Introduzione di Eugenio Garin La storia della filosofia come sapere critico. Studi offerti a Mario Dal Pra

Il volume vuole essere segno tangibile dell'affetto di amici e discepoli a Mario Dal Pra (1924-1992), e testimonian

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Italian Pages 772 [784] Year 1984

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Introduzione di Eugenio Garin 
La storia della filosofia come sapere critico. Studi offerti a Mario Dal Pra

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LASTORI ADELLAFI LOSOFI A COMESAPERECRI TI CO St udi o f f e r t i aMa r i oDa l Pr a

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Fr a nc oAng e l i

I lettori che desiderano essere regolarmente informati sulle novità pubblicate dalla nostra Casa Editrice possono scrivere, mandando il loro indirizzo, alla "Franco Angeli Editore, Casella Postale 17130, 20100 Milano", ordinando poi i volumi direttamente alla loro Ubreria.

LA STORIA DELLA FILOSOFIA COME SAPERE CRITICO STUDI OFFERTI A MARIO DAL PRA DI N. BADALONI. M. BALDI, F. BARONE, E. BECCHI, D. BIGALLI, W. BO TTEMEYER, G. CANZIANI, P. CASINI, C. CESA, M. CINGOLI, R. CRIPPA, F. DECLEVA CAIZZI, M.A. DEL TORRE, F. DE MICHELIS PINTACUDA, P. DIBON, P. DI VONA, G. DOZZI. G. ERNST, P. FARINA, M. FUMAGALLI llEONIO-BROCCHIERI, L. GEYMONAT, A. GRILLI, M. ISNARDI PARENTE, G. !.ANARO, A. LUPOLI, G. MICHELI, E. MIGI.IORINI,

G. MORPVRGO-TAGLIABUE, G. OLDRINI, A. PACCHI, G. PAGANINI, F. PAPI, M. PARODI.

J. P�PIN, R. PETTOELL.O, L. POZZI D'AMICO, M.V. PREDAVAL MAGRINI, E. RAMBALDI. E. RONCHETTI, P. ROSSI, A. SANTUCCI, C. VASOLI, S. ZEPPI

INTRODUZIONE DI EUGENIO GARIN

FRANCO ANGELI

Copyright© 1984 by Franco Angeli Editore, Milano, Italy E' vietata la riproduzione, anche pàrziale o ad uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo effettuata, non autorizzata.

INDICE

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Premessa Per Mario Dal Prà, di Eugenio Garin

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Sezione prima Dalla cultura antica al XII secolo

Cultura filosofica nel proemio di Grazzio, di Alberto Grilli L'arcane religieux et sa transposition philosophique dans la tradition platonicienne, di Jean Pépin Il gentile uomo innamorato: note sul « De Amore », di Maria Teresa Fumagalli Beonio-Brocchieri Misura, numero e peso. Un'analogia nel XII secolo, di Massimo Parodi Sezione seconda Momenti di storia dello scetticismo

Le radici presocratiche della gnoseologia scettica di Pirrone, di Stelio Zeppi Timone di Fliunte: i frammenti 74, 75, 76 Diels, di Fernanda Decleva Caizzi I democritei e l'antiscetticismo di Epicuro ( « Ratae Sententiae » XXIII-XXIV), di Margherita Isnardi Parente "Scetticismo moderato" e aristotelismo antiscolastico: la pole­ mica tra Joseph Glanvill e Thomas White, di A. Lupoli Hume, il dubbio « pirroniano » e la scepsi « accademica », Ji Gianni Paganini

6 Sezione terza Ragione, metafisica e società nel pensiero del '500 e '600

«De Coryntho para Athenas ». Urnanesimo e politica universi­ taria nel Portogallo di Giovanni III, di Davide Bigalli La sovraeminenza di Dio nella scolastica del '600, di Piero di Vona

Note e riflessioni sulla «Monarchia di Spagna» di Tommaso Campanella, di Germana Ernst Bartholomaeus Keckermann e la storia della logica, di Cesare Vasoli

Clerselier, éditeur de la Correspondance de Descartes, di Paul Dibon

La filosofia come « medi'tatio vitae Crippa

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in T. Hobbes, di Romeo

Hobbes e il Dio delle cause, di Arrigo Pacchi Note sull'immaginazione e le idee tra Descartes e Locke, di Guido Canziani

Motivi anticartesiani in un inedito di Leibniz dedicato a Fardella, di Maria Vittoria Predaval Magrini « Voyager en esprit»: il viaggio immaginario nelle utopie liber­ tine francesi del secondo '600, di Paolo Farina

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Sezione quarta Presenza e critica della tradizione tra '700 e '800

Spinoza in Francia: dall'anatema religioso all'esegesi filosofica. Boulainvillier e Condillac, di Emanuele Ronchetti Radici teoriche del dispotismo illuminato in Italia: le «Medita­ zioni » di Isidoro Bianchi, di Marialuisa Baldi La critica di J. De Maistre a Locke, di Gianni Micheli Darwin e i teorici del «mora! sense», di Paolo Casini Sezione quinta Hegel e l'hegelismo

La «riflessione» negli scritti jenensi di Hegel ( 180 1-180 5), di Giovanni Dozzi

L'antropologia di Lavater e Gall nella «Fenomenologia dello Spirito», di Lelia Pozzi d'Amico « Weisen » e « Beweisen» nella trattazione hegeliana del moto . naturalmente accelerato, di Enrico Rambaldì I tardi epigoni dell'hegelismo napoletano, di Guido Oldrini

7 Sezione sesta Marx e la discussione sul marxismo

Tecnologia e prassi rivoluzionaria nell'interpretazione marxiana di Darwin, di Nicola Badaloni Valore d'uso e linguaggio in Marx, di Fulvio Papi Le vedute marxiste sulla crisi del capitalismo (Marx e Rosa Luxemburg), di Guido Morpurgo-Tagliabue Su alcuni aspetti della dialettica in Marx, di Mario Cingoli Note su alcune obiezioni al materialismo dialettico, di Ludovico Geymonat

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Sezione settima Empirismo, pragmatismo, neoempirismo nel pensiero contemporaneo

Empirismo e realismo critico in Herbart. La rifondazione empirica della filosofa critica, di Renato Pettoello William James e il « ritorno » a Hume, di Antonio Santucci Vailati e il« Leonardo», di Giorgio Lanaro Un corso di morale di Preti, di Ermanno Migliorini Formiche, ragni, epistemologi, di Paolo Rossi Tra empirismo ed anarchismo metodologico, di Francesco Barone Sezione ottava Problemi di storia della storiografia filosofica

Erasmo e le origini della storiografia moderna, di Fiorella De Michelis Pintacuda

Kuno Fischer e le sue introduzioni alla storia della filosofia moderna, di Claudio Cesa Il dibattito sulla storiografia filosofica nell'Italia degli anni '50, di Maria Assunta del Tarre Gedanken zur Rezeptionsgeschichte der Philosophie, di Wilhelm Biittemeyer

Sezione nona

Studiar filosofia, di Egle Becchi

Appendice

Bibliografia degli scritti di Mario Dal Pra,

a

cura di Luca Bianchz

PREMESSA

Questo volume intende essere un segno tangibile dell'affetto che amici e discepoli portano a Mario Dal Pra, giunto al suo settantesimo compleanno, e insieme una testimonianza concreta della profonda inci­ sività e fecondità del suo magistero nel campo degli studi filosofici . Per questo si è deciso di ordinare i contributi secondo filoni di indagine che si rapportano a linee di ricerca a lui particolarmente care. Molti sono coloro - enti e persone - ai quali va l'espressione della nostra più viva gratitudine per aver collaborato alla riuscita del­ l'iniziativa : il Consiglio nazionale delle ricerche, il Comune e l'Am­ ministrazione provinciale di Milano, la sede vicentina della Banca cat­ tolica del Veneto che hanno finanziato l'impresa; il Dipartimento di filosofia e il suo direttore che l'hanno in vari modi assecondata, per non parlare del solerte e prezioso apporto dell'editore Franco Angeli. Un caloroso ringraziamento va agli autori dei saggi qui raccolti, per l'entu­ siasmo e la serietà professionale con cui hanno aderito al nostro invito , ma ringraziamo anche quanti, pur non intervenendo direttamente con degli scritti, d hanno sostenuto con la loro approvazione e simpatia: e pensiamo in particolare ai professori Raffaello Franchini e Valerio Verra. Ci sia lecito inoltre ricordare la partecipazione del compianto Francesco Corvino al complesso avvio del progetto. Last but not least, ci è grato menzionare il paziente e volonteroso impegno degli amici Canziani , Paganini, Parodi e Predaval, che ci hanno validamente affian­ cato nel lavoro organizzativo e redazionale.

Maria Assunta Del Torre Maria Teresa Fumagalli Beonio-Brocchieri Arrigo Pacchi

PER MARIO DAL PRA

di Eugenio Garin

Nato nel 1 9 1 4, l'anno in cui scoppiò la prima guerra mondiale , Mario Dal Pra appartiene a quel gruppo di studiosi italiani di filosofia che si sono venuti formando nell'atmosfera culturale travagliata e dif­ ficile della preparazione e dello svolgimento della seconda guerra mon­ diale. Anche dal Pra fece l 'esperienza dell'agonia · del fascismo e della sua tragica caduta, della guerra e della catastrofe. Alla meditazione filosofica si intrecciano costantemente in lui la passione politica e la partecipazione alla lotta di resistenza e alla ricostruzione, che, uomo di scuola, visse nel settore più delicato della vicenda nazionale: appunto la scuola. Il nesso teoria/ prassi e il problema dei valori, prima di es­ sere per lui nodi da sciogliere sul piano nazionale , furono esperienze di vita. Nato in quel di Vicenza, a Montecchio Maggiore, aveva studiato a Padova sotto la guida di Erminio Troilo, discepolo di Roberto Ardigò, che dal positivismo iniziale sarebbe approdato a quel « realismo asso­ luto » in cui si componevano, nell'eredità di certe tematiche 'naturali­ stiche' dello stesso Ardi_gò, alcuni dei motivi metafisici più validi di Giordano Bruno e di Spilioza, da lui lungamente studiati. Nel 19 3 7 Dal Pra pubblicava quella che era stata la sua tesi di laurea, Il realismo e il trascendente, incentrata sui problemi del monismo e del dualismo antologico , « della personalità dell'Assoluto, della Creazione e dei rap­ porti fra l'Assoluto e il mondo » . Quasi a continuare e a integrare l'opera sul terreno "gnoseologico " , nel '40 Dal Pra-dava alle stampe a Verona un secondo volume su P en siero e realtà 1. l. Il volume Il

realismo ed il trascendente, Cedam, Padova, 1937,

è il vol.

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A "collocare" adegu�tamente quei testi, e il primo avvio del giova­ ne studioso, non basta riandare al clima filosofico italiano degli anni '30, caratterizzato dallo sforzo convergente di "spacciare " l'idealismo nelle varie sue forme, in nome di istanze "realistiche" fra loro in verità as­ sai poco omogenee. È necessario rifarsi, oltre che all'atmosfera spiri­ tuale veneta in genere , all'ambiente specifico degli insegnamenti filo­ sofici padovani. Le esigenze e le linee di metodo a cui Carlo Dionisotti diede voce nella sua celebre prolusione al Bedford College di Londra il 22 novembre 1 949 su Geografia e storia della letteratura italiana sono pienamente valide anche nel campo della produzione filosofica, con buona pace dell'immagine retorica del filosofare come ricerca ra­ zionale pura. Le idee - come diceva Antonio Labriola - camminano con i piedi degli uomini che le pensano, e quei piedi poggiano sulla terra, e su una terra ben determinata. A Padova, anche senza risalire troppo addietro nel tempo, avevano insegnato Roberto Ardigò come Francesco Bonatelli; a Padova era passato dal '19 al '27 a insegnare psicologia sperimentale Vincenzo Benussi; a Padova Giovanni Marche­ sini aveva continuato fino al '3 1 il magistero di Ardigò; da Ardigò era partito Erminio Troilo, al cui fianco insegnerà Luigi Stefanini, quasi in un continuo confronto fra una nobile tradizione "positiva" e "scien­ tifica", e sincere istanze "spiritualiste " e " religiose " . Chi rilegga oggi le pagine "metafisiche " d i Dal Pra giovane, dei libri che si sono citati come dei molti articoli pubblicati dal '37 in poi sulla piccola ma significativa rivista « Segni dei tempi » , è subito col­ pito dalla peculiarità della sua esigenza " realistica " , e dalla sua impo­ stazione critica nei confronti dell'idealismo, ma ben consapevole della necessità di rispondere seriamente alle sue esigenze 2 • Non a caso sul frontespizio di Pensiero e realtà si legge, a motto, l'affermazione di Hegel che « il pensiero non sta fra noi e le cose allontanandocene, ma, al contrario, ci unisce ad esse » . Con coerenza l'introduzione del libro insisteva sulla necessità di fondare la « prospettiva metafisica unitaria », quale quella difesa nell'opera Il realismo e il trascendente, su una pre­ liminare discussione "gnoseologica " , che per un verso mettesse a fuoco XIII delle pubblicazioni della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Pa·

dova. Relatori della tesi Troilo, Stefanini e Guido Rossi ; sul "primo" Dal Pra, cfr. F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano (1945-1954), Cisalpino-Goliardica, Milano, 1983, pp. 129-161. Il vol. Pensiero e realtà uscl a Verona, "La Scaligera ", 1 940. 2. « Segni dei tempi >>. Rassegna trimestrale di scienze morali. Fondata e diretta da Paolo Bonatelli e C. Cavedani (la direzione era a Parma}. La collabo­ razione di Dal Pra a « Segni dei tempi>> va dal '37 al '42.

III « il rapporto di trascendentale e trascendente, ossia il passaggio dal pensiero in noi al penisero assoluto�>, e per un altro verso avviasse « una descrizione completa della vita dello spirito, oltre al pensiero, e con riguardo speciale al mondo dei valori�> . Che sono, entrambe istanze , destinate a rimanere al fondo di tutta la riflessione di Dal Pra, anche se via via " tradotte" in linguaggi diversi, con risposte e esiti molto di­ versi, secondo il variare delle situazioni storiche. Comunque, allora, negli anni '40, colpisce in Dal Pra la consape­ volezza delle radici lontane di quel dibattito fra "idealismo e realismo " , niente affatto italiano o "provinciale " , ma serpeggiante ovunque nella cultura del '900, anche se in modi vari. Come colpisce il richiamo a una critica dell'idealismo, ma interna all'idealismo stesso, capace cioè di intenderne tutte le esigenze, e saldata a una discussione "gnoseo· logica " decisa ad affrontare i problemi dei fonda �enti stessi del sapere, rifacendosi a Kant. Non a caso Dal Pra richiama Varisco, di cui ha innanzi l'esito estremo nell'opera postuma Dall'uomo a Dio che proprio allora, nel '39 , Enrico Castelli e Giulio Alliney avevano pubblicato con qualche notevole eco. Proprio davanti a certi itinerari, e a certe conclusioni di pensatori tutt'altro che superficiali, Dal Pra si rende conto che è necessario ricominciare richiamandosi ai principi, a una radicale critica del capire, al di là di troppa oc�asionale produzione ita­ liana sull'argomento. Dal Pra sa, e lo dice chiaramente, che i nodi della riflessione teorica che ha davanti a sé sono « il prodotto di una evoluzione filosofica dell'umanità », e che per scioglierli bi�ogna inten­ derli, e che per intenderli è necessario individuarli nella loro genesi, e recuperarne sul serio la "storia " . « Occorre riprendere il problema al punto in cui l 'ha lasciato Kant », e, quindi, riesaminare tutto il rap­ porto Kant/ Hume : occorre, insomma, far ei conti con il maggior di­ battito contemporaneo, ripercorrendo le tappe - e i molti rivoli delle discussioni del neokantismo ottocentesco, non a caso svoltesi sem­ pre su due fronti interdipendenti : storico e teorico . Oggi comunemente si ritiene che il contributo più rilevante di Dal Pra alla ricerca filosofica contemporanea sia quello recato in sede sto­ riografìca. Senonché sembra spesso sfuggirne proprio il significato pro­ fondo, quando non si mostra di intendere come quella storiografia ebbe origine, le ragioni che la suscitarono, e che essa si pose non solo quale risposta teorica ai maggiori problemi di metodo, ma quale modo di concepire la filosofia stessa, e il suo compito - e quindi come fi­ losofia. Fino dalle sue prime ricerche rnonografìche, con i volumi su Scoto

IV

Eriugena del '41 e su Condillac del '42 , Dal Pra si avv10 a impostare l 'indagine storica al di fuori dei canoni della storiografia prevalente in I talia, e con un complesso di esigenze nuove, o, comunque, non diffuse. Ai due modelli "idealistici", dell'attualizzazione selvaggio del passato intesa a "leggere" nell'acqua di Talete l'Atto puro di Gentile, o della separazione astratta e assurda del "vivo" dal "morto", ossia di ciò che concorda col "presente" valido per lo storico da ciò che è "diverso", e come tale respinto, Dal Pra oppone, non tanto la fedele esposizione dei testi, estrinseca e banale ( « riassunti senza sangue e senza vita che giustappongono in fila i pensieri come fossero fossili d'un museo »), quanto la attenta ricostruzione « di un divenire spirituale incoercibile >> entro una « equilibrata considerazione della effettiva posizione storica » . Così nel ' 4 2 , appunto nella premessa a l Condillac. Ma già nel '4 1 , nello Scoto Eriugena, si notava l ' esigenza di un accesso filologicamente e storicamente adeguato, la richiesta di una edizione finalmente "critica" del De divisione naturae, il bisogno di una precisa ambientazione del pensatore. Dal Pra, insomma, mentre intuisce il valore teorico della ricostruzione storica, si rende anche contO', proprio ai fini di quella "teoria", della necessità di una "riforma" degli studi di storiografia nlosofica, anche se per ora le tappe di quella riforma" sono piuttosto intuite che definite. Sa, tuttavia, e già lo dichiara, che è necessario rendersi conto, attraverso un esame critico completo della storiografìa a noi precedente, delle stratificazioni interpretative che si sono depo­ sitate sulla immagine di ogni pensatore. Intuisce che lo storico deve sempre fare due diversi lavori: ricostruire il processo di formazione e di sviluppo di un autore, individuandone, non solo le tappe, ma le molte radici e i vari apporti costruttivi provenienti da province diverse dell'esperienza umana ; analizzare, divenendone a pieno cosciente, tutta la sua storia postuma, destrutturandone, per così dire, l'immagine con­ sacrata . Se nel Condillac troviamo ancora formulazioni di sapore "attuali­ stico" (« cogliere l'anima del pensiero filosofico nella sua vivezza at­ tuosa )>; « fare qualcosa di vivo sopra un pensiero vivo )) ) , successiva­ mente vediamo anche emergere sempre più chiara, con la consapevo­ lezza della complessità dell'opera dello storico, l'idea che nell'analisi e nella comprensione del divenire effettivo del pensiero filosofico si sco­ pre e si verifica, quasi sperimentalmente, che cosa sia il filosofare, se ne individua i l processo - la storicità - e se ne definiscono le strut­ ture. In tempi recenti Dal Pra ha sottolineato, nella sua riflessione at­ tuale, l'in teresse per un incontro "tra storicismo ed epistemologia". Il

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« Alla direzione - ha detto - che va, per cosl dire, dalla struttura al concreto storico si aggiunge, nel pensiero contemporaneo, la dire­ zione diversa e complementare che mira a togliere alla determinazione del concreto storico la sua individualità irripetibile e si sforza per contro di configurarlo e di comprenderlo alla luce e per mezzo di precise struttura astratte, la cui radice storica determinata non elimina una fun­ zione comprensiva di portata più generale [ ] Nell 'ambito dello stesso storicismo sono portato a dare rilievo all'incontro, molto faticoso ma da varie parti tentato, tra giudizio storico e strumenti teorico-astratti, tra storia e scienza » 3• Si è trattato, ovviamente, di un "lungo viaggio", né Dal Pra è giunto d'un tratto alle conclusioni di oggi; ma è già significativo l'ac­ centuarsi, negli anni '40, dell'interesse pet la ricerca storica come stru­ mento privilegiato di verifica e di approfondimento teorico, unita­ mente all'esigenza di affrontare campi - come l'antichità e il medioe­ vo - che impongono la familiarità con raffinate tecniche specifiche, e una continua e severa sperimentazione sul 'campo'. Nel '50, l'anno in cui vedono la luce, tra loro connessi, i due maggiori contributi di Dal Pra all'indagine sul pensiero antico (La storiografia filosofica antica; Lo Jcetticismo greco), comparivano, nella prefazione della prima opera, osservazioni importanti sulla funzione teorica di una storia della storia della filosofia , che non può non configurarsi, alla fine, se non come logica della filosofia. E questo era quanto dire che la storia della sto­ riografia veniva chiaramente considerata come consapevolezza riflessa della filosofia - ossia come filosofia della filosofia, implicante una lo­ gica della filosofia, mentre lo scetticismo, di cui pure si affrontava una discussione sistematica, era 'Zisto, con Hegel, come « momento ' essenziale e rilevante dello stesso farsi della riflessione filosofica nella sua assolutezza » . Della storia della filosofia, insomma, si coglieva la valenza teorica, ma in una direzione diversa da quella attualistica: non la riduzione della filosofia al suo divenire storico, ma la ricerca, nel concreto dei "documenti" filosofici, delle forme e strutture (e dei vari "ingredienti") di quello che si è via via denominato, nel tempo, "filo­ sofare" . Nel 1 949, un anno prima dei due volumi sul pensiero antico, Dal Pra aveva pubblicato un libro su Hume, un pensatore che l'ha accom­ pagnato poi lungo tutta la sua attività di studioso. Ne tradurrà opere fondamentali; dopo venticinque anni, nel '73 , riprenderà e rielaborerà . . .

3. Cfr. La filosofia dal '45 ad oggi, a cura di Valerio Verra, Eri, Torino, 1976,

pp. 464-66.

VI·

la monografia del '49 preoccupato sempre di più di « far "parlare" il più possibile direttamente i t:sti » e di .colloc� rne la filosofia « in �na luce più storicamente determmata ». Cht constdera Hume tra le gmde e i pensatori decisivi, è fortemente tentato di dtrovarne frequente l'eco in tutta la ricerca di Dal Pra, dal '50 in poi : una compagnia critica costante, un richiamo al concreto dell'esperienza, ma anche ai limiti del senso e della ragione, e, soprattutto, al "limite" inderogabile del­ l 'uomo: una severa e amara medicina mentis, contro ogni illusoria tentazione "metafisica". Come si è detto, a questo più profondo orientamento critico Dal Pra non giunse d'un tratto, né per vie puramente speculative. Se fra la prima giovanile produzione degli anni '30 e le posizioni assunte sulla fine degli anni '40 non può parlarsi di una netta cesura .,.--- certe sollecitazioni e certe esigenze sono rimaste in lui costanti - deve tut­ tavia dirsi che la partecipazione attiva al gran dramma della guerra e della crisi nazionale, il contatto con ambienti nuovi e il rapporto con altre esperienze culturali, incisero in lui e concorsero a definire i pro­ blemi in prospettive diverse . Non è possibile qui, ora, neppure accennare a quello che significò allora , per molti, il risveglio alla lotta politica reale, l'incontro con un libero dibattito in un paese che lottava per rinascere. Allora, dav­ vero, chi quotidianamente partecipò su giornali e riviste, nei partiti che uscivano dalla clandestinità, alla discussione concreta, con l'illu­ sione che tutto fosse possibile agli uomini di buona volontà; chi inse­ gnava nelle scuole a contatto con i giovani - tutti sentirono che le idee finalmente erano scese in terra, e sulla terra dovevano combattere, mentre il momento organizzativo fac�va corpo con la elaborazione della cultura. Certo chi, in omaggio ai canoni di una rinascente storiografia filosofica tutta speculativa, è preoccupato soprattutto di ricostruire si­ stemi di concetti puri secondo l'ordine delle ragioni, difficilmente riu­ scirà a recuperare quei climi e quegli ambienti, al di fuori dei quali peraltro il moto del pensiero umano perde senso, fino a diventare enigmatico . Dal Pra lavorava ormai nella Milano dell'immediato dopoguerra, fervida di iniziative editoriali e culturali in genere, percossa sul terreno politico da quello che allora si chiamava "il vento del Nord"; all'Uni­ versità, e fuori, .Antonio Banfi e la sua scuola, e giovani pensatori pa­ radossali e inquieti come Giulio Preti - per fare un nome solo, ma di un amico caro a Dal Pra fino alla immatura scomparsa. Era un mondo tutto diverso, remoto dalla Padova anteguerra - ed era un

VI!

mondo ritrovato dopo esperienze decisive: dopo l'attività nel Partito d'azione clandestino, dopo la Liberazione, dopo la caduta di tante certezze pur nella riconosciuta validità di antiche esigenze di valori. Fu allora che Dal Pra fece alcuni incontri per lui molto importanti, quale quello con Andrea Vasa, che fra il '4 3 e il '45 aveva preso parte attiva alla resistenz� con le forze del Partito d'azione, e aveva collabo­ rato a Brescia e a Milano col gruppo che operava intorno a Ferruccio Parti . Nell'BO, poco dopo la morte improvvisa dell'amico , Dal Pra ebbe a dire, in un testo da tenere presente se si voglia mettere bene a fuoco il suo lavoro storico e teorico della piena maturità: « Io incontrai Vasa a Milano sia nella organizzazione politica del partito d'azione che si svolse nel trapasso dalla clandestinità alla prima impostazione del nuovo ordinamento democratico , sia nell'attività scolastica in quanto ci trovammo entrambi ad insegnare storia e filosofia nel Liceo Carducci . Nacque tra noi una vivissima amicizia che durò ininterrotta [ . ] . Occa· sioni principali dei nostri incontri l'insegnamento liceale prima e poi l'attività svolta presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Milano e il lavoro di dibattito svolto in relazione alla nascita ed al primo sviluppo della "Rivista critica di storia della filosofia" al quale Vasa partecipò con continuità e passione . Nacque in quegli anni e per l'apporto decisivo e principale di Andrea Vasa quell'orientamento di pensiero che fu poi indicato come trascendentalismo della prassi e che fu tracciato da lui con alcuni significativi saggi i quali comparvero ap· punto nella "Rivista critica di storia della filosofia" [ . . ] e fu per un tratto abbastanza lungo di tempo chiarito anche da parte mia con alcune note critiche nella stessa rivista » 4• La via di Andrea Vasa si sarebbe indirizzata verso mete, in parte almeno, diverse; ma è certo che in quel fervido periodo di discussioni e di collaborazione le eredità anche polemiche dell'attualismo, e tanta parte della tematica precedente, furqno da entrambi gli amici oltrepas· sate. Al centro della ricerca restava il problema fondamentale del rap· porto teoria/prassi, ma tutto ricondotto in un orizzonte mondano e storico, ove il trascendimento perenne del reale esistente doveva rea­ lizzarsi attraverso la costruzione umana, senza che fini e valori postu­ lassero altri mondi, estrapolando surrettiziamente ritmi e strutture della operosa esperienza terrena. D'altra parte fu, quella, la stagione di tutte le avventure, in un di­ battito che aveva sete di novità, e che si compiaceva delle combinazioni ..

.

4. Aa.Vv. ,

Ricordo di Andrea Vasa, Olschki, Firenze, 1982,

pp.

19-20.

VIli

più ardite, quando sotto il segno della prassi si amava combinare prag­ matismo e marxismo. Dal Pra, per suo conto, intendeva difendere il carattere "aperto", non dogmatico , non "metafisica", del suo modo di intendere la prassi nel rapporto con la "teoria" . « La prassi - af­ fermava nel congresso di filosofia del '53 - [ . . ] è il richiamo alla li­ ' bertà dell'uomo da ogni principio dato ed il richiamo insieme alla libertà di assumere il criterio dell'universale come termine di uno sforzo pra­ tico-puro » . E aggiungeva: « Il trascendentalismo di cui .si parla non ha ovviamente nulla a vedere còl trascendentalismo ontologico-metafi­ sico o struttu ralistico; è un trascendentalismo pratico-puro, possibile, libero, frutto di un'assunzione volontaria o di fede, non ancorato su una struttura dell'essere , non garantito da essa» 5. .

Più tardi confesserà di essersi reso conto di tutte le insidie insite in quell'assolutizzazione della prassi; e la sua confessione è in qualche modo precisazione esemplare di un'esperienza che non fu solo la sua. 47, 1912, pp. 496 ss.; W. Spoerri, Spiithellenistische Berichte iiber Welt, Kultur u. Gotter. Untersuchungen zu Diodor von Sizilien, Diss. Base! 1959, pp. 383-5. 4. Arist. II. qnÀocr. fr. 8 WR; Democr. B 5 III 135-6 DK. 5. Lucr. 5,1452 ss. secondo Verdière, p. 181.

14 Ha ragione l'Enk a notare « quod artes non usu, sed sapientia inven­ tas putat » (p . 5); ma di qui a concludere « Hoc igitur a Posidonio sum­ psit », rifacendosi all'ep. 90 di Seneca, ci corre. Per giunta, se vogliamo esser precisi, Grazzio non parla di sapientia, ma di ratio e, si noti , la per­ sonifica : in nessuna filosofia, ma neanche in nessun utente consapevole del latino sapientia coincideva con ratio; al più la seconda era o la causa o il movente della prima. Non vorrei, però, iniziare l'esame di questi versi al fine di cercarne un'interpretazione organica che non oscilli tra un Diodoro-Epicuro (o ancor peggio, all'epoca di Grazzio, un Diodoro-Democrito) e Posi­ donio senza prima fare un'osservazione che valga a chiarire quello che non esito a chiamare l'equivoco epicureo: non si è tenuto conto che è ben differente riprodurre i valori formali d'un poeta o assumerne il pensiero: è quello che mi è accaduto di notare a proposito della VI ecloga di Virgilio 6, attraverso la quale si è voluto arguire un Virgilio epicureo. Quando e come Virgilio sia stato aderente all'epicureismo non va certo mostrato attraverso una poesia che non ha problemi concettuali, ma solo preoccupazioni estetiche . Grazzio, come deve molto a Virgilio (il suo Cynegeticon non è un po' un quinto libro delle Georgiche?) per il suo poema didascalico, molto, se pur meno, deve a Lucrezio per la medesima ragione: la questione è di stile, non di pensiero. In Posidonio l'età primitiva è età dell'oro ed è f e l i c e perché penes sapientes era il potere ed essi lo esercitavano in base alle virtù cardinali (Sen . ep. 90,5) . Solo dopo, subrepentibus vitiis, si passò dalla monarchia dei sapienti alla tirannide degli insipienti 7 e accorsero le leggi (ibid. 6); le artes quibus in cotidiana vita utimur furono ritrovato della philosophia (ibid. 7) . Curioso fatto, fra tante scoperte dei sapientes Posidonio non attribuiva loro proprio l'invenzione della caccia (ibid. 1 1): Grazzio doveva escogitare per proprio conto quell'integrazione? Viceversa nel Cynegeticon la vita iniziale dell'uomo (prius, v . 2) non è definita infelice, ma è priva di vere risorse: infatti gli uomini primitivi erano inconsulti, 'inconsapevoli', e vita ... era! error in amni (v. 4); le uniche risorse erano quelle fisiche: omnis in armis spes, ogni speranza nella forza delle braccia 8, nuda virtute, cioè senz'armi. È solo 6. A. Grilli , « Adesione o cultura? (aspetti della filosofia nella "Bucoliche" >>, Maia, XXXV, 1983, pp. 23-8. 7. È interessante questa interpretazione particolare dell'à.vcx.xvxÀ.wcnç delle costituzioni platonica (e poi polibiana) . 8 . Armis non può essere che d a armus, 'braccio': cfr. Lucr. 5 , 1283 e Hor. serm. 1 ,3 ,101, opportunamente citato dal Verdière nel commento; ma nella tradu­ zione c'è un aberrante « dans la chasse ».

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in u n secondo momento (post, v . 5 ) che l'apparire della Ratio con alia propiore via (IJ.Eil'6o�) permette d'averne omne auxilium, rectus... ardo e di ex artibus artes proserere; fu allora che la violenza, nemica della ra­ gione (de-mens, v. 9) scomparve.

Concetti del genere non mancano nella poesia; se volessimo trovarne un modello poetico, non potremmo certo dimenticarci del « Prometeo » di Eschilo : quando Prometeo, inchiodato sul Caucaso, esalta i suoi meriti verso l'umanità primitiva; già l'Enk a ragione aveva ricordato per inconsulti l'a'tEP yvWIJ."'') , 4 (Roma, 1965), pp. 142-155, qui distingue à Éleusis un secret > , cf. O. Kern, Orphicorum fragmenta (Berolini, '1963 ) , n. 25, p. 312; on voit que c'est un mythe d'origine, destiné sans doute à fonder une pratique plus récente. 5. Biblioth. I I I ,55,9; V,49,5. =

20 qui l'a étudié, conjecture qu'il pourrait eu·e d 'origine mithriaque 6; or void quelques phrases empruntées à la formule de serment que, d'après ce document, prononçait le myste: Je jure certes �n sincère .bonne _ f�i d� conserver parmi les. sec �ets les myst�res qui m'auront ete trans�ls . . . F1 del � � mo.n serment, que 1e m en trouve b1en, mais, parjure, le contra1re, SI. 1e revele nen de tout cec1, 7 • ,

.

A Rome, le secret était exigé, sous peine des pires sévices, des initiés aux Bacchanales ; clans un passage célèbre, Tite-Live montre une courti­ sane, jadis introcluite dans cette confrérie et sur le point d'en dénoncer Ies turpitudes aux enqueteurs, avouant « éprouver une grande crainte cles clieux dont elle va divulguer les mystères secrets (occulta initia enun­ tiaret) , et une bien plus grande cles hommes qui puniront son indiscrétion en la déchirant de leurs propres mains » 8• Enfìn, le dernier livre des Métamorphoses d'Apulée atteste que les mystères d'Isis, et aussi ceux d'Osiris, comportaient une loi du secret; les notations de cette sorte abondent 9, souvent à l'aide de l 'adjectif arcanus et du substantif ar­ canu m 10; le passage le plus développé est d' ailleurs peu clair, puisque le narrateur Lucius tout ensemble refuse de divulguer de son initiation plus qu'il n'est permis sans sacrilège 1 1 , et accepte de satisfaire l 'envie qui tenaille le lecteur d'en savoir davantage 12• 6. F. Cumont, > (Hippolyte, Refut. V,27 ;2., éd. Wendland, p. 133, 1-2). 8 . Hist. 39, 13, 5 ; sur cette répression des Bacchanales en 186, voir ]. Bayet, Histoire politique et psychologique de la religion romaine, collection « Biblioth. histor. » (Paris, 1957) , pp. 152-155, et p. 167, n. 15. 9. Ainsi Métam. XI,2 1 ,7 : « possint magna re[igionis committi silentia » ; 23,2 : « secreto mandatis quibusdam, quae uoce meliora sunt »; 27,4: . 1 1 . XI,23,6 : « quod salurn potest sine piaculo ad profanorum intellegentias enuntiari referam ». 12. Tout de suite après avoir rappelé qu'il vaut mieux pour l'un et l'autre passer sur ce qu'il est interdir de dire et d'entendre, Lucius se déjuge en ajoutant (XI,23,5) : « Nec te tamen desiderio forsitan religioso suspensum angore diutino

21 A ces témoignages qui portent sur des cultes relativement déterminés, il faudrait ajouter tous ceux qui font état de l'obligation du silence dans l'initiation en général. Apulée lui-meme, parlant cette fois en son propre nom et traitant indistinctement cles nombreux mys tères auxquels il fut initié en Grèce 13, proclame non sans forfanterie devant le tribuna! : Il n'est péril qui me flt j amais consentir à divulguer devant des profanes ce qui m'a été confié sous le sceau du secret (quae reticenda accepi, haec ad profanos enuntiare) 14 • Bien des siècles auparavant , Periandros, tyran de Corinthe et l'un des sept Sages, avait émis cette sentence, qui a toutes chances de con­ cerner les mystères : « Garde-toi de divulguer les discours secrets » 15 • La meme loi du secret fournit aussi la matière d'une anecdote que Dio­ gène Laerce 16 rapporte de Théodore le CyrénaYque, célèbre athée de l'Antiquité (IVe - IIIe siècle) ; se trouvant un jour assis aux cotés d'un hiérophante, Théodore lui demande qui sont ceux qui commettent l'impiété touchant les mystères; réponse de l'hiérophante: « ceux qui les divulguent aux non-initiés » (o'L -roi:c; Ò:(J..u1)-rotc; a.u-rà. ÈxqJÉpO"V'"t"Ec;) ; conclusion malin tentionnée de Théodore : t e voilà dane toi-meme impie, puisque c'est ce que tu fais ! Malgré son allure fantaisiste, plus exactement à cause d'elle, ce der­ nier trait ne manque pas de portée: il montre que le thème du secret initiatique était devenu tellement avéré qu'il avait pu franchir les limites du discours religieux pour alimenter des discours profanes. Un rhéteur latin du IVe ( ? ) siècle, Fortunatianus, veut illustrer par un exemple une situation de la rhétorique judiciaire cataloguée sous le nom de « double demande » , et survenant quand deux définitions sur lesquelles l'une des parties faisait fonds sont attaquées par la partie adverse ; or voici le procès qu'il imagine: que celui qui aura divulgué (enuntiauerit) les mystères à un non-initié soit puoi de mort; un non-initié vit les mystères en songe, il les relata à celui qui avait été initìé : ce sont bien les mystères, dit celui-ci. On réclame son chati­ ment et il se défend ; cruciabo » . Sur l'ensemble, voir le mémoire classique de M. Dibelius, « Die Isisweihe bei Apuleius und verwandte Initiations-Riten », dans Sitzungsberichte der Heidelb. Akad. der Wiss., Philos.-hist. Kl . , VIII (1917), 4. 1 3 . Apologie 55,8-10; le seui culte nommé est celui de Liber pater. 1 4 . 56,10, trad. Vallette, p. 69. 1 5 . H. Diels, W. Kranz, Die F1·agmente der Vorsokratiker (Ber! in, 61951), I , p . 65,2 1 : A6ywv CÌ.7toppi)"t"Wv ÈxWO'LOU\I'tO 'tOU'tO wc; àO'S�1]J.tet) » ; par exernple, pour avoir divu]gué (È!:,EVEY:XELV) la canstruction de la sphère à partir des douze pentagones (le dadécaèdre) , le pythagaricien Hippasus périt en mer camme un impie (wÉpEW 'ttl ÀEXì}TJCTOJ.tEVC't. 42. Par exernple De philos. I, éd. Wolff, p. 1 1 0 en haut, dans Eusèbe, IV,7,2.

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la notion et le mot d '« exotérique » appliqué au contenu et à la forme de certaines oeuvres d'Aristate; cette désignation oriente a contrario vers l'existence d'autres oeuvres ordonnées davantage à l'usage interne de l'école, et nommées de fait « acroamatiques » 43• Il était à prévoir que la tentation serait de tirer la seconde catégorie du còté de l'enseignement secret. C'est en effet à quoi l'an assiste à l'époque d'Aulu-Gelle (Ile siècle de notte ère) et déjà à celle de Plutarque, à propas des fonctions de précepteur qu' Aristate occupa auprès d' Alexandre de Macédaine. Plutarque donne pour vraisemblable qu'Alexandre non seulement reçut de son maìtre l'enseignement maral et politique, Épw. 61. Quaest. conuiu. VIII,8,1, 728 DE: IJ.Tt"t'' &pplJ"t'OV dvcu IJ.lJ"t'' &vÉ�oLcr'to\1 =

7tpÒç È'tÉpouc;.

=

62. Orat. VIII,1,158d.

32

le départ de ce qui peut etre divulgué aux oreilles profanes et de ce qui ne le peut, opposait -.ò: EX(jlopa 63 et -cò: ll1Ì EX(jlopa 64 • Il n'est pas jusqu'au pseudo-Denys qui ne recoure au meme langage quand il presse son ami Timothée de « faire en sorte que les vérités divines ne puissent etre n i déclarées n i divulguées ([J.'f}'t'E pr)'t'Ò: [J.'f}'t'E EX(jlOpa.) aux non-initiés » 65 • Un si vaste consensus ne manque pas d'impressionner; on pourrait ima­ giner à la limite que l 'emploi d'un de ces mots de la famille ÈX(jlÉpEW dans un contexte d 'arcane philosophique serait à lui seul la signature attestant que l'auteur fait plus ou moins consciemment réfé­ rence au modèle des mystères . 3. lmpossibilité ou interdiction?

Le passage des Ennéades qui vient d'etre cité a en outre le mérite, sans doute involontaire, d'attirer l'attention sur une difficulté conceptuel­ le passablement irritante , bien que l'on ne s'en avise guère: transposé à la mystique plotinienne, le précepte venu des mystères interdit de communiquer l'expérience de la contemplation à qui ne l'a pas éprouvée de son coté; mais Plotin aff1rme en mème temps que cette expérience n'est pas communicable ( tel est bien le sens de l'adjectif EX(jlopoç, les dictionnaires l'attestent et les exemples qui viennent d'etre rappelés ici mème le confirment) ; d'où la question : pourquoi et comment faire défense de communiquer l'incommunicable? cela a-t-il un sens de faire porter l'interdiction sur une impossibilité? Une difficulté semblable affecterait le texte 66 où Porphyre prescrit à son lecteur de garder pour lui des révélations par ailleurs souverainement indicibles, tout comme celui 67 où Philon refusait aux non-initiés le droit de tendre l'oreille à l'ineffable : le moyen de ne pas obéir à une telle injonction? Un principe de solution a été avancé par R. Mortley 68 rencontrant un paradoxe tout à fait comparable dans le moyen pla tonisme: quand ces 63 . Orat. 40 (In Sanctum Baptisma), 45, PG 36, 424 D -425 A: distinction, dans le mystère baptismal, entre 'tÒ'. EXqlopcc. xaì L . . ] oùx èm6ppTJ'tCC. et !es connais­ sances ésotériques et scellées. 64. Orat. 27 ,5, cité supra, p. 22. 65. De diuin. nomin. I , 8, PG 3, 597 C. 66. Cité supra, p. 26 et note (41). 67 . Cité supra, p. 29 et note (52). 68. « Apuleius and Platonic Theology » , dans American ]ournal o/ Phìlology, XCII I ( 1 972), pp. 584-590, surtout 587-589. Il s'agit de l'Apologie d'Apulée 64,7-8, où l'auteur, immédiatement après avoir affirmé que son Dieu (platonicien) est nemini effabilis, proclame sa résolution de ne dire à personne, fùt-ce au proconsul lui -meme, ce qu'est son Dieu. Déjà H. Di.irrie, } , et SVF III,262, p. 63, 26-27: ÉltLCT'tTJ(J.TJ'II a:�pE-rwv xat . In questa forte pagina sta la differenza più rilevante fra la teoria di Andrea Cappellano e le idee di Eloisa: la rispettabilità sociale è una idea-guida nel trattato del Cappellano mentre, è noto, Eloisa valorizza l'ambito in­ teriore, intenzionale e nascosto del legame amoroso. Anche qui Eloisa esprime (con Abelardo) una sostanziale indifferenza al comportamento e alla approvazione sociale del comportamento. 9. De Amore, ed cit., p. 126 ss. .

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39 Ovidio, connesse all'essenza stessa dell'amore mentre nel matrimonio i due coniugati sono obbligati a palesare un affetto tranquillo ; 3. la gelosia, che nel matrimonio è " da fuggire come la peste ", nell'amore li­ bero è " quasi madre e nutrice " . Il parere della contessa d i Champagne rinforza l a tesi . Ancora nel dialogo nobilior nobili troviamo sottoposta a Maria di Champagne la questio se " fra coniugati ci possa essere amore" 10• Con una certa sac­ cente pedanteria (che può far nascer il sospetto di un esercizio di ironia) Maria nota che l . nel matrimonio lo scambio di tenerezza avviene per rationem necessitatis e ex debito, mentre tra gli amanti "gratis omnia largiuntur " ; 2 . la probitas, virtù per eccellenza e somma di virtù, cresce con l'amore, ma non può crescere con il matrimonio che si fonda su un calcolo di fattori già palesi e non su una tensione (il matti· monio è un contratto che deve essere chiaro, l'amore un rischio e una crescita) ; 3 . la gelosia, essenziale al « vero amore », non ha luogo nel ma­ trimonio perché recherebbe lacerazioni e inimicizie; 4 . ultima e curiosis­ sima argomentazione (una singolare peti tio principii) : poiché evangelica­ mente non si possono servire due signori, cioè avere due amori (e i coniugati hanno pur il diritto di amare) , l'amore, sempre quello vero, deve star fuori dal matrimonio . La contraddizione · non consente dunque che i coniugi si amino. Tutto ciò è poi ribadito sinteticamente nella re­ gola " causa coniugi ab amore non est exscusatio recta" u . Con queste e altre dichiarazioni s i sono delineati due ambiti : quello matrimoniale verso il quale il Cappellano ha spesso espressioni di stima e quello dell'adulterio, assolutamente consigliato anzi prescritto 12, che coincide con l 'amore. Ambedue vengono considerati degli obblighi so­ ciali: ma nel primo la ragionevolezza che presiede alla scelta (in qualche modo definitiva, obbligante e quindi, si direbbe teologicamente, senza merito) sconsiglia assolutamente il tumulto passionale, quindi la gelosia, e rende inutili e ridicoli quegli ovidiani accorgimenti che fanno crescere

10. lvi, p. 136. 1 1 . Si vedano anche le questioni VIII e IX a p. 254 : « ubi maior sit dilectio­ nis affectus: inter amantes an inter coniugatos . . . ». Argomentazione ripresa ançhe a p. 264 nella questione XVI. P. Dronke considera che la opposizione amore-matrimo­ nio non sia tipica tanto dell'amor cortese quanto caratteristica della « witty casuis­ try » di Andrea. Penso che la opposizione si estenda a molta letteratura della fin'amors, ricordando anche le osservazioni di C. S. Lewis, L'allegoria d'amore, tr. it., Einaudi, Torino, 1969, p. 15. Si potrebbe aggiungere che il rilievo di questo con­ trasto in Andrea , conferma il carattere di « derical performance » del De Amore come sostiene appunto il Dronke. 12. lvi, p. 136: « nulla coniugata regis poterit amoris praemio coronari nisi extra coniugii foedera ipsius amoris militiae cernatur adiuncta ».

40 l'amore (furtività, esagerazione di sentimenti ed espressioni) 13 • Già z:nolte di queste dichiarazioni entreranno in conflitto con la natura d'amore, ma per ora limitiamoci a sottolineare che fra i due ambiti nonostante le tante ripetute differenze c'è già una forte somiglianza: sono tutti e due in qualche modo istituiti che, proprio per questo, esigono definizioni dif­ ferenti delle loro qualità. Ma due altri aspetti collegano l'istituto dell'adulterio a quello del matrimonio : la fides 14 e la scelta del compagno 15 La rottura del patto di fedeltà da parte di uno degli amanti è presentata come la fine del­ l'amore adultero (del vero amore) , di quel rapporto esclusivo che, da molti è stato osservato, si modella sul patto feudale 1 6• È significativo che Andrea in questa questione alluda anche all'amore mistico 17 (e in modo ambiguo e curioso) . Ammettiamo che un amante voglia passare ad altro amore abbandonando il primo. Si può dire che rompe la fede ? Il Cappellano non se la sente di arrivare ad affermare che, se il nuovo amore è Dio, l 'amante debba rinunciarvi, « tornare ai piaceri del mon­ do » e all'amore iniziale. Ma se si tratta di un altro amore umano, « do­ minarum iudicio ad prioris coamantis est reducendus amplexus si prior coamans istud postulare voluerit » . E ciò anche a scapito della altrove affermata spontaneità e quindi autenticità del nuovo innamoramento. In altro passo 18 l 'importanza del frangere fidem entra invece in conflit­ to con quelle che possiamo chiamare le regole ovidiane : nella natura d'amore sta anche la capacità di fingere un nuovo amore, per ingelosi­ re, e mettere così alla prova la fermezza dell'amante. Ergo : « naturam offendit amoris qui suo coamanti propter hoc retardat amplexus vel euro recusat amare nisi evidenter cognoverit amantem sibi fidem fregisse ».

1 3 . Espressi per esempio nelle regole XX, XXII e XXIII in De Amore, ed. cit., p. 282 e p. 222, ripresi entusiasticamente da Stendhal in De l'Amour. 14. Per esempio a pp. 242, 257, 258. 15. P. 95 e p. 282 (regola VIII). 16. Si veda M. Lot-Borodine, De l'amour profane à l'amour sacré, Nizet, Paris, 1961 (soprattutto il primo capitolo) ; ma specialmente interessante per que­ sto versante ed altri, lo studio di E. Kohler, Sociologia della /in-amor, tr. it., Livia­ na, Padova, 1976 (con il quale tuttavia non concordo a proposito dello « spazio » della gelosia nell'amore cortese (op. cit., p. 142) . Per la analogia dei due rappor­ ti (dama/innamorato, signore/vassallo, al quale si può aggiungere Madre di Dio/fedele in preghiera) , vorrei indicare due punti nei quali la comparazione si concentra: a. in tutti c tre i casi si esprime una situazione privilegiata a favore del primo termine (dama, signore e Madonna), ma b. in tutti e tre i casi paradossal­ mente si ristabil isce una parità de iure che si esprime con l'amore, lo scambio di beneficio e aiuto nel secondo caso e la pietas/carità, nel rapporto religioso. 17. P. 242. 18. P. 250: « sentenza » della regina Eleonora.

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Nell'istituto adulterio, a parte dunque qualche capricciosità che rinforza il vincolo, ci si comporta come nel matrimonio e la rottura del patto d'amore è ammessa soltanto con una esplicita dichiarazione 19• Ma c'è di più : anche nell'adul terio la dignità dell'amante ha un rilievo centrale e la regola IV raccomanda « eius non cures amorem eligere cum qua natu­ rales nuptias contrahere prohibet tibi pudor ». Ossia: coniuge o amante devono avere le stesse caratteristiche personali e di rango in perfetto parallelismo. A questo punto un parziale risultato l 'abbiamo : Andrea mira a de­ scrivere e quindi a prescrivere un comportamento in amore che si espri­ me nel legame ex traconiugale rischioso, furtivo, appassionato ma che ha tutte le parvenze del matrimonio, saldo e osservante dei valori rico­ nosciuti dalla società come rispettabilità, fedeltà, riserbo di comporta­ mento 20• Ma allora come può l'amore appartenere a quella sfera selvaggia e naturale come alcuni argomenti contro il matrimonio ci potevano far pensare? A questo punto sembra necessaria l'analisi del concetto di na­ tura e passione. Innanzitutto la definizione, reminiscenza di letture sia scolastiche sia ovidiane: amor est passio quaedam innata procedens ex visione et immoderata cogita­ tione formae al terius sexus ob guam aliquis super omnia cupit alterius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in ipsius amplexu amoris prae­ cepta compleri 21 . Almeno tre elementi ci interessano per questa analisi: l'amore si subi­ sce e in qualche modo non si sceglie, viene dalla natura e si vive al di fuori dell'ambito della volontà, è per sua caratteristica senza misura, : puro desiderio. « Res enim est amor guae ipsam imitatur naturam » 22 per questa ragione gli amanti non operano una scelta in base a criteri che in altre situazioni sono discriminanti (come « forma », « genus » e, persino « sexus » ! ) , ma solo in base alla « attitudine all'amore » . La con­ seguenza è che : « liberius nulli potest esse arbitrium quam si ab eo

19. « Verus amans numquam potest amorem exoptare niSl pnm1tus ob cer­ tam iustamque causam prioris cognoverit advenisse defectum » : p. 240 . Ciò è ribadito dalla regola II a p. 282. E ancora: « docemur neminem posse vere duplici amore ligari »: p. 232. 20. La riservatezza protegge la pace interna del gruppo, come vedremo: De Amore; p. 248 e 264 (questio XVIII), ma anche a p. 16. 21. P. 6. Cfr. le pp. 12-15 dedicate al Cappellano dal Nardi in Dante e la cultura medievale, nuova edizione, Laterza, Bari, 1983 . 22. P. 34.

42 quod quis tota mentis intentione desiderat velle separati non possit », perché a chi è innamorato nulla è preferibile dell'oggetto desiderato. Questa costrizione ( . Con ciò il Cappellano disegna un comportamento che anche nella intimità è ben lontano da ogni sfrenatezza. E lo ribadisce con le regole della II serie (p. 282) che prescrivono di essere gen­ tili e non sopraffatto d in amore e mantenersi fedeli (regole V e XII ) . 29. Questo termine applicato al comportamento amoroso individua l'area di udienza del trattato. Si vedano le considerazioni di ]. M. Ferrante sul termine « amor cortese » ( « Cortés amor in medieval texts », Speculum, 55, 4, 1980). 30. Regole III e IV. 3 1 . P. 282. 32. Mi riferisco a due studi tradotti anche in italiano: G. Duby, Il matri­ monio medievale, Il Saggiatore, Milano, 198 1 e Il cavaliere, la donna e il prete, Laterza, Bari, 1982.

