Il sistema dei valori e la strategia aziendale 9788892181342, 8892181343

I modelli di business consolidati divengono spesso rapidamente obsoleti. Chi avrebbe previsto il declino di Blockbuster,

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Il sistema dei valori e la strategia aziendale
 9788892181342, 8892181343

Table of contents :
Table of Contents
Dedica
Copyright
Citazione
INTRODUZIONE
Parte I. INQUADRAMENTO CONCETTUALE
1. Cambiamento strategico e valori dell'azienda
2. Sistema aziendale delle idee, core values system e strategia aziendale
3. Il sistema dei valori e la cultura aziendale
4. Il sistema dei valori e la corporate governance
5. Il sistema dei valori e la corporate social responsibility
Parte II. SCHEMI E MODELLI DI RAPPRESENTAZIONE E DI GOVERNO
6. La consapevolezza della necessità di riflettere sul core values system
7. I valori originari a fondamento del core values system: uno schema di analisi
8. I requisiti che caratterizzano i valori propri di un valido core values system
9. I valori nella gestione dell’azienda: il management by values come metodo di governo
APPENDICE AL CAPITOLO 9
BIBLIOGRAFIA
RINGRAZIAMENTI

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Table of Contents Dedica Copyright Citazione INTRODUZIONE Parte I. INQUADRAMENTO CONCETTUALE 1. Cambiamento strategico e valori dell'azienda 2. Sistema aziendale delle idee, core values system e strategia aziendale 3. Il sistema dei valori e la cultura aziendale 4. Il sistema dei valori e la corporate governance 5. Il sistema dei valori e la corporate social responsibility Parte II. SCHEMI E MODELLI DI RAPPRESENTAZIONE E DI GOVERNO 6. La consapevolezza della necessità di riflettere sul core values system 7. I valori originari a fondamento del core values system: uno schema di analisi 8. I requisiti che caratterizzano i valori propri di un valido core values system 9. I valori nella gestione dell’azienda: il management by values come metodo di governo APPENDICE AL CAPITOLO 9 BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI

a Brunella, Mara e Francesca

© Copyright 2018 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO VIA PO 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it ISBN/EAN 9788892181342

«Volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”. Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: “Giovanni è il suo nome”. Tutti furono meravigliati». (LC 1-60-64)



INTRODUZIONE Viviamo in un’epoca di turbolenza e complessità del sistema socio-economico. L’imprevedibilità dei fenomeni con cui oggi ci misuriamo ci rende inqueti perché determina lo sgretolarsi di convincimenti fondati su logiche e modelli di pensiero consolidati. Le nuove tecnologie – soprattutto quelle a contenuto digitale – hanno cambiato il nostro modo di comunicare e di intrattenere relazioni sociali (es. social network), di passare il tempo libero e di divertirci (basti pensare alle modalità di fruizione della musica, dei film, delle serie televisive, degli eventi sportivi, all’utilizzo per finalità ludiche degli smartphone), di fruire di servizi (prenotazione dei viaggi e dei trasporti; sharing economy nel settore turistico, del trasporto; banking e trading, ecc.), di acquistare beni (es. via web o APP-mobile), di informarci, di svolgere attività di studio, ricerca e insegnamento, di archiviare e condividere dati e conoscenza, di proteggere la propria privacy, di produrre (stampanti 3D, industria 4.0, rilevanza della industrial cyber security, necessità di rifondare le competenze) ed anche di delinquere. I mercati finanziari, sia dei titoli azionari che del debito, e quelli delle commodity, che sembrano dominati da moti speculativi a breve termine fluttuando in modo intenso e improvviso, sono spesso elevati al ruolo di giudice supremo dell’economia e della politica. In pochi anni, anche per effetto della fase avanzata (e mal governata) del processo di globalizzazione, lo scenario imprenditoriale – oltreché in senso più ampio quello economico e sociale – è conseguentemente radicalmente mutato. Imprese di grande e prolungato successo, incapaci di rifondare celermente su nuove basi il loro business, hanno vissuto fasi di declino ed anche situazioni di fallimento (si pensi ai casi Polaroid o Blockbuster); interi settori e distretti industriali (si pensi al settore televisivo, fotografico, musicale, ai distretti calzaturieri, mobilieri e tessili italiani) hanno mutato pelle e luoghi produttivi. Ma al contempo – proprio in questo ambiente così trasformato e così complesso e turbolento – alcune imprese hanno saputo attivare o cavalcare le trasformazioni del contesto ed altre sono nate e cresciute fino a conquistare posizioni di grande forza. Il panta rei di Eraclito non basta per rappresentare la realtà nella quale oggi ci immergiamo, dominata dal relativismo e da una dinamicità profonda, rapida e, spesso, caotica. La maggior frequenza e velocità dei cambiamenti, così come la loro prospettiva ed entità hanno determinato, possiamo dire, una “compressione dello spazio e del tempo”, e stanno incessantemente plasmando e riplasmando un “ambiente” difficilmente prevedibile. In questo contesto le aziende devono (o meglio, dovrebbero) costantemente riconsiderare sé stesse, dimostrando una capacità intrinseca di resilienza, unita ad una forte attitudine ad innovare. Il cambiamento nelle aziende ben governate è, possiamo dire, elemento della quotidianità. Oggi è del tutto evidente che le aziende dominanti sono quelle che hanno saputo attivare e/o cavalcare veloci e radicali cambiamenti. Il cambiamento continuo è divenuto, in altre parole, un tema centrale della gestione aziendale.

Di fronte alle circostanze che impongono all’azienda il continuo cambiamento essa si trova però esposta ad un serio rischio: disperdere quei valori identitari che connotano la sua più profonda vocazione e che costituiscono il cardine intorno al quale ruota la sua storia ed anche la sua distintività 1. È bene precisare che i valori si esprimono innanzitutto a livello individuale; si tratta di idee, convinzioni e principi che guidano i comportamenti ed i giudizi di fronte alle varie situazioni della vita quotidiana e non solo, dimostrando così di essere centrali nel plasmare le personalità di ognuno di noi. Siamo convinti però, e su questo ritorneremo ampiamente più avanti, che esistano anche alcuni valori propri delle organizzazioni sociali complesse dotate di finalismo, come l’azienda. In questo caso siamo di fronte a convinzioni e principi della “istituzione” che orientano i comportamenti ed i giudizi (funzione di guidance) degli appartenenti alla stessa (o di taluni di essi) di fronte alle varie situazioni e necessità decisionali che si manifestano, dimostrando in alcuni casi di essere centrali nel delineare l’identità profonda dell’organizzazione e, quindi, anche le sue vocazioni. Immaginate, ad esempio, le conseguenze che si potrebbero produrre nel caso in cui un’azienda come Ferrari decidesse di abbandonare la produzione di vetture sportive di “lusso absolute” per orientarsi verso veicoli a basso prezzo, o nel caso in cui IKEA decidesse di abbandonare la sua filosofia gestionale ed operativa orientata verso la realizzazione di mobili connotati in termini di design e di funzionalità con orientamento al contenimento dei costi. Ancora, cosa diverrebbe la Brunello Cucinelli se, abbandonando la sua “filosofia umanistica” 2 che tanto ha contribuito al prestigio ed alla reputazione dell’azienda, optasse per una delocalizzazione produttiva per sfruttare il lavoro a basso costo in ambienti lavorativi inadeguati? L’azienda di successo non deve solo favorire e cavalcare il cambiamento ma deve anche saper valorizzare la propria identità, le proprie vocazioni. In particolare l’idea qui proposta, che permea questo volume, è che per governare un’azienda in modo consapevole e proficuo (ed anche per orientarla opportunamente verso il cambiamento), sia necessario prima di tutto conoscere i suoi valori identitari. L’azienda deve, in altre parole, trovare un equilibrio tra l’ineludibile esigenza del cambiamento e la necessaria stabilità identitaria oltreché vocazionale. A tal fine ci proponiamo nel presente volume di condurre il lettore attraverso un percorso articolato in due parti. La prima, di carattere prevalentemente concettuale, ha lo scopo di analizzare i caratteri, le funzioni e gli effetti indotti dai valori aziendali, ponendo particolare rilievo all’impatto e alla connessione che questi ultimi possono avere sia con la strategia e con le operational routine, sia con la reputazione dell’azienda. La seconda parte, di natura più gestionale, presenta, invece, un insieme di modelli di analisi utili per portare i valori identitari al livello della consapevolezza, valutarne la natura (fisiologica o patologica) così da porli validamente al centro dell’attività di governo. La seconda parte si conclude con la presentazione di un modello di management by values. Il tema oggetto del presente lavoro presenta per sua natura un certo grado di imponderabilità (parlando di valori identitari e di vocazione aziendale) e, quindi, rischia di rimanere astratto. Per questo motivo abbiamo inserito – per lo più in specifici riquadri – molte esemplificazioni concrete tratte da casi aziendali di particolare interesse. Per evitare

questo rischio suggeriamo pertanto di non tralasciare, nella lettura, le esemplificazioni fornite ed anzi di porre particolare attenzione alle stesse. Il nostro intento è infatti proprio quello di rendere concreto un tema che potrebbe apparire imponderabile. Il presente volume è frutto di una stretta collaborazione tra gli autori; tuttavia possono essere imputati a Silvio Bianchi Martini i capitoli 1, 2, 6 e 7, a Edoardo Forconi i capitoli 3, 4, 5, e 8, a Elisabetta Rocchiccioli il capitolo 9 e l’appendice di quest’ultimo. Il volume si colloca in un più ampio progetto di ricerca condotto nell’ambito del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa ed in collaborazione con docenti dell’Università degli Studi di Foggia e dell’Università di Milano Bicocca 3. Tale progetto rivolge la sua osservazione al governo strategico dell’azienda e approfondisce i temi dei valori aziendali e dei modelli di rappresentazione ed analisi delle strategie riguardando aspetti di corporate governance, performance e sistemi di controllo. GLI AUTORI

Pisa, luglio 2018 1 T. SLACK-C.R. HININGS, Values and Organizational Change, in “Journal of Applied Behavioral Science”, 38(4), 2002, pagg.

436-465. 2 Il tema della “filosofia umanistica” di Cucinelli è descritto nel capitolo 2 del presente lavoro. 3

Esso coinvolge, sotto il coordinamento di Silvio Bianchi Martini, i ricercatori Antonio Corvino, Federica Doni, Giuseppe D’Onza, Edoardo Forconi, Michela Mazzoni, Alessandra Rigolini ed Elisabetta Rocchiccioli.

PARTE I

INQUADRAMENTO CONCETTUALE



1. CAMBIAMENTO STRATEGICO E VALORI DELL’AZIENDA L’azienda è un’istituzione economica governata dall’uomo che opera in un ambiente dinamico 1. Vive nell’oggi ed è proiettata nel futuro. Alla base della sopravvivenza e del successo della stessa vi sta, pertanto, da un lato la capacità di realizzare efficacemente ed efficientemente il disegno imprenditoriale dell’oggi (potremmo parlare di impostazione strategica attuale) 2, ma dall’altro lato la capacità di interpretare la dinamica ambientale e di progettare e realizzare un disegno imprenditoriale per il futuro diverso da quello attualmente in essere (potremmo parlare di strategia per il domani o, meglio, di intento strategico) 3. Non basta, quindi, governare validamente l’azienda dell’oggi (cioè il sistema d’azienda attualmente operante), bisogna anche pensare all’azienda del domani (e tradurre tale pensiero in un progetto) ed operare per realizzarla. Senza la capacità di interpretare la dinamica delle forze ambientali, senza la capacità di adattare le proprie condizioni strutturali alle nuove forze competitive e ambientali, senza la capacità di ripensamento strategico, anche la migliore azienda oggi operante è infatti condannata al declino, all’insuccesso e, talvolta, al fallimento. Il top management deve, in altre parole, consapevolmente ideare e realizzare la “mutazione” dell’azienda. A ben vedere, infatti, gestire strategicamente un’azienda in modo positivo significa principalmente proprio questo: saper pensare e realizzare l’azienda del domani mentre si governa in modo efficace ed efficiente quella dell’oggi 4. Tutto ciò è vero da sempre ma, nel mondo di oggi, è divenuto ancor più evidente ed importante, perché le innovazioni che determinano i cambiamenti economico-sociali che impattano sulle aziende sono molto più frequenti e determinano spesso effetti rilevanti (e talora distruttivi) con accresciuta velocità 5. Gli esempi che potremmo fare di recenti cambiamenti economico-sociali indotti da innovazioni (spesso ma non necessariamente di natura tecnologica) che si sono succedute con frequenza e velocità sono moltissimi. Basti per adesso pensare a come e quante volte è cambiato negli ultimi anni il modo di comunicare e di attivare e gestire le relazioni sociali, di prenotare i viaggi e di viaggiare, di informarsi, di comprare beni, di fotografare, di giocare, di ascoltare la musica, di investire i risparmi, di proteggere le nostre informazioni personali, di divertirci, e così via. =========== L’INTRAMONTABILE LEADERSHIP DI IKEA? Non ci sono dubbi sul fatto che IKEA abbia rappresentato, negli ultimi decenni, e rappresenti tutt’oggi, un caso aziendale di straordinario successo. Grazie alla sua originale formula imprenditoriale è riuscita a conquistare una posizione di leadership nel settore dell’arredamento di design e funzionale a prezzo contenuto e, ancor oggi, è certamente l’azienda più ammirata al mondo nel suo settore. Il vantaggio competitivo di IKEA potrebbe sembrare inattaccabile. L’avvento di Internet e il recente ma intenso e crescente affermarsi del commercio online, compreso quello su

piattaforma mobile, hanno però iniziato a produrre effetti significativi anche sulle filiere dell’arredamento (sia nelle fasce medie e basse sia in quelle di pregio e design). IKEA ha in parte adattato la sua formula competitiva iniziando da tempo a vendere prodotti online 6. È evidente, però, che nell’online il mercato è ancora frammentato e in fase di rimescolamento e che la struttura capillare dei grandi negozi IKEA potrebbe rivelarsi un punto di forza ma anche un fattore di rigidità. La rapidità dei cambiamenti dell’online market, unitamente ai miglioramenti delle strutture logistiche che operano per conto terzi, apre le porte a nuovi modelli di business. Si osserva ad esempio che si stanno diffondendo alcuni intermediari che, anche utilizzando le applicazioni mobile e siti internet, potrebbero far recuperare spazi di mercato a produttori di mobili delle diverse fasce di prezzo operando un processo di disintermediazione rispetto ai tradizionali canali distributivi (si veda, ad esempio, il Gruppo Westwing: https://www.westwing.de/company/). IKEA si trova quindi nella necessità di ripensare la sua formula cercando di valorizzare la sua rete distributiva e logistica e il suo brand (che certamente sono risorse distintive di ingente valore), la sua capacità di progettare prodotti agevolmente trasportabili (il cosiddetto pacco piatto), di elevata funzionalità e di design (che certamente sono competenze distintive di ingente valore), per fronteggiare le minacce e cogliere le opportunità nel mercato online dell’arredamento. Tutto ciò sta avvenendo in una fase in cui si stanno affacciando prepotentemente sul mercato internazionale catene distributive di mobili low cost molto competitive e che potrebbero aprire un nuovo fronte di pressione per IKEA. Lo scenario è, pertanto, aperto e tutt’altro che statico e potrebbe riservare non poche sorprese anche per un grande leader come IKEA. ===========

La maggior frequenza con la quale oggi le innovazioni scardinano preesistenti equilibri è un argomento efficacemente ripreso in un best seller di Downes e Nunes, pubblicato pochi anni fa, i quali parlano di “Big Bang Disruption” 7. In particolare i due Autori trattano di quelle innovazioni dirompenti per i mercati che portano le aziende che le attuano (i cosiddetti disruptor) a realizzare possenti e veloci crescite, ma che hanno effetti rapidamente devastanti per le aziende già esistenti e che possono determinare repentine obsolescenze dei preesistenti modelli di business di successo. Talvolta i disruptor sono aziende già operanti (si pensi all’impatto dell’Apple-Iphone sul modello di business di Nokia o a quello di Amazon su alcune forme della distribuzione tradizionale, a quello di Google-Maps su TomTom, di Apple-Itunes sulla filiera della produzione e distribuzione di musica, di Netflix sulla filiera della produzione e distribuzione di film e serie televisive), ma di frequente sono start-up (si pensi agli effetti che potrebbe avere Airbnb per la ricettività dei bed & breakfast e degli alberghi; Uber per le agenzie di taxi; FlixBus e BlaBlaCar per i servizi di trasporto extraurbano; Kickstarter per il settore dei piccoli finanziamenti). =========== TOMTOM: IL SUCCESSO, IL DECLINO E I TENTATIVI DI RIPOSIZIONAMENTO TomTom, azienda resa famosa dai dispositivi e servizi di navigazione satellitare, viene fondata nel 1991 da PeterFrans Pauwels e Pieter Geelen, due laureati dell’Università di Amsterdam. Inizialmente le attività riguardavano lo sviluppo di software per palmari (chiamati anche PDA, personal digital assistant) ed applicazioni mobili B2B. Rapidamente l’azienda divenne leader in entrambi i settori. La vera svolta arrivò nel 2003, quando venne presentato “TomTom Navigator”, il primo dispositivo di navigazione satellitare portatile 8. Tale prodotto, grazie ad un mix di fattori, quali funzionalità, design, innovatività ed un prezzo accessibile (per la prima versione 500 dollari) conquistò in pochissimo tempo il favore del mercato. I ricavi dell’azienda passarono dagli 8 milioni del 2003 a 1,674 miliardi di euro nel 2007 e nell’ultimo trimestre del 2007 furono venduti oltre 4,2 milioni di dispositivi. Il titolo raggiunse i 60 euro per azione 9.

Nel 2008 TomTom acquisì per 2,8 miliardi di euro TeleAtlas, specializzata nella digitalizzazione delle mappe, che forniva dati anche a GoogleMaps 10. Tuttavia TomTom, forte del successo che stava avendo, non ha adeguatamente tenuto conto dei cambiamenti che stavano per avvenire. Infatti, un anno dopo che l’azienda si era fortemente indebitata per l’acquisto di TeleAtlas, gli smartphone iniziarono ad affermarsi come prodotto di massa e poco dopo Google iniziò ad offrire servizi di navigazione satellitare completamente gratuiti dedicati proprio ai dispositivi mobili: circostanza inaspettata per l’azienda, la quale oltretutto dovette affrontare gli effetti della crisi economica del 2008. In poco meno di tre anni, con il forte declino delle vendite dei navigatori, il fatturato passò da 1,674 a 1,27 miliardi di euro, e le azioni crollarono a 2,84 euro. TomTom decise allora di reagire spostando le sue competenze verso le cosiddette “weareables technologies”, ovvero smartwatch multiuso che combinano un GPS, un cardiofrequenzimetro e un allenatore virtuale all’interno di un medesimo dispositivo (avente la forma di un orologio analogico), puntando quindi verso una estensione di linea all’interno del settore del fitness. Decisione, tuttavia, che ha prodotto risultati fortemente al di sotto delle aspettative (vista la presenza di competitor con brand molto più focalizzati come FitBit e la crescente diffusione di smartwach plurifunzionali con brand prestigiosi come l’Applewatch). È stato deciso pertanto un ulteriore radicale cambiamento strategico per rivolgere l’azienda al nuovo mercato delle smartcar 11 investendo ingenti somme nella ricerca di soluzioni innovative nell’ambito della guida autonoma (risale infatti a gennaio 2017 l’acquisto da parte di TomTom della Start-up berlinese “Autonomos”, il cui core business riguarda proprio la guida autonoma) 12. In questo ambito la partita è ancora aperta ma TomTom si trova a competere con operatori di grande prestigio e con elevate risorse. ===========

Quella della big-bang disruption è una rilettura che potremmo definire per certi versi neoshumpeteriana, in quanto ribadisce la natura al contempo distruttiva e creatrice dell’innovazione imprenditoriale e ne mette in risalto, con riferimento al mondo di oggi, non solo tale natura ma anche la frequenza di manifestazione e la velocità distruttiva e ricreatrice 13. Il fatto che l’innovazione imprenditoriale produca oggi con maggior velocità e frequenza ed in modo spesso dirompente il suo duplice effetto distruttivo e creativo non è cosa da poco per chi governa le aziende (tutte le aziende). Cambia, infatti, il modo di governare: la frequenza dell’innovazione, l’intensità e la velocità del suo impatto e il connesso declino di modelli di business consolidati impone di guardare al cambiamento non più solo come un fenomeno da pianificare e gestire, ma come elemento permanentemente centrale dell’attività gestionale 14. Ecco perché gli studi manageriali negli ultimi decenni hanno enfatizzato sempre più la fondamentale importanza delle attitudini a interpretare i fenomeni ambientali generatori di cambiamenti competitivi e a rendere il cambiamento quasi un elemento della quotidianità 15. In altre parole, il fulcro della problematica di governo dell’azienda si è via via spostato dalla pianificazione e gestione dei singoli cambiamenti (siano questi ultimi generati o subìti dall’azienda) al governo permanente della dinamica del cambiamento 16. L’azienda, possiamo dire anticipando in parte le considerazioni del seguente capitolo, deve necessariamente saper governare la dinamica del sistema aziendale delle idee (nuove idee strategiche), oltre che la dinamica delle operazioni. Il cambiamento e la reazione ai cambiamenti vanno infatti pensati (sistema delle idee) prima che realizzati (sistema delle operazioni) 17. Il tema qui posto è, quindi, quello della mutazione continua, consapevole e veloce dell’azienda. Tale tema, come abbiamo anticipato nell’introduzione al presente volume, però deve conciliarsi con un’altra fondamentale questione: la stabilità di alcuni valori guida (e di alcune idee) che accompagnano l’azienda nel tempo e che ne definiscono il profondo

significato identitario e vocazionale. Larsen, che è stato Chief Executive Officer di Johnson & Johnson, ha descritto efficacemente il concetto che in questa sede vorremmo esprimere: «I valori chiave compresi nel nostro credo potrebbero anche costituire un vantaggio competitivo – osserva il top manager –, ma non è questo il motivo per cui li abbiamo adottati. Li abbiamo adottati perché ci indicano qual è il nostro significato e li manterremmo anche se, in particolari situazioni, dovessero rivelarsi fonte di uno svantaggio competitivo» 18. È vero quindi che la gestione aziendale tende necessariamente ad orientare, nelle aziende ben governate, verso il rinnovamento del vantaggio competitivo 19. È anche vero, però, che esiste normalmente un corpus di valori guida (e di idee) – e in taluni casi anche di prassi operative – che in un certo qual modo trascende dal singolo e specifico vantaggio competitivo. Si può arrivare ad affermare, in termini più generali, che non solo l’azienda ma ogni comunità di individui organizzata, per realizzare una vera, duratura ed armonica evoluzione, abbia bisogno di credere in alcuni valori comuni adeguatamente comunicati. =========== MITI E CREDENZE AGLI ALBORI DELL’UMANITÀ Un’affascinante tesi sulla rilevanza dei costrutti immaginativi condivisi e comunicati nella perpetrazione delle comunità umane fin dagli albori della specie umana ci viene offerta da Yuval Noah Harari nel suo best seller “Sapiens. Da animali a dei. Breve storia dell’umanità” 20. L’Autore ricorda che nella grotta di Stadel in Germania non lontano da Ulm è stata trovata una scultura figurativa in avorio di mammut (ricostruita dai frammenti) con il corpo umano e la testa leonina risalente a circa 30-40.000 anni fa 21.

Si tratta certamente di una manifestazione di arte ma è anche una prova della capacità dell’homo sapiens di immaginare cose che non esistono. È qualcosa di molto diverso da un attrezzo che abbia un’utilità pratica, come gli utensili realizzati dall’homo sapiens e dalle altre specie del genere umano esistite – e spesso coeve – tra i 100 e i 30 milioni di anni fa (Neanderthal, di Denisova, di Soles ecc.). I Sapiens iniziarono a penetrare – partendo dall’Africa orientale – in tutte le altre parti del pianeta circa 70.000 anni fa e ciò concorse a causare, sostiene Harari, l’estinzione delle altre specie umane. Perché prevalsero i Sapiens, nonostante che i Neanderthal fossero fisicamente superiori e dotati anch’essi di un’elevata intelligenza pratica?

Ciò potrebbe esser dovuto ad una Rivoluzione Cognitiva che ha portato i Sapiens a saper immaginare cose che non esistono nella realtà, a rappresentarle simbolicamente (l’uomo leone ne potrebbe essere un esempio) e a condividerle, grazie ad una superiore evoluzione del linguaggio che avrebbe permesso di parlare non solo delle cose reali ma anche di quelle immaginate. L’homo sapiens sarebbe così stato in grado di condividere socialmente i costrutti immaginativi pensati, che potevano diventare riferimenti-guida per una comunità. Tutto ciò avrebbe consentito aggregazioni sociali più ampie e durature che hanno costituito – nella tesi dell’Autore – il presupposto antropologico per il prevalere di noi Sapiens. Possiamo dire quindi, accogliendo l’interessante tesi dell’Autore, che la presenza di miti e credenze collettivamente condivisi non solo non è stato un ostacolo alla sopravvivenza ma addirittura è stato un presupposto positivo per la prevalenza di alcune collettività rispetto ad altre, favorendo l’evoluzione della specie di fronte ai cambiamenti ambientali. ===========

L’individuazione e la condivisione di “credenze comuni collettivamente immaginate e radicate” è dunque un presupposto fondamentale per rendere forti e durature le collettività organizzate. Intorno a tali “credenze” si possono infatti creare i presupposti che alimentano la capacità di adattamento al mutevole contesto ambientale. =========== IMMAGINAZIONE COLLETTIVA E COOPERAZIONE UMANA «Qualsiasi cooperazione umana su vasta scala – si tratti di uno stato moderno, di una chiesa medievale, di una città antica o di una tribù arcaica – è radicata in miti comuni che esistono solo nell’immaginazione collettiva. … Due cattolici che non si siano mai incontrati prima possono ugualmente partire insieme per una crociata … perché entrambi credono che Dio si sia fatto carne e sangue e si sia sacrificato sulla croce per redimere i nostri peccati … Due serbi che non si siano mai visti prima possono rischiare la propria vita l’uno per l’altro perché credono entrambi nell’esistenza di una nazione serba, nella madrepatria serba e nella bandiera serba … Non si fa fatica a capire che i “primitivi” cementano il proprio ordine sociale attraverso la credenza in fantasmi e spiriti, raccogliendosi a danzare intorno al fuoco nelle notti di luna piena. Quello che stentiamo a capire è che le nostre moderne istituzioni funzionano esattamente sugli stessi presupposti» 22. ===========

Tornando al tema più specifico dell’azienda si può dire che il cambiamento, ed anche quei cambiamenti che vanno a toccare una componente costitutiva centrale della strategia come il vantaggio competitivo, non disperde (o meglio, non dovrebbe disperdere) alcuni valori identitari (ed anche alcune prassi). Anzi, come anticipato, a noi pare che sia proprio l’accelerazione e l’infittirsi dei cambiamenti tipici della nostra epoca, e dunque la natura complessa e turbolenta del nostro tempo, ad imporre una maggiore attenzione a quei valori che non devono essere abbandonati, che devono mantenersi perché danno contenuto all’identità 23 aziendale e quindi costituiscono l’origine prima (anche se, ovviamente, non l’unico elemento) della distintività. Il continuo (e ineludibile) orientamento alla mutazione (strategica e operativa), necessariamente fondato sul ripensamento continuo del disegno imprenditoriale (e delle determinanti del vantaggio competitivo), espone infatti l’azienda al rischio di disperdere ad ogni passo il valore della propria storia, di rinunziare ai propri valori identitari. La mutazione organica dell’azienda diverrebbe mutazione genetica andando ad alterare, potremmo dire metaforicamente, il suo DNA.

Cosa avverrebbe all’identità dell’organizzazione, ad esempio, se un’azienda come Apple iniziasse a realizzare beni tecnologici senza contenuto di design, accuratezza produttiva e senza il carattere user friendly o alla Brunello Cucinelli se, rinunziando alla filosofia di “azienda umanistica” per esigenze economiche contingenti, scegliesse di utilizzare il lavoro a basso costo o, ancora, alla Levi’s se abbandonasse la sua filosofia organizzativa orientata all’eguaglianza? Vi sono, possiamo dire, dei limiti alla libertà di cambiamento delle aziende valicando i quali l’azienda – abdicando ad alcuni valori fondanti – perderebbe la sua natura 24. Alcuni valori costituiscono, in altre parole, elementi dell’identità profonda dell’azienda: accanto alle idee che transitano nel medio o nel breve termine, esistono idee – talvolta in parte elevate al rango di veri e propri valori di riferimento identitari o credo ispiratori – che permangono nel lungo termine e, in alcuni casi, addirittura oltre il limite del lungo termine (potremmo parlare di idee tendenzialmente permanenti). Valori che non mutano al modificarsi della politica e talvolta neppure delle strategie e, dunque, al rinnovarsi dell’impostazione strategica 25 e delle determinanti del vantaggio competitivo. In alcuni casi sopravvivono, in parte più o meno ampia, anche ai passaggi generazionali ed escono indenni dal fluire delle mode manageriali e al progredire delle tecniche. Anche se l’azienda si rivolge a nuovi mercati, diversifica in nuove attività, cambia in parte il suo assetto organizzativo, essa porta infatti normalmente con sé uno stabile (o meglio, tendenzialmente stabile) patrimonio di valori ed anche sovente di idee, atteggiamenti e convincimenti circa il modo di essere e/o di operare. Nella dottrina aziendale e nei contributi consulenziali il complesso di valori tendenzialmente permanenti e fisiologicamente centrali nell’azione di governo è stato variamente definito; talvolta si parla, con significati in parte diversi, di “principi guida”, di “core ideology”, di “core values” o di “core identity”, di “credo aziendali”, di “codice genetico”. In questa sede preferiamo parlare, con specifico riferimento ai valori che definiscono “l’identità” dell’azienda e che connotano le sue vocazioni profonde, di corporate core values system (sinteticamente core values system) per evidenziare al contempo la centralità dei valori identitari e la necessità di una lettura sistemica, unitaria, degli stessi. Il riferimento al concetto di “valore” evoca inoltre stabilità ma non fissità. Possiamo pertanto asserire che l’azienda si trova costantemente di fronte ad un dilemma (che potremmo definire il dilemma della stabilità-ripensamento strategico-valoriale): come conciliare le necessarie esigenze del cambiamento del pensiero strategico – così importante nel mondo di oggi – con quella altrettanto inevitabile della stabilità strategico-valoriale? In altre parole: dove va posto il confine tra fluidità e solidità del pensiero strategico? Potremmo dire, in sostanza, che governare un’azienda significa anche trovare il necessario equilibrio tra valori che devono essere preservati, perché fisiologicamente definiscono l’identità dell’azienda (stabilità strategico-valoriale), e le idee e convincimenti che possono e talora devono essere invece abbandonati (fluire delle idee) e/o sostituiti con altri (ripensamento strategico e operativo). Il core values system si pone, per certi versi, a monte della strategia. Ogni seria e completa analisi strategica dell’azienda non può quindi prescindere dalla preventiva interpretazione e

valutazione dello stesso. Possiamo pertanto affermare che il core values system è un fondamentale oggetto di analisi strategica. Studiare la strategia aziendale senza approfondire il core values system è come fare un’analisi psicologica di un individuo senza guardare al centro della personalità 26, al suo Io. Il presente lavoro intende approfondire la natura del core values system dell’azienda cercando di offrirne un quadro di riferimento concettuale (parte prima) ma anche un insieme di modelli di analisi utili ai fini della gestione ed orientati a portare a livello della consapevolezza i valori identitari, a valutare la natura fisiologica o patologica degli stessi ed a porre consapevolmente i valori al centro dell’attività di governo (Parte II) attribuendo ad essi una concreta funzione di guidance (management by values). 1 Si veda: U. BERTINI, Il Sistema d’azienda. Schema di analisi, Giappichelli, Torino, 1990 (riedizione di un lavoro del 1976).

Si veda anche: R.A. D’AVENI-G.B. DAGNINO-K.G. SMITH, The Age of Temporary Advantage, in “Strategic Management Journal”, 31(13), 2010, pagg. 1371-1385. 2 Nella prospettiva di analisi tipica del general management si può dire che il sistema d’azienda scaturisce e dà attuazione, in

modo più o meno efficace ed efficiente, all’idea d’impresa che gli uomini di vertice “intendono realizzare”. Nelle aziende ben governate si tratta di un’idea dominante che ha una sua nitida rappresentazione nelle menti degli uomini che compongono il top management e che è da essi sostanzialmente condivisa quanto meno nei suoi lineamenti centrali. Questa idea d’impresa è stata definita in dottrina come “business idea” o, in senso più ampio, “formula imprenditoriale” oppure, ancora, “impostazione strategica attuale”. Si vedano al riguardo: G. HAMEL-C.K. PRAHALAD, Alla conquista del futuro, Il Sole 24 Ore, Milano, 1995; R. NORMANN, Le condizioni di sviluppo dell’impresa, Etas Libri, Milano, 1979; V. CODA, La valutazione della formula imprenditoriale, in “Sviluppo e Organizzazione”, 82(2), 1984, pagg. 7-21. 3 G. HAMEL-C.K. PRAHALAD, Strategic Intent, in “Harvard Business Review”, 83(7), 2005, pagg. 148-161.

