi farti problemi, perché tanto le faremo quando ci ritroveremo dentro l’universo”. Prima pensavo che se l’avessi contattato l’avrei “rallentato” e invece ora so che non è affatto così, so che le anime possono starci vicino e allo stesso tempo continuare la propria evoluzione. Dopo l’incontro con Sonia sono tornata a casa “dritta”, come dice la mia psicologa, e con la consapevolezza che Massi è ancora con me. Quando sarà il mio momento lo rivedrò: saremo io e lui, magari in Polinesia, dove ci siamo sposati. Ogni volta che torno da Sonia mi preparo delle domande, ma Massi risponde sempre prima di conoscerle. Come se mi leggesse dentro. Sonia mi ha fatto comprendere che la morte è solo il passaggio da una dimensione a un’altra, dandomi la prova che nulla finisce, anzi migliora. Spero che la mia testimonianza possa aiutare le persone che stanno vivendo il mio stesso dolore. Sonia, oltre ad aprirmi un mondo nuovo, mi ha reso più serena. Per questo non finirò mai di ringraziarla.

Anche per i segnali che ricevo da Massi. Tramite Google, il telefono, oggetti vari. Tra l’altro, riascoltando la registrazione fatta da Sonia, in un punto ho risentito anche la voce di mio marito. Paola Colombi

CAPITOLO 20

Nicolas “Non ci sono le sette meraviglie del mondo negli occhi di un figlio, ce ne sono sette milioni.” WALT STREIGHTIFF

NOI mamme viviamo per i nostri figli, sono il nostro bene più prezioso, fanno parte di noi. Quando hai un figlio, e lo vedi felice, anche tu sei contenta. Poi, improvvisamente, il tuo mondo si capovolge. Nella notte arriva una telefonata, una lama dentro il cuore, un dolore indescrivibile. In quel momento realizzi che il nostro tempo sulla terra è veramente un lampo e dovremmo sempre cercare di viverlo il più intensamente possibile. Purtroppo, solo nella sofferenza comprendi il vero senso della vita. Ho perso mio figlio in un incidente stradale, aveva vent’anni.

Quando ripenso a quella sera vorrei avere un vuoto di memoria, invece è tutto chiaro e limpido. Una grande tragedia. Mi sono chiesta tante volte: “Perché proprio a me?”. Ma non trovavo la risposta. La mente era affollata di pensieri, ma quello che contava maggiormente era che Nicolas, ovunque fosse, stesse bene. Ho sempre creduto nell’aldilà, ma quando ad accedere alle vie dell’universo è tuo figlio, i dubbi ti spiazzano, fino al punto di disorientarti. Non mi ponevo solo domande: avvertivo anche l’esigenza di sentirlo. Un desiderio che diventava ogni giorno più forte: volevo sentire la voce della sua anima. Per rincuorarmi mia cugina mi parlò di una certa Sonia Benassi: “È una grande medium e una brava persona, conoscerla ti aiuterà a metterti in contatto con Nicolas” mi disse convinta. Io ero impaurita, non so bene perché. Allora fu lei a prendere un appuntamento con Sonia: voleva parlare con Nicolas. Mia cugina, pazza e libera nel suo essere, era molto legata a mio figlio, così andò al mio posto. Attendevo con ansia la sua chiamata, che arrivò puntuale. Ricordo nitidamente quella sera: ero a cena in un locale, vidi il suo numero sul mio cellulare e uscii dal ristorante. Aveva “sentito” Nicolas. Lui disse molte cose, particolari e dettagli che Sonia non poteva in alcun modo conoscere. Mio figlio raccontò del suo incidente, del ragazzo che guidava, della festa che avevo fatto per lui e poi espresse un desiderio: “Voglio che mia mamma venga qui da Sonia”. La mia paura era svanita, da quel momento avevo la certezza che lui c’era e voleva interagire con me. Il mio incontro con Sonia?

Feeling immediato e la bella impressione di sentirmi a casa, forse perché abbiamo lo stesso nome. Lo sguardo magnetico di Sonia, il silenzio nella stanza, l’atmosfera magica di quella seduta: mancava solo mio figlio. Che “arrivò” dopo pochi minuti di fervida attesa. Mi parlò dell’incidente, dei suoi amici e poi mi disse: “Mamma, io adesso sono un angelo”. Accennò anche a suo padre. Eravamo da poco separati e mi chiese di arrivare al divorzio. “Mamma, qui è tutto meraviglioso, una cosa impossibile da immaginare.” Quella frase mi ha dato una pace interiore impensabile fino a qualche giorno prima. Entrai in quella stanza con Sonia con malcelato timore e ne uscii sgravata dal peso che avevo nell’anima. Mio figlio mi aveva parlato, mio figlio era ancora con me. Ringrazio mia cugina per avermi fatto fare quel passo e, naturalmente, sarò sempre grata a Sonia per avermi donato una grande serenità. Due anni dopo la canalizzazione con Sonia, mi arrivò un messaggio da una ragazza del mio paese. Non la conoscevo e lei si presentò come Romina. “Scusa se ti disturbo, sono andata da Sonia Benassi e tuo figlio è venuto a parlarmi.” Rimasi basita: Nicolas mi aveva chiamato approfittando della presenza di una ragazza del mio paese. Ovviamente io e Romina c’incontrammo subito dopo e lei mi spiegò come mio figlio aveva interagito con lei tramite Sonia. Tra noi due è nata una grande amicizia, come se le nostre anime si conoscessero da sempre. Grazie a Nicolas. E grazie a Sonia, l’arcobaleno che conduce nell’aldilà. Con affetto. Sonia Mezzadri

CAPITOLO 21

Albert “In alcuni casi sei tu a fare delle scelte nella vita e in altri è la vita che sceglie per te.” GAYLE FORMAN

LE parole della scrittrice americana Gayle Forman calzano a pennello per la mia storia. Nella primavera del 2021 ricevetti una telefonata da una mia cara amica che mi raccontò del suo incontro con Sonia Benassi. La sua seduta iniziò con “Ciao sono Giulia, salutami Anna”. Pensare che la mia amica, fino a due minuti prima dell’incontro, era al telefono con me. La cosa mi incuriosì moltissimo poiché Giulia altro non era che mia cugina, deceduta nel 2013 a soli sedici anni. Per essere ricevuta da Sonia, oberata di richieste, servivano due anni: troppi.

