Introduzione alla paleontologia
 8802046727, 9788802046723

Table of contents :
COPERTINA FRONTE
SOMMARIO
1. LA DISCIPLINA DELLA PALEONTOLOGIA
2. TAFONOMIA
3. LA SCIENZA DELLA CLASSIFICAZIONE
4. FOSSILI ED EVOLUZIONE
5. L'ORIGINE DELLA BIOSFERA E L'EVOLUZIONE DELLE PRIME FORME DI VITA
6. FOSSILI E PALEOAMBIENTI
7. PALEOICNOLOGIA
8. FOSSILI E STRATIGRAFIA
9. LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI FOSSILI
BIBLIOGRAFIA GENERALE
INDICE ANALITICO
COPERTINA RETRO

Citation preview

S. Raffi - E. Serpagli

INTRODUZIONE ALLA

Scienze della Terra UTET

MRFFI-E,SERARGLI INTRODUZIONE ALLA PALEONTOLOCIA UTET-TORINO 0881527

Scienze della Terra Collezione diretta da ALFONSO BOSELLINI

Volumi pubblicati: Rocce e successioni sedimentarie C. D'AMIco, F. INNOCEN'TI e F. P. SASSI, Magmatismo e metamorfismo B. MARTINIS, Geologia ambientale A. BOSELLINI, E. Mum e F. Rica Lucan,

Sergio Raffi - Enrico Serpagli

A ONTO OG1A

UTET

inn3678,

Progetto grafico per la copertina: Germano Facetti in copertina: Margarosmilia zieteni (Klipstein, 1843), Formazione di San Cassiano (Dolomiti), Trias sup. (Carnico). (Foto Franco Russo)

© 1993 Unione Tipografico-Editrice Torinese corso Raffaello, 28 - 10125 Torino 1996 Ristampa aggiornata I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. L'Editore potra concedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume e fino ad un massimo di settantacinque pagine. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all'AIDROS, via delle Erbe, 2 - 20121 Milano Tel. e Fax 02/809506 Fotocomposizione: Compedit - Torino Stampa: Tipografia Torinese - Torino

ISBN 88-02-04672-7

A Eugenia Montanaro Gallitelli e Giuliano Ruggieri maestri di scienza e di vita

PREMESSA

La convinzione che la storia fisica e la storia biologica della Terra siano inscindibilmente integrate, da intuizione di pochi e divenuta progressivamente un concetto unanimemente condiviso. Solo in questi ultimi 20-30 anni e stato tuttavia possibile descrivere in modo integrato le variazioni del mondo fisico (geologiche, climatiche e oceanografiche) e i fenomeni di trasformazione della biosfera. L'interazione di tutte le discipline delle Scienze della Terra e molto evidente se si considera la posizione culturale della paleontologia, la scienza dei fossili, inseparabile dalle Scienze Geologiche anche se rientra per definizione nelle Scienze Biologiche. La paleontologia utilizza le conoscenze di entrambe e fornisce, a sua volta, informazioni essenziali e insostituibili che evocano costantemente l'interdipendenza di tutte le scienze naturali. Il progresso scientifico ha fornito alle Scienze della Terra metodi di indagine formidabili come la radiometria, la magnetostratigrafia, la stratigrafia isotopica, ecc.; questi nuovi mezzi, sempre pia sofisticati, hanno permesso di valorizzare ulteriormente i dati paleontologici confermando la loro grande affidabilita. Con it progredire delle conoscenze nella paleontologia, come del resto in tutte le altre discipline, si e verificata la tendenza ad una differenziazione sempre pia marcata di alcuni classici temi di ricerca, come ad esempio la paleobiogeografia, la paleoecologia, la biostratigrafia, ecc., che in breve tempo sono divenute delle vere e proprie discipline indipendenti anche se strettamente legate. Un testo di paleontologia generale dovrebbe quindi ottemperare all'esigenza di trattare argomenti che ormai sono differenziati in discipline diverse e ponderose. E dunque « facile » incorrere in errori ed omissioni e risulta d'altra parte « dzfficile » mettere in risalto it rapporto di interazione di discipline ormai autonome. Il nostro obiettivo e stato quello di trattare i vari argomenti della paleontologia agganciandoli quanto pia possibile, tenendo conto dei vincoli del tema trattato, alle altre discipline dei corsi di laurea in Scienze Geologiche e Naturali. E inevitabile che, pur partendo con finalita esclusivamente didattiche e con l'obiettivo di fornire dati e considerazioni oggettive e non di parte, la trattazione presenti spesso un approccio critico che risente delle nostre opinioni. Tale tendenza e temperata dallo sforzo di adottare un linguaggio quanto pia possibile semplice e chiaro; ci auguriamo dunque che questo libro possa costituire una lettura facile e utile anche per i numerosi appassionati e cultori della paleontologia.

VIII Premessa Siamo consapevoli di mold dei difetti di questa prima edizione, in particolare della mancanza di equilibrio tra le varie parti, di omissioni o di argomenti trattati in modo sommario. Manca, ad esempio, un capitolo dedicato alla paleoclimatologia e molto ridotta e la trattazione dei processi di estinzione. Il lavoro di stesura stato condotto in stretta collaborazione ma, anche per la distanza delle sedi dei due autori, rispettivamente l'Universita di Modena (Enrico Serpagli) e l'Universita di Catania (Sergio Raffi, fino all'ottobre 1991), si resa necessaria una suddivisione del lavoro. Enrico Serpagli ha curato maggiormente ed quindi responsabile dei capitoli 2 (Tafonomia), 5 (L'Origine della biosfera e l'evoluzione delle prime forme di vita), 7 (Paleoicnologia), 9 (La distribuzione geografica dei fossili). Sergio Raffi si occupato prevalentemente ed quindi responsabile dei capitoli 1 (La disciplina della paleontologia), 3 (La scienza della classificazione), 4 (Fossili ed evoluzione), 6 (Fossili e paleoambienti), 8 (Fossili e stratigrafia). Gran parte dell'organizzazione del volume e dell'iconografia e opera di Enrico Serpagli. Alcuni colleghi ed amici hanno acconsentito cortesemente a partecipare in prima persona alla stesura di finestre e di paragrafi. Francesca Bosellini ha curato it paragrafo 6.16 (Organismi costruttori e ambienti di scogliera), Annalisa Ferretti ha preparato la finestra 7.1 (La bioturbazione). Walter Landini e autore della finestra 9.3 (Catene alimentari e biogeografia) e del paragrafo 9.4.1 (Modality del fenomeno). Ii paragrafo 8.4 (Litostratigrafia e unity litostratigrafiche) e la finestra 8.1 (La facies) sono dovuti alla cortesia di Claudio Neri che anche coautore dei primi tre paragrafi del capitolo 8 (Introduzione; Definizione e obiettivi della stratigrafia; Procedure stratigrafiche). La finestra 9.4 (La storia dell'Oceano Reico: un'ipotesi alternativa) dovuta alla cortesia di Giambattista Vai. Per le numerose implicazioni sedimentologiche e diagenetiche, it capitolo 2 (Tafonomia) stato preparato in collaborazione con Gian Clemente Parea che ha rielaborato una prima edizione del capitolo apportandovi contributi originali. Sarebbe poi impossibile ringraziare tutte le persone che ci hanno aiutato nelle varie fasi di stesura del libro dimostrandoci una disponibilita pia che cordiale. Un'attenta lettura critica di alcuni capitoli dovuta a Italo Di Geronimo (Cap. 1 - La scienza della Paleontologia), Danilo Torre e Giuseppe Pelosio (Cap. 3 - Fossili e Tassonomia, e 4 Fossili ed Evoluzione), Lorenzo Bolognani (Cap. 5 - L'origine della biosfera), Antonio Russo, Cesare Corselli e Marco Taviani (Cap. 6 - Fossili e Paleoambienti), Gian Clemente Parea (Cap. 7 - Paleoicnologia), Isabella Premoli Silva (Cap. 8 - Fossili e Stratigrafia), Walter Landini (Cap. 9 - La distribuzione geografica dei fossili). Gian Battista Vai ha rivisto in parte it capitolo 9, mentre Leonardo Langone ha letto criticamente it breve paragrafo del capitolo 8 dedicato alla radiometria. Altri colleghi sono stati prodighi di consigli su singoli paragrafi o su finestre. Tra quest non possiamo dimenticare D. Bertolani Marchetti, L. Bonfiglio, G. Dieci, B. Fratello, M. Gaetani, W. Hammann, G. F. Laghi, M. Mazzanti, C. Neri, R. Olivieri, e F. Russo. Un ringraziamento del tutto particolare va rivolto a Isabella Premoli Silva e Danilo Torre per la loro encomiabile (e insuperabile) vis critica. Sottolineamo, anche se ovvio, che i nostri referees hanno letto solo una version dei vari capitoli o dei singoli paragrafi e non sono assolutamente responsabili dei nostri errori. Questo libro, infine, non avrebbe mai visto la luce senza la infinita pazienza e competenza di Giancarlo Leonardi (Modena), incomparabile realizzatore di tutta la parte grafica del volume (e di quella progettata, realizzata ma non utilizzata!). Un ringraziamento particolare va anche al collega Achille Sirotti, al tecnico P. Rompianesi, al bibliotecario E. Dall'Olio e a tutti gli altri amici dell'Istituto di Paleontologia di Mo-

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Premessa IX

dena (M. Gnoli, F. Davoli, A. Ferretti, C. Papazzoni) the ci hanno pazientemente «sopportato» e aiutato. Per aver messo cortesemente a disposizione materiale iconografico (fotografie) si ringraziano: Anderson (New York), L. Altichieri (Padova), S. Bengtson (Uppsala), J. Bergstrom (Stockholm), V. Borselli (Firenze), F. R. Bosellini (Modena), A. Cherchi (Cagliari), I. Chlupac (Praga), F. Dalla Vecchia e G. Muscio (Udine), F. Debrenne (Parigi), A. Farinacci e C. Petronio (Roma), M. Gnoli (Modena), B. Hauff (Holzmaden), H. J. Hoffmann (Montreal), J. Kriz (Praga), L. Larsen (Copenhagen), G. Leonardi (Venezia), D. R. Lowe (Stanford), U. Nicosia (Roma), G. C. Parea (Modena), G. L. Pillola (Cagliari), G. Raineri (Parma), E. Robba (Milano), P. Rompianesi (Modena), A. Russo (Modena), F. Russo (Modena), M. Sander (Bonn), J. W. Schopf (Los Angeles), C. Schumacher (Frankfurt), C. Spano (Cagliari), A. Sirotti (Modena), L. Sorbini (Verona), L. Spezia (Milano), G. Vidal (Lund), G. Viohl (Solnhofen), G. Zanzucchi (Parma), Istituto di Paleontologia di Modena. Sergio Raffi, Enrico Serpagli 15 novembre 1992

NOTA ALLA RISTAMPA AGGIORNATA DEL 1996 Con la presente «ristampa aggiornata » non solo vengono eliminati gli errori tipografici pia macroscopici e le principali «sviste» imputabili alla urgenza di chiudere la prima edizione del volume (per non abusare oltre misura della pazienza dell'Editore), ma vengono anche aggiornate parti di alcuni capitoli, viene completato l'indice analitico con oltre quaranta nuove citazioni e vengono corrette, rielaborate o rifatte completamente una cinquantina di figure e tabelle. Gil Autori

SOMMARIO

1. LA DISCIPLINA DELLA PALEONTOLOGIA 1.1.

Fossili e biosfera 1.1.1. Origine del Sistema Solare e della Terra La Terra si differenzia dagli altri pianeti del Sistema Solare per la 1.1.2. presenza della biosfera 1.1.3. Cenni sull'evoluzione della biosfera 1.1.4. I fossili documentano la storia della biosfera 1.2. Breve storia della Paleontologia 1.2.1. La scoperta dei fossili Teoria della genesi inorganica 1.2.2. 1.2.3. Teoria della genesi organica 1.2.4. L'introduzione del metodo di nomenclatura binomia 1.2.5. La scoperta «ufficiale» degli strati 1.2.6. Il superamento della Teoria Diluviale 1.2.7. Il problema dell'eta della Terra 1.2.8. Fossili e strati Paleontologia e Scienze Geologiche 1.2.9. Finestra 1.1. Uniformismo e catastrofismo 1.2.10. Fossili ed evoluzione: inizio di un binomio 1.3. Paleontologia, Geologia e Biologia 1.4. La Paleontologia e le sue parti 1.5. Le applicazioni della Paleontologia Guida bibliografica 2. TAFONOMIA 2.1. Considerazioni generali 2.1.1. Introduzione 2.2. Sostanze the costituiscono gli organismi viventi Generality 2.2.1. 2.2.2. Le parti non mineralizzate Le parti mineralizzate 2.2.3. 2.3. Mode degli organismi 2.4. Processi biostratinomici 2.4.1. Necrolisi 2.4.2. Bioerosione 2.4.3. Dissoluzione prediagenetica 2.4.4. Trasporto 2.4.5. Prefossilizzazione Finestra 2.1. Determinazione dell'ostracomassa 2.5. Seppellimento 2.5.1. Seppellimento in detriti minerali 2.5.2. Inglobamento in detriti ricchi di materia organica

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XII Sommario Inglobamento in fluidi 2.5.3. Incrostazione 2.5.4. 2.6. Processi di fossilizzazione 2.6.1. Fossilizzazione della materia organica Finestra 2.2. L'uomo fossile della Val Senales 2.6.2. Fossilizzazione delle parti mineralizzate Finestra 2.3. I giacimenti fossiliferi eccezionali (Fossil-Lagerstatten) 2.6.3. Deformazioni dei fossili Guida bibliografica

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3. LA SCIENZA DELLA CLASSIFICAZIONE

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3.1. 3.2. 3.3. 3.4.

Introduzione Sistematica, tassonomia, classificazione e nomenclatura: definizioni Gerarchia delle categorie tassonomiche La nomenclatura 3.4.1. Alcune regole fondamentali di nomenclatura Finestra 3.1. Alcuni casi di sinonimia e di omonimia 3.5. Paratassonomia 3.6. Le specie 3.6.1. La specie in paleontologia 3.6.2. La variability intraspecifica e l'identificazione della specie in paleontologia 3.7. Tassonomia e filogenesi 3.8. La scelta dei caratteri per classificare: omologia ed analogia degli organi 3.9. Gruppi monofiletici e polifiletici 3.10. Le diverse scuole tassonomiche 3.10.1. Tassonomia evolutiva 3.10.2. La tassonomia filogenetica o cladismo 3.10.3. Tassonomia numerica 3.10.4. Osservazioni conclusive sulle tre scuole tassonomiche Guida bibliografica 4. FOSSILI ED EVOLUZIONE 4.1. Introduzione 4.2. Adattamento e diversity Finestra 4.1. Prove neontologiche dell'evoluzione: elogio dell'imperfezione 4.3. Discendenza con modificazione 4.4. La teoria evolutiva di Lamarck e i neolamarckisti Finestra 4.2. La crociera del Beagle: la scoperta dell'evoluzione 4.5. La teoria evolutiva di C. Darwin: «Discendenza con modificazione attraverso la selezione naturale» 4.6. La selezione naturale e la trasmissione dei caratteri Finestra 4.3. Da Mendel alla scoperta dei geni 4.7. I depositari del programma genetico ereditario 4.8. Origine delle variazioni: mutazioni genetiche, cromosomiche e poliploidia Finestra 4.4. Cenni sul DNA, it programma della vita Finestra 4.5. Neolamarckismo e teoria sintetica 4.9. Riproduzione sessuata e asessuata 4.10. Genotipo, fenotipo e selezione naturale Finestra 4.6. La deriva genetica 4.11. Microevoluzione 4.11.1. Popolazione e selezione naturale 4.11.2. Il problema dell'origine delle specie 4.11.3. Origine di specie nuove secondo la teoria sintetica e la teoria degli equilibri intermittenti 4.12. Macroevoluzione 4.12.1. L'origine dei gruppi tassonomici e la macroevoluzione

Sommario XIII Macroevoluzione, teoria sintetica e teoria della «selezione delle specie» 4.12.3. Origine di nuovi schemi organizzativi 4.12.4. Limitazioni e tendenze evolutive 4.12.5. Irreversibility dei fenomeni evolutivi Finestra 4.7. Ontogenesi e filogenesi 4.12.6. Andamento della diversity tassonomica nel tempo 4.12.7. Tasso di evoluzione e fossili viventi 4.12.8. Estinzioni 4.12.9. Le radiazioni adattative 4.13. Breve sintesi e osservazioni conclusive Guida bibliografica 4.12.2.

5. L'ORIGINE DELLA BIOSFERA E L'EVOLUZIONE DELLE PRIME FORME DI VITA 5.1. Premessa 5.2. Le ipotesi dell'origine improvvisa della vita 5.3. Le teorie dell'evoluzione precellulare (o dell'origine 4enta» della vita) La teoria organica 5.3.1. Finestra 5.1. L'esperienza di Miller 5.3.2. Alcune definizioni Le vie metaboliche 5.3.3. La teoria minerale 5.3.4. Alternative allo scenario dell'oceano primordiale 5.3.5. Finestra 5.2. I vents idrotermali 5.4. Le teorie dell'evoluzione cellulare (l'origine degli eucarioti) 5.5. I documenti fossil della vita primordiale Introduzione 5.5.1. Finestra 5.3. Stratigrafia del Precambriano e del Cambriano inferiore Finestra 5.4. Le stromatoliti La vita nell'Archeano (4.000-2.500 m a) 5.5.2. La vita nel Proterozoico inferiore (2.500-1.600 m a ) 5.5.3. La vita nel Proterozoico medio e superiore (1600-570 m.a.) 5.5.4. 5.6. Riflessioni sulla comparsa della pluricellularita 5.7. Il passaggio evolutivo Precambriano/Cambriano 5.8. L'origine delle parti dare mineralizzate Guida bibliografica 6. FOSSILI E PALEOAMBIENTI 6.1. Introduzione 6.2. Ecologia Elementi di ecologia 6.2.1. 6.3. La paleoecologia 6.4. Paleontologia, paleoecologia, biologia e geologia 6.5. Paleoecologia marina e paleoecologia continentale 6.6. Origine della paleoecologia marina 6.7. Obiettivi della paleoecologia marina 6.8. Ambienti marini attuali e zonazione verticale La zonazione verticale dell'ambiente pelagico 6.8.1. La zonazione verticale dell'ambiente bentonico 6.8.2. 6.9. I modi di vita degli organismi marini La mobility 6.9.1. Trofismo 6.9.2. 6.10. I fattori the controllano la distribuzione degli organismi marini 6.10.1. Il substrato 6.10.2. Correnti e turbolenza 6.10.3. Temperatura

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XIV Sommario 6.10.4. Salinity 6.10.5. Tenore di ossigeno 6.10.6. Nutrienti 6.10.7. Profondita 6.11. Uniformismo tassonomico 6.12. Morfologia funzionale Finestra 6.1. Introduzione all'autoecologia dei bivalvi 6.13. Popolazioni e paleoambienti 6.13.1. Modo e velocity di crescita delle popolazioni 6.13.2. La struttura delle popolazioni 6.13.3. Variability morfologica nell'ambito della popolazione 6.14. Sinecologia 6.14.1 Introduzione Finestra 6.2. Mutualismo e commensalismo 6.14.2. Dalle associazioni viventi alle associazioni fossili 6.14.3. Identificazione delle comunita fossili 6.14.4. II campionamento 6.14.5. Composizione tassonomica e deduzioni paleoambientali 6.14.6. Analisi delle caratteristiche strutturali delle comunita 6.15. Bionomia bentonica e paleoecologia: un approccio pragmatico per le ricostruzioni paleoambientali 6.15.1. Introduzione 6.15.2. Integrazione della zonazione idrodinamica con quella della Scuola di Endoume 6.16. Organismi costruttori e ambiente di scogliera 6.16.1. Introduzione 6.16.2. Definizione di scogliera 6.16.3. Le scogliere coralline attuali 6.16.4. Le comunita di scogliera 6.16.5. Le scogliere del passato Guida bibliografica

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7. PALEOICNOLOGIA 7.1. Introduzione 7.2. Fossilizzazione delle tracce fossil 7.3. Classificazione e nomenclatura delle tracce fossili 7.3.1. Domichnia (Strutture di abitazione) 7.3.2. Fodinichnia (Strutture di nutrizione) 7.3.3. Pascichnia (Tracce di pascolo) 7.3.4. Agrichnia (Strutture e trappole agroalimentari) Cubichnia (Tracce di riposo) 7.3.5. Repichnia (Tracce di locomozione) 7.3.6. 7.3.7. Equilibrichnia (Strutture di riequilibrio) 7.3.8. Fugichnia (Strutture di fuga) 7.3.9. Praedichnia (Tracce di predazione) 7.4. Altre strutture 7.5. Implicazioni paleobiologiche delle tracce fossili 7.6. Importanza paleoambientale delle tracce fossil 7.7. Significato stratigrafico e paleobiogeografico 7.8. Tracce fossili e sedimentologia Finestra 7.1. La bioturbazione Guida bibliografica

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8. FOSSILI E STRATIGRAFIA 8.1. Introduzione 8.2. Definizione e obiettivi della stratigrafia 8.3. Procedure stratigrafiche

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Sommario XV

8.3.1. La correlazione stratigrafica 8.3.2. La classificazione stratigrafica Gli stratotipi 8.3.3. 8.4. Litostratigrafia e unite litostratigrafiche Correlazioni litostratigrafiche 8.4.1. 8.4.2. Dalla litostratigrafia alla stratigrafia dinamica Finestra 8.1. La facies Finestra 8.2. Cronologia relativa e «assoluta» 8.5. La biostratigrafia Le unite della biostratigrafia 8.5.1. 8.5.2. La correlazione biostratigrafica Finestra 8.3. Ecostratigrafia ed ecobiostratigrafia Finestra 8.4. La stratigrafia olocenica del Mar Baltico Finestra 8.5. La diversa localizzazione da parte degli autori del LAD di Calcydiscus macintyrei e del FAD di Gephyrocapsa oceanica nella sezione plio-pleistocenica di Vrica Finestra 8.6. Correlazione delle successioni marine con quelle continentali: it caso del Plio-Pleistocene mediterraneo Finestra 8.7. Biozone e unity faunistiche 8.6. I metodi fisici e chimici della stratigrafia e le loro relazioni con la biostratigrafia 8.6.1. Datazioni radiometriche La magnetostratigrafia 8.6.2. Finestra 8.8. Biostratigrafia, biocronologia e magneto-biocronologia Finestra 8.9. Correlazione delle zone di magnetopolarita con la scala temporale delle inversioni di magnetopolarita: it caso della sezione di Vrica, stratotipo del limite Plio-Pleistocene 8.6.3. Stratigrafia con gli isotopi stabili e biostratigrafia Finestra 8.10. Gli isotopi dello stronzio 8.7. Cronostratigrafia, geocronologia e scala cronostratigrafica (o geocronologica) standard globale Premessa 8.7.1. 8.7.2. Definizione e obiettivi della cronostratigrafia 8.7.3. La Scala Cronostratigrafica (o Geocronologica) Standard Globale . 8.7.4. Unita cronostratigrafiche e geocronologiche 8.7.5. Definizione pratica delle unite cronostratigrafiche standard globali Finestra 8.11. La suddivisione stratigrafica del Terziario 8.7.6. Le correlazioni cronostratigrafiche 8.7.7. Geocronometria, Geocronologia e Cronostratigrafia Guida bibliografica

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9. LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI FOSSILI 9.1. Introduzione: la biogeografia e le sue parti 9.2. La biogeografia storica: dispersione e vicarianza 9.2.1. Il modello della dispersione 9.2.2. Il modello della vicarianza Finestra 9.1. I cladogrammi biologici di aree geografiche 9.2.3. Alcune riflessioni conclusive 9.3. La biogeografia ecologica Finestra 9.2. La teoria dell'equilibrio di McArthur & Wilson Finestra 9.3. Catene alimentari e biogeografia 9.4. Migrazioni e dispersioni Modality del fenomeno 9.4.1. 9.4.2. Tempi di diffusione 9.5. La diffusione degli organismi nei principali modelli 9.5.1. La diffusione degli organismi nel modello della dispersione 9.5.2. La diffusione degli organismi nel modello della vicarianza

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XVI Sommario

Regioni biogeografiche e paleobiogeografiche Tettonica delle placche e paleobiogeografia Strategie in paleobiogeografia Alcuni casi «Classici» di paleobiogeografia Gil oceani Giapetico e Reico: due antichi oceani scomparsi 9.9.1. La storia dell'Oceano Reico: un'ipotesi alternativa Finestra 9.4. II Continente di Gondwana 9.9.2. 9.9.3. La distribuzione disgiunta dei fusulinidi tetidei 9.9.4. Le orbitoline e in rotazione della Sardegna 9.9.5. Il lungo viaggio della penisola indiana e le sue faune continentali 9.9.6. L'evoluzione dei marsupiali e it distacco dell'Australia La Tetide 9.9.7. 9.9.8. II ponte filtrante centroamericano 9.9.9. Le migrazioni dei mammiferi nell'emisfero settentrionale 9.9.10. Biogeografia storica delle flore continentali (Cenni di paleofitogeografia) 9.10. Paleobiogeografia e faune insulari 9.10.1. Generality e definizioni 9.10.2. Peculiarity delle faune insulari 9.10.3. Cause dell'adattamento all'ambiente insulare 9.10.4. Modality di popolamento delle isole 9.10.5. Biogeografia storica di alcune isole continentali del Mediterraneo 9.10.6. Isole fossili Guida bibliografica 9.6. 9.7. 9.8. 9.9.

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1. LA DISCIPLINA DELLA PALEONTOLOGIA

1.1 — FOSSILI E BIOSFERA 1.1.1 — Origine del Sistema Solare e della Terra La teoria ancora oggi pin accreditata sullo sviluppo del Sistema Solare e dei suoi 9 pianeti, inclusa la Terra, postula un'origine comune per condensazione delle enormi quantita di polveri di una nebulosa primordiale a forma di disc(CIFM\igine simultanea del Sistema Solare e suggerita dall'andamento delle orbite dei pianeti\ intorno al Sole che approssimano to stesso piano: se i pianeti si fossero formati in tempi successivi i loro piani orbitali sarebbero diversi. _ Sulla Terra le rocce pin antiche fino ad ora conosciute risalgono a circa 3,8 miliardi di anni fa, ma si ritiene che it mancato ritrovamento di rocce ancora pin antiche sia dovuto a processi metamorfici 1e magmatici che all'inizio della storia terrestre erano probabilmente molto pin intensi di quelli attuali. Si presume anche che all'inizio la litosfera fosse molto sottile e quindi instabile e soggetta ad essere riassorbita nel mantello. La determinazione dell'eta del Sistema Solare non poteva quindi che venire dalla datazione radiometrica di rocce extraterrestri quali le meteoriti, catturate dal campo gravitazionale della Terra e considerate le rocce primordiali del Sistema Solare, e le rocce della Luna, raccolte dagli astronauti. Le datazioni radiometriche delle meteoriti approssimano costantemente it valore di 4,6 miliardi di anni e tale valore coincide significativamente con quello delle rocce lunari pin antiche. Esiste quindi una documentazione attendibile per sostenere che it Sistema Solare ebbe origine simultaneamente circa 4,6 miliardi di anni fa.

1.1.2 — La Terra si differenzia dagli altri pianeti del Sistema Solare per la presenza della biosfera carattere saliente della Terra rispetto agli altri pianeti del Sistema Solare e costituito dalla presenza della vita e dalla profonda e dinamica interazione degli organismi viventi con l'atmosfera, l'idrosfera e la litosfera. La vita 6 diffusa solo in una sottile e irregolare «pellicola» che viene indicata con it termine di biosfera. La biosfera occupa la parte pin bassa dell'atmosfera, l'idrosfera e la superficie della litosfera. 1Questa ipotesi e confermata dal recente ritrovamento nella Western Australia di granuli di zircone datati radiometricamente a circa 4,1-4,2 miliardi di anni. Questi granuli, che si conservarono per la loro maggiore resistenza all'alterazione, documentano l'esistenza di rocce pill antiche di 4 miliardi di anni.

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La disciplina della Paleontologia

La presenza della biosfera e condizionata dall'esistenza di grandi quantita di acqua allo stato liquido e di una fonte energetica esterna, l'energia solare. Tutti gli organismi conosciuti sono infatti costituiti da macromolecole disperse in un mezzo acquoso e l'energia solare e la fonte energetica primaria indispensabile per la produzione di materiale organico da parte degli organismi dotati di clorofilla o di altri pigmenti. I processi che avvengono nella biosfera sono caratterizzati da un continuo scambio di materia ed energia e dal flusso ciclico di numerosi elementi: carbonio, ossigeno, idrogeno, ecc. Il termine biosfera, dunque, evoca l'intero scenario della vita ed un concetto unificante di tutti i suoi processi. Biosfera, idrosfera, atmosfera e litosfera sono sistemi aperti che interagiscono mantenendo uno stato di equilibrio dinamico, tramite uno scambio di materia ed energia. Tale processo di interazione, per essere compreso a fondo, deve essere considerato nel contesto delle trasformazioni dell'ambiente fisico (tettonica delle placche — § 9.7 —, quantita e distribuzione dell'energia solare) e dell'evoluzione della biosfera (Cap. 4 e 5).

1.1.3 — Cenni sull'evoluzione della biosfera L'inizio della storia della vita risale a circa 3.500 milioni di anni fa (Cap. 5). I primi organismi, rappresentati da batteri ed alghe azzurre, e cioe da organismi procarioti, dominarono lo scenario terrestre per circa 2.000 milioni di anni, intervallo di tempo in cui non si osserva alcun importante fenomeno evolutivo. L'importanza di questi organismi fu per() fondamentale, in quanto tramite it processo della fotosintesi, immisero nell'atmosfera notevoli quantita di ossigeno rendendo quindi possibile l'esistenza di altre e piu complesse forme di vita. I primi organismi eucarioti comparvero circa 1.400 milioni di anni fa. Dopo un ulteriore intervallo di stasi o di stasi apparente si osserva, a circa 700 m.a., la prima comparsa di animali marini pluricellulari (Cap. 5). Da 700 m.a. in poi la velocita dei fenomeni evolutivi accelera notevolmente, probabilmente come conseguenza dell'acquisizione della riproduzione sessuale e, pill in generale, di un piu elevato livello di organizzazione. Nell'intervallo di poche centinaia di milioni di anni gli organismi si differenziarono profondamente e la biosfera terrestre, attraverso una successione di tappe evolutive ben individuabili, and() progressivamente acquisendo l'aspetto che oggi ci e familiare. Intorno ai 500 m.a. comparvero i primi vertebrati marini ed intorno a 400 m.a. fecero la loro comparsa le prime piante terrestri che diedero poi origine, a partire da circa 360 m.a., alle prime grandi foreste. I rettili apparvero intorno a 300 m.a. ed i mammiferi iniziarono la loro storia evolutiva non pia tardi di 200 m.a. I progenitori degli uccelli iniziarono la conquista dell'aria intorno a 150 m.a. Il genere umano, infine, ha una storia di almeno 2 m.a.

1.1.4 — I fossili documentano la storia della biosfera A questo punto ci si pub chiedere quale sia la documentazione necessaria e quale metodo occorra applicare per conoscere la storia della vita, che in sostanza e anche la storia dell'uomo. Penetrare nell'abisso di tempi cosi lontani che la mente umana fa persino fatica a quantificare, significa conquistare l'accesso ad una mole enorme di dati essenziali per capire non solo la storia della vita ma anche «il funzionamento» del

Breve storia della Paleontologia

3

nostro pianeta. Sono i processi fisici e chimici che agiscono sulla superficie della Terra che hanno proweduto a tramandarci la documentazione dalle forme di vita del passato, inglobando e conservando nelle rocce sedimentarie i resti degli organismi, animali e vegetali, che via via popolarono i mars e le terre emerse. Questi resti pia o meno completi (Cap. 2), o anche le sole tracce (Cap. 7) dell'esistenza di antichi organismi, sono definiti fossili. La paleontologia 6 la scienza che si occupa dello studio dei fossili, cio6 dello studio della vita del passato. Il termine di fossile, introdotto in letteratura da Georg Bauer (1495-1555), si riferiva inizialmente a qualsiasi oggetto che venisse scavato e portato alla luce dalla terra, senza distinzione tra resti animali, vegetali o minerali. La paleontologia 6 una disciplina altamente integrata sia con le scienze geologiche, sia con le scienze biologiche. Se si considera che la documentazione paleontologica costituita da resti di ex vivi e che it metodo di studio 6 fondato essenzialmente sulla conoscenza del mondo attuale, sembra intuibile che, almeno su un piano strettamente teorico, la paleontologia non sia in fondo che un settore delle scienze biologiche. D'altro canto, considerando che le rocce sedimentarie costituiscono «i contenitori» dei fossili, a altrettanto intuibile lo stretto legame che unisce la paleontologia alle scienze geologiche. Puo sembrare tuttavia paradossale che la paleontologia rappresenti ancora oggi uno dei pilastri portanti delle scienze geologiche e che solo in tempi molto recenti sia stato accettato dai biologi ii suo immenso valore per documentare la storia della vita. Questa moderna riscoperta della paleontologia come scienza squisitamente biologica 6 ben espressa dalla tendenza, sempre pia diffusa, a sostituire it termine di paleontologia, pia arcaico e comunque pia legato, almeno storicamente, alle applicazioni geologico-stratigrafiche, con it termine paleobiologia, cio6 studio comprensivo di tutti gli aspetti geologici e biologici della storia della vita. Come vedremo, non 6 affatto paradossale che la paleontologia, pur essendo una disciplina biologica, sia talmente integrata con le scienze geologiche da risultarne inscindibile. Questo rapporto emerge chiaramente dalla storia della paleontologia. La seguente sintesi storica ha proprio lo scopo di illustrare sia la scoperta progressiva del significato dei fossili, sia i motivi per cui la paleontologia a considerata parte integrante delle scienze geologiche. Uno degli obiettivi prioritari e anche quello di chiarire it ruolo che ha svolto la paleontologia nella formazione del pensiero scientifico e filosofico moderno.

1.2 — BREVE STORIA DELLA PALEONTOLOGIA 1.2.1— La scoperta dei fossili La storia della paleontologia, dalle origini fino all'inizio del Settecento, e caratterizzata da due interpretazioni contradditorie e ricorrenti nel tempo, che postulano rispettivamente la genesi inorganica e organica dei fossili. L'interpretazione dell'origine inorganica risale ad Aristotele (384-322 a.C.) ed at suo allievo Teofrasto (368-284 a.C.) a cui si deve it primo trattato sus fossili. L'interpretazione della scuola aristotelica ebbe una influenza determinante sulla maggior parte dei naturalisti del Medioevo ed i suoi epigoni sono ben noti fino at Settecento. Ma prima di Aristotele alcuni autori avevano gia ammesso esplicitamente l'origine organica dei fossili (in prevalenza conchiglie) interpretandoli come resti di organismi marini abbandonati dal mare.

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La disciplina della Paleontologia

Quando poi nel Medioevo si riaffermo l'interpretazione aristotelica (almeno in parte per una traduzione errata degli scritti del filosofo Avicenna), non mancarono nuovi formidabili sostenitori della «teoria» della genesi organica.

1.2.2



Teoria della genesi inorganica

Durante it Medioevo ed it Rinascimento questa interpretazione era prevalentemente ispirata, con numerose variazioni sul terra, alla scuola aristotelica e traeva quindi fondamento dalla teoria della generazione spontanea della vita. Si credeva, cioe, nell'esistenza di una forza particolare (vis plastica) capace di plasmare esseri viventi: gli oggetti estratti dalle rocce, a forma di animale o di pianta, rappresentavano i tentativi non riusciti di tale forza. L'esistenza di strutture simili agli organismi viventi era del resto ammissibile anche nella filosofia neoplatonica (vedi ad esempio Girolamo Cardano, § 1.2.3). In tale corrente di pensiero, infatti, non esiste una netta distinzione tra viventi e non viventi; tutte le entity presenterebbero in misura diversa i caratteri della vita. Cosl, ad esempio, it fenomeno dell'accrescimento e dell'alterazione delle concrezioni e dei cristalli rappresentava, nel pensiero neoplatonico, una propriety vitale analoga alla nascita, all'accrescimento ed alla morte degli esseri viventi. evidente che, con queste basi filosofiche, si poteva anche non porre it problema di riconoscere l'origine organica di alcuni «strani» oggetti «portati alla luce », anche se la Toro affinity con gli esseri viventi appariva straordinaria. In questa ottica vanno quindi considerate le opere dei sostenitori della teoria inorganica ed in particolare le opere di Georg Bauer (1495-1555), conosciuto con it nome di Agricola, e di Conrad Gesner (1516-1565), che classificarono un'ampia gamma di «fossili» senza tentare di risolvere it problema dell'origine di quegli «oggetti» che presentavano una grande affinity con gli animali o le piante viventi. Le opere dei due autori, che possono essere considerate le prime due monografie dedicate ai fossili (se si prescinde dall'opera di Teofrasto), rappresentarono, tuttavia, un notevole progresso, in quanto per la prima volta veniva rifiutata una elencazione alfabetica e veniva proposta una vera e propria classificazione dei fossili articolata in categorie. In ambedue le opere, che comunque si basavano su criteri di classificazione almeno in parte diversi, venivano distinti quei fossili che mostravano una grande analogia con gli animali e le piante viventi. Il trattato di Gesner era corredato per la prima volta da una documentazione iconografica (fig. 1.1 a). Se prescindiamo dalle basi teoriche di queste opere, che risentivano di una concezione statica del mondo, occorre ammettere che la documentazione presentata da questi autori contribul in modo notevole alla scoperta dei fossili come resti organogeni e quindi allo stesso superamento della teoria dell'origine inorganica. L'opera di Francesco Stelluti (1577-1646) rappresenta a questo proposito un esempio efficace. Il suo «Trattato sul Legno Fossile Minerale » (1637) costituisce probabilmente la prima monografia sui legni fossili, anche se l'autore non era consapevole dell'origine organica dei reperti studiati (Edwards, 1976). Come vedremo poi, alcune argomentazioni sollevate per criticare l'origine organica non erano certamente basate su una aprioristica visione filosofica, ma su una precisa documentazione che, interpretata alla luce di una conoscenza pin ampia, contribul alla migliore comprensione del significato dei fossili. La teoria dell'origine inorganica fu completamente abbandonata e coperta di ridicolo nei primi decenni del 1700 quando it prof. Johann Beringer di Wtirzburg portO

Breve storia della Paleontologia

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Fig. 1.1— Questa successione di 4 tavole, tratte rispettivamente dalle opere di Conrad Gesner (1558), Fabio Colonna (1616), Stenone (1667) e Agostino Scilla (1670), illustra la scoperta dei fossili come ex vivi. La tavola di Gesner (a) evidenzia la rassorniglianza morfologica tra una glossopetra e i denti di uno squalo. Gesner, uno dei pits grandi naturalisti del suo tempo, fu consapevole delle marcate analogie morfologiche che numerosi fossili presentavano con le forme viventi, ma non riconobbe mai i fossili come resti di ex vivi. Le illustrazioni di Gesner sono, tuttavia, le prime in cui fossili e forme viventi simili sono iconografati insieme. La tavola di Fabio Colonna (b) illustra numerose conchiglie di gasteropodi viventi, insieme ad un esemplare fossile (il modello interno in alto a sinistra), da lui attribuiti al «genere» Buccinum. L'autore riconosceva i fossili come ex vivi e li includeva nella classificazione degli organismi viventi. La tavola (c), pubblicata da Stenone, fu presa da un manoscritto di Mercati (edito integralmente solo nel 1719 da Lancisi col titolo Metallotheca Vaticana); essa sintetizza la ponderosa dissertazione dell'autore in cui si confermava definitivamente (come gia suggerito da Leonardo Da Vinci e da Fabio Colonna) che le glossopetrae sono i denti fossili di grandi squall. La tavola di Agostino Scilla (d), tratta dal frontespizio della sua opera, raffigura it «senso», che mostra alla «vana speculazione» quale sia la vera origine dei fossili.

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La disciplina della Paleontologia

alla luce e iconograft• nella sua opera Lithographiae wirceburgensis (1726) alcuni «fossili» scolpiti e sepolti dai suoi studenti, o pin probabilmente, come suggerisce la letteratura, da alcuni suoi colleghi universitari (Edwards, 1976). Pur valutando positivamente anche it contributo dei sostenitori della teoria inorganica, se non altro perche fornirono apprezzabili documentazioni e mantennero vivo it dibattito sui fossili, non si puO sottovalutare it merito di chi, libero da pregiudizi, forni una interpretazione corretta sulla base di osservazioni naturalistiche che, assurte successivamente a metodo, avrebbero costituito it seme di una stupefacente rivoluzione culturale.

1.2.3 — Teoria della genesi organica Senofane (VI secolo a.C.) 6 citato in letteratura come it primo autore che osservo la presenza di conchiglie e impronte di pesci su montagne dell'interno delle isole di Paros, di Malta e nei dintorni di Siracusa. Pitagora (VI secolo a.C.), come riferisce Ovidio (43 a.C. - 18 d.C.), interpreto la presenza di conchiglie sulle montagne come prova che un tempo esse erano state sommerse. Il riferimento pin chiaro e facilmente reperibile a tuttavia quello di Erodoto (IV secolo a.C.) che nelle sue Historiae, notando la presenza di conchiglie marine nell'entroterra egiziano, concluse che vi erano state deposte dal mare che un tempo doveva aver invaso quelle aree. Si trattava di una interpretazione scevra di pregiudizi basata unicamente sul buon senso. La teoria dell'origine organica dei fossili si afferme soprattutto, almeno inizialmente, grazie ai sostenitori del Diluvio Universale. La presenza di conchiglie e di altri resti di organismi marini sulle colline fu assunta dai Patristi ed in particolare da Tertulliano (155-222 d.C.) e pin tardi da Paolo Orosio (III-IV sec. d.C.) come prova di tale evento e quindi come argomentazione della veridicita del racconto biblico. Tale posizione fu poi ripresa da Ristoro D'Arezzo (XIII secolo) e, come Teoria Diluviale, trovo sostenitori fino alla seconda meta del Settecento. Non tutti i naturalisti ricorsero perO al diluvio per spiegare la presenza dei fossili sulle colline o sulle montagne. E singolare che proprio it filosofo mussulmano Avicenna (980-1037), quasi unanimamente citato come uno degli autori medioevali che ripresero l'interpretazione aristotelica, avesse in realta interpretato i fossili correttamente come resti di antichi organismi senza far alcun accenno alla Teoria Diluviale, nel contesto di una visione geologica molto evoluta per it suo tempo. Come riferisce Edwards (1976), alcune parti dei suoi scritti furono completamente travisate dagli Scolastici, che scambiarono la sua descrizione dell'azione incrostante delle sorgenti calcaree come riferimento alla teoria della vis plastica. A Leonardo Da Vinci (1452-1519) si deve la prima interpretazione razionale dei fossili nel contesto di un modello paleoambientale e geologico che precorreva di almeno due secoli la storia delle scienze geologiche e anticipava direttamente James Hutton (§ 1.2.7). Nel confutare felicemente la teoria dell'origine inorganica dei fossili e la teoria diluviale, Leonardo non solo dimostra di possedere la nozione di strato e di stratigrafia (duecento anni prima di Stenone), ma suggerisce osservazioni sulla posizione di vita dei molluschi, sull'accrescimento delle conchiglie e sulla loro disposizione negli strati che precorrono la tafonomia e la paleoecologia (Cap. 2 e 6): «Le valve di questi molluschi, dopo che le loro parti molli si sono deteriorate, sono state riempite con fango e allo stesso modo che it fango circostante si pietrifico, anche it

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fango penetrato all'intemo della conchiglia attraverso le aperture, divenne roccia» (Codice Hammer, gia Leicester M.S.F. Folio 79 recto). Alle stesse conclusioni di Leonardo giunsero anche Girolamo Fracastoro (1478?1553), Bernard Palissy (1510-1583) e Ferrante Imperato (1550-1625): i fossili erano interpretabili tramite le osservazioni naturalistiche senza alcuna necessity di ricorrere alla filosofia o al racconto biblico. La prima illustrazione di fossili italiani risale ad Imperato (1599). Una delle difficolta maggiori della teoria organica era, evidentemente, quella di interpretare correttamente quei fossili che non presentavano alcuna analogia con gli animal viventi allora conosciuti, come ad esempio le ammoniti (ammonis cornu di Agricola). E comprensibile che alcuni autori, ad esempio Girolamo Cardano (15011576), interpretassero correttamente alcuni fossili «pit facili», come le conchiglie dei molluschi del Terziario, e ricorressero alla teoria della generazione spontanea per spiegare fossili pit «difficili». E certamente vero, come ha osservato Martin Rudwick (1976), che le prime corrette interpretazioni da Erodoto a Leonardo, Palissy, Fracastoro ecc., erano tutte legate a fossili cenozoici, quindi relativamente recenti, e costituiti per lo pit da conchiglie la cui origine « organica» era pit facilmente intuibile. Ma questo non toglie merito (come invece sembra suggerire Rudwick) ai primi autori che interpretarono correttamente almeno una parte dei fossil. Tanto pit che questi fossili «facili» erano a disposizione anche dei naturalisti (contemporanei o successivi) che optarono per la genesi inorganica. Non si pue quindi che apprezzare l'opera di Agostino Scilla (16391700), uno dei fautori della teoria organica, ed it titolo significativo: «La vana speculazione disingannata dal senso » (1670) che diede al suo trattato sui fossili (fig. 1.1 d). Tra i pit autorevoli sostenitori dell'origine organica va ricordato Fabio Colonna, forse it primo autore (1616) che mise in relazione e iconografe insieme le forme fossil e quelle viventi pit affini, utiliz7ando la stessa nomenclatura (fig. 1.1 b). Colonna fu probabilmente anche uno dei primi autori a comprendere la relazione tra i modelli intemi, le impronte esterne e le conchiglie e a riconoscere, dopo Leonardo, le glossopetrae come denti di squalo (fig. 1.1 c). Martin Lister (1638-1712), uno dei migliori naturalisti del suo tempo in grado di apprezzare con cognizione di causa le profonde rassomiglianze tra gli organismi viventi ed i loro «analoghi pietrificati», arrive a negare l'origine organica dei fossil. La sua opzione per l'origine inorganica non 6 tuttavia basata su vane speculazioni, ma su argomenti che sarebbero stati affrontati e risolti solo successivamente. In particolare, due di questi punti appaiono importanti per mettere a fuoco i problemi che la paleontologia dovette affrontare successivamente. Lister trovava fossili diversi nei diversi affioramenti. Il fatto che strati diversi, per ragioni di facies o di eta, contengano fossili diversi costituira un punto chiave per la paleontologia, ma per Lister questo appariva inspiegabile e rappresentava una prova per sostenere che i fossil si erano formati con un processo inorganico in posto in ogni singola roccia. Egli osservo, inoltre, che molti dei fossil inglesi non avevano che vaghe rassomiglianze con le specie attuali. Questa obiezione fu ripresa da John Ray (1628-1705), forse it pit grande naturalista del '600, che tratte in dettaglio it problema dell'origine dei fossili tenendo in debita considerazione anche le osservazioni di Lister. Ray arrive ad ammettere l'origine organica dei fossili e, per superare la pit importante obiezione di Lister, fu costretto ad esaminare la possibility di fenomeni di estinzione. II concetto di estinzione era evidentemente molto «pericoloso» in quanto, nella mentality del tem-

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Fig. 1.2 — R. Hooke fu it primo autore ad interpretare, verso la fine Seicento, le ammoniti come ex vivi affini al genere Nautilus, fornendo, tra l'altro, una chiara definizione della linea lobale, the deriva dall'inserzione dei setti con la parete interna della conchiglia. Questa tavola e tratta dal «Discourse of earthquakes» pubblicato postumo nel 1705.

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po, equivaleva ad ammettere che it Creato non fosse perfetto. Ray superb questo problema ipotizzando che alcuni fossili potessero essere rappresentati da animali viventi in altre regioni della Terra e non ancora scoperti. Robert Hooke (1635-1703) fu probabilmente it primo autore che ammise ufficialmente l'instabilita della crosta terrestre con grandi variazioni paleogeografiche, da lui attribuite a terremoti e vulcanesimo. Su questa base l'autore giustificava non solo la presenza di fossili su montagne come le Alpi (una delle obiezioni pia importanti alla teoria organica), ma anche i fenomeni di estinzione e la possibility di comparsa di specie nuove. Quella di Hooke non era pen) una visione evoluzionistica, ma un tentativo di conciliare la visione fissista con un modello pia dinamico che tenesse conto della realty dei fossili. Si deve a Hooke la prima interpretazione delle ammoniti come resti di organismi affini al genere Nautilus, che proprio in quegli anni era stato scoperto nell'Oceano Indiano (fig. 1.2). Hooke fu anche it primo autore ad utilizzare it microscopio ed a riconoscere i primi foraminiferi fossili. Tra i suoi meriti scientifici, che trascendono it significato paleontologico, figurano le prime osservazioni sulla struttura anatomica dei legni fossilizzati e addirittura un tentativo di classificare le piante fossili tramite la loro anatomia. Con l'inizio del Settecento it dibattito sull'origine dei fossili era ormai terminato, con il pieno superamento della tesi dell'origine inorganica. L'altalena delle interpretazioni, se prescindiamo dai tempi anteriori a Leonardo, e cioe consideriamo solo il periodo in cui ii dibattito era stato pia acceso, era durata pia di duecento anni. La storia delle glossopetrae, riconosciute come denti di squalo da Leonardo, interpretate da Gesner (1558) come inorganiche, reinterpretate da Colonna (1616) e pia tardi da Stenone (1667) come denti di squalo (fig. 1.1 c), costituisce un esempio significativo.

1.2.4 — L'introduzione del metodo di nomenclatura binomia Sia nell'antichita classica che nel Medioevo, gli autori non sentirono mai l'esigenza di una classificazione ordinata delle specie animali e vegetali che scoprivano ed elencavano. Cosi, ad esempio, le piante venivano studiate e raggruppate solo per le loro propriety medicinali. Il numero delle specie note, sia in zoologia che in botanica, fino all'inizio del Rinascimento non era aumentato molto rispetto alle conoscenze dell'antichita classica e lo stesso concetto di specie era piuttosto nebuloso. Con l'inizio delle grandi esplorazioni geografiche e con il rinnovarsi dell'interesse naturalistico, il numero delle forme nuove aumente in progressione geometrica e si pose quindi l'esigenza di chiarire it concetto di specie e di raggruppare le specie in modo ordinato sulla base dei loro caratteri. A Linneo (Karl von Linne, 1707-1778), ed in parte al suo precursore Ray, si deve it merito della prima definizione scientifica di specie che, conformemente alla cultura dell'epoca, era considerata una struttura creata perfetta fin dall'origine del mondo e immutabile nel tempo. Alla base della classificazione linneana si trova quindi la specie, che viene indicata con due nomi di cui ii primo indica il genere ed it secondo e it nome specifico. Da Linneo in poi, tutte le specie furono indicate sempre con due nomi: Panthera leo, Felis catus, Arctica islandica, ecc. A loro volta tutti i generi affini vennero riuniti nell'unita gerarchicamente superiore, l'ordine per Linneo, gli ordini nelle classi e le classi nei regni (§ 3.3 e nota 3.1). Il merito essenziale di Linneo fu quello di aver messo a punto un metodo concettualmente semplice ma efficace che permetteva di classificare piante ed animali in

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unity ordinate gerarchicamente e quindi di « assorbire », senza confusioni, l'enorme mole di dati che stava incessantemente affluendo, non solo dalle ricerche zoologiche e botaniche, ma ormai anche dalla ricerca paleontologica. La metodologia linneana permise per la prima volta di riconoscere l'ordine naturale del mondo dei viventi, ordine naturale che per Linneo costituiva it disegno, l'atto creativo di Dio. Linneo fu consapevole dell'esistenza di specie deperditae, cio6 non pi-4 conosciute, tuttavia fu piuttosto riluttante a riconoscere it problema delle estinzioni. Egli comunque non fece ricorso al diluvio per interpretare i fossili e anche se non azzardo ipotesi che potevano essere in contrasto con la tradizione biblica, fu conscio della dimensione temporale che era documentata dalla successione degli strati fossiliferi. Il sistema linneano, come 6 intuibile, fu basilare per il progresso degli studi paleontologici. La sua messa a punto giunse proprio quando si era appena riconosciuto it significato dei fossili come ex vivi ed era ormai inderogabile anche in paleontologia, oltre che in zoologia ed in botanica, la necessity di «ordinare» le enormi quantita di fossili che ormai erano stati ritrovati. Da allora, nella loro qualita di ex vivi, i fossili furono inseriti negli schemi tassonomici della zoologia e della botanica. 1.2.5



La scoperta «ufficiale* degli strati

Con l'opera di Stenone (Niels Stensen, 1638-1686) venne messa a punto la base teorica per comprendere, pia di un secolo dopo Leonardo, il vero significato dei fossili e la loro relazione con le scienze geologiche. Il punto di partenza del modello di Stenone consiste nell'osservazione che i fossili sono contenuti in strati simili a quelli che oggi si depositano in acque fangose. Da questo, l'autore dedusse che gli strati della superficie terrestre si erano deposti in acqua e che i fossili erano resti organogeni incorporati durante la sedimentazione. Per la prima volta, a prescindere da Leonardo, appariva chiaro che la presenza di fossili sulle montagne non significava semplicemente che queste un tempo erano state sommerse, ma che gli strati che le costituivano si erano formati in mare e contenevano i resti degli antichi organismi che lo popolavano. Dall'osservazione diretta sulla genesi degli strati attuali, Stenone arrivO alla formulazione dei famosi tre principi che, opportunamente emendati, sono ancora alla base della moderna geologia (fig. 1.3): 1) Poiche gli strati si formano in successione verticale, l'autore dedusse che in una successione lo strato sottostante doveva essere pia antico di quello sovrastante (principio della sovrapposizione). Questo principio tiene conto solo del processo genetico degli strati e, ovviamente, non 6 applicabile quando intervengono successivamente movimenti tettonici che possono invertire it loro ordine. 2) 11 secondo principio (orizzontalita degli strati) sostiene che uno strato all'atto della sua deposizione 6 sempre orizzontale. Questa asserzione, seppure ancora di validity generale, 6 da considerare con maggiore cautela. Ad esempio, gli strati che si formano su un fronte deltizio o sul fronte di una piattaforma carbonatica sono sensibilmente inclinati verso it mare (fig. 1.4). 3) Con il principio della continuity laterale Stenone cerco di generalizzare la correlazione dei depositi terrazzati che spesso nelle valli affiorano sugli opposti versanti e che al tempo della loro origin dovevano essere continui. L'autore con questo « principio » sottolineava che gli strati presentavano originariamente una forma tabulare e che si assottigliavano lateralmente o terminavano bruscamente contro le sponde del

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Fig. 1.3 — Questo famoso schema del 1669, probabilmente la prima sezione geologica che sia mai stata pubblicata, illustra it modello di Stenone ed in particolare i suoi tre princlpi e l'opinione, allora comune ma erronea, che l'erosione procedesse di regola dall'interno della Terra. Lo schema, che si riferisce alla geologia della Toscana, illustra attraverso 6 figure (dalla 25 alla 20) 6 fasi della storia della Terra. La fig. 25 raffigura la situazione iniziale in cui gli strati erano ancora integri e orizzontali, la fig. 24 mostra it risultato dei processi erosivi all'interno della Terra, dovuti al fuoco e all'acqua, la fig. 23 interpreta l'inclinazione degli strati e la formazione delle montagne e delle valli come dovuta al crollo dello strato superiore; la fig. 22 mostra i nuovi strati marini che si sono deposti all'interno delle valli; le figg. 21 e 20 illustrano di nuovo l'erosione intern ed it crollo degli strati superficiali con la formazione di colline e valli.

bacino in cui si erano depositati. L'erosione poteva in seguito distruggere la maggior parte degli strati, lasciando tuttavia testimonianza della loro originaria continuita. Conformemente alle credenze del tempo, nel modello di Stenone l'azione erosiva degli strati non era attribuita agli agenti atmosferici, ma ai terremoti, ai fuochi ed alle acque che avrebbero agito al di sotto della superficie terrestre. Tale azione erosiva

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Fig. 1.4 — Strati con forte inclinazione primaria deposti sul fronte di una piattaforma carbonatica o di una scogliera coralligena che prograda verso it mare. Il grado di inclinazione dipende dalla tessitura dei sedimenti. Si tratta di uno schema semplificato che non considera fenomeni tettonici o eustatici.

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interna si sarebbe manifestata sulla superficie esterna dando luogo a crolli e provocando l'inclinazione degli strati. Dunque i tre principi, che derivano dall'osservazione naturalistica diretta, costituiscono l'unica parte ancora valida di questo modello. L'opera di Stenone per i suoi tempi era veramente rivoluzionaria perche osava mettere in dubbio it principio della stability della Terra; rilevare mutamenti significava rilevare imperfezioni nella Creazione e questo era un argomento non ben accetto dalla society del tempo. L'autore, tuttavia, scrisse espressamente che it suo modello non era in contrasto con la versione fornita dalla Bibbia e ammetteva l'esistenza del diluvio universale. 1.2.6 — Il superamento della Teoria Diluviale Nel Settecento numerosi autori, tra cui Lazzaro Moro (1687-1764) e Antonio Vallisneri (1661-1730), cominciarono con argomentazioni diverse a smantellare it modello del diluvio, ancora sostenuto da alcuni illustri epigoni, come ad esempio John Woodward (1665-1728). E implicito che l'argomentazione piu importante e conclusiva era insita proprio nell'opera di Stenone. La comprensione del concetto di strato ed it constatare che esistevano pit' strati fossiliferi equivaleva ad ammettere l'esistenza di pitt diluvi e quindi a contraddire apertamente la versione biblica di un unico diluvio universale. Con l'inizio del '700 it mondo scientifico era ormai pronto ad accogliere ipotesi che facessero a meno del diluvio e indagassero sulla storia della Terra prendendo spunto unicamente dall'osservazione naturalistica. Tra i precursori di questa nuova visione si puo ricordare l'arciprete veronese Giacomo Spada, cultore di scienze geologiche ed autore di diversi scritti di paleontologia, (come Corporum lapidefactorum agri veronensi del 1744) che fu tra i primi, nonostante la sua posizione di religioso, a dimostrare che i fossili sono antidiluviani e a sostenere l'indipendenza della ricerca geologica dal racconto biblico. Tutte queste nuove idee, in buona parte blasfeme per la mentality del tempo, vengono riprese da Georges Buffon (1707-1788) nella sua Histoire Naturelle, it cui primo volume fu pubblicato nel 1749. Con Buffon si afferma la tendenza ad ignorare it diluvio anziche a negarne l'esistenza. Il diluvio costituiva un evento soprannaturale, sia come causa sia come effetto, e quindi non poteva essere considerato nel dibattito scientifico. Un punto nodale veramente innovativo dell'opera di Buffon e costituito da un primo ma significativo abbozzo del principio dell'attualismo (Finestra 1.1), che poi sara ripreso, sviluppato e applicato come principio fondamentale delle scienze geologiche da James Hutton e Charles Lyell: per capire e studiare la storia della Terra occorre studiare i suoi processi attuali.

1.2.7 — Il problema dell'eta della Terra I calcoli di James Ussher (1581-1650), arcivescovo di Armagh in Irlanda, che valutava Feta della Terra intorno ai seimila anni sulla base del racconto biblico, erano sempre stati considerati, sin dalla loro elaborazione, con grande rispetto e comunemente accettati fino al '700. La rivoluzione copernicana, it superamento della concezione della perfezione del cielo e dei corpi celesti, l'interpretazione newtoniana del

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Sistema Solare fondata sulla teoria gravitazionale e l'ipotesi dell'origine del sistema solare di Immanuel Kant (1755) avevano pia o meno implicitamente preparato it substrato culturale per it superamento di tale visione poco naturalistica della storia della Terra. L'esigenza verso la ricerca delle leggi che governano i fenomeni naturali diventava sempre pia sentita. Nelle Epoques de la Nature di Buffon (1779) si osservano gia delle chiare intuizioni sul processo dell'evoluzione biologica (successione delle faune e delle flore, estinzioni) inserito in una storia della Terra molto pia lunga di quanto allora si voleva ammettere. Prendendo spunto da un'opera di Gottfried Leibniz (1646-1716) in cui venivano trattati i vari stadi evolutivi della Terra ed in particolare la fase di raffreddamento, Buffon esegui degli esperimenti sul raffreddamento di globi di metallo e giunse alla conclusione che la Terra non doveva avere un'eta inferiore a 70.000 anni, anche se osservando le successioni sedimentarie era portato ad attribuirle una eta non inferiore ad un milione di anni. L'aver sollevato in modo autorevole it dubbio che la Terra fosse molto pia antica di quanto poteva suggerire la tradizione biblica costituisce uno dei contributi pia significativi della sua opera alle scienze geologiche ed alla paleontologia. Da allora it sospetto che la Terra dovesse essere molto pia antica acquiste sempre pia vigore. Nel frattempo anche la geologia stava muovendo i primi passi, anche se sempre ancorata alla tradizione biblica. Johan Lehmann nel 1776 propose per la prima volta una classificazione delle montagne in tre categorie che si sarebbero formate in tempi diversi: le montagne con filoni metalliferi, le montagne stratificate ed infine le montagne eterogenee, post-diluviane. La scoperta del vulcanismo fossile intorno alla meta del '700, a parte it suo valore intrinseco, contribui in modo determinante alla corretta impostazione del problema tempo. Allo stesso Jean Etienne Guettard, che scopri per primo it vulcanismo fossile in Alvernia (Francia), apparve strano che le manifestazioni vulcaniche non fossero citate nella storia della regione. La conclusione comincie ad apparire ovvia ai ricercatori del tempo: quei fenomeni vulcanici dovevano essere molto antichi. I seimila anni della tradizione biblica diventavano sempre meno accettabili e l'ardita (per quei tempi) ipotesi di Buffon sempre pit credibile. Con Giovanni Arduino (1713-1795), professore di mineralogia all'universita di Padova, si arrive al concetto di cronologia relativa. L'autore divise le montagne in primarie, secondarie e terziarie, all'incirca con gli stessi criteri di Lehmann, ma svincola it significato di «primario» dal concetto di creazione: primario non significava primigenio, ma significava solo che era pia antico di secondario. Nel 1788, cioe lo stesso anno della morte di Buffon, fu pubblicata The theory of the Earth di James Hutton (1726-1797), a cui veramente si pub far risalire la nascita ufficiale della geologia. Si tratta di un'opera costruita sul principio dell'uniformismo (Finestra 1.1), gia introdotto seppure solo in modo intuitivo da Buffon. In sintesi, secondo Hutton, i grandi fenomeni di cui vediamo gli effetti, ad esempio le montagne, sono it prodotto dell'azione, in un lungo periodo di tempo, delle stesse cause che oggi vediamo operare sulla Terra. Dallo studio del presente si poteva dunque ricostruire it passato. Ad esempio Hutton (1794) non ebbe difficolta ad attribuire a trasporto glaciale i massi erratici della Catena del Giura, ma la sua intuizione non fu accettata unanimemente prima di almeno 20-30 anni. L'Autore riconobbe per primo e college in modo conseguente i processi di sedimentazione, diagenesi, sollevamento e formazione delle montagne con i fenomeni erosivi che plasmavano la superficie terrestre. La morfologia della Terra era quindi in

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perpetuo movimento. Questo modello, completamente rivoluzionario nel suo insieme, implicava che la Terra fosse antichissima. Tutto questo suscito grandi polemiche perche la maggioranza degli Autori era ancora legata al racconto biblico. Da Hutton in poi, mentre emergeva sempre piu chiaramente it rapporto temposuccessione stratigrafica, it problema dell'eta della Terra, svincolato dall'eta della comparsa dell'uomo e dal racconto biblico, fu oggetto di un appassionato dibattito. Le stime oscillavano da un tempo illimitato e non valutabile (Hutton), a 300 milioni (Darwin), 600 milioni (T. Mellard Meade), 100 milioni (Lord Kelvin), 10 milioni (P.G. Tait) di anni. Se si prescinde dalle ipotesi del fisico Tait, che ebbe del resto poco seguito, questo intervallo temporale era sufficiente per « contenere », almeno concettualmente, la successione degli strati e delle faune, che ormai sarebbe risultata incomprensibile se compressa in un tempo di 70.000 o peggio di 6.000 anni. Al di la delle polemiche e delle dispute tecniche e metodologiche sorte anche tra i fisici, it dibattito che ando sviluppandosi tra fisici e geologi nella seconda meta dell'Ottocento e di grande interesse, in quanto venne a coinvolgere it problema del significato dell'uniformismo. Mentre da un lato i geologi cercarono di arrivare ad una datazione approssimativa tramite la presunta velocita dei fenomeni di erosione o di sedimentazione, i fisici basarono le loro stime sulla dissipazione dell'energia da parte del sole, sul raffreddamento del calore interno della Terra, sul calcolo dell'attrito di marea e sul contenuto di sodio negli oceani. Tutti questi metodi erano tuttavia fondati su basi teoriche oggi non pia accettabili. La valutazione dei fisici piu vicina alle stime dei geologi non superava i 100 milioni di anni (Lord Kelvin). Questa valutazione, espressa inizialmente come omolto probabile», divenne sempre pia dogmatica con ii procedere della polemica. L'obiezione fondamentale che i fisici rivolsero alle stime dei geologi riguardava l'improponibilita dell'uniformismo come inteso da Charles Lyell (1797-1875), it pia autorevole esponente del modello di Hutton. Era cioe improponibile che i fenomeni di erosione e di sedimentazione, o tutti gli altri processi fisici della Terra, avessero avuto nel passato velocita costante. Le valutazioni dei geologi sull'eta della Terra tramite la velocita di sedimentazione o di erosione apparivano prive di fondamento. Charles Darwin (1859), ad esempio, formula la sua stima di 300 milioni di anni sulla base della presunta velocita di erosione di una struttura geologica nella regione del Weald, nell'Inghilterra sud orientale. La miglior difesa della posizione dei geologi venne da Thomas Huxley (1825-1895) it quale, con geniale intuizione, avanze qualche dubbio sulle basi teoriche su cui erano fondati i calcoli dei fisici. L'osservazione di Huxley doveva presto rivelarsi veramente profetica! La scoperta della radioattivita (Henry Becquerel, 1896), e quindi di una fonte di energia fino allora ignota, porta, come immediata conseguenza, al superamento del modello di Kelvin, basato sull'ipotesi che tutta l'energia dell'Universo fosse di origine gravitazionale. Cadevano cosi completamente le sue valutazioni sull'eta del Sole e della Terra. Circa dieci anni dopo la scoperta della radioattivita, Ernest Rutherford (1871-1937) arrivo alla conclusione che i processi di decadimento radioattivo potevano essere utilizzati per determinare l'eta della Terra. Pur tra dati contrastanti e polemiche inevitabili, it problema dell'eta della Terra era ormai stato indirizzato sulla strada giusta. Come fece osservare Arthur Holmes (1913), sia i fisici che i geologi per poter calcolare Feta della Terra dovevano ipotizzare una velocita uniforme dei processi. Questa condizione non poteva certo essere accettata ne per i fenomeni di erosione e di sedimentazione, ne per i fenomeni fisici utilizzati dagli autori, fatta pero eccezione per la radioattivita. La velocita di decadimento degli elementi radioattivi di breve

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durata era infatti costante su tempi brevi e si poteva pertanto ipotizzare ragionevolmente che la velocity di decadimento fosse uniforme anche per gli elementi radioattivi di lunga durata. Gia nel 1917 Joseph Barrel pubblico una prima scala cronologica del Fanerozoico. La lunga polemica sull'eta della Terra e sulle tappe della sua storia, che si put) estendere dalla pubblicazione dell'opera di Buffon fino ai due primi decenni del Novecento, era ormai conclusa. Da allora it problema della datazione « assoluta» delle rocce della Terra 6 rimasto saldamente ancorato al fenomeno della radioattivita e i «ritocchi» anche molto importanti sulle datazioni sarebbero stati solo una conseguenza delle innovazioni tecniche. Si tratta evidentemente di una storia molto complessa, difficilmente riassumibile in modo sintetico. Due aspetti tuttavia emergono: 1) Per la prima volta un problema di base delle scienze geologiche e della paleontologia porto al coinvolgimento di tutte le scienze, dalla matematica e dalla fisica alla chimica, alla biologia, all'astronomia. Il progresso delle scienze geologiche venne quindi ancorato al progresso scientifico generale. 2) Il dibattito porta, come diretta conseguenza, ad una migliore comprensione della documentazione geologica e ad una chiara messa a punto del principio dell'uniformismo (Barrel, 1917) quasi 50 anni prima della riscoperta del suo significato «ibrido» da parte di Hooykaas (1963), Simpson (1963) e Gould (1965) (Finestra 1.1).

1.2.8 — Fossili e strati Nell'ultimo decennio del Settecento, al di fuori di ogni polemica scientifica, un ingegnere inglese, William Smith (1769-1839), che con tutta probability non aveva mai letto Stenone, osservo che nei dintorni di Bath (Somerset, Inghilterra) la successione degli strati presentava sempre lo stesso ordine e che ogni successivo «pacco» di strati era caratterizzato da un particolare e peculiare contenuto di fossili. Per la prima volta si comprese che una successione di strati poteva essere suddivisa sulla base dei fossili. Dunque, i fossili potevano essere utilizzati per correlare, 606 per stabilire la contemporaneity di una successione di strati che si erano formati in aree diverse (Cap. 8). Quasi contemporaneamente, Georges Cuvier (1769-1832) e Alexander Brongniart (1770-1847) giunsero alle stesse conclusioni (1808) sul valore stratigrafico dei fossili; le conclusioni dei due autori francesi coinvolgevano per() una tematica pia ampia che comprendeva anche it significato paleoambientale dei fossili. Lavorando sulle formazioni del Bacino di Parigi (Paleogene), i due autori furono in grado di dimostrare, sulla base di una interpretazione in chiave attualistica, l'esistenza di una successione di paleoambienti marini e lacustri. Poiche la transizione da un paleoambiente all'altro appariva brusca, i due autori rifiutarono it principio huttoniano di una gradualita degli eventi, In pratica, nell'opera dei due naturalisti e nel successivo modello di Cuvier edito nel 1812, la Terra era caratterizzata regionalmente da brusche variazioni ambientali, vere e proprie «rivoluzioni», a cui succedevano intervalli di stati. Proprio queste «rivoluzioni» avrebbero provocato i fenomeni di estinzione. Il ripopolamento sarebbe avvenuto da regioni contigue non interessate da tali eventi (invasione o ritiro delle acque marine), tramite un fenomeno di migrazione (Finestra 1.1). Gia nel 1801 Cuvier, sei anni dopo la sua assunzione al Museo di Scienze Naturali di Parigi, era arrivato a documentare in modo inoppugnabile it fenomeno delle estinzioni. Per quanto la spiegazione di Ray, che ipotizzava la presenza di specie fossili

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ancora in vita in regioni della Terra non del tutto esplorate, fosse teoricamente plausibile, era ormai chiaro che non era piu sufficiente. Era infatti insostenibile anche all'inizio del Settecento che, ad esempio, ci potessero essere mandrie di Mammuthus primigenius in qualche localita sperduta della Siberia o dell'Alaska o che i Glyptodonti popolassero ancora aree remote dell'America del Sud. Cuvier esamino esplicitamente anche l'ipotesi evolutiva, cio6 della modificazione delle specie, ma optO per una successione di fenomeni di estinzione e di ripopolamento per migrazione. Le specie migrate che ripopolavano una certa regione erano quindi specie preesistenti e non nuove. La sua teoria delle «rivoluzioni>>, per quanto risenta ovviamente delle conoscenze del tempo, contiene tuttavia elementi di grande interesse che riemergono anche nella letteratura moderna. Inoltre, non si pub accusare Cuvier di dogmatismo, in quanto la sua teoria era frutto di osservazioni empiriche e non di una visione aprioristica. Georges Cuvier a ricordato giustamente come it fondatore della Paleontologia dei vertebrati e dell'Anatomia comparata. 11 perfetto coordinamento degli organi era, per l'autore, la caratteristica essenziale degli organismi viventi: tutte le parti erano altamente integrate per ottenere «un meccanismo» funzionale. Ne conseguiva che nessuna parte poteva modificarsi di per se stessa indipendentemente dalle altre. Proprio questa linea di pensiero porta Cuvier ad enunciare ed applicare direttamente, e con grande successo nella ricerca paleontologica, it principio secondo cui «qualunque animale pub essere riconosciuto attraverso una qualunque delle sue parti (fig. 1.5). Alcide D'Orbigny (1802-1857), allievo di Cuvier, giunse a riconoscere 27 unita stratigrafiche, indicate come piani, i cui limiti erano definiti da altrettante catastrofi seguite da altrettanti episodi di creazione. Questo modello pub apparire oggi assai ingenuo; va ricordato perb che l'opera di D'Orbigny pose le basi della moderna stratigrafia e che le suddivisioni da lui proposte corrispondono realmente a grandi

Fig. 1.5 — La ricostruzione dello scheletro del mastodonte americano ottenuta da Cuvier (1806) con l'applicazione dei suoi nuovi metodi anatomici.

Breve storia della Paleontologia 17

fenomeni di estinzione e ai successivi episodi di radiazione adattativa e sono tuttora utilizzate nella classificazione stratigrafica. Paradossalmente 6 proprio la prima vera teoria evolutiva, elaborata da Jean Baptiste Lamarck (1744-1829), collega pin anziano di Cuvier al Museo di Scienze Naturali di Parigi, che oggi ci appare dogmatica. Lamarck intui it fenomeno evolutivo tramite l'osservazione della gradualita morfologica che presentavano le specie dei molluschi, ma non produsse alcuna documentazione. L'autore insert questa sua intuizione in una teoria pin metafisica che scientifica e la fondO su credenze, come ad esempio quella della generazione spontanea, gia superate ai suoi tempi anche se ancora accettate acriticamente. L'evoluzione biologica 6 vista da Lamarck come un flusso continuo in cui le specie non sono reali e corrispondono ad astrazioni. In questa visione di continuo cambiamento e di miglioramento degli organismi (Cap. 4) non poteva esservi spazio per it concetto di estinzione. La polemica scientifica tra Cuvier e Lamarck non era quindi fondata sull'altemativa fissismo-evoluzionismo, ma proprio sul diverso concetto di specie e sull'esistenza stessa dei fenomeni di estinzione. Nella documentazione paleontologica del tempo non sembrava esistere traccia della supposta trasformazione delle specie ed inoltre i fenomeni di estinzione apparivano inconfutabili. La teoria di Lamarck, presto rifiutata dalla maggior parte dei paleontologi, non contribui affatto, quindi, a creare un ambiente favorevole all'accoglimento della ormai imminente teoria evolutiva darwiniana. Paradossalmente, furono proprio gli studi paleontologici di Cuvier e dei paleontologi che proseguirono le ricerche utilizzando i suoi metodi (come ad esempio Richard Owen, 1804-1892) a fomire, entro pochi decenni, le prove paleontologiche dell'evoluzione.

L2.9



Paleontologia e Scienze Geologiche

All'inizio dell'Ottocento era gia evidente la possibility di utili77are i fossili per « classificare » la successione delle rocce sedimentarie in unity e quindi la possibility di conelare gli strati rocciosi, che affioravano in locality anche molto distanti tra di loro (§ 8.5.2). Diveniva cosi ufficialmente operativo e indiscutibile it legame tra la paleontologia e le scienze geologiche, anche se la spiegazione della relazione tra gli strati sedimentari ed it loro contenuto in fossili era ancora frutto di interpretazioni contrastanti. Con Cuvier si affermo per la prima volta lo studio dei caratteri anatomo-fisiologici delle specie fossili, ma tale orientamento paleobiologico rimase confinato, anche nella letteratura successiva, allo studio dei vertebrati che, d'altra parte, erano solo marginalmente utilizzati in stratigrafia. Un approccio paleobiologico allo studio degli invertebrati fossili si afferme solo dopo pit di centocinquanta anni, non prima cio6 degli anni '60 del nostro secolo. Questo ritardo nello «scoprire» it significato dei fossili nella loro dimensione biologica di ex vivi a semplicemente una conseguenza della mancanza, per molto tempo, di una adeguata documentazione sugli organismi attuali. E chiaro cio6 che it problema del significato autoecologico e sinecologico dei fossili (Cap. 6) non poteva essere affrontato prima di aver acquisito una certa mole di documentazione sui viventi. Cosi ad esempio la paleoecologia dei paleoambienti marini, come disciplina a se stante, ebbe origine solo dopo i lavori di Petersen (1913) e Thorson (1957) e anche oggi it suo progresso a strettamente dipendente dalle nuove acquisizioni nel campo della biologia marina. Le date di pubblicazione degli ormai classici lavori di Schafer (1964) sull'actuopaleontologia del Mare del Nord e di Stanley

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La disciplina della Paleontologia

(1970) sull'adattamento morfofunzionale dei bivalvi, concepiti per fornire una base attualistica ai lavori di paleobiologia s.1., documentano indirettamente it ritardo degli studi paleobiologici (Cap. 6). Per piti di centocinquanta anni gli studi paleontologici sugli invertebrati sono quindi rimasti ancorati, seppure con alcune notevoli eccezioni, ad una fase descrittivo-sistematica che trovava la sua applicazione nella classificazione biostratigrafica delle successioni sedimentarie. La riscoperta dei fossili come ex vivi non ne ha certo diminuito it valore come indicatori stratigrafici, anzi ha permesso di migliorare i metodi e le interpretazioni stratigrafiche.

FINESTRA 1.1



UNIFORMISMO E CATASTROFISMO

L'enunciazione dell'uniformismo da parte di James Hutton fu profondamente innovativa, in quanto svincolava la ricerca geologica da ipotesi soprannaturali o fantasiose ed eliminava la dicotomia, allora imperante, tra presente e passato. Essa poneva inoltre in modo evidente it problema dell'eta della Terra; se la sua morfologia, le sue montagne, le sue valli erano it risultato dei processi che oggi vediamo in azione, la sua eta doveva evidentemente essere antichissima. Il principio dell'uniformismo era gia stato enunciato nel 1750 da Buffon (anche se non faceva parte di un modello organico) ed era stato applicato praticamente da Leonardo e, almeno in parte, da Stenone e molti altri autori. Solo con Hutton divenne pero it fondamento indiscusso delle Scienze Geologiche. Lye11 fu it piu autorevole sostenitore della geologia huttoniana, ma it suo concetto di uniformismo si attesto su posizioni molto piu rigide (e criticabili) di quelle di Hutton. Seguendo l'analisi critica di Stephen Gould (1965, 1984) che riprende le osservazioni di numerosi altri autori, anche del secolo scorso, l'uniformismo di Lye11 contiene 4 diverse nozioni di uniformita: a) l'uniformita delle leggi della natura nel tempo e nello spazio; b) l'uniformita dei processi geologici; c) l'uniformita della velocita dei processi; d) l'uniformita delle condizioni. Il punto a esprime un'asserzione metodologica aprioristica e non dimostrabile, ma inevitabile. Infatti, se le leggi variassero nel tempo e nello spazio, non sarebbe possibile i1 procedimento induttivo che costituisce it fondamento della scienza. Il punto a esprime dunque l'enunciazione piu semplice (e irrinunciabile) dell'uniformismo di Hutton e Lye11: le leggi della fisica non dipendono ne dal tempo ne dallo spazio e operavano nel passato come operano nel presente. Il punto b afferma che i processi geologici in atto sono gli stessi che operarono nel passato. Se le cause che oggi vediamo all'opera sono sufficienti per spiegare it passato, non e «razionale» inventarne altre. E tuttavia implicito, in una accezione moderna di uniformismo, che non si pub escludere l'esistenza nel passato di processi diversi da quelli attuali. Secondo it punto c i processi geologici nel passato si sarebbero svolti sempre con la stessa velocita con cui si manifestano oggi. A priori non puo esistere alcuna garanzia che i processi geologici nel tempo si svolgano a velocita costante o diversa. Si tratta, evidentemente, di una conclusion di Lye11 basata su dati empirici e non di una asserzione metodologica accettabile a priori. Questo aspetto dell'uniformismo, defi-

Breve storia della Paleontologia

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nito uniformismo sostanziale da Gould (1965), per quanto criticato anche da molti autori contemporanei di Lye11, ebbe un notevole successo. Attualmente, la tendenza 6 di considerare questo enunciato in aperta contraddizione con la documentazione geologica e paleontologica. II punto d evoca l'immagine di una Terra caratterizzata da un dinamismo statico: vale a dire che i continui cambiamenti geologici e biologici non sarebbero interpretabili come direzionali e non porterebbero a effettivi cambiamenti nella storia della Terra. Cosi, mentre alcune montagne stanno innalzandosi, altre stanno per essere distrutte dall'erosione e i sedimenti che vengono dilavati dalle terre emerse si depositano nei bacini limitrofi. Conformemente a questa visione, Lyell riteneva che numero delle specie della Terra non variasse nel tempo; alla estinzione di ogni specie sarebbe infatti corrisposta la comparsa di un'altra equivalente. Da questo derivava che Lyell, pur nella sua filosofia «non progressista», ammetteva che ogni periodo della storia della Terra fosse caratterizzato da un'unica e ben riconoscibile combinazione di specie. Proprio su questo punto Lyell fon& la sua suddivisione cronologica del Cenozoico (Finestra 8.11). In definitiva, le scienze geologiche e la paleontologia, come del resto tutte le scienze naturali, sono saldamente ancorate esclusivamente al punto a e, almeno in parte, al punto b, riuniti da Gould (1965) nel cosiddetto uniformismo metodologico. L'enunciazione e l'affermarsi dell'uniformismo portarono al definitivo abbandono della Teoria Diluviale e delle teorie imperniate sull'azione di mitiche catastrofi, frutto di cause soprannaturali. Nell'Ottocento ebbe inizio, con Cuvier, un nuovo movimento catastrofista che si puo definire razionale, in quanto fondato su dati empirici (anche se ovviamente interpretati con le conoscenze di allora). Il catastrofismo razionale di Cuvier e della sua scuola fu tuttavia considerato da molti, e fino a poco tempo fa, in completa antitesi con !'uniformismo di Lyell e affossato, come teoria completamente superata, nel calderone delle vecchie teorie delle catastrofi. Nella rigida e semplicistica contrapposizione tra !'uniformismo ed catastrofismo razionale, non ci si rese conto per molto tempo che sia Cuvier sia D'Orbigny erano tenaci assertori dei punti a e b dell'uniformismo lyelliano. Cuvier e D'Orbigny furono dunque i primi autori che, partendo da un uniformismo metodologico, postularono su base empirica (ma con interpretazioni non sempre necessariamente corrette) l'esistenza di eventi catastrofici. II modello delle rivoluzioni di Cuvier era basato sullo studio delle successioni sedimentarie del Bacino di Parigi, condotto con una rigorosa metodologia uniformista (punti a e b). Le brusche variazioni riscontrate nella successione da ambienti lacustri ad ambienti marini, documentate da altrettante brusche variazioni della composizione faunistica, erano imputate da Cuvier a fenomeni di avanzata e di ritiro del mare. Su questa base Cuvier interpreto la successione di faune diverse con it fenomeno delle estinzioni e del ripopolamento tramite migrazioni da regioni vicine. Gia ai tempi di Cuvier, it geologo francese Louis-Costant Prevost (1787-1856) dimostrO pero, in aperto contrasto con l'interpretazione catastrofista, che nel Bacino di Parigi la salinita diminuiva procedendo verso Est come conseguenza della maggior distanza dal mare aperto e che, in una tale situazione paleogeografica, it passaggio da un ambiente marino ad un ambiente dulcicolo poteva avvenire tramite una successione di piccole variazioni. Dunque, it modello di Cuvier in realta era viziato da una interpretazione non accettabile dei dati. Il modello di D'Orbigny postulava l'esistenza nella storia della Terra di 27 catastrofi, seguite da altrettanti episodi creativi. Questo modello pue apparire ridicolo, se non si considerano i tempi in cui fu formulato e l'enorme mole di ottimo lavoro su cui

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La disciplina della Paleontologia

era basato. Non va dimenticato, inoltre, che i 27 limiti di D'Orbigny hanno ancora un preciso significato stratigrafico e che alcuni coincidono veramente con crisi biologiche di entita planetaria. La rivalutazione del modello della scuola catastrofista razionale e una diretta conseguenza della recente « riscoperta» degli eventi improvvisi, e talora catastrofici, che caratterizzano la storia geologica e biologica della Terra. Questi eventi non sono pia misteriosi e, anche se spesso oggetto di controverse interpretazioni, sono integrati e integrabili nei modelli unificanti della tettonica delle placche e dell'evoluzione della biosfera. La tendenza attuale 6 quella di considerare la storia della Terra come caratterizzata da fasi di stasi punteggiate da cambiamenti pia rapidi, sia a livello geologico che biologico. A nostro avviso a ancora prematuro accettare in toto questo modello. L'evoluzione geologica e biologica della Terra sembra presentare, in realta, tutta la gamma possibile di «velocita», dalla stasi agli eventi catastrofici. Attualmente non esiste pia dibattito sul significato del termine di uniformismo, che viene inteso unanimemente come uniformismo metodologico (punto a e punto b in parte). Il presente non 6 direttamente la chiave del passato; se si vuole ricostruire una situazione del passato occorre ricomporla solo tramite le leggi e lo studio dei processi che operano attualmente, non trasferendo it presente nel passato. Per ricostruire it «Mediterraneo» di 4 milioni di anni fa non si pub assumere come modello il Mediterraneo attuale, ma solo le leggi, i processi, le cause che ne determinano le caratteristiche. Il Mediterraneo attuale 6 caratterizzato da un notevole deficit idrologico, causato dal prevalere dell'evaporazione rispetto agli apporti dei fiumi e delle precipitazioni, compensato dalle correnti provenienti dall'Atlantico e dal Mar Nero (§ 9.9.7.c). La situazione del Mediterraneo di 4 milioni di anni fa era sicuramente diversa, anche se determinata evidentemente dalle stesse leggi e dagli stessi processi. La massima di Archibald Geikie, it presente e la chiave del passato, 6 indubbiamente ancora valida se vista nell'esclusiva ottica dell'uniformismo metodologico, ma va completata riconoscendo che anche it passato costituisce la chiave del presente. Presente e passato, dunque, sono legati da un inscindibile rapporto di interazione conoscitiva. 1.2.10



Fossili ed evoluzione: inizio di un binomio

Nei primi decenni dell'Ottocento it dibattito scientifico tra le principali correnti di pensiero, dagli ultimi sostenitori di un accordo tra racconto biblico e ricerca geologica (come il famoso geologo William Buckland) alla scuola di Lyell, di Cuvier e di Lamarck, divenne quanto mai accesa. II crogiolo delle idee, che nel secolo successivo avrebbe permesso di elaborare una teoria unificante sull'evoluzione della biosfera, divenne quasi completo di 11 a pochi decenni con la teoria evolutiva di Darwin (1859) e con la scoperta delle leggi dell'ereditarieta di Mendel (1865) (Cap. 4). I tempi pen!) non erano ancora maturi. L'opera di Mendel rimase ignorata fino all'inizio del Novecento e anche la teoria evolutiva di Darwin, per quanto in generale fosse stata accolta con molto rispetto, non fu immediatamente accettata dalla maggior parte dei naturalisti. A prescindere dalle opposizioni aprioristiche di chi vedeva le idee darwiniane blasfeme, soprattutto per le loro conseguenze sull'origine dell'uomo, si riproponeva it problema, gia sorto con Lamarck, di conciliare la documentazione paleontologica con l'ipotesi di una evoluzione graduale. I fossili non sembravano infatti fornire alcuna testimonianza della trasformazione graduale dei taxa ed inoltre i prin-

Paleontologia, geologia e biologia

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cipali phyla dei vertebrati erano gia conosciuti nel Paleozoico. Lo stesso Darwin era ben consapevole di questo problema. Non sembrava d'altra parte ragionevole ipotizzare che la documentazione paleontologica fosse cosi incompleta da non permettere di riconoscere it processo evolutivo almeno nelle sue linee generali. Lo studio di Albert Gaudry (1862-67) sulla fauna a mammiferi del Miocene di Pikermi (Grecia) rappresentO veramente una tappa decisiva nella storia della paleontologia: per la prima volta la documentazione paleontologica appariva corroborare l'ipotesi evolutiva. Gaudry, pur essendo un sostenitore dell'esistenza delle specie, ritenne infatti di aver rinvenuto forme intermedie tra le specie ed i generi in tempi successivi. L'autore, sulla base di una precisa documentazione, fu in grado di proporre le prime linee filetiche di alcune famiglie di mammiferi e dimostrare cosi su base paleontologica lo svolgersi del processo evolutivo. Due anni dopo la pubblicazione dell'« Origine delle specie», nei calcari litografici del Giurassico di Solnhofen (Baviera) venne scoperto un fossile, Archaeopteryx lithographica (fig. 4.27a), con caratteri comuni ai rettili ed agli uccelli: per la prima volta la documentazione paleontologica permetteva di ipotizzare una relazione evolutiva tra due classi. I successivi studi paleontologici, ed in particolare la ricostruzione della linea evolutiva del cavallo da parte di Vladimir Kovalevski (1842-1883) e Othenio Marsh (1831-1899), confermarono definitivamente che la documentazione paleontologica costituiva la prova pia tangibile della teoria evolutiva. Con la seconda meta dell'Ottocento, dopo un dibattito di pia di 2.000 anni, si arriva dunque ad una piena cornprensione del significato dei fossili come documenti unici del lungo processo evolutivo della vita e degli ecosistemi terrestri. Apparve allora finalmente chiaro it motivo per cui, tramite i fossili, era possibile ricostruire la successione cronologica degli strati.

