Il sistema educativo giapponese, 1945-2002
 8879994964, 9788879994965

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Daniela De Palma

Il sistema educativo giapponese 194 /2002

ARACNE

Copyright © MMIII, ARACNE EDITRICE S.R.L. 00173 Roma, via Raffaele Garofalo, 133 A/B tel. (06) 72672222 telefax 72672233 www.aracne-editrice.it [email protected] ISBN 88-7999-496-4

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. I edizione: maggio 2003

INDICE

Premessa ..................................................................................................

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1. Breve storia del sistema scolastico dal 1868 al 1945 ........................

9

2. La riforma del sistema scolastico attuata dalle Forze di Occupazione Alleate ...................................................

11

3. Il processo di revisione del sistema educativo dopo il 1952 ............

15

4. La struttura del sistema educativo .....................................................

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5. Le distorsioni del sistema educativo .................................................. a) L’importanza del curriculum scolastico ......................................... b) Il sistema di valutazione ................................................................ c) Gli esami di ammissione ................................................................ d) La discriminazione economica ....................................................... e) La violenza giovanile .................................................................... f) Il bullismo .................................................................................... g) Il "rischio salute" ..........................................................................

29 29 33 34 36 37 41 43

6. Il dibattito sulla riforma negli ultimi anni .........................................

44

7. Il peggioramento della situazione giovanile .....................................

61

8. Giudizi sul problema ..........................................................................

70

9. Perché non cambia il sistema? ...........................................................

79

Bibliografia ..............................................................................................

83

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PREMESSA

L’articolo 26 della Costituzione giapponese, promulgata il 3 novembre 1946 ed entrata in vigore il 3 maggio 1947, sancisce: “Tutti i cittadini hanno il diritto di ricevere un’eguale educazione corrispondente alle loro abilità nei termini descritti dalla legge. Tutti i cittadini hanno il dovere di dare a tutti i bambini, maschi e femmine, sotto la loro tutela l’educazione dell’obbligo prevista dalla legge. La scuola dell’obbligo sarà gratuita”. Nel maggio 1998 circa 22.3 milioni di persone stavano ricevendo educazione in Giappone dall’asilo al livello universitario, delle quali circa 12 milioni l’educazione obbligatoria nelle scuole elementari e medie (7.663.533 e 4.380.604 rispettivamente); 1.786.129 stavano frequentando l’asilo, 4.258.385 le scuole superiori, 2.668.086 le università, 416.825 gli istituti universitari biennali, 56.214 gli istituti para-universitari di tecnologia, 761.049 speciali scuole di formazione, e 253.093 scuole di vario tipo, escluse le scuole per disabili e le scuole specializzate nella preparazione per gli esami di ammissione all’università. In tale data vi erano in Giappone 24.295 scuole elementari, 11.236 scuole medie, 5.493 scuole superiori, 983 scuole speciali (per ciechi, sordi e altri disabili), 604 università, 588 istituti universitari biennali e 14.603 asili. Sempre nel 1998, il tasso di frequenza scolastica per i nove anni di scuola dell’obbligo era del 99.98%; il tasso di avanzamento dalla scuola dell’obbligo alla scuola superiore era del

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96.8%, mentre il tasso di avanzamento alle università e agli istituti universitari biennali era del 48.2%.1 Altre prove del buon funzionamento del settore dell’istruzione in Giappone sono la bassissima percentuale di analfabetismo e l’enorme diffusione di libri, giornali e riviste, di cui i giapponesi sono avidi lettori. In base alle statistiche disponibili, infatti, nel 1998 sono stati pubblicati in Giappone 65.513 nuovi libri (1 miliardo e 43 milioni di copie), 3.271 riviste mensili (3 miliardi e 22 milioni di copie) e 1.879 settimanali (1 miliardo e 83 milioni di copie). La diffusione dei 121 quotidiani pubblicati nel paese era nel 1998 di 72 milioni e 400.000 copie, con una media di 576 quotidiani ogni 1.000 abitanti, il tasso di diffusione più alto del mondo.2 Questo sistema educativo è il frutto di due grandi riforme, messe in atto velocemente e con estrema determinazione, in due momenti storici di grande trasformazione, nel 1872 e nel 1947. Da alcuni anni, tuttavia, questo sistema apparentemente perfetto sta evidenziando alcuni gravi difetti, che causano numerosi disagi agli studenti e alle loro famiglie. E’ in atto, quindi, un processo di esame e valutazione del sistema per cercare le soluzioni più appropriate ed attuare una nuova e necessaria riforma.

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Japan – A Pocket Guide, 2000 Edition, Foreign Press Center, Japan, 2000, pp.160-161. 2 Ivi, pp. 179-181. 8

1. Breve storia del sistema scolastico dal 1868 al 1945

Il 3 gennaio 1868 fu proclamata in Giappone la restaurazione del potere imperiale, Restaurazione Meiji, nel 1871 fu abolito il feudalesimo, e con esso scomparve l’ordine politico, militare, sociale, economico e spirituale imposto dalla famiglia dei Tokugawa, che aveva regnato incontrastata sull’arcipelago per oltre duecentocinquanta anni, mantenendo sotto controllo l’intero territorio nazionale per mezzo di una rete di signori feudali. I governanti Meiji cercarono di trasformare il Giappone da un paese feudale in uno stato moderno e unificato, sforzandosi di apprendere in pochi anni il più possibile dalla civiltà e dalla cultura dell’occidente, introducendo riforme e cambiamenti in ogni settore. Tutti provenienti dalla classe samuraica dei vecchi feudi, che rappresentava l’elite culturale del paese, e avendo assimilato, tramite la dottrina confuciana, un profondo rispetto per la cultura, i governanti Meiji erano fermamente intenzionati ad usare l’istruzione come strumento di modernizzazione, e dedicarono molta attenzione al settore educativo. Già nel periodo Tokugawa, infatti, c’erano in Giappone 50.000 scuole, tra terakoya (scuole dei templi buddisti, dove si insegnava a scrivere, leggere e far di conto alle classi più basse) e scuole dei feudi, hankô, prima aperte solo alla classe samuraica, poi anche alle altre classi, nelle quali l’istruzione si basava principalmente sui concetti della dottrina confuciana che dava importanza soprattutto all’apprendimento mnemonico e allo studio dei classici cinesi.3 Si calcola che nel 1868 il 43% dei maschi e il 15% delle donne sapessero 3

Dore, Ronald P, Education in Tokugawa Japan, University of California Press, Berkeley, 1965. 9

leggere e scrivere. Nel 1871 fu istituito il Ministero dell’Educazione (Monbushô), e nel 1872 nacque il nuovo sistema scolastico (gakusei). Si trattava di un sistema di educazione obbligatoria sotto la direzione dello Stato, che prevedeva la divisione del paese in 8 distretti scolastici, in ciascuno dei quali vi sarebbero state un’università, 32 scuole secondarie e 6.720 scuole primarie, dove tutti i fanciulli che avevano compiuto i sei anni avrebbero ricevuto sedici mesi di istruzione obbligatoria. Nel 1880 vi erano già 28.000 scuole primarie con oltre 2 milioni di scolari (circa il 40% dei fanciulli in età scolastica) ed era già stato possibile elevare il periodo di istruzione obbligatoria a tre anni. Nel 1886 la frequenza fu del 46%, e il periodo fu aumentato di un altro anno, ed era già del 60% nel 1895, del 90% nel 1900, del 95% del 1906. Nel 1886 numerosi istituti governativi di istruzione superiore, fusi nel 1877, furono riorganizzati formando l’Università Imperiale di Tôkyô4. L’educazione era diventata così obbligo e diritto di tutti, nella convinzione che solo se si fossero formati individui ben istruiti ci sarebbe stato progresso economico e si sarebbe potuta costruire una nazione ricca e forte (l’obiettivo del Giappone era quello di liberarsi dei trattati ineguali, il motto era fukoku kyôhei “paese ricco, esercito forte”). Considerando che nel 1870 la Gran Bretagna aveva deciso un sistema di educazione obbligatoria, il Giappone diventava la seconda nazione al mondo con un sistema di educazione universale5. Nei primi anni il modello del sistema educativo fu quello francese, l’insegnamento era affidato a maestri americani ed europei, i pro4

Beasley, W.G., Storia del Giappone Moderno, Einaudi, 1975, pp.171-172. Pittau, Giuseppe ,"La prima fase dell’era Meiji. Modernizzazione o occidentalizzazione?", in Istituto Giapponese di Cultura, Il Giappone moderno alla ricerca dell’Occidente, Roma, 1994, p.23. 5

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grammi erano di tipo occidentale. Nel 1886 fu attuata una profonda riforma del sistema scolastico che correggeva l’orientamento individualistico e l’atteggiamento esageratamente filooccidentale degli anni precedenti a favore di un orientamento nazionalistico, che riaffermasse i valori tradizionali della cultura giapponese. La struttura scolastica forniva ora un addestramento pratico che seguiva un programma di tipo occidentale e un’educazione morale basata sull’etica confuciana. A coronamento di questa riforma, nel 1890 fu promulgato il Rescritto Imperiale sull’Educazione (Kyôiku Chokugo), che rappresentava il rilancio dei principi confuciani di lealtà e pietà filiale, fondamento della società e della famiglia, fusi nella visione dello Shintoismo di Stato, per cui l’imperatore costituiva il padre dello stato-famiglia a cui si doveva fedeltà e reverenza.6 I principi centrali dell’educazione giapponese, rinforzati dal Kokutai no hongi "Principi di politica nazionale" del 1937, e osservati fino al 1945, erano quindi il patriottismo e lo spirito di servizio e sacrificio per la nazione.

2. La riforma del sistema scolastico attuata dalle Forze di Occupazione Alleate

Al termine della seconda guerra mondiale, conclusasi per il Giappone il 15 agosto 1945 con l’accettazione dei termini della Dichiarazione di Potsdam e la resa, iniziò l’occupazione dell’arcipelago da parte del Comando Supremo delle Potenze Alleate (SCAP), diretto dal 6

Il testo del rescritto in Gatti, Franco, Il Giappone contemporaneo 1850-1970, Loescher, Torino, 1976, p.75. 11

Generale Mac Arthur. Gli obiettivi principali dell’occupazione erano disarmo, smilitarizzazione, decentramento della società giapponese. Per avviare un profondo processo di democratizzazione, che incoraggiasse il popolo a sviluppare le libertà individuali e i rapporti democratici, era certamente necessaria la rieducazione dei giovani e dei meno giovani, e soprattutto una totale trasformazione del sistema scolastico. La scuola era stata senza dubbio uno dei principali strumenti dell’indottrinamento ideologico con il quale erano stati inculcati valori quali il militarismo ed il nazionalismo, e i programmi educativi costituivano parte integrante del regime ed erano incentrati sullo sviluppo di cittadini completamente asserviti allo stato, leali e ciecamente obbedienti. Ora, all’indomani della sconfitta, il sistema scolastico giapponese versava in condizioni disastrose. Secondo le stime effettuate dagli americani, al momento della resa ben 18 milioni di studenti erano inattivi ed una gran parte di loro era stata trasferita in zone più sicure durante la guerra. Oltre quattromila scuole erano state completamente distrutte e molte altre avevano subito seri danni. Migliaia di insegnanti si ritrovavano senza casa, affamati, scoraggiati e con il morale a terra7. I libri di testo reperibili erano insufficienti; tra quelli a disposizione, molti erano talmente imbevuti di propaganda nazionalista da non poter essere più utilizzati. Lo SCAP prese subito dei provvedimenti: dai testi scolastici fu eliminato ogni riferimento al militarismo o alla presunta superiorità del Giappone rispetto agli altri popoli; la stessa sorte ebbero le riviste, i film, i libri e tutti gli altri strumenti di propaganda; furono eseguite consistenti purghe all’interno della 7

Beauchamp, Edward R., Education in Japan: a Source Book, New York, 1989, pp.85-86. 12

categoria degli insegnanti, rimuovendo dall’incarico tutti coloro che avevano mantenuto tendenze militariste e ultranazionaliste o che non si dimostrassero pronti a collaborare con le forze di occupazione; la direttiva del 31 dicembre del 1945 abolì lo Shintoismo di Stato, sospendendo tutti i corsi di etica, storia e geografia e bandendo dalle scuole ogni insegnamento dettato dalla dottrina shintoista, e che facesse riferimento alle mitiche origini del Giappone e alla natura dei poteri del sovrano. Lo stesso imperatore Hirohito, il 1 gennaio 1946, con un rescritto imperiale, via radio, negò formalmente la propria natura divina (Tennô no ningen sengen).8 Fu intrapreso, quindi, un imponente processo di riforma del sistema scolastico. Nel marzo del 1946 giunse in Giappone una missione statunitense composta da 27 membri, esperti nel settore educativo, presieduta da George Stoddard, che trascorse un mese nell’arcipelago9. La Legge Fondamentale per l’Istruzione, del 31 Marzo del 194710 (che fu seguita dalla Legge per i Consigli Scolastici, 1948, dalla Legge sugli Insegnanti Pubblici, 1949, e dalla Legge sull’Educazione Sociale, educazione degli adulti) diede veste legale e definitiva alle proposte degli esperti di educazione statunitensi. Il diritto all’istruzione, secondo l’art.3, avrebbe dovuto essere garantito a tutti gli studenti, indipendentemente dalle capacità, dalle origini, dal sesso, dalla religione, dalla razza e dalla posizione sociale ed economica di ognuno; grande risalto veniva dato alla crescita individuale degli studenti e allo sviluppo delle doti personali. La nuova

8 De Palma, Daniela, Storia del Giappone contemporaneo 1945-2000, Bulzoni Editore, Roma, 2003, p.61. 9 Testo del rapporto della missione, datato 6 aprile 1946, in Gatti F., op. cit., pp.175- 180. 10 Testo della legge in Gatti F., op. cit., pp.180-182.

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Costituzione del Giappone11 includeva svariati articoli di fondamentale importanza a sostegno della nuova politica educativa, e in particolare sanciva la libertà di insegnamento (art.23) e l’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione primaria (art.26). Il 9 giugno 1948 fu poi abolito ufficialmente dalla Dieta il Rescritto Imperiale sull’Educazione. In tal modo divenivano una garanzia da parte dello Stato l’aumento della durata dell’istruzione obbligatoria (l’obbligo scolastico fu innalzato sino all’età di 15 anni), la sua gratuità, la formazione delle scuole miste, lo stimolo alla cooperazione tra istituzioni scolastiche e famiglie per favorire un arricchimento sia dei giovani sia degli adulti, la libertà accademica, la tolleranza religiosa, ed il rispetto per le idee politiche altrui. Fu introdotto il sistema 6-3-3 costituito da 6 anni di scuola elementare, 3 di scuola secondaria inferiore e tre anni di scuola secondaria superiore (high school). Per coloro che intendessero proseguire gli studi oltre il livello secondario inferiore, furono infatti create delle scuole secondarie superiori miste, della durata di tre anni, non obbligatorie, e con un programma didattico basato sulla cultura generale, senza orientamento professionale, che offrivano un approfondimento agli studi compiuti nelle scuole secondarie inferiori. Accanto ad esse rimasero le scuole con diversi indirizzi, per chi aspirava ad un tipo di preparazione più specifica. Anche l’università subì dei mutamenti, sempre seguendo il modello americano. Furono introdotti nuovi corsi di laurea e la loro durata passò da 3 a 4 anni; il numero degli atenei crebbe a dismisura. Gli aspetti positivi della riforma del sistema educativo voluta dagli Americani erano innegabili: nella scuola si respirava un’atmosfera più 11

Testo della Costituzione in De Palma, op. cit., pp.295-311. 14

serena, ogni traccia di militarismo ed ultranazionalismo era stata eliminata favorendo la diffusione dei valori della democrazia; inoltre erano state garantite pari opportunità di istruzione e si era posto fine alla discriminazione tra i sessi; gli insegnanti disponevano di metodi moderni, di nuovi programmi didattici e di libri di testo aggiornati.