Così, attraverso internet, scoprii di un corso di attitudine alla medianità in programma nel giugno 2021 a Milano. Seminario organizzato da Sonia, che conobbi in quel contesto, senza comunque avere alcun contatto medianico con lei. Mi appassionai all’argomento divorando libri e cercando risposte a ciò che ci attende dopo la morte. Durante il corso feci conoscenza con una giovane madre, Cornelia, che “cercava” suo figlio, di soli sette anni, Leon. Rimasi colpita dalla sua dignità, compostezza, luce e delicatezza. Così ci scambiammo i numeri di telefono e rimanemmo in contatto. Il 12 agosto 2021 venne a mancare il mio adorato figlio Albert, sedici anni. Pensai: “Quelle esperienze non sono avvenute per caso, volevano preparami, volevano che io sapessi che dopo la morte c’è un’altra vita”. Ricordo che, nella tragedia, inviai un messaggio a Cornelia, che mi raccontò di aver avuto, proprio il 12 agosto, dei segnali “luminosi” dal suo bambino. Segnali che non riusciva a decifrare ma che poi collegò alla partenza improvvisa del mio Albert. Cercai quindi il contatto di Sonia, avevo bisogno di parlare con nostro figlio e io e suo padre volevamo essere certi che l’oltre esistesse davvero. Sonia ci ricevette subito, i riscontri del contatto furono fortissimi, nomi precisi, dettagli, aneddoti, legami parentali di cui non poteva che essere all’oscuro. Chiedemmo a nostro figlio che cosa potessimo fare noi qui per aiutarlo, chi aveva visto, e dove si trovasse. Le risposte furono molte, ne riporto alcune. “Potete aiutarmi con pensieri buoni e amore, non era un mondo per me, un gruppo di ragazzi ci sta curando l’anima.” E poi: “È venuto a prendermi Leon, lui mi ha aiutato, anche nonno Nicola viene a trovarmi, pensatemi nel posto più bello che esista,

questo è il mio mondo, fin da piccolo sentivo di non essere nel posto giusto”. E ancora: “Sto bene davvero, vi amo, vengo a trovarvi”. Un mese dopo la partenza di Albert, rividi per pochi minuti Sonia. Chiesi a mio figlio di mandarmi, tramite lei, un segnale forte. Sonia scrive due paroline che appunta nel foglio in basso a destra e che riporto qui: Il giorno dopo chiamai Sonia e le chiesi cosa c’era scritto nella foto. “La prima parola è Mummina, la seconda Maurice” mi disse al telefono. Saltai dalla sedia: Mummina è il modo in cui Albert mi chiamava, mentre Maurice è un bimbo della nostra famiglia. Le lacrime uscirono copiose dai miei occhi: ero felice. Felice di aver ritrovato il mio ragazzo. Il 12 giugno 2022 ebbi un altro riscontro. “La divisa mi piace molto, usa il blu, il bianco, il giallo e il celeste.” Le maglie del campionato che si giocò in Togo, in memoria di nostro figlio, furono realizzate e stampate il 9 giugno 2022, e solo io conoscevo i colori. Il dolore della perdita di un figlio rimane una tragedia immane, ma sapere però che lui c’è, che possiamo dialogare, che siamo divisi da una porta e che la maniglia è dalla nostra parte, è per me una carezza al cuore. Quella porta io voglio lasciarla aperta. Grazie Sonia! Grazie Albert, amore di mamma.

Annamaria Cardinale

CAPITOLO 22

Gianluca

SAPETE, non tutte le medium sono uguali. Alcune ti ascoltano guardandoti dritto negli occhi, con un senso di partecipazione infinito. Alcune, oltre a farti interagire con i defunti, riescono a curare l’anima e a rendere leggero il cuore. Ecco, Sonia Benassi è proprio così. L’ho conosciuta nell’estate del 2019, ed è stato come toccare un pezzo di cielo in terra. Una serie di eventi, concatenati tra loro, mi ha fatta arrivare da lei, a Parma. Dopo qualche convenevole, mi ha detto: “Tu arrivi dallo stesso posto di Jonathan”. Non so chi sia Jonathan, ma lo scoprirò in un secondo tempo. Mio figlio Gianluca, il mio primogenito, è morto il 15 gennaio 2019, in un incidente stradale, in Sicilia. Spiegare cosa provi in casi del genere un genitore è impossibile.