1.3 - PALEONTOLOGIA, GEOLOGIA E BIOLOGIA I paleontologi cominciarono a utilizzare i fossili per datare le rocce in senso relativo prima ancora di aver capito la loro relazione con l'evoluzione e ancora oggi i fossili forniscono alla geologia un mezzo insostituibile per correlare gli eventi geologici (§ 8.3.1). E chiaro pert) che l'immagine della paleontologia come semplice ordinatrice degli strati e degli eventi 6 fortemente riduttiva. La successione degli eventi puramente fisici (tettonica delle placche e moti astronomici della Terra) ha costituito lo scenario in cui la biosfera, interagendo con l'idrosfera, l'atmosfera e la litosfera, ha svolto it ruolo di protagonista nella storia della Terra da almeno 3,5 miliardi di anni. I fossili, come unica documentazione della storia della biosfera, consentono quindi di interpretare gli eventi geologici nel contesto delle profonde interazioni del mondo fisico con quello biologico. Ecco perche sarebbe riduttivo considerare i fossili solo come strumento ordinatore della successione degli strati. D'altra parte l'interpretazione degli eventi biologici non pub awenire che nel contesto di un preciso scenario geologico. In questa visione, quindi, la paleontologia non 6 pia it solo mezzo per risolvere alcuni problemi geologici (correlazioni, interpretazioni paleogeografiche e paleoambientali), ma 6 parte integrante della geologia. La paleontologia, o se si vuole la paleobiologia, rientra per definizione anche nel contesto delle scienze biologiche. E facilmente intuibile che per studiare i resti di un ex vivo, sia animale che vegetale, occorre conoscere it mondo vivente attuale. La ricerca paleontologica presenta tuttavia alcuni aspetti peculiari che la differenziano

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La disciplina della Paleontologia

nettamente da quella botanica e zoologica. Mentre i neontologi studiano un organismo vivente, e quindi possono analizzare direttamente la sua fisiologia ed it suo posto nella natura, i paleontologi devono ricostruire l'ex vivo sulla base delle conoscenze biologiche. Il neontologo conosce direttamente it contesto geografico ed ambientale dei viventi, mentre it paleontologo deve inserire gli ex vivi in un contesto paleogeografico e paleoambientale del passato che gli stessi fossili contribuiscono ad interpretare (Cap. 9 e 6). Il punto di partenza degli studi neontologici, costituito dagli organismi viventi e dalla loro casa », rappresenta it punto di arrivo degli studi paleontologici. In questi ultimi venti anni molti paleontologi si sono attivamente dedicati a studi neontologici in funzione degli studi paleontologici e per questo indirizzo di ricerca, fondamento indispensabile per le ricerche paleoambientali (Cap. 6), e stato coniato it termine apparentemente paradossale di actuopaleontologia; contemporaneamente la scoperta dei grandi fenomeni di estinzione e it rinnovato dibattito sui modelli evolutivi hanno ridestato, anche da parte dei biologi, un generale interesse sui fossili: un patrimonio storico-culturale unico che in realty deve ancora, in gran parte, essere decodificato. Come vedremo meglio in seguito, la riscoperta dei fossili come fondamentali documenti biologici non tende a minare ma, anzi, a rafforzare la relazione tra geologia e paleontologia in una visione olistica della storia della Terra.

1.4



LA PALEONTOLOGIA E LE SUE PARTI

La Paleontologia viene comunemente divisa in due settori di competenza: la Paleobotanica, che si occupa del mondo vegetale fossile e la Paleozoologia che si occupa

degli animali fossili. Nella paleontologia inoltre, come del resto in zoologia e in botanica, viene distinta una Paleontologia generale ed una Paleontologia sistematica. La paleontologia generale tratta gli aspetti teorici della disciplina e la teoria di tutte le possibili applicazioni. La Paleontologia generale comprende quindi: - la Tafonomia, che si occupa dei processi di fossilizzazione (Cap. 2); - la Paleontologia evolutiva, che si occupa della teoria dell'evoluzione e delle prove paleontologiche a sostegno delle teorie evolutive (Cap. 4); - la Paleoecologia, che studia la relazione tra i fossili ed it loro ambiente di vita (Cap. 6); - la Paleoicnologia, cio6 lo studio delle tracce fossili lasciate dagli organismi (Cap. 7), che va acquisendo una sempre maggiore autonomia dalla Paleoecologia; - la Paleontologia stratigrafica, che studia la distribuzione stratigrafica dei fossili e quindi la loro successione cronologica (Cap. 8); - la Paleobiogeografia, che si occupa della distribuzione geografica dei fossili (Cap. 9). Gran parte di queste « sezioni» della Paleontologia generale hanno pert, ormai acquisito la dignita di discipline indipendenti. La Paleontologia Sistematica ha it compito di descrivere e classificare i fossili che vengono riuniti negli stessi schemi tassonomici dei viventi. Tradizionalmente esiste poi la tendenza a dividere la paleozoologia in Paleontologia degli invertebrati e Paleontologia dei vertebrati, due discipline che presentano una storia profondamente diversa. La Paleontologia dei vertebrati, fin dalla sua origine, sempre stata altamente integrata con gli studi biologici e addirittura, in molti aspetti descrittivi sui denti e sulle strutture ossee, gli studi paleontologici hanno spesso pre-

Le applicazioni della Paleontologia

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ceduto quelli neontologici. La paleontologia degli invertebrati, fino a pochi decenni fa, 6 rimasta ancorata essenzialmente a studi tassonomico-descrittivi concepiti in funzione della stratigrafia. Solo recentemente, grazie alla migliore conoscenza della fisiologia e della morfologia funzionale degli organismi attuali e del fiorire degli studi di actuopaleontologia, a stato possibile arrivare ad una stretta integrazione con la biologia. La Micropaleontologia, infine, studia i microrganismi fossili di tutti e cinque i regni della vita e la sua «separazione » si giustifica solo con le piccole dimensioni degli organismi studiati (da pochi mm a pochi gm). Lo studio di tali reperti richiede tecniche particolari e l'uso costante del microscopio ottico o a scansione, ma evidentemente i metodi di indagine e le finality sono quelli comuni a tutto it campo delle scienze paleontologiche. Gli studi micropaleontologici si sono affermati soprattutto con finality applicative e in particolare per la necessity di datare le rocce durante le ricerche petrolifere; infatti, giazie alle minuscole dimensioni dei microfossili, anche un piccolo campione di roccia proveniente da una perforazione pub contenerne enormi quantita.

1.5 - LE APPLICAZIONI DELLA PALEONTOLOGIA I fossili sono documenti storici dell'evoluzione della biosfera e della sua interazione con la litosfera, l'idrosfera e l'atmosfera. Nella documentazione paleontologica sono quindi accuratamente registrate l'evoluzione della vita e l'evoluzione climatica, geografica e ambientale della Terra. La magnetostratigrafia, la stratigrafia sequenziale, i moderni metodi radiometrici, la stratigrafia isotopica costituiscono una formidabile integrazione della documentazione paleontologica (Cap. 8), the tuttavia rimane ancora un mezzo insostituibile nella ricerca stratigrafica e nelle ricostruzioni paleogeo-. grafiche, paleoclimatiche e paleoecologiche (tab. 1.1). La paleontologia fornisce di routine al geologo le informazioni per stabilire l'eta relativa ed it significato paleoambientale delle successioni sedimentarie, permettendo quindi di datare gli eventi tettonici (faglie, pieghe, ricoprimenti, ecc.), le trasgressioni e le regressioni marine, di TABELLA 1.1 La paleontologia documenta it processo evolutivo (Cap. 4) e svolge un —

ruolo fondamentale, integrata con altre discipline, nella ricostruzione dell'evoluzione paleogeografica e dell'evoluzione degli ecosistati del nostro pianeta. Ciascuna delle applicazioni elencate e inscindibilmente legata alle altre da un processo di interazione conoscitiva.

O 0 STUDIO DEI O FOSSILI

Documentazione storica dell'evoluzione Biostratigrafia Paleoecologia Paleoclimatologia

4_

Paleobiogeografia

(PALEOGEOGRAFIA ECOSTRATIGRAFIA

24

La disciplina della Paleontologia

rilevare la presenza di lacune sedimentarie, ecc. Solo tramite queste informazioni it geologo e in condizioni di ricostruire la geografia ed i paleoambienti del passato, condizioni indispensabili per la ricerca dei giacimenti petroliferi. I fossili dunque sono documenti storici the non solo hanno un enorme valore culturale, ma permettono anche importanti applicazioni industriali.

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2. TAFONOMIA*

2.1 — CONSIDERAZIONI GENERALI 2.1.1 — Introduzione La tafonomia (Evremov, 1940) studia la storia degli organismi dalla morte o dai loro stadi preagonici al loro ritrovamento come fossili. A livello piti generale si pub dire the studia it processo di trasferimento di materia dalla biosfera alla litosfera (figg. 2.1; 8.1). Dunque, anche la formazione del petrolio e del carbone rientrano tra

d)

e)

Fig. 2.1 — Successione degli eventi mostrante come un organismo pub diventare fossile ed arrivare fino a not passando dalla biosfera alla litosfera. a) In un bacino lacustre (o marino) del Cretaceo inferiore arriva, probabilmente portato da un flume, it cadavere di un Iguanodon (Dinosauri ornitischi). La carcassa gal-

leggia per un certo tempo in quanto i gas di putrefazione dei visceri ne impediscono l'immediato affondamento. b) La carcassa dopo essersi deposta sul fondo, adagiandosi probabilmente su di un fianco, potrebbe venire ruotata in posizione prona da correnti di fondo. Successivamente, mentre le parti moth vengono via via distrutte, inizia it ricoprimento rapido di tutto l'organismo. c) La sedimentazione continua e it rettile, ormai ridotto al solo scheletro, e ricoperto e isolato in modo totale. d) Nuovi strati di sedimento si depongono su quel fondale e con l'aumentare del peso dei sedimenti, la carcassa viene via via compressa e stirata. e) L'antico fondo viene sollevato ed oggi ritroviamo quegli stessi strati a costituire it versante di una collina. f) L'erosione e molto attiva su quel versante e a poco a poco lo scheletro dell'Iguanodon torna ad affiorare (da A. Charig, 1979, con modifiche).

* In collaborazione con G. C. Parea.

26

Tafonomia

TABELLA 2.1 — La fossilizzazione ANALISI

A

PALEOECOLOGICA

RITROVAMENTO DEI FOSSIL!

LITOSFERA 0

11 T A F 0 N 0 M I A

s.L trasferisce gradatamente, attraverso it tempo, mediante una serie di processi, i resti di un organismo dalla biosfera alla litosfera. IZ suo ritrovamento, poi, permettera di iniziare l'analisi paleoecologica.

PROCESSI DI FOSSILIZZAZIONE

SEPPELLIMENTO

PROCESS! BIOSTRATINOMICI

MORTE

O R G A N I S M I (Biosfera)

le problematiche tafonomiche. Lo studio tafonomico, come vedremo, costituisce una premessa indispensabile alla analisi paleoecologica. Nella tafonomia si distinguono quattro fasi fondamentali che si susseguono in ordine temporale (tab. 2.1): la morte degli organismi (§ 2.3), la storia dei loro resti fino al seppellimento (biostratinomia) (§ 2.4), it seppellimento definitivo (§ 2.5) e la loro successiva trasformazione diagenetica (§ 2.6). La fossilizzazione, intesa in senso stretto, studia la storia dei resti degli organismi dal loro seppellimento al loro ritrovamento e analizza dunque i processi fisici, chimici e biologici che modificano tali resti e li trasformano in quel «prodotto» che viene definito un «fossile» (§ 1.1.4). Il termine «fossilizzazione s.1.» a spesso utilizzato per evidenziare la possibility di conservazione dei resti di un organismo senza entrare in dettagli biostratinomici o diagenetici. In generale 6 molto improbabile che le tracce o i resti di un organismo possano fossilizzare. Secondo Nicol (1977) solo 1'8% delle specie animali attuali ha la possibility di essere conservata nelle rocce sedimentarie come fossili; secondo altre valutazioni solo una specie su 5000 vissute nel passato ha potuto subire la fossilizzazione ed avere qualche probabilita di venire a far parte della documentazione paleontologica. Si tratta ovviamente di valutazioni teoriche e di numeri puramente indicativi che possono variare in relazione a numerosi fattori. E stato infatti calcolato che delle 3000 specie, con e senza parti dure, che popolano mediamente una scogliera corallina solo 50-75 hanno buone possibility di fossilizzare; it rapporto a ancora inferiore se si considera un ambiente continentale come la sponda di un grande flume dove, su 10.000 specie ivi viventi, solo 10-15 sono potenzialmente passibili di fossilizzazione. Requisito fondamentale per la conservazione allo stato fossile delle spoglie di un organismo a che esse vengano sottratte it pit rapidamente possibile a tutta una serie di agenti biologici, meccanici e chimici che tendono a distruggerle. E assolutamente necessario, cioe, che i resti di un organismo, dopo la sua morte, vengano sepolti pit velocemente di quanto possano agire i processi distruttivi.

Considerazioni generali

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A parte casi eccezionali (depositi eolici, frane, coltri piroclastiche, ecc.) it seppellimento dei resti organici e la loro fossilizzazione avviene sempre in ambiente acqueo, dove i processi di sedimentazione possono frequentemente prevalere su quelli distruttivi; questo fatto limita grandemente le possibility di conservazione degli organismi continentali. Animali e piante che possiedono «parti dure » sia mineralizzate (ossa, gusci) sia non mineralizzate (lignina, chitina, collagene, ecc.) hanno migliori probability, rispetto a quelle che non le possiedono, di superare l'intervallo di tempo critico tra la morte e l'inclusione nel sedimento. Le parti molli, costituite da carboidrati e proteine, di solito dopo la morte scompaiono rapidamente o subiscono radicali trasformazioni, soprattutto se hanno un alto contenuto in acqua. Di una medusa, costituita da oltre it 98% di acqua, non rimane nulla o, nella migliore delle ipotesi, solo la sua impronta costituita da un impalpabile velo carbonioso, mentre, ad esempio, le conchiglie dei molluschi, gli esoscheletri chitinofosfatici dei trilobiti o gli elementi scheletrici di molti vertebrati, resistono per un tempo considerevole alle aggressioni biologiche, meccaniche e chimiche (§ 2.4). Ne consegue che la documentazione paleontologica di specie o di gruppi provvisti di 2.2 — La possibility che i rappresentanti di un certo gruppo sistematico possano essere presenti allo stato fossile dipende, salvo casi eccezionali, dalla presenza di parti dure. TABELLA

GRUPPI FLAGELLATI DIATOMEE FORAMINIFERI PROTOCILIATI SPOROZOI CILIATI PORIFERI CELENTERATI CTENOFORI FORONIDI BRIOZOI BRACHIOPOD! PLATEMINTI NEMERTINI ECTOPROCTI NEMATELMINTI PRIAPULIDI ECHIURIDI

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POGONOFORI

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ONICOFORI

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SIPUNCULIDI

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28

Tafonomia

parti dure, sia mineralizzate sia non mineralizzate, e enormemente pia ricca di quella dei taxa che ne sono privi i quali, solo occasionalmente (es. vari tipi di vermi, pogonofori, ecc.), possono fossilizzare (tab. 2.2). Ad esempio, in un gruppo relativamente recente come i mammiferi, si conosce circa lo stesso numero di specie fossili e di specie attuali, mentre in un gruppo molto pia antico come gli insetti ii numero delle specie fossili conosciute rappresenta solo una frazione minima del numero di quelle attuali. Nella conservazione delle parti dure riveste un ruolo essenziale anche la loro cornposizione chimico-mineralogica e la loro struttura (architettura, microstruttura e ultrastruttura) che pub essere molto varia anche all'interno di uno stesso taxon (fig. 2.2). Molto importante, ai fini della fossilizzazione, e inoltre la relazione tra le parti dure mineralizzate e quelle non mineralizzate. Quando, ad esempio, uno scheletro e costituito da parti connesse da tessuto organico che e soggetto ad una rapida disgregazione post-mortem, solo in casi di rapido seppellimento, si pub arrivare alla sua completa conservazione. Nella maggior parte dei casi invece le singole parti vengono ritrovate isolate nei sedimenti come nel caso delle placchette delle coccosfere (coccoliti) e degli echinodermi (piastrine, ossicoli) (fig. 2.3). Dunque, solo le strutture scheletriche costituite da parti elementari distinte come le singole ossa, le singole valve dei brachiopodi e dei pelecipodi, i gusci dei gasteropodi e dei foraminiferi, ecc., anche se permeati da sostanza organica, presentano una elevata probability di conservarsi come «parti intere». In linea di principio quanto pia e accentuata la mineralizzazione di una parte scheletrica, tanto pia questa ha buone possibility di conservarsi allo stato fossile. Il grado di mineralizzazione ha anche importanza nel detera)

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Fig. 2.2 — Architettura (a-f), microstruttura (1-8; g) e ultrastruttura (h) del guscio di alcuni gruppi di bivalvi. Visualizzazione tridimensionale della microstruttura lamellare incrociata (g) e dell'ultrastruttura delle singole lamelle con evidenziati i singoli cristalliti (h) (a -f da J.D. Taylor, 1973, con modifiche; g, h da G.F. Laghi & F. Russo, 1980, con modifiche).

Sostanze che costituiscono gli organism( viventi

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Fig. 2.3 — Gli elementi che compongono lo «scheletro» di un fossile, piccolo o grande che sia, possono subire una rapida degradazione post-mortem e trovarsi dispersi nei sedimenti. Gli esempi riguardano (a) una coccosfera (Crystallolithus hyalinus) e (b) un crinoide (Encrinus liliformis).

minare la conservazione preferenziale delle parti di uno stesso organismo. Cosi, ad esempio, tra gli artropodi, i trilobiti, che hanno un guscio ad elevata mineralizzazione rispetto a granchi ed aragoste, sono molto pin comuni allo stato fossile. Nell'ambito dei vertebrati, ad esempio, gli otoliti (ossicini dell'apparato uditivo dei pesci) e i denti, essendo pin mineralizzati, hanno maggiori possibility di conservarsi delle altre parti scheletriche. Come conseguenza, nella documentazione paleontologica si ha la prevalenza non solo di certi tipi di organismi ma anche di certe parti degli organismi stessi. La fossilizzazione e quindi un processo molto complesso influenzato dalla interazione di molteplici parametri ed in particolare controllato dalla composizione chimico-mineralogica e dalla struttura delle parti scheletriche degli organismi, da fattori biostratinomici (aggressioni biologiche, chimiche e meccaniche) e dall'ambiente in cui avviene la diagenesi.

2.2 — SOSTANZE CHE COSTITUISCONO GLI ORGANISMI VIVENTI

2.2.1 — Generality Da un punto di vista generale le spoglie degli organismi potenzialmente fossilizzabili sono costituite da materia organica e da sostanze minerali che sono sempre pin o meno intimamente associate. La materia organica e costituita da una grande variety di composti del carbonio Immediatamente dopo la morte di un organismo, i processi putrefattivi (§ 2.4.1a) e ossidativi demoliscono le complesse molecole di materia organica riducendole ai singoli elementi chimici o a composti molto semplici come per esempio la CO2. Dal punto di vista paleontologico, ossia da quello della fossilizzabilita, e opportuno distinguere fra parti molls e parti dure degli organismi. Le prime, che sono composte

30

Tafonomia

essenzialmente di acqua, costituiscono la muscolatura, i tessuti adiposi e connettivi, e in genere gli organi interni degli animali, mentre nei vegetal solo i liquidi cellulari e la linfa possono considerarsi «parti molli». Le seconde rappresentano invece i tessuti piu consistenti che costituiscono, quando presenti, le impalcature portanti e le strutture scheletriche degli organismi

2.2.2 — Le parti non mineralizzate Nell'insieme, tutte le sostanze organiche si possono riunire in due grandi gruppi: idrati di carbonio, composti essenzialmente da carbonio, ossigeno e idrogeno, e grassi e proteine che oltre a questi elementi contengono azoto ed in alcuni casi tracce di

zolfo e di pochi altri elementi del tutto accessori. Nell'ambito delle sostanze non mineralizzate che costituiscono gli organismi rientrano sia parti molli sia parti dure. Le parti molli sono costituite essenzialmente da idrati di carbonio, proteine e grassi. Altre particolari sostanze organiche, come la chitina e le scleroproteine oppure la lignina o la cutina, fanno invece parte delle parti dure. Queste sono insolubili e non sono facilmente distrutte dalla putrefazione. La chitina, un polisaccaride azotato a lunga catena lineare, si rinviene negli artropodi (trilobiti, crostacei e insetti), nei brachiopodi, negli anellidi, nei celenterati e nei briozoi (tab. 2.3). Essa a spesso associata a calcite (artropodi, anellidi, briozoi) o a fosfato di calcio (brachiopodi, celenterati, artropodi). Nei protisti (esempio foraminiferi) e spesso presente un composto pseudochitinoso, la tectina, che ha la capacita di agglutinare particelle detritiche organogene o inorganiche. Le scleroproteine, o proteine fibrose, sono un gruppo di sostanze complesse, come it collagene, la cheratina e la conchiolina, formate da catene di aminoacidi. Il collagene, che generalmente assume diverse denominazioni a seconda del gruppo in cui e presente, e molto abbondante negli anellidi e nei cordati ed e presente con una certa frequenza nei poriferi, nei brachiopodi e negli echinodermi. Esso costituisce inoltre la quasi totalita delle parti dure di certi organismi esclusivamente fossili e di notevole importanza stratigrafica quali chitinozoi e Graptolithina (emicordati) (tab. 2.3). Nei graptoliti it collagene si riduce, it piu delle volte, ad una replica di carbone (Palmer & Rickards, 1991) (§ 2.6.1b). La cheratina si trova solo nei cordati dove 6 presente in grande quantita nei pelf e nelle unghie. La conchiolina e secreta dai molluschi ed entra nella composizione dei loro gusci assieme ai carbonati di calcio. La cellulosa e it costituente principale della parete cellulare delle piante superiori (Spermatofite) ma anche di molte alghe (Clorofite) (tab. 2.3). Altre sostanze come suberina, lignina e cutina entrano a far parte di tronchi e foglie e sono piu resistenti della cellulosa. Il componente vegetale piu resistente di tutti e tuttavia la sporopollenina, una sostanza ad alto peso molecolare e ad alta polimeria simile alla suberina e alla cutina che conferisce grande potenzialita di fossilizzazione a pollini, dinoflagellati, tasmanitidi e acritarchi.

2.2.3 — Le parti mineralizzate Gli organismi del passato e quelli attuali hanno prodotto e producono una notevole varieta di sostanze organiche e inorganiche per costruire le loro parti dure, scheletriche e non, come e riassunto schematicamente nella tabella 2.3 (Lowenstam & Wei-

Sostanze che costituiscono gli organismi viventi

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TABELLA 2.3 Distribuzione dei principali minerali biogenici e delle piu comuni sostanze organiche nei principali gruppi di organismi di importanza paleontologica (Compilato su dati di Lowenstam & Weiner, 1989, con modifiche). —

TAXA Monera

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= Frequente

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ner, 1989). Alcune di queste sostanze, riportate nell'ultima colonna della tabella citata, sono molto rare (es. solfato di stronzio, barite e ossidi di ferro) oppure sono presenti solo in gruppi poco numerosi. Fra le sostanze inorganiche, tre sono i cornposti di notevole importanza: carbonato di calcio (CaCO3), silice (Si02) e fosfato di calcio Ca5(PO4)30H. Il carbonato di calcio e certamente it materiale scheletrico pin abbondante e diffuso sia negli organismi viventi sia nei fossili. In effetti le parti dure mineralizzate degli organismi marini, inclusi molti protisti (foraminiferi, coccolitoforidi) e molte alghe (Clorofite, Carofite, Rodofite), sono costituite di carbonato di calcio. Il carbonato di calcio viene depositato dagli organismi in tre differenti forme cristallografiche: calcite, aragonite e vaterite, che differiscono per la disposizione geometrica degli atomi nel

32

Tafonomia

reticolo cristallino. La vateritela poco diffusa e viene sporadicamente segnalata solo in molluschi, artropodi e cordati. La calcite 6 senz'altro la fase cristallina pin frequentemente usata dagli organismi; quella fissata dagli organismi marini intrappola spesso nel reticolo cristallino piccole quantity, variabili da caso a caso, di ioni magnesio per cui si parla di calcite bassomagnesiaca (LMC) ed altomagnesiaca (HMC). Normalmente le parti dure sono composte o di calcite o di aragonite, ma alcuni molluschi (gasteropodi e bivalvi) e briozoi possono presentare entrambe le fasi mineralogiche. Nella maggior parte dei gruppi tassonomici sono presenti rappresentanti sia con gusci aragonitici sia calcitici (tab. 2.3). La silice a molto meno frequente e costituisce it guscio solo di alcuni gruppi primitivi come certi taxa dei protisti (diatomee, silicoflagellati, radiolari, e dei poriferi (esactinellidi, demosponge). Eccetto che per poche spugne di grandi dimensioni, gli scheletri di silice sono molto sottili. Il fosfato di calcio costituisce la parte mineralizzata pin importante delle ossa e dei denti dei vertebrati (cordati) e forma i gusci di una classe di brachiopodi (i Lingulata), le teche dei conularidi, i conodonti ed a inoltre presente nei carapaci dei trilobiti. Negli invertebrati la frequenza del fosfato di calcio 6 apparentemente maggiore nelle forme fossili che non in quelle attuali (vedi anche § 5.8). Tutte le parti dure in fosfato di calcio sono relativamente stabili, insolubili e si conservano facilmente allo stato fossile. I resti fosfatici e silicei sono facilmente estraibili, senza danno alcuno, dalle rocce carbonatiche con attacchi chimici particolari (acido acetico, acido cloridrico opportunamente diluiti).

2.3 - MORTE DEGLI ORGANISMI La morte degli organismi a un processo che si colloca al limite tra l'indagine paleoecologica e quella biostratinomica. In ogni caso la morte degli organismi rappresenta l'inizio della loro storia come fossili potenziali. E statisticamente improbabile che gli organismi giungano alla fine del loro ciclo biologico. Le cause di «morte prematura» (figg. 2.4; 6.33 a) sono molto vane (predazione, soffocamento, avvelenamento, azione di parassiti, variazioni dei parametri ambientali, ecc.) e rivestono una importanza fondamentale sia per it processo di fossilizzazione sia per la ricostruzione paleoambientale. Solo raramente, tuttavia, possibile risalire nei fossili alle cause della morte come accade per gli insetti o i piccoli rettili inglobati nell'ambra (fig. 2.41), per i mammiferi intrappolati nell'asfalto (fig. 2.40) o quando sono evidenti le tracce di predazione. L'esempio pit classico e pin comune di morte per predazione a rappresentato dalle perforazioni da parte di gasteropodi predatori sui gusci di altri gasteropodi e di bivalvi (fig. 2.5); oppure dalle tipiche figure di predazione prodotte dai granchi sulle conchiglie dei gasteropodi (fig. 7.43). Pitt rari, ma certamente pit famosi, sono gli esempi dell'ammonite del Cretacico del Sud Dakota con i fori lasciati dai denti di un mosasauro (fig. 2.6) e del pesce fossiliz7ato nella cavity addominale di un pesce gigante del Cretacico del Kansas. E noto anche ii caso di un predatore che non ha saputo valutare correttamente le possibility del proprio tubo digerente ed e morto assieme alla sua preda (fig. 2.7). 1La vaterite e una fase metastabile del carbonato di calcio avente simmetria esagonale, la cui formazione e essenzialmente dovuta ad azioni biochimiche (e stata trovata in gusci giovanili di alcuni gasteropodi).

Morte degli organismi Fig. 2.4 — La mortality in una comunita a Cardium edule delle piane di marea del Mare del Nord e

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15000

molto pin elevata tra gli individui giovani the non negli adulti (da Ziegler, 1983 con modifiche).

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Fig. 2.5 — Fori di predazione in alcuni molluschi (bivalvi, gasteropodi, scafopodi) del Plio-Pleistocene italiano• a) Lunatia helicina; b) Callista chione; c)

Dentalium sexangulum; d) Chamelea gallina; Anadara Buccinulum (Euthria) corneum; g) Terebra acuminata; h) Telling planata; i) Nassa reticulata; 1) Dosinia sp. (Foto Istituto di Paleontologia, Modena).

Agosto Ott.

Dic.

Feb.

Tempo

Apr.

Giugno

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Tafonomia

Fig. 2.6 — Una ammonite (a) appartenente al genere Plaeenticeras che viveva nei mari cretacei del Sud Dakota (USA) ha costituito la preda di un mosasauro. La disposizione e le dimensioni dei fori lasciati dai denti sulla conchiglia hanno permesso di stabilire it profilo della mascella superiore (b) e quindi l'identita del predatore (da Kauffmann & Kesling, 1960).

Altre volte la morte a sopraggiunta durante it parto come per la femmina di ittiosauro appartenente al genere Stenopterygius (Giurassico inferiore di Holzmaden, Germania) che si a fossiliz7ata con alcuni embrioni ancora nel ventre e un «piccolo» in via di espulsione 2(fig. 2.8). Considerando lo stato di conservazione ottimale dei reperti si puo tuttavia ipotizzare che it «parto», o almeno la parte rimasta incompiuta di esso e testimoniata dal reperto fossile, sia avvenuto in acque anossiche e che la morte sia dunque sopravvenuta per asfissia. E inoltre classico it caso di morte per malattie del tessuto osseo riscontrato in diversi esemplari di Ursus spelaeus del Pleistocene delle Prealpi (Fabiani, 1903; Cadeo, 1956). La competizione ecologica a certamente una causa comune di morte ma 6 molto difficile, nei fossili, risalire ad un rapporto di causa ed effetto. Le variazioni ambientali rappresentano infine una delle pin frequenti e prevedibili causa di morte. Eventi eccezionali come avvelenamenti da alghe dinoflagellate, variazioni repentine del tenore di ossigeno, apporti sedimentari istantanei che causano it seppellimento ed it soffocamento dell'organismo, sono tra le cause pia comuni. E classic°, ad esempio, it caso degli artropodi (limuli, decapodi, ecc.) trovati fossilizzati alla fine delle loro tracce nel calcare litografico di Solnhofen. Secondo le ultime interpretazioni (Viohl, in Boucot, 1990) questi organismi potrebbero essere morti in seguito ad avvelenamento delle acque causato da proliferazione abnorme di dinoflagellati o altre alghe microscopiche (fig. 2.9). La rapidity con cui si manifesta una variazione ambientale e la eventuale possibility di adattamento o di fuga degli organismi costituiscono le due varianti principali da prendere in considerazione. E evidente infatti che gli organismi sessili (fig. 2.10) o dotati di movimenti limitati non hanno la possibility di abbandonare rapidamente l'ambiente divenuto improvvisamente sfavorevole fino at punto da determinarne la morte. Per valutare it rapporto di interazione tra la rapidity dell'evento e la capacity di reazione di un organismo si puo citare it caso classico della scogliera corallina. Nel caso in cui l'innalzamento del livello marino sia pia veloce della crescita della barriera 2Gli ittiosauri, rettili marini estinti col Mesozoico, erano ovovivipari, cioe partorivano i piccoli nati da nova, simili a quelle degli ovipari, ma trattenute dentro l'ovidotto fino al completo sviluppo dell'embrione.

Morte degli organismi

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Fig. 2.7 — Un raro caso di documentazione paleontologica: la preda (un'aringa, Knightia eocena) ha provocato la morte per «soffocamento» del predatore (un pesce persico, Mioplosus labracoides). Eocene

inferiore dello Wyoming (USA) (ridisegnato da una foto di L. Grande).

corallina-allora si arriva alla morte dell'intera colonia; ma se invece l'innalzamento del livello del mare e lento allora la colonia puO sopravvivere accrescendosi in senso verticale. Anche nel caso di una diminuzione del livello del mare la colonia puo sopravvivere, sviluppandosi orizzontalmente, solo se la variazione eustatica non molto rapida. La morte degli organismi e quindi la condizione iniziale the permette ai processi tafonomici di agire sulle spoglie degli organismi stessi. Questi processi dipendono in gran parte da fattori esterni ma sono prima di tutto condizionati dalla composizione e dalla struttura dell'organismo stesso.

Fig. 2.8 — a) Femmina di ittiosauro (gen. Stenopterygius) morta mentre stava dando alla luce un piccolo. Alcuni embrioni si intravvedono all'interno della cavita addominale. b) Ricostruzione dell'animale completo sulla base della figura precedente. Lunghezza dell'esemplare, circa 2 metri. Giurassico inferiore, Toarciano (Schwarzjura della Germania, Zell presso Holzmaden) (disegno G. Leonardi).

36

Tafonomia

Fig. 2.9 — Esemplare di Kouphichnium walchi Nopsca, 1923 fossilizzato al termine della sua traccia (< Solnhofener Plattenkalke», Giurassico sup. della Baviera, Germania). Larghezza dello scudo cefalico 92 mm. (Per gentile concessione del Dr G. Viohl, Jura Museum, EichstMt — Campione esposto nel Solhofener Aktieverein Museum).

Fig. 2.10 — Piante fossili in posizione di vita appartenenti al genere Taxodioxylon. Foresta fossile di Dunarobba (Perugia). Pleistocene inferiore (foto E. Serpagli).

Processi biostratinomici

37

2.4 — PROCESS! BIOSTRATINOMICI La biostratinomia analizza la storia sedimentaria delle spoglie degli organismi, vale a dire prende in considerazione tutti quei processi che avvengono tra la morte e it seppellimento definitivo (Weigelt, 1919). I processi biostratinomici modificano sempre, pin o meno profondamente, le caratteristiche intrinseche delle spoglie degli organismi e i loro rapporti di frequenza. L'esatta comprensione di tali processi fondamentale sia per interpretare correttamente i processi di fossilizzazione sia per poter effettuare studi di paleobiologia e paleoecologia. Lo studio dei processi biostratinomici attuali (indicato come actuopaleontologia) costituisce una base di conoscenze indispensabili per effettuare studi paleobiostratinomici. I processi biostratinomici sono molto complessi, diversificati e, nella maggioranza dei casi, si verificano contemporaneamente e spesso i loro effetti si sommano e si intensificano sinergicamente. 2.4.1



Necrolisi

Col termine necrolisi, che inizia subito dopo la morte di un organismo, si intende generalmente la decomposizione biologica delle parti non mineralizzate di un organismo prima del seppellimento (Seilacher, 1978). In questa sede, it termine «necrolisi›> e inteso in senso pin ampio, fino a comprendere anche processi di decomposizione non biologica della materia organica come la combustione e le dirette conseguenze che la decomposizione ha sulle parti mineralizzate degli organismi. a) DECOMPOSIZIONE DELLA MATERIA ORGANICA Questo processo e rappresentato essenzialmente dalla putrefazione delle sostanze proteiche, dei grassi e degli idrati di carbonio (§ 2.6.1a). La putrefazione svolge una funzione fondamentale nel quadro della degradazione della materia organica. Essa permette di ridurre a composti estremamente semplici, nuovamente riutilizzabili, tutte le sostanze organiche comunque complesse che sono sintetizzate dagli organismi viventi e che vengono rimesse in circolo alla loro morte. Questo processo che prodotto da muffe, batteri e funghi, e facilitato da temperature relativamente elevate e porta essenzialmente ad una ossidazione pia o meno profonda dei materiali sui quali opera. Quando non venga bloccato dall'instaurarsi di un ambiente strettamente anerobico porta alla totale distruzione della materia organica con importanti conseguenze sulle modality di conservazione delle parti mineralizzate. b) DISARTICOLAZIONE Alla morte di un organismo, se i processi putrefattivi hanno la possibility di svolgersi in modo sufficientemente intenso prima che si realizzi ii seppellimento finale (fig. 2.11), inizia la disarticolazione delle parti scheletriche. Cie avviene in quanto gusci e scheletri sono in genere costituiti da parti elementari distinte (valve, radioli, ossa, ecc.) tenute assieme tra di loro e con it resto dell'organismo da tessuti connettivi. La disarticolazione viene completata, dopo l'azione dei fenomeni putrefattivi, dall'applicazione di «forze (correnti, moto ondoso, ecc.) o dall'intervento di pro-

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Tafonomia

Fig. 2.11 Necrolisi (putrefazione e disarticolazione) di un elefante morto nella savana africana. Le immagini sono state riprese tre giorni (a), tre settimane (b) e un anno (c) dopo la morte (ridisegnato da Coe, in Behrensmayer & Hill, 1980). —

Processi biostratinomici

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cessi particolari (bioturbazione, ecc.) in grado di separare gli elementi scheletrici. Per disarticolazione si intende quindi la separazione degli elementi dello scheletro o del

guscio lungo le aree di articolazione dopo la distruzione dei tessuti connettivi (fig. 2.60f). La complessita di questo processo 6, ovviamente, tanto piu accentuata quanto piu «articolato» e l'apparato scheletrico dell'organismo. Pertanto la disarticolazione puo, all'interno di uno stesso gruppo come i molluschi, essere piu o meno semplice comportando la separazione di una valva dall'altra (bivalvi) o della conchiglia dall'opercolo (gasteropodi, ammoniti), o puo divenire piu complessa come nel caso dei poliplacofori costituiti da numerose placche articolari. Per esempio, nel caso dei bivalvi, dopo la morte, in seguito al rilassamento dei muscoli ed alla azione antagonista del legamento elastico, le valve si apron. Se la conchiglia non viene rapidamente sepolta, la disarticolazione avviene come conseguenza della necrolisi dei muscoli e del legamento e di una successiva azione di correnti o altre cause. In un ambiente ad alta energia it processo puo completarsi in qualche decina di ore (fig. 2.12) (Driscoll & Weltin, 1973). Nei gasteropodi e nelle ammoniti si verifica quasi sempre la separazione dell'opercolo dal guscio e in alcuni casi (ammoniti) la fossilizzazione delle due parti puo avvenire in aree anche molto lontane tra di loro (es. Calcari ad Aptici dell'Appennino centrale). La disarticolazione e un fenomeno particolarmente accentuato nei coccolitoforidi (fig. 2.3a), negli echinodermi, negli artropodi e nei vertebrati dove gli scheletri coinpleti, costituiti da numerosi elementi, sono conservati interi solo qualora i singoli

90 80

20

Fig. 2.12

40

60

80 ibo TEMPO (in ore)

120

140

160

180

La percentuale di disarticolazione delle valve in popolazioni di Mytilus edulis sottoposte ad una azione abrasiva e grandemente influenzata dall'energia meccanica dissipata nell'ambiente the condiziona la granulometria del sedimento (da Driscoll & Weltin, 1973). -

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Tafonomia

individui siano stati sepolti completamente in ambienti privi di predatori e di limivori e con energia meccanica nulla. Echinodermi come pelmatozoi ed echinidi presentano diversi gradi di disarticolazione, fino a raggiungere una disgregazione completa degli elementi scheletrici. Nei crinoidi, ad esempio, le braccia e lo stelo si staccano dal calice e, successivamente, ogni grosso frammento si scinde nelle sue parti elementari (piastrine poligonali, articoli, ecc.; fig. 2.3b). Le ben note «encriniti», tipiche delle facies di middle shelf, sono rocce formatesi dall'accumulo di articoli dello stelo e di altre parti scheletriche di crinoidi. Negli echinidi, i radioli (aculei) si staccano dallo scheletro entro pochi giorni dalla morte (7 giorni per alcuni echinidi attuali del Mare del Nord) e tempi analoghi richiede la disarticolazione degli artropodi. Nei trilobiti, in particolare, si osservano frequentemente fenomeni simili ma bisogna tener presente che in questi organismi, la disarticolazione delle parti scheletriche come cephala, segmenti toracici, pigidia, non e dovuta solo alla necrolisi ma e la normale conseguenza delle mute di accrescimento (fig. 2.13). Il fenomeno della disarticolazione, infine, ricorre con maggiore frequenza nei vertebrati, dove varia in modo determinante anche in funzione al tipo di ambiente (acquatico o terrestre). Per i vertebrati uccisi da predatori in ambiente continentale si ha una disarticolazione molto accentuata; basti pensare allo smembramento prodotto da felini e canidi sulle carcasse di erbivori di ogni tipo ed alla distruzione effettuata da questi predatori di una certa parte delle ossa. Nel caso di vegetali, la necrolisi pub produrre effetti molto diversi a seconda delle dimensioni e della struttura del vegetale considerato. I vari segmenti di alcune alghe calcaree (es. Halimeda) si separano dopo la putrefazione e possono dare accumuli in qualche modo analoghi a quelli degli articoli di crinoidi. Sempre tra i vegetali occorre distinguere it processo di disarticolazione vero e proprio dalla «dispersione» di parti durante la vita. Infatti, ad esempio, arbusti ed alberi disperdono nell'ambiente circostante, ogni anno della loro vita, una grande,quantita di foglie, pollini, fiori e frutti, tutte strutture potenzialmente fossilizzabili. E proprio da questo processo di dispersione e dalla quasi totale impossibility di risalire all'ex vivo che ha prodotto le varie

Fig. 2.13 — Disarticolazione di un trilobite come conseguenza delle mute di accrescimento. Partendo dall'esoscheletro completo (a) inizia la disarticolazione del cephalon dal torax (b) mediante rotazione in senso antiorario del cephalon attorno ad una spina genale che ha funzionato da punto di ancoraggio (c). Sempre in questa fase it cranidium inizia a staccarsi dal resto del cephalon lungo le suture facciali e quando it distacco e ormai completo (d) it trilobite abbandona definitivamente it vecchio esoscheletro (e) (da Ludvigsen, 1979).

Processi biostratinomici

Fig. 2.14

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Negli organismi vegetali, prima della probabile disarticolazione post-mortem, si verifica quel particolare tipo di disarticolazione costituito dalla produzione di foglie, fiori, frutti, spore e pollini che si distaccano dall'albero stesso durante it suo ciclo vitale. Cosi si e scoperto che le porzioni di apparato radicale attribuite al genere Stigmaria, le parti di corteccia attribuite al genere Knorria e al genere Lepodophloios non sono altro che parti diverse di una singola licofita arborea del Carbonifero. Prodotte da questa licofita sono poi risultate le foglie (Lepidophylloides), i coni microsporangiali (Lepidostrobus) che hanno originato le microspore (Lycospora) ed anche gli sporofilli (Lepidostrophyllum) con le relative macrospore (Cystoporites) queste ultime originate dai coni macrosporangiali femminili Gli stessi sporofilli, se permineralizzati, sono stati chiamati Lepidocarpon (da Thomas & Spiecer, 1987, con modifiche). —

parti, che ha avuto origine l'esigenza di denominarle con nomi generici e specifici diversi applicando quindi le regole della paratassonomia (§ 3.5) (fig. 2.14). Considerando la grande durata della vita di un albero, enorme risulta la quantita di frammenti» dispersi nell'ambiente su distanze molto diverse da caso a caso. Le foglie di un albero, in aria calma o con venti moderati, si diffondono fino ad una distanza circa uguale all'altezza dell'albero (Ferguson, 1985). Una volta giunte at suolo poi, le foglie possono essere riprese dal vento che pero, a causa di molteplici fattori, non le porta normalmente a distanze superiori a tre volte l'altezza dell'albero. Sporadicamente, singole foglie possono percorrere distanze di qualche centinaio di metri e anche molto di pin nel caso di uragani (o se riprese da corsi d'acqua) ma tutte queste disseminazioni eccezionali non hanno praticamente importanza geologica a causa dei processi putrefattivi nei quali vengono quasi sempre coinvolte (§ 2.5.2). I pollini invece vengono normalmente trasportati dal vento a distanze di molte decine di chilometri; it loro grado di dispersione, tuttavia, come in generale quello di tutti i resti vegetali, pith aumentare in modo straordinario per trasporto da parte dei corsi d'acqua e delle correnti marine.

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Tafonomia

C) MACERAZIONE (MICRODISARTICOLAZIONE)

Studi recenti sul comportamento dei gusci calcarei esposti per lunghi periodi di tempo sulla superficie del fondo di mars epicontinentali, hanno messo in evidenza che i gusci vengono resi friabili e si disgregano liberando i singoli prismi di calcite che li compongono. Questo processo, the e stato definito macerazione (Alexandersson, 1978), libera prismi e lamelle che sono resi incoerenti dalla decomposizione della materia organica che li legava quando it guscio era integro. A quanto si puO osservare al miscroscopio elettronico, i prismi e le lamelle di carbonato di calcio che costituiscono un guscio, vengono rese incoerenti come lo sarebbero i mattoni di un muro se venisse eliminato it cemento (fig. 2.60b). Il dibattito sulle cause di questo processo, it cui risultato e una vera e propria microdisarticolazione dei piccoli elementi cristallini che costituiscono la parte minerale dei gusci, e ancora aperto. La macerazione inizia e procede quando i gusci sono appoggiati sul fondo e continua anche fino ad una certa profondita entro it sedimento (fig. 2.23). Secondo Lewy (1981) sembra ragionevole considerarla dovuta all'azione di microrganismi piuttosto che al semplice attacco chimico da parte dell'acqua marina, mentre secondo Hudson (1967) la decomposizione della materia organica e probabilmente dovuta a idrolisi. Qualunque sia l'azione prevalente e certo che la macerazione e un fenomeno molto diffuso e importante e si verifica attualmente sia in acque fredde e talvolta sottosature rispetto ai carbonati (Mar Baltico e Mare del Nord), sia in acque calde e soprassature (Bahamas). Contemporaneamente alla decomposizione della materia organica si puo verificare una parziale dissoluzione della frazione carbonatica dei gusci (20-40% sul fondo della Baia di Skagerrak, secondo Alexandersson, 1979). In questo modo vengono disgregate enormi quantity di gusci sus fondali marini poco profondi con produzione di finissimi fanghi calcarei. d)

PREDAZIONE E BIOCONFEZIONE

L'effetto che predatori e necrofagi possono avere sulla distruzione del corpo delle prede o sulla dispersione o sulla concentrazione delle parti che le compongono, dipende essenzialmente dal rapporto fra le dimensioni della preda e quelle del predatore. Esistono animali, come per esempio le iene, che possono cibarsi di animali anche pill grandi di loro come bovini o camelidi e sono quindi in grado di disperderne le ossa su notevoli distanze. Altri animali invece, come per esempio le civette, inghiottono per intero le loro prede e ne rigettano, sotto forma di boli gastrici, le parti non digeribili come ossa, piume o pelo. Questi predatori «confezionano », per cosi dire, le ossa ed altre parti resistenti delle loro prede in «pacchetti» di limitate dimensioni che di conseguenza hanno qualche probability di venir fossilizzate tutte assieme. Un bolo gastrico costituito da un agglomerato di ossa di pterosauro (appartenente probabilmente alla specie Preondactylus buffarinii) (fig. 2.15) 6 stato trovato recentemente nella «Dolomia di Forni», facies eteropica della Formazione della Dolomia Principale (Norico), nella Valle del Tagliamento (Dalla Vecchia, Muscio & Wild, 1988). Esistono, infine, altri animali che si cibano di organismi,molto piccoli di loro e ne concentrano le parti non digeribili negli escrementi. E noto, ad esempio, che possibile ricavare notizie sulla dieta dei pipistrelli viventi analizzando i resti di insetti contenuti nei loro escrementi Simili indagini si possono effettuare anche nel guano di certe grotte abitate o frequentate nella protostoria da animali di vario tipo, o in

Processi biostratinomici

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b)

Fig. 2.15 — a) Bolo gastrico costituito da un agglomerato di ossa di pterosauro attribuito a Preondactylus buffarinii. Un grosso pesce potrebbe essere stato it probabile predatore. Formazione della «Dolomia di Forni», Valle del Tagliamento, Triassico superiore (Norico). b) Ricostruzione schematica delle ossa e relativa identificazione: Cr, costola cervicale; Cv, vertebra cervicale; cV, vertebra caudale; dr, costola dorsale; Dv, vertebra dorsale; F, femore; g, costola gastrale; h, emiapofisi anteriore; mcIV, metacarpale alare; mt, metatarsale; pal, palatino; pt, pterigoide; R, radio; U, ulna; Wph 1-4; falangi alari 1-4 (per gentile concessione dei dott. Dalla Vecchia & Muscio; Museo di Storia Naturale di Udine).

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Tafonomia

depositi analoghi. I copepodi, piccoli crostacei pelagici, si nutrono di un numero enorme di coccolitoforidi (si calcola possano mangiarne fino a 1.200 al giorno) di cui espellono i coccoliti inglobati nelle pallotole fecali (§ 7.4). I coccoliti «confezionati» in questo modo hanno ottime probability di arrivare al fondo degli oceani e di fossilizzarzi sia perche protetti dalle sostanze organiche che li inglobano sia perche la velocity di sedimentazione delle pallotole fecali 6 circa 10.000 volte maggiore di quella di un singolo coccolitoforide (Degens & Ittekkot, 1984) (si veda anche § 2.4.3). e) COMBUSTIONE La combustione che viene qui considerata un importante processo necrolitico dei legni, 6 stata in passato sottovalutata. L'incendio naturale dei boschi 6 infatti un fenomeno molto pia frequente di quanto si possa pensare. Si 6 osservato net Nord America che le foreste che coprono vaste regioni del continente sono costituite da plaghe di bosco di varia eta distribuite a scacchiera. Nelle aree dove la foresta a pia vecchia, la quantita di legna secca al suolo dovuta alle piante morte per vecchiaia o per competizione ecologica a molto elevata. Un incendio appiccato occasionalmente da un fulmine o da altre cause naturali si diffonde molto pia facilmente in queste aree e risparmia quelle ricoperte da foresta pia giovane, in genere meno facilmente cornbustibili. Le osservazioni pia recenti hanno messo in evidenza che una foresta praticamente matura in 150-200 anni e net Nord America ogni 250-400 anni si sviluppano incendi di portata regionale. Per i motivi sopraddetti questi incendi si limitano praticamente a distruggere solo le plaghe di foreste pia vecchie rispettando quelle non ancora mature. Se ne deduce quindi che gli incendi di grandi proporzioni rientrano nell'evoluzione normale delle foreste che ricoprono vaste estensioni. Non c'e quindi motivo di pensare che non avvenissero gli stessi fatti anche nel passato geologico, del recto documentati, ad esempo, in prossimita del limite K/T. Gli incendi dei boschi, causati da fulmini o indotti dall'uomo, carbonizzano it legno, cio6 trasformano le pareti delle cellule in carbonio quasi puro (processo di carbonizzazione) (fig. 2.48h) cosicche non solo divengono inattaccabili dai batteri ma acquistano anche una rigidita-sufficiente ad impedire l'immediato collasso degli spazi cellulari interni (Cope & Caloner, 1985; Scott, 1990) il che permette ai lumina cellulari di venir riempiti motto precocemente, durante la diagenesi, da sostanze bituminose (fig. 2.48 i,l) e da minerali come la calcite, la silice o la pirite (fig. 2.16d). Le fini strutture anatomiche possono cosi essere conservate in modo ottimale tanto da poter essere studiate al SEM (Sander & Gee, 1990). Secondo Scott (1990) il carbon di legna prodotto dalla combustione naturale di boschi a un processo molto diffuso nella storia della Terra. Questo processo preserva pia frequentemente integre e riconoscibili le parti pia delicate come i fiori e le foglie, mentre le parti pia grandi della pianta si disintegrano e si danneggiano durante la combustione. Questa apparente contraddizione si spiega considerando che piccoli volumi di combustibile si raffreddano e si spengono appena esaurita la frazione volatile lasciando un residuo carbonioso. Solo grandi volumi di combustibile come tronchi o ammassi di foglie e rami, possono mantenere la temperatura elevata per un tempo sufficiente a ossidare e ridurre in cenere la frazione carboniosa. Questo modo di fossilizzazione ha portato alla formazione dei cosiddetti carboni di legna naturali fossili («carbonelle naturali fossili» - fusain) (figg. 2.16; 2.48h). Innumerevoli piccoli frammenti di resti vegetali sono stati conservati mediante questo processo nei sedimenti che vanno dal Devoniano all'Attuale inclusi i carboni di origine antropica.

Processi biostratinomici

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Questi frammenti carbonizzati presentano ancora la loro struttura nei carboni fossili di basso rango; ogni struttura pere sparisce progressivamente con l'aumentare dell'intensita della diagenesi cioe col processo di trasformazione verso i carboni fossil di alto rango (vedi nota 2.6 alla fine del § 2.6.1b).

Fig. 2.16 — La fossilizzazione dei carboni di legna fossili (fusain) avviene attraverso un processo di cornbustione the trasforma le pareti delle cellule in carbonio quasi puro. Le fini strutture anatomiche sono conservate in modo ottimale come si pub rilevare dalle diverse fotografie al SEM. a) Pinuxylun sp., Aguja Fm., Big Bend National Park, Texas. Cretaceo superiore (Maastrictiano). k visibile un condotto resinifero tipico delle Pinaceae; b) Pinuxylun sp., Obere Siisswassermolasse, Kapfnach, Svizzera. Miocene. Veduta radiale con tracheidi e raggi. Da notare la doppia morfologia delle cellule del parenchima radiale; c) Dadoxylon sp., Nocona Fm., Rattlesnake Canyon 2, Texas. Permiano inferiore. Veduta tangenziale nella quale e chiaramente visibile l'altezza e l'ampiezza dei raggi; d) Dadoxylon sp., Nocona Fm., Rattlesnake Canyon 2, Texas. Permiano inferiore. Sono chiaramente visibili all'interno di alcuni lumina cellulari riempimenti di minerale costituiti da barrette di calcite; e) Dadoxylon sp., Nocona Fm., Rattlesnake Canyon 2, Texas. Permiano inferiore. Veduta trasversale nella quale si pun notare la mancanza di anelli di crescita, le dimensioni regolari delle cellule e la presenza di raggi (per gentile concessione del dr Martin Sander, Institut fiir Palaontologie der Universitat, Bonn).

46

Tafonomia

2.4.2 — Bioerosione La bioerosione comprende una serie di processi che vanno dall'attivita perforante di foraminiferi criptobionti, spugne clionidi, alghe endolitiche, ecc. che distruggono le parti mineralizzate, fino alla frantumazione vera e propria dei gusci con denti, chele o becchi ad opera di pesci, crostacei o uccelli (acque basse e ambiente intertidale). Tutti questi organismi svolgono un ruolo importante come agenti biologici di distruzione. Lo stesso processo della bioturbazione (Finestra 7.1), anche se in senso stretto non fa parte della bioerosione, pub provocare fenomeni di logoramento sui resti organogeni. Per esemplificare i processi di bioerosione su organismi con scheletro mineralizzato si pub fare riferimento a quanto pub accadere alle conchiglie dei molluschi. Per esempio, si potrebbe essere portati a pensare che la conchiglia di un'ostrica adulta o di un grosso Strombus, alla morte dell'animale, abbia buone probability di conservarsi allo stato fossile. La conchiglia a costituita da carbonato di calcio ed a molto solida e robusta ma gia durante la vita del mollusco pub venire perforata nelle sue parti periferiche da vari tipi di organismi; alla sua morte l'attacco da parte di organismi macro e micro-perforanti, tra i quali vermi, briozoi ctenostomi, spugne clionidi, litodomi, alghe, funghi e batteri, si intensifica estendendosi ad ogni parte del guscio (fig. 2.17a). In certi casi l'attacco a perpetrato da un solo tipo di organismo. Talora le spugne clionidi, ad esempio, possono sviluppare una azione erosiva nello spessore del guscio producendo microgallerie con andamento parallelo alla superficie che sono visibili solo ai raggi X (fig. 2.17b) o in sezione trasversale. Il guscio, dunque, se non viene rapidamente sottratto all'azione degli agenti bioerosivi avra ben poche pro-

a)

b)

Fig. 2.17 — Effetti della bioerosione. a) Fotografia di un esemplare di Strombus coronatus del Pliocene del margine appenninico padano nel quale sono chiaramente visibili anche all'esterno le microgallerie prodotte dagli organismi perforanti. b) Fotografia ai raggi X di un esemplare di Pecten maximus attuale mostrante le microperforazioni prodotte nello spessore del guscio e con andamento parallelo alla superficie da spugne perforanti del genere Cliona. Nessuna di queste microgallerie 6 visibile in superficie (a, foto Istituto di Paleontologia di Modena; b, da Bromley, 1970).

Processi biostratinomici

aragonite micritica

aragonite

uzeituv:

calcite spatica di riempimento (LMC)

47

OrTCF" es.-4-41e

calcite in cristalli di neoformazione

Fig. 2.18 — Il guscio aragonitico del bivalve Nucula pub subire due tipi di mineralizzazione. La prima e una

graduale (b-d) che inizia con un attacco bioerosivo ad opera di microrganismi perforanti (alghe, cianobatteri, funghi) e che continua con it riempimento dei micropori ad opera del cement() micritico it quale arriva a formare una guaina attorno al guscio. La porzione aragonitica che rimane pub successivamente essere disciolta (d) lasciando uno spazio che per riempimento viene occupato da calcite a drusa che forma poi uno pseudoguscio parziale (e) (I 2.6. 2c3). L'altra possibility e un processo neomorfico con trasformazione dell'aragonite in calcite che comporta una parziale obliterazione della microstruttura a causa delle maggiori dimensioni dei cristalli di neoformazione (f) (§ 2.6.2d) (rielaborato da Tucker & Wright, 1990). micritizzazione

babilita di fossilizzarsi. In particolare, e stato riscontrato sperimentalmente che le microperforazioni prodotte da organismi nel guscio dei bivalvi attuali Argopecten irrandians irradians e Mya arenaria hanno interessato rispettivamente 1'88% e 56% delle valve dopo due anni di esposizione al di sopra dell'interfaccia sedimento-acqua, mentre dopo tre anni la percentuale sale rispettivamente al 100% e all'86°/0 (Driscoll, 1970; p. 901). In una barriera corallina le spugne clionidi possono provocare'un calo di peso fino al 20% ogni 100 anni (Neumann, 1966). Non va certo trascurata anche Pattivita bioerosiva di predatori e di necrofagi. E stato ad esempio calcolato che in una scogliera attuale certi pesci triturano, riducendoli a sedimento, enormi quantita di coralli e alghe calcaree (qualche centinaio di tonnellate per chilometro quadrato per anno).

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Tafonomia

Le microcavita prodotte dagli organismi perforanti nei gusci appoggiati sul fondo, o appena al di sotto dell'interfaccia acqua-sedimento, vengono riempite da fango calcareo finissimo o da cemento microcristallino. Cib produce un involucro protettivo che avvolge gusci e frammenti di gusci. Se l'azione e sufficientemente intensa e prolungata, l'intero guscio pub risultare micritizzato (vale a dire viene trasformato in un aggregato criptocristallino nel quale non si pub piu riconoscere la struttura originaria). Questo fenomeno a detto micritizzazione (fig. 2.18b-d). La bioerosione 6 tipicamente legata all'ambiente neritico (§ 6.8); in acque piu profonde, a causa di diversi fattori tra cui la minore disponibilita di ossigeno e l'assenza di alghe, si riduce notevolmente.

2.4.3 — Dissoluzione prediagenetica

STABILITA CHIMICA)

< DISSOLUZIONE

L'alterazione e/o la rimozione delle pellicole organiche protettive che rivestono in vita le parti mineralizzate (ad esempio it periostraco dei molluschi) permette l'instaurarsi di reazioni chimiche tra i minerali e l'acqua dell'ambiente deposizionale. Se l'acqua a satura rispetto al minerale che costituisce it guscio, le vane fasi del sistema rimangono in equilibrio mentre, se l'acqua e sottosatura, l'equilibrio tende a ristabilirsi mediante la dissoluzione dei resti organogeni. Questo processo continua fino a quando la saturazione 6 di nuovo raggiunta, oppure fino alla totale dissoluzione dei resti; in alternativa it processo di dissoluzione pub essere arrestato dal seppellimento dei resti sotto una coltre di sedimento di opportuno spessore e impermeability. In generale le acque calde delle aree costiere delle basse latitudini presentano un pH elevato e sono sature di CaCO3; le acque fredde delle latitudini elevate, piu ricche di CO2, sono invece sottosature di carbonato e questo pub determinare un attacco

COMPOSIZIONE CHIMICA ORIGINARIA CHITINA + FOSFATO FOSFATO

DI

Ca

CALCITE BASSOMAGNESIACA (LMC) ARAGONITE CALCITE ALTOMAGNESIACA (HMC)

Fig. 2.19 — Schema dell'andamento della stability chimica relativa delle parti mineralizzate (silice esclusa).

Processi biostratinomici

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AMMONITE COMPLETA

"MEZZA" AMMONITE

d)

/

/

seppellimento completo

spazio

A

c)

SEDIMENTAZIONERAPIDA

SEDIMENTAZIONELENTA

ft

it riempimento totale si realizza con difficolta

macerazione e/o dissoluzione del guscio (eventuale precipitazione della pirite)

ft A

b)

it sedimento riempie parzialmente la camera di abitazione

ft

camera riempita di gas parti molli

A

a)

A

la meta inferiore viene inclusa nel substrate incoerente e inizia la necrolisi delle parti molli fig. 2.20 — Schema mostrante l'origine delle omezze ammoniti» (colonna di sinistra) e delle ammoniti complete (colonna di destra) in scisti bituminosi del Giurassico inferiore del Giappone. a) Il guscio di una ammonite morta si depone sul fondo del bacino e solo meth conchiglia viene rapidamente infossata nel sedimento molle; b) dopo la decomposizione delle parti molli ii sedimento entra nella meta inferiore della camera di abitazione; c) in condizioni di sedimentazione lenta la meta superiore del guscio viene disciolta prima del suo completo seppellimento (meta sinistra della figura), mentre in condizioni di sedimentazione rapida it guscio e i setti della meta superiore vengono conservati anche dopo it seppellimento (meta destra della figura); d) durante la compattazione del sedimento, la deformazione subita dal fragmocono a maggiore di quella della camera di abitazione (da Tanabe et al., 1984, con modifiche).

chimico sui gusci calcarei (privi di pellicole organiche protettive) the giacciono sui fondali (Lewy, 1981). Questi resti possono subire un «destino» diverso a secondo delle loro peculiari caratteristiche: 1) Composizione mineralogica originaria — In linea generale i gusci calcitici ad alto contenuto di Mg, cio6 costituiti da calcite altomagnesiaca (HMC), sono i piu solubili seguiti, in ordine decrescente, da quelli di aragonite e di calcite bassomagnesiaca (LMC), di fosfato di calcio, e chitinofosfatici (fig. 2.19). La solubility della silice non 6 direttamente confrontabile e it suo comportamento verra esaminato in modo piu particolareggiato piu avanti. 2) Microstruttura e porosita — I gusci con porosita ridotta e con microstruttura compatta e complessa sono i meno solubili in quanto al loro interno si verifica una minor circolazione di liquidi interstiziali. 3) Rapporto tra superficie e volume — I gusci con una elevata superficie specifica (rapporto tra superficie e volume) sono in genere soggetti ad una dissoluzione piu

50

Tafonomia

FORAMINIFER!

RADIOLARI

0

0 Zona di corrosione della since

1

2

2 Quasi nessuna dissoluzione durante la discesa e sul fondo

,ccs

0 0 3

`...-..

0

3 -- "-- -- — —

Dissoluzione minima durante la discesa verso it fondo

Ambito di oscillazione della superficie di compensazione (CCD)

4

4

5

5

7-7Voifiudia s s o(uz r6ii 5" . — — — — :.:tt4Ettalcite sul fondo

6 0

0

Dissoluzione crescente

6 Dissoluzione crescente

a)

b)

Fig. 2.21 — Confronto tra i profili di dissoluzione dei foraminiferi planctonici (a) e dei radiolari (b) basati su esperimenti di campagna. La maggior parte dei processi di dissoluzione dei microfossili a guscio calcareo si verificano in modo ridottissimo durante la caduta verso it fondo e diventano rapidamente importanti fino a portare alla totale distruzione dei gusci sui fondi oceanici a profondita maggiori di 3000-5500 metri, mentre quelli dei radiolari (e delle diatomee) si verificano in acque basse (da W.H. Berger, 1976, con modifiche).

30°N 2000

texp e Pe P 0 eo6°eo "e eV° Of 00 • 0.ja CY • le o Oe 0. 0e e 0 (9 °• o •%I• 010 .oe

20°

10°

Latitudine 0°

10°

20°

30°S

3000 a cr 0

LISOCLINO

a

-T, 4000Ra

CCD

0

d

0 °410 IPROFONDITA DI COMPENSAZIONE

5000-

DELLA CALCITE (CCD)

; a

6000

b)

Fig. 2.22 — a) Diagramma schematico mostrante la dissoluzione selettiva di alcune specie di foraminiferi plactonici (qui indicate con 0 8 • ) che aumenta con l'aumentare della profondita dell'acqua. La maggior parte delle specie si conserva nei sedimenti al di sopra del lisoclino, al di sotto del quale vi e una rapida diminuzione della diversity specifica e una concentrazione delle forme robuste. Al di sotto della CCD (Profondita di Compensazione della Calcite) non si conserva praticamente nessuna specie. b) Andamento della profondita attuale del lisoclino e del CCD nell'Oceano Pacifico; it diagramma mostra chiaramente che entrambi i parametri variano con la latitudine (a, da A.W.H. Be, 1977; b da Berger, 1981, con modifiche).

Processi biostratinomici

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rapida in quanto hanno proporzionalmente pin superficie esposta (Keir, 1980; Flessa & Brown, 1983). I processi di dissoluzione prediagenetica possono quindi modificare, anche profondamente, i rapporti quantitativi tra le vane specie di una tanatocenosi e di cio bisogna tener conto in ogni tipo di ricostruzione paleoecologica (Cap. 6). Con l'aumentare della profondita, procedendo cioe dalle acque costiere pit calde a quelle piu fredde della scarpata continentale e dei fondi oceanici, si osserva una intensificazione del processo di dissoluzione dei gusci non protetti dai sottili rivestimenti organici periostracali. Tale intensificazione e imputabile alla temperatura meno elevata delle acque e quindi al loro maggiore contenuto di CO2. In questi ambienti si pub verificare, in condizioni limite, che la parte superiore dei gusci calcarei che giacciono sul fondo a contatto con l'acqua possa essere disciolta e dunque solo la parte inferiore immersa nel fango fine che impedisce o limita la circolazione dell'acqua, puo avere la possibility di conservarsi. Il fango puo anche avere un'azione tampone da un punto di vista chimico se contiene detriti carbonatici. La conservazione delle qmezze ammoniti» descritta recentemente da Tanabe et afii (1984) nel Giurassico del Giappone (fig. 2.20) costituisce un classico esempio di questo processo. Nell'ambiente oceanico i sedimenti biogenici sono formati dall'accumulo per decantazione di parti dure di microrganismi planctonici sia a guscio calcareo (foraminiferi, coccoliti, pteropodi) sia siliceo (radiolari, silicoflagellati, diatomee). Nelle acque superficiali oceaniche, anche dopo la morte dei microrganismi pelagici a guscio calcareo, non si instaurano processi di dissoluzione (fig. 2.21a). Queste acque, infatti, sono tendenzialmente sature di CaCO3 e di 02e presentano un pH elevato (8,0-8,4). Con l'aumentare della profondita, e in particolare a partire dai 500-700 m, le acque diventano sempre piu sottosature in CaCO3cosicche la dissoluzione dei carbonati aumenta progressivamente fino al loro scioglimento completo al di sotto di una particolare profondita critica. E stato osservato che nei maxi attuali, ad una certa profondita, si verifica un brusco aumento nella intensity della dissoluzione: a questa profondita inizia ad essere efficace la dissoluzione dei gusci calcarei dei microrganismi (foraminiferi in prevalenza). Questo livello detto lisoclino, separa le associazioni a microfossili calcarei ben conservate da quelle in cattivo stato di conservazione (fig. 2.22a). Si possono individuare tre distinti lisoclini in relazione alla diversa solubility dei gusci dei tre principali tipi di organismi planctonici (foraminiferi, pteropodi, coccoliti). Il lisoclino degli pteropodi a infatti meno profondo di diverse centinaia di metri del lisoclino dei foraminiferi e dei coccoliti in quanto gli pteropodi hanno guscio aragonitico. Il lisoclino dei foraminiferi 6 a sua volta un poco meno profondo di quello dei coccoliti, pur essendo entrambi calcitici. L'apparente contraddizione (i coccoliti avendo una maggior superficie specifica dovrebbero essere piu solubili) si pub spiegare essenzialmente tenendo conto che i coccoliti scendono sul fondo all'interno di pallotole fecali dei copepodi (§ 2.4.1d). Approssimativamente un migliaio di metri al di sotto del lisoclino si osserva che esiste un livello in corrispondenza del quale l'intensita di dissoluzione della calcite biogenica a equivalente a quella di accumulo. Questo orizzonte, al di sotto del quale non si accumulano sedimenti calcitici, viene detto Profonditcl di Compensazione della Calcite e viene indicato con la sigla CCD (Calcite Compensation Depth) (fig. 2.22a). Circa 2500 m al di sopra del CCD esiste la Profondita di Compensazione della Aragonite (ACD) che, tuttavia, a presa in considerazione pit). raramente. ,

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Tafonomia

Il CCD ha attualmente una profondita media di 4500 m che put) variare da meno di 3000 m fino a piit di 5500 m nell'Atlantico Settentrionale. Nel Pacifico, invece, It CCD non raggiunge di norma i 4500 m ma pub superare i 5000 m solo in corrispondenza della zona di alta produttivita equatoriale (fig. 2.22b). Tra i fattori che condizionano la profondita del CCD si possono ricordare: la profondita del termoclino (zona di brusco cambiamento della temperatura che separa le acque calde superficiali da quelle piu fredde sottostanti), la produttivitci (cioe la produzione media di sostanza organica nell'unita di tempo), la quantita di bioclasti calcarei, la topografia dei fondali oceanici (che condiziona la circolazione delle acque fredde polari tipicamente povere di carbonati e ricche di CO2e quindi aggressive), e la concentrazione di ioni carbonato nelle varie masse d'acqua. Occorre tener presente, per quanto riguarda it problema della produttivith, che una elevata density di animali bentonici aumenta it contenuto di CO2nell'acqua e la rende aggressiva mentre, per contro, una elevata density di fitoplancton riduce it contenuto di CO2. Abbiamo visto che la maggior parte delle dissoluzioni che modificano la composizione delle associazioni bentoniche di ambiente neritico o le distruggono del tutto, si verifica all'interfaccia acqua-sedimento (fig. 2.23). Lo stesso fenomeno avviene per le associazioni planctoniche pelagiche. Infatti i foraminiferi (escludendo forse quelli di dimensioni piu ridotte) possono arrivare sui fondali oceanici al di sotto del CCD senza subire praticamente rilevanti fenomeni di dissoluzione (Honjo, 1977). Questo vale a maggior ragione per i coccoliti che arrivano al fondo, come 6 stato detto, abbastanza velocemente «imballati» nelle pallotole fecali. La mancanza di materiali carbonatici nei sediment al di sotto del CCD sembra quindi imputabile a dissoluzione dei materiali sul fondo, dissoluzione che a facilitata anche dalla bassa velocity di accumulo e dal lungo intervallo di tempo intercorso prima di un seppellimento efficace. Per quello che riguarda la dissoluzione dei gusci dei microrganismi planctonici a guscio siliceo (opale-A), quali la massima parte dei radiolari, le diatomee, i silicoflagellati, sappiamo che le acque marine sono oggi estremamente sottosature in silice con valori minimi presso la superficie dove lo sviluppo delle diatomee riduce a livelli bassissimi la quantita di silice sciolta nell'acqua. In particolare e stato osservato che le diatomee, probabilmente servendosi di qualche enzima particolare, riescono a fissare ,1

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SIOEROSIONE PARZIALE DISSOLUZIONE

Fig. 2.23 — I processi distruttivi dei gusci avvengono in modo selettivo anche in relazione alla loro posizione rispetto all'interfaccia sedimento-acqua. Le valve esposte al di sopra dell'interfaccia sono soggette alla macerazione, all'azione dei perforanti (bioerosione), alla abrasione ed alla dissoluzione mentre quelle che si trovano al di sotto sono attaccate prevalentemente dalla dissoluzione (da Driscoll, 1970 con modifiche).

Processi biostratinomici

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la silice per costruirsi it guscio anche in acque estremamente sottosature (anche molto al di sotto di 1 ppm che e it contenuto medio di silice nell'acqua dei mari). Con la morte dell'organismo inizia subito it processo di dissoluzione del guscio (Lewin, 1961). Ne consegue che i gusci silicei vengono corrosi pia facilmente durante la caduta nelle prime centinaia di metri di profondita, mentre al di sotto dei 1.000 m sono soggetti solo ad un attacco moderato anche se progressivo (fig. 2.21b). Normalmente solo una piccola frazione variabile dall'l al 10% dei gusci silicei a depositata come sedimenti sul fondo oceanico (Kennett, 1982). Nell'insieme, tuttavia, i gusci dei radiolari e delle diatomee, pur variamente aggrediti dalla dissoluzione, si conservano sul fondo degli oceani in quantita relativamente importanti a qualunque profondita, tanto che Riedel (1959) nega che esista una profondita di compensazione per i resti organogeni silicei, come supposto da qualche altro ricercatore. E quindi probabile che anche per questi resti esistano sistemi oprotettivi» sia durante la discesa, sia sul fondo, analogamente a quanto avviene per i coccoliti. 2.4.4 — Trasporto Con la morte degli organismi molto spesso inizia un trasporto passivo dei loro resti. Nel caso pia semplice, gli organismi sia terrestri che marini rimangono nel luogo di morte. Tuttavia, i vertebrati terrestri possono essere fluitati in un bacino lacustre o marino dove le loro carogne possono galleggiare, almeno per un certo tempo, per lo svilupparsi di gas di putrefazione all'interno della cavita addominale (fig. 2.1). Analogo fenomeno si puo verificare per le carcasse di mammiferi marini (fig. 2.24b). Carcasse di questo tipo possono galleggiare ed essere trasportate dalle correnti per intere settimane e concentrarsi in particolari aree, it che potrebbe spiegare l'esistenza di certi «cimiteri» di vertebrati fossili. Nell'ambito degli invertebrati, a stato osservato che conchiglie vuote di Nautilus hanno potuto galleggiare (fig. 2.24a) a lungo prima di raggiungere it fondo o di venire spiaggiate; analogamente conchiglie vuote di ammoniti possono aver percorso lunghe distanze prima di sedimentarsi. Dopo che i resti di un animale sono arrivati a depositarsi sui fondali di un bacino

Fig. 2.24 — Lo sviluppo di gas derivati dalla putrefazione delle parti molli pub causare un galleggiamento piu o meno prolungato sia di cefalopodi come un Nautilus (a) sia di mammiferi marini come un delfino (b) sia di pesci(c) che possono essere spiaggiati anche molto lontano dal,loro habitat naturale. Nel caso del delfino illustrato in b la necrolisi delle parti molli e le sollecitazioni meccaniche sono responsabili del distacco parziale di alcune parti come it cranio dalla trachea, la mascella inferiore dal cranio e la coda dal resto del corpo. Le tre figure non sono in scala (b, c da W. Schafer, 1972, con modifiche).

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Tafonomia

lacustre o marino, non 6 detto che questa sia l'ultima dimora; correnti, frane, o anche altri animali possono provocare ulteriori spostamenti. Il ghiaccio ha certamente le minori probability di trasportare resti di organismi. Il vento e un importantissimo agente trasportatore di resti vegetali, in particolare di spore e pollini, e pub certamente trascinare o trasportare resti vegetali e resti animali di forma e peso adatti che tuttavia hanno, in genere, scarse probability di fossilizzazione se non si depositano in ambiente acqueo e preferibilmente poco ossigenato. Fiumi e torrenti sono certamente in grado di trascinare o trasportare resti galleggianti anche su grandi distanze anche se con modality diverse a seconda del regime idraulico del corso d'acqua: un torrente tendera a disarticolare anche carogne di animali mediopiccoli come potrebbe essere un cane, mentre un grande flume potra trasportare su grandi distanze anche carogne di vertebrati piit grandi. In mare le correnti di deriva litorale (longshore drift), localizzate fra la linea dei frangenti e la riva, e le correnti di marea meglio canalizzate, sono in grado di trasportare sabbie, ghiaietti ed elementi scheletrici di analoga granulometria su distanze anche di chilometri. L'azione combinata di correnti di marea e di deriva litorale ha accumulato, nelle piane intertidali del Golfo del Wash sulla costa orientale inglese, delle grandi barre detritiche costituite esclusivamente da gusci di Cardium e di Mytilus. Queste barre rappresentano localmente le uniche parti di substrato non cedevole su tutta l'enorme estensione di fanghi fini cedevolissimi, tanto che su di esse sono sorti villaggi di pescatori (fig. 2.25). In futuro queste barre fossilizzandosi potranno diventare grandi lenti di «lumachelle ». Le correnti dei grandi circuiti oceanici possono trasportare resti di planctonici o cadaveri di nectonici o epiplanctonici su distanze anche di migliaia di chilometri. Analoghe distanze (di molte centinaia di chilometri) sono percorse dalle correnti di torbida che trascinano grandi masse di sedimenti con tutto it loro contenuto organico e organogeno. Per esempio le torbiditi mioceniche della Formazione di Bismantova affiorante a Montegibbio (Pedeappenino modenese) contengono resti di organismi di

Fig. 2.25 — Nelle piane intertidali del Golfo di Wash (costa orientale inglese) sono stati accumulati dall'azione delle correnti di marea e di deriva litorale grandi ammassi di gusci di bivalvi, Cardium e Mytilus in prevalenza. Questi ammassi di detrito conchigliare (a) nei quali si distingue molto bene la cresta della barra di spiaggia (b), rappresentano le uniche aree stabili in mezzo a enormi estensioni di fanghi della piattaforma intertidale (c) tanto che su queste barre conchigliari sono sorti i villaggi dei pescatori (foto G.C. Parea).

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acqua bassa e addirittura di scogliera misti ad altri di mare profondo. Analoghe mescolanze di fossili di ambienti nettamente diversi caratterizzano alcune faune del Bacino Ligure-Piemontese illustrate nei classici lavori di Bellardi e Sacco pubblicati tra la fine dell'800 e l'inizio del secolo (Pavia & Robba, 1979). E evidente che l'entita del trasporto di organismi interi o dei diversi elementi che compongono gli scheletri, oltre che dall'agente trasportatore e dall'energia che lo caratterizza, dipende anche dal peso specifico e dalla forma degli elementi scheletrici stessi. In conclusione, appare evidente che it luogo in cui i resti di un organismo morto si fermano definitivamente e vengono sepolti dai sedimenti pub non corrispondere al luogo in cui l'organismo fu sorpreso dalla morte. La distinzione tra ambiente di vita, luogo di morte e luogo in cui i resti dell'organismo furono inclusi nel sedimento e oggetto di studio della tafonomia e costituisce una premessa indispensabile per gli studi paleoecologici (Cap. 6). Va sottolineato infine che it trasporto pub interessare i resti organogeni sia prima del seppellimento sia dopo un seppellimento provvisorio (prefossilizzazione - § 2.4.5). Il trasporto pub causare un logorio meccanico dei resti organogeni e pub inoltre determinare processi di selezione meccanica e di deposizione orientata. a) LOGORIO MECCANICO Per logorio meccanico si intende quella serie di processi, tipici di ambienti ad alta energia, che portano alla abrasione ed alla frantumazione del materiale scheletrico. La frantumazione consiste nella riduzione in frammenti pia o meno piccoli dell'elemento scheletrico ed a generalmente dovuta all'urto di gusci fra di loro o contro altri oggetti. L'abrasione consiste nella asportazione superficiale di materiale scheletrico ad opera di una ripetuta azione di attrito per sfregamento e si manifesta, ad esempio, con la smussatura e it logorio degli umboni e dei margini delle conchiglie, logorio e conseguenti perforazioni irregolari pia o meno grandi sulle parti sporgenti dei gusci e con smussatura delle parti sporgenti di conchiglie ancorate al substrato. L'abrasione precede spesso la frantumazione in quanto pia it guscio viene assottigliato e perforato dalla azione abrasiva, pit facilmente verra fratturato. Come 6 noto, gli organismi che muoiono in un ambiente ad alta energia, possono essere logorati meccanicamente fino a non essere pia riconoscibili o anche completamente distrutti dalla azione delle onde, del vento, delle correnti, ecc. E risaputo, inoltre, che alcuni tipi di scheletri sono pia soggetti alla distruzione meccanica di altri, cosa che contribuisce a influenzare negativamente la storia di tali resti. Gli scheletri fragili e a parete sottile come i coralli ramosi, i briozoi o i graptoliti, si rompono molto facilmente mentre la frantumazione di strutture pia robuste come coralli massicci o stromatoporidi avviene solo in condizioni di energia molto elevata o di rimaneggiamento prolungato. In certi casi, scheletri costituiti da due o pia elementi mostrano una frammentazione selettiva come 6 stato osservato in alcuni brachiopodi attuali dove la valva brachiale 6 tre volte pia soggetta a frammentarsi della valva peduncolare (Noble & Logan, 1981) o nei bivalvi inequivalvi dove si osservano rapporti simili tra la valva sinistra e quella destra. Gli studi pit semplici ma allo stesso tempo pit significativi sul logorio meccanico sono quell sperimentali di Chave (1964) e Hallam (1967) sulla frantumazione e di Driscoll & Weltin (1973) sulla abrasione. Chave ha misurato sperimentalmente l'intensita della frantumazione mettendo conchiglie ed altre parti scheletriche di diversi invertebrati marini assieme a ciottoli silicei ed acqua in cestelli rotanti. Il tempo

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Tafonomia

% DI CAMPIONE PIU'GRANDE DI4mm

necessario per i vari gradi di distruzione a stato notato con cura e alcuni dei risultati sono mostrati nella figura 2.26a. In questo diagramma, it tempo in ore 6 in ascissa mentre in ordinata e riportata la percentuale di detrito bioclastico avente diametro maggiore di 4 mm Si 6 visto, infatti, the solo i frammenti superiori a questo valore sono ancora riconoscibili. Questo esperimento fu eseguito con parti scheletriche di coralli, briozoi, gasteropodi, echinidi ed alghe calcaree. Le differenze di resistenza riscontrate sono state notevoli. Dopo piit di 100 ore di rotolamento del cestello, piu del 60% del materiale di una specie di gasteropode (Nerita sp.) era ancora presente 100

----........ .........

80 Nerita (2,5-4)

60 • Acropora \

40

Acropora con alghe

20 — 'N Porites (2,5-7,5)

Corallina Briozoi 0

Polinices (2,5-3)

49

100

10

%DICAMPIONE PIU' GRANDEDI4 mm

TEMPO IN ORE

1000 a)

100.

60 — Spisula (4,25-7,5) 40.\ N

20

0

• Crassostrea (5,75-10,25) •

\

\. Anomie (2,25-3) Spisula (2,5-4) 'N.

Mytilus (3-4,5) Tagelus (7,5-9)

1

I

10

100 TEMPO IN ORE

I 1000 b)

Determinazione sperimentale del logorio meccanico in gusci e scheletri di organismi marini posti in un cestello rotante assieme a ciottoli silicei. Il diagramma in alto (a) illustra i risultati dell'esperimento effettuato da diversi tipi di organismi. Il gasteropode Nerita e it piu resistente; i coralli Acropora e Porites ed it gasteropode Polinices hanno una resistenza intermedia; l'alga calcarea Corallina, i briozoi e gli echinidi sono i meno resistenti. Il diagramma in basso (b) illustra i risultati dell'esperimento su un solo tipo di organismi: bivalvi marini . I numeri tra parentesi dopo i nomi si riferiscono alle dimensioni iniziali, espresse in centimetri, degli esemplari (da Chave, 1964).

Fig. 2.26 —

Processi biostratinomici ■ Urosalpinx cinerea • Nassarius obsoletus • Mytilus edulis

80 -

Perdita di peso ( in %)

Perdita di peso ( in %)

70 -

70 -

60 -

50 40-

30 -

57

■ Urosalpinx cinerea • Nassarius obsoletus • Mytilus edulis

60 50 40 30 -

20-

20-

10 10-

1,5

0,33

0,08

Diametro medio della sabbia in mm

a)

a delle sabbie espresse in units (I) b)

Fig. 2.27 — Perdita media di peso del materiale scheletrico (espressa in %) nelle tre specie (U. cinerea, N. obsoletus e M. edulis) dopo 1700 ore di abrasione in sabbie molto grossolane, medie e molto fini (a) e in sabbie aventi diverso grado di selezionatura (indicato in termini di deviazione standard a) (b). Ogni punto in a rappresenta la media delle perdite avute con sabbie aventi tre medie diverse (It = 1,5; z = 0,33; it = 0,08mm) mentre ogni punto in b rappresenta la media dei risultati ottenuti con sabbie aventi tre differenti gradi di selezionatura (il grado di selezionatura peggiora all'aumentare del valore della deviazione standard). Le sabbie ben selezionate sono di fatto sabbie medie, quelle mal selezionate sono state ottenute aggiungendo frazioni crescenti di granuli molto grossolani e molto fini che sono quelli pia efficienti nell'azione logorante (da Driscoll & Weltin, 1973).

sotto forma di particelle piu grandi di 4 mm, quindi come frammenti potenzialmente riconoscibili. Al contrario, tutti i briozoi e le alghe calcaree del genere Corallina erano andate distrutte dopo un'ora di rotolamento. La figura 2.26b mostra i risultati di un altro esperimento dello stesso tipo. Questa volta pero, furono usati sei diversi tipi di conchiglie tutte di bivalvi appartenenti a generi diversi o a bivalvi dello stesso genere ma di dimensioni diverse. Anche qui la variazione di resistenza riscontrata era piu o meno simile a quella rilevata nei gruppi di organismi del primo esperimento. Questi argomenti hanno chiaramente dimostrato che la resistenza relativa alla frantumazione dipendeva principalmente dallo spessore, dalla struttura (architettura e microstruttura) e dalle dimensioni degli scheletri. Nel primo esperimento, infatti, gli scheletri piu resistenti erano quelli dei molluschi, caratterizzati da conchiglie compatte e con microstruttura a lamelle incrociate, mentre quelli che scomparivano immediatamente erano gli scheletri molto porosi dei briozoi o delle alghe calcaree. Qualche anno dopo Driscoll (1967) e Driscoll & Weltin (1973) hanno potuto dimostrare sperimentalmente che it logorio dovuto all'abrasione meccanica dipende, oltre che dai tipi di organismi, anche dalla granulometria del sedimento e dal rapporto tra l'estensione della superficie esposta e la massa della conchiglia. La diminuzione di peso dei gusci di due specie di gasteropodi (Nassarius obsoletus e Urosalpinx cinerea) e di una specie di bivalve (Mytilus edulis) 6 risultata essere, infatti, in relazione alla granulometria e al grado di selezionatura dell'agente abrasivo (fig. 2.27) (§ 6.10.1). Dagli esperimenti effettuati risulta che le sabbie molto grossolane e quelle molto fini erodono

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Tafonomia

i gusci piu intensamente di quelle medie (fig. 2.27a). Il maggior potere erosivo delle sabbie grossolane e spiegabile con la maggiore energia con la quale i loro granuli possono colpire i gusci mentre l'efficienza abrasiva delle sabbie piu fini deve derivare dalla angolosita delle singole particelle. Di regola, it potere abrasivo aumenta col diminuire della selezionatura poiche questo comporta un aumento delle frazioni molto grossolana e molto fine. Non e sempre possibile distinguere con sicurezza se it logorio cui soggetto un certo guscio e prodotto solamente da azioni meccaniche o se a queste si associano azioni chimiche. In considerazione anche del fatto che, come 6 stato gia osservato, tutte le varie azioni esaminate in questi paragrafi si verificano per lo pin insieme, opportuno parlare di corrasione (nel senso di Brett & Baird, 1986) per gli effetti combinati e spesso complementari dei processi meccanici e di quelli chimici b) SELEZIONE MECCANICA Un agente trasportatore che agisca su un'associazione di resti di organismi o di frammenti di uno stesso organismo, diversi per forma, dimensioni o peso specifico, opera necessariamente un trasporto selettivo cosi che i vari elementi verranno accumulati in aree distinte. Questo fenomeno e evidente sia tra i vertebrati sia tra gli invertebrati. Tra i vertebrati si e visto, anche sperimentalmente, che alcune parti di uno stesso scheletro sono piu facilmente trasportabili da parte delle correnti fluviali. Le vertebre e le costole, infatti, vengono trasportate piu lontano dei denti o delle mandibole (Shipman, 1981). Tra gli invertebrati si pub ricordare it caso di alcuni bivalvi inequivalvi come Rhaetavicula contorta del Trias superiore e Hornesia socialis del Trias medio alpino che presentano valve destre pin piccole e lisce. In presenza di correnti, queste vengono trasportate a notevoli distanze dalle valve sinistre costate e piu pesanti. In altri bivalvi invece, caratterizzati da pronunciato sviluppo o, addirittura, da cementazione di una delle valve (Ostrea, Spondylus) 6 la valva opercolare ad essere piu sensibile alla azione delle correnti. Certe «faune nane» di cui si e parlato spesso in passato, possono essere it risultato di correnti di fondo capaci di trasportare solo gusci piccoli e leggeri. Un altro esempio e quello dei foraminiferi planctonici contenuti nei termini arenacei degli strati torbiditici. Essi sono associati a granuli di sabbia leggermente pin fini in quanto per motivi di peso specifico un guscio vuoto di foraminifero e idraulicamente equivalente ad un granellino di sabbia pin piccolo ma massiccio. D'altra parte certi processi, puramente biologici, potrebbero essere interpretati erroneamente come episodi di selezione meccanica. Ad esempio, popolazioni di bivalvi costituite da individui della stessa eta e approssimativamente della stessa taglia, fatto che si osserva abbastanza frequentemente, potrebbero essere interpretate erroneamente come dovute a fenomeni di selezione meccanica (Cap. 6). In certi casi non semplice distinguere l'effetto della componente biologica da quello della selezione meccanica. Ad esempio, sulle spiagge si possono osservare abbastanza frequentemente, dopo una mareggiata, accumuli di gusci formati prevalentemente da esemplari giovanili della fauna che popola i fondali antistanti. Questo tipo di selezione 6 prodotto da un moto ondoso di energia sufficiente a «scavare» dal fondo gli esemplari piu giovani che vivono intanati meno profondamente, ma incapace di «estrarre» quelli adulti che si infossano piu profondamente. La genesi di questa «associazione» e evidentemente legata alla interazione di un fenomeno «biologic° » di mortality selettiva con un fenomeno di trasporto meccanico.