3. Il processo di revisione del sistema educativo dopo il 1952

L’occupazione americana terminò ufficialmente il 28 aprile 1952, giorno in cui entrò in vigore il trattato di San Francisco, firmato tra il Giappone e le Potenze Alleate l’8 settembre 1951. Dopo il 1952 iniziò un vero e proprio processo di revisione del sistema educativo da parte dei giapponesi, che non intendevano certo cancellare i risultati del processo di democratizzazione e tornare alla situazione dell’anteguerra, ma desideravano che un’eccessiva "americanizzazione" non soffocasse la cultura e la tradizione del paese. Soprattutto era nelle intenzioni del Governo ricreare un sistema di controllo centralizzato e restituire piena autorità al Ministero dell’Educazione sia per quanto riguardava l’amministrazione, sia per l’impostazione dei programmi didattici e la selezione dei libri di testo12. La gestione della scuola affi-

12 La gestione del sistema di approvazione e selezione dei libri di testo è di grande rilevanza ed è stata oggetto di aspre polemiche, lotte politiche e cause legali (esemplare il caso del Prof. Ienaga Saburô). In pratica, il Ministero dell’Educazione dal 1955 ha avocato a sé soltanto il diritto di selezionare e approvare tutti i testi in uso nelle scuole giapponesi. Il principale effetto della censura attuata dal Ministero sui libri di testo è stato la sistematica soppressione e talora il travisamento di argomenti e avvenimenti storici sgraditi, la graduale riapparizione di tendenze nazionalistiche, l’enfasi posta sull’identità giapponese. Cfr. Herzog , Peter H., Japan’s Pseu-

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data esclusivamente al Ministero avrebbe assicurato uno standard educativo uguale per tutti gli studenti della nazione: i ragazzi avrebbero potuto usare gli stessi libri di testo ed accedere alle stesse informazioni, l’autorità centrale avrebbe inoltre garantito l’alta qualità degli insegnanti, e nei limiti del possibile l’uguaglianza delle loro competenze. Con la revisione del ’58 il Ministero dell’Educazione, che all’esperienza pratica preferiva di gran lunga la "disciplina", scelse una linea di continuità con la cultura giapponese e pose di nuovo grande enfasi sulla trasmissione di concetti astratti e sull’esercizio della memoria. Nello stesso tempo si diede maggior risalto anche alla preparazione tecnica e scientifica degli studenti, nonché al loro orientamento professionale. La rapida crescita economica del Giappone, iniziata alla fine degli anni ‘50 e proseguita a ritmo crescente negli anni ‘60, sempre più richiedeva che dalle scuole uscissero delle persone con competenze specifiche da inserire prontamente nel mondo del lavoro, ed il Governo non poteva non tenerne conto nel riformulare la sua politica educativa. Adeguò quindi i curricula ai nuovi bisogni dell’industria e della società, e si preoccupò anche di garantire il diritto all’istruzione ad un numero sempre maggiore di studenti, visto il consistente incremento delle natalità che si era verificato dopo la fine della guerra. A partire dagli anni ‘50 i ragazzi che scelsero di seguire un corso di studi completo, vale a dire fino alla laurea, per compiere il cosiddetto "salto di qualità" ed entrare a far parte dell’esercito dei "colletti bianchi", aumentarono di anno in anno. Basti pensare che nel 1970 il numero degli studenti universitari fu di 7 volte superiore rido-democracy, New York University Press, New York, 1993, cap. 8, "Education in Japan", pp. 196-217. 16

spetto agli anni ‘50, passando da 250.000 iscritti a ben 1.670.00013. Tuttavia le richieste superarono ogni aspettativa, la quantità di aspiranti rispetto ai posti disponibili era impressionante. Le autorità giapponesi nel campo dell’istruzione risolsero il problema ricorrendo all’uso sempre più diffuso degli esami di ammissione, considerati l’unico sistema valido per classificare i potenziali allievi in base alle loro abilità e destinarli alle scuole più adatte per loro. Solo rigidi criteri di selezione avrebbero potuto garantire l’alto livello di preparazione dei giovani da inserire nelle scuole superiori e nelle università più importanti, che rimanevano il più valido trampolino di lancio per le carriere più brillanti. Proprio negli anni ‘60 gli esami di ammissione divennero più che mai indispensabili, sempre più basati sull’apprendimento di nozioni a memoria piuttosto che sulla dimostrazione delle abilità generali, alimentando considerevolmente la competizione scolastica tra i giovani, stimolati da genitori pronti a tutto pur di garantire ai loro figli un futuro migliore. Gli studenti che riuscivano ad ottenere ottimi voti alle scuole medie inferiori potevano accedere alle scuole medie superiori di qualità più elevata, e soltanto i ragazzi che ottenevano punteggi altissimi al test d’ingresso potevano entrare nelle università di maggior prestigio, prima fra tutte quella di Tôkyô. Quest’ultima era di certo la meta ambita dai giovani di tutto il paese e rappresentava l’apice del sistema educativo; pertanto tutte le altre scuole, di livello sia primario sia secondario, venivano valutate in base alla preparazione che fornivano in vista dell’ingresso in tale istituzione. Conseguire la laurea presso un’università di primo livello garantiva 13

Marshall, Byron K., Learning to be Modern: Japanese Political Discourse on Education, Boulder, Colo.,1994, p.196. 17

l’ingresso nel mondo del lavoro dalla porta principale. Erano gli stessi incaricati del Governo, o i responsabili delle grandi aziende, a reclutare i laureati più meritevoli appena terminato il loro corso di studi. Naturalmente si rivolgevano alle istituzioni da loro ritenute più affidabili che, come da tradizione, erano poche ed estremamente selettive. Nel corso degli anni ‘50, il Ministero dell’Educazione si batté con tenacia per la reintroduzione dei corsi di etica. Nel 1958, dopo mille dibattiti e discussioni, il Ministero decise di includere nei programmi didattici, riveduti e corretti, un’ora alla settimana di educazione morale. A quest’ultima fu persino cambiato il nome, che da shushin (ormai troppo spesso usato con una connotazione negativa) divenne dotoku. Contrariamente a quanto temuto dai progressisti, però, l’impostazione data all’insegnamento della morale sin dall’inizio ebbe poco a che fare con quella dell’anteguerra: nei corsi, anziché esaltare i valori patriottici cari ai tradizionalisti più nostalgici, si diede ampio spazio a considerazioni che riguardavano la vita individuale e sociale, tenendo sempre bene in mente i principi della democrazia, e a questioni fondamentali quali il valore della vita, la stupidità delle lotte, l’importanza dell’amicizia ed i problemi delle persone anziane14. All’inizio degli anni ‘70 sia gli ambienti politici sia quelli intellettuali presero in considerazione l’ennesima revisione del sistema scolastico. In ambito educativo il Giappone aveva raggiunto uno standard qualitativo piuttosto elevato, che non aveva nulla da invidiare ai paesi più avanzati del mondo, ma si sentiva la necessità che l’istruzione scolastica andasse incontro alle esigenze della società e della nazione 14

Cummings, William K., Education and Equality in Japan, Princeton N.J, 1980, p.116. 18

e che offrisse pari opportunità, tenendo conto delle fasi dello sviluppo dell’essere umano e delle varie abilità e attitudini degli individui. Pur puntando sullo sviluppo delle capacità individuali, si ribadiva però che "l’individuo non può esistere se è isolato rispetto allo Stato o alla società. È in grado di sviluppare le proprie capacità creative soltanto all’interno del contesto della tradizione culturale della società in cui vive"15. Notevoli progressi si ebbero nel settore dell’Istruzione degli handicappati: nel 1979 divenne obbligatoria un’istruzione speciale per bambini fisicamente e mentalmente handicappati di età compresa tra i 6 e i 15 anni, ma la riforma del sistema 6-3-3-4 e la riforma amministrativa dell’università non giunsero ad alcun risultato. Tuttavia la rapida crescita economica e la straordinaria evoluzione della scienza e della tecnologia, in particolar modo per quel che riguardava l’avvento dell’informatica, avevano determinato significativi cambiamenti nella struttura industriale del paese, creando nuovi assetti ed equilibri anche nel mondo del lavoro. A questa situazione la scuola aveva risposto con una consistente espansione quantitativa, ma con una insufficiente crescita qualitativa. Sebbene, infatti, negli anni ‘80 il sistema educativo giapponese riscuotesse le lodi degli osservatori stranieri per la sua straordinaria efficienza e perché forniva un alto livello di educazione a tutte le classi sociali, contribuendo allo sviluppo della società nel suo insieme, e di conseguenza alla prosperità economica e alla stabilità sociale di tutto il Paese, in Giappone, già in quegli anni, emergevano come argomento di discussione sui media alcuni elementi negativi del sistema: i programmi di studio eccessivamente standardizzati, l’incapacità della 15

Marshall, Byron K., op. cit., p.244. 19

scuola di andare incontro alle esigenze degli studenti mettendone in risalto le qualità personali, la natura estremamente competitiva degli esami di ammissione all’università, l’incidenza crescente della violenza nelle scuole e il rifiuto degli alunni di andare a scuola. La riforma del sistema educativo divenne un problema prioritario quando si formò il primo Gabinetto di Nakasone Yasuhiro (novembre 1982). La modifica del sistema scolastico faceva parte, infatti, di un ampio progetto del Primo Ministro, comprendente una serie di cambiamenti destinati a eliminare i cosiddetti eccessi dell’Occupazione, di cui i conservatori si lamentavano da tempo, e a liberare lo spirito del Giappone, soffocato troppo a lungo. Nell’agosto 1984 fu creato un apposito Consiglio Speciale per la Riforma Educativa (Rinji Kyôiku Shingikai o, in breve, Rinkyôshin), che presentò quattro rapporti al Primo Ministro, l’ultimo dei quali, sintesi dei precedenti, in data 7 agosto 1987. Appariva chiaro dai rapporti che il sistema scolastico non era più in grado di soddisfare le esigenze di una società in continua trasformazione, nella quale era migliorato il tenore di vita della popolazione e aumentato il tempo libero a disposizione. Soddisfatti i bisogni materiali, l’attenzione del pubblico si rivolgeva ora a quelli culturali; ed era quindi necessario che la riforma prendesse in considerazione tre punti fondamentali: un sistema di istruzione che durasse tutta la vita (lifelong learning), il rispetto dell’individualità e il libero sviluppo della personalità, l’internazionalizzazione e l’informatizzazione della società.16 Nel 1988 il Governo decise di aumentare l’importo dei finanziamenti destinati alla scuola, stanziando una somma pari a 767 16 Schoppa Leonard, Education Reform in Japan: a Case of Immobilist Politics, Londra, 1991, pp.72-73.

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miliardi di yen (il 7.2% in più rispetto all’anno precedente)17 da impiegare nella riforma del sistema educativo: furono sviluppate le infrastrutture per il lifelong learning; furono poi aperti nuovi istituti secondari ed universitari; si investì maggiormente nei progetti di ricerca e nell’arricchimento dei "curricula" educativi. Naturalmente parte dei fondi fu impiegata per la diffusione dell’informatica nelle scuole, fornendo attrezzature adeguate e personale specializzato. Si continuò anche a promuovere gli scambi culturali internazionali, di certo incoraggiando i giapponesi a viaggiare, ma anche favorendo la presenza di giovani di altri paesi nelle scuole e nelle università giapponesi. Sebbene tutte queste iniziative e trasformazioni dimostrassero che le raccomandazioni contenute nei rapporti del Consiglio avevano dato una spinta decisiva al processo di riforma e avevano messo in gran fermento gli ambienti politici e culturali, le proposte del Consiglio erano troppo numerose e generiche per trovare un’applicazione concreta ed immediata. In effetti nei rapporti si era dato grande risalto a considerazioni sull’inadeguatezza del sistema in uso e sui suoi limiti, ma per quanto riguardava le soluzioni i discorsi erano rimasti ad un livello troppo "astratto". Negli anni successivi, problemi di politica interna ed internazionale distolsero l’attenzione del governo dalla riforma del sistema educativo: un’improvvisa crisi economica investì il paese ed una serie di scandali politici indebolirono fortemente il Partito Liberal Democratico; le condizioni di salute dell’Imperatore Hirohito, ormai da tempo malato, peggiorarono e il 7 gennaio del 1989 il sovrano si spense all’età di 87 anni. La fine dell’era Shôwa coincise con alcuni impor17

Ivi, p.157. 21

tanti avvenimenti: all’estero il crollo dell’Unione Sovietica, con la definitiva cessazione della guerra fredda e le sue conseguenze a livello internazionale; in Giappone una grave crisi sia economica sia politica, poiché, mentre le principali istituzioni finanziarie attraversavano un momento di grande difficoltà ed i rapporti commerciali con gli Stati Uniti si facevano più tesi, continuavano a susseguirsi le rivelazioni sugli scandali legati alla corruzione, che avrebbero portato alla sconfitta del Partito Liberal Democratico, al governo da quasi 40 anni, nelle elezioni del ‘93. Tuttavia nei primi anni ‘90 il Ministero dell’Educazione, da qualche tempo intenzionato a rendere più "umano" il percorso formativo dei giovani, cercò di introdurre alcuni cambiamenti nel sistema educativo al fine di offrire un’istruzione più "rilassata". Nel 1992 fu messa in atto la prima fase di un progetto finalizzato all’istituzione della "settimana corta" di cinque giorni, per ridurre il livello di stress degli studenti: in 47.000 scuole medie ed elementari pubbliche le lezioni del sabato furono tenute a settimane alterne, mentre altre 642 scuole decisero di chiudere le porte per l’intero weekend per due anni di seguito18. Una speciale commissione nominata dal Ministero per indagare sulle cause dell’abbandono scolastico al livello secondario superiore pubblicò il suo rapporto nel dicembre del ‘92; ne emerse che alla base di molti insuccessi scolastici c’era l’incauta scelta di un corso di studi poco adatto alle capacità dei ragazzi, spesso guidata da un’errata valutazione da parte degli insegnanti, non sempre in grado di consigliare l’indirizzo scolastico più adeguato.

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La settimana scolastica di cinque giorni è entrata in vigore in tutto il paese nell’anno scolastico 2002. 22

4. La struttura del sistema educativo

La struttura generale del sistema scolastico giapponese non ha subito mutamenti di rilievo negli ultimi cinquantacinque anni, conservando pressocché inalterata l’impostazione voluta dagli americani durante l’occupazione: nonostante le numerose critiche nel corso degli anni, è tuttora in uso il sistema 6-3-3-4. L’anno scolastico giapponese, che coincide con quello fiscale, inizia il 1° di aprile e termina il 31 marzo dell’anno successivo ed è diviso in tre periodi: aprile-luglio, settembre-dicembre, gennaio-marzo. I ragazzi giapponesi di età compresa tra i 6 ed i 18 anni frequentano la scuola per molto più tempo rispetto ai loro coetanei della maggior parte degli altri paesi industrialmente avanzati. Questo fatto è da attribuire alle vacanze estive più corte ed al maggior carico di compiti a casa delle scuole giapponesi, oltre alla grande quantità di tempo che molti studenti impiegano in attività extra scolastiche. Secondo Dore, in dodici anni di istruzione primaria e secondaria, uno studente nipponico trascorre in classe tante ore quante ne trascorrerebbe un suo collega britannico in quattordici19. Gli asili (hoikuen) pubblici e privati accettano bambini di età inferiore ad un anno fino ai 5 anni; i loro programmi per i bambini dai tre ai cinque anni sono simili a quelli delle scuole materne (yôchien), che accolgono invece bambini di età compresa tra i 3 ed i 5 anni, offrendo di conseguenza corsi della durata di uno, due, o tre anni. La scuola materna, importata dalla Germania all’inizio dell’era Meiji, consente 19

Dore, Ronald P.; Sako, M., Dentro il Giappone : Scuola. Formazione professionale. Lavoro, Roma, 1989, p. 27 23

ai bambini in età pre-scolare di sviluppare i loro corpi e le loro menti in un ambiente educativo appropriato. Pur non essendo obbligatoria, un numero sempre maggiore di genitori decide di iscrivervi i propri figli, ritenendola un presupposto fondamentale per la buona riuscita della loro carriera scolastica futura, nella piena convinzione che sia opportuno abituarli sin dai primi anni di vita alla rigidità del sistema ed alla "competizione". La frequenza combinata dei bambini di cinque anni alle scuole materne e agli asili supera il 95%. Le scuole materne sono in gran parte private ed agiscono sotto la supervisione del Ministero dell’Educazione, che, tra le altre cose, stabilisce i contenuti dell’insegnamento, il tipo di servizi da garantire, la natura e l’organizzazione delle attività ricreative, verifica la qualità delle strutture sportive e così via. Le scuole materne pubbliche, assai meno numerose di quelle private, decidono l’importo della retta da pagare in base al reddito dei genitori20. Con il compimento del sesto anno di età inizia per i bambini giapponesi l’istruzione obbligatoria, che deve durare per 9 anni: 6 da trascorrere nella scuola elementare (shôgakkô) e 3 in quella media inferiore (chûgakkô). Lo scopo della scuola elementare è garantire ad alunni di età compresa tra i 6 ed i 12 anni un’istruzione di tipo generale, tenendo sempre conto del loro sviluppo fisico e mentale. Tutti i bambini, eccetto quelli affetti da gravi handicap fisici o psichici, per i quali esistono delle scuole speciali, vengono riuniti in classi miste, di solito composte da circa 40 bambini, indipendentemente dal loro background sociale o delle loro capacità individuali. I programmi di20