Il dolore ti opprime, fino al punto di diventare asfissiante. Non comprendi più cosa fare su questa terra senza tuo figlio, come poter vivere senza di lui. All’inizio non riesci neanche a reagire poi, pian piano, ti guardi attorno in cerca di risposte. Così trovi Sonia. Lei sente e vede ciò che noi non sentiamo e non vediamo, le sue parole risuonano nell’aria con dovizia di particolari: nomi, persone, luoghi, circostanze. Non può essere altro che tuo figlio a parlarti tramite Sonia. Gianluca aveva diciannove anni e, come tutti i ragazzi della sua età, era pieno di vita. Amava la velocità, gli amici, la mamma, il nonno e i suoi fratelli. Con il padre aveva avuto degli screzi che lo hanno portato a vivere lontano da lui. La Sicilia, la sua terra, il suo mare, il suo luogo preferito, che oggi è stato intitolato alla sua memoria. Stava percorrendo una strada che amava molto e faceva frequentemente: la provinciale che collega Ficarazzi ad Acicastello. Da lì ti senti libero, vedi il mare, i faraglioni di Acitrezza e tutto il blu intorno a te. Moto, casco, rettilineo, curva, rettilineo, curva: la moto scivola, si piega e continua a slittare sull’asfalto. Un palo all’interno del guardrail, Gianluca ferma la sua discesa, il palo, il petto, il cuore, cade tramortito. Si fermano a soccorrerlo, non gli tolgono il casco perché così dice il paramedico dell’ambulanza che sta arrivando. Passano diciotto minuti. Una donna gli urla: “Alzati ragazzo, alzati”. Gli tiene la mano, poi le dita diventano nere. Non si alzerà mai più. Gianluca si è “trasferito” un pomeriggio, con i fiori bianchi che gli volavano intorno. Chi era presente ancora se lo ricorda.

Sonia raggiunge il punto preciso dove credi che tutto sia finito. Mi dice: “Siediti, registra e fai tutte le domande che vuoi”. E Gianluca inizia ad esternare. “Mamma, hai visto dove ti ho portato? Non è come pensi, sono scivolato e poi ho incontrato il buio.” Poi continua: “Una voce da lontano mi chiamava, era nonna Liana, mi è venuta incontro e mi ha preso per mano”. E via, con altri particolari, sempre precisi e riscontrabili. Sonia, non c’è alcun dubbio, ha cambiato la mia vita e quella di tanti altri genitori. Ci ha insegnato ad ascoltare in maniera diversa, a guardare oltre le miserie della vita terrena. A lei va il mio grazie per aver curato il mio dolore, per avermi dato la consapevolezza e una strada da percorrere. Jonathan è morto il 30 gennaio 2019, poco dopo Gianluca. E io mi sono premurata di indirizzare i suoi genitori verso Sonia. Daniela Bellecci

CAPITOLO 23

Gabriele “Gli angeli sono amore in movimento, amore che non si ferma mai, che lotta per crescere, che sta al di là del bene e del male.” PAULO COELHO

FIN da bambina ho creduto negli angeli, esseri di luce, che ci aiutano e ci proteggono, ma loro sono anche qui, su questa terra, e camminano in mezzo a noi. Io non avrei mai pensato di dare la vita a uno di loro. Sto parlando del mio angelo Gabriele, arrivato il 3 agosto 2001, con nostra grande gioia. Fin da piccolo si è fatto notare per l’altruismo, crescendo ha sviluppato ancora di più questo suo grande pregio: aiutava tutti, mettendo al primo posto gli amici e le persone che avevano bisogno. Un ragazzo allegro, pieno di vita, educato. Amava la montagna, si arrampicava, faceva tante escursioni e conosceva anche i sentieri meno battuti dai più.

Mi diceva che, grazie alla montagna, aveva sconfitto tante paure, acquisendo sicurezza e autostima. Il suo sogno era quello di entrare nel soccorso alpino della Guardia di Finanza, desiderio che si è purtroppo infranto il 20 gennaio 2020. Gabriele aveva solo diciotto anni, anche se per maturità e saggezza ne dimostrava molti di più. Si trovava a Campolongo di Cadore, un paesino in provincia di Belluno. Quel giorno, approfittando della bella giornata di sole, lui e un suo amico decisero di fare un’escursione. Si misero in cammino, destinazione Monte Col, un percorso che si può fare sia in estate che in inverno. Durante il tragitto l’amico, trovandosi davanti un sentiero ghiacciato, si spaventò. Gabriele trovò subito il modo di aiutarlo a superare l’ostacolo, anche perché si stava facendo buio. Purtroppo, nel tentativo di recuperare il cane dell’amico, rimasto indietro, mio figlio scivolò sul ghiaccio, per poi sbattere la testa su una parete rocciosa e finire la sua corsa nel canale sottostante. La stessa sorte toccò al cane, che forse seguì Gabriele in segno di gratitudine per aver salvato il suo padrone. Prima di planare nel posto meraviglioso dove si trova adesso, Gabriele fece in tempo a soccorrere l’amico. Le circostanze successive, infatti, ci convinsero che dietro il salvataggio del ragazzo c’era lo zampino di mio figlio. L’amico, a un certo punto del percorso ghiacciato, quando era ancora confuso e spaventato, si sentì pervadere il corpo da un calore anomalo. Le sue gambe erano guidate da una forza misteriosa e durante il tragitto sentiva un cane abbaiare. Quando l’hanno visto arrivare in paese, illeso, senza neppure un graffio, la gente è rimasta a bocca aperta per lo stupore. E non c’era nessun cane.

Da quel giorno per me, mio marito e mia figlia Beatrice la vita si è come stravolta. Perdere un figlio è un dolore lacerante. Ora, più che vivere, si sopravvive. Nel nostro inconsolabile dolore abbiamo avuto la fortuna di incontrare Sonia Benassi. Grazie a lei siamo riusciti ad avere un contatto con Gabriele. Lui è ancora accanto a noi e ci viene anche a “trovare” accomodandosi sul suo divano preferito. È un divano verde, sistemato in direzione delle montagne. Lui a volte si addormentava proprio lì, con lo sguardo rivolto verso le cime più alte. Quel divano resterà lì, così come le sue cose: i suoi zaini, le attrezzature da roccia, i borsoni da calcio e tutto quello che lui ha lasciato su questa terra. Continua a brillare, carissimo Gabriele. Ti vogliamo un bene infinito e siamo orgogliosi di te. E un grazie di vero cuore a Sonia. Maria Grazia, Bea e Fabiano Comis