Processi biostratinomici

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C) DEPOSIZIONE ORIENTATA Alla fine del trasporto, quando si esaurisce o si attenua l'azione dell'agente trasportatore, si ha la deposizione dei gusci e delle parti scheletriche che, nella stragrande maggioranza dei casi, si dispongono con l'asse maggiore parallelo alla stratificazione. Cause perturbanti vane possono modificare questa disposizione e spesso dallo studio degli orientamenti risultanti possiamo risalire alla causa perturbante. Quando osserviamo in affioramento concentrazioni di fossili, occorre innanzi tutto distinguere le osservazioni fatte su superfici di strato da quelle sulle sezioni trasversali degli strati stessi. Nel primo caso 6 importante notare se l'orientazione preferenziale 6 unimodale o bimodale (fig. 2.28, parte sup.) mentre nel secondo bisogna rilevare se i fossili sono concordanti, obliqui o perpendicolari alla stratificazione e quale assetto

In superficidi strato

ORIENTAZIONE PREFERENZIALE

',,

414 4

"

,

bimodale

unimodale

(

In sezione trasversale di strati

concordante

A

S S

perpendicolare

obliqua

tiA embricato

di taglio



■ ...■

.--.. --

,........ T.: ,

....._.----......---

T

telescopico

impilatd

T (.)

0 )

\--------?---,

(---/

a nido

Fig. 2.28 — Principale terminologia usata nell'orientazione e nell'assetto dei fossil (da Kidwell, Ffirsich &

Aigner, 1986, con modifiche).

Tafonomia

60

Mg. 2.29 — Oggetti a cupola come valve isolate di bivalvi, al sopraggiungere di una corrente unidirezionale, si ribaltano assestandosi con la parte concava verso il basso (da Ziegler, 1983, con modifiche).

possono eventualmente avere assunto (embricato, di taglio, impilato — fig. 7.14 —, telescopico, a nido, ecc.) (fig. 2.28, parte inf.) (Kidwell, Fiirsich & Aigner, 1986). Dei diversi assetti possibili che possono presentare le concentrazioni di fossili, quello indicato come telescopico, utilizzato per descrivere la disposizione ad «incastro» di gusci conici come quelli di nautiloidi ortoconi, scafopodi, hyolithidi o tentaculiti, certamente it meno comune ma il piu singolare. Oggetti curvi o a cupola come possono essere conchiglie di bivalvi o di brachiopodi, cephala o pygidia di trilobiti, ecc., presentano una diversa disposizione in acque tranquille o in acque mosse. In assenza di correnti le valve possono presentare la concavita verso l'alto o verso il basso; se esposte all'azione di una corrente moderata le valve tendono invece a rivolgere la parte concava verso it fondo, offrendo cosi la minor resistenza al flusso (fig. 2.29). Occorre considerare che l'orientamento dipende non solo dall'azione della corrente, ma anche dalla forma dei corpi trasportati. Come regola generale si assume che i resti scheletrici, come qualsiasi oggetto tridimensionale, si dispongono, su un substrato uniforme, con it lato minore approssimativamente verticale. Una disposizione che si discosta da questo semplice modello e per to piu imputabile a fenomeni di bioturbazione (Finestra 7.1). Corpi di forma allungata che si trovano su di un substrato sul quale agisce una corrente unidirezionale, si dispongono secondo un assetto nel quale it centro di spinta finira per trovarsi sempre sottocorrente rispetto al centro di resistenza a meno che un ostacolo glielo impedisca 3 In questa situazione di equilibrio e evidente che tutti i corpi simili presentano un orientamento unimodale. L'ubicazione del centro di spinta e del centro di resistenza in una conchiglia o in qualsiasi altro resto sono influenzati in modo sostanziale oltre che dalla velocity della corrente, dalla forma del resto, dalla distribuzione dei pesi, dalla presenza o dall'assenza di parti molli che fuoriescono dalla cavity del guscio, ecc. Per esempio, nel caso di parti scheletriche piene come i radioli di echinidi (fig. 2.30) o i rostri di belemniti (fig. 2.32b), l'orientamento dipende essenzialmente dalla ubicazione dei centri di resistenza e di spinta. Un comportamento analogo ma con una piu accentuata uni.

Analogamente a quanto si puo dire per il «baricentro», it «centro di spinta» pub essere definito come

3

it punto nel quale si possono ritenere concentrate le forze che spingono un corpo a muoversi e «centro di resistenza» it punto ove possono ritenersi concentrate tutte le forze che si oppongono al movimento del corpo considerato.

Processi biostratinomici

61

Fig. 2.30 - Radioli di echinidi allineati con la punta nel senso della corrente in quanto l'estremita prossimale ha funzionato da ancora ( = centro di resistenza) (da Ziegler, 1983 con modifiche).

Orientazione preferenziale (76 campioni)

Fig. 2.31 - Allineamento preferenziale di gasteropodi turricolati (Turritella) parallelamente alla direzione della corrente e con l'apice controcorrente (da Seilacher, 1970, con modifiche)

modalita hanno i corpi turricolati vuoti come tentaculiti, turritelle, ecc., dove l'ampia apertura ben difficilmente pip) rimanere controcorrente (fig. 2.31). Un caso particolare e quello dei nautiloidi ortoconi (fig. 2.32a) che nello strato possono a volte essere presenti sia con l'orientamento dell'apice nel senso della corrente sia controcorrente. L'orientamento della punta del cono nel senso della corrente e imputabile alle parti molli che fuoriescono dalla camera di abitazione e agiscono da ancora. L'orientamento controcorrente (fig. 2.32a), che costituisce it caso piu comune, e invece interpretabile con la tendenza dei coni vuoti ad esporsi offrendo la minima resistenza oppure con la presenza di depositi camerali e sifuncolari che appesantendo la punta la trasformano in un centro di resistenza. Quando la punta e particolarmente pesante, alcuni individui si «piantano» nel fango molle del fondo assumendo una disposizione perpendicolare alla stratificazione (es. Silurian° della Sardegna). Negli organismi che presentano appendici flessibili, come tra alcuni echinodermi (blastoidi, crinoidi, stelleroidi, ofiuroidi) o in certi vertebrati e nelle piante, puo accadere che la parte pin massiccia agisca da centro di resistenza e quindi alcune delle appendici possano orientarsi nella direzione della corrente (fig. 2.33). Nel caso di moto oscillatorio la situazione e molto piu complessa in quanto l'orien-

62

Tafonomia

tamento dei corpi dipende anche dal rapporto fra le dimensioni dei resti e l'ampiezza delle oscillazioni e dalla presenza o meno di ostacoli come increspature di fondo (ripples) o gusci piu grossi e pia pesanti. Nella maggioranza dei casi i resti si orientano parallelamente alle creste delle onde (che non sempre sono parallele alla linea di costa) e l'orientazione sara it piu delle volte bimodale (fig. 2.34). Concludendo, si pub sottolineare che l'attenta rilevazione della orientazione e del-

Fig. 2.32 — Orientazione preferenziale (unimodale) in resti fossili di forma allungata operata da correnti. a) Conchiglie di nautiloidi ortoconi (cefalopodi) con l'estremita appuntita controcorrente. Nella foto che illustra una superficie di strato di calcari del Siluriano (Ludlow medio) della Boemia, la corrente proveniva da sinistra. b) Rostri di belemniti (cefalopodi) con l'estremita appuntita controcorrente. Nella foto che illustra una superficie di strato di calcari giurassici dell'Appennino Settentrionale (Alta Garfagnana), la corrente proveniva da destra (a, foto dr J. Kriz, Servizio Geologico di Praga; b, foto L. Spezia, Museo di Storia Naturale di Milano).

Processi biostratinoniici

63

a)

b)

Fig. 2.33 - Asteroidei con le braccia orientate dall'azione di correnti. Considerando the la parte piu massiccia del corpo agisca da centro di resistenza, la corrente proveniva da destra in entrambi i casi. a, Taeniaster sp.; b, Furcaster paleozoicus, Devonian inferiore della Germania (Budenbach) (foto L. Spezia, Museo di Storia Naturale di Milano)

Fig. 2.34 - Su di un fondale sottoposto alle correnti oscillatorie prodotte dal moto ondoso i corpi (in questo caso pesci del genere Semionotus) si dispongono col loro asse maggiore perpendicolare alla direzione delle correnti e quindi parallelo alle creste delle onde (da Seilacher, 1959),

64

Tafonomia

2.4 — Rapporti tra assetto e orientazione dominanti di resti fossili allungati o appiattiti, agente responsabile del loro orientamento e probabile ambiente deposizionale. TABELLA

CARATTERISTICA RILEVATA

ORIENTAZIONE E ASSETTO DOMINANT"

AGENTI RESPONSABILI

PROBABILE AMBIENTE DEPOSIZIONALE

correnti

in corrispondenza di canali prevalentemente in acque basse

unimodale Allineamento preferenziale di fossil allungati

bimodale

moto

convessita verso l'alto (in fossil sparsi) Disposizione preferenziale di fossil appiattiti

orientamento complesso embricato (in ammassi di fossili)

Disposizione casuale (qualunque forma)

oscillatorio

correnti

vaste aree entro il livello di base del moto ondoso acque prevalentemente basse senza azione delle onde acque profonde nel caso di torbiditi

moto

oscillatorio

correnti

vaste aree entro il livello di base del modo ondoso in corrispondenza di canali in acque prevalentemente basse al di sotto del livello di base del moto ondoso

disordinato deposizione in massa

in ogni ambiente ove possa accumularsi un deposito

l'assetto dominante fornire dati molto utili sull'idrodinamismo dell'ambiente di sedimentazione e pia in generale per una ricostruzione paleoambientale (tab. 2.4).

2.4.5 — Prefossilizzazione In molti ambienti naturali come per esempio una pianura alluvionale, un erg desertico o una piana intertidale, non sempre le spoglie degli organismi che arrivano ad essere sepolte nel sedimento possono procedere indisturbate nella loro evoluzione diagenetica. E piuttosto frequente che in tali ambienti resti di organismi possano venire riesumati dagli agenti erosivi e ridepositati prima del seppellimento definitivo. Questa riesumazione pub avvenire immediatamente dopo it seppellimento iniziale o dopo un intervallo di tempo sufficientemente lungo da permettere alle trasformazioni diagenetiche di modificare la consistenza e la densita dei resti organogeni. Essi possono essere irrobustiti dalla permineralizzazione (§ 2.6.1c) o essere alleggeriti e resi friabili dalla dissoluzione, avranno cioe subito una prefossilizzazione (Seilacher, 1978). Se i resti cosi riesumati subiranno un nuovo trasporto, si comporteranno in modo ben divers() da come si comportarono anteriormente al primo seppellimento. Sulle spiagge adriatiche attuali, a causa della intensa erosione cui sono sottoposte e del conseguente arretramento, e frequente trovare conchiglie di Venus, Ostrea, Pectunculus, ecc., profondamente annerite, associate ad altre delle stesse specie che presen-

Processi biostratinomici

65

tano i colori naturali (fig. 2.35). Le conchiglie annerite per incipiente carbonificazione (§ 2.6.1b) della materia organica (ed eventualmente per aggiunta di monosolfuri di ferro), appartengono a esemplari che si trovavano nei sedimenti del fondo, sepolti quanto Basta per non venir riesumati dalla azione delle onde di burrasca. Queste conchiglie sono state dissepolte solo a causa dell'attuale intensa fase erosiva del litorale. Anche in mancanza di precisi studi sull'argomento, si pub ipotizzare che queste conchiglie

Associazioni artificiali di conchiglie annerite in varie fasi della prefossilizzazione provenienti dall'alto Adriatico (sopra) e dal basso Adriatico (sotto). Nella figura di sopra le conchiglie in van stadi di prefossilizzate (al-d1) sono associate ad altre della stessa specie che presentano ancora i colori naturali. Questa associazione artificiale e costituita da: a, Ensis siliqua; b, Scapharca inequivalvis; c, Venerupis decussata; d, Ostrea edulis; e, Mactra corallina (foto Istituto di Paleontologia di Modena e foto G.C. Parea).

Fig. 2.35



66

Tafonomia

annerite e parzialmente diagenizzate si comporteranno rispetto al logorio in modo diverso da quelle ancora fresche assieme alle quali verranno d'ora in poi trasportate ed elaborate.

FINESTRA 2.1



DETERMINAZIONE DELL'OSTRACOMASSA

Dall'analisi dei processi biostratinomici (e a maggior ragione tenendo conto dei processi diagenetici) risulta evidente che una paleocomunita di regola e molto impoverita e «diversa» rispetto alla comunita da cui deriva. E compito del paleoecologo la ricostruzione della comunita originate cercando di risalire quanto piu possibile alla Residuo insolubile

Matrice

Calcite a drusa

Sabbia bioclastica

• • ■■

MI= =I=M EMMI

19

m

20

7•11E

E • En

mum ■■ •■

ra.A

MI



a

21

I

. era

22 =MEM

■ •

23

1MM

M■





0 20 40 60% 0 20. 40% 0 20% 0 10% 010% 010% 0 10% 0 20%

Fig. 2.36 — Costituenti principali dei calcari del Segerstad Limestone (Ordoviciano medio,Isola di Oland, Svezia) e proporzione relativa dei componenti organici della sabbia bioclastica assunta come autoctona. Questa analisi permette di evidenziare che gli echinodermi, praticamente assenti tra i macrofossili, furono invece una porzione dominante dell'antica comunita (da V. Jaanusson, 1972).

Seppellimento

67

sua diversita tassonomica iniziale tramite osservazioni tafonomiche e valutazioni sinecologiche (Cap. 6). La determinazione dell'ostracomassa costituisce una tecnica per ottenere una migliore conoscenza della composizione tassonomica degli elementi della comunita originale dotati di parti scheletriche minerali. Se si esamina in sezione sottile un calcare formatosi in un ambiente con scarsi apporti detritici, si possono distinguere tre costituenti principali: (1) la matrice, (2) la frazione bioclastica (sabbia bioclastica), costituita da frammenti di gusci e scheletri e (3) la calcite a drusa (cemento). La percentuale di bioclasti e stata usata da diversi autori per porre un limite fra alcune categorie litologiche. Per esempio Folk (1959) separa una micrite fossilifera da una biomicrite se la frazione bioclastica fine supera it 10%, mentre Dunham (1962) utilizza lo stesso limite per distinguere un mudstone da un wackestone. Molto spesso nella analisi paleontologica di questi ambienti vengono presi in considerazione solo i macro ed i microfossili piu o meno completi potenzialmente classificabili a livello specifico o generico. Oggi si ritiene che uno studio paleoecologico di una sequenza calcarea sia incompleto senza una analisi dei vari componenti della frazione scheletrica minuta Infatti le minuscole particelle bioclastiche, nel caso siano autoctone o parautoctone, forniscono preziose informazioni sugli organismi che le hanno prodotte. Queste informazioni, assieme ai dati quantitativi sui fossili «completi», aiutano a ricostruire la composizione originale dell'ostracomassa, vale a dire la massa totale di materiale scheletrico prodotto dagli organismi in una certa area e in un certo tempo (Jaanusson, 1972). Molte volte la composizione tassonomica della frazione bioclastica fine 6 completamente differente da quella dei resti macroscopici in quanto l'ostracomassa ha subito una disintegrazione ed una distruzione differenziale oppure le conchiglie si sono deposte in una sabbia formata in un altro ambiente ove vivevano altri organismi. Nel Sagerstad Limestone (Ordoviciano medio della Svezia), ad esempio, i cefalopodi predominano tra la macrofauna (72%) ma formano solo una minima parte della frazione bioclastica fine (0-10%) mentre gli echinodermi, praticamente assenti tra la macrofauna, costituiscono la parte predominante della frazione bioclastica fine con punte fino al 68% (Jaanusson, 1972). Per analizzare i vari componenti della frazione scheletrica minuta si usa it sistema del conteggio a punti (da 1400 a 1600 punti per una sezione sottile di 2 x 2,5 cm) associato al riconoscimento dei gruppi di organismi da cui derivano le particelle. I dati vengono tabulati e successivamente visualizzati in un grafico come quello della figura 2.36.

2.5



SEPPELLIMENTO

Il fattore sedimentazione, ed in particolare la granulometria dei sedimenti e la velocity di sedimentazione, influenza in modo determinante it processo di fossilizzazione (figg. 2.65; 2.66). In generale tutti i resti degli organismi (organici e organogeni) presentano un miglior grado di conservazione nei sedimenti fini piuttosto che in quelli grossolani. Un rapido seppellimento, come si e gia osservato, costituisce una premessa indispensabile per la fossilizzazione; ne deriva, in generale, che un tasso di sedimentazione elevato costituisce una condizione favorevole per il processo di fossilizzazione. La situazione piu propizia per la conservazione dei reperti e la registrazione ottimale della diversity tassonomica delle biocenosi e rappresentata da ambienti caratterizzati da apporti sedimentari repentini e catastrofici in grado di soffocare e seppellire «in vita» definitivamente la maggior parte degli organismi.

68

Tafonomia

2.5.1 — Seppellimento in detriti minerali

E it caso pitt frequente e diffuso dato che in natura la quasi totality dei sedimenti costituita da detriti minerali, siano essi prodotti dall'erosione delle aree emerse (ghiaie, sabbie e peliti), dalla triturazione meccanica o dalla macerazione di gusci di organismi (sabbie calcaree bioclastiche e fanghi calcarei), dall'accumulo di resti di microorganismi pelagici o, eccezionalmente, da precipitati chimici provocati da organismi o pin raramente di origine inorganica. I resti scheletrici hanno una diversa potenzialita di conservazione nei diversi tipi di sedimenti soprattutto in funzione della diversa granulometria. Nei materiali grossolani angolosi (detriti di falda, sedimenti glaciomarini, detriti vulcanici, ecc.) i resti di un organismo sepolti in questi detriti, che hanno sempre una elevata permeability, hanno scarsa probability di essere preservati. Un caso particolare e rappresentato dalle brecce ossifere (§ 2.5.4) nelle grotte ove le concrezioni calcaree o gessose possono cementare rapidamente i detriti e proteggere le ossa. Gli ambienti ad alta energia dove si sedimentano le ghiaie non sono favorevoli alla conservazione dei resti scheletrici. L'arrotondamento degli elementi a conseguenza degli urti reciproci provocati dall'acqua in movimento e questi stessi urti distruggono rapidamente anche le ossa o i gusci pin robusti. In conclusione, si tratta di ambienti poco favorevoli alto sviluppo della vita ed alla conservazione dei reperti fossili. I resti di organismi che vengono sepolti dalle sabbie (sedimenti di mare basso, fluviali e desertici, ecc.) possono aver subito un logorio meccanico limitato o accentuato a seconda del tempo nel quale sono rimasti esposti all'azione abrasiva di questi sedimenti in movimento. In ambiente subaereo i resti degli organismi, anche dopo che sono stati sepolti, hanno molte probability di venire intensamente ossidati o disciolti da acque acide e ben ossigenate che permeano questi sedimenti. Maggiori probability di conservazione hanno invece i resti sepolti in ambiente marino. Le peliti (silt, argilla e fanghi calcarei) sono i sedimenti pitt diffusi in natura e si prestano molto bene alla conservazione dei resti degli organismi. Infatti, negli ambienti pelitici i processi di logorio meccanico, selezionatura e disarticolazione sono insignificanti in relazione al basso livello di idrodinamismo. Inoltre, dopo it seppellimento, durante la diagenesi, la scarsa permeability impedisce la circolazione dei fluidi o la limita enormemente riducendo drasticamente la possibility di dissoluzione dei resti organogeni. Spesso, negli ambienti pelitici, come sara meglio precisato pin avanti, e molto importante la componente organica che deriva dall'accumulo di detriti vegetali e animali. In assenza di ossigeno, it materiale organico e soggetto solo a fermentazioni anaerobiche che arricchiscono la materia organica in carbone e danno origine a idrocarburi. Questi ambienti, quando la velocity di sedimentazione e sufficientemente elevata, sono particolarmente favorevoli non solo per la conservazione delle parti scheletriche ma anche per la fossilizzazione della materia organica (§ 2.6.1b). Occorre sottolineare che ai fini della fossilizzazione non 6 tanto importante un costante ed elevato tasso di sedimentazione, ma it verificarsi di eventi deposizionali significativi, anche se sporadici, che di per se stessi possono portare at seppellimento ed alla «protezione » definitiva dei resti. Per esempio, it fatto che in un certo bacino si depositi una torbidite spessa 1 metro ogni 10.000 anni equivale alla velocity media di deposizione di 1 mm at decennio. Un millimetro di sedimento non proteggerebbe di certo un guscio adagiato sul fondo dalle possibili azioni che tendono a distruggerlo nel corso di dieci anni; un metro di sedimento deposto in pochissime ore

Seppellimento

69

b)

d)

Fig. 2.37 — Esempi di conservazione in piroclastiti; a) Spugna silicea (Placoscyphia roemeri), Eocene medio (Luteziano) di Chiampo (Vicenza); b) Granchio (Ranina marestiana), Eocene medio (Luteziano) di Chiampo (Vicenza); c) Rametto di pino, Pleistocene dell'isola di Lipari; d) Donna uccisa a Ercolano durante l'eruzione del Vesuvio del 24-25 agosto del 79 dopo Cristo (a, foto M. Gnoli; b, c, foto Istituto di Paleontologia di Modena; d, foto National Geographic).

costituisce invece una protezione definitiva dai processi biostratinomici, compresa l'azione di limivori e fossatori the agiscono nei primi decimetri di sedimento. Effetto analogo ad una torbidite pith avere, in ambiente sottomarino, una colata di fango piroclastico o una tempestite e, in ambiente subaereo, una coltre cineritica o una colata di fango collegate ad una eruzione vulcanica. Magnifici esempi di conservazione in piroclastiti fini in ambiente subacqueo sono dati dagli artropodi (ranine), dalle spugne e dai molluschi dell'Eocene (Luteziano) della Valle di Chiampo (Monti Lessini, Vicenza) o dai vegetali subfossili (foglie e tronchi) delle Lipari (fig. 2.37a-c). Nelle piroclastiti subaeree possono conservarsi, a seconda delle condizioni diagene-

70

Tafonomia

tiche, le sole ossa oppure le impronte esterne dell'intero corpo di animali e persone, come e awenuto per le vittime della famosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C. dell'era volgare rispettivamente a Ercolano e a Pompei (fig. 2.37d). STRUTTURE BIOGEOPETE Se le cavita interne di una conchiglia sepolta nel fango presentano aperture di limitata ampiezza, e improbabile che vengano completamente riempite dal sedimento grazie anche alla modesta energia meccanica che caratterizza l'ambiente. In queste condizioni ii sedimento si dispone nelle parti basse delle cavita lasciando libere le parti alte che vengono riempite dai fluidi che circolano nel sedimento. Col procedere della diagenesi, da questi fluidi possono precipitare quarzo,calcite o altri minerali che vengono a tappezzare le pareti di queste cavita trasformandole in geodi o riempiendole del tutto con una o pid generazioni di cristalli. Nei nautiloidei del Siluriano della Sardegna, per esempio, dopo it riempimento parziale delle camere ad opera del sedimento, l'obliterazione completa delle cavita

Fig. 2.38 — Strutture biogeopete in nautiloidei siluriani della Sardegna sud-occidentale. Il riempimento micritico scuro nella parte inferiore contrasta con quello di calcite spatica in quella superiore. Nell'esemplare in basso a destra a anche evidente l'assetto telescopico di un individuo all'interno dell'altro. II campione proviene dall'area di Capo Frasca ed a attribuibile al Ludlowiano, zona a conodonti a Polygnathoides siluricus (foto Istituto di Paleontologia di Modena).

Seppellimento 71

a)

•b)

Fig. 2.39 — In un esemplare di brachiopode it riempimento della conchiglia con sedimento nella parte inferiore e con calcite spatica in quella superiore ha portato alla formazione di una struttura biogeopeta . In a) la «livella naturale», costituita dalla linea che separa it sedimento dalla calcite spatica ha permesso di stabilire che la conchiglia a stata fossilizzata in posizione di vita. In b) la «livella naturale» e variamente inclinata e quindi possiamo dedurre che gli esemplari sono stati rielaborati (da Gall, 1983 con modifiche).

residue si realizza ad opera di un'unica generazione di calcite (fig. 2.38). L'insieme dei riempimenti (sedimento + cristalli) assume quindi una ben precisa polarity e viene a costituire una struttura che si pub definire biogeopeta. I riempimenti biogeopeti possono essere utilizzati come vere e proprie livelle naturali (fig. 2.39a) per stabilire la reale posizione di vita o l'originale posizione di seppellimento di un organismo estinto come per esempio a stato fatto per Waagenoconcha, brachiopode del Carbonifero inferiore (Grant, 1966), o per ricostruire l'originale inclinazione di paleopendii (Broadhurst & Simpson, 1967), o per determinare se un pacco di strati sia diritto o rovesciato. Talvolta nello stesso strato vi possono essere fossili le cui strutture geopete sono orientate casualmente (fig. 2.39b). La spiegazione pin semplice e che essi siano stati rielaborati dopo la formazione della struttura biogeopeta. Le strutture biogeopete possono quindi rivelare fenomeni di rielaborazione dei fossili (§ 8.5.2f1). 2.5.2 — Inglobamento in detriti ricchi di materia organica

II distacco di organi e la loro dispersione nell'ambiente fa parte del ciclo di vita dei vegetali (fig. 2.14). Tutte queste parti disperse nell'ambiente (§ 2.4.1b), se si depositano sulla terra ferma vengono generalmente inglobate nei suoli ove, in ambiente ricco di ossigeno, sono piil o meno rapidamente decomposte e ossidate lasciando tracce minime o nulle. In certi ambienti particolari, pere, come stagni, acquitrini e paludi, i detriti organici soprattutto vegetali si possono accumulare al riparo da ogni ossidazione e putrefazione aerobica e, se l'accumulo si protrae per periodi di tempo molto lunghi, si possono formare depositi di notevole spessore. A seconda del rapporto fra peliti inorganiche e detriti organici, si passa dalle argille ricche di materia organica, ossia argille bituminose o argille carboniose, a fango organico the e costituito da detriti organici praticamente privi di frazione inorganica. Il fango organico, quindi, non 6 altro che un sedimento detritico esclusivamente organico che pub inglobare animali terricoli, anfibi, uccelli e insetti, i cui resti hanno buone probability di conservazione. In tutti questi ambienti continentali nei quali si

72

Tafonomia

accumulano i «sedimenti » organici che diventerranno torba, le condizioni strettamente riducenti sono prodotte dalla putrefazione iniziale dei materiali vegetali 4 L'inglobamento in detriti organici, e quindi in ambiente pressoche anaerobico, porta in genere ad una particolare trasformazione dei resti animali che vengono conservati sotto forma di sottili pellicole carboniose (antracoleimmi - § 2.6.1b). I resti fossilizzati in questo modo sono conservati in tutti i loro particolari salvo la forte deformazione per schiacciamento. In caso di seppellimento profondo, nelle fasi piil avanzate di diagenesi, i resti organici vengono amalgamati col detrito organico inglobante e divengono irriconoscibili (fig. 2.48n). Le ligniti eoceniche della Valle di Geisel vicino ad Halle (Germania) e la torbiera subfossile di Tollund in Danimarca offrono alcuni dei migliori esempi di conservazione di parti molli. Il giacimento di Geisel fu trovato quasi 60 anni fa da Weigelt (1932) ma fu accuratamente studiato da Voigt (1934, 1937, 1938, 1957) che illustro porzioni carbonizzate di epidermide di rane, di pipistrelli e di artiodattili; cellule di tessuto adiposo di rettili e mammiferi; diversi tipi di peli di mammiferi; cellule epiteliali di rane con i loro nuclei; vasi sanguigni di lucertole; tessuto cartilagineo di equidi primitivi; larve di ditteri, ecc. Anche l'uomo di Tollund (§ 2.6.1a; fig. 2.52) si a fossilizzato in un ambiente simile a quello delle torbiere della Valle di Geisel. La preservazione delle parti molli puo essere stata favorita dall'azione di acque ricche in acidi tannici e «fulvici» che operarono una azione di « conciatura» simile a quella che viene effettuata per le pelli (Allison, 1988a) prima della carbonificazione vera e propria, ma 6 sostanzialmente it prodotto di fermentazioni strettamente anaerobiche che provocarono la carbonificazione dei materiali organici (§ 2.6.1b). .

2.5.3



Inglobamento in fluidi

Questo tipo di seppellimento 6 del tutto particolare in quanto avviene in materiali costituiti da fluidi viscosi o che si comportano come tali al momento dell'inglobamento dell'organismo. In pratica pue• trattarsi di petrolio greggio, resine vegetali, sabbie mobili e fanghi organici. Il comportamento di questi materiali funziona da trappola per gli animali cosi the a anche responsabile della loro morte. In questo caso la morte non 6 provocata da un evento esterno non evitabile dall'organismo, come potrebbe essere un accumulo repentino di sedimenti provocato da una frana o da una violenta burrasca in mare, ma e provocata da un'azione volontaria dell'animale stesso, conseguenza di una errata valutazione della realta della situazione. a) PETROLIO GREGGIO Esempi famosi di questo tipo di conservazione sono i vertebrati fossili del Pleistocene superiore e dell'Olocene inferiore che si trovano in grandi quantita nel giacimento di asfalto di Rancho La Brea, alla periferia di Los Angeles (California), dove stato osservato (Ferguson, 1985) che le foglie che galleggiano su di uno stagno perdono, per eliminazione delle parti solubili, una parte importante del loro peso nelle prime 24 ore e questa perdita molto pin rapida all'aumentare della temperatura. A questa fase segue l'attacco da parte di microrganismi come funghi e batteri aerobici che porta al consumo e quindi alla eliminazione dell'ossigeno libero nell'acqua dell'ambiente. Si e visto sperimentalmente che per le foglie di Fraxinus excelsior, immerse in acquari con contenuto di ossigeno dissolto attorno a 10,1-10,3 ppm, l'aggressione inizia una ventina di ore dopo l'immersione delle foglie e si conclude praticamente una quarantina di ore pit tardi quando it livello di ossigeno nell'acqua si stabilizza su valori estremamente bassi (attorno a 1 ppm).

Seppellimento

73

rimasero intrappolati in laghetti di petrolio greggio (fig. 2.40). Questi laghetti si formano a causa di fuoriuscite di petrolio da giacimenti superficiali. Raggiunta la superficie, it petrolio, per l'azione degli agenti atmosferici, diventa viscoso e appiccicaticcio e pun anche venir ricoperto da acqua piovana, per cui questi bacini diventano delle vere e proprie trappole naturali per gli animali selvatici. In questi «stagni» di petrolio hanno trovato la morte innumerevoli esemplari di vertebrati, tenacemente invischiati dal greggio. I predatori, sia uccelli sia mammiferi, sono stati attratti da queste creature in agonia, e sono rimasti a loro volta intrappolati. Questo fatto risulta chiaro dalla composizione della fauna di Rancho La Brea dove it numero dei carnivori dieci volte superiore a quello degli erbivori. L'integrita degli scheletri venuti alla luce nei giacimenti di asfalto di Rancho La Brea ci offre un quadro molto importante del mondo animale di quei tempi. Oltre ai proboscidati, sono stati trovati cavalli, cammelli, sdentati giganti, orsi, tigri dai denti a sciabola (il famoso Smilodon californicus) e numerose specie di avvoltoi tra i quali una forma gigantesca (Teratornis meriami). b) RESINE VEGETALI In queste resine si conservano soprattutto resti vegetali (fiori, pollini), insetti e, eccezionalmente, anche piccoli vertebrati (fig. 2.41). Le resine fossili che hanno subito un processo diagenetico di polimerizzazione vengono normalmente denominate « ambre se la resina a ancora allo stato subfossile viene indicata col termine copale ». L'ambra del Baltico e certamente la pin famosa e it suo nome deriva dal fatto che particolarmente abbondante lungo le coste meridionali del Mar Baltico attuale. Nella

Fig. 2.40 Una delle conservazioni piu perfette in asfalti e bitumi a quella che si e vertificata nel Pleistocene sup. — Olocene inf. di Rancho la Brea vicino a Los Angeles dove sia gli erbivori come proboscidati sia i loro predatori come lo Smilodon californicus oil grande avvoltoio Teratornis meriami, rimasero intrappolati nel petrolio greggio e poi fossilizzati nel bitume (disegno G. Leonardi). —

74

Tafonomia Fig. 2.41— La fossilizzazione mediante inglobamento in ambra permette la conservazione tridimensionale di insetti e di piccoli vertebrati. Degli organismi intrappolati rimane infatti la forma inalterata in quanto la resina non si schiaccia durante la diagenesi e l'antracoleimma dell'organismo rimane aderente all'impronta esterna prodotta dall'ambra. a, piccolo lacertide (Gecko sp.), Miocene di Santo Domingo (Antilie); b, imenottero (?), Eocene del Baltico; c, Insetti vari (in prevalenza imenotteri), Miocene di Santo Domingo (Antille) (a, c, foto L. Spezia, Museo di Storia Naturale di Milano; b, foto Istituto di Paleontologia di Modena).

c)

regione baltica l'ambra e stata prodotta in gran parte da una conifera estinta (Pinus succinifera) che formava estese foreste durante it Terziario inferiore, tra 50 e 35 milioni di anni fa. La resina, colando lungo it tronco, inglobava insetti o altri piccoli organi-smi, rimasti «invischiati» in una precedente colata, sottraendoli all' azione degli agenti esterni e conservandoli fino ad oggi. Di questi insetti e rimasta, it pitt delle volte, soltanto una sottile pellicola esterna (§ 2.6.1b), ma lo stato di conservazione e spesso cosi perfetto che alcuni dettagli microscopici possono essere ingranditi fino a 1000 volte (Schluter, 1990). In casi eccezionali si sono conservate anche parti molli (Henwood, 1992). Questo tipo di conservazione e molto diffuso ed e stato segnalato oltre che nei depositi terziari (Eocene ed Oligocene inferiore) affioranti attorno al Mar Baltico, anche in depositi del Cretacico superiore del Manitoba (Canada), del Paleogene delle Antille (Repubblica Dominicana) e del Miocene della Sicilia. C) SABBIE MOBILI E FANGHI ORGANICI FLUIDI Nel Cretacico superiore del Deserto del Gobi sono stati trovati, inglobati in sabbie molto omogenee e prive di strutture, due esemplari di dinosauri, un erbivoro (Protoceratops) e un carnivoro (Velociraptor), «avvinghiati» l'uno all'altro. Tale posizione

Seppellimento 75

e it tipo di sedimento che ingloba gli scheletri permettono di ipotizzare che preda e predatore siano caduti insieme nelle sabbie mobili (Kielan-Jaworowska, 1975). Stagni e paludi ad elevata sedimentazione di detriti vegetali, qualora i fanghi non consolidati raggiungano spessori notevoli, possono intrappolare e conservare in ambiente anaerobico anche animali di grosse dimensioni con un effetto simile a quello delle sabbie mobili. Il giacimento eocenico di Grube Messel a 30 km a SE di Francoforte in Germania, scoperto recentemente (Franzen et al., 1982; Franzen & Michaelis, 1988), costituisce un buon esempio di questo ambiente di fossilizzazione. In questo giacimento, all'interno di argilliti lacustri altamente bituminose, sono stati trovati, in ottimo stato di conservazione, resti di piante, migliaia di insetti, pesci d'acqua dolce, rettili di vario tipo, uccelli e circa 35 specie di mammiferi tutti conservati come scheletri completi e senza la minima disarticolazione (fig. 2.42). Conservazioni eccezionali come quelle di Rancho La Brea e di Grube Messel (Finestra 2.3) sono note anche nel Pleistocene della Spagna nord-occidentale, della Germania e della Russia sud-occidentale e nel Cretacico inferiore dello Stato del1'Alberta (Canada), dove sono conservati perfettamente tronchi completi.

Fig. 2.42 — Fossilizzazione con conservazione di tracce di parti molli molto delicate negli argilloscisti bituminosi di ambiente lacustre dell'Eocene di Grube Messel (Germania). La foto mostra un pipistrello (Palaeochiropteryx tupaiodon) nel quale a stata conservata anche l'impronta del patagio (la membrana, sviluppata tra it corpo e le dita, che permette it volo) (foto C. Schumacher, per gentile concessione del Senckenberg Museum, Frankfurt).

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2.5.4 — Incrostazione un processo di fossilizzazione che si verifica quando un organismo viene ricoperto in parte o completamente da una «crosta» che pub essere di origine inorganica (abiologica) o organogena (biologica). La crosta inorganica e costituita generalmente da "crosta" inorganica

a) INCROSTAZIONE INORGANICA (INCROSTAZIONE S.S.)

organismo

b) INCROSTAZIONE ORGANOGENA (BIOIMMURAZIONE) Fig. 2.43 — La fossilizzazione per incrostazione si verifica quando una «crosta» inorganica (a) o un organismo epibionte munito di scheletro (b) rivestono un organismo anche a corpo molle del quale riproducono in negativo la forma generale del corpo. Nel primo caso si parla di incrostazione inorganica (incrostazione s.s.) mentre nel secondo di bioimmurazione.

calcite prodotta indirettamente da attivita algale o da precipitazione chimica da acque soprasature, mentre quella organogena a formata dal guscio di altri organismi. A seconda dell'origine del materiale incrostante e quindi possibile distinguere due sottoprocessi: l'incrostazione inorganica (o incrostazione s.s.) e la incrostazione organogena (o bioimmurazione) (fig. 2.43). a) INCROSTAZIONE S.S. Avviene per lo pitt in presenza di acque soprasature di bicarbonato di calcio nel qual caso sottili pellicole di calcite (costituite da minutissimi cristalli) si depositano intorno all'organismo riproducendone la forma esterna nel suo insieme (fig. 2.43a). La precipitazione del CaCO3pub ossere dovuta: (1) alla azione indiretta di vegetali presenti nell'acqua, come muschi, alghe o erbe, che sottraggono CO2all'acqua, (2) alla rapida evaporazione che avviene soprattutto in corrispondenza di cascate dove l'acqua e finemente nebulizzata, (3) al raffreddamento di acque termominerali associato ad una diminuzione della pressione. Questo processo, the a tipico dell'ambiente subaereo, ha permesso la conservazione di foglie e rami sotto forma di impronte esterne e, quando 6 particolarmente intenso, ha portato alla formazione di estesi depositi di calcari concrezionari noti come travertini (fig. 2.44). Fatti analoghi si verificano anche in ambiente carsico dove possono formarsi, soprattutto nelle cavita, le «brecce ossifere » che sono costituite da accumuli di ossa di vertebrati terrestri cementate dal CaCO3assieme a materiale detritico di vario tipo.

Seppellimento 77 Fig. 2.44 Resti vegetali conservati per incrostazione inorganica nel travertino di Tivoli (Quaternario) (foto L. Spezia, Museo di Storia Naturale di Milano). -

b) BIOIMMURAZIONE (BIOIMMURATION)5

E un tipo di conservazione poco conosciuto che si verifica quando, al di sopra di un organismo a corpo molle o con scheletro debolmente mineralizzato, cresce un organismo incrostante (epibionte) munito di scheletro calcareo che reproduce nella sua parte inferiore una replica della forma generale del corpo dell'organismo incrostato (fig. 2.43b) (Voigt E., 1979; Taylor P.D., 1990). La maggior parte dei fossili bioimmurati sono conservati in rilievo negativo come impronte esterne e diventano visibili solo dopo it distacco dell'organismo replicante dal substrato. Talvolta l'impronta negativa viene riempita, durante la diagenesi, da calcite o da pirite che forma un modello (positivo) dell'organismo replicato. Rientrano nella bioimmurazione anche casi di organismi incrostanti che hanno prodotto it calco del profilo del guscio di un organismo the e stato successivamente dissolto durante la diagenesi, come si e verificato per certe ammoniti «stampate» sul guscio di ostreidi (Lewy, 1972). Organismi che fossilizzano in questo modo sono i briozoi ctenostomi (fig. 2.45), gli idrozoi, alcuni tipi di alghe (genere Codium), le angiosperme marine, gli anemoni di mare e le ascidie. I pill comuni organismi replicanti sono, invece, le ostriche o altri bivalvi cementanti, i vermi serpulidi e i briozoi ciclostomi. Dal latino medioevale immurare = racchiudere all'interno di mura; imprigionare.

5

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Tafonomia Fig. 2.45 — Conservazione

per bioimmurazione di una colonia di briozoi ctenostomi (Arachnidium brandesi, Voigt), privi di parti dure, incrostante un rostro di belemnite. La colonia e rimasta conservata come replica dove e stata ricoperta da un verme serpulide. Il modello positivo della colonia a rimasto, in questo caso, conservato anche sul substrato qui rappresentato dal rostro (Cretacico inferiore della Germania) (da Voigt, 1968).

2.6 — PROCESSI DI FOSSILIZZAZIONE Dopo che sono stati definitivamente sepolti sotto una coltre piu o meno spessa di sedimento, i resti degli organismi che hanno superato tutte le peripezie della necrolisi e dei rimanenti processi biostratinomici non sono altro che particelle sedimentarie fra le altre particelle sedimentarie e come tali saranno soggetti a tutti i processi diagenetici che a poco a poco trasformeranno i sedimenti che li inglobano in rocce sedimentarie. Da questo momento tutte le trasformazioni subite dai resti degli organismi saranno solo dei casi particolari delle modificazioni subite dai sedimenti che li inglobano. Verranno quindi esaminati i vari processi diagenetici con particolare attenzione a quelli che possono produrre trasformazioni significative sui resti organici ed organogeni. Il procedere della sedimentazione sovrappone continuamente nuovi sedimenti a quelli appena deposti e fa si che un determinato resto venga ad essere sepolto sempre piu profondamente. In questa situazione i resti organici ed organogeni si trovano ad essere sottoposti ad un carico litostatico ed idrostatico progressivamente crescente, si trovano immersi continuamente nel liquido interstiziale che impregna i sedimenti e vengono progressivamente sottoposti ad una temperatura sempre piu elevata. L'aumento di carico litostatico provoca un costipamento dei sedimenti, piU o meno marcato a seconda della granulometria e della composizione dei materiali presenti. I fanghi costituiti da materia organica (fanghi organici, § 2.5.2) arrivano a perdere fino al 90% del loro spessore iniziale. I sedimenti detritici di composizione minerale si costipano sempre meno all'aumentare delle dimensioni dei clasti: si passa infatti da valori di poco inferiori al 90% per le argille piu fini, a valori via via piu ridotti per i silt e le sabbie fini, fino ad arrivare al 10% o poco pin per le sabbie grossolane e le ghiaie ben addensate. I processi che portano alla fossilizzazione possono interessare sia la materia organica sia le parti mineralizzate con reazioni chimiche e processi fisici molto differenti che verranno quindi trattati separatamente. 2.6.1 — Fossilizzazione della materia organica

Abbiamo visto che la putrefazione (§ 2.4.1a) 6 quell'insieme di processi, in piccola parte chimici e prevalentemente biochimici, che porta, in ambiente ossidante, alla

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completa distruzione della materia organica. Essendo legata alla azione di organismi viventi, la putrefazione pito svilupparsi solo in presenza di acqua. La presenza di ossigeno a necessaria per permettere lo sviluppo dei batteri aerobici; in assenza di ossigeno si svilupperebbero solo quelli anaerobici e si avrebbe quindi una fermentazione anaerobica che non porterebbe alla distruzione della materia organica ma ad una sua profonda trasformazione con conservazione del solo carbonio (carbonificazione, § 2.6.1b). Per una conservazione tridimensionale dei tessuti organici sono innanzi tutto necessari una limitata decomposizione della materia organica ed una «mineralizzazione» precoce. Pia i processi mineralizzanti sono tardivi e pia la decomposizione procede, pia si distruggono i resti degli organismi pia delicati (fig. 2.46). La conservazione della materia organica sarebbe totale se fosse possibile bloccare l'azione dei batteri ed impedire ogni reazione chimica Esaminando le varie tecniche utilizzate per la conservazione degli alimenti si rileva che praticamente la conservazione si ottiene limitando lo sviluppo dei batteri. Lo sviluppo dei batteri pub essere limitato eliminando l'acqua dalle sostanze organiche, come e stato fatto gia dai tempi pia antichi con l'essicazione dell'erba per ottenere fieno utilizzabile durante l'inverno o facendo essiccare frutta o came di ogni tipo fino ad arrivare alle moderne tecniche di fiofilizzazione. Altre tecniche di conservazione prevedono l'uso di soluzioni zuccherine o salate molto concentrate o di sostanze come l'alcool o l'aceto capaci di bloccare o limitare in modo accentuato lo sviluppo di certi batteri; vengono conservate in questo modo frutta sciroppata, verdure sott'aceto, frutta sotto spirito, pesci in salamoia, ecc. Anche la conservazione di piccoli animali o dei loro particolari anatomici, nei musei viene ottenuta in modo soddisfacente mediante immersione in alcool o in soluzioni di formalina. Lo sviluppo

Resti conchigliari

precoce

MINERALIZZAZIONE

tardiva

Fig. 2.46 Rapporti fra la decomposizone della materia organica e mineralizzazione nella conservazione di fossili. Per una conservazione tridimensionale dei tessuti organici sono necessari una limitata decomposizione della materia organica ed una mineralizzazione precoce. Pits la mineralizzazione e tardiva e pits la decomposizione procede, pits si distruggono irreparabilmente i resti organici pin delicati (da Allison, 1988a). —

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dei batteri put) anche essere sensibilmente rallentato con it raffreddamento di un semplice frigorifero o pub essere praticamente bloccato col raffreddamento rapido e intenso dei surgelatori (esempi naturali di surgelamento verranno trattati piu avanti § 2.6.1c4). La conservazione di parti speciali di animali, come per esempio le pelli, si ottiene selezionando e migliorando le loro catteristiche di inattaccabilita ai processi putrefattivi. La concia delle pelli 6 un trattamento col quale si ottiene l'eliminazione delle sostanze albuminoidi del derma e si rendono impermeabili e difficilmente attaccabili dai batteri le fibre che to costituiscono, trasformando la pelle di un animale in cuoio. Tutti questi metodi per rallentare la distruzione della materia organica hanno pert) successo solo per tempi piu o meno lunghi ma comunque limitati in quanto riescono solo a frenare la componente biochimica della putrefazione mentre non possono bloccare, su tempi lunghi, la componente chimica. La componente biochimica pub essere bloccata definitivamente solo trasformando la materia organica in carbone, cosa ottenibile con la combustione in ambiente povero di ossigeno o con una fermentazione strettamente anaerobica. Una volta carbonificata, la materia organica 6 assolutamente inattaccabile da parte di batteri di qualsiasi tipo e put) conservarsi indefinitamente purche sia preservata dall'azione dell'ossigeno: per esempio mediante seppellimento sotto una coltre di sedimenti in ambiente riducente. Infatti, anche i carboni, se vengono a contatto con l'atmosfera, si ossidano in tempi piu o meno lunghi e scompaiono completamente. Un esempio evidente di questo tipo di fenomeni e fornito da quanto si a verificato per gli animali, le persone e gli arredi lignei sepolti dalle piroclastiti ad Ercolano e a Pompei durante l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Qui, it materiale ligneo degli scaffali ed i rotoli di papiro contenuti nella biblioteca di una villa presso Ercolano sono conservati allo stato di carbone. In altre abitazioni, a ricordare l'esistenza di arredi di legno del tutto scomparsi, rimangono solo chiodi e borchie metalliche. E evidente che in qualche caso le condizioni di seppellimento determinarono un ambiente anerobico che port?) alla carbonificazione, mentre in altri casi si instauro un ambiente ossidante che distrusse completamente la materia organica. Delle persone rimangono, oltre ai modelli esterni, solo gli scheletri (fig. 2.37d) ed anche questi, avendo perso per ossidazione tutta la frazione organica delle ossa, se non sono impregnati da qualche minerale, si riducono in polvere appena vengono dissepolti. a) MUMMIFICAZIONE Un metodo molto noto di conservazione dei cadaveri, utilizzato da alcuni popoli antichi, 6 quello della mummificazione. Questo tipo di conservazione si otteneva eliminando la maggior parte possibile dei tessuti piu ricchi di acqua e quindi piu putrescibili e proteggendo quelli rimanenti, essenzialmente connettivi ed epiteliali, dall'azione dei batteri e dell'ossigeno con aromi, unguenti e bende, e mantenendoli in luoghi secchi. Questo metodo consente in sostanza di conservare per alcune migliaia di anni alcuni tipi di materia organica bloccando praticamente l'azione biochimica dei batteri ma non riesce ad impedire l'ossidazione che lentamente ma inesorabilmente disgrega e distrugge, su lunghi periodi di tempo, ogni tipo di mummia. Condizioni di disidratazione tali da produrre mummie possono verificarsi in natura in ambienti molto aridi che possono essere sia caldi sia freddi. Nei deserti sono relativamente frequenti carcasse mummificate di animali di vario tipo; la loro conservazione per tempi geologici non 6 tuttavia probabile considerando che questi resti

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Fig. 2.47 — Particolare dell'impronta della pelle che una mummia di dinosauro ha impresso nel sedimento.

Si tratta di un Anatosaurus che ha subIto it processo di mummificazione nei sedimenti del Cretacico superiore del Nordamerica (foto Anderson, per gentile concessione dell'American Museum of Natural History di New York).

vengono sepolti in sedimenti altamente porosi (come le sabbie) e quindi avranno molte probability di essere ossidati. Gli ambienti aridi freddi hanno it vantaggio ulteriore di limitare o impedire lo sviluppo dei batteri anche con la bassa temperatura oltre che con la disidratazione. Corpi mummificati di cani utilizzati in spedizioni dell'inizio del secolo sono stati trovati recentemente in Antartide e corpi mummificati dal secco e dal freddo di eschimesi del 15° secolo sono stati trovati negli anni 70 lungo la costa occidentale della Groenlandia. Nella letteratura paleontologica sono citati come esempi di mummificazione due esemplari di Anatosaurus (dinosauro del Cretacico) che hanno lasciato, impressa nel sedimento, l'impronta della pelle raggrinzita sullo scheletro (fig. 2.47). In letteratura sono pure citate anche «mummie» di grossi sdentati trovati in caverne del Nuovo Messico e del Sud America e di anfibi e rettili di piccole dimensioni. E probabile tuttavia che questi reperti, anche se originariamente mummificati, si siano conservati come calchi oppure tramite it processo di carbonificazione. b) CARBONIFICAZIONE Qualunque resto di materia organica, organismo intero o frammento minutissimo, abbia superato la zona ossigenata dell'ambiente deposizionale o anche del primissimo

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ambiente diagenetico, ossia la zona nella quale si possono sviluppare le putrefazioni aerobiche, e sia quindi arrivato in un ambiente totalmente privo di ossigeno libero, potra subire solo delle fermentazioni strettamente anaerobiche. Queste fermentazioni, ad opera di batten anaerobici, portano ad una progressiva eliminazione dell'idrogeno e dell'ossigeno con conseguente arricchimento relativo di carbonio. I batteri liberano H e 0 nella stessa proporzione in cui sono contenuti nell'acqua; d'altra parte la proporzione dell'H rispetto all'O nell'acqua e maggiore di quella che si riscontra negli idrati di carbonio e minore di quella che si osserva nei grassi e nelle proteine. Di conseguenza, in ambiente assolutamente privo di apporti di ossigeno esterni, gli idrati di carbonio tenderanno a dare origine a carbonio praticamente puro, ossia a carbon fossile, mentre le proteine ed i grassi potranno dar luogo a idrocarburi, liquidi o gassosi, cioe a composti nei quali, oltre al carbonio, e ancora presente l'idrogeno. La materia organica, anche se trasformata in carbonio o idrocarburi, pub essere conservata per tempi illimitati purche in assenza di ossigeno. E esperienza comune lo sbiancamento superficiale delle rocce sedimentarie nere, in seguito ad ossidazione e quindi per eliminazione del pigmento carbonioso. Il processo di carbonificazione e bituminizzazione (produzione di idrocarburi) produce gia di per se una diminuzione di volume grazie all'allontanamento dell'ossigeno e dell'idrogeno che costituiscono le molecole. Enormemente pit importante, pero, e la riduzione di volume che si realizza con l'eliminazione della grande quantita di acqua contenuta nei tessuti organici. La riduzione di volume pub inoltre venire esaltata dall'allontanamento degli eventuali idrocarburi prodotti dai processi diagenetici. Tenendo presente tutti questi processi si comprende come it carbone che si conserva allo stato fossile rappresenti una frazione piccolissima del volume iniziale dell'organismo coinvolto. Tutto ciO che rimane dell'originaria materia organica si pub definire antracoleimma, dal greco antrax = carbone e leimma = resto (Schopf, 1975). Questa pellicola carboniosa residua non conserva mai la microstruttura interna (fig. 2.48e-g). In pratica, un banco di carbon fossile (> (§ 2.5.3b). Anche in questo caso la drastica riduzione di volume e dovuta soltanto ai processi diagenetici chimici mentre l'ambra, la cui rigidita e stata sufficiente a sopportare i limitati carichi imposti da una diagenesi non molto avanzata, ha prodotto l'impronta esterna mantenendo piit o meno inalterato it volume iniziale dell'organismo. Gli antracoleimmi sono molto diffusi in ogni tipo di roccia sedimentaria it piit delle volte sotto forma di frustuli non determinabili. I resti meglio conservati di foglie, rametti, fiori, frutti, pigne, ecc. sono spesso quelli contenuti nelle peliti intercalate agli strati di carbon fossile (fig. 2.49). Gli antracoleimmi di spore e pollini sono i meno

Fig. 2.50 — La fossilizzazione per carbonificazione e schiacciamento ha spesso prodotto sottili pellicole carboniose attorno agli scheletri impregnati degli ittiosauri del Giurassico inferiore di Holzmaden the hanno permeso di ricostruire per intero la sagoma del corpo. Stenopterygius quadriscissus, Museum Hauff, Holzmaden (Germania). Lunghezza dell'esemplare cm 120 (per gentile concessione del Hauff Museum, Holzmaden).

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Fig. 2.51 — Rettile lacertiforme, Tridentinosaurus antiquus, trovato in un livello tufaceo intercalato tra due colate porfiriche del complesso effusivo permiano del Trentino. Di questo animale si a conservato solo l'antracoleimma della parte cutanea. Lunghezza totale mm 235 (foto dr. L. Altichieri; esemplare conservato nel Museo di Paleontologia dell'Universith di Padova).

deformati poiche sono costituiti in partenza da tessuti che come la sporopollenina sono particolarmente compatti e poveri di acqua. La formazione di antracoleimmi non 6 tuttavia esclusiva dei vegetali. Un caso classico tra i vertebrati 6 rappresentato dalle pellicole di carbone attorno agli scheletri permineralizzati degli ittiosauri del Giurassico inferiore di Holzmaden (Germania). Tali reperti hanno permesso di ricostruire per intero la forma del corpo, compresa la coda e la pinna dorsale (fig. 2.50). Lo stesso processo si a verificato per tessuti delicati come quelli delle al delle farfalle, per la conservazione di graptoliti, di certi pesci a scheletro cartilagineo (spesso definiti «bituminizzati») e, occasionalmente, di piccoli rettili (fig. 2.51). Molti invertebrati primitivi privi di parti dure mineralizzate, come quell del famoso giacimento Cambriano del Burgess Shale nella Columbia Britannica (Canada) (fig. 5.37), subirono una conservazione iniziale secondo questo processo ma, successivamente , it carbonio fu sostituito da silicati costituiti in prevalenza da clorite e mica potassica (Conway Morris, 1990). I resti vegetali o animali sepolti in fango organico producono fossil spesso ben riconoscibili come forma e come strutture cellulari solo se i processi diagenetici non sono molto spinti. II corpo di un uomo di 2200 anni fa, conservato nella torba presso Tollund in Danimarca, mostra ancora particolari finissimi; sul volto si riconoscono le rughe, i pori della pelle e si distinguono i peli della barba e i capelli (fig. 2.52). Gil antracoleimmi di animali ritrovati nelle ligniti della Valle di Geisel in Germania contengono strutture cellulari ancora perfettamente riconoscibili proprio perche in questo ambiente i carichi diagenetici sono ancora ridotti. Di norma, infatti, col procedere della diagenesi, cioe sotto un carico sempre piu elevato ed in ambienti a temperatura sempre piu alta, i fanghi organici, unitamente ai resti vegetali o animali in essi inglobati, subiscono una omogeneizzazione e compressione tali da cancellare o distruggere ogni struttura riconoscibile. Per esempio, nella torba sono perfettamente riconoscibili frammenti di carbone di legna con le cellule perfettamente conservate anche se vuote. Nella lignite le cellule del carbone di legna naturale fossile sono indeformate solo quando sono impregnate da sostanze organiche (fig. 2.48i,1); tali sostanze che hanno impregnato le cellule del carbone sono riuscite ad impedire it collasso delle pareti cellulari nell'ambiente diagenetico delle ligniti. Esse non hanno potuto sostenere, tuttavia, gli enormi carichi imposti dalla situazione diagenetica che

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Fig. 2.52 - Un bell'esempio di conservazione per carbonificazione e fornito dall'uomo di Tollund Fen (Danimarca), che dopo essere stato ucciso per impiccagione, circa 2200 anni fa, e stato buttato in una torbiera. La completa assenza di ossigeno ha permesso una conservazione quasi perfetta come testimoniano le rughe della pelle, i capelli che spuntano al di sotto del berretto di cuoio e i radi peli della barba. La mancanza di sovraccarico sedimentario sulla torba ha impedito lo schiacciamento del viso. L'esemplare e conservato al Silkeborg Museum (Jutland) (foto L. Larsen, per gentile concessione del Nationalmuseet di Copenhagen).

ha prodotto l'antracite. Superato lo stadio della lignite, dunque, tutto viene omogeneizzato e nessun organismo a piit riconoscibile 6(fig. 2.48n).

FINESTRA 2.2 — L'UOMO FOSSILE DELLA VAL SENALES Il corpo del cacciatore eneolitico affiorato da una placca di ghiaccio in via di scioglimento in alta Val Senates (Bolzano) nel settembre del 1991 ha l'aspetto di una 6 Il carbon fossile (carbone minerale - carbon fossile di alto rango) (coal), una vera e propria roccia organica formata da resti intensamente diagenizzati di vegetali mescolati con materiale inorganico nettamente subordinato, si distingue molto bene dal carbone di legna naturale fossile (fusain), prodotto da combustioni naturali, per avere un aspetto vitreo, una frattura concoide, un elevato contenuto di vitrinite e quindi una elevata riflettanza. Nel carbon fossile non si conserva mai nessun particolare anatomico del legno di origine in quanto durante la sua formazione la struttura cellulare viene compressa e i lumina delle cellule vengono chiusi. Il « carbon fossile», che perci6 e di scarsa utilita in paleobotanica, e enormemente pin diffuso in natura rispetto sia al «carbone di legna naturale fossile » sia al « carbon fossile di basso rango » e viene classificato in base all'eta e al contenuto percentuale di carbonio che determinano lo stadio di carbonificazione. Tale contenuto in C si aggira su un valore medio del 55% nella torba, sale al 65-70% nella lignite fino a raggiungere it 92-95% nell'antracite.

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mummia (fig. 2.53). Il fatto che tale corpo sia stato inglobato per pia di 3000 anni in un ghiacciaio di tipo temperato, cioe a temperatura poco al di sotto del punto di congelamento dell'acqua, non ha infatti permesso una conservazione tridimensionale per surgelamento come 6 avvenuto per i mammuth siberiani (§ 2.6.1 c4). Non e pero possibile pensare a fenomeni di disidratazione per spiegare la contrazione volumetrica delle sue carni e dei visceri dato the a stato sempre inglobato in un ghiacciaio di tipo temperato e quindi prossimo al punto di fusione, nel quale certamente percolava acqua almeno nelle stagioni calde. Sembra poco probabile che it cadavere sia stato disidratato rimanendo esposto, privo di copertura nevosa, ai venti freddi di alta montagna. Innanzi tutto i venti in ambiente alpino non sono certamente secchi come quelli polari. Inoltre, un cadavere esposto sulle Alpi all'aria libera verrebbe gravemente rovinato se non distrutto oltre che dalla putrefazione, nella stagione estiva, anche da predatori sia mammiferi sia uccelli. Infatti qualche danno 6 gia stato inferto all'uomo della Val Senales, nel breve tempo che pub aver preceduto it suo ritrovamento, da un imprecisato tipo di predatore. E pia facile pensare che, per questo corpo inglobato nel ghiaccio dal momento della morte o subito dopo, si sia verificata una fermentazione prevalentemente anaerobica, del tipo che normalmente porta alla carbonificazione, fortemente rallentata dalla bassa temperatura. Il cadavere si trove-

Fig. 2.53 — L'uomo fossile eneolitico della Val Senales non costituisce un esempio di mummificazione come it suo aspetto potrebbe far pensare ma piuttosto un esempio di carbonificazione allo stadio iniziale che in seguito a contrazione volumetrica e imbrunimento, gli conferisce l'aspetto di mummia (foto Hinterleiner, Agenzia Gamma).

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rebbe quindi attualmente in uno stadio assolutamente iniziale di carbonificazione che per ora avrebbe prodotto solo una contrazione volumetrica delle parti molli, favorita anche dallo schiacciamento dovuto al peso del ghiaccio che lo ricopriva, e un imbrunimento del colore, fornendogli l'aspetto di mummia. PERMINERALIZZAZIONE Non sempre la diagenesi spinta della materia organica porta all'obliterazione totale delle cellule animali o vegetali. Quando i resti organici sono sepolti in fanghi di origine minerale possono verificarsi condizioni in cui acque interstiziali mineralizzate impregnano i tessuti e depositano, all'interno delle cellule organiche, i sali contenuti in forma amorfa o cristallina. Se questa precipitazione di minerali avviene durante le prime fasi dei processi di fermentazione anaerobica, prima che si verifichi lo schiacciamento parziale o totale dei lumina cellulari, le strutture organiche cosi mineralizzate non si deformeranno piu neppure sotto i carichi imposti dalle fasi piii avanzate della diagenesi. Questo processo 6 definito permineralizzazione o permeazione cellulare e ha permesso la formazione di fossili nei quali a conservata anche la struttura cellulare degli organismi. La permeazione cellulare a molto simile a quei processi di inglobamento artificiale che si usano in istologia per sezionare i tessuti. La sola differenza a che it mezzo inglobante a costituito da sostanza minerale amorfa o criptocristallina invece che da paraffina, silicone, resine, ecc. Questo processo, noto anche come pietrificazione, a stato per molti anni erroneamente interpretato ritenendo che fosse dovuto ad una « misteriosa» sostituzione di molecole di sostanza organica o inorganica con altre molecole di sostanza inorganica (C.A. White, 1893). Numerose argomentazioni negano la validita di tale interpretazione: (a) he molecole inorganiche sono in genere molto piu piccole di quelle organiche e la loro geometria 6 completamente diversa (b) 6 stechiometricamente impossibile che si abbia, ad esempio, «sostituzione o di calcite o aragonite con silice. Alla permeazione cellulare possono prendere parte diversi tipi di sostanze minerali

Concrezione nodulare

Organismo permineralizzato

Impronta esterna

Fig. 2.54 — Concrezione nodulare con pesce fossile al nucleo (da Ziegler, 1983 con modifiche).

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presenti nei fluidi circolanti, come carbonato di calcio, silice, francolite (variety di fluoroapatite), siderite, solfuri di ferro, ecc. cl) Carbonati (Concrezioni calcaree fossilifere)

Nelle argille marnose a basso contenuto in carbonato sono frequenti concrezioni composte prevalentemente da calcite, ma anche da siderite, the racchiudono fossili all'interno (fig. 2.54). Si tratta di corpi di forma arrotondata: sferoidali, discoidali, ellissoidali, talvolta molto allungati, di dimensioni per lo piu dell'ordine dei centimetre o dei decimetri. Eccezionalmente possono arrivare anche ad alcuni metri di lunghezza

Fig. 2.55 — La conservazione tridimensionale di fossili animali (a) e vegetali (b) all'intemo di concrezioni avviene per l'azione combinata di diversi processi tra i quali predomina la permineralizzazione. a, pesce osseo (Australosomus merlei), Trias sup. del Madagascar; b, Neuropteris gigantea, Carbonifero sup. (Westfaliano D) di Mazon Creek (Illinois, U.S.A.), (foto L. Spezia, Museo di Storia Naturale di Milano).

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come certe concrezioni nodulari del Brasile lunghe circa 10 m che racchiudono all'interno esemplari completi di plesiosauri. I fossili contenuti nelle concrezioni non sono mai schiacciati e quindi si pub presumere che essi siano un prodotto della diagenesi allo stadio iniziale. Considerando poi che le concrezioni contengono sempre dei resti di organismi, risulta plausibile che questi resti abbiano un ruolo importante nella loro genesi (Lippmann, 1955; Berner, 1968). Allo stato attuale delle conoscenze la spiegazione piit accreditata la seguente. La decomposizione delle proteine e delle ammine libera ammoniaca che origina un ambiente fortemente alcalino attorno all'animale gia sepolto nel sedimento. Poiche la solubility dei carbonati decresce con l'aumentare del pH, le acque interstiziali, sature di CaCO3, tendono a depositare it carbonato entro i tessuti del resto organico in via di decomposizione e negli interstizi del sedimento inglobante. La precipitazione della calcite riduce localmente la concentrazione di carbonato dando luogo ad un gradiente che attira costantemente nuovi ioni Ca2± verso it fossile. Questo processo continua fino a quando finisce la produzione di ammoniaca o si esaurisce la disponibilita di carbonati. Poiche l'ambiente attorno al fossile e tendenzialmente riducente, pub cristallizzare anche la siderite. Studi geochimici (Hodgson, 1966; Fritz et al., 1971) hanno mostrato che lo ione CCV.-contenuto nelle concrezioni proviene da alterazione batterica di materia organica e si pub quindi pensare che derivi dall'organismo stesso. Esempi famosi di concrezioni sono le coal balls del Carbonifero dell'Europa e del Nord America (Scott & Rex, 1985). Il nome non deve trarre in inganno, it termine «coal» indica solo che sono associate a giacimenti di carbone, ma le concrezioni sono carbonatiche e sono contenute nelle argilliti e siltiti alternate a livelli di carbone. In queste concrezioni sono conservati in modo perfetto e con la loro tridimensionality resti di organismi che presentano caratteri superficiali ottimamente conservati e finissime strutture microscopiche. La variety di organismi che possono essere conservati nelle concrezioni a molto grande; ogni tipo di animale o vegetale, che per it suo modo di vita ha la possibility di venir sepolto in un sedimento fangoso, pub essere incluso in queste concrezioni. Uno dei migliori esempi di fossilizzazione in queste strutture e dato dalle concrezioni ferrifere della regione di «Mazon Creek» del Carbonifero superiore dell'Illinois (U.S.A.). All'interno di questi noduli di carbonato di Fe (siderite), sono stati con

Fig. 2.56 — L'organismo vermiforme lungo 8 cm chiamato Tullimonstrum a stato trovato nelle concrezioni fossilifere di Mazon Creek (Carbonifero sup. dell'Illinois). Appartiene ad un phylum estinto completamente sconosciuto attualmente (da Richardson, 1966; Johnson & Richardson, 1969).

Processi di fossilizzazione

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servati in modo eccellente vegetali (fig. 2.55b) e una gran variety di invertebrati tra i quali it famoso Tullimonstrum, uno strano animale vermiforme a corpo molle lungo 8 cm prowisto di una lunga proboscide che si pensa appartenesse ad un phylum sconosciuto ora completamente estinto (fig. 2.56). Molto note sono anche le concrezioni calcaree che hanno conservato i famosi pesci della «Santana Formation» di eta cretacea del Brasile Nordorientale, venduti in tutto it mondo ai collezionisti di fossili, o quelle, sempre a pesci, del Cretacico del Madagascar (fig. 2.55a). Nella Santana Formation sono stati trovati persino resti di ali di pterosauri, tra le meglio conservate al mondo, oltre a coccodrilli, tartarughe e insetti (Campos et al., 1984). I pesci della Santana Fm. del Brasile furono mineralizzati in modo piuttosto cornplesso. Martill (1988) ha mostrato che le fibre muscolari furono permineralizzate da francolite (carbonatofluoroapatite); questo minerale, gia poche ore dopo la discesa dei cadaveri sul fondo, permeo le fibre muscolari col procedere dell'alterazione batterica. Il fosfato necessario a questo processo era contenuto sia nell'acqua di mare sia nelle acque interstiziali dei sedimenti e cristallizzo in ambiente acido dovuto alla abbondanza della CO2formatasi in seguito alla decomposizione della materia organica presente sul substrato. Successivamente, col primo seppellimento dei cadaveri, l'ammoniaca prodotta dalle fermentazioni anaerobiche delle proteine alze it pH bloccando la precipitazione dei fosfati e favorendo quella dei carbonati con la formazione dei noduli attorno ai pesci. I piu antichi resti di tessuti muscolari permineralizzati all'interno di concrezioni, sono stati rinvenuti in alcuni pesci del Devoniano (Dean, 1902). c2) Silice (Silicizzazione) La permineralizzazione con silice, pur non essendo la pia frequente, 6 tuttavia la piu spettacolare. Il processo di silicizzazione dei legni si verifica in modo completo soltanto entro depositi piroclastici, probabilmente, oltre che per l'elevato contenuto in silice delle acque interstiziali, anche per l'elevata permeability propria di questi depositi che facilita la circolazione delle acque mineralizzanti e la rapida eliminazione dei prodotti di demolizione della materia organica labile. Le sostanze acide che si generano nella decomposizione dei legni provocano un abbassamento del pH e quindi causano la deposizione di gel siliceo dalle soluzioni sature di silice (Leo & Barghorn, 1976). La silice viene cosi a rivestire lentamente i canali legnosi fino al loro completo riempimento. Nel corso della diagenesi l'opale viene trasformato in quarzo microcristallino (§ 2.6.2d); si passa cosi da legni impregnati di gel di silice ai cosidetti «legni silicizzati» (fig. 2.48c,d). La trasformazione dall'opale (forma amorfa della silice) nelle diverse forme cristalline del quarzo, altera i particolari piu fini delle cellule ma permette la conservazione della morfologia generale dei tessuti vegetali, anche in campioni paleozoici. E dunque possibile studiare al microscopio la loro struttura allo stesso modo di come si fa per le piante attuali (fig. 2.57). Le foreste pietrificate dell'Arizona e di Yellowstone negli Stati Uniti, rispettivamente del periodo triassico e dell'epoca eocenica, costituiscono gli esempi pia spettacolari di questo tipo di fossilizzazione. Nel Parco Nazionale di Yellowstone, sui pendii del monte Big Horn, la permeazione cellulare ad opera della silice ha permesso la conservazione di una sequenza di 30 «foreste», ognuna delle quali a stata distrutta da altrettante eruzioni vulcaniche awenute in quella regione circa 50 milioni di anni fa. Anche nel Miocene della Sardegna centrale esiste un affioramento a tronchi silicizzati (fig. 2.58c,d) (Foresta fossile di Zuri) purtroppo

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Tafonomia

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> e stata operata una prima distinzione (Seilacher, 1970) fra i depositi di concentrazione e quelli di conservazione mentre ulteriori suddivisioni all'interno di queste due categorie sono state introdotte successivamente (Seilacher et al., 1985). I depositi di concentrazione si verificano dove i fossili che sarebbero di per se sparsi qua e la nei sedimenti, vengono accumulati in gran numero da fattori fisici come azione di correnti o moto ondoso. Rientrano in questa categoria, che e stata ulteriormente suddivisa in depositi di condensazione, placers e trappole di concentrazione, le cosidette coquinas a gasteropodi, bivalvi, ammoniti, i bone beds (concentrazioni di resti di vertebrati) e i depositi di fessura. Tali depositi sono importanti per la quantita e la diversity dei reperti piu che per la quality della conservazione o la loro rarity. Sono quindi meno spettacolari rispetto ai depositi di conservazione. I depositi di conservazione sono caratterizzati da uno stato di conservazione ottimale non necessariamente legato alla quantita degli esemplari presenti nel giacimento. Alcuni dei pia famosi depositi di conservazione, come Solnhofen, sono infatti piuttosto «poverio in senso paleontologico e «sbilanciatio in senso ecologico (§ 6). L'eccezionalita della conservazione dipende dall'assenza di processi biostratinomici distruttivi e dalla rapidity della mineralizzazione rispetto alla putrefazione (fig. 2.46) (Allison, 1988a; 1990). Tra gli esempi pia classici si possono ricordare le pia famose locality fossilifere di tutto it mondo tra le quali Chengjiang (Cambriano inferiore della Cina), Burgess (Cambriano medio-superiore della British Columbia-Canada), Mazon Creek (Carbonifero medio dell'Illinois-U.S.A.), Cene (Triassico superiore della Lombardia), Osteno (Giurassico inferiore della Lombardia), Holzmaden (Giurassico inferiore della Germania), Solnhofen (Giurassico superiore della Germania), Bolca (Eocene inferiore del Veneto), Grube Messel (Eocene medio della Germania), ecc. I depositi di conservazione possono essere ulteriormente suddivisi in: 1) depositi di stagnazione; 2) depositi di soffocamento; 3) trappole di conservazione. I depositi di stagnazione si formano netle parti pia profonde di bacini lacustri o

marini a circolazione limitata ove grandi volumi di acqua risultano poverissimi o del tutto privi di ossigeno. In questi ambienti l'energia meccanica a assente e la sedimentazione 6 di conseguenza molto fine. In tale situazione i fossil sono rappresentati quasi esclusivamente da organismi planctonici e nectonici che vivono al di sopra della zona anaerobica (fig. 6.23c). In qualcuno di questi depositi sono relativamente frequenti gli insetti (fig. 2.65) ed e stato rinvenuto anche qualche raro esemplare di uccello. La presenza saltuaria di organismi bentonici e imputabile a rani episodi di colonizzazione come conseguenza del ristabilirsi di condizioni di sufficiente ossigenazione. Questa peculiare situazione ambientale caratterizzata da sedimenti molto fini, dalla mancanza di ossigeno e dalla conseguente assenza di necrofagi, consente la conservazione delle strutture pia delicate. Tipici depositi di stagnazione sono ad esempio quelli di Holzmaden, Solnhofen e Bolca (figg. 2.9; 2.65; 2.66). I depositi di soffocamento si formano in seguito alla sedimentazione repentina di notevoli spessori di sedimenti (torbiditi, tempestiti) che portano ad un seppellimento «istantaneo» degli organismi o dei loro resti. Tale fenomeno che implica it soffocamento degli organismi bentonici nei sedimenti fangosi, costituisce una premessa fa-

108 Tafonomia

vorevole per una Toro conservazione ottimale. Tra i depositi di soffocamento ricordiamo quello cambriano di Burgess (Canada) (fig. 5.37) prodotto da una successione di frane sottomarine, quello eodevoniano di Hunsrtick (Germania) (fig. 2.62) e quello eogiurassico di Gmud (Germania) caratterizzato da una successione di tempestiti. Le trappole di conservazione costituiscono depositi meno frequenti dei precedenti e sono riconducibili a vere e proprie trappole naturali dove gli organismi vengono imprigionati, rapidamente sepolti e conservati in modo ottimale grazie alla mancanza

Fig. 2.66 - Nel Veneto, poco lontano dal villaggio di Bolca nei Monti Lessini esiste uno dei pia famosi «Fossil-Lagerstatten» italiani la cui eta e riferibile all'Eocene inferiore. In questa localita si sono conservati in modo perfetto pesci (a-c) ma anche meduse, vermi, insetti e crostacei. a, Eoplatax papilio (lunghezza cm 39,5); b, Mene rhombea (lunghezza cm 17,5); c, Paranguilla tigrina (lunghezza cm 38) (per gentile concessione del Prof. L. Sorbini, Museo di Storia Naturale di Verona).

Processi di fossilizzazione

109

di ossigeno, di fluidi in movimento, ecc. Tipiche trappole di conservazione sono i laghetti formati da affioramento di petrolio greggio (es. Rancho La Brea, fig. 2.40), le resine secrete dagli alberi (es. ambre del Baltico, fig. 2.41), le sabbie mobili e, talvolta, anche stagni e paludi (es. Grube Messel) (§ 2.5).

2.6.3



Deformazioni dei fossili

I fossili sono spesso deformati durante la fase di compattazione dei sedimenti che tende a schiacciare i corpi parallelamente ai piani di stratificazione e a spezzare i gusci piii deboli disarticolandone poi i singoli frammenti entro la fanghiglia in assestamento. Anche se 6 evidente che le deformazioni maggiori si verificano alle maggiori profondita di seppellimento (= compattazione max), la natura e it grado delle deformazioni dipendono anche da altri fattori tra i quali la velocity di seppellimento rispetto alla litificazione, la forma e la struttura dei fossili ed it grado di riduzione del volume del sedimento. Questo fattore, che dipende dalla porosity, e quindi fortemente condizionato dalla grana del sedimento in quanto pia la porosity e bassa, minore sara la deformazione risultante soprattutto per l'azione di sostegno esercitata dai grani piu grossi. Anche lo spessore del materiale scheletrico e la forma del resto possono avere una certa influenza nella deformazione risultante. E questo it caso, ad esempio, di certe ossa lunghe dei vertebrati come i femori che hanno un comportamento diverso nelle teste (molto porose) rispetto alle diafisi. Tra i restanti fattori che di fatto condizionano la deformazione finale del fossile, particolarmente importante la velocity di seppellimento che potra determinare it corn4-

4-

Fig. 2.67 — I fossili possono essere soggetti a diversi tipi di deformazioni in seguito alla pressione di carico. A,A' deformazione plastica in un brachiopode; B,B' deformazione fragile in un echinide irregolare; C,C' deformazione selettiva in una ammonite dove ii fragmocono riempito da sali minerali di deposizione secondaria non e soggetto a nessuna deformazione mentre la camera di abitazione riempita di sedimento comprimibile subisce una deformazione fragile.

110 Tafonomia

portamento fragile o plastico del resto fossile durante la sua deformazione. Infatti qualunque tipo di guscio o di osso avra buone probability di deformarsi in modo plastico o apparentemente plastico se it processo sara lento. Nel caso di variazioni rapide subira evidentemente fratture. Inoltre dalla velocity di seppellimento dipende it tempo di seppellimento: pia i tempi sono lunghi pia e probabile che si possa avere un completo riempimento delle cavity da parte di minerali secondari che ne impediranno definitivamente la deformazione. Tenendo conto anche del grado di flessibilita delle strutture mineralizzate, si potranno avere pia frequentemente delle deformazioni essenzialmente fragili oppure plastiche (fig. 2.67a,b). Le prime avvengono con rottura dei fossili che si presentano schiacciati, fratturati o microfagliati. L'esistenza di deformazioni di questo tipo e facilmente individuabile e permette generalmente una ricostruzione dell'aspetto originario degli esemplari. Le seconde, che avvengono senza evidenti fenomeni di rottura, si verificano per lo pia nei sedimenti tendenzialmente pelitici. Le deformazioni plastiche sono state osservate comunemente in alcuni bivalvi o in altri molluschi con conchiglia sottile come le ammoniti, ma non mancano neppure in organismi a scheletro robusto, e generalmente fragile, come gli echinidi Le deformazioni plastiche hanno portato talora alla «moltiplicazione» delle specie e delle variety, come si e verificato per i bivalvi di una formazione molassica del Miocene della Svizzera. Tenendo conto dei fenomeni di deformazione, Fanck (1930) fu in grado di ridurre a 62 le 426 specie precedentemente descritte. Solo se it numero degli esemplari e sufficientemente elevato, applicando quindi metodi statistici, o se sono riconosciuti esemplari sicuramente non deformati, e possibile evitare gravi errori tassonomici. A volte lo stesso individuo (es ammoniti) pub presentare una deformazione selettiva in quanto solo la parte meno resistente della conchiglia (camera di abitazione) viene fratturata (fig. 2.67c) mentre l'altra (fragmocono) si conserva indeformata. Oltre alla compattazione, anche le azioni tettoniche o eventi metamorfici possono essere causa di deformazioni, frantumazioni e stiramenti. Graptoliti e trilobiti (fig. 2.68) sono stati rinvenuti spesso deformati per l'azione di stress tettonici. Molte volte gli effetti della compattazione si sommano a quelli del tettonismo e non 6 facile

Fig. 2.68 — Trilobite deformato per azione di stress tettonici. Lunghezza dell'esemplare cm 14 (foto Istituto di Paleontologia, Modena).

Processi di fossilizzazione 111

Fig. 2.69 — Diagramma schematico della deformazione laterale e verticale subita da un sistema di tane

prodotte da organismi fossatori appartenenti probabilmente ai fodinichnia in sedimenti arenacei del Cretaceo superiore dei Monti della Harz (Germania). La compressione laterale e stata di circa i120% mentre quella verticale, dovuta alla compattazione ed alla diagenesi, a stata prossima al 10%. Il volume totale del sedimento si a quindi ridotto, in seguito a questi processi, del 28% (da Plessmann, 1966).

riconoscere in quale percentuale abbiano agito i due processi. L'esempio piiz classico di valutazione del grado di incidenza dei due processi di deformazione rimane ancora it lavoro di Plessman (1966) sull'analisi delle deformazioni degli icnofossili (Cap. 7) prodotti da organismi fossatori in sedimenti flyschioidi del Cretacico superiore della Liguria occidentale e della Harz (Germania). In quest'ultima area l'autore valutO al 10% l'effetto deformante dovuto alla compattazione e circa al 20% quello imputabile alla compressione laterale, stimando inoltre al 28% la riduzione totale del volume del sedimento (fig. 2.69).

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3. LA SCIENZA DELLA CLASSIFICAZIONE

3.1 - INTRODUZIONE Classificare significa letteralmente definire dei gruppi di oggetti, di organismi, idee, ecc. sulla base di caratteri comuni ed esclusivi. La classificazione a dunque un'operazione mentale, antica quanto it pensiero, che ha lo scopo di ordinare «gli oggetti» considerati in modo gerarchico: gruppi pin ampi caratterizzati da attributi pin generali comprendono gruppi progressivamente pin piccoli definiti da caratteri pin restrittivi. Tale operazione consente di definire in modo chiaro tali «oggetti» e di riconoscerne le relazioni. Le prime teorizzazioni sulla classificazione risalgono a Socrate che affronto it problema di classificare le azioni umane; Platone ed Aristotele, riprendendo le idee socratiche, introdussero in letteratura i termini di genere e di specie che divennero, soprattutto da Linneo in poi, i capisaldi della classificazione degli organismi. Aristotele fu it primo scienziato a riconoscere che gli animali sono caratterizzati dalle loro parti anatomiche, dal loro ambiente di vita e dal loro comportamento; egli mise a punto una prima classificazione che rimase praticamente invariata fino al '500. Questa classificazione, per quanto costituisse un progresso enorme nel tempo in cui era stata concepita, era tuttavia inadeguata a rappresentare la diversity del mondo animale. In pratica, fino a Linneo e a qualche suo precursore come Andrea Cesalpino (1519-1603) e John Ray (1627-1705), non emerse nella letteratura l'esigenza di una classificazione ordinata degli animali e delle piante. Tale necessity si pose in modo inderogabile con l'inizio delle grandi esplorazioni e con it rinnovarsi dell'interesse naturalistico che port° alla scoperta di un numero elevatissimo di specie nuove (§ 1.2.4). Nel mondo attuale sono state distinte pin di un milione di specie animali e almeno mezzo milione di specie vegetali e si ritiene che esista un numero enorme di specie non ancora descritte, almeno pari a quello delle specie gia riconosciute, soprattutto nell'ambito degli organismi di piccole dimensioni, come ad esempio gli insetti. Sono state inoltre descritte circa 700.000 specie fossili, ma tale numero appare ancora inadeguato a rappresentare la diversity delle faune e delle flore che si sono succedute nel tempo geologico. Lo studio di questa elevatissima diversity non put) che essere affrontato tramite un rigoroso sistema di classificazione. E implicit° che nell'attuale visione evolutiva della biosfera i fossili, in quanta ex vivi e unici documenti del fenomeno evolutivo, devono necessariamente essere cornpresi, per quanto possibile, nello stesso sistema di classificazione dei viventi. Lo scopo della classificazione non 6 quello di mettere a punto un metodo pratico e artificiale di incasellamento degli organismi, come ritennero gran parte dei naturalisti pre-linneani; l'obiettivo dei sistemi di classificazione, da Linneo in poi 6 quello di riconoscere l'ordine naturale della diversity dei viventi. Come vedremo, it nocciolo del problema consiste nella scelta, tra i tanti, dei caratteri da utilizzare. Nel Systema naturae di Linneo (1758) la classificazione rappresentava un tentativo dichiarato di ricostruire l'ordine naturale della Creazione e quindi it pensiero di Dio.

114 La scienza della classificazione

Per ricostruire tale ordine, Linneo utilizzava quei caratteri che a suo parere (ed era un giudizio quanto mai illuminato) sembravano esprimere l'essenza di un organismo. Linneo era quindi un esponente di quella corrente di pensiero, definita come essenzialista (e che risaliva a Platone e ad Aristotele), che interpretava la diversita del mondo organico tramite un numero ben definito di tipi. Pertanto, tutti gli organismi riuniti in un gruppo riflettevano la stessa essenza e si postulava l'esistenza di vere e proprie lacune tra i van gruppi, trascurando completamente l'esistenza di organismi che si discostavano dai tipi e, quindi, it fenomeno della variability. Indipendentemente da ogni altra considerazione, 6 evidente che la scelta dei caratteri che dovevano definire l'essenza non era oggettiva e non esisteva un filo conduttore per la loro scelta. Da Darwin in poi, cio6 da quando si comprese che la diversity degli organismi era la diretta conseguenza delle differenziazioni evolutive, la filosofia della classificazione mute radicalmente. Apparve infatti evidente che la classificazione doveva riflettere l'ordine e le relazioni tra i vari gruppi di organismi ed i loro antenati. La chiave per ricostruire l'ordine naturale non poteva che basarsi sui caratteri ereditari. Questa visione completamente nuova della biosfera fece convergere l'attenzione dei naturalisti anche sulle cause della diversificazione evolutiva. Da semplice casellario statico, la classificazione divenne una vera e propria scienza olistica che veniva a trattare tutti gli aspetti della diversity degli organismi (dall'etologia alla citologia) e be cause che la determinano.