Beauchamp, Edward R. (edited by), Windows on Japanese Education, Westport, CT, 1991, p. 122. 24

dattici, stabiliti dal Ministero dell’Educazione, sono uguali a livello nazionale. Le materie previste sono: lingua giapponese, studi sociali, aritmetica, scienze, musica, disegno e arti, cultura domestica, educazione fisica, educazione morale. Alcune ore vengono dedicate alle cosiddette "attività speciali", vale a dire gite ed incontri culturali, assemblee, cerimonie particolari, gare sportive e così via. Agli alunni, comunque, viene richiesto di concentrare i loro sforzi soprattutto negli esercizi di matematica e nello studio dei caratteri cinesi (kanji), il cui apprendimento in tenera età è fondamentale per la conoscenza della lingua giapponese: oltre ai due sillabari giapponesi, gli studenti devono imparare almeno 1.006 kanji entro la fine del sesto anno. Al termine dell’anno scolastico gli studenti vengono valutati dai loro insegnanti sia per il profitto che per la condotta. La promozione al termine dei sei anni, comunque, è di solito automatica. L’iter scolastico obbligatorio dei giovani giapponesi si conclude solo dopo aver frequentato per tre anni la scuola media inferiore. Lo scopo di quest’ultima è di rafforzare le basi acquisite alle elementari continuando a fornire un’istruzione di tipo generale, sempre in armonia con lo sviluppo fisico e mentale dei ragazzi. Le materie previste sono: lingua giapponese, studi sociali, matematica, scienze, musica, arte, educazione fisica e sanitaria; tecnologia (per i ragazzi) ed economia domestica (per le ragazze), educazione morale, attività speciali, lingua straniera. Dopo aver terminato il corso di studi obbligatorio, oltre il 96% degli studenti giapponesi decide di iscriversi alla scuola media superiore (kôtôgakkô), sottoponendosi per la prima volta alla stressante esperienza degli esami d’ammissione. Accedere a quelle che sono definite

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la versione giapponese delle senior high school americane non è affatto semplice né tanto meno automatico. Oltre a superare brillantemente una prova scritta è necessario avere un ottimo curriculum. Ciascun istituto, soltanto dopo aver valutato i risultati dei test d’ammissione e le carriere scolastiche dei singoli studenti che hanno inoltrato la domanda d’iscrizione, decide a chi assegnare i posti disponibili. Nella scuola media superiore si può scegliere tra tre tipi di corsi: a tempo pieno (frequentati dalla maggior parte degli iscritti), part time (diurni o serali) o per corrispondenza. Il primo dura 3 anni mentre gli altri due durano dai 4 anni in su. Per quanto riguarda i contenuti dell’insegnamento i corsi possono essere suddivisi in due categorie: quelli di cultura generale e quelli ad indirizzo professionale. I primi offrono corsi di taglio accademico e sono più adatti a coloro che abbiano deciso di proseguire gli studi oltre il livello secondario o che non si sentano ancora pronti a prepararsi per un lavoro ben preciso. Seguendo i secondi, invece, è possibile acquisire competenze specifiche in svariati settori professionali come l’industria, il commercio, l’agricoltura, l’industria ittica, l’infermieristica, l’economia domestica, l’informatica, l’arte, il design e così via. Ogni anno circa due terzi degli studenti sceglie l’indirizzo onnicomprensivo di tipo accademico (basato sul modello delle comprehensive school americane) mentre l’altro terzo preferisce orientarsi verso traguardi formativi più specifici. Indipendentemente dall’indirizzo prescelto dagli studenti, ci sono delle materie fondamentali comuni a tutte le scuole medie superiori. Esse sono: lingua giapponese, studi sociali, matematica, scienze, educazione fisica e sanitaria, arte, inglese ed economia domestica.

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I programmi di studio sono caratterizzati da una rigida uniformità per tutta la durata della scuola secondaria mantenendo un’identità di contenuti nelle materie di base ed un ventaglio ristretto di materie opzionali21. Questo tipo di scelta didattica è sicuramente dettato dall’esigenza di portare ogni ragazzo ad un livello di preparazione standard, che possa garantire a tutti la stesse probabilità di riuscita nei famigerati esami per l’accesso all’università. Per i portatori di handicap che per varie ragioni non sono in grado di seguire il normale percorso educativo dei loro coetanei, esistono in Giappone delle scuole speciali per gli handicappati (tokushu kyôiku gakkô) divise in tre categorie: scuole per ciechi, scuole per sordi e scuole per studenti con handicap di varia natura, sia fisici sia mentali. La maggior parte di esse è in grado di offrire il ciclo completo di istruzione obbligatoria; in alcuni istituti è possibile trovare anche la scuola materna e la scuola media superiore. I bambini ed i ragazzi iscritti alle "scuole speciali", oltre a studiare le materie previste dai programmi ministeriali, possono apprendere nozioni e abilità specifiche che li mettano in condizione di superare, almeno in parte, i disagi e le difficoltà della loro condizione. Per i portatori di handicap meno gravi sono state create delle "classi speciali" in molte scuole elementari e medie inferiori. Dopo aver conseguito il diploma di scuola media superiore (oppure un titolo di studio equipollente) gli studenti giapponesi sono in possesso del primo requisito necessario per accedere all’università (daigaku). L’ammissione, comunque, non è automatica, ma è basata su una selezione meritocratica e, come per tutte le istituzioni di educazione 21

Dore, Ronald P., op. cit., p.25 27

post-obbligatoria, dipende dall’esito degli esami d’accesso e dal curriculum di ogni studente. Ogni università può ospitare una o più facoltà, i cui corsi durano di solito 4 anni, con l’eccezione dei corsi di medicina, odontoiatria e veterinaria per i quali ne occorrono sei. Per coloro che dopo aver conseguito la laurea intendano approfondire ulteriormente la loro preparazione o le loro ricerche, l’università prevede due tipi di corso: quello per ottenere il "master", della durata di due anni, ed il corso di dottorato, che comporta invece 5 anni di studio. Anche in questo caso l’eccezione è rappresentata dagli studenti di medicina, odontoiatria e veterinaria per i quali non esiste il "master" ed il corso di dottorato dura 4 anni invece di 5. Gli istituti universitari biennali (tanki daigaku), a cui si accede dopo la scuola media superiore, corrispondono agli junior college americani, e furono importati durante l’Occupazione. Comprendono vari dipartimenti divisi per indirizzi professionali che consentono ai loro studenti di approfondire conoscenze specifiche e di acquisire particolari abilità finalizzate all’apprendimento di una professione. Le specializzazioni a cui si può accedere sono molteplici e la durata dei corsi varia da due a tre anni. Una particolarità di questi istituti è quella di essere scelti principalmente dalle ragazze; tale caratteristica fa sì che in Giappone siano considerati scuole di scarso valore. L’unico indirizzo professionale di qualche rilievo è quello pedagogico, che consente di conseguire il titolo di maestra elementare. Vi sono anche corsi per ausiliari sanitari e per operatori sanitari addetti ai centri di cura diurni. Sembra che queste scuole, pur essendo nate con lo scopo di offrire una preparazione professionale, così da facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, siano frequentate dalla maggior parte delle ragazze semplice-

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mente per arricchire il loro bagaglio culturale e diventare delle "future mogli" più preparate. Esistono poi gli Istituti para-universitari di tecnologia (kôtô senmon gakkô), creati nel 1962. Diversamente da quanto avviene per le università o per gli istituti universitari biennali, vi si può accedere dopo aver conseguito il diploma di scuola media inferiore. In queste scuole, che garantiscono buone prospettive lavorative, si dà grande rilievo alle nuove tecnologie e si organizzano corsi in tutti i principali rami dell’ingegneria (ingegneria meccanica, elettrica, chimica, civile) che hanno una durata di 5 anni. Vi sono poi i corsi di marina mercantile per i quali occorrono 5 anni e mezzo. La specializzazione effettiva avviene, però, soltanto negli ultimi due. Grande spazio viene attribuito anche all’esperienza pratica, attraverso contatti con le varie fabbriche. In tal modo i ragazzi hanno l’opportunità di mettere in pratica ciò che apprendono dai libri.

5. Le distorsioni del sistema educativo

a) L’importanza del curriculum scolastico

Le dure selezioni a cui gli studenti sono chiamati a sottoporsi alla soglia dei 15 e dei 18 anni, per poter accedere rispettivamente alla scuola media superiore e all’università, rappresentano ancora oggi un evento fondamentale nella vita. Poiché dall’esito di queste due prove dipendono le prospettive lavorative e le possibilità di realizzazione in campo professionale di un’intera esistenza, è inevitabile che la com-

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petizione sia fortissima e che quindi esse siano vissute con grande tensione sia dai ragazzi che dalle loro famiglie, tanto da essere note col termine jiken jigoku, “esami infernali”. Le ragioni dell’estrema enfasi posta dalla società giapponese sugli esami d’ammissione, in modo particolare quelli per l’università, vanno ricercate nel rapporto esistente tra il sistema educativo e il mondo del lavoro. In Giappone, infatti, chi può vantare una carriera scolastica coronata da ripetuti successi ha in mano la garanzia di trovare, al termine del corso di studi, un’occupazione gratificante e remunerativa: sia la Pubblica Amministrazione sia le aziende private, quando effettuano le selezioni per reclutare il personale di cui hanno bisogno, tengono in grande considerazione il curriculum scolastico dei candidati, o meglio attribuiscono la massima importanza alle scuole o alle università di provenienza degli aspiranti. Generalmente tendono ad assumere i diplomati ed i laureati che hanno studiato negli istituti ritenuti più prestigiosi. Le università, distinte le une dalle altre per selettività ed efficienza didattica, sono ordinate secondo una precisa gerarchia che, pur essendo informale, è ben nota a tutti. Il vertice è rappresentato dall’università di Tôkyô seguita subito da quella di Kyôto; ad un alto livello, seppur lontane dalle due appena citate, si collocano le università private Keio e Waseda. Godono di un’ottima reputazione anche le università Hitotsubashi, Doshisha, la International Christian (I.C.U) e la Sophia. I gradini più bassi della gerarchia sono occupati da un gran numero di università private, tutt’altro che selettive e di scarsa qualità, per accedere alle quali è sufficiente potersi permettere il pagamento della retta. Le spese da affrontare per usufruire dell’istruzione sono un problema non indifferente per molte famiglie giapponesi. Uno dei vantaggi delle

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scuole pubbliche di alta qualità è quello di costare molto meno rispetto alle private. In effetti mantenere i propri figli in università di grande prestigio non richiede di per sé grandi sforzi economici. Il discorso cambia se si pensa che per superare i test di ammissione in istituti di tale livello gran parte degli studenti ricorre a lezioni supplementari in scuole private pomeridiane e domenicali. L’intero costo della preparazione privata necessaria per accedere alle università pubbliche con la migliore reputazione non si può certo definire economico, ma gli studenti e le loro famiglie sono disposti a questi e ad altri sacrifici pur di assicurarsi un’istruzione di primo livello. Bisogna tuttavia ricordare che la classificazione dei vari istituti scolastici in base ai loro standard educativi e alla selettività non è un discorso esteso soltanto al livello post-secondario. In ogni prefettura esiste una sorta di graduatoria di efficienza didattica anche per le scuole secondarie superiori. La loro qualità é valutata in base al numero degli studenti che, una volta conseguito il diploma, riesce ad accedere alle università più importanti. Anche in questo caso gli istituti con la migliore reputazione sono estremamente selettivi. Naturalmente non può pensare di accedervi chi proviene da una scuola media inferiore qualsiasi. Anche al livello obbligatorio, infatti, la qualità dell’istruzione è giudicata in base alla preparazione che offre in vista degli esami. In virtù degli stessi criteri, non ci si può permettere di scegliere per i propri figli nemmeno la scuola elementare, senza tener conto del posto che essa occupa nella gerarchia. Pur interessando direttamente solo gli studenti di 15 e 18 anni, nei due momenti di passaggio cruciali dalla scuola media inferiore a quella superiore e da quest’ultima all’università, la macchina degli esami si mette in moto molto tempo prima, creando apprensione

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negli studenti e nelle loro famiglie sin dagli anni dell’asilo e condizionando l’intero sistema educativo. Gli stessi programmi didattici, del livello sia primario sia secondario, devono essere mantenuti rigidi ed uniformi per garantire le stesse chance ad ogni futuro candidato agli esami residente nel paese. Naturalmente durante l’intero percorso formativo tutte le scuole pongono particolare attenzione sull’esercizio della memoria, che è richiesta più dell’intelligenza per superare i test così come sono strutturati. La recessione dell’Era Heisei22 ha improvvisamente mutato la situazione: sparisce il sistema dell’impiego a vita e anche i laureati delle più prestigiose università del paese, a partire dalla Tôkyô Daigaku, si stanno amaramente rendendo conto del fatto che le regole del “vecchio” Giappone stanno cambiando e insieme ad esse sta perdendo terreno anche la loro laurea, sempre ritenuta garanzia di un sicuro posto di lavoro. Tuttavia, che l’importanza del curriculum scolastico non sia scemata nonostante la crisi del sistema economico e le sue trasformazioni nell’era Heisei è evidente dal fatto che l’abilità scolastica, gakuryoku, dei propri figli rimane la preoccupazione principale dei genitori, che temono una perdita di competitività e sono pronti a tra-

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Il periodo di incredibile crescita economica del Giappone, iniziato negli anni ‘50, ha subito una determinante battuta d’arresto negli anni ‘90, con il cosiddetto “scoppio della bolla” (baburu hageku), ossia di una economia “gonfiata” da un processo di speculazione sui beni immobili e da un notevole fervore consumistico, e l’inizio di un periodo di profonda crisi economica e di recessione, ancora in atto, che ha determinato la tendenza delle aziende a liberarsi del personale in eccedenza, violando patti non scritti ma consuetudinari che prevedevano la garanzia del lavoro a vita, per mezzo di licenziamenti o inducendo i lavoratori al licenziamento volontario anticipato in cambio di vari incentivi. Sull’”economia della bolla” cfr. Christopher Wood, The Bubble Economy: the Japanese Economic Collapse, Charles Tuttle & Co., Tôkyô, 1992; Robert Boyer/ Toshio Yamada, Japanese Capitalism in Crisis, Routledge, London e New York, 2000. 32

sferirli in scuole private a causa del peggioramento della scuola pubblica.23

b) Il sistema di valutazione

Per capire quale sia il percorso da intraprendere è fondamentale l’aiuto degli insegnanti, i quali, per quanto possibile cercano di consigliare ai loro allievi la strada più adatta. La guida dei professori, reputata indispensabile in questa fase, è tenuta in grande considerazione poiché spesso porta a buoni risultati. Nel loro compito sono supportati da un efficiente sistema di valutazione perfezionatosi nel tempo: negli ultimi due anni di scuola media inferiore gli alunni sono sottoposti a svariati "test di simulazione" forniti alle prefetture da apposite ditte commerciali formate principalmente da ex docenti. In base ai risultati ottenuti i ragazzi vengono suddivisi in "fasce di capacità" e di conseguenza si suggerisce loro di puntare su scuole di "alto", "medio", o "basso" prestigio. Ai migliori si consiglia sempre di iscriversi a scuole di tipo accademico in vista dell’accesso all’università, mentre coloro che occupano i gradini più bassi della graduatoria di abilità vengono indirizzati verso gli istituti con orientamento professionale. Questi ultimi rappresentano il fanalino di coda nella gerarchia delle scuole e nella maggior parte dei casi non sono altro che un ripiego. A tutti coloro che non riescono a superare l’esame d’ingresso in una scuola pubblica resta l’alternativa degli istituti privati, di vario genere, molto diversi tra loro sia per qualità sia per costi. Alcuni, al pari di quelli 23

Philip Brasor, “’Comfort’ Education at expense of standards?”, The Japan Times, 23/9/2001. 33

pubblici più prestigiosi, sono estremamente selettivi e godono di ottima reputazione tanto da attirare giovani da ogni parte della nazione. La buona fama è data dal fatto che una percentuale molto alta dei loro diplomati riesce ad entrare nelle migliori università del paese. A questo genere di scuole medie superiori private sono spesso affiliate anche delle scuole medie inferiori, elementari, e talvolta persino degli asili. Un bambino che sin dalla prima infanzia segue questo tipo di percorso ha di certo molte possibilità di riuscita in più nella "competizione" per poter usufruire di un’istruzione di alto livello rispetto a tanti suo coetanei, magari altrettanto intelligenti, ma usciti da scuole meno "efficaci". Altre scuole private invece rappresentano un vero e proprio ripiego per molti studenti e l’unico requisito richiesto per l’ammissione è la disponibilità a pagare una consistente retta.

c) Gli esami di ammissione

Per poter accedere alle università nazionali e alle migliori università private è necessario il superamento dell’esame di ammissione. Il percorso che i candidati devono seguire prevede due tappe fondamentali: la prima, rappresentata dall’esame del Centro per l’Ingresso all’Università, consiste in una prova selettiva su base nazionale e serve a valutare il livello di preparazione raggiunto dagli studenti nel corso della scuola media superiore; la seconda prevede invece dei test preparati dalle singole università per le quali i candidati concorrono ed ha lo scopo di verificare l’idoneità di ogni studente al tipo di istituito prescelto. Il primo test si svolge nel mese di gennaio e soltanto chi riesce a superarlo può procedere alla fase successiva. Il secondo passo