CAPITOLO 24

Matteo “Se fosse possibile dotare i gatti di ali, non si accontenterebbero di essere uccelli, sarebbero angeli.” DICK SHAWN

PERCHÉ una citazione sui gatti? Perché hanno molto a che fare con Matteo e la sua storia. Il 2 dicembre 2016 Matteo, ventitré anni, morì nella fabbrica di panettoni dove io ero in servizio da ventisette anni. Io stessa avevo contribuito a farlo assumere appena un mese prima. Dopo averlo visto lavorare come cuoco nella mensa del carcere di Torino, in un centro accoglienza e in una pizzeria sulle montagne vicino a casa, ritenevo finalmente la fabbrica di panettoni un posto più tranquillo e sicuro. Ma evidentemente mi sbagliavo. Erano circa le 21:30 e io stavo aspettando il suo rientro, quando ricevetti la telefonata della titolare.

Quel giorno nello stabilimento c’era un gatto che girava, nessuno era riuscito a intercettarlo e quando vidi la chiamata il mio primo pensiero fu quello di dirle che il giorno successivo avrei portato trasportino e crocchette per prenderlo. Ma lei mi disse che era successa una cosa molto brutta, che Matteo era stato preso dalla pinza del forno. Le chiesi se era già in ospedale, se dovevamo raggiungerlo lì, lei rispose che era ancora alla fabbrica, di fare con calma. Arrivai sul posto, accompagnata dal padre di Matteo, con la consapevolezza che mio figlio era morto. Consapevolezza che si trasformò in certezza appena vidi la fabbrica transennata, con tanto di vigili del fuoco, ambulanze, carabinieri e tanti colleghi attoniti. Non sono credente, nel senso che non sono una cattolica praticante, perciò la mia concezione di vita dopo la morte è sempre stata molto confusa e incerta. In quel momento però pensai che la vita non poteva essere solo questo. Che senso aveva mettere al mondo dei figli, prendersi cura di loro, assistere alla loro evoluzione, per poi veder sfumare tutto in un attimo? Doveva esserci dell’altro, ma non volevo illudermi. Matteo venne cremato, un modo per averlo qui in casa, nella sua stanza. La sera prima di andare a ritirare le ceneri al tempio crematorio, dissi a Puffa, uno dei nostri cinque gatti, con cui Matteo scherzava spesso, che la mattina seguente avrei preso una ciocca del suo pelo da sigillare nell’urna. Ma la mattina dopo Puffa era introvabile, si era nascosta sotto le coperte che mettevo sui divani per proteggerli, non lo aveva mai fatto prima. La trovai solo dopo che decidemmo di mettere nell’urna una miniatura di Warhammer. Lavorando per tanti anni in un posto si diventa una grande famiglia, ci si conosce tutti, genitori e figli dei colleghi.

Noi, compreso mio figlio, condividevamo anche la parrucchiera. Un mese prima della dipartita di mio figlio, andai da lei con alcune colleghe e in quell’occasione la “pettinatrice” disse che ricordava sempre con grande affetto la mamma di una di loro. La notte in cui Matteo morì, la parrucchiera sognò questa mamma: le diceva di stare tranquilli, che ci avrebbe pensato lei. Si svegliò preoccupata perché non capiva di cosa stesse parlando, solo successivamente comprese il collegamento. Matteo lavorava in sala impasti e, nonostante fosse lì solo da un mese, aveva legato con il capo pasticcere. A quell’uomo, a fine dicembre 2016, fu diagnosticata la leucemia. I medici non esclusero che lo shock provocato dalla morte di Matteo avesse potuto scatenare qualcosa che era già latente in lui. Una notte lo sognai sorridente e la moglie, dopo qualche giorno, mi disse di aver ricevuto una comunicazione dall’ospedale: l’uomo era fuori pericolo. Io e il capo pasticcere lavoriamo ancora lì e i nostri finti battibecchi sono impregnati di un grande Amore, quello autentico. Qualche tempo dopo, io e il papà di Matteo ci separammo e Andrea, l’altro figlio, rimase a vivere con me, in mezzo alle montagne, in provincia di Torino. Una mattina di dicembre stava nevischiando, io partii per andare al lavoro, in auto, con le gomme invernali e, quando vidi il traffico rallentato, chiamai Andrea, che doveva recarsi all’università a Torino per dare un esame, consigliandogli di cambiare tragitto. Lui mi disse che non aveva ancora fatto montare le gomme da neve e che la sua auto non ne voleva proprio sapere di aprirsi. Così andai a prenderlo. Mi accompagnò in ufficio e proseguì per l’università. In seguito cercò di scoprire cosa potesse avere la macchina. Chiamò il meccanico, che però non individuò il problema. Sembrava non restasse altro da fare che rivolgersi al carroattrezzi.

La sera, però, pulendo e spostando la batteria, l’auto finalmente si aprì. In pratica, sapendo che suo fratello non aveva montato le gomme da neve, Matteo fece in modo che non prendesse l’auto. Proteggendolo da un possibile incidente. Questa è l’unica spiegazione di un evento illogico. Nel luglio 2020 la mamma di Morris scrisse su Facebook ad Andrea chiedendogli di metterla in contatto con noi genitori. Ero perplessa e curiosa di sapere cosa avesse da dirmi quella donna. Non rammento esattamente le emozioni che provai mentre Patrizia mi raccontava tutto. Ricordavo l’incidente di Morris, mi aveva colpito per la sua assurdità. Mi disse che Morris, durante un contatto avvenuto grazie a Sonia, le aveva chiesto di rintracciarci e parlare con noi. Mi spiegò come ci aveva trovati, pur avendo pochi indizi. Patrizia risiede a Cirié, dove per qualche tempo abitammo anche noi, ma non c’eravamo mai conosciute. In definitiva, con la telefonata mi rassicurò: “Matteo sta bene, potete stare tranquilli”. Ma noi non eravamo affatto sereni. Matteo non era avventato, perciò non potevo credere che non avesse valutato il pericolo rappresentato dal meccanismo della pinza del forno. Dopo circa un mese, Patrizia mi scrisse: aveva bisogno di parlarmi. Durante un altro incontro con Sonia, si era di nuovo palesato Matteo: le aveva chiesto di dirmi che lui era stato attento, che non era colpa sua né di nessun altro. Reagii animatamente a quell’ultima affermazione: “Qualcuno ha delle colpe, eccome se le ha!”. E lei: “Allora ti leggo anche il resto, qualcuno avrebbe dovuto controllare di più”.