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irrequieti. Ma gli iuvenes « sognavano di sistemarsi » . Allo stesso tempo però la preoccupazione per « la continuità delle strutture sociali esclu­ deva la proliferazione di nuove case, dunque un tal mutamento veniva riservato a pochi » 33 • La ideologia cavalleresca aveva sempre celebrato la vita d'avventura, « illusoria contropartita alle frustrazioni dei giovani ». Di fatto gli iuvenes erano, con la loro sessualità sfrenata, la tendenza al ratto e alla prepotenza, materiale esplosivo in questa cerchia sociale. In­ terviene allora una sorta di addomesticamento: il signore alloggia e man­ tiene i giovani e il favore della signora diviene cosi la posta in gioco nella competizione . .. una gara in tutto · simile al torneo ... ecci tante soprattutto perché infrange il divieto dell'adulterio ... Il gioco d'amore è dunque la espressione di una pro­ fonda ostilità al matrimonio . . . ma sottolinea la sua importanza . :w. ..

Come poteva questo gruppo sociale, privilegiato e potente, non la­ sciarsi distruggere da questa tensione interna inevitabile , che del resto veniva alimentata anche artificialmente fra i suoi membri e conservare cosl le redini del potere nell'ambito più vasto delle società? La maggior parte delle regole di Andrea servono proprio a questo scopo: in alcune riconosciamo la preoccupazione dei pericoli che si corrono (la violenza del sesso: regola XXIX della seconda serie) , in al tre la cura che i par­ tners siano di rango uguale a quello delle coppie coniugate, così che il �< gioco d'amore » abbia più probabilità di essere rispettato da giocato­ ri solidali negli interessi . Date queste condizioni (che costituiscono una conferma all'analisi del Duby) cosa si deve fare per mantenere, pur nella dinamica delle aspirazioni contrastanti e delle tensioni , una pace di gruppo che difenda dalla disgregazione e quindi dalla perdita del prestigio e del potere? Bisogna, come dice Andrea, praticare un amore « conserva­ tivus » 35, il che significa certamente un amore che duri, il più possibile stabile, ma anche un amore che conservi e mantenga l'assetto istitu:do­ nale. Amore non impulsivo, legami che tengono piacevolmente occupati gli iuvenes ma che non rischiano di ribaltare ad ogni momento le condi33. Il matrimonio medievale, p. 32. 34. lvi, p. 33. 35. P. 162 ss. A questa qualità si ricollega la teoria esposta dal >) V. più avanti a p. 46.

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happy few: amori che rispettino quindi zioni di pace e stabilità degli . regole tutto sommato assru strette 36 . All'inizio (quasi come un'esca) Andrea aveva presentato un libero amore, naturale, contenente in sé la sua stessa legge. Questo amore è (p. 330) che è stata del resto ben illustrata dall'accostamento delle due prospettive dalle quali giudicare il chierico (p. 198) . D'altra parte il terzo libro esordisce con un trucco retorico (che però è anche una sostanziale motivazione « ascetica »): mostrare i piaceri e la forza vitale d'amore proprio perché sia più meritevole rinunciarvi. Si adotta (strumentalmente) quella tipica visione della morale come lotta che il Lewis ha segnalato come caratteristica del mondo post antico (C.S. Lewis, ·•L'allego­ ria d'amore, tr. it., Einaudi, Torino, 1 969, p. 57 ss.) _ Essa sembra la struttura di dferimento, almeno a livello formale, del Cappellano. Da un lato la verità divi­ na, dall'altro il piacere mondano: una duplicità non di (mi riferisco allo Wilks, The problem of Sovereignity in the Later Middle Ages, Cambridge University Press, Cambridge, 1969) ma una consapevolezza intellettuale che possiamo esemplificare nel pensiero politico (i due livelli o i due metodi sono evidenti in J. Wyclif, cfr. il mio saggio, Wyclif, Sansoni, Firenze, 1 975). Nel caso del quale ci occupiamo ora, l'ostacolo teorico alla « composizione >> rimane l'ambivalenza del concetto di natura, forza estranea, in certo senso, all'uomo, che determina al piacere fisico e all'amore sensuale, alla quale si può sfuggire con una scelta opposta, diretta al sovrannaturale; ma d'altro lato natura è anche un ordine proveniente da Dio e quindi eticamente già buono (e interiore). Lewis vede in questa duplicità del Cap­ pellano l'esempio estremo di una cultura che trova invece nello chartrismo di Bernardo Silvestre una composizione armonica fra la eticità della vita terrena e i valori della religione (op. cit., p. 95) Per motivi cronologici, è evidente che non si può parlare di averroismo, ma non si può escludere che l'autorità che nel 1277 condannò esplicitamente il De Amore avvertisse con fastidio questa « duplex sententia », che per assonanza rimandava al tema centrale della condanna (R. Bis­ sette, > e « E. Tempier et !es menaces contre l'etique chrétienne >>, Bullettin de Philosophie Médiévale, XXI, 1 979, pp. 63-72) . A mio parere la fondamentale opposizione al De Amore da parte di Tempier era do­ vuta però alla presenza nell'opera di quel concetto di natura sovrastante il singolo e il suo arbitrio e determinante la volontà individuale che è un motivo rilevante nell'opera del Cappellano. Natura/pulsione affine alla Natura astrologia, altro ber­ saglio della condanna. 48. Pp. 6 e 16. Cfr_ p. 178 (« amor res gratiosa et ... procedens ... pura mentis liberalitate . . >>) contro tutte le affermazioni delle « regole d'amore >>. _

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Possiamo aggiungere altre contraddizioni che stanno appunto nel con­ testo reale in cui vive il Cappellano : contrasti di vedute nei gruppi di potere che proponevano alla società due modelli di matrimonio destinati o a distruggersi o al compromesso (come ha ben visto il Duby) 49 e, forse ancor più profondo, il contrasto fra il carattere antisociale ed egoi­ stico dell'amore, messo in rilievo limpidamente dal Vinay 50, e il fatto che è su questo sentimento, battezzato « cortese », che si fa leva per ottenere in un gruppo sociale, coesione, pace, solidarietà e buoni co­ stumi. A me pare che sia proprio questa coscienza dell'egotismo del­ l'amore a preannunciare, almeno in linea teorica, la retractatio cristiana dell'ultimo libro 51 : non c'è quindi « vera >) contraddizione fra le due parti del trattato perché Andrea sa bene, fin dal principio, che l'amore è innanzitutto desiderio di possesso e quindi forse vani sono tutti gli sforzi per incivilirlo . Egli ha presente che il passaggio alla caritas (an­ che se questa è · meno piacevole) è un passaggio ad una situazione più tranquilla e meno pericolosa, più pacifica, per il singolo e la comunità 52• Ma tuttavia è ben vero che per quasi tutto il libro Andrea questi sfor­ zi li fa, utilizzando tutti gli strumenti che la scuola e la esperienza gli mettono a disposizione nella sua epoca: gli echi delle varie morali del secolo si avvenono nelle pagine del De Amore con chiarezza anche se usate �lvolta alla rinfusa. Morali teorizzate e morali praticate. C'è il riflesso della morale goliardica della natura (quando amore è soprattutto natura, buona e vivificante) ; c'è l'uso del modello di rapporto feudale (amante/ amata si comportino come vassallo/signore) ; la ratio scolastica e l'analisi definitoria entrano spesso trasportando l'esame del sentimen­ to e del comportamento al livello dell'esame terminologico; la precet­ tistica che dilagava nei Penitenziali 53 è presente nella minuziosa, pedan­ te, e forse ironica, prescrizione di comportamenti; io vedo persino un ascetismo speculare e rovesciato, nel sottolineare i meriti e la mo­ ralità della natura nell'amore, mentre l'etica monastica vedeva nella na­ tura già la fonte del vizio e della immoralità 54• Anche se gli obbiettivi di Andrea sono molto particolari e ristretti ad un ambiente ben preciso, il suo testo è completamente calato nel secolo, forse il più efferve­ scente e critico del cosidetto Medioevo.

49. Duby, Matrimonio medievale, cit ., pp. 67-78. 50. Pp. 273 e 74, nel saggio citato. 5 1 . P. 287 ss. 52. P. 168. 53. Si veda l'ampia introduzione di M. Dal Pra alla tr. it. dell'Etica, ed. cit., pp. V-LV. 54 . Cfr. il saggio di Dal Pra citato nella nota precedente (p. XL ss) .

51 Senz'altro Andrea appartiene alla galassia dell'amor cortese che, co­ me sappiamo, è un amalgama che « ha fatto perdere il sonno a molti nel tentativo di definirlo » 55; ma se distinguiamo nell'amor cortese un ver­ sante interiore caratterizzato (insieme ad altri, naturalmente) da due elementi : l . quello che chiamerei la passione vissuta come valore e 2 . ciò che il Bedier indicava come la « sproporzione fra merito (dell'amante) e oggetto del desiderio » 56, ecco che Andrea si rivela abbastanza lontano da questo versante. Nel De Amore i due motivi (non del tutto assenti ma in certo senso formalizzati) sembrano sommersi dalla importanza del codice di comportamento. All'estremo opposto del versante interio­ re, questo è il lato esteriore e sociale che riflette direttamente la struttura del gruppo che ha adottato il modello di comportamento. Ma questo co­ dice non scomparirà tanto presto. Un bell'esempio di permanenza lo ritroviamo secoli dopo, ancora in Francia, in ambiente naturalmente ana­ logo per natura, costumi e possibilità materiali dì vita: la corte di En­ rico II descritta nella Princesse de Clèves 51• La coincidenza dei modelli di comportamento !n amore non potreb­ be essere più precisa e illuminante : l'amore vero vive ancora, « per definizione », fuori dal matrimonio, il sesso è ambivalente perché peri­ coloso ma connaturato all'amore, la gelosia è un incentivo, ma il riserbo, la « donna dello schermo », il segreto sono accorgimenti che permet­ tono l'amore in società . La fedeltà nell'adulterio è una virtù come l'essere g.enerosì (che vuoi dire vestirsi bene anche quando si è stanchi, esibir­ si con misura, evitare la trascuratezza che indicherebbe egoismo, non rispetto per gli altri, avarizia di fondo) 58• Ma !'(aspirante) adultero duca di Nemours, cosl perfetto curialis, è oramai per sua disgrazia anche un po' romantico : tragico e appassionato, oltre che impeccabile, annuncia un modo nuovo di rappresentare l 'amo­ re in società.

55. Cosi il Vinay nel saggio già citato, a p. 204. 56. J. Bedier, « Les fetes de mai et !es commencements de la poesie lyrique au M.A. », Revue de deux mondes, 1 897, p. 172. · 57. Le pagine più significative , nella vecchia edizione italiana che ho fra le mani, Chessa, Firenze, 1943, sono: p. 267, 261 , 54 e tutto l'episodio raccontato da pag. 143. Ben individuato il clima dell'ambiente di corte: « v'era in quella corte una sorta di continua agitazione senza disordine, cosa che la rendeva molto piacevo­ le . . . )) (p. 24).

MISURA, NUMERO E PESO. UN'ANALOGIA NEL XII SECOLO

di Massimo Parodi

l. Numeri e analogie

Nella tradizione del simbolismo medievale il gioco delle immagini che si richiamano l'un l'altra, proponendo un discorso allegorico sulla natura delle cose, sulla storia della salvezza o sul destino dell'uomo, si basa talvolta su somiglianze legate a una successione di carattere me­ tafisica . I diversi livelli, attraverso cui l'essere raggiunge i gradini più bassi della realtà, pur allontanando gli estremi, li connettono secondo similitudini che permettono di cogliere come la volontà di Dio penetri fin nel più intimo della materia . In altri casi le somiglianze assumono l'aspetto descritto da Paolo : Videmus enim nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem ; nunc cognosco ex parte, tunc autem cognoscam, sicut et cognitus sum (1 Cor. 13, 12) L'intreccio di riflessi e significati può allora moltiplicarsi più libera­ mente con l'unico limite della capacità immaginativ� , della maggiore o minore facilità nel percepire rapporti e convenienze. In posizione per cosl dire intermedia, tra la rigidità dell'ordine ontologico e la libertà delle immagini legate da un gioco di reciproche riflessioni, si colloca una diversa forma di similitudine : l 'analogia. Con questo termine, che in gre­ co indicava quanto oggi si definisce proporzione e i medievali definiva· no proportionalitas 1 , si designano infatti somiglianze di rapporti che

l. Cfr. Euclide, Elementi V,5:6; S. Boezio, De Arithmetica libri duo U,40: « Est igitur proportionalitas, duarum vel trium ve! quotlibet proportionum, as· sumptio ad · unum atque collectio » (PL 43, col. 1 145) .

53 las ciano certo libero sfogo al fervore immaginativo della fede ma entro una regola, in ultima analisi, di tipo matematico. Su tali basi si sviluppa la ricerca di simboli, allegorie, rapporti e si­ gnificati, sia nella lettura della pagina sacra sia nello s tudio della realtà naturale, secondo la famosissima analogia con cui Agostino riconduce a unità, nel simbolo del libro, il rapporto che l'uomo può avere con la Scrittura e con il mondo 2 • Tale impegno si realizza attraverso quella for· za sintetica del pensiero che H. de Lubac ha chiaramente descritto a pro­ posito del lavoro esegetico condotto nel medioevo sulla Sacra Scrittura 3 e che ugualmente sorregge l'interpretazione della realtà naturale fino al XII secolo e al progressivo diffondersi della scienza aristotelica 4• Per avere piena intelligenza del mondo bisogna considerarlo nella sua unità, come un tutto internamente animato dallo spirito divino 5, le cui parti non possono essere isolate senza perdere inevitabilmente il loro più pro­ fondo e vero significato. Questo sforzo sintetico del pensiero, che per de Lubac « è la for­ za stessa del pensiero » , persegue una conoscenza del testo sacro e del mondo che superi le differenze per coglierne l'ordine unitario, garantito dalla simultaneità della Parola divina e dalla presenza in Dio del modello secondo cui è voluta e disposta la trama delle corrispondenze riscontrabili. L'ordine e l'armonia del tutto sono governati da rapporti numerici ; 'è il numero a conferire bellezza alle creature e ai loro movi­ menti : inspice iam pulchritudinem formati corporis: numeri tenentur in loco ; inspi­ ce pulchritudinem mobilitatis in corpore: numeri versantur in tempore 6 • Secondo Agos tino tutte le cose create possiedono una legalità nume­ rica che egli avvicina, fin quasi a identificarle, alla forma essenziale sen­ za la quale un essere è nulla:

2 . Agostino, Enarratio in psalmos 45,7 : « Liber sit tibi pagina divina, ut haec audias; liber tibi sit orbis terrarum, ut haec videas. In istis codicibus non ea legunt nisi qui litteras noverunt; in toto mundo legat et idiota » (PL 36, col. 518) . 3 . H. de Lubac, Exégèse Médiévale. Le quatre sens de l'Écriture, F . Aubier, Editions Montaigne, Paris 1959-61 (tr. it. Edizioni Paoline, Roma, 1972). Cfr. in particolare il cap. VII: « Una dottrina sintetica », p. 1003 dell'edizione italiana. 4. T. Gregory, « L'idea di natura nella filosofia medievale prima dell'ingresso della fisica aristotelica. Il secolo XII », Atti del III Congresso Interna­ zionale di filosofia medievale, Vita e pensiero, Milano, 1966. 5. Per il XII secolo cfr. T. Gregory, Anima Mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la scuola di Chartres, Sansoni, Firenze, 1 955. 6. Agostino, De libero arbitrio II,16 (Corpus Christianorum, series latina, XXIX, 1970, p. 266).

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lntuere caelum et terram et mare et quaecumque in eis vel desuper fulgent vel deorsum repunt vel volant vel natant. Formas habent quia numeros habent; adime illis haec, nihil erunt 7 • Da questo punto di vista, tra creatore e creature si ha un rapporto simile a quello che con la propria opera ha l'artigiano, il quale è sod· disfatto quando quella corrisponde il più possibile al modello di propor­ zioni numeriche che egli si era immaginato 8 • Il fondamento matematico dell'ordine naturale e la funzione dei nu· meri quali esemplari nella mente divina vengono confermati dall'auctor principale per la matematica medievale. Boezio asserisce infatti: Omnia quaecumque a primaeva rerum natura constructa sunt, numerorum videntur ratione formata. Hoc enim fuit principale in animo conditoris exem­ plar. Hinc enim quatuor elementorum multitudo mutata est, bine temporum vices, hinc motus astrorum, coelique conversio 9 • Isidoro di Siviglia, ripercorrendo l 'insegnamento matematico di Boezio, riprende le espressioni agostiniane ricordate e afferma: Tolle numerum in rebus omnibus, et omnia pereunt. Adime saeculo conputum, et cuncta ignorantia caeca conplectitur, nec differri potest a ceteris animali­ bus, qui calcoli nesciunt rationem 10• Questi testi rimangono per il pensiero medievale punto di riferi­ mento essenziale, e quasi esclusivo fino al XII secolo, fino a quando cioè si affermano nuove conoscenze matematiche che interagiscono con la tradizione delle arti liberali. Abelardo riporta ancora, in un contesto strettamente teologico, la testimonianza di Boezio per chiarire come l'or­ dine del mondo dipenda da rapporti numerici e dunque l 'aritmetica sia prioritaria rispetto alle altre discipline del quadrivio e a ogni altra possi­ bile conoscenza :

7 . lvi, p . 265. 8. « Et omnium quidem formarum corporearum artifices homines in arte ha­ bent numeros quibus coaptant opera sua, et tamdiu manus atque instrumenta in fabricando movent donec illud quod formatur foris ad eam quae intus est Iucem numerorum relatum, quantum potest, impetret absolutionem placeatque per in­ terpretem sensum interno iudici supernos numeros intuenti » (ivi, p. 266). 9. S. Boezio, De arithmetica libri duo 1,2 (PL 43, coL 1083). Di Boezio si può ancora ricordare il famoso metro IX del libro I I I del De consolatione philoso­ phiae: « Tu numeris elementa ligas » . 10. Isidoro di Siviglia Originum seu Etymologiarum libri XX, a cura di W. M. Lindsay, Clarendon Press, Oxford, '19 1 1 (senza numerazione delle pagine). ...

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...omnis quippe ordo naturae et concinna dispositio numerorum proportioni­ bus vestigatur atque assignatur, et omnium perfectissimum exemplar numerus occurrit, qui rebus congruit universis; quod quidem eos non latet, qui philo­ sophiae rimantur arcana. Hinc est etiam quod arithmetica, quae tota circa prop ortiones numerorum consistit, mater et magistra ceterarum artium dicitur; quod videlicet ex discretione numerorum ceterarum rerum vestigatio doctri­ naque pendeat 1 1 • Funzione sintetica del pensiero, dunque, sorretta d a una profonda fiducia in un ordine universale scandito da consonanze e ritmi numerici. Tali presupposti, dell'esegesi e della filosofia naturale, trovano un fon· dam ento e una sorta di consacrazione nell'espressione della Sapienza: 12• « Omnia in mensura et numero et pondere disposuisti » (Sap. 1 1,2 1 ) Gli innumerevoli riferimenti che si incontrano nel pensiero medievale alla legalità matematica garantita da queste parole rivelate possono in­ durre anche nel lettore moderno un atteggiamento che potremmo de­ finire, con de Lubac, sintetico. Se il pensatore medievale si accosta alla Scrittura e al mondo come a un tutto, vivificato dallo spirito, così si ri­ schia di assumere il pensiero medievale come un organismo unitario in cui rapporti e corrispondenze superino il tempo e lo spazio e i risultati di Jtteggiamenti ricorrenti siano in larga misur� omogenei e armo­ niosamente composti in una lezione unitaria per il pensiero successivo. Tuttavia proprio l'insistenza degli autori medievali sui possibili signi­ ficati delle espressioni della Scrittura e dei Padri, e sul confronto tra i molteplici insegnamenti che da diverse letture dei medesimi passi possono derivare, suggerisce particolare attenzione nel valutare pro­ gressivi spostamenti di significato, trasposizioni su diversi livelli di di­ scussione oppure compresenze di elementi differenziati in contesti appa­ rentemente unitari. Un impegno di riflessione analitica può forse individuare, entro la scelta sintetica di una riflessione che considera tutto disposto secondo un ordine basato su misura, numero e peso, una trama più articolata di rapporti e corrispondenze. Consideriamo perciò alcuni dei contesti in cui compare l'espressione della Sapienza nel corso del XII secolo , in un secolo che la s toriografia ha ampiamente dimostrato essere di particolare apertura nell'occidente latino cristiano e in cui si avvia un confronto, 1 1 . P. Abelardo, Theologia Summi Boni VI (Beitriige zur Geschichte der Philo­ sophie des Mittelalters, XXXV, 213, Miinster, 1939, pp. 19-20) . 12. Diversa è la numerazione dei versetti nelle edizioni contemporanee della Sapienza. > (Rom. l 20 ) 14. « Haec autem in figura contingebant illis; scripta sunt autem ad cor.reptio­ nem nostram, in quos fines saeculorum devenerunt >> ( l Cor. 10, 1 1 } . 1 5 . Agostino, Sermo I: De decem plagis, e t decem praeceptis, quae per Mosen data sunt Populo Judaeol'um, in Sermones X (PL 46, col. 945 } . ,

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57 Agostino cita in molte altre occasioni l'espressione della Sapienza 16 , mutandone talvolta leggermente la formulazione . Interessano qui i passi in cui più a lungo si sofferma a spiegare il senso dell'affermazione scrit­ turale e dove sviluppa il discorso verso la ricerca di analogie . Nel com­ mentare la narrazione del Genesi, Agostino sottolinea una corrispon­ denza tra la perfezione del 6 17, numero dei giorni della creazione, e la perfezione che caratterizza l'ordine tra le creature; e tale corrispon­ denza gli richiama alla mente il passo della Sapienza:

Quapropter, cum euro legimus sex dlebus omnia perfecisse et senarium nu­ merum considerantes invenimus esse perfectum, atque ita creaturarum ordi­ nem currere, ut etiam ipsarum partium, quibus iste numerus perficitur, adpareat quasi gradata distinctio, veniat etiam illud in mentem, quod alio loco scripturarum ei dicitur: omnia in mensura et numero et pondere dispo­ suisti 18• Nasce un duplice problema: dove fossero haec tria, mensura, numerus, pondus, in quibus deum disposuisse omnia scriptum est 19, e che cosa si debba intendere quando si dice che Dio in tal modo omnia disposuit. Misura significa un modo o un termine fissato per ogni cosa, numero è invece ciò che le conferisce una specie o una forma e peso, infine, è ciò che la tiene stabile e in quiete nell'ordine complessivo del mondo :

.. . mensura omni rei modum praefigit et numerus omni rei speciem praebet et pondus omnem rem ad quietem ac stabilitatem trahit 20• Ma è appunto Dio che « terminat omnia et format omnia et ordinat omnia » 21• L'espressione della Sapien:::.a non può dunque significare altro se non che Dio dispose ogni cosa in se stesso ; Dio infatti è « mensura sine mensura, numerus sine numero, pondus sine pondere » 22•

16. Cfr. W. J. Roche, « Measure, Number and Weight in St. Augustine », The New Scholasticism, XV, 194 1 , pp. 350-76. 17. Per comprendere il senso dell'affermazione bisogna ricordare che cosa si intende per numero perfetto nella tradizione pitagorico-platonica cui Agostino si richiama. È perfetto un numero quando è uguale alla somma delle proprie parti, cioè de i suoi divisori. Cfr. Euclide Elementi VII, def. 22. Per la matematica latina medievale cfr. Boezio, De arithmetica 1,19 (PL 43, col. 1097) . 1 8 . Agostino, De genesi ad litteram IV,3 (Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum XXVIII, I, pp. 98-99). 19. lvi, p. 99. 20. Ibid. 2 1 . Ibid. 22. « ... nihilque aliud dictum lntelligitur, quomodo per cor et linp.uam humanam potuit: omnia in mensura et numero et pondere disposuisti, nisi: omnia in te disposuisti? Magnum est paucisque concessum excedere omnia, quae metiri possunt, ,

58 Misura, numero e peso possono quindi esistere solo in Dio, o meglio sono il modo stesso in cui Dio agisce nel creare le cose . È Dio che, non traendo la propria misura da altro, rappresenta il fondamento di ciò che da essa deriva; è Dio, che non ha da altro una forma, colui da cui tutte le cose ricevono la propria forma; è ancora Dio ciò cui tutte le crea­ ture tendono come alla pienezza della propria gioia e quindi momento di appagamento e quiete perfetta, oltre il quale nulla può essere desi­ derato. Mensura autem sine mensura est, cui aequatur quod de illa est, nec alicunde ipsa est; numerus sine numero est, quo formantur omnia, nec formatur ipse; pondus sine pondere est, quo referuntur, ut quiescant, quorum quies purum gaudium est, nec illud iam refertur ad aliud 23•

Se nel conferire misura, numero e peso si riassume l'azione creatrice di Dio quale causa efficiente, formale e finale, tali caratteri presen­ ti in ogni creatura sono i principi stessi del suo essere. Ma tali principi nel momento stesso in cui fondano l'essere della natura, garantiscono anche la similitudine tra le realtà inferiori e quella superiore : Scire oportet tamen, cuiusmodi similitudo est inferiorum ad superiora. Non enim aliter recte bine illuc ratio tendit et nititur 24•

La creatura esiste secondo principi che, manifestandosi nelle sue facoltà, ne mostrano l'analogia con la trinità divina. La misura infatti si esprime nella memoria che coglie singolarmente i pensieri e le co­ noscenze fissandoli quasi nella loro individualità esistente; il nume­ ro si esprime nella visione che distingue la molteplicità delle impres­ sioni, determinandole in modo che la memoria le possa cogliere. La volontà infine, che ordina e riconduce a unità le impressioni della visione cercando di portare a compimento l'attività della sensazione e soddisfare l'intelligenza, è simile al peso 25• Si trova dunque, già nelle ut videatur mensura sine mensura, excedere omnia, quae numerari possunt, ut videatur numerus sine numero, excedere omnia, quae pendi possunt, ut videatur pondus sine pondere » (ivi, p. 99) . 23. Agostino, op. cit., IV,4 (p. 1 00). 24. lvi, p. 101 . 25. Agostino, De trinitate Xl, l l : « Sed quia numerose cogitari possunt quae singillatim sunt impressae memoriae, videtur ad memoriam mensura, ad vi­ sionem vero numerus pertinere quia licet innumerabilis sit multiplicitas talium vi­ sionum, singulis tamen in memoria praescriptus est intransgressibilis modus ... Volun­ tas vero quae ista coniungit et ordinat et quadam unitate copulat, nec sentiendi aut cogitandi appetitum nisi in his rebus unde visiones formantur adquiescens conlocat, ponderi sìmilis est » (CC, ser. l a t L, p. 355 ) . .,

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manifestazioni sensibili dell'uomo quell'analogia con il processo delle per· sone nella trinità che Agostino approfondisce nelle pagine successive del De Trinitate, ricercando nell'interiorità dell'uomo u n'immagine di Dio, in certo modo già garantita dalle parole della Sapienza 26• Nelle pagine precedenti della stessa opera, i termini in questione erano stati usati per spiegare in quale modo gli angeli malvagi possa­ no operare nella natura e, conoscendone le potenzialità nascoste, possano produrre effetti straordinari e impressionanti 27• Misura, numero e peso appaiono in questo contesto i caratteri dell'essere attuale delle cose, che dipende tuttavia dalle disposizioni potenziali ricevute dal creatore . Nam sicut matres gravidae sunt fetibus, sic ipse mundus gravidus est causis nascentium quae in illo non creantur nisi ab illa summa essentia ubi nec oritur nec moritur aliquid nec incipit esse sive desini t 28• Attraverso tali cause le cose si manifestano in atto, explicando mensuras et numeros et pondera sua quae in occulto acceperunt ab ilio qui omnia in mensura et numero et pondere disposuit 29• Questa attualità è in ultima istanza in Dio, che è creatore appunto per­ ché ha in sé i caratteri per cui le cose esistono: Sed non est creator nisi qui principaliter ista format, nec quisquam hoc potest nisi ille penes quem primitus sunt omnium quae sunt mensurae, numeri et pondera 30 • Con immagini e terminologia simile a quella del De Genesi ad fitte­ ram, Agostino ribadisce ancora, nel De Trinitate, che ogni cosa creata mostra in sé unità, specie e ordine:

Quidquid enim harum est, et unum aliquid est, sicut sunt naturae corporum ingeniaque animarum, et aliqua specie formatur, sicut sunt figurae vel qualita26. « Unde tempus admonet hanc eandcm trinitatem in interiore homine requi­ atque ab isto de quo tamdiu locutus sum animali atqu e carnali qui exterior dicitut introrsus tendere. Ubi speramus invenire nos posse secundum trinitatem ima­ ginem dei, conatus nostros ilio ipso adiuvante quem omnia sicut res ipsae indicant, ita etiam sancta sctiptura in mensura et numero et pendere disposuisse tcstatur >> (ivi, p . 355 ) . 27. Agostino, op. cit., III,8: (Teodorico di Chartres, op. cit., 36, p. 570). 50. Teodorico di Chartres, op. cit., 45, p. 574.

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stessa della cosa 51 . Il Verbo infatti altro non è che l'eterna predefinizio­ ne, da parte del Creatore, di tutte le cose, cioè la sostanza, la qualità, la quantità di ciascuna cosa o il modo in cui si trova nel suo valore, nel tempo o nel luogo 52• 3. Il numero della differenza

L'indicazione offerta da Teodorico ci porta quindi a riconsiderare le espressioni agostiniane da cui si è mosso il nostro esame. Il termine, il limite conferito alle cose dalla misura è stato osservato innanzitutto, per cosl dire, dalla parte di Dio, come principio di esistenza o sussistenza nelle creature, ma può ·essere considerato dalla parte delle cose, come intrin­ seca limitazione per cui un essere è determinato da una forma. Se ripren­ diamo una lettura analogica dell'analogia sapienziale, si potrebbe dire che misura, numero e peso vengono in alcuni casi giocati tutti sul piano della misura, e appaiono quindi principi metafisici dell'essere, mentre in altri casi vengono trasposti sul piano del numero e assumono allora il significato di condizioni essenziali del conoscere. Nelle parole di Teodorico si intravvede una direzione ma il riferi­ mento esplicito alla Sapienza è ancora utilizzato a livello dell'essere. A livello del conoscere viene invece impiegata la citazione da Onorio di Autun che, ripercorrendo nella Clavis Physicae l'insegnamento di Scoto Eriugena, discute la tesi secondo cui Dio non può intelligere di se stesso quid sit. Un'affermazione di questo genere non significa altro se non che Dio sa di non essere alcuna delle cose di cui si può conoscere quid sunt perché in aliquo cognoscuntur 53 • Se infatti Dio potesse essere conosciuto in questo modo, non sarebbe infinito, privo cioè di limiti, né incomprensibile, non definito né determinato da una forma, né infine innominabile, al di là quindi di ogni analogia con la realtà 54• I termini con cui si è cercato di tradurre i qratteri che in questo ambito vengono attribuiti a Dio richiamano esplicitamente quelli con cui

5 1 . Ibid. 52. lvi, 46, pp. 574-75. 53. « Nemo autem sapientum, audiens de Deo se ipsum intelligere non posse quid sit, aliud debet existimare nisi ipsum Deum, qui non est quid, omnia ignorare in se ipso quod ipse non est . . . ; nesdt igitur quid ipse est, hoc est nescit se quid esse quoniarn cognoscit se nullum eorum, que in aliquo cognoscuntur et de quibus potest dici ve! intelligi quid sunt, omnino esse >> (Honorius Augustodunensis, Clavis Physicae, a cura di P. Lucentini, Storia e Letteratura, Roma, 1974, p. 79)� 54. « Nam si in aliquo se ipsum cognosceret, non omnino infinitum et incom­ prehensibilem, innorninabilemque se ipsum iudicaret », (i vi, p. 79) .

65

si era cercato di chiarire, nelle pagine precedenti, l'espressione della

Sapienza. E non sì tratta di un accostamento forzato, dal momento che,

immediatamente dopo, Onorio precisa in quale senso le creature siano conoscibili in aliquo:

Nulla creatura est, sive visibilis sive invisibilis, que non intta terminos pro­ prie nature in aliquo coertetur « in mensura et numero et pendere » 55. Misura, numero e peso vengono dunque usati, in questo contesto, anco­ ra come principi dell'essere, in quanto rappresentano i termini della na­ tura di ogni creatura esistente, ma principi da cui soprattutto dipendono le condizioni del conoscere . Dio che, agostinianamente, non subisce tali limitazioni, non può per questo motivo essere conosciuto nel modo in cui vengono conosciute le creature : Solus enim ipse est mensura sine mensura, numerus sine numero, pondus si· ne pondere, quia a nullo nec a se ipso mensuratur numeratur ordinatur, nec in ulla mensura in ullo numero in ullo ordine intelligit se esse, quoniam in ullo eorum substantialiter continetur cum solus vere in omnibus super omnia infinitus existat 56 . La dialettica eriugeniana di finito-infinito 57, nel momento in cui vie­ ne espressa con l'immagine tratta dalla Sapienza, si definisce in termini di problema conoscitivo e precisa le condizioni che fondano una conce­ zione negativa della teologia. Il valore, il tempo e il luogo di cui parla Teodorico sono, in Onorio, i termini della natura che, nello stesso tem­ po in cui circoscrivono e delimitano l'essere, ne garantiscono le con­ dizioni di conoscibilità. Proprio quando vengono considerati da questo secondo punto di vita, sono indicati con le parole della Sapienza. Anche se all'interno della più generale concezione metafisica eriuge· niana, ci troviamo però esplicitamente sul livello del conoscere. Su questo stesso livello l 'espressione sapienziale viene usata da un altro maestro di Chartres : Clarembaldo di Arras. Commentando, come Teodorico, il De Trinitate di Boezio, Clarembaldo affronta la questione della dimo­ strabilità dell'esistenza di Dio, con riferimento al rapporto tra muta­ bile e immutabile. Se ciò che è mu tabile viene considerato dipendente da un altro mutabile, il problema si ripropone a proposito di tale causa, e la ricerca deve quindi mettere capo a un principio immutabile se non 55. lvi, p. 79. 56. Ibid. 57. Cfr. su questo tema M. Dal Pra, Scoto Eriugena, Bocca, Milano, 1 951.

66 si vuole procedere al di là di ogni limite 58• Ma all'argomento basato s1,1l· l'assurdità di un regresso all'infinito si può obiettare che in geometria si incontra l'infinita divisibilità del continuo senza che ciò introduca as­ surdità insostenibili 59• Esiste tuttavia, secondo Clarembaldo, uno scarto tra il modo di procedere della conoscenza matematica, che può esten­ dere la propria capacità critica fino ad ammettere l'infinito, e quell_o della conoscenza delle cose naturali che deve limitarsi a considerare le cose come effettivamente sono: respondemus parum nobis obici _ quoniam rerum naturalium tametsi nobis incognitus tamen certus est numerus. Omnia enim in numero et pendere et mensura ab Opifice-Forma facta sunt. Eratque ipse numerus ab aeterno rerum creandarum in animo Conditoris exemplar 60•

I termini della Sapienza riassumono dunque le condizioni secondo cui proceIXLVE"t!XL, O(J.OÀoyw') .

Il passo appare citato da Diogene Laerzio in un contesto particolarmen­ te significativo, nel quale si adducono, traendoli da opere e da autori di­ versi, tutti gli argomenti utili a difendere gli Scettici dall'accusa, di parte dogmatica, di rendere impossibile la vita (Diog. Laert: IX 1 04 ss.). Il confronto con un passo di Sesto 2 sembra indicare che la citazione di Timone poteva trovarsi in uno scritto di Enesidemo, forse il primo libro delle Dottrine pirroniane o l'opera Sulla ricerca ('ri:Ept S'll't'i)crEwç). La frase di Timone è stata recentemente u tilizzata a riprova del presup­ posto dualistico della gnoseologia pirroniana da Charlotte Stough 3, la quale, muovendo da un'impostazione squisitamente teoretica, non af­ fronta la complessa questione della tradizione sul pirronismo antico e non si pone per conseguenza neppure il problema di un'eventuale diffe­ renza di posizione tra maestro e discepolo. Un esame generale della storiografia sul primo scetticismo consente comunque di affermare che il concetto qui espresso da Timone non ha sollevato particolari difficoltà, parendo agli studiosi perfettamente consono al quadro della filosofia di Pirrone ricostruita dando credito soprattutto alla versione di Enesidemo e all'impostazione di Sesto Empirico. Così, se si eccettua in un certo sen­ so il Goedeckemeyer 4, per il quale Timone nello scritto Sulle sensazio­ ni si spinge oltre il maestro in quanto procede nell'indagine sulla credi­ bilità dei criteri (Diog. Laert. IX 1 1 4), nessuno ha rivendicato il passo come specifico contributo del discepolo . Se tuttavia gli argomenti recentemente addotti da più parti 5 , che sollevano dubbi sulla versione fenomenista che Enesidemo dà del pirronismo antico, non sono del tutto privi di fondamento, sarà necessario rimettere in discussione, in paral­ lelo, anche l'interpretazione tradizionale della frase di Timone. Al 2. Pyrrh.hyp. I 22: « Diciamo dunque che criterio dell'indirizzo scettico è il

fenomeno, vale a dire la rappresentazione s ensi bi le, che, poggiando sulla persuasio!"e

e sull'affermazione involontaria, non può essere oggetto d'investigazione (&.�1']-c'T]-c6ç È.cr-cw) . Perciò nessuno, forse, contesterà che l'oggetto appaia cosl o cosl, ma si farà questione (sl'J'tEL'tiXL) su questo, se sia tale quale appare )) (tr. Torraca). Cfr. Pirrone, cit., T. 8 ed il commento relativo. 3. Ch. Stough, Greek Skepticism. A Study in Epistemology, Berkeley arid Los Angeles, 1969 , p. 20 ss. 4. A. Goedeckemeyer, Die Geschichte des Griechischen Skeptizismus, Leipzig, 1905, pp. 23-24. 5. Si veda Pirrone, cit., passim, ma specialmente il commento alle T. 6-9; 53; 63.

94

riguardo, mi pare che, fondamentalmente, due linee di ricerca possano presentarsi , e che entrambe siano, forse, meritevoli di ulteriore verifica . La prima potrebbe muovere - e si resterebbe in tal modo fedeli alla tra­ dizionale esegesi della frase, dettata certamente dal preciso contesto in cui essa si trova - dall'ipotesi che il fr . 7 4 Diels ci riveli le tracce di un'evoluzione del pensiero di Timone rispetto a Pirrone . Tale evolu­ zione, ove ammessa, apparirebbe legata all'inevitabile trasformazione di una posizione filosofica che lo stesso Timone considera assolutamente eccezionale (come risulta bene dal modo in cui si riferisce al maestro) e che, entrando in rapporto dialettico con altre filosofie, non può non ela­ borare nuovi argomenti, sia di difesa, sia di attacco. In altre parole, se­ condo questa interpretazione possibile, Timone avrebbe, rispetto al ri­ conoscimento dell'universale dominio del fenomeno che in Pirrone com­ portava lo sforzo costante di sottrarvisi 6, compiuto un passo importante nella direzione degli Scettici successivi che, per difendersi dalle pole­ miche avversarie sull'incompatibilità dello scetticismo con la vita , erige­ ranno il fenomeno, non messo in discussione come tale, a criterio pra­ tico, riservando l'impossibilità di giudicare all'ambito di ciò che è reale o irreale, alla vera natura delle cose (Sext. Pyrrh. hyp. I 2 1 ; Ad v. math. VII 29-30, ecc.) . Un'altra via di indagine potrebbe invece partire dall'ipotesi che effettivamente ciò che qui Timone dice non sia in contrasto sostanziale con quanto sappiamo di Pirrone ; tale presupposto, a ben guardare, non comporta però necessariamente il recupero dell'interpretazione feno­ menista di Pirrone, con la serie di gravi problemi che, rispetto al com­ plesso delle testimonianze, essa si porta appresso 7: è possibile infatti in­ terpretare il frammento di Timone in modo semplice e senza che esso contrasti con quanto per altra via ci è detto di Pirrone, aggirando cosl anche la grave difficoltà che insorge quando si cerchi, data la situazione delle fonti, di distinguere il contributo del discepolo rispetto a quello del maestro o, meglio, rispetto a quanto egli attribuiva al maestro. Si pou·eb­ be cioè pensare che Timone, con la frase citata, intendesse dire che non è possibile dire che il miele è dolce non perché noi non sappiamo se il miele è veramente dolce oppure no, ma perché « nulla è più che non è » 6 . Cfr. Pirrone, cit., T. 63 e commento relativo ; il confronto con altre testi� monianze mostra che la frase « ma l'apparenza totalmente domina, là dove giunga », tratta dagli Indalmi, non conferisce valore normativa al fenomeno, perché Pirrone non aveva ancora elaborato la distinzione tra criteri di cui ci parlerà Sesto Empirico. 7. Cfr. Decleva Caizzi, Prolegomeni, ci t., p. 95 ss. ed il commento alle T. 6-9 di Pirrone. È merito del Conche, Pyrrhon ou l'apparence, Villers sur mer 1973, l'aver messo in seria crisi l'in terpretazione fenomenistica di Pirrone.

95 e le cose sono per natura prive di determinazioni: l'ammissione che il mie­ le si manifesta ai sensi in modo determinato corrisponde dunque alla constatazione pirroniana che l'uomo è dominato dall'apparenza (T. 63) m a non comporta automaticamente l 'assunzione d i questa a criterio pra­ tico - mi pare oggi difficile contestare il fatto che certamente tale essa non era per Pirrone - né, analogamente, comporta la contrapposi­ zione tra fenomeno ed adelon, che lo scetticismo successivo elaborò per di­ fendersi dalle inevitabili accuse di incoerenza. Interessante è, in Timone, l'uso del vocabolo O(.loÀoyw, che rivela la presenza, ideale o concreta, di obiettori od avversari; i numerosi aneddoti tramandatici 8 rivelano come, sin dai primordi, il pirronismo si presenti come una dottrina dif­ ficile da difendere proprio perché la teoria vi appare indissolubilmente legata alla pratica; e tale connessione ed orientamento di fondo per­ mane nella tradizione malgrado l'accentuazione dell'aspetto logico-dia­ lettico 9• Timone ammette dunque senza difficoltà che le cose si manifestano all'uomo in forma determinata: in tal modo appunto esse lo ingannano, spingendolo o a conferire ingenuamente determinatezza alla realtà, senza porsi problemi, come fa chi non è filosofo, oppur� a cercare, rispetto alla riconosciuta contraddittorietà dell'esperienza, un criterio che con­ senta di stabilire quali tra le determinazioni apparenti al soggetto possa­ no dirsi proprie dell'oggetto. È ovvio che proprio tale ricerca doveva ri­ velarsi, agli occhi di un pirroniano, totalmente priva di sen�o . La ragione, usata a questo scopo, viene ridotta al rango di ciò cui dovrebbe prestare soccorso, non è che un complice delle stesse malefatte compiute dalle sensazioni, invece di costituire lo strumento che ad esse ci sottrae 10•

Contro coloro che ammettevano la validità delle sensazioni confermate dalla ragione, era solito citare continuamente il verso: « Attaga qui s'incontrò con Numenio » (Diog. Laert. IX 1 1 4, tr. Gigante), ovvero, secondo la più probabile interpretazione della frase, una mano ad un altro ladro » 11•

«

un ladro dà

8. Per le tracce della tormentata relazione tra pirronismo antico ed insegnamen­ si v. Pirrone, cit., T . .36-38 ed il commento. Osservazioni sparse nella biografia laerziana di Timone mostrano analoga attenzione alla qu> i prin­ cipi della geometria, è opportuno che anche noi diamo inizio alla confuta­ zione con l'argomento sull'ipotesi. Perché lovero anche Timone, nello scritto Contro i Fisici, ritenne che ciò vada inanzitutto indagato, se si debba acco­ gliere qualche cosa « per via di ipotesi » 14 (xa.t yàp 6 T�iJ.Wv iv -to�ç Ilpòç "tOÙç (jiUO"LXOÙç "tOÙ"tO \ntÉÀcx.�t OE�\1 È.v 1tpW"tOLç c;T)"tE�\1' qrT]iJ.L OÈ EL v; V1t01JÉO"EW) 30• Dallo stesso Aristotele risulta tuttavia bene che tale prospettiva non era una­ nimemente condivisa: la tradizione eleatica, ed alcuni filosofi che vi si richiamavano, o alcuni eristi, negavano molteplicità .e movimento con pro­ cedimento opposto a quello aristotelico, non facendone cioè un dato evi­ dente ma prendendo le mosse o da altri presupposti che avevano come conseguenza la negazione del movimento, o dalla sua stessa negazione . Da tale differenza di prospettiva poteva derivare un vero e proprio capovolgimento dei ragionamenti aristotelici: gli esiti che egli rifiutava come assurdi, e che comportavano ai suoi occhi il rifiuto delle premesse, venivano viceversa accolti come conseguenza necessaria di tali premesse. Uno studio recente su Diodoro Crono del Sedley 31 ha mostrato quali conseguenze avesse la « riabilitazione di un argomento aristotelico ne­ gativo in una dottrina positiva >) e l'influenza che quest'atteggiamento po­ té avere sulle filosofie ellenistiche rispetto all'autorità aristotelica. Rela­ tivamente a Diodoro, tale posizione emerge ancor più netta dalle ricer­ che di G. Giannantoni 32: . 3 1 . Diodorus Cronus, cit . , p. 88. 32. Aristotele, Diodoro Crono e il moto degli atomi, in Democrito e l'Atomi­ smo antico, Catania 1980, p. 125 ss., spec. 1 3 1- 1 3 2 . 33. Merita d i essere ricordata l'osservazione con cui Sesto (Adv. math. X 1 18) conclude la menzione delle obiezioni di Diodoro contro il moto: « Tale è la confuta­ zione (di Diodoro contro il movimento), ma essa sembra sofistica e facile ad essere confutata .. è meglio quindi lasciar da parre argomentazioni di tal fatta, e servirsi piu ttosto di ragionamenti di questo tipo. Se qualcosa si muove, si muove ora ('YV'Y) ; .

104 rende impossibile il divenire : il risultato è opposto a quello di Aristotele, per il quale tale conseguenza rende assurda la premessa. Il movimento, la cui esistenza non può essere messa in dubbio secondo Aristotele, viene dunque reso impossibile da chi accolga una teoria del tempo che implica il concetto di indivisibilità; oltre alla critica al metodo e all'uso di ipotesi emersa dal fr. 75, anche un passo come Sext., Pyrrh. hyp. III 144 può confermare il carattere dialettico del ragionamento di Ti­ mone, anche se il suo nome non vi appare :

Se il tempo presente è, è o indìvisibile o divisibile. Indivisìbile non è certa­ mente, ché nel tempo presente, a quel che si dice, si mutano le cose che si mutano, e nulla si muta in un tempo indivìsibile, per esempio il ferro d a duro i n molle, e ciascuna delle altre cose. Talché non è ìndivisibile il tempo presente ( tr. Tescari ) . Qui l a divisibilità del tempo i n passato, presente, futuro mostra che il presente deve essere considerato un indivisibile (per non essere pas­ sato e futuro) 34: se dunque ciò che muta muta nel presente, muta in un tempo indivisibile ovvero - e qui forse valgono, per un fine opposto, gli argomenti aristotelici - non può mutare. Un passo come questo sug­ gerisce pure che Timone potrebbe avere in mente la dottrina stoica del tempo. Per rispondere tuttavia con certezza a quest'interrogativo, do­ vremmo, da un lato, essere in grado di datare lo scritto di Timone, dal­ l'altro, di appurare quanto di ciò che le fonti riferiscono a Crisippo sia riconducibile ai suoi predecessori. Come è noto, su Zenone ci è detto solo che definiva il tempo « l'intervallo del movimento » (SVF I 93) e di Cleante conosciamo solo un titolo Sul tempo (Diog. Laert. VII 1 7 4 = SVF I 481 ) . Certo è che le notizie relative a Crisippo mostrano come egli avesse affrontato il problema del tempo come passato-futuro, e come avesse risolto l'ardua questione del presente (SVF II 509; 5 1 7 ; 5 1 8 ; 519) : sul piano del pensiero i l presente non esiste, poiché esso è di­ visibile all'infinito in passato e futuro, ma sul piano dei sensi solo il presente esiste 35 • se si muove ora, si muove nel tempo presente, se si muove nel tempo presente, si muove in un tempo indivisibile. Se infatti il tempo presente verrà d iviso, lo sarà totalmente nel passato e nel futuro, e cosl non sarà più presente » .. È possi­ bile che ci siano qui le tracce di materiale antico, addirittura timoniano. 34. Vedrei comunque la contraddizione non tanto nel concetto di tempo in­ divisibile, come pensava Robin, Pyrrhon, cit., p. 3 1 , quanto nel fatto che è la divi­ sibilità stessa del tempo che implica un tempo indivisibile (il presente, appunto) . 35. Cfr. V . Goldschmidt, Le système stoicien et l'idée de temps, Paris, 1969', p. 30 ss.; per la differenza fra Ù, pp. 706·732), l'Epistola a Erodoto che li riflette, la R.S. XXIV; tale concetto avrebbe poi ceduto il posto e sarebbe stato sussunto sotto quello di 7tpoÀ.Y)�LUO'EW , fr. X, pp. 78-79 Sbordone. Per la polemica contro Nausifane cfr. oggi F. Longo Auricchio, A . Tepedino Guerra, « Per un riesame della polemica epicu­ rea contro Nausifane >> , in Democrito e l'atomismo antico. Atti del Convegno di Catania 1 979, Facoltà di lettere e filosofia, Catania, 1 980, pp. 467-477, con partico­ lare riguardo, peraltro, alla polemica condotta contro Nausifane dall'epicureo Metrodoro di Lampsaco. Per la questione concernente il carattere della filosofia di Nausifane - piuttosto democriteo o pirroniano ? - credo, in base alle testimonian­ ze filodemee sulla polemica, di dover dare ragione a K.v. Fritz, Nausiphanes, « Real-Encycl. », XVI, 2, 1935, coli. 2021-2027, il quale insiste sul carattere democriteo della sua filosofia, dimostrandosi anzi alquanto scettico circa le stesse notizie della discepolanza da Pirrone . Gigante, Scetticismo e epicureismo, p. 43, considera invece Nausifane piuttosto pirroniano che democriteo dando grande importanza alla testimonianza di Seneca, Epist. 83, 43-45. La testimonianza di Seneca è inserita in uno squarcio dossografico antiscettico che ricorda la polemica di Colate, e potrebbe provenire da uno scritto di scuola epicurea. Delle due frasi riguardanti Nausifane la prima ('nihil magis esse quam non esse') applica sem­ plicemente a questo filosofo lo schema dello ou [JiiÀÀov, schema genericamente antidemocriteo; Nausifane è quindi qui preso ad esempio di una posizione in genere attribuita dagli epicurei a Democrito, o a Democrito e discepoli. Ma la secon­ da ('si Nausiphani [credo], hoc unum certum, nihil esse certi') appare evidente confusione di Nausifane con Metrodoro di Chio (cfr. Cicerone, Acad. pr., Il,23,73 70 B l Diels-Kranz) . Non sembra dunque da una testimonianza siffatta di poter trarre deduzioni circa il pirronismo di Nausifane. ==

1 14

tazione scett1c1zzante di Democrito non è invenzione epicurea, ma è nata nella scuola di Democrito stesso. E tuttivia tale interpretazione non intende negare i fondamenti della fisica democritea, che sono poi anche quelli della fisica di Epicuro; intende solo reinterpretarli dando loro un diverso fondamento gnoseologico e valutandoli secondo un at­ teggiamento diverso. Di Metrodoro di Chio Teofrasto dice non a caso che, accettati da Democrito i principi fondamentali, pieno come essere, vuoto come non essere, egli segue poi una strada propria, ì.oi.a, �É�o o oç 15, pur mantenendo fermi questi presupposti. Due posizioni circa la conoscenza sensibile ci sono tramandate di questo democriteo che impropriamente alcune fonti, confondendolo for­ se con Nausifane, dànno come « maestro di Epicuro » 16; esse ci sono of­ ferte rispettivamente da Epifania e da Eusebio, e appaiono a tutta prima in radicale contrasto. Epifania ci dice che secondo Metrodoro di Chio noi non conosciamo in realtà nulla &.xpt�GJç, col rigore della ragione 17, né bisogna attenersi alle sensazioni; tutto non è che 06XT}C1Lt;, opinione soggettiva 18• Al contrario, Eusebio, accomunando Metrodoro con Prata­ gora, afferma che secondo questi filosofi 7tciV't"3. Defence, cit., p. 21. 34. lvi, p . 20. '15. Ibid.