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consiste nel sostenere gli esami di ingresso specifici per ogni università. La natura ed il contenuto delle prove, di solito ancor più difficili di quelle della prima fase, varia a seconda delle facoltà e dei dipartimenti. Ogni istituto può valutare gli studenti attraverso test, componimenti scritti, interviste o con ogni altra prova che ritenga opportuna. Gli studenti giapponesi possono tentare di accedere a due sole università nazionali. Questo avviene perché gli esami di ammissione si svolgono solo due volte all’anno nella stessa data per tutti gli istituti. È inoltre opportuno che i candidati scelgano con particolare cura ed attenzione la facoltà che li interessa dal momento che, nel caso in cui vengano ammessi, non possono più cambiare a meno che non decidano di sottoporsi nuovamente all’intero processo di selezione. I diplomati delle scuole superiori che falliscono l’ammissione alle università desiderate spesso scelgono di trascorrere l’anno successivo studiando per riprovarci, e ad essi ci si riferisce col termine ronin (che in origine significava “samurai senza padrone”). Alla base della preparazione per superare gli esami di ammissione alle scuole medie superiori e all’università c’è sicuramente il costante esercizio della memoria. Nel corso degli anni i giovani giapponesi sono costretti ad apprendere un’impressionante quantità di nozioni che, pur essendo in molti casi inutili dal punto di vista del contenuto, sono di certo efficaci per mettere alla prova la forza di volontà e la costanza. Per sostenere le due prove cruciali alla soglia dei 15 e dei 18 anni i ragazzi devono affrontare, armati di infinita pazienza, duri sacrifici e sforzi incredibili per un lungo periodo, dedicando costantemente allo studio un gran numero di ore tanto da dimenticare cosa sia il tempo libero. A rendere ancora più stressante e faticoso il loro percorso si

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aggiungono dei corsi privati supplementari, ai quali vengono iscritti dai genitori preoccupati di assicurare loro delle possibilità di successo in più in vista delle future selezioni. In Giappone esiste una fitta rete di scuole private, chiamate juku, che integrano la preparazione acquisita dai ragazzi grazie al sistema educativo ufficiale ed offrono lezioni pomeridiane, serali o domenicali finalizzate quasi esclusivamente al superamento degli esami. Sembra che in Giappone vi siano almeno 100.000 scuole private di recupero e di sostegno. Il loro giro d’affari, oggi assai consistente, si ritiene destinato ad aumentare. Considerata la continua diminuzione del tasso di natalità e del numero dei figli per famiglia in Giappone, si prevede che numerose coppie investiranno delle somme ancora più consistenti per l’istruzione dei loro ragazzi. Anche per le juku esiste una vera e propria gerarchia. La reputazione delle varie scuole dipende dalla percentuale di studenti, istruiti da loro, che ogni anno riesce ad accedere agli istituti secondari superiori e alle università di maggiore prestigio. Paradossalmente anche per poter frequentare le scuole di recupero e di sostegno più accreditate occorre sostenere un esame d’ammissione.

d) La discriminazione economica

La realtà giapponese dimostra che nell’agguerrita competizione scolastica ci sono alcune categorie di studenti che partono avvantaggiate, mentre altre sono vittime di evidenti discriminazioni. Un fattore che di solito incide notevolmente sul successo di un giovane giapponese nella conquista di un posto tra i più ambiti nelle scuole e nelle università più prestigiose del paese è la disponibilità economica della

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sua famiglia. Un genitore in grado di spendere qualunque cifra per la preparazione privata agli esami del proprio figlio può regalargli un gran numero di chance in più rispetto ai suoi concorrenti meno facoltosi. Che vi sia una stretta correlazione tra la fascia di reddito a cui si appartiene e le maggiori possibilità di superare le selezioni scolastiche non è un segreto. Da molti anni gli studenti appartenenti ai ceti sociali meno privilegiati rappresentano una ristretta minoranza tra coloro che riescono ad usufruire dell’istruzione giudicata di "prima qualità". Questa tendenza ha preso piede in modo particolare dalla metà degli anni ‘70. I dati dell’università di Tôkyô, ad esempio, mostrano che quasi tutti i suoi iscritti appartengono alla classe manageriale, e nella maggior parte provengono da quel 10% di famiglie le cui entrate sono tra le più alte del paese, il che è chiaramente in contrasto col principio della democraticità del sistema educativo24. I genitori sono pronti a trasferire i figli nelle scuole private, dove gli standards sono attualmente più alti di quelli delle scuole pubbliche, ma possono farlo solo quelli benestanti, e quindi anche in questo caso solo gli studenti più ricchi potranno mantenere un’alta competitività nel mondo del lavoro.

e) La violenza giovanile

Nel 1997 il numero dei crimini commessi da giovani di età compresa tra i 14 ed i 19 anni fu il più alto dal 1975. I ragazzi appartenenti a tale fascia di età erano allora soltanto il 9% della popolazione, tuttavia furono responsabili in quell’anno del 34% di crimini come 24

Cutts, R.L., An Empire of Schools, Armonk, N.Y, 1997, p.231 37

l’omicidio e la rapina e del 45% di crimini violenti quali le aggressioni25. Nei soli primi due mesi del 1998, secondo le stime dell’Agenzia di Polizia Nazionale, furono commessi 38 crimini da giovani armati di coltello, tra cui 7 omicidi, 12 rapine e 11 aggressioni. In 19 di questi casi furono arrestati degli studenti di scuola media inferiore26. Alla fine di gennaio 1998, nella città di Kuroiso, nella prefettura di Tochigi, un alunno di seconda media, di tredici anni, assalì e uccise con un coltello a serramanico il suo professore di inglese, colpevole di averlo ripreso per essere arrivato in classe in ritardo27. Il 9 marzo un tredicenne pugnalò a morte un ragazzo di un’altra classe, all’interno di una scuola di Higashi-Matsuyama, nella prefettura di Saitama. Un altro episodio particolarmente scioccante per l’opinione pubblica, vista la risonanza datagli dai mass-media, risale al maggio del 1997: a Kôbe uno studente di scuola media, di quattordici anni, uccise un ragazzino di undici anni, che frequentava le elementari, decapitandolo e poi collocando la testa staccata fuori del cancello della sua scuola. Gli studenti protagonisti dell’ondata di delinquenza che sta dilagando con una velocità senza precedenti sono molto spesso gli stessi che al mattino siedono ordinatamente tra i banchi di scuola, accettando il rigore e la disciplina imposti dal sistema educativo. Sono quasi sempre tranquilli anche a casa, perfettamente inseriti nel contesto che li vuole obbedienti, diligenti, e pronti ad assimilare i sani principi inculcati dalla famiglia, sino a quando l’equilibrio si spezza e perdono totalmente il

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Iwao, Sumiko, "Problems Among Japan’s Young", Japan Echo, vol.25, n.3, giugno 1998, p.6. 26 Ibidem 27 Takahashi, Shôtarô, "When Students Violence Erupts", Japan Quarterly, luglio-settembre 1998, pp.77 38

controllo. Difficilmente i genitori riescono ad accorgersi in tempo dei disagi avvertiti dai giovani, perciò i gravi crimini che commettono hanno di solito l’effetto di improvvise e violente esplosioni nel silenzio della "normalità". Alcuni dati risalenti ai primi anni ‘90 dimostrano che molti studenti, apparentemente tranquilli e diligenti, conducevano in realtà una doppia vita. La polizia giapponese, nel 1992, arrestò 14.700 teenagers sospettati di aver inalato o distribuito solventi o altri prodotti chimici tossici. Nel 1993 il 10% dei 34 miliardi di sigarette vendute in Giappone venivano fumate illegalmente da minorenni. Secondo stime dello stesso periodo, il 12% degli studenti di scuola superiore nelle regioni di Tôkyô e Ôsaka aveva problemi di alcolismo, e oltre il 60% beveva almeno occasionalmente. Quasi il 3% degli studenti di scuola media aveva sperimentato solventi, marijuana, sonniferi, stimolanti o altre droghe, e uno su 6 aveva commesso furti nei negozi. Nel 1993 pare che circa 30.000 teenagers abortissero volontariamente. Le gravidanze tra adolescenti continuano infatti ad aumentare assieme ai casi di malattie trasmesse per via sessuale. Oltre 4.000 teen-agers dichiararono di lavorare part-time per linee telefoniche erotiche o di posare per servizi pornografici softcore28. Naturalmente questi comportamenti riguardano solo una parte degli studenti giapponesi, tuttavia gli adolescenti, sottoposti ad una vera e propria "lotta per la sopravvivenza", creata dalla competizione per gli esami d’ammissione, vivono spesso come un incubo quello che dovrebbe essere il periodo felice dell’adolescenza. Coloro che non hanno un carattere abbastanza forte o non riescono ad essere bravi a scuola perdono fiducia in 28

Schreiber, Mark, "Juvenile Crime in the 1990’s", Japan Quarterly, aprilegiugno 1997, p. 78-88. 39

se stessi, nel futuro, perdono la volontà di continuare a studiare e, come conseguenza, si distaccano dalla società. Nasce così la delinquenza e la violenza nelle scuole. La percentuale più alta di violenze è presente nelle scuole medie inferiori: queste sono obbligatorie e nessuno, neanche lo studente più violento, può esserne escluso o espulso, a differenza delle superiori. E’ qui, poi, che nasce il terrificante processo di selezione e valutazione per il futuro. Fino a questo punto gli studenti sono considerati uguali, successivamente vengono separati e "classificati" in scuole di vari livelli a seconda delle loro abilità e potenzialità. Non è piacevole essere considerati inferiori rispetto agli altri e sapere a priori che non si avrà più di tanto successo nella vita. Questo spiega anche perché nelle scuole superiori la violenza sia molto meno presente: il primo importante processo di selezione è già stato fatto e gli studenti si sentono meno insicuri. La violenza viene usata non solo come mezzo per esprimere l’incapacità di adattarsi al rigido sistema scolastico ma anche per mantenere una posizione di superiorità nei confronti dei compagni di classe e dello staff dei professori. Se non si viene presi in considerazione perché meno "dotati" dei compagni, allora questa considerazione viene ricercata attraverso la violenza: violenze contro gli insegnanti, contro i compagni di classe, e atti di vandalismo ai danni della proprietà scolastica. D’altro canto bisogna considerare che nella scuola giapponese le punizioni corporali (taibatsu) sono ancora molto diffuse. Pur essendo illegali vengono usate spesso per mantenere la tanto decantata "disciplina" ed in particolar modo per rimettere in riga i ragazzi più ribelli. Nelle scuole giapponesi il mantenimento della disciplina diventa in molti casi una vera e propria ossessione. Le regole a cui sottostare sono numerosissime ed è quindi ine-

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vitabile che lo siano anche le occasioni di violarle. La ribellione degli studenti non fa altro che accrescere la tensione negli ambienti scolastici e la frustrazione di quanti hanno il compito di far rispettare gli ordini. I raptus di violenza di alcuni insegnanti sono spesso il risultato di una rabbia accumulata e repressa nel tempo e poi esplosa con un pretesto qualunque.

f) Il bullismo

Un fenomeno grave è quello del bullismo (ijime). A scuola c’è sempre l’alunno più prepotente che maltratta quello più debole, minacciandolo, ricattandolo, e talvolta persino mettendogli le mani addosso. La sopraffazione da parte del più forte, o apparentemente tale, a danno del più indifeso, sempre più spesso tende a sconfinare in gravi episodi di violenza fino ad arrivare all’omicidio, o perlomeno al tentato omicidio. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dalle vittime del bullismo, che in molti casi decidono di suicidarsi per liberarsi per sempre dai loro tormentatori. Durante l’anno scolastico 1993-94, i rapporti della polizia nazionale indicavano che ogni tre giorni uno studente commetteva suicidio; nel 1992, invece, erano state 159 le vittime del bullismo che avevano scelto di togliersi la vita29. E’ chiaro che l’alta incidenza dei suicidi giovanili non va ricercata soltanto nella qualità del rapporto instaurato con i compagni: la pressione esercitata dal sistema degli esami e la grande aspettativa che si crea attorno agli studenti giapponesi rendono questi ultimi estremamente ansiosi e terrorizzati dall’idea del "fallimento". Non è sorprendente che davanti ad

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un insuccesso scolastico, ben coscienti che tale episodio può compromettere il loro futuro e precludere molte strade, sentano il peso di una irrimediabile sconfitta; pur non essendo l’unica ragione, la paura di deludere i genitori e di essere considerati delle nullità dalla società spinge molti ragazzi che non si sentono "all’altezza" a farla finita. L’incidenza del rendimento scolastico su tale fenomeno è evidenziata da statistiche che mostrano come il numero dei suicidi aumenti in modo significativo in marzo ed aprile, vale a dire quando vengono resi noti i risultati degli esami. Tuttavia non va sottovalutata l’incidenza del bullismo, fenomeno in costante ascesa. Da uno studio del Ministero dell’Educazione pubblicato all’inizio del 1995 emerse che su 10 bambini intervistati 4 dichiaravano di essere stati vittime dei bulli. La crudeltà dei bulli non si manifesta soltanto attraverso aggressioni e percosse; spesso va a colpire direttamente la sfera emotiva delle vittime, attraverso vere e proprie torture psicologiche. Una forma di violenza di cui sono spesso oggetto le vittime dei bulli è l’esclusione dal gruppo. Molti bambini vengono emarginati dai loro compagni e non possono partecipare a giochi e ad attività comuni di alcun genere. La vita delle vittime dei bulli è di solito resa ancor più angosciante dalla solitudine a cui sono condannati. Difficilmente i compagni le aiutano; non se la sentono di prendere le loro difese perché così facendo rischierebbero di essere essi stessi presi di mira, diventando a loro volta oggetto di soprusi. Molti bambini reagiscono a questa situazione di terrore e intimidazione rifiutandosi di andare a scuola. Nell’anno scolastico 1993/1994 ben 75000 studenti di scuole elementari e medie ri-

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Cutts, R.L., An Empire of Schools, Armonk, N.Y, 1997, p. 170. 42

masero a casa per 30 o più giorni30. Molto spesso a costruire il muro di silenzio attorno agli episodi di violenza sono le scuole stesse. Se si viene a sapere che in un determinato istituto si verificano episodi di bullismo, di certo la notizia incide negativamente sulla reputazione della scuola che rischia di essere declassata.

g) Il "rischio salute"

Se l’abbandono scolastico al livello secondario superiore e la ripetuta astensione dalle lezioni al livello primario e secondario inferiore sono due sintomi facilmente quantificabili del disagio di molti studenti, un altro aspetto negativo difficilmente quantificabile è il "rischio salute" per i giovani giapponesi che, sin dalla più tenera età, vedono il loro tempo libero notevolmente ridotto: la disciplina imposta dal sistema educativo toglie spazio ad attività ricreative quali lo sport, le feste con i compagni, le gite, i giochi e la vita all’aria aperta. In Giappone sono già in molti a pensare che la salute dei giovani sia messa a repentaglio da un simile approccio allo studio. Da anni i mass-media stanno cercando di dare risalto a questo problema, per far sì che non venga sottovalutato. I giornalisti si riferiscono a tale fenomeno con il termine moyashiko, ossia "bambini germogli di soia": i germogli di soia, che vengono fatti crescere artificialmente nell’oscurità e sono estremamente teneri e fragili, vengono associati ai bambini giapponesi poiché anch’essi crescono in un ambiente chiuso e cupo (la casa in cui sono costretti a stare tutto il giorno sui libri) e non hanno modo di fare esperienze che li fortifichino sia fisicamente sia psicologicamente. 30

Ivi, p. 172 43

Alcuni dati risalenti ai primi anni ‘90 dimostrano che le condizioni psicofisiche dei giovani giapponesi, pur non avendo ancora raggiunto livelli allarmanti, erano in continuo peggioramento: l’obesità, per esempio, era in costante aumento tra i bambini in età scolare; circa il 9% dei bambini di 10 anni aveva un peso corporeo superiore del 20% al peso medio degli appartenenti a tale fascia di età31; la vista degli studenti stava peggiorando a tutti i livelli scolastici; un quinto degli alunni della scuola primaria, circa la metà di quelli della scuola media inferiore e sorprendentemente 6 studenti di scuola media superiore su 10, nel 1993, dopo la visita oculistica dimostravano di avere problemi di vista32. In una indagine effettuata dal Governo nel 1991 si riscontrò che il 22% degli studenti di scuola media inferiore ed il 13% dei bambini di scuola elementare mostrava segni di depressione patologica, a seguito dello stress degli esami e di problemi familiari; 7 bambini (di età compresa tra i dieci e gli undici anni) su dieci dichiaravano, nel 1992, di soffrire di stanchezza cronica, a causa dello studio nelle ore notturne33.