Così capii che Matteo si era infilato nel contatto tra Morris e Patrizia per darmi delle risposte. Febbraio/marzo 2021: periodo difficile, le restrizioni Covid, i problemi con il lavoro. La situazione a livello psicologico era veramente pesante. E anch’io, come tante altre persone, pensai seriamente al suicidio. I miei pensieri negativi vennero interrotti da una telefonata da Patrizia: “Sento una forte spinta che mi invita a incontrarti”. Così, dopo quasi un anno dal nostro primo messaggio, ci vedemmo per un caffè. Quell’appuntamento era per me l’ultimo spiraglio di luce, una piccola speranza. Sembrava che io e Patrizia ci conoscessimo da sempre, anche se con due percorsi di vita diversi. Ci accomunava la perdita di un figlio, che non era una cosa da poco. Quell’incontro mi diede la motivazione: i tempi erano maturi per conoscere Sonia Benassi. Mi recai a Trento, dove lei teneva uno dei suoi corsi. Durante la prova del tavolino, si palesò mio figlio: “Sono Matteo, ho ventitré anni, sono morto per un incidente sul lavoro”. Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. Ma, una volta superata l’emozione, pensai che quello non era il modo in cui volevo interagire con mio figlio. Troppa gente, mi serviva qualcosa di più intimo. Durante il secondo giorno del seminario lo dissi a Sonia e lei rispose: “Dopo andiamo a parlare con tuo figlio”. La prima parola di Matteo fu: “Finalmente!”. Quanto aveva dovuto brigare per farmi arrivare lì, quanta gente aveva dovuto coinvolgere. Sapeva che volevo suicidarmi, così mi rimproverò: “Non fare cavolate che dopo non ti vedo, poi Andrea ha bisogno di te, è lui la nostra priorità!”.

Parlammo dei nostri gatti e del cane che lo aveva raggiunto da poco. Sonia mi confermò che tutti i gatti che entravano nella nostra vita erano mandati da lui. Un micio era presente nello stabilimento la notte in cui lui morì e ancora adesso casa nostra è una meta molto frequentata dai piccoli felini. Gigio, il mio coccolone, era ormai malato da tempo e non ce la faceva proprio più. Una sera del marzo 2022, a mezzanotte, aprii il portoncino di casa per far uscire il gatto che fa vita notturna e trovai sul pianerottolo un micino nero. Non si spaventò, ma non si mosse, Chiamai Andrea e insieme parlammo con quel gattino, che continuava a guardarci. Gli portammo del cibo e lui lo apprezzò parecchio. Divorò letteralmente il contenuto di quattro scatolette, poi gli mettemmo l’antipulci e lasciammo a lui la scelta se tornare fuori o rimanere al caldo. Naturalmente scelse il calore del divano. Capimmo che era un segnale di lasciare andare Gigio, così chiamammo il veterinario per addormentarlo. Poi la guerra in Ucraina, altre incertezze e paure. Andrea si chiuse nel suo mondo, con i gatti. A quel punto chiesi un nuovo contatto a Sonia. Durante il colloquio Matteo si mostrò molto preoccupato per Andrea. “Gli darò uno scossone per spronarlo” mi disse. Nel frattempo l’ultimo micio arrivato prese confidenza con l’ambiente, arrivando a dormire nella stanza di Andrea, al secondo piano di casa nostra. Una mattina, io ero in servizio con la Croce Rossa, Andrea mi chiamò, dicendomi che quel gattino faceva fatica a respirare.

Purtroppo il gattino spirò prima che mio figlio potesse raggiungere il veterinario. Mi domandai per quale oscuro motivo un gatto avesse scelto di venire a trascorrere il suo ultimo mese di vita con noi, in questa casa. Mi piace pensare che sia stato il mezzo usato da Matteo per dare uno scossone a suo fratello. E pare abbia funzionato! Stefania Demarchi

CAPITOLO 25

Morris

QUANDO Sonia ci contattò per comunicarci l’intenzione di pubblicare un libro di testimonianze, provammo una fortissima emozione. Finalmente potevamo condividere con tante persone come noi, che da un giorno all’altro si ritrovano catapultate dentro una nuova esistenza, il messaggio del nostro Morris: “Io sono vivo, noi siamo vivi”. Morris rappresentava la gioia, l’ironia, l’amore per la vita. Lui era un ragazzo carismatico, solare, un vero angelo in terra, sempre presente quando gli altri avevano bisogno. Morris era fatto così: premuroso e protettivo nei confronti di coloro che considerava indifesi: bambini, anziani, animali. Il suo sorriso è uno dei ricordi più belli che ci ha lasciato prima di andarsene, travolto di schiena sul marciapiede dopo uno scontro tra due auto. Nostro figlio, nei mesi precedenti la disgrazia, ci fece pervenire dei “segnali”, parlando dell’assurdità di alcune morti e delle bizzarre