Al riguardo si veda anche: M. GALEOTTI-S. GARZELLA, Governo strategico dell’azienda, Giappichelli, Torino, 2013, pag. 329. 4 Questa tematica richiama il tradizionale concetto di “strategia duale” proposto molti anni fa da Abell. Si veda: D.F. ABELL,

Managing with Dual Strategy, Mastering the Present, Preempting the Future, MacMillan, New York, 1993. 5 Su tale tematica ci siamo pronunciati molti anni fa. Si veda: S. BIANCHI MARTINI, Idee e strategie. Modelli di analisi e

schemi interpretativi dell’azienda pensiero, Il Borghetto, Pisa, 2001. Si veda anche: S. BIANCHI MARTINI, Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, Giappichelli, Torino, 2009; R.M. KANTER, How Great Companies Think Differently, in “Harvard Business Review”, 89(11), 2011, pagg. 66-78; R.A. D’AVENI, Hypercompetition, Simon and Schuster, New York, 2010. 6 Si veda: www.ikea.com/it/it/. 7 L. DOWNES-P. NUNES, Big Bang Distruption. L’Era dell’innovazione devastante, Egea, Milano, 2014. 8 Fonte: www.tomtom.com. 9 C.W.L. HILL-C.R. JONES, Strategic Management Cases: An integrated Approach, Cengage Learning, 2016. 10 C. ARTHUR, Navigating Decline: What Happened to TomTom?, in www.theguardian.com, 21 luglio 2015. 11 V. MACCARI, TomTom crescita bloccata, per ritrovare l’orientamento diventa venditore di software, in www.repubblica.it, 4

giugno 2012.

12

Fonte: www.ilsole24ore.it, 18 gennaio 2017.

13

C.M. CHRISTENSEN-M. CLAYTON-M.E. RAYONOR-R. MCDONALD, What is Disruptive Innovation?, in “Harvard Business Review”, 93(12), pagg. 44-53. Per un’analisi del pensiero Schumpeteriano si rinvia a: M.M. AUGELLO (1991), Works by Schumpeter, in J.A. SCHUMPETER, The Economics and Sociology of Capitalism, ed. by Richard Swedberg, Princeton University Press, Princeton, New Jersey. 14 Non a caso l’epoca contemporanea è stata definita l’era della complessità o della liquidità. Si veda al riguardo: G. BOCCHIM. CERUTI, La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1985; Z. BAUMAN, Vita liquida, Laterza, Roma-Bari, 2006. 15 Si veda: R. D’AVENI, Ipercompetizione: le nuove regole per affrontare la concorrenza dinamica, Il Sole 24 Ore Libri,

Milano, 1995; S.L. BROWN-K.M. EISENHARDT, The Art of Continous Change: Linking Complexity Theory and Time-Paced Evolution in Relentlessy Shifting Organizations, in “Administrative Science Quarterly”, 42(1), 1997, pagg. 1-34. 16 La letteratura sul tema del governo della dinamica del cambiamento è molto ampia, si vedano al riguardo tra gli altri: D.J. TEECE-M. PETERAF-S. LEIH, Dynamic Capabilities and Organizational Agility: Risk, Uncertainty, and Strategy in the Innovation Economy, in “California Management Review”, 58(4), 2016, pagg. 13-35; D.J. TEECE, The Foundations of

Enterprise Performance: Dynamic and Ordinary Capabilities in an (Economic) Theory Firms, in “The Academy of Management Perspectives”, 28(4), 2014, pagg. 328-352; C.E. HELFAT-S. FINKELSTEIN-W. MITCHELL-M.A. PETERAF-H. SINGH-D.J. TEECE-S.G. WINTER, Dynamic Capabilities: Understanding strategic change in organizations, Blackwell, Oxford, 2007; S.G. WINTER, Understanding dynamic capabilities, in “Strategic Management Journal”, 24(10), 2003, pagg. 991-995; D.J. TEECE, Next Generation Competition: New Concepts for Understanding How Innovation Shapes Competition and Policy in the Digital Economy, in “Journal of Law, Economics and Policy”, 9(1), 2012, pagg. 97-118; M. TRIPSAS, Surviving Radical Technological Change Trough Dynamic Capability: Evidence from the Typesetter Industry, in “Industrial and Corporate Change”, 6(2), 1997, pagg. 341-377; D.J. TEECE, Dynamic Capabilities and Strategic Management: Organizing for Innovation and Growth, Oxford University Press, New York, 2011. 17 Sul tema del sistema delle idee ritorneremo in modo più ampio nel capitolo 2. Il concetto di sistema delle idee è stato

introdotto dal Bertini. Si veda al riguardo: U. BERTINI, Scritti di politica aziendale, Giappichelli, Torino, 1990. 18 J.C. COLLINS-J.I. PORRAS, La via del successo ha un cuore antico, in “Harvard Business Review”, ed. italiana, 1996. 19 Michael Porter afferma che il vantaggio competitivo sostenibile è «la base fondamentale di una prestazione a lungo

termine superiore alla media. Sebbene un’impresa possa avere una miriade di punti di forza e di debolezza al confronto con i propri concorrenti, ci sono due tipi di vantaggio competitivo che essa può possedere: costi bassi oppure differenziazione. Essi sono il risultato dell’abilità di un’impresa nel destreggiarsi con le cinque forze meglio dei suoi concorrenti», in A. CRAVERA, La guida del Sole 24 ore ai classici del Management nell’era della complessità, Gruppo 24 Ore, Milano, 2012. Per ulteriori approfondimenti, si veda: M. PORTER, Competitive advantage: creating and sustaining superior performance, The Free Press, New York, 1985. 20 Cfr. Y.N. HARARI, Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Bompiani, Milano, 2017. 21 Il ritrovamento e la ricostruzione della statua sono avvenuti in modo insolito. I primi frammenti sono stati ritrovati nel

1939 dallo studioso Robert Wetzel e furono raccolti in una scatola di cartone conservata nel magazzino del museo di Ulm. Circa trent’anni dopo l’archeologo Hahn, con l’aiuto di alcuni studenti, compose i frammenti e con grande stupore poté ammirare un primo abbozzo della statua. Altri frammenti vennero aggiunti nel 1972 quando furono consegnati al museo da un ex allievo di Wetzel, che li aveva conservati pur non sapendo esattamente di cosa si trattasse. Altri frammenti furono consegnati da una visitatrice attenta del museo: li aveva scoperti suo figlio giocando nella grotta. Negli anni ’80 vari archeologi ripresero la ricerca nella grotta e trovarono altri frammenti. Il lavoro di ricostruzione continuò fino ad arrivare alla straordinaria statua che possiamo ammirare oggi. 22 Cfr. Y.N. HARARI, Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, op. cit. 23 Il concetto di identità (in psicologia) fa riferimento al senso e consapevolezza di sé come entità distinta dalle altre e

continua nel tempo. L’identità di persona significa essere quella persona e non altro. Si veda: Treccani online. 24 Al riguardo Russo richiama il caso Alfa Romeo: «Si pensi a quando l’Alfa Romeo, casa automobilistica riconosciuta per

la tradizione sportiva e di eccellenza motoristica, avviò la joint venture con la Nissan, dando origine al progetto “ARNA”, la

vettura sportiva a basso costo. Per la sua incoerenza con il brand Alfa Romeo, l’ARNA finì per produrre un impatto negativo sull’immagine di Alfa Romeo presso i consumatori, oltre che sul morale dei collaboratori, tradizionalmente orgogliosi della eccellenza motoristica della loro azienda. Il tutto senza produrre utili significativi.», V. CODA-G. INVERNIZZI-P. RUSSO, La strategia aziendale, McGraw Hill, Milano, 2017. 25

R. NORMANN, Le condizioni di sviluppo dell’impresa, Etas Libri, Milano, 1985; R. NORMANN-R. RAMIREZ, Le strategie interattive d’impresa. Dalla catena alla costellazione del valore, Etas Libri, Milano, 1995. 26

La personalità può essere definita come «l’insieme di caratteristiche psicologiche e modalità di comportamento che, nella loro integrazione costituiscono il nucleo irriducibile di un individuo che rimane tale nella molteplicità e diversità delle situazioni ambientali in cui si esprime e si trova ad operare», U. GALIMBERTI, Dizionario di Psicologia, voce “Personalità”, De Agostini, Milano, 2006.

2. SISTEMA AZIENDALE DELLE IDEE, CORE VALUES SYSTEM E STRATEGIA AZIENDALE Per analizzare i fattori che determinano la dinamica gestionale, sia essa evolutiva od involutiva, è necessario risalire dai fatti, alle azioni (operazioni) poste in essere dagli uomini e, ancor più, ai ragionamenti da cui scaturiscono tali azioni. In altre parole è necessario guardare alle condizioni soggettive 1 che interpretano ed attivano le operazioni gestionali. Si può dire, quindi, che l’attività dell’azienda si manifesta sia sul piano dell’azione (operazioni) sia su quello del pensiero (idee e decisioni) e che pensiero ed azione si sviluppano, rispettivamente, in corrispondenza dei due fondamentali momenti della gestione: quello politico e quello operativo, momenti che sono tra loro inestricabilmente relazionati. Spetta agli uomini che operano in azienda, e in primis a coloro che hanno responsabilità apicali e di coordinamento e controllo, orientare le operazioni aziendali verso il conseguimento dell’equilibrio economico a valere nel tempo 2. I presupposti che conferiscono alle operazioni natura sistematica si trovano, quindi, nell’attività umana 3 e, più in particolare, nell’orientamento che l’attività umana conferisce alle operazioni verso l’equilibrio economico durevole. È evidente inoltre che anche le idee e le decisioni aziendali devono essere ricondotte – sempre in relazione al comune orientamento verso l’equilibrio economico durevole – ad una logica sistemica. Si può parlare pertanto di sistema delle idee. In altre parole potremmo astrattamente individuare, nell’ambito del processo di governo dell’azienda, un aspetto propositivo, che si identifica principalmente in attività del pensiero e che ha il suo naturale sbocco nella “presa delle decisioni” 4, ed un aspetto attuativo che sfocia nel sistema delle operazioni. Ovviamente la relazione tra idee, decisioni ed azioni – e dunque anche quella tra momento politico e momento operativo – non ha natura meccanicistica né è riconducibile ad un mero rapporto di causa-effetto. Il paradigma della razionalità assoluta, che guarda al decisore come soggetto onnisciente e pienamente razionale ed in grado di ottimizzare i risultati, non trova infatti riscontro nella realtà 5. La relazione tra idee, decisioni ed azioni ha pertanto natura complessa, in parte imponderabile, ed è fortemente condizionata da forze interne ed esterne e da fattori di influenza imprevisti o non pienamente prevedibili. Tale relazione, inoltre, non ha natura meramente discendente (dalle idee, alle decisioni, alle azioni) ma multi-circolare (feed back loop) e pluri-direzionale. Il momento propositivo e quello attuativo non sono, pertanto, separabili 6. Inoltre se è vero che il momento operativo della gestione aziendale può essere interpretato solo risalendo al sistema delle idee e delle decisioni 7 è anche vero, parallelamente, che le idee si alimentano nell’operatività (o nella negazione dei modelli comportamentali alla base delle convenzioni operative) – sviluppandosi mediante processi di “apprendimento col fare” – e sono pertanto fortemente condizionate e in parte determinate da essa. L’operatività,

potremmo dire, è al contempo motore e freno per la nascita e l’attuazione di nuove idee. Si può pertanto affermare che il processo di governo, dal quale discendono i risultati (performance economiche, competitive e sociali 8) si sviluppa mediante un percorso iterativo di idee, decisioni e operazioni. È necessario in questa sede ricordare che, sebbene le idee assumano in azienda il carattere di un sistema, esse nascono comunque a livello individuale; è infatti l’uomo, come singolo, che apprende e produce intellettualmente atti creativi 9. L’analisi dell’azienda nella prospettiva soggettiva passa quindi necessariamente da una lettura dei processi cognitivi individuali. Al riguardo ci pare utile ricordare che la struttura della conoscenza dell’individuo 10, come hanno messo in evidenza gli studi di origine psicologico-cognitivista 11, è sorretta da alcuni schemi mentali 12, che lo guidano nell’esplorazione dell’ambiente e creano le condizioni per accettare determinate informazioni e per rigettarne altre, incidendo altresì sui percorsi decisionali ed operativi. L’individuo, in altre parole, fronteggia la complessità della realtà costruendo una rappresentazione semplificata, definita efficacemente da alcuni autori mappa cognitiva 13, basata su alcune credenze che collegano le possibili scelte alle aspirazioni ed ai risultati. Per l’individuo tale rappresentazione contribuisce a “costruire” e a “spiegare” la realtà 14 ed è fortemente condizionata dall’esperienza ed influenzata dalle relazioni che esso sviluppa con gli altri individui 15. =========== MAPPE COGNITIVE E MAPPE TERRITORIALI Le mappe cognitive sono state metaforicamente paragonate alle mappe territoriali; fin dalle antiche esplorazioni dei territori sconosciuti l’uomo ha abbozzato rappresentazioni figurative semplificate, normalmente approssimative ed anche contenenti errori ma, nonostante questo, capaci di orientare il cammino degli esploratori e, anche grazie ad affinamenti successivi, di favorire la presa di possesso del territorio rappresentato (in senso fisico-materiale o conoscitivo) 16. ===========

Le mappe cognitive dei singoli uomini – dipendendo dalle conoscenze, attitudini, esperienze e percezioni individuali – sono soggettivamente diverse e diversamente parziali ed imperfette 17. Esse, influenzando l’interpretazione e la percezione degli uomini relativamente ai vari eventi predeterminati o contingenti, spiegano il perché si compiono determinate azioni piuttosto che altre, e risultano essenziali per prendere decisioni in condizioni di incertezza e complessità 18. Per questo motivo, così come affermato da Hambrick e Mason 19, per capire a fondo il motivo per cui le aziende effettuano determinate scelte, risulta imprescindibile considerare le esperienze, i valori e le caratteristiche personali di coloro che hanno un ruolo di potere all’interno dell’azienda 20. Non è nostra intenzione, né nelle nostre competenze, descrivere i meccanismi che si attivano nelle mappe cognitive individuali né le modalità con cui esse si relazionano in seno ai gruppi di individui ed alle organizzazioni sociali complesse (generando le cosiddette mappe cognitive collettive), o gli elementi di conflittualità che per effetto delle stesse si

scaricano sulle relazioni tra gli individui. Ci pare peraltro ai nostri fini di un certo interesse rilevare che molti autori hanno evidenziato come un elemento centrale di qualificazione delle mappe cognitive collettive sia da ricercare nelle “credenze organizzative”, cioè in quell’insieme circoscritto di idee, valori e convincimenti che orientano il gruppo organizzato nei processi decisionali e nel concreto operare 21. Se è vero, quindi, che l’analisi delle credenze organizzative non può prescindere da una interpretazione dei processi cognitivi individuali – con particolare importanza per quelli che caratterizzano la logica di pensiero dei vertici – è anche vero che l’azienda – in quanto gruppo organizzato di individui – finisce per essere guidata da alcuni valori ed idee che sono qualcosa di diverso dalla somma o dalla intersezione delle idee dei singoli uomini d’azienda. Tornando al tema più specifico si può affermare che ogni collettività organizzata e connotata da un proprio forte finalismo – come l’azienda – è dotata di un set di idee e convincimenti, più o meno ampio, che non si sovrappone appieno a quello dei singoli individui sia perché le relazioni tra gli individui appartenenti al gruppo organizzato producono concetti e significati nuovi sia perché il peso delle idee e dei convincimenti di alcuni individui è maggiore di quello di altri (si pensi, ad esempio, al potere ed alla capacità di leadership del top management) e pertanto si attivano processi dialettici inter-soggettivi non paritetici. Alcune idee si elevano al ruolo di valori guida cui si ispira, in modo a volte esplicito ed a volte implicito, il sistema delle decisioni e delle azioni (funzione di guidance). In termini economico-aziendali possiamo affermare che il processo di governo, pur nella sua articolata composizione e nella relazione dinamica tra schemi mentali individuali e mappe cognitive collettive, è orientato e sorretto da un insieme, normalmente abbastanza circoscritto, di idee guida. Le idee guida sono idee dominanti che tratteggiano gli orientamenti alla base della logica di governo 22, ponendosi come bussola per le decisioni e, se adeguatamente comunicate e fatte proprie all’interno dell’azienda, come catalizzatore delle energie umane. Le idee che alimentano tale sistema sono state distinte in dottrina in tre classi fondamentali 23: a) idee imprenditoriali; b) idee manageriali; c) idee esecutive. Possiamo affermare che un’azienda nasce e si sviluppa in base non ad un sistema di idee qualsiasi, bensì in funzione di quelle idee che il vertice, esercitando il suo ruolo imprenditoriale, ha posto come riferimenti guida definendo un sistema di obiettivi intorno ai quali i processi si devono sviluppare 24. Il termine imprenditorialità evoca tra l’altro la capacità di concepire (momento speculativo) e realizzare (momento attuativo) una valida ed originale “sintesi imprenditoriale”. Alla seconda classe (idee manageriali) corrispondono «le “rappresentazioni” relative alla più conveniente “messa in opera” di tali indirizzi, orientando al meglio la struttura organizzativa al fine di ottenere la massima funzionalità del sistema produttivo» 25.

Alla terza classe (idee esecutive), infine, corrispondono le “rappresentazioni” relative al «modo di attuazione dei diversi processi e operazioni» concepite – ad esempio – al fine di «ottenere la migliore qualità tecnica del “prodotto”» 26. Un ruolo fondamentale è assunto, nella prospettiva di analisi del presente lavoro, dalle idee guida imprenditoriali-manageriali. Si può osservare al riguardo che, se in un’azienda gli uomini che operano ai diversi livelli della “tecnostruttura” dimostrano di non percepire il “senso della direzione” dell’unità organizzativa nella quale offrono il loro contributo, oppure identificano i principi guida con assunti generici (es. “siamo orientati al mercato”; “dobbiamo produrre personal computer”) o secondo una prospettiva contingente e speculativa (es. “fare un profitto nel trimestre”) significa probabilmente che l’azienda non ha un solido, durevole, chiaro e coesivo complesso di idee guida imprenditoriali-manageriali oppure non ha saputo comunicare efficacemente il significato o la portata dello stesso. È stato al riguardo opportunatamente osservato che difficilmente gli individui sono disposti ad intraprendere lunghi ed impegnativi cammini se non percepiscono (e condividono) il senso della direzione 27. Le idee guida imprenditoriali e manageriali, nel dare il senso della direzione agli uomini d’azienda, devono pertanto offrire anche un supporto di coerenza e di collegamento sistematico (coesione) alla struttura “d’insieme” dell’attività gestionale (decisioni ed azioni). Le idee guida, in altre parole, offrono una fondamentale pietra di confronto nel definire il filo conduttore della gestione. Esse accompagnano e stimolano l’intero processo di conversione delle idee in decisioni ed in operazioni, «dalla fase iniziale, di proposizione del giudizio, in cui entrano come ipotesi principali, a quella finale, di esecuzione delle operazioni, in cui sono pure presenti, “polverizzate” a livello tecnico» 28. Come abbiamo anticipato in tutte le aziende esiste un insieme di idee guida che assumono il rango di valori identitari e che dà contenuto al core values system. Più in particolare, si può affermare che si hanno normalmente idee guida che tendono a definire: 1. il core values system dell’azienda (che riflette l’identità dell’azienda e che viene sovente sintetizzato nella corporate mission e/o nei values statement 29); 2. l’impostazione strategica attuale e l’intento strategico da realizzare nel futuro (es. strategia competitiva dell’oggi e del domani talora rappresentata nella vision); 3. idee guida di area funzionale, di stabilimento, di reparto, di divisione, di gruppo di lavoro e così via. Le idee guida che danno contenuto al core values system (sub 1) hanno natura sovraordinata rispetto a quelle che esprimono l’impostazione strategica attuale e quella futura e, ancor più a quelle di area funzionale, di reparto e così via. Come abbiamo più volte evidenziato la strategia può infatti mutare pur mantenendosi nel solco del core values system. Metaforicamente possiamo dire che il sistema delle idee guida dell’azienda deve essere in parte liquido (senza propria forma e dunque destinato a fluire e ad adattarsi alla forma dell’ambiente) e in parte solido (cioè resistente alle forme del cambiamento). Un sistema delle idee totalmente liquido si adatta pienamente all’ambiente senza avere una forma propria, un sistema delle idee totalmente solido resiste ad ogni variazione di forma, anche

quelle utili o necessarie. La riflessione strategico-valoriale deve quindi rivolgersi anche a questa particolare natura del sistema delle idee dell’azienda, al tempo stesso solida e liquida. Un esempio può essere utile per esprimere il concetto. * * * Nella descrizione seguente, relativa alla Brunello Cucinelli Spa 30, emerge come l’azienda, pur avendo nel tempo mutato la sua impostazione strategica (punto sub 2 dell’elenco poco sopra riportato) ha mantenuto fede ai suoi valori guida identitari (punto sub 1 dell’elenco). Si evidenzia, in sostanza, che la strategia si è modificata nel tempo pur mantenendosi nel solco del core values system. Provando ad interpretare i suoi valori identitari, si può osservare che la Brunello Cucinelli è un’azienda 31: A) vocata ad operare nel settore dell’abbigliamento di lusso; B) che si ispira ad una filosofia gestionale dell’“azienda umanistica”; C) orientata in senso ampio alla valorizzazione del bello; D) orientata al perseguimento di una redditività equa. I quattro elementi elencati (A, B, C, D) sono da considerare (in base ad una nostra interpretazione e come emerge dalle considerazioni seguenti) componenti del core values system dell’azienda, cioè valori guida fondanti dell’attività di governo, abbandonando i quali essa perderebbe la sua identità. Soffermiamoci brevemente sui suddetti quattro punti al fine di evidenziare la natura di valori guida identitari 32. A) Azienda vocata ad operare nell’abbigliamento di lusso La Brunello Cucinelli è un’azienda di abbigliamento italiana, nata alla fine degli anni ’70, e operante da sempre nel segmento del lusso (in particolare del cosiddetto absolute luxury). Ha oggi un brand consolidato e una presenza commerciale fortemente internazionalizzata. Tutti i prodotti sono da sempre orientati a coniugare la tradizione con l’innovazione, anche grazie alla ricerca ed all’utilizzo di materie prime di particolare pregio, alla «vocazione artigianale» e al rigoroso controllo della qualità. «Il consolidamento del prestigio del brand è fondamentale – ci ha spiegato l’imprenditore Brunello Cucinelli durante un’intervista –, non solo per accrescere il valore per il cliente, ma anche per rafforzare costantemente il senso di orgoglio e di appartenenza della propria «forza lavoro». L’azienda violerebbe i propri valori identitari se scegliesse di abdicare alla produzione di lusso. B) Azienda che si ispira alla filosofia gestionale dell’“azienda umanistica” «Ho capito da mio padre che è importante la dignità del lavoro. – ha detto l’imprenditore – Chi lavora con noi, indipendentemente dal ruolo, deve poter sentire le pulsazioni della vita dell’azienda. Ciascuno sa che la propria opera è un tassello indispensabile per rendere

l’azienda migliore per l’uomo, sia esso un dipendente, un cliente, un membro della comunità locale. La nostra “qualità” integrale è il frutto del benessere interiore di ognuno. E il benessere interiore si raggiunge certamente con il piacere nel lavoro ma ancor più con la vita insieme ai suoi cari, alle persone che si amano, con la soddisfazione complessiva per la vita personale. Il lavoro deve conciliarsi armoniosamente con la vita personale e familiare». Il dipendente, ha evidenziato ancora l’imprenditore, deve vivere in ambienti belli, accoglienti e funzionali; deve poter avere tempo per la propria famiglia; deve percepire un salario adeguato ed usufruire di servizi per la qualità della vita. Gli esempi concreti di questo approccio, che possono essere tratti dalla storia aziendale, sono molteplici. Le mense servono pranzi in ambienti accoglienti e familiari, con pietanze preparate ogni mattina con prodotti locali e secondo la tradizione umbra. «Si è cercato di riprodurre una sorta di “focolare domestico”» – a dire dell’imprenditore – «proprio come se si fosse a casa». L’accesso ai luoghi di lavoro è libero. La pianta organica non è strutturata sulla base di gerarchie ramificate ed eccessivamente formalizzate. Non si usa la marcatura delle presenze, vi è flessibilità nei permessi, la retribuzione, a parità di mansione, è superiore – a detta dell’imprenditore – a quella dei comparable. Il lavoro deve armoniosamente conciliarsi con la vita personale e familiare. Al riguardo l’imprenditore afferma: «Se un uomo rimane al lavoro fino a sera tardi non vive con i suoi figli e con sua moglie e non ha tempo per sé stesso; così facendo, egli perde la parte più bella della vita. Pertanto, tranne casi rarissimi e sovente circoscritti a specifici periodi (come ad esempio, la presentazione del campionario), nessun dipendente sta in azienda oltre le 17:30. Anch’io seguo questa regola. E se qualcuno ha bisogno di usufruire di un permesso per motivi familiari (ad es. per accompagnare il figlio ad una visita medica), è sufficiente che dia una comunicazione ai colleghi diretti, non occorre alcuna autorizzazione preventiva». È importante evidenziare che la filosofia dell’“azienda umanistica” è percepita e accolta con positività dagli uomini che nell’azienda lavorano e ne abbiamo avuto riprova parlando con i dipendenti. Non si tratta quindi solo di uno slogan. Dopo gli incontri che abbiamo fatto in azienda, per acquisire testimonianze e informazioni, Brunello ci ha affidato ad un giovane dipendente per accompagnarci in auto alla stazione di Ellera, a pochi chilometri dal borgo di Solomeo, dove ha sede la società. Commentiamo tra noi: «non sarà facile scrivere il caso Cucinelli. Si rischia di cadere nella banalità. Il lettore potrebbe pensare che stiamo ripetendo i soliti discorsi sulla socialità ed eticità dell’impresa. È difficile trasmettere il clima che si vive in questa particolarissima realtà d’impresa». Subito dopo chiediamo al giovane che, mentre ci ascoltava, sorrideva: «Come si sta qui alla Cucinelli?». «Sorrido proprio per le vostre parole – risponde – sovente mi capita di accompagnare persone che vengono da tutto il mondo e spesso sento che rimangono meravigliate. Dicono che avevano sentito parlare molto dell’“impresa umanistica” di Brunello e che pensavano fossero solo parole. Venendo qui, osservando come si lavora e parlando con le persone, hanno capito quanto sia peculiare». «Ma lei è contento di lavorare alla Cucinelli?».

«Si, – risponde con tono pacato – noi abbiamo una mensa che è come un ottimo ristorante per qualità del cibo e servizio al tavolo a meno di tre euro, nessuno timbra il cartellino, la paga è puntuale e più elevata di quanto otterremmo altrove, ogni minuto di straordinario è retribuito, gli orari ci consentono di vivere la vita personale». Poche ore prima, durante il nostro pranzo alla mensa dell’azienda ubicata in uno degli edifici storici del Borgo medievale dove ha sede la società, la cameriera ci aveva interrotto – mentre parlavamo del premio di alcune migliaia di euro che Brunello ha conferito a ciascun dipendente nel 2012 utilizzando risorse extra-aziendali – dicendoci: «Sì, ci ha dato un assegno e ci ha scritto nella lettera di accompagnamento di essere “grato” a noi dipendenti. Ci ha ringraziato dimostrando di apprezzare il nostro lavoro e di essere vicino ai bisogni delle nostre famiglie». In occasione della visita guidata nel laboratorio dell’azienda dove vengono prodotti i prototipi, le sarte ci hanno mostrato con fierezza la cura con la quale realizzano il prodotto, nei suoi particolari più minuti. Hanno descritto la loro azienda con serenità e calma. Tanto orgoglio discende dal pregio delle materie prime, dall’accuratezza dei dettagli, dalla ricercatezza della produzione artigianale nonché dall’importanza di raggiungere livelli elevatissimi di qualità tecnica e stilistica. Forte identità e innovazione (materiale, funzionale e stilistica) sono i caratteri riconosciuti, dai dipendenti come dai clienti, al prodotto dell’azienda. Possiamo dire che la “filosofia umanistica” fa parte dell’identità dell’azienda, ne costituisce un elemento imprescindibile.

Fotografia tratta dal sito Cucinelli nella pagina “Azionariato e valori” (http:// investor.brunellocucinelli.com/it/azionisti/azionariato-e-valori giugno 2018).

C) Azienda orientata in senso ampio alla valorizzazione del bello «Venivo qui nel Borgo medievale di Solomeo fin da ragazzo, – ha detto l’imprenditore – perché ci viveva la mia fidanzata, oggi mia moglie. Il paesino si stava spopolando, perché gli abitanti in quegli anni preferivano farsi una casetta fuori, con l’elettricità, il riscaldamento,

il bagno e l’acqua calda. Allora, comprai un piccolo fondo in una parte del castello di Solomeo, per adibirlo a sede dell’azienda ... Mi convinsi ... che la bellezza del castello e del borgo, una volta ristrutturati, avrebbero consentito di lavorare in un luogo più accogliente. Ciò avrebbe stimolato la creatività e l’impegno dei dipendenti. Cominciai così a realizzare un mio sogno ovverosia restituire bellezza all’umanità». L’orientamento in senso lato alla valorizzazione del bello è in effetti evidente da molte iniziative realizzate. Nel 1987 l’allora piccola azienda – al tempo con la denominazione SMILE – venne trasferita all’interno del castello trecentesco, appositamente restaurato. Da quel momento il borgo medioevale di Solomeo è uno dei tratti distintivi dell’azienda; lo stemma del borgo e l’immagine del castello sono stilizzati nel marchio «Brunello Cucinelli». Nel tempo, si sono susseguiti gli interventi di recupero e di restauro a Solomeo, in parte realizzati direttamente e in parte condotti sotto forma di collaborazione con istituzioni ed organizzazioni pubbliche. L’azienda ha partecipato al restauro della chiesa parrocchiale di San Bartolomeo e a quello della vicina pieve seicentesca del Vocabolo Mandorleto. Insieme al Comune di Corciano, inoltre, è stata validamente restaurata la viabilità storica del Borgo. Anche gli ambienti creati a Solomeo favoriscono la convivialità. Nel Borgo è stato creato il nuovo «sistema culturale» denominato «Foro delle Arti», di cui fanno parte il teatro, l’anfiteatro e il giardino dei filosofi (dove periodicamente vengono organizzati concerti e manifestazioni di elevato profilo culturale). A riguardo, Brunello ha evidenziato come «l’ambiente sereno, la bellezza dei luoghi e l’arte esaltano la creatività umana e favoriscano lo sviluppo di una comunità dove chi opera si ispira ad un sistema di valori condiviso. Così come la consapevolezza di realizzare un prodotto bello e piacevole per chi lo utilizzerà e di partecipare ad un’azienda ammirata contribuiscono alla qualità della vita dei nostri dipendenti. Tutto ciò va a vantaggio anche dell’efficienza. D’altra parte chi lavora qui sa che l’efficienza è imprescindibile. Da questa azienda hai molto ma se non sei efficiente e non ti impegni non devi venire a lavorare qui. È utile che tu te ne vada. Se lavori qui, vuol dire che condividi i valori e lo stile aperto ma anche l’impegno nell’efficienza e nell’efficacia, la precisione. Se girate per l’azienda vedrete ordine, rapidità nel lavoro e silenzio: non ci si perde in chiacchiere, non si lascia niente in disordine». Anche l’orientamento al bello in senso lato costituisce un elemento imprescindibile della gestione, un fattore identitario. D) Azienda orientata al perseguimento di una redditività equa Il rigetto della massimizzazione del profitto come fine aziendale costituisce un perno della filosofia gestionale e organizzativa dell’imprenditore. Brunello ha ad esempio più volte sottolineato che la redditività delle vendite, misurata con l’indicatore EBITDA/ fatturato, non va massimizzata. Essa dovrebbe attestarsi indicativamente «in un intervallo compreso tra il 17 ed il 19 per cento ... e mai – se non marginalmente e temporalmente – attestarsi al di sopra di tali valori. Se l’EBITDA supera strutturalmente determinate soglie percentuali, vuol dire che stiamo spremendo troppo i fattori della produzione o che i prezzi dei prodotti che vendiamo sono troppo elevati. Noi non vogliamo sfruttare il lavoro e gli altri fattori della produzione e non vogliamo che i nostri

prodotti siano cari per i nostri clienti finali. I nostri prodotti sono “costosi ma non cari”. Essi sono costosi per l’elevata qualità e quantità di lavoro, materie, accessori che impieghiamo nel processo di produzione. Un EBITDA al 30 o al 40 per cento non è sano. Noi vogliamo il reddito sano, equo. Il profitto ci deve essere ma non è nostro obiettivo massimizzarlo. Quando ci siamo quotati, sono stato chiaro con gli investitori: se volete un EBITDA sopra il 25 per cento, non venite qui». L’obiettivo dichiarato è dunque quello di distribuire, con un approccio equo, il valore creato tra coloro che partecipano al «fare impresa» tenendo conto non solo delle esigenze degli azionisti ma anche di quelle dei lavoratori, dei clienti e degli altri interlocutori. Il processo di creazione di valore «deve ruotare intorno alla dignità dell’uomo». Lo sviluppo dimensionale «deve avvenire step by step – seguendo un percorso di sviluppo stabile – senza strappi o forzature e in modo rispettoso e non urlato. Tutto questo lo abbiamo detto al mercato dei capitali ... Quando ci siamo quotati, abbiamo detto e ripetuto negli incontri con gli investitori: “... Se credete che sia giusto fissare obiettivi di crescita con continuità ma contenuti, diciamo nei prossimi anni dell’8-14 per cento, allora investite nella nostra azienda. Se invece vi aspettate una crescita a tassi elevati, allora non andiamo bene per voi, investite altrove. Vogliamo governare la crescita non esserne travolti. Vogliamo crescere gradualmente nel tempo, per valorizzare non per spremere le risorse dell’azienda”». «Il denaro riveste un vero valore solo quando è speso per migliorare l’esistenza e la crescita dell’uomo, ed è questo il nostro fine. In ossequio a questo convincimento, una parte consistente dei profitti è reinvestita nell’azienda, mentre un’altra parte è impiegata per il restauro e la riqualificazione del Borgo di Solomeo e per altre iniziative sociali e culturali. In particolare, “il 20 per cento dei profitti annuali è mediamente destinato all’umanità, al restauro di una chiesa, di una casa, alla costruzione di un ospedale, all’aiutare qualcuno in difficoltà”». Da ciò si può presumere che il finalismo di fondo dell’impresa non si identifichi nella massimizzazione del profitto a breve e che l’orientamento alla redditività equa vada a comporre un elemento cardine dell’identità dell’azienda. Cambiamenti nell’impostazione strategica Pur mantenendo fede ai propri valori identitari sopra richiamati (A, B, C, D) l’azienda muta nel tempo la propria strategia competitiva (impostazione strategica). L’azienda nasce e si sviluppa inizialmente con la produzione di maglie di cachemire colorato per donna. Dalla seconda metà degli anni ’80 affianca alla originaria produzione in cachemire quella di pantaloni e gonne per donna, cui segue la prima collezione uomo ed entra in alcuni dei principali mercati. Nel 1992, con l’acquisto di una partecipazione nella Gunex, l’azienda realizza anche le gonne e i pantaloni per donna. Nel 1994 viene lanciata la prima collezione uomo Brunello Cucinelli e aperto il primo negozio monomarca in franchising a Porto Cervo, cui farà seguito nel 1998 l’apertura del monomarca di Capri. Agli inizi degli anni ’2000, l’offerta di prodotto si arricchisce ulteriormente, grazie allo sviluppo di una proposta completa “Total Look” donna e uomo, e si estendono le competenze interne per la realizzazione di nuovi prodotti. Nel 2009, si ha un ulteriore arricchimento della

collezione Brunello Cucinelli, a seguito dell’inserimento delle calzature. Oggi l’azienda possiede competenze specifiche nella lavorazione di maglieria in cachemire, capospalla, pantaloni e gonne, camiceria, t-shirteria, pelletteria e accessori (borse, scarpe, gioielli, cinture, cappelli, sciarpe e portafogli). La maglieria di cachemire è, comunque, ancora considerata il core business. L’azienda inizialmente si rivolgeva prevalentemente al mercato italiano e tedesco. La vocazione commerciale internazionale nel tempo si è rafforzata, determinando un ampliamento del raggio di azione che l’ha condotta a divenire una realtà a forte vocazione commerciale internazionale. A seguito della strategia di internazionalizzazione, il brand Brunello Cucinelli è ormai presente in oltre 60 paesi 33. * * * In conclusione si può quindi osservare che la Brunello Cucinelli ci offre un emblematico esempio di come, nonostante i molti cambiamenti strategici (alcuni dei quali sono stati sopra descritti) l’attività di governo rimanga ancorata ad alcuni stabili valori identitari che si pongono in una posizione sovraordinata rispetto alle strategie. 1