6. Il dibattito sulla riforma negli ultimi anni

A partire dalla metà degli anni ’90 l’urgente necessità di radicali trasformazioni del sistema scolastico mise d’accordo per la prima 31

"Obesity on Rise Among Japan’s Children", Japan Times, 5 ottobre 1992, in Cutts, R.L., op. cit., p.150 32 "Average Student’s Sight Worsens, Growth Rate of Mean Height Drops", Daily Yomiuri, 5 gennaio 1993, in Cutts, R.L., op. cit., p. 150

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volta, dopo anni di scontro politico sul terreno del processo di riforma, le correnti conservatrici e progressiste, e il sindacato degli insegnanti (Nikkyôso), nel 1995, si riconciliò col Ministero dell’Educazione (Monbushô), passando dall’opposizione ad un lavoro di cooperazione.34 Il Ministero dell’Educazione, da parte sua, mise da parte gli atteggiamenti troppo autoritari, inaugurando una politica educativa incentrata sulla ricerca dell’equilibrio tra controllo e libertà, tanto da affermare che: “Il solo modo per rinvigorire la motivazione degli studenti e sradicare i fenomeni patologici nelle scuole è enfatizzare l’individualità degli studenti, consentendo loro maggiore indipendenza e libertà di scelta, e rendendo il sistema educativo più aperto, flessibile e vario”.35 All’inizio del 1997 il Primo Ministro Hashimoto Ryûtarô, ben sapendo che l’istruzione è uno dei pilastri della società, decise di considerare prioritaria la riforma dell’istruzione, assieme a quella di altri cinque importanti settori: amministrazione, finanza, sistema bancario, economia e sicurezza sociale. Nel maggio del 1997 il Consiglio Centrale per l’Educazione (Chûô Kyôiku Shingikai o, in breve, Chûkyôshin) pubblicò una sintesi delle sue deliberazioni. Insistendo sempre sull’importanza delle capacità e delle attitudini di ogni singolo individuo, propose di promuovere il miglioramento dei processi di selezione per l’ingresso alle scuole medie superiori e all’università; di tentare di

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"Survey: Most Sixth Graders Tired Stressed Out" Asahi New Service, 9 aprile 1992, in Cutts, R.L., op. cit., p. 150. 34 Yoneyama Shôko, The Japanese High School – Silence and Resistance, Routledge, Londra e New York, 1999, p.83. 35 Amano Ikuo, “Postwar Japanese Education: A History of Reform and Counterreform”, Japan Review of International Affairs, vol.11, n.1, inverno/primavera 1997, p.82. 45

introdurre un sistema scolastico che veda unite le scuole medie inferiori a quelle superiori in un unico corso, col passaggio dal sistema 63-3-4, che implica dure selezioni per poter accedere alla scuola media superiore e all’università, al sistema 6-6-4 senza esami, in modo che gli studenti potessero dedicarsi senza ansia allo studio; di incoraggiare il costante aggiornamento della preparazione acquisita durante gli anni di scuola, affinché, nell’era dei mass-media, l’intera società fosse messa in condizione di apprendere e comprendere nozioni ed informazioni in qualunque momento.36 Il sistema educativo, infatti, deve tener conto dei tempi che cambiano, dei progressi scientifici e tecnologici e delle trasformazioni in atto nei rapporti internazionali. Tra gli obiettivi della riforma apparivano la diversificazione dei metodi d’insegnamento, nuovi curricula più adatti alla società, la revisione del metodo di preparazione degli insegnanti e delle procedure per l’assunzione dei docenti nel tentativo di attrarre verso la scuola persone competenti provenienti da altri settori, l’umanizzazione dell’ambiente con l’eliminazione delle scuole troppo grandi, ma, cosa assai interessante, si puntava a fornire ai ragazzi una più profonda conoscenza della tradizione e della cultura del Giappone e lo sviluppo della consapevolezza d’essere cittadini giapponesi. Molta attenzione venne dedicata anche all’approfondimento della conoscenza da parte dei fanciulli dei problemi ambientali ed energetici, alla morale intesa come rispetto della vita, senso di responsabilità, spirito di cooperazione. Venne poi sottolineata l’importanza della responsabilità delle famiglie, che devono collaborare e interagire con le scuole per garantire ai bambini mag36 "Activities of the Educational Reform Associated Councils-CCE", dal Sito Internet del Mombushô, dicembre 1998.

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giori occasioni di svago, alleggerendo la tensione che normalmente sono costretti a sopportare a causa dell’impostazione del sistema educativo, e consentendo loro di crescere in modo più sereno, con un atteggiamento più aperto e positivo nei confronti della vita. Era notevole il fatto che il Rapporto del Consiglio Centrale per l’Educazione, datato 31 marzo 1998, esaminasse accuratamente proprio il ruolo della famiglia e fornisse alle famiglie tutta una serie di indicazioni per ristabilire un loro più forte ruolo. Ci sembra indicativo citare alcuni consigli tratti da questo documento: "E’ necessario incoraggiare i bambini giapponesi ad avere i propri sogni o obiettivi per il futuro, per rendere la nazione e la società ricca e piena di creatività e vitalità”; "Cercare di creare più opportunità per tutti i membri della famiglia di stare insieme"; "L’immagine del padre deve essere rivalutata ed egli deve giocare un ruolo più attivo nella sua famiglia"; "Bisogna sviluppare nei ragazzi il senso di responsabilità, per esempio assegnando loro dei compiti a casa, come mettere in ordine ecc."; "Fare attenzione a certi segnali emessi da bambini che sembrano ‘normali’ prima di compiere improvvisamente atti delinquenziali"; "Aiutare i bambini a coltivare una ricca umanità che includa il senso della giustizia, il senso morale e la considerazione per gli altri"; "Insegnare ai bambini a non tollerare la discriminazione e i pregiudizi"; "Evitare di paragonare i bambini con altri e di preoccuparli per la loro rispettiva classificazione dalla loro prima infanzia"; "Rivalutare gli eventi annuali della famiglia"; "Non permettere che i bambini si chiudano nelle loro stanze, che guardino in continuazione la TV o giochino a TV games" ecc.. Del resto, queste indicazioni sembravano corrispondere anche ai risultati di una conferenza indetta dal Primo Ministro Hashimoto Ryûta-

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rô per discutere dei problemi delle giovani generazioni, considerate un bene assai prezioso in cui investire, poiché prenderanno in mano le redini del paese nel XXI secolo. All’incontro presero parte psicologi, rappresentanti del mondo dell’istruzione, dei mass-media, delle forze di polizia e delle associazioni di genitori ed insegnanti. Tutti i partecipanti riscontrarono naturalmente il legame esistente tra i disagi giovanili ed il sistema di valori accumulati nel dopoguerra, per non parlare del ruolo dei metodi educativi e delle scelte disciplinari. Ciascuno di essi attribuì le principali responsabilità a determinati fattori piuttosto che ad altri, ma al centro delle polemiche risultarono sempre la scuola e la famiglia. Qualcuno sottolineò gli aspetti negativi dell’esagerata enfasi posta sull’individuo e sulla libertà personale negli ultimi 50 anni, mentre qualcun altro si lamentò dello scarso senso di responsabilità che i giovani possiedono e di una grave crisi di valori. Diversi intervenuti sottolinearono poi le conseguenze dannose del calo della natalità, ricordando i disagi dei figli unici e la loro poca adattabilità agli ambienti esterni alla famiglia. In parecchi furono d’accordo nell’affermare che molti genitori dovrebbero rivedere il loro approccio nei confronti della disciplina e dell’istruzione, aiutando i bambini a vivere in modo più sereno l’età evolutiva. Probabilmente dei padri e delle madri meno ansiosi nel seguire l’iter educativo dei loro figli creerebbero un ambiente meno teso in casa. La maggior parte dei genitori chiede ai figli di dare sempre di più a livello di studio, e questo a discapito di un rapporto "più umano" con la propria prole. Naturalmente la condizione giovanile non è che un riflesso dei problemi che ci sono nella società in generale e nella famiglia moderna, e non solo in Giappone. Nella società moderna i valori tradizionali sono venuti meno: la com-

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petizione, il denaro, il successo, il consumismo sono ora alla base di tutto. Il Giappone è sì un paese industrializzato, ricco, moderno, ma tutto questo unito alla rigidità del sistema e alla forte enfasi posta sulle credenziali scolastiche, non ha fatto altro che accentuare un senso di isolamento e alienazione tra i giovani. La solidarietà della comunità di un tempo è cosa passata. Non c’è più un senso di umanità e chi è emozionalmente instabile è facile che reagisca divenendo un delinquente. La violenza è quindi un modo per ribellarsi contro la scuola, la propria famiglia, la società. L’importanza delle relazioni verticali (genitori, insegnanti) è notevolmente diminuita, mentre i legami tra i coetanei sono aumentati; i giovani sono diventati più individualisti con pochi valori etici e sociali. Nelle famiglie nucleari moderne le relazioni umane si sono semplificate se non impoverite. In un’epoca in cui la figura e l’autorità del padre è notevolmente diminuita o egli viene visto solo come colui che porta i soldi (ma questo è anche dovuto al fatto che in Giappone i padri passano quasi tutta la giornata nella società in cui lavorano e stanno a casa solo per poche ore), l’unica relazione è quella tra madre e figlio. L’iperprotettività e le troppe attenzioni di certe madri fanno sì che i bambini nella loro infanzia siano protetti da ogni cosa e sviluppino quindi caratteri deboli. Creare degli ambienti "immuni" dagli aspetti negativi e dalle bruttezze della vita non garantisce la felicità e la sicurezza dei propri figli. Infatti nel momento in cui raggiungono l’adolescenza e vengono messi di fronte alle contraddizioni e ai problemi della vita, "al bene e al male", questi adolescenti non sanno come comportarsi e quindi alcuni di loro hanno reazioni inadeguate o esagerate. Nel passato i bambini che vivevano in grosse famiglie o in zone in cui il senso comunitario era forte entravano a

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contatto sin dall’infanzia con tutti gli aspetti della vita, positivi e negativi. Questo formava il loro carattere e li aiutava ad affrontare meglio l’adolescenza. Oggi, e non solo in Giappone, molti genitori sono incapaci di educare i figli, li viziano, sono troppo indulgenti oppure li abbandonano a se stessi. Oppure, come moltissime mamme giapponesi, costituiscono una tra le principali fonti di stress degli studenti, investendo la maggior parte del loro tempo e delle loro energie nella preparazione scolastica dei loro figli. Di solito, usando un termine risalente agli anni ’50 e ’60, vengono chiamate kyôiku mama, vale a dire "mammine col pallino della buona educazione" oppure "madri fissate con l’istruzione". Qualcuno le definisce anche "madri impazzite per l’istruzione" oppure "madri mostro". Si tratta di donne veramente ossessionate dal successo scolastico dei loro bambini che contano, all’interno del sistema educativo, tanto quanto gli studenti e gli insegnanti; fanno parte della schiera di allenatori, vale a dire i maestri e i professori, che preparano le nuove generazioni alla competizione per conquistarsi un futuro di serie A. Ovviamente anche il sistema degli esami, una delle principali cause di malessere all’interno delle scuole giapponesi di qualsiasi ordine e grado, fu rimesso in discussione dal Ministro dell’Educazione Arima Akito. Quest’ultimo, intenzionato a porre fine all’inferno generato dai test d’ammissione e al grande business dei corsi di sostegno, recupero e avanzamento rapido necessari per superarli (juku), nel novembre del 1998 annunciò di voler rivedere le parti della Legge sull’Istruzione Scolastica che obbligano le scuole secondarie a scegliere i candidati in base ai risultati dei test standardizzati e al curriculum degli anni precedenti. La modifica dei criteri di selezione per l’accesso all’universi-

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tà, infatti, è di fondamentale importanza, dal momento che da essa dipende anche la classificazione degli studenti negli anni precedenti, né è possibile pensare ad un tipo di valutazione basata su criteri più elastici per i ragazzi che vogliono accedere alla scuola media superiore se l’ingresso all’università continua a dipendere dai test scritti37. In piena corrispondenza con la relazione della Commissione del primo Ministro sugli Obiettivi del Giappone nel Ventunesimo Secolo, ”La Frontiera Interna: Rafforzamento dell’Individualità e Miglior Governo nel Ventunesimo Secolo”, che sottolineava l’importanza di passare da un sistema orientato verso il gruppo a un sistema che valorizzi vitalità, creatività e responsabilità personale,38 il Primo Ministro Obuchi Keizô, in un discorso politico davanti alla Dieta nel gennaio 2000, affermò di aver intenzione di affrontare la riforma allo scopo di educare “le risorse umane colme di immensa creatività” e, considerando tale riforma come una delle priorità del suo governo, nominò il primo marzo come suo Consigliere sulle questioni educative Machimura Nobutaka, già Ministro dell’Educazione dal settembre 1997 al luglio 1998. Machimura ricevette il compito di guidare la nuova Commissione per la Riforma Educativa, incaricata di discutere, tra gli altri argomenti, anche la possibilità di emendare la Legge Fondamentale per l’Istruzione (Kyôiku kihon-hô), che dal 31/3/1947 designa gli obiettivi e il compito dell’educazione nazionale; e dichiarò di voler riformare il sistema educativo nazionale cambiando le idee basilari che hanno modellato il Giappone postbellico. “Se non cambiamo le idee basilari che 37

“Education Reforms May end Exam Hell”, The Japan Times, 7 novembre

1998. 38

Per un sommario in inglese di questa relazione cfr: http://www.kantei.go.jp/jp/ 21century/report/htmls/ 51

permeano la società e l’educazione nell’era postbellica – sostenne infatti - noi non possiamo procedere con le riforme. Cambiare solo un po’ il sistema non può essere vincente”.39 Secondo Machimura, un esempio della necessità di riforma era la recente tendenza della gente a prendere alla leggera le proprie responsabilità e i propri doveri, perché, a suo parere, “la rivendicazione dei propri diritti e libertà personali ha oltrepassato i limiti”.40 Il nuovo Primo Ministro, Mori Yoshirô, il 21 giugno, parlando a Mie, nella Prefettura di Oita, disse che scuola media inferiore e superiore dovrebbero essere unificate in un solo ciclo secondario, che l’anno accademico nelle università dovrebbe iniziare a settembre invece che ad aprile, e che aveva intenzione di chiedere alla Commissione per la Riforma Educativa di studiare tali proposte. Mori, infatti, preferiva il sistema 6-6-4 al sistema 6-3-3-4, oggetto da anni di accese discussioni: “Io non penso che sia una buona idea – affermò il Primo Ministro – che i giovani debbano affrontare due serie di esami di ammissione tra i dodici e quindici anni, quando passano già attraverso altri tipi di problemi”.41 In realtà su questi problemi stavano lavorando molti gruppi, tra cui la Commissione per la Riforma Educativa e il Consiglio Centrale per l’Educazione, il quale fece numerose proposte concrete, alcune delle quali hanno cominciano ad essere realizzate, e tante piccoli miglioramenti si sono fatti. Tuttavia, quando ad agosto il gruppo consultivo personale sui problemi educativi di Mori presentò un rapporto che invocava audaci misure ad ampio raggio, quali una dettagliata analisi 39 40

The Japan Times, 3/3/2000. Ibidem.