traiettorie del destino. Non abbiamo mai creduto che il trapasso significasse la fine di tutto. Così, sin dall’inizio, ci attivammo per ritrovarlo. La svolta fu conoscere Sonia Benassi. A quel punto le lacrime lasciarono il posto ai sorrisi e il dolore da distruttivo diventò costruttivo. Da quel momento comprendemmo la missione che Morris ci aveva affidato: aiutare il prossimo. Sin dal primo incontro ci accorgemmo del grande dono di Sonia. Con estrema semplicità e tenerezza ci descrisse fisicamente Morris. Poi ci raccontò il suo incidente, fornendoci date, nomi, soprannomi. Ci parlò dei cani che sono con lui, in particolare Winnie (sul foglio scrisse proprio così), riconoscendolo tra le circa dieci foto che mettemmo sul tavolo. Ci raccontò nostro figlio caratterialmente, soffermandosi in particolare sul suo sorriso. Poi ci disse che, data la generosità di Morris, da lui si presentavano tanti ragazzi. Persone che avevano la necessità di far arrivare messaggi ai loro cari. Tra questi un certo Matteo, a noi assolutamente sconosciuto. “Vorrei che faceste arrivare una comunicazione alla sua famiglia.” Siccome nulla accade mai per caso, in seguito a una serie di assurde coincidenze, rintracciammo la madre di Matteo, recapitandole il messaggio d’amore di suo figlio. “Non capisco perché, ma lui vuole che ve lo dica: mamma tira fuori l’orologio” altra comunicazione di Morris tramite Sonia. Dovete sapere che quella mattina, sapendo di avere un contatto con lui, misi il suo orologio nella borsa all’insaputa di mio marito. Scordai di averlo, Morris me lo rammentò.

Il nostro percorso con Sonia proseguì con i seminari di Cantù, dove accadevano veri e propri fenomeni: porte che si aprivano, tende che cadevano, apporti, anime molto evolute che si presentavano all’improvviso. Morris era come a casa sua. L’ambiente e le persone con cui condividevamo quelle giornate gli permettevano di essere sempre presente, facendo sentire tutta la sua energia durante l’esperimento del tavolino, esperienza davvero unica e meravigliosa. Proprio a Cantù ricevemmo un’altra bella esternazione di nostro figlio. Poco tempo prima del matrimonio di nostra figlia, Morris ci disse che quella sarebbe stata una splendida giornata e che lui avrebbe dato diversi segnali della sua presenza. E così fu, visto che la sua energia destò l’interesse generale. Avremmo ancora tanti aneddoti da raccontare, ma queste ultime righe le dedichiamo a Sonia, ringraziandola per il suo prezioso contributo. Perché, senza il suo aiuto, noi saremmo ancora una barca in balia della tempesta. Patrizia e Sandro Divorziati

CAPITOLO 26

Matteo “La malattia è un conflitto tra la personalità e l’anima.” ALEJANDRO JODOROWSKY

MATTEO si è ammalato a diciotto anni, di osteosarcoma, un tumore maligno dell’apparato scheletrico. Pur dovendo combattere contro un nemico cinico e arrogante, lui non ha mai smarrito per strada il coraggio e la speranza di riuscire a sconfiggere quel maledetto intruso. Ha superato un’amputazione, interventi ai polmoni, recidive al bacino. Anche per questo Dio l’ha aiutato, regalandogli una figlia nonostante diversi cicli di chemioterapia. Così è nata Chloè, diventata la nostra ancora di salvezza dopo la dipartita di nostro figlio, avvenuta il 24 novembre 2020. Grazie a Sonia Benassi, io e Eros abbiamo potuto “riabbracciare”, sia pure non fisicamente, Matteo.

Siamo stati un paio di volte da questa medium straordinaria e lei, pur non sapendo nulla di noi, ci ha riferito dettagli e circostanze di una precisione disarmante. Si è soffermata su Chloè, sull’anellino che ha messo nella tomba del padre. Ha poi citato il nome della compagna di Matteo e, inoltre, ci ha riferito, con nostro grande stupore, le cose che facciamo quando andiamo a trovare nostro figlio al cimitero. Tipo quando bussiamo sulla sua lapide, quasi come a chiedergli il permesso di entrare a “casa” sua. Sapere che grazie a Sonia possiamo avere la possibilità di interagire ancora con lui è un grande sollievo. Il dolore è immutato e lo sarà per sempre, ma Sonia l’ha reso più tollerabile. Per questo non finiremo mai di ringraziarla. Oriana e Eros Massetti Pedroni

CAPITOLO 27

Jacopo

TUTTO è cominciato quando Sonia, dopo aver “visto” Jacopo, ha scritto su un foglio un nome: Gina. Gina, così mio figlio chiamava la sua adorata moto. Mi chiamo Erika e ho perso Jacopo, sedici anni, il 12 dicembre 2019 dopo quattro anni di terapie devastanti per combattere quel maledetto tumore. Se non avessi conosciuto Sonia, scriverei “ero la madre di Jacopo” ma, avendo conosciuto questa medium straordinaria, oggi posso affermare a chiare lettere che sono ancora la mamma di Jacopo. Perché lui esiste, anche se in un’altra forma. Questa certezza l’ho potuta maturare in questi ultimi mesi grazie alle canalizzazioni di Sonia. Premetto che non ho mai creduto alla vita dopo la morte e neppure alla medianità ma, durante il lockdown del 2020, sono stata incoraggiata da persone conosciute in modo occasionale a iscrivermi

a un corso sull’argomento in questione, tenuto a settembre da Sonia a Milano. Essendo una persona estremamente razionale mi sono approcciata all’incontro senza grandi aspettative. Ma, come avrete capito, mi sono ricreduta in fretta. Avevo letto il libro di Sonia e ascoltato varie testimonianze di persone rimaste sbalordite dalle sue comunicazioni, ma solo l’esperienza diretta, quella vissuta in prima persona, può togliere ogni dubbio. Stavo cercando una prova della “nuova” esistenza di Jacopo e Sonia, scrivendo il nome Gina, me l’ha fornita. Lei non poteva saperlo in alcun modo e quel particolare ha cambiato la mia vita. Anche se nessuno potrà mai cancellare il dolore per la mancanza fisica di mio figlio, posso dire che Sonia mi ha alleviato di parecchio la sofferenza. Voglio elencarvi alcune “prove” che ho avuto la fortuna di ricevere durante le canalizzazioni, alcune su mia domanda specifica, altre uscite spontaneamente da Jacopo attraverso la voce di Sonia. “So che la nonna ti fa arrabbiare, ma tu porta pazienza.” Dovete sapere che mia madre non mi parla più da anni. “L’ho visto il disegno!”. Gli avevo chiesto cosa avevamo inserito dentro la sua bara: un disegno fatto dalla sorellina di cinque anni, ultimo dono per il fratello. “Tvb.” Per mesi ho cercato ovunque uno scritto di conferma del suo volermi bene: ho guardato nei libri, nel suo telefono, contattato compagni di scuola, senza esito. “Jacopo, mi dici dove trovo quello che sto cercando da mesi?”. E, chissà come mai, m’imbatto nella frase “ti voglio bene”. “Mamma, ci sono altre persone qui con me: Davide, Matteo, sua madre e Gabry, che ha un messaggio per suo padre.” Tutti ragazzi che hanno condiviso con lui il calvario della malattia.

Jacopo mi ha anche fatto sapere che devo perdonarmi ed essere serena, che lui sta bene (i sensi di colpa mi divorano e lui lo vede). Parla sempre di sua sorella Matilde: mi ha chiesto di regalarle il suo orsacchiotto preferito, poi mi ha pregato di amarla più intensamente e di riferirle che in ogni cuore che troviamo e in ogni arcobaleno che vediamo c’è lui, che la protegge e le sta sempre accanto. Naturalmente ha un pensiero anche per Andrea, il suo papà. Anche se mio marito cerca di mascherarla, Jacopo vede la sua sofferenza. “Mamma, sono contento per quello che stai facendo per i bimbi malati.” Ho aperto un’associazione per regalare sogni di viaggio a bimbi e ragazzi gravemente malati. “Topino.” Risponde così alla mia domanda: “Ti ricordi come ti chiamavo?”. Inutile aggiungere che lo chiamavo proprio così. Un pomeriggio, parlando con Jacopo, gli chiedo di andare da Sonia e di salutarmi. Glielo domando in quanto sapevo che, in quel momento, una mia amica (mamma anche lei di un angelo), stava facendo la canalizzazione. Una madre conosciuta in quell’incontro di settembre, che Sonia non avrebbe mai potuto collegare a me. Cercavo un’altra prova dell’esistenza di Jacopo. Poco dopo ricevo la telefonata di Maria, la mamma di quell’altro angelo. Mi riferisce che, pochi minuti prima che terminasse il suo contatto, si era palesato Jacopo, dicendole che si trovava con suo figlio e che io dovevo svegliarmi in quanto lui aveva fatto di tutto per farsi capire. Inutile descrivervi la mia gioia e la mia incredulità: Sonia non avrebbe mai potuto collegare Jacopo a Maria. “Asdru.”

Gli ho chiesto di salutare mio padre e se poteva ricordarsi il soprannome che mi dava da piccola: Asdrubale. Vorrei concludere con una frase scritta dal mio Jacopo, una bella certificazione della sua dolcezza e maturità. “Ho imparato una cosa: che non bisogna mai accanirsi contro la naturalezza del nostro disegno, in questo modo è più semplice anche andare.” Concludo ringraziando Sonia, per avermi donato una seconda vita e la possibilità di trovare una boccata d’ossigeno ogni qualvolta la vedo. Perché, come mamma, posso affermare che vedere tuo figlio torturato per quattro anni, vederlo consumarsi giorno dopo giorno, vederlo rinchiuso in una bara bianca, freddo e immobile, sapere che non avrai mai più la possibilità di parlargli, di toccarlo, di accarezzare la sua pelle e di immaginare il suo volto come uomo è un dolore così devastante da condurti al più folle dei pensieri. E devo dire la verità: senza Sonia non so cosa avrei fatto della mia vita. Erika Corazza

CAPITOLO 28

Micah “Ho imparato un sacco di cose semplicemente ascoltando.” ERNEST HEMINGWAY

NOI, io e mia moglie, abbiamo ascoltato Sonia. E abbiamo imparato molto da lei. Ne avevamo tanto bisogno. Perché dal 31 dicembre 2021 niente è più come prima. Quel maledetto giorno ha segnato la fine di tutto ciò che rendeva musica ogni respiro di due genitori innamorati. L’arrivo di Micah, il nostro piccolo capolavoro, due anni e mezzo di dolcezza, aveva fatto diventare quella sinfonia l’inno alla gioia di Beethoven. L’universo ha deciso di strapparci brutalmente la serenità, costringendoci a compiere quel viaggio infernale che conduce dritto all’evoluzione dell’anima.