Scrive il Bertini: «È nostro fermo convincimento che la migliore spiegazione della dinamica aziendale, più che nella “realtà” dei fatti che contraddistinguono le operazioni gestionali, possa essere ricercata nelle “condizioni soggettive” che sovrintendono a tali operazioni e, quindi, in definitiva, nelle “astrazioni” poste a fondamento delle idee che alimentano il sistema delle decisioni», U. BERTINI, Il sistema aziendale delle idee, Giuffrè, Milano, 1995. Si veda anche: R.F. FRANCESCHI, L’azienda: forme, aspetti, caratteri e criteri distintivi, in E. CAVALIERI-R.F. FRANCESCHI, Economia Aziendale, vol. 1, Giappichelli, Torino, 2000. 2 L’equilibrio economico si esprime in termini di attitudine a rimunerare adeguatamente tutti i fattori della produzione

compreso pertanto, come ha ribadito la teoria della creazione del valore, il fattore che fisiologicamente viene remunerato in via residuale rispetto agli altri, cioè il capitale proprio. La precisazione che l’equilibrio economico assume significato, come scopo dell’azienda, in relazione alla sua valenza temporale, porta a sostenere che esso deve essere necessariamente perseguito nella prospettiva del lungo termine. Come afferma Giannessi, l’equilibrio economico a valere nel tempo è tale se deriva «dalla combinazione di particolari fattori e dalla composizione di forze interne ed esterne, ed ha carattere durevole, e sotto un certo aspetto, evolutivo», E. GIANNESSI, Le aziende di produzione originaria, vol. I, Le aziende agricole, Colombo Cursi, Pisa, 1960. Si veda al riguardo anche: E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale, Pacini, Pisa, 1979, pagg. 15-21; U. BERTINI, Il sistema d’azienda, Schema di analisi, Opera Universitaria, Pisa, 1977, pagg. 35-38. 3 «La gestione dell’azienda è il sistema di operazioni simultanee e successive che dinamicamente si dispiega, finché

l’azienda ha vita, per il raggiungimento dei fini della medesima. La gestione si realizza mercé l’attività delle persone che per l’azienda operano. Si dice anche che quest’attività costituisce la gestione in senso soggettivo, mentre il sistema delle operazioni esprime – della stessa gestione – l’aspetto oggettivo», P. ONIDA, Economia d’azienda, Utet, Torino, 1970, pag. 251. Si veda anche: P. MIOLO VITALI, Il sistema delle decisioni aziendali. Analisi introduttiva, Giappichelli, Torino, 1993, pagg. 13-14. 4 Secondo l’etimologia della parola, la “decisione” (dal latino “decidere”, cioè tagliare) «indica il momento in cui

l’individuo pone fine, cioè tronca, l’incertezza derivante dalla presenza di più alternative possibili, attraverso la scelta di un determinato corso di azione. La decisione si colloca, dunque, tra il momento del dubbio e il momento dell’esecuzione», L. CODARA, Le mappe cognitive. Uno strumento di analisi per la ricerca sociale e per l’intervento organizzativo, Carocci Editore, Roma, 1998, pag. 19.

Nella tradizionale dottrina economico aziendale italiana, il complesso processo di conversione delle idee e delle informazioni in decisioni presenta due momenti caratteristici: la formazione del giudizio e la presa della decisione. Cfr. P. MIOLO VITALI, Il sistema delle decisioni aziendali. Analisi introduttiva, op. cit., pag. 15. Sul tema dei “giudizi di convenienza” si veda: R. CORTICELLI, I giudizi di convenienza in Economia Aziendale, Cursi, Pisa, 1973. 5

«Nella logica ottimizzante si accentua l’assunzione fatta nella teoria classica dell’impresa di un imprenditore onnisciente, razionale e che massimizza i profitti; e questo costituisce un’utile pietra di paragone per confrontare e distinguere tutte le altre concezioni aventi razionalità relativa», P. MIOLO VITALI, Il sistema delle decisioni aziendali, op. cit., pag. 52. 6 Scrive il Bertini: «Il sistema delle idee è relativo alla attività di pensiero che si sviluppa all’interno dell’azienda, al di sopra

del sistema delle decisioni; quando viene presa una decisione, infatti, il pensiero ha cessato di essere, avendo lasciato il posto all’azione. La decisione prelude all’azione, ma non è ancora azione; in ogni caso essa segna la fine dell’attività speculativa e l’inizio di quella operativa. Per cui è un non senso ipotizzare una decisione senza un “seguito operativo”, che, beninteso, non necessariamente significa “fare”. Il sistema delle operazioni discende direttamente dal sistema delle decisioni e si realizza mediante un combinato insieme di trasformazioni tecniche, alla cui realizzazione l’uomo partecipa congiuntamente agli altri fattori, materiali e immateriali, della produzione», U. BERTINI, Il sistema aziendale delle idee, op. cit., pagg. 15-16. 7 È necessario peraltro evidenziare che una fitta rete di operazioni ed anche di decisioni sono incardinate nell’ambito di

regole e routine operative ed organizzative, spesso informali o tacite, divenute componenti del patrimonio consolidato di conoscenze e competenze. Le competenze che si formano nelle routine operative ed organizzative favoriscono meccanismi comportamentali di stimolo e risposta che tendono talvolta ad allontanare (nel tempo e/o nello spazio) il momento speculativo originario, o meglio, una parte di esso, rispetto alla esecutività della singola operazione, dei processi e delle combinazioni di processi. 8 Al riguardo, si veda: V. CODA, La valutazione della formula imprenditoriale, in “Sviluppo e Organizzazione”, 82(2), 1984,

pagg. 7-21. 9 Cfr. M. WARGLIEN, Innovazione e impresa evolutiva. Processi di scoperta e apprendimento in un sistema di routine,

Cedam, Padova, 1990, pagg. 125-126. 10 Il Quagli distingue tra le conoscenze “individuali” ed “organizzative”. Le prime sono proprie di “singoli individui”

operanti in azienda e si compongono di una “parte” astrattamente riferibile alla “sfera di interesse personale” e di una “parte” all’attività svolta in azienda. L’Autore sottolinea come questa seconda parte risieda prevalentemente in un “saper fare” determinante attività (o Know How) e precisa che si parla di skill intendendo riferirsi alla capacità di singoli operatori di compiere una «... coordinata sequenza di azioni in grado normalmente di garantire il raggiungimento dell’obiettivo nel contesto abituale in cui l’operatore stesso opera». Ma accanto al “saper fare” non si può negare che esista un sapere astratto e più generale (o Know Why) «... inteso come conoscenza di alcuni principi basilari per lo svolgimento della gestione, come percezione di determinati fenomeni causali che avvincono determinati fenomeni aziendali», A. QUAGLI, Introduzione allo studio della conoscenza in Economia Aziendale, Giuffrè, Milano, 1995, pag. 23. 11 Negli approcci “cognitivi” al decision-making manageriale si assume che sia il “sistema di credenze” a strutturare il modo

in cui una persona fronteggia e gestisce i limiti della razionalità, «concorrendo a determinare il suo particolare tipo di bounded rationality», L. CODARA, Le mappe cognitive, op. cit., pag. 39. 12 «Schemes permit managers to categorize an event, assets its consequence, and consider appropriate actions (including

doing nothing), and to do so rapidly and often efficiently. Without schemes a manager, and ultimately the organizations, with which he/she is associated, would become paralyzed by the need to analyze “scientifically” an enormous number of ambigous and uncertain situations. In other words, managers must be able to scan environment selectively so that timely decisions can be made ... The selection of environmental elements to be scanned is likely affected by manager’s schema», C.K. PRAHALAD-R.A. BETTIS, The Dominant Logic: a New Linkage Between Diversity and Performance, in “Strategic Management Journal”, 7(6), 1986, pagg. 485-501. 13 La mappa cognitiva «esprime – osservano Weick e Bougon – il modo in cui la mente riflette sull’esperienza, costruisce

concetti in forma di variabili ed impone connessioni tra queste variabili», K.E. WEICK-M. BOUGON, Organizations as

Cognitive Maps: Charting Ways to Success and Failure, in H.P. SIMS-D.A. GIOIA, The Thinking Organization, Jossey Bass, San Francisco, 1986. 14 Nell’analizzare l’approccio cognitivo alle decisioni di politica internazionale Bonham e Shapiro scrivono che «non esiste

un evento in sé che diventa automaticamente il contesto per il decisore, ma è quest’ultimo che costruisce l’evento selezionando specifici aspetti dell’ambiente sulla base della sua attenzione», M.G. BONHAM-M.J. SHAPIRO, Thought and Action in Foreign Policy, Birkhauser Verlag, Basel, 1977. 15

Cfr. S. KIESLER-L. SPROUL, Managerial Response to Changing Environment: Perspectives and Problem Sensing from Social Cognition, in “Administrative Science Quarterly”, 37, 1982, pagg. 548-570. 16

Cfr. C. PROVASI, prefazione al volume: L. CODARA, Le mappe cognitive, op. cit., 1998, pag. 11. Nelle mappe si trovano – precisa l’Autore – i due momenti del processo di ricerca e di conoscenza della realtà: «il dato empirico, la fattualità della realtà che ci viene incontro e che spesso falsifica le convinzioni che ci siamo fatte su di essa, e l’interpretazione soggettiva, la rappresentazione con cui cerchiamo di dare coerenza alle informazioni di cui entriamo in possesso e che ci conduce a nuove esplorazioni, a correggere gli errori e a raffinare i dettagli quando non a riformulare in una nuova e più coerente mappa le informazioni possedute». 17 «I ricercatori che hanno messo a punto lo strumento delle cognitive maps sono interessati a capire i meccanismi cognitivi

che stanno dietro alle decisioni umane in contesti concreti di elevata complessità (come per le decisioni sociali, politiche ed organizzative) conducendo le loro ricerche ben sapendo che il territorio che stanno esplorando è pressoché sconosciuto ed è perciò prematuro (e forse fuorviante) farsene una rappresentazione teorica troppo sistematica e in sé conchiusa. Lo fanno consapevoli dei limiti degli strumenti di cui dispongono, ma anche convinti che è attraverso la loro applicazione sistematica all’oggetto da esplorare che si potrà giungere a teorie più convincenti ed utili. La concretezza del dato empirico (in tutta la sua complessità) è il punto di partenza del processo conoscitivo, ma la bontà delle mappe ricostruite si misura nell’efficacia pratica delle stesse», S. VICARI-G. TROILO, Affrontare il Possibile: le mappe cognitive. Approcci di management in condizioni di incertezza, in “Economia e Management”, 1, 1997. 18 Esse, comunque, non esprimono una guida infallibile ed anzi sono in non pochi casi fondate su preconcetti e orientate in

modo convenzionale. 19 Al riguardo, si veda: D.C. HAMBRICK-P.A. MASON, Upper Echelons: The Organization as a Reflection of its Top Managers,

in “Academy of Management Review”, 9(2), 1984, pagg. 193-206. 20 Per ulteriori approfondimenti, si veda: D.C. HAMBRICK, Upper Echelons Theory: An Update, in “Academy of Management

Review”, 32(2), 2007, pagg. 334-343; M.A. CARPENTER, Upper Echelons Research Revisited: Antecedents, Elements and Consequences of Top Management Team Composition, in “Journal of Management”, 30(6), 2004, pagg. 749-778. 21 Si veda, tra gli altri: E.H. SCHEIN, Organizational Culture and Leadership, vol. 2, John Wiley & Sons., New Jersey, 2010. 22 C.K. PRAHALAD-R.A. BETTIS, The Dominant Logic, op. cit.

La Miolo Vitali si sofferma ad analizzare “le logiche che orientano i giudizi di convenienza” con particolare riferimento alla logica ottimizzante, soddisfacente, incrementale e quasi casuale. Per riferimenti al riguardo si rimanda a: P. MIOLO VITALI, Il sistema delle decisioni aziendali, op. cit., pagg. 51-67. 23 Cfr. U. BERTINI, Il sistema aziendale delle idee, op. cit., pag. 17. 24 Il Bertini osserva che alla classe delle idee imprenditoriali «corrispondono le “rappresentazioni” relative agli “indirizzi di

fondo” della gestione, concepite al fine di migliorare le condizioni operative generali dell’azienda, sia sul versante interno dell’organizzazione produttiva, sia su quello esterno delle relazioni ambientali ...» in U. BERTINI, Il sistema aziendale delle idee, op. cit., pag. 17. 25 U. BERTINI, Il sistema aziendale delle idee, op. cit. 26 U. BERTINI, Il sistema aziendale delle idee, op. cit. 27 G. HAMEL-C.K. PRAHALAD, Alla conquista del futuro, Il Sole 24 Ore, Milano, 1995, pagg. 146-149.

28

U. BERTINI, Il sistema aziendale delle idee, op. cit., pag. 21.

29

Con values statement facciamo riferimento al documento attraverso il quale l’azienda esprime e comunica i propri valori.

30 La Brunello Cucinelli è quotata alla Borsa valori di Milano e capitalizza oltre 1,8 miliardi di euro (al 4 gennaio 2018). Per

maggiori informazioni si rimanda a: http://investor.brunellocucinelli.com/it. 31 In questo esempio ci limitiamo ad evidenziare alcuni elementi del core values system della Brunello Cucinelli a fini

esemplificativi così come sono stati da noi interpretati a seguito di una intervista fatta all’imprenditore. 32 Al fine di poter esplicare in maniera più approfondita i quattro punti ritenuti a fondamento del core values system

dell’azienda, è stato reputato opportuno attingere da: S. BIANCHI MARTINI-A. CORVINO-M. MINOJA, Brunello Cucinelli, in M. MINOJA (a cura di), Bene comune e comportamenti responsabili. Storie di imprese e di istituzioni, Egea, Milano, pagg. 3-30, ISVI, 2015. Si precisa che gli autori hanno effettuato anche una intervista semistrutturata all’imprenditore Brunello Cucinelli. In particolare, il virgolettato è tratto da tale pubblicazione. 33 Come abbiamo anticipato buona parte della descrizione della Cucinelli è tratta da: S. BIANCHI MARTINI-A. CORVINO-M. MINOJA, Brunello Cucinelli, in M. MINOJA (a cura di), Bene comune e comportamenti responsabili. Storie di imprese e di

istituzioni, Egea, Milano, pagg. 3-30, ISVI, 2015.

3. IL SISTEMA DEI VALORI E LA CULTURA AZIENDALE Sebbene il fine principale del presente lavoro sia quello di offrire alcuni modelli di analisi concretamente utilizzabili nella gestione delle aziende ed orientati a porre consapevolmente il core values system al centro dell’azione di governo, riteniamo utile fare un breve richiamo concettuale al legame tra il tema dei valori aziendali e quelli della cultura aziendale (presente capitolo), della corporate governance (capitolo 4) e della corporare social responsibility (capitolo 5). Si tratta peraltro di richiami solo introduttivi e, pertanto, estremamente sintetici e che, in quanto tali, non vogliono offrire un quadro completo ed esaustivo delle tematiche. Come abbiamo anticipato nell’ambito delle scienze sociali i “valori” sono concettualizzati, come fondamentali convinzioni e principi che guidano i comportamenti ed i giudizi degli individui di fronte alle varie situazioni della vita quotidiana e non solo, dimostrando così di essere centrali nel plasmare le personalità di ognuno di noi 1. In questo ambito, infatti, i valori influenzano i desideri, le preferenze o l’avversione per particolari condizioni, situazioni o cose, risultando così estremamente preziosi e vitali nel valutare cosa sia giusto, ragionevole o semplicemente desiderabile. Per questo motivo possiamo affermare che, così come i valori personali rappresentano per certi versi una “bussola” che orienta le varie decisioni ed azioni di un individuo, lo stesso vale per i valori aziendali per l’azienda. In particolare, ci riferiamo a quei sani e coerenti valori che rappresentano i principi profondamente radicati e, perciò, definiti nel presente lavoro core values. Il ruolo dei valori aziendali all’interno delle strutture e dei processi è diventato un argomento di discussione sempre più importante nel mondo manageriale e nella letteratura aziendale 2, specialmente a partire dai primi anni ’90, quando, in seguito ad alcuni scandali finanziari a Wall Street (ed anche in altri mercati finanziari, non ultimo quello italiano, come è facile ricordare richiamando ad esempio il caso della crisi di Parmalat) ed alla crescente globalizzazione, complessità e turbolenza dello scenario socio-economico, si è raggiunta una maggiore consapevolezza dell’importanza cruciale che il rispetto di sani valori può avere, per evitare gravi conseguenze non solo sociali ma anche economiche 3. Dal punto di vista antropologico, la “cultura” può essere definita come il complesso di cognizioni, tradizioni, credenze ed esperienze che caratterizzano un determinato ambiente, gruppo sociale o popolo in un certo momento 4. Essa rappresenta il patrimonio conoscitivo, valoriale e comportamentale risultante da un processo di «accumulazione storica progressiva e selettiva di significati» 5, che vede il tempo (ed il relativo divenire) come un fattore chiave per il suo processo di formazione. Si tratta di un’eredità storica e sociale, frutto di un graduale processo di apprendimento che si è sedimentato e comporta, oltre l’esigenza di conservare e difendere il patrimonio degli assunti già presenti, una tensione verso l’adattamento ai nuovi contesti socio-politico-economici. L’espressione così intesa di “cultura”, affiancata a quella di “azienda”, dà vita ad un

concetto che identifica l’insieme di conoscenze, credenze, principi e valori che ispirano (o dovrebbero ispirare) gli appartenenti ad una determinata organizzazione aziendale, «aiutandoli ad interpretare le situazioni in cui si trovano ad essere» 6, e che ricopre un ruolo fondamentale nel plasmare l’immagine e l’identità dell’azienda 7. La cultura aziendale, vista come un complesso di elementi cognitivi ed emotivi connessi tra loro da relazioni funzionali, nasce e si evolve col perdurare della “storia” aziendale, svolgendo una funzione sia di integrazione interna che di adattamento esterno, volta a promuovere un comune senso di identità ed appartenenza, attraverso aspetti quali il linguaggio, i simboli, i riti, le cerimonie e le dichiarazioni formali (missione, visione, obiettivi) 8. Tali elementi, che rappresentano la parte più visibile e “superficiale” di una determinata cultura, sono però espressione e conseguenza della sua parte più profonda: i valori aziendali. Cultura e valori aziendali sono quindi inestricabilmente interrelati. Il concetto di cultura aziendale è, possiamo dire, più ampio rispetto a quello di quello di valore. La cultura comprende i valori oltre ad influenzare ed essere influenzata da essi. I valori aziendali – come abbiamo più volte evidenziato – sono a fondamento della vocazione dell’impresa, della sua filosofia, sono espressione della sua “anima” 9, in quanto riflettono l’identità e la personalità dell’azienda, esprimendo quindi elementi della sua vera natura e, per certi versi, anche del motivo per cui essa esiste 10. Metaforicamente parlando, possiamo paragonare i core values – cioè i valori identitari centrali – con le fondamenta di un edificio: più tali fondamenta saranno ben pianificate e costruite, più l’edificio che si erge su di esse sarà stabile, sicuro ed in grado di assorbire eventuali shock dovuti a terremoti o instabilità metereologiche. Possiamo quindi affermare che i core values, oltre ad essere il substrato che permea ed influenza la cultura d’azienda 11, hanno un ruolo primario nel guidare ed influenzare le prospettive dell’impresa riguardo sia la direzione strategica che la determinazione della mission e della vision 12. Per quanto detto, comprendere e proteggere i propri valori – purché si tratti di valori sani, sinceri e sistematicamente correlati – è vitale. Numerosi studi, in effetti, hanno mostrato che una caratteristica distintiva delle organizzazioni che sono riuscite a difendere ed alimentare il loro successo nel corso del tempo, è stata quella di attribuire grande importanza a sani, sinceri e sistematicamente coerenti core values, rendendoli una componente di assoluto rilievo nella gestione aziendale 13. In particolare alcune ricerche evidenziano che, quando le decisioni dell’azienda sono prese in linea con i valori di fondo (purché – ripetiamo – si tratti di valori sani, sinceri e sistematicamente correlati), si denota un generale effetto positivo sui risultati di lungo periodo 14, così come un impatto favorevole su differenti indicatori di successo durevole 15. Gli studi evidenziano altresì come sia fondamentale individuare ed esplicitare pochi (criterio della selettività) e coerenti valori, che siano protetti e rispettati, quasi come fossero “inviolabili”, dal momento che, oltre ad essere elementi che concorrono al successo di lungo periodo, risultano anche una componente primaria sia nel trasmettere un senso di moral guidance nella condotta e nel comportamento dei lavoratori, ma anche nel motivare ed ispirare questi ultimi verso i fini e gli obiettivi dell’impresa 16. Si può dire e auspicare che le aziende che si impegnano in modo concreto nel promuovere e sostenere

sani, sinceri e sistematicamente correlati core values, sono spesso maggiormente affermate ed in “buona salute” rispetto a quelle che, senza porre realmente al centro della gestione un valido sistema di valori – si limitano ad esternare un insieme di valori “terzi” (ad esempio nei codici etici o nelle carte dei valori), considerando gli stessi semplicemente uno strumento di window dressing. Pertanto, l’azienda che mira a mantenere e consolidare la propria posizione competitiva dovrà essere consapevole e chiara rispetto a quello in cui crede, valutando molto seriamente il processo di definizione, attuazione e comunicazione dei valori e ciò in piena coerenza con la cultura aziendale 17 di cui i valori sono elemento fondamentale. 1 T. SLACK-C.R. HININGS, Values and Organizational Change, in “Journal of Applied Behavioral Science”, 38(4), 2002, pagg.

436-465. 2 D. GOSH, Corporate Values, Workplace Decisions and Ethical Standards of Employees, in “Journal of Managerial Issues”,

20(1), 2008, pagg. 68-87; M.L STEWART-J. GOODSTEIN-M.N. BING-A.C. WINGS, Values Enactment in Organizations: A Multilevel Examination, in “Journal of Management”, 34(4), 2008, pagg. 806-843. 3 S.D. CONTI-M.R. HYMAN-D.M. ASTOLFI, Creating a Values-driven Organization, in O.C. FERRELL-L. TRUE-L. PELTON, Rigthts,

Relationships & Responsabilities: Business Ethics and Social Impact Management, Kennesaw State University, Kennesaw, 2003, pagg. 295-316. 4 L’Enciclopedia Treccani definisce la cultura come «l’insieme di valori, simboli, concezioni, credenze, modelli di

comportamento, e anche attività materiali, che caratterizzano il modo di vita di un gruppo sociale». 5 D. RADICCHI, Cultura d’impresa e gestione del cambiamento: analisi e riorientamento dei valori e della cultura

organizzativa, in “Gentes”, 1(1), 2014, pagg. 135-142. 6 A.M. PETTIGREW, On Studying Organizational Culture, in “Administrative Science Quarterly”, 24(4), 1979, pagg. 570-581.

Scrive Grant: «La cultura d’impresa comprende una serie di credi, valori e norme di comportamento tra i membri dell’impresa che influenzano il modo di pensare e di comportarsi. La cultura d’impresa si manifesta nei simboli, nelle pratiche sociali, nei riti, nel modo di parlare e di vestire...come avviene per qualsiasi gruppo sociale, le culture d’impresa sono un fenomeno complesso ... All’interno dell’impresa, la cultura non è omogenea: le diverse culture possono essere associate con le diverse attività e funzioni», R.M. GRANT, L’analisi strategica per le decisioni aziendali, Il Mulino, Bologna, 1995, pag. 205. 7 Una definizione alla quale fare riferimento è quella proposta da Edgar Schein, uno dei più autorevoli esponenti in tema di

cultura aziendale: «La cultura è lo schema di assunti fondamentali che un certo gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato mentre imparava ad affrontare i problemi legati al suo adattamento esterno o alla sua integrazione interna, e che hanno funzionato in modo tale da essere considerati validi e quindi degni di essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a tali problemi» (traduzione dell’autore), in E. SCHEIN, Organizational Culture and Leadership, John Wiley & Sons., San Francisco, 1986. Sulla cultura aziendale esiste una corposa letteratura che approfondisce molteplici aspetti. Tra tali studi si veda: T.E. DEALA.A. KENNEDY, Corporate Cultures: Rites and Rituals of Corporate Life, Addison-Wesley, Boston, 1982; D.R. DENISON-A.K. MISHRA, Toward a Theory of Organizational Culture and Effectiveness, in “Organizational Science”, 6(2), 1995, pagg. 204223; E. SCHEIN, The Corporate Culture Survival Guide, Jossey-Bass, San Francisco, 1999; J.B. BARNEY, Organizational Culture: Can it be a Source of Sustained Competitive Advantage?, in “Academy of Management Review”, 11(3), 1986, pagg. 656-665; J.P. KOTTER-J.L. HESKETT, Corporate Culture and Performance, The Free Press, New York, 2008. 8 Schein chiama questi elementi “Artefatti”, i quali comprendono ad esempio: aneddoti, espressioni gergali, slogan, detti

particolari, schemi di comunicazione, metafore, l’abbigliamento del personale, il layout delle strutture (es. open space), l’arredo, le tradizioni e le usanze, le forme di sanzione o ricompensa, ecc. Al riguardo, si veda: E. SCHEIN, Organizational

Culture and Leadership, op. cit. 9 K. BLANCHARD-M. O’CONNOR, Managing by Values, Berrett-Koehler, San Francisco, 1997. 10

D. MELÉ, Developing a Corporate Values Statement: A Case Study, in J. WIELAND, Standards and Audits for Ethics Management Systems: The European Perspective, Springer, Berlin, 2003, pagg. 191-202; S.S. MANOHAR-S.R. PANDIT, Core Values and Beliefs: A Study of Leading Innovative Organizations, in “Journal of Business Ethics”, 125(4), 2014, pagg. 667680. 11 T.M. BEGLEY-D.P. BOYD, Articulating Corporate Values Through Human Resource Policies, in “Business Horizons”, 43,

2001, pagg. 8-12; C.P. LEWIS, Building a Shared Vision: A Leader’s Guide to Aligning the Organization, Productivity Press, Portland, 1997; G.R. FERRIS-M.M. ARTHUR-H.M. BERKSON-D.M. KAPLAN-G. HARRELL-COOK-D.D. FRINK, Toward a Social Context Theory of the Human Resource Management Organization Effectiveness Relationship, in “Human Resource Management Review”, 8(3), 1998, pagg. 35-264. 12

Come affermano Campbell e Yeung, con il termine vision s’intende “l’immagine di un possibile e desiderabile stato futuro dell’azienda”, mentre la mission “fornisce il fondamento logico per l’azione”, diventando la guida per realizzare tale visione (traduzione dell’autore), A. CAMPBELL-S. YEUNG, Brief Case: Mission, Vision and Strategic Intent, in “Long Range Planning”, 24(4), 1991, pagg. 145-147. 13 Al riguardo, Robert Haas, ex CEO di Levi’s Strauss ha affermato che: «Le componenti soft e hard sono sempre più

intrecciate tra di loro. I valori aziendali … sono cruciali per il successo competitivo dell’azienda. Infatti sono i valori che guidano le attività», in R. HOWARD, Values Make the Company: An Interview with Robert Haas, in “Harvard Business Review”, 68(5), 1990, pagg. 133-143. Concordano con questo pensiero: R.J. ALLIO, Strategic Thinking: The Ten Big Ideas, in “Strategy & Leaders”, 34(4), 2006, pagg. 4-13; F.R. DAVID-F.R. DAVID, It’s Time to Redraft your Mission Statement, in “Journal of Business Strategy”, 24(1), 2003, pagg. 11-14; J.C. COLLINS-J.I. PORRAS, Building Your Company’s Vision, in “Harvard Business Review”, 74(5), 1996, pagg. 65-77; J.C. COLLINS-J.I. PORRAS, Built to Last. Successfull Habits of Visionary Companies, Oxford University Press, Oxford, 2000. 14 D. BATSTONE, Saving the Corporate Soul & (Who Knows?) Maybe Your Own. Eight Principles for Creating and

Preserving Integrity and Profitability Without Selling Out, Jossey-Bass, San Francisco, 2003; G.A. FITZGERALD-N.M. DESJARDINS, Organizational Values and Their relation to Organizational Performance Outcomes, in “Atlantic Journal of Communication”, 12(3), 2012, pagg. 121-145. 15 A. ARGANDONA, Fostering Values in Organizations, in “Journal of Business Ethics”, 45, 2003, pagg. 15-28; A.J. DEVERO,

Corporate Values: Stimulus for the Bottom Line, in “Financial Executive”, 19(3), 2003, pagg. 20-23; S.M.P. DAHLGAARD-J.J. DAHLGAARD-R.L. EDGEMAN, Core Values: The Precondition for Business Excellence, in “Total Quality Management”, 9 (45), 1998, pagg. 51-55; K.M JOHNSON, The Influence of Organizational Values on Profitability, Auburn University, Auburn, 2009. 16 B.Z. POSNER, Another Look at the Impact of Personal and Organizational Values Congruency, in “Journal of Business

Ethics”, 97(4), 2010, pagg. 535-554; E.H. SCHEIN, Organizational Culture and Leadership, Jossey-Bass, San Francisco, 2010; I. WANG-C. SHIEH-F. WANG, Effect of Human Capital Investment on Organizational Performance, in “Social Behavior and Personality”, 36(8), 2008, pagg. 1011-1022; C.A. HEMLE, Predicting Workplace Deviance from the Interaction Between Organizational Justice and Personality, in “Journal of Managerial Issues”, 12(2), 2005, pagg. 247-263. 17 K. BLANCHARD-M. O’CONNOR, Managing by Values, op. cit.; S.L. DOLAN-B.A. RICHLEY, Managing by Values: A New

Philosophy for a New Economic Order, in “Handbook of Business Strategy”, 7(1), 2006, pagg. 235-238.

4. IL SISTEMA DEI VALORI E LA CORPORATE GOVERNANCE Più volte in questa sede ci siamo soffermati sul significato dei valori aziendali e sull’importanza dei core values nel dar senso e direzione all’azione manageriale. Altrettanta attenzione merita, a nostro parere, lo studio di quest’ultimi attraverso la lente della corporate governance. Accogliendo in buona parte, tra le molte possibili, la definizione dell’OECD possiamo dire che la corporate governance rappresenta i sistemi ed i processi attraverso i quali l’azienda viene diretta e controllata, avendo riguardo alla «distribuzione di diritti e responsabilità tra i vari partecipanti aziendali» 1. Si tratta, come affermato dal Bertini 2, di un sistema di governo che persegue l’obiettivo di assicurare una efficace, efficiente e corretta gestione d’azienda, e che tiene conto in primis delle aspettative e degli interessi di quest’ultima, ed anche dei vari stakeholder 3 che risultano coinvolti in modo diretto o indiretto nelle attività aziendali. Un buon sistema di governo 4, nel perseguire una creazione di valore durevole e coerente, dovrà definire e tutelare in modo equilibrato i rapporti tra i vari “partecipanti” aziendali 5, secondo criteri di trasparenza, correttezza, imparzialità, attendibilità e responsabilità 6, e nel rispetto dei valori etici, giuridici e sociali, ma anche squisitamente aziendali. Pertanto, dal momento che un ruolo centrale all’interno della corporate governance è assunto dal consiglio di amministrazione e da coloro che rivestono le massime responsabilità di governo, ci pare opportuno sottolineare l’importanza non solo del values-based management, ma anche di quella che potremmo chiamare values-based corporate governance 7. In entrambi i casi assume un ruolo centrale il sistema di valori del “capo azienda” (values-based leadership). A tal riguardo ci pare di particolare interesse l’approccio di analisi di Thomsen che, utilizzando la corporate governance come chiave interpretativa per osservare i core values, ha rappresentato questi ultimi 8 sotto forma di una funzione dipendente da tre variabili: – identità del fondatore/i; – composizione del consiglio di amministrazione (nel caso di società di capitali); – potere degli stakeholder aziendali. La personalità del fondatore/i, influenzata dal contesto storico-culturale, dalle esperienze passate e dai tratti personali, assume di norma un ruolo di primo piano nel plasmare e trasmettere i valori aziendali 9 (step 1 in figura) 10. Impersonificandosi nel ruolo di veri e propri “architetti valoriali” tali soggetti, qualora consapevoli dell’importanza di sani e sinceri e sistematicamente correlati core values e di considerare le esigenze e il potere degli stakeholder principali oltreché del settore di appartenenza, tratteggiano un insieme di valori che sovente è destinato a radicarsi profondamente e a superare la prova del tempo. Attraverso l’internalizzazione istituzionale e la trasmissione di tali valori (step 2), chiamati spesso founding values, il/i fondatore/i si rendono protagonisti nella costruzione dell’identità

aziendale 11 (step 3). Ciò, ovviamente, è legato anche alla capacità di esprimere una leadership carismatica 12 del/i fondatore/i ed al successo concretamente e durevolmente conseguito con la sua azione.

=========== IL PRIMO CODICE ETICO AZIENDALE: JOHNSON & JOHNSON Robert Wood Johnson, presidente di J&J dal 1932 al 1963 e membro della famiglia fondatrice, esplicitò in un apposito documento il “Credo” dell’azienda nel 1943, prima che quest’ultima diventasse una società quotata. Tale documento rappresenta ancor oggi per l’azienda un fondamentale sistema di valori che ispira le decisioni ed azioni di coloro che lavorano in azienda, ma anche un elemento di comunicazione. Prima che nascesse il termine “corporate social responsibility”, Johnson capì l’importanza della funzione sociale dell’azienda. Questo documento, i cui contenuti sono di seguito riportati, assume storicamente particolare rilevanza, in quanto si tratta della prima sistematica “dichiarazione dei credo” aziendali diffusamente pubblicato (tradotto in oltre 50 lingue). È in sostanza un precursore dei moderni codici etici. «Noi crediamo che la nostra prima responsabilità sia verso i medici, le infermiere, i pazienti, le madri, i padri e tutti coloro che usano i nostri prodotti e servizi. Per soddisfare le loro necessità, tutto ciò che noi facciamo deve essere di alta qualità. Dobbiamo costantemente impegnarci a ridurre i costi per mantenere prezzi ragionevoli. Gli ordini dei clienti devono essere evasi con tempestività ed accuratezza. I nostri fornitori e distributori devono avere l’opportunità di fare giusti guadagni. Siamo responsabili verso i nostri dipendenti, uomini e donne che lavorano con noi in tutto il mondo. Ognuno deve essere considerato come individuo. Dobbiamo rispettare la loro dignità, riconoscere i loro meriti, dare loro la sicurezza del posto di lavoro. I compensi devono essere giusti ed adeguati e l’ambiente di lavoro deve essere pulito, in ordine e sicuro. Dobbiamo preoccuparci di aiutare i nostri dipendenti ad assolvere le loro responsabilità familiari. I dipendenti devono sentirsi liberi di dare suggerimenti e fare le proprie rimostranze. Deve esserci per tutti uguale opportunità di impiego, sviluppo e opportunità di carriera. Dobbiamo garantire un management competente, corretto ed etico. Siamo responsabili verso la comunità nella quale viviamo e lavoriamo e verso la comunità mondiale. Dobbiamo tenere in ordine la proprietà che abbiamo il privilegio di usare, proteggendo l’ambiente e le risorse naturali. La nostra responsabilità finale è verso gli azionisti. Gli affari devono produrre un profitto ragionevole. Dobbiamo sperimentare nuove idee, sostenere la ricerca, sviluppare programmi innovativi e pagare per gli eventuali errori. Acquistare nuove attrezzature, costruire nuove fabbriche, lanciare nuovi prodotti e creare riserve per sostenere i tempi avversi. Se agiremo in accordo con questi principi, gli azionisti potranno realizzare un giusto profitto» (Fonte: www.jnj.com).

I “Credo” della J&J sono scolpiti in una pietra con accanto la bandiera statunitense presso la sede centrale della società. Il significato simbolico è evidente: la stabilità e la rilevanza degli stessi. ===========

Con la crescita dell’azienda nasce e si rende imprescindibile il ricorso alla delega decisionale e una situazione simile si manifesta, per certi aspetti, anche in tema dei valori. Nelle grandi aziende, ancor più se quotate, spetta di norma al consiglio di amministrazione (board of directors) 13, oltreché ovviamente al top management team ed al CEO, esprimere e testimoniare i core values 14. Si ricorda che nella letteratura manageriale le principali funzioni del consiglio di amministrazione sono 15: a) strategica 16; b) di controllo 17; c) di networking 18. La funzione strategica del board (punto a) consiste nell’orientare e nel contribuire alla formulazione strategica, influenzando il contesto e plasmando il contenuto e lo sviluppo della strategia aziendale 19, ed orientando così l’attività del top management team 20. Risulta comunque necessario sottolineare che la capacità e l’effettività del board nel contribuire a determinare il contesto strategico e a definire i valori aziendali, si esprime nella circostanza in cui il board stesso sia espressione concreta del Soggetto Economico, detentore primario del potere aziendale 21. Potremmo dire, pertanto, che il consiglio di amministrazione è rappresentativo del sistema valoriale e della potenzialità strategica quando è espressione vera del potere aziendale (non mancano infatti casi in cui il consiglio di amministrazione, nonostante il suo ruolo formale e la sua responsabilità giuridica, non ha alcun peso o ha un peso assai limitato, nell’esprimere il potere reale dell’azienda). Normalmente nelle grandi aziende il consiglio di amministrazione ha reale potere e capacità di assolvere adeguatamente alle funzioni sopra richiamate quando esprime una collegialità in cui confluiscono con ruoli determinanti proprietà, dirigenti e altri amministratori qualificati, ovvero quando è composto da uomini che, essendo manifestazione del capitale di comando e del vertice della tecnostruttura, incarnano realmente il potere d’azienda. Si crea in questo modo un legame dialettico ed evolutivo tra corporate governance, imprenditorialità e managerialità, tra anima politica e anima tecnica, tra ideazione e realizzazione. Pertanto, nel rispetto di questa condizione, è dal board che, essendo il fulcro attorno al quale ruota il processo di

governance, e qualora ci sia al suo interno consapevolezza dell’importanza nel definire e rispettare i valori identitari, si sviluppa e si alimenta la values-based governance. Un ulteriore aspetto di fondamentale rilevanza attraverso il quale il consiglio può influenzare il processo decisionale strategico riguarda la selezione dei vertici della “tecnostruttura” e, ancora di più, la scelta del capo azienda. Ciò può avvenire, ovviamente, solo nei casi in cui il capo azienda e il TMT siano effettivamente scelti dal consiglio di amministrazione e, dunque, quando quest’ultimo è al centro del sistema di potere aziendale (non avviene, ad esempio, quando il capitale è molto concentrato e il consiglio viene svuotato di effettivo potere, come non in pochi casi si ha nelle aziende familiari 22). In ogni caso (sia o non sia il consiglio a scegliere il CEO e il TMT) un’azienda che sia consapevole dell’importanza dei core values per la sua perpetrazione e il suo successo non potrà trascurare la ricerca di un’adeguata coerenza tra le caratteristiche personali del CEO e quelle del core values system, in quanto essa non può essere validamente governata in assenza di un adeguato allineamento tra i valori identitari dalla stessa e quelli del capo azienda. È evidente, infatti, che quando quest’ultimo incarna validamente il sistema dei valori identitari si può ragionevolmente ritenere che possa rappresentarli e trasmetterli attraverso una autentica values-based leadership 23 (VBL). Esercitare il ruolo di CEO attraverso una sana e consapevole VBL significa essere in grado di creare una connessione intima tra i core values e l’intero apparato aziendale 24, una visione condivisa basata su questi ultimi 25, ma anche di motivare e guidare il top management al rispetto ed alla messa in pratica di tali valori 26, in modo da incentivare l’attuazione di un efficace values-based management. Si instaura così, in base a quanto suddetto, un rapporto di reciproca influenza, che qui chiamiamo di “dinamica valoriale circolare”, tra values-based governance, values-based leadership, e values-based management. L’altra principale funzione del consiglio di amministrazione è quella di controllo (punto b), che consiste nel “proteggere” gli interessi degli azionisti e degli stakeholder più importanti, oltreché, ovviamente, quelli diretti dell’azienda, attraverso il monitoraggio dell’azione del management 27. È importante però ricordare che l’azienda non ha solo finalità economiche e competitive ma anche sociali. Ciò, da un lato, ci spinge ad affermare che anche i temi di strategia e di controllo si estendono alle questioni riguardanti le relazioni e le istanze degli stakeholder e, dall’altro lato, ci porta a enfatizzare – utilizzando la chiave interpretativa della corporate governance – l’importanza del ruolo di networking del board (punto c), inteso come la capacità di costruire e gestire proficue relazioni di lungo periodo con i portatori d’interesse più significativi 28.

Si osserva al riguardo che talvolta, specie nelle aziende quotate, la funzione di networking del board si realizza anche attraverso l’inserimento all’interno dello stesso di soggetti in grado di esprimere alcune istanze degli stakeholder fatte proprie dall’azienda. Ad esempio, se l’azienda dà priorità valoriale e strategica al tema ambientale potrebbe decidere di inserire nel board un esponente autorevole di una associazione ambientalista oppure un’azienda che opera su un particolare prodotto rivolto ad un determinato tipo di utilizzatori può offrire un posto nel board ai rappresentanti di questi ultimi 29. È interessante considerare che in alcuni Paesi esistono norme che prevedono la presenza o l’inserimento dei rappresentanti dei lavoratori all’interno del board (ad esempio, pur con regole diverse, Norvegia, Croazia, Svezia, Francia) o di altri importanti organi societari (ad esempio Germania, Austria o Slovacchia) 30. Occorre inoltre precisare che un buon sistema di governo, che sia efficace e responsabile, deve tutelare le attese ed i diritti degli azionisti, in special modo quelli di minoranza. Questi ultimi infatti sono portatori di interessi che non devono essere trascurati nell’ambito dei processi decisionali. Tutelare gli azionisti di minoranza è ormai, per le aziende quotate, un imperativo anche a fronte degli sviluppi delle norme di diretto societario 31 che, visto l’aumento del peso delle minoranze azionarie, dovuto tra gli altri all’allargamento della base azionaria, all’azione congiunta di investitori istituzionali ed al crescente peso dei mercati finanziari, ha sancito varie disposizioni in loro difesa 32. =========== BRUNELLO CUCINELLI: PROFILI DEGLI AMMINISTRATORI INDIPENDENTI Il board di Brunello Cucinelli Spa si compone di 10 amministratori, 4 dei quali qualificati come indipendenti. Di seguito, si riportano i profili degli amministratori indipendenti tratti dal sito web aziendale (giugno 2018) 33. Andrea Pontremoli: (lead indipendent director): è stato un manager di primo piano del gruppo IBM dove ha assunto anche il ruolo di General Manager IBM Global Services per il Sud Europa, Presidente e Amministratore Delegato IBM Italia. AD di Dallara e DG di Dallara (piccola realtà emiliana che, dal 1972, disegna e produce auto da corsa, monoposto e non, impegnate nelle più importanti manifestazioni sportive). È Direttore del “Executive Master in Technology and Innovation Management” nella Business School dell’Università di Bologna, membro del CdA di Barilla S.p.A.; membro del CdA dell’Università degli Studi di Parma. Massimo Bergami: Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale all’Università di Bologna, fondatore e Dean della Bologna Business School. È inoltre: – Founding Chair dell’EMBA Consortium for Global Business Innovation; – Senior Advisor della Fondazione MAST creata da Isabella Seragnoli; – componente del Board of Trustees dell’EFMD (European Foundation

for Management Development). Nel corso degli anni è stato componente dei board di Ducati Motor Holding, Ferretti S.p.A., Telecom Italia Media, Previlabor e Università della Tuscia. Fa parte dell’Advisory Board del programma Best, avviato dall’Ambasciata USA in Italia, in collaborazione con la Commissione Fulbright, per portare giovani imprenditori italiani in Silicon Valley. Matteo Marzotto: Vice Presidente Esecutivo di Italian Exhibition Group. È stato Presidente di Fiera di Vicenza. È Presidente e Azionista di Dondup da settembre 2016, Presidente di Mittelmoda Fashion Award da settembre 2008. Ha acquisito e successivamente rilanciato Vionnet S.p.A., di cui è stato anche Presidente. Ha maturato esperienze lungo tutta la filiera del tessile/abbigliamento nelle aziende della famiglia Marzotto. È stato chief operating officer (COO) e poi Presidente di Valentino S.p.A. È stato Presidente di Fondazione CUOA-Centro Universitario di Organizzazione Aziendale e Presidente e Commissario di Enit-Agenzia Nazionale del Turismo. È tra i fondatori (gennaio 1997) della Fondazione per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica-Onlus, invitato permanente (settembre 2013) al Consiglio Generale di Nuovi Orizzonti AIPDF (Associazione Internazionale privata di fedeli di diritto pontificio). Siede in diversi consigli di amministrazione tra cui Brunello Cucinelli S.p.A., Morellato & Sector S.p.A., e il Consiglio Generale di Fondazione CUOA-Centro Universitario di Organizzazione Aziendale. Matteo Marzotto è stato uno dei volti Ambassador dell’Esposizione Universale Expo Milano 2015. Candice Koo: nel novembre 1999 entra nella società Li & Fung (Italia) S.r.l., con sede a Firenze, dove si occupa fino al 2000 di sviluppo dei prodotti. Dal novembre 2000 all’agosto 2002 opera presso la sede di Hong Kong della Li & Fung (Trading) Ltd. dove ricopre diversi incarichi, occupandosi in particolare di controllo di qualità, supervisione operativa e predisposizione di piani strategici. Dal 2002 al 2005 frequenta un corso di alta sartoria presso l’Atelier “Il Bagatto” a Bologna, specializzato in alta moda e capi in pelle. Nel novembre 2005 entra a far parte del Gruppo Hermés dove assume diversi incarichi in varie divisioni ed assume tra il 2014 ed il 2016 anche il ruolo di Operations Director. Nel gennaio 2015 fonda la società Dolcezza Holdings, di cui è Amministratore, che si occupa di fornire consulenza alle aziende in materia commerciale e di gestire pagamenti elettronici attraverso la società controllata Cancan, con sede a Bangkok, di cui è Amministratore Delegato. Come si può notare gli amministratori indipendenti di Cucinelli apportano diverse ed ampie competenze (manageriali, imprenditoriali, di formazione, organizzative, accademiche, nell’ambito della moda e del controllo qualità) e relazioni (in ambito informatico, nel settore della moda, nei contesti internazionali e sociali). Ovviamente a tali competenze e relazioni vanno aggiunte, per avere un quadro completo del contributo del Cda, quelle degli amministratori non indipendenti. Al riguardo si veda: http://investor.brunello cucinelli.com/it/governosocietario/consiglio-di-amministrazione. ===========

L’inserimento di soggetti che incarnano competenze e relazioni con specifiche tipologie di stakeholder da un lato spinge a modificare i processi decisionali interni al board ma, dall’altro lato, può consentire di ottenere conoscenze più accurate, contatti più efficaci e maggiore legittimazione nello svolgimento dell’attività. 1 Al riguardo, si veda: OECD, OECD Principles of Corporate Governance, 1999. 2 U. BERTINI, Scritti di politica aziendale, IV ed. riveduta e ampliata, Giappichelli, Torino, 2013. 3 Sul concetto di stakeholder, si veda: R.E. FREEMAN, Strategic Management: A Stakeholder Approach, Cambridge

University Press, Cambridge, 2010; T. DONALDSON-L.E. PRESTON, The Stakeholder Theory of the Corporation: Concepts, Evidence, and Implications, in “Academy of Management Review”, 20(1), 1995, pagg. 65-91; A.O. LAPLUME-K. SONPAR-R.A. LITZ, Stakeholder Theory: Reviewing a Theory that Moves Us, in “Journal of Management”, 34(6), 2008, pagg. 1152-1189. 4 L. BOSETTI, Corporate governance e mercati globali, Franco Angeli, Milano, 2010. 5 Tra questi possiamo comprendere: il consiglio di amministrazione (board of directors), i manager, gli azionisti, sia di

maggioranza che di minoranza, ed i vari stakeholder tra cui dipendenti, finanziatori, clienti e la collettività. Per ulteriori approfondimenti, si veda tra gli altri: R.K. MITCHELL-B.R. AGLE-D.J. WOOD, Toward a Theory of Stakeholder Identification and

Salience: Defining the Principle of Who and What Really Counts, in “Academy of Management Review”, 22(4), 1997, pagg. 853-886. 6 Si veda al riguardo: R. FERRARIS FRANCESCHI, La corporate governance nei paesi europei, in E. CAVALIERI-R. FERRARIS FRANCESCHI, Economia Aziendale, vol. I, Attività aziendale e processi produttivi, Giappichelli, Torino, 2010.

Per ulteriori approfondimenti, si veda: A. SHLEIFER-R.W. VISHNY, A Survey of Corporate Governance, in “The Journal of Finance”, 52(2), 1997, pagg. 737-783; L. BEBCHUK-A. COHEN-A. FERRELL, What Matters in Corporate Governance?, in “The Review of Financial Studies”, 22(2), 2008, pagg. 783-827; L. BEBCHUK-M.S. WEISBACH, The State of Corporate Governance Research, in “The Review of Financial Studies”, 23(3), 2010, pagg. 939-961. 7

N. SIVAKUMAR, Values-based Corporate Governance and Organization Behavior – Guidelines from Manusmriti for Ethical and Social Responsibility, in “Corporate Governance: The Intermational Journal of Business in Society”, 9(5), 2009, pagg. 573-585; E. SANDRUM, Moving Beyond Compliance and Control: Building a Values-based Corporate Governance Culture Supportive of a Culture of Mutual Accountability, in “International Journal of Business Governance and Ethics”, 1(2-3), 2004, pagg. 192-209. 8 S. THOMSEN, Corporate Values and Corporate Governance, in “Corporate Governance: The International Journal of

Business in Society”, 4(4), 2004, pagg. 29-46. 9 E.H. SCHEIN, The Role of the Founder in the Creation of Organizational Culture, in “Organizational Dynamics”, 12(1),

1983, pagg. 13-28; T. HILLESTAD-C. XIE-S.A. HAUGLAND, Innovative Corporate Social Responsibility: The Founder’s Role in Creating a Trustworthy Corporate Brand Through Green Innovation, in “Journal of Product & Brand Management”, 19(6), pagg. 440-451; Y. LING-H. ZHAO-R.A. BARON, Influence of Founder-CEOs’ Personal Values on Firm Performance: Moderating Effects of Firm Age and Size, in “Journal of Management”, 33(5), 2007, pagg. 673-696. 10 Tale figura è un adattamento a quella presentata da T. Hillestad, C. Xie e S.A. Haugland, in T. HILLESTAD-C. XIE-S.A. HAUGLAND, Innovative Corporate Social Responsibility: The Founder’s Role in Creating a Trustworthy Corporate Brand

Through Green Innovation, op. cit. 11 T.C. MELEWAR, Determinants of the Corporate Identity Construct: A Review of the Literature, in “Journal of Marketing

Communications”, 9(4), 2003, pagg. 195-220; C.B. VAN RIEL-J.M. BALMER, Corporate Identity: The Concept, its Measurement and Management, in “European Journal of Marketing”, 31(5/6), 1997, pagg. 340-355; M.L. BARNETT-J.M. JERMIER-B.A. LAFFERTY, Corporate Reputation: The Definitional Landscape, in “Corporate Reputation Review”, 9(1), 2006, pagg. 26-38. 12 B. SHAMIR-R.J. HOUSE-M.B. ARTHUR, The Motivational Effects of Charismatic Leadership: A Self-concept Based Theory, in

“Organization Science”, 4(4), 1993, pagg. 577-594; J.A. CONGER-R.N. KANUNGO, Charismatic Leadership in Organizations, Sage Publications, Thousand Oaks, 1998. 13 A. RIGOLINI, Corporate Entrepreneurship and Corporate Governance. The Influence of Board of Directors and Owner

Identity, McGraw-Hill, Milano, 2013. 14 S. THOMSEN, Corporate Governance as a Determinant of Corporate values, in “Corporate Governance: The International

Journal of Business in Society”, 5(4), 2005, pagg. 10-27. 15 Per ulteriori approfondimenti, si veda: A. ZATTONI, Corporate Governance, Egea, Milano, 2015; M. HUSE, Boards,

Governance and Value Creation, Cambridge University Press, Cambridge, 2007; N.L. ERHARDT-J.D. WERBEL-C.D. SHRADER, Board of Director Diversity and Firm Financial Performance, in “Corporate Governance: An International Review”, 11(2), 2003, pagg. 102-111; S.A. ZAHRA-J.A. PEARCE, Board of Directors and Corporate Financial Performance: A Review and Integrative Model, in “Journal of Management”, 15(2), 1989, pagg. 291-334; C.M. DAILY-D.R. DALTON, Board of Directors Leadership and Structure: Control and Performance Implications, in “Entrepreneurship Theory and Practice”, 17(3), 65-81; J.L. JOHNSON-C.M. DAILY-A.E. ELLSTRAND, Boards of Directors: A Review and Research Agenda, in “Journal of Management”, 22(3), 1996, pagg. 409-438. 16 Al riguardo, si veda: A. PUGLIESE-P. BEZEMER-A. ZATTONI-M. HUSE-F. VAN DEN BOSCH-H. VOLBERDA, Boards of

Directors’contribution to Strategy: A Literature Review and Research Agenda, in “Corporate Governance: An International Review”, 17(3), 2009, pagg. 292-306; B. KIM-M.L. BURNS-J.E. PRESCOTT, The Strategic Role of the Board: The Impact of Board Structure on Top Management Team Strategic Action Capability, in “Corporate Governance: An International

Review”, 17(6), 2009, pagg. 728-743; T. MCNULTY-A. PETTIGREW, Strategist on the Board, in “Organization Studies”, 20, 1999, pagg. 47-74; M. BRAUER-S.L. SCHMIDT, Defining the Strategic Role of Boards and Measuring Boards’effectiveness in Strategy Implementation, in “Corporate Governance: The International Journal of Business in Society”, 8(5), 2008, pagg. 649-660. 17

E.F. FAMA-M.C. JENSEN, Separation of Ownership and Control, in “The Journal of Law and Economics”, 26(2), 1983, pagg. 301-325; E.F. FAMA, Agency Problems and the Theory of the Firm, in “Journal of Political Economy”, 88(2), pagg. 288-307; M.C. JENSEN, The Modern Industrial Revolution, Exit, and the Failure of Internal Control Systems, in “Journal of Finance”, 48(3), 1993, pagg. 831-880. 18 O.J. BORCH-M. HUSE, Informal Strategic Networks and the Board of Directors, in “Entrepreneurship Theory and Practice”,

18(1), 1993, pagg. 23-36; S.A. ZAHRA-J.A. PEARCE, Board of Directors and Corporate Financial Performance: A Review and Integrative Model, op. cit. J. PFEFFER-G.R. SALANCIK, The external control of organizations: A resource dependence approach, NY: Harper and Row Publishers, 1978. 19 Sullo sviluppo della strategia aziendale si veda tra gli altri: T. ONESTI-N. ANGIOLA-S. BIANCHI MARTINI-S. GARZELLA-A. MUSERRA, Strategie di sviluppo aziendale, processi di corporate governance e creazione di valore. Teorie, analisi empiriche

ed esperienze a confronto, Franco Angeli, Milano, 2012. 20 Per completezza di informazione possiamo affermare che all’interno della letteratura esistono altre prospettive riguardo il

ruolo strategico del board, ovvero la “managerial hegemony theory” e la “agency theory”. Secondo quest’ultime la strategia deve essere di competenza esclusiva del top management team, mentre il consiglio di amministrazione deve svolgere un ruolo di ratifica e revisione. Per ulteriori approfondimenti, si veda: M. MACE, Directors: Myth and Reality, Harvard University Press, Cambridge, 1971; K.M. EISENHARDT, Agency Theory: An Assessment and Review, in “Academy of Management Review”, 14(1), pagg. 57-74; M.C. JENSEN-W.H. MECKLING, Theory of the Firm: Managerial Behavior, Agency Costs, and Ownership Structure, in “Journal of Financial Economics”, 3(4), 1976, pagg. 305-370. 21 U. BERTINI, Scritti di politica aziendale, op. cit., pag. 16; E. CAVALIERI-R. FERRARIS FRANCESCHI, Economia Aziendale, op.

cit., pag. 88. 22 Per ulteriori approfondimenti, si veda: P. MARTINO-A. RIGOLINI-G. D’ONZA, La relazione tra le caratteristiche di governance

e il risk profile nelle aziende familiari: evidenze dal contesto italiano, in L. MARCHI-R. LOMBARDI-G. ANSELMI, Il governo aziendale tra tradizione e innovazione, Franco Angeli, Milano, 2016; G. D’ONZA (a cura di), Assetti di governance, sistemi di controllo e risk management nelle aziende familiari, Giappichelli, Torino, 2017. 23 In letteratura ampi e vari sono i riferimenti a tale termine. Al riguardo, si veda: J. FROST, Values Based Leadership, in

“Industrial and Commercial Training”, 46(3), 2014, pagg. 124-129; M.K. COPELAND, The Emerging Significance of Values Based Leadership: A Literature Review, in “International Journal of Leadership Studies”, 8(2), 2014, pagg. 105-135. 24 A.H. REILLY-S. EHLINGER, Choosing a Values-based Leader: An Experimental Excercise, in “Journal of Management

Education”, 3(2), 2007, pagg. 245-262; W.E. HOPKINS-S.G. SCOTT, Values-based Leadership Effectiveness in Culturally Diverse Workplaces, in “Cross Cultural & Strategic Management”, 23(2), 2016, pagg. 363-385. 25 O.P. VIINAMAKI, Intra-organizational Challenges of Values-based Leadership, in “Electronic Journal of Business Ethics

and Organization Studies”, 14(2), 2009, pagg. 6-13. 26 A.E. MILLS-E.M. SPENCER, Values Based Decision Making. A Tool for Achieving the Goals of Healthcare, in “HEC Forum”,

17(1), 2005, pagg. 18-32. 27 Tale ruolo ha l’obiettivo di evitare che, in condizioni di separazione tra proprietà e controllo, il top management compia

azioni volte a perseguire unicamente i propri interessi e non quelli dell’azienda e dei suoi stakeholder. Le attività che rientrano in tale funzione possono riguardare ad esempio la valutazione dei risultati reddituali, sociali e competitivi dell’azienda e quella delle decisioni portate avanti dal management, nonché la determinazione della remunerazione di quest’ultimi. Si veda tra gli altri: G. D’ONZA, Il sistema di controllo interno nella prospettiva del risk management, Giuffrè, Milano, 2008. 28 H.B. THORELLI, Networks: Between Markets and Hierarchies, in “Strategic Management Journal”, 7, 1986, pagg. 37-51.

29

Si veda: A. ZATTONI, Corporate Governance, op. cit.

30

Si veda al riguardo: M. GOLD, Taken on Board: An Evaluation of the Influence of Employee Board-level Representatives on Company Decision-making across Europe, in “European Journal of Industrial Relations”, 17(1), 2011, pagg. 41-56; H. GOSPEL-A. PENDLETON, Corporate Governance and Employee Participation, in A. WILKINSON-P.G. GOLLAN-M. MARCHINGTOND. LEWIN, The Oxford Handbook of Participation in Organizations, Oxford University Press, Oxford, 2010; A. CONCHON-J. WADDINGTON, Board-level Employee Representation in Europe: Challenging Commonplace Prejudices, in S. VITOLS-N. KLUNGE, The Sustainable Company: A New Approach to Corporate Governance, ETUI, Brussels, 2011. 31 Si veda: G. D’ONZA-G. GRECO-S. FERRAMOSCA, Corporate Governance in Italian Listed Companies, in S. IDOWU-K. CALIYURT, Corporate Governance, Springer, Berlin, 2014, pagg. 81-100. 32

Il tema delle minoranze azionarie è molto complesso e non può essere esaustivamente affrontato in questa sede. È importante evidenziare però che gli azionisti di minoranza “non sono tutti uguali”. Basti pensare alla differenza tra minoranze qualificate e non; a quella tra minoranze professionali e non; a quella tra azionisti cassettisti e speculatori. Per ulteriori approfondimenti, si veda: N. CASTELLANO-A. CORVINO-I. CAVALLINI, L’allocazione della proprietà e del controllo nei mercati mobiliari, in M. ALLEGRINI-S. BIANCHI MARTINI (a cura di), La corporate governance in Italia, Regno Uniti e Stati Uniti. Modelli e pratiche a confronto, Franco Angeli, Milano, 2006. 33 Si veda: http://investor.brunellocucinelli.com/it/governo-societario/ consiglio- di-amministrazione.

5. IL SISTEMA DEI VALORI E LA CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY L’azienda si nutre di una moltitudine di relazioni che la rendono parte integrante ed attiva della società, dell’ambiente e delle comunità in cui essa opera. Nel mondo di oggi si assiste ad una crescente consapevolezza dell’importanza di valutare l’effetto che le attività svolte dalle aziende possono determinare sull’ambiente, sulle comunità, sui business partner, sui clienti, sugli investitori, sui dipendenti, così come sugli shareholder, le istituzioni e tutti gli altri stakeholder in generale. Si potrebbe dire che, nelle migliori aziende, il finalismo economico e competitivo si integrano con il finalismo sociale e, ancor più, che essi si alimentano vicendevolmente 1. Le aziende moderne devono essere consapevoli della fondamentale importanza della corporate social responsability 2 (CSR). In stretta relazione (integrazione) alla strategia competitiva esse devono assumere una strategia sociale 3. Detto in altri termini le aziende devono saper ripensare sé stesse (pensiero strategico) non solo come “attore dei mercati” (dei beni, dei servizi, finanziario) ma anche come “attore sociale” 4. Dire che l’azienda deve avere una strategia sociale 5 integrata con la strategia competitiva significa anche sostenere che l’azienda non si deve limitare a considerare la crescente domanda di istanze etiche 6, sociali e ambientali 7 come un obbligo conseguente a norme o a pressioni degli interlocutori e non deve considerare la comunicazione sui temi etici ambientali e sociali come una politica di window dressing. In sostanza, guardare alla CSR nella prospettiva valoriale significa considerare che – sotto il profilo della responsabilità sociale – una buona azienda non è quella che adotta azioni in campo socio-ambientale od etico ma neppure quella che adotta strategie sociali ed ambientali o che integra nella strategia competitiva quella sociale. Affinché la CSR possa permeare la realtà dell’azienda, in modo che quest’ultima sia responsabile e trasparente nel sostenere e promuovere il proprio ruolo sociale, è necessario che i temi centrali della CSR entrino a far parte del sistema valoriale dell’azienda, del core values system. Una buona azienda, nella prospettiva della responsabilità sociale, è quindi quella che ha comportamenti socialmente sani derivanti da strategie sociali valide, integrate con quelle competitive, e ispirate ad un sistema di valori coerenti con la CSR. A ben vedere, anche per la CSR vale quanto abbiamo detto in precedenza: il sistema dei valori aziendali è per certi versi sovraordinato alle strategie. Le strategie (anche quelle sociali) possono in parte mutare ma sempre si devono ispirare ad un sistema di valori che definiscono l’identità profonda dell’azienda. La qualità della CSR di un’azienda va quindi valutata principalmente in funzione del fatto che i valori etici, sociali ed ambientali facciano parte del core values system. Infatti, se l’azienda vuole implementare decisioni ed azioni che siano autentiche, concrete e coerenti

con i valori della social responsibility 8, deve far sì che questi abbiano un ruolo attivo all’interno del values statement, in modo da poter esprimere un reale impegno e un’effettiva dedizione nel contribuire al benessere e allo sviluppo degli stakeholder e delle collettività. Al riguardo, riprendendo in buona parte il pensiero di Schmeltz 9, il quale concepisce le attività di CSR come una “naturale estensione dei valori aziendali”, definiamo un modello che identifica tre differenti stadi 10: 1. Caring Stage; 2. Strategizing Stage; 3. Core Values Stage 11. Tali fasi rappresentano, secondo una logica evolutiva, il possibile grado di integrazione tra core values e CSR che può presentarsi all’interno dell’azienda in un dato momento, e ciascuna di esse si distingue oltretutto per il differente ruolo ed influsso che assumono i vari stakeholder nella comunicazione della social responsibility (vedi figura) 12.

In particolare, nella prima fase (Caring Stage) i valori aziendali e le istanze riferibili alla CSR, nonostante siano tra loro compatibili, non formano un tutt’uno, ma al contrario sono concepiti come due “realtà separate”: ciò significa che le attività relative alla responsabilità sociale vengono espletate in azienda attraverso varie modalità/iniziative, ma senza che si appalesi un radicamento nel core values system e, di conseguenza, neppure nella filosofia gestionale ed organizzativa. In questo contesto, la comunicazione della CSR si limita a render noto ai vari stakeholder determinate informazioni relative ai più efficaci progetti di responsabilità sociale attuati, lasciando così che i vari portatori d’interesse assumano un ruolo tendenzialmente passivo e circoscritto al “ricevere notizie”. La fase successiva (Strategizing Stage) si caratterizza invece per un maggiore (ma non totale) grado di integrazione nei valori, che si traduce in una superiore consapevolezza

dell’importanza di implementare pratiche di CSR concrete, ma soprattutto coerenti con i valori aziendali, ponendo quindi le basi per poter raggiungere lo stage successivo. Gli stakeholder, a differenza della fase precedente, assumono spesso un ruolo attivo, in quanto spingono le aziende ad essere più responsabili da un punto di vista sociale, domandando sempre di più un comportamento etico e responsabile 13. Si può dire che in questa fase la CSR tende ad integrarsi con la strategia competitiva ma non si radica nel core value system. Il modello si chiude con la Core Values Stage, nella quale la CSR si incardina nel core values system, permettendo così alla CSR di essere vissuta e radicata profondamente. Le aziende che mirano ad attuare una responsabilità sociale che sia autentica, effettiva e coerente con i propri core values dovrà tendere a questa fase, che oltretutto si caratterizza per un coinvolgimento proattivo dei vari stakeholder, con i quali vengono costruite relazioni di influenza reciproca, volte a migliorare ed incrementare le pratiche di CSR. Per raggiungere questo tipo di integrazione, il primo step che l’azienda deve attuare è individuare quei sani e validi core values che hanno una connessione con la CSR. Tale passaggio pone le basi per l’identificazione sia degli stakeholder di maggior valore per l’azienda (secondo step), sia dei temi legati ad essi che l’azienda ha deciso di elevare a credo ispiratori 14 (terzo step). Per esplicitare al meglio tali passaggi si è deciso di inserire un esempio, riportato all’interno del medesimo articolo. Azienda 3M

Dichiarazione di Valori

Connessione con la CSR

“3M ha 4 fondamentali Valori aziendali:

Identificazione degli stakeholder di maggior valore:

1) soddisfare i clienti con una superiore qualità e valore; 2) fornire agli investitori un ritorno attrattivo; 3) rispettare l’ambiente sociale e fisico; 4) essere un’azienda in cui i lavoratori sono fieri di esserne parte”.

- clienti; - investitori; - ambiente sociale e fisico; - lavoratori. Identificazione dei temi legati agli stakeholder di maggior valore: - soddisfazione, qualità e valore per i clienti; - ritorno per gli investitori; - nessun danno per l’ambiente naturale; - senso di appartenenza per i lavoratori.

In particolare, ispirandoci al modello di Dahlsrud 15 (anche per agevolare l’identificazione sopra descritta), nella prospettiva della CSR i core values possono seguire quattro dimensioni, ognuna delle quali dovrebbe essere opportunatamente tenuta in considerazione ed esplicitata all’interno del values statement aziendale, per poter realizzare una congrua interiorizzazione dei vari aspetti e valori di responsabilità sociale. Le dimensioni a cui si fa riferimento (che rappresentano gli elementi cardine della CSR) sono 16: ambientale, sociale, economica, e degli stakeholder (vedi figura) 17. Dimensione

Il valore aziendale appartiene a tale dimensione se riguarda:

Ambientale La protezione, la salvaguardia e la sostenibilità dell’ambiente naturale.

Esempi di valori aziendali appartenenti a tale dimensione: – “Environmental sustainability”.

– “We respect our physical environment”. Sociale

La relazione tra l’azienda e la/le comunità in cui essa opera.

– “We give back to our communities”.

Economica

Aspetti socio-economici o finanziari, o il modo in cui l’azienda intende ottenere profitti.

– “Our goal is provide superior returns to our shareholders”. – “We grow our business profitability”. – “Fair profit”. – “Co-prosperity”.

Degli I lavoratori oppure clienti o fornitori (all’interno di uno stesso values statement ci possono essere – “Team spirit”. stakeholder anche valori riferiti ad ognuna di queste classi). – People as competitive advantage”. – Every person, every idea counts”. – “Safety and health at work”. – Passion for our customer” – “Our client’s interest always comes first”. – “Maintain reasonable prices”.

Una volta compiuti tali passi, sarà compito dell’azienda tradurre i temi insiti nei core values in strategie di CSR (adeguatamente integrate con le strategie competitive), che si concretizzeranno in obiettivi di responsabilità sociale, azioni e controlli sui risultati 18. 1 V. CODA, L’orientamento strategico di fondo dell’impresa, Utet, Torino, 1988. 2 All’interno della letteratura, nel corso degli anni, si sono succedute numerose definizioni di CSR, tanto che ad oggi non

esiste una enunciazione precisa riconosciuta universalmente. Al riguardo si è espressa più volte anche la Commissione Europea, prima nel 2003 affermando che «CSR is the concept that an enterprise is accountable for its impact on all relevant stakeholders. It is the continuing commitment by business to behave fairly and responsibly and contribute to economic development while improving the quality of life of the work force and their families as well as of the local community and society at large», poi nel 2011 concedendola come «the responsibility of enterprises for their impacts on society», in «Communication from the Commision to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions A renewed EU strategy 2011-14 for Corporate Social Responsibility», consultabile online al sito: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri= CELEX:52011DC0681. Rilevante è anche la definizione sostenuta da Marsden: «CSR is about the core behavior of companies and the responsability for their total impact on the societies in which they operate. CSR is not an optional add-on nor is it an act of philantropy. A socially responsible corporation is one that runs a profitable business that takes account of all the positive and negative environmental, social and econimic effect it has on society», in A. DAHLSRUD, How Corporate Social Responsibility is Defined: an Analysis of 37 Definitions, in “Corporate Social Responsibility and Environmental Management”, 15(1), 2008, pagg. 1-13. 3 Al riguardo Michael Porter afferma che: «L’obiettivo è quello di far leva sulle capacità uniche dell’azienda in modo da

supportare le cause sociali e, allo stesso tempo, migliorare il contesto competitivo», in S. CRESKOFF, What you Need to Know to Go Global: A Guide to International Trade Transactions, Archway Publishing, Bloomington, 2016. Sulla stessa linea di pensiero, il “World Business Council for Sustainable Development” (un’associazione guidata da CEO di oltre duecento tra le aziende più importanti al mondo) ha elaborato un manifesto nel quale si afferma: «le aziende leader del 2020 saranno quelle che forniranno beni e servizi dedicandosi alle grandi sfide del mondo, incluso il cambiamento climatico, il consumo delle risorse, la globalizzazione, la povertà ed i cambiamenti demografici», in M. NORTON, Sustainability, Duty or Opportunity for Business?, Routledge, New York, 2012. Sulla comunicazione della strategia si veda tra gli altri: A. CORVINO, La comunicazione della strategia nel governo dell’azienda, Cacucci Editore, Bari, 2008. 4 D.A. WHETTEN-A. MACKEY, A Social Actor Conception of Organizational Identity and its Implications for the Study of

Organizational Reputation, in “Business and Society”, 41(4), 2002, pagg. 393-414. D.J. VOGUEL, Is there Market for Virtue? The Business Case for Corporate Social Responsibility, in “California Management Review”, 47(4),2005, pagg. 19-45; M.

ORLITZY-F.L. SCHMIDT-S.L. RYNES, Corporate Social and Financial Performance: A Meta-analysis, in “Organizational Studies”, 24(3), 2003, pagg. 403-441; C. LASZLO, The Sustainable Company: How to Create Lasting Value through Social

and Environmental Performance, Island Press, Washington, 2003. 5 Sulla strategia sociale, si veda tra gli altri: C. CHIRIELEISON, Le strategie sociali nel governo dell’azienda, Giuffrè, Milano,

2002. 6 S. BIANCHI MARTINI-A. CORVINO-F. DONI, Investingating the Respect of Human Rights within Corporate Social

Responsibility Reporting. Evidence from the European Oil and Gas Sector, in “International Journal of Business Research”, 16(2), 2016, pagg. 135-151. 7

F. DONI-A. FRAUSIN-A. GASPERINI, Exploring Sustainability Practices and Reporting in the Brewery Industry. The Case of Birrificio Angelo Poretti – Carlsberg Italia (1877-1980), in L. D’AMICO-R. DI PIETRA-M. SARGIACOMO, Accounting and Food. Some Italian Experiences, Routledge Taylor & Francis, New York, 2016, pagg. 69-97; S. BIANCHI MARTINI-A. CORVINO-F. DONI, Integrated Reporting, Corporate Governance Practices, Social Sustainability Policies and Environmental Disclosure. The Case of South Africa, in “EURAM Conference”, 2017, pagg. 1-27; G. GRECO-N. SCIULLI-G. D’ONZA, The Influence of Stakeholder Engagement on Sustainability Reporting: Evidence from Italian Local Councils, in “Public Management Review”, 17(4), 2015, pagg. 465-488; R. GIANNETTI-A. MARELLI, Il ruolo degli strumenti di cost management nello sviluppo di nuovi prodotti sostenibili, in “Management Control”, 2, 2016, pagg. 33-68. 8 Facciamo riferimento ai valori fondanti della responsabilità sociale, come ad esempio l’impegno verso la soddisfazione dei

clienti e dei dipendenti, il rispetto per l’ambiente, il benessere della comunità, l’attenzione al territorio, l’interesse per le risorse naturali, ecc. 9 L. SCHMELTZ, Identical or Just Compatible? The Utility of Corporate Identity Values in Communicating Corporate Social

Responsibility, in “International Journal of Business Communication”, 51(3), 2014, pagg. 234-258. 10 Il modello qui presentato si ispira a quello di L. Schmeltz con alcune modificazioni. 11 Schmeltz identifica questa fase con il nome di “Transforming Stage”. Tuttavia, per sottolineare l’integrazione che in

questa fase si realizza tra i valori identitari dell’azienda e la corporate social responsibility, abbiamo ritenuto opportuno denominarla “Core Values Stage”. 12 La figura è un adattamento di quella presentata da Schmeltz per rappresentare i tre stadi, in: L. SCHMELTZ, Identical or Just

Compatible? The Utility of Corporate Identity Values in Communicating Corporate Social Responsibility, in “International Journal of Business Communication, 51(3), 2014, pagg. 234-258. 13 In questa fase gli stakeholder, oltre a domandare specifici comportamenti ed adempimenti, esigono anche delle chiare

risposte da parte dell’azienda, che deve essere capace di dimostrare ciò che dichiara in termini di CSR, mostrandosi responsabile e trasparente. Nel caso in cui l’azienda non fornisca le informazioni richieste o venga dimostrato che il suo impegno verso la responsabilità sociale non sia autentico, gli stakeholder possono imporre il loro ruolo attraverso azioni di boicottaggio, le quali possono essere molto efficaci. Basti pensare ai gravi danni economici e di reputazione che dovette affrontare una multinazionale, come Nike, quando venne intrapresa una ingente campagna di boicottaggio nei suoi confronti, nella quale si dimostrava che l’azienda faceva uso di fornitori in Cambogia, nelle cui fabbriche avveniva un sistematico sfruttamento di lavoro minorile. Al riguardo si veda: R. LAMBOGLIA-G. D’ONZA, Un modello di gestione del rischio reputazionale. Dall’identificazione al fronteggiamento, in “Management Control”, 3, 2013, pagg. 7-34. 14 I. MAIGNAN-O.C. FERRELL-L. FERRELL, A Stakeholder Model for Implementing Social Responsibility in Marketing, 39(9/10),

2005, pagg. 956-977. 15 A. DAHLSRUD, How Corporate Social Responsibility is Defined: An Analysis of 37 Definitions, in “Corporate Social

Responsibility and Environmental Management”, 15(1), 2006, pagg. 1-13. 16 Tali dimensioni hanno come riferimento il modello esposto da Dahlsrud, il quale concettualizza la CSR articolata in 5

dimensioni: ambientale, sociale, economica, degli stakeholder e volontaria. Abbiamo deciso di focalizzarci sulle prime quattro in quanto, a nostro parere, ognuna di quest’ultime presenta la natura della volontarietà. 17 La figura è un adattamento a quella presentata da Dahlasrud, in: A. DAHLSRUD, How Corporate Social Responsibility is

Defined: An Analysis of 37 Definitions, op. cit. 18 Le pratiche di CSR consistono nell’attuare iniziative volte ad affrontare temi legati all’ambiente, alla comunità, alla

soddisfazione degli stakeholder più rilevanti, individuati all’interno dei core values. Le iniziative legate alla comunità possono essere ad esempio la promozione di attività di volontariato d’impresa a favore del territorio, il sostenimento di organizzazioni non profit attive nell’ambito sociale e radicate nel territorio, partecipazione a iniziative culturali istituite da enti locali, ecc. Le iniziative legate alla sostenibilità dell’ambiente possono avere ad oggetto: l’adozione di politiche di efficienza energetica, l’istallazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili, l’ottimizzazione del consumo delle materie prime, l’adozione di una politica di acquisti verdi, la condivisione con i fornitori di una filiera sostenibile, la scelta di fornitori attenti alle questioni ambientali, ecc. Quelle riferite ai lavoratori invece possono avere ad oggetto: l’istituzione di progetti volti a favorire un miglior clima aziendale ed incoraggiare la partecipazione attiva (anche attraverso una maggior attenzione verso l’ascolto dei loro bisogni), l’organizzazione di attività formative, lo sviluppo di programmi di career management volti a promuovere ed incentivare la crescita professionale, il sostenimento di una politica volta ad incoraggiare l’integrazione tra vita privata e lavorativa (attraverso orari flessibili o agevolazioni), ecc.

PARTE II

SCHEMI E MODELLI DI RAPPRESENTAZIONE E DI GOVERNO



6. LA CONSAPEVOLEZZA DELLA NECESSITÀ DI RIFLETTERE SUL CORE VALUES SYSTEM Come abbiamo in precedenza evidenziato, la continua (e ineludibile) necessità del cambiamento impone all’azienda di ripensare sé stessa, di mutare il proprio sistema delle idee oltreché la propria operatività. Per contro, l’esigenza di preservare la sua identità impone di non disperdere i valori fondanti ed anzi di rafforzarne il radicamento e il ruolo nell’attività di governo. Saper discriminare tra quale parte del sistema delle idee può e deve essere modificato e quale parte, invece, deve essere conservato e valorizzato – in quanto fondamento della sua core identity – è pertanto una importante esigenza di governo. Detta in altri termini, l’azienda deve aver chiari quali sono i suoi valori identitari, qual è l’estensione e la natura fisiologica del core values system (e, dunque, anche la sua eventuale natura ed estensione patologica). È infatti possibile che il top management dell’azienda non abbia meditato adeguatamente sui valori fondanti, esponendola al rischio di disperdere ad ogni passo componenti essenziali della sua identità. Il caso della Maserati Biturbo, di seguito riportato, costituisce a nostro avviso un emblematico esempio. =========== BITURBO: LA MASERATI LOW COST Il brand Maserati da sempre evoca lusso, prestigio e classe. Nel 1982 la casa del tridente lanciò la Maserati Biturbo, granturismo destinata ad un mercato ampio, grazie al suo prezzo competitivo (circa 26 milioni di lire). Frutto della visione di Alejandro de Tomaso (l’allora azionista di riferimento che aveva rilevato dalla Citroën la maggioranza del capitale, scongiurando il rischio di liquidazione) la Biturbo incarnò il desiderio di riscatto dei ruggenti anni ’80. Ben presto emersero però problemi tecnici. Per esempio, negli Usa si verificarono casi in cui l’auto si incendiava per effetto del surriscaldamento degli anelli di gomma sintetica che supportavano il dispositivo di scarico. Anche le finiture interne erano non ineccepibili. La rete di vendita Innocenti (controllata dallo stesso de Tomaso) non era all’altezza dello storico blasone della Maserati. La Biturbo si rivolgeva ad un segmento, potremmo dire, di “lusso accessibile” e dunque da molti considerato incoerente con la storica vocazione orientata alle fasce alte del mercato. Inizialmente l’auto ebbe, come ci si poteva aspettare, un grande successo di ordinativi: molte persone che “sognavano una Maserati” finalmente se la potevano permettere. Nella prima fase la Biturbo contribuì quindi positivamente al rilancio di Maserati sotto il profilo dei ricavi ma ben presto emersero le contraddizioni. L’azienda tra l’altro reagì al successo commerciale iniziale con aumenti significativi di prezzo e ciò generò ulteriore confusione in termini di chiarezza del posizionamento competitivo. Emerse ben presto che la Biturbo era “troppo poco per essere una Maserati” e ciò creò uno scadimento del prestigio del marchio presso i tradizionali appassionati, convinti che Maserati dovesse essere una garanzia di accuratezza, valida motorizzazione, prestigio. Fu così che alcuni chiamarono la Biturbo la “Granturismo low cost”. Molto tempo è stato necessario al Gruppo Fiat (oggi FCA), che ha rilevato il controllo dell’azienda nel 1993, per restituire al brand il suo storico prestigio. ===========

È anche possibile, all’opposto, che l’azienda dia – consapevolmente o inconsapevolmente – un’eccessiva estensione al sistema delle idee ritenute immodificabili (talora elevandole al rango di valori) e generando un blocco ideologico che impedisce i necessari cambiamenti. È possibile, infine, che l’azienda mantenga idee e valori che invece necessariamente devono mutare perché la loro conservazione è di impedimento al fisiologico cambiamento strategico e operativo e al perseguimento dell’equilibrio economico durevole. Il caso della “A Pelliccerie” ne costituisce un esempio eloquente. =========== L’ESEMPIO DI UNA STORICA PELLICCERIA Il settore della pellicceria è stato per secoli, come quello della gioielleria di alta gamma, emblema del lusso. Le più prestigiose pelliccerie erano aziende artigianali che acquistavano pelli prevalentemente nelle aste internazionali (Londra, New York, Copenaghen, Mosca, ad esempio) e che dopo averle fatte conciare le trasformavano in capi fatti su misura per le signore facoltose. Nel nostro paese esistevano molte medie pelliccerie di lusso, tra le quali la “A Pelliccerie”. La A Pelliccerie, nata all’inizio dell’800, aveva avuto tra i clienti da Anita Garibaldi, alle famiglie Ciano e Mussolini fino a Gorbaciov oltreché una parte significativa dell’alta borghesia e dell’aristocrazia della Toscana. Era inoltre una delle più antiche pelliccerie al mondo ed aveva maturato competenze di altissimo livello nella scelta e nella lavorazione artigianale delle pelli più pregiate, come visoni selvaggi, martore, linci e, fino a quando ciò era consentito, leopardi e ocelot. Il suo prestigio era tale da avere ottenuto durante il periodo monarchico il brevetto della Real Casa (fornitore ufficiale della Casa Reale Savoia). Negli anni ’70 e nei primi anni ’80 del ’900, periodo di elevata inflazione che generò una tendenza ai consumi di lusso, il fatturato crebbe in modo significativo. Con gli anni ’80 del ’900 si verificarono due fenomeni importanti: l’ingresso nel settore della pellicceria delle grandi firme (es. Versace) che introdussero il prêt-à-porter nel settore superando la tradizionale vocazione artigianale e customizzata e, successivamente, l’affermarsi del movimento animalista che iniziò a realizzare eventi dimostrativi con vasta risonanza mediatica e forte impatto emotivo contro gli allevamenti di animali e la produzione di pellicce. L’anziano leader della A Pelliccerie affermò: «la nostra azienda è nata prima dell’unità d’Italia, abbiamo superato due guerre mondiali, la crisi post bellica, gli anni di piombo, riusciremo a superare anche queste nuove minacce». Aveva certamente ragione, in via astratta, ma il legame emozionale con il “prodotto tradizionale pelliccia” che da due secoli aveva costituito il business di successo dell’azienda e l’impossibilità di cambiare strategia a causa anche della eccessiva frammentazione azionaria (in azienda erano azionisti gli eredi di settima generazione del fondatore, ormai lontani parenti con vedute e attitudini assai diverse) generarono un vero e proprio blocco ideologico. L’azienda, che aveva risorse e competenze astrattamente spendibili in altri contesti del settore del lusso, rimase ferma nella produzione tradizionale di pellicce. Altre aziende come Fendi, originariamente produttrici di pellicce, riuscirono invece a realizzare vincenti riposizionamenti competitivi spostandosi in altri ambiti del settore moda. Pur senza avere alcun problema di solvibilità, grazie alla forte patrimonializzazione, il declino per A Pelliccerie fu inevitabile tanto che all’inizio del ventunesimo secolo – dopo ben 200 anni dalla nascita – venne messa in liquidazione. Il caso descritto evidenzia, da un lato, la necessità di ripensamento di alcune idee guida delle aziende saldamente radicate (tanto da essere elevate al rango di valori identitari), divenute ormai incompatibili con la necessità del cambiamento e con il perseguimento dell’equilibrio economico durevole (necessità di reindirizzare le risorse e le competenze in business diversi da quello delle pelliccerie tradizionali) e, dall’altro lato, l’importanza della governance nei processi di ripensamento (in questo caso: assetto proprietario frammentato che impedisce il cambiamento). ===========

È pertanto a nostro avviso necessario, ai fini del buon governo, riflettere sulla estensione e sul contenuto delle idee tendenzialmente stabili e, in particolare, quelle a cui assegnare il rango di valori guida identitari (core values). Si noti, peraltro, che sono ben poche le aziende che fanno una esplicita riflessione sui propri valori identitari e, ancor più, quelle che si impegnano coscientemente nel riflettere sul carattere sistematico (cioè sul core values system) e sulla natura fisiologica o patologica degli

stessi 1. Il fatto che la singola azienda non si impegni nel riflettere sui propri valori identitari non significa, ovviamente, che non esistano i core values ma significa invece che manca uno sforzo di portare il core values system a livello della consapevolezza e di riflettere, conseguentemente, sulla sua natura fisiologica o patologica 2. Si può dire, in altre parole, che l’azione di governo si ispira ad un complesso di ipotesi interpretative, regole e meccanismi che sottendono un insieme di “convincimenti radicati”, giusti o sbagliati che siano; a volte tali “convincimenti” sono talmente metabolizzati dall’organismo aziendale da rendere scontata la direzione dell’azione (o di alcune azioni) e ciò in non pochi casi senza che ci sia una conscia, chiara e diffusa percezione di quali sono le idee ed i valori di fondo che muovono l’agire. Come ha osservato efficacemente il Markides, in azienda è fondamentale meditare sui modelli mentali, nella consapevolezza che meditare non significa necessariamente abbandonare 3. Ciò, tuttavia, significa che meditare può portare ad abbandonare, a rivedere in parte il nucleo consolidato di idee guida su cui poggia la gestione o addirittura gli elementi della ragion d’essere dell’azienda, nel caso in cui essa risulti irrimediabilmente incompatibile con le condizioni di esistenza e di sviluppo 4. È evidente come sia tutt’altro che semplice saper validamente discernere, nell’ambito delle idee guida, tra ciò che fisiologicamente dovrebbe varcare la prova del tempo, e ciò che invece deve poter essere anche nel breve termine “soggetto a ripensamento”. Ancor più si può dire che non è sempre agevole e possibile distinguere le “componenti fisiologiche” del core values system dalle altre idee guida che delineano, ad esempio, le caratteristiche particolari del sistema d’azienda operante, l’impostazione strategica attuale, l’intento strategico ma che, nonostante ciò, non rientrano, o meglio non dovrebbero rientrare, fisiologicamente nel “nucleo di idee/valori fondanti”. Non possono individuarsi, peraltro, dei criteri fissi o delle tecniche valutative oggettive che permettano di discriminare tra idee e valori collocabili fisiologicamente all’“interno” od all’“esterno” del core values system. Siamo convinti, però, che meditare sui core values e dunque sui loro contenuti, sulla natura e sui caratteri dei componenti del core values system, costituisca un esercizio di consapevolezza molto importante per il vertice aziendale, da svolgere in posizione di ascolto nei confronti dell’intero sistema umano 5. Essere consapevoli di quali sono gli elementi del core values system è infatti un presupposto necessario, per valutarne la natura fisiologica o patologica e per porre i valori consapevolmente al centro dell’attività gestionale. 1 Si veda tra gli altri: P.M. LENCIONI, Making Your Values Mean Something, in “Harvard Business Review”, 80(7), 2002,

pagg. 113-117. 2 In termini generali, si può dire che esistono valori e idee guida, e talvolta anche atteggiamenti e convincimenti alla base dei

comportamenti operativi, che sono così profondamente radicati da apparire quasi come irremovibilmente – e talora irrimediabilmente – connaturati all’azienda. Questo insieme di idee e valori possono essere fisiologici (cioè funzionali al perseguimento dell’equilibrio economico durevole ed evolutivo) ma in alcuni casi possono essere patologici (cioè tali da

compromettere il perseguimento dell’equilibrio economico durevole ed evolutivo). 3 C. MARKIDES, Strategic Innovation, in “Sloan Management Review”, 38(3), 1997. 4

«In un’epoca di cambiamenti tanto rapidi e profondi come la nostra, il problema centrale di un numero crescente di organizzazioni è quello del rinnovamento. Il mutamento ambientale, infatti, quando presenti caratteristiche strutturali di irreversibilità, determina un “bisogno di innovazione” più o meno radicale, che in varia misura riguarda sia il profilo gestionale (cioè le combinazioni prodotto/mercato/tecnologia nelle imprese), sia l’assetto organizzativo e può costringere ad un riesame della stessa “ragion d’essere” dell’organizzazione», V. CODA, Introduzione all’edizione italiana del volume: R. NORMANN, Le condizioni di sviluppo dell’impresa, Etas, Milano, 1979, pag. 3. Sulle strategie di sviluppo aziendale si veda tra gli altri: T. ONESTI-N. ANGIOLA-S. BIANCHI MARTINI-S. GARZELLA-A. MUSERRA, Strategie di sviluppo aziendale, processi di corporate governance e creazione di valore. Teorie, analisi empiriche ed esperienze a confronto, Franco Angeli, Milano, 2012. Sullo sviluppo all’interno delle piccole e medie imprese: M.C. BONTI, Una, nessuna e centomila. Varietà dei percorsi di sviluppo nelle piccole e medie imprese, Franco Angeli, Milano, 2013. 5 J.C. COLLINS-J.I. PORRAS, Built to Last. Successfull Habits of Visionary Companies, Oxford University Press, Oxford, 2000.

7. I VALORI ORIGINARI A FONDAMENTO DEL CORE VALUES SYSTEM: UNO SCHEMA DI ANALISI Per poter riflettere sui valori originari che danno contenuto al core values system è utile ricorrere ad uno schema di analisi. Lo schema proposto in questo capitolo si basa su riflessioni derivate dall’analisi della letteratura aziendale e cerca di offrire una guida per coloro che intendono operare per portare il core values system a “livello della consapevolezza”. Ovviamente si tratta di uno dei possibili schemi ma che, a nostro parere, può essere molto utile sia sotto il profilo concettuale che applicativo. Lo schema, come vedremo più diffusamente più avanti, considera tre ambiti che coinvolgono, rispettivamente: 1. i principi economico-aziendali universali; 2. i meta-valori etici; 3. gli aspetti più squisitamente gestionali (organizzativi, di business, ecc.). Soffermiamoci brevemente sui singoli ambiti che ci permetteranno di individuare tre sottosistemi del core values system. 1. Principi economico-aziendali universali La letteratura economico aziendale ha da tempo evidenziato che esistono alcuni principi “universali”, cioè principi che connotano ogni organizzazione che possa definirsi “azienda”, qualunque sia la sua attività tecnica ed il settore di appartenenza, il campo di attività, la collocazione e l’orizzonte territoriale, il tempo in cui essa opera, la sua dimensione, l’assetto proprietario ecc. e che possono pertanto essere considerati dei veri e propri “requisiti di aziendalità” 1. Ci riferiamo in particolare ai seguenti requisiti, tra loro inscindibilmente interrelati: – orientamento all’economicità; – autonomia decisionale; – sistematicità dell’attività di governo. Un’organizzazione che non abbia un orientamento all’economicità, il cui management non abbia un adeguato grado di discrezionalità decisionale (a livello della singola istituzione aziendale) e le cui attività e risorse non siano governate in modo da essere tra loro sistematicamente interrelate, non può sopravvivere nel lungo termine o, se sopravvive, non può essere considerata come un’azienda (né come impresa) 2. Per evitare equivoci interpretativi, è bene precisare che esistono, come del resto è facile osservare nella realtà, organizzazioni giuridicamente qualificabili come aziende che non presentano i requisiti suddetti; tali organizzazioni, pertanto, non possono essere considerate – in termini strettamente economico-aziendali – come aziende (si tratta quindi di organizzazioni non aziendali o “non aziende”). Il concetto economico-aziendale di azienda (e anche quello di impresa) è dunque radicalmente diverso da quello strettamente giuridico 3. In questo lavoro, ovviamente, ci poniamo nel solco dell’interpretazione economico-aziendale.

Una organizzazione giuridicamente qualificabile come azienda può sopravvivere senza l’orientamento gestionale all’economicità nel lungo termine (equilibrio economico a valere nel tempo) solo se sovvenzionata da soggetti esterni 4. Le ripetute perdite che necessariamente prima o poi si producono, la conducono al fallimento a meno che non vi sia un soggetto esterno, ad esempio una istituzione pubblica o un altro soggetto, che le copre sistematicamente le perdite. Viene meno, in questo caso, il principale requisito di aziendalità, che è anche condizione di autonoma esistenza: la finalizzazione specifica all’equilibrio economico durevole. Similmente una società (azienda in forma societaria) che sia controllata da un’altra società e che dipenda totalmente da quest’ultima per le sue decisioni fondamentali, a partire da quelle di natura strategica, essendo mancante del requisito della autonomia decisionale, non può essere considerata un’azienda in senso economico-aziendale: in essa non si ha la specifica finalizzazione 5. Quanto alla sistematicità si può sinteticamente osservare che anch’essa è strettamente legata all’orientamento all’economicità. Le decisioni e le operazioni aziendali sono diverse sotto il profilo tecnico; esse però sono omogenee se le si considera rispetto al fine di perseguire l’equilibrio economico durevole. In sostanza l’orientamento all’economicità attribuisce natura sistemica a decisioni e operazioni tra loro tecnicamente difformi (cofinalizzazione). Si può altresì affermare che una realtà le cui attività non presentino un sufficiente livello di coordinamento (assenza di sistematicità) può essere considerata un coacervo di atti e operazioni, ma non un’azienda 6, anche se da essi si conseguisse un profitto. In questa sede, si badi bene, non vogliamo dire che una azienda debba generare sempre risultati economici positivi, debba avere assoluta discrezionalità decisionale (si potrebbe parlare di arbitrio) e debba avere una piena sistematicità per essere azienda e per sopravvivere. Vogliamo invece affermare che una organizzazione per essere azienda, e dunque per sopravvivere e svilupparsi come istituzione autonoma, deve essere governata orientandola alla economicità durevole, dotata di adeguati margini di libertà decisionale e non gestita come singoli affari o atti tra loro separati. È importante inoltre evidenziare che i principi economico aziendali universali (orientamento all’economicità, autonomia decisionale e sistematicità dell’attività di governo) devono esistere – come si è detto – in tutte le aziende ma diversa è l’interpretazione che ogni azienda dà agli stessi. Vi sono aziende, ad esempio, che interpretano l’orientamento all’economicità guardando soprattutto alla successione – e alla massimizzazione – dei singoli profitti annuali mentre altre sono maggiormente disposte a sacrificare la redditività a breve per assumere un approccio più rivolto al perseguimento della redditività di lungo periodo; vi sono aziende che ritengono di non dover perseguire livelli di redditività particolarmente elevati privilegiando la distribuzione del valore della produzione tra diversi interlocutori (es. lavoratori); vi sono aziende che destinano risorse ad iniziative sociali rinunziando così – almeno nel breve termine – a quote di redditività; vi sono aziende che distribuiscono interamente gli utili, privando l’azienda di riserve, ed altre che tendono maggiormente a ritenerli per finalità di autofinanziamento e sviluppo. In ogni caso, ripetiamo, l’azienda non può autonomamente

sopravvivere e prosperare senza il perseguimento dell’equilibrio economico a valere nel tempo cioè senza la capacità di remunerare adeguatamente i fattori della produzione, compreso il capitale proprio come fattore produttivo a rimunerazione residuale secondo una prospettiva di lungo termine 7. Nello studiare il core values system è pertanto fondamentale capire qual è l’interpretazione che l’azienda dà al requisito dell’economicità, al suo finalismo economico 8. Vi sono aziende nelle quali sussiste un’ampia discrezionalità strategico-manageriale e altre che sono più imbrigliate in schemi decisionali sovraordinati. Vi sono aziende nelle quali è ampio il ricorso alla delega ed altre nelle quali ciò non avviene limitando così l’autonomia manageriale ed operativa. Vi sono aziende nelle quali la forte concentrazione del capitale porta a un rilevante accentramento di potere decisionale mentre in altre esiste un’ampia dialettica di potere 9. In ogni caso se non vi è sufficiente autonomia decisionale da parte del top management team non vi può essere qualità di specifico governo. Nello studiare il core values system è pertanto fondamentale capire qual è l’interpretazione che l’azienda dà al requisito della autonomia decisionale. Un interessante esempio al riguardo ci viene dalla 3M. =========== LA FILOSOFIA ORGANIZZATIVA DI 3M: EMPOWER EMPLOYEES Alcuni elementi centrali della “corporate culture”, i “principi guida” per l’azienda, – si legge nel sito ufficiale della 3M – derivano direttamente dalla filosofia di business sostenuta nel 1948 da William L. McKnight (Chairman dell’azienda). McKnight Principles: «William L. McKnight, who served as 3M chairman of the board from 1949 to 1966, encouraged 3M management to delegate responsibility and encourage men and women to exercise their initiative. His management theories are the guiding principles for 3M. Our heritage dates back more than 100 years, and McKnight’s principles continue to accompany us in the 21st century. William L. McKnight joined Minnesota Mining and Manufacturing Co. in 1907 as an assistant bookkeeper. He quickly rose through the company, becoming president in 1929 and chairman of the board in 1949. Many believe McKnight’s greatest contribution was as a business philosopher, since he created a corporate culture that encourages employyee initiative and innovation». His basic rule of management was laid out in 1948: «As our business grows, it becomes increasingly necessary to delegate responsibility and to encourage men and women to exercise their initiatives. This requires considerable tolerance. Those men and women, to whom we delegate authority and responsibility, if they are good people, are going to want to do their jobs in their own way. Mistakes will be made. But if a person is essentially right, the mistakes he or she makes are not as serious in the long run as the mistakes management will make if it undertakes to tell those in authority exactly how they must do their jobs. Management that is destructively critical when mistakes are made kills initiative. And it’s essential that we have many people with initiative if we are to continue to grow» (Fonte: sito web 3M, febbraio 2016). Grazie a queste parole si può dedurre come 3M desideri impostare una filosofia gestionale basata su iniziative imprenditoriali provenienti dai diversi livelli aziendali, secondo una logica bottom-up concedendo un’ampia autonomia individuale. ===========

Vi sono aziende in cui la capacità di direzione unitaria riesce a realizzare un forte coordinamento tra le attività aziendali ed altre nelle quali tale coordinamento, e dunque anche la sistematicità, è più blando. Anche con riferimento a questo requisito si può quindi

affermare che diversa può essere la situazione, in termini di “livello di sistematicità”, nelle differenti realtà aziendali. Si noti che la capacità di direzione unitaria e la forte natura coesiva e di coordinamento è un fatto positivo ma non mancano situazioni in cui può essere utile, in alcune divisioni o aree aziendali, favorire iniziative divergenti (si pensi alla opportunità di creare unità separate ed ampiamente indipendenti per alimentare la formazione di pensiero divergente e la realizzazione di nuove iniziative imprenditoriali). In ogni caso, però, l’azienda non può autonomamente sopravvivere e prosperare senza un adeguato livello di sistematicità complessiva. Nello studiare il core values system è pertanto fondamentale capire qual è l’interpretazione che l’azienda dà al requisito della sistematicità. =========== LA SUCCESSIONE INADEGUATA Spesso nelle aziende familiari si generano, in fase di successione, lotte di potere che fanno perdere un’adeguata unità di comando e direzione. In non pochi casi l’azienda perde, pertanto, sistematicità dell’indirizzo di governo e si dibatte tra sentieri strategici e operativi intrinsecamente contraddittori. La sistematicità dell’azione di governo, che era in passato garantita dalla leadership imprenditoriale unitaria, ormai è in buona parte venuta meno e ciò determina sovente – se non viene ripristinata – conseguenze pesanti sui risultati aziendali. ===========

2. Meta-valori etici Si osserva, inoltre, che alcuni principi alla base del “fare azienda” trovano origine in valori etici e, pertanto, si possono considerare, a livello istituzionale, come dei meta-valori, dei valori in buona parte sovraordinati 10. Ci riferiamo a valori come il rispetto della vita umana, l’onestà, la lealtà, la giustizia, il diritto all’uguaglianza, la preservazione dell’ambiente e così via 11. Si tratta di valori “di portata generale” che, seppur con diverse letture individuali ed aziendali, possono (o meglio dovrebbero) essere considerati universali. L’interiorizzazione di questi meta-valori è in un certo qual modo, come osserva il Coda, una «precondizione per l’affermarsi dei valori d’impresa funzionali al successo duraturo della stessa» 12. Nel seguente riquadro si riporta un esempio di un metavalore etico soggettivamente interpretato ed elevato al rango di elemento costitutivo del core values system di The Body Shop. =========== THE BODY SHOP: “BEAUTY WITH HEART” The Body Shop, azienda operante nel settore dei cosmetici naturali fondata nel 1976 da Dame Anita Roddick in Littlehampton (Inghilterra), è stata un’azienda pioniera nell’attivismo ambientalista e animalista che sintetizza la propria filosofia gestionale nello slogan “Beauty with Heart”. L’azienda è stata costruita su cinque espliciti core values: “Against Animal Testing, Support Community Fair Trade, Activate Self Esteem, Defend Human Rights and Protect The Planet”. The Body Shop è arrivata a tradurre i sui valori guida – e soprattutto quelli dell’attivismo ambientalista e animalista – in un elemento centrale del vantaggio competitivo e del finalismo e dunque costituisce un emblematico – per certi versi estremo – esempio di come i core values possono essere una fonte di distintività e di creazione di valore per il cliente e per l’azienda.

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È fondamentale ribadire che i meta-valori etici generali e i principi economico-aziendali universali non sono “valori aziendali in quanto tali” ma in un certo qual modo lo diventano in relazione all’interpretazione concreta che la singola azienda dà agli stessi ed alla decisione (più o meno consapevole) di elevare tale interpretazione al rango di stabile principio ispiratore della gestione. Detto in altri termini, i principi economico-aziendali universali ed i meta-valori etici influenzano il core values system di tutte le aziende, ma diversi sono il rilievo (scelta dei valori prioritari) e la lettura (interpretazione) che ogni azienda attribuisce a siffatti principi e meta-valori. Ad esempio, ci sono aziende che assurgono ad elemento vocazionale l’eguaglianza (Levi’s ne è un esempio), l’attivismo animalista (The Body Shop di Anita Roddick ne è stato un emblematico esempio). Esistono aziende che, nell’interpretare il significato del principio dell’economicità, assumono una vocazione più spinta verso il rafforzamento e la crescita di lungo termine o che aspirano a livelli di redditività “equa” (Brunello Cucinelli ne è un esempio) mentre altre sono più orientate a massimizzare i profitti a breve (molte aziende a spiccata managerializzazione quotate nelle borse valori ne sono esempio). Esistono aziende che, nell’interpretare il principio dell’autonomia, assegnano ampia libertà d’azione ai responsabili delle società controllate, delle divisioni o delle aree di business, mentre altre assumono letture fortemente gerarchiche. Vi sono aziende che si impegnano concretamente nell’adottare strategie sociali e ambientali ed altre che, su tali tematiche, si limitano al rispetto delle norme. La singola azienda si connota, pertanto, per un complesso di valori, nel particolare individuati e scelti, che danno concreta e specifica interpretazione ai principi economicoaziendali ed ai meta-valori etici. 3. Aspetti più squisitamente gestionali (organizzativi, di business, ecc.). È importante però evidenziare che ciò non esaurisce, di norma, il complesso dei valori guida identitari cui l’azienda si ispira. Vi sono infatti, solitamente, altri valori, idee e convincimenti scelti dall’azienda e riferiti più squisitamente ai temi gestionali (es. di business, organizzativi). Si pensi, a titolo esemplificativo, alle aziende che identificano l’indirizzo centrale del loro operare il lusso absolute (Ferrari, Benetti Yachts, Perini Navi ne sono esempi), il servizio superiore al cliente (Qatar Airways ne è un esempio), l’orientamento innovativo continuo (3M e Solvay ne sono esempi), l’orientamento alla gestione no frills (Ryanair ne è un esempio), la filosofia organizzativa centrata sull’“umanesimo” (Brunello Cucinelli ne è un esempio), il total quality management come filosofia gestionale (Toyota e Komatsu 13 ne sono state uno storico ed emblematico esempio) e così via 14. Questi elementi, che costituiscono aspetti centrali della vocazione dell’azienda, si uniscono all’interpretazione dei meta-valori etici e dei principi economico-aziendali nel definire i contenuti del core values system. ===========

L’ORIGINE DEI VALORI. LA LETTURA DI PALMISANO, CEO IBM Questo concetto è efficacemente espresso da Palmisano, CEO della IBM fino al 2012: «If there’s no way to optimize IBM through organizational structure or by management dictate, you have to empower people while ensuring that they’re making the right calls the right way. And by ‘right’, I’m not talking about ethics and legal compliance alone; those are table stakes ... I’m talking about decisions that support and give life to IBM’s strategy and brand, decisions that shape a culture. That’s why values, for us, aren’t soft. They’re the basis of what we do, our mission as a company ... You’ve got to create a management system that empowers people and provides a basis for decision making that is consistent with who we are at IBM» 15. ===========

Guardando alle “origini” del core values system, e nella piena consapevolezza che stiamo formulando una schematizzazione a fini analitici, esso può essere osservato guardando a tre “sottosistemi ideali”: 1. un primo sottosistema che dà concreta attuazione ai principi economico-aziendali universali, interpretandoli e relativizzandoli; 2. un secondo sottosistema che dà concreta attuazione, interpretandoli e relativizzandoli, ai meta-valori etici; 3. un terzo sottosistema va invece a dar contenuto ad aspetti più squisitamente gestionali (organizzativi, di business, ecc.). Schematicamente:

La distinzione tra i suddetti sottosistemi – come abbiamo anticipato – ha natura schematico-semplificatoria e finalità analitiche. È evidente, infatti, la forte sovrapposizione tra gli stessi e la loro reciproca influenza. Si pensi a come la scelta di vocare l’azienda alla parità di genere che interpreta il meta-valore dell’uguaglianza (secondo sottosistema) porti all’affermarsi di precise idee organizzative (che implicano conseguenze, ad esempio, nella selezione del personale, nello sviluppo delle carriere e che dunque riguarda anche il terzo sottosistema) o a come il consapevole posizionamento verso la continua innovazione di

prodotto (aspetto riferibile ai processi di business e dunque al terzo sottosistema) sia imprescindibilmente legato alla libertà di iniziativa individuale e all’autonomia decisionale degli operatori aziendali (aspetto riferibile a valori etici e principi economico-aziendali e dunque anche al secondo ed al primo sottosistema); oppure, ancora, a come l’interpretazione del principio dell’economicità riferita al lungo termine (aspetto legato al requisito di aziendalità e dunque al primo sottosistema) produca effetti in termini di orientamento all’investimento, al trattamento dei dipendenti e alle scelte di dividendo (aspetto riferibile a temi organizzativi e gestionali e dunque al terzo sottosistema ed anche a tematiche “etiche” come l’equità e dunque al secondo sottosistema). Si pensi, infine, a come la filosofia orientata all’“umanesimo” sia strettamente legata a valori etici (secondo sottosistema) ma anche ad aspetti più specificamente organizzativi (terzo sottosistema) e di orientamento alla economicità (primo sottosistema). In sostanza si può affermare che tra i tre sottosistemi esistono ampie zone di sovrapposizione, oltreché interrelazione. Siamo però convinti che, nonostante tali sovrapposizioni e reciproche influenze, la distinzione tra i tre “sottosistemi” possa essere concretamente molto utile per chi, nella posizione di manager o di consulente, sia chiamato a effettuare un’analisi strategica del core values system di un’azienda. Ovviamente gli elementi del core values system e, dunque, anche l’intero core values system, sono differenti da azienda ad azienda (d’altro canto l’identità di ogni azienda è unica e diversa da tutte le altre). Ciò è vero sia in quanto le aziende scelgono e interpretano (in modo più o meno cosciente) alcuni valori guida centrali e ne escludono altri sia in quanto ogni azienda ha un set (preferiamo dire un sistema) di valori e non un unico valore identitario. Ad esempio, non tutte le aziende considerano come valore vocazionale la qualità materiale dei prodotti venduti (Walmart e i discount commerciali non lo fanno) o la superiorità dei servizi al cliente (le compagnie aeree low cost non lo fanno) o le pari opportunità di genere (molte aziende non lo fanno) 16. Studiare il core values system significa pertanto osservare, con una prospettiva di lungo termine, le più intime ragioni di fondo dell’unicità dell’azienda. 1 Sui requisiti di aziendalità si veda, tra gli altri: E. CAVALIERI-R. FERRARIS FRANCESCHI, Economia Aziendale, vol. I, Attività

aziendale e processi produttivi, Giappichelli, Torino, 2010. 2 Per una accurata analisi dottrinale del concetto di azienda, si rinvia a: E. GIANNESSI, Appunti di Economia Aziendale,

Pacini, Pisa, 1993 (ristampa). 3 L’art. 2555 del Codice Civile italiano definisce l’azienda come «Il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per

l’esercizio dell’impresa». Il Codice non definisce esplicitamente cosa sia l’impresa ma precisa all’art. 2082 del Codice Civile che l’imprenditore è «... colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o lo scambio di beni o servizi ...». 4 Si badi bene che non ci riferiamo al fatto che in uno o più periodi amministrativi l’azienda produca redditi positivi o

negativi, ma all’orientamento gestionale volto al perseguimento dell’equilibrio economico di lungo termine. 5 Sul tema della discrezionalità manageriale si vedano, tra gli altri: Y. YAN-C.Y. CHONG-S. MAK, An Exploration of Managerial

Discretion and its Impact on Firm Performance: Task Autonomy, Contractual Control and Compensation, in “International Business Review”, 19(6) 2010, pagg. 521-530; W. SEN-T.S. CHO, Exploring Involuntary Executive Turnover Through Managerial Discretion Framework, in “Academy of Management Review”, 30(4), 2005, pagg. 843-854; R.M. STULTZ, Managerial Discretion and Optimal Financing Policies, in “Journal of Financial Economics”, 26(1), 1990, pagg. 3-27; D.C. HAMBRICK-S. FINKELSTEIN, Managerial Discretion: A Bridge Between Polar Views of Organizational Outcomes, in “Research in Organizational Behavior”, 9(4), 1987, pagg. 369-406; M.A. CARPENTER-B.R. GOLDEN, Perceived Managerial Discretion: A Study of Cause and Effect, in “Strategic Management Journal”, 18(3), 1997, pagg. 187-206. Al riguardo si veda anche: G. PADRONI, Struttura organizzativa e condizioni di economicità, Giuffrè, Milano 1979; A. RIGOLINI-A. CORVINO, Assetti proprietari e autonomia manageriale. Evidenze empiriche nel contesto italiano, Aracne, Roma, 2013. 6 Scrive il Bertini: «Il carattere sistematico dell’azienda dipende dalla stessa natura delle operazioni di gestione che risultano

intimamente legate tra loro da un rapporto del tipo “da causa ad effetto”. Nel loro insieme tutte le manifestazioni del mondo aziendale costituiscono un corpo unico di fenomeni retti da leggi identiche e orientati da fini comuni. Si delinea pertanto una struttura di ordine superiore alla quale è possibile dare il nome di sistema», in U. BERTINI, Il sistema delle idee, Egea, Milano, 1993. Il termine “sistema” è qui utilizzato in senso di «identità costituita da un insieme di elementi interrelati, orientata al raggiungimento di un determinato fine, suddivisibile in sub-sistemi e ricompreso in sistemi di ordine superiore e spesso caratterizzata da nessi di reciproca influenza con altri sistemi ad essa esterni». Per ulteriori approfondimenti sul sistema aziendale si veda: A. AMADUZZI, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1986; P.E. CASSANDRO, Trattato di ragioneria. L’Economia delle aziende ed il suo controllo, Cacucci, Bari, 1985; G.M. GOLINELLI, L’approccio sistemico al governo d’impresa. L’impresa sistema vitale, vol. I, Cedam, Padova, 2000; S. GARZELLA, Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle “potenzialità inespresse”. Una “visione” strategica per il risanamento, Giappichelli, Torino, 2005. 7 Secondo Giannessi, «l’azienda è una unità elementare dell’ordine economico-generale, dotata di vita propria e riflessa,

costituita da un sistema di operazioni, promanante dalla combinazione di particolari fattori e dalla composizione delle forze interne ed esterne, nel quale i fenomeni della produzione, della distribuzione e del consumo vengono predisposti per il conseguimento di un determinato equilibrio economico, a valere nel tempo, suscettibile di offrire una remunerazione adeguata dei fattori utilizzati e un compenso, proporzionale ai risultati raggiunti, al soggetto economico per conto del quale l’attività si svolge», in E. GIANNESSI, Appunti di economia aziendale: con particolare riferimento alle aziende agricole, Pacini, Pisa, 1979. Sulla definizione di azienda, si veda tra gli altri: F. BESTA, La Ragioneria, vol. I, Ragioneria Generale, II ed. ampliata e riveduta, Vallardi, Milano, 1922; P. ONIDA, Economia Aziendale, Utet, Torino, 1965; A. AMADUZZI, L’azienda. Nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, Utet, Torino, 1967; A. CECCHERELLI, Introduzione allo studio della Ragioneria Generale, Le Monnier, Firenze, 1923. 8 Un esempio interessante è quello dell’orientamento alla redditività equa di Cucinelli descritta nel capitolo precedente. 9 Al riguardo, si veda: H. MINTZBERG-A. MCHUGH, Strategy Formation in an Adhocracy, in “Administrative Science

Quarterly”, 30(2), 1985, pagg. 160-197; H. MINTZBERG, The Structuring of Organizations, in D. ASCH-C. BOWMAN (eds.), Readings in Strategic Management, Palgrave, Londra, 1989. 10 M.S. SCHWARTZ, Universal Moral Values for Corporate Codes of Ethics, in “Journal of Business Ethics”, 59(1-2), 2005,

pagg. 239-246; N. ASGARY-M.C. MITSCHOW, Toward a Model for International Business Ethics, in “Journal of Business Ethics”, 36(3), 2002, pagg. 239-246; D. MELÉ-C. SÁNCHEZ-RUNDE, Cultural Diversity and Universal Ethics in a Global World, in “Journal of Business Ethics”, 116(4), 2013, pagg. 681-687; T. DONALDSON-T.W. DUNFEE, Toward a Unified Conception of Business Ethics: Integrative Social Contracts Theory, in “Academy of Management Review”, 19(2), 1994, pagg. 252-284; G.G. BRENKERT, ISCT, Hypernorms and Business: A Reinterpretation, in “Journal of Business Ethics”, 88(4), 2009, pagg. 645-658. 11 In tal senso si pronuncia il Coda: «Meta-valori, da non confondersi con i valori dell’impresa, sono quelli preposti – sul

terreno applicativo nella vita delle imprese – dagli studi di Business Ethics. Essi si compendiano nei valori di onestà e giustizia e rappresentano delle precondizioni dell’apprendimento dei valori d’impresa rispondenti alle esigenze di funzionalità duratura della stessa. Essi tuttavia, giova soggiungere, non esauriscono le precondizioni di un apprendimento così orientato. Altre fondamentali precondizioni riguardano gli aspetti cognitivo-razionali ed emotivo-psicologici dell’apprendimento. Ci limitiamo qui a menzionarne alcune: la fiducia, essenziale perché in un clima di sereno ottimismo e anche di coraggio (ma non di temerarietà) si possono sviluppare lucide analisi e ricercare soluzioni creative; l’umiltà e

l’apertura al nuovo, che preservano dai ben noti fenomeni di miopia manageriale predisponendo l’azienda a percepire le richieste di rinnovamento che dal mutamento ambientale scaturiscono», in V. CODA, Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, in “Finanza, Marketing e Produzione”, 2, 1985. 12 V. CODA, Valori imprenditoriali e successo dell’impresa, op. cit. Nel corso degli ultimi decenni molti studiosi di discipline

aziendali hanno approfondito la tematica dell’etica e della responsabilità dell’impresa. Tra gli altri si vedano: A. CRANE-D. MATTEN, Business Ethics. Managing Corporate Citizenship and Sustainability in the Age of Globalization, Oxford University Press, New York, 2016; L.K. TREVINO-K.A. NELSON, Managing Business Ethics: Straight Talk About How to Do it Right, Wiley, New Jersey, 2016; V. CODA, Etica e impresa: il valore dello sviluppo, in G. CORNO (a cura di), Etica e impresa: scelte economiche e crescita dell’uomo, Cedam, Padova, 1989; P. DI TORO, L’etica nella gestione d’impresa, Cedam, Padova, 1993; S. TERZANI, Responsabilità sociale dell’azienda, in “Rivista Italiana di Ragioneria ed Economia Aziendale”, 8, 1984; P. MIOLO VITALI, La valutazione della dimensione etico-sociale nel Sistema delle decisioni aziendali, in AA.VV., Istituzioni di economia d’azienda, Scritti in onore di Carlo Masini, Egea, Milano, 1993; G.F. RUSCONI, Etica e Impresa. Un’analisi economico-aziendale, Clueb, Bologna, 1997. 13 Al riguardo, si veda il riquadro “La filosofia gestionale di Komatsu: total quality management” nel capitolo 9. 14 Si deve al riguardo sottolineare che una singola azienda potrebbe anche perseguire strategie orientate nel senso indicato

da uno di questi indirizzi, ma senza che ciò costituisca elemento essenziale della sua esistenza, e dunque senza che sia parte della sua ragion d’essere, del nucleo centrale della sua base ideologico-valoriale. Si tratta cioè di indirizzi che possono essere o non essere, a seconda dei casi, elementi del core values system. 15 S. PALMISANO, Leading Change When Business is Good, in “Harvard Business Review”, 82(12), 2004, pagg. 60-70. 16 J.C. COLLINS-J.L. PORRAS, La via del successo ha un cuore antico, in “Harvard Business Review”, ed. italiana, 1996.

8. I REQUISITI CHE CARATTERIZZANO I VALORI PROPRI DI UN VALIDO CORE VALUES SYSTEM L’analisi del core values system deve realizzarsi nella piena consapevolezza di quali sono i requisiti che i valori e il loro insieme devono fisiologicamente avere e quale funzione devono assumere. Soffermiamoci dapprima sui requisiti e poi sulla funzione, in particolare sulla cosiddetta funzione di guidance. Sempre assumendo un approccio semplificatorio finalizzato ad offrire uno schema utile per l’analisi, individuiamo i seguenti quattro requisiti (schema delle 4 S del core values system): a) sincerità; b) stabilità; c) selettività; d) sistematicità. I core values esplicitati e comunicati dall’azienda nei tradizionali strumenti di comunicazione (mission, values statements, credo aziendali, codice etico, bilancio sociale, bilancio integrato, sito web, ecc.), come del resto abbiamo già evidenziato in precedenza, non devono essere considerati da essa come uno strumento di window dressing volto ad abbellirne l’immagine e la reputazione, o ad ottenere il favore dei consumatori e delle comunità in generale, ma al contrario devono essere il frutto di un lungo e intimo processo d’introspezione 1 e di presa di coscienza della propria identità, in modo che essi siano assolutamente genuini, vissuti, reali, effettivi, ed il più possibile tangibili nella realtà aziendale 2. Devono essere cioè sinceramente sentiti (punto sub 1 dell’elenco dei requisiti), autentici. =========== IBM: REEXAMINATION OF VALUES «Enterprises built to endure stand on a foundation of core values. In 2003, we undertook the first disciplined reexamination of our values in nearly 100 years. Through ValuesJam – an unprecedented 72-hour discussion on the global intranet – IBMers came together to define the essence of the company. The result? A set of core Values – defined by IBMers for IBMers – that shape everything we do and every choice we make on behalf of the company. This shared set of Values helps guide our decisions, actions and behaviors and is at the core of our collective aspiration to be recognized as a great company» 3. ===========

In altre parole è essenziale che non ci sia alcuna differenza tra ciò a cui l’impresa afferma di essere vocata e quello che effettivamente sente ed attua, perché se i valori dichiarati non sono “sinceri”, non fanno parte della cultura aziendale, e come tali non sono tradotti in pratiche effettive, perdono la loro essenza, ponendo le basi per una disconnessione tra valori dichiarati e valori interiorizzati che, nel lungo termine, può minare l’integrità, la reputazione

e la credibilità dell’impresa 4. Un esempio estremo su tutti è sicuramente quello di Enron, il gigante petrolifero americano: nel 2000 l’azienda dichiarava all’interno del suo annual report valori quali Integrità, Rispetto, Comunicazione ed Eccellenza, ma nel 2001 fallì in seguito ad una ripetuta serie di frodi orchestrate ad arte 5, che già stava perpetrando da vari anni, e che provano inequivocabilmente che le decisioni del management e le sue azioni confliggevano con i valori dichiarati. Il Caso Enron costituisce un esempio emblematico di quello che potremmo chiamare “Effetto specchietto per le allodole”. Il sistema finanziario e gli ignari risparmiatori sono finiti nella trappola per essersi fatti attrarre dalle dichiarazioni “luccicanti” (ma non veritiere) della società. =========== ENRON: L’EFFETTO SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE Enron nasce nel 1985 dalla fusione tra “Houston Natural Gas” e “Internorth”, società operanti nella costruzione di gasdotti. In pochi anni la società diventa un gigante dell’energia e del trading delle commodities, presente in 40 Paesi. Nel 1996 la rivista Fortune la indica come l’azienda più innovativa del Pianeta, nel 2000 il Financial Times la nomina “Azienda energetica dell’anno”. Nel 2001 Forbes, in base al bilancio dell’anno precedente, la classifica settima per giro d’affari tra le principali corporation americane. Ben presto Enron allarga le proprie attività dalla produzione di energia diventando anche una società finanziaria dedita alla compravendita di prodotti finanziari (e derivati) legati all’energia. Successivamente, la deregulation nel settore dell’energia portò alla liberalizzazione dei prezzi ed un loro conseguente aumento (precedentemente negli USA il prezzo dell’energia era sottoposto ad alcuni vincoli normativi): circostanza che permise ad Enron di aumentare esponenzialmente le proprie attività finanziarie. Enron divenne in poco tempo un vero e proprio impero finanziario arrivando a fatturare nel ’97, 101 miliardi di dollari con oltre 21 mila dipendenti. Le prime importanti difficoltà arrivarono a seguito del calo dei prezzi dell’energia che determinò perdite di valore dei miliardi di dollari di opzioni in portafoglio, determinando un drastico peggioramento della posizione debitoria. Lo scandalo esplose quando, grazie ad una indagine condotta dalla Security Exchange Commission (SEC), si dimostrò che crescenti ed ingenti perdite venivano nascoste nei sistemi contabili. Emerse che i dirigenti Enron avevano costituito una rete di 881 società sussidiarie domiciliate nei paradisi fiscali: 692 alle Cayman, 119 alle Turks e Caicos, 43 alle Mauritius, 8 alle Bermuda. Tale meccanismo permise all’azienda di trasferire ricchezza e di nascondere le perdite. Dopo due mesi dall’inizio dell’indagine, Enron il 2/12/2001 dichiarò la bancarotta. Nel gennaio 2002 le azioni crollarono da 90,75 a 0,67 dollari. La SEC dimostrò anche che Arthur Andersen, la blasonata società di revisione di Enron, distrusse vari documenti nei tre mesi precedenti la bancarotta. Nel medesimo periodo alcuni top manager vendettero azioni per oltre 275 milioni. ===========

Dire che i core values devono essere sinceramente autentici significa quindi evidenziare che essi devono essere radicati nella cultura aziendale e coerenti con essa ma anche implementati ed applicati con decisione, permeando le operazioni ed i processi, come ad esempio le pratiche di recruitment, i criteri di promozione 6, le operational routine, le relazioni con i consumatori e, più in generale, il decision-making strategico e operativo. Affinché i valori siano interiorizzati e operativamente accolti nella realtà aziendale, è essenziale una loro continua, intensa, coerente e concreta comunicazione interna, attraverso training program, processi di socializzazione o campagne mediatiche multi-level che, nei diversi casi concreti delle aziende, possono includere video, comunicati stampa, seminari, in modo da affermare e rafforzare il loro significato, ed aiutare i membri aziendali ad essere più confidenti nel prendere decisioni in accordo ai core values. Non meno importanti risultano

essere i rituals (meetings, celebrazioni), i simboli (logo, uniforme), i linguaggi (slogan, acronimi), lo storytelling (riguardo il fondatore, la nascita dell’impresa o le sue pietre miliari), che permettono di supportare e disseminare i valori aziendali e tenerli in vita continuamente 7. La maggior parte delle aziende di dimensioni significative delinea i propri core values attraverso dichiarazioni formali, come ad esempio il values statement, la mission, l’annual report, il code of ethics, il code of conduct o il business code, e grazie allo sviluppo della tecnologia e di Internet, molte di esse li comunicano anche attraverso il web. Tali dichiarazioni non hanno un formato standard, in quanto ogni azienda sceglie gli strumenti e il modo più appropriato per assicurare che ogni valore sia indicato in maniera chiara. Talvolta anche la pubblicità è orientata a trasmettere valori (si pensi al messaggio “United Colors of Benetton”). =========== IL VALUES STATEMENT DI IKEA – Umiltà e forza di volontà: abbiamo rispetto per i nostri colleghi, clienti e fornitori. Usare la nostra forza di volontà significa raggiungere i nostri obiettivi. – Leadership che si basa sul buon esempio: i nostri manager cercano di dare il buon esempio, e ci aspettiamo che i collaboratori IKEA facciano lo stesso. – Coraggio di essere diversi: mettiamo in discussione le vecchie soluzioni e, se abbiamo un’idea migliore, siamo subito disposti ad implementarla. – Collaborazione ed entusiasmo: insieme abbiamo il potere di risolvere anche i problemi che sembrano insormontabili. È quello che facciamo sempre. – Consapevolezza dei costi: è impossibile offrire prezzi bassi se non si mantiene basso il livello dei costi. Ecco perché è importante ottenere buoni risultati con mezzi limitati. – Desiderio costante di rinnovamento: i cambiamenti sono positivi. Sappiamo che rispondendo alle esigenze dei clienti con soluzioni innovative, risparmiamo e contribuiamo a creare una vita quotidiana migliore in casa. – Disponibilità ad assumersi e delegare le responsabilità: incoraggiamo i collaboratori a sfruttare il proprio potenziale e a superare le aspettative. Bisogna anche essere capaci di imparare dai propri errori 8. ===========

Nelle situazioni fisiologiche, ripetiamo, la comunicazione è al servizio dei valori autentici e, pertanto, chi fa analisi strategica del core values system deve andare a fondo per capire se i valori comunicati sono autentici, introspettivamente assimilati e vissuti. =========== IL RICORSO AI “VALORI FOTOCOPIA” Il governo dei valori aziendali, come abbiamo avuto modo di sottolineare in precedenza, deve nascere da un agire consapevole, che sia frutto di un approccio interpretativo e realista. Essi non devono (o per meglio dire non dovrebbero) essere il prodotto di processi di imitazione, bensì di una cosciente, appropriata e coerente ideazione, che valuti l’“interiorità” aziendale, senza perciò lasciarsi fuorviare da ambiguità o apparenze. Pertanto, le aziende che cercano di ottenere i potenziali vantaggi derivanti dall’esplicitazione dei core values, semplicemente attuando un “copia-incolla” dai values statement di altre realtà aziendali, dimostrano una evidente mancanza di consapevolezza della natura, ma anche degli effetti dei valori aziendali. Tali aziende, nel ricercare la soluzione più veloce (ma altrettanto superficiale e infruttuosa), in realtà vanno contro il loro stesso interesse di lungo termine 9. ===========

Il tema della sincerità dei valori è strettamente connesso a quello della funzione di guidance del core values system al quale più volte ci siamo riferiti nel corso del presente lavoro. Tale concetto può essere richiamato ulteriormente attingendo al modello proposto da Tracy 10, che sottolinea come i valori guida influenzino le opinioni, le aspettative, le credenze ed i comportamenti e che qui sintetizziamo con alcuni adattamenti utili ai nostri fini.

Al centro, come fattore cardine attorno al quale tutto si muove, troviamo i valori, i quali influenzano le credenze e le convinzioni del personale interno all’azienda. La catena delle influenze continua fino ad arrivare all’ultimo anello, rappresentato dai comportamenti, ovvero il modo in cui i membri aziendali agiscono durante le varie situazioni che si prospettano nelle decisioni e nella operatività dell’impresa. I valori guida aziendali, quando sono validi, genuini, coerenti e condivisi, hanno un ruolo chiave anche a livello delle risorse umane, riuscendo ad infondere un significato ed una direzione al modo in cui queste ultime pensano, prendono decisioni, agiscono ed interagiscono, incoraggiando norme comuni di comportamento che supportano il raggiungimento degli obiettivi e della visione aziendale 11. In altre parole, i valori offrono una guideline che supporta il personale nell’adempimento dei propri compiti, rendendolo capace di comprendere cosa sia opportuno o meno fare, specialmente in condizioni di ambiguità ed incertezza 12. Tuttavia, affinché i valori possano avere un concreto e positivo impatto all’interno dell’azienda, è necessario che siano realmente compresi e compatibili con quelli personali dei vari membri, in modo che si vada a creare un person-organization fit 13. Infatti, nel momento in cui si verifica questo tipo di allineamento, i membri dell’azienda 14, indipendentemente dal loro livello gerarchico, dimostrano di apprezzare maggiormente il loro ruolo, e ciò si traduce in maggior soddisfazione, impegno, lealtà, partecipazione, e di conseguenza in migliori performance di lungo periodo 15, migliorando oltretutto sia il clima aziendale, che la percezione e la fedeltà dei clienti riguardo al brand 16. =========== SINGAPORE AIRLINES: IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE NELL’INFONDERE I CORE VALUES 17 Singapore Airlines (SIA) è stata fondata nel 1972 ed è oggi una delle compagnie aeree più redditizie al mondo, oltre

che vincitrice di numerosi ed importanti premi di eccellenza, tanto da essere accreditata da Fortune nel 2006 come una delle venti aziende più ammirate a livello internazionale. La mission di SIA è quella di essere una compagnia aerea dedicata sia a fornire servizi di trasporto aereo di massima qualità che a massimizzare i benefici dei suoi shareholder e lavoratori. I core values che l’azienda comunica sono: perseguimento dell’eccellenza; sicurezza; centralità del cliente; premura per lo staff; integrità; teamwork. Tali core values sono comunicati con continuità a tutti i membri aziendali in quattro differenti circostanze: nel momento in cui entrano in azienda, durante i training program, durante gli eventi aziendali e attraverso vari canali di comunicazione aziendale, sia online che cartacei (riviste, newsletter, brochure, ecc.), come ad esempio il magazine periodico Outlook. Quando i dipendenti di SIA entrano a far parte dell’azienda, devono partecipare ad un programma di inserimento, che prevede una lunga parte sulla comprensione dei valori aziendali, e durante il quale i trainer spiegano cosa significa adottare i core values. I valori vengono ribaditi e rinforzati anche attraverso attività di team-building e nei training riservati ai nuovi manager. I valori aziendali vengono inoltre presentati nella seconda pagina di ogni edizione di Outlook. Ai membri della cabin crew è richiesto un impegno ancora maggiore. Possono entrare a far parte della compagnia solo dopo un impegnativo colloquio, articolato in tre fasi, durante il quale deve emergere una adeguata coerenza tra i valori personali e quelli dell’azienda. Superato questo primo step, devono partecipare ad un training di alcuni mesi orientato a comunicare concretamente il sistema dei valori e volto a confermare la sussistenza della coerenza di cui si è detto anche sul piano comportamentale. Ad esempio, dato che uno dei valori è la “centralità del cliente”, si prevede che i membri della cabin crew si prendano cura dei passeggeri in ogni situazione; il “Perseguimento dell’Eccellenza” è invece incessantemente manifestato attraverso la qualità del servizio. I training non finiscono dopo il programma iniziale sopra richiamato, ma continuano per tutta la durata dell’impiego in modo da rinforzare costantemente il person-organization fit. ===========

Il secondo requisito di un buon core values system (punto sub 2) è la stabilità dei valori. Infatti, come più volte evidenziato nel corso del presente lavoro, i core values possono essere considerati credo ispiratori, che permangono nel lungo termine, rimanendo indenni al modificarsi dell’impostazione strategica, al fluire delle mode manageriali, al progredire delle tecniche (solo in casi assai rari, quando ad esempio si appalesa che essi non sono conciliabili con la sopravvivenza dell’azienda, è utile mettere in discussione i core values). A differenza della business strategy e degli specifici obiettivi dell’impresa, che si adattano ai cambiamenti del contesto economico, competitivo e sociale, i core values non dovrebbero, in altre parole, essere compromessi per esigenze contingenti 18. Anche se l’azienda si rivolge a nuovi mercati, diversifica in nuove attività, cambia in parte il suo assetto organizzativo (si tratta di cambiamenti destinati ad incidere profondamente sulle risorse, sulle attività e sulle relazioni con gli stakeholder, e quindi sull’impostazione strategica), il suo patrimonio di valori core dovrà essere preservato orgogliosamente nel tempo 19. Proprio per questo i core values possono essere metaforicamente paragonati ad un’ancora galleggiante che viene utilizzata dalle barche per limitarne lo scarroccio, quando si trovano in condizioni di mare agitato e vento forte, con lo scopo di mantenerle il più ferme possibile. Al riguardo, Samuel J. Palmisano, CEO dell’IBM negli anni che intercorrono tra il 2002 ed il 2012, ha descritto efficacemente tale concetto affermando che: «Un sistema organico, ovvero l’azienda, necessita di adattarsi. Noi consideriamo i valori come l’elemento che ci permette di fare ciò. Essi consentono, infatti, di modificare qualsiasi

cosa: dai prodotti alle strategie, e perfino il business model, ma rimangono fedeli alla vera essenza dell’impresa, alla sua missione ed alla sua identità ... Io ritengo che i core values possono aiutare a guidarci attraverso i grandi cambiamenti e sfide che stiamo affrontando» 20. Come abbiamo più volte detto (capitolo 1), è proprio l’accelerazione e l’infittirsi, tipici del nostro tempo, dei cambiamenti economico-sociali che determinano ricadute sui modelli di business ad imporre una maggiore attenzione a quei valori che non devono essere abbandonati, ma al contrario che devono essere preservati e promossi nel sistema d’azienda. In non pochi casi, tali valori costituiscono, infatti, l’origine primaria (anche se, ovviamente non l’unico elemento) della distintività dell’azienda e il fattore fondante del suo durevole successo 21. Il terzo requisito di un buon core values system (punto sub c) è la selettività dei valori. È necessario infatti ribadire che i contenuti del core values system dovrebbero normalmente limitarsi a pochi ed essenziali valori di fondo destinati a “superare la prova del tempo”, non arrivando a definire con precisione e completezza i dettagli operativi dell’impostazione strategica dell’azienda. È importante che l’azienda definisca pochi, fondamentali core values, che devono essere chiari e comprensibili per il personale aziendale e per gli stakeholder. Se, ad esempio, il management si convince che sussiste un numero elevato di idee o di modi di essere e di operare da considerare nei valori identitari, significa probabilmente che esso sta erroneamente considerando elementi che riguardano le politiche aziendali, gli obiettivi ed i traguardi dell’azione, le pratiche di management e forse, addirittura, le regole ed i meccanismi operativi, le routine operative. Nei casi in cui il nucleo dei valori, delle idee e dei convincimenti operativi “reputati tendenzialmente irremovibili” dal vertice aziendale sia molto esteso, andando a toccare anche specifiche e circoscritte pratiche di management, regole e routine operative, od altre questioni minute di natura tecnico-operativa, si può dire che probabilmente si sono stratificate delle “incrostazioni” che la portano ad estendere ciò che dovrebbe essere considerato permanente oltre la sua dimensione fisiologica. Il nucleo di idee e valori “reputati irremovibili” contiene un blocco ideologico che può costituire, in prospettiva più o meno lunga, un fattore frenante del fisiologico cambiamento, un elemento di sclerotizzazione del pensiero e, a valle di ciò, dell’azione 22. La necessaria stabilità di fondo, in termini di valori e di idee guida, tende a divenire “staticità strategica”, cristallizzazione politica, rigida routine operativa 23. Evidenziare che il core values system deve avere il requisito della selettività significa che l’azienda deve scegliere pochi valori guida che reputa fondamentali per la gestione. Un’azienda potrebbe decidere, ad esempio, di dare priorità a quattro valori guida. Nell’esempio che abbiamo fatto nel capitolo 2 relativo alla Brunello Cucinelli abbiamo ipotizzato che quattro fossero gli elementi componenti della core identity (1. Vocazione ad operare nel settore dell’abbigliamento del lusso; 2. Ispirazione ad una filosofia gestionale dell’“azienda umanistica”; 3. Orientamento in senso ampio alla valorizzazione del bello; 4. Orientamento al perseguimento di una redditività equa). Ciò non vuol dire che l’azienda non rispetti gli altri valori etici (ad esempio i meta-valori

etici di cui si è detto nel capitolo 7) e non abbia altre importanti idee guida; significa invece che l’azienda ha scelto strategicamente di individuare alcuni valori identitari da enfatizzare e comunicare come principali valori guida come punti di riferimento centrali dell’azione manageriale. Il quarto requisito di un buon core values system è la sistematicità. In questa sede con il termine “sistematicità”, come avremo modo di specificare con maggior dettaglio nel capitolo successivo (capitolo 9), si fa riferimento alla “coerenza” che deve (o meglio dovrebbe) sussistere tra: – i valori aziendali e la prospettiva dell’equilibrio economico durevole ed evolutivo; – gli stessi core values, in virtù del perseguimento di una continuità di senso tra di essi: si rivela importante, infatti, individuare e scegliere quei valori che non siano in contraddizione tra loro (ad esempio “perseguimento di una produzione absolute luxury” e “orientamento alla minimizzazione dei costi dei fattori della produzione”), proprio perché rappresentando interessi opposti, risultano essere alla fine privi di effettivo significato, rischiando oltretutto di produrre paradossi ed ambiguità 24; – pensiero ed azione, nell’ottica, più volte richiamata, secondo la quale occorre una effettiva concretizzazione dei core values, esplicitata attraverso decisioni e pratiche che siano conformi con questi ultimi. 1

A. DEVERO, Corporate Values. Stimulus for the Bottom Line, in “Financial Executive”, 19(3), 2003, pagg. 20-23.

2 E.R. AUSTER-R.E. FREEMAN, Values and Poetic Organizations: Beyond Value Fit Towards Values Through Conversation, in

“Journal of Business Ethics”, 113(1), 2013, pagg. 39-49; J.C. COLLINS-J.I. PORRAS, Building Your Company’s Vision, in “Harvard Business Review”, 74(5), 1996. 3 Fonte: www.ibm.com/ibm/values/us/. 4 P.M. LENCIONI, Making Your Values Mean Something, in “Harvard Business Review”, 80(7), 2002, pagg. 113-117; F.G. HARMON, Playing for Keeps, John Wiley & Sons, New Jersey, 1996. 5 Sulle frodi aziendali e la loro prevenzione, si veda: M. ALLEGRINI-G. D’ONZA-D. MANCINI-S. GARZELLA, Le frodi aziendali.

Frodi amministrative, alterazioni di bilancio e computer crime, Franco Angeli, Milano, 2003; G. D’ONZA, La prevenzione delle frodi aziendali: alle radici della responsabilità sociale, Franco Angeli, Milano, 2014. Sui rischi nell’economia aziendale, si veda: U. BERTINI, Introduzione allo studio dei rischi nell’economia aziendale, Giuffrè, Milano, 1987. 6 J. VAN REKOM-C.B.M. VAN RIEL-B. WIERENGA, A Methodology for Assessing Organizational Core Values, in “Journal of

Management Studies”, 43(2), 2006, pagg. 175-201; P.M. LENCIONI, Making Your Values Mean Something, op. cit.; I. MALBASIC-R. BRCIC, Organizational Values in Managerial Communication, in “Management: Journal of Contemporary Management Issues”, 17(2), 2012, pagg. 99-118. 7 Al riguardo Lencioni afferma: «Consider the motherhood-and-apple-pie values that appear in so many companies’values

statements – integrity, teamwork, ethics, quality, customer satisfaction, and innovation. In fact, 55% of all Fortune 100 companies claim integrity as a core value, 49% espouse customer satisfaction, and 40% tout team work. While these are inarguably good qualities, such terms hardly provide a distinct blueprint for employee behavior. Cookie-cutter values don’t set a company apart from competitors; they make it fade into the crowd», in P.M. LENCIONI, Making Your Values Mean Something, op. cit.

J. KEYTON, Communication & Organizational Culture. A Key to Understanding Work Experiences, Sage, California, 2011. 8 Fonte: www.ikea.com (2018). 9

P.M. LENCIONI, Making Your Values Mean Something, op. cit., pagg. 113-117.

10 B. TRACY, in I. MALBASIC-R. BRCIC, Organizational Values in Managerial Communication, op. cit., pagg. 99-118. 11 K.A. KHANDELWAL-N. MOHENDRA, Espoused Organizational Values, Vision, and Corporate Social Responsibility: Does it

Matter to Organizational Members?, in “Vikalpa: The Journal for Decision Makers”, 35(3), 2010, pagg. 19-35; D. DOBNI-J.R. RITCHIE-W. ZERBE, Organizational Values: The Inside View of Service Productivity, in “Journal of Business Research”, 47, 2000, pagg. 91-107; A.A. BUCHKO, The Effect of Leadership on Values-based Management, in “Leadership & Organization Development Journal”, 28(1), 2007, pagg. 36-50. 12

M. CHONG, The Role of Internal Communication and Training in Infusing Corporate Values and Delivering Brand Promise: Singapore Airlines’Experience, in “Corporate Reputation Review”, 10(2), 2007, pagg. 201-212; J. VAN REKOMC.B.M. VAN RIEL-B. WIERENGA, A Methodology for Assessing Organizational Core Values, op. cit., pagg. 175-201. 13 C. O’REILLY-J. CHATMAN-D.F. CALDWELL, People and Organizational Culture: A Profile Comparison Approach to Assessing

Person-organization Fit, in “Academy of Managerial Journal”, 34(3), 1991, pagg. 487-517. 14 Sul fit tra leadership values e core values, si rimanda all’appendice al capitolo 9. 15 M. RIKETTA, Organizational Identification: A Meta-analysis, in “Journal of Vocational Behavior”, 66(2), 2005, pagg. 358-

384; D.M. CABLE-D.S. DERUE, The Congruent and Discriminant Validity of Subjective Fit Perceptions, in “Journal of Applied Psychology”, 87(5), 2002, pagg. 875-884; T.M. BEGLEY-D.P. BOYD, Articultating Corporate Values Through Human Resource Policies, in “Business Horizons”, 43(4), 2001, pagg. 8-12; M. SCHULTZ-M.J. HATCH-M.H. LARSEN, The Expressive Organization, Oxford University Press, Oxford, 2000; S. ZYMAN, The End of Advertising as We Know It, Wiley, New Jersey, 2002; J.B. MAXHAM-R.G. NETENMEYER, Firms Reap What They Saw: The Effects of Shared Values and Perceived Organizational Justice On Customers’evaluations of Complaint Handling, in “Journal of Marketing”, 67(1), 2003, pagg. 4662. 16 E. YANIV-F. FARKSAS, The Impact of Person-organization Fit on the Corporate Brand Perception of Employees and

Customer, in “Journal of Change Management”, 5(4), 2005, pag. 447; L.D. ACKERMAN, Identity is Destiny: Leadership and the Roots of Value Creation, Berrett-Koehler, San Francisco, 2000. 17 M. CHONG, The Role of Internal Communication and Training in Infusing Corporate Values and Delivering Brand

Promise: Singapore Airlines’Experience, op. cit.; si rinvia inoltre all’annual report dell’azienda: www.singapore air.com/saar5/pdf/Investor-relations/Annual-Report. 18 I. MALBASIC-R. BRCIC, Organizational Values in Managerial Communication, op. cit.; J. VAN REKOM-C.B.M. VAN RIEL-B. WIERENGA, A Methodology for Assessing Organizational Core Values, op. cit.; P.M. LENCIONI, Making Your Values Mean

Something, op. cit. 19 S. BIANCHI MARTINI, Introduzione all’analisi strategica, Giappichelli, Torino, 2009. 20 P. HEMP-T.A. STEWART, Leading Change When Business is Good, in “Harvard Business Review”, 82(12), 2004, pagg. 60-

70. Il concetto è stato descritto efficacemente anche da John Mackey, ex-CEO di Whole Foods, il quale ha affermato: «La nostra azienda iniziò con pochi e semplici valori nel corso del tempo, mentre si sviluppava anno dopo anno, quei valori aziendali originari venivano continuamente espressi, e significati più profondi venivano scoperti e/o creati da stakeholder indipendenti», in M. STRONG, Be the Solution: How Entrepreneurs and Conscious Capitalists Can Solve All the Worlds Problems, Hoboken, New York, 2009. 21 Si rimanda su questo aspetto a: S. BIANCHI MARTINI, Introduzione all’analisi strategica, op. cit., al quale abbiamo

ampiamente attinto. 22 Si rimanda su questo aspetto a: S. BIANCHI MARTINI, Introduzione all’analisi strategica, op. cit.

23

Si veda: N. BRUNSSON, L’irrazionalità dell’azione e razionalità d’azione: decisioni, ideologie e azioni organizzative, in L. ZAN (a cura di), Strategic Management, Utet, Torino, 1992, pag. 231. 24 Per ulteriori approfondimenti si rinvia a: K. JAAKSON-A. REINO-M. VADA, Organizational Values and Organizational

Practice: What Makes Them Diverge?, in “EBS Review”, 25, 2009, pagg. 9-25; C. STOHL-G. CHENEY, Partecipatory Processes/Paradoxical Practices: Communication and the Dilemma of Organizational Democracy, in “Management Communication Quarterly”, 14(3), 2001, pagg. 349-407.

9. I VALORI NELLA GESTIONE DELL’AZIENDA: IL MANAGEMENT BY VALUES COME METODO DI GOVERNO A conclusione del presente lavoro riteniamo utile presentare un modello di management by values, cioè uno schema di analisi che possa ispirare i vertici delle aziende a porre in modo consapevole i valori al centro dell’attività di governo e dei processi gestionali 1. Il modello si fonda su quanto detto nei capitoli precedenti con riferimento alla necessaria consapevolezza di riflettere sui valori identitari (capitolo 6), all’importanza di soffermarsi sui valori all’origine del sistema di valori (capitolo 7) e ai requisiti dei valori propri di un valido core values system (capitolo 9). Costituisce, per certi versi, la sintesi applicativa di quanto descritto in tali capitoli. Ovviamente le aziende possono seguire diversi modelli per attuare il management by values e, quindi, il presente capitolo ne propone uno tra quelli possibili 2. È bene precisare, comunque, che il modello qui presentato è frutto dell’analisi della letteratura sul tema e della concreta riflessione fondata su molteplici casi aziendali analizzati. A nostro parere può essere utile sviluppare un modello di management by values composto da alcune fasi fondamentali 3: 1. individuazione e riflessione sulle idee e valori fondanti dell’azienda ovvero sul core values system dell’azienda; 2. analisi della “sistematicità” dei valori individuati; 3. esplicitazione e comunicazione del core values system; 4. verifica nel tempo della concreta operatività ed efficacia. Soffermiamoci sinteticamente sulle singole fasi del modello. * * * Nel tentativo di individuare e riflettere sulle idee e valori guida (sub 1) è possibile utilizzare, oltre allo schema di analisi descritto nel capitolo 7, uno schema classificatorio che attinge in parte al pensiero del Coda e che mira a far riflettere su tre direttrici analitiche 4: a) Why? Il perché l’azienda esiste; b) Where? Il dove l’azienda si sente vocata ad operare; c) How? Il come l’azienda opera in termini di filosofia gestionale ed organizzativa. Le suddette direttrici analitiche, rivolgendosi al “contenuto” delle idee e dei valori, offrono un ausilio nella fase della individuazione e riflessione dei valori aziendali.

Con riferimento alla prima direttrice (a) è necessario evidenziare che essa si riferisce alle motivazioni profonde che ispirano l’agire imprenditoriale 5, ai fini di fondo dell’azienda. È bene ricordare che gli obiettivi specifici, misurabili e tempificati, siano essi operativi o strategici, non si identificano nel finalismo di fondo dell’azienda ma sono, in situazioni fisiologiche, strumentali ad esso. Mentre un obiettivo specifico, misurabile e tempificato è posto per essere raggiunto (es. crescita del fatturato in tre anni del 30%, riduzione dell’impatto ambientale del 20% in 5 anni, rendimento del capitale investito o Ebitda/ricavi da portare al 15% entro tre anni, miglioramento degli indicatori del clima aziendale dell’x% in due anni, indicatori di soddisfazione del cliente cresciuti dell’x% ogni anno per tre anni e così via), il finalismo di fondo è un’aspirazione continua e duratura ma che non è mai destinata ad essere definitivamente perseguita (es. il governo dell’azienda si ispira al costante mantenimento di una tecnologia produttiva avanzata; il fine dell’azienda è creare valore nel lungo termine, ecc.). L’analisi degli obiettivi – e soprattutto dei grandi obiettivi strategici – è comunque ovviamente fondamentale per chi vuole capire il reale finalismo dell’azienda. È inoltre importante ricordare che il finalismo aziendale ha natura multidimensionale. Non è infatti solo di natura economica 6 ma presenta anche dimensioni competitive ed eticosociali 7. Nella fase dell’individuazione e riflessione sulle idee e valori fondanti è dunque molto utile rivolgere l’attenzione sia all’interpretazione che l’azienda ha dell’economicità, sia a quella che ha della socialità-eticità e della competitività. Nel seguente riquadro riportiamo una esemplificazione di idee e valori che si riferiscono al finalismo aziendale in chiave economica e che sono state inserite nel core values system dell’azienda (Brunello Cucinelli) 8. Si rinvia al box riportato nel capitolo 7 relativamente a The Body Shop per una esemplificazione relativa alla dimensione etico-sociale del finalismo

di fondo. =========== LA REDDITIVITÀ “EQUA” PER LA BRUNELLO CUCINELLI Come abbiamo già evidenziato Brunello Cucinelli, fondatore e CEO dell’omonima azienda, ritiene che la redditività delle vendite, misurata con l’indicatore EBITDA/fatturato, non vada massimizzata. Essa dovrebbe mantenersi indicativamente «in un intervallo compreso tra il 17% ed il 19% ... e mai – se non marginalmente e temporalmente – attestarsi al di sopra di tali valori. Se l’EBITDA supera strutturalmente determinate soglie percentuali, vuol dire che stiamo spremendo troppo i fattori della produzione o che i prezzi dei prodotti che vendiamo sono troppo elevati. Noi non vogliamo sfruttare il lavoro e gli altri fattori della produzione e non vogliamo che i nostri prodotti siano cari per i nostri clienti finali. I nostri prodotti sono “costosi ma non cari”. Essi sono costosi per l’elevata qualità e quantità di lavoro, materie, accessori che impieghiamo nel processo di produzione. Un’EBITDA al 30% o al 40% non è sano. Noi vogliamo il reddito sano, equo. Il profitto ci deve essere ma non è nostro obiettivo massimizzarlo. Quando ci siamo quotati, sono stato chiaro con gli investitori: se volete un’EBITDA sopra il 25%, non venite qui» 9. Dall’analisi degli obiettivi che l’azienda si è posta, è possibile evincere informazioni importanti per capire come l’azienda interpreta il suo finalismo. ===========

Anche con riferimento alla seconda direttrice (sub b, dove l’azienda si sente, vocata ad operare) è necessario fare alcune precisazioni. Non ci riferiamo, infatti, solo a ciò che l’azienda fa ma in senso più ampio a dove l’azienda ha deciso di concentrare la sua attività economica, ovvero dove l’azienda si sente vocata di operare ma soprattutto di non operare. Si tratta pertanto anche di una scelta che pone alcuni “confini” all’azienda 10. Per chiarire il concetto presentiamo, nel seguente paragrafo, una sintetica esemplificazione (General Electric). =========== GENERAL ELECTRIC: LA LOGICA DELLA DIVERSIFICAZIONE GLOBALE General Electric (GE) è una delle più importanti aziende conglomerate al mondo ed è stata un esempio emblematico di come si possa creare valore con strategie di diversificazione, sebbene le teorie finanziarie attribuiscano alla eccessiva diversificazione un effetto negativo in termini di creazione di valore (cosiddetto corporate discount). La vocazione di GE è infatti quella di operare in molti e diversi business ma tale vocazione viene perseguita con una particolare “logica”. Nel definire in quali business operare GE precisa «... Each of our businesses lead in their industries. Each has the potential for high margins and returns. Each has sufficient scale and capability to deliver for customers and capitalize on growth themes» (lettera del CEO e presidente del consiglio di amministrazione Jeffry R. Immelt 2015, Sito (9/2/2016): http://www.ge.com/ar2014/ceo-letter/). I business che non hanno queste caratteristiche non sono di interesse di GE e dunque non rientrano nelle sue strategie. ===========

Con riferimento alla terza direttrice (il “come” l’azienda opera in termini di filosofia gestionale ed organizzativa, sub c) è necessario osservare che essa non descrive semplicemente l’organigramma o altri aspetti tecnici dell’assetto organizzativo ma al modo in cui l’azienda imposta il proprio stile organizzativo e l’attività di governo con una prospettiva di non breve periodo. Si pensi, a titolo di esempio, alla filosofia dell’“azienda umanistica” della Brunello Cucinelli, di cui abbiamo parlato nel capitolo 2.

Per chiarire il concetto presentiamo inoltre, nei seguenti riquadri, una esemplificazione relativa alla Komatsu. Si veda anche il box relativo alla 3M riportato nel capitolo 7. =========== LA FILOSOFIA GESTIONALE DI KOMATSU: TOTAL QUALITY MANAGEMENT Si legge nell’history case “Komatsu Limited” (Bartlett, Rangan, 1985, HBR), azienda giapponese di produzione di macchine per movimento terra che a partire dagli anni ’80 del secolo passato è riuscita a conquistare spazi competitivi rilevanti a scapito del leader Caterpillar: «Alla Komatsu, il concetto di Controllo Totale della Qualità era qualcosa di più di una tecnica manageriale. Incarnava la filosofia dell’azienda e sintetizzava il sistema di valori di lavoratori e dirigenti. Secondo un membro dell’alta direzione: “È lo spirito della Komatsu. Ogni volta che si presenta un problema, andiamo subito alla radice e prendiamo le decisioni necessarie. Il Controllo Totale della Qualità non solo ci aiuta a risolvere i problemi manageriali nel breve termine, ma serve anche a porre le basi della crescita futura. È uno strumento di importanza fondamentale per l’innovazione manageriale”». ===========

Nel riflettere sulle tre direttrici analitiche sopra succintamente richiamate e tenendo conto dello schema descritto nel capitolo 7, il management potrà così essere facilitato nell’individuare le idee e i valori guida che stanno alla base della vocazione aziendale. Suggeriamo al riguardo tre diversi approcci che possono essere seguiti nella fase della individuazione: – primo approccio: analisi storica delle “invarianti gestionali”; – secondo approccio: ricorso ad interviste volte a capire la ragion d’essere dell’azienda per come è percepita dagli uomini d’azienda oggi (cioè nel momento dell’analisi); – terzo approccio: analisi degli obiettivi prospettici posti nelle attività di pianificazione e programmazione aziendale e nel sistema di incentivazione del personale. * * * Prima di iniziare l’analisi in base ai suddetti approcci è necessaria una preventiva, accurata e critica lettura della documentazione aziendale nella quale i valori e le idee guida sono comunicati. È opportuno ad esempio, nei diversi casi, i values statement, la mission, la vision, le relazioni ai report periodici, il rapporto di sostenibilità, il bilancio sociale, il bilancio integrato, gli slogan, i messaggi pubblicitari che contengono aspetti valoriali (si pensi allo slogan pubblicitario United Colors of Benetton o allo slogan Endless care, innovative life di Sofidel), o le specifiche pagine del sito web. Nel seguente box, a titolo di sintesi esemplificativa, viene richiamato il contenuto del sito web di Barilla in tema di valori (si rinvia al sito per ulteriori approfondimenti). Qualora un consulente o un manager fosse chiamato ad effettuare un’analisi del core values system dell’azienda dovrebbe considerare preventivamente tali informazioni al fine di agevolare l’individuazione dei valori. =========== BARILLA SPA: IL SITO WEB

Nel sito aziendale viene riportata, nella pagina dedicata ai valori, in posizione di assoluta centralità la seguente frase del padre degli attuali soci di riferimento, Pietro Barilla: «Date da mangiare alla gente quello che dareste ai vostri figli» Viene poi riportata la seguente Missione, molto evocativa: «Buono per te buono per il pianeta» La missione viene spiegata nel dettaglio. Seguono precisazioni su “dove competere” e su “come crescere” e l’elencazione di cinque “valori” (definiti “ingredienti che caratterizzano i nostri comportamenti e ispirano le nostre persone”). Vengono altresì indicati i link al codice etico, al report di sostenibilità e al bilancio economico e ad altre pagine con specifici contenuti in tema di valori. Sono riportate anche alcune clip video. Nel sito vengono riportati, anche con indicazioni numeriche precise, alcune informazioni relative agli obiettivi tempificati, agli impegni assunti ed ai risultati perseguito concretamente nel dare attuazione ai valori. Es. filiera sostenibile dal campo alla tavola entro il 2020, numero di test sulla filiera, zero uso di olio di palma. Si veda: https://www.barillagroup.com/it/cosa-ci-guida (30 giugno 2018). ===========

È necessario però ribadire che la lettura della documentazione aziendale è necessaria ma non sufficiente perché, come abbiamo anticipato e, non sempre i valori dichiarati sono realmente sentiti dall’azienda (requisito della sincerità) e non sempre rappresentano la parte più significativa dei valori realmente radicati. * * * Con il primo approccio, in sostanza, suggeriamo di guardare al passato dell’azienda. Con il termine “invariante gestionale” intendiamo riferirci a quei comportamenti e convincimenti che ricorrono nella storia dell’azienda caratterizzandone la gestione durante l’intera vita o un tratto significativo di essa. Una volta che sono state individuate le principali invarianti gestionali, sarà possibile quindi dedurre sulle idee e sui valori ispiratori delle stesse. Ovviamente, il fatto che l’azienda dimostri di avere determinate invarianti gestionali, non significa che esse siano da valutare positivamente. Presentiamo di seguito un’esemplificazione per chiarire meglio il concetto di invariante gestionale. Ci riferiamo, in particolare, al caso Sofidel, facendo riferimento alle tre direttrici di analisi in precedenza descritte (why, where, how). Si tratta di esempi largamente tratti da una ricerca recentemente condotta in seno al Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa 11. =========== ANALISI DELLE INVARIANTI GESTIONALI: IL CASO SOFIDEL Esemplificazione delle invarianti gestionali relative al dove l’azienda si sente vocata ad operare. L’ambito in cui l’azienda si sente vocata è esclusivamente il tissue. Con l’accezione del breve periodo in cui l’azienda ha operato anche nel settore dei pannolini e degli assorbenti igienici (peraltro dovuto ad una situazione contingente legata ad una acquisizione), l’azienda si è focalizzata esclusivamente nella produzione di carta tissue. Nonostante le possibilità di investimento in altri settori, Sofidel è convinta che «deve fare solo ciò che sa fare bene, ciò in cui può eccellere, e non disperdere energie altrove» 12. Esemplificazione delle invarianti gestionali relative al come l’azienda agisce in termini di filosofia gestionale ed operativa. L’azienda ha assunto uno stile “garbato”. Questo aspetto è strettamente connaturato alle origini ed ai profili

caratteriali delle famiglie imprenditoriali, e forse all’indole delle persone che vivono nel territorio di origine. Lucca e la sua campagna, sono territori con caratteristiche diverse rispetto alle molte altre aree della Toscana, probabilmente dovute alla peculiare storia della città. Ancor oggi nelle province toscane si sente spesso il detto “Vai a Lucca a prender garbo” per evidenziare la natura garbata, i comportamenti educati, non chiassosi e parsimoniosi della popolazione. In maniera similare, l’azienda ha assunto uno stile gentile, volendo far parlare i fatti e senza assumere atteggiamenti autocompiacenti. Esemplificazione delle invarianti gestionali relative al perché l’azienda opera. L’azienda è da sempre orientata alla sostenibilità. La crescita del Gruppo Sofidel ha tenuto conto delle problematiche inerenti ad essa di natura ambientale e sociale. Per questo Sofidel ha implementato durante il suo processo di crescita attività rivolte a: – investimenti nelle energie rinnovabili (in particolar modo biomasse, fotovoltaico e idroelettrico) e nell’utilizzo di “tecnologie pulite”; – progettazione di una logistica orientata alla riduzione delle emissioni di CO2, favorendo gli acquisti locali; – ricerca costante di collaborazioni basate su obiettivi ambientali e sociali specifici con network multistakeholder e Ong di riconosciuto valore e reputazione in campo socio-ambientale, al punto che Sofidel è riuscita ad instaurare a livello istituzionale una collaborazione anche con il WWF 13; – utilizzo di tecnologie innovative volte al risparmio ed al recupero energetico; – scelta di fornitori che si impegnano attivamente nel valorizzare le best practice in ambito di sostenibilità aziendale 14. In merito al tema della sostenibilità Sofidel sostiene che «opera per integrare la sostenibilità ad ogni livello della sua attività...è un elemento costitutivo fondamentale nel processo di creazione di valore. Solo attraverso una strategia di sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile, infatti, è possibile pensare a uno sviluppo economico di lungo periodo, capace di generare benefici duraturi per tutti gli stakeholder e l’ambiente» 15. ===========

È importante sottolineare che in alcuni casi le singole invarianti gestionali possono essere riferite a più di una direttrice. In linea generale, è comunque molto utile, nella prassi, cercare di individuare le invarianti gestionali guardando/classificandole in base alle suddette direttrici. Dall’analisi delle invarianti gestionali si possono desumere alcuni valori/idee guida centrali. Si noti che per effettuare l’analisi storica delle invarianti gestionali è necessario utilizzare i vari strumenti di comunicazione aziendale (report, relazioni, dichiarazioni, web, house organ, case studies, ecc.) ma è normalmente fondamentale anche ricorrere ad interviste per conoscere la storia dell’azienda. Ciò sottolinea la stretta interdipendenza – e in parte la sovrapposizione – con il secondo approccio. Il secondo approccio guarda all’azienda dell’oggi (cioè del tempo in cui l’analisi è fatta) ed utilizza il metodo delle interviste 16. Le interviste sono rivolte a persone scelte tra quelle che a vario titolo sono coinvolte nelle attività aziendali. Ci riferiamo, ad esempio, ai vertici dell’azienda, alle persone che operano negli organi di governance con diversi ruoli (executive e non executive director, indipendent director) ma anche ad altri soggetti che operano in essa (manager e altri dipendenti a vario livello) o che ruotano intorno ad essa (alcuni stakeholder). Le interviste sono principalmente orientate a comprendere la ragion d’essere dell’azienda dal punto di vista degli attuali uomini d’azienda e degli stakeholder. Nelle interviste si suggerisce di chiedere, ad esempio, che cosa andrebbe perso se l’azienda cessasse di esistere per effetto della sua acquisizione e liquidazione (pur garantendo posti di

lavoro adeguatamente retribuiti a tutti i dipendenti e il rimborso del capitale agli eventuali soci rimanenti) 17. Si suggerisce altresì di interloquire per capire se esiste un forte orgoglio di appartenenza e da cosa esso deriva. È inoltre utile formulare richieste volte a conoscere se le persone sentono realmente come autentiche le dichiarazioni contenute nella mission, nella vision e nei value statements formalmente comunicati e di fare concreti esempi che dimostrano ciò (per comprendere se i valori sono sinceramente dichiarati o se sono solo frutto di politiche di window dressing). Nella fase della individuazione e riflessione sulle idee e valori guida è inoltre molto utile analizzare gli obiettivi prospettici posti nelle attività di pianificazione e programmazione aziendale e nel sistema di incentivazione del personale (terzo approccio). È evidente, infatti, che se una azienda imposta validamente il suo sistema di obiettivi e di incentivi dovrà farlo sulla base del finalismo dell’azienda. Il ricorso al metodo delle invarianti gestionali, quello delle interviste rivolte agli uomini d’azienda e quello che guarda agli obiettivi della pianificazione aziendale ed al sistema di incentivazione dovrebbero poter consentire di stilare una lista di valori/idee radicati e centrali e che assumono una funzione di guidance nella gestione aziendale. Come abbiamo in precedenza affermato, è utile in questo caso non presentare liste e descrizioni lunghe e complesse. Una volta tratteggiati tali valori/idee, il management dovrà contestualmente individuare quelli che ritiene meglio esplicativi della identità aziendale e in grado di “superare la prova del tempo”. In questa fase, è necessario un approccio selettivo che espliciti pochi valori chiaramente e sinteticamente espressi. Si devono, in altre parole, evitare lunghe liste o descrizioni dispersive che renderebbero assai poco efficace il ruolo di guidance di tali ideevalori. La selettività e la semplicità di descrizione dei valori è infatti molto importante se si vuole che essi assumano validamente la loro funzione di guidance. * * * Passiamo, a questo punto, alla seconda fase dell’attività di management by values (analisi della “sistematicità” dei valori individuati nella fase precedente). Come abbiamo anticipato nel capitolo 8 con il termine di “sistematicità” si fa riferimento alla “coerenza” che deve (o meglio dovrebbe) sussistere tra: i) i valori aziendali e la prospettiva dell’equilibrio economico durevole ed evolutivo; ii) gli stessi core values, in virtù del perseguimento di una continuità di senso tra di essi; iii) pensiero ed azione nell’ottica secondo la quale occorre una effettiva concretizzazione dei core values, esplicitata attraverso decisioni e pratiche che siano conformi con questi ultimi. Con riferimento al punto sub i) si osserva che il management, una volta precisati i valori identitari dell’azienda, dovrà riflettere se tale insieme di valori assicuri l’esigenza di conseguire l’equilibrio economico di lungo periodo 18 o se sia configurabile un “blocco ideologico” che impedisce all’azienda di operare il cambiamento che è sempre necessario per sopravvivere e prosperare. Per chiarire il concetto riportiamo di seguito il caso Olivetti anni ’90 nel quale si evince come i valori identitari, e in particolar modo il campo di attività

in cui si sente vocata congiuntamente alla filosofia gestionale e organizzativa, non siano stati in grado di permettere all’azienda di raggiungere posizioni di equilibrio economico durevole ed evolutivo. =========== OLIVETTI: IL “PRODOTTO PC” COME CAMPO DI ATTIVITÀ VOCAZIONALE Nei primi anni ’90 il Gruppo Olivetti, dopo il successo ottenuto nel decennio precedente, aveva una immagine competitiva fortemente legata al personal computer (PC). Anche nella “cultura aziendale” si era affermata la percezione di Olivetti come produttore di PC. Carlo De Benedetti – al tempo azionista di riferimento – aveva commentato: «Pensare a una Olivetti senza personal computer è come immaginare la Fiat che non produce auto». E l’A.D. Corrado Passera, aveva affermato nel 1995: «Confermiamo il nostro impegno determinato nei PC. È l’ultima area del gruppo che non ha ancora trovato il suo equilibrio economico, ma siamo fermamente intenzionati a far sì che lo raggiunga entro il ’96». L’azienda pertanto sentiva, o almeno così emergeva dalle dichiarazioni dei vertici, il proprio “campo di attività” come inscindibilmente legato alla produzione dei PC (che venivano prodotti in Italia). Si potrebbe affermare, quindi, che Olivetti considerava il fatto di operare nei PC come un elemento tendenzialmente permanente delle sue strategie, una componente del suo core values system. Negli anni ’90 i PC, e soprattutto i desktop, erano ormai diventati beni assai difficili da differenziare nelle caratteristiche tecnologiche di base, assumendo aspetti propri delle commodity. Ciò era dipeso principalmente dall’affermazione di alcuni standard, come quello di Microsoft Windows nei sistemi operativi e di Intel nei microprocessori ed alla “banalizzazione” del processo di produzione dei computer desktop, sempre più riconducibile ad una attività di assemblaggio. In sostanza che produceva computer vedeva assorbire buona parte del valore da alcuni fornitori (in primis Microsoft e Intel). Anche la Apple, che aveva cercato di differenziarsi nel design e nella integrazione software-hardware, aveva visto declinare la sua posizione di mercato e versava in situazioni difficili. Olivetti appariva, nei PC, stretta tra due fronti: quello dei computer branded, nel quale operavano competitor di dimensioni, grado di internazionalizzazione e notorietà del marchio a livello globale largamente superiori (es. Compaq, IBM) e quello dei cosiddetti cloni nel quale si stavano affermando, nei mercati locali, aziende emergenti con strutture produttive e distributive agili. Il brand name di Olivetti era ancora ben noto in Italia ed aveva mantenuto una certa capacità di penetrazione anche in Spagna, Belgio e Danimarca. Assai più debole era invece la posizione in paesi importanti a cultura informatica avanzata, come Francia, Germania ed Inghilterra. Certo è che la forza del marchio Olivetti era ovunque assai minore di quella di altre aziende, come Compaq, IBM e anche della Apple (che manteneva una certa riconoscibilità, anche se con quote di mercato contenuto, per le qualità grafiche). Le difficoltà di vincere nello scenario competitivo globale dei PC divenne per Olivetti drammaticamente evidente. Olivetti e la sua struttura produttiva e distributiva italiana apparivano infatti ormai inadeguate rispetto alle caratteristiche di banalizzazione dei PC, alla globalizzazione dei mercati ed all’affermazione delle grandi catene distributive specializzate e generaliste. L’azienda non fu in grado di valorizzare le sue straordinarie qualità nel design e nella innovazione, orientandosi ad una competizione diretta nei confronti dei grandi player. La rete distributiva capillare e l’elevata qualità dei suoi tecnici, che erano state risorse chiave nel successo passato, erano diventate poco spendibili nel nuovo contesto a meno di una radicale rifondazione valoriale e/o strategica. L’azienda fece poi scelte di investimento in altri settori, in particolare decise di scalare la Telecom Italia (cedendo la Omnitel, poi acquisita da Vodafone). Oggi il brand Olivetti, detenuto da Telecom, è del tutto irrilevante nel panorama internazionale dell’information tecnology 19. ===========

La coerenza dovrà riguardare anche la relazione tra i diversi valori aziendali (sub ii): è evidente, infatti, la necessità che tra essi non vi sia incongruenza o addirittura contraddittorietà. Ad esempio, se un’azienda come la Brunello Cucinelli esplicitamente orientata alla “filosofia umanistica” e all’adeguata soddisfazione degli stakeholder evidenziasse tra i propri valori guida anche la massimizzazione del reddito netto di esercizio finirebbe per offrire messaggi incongruenti (non a caso la Brunello Cucinelli non pone a

fondamento della sua attività la massimizzazione del profitto ma la redditività equa). Una esemplificazione interessante può essere tratta dall’acquisizione di The Body Shop da parte di L’Oréal, che è sintetizzata nel seguente riquadro. =========== THE BODY SHOP: L’ACQUISIZIONE DA PARTE DI L’ORÉAL Come abbiamo evidenziato in precedenza The Body Shop è stata un’azienda operante nel settore dei cosmetici naturali pioniera nell’attivismo ambientalista e animalista con una filosofia gestionale – sintetizzata nello slogan Beauty with Heart – costruita su cinque espliciti core values: “Against Animal Testing, Support Community Fair Trade, Activate Self Esteem, Defend Human Rights and Protect The Planet”. The Body Shop è un esempio emblematico di come l’interpretazione di alcuni metavalori etici possano divenire elementi centrale del vantaggio competitivo. Quando nel 2006 la L’Oréal ha acquisito per circa 652 milioni di sterline la società, il Presidente Lindsay Owen-Jones ha affermato: «Abbiamo sempre nutrito grande rispetto per i successi di The Body Shop, e per la forte identità e valore creati dalla signora Anita Roddick» precisando che L’Oréal «non ha alcuna intenzione di cambiare l´identità di the Body Shop». Anzi l’acquisizione «ci darà l´opportunità di imparare qualcosa». La sfida che si è trovata di fronte L’Oréal era tutt’altro che banale: preservare un sistema dei valori e delle idee fortemente caratterizzato e peculiare innestandolo nel contesto culturale di una grande multinazionale multibrand. È evidente che il rischio di disperdere il core values system alla base del vantaggio competitivo originario di The Body Shop, e dunque anche la fonte prima dello stesso, è in questi casi, assai elevato. ===========

È evidente, infine, che i comportamenti concretamente assunti dall’azienda devono essere coerenti sia con i valori identitari, sia con la documentazione comunicata (sub iii). Questo aspetto evidenzia l’importanza, da un lato, della cultura aziendale (concetti espressi nel capitolo 3 del presente lavoro) e, dall’altro lato, dell’elaborazione di documenti utili alla comunicazione e condivisione dei valori con il management e il personale e con gli stakeholder più significativi (fase 3 del modello presentato all’inizio del presente capitolo) 20. È dunque necessario verificare se vi è coerenza tra i valori emersi nell’analisi e quelli comunicati nella documentazione aziendale (carte dei valori, mission, vision, codici etici, comunicati, sito istituzionale, house organ, relazioni al bilancio civilistico, bilancio sociale, bilancio integrato, pubblicità, slogan, ecc.). In sostanza si tratta di verificare la sincerità delle comunicazioni aziendali riguardanti i valori (e dunque l’autenticità degli stessi). Per un’esemplificazione si rinvia alla descrizione della crisi Enron, sinteticamente rappresentata nel capitolo 7, che costituisce un caso emblematico e patologico di incoerenza tra valori comunicati e vissuti. Una tappa fondamentale dell’analisi è dunque la lettura della documentazione che comunica i valori e il confronto tra valori comunicati e valori realmente vissuti. A fronte dei valori comunicati devono infatti esistere concrete azioni che dimostrano il radicamento culturale degli stessi. È importante peraltro ricordare che i valori dichiarati nei value statements rappresentano spesso solo una parte dei core values dell’azienda, ovvero quelli che il management ha deciso di condividere e rendere maggiormente visibile a tutta l’organizzazione e all’esterno (in applicazione alla esigenza della selettività).

Alcune analisi empiriche dimostrano, inoltre, che in molti casi i valori comunicati formalmente dalle aziende (ad esempio nei value statements, nella mission o nel bilancio integrato) non sono in perfetta sintonia con la cultura aziendale e non influenzano le sue performance 21 e ciò conferma, a nostro parere, che spesso i valori dichiarati non sono autentici o non si incardinano in un valido metodo manageriale fondato sul values-based management. Si può quindi presumere, ma su questo aspetto ci proponiamo di intervenire con successive ricerche empiriche per validare o falsificare la nostra tesi, che non di rado la comunicazione dei valori delle aziende sia frutto di politiche di window dressing e non della reale volontà e capacità di adottare un valido metodo di governo fondato sui valori. È fondamentale, ripetiamo, progettare e realizzare un sistema di comunicazione del core values system dotato di sincerità, selettività, sistematicità e che tenga conto della stabilità dei valori identitari (si rinvia al capitolo 7 per una più approfondita descrizione di questi elementi). Riteniamo pertanto che il management by values, così come altri strumenti a supporto della gestione manageriale, dovrebbe essere considerato efficace da parte di coloro che lo utilizzano. Infatti, solo quando tali strumenti sono sentiti e concretamente calati nella specifica realtà aziendale possono guidare l’azienda verso percorsi di crescita qualitativa e di successo. Il modello del management by values, in particolare, dovrà quindi essere impiegato in maniera consapevole e sostanziale, affinché le idee e i valori identitari dell’azienda siano concretamente pervasivi. Sarà necessario, infine, non limitarsi alle tre fasi finora descritte nel modello del management by values. Si suggerisce di ripetere le suddette fasi nel tempo, al fine di verificare la concreta operatività e la permanente efficacia del core values system (sub 4). In alcuni casi, infatti, la funzione di guidance del core values system può allentarsi nel tempo. In sostanza, è necessario ripercorrere nel tempo i passi fondamentali del cammino in precedenza descritto, affinché non si crei un indebolimento della forza propulsiva dei valori o una dissociazione tra valori comunicati e realmente sentiti. 1 K. BLANCHARD-O’CONNOR, Managing by Values, Berrett-Joehler, San Francisco, 1996; S.L. DOLAN-B.A. RICHLEY, Managing

by Values (MBV): A New Philosophy for a New Economic Order, in “Handbook of Business Strategy”, 7(1), 2006, pagg. 235-238; S.L. DOLAN-S. GARCIA, Managing by Values: Cultural Redesign for Strategic Orgnizational Change at the Dawn of the Twenty-first Century, in “Journal of Management Development”, 21(2), 2002, pagg. 101-117. 2 Vari autori nella letteratura economico-manageriale hanno analizzato il governo dei valori aziendali, al riguardo si veda: J. ROSENTHAL-M.A. MASARECH, High-Performance Cultures: How Values Can Drive Business Results, in “Journal of Organizational Excellence”, 22(2), 2003, pagg. 3-18; A. ARGANDONA, Fostering Values in Organizations, in “Journal of Business Ethics”, 45(1-2), 2003, pagg. 15-28; T.M. BEGLEY-D.P. BOYD, Articulating Corporate Values through Human Resource Policies, in “Business Horizons”, 43(4), 2000, pagg. 8-12; S.L. WILLIAMS, Strategic Planning and Organizational Values: Links to Alignment, in “Human Resource Development International”, 5(2), 2002, pagg. 217-233; S.L. WILLIAMS,

Engaging Values in International Business Practice, in “Business Horizons”, 54(4), 2011, pagg. 315-324. 3 Su questo aspetto abbiamo utilizzato, integrandolo e modificandolo, lo schema proposto in: S. BIANCHI MARTINI,

Riflessioni sugli “oggetti dell’analisi strategica” e sul core values system dell’azienda, Il Borghetto, Pisa, 2016. 4 Ci si riferisce a: V. CODA, L’orientamento strategico di fondo dell’impresa, Utet, Torino, 1988.

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V. CODA, L’orientamento strategico di fondo dell’impresa, op. cit., pagg. 25-27; J.C. SPENDER, Business Policy and Strategy as a Professional Field, in T. ELFRING-H.W. VOLBERDA, Rethinking Strategy, Sage, London, 2000, pag. 27. 6 Per una analisi storica del valore dell’economicità, con particolare riferimento al valore economico, si veda: S. BIANCHI MARTINI, Interpretazione del concetto di avviamento: analisi dei principali orientamenti della dottrina italiana, Giuffrè,

Milano, 1996. 7 Secondo Coda, ad esempio, esistono tre principali dimensioni del finalismo aziendale: quella competitiva, quella sociale e

quella relativa all’economicità. Con riferimento alla prima dimensione, quella competitiva, Coda ritiene che l’azienda può percorrere profittevolmente sentieri di crescita e di successo solo se è in grado di creare valore per i clienti e quindi solo se è in grado di prosperare nell’ambiente competitivo in cui opera. Secondo la seconda dimensione del finalismo aziendale, quella sociale, l’azienda deve altresì posizionarsi non solo nel contesto competitivo ma anche in quello sociale per cui dovrà riuscire a soddisfare anche le varie esigenze degli stakeholder che si relazionano con essa. Infine, l’Autore sottolinea che l’azienda debba inoltre far in modo che le due condizioni precedentemente descritte coesistono in maniera tale da garantirgli anche il successo economico. Si veda a tal riguardo: V. CODA, La valutazione della formula imprenditoriale, in “Sviluppo e Organizzazione”, 82(2), 1984, pagg. 7-21. 8 Con riferimento ai casi richiamati nei riquadri del presente capitolo (Brunello Cucinelli, General Electric, 3M, Komatsu,

Olivetti, Il legame emozionale con il prodotto) abbiamo riportato, aggiungendo eventuali aggiornamenti, i testi da: S. BIANCHI MARTINI, Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, Giappichelli, Torino, 2009; S. BIANCHI MARTINI, Riflessioni sugli “oggetti dell’analisi strategica” e sul core value system dell’azienda, op. cit. 9 S. BIANCHI MARTINI-A. CORVINO-M. MINOJA, Brunello Cucinelli, in M. MINOJA (a cura di), Bene comune e comportamenti

responsabili. Storie di imprese e di istituzioni, Egea, Milano, pagg. 3-30, ISVI, 2015. 10 Si veda a tal proposito anche il contributo di S. GARZELLA, I confini dell’azienda: un approccio strategico, Giuffrè,

Milano, 2000. 11 L’output finale di tale ricerca è la pubblicazione del volume: S. BIANCHI MARTINI (a cura di), 50 anni di crescita nel futuro.

Sofidel. L’azienda, il suo sviluppo, la cultura della carta tissue, Silvana Editoriale, Milano, 2016. Alla redazione di tale volume, coordinato da Silvio Bianchi Martini, hanno partecipato: Antonio Corvino, Federica Doni, Marco Guidi, Alessandra Rigolini, Elisabetta Rocchiccioli e Angela Tarabella. Per questa esemplificazione abbiamo ampiamente attinto a tale fonte. 12

Intervista al management, 2015.

13 Si veda: Bilancio integrato 2016 del Gruppo Sofidel. 14 Per conoscere le ulteriori iniziative in ambito di sostenibilità ambientale in cui è impegnato il Gruppo Sofidel, si rimanda

al relativo Bilancio Integrato 2016. 15 Cfr., Sofidel, Bilancio Integrato 2016, disponibile sul proprio sito web: www.sofidel.com/it/grumappo-sofidel/bilancio-

integrato. 16 Sulla metodologia di indagine tramite la somministrazione del questionario, si vedano tra gli altri: J.F. GUBRIUM-J.A. HOLSTEIN, Handbook of Interview Research: Context and Method, Sage Publications, Thousand Oaks, 2001; P. CORBETTA,

Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 2014. 17 Collins e Porras parlano di “gioco del serial killer aziendale”. Gli autori presentano il seguente esempio: si suppone cioè

di poter vendere l’azienda a qualcuno che sia disposto a pagare un prezzo congruo (anche facendo ipotesi ottimistiche circa i flussi di cassa futuri dell’azienda). Si suppone, poi, che «il compratore garantisca un impiego stabile a tutti i dipendenti con gli stessi stipendi» ma senza nessuna garanzia che le loro attività si svolgeranno nello stesso ambito e con le stesse logiche e finalità. Infine, si suppone che il compratore progetti di chiudere l’azienda dopo l’acquisto: «i suoi prodotti o servizi verrebbero eliminati, i suoi impianti verrebbero chiusi, i suoi marchi verrebbero archiviati per sempre e così via». L’azienda come tale cesserebbe quindi di esistere. Fatte queste ipotesi-premessa, i quesiti da porre agli uomini d’azienda sono: se e perché l’offerta dovrebbe essere accettata o non accettata? Che cosa andrebbe perso se l’azienda cessasse di esistere? Perché è importante che l’azienda continui ad esistere? Collins e Porras ad esempio suggeriscono di formulare agli attori chiave dell’azienda le seguenti domande: «... come potremmo sintetizzare l’obiettivo chiave di questa organizzazione in modo che se ti svegliassi domani mattina con abbastanza denaro in banca per andare in pensione decideresti di andare a lavorare nella

stessa azienda? Quale profonda comprensione dell’obiettivo chiave dell’azienda ti motiverebbe a continuare a dedicare le tue preziose energie creative all’attività di questa impresa?» in S. BIANCHI MARTINI, Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, op. cit., pag. 152). Si veda inoltre: J.C. COLLINS-J.I. PORRAS, La via del successo ha un cuore antico, in “Harvard Business Review”, ed. italiana, 1996. 18

Evan Dudik propone un modello che permetterebbe alle organizzazioni di crescere e prosperare in un ambiente caratterizzato da forte complessità. In particolare, l’Autore, basandosi sulla teoria dei sistemi complessi ed applicandola alla strategia, suggerisce di riflettere sul grado di incertezza che contraddistinguerà l’ambiente esterno futuro dell’azienda e quindi di organizzarsi come un sistema adattivo complesso per far fonte a tale situazione. Si veda: E.M. DUDIK, Strategic Renaissance: New Thinking and Innovative Tools to Create Great Corporate Strategies – Using Insights from History and Science, Amacom, New York, 2000. 19

S. BIANCHI MARTINI, Il caso Olivetti, in E. MOLLONA (a cura di), Strategia e livello aziendale, Egea, Milano, 2000.

20 P.S. SHOCKLEY-ZALABAK, Fundamentals of Organizational Communication: Knowledge, Sensitivity, Skills, Values, Allyn

& Bacon, Boston, MA, 2009; F. WENSTOP-A. MYRMEL, Structuring Organizational Values Statements, in “Management Research News”, 29(11), 2006, pagg. 673-683; K. JAAKSON, Management by Values: Are Some Values Better than Others?, in “Journal of Management Development”, 29(9), 2010, pagg. 796-806; K.M. JOHNSON, The Influence of Organizational Values on Profitability, Auburn University, Auburn, 2009. 21 L. GUISO-P. SAPIENZA-L. ZINGALES, The Value of Corporate Culture, in “Journal of Financial Economics”, 117(1), 2015,

pagg. 60-76.

APPENDICE AL CAPITOLO 9 Nel capitolo 4 abbiamo evidenziato come siano fondamentali i “valori del capo azienda” (leadership values). Con tale figura intendiamo riferirci a colui/coloro che sostanzialmente incarnano la massima espressione del potere aziendale (normalmente si tratta nelle imprese minori dell’imprenditore e, in quelle più grandi, di una ristrettissima cerchia di individui riconducibili alla figura che la dottrina aziendale italiana ha individuato nel Soggetto Economico). Il capo azienda ha, infatti, una propria cultura e suoi propri valori aziendali. Al tempo stesso l’azienda, come sistema economico dotato di un proprio finalismo e riconducibile ad una comunità di individui, ha una propria cultura e propri valori istituzionali. Possiamo parlare, osservando gli stessi con riferimento ai valori identitari, di core values system. Può capitare, in alcuni casi, che tra i leadership values e i core values non vi sia sufficiente assonanza. Si pensi, ad esempio, ai casi in cui una piccola banca cooperativa locale che esercita attività di credito tradizionalmente vocata alla relazione personalizzata con i singoli clienti chiami come CEO un soggetto che ha una prolungata esperienza in grandi realtà bancarie e che, a seguito di tale esperienza, abbia maturato una forte convinzione sulla necessità di vocare le istituzioni bancarie alla standardizzazione del servizio e delle prassi di relazione con i clienti. È evidente che la dissonanza tra i leadership values e il core values system dell’azienda può portare a “conflitti di valori” che possono rendere ambigua o soggettivamente “scomoda” la funzione di guidance. Abbiamo altresì più volte evidenziato che il core values system deve essere “di qualità” e cioè non disfunzionale al perseguimento dell’equilibrio economico durevole. Se il core values system non è coerente con il perseguimento dell’equilibrio economico durevole esso è destinato sovente a compromettere la stessa sopravvivenza dell’azienda. Nella matrice sotto riportata rappresentiamo due dimensioni: la coerenza tra leadership values e core values system (in verticale) e la qualità del core values system (in orizzontale).

I quattro quadranti rappresentano diverse situazioni. Nel quadrante 1 (values leadership vincente) si presenta la situazione ottimale sotto il profilo oggetto di analisi del presente lavoro. L’azienda ha infatti un core values system di qualità e coerente con i valori del capo azienda (leadership values). Le aziende che si collocano in questo quadrante, se validamente governate sotto il profilo strategico ed operativo, possono rappresentare l’espressione massima del management by values. I riferimenti che abbiamo fatto nel corso di questo lavoro tra cui Cucinelli, nelle quali i valori del capo azienda sono oggi in sintonia con il core values system e di qualità, costituiscono esemplificazioni significative. Nel quadrante 2 (sclerotizzazione valoriale) si collocano le aziende nelle quali vi è coerenza tra leadership values e core values system ma quest’ultimo (come il primo) non è conforme all’esigenza di perseguire l’equilibrio economico durevole.

Le aziende che si collocano in questo quadrante si trovano nella necessità di “ristrutturare” il sistema dei valori aziendali (compito sempre assai complesso e normalmente realizzabile solo mediante interventi diretti a sostituire il top management team e a risanare il sistema dei valori aziendali). Situazioni di questo tipo si verificano sovente quando in azienda si radicano valori che impediscono l’adattamento della stessa all’ambiente. Si pensi al caso in cui l’azienda testardamente continui a realizzare un prodotto/servizio o ad adottare una modalità produttiva che non è più compatibile con la dinamica delle tecnologie. Alcune aziende calzaturiere italiane negli anni ’90 hanno ritenuto di dover continuare a produrre nel nostro paese mantenendosi posizionate sulla fascia medio-bassa (considerando la produzione in Italia e il posizionamento di fascia media un valore vocazionale) nonostante la competizione (ormai insostenibile sul fronte dei costi) dei competitor dei paesi orientali 1 . Nel quadrante 3 (rischio di involuzione valoriale) si collocano le aziende nelle quali vi è bassa coerenza tra leadership values e core values system ma quest’ultimo – al contrario dei leadership values – è conforme all’esigenza di perseguire l’equilibrio economico durevole. Le aziende che si collocano in questo quadrante in alcuni casi possono rischiare un’involuzione del loro core values system, perché il capo azienda potrebbe compromettere la qualità o l’efficacia di guidance del valido sistema di valori aziendali. Un’esemplificazione al riguardo è da ricondursi alla Apple dalla seconda parte degli anni ’80 che aveva un sistema di valori, in larga misura, di qualità ma non coerente con quello del CEO Sculley (ottimo manager proveniente dalla Pepsi-Cola ma che incarnava un sistema tipico delle aziende di largo consumo che producono beni omogenei). Le decisioni poste in essere da Sculley nel tempo snaturarono in parte l’azienda e solo dopo alcuni anni, con il ritorno del fondatore Steve Jobs al comando, si realizzò un riallineamento tra leadership values e core values system.

=========== APPLE: DA JOBS A SCULLEY «Per alcuni anni dopo la cacciata di Jobs, la Apple fu in grado di navigare comodamente di conserva grazie agli alti margini di profitto che il suo temporaneo dominio nel segmento del desktop publishing le garantiva. Sentendosi un genio, nel 1987 Sculley fece una serie di baldanzose dichiarazioni che oggi appaiono imbarazzanti. Jobs voleva che la Apple “diventasse una meravigliosa azienda di beni di consumo” scrisse Sculley. “Questa era una follia ... La Apple non sarà mai un’azienda che produce beni di consumo ... Non potevamo piegare la realtà ai nostri sogni di cambiare il mondo ... L’alta tecnologia non può essere progettata e venduta come bene di consumo”». «Ma si trattava di un autoinganno: una ricetta per il disastro. Jobs cominciò ad averne la sensazione molto presto. “Avevamo modi molto diversi di vedere il mondo, opinioni diverse sulle persone, valori diversi” disse Jobs. “Ho cominciato a capirlo alcuni mesi dopo il suo arrivo. Lui non imparava rapidamente e la gente che voleva promuovere di solito era incompetente”» (da W. ISAACSON, Steve Jobs (ed. it., La biografia autorizzata del fondatore di Apple (Ingrandimenti), Mondadori, Milano, 2011). =========== Un altro esempio di situazioni riconducibili al quadrante 3 si può avere quando un’azienda viene acquisita da un’altra con un sistema di valori significativamente diverso. L’azienda acquisita, anche se con un sistema di valori di qualità, rischia di veder compromessa la sua identità. Nel quadrante 4 (tentativo di rifondazione valoriale) si collocano le aziende nelle quali il core values system non è di qualità e non vi è coerenza tra esso e i leadership values. Può avvenire, ad esempio, quando a seguito di una situazione di difficoltà dell’azienda dovuta alla inadeguatezza del sistema dei valori viene nominato ai vertici dell’azienda un capo azienda-risanatore che si impegna nel rifondare l’azienda fin dai suoi valori (compito sempre molto impegnativo).

1 Al riguardo, si veda: S. BIANCHI MARTINI, L’azienda calzaturiera, Franco Angeli, Milano, 2005.

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RINGRAZIAMENTI Nell’ambito di questo studio sentiamo di avere molti debiti di riconoscenza per le persone che in qualche modo hanno contribuito ad alimentare le tesi che qui presentiamo. Poiché non è possibile in questa sede ringraziarle tutte ci limiteremo a quelle che più di altre ci hanno offerto collaborazione, confronto, supporto. Un affettuoso ringraziamento va innanzitutto al prof. Umberto Bertini per averci aperto e illuminato, direttamente o indirettamente, la via della riflessione sul sistema aziendale delle idee. Ringraziamo altresì i Proff. Vittorio Coda e Mario Minoja per le ispirazioni che nei loro scritti hanno offerto sui temi dei valori imprenditoriali e per gli stimolanti confronti avvenuti nell’ambito dei gruppi di ricerca dell’Istituto per i Valori d’Impresa (ISVI). Un ringraziamento va a Antonio Corvino, Federica Doni, Giuseppe D’Onza, Michela Mazzoni e Alessandra Rigolini, che fanno parte del gruppo di studiosi che ha messo in campo il progetto di ricerca (di cui questo scritto costituisce una parte) sui temi dei valori aziendali e dei modelli di rappresentazione ed analisi delle strategie, approfondendo aspetti di corporate governance e sistemi di controllo, performance e integrated reporting. La loro rilettura del presente lavoro ha offerto importanti spunti critici e propositivi. Sentiamo inoltre di avere un debito di riconoscenza verso Luigi Lazzareschi, CEO di Sofidel Spa, con il quale abbiamo avuto innumerevoli confronti sui temi della strategia e dei valori aziendali. Un ringraziamento, infine, ai colleghi del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa, e in particolare a Massimo Augello, Mariacristina Bonti, Nicola Castellano, Paola Ferretti, Riccardo Giannetti, Giulio Greco, Luca Spataro, Vincenzo Zarone, con i quali – sebbene in modo spesso non strettamente finalizzato – abbiamo effettuato, negli ultimi due anni, ripetuti confronti sulle tematiche dei valori istituzionali, della gestione delle istituzioni complesse, dell’imprenditorialità, della leadership, delle performance e della responsabilità sociale dell’azienda. Resta inteso che la responsabilità di quanto scritto rimane esclusivamente a carico degli autori.