133 rando molti altri temi presenti nella Vanity, la Defence tralascia solo le prime tre actiones dell'Exclusio che non chiamano direttamente in cau­ sa passi della Vanity 36, mentre viene dipanandosi parallelamente alle suc­ cessive come un minuzioso contrappunto demolitore . Questa deliberata mancanza di selettività della Defence ha un certo effetto di. appiattimen­ to della trattazione e non giova certo all'assunzione di un rilievo parti­ colare da parte delle « risposte » che stanno maggiormente a cuore al­ l 'autore. Non c 'è dubbio, comunque, che non siano tra queste le disami­ ne concernenti particolari spiegazioni meccanicistiche che, a giudizio di White, possono dar ragione di eventi dichiarati nella Vanity non spiega­ ti o inesplicabili come alcuni dei fenomeni sopra ricordati . Infatti, sia nel caso della spiegazione della memoria, sia in quello della formazione degli organismi viventi, Glanvill, più che a discutere la configurazione particolare delle spiegazioni meccaniche proposte da White, sembra in­ teressato a mettere in dubbio la stessa applicabilità degli schemi del mec­ canicismo ai fatti in questione. Per quanto riguarda la memoria, all'as­ serzione whiteana secondo la quale la moltitudine delle immagini corpo­ ree « fluttua nelle cavità del cervello senza intralciarsi o confondersi »37 allo stesso modo che « le correnti magnetiche e simpatetiche . . . non han­ no i loro corsi interrotti né si intercettano reciprocamente », Glanvill obietta che (e che sono i principi del meccanicismo nella versione boyliana e non le attestazioni comuni dei sensi) ; sia infine quelle > una volta verificata l'esistenza di precise condizioni di attendibilità. J .I Cope ha messo in relazione la distinzione glanvilliana tra certezza > e « infallibile >> con la dottrina di Albino secondo la quale « duplice è .. . la ragione: una . . . assolutamente incoglibile e sicura, l'altra . . . scevra da errore solo nella conoscenza delle cose; di esse la prima è possibile a Dio, . . . la seconda è possibile anche all'uomo » (Dida­ skalikos, tr. it. a cura di G. Invernizzi, Roma, 1976, p . 7 } . Quale che sia l'effettiva influenza di questo autore del medioplatonismo sembra comunque innegabile che la sua dottrina della « duplice ragione >> i nterviene tutt'al più come criterio di revi­ sione della teoria cartesiana della certezza.

137 tica 53 -, per un altro suggeriscono uno sviluppo nella direzione di un'impostazione critica svincolata da implicazioni fisiche e metafisiche e preoccupata innanzitutto di chiarire le operazioni costituitive del pro­ cesso conosci tivo. Per quanto riguarda la sensazione, ad esempio, Glanvill dà notevole rilievo al problema rappresentato dalla assoluta dissomiglianza e disomo­ geneità tra i materiali originari forniti dal senso e l', ossia alle facoltà conoscitive in quanto passibili d'errore; l'inadeguatezza nei capitoli dedicati alla dimostrazione della impossibilità della « scienza nel senso del dogmatico », ossia di una conoscenza esaustiva della realtà naturale. Per quanto riguarda la matematica, in tanto è una scienza (anzi che solo la ragione può risolvere. È la ragione che (ivi, p. 8). Si comprende allora il senso della teorizzazione di un unico livello di certezza per tutte le cono· scenze correttamente conseguite (v. supra, nota 52) : una distinzione di livelli avrebbe comportato l'attribuzione del più basso alla conoscenza teologica (basata sull'osservazione e sulla testimonianza) . 54. Vanity, cit., p . 30. 55. lvi, pp. 30-3 1 . 56. lvi, p. 29.

138

vello, configurando in vece una ricerca sull'« Arte

»,

« i mezzi

»

e le

congenite apprehemions a cui è necessario supporre che l'anima faccia ricorso , malgrado la difficoltà insita nell'ammissione che essa conosca qualcosa senza saperlo . Per quanto riguarda la percezione visiva in par­ ticolare,

come è possibile che impressioni di dimensioni insignificanti diano no­ tizia di oggetti enormemente estesi se non in virtù di qualche sorta di metodo scientifico e di geometria . . . ? Senza di ciò non è concepibile come siano per­ cepite le distanze, ma tutti gli oggetti apparirebbero ammucchiati e si con­ centrerebbero in uno spazio tanto ridotto quanto ne occupano le loro imma­ gini nei nostri piccoli crani 57• È assai probabile che qui Glanvill sviluppi uno spunto cartesiano presente nella Dioptrique, nella quale incidentalmente si fa appello a « una geometria naturale » 58 per spiegare la visione prospettica degli og­ getti; uno spunto che troverà un ampio e importante svolgimento in Ma­ lebranche 59 ma che in ambito empiristico, dopo questa limitata conside­ razione da parte di Glanvill, per certi aspetti condivisa anche da Boyle 60, incontrerà un fortissimo ostacolo nell'indiscriminato antiinnatismo di Locke . Anche l'aristotelico White è comunque contrario alla teoria e liqui­ da la questione affermando che > (a sua volta risultante da un'originaria dicotomia tra ragione divina e ragione umana [ v . supra, n. 52 ] ) in una « ragione scientifica » (fondata sull'« in­ tellezione ») e una « opinante » (fondata sulla « sensazione ») rivolte rispettiva­ mente agli > (platoniche) e « forme » (aristoteliche) . È sufficiente questo esempio per mostrare come alla dottrina glanvilliana della '> di Albino e il medioplatonismo, Roma, 1976, vol. I, pp. 17-30). Resta comunque del tutto giustificato rilevare il tentativo di utilizzare da parte di Glanvill la gnoseologia di Albino che in qualche maniera restituisce rilievo alla sensazione e che è connessa alla psicologia della preesistenza (Cope, op. cit., p. 138). Non dunque una ripresa organica ma soltanto uno spunto - non a caso lasciato cadere del tutto nell'ultima versione della V 11nity comun­ que subordinato all'istanza empiristica che si fa valere in maniera sempre più coerente (v., ad es., il cap. XXII della V11nity) all'interno di un quadro di riferi­ mento che vorrebbe essere cartesiano. 76. Vanity, cit., p. 98. 77. lvi, p . 97. 78. Ivi, p. 103. 79. lvi, p . 99. Cfr. ad es., Leviathan, ed. by C. B. Macpherson, London, 1968, cap. 8, pp. 1 40-14 1 . Cfr. anche l'Essay di Locke, IV, XIX, 5 e 7. -

142

Non solo questa indagine sulla « fallacia dell'immaginazione » si ri­ chiama a uno schema cartesiano, forti influenze cartesiane sono riscon­ trabili anche nelle indagini parallele sugli « inganni dei sensi )> e sull'« av­ ventatezza dei nostri in telle t ti )> . Così, cartesianamente è nell'infanzia - età nella quale « il nostro intelletto è quasi del tutto passivo rispetto alle impressioni sensibili )>80 che viene individuata l 'origine della maggior parte dei pregiudizi e dei fraintendimenti che compromettono la conoscenza. E altrettanto carte­ sianamente è nel dubbio radicale che viene individuata « l'unica via per la scienza )>81 , anche se la sospensione totale dell'assenso prescritta « dal metodo dell'eccellentissimo Descartes » si presenta come talmente ar­ dua da doversi « annoverare tra le pure possibilità )> destinate a non tro­ vare mai un pieno riscontro nella realtà. Ed infine cartesiano è il rilievo per cui non si dovrebbe « propriamente parlare )> di inganni dei sensi poiché se sentiamo questa o quella sensazione in noi in ciò non è alcun inganno o tradimento: è veramente così e il nostro senso non conclude nulla sulla sua fonte o origine. Mentre se da ciò il nostro intelletto deduce falsamente che c'è la stessa qualità nell'agente esterno ... il senso è innocente 82 • Notevoli tracce cartesiane sono anche nella indagine su quella « cau­ sa della nostra ignoranza )> che è l'avventatezza (praecipitancy)83 dei no­ stri intelletti e consistente propriamente nel dare l'assenso a « cose che non sono chiaramente e distintamente manifeste alle nostre facoltà )>84• Si tratta di una composita ed eclettica teoria dell'errore che muove dal­ l'assunto secondo il quale « ogni cosa tende incessantemente alla pro­ pria perfezione )>85• La nozione di perfezione viene tuttavia depurata di ogni connotato finalistico di tipo aristotelico o immanentistico - e dun­ que in un certo senso snaturata - perché « anche gli esseri inanimati, benché ignorino la loro perfezione, tuttavia non sono trascinati da un impetus cieco e casuale poiché essa è nota a ciò che li dirige )>86 • Nel caso dell'uomo, dopo la caduta, si ha tuttavia uno squilibrio drammatico. Della verità, nel cui possesso consiste la sua specifica per-

80. 81. 82. 83. 84. 85. 86.

Vanity, ci t., p. lvi, p. 74. lvi, p. 93. lvi, pp. 106 ss. l v i , p. 109. l vi , p. 1 07. lvi, p. 108.

70.

1 43 fezione , l'uomo infatti possiede un desiderio di intensità pari a quella ori­ ginaria, ma una conoscenza del tutto inadeguata; e ciò lo rende �< la più miserabile di tutte le creature �>g7• Una duplice incapacità, da un lato, della mente a operare senza l'ausilio degli spiriti del corpo e, dall'altro, di questi ultimi a fungere da puri « servi tori dell'anima . . . senza distra­ zioni o dissipazioni » 88 , rende irraggiungibile quella attenzione indispen­ sabile alla mente per « negare . . . l'assenso a ogni cosa che non sia chiara­ mente e distintamente manifesta )>89 • Dunque, l'errore conoscitivo viene cartesianamente a ttribuito a uno squilibrio tra intelletto e volontà men­ tre non propriamente cartesiana è l'attribuzione all'intelletto dell'atto del conferimento dell'assenso e della praecipitancy of concluding. Anche in questo caso White lascia cadere la possibilità di rilevare un 'analogia, ma d 'altra parte neli'Exclusio la dottrina tradizionale secon­ do la quale « la nostra natura è in se stessa bramosa della verità »90 ri­ corre in un contesto assai diverso. Il tema infatti è quello dell'empietà e immoralità dello scettico che « negando che c'è qualche certezza vani­ fica ogni inclinazione naturale »91 • Per di più Glanvill, nella ricerca della « causa per cui le nostre affezioni ci sviano »92 , delinea una considerazio­ ne del tutto diversa dalla volontà. L'oggetto della volontà , prima iden­ tificato con la « verità » ora diviene what is agre'able t o us 93, per cui « dove la volontà o la passione hanno l'ultima parola, quello della verità è un caso disperato )>94 • Glanvill tuttavia non si preoccupa di chiarire né i rapporti di questa ultima considerazione con la precedente, né le gravi implicazioni possibili in sede etica , limitandosi a rendere esplicito il si­ gnficato dell' agreable relativamente alla sola classe di oggetti che gli in­ teressano e che sono le « opinioni » , le credenze, le dottrine religiose e morali. La dinamica dell'assenso alle opinioni e alle dottrine - di qualsiasi genere esse siano - prevede all'origine un unico impulso : Noi non possiamo amare niente che non sia per noi piacevole [agreable] ; e il nostro desiderio di ciò che è tale, ha il suo primo impulso in noi stessi [/rom within us] 95 . 87. 88. 89. 90. 91. 92. 93. 94. 95.

lbid.

lvi, p. 1 10 . lvi, pp. 108-9.

Exclusion, cit., I vi, p. 12.

p.

16.

Vanity, cit., p. 1 17.

lvi, p. 1 19. lvi, p . 1 18. lvi, p p . 1 1 9-20.

144

L'impulso è l'amore per se stessi (self-love) e ad esso Glanvill ritie­ ne riconducibile ogni inclinazione e adesione alle opinioni, credenze o dottrine, secondo la regola generale per la quale noi non amiamo nulla che non abbia una qualche somiglianza in noi stessi e qualsiasi cosa applaudiamo come buona o eccellente non è altro che il nostro io in una copia, e viceversa 96 L'amore per così dire unendo l og­ getto all'anima gli dà una sorta di identità con noi : sicché l'idea amata non è altro che noi stessi sotto un altro nome 91• •

•••

'

Al di là della palese circolarità - l'« amore » per un'idea è l'effetto dell'unione di questa con l'anima, ma l'unione è a sua volta prodotta dal­ l'amore , è da notare lo sforzo di fornire una spiegazione unitaria e si­ stematica - evidentemente ispirata a un modello hobbesiano - dello operare delle « affezioni » e degli idola che condizionano la conoscenza umana. « Disposizione naturale, costume ed educazione, interesse e no­ stre proprie scoperte » , da un lato, « ossequio . . . all'autorità e all'antichi­ tà »98 dall'altro, vengono infatti ricondotti rispettivamente al self-love e all'amore per gli altri - che ne è tuttavia un immediato derivato -. Infatti la « congruità delle opinioni, vere o false che siano, alla no­ stra costituzione naturale » fornisce un potente « incentivo alla loro credenza e accettazione »99 in modo tale che « la costituzione o comples­ sione naturale della mente » 100 può rendere spiegabili le grandi disparità nei giudizi , le idiosincrasie, l'inclinazione alla superstizione e all'enthusia­ sm dei singoli, ma anche - in quanto è influenzabile e in larga misura prodotta dall'ambiente - le differenze culturali, religiose e morali tra i popoli : -

le opinioni hanno i loro climi e le loro differenze nazionali: e come certe regioni hanno loro propri vizi, che non si trovano così diffusamente in altre; così hanno le loro depravazioni mentali che vengono assunte con l'aria del paese. E io considero questa una delle più considerevoli cause della diversità delle leggi, dei costumi, delle religioni, delle dottrine naturali e morali 101• Va da sé che l'ambito nel quale Glanvill verifica più estesamente l 'ef­ fetto dei condizionamenti (affections) via via considerati è quello della religi one . Così il potere del costume e dell'educazione - le education-pre96. lvi, p. 120. 97. lvi, p. 1 19. 98. lvi, p. 121. 99. Ibid. 100. Ibid. 101. Ivi, p. 123 .

145

possessions - spiega perché « una nazione rida delle leggi , dei costumi e

delle opinioni di un'altra e . . . non ci sia religione per quanto irrazionale che non possa vantare i suoi martiri » 102 ; e studiando « l'attrazione irresi­ stibile » esercitata sulle coscienze dall'interesse, conclude che anything is a Truth to one whose interest it is to have it 10\ anche se l'operare dell'interesse - aggiunge Glanvill sviluppando con finezza il tema ami­ ideologico di Hobbes (il cui nome non a caso ricorre in questo contesto) - è talvolta nascosto alla stessa coscienza che lo subisce 104• In tal modo, l'indagine di Glanvill, mentre riprende terni e dottrine propri della t radizione scettica 105, ottiene l'effetto non di limitare la estensione della scienza ma di indicarle nuovi territori di ricerca. E si tratta di una ricerca di tipo antropologico di impostazione apertamente naturalistica, che paradossalmente sembra resa possibile da un presup­ posto di carattere teologico . È infatti la condizione di subordinazione rispetto al corpo nella quale la mente si trova dopo la caduta 106 a colma­ re la discontinuità tra l'anima umana e la natura e a legittimare in tal modo una considerazione naturalistica dell'uomo. Mentre infatti del­ l 'anima non poteva aversi scienza alcuna finché la si intendeva come sostanza immateriale, non appena la si considera come una « mente » dotata di una « complessione » dipendente dal ) del corpo, allora, proprio per la mediazione di questo, ne diviene possibile uno studio in relazione all'ambiente naturale e civile . La considerazione del pregiudizio rappresentato dalla « riverenza per l'autorità e l'antichità »107 rinnova in pagine di innegabile efficacia le polemiche baconiane e galileiane contro la cultura libresca e fatta di citazioni, e introduce all'esame critico dell'aristotelismo. In questa cri­ tica Glanvill u tilizza temi e dottrine gassendiane e scettiche, galileiane e cartesiane ma certamente l 'aspetto più marcato e caratteristico deriva dalla tradizione inglese ed è rappresentato dal carattere etico- teologico che assume la condanna dell'aristotelismo . Al di là infatti delle confuta­ zioni dottrinarie volte a dimostrare l'incongruenza di fondamentali con102. lvi, p. 127. 103. lvi, p. 133. « And as Mr. Hobbs observes, the reason that Mathematical demostrations are uncontroverted, is; because lnterest hath no piace in those unque­ stionable verities. . . The Eagles will be, where the carcase is; and that shall have the faith of most, which is bes t ab le to pay them for't » (i vi, pp. 133-4 ) . 104. lvi, p. 1 3 4 : « I confess, I cannot believe that ali the learned Romanists profess against their conscience; but rather, that their Interest brings their con· sciences to their Profesrion » . 1 0 5 . S i pensi soprattutto ai Dialogues d i l a Mothe L e Vayer. 106. V. Cope, op. cit., pp. 69-70. 107. Vanity, cit., p. 136.

1 46

cetti e dottrine aristoteliche apertamente ispirate al modello gassendia­ no delle Exercitationes paradoxicae 108 , il rilievo centrale spetta al mo­ tivo per cui l'aristotelismo è quella filosofia nella quale gli errori cono­ scitivi (da cui per altro nessuna filosofia è esente) si tramutano in difet­ ti di carattere morale . Che l 'aristotelismo sia privo delle procedure e dei momenti costi­ tutivi della « scienza » - quali innanzitutto « definizioni chiare e fis­ se dei significati dei nomi » 109 - non è dovuto né a semplice mancanza di sagacia filosofica né al caso, bensl a una sorta di deliberato disegno di > i cui procedimenti sono del tutto op­ posti a quelli dell'aristotelismo 1 14 • Ampio spazio è dedicato nell'Exclusio alla confutazione di questa .contrapposizione glanvifliana di matematica e aristotelismo . Innanzitut­ to va notato che anche White attribuisce alla matematica un valore pa108. lvi, pp. 156, 176-7. 109. I vi, p. 160. « And thus being at their first step aut of the way to Scien­ ce, by mistaking in simple terms; in the progress of their enquiries they (gli ari-. stotelici] must needs lose both themselves , and the Truth, in a Verbal Labyrinth. And now the entagled dispuntants, as Master I-Iobs ingeniously observeth, Jike Birds that carne down the Chimney; betake them to the false light » (ivi, p. 161 ) . 1 10. lvi, p. 1 61 . 1 1 1 . lvi, p. 162. 112. Come la deduzione della perfezione del mondo da quella del numero tre, con la critica della quale si apre il Dialogo galileiano (Vanity, cit., p. 162). 1 1 3. lvi, p. 166. 1 14. « One reason . . . of the uncontroverted certainty of Mathematical Science is; because 'tis built upon clear and settled significations of names, which admit of no ambiguity or insignifìcant obscurity. But in the Aristotelian Philosophy it's qui te otherwise » (iv i, p. 160) .

147 radigmatico, tanco da aver dedicato due trattati a una esposizione « eu­ clidea » tispettivamente della fisica e della metafisica 115• Questa con­ siderazione della matematica si connette tuttavia a una concezione di stampo aristotelico, secondo la quale il valore di verità di una scienza dipende dalla realtà del suo oggetto, che la rende assai diversa da quel­ la di Glanvill. Cosi, White riconosce nella matematica un modello di rigore ma questo rigore gli appare acquisito a scapito di una sostanziale chiarezza : In ciò la benigna natura è stata indulgente verso queste discipline [le matematiche] , che esse sono esentate da ogni necessità di risolvere l'equivo­ cità dei loro termini, e a\rendoli spiegati una volta, possono procedere senza ulteriori difficoltà ; onde vediamo che quando fossero richieste di spiegare i loro termini, anche la geometria diverrebbe altrettanto laboriosa della meta­ fisica 1 16• Si può infa t ti parlare di chiarezza « in due sensi »: « nel termine » 117 « nel significato » (in meaning) e quella della matemati­ ca è solo del primo tipo, mentre le vere scienze debbono mirare alla chiàrezza in tutti e due i sensi . Da questo punto di vista il carattere ar­ tificiale e costruttivo della matematica viene visto come un procedimen­ to basato sull 'assunzione di >, su indebite approssimazioni, su semplificazioni inadatte all'intelletto :

(in term) e

Quelle cose che rendono la geometria superiore alle altre scienze sono in grande misura false e assunte come vere in vista dell'uso . . . La matematica non è più certa o evidente delle altre scienze ma più facile e più adatta alla fantasia, non all'intelletto. Infatti se in geometria fossimo ancora soliti usare i termini precisi ... l'intera disciplina perderebbe l'aspetto seducente della chiarezza 118• In tal modo il riconoscimento del carattere paradigmatico della matematica finisce con l'apparire quasi strumentale e va inserito co­ munque nel contesto di una ribadita gerarchia delle scienze nella qua­ le la matematica occupa un posto - l'ultimo - in quanto strettamen­ te connessa alla fisica 119• Questa connessione tra matematica e fisica 1 1 5. L'Euclides Physicus e l'Euclides Metaphysicus (v. supra, n. 7). 1 16. Exclusion, cit., p. 23. 1 17. lbid. 1 18. Ivi, p. 22. 1 19. 122• Mentre resta insuperata la cura posta da Aristotele nel predisporre tut­ ti i requisiti metodologici necessari per evitare ogni equivocità nella trattazione scientifica - innanzitutto la classificazione dei termini -, e nessun altro filosofo formulò con maggiore chiarezza un ideale di scienza rigorosa, fondata su principi evidenti e imprescindibili, nonché utile e suscettibile di applicazioni vantaggiose per l'uomo. La confutazione whiteana delle accuse rivolte da Glanvill ad Aristo­ tele si basa su un 'interpretazione della filosofia peripatetica che non è meno travisante e strumentale di quanto non sia quella glanvilliana di Cartesio , e attribuisce alla scienza aristotelica (razionale e sperimentale come la galileiana, metafisicamente fondata come la cartesiana, utile come la baconiana) una capacità di cumulare i vantaggi delle diverse fi­ siche moderne che fa riscontro alla molteplicità ed eterogeneità dei pun­ ti di vista assunti da Glanvill per criticarla. Infatti l'adozione di un pun­ to di vista hobbesiano nella contrapposizione dell'aristotelismo alla ma­ tematica non impedisce a Glanvill di far proprie critiche appartenenti ad altri esponenti della « nuova filosofia >) come quelle riguardanti « la

120. lvi, p. 55.

121 . lvi, p. 4 1 . 1 2 2 . lvi, p. 62. V . anche p p . 68, 7 3 .

149 generalità » delle spiegazioni aristoteliche m e l 'empirismo acntlco e superficiale della filosofia peripatetica che « non va molto al di là della osservazione volgare » 12\ «giudica sulla base delle apparenze visibili >> e si ferma alla « struttura sensibile » senza raggiungere mai quella « na­ scosta »1 25• È in particolare a quest'ultimo limite che Glanvill attribui­ sce l'incapacità dell'aristotelismo di produrre scoperte che accrescano il dominio sulla natura : È difficile volgere le operazioni della natura ad alcun vantaggio pratico sulla base dell'osservazione della corteccia delle apparenze sensibili . ... In effetti neppure i fenomeni più comuni è possibile conoscere o utilizzare senza penetrare nella struttura più nascosta. La natura, infatti, in tutte le cose opera con mano invisibile, e finché la filosofia paripatetica non potrà mo­ strarci altro che quelle grossolane soluzioni in termini di qualità ed elementi non ci renderà mai benefattori del mondo né importanti scopritori. Ma la sua sterilità sperimentata per tante centinaia di anni conduce alla dispera­ zione. Cose più grandi ci aspettiamo dagli sforzi neoterici. La filosofia car­ tesiana a questo riguardo ha mostrato al mondo la strada per essere felice 126•

Glanvill ripercorre critiche antiaristoteliche di provenienza diver­ sa senza eccessivamente preoccuparsi della loro compatibilità : così, la critica galileaiana dell'empirismo ingenuo degli aristotelici si connette a quella baconiana della sterilità e inefficacia pratica, e questa a una identificazione della fisica con una scienza della hidden frame della na­ tura di stampo cartesiano, per concludere infine con un'ispirata !!sorta­ zione alla fiducia nei tempi nuovi . Assistiamo così al curioso caso di uno " scettico " che esalta « la fecondità dei principi cartesiani » 127, che magnifica l'età moderna - infinitamente più ricca di grandi intelletti dell'antica -, che condanna l'« amica incredulità » 128 e si slancia a pre­ conizzare futuri viaggi nelle regioni antartiche e sulla luna, ali artificia­ li, conversazioni a distanza per mezzo di sympathetick conveyances e la trasformazione dei deserti in paradisi terrestri . Tutto ciò, conclude Glanvill, appare possibile e anzi certo non appena si considerino gli

1 2 3 . Vanity, cit., p. 171. Il carattere « generale » delle spiegazioni aristoteliche, incapaci di fornire « the particular manner » persino delle « più comuni produzioni >> naturali, sarà oggetto di analisi critica particolarmente sviluppata nella indagine epistemologica di Boyle; la presenza in Glanvill di questa osservazione testimonia pertanto di un preciso e interessante legame. 124. lvi, p. 179. 1 25. lvi, p. 180. 126. Ivi, pp. 1 80-81 . 127. lvi, p . 183. 128. lbid.

150

« sforzi attenti e geniali di tanti veri filosofi »129 e soprattutto di De­ scartes che « ha mostrato al mondo la strada per essere felice » . La pa­ rabola retorica è così compiutamente delineata: dalla disperazione e dal­ la incredulità prodotte dalla filosofia aristotelica alla fede e alla felicità della cartesiana. Né sono meno gravi le « colpe » dell'aristotelismo in campo teo­ logico, dove irreparabili guasti ha prodotto la teologia scolastica che ha abbandonato « le più ovvie verità »130 in favore di inestricabili trame tessute con dottrine pagane, che ha conseguentemente « derubato il mondo cristiano della sua unità e della sua pace » 131 e che si rifà ad una filosofia scopertamente empia e in contrasto con fondamentali dogmi cristiani quali quello della resurrezione, della creazione, della libertà di­ vina 132• > (ivi pp. 183-4 ). 133. lvi, p. 152. 134. Leviathan, cit., cap. 47, pp. 712-13.

151

rivolta all'aristotelismo di non penetrare fino alla hidden frame della natura. Il contesto è infatti quello ormai puramente epistemologico del­ l'indagine sui fondamenti del nesso di causalità. A questo problema Glanvill si è volto con grande decisione per cogliere il carattere essen­ ziale della struttura della « scienza dogmatica » . �� La scienza nel senso dei dogmatici » pretende d i configurarsi co­ me « la conoscenza dellè cose nelle loro cause vere immediate e neces­ sarie »135, la dimostrazione della sua impossibilità si configura allora come un'ampia indagine sulla causalità che Glanvill articola in cinque punti : l'imputazione causale ( l ) è basata sulla mera concomitanza, (2) dogmaticamente intesa equivale alla dimostrazione della impossibilità del contrario, ( 3 ) implica la conoscenza delle cause iniziali e ( 4) di tutte le altre, « per la reciproca dipendenza e concatenazione », (5) « ogni scienza deriva dai sensi » 136• Di queste cinque prove della inconoscibilità delle cause « nel sen­ so del dogma tico >> particolare interesse rivestono le prime due, che colpiscono anche come anticipazioni delle analisi humiane. La prima muove dalla constatazione del carattere mediato della conoscenza del­ le cause: non conosciamo una causa « per semplice intuizione ma thro­ ugh the mediation of its effects »m. Da dò segue che non possiamo concludere che una cosa sia la causa di un'altra se non per il fatto che l'accompagna con continuità ... ma ora argomentare da una concomitanza una causalità non è una conclusione infallibile Ba_ L'esperienza, che è d 'altra parte l'unica fonte della conoscenza, non attesta che eventi concomitanti e quelle che consideriamo cause pos­ sono essere soltanto uninfluential attendants. Se da una parte, come è stato sottolineato, questa dottrina anticipa quella humiana 139, dall'altra ha indubbiamente la sua origine più pros­ sima in due concezioni hobbesiane. Infatti che nella scienza fisica la conoscenza delle cause sia mediata da quella degli effetti è teoria hob­ besiana ed hobbesiana è anche la dottrina secondo la quale nella espe-

135. Vanity, cit. , p. 189. 136. lvi, pp. 188-223. 137. lvi, p. 189. 138. lvi, pp. 1 89-90. 139. Per un raffronto tra l'analisi glanvilliana e quella di Hume, R. H. Popkin, « Joseph Glanvill: A Precursor of David Hume » , ]ournal of the History of Ideas, 14 ( 1953), pp. 292-303. Dello stesso autore si veda anche > , Philosophy and Phenomenological Research, XVI ( 1955), pp. 61-7 1 .

152

l'andare a caccia delle cause di qualche effetto » 140 mette capo a una conoscenza puramente congetturale e fondata sulla supposizione che > . iv. All'interno del quadro teorico definito dal probabilismo accademico, Bayle non si limita ad evidenziare l 'aspetto più marcatamente pratico ed etico - per cui diviene possibile per il saggio conformarsi alle « apparenze » senza attendere la formulazione di « giudizi speculativi pronunciati sulla natu­ ra delle cose » - ché anzi l'autore del Dictionnaire sottolinea l 'oppor­ tunità di estendere il campo di applicazione del giudizio « opinativo >> , sino ad includervi anche quegli atti di assenso, con i quali aderiamo a credenze che appaiono probabili o ragionevoli, pur essendo sprovviste di evidenza certa 52 : « né Arcesilao né Carneade - nota Bayle - avreb­ bero costretto l'uomo a non 'opinare' cioè a non consentire ad alcu­ na cosa che non fosse stata portata sino al grado dell'evidenza mediante la via di discussione » (quest'ultimo termine, di origine teologica, as-

52. Una punta estrema in questa direzione è rappresentata nel Seicento da P. Gassendi, il quale accosta la « scientia » (nella sua accezione > , in M. Brandao, Estudos varios, I, Coimbra, 1972. pp. 236-7. 4 4 . Documentos de D. ]oao III, a cura di M. Brandao, I, Coimbra, 1937, ix, p. 13. 45. Cfr. M. Brandao, >, in M. Brandao, Estudos varios, cit., I, p. 125. 46. Documentos de D. ]oao III, cit., I, ix, p. 14. 47. Cfr. M. Brandao, M. Lopes d'Aimeida, A Universidade de Coimbra, cit., p a rte I , p . 181 . 48. Cfr. Th. Braga, Historia da Universidade de Coimbra, cit., I, p. 370.

1 99

una nuova sistemazione del centro degli studi, Giovanni I I I procede a una metodica modificazione del corpo docen te: così il domenicano Giovanni di Gand rinunciava alla cattedra di Metafisica , retta fin dal 1 5 1 4 , e nell'aprile 1 5 30 il francescano fr. Luiz lasciava l'insegnamento della Fisica . Entrambi dietro invito e compenso da parte del re. Vediamo invece chiamati Pedro Nunes e Garcia d 'Orta 49, mentre i quadri dell'università a Coimbra si riempiranno di docenti formatisi e attivi nelle istituzioni straniere - da Alcala a Salamanca a Parigi 50 • Che la modificazione subita dall'università non si raccogliesse nel mero trasferimento fisico è altresì dimostrato dalle polemiche suscitate dal­ l'evento : laddove per Giovanni III si era trattato di cambiare luogo, e quindi non veniva attinta l'essenza dell'università come entità giuri­ dica 5 1 , da altre parti si avanzavano implicazioni ben più inquietanti : si trattava cioè di una vera e propria nuova fondazione a Coimbra, mentre l'università di Lisbona aveva cessato di esistere. Di qui, la necessità di una sanzione pontificia che consentisse alla nuova enti­ tà giuridica di conferire i titoli accademici in teologia e diritto ca­ nonico . Giovanni III doveva finalmente piegarsi a questa interpre­ stazione, tanto che il 28 novembre 15 3 7 riconosceva al rettore di Coimbra, Agostinho Ribeiro, la facoltà di conferir� gradi solo in medi­ cina e diritto civile, mentre la sanzione per i curricula in diritto cano­ nico e teologia sarebbe stata riconosciuta solo nel febbraio 15 39 da una bolla di Paolo I I I 52 . Altri pro�lemi sorgevano dalla pr�senza , nella stessa città, di istituti di insegnaménto che non vedevano ben definiti né i propri ambiti né i rispettivi diritti : si apriva così una tormentata fase di rapporti tra l'uni­ versità e i collegi di Santa Cruz. In questa direzione, in un alvara del­ l'ottobre 1 5 3 7 , Giovanni I I I affermava : « conçedo & outorgo aos ditos colegios priuilegio & autoridade pera que em elles se possa conçeder graaos de bachares & mestres em artes & philosophia »53• L'alvara regio faceva esplicito riferimento, per i collegi di Santa Cruz, ai modelli for­ niti dalle costituzioni di Parigi e Alcala. Ma già l'anno seguente, in conseguenza anche della disputa insorta tra fr. Bras de Braga e il rettore· Bernardo da Cruz, Giovanni III procedeva a una più rigorosa defini-

49. lvi, I, pp. 356-7. 50. lvi, I, pp. 459-62. 5 1 . Cfr. P. Michaud-Quantin, Universitas. Expressions du mouvement com­ mzmautaire dam le Moyen-Age latin, Paris, 1970. 52. Cfr. Th. Braga, Historia da Universidade de Coimbra, cit., I , p . 450. 53. Documentos de D. Joao III, cit., I , xxvii, p. 44.

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zione degli ambiti, che vedeva privilegiare nell'attività di Santa Cruz l'insegnamento delle lingue latina, greca e ebraica, con esclusione da tale insegnamento sia degli « estudos geraees » sia di « qlqr outr• parte da çidade »54• A tutela dell'università, peraltro, interveniva un 'ordinanza del giugno dello stesso anno, dove si ribadiva che os escolares que se queserem graduar de bachares. & depois de terem feitos seus cursos & lido suas licoes nesa vniversydade se fforem graduar em outros estudos nii. gozem em meus Reinos & senhorios das honrras & liber­ dades do dyto grii.o. E asy ey por bem que hos bachares q se forem fazer licenciados em outros estudos . . . nam gozem dos priuilegios & liberd11des de licenceados nos di tos meus Reinos & srios ss .

La controversia doveva concludersi nel 1 5 44, quando Giovanni III, attraverso un massiccio trasferimento di corsi e insegnanti dai collegi di Santa Cruz all'università « E o Rector E conselho da Vniuersi­ dade Daqui en diante tenha em elles toda Jurdicam » unificava i due centri d'istruzione: « E que todos seiam huu corpo E tenham huu mesmo superior »56• Ma in trasparenza a questi interventi si possono leggere alcune si­ gnificative articolazioni di un più vasto progett,o di riforma degli studi. In primo luogo, l'operato di Giovanni I I I si muove lungo una prospet­ tiva sostanzialmente diversa da quella assunta negli statuti manuelini, preoccupati di garantire autonomia e autogoverno all'istituzione univer­ sitaria : ora invece, da Agostinho Ribeiro, già rettore a Lisbona e per breve tempo ancora a Coimbra, fino a Manuel de Meneses, che entrerà in carica nel dicembre 1 5 56, tutti i rettori sono di stretta nomina regia, mentre alla comunità universitaria rimarrà l'elezione del vicerettore 57 . Certo, volontà di centralizzazione e controllo sulla comunità universi­ taria: ma il monarca interveniva ancor più intimamente, nelle fibre del­ l'istituzione , per sospenderne de facto i criteri di riproduzione e accre­ scimento, quando alla pratica dell'elezione e della cooptazione in auto­ nomia da parte del corpo docente, sostituiva il conferimento di cattedre per nomina regia. -

-

54. lvi, I, xlv, p. 78. 55. lvi, I , lv, p. 97. V. anche ivi, II, ccvi, p. 67. 56. Documentos de D. folio III, a cura di M. Brandao, II, Coimbra, 1938, cccxxvHi, p. 2 1 1 . 57 . Cfr. M. Rrandao, M. Lopes d'Almeida , A Universidade de Coimbra, cit., parte I, p. 209; Th. Braga, Historia da Universidade de Coimbra, cit., I, p. 206. Per la nomina di fr. Diogo de Murça, cfr. Documentos de D. folio III, cit., II, cclxxii, p. 142.

201

Se ripercorriamo l'elenco dei magistri direttamente chiamati d a Giovanni I I I 58 vediamo svolgersi appieno quel disegno d i modernizza­ zione già avviato con l'allontanamento di fr . Giovanni di Gand e fr. Luiz ; ma ancora, il monarca si riservava un'altra area di intervento, con la definizione degli stipendi dei magistri nominati: compensi tal· volta sensibilmente superiori alla norma, ma intesi a richiamare docenti di sicura fama e alti meriti, attivi in sedi straniere 59 • Era quindi chiara la consapevolezza che l'universitas, lasciata a una dinamica autonoma, avrebbe proceduto a una riproduzione dei propri quadri appiattita sul­ l'esistente e lontana dalle posizioni culturalmente più avanzate. Il con­ trollo sul corpo docente rispondeva anche a una nuova finalizzazione che a esso si voleva conferire : l'università era vista non più soltanto come il luogo di produzione e trasmissione del sapere, ma anche come articolazione della macchina amministrativa dello stato. Cosl, nel no­ vembre 1 5 39 , agli inizi dell'attività in Coimbra , Giovanni I I I scriveva al rettore, perché controllasse che i magistri di diritto, « prouiDos de caDeiras Com salario » , non esercitassero attività professionale priva­ ta - « ho que he muyto Contrairo a EstuDo p Devem ter para ler suas liçoes »60. L'anno seguente però si rivolgeva allo s�esso rettore, Agos­ tinho Ribeiro, per chiedergli letrados adatti al servizio dello stato : « eu follgaria mais de nestes cargucSs [corregedores e juizes de fora] me seruir dos fìlhos desa universidade avendo os nella para isso Sufficie­ tes » 61 . Certo, la politica universitaria di Giovanni I I I doveva incontrare opposizioni : da un lato, nella stessa amministrazione dello stato e so­ prattutto per entro la corte, dove le spese che il monarca affrontava per la nuova fondazione provocavano proteste per lo storno di fondi della « fazenda real » : icasticamente, in un testo del 1 542 si legge, attraverso la p reoccupazione nei confronti di un notevole volume di spese, l'ostilità nei confronti della nuova curvatura dello stato porto­ ghese: lontani sembravano ormai i tempi in cui la ricchezza del paese era immediatamente trasferita all 'accrescimento delle imprese ultra­ marine, lontani ormai i tempi di una monarchia cavallerescamente pro­ tesa all'espansione coloniale : ora, si commentava amaramente, « disso

p.

58. Cfr. Documentos de D. ]oao III, cit., I : lxviii, p. 126; xcvi, p. 168; cxi, 186; I I : ccv, p. 66; cclxx, p. 139; cclxxxv, p. 1 65 ; cccxxv, p. 207. 59. Cfr. Th. Braga, Historia da Universidade de Coimbra, cit., I , pp. 459-62 . 60. Documentos de D. ]oao III, cit., I , cxxix, p. 222. 6 1 . lvi, I, cxli, p. 239, V. anche ivi, I, cxlii, pp. 240- 1 .

202 avia queixas, por sobejarem estudantes e faltarem soldados » 62 • D'altro canto, dalla stessa università provenivano critiche all'atteggiamento del sovrano, al suo puntuale intervento che sconvolgeva i criteri di esi­ stenza di un'autonoma comunità di studi, che in se stessa doveva rin­ venire metodi, e rituali, del proprio accrescimento. Come scriveva nel maggio 1 545 il rettore fr . Diogo de Murça, le nomine di parte regia ingeneravano un diffuso senso di frustrazione nei « fìlhos da Univer; sidade », che non vedevano coronato nel conferimento di cattedre, per fisiologico curriculum interno, la propria operosità. Si è detto di rituali: nello stesso testo, fr . Diogo de Murça rivendicava il valore delle dispute accademiche sia pe"r la gratificazione dei partecipanti « a gloria que se recebe de semelhantes triumfos » - sia per l'immagine esterna del­ l'università 63• Una logica quindi assai lontana dalle critiche mosse da Giovanni III alla consuetudine dei docenti di civettare con mostre di erudizione, in luogo di procedere a dirette definizioni delle questioni. Da un lato, dunque, ridefinizione del ruolo dell'università, e sua ar­ ticolazione alle esigenze di funzionamento dell'apparato statale; dall'al­ tro una non netta distinzione tra gli ambiti dell'università e di Santa Cruz : di qui, contrapposizioni e frizioni, risolti con l'unificazione delle due fondazioni. Restava però scoperto il settore più squisitamente for­ mativo nella struttura dell'istruzione pubblica . Elisabeth Feist Hirsch ha rilevato come, proprio mentre delineava la fase finale della parabola di Santa Cruz, Giovanni I I I rivolgeva nell'animo il progetto di dotare Coimbra di un vero e proprio collegio delle arti, esemplato sul model­ · lo del Collegium Trilingue di Lovanio 64 . Nella decisione del sovrano concorrevano altri due ordini di considerazioni : nonostante le tensioni, · i collegi di Santa Cruz avevano dato buona prova e soprattutto erano divenuti centri di raccolta di giovani aristocratici : si trattava di poten­ ziare il fenomeno, nel senso della formazione di un'ampia classe diri­ gente di alto livello; a tal proposito, il Portogallo poteva disporre di in­ tellettuali estrangeirados, che avevano acquisito posizioni di prestigio nelle istituzioni europee : tra questi, Diogo de Gouveia o velho e il ni­ pote André de Gouveia, « sans coniparaison, le plus grand principal de France », secondo il giudizio di Montaigne 65 • -

62. Cit. in Th. Braga, Historia da Universidade de Coimbra, cit. I, p. 477. Cit. in ivi, I, pp. 487-8 n . 64 . Cfr. E. Feist Hirsch, Damiao de G6is, cit., p. 164. F r . Bras d e Braga e fr. Diogo de Murça avevano compiuto proprio a Lovanio i propri studi: cfr. H. de Vocht, History of the Foundation and the Rise of the Collegium Trilingue Lova­ niense, 151 7-1550. III: The Full Growth, Louvain, 1954 (ripr. anast.: Nendeln, . 1976), pp. 371-3 . 65. Essais, I, xxv. 63.

203 Non è qui il luogo di ripercorrere le vicende della fondazione e del destino del conimbricense collegio reale e dei suoi magistri, minutamen­ te trattate negli studi di Mario Brandiio 66• Preme invece sottolineare come in esse si rifletta la tormentata e complessa personalità, umana e intellettuale, d i Giovanni III, dove i momenti di apertura a un uma­ nesimo di respiro europeo si intrecciano, e si coniugano, in un instabile equilibrio, a altrettanto urgenti scrupoli di ortodossia religiosa . Lungo il terzo e il quarto decennio del secolo XVI, l'enigmatica personalità ( tale il giudizio di Joaquim de Carvalho) del sovrano doveva assumere atteggiamenti a prima vista aspramente contraddittori : così, da un lato si adopera per l'introduzione dell'inquisizione nel regno; dall'altro, ri­ compensa generosamente Juan Lufs Vives per gli scritti de disciplinis e si preoccupa di offrire cattedre in Coimbra a Erasmo 67, a Cornelis Pieterz Croock, allora erasmiano, a Andrea Alciati 68. Ma se si pone mente all 'iter della pratica per lo stabilirsi dell'inquisizione, lungo pau­ se e ripensamenti, si coglie come l'obiettivo del monarca fosse quello di ottenere un 'istituzione che non sfuggisse al controllo della corona. In tal senso doveva venir letto il conferimento dell'incarico di inquisi­ tore generale all'infante cardinal D. Henrique. È evidente la preoccupa­ -eione di dotarsi di strumenti che assicurino il controllo sulla società por­ toghese, ma con l 'intento che questi non sfuggano alla rigida centraliz­ zazione della corte. E qui forse va indicato il nucleo del fallimento com­ plessivo dell'azione di Giovanni III nella sua presunzione di poter uti­ lizzare forze - dall'inquisizione e i gesuiti agli stessi intellettuali estran­ geirados - che per dinamica autonoma si collocavano in prospettive cen­ trifughe e eteronome rispetto ai disegni della monarchia. La stessa con­ traddizione di superficie, che nasconde una precisa conoscenza delle for­ ze in presenza e la volontà di piegarle comunque alla realizzazione di un piano che è solo del sovrano, si rinviene nella scelta del corpo docente del collegio conimbricense: proprio mentre avverte l'estrema raffinatez­ za e modernità della strumentazione concettuale dei magistri attivi al collegio di Guyenne, Giovanni III si rivolge per consiglio a Diogo de

66. O Colégio das Artes. I. 1547-1555, Coirnbra, 1924 ; O Colégio das Artes. II. 1555-1580 (Livro 1), Coirnbra, 1933; A Inquisiçao e os professores do Colégio das Artes, I, Coirnbra, 1948; A lnquisiçao e os professores do Colégio das Artes, II/l, Coirnbra, 1969. 67. Cfr. G. Henriques, Ineditos Goesianos. II. O processo da lnquisiçao, Lisboa, 1898, p. 74; M. Bataillon, « Érasrne et la cour du Portugal », in M. Ba­ taillon , Études sur le Portug al, cit., p . 98 . 68. Cfr. M. Brandlio, M. Lopes d'Alrneida, A Universidade de Coimbra, cit., parte I, p. 2 1 1 .

204 Gouveia o velho, sotto la cui direzione in Sainte-Barbe avevano operato alcune tra le più vivaci personalità del tempo, da Guillaume Postel a George Buchanan, da Nicolas Cop a Jean Fernel, da Mathuriri Cordier a Juan Gélida, agli stessi André, Marciai e Antonio de Gouveia 69• Ri­ percorrendo i suoi lunghi anni di attività, lo stesso Diogo de Gouveia o velho ricordava nel 1548, con moto d'orgoglio : « eu ei de trabalhar por edificar pedras vivas, e sempre me prazei d'este officio »70• Giudizio riconfermato da una fonte non sospetta, Diogo de Teive, che nella depo­ sizione resa al tribunale dell'inquisizione, ricordava « o Doutor velho » come « homen muito honrado e muito vertuoso a ho qual todos somos em grande obrigaçao por elle ser hua das causas prindpaes de termos as boas letras neste reino »71 • Salvo rilevarne subito dopo la pertinacia, quasi un'ossessione, con cui intendeva combattere il fenomeno lutera­ no, che per lui assumeva l'aspetto minaccioso di una tabe onniperva­ dente, fino a coincidere con le forme più avanzate dell'umanesimo: « chamaua luteranos homès q sabia grego & philosophia & estauii mal co a sofistaria >>72 • · Così ritroviamo Diogo de Gouveia autore di un Tractatus theologi­ co-dogmaticus contra Lutherum 73 e sostenitore accanito, all'assemblea di Valladolid nel 1 527, delle tesi sorboniane contro Erasmo 74 • Ma se le preoccupazioni dogmatiche del principal di Sainte-Barbe sembravano incontrare le inquietudini religiose di Giovanni I I I , sul piano del fine ultimo degli studi la divaricazione si rivelava profonda : in una lettera del febbraio 1 5 3 8 Diogo de Gouveia o velho scriveva al re delle porten­ tose e rapide conversioni in · massa degli abitanti del Malabar, per sotto­ lineare come la formazione umanistica dovesse mirare alla creazione di un imponente corpo di missionari, da inviare nelle terre della conqui­ sta : in questa direzione, il modello del letrado adatto ai tempi era for­ nito dai membri della compagnia di Gesù 75. Ma in tal modo « o Doutor

69. Cfr. M. Brandao, A lnquisiçiio, cit., I , p. 132. 70. Ci t . in Th. Braga, Historia da Universidade de Coimbra, cit., I, p. 484,

n. l . 7 1 . Ci t . ivi, I , p . 537 . 72. O processo na Inquisiçiio de M. Diogo de Teive, a cura di M. Brandao , Coimbra, 1943, p. 6. Cfr. Th. Braga, Historia da Universidade de Coimbra, cit., I, pp. 537 e 543 . 73. Cfr. M. Brandao, A Inquisiçiio, cit., I, p. 103. 74. Cfr. M. Batai!lon , « Les Portugais contre Érasrne à l'Assemblée Théolo· gique de Valladolid >> , in M. Bataillon, Etudes sul' le Portugal, cit., p. 18. 75. Cfr. M. Brandao, A lnquisiçiio, cit., I, p. 147; M. Bataillon, « Un docu­ ment portugais sur !es origines de la Compagnie de Jésus », in M. Bataillon, f!.tudes sur le Portugal, cit., pp. 133-4.

205

velho » si rivelava irrimediabilmente legato a una stagione trascorsa della storia portoghese, alla conquista come realizzazione dell'impegno crociato; sordo quindi alla preoccupazione di fondo del sovrano, il raf­ forzamento cioè e l'articolazione dell'apparato statale. Eu mando ora assentar nessa cidade [Coimbra ] um collegio, ern que se bilo de ler todas as artes, do qua! ha de ser Principal o doutor mestre André de Gouveia, que para isso mandei vir de França com alguns lentes 76• Con l'inizio dei corsi, nel febbraio 1548, si realizzava il progetto al quale avevano collaborato, fin dal 1 54 3 , il sovrano e il principal del collegio di Guyenne : costituito direttamente dal re, per « serviço de Deus, e proveito da republica »77, il nuovo « collegio gera! » si configu­ rava come completamente autonomo dall'università. La morte repentina, nel giugno 1 548, di André de Gouveia, e il fatto che i primi mesi di esistenza della fondazione erano stati travagliati da duri scontri tra i magistri provenienti da Bordeaux e quei magistri, di formazione parigina, che Giovanni III aveva inserito a integrazione del corpo docente, dovevano spingere il sovrano a una serie di atteggia· menti, ancora una volta apparentemente contraddiùori, ma che in real­ tà erano rivolti, attraverso un brusco ridimensionamento del progetto, a assicurare continuità all'esperimento . Così, in un primo momento ven­ ne chiamato a sostituire « le plus grand prindpal de France » il cugino Diogo de Gouveia, esponente di quelle posizioni tradizionaliste soste­ nute dall'omonimo zio, « o Doutor velho »78• Il passo successivo fu il conferimento della direzione del collegio a un altro prestigioso collabo­ ratore di André de Gouveia, Joao da Costa, ma con una significativa mo­ difica: « daqui em deante o dicto collegio seja sujeito a Universidade da dieta cidade de Coimbra »79• Contemporaneamente, si avviava un'inchiesta a Parigi attorno a eventuali manifestazioni di eterodossia e eteroprassia di Joao da Costa, Diogo de Teive e George Buchanan, cioè i più prestigiosi tra i lentes venuti da Bordeaux: nell'agosto 1 550 si apriva il processo di inquisi­ zione, che si sarebbe concluso con l'abiura e la condanna degli accusati ;

76. Documentos para a hist6ria dos jesuitas em Portugal, a cura di A.]. Teixei· ra, Coimbra, 1 899, i, p. 3 . 7 7 . lvi , ii, p . 4 . 78. Cfr. M. Brandao, O Colégio das Artes, cit., I , p. 98. 79. Documentos para a hist6ria dos jesuitas em Portugal, cit., xxxiii, p. 5 1 .

206 seguiva una breve prigionia e un ntrro forzato in conventi portoghesi. Una volta ritornati in libertà, i destini dei tre magistri si dividevano : mentre Buchanan abbandonava il Portogallo, nonostante l 'intenzione del re di trattenerlo, Joao da Costa doveva divenire priore di San Michele di Aveiro 80; Diogo de Teive rimaneva a Coimbra, dove avrebbe con­ tinuato l'attività docente, fino a assumere la direzione del collegio, alla fine del 1 5.54 81 • Incarico che si sarebbe concluso di lì a poco : nel set­ tembre 1 5 5 5 , Giovanni I I I scriveva al principal: « Mando-vos que en­ tregueis esse collegio das Artes, e governo delle, inteiramente ao padre Diogo Mirao, provincia! da companhia de Jesus >)82• Era il segno di una amara sconfi tta, non solo del progetto di André de Gouveia e dei lentes di Bordeaux, ma della politica culturale del sovrano. Sconfitta che na­ sceva ancora da quel processo di inquisizione , dove un corpus di accuse riguardava l'os tilità di da Costa, de Teive e Buchanan all'azione di pro­ selitismo svolta dai gesuiti presso la gioventù aristocratica raccolta a Coimbra. I mag istri avevano colto e denunciato lucidamente l'attentato gesuitico al disegno di costituire una classe dirigente laica e al servizio della monarchia. A essa si sarebbe sostituita un'intellettualità, raccolta certo tra) membri della fidalguia, ma eteronoma rispetto allo stato . L'aver/éémsent:ito che . all'azione accusatoria, promossa dagli ambienti dell'ortodossia tradizionalista, si coniugasse l'intervento del gesuita Simao Rodrigues, rappresenta il momento di frattura nel programma di Giovanni I lj/ l'avvio di una chiusura che si verrà accentuando nella se­ conda metà del secolo. Sul piano dottrinale, nel corpus delle accuse mosse ai lentes era co­ mune la contestazione di aver infranto più volte il precetto del digiuno, sulla base di ' precise motivazioni: come altre norme della chiesa, era solo istituzione umana, frutto dell'evoluzione storica 83• Ma da questa area coincidente le posizioni rispettive poi si differenziavano : e mentre su Buchanan gravava il sospetto di una intima adesione alle tesi riforma­ te 84, Joiio da Costa sembrava emergere come fautore di un cristianesimo tollerante e irenico : l'atteggiamento del credente non doveva essere quello del terrore servile nei confronti di Dio, bensì quello di un amo­ re fiducioso, che concludeva in un 'insufficienza delle opere, ai fini del-

80. 81. 82. 83. 84.