3.2 - SISTEMATICA, TASSONOMIA, CLASSIFICAZIONE E NOMENCLATURA: DEFINIZIONI La sistematica e la scienza che si occupa della diversity degli organismi e delle relazioni che esistono tra di loro. Essa tiene conto di tutte le scienze biologiche comparate (dall'anatomia alla ecologia, dalla citologia alla etologia, ecc.), mette a fuoco e analizza le propriety esclusive dei taxa e interpreta le cause biologiche che hanno determinato le differenze e le affinity. La sistematica, dunque, analizza e definisce i sistemi viventi. La tassonomia costituisce una Branca della sistematica e pub venire definita come ola teoria e la pratica della classificazione degli organismi» (Simpson, 1961). Nell'ambito delle conoscenza sistematiche, quindi, la tassonomia definisce i metodi per ottenere una classificazione che rifletta quanto pia possibile l'ordine naturale. La classificazione si pub definire come l'ordinamento degli organismi in gruppi (taxa) sulla base delle loro relazioni (Simpson, 1961), nel rispetto di una certa teoria, e pub venire considerata come it prodotto finale della tassonomia. La nomenclatura stabilisce be regole con cui assegnare it nome a ciascuno dei gruppi tassonomici che sono stati riconosciuti. L'«identificazione » (termine spesso usato erroneamente nel linguaggio comune come sinonimo di classificazione) consiste invece nell'inserire un certo numero di individui, mediante un procedimento deduttivo, in classi gia precostituite (classificazione).

3.3 - GERARCHIA DELLE CATEGORIE TASSONOMICHE L'introduzione della nomenclatura binomia e del sistema di classificazione di Linneo (1758) ha costituito una pietra miliare negli studi biologici. Da Linneo in poi, i

Gerarchia delle categorie tassonomiche 115

FUNGI

ANIMAL IA

Funghi, licheni e forme affini

UNICELLULARI

PROCARIOTI

EUCARIOTI

PLURICELLULARI

PLANTAE

Organismi unicellulari con nucleo MONERA

cx:3

Batteri, alghe azzurre e forme affini

Fig. 3.1— Seguendo it sistema del biologo R.H. Whittaker (1969), tutti gli organismi viventi possono essere Flassificati in 5 regni: i monera (batters ed alghe azzurre), esseri unicellulari procarioti (I 53.2); i protisti

(foraminifers, radiolari, ecc.), organismi unicellulari eucarioti; i funghi, organismi pluricellulari saprofiti; le piante, organismi pluricellulari fotosintetici; gli animals organismi pluncellulari eterotrofi. A questi cinque stato aggiunto recentemente it regno degli Archeobatteri o batteri che producono it metano (§ 5.4b). Gil esseri viventi vengono dunque distinti in tre livelli di organizzazione strutturale: procarioti unicellulari, eucarioti unicellulari ed eucarioti pluricellulari. Nell'ambito degli esseri pluricellulari l'ulteriore distinzione in funghi, animali e piante a fondata sul modo di nutrizione. Questo sistema di classificazione in tre gradi secondo un ordine crescente di complessita e la suddivisione del grado di maggiore complessita in tre gruppi trofici permette una vision unificante di tutto it mondo vivente. Come vedremo (I 3.9) questo tipo di classificazione, che si basa su gradi di organizzazione degli esseri viventi, a anomalo rispetto a quella ,

«normale›> che si basa sulle ramificazioni dell'albero dell'evoluzione.

differenti livelli di affinita tra le piante e gli animali, sia viventi sia fossili, sono stati espressi attraverso un sistema gerarchico di categorie. Alla base della classificazione degli organismi si pone la specie che viene indicata con due nomi, di cui it primo indica it genere ed it secondo a peculiare della specie e viene definito come nome specifico. La specie, dunque, va sempre indicata con due nomi; quindi scriveremo sempre Panthera leo, Panthera tigris, Felis catus, Canis lupus, Canis aureus. evidente che le due specie P. leo e P. tigris appartengono allo stesso genere Panthera cosi come C. lupus e C. aureus appartengono at genere Canis. A loro volta tutti i generi affini vengono raggruppati in una unica famiglial (ad esem1Linneo riuniva i generi negli ordini, gli ordini nelle classi e le classi nei due regni Plantae e Animalia. Le categorie famiglia e phylum, introdotte nei tempi immediatamente posteriori a Darwin [Ernst Haeckel (1834-1919)], corrispondevano alle nuove esigenze della classificazione che doveva riflettere it fenomeno evolutivo. Si noti the Il termine phylum significa linea di discendenza.

116 La scienza della classificazione

REGNO

ANIMAL!

PHYLUM

CORDATI

CLASSE

MAMMIFERI

ORDINE

ARTIODATTILI

FAMIGLIA

GENERE

is CAMELIDI

Camelus

SPECIE

Camelus dromedarius

Fig. 3.2 — La gerarchia delle categorie tassonomiche: dal regno alla specie. La figura illustra la classificazione di una delle due specie viventi del genere Camelus, C. dromedarius diffuso dal Marocco all'India. L'altra specie, C. bactrianus, it cammello a due gobbe, ha it suo areale nell'Asia centrale (si veda anche la fig. 9.48).

pio i generi Panthera e Fells nella famiglia Felidae), le famiglie si raggruppano negli ordini, gli ordini in classi, le classi in phyla (Divisioni nelle piante) ed i phyla, infine, nei Regni (figg. 3.1 e 3.2). Oltre a queste 7 categorie, the sono obbligatorie secondo le convenzioni internazionali, si possono utilizzare, se ritenuto utile, anche categorie intermedie come ad esempio le sottoclassi, le superfamiglie, ecc. Le singole entita riconosciute (a livello di specie, genere, ecc.) vengono indicate collettivamente con it termine di gruppi tassonomici o di taxa (taxon al singolare).

La nomenclatura 117

La specie 6 l'unita fondamentale della classificazione biologica e, come vedremo, 6 il taxon che presenta i maggiori requisiti di oggettivita. I taxa di rango superiore alla specie sono, per definizione, convenzionali in quanto sono arbitrari e soggettivi i criteri con cui i sistematici decidono di raggruppare pin specie in un taxon anziche in un altro. La scelta dei sistematici, come vedremo, dipende dalla loro peculiare filosofia tassonomica, dal diverso valore che viene attribuito ai diversi caratteri e dalla carenza di dati, soprattutto in paleontologia (§ 3.10).

3.4 - LA NOMENCLATURA «La nomenclatura zoologica a il sistema di nomi scientifici applicati alle unity tassonomiche degli animali (taxa) conosciuti in natura viventi o estinti» (ICZN = International Code of Zoological Nomenclature, Art. 1, ed. 1964). Se si considera l'elevatissima diversity tassonomica del mondo animale e vegetale, si pub facilmente comprendere come sia essenziale attribuire a ciascun taxon un nome preciso e inequivocabile, universale e stabile nel tempo. Unicita, universality e stability sono i requisiti essenziali della nomenclatura zoologica e botanica, inclusa quella paleontologica, come del resto di qualsiasi altro sistema di comunicazione. Il nome attribuito ad un taxon costituisce la parola chiave che codifica tutte le conoscenze sul taxon e permette di risalire a tutti i dati della letteratura. quindi assolutamente necessario che ad ogni taxon corrisponda un nome unico e inequivocabile, come ad ogni «file » registrato nel disco di un computer corrisponde un unico codice di richiamo. Il concetto di unicita implica ovviamente quello di universality. necessario, cioe, che i singoli taxa vengano indicati con lo stesso nome da tutti gli studiosi di sistematica della Terra, utilizzando in particolare la stessa lingua (la lingua latina) ed evitando di ricorrere alle lingue delle singole nazioni. Cosi, ad esempio, it «passer° » degli italiani, it «gorrion» degli spagnoli, to «sparrow» degli inglesi e l'«Haussperling» dei tedeschi nella nomenclatura zoologica assume il nome Passer domesticus. Un sistema di nomenclatura, per favorire veramente la comunicazione scientifica, deve infine essere quanto pill possibile stabile nel tempo; vale a dire che il cambiamento dei nomi pub sempre dare adito a confusioni e, quando 6 possibile, deve essere evitato. Per ottenere una nomenclatura unica, stabile e universale occorre evidentemente stabilire una procedura codificata da regole chiare e precise. Le regole della nomenclatura zoologica e botanica sono illustrate nei rispettivi codici. 3.4.1 — Alcune regole fondamentali di nomenclatura

a) NOMENCLATURA BINOMIA DELLA SPECIE Come abbiamo gia visto (§ 3.3), la specie viene sempre designata con due nomi (uno generico e l'altro specifico) a cui di norma si fa seguire it nome del suo autore. Tra parentesi, e collocato tra it nome generico e quello specifico, si pub inoltre porre la designazione sottogenerica. Scriveremo cosi, ad esempio, Pecten (Flabellipecten) nigromagnus Sacco; seguendo it codice zoologico, it nome dell'autore viene posto tra parentesi quando l'autore ha collocato la specie da lui descritta in un genere che oggi, con it procedere degli studi, ha acquisito un altro significato tassonomico. Ad esempio, Brocchi nel 1814 istitui la specie Ostrea flabelliformis ma, gia prima della fine del

118 La scienza della classificazione

secolo, si riconobbe che la specie andava collocata nel genere Pecten ed in particolare nel sottogenere Flabellipecten; pertanto oggi si scrivera Pecten (Flabellipecten) flabelliformis (Brocchi). Quando si vuol indicare oltre alla specie anche la sottospecie, si fa seguire al nome specifico it nome subspecifico; ad esempio Pecten (Flabellipecten) flabelliformis alessii (Philippi) oppure Pecten (Flabellipecten) flabelliformis (Brocchi) f. alessii (Philippi) dove f. e l'abbreviazione di «forma»; in letteratura la differenza tra le due scritture non 6 chiaramente codificata ma 6, tuttavia, evidente che la prima sottolinea una differenziazione piu marcata rispetto alle altre popolazioni della specie. b) SINONIMIA Quando ad una stessa specie o ad uno stesso genere sono stati attribuiti nomi diversi, cioe la specie oil genere sono stati indicati con sinonimi, si applica la legge della priorita e viene ritenuto valido it nome che e stato pubblicato per primo (Finestra 3.1). In paleontologia, l'espressione «fare la sinonimia» significa ricostruire la storia della nomenclatura di una specie o di un genere dalla loro istituzione fino ad oggi, elencandone tutti i sinonimi I sinonimi riconosciuti di una certa specie, per evitare confusioni, non potranno piu essere usati per denominare un'altra specie all'interno dello stesso genere. I sinonimi di nomi generici validi possono essere utilizzati solo nell'ambito di regni diversi. La legge della priorita (applicabile dal 1758 per la zoologia e la paleozoologia e dal 1820 per la paleobotanica), che non presenta eccezioni in botanica, ha invece una precisa deroga in zoologia (e paleozoologia): quando un nome, anche se e it primo ad essere stato pubblicato, non 6 stato usato da piu di 50 anni, viene collocato dalla Commissione Zoologica Internazionale in un elenco ufficiale di nomi da non usare piu (nomina oblita). C) OMONIMIA

Quando a due o pit taxa dello stesso livello gerarchico viene attribuito lo stesso nome da autori diversi, questi taxa risultano omonimi; anche in questo caso si applica la legge della priorita che codifica la validita del nome pubblicato per primo; gli omonimi piu recenti dovranno essere sostituiti con nomi nuovi (Finestra 3.1). Dunque, nell'ambito di un genere, un nome specifico pub essere utilizzato solo una volta; un nome generico pub essere utilizzato solo una volta nell'ambito di un regno.

FINESTRA 3.1 — ALCUNI CASI DI SINONIMIA E DI OMONIMIA Nel 1814 Brocchi, nella sua Conchiologia Fossile Subappenina, denomino Dentalium una specie che era gia stata descritta nel 1767 da Linneo come Dentalium corneum. Successivamente si appurO che questa specie non apparteneva al genere Dentalium (che fa parte del phylum Mollusca) ma al genere Ditrupa (che fa parte del phylum Annelida). La denominazione corretta per questa specie 6 quindi Ditrupa cornea (Linneo) e, per la regola di priorita, Ditrupa coarctata e un suo sinonimo piu recente.

La nomenclatura 119

Sempre Brocchi nel 1814 descrisse come Ostrea discors una specie gia introdotta in letteratura da Lamarck come Pecten inaequicostalis. Anche in questo caso, tenendo conto della corretta collocazione generica, la specie deve essere citata come Chlamys inaequicostalis (Lamarck). Ostrea discors Brocchi e quindi un suo sinonimo. Nel 1820 Borson descrisse come Conus parvus una specie della famiglia Conidae (molluschi) del Miocene dei Colli Torinesi. Nel 1843 un altro autore, Lea, utilizza lo stesso nome per indicare una diversa specie di Conidae; ne risultava un chiaro caso di omonimia: due specie diverse indicate con lo stesso nome; applicando la regola di priority fu percib necessario reperire un altro nome specifico per la specie descritta da Lea. Casi di omonimia si possono riscontrare anche tra nomi generici. Ad esempio Linneo denomino con it nome Noctua un genere di insetto e alcuni anni piu tardi (1771) Gmelin utilizzo to stesso nome per un genere di uccello. Noctua Gemlin non poteva quindi che essere considerato omonimo di Noctua Linneo. d) ORIGINE DEI NOMI SPECIFICI E DESINENZE DEI TAXA L'origine dei nomi specifici e molto varia e non 6 controllata da particolari regole. Il nome specifico pub derivare da un aggettivo che indica una propriety morfologica della specie [ad esempio Ficus ficoides (Brocchi), gasteropode del Pliocene inferiore del Mediterraneo, Amaltheus margaritatus De Montford, ammonite del Pliensbachiano superiore (Lias)], dal nome della locality geografica del primo ritrovamento (ad esempio Nucula placentina Lamarck, bivalve del Neogene e del Pleistocene Mediterraneo, Schistoceras uralense Ruzhancev, ammonite del Carbonifero sup. degli Urali) oppure dal nome di una persona [ad esempio Medlicottia orbignyana (Verneuil) ammonite dell'Artinskiano (Permiano inf.), dal nome del famoso paleontologo stratigrafo Alcide D'Orbigny, vedi Cap. 1]. Il nome specifico, quando a un aggettivo, deve, ovviamente, concordare con it nome generico, vale a dire che la desinenza della specie dipende dal genere (maschile, femminile, neutro) del nome generico; cosi ad esempio si scrivera Phylloceras heterophyllum, Trigonia costata, Pecten jacobaeus, ecc.); la desinenza del genere in ogni caso segue le regole della declinazione Latina. I nomi delle famiglie si formano aggiungendo la desinenza «idae (in zoologia) o aceae o (in botanica) alla radice del genere-tipo (§ 3.4.1e). Cosi, ad esempio, it nome della famiglia Fusulinidae (foraminiferi del Carbonifero e del Permiano) deriva dalla radice del genere-tipo Fusulina. I nomi delle sottofamiglie terminano con la desinenza «inae> in zoologia e con la desinenza «oideae o in botanica. Nella famiglia Fusulinidae vengono distinte due sottofamiglie di cui una, che deriva ancora dal genere tipo Fusulina, per I'aggiunta della desinenza «inae>> prende it nome di Fusulininae. I nomi degli ordini, infine, terminano in «ata>> o «idao e quelli delle classi in «a>> (ad esempio ordine Ammonitida, classe Cephalopoda). e) DEFINIZIONE TIPOLOGICA DEI TAXA Tutte le categorie fino at livello di famiglia sono definite tramite un criterio tipologico, vale a dire che la specie viene definita tramite un esemplare-tipo, it genere tramite una specie-tipo ed una famiglia tramite un genere-tipo. It termine tipo non si riferisce, evidentemente, al concetto di tipo degli essenzialisti ed in particolare di

120 La scienza della classificazione Linneo (§ 3.1). Oggi si ritiene infatti che una specie sia costituita da popolazioni con un ampio campo di variability e che nessun singolo esemplare possa esserne rappresentativo. Nella descrizione di una nuova specie, it tipo non viene pertanto utilizzato come esemplare esclusivo o pin importante; la descrizione e infatti basata su tutti gli esemplari disponibili incluso it tipo. Il tipo dunque, nella moderna tassonomia, a solo «un portatore di nome » (Simpson, 1961; Mayr, 1969) che collega in modo inequivocabile un nome ad un certo taxon. Questo metodo a di particolare utility pratica in quanto consente di superare le difficolta che sorgono quando le descrizioni originali, soprattutto quelle dei vecchi autori, non sono sufficienti per identificare i taxa. L'esemplare tipo che rappresenta la specie viene detto olotipo e tutti gli altri esemplari su cui l'autore si basa per descrivere la specie fanno parte della cosiddetta serie tipo, i cui singoli esemplari vengono indicati con it termine di paratipi. Quando nella serie tipo non 6 mai stato scelto un olotipo, come poteva accadere nel passato, tutti gli esemplari della serie tipo vengono indicati con it termine di sintipi. In quest'ultimo caso, l'esemplare scelto successivamente come tipo viene chiamato lectotipo e gli altri sintipi assumono it nome di paralectotipi. Nell'eventualita che l'olotipo oil lectotipo e tutti i sintipi vadano perduti (incendi, eventi bellici, ecc.), le regole prevedono, nell'interesse della stability della nomenclatura, l'istituzione di un nuovo tipo, detto neotipo. Il neotipo deve essere scelto tra i topotipi cioe tra gli esemplari che provengono dalla stessa locality e dal medesimo livello stratigrafico degli esemplari della serie tipo.

3.5 - PARATASSONOMIA La classificazione dei fossili si basa su un numero limitato di caratteri esclusivamente morfologici e pertanto it loro inserimento nella classificazione zoologica e botanica non e sempre agevole, ne risulta talora possibile. Quando i fossili hanno dei rappresentanti attuali, tale operazione a relativamente semplice, ma quando i fossili appartengono a organismi completamente estinti la classificazione tende ad acquisire spesso un carattere artificiale. Cosi, ad esempio, la classificazione degli Archeociatidi in un phylum a se stante e giustificata dalle sue affinity e differenze morfologiche con le spugne e con i celenterati. Non essendo possibile ottenere alcun'altra informazione di carattere anatomico, istologico, ecc., la classificazione tende, evidentemente, a diventare un compromesso tra quella naturale e quella artificiale. Talora si ignora quali organismi abbiano lasciato certi resti, generalmente microscopici. In questi casi si usa una classificazione artificiale (paratassonomia) che adotta i termini linneani, ma non prospetta alcun riferimento ai gruppi tassonomici gia noti. Un caso particolare e dato dai conodonti (fossili di fondamentale importanza per la stratigrafia del Paleozoico e del Triassico) di cui si ignorava, fino a pochi anni fa, a quale organismo fossero appartenuti. La recente scoperta del conodontoforo (un organismo dal corpo vermiforme nel cui segmento cefalico sono collocati i conodonti con funzione, a seconda degli elementi dell'apparato, di filtrare e/o di trattenere e di triturare le particelle di cibo), ha permesso di formulare ipotesi precise sulla corretta posizione sistematica di questo gruppo. I conodonti non costituiscono pin un taxon incertae sedis ma hanno probabilmente trovato la loro collocazione tra i vertebrati primitivi. Da notare che nell'ambito di questo gruppo, ancora prima della scoperta del conodontoforo, era gia in atto it tentativo di passare da una classificazione meramente artificiale ad una naturale fondata sulla ricostruzione funzionale degli apparati boccali (fig. 3.3).

Paratassonomia

CLASSIFICAZIONE ARTIFICIALE

121

CLASSIFICAZIONE NATURALE

Spathognathodus inclinatus inclinatus

(Rhodes)

Ozarkodina media Walliser

DISCERNENTI

Anteriore

I— z w

2

w

w

Trichodella excavata

Neoprioniodus excavates

(Branson & Mehl)

Plectospathodus extensus Rhodes

CONTUNDENTI

(Branson & Mehl)

I—

z w

2 w _J w

Hindeodella equidentata Rhodes

Ozarkodina excavata excavata

(Branson & Mehl)

Fig. 3.3 — I conodonti costituiscono un ottimo esempio di tentativo di passaggio da una classificazione meramente artificiale (paratassonomia) ad una naturale. Come illustrato nella colonna di sinistra, ad ogni tipo morfologico veniva assegnato, fino a pochi anni fa, un nome specifico. Successivamente, si comprese che questi singoli tipi morfologici erano elementi dello stesso apparato boccale e quindi dello stesso taxon naturale. I sei elementi morfologici, classificati come specie diverse (colonna di sinistra) sono oggi interpretati (colonna di destra) come gli elementi costitutivi (Pa, Pb, M, Sa, Sb, Sc) dell'apparato della specie naturale Ozarkodina excavata excavata (Siluriano m. — Devoniano m.). Il nome della specie naturale viene scelto in base alle regole di nomenclatura (legge della priorita), utili77ando cioe it nome generico e specifico pie antico attribuito ad uno degli elementi dell'apparato.

Talora, come accade per i conodonti, si riconosce la classe o it phylum di appartenenza dei reperti, ma all'interno del taxon non si pub che ricorrere alla paratassonomia. In paleobotanica esistono classificazioni artificiali per frutti, foglie, spore, pollini, ecc. che, di norma, si rinvengono separati dalla pianta (fig. 2.14) e non possono essere «ricondotti» ad un'unica specie naturale. Un esempio classico riguarda gli otoliti, piccoli ossicini calcarei all'intemo del-

122 La scienza della classificazione

l'apparato uditivo dei pesci, noti dal Permiano. I pesci, salvo condizioni particolari (Cap. 2), si decompongono molto facilmente e gli otoliti (insieme ai denti, alle scaglie e alle spine) sono gli unici resti che si conservano. Gli otoliti, del resto, sono tra le prime parti a staccarsi dal corpo e, anche in caso di condizioni di fossilizzazione favorevoli, raramente si rinvengono associati allo scheletro. Ne consegue che gli otoliti vengono classificati in generi e specie artificiali, definiti sulla base della loro morfologia, senza alcun riferimento ai generi ed alle specie naturali. Un ulteriore caso particolare a dato dalla classificazione delle tracce fossili in cui, per definizione, non si prospetta alcuna relazione tra la traccia e l'animale che l'ha lasciata. Come verra trattato ampiamente nel capitolo Paleoicnologia (§ 7.3), la nomenclatura binomia viene utilizzata anche in questo caso, ma le tracce vengono considerate esclusivamente come documentazione delle attivita vitali degli organismi. La descrizione del genere e della specie 6 pertanto puramente morfologica e i generi e le specie vengono raggruppati in unita etologiche che descrivono le funzioni svolte dagli organismi. Una specie animale bentonica, ad esempio, lascia sul fondo, in relazione alle sue differenti attivita (spostamento, intanamento, riposo, ricerca di cibo, ecc.), tracce diverse che vengono classificate come comportamenti vitali e non hanno alcun riferimento con la classificazione zoologica.

3.6 - LA SPECIE La specie 6 l'unita di base di tutte le altre categorie tassonomiche e corrisponde, come vedremo, all'unica suddivisione naturale del mondo organico. La sua definizione costituisce, tuttavia, uno dei punti cruciali e pitt dibattuti della sistematica e degli studi sull'evoluzione ed e quindi un punto nodale di tutte le discipline biologiche: biogeografia, anatomia e fisiologia comparata, genetica delle popolazioni, paleontologia, ecc. La definizione di specie non presenta, pert), solo un valore scientifico teorico; infatti «la specie» costituisce uno «strumento di lavoro» essenziale in discipline di grande utilita pratica ed economica come la biologia applicata e le stratigrafia. In biologia, la definizione classica introdotta in letteratura da Dobzansky e Mayr, applicabile solo agli organismi a riproduzione sessuale e sessi separati, recita che la specie 6 costituita da popolazioni «effettivamente o potenzialmente capaci di riprodursi per incrocio » (Mayr, 1940), isolate riproduttivamente da quelle delle altre specie. Eventuali casi di incrocio tra specie simili sono possibili, ma gli ibridi che ne derivano sono sterili e quindi le specie rimangono sempre isolate geneticamente. Questo concetto di specie (biospecie), gia intrawisto da John Ray fin dal 1686, 6 molto incisivo in quanto mette in relazione la sua definizione con la causa della sua esistenza, cio6 l'isolamento riproduttivo. La specie, in questa ottica, costituisce una comunita riproduttiva di popolazioni e una unita genetica con un peculiare significato ecologico (§ 4.11). Il concetto biologico di specie, dagli anni '40 in poi, ha gradualmente sostituito it concetto tipologico-essenzialista di Linneo basato esclusivamente su una distinzione morfologica delle specie. In questi ultimi anni, tuttavia, alcuni autori hanno sostenuto che it concetto biologico di specie non 6 utile da un punto di vista pratico e sono tornati, seppure con diverse motivazioni, ad una definizione e ad un concetto morfologico di specie. E chiaro che it concetto di specie non put) che essere fondato sul DNA (Finestra 4.4)

La specie

123

dove sono registrate tutte le propriety morfologiche e la capacity di riproduzione. l'isolamento riproduttivo che impedisce it flusso genico tra le specie e quindi determina le differenze morfologiche che le contraddistinguono. Mayr (1969) ha precisato in modo molto chiaro la differenza tra la specie come categoria e la specie come taxon. «La specie come categoria a definita dal concetto biologico di specie. Quando ci si trova di fronte al compito di assegnare un taxon alla sua precisa categoria, la realty effettiva della riproduzione per incrocio o la sua possibility potenziale non possono essere ricavate che per deduzione». E ovvio, cioe, che ci si avvalga di tutti i mezzi disponibili, ed in particolare dei caratteri morfologici, per identificare una specie; questi pero non costituiscono in se stessi la defmizione di specie ma solo un mezzo per riconoscerla; essi trovano una loro naturale interpretazione solo net concetto biologico di specie. Altri autori (Simonetta, 1988), tuttavia, sostengono che «Le categorie tassonomiche sono semplicemente modi convenienti di raggruppare insiemi di informazioni essenzialmente contingenti, rappresentati dagli esemplari osservati. Non c'e alcun bisogno che ciascuna categoria sistematica abbia un significato biologico fisso per tutto it regno animate »

3.6.1



La specie in paleontologia

Come si pub intravvedere da questa sintesi, anche se incompleta, it dibattito sulla definizione pin opportuna per la specie e le altre categorie sistematiche 6 ben lungi dall'essersi esaurito. Quali possono essere le sue ricadute in paleontologia? Nessuna da un punto di vista pratico, in quanto 6 ovvio che in paleontologia l'unico metodo possibile di analisi 6 quello morfologico che costituisce, d'altro canto, un metodo pratico, anche se imperfetto, applicato da tutti i neontologi, a prescindere dal loro concetto di specie. La definizione di biospecie 6 stata concepita per delimitare le specie nell'Attuale e cio6 su un piano orizzontale; ma 6 concettualmente compatibile anche con la cronospecie dei paleontologi, rappresentata da una successione di popolazioni lungo un'unica linea filetica con le stesse tendenze adattative. Nella cronospecie, anziche essere distribuite orizzontalmente, le popolazioni sono distribuite verticalmente ma la loro potenzialita di incrocio pub essere dedotta dalle loro differenze morfologiche. In definitiva, it paleontologo riconosce praticamente le specie con un criterio morfologico, net contesto di tutti i dati paleoecologici, paleogeografici e stratigrafici disponibili, ma quando le specie vengono inserite in una ricostruzione filogenetica, allora sono «sullo stesso piano concettuale delle unity fondate su criteri genetici» (Torre, 1988). La definizione di cronospecie, rappresentata da succession di popolazioni antenato-discendenti che si modificano gradualmente, pose agli aderenti alla Teoria Sintetica (§ 4.11.3) it problema di stabilire i limiti tra le successive cronospecie di una linea filetica. Data la premessa, tali limiti non potevano che essere arbitrari. Nell'ambito della tassonomia cladista (§ 3.9.2) fondata da W. Hennig (1950, 1966), che ritiene trascurabile l'evoluzione filetica, le specie sono considerate vere e proprie unity oggettive la cui origin a definita dalle ramificazioni dell'albero filogenetico. L'esistenza delle specie sarebbe quindi delimitata da due eventi verificabili oggettivamente: it momento della ramificazione e it momento dell'estinzione. A tale orientamento fu obiettato, dagli aderenti alla Teoria Sintetica, che it momento della ramificazione di una linea filetica non corrisponde in realty all'origine delle specie, ma ne costituisce solo la premessa; la ramificazione avrebbe cio6 rappresentato l'inizio del

124 La scienza della classificazione

processo di speciazione, ma l'origine delle specie nuove sarebbe awenuta solo successivamente attraverso un progressivo processo di differenziazione delle popolazioni, evocando di nuovo it concetto di cronospecie (o di evoluzione filetica) con tutte le sue conseguenze. Questi due atteggiamenti antitetici verso il significato della specie, come ha fatto osservare Torre (1988), hanno origine dalla differente esperienza culturale e dai diversi scopi dei cladisti e dei paleontologi aderenti alla Teoria Sintetica. I cladisti intraprendono lo studio dei rapporti filogenetici delle specie come base per verificarne it grado di parentela e procedere quindi ad una loro classificazione, quanto piu possibile oggettiva; la ricostruzione filogenetica dei cladisti (cladogramma) non considera la dimensione tempo. Inoltre, almeno fino a poco tempo fa, i cladisti operavano solo su specie attuali, in genere ben distinte. Per i cladisti l'informazione essenziale 6 data esclusivamente dal punto di ramificazione, il solo che definisce i rapporti filogenetici e quindi i rapporti tassonomici delle specie, mentre appare ininfluente il reale momento di diversificazione delle due popolazioni a livello specifico. I paleontologi della «Scuola sintetica» operano invece con i fossili, e quindi nella dimensione tempo, con lo scopo di ricostruire it processo evolutivo e i modi ed i tempi dell'evoluzione. In questa ottica, l'effettivo momento dell'origine dei nuovi taxa ed un'analisi puntuale del significato delle specie acquistano un significato basilare. Il Modello degli Equilibri Intermittenti (Punctuated Equilibria) di Eldredge e Gould (§ 4.11.3) e caratterizzato da una indiretta convergenza culturale con il cladismo. Infatti, gli aderenti a questa scuola sostengono che la ramificazione di due popolazioni porta ad una quasi istantanea origine di specie nuove e che inoltre le specie, dalla loro origine alla loro estinzione si evolvono, di regola, in modo per lo piu insignificante (fenomeno della stasi evolutiva). In questo contesto, le specie diventano delle vere e proprie unita oggettive delimitate da due precisi eventi corrispondenti a quelli dei cladisti: ramificazione ed estinzione. Per i paleontologi aderenti alla «Teoria degli equilibri intermittenti» non si porrebbe piu, almeno come prioritario, it problema della cronospecie; infatti, it processo di ramificazione darebbe origine istantaneamente, in senso geologico, ad una specie che rimarrebbe praticamente stabile (stasi evolutiva) fino alla sua estinzione. 3.6.2 — La variability intraspecifica e l'identificazione della specie in paleontologia I meccanismi della riproduzione sessuale fanno si che ogni individuo nell'ambito di una specie, cio6 di un gruppo di organismi interfertili che popolano un certo areale, costituisca un vero e proprio unicum genetico e fenotipico. Una specie presenta dunque un campo di variability genetica e fenotipica piu o meno ampio, che viene controllato dall'interazione della variability genetica con la selezione naturale e la deriva genetica (§ 4.10). Una specie puO essere costituita da una sola popolazione, definibile come un insieme di organismi che popolano lo stesso areale, oppure da due o piu popolazioni interfertili, ma che possono essere piu o meno isolate spazialmente (e quindi con minori possibility di incrocio) e sottoposte alla selezione di ambienti diversi. Le diverse razze di cane (dal San Bernardo al bassotto) appartengono alla stessa specie in quanto sono interfertili, ma presentano una grande differenza fenotipica, mantenuta dagli allevatori con l'isolamento riproduttivo. La specie canina offre un esempio ottimale di polimorfismo, cio6 della presenza, nel patrimonio genico della

La specie 125

specie, di diverse forme alleliche di geni, che le conferiscono una grande variability (§ 4.7; Finestra 4.3). Ecco, quindi, uno dei punti nodali della paleontologia: come delimitare it campo di variability delle specie? Se si considera l'incompletezza dei dati paleontologici, ridotti per lo pia alle sole parti scheletriche (solo nella migliore delle ipotesi complete) (§ 2.4), il pericolo pub essere quello di procedere ad accorpamenti arbitrari di pia specie in una o di elevare al rango di specie popolazioni diverse della stessa specie. Il criterio di base per distinguere le specie consiste nel rilevare una discontinuity morfologica costante tra due popolazioni, che suggerisce l'esistenza di un isolamento riproduttivo. Quando it paleontologo e in grado di verificare la differenza morfologica di due popolazioni nel tempo o nello spazio, ma nel contetnpo riscontra la presenza di popolazioni o di individui caratterizzati da caratteri intermedi, allora, per descrivere questa situazione, ricorre, generalmente, alla nozione di sottospecie che in pratica dovrebbe esprimere it concetto: le due popolazioni sono gia ben differenziate ma esiste ancora fra di loro un certo flusso genico (§ 4.11.2). Il campo di variability di un singolo carattere in una o pia specie viene espresso da un semplice istogramma in cui si pone in ordinata it numero degli esemplari e in ascissa it carattere considerato espresso in numeri: ad esempio, nel caso dell'istogramma di fig. 3.4 (che approssima la curva di Gauss), il numero delle coste. Il numero degli esemplari che possiedono un determinato numero di coste esprime la frequenza con cui si manifesta tale carattere. Si vengono cosi ad individuare diverse classi di frequenza; it valore della classe di maggior frequenza, cioe rappresentata dal maggior numero di individui, corrisponde all'apice dell'istogramma (o della curva di Gauss) e prende it nome di moda. Poiche in questo caso l'isto-

Chlamys (Aequipecten) irradians

80-

20 -

14

15

16

17

19 20 18 Numero di coste radiali

Fig. 3.4 Istogramma e curva di distribuzione unimodale del numero delle coste radiali nel bivalve Chlamys (Aequipecten) irradians (da Newell, 1955, in Ziegler, 1983). -

126 La scienza della classificazione

50 C. dentatum

(Kimmeridgiano) ) • •

C. renggeri (Oxfordiano inf.) /+ \ /++++ \ ,++ /+ + +\ +++ + + + + +N, + + 4- + +

10

--F F + +\ + + + -F + + + + + + +\ 4- r + + +

10

20

30 40 % Rapporto (a)/(b)

Fig. 3.5 — Il diverso rilievo nelle coste in due specie di ammoniti giurassiche deI genre Creniceras evidenziato dal rapporto tra it rilievo delle coste (a) al margine ventrale e l'altezza del giro (b). Va tenuto presente che l'esistenza di due varianti di un singolo carattere, e quindi un andamento bimodale della curva di distribuzione, non 6 di per se stessa una prova di un certo grado di differenziazione tassonomica tra gli esemplari del campione studiato (da Ziegler, 1983, con modifiche).

gramma e simmetrico it valore della moda corrisponde al valore medio del numero di coste della popolazione considerata. Pochi individui invece presentano i valori minimi e massimi del campo di variabilita. Quando si ottiene una curva con una sola moda (curva unimodale) si dice che la popolazione a omogenea per quel carattere, quando invece la curva e bimodale (fig. 3.5) o plurimodale essa denuncia l'esistenza di gruppi di individui eterogenei. Una curva bimodale potrebbe, ad esempio, suggerire che sono stati considerati esemplari di due popolazioni diverse, oppure individui di una stessa popolazione caratterizzati da dimorfismo sessuale (figg. 3.6 e 3.7) oppure, semplicemente, che nella popolazione esistono due

a)

b)

d)

Fig. 3.6 — Dimorfismo sessuale nelle ammoniti della famiglia Kosmoceratidae. Le macroconche (M), a coste attenuate, e le microconche (m), a ornamentazione piu pronunciata e con aperture munite di rostri, sono state interpretate rispettivamente come le conchiglie delle femmine e dei maschi.

Tassonomia e filogenesi 127

Fig. 3.7 — Dimorfismo sessuale nell'orso pleistocenico Tremarctos floridanus. Lo scheletro maschile rappresentato in nero sullo sfondo; lo scheletro femminile e in primo piano (da Kurten, 1966).

varianti di un certo carattere. I campi di variability di un solo carattere non possono ovviamente permettere di determinare l'esistenza di una o pia units tassonomiche. Per arrivare ad un tale risultato a necessario verificare, su un numero pH' elevato possibile di esemplari (almeno 30), it campo di variability di numerosi caratteri e accertarne le relazioni. L'analisi statistica si a rivelata molto importante per la tassonomia di numerosi taxa fossili (foraminiferi, brachiopodi, ecc.), anche se la sua applicazione a ancora relativamente poco frequente; una reale difficolta dell'applicazione del metodo e dovuta al fatto che spesso it numero degli esemplari a disposizione non 6 sufficiente per arrivare a risultati attendibili. Questo tipo di analisi a determinante per dimostrare l'esistenza di fenomeni di dimorfismo sessuale in alcuni taxa fossili ed in particolare nelle ammoniti. L'esistenza, in centinaia di specie di ammoniti, di due forme costantemente associate, l'una a microconca, con coste pronunciate e la presenza di estensioni dell'apertura chiamate rostri, l'altra a macroconca con coste attenuate, ha portato gli autori a interpretare la prima come la conchiglia del maschio e la seconda come la conchiglia della femmina (fig. 3.6).

3.7 - TASSONOMIA E FILOGENESI Lo scopo del Systema Naturae di Linneo era quello di ricostruire it disegno, l'atto creativo «istantaneo» di Dio: «Tante sono le specie quante all'inizio furono create dall'Ente Supremo». Con l'affermazione della Teoria evolutiva, lo scopo della classificazione mute radicalmente; it sistema di classificazione doveva infatti riflettere it fenomeno evolutivo, cioe le relazioni tra i gruppi dei progenitori e dei discendenti. L'ordine del sistema naturale, come chiari in modo esemplare Darwin, 6 genealogico come un pedigree; i gradi di modificazione dei diversi taxa, come risultano dall'albero genealogico, devono quindi essere espressi dalla loro assegnazione a diverse categorie tassonomiche: generi, famiglie, ecc. (fig. 3.8). La ricostruzione dell'albero genealogico, che esprime it processo di ramificazione e divergenza progressiva nel tempo, 6 quindi una condizione indispensabile per la tassonomia degli evoluzionisti.

128 La scienza della classificazione Carnivora

ORDINE r> / Felidae

FAMIGLIA [› / GENERE I

SPECIE [>

\ Phantera 1 tigre

Felis

Canidae 1.____...._.\ Canis

4 5 2 3 leone gatto lupo cane

Ursidae Ursus 6 7 grizzly o.polare

Ailuropoda 8 panda

O

2 w

II 1 P.tigris 2 Plea 3 F.domestica 4 C.lupus 5 C.familiaris

6 U.arctos 7 U.maritimus

8 A.melanoleuca

Fig. 3.8 — La classificazione degli evoluzionisti e it risultato delle relazioni espresse dall'albero filogenetico. Felidae, Canide e Ursidae sono raggruppati nello stesso ordine perche derivano da un comune progenitore, da cui hanno ereditato alcuni caratteri comuni (§ 3.8). II panda e collocato nell'ordine Carnivora, malgrado abbia una dieta vegetariana, in quanto condivide con i carnivori un antenato comune.

Il Systema Naturae di Linneo raffigura una situazione statica, immutabile nel tempo, ancorata ad un unico atto creativo, che si putt raffigurare con un sistema di parentesi graffe, dove i gruppi di rango meno elevato condividono l'essenza del gruppo gerarchicamente pia elevato. A prescindere dalla loro profonda differenza filosofica, i due sistemi di classificazione, come ovviamente tutte le classificazioni, sono rigidamente gerarchici e si avvalgono delle stesse categorie tassonomiche. La tassonomia linneana a priva di un metodo oggettivo di scelta dei caratteri da utilizzare per la classificazione: la scelta dei caratteri e fondata unicamente sull'intuizione del ricercatore. Nella tassonomia evolutiva esiste invece un metodo rigido e indiscusso che guida i ricercatori alla scelta dei caratteri per la classificazione. La classificazione e infatti ii risultato delle relazioni espresse dall'albero filogenetico e, quindi, e fondata essenzialmente su quei caratteri che permettono la ricostruzione delle relazioni genealogiche degli organismi. E noto che Linneo negli ultimi anni arrive ad ammettere la possibility di una relazione genetica tra le specie di uno stesso genere.

3.8 — LA SCELTA DEI CARATTERI PER CLASSIFICARE: OMOLOGIA ED ANALOGIA DEGLI ORGANI Se esistesse una relazione costante tra it grado di somiglianza, che e espresso dal numero dei caratteri in comune, e l'affinita genealogica, non esisterebbero diverse

Omologia ed analogia degli organi

129

filosofie tassonomiche e la classificazione degli organismi costituirebbe in definitiva un'operazione relativamente semplice. In realta, i caratteri degli organismi non hanno tutti lo stesso significato. Il grado di somiglianza di due taxa, infatti, puo dipendere dall'avere in comune organi ereditati da un comune progenitore, detti organi omologhi, oppure organi che svolgono la stessa funzione ma hanno un'origine evolutiva diversa, i cosiddetti organi analoghi. I caratteri omologhi possono anche avere funzione diversa. Un esempio classico dato dalle differenti funzioni e dalla differente forma degli arti anteriori di un uomo, una balena, un uccello ed un pipistrello (fig. 3.9a). Anche se la funzione e la forma appaiono diverse, la struttura anatomica di base e la stessa e sarebbe assurdo immaginare che questa struttura sia stata selezionata nel tempo, indipendentemente, per quattro volte e per funzioni diverse. L'ipotesi pia semplice, suffragata da prove paleontologiche, suggerisce che la struttura di base dell'arto sia gia stata posseduta da un antenato comune. Gli arti anteriori dei quattro taxa vengono definiti omologhi perche condividono l'architettura di base di un progenitore comune. I caratteri omologhi sono quindi fondamentali per la ricostruzione dell'albero filogenetico, in quanto sono gli unici che evidenziano le relazioni genetiche dei taxa. Significato completamente diverso hanno invece gli organi e le strutture analoghe che, per definizione, presentano all'incirca la stessa forma e la stessa funzione, ma un'origine filogenetica diversa. L'esempio pia classico e dato dalle afi di un insetto, di un uccello e di un pipistrello (fig. 3.9b). L'analogia tra le ali di un insetto e quelle di un uccello e evidente: i due tipi di ala hanno un piano strutturale completamente diverso e si sono evoluti indipendentemente in due taxa diversi che non hanno progenitori comuni alati. Non esiste, infatti, un diretto progenitore comune agli uccelli ed agli insetti se non risalendo ad un antenato vermiforme del Precambriano. Un esempio ancor pia esplicativo, per una piena comprensione della differenza tra anaSTRUTTURE OMOLOGHE

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a)

Rettile primitivo (Ophiacodon)

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Plesiosauro Uccello

Balena

Pipistrello

Uomo

STRUTTURE ANALOGHE

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Uccello

Insetto

Fig. 3.9 — Omologia e analogia. La figura in alto (a) illustra l'omologia delle ossa degli arti anteriori dei vertebrati. Le ossa omologhe sono indicate con la stessa simbologia. 11 piano strutturale comune e sempre evidente, anche se le ossa nei diversi taxa presentano profonde modificazioni (di dimensione, forma, ecc.) come risposta ai diversi adattamenti. La figura in basso (b) illustra l'analogia delle ali di un insetto con quelle di un pipistrello e di un uccello.

130 La scienza della classificazione

logia ed omologia, a l'analogia delle ali dei pipistrelli e degli uccelli e nel contempo l'omologia delle ossa dei Toro arti anteriori. In effetti gli arti anteriori dei due taxa (e di tutti gli altri vertebrati) sono omologhi in quanto derivano dal piano strutturale dell'arto anteriore dei tetrapodi. Non esiste pert) un antenato « alato » comune ai pipistrelli e agli uccelli; la superficie alare nei due taxa presenta, dunque, un'origine ed un piano strutturale completamente diverso. Negli uccelli la superficie alare 6 costituita dalle penne mentre nei pipistrelli a costituita da una membrana (una duplicatura della cute) che si estende dal corpo all'arto.

3.9 — GRUPPI MONOFILETICI E POLIFILETICI Un gruppo tassonomico si definisce monofiletico, nella accezione piu ampia del termine, quando si pub risalire ad una singola specie ancestrale che rappresenta it capostipite di tutte le specie di quel gruppo e nel contempo di nessuna altra specie che non appartiene a quel gruppo. Cosi, ad esempio, possono essere considerati gruppi monofiletici i bivalvi, i mammiferi, ecc. La nozione di origine monofiletica e una conseguenza logica del principio secondo cui i gruppi tassonomici sono definiti esclusivamente tramite caratteri omologhi. Infatti, ogni singolo gruppo tassonomico, se fondato sulle omologie, non pub che avere origine da una singola specie ancestrale con cui ha in comune un programma genetico MMINAGEA, PA RATHURA

LIT UOLACEA

Sz/4/ 4

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Earlandia

c/avullna

Nodosaria

Stilostomella Earlandinita

Dusenburyina

Fig. 3.10 - I foraminiferi uniseriali hanno avuto origine da line filetiche diverse [fenomeno di convergenza adattativa (§ 4.12.4)] e costituiscono, dunque, un gruppo polifiletico.

Gruppi monofiletici e polifiletici 131

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HEXAPODA

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b)

Fig. 3.11 Esistono attualmente due ipotesi sull'origine degli artropodi. Nell'ipotesi illustrata in a tutte le nove classi degli artropodi avrebbero origine da un unico progenitore comune (probabilmente un anellide); in questo caso dunque gli artropodi rappresenterebbero un gruppo monofiletico. Nell'ipotesi illustrata in b le classi, o almeno alcune classi, degli artropdi deriverebbero da progenitori diversi; in questa seconda ipotesi dunque gli artropodi costituirebbero un gruppo polifiletico. —

di base, anche se modificato dall'adattamento ambientale. Cosi, ad esempio, it panda, pur essendo vegeteriano, fa parte dell'ordine Carnivora in quanto condivide con gli altri taxa dell'ordine to stesso programma (fig. 3.8). Viene definito polifiletico un gruppo di taxa, di linee filetiche diverse, riuniti sulla base di caratteri analoghi (fig. 3.10). Evidentemente, i gruppi polifiletici non hanno un significato tassonomico, ma vengono utilizzati per indicare ruoli ecologici (filtratori, erbivori, carnivori, ecc.), gruppi funzionali (organismi incrostanti, nuotatori, ecc.), e cosi via. Il significato opposto dei due termini «monofiletismo» e «polifiletismo» appare del tutto chiaro, ma in alcuni casi a ancora problematico stabilire se un certo gruppo di taxa abbia un'origine monofiletica o polifiletica. E ancora oggetto di dibattito stabilire, cioe, se i caratteri the permettono di riunire un certo gruppo di taxa siano analoghi o omologhi. Ad esempio, non 6 stato ancora accertato con sicurezza se it

132 La scienza della classificazione

passaggio dalla condizione unicellulare a quella pluricellulare si sia verificato una sola volta, nell'ambito di una certa linea filetica, o sia awenuto piu volte nell'ambito di diverse linee filetiche. Evidentemente, nella prima ipotesi it carattere «pluricellularita » acquisisce it significato di omologia e quindi gli organismi pluricellulari divengono un gruppo monofiletico; nella seconda ipotesi lo stesso carattere rientra nelle analogie e gli organismi pluricellulari vanno quindi interpretati come un gruppo polifiletico (§ 5.7). L'approfondimento delle conoscenze ha permesso di acquisire che certi gruppi ritenuti monofiletici, come ad esempio gli echinoidi regolari, siano in realty polifiletici, oppure, ad esempio, di ritenere piu probabile, anche se ancora non definitivamente accertato, che gli artropodi costituiscano un gruppo polifiletico (fig. 3.11).

3.10 — LE DIVERSE SCUOLE TASSONOMICHE Gli studi tassonomici di questi ultimi trent'anni sono stati caratterizzati da almeno tre diversi orientamenti sulla scelta dei caratteri da utilizzare per le classificazioni che riflettono tre filosofie ben distinte, rappresentate rispettivamente dalle scuole della tassonomia evolutiva, tassonomia filogenetica e tassonomia numerica.

3.10.1



Tassonomia evolutiva

La tassonomia evolutiva si pub far risalire direttamente a Darwin ed e stata sviluppata dai piu autorevoli sistematici del nostro secolo, come ad esempio Mayr e Sirup-

246

5 3 1

O

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a)

b) DIVERSITA MORFOLOGICA

DIVERSITA MORFOLOGICA

Fig. 3.12 — L'ordine di ramificazione (basato sui caratteri omologhi) nei due alberi evolutivi a lo stesso. Nell'albero di sinistra (a) (tassonomia evolutiva classica) la maggior parte delle ramificazioni ed in particolare l'ultima che riguarda l'origine delle specie 6 e 7, presentano angoli diversi; gli angoli di ramificazione esprimono it diverso grado di differenziazione morfologica che 6 una conseguenza del grado di divergenza evolutiva. Nell'albero di destra (b) (tassonomia cladista) le ramificazioni presentano tutte lo stesso angolo, in quanto non viene preso in considerazione it grado di differenziazione morfologica dei taxa (modificato da Luria et al., 1984).

Le diverse scuole tassonomiche 133

son. La sua filosofia si basa sull'assunto che la diversity attuale e dovuta all'evoluzione e che la classificazione deve rifletterne l'andamento. Come immediata conseguenza, le classificazioni della tassonomia evolutiva sono basate fondamentalmente su caratteri omologhi ed i gruppi tassonomici hanno un'origine rigidamente monofiletica. La classificazione rispecchia quindi l'andamento dell'albero evolutivo. Per quanto le omologie presentino una importanza prioritaria, la tassonomia evolutiva considera, tuttavia, anche it grado di rassomiglianza fenotipica dei taxa che costituisce un aspetto essenziale del fenomeno evolutivo. Gli aderenti a questa scuola sostengono quindi che l'albero evolutivo, indispensabile per dedurre i rapporti tassonomici, deve essere rappresentato non solo dai punti di ramificazione (espressi dalle omologie), ma anche dagli angoli di ramificazione che esprimono it grado di rassomiglianza fenotipica (fig. 3.12a). La tassonomia evolutiva, in definitiva, cerca di adeguare it sistema di classificazione ai due caratteri essenziali del fenomeno evolutivo, la successione delle ramificazioni ed it grado di divergenza, che esprime, tramite forma e funzione, it grado di adattamento all'ambiente. Pub anche accadere che it grado di divergenza delle ramificazioni suggerisca una classificazione diversa da quella indicata dalla loro sequenza (figg. 3.12a; 3.13). Poiche non e possibile quantizzare it grado di divergenza, la soluzione in questi casi diventa soggettiva e basata sull'esperienza del sistematico.

3.10.2 — La tassonomia filogenetica o cladismo La tassonomia filogenetica, nota anche come cladismo, e fondata anch'essa sull'assunto che le classificazioni devono rispecchiare la filogenesi, ma rifiuta, della scuola evolutiva classica, l'utilizzazione del grado di somiglianza fenotipica che conferisce al sistema un certo grado di soggettivita. La filosofia cladista, quindi, considera solo i caratteri omologhi e procede classificando in base all'ordine di ramificazione dei taxa lungo l'albero evolutivo. Questo metodo e giustificato, secondo i cladisti, da una CLASSIFICAZIONE CLASSICA Mammiferi

CLASSIFICAZIONE CLADISTA

Pesci

1 0 o_ w

DIVERSITA MORFOLOGICA

DIVERSITA MORFOLOGICA

Fig. 3.13 — Nella tassonomia cladista la classificazione viene basata esclusivamente sull'ordine dei punti di ramificazione. Con questa procedura, in questo esempio, i dipnoi (D) sembrano presentare, paradossalmente, un pin elevato grado di parentela con l'asino (A) e i mammiferi in generale, che con it luccio (L) e, quindi, con i pesci teleostei. La tassonomia classica, pur tenendo conto dell'ordine di ramificazione, considera anche it grado di diversificazione evolutiva (espresso nell'albero dai diversi angoli di ramificazione) ed esprime nella classificazione it maggiore grado di parentela che esiste tra i dipnoi ed it luccio rispetto all'asino o a qualsiasi altro mammifero (modificato da Luria et al., 1984).

134

La scienza della classificazione

esigenza di oggettivita; infatti, i punti di ramificazione sono definibili in modo obiettivo, mentre it grado di somiglianza fenotipica e valutabile solo in modo soggettivo, in quanto a arbitraria la scelta dei caratteri ed it loro valore. II cladismo si propone quindi di arrivare ad un ordine di ramificazione genealogico (cladogramma) preciso ed oggettivo, ma non da alcuna informazione sul grado di differenziazione morfologica dei taxa. I cladogrammi non forniscono cio6 alcuna informazione sulla velocita dell'evoluzione (figg. 3.12b; 3.13) e, come conseguenza, gli angoli di ramificazione sono tutti eguali, contrariamente a quanto avviene negli alberi evolutivi della tassonomia evolutiva classica. Ne consegue che, nella classificazione cladista, due taxa che hanno un progenitore comune sono classificati nello stesso gruppo, senza considerare it loro grado di differenziazione morfologica. Questo metodo ha origine da una esigenza di oggettivita: la classificazione filogenetica non 6 ambigua perche esiste una sola gerarchia filogenetica. Tale esigenza si spinge tanto oltre da considerare veramente monofiletico un gruppo tassonomico che contenga tutte le specie discendenti di una singola specie progenitrice. Cosi, ad esempio, i rettili, considerati un gruppo monofiletico nell'ambito della tassonomia evolutiva, non sono accettati come gruppo monofiletico dai cladisti, in quanto nel gruppo non sono compresi uccelli e mammiferi che discendono dal comune antenato dei rettili. I rettili, pertanto, vengono considerati dai cladisti un gruppo parafiletico, per distinguerlo dai \Teri gruppi monofiletici. Un altro punto di divergenza tra la scuola cladista e quella evolutiva classica riguarda it fenomeno della speciazione. I cladisti ritengono che le nuove specie abbiano origine, di regola, tramite it processo di speciazione allopatrica (§ 4.11.2) e prospettano inoltre che l'origine delle specie per dicotomia sia molto pia probabile di un modello con pia ramificazioni (politomia). La posizione della scuola cladista 6 quindi molto pia restrittiva di quella evolutiva classica che ammette sia la speciazione filetica che allopatrica e accetta sia la speciazione per dicotomia che per politomia. Il punto focale della filosofia cladista si estrinseca nella distinzione, nell'ambito delle omologie, dei caratteri ancestrali (plesiomorfi) da quelli derivati (apomorfi) (§ 9.2.1). I caratteri ancestrali sono condivisi da un pia elevato numero di taxa, mentre i caratteri derivati sono progressivamente in comune ad un minor numero di taxa. II riconoscimento del carattere pia ancestrale del gruppo di taxa considerati fondamentale, perche permette di riconoscere la radice del cladogramma. I caratteri derivati condivisi da due specie o da due gruppi di specie permettono di riconoscere

COCCODRILLO

Fig. 3.14 — Cladograma del cavallo, del gorilla e del coccodrillo.

GORILLA

Le diverse scuole tassonomiche

Documentazione paleontologica

Andamento dell'evoluzione A

135

B

B

0 0

b

E F-

Successione s tratigrafica

4

a b

Variazione morfologica Fig. 3.15 — Questa figura riassume la principale riserva che i cladisti avanzano sulla documentazione paleontologica come mezzo per stabilire quali caratteri siano ancestrali o derivati. Nella parte sinistra sono illustrate le relazioni evolutive di due specie A e B, caratterizzate rispettivamente dal carattere ancestrale a e dal carattere derivato b. Nella parte destra e messa in evidenza la possibile carenza della documentazione paleontologica come mezzo per stabilire quale dei due caratteri sia ancestrale. Per diversi motivi (ad esempio la grande rarity) la specie A (e quindi it carattere ancestrale a) potrebbe essere rinvenuto in livelli cronologicamente pid recenti di quelli in cui si rinviene B. Sulla base della documentazione paleontologica si potrebbe quindi dedurre, erroneamente, che it carattere b e ancestrale e quello a e derivato. Va osservato, pert), che nessuno dei criteri suggeriti dai cladisti per riconoscere i caratteri ancestrali e quelli derivati ha di per se stesso una validity assoluta o 6 immune da critiche. In ogni caso l'esempio illustrato rappresenta una eccezione e non una regola! (modificato da Ridley, 1985).

rispettivamente le specie figlie o specie sorelle (sister species) ed i gruppi fratelli (sister groups) (§ 9.2.2).

Se ad esempio si volesse ricostruire la sequenza di ramificazione di un cavallo, di un coccodrillo e di un gorilla sarebbe erroneo utilizzare it carattere presenza di cinque dita per separare nella classificazione it cavallo e considerare come gruppo fratello it coccodrillo ed it gorilla. In realty, i progenitori del cavallo avevano cinque dita e lo sviluppo del terzo dito associato all'atrofizzazione delle altre quattro e un fenomeno di adattamento che maschera la somiglianza per omologia. Il carattere ancestrale cinque dita, ereditato da un comune antenato tetrapode, e tuttavia importante in quanto consente di stabilire la radice del cladogramma. In questo caso, qualsiasi carattere esclusivo della classe dei mammiferi (presenza di ghiandole mammarie, peli, ecc.) funge da carattere derivato e permette di ricostruire la corretta sequenza di ramificazione (fig. 3.14). a) DETERMINAZIONE DEI CARATTERI ANCESTRALI E DERIVATI Uno dei punti cruciali della tassonomia filogenetica riguarda la distinzione dei caratteri ancestrali da quelli derivati. Il cladismo rifiuta, o almeno considera molto insicura, la procedura, normale nella tassonomia evolutiva, di ricercare e identificare i progenitori degli organismi attuali nella documentazione fossile. Questa posizione per i cladisti e giustificata con l'incompletezza della documentazione fossile ed in particolare con la possibility che gli organismi progenitori possano essere rinvenuti

136

La scienza della classificazione

nella successione stratigrafica dopo i loro discendenti. La successione stratigrafica dei fossili, quindi, non assicurerebbe, secondo i cladisti, l'evidenza della successione dei caratteri ancestrali e derivati (fig. 3.15). Per distinguere questi due tipi di omologie i cladisti si avvalgono di una approfondita analisi dei gruppi «esterni» (outgroup analysis) e dello studio dei caratteri embriologici. Cosi, ad esempio, per decidere se l'uovo cleidoico ldei rettili costituisce un carattere ancestrale o derivato rispetto all'uovo non cleidoico dei pesci si procede all'analisi di un taxon, ad esempio gli echinodermi, che presenta caratteri piu ancestrali rispetto ai rettili ed ai pesci. Poiche l'uovo degli echinodermi non e cleidoico si arriva alla conclusione che questo carattere e ancestrale. Il criterio embriologico si basa sulla Legge di von Baer (1828), secondo cui nello sviluppo ontogenetico i caratteri generali di un grande gruppo tassonomico appaiono prima dei caratteri plit specialistici. Appare chiaro che i caratteri piu generali corrispondono ai caratteri ancestrali ed i caratteri specialistici a quelli derivati. Cosi, ad esempio, nelPembrione di un primate prima si manifesteranno i caratteri tipici dei vertebrati, poi quelli dei mammiferi ed in ultimo quelli tipici dei primati. Se si escludono i casi di neotenia (§ 4.12.3), appare valido it principio secondo cui i caratteri nuovi vengono aggiunti alla fine del processo evolutivo anziche durante it suo corso (Gould, 1977; Luria, Gould & Singer, 1984). Per quanto la legge abbia sicuramente un valore generale (e trovi ad esempio riscontro nell'ontogenesi dei mammiferi) it parere degli autori non e ancora unanime. 3.10.3



Tassonomia numerica

La tassonomia numerica classifica i taxa sulla base del loro grado di somiglianza complessiva senza distinguere le omologie dalle analogie. A tutti i caratteri misurati (il maggior numero possibile) viene attribuito lo stesso valore, che viene tradotto in numeri ed elaborato matematicamente per definire in modo oggettivo it grado di somiglianza. La classificazione numerica, quindi, ha lo scopo non di riconoscere dei gruppi naturali di taxa legati da rapporti genealogici (come propongono le due scuole precedenti), ma solo di mettere a punto, empiricamente, una classificazione oggettiva che esprima it grado di somiglianza dei taxa. Gli esponenti di questa scuola rifiutano it modello di una classificazione che rifletta a priori il fenomeno evolutivo o una qualsiasi altra teoria. La classificazione dovrebbe costituire un sistema oggettivo di raccolta di dati per documentare una teoria e non per rifletterne una prestabilita. In questa ottica, la misura quantitativa del grado di somiglianza tra due taxa dovrebbe costituire it metodo pitt oggettivo per costruire un sistema di classificazione. I metodi con cui vengono determinate le relazioni filogenetiche appaiono ai sostenitori di questa scuola incerti, non oggettivi e non praticabili per mettere a punto un sistema di classificazione. La tassonomia numerica rappresenta proprio una reazione alla soggettivita della tassonomia evolutiva ed in particolare al metodo di attribuire un diverso valore ai diversi caratteri. Oggettivita e ripetibilita sono, secondo i suoi esponenti, i maggiori vantaggi della tassonomia numerica. Secondo alcuni esponenti di questa scuola, se nella classificazione vengono presi in considerazione un grande numero di caratteri, it valore delle omologie dovrebbe prevalere sulle analogie e quindi anche la classificazione numerica verrebbe a rispecchiare l'origine filogenetica dei gruppi tassonomici. Questa previsione non e docu1Uovo

cleidoico = uovo chiuso. L'uovo dei rettili, degli uccelli e dei monotremi con guscio e motto tuorlo.

Le diverse scuole tassonomiche 137

mentata, ma potrebbe essere realistica qualora fosse possibile, nella pratica comune, misurare un numero motto elevato di caratteri, inclusi quelli biochimici e fisiologici, e addirittura studiare le sequenze del DNA. Quando non e possibile disporre di tutte queste misure o, come nel caso della documentazione paleontologica, si put) disporre di resti spesso incompleti, allora non e certo probabile che i caratteri omologhi prevalgano di regola sui caratteri analoghi. E noto che alcuni generi di marsupiali presentano una grande rassomiglianza morfologica con alcuni generi di placentati (fig. 9.33), dovuta ad un fenomeno di convergenza adattativa (§, 4.12.4). La distinzione tra i resti fossili dei rappresentanti di questi due taxa e la comprensione dei Toro rapporti filogenetici non sarebbero certo possibili con it metodo della tassonomia numerica: it grande numero delle analogie maschererebbe le omologie! I resti fossili dei due taxa sono distinguibili, pere, attribuendo un valore diagnostico alla presenza dell'osso epipubico che 6 esclusivo dei marsupiali. Tale metodo, che conferisce un valore essenziale ad alcuni caratteri (omologhi) e considera come subordinati tutti gli altri (interpretati come analoghi), e dunque in aperto contrasto con il postulato essenziale della tassonomia numerica che attribuisce egual valore a tutti.

3.10.4



Osservazioni conclusive sulle tre scuole tassonomiche

Le osservazioni precedenti forniscono solo un quadro generale e schematico dei diversi punti di vista sul significato e sugli scopi della tassonomia. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, it dibattito tra le diverse scuole, proprio in questi ultimi anni, a andato sempre pia accentuandosi, portando a variazioni sul terra (ad esempio la recente riforma del cladismo) che pere conducono spesso verso una maggiore radicalizzazione, anziche ad una convergenza delle tre filosofie di base (Ridley, 1985). La tassonomia numerica non ha mantenuto la sua grande promessa di oggettivita. La difficolta pratica di considerare tutti i caratteri possibili la rende a priori soggettiva. La premessa della tassonomia numerica di far precedere la classificazione, cioe it raggruppamento dei taxa, ad ogni possibile teoria, compresa quella evoluzionistica, e apparentemente interessante ma e sterile. Come risultato si arriva, infatti, ad una classificazione artificiale (tutto sommato soggettiva) e fine a se stessa che non pub essere utilizzata per mettere a punto una teoria della diversity tassonomica. La tassonomia numerica inoltre, proprio per la sua esigenza prioritaria di considerare un elevato numero di caratteri, e inadeguata per affrontare it problema della classificazione dei fossili. La scuola cladista e su posizioni diametralmente opposte rispetto a quella numerica. L'esigenza di oggettivita si esplica nel considerare solo i caratteri omologhi e nel trascurare completamente it grado di somiglianza fenotipica, che porterebbe inevitabilmente ad interpretazioni soggettive; tuttavia, it grado di somiglianza fenotipica e una espressione del fenomeno evolutivo e it trascurare tale aspetto porta a riunire organismi irrimediabilmente diversi rispetto ad organismi pia simili. Si arriva cosi al paradosso, seguendo l'ordine di ramificazione cladista, che un dipnoo viene raggruppato insieme ad un cavallo o ad un qualsiasi altro mammifero piuttosto che ad un teleosteo, ad esempio un luccio (fig. 3.13). Questo risultato deriva dal fatto che la cladistica ignora, perche ritenuta soggettiva, la velocita dei fenomeni evolutivi e cioe it grado di somiglianza fenotipica. La tassonomia evolutiva considera it grado di somiglianza sia per omologia sia per analogia, ma sono le omologie ad essere utilizzate prioritariamente per la costruzione

138 La scienza della classificazione

dell'albero filogenetico. In pratica, quindi, nessuna delle informazioni del cladogramma viene persa nella classificazione della tassonomia evolutiva classica. II velo della soggettivita e quindi sempre facilmente sollevabile e si pub sempre risalire alle informazioni di un cladogramma. Non appare chiaro it motivo per cui si debba rinunciare, come suggeriscono i cladisti, ad un supplemento di informazione che illustra in modo piu completo, anche se in modo soggettivo, it fenomeno evolutivo. Un altro punto fondamentale della scuola cladista riguarda la tendenza classica a non utilizzare i fossili per ricostruire le relazioni filogenetiche dei taxa. Viene perb riconosciuto che l'inserimento dei taxa fossili nei cladogrammi permette di verificare l'esistenza di caratteri che non sono piu presenti nei taxa attuali e, inoltre, che la documentazione paleontologica pub permettere di verificare come vennero acquisiti certi caratteri comuni a tutti i componenti viventi del taxon considerato (Smith, 1984). In ultima analisi, sembrerebbe piu ragionevole utilizzare in modo integrato tutti i metodi disponibili per distinguere i caratteri ancestrali da quelli derivati. indubbio che sia la tassonomia numerica sia, soprattutto, quella cladista abbiano portato un contributo essenziale allo sviluppo degli studi tassonomici. Ci sembra, tuttavia, che questo contributo si sia estrinsecato maggiormente nello sviluppo di metodologie alquanto trascurate o ignorate nella tassonomia evolutiva classica, piuttosto che nella messa a punto di nuovi aspetti teorici.

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4. FOSSILI ED EVOLUZIONE

4.1 — INTRODUZIONE L'attuale visione evoluzionistica dell'universo fisico e della Terra e andata progressivamente maturando dal 500 in poi, attraverso un progressivo superamento dei dogmi della concezione fissista e la contemporanea formazione del pensiero scientifico moderno. Tuttavia, ne la rivoluzione copernicana e le sue conseguenze, ne la sintesi di Newton, almeno apparentemente, scalfirono it caposaldo della dottrina fissista, che enunciava la fede in un universo senza storia, frutto di un'unica creazione divina. La stessa evidenza dell'evoluzione della superficie terrestre, la consapevolezza che Feta della Terra era molto piu antica rispetto a quanto suggerito dalla interpretazione letterale della Bibbia (§ 1.2.7), addirittura la scoperta dei fossili e del fenomeno delle estinzioni nonche la teoria evolutiva di Jean Baptiste Lamarck (1802) non portarono ad alcun risultato diretto in questo senso. L'obiettivo di svincolare completamente la scienza dal dogma dell'intervento divino venne raggiunto da una vera e propria rivoluzione nel campo delle scienze biologiche, ultima in ordine cronologico, che complete la visione moderna della scienza. La teoria evolutiva di Charles Darwin (1859) ebbe un effetto sconvolgente perche affermo, in modo razionale e con prove convincenti, che tutte le forme di vita oggi esistenti non sono it prodotto diretto della creazione divina, ma derivano per evoluzione da forme viventi piu antiche, a loro volta derivate da forme progenitrici ancora piu antiche. La teoria evolutiva di Jean Baptiste de Lamarck e le precedenti o le successive ipotesi evolutive (ad esempio quelle di Erasmo Darwin, 1794, e di Robert Chambers, 1844) non rientrano direttamente in questa rivoluzione e non possono esserne ritenute anticipatrici, in quanto i loro autori non erano stati in grado di documentarle, e inoltre erano permeate di aspetti metafisici, come ad esempio la predestinazione verso una meta ben stabilita. E chiaro che la teoria evolutiva di C. Darwin, ed in particolare la documentazione su cui si fondava, fu resa possibile dal grande progresso degli studi sistematici e dal substrato culturale del suo tempo. La stessa opera di Charles Lyell (1830-33), che riconosceva it fenomeno delle estinzioni e delle comparse di nuovi taxa attraverso la documentazione fossile, era quanto mai vicina all'enunciazione di una teoria della progressione della vita. Tuttavia, Lyell non osel mai formulare tale ipotesi e solo nel 1868, dopo molte indecisioni e quasi 10 anni dopo la pubblicazione dell'« Origine delle specie» di C. Darwin, prese posizione in favore dell'ipotesi evolutiva. L'opera di Darwin non solo 6 alla base della biologia moderna e ne costituisce it principio unificante, ma rappresente l'atto finale della rivoluzione culturale che porto a riconoscere che scienza e religione operano in campi diversi e completamente indipendenti. Forse mai, nella storia della scienza, l'opera di un solo uomo ebbe un effetto tanto importante sia nel pensiero scientifico che nell'atteggiamento culturale e filosofico dell'umanita. La teoria darwiniana permetteva di interpretare in modo coerente tutti gli aspetti della vita: dalla distribuzione degli organismi alla embriologia. Mancava ancora,

140 Fossili ed evoluzione

pero, una prova oggettiva della realta storica dell'evoluzione: la testimonianza «diretta» dei fossili. Nella prima meta dell'Ottocento la documentazione paleontologica era ancora molto scarsa e proprio per questo motivo essa occupa un ruolo secondario nell'«Origine della specie» di C. Darwin. Le successive scoperte paleontologiche, nell'arco di pochi decenni, fornirono una documentazione coerente, mai contradditoria, che permetteva di mettere a punto un quadro della storia della vita concorde con la teoria evolutiva. Ne consegue che l'evoluzionismo, ormai da molto tempo, non 6 pia una teoria da contrapporre al fissismo, ma e da considerarsi un fatto accertato. Rimane invece ancora aperto it dibattito sulle teorie che tentano di spiegare it processo evolutivo. La disputa attuale, per quanto sia molto accesa, appare molto pia «canalizzata» che nel passato, quando le conoscenze pia limitate, sia in genetica sia in paleontologia, giustificavano un pia ampio spettro di ipotesi che spaziava dal finalismo at neolamarckismo. Il grande «segreto» dell'evoluzione a custodito nel materiale genetico; it ruolo della paleontologia nell'elaborazione delle teorie evolutive a per() ancora fondamentale. La paleontologia 6 infatti l'unica scienza biologica che possa documentare l'andamento, la storia del processo evolutivo ed analizzare, quindi, fenomeni quali ad esempio le estinzioni, le radiazioni adattative, le tendenze evolutive, ecc. 4.2



ADATTAMENTO E DIVERSITA

Uno degli aspetti pia generali e appariscenti della vita 6 la grande varieta delle sue forme. Ogni forma diversa a it risultato di un particolare adattamento ad un determinato ambiente. Per adattamento si intende la coesistenza di caratteristiche morfologiche, fisiologiche ed etologiche che rendono un organismo idoneo alla vita in un certo ambiente. L'adattamento a un aspetto costante di tutti gli organismi. Alcune piante, ad esempio, hanno sviluppato particolari adattamenti per attirare gli insetti e farvi aderire i grani di polline. Certi insetti, come ad esempio alcune specie del genere Phyllium, sono in grado di mimetizzarsi imitando una foglia, mentre altri, appartenenti al genere Diapheromera, assumono la forma ed it colore dei ramoscelli secchi. La dentatura di un gatto o di altri felini presenta canini appuntiti e pia sviluppati per uccidere la preda, mentre alcuni denti (l'ultimo premolare inferiore e l'ultimo molare inferiore) sono trasformati in vere e proprie lame per «tagliare» la came. Il cavallo, invece, tipico erbivoro di prateria che si nutre di graminacee, presenta una dentatura con denti anteriori funzionali per strappare l'erba e molari per triturarla, caratterizzati da una superficie masticatoria percorsa da creste poco rilevate e da corone molto alte (fig. 4.42). I progenitori del cavallo, d'altra parte, adattati alla vita forestale e quindi foglivori, presentavano molari completamente diversi, con superficie masticatoria a radi tubercoli. L'adattamento non riguarda, owiamente, solo singoli caratteri, ma coinvolge tutta la morfologia e la fisiologia dell'organismo; a sufficiente pensare ad un uccello o a un delfino e alla Toro struttura mirabilmente adattata alla vita nell'aria e nell'acqua. Il concetto di adattamento a inscindibile dalla nozione di diversity degli organismi. Tutti i mammiferi possiedono denti costituiti di smalto e dentina, con radici nelle ossa delle mascelle. La funzione e la forma di questi denti, in particolare dei molari, nei diversi taxa sono molto diverse ed esprimono diversi adattamenti ambientali, ottenuti partendo da un piano strutturale comune.

Adattamento e diversitoi

141

Adattamento e diversity costituiscono it punto nodale e unificatore della biologia e rappresentano it punto di partenza di qualsiasi teoria evolutiva: «Come si sono potuti sviluppare e perfezionare tutti i finissimi adattamenti di una parte dell'organismo rispetto ad un'altra ed alle condizioni di vita di un organismo rispetto ad un altro organismo?» (Darwin, 1859).

FINESTRA 4.1 — PROVE NEONTOLOGICHE DELL'EVOLUZIONE: ELOGIO DELL'IMPERFEZIONE La diversity e l'adattamento degli organismi sono una conseguenza del fenomeno evolutivo, ma paradossalmente non ne costituiscono una prova, in quanto potrebbero essere spiegati anche con una teoria fissista. A prescindere dalle prove paleontologiche, che possono essere considerate inconfutabili, esiste una serie di prove neontologiche classiche, gia evidenziate da Darwin, che privilegiano l'ipotesi evolutiva come l'unica razionale possibile. II modello fissista prevede che gli organismi siano perfetti fin dalla creazione e quindi non abbiano storia; nel modal() evoluzionista tutti gli organismi derivano da quelli del passato attraverso una lunghissima storia evolutiva. Esistono nella organizzazione strutturale, nella distribuzione degli animali e delle piante delle imperfezioni» e delle situazioni inspiegabili per una dottrina creazionista, ma ben interpretabili con la teoria evolutiva. Sono infatti proprio le imperfezioni e la distribuzione apparentemente anomala degli organismi che documentano l'esistenza di una loro storia. Una prova classica a favore dell'evoluzione 6 data dagli organi rudimentali e non pit funzionali che si osservano in alcuni animali Nei cetacei e in alcuni serpenti (boidi), ad esempio, sono ancora presenti le ossa pelviche ed i femori, anche se ridotti a rudimenti, e nei cavalli sono presenti abbozzi delle dita laterali (fig. 4.1). Questi organi «imperfetti» non sono spiegabili con l'ipotesi della creazione. L'unica interpretazione razionale possibile suggerisce che sia la balena, sia i serpenti derivino da progenitori con quattro arti e che gli antenati dell'attuale cavallo monodattilo abbiano avuto una zampa con tre dita funzionali. Un altro fenomeno inspiegabile con la dottrina creazionista a la presenza temporanea durante lo sviluppo dell'embrione (ontogenesi, Finestra 4.7) di strutture rudimentali che vengono poi perse o trasformate in altri organi. Lo sviluppo dell'embrione, dunque, potrebbe riflettere, almeno in parte, la storia evolutiva dell'organismo. Se si studia la zampa anteriore di un cavallo, l'ala di un uccello ed it braccio di un uomo, si arriva alla conclusione che esse sono costituite dalle stesse ossa, anche se queste hanno nei tre taxa funzioni e quindi forme diverse. L'ipotesi pit ovvia e che queste ossa siano omologhe (§ 3.8), cio6 ereditate da un progenitore comune e si siano poi modificate successivamente, attraverso un processo di adattamento a condizioni ambientali diverse. Non sarebbe razionale immaginare che nell'atto creativo sia stata ripetutamente utilizzata la stessa struttura, soggetta a limitazioni e non sempre la pit funzionale, modificata per le diverse esigenze ambientali. Se si osserva poi la distribuzione geografica degli animali e delle piante, si nota che ogni continente e ogni oceano presentano una fauna ed una flora tipica e in certi casi esclusiva (Cap. 9). La distribuzione biogeografica a razionalmente spiegata solo con la storia evolutiva degli organismi, legata inscindibilmente all'evoluzione paleogeografica e non trova una risposta adeguata nella dottrina fissista.

142 Fossili ed evoluzione

fanoni mandibola scapola arto anteriore

rudimento di un dito laterale funzionale

CAVALLO SERPENTE Fig. 4.1 — Le ossa pelviche e i femori rudimentali di alcuni serpenti e delle balene sono interpretabili

razionalmente solo assumendo che balene e serpenti derivino da antenati con quattro arti. Analogamente, la presenza dei rudimenti delle dita laterali nell'arto del cavallo suggerisce di ricercare la sua origine in progenitori con arti dotati di tre dita.

La fauna autoctona a mammiferi dell'Australia (§ 9.9.6), ad esempio, a costituita prevalentemente da marsupiali (il termine deriva da marsupio, cio6 la tasca esterna ventrale in cui si completa to sviluppo dell'embrione), mentre gli altri ccmtinenti sono caratterizzati quasi esclusivamente dai mammiferi placentati (il termine;deriva da placenta, cio6 l'organo fittamente vascolarizzato che nell'utero collega it sistema circolatorio della madre con il feto). Tra le possibili interpretazioni razionali, evitando di ricorrere a bizzarrie nella creazione, si pub ipotizzare che gli attuali marsupiali discendano da antichi progenitori, migrati in tale continente quando questo era ancora collegato con le altre regioni del Gondwana (§ 9.9.6). Tra le varie ipotesi che tentano di spiegare l'assenza dei placentati in Australia, la pit immediata prevede che fu it successivo isolamento del continente a impedirne la migrazione (§ 9.9.6). Le analogie morfologiche che si riscontrano tra placentati e marsupiali (fig. 9.33) sono funzionali e derivano da un processo di adattamento a nicchie ecologiche simili. Con il progresso della genetica sono state acquisite ulteriori prove dell'evoluzione fondate sulla documentazione molecolare (sequenze di DNA [Finestra 4.4] e sequenze proteiche). L'affinita delle sequenze di DNA di specie diverse, ad esempio, concorda in modo soddisfacente con l'affinita tra le stesse specie dedotta dalla documentazione paleontologica. Inoltre, senza entrare in ulteriori dettagli che richiederebbero una pit approfondita conoscenza della genetica, si pub sottolineare che le nuove conoscenze sulle modificazioni del DNA sono coerenti con le previsioni del modello evoluzionistico.

La teoria evolutiva di Lamarck e i neolamarckisti 143

Le esperienze di laboratorio su popolazioni di batteri a elevatissimo ritmo riproduttivo e di moscerini del genere Drosophila, che presentano una nuova generazione ogni due settimane, hanno permesso di cogliere it differenziarsi delle popolazioni nel tempo e anche, nel caso di Drosophila, la genesi di popolazioni che non erano pia interfertili e quindi costituivano specie nuove. Questi esperimenti hanno permesso di concludere che «l'evoluzione » put) essere «cotta» anche in laboratorio e che i cambiamenti riscontrati sono perfettamente coerenti con it modello evoluzionista.

4.3 - DISCENDENZA CON MODIFICAZIONE Nonostante siano state formulate tante nuove definizioni, l'espressione di Darwin discendenza con modificazione rimane ancora oggi ii modo pia semplice ed incisivo

per definire l'evoluzione. La discendenza con modificazione, cioe it modello secondo cui le specie viventi derivano dall'evoluzione nel tempo di specie ancestrali, costituisce, come si a gia osservato, it fondamento della moderna biologia. L'evoluzione si deve considerare oggi un processo reale (o se si vuole l'unico modello possibile) documentato da una imponente, anche se incompleta, testimonianza storica; in tale processo trova una spiegazione esauriente e logica una mole enorme di dati neontologici (biogeografici, anatomici, embriologici e biochimici) altrimenti inspiegabili (Finestra 4.1). Rimane tuttavia ancora oggetto di dibattito it modo ed i meccanismi attraverso cui si e realizzato it processo evolutivo. Lo stesso Darwin, nella sua opera, distinse chiaramente it dato di fatto dell'evoluzione dalla teoria che propose per interpretarla. Come si e gia accennato, alcune teorie classiche, come ad esempio quella di Lamarck e dei neolamarckisti, non sono pia accettate perche incompatibili con le attuali conoscenze biologiche. La teoria di Darwin, nonostante sia stata concepita quando ancora non si conoscevano i meccanismi dell'ereditarieta (Finestra 4.3), e ancora al centro del dibattito sull'evoluzione. .

LvivERSITARA ca.A

4.4 - LA TEORIA EVOLUTIVA DI LAMARCK E I NEOLAMARCKISTI

La prima teoria coerente e completa sull'evoluzione si deve a Jean Baptiste de Lamarck (1744-1829). Il modello evoluzionistico di Lamarck 6 stato ispirato soprattutto dalla sua attivita di botanico e di paleontologo. Nel classificare le conchiglie fossili, it grande naturalista francese aveva colto la possibility di ordinarle in modo tale che da quelle ritenute pia antiche si potesse, di modificazione in modificazione, risalire a quelle pia recenti. Egli dunque intul it concetto di evoluzione tramite i fossili, anche se non presento alcuna prova paleontologica del suo modello. La sua posizione fu quindi nettamente diversa da quella di Darwin che invece intui e documente it suo modello evolutivo essenzialmente sulla base degli adattamenti, della diversity e della distribuzione geografica degli organismi. Nella «filosofia naturale» di Lamarck l'intera massa degli organismi non ha soluzione di continuity e all'interno di questo continuum esiste un movimento costante; i discendenti di un certo ceppo cambiano nel tempo e quindi si evolvono. Il movimento e ascendente, in quanto esiste la tendenza ad acquisire una maggiore complessita: «... in natura, mentre da vita con l'aiuto del tempo tanto al regno animale che a

144 Fossili ed evoluzione

LAMARCKISMO A. - Un organismo (cerchio) attraverso it meccanismo dell'uso e del non uso di certe sue strutture assume una forma pi6 idonea alle sue esigenze ambientali.

DARWINISMO A. - Da un genitore (cerchio) si origina una prole che presenta un ampio campo di variability "casuale" rispetto alle esigenze ambientali. II numero delle varianti adattative e non adattative si equivalgono.

0 0-0

0 0 0 0 0 0 000 B.

-

La sua prole eredita it carattere

acquisito.

0

0 0 0 C. - L'ereditarieta del caratteri acquisiti dai genitori 6 la condizione indispensabile per ('evoluzione.

B. - Le modificazioni acquisite dall'organismo in vita,per effetto dell'uso e del non uso non influiscono in modo determinants sulla prole della quale sopravvive solo quella con caratteri piu adattativi. Col tempo la selezione naturale scegliera la forma ellittica, con asse orizzontale, che diverra it carattere pi0 frequents della popolazione.

0 0 0

00 0

C. - Variabilita e selezione naturale sono i due fattori essenziali dell'evoluzione.

Fig. 4.2 I due diversi meccanismi evolutivi delle teorie di Lamarck e Darwin (da Luria, Gould & Singer, 1984, con modifiche). —

quello vegetale, ha realmente formato in ognuno di questi regni una vera scala, in connessione con la crescente complessita di organizzazione di questi esseri viventi... ». Il flusso dell'evoluzione a continuamente alimentato dalla generazione spontanea, dalla materia organica, di organismi molto semplici che iniziano a salire la «grande scala della natura». Seguendo it pensiero lamarckiano gli organismi pie semplici sono quindi quelli pit recenti, che hanno appena iniziato a salire la scala, mentre quelli che hanno gia da tempo iniziato la salita sono pit complessi e pit antichi; un singolo gruppo di organismi, evolvendosi, passa da un gruppo tassonomico all'altro ma i gruppi tassonomici, almeno quelli gerarchicamente pit elevati, rimangono sempre gli stessi. Ii flusso di massa di Lamarck 6 stato paragonato al corso di un fiume: l'acqua scone ma it flume non cambia. Come conseguenza Lamarck non ammetteva ne l'esistenza di limiti tra le specie che si succedevano nel tempo, ne l'esistenza dei fenomeni di scomparsa; ambedue i concetti erano, infatti, in evidente contraddizione con it suo modello di flusso della massa degli organismi senza soluzione di continuity. Come ha osservato Simpson (1960), tutta la materia organica, nella teoria di Lamarck, «verrebbe attualmente a trovarsi in quello che, con terminologia moderna, si chiamerebbe stato dinamico fisso». A prescindere da questi aspetti filosofici che non hanno lasciato ulteriore traccia nella storia del pensiero evoluzionistico, l'attenzione degli addetti ai lavori si 6 concentrata su alcuni punti del pensiero lamarckista, qui riassunti in modo molto schematico, che sono passati alla storia come i fondamenti della teoria evolutiva di Lamarck: 1) Tutti gli organismi possiedono una tendenza intrinseca al perfezionamento; 2) Ogni specie (o ogni gruppo di organismi) fa parte di una Linea evolutiva indipendente, che ha avuto origine per generazione spontanea (§ 5.2b);

La teoria evolutiva di Lamarck e i neolamarckisti

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3) Gli esseri viventi reagiscono al mutare delle condizioni ambientali acquisendo adattamenti appropriati. Tale reazione 6 condizionata dal posto che ogni gruppo di organismi occupa in quel tempo nella scala della natura, cio6 dal loro piano strutturale; 4) L'impiego di un organo porta al suo sviluppo, mentre it non uso determine la sua atrofia fino alla scomparsa (legge dell'uso e del non uso); 5) Le modificazioni acquisite dai genitori vengono a far parte del patrimonio ereditario e vengono trasmesse alla prole (legge dell'ereditarieta dei caratteri acquisiti). I punti 4 e 5 sono stati assunti dai neolamarckisti come base culturale del loro pensiero evoluzionistico (fig. 4.2), tralasciando tutto it resto del pensiero lamarckista (Finestra 4.5). L'ereditarieta dei caratteri acquisiti era allora accettata indiscriminatamente da tutti gli autori, incluso Darwin. Si pensava infatti, e non esisteva una concezione alternativa (se si prescinde dallo studio completamente ignorato di Mendel; Finestra 4.3), che la sede del patrimonio ereditario fosse nel sangue. It progressivo sviluppo della genetica dall'inizio del '900 e ancor prima, dal 1870 in poi, le ricerche sperimentali e le deduzioni di Francis Galion (1822-1911) e di August Weismann (1834-1914) privarono di credibility it postulato che le modificazioni adattative, acquisite tramite l'uso ed it non uso degli organi, fossero trasmissibili alla prole. La teoria della generazione spontanea, per quanto ancora comunemente accettata ai tempi di Lamarck, era pert) gia allora superata. Il biologo inglese Harvey, fin dal Seicento, aveva avanzato l'ipotesi che larve e uova, troppo piccole per essere viste, fossero gia presenti nella came. L'esperimento di Francesco Redi, nello stesso secolo, confermO pienamente l'ipotesi di Harvey. La polemica pert) non ebbe fine con Redi e prosegul per molto tempo ancora, nonostante le esperienze di Lazzaro Spallanzani nel '700. In definitiva, nel Settecento esistevano gia i presupposti per ritenere inconsistente it fenomeno della generazione spontanea. Il pensiero di Lamarck 6 molto spesso schematizzato con l'esempio dell' « evoluzione » delle giraffe, soprattutto per evidenziarne le differenze con quello di Darwin. Effettivamente Lamarck riferisce espressamente che l'animale abita finterno dell'Africa e vive in luoghi ove un terreno quasi ovunque arido e non erboso lo obbliga a brucare it fogliame degli alberi e a sforzarsi continuamente di arrivare piu in alto. Da questa abitudine, mantenutasi per molto tempo in tutti gli individui della sua razza, 6 risultato che le sue zampe anteriori sono diventate pit lunghe di quelle posteriori, e che i suo collo si a tanto allungato da permetterle di alzare la testa toccando i sei metri di altezza... senza drizzarsi sulle zampe posteriori».