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dell’educazione giapponese fino ad allora e un riesame ed eventuale emendamento dei principi basilari stabiliti dalla Legge Fondamentale per l’Educazione, l’obbligo per gli scolari di impegnarsi nei servizi sociali, la possibilità per i bambini di iniziare la scuola a cinque anni, l’abolizione della richiesta di un’età minima per iscriversi all’università, gli editoriali dei giornali che commentavano il rapporto sottolinearono la necessità di ulteriori discussioni e riflessioni e del raggiungimento di un consenso nazionale, sostenendo opinioni molto distanti tra loro.42 Il Sanyo Shimbun affermava: “La maggioranza dei cittadini concorda con la conclusione del rapporto che noi non possiamo trascurare il recente sfacelo dell’educazione. E’ indubbiamente richiesta una drastica riforma educativa. I grandi progetti per il prossimo secolo dovrebbero essere studiati meticolosamente attraverso il dialogo con i cittadini”, ma altre pubblicazioni (Mutsu Shimpo e Chûnichi) mostravano una decisa opposizione alle proposte del gruppo consultivo, facendo notare che le attività di servizio sociale per loro stessa natura sono spontanee e che, se divenissero obbligatorie, diventerebbero lavoro forzato: costringere gli scolari a partecipare a tali attività per un anno potrebbe essere criticato come reminiscenza della mobilitazione lavorativa durante la guerra. Il Sankei Shimbun accoglieva in maniera estremamente positiva le proposte, arrivando ad affermare che “il rapporto tenta di dire che l’educazione non può avere successo senza gli sforzi congiunti di quelli che insegnano, ossia gli adulti, e quelli che ricevono l’insegnamento, ossia i fanciulli. Il rapporto è così ricco nei suoi messaggi che noi cominciamo ad avere una speranza”, ma il 41 42

The Japan Times, 22/6/2000. The Japan Times, 27/8/2000, p.18. 53

Kyôto Shimbun contestava il fatto che “nonostante l’entusiasmo con il quale le tre sottocommissioni hanno presentato il rapporto, prima di tutto nelle menti della gente appare esserci irritazione e rabbia. Noi notiamo molte teorie a corto raggio che non sono adeguate alle realtà del comportamento dei fanciulli e alle condizioni ambientali della classe”.43 Queste reazioni, e soprattutto l’accusa di mancanza di concretezza, nonostante l’indubbio interesse e l’impatto di grande portata delle proposte (Mainichi Shimbun), facevano ritenere la realizzazione della riforma ancora lontana, soprattutto perché “emendare la Legge Fondamentale per l’Educazione è simile nella sua essenza ad emendare la Costituzione, e se la proposta della Commissione è la premessa all’emendamento di quella legge, non ci si può aspettare molto consenso” (Kôbe Shimbun). E d’altra parte, come osservava l’Asahi Shimbun, “il sistema educativo odierno ha molti problemi e molte manchevolezze. Come teniamo testa a problemi seri come il bullismo, il rifiuto di andare a scuola e il collasso della classe? Un certo numero di cose devono essere portate a compimento prima di dibattere i problemi relativi alla Legge Fondamentale per l’Educazione”.44 Considerando poi l’inclinazione del Primo Ministro Mori per frasi come messhi hoko (devozione disinteressata alla nazione) e kami no kuni (nazione degli dei), non era difficile congetturare che cosa i politici stessero tentando di raggiungere emendando la Legge Fondamentale per l’Educazione: un’educazione costrittiva, esattamente l’opposto di un approccio inteso a incoraggiare la libertà di pensiero e di giudizio in43 44

Ibidem. Ibidem. 54

dipendente.45 L’8 gennaio 2001, Takenori Kanzaki, leader del Nuovo Komeitô, che era membro minore della coalizione governativa con il Partito Liberal Democratico e il Nuovo Partito Conservatore, richiese con forza cautela nel deliberare riforme educative, dicendo che “si opponeva assolutamente” a ogni incorporazione di sentimenti nazionalistici e totalitaristici che potrebbero indicare un ritorno alla maniera di pensare prebellica. Nella relazione finale della Commissione Nazionale sulla Riforma Educativa, infatti, era detto che è “necessario discutere un’educazione religiosa per coltivare i sentimenti religiosi (dei bambini)”. “Quando prendo in considerazione la separazione tra stato e religione sancita dalla Costituzione e se la questione è conforme alla Legge Fondamentale per l’Educazione, io sono contrario al portare (l’educazione religiosa) nelle scuole pubbliche,“ disse Kanzaki.46 Nel Gennaio 2001 il Ministero dell’Educazione, Cultura, Sports, Scienza e Tecnologia47 emanò il suo Piano di Riforma Educativa per il Ventunesimo Secolo, il Piano Rainbow48, e poi il Governo sottopose alla sessione regolare della Dieta, iniziata nel Gennaio 2001, sei progetti legislativi connessi alla riforma educativa, mentre molte voci relative alla stessa riforma furono anche incluse nel bilancio fiscale 45

The Japan Times, December 27, 2000. The Japan Times, January 9, 2001. 47 In base al piano di revisione della burocrazia del governo centrale, realizzato il 6 gennaio 2001, il Ministero dell’Educazione è diventato Ministero dell’Educazione, Cultura, Sports, Scienza e Tecnologia (MEXT). 48 Il Piano Rainbow - Sette strategie prioritarie: 1.Migliorare le competenze scolastiche basilari degli studenti; 2. Incoraggiare i giovani a divenire giapponesi aperti ed espansivi attraverso la partecipazione a servizi per la comunità e vari programmi; 3. Migliorare l’ambiente di apprendimento rendendolo piacevole e libero da preoccupazioni; 4. Creare scuole in cui genitori e comunità possano avere fiducia; 5. Addestrare insegnanti come reali “professionisti” dell’educazione; 6. Promuovere la costituzione di università di standard internazionale; 7. Stabilire una filosofia educativa adatta al nuovo secolo e migliorare i provvedimenti per l’educazione. 46

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2001. Nel frattempo, in accordo con il nuovo Corso di Studi di cui era programmata l’entrata in vigore il 1 Aprile 2002, tutte le scuole giapponesi avrebbero iniziato ad operare sulla base della settimana di cinque giorni, senza lezioni di sabato, riducendo ulteriormente le ore di studio, mentre la richiesta di apprendimento minimo per gli studenti di quasi tutte le discipline avrebbe avuto una decurtazione di circa il 30%. Il Primo Ministro Koizumi Junichirô, nel suo primo discorso politico alla Dieta il 7 Maggio 2001, parlando delle Riforme Strutturali Sociali per realizzare “una società nella quale la gente possa vivere vite che valgano la pena di essere vissute con un senso di sicurezza”, disse che “è vitale che noi portiamo avanti sistematiche riforme relative ai settori educativo, del benessere sociale e ambientale…Riforme educative saranno effettuate cosicché noi possiamo coltivare giovani con orgoglio e autoconsapevolezza come giapponesi, e con abilità necessarie a ricostruire la nostra nazione. Io intendo promuovere un dibattito nazionale su come dobbiamo procedere con una revisione della Legge Fondamentale per l’Educazione”49. Il 29 giugno 2001 tre progetti di riforma educativa, che emendavano la Legge per l’educazione scolastica, la Legge amministrativa locale per l’educazione e la Legge per l’Educazione sociale furono approvati dalla Dieta. Una caratteristica di rilievo dei progetti di legge era l’ampliamento delle opportunità per gli studenti diciassettenni di entrare all’università saltando il loro terzo anno di scuola superiore. I disegni di legge includevano anche misure per trattare la delinquenza e i problemi degli studenti, e per permettere di rimpiazzare gli inse-

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gnanti di cui si percepiva la mancanza di attitudine al comando e di autorità. I progetti incoraggiavano anche la promozione dell’educazione sociale, cominciando a casa. Le disposizioni di servizio per la comunità lasciavano alle scuole il compito di stabilire il periodo e il tipo di servizio ma stabilivano che le prestazioni degli studenti – in termini di buona volontà e sforzo – dovessero essere registrate insieme ai voti scolastici e ad altri rapporti. Nel tentativo di sostenere la disciplina e “proteggere il diritto di imparare”, i disegni di legge conferivano potere agli insegnanti e alle autorità scolastiche di sospendere gli studenti che creano scompiglio in classe, che assalgono i loro compagni o insegnanti o causano loro disagi psicologici o che causano danni alla proprietà scolastica. A questo riguardo, Il Primo Ministro Koizumi annunciò il 18 luglio 2001 che il governo avrebbe assunto in servizio nei successivi tre anni 50.000 insegnanti-assistenti part-time, inclusi ex docenti, nelle scuole elementari e medie, poiché un solo insegnante non può occuparsi da solo di 30-40 alunni.50 Con il passaggio dei tre progetti di legge, il dibattito sulla riforma educativa si è spostato sulla revisione della Legge Fondamentale per l’Educazione51. D’altra parte, tra le promesse di Koizumi durante la campagna elettorale per l’elezione del Presidente del Partito Liberal Democratico, c’era l’elezione popolare del Primo Ministro, che richiederebbe un emendamento della finora mai toccata Costituzione, ed è ben conosciuta la bramosia di Koizumi di emendare l’articolo 9 della Costituzione che sancisce la rinuncia alla guerra, mentre il Komeitô si oppone alla sua revisione. L’enorme popolarità personale del 49 50

The Japan Times, May 8, 2001. The Japan Times, July 19, 2001

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Primo Ministro Koizumi, con i sondaggi dei media che ponevano all’80% il livello dell’appoggio popolare, portò il suo Partito Liberal Democratico a una vittoria schiacciante alle elezioni per la Camera dei Consiglieri del 29 luglio 2001, le prime elezioni nazionali sotto Koizumi, che aveva assunto la guida del partito e del governo alla fine di aprile, e gli ha permesso nel successivo settembre la rielezione come Presidente del partito. La sua consacrazione a “riforme strutturali senza vacche sacre”52 generò un’appoggio entusiastico tra gli elettori, dando alla coalizione di Partito Liberal Democratico, Nuovo Komeitô a al Nuovo Partito Conservatore una soddisfacente maggioranza nella Camera Alta. Questo dovrebbe rimuovere un ostacolo parlamentare alla presentazione dei disegni di legge, inclusi quelli relativi alla riforme, per il processo finale di deliberazione della Dieta. Sarà in grado questa volta il governo di sopraffare la resistenza dell’establishment educativo orientato allo status quo? Intanto è entrato in vigore, con l’anno scolastico 2002, il nuovo curriculum per elementari e scuole medie, con una riduzione di circa il 30% del carico di lavoro: questo cambiamento è stato fatto in risposta alle critiche contro l’eccessivo numero di nozioni, soprattutto mnemoniche, previste dal sistema educativo. Tuttavia, questa riduzione, secondo molti, causerà un ulteriore declino delle abilità scolastiche dei giovani giapponesi. Il declino delle abilità degli studenti universitari, soprattutto in matematica, settore nel quale la preparazione degli studenti nipponici è sempre stata apprezzata all’estero e ritenuta impeccabile, è evidente. Il Prof. Sawada Toshio, docente di educazione ma51

The Japan Times, June 30, 2001.

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tematica presso l’Università della Scienza di Tôkyô, ha condotto nel 2000 un’indagine, facendo sostenere a circa 1300 scolari del sesto anno delle elementari in 11 prefetture un test di aritmetica che usava le stesse 20 domande presenti negli esami effettuati dall’allora Ministero dell’Educazione negli anni 1982 e 1994. Nel 2000, secondo il Prof. Sawada, solo il 57.5% delle risposte degli studenti erano corrette, contro il 64.5% del 1994 e il 68.9% del 1982. Il Prof. Sawada attribuisce la colpa di questo deterioramento dei risultati accademici alla politica di yutori kyôiku (educazione rilassata) del Ministero, che ha reso il curriculum molto meno intensivo. Secondo Sawada, il declino delle prestazioni accademiche negli Stati Uniti prima degli anni ‘80 era stato il risultato di una politica educativa simile al sistema di educazione rilassata che è usato ora in Giappone, e tale declino fu arrestato quando il Presidente USA George Bush introdusse un pacchetto di riforme educative.53 Altri insegnanti veterani attribuiscono il declino degli standard accademici ai cambiamenti del curriculum uniti al cambiamento di carattere dei bambini, e alla loro attitudine all’apprendimento: i bambini non hanno la pazienza di fare i calcoli, piuttosto che tentare vari modi per trovare una risposta vogliono il più veloce e più facile “libretto d’istruzioni” per raggiungere la risposta; essi non capiscono il valore dell’impiegare tempo nel fare qualcosa, e cresce il numero dei bambini che sono meno desiderosi d’imparare. Tuttavia ci sono anche insegnanti favorevoli al nuovo curriculum, anche perché, con l’introduzione della settimana corta, la considerevole riduzione 52

Con questo motto Koizumi intendeva dire che non avrebbe accettato la sussistenza di settori o interessi “intoccabili”. 53 Arita Eriko, “New school curriculum draws mixed reactions”, The Japan Times, 26 marzo 2002. 59

delle ore di lezione dedicate alle materie principali e l’introduzione degli “studi comprensivi”, esso offre loro la possibilità di trascorrere più tempo insegnando e riesaminando, permettendo così ai bambini di capire meglio.54 Non mancano, però, lamentele da parte di genitori, preoccupati per il calo del livello di capacità dei loro figli, soprattutto in vista degli esami di ammissione alla scuola superiore e all’università: se le scuole non assegnano molti compiti a casa, essi sono spinti a inviare i loro figli a scuole che li preparino per gli esami o a iscriverli a corsi per corrispondenza. Ciò non tiene conto, però, secondo alcuni insegnanti, del fatto che spesso i bambini non fanno i compiti assegnati a casa perché passano il loro tempo davanti ai video-giochi, sui computer comprati loro dai genitori, un numero crescente dei quali non si impegna ad acquistare giornali e libri, col risultato di un grosso calo delle abilità di lettura dei giovani giapponesi. Di fronte all’aumento delle critiche nei confronti del nuovo sistema rilassato, il Ministero dell’Educazione ha diffuso nel gennaio 2002 un documento, intitolato “Raccomandazioni sul- l’apprendimento”, nel quale raccomanda alle scuole di offrire lezioni supplementari oltre quelle regolari e di assegnare compiti a casa. Inoltre il Ministero, in gennaio e febbraio, ha condotto un’indagine a livello nazionale per testare le abilità accademiche degli alunni delle scuole elementari e medie, i cui risultati saranno resi pubblici in autunno e potranno essere d’aiuto per riconsiderare o riconfermare la politica educativa.55

54 55

Ibidem. Ibidem. 60

7. Il peggioramento della situazione giovanile

Nell’anno scolastico 1999, terminato nel marzo 2000, per la prima volta dal 1997, quando i casi di violenza scolastica furono inclusi nell’indagine studio annuale del Ministero dell’Educazione, essi superarono i 30.000. In totale furono 36.600 i casi di comportamento violento da parte di studenti delle scuole elementari e secondarie inferiori e superiori, il 3.8% in più rispetto all’anno precedente. Gli incidenti violenti furono più comuni nelle scuole secondarie inferiori, 28.100 casi, seguiti da quelli delle scuole secondarie superiori, 6.800, ed elementari, 1.700; 18.900 casi riguardarono attacchi di studenti contro altri studenti, 10.700 casi danneggiamenti alla proprietà scolastica; salì a 5.000 (l’11.2% in più rispetto all’anno precedente) il numero di aggressioni da parte di studenti contro gli insegnanti, mentre 2.000 furono quelle contro membri della popolazione. Sullo Yomiuri Shimbun del 4 agosto 2000 apparve un articolo dal titolo “Il numero dei giovani arrestati per omicidio raddoppiato a 53” , ed infatti rispetto al numero dei giovani arrestati per omicidio nei primi sei mesi del 1999, 27, i primi sei mesi del 2000 fecero registrare un notevole salto, soprattutto per quanto riguardava gli studenti della scuola superiore, 14 rispetto ai 5 dell’anno precedente. In realtà anche negli anni ‘60 vi fu un boom di omicidi compiuti da diciassettenni (nel 1960 Asanuma Inejirô, Presidente del Partito Socialista Giapponese, fu pugnalato a morte, e l’anno seguente un attacco alla casa di Shimanaka Hôji, Presidente della Chuô Kôron Sha, causò la morte della sua domestica e gravi ferite a sua moglie), tanto che il termine “terrore diciassettenne” entrò nel linguaggio, ma si

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trattava di crimini realizzati da giovani estremisti di destra, in un momento in cui l’intero Giappone propendeva verso la sinistra, e l’apparizione di questi giovani attivisti di destra fu sorprendente e allarmante, ma poteva essere attribuita a una fervente fede politica.56 I giovani d’oggi, invece, hanno poco o nessun interesse per la politica, le violenze risultano spesso efferate e le motivazioni appaiono vaghe, molte volte sconcertanti, al di là della comprensione degli adulti. Nel maggio 2000, per esempio, ad Oita, un ragazzo di quindici anni, al primo anno delle superiori, assalì una famiglia di sei persone, uccidendone tre, con la motivazione che la famiglia, alla quale apparteneva una ragazza sedicenne che frequentava la sua stessa scuola, lo ignorava.57 Il 21 luglio 2000 fu arrestato a Okayama un diciassettenne sospettato di aver ucciso la madre, di quarantadue anni, bastonandola con la sua mazza da baseball. Era stato arrestato all’inizio di luglio col sospetto di aver percosso quattro compagni della sua squadra di baseball il 21 giugno, lo stesso giorno dell’uccisione della madre. Il ragazzo ammise di aver deciso prima di quella data di uccidere uno dei quattro compagni perché veniva sottoposto da loro, sin dal precedente autunno, ad atti di bullismo, e di aver ucciso la madre proprio perché pensava che l’assalto a scuola avrebbe potuto turbarla: due crimini spietati e realizzati col chiaro intento di uccidere.58

56

Kondô Motohiro, “Juvenile Crime”, Japan Echo, vol.27, n.5, Ottobre 2000,

p.34. 57 58

The Japan Times, 15 maggio 2000. The Japan Times, 22 luglio; 1 agosto; 8 agosto 2000. 62