Il nome di Sonia è uscito in uno dei tanti messaggi che ci arrivavano da più parti, così noi, dopo un periodo di totale chiusura, a un certo punto abbiamo deciso di provare a contattarla e a seguirla in maniera più approfondita, perché qualcosa (o qualcuno) ci spingeva verso di lei con estrema fiducia. Ma la distanza era troppa e i suoi appuntamenti arrivavano fino al 2025, tutti cancellati a causa delle sue condizioni di salute. A quel punto abbiamo pensato di soprassedere. Ma ecco che a luglio 2022 appare la possibilità di incontrarla all’evento di Grosseto, che noi consideriamo il punto di svolta. Da subito, anche se lo scetticismo regna sovrano nella mente di chi vuole proteggersi dagli sciacalli del dolore, abbiamo avuto la sensazione di trovarci di fronte a qualcosa di estremamente pulito. Così, dopo vari esercizi mattutini, nel pomeriggio scoppio in lacrime e lei, con la sensibilità che la contraddistingue, con un cenno della mano mi chiede di seguirla in un’altra stanza. Inizia a scrivere e, come d’incanto, ecco le prime conferme. “Mi parla di altri due fratelli, un maschio e una femmina, lui è il più piccolo dei tre” (non poteva saperlo). “Ciao Sonia, sono Miky” (si chiamava Micah, mai detto a nessuno dei presenti). “Mi arriva un nome, Ginevra è qui con me.” Dovete sapere che nostra nipote, incinta, la settimana successiva avrebbe scoperto il sesso del nascituro e, riguardo ai nomi, aveva scelto Enea per il maschio e Ginevra per la femmina. Pochi giorni dopo, con lo scoppio di un palloncino, ci arriva una pioggia di coriandoli rosa: Ginevra, appunto. Poi Sonia mi dice che devo parlare con nostro figlio, fargli tutte le domande che voglio. Io esordisco con un “Mi sento in colpa”, ma Sonia mi fa leggere quello che gli ha appena dettato Micah: “Nessuna colpa, tutto così veloce”. “Nonna è arrivata, non dove sono io ma è arrivata” (una settimana prima la nonna materna se n’era andata).

Queste e tante altre cose venute fuori da quella stanza non sono mai uscite dalle nostre bocche e nemmeno avrebbero potuto essere reperibili su internet, soprattutto il nome di Ginevra e la morte della nonna. L’indomani continuiamo gli esercizi e arriviamo al tavolino, qualcosa che noi non conoscevamo. Ignari di cosa possa succedere, ascoltiamo Sonia mentre spiega di cosa si tratta. Ci rapisce la serenità che emana e proviamo a rilassare mente e cuore. Non sappiamo cosa aspettarci, ancora storditi dalle tante emozioni e sorprese avute il giorno precedente. Così, in silenzio, osserviamo le cinque o sei persone che si mettono intorno al tavolo con lei. Inizia a manifestarsi la prima entità, il tavolo si inclina e sembra interagire, noi assistiamo increduli a quello spettacolo privo di logica. Un via vai di persone che si alzano e lasciano il posto ad altre, mentre una potente energia invade la stanza. Dopo qualche minuto mi ritrovo al tavolo e lo sento muoversi sotto le mie mani. L’energia che lo sposta è inspiegabile e da fuori non si riesce a percepire in pieno. Mi alzo e lo stesso fa una signora, che fa sedere Denise. Mia moglie chiude gli occhi e da quel momento iniziamo a sperare che il nostro piccolo trovi la forza di interagire con noi. Uno scricchiolio leggero, il tavolo si inclina lento verso di lei e così resta immobile a ogni domanda. Sonia riprende in mano la situazione, poggia il tavolo a terra e con decisione chiede all’anima di presentarsi. Così inizia a battere per terra fino alla lettera M, subito dopo la I, poi la C. A quel punto percepiamo la presenza di Micah. Quando mia moglie esclama: “Questo è Micah”, il tavolo le piomba sulle gambe spinto da una forza che va oltre il peso di un

semplice tavolo. Rimaniamo a bocca aperta, travolti da uno tsunami di emozioni. Poi Sonia ci guarda negli occhi e ci dice che è insieme ad Andrea, suo zio. Andrea è il fratellino di mia moglie, venuto a mancare prima che lei nascesse. Poi il tavolo batte altre quattro lettere: NOAH. È il nome del fratello più grande di Micah. Vorrei concludere questo racconto con una parola: consapevolezza. Consapevolezza che siamo circondati da belle persone nonostante questo mondo malato. Consapevolezza che il viaggio non finisce e che amare e lottare in questa vita non è inutile perché la morte si è trasformata in un ponte e non in un buco nero che cancella tutto. Consapevolezza di aver trovato in Sonia qualcosa di molto profondo, qualcosa che va al di là di quello che ha fatto per noi. Perché gli occhi sono lo specchio dell’anima e i suoi, sin dal primo istante, ci hanno trasmesso amore e purezza. E noi le vogliamo tanto, ma tanto bene. Marco e Denise Triberti

Ringraziamenti

Questo libro è il magico frutto di tante persone incarnate e disincarnate, per questo vorrei ringraziare tutti senza tralasciare nessuno. Di questo mondo terreno ringrazio in primis tutte le persone che hanno voluto condividere queste preziose testimonianze, mio marito Massimo per essermi sempre accanto nella buona e nella cattiva sorte, mia sorella Cinzia e mio cognato Renato per essere sempre presenti nella nostra vita con tanta forza e delicatezza, mia sorella Alessandra e mio nipote Alessio. Poi ringrazio i miei meravigliosi animali, il dottor Massimo Citro e la dottoressa Martina Rendo per il supporto medico e morale, e tutte le amiche e gli amici che mi sostengono sia nella vita reale che in quella virtuale. Del mondo dell’oltre saluto tutti i ragazzi, le ragazze e le anime che hanno contribuito a scrivere questo libro. Non può mancare un pensiero per mia madre Giuliana e mio padre Giorgio, perché è a loro che chiedo sempre il coraggio e l’energia per andare avanti. Per ultimo, ma non certo per ordine d’importanza, ringrazio il mio caro Santo Padre Karol Wojtyla per la sua presenza costante. Tutto questo adesso, nel momento più importante della mia esistenza, dove vita e morte si stanno sfiorando. Per concludere ringrazio anche me stessa, perché sto affrontando nel modo migliore il frangente più delicato.

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