FINESTRA 4.2 — LA CROCIERA DEL BEAGLE: LA SCOPERTA DELL'EVOLUZIONE Il 27 dicembre 1831, all'eta di 23 anni, Charles Darwin s'imbarco a bordo del brigantino Beagle, che si apprestava ad effettuare la circumnavigazione del globo (fig. 4.3), in qualita di naturalista aggiunto e senza paga. Lo scopo del viaggio del Beagle, che si sarebbe prolungato per 5 anni, fino al 2 ottobre del 1836, era quello di eseguire rilevamenti cartografici nell'America meridionale e di apprestare una rete di misure geodetiche intorno al globo. Darwin, per quanto molto giovane, aveva alle spalle un'ampia esperienza naturalistica amatoriale, maturata a contatto con illustri

146

Fossili ed evoluzione

Fig. 4.3 La rotta del brigantino «Beagle» intorno al globo. Il viaggio inizia it 27 dicembre 1831 e si prolunga sino al 2 ottobre 1836. -

docenti del tempo, che si estendeva dalla chimica alla geologia, dalla botanica alla entomologia. Il punto fondamentale era pert che Darwin, pur con i pregi ed i difetti della cultura del suo tempo, era scevro da pregiudizi e convinto «... che la scienza consiste nel collegare i fatti tra Toro cosicche se ne possano trarre leggi o conclusioni di carattere generale ». Darwin, quando salpo con it Beagle era sotto l'influenza dei modelli geologici catastrofici di Adam Sedgwick (1785-1873) e di Robert Jameson (1774-1854) secondo cui la morfologia della Terra era stata determinata da grandi fenomeni geologici (vulcanismo e inondazioni) attualmente non piu sperimentabili. Tra i libri che Darwin ports a bordo figurava anche it primo volume dei «Principles of Geology» di Charles Lyell. Questa opera ed i fenomeni geologici che ebbe modo di osservare direttamente (eruzioni vulcaniche, terremoti, ecc.) convinsero Darwin ad abbandonare i modelli catastrofisti e ad accettare la validita del principio dell'uniformismo di Lyell secondo cui la documentazione geologica indica che la Terra e, ed 6 stata, continuamente modellata dagli eventi fisici che si vedono all'opera attualmente giorno per giorno (Finestra 1.1). Il pia importante contributo di Darwin alla geologia, « The structure and distribution of the Coralline Reef» pubblicato nel 1842, fu in effetti un'acuta dimostrazione del pensiero di Lyell. La sua adesione al principio dell'uniformismo costitul una premessa essenziale alla sua futura conclusione che i processi naturali, nel tempo, trasformano gli organismi come modellano la forma della Terra. L'intuizione, le prove e, in definitiva, it fulcro della teoria evolutiva di Darwin si basano sui caratteri e sugli aspetti della attuale distribuzione geografica degli organismi. Da questo si comprende come sia stata fondamentale l'esperienza di Darwin a bordo del Beagle. «Durante it mio periodo d'imbarco a bordo della nave di Sua Maesta Britannica Beagle in qualita di naturalista, fui vivamente colpito da alcuni

La teoria evolutiva di Lamarck e i neolamarckisti

147

fatti relativi alla distribuzione degli esseri viventi nell'America del Sud, e ai rapporti geologici che intercorrono tra organismi viventi ed estinti di quel continente. ... tali fatti sembravano portare un po' di luce sull'origine delle specie... ». Darwin fu sorpreso dalla constatazione delle grandi differenze faunistiche tra i continenti, differenze che non erano giustificabili con le diverse condizioni ambientali, ma solo con l'isolamento. Egli noto che l'isolamento determinato da grandi barriere geografiche, come ad esempio un ocean o una catena montuosa, era sempre associato a differenze nella vegetazione e nella fauna; tanto pia una barriera geografica era antica tanto pia le differenze faunistiche erano marcate (Cap. 9). Darwin mice in risalto la grande «affinita che lega gli esseri viventi di uno stesso continente o di uno stesso mare, per quanto le specie siano distinte a seconda della distribuzione topografica e dei diversi habitat». In particolare l'autore sottolineo le differenze, e nel contempo le affinita, che si riscontrano attualmente in uno stesso continente alle diverse latitudini. OsservO, ad esempio, che it genere Rhea, to struzzo americano, rappresentato da due specie diverse che popolano rispettivamente le pianure sullo stretto di Magellano (Rhea americana) e le aree pia settentrionali dove scone it Rio della Plata (Rhea darwinii); aggiunse inoltre «che non vi si trova it vero struzzo o che vivono in Africa e in Australia alla stessa latitudine», attribuiti rispettiva-

t3 PINTA

op,1_A PAG0

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SANTIAGO

FERNANDINA SANTA CRUZ SANTA FE

SUD AMERICA SAN CRISTOBAL

Fig. 4.4 Le isole Galapagos e le loro differenti specie di fringuelli e di tartarughe. La diversa forma del becco dei fringuelli e la diversa morfologia delle tartarughe (forma della corazza, lunghezza del collo e degli arti) sono da correlare con le loro differenti specializzazioni alimentari. Ad esempio, la modesta lunghezza del collo e delle zampe di Testudo microphyes, esclusiva dell'isola Isabela, 8 funzionale con it pascolo in un ambiente a vegetazione bassa, mentre gli arti ed it collo piu lunghi e la marcata elevazione anteriore della corazza di Testudo abingdonii, esclusiva dell'isola Pinta, sono adatti per brucare vegetazione pit alta. I fringuelli, appartenenti alla famiglia Geospizinae, tra cui ricordiamo Geospiza fuliginosa di Santa Fe, Geospiza magnirostra di San Cristobal, Geospiza fortis di Santa Cruz e Certhidea olivacea di Isabela, derivano probabilmente da Caltablyrhynchus diadema dell'Ecuador. —

148 Fossili ed evoluzione

mente ai generi Struthio e Dromaius (§ 9.9.2d). Darwin cita altri esempi sulle affinita delle faune di uno stesso continente e osserva che questa affinita si riscontra anche nella documentazione fossile: «In cif!) not scorgiamo un qualche legame organico profondo che vince to spazio e it tempo e che unisce le stesse aree marine e terrestri, indipendentemente dalle loro condizioni fisiche ». L'autore conclude che solo l'ereditarieta pub produrre organismi simili nel tempo e che le differenze non possono essere dovute che all'effetto della selezione naturale. I caratteri faunistici peculiari di una regione vengono quindi interpretati alla luce dell'antichita delle barriere naturali che limitano o impediscono le migrazioni, delle differenze dell'ambiente fisico e delle «... reciproche interazioni nella lotta per la vita, giacche le relazioni tra organismo e organismo sono le piu importanti di tutte». E pert) dall'osservazione delle faune insulari ed in particolare delle faune dell'Arcipelago equatoriale delle Galapagos, situato a circa 1.100 km dalle coste dell'Ecuador (fig. 4.4), che Darwin trasse le pia evidenti prove della sua teoria della discendenza con modificazione.

Darwin osservb che ciascuna isola era popolata da una razza particolare di tartarughe giganti: la spiegazione pitt semplice era quella di immaginare che queste popolazioni avessero avuto origine da un antenato comune e si fossero differenziate a causa di un isolamento in ambienti diversi (§ 9.10.1). Le differenti specie dei fringuelli delle Galapagos, ciascuna con caratteri morfoadattativi peculiari alla loro dieta alimentare (semi, insetti, ecc.) e la notevole affinita che esse presentavano con una specie del Sud America, cio6 it continente piu vicino, rendevano ancor pitt probante l'ipotesi precedente: un progenitore comune migrato qualche tempo prima sulle isole dal Sud America avrebbe dato origine ad una discendenza che si ando modificando sempre pia, in relazione all'isolamento e alle diverse risorse alimentari.

4.5 - LA TEORIA EVOLUTIVA DI C. DARWIN: «DISCENDENZA CON MODIFICAZIONE ATTRAVERSO LA SELEZIONE NATURALE» La teoria elaborata da Darwin, nonostante sia passato pit' di un secolo dalla sua enunciazione e sia stata formulata quando ancora non si conoscevano i meccanismi della trasmissione dei caratteri ereditari (Finestre 4.3; 4.4), 6 ancora at centro del dibattito sull'evoluzione. La teoria darwiniana si pub sintetizzare in cinque punti fondamentali che sono, come vedremo, facilmente traducibili nell'attuale dibattito sulle teorie evolutive e sono anche di grande aiuto per capirne it significato: a) gli individui che appartengono ad una specie non sono uguali e presentano, quindi, una variability individuale; b) le variazioni individuali sono mantenute nella prole; c) gli organismi producono pill prole di quella che pub sopravvivere fino at momento della riproduzione; d) statisticamente sopravvivono piu facilmente quegli individui della prole che hanno ereditato i caratteri piu vantaggiosi per la sopravvivenza; dunque, solo individui meglio adattati sopravvivono phi a lungo; e) gli individui meglio adattati arrivano pia facilmente alla maturity sessuale e

La teoria evolutiva di C. Darwin 149

possono cost trasmettere i loro caratteri adattativi ai loro discendenti che, nel tempo, tenderanno a diventare sempre pia numerosi nella popolazione. In definitiva esiste una variability naturale e l'ambiente tende a selezionare gli individui portatori dei caratteri pia adatti alla sopravvivenza (fig. 4.5). «E la lotta per la vita che fa si che ogni variazione per quanto minima e derivante da qualsivoglia causa, se risulta in qualche modo vantaggiosa all'individuo di ogni specie nei rapporti infinitamente complessi che lo legano agli altri organismi ed alla natura stessa, tenda a preservare quell'individuo e a trasmettersi per via ereditaria alla sua progenie» (Darwin, 1859).

°GEN.1 1° GENERAZIONE

OSSERVAZIONI Genitori

Prole

Prole sopravvissuta Genitori

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AAN 0000

CONSIDERAZIONI

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La variazione 0

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Gil organismi presentano una grande variabilita

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000CD

Tutti gli organismi producono piii prole di quanta ne pub 0 0 01 CD sopravvivere e riprodursi CD

I sopravvissuti sono, in media, pit) adattati ai loro ambienti di vita (selezione naturale)

Fig. 4.5 Questo schema riassume i punti essenziali del modello evolutivo elaborato da Darwin. Per semplificare lo schema si 6 assunto che la riproduzione sia asessuata. La figura ellittica, con asse orizzontale, rappresenta l'insieme dei caratteri che permettono un migliore adattamento all'ambiente e che pertanto vengono selezionati con maggiore frequenza (da Luria, Gould & Singer, 1984, con modifiche). —

La selezione dei portatori dei caratteri pia adattativi venne indicata da Darwin con e cie, per sottolineare un'affinita con it potere it termine di selezione naturale selettivo dell'uomo». Il punto focale della teoria darwiniana consiste quindi nel ritenere che la selezione naturale agisca a una scala molto maggiore rispetto alla selezione operata dagli allevatori o dai coltivatori i quali attraverso incroci opportuni riescono a isolare razze con caratteri utili all'uomo. La genesi di nuove specie non legata, secondo Darwin, alla comparsa improvvisa di modificazioni importanti, ma alla selezione lenta, graduale e continua di piccoli cambiamenti adattativi. Il modello della trasmissione dei caratteri acquisiti e dell'influsso dell'ambiente nell'orientare le variazioni verso adattamenti pia funzionali, che costituiva it fulcro del lamarckismo, era largamente accettato anche ai tempi di Darwin. Per quanto Darwin non negasse tale meccanismo, egli riconosceva tuttavia (almeno nelle prime edizioni della sua «Origine delle specie ») che le variazioni dei caratteri erano soggette «a leggi complesse e poco conosciute» e che l'ambiente poteva esercitare «solo uno scarso effetto diretto». Le variazioni quindi, nella espressione pia genuina della teoria darwiniana, sono casuali, nel senso che non sono orientate dall'ambiente fisico verso le direzioni pia vantaggiose come nel neolamarckismo. E l'ambiente stesso che seleziona i portatori dei caratteri varianti pit funzionali. La selezione naturale, accumulando nella popolazione piccole variazioni favorevoli di generazione in generazione, svolge un ruolo dinamico e creativo, venendo a plasmare gradualmente ed in modo continuo nuove ra77e e nuove specie. La selezione naturale assume quindi it ruolo di forza creatrice che dirige l'evoluzione.

150 Fossili ed evoluzione rig.

4.6 — Illustrazione del modello dell'ereditarieta

mescolamento. a) Una variante nera adattativa O 0 0 0 0 0 percompare in una popolazione bianca. b) La variante nera non pub che accoppiarsi con quella bianca ed it 0 0 0 0 0 carattere della prole salt grigio, cio6 una miscela del0 0 0 • la variante nera e di quella bianca (50% nero e 50% 0 0 bianco). c) Poiche le varianti grige sono ancora molto 0 0 0 rare appare statisticamente probabile che si accoppi0 no con le varianti bianche. d) Questo reincrocio di 0 ° 0 a) luogo ad una prole in cui ii carattere nero originale 6

b)

0

O

0 •0 0 0 0

O

• 00

ridotto al 25%. e) Gli ulteriori reincroci portano ad una diluizione sempre piu accentuata del carattere nero. Solo l'eredita particellare pub spiegare la diffusione di un carattere in una popolazione senza una sua diluizione.

O

0 0 0 0

O O C)

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0 0 coo 00

0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 e) 4.6. - LA SELEZIONE NATURALE E LA TRASMISSIONE DEI CARATTERI L'opera di Darwin e l'accumularsi di importanti prove paleontologiche, come ad esempio la scoperta di Archaeopteryx (fig. 4.27a) nel 1866, determinarono una rapids e generale accettazione della realta del fenomeno evolutivo. La teoria della selezione naturale non incontra eguale successo e, per motivi diversi, non fu accettata dalla maggior parte degli autori per alcuni decenni. Le obiezioni che i contemporanei rivolsero a Darwin furono in parte fondate ed oggettive. Una delle piu importanti, diretta al cuore stesso della teoria, riguardava

La selezione naturale e la trasmissione dei caratteri 151

l'inconciliabilita tra l'azione della selezione naturale e it meccanismo dell'ereditarieta «per mescolamento» (fig. 4.6), l'unico allora comunemente ammesso. Applicando tale modello, una nuova variazione adattativa, a prescindere dal vantaggio che conferisce al suo portatore, con it diffondersi nella popolazione di generazione in generazione dovrebbe diluirsi progressivamente, perdendo le caratteristiche per cui verrebbe selezionata. In pratica it meccanismo dell'ereditarieta per mescolamento, diluendo ogni carattere favorevole che poteva comparire in una popolazione, avrebbe drasticamente limitato l'opera della selezione naturale. Come poteva diffondersi in una popolazione un carattere adattativo senza diluirsi? In una logica neolamarckista la risposta poteva essere relativamente semplice: i nuovi caratteri si manifestavano in un elevato numero di individui per effetto diretto dell'ambiente e quindi si diffondevano rapidamente (ereditarieta dei caratteri acquisiti) a tutta la popolazione, diventandone patrimonio stabile senza subire fenomeni apprezzabili di diluizione. Darwin, nell'ultima edizione dell'« Origine della specie», fu costretto, in assenza, a quei tempi, di un'interpretazione alternativa dei meccanismi ereditari, ad avvicinarsi a tale posizione, pur privilegiando sempre la funzione della selezione naturale. A prescindere dalla risposta di Darwin, che presenta ormai solo un valore storico, la soluzione del quesito venue dalla scoperta che i fattori che trasmettono l'informazione ereditaria sono costituiti da unity ben distinte, che non perdono la loro individuality di generazione in generazione (Finestra 4.3). Risultava chiaro che it vantaggio selettivo dei caratteri adattativi non veniva diluito e che, come conseguenza, i caratteri adattativi potevano diffondersi stabilmente a tutta la popolazione.

FINESTRA 4.3 — DA MENDEL ALLA SCOPERTA DEI GENI

a) LA SCOPERTA DELL'EREDITARIETA PARTICELLARE Il monaco boemo Gregor Johan Mendel (1822-84), dopo anni di esperimenti condotti sulle piante di piselli nel giardino del suo convento, giunse alla conclusione che i caratteri ereditari ed i fattori che li determinano rimangono ben distinti con it susseguirsi delle generazioni: non si perdono ne si diluiscono. Il modo di operare di Mendel si pub riassumere nell'esempio di figura 4.7 che illustra i risultati dell'incrocio di una pianta di pisello a semi lisci con una pianta a semi rugosi. Egli trove che la prima generazione presentava costantemente semi lisci ed it carattere «seme rugoso » sembrava perso. Procedendo in questo modo con altri caratteri (sette complessivamente) ottenne sempre lo stesso risultato: la prima generazione manteneva it carattere di uno dei genitori e l'altro sembrava perso. Incrociando fra di loro o autoimpollinando le piante della prima generazione, Mendel troy() che nella seconda generazione 3/4 delle piante presentavano it carattere delle prima generazione e quindi di uno dei progenitori, mentre 1/4 presentava it carattere dell'altro progenitore che nella prima generazione sembrava perso. Tale carattere era dunque conservato, anche se latente, nella prima generazione, considerando che ricompariva inalterato. Da questi risultati Mendel dedusse che ogni carattere a controllato da un fattore ereditario (oggi chiamato gene) di cui sono presenti nelle pianta due copie e che ciascuna copia proviene da uno dei genitori tramite i gameti (cellule sessuali) rispet-

152 Fossili ed evoluzione PIANTA DI PISELLO

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. , ..7. :11, V..1 ±.) ( ,, ----V: .. _11 -) Tutti semi lisci 1..... -11....) Autofecondazione o fec. incrociata fra piante sorelle

,'., ?4

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cellule uovo 0

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Tutti I semi della Ft° sono lisci perche R domina su r

0

S r r. -t... C) ..-...1

R = fattore (allele) semi lisci (dominante)

r=

fattore (allele) semi rugosi (recessivo)

Fig. 4.7 — Anatomia di una pianta di pisello (in alto); incrocio tra piante a semi lisci e semi rugosi (in basso a sinistra) e interpretazione sulla base della 1° legge di Mendel (in basso a destra).

tivamente maschile e femminile. Se le due copie sono diverse, oggi si dice che it gene e presente in due forme, denominate alleli. L'allele che determina it carattere «semi lisci» e che si manifesta negli ibridi di prima generazione e dominante sull'allele che determina it carattere «semi rugosio, che rimane latente e viene detto recessivo. L'allele dominante viene dunque espresso anche quando 6 presente in singola copia, mentre l'allele recessivo si manifesta solo quando 6 presente in doppia copia. Un

La selezione naturale e la trasmissione dei caratteri 153

organismo a definito omozigote per un certo gene quando le sue due copie sono uguali, eterozigote quando queste sono diverse. Non sempre pert) negli incroci mendeliani si osserva una dominanza completa; in molti casi si osserva un'assenza di dominanza oppure tutte le transizioni possibili tra questa condizione e una dominanza completa. Questo non significa, ovviamente, che i due alleli si siano «mescolati», ma semplicemente che nel loro rapporto di interazione non esistono le condizioni biochimiche per una dominanza di un carattere sull'altro. I caratteri dei due alleli non vengono dunque persi e compaiono negli omozigoti delle generazioni successive. Ad esempio, dall'incrocio di due piante di bocca di leone, una con l'allele che determina it fiore rosso, l'altra con l'allele che determina it fiore bianco, si otterranno nella prima generazione piante a fiore rosa (dominanza incompleta). Nella seconda generazione avremo il rapporto 1 (rosso): 2 (rosa): 1 (bianco) che ha lo stesso significato concettuale del rapporto 3:1 che si verifica nel caso della dominanza (fig. 4.7). Mendel appuro, inoltre, che i caratteri rimangono sempre inalterati anche nelle successive generazioni e che un organismo eterozigote per un certo carattere avra uguali probability di produrre gameti con un allele dominante o con l'altro recessivo. Mendel consider() in seguito pia caratteri alla volta ed arrivo alla conclusione definitiva che i caratteri e i fattori che li determinano non si mescolano e rimangono unity ben distinte. Fra le molte piante utilizzate da Mendel per i suoi esperimenti la scelta dei piselli si rivelo la pia adatta in quanto i caratteri apparivano ben marcati e la loro segregazione era caratterizzata da rapporti numerici costanti e interpretabili; si scopri in seguito che i sette caratteri differenti presi in considerazione sono controllati da singoli geni situati in cromosomi diversi. Gli esperimenti degli autori precedenti erano falliti probabilmente perche avevano considerato caratteri (come ad esempio l'altezza) controllati da pia geni o perche non avevano saputo interpretare it rapporto 3:1. Mendel mando i risultati delle sue analisi a Karl von Nageli, uno dei botanici pia accreditati del tempo, ma l'illustre scienziato non capl le potenzialita della scoperta. Ironia della sorte, si dice che lo stesso Darwin avesse nella sua biblioteca un riassunto dell'opera di Mendel. In ogni caso le conclusioni di Mendel rimasero completamente ignorate fino al 1900, quando furono riscoperte e pienamente confermate contemporaneamente e indipendentemente da tre autori diversi (Karl Correns, Hugo De Vries e Erich Tschermak von Seysenegg). Esse suscitarono un enorme interesse perche venivano a confermare it progresso sui meccanismi ereditari ottenuto, nel frattempo, dallo studio delle cellule. b) GENI E CROMOSOMI Nel 1831 it medico Robert Brown rilevo che le cellule erano tutte caratterizzate da una zona centrale pia scura e pia densa, che venne indicata con it termine di nucleo. Sin dalla prima meta dell'Ottocento si intui che it nucleo doveva in qualche modo partecipare alla riproduzione della cellula, che appariva come un minuscolo corpo trasparente con una macchia al centro. Lo studio vero e proprio delle cellule inizio in seguito all'acquisizione della capacity di preparare per via sintetica nuove sostanze coloranti. Walther Fleming (1843-1905) con questa tecnica scoprl, all'interno del nucleo, delle chiazze che assorbivano it colorante utilizzato e che chiamo cromatina. Nel decennio 1870-1880 Fleming, colorando un tessuto in fase crescita, fu in grado di

154 Fossili ed evoluzione MEIOSI

MITOSI

Fig. 4.8 — Confronto fra la meiosi (a sinistra) e la mitosi (a destra). Si osservi ii fenomeno dello scambio (crossing over) nella meiosi.

U

CROSSING OVER

«sorprendere» le cellule in diverse fasi di divisione. All'inizio di questa divisione la cromatina si andava concentrando in corpi allungati e filiformi che in seguito vennero chiamati cromosomi (corpi colorati). I singoli cromosomi iniziavano quindi a sdoppiarsi, pur rimanendo uniti nella regione detta centromero, e si portavano verso it piano equatoriale di una struttura a fuso, che compariva allora, formata da sottili filamenti che si congiungevano ai poli opposti. A questo punto i singoli centromeri si sdoppiavano contemporaneamente, permettendo la completa separazione dei due cromosomi figli, ciascuno dei quali, spostandosi lungo it fuso, migrava verso it polo opposto. Dopo di che la cellula si divideva completamente. Al posto della cellula madre esistevano due cellule figlie con l'identica quantita di cromosomi e di cromatina. Fleming denomino ii processo di divisione delle cellule con it termine mitosi (filo) per sottolineare it ruolo essenziale che vi svolgevano i cromosomi (fig. 4.8). Eduard Van Bemelen (1877) dimostro che ogni specie e ogni cellula di uno stesso organismo avevano un numero costante di cromosomi, ciascuno rappresentato in doppia copia (corredo diploide). Egli scoprl inoltre che i gameti, le cellule sessuali maschili e femminili, presentavano solo la meta del numero dei cromosomi delle

Origine delle variazioni 155

cellule del soma (cioe del corpo) ed erano cioe aploidi. Il processo di divisione che porta alla formazione dei gameti da una cellula diploide, prende it nome di meiosi (fig. 4.8). In conclusione, nelle cellule del soma i cromosomi sono presenti in doppia copia (cromosomi omologhi), ciascuna copia proviene da uno dei genitori e la separazione delle due copie avviene durante la meiosi. I cromosomi si comportavano come i fattori ereditari di Mendel. Ci si rese per() conto che it numero dei cromosomi era molto inferiore a quello dei caratteri degli organismi e quindi si ipotizzo che i cromosomi fossero costituiti da centinaia o forse migliaia di units, indicate con il termine di geni, ciascuno dei quali, si pensava allora, controllava un carattere.

4.7 - I DEPOSITARI DEL PROGRAMMA GENETICO EREDITARIO Oggi sappiamo (Finestra 4.4) che it programma ereditario che regola lo sviluppo, i caratteri morfo-fisiologici e la funzionalita degli individui, e codificato chimicamente nei cosiddetti geni (fattori di Mendel), piccoli segmenti di macromolecole di acido desossiribonucleico (DNA) che controllano specifici caratteri dell'organismo. E raro che un gene controlli un solo carattere, come si potrebbe dedurre dalle leggi di Mendel. Infatti, un singolo gene codifica per una singola proteina enzimatica che, partecipando alla rete delle reazioni biochimiche influenza, direttamente o indirettamente, diversi caratteri del fenotipo (pleiotropia). Inoltre, un solo carattere fenotipico pub essere determinato anche da un numero elevato di geni. E noto, ad esempio, che it colore dell'occhio in Drosophila melanogaster (il moscerino utilizzato, per le sue propriety favorevoli in molti esperimenti di genetica) 6 controllato da almeno 26 geni. I geni sono organizzati in sequenze, dette cromosomi, che sono contenuti nel nucleo delle cellule. Ciascuna specie 6 caratterizzata da un numero costante di cromosomi. I cromosomi sono presenti in doppia copia (corredo diploide) in tutte le cellule del soma (cioe del corpo dell'organismo) e in singola copia nei gameti maschili e femminili (corredo aploide). I cromosomi presenti in doppia copia sono detti omologhi, in quanto it loro DNA e costituito dalla stessa sequenza di geni. I due cromosomi omologhi, tuttavia, nella maggior parte dei casi, non sono identici in quanto sono costituiti da alleli, cioe copie di uno stesso gene che differiscono per una o pit' mutazioni. La genesi dei gameti aploidi da cellule diploidi delle gonadi avviene attraverso un processo detto meiosi (fig. 4.8). Dall'unione del gamete maschile con quello femminile si forma un nuovo organismo con cellule somatiche diploidi che dara poi origine, quando avra raggiunto la maturity sessuale, a gameti aploidi. La riproduzione sessuale assicura un continuo rimescolamento dei cromosomi di una popolazione.

4.8 - ORIGINE DELLE VARIAZIONI: MUTAZIONI GENICHE, CROMOSOMICHE E POLIPLOIDIA I geni sono altamente stabili, in quanto devono assicurare la trasmissione dei caratteri adattativi. Nel contempo perb i geni possono mutare, cioe subire delle variazioni chimiche dette mutazioni che possono determinare la comparsa di nuovi caratteri negli organismi e quindi nei loro discendenti. Le mutazioni geniche sono indicate

156 Fossili ed evoluzione

DELEZIONE

DUPLICAZIONE

MEM w Olga

Inserzione di una parte aggiuntiva di cromosoma

Rottura e perdita di una parte di cromosoma

gniffirJ!,) *NM Rottura, distacco e riattacco di un segmento di cromosoma in direzione invertita

Situazione originale

Scambio di parti tra cromosomi che non sono omologhi

ankllool TIEIE)

N

(gIbicIdlel Iflglh)

TRASLOCAZIONE

INVERSIONE

Fig. 4.9 - I diversi tipi di mutazione cromosomica.

come mutazioni puntiformi e possono verificarsi durante una imperfetta fase di replica del DNA oppure per azione diretta di un agente esterno come, ad esempio, raggi X, raggi ultravioletti o anche determinate sostanze chimiche. Le mutazioni cromosomiche interessano un segmento piu o meno lungo di cromosoma e coinvolgono quindi tutta la sequenza genica che vi e contenuta; esse possono implicare it distacco di un segmento di cromosoma con successiva perdita (delezione) o riattacco in posizione invertita (inversione), it suo trasporto su di un altro cromosoma (traslocazione) o anche it suo raddoppiamento (duplicazione) (fig. 4.9). Esistono inoltre mutazioni del numero dei cromosomi e fra queste le pit importanti sono quelle che, soprattutto nel mondo vegetale, portano alla moltiplicazione del corredo aploide oltre la diplodia con formazione di mutanti poliploidi (fenomeno della poliploidia).

FINESTRA 4.4 — CENNI SUL DNA, IL PROGRAMMA DELLA VITA Il DNA, l'acido desossiribonucleico contenuto nei cromosomi di ogni cellula di tutti gli organismi, a la sostanza, unica nel suo genere, che porta, codificata nella struttura delle sue macromolecole, l'informazione che specifica le caratteristiche dell'individuo. Il DNA viene duplicato prima della divisione delle cellule ed e tramite it DNA che it «programma» di un organismo viene trasmesso alla sua prole. Nella struttura del DNA 6 dunque registrata sia l'informazione necessaria per la sua riproduzione, sia l'informazione per la produzione dell'intero organismo.

Origine delle variazioni 157

Il DNA presenta una struttura a doppia elica (Watson & Crick, 1953) formata da due filamenti avvolti a spirale l'uno attorno all'altro, ciascuno costituito dalla successione di molti nucleotidi (fig. 4.10). I nucleotidi, ciascuno formato dall'unione di uno zucchero (desossiribosio) con un gruppo fosfato e una base azotata, sono disposti in modo che zuccheri e fosfati, alternandosi, costituiscono i due filamenti esterni, mentre le basi di un filamento sono legate alle basi dell'altro creando, all'interno della molecola, una serie di piani sovrapposti come i pioli di una scala. Le quattro diverse basi del DNA, adenina (A), timina (T), citosina (C), guanina (G), si appaiano in modo specifico: A esclusivamente con T, C esclusivamente con G. Le due basi complementari sono unite mediante deboli legami idrogeno che permettono facilmente la separazione fra le due catene polinucleotidiche. L'apertura della doppia elica consente la duplicazione del DNA prima della divisione cellulare, affinche le due cellule figlie abbiano tutta l'informazione in esso contenuta. La costruzione (sintesi) di una nuova catena nucleotidica su ciascun filamento lasciato libero dalla separazione avviene per aggiunta di nucleotidi, la cui perfetta sequenza a assicurata dalla connessione automatica delle basi complementari. Ne risultano due doppie eliche figlie, ciascuna formata da un filamento della molecola che e servita da stampo e un filamento di nuova sintesi, identiche alla doppia elica parentale (fig. 4.10). E proprio la sequenza delle basi lungo la catena polinucleotidica che contiene le istruzioni per la costruzione di ogni struttura e it controllo di ogni funzione vitale dell'organismo. Un gene 6 un determinato segmento di DNA in cui ii preciso ordine delle basi fornisce precise istruzioni per la sintesi di una proteina specifica. La maggior parte delle proteine sono proteine enzimatiche, cioe molecole che catalizzano e controllano tutte le reazioni metaboliche cellulari che sono alla base della vita. Si comprende cost come la sintesi delle proteine determini, controlli e sia la spiegazione ultima dell'intera morfologia e fisiologia degli organismi.

Fig. 4.10 — Replicazione del DNA, l'acido nucleico the forma it materiale genetico. Ciascuna doppia elica e formata da un filamento parentale e da un filamento « figlio>> di nuova sintesi.

158 Fossili ed evoluzione

La determinazione della sequenza degli aminoacidi per ogni proteina avviene mediante l'intervento dell'RNA, acido ribonucleico, molecole polinucleotidiche a catena semplice in cui to zucchero e it ribosio. In corrispondenza del gene, i due filamenti del DNA si separano e uno dei due serve da stampo per la sintesi dell'RNA seguendo la regola della complementarieta delle basi, con la sostituzione pero della timina (T) con l'uracile (U). L'RNA messaggero trasferisce l'informazione cosi trascritta dal DNA, ai ribosomi (strutture citoplasmatiche di RNA e proteine) i quali, muovendosi lungo l'RNA messaggero, permettono it processo di traduzione dell'RNA messaggero in proteina specifica, mediante l'intervento dell'RNA di trasporto. Ogni molecola di RNA di trasporto riconosce e aggancia un particolare aminoacido e, formando su un ribosoma un legame temporaneo con le basi complementari dell'RNA messaggero, lo incorpora (lo aggiunge) alla catena polipeptidica nascente, la quale avra quindi gli aminoacidi nella stessa sequenza delle basi dell'RNA messaggero. Sono necessarie tre basi (tripletta o codone) per specificare ogni aminoacido. Il codice genetico che traduce la sequenza nucleotidica dell'RNA messaggero nella sequenza di aminoacidi delle proteine e lo stesso per tutti gli organismi; questa universality del codice genetico depone a favore dell'origine comune dei viventi. Oltre alle sequenza di basi codificanti per le proteine (geni strutturali), si trovano nel DNA anche sequenze di controllo che agiscono come regolatori dell'attivita (espressione) dei geni, attivando o inibendo la trascrizione nelle diverse cellule e nei vari stadi di sviluppo dell'organismo, in risposta alle necessity del momento. Quasi tutti i geni degli eucarioti sono discontinui, cio6 presentano, intercalate alle sequenze che codificano per gli aminoacidi (esoni), altre sequenze non codificanti (introni) le quali vengono trascritte, ma poi eliminate enzimaticamente nella molecola dell'RNA messaggero. In questo processo di scissione e saldatura, gli esoni possono venire riuniti in modo diverso dando origine a RNA messaggeri diversi, permettendo cosi al gene discontinuo di specificare proteine differenti. Si ipotizza che la struttura discontinua del gene sia importante per l'evoluzione, in quanto potrebbe agevolare la ricombinazione di esoni mutati (Dodson & Dodson, 1985). I geni possono mutare, cioe modificarsi in seguito a sostituzione, inserimento o perdita di basi nella sequenza nucleotidica; i geni varianti che ne derivano, potendo provocare la comparsa di nuove proprieta nelle proteine sintetizzate, determinano quella condizione di variability degli individui the e la premessa indispensabile del processo evolutivo.

FINESTRA 4.5



NEOLAMARCKISMO E TEORIA SINTETICA

La Teoria Neolamarckista (§ 4.4) si basa sull'assunto che i caratteri somatici acquisiti dagli organismi durante la loro esistenza per adattarsi all'ambiente siano trasmessi in eredita alla prole. Nel modello evolutivo neolamarckista sarebbero le cellule somatiche che si modificano in relazione alle esigenze ambientali degli organismi e trasmettono le loro variazioni alle cellule germinali. In questo modello, it vero centro propulsivo dell'evoluzione sarebbe it soma, a cui spetterebbe it ruolo di fornire al DNA l'informazione per it cambiamento evolutivo. Il ruolo del DNA sarebbe solo quello di immagazzinare le istruzioni e di trasmetterle alla prole. Dunque, l'informazione procederebbe nei due sensi: dalle proteine al DNA e dal DNA alle proteine tramite l'RNA messaggero (Finestra 4.4).

Riproduzione sessuata e asessuata 159

Questa posizione 6 evidentemente antitetica rispetto a quella della teoria sintetica (§ 4.11.3), in cui ii DNA non solo contiene it programma vitale degli organismi, ma 6 anche l'unico centro propulsore dell'evoluzione. L'informazione procede a senso unico: dal patrimonio ereditario al soma e cio6 dal DNA alle proteine, tramite l'RNA messaggero. Questo caposaldo della teoria sintetica fu intuito da August Weismann (1834-1914) ancor prima della riscoperta delle leggi di Mendel e trove) conferma nella ricerca sperimentale. In definitiva, secondo la teoria sintetica, i caratteri acquisiti dal soma non sono ereditabili in quanto non possono venir trasmessi al patrimonio genico. La genetica molecolare ha fornito una convincente spiegazione di questo fenomeno. Il DNA funziona come uno stampo dell'RNA messaggero che passa nel citoplasma dove determina la sintesi delle proteine (Finestra 4.4), le quali costituiscono i principali «materiali strutturali» degli organismi e gli enzimi che regolano i processi vitali. Quindi l'informazione genetica passa dal DNA alle proteine tramite l'RNA e questo passaggio 6 a senso unico, o almeno non 6 ancora conosciuto alcun meccanismo che proceda a senso inverso. Uno degli esperimenti pia classici e convincenti per documentare questo assunto (e anche la casualita delle mutazioni rispetto alle esigenze ambientali) 6 stato eseguito tramite la coltura di migliaia di colonie di batteri da un capostipite incapace di sopravvivere in presenza di streptomicina. Ledberg e Ledberg (1952, in Futuyama, 1983) divisero in due ciascuna colonia sottoponendo una delle due all'azione della streptomicina. Alcune colonie sopravvissero alla presenza dell'antibiotico grazie a mutazioni che conferirono loro una opportune resistenza. Si scopri pert, in seguito che anche colonie mai esposte alla streptomicina erano gia resistenti a tale sostanza. In conclusione, le mutazioni che conferivano resistenza alla streptomicina erano gia presenti nei due gruppi di colonie prima della loro esposizione all'antibiotico. Dunque , le mutazioni appaiono casuali e indipendenti dalle esigenze ambientali. Alcuni autori sostengono che in realty esiste qualche caso documentato di trasmissione di informazione dal soma al patrimonio genico. Tuttavia, la non ripetibilita degli esperimenti non pub che suggerire una grande cautela (Dodson & Dodson, 1985). Recentemente 6 stata avanzata l'ipotesi che mutazioni favorevoli potrebbero essere selezionate anche nelle cellule del soma e che tali mutazioni potrebbero essere trasferite per via virale nelle cellule germinali ed essere quindi trasmesse alla prole. Ipotesi di questo tipo, che richiamano un processo evolutivo neolamarckiano, per quanto del massimo interesse, rimangono per ora confinate nel campo del possibile. Solo future ricerche potranno ribadire la loro esclusione dal processo evolutivo o chiarire it loro possibile ruolo.

4.9 - RIPRODUZIONE SESSUATA E ASESSUATA La fonte primaria di nuovi caratteri deriva dalle mutazioni che apportano variazioni al programma genetico degli individui di una popolazione. evidente, perb, che negli organismi sessuati in cui ii succedersi delle generazioni 6 molto lento, ad esempio nei mammiferi, it ritmo delle mutazioni (una su centinaia di migliaia di replicazioni) non pub portare di per se stesso ad una apprezzabile differenza genetica tra la generazione parentale e la prole; se la variability genetica di questi organismi dipendesse solo dalle mutazioni, l'evoluzione sarebbe pressoche inesistente o comunque molto lenta. la riproduzione sessuale che svolge it ruolo fondamentale di diffondere le nuove varianti e di assicurare it mantenimento della variability genetica nell'ambito di una popola-

160 Fossili ed evoluzione

zione, doe di un gruppo di individui interfertili che popolano it medesimo territorio. La produzione di gameti aploidi tramite la meiosi e la loro successiva unione, porta come effetto al rimescolamento, ad ogni generazione, dei cromosomi di una popolazione. Attraverso questo processo si realizzano tutte le combinazioni possibili dei cromosomi, che vengono ad esprimere tutte le possibility morfoadattative del patrimonio genetico della popolazione. Come conseguenza di questo processo, ogni individuo della prole ottiene un programma genetico peculiare. Dei 46 cromosomi che possiede la specie umana, riuniti in 23 coppie di omologhi, 23 provengono dal gamete femminile e 23 da quello maschile. Dalla cellula che li produce, i gameti potranno ricevere o l'uno o l'altro di una coppia di cromosomi omologhi con eguali probability. Considerando che le coppie di cromosomi sono 23, evidentemente le possibili combinazioni corrispondono ad un numero elevatissimo. Oltre ad un rimescolamento dei singoli cromosomi, durante la meiosi pub awenire un processo particolare detto scambio (crossing over), attraverso cui si verifica un mescolamento dei geni dei cromosomi omologhi (fig. 4.8). I cromosomi omologhi possono cioe scambiarsi sequenze geniche omologhe. Questo processo, indicato come ricombinazione genica, aumenta ulteriormente la variability all'intemo delle popolazioni. In definitiva, ad ogni generazione, la riproduzione sessuale, «rimescolando » it patrimonio genico della popolazione parentale, determina la diversity della prole, incorporandovi anche le eventuali mutazioni. La selezione naturale controlla questo processo «stabilendo» se accettare le possibili varianti nel programma genetico della popolazione. La sorgente primaria dei fenomeni evolutivi consiste, in ultima analisi, nell'azione della selezione naturale sulla variability genetica. Il vero palcoscenico dell'evoluzione none quindi l'individuo, ma la popolazione. Anche gli individui asessuati hanno avuto un grande successo evolutivo; come si pub spiegare questo fenomeno senza ricorrere alla riproduzione sessuale? Negli organismi a riproduzione asessuata, in cui la prole deriva da un unico capostipite attraverso un processo di divisione mitotica o per semplice divisione dell'unico cromosoma (il processo di fissione dei procarioti), le fonti di variability e di novita derivano dalle mutazioni e da uno scambio di materiale genetico, senza riproduzione, tra diversi individui unicellulari (come awiene nei batteri e, ad esempio, nel protozoo Paramecium). Nei batteri, le generazioni si succedono in modo rapidissimo e un solo batterio in 24 ore pub dare origine a miliardi di discendenti. Anche valutando che si manifesti una mutazione su centinaia di migliaia di individui, evidentemente it loro numero risulta cospicuo e ne consegue che i batteri possono acquisire un programma ereditario adattativo, tramite il solo accumulo delle mutazioni utili, di generazione in generazione.

4.10



GENOTIPO, FENOTIPO E SELEZIONE NATURALE

La scoperta dei geni, dei cromosomi e dei meccanismi dell'ereditarieta permise di mettere a fuoco un problema essenziale per la comprensione dei meccanismi evolutivi: la distinzione del genotipo dal fenotipo. Con il termine genotipo si intende it patrimonio genetico di un individuo, mentre per fenotipo si intendono i caratteri morfofisiologici dell'individuo che derivano dall'interazione del programma genetico con l'ambiente. Il genotipo, quindi, codifica particolari risposte fenotipiche che variano con l'ambiente di vita dell'organismo. Ad esempio, la statura dell'uomo e dovuta al genotipo, ma 6 influenzata anche dalle condizioni di nutrizione durante l'ac-

Genotipo, fenotipo e selezione naturale

161

crescimento. I giapponesi sono in media di altezza minore rispetto agli anglosassoni, ma i figli dei giapponesi immigrati in America sono in media pia alti rispetto ai loro connazionali che vivono nella madrepatria. Si pub dunque concludere che la differenza di statura tra giapponesi e anglosassoni sia imputabile, almeno in parte, anche alla diversa alimentazione. Rientra nell'esperienza quotidiana l'osservazione che la taglia e la forma delle piante della stessa specie cambiano in relazione al tipo di suolo, alle condizioni di luminosity, di esposizione, ecc. La selezione naturale agisce sul genotipo tramite it fenotipo. In un'ottica evolutiva, tra fenotipo, genotipo e selezione naturale esistono rapporti ben precisi. La selezione naturale, favorendo l'insuccesso oil successo di un fenotipo, rappresentato da un individuo che si riproduce e poi muore, modifica it programma genetico delle generazioni successive, determinando quindi una « discendenza con modificazione ». La relazione tra genotipo, fenotipo e selezione naturale 6 resa tuttavia pia complessa dal fatto che tra i geni ed i caratteri non esiste una corrispondenza biunivoca. Infatti, come si a gia osservato, un gene put) controllare pia caratteri e d'altra parte un certo carattere pub essere controllato da pia geni (§ 4.7).

FINESTRA 4.6



LA DERIVA GENETICA

Con it termine di deriva genetica (genetic drift) si indicano le fluttuazioni casuali nella proporzione degli alleli in una popolazione da una generazione all'altra. Questo fenomeno dipende da due processi: la distribuzione dei geni nei gameti e l'unione casuale dei gameti a formare lo zigote. L'aumento casuale di un allele A in una parte di una grande popolazione e in genere controbilanciato dall'aumento dell'altro allele a nella rimanente parte della popolazione; oppure un aumento casuale di A pub essere controbilanciato da un aumento altrettanto casuale di a in un tempo successivo. In definitiva, in una grande popolazione la deriva genetica non dovrebbe determinare variazioni stabili nel patrimonio genetico. In una piccola popolazione, invece, una fluttuazione casuale potrebbe determinare la scomparsa di un allele raro o, al contrario, un suo aumento percentuale. La deriva genetica e una forza evolutiva casuale, indipendente dalla selezione naturale, che pub determinare la diffusione o la riduzione di un allele indipendentemente dal suo valore adattativo, neutro o disadattativo. Evidentemente, la selezione naturale interagisce con la deriva genetica e tende ad eliminare i caratteri disadattativi. Indirettamente, tuttavia, la deriva genetica pub influenzare anche le grandi popolazioni. E noto che le popolazioni sono soggette, nel tempo, a grandi fluttuazioni numeriche, determinate da variazioni delle risorse, epidemie, ecc. In questi casi la sopravvivenza delle specie e legata a piccole popolazioni, i cui fenomeni di deriva avranno un effetto basilare sul patrimonio genetico delle grandi popolazioni a cui daranno origine. Questo fenomeno detto del collo di bottiglia, introdotto in letteratura da G. Leylard Stebbins, 6 concettualmente simile all'effetto del fondatore di Ernst Mayr. Un piccolo gruppo di individui che, separandosi dal resto della popolazione, invade un nuovo territorio (un'isola, un'oasi, ecc.), No non essere rappresentativo di tutta la variability genetica della sua specie e pertanto darn origine a nuove popolazioni, anche molto grandi, «condizionate» dal suo peculiare patrimonio genico.

162 Fossili ed evoluzione

4.11 — MICROEVOLUZIONE L'acquisizione del concetto di popolazione come comunita genetica ha costituito una tappa fondamentale negli studi dell'evoluzione. Hardy e Weinberg nel 1908 determinarono, indipendentemente l'uno dall'altro, che nelle popolazioni a riproduzione sessuata (e accoppiamento casuale) in assenza di cause perturbanti (mutazioni, variazioni ambientali e migrazioni), la frequenza dei geni e dei fenotipi non cambia con it succedersi delle generazioni. I processi evolutivi iniziano quando questo equilibrio viene turbato. Con it termine di microevoluzione si intendono i cambiamenti evolutivi delle popolazioni fino all'origine di nuove specie. Con it termine di macroevoluzione ci si riferisce, come vedremo, a tutti i cambiamenti e ai processi evolutivi al di sopra della specie. Nonostante esista una notevole documentazione sulle variazioni delle frequenze geniche nelle popolazioni, it dibattito sui processi che portano all'origine di specie nuove 6 ancora aperto e articolato in diverse tesi esplicative. Questa situazione dipende dal fatto che la speciazione avviene in una scala temporale per lo pit inaccessibile sia al neontologo sia al paleontologo. Il neontologo non ha a disposizione it tempo sufficiente, mentre it paleontologo raramente riesce a disporre di una documentazione dettagliata su scale temporali brevi geologicamente (dell'ordine di 10.000-50.000 anni), a causa delle carenze intrinseche della documentazione paleontologica (§ 4.11.3d). Paleontologi e neontologi per motivi diversi non arrivano, nella maggior parte dei casi, a cogliere «il momento» dell'origine delle nuove specie.

4.11.1



Popolazione e selezione naturale

L'equilibrio genico 6 una situazione del tutto teorica. Appare intuibile, ed anche sperimentalmente provato, che ad ogni generazione si verifichino nelle popolazioni variazioni nelle frequenze geniche, causate dalla selezione naturale e dalla deriva genetica. Un esempio classico a dato dall'affermarsi del carattere «colore scuro» nelle popolazioni della farfalla notturna Biston betularia nelle regioni industriali dell'Inghilterra. Prima dell'industrializzazione, quando gli alberi, le rocce ed i licheni che li ricoprivano erano di colore chiaro, nelle popolazioni di Biston betularia prevaleva nettamente it fenotipo bianco maculato di nero. Durante it giorno queste farfalle riposano sul tronco degli alberi ed it loro fenotipo chiaro su sfondo chiaro poteva sfuggire piu facilmente alla predazione degli uccelli rispetto al fenotipo scuro. Con l'inizio della rivoluzione industriale ed it conseguente inquinamento, gli alberi e le rocce assunsero un colore nero fumo. Parallelamente a questa variazione del colore dell'ambiente, si verificO un progressivo aumento del fenotipo di colore scuro che, nell'arco di 50 anni, divenne nettamente prevalente. Tale fenomeno venne interpretato con una piu intensa predazione del fenotipo chiaro da parte degli uccelli. Esperienze condotte tramite cineprese dimostrarono (J.M. Savage, 1963) che i fenotipi chiari erano predati con maggior frequenza su sfondi nerofumo e sfuggivano piu facilmente alla predazione su sfondi chiari. L'opposto succedeva per i fenotipi scuri. Questo fenomeno, noto come melanismo industriale, riscontrato in Inghilterra in decine di specie di farfalle, a stato oggetto di diverse interpretazioni, tutte pert) basate sul modello della selezione naturale. A prescindere da ogni ipotesi, rimane it fatto che

Microevoluzione 163

Frequenza del fenotipo mutante R Eta

0.4

0.2

0

0.6

—is— ... -....

Attuale

0.8

1,

(7/19) (166/360) (109/269)

..i.

(143/312) (3/7)

(242/1021)



subfossile

(39/250)

Pleistocene

-.--•-.

sup.

(2/32)

-..medio inf.

Pliocene



(11/55) (87/587)



(0/25)



(0/36)



(0/29)



(0/5)



(0/2)



(0/20)



(0/162)

Fig. 4.11 — Cambiamento nella frequenza dei fenotipi Q ed R di Cryptopecten vesiculosus, un bivalve diffuso in Giappone dal Pliocene ad oggi. Ogni barretta indica l'errore standard della frequenza; tra parentesi 6 riportato it numero di esemplari appartenenti al fenotipo R rispetto al numero totale degli esemplari esaminati (da Hayamy & Ozawa, 1975).

in questi ultimi decenni, in seguito alla riduzione dei livelli di inquinamento, le farfalle chiare stanno di nuovo aumentando di numero. Anche nell'ambito della documentazione fossile si riscontrano esempi di variazione delle frequenze geniche relative ad uno o piu caratteri, ma e ovviamente piu difficile valutare se tali variazioni siano state controllate dalla selezione naturale. a) IL CASO DI Cryptopecten vesiculosus (fig. 4.11) C. vesiculosus e un pettinide (classe Bivalvia), conosciuto dal Pliocene, ancora molto comune nei fondali sabbiosi intorno all'isola di Honshu (Giappone). Dallo studio di oltre 3.100 esemplari, ottenuti da 17 campioni provenienti sia da sezioni plio-pleistoceniche sia da fondali attuali, Hayami e Ozawa (1975) hanno messo in evidenza l'esistenza di due fenotipi chiaramente distinguibili: it fenotipo R ed it fenotipo Q. Le valve sinistre del fenotipo R differiscono da quelle del fenotipo Q per le coste piu arrotondate, meno elevate, gli spazi intercostali pitt ampi e ornati di scagliette embriciate. Sebbene non vi siano individui con caratteri intermedi, i due fenotipi sono stati con sicurezza attribuiti alla stessa specie ed e stato inoltre possibile escludere che essi esprimano un fenomeno di dimorfismo sessuale. I campioni provenienti dai fondali attuali non mostrano variazioni significative nella frequenza dei due fenotipi. Il fenotipo R comparve net Pleistocene medio e da allora ando gradualmente aumentando la sua frequenza rispetto al fenotipo Q. Da cie si e dedotto che it fenotipo R rappresenta un mutante rispetto a Q. L'incremento nel tempo della fre-

164 Fossili ed evoluzione Muscolo adduttore Visceri

b)

Branchie

32 28 es. vecchi

24

.5 20 16 , 12

{i

2

8 es. giovani

4 0 4 a)

6 10 12 1416 18 Numero di pieghe sulla conchiglia

Fig. 4.12 Effetto della selezione naturale su una popolazione di Agerostrea mesenterica, bivalve del Cretaceo del New Jersey. a) La distribuzione della frequenza delle pliche in 574 esemplari di tre anni (es. giovani) e in 315 esemplari che sopravvissero da 6 a 11 anni (es. vecchi) hanno permesso di osservare che gli esemplari con un numero di pliche intorno a 8 presentavano una piu elevate percentuale di sopravvivenza rispetto a quelli con un numero maggiore di pliche. Questa tendenza a coerente con la storia evolutiva dei progenitori e con l'analisi morfofunzionale del taxon. b) Sono illustrate schematicamente le relazioni esistenti tra la curvatura della conchiglia e le branchie; le frecce indicano la direzione delle correnti inalanti (margine anteriore) ed esalanti (margine posteriore). c) Sono rappresentati i margini anteriori di tre esemplari (a-c) con un numero di pliche rispettivamente di 13, 8 e 5; da notare che la curvatura della conchiglia non permette una visione completa di tutte le pliche (da Sambol & Finks, 1977). —

quenza di R potrebbe essere un indizio del significato adattativo dei nuovi caratteri; oppure una conseguenza dell'azione di un gene pleiotropico (§ 4.7), selezionato per un suo effetto vantaggioso, ma responsabile anche della morfologia, non necessariamente adattativa, del fenotipo R. Si potrebbe anche ipotizzare che it gene o i geni responsabili del fenotipo R siano stati selezionati indirettamente in quanto associati sullo stesso cromosoma ad uno o piu geni portatori di caratteri adattativi (fenomeno del linkage). Secondo Hedrik (1982), it fenomeno per cui certi geni oneutrali», o addirittura sfavorevoli, si conservano in quanto agganciati a geni che codificano caratteri adattativi svolge un ruolo molto importante nel processo evolutivo. b) IL CASO DI Agerostrea mesenterica (fig. 4.12) A. mesenterica e un ostreide (classe Bivalvia) molto frequente nei sedimenti del Maastrichtiano del New Jersey (U.S.A.). Melvin Sambol e Robert Finks (1977), dopo aver determinato, sulla base delle linee di accrescimento annuali visibili nell'area legamentare, l'eta della morte di 5.000 esemplari provenienti dallo stesso hanno misurato quattro caratteri morfometrici: grado di curvatura e lunghezza dell'arco della conchiglia, numero e altezza delle pliche; sulla base di un modello di

Microevoluzione 165

morfologia funzionale (§ 6.12) questi caratteri avrebbero dovuto avere un valore adattativo direttamente proporzionale all'aumento della loro misura. Lo scopo dei due autori non era quello di valutare l'effetto della selezione da una generazione all'altra, ma di verificare l'azione della pressione selettiva su una singola generazione. Le misure effettuate dai due autori hanno consentito di verificare che, durante gli stadi di accrescimento, esisteva la tendenza alla selezione degli individui con la massima curvatura della conchiglia. Veniva dunque confermato it modello di morfologia funzionale di partenza, secondo cui la curvatura della conchiglia (e delle branchie) in questo gruppo di ostreidi e un importante carattere adattativo. L'acqua infatti entra dal lato convesso, cioe attraverso un'area quanto pill possibile estesa in lunghezza, ed esce dal lato concavo, concentrando e quindi aumentando la velocita delle correnti che trasportano i rifiuti. Il modello prevedeva che la massima altezza delle pliche e la massima lunghezza dell'arco della conchiglia sarebbero state favorite dalla selezione naturale; infatti entrambi i caratteri avrebbero assicurato la pill ampia esposizione possibile delle branchie e cioe della superficie di respirazione e di assunzione del particellato alimentare. Le misure effettuate non hanno per() consentito di confermare la loro funzione adattativa. Gli autori hanno osservato che la lunghezza dell'arco aumenta con gli stadi di accrescimento e quindi e difficile valutare se questo carattere sia selezionato; in ogni caso nelle popolazioni dopo i cinque anni gli archi pill lunghi vengono progressivamente eliminati. Questa tendenza 6 in accordo con la storia evolutiva del taxon, caratterizzata da una progressiva diminuzione della lunghezza degli archi. It problema dell'altezza delle pliche presenta delle analogie con quello della lunghezza dell'arco (anche se pit' complesso da interpretare); gli autori hanno verificato che, oltre una certa misura, l'altezza delle pliche diventa un carattere non vantaggioso, contraddicendo dunque la predizione del modello funzionale. Il carattere morfometrico phi semplice da studiare e da interpretare riguardava it numero delle pliche. Il modello iniziale di Sambol e Finks prevedeva, in teoria, it vantaggio dell'aumento del numero delle pliche (aumento della superficie branchiale esposta); tuttavia i due autori avevano osservato che, dopo una certa eta, cessa l'accrescimento in larghezza della conchiglia e si instaura la tendenza ad un accrescimento del bordo subverticale che porta ad un progressivo riempimento delle pliche. Un elevato numero di pliche comporterebbe una loro minore larghezza e quindi un facile riempimento che ne ridurrebbe in modo drastico l'altezza. It modello funzionale dei due autori dunque prevedeva che la selezione naturale avrebbe dovuto sfavorire l'aumento delle pliche oltre un determinato numero ottimale. Sambol e Finks hanno calcolato e confrontato la distribuzione della frequenza delle pliche in 574 esemplari di tre anni (individui giovani) e 315 esemplari che sopravvissero da 6 a 11 anni (individui vecchi); in questo modo hanno potuto dimostrare che gli esemplari con 8 pliche presentavano una elevata percentuale di sopravvivenza. Questo risultato confermava pienamente it modello funzionale dei due autori. La tendenza alla eliminazione degli individui con un pill elevato numero di pliche durante gli stadi giovanili riflette la stessa tendenza che si riscontrava nella linea filetica di Agerostrea mesenterica. In conclusione, it risultato delle analisi ha permesso di verificare it carattere adattativo solo di due, fra i quattro caratteri presi in considerazione nel modello di morfologia funzionale, la massima curvatura e it numero ottimale delle pliche.

166 Fossili ed evoluzione

4.11.2 — Il problema dell'origine delle specie Abbiamo gia osservato che le specie non sono entita soggettive, ma oggettive, che presentano adattamenti e caratteri morfofisiologici esclusivi, registrati nel Toro programma genetico ereditario (§ 3.6). L'origine di specie nuove pub essere imputabile a due diversi processi indicati rispettivamente con i termini di speciazione filetica e di speciazione s.s. (sensu stricto).

Il termine di speciazione e utilizzato in biologia solo quando una popolazione o pia popolazioni si separano da quella originaria e danno luogo ad una o pia specie; a rigore, quindi, it termine di speciazione si riferisce sempre ad un fenomeno di ramificazione evolutiva. La trasformazione di una specie in un'altra lungo la stessa linea viene indicata invece come evoluzione filetica. Considerando che l'espressione di speciazione letteralmente significa «origine di una o pia specie » e che l'espressione «evoluzione filetica» presenta un significato molto generale, non utilizzabile in modo esclusivo per indicare l'origine di una nuova specie, per evitare possibili confusioni abbiamo utilizzato l'espressione di «speciazione filetica», invece di «evoluzione filetica», mantenendo al termine di speciazione s.s. it suo significato di speciazione per ramificazione. a) SPECIAZIONE FILETICA (fig. 4.13) Si ammette che it patrimonio genico di una popolazione, sottoposta alla pressione selettiva delle variazioni ambientali, vada modificandosi dando luogo a popolazioni «... vissute a differenti livelli di tempo...0 che debbono essere classificate come specie, generi, ecc. diversi» (Dobzansky, 1962). I fossili offrono una buona documentazione di questo processo, tuttavia le opinioni sulla sua importanza e sulla sua frequenza nel contesto del fenomeno evolutivo non sono unanimi. Il processo di speciazione filetica porta alla trasformazione di una specie in un'altra ma, evidentemente, non aumenta it numero delle specie. La moltiplicazione delle specie e, per definizione, dovuta solo a processi di speciazione s.s. b) SPECIAZIONE sensu stricto (fig. 4.13) La specie e gia stata definita come un insieme di popolazioni o di gruppi di individui interfertili isolati riproduttivamente (§ 3.6). E dunque l'isolamento riproduttivo, e quindi l'unicita del suo programma genetico, che conferisce alla specie it suo carattere

A C b

C

a

b

b

0 a. LU

a

a

a

Fig. 4.13 — Speciazione filetica e speciazione s.s. Nel caso 1 (speciazione filetica) la specie a si differenzia nel tempo nella specie b che a sua volta si trasforma nella specie c. Nei casi 2 e 3 (speciazione s.s.) dalla specie a hanno origine due specie b e c (caso 2) oppure la sola specie b (caso 3).

Microevoluzione

167

esclusivo. II problema, in ultima analisi, e quello di capire in quale modo si puo arrivare all'isolamento riproduttivo di popolazioni o di gruppi di individui che originariamente erano interfertili. Sono ammessi comunemente tre diversi modelli di speciazione: la speciazione allopatrica (o geografica), la speciazione simpatrica e la speciazione parapatrica; essi prevedono tre diversi modi di acquisire un isolamento riproduttivo. b1) Speciazione allopatrica

Secondo la maggior parte degli autori la speciazione allopatrica, con tutte le sue varianti, e quella piu comune. Il modello prevede la separazione di una popolazione originale in due o piu popolazioni, tramite barriere geografiche (fig. 9.1). Le popolazioni separate dalla barriera, che si pue esemplificare materialmente in un fiume, un braccio di mare, una catena montuosa, ecc., all'inizio sono ancora rappresentative del patrimonio genetico della popolazione originaria. Le differenze ecologiche tra gli ambienti separati dalla barriera, e quindi la diversa azione della selezione naturale, tendono ad accumulare differenze genetiche nel programma ereditario delle popolazioni separate. Queste differenze possono portare, piu o meno rapidamente a seconda della pressione selettiva, all'instaurazione di meccanismi di isolamento riproduttivo che, anche in caso di scomparsa delle barriere geografiche, impediranno i tentativi di incrocio tra le popolazioni che sono state isolate. Secondo gli autori (Mayr, 1963) piccole popolazioni possono rimanere isolate o all'interno o alla periferia dell'areale di una specie, dando luogo ai cosiddetti isolati periferici che svolgerebbero un ruolo fondamentale nel fenomeno evolutivo. Gli isolati periferici, infatti, presentano molti dei requisiti ritenuti necessari per portare ad una rapida speciazione. Essi sono costituiti da piccole popolazioni isolate geograficamente, in cui eventuali mutazioni favorevoli possono diffondersi molto rapidamente. Si presuppone inoltre che, essendo localizzati al margine dell'areale e quindi in condizioni ambientali diverse da quelle della popolazione parentale, la forte pressione selettiva ne faciliti la rapida differenziazione. Nell'evoluzione degli isolati periferici, d'altra parte, possono svolgere un ruolo molto importante anche due fattori casuali: it peculiare programma genetico degli individui che hanno fondato la popolazione (l'effetto del fondatore) e i fenomeni di deriva genetica. Il destino degli isolati periferici non porta sempre al traguardo della speciazione, anzi piu spesso porta all'estinzione che e la sorte piu comune delle piccole popolazioni. b2) Speciazione simpatrica

Questo modello di speciazione postula la formazione di una nuova specie all'interno dell'areale della popolazione parentale, senza prevedere un meccanismo di isolamento spaziale. In linea di principio molti autori non escludono che mutazioni nelle sequenze di DNA possano portare a nuove specie simpatriche. Sempre in teoria, se i portatori di mutazioni adattative, che implichino una differenziazione ecologica o etologica, si incrociassero preferenzialmente tra di loro e se it loro reciproco flusso genico fosse piti elevato di quello con la parte rimanente della popolazione, si potrebbe arrivare alla instaurazione di un loro isolamento riproduttivo. Second() Bush (1975), lo spostamento di una popolazione di Ragholetis pomonella, la mosca dei fiori di biancospino, alle piante di melo (nel 1864) e successivamente alle piante di ciliegio (nel 1960) 6 stato determinato, in entrambi i casi, da una singola mutazione. Successive mutazioni hanno poi «perfezionato » l'adattamento delle popolazioni che colonizzano le due piante. Le tre popolazioni coesistono nella medesima area ma, evi-

168 Fossili ed evoluzione

dentemente, l'habitat di ogni popolazione determina la scelta dei partners e causa un loro isolamento riproduttivo. Poiche esistono centinaia di migliaia di insetti specializzati per un ospite particolare (specificity per l'ospite), si ritiene che questo tipo di speciazione possa essere comune. Il fenomeno della poliploidia (§ 4.8) rappresenta comunque l'unico esempio ben documentato di speciazione simpatrica, cio6 senza isolamento spaziale. I nuovi individui poliploidi risultano, infatti, immediatamente isolati riproduttivamente dal resto della popolazione. b3) Speciazione parapatrica Nei due modelli discussi risulta evidente che l'arresto del flusso genico fra le popolazioni costituisce la condizione indispensabile per l'origine di una specie nuova. E comunemente ammesso, per?), che la speciazione possa avvenire anche in assenza di un completo arresto del flusso genico. In questo caso la differenziazione di una popolazione dalla popolazione parentale consisterebbe nella prevalenza dell'azione della selezione naturale su quella del flusso genico. Due popolazioni che vivono in aree geografiche contigue, e quindi rimangono in contatto lungo un'area di confine, possono differenziarsi se l'azione della selezione naturale 6 diversa nei due areali e, pertanto, le differenze genetiche si possono accumulare rapidamente nonostante la tendenza omogeneizzante del flusso genico. 4.11.3 — Origine di specie nuove secondo la teoria sintetica e la teoria degli equilibri intermittenti

a) LA TEORIA SINTETICA Dagli anni '30 in poi l'integrazione degli studi sulla genetica delle popolazioni con la sistematica (Cap. 3) e la paleontologia ha portato alla cosiddetta modern teoria sintetica dell'evoluzione. La selezione naturale svolge un ruolo fondamentale in questa teoria, che in definitiva rappresenta un «aggiornamento» del pensiero darwiniano. La messa a punto della « sintesi» costitul una inderogabile necessity per gli studiosi dell'evoluzione e, indubbiamente, una grande impresa intellettuale. Si trattava infatti di conciliare in un'unica teoria i dati della genetica ottenuti in laboratorio con i dati dell'osservazione naturalistica. Era fondamentale stabilire una comunicazione tra paleontologi, abituati a lavorare in una dimensione tempo di milioni di anni ed a trattare eventi evolutivi macroscopici, e neontologi che ad esempio lavoravano sull'evoluzione di popolazioni di moscerini con cicli vitali dell'ordine di un mese. Mutazioni geniche e cromosomiche, rimescolamento dei cromosomi, ricombinazione, selezione naturale, deriva genetica e isolamento spaziale furono riconosciuti dai genetisti e dai sistematici come le forze fondamentali della microevoluzione che, agendo sulle popolazioni, danno origin a nuove specie. La sintesi raggiunse la sua completezza, almeno formale, quando George Gaylord Simpson (1944) dimostre che la documentazione paleontologica era ben conciliabile con la genetica delle popolazioni e quindi con una concezione darwiniana dell'evoluzione. La teoria sintetica esprime una visione pluralistica dei fenomeni evolutivi e non put) essere riassunta in un unico assioma, anche se 6 possibile riconoscervi alcuni tratti fondamentali. La scuola sintetica a essenzialmente orientata verso it gradualismo ma ammette,

Microevoluzione

169

basandosi direttamente sulla documentazione paleontologica, che i fenomeni di speciazione (ed evolutivi in generale) presentino sia fasi di stasi che di evoluzione rapidissima. Essa ammette, inoltre, sia fenomeni di speciazione filetica che di speciazione s.s. Alcuni autori, come ad esempio Huxley (1957), considerano la speciazione s.s. come un corollario dell'evoluzione filetica, la sola vera fonte di progressione evolutivi. Simpson (1949, 1954) rivaluta it significato evolutivo della speciazione s.s. ma ritiene che la speciazione filetica debba essere almeno altrettanto importante, sia perche frequente sia perche anche la speciazione s.s. si puo ridurre alla speciazione filetica di due linee separate; l'autore riconosce pen!) che, nei casi limite, i due processi appaiono ben distinti. b) EQUILIBRI INTERMITTENT'

All'inizio degli anni '70 Eldredge e Gould hanno proposto un nuovo modello evolutivo, la teoria degli equilibri intermittenti (punctuated equilibria) che ha veramente polarizzato, sia in senso negativo sia in senso positivo, l'attenzione dei neontologi e dei paleontologi, rinnovando in modo veramente prodigioso l'interesse per la documentazione paleontologica ed i problemi evolutivi in generale. La teoria degli equilibri intermittenti e fondata su due punti essenziali che prevedono rispettivamente una rapida, geologicamente istantanea, speciazione allopatrica ed una successiva fase di stasi delle specie che si prolunga per tutta la loro esistenza. L'origine di specie nuove, nella teoria degli equilibri intermittenti, avviene di regola tramite it modello della speciazione allopatrica di Mayr (1963). Questo modello prevede infatti rapidi fenomeni di speciazione (dell'ordine di migliaia o di decine di migliaia di anni) e permette di giustificare i bruschi passaggi da una specie all'altra che si osservano nella documentazione paleontologia. Vale a dire che it mancato ritrovamento degli anelli di transizione tra le specie non dipenderebbe dalle lacune della documentazione paleontologica, ma viene semplicemente considerato una conseguenza del meccanismo con cui avviene la speciazione. Se infatti si ammette che la differenziazione delle specie avvenga rapidamente nell'ambito di piccole popolazioni ai limiti dell'areale della specie ancestrale (isolati periferici), risulta ovvio che ben difficilmente gli anelli di passaggio potranno entrare a far parte della documentazione paleontologica. In ogni caso, i passaggi evolutivi non sarebbero mai documentabili nell'areale della specie ancestrale, nel quale in seguito potrebbe migrare la specie derivata. Nel tempo, si osserverebbe la comparsa della specie derivata nell'areale della specie ancestrale, senza anelli di transizione. Questo modello tenta dunque di interpretare it motivo per cui, nella maggior parte dei casi, nella documentazione paleontologica non si osservano transizioni morfologiche tra i taxa. Il modello degli equilibri intermittenti non nega l'esistenza dell'evoluzione filetica, ma ne riduce drasticamente l'importanza. Come vedremo, questo punto di vista cornporta profonde differenze, rispetto alla teoria sintetica, nel modo di concepire la macroevoluzione. c) CONFRONTO TRA I DUE MODELLI

Nel suo complesso it modello evolutivo di Simpson (1944, 1953) e essenzialmente filetico e gradualista (gradualismo filetico), ma 6 molto piil pluralista del modello di gradualismo filetico come riportato da Eldredge e Gould (1972). Il gradualismo di Simpson non e ne lento no continuo e presenta tutti i casi possibili di velocity evolu-

170 Fossili ed evoluzione

E

D

D C

0 0 E

C

A A

E

2

Variazione morfologica Fig. 4.14 — Origine delle specie nei modelli del gradualismo filetico (1) e degli equilibri intermittenti (2). II gradualismo filetico di Simpson contempla anche it fenomeno della stasi evolutiva (la popolazione A, non varia nel tempo fino alla sua estinzione).

tiva: dalla stasi all'evoluzione quantica (cio6 rapidissima) di una piccola popolazione. Il modello degli equilibri intermittenti si differenzia essenzialmente dal gradualismo filetico in quanto postula che l'importanza della speciazione filetica sia nettamente subordinata rispetto alla speciazione allopatrica, che costituirebbe di regola un evento geologicamente istantaneo. La speciazione allopatrica e essenziale, anche nel gradualismo filetico, in quanto 6 l'unico processo in grado di moltiplicare it numero delle specie e di realizzare una radiazione adattativa ma, salvo «casi estremi» (Simpson, 1953), 6 inscindibile dall'evoluzione filetica. Negli equilibri intermittenti l'origine delle specie nuove a geologicamente istantanea e coincide con it punto di ramificazione, mentre nel gradualismo filetico it punto di ramificazione indica l'inizio della differenziazione di due popolazioni che solo in un tempo successivo o meno lungo) si diversificheranno a livello specifico (fig. 4.14). Un altro punto importante riguarda it fenomeno della stasi evolutiva; mentre nel gradualismo filetico le specie, a seconda delle condizioni ambientali, possono rimanere stabili o possono differenziarsi (fileticamente) in altre specie, negli equilibri intermittenti le specie, per tutta la loro esistenza, sono caratterizzate da una fase di stasi dovuta ad un meccanismo omeostatico del programma genetico. Il gradualismo filetico e it modello di Eldredge e Gould costituiscono due interpretazioni diverse, ma complementari, della storia della vita, fondate sugli stessi fenomeni e principi della microevoluzione elaborati dai fondatori della «sintesi». Sarebbe plausibile che un genetista, che studia l'evoluzione delle popolazioni in un arco di tempo limitato, estrapolasse la continuity e la gradualita del loro cambiamento e le applicasse ai fenomeni di speciazione o anche di macroevoluzione. In realty, anche gli stessi genetisti che posero le basi della sintesi ammettevano l'esistenza di rapidi fenomeni di speciazione seguiti da fasi di stasi (J.B. S. Haldane, 1860-1964) e affermarono (R.A. Fisher, 1890-1962) che le variazioni continue che si osservano nello studio della genetica delle popolazioni avrebbero potuto apparire esplosive in una scala temporale geologica. Inoltre, anche la possibility di fenomeni di stasi, almeno a livello fenotipico, a ritenuta compatibile con la genetica delle popolazioni e imputabile all'azione stabilizzante della selezione naturale.

Microevoluzione 171

I fenomeni ed i principi della microevoluzione sono, in definitiva, alla base sia del gradualismo filetico sia degli equilibri intermittenti. Dunque, l'analisi dei fenomeni microevolutivi non consente di privilegiare un modello rispetto all'altro. La speciazione e la macroevoluzione si presentano come un campo di ricerca peculiare e indipendente anche se strettamente legato alla microevoluzione. Un modello sulla speciazione o sulla macroevoluzione, per essere ritenuto a priori potenzialmente valido, non potra essere in contrasto con i dati sperimentali della microevoluzione, ma i suoi schemi non potranno essere dedotti dalla microevoluzione. In definitiva, solo dall'analisi della documentazione paleontologia si potra tentare di valutare se it processo evolutivo e caratterizzato da uno dei due modelli o da entrambi o da altri ancora. d) DOCUMENTAZIONE PALEONTOLOGICA Il mancato ritrovamento di fossili che documenting la gradualita delle variazioni tra le specie pug essere interpretato, nell'ambito di un modello rigidamente gradualista, con it carattere discontinuo della documentazione paleontologica. In effetti ii processo di sedimentazione non 6 quasi mai continuo, non solo negli ambienti continentali, ma anche negli stessi ambienti marini. Le lacune di sedimentazione a piccola o grande scala, dovute a mancata deposizione o a fenomeni di erosione, costituiscono una regola pia che un fatto eccezionale (§ 8.5.2h). La sedimentazione a un processo geologico discontinuo nel tempo e nello spazio e quindi un registratore difettoso della storia della Terra. Inoltre, le stesse modality del processo di fossilizzazione e, prima ancora, la storia degli organismi dalla morte al seppellimento (biostratinomia) suggeriscono che solo una minima parte degli organismi potenzialmente fossilizzabili sono conservati nelle rocce come resti decifrabili (Cap. 2). E facilmente prevedibile, percio, che la documentazione paleontologica sia incompleta. II fatto che praticamente ogni giorno vengano ritrovati nuovi fossili dimostra da un lato che la documentazione precedente era incompleta e dall'altro che essa migliorabile. E dunque plausibile che, almeno in certi casi, la possibile origine graduale delle specie possa essere mascherata da lacune nella documentazione paleontologica. Esistono tuttavia successioni sedimentarie ricche di fossili che si possono interpretare come continue e che possono permettere di seguire l'andamento del processo evolutivo. Il fenomeno pia semplice da verificare (ma solo a livello della morfologia dello scheletro, ovviamente) quello della stasi evolutiva delle specie che pero di per se stessa non porta prove conclusive in favore di un particolare modello. e) IL FENOMENO DELLA STASI Il fatto che i taxa abbiano una distribuzione stratigrafica valutabile in centinaia di migliaia o milioni di anni sembrerebbe dimostrare che tutti, o almeno la maggior parte, presentano un fenomeno di stasi e che, comesconseguenza, l'evoluzione sarebbe concentrata in intervalli di tempo molto brevi. E possibile che talora it carattere convenzionale della classificazione mascheri certe modificazioni evolutive, oppure che altre modificazioni non siano registrate sulle parti fossilizzabili, oppure che non siano considerate direttamente nella classificazione, come le ultrastrutture dei gusci di Orbulina universa e 0. suturalis (§ 4.11.3 f6). Prescindendo da queste «possibilita», le fasi di stasi, anche se probabilmente non costituiscono una regola costante, sono un fenomeno che si riscontra comunemente in paleontologia e sono indubbiamente pia frequenti di quanto si ritenesse prima che Gould ed Eldredge enunciassero it loro

172 Fossili ed evoluzione modello. La malacofauna del Neogene mediterraneo, ad esempio, presenta una eccellente documentazione di questo fenomeno. I periodi di stasi morfologica delle specie non sono stati ancora documentati con it rigore scientifico con cui Stanley e Yang (1988) ne hanno provato l'esistenza in 19 specie di bivalvi pliocenici di diverse regioni della Terra, controllando 24 variabili. Tuttavia, la documentazione del Neogene mediterraneo a stata oggetto di centinaia di monografie di celebri splitters (moltiplicatori di specie), che non avrebbero mancato di rilevare (ed in certi casi le hanno rilevate) l'evoluzione morfologica delle specie nel tempo. Proprio l'esistenza di queste fasi di stability delle specie, riconosciuta esplicitamente gia dal paleontologo Hugh Falconer, indussero Darwin stesso, che fino allora aveva espresso un modello evolutivo essenzialmente continuo, ad ammettere che: «... it periodo durante it quale una certa specie 6 stata sottoposta a modificazione per quanto lungo misurato in anni 6 stato probabilmente breve in confronto al periodo durante it quale non ha subito alcun cambiamento». Il fenomeno della stasi evolutiva a contemplato, del resto, anche nella Teoria Sintetica come effetto dell'azione stabilizzante della selezione naturale. La comparsa improvvisa di nuovi taxa in un bacino put) essere poi dovuta, oltre che ad un processo evolutivo compatibile con gli equilibri intermittenti, anche a fenomeni di migrazione di taxa simili ma di origine diversa. La malacofauna a molluschi del Neogene mediterraneo costituisce una documentazione ottimale del fenomeno della stasi, tuttavia to stato delle conoscenze attuali non permette ancora un sicuro riferimento ad un determinato modello. f) QUALE MODELLO? Esistono alcuni casi esemplari in cui a possibile dimostrare che le specie si sono trasformate gradualmente nel tempo dando origine a specie nuove senza attraversare fasi di stasi; altri in cui fasi di trasformazione, pid o meno rapida, succedono a fasi di stasi; altri ancora in cui e difficile stabilire se it fenomeno di speciazione rientri nel modello degli equilibri intermittenti o richiami it gradualismo filetico di Simpson. Nell'ambito della fauna ad artiodattili e condilarti del Wyoming Nord Occidentale, secondo Gingerich (1980), in un intervallo di tempo di circa 12,5 milioni di anni, dal Paleocene superiore all'Eocene inferiore, sono apparse 24 specie tramite un processo di evoluzione filetica graduale, mentre solo per 14 specie comparse improvvisamente si put) forse applicare it modello degli equilibri intermittenti. Sempre nell'ambito dei mammiferi sembrano esistere casi ben documentati di gradualismo filetico (figg. 4.15 e 4.16). D'altra parte, secondo Hallam (1978), l'evoluzione dei bivalvi giurassici interpretabile con it modello degli equilibri intermittenti e casi di evoluzione filetica graduale si riscontrano solo nel progressivo aumento di taglia di alcune linee filetiche. Partendo dall'assioma che l'evoluzione a un processo di adattamento a nuovi ambienti, Johnson (1982) ha osservato che tra gli invertebrati marini, gli organismi pelagici hanno vissuto in ambienti molto estesi, che cambiano gradualmente, mentre gli organismi bentonici hanno vissuto in ambienti caratterizzati da brusche variazioni ambientali. Con questa premessa, l'autore ha ipotizzato che l'origine di specie nuove si possa interpretare prevalentemente con it modello degli equilibri intermittenti nel caso degli organismi bentonici e con it gradualismo filetico nel caso degli organismi pelagici. Se questa ipotesi sara confermata, si pub affermare fin d'ora che esistono, tuttavia, numerose eccezioni.

Microevoluzione

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PLEISTOCENE

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Lynx

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Fig. 4.15 La filogenesi del genere Lynx, come ricostruita da Werdelin (1981), sembra costituire un buon esempio di gradualismo filetico (da Levinton, 1988). —

Il dibattito sul gradualismo filetico e sugli equilibri intermittenti e stato senza dubbio proficuo, in quanto ha riproposto all'attenzione dei neontologi ii significato della documentazione paleontologica ed it suo valore essenziale nella elaborazione dei modelli evolutivi. Proprio da questo dibattito sembra emergere la sterility della con-

M. ostramosensis

Fig. 4.16 L'arvicolide Mimomys del Plio-Pleistocene dell'Europa si e evoluto in modo graduale, come e evidenziato dai cambiamenti osservati nel primo molare inferiore. Modificazioni dentali lungo la linea che ha portato da M. occitanus a M. ostramosensis: aumento della ipsodontia, graduale comparsa del cemento (punteggiato nella figura) negli angoli rientranti, cambiamenti nell'aspetto della superficie masticatoria e aumento dei livelli dello smalto (in nero), che nelle ultime due specie raggiunge la superficie masticatoria (da Chaline & Laurin, 1986).

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174 Fossili ed evoluzione trapposizione gradualismo - equilibri intermittenti. L'evoluzione, come illustrata dai fossili, non appare come un fenomeno rigidamente schematizzabile in uno dei due modelli: essa appare in realta come un fenomeno essenzialmente opportunistico e, per questa sua natura, molto irregolare da un punto di vista operativo. I casi qui illustrati non hanno lo scopo di dimostrare la validita di un modello rispetto all'altro, ma solo di verificare la molteplicita dei patterns e talora le relative difficolta di interpretazione fl) Il caso di Phacops rana (Trilobite) (fig. 4.17) Questo esempio, ormai classico, a stato illustrato nelle due pubblicazioni che hanno introdotto in letteratura it modello degli equilibri intermittenti (Eldredge, 1971; Eldredge & Gould, 1972) e tratta la storia evolutiva di alcune sottospecie di Phacops rana del Devoniano medio e superiore del Nord America. Le diverse popolazioni di Phacops rana sono caratterizzate dal numero di file di lenticelle che formano l'occhio composto tipico degli artropodi. Nel Givetiano inferiore vengono distinte due sottospecie con lo stesso numero di lenticelle: P. rana milleri e P. rana crassitubercolata, diffuse esclusivamente nei mari epicontinentali. Da P. rana crassitubercolata ebbe poi origine P. rana rana, caratterizzata da 17 file di lenticelle, che si diffuse nei mari marginali. La coesistenza delle due sottospecie (o popolazioni) esclude un processo di

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Fig. 4.17 — La successione delle sottospecie del trilobite Phacops rana nel Devoniano del1'America settentrionale. I numeri alla base del diagramma indicano it numero di file di lenticelle dell'occhio composto. Le linee punteggiate indicano la riduzione del numero di file delle lenticelle in una popolazione periferica. Le linee a tratteggio orizzontale indicano i fenomeni di migrazione. Le linee verticali continue indicano la continuity della presenza di un taxon nell'area indicata. Le linee verticali a tratteggio sottolineano la persistenza di una sottospecie ancestrale in un'area del mare marginale (da Eldredge, 1971, con modifiche).

Microevoluzione 175

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Fig. 4.18 — Cambiamenti evolutivi (?) nei molluschi del Bacino del Lago Turkana (Kenia settentrionale).

Le frecce indicano i due eventi di variazione improvvisa che coincidono con le principali regressioni lacustri (da Williamson, 1981, con modifiche).

evoluzione filetica, che prevederebbe la scomparsa della sottospecie ancestrale. All'inizio del Givetiano superiore, P. rana rana si sarebbe diffusa anche nei mari epicontinentali, dove si estinse nel Frasniano basale. P. rana rana sopravvisse invece nei mari marginali dove diede origine a P. rana norwoodensis, con 16-15 lenticelle, che successivamente migro nei mari epicontinentali. Anche in questo caso la popolazione ancestrale e contemporanea con la popolazione derivata. L'esempio dovrebbe illustrare in modo chiaro it modello degli equilibri intermittenti: rapida differenziazione per isolamento e stasi fino alla scomparsa. Tuttavia l'esempio non e calzante, in quanto considera sottospecie e non specie, che nel modello degli equilibri intermittenti sono considerate le uniche vere units evolutive. Secondo Jeffrey Levinton (1988) questo esempio potrebbe anche essere spiegato con un caso di polimorfismo, cioe di varianti genetiche o fenotipiche, all'interno di una popolazione o di una specie, controllate da fattori ambientali. f2) I molluschi del lago Turkana (fig. 4.18) Un altro esempio, ritenuto una vera prova del modello degli equilibri intermittenti, riguarda i molluschi Plio-Pleistocenici del Lago Turkana, nel Kenia settentrionale

176 Fossili ed evoluzione

(Williamson, 1981). Nella successione sedimentaria che rappresenta un intervallo di qualche milione di anni, si notano due fasi simultanee di (possibile) speciazione, in corrispondenza delle due fasi principali di regressione del bacino che presumibilmente portarono all'isolamento delle faune. E importante osservare che le specie ancestrali ripopolarono it bacino lacustre contemporaneamente alle fasi di trasgressione e cioe di ripristino delle precedenti condizioni ambientali. E stato ipotizzato che le popolazioni delle specie ancestrali rimaste isolate nel bacino si siano modificate rapidamente, in un tempo valutabile tra 5.000 e 50.000 anni, dando luogo a nuovi taxa; invece le popolazioni ancestrali soprawissero e rimasero immutate negli ambienti (forse anche negli stessi immissari) che non furono modificati dal fenomeno regressivo. Questa interpretazione in chiave di equilibri intermittenti non e stata pero esente da critiche fondate (Palmer, 1985). Una delle interpretazioni alternative pia verosimili riguarda la possibility che le nuove forme, comparse durante i fenomeni di regressione, rappresentino risposte ecofenotipiche delle specie ancestrali, anziche nuove specie (Boucot, 1982), come accade spesso nei gasteropodi (Palmer, 1985).

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f3) Le specie del genere Homoeorhynchia (Ordine Rhynconellida, Tipo Brachiopoda) (fig. 4.19) L'evoluzione del genere Homoeorhynchia (Ager, 1983) sembra, almeno in parte, ben interpretabile con it modello degli equilibri intermittenti. Durante it Pliensbachiano (Giurassico inf.) dalla specie pia diffusa H. acuta, caratterizzata da una sola

H. ottomana

41 Nord

Sud

+

m.a. Fig. 4.19 Evoluzione del genere Homoeorynchia nel Giurassico inferiore dell'Europa. Da H. acuta hanno origine nel Pliensbachiano con un processo di speciazione allopatrica, riconducibile al modello degli equilibri intermittenti, H. capitulata, H. lineata e H. maninensis (da Ager, 1983, con modifiche). —

Microevoluzione 177

plica, si differenziarono rapidamente tre diverse specie: H. capitulata, H. lineata e H. maninensis. Alla fine del Pliensbachiano delle 4 specie presenti soprawissero solo H. acuta, segnalata sporadicamente come specie endemica nel Toarciano superiore, e la specie meridionale H. maninensis. Interpretando alla lettera la figura di Ager, quest'ultima avrebbe dato origine per speciazione filetica a H. meridionalis, che nel Toarciano venue ad occupare in parte l'antico areale della specie ancestrale H. acuta. Ager, pero, riferisce che la separazione specifica di H. maninensis da H. meridionalis e molto dubbia e che potrebbe trattarsi in realty della stessa specie. In questo caso H. maninensis e H. meridionalis sarebbero sinonimi e revoluzione del genere Homoeorhynchia dal Sinemuriano al Toarciano sarebbe completamente interpretabile con it modello degli equilibri intermittenti. f4) II caso di Eucyrtidium calvertensis e E. matuyamai (Radiolari) (fig. 4.20) Seguendo le stesse indicazioni di Eldredge e Gould (1972, pp. 141-142) la speciazione allopatrica e quindi anche gli equilibri intermittenti, dovrebbero riferirsi solo a taxa che si riproducono sessualmente. A rigore, organismi come i radiolari a riproduzione asessuata, e solamente «sospettati» di riproduzione sessuale, non dovrebbero essere presi in considerazione come modello per i patterns evolutivi degli organi-

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Fig. 4.20 — Origine di Eucyrtidium matuyamai (a destra) da E. calvertense (a sinistra) nel Pleistocene del Pacifico settentrionale; ii processo di differenziazione e relativamente rapido ma graduale. Sulla sinistra della figura e riportata la stratigrafia paleomagnetica (§ 8.6.2) della successione stratigrafica da cui provengono i campioni. Gli istogrammi rappresentano la distribuzione delle dimensioni di Eucyrtidium negli 8 livelli stratigrafici considerati (da Prothero & Lazarus, 1980, con modifiche).

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Dimensioni

178 Fossili ed evoluzione

smi sicuramente sessuati. Nonostante questa considerazione, l'evoluzione di E. matuyamai da E. calvertensis e stata citata anche da Eldredge e Gould (1977) tra i «casi che confermano gli equilibri intermittenti». Recentemente Simpson (1983) ha ripreso it caso della rapida ma graduale diversificazione di queste due specie, gia studiato da Prothero e Lazarus (1980). I reperti provengono da un carotaggio di sedimenti Plio-Pleistocenici del Pacifico settentrionale. La successione stratigrafica a stata calibrata cronologicamente con la stratigrafia paleomagnetica (§ 8.6.2). Gli esemplari provengono da 8 livelli diversi della carota. E. calvertensis comparve all'improvviso nel Pliocene superiore ed a sicuramente ancestrale rispetto a E. matuyamai, che si differenzio progressivamente nel corso del Pleistocene inferiore. Le accurate misure sul campo di variability delle dimensioni suggeriscono che nei campioni 1 e 2 6 ancora presente solo una specie (fig. 4.20). Nei campioni 3 e 4 si nota un progressivo spostamento del campo di variability verso un aumento delle dimensioni. Nei successivi campioni 5 e 6 si notano due picchi ben distinti che indicano la presenza di due popolazioni ben individuabili, ma esistono ancora individui con caratteri intermedi. Infine, nel campione 7, non vi sono pin termini di passaggio e le due popolazioni discendenti possono considerarsi vere e proprie specie. Nel campione 8 si osserva una drastica diminuzione di E. matuyamai che prelude la sua estinzione. Dunque, l'evoluzione di E. matuyamai della specie ancestrale appare graduale e continua e risulta meglio inquadrabile nel modello del gradualismo filetico che in quello degli equilibri intermittenti. f5) Ii caso del genere Catinula (Fam. Ostreidae, Classe Bivalvia) (fig. 4.21) L'evoluzione del genere Catinula costituisce un classico esempio di gradualismo filetico (Sylvester Bradley, 1959, 1977). Dalla specie ancestrale C. knorri si differenziano gradualmente le sottospecie C. knorri lotharingica, ad occidente e C. knorri knorri, ad oriente. Va tenuto sempre presente che la speciazione s.s. 6 anch'essa parte integrante del cosiddetto «gradualismo filetico» di Simpson. L'evoluzione procede poi gradualmente nelle due regioni tramite un processo di speciazione filetica. f6) Il caso dei foraminiferi planctonici Lo studio delle successioni filogenetiche dei foraminiferi planctonici, calibrate cronologicamente con la stratigrafia paleomagnetica, ha fornito probabilmente una delle pia oggettive documentazioni sui modi dell'evoluzione. Nella maggior parte dei casi, i «modi» evolutivi sono caratterizzati da una completa transizionalita dei caratteri, che pare in buon accordo con it modello del gradualismo filetico. f6a) Gradualismo filetico nella linea Globorotalia conoidea-Globorotalia inflata (fig. 4.22). Questa linea evolutiva comprende la successione di 4 specie di use comune nella stratigrafia del Neogene: G. conoidea, G. conomiozea, G. puncticulata e G. inflata. Nell'evoluzione graduale e continua dei 4 principali caratteri considerati, si notano fasi di maggiore stability alternate a fasi di pin intensa variazione, per lo pin non correlabili (Malmgren & Kennett, 1981). f6b) Speciazione filetica nella linea Globorotalia plesiotumida-Globorotalia tumida. Secondo Malmgren et al. (1983) G. plesiotumida mostra una complessiva fase di stasi con piccole fluttuazioni tra circa 10,4 e 5,6 m.a. (Miocene superiore). Da circa

Microevoluzione Fig. 4.21 Evoluzione dell'ostrea giurassica Catinula knorri e dei suoi discendenti (da Sylvester-Bradley, 1959, 1977).

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Est ESTENSIONE GEOGRAFICA

5,6 a circa 5 m.a. G. plesiotumida si evolve gradualmente in G. tumida. Da quella data in poi, fino all'attuale, le popolazioni di G. tumida sono state caratterizzate da una ulteriore fase di stasi evolutiva. Questo andamento the presenta una fase di rapida evoluzione compresa tra due intervalli di stasi, come osservano Malmgren e EPOCA

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Forma dell'apertura

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MIOCENE

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La variazione di alcuni caratteri nei foraminiferi cenozoici della Linea Globorotalia conoideaGloborotalia inflata, provenienti da un carotaggio nel Pacifico settentrionale (DSDP-Site 284), sembra

Fig. 4.22



avvenire in modo graduale (da Malmgren & Kennett, 1981, con modifiche).

180 Fossili ed evoluzione coautori, non si accorda con it gradualismo filetico come interpretato da Eldredge e Gould nel 1972, che prevede solo cambiamenti molto lenti e poco significativi. Esso rientra, tuttavia, a pieno titolo nel gradualismo filetico di Simpson, che contempla fasi di stasi e di maggiore o minore velocity dell'evoluzione. f6c) La successione evolutiva Globigerinoides - Orbulina (fig. 4.23). Questa successione a caratterizzata dall'evoluzione, a partire dall'avvolgimento tipico di Globigerinoides, verso un avvolgimento prima subsferico (Praeorbulina), poi sferico (Orbulina) che comporta un completo inglobamento delle camere precedenti nell'ultima camera (sferica). Questo evento evolutivo, di comune utilizzazione per la stratigrafia del passaggio dal Miocene inferiore al medio, pur essendosi verificato in un intervallo di tempo non piu lungo di 0,5 milioni di anni, a stato descritto come graduale e continuo (Kennett & Srinivasan, 1983). La coesistenza delle specie di questo gruppo tassonomico documenta la loro origine per speciazione allopatrica; questa peril non 6 una condizione sufficiente per ricorrere al modello degli equilibri intermittenti. Apparentemente, 0. suturalis e 0. universa sono state caratterizzate da una stasi evolutiva dal Miocene medio all'Attuale, ma Vilks & Walker e Desai & Banner (in Banner & Lowry, 1985) hanno osservato che nel tempo si sono verificate variazioni morfologiche nelle ultrastrutture dei gusci di 0. suturalis e 0. universa. L'identificazione di una fase di stasi filogenetica dipende dunque anche dal dettaglio con cui viene analizzata la struttura di un fossile (Banner & Lowry, 1985). Se si prendono in con-

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Fig. 4.23 — Evoluzione del genere Orbulina dal genere Globigerinoides (da Banner & Lowry, 1985).

MIOCENE INFE RIORE

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Microevoluzione

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DIAMETRO DEL PROLOCULO (p.)

Fig. 4.24— Evoluzione graduale delle dimensioni della prima camera embrionale (proloculo) di Lepidolina multiseptata, foraminifero bentonico del Permiano dell'Asia sud-orientale. Le barrette pin spesse indicano it valore medio e le barrette pin sottili le deviazioni standard. L'intervallo studiato 6 di circa 15 milioni di anni (da Ozawa, 1975, con modifiche).

siderazione gli aspetti dell'evoluzione di questo taxon (speciazione s.s., gradualita e continuity di passaggi morfologici tra le specie, grande velocity di trasformazione, assenza di stasi evolutiva nelle due specie pin longeve) si pue concludere the questo caso non 6 inquadrabile net modello degli equilibri intermittenti ed e interpretabile solo con it modello di Simpson. f7) Il caso di Lepidolina multiseptata (Fusulinidae, Foraminifera) (fig. 4.24) Lepidolina multiseptata a un foraminifero bentonico la cui evoluzione a caratterizzata dall'incremento sorprendentemente costante, lento e unidirezionale del diametro del proloculo (camera embrionale) (Ozawa, 1975). La variazione del diametro del proloculo a stata correlata con la variazione dell'habitat della specie da ambienti di piattaforma carbonatica di acque basse ad ambienti pin profondi caratterizzati da depositi clastici ed a quindi interpretabile (con tutte le riserva gia espresse a proposito di Cryptopecten vesiculosus) come effetto della selezione naturale. L'elevato numero di campioni studiati, l'abbondanza dei reperti tale da consentire analisi statistiche, t'ampio intervallo stratigrafico considerato (circa 15 milioni di anni) e la vasta area geografica presa in considerazione hanno

182 Fossili ed evoluzione

permesso all'autore di arrivare a conclusioni oggettive, che hanno trovato un unanime consenso anche da parte dei sostenitori degli equilibri intermittenti.

4.12



MACROEVOLUZIONE

Il cambiamento microevolutivo, dall'evoluzione delle popolazioni alla genesi delle specie, costituisce un concetto facilmente intuibile. Indipendentemente da qualsiasi modello, non 6 difficile immaginare la «parentela» tra it gatto e la tigre e ipotizzare la loro differenziazione da un antenato comune. Diventa pert) pia difficile percepire la parentela tra gatto, balena e pipistrello, cio6 capire che carnivori, cetacei e chirotteri sono tutti derivati da un progenitore comune. La macroevoluzione, in sintesi, ha come obiettivo la spiegazione di questo fenomeno e put) essere definita come un cambiamento evolutivo delle propriety biologiche di un certo taxon che porta all'origine di un nuovo gruppo tassonomico. Il campo di ricerca della macroevoluzione, come del resto quello della microevoluzione, a multidisciplinare e coinvolge tutti i campi della ricerca biologica, dalla genetica alla anatomia comparata, ma analizza problemi in cui l'apporto dei documenti paleontologici 6 di fondamentale importanza. La macroevoluzione, in sintesi, si occupa di tre argomenti fondamentali: — l'origine di nuovi schemi costruttivi degli organismi (ad esempio l'origine dei molluschi, dei vertebrati, dei mammiferi); — i meccanismi limitanti e le tendenze evolutive; — i fenomeni di variazione della diversity degli organismi nel tempo e quindi i processi di radiazione adattativa e di estinzione che caratterizzano e opunteggiano* tutta la storia biologica della Terra.

4.12.1



L'origine dei gruppi tassonomici e la macroevoluzione

Se la macroevoluzione studia i fenomeni di evoluzione sovraspecifica, allora ci si put) chiedere se esistano particolari processi che portano all'origine di un genere, una famiglia o, a maggior ragione, di un ordine o di una classe. La risposta, in questo caso, 6 precisa e non ammette alternative: non esiste alcun fenomeno che corrisponde all'origine di un taxon gerarchicamente superiore alla specie. Alla loro comparsa tutte le specie, sia che si estinguano rapidamente o diano origine a molte altre specie, hanno lo stesso significato e la stessa dignita tassonomica. Ciascun ordine o ciascuna classe ha origine come specie e, solo a posteriori, in base alla differenziazione dei discendenti, si deciders di riunire un gruppo di specie in un genere, una famiglia, un ordine e cosi via. Le specie sorelle (Cap. 3), che successivamente avrebbero dato origine a diversi gruppi monofiletici, non erano certamente differenziate come le specie derivate che attualmente appartengono a famiglie o a ordini diversi. Le differenze che si osservano nelle due specie sorelle ancestrali non esprimono quindi le differenze dei due gruppi tassonomici a cui daranno rispettivamente origine. Queste differenze dipenderanno dalla storia delle specie derivate dei due gruppi ed in particolare dalle loro opportunity ambientali. La ricerca macroevolutiva dovra quindi tener conto dei fattori innovativi delle specie ancestrali ma, soprattutto, dovra concentrarsi sulle condizioni che hanno portato alla radiazione dei due taxa.

Macroevoluzione 183

4.12.2 — Macroevoluzione, teoria sintetica e teoria della «selezione delle specie»

Gli aderenti alla teoria sintetica sostengono che i fattori che determinano l'evoluzione delle popolazioni, cio6 la microevoluzione, sono gli stessi che determinano la macroevoluzione. In pratica, tutti i fatti macroevolutivi possono essere ridotti ad una progressiva differenziazione delle popolazioni e, in definitiva, non si possono distinguere cause microevolutive e cause macroevolutive. La vera unity dell'evoluzione nella teoria sintetica a quindi la popolazione. La teoria sintetica prevede che le propriety biologiche di una specie possano variare per evoluzione filetica e questo 6, per la teoria, it modo essenziale con cui si realizza la progressione evolutiva. La macroevoluzione, almeno in Simpson, e pen) it prodotto dell'interazione della speciazione s.s., ql'ordito di base della tela della vita >> con la speciazione filetica; diversificazione (speciazione s.s.) e progressione evolutiva (speciazione filetica) costituiscono i due processi indissolubili della macroevoluzione. Questo significa semplicemente che una sola o poche linee filetiche hanno limitate possibility di cambiamento ed 6 pertanto la speciazione s.s. che porta it taxon alla conquista di nuovi ambienti e quindi alla sua differenziazione, moltiplicando le sue opportunity di cambiamento. La speciazione s.s., in definitiva, 6 it processo che sottoponendo it taxon alla «sfida» di una pin larga gamma di situazioni ecologiche estrinseca le sue potenzialita evolutive. Tanto maggiore e la diversificazione, tanto maggiore diviene la probability che un taxon possa acquisire strutture utili per una ulteriore progressione evolutiva. Nella teoria degli equilibri intermittenti le specie di regola non si evolvono fileticamente e it processo macroevolutivo deve essere imputabile a meccanismi diversi da quelli della microevoluzione. Le tendenze macroevolutive sarebbero orientate da tre meccanismi particolari esclusivi della macroevoluzione: la deriva filogenetica, la speciazione diretta e la selezione delle specie. Questo modello (modello della selezione delle specie), introdotto in letteratura da Steven M. Stanley (1975, 1979, 1982), 6 stato accettato da Eldredge e Gould ed 6 venuto a completare la teoria degli equilibri intermittenti. La selezione delle specie e considerato it piu importante dei tre meccanismi e svolge nella teoria lo stesso ruolo della selezione naturale tra gli individui. Tale processo produrrebbe un diverso tasso di sopravvivenza tra le specie che derivano da un comune progenitore. La selezione sarebbe quindi innescata da fattori ambientali o da caratteri peculiari delle specie (caratteristiche della riproduzione, dimensioni delle popolazioni, ecc.) che, ad esempio, permetterebbero ad alcune di essere piu longeve oppure di differenziarsi (in altre specie) pin rapidamente di altre. Come risultato, l'andamento dell'albero filogenetico dipendera dall'interazione della velocity di speciazione con quella di estinzione. L'albero quindi si sviluppera in quei rami dove la velocity di speciazione 6 piu elevata rispetto alle estinzioni. Un elevato tasso di speciazione e it prerequisito verso una rapida differenziazione macroevolutiva. La deriva filogenetica rappresenta un meccanismo non selettivo, analogo alla deriva genetica (Finestra 4.6) che opera nella microevoluzione. Analogamente alla deriva genetica, che agisce sulle piccole popolazioni, la deriva filogenetica farebbe risentire maggiormente la sua influenza sui gruppi costituiti da un numero limitato di specie. La speciazione diretta, infine, costituirebbe la tendenza a dare origine a specie in una ben determinata direzione controllata dall'ambiente. Esiste una certa resistenza, da parte di alcuni autori (Carrot, 1988; Levinton, 1988),

184 Fossili ed evoluzione

ad ammettere che le rapide e progressive variazioni morfologiche che si osservano, ad esempio, nei mammiferi possano essere attribuite al meccanismo della selezione delle specie. II modello della selezione delle specie ammette che la speciazione sia un fenomeno di per se stesso «in larga misura casuale » (Stanley, 1975) e dia origine ad una serie casuale di morfologie che vengono poi selezionate, determinando una direzione evolutiva. Questo meccanismo non sembra funzionalmente appropriato per spiegare la genesi di piani strutturali altamente integrati e complessi come quelli dei mammiferi (Levinton & Simon, 1980). E noto che intorno al limite Precambriano-Cambriano si verifica la comparsa esplosiva di nuovi tipi e di nuove classi, in misura maggiore che in qualsiasi altro intervallo di tempo della storia della Terra (§ 5.7). II Cambriano inferiore a contraddistinto da una grande diversity delle categorie tassonomiche gerarchicamente pit elevate e da una sorprendentemente bassa diversity specifica. E stato stimato che nel Cambriano esistevano in media non pit di una quarantina di specie per ogni nuovo taxon a livello di classe o di tipo (Valentine & Erwin, 1983). Su questa base Valentine (1986) conclude che l'intervallo di tempo in cui ebbero origine i nuovi piani strutturali degli organismi (Bauplane) 6 caratterizzato da una bassa diversity specifica e da un basso tasso di speciazione; questa situazione non sembra soddisfare it requisito essenziale del modello della selezione che prevede un alto tasso di speciazione. Come costruire Muscolo retrattore destro

Velum

Ano Cavita del mantello Piede larvale a) Muscolo retrattore destro

Ano Cavita del mantello

Muscolo retrattore sinistro Opercolo b)

Fig. 4.25 — Il processo di torsione dei gasteropodi durante la fase larvale. (a) larva prima della torsione con la cavity del mantello in posizione posteriore; (b) larva dopo it processo di torsione di 180° in senso antiorario del mantello rispetto al piede; la cavity palleale a situata ora anteriormente (da Yonge & Tompson, 1976).

Macroevoluzione 185

it nuovo Bauplan senza un numero adeguato di specie da cui selezionare e riunire tutti caratteri utili? Certi casi possono trovare una risposta adeguata nella modesta variazione genetica che potrebbe richiedere l'origine di un nuovo Bauplan, come ad esempio l'origine del piano strutturale dei gasteropodi dai monoplacofori. Questo interrogativo rimane perb nel caso di Bauplane pia complessi come quello dei mammiferi, la cui origine a caratterizzata da un numero modesto di specie. Il punto nodale del dibattito tra i sostenitori del «gradualism° filetico» (nel senso di Simpson, 1953 e non di Eldredge e Gould, 1972) e i sostenitori degli «equilibri intermittenti» rimane sempre la valutazione del significato e dell'importanza dell'evoluzione filetica. Il meccanismo della selezione delle specie 6 stato presentato dai sostenitori degli equilibri intermittenti come alternativo ad una evoluzione filetica incapace di produrre progressione evolutiva. Il dibattito a ancora aperto e si possono solo sottolineare due punti: a) i dati paleontologici non sembrano dimostrare, almeno per ora, l'inefficienza dell'evoluzione filetica come processo evolutivo; b) in linea di principio la teoria della selezione delle specie non 6 incompatibile con l'evoluzione filetica e si pub anche ipotizzare che l'albero filogenetico possa risultare dall'interazione di questi due processi. 4.12.3 — Origine di nuovi schemi organizzativi

Come hanno avuto origine i piani strutturali degli organismi e come 6 awenuta la conquista di nuovi habitat? Come hanno avuto origine gli anfibi e gli uccelli? Come si 6 formata l'ala di un uccello? L'interpretazione di questi fenomeni costituisce uno dei punti cruciali della macroevoluzione. I modelli discussi descrivono it tipo di processo (evoluzione filetica, selezione delle specie) ma non spiegano come, ad esempio, gli uccelli abbiano avuto origine dai dinosauri. Il fatto che it processo awenga per evoluzione filetica o per selezione delle specie non sposta i termini reali del problema: come viene acquisito un nuovo Bauplan funzionale per un nuovo ambiente? Come si passa da un adattamento all'altro? Si pub immaginare che una popolazione abbia ricavato un vantaggio adattativo anche dall'acquisizione graduale di certe proprieta, come ad esempio quelle mimetiche. Una farfalla o un altro insetto che presenta un certo grado di mimetismo, anche se limitato, a sempre in vantaggio rispetto ad individui o popolazioni che non lo presentano affatto. La difficolta diventa maggiore quando l'innovazione 6 utile solo quando 6 completamente sviluppata. Se una nuova struttura comparisse all'improwiso e fosse gia funzionale per la soprawivenza degli organismi portatori, non si presenterebbero particolari problemi se non quello di spiegare it meccanismo di una tale comparsa. Allo stato attuale delle conoscenze, la genetica non consente di ipotizzare che l'origine dei taxa derivi da rivoluzioni genetiche, come aveva teorizzato R.B. Goldschmidt (1940). E stato pert, suggerito, e talora pare plausibile, che possano verificarsi importanti variazioni morfologiche anche tramite una sola mutazione puntiforme. La mutazione dei geni che controllano le fasi di accrescimento potrebbe avere un'importanza fondamentale nell'evoluzione. L'origine dei gasteropodi pub costituire un esempio interessante del caso in cui una piccola variazione genetica ha probabilmente determinato l'origine di un nuovo Bauplan. I gasteropodi sono caratterizzati, nella face larvale, da un fenomeno di torsione

186 Fossili ed evoluzione

del mantello in senso antiorario che porta la cavity palleale, originariamente posteriore, ad una posizione anteriore direttamente sopra it capo (fig. 4.25). Nella sottoclasse Opistobranchi si osservano vari stadi di detorsione tra i generi viventi e si pub quindi ipotizzare che tale processo sia awenuto attraverso varie fasi, guidate dalla selezione naturale. Nei Prosobranchi non si osservano stadi di passaggio, anche se sembra che la torsione nelle larve planctotrofiche (cio6 che si nutrono di plancton) avvenga in due fasi (Underwood, 1972). La prima 6 imputabile all'accrescimento differenziale dei due muscoli retrattori (che fissano it corpo molle alla conchiglia), la cui contrazione, ad uno certo stadio, provoca una prima torsione di 90° del mantello e della massa viscerale rispetto al piede. La seconda, che completa la torsione, dovrebbe avvenire per accrescimento differenziale anche dopo l'inizio della vita bentonica. Forse una sola mutazione puntiforme, come 6 stato ipotizzato da Garstang (1929) e ritenuto plausibile da altri autori (Stanley, 1979, 1982), o comunque una piccola variazione genetica porto rapidamente a questo cambiamento, che corrisponde al passaggio dalla classe Monoplacophora alla classe Gastropoda, uno dei taxa piti ricchi di specie del Regno Animale.

Fig. 4.26 — In alto 6 illustrato un tunicato allo stadio di girino (a) ed allo stadio adulto (b). Durante la

metamorfosi la coda scompare e l'individuo si sviluppa unicamente dalla testa del girino L'affinita dei tunicati con i vertebrati a quindi rilevabile solo allo stadio larvale, in cui a presente la notocorda. In basso (c) e illustrato l'axolotl, una salamandra messicana del genere Ambystoma che raggiunge la maturity sessuale gia allo stadio larvale, compiendo la metamorfosi (d) solo se gli viene iniettato l'ormone mancante. Si ipotizza che i vertebrati possano aver avuto origine da girini di tunicati divenuti sessualmente maturi.

Macroevoluzione 187

Fig. 4.27 — a) L'uccello primordiale Archaeopteryx lithographica cosi come 6 stato ritrovato, completo di scheletro e impronte delle penne, nel Giurassico superiore della Baviera (1/3 delle dimensioni reali). b) Lo scheletro di Archaeopteryx ricostruito e messo a confronto con quello di un piccione attuale (c). Le regioni scheletriche confrontabili (scatola cranica, ali, stemo, pelvi e coda) sono rappresentate in nero (da Colbert, 1955, con modifiche, e altre fonti).

Considerando l'enorme successo del Bauplan dei gasteropodi, occorre ammettere che la torsione porta un immediato vantaggio, probabilmente sia a livello della sopravvivenza larvale, sia della sopravvivenza degli adulti. Numerosissime sono le ipotesi sui possibili vantaggi della torsione, ma nessuna riscuote ancora un consenso unanime. Quella forse piu accreditata sottolinea che, dopo la torsione, diveniva possibile far rientrare it capo ed it delicato velo ciliato (l'organo larvale deputato alla locomozione ed alla nutrizione) nella cavita palleale prima del piede (l'organo deputato alla locomozione nell'adulto); questa condizione avrebbe assicurato una maggiore protezione at capo ed at velo, consentendo inoltre alla larva di passare indenne attraverso it tubo digerente dei predatori (Garstang, 1929; Yonge & Thompson, 1976). Stanley (1979) ha osservato che it fenomeno della torsione a un prerequisito indispensabile per la formazione dell'opercolo, la struttura (calcarea o cornea) secreta dalla parte dorsale-posteriore del piede che si giustappone all'apertura della conchiglia e protegge efficacemente it corpo molle, incluso it piede, dai fenomeni di predazione. Un altro caso classico 6 rappresentato dal girino della salamandra messicana Ambystoma (il cosiddetto Axolotl, fig. 4.26c), che non raggiunge piu la metamorfosi come conseguenza di una carenza ormonale e si riproduce allo stato larvale; questo fenomeno, detto pedomorfosi, comporta la conservazione nello stadio

188 Fossili ed evoluzione

adulto di caratteri e strutture degli stadi embrionali. Ricordando it significato dell'ontogenesi (Finestra 4.7), si pub definire la pedomorfosi come quel fenomeno in cui gli stadi giovanili dei progenitori divengono stadi adulti nei discendenti. Si ritiene probabile che la carenza ormonale dell'axolotl sia controllata da un solo gene (Stanley, 1979). In definitiva appare plausibile che, come nei due esempi illustrati, una modesta variazione del patrimonio ereditario (mutazioni geniche o cromosomiche) possa comportare, almeno in certi casi, importanti variazioni morfologiche. Una struttura si definisce preadattata quando ha una certa funzione nel progenitore, ma pub assumere una funzione in parte o completamente diversa nei discendenti. L'origine delle penne degli uccelli pub costituire un caso esemplare per illustrare questo fenomeno. E prevedibile che una struttura, che e penna solo al 10%, non possa portare alcun contributo al volo. E possibile, pea), che nei piccoli dinosauri progenitori degli uccelli la comparsa delle piume fosse adattativa, in quanto funzionale per trattenere it calore del corpo; in questo caso anche gli stadi intermedi, che portano alla formazione di una piuma o di un abbozzo di penna dalla scaglia di un rettile, risultano vantaggiosi e quindi vengono selezionati. Archaeopteryx lithographica, ritrovato per la prima volta nel 1861 nel calcare litografico del Giurassico di Solnhofen (Baviera), a it piu antico fossile che presenta vere e proprie penne (fig. 4.27 a,b). La specie, caratterizzata da penne asimmetriche, quindi adatte al volo, e nel contempo da caratteri ancora rettiliani (fig. 4.28), e considerata, con fondati motivi, almeno a livello etologico, un vero anello di transizione tra rettili e uccelli. E probabile che, nella linea evolutiva che ha portato ad Archaeopteryx, lo sviluppo delle piume costituisse una risposta adattativa all'acquisizione di una taglia piu piccola. E noto infatti che gli organismi di piccola taglia, avendo un piu elevato rapporto tra la superficie esterna (dove avviene la dispersione del calore) ed it volume interno (dove viene prodotto it calore), disperdono una maggiore quantita di calore rispetto agli organismi di taglia maggiore. A prescindere da questa ipotesi, due punti sono di particolare interesse: la funzionalita al volo della penna e le caratteristiche rettiliane dello scheletro. Mancano infatti, a parte le penne, le strutture tipiche che caratterizzano gli uccelli moderni e lo scheletro (con mascelle provviste di denti) si differenzia da quello dei

Archaeopteryx Fig. 4.28 — Confronto tra l'anatomia di Archaeopteryx (a sinistra) e di dinosauro corridore del Giurassico (da Ostrom, 1974).

Microvenator Microvenator

(a destra), un piccolo

Macroevoluzione

189

piccoli dinosauri teropodi, da cui probabilmente deriva, solo per la maggiore lunghezza degli arti anteriori; la tendenza all'allungamento degli arti a pea) gia riscontrabile nei teropodi. Probabilmente it momento chiave nella genesi degli uccelli si verifith quando questi orettili» iniziarono ad utilizzare a guisa di all gli arti anteriori. II cambiamento strutturale piu importante, l'acquisizione di penne adatte al volo e l'allungamento degli arti, avvenne probabilmente come conseguenza di questa variazione etologica e quindi come conseguenza delle nuove pressioni selettive. Nel caso dell'origine degli uccelli, l'ipotesi del preadattamento non 6 in contrasto con l'ipotesi del cambiamento etologico: esse sembrano rappresentare due fasi di uno stesso processo. In altri casi invece le variazioni morfologiche riguardano strutture che possono essere funzionali in due ambienti diversi. Un esempio puo essere l'evoluzione dei coccodrilli acquatici da progenitori terrestri o semiacquatici, ben documentata nei fossili da numerose forme di passaggio (Carrol, 1988). Le altre caratteristiche tipiche degli uccelli attuali vennero acquisite solo successivamente; la trasformazione iniziale della struttura riguardO solo le parti immediatamente «utilizzabili» e indispensabili per conquistare it nuovo habitat. In questa ottica, la trasformazione etologica diventa di fondamentale importanza nella conquista di nuovi modi di vita e quindi nella messa a punto di nuovi Bauplane. Mayr (1981) ha illustrato questo modello prendendo come esempio i picchi attuali. Nei tropici esistono ancora dei picchi primitivi che assomigliano ai loro progenitori (Capitonidae) ma perforano i tronchi degli alberi come i picchi pitt specializzati. Si pub dedurre che i progenitori siano divenuti «picchi», inizialmente, solo attraverso it loro comportamento. Secondo Mayr, a stata proprio questa trasformazione del comportamento a determinare l'insieme delle pressioni selettive che hanno portato, dopo un certo tempo, all'acquisizione dei caratteri specialistici tipici dei picchi moderni (coda rigida, riorganizzazione delle dita, ecc.). Tale andamento, cio6 l'acquisizione progressiva delle strutture tipiche dei taxa come conseguenza della variazione etologica, sembra documentabile anche nell'origine di tutti i principali Bauplane e, quindi, sembra presentare una validita generale (Mayr, 1981). Questo modello trova una conferma nel fatto che i cosiddetti «anelli di passaggio » sono sempre costituiti da un autentico mosaico di organi e strutture. Va sempre tenuto presente che la documentazione offre un quadro molto incompleto delle grandi variazioni strutturali, soprattutto per quanto riguarda l'anatomia delle parti molli e della fisiologia degli organismi. Del resto ci si pub chiedere quale sarebbe stata l'interpretazione dell'origine degli uccelli se alcuni esemplari di Archaeoptheryx lithographica, anziche essere sepolti nei sedimenti calcarei finissimi di Solnhofen, in grado di documentare tutti i loro dettagli morfologici, fossero stati sepolti in un altro tipo di sedimento, non idoneo a «registrare» la presenza delle penne (Cap. 2). Nonostante it continuo ritrovamento di sempre nuovi fossili e la scoperta di qualche anello di passaggio, ben poco in realta si conosce sull'origine e sulle variazioni anatomiche dei principali taxa. Il caso piu classico e significativo riguarda l'origine dei vertebrati, the a legata alla comparsa della corda dorsale, allo sviluppo della cresta neurale e del cervello ed alla comparsa delle ossa. Attualmente non si conoscono ancora ne i tempi ne la condizione ancestrale da cui 6 derivato it loro piano strutturale. stato ipotizzato che la loro origine possa essersi verificata per pedomorfosi dalla larva di un tunicato che, contrariamente all'esemplare all'adulto, presenta molti caratteri in comune con i cordati (fig. 4.26a,b). Una larva di tunicato, che fosse divenuta matura sessualmente prima di compiere la metamorfosi (come si verifica nella salamandra Ambystoma; fig. 4.26d), avrebbe potuto dar origine ad un organismo con

190 Fossili ed evoluzione EUSTHENOPTERON

omero radio ulna intermedio

r1

BENTHOSUCHUS

ERYOPS

Fig. 4.29 — Eusthenopteron, un pesce osseo del Devoniano, e caraterizzato da un mosaico di strutture

tipiche della classe di appartenenza e degli anfibi paleozoici, da cui deriveranno sia gli anfibi moderni sia tutti gli altri vertebrati terrestri. In basso sono posti a confronto la sezione trasversale di un dente e un arto anteriore di Eusthenopteron rispettivamente con un dente di un Bentosuchus (a sinistra) e con l'arto di Eryops (a destra), due veri e propri anfibi. Si noti l'omologia ben riconoscibile dell'omero, dell'ulna, del radio e, almeno in parte, delle ossa carpali (intermedio).

caratteri che preludevano ai vertebrati. Questa ipotesi spiegherebbe l'assenza di documentazione fossile su questa fondamentale variazione strutturale. Anche se statisticamente improbabile, 6 tuttavia possibile che in qualche «Fossil-Lagerstatten» (Finestra 2.3) della Terra, nel Cambrian, i fossili di questa pietra miliare della storia della vita siano in attesa di essere scoperti. Un altro caso classico riguarda la transizione dai pesci agli anfibi (fig. 4.29). Nonostante si riconoscano nei pesci ripidisti numerose strutture simili a quelle degli anfibi, non 6 ancora noto un vero e proprio anello di passaggio. Secondo Alfred Romer (1966), fu probabilmente l'esigenza dello spostamento da uno stagno all'altro durante la stagione secca a innescare nei ripidisti, che diedero origine agli anfibi, una pressione selettiva verso la messa a punto di un arto funzionale allo spostamento sulla terraferma. Secondo vedute piu recenti, tuttavia, it motivo piu realistico di questo passaggio evolutivo e da ricercare nel tentativo di utilizzazione delle risorse trofiche non ancora sfruttate delle aree emerse (Finestra 9.2). Il passaggio dai rettili ai mammiferi 6 ben documentato da una successione di taxa con caratteri intermedi (fig. 4.30). I mammiferi sono definiti sulla base di caratteri fisiologici (endotermia, riproduzione, ecc.) che it paleontologo non pub verificare direttamente. Numerosi sono tuttavia i caratteri del cranio e dello scheletro che documentano it progressivo passaggio dalla condizione rettiliana a quella dei mammiferi. Tra i molti caratteri indicativi di questa transizione si pub citare, come esempio, l'evoluzione dell'apparato boccale da «ingoiatore» a «masticatore». Tale passaggio, oltre che dalla progressiva comparsa di denti ben differenziati in incisivi,

Macroevoluzione

191

canini e denti masticatori, e caratterizzato dal maggiore sviluppo dei muscoli preposti all'apertura ed alla chiusura della mandibola. Nella sequenza evolutiva, la fenestrazione temporale dei rettili sinapsidi si allarga fino a confluire nell'orbita. Nella mandibola it progressivo sviluppo dei muscoli determina l'espansione del dentale, su cui sono inseriti, e la riduzione, seguita da scomparsa, degli elementi ossei posteriori al dentale. Condizione tipica dei mammiferi e quindi la presenza del dentale come solo elemento costitutivo della mandibola. Un altro carattere «classico» che documents it passaggio alla condizione dei mammiferi e la formazione del palato secondario che, separando le vie nasali, consente la respirazione durante la masticazione; tale struttura viene messa in relazione con l'acquisizione dell'endotermia. Dunque, it paleontologo tramite lo studio delle parti scheletriche riesce, almeno in parte, a valutare anche l'acquisizione dei caratteri fisiologici tipici dei mammiferi.

4.12.4 — Limitazioni e tendenze evolutive Il mondo degli organismi, viventi e fossili, non 6 rappresentato da un continuum di varianti, ma da un campo di variability discontinuo. Non esistono quindi e non sono mai esistiti fenotipi e genotipi intermedi tra molluschi e brachiopodi, o tra mammiferi e uccelli, anche se questi taxa hanno avuto un progenitore comune. L'evoluzione dei cladi (gruppi monofiletici di organismi) non puo procedere in ogni momento in tutte

ft L).

0

a)2 b)

Fig. 4.30 - Confronto tra i crani di un rettile pelicosauro (a, genere Dimetrodon del Permiano inferiore), di un rettile cinognato (b, genere Thrinaxodon del Triassico

inferiore), gruppo caratterizzato dalla coesistenza di caratteri tipici dei rettili e dei mammiferi, e di un mammifero vero e proprio (c, genere Sinoconodon del Triassico superiore), caratterizzato ancora dalla persistenza di alcuni caratteri rettiliani (semplificato da Jenkins, 1984) (an, angolare; dt, dentale; ft, finestra temporale; ms, mascellare).

1 0 cm

192 Fossili ed evoluzione

le direzioni possibili; esistono infatti dei fattori, dei meccanismi limitanti, che la canalizzano in ben determinate direzioni, dando luogo a tendenze evolutive e discontinuita morfologiche. a) CASO E ANTICASO Una delle obiezioni piu classiche, e ancora attuali (Denton, 1985), alla teoria evolutiva di marca darwiniana ed in particolare al meccanismo della selezione naturale recita che le mutazioni sono casuali e non esiste alcun modo di mettere a punto, nel tempo disponibile, strutture altamente integrate ed efficienti, come ad esempio l'occhio di un vertebrato, mediante un processo casuale. Questa obiezione, oltre a sottovalutare la lunghissima storia evolutiva che ha portato all'occhio dei vertebrati, non considera che le mutazioni sono casuali rispetto alle esigenze dell'adattamento ma sono «canalizzate» all'interno dei singoli cladi. Simpson (1953) e ancora prima Muller, negli anni '40, hanno sottolineato che gli organismi non possono essere considerati come strutture plastiche variabili in tutte le possibili direzioni; le variazioni, acquisite per effetto delle mutazioni, vanno infatti considerate nel contesto dello sviluppo e della struttura fisiologica dell'organismo, che e determinato dall'interazione di tutto it genotipo; va tenuto presente, inoltre, che le mutazioni che possono verificarsi in un gene sono condizionate dalla struttura stessa del gene e che questa struttura a «il risultato dei cambiamenti che questo gene ha subito nel corso di tutta la sua evoluzione precedente» (Dobzhansky & Boesiger, 1968). Certe strutture morfologiche, come ad esempio le coma, si presentano ripetutamente in certe linee filetiche ma non compaiono in altre, anche se 6 plausibile ritenere che avrebbero rappresentato un carattere adattativo. Si parla quindi di casualita delle variazioni genetiche solamente perche esse appaiono indipendenti dalle esigenze adattative. Nel tempo, i fenotipi esprimono una variability molto ampia, ma limitata rispetto a quella potenziale e la selezione naturale li «guida» verso direzioni ben determinate, cioe verso l'adattamento all'ambiente. b) MORFOLOGIA E AMBIENTE La morfologia degli organismi e una diretta conseguenza dell'azione «modellatrice» della selezione naturale. Le discontinuity morfologiche che si osservano tra gli organismi sono una conseguenza della diversity degli ambienti. I caratteri fisici del-

b)

d) Trinacomerum

saimone

e) Hesperornis

ittiosauro

f) pinguino

g) delfino

Fig. 4.31 — Omeomorfia per convergenza adattativa tra pesci cartilaginei (a), pesci ossei (b), rettili (c, d),

uccelli (e, f), e manuniferi (g).

Macroevoluzione 193

b)

10 mm Fig. 4.32 — Omeomorfia per convergenza adattativa tra i brachiopodi Tetractinella trigonella del Triassico medio (a) e Cheirothyris fleuriausa del Giurassico superiore (b) (da Rudwick, 1965).

l'ambiente costituiscono, in definitiva, una fondamentale forza di canalizzazione della morfologia degli organismi bl) Convergenza adattativa Il fenomeno della convergenza adattativa (evoluzione convergente) costituisce un esempio ottimale di canalizzazione. Gruppi con antenati diversi e quindi con fonda-

(Gasteropode) Miocene

3.,;::;0.4wAste.mmazd , (Bivalve) Giurassico inf.

(Bivalve) Cretacico sup.

bakaMENA. (Cirripede lepadomorfo) Cretacico

Fig. 4.33— Omeomorfia per convergenza adattativa tra gasteropodi, bivalvi, coralli, archeociatidi e cirripedi

(da Seilacher, 1984, semplificato).

194 Fossili ed evoluzione

Mercenaria Rangia

Tivela

Spisula

(Veneracea) (Mactracea) (Veneracea) (Mactracea)

Mya (Myacea)

Tresus (Mactracea)

Fig. 4.34 — Omeomorfia dovuta a convergenza adattativa in alcuni generi di bivalvi (da Stanley, 1970, con modifiche).

mentali differenze anatomiche e fisiologiche vengono ad acquisire nel tempo, per azione della selezione naturale, la stessa morfologia (fenomeno della omeomorfia). Numerosissimi sono gli esempi (figg. 4.31-4.34); quello forse noto e di OA immediata comprensione a dato dalla convergenza adattativa dei delfini (mammiferi), ittiosauri (rettili), squali (pesci cartilaginei), pesci ossei e alcuni uccelli (fig. 4.31). Gli agnati dall'Ordoviciano, i pesci ossei dal Siluriano, gli squali dal Devoniano, gli ittiosauri nel Mesozoico, le balene ed i delfini dal Cenozoico, pur con le inevitabili differenze the derivano dal particolare piano strutturale o da particolari adattamenti, hanno acquisito una comune forma idrodinamica come risposta all'esigenza di uno spostamento veloce nell'acqua.

THYLACINUS

Fig. 4.35 — Evoluzione parallela del genere Prothylacinus, lupo marsupiale del Miocene dell'Argentina e del genere Thylacinus, lupo marsupiale dell'Australia estintosi recentemente.

Macroevoluzione

195

24,6 m.a.

Fig. 4.36 - Evoluzione parallela tra i perissodattili dell'emisfero settentrionale e i litopternidi del Sud America. Entrambi i taxa derivano dal genere Phenacodus (da Ziegler, 1983, con modifiche).

b2) Evoluzione parallela

Nel fenomeno della convergenza adattativa i taxa omeomorfi, cio6 «simili», derivano da progenitori diversi con un diverso piano strutturale. Nell'evoluzione parallela i taxa simili hanno invece origine dallo stesso progenitore. Si parla pertanto di evoluzione parallela quando gruppi tassonomici che derivano dallo stesso progenitore sono caratterizzati, in tempi e/o luoghi diversi, dai cambiamenti evolutivi di alcuni caratteri nella stessa direzione come risposta alle stesse opportunity adattative. Un esempio tipico e dato dalla radiazione adattativa (§ 4.12.9) dei marsupiali nell'America del Sud ed in Australia. Da un antico progenitore comune ebbero origine, nei due continenti, due predatori molto simili al lupo placentato attuale, i generi Prothylacinus (del Miocene dell'Argentina) e Thylacinus (Australia) estintosi solo in tempi recenti (fig. 4.35). L'evoluzione parallela dei due generi, dimostra che nei due continenti esisteva la stessa opportunity ecologica per un predatore con le caratteristiche morfoadattative del lupo placentato. Anche i litopternidi del Sud America e i perissodattili del Nord America e dell'Europa (fig. 4.36) forniscono un chiaro caso esemplificativo del fenomeno. L'evoluzione parallela costituisce, dunque, un ulteriore esempio di «canalizzazione» morfoadattativa guidata dalle opportunity ambientali. b3) Evoluzione iterativa Si parla di evoluzione iterativa o ripetitiva quando un taxon, in tempi diversi, da

origine a taxa diversi, ma con le stesse caratteristiche morfoadattative. Questo fenomeno, come del resto i precedenti, riflette le limitazioni dei programmi evolutivi dei taxa che, in situazioni ecologiche simili, danno origine a discendenti con gli stessi

196 Fossili ed evoluzione

caratteri morfoadattativi. L'evoluzione iterativa costituisce, in definitiva, un caso particolare di evoluzione parallela in tempi diversi. Le due successive radiazioni adattative (§ 4.12.9) del genere Globigerina, rispettivamente nel Paleogene e nel Neogene, costituiscono l'esempio pih classico di questo fenomeno (fig. 4.37). Nel Paleogene, dal genere Globigerina ebbero origine un certo numero di taxa che poi si estinsero nel corso del periodo; nel Neogene, dal genere Globigerina, sopravvissuto alle fasi di estinzioni oligoceniche, ebbero origine nuovi taxa che morfologicamente erano pen) corrispondenti ai taxa paleogenici estinti. C) LIMITAZIONI POSTE DALLA STRUTTURA E DALLA FISIOLOGIA DEGLI ORGANISM' L'azione modellatrice della selezione naturale procede con it materiale a disposizione e quindi le tendenze evolutive e l'adattamento sono condizionate dal piano di sviluppo e dalla struttura degli organismi. Cosi ad esempio, la pinna caudale delle balene si sviluppa orizzontahnente, anziche verticalmente, in quanto it grado di flessibilita laterale della colonna vertebrale a molto limitato nei mammiferi. Nei vertebrati la resistenza delle ossa e la forza dei muscoli per units di area sono poco variabili; ne consegue che i cambiamenti della forma e delle proporzioni dello scheletro sono sempre «controllati» dalle «limitazioni» poste dai muscoli e dalle ossa. II fenomeno evolutivo a ovviamente canalizzato e limitato anche dai fattori fisiologici. Un organismo a basso metabolismo, come ad esempio un anfibio, non put) adattarsi ad ambienti terrestri freddi o conquistare lo spazio aereo come gli uccelli; cosi come un bivalve, adattato a respirare e ad assumere it particellato alimentare tramite le branchie, non potra mai adattarsi ad ambienti al di fuori delle acque. Gli animali ad alto metabolismo, d'altra parte, saranno di regola esclusi da ambienti con risorse alimentari povere. d) AUMENTO DELLA TAGLIA In numerosi gruppi tassonomici si osserva, nel tempo, un progressivo aumento delle dimensioni. L'aumento filetico delle dimensioni, per quanto venga spesso citato come legge di Cope, dal nome del paleontologo americano E.D. Cope (1840-1897), non 6 certamente no generale ne irreversibile e viene considerata solo come una tendenza comune a molti taxa. Questa tendenza e interpretabile con i vantaggi adattativi che l'aumento della taglia conferisce agli individui di un gruppo tassonomico. Nell'ambito della stessa specie gli individui di taglia maggiore prevalgono, in genere, sugli individui di taglia minore in quanto producono piu prole, sia perche si impongono nella competizione per accaparrarsi le femmine, sia perche oppongono una migliore difesa alla predazione. L'aumento della taglia non e indefinitamente vantaggioso ed a limitato dalla interazione della selezione naturale con le limitazioni della struttura e della fisiologia dei taxa. II peso di un animale terrestre con quattro zampe non puo, ovviamente, andare oltre la capacita di resistenza degli arti e non deve impedire o limitare it movimento dell'animale. Esiste poi it problema delle fonti di cibo e della messa a punto di strutture morfoadattative funzionali per utilizzarle. L'aumento di taglia pone dei grandi problemi adattativi che coinvolgono tutta la struttura e la fisiologia dei taxa. Dunque, un aumento significativo della taglia in un

Macroevoluzione 197

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. Microbenthos

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Macrobenthos

200 A

210

la larghezza del trattino equivale a una specie 230

Fig. 6.22 — Nel Mar Nero la diversity tassonomica si riduce drasticamente con la profondita come conseguenza della riduzione del tenore di ossigeno. Sul fondo, dove esistono condizioni anossiche, la vita 6 assente (da Rhoads & Morse, 1971).

die. In definitiva la concentrazione dell'ossigeno dipende dall'interazione tra la produzione (esclusivamente nella zona fotica), it consumo (respirazione e ossidazione) ed it ripristino ad opera delle correnti. La circolazione oceanica svolge un ruolo essenziale nel determinare la concentrazione dell'ossigeno nelle masse d'acqua profonde. La variazione dei gradienti di temperatura tra le basse ed alte latitudini, che controllano l'attivita della circolazione, ha quindi svolto, nella storia degli oceani, un ruolo fondamentale nel determinare i livelli di ossigeno delle masse d'acqua profonda. Un altro fattore essenziale nel controllare l'ossigenazione delle acque profonde a la loro densita (salinity e temperatura) rispetto a quella delle acque superficiali; quando si formano acque superficiali meno dense rispetto a quelle profonde, ad esempio per effetto di un grande apporto di acque dolci durante periodi a clima umido, viene inibita la circolazione verticale e quindi non si verifica it ricambio delle acque profonde che divengono presto anaerobiche, in quanto l'ossigeno consumato nei processi metabolici non viene ripristinato. Questo fenomeno e particolarmente importante nei bacini che comunicano con it mare aperto tramite una soglia elevata, che impedisce it ricambio delle masse d'acqua profonde. Nel Mar Nero, ad esempio, it ricambio delle acque profonde a impedito sia dall'altezza della soglia di comunicazione con it Mediterraneo, sia dalla bassa densita delle acque superficiali, determinata dall'importante apporto fluviale. La penetrazione di acqua dal Mediterraneo e troppo scarsa rispetto al volume d'acqua del Mar Nero, le cui acque profonde presentano un tempo di residenza di circa 2.000 anni (Stowe, 1979).

I fattori che controllano la distribuzione degli organismi marini 311

H2S assente 02 abbondante

Ill

ffir111 ° H2S abbondan e 02 assente



1.•

a)

Fig. 6.23 — Schema dei rapporti tra l'interfaccia acqua-sedimento e l'interfaccia ossidazione-riduzione (Eh = 0). a) La superficie Eh = 0 6 inter= al sedimento: colonizzazione epifaunale ed infaunale; b) la superficie Eh = 0 coincide con la superficie del substrato: colonizzazione esclusivamente epifaunale; c) la superficie Eh = 0 e al di sopra del substrato: assenza di vita sul fondo (da Ricci Lucchi, 1978).

In questi casi l'acqua del fondo 6 stagnante e priva di ossigeno e l'ambiente, caratterizzato dall'assenza di vita bentonica, 6 riducente. Il potenziale di ossido-riduzione (Eh) misura lo stato di riduzione o di ossidazione degli ioni presenti e cioe la capacity ossidante dell'ambiente. Un Eh positivo 6 indicativo di un ambiente ossidante, mentre un Eh negativo indica un ambiente riducente. La comprensione della relazione tra l'interfaccia acqua-substrato e l'interfaccia ossidazione/riduzione (Eh = 0) 6 molto importante negli studi paleoecologici. La figura 6.23 illustra i tre casi possibili. Nella maggior parte dei casi la presenza o l'assenza di bioturbazione e la documentazione paleontologica consentono agevolmente di ricostruire una delle tre situazioni ambientali.

6.10.6



Nutrienti

I nutrienti, cioe gli elementi indispensabili per la vita dei vegetali e la formazione dei pigmenti fotosintetici, nell'ambiente marino si trovano sotto forma di nitrati, fosfati, silicati (il Si 6 necessario a diatomee e silicoflagellate) principalmente di K, Ca, Mg, Fe. La concentrazione dei nutrienti e l'intensita luminosa (la luce 6 la fonte energetica utilizzata per la fotosintesi) sono i principali fattori di controllo della produttivita primaria, cioe it tasso di produzione per unite di volume di materiale vegetale, a disposizione dei consumatori (o eterotrofi). La disponibilita di nutrienti 6 it fattore limitante principale in acque superficiali dove la luce, salvo condizioni particolari, e sempre disponibile. Il significato di produttivita, primaria (sostanza vegetale) o totale (vegetale e animale), a diverso da quello di biomassa (fitomassa e zoomassa) che esprime semplicemente la quantita di materiale organico vivente per unity di volume. La biomassa a dunque in relazione sia con la longevita degli organismi sia con la produttivita; una elevata biomassa pub essere it frutto di una balsa produttivita ed una elevata longevita degli organismi, oppure di una ridotta longevita e un'alta produttivita. Se si tiene conto del processo tafonomico nel suo complesso, si pub sottolineare che ben difficilmente la documentazione paleontologica si pub prestare ad un calcolo, anche approssimativo, della biomassa e della produttivita. Il significato dei nutrienti

312 Fossili e paleoambienti

e la nozione di produttivita sono tuttavia essenziali come base culturale negli studi paleoecologici. La discesa sul fondo degli organismi morti tende ad impoverire le acque superficiali dove avviene la fotosintesi; infatti la necrolisi rende ancora disponibili i nutrienti che per() vengono liberati sul fondo e non sono quindi immediatamente disponibili per gli organismi fotosintetici. Questo processo, che tenderebbe a limitare la produttivita primaria, a compensato da correnti ascensionali (upwelling) (fig. 6.3) che si instaurano nelle aree di divergenza oceanica e lungo le coste dei continenti (in particolare le coste occidentali), dove l'azione dei venti (gli alisei), sommata all'effetto Coriolis, spinge le acque superficiali verso it largo, permettendo l'afflusso di acque profonde nelle aree costiere. Le correnti ascensionali rendono ancora disponibili i nutrienti per gli organismi fotosintetici. Questo fenomeno a particolarmente importante nelle aree tropicali dove un'accentuata stratificazione delle acque rende pia lenta la circolazione. Da questo si comprende come la maggiore produttivita sia localizzata nelle aree di divergenza oceanica e soprattutto nelle zone costiere di upwelling. La produttivita motto pia elevata sulle piattaforme continentali rispetto alle aree oceaniche; a prescindere dal processo di upwelling, i fiumi depositano nei mari costieri grandi quantita di nutrienti. Inoltre, i resti degli organismi che si depositano e si decompongono sulla piattaforma costituiscono una fonte di nutrienti che tornano motto pia facilmente net ciclo biologico rispetto a quell che si depositano nei bacini oceanici. Infatti le onde, it pia comune meccanismo che genera turbolenza, possono mescolare le acque della piattaforma fino a circa 100 m di profondita (Stowe, 1979). Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, le aree a pit alta produttivita, come le aree di upwelling (ad esempio le coste dell'Africa occidentale, della California, ecc.), presentano una diversity tassonomica inferiore rispetto a quella delle aree alla stessa latitudine a produttivita minore. Come vedremo (§ 6.14.6a1), questa situazione e imputabile all'imprevedibilita delle risorse trofiche e delle brusche variazioni di temperatura (risalita di acque profonde), legate all'andamento dei venti. Nei mari a produttivita primaria motto elevata, la drastica riduzione della trasparenza delle acque dovuta al plancton microscopico influenza in modo determinante la distribuzione batimetrica degli organismi che, in generale, tende ad elevarsi; in particolare gli organismi fotolili (fanerogame, alghe e organismi che vivono in simbiosi con le alghe) sono presenti solo nella parte superiore del loro intervallo di distribuzione batimetrica; tuttavia, l'ambiente rimane per loro ostile in quanto l'intorbidamento dovuto alla produttivita varia, in modo in gran parte imprevedibile, seguendo l'andamento delle variazioni atmosferiche.

6.10.7



Profondita

La determinazione della profondita dell'ambiente di sedimentazione a uno dei contributi pia importanti che it paleoecologo pub fornire at geologo per lo studio dell'evoluzione dei bacini sedimentari. Tutti i parametri a cui si a accennato (temperatura, salinity, pressione, Luce, energia idrodinamica, ecc.) ed altri ancora variano con la profondita in modo pia o meno continuo, ma la loro variazione assume un diverso andamento nelle diverse situazioni

Uniformismo tassonomico 313

ambientali e interagisce con l'andamento degli altri parametri. Anche la diminuzione della luce con la profondita, che in una certa misura e uno dei parametri che varia piu «regolarmente», dipende dalla latitudine, dalla stagione, dalla produttivita., dall'energia idrodinamica dell'ambiente di sedimentazione, dagli apporti sedimentari, ecc. Il fattore che varia piu regolarmente con la profondita 6 la pressione ma la sua relazione con gli organismi non e ancora sufficientemente conosciuta, almeno per applicazioni di carattere paleoecologico. L'energia idrodinamica diminuisce di norma con la profondita e dunque esiste una importante correlazione tra processi sedimentari e profondita.. I sedimenti fini sono dominanti in ambiente profondo; tuttavia, a riprova che la tessitura del substrato non sufficiente ad individuare un paleoambiente, si puo osservare che anche ambienti di estuario, lagunari o costieri protetti possono essere caratterizzati da sedimenti fini o finissimi Nella grande maggioranza dei casi, it dato paleoecologico e determinante e insostituibile; solo l'integrazione dei dati paleoecologici con quell sedimentologici, nel contesto dell'analisi di facies, permette di mettere a punto oggettive ipotesi sulla profondita dell'ambiente di sedimentazione.

6.11



UNIFORMISMO TASSONOMICO

In paleoecologia si accetta it presupposto che lo stesso taxon nel corso della sua esistenza abbia popolato gli stessi habitat mantenendo lo stesso ruolo. Questo modo di procedere, indicato come uniformismo tassonomico da Dodd e Stanton (1981), a prima vista sembra riproporre un concetto di uniformismo sostanziale (Finestra 1.1). Una riflessione piu attenta rivela tuttavia the e lo stesso concetto di taxon che prevede la costanza dei suoi caratteri adattativi e l'adattamento ad un certo ambiente. I termini tassonomici esprimono in codice tutti i caratteri degli organismi ed in particolare proprio quelli morfoadattativi. Affermare, ad esempio, che it bivalve Donax dell'Eocene ha popolato gli stessi habitat (ad energia elevata) dei Donax attuali, equivale ad affermare che it genere Donax dell'Eocene, avendo le stesse caratteristiche morfofunzionali (registrate sulla conchiglia) dei Donax attuali, deve aver popolato gli stessi habitat. La prima affermazione, basata sul concetto di uniformismo tassonomico sottointende la seconda, che costituisce una chiara applicazione del concetto di uniformismo metodologico. In definitive l'uniformismo tassonomico rientra a pieno titolo nell'uniformismo metodologico. Procedendo dalla specie verso gerarchie tassonomiche pit elevate (genere, famiglia, ecc.), l'uniformismo tassonomico fornisce dati sempre piu generali. Cosi, ad esempio, it ritrovamento nel Neogene di una associazione a molluschi caratterizzata da Venus gallina consente un sicuro riferimento ad un ambiente di sedimentazione marino prevalentemente sabbioso non pia profondo di 10-20 m. Il ritrovamento di modelli interni, non determinabili a livello specifico, attribuibili con sicurezza solo at genere Venus o alla famiglia Veneridae, non consente un riferimento paleoambientale preciso; infatti nell'ambito del genere Venus s.l. (e a maggior ragione nell'ambito dei Veneridae) sono comprese specie che popolano tutti i diversi ambienti della piattaforma continentale. L'applicazione del concetto di uniformismo tassonomico richiede molta cautela. Differenze fisiologiche non «registrabili» sulle parti fossilizzabili delle specie, fenomeni di competizione con altri organismi, fenomeni di predazione, possono di per se stessi portare a deduzioni paleoecologiche non corrette. Venus multilamella e diffusa

314 Fossili e paleoambienti

attualmente nel Mediterraneo nei fanghi terrigeni costieri a profondita maggiori di circa 70-80 m; durante it Pliocene ed it Pleistocene la specie, oltre che i fanghi terrigeni costieri e la parte superiore del batiale, popolava anche substrati fangoso sabbiosi (in associazione con specie come Spisula subtruncata) di profondita inferiore ai 30 m. E raro disporre della documentazione sufficiente per una interpretazione oggettiva delle cause di questi fenomeni (competizione, predazione, ecc.); pea) l'integrazione di tutti i dati disponibili (sinecologici, sedimentologici, ecc.) permette di regola di rilevare i dati contraddittori e di risalire alle variazioni di habitat delle specie nel tempo, evitando errori grossolani di interpretazione paleoambientale. In pratica, it significato autoecologico delle specie va sempre controllato nel contesto dell'analisi sinecologica e dell'analisi di facies. L'applicazione dell'uniformismo tassonomico e ovviamente possibile solo quando l'analisi verte su taxa ancora viventi. Piu si scende nella scala del tempo geologico, pin le relazioni di «parentela » con le faune attuali diventano lontane e l'applicazione dell'uniformismo tassonomico diviene sempre meno significativo. Cosi dall'applicazione dell'uniformismo tassonomico a livello specifico nel Pleistocene, si passa progressivamente, via via scendendo sempre pin nella scala del tempo, all'applicazione dell'uniformismo tassonomico a livello di genere, famiglia, ecc. e diviene necessario fare ricorso all'analisi morfofunzionale dei taxa; si tenta cioe di mettere in relazione le loro particolari caratteristiche morfologiche con le loro funzioni e trarre quindi informazioni preziose sui paleoambienti. Ad esempio, nell'ambito delle faune a molluschi, l'uniformismo tassonomico a livello di specie e applicabile senza difficolta al Pleistocene, ma gia nel Pliocene inferiore, nei paleoambienti in cui la percentuale di specie ancora viventi non supera it 20-30%, occorre tener conto delle informazioni che derivano dall'uniformismo tassonomico a livello generico e si deve fare ricorso all'analisi morfofunzionale dei taxa estinti. E chiaro che non esiste soluzione di continuita, ne a livello teorico ne pratico, tra l'applicazione dell'uniformismo tassonomico e l'analisi morfofunzionale. Si e gia sottolineato del resto che it concetto di analisi morfofunzionale e implicito nella definizione di uniformismo tassonomico.

6.12 - MORFOLOGIA FUNZIONALE Gli organismi per poter sopravvivere come individui devono respirare, alimentarsi, spostarsi, ecc. e per poter sopravvivere come specie devono riprodursi. Gran parte di queste funzioni sono in stretta relazione con le strutture scheletriche passibili di fossilizzazione. Gli studi di morfologia funzionale sono finalizzati alla comprensione delle relazioni tra la struttura, la funzione e l'etologia degli organismi; lo studio puo avere finalita prevalentemente biologiche o paleobiologiche (se applicato a organismi fossili), oppure pue essere rivolto, direttamente o indirettamente, all'acquisizione di preziose informazioni paleoambientali. Va sempre tenuto presente che la morfologia degli organismi deriva da tre fattori principali: 1) l'«elemento» filogenetico, 2) l'«elemento» costruttivo, 3) l'«elemento» adattativo (Seilacher, 1970). L'elemento filogenetico e inerente alla storia evolutiva del taxon; l'elemento costruttivo si riferisce ai meccanismi di sviluppo dell'organismo; l'elemento adattativo si riferisce all'azione della selezione naturale nel plasmare strutture efficienti, funzionali alla vita dell'organismo nell'ecosistema. L'analisi morfofunzionale va dunque

Morfologia funzionale 315 3.0 Rapporto di asimmetria delle orechiette

PECTINIDAE IA Fissati con it bisso A

2.6

Esemplari adulti l• Liberamente natanti

2.2

A A A

1.8

6'

AU A

1,4

• 1,0 80



• I

90

I

I

I

1

100

I

I

I

I

110





•A I

I

I

120

AA I

I

I

130

Angolo umbonale AU (in gradi)

Fig. 6.24 — Nei pettinidi i taxa che si ancorano con it bisso presentano, rispetto a quelli liberamente natanti, l'angolo apicale pill acuto e un valore pill elevato del rapporto di asimmetria delle orecchiette (rapporto tra la lunghezza delle orecchiette anteriore e posteriore) (da Stanley, 1970).

sempre considerata in un contesto che tiene conto della storia filogenetica e dell'ontogenesi dell'organismo. A livello operativo, l'obiettivo immediatamente perseguibile a quello di stabilire una relazione tra uno o pia caratteri morfologici di un organismo e le Sue esigenze di vita in un certo habitat (considerando la funzionalita delle singole strutture nel contesto di tutto l'organismo). L'approccio pia seguito per raggiungere questo risultato consiste nel formulare un'ipotesi sulla funzione di una certa struttura e quindi controllare con tutti i mezzi disponibili la sua validita. Un metodo alternativo potrebbe consistere nel selezionare phi funzioni di un organismo e nell'ipotizzare quati siano le strutture morfologiche corrispondenti (Savazzi, 1983). Nello studio della morfologia funzionale delle specie attuali it modo pia immediato per controllare la validita delle ipotesi formulate 6 di variare le condizioni ambientali o di modificare le strutture morfologiche e di osservare i risultati; se non 6 possibile applicare questi metodi, la verifica delle ipotesi 6 affidata alla sola osservazione diretta. Gli studi di morfologia funzionale dei fossili non possono che essere condotti in modo indiretto e sono generalmente basati sul confronto tra gli organismi fossili e quelli viventi che presentano strutture, analoghe od omologhe, passibili di un controllo sperimentale. Su questo approccio 6 fondata la maggior parte delle interpretazioni correnti di carattere morfoadattativo, dalle pia semplici a quelle pia complesse. Un esempio classico a dato dagli arti dei vertebrati (fig. 3.9) adattati al nuoto, alla locomozione su terraferma e at volo; la conoscenza delle caratteristiche morfofunzionali degli arti degli organismi attuali consente una oggettiva interpretazione delle funzioni svolte dagli arti degli organismi estinti (ad esempio, ittiosauri, pterodattili, dinosauri, ecc.) e, pertanto, di risalire ai loro habitat. Un altro caso facilmente

316 Fossili e paleoambienti

Piano della commessura verticale

Piano della commessura inclinato + torsione della conchiglia

Pseudoptera sp. (Cretacico sup.) wftLer.



d) Fig. 6.25 Significato adattativo della torsione della conchiglia in alcuni bivalvi seminfaunali. a) Hoernesia socialis, Trias medio della Germania meridionale; b) Trisidos yongei, Attuale delle Indie orientali; c, d) Pseudoptera sp., Cretacico del Portogallo; el) confronto tra it modo di vita con it piano della commessura verticale (e) e con it piano della commessura inclinato e ritorto (f); la condizione in f prevede una minore —

elevazione dal fondo pur con una esposizione della commessura e una profondita di ancoraggio del bisso eguali a quella della situazione in e (spiegazione nel testo) (da Savazzi, 1981, 1984a,b).

comprensibile riguarda i denti dei mammiferi: ogni specie possiede denti funzionali a una certa dieta, quindi dalla forma dei denti si pub facilmente risalire alla dieta degli organismi fossili e svolgere dunque considerazioni di carattere paleoambientale (figg. 4.39; 4.41; 4.42). Un caso particolare e illustrato nelle figure 6.24 e 6.28 (Finestra 6.1) in cui si evidenzia la possibility di risalire, dalle caratteristiche morfologiche delle valve, al modo di vita ed alle specializzazioni trofiche dei bivalvi. In questi ultimi trent'anni, gli esoscheletri degli invertebrati (bivalvi, gasteropodi, brachiopodi, crostacei, ecc.) sono stati oggetto di studi e di analisi morfofunzionali di grande interesse paleobiologico e paleoecologico. In particolare la forma, l'ornamentazione e le strutture dei bivalvi sono state interpretate o comunque sono in via di interpretazione in chiave morfofunzionale. Nell'ambito della notevole casistica ormai disponibile, ricordiamo l'interpretazione morfofunzionale della torsione del piano di commessura di alcune specie seminfaunali delle famiglie Arcidae (es. Barbatia mytiloides del Neogene e Pleistocene inf. del

Morfologia funzionale

317

Bacino mediterraneo; Trisidos yongei, specie attuale delle Indie orientali), Mytilidae (es. Modiolus americanus, Olocene delle Bermude), Bakevellidae (es. Hoernesia socialis del Triassico medio della Germania sud-occidentale) (Savazzi, 1981; 1984a,b). In sintesi, l'inclinazione della commessura (la conchiglia tende ad essere adagiata su una valva) e la sua torsione hanno la funzione di ridurre l'altezza, e dunque la vulnerabilita, della parte della conchiglia che sporge dal sedimento, senza ridurre la lunghezza del tratto di commessura esposta ne la profondita di ancoraggio del bisso. La disposizione suborizzontale della commessura permette inoltre di prelevare it ricco particellato alimentare direttamente al di sopra dell'interfaccia acqua-sedimento e consente di migliorare la separazione della zona inalante dalla zona esalante del mantello, evitando cosi possibili fenomeni di contaminazione (fig. 6.25). Le difficolta aumentano quando l'interpretazione morfofunzionale e rivolta a taxa che non hanno rappresentanti attuali. L'approccio metodologico e in questi casi necessariamente diverso. La prassi oggi pin comune e stata introdotta da Rudwick (1964) e consiste nel formulare una ipotesi morfofunzionale su una certa struttura fossile e quindi mettere a punto un preciso modello teorico della struttura che assicuri la funzione con l'efficienza pin elevata. Il passo successive consiste nel confronto tra la struttura fossile ed it modello teorico della struttura (indicato con it termine paradigma); quanto pin la struttura fossile approssima it modello teorico pin efficiente nello svolgere quella funzione, tanto pit l'ipotesi iniziale risulta verificata. Talora i paleontologi possono attribuire una funzione diversa alla stessa struttura fossile; it metodo per risolvere la controversia consiste, anche in questi casi, nel confrontare la struttura fossile con pill paradigmi e verificare quale e pit vicino alla struttura fossile. Ad esempio e stata studiata con questa procedura la ricostruzione del modo di vita di Waagenoconcha abichi, brachiopode del Permiano (fig. 6.26) (Grant, 1966). E stato ipotizzato che le fitte spine ricoprenti tutta la valva ventrale siano funzionali ad impedire lo sprofondamento nel fango dell'organismo ed in par-

Fig. 6.26 — Ricostruzione della posizione di vita del brachiopode Permiano Waagenoconcha abichi; gli individui allo stadio neanico erano ancorati ad alghe o altri organismi tramite spine cardinali (da Grant, 1966).

318 Fossili e paleoambienti

ticolare a mantenere sollevata dal fango la commessura delle valve, attraverso cui fluiscono le correnti inalanti che portano ossigeno e particellato alimentare. Tale ipotesi morfoadattiva e stata confermata dal confronto fossile-paradigma. Poiche le spine non arrivano alla commessura, non era invece possibile accettare l'ipotesi alternativa di una loro funzione di protezione. La documentazione paleontologica ha permesso di verificare che gli esemplari giovanili, non ancora dotati della copertura di spine sulla valva ventrale, vivevano ancorati mediante spine cardinali a organismi epifaunali, come briozoi e spugne. Una procedura simile 6 stata utilizzata anche da Sambol e Finks (1977) nello studio di Agerostrea mesenterica, bivalve del Cretacico (§ 4.11.1); i due autori hanno esaminato quattro caratteri morfometrici (grado di curvatura e lunghezza dell'arco della conchiglia, altezza e numero delle pliche) che, sulla base di un modello teorico di morfologia funzionale, potevano avere un valore adattativo per assicurare la sopravvivenza degli individui di una singola generazione. Dalle misure effettuate, gli autori furono in grado di documentare che solo due caratteri, la massima curvatura della conchiglia ed it numero ottimale delle pliche, erano ben conciliabili con la predizione del modello teorico utilizzato (fig. 4.12). Un altro metodo di analisi morfofunzionale si pue svolgere con esperimenti su esemplari fossili o su modelli meccanici. Kingsolver e Koehl (1985) hanno costruito, ad esempio, dei modelli di insetti paleozoici e ne hanno studiato o it comportamento» in una galleria a vento per controllare le loro ipotesi sulla funzionalita delle ali. I metodi citati non sono mutualmente esclusivi ed e evidente che la loro integrazione sarebbe sempre vantaggiosa per raggiungere risultati quanto piu possibile rea-

Fig. 6.27 — Esemplare di Buchiceras bilobatum con individui di Ostrea cementati sui tre lati (a, b, c) della camera di abitazione. Questa disposizione dimostra che gli epibionti si sono cementati durante la vita dell'ammonite e permette inoltre di risalire alla posizione di galleggiamento (Seilacher, 1960). Lo stesso tipo di informazione si ricava anche dagli esemplari di Gryphaea (d, e) incrostati da serpulidi (da Bayer et al., 1984).

Morfologia funzionale 319

listici. In particolare, tutti i dati ottenuti con i metodi citati andrebbero, quanto piit possibile, corredati con osservazioni sulle tracce di predazione, parassitismo, composizione delle paleocomunita, caratteri sedimentologici del substrato, ecc. In una certa misura queste osservazioni costituiscono un ulteriore metodo di analisi morfofunzionale in quanto passibili di fornire dati originali, ad esempio, sulla posizione di vita degli organismi Un caso classico e costituito dalla cementazione di alcuni esemplari di Ostrea s.l. su un esemplare di Buchiceras bilobatum del Cretacico del Peru (Seilacher, 1960) (fig. 6.27a-c). L'ubicazione degli epibionti dimostra che si sono cementati alla conchiglia quando l'organismo era ancora in vita e ha consentito di riconfermare che la posizione di galleggiamento e di nuoto delle ammoniti corrisponde a quella del Nautilus attuale. Un altro esempio significativo e stato illustrato da Bayer et al. (1985); le incrostazioni di serpulidi su valve di Gryphaea del Giurassico consentono di ricostruire la sua posizione di vita e di risalire alle condizioni del substrato (fig. 6.27d,e).

FINESTRA 6.1 — INTRODUZIONE ALL'AUTOECOLOGIA DEI BIVAL VI Per gli studi paleoecologici e di fondamentale importanza la possibility di individuare it gruppo trofico di un taxon tramite i caratteri morfologici delle parti dure «fossilizzabili», indipendentemente dal problema della determinazione tassonomica. La classe Bivalvia (tipo Mollusca) costituisce un buon esempio di questa possibility. Nei bivalvi infatti, it tipo di cerniera, cioe di articolazione delle due valve, la presenza e la forma delle impronte del muscolo sifonale e dei muscoli adduttori, la morfologia complessiva delle valve consentono di ipotizzare un quasi costante riferimento al tipo di branchie, al modo di vita e al gruppo trofico di appartenenza. Questo inquadramento, che si basa evidentemente su un concetto di uniformismo metodologico, consente (almeno nel Cenozoico) un semplice ma efficace approccio alle ricostruzioni paleoecologiche. Lo schema della figura 6.28 tiene conto solo di alcuni dei caratteri che consentono una rapida, ma abbastanza precisa determinazione dei gruppi trofici dei bivalvi. In particolare, i caratteri morfologici presi in considerazione consentono una immediata distinzione tra i filtratori eulamellibranchiati (eterodonti) e i detritivori/depositivori protobranchiati (ctenodonti). Tenendo conto dello schema di figura 6.29, appare evidente come i filtratori eulamellibranchiati siano quasi esclusivi della piattaforma continentale, mentre i protobranchiati, per quanto diffusi anche sulla piattaforma, siano caratterizzati da una maggiore diversity tassonomica negli ambienti batiali. Questa distribuzione particolare trova una spiegazione, anche se ipotetica, nella diversa fisiologia e nelle diverse risorse alimentari dei due gruppi. Gli eulamellibranchiati hanno infatti un apparato branchiale altamente specializzato e funzionale all'assunzione del particellato alimentare, che non sarebbe adatto alla sopravvivenza in un ambiente batiale, di regola povero di particellato in sospensione. Tutte le caratteristiche morfoadattative degli eulamellibranchiati filtratori (la tendenza evolutiva alla saldatura dei lobi del mantello e all'acquisizione dei sifoni per intanarsi, lo sviluppo del piede, la cerniera eterodonte, ecc.) appaiono funzionali alla colonizzazione di ambienti con un certo idrodinamismo, ricco di particellato alimentare e caratterizzato da intensa predazione (Stanley, 1968). Questa ipotesi 6 confortata dal fatto che gran parte degli eulamellibranchiati presenti in ambiente batiale e abissale sono depositivori, o commensali (Finestra 6.2) di altre specie (e quindi

320 Fossili e paleoambienti

RICONOSCIMENTO DI ALCUNI GRUPPI TROFICI DEI BIVALVI DISODONTI CTENODONTI

filibranchiati filtratori monomiari

protobranchiati infaunali poco profondi

epifaunali

0s

ezione trasversale delle valve

detritivori e/o depositivori (tramite i palpi labiali) integripalleati (senza sifoni)

dimiari con impronta anteriore ridotta Pb o meno

senopalleati (con sifoni)

epifaunali

morfologia e andamentp della linea palleale

ISODONTI filibranchiati filtratori epifaunali

1

PSEUDOCTENODONTI

• ETERODONTI eutarnellibranchiati infaunali morfologia delle valve, forma dell'impronta del musoolo sifonale, cerniera, ecc.

filtratori

detritivori o depositivori infaunali

impronta del rnuscolo adduttore ant. allungata filtratori infaunali profondi con sifone ant. rivestito di muco

morfologia, impronte muscoli aduttori presenza di un seno bissale, ecc.

5

Fig. 6.28 — Riconoscimento di alcuni gruppi trofici di bivalvi tramite i caratteri della cerniera, delle impronte dei muscoli adduttori, della morfologia, ecc. (spiegazione nel testo).

con particolari specializzazioni trofiche), o manifestano una tendenza verso la macrofagia, come it genere Thyasira (Bernard, 1972). In pratica, la drastica riduzione degli eterodonti filtratori e ii contemporaneo aumento della diversity specifica degli ctenodonti (sottoclasse Palaeotaxodonta) si possono considerare indicativi del passaggio dal circalitorale al batiale (fig. 6.29). Rispetto al circalitorale, it batiale e anche caratterizzato dall'aumento di frequenza dei settibranchiati (Anomalodesmata pars), l'unico gruppo di bivalvi con branchie adattate alla cattura di piccole prede, dalla riduzione della famiglia Pectinidae (disodonti, monomiari, filibranchiati, filtratori) e dalla contemporanea dominanza della famiglia Propeamussiidae (disodonti, monomiari, filibranchiati con tendenza alla macrofagia) nella sottoclasse degli Pteriomorphia.

Popolazioni e paleoambienti 321

100 ANOMALODESMATA

..------

a) 0 a) a

a)

50

HETERODONTA

0

a E 0

PTERIOMORPHIA PALAEOTAXODONTA

''

N,

0 litorale 0-200 m

abissale batiale 400-2000 m 2000-6/7000 m

Fig. 6.29 — Composizione percentuale delle specie dei diversi gruppi tassonomici dei bivalvi a differenti profondita (da Knudsen, 1979).

Nell'ambito di quest'ultimo taxon si nota inoltre, in corrispondenza del passaggio circalitorale-batiale, un importante turnover generico degli pseudoctenodonti (filtratori, filibranchiati). L'identificazione di queste variazioni tassonomiche richiede l'utilizzazione di conoscenze specifiche che esulano dagli obiettivi di questa trattazione.

6.13



POPOLAZIONI E PALEOAMBIENTI

Una popolazione si pub definire come un insieme di individui della stessa specie che vivono in una certa area e, dunque, interagiscono a livello riproduttivo (concetto di comunita genetica, § 4.11) e competono per lo spazio e le risorse trofiche disponibili nel loro areale. Come conseguenza, le condizioni ambientali degli areali hanno un profondo effetto sulle caratteristiche delle popolazioni ed in particolare: a) sul modo e sulla velocity di crescita a breve e lungo termine, b) sulla distribuzione, sulla variability morfologica, sull'eta e sulle dimensioni degli individui componenti. Dall'analisi di queste propriety nelle popolazioni fossili e possibile, almeno in teoria, ricavare importanti informazioni sui paleoambienti. Tuttavia, come ha sottolineato Valentine (1973), di tutti i livelli della gerarchia ecologica, quello della popolazione a certamente it pill difficile da analizzare nella documentazione paleontologica. Il concetto di popolazione implica che gli individui componenti vivano nello stesso tempo e nello stesso areale; la delimitazione dei limiti degli areali costituisce una difficolta insita nella definizione stessa di popolazione e non 6 certo affrontabile in paleoecologia; it paleoecologo pub soltanto esaminare dei campioni ipoteticamente rappresentativi di una popolazione che si estende in un areale di cui ignora i limiti. Inoltre, it poter disporre di un campione costituito da esemplari vissuti in corrispondenza della stessa linea tempo 6 una condizione che si pub verificare molto difficilmente in paleontologia; e tuttavia possibile, anche se non rappresenta la norma, che una catastrofe improvvisa, come ad esempio una frana o una torbidite, possa deter-

322 Fossili e paleoambienti

Tempo Fig. 6.30 — I due patterns fondamentali di crescita delle popolazioni (spiegazione nel testo) (semplificato da Odum, 1971).

minare it seppellimento e la conservazione di una popolazione di individui che vissero nello stesso tempo. Ager (1963) ha fatto presente che una popolazione di questo tipo potrebbe essere paragonata alla popolazione umana di Pompei, sepolta dalla cenere del Vesuvio nel 79 d.C. Di norma invece le popolazioni fossili sarebbero comparabili ai resti conservati nei cimiteri, appartenenti ad individui che sono vissuti in tempi diversi anche se si rinvengono insieme. L'esempio di Ager e particolarmente esplicativo, ma si pue osservare che nel luogo della catastrofe possono esistere gia i resti di organismi vissuti precedentemente non sempre facilmente separabili. In definitiva, anche nel piu favorevole dei casi, e probabile che it campione ottenuto contenga gli individui di popolazioni che si sono succedute nel tempo. Se si ammette che la popolazione mantenga, a lungo termine, un pattern sufficientemente costante, questa mescolanza nel tempo non inficia la possibility di studi popolazionistici in paleoecologia.

6.13.1



Modo e velocity di crescita delle popolazioni

In condizioni ambientali favorevoli, una popolazione puo crescere piu o meno rapidamente fino ad una dimensione compatibile con le risorse ambientali (capacity di sostentamento): risorse trofiche, ossigeno, spazi (ad esempio per gli epifaunali e gli infaunali), ecc. (fig. 6.30a). Tutti questi fattori che possono essere «consumati» (che quindi diminuiscono con l'aumentare della density della popolazione) vengono indicati come «fattori dipendenti dalla densita». I fattori dipendenti dalla density innescano una competizione tra gli individui, che si risolve nella selezione dei competitori meglio adattati; tale processo 6 di basilare importanza nel determinare l'evoluzione delle popolazioni. Un altro tipico modo di crescita consiste in un aumento molto rapido seguito da una brusca decrescita, con successive ripetizioni di questo «pattern» (fig. 6.30b). Questo modello implica una instability delle condizioni ambientali che, favorevoli nella fase di incremento, divengono repentinamente ostili e causano un'altrettanto rapida fase di declino. La drastica riduzione della popolazione puO essere imputabile a fattori dipendenti dalla density (come ad esempio una variazione ambientale determinata dall'azione della popolazione stessa o da una sovrautilizzazione delle risorse trofiche) oppure a una improvvisa variazione di «fattori indipendenti dalla densita», cioe di parametri fisici come la temperatura, la salinity, la torbidita, ecc.

Popolazioni e paleoambienti 323

1400

1

1

1

1 1

1 1 1 1 1

1

I

I

I 1

I

1200

C0 1000

E cn

f a)

800

2

Totale esemplari di tutte le dimensioni

E z 600

400

200

Esemplari di quattro o piu anni

Fig. 6.31 — Variazione dell'abbondanza del bivalve Tivela stultorum tra it 1923 e it 1947 a Pismo Beach, California. Nella documentazione paleontologica di regola non si possono osservare le fluttuazioni a breve termine delle popolazioni (da Coe, 1957).

Da questi due modelli elementari si possono poi avere tutte le combinazioni possibili, e la loro comprensione 6 di grande interesse nella ricerca ecologica; pere, come si e gia osservato, nella documentazione paleontologica molto raramente vengono registrate le fluttuazioni a breve termine (in mesi o anni) delle popolazioni (fig. 6.31). Tenendo conto di un tasso medio di sedimentazione (ad esempio 1 cm per 100 anni) e dei fenomeni di bioturbazione (30 cm di profondita come valore medio; Finestra 7.1), appare evidente che, in casi favorevoli, e possibile verificare solo la tendenza media alla variazione della dimensione delle popolazioni su intervalli temporali di migliaia di anni Le cause che determinano le variazioni a lungo termine delle popolazioni sono riconducibili alle stesse che determinano le fluttuazioni a breve termine e cio6 a fattori indipendenti e dipendenti dalla densita. Tali cause sono evidentemente di grande interesse per le ricostruzioni paleoambientali. Per un approccio iniziale teorico, ma utile per affrontare questi problemi, e opportuno un riferimento alle selezioni K e r. Negli ambienti instabili, dove le condizioni di vita e le risorse trofiche variano in modo imprevedibile, prevalgono le specie che presentano caratteristiche opportuniste, capaci di sfruttare rapidamente queste risorse. La r selezione favorisce le popolazioni delle specie a piti alto tasso riproduttivo (da cui la sua denominazione) e con maggiori capacita di sopravvivenza, che sviluppano cio6 adattamenti utili a superare i periodi di condizioni ambientali sfavorevoli. Di norma si tratta di specie «generaliste », -

324 Fossili e paleoambienti

poco specializzate a livello trofico e adattate ad un'ampia gamma di ambienti. Le popolazioni di queste specie a «strategia r-selettiva» sono caratterizzate da grandi fluttuazioni delle loro dimensioni: in generale crescite molto rapide e altrettanto bruschi declini (fig. 6.30b). Negli ambienti stabili, eventualmente con risorse povere ma costanti, la K selezione (indica la carrying capacity, cioe la capacita di sostentamento) favorisce le specie con tasso riproduttivo poco elevato ed elevata specializzazione, determinando una sempre pin efficiente utilizzazione delle risorse; le popolazioni degli ambienti K-selettivi sono in generale piccole e stabili (fig. 6.30a). In definitiva esiste la tendenza, anche se un po' schematica, a distinguere specie « opportuniste », caratterizzate da popolazioni con elevate fluttuazioni e specie «in equilibrio» (equilibrium species), caratterizzate da popolazioni che presentano fluttuazioni limitate (Mac Arthur & Wilson, 1967). Il riconoscimento delle specie opportuniste nella documentazione fossile e ancorato a una serie di considerazioni e di caratteristiche relativamente semplici, elencate da Levinton (1970) e riprese recentemente da Dodd e Stanton (1990), che vengono qui riassunte con qualche modifica. La tipica specie opportunista a) presenta dominanza (cioe frequenza molto phi elevata rispetto alle altre specie) e pud anche essere l'unica specie presente; b) si trova in ambienti diversi ed e inserita in associazioni diverse (none quindi tipica di un'associazione particolare); c) 6 caratterizzata nelle successioni stratigrafiche da elevatissime fluttuazioni delle sue popolazioni: intervalli stratigrafici in cui essa e dominante si alternano ad intervalli abiotici o ad altri in cui non e pia dominante; d) presenta caratteristiche morfoadattative che indicano la mancanza di particolari preferenze alimentari e mostra notevole variability morfologica. Le specie «in equilibrio » a) non sono mai dominanti nel contesto dell'associazione; b) sono per to pin esclusive o preferenziali di una particolare associazione, che presenta di regola una elevata diversita; c) sono rappresentate da popolazioni stabili per lunghi intervalli di tempo; d) presentano un elevato grado di specializzazione trofica e mostrano scarsa variability morfologica. La strategia r-selettiva e peculiare di tutte le specie opportuniste, cioe tipiche di ambienti instabili, caratterizzati da stress fisici e risorse instabili. Nel gruppo delle specie opportuniste vengono incluse sia le specie che occupano ambienti instabili «perenni» (come le specie del genere Donax, che vivono negli ambienti intertidali o nella parte meno profonda dell'infralitorale), sia le «specie pioniere », cioe le prime che colonizzano un certo habitat, eventualmente rendendolo adatto alla successiva colonizzazione di altre specie. E intuibile che nell'analisi paleoecologica e di grande utility, quando possibile, operare una distinzione tra specie r-selettive che occupano ambienti instabili «perenni» e quelle pioniere. Nell'ambito delle specie opportuniste, che si potrebbero indicare come opportuniste in senso stretto, sono comprese anche specie tendenzialmente euribate, inserite in associazioni diverse che, in concomitanza di stress fisici non tollerabili dalla maggior parte delle popolazioni delle altre specie, divengono assolutamente dominanti Un tipico esempio e Corbula gibba, specie neogenica ed attuale presente all'interno di comunita diverse dei substrati mobili dell'infra e del circalitorale, che diviene talora abbondantissima, con dominanze fino at 100%. I caratteri morfo-fisiologici che la rendono idonea a filtrare grandi quantita di particellato, senza pericolo di intasamento delle strutture filtranti (Yonge, 1949) e it particolare habitat attuale delle sue popolazioni pitt numerose hanno permesso di ipotizzare che questa specie diventi -

Popolazioni e paleoambienti 325

dominante quando si instaurano condizioni di torbidita elevata, anche come conseguenza di un rilevante aumento della velocity di sedimentazione (Peres & Picard, 1964; Di Geronimo & Robba, 1989). Ditrupa arietina e un altro tipico esempio di specie opportunista diffusa dall'infralitorale al batiale che, come Corbula gibba, con cui spesso si alterna nelle successioni stratigrafiche, diviene dominante in situazioni di elevata torbidita (fig. 6.32). Va sottolineato che le specie non possono essere rigidamente classificate in specie opportuniste e specie in equilibrio, che rappresentano l'espressione di due strategie estreme; la maggior parte delle specie presenta evidentemente strategie intermedie. Inoltre si precisa che le associazioni degli ambienti instabili non sono tutte rappresentate da specie opportuniste, come d'altra parte le associazioni degli ambienti stabili non sono rappresentate esclusivamente da specie in equilibrio (Dodd & Stanton, 1990). A prescindere da qualsiasi discussione sull'opportunita di queste distinzioni, e evidente che l'individuazione delle specie opportuniste, o comunque di strategie r-selettive, 6 di grande interesse in paleoecologia perche consente di rilevare situazioni di instability imputabili a fattori indipendenti o dipendenti dalla density. La variazione delle dimensioni delle popolazioni costituisce un aspetto molto importante dell'analisi paleoecologica che viene focalizzata sulle cause di questi fenomeni ed in particolare sulle cause di declino delle popolazioni, spesso pin facili da determinare: avvelenamenti (ad esempio in ambienti lagunari), inquinamenti determinati dalla grande density di una popolazione, relazioni tra le diverse popolazioni (con particolare riferimento al rapporto preda - predatore o alle relazioni tra popolazioni competitrici di specie diverse), variazioni della produttivita primaria, variazioni nella direzione delle correnti che trasportano le larve, variazioni della temperature, salinity, aumento del tasso di sedimentazione, ecc.

— Orictocenosi caratterizzata dalla dominanza assoluta di Ditrupa arietina (polichete) che pub essere considerata una vera e propria specie opportunista. D. arietina e una specie euribate che diviene doniinante nelle aree ad elevata torbidita. La sua frequente associazione con organismi epifaunali (in questo caso it pettinide Chlamys opereularis) suggerisce che una sua elevata density possa esercitare un'azione stabilizzante sul substrate. Pleistocene del T. Tiepido (Modena) (foto E. Serpagli).

Fig. 6.32

326 Fossili e paleoambienti

6.13.2 — La struttura delle popolazioni Con l'espressione «struttura di una popolazione» si intende la distribuzione delle eta degli individui di una popolazione. Essa dipende da fattori intrinseci alla popolazione e fattori esterni legati all'ambiente fisico. Per riconoscere la struttura di una popolazione sono essenziali due fattori: a) la possibility di disporre di individui della stessa popolazione, cioe che vissero insieme nello stesso tempo; b) la possibility di determinarne Feta. Dei problemi relativi al punto a) si 6 gia accennato precedentemente. La determinazione dell'eta degli individui nei diversi taxa e per lo pia possibile mettendola in relazione con le dimensioni oppure valutando it significato di alcune strutture. Ad esempio, nei bivalvi gli anelli di accrescimento consentono in generale di approssimare in modo soddisfacente l'eta dei diversi esemplari. La struttura della popolazione 6 determinata essenzialmente dall'andamento della natality e della mortality. II fenomeno della natality e dello stanziamento di nuove larve 6 generalmente annuale, con un andamento molto irregolare che dipende dalle condizioni ambientali. Lo stanziamento stagionale delle larve o gli anni di pia intenso stanziamento non sono evidenziabili nella documentazione paleontologica; 6 invece talora individuabile l'andamento della mortality. Le curve di sopravvivenza in figura 6.33 schematizzano quattro tipi possibili di struttura. La curva A esprime una elevata mortality giovanile; superata una certa eta critica, la longevita appare aumentare in modo molto marcato. E it caso pia frequente nei substrati fangosi instabili, ad esempio quelli caratterizzati da Corbula gibba, dove si osserva una elevatissima mortality giovanile, probabilmente provocata da soffocamento. E evidente che in una popolazione fossile viene registrata solo la mortality degli esemplari giovanili che hanno gia sviluppato uno scheletro mineralizzato. La curva B esprime un tasso di mortality costante, cio6 illustra che la probability di

Eta

Fig. 6.33 1947).



Andamento di alcune ipotetiche curve di sopravvivenza (spiegazione nel testo) (da Deewey,

Popolazioni e paleoambienti 327

decesso a uguale per gli esemplari giovanili e quelli adulti; it pattern descritto dalla curva a indicativo di una situazione ambientale in cui Feta degli individui non cornporta vantaggi particolari ai fini della sopravvivenza. Nel caso di popolazioni bentoniche, questo pattern sembrerebbe escludere la possibility di morte per instability del fondo, che provocherebbe una maggiore mortality tra gli esemplari giovanili; esso potrebbe invece essere determinato, ad esempio in una popolazione di filtratori, dalla instability delle risorse trofiche, cioe da una causa che agisce in modo indiscriminato su individui adulti e giovani. La curva C indica una situazione in cui con l'avanzare dell'eta si manifesta in modo progressivo un aumento della mortality. La curva D esprime una situazione in cui la mortality giovanile e poco elevata e si accentua in modo drastico solo quando viene approssimata la longevita massima. Questa curva pub illustrare l'andamento della mortality umana nei paesi industrializzati, dove la mortality infantile e degli adulti tende a diminuire sempre di pin con it progresso della medicina, ma non si arriva ad aumentare in modo importante la longevita della specie (Dodd & Stanton, 1990). 6.13.3 — Variability morfologica nell'ambito della popolazione Gli individui di una popolazione hanno in comune to stesso patrimonio genetico e sono quindi molto simili tra di loro anche se, come si a gia osservato, ogni individuo rappresenta un vero e proprio unicum (§ 4.9). Il grado di variability degli individui rappresenta una delle caratteristiche piu importanti delle popolazioni. In generale, nelle popolazioni di specie pit specializzate la variability morfologica e minore che nelle popolazioni di specie meno specializzate. La variability individuale (variability fenotipica) a controllata in parte dal genotipo e in parte dalle condizioni ambientali. Contrariamente a quanto si era ipotizzato negli anni '60, Ayala et al. (1973, 1975) hanno determinato sperimentalmente che la variability genetica a molto piu elevata nelle specie tipiche di ambienti stabili, cioe nelle specie specializzate, che nelle specie di ambienti instabili. Indipendentemente dalla interpretazione di questo fatto, sembra plausibile che la variability individuale nelle popolazioni degli invertebrati sia determinata maggiormente da quella fenotipica che non da quella genotipica (Dodd & Stanton, 1990). La variability morfologica fenotipica dipende dall'interazione tra it patrimonio genico dell'individuo e la particolare situazione ambientale; nel patrimonio genico dell'individuo e prevista cioe la possibility di sviluppare morfologie diverse (ecofenotipi) a seconda delle condizioni ambientali. Un esempio e costituito dalla variazione della forma delle alghe calcaree con l'aumentare della profondita e con la diminuzione di turbolenza (fig. 6.14). Nell'ambito dei bivalvi sono conosciuti numerosi casi, ormai divenuti classici: e noto da tempo (fig. 6.21) che le dimensioni di Mytilus edulis e di Cardium edule diminuiscono con la diminuzione della salinita, mentre quelle di Theodoxus fluviatilis, una specie di acqua doke, tendono ad aumentare. Talora la morfologia degli ecofenotipi consente di risalire, seppure in modo del tutto indicativo, alla salinita; in Olanda, Eisma (1965 ) ha riconosciuto l'esistenza di una retazione tra it numero delle coste di Cardium edule e la salinity. Con le dovute cautele e sulla base di dati attualistici, possibilmente della stessa regione, questo approccio, integrato con tutti quelli praticabili, put) essere molto utile nelle ricostruzioni paleoecologiche. Un risultato analog() a stato ottenuto da Alexander (1974) che, nel Neogene delle Ket-

328 Fossili e paleoambienti

tleman Hills (California), ha individuato una relazione tra la diminuzione del numero delle coste del genere Anadara (da una media di 28 ad una di 24) e la diminuzione della salinita, i cui valori sono stati ricostruiti tramite it metodo degli isotopi dell'ossigeno (Dodd & Stanton,1990).

6.14 — SINECOLOGIA 6.14.1 — Introduzione La sinecologia studia le relazioni tra gli organismi focalizzando le loro interazioni, la loro interdipendenza e la loro coevoluzione nel contesto del loro comune ambiente di vita. In particolare la sinecologia analizza i caratteri e la struttura delle « associazioni ricorrenti» degli organismi Queste associazioni ricorrenti di taxa sono indicate comunemente con i termini di comunita oppure di biocenosi; questi due termini sono usati talora come sinonimi e talora con un significato diverso, che esprime due concezioni opposte sulle associazioni ricorrenti degli organismi. Nel concetto di biocenosi (§ 6.2.1) 6 implicito che l'interazione tra le specie costituisce uno dei fattori fondamentali che determina la sua composizione e la sua struttura. Al limite, la biocenosi puo essere considerata come un organismo ben coordinato, in cui le diverse specie assumono la funzione degli organi «che interagiscono per it beneficio del corpo» (Dodd & Stanton, 1990). Secondo una visione alternativa ed estrema, le associazioni ricorrenti degli organismi non costituiscono delle unita oggettive e organizzate, ma presentano solo un significato statistico: certi organismi si trovano associati in quanto vengono a sovvrapporsi i loro spettri di tolleranza e di preferenza ai parametri ambientali fisico-chimici In questa visione le interdipendenze biologiche tra gli organismi sono considerate di minore importanza e le transizioni tra le associazioni sono tendenzialmente continue anziche discontinue come nel concetto di biocenosi. La tendenza attuale della maggior parte degli autori 6 di rifiuto delle due versioni estreme; ma va precisato che non esiste ancora un accordo sulla maggiore o minore importanza dei fattori biologici, rispetto ai fattori fisici, nel determinare la composizione e la struttura delle associazioni ricorrenti. I termini di biocenosi e di comunita sono usati spesso come sinonimi, anche se originariamente, all'inizio del Novecento, it termine di comunita e stato utilizzato per definire le associazioni ricorrenti dello Skagerrak e del Mare del Nord come entita statistiche (Petersen, 1913), la cui aggregazione e distribuzione era controllata essenzialmente da fattori fisici (profondita, substrato, salinita, idrodinamismo ecc.). Le comunita di Petersen erano definite in modo quantitativo, cioe tramite le specie che per it loro numero e la loro biomassa dominante potevano essere considerate «caratteristiche » di una determinata associazione. Il termine di comunita e stato tuttavia reintrodotto in letteratura con un significato diverso e molto pragmatico; in particolare, seguendo Dodd e Stanton (1990), la comunita consiste in una associazione di organismi ricorrente nello spazio e nel tempo, caratterizzata da una particolare struttura e composizione tassonomica e da una distribuzione geografica ben definita. Questa definizione evita la nozione di biocenosi come «superorganismo», ma riconosce la realta delle interazioni biotiche ed e pertanto legata al concetto di biocenosi.

Sinecologia 329

La biocenosi, per definizione, e una associazione che comprende tutti gli organismi del corrispondente ecosistema: vegetali e animali, planctonici, bentonici e nectonici. Per quanto sia teoricamente possibile, e difficile, da un punto di vista operativo, arrivare ad un completo approccio olistico, cioe prendere in considerazione tutta la componente biotica dell'ecosistema. Come conseguenza, la maggior parte delle analisi ecologiche e basata su un numero limitato di taxa. In questa ottica it termine di comunita, come ridefinito, pare pin opportuno del termine di biocenosi per indicare le associazioni ricorrenti di un numero limitato di taxa. Il concetto di biocenosi e di ecosistema costituisce tuttavia lo « scenario» e la base culturale dello studio delle comunita intese in questo senso. Il termine popolamento (peuplement), utilizzato talora dalla scuola di Peres, costituisce un sinonimo di comunita nell'accezione qui utilizzata. La nozione di biocenosi e ancor pin difficilmente applicabile negli studi paleoecologici, dove possono essere presi in considerazione, di regola, solo i taxa con parti scheletriche fossilizzabili (molluschi, foraminiferi, ostracodi ecc.). In paleoecologia puo venir studiata solo la parte fossilizzabile della biocenosi e, inoltre, ben raramente negli studi paleoecologici vengono studiati tutti i taxa dell'associazione. Tuttavia appare evidente che it termine di comunita puo essere utilizzato anche in paleoecologia. Infatti, tra lo studio ecologico degli organismi con parti scheletriche, potenzialmente fossilizzabili, di una biocenosi attuale e i fossili di una paleobiocenosi non esiste una differenza concettuale. E implicito che le paleocomunita vanno considerate una rappresentazione incompleta delle paleobiocenosi; ma l'uso del termine paleocomunini stimola la visualizzazione dei fossili come parte di un ecosistema ...» (Dodd & Stanton, 1990). Il concetto di biocenosi costituisce dunque la base culturale dell'analisi paleoecologica, ma 6 evidente che la ricostruzione oggettiva della paleobiocenosi e del paleoecosistema rimangono obiettivi al di fuori della portata della documentazione paleontologica; anche se questo, ovviamente, non esclude che it paleoecologo, attraverso un tentativo di ricostruzione della rete trofica, possa ipotizzare la presenza di taxa che non fossilizzano e arrivare a ipotesi razionali sulla struttura dell'ecosistema. Lo studio delle paleocomunita e finalizzato a due temi principali: a) Le ricostruzioni paleoambientali. La paleoecologia come disciplina a se stante ha avuto origine proprio con l'utilizzazione delle paleocomunita nelle ricostruzioni paleoambientali; utilizzazione che rientra nei metodi paleoecologici di routine dell'analisi di facies. b) L'analisi dell'evoluzione degli ecosistemi della Terra nel tempo geologico. L'ecologia 6 di basilare importanza nel comprendere le «direzioni» del processo evolutivo; dunque la conoscenza della storia della vita non puO che venire acquisita tramite to studio integrato del processo evolutivo e dell'evoluzione degli ecosistemi nel tempo geologico. Questo tema, indicato come paleoecologia evolutiva, si puo definire sinteticamente come lo studio dell'evoluzione, nell'ambito delle paleocomunita, delle interazioni biologiche e del loro significato nel processo evolutivo delle specie. Questo argomento esula dalla presente trattazione rivolta essenzialmente al punto a.

330

Fossili e paleoambienti

FINESTRA 6.2 — MUTUALISMO E COMMENSALISMO L'interazione e la dipendenza delle specie diviene pitt facilmente comprensibile quando e tangibile, cioe quando e associata ad un ocontatto fisico »; non esiste, tuttavia, una differenza teorica tra un'interazione «a distanza» tra due organismi nell'ambito di una comunita e una interazione con contatto fisico, come quella che intercorre tra un parassita ed it suo ospite. In paleoecologia it contatto fisico tra due individui di specie diverse riveste evidentemente un grande valore, in quanto diventa piu agevole dimostrane l'eventuale interazione. Con it termine di simbiosi si indica in generale una associazione tra specie che implica un contatto corporeo benefico per almeno una delle specie. La simbiosi cornprende tre diverse situazioni: it mutualismo, caratterizzato da un mutuo vantaggio delle specie a contatto, it commensalismo, nel quale solo una specie e avvantaggiata mentre l'altra non ricava ne danno ne beneficio, it parassitismo in cui ii vantaggio per una specie si traduce in un danno piu o meno grave per l'altra (§ 6.9.2 a6). Il caso piu classico di mutualismo e dato dalla simbiosi tra le alghe unicellulari dinoflagellate (zooxantelle) e celenterati, bivalvi e foraminiferi. In particolare le zooxantelle sono sempre presenti nei coralli costruttori delle barriere coralline: le alghe ottengono CO2 e nutrienti, l'ospite riceve i carboidrati che derivano dal processo fotosintetico e soprattutto, grazie alle condizioni che si instaurano (§ 6.16.3), diviene in grado di decuplicare la crescita del suo scheletro.

VALVA BRACHIALE

1 cm

VALVA PEDUNCOLARE COMMISSURA

a)

Fig. 6.34 — a) Commensalismo tra la conchiglia del brachiopode devoniano Mucrospirifer e it verme Cornulites; i piccoli tubi sono tutti orientati con le estremita vicine alla commissura delle valve di Mucrospirifer, dove probabilmente assumevano it particellato alimentare tramite le correnti prodotte dal bra-

chiopode (Rudwick, 1970). b,c) Commensalismo tra vermi spirorbidi e it genre Naiadites, bivalve del Carbonifero; i tubi di Spirorbis sono cementati preferenzialmente in corrispondenza del flusso delle correnti esalanti (da Trueman, 1942).

Sinecologia 331 Fig. 6.35 — Associazione fisica tra it tabulato Pleurodictyum ed it verme Hicetes nel Devoniano. La loro costante associazione, anche se pito richiamare un caso di mutualismo, non 6 stata ancora interpretata in modo definitivo (foto Istituto di Paleontologia, Modena).

Tra i numerosi casi di commensalismo, uno dei piu noti e quello del brachiopode devoniano Mucrospirifer, la cui conchiglia e incrostata da piccoli tubi di vermi epibionti attribuiti al genere Cornulites; tutti i singoli tubicini sono orientati con le estremita aperturali che si aprono nei pressi della commessura ed e probabile che questi organismi utilizzassero per nutrirsi le correnti suscitate dal brachiopode (fig. 6.34a). Un altro caso ben documentato di commensalismo riguarda it verme Spirorbis e il bivalve di acqua dolce Naiadites del Carbonifero inferiore. I tubi di Spirorbis sono cementati sul guscio preferibilmente in corrispondenza della zona di flusso delle correnti esalanti e lungo le strie che indicano i precedenti stadi di accrescimento (Trueman, 1942 in Boucot, 1990) (fig. 6.34b,c). Nella documentazione paleontologica I'associazione fisica costante di due specie estinte, pur non permettendo it piu delle volte una interpretazione sicura, non pub essere considerata casuale; questo e it caso dell'associazione tra it tabulato Pleurodyction e it verme Hicetes (fig. 6.35) (Clarke, 1921 in Boucot, 1990), citata frequentemente nel Devoniano inferiore e medio in un'area molto ampia, che si estende dall'America settentrionale alla Turchia.

6.14.2



Dalle associazioni viventi alle associazioni fossili

In letteratura non esiste ancora un accordo sulla terminologia da utilizzare per illustrare le varie fasi che portano da una associazione vivente ad una fossile; i termini tanatocenosi e tafocenosi sono tuttavia quelli piu utilizzati (tab. 6.1). Nell'accezione piu comunemente usata, it termine tanatocenosi significa « associazione morta». Essa a costituita da quello che rimane dell'associazione dopo il processo di necrolisi, cioe da resti di organismi potenzialmente fossilizzabili (fig. 6.36). Il

332 Fossili e paleoambienti

TABELLA 6.1. Illustrazione del passaggio da una associazione vivente ad una orictocenosi. La distinzione in paleocomunita residuali, associazioni mescolate e associazioni trasportate e basata su Fagerstrom (1964).

Associazione di organismi viventi

(corrispondente ad una biocenosi o a parte di essa) morte e processi di necrolisi

Tanatocenosi eventuali fenomeni di trasporto

seppel ILumento

1

Tafocenosi fenomeni diagenetici

Associazione fossile o orictocenosi Paleocomunita residuali

Associazioni mescolate

Associazioni trasportate

Assocazione di fossili di organismi provenienti da una sole biocenosi, the a rimasta nel suo biotopo originale

Associazione di fossili di organismi provenienti da piu biocenosi; una parte pit) o meno importante dell'associazione non 6 stata spostata dal suo biotopo originale

Associazioni di fossili di organismi provenienti da una o pit) biocenosi; tutti i fossili sono stati spostati da loro biotopo originale.

Fossil rielaborati, cioe provenienti da rocce pie] antiche, possono essere presenti in qualsiasi tipo di orictocenosi.

numero delle specie della tanatocenosi a dunque drasticamente ridotto rispetto a quello della biocenosi e, come conseguenza, la sua composizione trofica put) non riflettere quella della biocenosi. La differenza tra la composizione trofica della biocenosi e quella della tanatocenosi a ovviamente tanto maggiore, quanto piu a elevata nella biocenosi la diversity specifica degli organismi privi di uno scheletro o di parti fossilizzabili. Gli elementi della tanatocenosi sono soggetti a processi biostratinomici, e cio6 a eventuali fenomeni di orientazione, di distruzione selettiva da parte di agenti biologici, chimici e fisici, di trasporto selettivo e quindi a possibile mescolamento con gli elementi di altre tanatocenosi limitrofe (§ 2.4). Le tanatocenosi piu o meno mescolate, dopo che sono state coperte dai sedimenti, vengono indicate come tafocenosi. Le associazioni fossili, od orictocenosi, derivano dalle tafocenosi impoverite dal processo di diagenesi (§ 2.6.2).

Sinecologia

333

Un rapido seppellimento in posto di una associazione in vita o di una tanatocenosi produce una tafocenosi che rispecchia la composizione tassonomica delle specie con parti fossilizzabili della biocenosi da cui deriva. Quando it tasso di sedimentazione e poco elevato, esiste la tendenza al mescolamento delle tanatocenosi successive in un' unica tafocenosi. La bioturbazione svolge un ruolo molto importante nell'accentuare questo fenomeno (Finestra 7.1). Di norma ciascun livello stratigrafico, anche di pochi centimetri di spessore, pu6 corrispondere a tempi dell'ordine di centinaia o anche di migliaia di anni La successione delle tanatocenosi di questo intervallo di tempo spesso e registrata in un unico livello stratigrafico come un'unica orictocenosi. Le modalita di campionamento, se non eseguite con le dovute cautele, possono accentuare in modo artificiale it mescolamento gia avvenuto naturalmente; la forma migliore di un campione volumetrico (§ 6.14.4) 6 un parallelepipedo, con l'altezza minima possibile, prelevato lungo lo strato. It prelievo di un campione volumetrico finalizzato all'analisi di ostracodi o di foraminiferi bentonici potrebbe estendersi verticalmente, almeno in teoria, anche per un solo centimetro (accuratezza che potrebbe essere vanificata dalla bioturbazione che ha una potenzialita di mescolamento in media di 30 cm). Nel caso di una fauna a molluschi, e quindi con elementi faunistici pin dispersi nella roccia e di dimensioni maggiori, it parallelepipedo dovrebbe avere un'altezza di almeno una decina di centimetri; la grande dispersione dei reperti nella roccia pub richiedere it prelievo di un campione perfino di 50 dm3, cioe esteso su una superficie di 100 x 50 cm. Molto spesso le condizioni in cui opera it paleoecologo, in particolare l'esposizione degli strati, non consentono di «liberare» una superficie di 5.000 cm2; in

Fig. 6.36 — Tanatocenosi a bivalvi su una spiaggia emersa in prossimita del delta del Po (Po di Volano). Nell'associazione a bassa diversita tassonomica prevalgono nettamente i bivalvi mactridi (foto M. Gnoli).

334 Fossili e paleoambienti pratica le dimensioni del campione costituiscono un compromesso tra l'esigenza teorica di non mescolare orictocenosi non contemporanee e le possibility operative. II paleoecologo, dunque, nella maggior parte dei casi, a causa delle modality del processo di sedimentazione, dei processi biostratinomici, inclusa la bioturbazione, e talora del metodo di campionamento, coglie solo l'evoluzione complessiva o le variazioni pia significative dell'ambiente di sedimentazione. Ad esempio, la dominanza quasi completa in un breve intervallo di tempo di una specie opportunista pita venir registrata nella orictocenosi (che in genere deriva dal mescolamento di pia tanatocenosi) come un aumento percentuale pia o meno significativo di tale specie. Questa «registrazione » carente dei segnali paleoambientali di minor durata puo venir corretta dal paleoecologo, seppure sempre a livello ipotetico, tenendo conto del grado di compatibility delle specie presenti nell'associazione fossile. E classico it caso del mescolamento, in talune aree del Mediterraneo a tasso di sedimentazione praticamente nullo o poco elevato, delle tanatocenosi dell'ultima glaciazione con le tanatocenosi attuali. Durante l'ultima glaciazione it livello del mare era pia basso di almeno 100 m rispetto a quello attuale (effetto glacio-eustatico); come conseguenza si nota it mescolamento di gruppi faunistici ad affinity boreale, caratteristici di batimetria meno elevata e di un particolare tipo di substrato, con gruppi faunistici costituiti di elementi tipicamente mediterranei o comunque privi di elementi boreali, caratteristici di batimetria pia elevata e per lo pia di un diverso substrato. In questo caso particolare it paleoecologo, considerando che analizza una tanatocenosi costituita di specie ancora viventi, dispone di tutti i dati autoecologici e sinecologici necessari per riconoscere le paleocomunita che si sono succedute nel tempo. Come conseguenza del fenomeno di mescolamento di pia paleocomunita (non sempre facilmente riconoscibili come nel caso precedente), la tafocenosi (e la corrispondente orictocenosi) put) presentare una pia elevata diversity specifica rispetto alle associazioni viventi, ovviamente escludendo le specie senza parti fossizzabili. Tuttavia va osservato che: a) quanto pia le condizioni ambientali rimangono costanti, tanto pill la diversity specifica della orictocenosi si avvicina a quella della biocenosi da cui deriva, b) quanto pia 6 rapido it seppellimento in posto delle tanatocenosi, tanto pia le orictocenosi registrano in modo accurato e dettagliato le variazioni della composizione faunistica e quindi le variazioni ambientali. In letteratura esistono molti tentativi di classificare le associazioni fossili; fondamentalmente se ne possono riconoscere tre tipi (Fagerstrom, 1964). a) ASSOCIAZIONI 0 PALEOCOMUNITA RESIDUAL' Con it termine di «associazione o paleocomunita residuale » ci si riferisce ad un insieme di resti di organismi che appartenevano ad una sola biocenosi e non sono stati spostati dal loro biotopo originale. I fossili possono ancora presentare la posizione di vita tipica degli organismi da cui derivano, o possono essere spostati dal processo di bioturbazione, trasportati e/o orientati dalle correnti e dalle onde, ma sempre nell'ambito del loro biotopo. b) ASSOCIAZIONI MESCOLATE L'espressione « associazioni mescolate» si usa quando si riconosce in una orictocenosi una componente autoctona, costituita da fossili non spostati dal loro biotopo, e

Sinecologia 335

una componente alloctona, costituita da fossili di organismi provenienti da un'altra o da altre paleobiocenosi coeve. E evidente che non esiste soluzione di continuity tra una paleocomunita residuale, in cui si pu6 sempre rinvenire qualche elemento estraneo, e una associazione mescolata; in pratica quest'ultima espressione si usa quando la componente «alloctona» e importante e significativa anche per un tentativo di valutazione dei biotopi adiacenti e dei possibili meccanismi di trasporto dei loro elementi faunistici. Come gia osservato, it mescolamento di due o pia tanatocenosi puo avvenire anche nel corso del processo di sedimentazione senza che intervengano fenomeni di trasporto. C) ASSOCIAZIONI TRASPORTATE Questa espressione e indicativa di una associazione caratterizzata da fossili di organismi provenienti da una o pita biocenosi coeve e tutti spostati dal loro biotopo originale. Il meccanismo di formazione di una « associazione fossile trasportata» legato a fenomeni di risedimentazione e in particolare a flussi granulari di sabbia, (grain flow), flussi fluidificati (liquefied flow), colate (debris flow) e frane subacquee. I livelli che derivano da questi processi di risedimentazione contengono generalmente associazioni faunistiche molto diverse da quelle dei livelli in cui sono intercalati. Ad esempio, in una successione pelitica di ambiente batiale si possono ritrovare livelli sabbiosi, o fangoso sabbiosi, che derivano dalla risedimentazione di sabbie e/o fanghi con resti di organismi di ambienti infralitorali o circalitorali. E dunque evidente che una associazione fossile trasportata non permette una ricostruzione del paleoambiente in cui viene ritrovata, ma fornisce dati preziosi sulle comunita da cui deriva, in genere di minore profondita, e sui meccanismi di trasporto. Nel caso in cui nel contesto dell'associazione si possano riconoscere elementi faunistici « autoctoni» allora si ritorna al caso precedente delle associazioni fossili mescolate. La presenza di fossili rielaborati (nota 8.3), cioe riesumati per erosione da formazioni rocciose piu antiche e risedimentati, si pub riscontrare in tutti questi tre tipi di associazione e non costituisce un elemento sufficiente per prospettare una ulteriore divisione. L'indagine biostratinomica e la valutazione della compatibility ecologica degli organismi sono i principali criteri utilizzati per un corretto riferimento ad una di queste tre situazioni, premessa indispensabile per le ricostruzioni paleoambientali.

6.14.3 — Identificazione delle comunita fossili L'identificazione delle comunita fossili costituisce uno dei problemi prioritari della sinecologia. Il problema dell'identificazione non e semplice, se si considerano tutti i meccanismi che possono portare all'accumulo di resti fossili di organismi che vivevano in biocenosi diverse. L'osservazione di una associazione di specie in «posizione di vita » fornisce una prova diretta della loro appartenenza alla stessa comunita; la coesistenza di popolazioni di specie diverse in uno stesso biotopo costituisce infatti ii requisito di base per la definizione di una comunita. Quando non 6 possibile l'osservazione dei fossili in posizione di vita, per dimostrare che un gruppo di specie viveva insieme nello stesso paleoambiente (e quindi apparteneva alla stessa comunita), si ricorre ad un requisito semplice e fondamentale delle comunita, quello cioe di essere caratterizzate da una associazione ricorrente di specie.

336 Fossili e paleoambienti

Quando cioe in diversi affioramenti (o, in ecologia, in diverse stazioni) si rileva costantemente la stessa associazione di specie, si puo formulare l'ipotesi che queste specie vivessero insieme e costituissero una comunita. La tecnica pia semplice per riconoscere le associazioni ricorrenti, e quindi le comunita, e quello di elencare tutte le specie presenti in una locality e raggruppare quelle specie che compaiono comunemente assieme. Se ogni comunita fosse costituita da specie tutte diverse da quella di ogni altra, questa tecnica darebbe risultati soddisfacenti; nella maggior parte dei casi, tuttavia, le comunita hanno molte specie in comune e spesso le paleocomunita possono essere rappresentate da pochi resti fossilizzati. Per riconoscere le associazioni ricorrenti di specie ci si avvale dunque di nozioni elementari di analisi statistica.

6.14.4 — 11 campionamento L'operazione di campionamento vera e propria deve essere preceduta da una serie di analisi qualitative, condotte direttamente sull'affioramento e associate ad una raccolta manuale dei fossili, che pub essere molto utile per costituire una collezione di confronto. Le osservazioni di campagna sono essenziali per procedere a delimitare it cosiddetto volume omogeneo. Se si vuol studiare una comunita e inderogabile che it campionamento debba venir eseguito nell'ambito del suo biotopo! L'espressione volume omogeneo, che deriva dalla bionomia bentonica (§ 6.15), si ricollega proprio a questa esigenza di non mescolare organismi di comunita diverse. Nei substrati mobili non e visibile gran parte della infauna e dunque per delimitare una superficie omogenea (da un punto di vista ambientale), oltre a tener conto delle alghe e dell'epifauna, si ricorre alla granulometria del sedimento; si delimita cioe, almeno preliminarmente, una superficie omogenea da un punto di vista granulometrico. Considerando tuttavia che la maggior parte della fauna vive nell'interno del sedimento, Picard (1962) ha suggerito di far riferimento ad un volume omogeneo anziche ad una superficie omogenea. La nozione di volume omogeneo e particolarmente adatta agli studi paleoecologici; it paleoecologo, prima del campionamento vero e proprio, delimita quindi preliminarmente un volume omogeneo di roccia, sia sulla base dei fossili che affiorano, sia sulla base dei caratteri litologici. Il campionamento dei fossili per studi paleoecologici costituisce una operazione particolarmente importante e delicata, in quanto e essenziale che i rapporti di frequenza dei taxa raccolti rispecchino it pin fedelmente possibile quelli con cui sono presenti nella roccia. Una raccolta manuale, senza alcun accorgimento particolare, sulla superficie degli affioramenti porta inevitabilmente ad alterare artificialmente i rapporti di frequenza dei taxa per due motivi essenziali: a) i fossili che si raccolgono in superficie sono in generale i piu resistenti agli agenti meteorici e dunque la loro abbondanza viene sopravvalutata rispetto a quelli pin facilmente deperibili; b) la raccolta manuale porta inconsapevolmente a privilegiare it prelievo di alcuni taxa rispetto ad altri ed in particolare a trascurare i reperti di dimensioni millimetriche, o di dimensioni ancora minori. Esistono diversi metodi per ottenere una valutazione oggettiva della density delle diverse specie, cioe it numero degli individui di ogni specie presenti per un'unita di volume o di superficie; i piu usati sono it metodo della linea, del quadrato e del

Sinecologia 337

volume, illustrati da Ager (1963) e ridescritti da Di Geronimo e Robba (1975), a cui si rimanda per una trattazione pia ampia. Viene quindi riportata solo una breve sintesi. Il metodo della linea. E utilizzato nelle sezioni verticali di rocce coerenti, non disgregabili, e consiste nel contare tutti gli esemplari intersecati da una linea immaginaria, eventualmente materializzata da una corda. II metodo del quadrato. Trova applicazione negli studi paleontologici quando l'affioramento 6 caratterizzato da ampie superfici di strato e soprattutto quando la roccia non e disgregabile. In pratica si delimita una superficie quadrata o rettangolare e si procede al conteggio dei fossili. Il metodo del volume. Prevede it prelievo di un campione volumetrico di roccia (il cosiddetto «bulk sample ») ed a quindi applicabile alle rocce incoerenti (argille, silt, sabbie, ecc.).

Nell'applicazione di questi tre metodi si pone it problema delle dimensioni dei campioni, vale a dire quale misura lineare, quale area o che volume occorre per reperire la quasi totality delle specie fossili presenti nella roccia. Per scegliere le dimensioni di un campione volumetrico occorre procedere alla raccolta di una serie di campioni ed eseguire it lavaggio e la determinazione dei taxa che vi sono contenuti. Questa operazione termina quando si constata che t'ennesimo campione della serie raccolta contiene solo specie gia rinvenute in quelli precedenti. Il volume complessivo dei campioni raccolti fino all'ennesimo, che non contiene nuove informazioni, viene definito volume minimo. Il volume minimo cosi ottenuto definisce oggettivamente le dimensioni volumetriche dei campioni da prelevare. Analoga procedura viene applicata per gli altri due metodi, anche se evidentemente ci si dovra riferire ad una linea minima o ad una superficie minima anziche ad un volume. Le dimensioni del volume minimo dipendono ovviamente dalla density degli individui delle diverse specie per unity di volume o di superficie. La density a sua volta dipende dal rapporto tra produttivita e tasso di sedimentazione. Considerando l'interazione di queste due variabili non 6 facile formulare previsioni generali sulle dimensioni del volume minimo ma si possono suggerire solo alcuni esempi. Negli ambienti epibatiali del Pliocene del Bacino padano, le faune a molluschi sono molto diluite, probabilmente a causa della bassa produttivita e dell'elevato tasso di sedimentazione; it volume minimo pub arrivare a superare 50 dm3, anche se 30 dm3 possono talora essere sufficienti per rinvenire le specie pia comuni. In corrispondenza di livelli lentiformi a grande frequenza di Neopycnodonte navicularis, bivalve epifaunale filtratore, it volume minimo scende generalmente tra 15 e 20 dm3. Questo fatto interpretabile sulla base di alcune semplici considerazioni: a) to stanziamento delle larve e la grande proliferazione di un organismo epifaunale, che si pub cementare (almeno negli stadi neanici) a piccoli substrati mobili su un fondale siltoso-argilloso, sono imputabili ad una diminuzione del tasso di sedimentazione; b) it comportamento di questa specie 6 assimilabile a quello di una specie pioniera, che stabilizza it fondo e rende possibile l'inserimento nella comunita di un nutrito stock di specie epibionti, che possono ancorarsi con it bisso o cementarsi alle conchiglie di Neopycnodonte; nel contempo «il grado di diluizione» degli elementi epifaunali 6 tale da non ridurre ne la diversity tassonomica ne it numero degli individui dell'infauna.

338 Fossili e paleoambienti

In conclusione, in questa particolare situazione, la density delle specie aumenta come risposta sia ad una diminuzione del tasso di sedimentazione, sia all'aumento della produttivita. In ambienti detritici (ad esempio it Detritico Costiero, figg. 6.41; 6.42) a basso tasso di sedimentazione, in genere, it volume minimo e inferiore a 10 dm3.

6.14.5 — Composizione tassonomica e deduzioni paleoambientali Il metodo piu comune e intuitivo utilizzato per le ricostruzioni paleoambientali quello di confrontare l'elenco dei taxa (la composizione tassonomica) delle paleocomunita con i taxa pia simili ancora viventi. Tenendo conto delle esigenze e della tolleranza ambientale di questi taxa e possibile, applicando it concetto di uniformismo tassonomico (§ 6.11), arrivare ad una interpretazione paleoecologica. Il successo di questo metodo e subordinato alla conoscenza delle esigenze ambientali delle specie attuali e la sua applicazione, generalmente, e limitata al periodo Neogenico, in quanto, con l'ulteriore aumento dell'eta, diminuiscono le affinity con i taxa attuali (a causa del processo evolutivo e delle estinzioni). Ad esempio, nel Pleistocene e nel Pliocene la percentuale delle specie di molluschi ancora viventi rispettivamente superiore al 70% e mediamente superiore al 40-50% ed it metodo applicabile in modo ottimale o comunque sufficiente. Nel Miocene it numero delle specie in comune con l'Attuale diminuisce in modo drastico e l'uniformismo tassonomico, soprattutto nel Miocene medio ed inferiore, e applicabile pia a livello generico che specifico. In senso lato it metodo e applicabile anche a periodi pia antichi, ma l'uniformismo tassonomico, scendendo la scala dei tempi, fa riferimento a taxa di livello gerarchico sempre pia elevato (famiglia, ordine, ecc.) e l'informazione diviene progressivamente pia banale, talora inattendibile. Quando l'uniformismo tassonomico e del tutto inapplicabile si ricorre al significato morfofunzionale dei singoli taxa e al significato della loro associazione, procedendo al confronto con le comunita adiacenti e con i loro rispettivi biotopi. Per trasferire le informazioni ambientali, anziche far ricorso ai singoli taxa ancora viventi delle paleocomunita, possono essere utilizzate direttamente anche le stesse comunita come entity a se stanti. Quando si individua nella documentazione fossile una paleocomunita con composizione faunistica molto simile a quella di una comunita attuale (o ad un'altra «fossile» di significato ambientale noto), it trasferimento di dati ambientali diviene molto pia sicuro e immediato. Infatti, per quanto possa sembrare paradossale, e molto pia agevole determinare i parametri ambientali tipici di una comunita che quell di un singolo taxon. Anche questo metodo e evidentemente condizionato dalle differenze tassonomiche che divengono progressivamente pia accentuate dal Pliocene verso le epoche pia antiche. Le conoscenze autoecologiche e sinecologiche acquisite su taxa estinti associati a taxa ancora viventi (di cui si conosce l'habitat) possono costituire un ulteriore mezzo di informazione; in linea di principio questo approccio e applicabile a faune progressivamente sempre pia antiche; tuttavia, le grandi fasi di estinzione e le fasi di radiazione adattativa che portano ad un rapido turnover dei taxa ne limitano l'applicazione.

Sinecologia 339

6.14.6 — Analisi delle caratteristiche strutturali delle comunita

Le comunita marine attuali di ambiente e di condizioni climatiche simili delle diverse provincie biogeografiche della Terra presentano una diversa composizione tassonomica, almeno a livello di genere e specie. Cosi ad esempio, le comunita di ambiente sabbioso infralitorale del Mediterraneo sono costituite da specie (e spesso da generi) diverse da quelle delle comunita infralitorali dell'Australia, delle Americhe, ecc. Tuttavia le comunita di ambienti simili, anche se di unity biogeografiche diverse, presentano caratteristiche strutturali comuni che sono evidentemente determinate dalle comuni e particolari condizioni ambientali. Le caratteristiche strutturali delle comunita sono dunque indipendenti dalla composizione tassonomica e quindi in una certa misura dal tempo; la loro analisi costituisce un metodo di basilare importanza nelle ricostruzioni paleoambientali. Le caratteristiche strutturali piu comunemente usate sono la diversity e la struttura trofica delle comunita. a) LA DIVERSITA Il concetto di diversity tassonomica comprende sia it numero che la proporzione dei taxa di una comunita o di una unity biogeografica. Con it termine di diversity specifica di una comunita non ci si riferisce, dunque, solo al numero di specie, indicato con it termine di ricchezza, ma anche alla loro proporzione relativa. Consideriamo ad esempio due comunita di eguale ricchezza, A e B, ciascuna costituita da individui appartenenti a cirque specie; se nella comunita A una specie 6 rappresentata dal 96% di individui e nella comunita B ciascuna specie 6 rappresentata dal 20% di individui, allora la comunita B presenta una maggiore diversity. La diversity dunque dipende anche dalla complessita delle interazioni; e evidente infatti che la comunita A presenta un minor grado di complessita rispetto alla comunita B, in quanto solo una specie vi svolge un ruolo fondamentale. L'abbondanza relativa dei taxa nell'ambito della comunita viene indicata con i termini dominanza ed equitabilita. Il termine di dominanza esprime la dimensione maggiore delle popolazioni di una o pill specie, mentre it termine di equitabilita esprime it grado di uniformity nelle dimensioni delle popolazioni delle specie. Con riferimento all'esempio precedente la comunita A esprime un caso di dominanza, la B esprime un caso di massima equitabilita. La ricchezza di una comunita e indubbiamente la misura piu semplice da effettuare, ma e strettamente condizionata dalla dimensione del campione che viene prelevato (Dodd & Stanton, 1990). In un piccolo campione vengono rinvenute solo le specie piit comuni ed a statisticamente poco probabile trovare le specie pill rare; pitt aumenta it volume del campione, pitt aumenta it numero delle specie rare (§ 6.14.4). Questa relazione dipende da due fattori essenziali: la struttura trofica della comunita ed it fattore biospazio. In un campione nettamente sottodimensionato, a statisticamente molto piu probabile trovare sospensivori, filtratori, erbivori e detritivori rispetto ai loro predatori, it cui numero a nettamente subordinato; ad esempio, in un piccolo campione a statisticamente pitt probabile trovare le valve dei pelecipodi con chiare tracce di predazione, che non le conchiglie dei gasteropodi predatori. A livello pit.' generale, la relazione «numero delle specie/volume del campione » facilmente comprensibile se si considera che l'aumento del volume del campione

340 Fossili e paleoambienti

corrisponde ad un'area (o a un volume) pia vasta, quindi ad un biospazio potenzialmente pia diversificato e ad un maggior numero di nicchie ecologiche. Aumentando it volume del campione si tende dunque a rilevare con maggiore dettaglio l'eterogeneita ambientale e biologica della comunita. Per minimizzare l'effetto della dimensione del campione nella misura della ricchezza, sono stati messi a punto diversi indici; uno dei pia utilizzati e quello di Margalef (1957): D = (S-1)/logeN dove D e la diversita, S e it numero delle specie ed Neil numero degli individui. La formula di Margalef e basata sull'osservazione che ponendo in ascissa it numero degli esemplari contenuti nel campione e in ordinata it numero dei taxa si ottiene una curva approssimativamente logaritmica. Nella misura della diversita di una comunita, come si e gia osservato, occorre tener conto anche della equitabilita. A questo scopo l'indice di diversita di Shannon e Weaver: D=—

P, loge Pi, =1 e tra quelli di use pia comune in quanto Pi, la proporzione di una specie nella comunita, e facilmente calcolabile come ni/N, cioe it numero degli individui della specie (ni) rispetto a tutti gli esemplari del campione N. Il valore della diversita (D) determinato sia dalla ricchezza (S) che dalla equitalibita; dunque it valore di D, a parita di numero di specie, aumenta con l'equitabilita e raggiunge it suo valore massimo quando tutte le specie del campione (che rappresenta la composizione faunistica della comunita) sono egualmente abbondanti. al) Le cause e i patterns della diversitci tassonomica II variare della diversita tassonomica a scala globale, regionale o locale costituisce una delle caratteristiche pia evidenti della biosfera. Attualmente, a livello globale, la distribuzione dei taxa, sia negli oceani che sulle terre emerse, e caratterizzata da due patterns » fondamentali: l'aumento della diversita tassonomica latitudinale procedendo dai Poli verso l'Equatore e l'aumento della diversita tassonomica longitudinale procedendo verso la regione Indo-Pacifica, in cui si osserva un massimo di diversita. L'ipotesi che l'aumento della diversita, procedendo verso le basse latitudini, fosse dovuto alla temperatura pia favorevole agli organismi ed ai loro processi vitali (Fischer, 1960) 6 stata contraddetta dalla scoperta che la diversita delle comunita bentoniche degli ambienti di acque profonde e fredde e molto elevata (Hessler & Sanders, 1966), almeno fino a circa 3.000 m (Rex, 1981). Quanto la diversita tassonomica degli ambienti profondi sia elevata rispetto a quella degli ambienti di mare basso delle latitudini temperate o tropicali rimane tuttavia ancora oggetto di dibattito (Valiela, 1984). L'elevata diversita riscontrata negli ambienti marini profondi ha costituito un argomento essenziale per la formulazione dell'ipotesi della stabilitcl-tempo di Sanders (1968). In sintesi, seguendo it modello di Sanders, gli ambienti stabili (ad esempio, quelli di mare profondo oppure gli ambienti tropicali) tenderebbero ad essere popolati da un elevato numero di specie altamente specializzate, sia nella dieta che nelle esigenze ambientali; gli ambienti instabili, cioe caratterizzati da variazioni imprevedibili dei loro parametri fisici, sarebbero invece popolati da un numero limitato di specie con ampia tolleranza fisiologica e adattamenti trofici che consentono di accedere a fonti alimentari diverse o comunque «generali*.

Sinecologia

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modello di Sanders 6 stato completato da Valentine (1971), che ha sottolineato come le risorse alimentari costituiscano la variabile ambientale pin importante nel determinare la diversity tassonomica. Il modello di Valentine prevede che la diversity tassonomica sia poco elevata alle alte latitudini, dove la produttivita primaria a limitata a brevi periodi estivi e comunque presenta variazioni imprevedibili, e piu elevata alle basse latitudini, dove la produzione 6 continua e costante durante tutto l'anno, e negli ambienti marini profondi, dove le risorse alimentari sono scarse ma stabili. In definitiva, gli ambienti stabili sarebbero caratterizzati da un numero elevato di specie, ciascuna rappresentata da piccole popolazioni altamente specializzate; elevata ricchezza e assenza di dominanza, cioe elevata equitabilita, contraddistinguerebbero gli ambienti stabili. Gli ambienti instabili sarebbero invece caratterizzati da un numero poco elevato di specie, rappresentate da grandi popolazioni, e dalla tendenza di alcune verso la dominanza. La ricchezza e l'equitabilita permettono una misura di come viene suddiviso tra le specie it flusso di energia dell'ecosistema. Il modello di Sanders, che incorpora numerosi altri modelli precedenti, e quello di Valentine stabiliscono una chiara relazione tra stability, risorse, tempo e diversity tassonomica, fattori essenziali per la comprensione dei fenomeni evolutivi e per le interpretazioni paleoecologiche. L'aumento della diversity tassonomica nel tempo 6 una conseguenza dell'evoluzione biologica e consiste nell'inserimento di nuovi taxa nell'ecosistema, sia attraverso la conquista di nuovi spazi (ad esempio la progressiva conquista dell'ambiente terrestre nel Paleozoico; Finestra 9.3), sia attraverso rinserimento di nuovi taxa nelle comunita; questo determina una maggiore complessita delle interazioni biotiche e fornisce nuove opportunity di vita. insita nel processo evolutivo la tendenza verso una maggiore specializzazione e, dunque, verso una diminuzione delle dimensioni delle nicchie. In un ambiente instabile, le interazioni interbiotiche sono nettamente subordinate e le comunita tendono ad essere dominate da specie opportuniste, con elevato potenziale riproduttivo, diete non specializzate e nicchie molto estese (ambiente r-selettivo) (§ 6.13.1). La stability nel tempo degli ambienti, ed in particolare la stability delle risorse (ambienti K-selettivi), costituisce una condizione indispensabile per l'evoluzione di organismi specializzati, con basso potenziale riproduttivo. L'elevato numero di specie, e quindi la piccola dimensione delle nicchie ecologiche, e dovuto alla competizione interspecifica e alla tendenza alla suddivisione delle risorse trofiche disponibili. Un'elevata diversity tassonomica e pertanto la conseguenza di un'elevata stability ambientale nel tempo. II fattore «storia» a essenziale nella valutazione della diversity tassonomica di una bioprovincia; ogni situazione a sempre it prodotto dell'interazione di fattori geostorici, biologici e fisici. Cosi, ad esempio, i patterns di diversity tassonomica dei magi attuali delle alte e medie latitudini e, almeno in parte, imputabile alle fluttuazioni climatiche plio-pleistoceniche, che hanno causato importanti fenomeni di estinzione (§ 4.12.8). La teoria della stabilita-tempo », intesa nel suo senso pia generale, 6 quella che pia di ogni altra consente una interpretazione dei patterns della diversity tassonomica sia a scala globale che regionale e locale, anche se non si pub affermare che riscuota un consenso unanime, o che costituisca un punto d'arrivo. In ecologia e soprattutto in paleoecologia, it modello della stability-tempo e comunque applicabile direttamente e con grande vantaggio. La previsione della teoria secondo cui gli ambienti instabili presentano una minore diversity tassonomica 6 in generale pienamente rispettata. Cosi, ad esempio, la diversity tassonomica delle comunita bentoniche, nell'ambito

342 Fossili e paleoambienti

della stessa units biogeografica, aumenta in modo molto rilevante procedendo dagli ambienti lagunari e deltizi, caratterizzati da una elevata e imprevedibile variazione dei parametri fisici, verso gli ambienti di mare aperto. Il modello viene completato dall'osservazione che quanto pia una regione o un'area sono eterogenee (da un punto di vista ambientale), tanto pia e elevata la diversity tassonomica. Il concetto di « ambiente normale» di Thieneman (1954), come l'ambiente caratterizzato dalla massima diversity tassonomica, a stato ripreso recentemente da Boucot (1981). Secondo questo modello gli ambienti con acqua scarsamente ossigenata, troppo torbida, eccessivamente calma o eccessivamente turbolenta, ipoalina o iperalina, ecc. si discostano dagli ambienti normali e presentano una minore diversity tassonomica. Sempre nella stessa ottica, l'ambiente intertidale, caratterizzato da una elevata escursione termica giornaliera, da fasi di disseccamento, fenomeni di ossidazione ecc., costituisce un ambiente «meno normale» e pertanto meno ricco di specie rispetto a quello subtidale. Risulta abbastanza ovvio che it modello di «ambiente normale» difficilmente definibile in modo rigoroso e le sue previsioni non si discostano dal modello della stability-tempo. Anche it concetto di associazione oligotipica, cioe caratterizzata da una bassa diversity specifica, ampiamente utilizzato nella letteratura paleoecologica, costituisce un aspetto del modello della stability-tempo. La nozione di associazione oligotipica infatti collegata, in senso generale, a condizioni ambientali sfavorevoli ed equivale al concetto di bassa diversity specifica degli ambienti instabili. Nella pratica it paleoecologo, dopo aver valutato la diversity tassonomica della comunita, in termini di ricchezza, equitabilita e dominanza, cerchera di identificare i fattori responsabili, tenendo conto di tutti gli altri dati disponibili (composizione tassonomica, trofica, ecc.). b) STRUTTURE TROFICHE Il flusso di energia negli ecosistemi avviene tramite una successione di scambi di materia ed energia dai produttori primari, per lo pia organismi fotosintetici, a vary Luce solare

Nutrienti /

/

Produttori primari oc

ENERGIA USATA PER PRODURRE LAVORO 0 PERSA COME GALORE E QUINDI NON PIU' DISPONIBILE PER LA COMUNITA'

Detritivori

Erbivori

\

t , 1 ,

Carnivori primari

ingestione digestione e assmlazione I

accrescimento e riproduzione

ENERGIA DISPONIBILE PER I CONSUMATORI

/ /

Carnivori secondari

/ / / // / ' Decompositori

-

.... ..- .... -.

a)

ENERGIA DISPONIBILE PER GLI ORGANISM! CHE SI NUTRONO DI DETRITI

Fig. 6.37 — a) Struttura trofica schematica di un ecosistema. Il flusso di energia (frecce con linee continue) procede sempre nella stessa direzione. Le frecce tratteggiate indicano it flusso dei nutrienti (da Gray, 1981). b) Lo schema indica la perdita di energia ad ogni livello trace, (da Ricklefs, 1981).

b)

Sinecologia 343

livelli di consumatori, dal primo livello (erbivori, detritivori, ecc.) fino all'ultimo livello dei carnivori (figg. 6.37; 6.38). Una parte cospicua del materiale organico prodotto nell'ecosistema non viene utilizzata dai consumatori. Queste sostanze organiche sono trasformate dai decompositori in componenti inorganici (i nutrienti § 6.10.6) indispensabili per la vita di produttori primari (fig. 6.37). Il flusso di energia e le vie attraverso cui si distribuisce costituiscono un attributo unico ed esclusivo di ciascuna biocenosi; infatti l'andamento e le caratteristiche del flusso sono determinati dai parametri fisici e biologici dell'ecosistema, ed in particolare dalla distribuzione dei nutrienti e dall'andamento della produttivita. Questa successione di livelli da origine alla cosiddetta piramide trofica (fig. 6.39), che permette di visualizzare it fenomeno della perdita di energia e di materia ad ogni livello trofico. La biomassa, cioe la quantity di materia vivente, diminuisce di livello in livello come diminuisce anche it numero di individui. I carnivori al vertice della piramide tendono ad essere molto rani. La piramide trofica e funzionale a descrivere it flusso di energia attraverso una biocenosi; certamente la ricostruzione della rete trofica, cioe delle vie attraverso cui si distribuisce l'energia (fig. 6.40), e pin significativa, ma di piii ardua realizzazione, anche per le comunita attuali. I dati sulle risorse alimentari delle singole specie sono ancora scarsi e difficili da ottenere in quanto gli organismi possono avere una dieta differente a seconda delle disponibilita e/o delle aree diverse, con preferenze che possono variare con l'accrescimento, ecc. Inoltre e spesso arduo stabilire quali siano le reali fonti di nutrimento degli organismi; ad esempio, tra i Molluschi i generi HydroPredatori epifaunali

Predatori infaunali

Popolazioni dei predatori e loro controlli Tassi di predazione

Ossigeno Salinity Temperatura Brucatori

Necrofagi infaunali

Detritivori infaunali

Necrofagi epifaunali

Substrato

Detritivori epifaunali

Substrato

Sospensivori infaunali

Substrato Torbidita

Sospensivor epifaunali

Substrato Torbidita Turbolenza

Popolazioni dei consumatori e loro controlli

Tasso di utilizzazione delle risorse — — — — — —

Spazio epitaunale

Spazio infaunale

Substrato

E1

Substrato

EX

Plante bentoniche

Substrato Ossigeno Luce

Materia organica depositata

Turbolenza

Materia organica in sospensione

Risorse

Controlli delle risorse

Ossigeno, Luce Sedimentazione

Fig. 6.38 — La struttura di un ecosistema bentonico di acque basse pub essere schematizzata tramite tre livelli successivi: le risorse, i consumatori e i predatori. Le nuvole indicano i fattori abiotici, i rettangoli i livelli, i rubinetti ii tasso di controllo e di use delle risorse ed, infine, le frecce i rapporti di interazione tra le risorse ed i livelli trofici (da Hoffman et al., 1978).

344 Fossili e paleoambienti

Livelli dei carnivori (compresi parassiti e necrofagi)

Secondo livello dei carnivori

Primo livello dei carnivori

Livello dei consumatori primari (erbivori - detritivori) Livello dei produttori primari (piante)

Fig. 6.39 — La piramide trofica illustra la perdita di energia ad ogni livello trofico e la corrispondente diminuzione del numero di individui.

bia e Macoma assumono detrito, ma utilizzano solo i batteri e it detrito « trattato» dai batteri. Va poi sottolineato che la misura del flusso di energia e di materia in un ecosistema costituisce un risultato difficilmente ottenibile e mai certamente di routine. Da quanto premesso appare evidente che la ricostruzione della rete trofica in una comunita fossile e solo ipotetica, soprattutto considerando che: a) it tentativo di rico-

Fig. 6.40 — Diagramma del flusso di energia in una comunita a fanerogame marine. A = alghe microscopiche, B = batteri, F = foraminiferi e altri microerbivori (da Brasier, 1975).

Sinecologia 345

struzione viene effettuato senza disporre della componente non fossilizzata dell'ecosistema; b) si ignorano le preferenze alimentari di gran parte delle specie estinte e, talora, e ipotetico anche it gruppo trofico di appartenenza. L'analisi trofica delle paleocomunita e tuttavia di enorme interesse per le ricostruzioni paleoecologiche. La tecnica pia pratica e comune consiste nel raggruppare le specie della comunita in categorie trofiche e procedere ad un confronto con le comunita attuali (fig. 6.40). Tenendo presente pero che la documentazione fossile e priva della componente «a corpo molle», it confronto pub essere effettuato considerando solo la componente fossilizzabile della comunita attuale. Cosi si pub procedere al confronto dei gruppi trofici relativi ai bivalvi, gasteropodi, brachiopodi, scafopodi, ecc. Accade sempre pia spesso che it paleoecologo, per procedere a questi confronti, debba occuparsi direttamente dello studio delle comunita attuali per valutare quale componente possa fossilizzare e possa quindi essere confrontata correttamente con la comunita fossile; questo approccio indispensabile permette inoltre di formulare attendibili ipotesi sulla componente non fossilizzata delle paleocomunita. In questo modo it paleoecologo, spesso specializzato sull'autoecologia di un numero limitato di taxa, pub collocare le sue deduzioni paleoambientali nel panorama culturale di un ecosistema, anche se la sua visione 6 solo ipotetica e qualitativa. Le due maggiori fonti di nutrimento per i consumatori bentonici sono costituite dal particellato organico sospeso e dalla materia organica deposta o inglobata nel sedimento. Si 6 gia osservato che le caratteristiche granulometriche del substrato presentano una relazione ben precisa e diretta con la proporzione relativa dei depositivoridetritivori e dei filtratori-sospensivori. La proporzione relativa dei gruppi trofici pub pen) essere controllata anche dall'azione e dai rapporti di interazione tra gli organismi. L'interazione adulti-larve ed it ruolo dei filtratori come «predatori» hanno grande importanza nel determinare la struttura trofica delle comunita, anche se esistono pia ipotesi e previsioni (spesso contrastanti) che dati oggettivi. Previsioni e dati attualistici in questo settore sono di estremo interesse: ad esempio la previsione secondo cui i piccoli policheti fossatori raggiungono la pia alta density in associazione con i depositivori anziche con i filtratori, in quanto questi ultimi ne catturano le larve; oppure l'osservazione generale secondo cui i bivalvi filtratori possono predare le larve dei policheti mentre i policheti sospensivori, per un problema di dimensioni, non possono catturare le larve dei bivalvi. Modelli di questo tipo, in particolare se ben suffragati da dati attualistici, possono rivelarsi di fondamentale importanza per l'interpretazione paleoecologica, ma vanno considerati sempre con estrema prudenza, ricordando che lo stesso effetto pub derivare da cause molto diverse o dal sinergismo di pia cause. Un caso classico e dato dalle popolazioni costituite esclusivamente da individui della stessa eta, fenomeno che pub essere interpretato con ipotesi diverse. Nei bivalvi, secondo Woodin (1976), questo fenomeno e dovuto alla predazione delle proprie larve e quindi all'interazione adulti-larve; Gray (1981) 6 propenso ad attribuirlo alle fluttuazioni annuali del plancton in relazione con le variazioni climatiche, oppure alla modificazione, da parte degli adulti, dell'ambiente, che diviene non adatto e causa una loro mortality di massa. Cosi la mortality di massa di Spisula elliptica nel Mare del Nord (Dogger Bank) avvenuta nel 1925 e riferita da Gray all'azione degli adulti, che con it loro metodo di alimentazione e di espulsione dei rifiuti («pseudofecal» e «fecal pellets >>), resero it substrato pia grossolano e inadatto alla loro stessa sopravvivenza.

346 Fossili e paleoambienti b1) Il fenomeno dell'amensalismo Di particolare interesse sono i fenomeni di amensalismo, cio6 di esclusione di una specie, di un gruppo di specie o di un gruppo trofico da una particolare comunita. E implicito che l'amensalismo costituisce una situazione estrema. L'esclusione di una specie pub essere determinata da fenomeni di predazione o di competizione. Un caso particolare a l'ipotesi dell'« amensalismo dei gruppi trofici» introdotta da Rhoads e Young (1970) per interpretare l'assenza di filtratori in alcuni popolamenti di depositivori e detritivori su substrati siltosi della piattaforma continentale. L'azione di bioturbazione del substrato da parte dei depositivori e dei detritivori porta ad una notevole instability all'interfaccia acqua-sedimento e ad un aumento della torbidita, che inibirebbe lo stanziamento delle larve dei filtratori; ma anche se queste riuscissero a colonizzare it substrato, ad esempio in una fase di maggiore stability, ben presto le loro strutture branchiali sarebbero intasate dal particellato in sospensione (Finestra 7.1). Un aumento della stability del substrato siltoso, dovuta ad esempio all'azione stabilizzatrice dei «tubi» dei policheti (Gallagher et al., 1983) o di altri organismi, limiterebbe la bioturbazione da parte dei depositivori e favorirebbe quindi un aumento dei filtratori. In pratica, seguendo Rhoads e Young (1970), esistono: a) associazioni costituite essenzialmente da filtratori e sospensivori; b) associazioni costituite essenzialmente da depositivori e detritivori; c) associazioni mescolate dei due gruppi trofici che documentano un grado di stability del substrato compatibile con la presenza dei filtratori.

6.15 — BIONOMIA BENTONICA E PALEOECOLOGIA: UN APPROCCIO PRAGMATICO PER LE RICOSTRUZIONI PALEOAMBIENTALI 6.15.1 — Introduzione La paleoecologia studia i processi vitali degli organismi del passato in tutti i loro aspetti e ne consegue che i campi dell'indagine paleoecologica possono essere molto diversificati: l'analisi delle relazioni organismo-ambiente, la storia degli individui e delle popolazioni, lo studio delle loro interazioni e della loro integrazione nelle comunita, lo studio dell'evoluzione delle comunita, della loro diversity, del loro trofismo, ecc. Ciascuno di questi argomenti pub costituire un preciso obiettivo di studio fine a se stesso, che va inquadrato, a owio, in una precisa ricostruzione paleoambientale ottenuta con l'integrazione di tutti i dati possibili, autoecologici, sinecologici, sedimentologici, ecc. E proprio su questo punto che si concretizza, come abbiamo visto, la differenza di base tra paleoecologia ed ecologia: in ecologia l'ambiente di vita noto, mentre in paleoecologia it paleoambiente deve essere ricostruito. I dati paleoecologici possono essere utilizzati con l'unico scopo della ricostruzione del paleoambiente fisico (paleobatimetria, idrodinamismo, stability del fondo), oppure per approfondire una particolare tematica autoecologica e/o sinecologica o comunque per approfondire la conoscenza di un particolare ecosistema.

Bionomia bentonica e paleoecologia

347

6.15.2 — Integrazione della zonazione idrodinamica con quella della Scuola di Endoume Una precisa classificazione batimetrica e idrodinamica degli ambienti marini, che possa essere utilizzata sia per gli ambienti attuali che per quell del passato, costituisce una condizione di base per gli studi paleoecologici. Una classificazione ideale dovrebbe incorporare it maggior numero di parametri possibili e rendere agevole l'integrazione di dati e di approcci diversi, in particolare quello paleoecologico e sedimentologico (fig. 6.41). Gli studi sulla distribuzione e sulle associazioni del benthos (bionomia bentonica) del Mediterraneo da parte della scuola di Endoume hanno fornito una grande mole di dati attualistici e un metodo per classificare le associazioni che pu6 anche essere agevolmente utilizzato negli studi paleoecologici. Un ecologo che si propone di delimitare delle units di popolamento deve innanzi tutto raccogliere campioni volumetrici su tutti i tipi di substrato ed a tutte le profondita. Analogamente un paleoecologo dovra raccogliere i campioni in tutti i tipi di roccia. Prima di effettuare it campionamento, l'ecologo e it paleoecologo dovranno

BACKSHORE spiaggia emery I

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-

- /fn. bassa mares

2 Base dell'onda

Barre costere

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SHOREFACE spaggia sommersa

cC Et P fi" - '6'

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Base dell'onda dl tempesta

- -

- ZONA DI TRANSIZIONE - -

Profile topografice e zonazione idrodinanca della splaggla all'inizio della scarpata continentals

rx

SCARPATA CONTINENTALS OFFSHORE

Skoldhos DIstribumone batirnetrica della ichnofacios

Cruzrana Zoophycos

Ctenodonta

Heterodonta Donamdae

Propeamussidae

Distnbuzione batimetrica di alcuni taxa di bivalvt

Pectrildee Arctdae

Arcidae LEE j SVMC SGCF-' c SFEB P

- - - ,

C ' DC DE 1 VTC 1

Distibuzione batimetrica del popolamenti

- DL VP CIRCALITORALE BATIALE

C DC DE VTC DL VP

S' /

INFRALITORALE Fanerogarne e alghe fototile

Alpha sciafile Popolamento del corallgeno Popolamento dot fondi &tribal costieri Popolamento dei fondi detritici infangatl Popolamento del fondi terrigeni costieri Popolamento dei tench detritioi del largo Popolamento dei fanghl profondi

LEE SVMC SFHN HP AP SFBC SGCF PE

Popolamento eurialmo e euriterrnico della lagune Popolamento delle sabbie langose in ambiente a bessa energia Popolamento della sabbie lini degli aki Ilya! Popolamento date praterie a posidorne Popolamento ad aghe fotofile Popolamento della sabbie fini ben classate Popolamento delle sabbie grossotane a del ciottoli Vol sotto l'influenza delle correnti di tondo Popolarnenta eterogeneo (-MI di Peres & Picard, 1964)

Definizione di infralitorale e circalliorale

Legends

Fig. 6.41 — Sono messi a confronto it profilo e la zonazione idrodinamica dei sedimentologi (in alto) con la zonazione e la distribuzione delle comunita della Scuola di Endoume (in basso - spiegazione nel testo). Per la spiegazione della «distribuzione batimetrica di alcuni taxa di bivalvi e delle ichnofacies» si rimanda rispettivamente alla Finestra 6.1 e al § 7.6.

348 Fossili e paleoambienti

riconoscere e delimitare it cosiddetto volume omogeneo (§ 6.14.4). Le dimensioni dei campioni dovranno corrispondere at volume minimo per essere rappresentativi di tutta la fauna e la flora presenti nella stazione di campionamento. Un'analisi comparata degli elenchi delle specie presenti in ogni stazione permette di distinguere (Peres, 1982) tre gruppi di specie: 1) specie caratteristiche di un certo biotopo; nell'ambito di questo gruppo vengono distinte specie caratteristiche esclusive, strettamente limitate ad un solo biotopo, indipendentemente dal numero di individui da cui sono rappresentate, e specie caratteristiche preferenziali, che possono essere presenti in piu biotopi, ma sono rappresentate da un numero elevato di individui solo in un determinato biotopo. Le specie caratteristiche esclusive di un certo biotopo sono in realty molto rare (Peres, 1983); 2) specie accompagnatrici, che si trovano in biotopi diversi e vengono indicate di norma come euritopiche; 3) specie accidentali; vengono cosi considerate le caratteristiche esclusive di un biotopo quando vengono ritrovate sporadicamente, con un numero molto limitato di esemplari, in biotopi diversi. L' units fondamentale di «popolamento » a designata in Peres e Picard (1964) con it termine di biocenosi, ma in questa sede, tenendo conto delle considerazioni gia espresse, a stato usato it termine comunita (§ 6.14.1). Queste comunita (e le paleocomunita) vengono definite mediante l'elenco (lo stock) delle loro specie caratteristiche, che non sono necessariamente le piu abbondanti della comunita (Peres, 1982). Questo metodo di definire un popolamento e evidentemente qualitativo; nel metodo quantitativo la delimitazione delle comunita e basata sull'elenco delle specie dominanti e di maggiore biomassa. I limiti tra le comunita possono essere netti oppure caratterizzati da una zona di transizione, denominata ecotono, dove due comunita sfumano l'una nell'altra o si sovrappongono. I limiti netti sono determinati dalla brusca variazione dei fattori edafici, della luce, o di altri fattori che controllano la composizione delle comunita; si possono riscontrare al brusco passaggio da una zona ad elevato idrodinamismo ad una protetta; oppure da un'area ben illuminata ad un'altra semibuia (crepacci, grotte), ecc. (Peres, 1982). Situazioni di ecotono si instaurano dove i fattori fisici, e in particolare quelli edafici, variano gradualmente; ad esempio, i sedimenti sabbiososiltosi, al passaggio da sedimenti sabbiosi a sedimenti siltosi, sono contraddistinti dalla coesistenza di specie caratteristiche dei sedimenti sabbiosi con specie caratteristiche dei sedimenti siltosi. Le situazioni di ecotono sono molto comuni anche nelle successioni stratigrafiche. Uno dei vantaggi dello schema di classificazione della scuola di Endoume e quello di aver legato la denominazione dei popolamenti bentonici a quella del loro substrato: popolamento delle sabbie fini ben classate, dei fanghi terrigeni costieri, ecc. (fig. 6.41). Questo approccio sembra concepito espressamente per l'analisi paleoecologica in cui it substrato e it solo, tra i parametri fisici che condizionano la distribuzione degli organismi, a poter essere studiato direttamente. Questo tipo di classificazione, oltre a stabilise un legame diretto tra l'unico parametro studiabile direttamente e la fauna, si presta ad essere utilizzato, sia nel presente che nel passato, in tutte le possibili situazioni. Le associazioni delle sabbie fini ben classate del Senegal, del Mediterraneo e dei mari boreali costituiscono comunita diverse, come sono diverse le comunita dello stesso substrato che si sono succedute nel tempo. L'utilizzazione di tale classificazione non pub che facilitare la possibility di mettere in risalto le differenze e le affinity delle

Bionomia bentonica e paleoecologia 349

Mesolitorale SFRN

70 m -- -SFBC

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Fig. 6.42 - Schema sulla distribuzione di alcuni popolamenti bentonici in relazione al tipo di substrato e alla batimetria (da Blanc, 1982, con modifiche). Per la spiegazione delle sigle si rimanda alla figura precedente.

comunita di un certo substrato, riscontrabili sia nelle diverse unity biogeografiche sia nei diversi periodi. La tendenza a definire una associazione di organismi sulla base del substrato o comunque dell'ambiente fisico (biotopo fangoso, ambiente di piattaforma poco profondo, ecc.), e presente anche nella letteratura anglosassone (Walker, 1974; Anderson, 1974). Questa tendenza e stata pit volte oggetto di critiche teoricamente ineccepibili (Kauffman & Scott, 1976). Considerando che, oltre al substrato, esistono tanti altri parametri biotici e abiotici che condizionano la distribuzione delle specie, infatti plausibile che nel «popolamento » di un certo substrato possano esistere pit comunita o addirittura un mosaico di comunita. Occorre pere sottolineare che l'individuazione, ad esempio, di una comunita dei fanghi terrigeni costieri in una certa bioprovincia non impedisce che in futuro gli ecologi od i paleoecologi, con metodi di indagine pit raffinati, vi possano riconoscere pit comunita. Si ritiene quindi corretto utilizzare direttamente it termine comunita o popolamento di un certo substrato seguito da una indicazione paleogeografica e cronologica; ad esempio «comunita delle cabbie fini ben classate del Mediterraneo», oppure del Pliocene Mediterraneo ecc. Questo metodo di definire associazioni o comunita agevola it compito di verificare l'evoluzione delle comunita net tempo e nelle diverse regioni della Terra, in un ambiente ben definito da un punto di vista edafico e quindi idrodinamico. Questo «ordine» facilita inoltre la possibility di verificare l'esistenza di pit comunita nell'ambito di quello che si riteneva un unico popolamento. La classificazione dei popolamenti tramite la relazione «composizione faunisticacaratteri del substrato» appare inoltre particolarmente idonea per una integrazione dei dati paleoecologici con quelli sedimentologici nella pit ampia dimensione dell'analisi di facies (figg. 6.41; 6.42).

350

Fossili e paleoambienti

Fig. 6.43 — Rizoma di fanerogama marina nel Pleistocene del T. Stirone (Parma) (foto S. Raffi).

In questa ottica pub essere utile un cenno sulla relazione tra la distribuzione batimetrica delle comunita della bionomia bentonica della Scuola di Endoume e la zonazione idrodinamica dei sedimentologi. Nello schema bionomico le comunita, denominate tramite i caratteri edafici, vengono inserite in una zonazione batimetrica che definisce i limiti infralitorale/circalitorale e circalitorale/batiale tramite la profondita massima di colonizzazione rispettivamente delle praterie a fanerogame marine (fig. 6.43) (e ad alghe fotofile) e delle alghe sciafile; it fattore penetrazione della radiazione luminosa appare fondamentale nel determinare questi limiti (§ 6.8.2a). La relazione tra le comunita e la zonazione riportata nella figura 6.41. Alcune comunita sono controllate solo dai fattori edafici, come la Comunitti (o Popolamento) delle Sabbie Grossolane e dei Ciottoli Fini sotto l'influenza delle Correnti di Fondo (Sables Grossiers et Fins Graviers sous l'influence des Courants des Fonds, SGCF) e quindi sono indipendenti dai fattori «climatici» su

cui a fondata la zonazione; altre sono controllate solo da fattori climatici o, pat spesso, da una combinazione di fattori edafici e climatici, e quindi sono esclusive di un determinato piano. Considerando che la quasi totality delle comunita della bionomia sono dipendenti o comunque denominate tramite i caratteri edafici, appare implicita la possibility di stabilire una relazione tra le comunita della bionomia bentonica e la zonazione dei sedimentologi basata sull'idrodinamismo, anche se non mancano i problemi. Vengono pertanto riportati alcuni esempi. La Comunita (o Popolamento) delle Sabbie Fini degli Alti Livelli (Sables Fins des Hauts Niveaux, SFHN) a tipica della zona della

Organismi costruttori e ambience di scogliera

351

spiaggia sommersa a pia elevato idrodinamismo. La Comunitet delle Sabbie Fini Ben Calibrate (Sables Fins Bien Calibres, SFBC) e diffusa, a partire dalla precedente, fino a circa 20-25 m. L'azione del moto ondoso normale «di bel tempo e quindi la spiaggia sommersa (con sabbie fini ben classate dal moto ondoso), nel Mediterraneo non supera i 10 m di profondita; dunque la comunita delle SFBC si estende nella zona di transizione. In effetti la comunita, per quanto indicata con it termine SFBC, popola anche substrati siltoso-sabbiosi, dove sono dominanti alcune specie particolari (come Spisula subtruncata); l'apporto di sabbia oltre la spiaggia sommersa, nella zona di transizione, avviene tramite eventi di tempesta. Le ComuniM dei Fanghi Terrigeni Costieri (Vases Terrigenes Cotieres, VTC), del Detritico Infangato (Detritique Envase, DE) e del Detritico Costiero (Detritique Cotier, DC) (tipicamente circalitorali) rientrano nell'offshore, ma probabilmente iniziano gia nella zona di transizione. Il termine DE 6 indicativo di una situazione caratterizzata da una pia elevata percentuale di detrito organogeno rispetto al VTC, in cui la componente fangosa e assolutamente prevalente. Il substrato DE e in maggior misura it substrato DC, caratterizzato da un ulteriore aumento della componente detritico-organogena, indicano una diminuzione della sedimentazione fangosa, imputabile a deboli correnti marine competenti al trasporto dei fanghi o alla scarsita degli apporti. Il Coralligeno (C) rappresenta it climax, cioe lo stadio finale di una successione ecologica circalitorale verso la massima stabilita. In pratica, le comunita della bionomia bentonica della Scuola di Endoume sono ben inseribili nella zonazione idrodinamica dei sedimentologi; paleoecologi e sedimentologi possono dunque comunicare con reciproco vantaggio usando terminologie e zonazioni integrate.

6.16 — ORGANISM! COSTRUTTORI E AMBIENTE DI SCOGLIERA* 6.16.1 — Introduzione Le scogliere coralline, uno dei pia affascinanti e complessi ecosistemi presenti attualmente sulla Terra (fig. 6.44), hanno sempre attirato l'attenzione degli scienziati: dalle prime spedizioni scientifiche, la pia nota delle quali e it lungo viaggio intrapreso da Charles Darwin verso la meta del secolo scorso, fino alle attuali spedizioni oceanografiche mediante navi sofisticate in grado di perforare atolli e scogliere sommerse. Oggi le scogliere coralline sono oggetto di studi e ricerche da parte di biologi marini, geologi e paleontologi. Inoltre, essendo spesso rocce serbatoio di importantissimi giacimenti di idrocarburi, esse rivestono un particolare interesse per le cornpagnie petrolifere che dedicano al loro studio cospicue risorse economiche. I primi ecosistemi biocostruiti si svilupparono gia nel Precambriano, pia di un miliardo di anni fa, ed e compito della paleoecologia ricostruire la storia biologica e l'evoluzione dei vari organismi costruttori che si sono succeduti attraverso i tempi geologici. Tuttavia, per capire come questo delicato e complesso ecosistema si sia evoluto, occorre anche comprendere it mob che hanno avuto nella biocostruzione i diversi organismi succedutisi nel tempo, nonche i loro rapporti con l'ambiente pia propriamente fisiografico della scogliera stessa. * Francesca Bosellini.

352 Fossili e paleoambienti Anche se, come si potra vedere in seguito, it principio dell' uniformismo tassonomico (Finestra 1.1) non pub essere rigorosamente applicato, lo studio dell'ambiente di scogliera attuale diventa ugualmente fondamentale, in quanto unico esempio vivente » di un ecosistema che, seppure attraverso diversi cambiamenti, ha caratterizzato la storia geologica e biologica del nostro pianeta.

6.16.2



Definizione di scogliera

Definire che cos'e una scogliera a sempre stato un argomento controverso e assai dibattuto. In molte definizioni sono stati usati uno o pia dei seguenti criteri e parametri: 1) presenza di un'impalcatura organica (biocostruzione), 2) posizione rilevata rispetto al fondo circostante, 3) resistenza alle onde, 4) presenza limitata alla zona fotica e 5) distribuzione in acque calde tropicali. Per quanto riguarda l'impalcatura, c'e accordo nel ritenere che essa debba consistere di tre componenti principali (Rosen, 1990): a) crescita o accumulo primario in situ di macro-organismi rigidi (coralli, rudiste, stromatoporidi), b) azione legante e cementante da parte di organismi costruttori secondari (alghe corallinacee, briozoi, foraminiferi incrostanti, coralli foliacei), c) accumulo di sedimento interno intrappolato in questa rigida struttura di cui riempie le vane cavity. Questo modello di impalcatura rigida 6 tuttavia solo un caso estremo ed ideale, di uno spettro continuo che comprende numerosi e diversi tipi di impalcature. E infatti possibile che i grandi costruttori siano assenti e che predominino quelli incrostanti e cementanti, come le alghe corallinacee (Bosence, 1983; Scholle et al., 1983) oppure che la struttura sia formata da organismi senza apparente legame organico, come nel caso delle scogliere a rudiste o a Lithiotis. Anche per quanto riguarda it rilievo, pub essere estremamente difficile riconoscerlo nelle sucessioni antiche e, nella maggioranza dei casi, si tratta di interpretazioni. E chiaro quindi che esistono molti problemi aperti nel definire una scogliera e che occorre essere it pia possibile pragmatici ed informali. Per una descrizione succinta dei vari tipi di scogliera si veda James (1983), James e Macintyre (1985), Bosellini (1991), mentre per un'analisi pia approfondita dei criteri di definizione si rimanda a Rosen (1990).

6.16.3



Le scogliere coralline attuali

Durante it suo sviluppo sul fondo marino, la struttura di una scogliera corallina attuale (fig. 6.44) 6 controllata dall'interazione di cinque processi fondamentali (Scoffin, 1987): 1) crescita e sviluppo della biocostruzione primaria (primary framework growth), 2) biocostruzione secondaria (secondary framework), 3) erosione biologica e meccanica, 4) sedimentazione interna, 5) cementazione marina (fig. 6.45). Solo i primi tre processi perb, rivestono un'importanza biologico-paleontologica in quanto direttamente legati all'attivita degli organismi. Nelle scogliere coralline attuali l'impalcatura corallina viene edificata principalmente dai coralli dell'ordine Scleractinia (o Esacoralli), comparsi nel Triassico e pia precisamente nell'Anisico. Questi organismi devono la loro eccezionale capacity biocostruttrice alla relazione simbiontica con un gruppo di alghe unicellulari, comunemente note come zooxantelle (stadio sessile del dinoflagellato Symbiodinium microa driaticum). Le zooxantelle, ospitate in numero pressoche costante nelle cellule endo-

Organismi costruttori e ambiente di scogliera

353

Fig. 6.44 — Il complesso e vario ecosistema di una scogliera corallina attuale.

dermiche dei polipi corallini, giocano un ruolo essenziale nel metabolismo del corallo, nel processo di sintesi del carbonato di calcio (aragonite) e nell'intera produttivita biologica della scogliera. I composti, prodotti dalle alghe mediante la fotosintesi ed it metabolismo successivo e trasferiti al corallo, comprendono sostanze nutritive semplici quali glicerina, glucosio e amminoacidi, i quali vengono utilizzati dai polipi del corallo in cicli metabolici in cui viene prodotta energia o come materiali di partenza per la fabbricazione di proteine, grassi e carboidrati. Il ciclo si chiude con it riciclaggio da parte delle alghe dei prodotti di scarto del corallo the verranno riutilizzati in parte per produrre nuova materia organica.

354 Fossili e paleoambienti

Un fattore chiave che influenza la velocity di calcificazione nei coralli 6 la conversione dell'anidride carbonica (CO2) prodotta dalla respirazione in acido carbonico (H2CO3) che a sua volta viene trasformato in ioni carbonato (CO3) e bicarbonato (HCO3). I coralli che vivono in simbiosi con le zooxantelle, possedendo in effetti una vera e propria pompa che aspira costantemente CO2, hanno quindi la possibility



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Fig. 6.45 - I processi fondamentali che operano sulla struttura di una scogliera in relazione alla profondita (ridisegnato da Scoffin, 1987).

Organismi costruttori e ambiente di scogliera

355

di accellerare questo processo di almeno dieci volte rispetto ai coralli senza zooxantelle. Affinche it sistema corallo-zooxantelle funzioni al meglio, sono necessarie acque calde, limpide e a salinity normale. La massima distribuzione di questi organismi e percie ristretta ad una fascia climatica (fig. 9.45) e batimetrica ben precise e controllate da rigorosi parametri ambientali (tab. 6.2). TABELLA 6.2. I maggiori parametri ambientali che controllano la distribuzione dei coralli attuali zooxantellati e non-zooxantellati (da Fagerstrom, 1987). Parametri ambientali

Coralli zooxantellati

Coralli non zooxantellati

Latitudine range optimum

35°N-32°S 23°N-23°S

70°N-78°S ?

Salinity (%) range optimum

27-48 34-36

34-36

Temperatura (°C) range optimum

11-40 23-28

1-35 6-10

fino a 150 fino a 25

fino a 6200 60-300

ermatipici aermatipici

aermatipici

assenti

ermatipici aermatipici

Profondita (m) range optimum (massima diversity) Zona fotica 100 m Zona afotica

L'equazione coralli costruttori (ermatipici) = coralli con zooxantelle (zooxantellati) non deve essere pere considerata sempre valida poiche esistono esempi di coralli senza zooxantelle (non-zooxantellati) che sono costruttori e coralli con zooxantelle che non sono costruttori (aermatipici) (Rosen, 1981; Schuhmacher & Zibrowius, 1985) (tab. 6.2). Attualmente, attraverso it profilo della scogliera e possibile constatare una certa zonazione dei coralli secondo la loro forma di crescita (fig. 6.47). Sebbene sia stato dimostrato che la forma di crescita dei coralli costruttori puo essere legata a fattori genetici, l'estrema variability morfologica osservata nei coralli attuali viene spesso interpretata come un adattamento ai diversi fattori ambientali quali luminosity, turbolenza, sedimentazione ecc. (variazione ecofenotipica) (Fagerstrom, 1987) (fig. 6.46). E stato inoltre osservato (Rosen, 1977; Geister, 1977) che fino a circa 10 m di

356 Fossili e paleoambienti

Fig. 6.46 — Alcune tra le principali forme di crescita fra gli esacoralli di una scogliera attuale. a) Forma ramificata (Acropora cervicornis) e forma massiccia (Diploria sp.), piana di scogliera ad Ambergris Cay, Belize (America Centrale); b) forma ramificata con rami tozzi e robusti (Acropora palmata), cresta della scogliera, Arcipelago delle Bahamas; c) forma globosa (Porites sp.), retroscogliera a Carrie Bow Cay, Belize (America Centrale); d) microatollo (Porites sp.), Low Isle, Great Barrier Reef (Australia): colonia dalla forma circolare la cui crescita verticale e stata interrotta a causa dell'esposizione subaerea; e) forma foliacea (Echinopora gemmacea), fronte della scogliera, Arcipelago delle Maldive (foto: a, c, d, F.R. Bosellini; b, I.G. Macintyre; d, A. Russo).

profondita la distribuzione dei coralli e delle alghe a principalmente in funzione dell'energia idrodinamica I coralli che oppongono la maggior resistenza al moto ondoso, caratteristici quindi della zona della scogliera che riceve la maggior parte dell'energia idrodinamica impartita dalle onde, assumono in generale una forma massiccia ed incrostante, con larga base di attacco al substrato, oppure possono sviluppare una forma ramificata con rami tozzi e disposti controcorrente. In condizioni di energia idrodinamica par-

Organismi costruttori e ambiente di scogliera

357

Fig. 6.47 — Zonazione di una scogliera corallina attuale (ridisegnato da James, 1983).

ticolarmente elevata, la cresta della scogliera puo essere colonizzata quasi esclusivamente da alghe rosse (algal ridge). Le colonie coralline ramificate caratterizzano in genere it fronte della scogliera, sebbene molto spesso si rinvengono rotte in seguito a tempeste, forti mareggiate ecc. Procedendo lungo la scarpata, all'aumento della profondita e associata una brusca caduta della luminosity. Attorno ai 20 m la luminosity ridotta del 25% circa rispetto alla superficie: lo sviluppo dei coralli diminuisce per la minore attivita fotosintetica delle zooxantelle e le colonie assumono una forma tipicamente foliacea, piatta, per assorbire la maggior quantity di lute per unity di superficie (platy-foliose corals). La distribuzione dei costruttori primari e controllata non solo dalle loro esigenze ecologiche, che peraltro possono variare nelle diverse scogliere, ma anche dalla distribuzione di quegli organismi che competono per lo spazio vitale come ottocoralli, alghe, spugne, predatori, ecc. L'impalcatura e la struttura della scogliera sono opera anche di altri organismi, i cosiddetti costruttori secondari (secondary framebuilders) dalla forma generalmente incrostante quali alghe corallinacee. certi tipi di coralli, briozoi, foraminiferi. Questi organismi possono incrostare le stesse colonie coralline oppure possono fissarsi alle innumerovoli cavity presenti nell'impalcatura corallina (fig. 6.45), contribuendo cosi a stabilizzarne la struttura. L'aspetto di una scogliera attuale non 6 pero esclusivamente legato all'azione di questi processi costruttivi», ma bensi riflette l'equilibrio fra questi ultimi ed altri tipi di fenomeni, per cosi dire «distruttivi». Lo smantellamento e l'erosione meccanica della scogliera ad opera di onde e correnti hanno effetto soprattutto suite strutture pia «sporgenti» dell'irnpalcatura corallina (cresta e fronte della scogliera), Frammenti di varie dimensioni di coralli vengono cosi trasportati lungo la scarpata o immediatamente dietro la cresta della scogliera, sulla cosiddetta piana di scogliera, dove vanno spesso a costituire un vero e proprio detrito coralligeno. Un contributo fondamentale alla disintegrazione della scogliera viene offerto dall'azione erosiva di una miriade di organismi che perforano, raspano e scalfiscono. Organismi perforanti quali vermi, spugne e bivalvi producono una notevole quantity

358 Fossili e paleoambienti

Fig. 6.48 — Strutture geopetali in una scogliera fossile. Penisola Salentina, Italia, Oligocene superiore (foto F.R. Bosellini).

di fango carbonatico, mentre altri organismi come alcuni pesci predatori ed echinodermi, con la loro continua azione abrasiva, producono sabbia e detrito fine che si insinua negli intertizi e nelle cavita dell'impalcatura corallina (fig. 6.45). Il sedimento, in larga parte sabbia, di cui e circondata una scogliera deriva principalmente dalla rottura meccanica e dall'abrasione da parte di onde. L'erosione biologica che opera differentemente sulle strutture organiche produce invece materiali pia fini. Tutti questi sedimenti vengono poi trasportati negli innumerevoli interstizi e cavita dell'impalcatura, si depositano sulle sporgenze e pavimentano le cavita pia interne e profonde. Il sedimento interno di una scogliera e spesso gradato poiche mano a mano che la scogliera cresce ed i vari processi di incrostazione occludono i pori, solamente it sedimento sempre pia fine put) penetrare negli anfratti pia interni. Spesso le cavita sono solo parzialmente riempite e quando dai fluidi percolanti precipita CaCO3, nella parte vuota si formano le cosiddette strutture geopete (fig. 6.48). Gli spazi e i pori pia minuti di una scogliera sono spesso riempiti da cristalli di aragonite e di calcite magnesiaca. Questa cementazione di origine marina 6 per() un fenomeno che si verifica prevalentemente nella parte superficiale della scogliera, in quanto al di sotto di uno o due metri la quantita di cemento interstiziale non aumenta in modo significativo (Scoffin, 1987). E chiaro che it processo cementante non occlude soltanto le cavita dell'impalcatura organica, ma litifica anche it sedimento intrappolato all'interno della struttura.

Organismi costruttori e ambiente di scogliera 359

6.16.4 — Le comunita di scogliera Nei diversi processi, precedentemente descritti, che insieme agiscono a formare la struttura di una scogliera, gli organismi assumono un ruolo ed un significato ben precisi. E possibile infatti identificare, all'interno del complesso ecosistema di una scogliera, diverse comunita o meglio categorie funzionali ((quads» di Fagerstrom, 1987). Fagerstrom (1987, 1988, 1991) distingue cinque categorie fondamentali: 1) costruttori (constructors), 2) intrappolatori o ostacolanti (bafflers), 3) leganti (binders), 4) distruttori (destroyers), 5) abitanti (dwellers). Solamente perO le prime tre categorie partecipano attivamente alla biocostruzione. Ai distruttori appartengono gli organismi che bioerodono la scogliera, mentre come abitanti si intendono tutti quegli organismi che, pur non assumendo una particolare funzione, sono considerati ugualmente membri della comunita. 11 concetto di categoria funzionale o di >2da formazioni piu recenti. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, la storia della definizione e del significato dei diversi tipi di biozona e quanto mai controversa. Esiste ad esempio una certa differenza, anche se solo formale, tra la definizione delle unity biostratigrafiche della ISG (1976) e quella del NASC (1983). Secondo l'interpretazione della ISG, che pare ancora quella di uso piU comune, vengono distinti i seguenti tipi di biozona: la zona di associazione, la zona di distribuzione (nelle sue quattro accezioni), la zona di acme e la zona di intervallo. Va sottolineato che i diversi tipi di biozona non si escludono a vicenda e che la stessa successione stratigrafica pub essere suddivisa contemporaneamente con diversi tipi di biozona. a) ZONA DI ASSOCIAZIONE 0 CENOZONA (Assemblage Zone) (fig. 8.12c) Una zona di associazione biostratigrafica, o cenozona, a una successione di strati che si distingue dagli strati adiacenti per it suo contenuto di fossili, che, considerato nella sua totality, costituisce una associazione naturale (ISG, 1976). Questa zona pub essere definita tramite l'associazione di tutti i fossili rinvenuti nella successione oppure da uno o pia taxa (ad esempio zona di associazione a foraminiferi, zona di associazione a foraminiferi e nannofossili calcarei, ecc.). La zona di associazione 6 defmita anche tramite gruppi particolari di fossili; esistono cioe, ad esempio, zone di associazione a fossili planctonici, fossili bentonici, vegetali, ecc. La cenozona viene generalmente denominata tramite due o pia dei suoi taxa diagnostici (ad esempio, cenozona a Nummulites brongniarti, N. perforatus e Alveolina elongata che caratterizza la parte terminale dell'Eocene medio). Qualunque sia la composizione faunistica o floristica di questa zona, si suppone che i suoi taxa «siano vissuti assieme o siano morti assieme o si siano accumulati assieme o, in ogni caso, siano stati sepolti assieme» (ISG, 1976). L'uso pill utile e corretto possibile di questa biozona richiederebbe la comprensione del significato delle diverse componenti delrassociazione fossile, come l'individuazione degli elementi bentonici autoctoni rispetto a quelli eventualmente trasportati dalle correnti dopo la morte da paleoambienti diversi, o la determinazione degli elementi planctonici e nectonici che vivevano nella massa d'acqua sovrastante. La biozona di associazione ha un significato soprattutto ambientale e, come tale, put) essere ripetitiva. Le comparse e le scomparse dei diversi taxa, la cui associazione defmisce la biozona, in genere non coincidono; ne consegue che nel posizionamento dei limiti esiste un largo margine per l'interpretazione. Va tenuto presente che, per definizione, la distribuzione stratigrafica dei taxa dell'associazione put) estendersi oltre quella dei limiti della zona stessa. Questa biozona, in definitiva, put) essere utile solo per correlazioni locali. La zona di associazione, per questi particolari requisiti, differisce profondamente dalle altre biozone di uso corrente e costituisce un ponte concettuale tra biostratigrafia ed ecobiostratigrafia (Finestra 8.3).

L'infiltrazione di sedimenti (e fossili) pin recenti in rocce piu antiche puo essere dovuta semplicemente al riempimento di fessure per gravita oppure alla formazione dei «filoni sedimentari*, cioe all'intrusione nelle fratture di sedimenti sottoposti ad elevate pressioni (calico sedimentario, pressione idrostatica, ecc.).

La biostratigrafia

441

b) ZONE DI DISTRIBUZIONE (Range-Zones) Una biozona di distribuzione e costituita dalla successione di strati che rappresentano la distribuzione stratigrafica di uno o pia elementi scelti tra i taxa fossil presenti. Con il termine di distribuzione ci si riferisce alla massima diffusione orizzontale e verticale dei taxa considerati. Esistono diversi tipi di zone di distribuzione: bl) Zona di distribuzione di un taxon (Taxon Range Zone) (fig. 8.12a) E la successione stratigrafica compresa tra la presunta origine e la presunta estinzione di un taxon (specie, genere, famiglia, ecc.). Ad esempio, la zona di distribuzione di Cystograptus vesiculosus (graptolite del Llandovery, Siluriano inferiore), comprende l'insieme degli strati, sia in dimensione orizzontale (geografica) sia verticale (stratigrafica), che contengono esemplari di questa specie. La validita di questo tipo di biozona e condizionata dalla validita del taxon su cui e fondata e dall'oggettiva possibility di determinare i punti di effettiva origine ed estinzione. La definizione di questa zona dipende esclusivamente dalla distribuzione del taxon che la caratterizza e pertanto non e necessario ricorrere ad uno stratotipo, anche se sezioni di riferimento possono essere utili (ISG, 1976). Il significato di questa biozona e strettamente legato al concetto di evoluzione: la distribuzione nel tempo del taxon permette di collocare un certo intervallo stratigrafico nella storia della Terra. Non va mai dimenticato che la presenza di un taxon e sempre legata a determinate condizioni ambientali locali. L'improvvisa comparsa o scomparsa di un taxon pub essere l'indizio di una brusca variazione ambientale o di una lacuna sedimentaria (§ 8.5.2h), anziche di un rapido fenomeno evolutivo. b2) Zona di distribuzione concomitante (Concurrent Range Zone); (figg. 8.12d; 8.13; 8.14) E una successione di strati definita dalla parte coincidente delle zone di distribuzione di due o pia taxa. I taxa che definiscono questa zona non coesistono al di fuori di essa. Nel caso pia semplice, in cui la zona e definita da due taxa, il limite inferiore definito tramite la comparsa di un taxon e it limite superiore dalla scomparsa di un altro taxon. La zona di distribuzione concomitante, ricorrendo all'utilizzazione di due o pia taxa, presenta un significato cronologico pia affidabile rispetto alla zona di Sovrapposizione orizzontale dei 5 taxa

Distribuzione verticale di ogni singolo taxon BC A T T DE

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Distribuzione dei taxa

Fig. 8.13 — Lo schema illustra la variazione nella estensione geografica e stratigrafica di una zona concomitante in funzione del numero di taxa presi in considerazione. Le due righe con doppio tratto indicano l'estensione della zona quando vengono utilizzati tutti e cinque i taxa (da ISG, 1976).

442 Fossili e stratigrafia a lU

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Fig. 8.14 — I « metodi » della comparsa, della scomparsa e dell'abbondanza relativa per definire le biozone nella stessa sezione stratigrafica. II metodo della scomparsa e tradizionalmente utilizzato nello studio della stratigrafia del sottosuolo; non solo perche durante le perforazioni si procede dall'alto verso it basso e quindi le scomparse costituiscono it dato pits immediato a disposizione dell'operatore, ma anche perche i fanghi di perforazione possono continuare a trasportare in superficie detriti con fossili indicatori di una certa biozona anche dopo it suo attraversamento. Il metodo delle comparse, qualora applicabile, e di regola pin affidabile nelle sezioni stratigrafiche caratterizzate da un intenso processo di rielaborazione (§ 8.5.2f1). II metodo «integrato» assicura, ovviamente, un pin elevato potere di suddivisione stratigrafica (§ 8.5.2f2). II metodo della zona di acme o dell'abbondanza relativa e generalmente valido solo su brevi distanze (I'ampiezza delle linee e proporzionale all'abbondanza degli esemplari). In generale si puo osservare che la scelta del metodo e «opportunistica » e dipende dalle situazioni in cui opera it biostratigrafo (da Eicher, 1976 con modifiche).

distribuzione di un singolo taxon. Essa inoltre dovrebbe consentire, almeno potenzialmente, di ottenere una migliore risoluzione stratigrafica (§ 8.5.2f). Le correlazioni tramite questa biozona sono quelle che approssimano maggiormente it concetto di cronocorrelazione; va sempre tenuto presente, pen), che la sovrapposizione nella distribuzione temporale di due taxa pu6 dipendere anche da fattori paleoambientali e che, dunque, anche it valore di questa zona come mezzo di cronocorrelazione e un'ipotesi da documentare caso per caso. Come nella situazione precedente, per definire la biozona non occorre una sezione stratotipica, ma sarebbe utile la citazione di sezioni di riferimento. Un esempio di zona a distribuzione concomitante, denominata tramite due taxa diagnostici, e la zona a Globorotalia margaritae Globorotalia puncticulata (MPL3) del Pliocene inferiore del Mediterraneo (fig. 8.28). -

b3) Zona oppeliana (Oppel Zone) (fig. 8.12g) II concetto di zona oppeliana, dal nome del grande stratigrafo tedesco Albert Oppel (1831-1865), coincide in larga misura con quello di zona concomitante; la definizione e la collocazione dei limiti della zona oppeliana presentano, tuttavia, un notevole margine di elasticity e anche di soggettivita che pu6 essere molto utile. In pratica nella zona oppeliana non si richiede, come avviene nella zona di concomitanza, una completa sovrapposizione dei taxa che la definiscono; inoltre la zona Rue essere identificata anche dove mancano alcuni dei suoi taxa diagnostici o addirittura it taxon

La biostratigrafia

443

con cui viene denominata. Generalmente la parte basale della zona e caratterizzata da nuove comparse, la parte superiore da estinzioni e la parte centrale da una sostanziale presenza contemporanea dei taxa diagnostici. In definitiva, non esistono criteri generali precisi per collocare i limiti della zona oppeliana. Secondo l'ISG (1976) la zona oppeliana e utilizzata di regola in una singola bioprovincia. Come per tutte le altre biozone anche i suoi limiti possono dipendere da comparse o da scornparse di taxa imputabili a variazioni paleoambientali, lacune sedimentarie, ecc., anziche a fenomeni evolutivi. Anche in questo caso, come nei due precedenti, la zona non 6 definibile con uno stratotipo, ma sarebbe utile comunque disporre di sezioni di riferimento. Questa biozona prende it nome da uno dei suoi taxa diagnostici, ad esempio zona oppeliana a Siphogenerinoides bramletti del Miocene del Portogallo, che pub anche non essere presente ovunque. b4) Zona filetica (Lineage Zone) (fig. 8.12e) La zona filetica comprende la successione di strati che contiene gli esemplari che rappresentano it segmento di una linea evolutiva; i suoi limiti sono definiti da cambiamenti nelle caratteristiche della linea. La zona filetica pub corrispondere praticamente alla zona di distribuzione di un singolo taxon (fig. 8.12e, a sinistra) oppure ad una zona di distribuzione concomitante (fig. 8.12e, a destra) considerate nel contesto di una linea evolutiva. Le difficolta implicite in questo tipo di classificazione biostratigrafica dipendono dalla soggettivita delle osservazioni sulle variazioni morfologiche e sulle determinazioni tassonomiche dei reperti. L'utilizzazione di questa biozona e condizionata dalla possibility di riconoscere oggettivamente le relazioni antenatodiscendente nella documentazione fossile. C) ZONA DI ACME (Acme-Zone) (fig. 8.12b) Seguendo la sua definizione pia semplice, la zona di acme e costituita da una successione di strati caratterizzati «... dalla massima abbondanza o sviluppo di certe forme, senza riguardo alla loro associazione o alla loro distribuzione » (ISG, 1976). La zona, dunque, corrisponde ad un insieme di strati in cui e massima l'abbondanza degli esemplari di una specie o la diversity specifica di un genere o di qualsiasi altro taxon. La biozona prende it nome dalla forma pia frequente che la caratterizza, ad esempio zona di acme a Cyrtograptus murchisoni del Wenlock (Siluriano). Il valore delle zone di acme per la cronocorrelazione e discutibile e va analizzato, come sempre del resto, caso per caso. La massima abbondanza di una specie e la massima diversity specifica di un genere dipendono da particolari situazioni paleoambientali-paleoclimatiche, che possono ripetersi nel tempo o, comunque, essere diacrone in aree diverse. E obbligatoria la scelta di una sezione di riferimento. d) ZONA DI INTERVALLO (Interval-Zone) (figg. 8.12f, 8.25) La zona di intervallo comprende gli strati tra due distinti orizzonti biostratigrafici. I due bio-orizzonti, che costituiscono rispettivamente it limite inferiore e superiore, possono essere definiti indifferentemente dall'estinzione o dalla comparsa di un taxon. Possono quindi presentarsi le quattro possibility illustrate nella fig. 8.12f. Generalmente la biozona prende it nome dai due bioeventi che definiscono rispettivamente it limite inferiore e quello superiore (della biozona), fecendo precedere quello che definisce it limite inferiore; ad esempio zona di intervallo a Globigerinoides sica-

444 Fossili e stratigrafia

T

rs't2g21

nus/Orbulina suturalis (fig. 4.23). Talora per() si usa designare questa biozona con it nome di un taxon tipico, ma non esclusivo, della zona, mantenendo come limiti i due bio-orizzonti the la definiscono. Ad esempio, e designata come zona a Ericsonia subdisticha (Eocene superiore) it bio-intervallo compreso tra l'estinzione di Discoaster barbadiensis (e/o D. saipanensis) e l'estinzione di Ericsonia formosa (fig. 8.26). E consigliabile la scelta di una sezione di riferimento per definire la base della biozona. SILURIANO Epoca/ Serie

Piano/Eta Lochkovian

DDI P ridoli

Biozone Conodonti Graptoliti Monograph's untlormis

kriodus woschmidli woschnildti 410

Monograptus hansgrediens Ozarkodina remscherdensis eosteinhomensis

Monograptus parultimus

Ozarkodina crisp

Bohemogramus

Ludfordian

Ozarkodina snaldri

Saetograptus lemtwardmensis

Polygnathoides sihnicus

Pristiograptus tumescent Saetograptus incipient

Ludlow

G orstian

Ancoradella ploecaensis lobograptus scankus Neocliyersograptus nilssoni

SILURIA NO

m.a

Gl eedon Homerian Wenlock

424

Monograptus Irk/antis Cothograptus nassa

Whitwell

Orarkodtha bahemica bohemia

Cyrtograptus lundment Cyrtograptus ellesae

Sh einwoodian

Monograptus llexilis Cyrtograptus rimdus Monograph's hccartonensis Cyrtograptus murchisoni Cyrtograptus centrilugus

Cliarkorlina sagrtta samita

Otarkodina sagitta Mariana

428

Monoclimacis crenulara Pterospathodus amorphognathoides Monochmack griestomensis

Telychian

Monograptus crispus

fherospathodus celloni

Spirograptus turriculatus Monograph's sedgwicko

Llandovery

Oistomodus staurognathordes

Aeronian

Monograptus conyolutus Coronograptus gregarius Colonograptus typhus

Rhuddanian

Cystograptus yesiculosus , alms

argentus magnus hiangulatut cyphus acinaces Orstomodus kentuckyensis

Akdograptus acummalus 438

0

Ashgill

Hirnantian

Clyptograptus persculptus

Biozonazione a graptoliti e a conodonti del sistema Siluriano. L'integrazione di due (o biozonazioni puo aumentare, come in questo caso, it potere di suddivisione stratigrafica (risoluzione stratigrafica). Si noti come un intervallo di 28 milioni di anni venga suddiviso in 30 biozone a graptoliti.

Fig. 8.15



La biostratigrafia 445

8.5.2 — La correlazione biostratigrafica

a) EVENT' OMOTASSICI, BIOCORRELAZIONE E CRONOCORRELAZIONE Con l'espressione correlazione biostratigrafica si intende stabilire la correlazione delle successioni sedimentarie della Terra tramite la corrispondenza del contenuto paleontologico e della posizione stratigrafica (fig. 8.15). Tutte le units biostratigrafiche presentano una continuity laterale piit o meno estesa e quindi si prestano a bio-correlare sezioni stratigrafiche di aree piu o meno lontane. Gli stratigrafi usano le biocorrelazioni con lo scopo fondamentale di approssimare le cronocorrelazioni. D'Orbigny (1802-1857) 6 stato it primo autore a definire una successione sistematica di associazioni di fossili, indipendenti dalla litologia, che coprivano tutta la scala stratigrafica allora nota. Egli riteneva che tali associazioni fossero utilizzabili per cronocorrelazioni globali. Questa convinzione era pere ancorata al suo modello delle catastrofi e delle successive creazioni (§ 1.2.8), eventi per definizione globali e sincroni, modello non accettato neppure dai suoi contemporanei. Molti stratigrafi nella seconda meta dell'Ottocento (in particolare Huxley, 1862), quindi anche dopo la scoperta del fenomeno evolutivo, avanzarono molti dubbi sulla affidabilita dei fossili come mezzi tempo-diagnostici. L'utilizzazione dei fossili come mezzo per approssimare le cronocorrelazioni a fondata essenzialmente su due punti: a) it riconoscimento dell'omotassia degli eventi, cio6 del ripetersi nello stesso ordine stratigrafico degli eventi paleontologici in successioni stratigrafiche diverse e molto lontane (le successioni stratigrafiche caratterizzate da eventi omotassici vengono indicate come omotassiche) (fig. 8.16). b) la convinzione che, al loro apparire, le nuove specie si diffondano rapidamente su tutto it loro areale.

e seguito da «un termine appropriato per indicare l'aspetto del magnetismo rimanente utilizzato per definire l'unita, ad esempio: «magnetointensita» e «variazione magnetosecolare ›>. Seguiamo it NASC nel considerare solo le unite di magnetopolarita di use ormai comune in stratigrafia. b) UNITA DI MAGNETOPOLARITA

Un'unita di magnetopolarita e un corpo di rocce caratterizzato dalla sua polarita magnetica residua e distinto dalle rocce adiacenti che hanno polarita diversa (NASC, 1983). La magnetopolarita e quindi la documentazione, registrata nelle rocce, della storia della polarita del campo magnetico terrestre (NASC, 1983). La definizione di una unite di magnetopolarita e indipendente sia dal tempo in cui ha acquisito la magnetizzazione, sia dal fatto che it suo magnetismo possa essere primario, cioe acquisito all'atto della genesi della roccia, o secondario, cioe acquisito successivamente. Le unite di magnetopolarita riconosciute nelle successioni sedimentarie vengono indicate con i termini di zona e subzona di magnetopolarita. Seguendo it NASC, le zone e le subzone di magnetopolarita prendono it nome della locality geografica in cui sono state identificate. Le zone di magnetopolarita sono formalmente simili alle unite biostratigrafiche e litostratigrafiche, in quanto sono definite tramite una particolare propriety della roccia; esse differiscono per() profondamente da quelle biostratigrafiche e litostratigrafiche. A differenza di queste ultime, infatti, le zone di magnetopolarita sono concepite come «teoricamente e potenzialmente» globali e isocrone; tuttavia, per definizione, le units di magnetopolarita non sono unity cronostratigrafiche (§ 8.7.4), in

474 Fossili e stratigrafia quanto non sono definite dal tempo, ma da una particolare propriety (come le units biostratigrafiche e litostratigrafiche). Inoltre, «una unity di magnetopolarita non presenta di per se stessa l'evidenza che la polarity e primaria, o caratteri che permettano it suo non equivoco riconoscimento in strati della stessa eta di altre aree » (NASC, 1983). Occorre infatti considerare che: — L'alterazione meteorica e i fenomeni di mineralizzazione secondaria possono portare ad una magnetizzazione secondaria, che pith indebolire o cancellare la magnetizzazione primaria. Esistono tecniche particolari per riconoscere it segnale primario da quelli secondari, basate sul principio che, in genere, la magnetizzazione secondaria a piu debole di quella primaria. Va poi considerato che la magnetizzazione detritica residua primaria potrebbe non riflettere quella del campo magnetico in cui la roccia si e formata. La dimensione dei granuli, ad esempio, potrebbe essere troppo grande per una loro orientazione da parte del campo magnetico terrestre; oppure, anche in assenza di altre cause, l'orientazione delle particelle potrebbe dipendere prevalentemente dalla loro forma o dalla loro disposizione iniziale: particelle di forma appiattita dovrebbero tendere ad «impacchettarsi» in una certa direzione preferenziale, in modo relativamente indipendente dalle forze esterne. E intuibile, in definitiva, che l'orientazione dei granuli nel senso delle linee di forza del campo magnetico terrestre a un fenomeno essenzialmente statistico. Bisogna inoltre tener presente che fenomeni di dissoluzione e di ricristallizzazione potrebbero dar luogo a una magnetizzazione residua chimica che put) mascherare la magnetizzazione primaria. Secondo gli Autori anche uno shock meccanico determinato da un terremoto (o dalle operazioni di prelievo di un campione) put) provocare una attenuazione del segnale primario o addirittura una rimagnetizzazione della roccia. — La successione delle inversioni del campo paleomagnetico della Terra, in una sequenza sedimentaria o in una successione di lave basaltiche, viene registrata come un segnale binario, corrispondente ad esempio ad una successione di segnali bianchi e neri. La diversity dell'ampiezza degli intervalli di polarity e la loro associazione costituiscono gli unici segnali che contraddistinguono i singoli intervalli. Queste due caratteristiche non sono sufficienti, per lo piit, per la correlazione diretta degli intervalli di polarity con la scala temporale delle inversioni di polarity. Il loro riconoscimento deve quindi essere associato a dati radiometrici, biostratigrafici o ad altri elementi tempo-diagnostici (Finestra 8.9). bl) Unita cronostratigrafiche di magnetopolarita

Una unity cronostratigrafica di magnetopolarita «e un corpo di roccia caratterizzato dalla polarity magnetica primaria acquisita quando la roccia fu deposta o cristallizzo durante uno specifico intervallo di tempo» (NASC, 1983) che corrisponde all'unita cronologica di magnetopolarita. La cronozona di magnetopolarita a l'unita fondamentale della classificazione cronostratigrafica magnetopolare. Nell'ambito di una cronozona a polarity inversa o normale possono essere comprese subcronozone con polarity diversa. Ad esempio, nella cronozona a magnetopolarita normale Gauss sono comprese subcronozone a polarity inversa (subcronozone Kaena e Mammoth) (fig. 8.34). L'associazione di piu cronozone di magnetopolarita viene indicata con it termine di supercronozona di magnetopolarita.

Va precisato che la cronozona di magnetopolarita e, in generale, tutte le unity cronostratigrafiche non hanno significato se non sono definite tramite una sezione tipo. L'identificazione e la definizione delle cronozone avviene tramite un processo

I metodi fisici e chimici della stratigrafia

475

graduale di riconoscimento, datazione e correlazione delle zone di magnetopolarita (NASC, 1983). La classificazione delle rocce in units cronostratigrafiche di magnetopolarita ha lo scope di correlare le rocce della Terra che presentano la stessa eta e la stessa magnetopolarita e di delineare la storia della polarita del campo magnetico terrestre (NASC, 1983). b2) Unitci cronologiche di magnetopolarita Le units cronologiche di magnetopolarita sono suddivisioni del tempo geologico, distinte sulla base degli intervalli di magnetopolarita, registrati nelle units cronostratigrafiche di magnetopolarita. Fino agli anni '70 le units cronologiche di magnetopolarita erano designate come epoche ed event (Cox et al., 1963). Nel 1979 6 stato tuttavia deciso ufficialmente (ISSC, 1979) di abbandonare questa terminologia (ad esempio, epoca Gauss ; evento Mammoth), in quanto it termine «epoca» a usato ufficialmente come equivalente del termine cronostratigrafico «serie» (§ 8.7.4b) e it termine o event° o si riferisce «ad un istante geologico e non ad un intervallo temporale o stratigrafico» (ISSC, 1979). Per la suddivisione del tempo basata sulla magnetopolarita, la ISSC suggerisce pertanto di utilizzare it termine crono invece del termine «epoca» e subcrono invece di «evento». L'espressione «Epoca Gauss» verra quindi sostituita da «Crono di magnetopolarita normale Gauss»; analogamente, l'espressione « evento Mammoth» verra sostituita da «Subcrono di magnetopolarita inversa Mammoth ». Il termine di «Supercrono di magnetopolarita» a stato introdotto per indicare intervalli molto lunghi, che cornprendono pits croni di diversa polarita. In conclusione, it crono di magnetopolarita e l'unita fondamentale del tempo geologico che corrisponde all'intervallo di tempo di una cronozona di magnetopolarita. Le units superiori e inferiori (supercrono e subcrono di magnetopolarita) corrispondono rispettivamente alla supercronozona e alla subcronozona di magnetopolarita. C) LA SCALA TEMPORALE DELLE INVERSIONI DI MAGNETOPOLARITA La scala del tempo delle inversioni di magnetopolarita, indicata anche come «scala tempo delle polarita geomagnetiche» (GPTS = Geomagnetic Polarity Time Scale), 6 stata messa a punto tramite l'integrazione di tre fonti di dati indipendenti. cl) La datazione radiometrica delle inversioni di polaritci registrate nelle lave.

E it metodo piu intuitive per ricostruire la GPTS: vengono datate radiometricamente le inversioni di polarita magnetica registrate nelle rocce ignee (generalmente basalti), L'incertezza analitica del metodo di datazione K-Ar (che e almeno del 2%) non permette it corretto posizionamento stratigrafico delle inversioni di polarita, riconosciute in livelli di lava isolati (non in sequenza) piu antichi di 5 milioni di anni. Alcuni autori (McDougall et al., 1977) hanno esteso nel tempo la GPTS fino a 6,5 m.a. analizzando succession vulcaniche «continue» dell'Islanda occidentale. c2) L'interpretazione delle bande magnetiche dei fondi oceanici. L'analisi delle anomalie magnetiche fornisce informazioni sulla sequenza delle inversioni di polarith dal Giurassico superiore ad oggi. Partendo dalla GPTS degli ultimi 4 milioni di anni, a stata attribuita alle singole bande magnetiche un'eta basata sulla loro rispettiva ampiezza, assumendo una velocita di espansione dei fondi ocea-

476 Fossili e stratigrafia

nici costante. Heirztler et al. (1968), nell'Atlantico meridionale, hanno esteso e calibrate numericamente la GPTS fino al Cretacico. Un metodo alternativo, per ricostruire e calibrare cronologicamente (in modo relativo) la GPTS, consiste nello studio biostratigrafico dei sedimenti che giacciono immediatamente sopra it basamento igneo. In questo modo si arriva alla calibratura biostratigrafica delle singole bande. c3) Le inversioni di polarity registrate nelle successioni sedimentarie. La successione delle anomalie magnetiche dei fondi oceanici a stata riconosciuta nelle sezioni sedimentarie pelagiche, consentendo quindi la correlazione delle anomalie con le scale biostratigrafiche. Le sequenze sedimentarie in cui si riscontra la successione delle inversioni di polarity vengono studiate da un punto di vista biostratigrafico e calibrate ad una scala biostratigrafica standard. In questo modo si arriva dunque ad una datazione relativa delle inversioni di magnetopolarita. La presenza nelle sezioni di livelli con minerali autigeni (come la glauconite) o di livelli di vulcaniti e di prodotti vulcanici permette di ottenere la datazione radiometrica delle sequenze sedimentarie. Il segnale paleomagnetico delle rocce sedimentarie e «pia debole» di quello dei basalti; le successioni sedimentarie presentano, tuttavia, una maggiore continuity rispetto alle rocce ignee e per questo motivo it loro studio paleomagnetico e di estremo interesse per estendere indietro nel tempo la GPTS. I dati paleomagnetici ottenuti dalle successioni sedimentarie provengono sia dallo studio delle successioni carotate sul fondo degli oceani, sia da sezioni in affioramento. Gli studi, condotti in gran parte nell'ambito del progetto di ricerca Deep Sea Drilling Project (DSDP), hanno permesso la ricostruzione della GPTS dal Cretacico. Analoghi risultati sono stati ottenuti dallo studio delle sezioni pelagiche in affioramento. Le sezioni adatte per questi studi sono rare, in quanto devono possedere particolari requisiti; devono infatti essere molto potenti, continue, ricche di eventi biostratigrafici e costituite da rocce con una magnetizzazione sufficiente. In Umbria, nell'area di Gubbio, affiorano le successioni magneto-biostratigrafiche pin continue e complete che si conoscano attualmente. Lo studio di queste successioni (sezione del Bottaccione, sezione della Cava Contessa, ecc.) ha permesso la ricostruzione della sequenza di magneto-polarita, dal Cretacico medio fino all'Oligocene superiore, che e stata correlata con it profilo delle anomalie magnetiche oceaniche (Premoli Silva et al., 1988) (fig. 8.33). Gli studi in corso sono finalizzati alla ricostruzione e alla calibratura biostratigrafica delle inversioni di magnetopolarita del Mesozoico inferiore. Anche se, con un dettaglio molto minore, la storia delle inversioni di polarity si estende fino al Proterozoico superiore (Cowie & Bassett, in Briggs & Crowther, 1990), va pere tenuto presente che it basamento oceanico pia antico e databile all'Oxfordiano (Giurassico sup.) e che la GPTS dei tempi precedenti all'Oxfordiano viene ricostruita esclusivamente tramite studi paleomagnetici di sezioni in affioramento. d) PROBLEMI DI NOMENCLATURA IN MAGNETOSTRATIGRAFIA Gli ultimi quattro croni della scala temporale hanno mantenuto, in omaggio alla tradizione, i nomi dei pin eminenti pionieri dello studio del campo paleomagnetico terrestre (Brunhes, Matuyama, Gauss e Gilbert). Considerando, tuttavia, l'elevatissimo numero di inversioni di polarity, fin dagli anni '60 gli Autori (Hays & Opdike, 1967) hanno proposto la loro identificazione tramite un criterio di numerazione progressiva, partendo dal crono 1 che corrisponde al crono Brunhes. I croni con polarity

I metodi fisici e chimici della stratigrafia

477

SEZIONI "CONTESSA" (cave e autostrada)

OLIGOCENE

SEZIONE DELLA CAVA

FO G. tapuriensis (172.8) LO T. cocoaensis (171.8) T. cunialensis Cribrohantk

LO G. index (169.5) LO D. barbadiensis D. saipanensis (167.7)

FO 11 cunialensis (163.3) LO G. semiinvoluta (162.2) FO I. recurvus LO T. pomeroli (160)

210

Fig. 8.33 Correlazione delle anomalie magnetiche del fondo oceanico con le inversioni di magnetopolarita di due delle sezioni «Contessa» (Eocene/Oligocene dell'area di Gubbio). D. = Discoaster; E. = Ericsonia; I. = Isthmolitus; R. = Reticulofenestra; S. = Sphaenolithus (nannofossili calcarei); G. = Globigerinatheca; —

«G.» = «Globigerina»; T. = Turborotalia (foraminiferi planctonici) (da Premoli Silva et al., 1988).

478 Fossili e stratigrafia

normale sono generalmente indicati con i numeri dispari e quelli di polarita inversa con numeri pari, i subcroni sono denominati con una lettera seguita dal numero del crono. Nei primi 5 milioni di anni, i subcroni possono mantenere la loro denominazione di origine geografica (subcrono Jaramillo, Olduvai, Nunivak, ecc.). Le bande magnetiche a polarita normale sono numerate in modo progressivo procedendo dall'asse della dorsale verso i margini del bacino. Recentemente Tauxe et al. (1983) hanno proposto una nomenclatura particolare per denominare i croni basati sulle bande magnetiche dei fondi oceanici; questa prevede l'aggiunta del prefisso C (crono) al numero dell'anomalia magnetica corrispondente. Ciascun crono viene suddiviso in parti a polarita normale o inversa, rispettivamente con l'aggiunta delle sigle N (normal) ed R (reversed). La scoperta di nuove bande magnetiche (e quindi dei corrispondenti croni) ha comunque complicato questa nomenclatura. Hailwood (1989) ha proposto una rinumerazione delle bande magnetiche, nella quale ciascun numero e preceduto dalla lettera S (numerazione sistematizzata). Da notare che nel Cenozoico e net Cretacico superiore sono numerate solo le bande a polarita normale, mentre net Giurassico e net Cretacico inferiore, periodi caratterizzati da estesi intervalli a polarita normale, sono numerate solo le bande a polarita inversa (precedute dalla lettera M). e) CORRELAZIONI MAGNETO-STRATIGRAFICHE La messa a punto della scala temporale delle inversioni di magnetopolarita ha costituito evidentemente una condizione indispensabile per poter effettuare correlazioni fondate sulle zone di magnetopolarita. Idealmente, iniziando una perforazione in sedimenti di mare profondo e procedendo dai sedimenti attuali verso i pit antichi, si dovrebbero trovare una dopo l'altra «tutte » le inversioni di polarita della scala tempo di magnetopolarita e si potrebbero quindi ottenere delle precise crono-correlazioni. In realta, le lacune di sedimentazione o anche la mancata registrazione di una sola units, rendono incerto it tentativo di correlazione. In pratica, come si a gia osservato, la magnetostratigrafia deve sempre essere associata con un altro mezzo tempo-diagnostico. L'associazione della magnetostratigrafia con la biostratigrafia (magneto-biostratigrafia) ha costituito una vera e propria pietra miliare per gli studi stratigrafici, del Cenozoico in particolare. Il caso riportato nella finestra 8.9 costituisce un esempio, molto semplice, della procedura pit comune utilizzata dai ricercatori per correlare le units magnetopolari di una sezione con la GPTS. In generale, l'analisi magnetostratigrafica consente di: 1) arrivare ad un pit elevato grado di definizione stratigrafica; 2) controllare it grado di sincronismo dei bioeventi omotassici; 3) approssimare una datazione numerica dei dati biostratigrafici; 4) datare numericamente le successioni sedimentarie e i limiti cronostratigrafici. f) MAGNETOSTRATIGRAFIA E BIOSTRATIGRAFIA Tra i dati magnetostratigrafici e la biostratigrafia si e stabilito un rapporto di interazione che, oltre a permettere nuove applicazioni, a risultato fondamentale per raggiungere l'obiettivo di una stratigrafia di dimensione globale. Il criterio dell'omotassia integrato dalla magnetostratigrafia, e verificato in un elevato numero di sezioni, ha permesso di provare l'esistenza, net Cenozoico, di numerosi eventi biostratigrafici sincroni, a scala regionale o anche a scala interoceanica (fig. 8.34). Dopo che sono stati datati numericamente tramite la scala temporale della magnetopolarita, questi

0 11

I metodi fisici e chimici della stratigrafia

8180%. PDB a.

. ... ...

0

...

Eventi biostratigrafici calibrati con la scala temporale della inversioni di magnetopolarita

a.

IUBCRONOI77);

Strat. isotopica (carota V28-179) Oceano Pacifico

479



Gephyrocapsa oceanica s. L

66

-

Discoaster

brouweri

MI

8

Discoaster pentaradiatus Discoaster surculus

2,48

2,9

-

Discoaster tamalis

-

Dentoglobigerina altispira

,0

-T-Sphaeroidinellopsis spp.

GILBERT

3 18

■IF

s

-Reticulofenestra pseudoumbilica -4 j_Discoaster asymmetricus

b)

Fig. 8.34 - a, Stratigrafia isotopica della carota V28-179 del Pacifico equatoriale calibrata con la Scala Temporale delle Inversioni di Magnetopoiarita (Shackleton & Opdyke, 1977). Si noti ii primo importante aumento dei valori di 180 a circa 3,2 m.a. e it successivo e importante aumento a circa 2,5 m.a. Nel Pliocene, i primi ghiacciai nel nostro emisfero iniziarono a formarsi in Islanda e sulla Sierra Nevada a circa 3 m.a., ma la formazione della calotta artica pare risalire a circa 2,5 m.a. Per la spiegazione della curva si rimanda al § 8.6.3a. b, Selezione di alcuni bioeventi del plancton calcareo calibrati con la Scala Temporale delle Inversioni di Magnetopolarita. La stratigrafia paleomagnetica ha permesso di dimostrare che questi bioeventi (FAD e LAD) omotassici sono penecontemporanei, alle basse e medie latitudini, sia nel Pacifico sia nell'Atlantico.

eventi biostratigrafici assumono un significato cronologico espresso in anni, anche se ovviamente approssimato, e sono utilizzati direttamente per valutazioni, in termini di «tempo assoluto», nelle succession sedimentarie dove non 6 possibile (ed a it caso piu frequente) disporre di dati magnetostratigrafici e/o radiometrici. La messa a punto della magnetostratigrafia ha costituito un autentico ponte tra la biostratigrafia e le datazioni numeriche. La magnetobiostratigrafia rappresenta it mezzo pit semplice ed economico (spesso l'unico possibile) per affrontare alcuni problemi di fondamentale importanza per la ricerca geologica e stratigrafica. Essa infatti consente di valutare «in anni» la velocita di sedimentazione, gli intervalli di tempo che corrispondono alle lacune sedimentarie (§ 8.5.2h) e alle fasi tettoniche. e, associata alle ricostruzioni paleoambientali, permette anche di valutare i tassi di subsidenza di un bacino sedimentario.

480 Fossili e stratigrafia

L'utilizzazione dell'indagine magnetobiostratigrafica e quindi di fondamentale importanza per la soluzione di numerosi problemi stratigrafici e geologici quali: f1) Calibrazione cronologica delle zone biostratigrafiche

Si stabilisce una zonazione paleomagnetica, associata ad una zonazione biostratigrafica, in un numero elevato di sezioni di regioni diverse. Si tenta poi la correlazione della successione delle magnetozone con la scala temporale delle inversioni di magnetopolarita (GPTS). f2) Correlazione delle successioni pelagiche carotate in mare con le sezioni in affioramento

Gli stratotipi che definiscono le unita cronostratigrafiche (§ 8.7.5) sono sempre rappresentati da sezioni in affioramento; e dunque indispensabile la correlazione accurata della biostratigrafia delle successioni carotate sul fondo degli oceani con quella delle sezioni in affioramento. La magnetobiostratigrafia costituisce lo strumento pits valido per ottenere questo risultato. f3) Correlazione delle successioni sedimentarie marine e continentali

La correlazione delle successioni sedimentarie di paleoambienti diversi (marino aperto, marginale, continentale) ha sempre costituito uno dei problemi di pitt difficile soluzione in stratigrafia, per la scarsita di resti fossili comuni. L'indagine magnetostratigrafica (anche in questo caso ancorata a qualche dato radiometrico, stratigrafico o biostratigrafico comune) fomisce un mezzo utilissimo per arrivare a correlazioni precise ed in particolare alla costruzione di una scala biostratigrafica integrata (fig. 8.28). L'indagine magnetostratigrafica a stata d'importanza determinante, ad esempio, nel dimostrare che l'estinzione di molti taxa terrestri e stata contemporanea con quella di molti taxa marini. f4) Datazione dei cambiamenti climatici del Cenozoico superiore

Le piu importanti fonti di inforrnazioni dell'evoluzione climatica del Cenozoico superiore derivano dallo studio delle associazioni polliniche in sezioni sedimentarie continentali o marine in affioramento e dallo studio paleontologico e geochimico delle carote di mare profondo. L'indagine magnetostratigrafica fornisce un indispensabile riferimento cronologico per posizionare correttamente gli eventi rilevati come, ad esempio, variazioni relative delle associazioni polliniche di significato climatico diverso, variazioni dell'abbondanza relativa delle forme marine di acque fredde e calde, variazioni dei rapporti degli isotopi dell'ossigeno nei gusci degli organismi planctonici, variazioni del contenuto di CaCO3nei sedimenti delle basse latitudini e di fanghi silicei in quelli delle alte latitudini (entrambe collegate a fluttuazioni della produttivita o a processi di dissoluzione, indirettamente controllati dalla temperature), ecc.

FINESTRA 8.8 — BIOSTRATIGRAFIA, BIOCRONOLOGIA E MAGNETO-BIOCRONOLOGIA Per biocrono, come definito da Williams (1901), si intende l'intervallo di distribuzione temporale di una certa associazione di taxa; esso rappresenta dunque l'intervallo di tempo di una biozona ed e completamente svincolato da qualsiasi sezione stratigrafica.

I metodi fisici e chimici della stratigrafia 481

L'introduzione del concetto di biocrono risale ai paleontologi americani che, all'inizio del secolo, utilizzavano i mammiferi come mezzo di correlazione dei depositi continentali. La biocorrelazione delle successioni continentali 6 spesso resa ardua dal fatto che gli affioramenti sono per lo pia puntiformi nel tempo e nello spazio e dunque gli stratigrafi non possono avvalersi della biostratigrafia zonale classica (Finestra 8.7). In questa situazione, it riconoscimento degli stadi evolutivi delle faune diventava it criterio essenziale per ricostruire la successione cronologica dei depositi continentali. Questa procedura rientra nel campo della biocronologia, cioe dell'« organizzazione del tempo geologico secondo it processo irreversibile dell'evoluzione in un continuum organico» (Berggren & Van Couvering, 1978). In una concezione meramente biostratigrafica, i fossili costituiscono dei markers pratici per le ricostruzioni e le correlazioni stratigrafiche e l'interpretazione del loro significato stratigrafico in chiave evolutiva costituisce un passo successivo. Second() Berggren e Van Couvering (1978) la correlazione biocronologica e basata: (1) sulla selezione dei bioeventi (datum plane) a pia ampia distribuzione, in gran parte costituiti da LAD e FAD; (2) sul controllo, con tutti i mezzi disponibili, del sincronismo dei bioeventi, esaminandoli nel contesto delle successioni biostratigrafiche locali; (3) sul tentativo di mettere in relazione i bioeventi con livelli datati radiometricamente, come ad esempio un livello di ceneri vulcaniche, o con una inversione del campo di magnetopolarita. In definitiva, la biocronologia, nella accezione di Berggren e Van Couvering, corrisponde al tentativo di estrapolare dai dati biostratigrafici quegli eventi (rappresentati essenzialmente da dati evolutivi e quindi unidirezionali e irreversibili) che consentono le correlazioni pia ampie possibili (inter-oceaniche o addirittura globali) e, possibilmente, di esprimere la loro datazione con valori numerici. E opportuno sottolineare che biocronologia non significa «datazione numerica di bioeventi», come talora sottintendono alcuni autori. La datazione numerica dei bioeventi viene generalmente conseguita tramite la magnetostratigrafia e i dati ottenuti vengono indicati come magneto-biocronologici o magneto-biostratigrafici. Esiste, inoltre, una notevole differenza di metodo tra la procedura biocronologica che utilizza un criterio evolutivo per ricostruire la successione delle faune, partendo da depositi puntuali nel tempo e nello spazio, e quella che utilizza invece, sulla base di un record biostratigrafico relativamente completo, tutti i metodi tempo-diagnostici disponibili per riconoscere (e successivamente utilizzare) gli eventi biocronologici. Concludendo, non si pue far a meno di osservare che la selezione degli eventi biocronologici corrisponde, almeno concettualmente, alla selezione tradizionale, nel contesto di tutti i dati biostratigrafici, dei «fossili guida» e cio6 di markers geocronologici prodotti dal fenomeno irreversibile dell'evoluzione biologica.

FINESTRA 8.9 — CORRELAZIONE DELLE ZONE DI MAGNETOPOLARITA CON LA SCALA TEMPORALE DELLE INVERSION' DI MAGNETOPOLARITA: IL CASO DELLA SEZIONE DELLA VRICA, STRATOTIPO DEL MUTE PLIO-PLEISTOCENE Le difficolta e le modalita della correlazione degli intervalli di magnetopolarita riconosciuti in una successione sedimentaria con la Scala Temporale delle Inversioni

482 Fossili e stratigrafia di Magnetopolarita (GPTS) sono ben illustrate nello studio della sezione della Vrica (Tauxe et al., 1983). In questa sezione, la presenza di un livello di cinerite datato a 2,2 m.a. (Obradovitch et al., 1982), stratigraficamente al di sotto del segmento di sezione studiato, ha permesso a Tauxe et al. di affermare che le tre zone di magnetopolarita N1, N2, N3 sono piu recenti del limite Gauss/Matuyama (2,47 m.a.). Considerando che tra it limite Gauss/Matuyama e it limite Matuyama/Brunhes, che cade nel crono inverso Matuyama, sono compresi i subcroni normali Reunion (a circa 2 m.a.), 01duvai (tra 1,88 e 1,67 m.a.) e Jaramillo (tra 0,98-0,91 m.a.), Tauxe et al. hanno formulato tre ipotesi diverse: «a) N1 e N2 sono i sub-croni Reunion e N3 6 il subcrono Olduvai; b) N1 e N2 corrispondono all'Olduvai e N3 e un breve sub-crono normale tra l'Olduvai e lo Jaramillo; c) N1 e N2 comprendono it sub-crono Olduvai e N3 e lo Jaramillo». Le zone di polarita normale N1 e N2 sono comprese tra il LAD di Discoaster brouweri e il LAD di Calcidiscus macintyrei. Poiche nelle carote oceaniche delle basse e medie latitudini il LAD di D. brouweri approssima la base dell'Olduvai (1,88 m.a.) e il LAD di C. macintyrei e considerata un evento globale datato a circa 1,45 m.a. (Backman et al., 1983), Tauxe et al. hanno attribuito al subcrono a polarita normale Olduvai le zone N1 e N2. La presenza inoltre di Helicosphaera sellii nella zona di polarita normale N3 sembra escludere un riferimento di quest'ultima al subcrono di polarita normale Jaramillo; infatti il LAD di H. sellii, per quanto rappresenti un evento diacrono (nelle diverse fasce latitudinali), precede costantemente it subcrono Jaramillo. In conclusione, Tauxe et al. (1983), tenendo conto dei dati magneto-biostratigrafici disponibili, hanno privilegiato la seconda ipotesi (fig. 8.44).

8.6.3



Stratigrafia con gli isotopi stabili e biostratigrafia

Gli elementi in natura sono rappresentati, oltre che da isotopi instabili, anche da isotopi stabili, che non subiscono nel tempo alcun fenomeno di decadimento e che presentano un rapporto ben definito, caratterizzato dalla assoluta predominanza di uno degli isotopi. L'analisi delle piccole, ma significative, fluttuazioni nel tempo del rapporto degli isotopi stabili di alcuni elementi, ossigeno e carbonio in particolare, e divenuta di fondamentale importanza per le ricerche paleoclimatiche, paleoceanografiche e stratigrafiche, anche se talora, come nel caso del rapporto degli isotopi del carbonio (13c/i2.–), k.. la loro interpretazione e molto complessa e ancora controversa. La messa a punto di questi metodi, la loro integrazione con la stratigrafia paleomagnetica e con la documentazione biostratigrafica hanno costituito un'autentica pietra miliare. Come esempio di stratigrafia isotopica, viene riportata una breve sintesi sul metodo degli isotopi dell'ossigeno. a) LA STRATIGRAFIA CON GLI ISOTOPI DELL'OSSIGENO L'ossigeno e presente in natura con tre isotopi 1'160, 1'170 e 1'180. L'160 e 1'180 costituiscono rispettivamente circa il 99,75% e lo 0,2% dell'ossigeno attuale. Nel 1955 Emiliani, sulla base degli studi teorici di Urey (1947), che dimostrarono che il rapporto 180/160 (= 6 180) era dipendente dalla temperatura di precipitazione del CaCO3, ipotizzo che it rapporto 180/160, misurato nei gusci calcarei dei foraminiferi

I metodi fisici e chimici della stratigrafia

483

planctonici del Pleistocene, fosse variato prevalentemente in funzione delle fluttuazioni dello stato termico delle acque come conseguenza delle oscillazioni climatiche. Il rapporto aumentava it suo valore (cioe aumentava la quantita di 180) con il diminuire della temperatura e viceversa. Gia allora Emiliani era consapevole che il segnale isotopico dipendeva, oltre che dalla temperatura, anche dalla composizione isotopica iniziale dell'acqua di mare e cioe dalle variazioni isotopiche causate dalle fluttuazioni del volume delle calotte polari. In sintesi, l'ossigeno dell'acqua che evapora dagli oceani e costituito prevalentemente dal suo isotopo leggero (cioe l'160, che presenta una piu elevata tensione di vapore) e dunque, durante l'evaporazione, aumenta proporzionalmente la quantita di 180 nel liquido residuo (cioe negli oceani). Il rapporto iniziale 18 0/160 viene ripristinato con il ritorno negli oceani dell'acqua arPrio6gressivo arricchimento in 16O per impoverimento in 18 0

> PER DEFINIRE LE UNITA CRONOSTRATIGRAFICHE La scelta delle sezioni-tipo (o stratotipi) e dei punti che definiscono i limiti cronostratigrafici e necessariamente convenzionale e deve essere ratificata dalle apposite commission internazionali; per poter operare una scelta opportuna, e necessario tener conto di tre esigenze fondamentali. 1) La maggior parte delle suddivisioni stratigrafiche, che oggi usiamo di routine, sono state introdotte in letteratura nella prima meta del secolo scorso, o comunque in tempi ancora pionieristici per la stratigrafia. Come conseguenza, la definizione delle unity stratigrafiche, e soprattutto dei loro limiti, era, nella maggior parte dei casi, non precisa o fondata sulla base di eventi biostratigrafici o geologici locali che si interpretavano come veri e propri «capitoli» della storia della Terra (Harland et al., 1982). Nella scelta convenzionale dei limiti e necessario, quanto pin possibile, it rispetto dei concetti con cui sono stati introdotti in letteratura e che spesso hanno guidato gli stratigrafi per oltre un secolo. Questa prassi e giustificata non da un ossequio formale alla Storia, ma da una esigenza fondamentale di stability della ricerca stratigrafica.

496 Fossili e stratigrafia

Infatti, se it limite venisse posto casualmente o anche sulla base di una convenzione razionale ma senza it rispetto dei concetti storici che hanno portato alla sua introduzione, si verrebbe automaticamente a vanificare tutto it lavoro svolto dagli autori precedenti; in pratica, cioe, carte geologiche e sezioni stratigrafiche andrebbero cornpletamente reinterpretate. Va sempre sottolineato che to scopes della Scala Cronostratigrafica Standard Globale 6 proprio quello di favorire la stability della scala stratigrafica e la comunicazione tra i ricercatori. Per quanto possibile, a dunque sulla base del concetto storico insito nella definizione originate del limite che viene scelta la sezione e viene piantato it o chiodo d'oro » in un punto particolare. Questa prassi e, comunque, sempre subordinata alle condizioni poste net successivo punto 2 ed in particolare alla presenza di elementi tempodiagnostici nello stratotipo. E fondamentale sottolineare che it «chiodo d'oro», dopo the a stato piantato, non pub pill essere spostato, anche se si scoprisse che andava collocato in un'altra posizione, pill adeguata at rispetto dei concetti storici. Questa prassi corrisponde ad una esigenza prioritaria di stability. 2) E una condizione necessaria e indispensabile che to stratotipo selezionato, ed in particolare it tratto al di sotto e at di sopra del punto scelto per definire it limite, sia quanto pitt ricco possibile di elementi tempo-diagnostici (biostratigrafici, magnetostratigrafici, radiometrici, ecc.). Tramite questi eventi, tanto pitt utili quanto piit approssimano it limite nella sezione stratotipica, Sara cosi possibile individuare la posizione approssimata del limite in altre sezioni della Terra. Quanto piit la sezione stratotipica a ricca di eventi tempo-diagnostici, tanto piu a idonea a fungere da sezione di riferimento. A nulla servirebbe definire, in una determinata sezione, un limite standard che dovrebbe servire come riferimento per tutta la Terra, se poi non esistesse la possibility di poterlo riconoscere in altre sezioni. 3) E implicito che le sezioni-tipo che definiscono le units cronostratigrafiche o i loro limiti validi globalmente, devono essere facilmente accessibili e non devono presentare lacune o disturbi tettonici. STRATOTIPI DELLE UNITA E STRATOTIPI DEL LIMITE Seguendo la prassi attuale, che corrisponde ad un criterio di praticita, ogni limite definisce sempre la base delle units; it tetto delle unites e definito invece dalla base delle unity successive. Tale procedura evita a priori l'esistenza, inaccettabile per definizione, di lacune o di sovrapposizioni nella scala cronostratigrafica (fig. 8.42). Uno stratotipo ideate per definire una units cronostratigrafica dovrebbe essere costituito da una sezione continua, ben esposta, ricca di eventi tempo-diagnostici (in particolare di fossili guida), estesa da una base ben definita fino alla base dell'unita immediatamente successiva. Poiche e difficile trovare sezioni che soddisfino tutti questi requisiti oggi si tende ad istituire stratotipi dei limiti, piuttosto che stratotipi delle unite' cronostratigrafiche (§ 8.3.3). I limiti cosi definiti delimitano le unites cronostratigrafiche e costituiscono it sistema di riferimento per lo studio della stratigrafia di tutta la Terra. d) DUE CASI DI DEFINIZIONE DEI LIMITI DELLE UNITA DELLA CRONOSTRATIGRAFIA STANDARD GLOBALE dl) Il caso del limite Siluriano-Devoniano La procedura per definire un limite cronostratigrafico globale e standard, gia elabo-

Cronostratigrafia, geocronologia e scala cronostratigrafica standard globale 497

rata nel 1964 dall'ISSC (International Subcommision on Stratigraphic Classification), stata applicata dal Gruppo di lavoro sul limite Siluriano-Devoniano dell'ICS (International Commission on Stratigraphy) dello IUGS (International Union of Geological Sciences). Questo limite a storicamente importante in quanto e stato it primo ad essere ratificato dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia (Montreal, 1972). In conformity con i tre punti 1-3 illustrati nel paragrafo 8.7.5b, la scelta della sezione di Klonk, in Cecoslovacchia (fig. 8.43), e della posizione del limite a stata determinata dalla esigenza (a) di lasciare quanto piu possibile invariato it significato del limite come era stato definito originariamente e/o come era inteso nella pratica stratigrafica e (b) di definire it limite in una sezione che, oltre ad essere continua e ben esposta, presentasse una ricca documentazione paleontologica, idonea per ampie correlazioni. L'iter che ha portato le commissioni internazionali alla scelta della sezione di Klonk a esemplare per la comprensione della procedura, attraverso cui si arriva a selezionare uno stratotipo e un punto della sua successione litostratigrafica per definire un limite cronostratigrafico. Esso permette, inoltre, di capire meglio la relazione tra it rispetto dei criteri storici e le esigenze della moderna stratigrafia. Una premessa storica sintetica a indispensabile per comprendere it significato originario dei termini Siluriano e Devoniano.

4

3 3 = Piano D

2

= Piano C

Piano B

Piano C Sovrapposizione ," Piano B

— Piano C Piano C Piano B Piano B

Lacuna Piano A Piano A

Piano A Piano A

Fig. 8.42 — insito nel concetto di Scala Cronostratigrafica che non devono esistere lacune o sovrapposizioni tra le sue units. In una situazione ideale, in cui le unity possono essere definite da stratotipi adiacenti in un'unica successione stratigrafica continua, it limite superiore dell'unita inferiore coincide per definizione con it limite inferiore dell'unita immediatamente soprastante (caso 1). Se le unity sono definite in se7ioni di locality diverse, generalmente i mezzi di correlazione non permettono di documentare it sincronismo tra it limite superiore di una unity e it limite inferiore dell'unita successiva; tra due unity successive pub, quindi, esistere una lacuna o una sovrapposizione (caso 2). Per ovviare a questo inconveniente a stato deciso di definire solo it limite inferiore delle unity cronostratigrafiche; dunque, it limite superiore di una unity costituito dal limite inferiore di quella immediatamente successiva (caso 3). La definizione della units tramite gli stratotipi dei limiti (caso 4) 6 concettualmente simile alla precedente: ogni limite rappresenta it tetto dell'unita sottostante e la base dell'unita soprastante.

498 Fossili e stratigrafia

11 termine Siluriano (da Siluri, un'antica popolazione del Galles) fu introdotto nel 1835 da Murchison che presents una descrizione completa di questa unity nella sua famosa opera «The Silurian System» del 1839. Con questo termine l'autore comprendeva le rocce che, nel Galles, giacevano al di sotto delle Old Red Sandstones (le Vecchie Arenarie Rosse di ambiente continentale) e al di sopra di una formazione, che successivamente fu attribuita da Lapworth (1879) all'Ordoviciano. Il Devoniano fu definito da Sedgwick e Murchison (1839) nel Devonshire, una contea inglese, sulla base di alcuni affioramenti fossiliferi della parte superiore della « Old Greywacke Formation ». La possibility che it Devoniano costituisse un sistema intermedio tra it Carbonifero e it Siluriano fu ventilata per la prima volta su base paleontologica. Tale ipotesi fu poi provata definitivamente con il successivo ritrovamento, da parte di Murchison nella Russia europea (durante una escursione effettuata nel 1840), di livelli a conchiglie marine e pesci devoniani, intercalati nei sedimenti continentali delle Old Red Sandstones, che giacevano inequivocabilmente sopra strati di Siluriano e sotto strati del Carbonifero; le Old Red Sandstones, che nel Galles seguivano in continuity gli strati del Siluriano, appartenevano quindi al Devoniano La storia delle dispute tra i geologi del secolo scorso sulla istituzione, la validity e le precedenze nomenclaturali di questi importanti sistemi geologici del Paleozoico e stata trattata recentemente da Rudwick (1985), a cui si rimanda. 11 primo problema del « Gruppo di lavoro sul limite» e stato quello di verificare se nelle classiche aree-tipo dell'Inghilterra (Galles e Devonshire) esistessero sezioni adatte per la definizione del limite La conclusione fu che in Inghilterra non esistono sezioni marine continue che documentino it passaggio dal Siluriano al Devoniano L'attenzione degli stratigrafi si concentre dunque su altre regioni della Terra, dove il limite Siluriano-Devoniano era ben esposto: Russia, Boemia, Alpi Carniche (Austria e Italia), Polonia, Thailandia, Sardegna, Canada, ecc. In primo luogo venne presa in considerazione la Boemia (Cecoslovacchia), un'area classica per il Siluriano e it Devoniano, studiata dal famoso paleontologo Joachim Barrande (1799-1883) e gia oggetto delle osservazioni di Murchison e Sedgwick. Risulte evidente che nel Barrandiano (l'area della regione di Praga che prende it nome da Barrande) it limite tra i due sistemi, conformemente al significato con cui era stato inteso fino ad allora nella pratica stratigrafica, era ben esposto e continuo in circa 20 sezioni (Chlupac, 1969, 1972, 1977). Sedici di questi sezioni, caratterizzate da una successione continua e ricca di graptoliti e conodonti, utili per correlazioni a grande scala, sono state studiate con grande dettaglio. Nel 1972, durante it Congresso Geologico Internazionale di Montreal, la Commissione preposta opts (attraverso una votazione) per la scelta di una di queste sezioni e in particolare per la sezione di Klonk, una trentina di km a SO di Praga, descritta accuratamente da Chlupac e Kukal nel volume edito da Martinsson «The Silurian — Devonian Boundary » pubblicato nel 1977, ma presentato alla Cornmissione nel 1972. Con un'altra votazione, si arrive poi a decidere di fissare la base del Devoniano all'interno dello strato 20 della sezione, in corrispondenza dell'orizzonte fisico della prima comparsa del graptolite Mono graptus uniformis (fig. 8.43). E importante ribadire che it limite tra i due sistemi e definito dal punto della successione litostratigrafica che coincide con la prima comparsa di Mono graptus uniformis; la comparsa della specie costituisce, dunque, solo il criterio con cui si a stabilito di identificare it punto, o l'orizzonte fisico, per definire it limite, ma non 6 in se stessa la definizione del limite Se la definizione del limite fosse basata sulla comparsa di una specie, allora it limite sarebbe biostratigrafico e non cronostratigrafico.

Cronostratigrafia, geocronologia e scala cronostratigrafica standard globale

499

GEOLOGICAL SECTION SHOWING THE STRATOTYPE OF THE SILURIAN DEVONIAN BOUNDARY. THE INTERNATIONAL COMMISSION ON STRATIGRAPHY ACCEPTED IT AS THE WORLD STANDARD OF THIS BOUNDARY AT THE 24TH SESSION OF THE INTERNATIONAL GEOLOGICAL CONGRESS IN MONTREAL IN 1972. THE BOUNDARY IS WITHIN THE BED NO. 20.

43

MEMIN ■ =111111111

Fig. 8.43 — a, La sezione di Klonk (visibile sullo sfondo in a e indicata con A-A') in Cecoslovacchia, non lontano da Praga a stata scelta, come si pub leggere anche nella targa sull'apposito monumento, come stratotipo del limite Siluriano/Devoniano. Il limite 6 definito, all'interno dello strato 20, dall'orizzonte fisico in cui si osserva la prima comparsa del graptolite Monograptus uniformis. b, colonnina stratigrafica della sezione; c. Particolare fotografico della sezione a cavallo del limite (da Chlupac & Kukal, 1977; foto I. Chlupac, Servizio Geologico di Praga).

500 Fossili e stratigrafia Va considerato, inoltre, anche un altro aspetto del problema inerente alla «stabilita», uno dei requisiti fondamentali dei limiti cronostratigrafici. E possibile che in altre localita la specie compaia in tempi diversi, rispetto al tempo della sua comparsa nella sezione del Klonk; oppure (anche se altamente improbabile) che nella stessa sezione di Klonk, M. uniformis possa essere scoperto, in futuro, in livelli pin antichi del punto che definisce it limite. Queste eventualita, dopo che si 6 fissato it limite, sono di esclusiva pertinenza biostratigrafica, in quanto 6 it punto scelto che definisce it limite e non M. uniformis. La definizione dei limiti cronostratigrafici standard e globali e, infatti, svincolata da qualsiasi evento fisico o biologico, eventi che sono utilizzati esclusivamente come elementi tempo-diagnostici. d2) Il caso del limite Plio-Pleistocene La storia della definizione del limite Plio-Pleistocene 6, probabilmente, la phi cornplessa, articolata e «sofferta» tra quelle dei limiti cronostratigrafici. La vicenda, iniziata con Lyell (1833), uno dei padri fondatori della moderna geologia, si a conclusa recentemente (1985) con la decisione, da parte degli organismi internazionali, di definire it limite Plio-Pleistocene tramite la base del livello argilloso al tetto dello strato sapropelitico e della sezione di Vrica (Crotone) (Bassett, 1985). Il dibattito sul limite Plio-Pleistocene a esemplare per comprendere i problemi insiti nella definizione di un limite nella scala cronostratigrafica. Data la vastita dell'argomento, oggetto di controverse interpretazioni per pit' di un secolo, non ci si puo che limitare ad una breve sintesi. Nella prima meta dell'Ottocento si appurO progressivamente, con prove sempre pia convincenti, che la storia piu recente della Terra era stata caratterizzata da una grande avanzata dei ghiacci sui continenti. Da Forbes (1846) in poi, it Pleistocene, originariamente definito da Lyell (Finestra 8.11), divenne sinonimo di «Epoca glaciale». Nel 1876, De Stefani propose di correlare l'inizio dell'Epoca glaciale, documentata sui continenti dai depositi morenici e dalla morfologia glaciale, con la comparsa piu antica, nelle successioni terziarie del Mediterraneo, dei primi molluschi marini di significato climatico temperato-freddo. Queste specie, indicate in letteratura come ospiti boreali o ospiti nordici, sono oggi prevalentemente diffuse nell'Oceano Atlantico, dalla Francia settentrionale verso Nord. L'interpretazione di De Stefani facilmente comprensibile: con l'inizio dell'avanzata dei ghiacci sui continenti e, quindi, con it raffreddamento del clirna, le faune dei man settentrionali migrarono in parte verso Sud e penetrarono nel Mediterraneo. Da De Stefani in poi, it criterio della comparsa degli ospiti boreali, in particolare del bivalve Arctica islandica, la specie pia rappresentativa del contingente, divenne it principale criterio per riconoscere it limite Plio-Pleistocene nel Mediterraneo. Questo criterio venue accettato al Congresso Geologico Intemazionale di Londra (1948), in cui si ratificb the it limite andava collocato nelle successioni del Neogene italiano, in coincidenza con la prima indicazione di deterioramento climatico sulla base dei cambiamenti faunistici. Nello stesso congresso si raccomando, inoltre, di accettare come limite Plio-Pleistocene la base del «piano» Calabriano, come definito da Gignoux nel 1913 tramite la prima comparsa degli ospiti boreali nel Mediterraneo (ma senza riferimento ad una particolare sezione). Si pensava allora (ma erroneamente) che it limite cosi definito fosse correlabile con la base della formazione del Red Grag (East Anglia), caratterizzata anch'essa da ospiti di origine ancor pia settentrionale; in realta, it limite non era «esportabile» nelle aree extramediterranee ed

Cronostratigrafia, geocronologia e scala cronostratigrafica standard globale 501

anche nello stesso Mediterraneo gli ospiti boreali costituivano un mezzo di correlazione approssimativo. Come tutti i bentonici, infatti, gli ospiti boreali presentano una distribuzione a mosaic() condizionata dai fattori edafici e batimetrici. La storia della definizione del limite, dal 1948 agli anni '80, 6 densa di « avvenimenti», di fatti e di progresso difficilmente riassumibili in modo sintetico. Prescindendo dalla cronologia della «storia», ne sottolineiamo solo i punti salienti per comprendere come si 6 arrivati all'attuale definizione: 1) La definitiva accettazione, da parte delle commissioni internazionali, dell'arrivo degli ospiti boreali nel Mediterraneo come criterio storico per definire it limite PlioPleistocene. Come conseguenza, l'Italia meridionale, dove era stato definito il Calabriano di Gignoux, diveniva l'area-tipo del limite e lo stratotipo per definire it limite andava scelto in una delle sue sezioni. 2) Il limite Plio-Pleistocene avrebbe dovuto essere idealmente definito in corrispondenza dell'orizzonte fisico, in cui si riscontra la pin antica comparsa degli ospiti boreali, di una sezione dell'Italia meridionale, continua, ben esposta e ricca di eventi tempo-diagnostici utili per il riconoscimento del limite su scala globale. Tuttavia: a) Le sezioni classiche di Gignoux, in particolare quella di Santa Maria di Catanzaro, proposta da Selli nel 1967 come sezione-tipo del Calabiiano, si sono rivelate inadeguate per la loro carente esposizione e, soprattutto, perche molto pin recenti dell'arrivo degli ospiti boreali. La sezione di Le Castella (Crotone), proposta come stratotipo del limite Plio-Pleistocene da Selli (1967), presenta disturbi tettonici e una lacuna stratigrafica proprio in coincidenza con la base del livello sabbioso (intercalato in una successione fangoso-argillosa di ambiente batiale), indicato come «marker bed », che avrebbe dovuto definire it limite. b) La scelta di uno « stratotipo ideate risultava difficile, perche nessuna delle sezioni conosciute era caratterizzata contemporaneamente da una grande ricchezza di eventi tempo-diagnostici e dalla presenza degli ospiti boreali. Infatti, gli ospiti boreali sono limitati, di regola, ad ambienti di acque basse, mentre i bioeventi tempo-diagnostici sono pin comuni in successioni di mare profondo. 3) Lo studio delle successioni a molluschi ha permesso di stabilire che i primi livelli ad Arctica islandica della sezione Plio-Pleistocenica del Torrente Stirone (Parma) approssimano la prima comparsa di Arctica islandica nel Mediterraneo. La sezione, almeno dal Piacenziano superiore, 6 costituita da una successione di calcareniti, sabbie e limi di ambiente infra e circalitorale, povera di eventi tempo-diagnostici; tuttavia, secondo Rio (in Pelosio et al., 1980), circa 10 m al di sopra della prima comparsa di Arctica islandica, nella sezione dello Stirone, si riscontra il FAD di Gephyrocapsa oceanica (nannofossile calcareo), un bioevento ritenuto da molti autori pressoche sincrono e globale alle basse e medie latitudini, che segue di poco (o approssima) it tetto del subcrono Olduvai e the a stato calibrato numericamente, dalla maggior parte degli autori, intorno a 1,55-1,68 m.a. (Backman,Shackleton & Tauxe 1983; Berggren et al., 1985; Rio et al., 1990, ecc.). Secondo Rio et al. (1985), la comparsa di Arctica islandica nella sezione del T. Stirone a seguita immediatamente da forme transizionali a G. oceanica e questo permette di ipotizzare che la comparsa di A. islandica approssimi it tetto dell'Olduvai. 4) La sezione di Vrica (Crotone), proposta come stratotipo del limite da Selli et al. (1977), 6 costituita da una successione continua e ben esposta di silt-marnoso-argillosi di ambiente batiale (di profondita superiore ai 500 m). Essa presenta tutti i requisiti necessari per una ottimale definizione del limite e, condizione indispensabile, 6 ricca di bioeventi tempo-diagnostici, utili per riconoscere it limite globalmente; l'unico

502 Fossili e stratigrafia

«difetto» e costituito dall'assenza di «sicuri» ospiti boreali. Nei primi anni '80 si riteneva (ma senza prove sicure) che la comparsa dell'ostracode Cytheropteron testudo nelle sezioni di ambiente batiale del Mediterraneo approssimasse la comparsa di A. islandica nelle sezioni di ambiente infra e circalitorale. Pertanto gli autori italiani proposero di collocare it limite in corrispondenza del primo livello di comparsa di C. testudo. In una riunione del gruppo di lavoro sul limite Plio-Pleistocene (Madrid, 1983) venne poi proposto di porre it limite in corrispondenza del tetto del livello e, che precedeva di poco la comparsa di C. testudo. In seguito si appuro che la comparsa di C. testudo pochi metri al di copra del livello e era del tutto «casuale» in quanto la specie era gia presente nel Pliocene del Mediterraneo. Tuttavia la scelta di definire it limite P/P tramite it tetto del livello litostratigrafico e della sezione di Vrica, indipendentemente dalla sua relazione con la comparsa di C. testudo, risultava corretta, sia perche rispettosa dei concetti storici, sia perche it limite cosi defmito era riconoscibile globalmente. Infatti: (a) it tetto del livello 6 compreso tra it tetto del subcrono 01duvai e it FAD di Gephyrocapsa oceanica (Finestra 8.9; fig. 8.44) ed a quindi correlabile, con i dati oggi a disposizione, con la prima comparsa degli ospiti boreali nel Mediterraneo; (b) it livello e approssima it tetto del subcrono Olduvai ed e compreso tra importanti bioeventi utili per correlazioni globali. Tenendo conto dell'elevato tasso di sedimentazione e della distanza stratigrafica tra it tetto dell'Olduvai e it tetto del livello e (che costituisce la definizione del limite), gli autori concordano nel ritenere che it limite Plio-Pleistocene, definito con it tetto del livello e, sia praticamente sincrono o solo poco pia recente del subcrono Olduvai (1,67 m.a.). STRATOTIPO DEL LIMITE PLIOPLEISTOCENE(VRICA, Calabria) Lito!ogle

Magnetostratigrafia

Principali eventi biostratigrafici

SEZIONE DEL TORRENTE STIRONE (Emilia) Litostratigrafia e biostratigrafia

N2

m

Hyalinea baltica _t_ Calcidiscus: T maointyrei GeiFyrocapsa Gephyrocapsa oceanica s.l. oceanica limite Plio-Pleistocene

e 7_7= N2

N1

a

F

30 20 10 Om

Hyalinea baltica

Arctica islandica rr 20 15 10 5 Om

Discoaster brouweri

Livello di cenere vulcanica - Livello di sapropel

Fig. 8.44 — Il FAD di Gephyrocapsa oceanica nella sezione di Vrica (Crotone) (stratotipo del limite Plio-Pleistocene) e nella sezione del torrente Stirone (Emilia occidentale) permette di ipotizzare che it limite Plio-Pleistocene, definito nella sezione di Vrica, sia penecontemporaneo con la prima comparsa degli ospiti boreali nel Mediterraneo (spiegazione nel testo) (modificato da Pelosio et al., 1980; dati da Aguirre & Pasini, 1985; Tauxe et al., 1983, ecc.). Le zone di magnetopolarita. N1 e N2 sono state correlate con it subcrono Olduvai, in quanto comprese tra i LAD di Discoaster brouweri e di Calcidiscus macintyrei

(Finestra 8.9).

Cronostratigrafia, geocronologia e scala cronostratigrafica standard globale 503

Il limite Plio-Pleistocene cosi definito a riconoscibile globalmente, sia nelle sezioni marine, tramite la biostratigrafia e la magnetostratigrafia, sia nelle sezioni continentali, tramite la magnetostratigrafia. Il limite, inoltre, non presenta piit nessuna implicazione climatica o biostratigrafica e, ovviamente, non pub piu essere cambiato, anche se si scoprisse che i primi ospiti boreali sono comparsi nel Mediterraneo in tempi precedenti o successivi.

FINESTRA 8.11 - LA SUDDIVISIONE STRATIGRAFICA DEL TERZIARIO Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, gli stratigrafi arrivarono alla suddivisione stratigrafica del Mesozoico, e in parte del Paleozoico, prima ancora di quella del Cenozoico. La giacitura e la continuity delle rocce del Mesozoico e del Paleozoico, nell'Europa occidentale, costituiscono una situazione ideale per la loro suddivisione stratigrafica e la loro correlazione. Completamente diversa a invece la giacitura e la distribuzione geografica delle formazioni del Terziario che hanno avuto origine in bacini relativamente poco estesi e isolati (fig. 8.45). I termini Terziario (G. Arduino, 1760) e Cenozoico (J. Phillips, 1840) sono stati spesso usati come sinonimi in letteratura. Nell'uso corrente attuale it Cenozoico comprende it Paleogene, it Neogene, it Pleistocene e l'Attuale (vedi la Global Stratigraphic Chart all'inizio del volume), mentre it Terziario (sempre meno utilizzato) comprende solo it Paleogene ed it Neogene. La suddivisione stratigrafica del Terziario da parte di Lyell (1833), Bronn (1831) e Deshayes (1830) costituisce una tappa fondamentale nella storia della biostratigrafia; divenne infatti evidente, per la prima volta, che le successioni stratigrafiche potevano essere suddivise in units solo sulla base del loro contenuto in fossili, indipendentemente dalle successioni litologiche (Hancock, 1977). Lyell (1833), nei suoi «Principles of Geology», propose la suddivisione del Terziario in quattro « periodi (epoche) successivi: Eocene, Miocene, Older Pliocene e Newer Pliocene (ridenominati rispettivamente Pliocene e Pleistocene dallo stesso Lyell ne11839). Il criterio di suddivisione, di successione e di correlazione degli strati del Terziario era fondato sulla constatazione che la percentuale delle specie di molluschi marini in comune con l'Attuale era molto elevata nelle formazioni di alcuni bacini, mentre era meno elevata in altri; la conclusione ovvia, confermata dalle osservazioni geologiche, era che le formazioni erano tanto piu recenti, quanto piu alta era la percentuale di specie ancora viventi nella documentazione fossile. In particolare, certe formazioni fossilifere, come quelle dei bacini di Londra e di Parigi a

a = rocce primarie

b= formazioni secondarie pie antiche

formazioni secondarie pie recenti (chalk)

d - formazioni terziarie

Fig. 8.45 - Le formazioni paleozoiche e mesozoiche in Europa presentano una grande continuita rispetto a quelle cenozoiche, che hanno avuto origine in un mosaico complesso di bacini isolati relativamente estesi. Questo fu uno dei motivi per cui gli stratigrafi riuscirono a suddividere e a correlare le successioni stratigrafiche del Paleozoico superiore e del Mesozoico prima di quelle del Terziario (da Lyell, 1833).

504 Fossili e stratigrafia (Eocene), contenevano una percentuale di specie ancora viventi non superiori al 3,5%, altre, come quella della Gironda, della Loira e della Collina di Torino (Miocene), ne contenevano una percentuale intorno at 17%, altre ancora, come la «Formazione del Subappennino» di Brocchi (Pliocene), arrivavano ad una percentuale tra i135 e 40% (Pliocene), infine, alcune formazioni della Sicilia presentavano una fauna costituita per i190-95% (Pleistocene) da specie ancora viventi. 8.7.6 — Le correlazioni cronostratigrafiche

Le correlazioni cronostratigrafiche o cronocorrelazioni hanno lo scopo di riconoscere le relazioni temporali delle units stratigrafiche o, in generale, delle rocce. In senso stretto le correlazioni cronostratigrafiche devono essere basate su crono-orizzonti. Tenendo conto del suo significato letterale, un crono-orizzonte non dovrebbe presentare alcuno spessore, ma nella pratica questo termine viene riferito a livelli di modesto spessore, limitati da superfici fisiche sincrone. Si ammette, cioe, che gli orizzonti cronostratigrafici siano corpi isocroni (di eguale durata; Schoch, 1989). Nella geocronologia it termine crono-orizzonte corrisponde ad un istante geologico («moment° », ISG, 1976). I crono-orizzonti, detti anche livelli guida (marker beds, marker horizons, key beds, datum levels, ecc.), possono essere rappresentati da superfici di strato, livelli di cenere vulcanica e carbon fossile, riflettori sismici, livelli torbiditici ben riconoscibili (come il famoso Livello Contessa della Formazione Marnoso-Arenacea (Miocene) dell'Appennino centro-settentrionale), ecc. Questi crono-orizzonti che derivano da eventi geologicamente istantanei (da poche ore a migliaia di anni), consentono di ottenere la massima precisione e risoluzione stratigrafica possibile; la loro utilizzazione, pero, a generalmente limitata solo nell'ambito di singoli bacini. Questi mezzi di cronocorrelazione hanno, dunque, solo un valore locale e la correlazione delle successioni stratigrafiche locali con la Scala Cronostratigrafica Standard Globale viene effettuata tramite le biocorrelazioni, anche se con una precisione e una risoluzione stratigrafica molto inferiore. Le correlazioni biostratigrafiche, in genere, possono solo approssimare le cronocorrelazioni; tuttavia, molti bioeventi (FAD e LAD) sono oggi considerati pressoche sincroni a livello globale e quindi sembrano individuare dei veri e propri crono-orizzonti (si consideri it caso di fig. 8.34). Seppure con un grado di precisione inferiore alla stratigrafia fisica, anche le inversioni di magnetopolarita e le variazioni globali del rapporto 180/160, almeno durante il Pleistocene, possono essere considerate eventi globalmente sincroni che, potenzialmente, individuano anch'essi dei veri e propri crono-orizzonti. In conclusione, solo la stratigrafia fisica consente di effettuare vere e proprie cronocorrelazioni in senso stretto, anche se limitate arealmente; tutti gli altri mezzi tempodiagnostici tendono solo ad approssimare le cronocorrelazioni. Occorre osservare tuttavia che soprattutto nel Neogene, quando e possibile l'integrazione di pin mezzi di correlazione (stratigrafia paleomagnetica, stratigrafia isotopica, radiometria, biostratigrafia, ecc.) it grado di affidabilita e di approssimazione delle cronocorrelazioni puO divenire molto elevato e puo raggiungere valori di 10.000 anni (Berggren & Van Couvering, 1978).

8.7.7



Geocronometria, Geocronologia e Cronostratigrafia

Le units della scala geocronologica e cronostratigrafica sono definite tramite gli stessi punti di riferimento standard e dunque la cronostratigrafia e la geocronologia sono due aspetti della stessa procedura (Harland et al., 1989).

Cronostratigrafia, geocronologia e scala cronostratigrafica standard globale

505

Nella ISG (1976), come anche nel NASC (1983), la geocronologia 6: «la scienza della datazione e della determinazione della successione degli eventi nella storia della Terra>>; mentre la geocronometria «e quella branca della geocronologia che riguarda la misura quantitativa del tempo geologico (usualmente in anni)» Altri autori pea) utilizzano solo it termine geocronologia, sia per le datazioni relative sia per quelle numeriche. La geocronometria permette di esprimere in anni (seppure in modo approssimato) i limiti geocronologici definiti dalle units cronostratigrafiche e rappresenta, quindi, un importantissimo progresso, ma e concettualmente diversa dalla geocronologia. Il NASC (1983) prevede delle vere e proprie units geocronometriche, ben distinte da quelle geocronologiche (e ovviamente cronostratigrafiche). Le units geocronologiche sono definite tramite punti fissati sulla roccia, mentre le units geocronometriche sono stabilite mediante la diretta divisione del tempo secondo un criterio di utilita, come ad esempio si a attuato per it Precambriano (Finestra 5.3). La tendenza attuale a quella di arrivare ad una calibratura geocronometrica, e quindi numerica, della Scala Cronostratigrafica. In questa ottica, una Scala Geocronologica, cioe una Scala Geologica del Tempo, pue risultare composta da una Scala Cronostratigrafica, che la definisce e da una Scala Geocronometrica, che fornisce una stima numerica dei limiti delle units geocronologiche (Schoch, 1989; Harland et al., 1989).

Guida bibliografica (1) AGER, D.V. (1981), The nature of the Stratigraphical Record, Mac Milian, London, 1-121. (2) AZZAROLI, A., crrA, M.B. (1975), Geologia Stratigrafica, vol. 1, Cisalpino-Goliardica, 1-262. (3) BOSELLINI, A., mum, E., RICCI LUCCHI, F. (1989), Rocce e successioni sedimentarie, UTET, Torino,

1-395. (4) BRIGGS, D.G., CROWTHER, P.R.

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Oxford, 1-583. (1989), A Geologic Time Scale, Cambridge University Press, 1-263. (6) HOLLAND, c.x. (1986), Does the golden spike glitter?, «Jour. Geol. Soc. London», 143, 3-21. (7) ISSC-INTERNATIONAL SUBCOMMISSION ON STRATIGRAPHICAL CLASSIFICATION (1976), International Stratigraphic Guide (IGS), in H.D. Hedberg (ed.), John Wiley. (8) POMEROL, C., BABIN, C., LANCELOT, Y., LE PICHON, RAT, P., RENARD, M. (1987), Stratigraphie, Doin Editeurs, Paris, 1-283. (9) PROTHERO, D.R. (1990), Interpreting the stratigraphic record, W.H. Freeman, New York, 1-410. (10) SALVADOR, A. (ed.) (1994), International Stratigraphic Guide (2nd edition), The Geological Society of America and Int. Union of Geol. Sciences, 1-220. (11) scuocu, R.M. (1989), Stratigraphy, Principles and Methods, Van Nostrand Reinhold, New York, 1-375. (5) HARLAND, W.B., ARMSTRONG, R.L., COX, A.V., CRAIG, L.E., SMITH, A.G., SMITH, D.G.

9. LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI FOSSILI

9.1 — INTRODUZIONE: LA BIOGEOGRAFIA E LE SUE PART! La biogeografia e lo studio della distribuzione delle piante e degli animali sulla Terra e delle cause che l'hanno determinata. L'analisi dei fattori responsabili della distribuzione dei taxa comporta lo studio della loro storia evolutiva, delle loro interazioni con l'ambiente, e della storia ambientale e climatica del loro areale. La biogeografia e dunque una scienza interdisciplinare che si awale della ecologia, della paleoecologia e della geologia storica. Le radici degli studi biogeografici risalgono a Linneo e a Buffon (Cap. 1), ma solo con l'800 si pose it problema delle cause della distribuzione dei taxa e della distinzione sulla Terra di aree con caratteri faunistici e floristici ben definiti (indicate successivamente come bioprovince o regioni biogeografiche; § 9.6). L'origine della biogeografia come disciplina a se stante risale comunque a Darwin e a Wallace, i primi che tentarono di interpretare le affinita e le differenze biotiche delle vane regioni della Terra. La relazione tra la distribuzione dei taxa e le barriere geografiche apparve interpretabile solo tramite l'evoluzione biologica e i fenomeni di isolamento determinati dalle barriere geografiche. Questo particolare approccio, fondato essenzialmente sulla storia della distribuzione dei taxa e delle sue cause geografiche, ha assunto la denominazione di biogeografia storica o geografica. La biogeografia storica non e tuttavia sufficiente per spiegare la distribuzione dei taxa e in particolare di quelli di ordine gerarchico inferiore. La distribuzione degli organismi e infatti determinata anche dalle loro esigenze ambientali (temperatura, luce, salinita, ecc.) e costituisce oggetto di studio della biogeografia ecologica. La distinzione della biogeografia storica dalla biogeografia ecologica ha una precisa origine storica ma 6 evidente che questi due settori sono inscindibili. Essi infatti rappresentano due tendenze di ricerca complementari che concorrono ad interpretare le cause e i «patterns» della attuale distribuzione. La paleobiogeografia 6 la biogeografia del passato. Le due discipline sono legate da una relazione inscindibile di interazione conoscitiva: la biogeografia si awale della paleobiogeografia per giustificare la distribuzione attuale dei taxa e la paleobiogeografia si avvale dei modelli della biogeografia ecologica per una interpretazione delle unita biogeografiche del passato. La loro distinzione, nonostante la grande affinita e interdipendenza, a pienamente giustificata. Tra paleobiogeografia e biogeografia esiste infatti un rapporto analogo a quello che esiste tra paleoecologia ed ecologia; it biogeografo osserva direttamente l'ambiente di vita e la distribuzione degli organismi mentre it paleobiogeografo tenta di ricostruire la distribuzione degli organismi senza una sicura base geografica. La ricostruzione paleogeografica rappresenta, del resto, una delle applicazioni putt importanti della paleobiogeografia anche se quest'ultima, come tutte le discipline paleontologiche, a condizionata dalla selettivita del processo

508 La distribuzione geografica dei fossili

di fossilizzazione e dalla distribuzione e dalla ricchezza degli affioramenti fossiliferi (Cap. 2). La paleobiogeografia e la biogeografia hanno svolto un ruolo determinante nella scoperta e nella documentazione della deriva dei continenti e nella ricostruzione dell'evoluzione geografica e climatica della Terra. Basti pensare che gia nel 1859, dunque 50 anni prima di Wegener, Snider-Pellegrini ricorre all'ipotesi della deriva continentale per spiegare la distribuzione delle piante fossili. Come 6 stato sottolineato (Hallam, 1973), la documentazione biogeografica e paleobiogeografica, integrata da quella paleoclimatica, erano gia sufficienti per documentare la deriva dei continenti mezzo secolo prima della messa a punto della tettonica delle placche. Ancora oggi, nonostante i grandi progressi dei metodi geofisici, it ruolo della documentazione fossile nella ricerca paleogeografica rimane insostituibile e propositivo.

9.2 - LA BIOGEOGRAFIA STORICA: DISPERSIONE E VICARIANZA La distribuzione dei taxa e it processo evolutivo sono ritenuti due fenomeni concomitanti e inseparabili. Esiste pera un dibattito quanto mai acceso sugli aspetti biogeografici del processo evolutivo. Il punto focale della discordia si concentra sui meccanismi che hanno determinato, nel corso della storia della Terra, la distribuzione degli organismi. Esistono a questo proposito due modelli presentati come antitetici ma in realty ben integrabili: it modello della dispersione e it modello della vicarianza.

9.2.1 — 11 modello della dispersione Il modello della dispersione (Dispersionismo) prevede che tutti i gruppi tassonomici si originino e si differenzino all'interno di aree ristrette, dette centri di origine o centri di dispersione, dalle quali le specie si disperdono in tutte le direzioni per migrazione attiva o per trasferimento passivo fino a che non incontrano una barriera insormontabile. Questo processo prevede che le popolazioni, durante la dispersione dal centro di origine, vengano isolate da barriere geografiche, inizialmente tenui («permeabili») e temporanee ma poi invalicabili, dando cosi origine a specie allopatriche (§ 4.11.2). Uno degli obiettivi principali dei sostenitori del modello della dispersione a l'individuazione dei centri di origine. Non esiste pea) una identity di vedute sulle caratteristiche dei centri di dispersione. Secondo i sostenitori del modello della dispersione che risale a Darwin (1859) e a Wallace (1876) e che ha avuto tra i suoi piu importanti capiscuola Darlington (1957) e Simpson (1965), nei centri di dispersione si trovano i taxa piu recenti del gruppo mentre quelli piu antichi sono localizzati in periferia (« dispersionismo classico»). Le specie derivate tenderebbero dunque a spingere in periferia quelle ancestrali. I centri di dispersione rimarrebbero quindi nel tempo attive aree di speciazione. Gli aderenti a questa scuola hanno sottolineato che la documentazione paleontologica a essenziale per comprendere la storia biogeografica di un taxon in quanto i fossili piu antichi, con tutta probability, dovrebbero essere localizzati vicino al centro di origine (Darlington, 1957, 1959; Simpson, 1965). Scrive infatti Darlington (1959, p. 314): In una documentazione paleontologica attendibile i fossili phi primitivi di un gruppo si troveranno nel centro di origine mentre i fossili dei discendenti indicheranno chiaramente le direzioni del movimento.

La biogeografia storica: dispersione e vicarianza 509

Barriera Barriera

0 0 E

0 F-

1I a)

b)

Fig. 9.1 — Interpretazione della speciazione allopatrica secondo i dispersalisti (a) e i vicarianisti (b). a, Una barriera preesistente viene attraversata, in un punto, da una piccola popolazione che, coll'isolamento, inizia a differenziarsi. b, La barriera che isola una parte della popolazione e di nuova formazione (da P.L. Forey, 1981).

La scuola del