Il 2 maggio 2000 un ragazzo diciassettenne, che frequentava il terzo anno di una scuola superiore privata, uccise, pugnalandola dozzine di volte, una donna di sessantacinque anni: passando davanti alla casa dell’anziana signora, aveva visto la porta leggermente aperta e aveva deciso di fare di lei il suo bersaglio. “Volevo” – spiegò ai poliziotti che l’avevano arrestato – “provare a uccidere qualcuno”, e aggiunse che sentiva che sarebbe stato sbagliato uccidere una persona giovane, che aveva davanti un futuro.59 Il diciassettenne fu descritto come “uno studente eccellente ” dai suoi professori, che accolsero con stupore la notizia dell’arresto. Due ragazze diciassettenni della prefettura di Ibaraki, invece, furono arrestate con l’accusa di aver imprigionato a casa di un loro amico ventiduenne, tra il 4 e il 9 aprile 2000, una donna di ventisei anni, di averla assalita prendendola a calci e a pugni, di averle tagliato i lobi delle orecchie con le forbici e di averle premuto un arricciacapelli elettrico sul corpo, provocandole ferite e bruciature che avrebbero richiesto sei mesi di cure mediche. Tutto questo perché la donna le aveva offese.60 Il 3 maggio 2000 sempre un diciassettenne, dimesso solo poche ore prima da un istituto per disturbi mentali, dirottò un autobus intercity nella Prefettura di Saga, requisendo l’autobus e tenendo in ostaggio autista e passeggeri per quindici ore sotto la minaccia di un coltello, colpendo a morte un passeggero e ferendone altri due. La polizia non specificò i motivi del dirottamento.61

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The Japan Times, 3 maggio 2000. The Japan Times, 17 maggio 2000. 61 The Japan Times, 6 giugno 2000. 60

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Dieci ragazzi furono arrestati nell’agosto del 2000 a causa del loro coinvolgimento in un grave caso di estorsione avvenuto a Nagoya. Avrebbero estorto, in 130 occasioni diverse nel corso di un anno, un totale di 54 milioni di yen a un ragazzo quindicenne, compagno di classe della maggior parte di loro presso la locale scuola superiore di primo grado. Di questa cifra, circa quindici milioni sarebbero andati a un sedicenne, ritenuto il leader della combriccola delle estorsioni, che aveva frequentato la stessa scuola della vittima. I soldi sarebbero stati spesi per divertimenti (pachinko, video games ecc.), tassì, gioielli, viaggi a Tôkyô e Nagano, mentre uno dei ragazzi avrebbe comprato un motorino.62 E sebbene i casi di bullismo (ijime) tra studenti si fossero drasticamente ridotti a circa 31.400 nel 1999, il 13.8% in meno dell’anno precedente, con un declino per il quarto anno di seguito,63 per bullismo si continua a morire. I genitori di un ragazzo di tredici anni, uccisosi nell’agosto 2000 dopo aver lasciato nella tasca una nota, nella quale indicava come causa della sua azione il fatto di essere soggetto ad atti di bullismo da parte di quattro compagni di classe, intentarono causa contro la città di Suzaka, nella Prefettura di Nagano, perché non era stata in grado di prevenire il suicidio: la scuola, a loro parere, aveva fallito la sua responsabilità di prendere misure per assicurare la scoperta e l’eliminazione del bullismo, diventato un problema nella società.64 Anche i genitori sono spesso soli di fronte alla violenza dei propri figli, e non sanno come difendersene, come accadde nel giugno del 62 63

The Japan Times, 6 giugno 2000. The Japan Times, 12 agosto 2000.

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2000 a una coppia di Tomisato, nella Prefettura di Chiba, 56 anni lui e 42 lei. Il figlio quindicenne, studente del primo anno della scuola superiore, da un anno minacciava di ucciderli, e il suo comportamento era sempre più violento, tanto da far temere che avrebbe realmente realizzato le minacce. La sera del 4 giugno aveva cercato di soffocare il fratello minore e così, dopo aver mandato quest’ultimo a casa di conoscenti per la sua sicurezza, i due aspettarono che il figlio maggiore si addormentasse e, verso le tre e mezza del mattino, entrarono nella sua stanza e lo strangolarono. La mattina dopo si recarono alla Stazione di polizia di Narita, dicendo di voler chiedere consiglio su come comportarsi con il figlio violento, e solo quando i poliziotti raccomandarono loro di mandare il ragazzo da specialisti, crollarono, dicendo che tutto era a posto, perché, dopo aver lottato con l’idea, avevano ucciso il figlio.65 Il fatto è che i genitori in genere sono incapaci di rivolgersi ad altri per chiedere aiuto quando hanno problemi con i propri figli, tengono per sé i propri dubbi, non riuscendo a strappar via il controllo della situazione ai loro figli, e i figli diventano sempre più aggressivi. Nello stesso tempo i ragazzi vivono in uno stato di quasi totale isolamento dalla società, non hanno amici con cui confidarsi e sono incapaci di discutere con altri dei propri conflitti interni o di cercare appoggio; così la loro aggressività si rivolge all’interno e alla fine esplode in atti di criminalità violenta.66

64

The Japan Times, 7 luglio 2000 The Japan Times, 6 giugno 2000 66 Wada Hideki, “Why Can’t Our Children Communicate?”, Japan Echo, vol.27, n.5, ottobre 2000, p.35. 65

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Questi ripetuti casi di delinquenza scatenarono un dibattito nel paese e da più parti fu presentata la richiesta di abbassare a quattordici anni la responsabilità penale, affinchè i ragazzi che si macchiavano di così atroci delitti potessero essere processati secondo il codice di procedura penale, come adulti, invece di essere affidati al Tribunale di Famiglia, secondo la Legge Minorile. Molti giapponesi erano, infatti, convinti del fatto che la mancanza di una severa punizione per le loro azioni inducesse i ragazzi sotto i vent’anni a un comportamento violento, e che la riabilitazione, stabilita dalla Legge Minorile e consistente nella libertà condizionata sotto il controllo di funzionari incaricati di sorvegliare la condotta del giovane, non bastasse, anche perché erano in aumento i casi di recidività tra i giovani sottoposti a questo provvedimento. Il 28 novembre 2000 passò quindi, con l’opposizione divisa, la revisione della legge. Tuttavia se i minori compiono violenze, sono spesso essi stessi sottoposti a violenze, sia all’esterno sia all’interno del sistema educativo. Nel 1999, infatti, si verificarono 12.411 casi di violenze su bambini, con un incremento del 60% rispetto all’anno precedente, che a sua volta aveva visto un incremento del 30% rispetto al 1997, mentre nella sola Tôkyô la crescita fu dell’80%. La maggior parte dei casi implicavano violenza fisica, compresi stupro e violenze sessuali su ragazzine da parte dei conviventi delle madri: nella maggior parte dei casi, infatti, coloro che abusano dei bambini sono un genitore o i genitori, o gli uomini che vivono con le madri delle vittime. L’Agenzia di Polizia Nazionale è propensa a credere che l’aumento dei casi non sia dovuto a una semplice maggiore consapevolezza del problema da parte della popolazione, anche perché almeno 45 dei casi investigati a

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livello nazionale dalla Polizia si riferivano a morti in seguito ad abusi. Nel 2000 i casi di violenze in cui i bambini furono vittime fecero un balzo in avanti, crescendo del 12.3% rispetto all’anno precedente, mentre aumentarono di circa il 30% i casi di abuso, mietendo 44 vittime.67 Inoltre, la delinquenza giovanile e gli abusi su bambini sono strettamente connessi. Risultati di indagini hanno mostrato che molti giovani delinquenti sono stati vittima di ripetute violenze da parte dei loro genitori. Il 50% dei ragazzi reclusi in riformatori, secondo un’indagine del Ministero della Giustizia diffusa nell’agosto 2001, avevano sperimentato ripetuti abusi dai genitori o dai tutori, inclusi violenza fisica, abusi sessuali e negligenza, come negazione del cibo per uno o più giorni.68 Inoltre, sembra che si crei quasi una “catena generazionale di abusi”, e che i genitori che hanno sofferto di abusi in età infantile spesso finiscano per abusare dei loro figli. Il Ministero dell’Educazione, nel gennaio 2000, rivelò che nel 1999 una cifra record di 76 insegnanti (dei quali non fu indicato in dettaglio il sesso) di scuola elementare, media e superiore, erano stati sottoposti a procedimento disciplinare per atti osceni nei confronti di minori nell’anno scolastico 1998: 34 avevano molestato studenti della propria scuola, 20 studenti di altre scuole e i rimanenti 5 avevano compiuto atti indecenti nei confronti di ex studenti della propria scuola che avevano già terminato il corso di studi. In compenso i casi di provvedimenti disciplinari da parte del Ministero nei confronti d’insegnanti che avevano inflitto punizioni corporali ai propri studenti registrarono nel 67

The Japan Times, 26 settembre 2001. Asakura Takuya, “Juvenile correction system feeling strain”, The Japan Times, 23 novembre 2001. 68

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1998 un declino, 31 casi in meno per un totale di 383; tuttavia alcuni tra gli incidenti più pubblicizzati ebbero come conseguenza per gli studenti danni fisici a lunga scadenza o anche permanenti. Dei 4.352 insegnanti che nel 1998 presero congedi per malattia, la cifra record di 1.707 (il 39.2%) lo aveva fatto per ragioni di “sofferenza psichica”.69 Le cause dei mali sono tante e collegate: senza dubbio l’organizzazione gerarchica esistente nel sistema educativo (tra professori e professori, tra professori e studenti, tra studenti e studenti); una relazione alunni-professori burocratica, distante, impersonale, dovuta anche all’alto numero di studenti che formano le classi, 40, che impedisce persino il dialogo; un rapporto rigido e autoritario, nel quale sono ancora presenti le punizioni fisiche, appoggiate sia da insegnanti che da genitori e tacitamente approvate dalle autorità scolastiche; l’inazione degli insegnanti di fronte al bullismo; un altissimo numero di regole, che sacrificano l’individualità degli studenti e spingono alla conformità; la valutazione non solo accademica ma anche dell’atteggiamento in classe e della personalità dello studente, che dal 1993 è stata introdotta per gli alunni della scuola superiore di primo grado e che è diventata parte centrale del profilo dello studente, valutata insieme ai risultati degli esami per l’ammissione alla scuola superiore; i curricula uniformi e poco attraenti; la persistenza della concezione meritocratica come “motore” della società nipponica;70 un notevole calo di motivazione e di interesse da parte dei giovani nei confronti della volontà di apprendere, calo tuttavia non omogeneo, ma collegato allo strato so-

69 70

The Japan Times, 10 gennaio 2000, p.14. Per un approfondimento su questi problemi cfr. Yoneyama, op. cit. 68

ciale di appartenenza (il che sarebbe un’ulteriore dimostrazione della crescita della stratificazione sociale in Giappone).71 Il problema fondamentale, tuttavia, è che il sistema educativo giapponese non offre alcuna alternativa alla frequenza scolastica obbligatoria: gli alunni non hanno il diritto di decidere di lasciare la scuola, anche se soffrono per gravi atti di bullismo al suo interno. Sebbene un numero sempre crescente di bambini frequenti “scuole libere”, scuole alternative che non sono legalmente riconosciute dallo stato, a loro, come ai bambini educati in casa, è negato l’accesso all’istruzione superiore.72 Da questa situazione di estremo disagio scaturiscono, oltre alla violenza, fenomeni come il rifiuto della scuola (tôkôkyohi) e la fobia della scuola (gakkôkyôfu). Il tôkôkyohi, in particolare, è un fenomeno complesso: i ragazzi o rifiutano o non riescono ad andare a scuola, mostrano segni di eccessivo affaticamento, che possono essere accompagnati da sintomi somatici, come mal di stomaco, mal di testa, nausea, difficoltà di respirazione ecc., e questo è diventato pian piano un problema strutturale: nel 1993 colpiva già l’1% di tutti gli studenti della scuola media inferiore. I giudizi su questi fenomeni sono vari: per alcuni si tratta di cattiva volontà, di un comportamento socialmente deviante; per altri di problemi mentali; alcuni ritengono che non siano i ragazzi ad essere malati, ma la scuola; altri considerano il problema scolastico parte della crisi della società giapponese. Karôshi (morte per superlavoro) e shus-

71

Kariya Takehiko, “Confused Thinking About Equality and Education”, Japan Echo, vol.27, n.6, dicembre 2000, pp.8-13. 72 The Japan Times, 27 maggio 2000, p.3. 69

shakyohi (rifiuto dell’ufficio) sarebbero la versione adulta del tôkôkyohi, come il bullismo nella burocrazia quella dell’ijime scolastico.73 E intanto è aumentato il numero degli studenti delle scuole superiori apatici, incapaci di esprimere pienamente se stessi con le parole, privi della capacità di comunicare ed interagire con gli altri, tanto da spingere una scuola superiore di Fukuoka a introdurre un nuovo corso obbligatorio, Comunicazione Giapponese, che mira ad incoraggiare gli studenti a parlare di più. La materia, introdotta nell’anno scolastico iniziato nell’aprile 2000, per due anni, era insegnata una volta a settimana, per un’ora, dai docenti di matematica, inglese e scienze sociali. Il primo anno si concentrava sulle abilità del parlare ed ascoltare, e agli studenti veniva data l’opportunità di pronunciare un discorso di due minuti (sic!) su argomenti tipo “Autopresentazione” e “Che cosa mi aspetto dalla mia scuola superiore”, il secondo anno su un programma di “lettura e scrittura”. Tuttavia, alcuni studenti ritenevano che questo programma fosse inutile, poiché, sostenevano, i giovani hanno il loro modo di parlare, e gli basta capirsi tra di loro.74

8. Giudizi sul problema

Purtroppo il comportamento sempre più violento dei giovani, la vaghezza dei motivi che sta alla base dei loro crimini talvolta scioccanti, il peggioramento del profitto scolastico, la perdita di motivazione e interesse nell’apprendere, particolarmente pronunciata tra gli strati so73 74

Yoneyama, op. cit., p.247. The Japan Times, 27 maggio 2000, p.3. 70

ciali più bassi, e che approfondisce il divario tra strati superiori e inferiori della società, non sono un caso isolato del Giappone75, ma di tutti i paesi progrediti del mondo. Al summit del G8 tenutosi a Köln nel 1999, per la prima volta l’educazione fu uno dei temi principali discussi, e il meeting dei Ministri dell’Educazione del G8, tenutosi a Tôkyô il 1-2 aprile 2000, indicò che l’educazione era divenuta un problema importante, condiviso da molte nazioni del mondo.76 La ten-

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Kariya Takehiko, “Confused Thinking About Equality and Education”, Japan Echo, vol.27, n.6, dicembre 2000, p.12. 76 Il Chair’s Summary of G8 Edcation Ministers’ Meeting, Tôkyô, 1-2 April 2000 sottolineava le significative opportunità e i rischi reali delle società avanzate, nelle quali i livelli di abilità richiesti dal mercato del lavoro sono alti: gli individui che sviluppano e mantengono alti livelli di abilità possono raggiungere considerevole successo sociale ed economico, mentre quelli che non lo fanno rischiano più che mai l’emarginazione con poche prospettive di trovare un impiego prolungato e i mezzi che questo offre per un pieno impegno negli altri aspetti della vita sociale e culturale. In questo contesto, si dichiarava, la priorità è quella di un apprendimento che duri tutta la vita. Basato sui quattro pilastri dell’imparare a conoscere, a fare, ad essere e a vivere insieme, esso provvede ad accrescere le opportunità che sono essenziali per la piena cittadinanza in una società avanzata. Inoltre, parlando delle sfide educative in una società che cambia, nella quale la democratizzazione dell’educazione ha portato all’accesso di un numero crescente di giovani ai livelli educativi più alti, il documento sottolineava la necessità di una diversificazione dei livelli e tipi di educazione, non dimenticando che, tuttavia, alcuni giovani sono svantaggiati da circostanze familiari, limitate opportunità educative e basse aspettative. Quelli che abbandonano presto sono lasciati indietro dagli altri, mentre, nello stesso tempo, i cambiamenti sociali stanno creando nuove pressioni, e c’è il rischio che alcuni che hanno le capacità per aver successo possano perdere la fermezza che è necessaria per raggiungere l’obiettivo. I legami della comunità e familiari sono più deboli; le pressioni sociali e culturali sui giovani di tutte le provenienze sono più forti; le scuole debbono affrontare assenza scolastica, abbandono, comportamenti disgreganti. Per affrontare queste sfide, i Governi del G8 dichiaravano di star perseguendo una varietà di obiettivi, tra cui: instillare valori di comportamento etico; elevare i risultati degli studenti; sviluppare indicatori per monitorare e comparare pratiche e risultati educativi; agire contro gli svantaggi della povertà e dell’emarginazione sociale; trovare nuovi modi per attirare quelli che mancano di motivazioni per l’apprendimento; rafforzare la professione docente, soprattutto elevando le capacità professionali; allargare l’accesso all’apprendimento che duri una vita a coloro che tradizionalmente non hanno tratto vantaggio da questo; incoraggiare il coinvolgimento di genitori e comunità nelle attività scolastiche.