Cfr. M. Brandao, A Inquisiçao, cit., I I / l , p. 885. Ivi, p. 902. Documentos para a hist6ria dos jesuitas em Portugal, cit., p. 180. Cfr. M. Brandao, A Inquìsìçao, cit., I, pp. 365 e 366; II/l, pp. 394-5. Ivi, I I / l , pp. 20-1.

207 la salvezza, senza l'apporto della grazia 85• A da Costa si rimproverava anche un rifiuto delle indulgenze e delle elemosine 86 e dubbi sull'esisten­ za del purgatorio. Comunque, l'aspetto distintivo dell'eterodossia di da Costa era la ribadita convinzione nei valori della tolleranza per entro le dispute religiose, fino al ripudio delle esecuzioni di eretici 87• Se per molti aspetti l 'eterodossia di Joao da Costa poteva rientrare nei termini della philosophia Christi, più complessa era la posizione di Diogo de Teive, nella cui l ibreria erano stati rinvenuti e l'Institution chrétienne di Calvino e i Loci communes di Melantone 88 • Accanto all'accusa di aver frequentato eretici 89, si levavano quelle più tremende di contatti con atei 90 e addirittura della professione di a teismo e epicureismo 91: un epi­ cureismo che nella voluptas riconosceva il bene supremo per l 'uomo, la cui anima veniva dichiarata mortale, come quella degli animali. Ovvia­ mente, Diogo de Teive respingeva tali accuse : eppure, la sua linea di difesa doveva mostrare una sottile differenza rispetto a quella di Joiio da Costa . Quest'ultimo, infatti , si limitava a sostenere come fosse lecito, per gli intellettuali, e in un ambito rigorosamente teorico , sostenere an­ che tesi eterodosse per amor della disputa 92• Un astratto giuoco dell'in­ telligenza. Diogo de Teive spostava l'asse della questione: non si trat­ tava di rivendicare uno spazio intellettuale inefficace , dove potessero al· bergare l'assurdo e l'insostenibile; contestava bensì la pratica stessa del processo di inquisizione, da un lato come volontà di delimitare il cam­ po della libera ricerca del dotto, dall'altro come controllo sociale sui ri­ sultati di questa ricerca stessa : quando le inquietudini e i convincimenti dell'intimo laboratorio dell'intellettuale divengono oggetto di condanna , divengono anche patrimonio di conoscenza del vulgus . E aggiungeva traumatici esempi : « naro ouue cousa que mais danasse alemanha & de­ pois a frança q querere escoadrinhar m'o as cousas & dalas a eteder o pouo » . La difesa di de Teive assurgeva quindi a rivendicazione del ruo­ lo dell'intellettuale come uomo pubblico, della funzione delle lettere come arricchimento della nazione : « concedam as letras tres homes que tanto as horrauaèi & aleuatauao neste reino »93• La difesa dell'auto85. 86. 87. 88. 89. 90. 91. 92. 93.

lvi, Ivi, lvi, Ivi, lvi, lvi, lvi, lvi,

I I/ l , II/l, I , p. II/l, II/l, II/l, II/l, II/l,

pp. 94-5, 103-4. p . 369; v. anche ivi, I, p . 45 7 . 458. pp. 154, 163, 367. pp. 350- 1 , 708. pp. 320-1. pp. 1 32-3, 741 . p. 752.

O processo na lnquisiçao de M.• Diogo de Teive, cit., p. 13. Cfr. Th. Braga, Historia da Universidade de Coimbra, cit., I, p. 546.

208

nomia dell'intellettuale si risolveva nella definizione di una missione per­ sonalmente confidata al dotto, per il bene della comunità intiera: tenham algum respeito a minha pessoa . . . a hum dom de graça que nam he concedido a todos de que me nosso sòr fez algù a parte hum estilo em latim pera poder em algum tempo escrever as cousas deste reino e feitos excellen­ tes dos portugueses 94•

E forse la lucidità con cui Diogo de Teive definiva la funzione del­ l'intellettuale come produttore di ideologia, in conseguenza con i mo­ menti alti della riforma dello stato voluta da Giovanni I I I , giustifica in parte il suo diverso destino : rimasto a Coimbra, si sarebbe visto affi­ dare dall'università l'incarico di redigere, e pronunciare, le m·azioni lau­ datorie della monarchia 95• Un compito che avrebbe assolto anche nei più tristi anni della fine del regno di Giovanni III e della reggenza del car­ dinale infante, D. Henrique. Quando, dal definitivo e forzato ritiro di Miranda, avrebbe composto per il giovane re Sebastiano quell'Institutio che raccoglieva le massime dell'arte di governare : massime dove, nella figura del principe ideale, pulsava in trasparenza la nostalgia per colui che, comunque, era stato il suo re.

Cit. in ivi. 95. Cfr. M. Brandao, A Inquisiçao, cit., II/l, pp. 893-5, 899, 900-1.

94.

LA SOVREMINENZA DI DIO NELLA SCOLASTICA DEL '600

di Piero Di Vona

La scolastica della Controriforma e del '600 riserva a chi la studia dottrine inattese, e sviluppi di idee per certi aspetti insospettati. Que­ sto accade anche per il problema di Dio, sul quale una polemica impor­ tante fu quella che oppose il teatrino Zaccaria Pasqualigo ed il grande scotista Bartolomeo Mastrio. In essa è immediatamente coinvolta l'idea che il cristiano si deve fare di Dio secondo l'insegnamento dei padri e dei dottori della Chiesa. Premetteremo poche notizie concernenti l'orientamento di Pasqua­ ligo su alcuni problemi più generali connessi con la sua tesi fondamen­ tale. Anche lui, come molti altri dottori del suo tempo, espone la sua concezione di Dio non in modo diretto e senza mediazione, ma dopo tutta una serie ben ordinata di elevate discussioni sul nome ente, e sulla relazione che questo ha con Dio e con le creature . L'idea che Pasquali­ go ha dell'essere ha molto in comune con quella prevalente tra i dotto­ ri della sua epoca. Quindi, basterà richiamarla per sommi capi. L'ente « universalissime sumptum » è il « fundamentum omnis rea­ litatis ». Ens è ricavato dal verbo sostantivo sum che significa esse, e può essere inteso in due sensi differenti : participialiter e nomina/iter . Preso come participio, l'ente significa l'« exercitium existentiae >> , preso come nome, significa « ipsum esse rei, quo est aliquid in se ipsa >> . Pa­ squaligo è d'accordo coi Recentiores, come Fonseca, Suarez ed Aversa. Anche per lui , l'ente è > . L'essenza è qui intesa nel senso largo, per il quale significa la realtà, ossia « aliquid quidditativum, quo res in se constituitur, quae­ cunque illa si t >> . Dunque, anche per Pasqualigo , l'« ens univetsalissime sumptum >> è l'ente inteso nomina/iter, e non già participialiter 1 • ·

l.

ZACHARIAE PASQUALIGI Veronensis, Clerici Regularis Theologi, Dis-

210 Dopo aver spiegato i l nome ente, ed i l concetto che gli corrisponde, Pasqualigo si domanda « ad quae se extendat ». Egli si propone di in­ dagare l'universalità dell'ente esaminandone le comuni divisioni, e di vedere se esso prescinda dai suoi membri dividenti come un « quid com­ mune » 2 • Proprio nel corso di codesta indagine, Pasqualigo scopre quel­ la restrizione della comprensione e dell'estensione del concetto di ente, che lo porterà a sostenere che Dio non è ente, ma « supra ens » . Si è soliti dividere l'ente prima di tutto in positivo e negativo. Poi l'ente positi­ vo viene diviso in ente reale ed ente di ragione. A sua volta, l'ente rea­ le è diviso in creato ed increato. Per capire la natura di queste divisio­ ni, bisogna capire quale sia il diviso. Perciò, Pasqualigo si chiede « an detur ens, quod per tales divisiones dividi possit ». Egli ricerca, anzi­ tutto, « an detur ens commune positivo, & negativo »3. Senza soffer­ marci sulla sua discussione, non necessaria per il nostro argomento, ri­ cordiamo solamente che per lui solo la « ratio entis realis >> è « omnium prima » tra tutte quelle che da noi sono comprese . La divisione dell'en­ te in positivo e negativo , è, dunque, abusiva. Infatti, con essa ci servia­ mo del nome ens per significare il non ens 4• Per Pasqualigo non c'è nemmeno un concetto comune né univoco, né analogo, all'ente reale ed all'ente di ragione. Perciò , egli respinge anche questa seconda divisio­ ne 5. Pasqualigo passa, quindi , a discorrere della divisione in ente increa­ to e creato, e ricerca se essa è una vera divisione, tale da avere una « ra­ tio communis » , o univoca o analoga, partecipata da entrambi i membri. In primo luogo, Pasqualigo si domanda « an ens se habeat ut quid superius univocum abstrahens a Deo, & Creaturis », e nega che si pos­ sa formare questo concetto comune univoco . Egli confuta le argomenta­ zioni degli avversari partendo dal principio che per l'univocazione non è sufficiente qualunque « unitas in ratione communi », né qualunque modo di partecipazione a questa. Secondo lui si esige un'« unitas indivi·

putationes Metaphysicae, Pars Prima, Romae, ex Typographia A. Phaei, 1634, pp. 184 col . l - 197 col. 2. Nel seguiro citeremo quest'opera con la sigla ZP. 2. ZP, pp. 199 coL 1-2 . 3. ZP, p . 200 col. l . 4. ZP, pp. 200 col. l 206 coL l . Per Pasqualigo tale divisione implica con­ traddizione, e comporta l'ammissione di un termine medio tra l'ente ed il non ente. Egli dichiara di aver svolto a lungo l'argomento non perché la necessità lo esigesse, ma per l'insistenza di alcuni Recentiores in questo abuso terminologico. Per lui è noto « ex ipsis terminis » che l'ente non eccede la « rationem positivi ». 5. ZP, pp. 206 col. l - 2 1 2 coL 2. Basti ricordare che l'ente di ragione per Pasqualigo è un non ente. Per lui l'ente di ragione e l'ente reale non sono nemme­ no equivoci, perché l'equivocità, oltre al nome comune, richiede la « ratio substan­ tiae » diversa che l'ente di ragione non può possedere. -

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sibilitatìs >> , per la quale la « ratio univoca >> sia partecipata « aequali­ ter » . Perciò, questa deve possedere un'unità perfetta, ed « eadem, & indivisibilìter, seu secundum se totam >>, deve discendere « ad quodli­ bet inferius >> . Ma Dio, al contrario della creatura, è « ens imparticipa­ tum » ed « a se » . Tutto ciò che è in Dio, è infinito. Dunque, è impossi­ bile estrarre da Dio e dalle creatu.re un concetto comune univoco . Tra­ lasciando aspetti meno importanti della discussione, osserviamo che Pa­ squaligo non permette agli avversari un uso meno rigoroso del concetto di univocazione. Egli contesta ai Recentiores il diritto di sostenere che l'univocazione è una ratio comune ed intrinseca, ma partecipata inae­ qualiter. Questo per lui è impossibile proprio perché per i Recentiores codesta ratio è partecipata intrinsece da alcuni dei suoi membri infe­ riori 6. Dopo aver respinto l'univocazione dell'ente, Pasqualigo esamina se questo possa essere un può es­ sere in parte identica ed in parte diversa. Il primo modo richiede che . Nel secondo modo c'è analogia quando la ratio solo in uno degli analogati è , e dunque non lo è analogice per attribuzione a Dio. C'è di più. La « rado entis de se non est forma apta ad constituendam analogiam attributionis » . Infatti, l'ente è la > per un rapporto con una forma estrinseca. Ma l'ente « ex natura sua dicit aliquid intrinsecum, & p �nit primam realitatem in qualibet re » . Rima· ne stabilito, così, che tra Dio e la creatura non c'è analogia di attribu­ zione. La creatura è « ex se ens ab intrinseca forma, per quam simplici­ ter consti tu i tur in esse en tis » 1 0 • Negata l'analogia di a ttribuzione, Pasqualigo procede, imperterrito ed implacabile, a negare che tra Dio e la creatura ci �ia l'analogia di pro­ porzione. Egli reputa di averlo già dimostrato sopra provando che non c'è un concetto comune analogo « ut quid superius » rispetto a Dio ed alla creatura . Resta solamente da vedere se c'è un'unità di proporzione tra le diverse « rationes entis » di Dio e della creatura, fondata sulla par­ tecipazione proporzionale della creatura all'ente divino. Ma nemmeno questo è possibile. L'argomento forte di Pasqualigo è sempre quello che la creatura è « ens simpliciter per propriam rationem entis » . Questo esclude che la creatura sia ente per attribuzione, ed esclude del pari che lo sia « per proportionem ad aliud » . Vale il predetto ragionamento « per impossibile ». Se Dio non fosse, ma esistesse la sola creatura, questa sarebbe ancora > , Dio, che non è ens, ma « supra ens », proprio per la sua emi­ nenza « in essendo », non si contraddistingue dal nulla, ma è « supra nihil » . Perciò, Pasqualigo afferma che ciò, che in Dio viene chiamato col nome ente, « non est proprie ens, sed alia ratio supreminentialis, quae valde diversa est a ratione entis » 15• Tenendo presenti queste premesse, si può comprendere la dottrina di Pasqualigo . Poiché la creatura non è ente per analogia rispetto a Dio, né conviene « univoce in ratione entis » , segue che Dio non è ente. Ma poiché Dio è « quid reale, & existens, debet per aliquam eminentiorem rationem esse, & existere, quam nos ens appellamus , vel melius aliquid supra ens, ut ostendatur ipsius supra eminentia, unde dicimus Deum non esse ens, sed esse supra ens » 16 • Pasqualigo indica alcune conferme che si possono ottenere da S. Tommaso, Gaetano, Gabriel Vazquez, Giovanni Pico della Mirandola. Egli ha ricavato la sua tesi dalla negazione della univocità e dell'analogia dell'ente, ma ora si tratta di confermarla . Per fare questo egli si appella a moltissime autorità che in argomento hanno moltissimo peso . Il suo procedimento è diventato, dunque, teologico, e non è più metafisica, proprio in questo punto cruciale ? Bisogna ricorda­ re che Pasqual igo concepisce la rationalitas come il « principium discur-

13. ZP, pp. 202 col. l, 214 col. 2, 215 col. 2, 226 col. l . 1 4 . ZP, pp. 207 col. 2, 2 1 5 col. 2, 2 1 6 col. 2, 2 1 7 col. l , 224 col. 1-2, 225 col . 2, per l'affermazione che Dio è l'ente per essenza, e pp. 219 col. 1·2, 220 col. 1-2, 277 col. 2 - 278 col. l per i chiarimenti indicati . 15. ZP, pp. 195 col. 2 - 196 col. l, 218 col. 2, 219 col. l, 222 col. l, 227 col. 2. 16. ZP, p. 232 col. l.

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sivitatis »17• Ma ora proprio l'eminenza dell'oggetto da lui considerato rende difficile addu rre ragionamenti 18• Perciò, egli mette innanzi le au­ torità , e, solo dopo averle escusse, dà alcune ragioni della sua tesi. Le citazioni di Pasqualigo sono lunghe e copiose. Vale la pena di notare gli autori sui quali si appoggia, ed i punti sui quali insiste. Pa­ squaligo si richiama dapprima a Boezio . Da lui egli prende i concètti che gli permettono di affermare che Dio è « ultra substantia » ed « emi­ nentius supra substantiam », ed inoltre di formare l'argomentazione se­ guente: L'ente in Dio è il costitutivo formale Deitatis, dunque la « ra­ tio entis » in Dio è diversa omnino da quella della creatura 19• Pasquali­ go si rivolge, quindi, all'insegnamento dei Padri della Chiesa. Da S. Ila­ rio egli ricava che Dio non è ens proprio perché non è creatura, e da S. Basilio che nemmeno la filiazione e la generazione sono proprie di Dio, ma sono dette « ex humana similitudine ». Anzi, non solo l'ente, ma perfino lo stesso spirito non è proprio di Dio: « sed & spiritus appella­ tic ex similitudine est ». Pasqualigo si rifà, poi, a S. Giovanni Dama­ scene per affermare ancora che Dio è supereminens su tutti gli enti e sull'ente medesimo. Dio eccede ogni nostra conoscenza e tutte le cose create « modo eminentiali ». Se per discorrere di Lui, « omnia, guae sunt, debent a Deo auferri, etiam debet auferri ratio entis )>20• Di S. Ago­ stino Pasqualigo riporta piì:1 luoghi, dai quali conclude sempre l'asso­ luta diversità dell'essere di Dio dall'essere delle creature 21 • Poi e la volta di S. Massimo, il quale ci insegna che Dio è sopra la sostanza e l 'intelligenza. S. Massimo nega a Dio l'« ipsum intelligere >> , e vuole che sia « supra guam intelligere ». Perciò , questo deve valere molto di più per la « ratio entis »22• Ma il più chiaro di tutti nell'insegnare la so­ vreminenza di Dio è lo Pseudo Dionigi, del quale Pasqualigo riporta lunghe pagine, piene di locuzioni profonde e molto efficaci: « Deus non est ens >> ed è �< supra ipsam deitatem », quale da noi è concepita. Resta stabilito dalle autorità, e dalle ragioni che da queste si ricava­ no, che Dio non è ente, e che l'ente in Dio è « aliquid magis eminentia­ le >>23 • A tutto questo Pasqualigo aggiunge alcune ragioni , le quali insi­ stono sul fatto che le perfezioni create acquistano in Dio un modo in­ fini to, fino ad essere « de essentia Dei, ut Deus est )) . L'assoluta sem17. ZP, p. 215 col. 2. 18. ZP, p. 232 col. 2. 19. ZP, p . 232 col . 2. 20. ZP, p p . 232 col. 2 - 233 col. l . 2 1 . ZP, p. 233 col. 1-2. 22. ZP, pp. 233 col. 2 - 234 col. l . 23 ZP, pp. 234 col. l - 235 col. l .

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plicità di Dio, e la sua infinita distanza dalle creature, provano contro Suarez che la « rado entis » in Dio e nelle creature > , questo non esclude per nulla, ma ben al contrario include e presuppone in Lui il « positivum ens » , e la comunità dell'ente rispetto a Dio ed alla crea­ tura. Per natura, ed in conformità col modo di parlare, vige la regola che « comparativum, ac superlativum semper supponit positivum »27• Questa risposta di Mastrio è rigorosa e coerente, ma può soddisfare in tutto la nostra mente? Mastrio non si lascia sfuggire qualcosa di ben più fondamentale del concetto comune di ente rispetto a Dio ed alla creatura ? La tesi di Pasqualigo, ben !ungi dall'essere una fantasia senza importanza, non potrebbe essere molto più veritiera di quella sostenuta da Mastrio, e rispecchiare la vera idea che i Padri della Chiesa, soprat­ tutto orientali , ebbero di Dio ? La tesi di Pasqualigo, per la sua stessa ardua ed aspra elevatezza , non è assai più vicina a quanto pensò di Dio il Cristianesimo delle origini, o almeno a quella concezione di Dio che i Padri della Chiesa autorevolmente attribuirono al Cristianesimo delle origini? Sono domande che riteniamo ineludibili per il nostro odierno modo di sentire. Esse, come è evidente, debbono restare qui allo stato di domande. Sappiamo bene che qualche inveterato scolastico nostro contempo­ raneo starà con Mastrio, e giudicherà anche lui fantasioso ed ingenuo che Pasqualigo voglìa parlare di Dio ed insieme respingere tutte le pos­ sibili maniere logiche di predicazione . Infatti, Pasqualigo non ha, forse, rigettato l'univocità, l'analogia e l'equivocità del concetto di ente rispetto a Dio ed alle creature, e non ha fatto altrettanto per tutti gli altri con­ cetti che si dicono di Dio, compreso quello di spirito? Senza entrare nella disputa, poiché non ci spetta e non è affar nostro, ci contentiamo di ricordare che proprio Pasqualigo da tutto il mondo del sapere scola27. RR. PP. BARTI-IOLOMAEI MASTRII de Meldula et BONAVENTURAE BELLUTI de Catana, O.F.M., Philosophiae ad mentem Scoli Cursus Integer, R.P.B. MASTRII, O.F.M., Tomus IV, Venetiis, apud N. Pezzana, 1708, p. 36 col. 2. tomus V, ivi, pp. 2 col. 2 3 col. l . -

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stico ha raccolto quanto scrivere un nuovo ed inedito capitolo della lo­ gica occidentale. Infatti, nelle sue Disputationes Metaphysicae egli ha enunciato le leggi logiche che concernono i concetti trascendentali, e permettono di servirsene nel ragionamento filosofico. Infine, è giusto chiedere perché noi riteniamo importante la dottri­ na di Pasqualigo sulla sovreminenza di Dio. Essa non lo è certo se la consideriamo come una semplice ripresà della concezione neoplatonica tra le tante che ha conosciuto la storia, e potrà, forse, ancora conoscere. Al contrario e almeno per noi, la dottrina di Pasqualigo deve la sua di­ gnità speculativa al suo essersi formata all'interno delle antologie siste­ matiche del tardo '500 e del '600, e possiamo ben dire all'interno del medesimo concetto scolastico di ente. Pasqualigo è riuscito ad infrange­ re l'unità, e l'intrinseca coerenza, di questo concetto, ed a far emergere da quel mondo e da questo concetto una prospettiva speculativa più alta, Le vedute della metafisica del suo tempo ne risultano ampliate, ed aper­ ce sull'assolutamente infinito, come in Spinoza, sebbene per una via molto differente dalla sua . Infatti, per Spinoza c'è un concetto dell'ente reale valido per le res altre da Dio, e quindi solamente per i modi. Esso è tenuto ben distinto dall'eternità di Dio. Spinoza si limita semplicemen­ te a derivare da questa il suo concetto dell'ente reale 28• Pasqualigo segue una via diversa. Egli conserva la trascendenza del­ l 'ente rispetto alla sostanza ed all'accidente 29• Questi ultimi costituisco­ no per lui la prima ed immediata divisione dell'ente, ed i primi gradi dell'essere che determinano e contraggono l'« ens communissime sump­ tum »30• Pertanto, prima di Spinoza, Pasqualigo insegna che l'« ens sa­ lurn conveni t rebus creatis »31 , Egli concepisce l'ente come « omnino in­ determinatum », e solamente come « fundamentum, & prima inchoatio realitatis »32• Ma questo per lui non impedisce che l'ente sia la « ratio superior , & proinde una »33 che permette la necessaria riduzione di tutti gli enti « in unum prindpium, & in unam rationem »34• 28, P_ DI VONA, Studi sull'ontologia di Spinoza, Firenze, La Nuova Italia, parte I, 1960, parte II, 1969; > DI TOMMASO CAMPANELLA

di Germana Ernst

l . Fra le opere campanelliane, la Monarchia di Spagna è senza dub­ bio quella che presenta i problemi più grossi : testuali, innanzitutto . L'unica edizione dell'originaria stesura italiana resta a tutt'oggi quella curata dal D'Ancona e compresa nella raccolta delle Opere di Tommaso Campanella da lui allestita nel lontano 1 854 1 : ma pon tanto la vetustà dell'edizione, quanto elementi di ben altro peso la rendono ormai inattendibile : È noto, infatti, che successive ricerche hanno incontestabilmente mostrato come quel testo - al pari di tutte le precedenti edizioni, latine o in altre lingue - risulti inzeppato di brani tolti di peso da opere di Giovanni Botero, che alterano notevolmente, fino a sfigurarlo, l'originale campanelliano 2 . Inoltre, il D'Ancona nel dare alla luce l'ine­ dita redazione italiana, faceva sì riferimento a un codice fiorentino, ma nei punti in cui esso gli pareva presentare una lezione. oscura o poco persuasiva, non esitava a correggerlo e a integrarlo ricorrendo alla tra­ duzione latina a stampa 3: con il risultato che tale edizione, da un

l . Opere di T. Campanella scelte, ordinate ed annotate da A. D'Ancona, Pomba, Torino, 1854, vol. II, pp. 85-229. 2. Anche se accenni precedenti avevano già rilevato affinità di temi e corri­ spondenze testuali fra i due autori, il caso dei > , scrivendo: « Onde mi si perdoni se, come delirante, certe cose non posi a suo luogo o due volte dissi >> (p. 228), dove il ms. legge, come la maggior parre degli altri interpolati: (inizio 1600), nella quale l'autore esorta « gli aquilin d'Au­ stria », se vogliono conseguire, oltre che il possesso materiale del mondo, la dignità imperiale (una delle promesse-consigli della Monarchia) ad affissare Io sguardo « a quello interno lume ond'io m'avampo » (T. Campanella, Tutte le opere, cit., p. 246) . 24. Cartaceo, ril. in pergamena, cm. 1 9 X 12, cc. 115, numeraz. antica in alto a d., + l c.b.n.n. all'inizio e 4 in fine; c. lr: La/Monarchia di/Spagna ; in alto a d. l'antica segna tura (Suppl.t fo. 3 116) , in basso la figura di una piccola campana; cc. 2r-3v la Tavola dei capitoli; a c. 4r ha inizio il I cap. (frontespizio riprodotto in De Mattei, La politica di Campanella, cit., p. 228) . 25. Cartaceo, rilegato in pergamena, cm. 17.5 + 12,5, pp. 240 numerate antic. a penna in alto a d.; p. 1 : La/Monarchia di Spagna/. Di Fra Tomaso Campan.la; in basso a s., diversa grafia: Luceo. (?} DG.; pp. 3-6 Tavola; p. 7 il primo cap. Le correzioni, che pensiamo autografe, ben individuabili per la diversità dell'in­ chiostro, intervengono con frequenza a integrare la punteggiatura e a correggere sviste o evidenti errori, comuni a P e talora a Fi, non eliminandoli però del tutto; per le citazioni, faremo riferimento a questa copia, chiamandola H. A questi tre sono da aggiungere altri due mss., gentilmente segnalatici dal prof. Firpo, che ringraziamo vivamente: Barcellona, Bibl. de Catalunya, ms. 783 (che il De Mat­ tei, Studi campanelliani, cit., p. 76, in base a una sommaria indagine definiva « solo par..dalmente interpolato, sebbene con caratteristiche particolari, che rendono l'esem­ plare degno di particolare attenzione » ) ; Toledo, Catedral, Archivo y Biblioteca capitulares, cod. 96-16; a una prima valutazione, anche questi due codici sembrano presentare un testo del tutto simile a quello dei tre ricordati sopra. 26. Nei tre mss. considerati, i capitoli, pur non contraddistinti da un numero d'ordine, risultano 32, ma a differenza che nella stampa, e come invece in altri mss., al cap. V sulla prudenza segue il VI « Se ci può esser tra Cristiani monar­ chia universale altri che il Papa ... » (nel D'Ancona inglobato nel precedente: cfr. p. 98) . mentre i capitoli VII e VIII, distinti nella stampa, risultano fusi in uno. ·

230 non di per sé assurda, essa risulta del tutto insos tenibile alla lettura e all'analisi di un testo inconfondibilmente campanelliano , sia nelle parti in cui esiste una coincidenza letterale con i corrispondenti brani della versione maggiore, sia nei punti che da quella si discostano. Degna di attenzione, invece, la congettura che si possa trattare di un compen­ dio eseguito da Campanella stesso, che in effetti in qualche occasione non mancò di s tendere sintetiche riduzioni di opere più vaste, andate smarrite o sequestrate o comunque non più recuperare; e in questo caso specifico sarebbe davvero allettante poter credere che nelle dramma­ tiche circostanze dei primi tempi della carcerazione, rimasto privo di un testo più elaborato, sia ricorso alla rapida stesura di un compendio immediatamente utilizzabile: ma tutta una serie di elementi cronolo­ gici e stilistici porta ad escludere anche una simile ipotesi e conferma invece quella di una redazione ridotta, anteriore alla maggiore. Innanzitutto, manca il Proemio , e l' ultimo capitolo, « Della navi­ gazione », si conclude con le parole: « perché invero tal timore li fa armare contro Spagnoli fieramente »27: mancano cioè proprio quelle parti all'inizio e alla fine in cui risultano concentrati i riferimenti tem­ porali e locali più insistiti e più sottilmente allusivi - il rivolgersi a u n « don Alonso », al quale l'opera, che si dice scritta su sua richiesta, è destinata ( « secondo che V .S. m'ha richiesto » ); l'accenno ai « dieci anni di travagli » , ribadito nella parte finale ; il richiamo al > , si sostiene che ogni sovrano che aspiri all'universalità del dominio debba allearsi con il papa, e senza illudersi di fondare una nuova religione, seguendo l'esempio di Costantino e Carlo Magno, debba porsi come protettore della religione e del suo capo, « facendosi dechia­ rare dipendente dal papa e predicar per il figurato Ciro e re cattolico del mondo » 29• In B il capitolo risulta pressoché triplicato e l'autore, soffermandosi più a lungo sull'inopportunità e sull'impossibilità di fon­ dare una nuova religione, a conferma del principio che « quante volte ha bandito crociate e indulgenze il papa contra qualche prencipe l'ha rovinato », non può trattenersi dall'esclamare : · « Ecco oggi Ferrara come ha ceduto »30• L'assenza in A è tanto più rilevante, in quanto l'even­ to acquistò subito un particolare significato agli occhi di Campanella, che verso la fine del 1 597 dedicava un sonetto a « Cesare d'Este, che ritenea Ferrara contro al papa », per esortarlo a « cedere all'esercito santo » e a lasciare « sì stolta t racotanza »31 , e che già nel documento difensivo noto come Secunda delineatio fra gli indizi delle mirabili mu­ tazioni attese per l 'esordio del nuovo secolo e del prossimo realizzarsi della vagheggiata ecumene non mancava di annoverare « victoriam Fer­ rariae solo gladio spirituali mirabiliter factam » 32 • Un'ulteriore assenza significativa è individuabile nel IV capitolo, che trattando « Dell'I mperio di Spagna secondo la prima causa » si impegna, alla luce della profezia e dell 'interpretazione tipologica della 28. Alla morte di Alfonso I I senza eredi diretti, il pontefice Clemente VIII ebbe la meglio sull'alrro contendente, il cugino dell'ultimo duca, Cesare d'Este, e solennizzò l'annessione di Ferrara (gennaio 1598) con una fastosa permanenza nella città. 29. H, p. 25, p. 38. 30. D'Ancona, p .99. 3 1 . T. Campanella, Tutte le opere, cit., pp. 237-238. 32. T. Campanella, Secunda delineatio defensionum (abbozzo dei futuri Arti­ culi prophetales, stesa, con la Prima delineatio, entro l'aprile 1600) , in L. Amabile, Fra T.C., la sua congiura... cit. vol. III, p. 497.

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Scrittura, a stabilire quale sia il fato proprz10 a Spagna, che le consen­ tirà di realizzare le proprie aspirazioni: fra i riferimenti biblici aggiunti in B ( « Un altro secreto voglio scoprire . . . » ), uno è di particolare rilievo, e precisamente quello alle benedizioni di Noè, dalle quali si ricava che « tutti li imperi vengono dalli figli d,i Jafet », mentre « i sacerdoti grandi e legislatori vennero da Sem » e da Cam « soli servi e tiranni, che veramente son servi »33• Si tratta di un testo fondamentale, salda� mente integrato nella visione universalistica campanelliana, che, già presente nella Delineatio secunda 34 , sostanzia altresì il ricordato « So­ netto in lode di Spagnoli » assegnabile all'inizio del 1600 35; un testo a cui Campanella farà costante riferimento per stabilire la legittimità delle pretendenze all'impero del mondo e la necessità di una stretta alleanza fra potere politico e potere religioso. È anche in base a questo passo che in un primo tempo la suprema investitura viene conferita al re di Spagna di contro alle pretese e ai titoli vantati dal Turco - ma l'impero « più presto tocca a Spagnoli » e « la vittoria loro è che abi­ tino nella casa di Sem », per cui « secondo il fato non possono aver dominio se non come liberatori della chiesa dalle mani babiloniche, idest de Turchi e d'eretici »36; sarà in base a questo medesimo testo che l'in­ vestitura verrà più tardi revocata a Spagna, dimostratasi inadeguata alla propria missione, per passare a Francia, che non dovrà mancare di imi­ tare la « pietà e l'arti » di Carlo Magno 37• Un altro passo cronologicamente interessante, già individuato come uno dei più significativi , lo si incontra verso la fine del capitolo sulla Francia , ed è quello che riguarda la condizione di Enrico IV: mentre in B di lui si afferma che « è mezzo attempato e non ha successore né moglie e se ne piglia sarà il figlio . fanciullino alla sua morte », in A ci si limita a dire che è « senza successione »38, e non si fa cenno alcuno all'ottenuto divorzio da Margherita di Valois - fine dicemb re 1 599 -, né all'eventualità di nuove nozze e di possibile prole - dicembre 1 600. Ma è proprio il re di Navarra, e in genere la complessiva situazione francese, ad offrire ulteriori utili informazioni. Se si confrontano infatti le parti delle due redazioni riguardanti la Francia , si notano significa-

33. 34. 35. 36. 37.

D 'Ancona, p.93 . T. Campanella, Secunda delineatio, cit., p. 493 e p. 497 . Cfr. nota 23. D'Ancona, pp.93·94. T. Campanella, Se la monarchia spagnuola sia in crescimento, in stato o in mancamento, in L. Amabile, Fra T.C. ne' castelli ... , cit., vol. II, doc. 346, capp. II e III, p. 300 s s . 38. _D'Ancona, p. 181; H. p . 165.

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tive divergenze: in A si tende a rilevare una situazione di divisione in­ terna e di debolezza della nazione vicina, ciò che non la rende partico­ larmente temibile al re di Spagna. Nel XIX capitolo, ad esempio, per controbattere a quanti sostengono la superiorità turca per il fatto di avere i « regni unitissimi », si ammette sì che un punto di debolezza di Spagna sia la disunione dei suoi possessi, ma questo svantaggio è bilanciato dalla divisione ancor maggiore dei paesi nemici, agitati al loro interno dalle discordie di religione, come è il caso della Germania, della Fiandra e anche della Francia, « che dall'istesso male è guasta, né sarà per sollevarsi più in sé, nonché negli altri, fin che la divina bontà non gli dilegua le tenebre » . Alla divisione religiosa consegue quella politica, tanto che a voler soppesare le due potenze « è più atta Spagna ad assaltar Francia che Francia Spagna », e anche se si deplora che Filippo II non abbia saputo sfruttare adeguatamente le circostanze favo­ revoli per « snervar affatto » la potenza avversaria, commettendo im­ perdonabili errori di esecuzione che hanno favorito la ripresa del Na­ varro, la situazione appare sempre aperta a possibili manovre, almeno alla morte del re nemico 39• Nella versione maggiore, il quadro che si presenta della Francia su­ bisce sensibili ritocchi: oltre a far cenno alla con solidata unità politica ( « l'unione d'un principato sotto un capo naturale » ), si sottolineano a più riprese le virtù militari di Enrico IV, « questo gran guerriero », sì che la situazione appare non solo più minacciosa ( al punto da dover tranquillizzare Spagna circa all'eventualità di un attacco francese: « Non può il re di Francia, benché guerriero, rovinare Spagna e i suoi regni . . . » ; « Se il re di Francia assalta Spagna, non può passare per l e fortezze delli confini loro munitissime . . . >> ), ma decisamente capovolta : « Ma poiché il negozio è scorso a tanto che il re di Francia è aggrandito oggi con i suoi e con il papa ed è altiero per tanta vittoria più gloriosa che se non avesse combattuto con tanto re quanto Spagna, è da temere che egli non cerchi d 'occupare i stati di Spagna, perché egli non sa essere ozio­ so . . . »40_ Situazione radicalmente mutata, sia sul piano politico-militare, che religioso: e proprio nel punto in cui A faceva cenno alle « tenebre » che solo la « divina bontà }> avrebbe potuto rischiarare, in B l'autore non può trattenersi dal ricordare la solenne ribenedizione del sovrano francese, cercando di presentarla come un fattore positivo anche per

39. H, p. 1 36, p. 163. 40. D'Ancona, pp. 176-77, 178, 162, 180.

234 Spagna: « assai importò al re di Spagna la benedizione del re di Fran­ cia e l'obbedienza alla chiesa, mentre non si ha potuto soggiogare, perché quello si sarebbe fatto capo di tutti gli eretici oltramontani ... »41 • Ma tra le righe traspare chiaramente la soddisfazione per un even­ to che, pur asteggiatissimo da Spagna, viene a confermare come la via da percorrere per chi intenda rinsaldare ed estendere il proprio potere sia quella dell'accordo con la chiesa e la religione cattolica, mentre chi all'opposto si illude di rinforzarsi destreggiandosi nell'ambiguità reli­ giosa, non può che rovinare, come Caterina de' Medici, che e l'ordinamento del sapere siano dipesi, in gran parte, dalla maggiore o minore chiarez­ za dei « principi » logici e dalla loro applicazione più o meno efficace alle diverse « materie >> dell'esperienza umana 8• 2. Nel tracciare le linee maestre della storia della logica, il professo­ re di Danzica non si dimentica però mai di essere, prima di tutto, un teologo che deve considerare la vicenda del passato alla luce della dottri­ na sacra e dei testi che l'illustrano, integrando sempre le conoscenze de­ rivate dalla sua formazione umanistica con quelle della « perenne veri­ tà » biblica . Sicché non stupisce che il primo « autore » della logica sia 8. Cfr. Gymnasium, cit., pp. 14-22; Systema, cit., pp. 1-10. È interessante notare che, sempre nel Systema, cit., p. 20, il Keckermann afferma che la storia interna delle singole discipline ha uno sviluppo ed una crescita, a partire dai loro « principia » ; e, per spiegare come la logica si sia allinata e perfezionata nel temoo, ricorre al paragone dell'arte tipografica che dai suoi primi inizi, ancora inconditi, è giunta sino alle bellissime stampe di Robert Estienne e del Plantin.

244 da lui indicato nello Spirito Santo, « praestantissimus et perfectissimus inventar », cui si debbono i primi principi di qualsiasi forma di sapere 9• Poi, sulla linea del racconto biblico, le origini della logica sono indivi­ duate nella « prima età degli uomini », quando i nostri progenitori, più vicini all'« epoca primeva >> della creazione, goderono di una maggiore perfezione spirituale e fisica, di un clima, di un corpo e di un « tempe­ ramento )) e « vitto )) incomparabili; e, quindi, poterono esercitare, sen­ 1 za bisogno di alcun « artificio », tutte le virtù della della « definizione », ed applicandone i principi alle matema­ tiche. Stabilito così un nesso tra la favolosa storia biblica delle origini e la « catena » dei filosofi greci (per le cui dottrine il Keckermann talvol­ ta si richiama ali � testimonianza di Diogene Laerzio), è, poi, agevole seguire le tappe di uno «svolgimento » già• preordinato. Dopo Pitagora, nella sua scuola, fiorì Archita che mostrò la sua maestria di logico, di­ stinguendo i dieci « predicamenti »; quindi, Socrate e Platone fecero uso di quella disciplina , soprattutto nell'ambito della « divisione »14• Il Keckermann , che ricorda le lodi socratiche della logica, ritiene però che i due predecessori di Aristotele facessero di quell'arte un uso « de­ torturo », specialmente quando cercarono di « definire » , con risultati sempre oscuri e confusi, come dimostra il confronto con la relativa dot­ trina dello Stagirita. Non solo: egli critica sia Platone, sia Speusippo per la loro tecnica della « definitio », giudicata una mera « descrizione » o una spiegazione « esoterica » e « metaforica » del « nome ». Certo, Ari· sto tele attribuisce a Socrate anche l'« artificio » dell'« induzione » . Ma il professore di Danzica ritiene che i procedimenti socratici fossero, in ogni caso, più « familiari » che rigorosi ed « accurati », e che il ricorso alle etimologie ed alle interpretazioni dei nomi rendesse la sua logica particolarmente debole . Un simile uso, congiunto ad un metodo di inse13. lvi, pp. 24-25. 14. lvi, pp. 25-26.

E cfr. Systema, cit., p. 10.

246

gnamento fondato piuttosto sulle similitudini e le metafore, è, del resto, comune e tutta la « scuola » socratico-platonica, anche se Platone, nel Filebo e altrove, fu pure capace di elaborare alcuni precetti di metodo davvero utili. Però è opinione del Keckermann che neppure il filosofo ateniese sapesse mai elaborare il « corpo » di alcuna disciplina in modo organico e metodico, come hanno concordemente rilevato lo Scaligero e il Melantone 15• In realtà soltanto con Aristotele - è questo il punto fermo del maestro tedesco, in tutto il suo « excursus » sulle dottrine degli « anti­ qui » - la dottrina logica ha raggiunto la sua piena e compiuta perfe­ zione, destinata, pertanto, a restare insuperata. È ben vero che le opere dello Stagirita, « parens » e « princeps » di quest'arte e dello « usus » logico, furono scritte in uno stile che oggi non incontra più il gusto dei lettori e con un metodo espositivo che può sembrare prolisso e ripetiti­ ve. Tuttavia, non v'è dubbio che solo Aristotele riuscì a individuare per­ fettamente tutti i principi essenziali della logica, a svolgerne con ordine e sagacia tutte le parti, a riconoscerne gli « strumenti >> e, in particolare . a proporre la distinzione tra yÉVEO'L> della logica e del metodo. L'importanza di tale distinzione è, del resto, così nota da non richiedere troppe spiegazioni, come dimo­ stra la sua costante utilizzazione per , sul , diversi a seconda delle varie discipline, la rea­ zione del teologo è ancora più dura, sulla linea di una polemica che ave­ va avuto già tra i suoi maggiori protagonisti lo Charpentier, il Viotti , lo Schegk e Antonio de Gouvea 66 • Così come condanna senza remissione

61. 62. 63. 64. 65. 66.

Gymnasium, cit., pp. 56-59. E cfr. Systema, Systema, cit., pp. 23-25. Gymnasium, cit., p. 57. Ibid., e Systema, cit., pp. 25-28. Systema, cit., pp. 26-27. Ivi, pp. 29-30.

pp. 22 ss.

258 il proposito ramista di dedicare un'unica trattazione alla « dispositio », negando perciò che ogni materia possa essere disposta diversamente, a se­ conda che ci si rivolga all'intelletto o agli « affetti », alla pura dimostra­ zione o alla commozione degli animi 67 • 7 . Il Keckermann - che, anche in questo caso, si richiama allo Za­ barella ed al suo De methodis - non dubita che queste siano le cause più profonde del fallimento di Ramo e dei suoi seguaci che, in realtà, non sono riusciti a disporre metodicamente alcuna forma del sapere e a costruire con ordine un sistema dottrinale organico. Ché, anzi, la loro più grave colpa è l'incapacità di distinguere tra quel modo di discorso che si rivolge alla mente per mezzo di termini « nudi », « semplici » e rigorosi, e l'altro di tipo « oratorio » e « forense » che si serve dei « tropi », delle « metafore » e delle « fabulae » per comunicare una conoscenza « impura », condizionata dai desideri, dai sentimenti, dai moti oscuri della volontà 68 . Non aver saputo operare questa distinzione ed avere addirittura affermato che l'uso primario e precipuo della logica deve essere ricercato piuttosto nei poeti e negli oratori che negli stessi logici o nei filosofi è, dunque, la nefasta conseguenza di un errore che il Keckermann sembra giudicare particolarmente pericoloso proprio per la disciplina teologica 69 • Senza dubbio, il discorso logico o « acraoma­ tico » non può servire per la « plebe » o per il « volgo », assai più attratti dalle parole non « noetiche » e « didat tiche » , bensì « sensuali » usate da poeti, oratori e retori. Ma a Ramo ed ai ramisti si dovrà con­ trobattere che « tropi )) , « metafore )> e « al)a l ogie » impediscono all'in­ telletto di svolgere la propria funzione l ogica specifica, lo « turbano » e lo distraggono dall'apprensione diretta delle cose significate, !ascian­ dolo soverchiare dalla « commozione )) dei sentimenti 70. Se queste sono le ragioni della sua polemica contro il ramismo, è fa­ cile intendere perché il Keckermann, nel concludere la vicenda della storia della logica cosl disegnata e nel parlare degli autori più vicini o contemporanei , dia particolare risalto ai nomi ed alle opere di avversari di Ramo, come Joaquim de Perion, lo Charpentier e il Viotti, oppure a quelli di sicuri aristotelici , come Tommaso Erasto, o di melantoniani, come Cornelio Valeria 7 1 • Ma non manca neppure di ricordare, nel fitto 67. Gymnasium, cit., p. 59 . 68. lvi, pp. 57-58; Systema, cit., pp. 28-29. E, per il richiamo a Zabarelln, p. 30. 69. Systema, cit., p. 29. 70. lvi, pp. 29-30. E il Keckermann ricorda che anche Cicerone afferma di non desiderare l'uso dell'« elegantia » nelle materie filosofiche. 71. Systema, cit., pp. 38-39.

259 catalogo degli autori, anche il Commento ai Topici, edito, sul fondamento di Alessandro di Afrodisia , dalla veneziana « Accademia della Fama >»> , e gli scritti logici di autori cattolici di evidente fedeltà aristotelica, quali Francisco de Toledo e Pedro Fonseca 72. Comunque, il testo cui guarda con maggiore interesse e partecipazione sono le Opera logica dello Zaba­ rella, così diffuse in Germania ed alle quali - scrive - i tedeschi deb­ bono di non essere inferiori agli italiani 73• Ed è sintomatico che ad esse avvicini anche le opere del « nobilissimo peripatetico » Giulio Pace, il cui commento all Organ on lo ha avviato allo studio della logica peri­ patetica 74 • Certamente, tra i tanti autori citati non mancano anche i ramisti o i « semiramisti » , i più recenti seguaci del lullismo, i logici che hanno cercato di conciliare Ramo e Melantone o di resti tuire in unità le cor­ renti e le tendenze più diverse del loro tempo. Ma è chiaro che, per il Keckermann, la conclusione unica e « provvidenziale » della storia della logica, come presupposto per la definitiva affetmazione di una « purior theologia », consiste soltanto nel ritorno ad Aristotele, ai suoi testi , 3 e ss.; conclusioni particolarmente inte· ressa nti, al par. 14 (l'ultimo) del capitolo (f. 421 v, p. 411) . Sulla questione del li­ bero arbitrio in Hobbes ha scritto pagine penetranti Sergio Landucci, nel seggio « La teodicea di Hobbes nella discussion , in The Philosophical Quarterly, vol. XXVI, pp. 305-316.

.3 1 1

L a linea argomentativa seguita d a Locke mette capo a un risul­ tato che, di nuovo, si presta ad alcuni riscontri con il giudizio espresso da Descartes nei riguardi delle caratteristiche e del valore attribuibili alle rappresentazioni delle proprietà dei corpi. Neppure per Descartes lo statuto conoscitivo delle nozioni di magnitudo, figura, motus, situs, divisibilitas è assimilabile a quello delle qualità sensibili, le cui idee debbono addirittura ritenersi prive di qualsiasi autonoma efficacia co­ noscitiva, riducendosi a segni per natura destinati ad una funzione principalmente pragmatica 5• La partizione cartesiana discrimina netta­ mente i due gruppi di rappresentazioni ed include il primo nel campo della piena trasparenza intellettuale caratteristica delle determinazioni (( modali �> inerenti all'idea chiara e distinta della sostanza estesa (Prin­ cipi I,lxi) , mentre l'altro gruppo è relegato in un ambito diverso e eterogeneo, al quale afferiscono tutti gli impulsi e i messaggi, che provengono all'anima in ragione della sua stretta unione con il corpo e di cui essa può bensì giovarsi, ma a patto di non trasformarli in fattori contaminanti rispetto ai contenuti e alle procedure mentali de­ putate alla costituzione del sapere. Questa classificazione, che nei Principi comprende ulteriori articolazioni 6, riflette comunque il pro­ posito dì istituire fra le idee un ordine corrispondente alle tre di­ mensioni esistenziali da cui l'uomo è definito : il pensiero, la corpo­ reità e il nesso anima-corpo; e la complessità del quadro che ne ri­ sulta è, a sua volta, intesa a tutelare lo spazio riservato all'esplicarsi di un'attività teorica incondizionata e aperta alla verità. Reagendo al sostanzialismo essenzialistico della metafisica e pren­ dendo le mosse, nel primo libro del Saggio, dall'attacco contro l'inna­ tismo (contro ogni orientamento filosofico, che si richiami a questo consolidato lascito della tradizione per affermare tra le idee gerarchie e livelli di autonomia, che non siano riportabili al criterio e alla mi-

5. R. Descartes, Meditatìones de prima philosophìa, V I , in AT V I I , pp . 80 ss . (tr. it.: Cartesio, Opere, a cura di vari, con introd. di E. Garin, 2 voli ., Bari 1967, I, pp. 256 ss.) ; Principia philosophiae, I, xlviii e lxiii-lxx; IV, clxxxix-cxcviii, in AT V I I I ( 1 ) , pp. 22-23, 30-35, 3 1 5-323 (n·ad. it.: I I , pp. 49-50, 59-64, 352-360) . 6 . Cfr. Principia, I , xlviii: le cose che cadono sotto la nostra percezione posso­ no essere considerate o come « affezioni » degli oggetti, o come > , nonché !'{< applicazione » o « studio >> . Questa tematica, limitatamente alle facoltà intellettuali più alte, sarà ripresa nel libro IV, xiv e xvii (rispettivamente sul > e sulla « ragione >> con le sue articolazioni : la ) di idee (Essay II,x, § 2, pp. 149- 150 tr. it.: Il, pp. 73-74 dove risulta la correzione apportata nella seconda ediz. al testo della prima) , è il caso di richiamare come Bernier, sulla scorta dì una citazione ciceroniana tratta dal brano su menzionato di Gassendi, escluda esplicitamente che tale facoltà sia « una sorta di vaso; perché le cose che si mettono nei vasi sono separabili le une dalle altre e hanno qualche con­ sistenza )> (p. 2 1 1 ) , ciò che vuoi essere una contestazione di qualsiasi entificazione delle specie. 19. F. Bernier, Abrégé, VI,III, iv, vol. VI, p. 218; cfr. anche: .I,I , vol. I, pp. 6-8. Può essere utile tenere presente, su questa temati�, la posizione di Joseph Glanvill, che in The Vanity o/ Dogmati:àng ( 1661) discute èlei « poteri )> o « facoltà » -

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« intelletto » , i l quale s e n e serve per formare altre idee ricorrendo alle operazioni già dettagliate nella canonica gassendiana: la « com­ posizione » e la « divisione », l'« ampliamento » e la « diminuzione », il « trasferimento » , l'« accomodamento >> , la « proporzione » 20• Si tratta, beninteso, di operazioni intellettuali, descritte in questi termi­ ni nella logica del Compendio; ma è interessante notare come nei ca­ pitoli dell'opera dedicati alla natura degli esseri viventi esse trovino un palese riscontro nel corso della trattazione rivolta alle « funzioni della fantasia » 21• Cosicché, salvo per i casi in cui sia esplicitamente segnalata l'esclusiva o precipua competenza dell'intelletto 22, si deve quanto meno ritenere che ogni manifestazione del pensare non solo è riducibile a spunti sensoriali, ma è per giunta accompagnata e sor­ retta da coerenti processi immaginativi. L'attenzione riservata alle corrispondenze somatiche - che secon­ do le categorie gassendiane implicano la considerazione del nesso tra corpo, anima materiale e anima incorporea - non erano del resto estra­ nee neppure alla scuola cartesiana : basti ricordare le indagini svolte da Descartes nella prima parte del trattato sulle passioni e poi larga­ mente riprese, tra gli altri, da Sylvain Régis nel Sistema generale. Lo

dell'anima, precisando, in primo luogo, che quanto ai rapporti Intercorrenti tra ciascuno di essi e tra i poteri e l'anima si deve pensare a una distinzione non già scolasrkamente reale, ma modale; riguardo alle operazioni intellettuali, Glanvill analizza poi la semplice apprensione come approccio all'oggetto, in cui non hanno par­ te né composizione né deduzione. Questo atto di « nuda intellezione >>, ricondu­ cibile alla percezione sensitiva, è detto propriamente senso se l'oggetto è presente, e invece immaginazione se è assente. Il parallelismo tra immaginazione e intellezio­ ne, cosi configurato, è mantenuto anche a proposito dei giudizi con i quali si de­ terminano le distinzioni e identità degli oggetti, perché se questi saranno pura­ mente « materiali » la competenza spetterà alla prima, altrimenti alla seconda. Per quanto attiene, infine, alle conclusioni, entro cui si connettono più proposizioni, la facol tà immaginativa si affiancherà a ciò che comunemente si designa come ragione (op. cit., XI, in Collected Works of Joseph Glanvill, vol . I, facsimile a cura di B. Fabian, Hildesheim-New York, 1970, pp. 95 ss. ) . La dottrina glanvilliana è com­ plessivamente molto importante (basti pensare alla distinzione modale posta tra i poteri e a certe scelte lessicali) anche in relazione alle prospettive adottate da Locke. 20. F. Bernier, Abrégé, I,I, reg . iii, vol . I, pp. 11-14; cfr. P. Gassendi, Syntagma philosophicum, in Ope�a, T. I, pp. 92 ss. 21. F. Bernier, Abrégé, VI,III, iv, vol. VI, pp. 218-246 (e P. Gassendi, Syn­ tagma philosophicum, in Opera, T. I I , pp. 409 ss. e 450-451 ) . Si osservi che in questo modo il pensiero gassendiano è in grado di sviluppare ampiamente in po­ sitivo il tema delle capacità conoscitive dei bruti. Duchesneau si sofferma sulla > 34 • Tale differenza di­ viene agevolmente individuabile ove si consideri che nel caso di fi­ gure quali il triangolo o il pentagono è dato avere sia una precisa comprensione intellettuale sia una soddisfacente rappresentazione im­ maginativa: siamo cioè perfettamente in grado di osservare con lo « sguardo della mente » i tre o i cinque segmenti perimetrali, non­ ché le aree corrispondenti . Ma qualora il numero dei lati aumenti oltre una certa soglia e ci si rivolga, per esempio, ad un poligono di mille lati, si dovrà registrare l'interruzione del parallelismo funzio­ nale tra le due facoltà: mentre l'intellezione del chiliogono non pre­ senterà difficoltà, non sarà possibile averne un'immagine mentale se non estremamente confusa e indistinguibile da quella di altre forme poligonali affini. Mi risulta quindi manifesto - conclude Descartes - che per immaginare ho bisogno di una particolare tensione dell'animo a cui non debbo ricor­ rere per l'attività intellettiva, e questa singolare tensione dell'animo mostra la differenza tra l'immaginazione e la pura intellezione 35 •

L'accenno allo sforzo aggiuntivo, al surplus di impegno richiesto, si giustifica solo in riferimento alle determinazioni essenziali del sog­ getto pensante rivelatosi con il cogito, ed è appunto in questa ·Pro­ spettiva che va inteso il passaggio susseguente dell'argomentazione cartesiana, secondo il quale la vis immaginativa rappresenta una proprietà essenzialmente estrinseca alla mente. Lasciando cadere per ragioni metafisiche la tesi dell 'unicità della vis conoscitiva svolta nella XII Regola 36, Descartes consegue un primo importante risultato nel delimitare con estremo rigore l'ambito peculiare della sostanza pen­ sante, a cui potranno poi essere restituite le facoltà qui discriminate, allorché saranno presi in esame gli aspetti attinenti all'unione tra l'anima e il corpo - rimane comunque stabilito che la mente pura 34. R. Descartes, Meditationes, VI, in AT VII, p. 72 (tr. it.: I, p. 249). 35. lvi, pp. 72-73 (tr. it.: I, p . 250) . Sulla questione cfr.: J. H. Roy, L'ima. gination selon Descartes, Paris, 1944 ; L.J. Beck, The Method of Descartes, Oxford, 1952, pp. 215-22 1 ; e, tra gli studi più recenti: N. Grimaldi, L'expérience de la pensée dans la philosophie de Descartes, Paris, 1978, pp. 1 14-1 15; E. M. Curley, Descartes against the Skeptics, Cambridge Mass., 1978, pp. 227 ss.; A. Robinet, Le langage à l'age classique, Paris, 1978; J.·M. Beyssade, La philosophie première de Descartes, Paris, 1979, pp. 44 ss. e 202 ss. Per una traccia significativa dello sfondo storico in cui anche questo argomento può essere visto cfr., ad es., il Commento di Tom· maso d'Acquino al De memoria et reminiscentia aristotelico, Liber unicus, lect. I I (in Opera omnia, 25 tomi, Parmae, 1852-73, T. X X , v . I I I , pp. 199-201 ) . 36. R . Descartes, Regulae ad directionem ingenii, XII, i n AT X , pp. 4 15-4 16 (tr. i t.: I, p. 58) .

325 e m sé contraddistinta da funzioni individuate in maniera puntuale. Il secondo risultato, di tipo logico, consiste nella rinnovata messa a fuoco di un livello ideativo autonomo, esclusivamente intellettivo e suscettibile di esplicarsi come tale anche in riferimento a contenuti immaginativi; la peculiarità di questo livello è data dal fatto che esso non si riduce ad un complesso di operazioni, di procedure di trasformazione, ma consta per giunta di 'oggetti' propri, di forme di pensiero che altrimenti non avrebbero luogo. Decisive al riguardo appaiono le precisazioni fornite da Descartes nelle V Risposte: che l'intellezione del chiliogono sia non già inevitabilmente confusa, in conformità con la tesi di Gassendi, ma al contrario distintissima e chiarissima, lo si deve senz'altro àmmettere se si considera come quel poligono sia sempre suscettibile di molte dimostrazioni, a cui si per­ viene per la sola forza della mente e nonostante gli impedimenti del­ l'immaginazione . . . sebbene le figure geometriche siano affatto corporèe, non per questo tuttavia le idee mediante le quali vengono colte dall'intelletto debbono ritenersi corporee, quando non cadano sotto l'immaginazione 37 •

Nelle sue Obiezioni Gassendi aveva in effetti sostenuto l'insepa­ rabilità della funzione intellettiva da quella immaginativa e di conse­ guenza aveva contestato il disegno cartesiano inteso a scindere net­ tamente i ruoli dell'una e dell'altra nell'ambito dell'attività conosci­ tiva 38• Sullo stesso argomento era poi tornato nelle Istanze, dove ave­ va esplicitamente affermato il principio secondo cui le idee di cose come le figure non possono che esserne le immagini , ed aveva quindi accennato ad una distinzione notevole: è bensl ammissibile che, in base alla chiara percezione di certe figure, l 'intelletto sia in grado di elaborare valide dimostrazioni anche a proposito del chiliogono, ma ciò non sign ifica che di esso si abbia una precisa nozione/rappresen­ tazione intellettuale contrapponibile alla forma confusa proposta dal­ l 'immaginazione . Il rilievo è importante, perché, privilegiando lo sche­ ma immaginativo, si imputa al testo cartesiano di aver contaminato il discorso sulla percezione mentale con quello sui procedimenti razio­ cinativi. Ma il filosofo non vi insiste particolarmente, preferendo attaccare la pretesa chiarezza della concezione intellettuale sulla base dell'equazione idea-immagine, e scrive: 37. R. Descartes, Quintae Responsiones, AT VII, p. 385 ( tr. it.: I, p. 547 ) . 38. Cfr. Obiectiones Quintae, A T VII, pp. 330-331 (tr. it.: I, pp. 498-500).

326 Se dunque nel chiliagono (sic) non hai rilevato le singole parti, o esatta­ mente tutti gli angoli, se non li hai conosciuti nel lorò insieme, per quale ragione dici di percepirlo distintamente? Ribatterai sprezzante che io richiedo quel tipo di percezione che si ha tramite l'immaginazione: ma io non chiedo se la si consegua mediante l'immaginazione o altra facoltà, purché la si ab bia : ti chiedo soltanto la definizione di ciò che intendi per percezione distinta e che applichi al chiliagono 39 •

Nel porre in primo piano la questione della rappresentazione, Gassendi non esita quindi ad esibire un significativo distacco nei con­ fronti di quella classificazione delle facoltà, che in Descartes tanta im portanza aveva assunto sotto il duplice profilo metafisica e gnoseologico. Certo, fuori dal quadro di riferimento offerto dalla tematica della sostanza pensante, non sarebbe stato semplice ribattere in modo per­ suasivo a simili obiezioni : il richiamo cartesiano alla dimostrabilità di svariate proprietà del chiliogono poteva essere respinto come una sorta di inadeguata ed elusiva prova a ppsteriori della corrispondente nozione intellettuale, che invece si voleva, giusta l'interpretazione di Gassendi, chiara in se stessa. D'al tro lato, la rivendicazione del ruolo decisivo dell'immaginazione era formulata, nelle Istanze, in modo tale da prestarsi a ritorsioni non prive di efficacia, perché, se Gassendi pretendeva dall'avversario la spiegazione d'un fatto che gli appariva o insussistente, oppure necessariamente configurato secondo i tratti del quadro, della visione mentale, Descartes sembrava disposto ad ammettere che anche nel caso specifico l 'intuizione adeguata dell'idea non rinviasse inevitabilmente al modulo Jella percezione visiva del­ l'oggetto. Su questa via l'avrebbero seguito, in primo luogo, gli autori della Logica pottorealista . Nel sostenere che noi « concepiamo un grandis­ simo numero di cose senza alcuna . . . immagine », essi si richiamano appunto all'esempio del poligono di mille lati per affermare che, sep-. pure possiamo rappresentarcene confusamente una figura, questa non è affatto una figura di mille angoli, giacché non differisce per nulla da ciò che mi rappresenterei se pensassi ad una figura di diecimila angoli, né serve i n alcuna maniera a scop ri re le proprietà che costituiscono la differenza di una figura di mille angoli da qualsiasi altro poligono 40•

39. P. Gassendi, Disquisitio metaphysica seu Dubitationes, et Instantiae adver­ sus Renati Cartesii Metaphysicam, et Responsa, In Medit. VI, Dub. I, Inst., in Opera, T. III, p . 386. 40. A. Arnauld e P. Nicole, La logique, I , i, p . 40; un cenno alla questione è anche nel secondo dei due Discours preliminari, p. 32 (tr. it . pp. 107 e 100) . ,

327 La sottolineatura dell'inutilità dell'apporto immaginativo reintro­ . duce semplicemente la tesi cartesiana già esaminata; né il puntiglio con cui Arnauld e Nicole precisano di aver calcolato che la somma degli angoli di un chiliogono è pari a 1966 retti, giova a rendere più soddisfacente l'argomentazione rispetto alle ragioni in contrario avan­ zate da Gassendi . Ma di nuovo, gli sviluppi dati al tema geometrico - se non rinviano immediatamente a presupposti metafisici - di­ pendono dal riconoscimento dei particolari margini di autonomia spet­ tanti al pensiero nell'attività conoscitiva. E' quanto emerge dal pas­ so seguente: ... che cosa concepiamo noi più chiaramente del nostro pensiero, quando pensiamo? E tuttavia è impossibile sia immaginarsi un pensiero sia trae­ darne una qualsiasi immagine nel nostro cervello. Neppure il sì e il no possono averne qualcuna : colui il quale giudica che la terra è rotonda e colui il quale giudica che non lo è, hanno infatti entrambi le stesse cose raffigurate nel cervello, ossia la terra e la rotondità, ma l'uno vi aggiunge l'affermazione, che è un'azione del suo spirito da lui concepita senza alcuna immagine corporea, l'altro l ' azione contraria, cioè la negazione, che ancor meno può avere un'immagine 41 •

Vien fatto di osservare che a rigore l'assenso non parrebbe assi­ milabile all'idea; ma ciò che più conta è il risalto dato alla fecondità produttiva dell'intelletto, capace di riflettere su di sé e di operare selettivamente su proprie nozioni, senza dover sempre fare direttamen­ te o indirettamente ricorso alle immagini. Questo decisivo assunto filosofico costituisce un riferimento cen­ trale anche nel Trattato di Louis de la Forge: ad esso si possono ri­ condurre le sottili precisazioni riguardanti il risvolto cogitativo delle sensazioni, nonché le accurate distinzioni tra « specie corporee » e « idee intellettuali » 42, e tra intelletto e immaginazione. Attento alle polemiche 'di scuola', oltre che agli avversari esterni, La Forge ha certo presenti autori come Gassendi e Hobbes, ma non tralascia di ricordare le deviazioni di un ex-cartesiano come Regius ; e ciò lo in­ duce a sottolineare l'importanza - del resto verificabilissima - delle Notae in programma, p er una migliore comprensione delle dottrine relative all'anima razionale, ossia per le considerazioni sull'intellezione 4 1 . lvi, p. 4 1 (tr. it. p. 108, ma qui la versione italiana è imprecisa). 42. L. de La Forge, Tractatus de mente humana, eius facultatibus et functio­ nibus, nec non de eiusdem unione cum corpore, secundum principia Renati Descar­ tes, Amstelodami, 1669, capp. III p. 1 2 , I V pp. 1 3 ss., VIII pp. 37-39, X pp. 50 ss. Cfr. l'originario testo frane. in Oeuvres philos. , ed . P. Clair, Paris, 1974.

.328 e sulla corretta accezione dell'innatismo 43• Dell'immaginazione egli rimarca l'impotenza a rappresentarsi « tutte le proprietà del cor­ po » , quali la divisibilità indefinita, o il gran numero di forme e i diversi mutamenti di cui è suscettibile 44 : spiegabile in base alla mec­ canica fisiologica delle percezioni e alle caratteristiche delle « specie » , questo limite è tipico di u n a facoltà nelle cui esplicazioni la mente sembra rivolgersi al corpo per contemplare una sorta di « figura di­ pinta » o « immagine » dell'oggetto, laddove negli atti intellettuali essa si raccoglie in sé e, pur quando si applica alle cose esterne, lo fa in modo da « considerare la nozione dell'oggetto, che ha in se stessa ». La differenza di attitudini mentali, così evidenziata, ha un positivo riscontro nella diversità di capacità e competenze, che appare risolutiva sul terreno d elle possibilità conoscitive:

p ura

... grazie all'intelletto percepiamo moltissime proprietà dei corpi, ad esem­ pio quelle per le quali essi sono in grado di subire variazioni pressocché infinite nel movimento, nella grandezza o nella figura - variazioni che non possiamo immaginare, perché l'immaginazione non ci rappresenta nulla, se non sotto qualche immagine e figura particolare e determinata, né può passarle tutte in rassegna 45 •

Assimilata ad una indiretta v1s10ne interna, l'immaginazione si trova dunque precluse le vie che conducono alle dottrine corpuscola­ ristiche della fisica come agli approfondimenti sulle più complesse fi­ gure geometriche : a sua volta, infatti, La Forge ripete a questo punto il consueto esempio delle diverse forme poligonali, per mostrare come via via venga estenuandosi l 'apporto immaginativo alla comprensione intellettuale. Questo topos argomentativo, omogeneo al matematismo dell'epistemologia cartesiana, consente di ottenere risultati tanto più persuasivi nella discriminazione tra le facoltà, quanto più il modifi­ carsi della loro funzionalità appare graduale, oltre che immediata­ mente riscontrabile dal lettore in una sorta di test personale. Né sono possibili confusioni nel senso del gradualismo gassendiano (per cui il passaggio dall'uno all'altro livello di elaborazione equivarrebbe alla transizione da una maggiore a una minore determinatezza dei conte­ nuti mentali) ; rimane anzi stabilito che l'in telletto è sempre in grado

43 . lvi, III, p. 10 dell'opera) ; p'er le Notae VIII(2), 357-359 e 366 . 44. L. de La Forge, 45. lvi, XVIII, pp.

(ma le citazioni sono frequenti e disseminate nel corso cartesiane si vedano in particolare le seguenti pagine : AT

Tractatus, X, p. 54. 146-147 (ed. fr. p. 263) .

329 di offrite proprie corrispondenze alle rappresentazioni dell'imaginazio­ ne, mentre la reciproca non vale : la distinzione è comunque chiara e sotto questo profilo non sembra affatto importante fissare esatta­ mente il punto nel quale la facoltà immaginativa cessa di dar luogo a figure ben delimitate. Può essere utile richiamare al riguardo un passo della Ricerca della verità, dove Malebranche rieccheggia l 'ormai noto tema geome trico, proponendone un dettagUato approfondimento.: . . .non tutte le cose che si presentano all'immaginazione possono venire im­ maginate con eguale facilità, perché non tutte le immagini impegnano in pari misura la capacità dello spirito. E' più difficile immaginare un solido che una figura piana e una figura piana che una semplice linea: vi è in­ fatti più pensiero nella chiara visione di un solido che nella visione chiara di una figura piana e di una linea. Lo stesso accade per le differenti linee: ci vuole più pensiero, ossia maggiore capacità di spirito, per rap­ presentarsi una linea parabolica o ellittica . . . che per rappresentarsi la cir­ conferenza d 'un cerchio ... perché è più difficile immaginare deUe linee che vengono descritte mediante movimenti molto compositi e che hanno pa­ recchi rapporti, di quanto non lo sia immaginare linee, che si descrivono con movimenti semplicissimi o che hanno meno rapporti. Siccome i rap­ porti non possono essere chiaramente percepiti se n.on in virtù dell'atten­ zione dello spirito rivolta a molte cose, è infatt-i tanto più necessario il pensiero a percepirli, quanto più grande è il loro numero. Vi sono dun­ q ue delle figure così composte, che lo spirito non ha bastante estensione per immaginarle distintamente, ma ve ne sono pure altre che lo spirito immagina con molta facilità 46.

Interessato agli aspetti psicofisiologici dell'immaginazione e alle sue conseguenze sull'equilibrio interiore (si vedano le prime tre parti del secondo libro della Ricerca nonché il IX Eclaircissement) , Male­ branche riprende nei termini su esposti la questione a proposito della discussione sul metodo ; nel rilevare le circoscritte possibilità operative della facoltà sul piano dell'attività conoscitiva, egli ne rende conto in base alla limitata capacità dello spirito, ossia; più precisamente, in base a specifiche carenze attinenti alle prestazioni immaginative e su­ perabili dallo spirito mediante il ricorso all'unica sua determinazione essenziale : il pensiero, appunto - quel « pensiero sostanziale . . . capace di ogni sorta di modificazioni o di pensieri », a cui inerisce l'« intel-

46. N. Malebranche, De la recherche de la vérité, VI,I,iv, in Oeuvres com­ plètes de Malebranche, edite sotto la direz. di A. Robinet, 20 voli ., Paris, 19581 967, più gli indici (la Recherche e gli Eclaircissements occu pano i primi tre voll. dell'ediz. e sono a cura di G. Rodis-Lewis con una premessa di H. Gouhier) , T. II, pp. 278-279.

33 0

letto puro », il quale ci permette di « conoscere gli oggetti esterni, senza che se ne formino nel cervello immagini corporee per rap­ presentarli » 47• Questa esplicita indicazione ci riporta al nodo centrale della po­ lemica di Gassendi contro Descartes e basterebbe un esame appena più accurato del contesto malebranchiano per riconoscere quanto sia stretto, attorno a quell'enunciato, l'intreccio tra problematica gnoseo­ logica e istanze metafisiche. Tralasciando il secondo aspetto e richia­ mando, in relazione al primo, le già considerate critiche di Gassendi, sembra lecito affermare che nella prospettiva cartesiana non è essen­ ziale chiarire in che cosa precisamente consista l'idea intellettuale di un chiliogono o di una complessa figura solida, perché, al di là delle definizioni, si può fare affidamento su due constatazioni, che si ri­ tiene abbiano consistenza 'fattuale', e su una certezza metafisica. Quest'ultima è ovviamente rappresentata dalla posizione della sostanza pensante, mentre le prime due riguardano, da un lato, il progressivo svanire delle immagini e, dall'altro, la rilevazione di certe caratteri­ stiche della prassi conoscitiva, da cui emerge come anche riguardo ai modelli figurativi più schematici della geometria essa proceda verso nuove acquisizioni ed elabori « dimostrazioni » senza dover necessa­ riamente dipendere da quei supporti estranei al « pensiero » , che pos­ sono bensl giovare talvolta, ma che in nessun caso autorizzano ad escludere la disponibilità - metafìsicamente fondata - di idee intel­ lettuali pure. La discontinuità dell'universo mentale è scandita secon­ do i parametri offerti dall'eterogeneità e dall'unione delle sostanze, che compongono il soggetto; ma almenc nella sfera della conoscenza vera i cartesiani colgono la continuità nella natura ideativa dei con­ tenuti mentali , laddove Gassendi preferisce far seguire all'ambito delle « specie » più o meno determinate il territorio popolato soltanto dai « nomi » dei prodotti più astrusi e inimmaginabili della « raziocina­ zione », nozioni prive di una corrispondenza rappresentativa e tutta­ via generate operando sul nostro patrimonio di immagini 48: la se­ quenza geometrica ( triangolo, tetragono e 'cosi via sino al miriagono) , che il filosofo di Aix sottopone all'attenzione di Descartes nelle Obie­ zioni e nelle I stanze, non è che un caso fra i tanti di trapasso pro­ gressivo da un tipo all'altro di idee. In direzione analoga e sempre a

47. lvi, I I I ,I,i, § l , e precedenti considerazioni introduttive, T. I I , p. 380. 48. P. Gassendi, Syntagma philosophicum, Physica, III, Memb. post. , IX, iii, in Opera, T. I l , pp 452-453.

331

proposito delle Meditazioni, lo stesso Hobbes aveva del resto insistito sulla grande differenza riscontrabile tra « immaginare, cioè avere una qualche idea, e concepire mentalmente, cioè concludere col ragiona­ mento (ratiocinando colligere) che una certa cosa è o esiste » 49; se, per un verso, il ragionamento è posizione di nessi predicativi - secondo regole convenute - tra nomi, ma non tra cose, per l'altro va de­ nunciato l'errore di quanti affermano la sussistenza di idee separate e distinte nell'intelletto e nella fantasia, « quasi che una fosse l'idea o immagine dell'uomo, che viene conservata nella memoria essendo stata generata dai sensi, e altra quella presente nell'intelletto, quando concepiamo che l'uomo è un animale >> 50; infine, ove sia esclusa ogni rappresentazione di origine sensoriale (tale è la critica di Hobbes alle nozioni cartesiane di Dio e degli angeli) , ivi non si danno idee origi­ narie e autonorQe, bensì istituzioni mentali risultanti dalle operazioni e inferenze della ragione fissate in nominazioni corrispondenti 51 • E' solo attraverso queste complesse procedure che gli elementi del pensare perdono via via la connotazione immaginativa - peraltro non riducibile ad una sorta di riproduzione speculare dell'oggetto -, permeandosi invece del carattere dell'artificialità, che è tipico di gran parte delle conoscenze e che Hobbes accentua con l'insistenza sulla tematica della convenzione. Questo carattere, legato anche all'impor­ tanza peculiare che si attribuisce al linguaggio sotto il profilo gnoseo­ logico, trova piena conferma nella filosofia lockiana, non fosse che per l'estrema rilevanza data alle operazioni di composizione e astrazione delle idee. Sono innumerevoli le occasioni nelle quali Locke parla delle idee non solo come di « oggetti » del pensare, ma proprio come di « im­ magini » . Molto spesso si tratta, beninteso, di usi derivanti da una tradizione filosofica profondamente radicata e comunque orientati in un senso metaforico più o meno accentuato. Del resto è evidente che l'idea può essere detta immagine sia in quanto la si assuma come ri-

49. T. Hobbes, Obiectiones ad Cartesii Meditationes de Prima Philosophia, IV, in Opera Philosophica quae latine scripsit Omnia, a cura di W. Molesworth, 5 voli ., London, 1939-1945, T . V, pp. 257·258 (sottolineatura mia - cfr. nelle Oeuvres cartesiane, AT VII, p. 178; tr. it.: I , p. 350). Si noti che Hobbes si riferisce qui al celebre passo sul frammento di cera della II Meditazione, AT VII, pp. 30 ss. 50 . T. Hobbes, Elementorum philosophiae Sect. Prima: De corpore, I,v, in Opera, cit., T. I , p. 54 (tr. it. a cura di Antimo Negri, Torino, 1 972, p. 121 ) . 5 1 . T. Hobbes, Obiectiones, cit., V , in Opera, t . V, p p . 259-260 (cfr. AT VII, pp. 179-180; tr. it.: I, pp. 351-353).

332 flesso esatto o alterato di cose, sia in quanto le si attribuisca addirit­ tura una funzione costitutiva di oggetti pensabili. Da questo punto di vista, anzi, l'idea/immagine resterebbe tale anche se fosse il più artificioso tra i possibili prodotti della mente; ma una costante preoc­ cupazione di Locke è precisamente quella di tenersi lontano dagli esiti idealistici ai quali verrà suo malgrado ridotto dall'intelligente critica berkeleyana 52• In realtà l'arco di oscillazione entro cui si muove al riguardo la riflessione lockiana è estremamente ampio: dal massimo di realismo delle idee relative alle qualità primarie (Saggio, II ,viii, § 9; xxiii, § 9 ; xxx, § 2) si giunge allo statuto assai problematico confe­ rito all'ipotesi corpuscolaristica (II,xxix, § 1 6 ; IV,iii, §§ 1 6 , 25-26 ; vi, 52. Sull'idea come immagine o materiale della conoscenza e sui diversi orien­ tamenti che al riguardo vengono assunti da Berkeley e Locke si è soffermato M. Dal Pra in Condillac, cit., pp. 1 24-130 (ma la questione riceve sviluppi significativi nell'intero cap . VI e nell'VIII, pp. 480 ss., dove l'esame comparativo concerne i rapporti Condillac-Berkeley, mentre ulteriori elementi utili emergono da: id., Hume e la scienza della natura umana, II ed., Bari, 1973, Il, v, pp. 87 ss.) . Si tratta del resto di problemi e confronti che, com'è noto, percorrono gran parte della letteratura critica lockiana, da Gibson a Aaron, Yolton, Duchesneau, negli studi precedentemente citati, secondo una linea di tendenza che, per quanto riguarda il primo aspetto, sembra orientata - cfr. R.S. Woolhouse, Locke's Philosophy of Science and Knowledge, Oxford, 1 97 1 , p. 35 verso un crescente distacco cri­ tico nei confronti della interpretazione rappresentazionalistica. Rinviando per l'ag­ giornata e articolata bibliografia a: M. Sina, Introduzione a Locke, Bari, 1 982, pp. 157- 199, si possono qui menzionare, a puro titolo indicativo e solo come segni della vivacità della discussione, i dibattiti apertisi su Theoria fra D. Greenlee e G. Aspelin (rispettivamente: « Locke's Idea of '' Idea" », vol. XXXII I , Part 2, 1 967, pp. 98-106; e Duplex philosophandi et veritatem inquirendi via est, una abstrusior et sublimior, a primis veritatibus ad derivata progrediendo ; altera facilior et popularior, [ inquirendo in veritatem admissam ] > a veritatibus co­ gnitis ascendendo ad causas seu < rationes, atque ita > perveniendo < ad veritates primas [ascendendo ] , ut harum ope deinde partim stabi­ liantur [ admissae] > cognitae < , partim detegantur adhuc ignoratae; prior via Synthetica, posterior Analytica > est est inquirere in rationes veritatum [ quae admitti solent] , idque [ nostros] vice dubitationis > adhibeo < tanquam aequius modestiusque [propono] [Cum idem nobis praestat ] . [Cum et] nec minus suffìciens; neque enim alius dubitationis fìnis esse potest, quam ut proba­ tiones quaerantur. [ lnquirendum est quae ] Veritates quarum' [ rationes] probationes [ sunt] quaerendae sunt, vel facti sunt vel rationis. Veritates facti sunt quaecumque observatione et experientia innotescunt, [nobis] tam > circa < sensibilia scilicet externa, quam circa sensus interni objecta. Quaerendum ergo quomodo probetur [ corpora quae] > quae extra nos < sentimus realia esse, ( et qualitatibus praedita ] corporaque adeo existere et habere qualitates [quas] > illas < sensibiles, quae ipsis attribuuntur [ . vero ] ubi sane reperiemus rationem nobis criterìa quaedam suppeditare, quibus realia ab apparentibus distinguantur. [ l . Veritates ex omnibus autem experimentis 2. Sola ] Sola autem [experime] sensus interni experimenta indubitata sunt, [cum nis] et pro­ bationem nec requirunt nec admittunt quibus nempe nihil aliud conti­ netur, quam nos varia percipere. Unde consequens est > et < nos esse et causam > aliquam < esse varietatis perceptionum in nobis. Hinc patet fadlius nobis innotescere < [ veritatem ] > certitudinem existentiae ,

..

a. Nella trascnz10ne del manoscritto di Leibniz abbiamo avuto cura di ripro­ durre, per quanto possibile, la struttura del manoscritto di ricerca leibniziano che, come è noto, è spesso caratterizzato da numerose correzioni, da aggiunte marginali e interlineari. I passaggi cancellati da Leibniz vengono riprodotti in corsivo tra parentesi [ ] . La presenza di numeri progressivi all'interno di queste parentesi indica una successione di soluzioni scartate da Leibniz. Le aggiunte in margine sono com­ prese fra i segni < > , le aggiunte interlinearì fra i segni > < .

352


>

externorum

Veritates rationis, guas criterium etiam pro veritatibus facti praebere diximus, aut sunt primitivae, > aut derivativae. < [Nempe] > Primitivae sunt < identicae, guae probationem [nec] rursus nec reguirunt nec admittunt [ aut sunt ] . Derivativae > su n t < in guibus connexio praedicati cum subjecto non apparet [ l . manifeste sed dem 2. argume 3. medio aliquo in ] immediate, sed medio interposito est ostendenda. Quod fit argumentis vel demonstrativis, vel sola similitudine nixis. Nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu, nisi ipse intellectus ejusgue [attributa et operati) praedicata. f.

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v

Ex sola [ cognita] posita possibilitate Dei, > necessario < seguitur ejus existentia actualis. Et ita Dei solius existentia < demonstrari potest a priori; ut contra existentia mentis prima est [ ver] existentiarum quae noscuntur a posteriori seu per observationem. > In corpore praeter extensionem, id est continuam < simultaneam > ejusdem > naturae < diffusionem, agnoscendum est, guidnam sit illud guod diffundatur. Id autem [ est resistentia] consistit in passivo seu ma­ teriali, nempe resistentia, [ quod] quae in corpore amni est eadem, propor­ tione extensionis; et in activo seu formali , nempe entelechia, quae fadt ut in omni corpore [ sit ] sit vis agendi seu nisus, tam primi < tivus et perseverans > [ tivus, quam varie limitatus] guam secundarius ex variis corporum cuncursibus resultans. Adaequati conceptus tum demum a nobis habentur, cum possibilitas eorum > a priori < demonstrari potest ac tum demum tuta pronuntiari potest guae coniungi possint vel non possint. ltaque frustra guidam ex ideis suis inferre volunt corporis naturam in extensione existere, aliaque id genus. Cum lucem, colorem, calorem, etc. corporibus tribuimus, intelligimus non sensuum nostrorurri prototypa, sed fundamenta, quibus cum [ nostro ] sensorio combinatis oriuntur motus, quorum > demu·m < repraesenta­ tiones [in mente] < in anima > constituunt sensum. Parvi usus est praeceptum, ut res dare distincteque nosse conemur, nisi clarae distinctaeque notitiae [ et ] cri teria dentur. [Hu] Hujus criteri i defectus facit, ut [ neque] saepe sciamus quae nos puta­ mus ignorare, et ignoramus quae nos putamus scire. Criterium consistit [ ut ] in eo ut eae demum ideae habeantur pro rea­ libus quarum possibilitas potest demonstrari , eae demum propositiones pro [demons] < certis et absolute demon > stratis, quae reductae sunt ad inde­ mons trabiles ; quales guae sint jam est explicatum. < Nempe quicquid > in ideis [ explicationem ] declarationem, in veritatibus < probationem admittit, illud eandem requirit; etsi non ubique nec semper; jure enim aliquando ad instar axiomatis aut postulati [ sumitur] vel etiam hypothesis assumitur [ne nimis in pro ] > veritas [ etiam ] quae probationem recipit, nempe < quando magis [ 1 . de 2. ad usum quonia 3. de analysi perfecta

353 agitur 4. analysin perfectam 5. id quaeritur ut resptcztur 6. postrem o ] de conclusionibus [ de colligendis inde conclusionibus ] u tilibus inveniendis,

quam principiis constituendis solìciti sumus. Unde ipsi Geometrae Axiomata assumsere. > Veritates necessariae non indigent ad demonstrandum supposita vera­ citate Dei sed veritates contingentes indigent ad existen [ tiam] < dum > sapientia et potentia Dei. < Ad perfectionem cognitionis nostrae ideae quae possunt (id est aliquid obscuri habentes) [ ideae obscurae ] debent declarari ; veritates quae pos­ sunt [ debent probari ] (id est aliquid dubitabilis habentes) àebent probari. Declaratio est reductio idearum usque ad [pri] claras, seu primitivas [ quoad] > secundum < nos. Probatio est reductio veritatum ad certas seu primitivas [ quoad nos ] secundum nos. [Explicatio est reductio idearum ad primitivas per se ... ] Sed aliud est [perfecta ] declaratio ab explicatione [ veritatum ] idearum in primitivas [ l . absolu 2. abso 3. secundum se; et aliud probatio in se t seu in prima possibili a; et aliud [ est probatio quam reductio idearum ] est proba­ tio ab >

f.

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r

Ratione mentis nobis competit cogitatio < activa seu [cum] > intellectus cum < voluntate > [ , ] ratiane corporis [ resistentia > passiva < ; ratione unionis harmonia in ter cogitationes mentis et ] extensio [passiva ] > resistens < , [ 1 . seu cum resistentia, ratione 2. vis cum pa ] < seu patestas agendi et patiendi, vitiata ratione > unionis harmonia inter actiones animae, et passiones corporis. Respondetque extensio intellectui, resistentia voluntati. Ex qualitatibus sensibili bus [ solae illae reales] nihil aliud est reale quam vis [agendi] et resistentia, < seu "tÒ !luvo:�Lx6v. Caetera imagina­ tioni > vel opinioni < seu "t� VOIJ.4> dcbentur. [Extra] Praeter materiam admittenda est entelechia quae in amni corpore organico est animae analoga. Motus quantita [ tis] s in mundo non est determina [ tione] ta, sed quantitas virium absolutarum, et quantitas actionum per se sumtarum. Spatium non est corpus [ sed quidam ] > nec substantia sed < ardo possibilium coexistentiarum, ut tempus > est orda < possibilium mu­ tationum. .

·

[Et illumìnat omnia in natura]

Postquam seme! principia [ consist ] physicae constituta sunt > vel < ex metaphysica [conclusiones ve!] a priori, vel ex observationibus a posteriori; conclusiones deinde ex principiis ducuntur auxiliante Mathesi. Exempl. gr. postquam natura [ patente ] virium ex [mathesi probe expl] metaphysids probe explicata est, ostenditur deinde per mathesin centrum gravitatis concurrentium progredì aequabiliter. Sic ubi per experientiam constitutum ' est, radios lucis agere in linea recta, colligitur illuminati puncta data abjectotum in ratione duplicata reciproca distantiarum a radiante. b. La frase è interrotta nel testo.

« VOYAGER EN ESPRIT »: IL VIAGGIO IMMAGINARIO NELLE UTOPIE LIBERTINE FRANCESI DEL SECONDO '600

di Paolo Farina L'utopia è l'esperimento in cu1 s1 osservano la probabile trasformazione di un elemento e gli effetti che essa produrrebbe · in quel complicato fenomeno che chiamiamo vita. (Robert Musi!, L'uomo senza qualità, II,6 1 }

l.

Utopia priscis dieta, o b infrequentiam, Nunc civitatis aemula Platonicae, Portasse victrix (nam quod illa literis, Deliniavit, hoc ego una praestiti, Viris et opibus, optimisque legibus) Eutopia merito sum vocanda nomine.

I versi sull'isola di Utopia del poeta laureato Anemolio, ripren­ dendo un motivo caro a Pieter Gilles, mettono a fuoco l'elemento di novità dell'opera di Thomas More : la /ictio di una città ideale, rap­ presentata (expressa, depicta, oculis subiecta, scriveva Gilles con in­ calzante progressione retorica) grazie alla testimonianza di un testi­ mone oculare, quel Raffaele I tlodeo che « non riportava cose apprese da altri, ma vedute coi propri occhi e fra le quali si era trovato a vi­ vere per un lasso di tempo non breve » 1• Si affermava nell'opera di More uno dei due paradigmi del di­ scorso u topistico dell'età moderna, quello del viaggio immaginario. La genialità e il successo dell'opera di Thomas More - ha scritto Bronislaw Baczko - risiedono nell'invenzione di un paradigma che risponde alla cu­ ri�sità dell'epoca per le terre lontane, che si presta splendidamente all'eser­ cizio dell'immaginazione sociale mediante un giuoco di specch i fra l'im­ magine della società globale e le immagini del quotidiano, che coniuga la serietà della critica morale e sociale ad un libero gioco intellettuale, uma­ nistico e dotto 2. l. V. la lettera di Gilles a Busleyden del l 0 nov . 1 516 (la traduzione è di L . Firpo, che ha curato l'edizione utilizzata dell'opera per Neri Pozza, Vicenza, 1978 ) . 2. I n L'utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell'età del-

355 Raffinato ludus dell'intelligenza, ispirato alla letteratura viatoria in rapida espansione, l'Utopia di More dà vita ad una struttura for­ male (il punto di vista dell'estraneità ), tale da sorreggere l 'esercizio critico dell'immaginazione sociale: Raffaele Itlodeo, il « viaggiatore­ filosofo », è il prototipo dei protagonisti di viaggi immaginari; la sua esperienza di testimone oculare di realtà non più fantastiche o impossibili, ma solo ignorate, è paradigmatica e risponde pienamente al « souci de crédibilité », che caratterizza l'utopia dei viaggi imma­ ginari 3• Il viaggio è un serbatoio inesauribile di esperienze, e non stu­ pisce che gli autori si siano atteggiati a viaggiatori: la finzione per­ mette loro di dar corpo e plausibilità alla pluralità di modelli e for­ me di vita incompatibili con quelle dominanti, proposte dalla tradi­ zione giudaico-cristiana. Non era d'altronde difficile adottare questo espediente per autori abituati a ricercare nei libri, nelle testimonianze del passato, la diversità. L'erudizione ha aperto la strada alla finzione, posta al servizio dello spirito critico . Il viaggio immaginario è insom­ ma il grande inventario della diversità: nell'impossibilità di intrapren­ dere reali esplorazioni, gli autori . Invece di intendere questa ipotesi come una proposizione di esperienza e tentare di provarla scientificamente, egli costruisce il modello di una costituzione fon­ data su condizioni corrispondenti a quell'ipotesi : se a questa finzione può essere dato il carattere di un esempio nell'esperienza con sufficiente plausi­ bilità, senza cioè contraddire la precedente esperienza, è raggiunta la prova che un siffatto ordinamento sociale può essere rappresentato esistente a condizioni empiriche (pp. 97-98).

More costruttore di modelli : « prima che il metodo sperimentale fosse introdotto nelle scienze naturali, l'astrazione metodica dalla mol­ teplicità delle condizioni empiriche viene saggiata qui )> (p. 93 ). L'analisi di Habermas è ricca di indicazioni di lavoro, sollecita ad una verifica più ampia. Il viaggio immaginario non più solo come strut­ tura formale che dà corpo al punto di vista dell'estraneità, ma come /ictio della ragione progettuale 6, luogo di esercizio del metodo speri­ mentale: è ben un'ipotesi stimolante. L'indagine ripercorre queste due funzioni concatenate del viag­ gio immaginario in un orizzonte circoscritto, in alcune utopi� francesi del secondo '600 di autori legati al milieu libertino 7 . E' opportuno anticipare - anche se ciò richiederà un excursus - le conclusioni dello 5. In Prassi politica e teoria crztzca della società, Il Mulino, . Bologna, 1973 , pp.77-125. Su un altro piano, non storiografico, sono da tenere presenti le pagine di R. Ruyer sull'utopia come expérimentation mentale (in L'utopie et les utopies, Presses Universitaires de France, Paris, 1950, pp. 9-26) . 6. Sul valore normativa del progetto utopico moreano v. {soprattutto) la lettera di Busleyden a More dell'inizio di novembre del 1516, e quella di Budé a Lupset del 31 luglio 1517. 7. S. C . de Dergerac, Histoire comique contenant les états et empires de la Lune, e Histoire comique des états et empires du Soleil (pubblicati postumi, ri­ spettivamente nel 1657 e nel 1662 ) ; Gabriel de Foigny, La Terre Australe connue ( 1676) ; D. Vairasse (o Veiras) , Histoire des Sévarambes (la prima parte dell'opera era apparsa in inglese nel 1675; la prima pubblicazione in tegrale francese è del 1677-79 ) ; B. Fontenelle, La République des philosophes ou Histoire des Aiaoiens (edita nel 1768, ma scritta presumibilmente nel 1683 ) ; C. Gilbert, Histoire de Caleiava ( 1700 ) ; S. Tyssot de Patot, Voyage et avantures de ]acques Massé (1710) . Sul piano bibliografico l 'opera fondamentale, sebbene risalga al 194 1 , resta Ph. Babcock Gove, The Imaginary Voyage in Prose Fiction, The Holland Press, London, 1961'. L'autore si è mosso sul terreno dell'analisi critica delle diverse defipizioni del genere, per fornire una > , cui fa seguito - nella seconda parte del libro - una preziosa « Annota­ ted Check List of Two Hundred and Fifteen Imaginary Voyages from 1700 to

357 scritto ( meglio sarebbe scrivere ipotesi di lavoro, da verificare ulterior­ mente) 8• In giuoco non è solo la tesi di Habermas sull'introduzione del metodo sperimentale nell'utopia, ma anche il corollario che la sua verl­ fica comporta negli autori presi in considerazione, circa il progressivo abbandono, nel libertinismo del secondo '600, del primitivo scetticismo in favore di un· guardingo razionalismo critico, cui si collega un giudi­ zio, tendenzialmente diverso, sulla funzione e il ruolo dell'intellettuale nella sfera pubblica, politica e sociale 9• Mi pare infatti che, nell'ambito specifico dell'utopia, pur in modo né lineare né esente da incertezze e oscillazioni, come si vedrà, la rassegna dei diversi modelli culturali e delle molteplici e differenziate forme di vita politica, sociale, economica, non si risolva in esiti scettici, proponendosi viceversa colla critica della realtà effettuale la costruzione di modelli suscettibili di orientare la prassi storica. Tutto ciò è riconoscibile soprattutto in Fontenelle, la figura di maggior spessore teorico del gruppo di autori presi in esame. 1800 >>. Non molti sono i titoli importanti utili ad integrare la bibliografia di Gove; alcune opere monografiche sui singoli autori o problemi presi in esame sono citate nelle altre note. Non compare citato in Gove, per · ovvi motivi cronologici, l'opera di M. Hope Nicolson, Voyages to the Moon, The MacMillan Company, New York, 1948, né lo studio di P. Cornelius, Languages in Seventeenth and Early Eighteenth Century Imaginary Voyages, Droz, Genève, 1965 (con ricca bibliografia sul tema che più di ogni altro, forse, ha attirato l'attenzione degli studiosi di viag­ gi immaginari) . In Trousson sono reperibili con altri titoli di minor interesse pre­ cise indicazioni sui repertori bibliografici sulle fonti seicentesche (op. cit., pp. 272-273 .) 8. Ciò spiega la struttura del testo, costruito quasi attraverso l'accostamento di schede: per ragioni di spazio, ma soprattutto perché le riflessioni seguenti co­ stituiscono le tessere di una ricerca in fieri. 9. Su « Come giudicano la 'politica' libertini e moralisti nella Francia del sei­ cento » v. il saggio di A. M. Battista (in Il libertinismo in Europa, a cura di S. Bertelli, Ricciardi, Milano-Napoli, 1980, pp. 25-80; per un approfondimento del­ l'indagine della Battista v. ora il contributo negli atti del convegno dedicato a Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel seicento, La Nuova Italia, Firenze, 198 1 , pp. 321-35 1 ) ; ma non va trascurata l'ottima sintesi de \< Il pen­ siero politico dei libertini » di V. I . Comparato (in Storia delle idee politiche econo­ miche e sociali, diretta da L. Firpo, vol. IV, L'età moderna, Utet, Torino, 1980, pp. 95- 164) . I due lavori concordano nell'analisi del rapporto (di estraneità) dell'in­ tellettuale colla politica, proposto dai libertini (Battista, percorrendo collo sguardo un orizzonte più ampio, riconosce nell'etica nuova, caratterizzata dalla scissione io-società, il punto di convergenza tra « libertini e moralisti »: « dal circolo dei fratelli Dupuy a Port-Royal... », p. 45). La posizione di Montaigne (« Egli non crede che si possa trasformare la real tà : il fallimento del progetto umanistico di riforma intellettuale e morale ha lasciato dietro di sé una varietà irreconciliabile di fram­ menti umani. Come non è consentita una filosofia, ma solo un'antropologia empi­ rica, così non si può dare un progetto politico ma una sorta di prassi ragionevole », Comparato, op. cit., p. 102) annuncia le prospettive future da Charron sino al Theophrastus (Su quest'ultimo v. quanto scrive G. Canziani nel suo contributo a Ricerche sulla letteratura libertina . . , cit., in particolare pp. 1 1 2-1 15). .

358

Un rapido confronto fra gli Essais di Montaigne e la produzione fonte­ nellìana degli anni ottanta mette in luce lo scarto ipotizzato. Les loix de la conscience, que nous disons nais tre de la nature, naissent de la coustume. [ . ] De vray, parce que nous les humons avec le laict de nostre naissance, et que le visage du monde se presente en cet estat à nostre premiere veue, il semble que nous soyons nais à la condition de suivre ce train. Et les communes imaginations, que nous trouvons en credit autour dè nous et infuses en nostre ame par la semence de nos peres, il semble q ue ce soyent les generalles et naturelles 10, . .

Passaggi di chiara contestazione di una première nature ( ma gli esempi potrebbero facilmente moltiplicarsi ): l'uomo è per Montaigne il prodotto di un condizionamento culturale attivo addirittura prima della nascita e della vita cosciente ( il seme del padre e il latte della nu­ trice ne sarebbero i primi veicoli) e persistente nel tempo tramite l'in­ cessante assimilazione, spontanea e involontaria, di ogni sorta di nu­ trimento culturale. La coustume è una seconda natura; nulla può essere definito naturale, espressione immediata e genuina della natura umana: questa, seppure esisteva originariamente identica e omogenea, si è ·ri­ solta nella coustume. Questi presupposti teorici si aprono, nella pagina di Montaigne, alla teorizzazione della peculiare posizione del saggio, distaccato dal mondo, e del conservatorismo in sede politica: « qui se mesle de choi· sir et de changer, usurpe l'authorité de juger », ma è « très-inique de vouloir sousmettre les constitutions et observances publiques et immo­ biles à l'instabilité d'une privée fantaisie (la raison privée n'a qu'une jurisdiction pti vée) » 1 1 • Il saggio De la vanité, riassumendo i motivi accenrtati colla con­ clusione che « le monde est inepte à se guerir » ( p . 935), va oltre, sviluppando una critica recisa delle utopie, « ridicules et ineptes à mettre en practique [ . . ] altercations propres seulement à l'exercice de nostre esprit [ .. . ] subjects qui ont leur essence en l'agitation et en la dispute, et n'ont aucune vie hors de là » (p. 934 ) . Questo è il vizio d'origine della immaginazione utopica: non tiene conto della realtà effettuale degli uomini, del loro essere già rigidamente ed irrimedia.

10. Essais, I, 23 , p. 1 14 (cito dalle Oeuvres complètes, Gallimard, Paris, 1962). 1 1 . Posizioni analoghe in Charron, De la Sagesse, Londra, 1769, pp. 3.34-35( e La Mothe Le Vayer, Cinq autres dialogues. . , IV. De la politique, Francoforte, 1606, pp. 239-360. .

359 bilmente strutturati dal condizionamento culturale, cui non è possibile sottrarli; in una parola, l'utopia è vuota astrazione. Telle peinture de police seroit de mise en nouveau monde, mais nous prenons !es hommes obligez desjà et formez a certaines coustumes; nous ne les engendr on s pas, camme Pyrrha ou camme Cadmus. Par quelque moyen que nous ayons loy de !es redresser et renger de nouveau, nous ne pouvons guiere� le tordre de leur ply accoustumé que nous ne rompons tout (p. 934 ) .

Un nouveau monde, dove cioè sia possibile sottrarsi al dominio della coustume, un mondo incontaminato né contaminabile da opinioni, abitudini, pregiudizi, è una chimera e l'utopia che lo disegna, un giuoco inutile e pericoloso. Lo stato d 'altronde non sopravvive malgrado questi mali, ma si organizza e raggiunge un suo equilibrio proprio grazie al gioco delle passioni e di forze cieche e incontrollate : je vois par nostre exemple que la société cles hommes se tient et se coust, à quelque pris que ce soit. En quelque assiete qu'on les couche, ils s'ap· pilent et se rengent en se remuant et s'entassant, camme cles corps mal unis qu•on empoche sans ordre trouvent d'eux mesme la façon de se joindre et s'emplacer !es uns parmy !es autres, souvant mieux que l'art ne les eust sçeu disposer. Le Roy Philippus fit un am as cles plus meschans hommes et incorrigibles qu'il peut trouver, et les Iogea tous en une ville qu'il leur fit bastir, qui en portoit le nom . J'estime qu'ils dressarent cles vices mesmes une contexture politique entre eux et une commode et juste societ é 1 2•

In conclusione: non esiste una identica omogenea natura umana e , semmai è esistita originariamente, è degradata nella coustume;" l'esito dello scetticismo è un atteggiamento di conservazione in sede politica e di diffidenza per ogni disegno di rinnovamento, per l'immaginazione utopica. Non sono queste le tesi rintracciabili in Fontenelle : il quale rivendica l'identità della natura dell'uomo 13 ; pur riconoscendo il peso 12. Essais, III, 9, p. 933 . Su una prima fase scettica fontenelliana, riecheggiante queste posizioni di Montaigne, e sul suo progressivo consumarsi v. gli studi di A. Niderst (Fontenelle à la recbercbe de lui-méme (1657-1702), Nizet, Paris, 1972), di G. Lissa (Fontenelle tra scetticismo e nuova critica, Morano Napoli 1973) e di M. T. Marcialis (Fontenelle, un filosofo mondano, Gallizzi, Sassari, 1978) . 1 3 . V . , per gli anni '80, I'Histoire du Romieu de Provence, Il, p. 451 (uso l'edizione delle Oeuvres complètes di Fontenelle curata dal Depping, ristampata da Slatkine, Genève, 1968), e Digression su les anciens et les modernes, II, p. 353. S. Landucci (in l filosofi e i selvaggi. 1580-1 780, Laterza, Bari, 1972, pp. 62-63) ha visto in pagine come queste, accostate in prospettiva ad altre esemplari di Voltaire, « una rivendicazione 'moderna' [ .. . ] contro l'insistenza seicentesca sulla varietà rive­ lata dalla storia e dall'etnografia, quand'essa giungesse al limite di contestare, per l'ap­ punto, la première nature ». ,

,

360 dell'educazione, contesta « la prévention de la corruption de nature » 14; da ultimo, non senza esitazioni e oscillazioni, viene ritagliando uno spa­ zio in cui la ragione, sottratta alle secche dello scetticismo, possa eser citare legittimamente la sua attività progettuale 15• 2. « Ainsy peut-estre [ . . ] se mocque-on maintenant dans la lune de quelqu 'autre, qui so:ustient que ce globe cy est un monde ». Cosl Cy­ rano 16, in apertura de L'Autre Monde, riassume la sua prospettiva rela­ tivistica, riaffermando quanto con Montaigne era divenuto patrimonio di un versante della cultura europea, l'universalità del fenomeno dell'etno­ centrismo. Radice di questa acquisizione - è noto - è l'esperienza della diversità, che sostanzia i viaggi interplanetari di Cyrano. « Je ne sçaurois m'esclaircir de ce doubte si je ne monte jusque là. Et pourquoy non? [ . . ] Promethée fut bien autrefois au ciel derober du fem> (p. 8). L'ascesa alla luna come progetto prometeico: il viaggiatore-narra.

14. Histoire des Ajaoiens, p. 51 (uso la ristampa anastatica della prima edi­ zione eseguita da Leschiera per Edhis, Paris, 1970) . Come dimenticare d'altronde la Digression dell 88? > v. il saggio di Pìzzorusso in Belfagor, vol. XVIII, 1963, pp. 150-180) . 1 5 . Non senza esitazioni e oscillazioni: il quadro in Fontenelle e nelle utopie esaminate è indubbiamente mosso; tuttavia non mi pare che sia del tutto da condividere la tesi di Antonio Negri che in un importante saggio (« Problemi di storia dello stato moderno. Francia : 1610-1650 », Rivista critica di storia della filo­ sofia, vol. XXII, 1967, pp. 182-220), inquadrando il libertinismo nell'evoluzione dello stato moderno e nel processo di ripiegamento della borghesia dopo la crisi del progetto rivoluzionario rinascimentale, vede nelle utopie libertine l'estrema ma­ nifestazione · del vagheggiamento nostalgico dell'ideale umanistico ( , XVII' sièclr:, vol. XXXII, 1980, pp. 213-224), che bene mette in luce col significato stori­ co dell'opera ( ) , purché non « contraires aux principes qui nous sont essentiels » . La natura delimita il campo del possibile e all'interno di questo la ragione, conoscendone i principi, esercita la sua attività progettuale. Il viaggio immaginario viene così configurandosi come uno stru­ mento prezioso, insostituibile nel circoscrivere l'ambito operativo della ragione alla ricerca di un modello sociale e politico non inquinato dalle incrostazioni del pregiudizio e della superstizione, di quanto contraddice il « dictamen d'une raison saine, éclairée » e « les devoirs dont la Na· ture imprime en nous la nécessité de la pratique, en nous donnant l'etre » . Non a caso, « les premiers Ajaoiens étoient une colonie d e gens assez semblables à ceux qu'on nomme aujord'hui Esprits forts, c'est-à-dire, des gens sans [ .. ] préjugé » 27• L'isola, in cui essi · giungono dalla Cina e dalla Tartaria, « pour se soustraire à un gouvernement tyrannique et à la superstition, et pour se former [ ] un gouvernement à souhait, et une Religion exempte de préjugés et de superstition » (p. 9 1 ) , è il luogo ideale di una sperimentazione politica: la sua natura geofisica - la lontananza e l'isolamento dal continente - garantisce un ambien­ te puro e incontaminabile ( « camme si la Nature eùt voulu préserver les Ajaoiens de la fréquentation, et par conséquent de la corruption des autres peuples de la terre, elle les a placés au milieu des rochers et cles écueils », p. 3 3 ), materia docile all'azione plasmatrice della ra­ gione; i crudeli provvedimenti presi all'arrivo contro gli indigeni, volti alla eliminazione fisica degli adulti e alla rieducazione dei fan­ ciulli, rispondono all'esigenza di liquidare la memoria storica, ostacolo al disegno di rifondazione totale della comunità insulare. Esprits forts, insularità come dato fisico e storico : Agiaò è il luo­ go privilegiato per le operazioni della ragione, il viaggio ad Agiaò una sorta di esperimento mentale in cui tentare la verifica delle moda.

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26. Sul tema della dialettica nature/art-culture, centrale nella riflessione di Fontene!le, il filosofo ritornerà con insistenza, non solo nel corso degli anni '80 (v. su ciò la nota 13). 27. Histoire des Ajaoiens, cit. , p . 92.

366 lità richieste all'edificazione di una comunità razionale, esente dalle storture della storia e dalle concrezioni della cottstttme 28 . Il viaggio può ben essere immaginario, « un autre manière de vo­ yager » che conduca in uno spazio vuoto ideale, dove la ragione poss� liberamente progettare moeurs e gouvernements, il cui fondamento riposi tuttavia sui « principes qui nous sont essentiels ». Il viaggio immaginario è la condizione che permette di costruire modelli, di lavo­ rare astraendo metodicamente dalla molteplicità delle circostanze empi­ riche: in una parola, quello che potrebbe chiamarsi un laboratorio del­ la ragione 29• 28. Nella sua ottima introduzione - di cui mi sono avvalso - alla recente traduzione italiana della Storia degli Agiaoiani (Guida, Napoli, 1979), G. Lissa ha mostrato come la ragione, postasi all'origine delle cose tramite la finzione del viaggio immaginario, venga costruendo il suo ordine ex novo (pp. 38-60) : « Lo stato funziona come una grande macchina i cui movimenti, determinati dall'azione sempre uguale di un centro motore, immutabile quanto alla sua forma, si ripetono indefinitamente secondo lo stesso ritmo e la stessa scansione. Riproduce cosi nello spazio sociale la stessa conformazione che regna nella grande macchina del­ l'universo cartesiano » (p. 46) . Lissa ha messo opportunamente l'accento sul fatto che « l'Histo ire d es Aiaoiens descrive [ . ] un modello di società ideale, che [ . . ] è costruito mediante l'impiego di un impianto di procedimenti logici simile a quello di cui Fontenelle si serve per tracciare la descrizione del suo universo macchina » (p. 27). L'incontro con Cartesio è riconoscibile negli stessi termini in Vairasse (v. nota 29); sull'utilizzazione generalizzata dell'esprit de géométrie da parte di Fontenelle v. la sua Préface a Sur l'utilité des mathématiques et de la physique: > . Le virtù madri, ossia le virtù dalle quali dipendono tutte le altre, sono la temperanza, l'amore del travaglio, l'amore per la gloria, ed il timore santo di Dio 35•

Il perfezionamento delle scienze e delle arti deve essere perciò pro­ mosso in tutta la nazione e in tutti i livelli sociali, a partire dal gradino più elementare delle scuole normali e dal perfezionamento della mecca­ nica, « l'organo di tutte le arti ». Anche per Isidoro Bianchi l'illumini­ smo consiste in tutto questo ma non si esaurisce qui, perché tutta la cultura di cui la ragione è capace non produce nulla se non mira al mi­ glioramento del cuore, alla formazione dell'uomo virtuoso . La vera edu­ cazione non deve disperdersi nell'esteriorità ma deve svolgersi « in in­ teriore homine » , perché . Riguardo al Saggio invece posso dirvi : « Mostratemi qual è il difetto che man­ ca )) . Ditemi un difetto tra queili che secondo voi più contribuiscono a to­ gliere valore a un 'opera e io vi prometto di citarvene subito un esempio, senza cercarlo. Già l'introduzione è urtante oltre ogni dire: « Spero che il lettore che acquisterà il mio libro non rimpiangerà il suo denaro » . Che odore di bottega! Andate avanti e scoprite che il suo libro « è frutto di alcune ore grevi nel!e quali non sapeva che fare », e che . ·

405 Immaginate, se ci riuscite, qualcosa di più grossolano. Talvolta vi parlerà della memoria come di una scatola nella quale si ripongono idee per ogni eve­ nienza, la quale è separata dallo spirito, come se in esso potesse esservi altra cosa oltre che esso stesso 8.

Locke è autore, osserva sarcasticamente De Maistre, d i grandi « sco­ perte ». Ha scoperto « che " per avere confusione nelle idee bisogna che di idee ce ne siano almeno due " . Di modo che, passassero anche mille anni, finché un'idea resta unica •non si potrà mai confondere con un'al­ tra. Ha scoperto che se gli uomini non hanno pensato di trasporre nella specie animale la terminologia di parentela �he vigé tra loro (se, per esempio, non è comune dire: « Questo toro è nonno di questo vitellino, questi piccioni sono primi cugini », ciò significa che tale terminologia è inutile riguardo agli animali, mentre fra gli uomini è necessaria per mettere ordine nelle successioni nei tri­ bunali, o per altre ragioni 9.

Ha scoperto che « se nella lingua moderna di una nazione non si tro­ vano termini per esprimere per esempio ostracismo o _prescrizione, è se­ gno che il popolo di quella lingua non conosce né ostracismo né proscri­ zione, e questa considerazione lo conduce a un teorema generale che il­ lumina della più viva luce tutta la metafisica del linguaggio : gli uomini parlano soltanto di rado a se stessi e mai agli altri delle cose che non hanno ricevuto un nome . Ne deriva (notate bene questo, vi prego, per­ ché è un principio) che in una conversazione non verrà mai nominato ciò che non ha nome » . Ha scoperto che « le relazioni possono cambiare senza che cambi il soggetto » . Voi per esempio siete padre: vostro figlio muore ? Locke ha scoperto che cessate di essere padre immediatamente, anche se vostro figlio fosse morto in Ame­ rica ! Tuttavia in voi non si è verificato alcun mutamento e da qualunque lato vi si miri, vi si scoprirà sempre identico Non vi lascerei partire - rileva ancora De Maistre - prima di avervi illustrato la sua teoria delle idee nega­ tive. Locke vf insegnerebbe anzitutto che «vi sono espressioni negative che non producono direttamente idee positive », cosa che voi .credereste volen­ tieri. Imparereste poi che un'idea negativa altro non è che un'idea positiva con in più l'idea dell'assenza di quel dato oggetto. Cosa evidente, ed egli ve la dimostra subito con l'idea del silenzio. Che cos'è infatti il silenzio ? E il rumore più l'assenza del rumore 10• ...

8. lvi , p. 30.5 . 9. l v i , p p . 306-307. 10. lvi, pp. 307-308.

406 Non diverso, a giudizio di De Maistre, è la trattazione lockiana di argomenti scien tifici : Egli credeva che i suoi simili prima di lui non si fossero accorti che nel calcolare la velocità si deve prendere in considerazione lo spazio; egli si la­ menta seriamente che « gli uomin i , dopo aver misurato il tempo in base al movimento dei corpi celesti, abbiano ancora continuato a misurare il movimen­ to per mezzo del tempo, mentre è chiaro, per poco che vi si rifletta, che si deve tener conto dello spazio come del tempo ». Veramente una bella scoperta! Infi­ nite grazie a « Master John » che si è degnato di farcene partecipi. Ma non ab­ biamo ancora toccato il fondo. Locke ha anche scoperto che « un uomo più acuto (lui per esempio) non dubiterà mai che una precisa valutazione del movimento esige che si tenga conto anche della massa del corpo che è in movimento » . Sicché, secondo Locke, per valutare la quantità del movimento, ogni uomo acuto « si accorge che la massa sarà presa in considerazione ». O vuoi dire, al contrario (cosa infinitamente probabile) che, (( per la valutazione della velocità un uomo che ha genio capisce che occorre tenere presente lo spazio percorso, e che se ha ancor più genio si accorgerà che si deve prestare attenzione anche alla massa? 11

L'elenco delle « perle » locldane del resto potrebbe continuare a lungo . « Vi prego di tener presente, sottolinea infatti De Maistre, che per ogni esempio che la mia memoria è in grado di riportarvi potrei sempre aggiungerne altri cento, se scrivessi una dissertazione » . A volte l a tecnica della citazione che si commenta d a sola viene . spinta fino a far palesare una intrinseca assurdità. È il caso del problema della libertà. Qui una posizione diversa da quella di Locke serve solo

1 1 . lvi, pp. 312-3 13. Sulla congenita mediocrità di Locke si vedano anche i se­ guenti altri passi: « Siete padronissimi di aprire a caso il libro di Locke: io mi as­ sumo senza esitare l'impegno di mostrarvi che non gli è capitato di affrontare una sola questione importante senza trattarla con la solita mediocrità; e se un uomo me­ diocre come me può dimostrare la sua mediocrità, giudicate voi che cosa acca­ drebbe se un uomo superiore si desse la pena di 'smembrarlo' >>, iv i, p. 342; > p. 328. 20. Le serate, cit., p. 344. 2 1 . lvi, pp. 344-345. ·

411 b e naturalmente 22 . L a stragrande maggioranza delle persone, si affer­ ma verso la fine del sesto colloquio delle Serate, giudica (né può essere altrimenti) soltanto sulla parola di altri, per cui all'inizio è sempre un numero abbastanza esiguo di persone a determinare un 'opinione. Quando queste muoiono, sopravvive l'opinione. I nuovi libri che appaiono non lasciano più il tempo di leggere gli altri, i quali in breve tempo verranno giudicati soltanto in base a una reputazione vaga, fondata 'su alcune caratteristiche generiche o su analogie superficiali e talvolta anche del tutto false ... La Harpe ha detto esplicitamente che « oggetto di tutto il Saggio sull'intelletto umano è dimostrare rigorosamente che l'intelletto umano è spirito e per natura essenzialmente distinto dalla materia », e ha aggiunto: « Locke, Clarke , Leibniz, Fénelon, ecc. hanno riconosciuto questa verità >> (del­ la distinzione tra le due sostanze). Si può desiderare una prova più chiara che questo famoso letterato non ha letto Locke? e potreste anche soltanto imma­ ginare che avrebbe commesso l'errore (un po' ridicolo) di unirlo a sì degna compagnia se l'avesse visto esaurire tutte le risorse della dialettica più cavil­ losa per attribuire in qualsiasi modo il pensiero alla materia? » . Lo stesso Voltaire ci ripete, in un 'opera che è un sacrilegio, che >. Non mi accuserete, spero, di una cieca tenerezza verso François Arouet. Posso supporlo superficiale, malintenzionato, e soprattutto cattivo francese quanto volete ; tuttavia non crederò mai che un uomo di tale gusto e tatto si sarebbe permesso un paragone così stravagante se avesse giudicato da solo ... Tale parallelo permette soltanto di supporre che Voltaire non co­ nobbe personalmente il Saggio sull'intelletto umano. Aggiungete poi che i let­ terati francesi dell'ultimo secolo leggevano pochissimo, anzitutto perché condu­ cevano una vita assai dissipata, poi perché scrivevano troppo, infine perché l'orgoglio non permetteva loro neppure di supporre che avessero bisogno dei pensieri altrui. Uomini di tal fatta avevano altre cose da fare che leggere Lo­ cke; ho buone ragioni per sospettare che in genere egli non è stato letto da chi si vanta di averlo fatto, da quelli che lo citano e che perfino han l'aria di spie­ garlo. È un grosso errore supporre che, per citare un libro facendo credere con sufficiente verosimiglianza di conoscerlo, sia necessario averlo letto tutto e con attenzione ; basta leggere il brano o la riga di cui si ha bisogno. Si leggono alcune righe dell'indice; in base all'indice si sciorina il brano d i cui si ha bisogno per appoggiare le proprie idee. In fondo non si cerca altro; che cosa importa il resto ? C'è poi anche l'arte di far parlare quelli che hanno letto; ed ecco come può realmente accadere che il libro di cui si parla sia in effetti il meno conosciuto attraverso la lettura 23• .

..

22. lvi, pp. 348-350. Cfr. : « Malheu reu sement une réputation a i nsi établie �st difficilement ébranlée. Elle dure d'abord pour une raison à laquelle on réfléchit peu: parce qu on ne lit plus le livre » . Cinq paradoxes, cit., p. 329. De Maistre osserva la medesima cosa per quanto riguarda Bacone, ancora una volta accomunato con Locke. >, Examen, cit., p. 142. 24. « Vi si ravvisa facilmente un uomo onesto, e anche giudizoso, ma ingan­ nato da uno spirito settario che lo domina senza che egli se ne accorga o senza che voglia accorgersene >>, Le serate, cit., p. 339. 25. lvi, p . 338.

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gliezza e di acume che si adopera nell'adattarli al proprio discorso e ren­ derli significativi. Non stupisce quindi che gli obiettivi scelti da De Maistre nella sua polemica siano quelli giusti dal suo punto di vista: Locke e Bacone furono i veri archetipi dell'illuminismo nella coscienza stessa dei philosophes 26• Non stupisce neppure che il nerbo della sua critica a Locke, come pure di quella che rivolge a Bacone sia così ben centrato. Essa, infatti, nei due casi, è parziale, riduttiva, deformante, ma la superficialità di Locke e l'eterogeneità sostanziale del metodo di Ba­ cone con quello della scienza moderna che De Maistre sottolinea cosl energicamente, costituiscono punti di effettiva debolezza nella concezio­ ne dei due corifei dell'illuminismo.

26. A Bacone, è noto, De Maistre rivolge anche l'accusa specifica di essere l'antesignano della concezione, accolta dagli illuministi, che dà alla scienza un posto centrale nella cultura. Su questo punto le idee di De Maistre erano molto chiare. Si veda quanto afferma nelle Serate: « In altri tempi gli scienziati erano pochissimi, e fra costoro pochissimi erano empi: oggi non vi sono che scienziati: sono una corporazione, una folla, un popolo, e fra loro l'eccezione, già triste un tempo, è di­ ventata regola. Hanno usurpato un'influenza senza limiti in qualsiasi campo; eppme, se oggi vi è una cosa certa in questo mondo, è che non spetta alla scienza guidare gli uomini », pp. 473-474. Cfr. anche : 6• Pioniere dell'etologia sperimentale, Darwin pone a confronto i com­ portamenti degli animali non con un'etica umana genericamente intesa, ma con la problematica che era al centro delle controversie tra i mora­ listi inglesi contemporanei . Nel 1 83 8 non aveva ancora letto i caposcuo­ la dell'etica del sentimento e della simpatia, Adam Smith, Thomas Brown, e neppure Hume né Hartley; si proponeva di leggerli, secondo i suggerimenti che gli venivano da una lettura che l'aveva vivamente colpito: la Dissertation on the Progress of Ethical Philosophy ( 1 830) di J ames Mackintosh 7• Questa opera di sintesi e di sistemazione storico­ critica delineava con una forte accentuazione polemica lo sviluppo delle due scuole contrapposte: da un lato i moralisti della selfìshness, disce­ poli di Hobbes ; che avevano ebborato il sistema utilitaristico, giunto al­ le sue formulazioni più estreme con Paley e con Bentham ; d'altro lato, la dinastia dei teorici del mora! sense iniziata da Cudworth, Clarke, Shaf­ tesbury, Hutcheson, degnamente continuata da Smith, Brown, Dugald Stewart, Price . Mackintosh si sentiva l'erede e il vindice di questa di-

5. Si vedano soprattutto, in Darwin an Man, cit., pp. 279 ss., i commenti su Mackintosh e Harriet Martineau del 7 agosto 1838 (tr. i t. ci t., p. 26), pp. 291 e 295 (tr. it., pp. 43 e 48) e passim. Le Old and useless notes, edite in Darwin on Man, pp. 382-405, sono state inspiegabilmente escluse dalla pregevole raccolta italiana di G. A. Ferrari. 6. M Notebook, p. 281 (tr. it., p. 29) . 7. M Notebook, pp. 295-96 (tr. i t., pp. 48-50); le ottime note e i commenti di Gruber e Barrett offrono rinvii esaurienti alle letture di Darwin.

417 nastria . Non disconosceva certamente la relatività delle regole morali presso i vari popoli e attraverso i tempi ; ma ribadiva con Grozio e con Shaftesbury il carattere oggettivo di un « criterio della moralità in azio­ ne », che andava distinto dalle varie teorie riguardanti il modo in cui gli uomini hanno « sentito » i valori morali e la scelta tra il giusto e lo ingiusto 8• Il difetto più grave dei discepoli utilitaristi di Hobbes era, secondo Mackintosh , non aver distinto la fenomenologia dei sentimenti morali dal criterio supremo della moralità, insito nella coscienza e nella « su­ premazia » del senso del dovere. Il calcolo dei piaceri e dei do l o r i la massima della greatest happiness of the greatest number erano, agl i oc­ chi di Mackintosh, astrazioni intellettualistiche incapaci di generare azioni. La scuola utilitarista aveva scambiato il criterio dell'utilità - che l'analisi razionale può sempre ritrovare a posteriori nelle azioni « buo­ ne », conformi anzitutto al dettato della coscienza - per il criterio su­ premo dell'ethos. Di un risultato aveva fatto un principio. Mackintosh rivendicava vigorosamente la spontaneità della coscienza; appellandosi a Butler e a Kant, difendeva i comportamenti morali non condizionati . dalla ricerca dell'utilità, la virtù e gli affetti sociali. coltivati « for their own sake »9• Nel suo attacco contro gli utilitaristi trovavano posto anche gli istinti elementari animali e umani: .

Anche gli animali inferiori, sotto l'impulso potente dell'affetto paterno e materno, antepongono la loro prole alla propria sopravvivenza ; segni di com­ passione e gratitudine e indignazione appaiono nell'infante umano assai prima dell'età della disciplina morale; l'uomo, nella sua maturità, è un animale sociale che trae diletto dalla compagnia dei suoi simili senza secondi fini, anche indipendentemente dai vantaggi pratici che ne deriva 10•

Inoltre Mackintosh considerava la ricerca sull'origine e sull'artico­ lazione del mora! sense come un programma aperto, non come un siste­ ma . I numerosi e complicati processi associativi, intermedi tra la suprema­ zia della coscienza e le emozioni elementari che sollecitano all 'azione (se-

8. ]. Mackintosh, Dissertation on the Progress of Ethical Philosophy chiefly uuring the 17th and te 18th Centuries, originally prefi.xed to the 7th edition on the Encyclopaedia Britannica, in The Miscellaneous Works, voli., 3, Longman-Brown­ Green, London, 1846; I, pp. 14 ss. 9. I vi, p. 54, cfr . : pp. 239 ss. sulla « supremazia della coscienza » e sull'etica kantiana. Mackintosh deve aver suggerito a Darwin la lettura della Metafisica dei costumi, tradotta in inglese da Sample (cf. supra, nota 5). lQ.. Dìssertation, cit., p. 54.

418 condo i punti d i vista d i Hartley) debbono esere sottoposti alle regole del metodo sperimentale 11 • A distanza di anni da un incontro personale descritto con humour nell 'Autobiografia, Darwin, annodò un fitto dialogo con Mackintosh 12• Certo non è facile distinguere, nel gruppo di appunti intitolati Mackin­ tosh Ethical Philosophy. On the mora! sense (e datati 5 maggio 1839 ) , ciò che appartiene a Mackintosh dalle riflessioni autonome che Darwin svolge postillando la Dissertation . Tuttavia su alcuni punti l 'identità di vedute sembra completa. Darwin fa proprie le obiezioni contro l'utilita­ rismo, rivendicando a sua volta la spontaneità degli istinti dal proprio punto di vista di zoologo-moralista : Considerando l'uomo come una naturalista farebbe con ogni altro ani­ male mammifero, si può concludere che ha istinti paterni e materni, coniu­ gali e sociali, e forse altri [qui una nota rinvia a Mackintosh: « Grozio ha ragionato all'incirca così » ] . La storia di ciascuna razza d'uomo lo dimostra, se lo giudichiamo dai suoi abiti come ogni altro animale. Questi istinti con­ sistono in un sentimento di amore e simpatia o benevolenza verso l 'oggetto in questione [l'uomo] . Pur senza considerare la loro origine, vediamo che negli altri animali [tali istinti] consistono in una cosl attiva simpatia che l'individuo dimentica se stesso, e aiuta e difende e agisce per gli altri a sue proprie spese. Inoltre . ogni azione in accordo con un istinto dà gmnde pia­ cere, e se queste azioni sono necessariamente ostacolate da qualche forza ne viene un dolore . . . 13.

Darwin si interroga circa la dinamica delle emozioni e degli istinti, l'auto-approvazione e l 'approvazione dei nostri simili, l'influenza della educazione sulla formazione del senso del dovere, l'ereditarietà degli istinti, i meccanismi della « associazione ». Le sue notazioni, frammen­ tarie e sconnesse, testimoniano complessivamente un'evidente adesione ai princìpi della « scuola » del mora! sense e della sympathy - secondo la presentazione di Mackintosh - con un caratteristico spostamento di accento. Anziché adottare il punto di vista individualistico, tradizionale nelle analisi del moral sense, Darwin trascrive questi principi in termini 1 1 . lvi, pp. 239 e 251, significativi i cenni alle « Regulae philosophandi » di Newton. 12. Si veda, Autobiografia, in Viaggio ... , cit., p. 25 ; un dialogo postumo, perché Mackintosh, peraltro imparentato con Emma Wedgwood poi moglie di Darwin, era defunto nel 1832. Gli appunti su Mackintosh sono editi in Darwin on Man, cit., pp . 398-405, con eccellente apparato critico. 13. Ivi, p. 398. Un commento interessante, anche se assai sofisticato, è nello studio di E. Manier, The Young Darwin and bis Cultura! Circle, Reidel, DodrechtBoston, 1978, pp. 138 ss. ·

419 d i specie. Mackintosh aveva subordinato il criterio dell'utilità a i moven­ ti altruistici spontanei, ma sempre in riferimento a una coscienza indi­ viduale; Darwin traspone questa considerazione alla coscienza colletti­ va della specie, all'ereditarietà: Sulla . legge di utilità. Soltanto ciò che ha tendenze benefiche durante il corso di molte epoche poteva essere acquisito, e l a nostra ragione ci dice con certezza che tutto ciò ... che è stato acquisito possiede una tendenza benefica 14•

Il contesto allude agli istinti associativi delle api e dei castori, bene­ fici per lo sviluppo delle specie. In altri termini, il mora! sense si iscri­ ve in una sorta di subconscio collettivo che eredita e tramanda ciò che è « utile » alla sopravvivenza e al benessere di un gruppo, di una tribù, di una società. Il calcolo della « massima felicità divisa nel maggior nu­ mero » appare un'astrazione intellettualistica, operata su una dinamica degli istinti assai più complessa e profonda. Darwin si propone di con­ ciliare il dissidio tra teorici del mora! sense e utilitaristi su questo terre­ no, che non è più quello di Mackintosh: Due classi di moralisti : l'una dice che la regola della nostra vita è quella che produrrà la maggio r felicità. L'altra dice che noi abbiamo un senso mo­ rale. Ma la mia teoria unisce [nota: la società non potrebbe reggersi senza il senso morale, come non lo potrebbe un alveare senza gli istinti delle api] l'una e l'altra, e dimostra che sono pressoché identiche, e che ciò che ha pro­ dotto il maggior bene, o piuttosto ciò che era indispensabile per il bene, è il senso morale istintivo: e soltanto questo spiega perché il nostro senso mo­ rale punta alla vendetta. Valutando la regola della felicità noi dobbiamo mi­ rare molto innanzi e all'azione generale - certo perché è il risultato di ciò che è stato generalmente il meglio per noi in un lontano passato . 15• ..

Tenendo conto di questa composizione in termini bio-evolutivi del­ l'antagonismo di scuole delineato da Mackintosh, si deve riconoscere che la lettura della Dissertation esercitò sul giovane Darwin un'influenza decisiva, introducendo nella sua riflessione un elemento « morale » che non sarà sacrificato neppure dopo la formulazione delle altre leggi mec­ canicistiche dell'evoluzione . 14. lvi,. p. 402, nota; Manier richiama giustamente l'attenzione su questo ap­ punto. È noto che Darwin da studente aveva dovuto imparare quasi a memoria gli scritti di William Paley, che erano obbligatori a Cambridge. 15. lvi, p. 390, appunto datato 2 ottobre 1838; trovo questo passo citato, con un appropriato commento, nell'acuto libretto di G. Pancaldi, Charles Darwin: « storia » ed tra la capacità mentale dell'uomo e quella di tutti gli altri animali, gli appare altrettanto grande il divario tra un selvaggio e Newton nella specie umana, tra la lampreda e la scim­ mia nella scala zoologica 19• Donde il sobrio criterio metodico che con­ siste nel limitarsi a osservare talune analogie, su un piano puramente empirico, tra le emozioni elementari degli animali e le nostre : i tratti ca­ ratteriali degli animali domestici, il coraggio e la timidezza dei cani, la curiosità e l'attitudine imitativa delle scimmie, la loro capacità di atten­ zione , l'immaginazione che si rivela nell'attività onirica, la capacità di riflettere e deliberare di taluni animali: L'uomo e gli animali superiori, specialmente i primati, hanno in comune alcuni istinti. Tutti hanno gli stessi sensi, le stesse intuizioni e sensazioni; passioni, affetti ed emozioni simili, anche le più complesse; sentono la mera­ viglia e la curiosità ; posseggono le stesse facoltà di imitazione, attenzione, memoria, immaginazione e raziocinio, sebbene in gradi molto differenti... 20•

Talune osservazioni sul linguaggio, il senso dell'individualità, il sen­ so estetico, e perfino i timori « religiosi >> dell'uomo e degli animali con­ ducono Darwin alla medesima conclusione, alla quale non si sottraggo­ no neppure « le più alte facoltà psichiche dell'uomo >> : il senso del do­ vere, la coscienza del bene e del male, le regole della convivenza sociale. Darwin attinge i princìpi dell'etica della sympaty direttamente da un' in­ cunabolo della scuola, la Theory of Moral Sentiments di Adam Smith 2 1 , e articola la sua dimostrazione secondo una duplice prospettiva : per un verso « umanizza » i comportamenti degli animali, per un altro verso analizza i sentimenti sociali dell'uomo alla luce del suo passato animale. La tesi generale è cosl formulata: A me sembra molto probabile che ogni animale fornito di istinti sociali bene sviluppati, inclusi gli affetti paterni, materni e filiali, debba inevitabil­ mente acquistare un senso morale o coscienza, non appena le sue facoltà in tel­ lettuali si siano sviluppate tanto, o almeno approssimativamente quanto nel­ l 'uomo 22•

È importante notare che proprio con questa affermazione Darwin dà battaglia alla scuola utilitarista, ora rappresentata da John Stuart Mill e da Alexander Bain. 19. L'origine dell'uomo, tr. it. cit. , pp. 63-64. 20. lvi, p. 76. 21. lvi, p. 104 e nota. 22. I vi, p. 96; correggo la traduzione sul testo originale.

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Com'è noto, la difesa dell'etica della « maggior felicità per il mag­ gior numero >> , svolta da Mill nel suo Utilitarianism ( 1 861 e 1 863 ) , è piena di sfumature e di temperamenti delle tesi originarie di Bentham e di James Mill. Ad esempio , illustrando contro gli avversari intuizioni­ sti il principio del calcolo del piacere e del dolore, Mill ammette che si tratta di una « regola » acquisita e trasmessa di generazione in generazio­ ne; considera il senso del dovere un « sentimento di straordinaria com­ plessità » connesso ad una « idea pura » ; ma riguardo al carattere in­ nato o acquisito di questo sentimento sembra sospendere il giudizio. In realtà, mentre tenta anche lui di conciliare le due opposte scuole pro domo sua, Mill usa un linguaggio ambiguo : parla di « un vigoroso sen­ timento naturale », l'istinto sociale, che è alla base della morale utilita­ rista 23• Poco prima ha invece affermato çhe « i sentimenti morali non sono innati, ma acquisiti >> , e che « la facoltà morale ... sebbene non fac­ cia parte della nostra natura, ne rappresenta un naturale sviluppo ... è in grado di sorgere, e'htro certi limiti, spontaneamente », e così via 24• Citando queste frasi incoerenti, Darwin tiene a sottolineare il pro­ prio dissenso: Esito a dissentire totalmente da un cosi profondo. pensatore, ma è assai difficile mettere in dubbio che i sentimenti sociali siano istintivi o innati negli animali inferiori; e perché non dovrebbe essere cosl anche nell'uomo? Bain e altri ritengono che il senso morale sia acquisito da ciascun individuo durante la sua vita. In base alla teoria generale dell'evoluzione questo è estremamente improbabile. L'ignorare tutte le qualità mentali trasmesse sarà giudicato, a mio avviso, come un gravissimo difetto (a most serious blemish) degli scritti di Mill 25 .

Una così netta presa di posrzwne contro il più autorevole teorico del neo-utilitarismo pecca forse per eccesso . Darwin vuoi chiarire che la sua reinterpretazione dei sentimenti morali « innati » dal punto di vista della storia naturale s1 ricongiunge direttamente all'etica della sympathy, « pietra angolare » dell'istinto sociale. Soltanto su questa base acquista­ no un senso gli altri ingredienti dell'obbligazione etica, come l'approva­ zione della comunità, le abitudini consolidate in istinti, la considerazio-

23. Rinvio ]. S. Mill, Utilitarismo, Cappelli, Bologna, 1981, tr. it. a cura di E. Musacchio, cui si deve anche un accurato commento; pp. 82-84. Cfr.: anche nella posizione di Mill, F. Restaino, f. S. Mill e la cultura filosofica britannica, La Nuova Italia, Firenze, 1968. 24. Ibid.; cf_ Darwin, The Descent of Man, cit., p. 304, nota 5. 25. Darwin, ibid., il passo è soppresso dal traduttore italiano.

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ne per la felicità - o, come Darwin preferisce dire - « per il bene e il benessere (good or welfare) » della comunità 26 • Adam Smith aveva limitato al genere umano la « importantissima emozione della simpatia » ; Darwin estende l'analisi al comportamento delle specie animali, citando esempi toccanti di altruismo, solidarietà, generosità nei cani, nei cavalli, nei lupi, qei babbuini . Anche se non bi­ sogna sottovalutare il gioco complesso dei moventi egoistici e delle as­ sociazioni di idee e di emozioni, « la simpatia è un istinto in senso stret­ to »21, ossia un attributo ereditario che non nasce dal calcolo razionale del singolo individuo, ma affonda le sue radici in un remoto archivio biologico, dove ha interagito con la natura! selection nell'aggregare gli individui in gruppi, nel determinare le scelte sessuali, nell'orientare l'al­ levamento della prole e la sopravvivenza delle specie. Dopo aver preso le sue distanze da Mill e da Baio, l'autore della Descent of Man ha cura di precisare che il suo argomento polemico non intende negare il principio dell'utilità, che va interpretato come una re­ gola (standard) , ma non come una motivazione (motive) della nostra condotta 28• Su questo punto Darwin riprende una sua notazione del 1839; ed è pronto a cogliere « from the side of natura! history » le con­ cessioni alla propria tesi che trova negli scritti di Mill , Sidgwick e Bain, laddove essi ammettono che talune azioni possano essere compiute per habitus ereditario anziché per l'anticipazione del piacere e del dolore. Queste concessioni smentiscono la tesi di un calcolo egoistico e utilita­ rio, e confermano la presenza in noi di « una forza impulsiva assai diver­ sa dalla ricerca del piacere o della felicità, che sembra essere l'istinto sociale profondamente radicato ( the deeply planted social instict) »29• Quando alla disputa tradizionale e un po' scolastica tra le due scuole, non è priva di originalità l'osservazione che c'è anche, in essa, un signi­ ficato « biologico ». Seguendo le indicazioni di Lecky, Darwin constata che i sostenitori dell'utilitarismo, da Bentham al presente, sono una mi­ noranza sconfitta. Se la loro teoria è stata pressoché eliminata, ciò non si deve semplicemente alla reazione moralista del partito dei benpensan­ ti, ma alla pressione più forte della coscienza collettiva : Un oscuro sentimento (a dim feeling) che i nostri impulsi non sorgono affatto nella maggior parte dei casi da qualche piacere contemporaneo o anti-

26. 27. 28. 29.

I vi, p. 316. lvi, p. 308, nota; pessima la traduzione Lessona . lvi, p. 316, nota; soppresso da Lessona. lbid.

425 cipato, è stato la causa principale dell'accettazione della teoria intuitiva de!la morale e del rifiuto deHa teoria utilitaria o del!a « massima felicità » 30• ...

Si può concludere che Darwin aveva inserito fin dal 1 838 i princìpi della morale della sympathy nella propria concezione del processo evo­ lutivo, come un elemento integrante del processo stesso. La sua presa di posizione del 1 8 7 1 nei confronti degli utilitaristi giova anche a com­ prendere quanto fosse lontano dai suoi seguaci - i « darwinisti socia­ li >> - che fraintesero grossolanamente la legge biologica della struggle far life, applicandola ai fenomeni della vita sociale : la lotta di classe, l'eliminazione dei gruppi e dei popoli deboli, il razzismo. Una robusta eredità settecentesca salvò Darwin dagli equivoci del darwinismo.

30. lvi, nota 42; anche questa nota è soppressa nella traduzione Lessona. La manipolazione operata da Lessona presenta un Darwin, oltre che poco in· telligibile, assai più grezzo e 'materialista' del vero . È da sospettare che questa fosse l'immagine di Darwin circolante tra i positivisti nostrani. Ma su tutto il pro· blema si veda ora: G. Pancaldi, Darwin in Italia, Bologna 1983 . Questo eccellente studio è apparso quando il presente articolo era in bozze.

Sezione quinta HEGEL E L'HEGELI�MO

LA

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RIFLESSIONE

»

NEGLI SCRITTI JENENSI DI HEGEL

( 1801- 1805)

di G. Dozzi

l . Nella Differenza del sistema filosofico fichtiano e schellingiano

(1801) uno dei temi più costanti è l'opposizione tra riflessione e spe­

culazione. Il principio della speculazione è l'identità di soggetto e og­ getto, di pensiero e essere; il principio della riflessione è la separazione, determinazione, limitazione, opposizione. La speculazione è l'attività propria della ragione, facoltà conoscitiva dell'assoluto; la riflessione è l 'attività propria dell'intelletto, facoltà finita del finito, fenomeno. Lo ambito proprio della ragione è l'essere-reale; l'ambito proprio dell'in­ telletto è il pensiero 1. Ma, per quanto sorprendente, occorre rilevare subito un dato di fatto che si impone all'analisi e alla documentazione filologica; questa opposizione è costantemente presupposta ma quasi mai tematizzata e giustificata per sé stessa. Sono evidenti gli estremi di questa opposizione: da una parte la definizione-posizione dell'assoluto

l. Le opposizioni principali della riflessione sono di spirito e materia, anima e corpo, fede e intelletto, libertà e necessità, ragione e sensibilità, intelligenza e natura, soggettività e oggettività, ecc. Cfr. Hegel, Jenaer Kritische Schriften (a cura di H. Buchner e O. Poggeler), Hamburg, 1968, in Gesammelte Werke, vol. 4, pp. 13 (D'ora in avanti cito questa edizione critica delle opere di Hegel con la sigla GW, seguita dal numero del volume in questione). Il passo più significativo delle oppo­ sizioni di cui sopra mi sembra quello delle pp. 63-64 . Noto una volta per tutte che la traduzione dei testi hegeliani di questa ricerca è mia. - Sul tema della ri­ flessione negli scritti jenensi di Hegel rimando a questa essenzialissima bibliogra­ fia: N. Merker, Le origini della logica hegeliana (Hegel a fena), Milano, 1961, cap. IV, pp. 98-140. O . Poggeler, « Die Komposition der Phanomenologie cles Geistes », Hegel-Studien, Beihe/t 3, 1966, pp. 69-7 1 ; K. Diising, « Spekulation und Reflexion . Zur Zusammenarbeit Schellings und Hegels in Jena », Hegel-Studien, V, 1969; H. Kimmerle, « Das Problem der Abgeschlossenheit des Denkens. Hegels « System der Philosophie » , in den Jahren 1800-1804 », Hegel-Studien, Beiheft 8, 1970

4.30 come « l'identità dell'identità e della non-identità; opporre ed essere -uno sono nello stesso tempo in esso [assoluto ] » 2• Dall'altra la defini­ zione della mera riflessione intellettuale, facoltà conoscitiva del fenome­ no kantiano. Ma nessuno di questi estremi può essere analizzato in sé stesso, poiché la definizione dell'« attività separante » della riflessione rimanda all'unità originaria dell'assoluto, e l'assoluto rimanda, sia in sé stesso sia nel suo essere posto, all'attività della speculazione-riflessione . Infatti Hegel sviluppa non l'opposizione ma il processo della sinte­ si, attraverso varie fasi o mediazioni. La prima sintesi è opera della ri­ flessione stessa, che pone l'identità attraverso l'astrazione da uno degli opposti e quindi la sua assolutizzazione, a spese dell'altro. Si tratta di un'identità disuguale per astrazione subordinante che non è l'identità assoluta (di essere e pensiero) ma l'identità astratta-formale del pen­ siero. Essa è in grado di ridare la serie infinita dei condizionati-pensati ma non la totalità (reale) dell'incondizionato 3. A questa cattiva infinità della ri flessione si sovrappone la sintesi operata dalla ragione, che pone l'identità di riflessione (finito) e infi­ nito. La ragione deve innanzitutto affermare la realtà della propria funzione conoscitiva totalizzante (Kant è stato in grado di affèrmare que­ sta ma non quella) . Il che avviene distruggendo l'opposizione tra il mon­ do oggettivo (della riflessione-intelletto) e il regno della libertà (dell'at­ tività infinita, etico-morale) . La condizione logico-speculativa di que­ sta sintesi razionale è la relativizzazione del principio di non contraddi­ zione all'assoluto. Cioè: gli opposti coesistono nell'assoluto. Perciò il sapere deve essere reinterpretato come identità di concetto e essere, di soggetto (conoscente) e oggetto (conosCiuto) 4. In riferimento alla sinte­ si della riflessione: questa identità è pura astratta unilaterale, perché astrae dal suo opposto (il non-pensiero) , mentre l'identità razionale è assoluta (unità reale di essere e niente-riflessione) 5. E reciprocamente: l'opposizione ideale è opera della riflessione e gli estremi opposti sono puri prodotti della riflessione-astrazione e in quanto tali non sintetizza­ bili; l'opposizione reale è opera della ragione e gli estremi opposti, in quanto reali, partecipano all'identità dell'assoluto e dunque sono insieme identici (in quanto reali) e opposti 6 . 2. GW 4, p. 64. Questa è la definizione specificamente hegeliana dell'assoluto, in opposizione anche a quella schellingiana dell'identità semplice. 3. Cfr. GW 4, pp. 18-19. Cfr. anche pp. 13, 65. 4. lvi, pp. 17-19. 5. lvi, p. 25 . 6. lvi, pp. 65-66.

43 1

La terza sintesi è opera della riflessione trascendentale, filosofica la speculazione. Suo compito è innanzitutto quello di mediare la contrad­ dizione immanente all'atto di porre l'assoluto: esso da una parte deve essere costruito dalla riflessione per la coscienza; ma dall'altra parte, in quanto posto dalla riflessione, è limitato-oggettivato; quindi non è posto come assoluto . La mediazione speculativa hegeliana è in questo luogo una combinazione tra la funzione totalizzante della ragione kan­ tiana e il processo antologico all'infinito spinoziano. La ragione « sedu­ ce » la riflessione a costruire la serie infinita dei suoi limiti-condiziona­ ti ; ma in questa sc;rie infinita l'intelletto-riflessione perisce e si trasfor­ ma nella ragione, sia perché la serie è infinita, sia perché essa giace en­ tro i due estremi del'indeterminato-niente. Così la ragione pone l'asso­ luto come la « totalità oggettiva » (oggettiva in quanto è posta per la coscienza) ; quindi oppone a questa oggettività se stessa come soggetti­ vità; quindi solleva (aufhebt) sia la totalità oggettiva sia la propria to­ talità soggettiva nella loro identità assoluta. Con ciò il sapere (specula­ tivo) ha costruito l'assoluto come sintesi di riflessione e di ragione 7• In secondo luogo la riflessione-speculazione filosofica media la con­ traddizione della posizione dell'assoluto nella forrna della proposizione prima, principio primo (unico) del sistema del sapere. Così Hegel ripe· te, riassume, reinterpreta Fichte. La riflessione non può porre la propo­ sizione prima del sistema ma deve porre in una proposizione l'identità (A A) e in una seconda proposizione la divisione-differenza (A ,= A, oppure A B ) . La mediazione speculativa consiste nel mostrare l'anti­ nomicità delle due proposizioni (poiché per l'intelletto la seconda pro­ posizione non è antinomica ma riconducibile all'identità astratta della prima) e inoltre nel mo�trare che il rapporto tra le due proposizioni non è analitico ma sintetico-trascendentale 8 • Infine l'ultima sintesi esibita dalla riflessione-speculazione è la sin­ tesi fungente di riflessione e intuizione. La pura riflessione è distrutta dalla contraddizione; la pura intuizione è « empirica, data, inconscia ». La mediazione consiste ancora una volta nella loro trascendentalità co­ mune, cioè nel mostrare la loro identità di concetto e essere 9• Questa sorprendente ontologizzazione del trascendentale non è il risultato di una riformulazione critica del trascendentale a partire dal suo livello originario (critico-gnoseologico) ma al contrario è il risultato di una in=

=

7. lvi, pp. 1 6-19. 8. lvi, pp. 23-27. 9. lvi, p. 27: « Il sapere trascendentale unifica entrambe, .riflessione e intui­ zione; esso è nello stesso tempo concetto e essere ». Cfr. anche pp. 28, 76-77.

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duzione del trascendentale del trascendentale. Il filosofo assume a pro­ prio oggetto l 'intuizione riflessione coscienza comuni; ipso facto, in quanto filosofo, li trasforma in intuizione riflessione coscienza trascen­ dentali 10• Questa « pura autocoscienza » trascendentale dovrebbe sor­ gere al filosofo mediante l'astrazione nel suo pensiero « da tutto ciò che è estraneo, da ciò che non è io »; ciononostante continuerebbe a sussi­ stere, anche dopo questa epochè, « solo la relazione del soggetto e del­ l'oggetto »11• La logica di questa astrazione trascendentale è regolata dal fine deduttivistico: dall'assoluto in quanto « intuizione trascendentale soggettiva >) procede l'io; in quanto « intuizione trascendentale oggetti­ va » la natura; « entrambi fenomeni supremi della ragione assoluta che intuisce se stessa »12• La modalità di questa antologia trascendentale è espressa dal seguente principio : il « vero rapporto della speculazione » è il « rapporto di sostanzialità » (sostanza-accidenti) , non il « rapporto di causalità » (causa-effetto), perché questo rapporto rimanda a una « falsa identità » . E il rapporto di « azione reciproca » è il rapporto di causalità « nella sua forma più completa » 13 • Su questa base diventa possibile il significato analogico-metafisico della riflessione, significato qui presente in un solo passo (del resto de­ cisivo) ma destinato ad avere un enorme successivo sviluppo. La rifles- · sione, da originaria categoria gnoseologica, attraverso lo scivolamento dell 'interpretazione antologico-trascendentale, assume. una valenza ana­ logico- metafisica ; diventa cioè una proprietà dell'ente in quanto tale 14 • 2: Negli articoli pubblicati in Kritisches ]ournal der Philosophie ( 1802) 1 5 la riflessione assume il significato più specifico e ricorrente di secunda intentio dell'intelletto . Mentre questo è la facoltà semplice del­ la limitazione determinazione finitezza, la riflessione fissa e assolutizza 10. « Questa intuizione trascendentale è nello stesso tempo oggetto della ri­ flessione filosofica, l'assoluto, l'identità originaria; il filosofo si è elevato alla libertà e al punto di vista dell'assoluto » (p. 35). I L lb. 1 2 . GW 4, p. 77 . 1 3 . lvi, pp. 32-33. 14. Qui la prima applicazione (analogica) di un concetto gnoseologico ontologi· cizzato avviene nella definizione dell'ambito della natura in generale: « il suo [della natura] sviluppo senza-coscienza è una riflessione della forza vivente che si divide senza-fine ma che in ogni figura limitata pone sé stessa, ed è identica » (GW 4, p. 73) . 15. L'articolo più lungo e importante è: Glauben und Wissen, oder die Refle­ xionisphilosophie der Subjectivitiit (GW 4, pp. 315-414). Qui inoltre vengono presi in considerazione Einleitung (pp. 1 17-128). Verhiiltniss des Skeptizismus zur Philosopbie (pp. 1 97-238 ) . Ueber die wissenschaftlicben Behandlungsarten des Natrmechts (pp. 417-464 ) . .

433

i prodotti dell'intelletto, impedendo così che la loro opposizione venga relazionata-risolta dalla ragione, anzi subordinando a sé l'operare della ragione stessa. Ma in quanto la riflessione isola e fissa i concetti dell'in­ telletto, assolutizza gli opposti in quanto tali e costituisce l'opposizione. L'intelletto pone l'opposizione solo materialmente, la riflessione la pone formalmente, la ragione la solleva all'identità. Condizione preliminare perché la riflessione possa operare è che l'astrazione sia completa-supre­ ma, cioè che l'astratto de-limitato dall'intelletto non contenga alcun re­ siduo dell'essere empirico. L'astratto perfettamente astratto è puro con­ cetto, relativamente negativo-opposto del reale. Su questi opposti astrat­ ti opera la riflessione: essi stessi e la loro opposizione diventano reali­ assoluti 16 • Così definita, la riflessione risulta essere un grado superiore dello intelletto, ma ambiguamente funzionalizzabile o alla ragione o all'intel­ letto stesso. Naturalmente Hegel cita la concezione kantiana del giudi­ zio riflettente come « medio » tra intelletto e ragione. Per Kant questa ultima, in quanto reale , può essere solo ragione pratica; per Hegel, do­ po Fichte, è presupposto che sia metafisica-reale, pratica o teorica che sia. E del giudizio riflettente kantiano mostra di apprezzare proprio la funzione oggettivante, caratteristica del giudizio teleologico 17• La ri­ flessione teleologica kantiana da una parte attribuisce all'oggetto cono­ sciuto (organismo-fine) una sinteticità razionale superiore alla determi­ natezza causale della conoscenza intellettuale, ma dal'altra dà a questa sinteticità un grado estenuato di essere, secondario rispetto allo stesso essere-fenomeno dell'intelletto . La riflessione hegeliana è l'inverso della riflessione kantiana : da una parte attribuisce al suo oggetto (l'opposto in quanto tale) un grado di essere superiore alla determinazione dell'in­ telletto, ma dall'altra impedisce la sua sinteticità razionale. Hegel intende sottrarsi a questa contraddizione mettendo a tema la ambiguità costitutiva dei « concetti della riflessione », che hanno in sé l'elemento razionale e l'elemento intellettuale, dove il primo elemento è la correlazione degli opposti, il secondo la loro fissazione-opposizione. E inoltre la capacità manipolatrice della riflessione, che si mostra capa­ ce di trasferire al suo livello sia l'empirico sia il razionale 18 • 16. Il movimento completo della riflessione, fino alla « perfezione dell'astra­ zione », può essere studiato nei seguenti passi significativi: pp. 124, 320, 361, 393 . 1 7 . GW 4, pp. 339-340. 18. lvi, pp. 2 18-219 (dove ricorre l'espressione « infinità della riflessione » ) . P . 3 3 7 (dove s i parla d i « infinità empirica » prodotta dall'applicazione subordinata della ragione a un concetto « fissato » dalla riflessione) . P. 362. Cfr. anche pp. 223, 367.

4.34

D'altra parte, « l'eterno dilemma della riflessione » (l'aporia del rap­ porto di finito e infinito) viene risolto da Hegel rilevando il carattere di realtà-assolutezza d�lla sintesi originaria, non il suo carattere di « uni­ tà pura >>, in cui non ci sia « nessuna differenza ». È il peccato d'origi­ ne della riflessione a porre qualsiasi ente-concetto solo in quanto « oppo· sizione assoluta e finità assoluta »19• In questo senso forte di riflessione Hegel usa sempre il termine « ri­ flesso >>, per indicare la riflessione avvenuta-costituita nella sua fissità­ assolutezza . II passo più pregnante è il seguente. Poiché ogni proposi­ zione contiene due « riflessi » (soggetto, predicato) e poiché ogni « pro­ posizione razionale » si propone la sintesi dei riflessi opposti, è facile vedere come ogni proposizione razionale possa dar luogo a contraddi­ zioni e che quindi per queste proposizioni (che sono poi il nerbo specu­ lativo di ogni sistema filosofico) non valga « il cosiddetto principio di contraddizione »20 • L'espressione « filosofia della riflessione >> , che caratterizza il sotto· titolo di Glauben und Wissen, significa ciò che è comune ai sistemi filo­ sofici di Kant, Jacobi, Fichte: « il sapere è qualcosa di formale e la ra­ gione una pura negatività ... Infinità e finità, entrambe con la loro oppo­ sizione, sono ugualmente assolute »21 • Cioè: per la riflessione gli oppo· sti non sono attributi dell'assoluto ma realtà assolute essi stessi. Il pen­ siero non viene concepito come un attributo dell'assoluto ma come una meta funzione conoscitiva (quindi differente antologicamente dal suo contenuto) del non-assoluto. La « filosofia della riflessione » non fa al­ tro che « e-levare » a « sistema » le opposizioni esistenti sia nella « cul­ tura della riflessione » ( ma non c'è altra cultura se non della riflessione, dato che « la filosofia è per sua natura qualcosa di esoterico, per sé né fatta per la plebe, né capace di essere adattata alla plebe »22 , sia nel buon senso sapere coscienza comuni. Ma ha anche una funzione positiva im­ portante: sviluppa la valenza di infinità-pensiero della rifiessione. Seb­ bene non sia in grado di concepire che questa infinità-pensiero debba « riversarsi immediatamente nel positivo dell'idea assoluta », cioè nel19. lvi, pp. 368-369. 20. lvi, p. 208. Cfr. anche p. 330. « Riflesso )), quindi alla sua >, è anche l 'anelito romantico-religioso di Schleiermacher, rispetto all'anelito semplice di Jacobi (p. 385) . 21. lvi, p. 346. La dizione completa del sottotitolo in questione è: « filosofia della riflessione della soggettività )), cioè della riflessione soggettiva - in opposizione implicita sia alla filosofia della riflessione dell'oggettività (Schelling in testa) , sia alla filosofia della ragione-speculazione della soggettività e dell'oggettività. 22. lvi, p . 1 24. Programmaticamente, nella Einleitung al Journal, la quale introduzione però è opera comune di Schelling-Hegel. La citazione precedente si riferisce a p. 322.

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l'essere-reale, e non invece « fissarsi su questo punto e diventare sogget­ tività », tuttavia « la filosofia dell'infinità » è pur sempre « più vicina alla filosofia dell'assoluto che non quella del finito »23• Alla fine, come passo erratico, la valenza metafisica della riflessio­ ne. Sempre nell'ambito della filosofia della natura, anzi nel rapporto di spirito e natura: « in lui [ spirito] la natura si riflette come libera, la quale riprende sé in sé »24• A questa sublimazione anal�gico-metafisica si può certo contrappor­ re (per concludere questa seconda parte della mia ricerca ritornando al­ l'inizio) la più sobria definizione della riflessione come funzione sempli­ ce dell'intelletto, che è poi la base di questo castello speculativo. È la riflessione-intelletto che produce la fisica, « una scienza che, come la matematica applicata, è il vero emporio della riflessione, dei concetti de­ limitati e del finito »25 • D'altra parte è ari.cora la riflessione-intelletto che giudica la fede religiosa e condanna la sua pretesa di fondare auto­ nomamente « la relazione all'eterno >> ; nel qual caso non può trattarsi, per definizione, che di « certezza immediata » e non « oggettiva median­ te il pensiero e assunta nella forma del concetto ». È vero però che il danno peggiore è causato non da questa fede senza riflessione, che alme­ no ha « l'innocenza di non opporsi alla riflessione )>, ma dalla > o la « natura etica » (pp. 431-433). E poi questa definizione viene colorita spinozianamente: « La sostanza è assoluta e infinita ... Ciascuno dei due attributi esprime la stessa sostanza ». (I b) 24. GW 4, p. 408. 25. GW 4, p. 219. Ma nella tesi espressa immediatamente di seguito, che « la fisicà antica [aristotelico-qualitativa] è più scientifica di quella moderna [newto­ niano-matematica] » è contenuto il limite storico della filosofia hegeliana. 26. lvi, p. 379. 27. Ivi, pp. 384-386.

436 3 . Il significato più appariscente, anche se non certo più ricorrente o importante, del termine « riflessione » in Logik, Metaphysik, Natur­ philosophie ( 1 804-05) viene alla luce nell'espressione « nostra riflessio­ ne »28 • Cioè: riflessione di noi filosofi, riflessione dal punto di vista del­ la speculazione . Cioè, secondo quanto chiarito in precedenza, riduzione degli opposti alla loro unità-identità nell'assoluto (realtà) . Ma ciò che di questa espressione è qui notevole non sono né i contenuti speculativo­ dialettici, né la frequenza 29, neppure l'ambiguo gioco linguistico- logico del totale assorbimento dei significati della speculazione nel termine op­ posto (originariamente) di riflessione, bensì il suo. rilevante compito me­ todologico. Questo consiste nel tracciare in anticipo la via del collega­ mento delle varie categorie logiche tra loro - tra le due sponde del­ l'opposizione-negazione e dell'unità-comunanza (sol-levata) degli oppo­ sti. Alcune significative categorie logiche (i pilastri privilegiati del pon­ te del passaggio dal pensiero all'essere-reale) mostrano realìzzano in con­ creto ciò che appunto la > (filosofi) .

437

unità generica di limite e del suo contrario, la totalità-somma, e dall'al­ tra come l'unità specifica dell'unità e dell'esclusione dell'unità e della molteplicità 30. Questo parallelismo tra la nostra riflessione dialettico­ speculativa e l'analisi dialettica dei concetti logici privilegiati confluisce al termine della Logica nell'unità del conoscere: ciò che prima era do­ vuto solo alla « nostra J;iflessione » e alla nostra « trattazione dialettica, che sviluppava le opposizioni, esistenti in modo non-sviluppato, in ciò che veniva posto », ora viene prodotto dalla conoscenza stessa. « Qui la riflessione descrive se stessa »31 • Ma la chiave di volta di quest'uso ana­ gogico della nostra riflessione è la costituzione del (rapporto del) pen­ siero stesso: la contraddizione, ossia l'infinità che [consiste] in un essere-uno di op­ posti . . . è la dialettica di questo rapporto [azione reciproca] , il quale deve porsi in quanro nostra riflessione nella sua stessa realizzazione... La nostra riflessione diventerà la riflessione di questo rapporto 32•

Cioè: la nostra riflessione speculativa diventa costitutiva del con­ cetto, l 'unità semplice in assoluto di « determinazione » e « riflessio­ ne », di singolare e universale, di unità negativa e 'molteplicità. Questa nostra riflessione su ciò che è essenziale nel concetto determinato, sviluppata in lui stesso, è la sua realizzazione, ossia la realizzazione del me­ desimo [concetto] in se stesso 33 •

L'espressione più ricorrente di riflessione è >, ecc. Queste espressioni significano sia direttamente l'essen­ za del concetto (per definizione il concetto è una determinazione-qualità riflessa in sé) sia più in genere · il suo movimento anto-logico. Queste due funzioni possono vedersi bene unificate nella costru­ zione-deduzione del concetto di - « concetto determinato >>: Nel « rappor­ to di pensiero » sorge l'unità semplice-reale degli opposti, non come opposti separati ma come opposti sol-levati (pensati): gli opposti diven­ tano inerenti a un nuovo soggetto, la riflessione in quanto tale. Questi opposti sono l'universale e il particolare. L'universale è la negazione-ri­ flessione del particolare-determinato posto come sol"levato; dunque l'uni­ versale è identico al particolare in quanto posto come sol-levato . D'altra parte il particolare-determinato posto come sol-levato è l'unità del suo essere-relazionato a sé (in quanto particolare) e del suo non-essere ( -rela­ ziato a sé) (in quanto sollevato) . Dunque il particolare in quanto sol­ levato è « questo essere-uguale a sé nel suo essere-sollevato ». Ma que­ sta è « la sostanzialità in quanto universale »34• Dunque, sommando, il particolare è l'universale e l'universale è il particolare. Il mezzo termine di questa identità è il loro sol-levamento, la riflessione in quanto tale, cioè in quanto essere-riflesso . Così il concetto è l'identità semplice di universale e di particolare. Semplice significa immanente a un essere­ uno, « senza opposizione » esterna; come avviene invece in tutta la rela­ zione (qualità, quantità, quanto) e nel rapporto-dell'essere (sostanza-ac­ cidenti, causa-effetto, inter-azione) . Nel concetto la determinazione non è più posta come sostanza (e prima ancora come qualità) ma come esse­ re-riflesso-in-sé. Mentre prima la determinazione era costituita da una negazione rivolta « verso l'esterno », ora essa è « contemporaneamente riflessa in sé, in se stessa » . Cioè: l'essere è diventato essere-riflesso 35 • Intendo ora illustrare con l'analisi dei più importanti es�mpi hege­ liani i significati e la logica della riflessione nella Logica e Metafisica. Innanzitutto mi sembra paradigmatico il significato della riflessione a proposito della categoria logica del « quanto », si� per il nesso costitui­ to da questa categoria con lo schema dialettico precedente del (I b ) . 4 7 . GW 7 , p . 1 3 5 . « In questo modo il conoscere è giunto a s é stesso, i n quanto è giunto al motivo-fondamentale e si trova come l'in sé. Era per [ noi] l'in sé, è per esso medesimo [ conoscere] l'in sé, in quanto il motivo· fondamentale è per esso medesimo » (I b). 48. Cfr. GW 7, p . 154.

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lità »49• Cioè: l 'io è l'individualità (non come concetto ma come « rifles­ sione assoluta ») che si mantiene semplice in tutti i suoi momenti mo­ vimenti riflessioni; ma questa semplicità che permane comune a tutte le riflessioni è appunto , per definizione etimologica, l'All-gemeine, l'uni­ versale, il comune-a-tutti 50• Dunque l 'io è « la specie riflessa in sé »51 ; è la realtà assolutamente semplice (universale) della riflessione riflessa in se stessa. Ma anche così l'io ( teoretico ) non sfugge alla dialettica del­ la riflessione. La determinazione-negazione appare alla coscienza dell'io come congenita-innata all'io stesso. « Perciò appare dapprima come un urto infinito »52• La riflessione dell'io non può perciò sol-levare questa determinazione originaria ma solo la determinazione della circolazione della riflessione. Dunque la riflessione riguarda ancora solo le forme della riflessione, non i suoi contenuti, presupposti come originariamente dati 53• Dunque la riflessione dell'io teorico è assoluta ma formale. Com­ pito dell 'io pratico è di « riempire » questa riflessione, mediante il pro­ cesso di sol-levamento all'infinità assoluta della èeterminazione-singola­ rità dell 'io teorico , mediante il ritrovamento della propria riflessione nella riflessione dell'altro (io-specie) , cioè mediante l'unità della rifles­ sione dell'io-individuale divenuto universale e dell'io-specie (universa­ le) divenuto individuale . Questa unità come « infinità della riflessione » , come « assoluta inuguaglianza » , dapprima opposta all'« auto-uguaglian­ za-a-sé )> ma poi riconosciuta come « assolutamente-ritornata-in-sé )> , dun­ que uguale al suo opposto, è lo spirito assoluto. « Lo spirito trova l'al­ tro come tale, come assolutamente altro, come sol-levantesi, come sé stesso; ossia non solo intuisce sé come sé ma intuisce come sé anche l'al­ tro come tale »54• Ma questa è solo l'idea-definizione dello spirito, che deve ancora realizzarsi attraverso il lunghissimo processo costruito nella filosofia-della-natura (e nella filosofia-dello-spirito) . Qui il processo ini­ zia mediante la posizione dell'alterità in quanto alterità dello spirito : questa alterità è la natura-materia assoluta; che viene raggruma­ ta dal movimento del sistema solare (quasi tolemaico . . . ) ecc. ecc. -

49. lvi, p, 157. 50. Ivi, pp. 157-158. 51. lvi, p. 159. 52. lvi, p. 160 (Fichte ! ) . 53 . La libertà assoluta alla quale l'io può pervenire attraverso questa rifles­ sione è formata dal movimento sempre uguale di andata (posi­ zione) e ritorno (negazione) e dalle rispettive stazioni. Il tracciato è pre­ fissato, come si è visto, dalla speculazione. Questa via viene percorsa da tutti gli enti-concetti. Hegel la esplicita per il giudizio, il sillogismo, il motivo-fondamentale 55• Questa via è poi un cerchio-circonferenza, . il « cerchio della riflessione » ; cioè la via ritorna al punto di partenz;3.; la ri-flessione è ri-torno, poiché pone, come « sol-levate », le due opposi­ zioni precedenti 56• Ma il cerchio della riflessione significa anche l'iden­ tità tra ciò che si muove (il contenuto della riflessione) e il movimento (la riflessione stessa) . Questa identità viene raggiunta in genere nella metafisica « in quanto il conoscere diventa il suo proprio contenuto; os­ sia il cerchio della riflessione, come questo movimento, come l'in sé stes­ so, ora è ciò che percorre il suo cerchio »57 • E più specificamente que­ sta identità si afferma nel punto supremo culminante di tutto il movi­ mento dialettico, dove questo movimento « si arresta », lo spirito asso­ luto 56• « La circolazione, la quale è lo spirito, è la stessa cosa che per­ corre questa circolazione »59• L'ultima espressione caratteristica che qui prendo in considerazione, la « riflessione assoluta » , è più frequente e più complessa. Si è tentati di contrapporla alla « riflessione formale » : identità di contenuto e for­ ma in opposizione alla loro differenza . Ma per Hegel assoluto non si­ gnifica solo l'assolutamente assoluto (lo spirito assoluto) ma anche l'es­ sere-reale. Tutte le stazioni della riflessione degli enti-concetti sono in maniera analoga assolute; cioè reali-realizzati, in quanto ri-tornati-scio!· ti dalla negazione ed essenti quindi per-sé-stessi. Dunque assoluto signi­ fica ciò che è immanente all'unità del proprio essere-reale e che non di­ pende (più) dalla relazione all'altro fuori di sé. La riflessione assoluta è la realizzazione mediante l'introiezione nel proprio essere delle oppo­ sizioni estrinseche e mediante la loro identificazione nel sol-levamento scioglimento dal legame · estrinseco necessitante 60•

55. Ivi, pp. 82, 9 1 , 103, 105, 137. 56. lvi, pp. 1 14, 120, 1 5 1 , 161. 57. lvi, p. 168. 58. Ivi, p. 1 65. Il movimento dialettico si arresta nel senso che non va oltre, ri-torna su sé stesso. 59. I vi, p. 177. Al!'espressione del �< cerchio della riflessione » si riconduce anche l'altra di > (K. Rosenkranz, op. cit. , pp. 1 65-166). 15. R . Bodei, > a G.W.F. Hegel, Primi scritti critici, Mursia, Milano, 1 97 1 , pp. XIV-XIX. 16. « La Differenza fu scritta in un momento in cui la polemica epistolare fra Fichte e Schelling lasciava ancora intravvedere un possibile accordo, " quando Schelling stesso credeva di trovarsi ancora all'in terno dell'idealismo soggettivo " .

449 prio assunto speculativo quale fondazione del principio assoluto ed indi­ viduazione del suo svolgimento sistematico 17• L'identità di soggetto-og­ getto, fondamento del sistema di Schelling 18, richiama e può essere in­ tesa come possibilità di concettualizzazione del principio della « vita », « unione dell 'unione e della non-unione »19, indicata come fondamento incondizionato della speculazione del « frammento sistematico » di Fran­ coforte. Parallelamente l'identità schellingiana di soggetto-oggetto sottende gli esiti della « fisica speculativa »20, che in numerosi scritti successivi, in quegli stessi anni, Schelling aveva elaborato 21, usufruendo dei dati della scienza contemporanea, in particolare della fisica, della chimica e della medicina . Essa muove dalla denuncia della parzialità del modello newtoniano 22 e dalla necessità del suo superamento nell'identità di ma­ teria e spirito, secondo un processo di svolgimento della natura naturans che risente profondamente delle intuizioni scientifiche di Goethe e, in particolare, del suo principio della metamorfosi 23 •

Hegel quindi, che sostanzialmente non aveva mai condiviso l a filosofia d i Fichte,

spinge Schelling a prendere coscienza della sua autonomia ». (R. Bodei, Introdu­

zione a G.W.F. Hegel, Primi scritti critici, cit., pp . XIV-XV) . 17. « Il filosofare che non si costruisce come sistema è una fuga continua di fronte alle limitazioni , è più una lotta della ragione per la libertà che può conoscere di sé, fattosi sicuro e chiaro in rapporto a se stesso. La ragione libera e la sua atti­ vità è una pura esposizione di se stessa ». (G.W.F. Hegel, Primi scritti critici, ci t., p. 35) . 18. > , Filosofia, vol. XXXII 1 98 1 , pp. 500-1 ) , già autore di lavori (Tre studi su S. Maturi, premesso a Maturi, Bruno e Hegel, Firenze, 1926, pp. XXI-LI ; Maturi, Brescia, 1946; , XIV) , Firenze, 1972, p. 65 ss.; semplicemente risibili i due scritti apologetici di A. Cristallini, > come ga­ ranzia contro le lusinghe e le promesse ingannevoli del pensiero meta­ fisico, elevando il naturalismo, non la metafisica, a « sistema filosofico e scientifico del secolo decimonono », e l'« evoluzione >> a legge o a principio in grado di decidere dell'alternativa formulata così recisa­ mente da Tommasi nella chiusa del suo celebre discorso su Darwin: « o evoluzione o miracolo »8: non dunque a principio tra altri princìpi o a legge tra altre leggi , ma a legge o principio con valore esclusivo. Sono queste le circostanze storiche oggettive che spingono sulla di-

7 . A. C. De Meis, Darwin e la scienza moderna, Bologna, 1886, p. 32.

8. S. Tommasi, « Commemorazione di Carlo Darwin » ( 1882), nel suo vol. di scritti vari Il naturalismo moderno, a cura di A . Anile, Bari, 1913, p. 224.

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fensiva i tardi epigoni dell'hegelismo napoletano . Essi si vedono costretti a battagliare contemporaneamente su due fronti : da un lato contro il conservatorismo a oltranza degli « ortodossi » e di quanti come loro, o accanto a loro, si chiudono con sprezzo e alterigia entro il cerchio della tradizione speculativa del passato; dall'altro contro quei novatori filo-positivisti o filo-naturalisti che, in nome della lotta alla « vecchia metafisica », affossano e liquidano senza complimenti ogni speculazione in generale. Per Jaja e Maturi resta particolarmente caratteristico il fatto che nessuno dei due recida mai i legami col mondo di pensiero originario della loro comune proveni enza. Da avvertiti e memori disce­ poli dell'hegeliano « critico » Spaventa, entrambi passano fin da prin­ cipio attraverso la delibazione di problemi d'ordine critico-fenomeno­ logico, guardando con interesse, con viva attenzione, all'allargamento di campo prodotto dalle ricerche di Spaventa ; Maturi ha sì - ben più di Jaja - tratti di vicinanza con fonti hegeliane « ortodosse », sia italiane (Vera ) come tedesche ( Michelet), che l'inducono a un'enfatica e fastidiosa celebrazione dell'unive rsalismo onnicomprensivo della filo­ sofia; ma anch'egli tiene a differenziarsi sempre nettamente da hege­ liani « ortodossi » alla Mariano, così come a prender le distanze, in grazia dello « spirito critico » (dello « spirito critico », si bad i bene, non del criticismo, verso cui inclina invece già agli esordi Jaja) 9, da ogni forma di « idealismo costruttivo ». Temo . . . - scriverà una volta in replica alle riserve espresse da Chiap­ pelli nei riguardi dei suoi Principii di filosofia ( 1 897-98) che Ella mi attri­ buisca un 'avversione contro Io spirito critico, che io non nutrisco affatto. Io ritengo anzi che Io spirito critico sia lo spirito stesso della filosofia, ed è appunto perciò che combatto il criticismo volgare, il quale non si accorge delle illusioni della coscienza e non si rende conto della natura essenzial­ mente infinita della conoscenza . Di più temo che Ella mi creda seguace di un certo idealismo costruttivo, che io non professo affatto, e che r·�puto assolu­ tamente contrario all 'essenza stessa del filosofa re 10 • -

9. D. Jaja, �< Origine storica ed esposizione della Critiça della Ragion Pura di E. Kant >> , Rivista bolognese, III, 1869, pp. 589-669. Particolarmente rivelatrici di questa sua precoce inclinazione al criticismo le sue lettere a B. Spaventa del 4 gennaio 1870 (dove si esalta il criticismo come > si entra solo « per la porta di Kant ") , con­ servate presso la Società napoletana di storia patria, Fondo Spaventa, mss; XXXI D 3 . IO. Minuta di una sua lettera a Chiappelli del 20 ottobre 1 898, conservata presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, Carte Maturi, busta 5 (62) .

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Pretese « costruttive » del genere di quelle che Tommasi aveva, del tutto a ragione (già anche secondo l'opinione di Spaventa), rimprove­ rato alla filosofia, non ci sono né in Maturi né in J aja. C'è piuttosto in loro il sincero desiderio di discutere le esigenze e ·i problemi inessi in campo dagli avversari. Lungi dal sembrare loro · superflue e assurde quanto sembravano a Vera, o anche, in altro senso, al vecchio De Meis, le discussioni sul naturalismo, sulla legge di evoluzione, sull'« esperien­ za » e i « fatti » che il naturalismo rivendica, figurano immediatamente come la condizione storica pregiudiziale, e la questione di centro, di tutto il loro filosofare. Noi siamo convinti - afferma Jaja - che è grande cagione di progresso in tutte le direzioni che il pensiero oggi assume, e che sono tante e tante, attestanti tutta la fecondità sconfinata della potenza pensante, che a base di ogni ricerca stieno i fatti, sia che questi appartengano al mondo della natura, sia che al mondo della storia, sia al mondo fisico e meccanico, sia al mondo morale u . E già svariato tempo prima, quand'era ancora vivo Spaventa, in un suo intervento a difesa di Fiorentino dalle critiche spiritualistiche di Mamiani, si era espresso con chiarezza priva di riguardi verso l'uno e l'altro dei due fronti in lizza nella controversia sulla metafisica: La metafisica è divenuta un'anticaglia, e dappertutto si grida, fatti, fatti. Ma fatti, sì, fatti vogliamo noi pure. Intorno a questo punto l'accordo è com­ pleto, e quel grido ha ragione di essere contro i fautori della vecchia meta­ fisica , che separando il mondo sensibile dall'intelligibile, la materia dallo spi­ rito, il fatto dall'idea, o, ch'è tutt'uno, mettendone in rilievo la sola diffe­ renza, danno al primo di questi termini un'esistenza al tutto accidentale. Quella metafisica fu debellata dal criticismo kantiano, e sulle sue rovine , au­ spice e duce il Kant, un'altra s'è elevata, che la differenza concilia con la identità, e, ri tenendo entrambi necessari i termini opposti, assegna loro un diverso valore. Pare incredibile, ma pure è vero ; i positivisti confondono la vecchia con la nuova metafisica, mostrando di non sapere o disconoscendo almeno il valore immenso che separa la seconda dalla prima 12•

Morta e sepolta da u n pezzo è dunque la vecchia, non la nuova meta­ fisica : « La metafisica è viva, non è morta ancora »13; previa garanzia del suo carattere « nuovo >> ( cioè scientifico), essa appare anzi ag-

1 1 . D. Jaja, « L'intuito nella conoscenza », Atti R. Accad. Scienze morali e poli­ tiche dì Napoli, vol . XXVI, 1893-94, pp. 492-.3. 12. D. Jaja, « Rassegna filosofica », Giornale napoletano di filosofia e lettere, n.s., vol. I, 1879, p. 122. 1.3. D. Jaja, « L'unità sintetica kantiana e l'esigenza positivista, Atti R. Ac­ cad. Scienze morali e politiche di Napoli, vol. XIX, 1 885, p. 29 (rist. in Saggi fi­ losofici, Napoli, 1 886, p. 179 ) . ·

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giunge Jaja di seguito al testo sopra citato, utilizzando e adattando una espressione di Spaventa 14 - « come una profezia, cioè l'organismo e la correzione anticipata della scienza -della moderna esperi enza » . Rispetto alla simile - m a tanto più chiusa - impostazione del vecchio De Meis, si riscontra qui ben altra disponibilità verso l'« espe­ rienza >> in generale. Senza un preliminare confronto con essa, senza un'attenta ricognizione del processo di sviluppo dalla natura inorganica all'uomo e, a livello umano, della strutturazione biologica della coscien­ za, delle sue tappe di crescita, di quelle insomma che Maturi chiama, in un suo libro dedicato a Spaventa, le « forme fondamentali della vita »15, si ricade nella stagione ormai tramontata degli apriorismi, delle « vuote identità », ecc., ossia. in > che « è per sua propria natura distinzione, e quindi dualità, lotta, opposizione, di qua e di là, mondo della esperienza e mondo della sovraesperienza », « una nuova éra incomincia effettivamente nei destini della storia » : Questa nuova unità h a dentro d i s é l'esperienza, d i cui p e r conseguenza riconosce tutti i titoli ad una legittima esistenza, ma nel medesimo tempo la oltrepassa, non come l 'antica metafisica, rimanendole fuori, ma mostrandola parte viva di sé, carne della sua carne, ossa delle sue ossa. Ci è veramente un di qua e un di là; base il primo e terreno, su cui si muove il positivismo, e a cui ha diritto di mantenersi strettamente attaccato, base il secondo e ter­ reno, sopra cui estende il suo dominio la metafisica. Il primo non è il se­ condo, ed il secondo non è il primo. L'esistenza di entrambi è vera e legit­ tima, ed è per questo che si chiamano a vicenda, e non sarà mai che nella vita, in alcun suo periodo, si trovi l'uno senza dell'al tro ... L'idealismo nuovo riconosce come sua parte vitale l'esperienza, ma stu­ diando e scrutando meglio, perché ultimo venuto, la natura di questo potere essenzialmente rivelatore, qual'è il pensiero, la compie senza né negarla né trascenderla; senza trascenderla , dico nel senso della vecchia metafisica. L'idea­ lismo nuovo non si arresta al dato sensibile, ma non crede che esso stia lì per starei, e che poteva non starei. La realtà non è tutta quale i sensi ce la danno ma la realtà, data in tal modo, è parte vitale dell'intera realtà 23 . ,

In questo senso positivismo e naturalismo non dovrebbero recare più alcun intoppo allo sviluppo dell'> già avvia�o in seno al neokantismo dal gruppo di Fiorentino, e inteso a mostrare l 'intrinseca conciliabilità della « metafisica nuova » con le più radicali esigenze del positivismo e del naturalismo, ma spinge il compromesso sino al punto da presentare un quadro accomodante, uniforme, senza incrinature del pensiero napoletano « classico », è naturale che questa astratta contem­ perazione dei contrari nell'astratta identità di una « dottrina comune », nel mentre si vede sorgere al fianco, con le stesse pretese conciliative, fenomeni deteriori di spaventismo d'accatto, finisca interamente scredi­ tata agli occhi della cultura napoletana cosiddetta moderna dagli scambi sempre più frequenti che i nostalgici della metafisica mostrano in buona o in malafede di voler fare, non senza precisi intenti tattici, tra « vecchia metafisica » e « metafisica nuova ». (Un solo esempio per tutti: l'espli­ cita utilizzazione di Jaja in funzione spiritualistica che nel 1 890 Cic­ chitti-Suriani compie sulla « Rivista italiana di filosofia » del Ferri ). Evidente è, comunque, che a Napoli non spira più aria buona per pensa tori della fatta di J aj a e Maturi. Il primo, confessando di sentirsi di Maturi a Gentile del 22 settembre 1908 (edita in calce a G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce, cit., III, p. 254).

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« solissimo in Napoli », esprime nelle sue lettere a Silvio Spaventa, come in un ritornello, il proposito di scappar via ( « Vorrei andar via da Na­ poli, più che altro, andar via da Napoli »), e nel 1 887, vinto il con­ corso a Pisa per filosofia teoretica, se ne va davvero; e il secondo, a causa dell'ostilità mostratagli dal titolare napoletano di filosofia teore­ tica, Filippo Masci, tiene solo per un paio d'anni il suo corso libero di « filosofia hegeliana », inaugurato nel 1 8 90-9 1 , ritraendosi poi volonta­ riamente - come si è già ricordato -&- dalle beghe universitarie e dai clamori del mondo. L'uno emigra, l'altro si chiude in un rigido isola­ mento: l'incidenza pratica dei loro apporti, così, si sfalda. Quando nel 1 90 l , in occasione delle nozze di Giovanni Gentile, Maturi pubblica in opuscolo una lezione inedita di Bertrando Spaventa e la dedica al gio­ vane amico, l'operazione filosofica da lui tentata è ormai fallita da .tempo; e quella dedica, in quel momento, assume quasi i l valore di un emblema: struggente confessione di un fallimento, ma anche speranza del ricostituirsi su nuove basi, grazie al giovane amico (addottoratosi solo da pochi anni a Pisa proprio sotto la guida di Jaja, e rimasto poi sempre in fervida comunione epistolare e spirituale col maestro), del­ l'importante eredità che anch'egli, insieme a Jaja, si era fin lì non inde­ gnamente battuto p�r tramandare. In realtà diventa subito chiaro come il patrimonio di pensiero della « metafisica nuova » o del « nuovo idealismo » non si tramandi che in minima misura all'idealismo nuovo (o neoidealismo ) di conio novecen­ tesco; come la « rinascita dell'idealismo » promossa sulla « Critica » dai giovani Croce e Gentile vada presto per tutt'altra strada da quella che i loro antecessori suggerivano di battere ; come in essa Hegel venga sottoposto a un rimaneggiamento ( e anche, pet molti versi, a un impo­ verimento) non solo non previsto, ma personalmente e aspramente con­ trastato .da chi se ne professava ancora erede. Nascono così incomprensioni, dissensi, punti di frizione, delusioni reciproche: se Jaja, a Pisa, guarda ormai pressoché da estraneo alle vi­ cende della filosofia e ne resta sempre più tagliato fuori, sfogando i suoi risentimenti e i suoi malumori di isolato nella corrispondenza con Gentile, Croce dà più volte segni di manifesta insofierenza verso il « fanatismo hegeliano » di Maturi, « perché - spiega a Gentile - mi sembra possa compromettere l'opera nostra »28; d'altra parte Maturi - già in dissenso su Hegel con Croce per le stesse identiche ragioni

28. B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile

Milano, 198 1 , pp. 313, 33 1 .

(1896-1 924), a cura di Alda Croce,

485 si mostra assai scontento anche di Gentile, quando questi di Jaj� 29 pubblica a sua insaputa il Frammento inedito di Spaventa 30, che gli aveva dato lui stesso privatamente in visione, giudicandolo - e se ne comprende bene il motivo - un « parto infelice » della meditazione di Spaventa. Sono, le loro, quella di Jaja e Maturi da un lato, e dal­ l 'altro quella di Croce e Gentile, due prospettive, due concezioni del mondo che si separano e si allontanano sempre più tra loro, come espres­ sioni inconciliabili di età diverse . Non stupisce che pochi si accorgàno della morte di Jaja ( avvenuta il 1 6 marzo 1 9 1 4 ) e di quella di Maturi (avvenuta il 1 6 febbraio 1 9 1 7 ) : agli occhi degli intellettuali del nuovo secolo, con loro in realtà scompaiono non pensatori ancora vivi, ma solo i portavoce di un pensiero sopravvissuto a se stesso, le ombre di figure già da tempo filosoficamente defunte e trapassate. -

29. Cfr. sopra, nota 27 .

30. « Frammento inedito di Bertrando Spaventa », in G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana e altri scritti ( 19 1 3 ) , Messina, 1923\ pp. 45-7 1 . Per la scontentezza di cui dà segno in privato Maturi, cfr. le attestazioni personali di A. Guzzo, Maturi, cit., pp. 138-9; « I ncontri con Giovanni Gentile », Giornale di metafisica, vol. X, 1955, pp. 5 1-2 ; « Hegel in Italia », cit., p . 501 .

Sezione sesta MARX E LA DISCUSSIONE SUL MARXISMO

TECNOLOGIA E PRASSI RIVOLUZIONARIA NELL'INTERPRETAZIONE MARXIANA DI DARWIN di Nicola Badaloni

La discussione, che Marx sviluppa con Feuerbach, è fondamentale per il suo concetto di « storia naturale » prima della conoscenza del pensiero darwiniano 1• L'idea principale -è che il « continuo lavorare e produrre sensibilmente » sia la base dell'intero mondo sensibile, quale ora esiste . . . », e che senza di esso, o colla sua interruzione, « verrebbe ben presto a mancare l'intero mondo umano, la su � stessa facoltà intui­ tiva e anzi la sua stessa esistenza » . Ciò non significa che Marx non rico­ nosca « la priorità della natura esterna », ma questa « non esiste più da nessuna parte, salvo forse in qualche isola corallina australiana di nuova formazione »2. In questo contesto, lo spazio riservato all'autono­ ma storia naturale è relativamente ristretto. Ciò risulta anche da un pas­ so dedicato a Stirner (il quale intendeva rendere la specie responsabile dei difetti delle masse, cioè > (iv i, p. 344 ) . 4 4 . P . Trémaux, Principe universel du mouvement et des actions de la ma­ tière résultant de la découverte de cette loi générale: la force vive se transmet mieux entre corps semblables qu'entre corps différents et applications à la matière comme à la vie, Paris, 18761, pp. 15-16. 45. Marx a Engels, 3 Ottobre 1866, in Marx, Engels, Opere complete, vol. XLII, cit., p. 285. 46. Ch. Darwin, Role des Vers de la terre dans la formation de la terre vegetai, tr frane., Paris, 1882. 47. Marx a Engels, 1 gennaio 1868, in Marx, Engels, Opere complete, vol. XLIII, cit., p. 5. 48. L. Bi.ichner, Sechs Vorlesungen iiher die Varwinische Theorie von der Verwandlung der Arten und die erste Entstehung der Organismenwelt, sowie iiber die Anwendung der Umwandlungstheorie auf den Menschen, das Verhaltniss dieser Theorie zur Lehre vom Fortschritt und den Zusammenhang derselben mit der materialistischen Philosophie der Vergangenheit und der Gegenwart, Lipsia, 1863'.

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informazione sulle ricerch e redesche di Jaeger e di Haeckel. In base a esse, egli dice: si è abbandonata la cellula quale forma originaria e lo starting point sono invece minutissimi granelli di albume, amorfi ma contrattili . Questa ipotesi è confermata in segui to dai ri trovati nel Canada (più tardi anche in Baviera e in alcune altre regioni) . La forma originaria deve essere seguita natura!-. mente fino a un punto in cui sia producibile in via chimica . E pare che a questo si stia per arrivare 49•

Le speranze erano eccessive; ma la linea di pensiero è chiara. Condi­ videndo la definizione della tecnologia come > non una fi­ losofia fine a se stessa, ma una premessa della liberazione dal « biso­ gno », una scelta atta a favorire comportamenti umani nòn più domina­ ti dal vincolo della guerra di tutti contro tutti. Oggi, per l'avanzamen­ to delle ricerche e per l'incombenza dei noti ) , o di chia­ mare « dialettica » uno solo di essi, che per motivi storico-tradizionali sia il più adatto a conservare tale denominazione .

2 . Queste pagine sono dedicate in particolare all'esame - neces­ sariamente breve e incompleto - di un aspetto che a mio avviso può essere senz'altro « salvato » della dialettica in Marx; prima però di addentrarmi in questo assunto, desidero soffermarmi rapidamente sul­ la possibilità e l'utilità di riconsidèrare la ancora più malfamata « dia­ lettica della na tura » di Engels. Per dirla in parole povere, a me sem­ bra che Engels muova da esigenze giuste e recuperabili, ma le esprima in modo sbagliato. Difronte all'impetuoso sviluppo delle scienze spe­ ciali, Engels vuole una concezione complessiva della natura di tipo uni-

55 1 tario e dinamico, che possa fare a meno del Padreterno: per cosl dire, un « nuovo naturalismo ». Questa è l'esigenza-base; ora, ad Engels non sembra che essa possa essere soddisfatta dal materialismo « meccani­ co » del '700, il quale, secondo lui, non può dar conto dell'organico, né, tantomeno, dello sviluppo del pensiero e dell'ambito umano-storico, e quindi finisce per fare il gioco dell'avversario; si tratta quindi di arri­ vare ad un nuovo concetto di materia, più « ricco », più « elastico », più « dinamico », che permetta di dar conto dei diversi campi del reale e della loro specificità. A questo ( oltre che ad un modello di sviluppo non solo gradualistico-lineare, ma anche a « nodi » e a « salti ») mira­ no, confusamente, le « leggi » della « negazione della negazione >> , della « compenetrazione degli opposti », del > ( I I , l 8 1 ) . Per dialettica Herbart non intende però il movi­ mento dialettico immanente allo stesso concetto, bensl la dialettica dell'esperienza e dei dati empirici. Egli chiama il proprio metodo dialettico « metodo delle relazioni » . Quando v i tocca porre u n a cosa - cosl egli lo definisce una volta ·_ che voi non potete propriamente né porre né rigettare cosl semplicemente, po­ netela molteplice: Allora però guardatevi dallo smembrare il molteplice al­ trimen ti si ripresenterà la precedente difficoltà. Ma assumete che per il mol-

576 teplice, in quanto collegato da reciproche relazioni, può probabilmente valere qualche cosa che per il singolo sarebbe inconcepibile (IX,248).

Il « metodo delle relazioni » assume per Herbart il valore di una « regola generale » della speculazione che tuttavia non ha il valore di una soluzione definitiva del problema della contraddizione. Si tratta piuttosto di u n me todo generale attraverso il quale cercare di risol­ vere i problemi impostici dalla stessa contraddittorietà dell'esperienza. D'altro canto proprio per il fatto di avere indicato . nella contraddit­ torietà dell'esperienza il fondamento del processo speculativo, Herbart, non diversamente da Fichte e Hegel, si trova di fronte al problema che l'esperienza, nella . sua contraddittorietà, comporta dei nessi con­ cettuali che contrastano con i principi della logica che pure per Herbart conserva intatta la sua validità e la sua normatività. Si vie­ ne a creare insomma, come sottolinea S. Poggi, « quella che pos­ siamo considerare una " sfasatura " tra il piano della idealità logica astratta e quello della contraddittorietà empirica »10• La contraddi­ zione porta necessariamente a negare l'unità dei termini opposti, a negarla naturalmente sul piano concettuale sul quale soltanto Li con­ traddittorietà dell'esperienza può essere superata . La necessaria solu­ zione è che « uno stesso elemento non può portare in sé due predi­ cati opposti » e dunque che « invece di un unico elemento dovrebbe essere posta una pluralità » (VIII,39) . . Se ad es. si ha un giudizio della forma A è b ed un altro della forma A è non b , abbiamo due giudizi ciascuno · dei quali, preso singolarmente, non implica contrad­ dizione ; se però vogliamo unifìcarli, cioè se vogliamo attribuire i due opposti predicati ad un solo oggetto, ecco che s'ingenera immediata­ mente la contraddizione. Anche il tentativo di superare la difficoltà moltiplicando il semplice A attraverso una molteplicità di A, A', A", ecc., risulta infruttuoso. E' bensì vero che dove vi era una contrad­ dizione abbiamo ora una diversità di determinazioni, ma è altresì vero che se ciascuno di questi diversi A viene senza'altro unito col predi­ cato, darà luogo nuovamente a contraddizione. E' necessario dunque cambiare il modo di affrontare il problema. Sia l'attribuzione di note ad una cosa, sia il cambiamento, riproducono la contraddizione . Nel primo caso, infatti, si danno contemporaneamente unità e pluralità; nel secondo si ha qualche cosa che cambia e nello stesso tempo resta uguale . A questo punto entra in gioco il « metodo delle relazioni ». 10. S. Poggi, I sistemi dell'esperienza. Psicologia, logica e teoria della scienza da Kant a Wundt, Bologna, 1977, p. 216.

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Esso riconosce l'apparire di proprietà molteplici e di accidenti mute­ voli, ma individua in essi non la realtà stessa, bensì il semplice rife­ rimento al reale. In questo modo la contraddizione · è tolta; invece di porre una cosa con molte proprietà, una causa con molti effetti, viene posta una « complessione » di essenze reali che si trovano tra loro in rapporti determinati. Ognuno di questi enti, considerato per sé, è soltanto se stesso e permane sempre identico a sé, ma riunendosi essi suscitano per l'osservatore l'apparenza del cambiamento. Questa apparenza è obiettiva perché vale per ogni osservatore, ma non ha alcuna verità metafisica assolu ta : è un metafisiche il rimando a Hume si faceva 34. « The Experience of Activity >>, un discorso tenuto nel 1904 al Meeting di PhiJadelphia dell'American Psychological Association, ricompare negli Essays in Radica! Empiricism, dt., pp. 155-189 (sull'individualized self, cfr., p. 170). 35. The Thought and Character of William ]ames, cit., vol. II, p. 394. 36. Mi riferisco alla VII Lecture, > . Ma non erano· le sole difficoltà, le sole oscillazioni. Il primato del sentire, del sentimento che ci lega alle cose, non nascondeva un pericolo per chi v'aveva intravisto e difeso una qualità dell'individuo e del suo impegno a scegliere qui e ora? La percezione ricalcata sull'intuizione bergsoniana non lo spinge­ va a smarrirsi in un flusso indifferente invece di agire in una situazione determinata, invece di rispondere agli stimoli e alle sfide dell'ambiente? E come poteva !asciarsene tentare l'amico-allievo di Chauncey Wright, un empirista tough-minded? 43. 42. L'analisi dei rapporti tra le percezioni, spesso identificate con le sensa­ zioni, e i concetti, occupa i capp. IV-VI dei Some Problems of Philosophy, Longmans, Green and Co ., New York and London, 1 9 1 1 . 43. Sugli scambi con Bergson s'intrattiene diffusamente il secondo volume di

599 3. In queste alternative Hume era citato di rado e sempre insieme a Kant, che aveva creduto di riparare ai suoi danni sostituendo l'« abi­ tudine » con la « legge ». James ne rilevava il valore attribuito all'espe­ rienza, ma la stessa esperienza veniva ripresa nei suoi aspetti atomistici e riduzionistici, come accadrà con gli interpreti positivisti; e il fatto sembra strano se è vero che la novità humiana sta nella priorità che v'assumeva il sentire. La lettura pragmatista la lasciava invece sullo sfondo e passava sopra quell' identité passionelle dell'io, cosl l'avrebbe definita il Leroy, che è uno dei punti-cardine del Treatise e ne scuote la compagine fenomenistica 44• Abbiamo di noi stessi un'idea o piutto­ sto un:impressione che ci è sempre intimamente presente - leggiamo nel secondo libro del capolavoro - una concezione tanto viva che non si saprebbe immaginarne una superiore; proprio questa impressione comunica la sua vivacità alle idee degli oggetti che sono in relazione con noi, né in altro consiste la simpatia la cui struttura è la medesima della credenza. Non diversamente si spiega come il ragionamento pro­ babile si riduca a una specie di sensazione, che occorre considerare nelle sue cause e nei suoi effetti, domandandoci ad esempio perché attribuiamo ai corpi un'esistenza continuata anche; quando non sono presenti ai sensi e crediamo che ne abbiano una distinta dalla percezio­ ne. Ora è noto quale fosse l'esito aporetico dell'analisi condotta da Hume sull'immaginazione : com'è che la vivacità delle idee ci consente di fare ragionamenti causali e ci convince ugualmente della continued existence degli oggetti quando sono assenti dai nostri sensi, com'è possibile che due operazioni contrarie siano entrambe naturali e neces­ sarie alla mente? Cosl Hume si trovava a fronteggiare i filosofi del senso comune, ad ammettere l'evidenza ptagmatica delle loro certezze e a confutarne l'universalità. Non ne seguiva per questo alcuna inibi­ zione: il vero scettico dubita anche dei suoi dubbi e non rinuncia ai piaceri innocenti che gli si offrono , ad essere positivo e certo nei punti

Perry, The Thought and Character of William ]ames, cit., pp. 599-636. Ma non è meno da ricordare lo scritto bergsoniano « Sur le pragmatisme de William James » premesso alla traduzione di E. Le Brun di Pragmatism, Flammarion, Paris, 1911 e compreso nelle Oeuvrej, curate da A. Robinet e introdotte da H. Gouhier, Presses Universitaires de France, Paris, 1959, pp. 1440-1450. Per gli sviluppi me­ tafisici dell'ultimo James, cfr. Riconda, La filosofia di WilLiam James, cit., pp. 121 ss. e Kuklick, The Rise of American Philosophy, cit., pp. 3 1 5·337: en trambi procedono a un confronto con Whitehead, sul quale si veda Craig R . Eisendrath, The Unifying Moment: The Psychological Philosophy of William ]ames and Alfred North Whi­ tehead, Harvard University Press, Cambridge, 1 97 1 . 44. André-Louis Leroy, David Hume, Paris, 1953, pp. 159 ss .

600 particolari secondo la luce in cui li vede in un istante particolare 45. I pragmatisi:i non si fermeranno, considerando la natura del belief sui significati di questa scepsi. Peirce preferiva rivolgersi all'amico-ne­ mico di Hume, a Thomas Reid: le credenze originarie del « vecchio scoz­ zese » sono indubitabi!i solo se si applicano agli aff;:1ri che « somigliano a un mondo particolare di vita » e non si confondono con quelle di un sapere che si sviluppa indefinitamente, in una fuga senza fine degli interpretanti, fino a che la realtà non divenga un « sistema perfetto, ra­ zionale e simmetrico » 46• Se il nominalista e individualista Hume non poteva entrare in questa prospettiva, diverso era il caso con James. La credenza si distingue dalla rappresentazione di un oggetto, egli. avver­ tiva col Brentano della Psychologie , esprime l'assenso dell'io che è l'« un­ cino a cui tutto il resto viene appeso )> . Ma che cosa sono le « relazioni intime )> con la nostra vita, quali cose si trovano in esse immediatamente e quali sono cosl strettamente legate alle prime da estendere anche a loro la stessa disposizione, per dirla con Hume? Se tutti gli oggetti sono creduti quando si mostrano in modo poco sistematico, come accade nelle allucinazioni o nei sogni dei selvaggi, certe qualità s'im­ pongono allorché si fissano e ne registriamo le eventuali �ontraddi­ zioni. James le indicava nell'azione coercitiva sull'a ttenzione, nella vivacità e nella pungency, nell'interesse emozionale, nella conformità all'unità, alla semplicità e alla stabilità; ed erano tutte qualità, si vede bene, che confermavano il primato del sentire. Basta infatti che il « fisico sonnecchi » e subito il mondo dei colori, dei suoni e degli odori sostituirà quello delle vibrazioni e delle molecole : gli oggetti sensibili o che producono effetti sensibili sono i test fondamentali della nostra realtà 47• Hume aveva giustamente notato come la credenza consista nel­ l'idea vivace o attiva di qualcosa. Ma le citazioni dei Principles s'arre­ stavano a quel punto, a quel dato, né gli scritti successivi dovevano riprendere il problema gnoseologico che nello scozzese v'era sottesr e si ritorceva sui suoi presupposti associazionistici. Così un confron45. Cito dalla conclusione del primo libro del Treatise o/ Human Nature, che ho presente nell'edizione più volte ristampata di L. A. Selby-Bìgge, Clarendon Press, Oxford, 1 960, p. 273. Riprendo qui alcune tesi del mio Sistema e ricerca in David Hume, Laterza, Bari, 1969, pp. 98-1 12. 46. Lo scritto dì Peirce è « The Architecture of Theorìes » , comparso nel 1903 sul Monist e compreso nei citati Collected Papers, 6.127. 47. Principles of Psycholo?,y, cit., vol. II, pp. 283-318. James si riferiva .alla distinzione brentaniana tra l'oggetto rappresentato (vorgestellt) e riconosciUtO (anerkannt), ma citava anche altri autori come Bai n, Bagehot e il Renouvier che aveva indicato nella credenza una « vertigine mentale ».

601 to può proseguire solo a distanza, per accostamenti che più spesso segna­ lano le differenze di una cultura e di un atteggiamento; e non si trat· terà in questi limiti di uno studio inutile, ha osservato Shouse, se è vero che Hume credeva nella credenza 48• Egli ne aveva derivato una curiosità più acuta per la « grossolana miscela terrestre », una lezione di saggezza, un antidoto contro l'abulia. Ma ora, nella prospettiva d! una psicologia marcatamente biologica, quell'inazione e quella paralisi diventavano più minacciose. Come potremmo separare la conoscenza dal belief che la sostiene o credere ai sistemi che, ordinando i dati dell'esperienza, non soddisfano i bisogni dell'individuo? 49• Sulla que­ stione James era già intervenuto in Mind e in una conferenza del 1 880 al Philosophical Club di Harvard, respingendo l'idea di una ragione che si assolutizza e non si riconosce nell'esigenza di libertà e comple­ tezza invocata dal « suo » Walt Whitman. C'è una passione intellet­ tuale che ci spinge a risparmiare, ad economizzare, a ridurre il molte­ plice dei fenomeni alla massima semplicità e ne esiste un'altra che le è antagonista e insiste sulla chiarezza e distinzione del particolare percepi­ to. Ma nessuna dottrina che obbedisse soltanto a una delle due sarebbe accolta da tutti gli uomini, come facevano fede i _c asi di Spinoza e di Hume che non avevano lasciato discepoli; e se poi accade che la filosofia cerchi di superarne l'unilateralità e di mediare tra l'omogeneità dell'a­ stratto e l'eterogeneità del concreto, anche in quel caso essa dovrà am­ mettere che le sue spiegazioni sono limitate e trascurano qualcosa dei fatti riferiti a un comune attributo. La gioia dell'identificazione non è che uno dei nostri interessi, incapace da solo d'adeguare la vita nella sua pienezza, ed è allora che i concetti si rivelano per quelli che sono, strumenti rivolti a uno scopo particolare in situazioni particolari 50•

48. L'articolo di J. B. Shouse è « David Hume and William James: a Compa­ rison >) , Journal o/ the History of Ideas, vol. XIII, ott.-dic. 1952, pp. 5 14-527, dove egli tocca i temi della credenza, del pragmatismo e della religione cercando una convergenza tra i due filosofi nell'atteggiamento antiintellettualistico. Diversa la posizione di Sin-Nan-Fen che in « Has James Answered Hume? », Journal o/ Phìlosophy, vol. XLIX, 1952, pp. 159-167, insiste sul realismo di James contro .la scepsi « devastante » dello scozzese. Va ancora segnalato il saggio di Fernando R. Molina, « Hume and the Phenomenology of Belief » in Phenomenology in Ame­ rica, a cura di James M. Edie, Quadrangle }3ooks, Chicago, 1967, pp. 173-185 : la concezione humiana e jamesiana della credenza resta psicologis tica, si riferisce al sentimento della realtà piuttosto che alla realtà (op. cit. , p. 33). Non va dimenticato che nel 1905 Vailati dimorò a Firenze dove ebbe uno scambio di idee quasi giornaliero con Papini. Del quale si vedano: « La Logica di B. Croce », Leonardo, III, giu.-ag. 1905, pp. 1 1 5120. « Che senso possiamo dare a Hegel >> Leonardo, IV, ott.-dic. 1906, pp. 270287. Croce rispose alle critiche in « Intorno alla 'Logica' », Leonardo, III, ott.-dic. 1905, pp. 177-180 (e la replica di Papini alle pp. 180- 18 1 ) . 3 1 . G . Vacca, « In difesa della matematica >>, Leonardo, I I I , giu.·ag. 1905, pp. 120-122; > , Leonardo, III, ott.-dic. 1905, pp. 182-184. Nella risposta alle osservazioni di Vacca (compresa nella risposta a Papini citata nella nota precedente) , Croce sembrava quasi vantarsi della sua incompetenza: > (p. 251 ). Opposto è invece il punto di vista - che condivido - di A. Gambara, curatore tra l'altro di un'eccellente edizione critica, con traduzione italiana a fronte, del Ciceronianus (Brescia, 1965 ) .

665 distinte, pagana e cnsuana . Non altrimenti è da intendersi infatti la denuncia avanzata nella lettera dedicatoria al Vlatten con queste parole: Multorum enim partim ignavia, partim sinistris moribus fit, ut bonae literae, quae sat feliciter coeperant efflorescere, jam passim vergant ad interitum ... Subolet autem et aliud h uj u s nominis praetextu geri, nim irum ut pro Chri­ s ti a nis reddamur Pagani, quum ego nihil prius agendum existimem, quam u t bonae literae, Christi Domini Deique nostri gloriam, e a sermonis copia, splen­ dore, nitoreque praedicent, quo M. Tullius de rebus profanis dicere solitus est 1 4 .

Né Erasmo si limita all 'invettiva o a una moralistica messa in guardia dai pericoli di decadimento o corruzione della nuova cultura. Tutta la sua opera è anzi una positiva messa a punto ed esemplifica­ zione dei metodi che occorre seguire nella costruzione del sapere rin­ novato e degli strumenti che sono ad esso necessari. Il primo stru­ mento è lo studio stesso. Anche per questo tema, i · richiami ai testi possono essere moltissimi : tutti gli scritti, che hanno in qualche modo a che fare coi problemi della formazione dei giovani, risuonano dell'e­ sortazione allo studio, quanto più possibile precoce, . delle bonae litterae e della convinta affermazione che studio . e virtù procedono necessa­ riamente di conserva 15. Ciò che più interessa, comunque, ai fini del nostro argomento, è l'affermazione, più volte ribadita da Erasmo, del· la necessità di conoscere le bonae litterae in cui il cristiano in quanto tale verrebbe a trovarsi. Ovvio e scontato, in questo caso, è il riferi­ mento agli Antibarbari, che da solo non mi parrebbe però abbastanza significativo, data l'epoca giovanile in cui venne composto e l 'intento pole­ mico contro la cultura monastica, da cui Erasmo era in quel tempo mate­ rialmente assediato, che lo domina 16• Più utile semmai mi pare richia14. Ciceronianus, rive de optimo dicendi genere dialogus, I , 971-72. Le cita­ zioni dagli scritti di Erasmo compresi nell'edizione di Leida delle Opera Omnia ci­ tata alla nota 12 sono tutte tratte da questa edizione e saranno richiamate con ri­ ferimento al titolo dello scritto, al volume nel quale è compreso (in cifra romana) e al numero della colonna di stampa (in cifra arabica) . 1 5. Cfr. a d esempio Declamatio de pueris ad virtutem ac literas libera/iter instituendis idque protinus a nativitate, I, 489: « Nulla eni m res melius occupat totum hominis animum guam studia ... Proinde, si cogitaris quam non sit homo, qui literarum expers est, guam sit fugax hominum vita, quam lubrica in malum adulescentia, quam occupata juventus, guam sterilis senecta, tum quam paucis mortalium haec contingat, non sines infanti tuo, in quo veluti renatus superstes eris, ullam aevi partem incultam abire, in qua parari queat aliquid, quod vel in omnem vitam magnum bonum adferat, ve! a malis arceat >> . 16. Antibarbarorum liber primus, X, 1691- 1744. Composto intorno al 1590, du­ rante il periodo trascorso da Erasmo nel convento dei canonici regolari agostiniani a Steyn, lo scritto venne �;Jubblicato a stampa nel 1520. Il suo obiettivo può tra-

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marmi all'atmosfera più pacata che circola in molti dei Colloquia, nei quali risulta esaltata una sorta di convergenza tra la sapienza pagana e quella cristiana 17• E meglio di tutto ancora mi pare il modello di for­ mazione che emerge dal Ciceronianus, tanto più significativo in quanto la preoccupazione di salvaguardare i valori culturali propri del cristia­ nesimo si traduce nell'esortazione a mettere in opera a questo fìne tut­ te le procedure apprese dalla cultura classica. At non ille dicit Ciceroniane, qui Christianus apud Christianos de re Chri­ stiana sic loquitur, quemadmodum olim Ethnicus apud Ethnicos de rebus profanis loquutus est Cicero : sed quemadmodum ille eo praeditus ingenio quo tum erat, eo dicendi usu, ea rerum nostrarum cognitione, qua tum pro­ fanarum erat instructus: postremo sic inflammatus studio pietatis erga Rem­ publicam Christianam, quemadmodum tum ve! gloria vel studio flagrabat in urbem Romanam et in majestatem Romani nominis, dicturus esset hodie Christianus apud Christianos si viveret 18•

L'intreccio tra sapienza letteraria (nel senso di conoscenza delle bonae litterae ) e sapienza, nonché fervore di fede, ctistiana ha da essere per Erasmo strettissimo e il suo effetto sarà il senso di grande libertà di cui ogni cristiano può e de-ve godere: libertà rispetto a ogni sorta di vincoli formali, di dottrina e di disciplina, che impediscano l'esp àndersi delle capacità della mente nello studio e nel giudizio cri­ tico, nella certezza che l'esercizio di tale libertà non soltanto non è in contrasto, ma anzi rafforza la fede cristiana autentica 1 9 • Anche per questo rispetto, il modello è Gerolamo, la cui figura viene delineata da Erasmo nella Vita con una fòrtissima carica di immedesimazione; varsi emblematicamente espresso in queste parole; « Antiquis igitur litteris contra novos hostes patrocinium feremus, quibus quidem a triplici potissimum hostium gec nere negotium exhiberi video. Alii enim litterariam Rempublicam tanquam funditus deletam cupiunt, alii imperium non quidem prorsus exstinguere, sed arctioribus fini­ bus includere moliuntur. Postremi ita Rempublicam salvam esse volunt, m afflictis' simam velint, quippe in qua ipsi tyrannidem occupent, in quam patriis legibus abro­ gatis peregrinos et magistratus et mores inducunt » ( 1 704) . 17. Ricordo, tra gli altri, come particolarmente significativi l'Apotheosis Reucbli­ ni Capnionis (I, 689-692), dove la figura dell'umanista cristiano amico di Erasmo è celebrata con accenti commossi e paragonata a quella di Gerolamo, e il Militis et Carthusiani (I, 708-7 10) , in cui alla rozzezza del soldato viene contrapposto da parte del certosino l'antico ideale della vita contemplativa, comune alla sapienza pagana e a quella cristiana : « Porro solitudinem si vocas turbae fugam, hoc exem­ plum est non nostrum, sed veterum Prophetarum, atque etiam Philosophorum Ethnicorum, et quibuscunque bonae mentis cura fuit » (708). 18. Ciceronianus, I,997. 19. « Cum ea demum religio sit accepta Christo, non quae vi extunditur, sed quae ultro a volentibus offertur » {Hieronymi Vita, p . 149 ) .

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tanto più significativa in quanto si estende dal personaggio e dalla sua philosophia al tempo stesso nel quale è vissuto, cosl simile al primo Cinquecento per il pullulare di eresie e per l'intensità delle lotte tra le varie sette religiose. Di Gerolamo Erasmo sottolinea il « vehemens et ardens ingenium, humanissimum quidem, sed liberum » 20; agli anni della sua formazione, densa di studi e di esperienze 21, ascrive l'esser div enuto « non auro ditior, sed usu rerum, litteris ac pietatis ardore lo cupletior )> 22; della vita monacale infine, da lui scelta e praticata, mette in luce tra gli altri proprio questo aspetto: manebat dulcissimuro ac liberrirouro otium. Ad studium, ieunia, psalroos, vi­ gilias aut suopte incitabantur animo aut exernplis invitabantur, non cogebantur horoinuro constitutiunculis 23 .

Il cammino percorso da Gerolamo - e con lui da Origene, Basi­ lio, Crisostomo, che sono gli autori che ripetutamente Erasmo contrap­ pone agli scolastici dei secoli a lui più prossimi 24 - è quello che oc­ corre seguire se si vuole raggiungere una preparazione teologica rigo­ rosa e adeguata. Dal tempo in cui componeva nel convento di Steyn l'Antibarbari in difesa dell'importanza delle bonae litterae per lo stu­ dioso cristiano, lungo tutto l'arco della sua vita Erasmo ha avuto gran­ dissimamente a cuore proprio il problema dell'affermazione di una « vera » teologia da contrapporre alle sottigliezze e alla Iitigiosità delle molteplici correnti teologiche germinate in seno alla Scolastica, e l0 ha coerentemente impostato, ·in ogni suo scritto, come il problema del­ la corretta preparazione del teologo e del rapporto tra la teologia e le altre discipline. Esemplari a questo riguardo sono le pagine della ).?.atio seu metho­ dus compendio perveniendi ad veram Theologiam, lo scritto del 1 5 1 9 pensato d a Erasmo i n un primo tempo come premessa all'edizione cri20. lvi, p. 1 65. 21. > 30• E dunque, come la filosofia verrà espressa direttamente da Plato�e e Ari­ stotele, affiancati da Teofrasto e Ploti no 31 , così per la poesia, le scienze naturali e ogni altra disciplina, lo studioso dovrà costituirsi essenzial­ mente una biblioteca di cl assici greci e latini. Quanto alla teologia , l'indicazione è già netta nel De ratione studii e verrà poi ribadita in tutto il corso dell'opera successiva di Erasmo : si tratta di rifarsi ai mo­ delli patristici, di Origene, Crisostomo, Basilio tra i greci e di Ambra · gio e Gerolamo tra i latini 32; si tratta poi - o for.se in primissimo luogo - di attingere il proprio sapere direttamente alla fonte della Sacra Scrittura 33 (ma ·su questo punto torneremo tra breve ). Gerolamo in particolare rappresenta poi per Erasmo non soltanto una fons prima­ ria di dottrina teologica , ma un modello e un esempio da seguire nel modo stesso di formazione del teologo . Con quella partecipazione in­ tensa, al limite dell'immedesimazione, che ho già avuto modo di sotto­ lineare, la Hieronymi Stridonensis Vita delinea una -sorta di curricu­ lum di formazi one teologica al quale viene attribuito valore esemplare sotto tutti i rispetti, per .quanto si riferisce sia all'integrazione dello studio della teologia con quello delle discipline profane sia all'impor­ tanza prioritaria della grammatica e della retorica sia ancora alla neces30. De ratione studii, 1,523. 3 1 . « Philosophiam optime docebit Plato, et Aristoteles, atque hujus discipulus Theophrastus, tum utrinque mixtus Plotinus » (ibid. ). 32. « Ex Theologis secundum divinas literas, nemo melius Origene, nemo sub­ tilius aut jucundius Chrysostomo, nemo sanctius Basilio. Inter Latinos duo duntaxat insignes in hoc genere, Ambrosius mirus in allusionibus , et Hieronymus in arcanis literis exercitatissimus >> (ibid. ) . . 33 . « Quin et illud i n primis admonendus est Theologiae candidatus, ut ap­ posite citare condiscat Sacrae Scripturae testimonia, non e summulis, aut elenchis , aut sordidis conciunculis, aut aliis id genus collectaneis, jam sexcenties alìunde alio confusis ac refusis: sed ex ipsis fontibus » (Ratio, V,127).

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sità dello studio precoce delle lingue e del contatto diretto con i gran­ di autori 34• La funzione essenziale degli auctores consiste d'altronde per Erasmo nel loro rappresentare un modello che si impone non per i suoi conte­ nuti specifici, dogmaticamente assunti in una forma fissa, ma per il suo valore pedagogico, per il cammino verso il vero sapere che esso indica, non per i singoli e definiti passi da esso compiuti. Esemplare al rigUar­ do è la polemica condotta nel Ciceronianus contro un tipo di imitazione dei classici che sconfina nella ripetitività più acritica e al quale Erasmo contrappone l'intelligenza critica di chi sa ridar vita al modello che intende imitare, nelle forme diverse che la mutata situazione impone 35. Ma anche il lavoro del teologo non accetta l'autorità indiscussa di mo­ delli rigidi, bensl richiede l'esempio di un cammino che è pervenuto a risultati utili e che va proseguito nella misura in cui nessun risÌ1ltato può ritenersi 'assolutamente definitivo. E cosl infatti Erasmo presenta il suo stesso lavoro di esegeta neotestamentario : Magnum quidem est, ad Theologiae Studium animos hominum inflammare, sed absolutioris artificis est, hujus& coelestis studii viam ac methodum tra­ dere, non dicam ut dignum est, (quid enim potest humana industria, quod rebus divinis ulla ex parte respondeat?) sed sic ut labor hic noster mediocrem adferat utili tatem sacrosanctae Theologiae candidatis. Non minima negotii pars est, adeundi negotii viam nosse. Et satis festinat, qui nusquam aberrat 34. « Graecas ac Latinas litteras ab ipsis statim incunabulis didicit, quemadmo· dum ipse testatur; et hoc didicit felicius quo maturius. Sentias cnim nescio quid duriusculum et subacebrum in his qui serius se contulerunt ad discendas lìtteras: Proinde non abs re sibi gratulatur Hieronymus, quod a puero inter grammaticos et rhetores fuerit paene detritus: quorum alteri docuerunt emendate pureque loqui; al­ teri splendide, graviter et sapienter. Horum institutioni debemus incomparabilem Ecclesiae doctorem, non loquacium sophistarum scholis ... Sub huiusmodi praecepto­ ribus, iam adultior in bonis litteris, nullum doctrinae genus intactum reliquit. Porphyrii EL> (Hierony­ mi Vita, pp. 1 4 1 -43 ) . > . 68. Cfr., sempre per stare nell'ambito dei Colloquia, il modo in cui in Concia, sive Merdardus, I ,852 si spiega la preferenza per l'uso del verbo « adspicere » anzi­ ché « respicere » nella traduzione del Magnifica!, con una serie di richiami a Terenzio. 69. Enarratio Psalmi XXXIII. Benedicam Domino in omni tempore, .. , V, 369-416. .

682 p1u acuto di quello di chi studia la storia profana : « Alioqui si quod proferetur, oculis humanis spectaveritis, vereor ne nihil eximium videa-­ tur, sed tale quiddam, qualia permulta leguntur et in profanis Histo­ riis » 70• Il suo obiettivo è di scorgere dentro ai fatti narrati la volontà di Dio: « quia quod gestum est, non fortuito gestum est, sed peculiar· -dispensatione Dei. Peculiari, inquam, quia nihil geritur nec in rebus . humanis, nec in rebus Angelicis, nisi Numinis arbitra tu » 71 • Se in que-­ sto modo è garantita alla storia sacra una posizione tutta particolare e indubbiamente superiore rispetto alla storia profana, resta però da sottolineare l'importanza notevolissima della concezione teologica che ispira queste parole di Erasmo : la storia sacra è il luogo dell'agire di Dio e se ciò la rende sacra, essa è nondimeno storia; dunque Dio è nel tempo e non per nulla il significato di tutti gli eventi biblici viene ricondotto da Erasmo a Cristo, al Dio incarnato che rappresenta ap-­ punto l'irruzione del divino nella storia. Questa teologia cristocentrìca, che è tipica dell'umanesimo cristiano e che verrà sviluppandosi lungo tutto l'arco dell'età moderna soprattutto in ambiente protestante e più ancora tra i cosiddetti eretici, finisce insomma per dare alla storh nel suo complesso una dignità che non è intaccata più che tanto dalla distinzione tra sacro e profano. Ancora una volta le argomentazioni della Enarratio Psalmi XXXIII mostrano come per Erasmo il richiamo allo specifico della storia sacra non valga a impedirne in partenza l'ana­ lisi critica ma sopraggiunga solamente al termine di questa, come chia­ ve per la soluzione ultima delle difficoltà critiche e come criterio inter­ pretativO di fondo 72• Non per nulla Erasmo si dichiara apertamente contrario a un eccesso di interpretazioni allegoriche, che si rivelano so­ vente superflue e che comunque allontanano da una comprensione del testo più aderente al suo significato letterale e - direi anche - al suo contesto storico 73• ·

70. Ivi, 369. 7 1 . Ivi, 37 1 . 72. �< Titus Livius, Thucydides, Herodotus, Plutarchus, caeterique hujus gene· ris, docti, facundi, diligentesque fuerunt, sed quoniam nihil aliud erant guam homi­ nes, subinde falluntur et fallunt. At coelestis ille spiritus, cujus aff!atu proditae sunt sacrae litterae, nec labi potest, nec fallere novit. Buie fundamento innixi, si qua species occurrat, quae remoratur intellectum nostrum, posteaquam exploratum habuerimus nihil esse commistum incuria librariorum, existimabimus verborum dissonantia nostram oscitantiam excitari, ac specie absurditatis nos admoneri, ut la· tens ibi mysterium scrutemur. Quod si non assequimur, agnoscamus ve! tarditatem ve! indignitatem nostram, non criminemur Scripturam, consulamus eruditiores, ipsi pulsemus Dominum, ut nobis thesaurum abditum aperire dignetur >> (ivi, 378). 73 . « In historia propter rerum contextum multa interjiciuntur, quae non ha-

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Vi è dunque in Erasmo un senso del tempo assai vivo, teologica­ mente motivato dall'irruzione di Dio nella storia attraverso la persona di Cristo e criticamente fondato nel gusto filologico per la ricostru­ zione dell'autenticità dei testi e delle epoche che li hanno prodotti. Un senso del tempo che dilaga ampiamente oltre i confini della teologia e della filologia e permea un po' tutta l'opera di Erasmo producendo una sorta di vera e propria mentalità, segnata dall'attenzione �l presente, da una considerazione arguta e critica degli eventi contemppranei, dal gusto dell'aneddoto e dall'amore per il particolare: i Colloquia sono, da questo punto di vista, un'autentica miniera di spunti efficacissimi 74 , ma la medesima cosa potrebbe dirsi degli Adagia o dello stesso Moriae Encomium. Al di là di tutti gli elementi specifici che ho cercato di mettere in luce in questo lavoro, un senso del tempo così vivo e pro­ fondo può essere già di per sé considerato un contributo di inestima­ bile valore recato da Erasmo al sorgere della storiografia moderna.

bent allegoriam. Satis est ea decerpere, quae expressius reddunt typum veritatis. Quamquam non improbandum est illorum religìosum studium, qui in contempla­ tione tam frugifera versari gaudent » (ivi, 38 1 ) . 74. Cfr., tra gli altri, il già ricordato Colloquium senile, 1 ,732-38 e Ix�vo (Ausgewiihlte Briefe, Bonn, 1 895, p. 334 ) . Sul comune « passaggio » attraverso il sistema hegeliano come costante punto di contatto tra lui e Fischer cosl Strauss si espresse nei suoi ricordi: « Zwischen Fischer und mir bildete bei allen Gegensatzen der Natur und der Geistesrichtung die gemeinsarne philosophische Bildung, insbe­ sondere der Durchgang durch das Hegel 'sche System, einen Boden, auf dem wir uns immer wieder fanden, eine Voraussetzung, aus welcher heraus wir uns zum voraus schon verstanden » (Gesammelte Schriften, I, Bonn, 1 876, p. 40) . 10. Per la letteratura secondaria v., oltre i normali repertori, la bibliografia sommaria redatta da B. Bauch per la voce « K. Fischer » nei Schlesische Lebensbil­ der, III, Breslau, 1928, pp. 304-3 1 1 . Il miglior profilo d'insieme in W. Wundt, Die Philosophie an der Universitiit ]ena, Jena, 1932, pp. 382-4 10. Di scarsissima utilità la silloge, anonima, di giudizi sulla sua opera di storico apparsa a Heidelberg nel 1924: K. Fischer. Geschichte der neueren Philosophie im Urteil der ]ahrzehnte 1852-1924. 1 1 . Le due redazioni estreme sono quelle, identiche, del 1852-1854 e quella

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2 . Sugli esordi filosofici d i K . Fischer c'è un bell 'articolo di H. Falkenheim 1 2 , che si ferma proprio al 1 850, all'anno, cioè, nel quale ebbero inizio le lezioni di storia della fìlosofia moderna. Di questo primo periodo della sua vita intellettuale si dovrà dare almeno un cenno, per­ ché i saggi su Stirner e Ruge 13, la lunga recensione al libro di E . Schwarz sull'essenza della religione 1 \ e soprattutto i l brillante stu­ dio su > , e, in positivo, la rivendicazione della « libertà individuale e della ricchezza della vita sensibile ». Quello che non accettava, pur ricono· scendo che Hegel aveva dato una esposizione « unilaterale », e non aveva saputo liberarsi della zavorra teologica, era la radicale ripulsa dello « idealismo » . Feuerbach, egli argomen tava, si era lasciato tt:op­ po trascinare dalla polemica, e, contrapponendo la sensibilità al pen­ siero, aveva reintrodotto quel dualismo contro il quale pure si era levato; né aiutava molto parlare di unità « immediata » dei due prin­ cipi , ed eliminare così dalla filosofia la logica ; questa è sì una « astra­ zione scientifica », ma è una « astrazione necessaria » « se vogliamo comprendere il mondo nella sua unità ed identità » ; necessaria perché nell 'uomo c'è non soltanto l 'aspetto reale, ma anche quello ideale ; non c'è un mondo n e l quale l 'uomo s i trovi a vivere, e che n e deter­ mini la natura ed il carattere, ma piuttosto un rapporto teleologico tra

della Jubilaeumsausgabe ( 1897 ) , poi pubblicata anche in volumetto, col titolo Einleitung in die Geschichte der neuern Philosophie, e in questa veste ristampata ancora nel 1924 . La redazione del 1897 è peraltro quasi completamente identica a quella della terza edizione ( 1 878) . La rielaborazione avvenne in due tappe: in occasione della seconda edizione ( 1865) soprattutto per la prima metà, e della terza, ora citata, nella quale furono riscritte ed ampliate le parti relative al Rinascimento ed alla Riforma . Per comodità espositiva qui si prenderanno in esame la prima ( 1 852- 1854) c l'ultima (1878-1897) , citate, rispettivamente, Geschichte I e Einlei­ tung (il volumetto separato) . 1 2 . H. Falkenheim, nel quale era andata perduta anche la nozione di cosa fosse la filosofia, il che implicava, a maggior ragione, la perçlita di ogni capacità di orienta­ mento. Caos nelle idee, si può esplicitare, equivaleva alla impossi­ bilità di una proposta operativa. Come ricetta, veniva adesso additata la considerazione del « fiume della storia, il cui chiaro ed ininterrotto fluire non tollera alcuna durevole stagnazione » 26• L'intenzione era chiara: mostrare, attraverso la « storia ;>, come si fosse arrivati alle idee del presente, cioè alla filosofia ultima, legittimare ed interpre­ tare questa alla luce del suo rapporto vivente con la realtà, spiegare come fosse illusoria la prospettiva di una definitiva �< reazione », la quale, in una « epoca di rivoluzione », poteva essere, al massimo, una « fase » . K. Lèiwith ha parlato, proprio a proposito del Fischer, di u n « rlpiegamento sulla storia » corrispondente ad un « ri trarsi dalle vicende contemporanee » 27• Ques'to è certamente vero in prospettiva, malgrado gli abbondanti riferimenti all'attualità - quella del Reich bismarckiano - con cui il Fischer concludeva, verso la fìne del se­ colo, la trattazione del pensiero di Hegel; ma non è esatto, almeno per quanto riguarda le intenzioni, nel 1852, quando il giovane sto­ rico iniziò il suo lavoro: allora « storia », e riferita alla filosofia, vo­ leva significare orientamento nel presente e per il futuro. Tanto più che, come si diceva espressamente, la filosofia non aveva ancora scoperto « eine n eu e Quelle der Entwicldung », e il compito più urgente di chi voleva essere intellettualmente attivo era una « Weiterbildung » della filosofia di Hegel - il che sarebbe stato, anche, un affinamento dei princìpi che la storia aveva portato a giorno 28 • Date queste premesse, non stupirà che la « introduzione » alla storia della filosofia moderna si articolasse intorno a due punti fon­ damentali: il rapporto tra filosofia e storia della filosofia, e un ab-

25. 26. 27. 28.

Die Epigonen, Geschichte, I, Von Hegel zu Geschìchte, I,

1847, p . 155. p. 2. Nietzsche, Hamburg, 19787 , pp . 74·75. pp. 98-99.

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bozzo di filosofia della storia inteso a mostrare quale fosse il filone maestro dello svolgimento o progresso (Entwicklung) dell 'umani tà. Il primo punto si riduceva poi fondamentalmente ad una serie di considerazioni su che cosa fosse filosofia; e punto di riferimento pole­ mico - ma in molti casi anche spirito ispiratore - era certamente Feuerbach 29• La celebre proclamazione con la quale si chiudeva il secondo volume dei Siimtliche Werke: « Keine Philosophie ! ist meine Philosophie » 30 rappresentava una sfida a chi, venendo dallo « uma­ nesimo » voleva conservare uno spazio alla filosofia teoretica (K. Fischer pubblicò, nel 1 852, un ma�uale di lo�ica e metafisica che mandò in furore Feuerbach 31) e confermare insieme che la filosofia era l'es · senziale - verrebbe da dire « finale » - attività dell'uomo, il quale è « vero uomo » soltanto in quanto « conosce se stesso ». Quest'ul­ tima osservazione poteva essere sottoscritta anche da Feuerbach, che avrebbe volentieri intitolato « Gnosce te ipsum » il suo Das Wesen des Christentums. Ma le strade si separavano sul tema dell'oggetto della coscienza, cioè del carattere essenziale della natura umana sul quale occorreva venire in chiaro. Per Feuerbach era la « psicologia >> (con tutte le sfumature che egli attribuiva al termine) , . per Fischer il pen­ sare, lo « spirito pensante » ; era a questo livello, anzi, che la « verità » e « l'uomo » finivano col combaciare : « per la verità non è un atto indifferente che l'uomo la pensi, anzi il pensare umano è la sua spe­ cifica manifestazione: la verità consiste nello spirito pensante » 32• La astrattezza concettuale, nella · quale il Feuerbach della maturità vedeva il difetto peggiore della filosofia sistematica, veniva invece, dal Fi­ scher, dichiarato il vero carattere universale della filosofia « Possin­ . mo pensare con i Greci, non sentire con loro » 33; anzi, quel concet­ tualismo che rendeva così ostica al gréco la filosofia del suo tempo, era ciò che aveva permesso ad essa di essere u tilizzata dal cristiane­ simo, e di pervenire sino a noi - proprio per il suo carattere estra­ neo alle determinazioni naturali e « nazionali ». La comunicabilità della filosofia è dunque ciò che davvero rende universale la storia, che consente di pensare una storia universale. 29. Che Fischer fosse « passato >> anche attraverso Feuerbach , è stato messo in evidenza da H. Glockner, Beitriige , cit., pp. 222-23. Ma lo aveva già osservato J E. Erdmann. 30. Philosophische Kritiken und Grundsiitze, Leipzig, 1846, p. 414. J l . Il quale ne scorse la seconda edizione ( 1 865) ; cfr. Ausgewiihlte Briefe von L. Peuerbach, hrsg. von W . Bolin, Leipzig, 1904, II, p. 32 1 . 32. Geschichte, I , p . 12. 33. Geschichte, I , p . 27.

694 Questo carat tere della filosofia (che è anche il suo limite: la filo­ sofia infatti non è « vita ») rende assurda la contrapposizione di co ­ noscenza e prassi, tra le quali, dice Fischer riprendendo una imma­ gine che era stata anche di Fichte, c'è soltanto la distinzione che sussiste tra l'ar tista che produce, e lo stesso artista che . giudica del suo lavoro. E come il lavoro viene preso in esame quando è giunto alla fine, così ogni filosofia conclude un periodo della vita ; ma n e apre anche una nuovo. Come è noto, i! problema se la filosofia, o la « teoria » chiudesse soltanto un periodo della vita, o servisse anche (o invece) di guida per il futuro, aveva occupato parecchio gli epi­ goni dello hegelismo. Fischer è energicamente schierato per la seconda alternativa; per lui la conoscenza non soltanto mette in crisi un Cultur­ system (questa espressione, frequentemente usata nel 1852-54, spa­ rirà via via nelle redazioni successive) , ma apre la strada ad un::� > . Nella genesi del cristianesimo all'elemento ebraico viene dato un ruolo più significativo di quello attribuitogli nelle lezioni hegeliane . L'in­ fluenza di Feuerbach è molto sensibile nella trattazione dedicata al Medioevo, e al suo « negativ-religii:iser Geist » 35, come anche nell'af­ fermazione che il protestantesimo, nella sua più intima essenza, è non tanto un ritorno alla lettera della Bibbia, quanto ai valori originaria­ mente umani 36• E di nuovo la tradizione _ giovane-hegeliana, e in parti­ colare Ruge, è alla base di una concezione del protestantesimo che finisce per togliere ad esso qualsiasi connotazione religiosa. Prima di Ruge in questo senso si era, per la verità, già espresso Erdmann 37, ed il « protestieren », come caratteristica dell'epoca moderna era, nel decennio prequarantottesco, un vero luogo comune. Se non è origi­ nale l'impostazione , è però degna di nota la radicalità con la quale essa penetra · in un manuale universitario. L'esordio pare soltanto una precisazione s torica : non capisce il protestantesimo chi lo interpreta soltanto « come - la modificazione di una formula dogmatica » : È compito del filosofo leggere i fenomeni nel loro contesto , e dimostrare come la storia dia gradualmente svolgimento al nuovo, e metta in movimento, con savia economia, forze del tutto diverse, onde preparare le fondamenta di una nuova vita umana 38.

Tra queste « disparate Krafte » la riforma religiosa ha un ruolo abbastanza secondario. I fatti decisivi sono la riscoperta della « uma­ nità » (cioè la riscoperta degli antichi , che ricollegò l'età moderna con l'intero suo passato) , le scoperte geografiche, le scoperte astronomi35. L'espressione è di Feuerbach ; dr. per es. Gesammelte Werke, II, Berlin, 19812, pp. 12, 20, 26 etc.; la formula ricorre anche in altri scritti. 36. « In ihm (Protestantismus) verlor das Christentum seine Negativitat und Abgezogenheit, wurde es im Menschen als eins mit ihm erfasst ... als nicht besch­ rankend und verneinend die wesentlichen Bediirfnisse seines Geistes und seiner Natur » (op. cit., p. 29) . Sarebbe fastidioso continuare con l'elencazione delle fonti feuerbachiane di singole affermazioni del Fischer. Non ci sono dubbi che egli di Feuerbach conoscesse benissimo non solo gli scritti più noti, ma anche i volumi di storia della filosofia. 37. Versucb, ci t., I , pp. 99 ss.; ma è certamente a Ruge che il Fischer si ispira, come dimostra il fatto che decenni più tardi, nel volume su Hegel (op. cit., p. 1 162) egli citerà ancora il celebre « manifesto >> del 1839-40 Der Protestantismus und die Romantik. 38. Geschichte, I, pp. 85-86.

696 che: sono questi tre eventi a produrre « la moderna consapevolezza del mondo »; la Riforma è una « conseguenza » del principio protestan" tico, e si manifesta nella lotta contro l'autorità della chiesa romana. Si è quindi molto lontani anche da Hegel, che aveva sì ricordato le scoperte di cui si è detto, ma che come « Hauptrevolution )> aveva posto quella di Lutero. Una ragione di questo mutato atteggiamento può certo essere stato il conflitto tra la nuova filosofia e la chiesa evangelica - conflitto del quale, come si è ricordato, anche il Fìscher fu vittima. Ma il motivo più profondo (o, se si vuole, il motivo che quel conflitto spingeva ad accentuare) era che anche la Riforma, come già la chiesa delle . origini, considerava la conciliazione come « avve­ nuta )> all'atto dell'avvento di Cristo, mentre l'autentico spirito pro­ testantico non tollera la « fede in un fatto ». Se anche il cristianesimo veniva mantenuto come « decisivo punto di svolta )>, esso era interpre­ tato come « principio dell'umanità in generale >>, « universale tendenza dello spirito » ; e - affermava Fischer - > : dialettica che non è quindi specula­ zione, ma metodo di lettura del corso della natura e della storia. '

39. Geschichte, I, pp. 81-83 . Si può aggiungere che in un ambiente intellettuale che vedeva la 43, nei confronti della quale egli, nel 1852, aveva fatto dell'ironia. Qui la applicazione alla storia del pen­ siero delle tre età dell'uomo (che Hegel, sul modello della storiografìa antica, aveva applicato alla storia dei popoli) equivale ad un esatto rovesciamento : il primo è l'antico, l'ultimo è il moderno, cioè il gio­ vane. Questa costruzione corrispondeva al sentimento - nel Fischer mai entrato in crisi - che dall'analisi del gran tema della filosofia « scaturirano problemi sempre nuovi, e più profondi » 44; anche sé, abbastanza curiosamente, egli, che non amava essere definito hege­ liano (su questo non mancò di ironizzare l'ormai vecchio Erdmann) poneva, quali piloni inconcussi, Kant ed . . . Aristotele. Rispetto alla prima stesura della parte introduttiva - quella di cui si è dato cenno nel paragrafo precedente - la stesura definitiva della Einleitung ha perso molto in tensione filosofica, e di altrettanto si è ampliata per riferimenti storici . Si parla assai più diffusamente d�l pensiero greco e di quello patristico, sulla base di una buona cono­ scenza della produzione della scuola di Tubinga. A proposito del Ri­ nascimento, si cita non solo il libro del Burckhardt, ma anche gli studi di F. Fiorentino su Pomponazzi e Telesio. La Einleitung è, in­ somma, una sorta di contratta storia del pensiero occidentale, nella quale ci si sforza, con il nuovo materiale storico, di rispondere alla domanda filosofica della « necessità )> e dello « ordine )> dello svol­ gimento. L'antico schema si trova così arricchito, e modernizzato. Sulle orme del Burckhardt si dichiara adesso che il Rinascimento è impor­ tante non soltanto per la riscoperta dell'antico, ma per « l'esaltazione dell'uomo )> 45 ; a Machiavelli viene rivendicato il merito di aver « se-

4 1 . Einleitung, p. 1 4 . . 42. L'espressione già in Geschichte I, p. 2. Ma nella Einleitung (pp. 1 1 ss.) l'analogia non è più una semplice immagine. 4 3. Einleitung, p. 1 7 . 4 4 . lvi, p. 1 5 . 4 5 . lvi, p. 77.

699 colarizzato la religione » 46• E in una trattazione diventata ormai com­ pletamente eclettica ci si sforza di non perdere riulla di dò su cui aveva messo l 'accento non solo la ricerca storica, ma anche la pubbli­ cistica di parte liberale. Si dichiara, per es., che « l'autoconoscenza religiosa è il fondamento di quella filosofica » , e ciò vale per la mi­ stica di Eckhart, considerata il >8. Was die Philosophiegeschichte darstellt, ist somit - wiederum nach Hegel « die Reihe der edlen Geister, die Gallerie der Heroen der denkenden Vernunft » 9 Und Tiedemann bemerkte schon einige Jahre friiher : . . . wie dem Geschichtsschreiber eines Staates nicht wird angemuthet , alle einzelne Bi.irger nahmhaft zu machen, wie er nur die Manner lasst auftreten, die auf den Staat haben erheblichen Einfluss gehabt: so kann auch vom

8. I-Iegel, a.a.O., S. 149. 9. Hegel, a.a.O., S . 27.

726 Geschichtsschreiber der Weltweisheit nicht begehrt werden, allen die Phi­ losophen waren, ohne der Philosophie zu vortheilen oder zu schaden, Vortritt zu gestatten 10 .

Selbst wer an Hegels bildhafter Sprache keinen Anstoss nimmt, solite durch das Tiedemann-Zitat stutzig werden. Genauso wie die allgemeine Geschichte vom traditionellen Konzept der « grossen Manner » sich gelost hat und sozialgeschichtlich die Abhangigkeit der politischen Reprasentanten von den sie tragenden Gruppen anerkennt, solite die Philosophiegeschichte dazu iibergehen, die Anerkennung philosophischer Leistung und die Tradierung philosophischer Grosse in ihrer Abhangigkeit von den sie tragenden Personen einschliesslich ihrer gesellschaftlichen Beziehungen zu erkennen. Dass das Bewusstsein von der geschichtlichen Wirkung zum Verstiindnis von Grosse gehort, ist nicht neu . Eugenio Garin beklagt in einer wirkungsgeschichtlichen Studie, dass > 1 ? oppure (e l'afl. M. Dal Pra, « Risposte al dibattito e chiarimenti », in Aa.Vv., L'insegna­ mento della filosofia nella secondaria superiore, Angeli, Milano, 1980, p. 45.

739 fluenza dei giovani alle conferenze, ai dibattiti, alle manifestazioni pub­ bliche in cui si parla di filosofia dimostrerebbe se non che la filosofia entusiasma, che pur sempre c'è una suggestione del sapere filosofico nei confronti dei giovani) a guardare più attentamente, si tratta del con­ trario, cioè di una richiesta più seria, più robusta, di un sapere specu­ lativo che nell'aula è poco e talora male studiato? e ancora: se c'è una contromotivazione « filosofica » dei giovani nella scuola, non si po­ trebbe ipotizzare che si tratta di un aspetto particolare di una più am­ pia disaffezione all'istituzione scolastica, che investe tutto quanto si fa in essa, ma che tale disinteresse non riguarda ipso facto la dimensione extrascolastica di alcuni saperi, non ultimo quello filosofico ? Si tratta di interrogativi molto complessi e non è possibile, qui, pensare a una loro definizione più dettagliata. Certo si è che la filosofia non sembra un'eccezione nel sapere scolastico, assimilato, nel suo com­ plesso, in modo incoerente, confuso, privo di specificità, produttore non di chiarezze, ma semmai di un'immagine sfocata, spesso invalida e distorta di cultura. 5. Manca, a tutt'oggi, un contributo psicopedagogico forte, idoneo non solo a fondare nuove modalità di studio della filosofia, ma in ge­ nere a supportare l'intero impianto istruzionale della scuola del gio · vane, e· anche le ipotesi curricolari che si sono formulate fin qui relati­ vamente a tale fascia scolare non paiono basate su teorie psicologiche esaustive per quanto riguarda il comportamento cognitivo, le modalità di apprendimento, le motivazioni culturali dei giovani In assenza di un quadro psicologico up to date del giovane, in at­ tesa di analisi più specifiche relative alle condotte epistemiche dell'ado­ lescente, una volta messo in crisi il modello piagetiano che vedeva ca­ ratteristica del pensiero preadulto l'operatorietà formale da un lato, e in mancanza di traduzioni didattiche o comunque espresse in terminj di spendibilità scolastica . di un'epistemologia filosofica che consenta d i rilevare à la Bruner « strutture » d i tale sapere, loro specificità, loro articolazioni di priorità e loro versione nell'insegnamento/ appren­ dimento, appare assai difficile impostare, oggi, un discorso produttivo circa l'insegnare e lo studiare filosofia, che non sia un appello alla consolazione culturale di tale studio stesso, alla sua generica importanza per la costruzione di una mentalità civile non gregaria e di una cultura dotata di spessore razionale. -

-

6. Tale dimensione dell'insegnare l apprendere filosofia, fin qui insondata, ma, a · mio parere, non secondaria, dell'acculturazione dei

740 giovani, merita un'attenzione più viva non solo ai fini della costruzione di nuovi programmi per la scuola dell'adolescente , ma anche in vista d i una ripresa del dibattito circa tale insegnamento, i cui esiti siano veri ficabili e socializzabili tra gli insegnanti , e contribuiscano a comporrç; quei momenti disparati ( nuovi manuali, nuove pratiche didattiche nelh. classe, ricchezza di manifestazioni « filosofiche » fuori dalla scuola) che rendono comunque appetibile l'approccio alla filosofia agli occhi dei giovani. In questa direzione ho tentato un primo, artigianale avvio, sondan­ do presso studenti di liceo classico e scientifico quali siano la loro im­ magine e il loro atteggiamento nei confronti della filosofia, quale viene studiata a scuola 2 • 7. Una prima constatazione di fondo è che lo studio della filosofi::� appare indissolubilmente legato alla particolare didattica del docente. Esso è attraente o ininteressante a seconda di chi spiega ; motiva o Ja.. 2. L'indagine si è svolta tra il dicembre 1982 e il maggio 1983 con 12 stu­ denti di liceo classico e scientifico. Non si tratta di un campione rappresentativo, ma piuttosto di un gruppo tout venant di giovani che hanno aderito a una richiesta originaria fatta a due allievi (uno del liceo classico, uno dello scientifico) e poi di questi socializzata ad altri compagni. Nel gruppo sono rappresentate scuole statali e non di Milano, Pavia, Voghera, e gli intervistati sono distribuiti per 8 scuole e 1 1 classi secondo lo schema seguente:

Liceo scientifico

Liceo classico Classe I

II III

l

l

maschio (Mi) maschio (Mi) maschio (Mi)

2 maschi (Mi) '' femmina (Vo)

Classe III

maschio (Mi)

IV

femmina (Pv) femmina (Pv)

v

maschio (Mi) femmina (Mi) femmina (Mi)

. ,, Sono nella medesima classe. Tutti gli altri frequentano classi diverse. La tecnica adottata è quella dell'intervista semistrutturata, usata in incontri extrascolastici individuali o di coppia. La traccia dell'intervista ha toccato princi­ palmente quattro aree: significato dello studio della filosofia nel corso del liceo (confronto con altre materie, sua peculiarità) ; impostazione storica di tale studio; difficoltà intrinseche; prospettiva di modificazioni o di conservazione qua talis dello studio della filosofia in una scuola futura riformata. Sul testo trascritto delle interviste si è proceduto successivamente con un'analisi del con tenuto per temi, rintracciando le « aree » sopra indicate e individuando, ove possibile, sottoaree più specifiche.

74 1 scia indifferenti in conseguenza dell'entusiasmo che per essa sa - o non sa - inculcare l'insegnante cui tale disciplina è affidata. Le dichiara­ zioni sono assai variegate; si va dallo studente di prima liceo classicc che parla di lezioni che « coinvolgono la classe », alla studentessa di quinta liceo scientifico che afferma « che una persona è attratta dalla materia se l'insegnante la rende piacevole » e quando si spiega « sa far sì che gli allievi siano partecipi di ciò che dice », all'allieva di seconda liceo classico che, ricordando la propria esperienza dell'anno precedente, pregia la « didattica dialogata e partecipata » dell'insegnante che indu­ ceva a riflettere in modo che « ognuno faceva [la filosofia] molto sua », fino alla studentessa di quinta liceo scientifico che si duole di non aver avuto sufficiente attenzione per tale disciplina perché > . Infine, uno studentessa di quarta liceo scientifico dice « c'è gen·

743 te che si appassiona di più a filosofia che a latino, forse perché il rap­ porto con il latino non è mai uno dei migliori, perché è una cosa che non si usa, mentre in filosofia [ è diverso ] : forse perché, c'è l'idea, un po' banale, che uno riesce a farsi delle idee ». 9 . Sotto questo profilo, assumono valore emblematico i vocaboli ricorrenti di « aiuta », « piace », « serve », « è utile », · con cui viene descritta la funzione della filosofia nello studio liceale. Un'allieva di seconda liceo classico dice infatti > , ST, VI, n. 3, pp. 55-60. 3904 >, ST, IX, n . 2, pp. 21-48. 4205 (Sophia, V, 1947), RCSF, II, p. 103. 4706 4706 Ree. di A. Omodeo, La cultura francese nell'età della Restaurazione (Mondadori, Milano, 1946), RCSF, II, p. 1 15. 4707 Ree. di R. Bizzarri, Condillac (La Scuola, Brescia, 1945 ) , RCSF, II, pp. 1 15-1 16. 4708 Ree. di L . Minio Paluello, > (Rivista di filosofia neoscolastica, XXXIX, 1947 ) , RCSF, II, p. 273. 4709 Ree. di F. Pelster, > (Gregorianum, XXVI II, 1947 ) , RCSF, II, p. 273. 4710 Ree. di A. Maier, (Qua­ derni della critica, VIII, 1947) , RCSF, I I , pp. 273-274. 47 1 2 Ree. di G. Di Napoli, , RCSF, III, pp. 45-50. « Idee morali nelle lettere di Eloisa >>, RCSF, III, pp. 123-128. « Giovanni Jonsio storico della filosofia >>, RCSF, III, pp. 159-169. >, Acme, I, pp. 247-256. Ree. di M. De Gandillac, Oeuvres choisies d'Abelard (Aubier, Paris, 1945 ) . RCFS, I I I , p. 77. Ree. di B. Pasca!, Le Provinciali (Denti, Milano, 1945), RCSF, III, p. 92. Ree. di M. De Wulf, Storia della filosofia medievale (Libreria editrice fio­ rentina, Firenze, 1945 ) , RCSF, III, p. 94. Ree. di B. Spinoza, Trattato teologico-politico (Fantoni, Venezia, 1945), RCSF, III, p. 94. Ree. di M.M. Rossi, L'estetica dell'empirismo inglese (Sansoni, Firenze, 1944), RCSF, III, pp. 94-95. Ree. di E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Set­ tecento (La Nuova Italia, Firenze, 1947) , RCSF, III, p. 95. Ree. di P. Rotta, Storia della filosofia (La Scuola, Brescia, 1947), RCSF, III, p. 95.

756 4813 Ree. di L . Ollè Laprune, Antologia essenziale (La Scuola, Brescia, 1948), RCSF, III, p. 96. 4814 Ree. di C. Marx, Pagine di filosofia politica (Garzanti, Milano, 1947) , RCSF, III, p. 96. 4815 Ree. di A. Guzzo, S. Maturi (La Scuola, Brescia, 1946), RCSF, III, p. 96. 4816 Ree. di J. Dewey, Liberalismo e azione sociale (La Nuova Italia, Firenze, 1946), RCSF, III, p. 96. 4817 Ree. di J. Burekardt, Considerazioni sulla storia del mondo (Bompiani, Mi­ lano, 1945 ) , RCSF, III, p. 97 . 4818 Ree. di A. Olivetti, L'ordine politico delle Comunità (Edizioni di Comunità, Roma, 1946), RCSF, III, p. 97. 4819 Ree. di J. Ortega y Gasset, Schema delle crisi (Bampiani, Milano, 1947), III, p. 97. 4820 Ree. di E. Garin, La filosofia (Vallardi, Milano, 1947) , RCSF, III, pp. 290-292 . 4821 Ree. di F. Braneatisano, Marxismo ed esistenzialismo (Filoeamo, Reggio Ca­ labria, 1947), RCSF, III, pp. 297-298. 4822 Ree. di C. Carbonara, Materialismo storico e idealismo critico (Humus, Napoli, 1947), RCSF, III, p. 298. 4823 Ree. di A. Mickiewicz, Gli slavi (Utet, Torino, 1947), RCSF, III, p. 3 1 4 . 4824 Ree. d i Giornale critico della filosofia italiana (nuova serie), RCSF, III, p. 317. 1949 4901 Hume, Bocca, Milano, pp. 364. 4902 D. Hume, Trattato sulle passioni, traduzione, introduzione e note di M. Dal Pra, Paravia, Torino, pp. xxvii-202 (seconda edizione nel 1 957 ) . 4903 D . Hume, L a natura umana. Antologia sistematica delle opere filosofiche, tra· duzione, introduzione e note a cura di M. Dal Pra, La Nuova Italia, Firenze, pp. xxv-286 (cfr. il n. 6502) . 4904 L'archivio storico della fondazione C.V.L. , a cura di M. Dal Pra, Fondazione C.V.L., Milano (datazione presunta), pp. 5 1 . 4905 « Il metodo della 'unità personale' nella storiografia filosofica », RCSF, IV, pp. 140-144 . 4906 « Malebranche nell'opera d i Hume », RCSF, IV, pp. 297-299 . 4907 « Momenti della vita partigiana. Walter Josef Ulanowsky. Due note di diario e due lettere >>, Il movimento di liberazione in Italia, n. l , pp. 28-3 1 . 4908 Ree. di G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia (La Nuova Italia, Firenze, 1 947), RCSF, IV, p. 176. 4909 Ree. di A.N. Whitehead, La scienza e il moderno (Bompiani, Milano, 1945), RCSF, IV, p. 176. 1950 5001 Lo scetticismo greco, Bocca, Milano, pp. 464 (cfr. il n. 750 1 ) . 5002 La storiografia filosofica antica, Bocca, Milano, pp. 307 . 5003 « Problematicismo e teoricismo », RCSF, V, pp. 1-24. 5004 > in n. 620 1 , pp . 188-194 . 6203 « Lettere di Croce a Giovanni Vailati ( a cura d i M . Dal Pra} » , RCSF, XVII , pp. 180-187 . 6204 « Su una proposta di nuovi programmi per l 'insegnamento della filosofia nei licei >>, RCSF, XV I I , pp. 345-3 5 1 . 6205 >, RCSF, XVII, pp. 4 1 1-433 (cfr. i l n. 7601) . 1963 6301 Sommario di storia delta filosofia per i licei classici e scientifici. Vol. I, La Nuova I talia, Firenze, pp. xi-360 (diciannovesima ristampa aggiornata nel 1982) . 6302 Sommario di storia della filosofia per i licei classici e scientifici. Vol. II, La Nuova I talia, Firenze, pp. 357 (quindicesima ristampa aggiornata nel 1982 ) . 6303 D . Hume, Dialoghi sulla religione naturale, a cura di M . Dal Pra, Laterza, Ba­ ri, pp. xliii-170 (cfr. i nn. 4701 e 830 1 ) . 6304 « La preparazione degli insegnamenti d i filosofia nell'Università italiana >>, in Atti del I I Congresso internazionale sul tema: Filosofia e insegnamento (Mi· !ano, 1-2 novembre 1 961), Il Pensiero, VIII, pp. 185-192 . 1964 6401 Sommario di storia delta filosofia per i licei classici e scientifici. Vol. I II, La Nuova Italia, Firenze, pp. 410 (quattordicesima ristampa aggiornata nel 1982). 6402 >, RCSF, XIX, pp. 271 -294. 6403 Ree. di N . Abbagnano, La filosofia antica la filosofia medievale (Laterza, Bari , 1963 ) , RCSF, XIX, pp. 1 10-1 12. 6404 Ree. di G. Galilei, Dialogo sui massimi sistemi (Laterza, Bari, 1963 ) , RCSF, XIX, pp. 327-.328. 6405 Ree. di B. Russell, La conoscenza umana: le sue possibilità e i suoi limiti (Longanesi, Milano, 1963), RCSF, XIX, pp. 339-340. ·

1965 650 l

La dialettica in Marx. Dagli scritti giovanili all'« Introduzione alla critica del­ l'economia politica », Laterza, Bari, pp. 475 (cfr. i nn. 7201 e 7202) . 6502 D. Hume, La natura umana. Antologia sistematica delle opere filosofiche, scelta, traduzione, introduzione e note a cura di M. Dal' Pra, seconda eclizio· ne rifatta, La Nuova Italia, Firenze, pp. xxiv-262 (cfr. in n . 4903).

767 6503 Antologia di testi filosofici del Quattrocento. Valla, Cusano, Ficino, Pico, per le lezioni di Storia della filosofia tenute dal prof. M. Dal Pra nell'a.a. 1964-1965, La Goliardica, Milano, pp. 241 . 1966 6601 P. Abelardo, Scritti per le lezioni di Storia della filosofia medievale, La Goliar­ dica, Milano, pp . 206 ( alle pp. 125-203 ristampa del n. 4102 ) . 6602 « Una 'Oratio' programmatica d i G . Zabarella ( a cura di M . Dal Pra) » , RCSF, XXI, pp. 286-290 (cfr. il n. 760 1 ) . 6603 Presentazione di E. Rambaldi, Le origini della sinistra hegeliana. I-I. Heine, D. F. Strauss, L. Feuerbach, B. Bauer, La Nuova Italia, Firenze, pp. ix-xi. 6604 Presentazione di B. Russell, Sintesi filosofica, La Nuova I talia, Firenze, pp. v-xv (ristampa nel 1973 ) . 6605 Ree. di E . R . Dodds, Pagan and Christian in an Age of Anxiety (Cambridge University Press, Cambridge, 1965), RCSF, XXI, pp. 426-429. 1967 6701 « L'astrazione nella filosofia di Hume », RCSF, XXII, pp. 435-456 (ripub­ blicato in Aa.Vv., Studi su Hume, La Nuova I talia, Firenze, 1968, pp. 65-86. Cfr. anche il n. 760 1 ) . 6702 Sur l a dialectique », Diogène, LX, pp. 3-23. 6703 Ree. di E.R.A. Seligman, The Economie Interpretation of History (Colum­ bia University Press, New York, 1962) , RCSF, XXII , p. 244. «

1 968 6801 D. Hume, Estratto del Trattato sulla natura umana. Con aggiunta la Lettera ad un amico in Edimburgo, a cura di M. Dal Pra, Laterza, Bari, pp. 147 (ri­ stampa nel 1983 ) . 6802 P. Martinetti, Kant, nuova edizione a cura di M . Dal Pra, Feltrinelli, Mila­ no, pp. xxi-309. 6803 Presentazione di A. E. Taylor, Platone. L'uomo e l'opera, La Nuova Italia, Firenze, pp. v-xvii (ristampa nel 1976) . 1969 6901 P. Abelardo, Scritti di logica. Edito super Porfirium - Glossae in Categorias Editio super Aristotelem de Interpretatione - De Divisionibus - Super Topiea Glossae, editi da M. Dal Pra, seconda edizione, La Nuova Italia, Firenze, pp. xl-330 (cfr. il n. 540 1 ) . 6902 « Sulla riforma dell'Universi tà », RCSF, XXIV, pp. 348-356. 6903 , in n. 7503, pp. 3-14 . 7508 « Lo scetticismo dell'Accademia: Arcesilao e Carneade », in n. 7503, pp. 123-140. 7509 ; · « Postilla all'Errata Corrige » (a proposito del n. 75 1 1 ) , RCSF, XXX, pp. 360 e 473. -

770 1976 7601 Logica esperienza e prassi. Momenti del pensiero moderno e contemporaneo, Morano, Napoli, pp. 205 (raccoglie - con uno studio inedito su « Hegel e la formazione di Dewey » i nn. 6205, 6701 , 6903 , 6003, 7405, 6002, 6602, 7302, 7403, revisionati ed aggiornati) . 7602 P. Abelardo, Conosci te stesso o Etica, introduzione, traduzione e note di M. Dal Pra (nuova edizione interamente rielaborata), La Nuova I talia, Firen­ ze, pp. lvii-179 (cfr. il n. 4102 ) . 7603 Aa.Vv., Storia della filosofia diretta da M. Dal Pra. Vol. I, Vallardi, Milano, pp. 67 1 . . 7604 Aa.Vv., Storia della filosofia diretta da M. Dal Pra. Vol. V, Vallardi,•Milano, pp. 489. 7605 Aa.Vv., Storia della filosofia diretta da M. Dal Pra. Vol. VI, Vallardi, Milano, pp . 527 . 7606 Aa.Vv., Storia della filosofia diretta da M. Dal Pra. Vol. VII, Vallardi, Milano, pp. 969. 7607 Aa.Vv., Storia della filosofia diretta da M. Dal Pra. Vol. IX, Vallardi, Milano, pp. 63 1 . 7608 « Presentazione dell'opera », i n n . 7603, 8 pagine non numerate. 7609 « Chiesa e stato, religione magia e scienza agli inizi del Seicento », in n. 7606, pp. 337-351. 7610 « Tommaso Campanella >>, in n . 7606, pp. 373-398. 761 1 « Altusio e Grazio », in n. 7606, pp. 417-430. 7612 « Pasca! e il giansenismo >>, in n. 7606, pp. · 529-557. 7613