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denza sembra essere contraria nei paesi in via di sviluppo, come per esempio India e Corea, dove gli standard educativi sono saliti ed esiste una forte competizione nell’educazione. Perciò, i giovani dei paesi progrediti sono più fragili e deboli, con meno motivazioni, meno provvisti di valori. Naturalmente, qualcosa deve essere fatto a largo raggio per affrontare il declino della morale sociale, che sembra essere una tendenza che ha messo radici in tutto il mondo,77 ma prima di tutto è necessario trovare le cause effettive di questo declino. Secondo Wada Hideki, è in salita il numero di ragazzi incapaci di stabilire una comunicazione non linguistica con gli altri, perché l’occidentalizzazione dello stile di vita in Giappone ha grandemente influenzato la relazione tra madri e figli. L’atteggiamento, in passato troppo protettivo e quindi criticato, delle madri verso la prole e la loro maniera di allevarla, di stile giapponese (attenzione continua alle necessità e ai desideri dei figli, dei quali la madre amorosamente cercava di intuire i desideri non espressi per soddisfarli), sono stati sostituiti da un messaggio sociale molto diverso e dannoso per madri che abbiano poco senso dell’equilibrio: le madri devono prestare attenzione non solo ai figli, ma anche alla propria felicità e realizzazione personale. E poiché nel Giappone contemporaneo sono poche le madri che si fanno carico, come prima, di compensare l’usuale assenza da casa del padre, concentrato da sempre sul lavoro, stabilendo uno stretto contatto di corrispondenza emozionale con i figli, come risultato i nuovi giapponesi crescono con un insufficiente amae, ossia l’abilità di stabilire con gli altri, senza bisogno di esprimersi a parole, un rapporto di fiducia e 77

Homma Masao, “Learning for life”, Look Japan, vol.47, no.544, July 2001,

p.6. 72

di affidamento, e anche di rispondere in maniera appropriata, soddisfacendole, alle stesse esigenze non espresse degli altri. In altre parole, una persona che, a causa dell’incapacità dei genitori di avere con il proprio figlio un profondo rapporto di empatia, non è diventata capace nell’infanzia di capire ciò che gli altri stanno pensando o sentendo, o che manca di fiducia nella sua abilità di farlo, soffre della paura che le sue espressioni e azioni e persino uno sguardo fisso e intenso possano spingere gli altri a pensar male di lei, che la propria presenza possa essere sgradita agli altri, e ciò la trattiene dall’andare a lavorare o altrimenti dal mescolarsi con altre persone. Questa ansietà può facilmente divenire nei casi gravi una fobia sociale.78 Anche Yôrô Takeshi sostiene che, se i ragazzi contemporanei sono differenti, questo dipende dal sistema di vita che è fondamentalmente mutato dopo la seconda guerra mondiale, e parla della scomparsa, dovuta all’industrializzazione, di luoghi dove i bambini possano giocare, ma soprattutto lamenta l’incapacità dei bambini, che sono esseri “naturali” e agiscono in modo spontaneo e “naturale”, di adattarsi ad una società “astratta” e automatica, nella quale tutto sta divenendo artificiale, una società che non ha neppure la pazienza di aspettare che i bambini maturino, e pretende che essi agiscano da adulti il più presto possibile. A suo parere, non esistono risposte sbrigative per i problemi dell’educazione; bisognerebbe condurre una paziente ricerca a lungo termine su molte generazioni, a cominciare dagli effetti della televisione e dei video-giochi sui bambini. Dal momento che sono gli esseri umani che percepiscono il mondo e lo cambiano, bisognerebbe usare come standard un tipo di apprendimento valido universalmente, che 78

Wada Hideki, op. cit., p.36. 73

consideri che l’uomo è composto, per dirlo con termini fuori moda, di anima e corpo.79 Hosokawa Ryûichirô, usando altri termini, parla della necessità di riguadagnare lo spirito del Giappone prebellico. Infatti, a suo parere, se l’obiettivo fondamentale dell’istruzione obbligatoria è insegnare le virtù e le conoscenze richieste ad ogni cittadino giapponese, esso veniva raggiunto in sei anni prima della guerra; dopo la guerra la qualità dei cittadini nipponici si è deteriorata, nonostante il prolungamento del periodo di istruzione obbligatoria. Alcune virtù basilari quali il rispetto per i genitori, l’amore fraterno, l’amicizia e l’armonia coniugale, erano insegnate al popolo dal Rescritto Imperiale sull’Educazione (Kyôiku chokugo), mentre l’etica insegnava ai fanciulli i modi concreti di vivere queste virtù. Hosokawa sostiene che l’arcipelago sarà votato alla morte, che si riprenda o meno la sua economia, se i giapponesi non riguadagnerranno l’anima e lo spirito che sono stati completamente distrutti dalle Forze di Occupazione, che hanno abolito il Rescritto Imperiale sull’Educazione, negando ai giapponesi la possibilità di essere istruiti su tali importanti materie.80 Si percepisce da ogni parte, in Giappone, l’esigenza che il paese risollevi il suo morale, allontanandosi dal pessimismo, e riguadagni vigore per rispondere alle sfide del mondo nel XXI secolo. Tuttavia esaminando, per esempio, gli editoriali del Nuovo Anno 2001 dei principali quotidiani, si scopre che, riguardo alla questione di come il Giappone possa riprendere vigore e quale tipo di nazione debba diventare, la polarizzazione politica è evidente: alcuni, come quelli dello 79

Yôrô Takeshi, “What’s the Problem with Kids Today?”, Japan Echo, vol.27, n.5, ottobre 2000, pp.39-41. 80 Hosokawa Ryûichirô, “Regaining the spirit of prewar Japan”, The Japan Times, 3 maggio 2000, p.21. 74

Yomiuri Shimbun e soprattutto del Sankei Shimbun, in tono con il pensiero di Hosokawa, criticavano il corso che il Giappone ha preso dalla fine della seconda guerra mondiale e parlavano della necessità di una “rivitalizzazione” dello spirito giapponese, di un ritorno, addirittura, alla filosofia del Bushidô, mentre altri, come il Mainichi Shimbun e l’Asahi Shimbun, attribuivano maggior valore alla libertà di scelta individuale e alla globalizzazione.81 Nello stesso modo i politici possono dibattere sui problemi del sistema educativo, sulla opportunità o meno di modificare la Legge Fondamentale per l’Educazione, ma in questo senso la discussione tra le parti politiche rimane superficiale: il disagio degli studenti, le violenze, spesso efferate, dei giovani e il declino del livello di preparazione degli alunni indicano che il problema non è riformare la Legge ma cambiare il sistema di valori dominante nella società, attualmente basato sulla soddisfazione dei desideri materiali. Che ragazzi possano crescere in una società che ha come valore fondamentale la riuscita economica dell’individuo, che alimenta la competizione, il cinismo, l’indifferenza, nella quale stanno perdendo il ruolo di valori guida l’impegno, il sacrificio coraggioso, il rispetto degli altri, nella quale sembra che gli adulti, troppo impegnati nella corsa sfrenata verso il successo materiale, non abbiano quasi nessuna eredità da lasciare alle nuove generazioni, non più guide amorose autorevoli, ma “vicini” dei propri figli, figli abbandonati a se stessi e allevati a programmi televisivi, consumismo sfrenato, cellulari, denaro pronto?

81

Fujita Hiroshi, “New Year Editorials Seek to Boost Japanese Morale”, Japan Review of International Affairs, vol.15, n.1, primavera 2001, pp.77-80. 75

Yôrô Takeshi ricorda che fino ad ora in Giappone la pressione sociale ha adempiuto alla funzione di regolare il comportamento, e che la forza di quel tipo di pressione non si è ancora completamente erosa, ma che sta diventando chiaro che non è possibile affidarsi più a lungo al controllo attraverso la pressione sociale man mano che la globalizzazione procede.82 Non bisogna, a mio parere, dimenticare che la globalizzazione rende molto più piccolo il mondo, eliminando le peculiarità ma, ed è questo un pericolo, facendo sì che anche i problemi diventino comuni. Come non sentire immediatamente, nel consumismo dominante, nella perdita dei valori, nei casi di violenza giovanile, nella crisi del sistema educativo, nella non frequenza della scuola per problemi di salute (anoressia, ansia, patologie senza causa definita), un’eco dei problemi italiani e di quelle che vengono definite le cause di tali problemi? Sebbene i giapponesi tendano a ritenere peculiari del loro paese alcuni fenomeni (come il caso dei parasaito shinguru, uomini e donne giovani, che continuano a vivere con i loro genitori anche dopo essere diventati adulti, godendosi una vita libera da preoccupazioni e soddisfacente come singoli),83 mi sembra di poter dire in coscienza che il Giappone ha oggi molto in comune con l’Italia. E concordo in pieno con Ohmori Fujio, che sostiene che non si possa permettere che diventi posizione ufficiale del Ministero dell’Educazione e di altri organi competenti l’opinione “comune” che attribuisce al sistema scolastico (competizione per gli esami, impegno

82

Yôrô Takeshi, op. cit;, p.41. Yamada Masahiro, “The Growing Crop of Spoiled Singles”, Japan Echo, vol.27, n.3, giugno 2000, pp.49-53. 83

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intellettuale prolungato, stress emozionale) tutti i problemi dei giovani giapponesi.84 Denigrare il valore dello studio significa, in pratica, per Ohmori, la negazione delle scuole stesse, che non sono altro che luoghi per studiare, e questo accelera soltanto la perdita di obiettivi nel mondo dell’educazione. Questa linea di pensiero “antiaccademica”, che implica che lo studiare non è importante né leggero, e che naturalmente si adatta bene ai ragazzi, ha avuto a suo parere un profondo impatto negativo sia sugli alunni che sui professori, con conseguenze distruttive: il messaggio che sta alla sua base, ossia che non vi sia alcuna ragione per studiare sodo, che troppe ore di studio siano dannose per la salute fisica e mentale, ha ridotto la stima della cultura e sostanzialmente smorzato il loro entusiasmo per l’educazione. Le osservazioni critiche che i bambini sentono nel mondo adulto nei confronti dell’enfasi sullo sviluppo intellettuale, del valore degli esami di ammissione e di altri simili impegni, e la reputazione negativa attribuita allo studio, hanno dato loro l’impressione che aver successo con i libri sia non facile e persino qualcosa di cui vergognarsi. Allo stesso tempo, comunque, i ragazzini ricevono il messaggio che in realtà debbono prepararsi per i loro esami d’ammissione nell’interesse del proprio futuro. Lo studio, l’apprendimento e gli sforzi diligenti non sono più virtù ma attività interessate e vergognose, perché i ragazzini oggi si vantano con i loro amici del fatto che non stanno studiando mentre lo fanno di nascosto. E negli ultimi anni molti bambini hanno semplice84

Ohmori Fujio, “The Flawed Consensus on Educational Reform”, Japan Echo, vol.27, n.6, dicembre 2000, pp.14- 17. Sul fronte italiano, possiamo trovare la stessa visione del problema negli articoli di Mario Pirani su “Repubblica”. 77

mente usato la linea di pensiero “antiaccademica” come scusa per non studiare affatto.85 Gli insegnanti, d’altra parte, sono sotto pressione e ammoniti di non usare metodi educativi obsoleti non approvati dagli organi amministrativi educativi e da altri. In poche parole, in tutto il Giappone sta crescendo la convinzione che assidue pratiche educative (compiti a casa, esercizi scolastici di controllo dell’apprendimento ecc) che obbligano i bambini a studiare sodo e ad acquisire un certo livello di abilità scolastica siano totalmente in disaccordo con i tempi, difficili, o persino un ritorno a vecchi, dannosi sistemi. Il Ministero dell’Educazione e gli altri organi competenti, che sono alle spalle della riforma, dovrebbero quindi chiarire, secondo Ohmori, che quando parlano di “dare ai bambini lo spazio per crescere”, concetto generalmente salutato come concetto-chiave della riforma, non stanno appoggiando questa visione “antiaccademica”. D’altra parte in una società orientata verso l’informazione e caratterizzata da una rapida espansione delle tecnologie di comunicazione, nella cosiddetta knowledge society, non c’è ragione di credere che sia necessario sacrificare le conoscenze scolastiche basilari nell’interesse della creatività ed individualità, ma si può puntare su entrambe. Le riforme educative debbono essere in grado di realizzare un completo capovolgimento nell’opinione generale sull’educazione, restituendo una prospettiva a lungo termine alle fondamenta dell’educazione scolastica, designando come obiettivo il miglioramento degli standards accademici. Gli alunni debbono affrontare entusiasticamente gli studi; i ragazzi e i professori, turbati dalla perdita di obiettivi e dalla sensazione di trovarsi in una situazione senza vie d’uscita, devono essere capaci di riaffermare 85

Ohmori Fujio, op. cit., p.15. 78

il ruolo delle scuole e affrontare i loro compiti con un atteggiamento di prospettive a lungo termine, basato su un livello più alto di moralità. E soprattutto, secondo Ohmori, per realizzare le riforme educative è necessario una serie di concrete azioni politiche guidate da una visione coerente.

9. Perché non cambia il sistema?

Le ragioni per cui il Giappone, nonostante le graduali trasformazioni, non è riescito ancora a liberarsi di un meccanismo giudicato da molti antiquato ed estremamente limitante e discriminatorio sono di natura culturale, sociale, politica ed economica. Secondo il parere di molti studiosi, sia giapponesi sia stranieri, i tre principali ostacoli che hanno impedito il cambiamento sono: la tradizione confuciana, l’interesse della classe dominante a non modificare il rapporto esistente tra il sistema educativo e il mondo politico e finanziario, conservando così le tradizionali gerarchie di potere, e il giro d’affari dell’industria della preparazione agli esami. Nel tipo di preparazione richiesta per poter superare i fatidici test d’ammissione, che costringe gli studenti ad incamerare una quantità spropositata di nozioni, non è difficile riconoscere tratti ereditati dal pensiero confuciano86. L’utilità della memorizzazione, ad esempio, non tanto in relazione ai contenuti quanto per la fatica che il procedimento comporta, è ritenuta un principio valido ancora oggi: essa impone agli studenti una ferrea discipli86

Come sosteneva Fosco Maraini in Japan: Pattern of Continuity, Tôkyô, Kodansha, 1971, p. 114. 79

na e li spinge sempre verso un alto rendimento; i difensori del sistema della competizione scolastica lo ritengono un ottimo strumento educativo. L’estrema enfasi posta sulla memorizzazione ha anche un altro scopo educativo: scoraggiare la nascita e lo sviluppo del pensiero individuale e della curiosità intellettuale. Il sistema educativo ha la funzione di preparare il maggior numero possibile di diplomati e laureati competenti nei settori specifici di cui il Governo o il mondo dell’economia hanno bisogno per la crescita del paese. Ciò che più sta a cuore agli uomini di potere è avere a disposizione professionisti preparati, responsabili, leali,e soprattutto allenati ad assimilare87. Se il sistema degli esami venisse modificato, inoltre, gli interessi economici delle juku , che offrono corsi supplementari, non sarebbero gli unici ad essere colpiti. Anche le librerie specializzate in testi per la preparazione ai test d’ammissione, l’esercito di insegnanti privati, le stesse università e scuole che traggono profitto dalla distribuzione e dalla correzione degli esami, vedrebbero ridurre la loro attività. Anche i produttori di oggetti quali lampade, scrivanie ed accessori scolastici in genere andrebbero incontro ad un calo delle vendite se l’approccio dei giovani e delle loro famiglie allo studio diventasse più rilassato. È innegabile, però, che qualcosa si stia muovendo, e forse il peggioramento del sistema educativo determinerà l’inevitabilità della svolta. La struttura rigida ed uniforme, tradizionale caratteristica del sistema educativo nipponico, la scuola che insegna a tutti le stesse cose, che genera un sistema esasperatamente meritocratico, che prepara i giovani ad affrontare la selezione per i gradi scolastici superiori anziché la sfida della società del XXI secolo, non sembra più rispondere 87

Cutts, R.L., An Empire of Schools, Armonk, N.Y, 1997, p.48. 80

alle esigenze di rinnovamento e competitività di un Giappone che voglia (e indubbiamente vuole) essere al passo con i tempi ed evolversi tenendo conto della realtà internazionale, come è indubbio che il mondo diventi sempre più un villaggio globale e le usanze dei vari paesi tendano ad uniformarsi.

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche Area 02 – Scienze fisiche Area 03 – Scienze chimiche Area 04 – Scienze della terra Area 05 – Scienze biologiche Area 06 – Scienze mediche Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie Area 08 – Ingegneria civile e Architettura Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche Area 12 – Scienze giuridiche Area 13 – Scienze economiche e statistiche Area 14 – Scienze politiche e sociali

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Finito di stampare nel mese di gennaio del 2006 dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri) per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma