Il senso del movimento 8838637083, 9788838637087

Il senso del movimento, sostiene l'autore di questo libro, è una sorta di sesto senso in grado di anticipare ciò ch

648 145 13MB

Italian Pages 307 [327] Year 2003

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Il senso del movimento
 8838637083, 9788838637087

Citation preview

Titolo originale: Le sens du mouvement Edizione originale: Éditions Odile Jacob Copyright © 1997 É ditions Odile J acob Copyright © 1998 McGraw-Hill Libri Italia srl piazza Emilia, 5 20129 Milano

McGraw-Hill A Divìsion

� o(The�·HIIIeorn,-;es 1>6

I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica e di adatta­ mento totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotosta­ tiche) sono riservati per tutti i paesi.

Editor. Pierluigi Micalizzi Redflzzòne: Valeria Camatta Produzione: Gino La Rosa Traduzione: Elena Dal Pra - Andrea Rodighiero Revisione scientifica: Paolo Crenna Impaginazione: ITG sas, Torino Grafica di copertina: communica.net srl, Firenze Stampa: Cromografica Europea, Rho (MI)

Printed in ltaly 1234567 890CROCR092 1 098 t• edizione novembre 1998 ISBN 88 386 3708-3

I N D I CE

Ringraziamenti

IX

Introduzione

XI

1.

La percezione è un'azione simulata

La teoria motoria della percezione Il concetto di accettore d'azione Il comparatore di Bernstein La memoria prevede le conseguenze dell'azione I nodi mentali Il neurone specchio Simulazione, emulazione o rappresentazione? 2.

n senso del movimento:

un

sesto senso?

La propriocezione Il sistema vestibolare: una centrale inerziale Le funzioni del sistema vestibolare La visione del movimento 3.

La costruzione di una coerenza

lndividuazione del movimento attraverso la vista Sono nel mio letto o sospeso al soffitto? La coerenza tra vedere e udire Il visibile e il tangibile Il problema della coerenza e dell'unità della percezione L'autismo: una disgregazione della coerenza?

l l 3

5 9

11 12 12 17

18 24 34 41 49

51 61 69 74

81 84

VI

4.

INDICE

Sistemi di riferimento

Spazio corporeo ed extracorporeo Riferimento egocentrico e allocentrico I sistemi di riferimento naturali La selezione dei riferimenti S.

Una memoria per predire

La memoria topografica Basi neurali della memoria spaziale: il ruolo dell'ippocampo Perché gli uomini preistorici disegnavano così bene? 6.

n movimento naturale

I pionieri n problema del numero di gradi di libertà L'invenzione dell'occhio La forma di un disegno è prodotta dalla legge della massima grazia 7.

Sinergie e strategie

Collegamento degli assoni vestibolari e stabilizzazione dello sguardo n pesciolino che voleva nuotare sull a pancia Basi neurali della codificazione del movimento del braccio La coordinazione delle sinergie 8.

Cattura

La decisione del rospo n controllo della frenata Se Newton avesse voluto prendere la mela? 9.

Lo sguardo che interroga il mondo

Orientare il proprio sguardo "Andare dove s i guarda" e non "guardare dove si va" n contatto occhio a occhio Sguardo ed emozione Le basi neurali delle reazioni di orientamento dello sguardo 10. L'esplorazione visiva

Il cervello è un cavallo focoso Un modello delle relazioni percezione-azione Movimento immaginato e movimento eseguito Memoria dinamica e controllo predittivo dei movimenti Piaget aveva ragione?

87 87 89 90 97 103 105 1 14 122 125 127 128 135 139 143 144 146 149 15 1 155 156 158 162 171 171 175 175 178 179 181 181 1 83 1 99 201 202

INDICE

VII

Il. L'equilibrio

Una fisiologia della reazione Come fare oscilla re l'Università di Edimburgo Verso una fisiologia proiettiva 12. L'adattamento

Adattamento e sostituzione Storia del reumatologo e dell'oculista Ruolo dell'attività nella compensazione e nella prevenzione del disorientamento 13. D cerveUo disorientato: le illusioni sono soluzioni

L'illusione: la migliore delle ipotesi possibili Ill usioni dovute alle accelerazioni e alla gravità Le illusioni di movimento degli ani n mal di spazio e il mal di moto ( cinetosi) Qualche altra illusione

205 206 206 210 223 224 227 228 233 233 234 239 24 1 242

14. Gli architetti hanno dimenticato il piacere del movimento

245

Conclusione: Per una percezione toUerante

25 1 25 1 252 253 254 254

La metafora del computer: un nuovo dualismo n senso dei sensi n problema della coerenza Una memoria per predire il futuro Percezione ed emozione Note

257

Bibliografia

273

Indice analitico

301

R I NGRAZ I AMENTI

Vorrei ringraziare l'editore Odile Jacob che, su proposta di Jean-Pierre Changeux, ha accettato di pubblicare questo libro e ne ha seguito la realizzazione, con quella sintesi di sensibile intuito e di rigore professionale che lo distingue. Gli alpinisti hanno bisogno di una guida. Un libro è un po' come un'ascensio­ ne. È la guida che conosce le vie, e sa evitare le rocce cedevoli e i sentieri pericolo­ si. Conosce gli umori della montagna e le sue tradizioni. Sa tenere la rotta, fare le deviazioni, stabilire un ritmo, trasformare l'ascensione passo dopo passo in un'av­ ventura umana emozionante. La mia guida editoriale per questo libro è stato Gérard Jorland; la sua immensa cultura di filosofo e di storico, la sua generosità, la sua fiducia, le sue critiche mi hanno aiutato, incoraggiato, commosso. Maya, tu hai accompagnato questo libro; mi hai aiutato a tentare non sola­ mente di essere letto, ma anche di essere compreso, sia per quanto riguarda la sostanza che per quanto riguarda la forma. I lavori del nostro laboratorio descritti in questo libro non sarebbero stati pos­ sibili senza il sostegno del Centre national de la recherche scientifique, del Centre national d'études spatiales e del Collège de France, che hanno saputo insieme darci fiducia , valutare con rigore il nostro lavoro e accettare quelle scommesse senza le quali non nascerebbero idee nuove. Vorrei anche ringraziare coloro che hanno avuto la gentilezza di leggere alcune parti del manoscritto: i miei amici e colleghi Pierre Buisseret, Valérie Cornilleau­ Pérès, Jacques Droulez, Jean -René Duhamel , Werner Graf, Alexej Grantyn , lsabelle Israel, Joseph Mclntyre, Edmund Rolls, Jean-Michel Roy, Jean-Jacques Slotine, Yves Trotter, Pierre-Paul Vidal, Sidney Wiener, e tutta l'équipe dd nostro laboratorio che ha realizzato i lavori qui descritti. Ringrazio la rivista " La Recherche" per avermi permesso di riprodurre una pane delle illustrazioni e del testo pubblicati nd numero speciale sul cervello dd 1996.

Ringrazio anche Solange Fanjat de Saint Font per aver corretto il testo e siste­ mato la bibliografia. La sua competenza è stata decisiva per la realizzazione di que-

X

RINGRAZIAM ENTI

sto delicato lavoro. Infme, /ast but noi /east, ringrazio Frédéric Lacloche, di cui ammiro il talento di grafico; suoi sono l'adattamento e la realizzazione delle illu­ strazioni di questo libro.

I N TRO DUZ I O N E

I n principio era l'azione.

Johann Wolfgang Goethe, Faust

I narratori irlandesi cominciano sempre così: " lt was not in my time, not in your time, not in anybody's time" (Non accadde nel mio tempo, né nel vostro tempo, né nel tempo di alcuno) . La storia che sto per raccontare appartiene anch'essa a tutti i tempi, perché riguarda il più grande mistero di tutti i tempi: il cervello . Questo libro propone una riflessione sul funzionamento cerebrale fondata sul­ l'idea che il cervello serva a predire il futuro, ad anticipare le conseguenze dell'a­ zione (la propria o quella degli altri), a guadagnare tempo. A questo scopo, nel corso dell'evoluzione sono stati messi a punto diversi meccanismi biologici: l'archi­ tettura dello scheletro, le sottili proprietà dei recettori sensoriali o la meravigliosa complessità del sistema nervoso centrale. Questi meccanismi hanno dotato il cer­ vello di modelli interni del corpo e del mondo: non modelli qualsiasi, ma modelli che riflettono le grandi leggi della natura - I' Umwelt, secondo la definizione di von Uexkiill 1 - e consentono la sopravvivenza di ogni animale. Il cervello non è una macchina reattiva, è una macchina proattiva, che proietta sul mondo le proprie interrogazioni. Per diventare campioni di sci non è sufficiente elaborare continuamente le informazioni dei sensi e correggere la traiettoria; bisogna anticipare la discesa den­ tro di sé, prevedeme le tappe e lo stato dei recettori sensoriali, intravedere le solu­ zioni possibili per ogni errore, fare delle scommesse e prendere delle decisioni prima che il gesto sia compiuto. La nostra facoltà di comprendere è certamente limitata, ma possiamo tentare di spingerei più lontano possibile. Bisogna accettare la discussione. In un recente convegno sul tema " Cognizione e geometria" , che riuniva matematici, fisici, fisio­ logi e filosofi, un partecipante, filosofo, si è improvvisamente adombrato e ha

XII

I N TRODUZION E

esclamato con tono infastidito: "Non voglio sentire l'opinione del fisiologo, perché le cervella le trovo già dal mio macellaio, tutte sanguinolente ! ". Questa frase sareb­ be un'epigrafe perfetta per un'antologia del dualismo militante, in quanto mostra il cammino ancora da percorrere per riuscire a convincere anche i pensatori più emi­ nenti a considerare la cognizione come una proprietà che è frutto della meraviglio­ sa complessità del cervello. Penso che anche noi siamo in parte responsabili dei pregiudizi denunciati, per esempio, dal filosofo e matematico G. Chatelet quando scrive: " Nel suo cammino ordinario, la scienza sembra limitarsi ai gesti che assicurano il mantenimento del sapere, lasciando invece nell'oblio il patrimonio di coloro che il sapere lo abbrac­ ciano e lo moltiplicano. Sono costoro gli stessi che salvano la scienza dall'accumu­ lo e dalla stratificazione indefinita, dalla stupidità delle positività stabilite, dal conforto dei passaggi dell'operazionismo e, infine, dalla tentazione di chiudersi nei confini di una grammatica. Essi mostrano l'urgenza di un pensiero autentico del­ l'informazione e di un apprendimento sull'apprendimento. Ciò, certamente, sareb­ be lontano da una certa barbarie neuronale che si esaurisce nello svuotare il conte­ nitore del pensiero e nel confondere l'apprendimento con la semplice razzia di un bottino di informazioni. Schelling vedeva più chiaro: sapeva che il pensiero non era in ogni caso incapsulato nelle cervella, ma che poteva essere dappertutto . . . fuori ... nella rugiada del mattino" .2 Noi non riusciamo a essere convincenti perché non sappiamo descrivere la complessità del cervello. So che questa complessità può servire da alibi per non spiegare niente, e so anche che questo libro rischia di sembrare assai complicato. Ma rimango convinto che per far intravvedere i meccanismi di funzionamento del cervello si ricorre spesso a immagini troppo semplicistiche e soprattutto troppo statiche. Non è sufficiente dire che ci sono milioni di neuroni; colui che crede nel­ l'anima, per esempio, potrebbe concludere che questa complessità è necessaria­ mente gestita da un principio superiore. Dobbiamo mostrare il carattere dinamico, flessibile, adattabile dei meccanismi biologici. E la fisiologia sembrerebbe essere la disciplina a cui ciò compete, poiché nel proporre le sue spiegazioni essa assembla scoperte di anatomia e di biologia cellulare, modelli matematici e fisici, ed espe­ rienze di psicologia cognitiva. Le proprietà più raffinate del pensiero e della sensibilità umana sono costitui­ te da processi dinamici, da relazioni continuamente cangianti e adattive tra il cer­ vello , il corpo e l'ambiente. " Panta rei " , diceva Eraclito di Efeso: "Tutto scorre". Pensiero e sensibilità non sono altro che stati di attivazione cerebrale indotti da specifiche relazioni tra il mondo, il corpo, il cervello ormonale e neuronale e la sua memoria, che accumula millenni di acquisizioni culturali. La vera rabbia, o l'incredulità che quest'idea può suscitare, trova la sua origi­ ne nella nostra visione spesso troppo semplicistica di che cos'è realmente il cervel­ lo. Come Leonardo da Vinci, lo abbiamo immaginato formato da cavità, poi, come Cartesio, pieno di spiriti animali. Oggi sappiamo che è popolato da piccole creatu-

I NTRODUZI ONE

XIII

re chiamate "neuroni" , e tuttavia non siamo convinti che questi neuroni possano davvero essere la base di quelle sottili attitudini che producono una composizione musicale o il pensiero matematico. Quando, agli albori di questo secolo, apparve evidente che il cuore non è che una pompa ci si dovette adattare; non per questo i poeti hanno smesso di cantare l'amore ! Dobbiamo mostrare la complessità, ma dobbiamo spiegarla in termini sempli­ ci: ecco la sfida. Il lettore dovrà fare la sua parte. Cercherò di essere semplice, ma chi mi legge dovrà cercare la complessità e, quando imboccherò delle scorciatoie, riconoscere che ogni albero nasconde una foresta. n grande malinteso tra la fisica e la biologia è legato al fatto che la prima è capace di descrivere la realtà con delle formule semplici, mentre la seconda deve diffidarne e cercare piuttosto di costrui­ re una vera teoria della complessità dinamica. Perché, in questo contesto, fare un libro sul movimento? Innanzi tutto, perché penso che le facoltà cognitive più raffinate del cervello abbiano la loro origine in una doppia necessità. Le specie che hanno superato la prova dell'evoluzione natu­ rale sono quelle che hanno saputo guadagnare qualche millesimo di secondo nella cattura della preda e anticipare le azioni dei predatori, quelle insomma il cui cer­ vello ha potuto manipolare gli elementi dell'ambiente e scegliere il miglior tragitto per ritornare al proprio rifugio, memorizzando un gran numero di informazioni acquisite nel corso dell'esperienza passata, per poi utilizzarle al momento dell'azio­ ne. Le relazioni tra percezione e azione costituiscono un modello privilegiato per lo studio delle funzioni del sistema nervoso. Una delle loro grandi attrattive in rap­ porto al linguaggio è data dal fatto che esse si prestano allo stesso tempo all'analisi del comportamento umano o animale e all'esplorazione dei meccanismi neuronali che le sottendono, e questo nella ricca panoplia delle migliaia di specie che l'evolu­ pe ha prodotto. In effetti, il problema principale posto dal comando e dal controllo dei movi­ menti è quello dell'inerzia e delle forze considerevoli che a essi si oppongono nel­ l'acqua, nell'aria o sulla terra. Per sopravvivere, l'animale ha spesso una sola chan­ ce, un solo colpo da giocare, che impegna i muscoli e la massa corporea in movi­ mento. Per afferrare una preda che si muove a trentasei chilometri l'ora, ossia dieci metri ogni secondo, è necessario anticipare la sua posizione in meno di cento mil­ lesimi di secondo e dirigersi là dove essa sarà un istante dopo. Bisogna anche pre­ parare il gesto della cattura, preparare i muscoli a compensare il suo peso e a vin­ cerne la resistenza. Bisogna anticipare, indovinare, scommettere sul suo comporta­ mento, bisogna costruirsi una "teoria dello spirito" indovinando quali potrebbero essere i tentativi di fuga di questa preda in funzione del contesto. Si tratta dunque di processi estremamente rapidi, fondamentalmente dinamici, nel corso dei quali tutto si gioca in qualche decina di millesimi di secondo. Il cervello è prima di tutto yna macchina biologica con cui giocare d'anticipo. Torneremo, in seguito, su tutti questi aspetti. Essi sono stati trascurati da tutti coloro che hanno voluto studiare le funzioni cognitive privilegiando il linguaggio e

XN

INTRO D UZIONE

ragionamento. E, tuttavia, persino il poeta, custode del Verbo, ha riconosciuto l'importanza dell'azione. Così Faust, nella penna di Goethe, si interroga in questi termini sulla famosa frase " In principio era il verbo " : " Ma ecco che mi fermo, non posso attribuire tanto al verbo, devo tradurlo altrimenti, pur credendo nello spiri­ to. È scritto: in principio era il senso". Poi riprende: " Dovrebbe essere: in princi­ pio era la forza. Ma non basta ancora: in principio era l'azione" . Malgrado questo avvertimento di Faust - " all'inizio era l'azione" - è stata letta solo la prima riga dd poema di Goethe e si continua a credere che "in principio era il Verbo" . A causa di una fascinazione comprensibile, si è potuto credere in effetti, per vent'anni, che la comprensione del linguaggio, attributo specifico dell'uomo, avrebbe permesso di comprendere le funzioni cognitive. Questa credenza, rafforzata dalla potenza di alcuni gruppi di ricercatori della costa orientale degli Stati Uniti che hanno cerca­ to di imporre l'idea che il cervello fosse un computer, ha indotto a una concezione simbolica e computazionale del sistema nervoso. La scuola funzionalista americana e alcuni dei suoi adepti europei propongo­ no una psicologia cognitiva basata sul principio secondo cui si devono studiare le funzioni superiori del cervello senza riferimento alcuno alle basi neuronali che le sottendono. Che esse siano emergenti o dissociate, queste funzioni sono alla fme concepite come una sovrastruttura. Dobbiamo assicurarci che non si tratti di un'e­ strema tentazione dualista. Questo rischio era stato brillantemente denunciato da Kant: " Infatuato da una tale dimostrazione della potenza della ragione, l'impulso ad estendere la conoscen­ ze non vede più alcun limite. La lieve colomba, mentre nel suo facile volo fende l'aria, di cui sente la resistenza, potrebbe rappresentarsi di riuscire a ciò molto meglio ancora nello spazio privo di aria. Allo stesso modo, Platone abbandonò il mondo dei sensi, poiché questo pone delle barriere tanto ristrette all'intelletto, e si avventurò al di là di esso, sulle ali delle idee, nello spazio vuoto dell'intelletto puro. Egli non osservò, che mediante i suoi sforzi non acquistava affatto terreno, poiché non trovava alcuna resistenza che gli servisse per così dire di fondamento, su cui potesse appoggiarsi e a cui potesse applicare le sue forze, per mettere in moto l'in­ telletto. Nella speculazione, peraltro, è un destino consueto della ragione umana, il condurre a termine quanto prima è possibile il suo edificio, e l'indagare soltanto in seguito se anche il fondamento di questo è stabilito bene ".3 Platone aveva dimenti­ cato il corpo. Questo libro è un'apologia del corpo. n nostro percorso sarà il seguente. Faremo dapprima una lunga passeggiata nd paese dei sensi. Oltre ai cinque recettori compresi nella lista dei cinque sensi - vi­ sta, olfatto, udito, tatto e gusto - bisogna identificarne molti altri, nei muscoli, nelle articolazioni, nell'orecchio interno. Abbiamo infatti otto o nove sensi, non cinque. Ha ancora senso stabilirne la lista? Il cervello, infatti, non tratta le informazioni dei sensi indipendentemente le une dalle altre. Ogni volta che intraprende un'azione, fa delle ipotesi sullo stato che certi recettori dovranno assumere nel corso dd suo svolgimento. n campione il

I NTRODUZIONF

XV

di sci non può verificare sempre e continuamente lo stato di tutti i suoi recettori sensoriali; simula perciò mentalmente le fasi del suo tragitto sulla pista e solamen­ te di tanto in tanto, in modo intermittente, il suo cervello verifica se lo stato di certi recettori sensoriali è conforme alla sua previsione dell' angolazione delle ginocchia, della distanza dai paletti ecc. Chiameremo ciascun insieme di recettori "configurazione " , e diremo che il cervello verifica la configurazione dei recettori specificati nello stesso momento in cui il movimento è programmato. Questo ci porterà a studiare in particolare l'insieme dei recettori sensoriali che ci permettono di analizzare il movimento e lo spazio. Essi determinano quello che chiameremo "il senso del movimento " o cinestesia. Vedremo che questa è il risul­ tato della cooperazione di molte popolazioni recettoriali, ed esige che il cervello ricostruisca il movimento del corpo e dell'ambiente in maniera coerente; nel caso in cui questa coerenza fosse impossibile da realizzare, si produrranno dei disturbi per cenivi e motori, così come delle illusioni, che sono in effetti delle soluzioni escogitate dal cervello di fronte all'incongruenza tra le informazioni sensoriali e le loro rappresentazioni interne anticipate. Vedremo poi come il cervello può utilizzare la memona per prevedere le con­ seguenze dell'azione. Un esempio particolarmente interessante è quello della me m oria episodica e della memoria di lavoro. Si tratta di meccanismi che permet­ tono al cervello di conservare le tracce di avvenimenti recenti, che combinano dei segnali motori o sensoriali o che rappresentano la procedura necessaria per com­ piere un gesto o raggiungere uno scopo. Dopo questa passeggiata nel paese dei sensi e dei meccanismi della percezio­ ne, domanderò al lettore uno sforzo particolare per interessarsi insieme a me a un aspetto fondamentale delle relazioni tra percezione e azione: le proprietà meccani­ che delle masse corporee. In effetti, non si può comprendere nulla del funziona­ mento del cervello se non si sa che il suo problema principale è quello di mettere in movimento delle masse. Invece di parlare di "massa " , si può parlare di "mo­ mento di inerzia " , ossia di quelle forze considerevoli o complesse che compaiono quando una massa si muove, come le forze di Coriolis che sono create dai movi­ menti tridimensionali della testa quando in vari piani si combinano delle accelera­ zioni angolari. Il fisiologo russo Bemstein aveva posto l'attenzione sul fatto che, negli animali e nell'uomo, i vari segmenti corporei possiedono un gran numero di gradi di libertà, per cui la natura ha dovuto escogitare dei sistemi per semplificare il lavoro del cervello. Bisogna così studiare la geometria dei movimenti per indivi­ duare le soluzioni naturali trovate dal sistema nervoso. Vedremo che l'anatomia dello scheletro può essere spiegata all'interno di questo quadro, che un altro modo di semplificare la neurocomputazione consiste nel precablare delle sinergie motorie e, infine, che la geometria e la dinamica del movimento sono legate da relazioni cinematiche semplici. Poi, dopo aver esaminato questi aspetti della percezione e del movimento, analizzeremo qualche esempio concreto di organizzazione motoria a proposito

XVI

INTRO D UZIONE

della locomozione, del controllo dello sguardo e del controllo dell equil ibrio Vedremo come meccanismi neuronali e modelli interni permettono la previsione, e come può essere realizzata la preselezione dei messaggi sensoriali. In particolare, analizzeremo il ruolo fondamentale dell'inibizione sinaptica e del trattamento insieme parallelo e gerarchizzato delle informazioni. Vedremo come si può dimo­ strare che le stesse strutture vengono attivate durante l'esecuzione del movimento e durante la sua immaginazione e, in caso di lesione o di conflitto sensoriale, come il cervello può inventare delle soluzioni nuove per ristabilire una certa adattabilità funzionale. Insomma, presenteremo una teoria diversa da quelle che considerano il cervel­ lo come un semplice organo proanivo, o rappresentazionale. Proporremo di con­ cepire il cervello come un simulatore biologico che predice attingendo dalla memo­ ria e formulando delle ipotesi. I simulatori di volo non predicono, non inventano null a . n cervello ha bisogno di creare, è un simulatore inventivo che fa delle previ­ sioni sugli avvenimenti futuri. Funziona anche come un emulatore della realtà. Infine, chiuderemo con una diatriba contro gli architetti che hanno dimentica­ to il cervello per i loro nuovi idoli, la trama e la redditività, e che hanno abbando­ nato }"'esprit de finesse" per un "esprit de géométrie" dei più mediocri. Mi si permetta una notazione prima di sciogliere gli ormeggi. n nostro stru­ mento scientifico sarà la fisiologia. Essa è necessariamente multidisciplinare, per­ ché riguarda sia la struttura sia la funzione. Come diceva magnificamente Bergson, il cui seducente dualismo sarà più volte criticato in queste pagine, "Ovunque, quando si tratta della fisiologia, Claude Bemard attacca coloro che rifiutano di vedere in essa una scienza speciale, distinta dalla fisica e dalla chimica. Le qualità, o piuttosto la disposizione di spirito, che contraddistinguono il fisiologo non sono identiche a quelle che contraddistinguono il chimico o il fisico. Non è un fisiologo colui che non ha il senso dell'organizzazione, ossia di quella coordinazione specia­ le delle parti con il tutto che è caratteristica del fenomeno vitale. Claude Bemard difende la fisiologia sia contro quelli che reputano i fenomeni fisiologici troppo sfuggenti per consacrarsi alla sperimentazione, sia contro quelli che, pur giudican­ doli accessibili alle nostre esperienze, non distinguerebbero queste esperienze dalla fisica e dalla chimica. Ai primi risponde che la fisiologia è regolata da un determi­ nismo assoluto e che essa è, di conseguenza, una scienza rigorosa; agli altri, che la fisiologia ha le sue proprie leggi e i suoi propri metodi, e che essa è, quindi, una scienza indipendente " . 4 Un 'ultima precisazione per il lettore: non parleremo molto di emozione in questo libro, tranne che nel capitolo nel quale analizz�_r� bre'lem�me d ptoble._ ma della decisione riferendoci alla teoria di Damasio.l Tuttavia, non esiste perce­ zione dello spazio, del movimento; non esiste vertigine o perdita di equilibrio; non esiste carezza data o ricevuta, spontanea come forzata, o gesto di cattura o di pren­ sione che non si accompagni all'emozione o che non la susciti. Bisognerebbe però costruire una fisiologia delle relazioni tra movimento ed emozione, come suggeri'

.

I NTRODUZIONE

XVII

rebbe Ribot: "Ciò che chiamiamo stati 'piacevoli' o 'spiacevoli' non rappresenta che la parte superficiale della vita affettiva, il cui elemento profondo consiste nelle tendenze, negli appetiti, nei bisogni, nei desideri che si traducono in movimenti. La maggior parte dei trattati classici recita: 'La sensibilità è la facoltà di provare piacere e dolore'. Io direi, utilizzando la loro terminologia, che 'è la facoltà di ten­ dere, di desiderare e di provare successivamente piacere o dolore'. Il verbo 'tende­ re' non ha nulla di misterioso; esso designa un movimento o l'arresto di un movi­ mento allo stato nascente. Utilizzo dunque la parola 'tendenza' come sinonimo di bisogno, appetito, istinto, inclinazione, desiderio; è il termine generico di cui gli altri non rappresentano che le diverse accezioni; rispetto a questi altri, esso ha però il vantaggio di abbracciare a un tempo i due aspetti, fisiologico e psicologico, del fenomeno ". 5 Così, in questo testo mescoleremo delle considerazioni analitiche sui compo­ nenti della percezione e dell'azione e dei concetti sintetici presi a prestito dalla psi­ cologia sperimentale e cognitiva. Uno degli avvenimenti più importanti di questi ultimi dieci anni è stato l'avvicinamento della psicologia e delle neuroscienze, che ha permesso di rinnovare l'esame delle funzioni cerebrali seguendo dei paradigmi complessi.6 Proprio mentre alcuni fanno una battaglia di retroguardia per mante­ nere una dissociazione tra l'anima e il corpo, si instaura in maniera irreversibile una fruttuosa cooperazione tra psichiatri, neuropsicologi, filosofi, psicologi e neu­ robiologi. Spero che il mio modesto apporto possa contribuire all ' utilità di questa cooperazione. Mi si perdonino anche le citazioni di filosofi. Non si tratta né di strizzate d'occhio, né dello sfoggio di un falso sapere. Sostengo che noi tutti faccia­ mo delle ipotesi implicite; bene, questo è un modo, forse inappropriato ma che mi piace di esplicitarle. E il piacere non è forse lo stimolo che conduce a ogni cono­ scenza?

l LA PERCEZ I O N E

'

f: U N AZ I O N E S IMULATA

Le nostre sensazioni sono puramente passive, e nessuna delle nostre percezioni o idee nasce d4 un principio attivo che giudica. 1

Jean-Jacques Rousseau

La teoria motoria della percezione Una delle idee cardine su cui si basa questo libro è che la percezione non è sola­ mente un'interpretazione dei messaggi sensoriali: essa è condizionata dall 'azione, è una sua simulazione interna, è giudizio, scelta, è anticipazione delle conseguenze dell'azione. Quest'idea non è del tutto nuova, e in questa introduzione storica daremo uno sguardo alle teorie che in passato l'hanno anticipata. Non ho la prete­ sa di essere esaustivo, anche perché le teorie in materia abbondano, ma solamente di dare al lettore un assaggio di ciò che troverà più avanti. Una storia della teoria motoria della percezione è stata scritta recentemente da Viviani,2 il quale ricorda come essa sia stata molto in voga prima del 1 940. Uno dei primi tentativi moderni di dare un ruolo importante al movimento nella percezio­ ne fu quello di Lotze,3 che nel 1 852 affermò che l'organizzazione spaziale delle sensazioni visive è il risultato della loro integrazione con informazioni di origine muscolare. L'idea che le istruzioni che costituiscono il comando motorio siano uti­ lizzate dal cervello per conoscere il movimento fu avanzata da Helmholtz,4 che attribuiva al controllo motorio la capacità di confrontare le sensazioni con delle previsioni fondate sul comando motorio stesso. Anche William James' descrisse nel 1890 un circuito neuronale che anticipa le conseguenze sensoriali del movi­ mento (vedi Figura 1 . 1 ) . Una maniera banale di concepire la percezione dei movi­ menti, sottolineava, consiste nel supporre che una cellula sensoriale S, una volta eccitata, attivi un neurone motorio M, che a sua volta, induce la contrazione di un

2

CAPITO I .O UNO

muscolo M. Una cellula cinestesica K misura il movimento e modifica l'eccitabilità del neurone moto rio M. J ames immaginò anche un circuito addizionale: un ramo collaterale dell'assone della cellula 5 viene ad attivare la cellula cinestesica K con­ temporaneamente al neurone motorio M. K sarà dunque attivata prima ancora di ricevere informazioni sul movimento del muscolo. Questo permette di anticipare le conseguenze del movimento.

p

. ___ _ __ ...·

··

/

"idea"

flGURA 1.1

Il neurone d'idea di William James (vedi testo) .

In Francia, Janet sostenne delle idee molto vicine a quelle dei pionieri della teoria motoria della percezione. Egli stabilì una gerarchia di atti, secondo la quale i più elementari sono gli atti riflessi, seguiti dagli atti " percettivi, sociali, intellet­ tuali elementari, verbali, assertivi, frutto di riflessione, razionali, sperimentali, pro­ gressivi" .6 Scrisse che "l'atto riflesso è un'azione esplosiva, diversamente dagli atti sospensivi che caratterizzano i comportamenti percettivi " .1 In altre parole, la per­ cezione è un'azione frenata. Ma, soprattutto, essa è relativa a un'azione orientata a uno scopo. " In tutte queste azioni percettive, il punto di partenza è determinato da un oggetto complesso, come la preda o la tana nel caso di un animale, e l'atto con­ duce a un utilizzo di questo oggetto e alla sua trasformazione: vi è un adattamento a degli oggetti e non semplicemente a degli stimoli superficiali ".8 Ma Janet si è spinto più lontano e ha suggerito che l'atto percettivo sia predittivo: "L'atto che è provocato dallo stimolo iniziale non si adatta solamente a questo stimolo, ma a tutti gli altri stimoli che l'oggetto provocherà successivamente; esso si adatta dun­ que a degli stimoli che ancora non esistono, ma che si produrranno più tardi grazie all'azione stessa. Questo adattamento a un insieme di stimoli futuri puramente possibili caratterizza i comportamenti percettivi " .9 Bisogna dunque cancellare la distinzione tra percezione e azione. LA percezio­ ne è un 'azione simulata. L'ultimo esempio che prenderò in prestito da Janet illustra questo punto in una maniera che è molto vicina alla mia stessa interpretazione: "Quando noi per­ cepiamo un oggetto, per esempio una poltrona, pensiamo di non compiere in quel momento nessuna azione, per il solo fatto che percependolo restiamo in piedi,

LA

PERCEZIONE� UN ' AZIONE SIMULATA

}

immobili. Tuttavia, questa è un'illusione: in realtà abbiamo già dentro di noi l'atto caratteristico della poltrona, quello che abbiamo chiamato uno schema percettivo e che in questo caso è l'atto di sederci in un dato modo su questa poltrona" . 1 0 Merleau-Ponty diceva meravigliosamente: "La visione è una palpazione attra­ verso lo sguardo " . Il Le ricerche sui fondamenti fisiologici della relazione tra percezione e azione sono però rimaste limitate fino a poco tempo fa. Viviani attribuisce l'eclissi, a par­ tire dal 1940, della teoria motoria della percezione all'apparire della neurofisiolo­ gia analitica di Sherrington, all'influenza della teoria della forma e anche al cogni­ tivismo di Piaget. La separazione tra le discipline che dovrebbero invece far convergere i loro sforzi, come la biomeccanica, la psicologia sperimentale e cognitiva, la psicofisica, la neurobiologia funzionale e altre ancora, ha costituito per lungo tempo un ulte­ riore ostacolo che le scienze cognitive odierne tentano di superare. A panire dal 1950, si è assistito a una rinascita di questa corrente teorica. È bene ricordare i lavori di Lashley, di Gibson, della scuola di Teuber e, più panicolarmente, di Held e di Hein sul ruolo dell'azione (e non solamente dell'attività) nello sviluppo del sistema visivo. In Scandinavia, quelli dello psicologo Johansson e, in Francia, quel­ li di Fessard, di Piéron - che sosteneva anch'egli che la percezione è la conoscenza di oggetti e awenimenti esterni che hanno dato origine a delle sensazioni - e dei gruppi di Imben e di Jeannerod negli anni Settanta, che hanno fatto importanti scopette sullo sviluppo e il funzionamento del sistema visivo e sulle sue relazioni con il sistema vestibolare, con il controllo dei movimenti oculari e con la pastura. Presenterò ora alcuni dei precursori le cui idee hanno apetto le vie nuove che stiamo per imboccare.

D concetto di accettore d'azione precursore quasi sconosciuto in Occidente, che elaborò concetti fecondi, fu il russo Anokhin. 12 Ai suoi tempi, il pensiero dominante era quello di Pavlov, le cui teorie ed esperienze sui riflessi condizionati hanno segnato profondamente il nostro secolo. Anokhin trovò la defmizione pavloviana di riflesso troppo limitata; critico anche nei confronti delle idee di Cattesio, affermò che " come dualista, Cattesio ha lasciato la questione della pettinenza della reazione riflessa al cervello superiore, e ha così influenzato per molti anni il destino degli studi sulle azioni adattative com­ plesse dell'animale e dell'uomo". Anokhin introdusse in patticolare l'idea assoluta­ mente fondamentale che l'esito dell'eccitazione di un arco riflesso sia un atto rifles­ so. Malgrado questa tesi già da tempo formulata, i fisiologi occidentali hanno igno­ rato i fisiologi russi per cinquant'anni, salvo saccheggiare le loro idee senza citarli, mentre il totale isolamento dei nostri colleghi nascondeva questi funi intellettuali. I fisiologi occidentali hanno usato la parola " risposta" per designare l'effetto della stiUn

4

CAPITO LO UNO

molazione di un arco riflesso, quando la letteratura sovietica insisteva, e tuttora insi­ ste, sul concetto di atto. La differenza fondamentale è che, se si ammette che ogni riflesso è un atto completo, la sua realizzazione presuppone l'intervento di tutto l'organismo e di conseguenza delle sue facoltà inventive, creative e di adattamento. Anokhin non fornisce delle prove sperimentali, ma formula una teoria detta "dell'accettore d'azione" che merita qualche considerazione. Egli pane dal seguen­ te interrogativo: se il prodotto dell'attività riflessa è un atto, la produzione di que­ st' atto non deve essere, in un modo o nell'altro, sanzionata da una specifica confi­ gurazione di informazioni sensoriali afferenti, e l'effettuazione dell'atto non deve dunque essere confrontata con la configurazione predetta? "Supponiamo di voler prendere una tazza da un tavolo ingombro di stoviglie ma che, quando stiamo per afferrarla, veniamo distratti e prendiamo al suo posto un boccale. Come tutti sap­ piamo in base alla nostra esperienza personale, di solito correggiamo immediata­ mente un errore del genere. Su quali basi fisiologiche abbiamo riconosciuto il nostro errore e lo abbiamo corretto? L'aspetto del boccale e la prensione della sua impugnatura, come l'aspetto della tazza e la prensione della sua ansa, non sono che un aggregato di segnali afferenti che differiscono soltanto per alcune delle loro componenti. Perché allora abbiamo preferito che fosse proprio l'ultima configura­ zione di afferenze a sancire il nostro atto?" Secondo Anokhin , il nostro gesto ha potuto soddisfarsi del boccale perché l'insieme dei segnali sensoriali che costituivano la sua presa corrispondeva a una configurazione predetta, attesa, specificata prima di accennare il gesto. I matemati­ ci direbbero che gli insiemi di afferenze propri della tazza e del boccale conteneva­ no una "intersezione" sufficiente per essere ammessa dall'accettore d'azione di Anokhin . Quest'ultimo prosegue dicendo che " questo complesso di segnali eccita­ tori già pronto, prima che abbia inizio il movimento, deve rappresentare in qual­ che modo un 'sistema di controllo' in grado di determinare fino a che punto una data configurazione di afferenze in arrivo al sistema nervoso centrale corrisponde alle aspettative" . Egli elaborò dunque un concetto equivalente a quello che ora chiamiamo un "modello interno" di un insieme di elementi preselezionati, e si guardò bene dal­ l'usare il termine " rappresentazione" . Ricordò il fatto che Pavlov aveva notato in passato che la composizione chimica della saliva di un cane ben nutrito corrispon­ deva esattamente alla qualità degli alimenti utilizzati per la sua cura e, dunque, al carattere dell'azione di salivazione. Si mise allora alla ricerca delle basi neurali di questo concetto. Con il termine "accettore d'azione" designò un sistema conicale specializzato nell'analisi delle afferenze complesse Oe informazioni sensoriali) , che sono il risultato dell'azione riflessa. Questo analizzatore determina la corrispondenza tra le afferenze in arrivo e l'azione che era stata preparata, sulla base dell'esperienza passata dell'animale. Fece notare che avrebbe potuto chiamare questo apparato " accettore dei risultati afferenti di un atto riflesso compiuto" e precisò che aveva scelto il termine "accet-

LA PERCEZIONE � UN ' AZIONE SIMULATA

5

tore" dal latino acceptare, perché esso si riferisce insieme sia all ' accettazione sia all ' approvazione. Anokhin inserì immediatamente questo accettore nello schema del processo decisionale. Per esempio, " se una persona che è seduta in salotto decide per qualche ragione di andare in sala da pranzo, nel momento preciso della sua decisione l'insieme delle afferenze relative a tutti gli stimoli che ha ricevuto nella sala da pranzo in passato (accettore d'azione) è riprodotto nella sua corteccia cerebrale". Se, dopo il suo ingresso nella sala da pranzo, i segnali coincidono per­ fettamente con ciò che l'accettore d'azione aveva previsto, la persona passa al suc­ cessivo elemento del comportamento che aveva pianificato. Ma se l'accettore d'a­ zione scopre un errore, cioè un'incongruenza in rapporto alla sua previsione, il cervello produce una reazione di orientamento nel senso della letteratura sovietica, ossia reagisce iniziando ad analizzare gli elementi nuovi.

D comparatore di Bemstein Un altro maestro della fisiologia moderna, che come vedremo nel corso di questo libro influenza ancora profondamente la nostra generazione, è il fisiologo russo Bernstein. Perseguitato a causa delle sue idee troppo originali ai tempi dell'egemo­ nia della corrente che faceva capo a Pavlov, egli si occupò del movimento naturale e ne inferi alcune regole generali di funzionamento del cervello. 1 3 Per sfuggire a un'ingenua descrizione lineare della regolazione e della coordinazione del movi­ mento come successione di fasi - previsione, preparazione, esecuzione e controllo - egli propose uno schema circolare (vedi Figura 1 .2 ) introducendo il concetto di ciclo azione-percezione, il cui elemento fondamentale è un comparatore che stabi­ lisce il "valore richiesto" . Questo valore richiesto assolve a d almeno tre funzioni diverse, ugualmente importanti. Innanzitutto, esso dà la misura dello scarto tra il movimento realizzato e il movimento previsto, così da indurre una correzione (punto di vista ciberneti­ co) . Secondariamente, permette di riconoscere che un atto è stato compiuto, cosa che rende possibile il passaggio all'atto successivo della sequenza. "Questo aspetto del processo " scrive Bernstein " assomiglia molto da vicino al fenomeno che Anokhin ha definito con il termine di afferentazione sanzionante" . I n terzo luogo, svolge una funzione d i adattamento. I n effetti, di fronte all'im­ previsto con cui ogni azione si scontra, è impossibile, o non pertinente, che gli impulsi correttivi ristabiliscano il piano d'azione iniziale. In questo caso, il recetto­ re di informazioni agisce non come un regolatore, ma come un elemento che rende possibili i cambiamenti adattativi del programma in corso di esecuzione, utilizzan­ do piccole modificazioni tecniche del movimento, oppure una traiettoria adiacen­ te, fino a una riorganizzazione completa del programma, con cambiamento della nomenclatura degli elementi consecutivi e della sequenza stessa dell'atto motorio, il che rappresenta l'adozione di un nuovo approccio tattico al compito motorio.

6

CAPITO LO UNO

punto di 14voro

FIGURA 1.1 Schema dell'organizzazione cerebrale del controllo del movimento proposto da Bernstein (vedi testo).

Penso che le funzioni cognitive più elevate siano dovute a una spinta dell'evo­ luzione verso lo sviluppo di questa capacità di riorganizzare l'azione in funzione di eventi imprevisti. Ciò esige lo sviluppo della memoria del passato e delle facoltà di previsione e di simulazione del futuro, e la metafacoltà, in qualche modo, di saper­ le mobilitare rapidamente, dal momento che esse devono integrarsi in un ciclo per­ cezione-azione che dura talvolta un decimo o un ventesimo di secondo. Questi processi di correzione dipendono fortemente, per Bernstein, da quello che lui chiama il "comparatore ". Quest'ultimo occuperebbe una posizione strate­ gica tra le informazioni fornite dai recettori e gli elementi destinati a effettuare le

LA PERCEZIONE � UN ' AZIONE SIMU LATA

7

correzioni o le riorganizzazioni necessarie; non funziona tra due ricezioni successi­ ve o simultanee per paragonare due eventi distinti, ma tra la ricezione corren te

,

continua, e una guida interna. Una proprietà importante è la sua capacità di riconoscere le variazioni a carico delle informazioni sensoriali grazie all ' utilizzo da parte del sistema nervoso centra­ le delle " tracce fresche" . Bernstein precisa che è importante chiarire il fatto che nei nostri organismi non c'è uno strumento di ricezione capace di percepire diretta­ mente la velocità. Questo compito è svolto nel sistema nervoso centrale dal com­ paratore, che confronta le informazioni relative alle posizioni istantanee dell'orga­ no in movimento con la traccia fresca della sua posizione di circa 0 , 1 secondi prima. Il cervello conoscerebbe così due posizioni con un certo intervallo di tempo tra loro e potrebbe dunque facilmente ricostruire una velocità, dal momento che questa consiste in uno spostamento (la differenza tra le due posizioni) diviso per un tempo. Bernstein ha capito chiaramente come il controllo del movimento non sia con­ tinuo, ma discreto, in ragione del modo di funzionare del comparatore. Si è basato su alcuni lavori della sua epoca che hanno messo in relazione le azioni motorie con la frequenza compresa tra 8 e 14 cicli/secondo del ritmo a dell'elettroencefalo­ gramma; 14 questa frequenza equivarrebbe almeno in parte alla manifestazione delle oscillazioni ritmiche dell'eccitabilità dei principali elementi del circuito rifles­ so del nostro apparato motorio. Considerava gli intervalli tra i singoli cicli del ritmo a come gli elementi di un orologio fisiologico interno chiamato pacemaker. Questa visione può essere definita addirittura profetica, dal momento che bisognerà attendere gli anni Novanta perché Llinas suggerisca che il movimento è sotteso da un'attività neuronale a 10 Hz ( dieci oscillazioni per secondo) . 1 5 Questa questione è ancora aperta: nei muscoli del collo del gatto, durante lo stato di veglia vigile, è possibile osservare dei cicli di sincronizzazione a 10 Hz. Il movimento è dunque forse sotteso da oscillatori accoppiati funzionanti ( come aveva intuito Bernstein ) a una frequenza di circa 10 Hz. Anche i lavori di Sokolov 16 e della sua scuola russa sull'ippocampo, quelli di Rougeul Buser a Parigi e quelli degli specia­ listi dell'olfatto o del sonno hanno mostrato l'importanza di questi ritmi centrali nelle varie attività della veglia vigile o nell'organizzazione dei movimentiY Sembra attualmente chiaro che molti processi oscillanti, le cui frequenze rientrano nelle gamme di 8- 12 Hz, 16 Hz, 40 Hz, o in quelle da 70 a 90 Hz e in altre ancora, sot­ tendono le operazioni interne della percezione e del movimento. Llinas ha riassun­ to il suo pensiero dicendo che "si pensa a 40 Hz e ci si muove a 10 Hz" , volendo affermare con questa breve formula che il tempo elementare di trattamento dei dati mentali è dell'ordine di 25 millisecondi e quello necessario per un'operazione elementare di controllo del movimento è di circa 100 millisecondi. Egli ha avanza­ to una teoria che spiega come il cervello utilizzi dei circuiti interni con quaranta oscillazioni al secondo (40 Hz) per elaborare una percezione multisensoriale e assi­ curarne la coerenza (vedi Figura 1 .3 ) .

8

CAPITOLO UNO

Bemstein completa la sua analisi della microfunzione del ciclo percezione-azio­ ne con delle considerazioni più generali sul ruolo dell'anticipazione; egli osserva infatti che un gran numero di movimenti esige un'anticipazione o un ' estrapolazio­ ne fondata su una stima che utilizza una " traccia fresca del passato". Esamineremo in questo libro numerosi esempi di tali memorie neuronali, all'interno delle singole cellule o di reti neurali complesse che conservano per un certo tempo gli elementi A tinto

l

B

[ +

TALAMO nuc:lro Jp«ilìco

nucleo inualamtnan: asp E al livello dei recettori muscolari e articolari che le misure di angolo, di lunghezza e di forza vengono dissociate. Nel caso del sistema vestibolare, la dissociazione tra rot azione e traslazione avviene al livello dei recettori stessi. Successivamente i primi relais centrali effettuano un filtraggio per separare i movimenti inerziali della testa e le sue inclinazioni statiche, come abbiamo visto prima in relazione alla fun. .

zione degli otoliti e alle ambiguità percettive. Si sa che una dissociazione si produ-

34

CAPITOLO DUE

ce assai precocemente anche nel sistema visivo (vedi Figura 3 . 1 ) . Per esempio, già a livello delle prime stazioni sensoriali - il corpo genicolato laterale - si produce una separazione molto netta tra una via detta " dei neuroni degl i strati magnocellu­ lari " - i cui neuroni sono insensibili al colore, sensibili al movimento, con una forte sensibilità al contrasto e una debole capacità di distinguere gli elementi visivi vici­ ni tra loro (bassa risoluzione spaziale ) , ossia predisposti a t rasmettere delle infor­ mazioni di movimento - e un 'altra via , detta " dei neuroni degli strati parvicellula­ ri" che sono sensibili al colore, lenti nelle reazioni , con una sensibilità debole al contrasto e un 'alta risoluzione spaziale. Questa separazione è ulteriorm ente affina­ ta al livello successivo, quello della corteccia visiva primaria. Le informazioni visive arrivano agli strati profondi, diversi per il movimento e per il colore , e vengono trasmesse agli strati superficiali dove si trovano degli aggregati di neuroni sensibili alla forma e al colore, mentre le informazioni relative al movimento sono trasmesse al relais corticale seguente nel lobo medio- tem porale ( MT) chiamato anche V5 . Questa separazione è mantenuta sotto differenti forme nelle aree visive V2 , V3 , V4 , l' ultima delle quali per esem pio è specializzata nel trattamento del colore. Vedremo più avanti che le inform azioni sul movimento visivo imboccano anche un ' altra via , detta " via ottica accessoria " , nella quale la separazione geometrica avviene molto precocemente. Tutto accade come se i sensi fossero degli organi specializzati nella misura delle variabili che hanno un peso per la sopravvivenza di ogni specie, e come se la natura avesse messo i:1 punto dei meccanismi molto periferici per effettuare una selezione di queste variabili e dissociarle. Disponendo di queste informazioni, il cervello le ricompone in messaggi più complessi, e le codifica per adattarle alle diverse operazioni centrali necessarie alla percezione e all' azione. Gibson aveva insistito sull ' idea che i sensi fossero degli " an alizzatori " che non si accontentano di misurare le grandezze fisiche suscettibili di stimolare le loro terminazioni , ma che integrano in qualche modo nel loro funzionamento gli elementi della natura rilevanti per il repertorio di azioni tipico di ogni specie animale. La segregazione a uno stadio iniziale delle informazioni sensoriali a opera degli organi di senso e le modalità di funzionamento delle p rime reti neuronali di analisi rafforza quest 'ipo­ tesi e suggerisce anche che la trasduzione delle grandezze fisiche ( luce, suono, pressione ecc . ) risponda a domande preesistenti che il sistema nervoso pone al mondo.

Le funzioni del sistema vestibolare La stabilizzazione posturale .

Il sistema vestibolare assic'ura la stabilità della postura. In effetti, se noi inciampia­ mo in una radice, la nostra testa accelera, i canali semicircolari e gli organ i otolitici

IL SENSO D E I. MOVIMENTO: UN S ESTO SENSO?

35

vengono attivati e stimolano delle vie nervose dette " vestibolo-spinali " , le quali provocano delle reazioni di riaggiustamento posturale: raddrizzamento della testa e del corpo completato da riflessi propriocettivi i cui recettori si trovano nel collo. Non descriverò questa funzione, conosciuta dall'epoca dei lavori di Magnus28 e di Rademaker,29 risalenti all'inizio del secolo, e studiata poi dalla scuola neurofisiolo­ gica italiana negli anni Cinquanta, e da Roberts a Edimburgo. Insisterò però sulle capacità anticipatrici di questi riflessi. La potenza anticipatrice dei recettori vesti­ boiari viene dal fatto che essi misurano l'accelerazione. L 'accelerazione è massima all ' inizio della caduta o della perdita di equilibrio. I riflessi di raddrizzamento sono dunque molto rapidi , dal momento che vengono attivati appena la perturbazione comincia. La congiunzione della scarica dei recettori tattili sensibili a variazioni di pressione, dei fusi neuromuscolari sensibili alla velocità di stiramento del muscolo e dei recettori vestibolari, sensibili all 'accelerazione dà fin da subito al sistema ner­ voso delle informazioni sulla natura della perdita di equilibrio. Il risultato è una contrazione muscolare che raddrizza il corpo, e la prontezza della ripresa pastura­ le è accresciuta ulteriormente dal fatto che il cervello dispone di un repertorio già pronto di reazioni posturali possibili. Queste reazioni stereotipate sono provocate da configurazioni particolari di segnali sensoriali capaci di attivare quelle che noi chiameremo " sinergie " (vedi Capitolo 7 ) . I recettori vestibolari servono anche a scatenare delle reazioni e non solo a percepire. La loro informazione è un segno e non solamente un segnale .

La stabilizzazione dello sguardo La stabilizzazione percettiva è la seconda grande funzione vestibolare. In effetti, se il mondo ci appare fermo quando noi ci spostiamo lo dobbiamo innanzi tutto a una serie di riflessi di origine vestibolare che stabilizzano la sua immagine sulla retin a. Essi collegano i recettori vestibolari ai muscoli dell'occh io. L'anatomia delle connessioni neuronali è tale che un movimento della testa in una direzione provoca uno spostamento dell'occhio nell'altra, e il risultato è la soppressione o la dim inuzione dello scivolamento delle immagini sulla retina (scivolamento o " slip " retin ico ) . Potete sperimentarlo voi stessi in maniera molto semplice: basta che guardiate un punto sul muro davanti a voi. Chiudete gli occhi, girate la testa immaginando il punto sul muro e aprite di nuovo gli occhi. Constaterete che il vostro sguardo è rimasto ancorato al punto che avete memorizzato. Il vostro occhio ha eseguito un movimento contrario al movimento della testa , della stessa ampiezza. Esso è di ori­ gine vestibolare ed è prodotto, nel piano o rizzontale, dai canali semicircolari. Ma come sapere, direte voi, se esso non è dovuto ai recettori muscolari del collo che hanno misurato i movimenti della testa? Bravi ! Siete dei fisiologi attenti. Per avere la risposta basta sedervi su una sedia a rotelle e chiedere a qualcuno di aiutarvi a

36

CAPITOLO DUE

ripetere l'esperimento facendovi girare. Questa volta, durante la rotazione nel buio, solo i canali semicircolari percepiscono la rotazione (i recettori tattili non bastano a misurare un angolo di rotazione). Bene, potrete constatare che il vostro sguardo resta fisso sullo stesso punto del muro. Ma, direte allora voi, come sapere che si tratta di un riflesso? Dal momento che faccio intervenire la memoria di un bersaglio sul muro, è molto verosimile che io faccia intervenire anche la mia corteccia cerebrale e le strutture implicate nella memoria spaziale. Bravi ! Di nuovo avete viste. giusto. In effetti, il riflesso vestibulo­ oculare non ha nulla del riflesso semplice; la sua ampiezza è infatti regolata dalla corteccia, e vedremo più avanti, nel Capitolo 3 , che le informazioni vestibolari ven­ gono trasmesse alla corteccia e che le zone che le ricevono proiettano a loro volta ai nuclei vestibolari. Verso il 1930, Lorente de N610 scoprì, nel tronco cerebrale, una rete di neu­ roni che legava i canali semicircolari e i muscoli degli occhi. Avanzò l'idea che il riflesso fosse sotteso da un arco a tre neuroni (vedi Figura 2.4 ) : un neurone peri­ ferico che collega i canali semicircolari ai nuclei vestibolari del tronco cerebrale, un neurone intermedio, chiamato "neurone vestibolare secondario" , il cui corpo cellulare è localizzato nel nucleo vestibolare e che proietta al nucleo motore del VI nervo cranico chiamato "abducens " , e infine un neurone che provoca la con­ trazione dei muscoli dell 'occhio (motoneurone) . Una seconda via del riflesso comporta un meccanismo di generazione della fase rapida sotto forma di una cascata di neuroni situati nella formazione reticolare. Szentagothai stabilì,l 1 intor­ no al l 954, la sottile corrispondenza tra ciascun canale e ciascuna delle tre coppie di muscoli oculari. Lo schema essenziale della struttura del riflesso era così stato ricostruito. La messa a punto da parte di Eccles dei metodi di registrazione intracellulare ci ha permesso di comprendere l'organizzazione sinaptica del riflesso12 in esame. La sua organizzazione si è rivelata essere a un tempo molto semplice e molto sofi­ sticata. Esso è sotteso da una doppia rete di sinapsi eccitatorie e inibitoria che assicura un funzionamento molto rigido di tipo "o spingi o tira " . Inoltre, alcune vie indirette trasformano i segnali di movimento e producono il nistagmo vestibo­ lare. Infine, i circuiti che passano per il cervelletto esercitano sul riflesso un con­ trollo inibitore di tipo proattivo ( feedforward). La scoperta che io feci, assieme a Baker ,33 del ruolo del nucleo prepositus hypoglossi come stazione reti colare sup­ plementare delle vie di controllo complica ancora l'organizzazione di questo riflesso che è dunque composto da una serie di vie parall ele interagenti le una con le altre. Non è in ogni caso questa la sede per descrivere questo complesso mec­ canismo. È p recisamente nel momento in cui la complessità dell'organizzazione neu­ ronale avrebbe potuto costringere gli elettrofisiologi a dibattersi in una marea di dettagli, che la teoria dei sistemi fornì alcuni utili concetti semplificatori.

IL SENSO DEL MOVIM ENTO : UN S ESTO S ENSO ?

37

FIGURA 2.4 Il riflesso di origine vestibolare permette di stabiliuare le immagini sulla retina durante i movimenti della testa.

Si definisce " riflesso vestibulo-oculare " la rete di neuroni che congiunge i recettori vestibolari ai musco­ li degli occhi. Essa è costituita da tre neuroni: a) un neurone sensoriale detto "vestibolare primario" che collega i recettori con i nuclei vestibolari; b) un neurone vestibolare "secondario " che lega i nuclei vestibolari e i motoneuroni; c) i motoneuroni che attivano la contrazione dei muscoli degli occhi. Sono raffigurati i tre canali semicircolari che individuano le accelerazioni angolari della testa in tre piani perpendicolari . Se la testa ruota verso destra il canale orizzontale attiva il neurone vestibolare seconda­ rio che incrocia e provocherà la contrazione del muscolo retto esterno dell'occhio sinistro causando un movimento dell 'occhio verso sinistra. TI neurone vestibolare che non incrocia provoca l'inibizione del muscolo retto esterno dell'occhio destro. Questo neurone è inibitore. Provocherà dunque il rilascia­ mento di questo muscolo e permetterà che anche l'occhio destro ruoti verso sinistra (grazie a un'altra rete di neuron i ) . I due occhi ruotano dunque contemporaneamente verso sinistra. Lo sguardo sarà dun­ que stabilizzato e l'immagine del mondo resterà fissa sulla retina. Le informazioni vestibolari sono inviate anche al cervelletto attraverso i neuroni di Purkinje, neuroni inibitori che esercitano un 'azione di coordinamento e di modulazione sul riflesso (in nero). Nel caso delle rotazioni, la pane del cervelletto che entra in gioco è il flocculo.

38

CAPITOLO DUE

Il concetto di integratore neuronale n funzionamento del riflesso vestibulo-oculare contiene un paradosso interessante da analizzare per capire come il sistema nervoso giunga a padroneggiare rapidità e precisione insieme. Come abbiamo visto, i recettori vestibolari sono degli accele ­ rometri (misurano cioè gradi per secondo per secondo) che individuano i movi ­ menti in maniera molto rapida dal momento che alcune cellule sensoriali vestibo ­ lari sono sensibili anche alla " scossa " che è la derivata dell'accelerazione. Ma il comando che sposta l'occhio nell'orbita deve produrre una rotazione, espressa in gradi d ' angolo ; il cervello ha dunque a disposizione un 'in formazione dinamica, precoce, ma, per controllare la posizione dell 'occhio in rapporto all' ambiente deve trasformarla ritardandola: si dice che essa deve essere sottoposta a un filtraggio passa-basso o a un' integrazione. Un p rimo filtraggio , noi diremmo " una p rima integrazione " ( passaggio dall 'accelerazione alla velocità) si realizza a livello degli stessi recettori. Essi sono infatti dotati di proprietà visco-elastiche che ritardano i segnali in maniera variabile secon do la rapidità del movimento. Ma per passare dalla velocità alla posizione è necessario che nel cervello abbia luogo una seconda integrazione. Una parte dell 'in tegrazione è certamente realizzata a livello dei nuclei vestibo­ lari, perché a questo livello la reazione alla rotazione è ritardata. Se invece di utiliz­ zare una stimolazione sinusoidale si esegue una breve rotazione della testa, le fibre dei recettori vestibolari rispondono molto rapidamente e la loro reazione diminui­ sce spontaneamente in dieci o dodici secondi circa , quando la testa si ferma. I neu­ roni dei nuclei vestibolari invece smettono di scaricare solo dopo circa venti o ven­ ticinque secon di. Potete avverti re questo effetto girando molto rapidamente la testa, a occhi chiusi, e concentrandovi sull'impressione di rotazione che segue: durerà una ventina di secondi. Un' integrazione supplementare interviene anche tra i nuclei vestibola ri e il movimento degli occhi. La ricerca di quest'in tegratore neuronale centrale ha affascinato molto i fisio­ logi. Precisiamo, per evitare confusion i, che non si tratta del concetto di integra­ zione utilizzato da Sherrington , che si riferiva a una combinazione complessa di vari segnali volta a " integrare i loro messaggi " . In questo caso il riferimento è all ' accezione matematica del termine, che designa il passaggio da una grandezza al suo integrale , o, in altre parole, da una accelerazione a una velocità o da una velo­ cità a una posizione. La teoria dei sistemi asserviti, nata principalmen te durante la guerra per controllare i radar e sviluppata poi durante gli anni Cinquanta, è stata molto utile per esprimere queste trasformazioni din amiche in termini quantitativi. Gli ingegneri utilizzano dei concetti presi a prestito dall' analisi dei sistemi asserviti per descrivere queste trasformazioni dinamiche. Per spiegare questa integrazione sono stati proposti almeno quattro meccani­ smi. Lorente de No fu il primo a suggerire che fosse sufficiente rimandare la scari­ ca di un neurone sul neurone stesso attraverso un circuito detto di " re-eccitazione"

IL SENSO DEL MOVIMENTO: UN S ESTO SENSO?

39

0 " eccitazione ricorrente" per mantenere l'attività e produrre un 'integrazione. Lo

stesso effetto potrebbe essere prodotto da un circuito lungo che facesse interveni­ re altre popolazioni di neuroni. Si è anche ipotizzato l'intervento di meccanismi inibitori ( inibizione laterale) . Infine, una cascata di integrazioni parziali successive in un nu cleo vicino ai nuclei vestibolari, il nucleo prepositus hypoglossi, potrebbe portare al passaggio da una velocità a un segnale di posizione. n dibattito

è ancora

aperto benché Baker e i suoi colleghi abbiano identificato nei pesci delle zone pre­ cise del tronco cerebrale dove senza dubbio sono localizzate queste reti di neuroni

che assicurano l 'integrazione. È anche possibile che quest'ultima sia dovuta alle proprietà cosiddette " intrinseche" degli stessi neuroni. Per esempio si sa che alcu­ ni neuroni possono rispondere a una eccitazione breve e sincrona con una scarica continua. Questo meccanismo fa intervenire dei canali ionici della membrana del neurone la cui apertura dipende dalla concentrazione degli ioni calcio. Il futuro dirà qual è il meccanismo. Per rispondere a questa domanda occorrono dei nuovi metodi che sono ora in via di sviluppo e che permetteranno di manipolare le pro­ p rietà delle membrane in un cervello intatto.

Il problema della geometria: il cervello è un tensore? Come il cervello affronta il problema della geometria? Il controllo di un riflesso tanto semplice quale il riflesso vestibulo -oculare non serve solamente a risolvere problemi di relazione tra accelerazione, velocità e posizione, ossia problemi di dinamica ; bisogna anche che i sei muscoli dell'occhio e i trenta muscoli della testa, orientati in direzioni molto diverse, siano controllati dai tre canali semicircolari e dagli otoliti che si t rovano su tre piani. Approfondiamo la questione per farne cogliere la complessità. Supponiamo che voi siate seduti in una barca inclinata da un'onda; la vostra testa di sposterà ruotando con la barca. Se volete rimanere dirit­ ti, dovete allora operare un movimento di raddrizzamento del vostro corpo, ugua­ le e di senso contrario a quello della barca. I vostri canali semicircolari (non consi­ deriamo gli otoliti) individuano tre proiezioni di questa rotazione in tre piani per­ pendicolari. Avete dunque tre valori che rappresentano la proiezione della vera rotazione in un sistema di coordinate particolare i cui assi sono ad angolo retto. Si dice che la codificazione della rotazione avviene in coordinate covarianti. I valori numerici di queste coordinate costituiscono un vettore che si può rappresentare con una freccia la cui grandezza e direzione sono delle misure dell'intensità della sensazione individuata dal recettore. Vediamo ora in quale sistema di coordin ate è codificato il movimento che devono fa re gli occh i , la testa o anche il tronco per com pen sare la rotazione dovuta al movimento della barca . Questi sistemi di coordinate sono le direzioni di trazione dei muscoli di questi differenti segmenti del corpo. Il cervello deve dunque trasformare le informazioni sensoriali , codificate in coordinate covarian-

40

CAPITOLO DUE

ti, in comandi motori espressi nei sistemi di coordinate dei muscoli e dei loro piani d'azione.J4 Pellionisz e LlinasJ5 hanno sostenuto che alcune parti del cervello sono preci­ samente dei trasformatori di coordinate sensoriali in coordinate motorie. Essi hanno sottolineato che, dal momento che ci sono in generale molte più dimensioni nei sistemi di riferimento muscolari che in quelli sensoriali, il problema della tra­ sformazione ha, in teoria, numerose soluzioni. Hanno allora avuto l'idea che il cer vello potesse funzionare come un tensore: un tensore è un insieme di operatori mec c anici, chiamati "matrici " , che effettuano queste trasformazioni tra vettori Hanno delle proprietà che non intendiamo qui analizzare. Un riassunto di questa teoria è contenuto nel libro Neurophilosophy di P. Churchland. Hanno applicato la loro teoria a due esempi: il riflesso vestibulo -ocula re che stabilizza lo sguardo, e il riflesso vestibulo-nucaleJ6 che raddrizza la testa quando la barca si capovolge. Nel caso del riflesso vestibulo-oculare, essi hanno supposto che le rotazioni della testa siano codificate in maniera covariante dai recettori vestibolari e che molte trasformazioni successive precedano il comando motorio che fa ruotare l' oc­ chio nelle coordinate controvarianti dei sei muscoli oculari. In un altro modello hanno proposto l'idea che il cervellettol7 sia la struttura che effettua le trasforma­ zioni più importanti. Cerchiamo di capire molto schematicamente l'idea essenziale su cui si basano questi modelli. Quando il comando motorio è inviato ai motoneu­ roni dei muscoli del collo esso è deformato dalle proprietà geometriche della com­ posizione delle forze (proiezione controvariante) e dalle proprietà meccaniche della testa e del collo. Per ottenere un movimento della testa che sia in perfetta opposizione rispetto a quello della barca rilevato dai recettori vestibolari, una solu­ zione escogitata dai robotici è quella secondo la quale il segnale di comando sareb­ be esso stesso deformato in anticipo in maniera inversa prima di essere inviato ai muscoli. L'immagine più semplice che ho potuto trovare per rappresentare questa operazione è quella dello stampo, che è in qualche modo l'inverso della forma che serve a creare. Si potrebbe aggiungere che noi utilizziamo questa strategia in diver­ si movimenti: per esempio, se si deve sollevare un oggetto sospeso a un elastico, si farà un movimento molto più ampio perché si anticiperanno le proprietà elastiche del sistema. Il vantaggio del modello interno che realizza un'inversione sta precisa­ mente nel fatto che noi non dobbiamo produrre un comando motorio diverso: esso viene automaticamente trasformato. Il cervelletto sarebbe la sede nella quale questa trasformazione inversa viene realizzata.J8 Riassumiamo: il movimento della barca è individuato dai recettori vestibolari su tre piani; esso è dunque rappresentato da tre vettori. Questa informazione è indirizzata a un centro nervoso (in questo caso il cervelletto) che trasforma i segna­ li pe r conferire loro delle proprietà che permetteranno di compensare anticipata­ mente le deformazioni che subirà il segnale stesso nei movimenti coordinati dei muscoli, in funzione della meccanica degli arti. Il segnale viene poi inviato ai ­

.

Il SENSO DEL MOVI M ENTO : UN S ESTO S ENSO ?

41

muscoli; esso subisce delle trasformazioni di coordinate controvarianti, e la testa viene stabilizzata. Anche se il cervello non è un tensore,39 e se oggi i sostenitori di questa teoria on n sono più moltissimi, resta il fatto che la teoria dei tensori ha costretto una generazione di fisiologi a considerare molto seriamente la questione della geome­ tria e delle soluzioni che la natura può aver trovato per semplificare la neurocom­ putazione. Questa teoria conteneva inoltre un concetto importante: quello di modello interno che si ritrova oggi nelle teorie più avanzate. Vedremo altri esempi nel Capitolo 8. Vorrei fare un'osservazione generale, importante per l'idea principale su cui si basa questo libro. I modelli presi a prestito dalla teoria dei sistemi asserviti e da quella dei tensori hanno in comune il fatto di considerare i riflessi o i sistemi sen­ sori-motori come delle catene continue di trasformazioni che vanno dalla sensazio­ ne al comando motorio. Nonostante essa contenga i concetti di modello interno e, quindi un meccanismo importante di anticipazione, questa concezione non riserva alcuno spazio all'influenza dell'azione sull 'elaborazione sensoriale; essa è dunque molto lontana da una concezione proiettiva del sistema nervoso.

La visione del movimento Lo studio del ruolo della visione nella percezione occupa un gran numero di fisio­ logi, psicologi, matematici impegnati nella ricerca sui meccanismi sensoriali cere­ brali. Non è questa la sede per riassumere questi lavori. Si è stabilita nelle neuro­ scienze un'egemonia delle ricerche e dei concetti che riguardano gli aspetti cortica­ li della visione che ha fatto dimenticare l'importanza della visione sottocorticale, la quale tuttavia ha preceduto di qualche milione di anni la visione corticale con mec­ canismi così sottili che ancora ci sfuggono. Questa egemonia delle ricerche sulla visione corticale è tanto più grave perché ha portato a considerare il suo funziona­ mento isolato da quello degli altri sensi. Inoltre le ipotesi che sono state formulate sull 'organizzazione della corteccia visiva, per esempio quella della sua architettura colonnare, hanno completamente cancellato l'importanza dell'organizzazione tra­ sversale delle funzioni corticali per delle ragioni che appartengono alla sociologia, alle scienze e anche al rigore dei dati. La dittatura della visione ha avuto numerose cause. Innanzi tutto, l'idea che la visione sia il senso più elaborato nei primati e nell'uomo e che in essa, così come nel linguaggio, risieda tutta la nobiltà di quest'ultimo. Inoltre, la manipolazione degli stimoli visivi è molto semplice in rapporto a quella degli altri sensi, tanto che essa ha permesso di realizzare facilmente il paradigma stimolo-risposta che domina in neurobiologia. Del resto, la visione rappresenta un modello affascinante di atti­ vità sensoriale, dal momento che permette di condurre parallelamente ricerche psi­ cofisiche e neurofisiologiche.

42

CAPITOLO DUE

Infine, la visione corticale induce una percezione cosciente evidentemente legata all 'organo, mentre è impossibile collegare introspettivamente ai recettori che le p roducono le percezioni coscienti o le informazioni provenienti dai mecca­ nismi visivi sottocorticali, dal sistema vestibolare e dalla propriocezione. Per esem ­ pio, se posso afferrare una palla da tennis al volo senza praticamente pensarci, ciò avviene grazie a meccanismi subcorticali di individuazione del movimento e di pre­ dizione visiva della traiettoria che non hanno n ulla di cosciente. Quest'ignoranza fu all'origine della sorpresa suscitata dalla scoperta di quella che fu chiamata "visione cieca " . Ci sono voluti per Weiskrantzl0 molti anni di batta­ glie intellettuali per fare accettare l'esistenza di questo tipo di visione, cosiddetta " residua " , che permane dopo la distruzione della corteccia cerebrale visiva. Una conseguenza infelice di questa resistenza è l'atteggiamento estremamente conserva­ tore delle istituzioni pedagogiche nei confronti dei bambini con deficit visivi. De­ scriverò ora una straordinaria esperienza di insegnamento di sport veloci a bambini subvedenti, ritirati dagli istituti scolastici e ai quali normalmente lo sport è proibito.

I bambini subvedenti che giocano a pallacanestro Un giorno durante gli anni Ottanta ricevetti la visita di un professore di educazio­ ne fisica della scuola per bambini subvedenti di Montgeron , il signor Chaumiène, e di un ricercatore dell 'Institut national du sport, il signor Leguerne. Mi domanda­ rono di dedicare qualche minuto a guardare il video di una partita di pallacanestro tra bambini. Mi posero il seguente quesito: " Una squadra è formata da bambini che hanno una vista normale e l'altra da bambini ambliopici che hanno una vista inferiore a un decimo secondo i test oculistici classici , leggono in braille e non fre­ quentano le scuole normali. Le regole amministrative vietano a questi bambini di fare sport per ragioni di sicurezza. Qual è la squadra dei subvedenti ? " . M i fu impossibile riconoscerla. Questi due insegnanti erano riusciti con un metodo pedagogico particolare basato su ambienti arricchiti di stimoli, a insegnare ai bambini subvedenti a giocare a pallone, a palla, a scherma ecc Più il movimen­ to era rapido più i bambini sembravano riuscire. Abbiamo lavorato insieme per qualche anno per tentare di capire questi notevolissimi successi . Per me è stata l'occasione per scoprire numerosi aspetti di questo handicap. Le ca rtelle oculisti­ che della maggior parte di questi bambini erano incomplete. Abbiamo dovuto organizzare delle vere e prop rie trasferte per ottenere degli esami ali' ospedale di Créteil. Poi grazie alla grande comprensione della direzione della scuola, senza la quale nulla di tutto questo sarebbe stato possibile, sono state intraprese delle ricer­ che sulle prestazioni di questi bambini in compiti visuo-motori, ricerche che meri­ terebbero di essere pubblicate. Questa esperienza affascinante mi ha convinto che i test oculistici convenzio­ nali esplorano solo una piccolissima parte delle funzioni visive e in ogni caso non

IL SENSO DEL MOVIM ENTO: UN S ESTO SENSO?

43

analizzano per n ulla la percezione del movimento. Questo rimane vero anche oggi, quando nonostante m ilioni di persone portino delle lenti progressive che modifica­ no la velocità apparente delle immagini visive in maniera non lineare sulla superfi­ cie della lente, nessun esame degno di questo nome analizza la visione dinamica, che è la più importante per la coordinazione del gesto e la percezione delle forme tridimensionali, come dimostrano le ricerche sul contributo del movimento alla percezione della curvatura. Stiamo lavorando su questa questione in collaborazio­ ne con gli industriali del vetro.

La vezione, percezione del movimento proprio Tra le grandi funzioni della vista che sono state dimenticate descriveremo quella che, prima dell'apparizione della fovea, fu una delle funzioni fondamentali : la per­ cezione del movimento proprio. Bisogna ricordare che questa funzione della vista è stata completamente ignorata per quasi cinquant'anni, malgrado i lavori pionieri­ stici di personalità scientifiche come il fisico Mach . 4 1 Questa parte del sistema visi­ vo che riguarda l'individuazione del movimento proprio è stata del resto definita dagli anatomici " sistema accessorio " , e si è dovuto attendere il 1 975 per scoprirne

le proprietà. Tutti noi abbiamo sperimentato la fortissim a illusione di avanzare che compa­ re quan do, seduti in un treno fermo, vediamo il treno vicino mettersi in movimen­ to, oppure quando, guardando da un ponte un fiume che scorre sotto di noi, abbiamo l'impressione che il ponte avanzi. Questa illusione del movimento puro del corpo, indotta da uno spostamento della scena visiva, è stata chiamata "vezio­ ne" da Mach , che all'inizio di questo secolo aveva costruito numerose macchine che potevano provocarla. Per esempio aveva fatto girare dei nastri su un tamburo rotante per studiare l'illusione di rotazione del corpo indotta nei soggetti esposti a questo stimolo, che oggi chiamiamo "optocinetico " . Ne dedusse che si trattava in realtà dell'espressio­ ne di un meccanismo fondamen tale di misurazione del movimento del corpo in quanto tale. È stato necessario aspettare gli anni Settanta perché uno psicologo, Lee, si in teressasse di nuovo a questo problema e aprisse un periodo denso di sco­ perte. Il suo esperimento principale42 è consistito nel sospendere, nell 'anfiteatro della sua università, una cassa in legno di circa tre metri di lato che aveva un lato e il fondo aperti. Faceva oscillare lentamente questa camera sospesa. Un soggetto immobile, in piedi in questa scatola, aveva l'illusione netta che essa fosse immobile e che l'università di Edimburgo ondeggiasse. Si trattava ancora della riproduzione di una situazione di vezione come era stata descritta da Mach . Ma Lee non si fermò a questo punto. Allievo di Gibson, attribuì questo effet­ to a quello che chiamò la " funzione propriocettiva " della vista. Ne fece una descri­ zione qualitativa, e mostrò in particolare che durante l'illusione il corpo del sog-

44

CAPITOLO DUE

FIGURA 2.5 Ca"ello per lo studio dell'interazione tra la percezione vestibolare e visiva dei movi­ menti di traslaz.ione.

n soggetto è seduto su uno sgabdlo collocato su un carrello (c) che può essere spostato con dei movi­ menti di traslazione in avanti o indietro comandati da un computer. Un proiettore: ( rappresentato da una lampada) fa scorrere una pellicola trasparente (b) sulla quale sono disegnati dei diversi motivi (qua­ dri, punti ecc). Quest'imm agine attraverso un gioco di specchi (m) è proiettata su uno schermo (e) situato al disopra del soggetto. Gli specchi creano immagini virtuali dello schermo su ogni lato del sog­ getto, che le vede attraverso delle finestre laterali (jl) , in modo tale che egli ha l'ill usione di essere: in un tunnel ottico. n movimento visivo gli dà l'impressione di avanzare o di arretrare in senso contrario al movimento dell a scena visiva ( " vezione" ) . n sistema vestibolare può essere stimolato dai movimenti dd carrc:ll o per studiare le interazioni tra informazioni visive e vestibolari nella percezione del movimento (da Berthoz, Pavard, Young, 1 974).

Il SENSO D E l MOVIM ENTO: UN S ESTO SENSO ?

45

getto si metteva a oscilla re, e che dunque la percezione era accompagnata da riag­ giustamenti posturali attivi. Ha anche mostrato che, in questa situazione, dei bam­ bini di due anni potevano perdere l'equilibrio e cadere all'indietro. Dal 1970 al 1 975 , tre gruppi diversi hanno fornito le prime descrizioni quanti­ tative della vezione e degli effetti motori a essa collegati. Dapprima, nel laboratorio di J ung a Friburgo in Germania, Dichgans e Brandt hanno studiato la vezione cir­ colare nel piano orizzontale {ottenuta facendo girare un cilindro attorno al sogget­ to);43 in seguito nel laboratorio di Young a Cambridge negli Stati Uniti, in collabo­ razione con Dichgans furono studiate la vezione indotta dalla rotazione della scena visiva sul piano frontale e poi la vezione lineare grazie a dei simulatori di volo; infi­ ne a Parigi, nel mio laboratorio, abbiamo studiato le proprietà della vezione linea­ re che abbiamo manipolato insieme alla percezione vestibolare collocando i sog­ getti su un carrello (vedi Figura 2.5) .44 È risultato che l'intensità della vezione è proporzionale a numerosi parametri del movimento del mondo visivo. Il primo è la superficie: più la superficie della scena visiva in movimento è grande, più l'intensità della vezione è forte - sebbene anche una porzione molto piccola della scena visiva, e talvolta persino un semplice punto luminoso, possano indurre la vezione. Quest'idea va nella stessa direzione del mio suggerimento secondo cui la perce­ zione è funzione non tanto dell'intensità di una stimolazione quanto della concor­ danza di questa con un'ipotesi formulata dal cervello. Questo può essere verificato da ognuno di noi in un aereo prima del decollo. Poco prima che l'aereo si muova, per qualche minuto tutti si aspettano una leggera accelerazione, al punto che basta un carrello o un veicolo che passa davanti all'oblò e mette in movimento una parte piccolissima del campo visivo perché il movimento del veicolo sia interpretato dal cervello come quello dell'aereo. L'anticipazione è fondamentale per la percezione del movimento puro. Un'anticipazione simile che non coinvolge la vista ma il siste­ ma otolitico, può avvenire in un ascensore quando, credendo di aver raggiunto il piano desiderato, si percepisce una decelerazione illusoria dell'ascensore stesso. Un altro parametro importante per determinare l'intensità della vezione è la velocità di scorrimento. Al di sotto di una certa soglia la vezione non viene perce­ pita; oltre una certa soglia invece l'intensità della sensazione aumenta con la velo­ cità fmo a raggiungere un punto massimo dopo il quale la vezione sparisce improv­ visamente se la velocità aumenta. Davanti a una scena che scorre molto in fretta abbiamo l'impressione di essere immobili. Questa inversione di percezione è parti­ colarmente evidente in autostrada, ed è ben nota ai guidatori di automobili veloci e ai campioni di corse automobilistiche. Oltre i 200 chilometri all'ora, all'improvvi­ so, invece di avere l'impressione di raggiungere le automobili che li precedono, hanno infatti la straordinaria certezza che siano queste ultime ad avvicinarsi a essi . Non vi consiglio di fare questo esperimento ! Essi hanno perduto la vezione, ossia la sensazione del proprio movimento, e hanno l'illu sione di essere immobili davan­ ti a un mondo che precipita verso di loro.

46

CAPITOLO DUE

Questa inversione percettiva è estremamente b rusca. Perché allora avviene quando la stimolazione visiva è molto forte? Forse la velocità della scena visiva è troppo grande in rapporto alla gamma fisiologica di velocità di spostamento pro­ pria del corpo. Il cervello non può più interpretare lo scorrimento retinico come il risultato di uno spostamento naturale. Si tratta qui di una vera decisione percettiva e non di una sparizione della percezione. Anche la frequenza spaziale della scena, ossia il numero di elementi per unità di superficie, influisce sull ' intensità della vezione, che è più grande quando si attra­ versa un villaggio caratterizzato da numerosi elementi visivi per unità di superficie piuttosto che nel deserto. Alcuni incidenti stradali, in particolare durante la notte, sono senza dubbio causati da incongruenze tra le informazioni provenienti dai due lati della strada che danno al conducente delle impressioni erronee di cambiamen­ to di direzione dovute alla differenza di vezione indotte in ogni retina. Infine, l'ultimo elemento è la distanza della scena in movimento e, in partico­ lare, la sua posizione sullo sfondo o in primo piano. È la parte più distante del­ l'ambiente a essere determinante per l'intensità e la direzione della vezione. Ecco ancora una prova della straordinaria valutazione del contesto percettivo operata dal cervello. Se si espone lungamente un soggetto a un movimento della scena visiva, la vezione dimin uisce d'intensità. Nell'esempio dell'autostrada la guida protratta per più ore induce una sottovalutazione della vezione, e dunque della sensazione di velocità . Quando il guidatore lascerà l'autostrada, avrà la tendenza a guidare trop­ po velocemente - motivo per cui vengono installati i dossi. L' adattamento allo sti­ molo è un fenomeno conosciuto in psicofisica. La sparizione della vezione può essere interpretata come la soppressione di un segnale ripetitivo, che non apporta più nulla ali' azione in corso. Si tratterebbe allora di un meccanismo interessante e molto semplice da realizzare. Mi semb ra però che al contrario si debba supporre che un meccanismo neuronale attivo si opponga allo stimolo, e che il cervello crei un movimento in terno in grado di con trastare Io stimolo dato dal movimento esterno. Quando si sopprime lo stimolo, resta dunque solamente la costruzione neuronale attiva che lo controbilanciava. Abbiamo a che fare in questo caso non con un semplice oggetto mentale ma con un movimento mentale. Un'ill u sione che senza dubbio poggia su meccanismi simili è quella cosiddetta " della cascata " : se si guarda a lungo una cascata e poi si posa lo sguardo sul paesaggio circostante, si percepisce un movimento apparente che risulta dall'adattamento del cervello alla scena visiva in movimento. Ritorneremo sul significato di queste illusioni nel Capitolo 1 3 . Un altro esempio, particolarmente chiaro, d i questo genere di meccanismo è fornito da quello che si chiama " n istagmo optocinetico consecutivo " . Questo nome strano descrive un fenomeno molto semplice. Supponiamo che voi siate su un autobus in movimento che guardiate fuori. I vostri occhi seguono la scena visi­ va e poi tornano indietro: è il nistagmo optocinetico. Supponiamo ora che il tragit-

I l S ENSO DEL MOVIM ENTO: UN SESTO SENSO?

47

to duri qualche minuto e che si spenga improvvisamente la luce: invece di fermar­ si il vostro occhio continuerà a muoversi. Questo nistagmo optocinetico consecu­ ti o è il risultato di un meccanismo ancora misterioso. È come se una memoria neuronale di movimento avesse " caricato " (come si carica una capacità in elettro­ nica) un segnale legato all a velocità dell'occhio, che si scarica poi nel buio. È vero­ simile che questa memoria percettiva sia della stessa natura di quella che entra in



gioco durante un lungo viaggio per mare. Infatti i marinai sanno che, anche molti giorni dopo il loro ritorno sulla terraferma, possono avere l'impressione di muo­ versi. Anche in questo caso il cervello ha costruito - senza dubbio a partire da informazioni vestibolari , visive e propriocettive - una replica din amica interna dei movimenti del mare. Durante il viaggio questa attività neuronale interna è opposta agli stimoli sensoriali indotti dal beccheggio e dal rollio, e questo senza dubbio permette al marinaio di vivere in mare con l'impressione di no.1 ondeggiare e di coordinare i suoi movimenti grazie a una previsione interna degli effetti perturba­ tori delle oscillazioni provocate dalle onde ! La decisione di attribuire un movimento al proprio corpo all'in terno del mondo visivo è dunque il risultato di una serie di processi neuronali centrali e tut­ tavia è un fenomeno molto evidente. Come riesce il cervello a dare a tutti questi parametri un'unità percettiva ? Grazie a meccanismi speciali capaci di costruire una coerenza tra le diverse informazioni, come quelli che permettono la percezio­ ne di un oggetto visivo unico dopo le scomposizioni effettuate nelle prime stazioni sinaptiche delle vie visive. Torneremo più avanti su questi meccanismi.

3 LA C O S TRUZ I O NE D I U NA COERENZ A

n funzionamento dei recettori sensoriali ha dunque un carattere predittivo. Essi sono, in effetti,

capaci di misurare le derivate (velocità, accelerazione, cambiamen­

ti di

forza e di pressione) delle grandezze fisiche che li attivano: m isuran do le variazioni di una grandezza , si può p redire il suo valore in un istante futuro. Inoltre, la modulazione della sensibilità dei recettori , che consente di preseleziona­ re quelli che saranno utili ai movimenti a venire, conferisce loro delle proprietà ora toniche ora dinamiche, a seconda della natura del movimento. Questa modulazio­

ne permette di simulare il movimento senza eseguirlo. In effetti , la semplice attiva­ zione delle fibre r simula uno spostamento del braccio provocando l'attività dei fusi e può dare l'illusione percettiva di un movimento, come mostrano gli esperi­ menti di vibrazione. Infine, il filtraggio dei messaggi attraverso meccanismi come l'inibizione presinaptica accresce ancora l'efficacia della preselezione.

In

questo capitolo vedremo come la combinazione dei messaggi provenienti

da differenti sistemi sensoriali, il carattere essenzialmente multisensoriale della per­

cezione e l'utilizzazione di segnali endogeni aumenti ancora il potere predittivo del cervello. 1 Una vera fisiologia della percezione deve in effetti rinunciare a isolare le funzioni sensoriali e, al contrario, affrontarle attraverso il loro caratter.e..muùi&e.n ­ soriale. Già Aristotele si interrogava a questo proposito: «"�iCer;"iamo le co�� nella loro interezza e non c'è, nel sentimento che proviamo, questa soluzione di continuità di cui si parla. Solo , si può dire che le cose non ci appaiono sempre ciò che sono: ed è così che vediamo il sole con delle dimensioni che non sono certa­ mente le sue. Ma torniamo alla domanda che ci eravamo posti, cioè se si possono percepire più cose alla volta, vale a dire in una sola parte dell'anima e in un tempo indivisibile. È stato provato che l'anima percepisce tutte le sensazioni tramite stessa e unica facoltà, che riunisce le informazioni di tutti i sensi; solamente

una che

ques ta

facoltà, pur restando identica, cambia il suo modo d'essere: si tratta sempre della stessa anim a , ma disposta in modo differente " .2 Questo messaggio è stato recepito solo molto di recente. Da cinquant'anni tutta la fisiologia della percezione

separa i sensi. I laboratori della visione si' sono così moltiplicati quando Ferrier

.50

CAPITO LO TRE

scriveva già nel 1878: "Senza le impressioni del labirinto, le impressioni ottiche e tattili sono, di per se stesse, incapaci di stimolare l'attività armoniosa dei centri che controllano l'equilibrio".3 Lo stesso vale per l'udito,4 dal momento che la visione può modificare in modo decisivo la percezione uditiva. Il migliore esempio sono i ventriloqui, che possono dare l'illusione che le loro parole provengano dal pupaz­ zo che tengono in mano. Il solo fatto di non muovere le labbra e di articolare quel­ le del pupazzo sposta la percezione dell'origine del suono. Descriveremo le scoper­ te neurofisiologiche che suggeriscono una spiegazione di questo effetto. Lo stesso vale per l'olfatto, poiché l'arte della tavola ci rivela che il sapore di un cibo dipen­ de tanto dal suo aspetto quanto dal suo odore, che lo stesso odore piacevole all'i­ nizio del pasto è spiacevole alla fine, in virtù di quella proprietà del cervello chia­ mata " allestesia " , secondo la quale il gusto è fonte di piacere quando la fame si fa sentire e di repulsione quando essa è appagata. L'importanza della combinazione delle sensazioni non sembra avere interessa­ to i fisiologi prima del 1 960, benché Setchénoff le attribuisse, cent'anni fa, una funzione nella costruzione dell'immagine del proprio corpo durante l'esplorazione attiva: " li bambino vede spesso il giocattolo nella mano di sua madre e lo vede altrettanto spesso nella propria: la prima sensazione resta semplice, alla seconda si unisce una sensazione tattile e muscolare. Il fatto si riproduce migliaia di volte. Alla fine, i due atti sono separati l'uno dall ' altro e il bambino acquisisce la coscien­ za della propria mano".5 Con i lavori sull'animale di pionieri come Held e Hein,6 che hanno mostrato l'importanza dell'attività nello sviluppo delle funzioni visive e la coordinazione dei sistemi sensoriali, si deve a Gibson il merito di avere posto, negli anni Sessanta, le basi di un nuovo esame sperimentale della percezione. " Dovremo concepire i sensi esterni in una nuova maniera, come attivi piuttosto che come passivi, come sistemi piuttosto che come canali e come interattivi piuttosto che mutuamente esclusivi. Se essi funzionano per cogliere delle informazioni e non semplicemente per evoca­ re delle sensazioni, la loro attività deve essere descritta in termini differenti. Li chiameremo qui sistemi percettivi " .7 Una delle ragioni essenziali alla base della multisensorialità della percezione è che ogni animale non è interessato che da certi aspetti della realtà. Seleziona dunque la configurazione dei tratti che gli sono utili e le relazioni tra le proprietà degli oggetti. Per esempio, come ricordava Turvey,8 noi non siamo interessati dall'altezza dei gradini di una scala in termini di centimetri, ma dalla relazione tra la loro altezza e quella alla quale possiamo alzare il piede. I gradini delle scale dei castelli sono di altezza ridotta, perché i cavalli dovevano inerpicarvisi. L'altezza dei gradini dell'Opera deve essere invece regolata sul passo delle signore in abito da sera. Gibson ha chiamato queste relazioni, che definiscono delle invarianze utili a una specie particolare, delle "affordances" ,9 vale a dire "fattibilità " , perché esse sono una misura della possibilità di eseguire delle azioni biologicamente rilevanti per la specie considerata, tenuto conto del suo repertorio sensori-motorio. A volte

LA COSTRUZIONE DI UNA COERENZA

51

p roprietà opposte interessano animali differenti. È così che il grado di solidità (che può essere misurato come il rapporto tra una pressione e uno spostamento) dd suolo permette all'uomo di camminare, mentre è la sua friabilità che, al contrario, permette al lomb rico di spostarsi. Lo stesso oggetto, per esempio una pantofola, può diventare un caldo rifugio per il piede di un uomo, una stimolazione boccale per un cucciolo e del cibo delizioso per una larva ! Gli in varianti di natura geome­ trica, che sono essenziali per l'uomo, non lo sono più per altre specie. Quali sono dunque i meccanismi neuronali che sottendono il carattere multi­ sensoriale della percezione? Quando i m icroelettrodi sono stati inventati negli anni Cinquanta, si è potuto stimolare i differenti recettori sensoriali con degli impulsi elettrici e registrare l'at­ tività dei neuroni in anim ali anestetizzati. È risultato che si producevano delle con­ vergenze multiscnsoriali a tutti i livelli del sistema nervoso. Nel midollo, dove gli intcrneuroni più importanti ( come l'interneurone la) sono sede di convergenza di messaggi provenienti dai fusi neuromuscolari, dai recettori tattili e dai recettori tendinei di Golgi. Nel cervelletto, anch 'esso sede di una intensa interazione multisensoriale, ogni cellula di Purkinje del verme riceve delle informazioni visive e propriocettive, mentre i neuroni del flocculo ricevono anche informazioni vestibolari ecc. Il collicolo superiore , struttura importante per i movimenti di orien tamento, come vedremo, riceve delle informazioni visive e propriocettive ed è anche la sede di convergenza tra segnali acustici c visivi. Nel talamo detto " sensorialc " e in numerose aree corticali. La convergenza multisenso­ riale è dunque la regola. Il problema è di sapere qual è il suo ruolo funzionale. Si sono dovute attendere le registrazioni dell 'attività ncuronale nell'animale sveglio, negli anni Settanta, per chiarire questo problema . Gli ultimi cin que anni hanno portato una messe eccezionale di dati sull' argomento. Prendiamo anzitutto un esempio dai nostri lavori e vediamo la visione e il sistema vestibolare cooperano per ricostruire il movimento della testa nello spazio.

lndividuazione del movimento attraverso la vista Un in gegnere che disponesse di due sistemi recettoriali, la retina e i canali semicir­ colari, per misurare i movimenti della testa, incontrerebbe un problema di geome­ t ria. In effetti, i canali semicircolari misurano il movimento della testa nei loro tre piani perpendicolari; si tratta dunque di una codificazione tridimensionale secon­

do un sistema di riferimento euclideo. Ora , la retina codifica lo scorrimento dd­ l'im mag ine retinica su una superficie sferica , dunque bidimensionale. Essa riceve delle informazioni di una grande complessità. Per meglio comprendere il proble­ ma geom etrico posto dalla fusione delle informazioni di movimento di origine visi­ va e vestibolare, bisogna dedicare qualche riga al concetto di " flusso ottico " .

Qu ando u n soggetto s i sposta nel mondo reale, l'immagine del suo ambiente s i

52

CAPITOLO TRE

sposta sulla sua retina e si deforma in una maniera molto complessa. Questa defor­ mazione dell'immagine sulla retina durante uno spostamento viene chiamata " flus­ so ottico". Si può rappresentare questo flusso tramite un vettore velocità in ogni punto della retina, che rappresenta la direzione e la velocità del punto dell'am­ biente visivo che si proietta su di essa. Gibson, che lavorava per l'esercito americano, ha preso in esame il problema dell'atterraggio degli aerei e ha descritto la forma di questi campi di vettori che dipendono nel contempo dalla geometria dell'ambiente e dal movimento dell'ae­ reo. Ha constatato che il flusso ottico è molto semplice durante una rotazione, essendo tutti i punti animati da una velocità angolare identica. Invece, durante una traslazione in avanti, come accade nel camminare o nell'atterraggio di un aereo, il flusso ottico si presenta sotto forma di un 'espansione complessa del campo di vettori, i quali sembrano partire da un punto analogo al punto di fuga di una prospettiva: il "fuoco di espansione". Nel caso di traslazioni con una visione laterale, come quando guardiamo dal finestrino di un treno, il flusso ottico ha una complessità sottile, poiché, lungo il binario, il mondo visivo si muove nel senso contrario al movimento del treno, mentre il paesaggio lontano sembra spostarsi nel suo stesso senso. Come può dunque il cervello assicurare questa fusione tra le informazioni tri­ dimensionali dei canali e il flusso ottico? Questi ultimi vent'anni hanno apportato nuovi dati sui meccanismi neuronali alla base del contributo della visione alla percezione del proprio movimento (la vezione), alla cattura degli oggetti mobili e alla visione cieca dd movimento. Li riassumo. L'individuazione del movimento è effettuata, lo abbiamo visto, a partire dalla periferia retinica. Si distinguono tre specie di cellule gangliari nella retina. Due di esse, nei primati, sono sensibili al movimento: esse comprendono, da una parte, cellule attivate dal movimento, da forti contrasti tra luce e oscurità e dallo scintil­ lio, dall'altra, neuroni sensibili ai movimenti lenti. La segregazione tra le informa­ zioni relative alla forma, al colore, alla profondità e al movimento, effettuata sulla retina, è mantenuta nella prima stazione centrale situata nel talamo, il corpo geni­ colato laterale, che è suddiviso in due parti: la zona magnocellulare e la zona parvi­ cellulare (vedi Figura 3 . l ) . Da qui le informazioni sono inviate sia verso il collicolo superiore, struttura molto antica chiamata "tetto ottico " negli uccelli, sia verso le prime aree della corteccia visiva V l , V2, V3 (l'area V4 riceve principalmente le informazioni riguardanti il colore) . La separazione tra colore, forma e profondità degli oggetti esiste ancora a questo livello. Due aree della corteccia cerebrale sono implicate in modo particolare nel trattamento delle informazioni relative al movimento visivo, le cosiddette "aree MT e MST " 1 0 MT riceve afferenze dalla corteccia visiva e i suoi neuroni sono direttamente influenzati dal movimento delle immagini sulla retina; l'attività di MT è trasmessa a MST, dove i dati visivi sono combinati con segnali relativi al .

53

LA COSTRUZION E DI UNA COERENZA

movimento slen:o

cellule reriniche

colore

?

V4

movimcnù rapidi conuuti busa risoluzione

sensibile ai

l "f&ilSf TT corteccia visiva primaria

� 6

VI FIGURA J . I La seg regazione della percezione della fo rma, del colore, del movimento e della profondità nelle prime stazioni di relais del sistema visivo. (Da Livingston e Hubel

1988).

movimento degli occhi e con segnali vestibolari; in altre parole, con segnali "extra-retinici " . I neuroni di quest'area possono anche risolvere un problema importante per la percezione visiva del movimento: possono "decidere" se è l'og­ getto che si muove nell'ambiente o se è fisso. Salzman e Newsome hanno recente­ mente studiato questa " decisione percettiva " . In più, i segnali di posizione del­ l'occhio e della testa compensano le modificazioni del flusso ottico che si produ­ cono qu ando si gira la testa camminando, e mantengono invariata la percezione della direz ione di marcia. Le mo derne tecniche di tomografia cerebrale apportano ogni giorno informa­ zioni nuove che mostrano l'esistenza di altre zone della corteccia implicate nel trat­ tam ento dei dati visivi relativi al movimento;" in particolare, si è da poco scoperto che la sens ibilità dei neuroni della corteccia visiva è modificata dal contesto com­ portam entale e dall'azione nella quale è implicato il soggetto. 12

54

CAPITOLO TRE

L'inseguimento oculare predice il movimento del bersaglio visivo Supponiamo che voi siate su un autobus in movimento e che guardiate fuori. n vostro occhio segue il paesaggio. Il suo movimento è prodotto dalla cooperazione di due meccanismi. n primo è l'inseguimento oculare. Questo movimento conti­ nuo di inseguimento di un bersaglio in movimento

è

possibile solamente per gli

animali dotati di una fovea, come la scimmia e l'uomo; non esiste nei pesci, nel coniglio, e neanche nel gatto, che non possono fare che degli scatti, dei salti da un punto dello spazio visivo a un altro. L'inseguimento oculare non è molto rapido. Muovete il dito davanti a voi con un movimento di andata e ritorno. Constaterete che, quando il vostro movimento si fa più frequente di un ciclo per secondo ( l Hz) , non vi sarà più possibile seguire il dito. Tuttavia, il cervello dei primati e del­ l ' uomo ha compensato questa lentezza dotando l' inseguimento di una grande capacità di predizione: dopo qualche ciclo di andata e ritorno, il movimento del­ l'occhio anticipa infatti il movimento del dito. Allo stesso modo, se voi interrom­ pete improvvisamente il movimento del dito, l 'occhio continua a seguire per qual­ che istante il dito scom parso, il che rivela un'attività neuronale anticipatrice. L'in seguimento continua anche quando si spegne la luce per un tempo breve o quando il bersaglio sparisce dietro un ostacolo. Questa capacità di seguire un ber­ saglio dietro un ostacolo compare nel bambino nel corso dei primi mesi di vita. L'inseguimento oculare è prodotto da una via (vedi Figura 3 .2 ) che trasmette i movimenti del bersaglio alle aree MT e MTS , e da esse all a corteccia frontale in un ' area chiamata " campo oculomotore frontale " (COF ) . In MT, i neuroni sono accordati su una direzione particolare dei mov iffi enti del bersaglio. Ognuno scarica quando il bersaglio si muove in una data direzione. In MTS, la convergen za di segnali sensoriali e di segnali interni che indicano i movimenti dell'occhio o della testa (extra-retinici) conferisce una proprietà importante ai neuroni di quest' area:

essi possono scaricare durante il movimento

di inseguimento di un bersaglio, anche

se il bersaglio sparisce per un breve istante. Il movimento dell'occhio, trasmesso a partire dai centri del tronco cerebrale che comandano la contrazione dei muscoli oculari, attiva questi neuroni per un breve periodo dopo che la luce è scomparsa e permette dunque allo sguardo di ritrovarsi al punto giusto quando il bersaglio riap­ pare. È anche grazie a questa convergenza di segnali esterni e di segnali interni che possiamo eseguire dei movimenti di inseguimento nei confronti di bersagli che sono in realtà immobili ma per i quali abbiamo l'illusione che si spostino, come accade quando si illumina in successione una serie di punti allineati e viene creata dal cer­ vello un a percezione di movimento (vedi le descrizioni in Griisser e Landis, 1 99 1 ). I segnali d i inseguimento attivano poi dei centri situati nel tronco cerebrale (nuclei del ponte ) e nel cervelletto, e raggiungono i nuclei vestibolari e altri nuclei premotori che si proiettano sui neuroni motori dei muscoli degli occhi.

LA COSTRUZIO N E DI UNA COERENZA

55

Visione del movimento e recettori vestibolari n secondo meccanismo che permette di seguire il paesaggio sull' autobus è un riflesso molto antico, il riflesso optocinetico, che esiste già nei pesci e nella rana, privi di fovea. In effetti , tutti gli animali dotati di vista possiedono questo meccani­ smo che consente loro di seguire i movimenti della scena visiva. Esso contribuisce anch e al man tenimento della postura . Se si inclinano le pareti dell ' acquario, il

pesce inclina

il

suo corpo per allinearlo alla parete luminosa.

La via nervosa che tratta questi segnali influenza dunque anche i centri di con­ trollo della postura. Gli anatomici l'avevano scoperta molto tempo fa e l'avevano chiamata "via ottica accessoria " , senza tuttavia com prenderne la funzione. Il fatto notevole è che, lungo tutto il corso di questa via , i neuroni rispondono a movimen­ ti della scena visiva secondo direzioni preferenziali , che giacciono sui piani dei canali semici rcolari del sistema vestibolare. 1 3 Ciò s i verifica già nel caso dei neuroni dei gangli retinici che scaricano in maniera preferenziale quando il movimento visivo avviene sul piano dei canali semicircolari . Questa separazione geometrica si accentua a livello della seconda stazione della via nervosa. I neuroni sensibili al movimento sul piano del canale orizzontale sono raggruppati in nuclei detti " del tratto ottico " (NTO) che seguono una direzione molto precisa, la direzione temporo-nasale. Un altro nucleo, chiama­ to " terminale mediano" ( NTM ) , contiene i neuroni sensibili al movimento visivo dall'alto in basso, e un altro, il nucleo terminale dorsale ( NTD) , ai movimenti dal basso in alto. Altri gruppi di cellule che appa rtengono sempre al sistema ottico accessorio, e sono situate in un centro di relais detto " tegmentale ventrale " , codifi­ cano le combinazioni di componenti rotazionali e lineari del flusso ottico. Di conseguenza, come accade nel caso delle proiezioni visive primarie cortica­ li (aree V l , V2 , V3 , V4 ) , dove l'informazione è scomposta nelle sue principali caratteristiche ( colore , movimento, con trasto, struttura ecc. ) , si produce una segre­ gazione delle proprietà geometriche del movimento rappresentate nel flusso ottico. Questa separazione precoce all'interno della sequenza dei trattamenti dell'informa­ zione operati dai neuroni è ulteriormente raffinata nella stazione successiva della via nervosa in esame, la capsula dorsale dell 'oliva inferiore, una struttura del tron­ co cerebrale che proietta al cervelletto, dove si produce una parte della convergen­ za visuo-vestibolare. Nella capsula dorsale dell'oliva si trovano solamente tre grup­ pi di neuroni che corrispondono esattamente ai tre piani dei canali semicircolari. n relais successivo, il cervelletto , contiene anch 'esso dei neuroni, situati nel flocculo, i cui piani preferenziali di attivazione sono ancora quelli dei canali. La presenza di componenti distin te, organizzate secondo i piani dei canali semi circolari , facilita certamente la convergenza, cioè la fusione, dei segnali di ori­ gine visiva con quelli che provengono dai recettori vestibolari. La corrispondenza geometrica tra sistema visivo e canali semicircolari si esten­ de al sistema motore. In effetti, il piano d' azione delle tre coppie di muscoli extra-

56

FIGURA 3.1

CAPITOLO TRE

Le vie visive del movimento.

Questa figura mostra i centri principali del cervello implicati nel trattamento delle informazioni visive relative al movimento. Non pretende di essere esaustiva né perfettamente precisa dal punto di vista ana­ tomico. l ) n sistema ottico accessorio. n movimento del bersaglio visivo è scomposto in tre piani ( uno orizzon. tale e due verticali) allineati con quelli dei canali semicircolari. È stato qui rappresentato il nucleo del tratto ottico ( NTO) che codifica i movimenti orizzontali del mondo visivo, vale a dire lo scorrimento delle immagini sulla retina nel piano del canale semicircolare oriz zontale (quando l'occhio è in posizio­ ne primaria di sguardo) . I segnali relativi al movimento visivo che panono dal NTO si combinano con i segnali vestibolari nel cervelletto e nel tronco cerebrale. È a livello di questa convergenza che si pro-

LA COSTRUZIONE DI UNA COERENZA

57

oculari, che assicurano la rotazione del globo oculare in tutte le specie, nonostante la migrazione degli occhi da una posizione laterale a una posizione frontale, è rimasto approssimativamente parallelo ai piani dei canali semicircolari. 14 La dimostrazione di una organizzazione in tre piani è stata fatta utilizzando il calcolo tensoriale e le teorie di Pellionisz e Llinàs. Essi hanno suggerito di rappre­ sentare i muscoli attraverso i rispettivi vettori, vale a dire dei vettori virtuali che rappresentano la direzione e l'ampiezza della forza esercitata da ogni muscolo. Questi vettori propri, grandezze matematiche classiche ma non molto facili da concepire per non-matematici, hanno il vantaggio di essere accessibili all'esperien­ za: è sufficiente, in un anim ale o nell'uomo, misurare i punti di inserzione dei muscoli, ricostruire l'anatomia scheletrica di questo apparato motore e registrare poi l'attività dei vari muscoli durante un'attivazione ottenuta inclinando la testa e provocando un riflesso detto "vestibolo-nucale". Nel gatto, i vettori propri dei muscoli della nuca giacciono nel piano dei canali. La geometria dei canali semicircolari è dunque fondamentale per la percezio­ ne e il controllo del movimento. Quando la scimmia salta di albero in albero, quando il tuffatore salta dall'alto del suo trampolino, o il ginnasta afferra la barra fissa o fa un salto in pedana (vedi Figura 3 J ) , è necessario che il cervello possa ricostruire con la massima precisione e molto rapidamente il movimento della testa nello spazio. Come può farlo a parti­ re dalle informazioni visive, vestibolari e propriocettive della nuca? A partire dalla prima sinapsi centrale, la velocità della testa nello spazio è, in effetti, misurata combinando le informazioni degli accelerometri vestibolari e del tachimetro visivo. Questa scoperta fu fatta registrando i neuroni dei nuclei vestibo­ lari nei pesci e, successivamente, nella scimmia. 1' Questi nuclei sono situati nel

duce l'adattamento del riflesso vestibolo-oculare alle condizioni visive. Se si mettono degli occhiali che

ingrandiscono le immagini, la velocità di scorrimento del mondo visivo sulla retina aumenta, ma i segnali provenienti dai recettori vestibolari rimangono invariati. Il cervelletto gioca un ruolo importan­ te nella integrazione di questi due tipi di segnali, così come dei segnali che giungono dai prop riocetto · ri. Esso è implicato anche nelle cinetosi (mal d'auto, mal d'aria, mal di mare) che derivano da discor· danze tra le informazioni visive, vestibolari e propriocettive (vedi Capitolo 1 3 ) . 2) Le vie implicate nell'inseguimento visivo d i u n oggetto i n movimento. S i tratta d i vie corticali appar­

se tardivamente nel corso dell 'evoluzione, dal momento che esse non esistono nella rana e nemmeno nel gatto. Nella scimmia e nell 'uomo, l'immagine dell'oggetto in movimento è trasmessa dai neuroni della retina sen sibili al movimento al corpo genicolato laterale (CGU e di lì alla corteccia visiva (aree corti­ cali V I , V2 , V3 ). Poi i segnali di movimento sono inviati all e aree della corteccia parietale (7a, 7b, LIPL ecc.) , alle aree della corteccia medio-temporale (MT e MTS) e del campo oculomotore frontale (COF). Dalla coneccia cerebrale i segnali di comando per l'inseguimento visivo sono poi indirizzati verso i nuclei del ponte, i nuclei dorsolaterali ( NDLP) e dorsomediani (NDMP). La via finale è in parte la stes­ sa responsabile dei riflessi vestibolo-oculari e del nistagmo optocinetico. I neuroni dell ' area MTS pos­ sono esse re attivati da segnali interni legati al movimento dell'occhio o anche dalla percezione del movi­ mento del bersaglio. L'inseguimento può dunque essere attivato anche da rappresentazioni interne del movimento degli oggetti in assenz a di movimento visivo reale.

58

CAPITOLO TRE

H

T

l!u m FIGURA 3-3

Il ralto in pedana.

Registrazione tramite videocamera collegata a un computer dei movimenti del corpo di un atleta duran· te

un

salto in pedana. Sono stati posizionati sulla testa, sul tronco, sulla gamba e sui piedi del soggetto

dei marcatori che il computer ha collegato tra loro con un tratto.

n salto è scomposto in tre fasi principali: anzitutto (a sinistra) il corpo si alza, la testa è stabilizzata in rotazione, e

il

cervello può utilizzare le informazioni della vista e del sistema vestibolare. [n seguito,

viene attivato un movimento di rotazione a gran velocità (più di 600 gradi al secondo) durante il quale la vista è inutile dal momento che lo slittamento delle immagini sulla retina sarebbe troppo marcato. Il cervello u tilizza le sole informazioni vestibolari. lnfine la rotazione si arresta e

il

corpo atterra vertical­

mente. Durante questa fase, il cervello utilizza la vista, i recettori vestibolari e la propriocezione, come anche dei modelli interni degli effetti della gravità per pianificare un atterraggio morbido. Nel corso di un tale movimento il cervello deve dunque cambiare almeno tre volte la strategia delle interazioni multimodali

e

senza dubbio anche i sistemi di riferimento che utilizza per effettuare il movi·

mento. (Pozzo e Berthoz, inedito) .

LA COSTRUZIONE

DI

UNA COERENZA

59

tronco cerebrale e costituiscono il primo relais centrale delle informazioni vestibo­ È dunque per ra gioni puramente anatomiche che sono stati chiamati "nuclei vestibolari " (vedi Figura 2.4). Per comprendere il modo in cui la vista e i recettori vestibolari cooperano nella misura del movimento della testa, descriviamo il celebre esperimento di Dichgans e dei suoi collaboratori. Utilizzando un tavolo girevole, questi Autori hanno messo il loro pesce in tre situazioni sperimentali diverse. Anzitutto, una rotazione nel buio suddivisa in tre fasi: una di accelerazione, una a velocità costan­ te e, infme, una di decelerazione. Possiamo replicare questo stimolo effettuando, per esempio, qualche giro su noi stessi con gli occhi chiusi. Il profilo dello stimolo è un trapezio di velocità o due picchi di accelerazione separati da un tratto a velo­ cità costante. I recettori vestibolari sono attivati dall ' accelerazione e scaricano dun­ que unicamente quando l'animale inizia la sua rotazione e quando frena. I neuroni dei nuclei vestibolari rispondono a una tale stimolazione attraverso un aumento di scarica, seguito da una lenta diminuzione entro i dieci e i venti secondi. Di conse­ guenza , il cervello non riceve alcuna informazione sulla rotazione della testa durante il periodo di rotazione a velocità costante. Lo stesso vale per noi, se giria­ mo su noi stessi per un certo tempo: quando l'effetto dell'attivazione transitoria dei canali è cessato, non è più possibile percepire il movimento qualora si dispon­ ga soltanto delle informazioni vestibolari. La seconda situazione consisteva nell'immobilizzare l'animale e far ruotare la scena visiva intorno a lui grazie a un cilindro girevole. Si constata allora che questi neuroni, detti "vestibolari" , sono attivati anche dal movimento visivo. Questa atti­ vazione è dovuta alla trasmissione di segnali visivi lungo il tratto ottico accessorio. Essa aumenta prima molto lentamente, poi si mantiene costante durante la rotazio­ ne e diminuisce infine lentamente quando l'animale è immobile. La terza situazione consiste nel far girare l'animale alla luce. Combinando sti­ molazioni visive e vestibolari, vale a dire imitando una rotazione naturale, i neuro­ ni dei nuclei vestibolari hanno, come la velocità di rotazione della testa, un profilo di scarica trapezoidale. In altre parole, la velocità angolare della testa è perfetta­ mente riprodotta già a livello del primo relais neuronale dalla combinazione delle prop rietà dinamiche dei recettori visivi e dei recettori vestibolari. Questa scoperta è st ata riprodo tta in molte specie (rana, coniglio, gatto, scimmia) : è dunque certa­ mente vera anche per l'uomo. Conosciamo dunque la velocità angolare della testa, grazie a una combinazio­ ne delle proprietà di tachimetro della vista e del sistema vestibolare. La vista da �ola non è sufficiente, è troppo lenta. L'apporto dei recettori vestibolari è quello di info rm are il cervello sulla messa in moto, in quanto essi misurano delle derivate dello spos tamento (velocità e accelerazione) . Si può dunque parlare di "comple­ mentarietà dinamica" . lari. poiché le fibre dei canali semicircolari vi si proiettano direttamente.

60

CAPITOLO TRE

Ora si sa anche che i neuroni dei nuclei vestibolari non ricevono solamente informazioni visive e vestibolari: sono ugualmente sensibili all'attivazione dei recet­ tori muscolari del collo. Vie nervose molto brevi li collegano ai fusi neuromuscola ­ ri (molto numerosi nei m uscoli del collo) , che misurano la lunghezza e la velocità di stiramento dei muscoli. Quando la testa gira, il cervello viene dunque informato di questa rotazione attraverso la combinazione di informazioni visive, vestibolari e propriocettive. La misura del movimento è subito, cioè a partire dalla prima sina­ psi centrale, multisensoriale.

La direzione dello sguardo modifica la percezione vestibolare del movimento Tra i diversi neuroni contenuti nei nuclei vestibolari, quello chiamato " neurone vestibolare secondario " è molto interessante. In effetti è un neurone sensoriale, dal momento che riceve delle informazioni visive, vestibolari e propriocettive. Ma è anche motore, dal momento che proietta direttamente ai motoneuroni oculari e, in certi casi , an che verso quelli della nuca. Le teorie reflessologiche ne fanno un sem ­ plice relais d 'informazione sensoriale in un circuito sensori-motore. Abbiamo regi­ strato l'attività dei suoi assoni durante movimenti oculari spontanei e siamo rimasti molto sorpresi di osservare un 'attività legata alla scarica motrice dei motoneuro­ ni.16 Questo neurone, che credevamo sensitivo, era in realtà attivato da una scarica motrice ! Un fenomeno simile può essere osservato nelle prime stazioni visiveY Ho inventato in seguito una tecnica che permette di registrare l'attività di un neurone in condizioni fisiologiche, di ricostruire la sua anatomia completa e di conoscere quali sono le proiezioni del suo assone. 1 8 Si penetra l'assone del neurone

(il di

cui diametro è di circa 5 micron ! ) grazie a un microelettrodo di vetro finissimo l micron di diametro in punta; si presentano all 'animale delle mire luminose per

indurre dei movimen ti spontanei degli occhi ( saccadici) e gli si impone una rota­ zione al buio per stimolare i canali sem icircolari e indurre nistagmo. La potenza di questo metodo viene dal fatto che l'iniezione ·di un marcatore , la perossidasi di rafano, permette di ricostruire le connessioni del neurone. Si constata allora che questi neuroni vestibolari, che normalmente rispondono alla rotazione della testa , dunque alla sua velocità angolare, attraverso un aumento della frequenza di scarica , hanno un 'attività di base che cambia completamente in funzione del punto in cui guarda l'animale. Un segnale corollario , e cioè " una copia del comando motore " 1 9 (vedi Figure 3 .4 e 3 .5 ) è dunque presente già a livel­ lo del primo relais sensoriale. Qual è il ruolo di questo segnale di posizione dell'occhio nei nuclei vestibola­

ri? TI dibattito resta aperto. Per alcuni si tratta di un'informazione necessaria per operare una trasformazione di coordinate; per altri , esso è implicato nella coordi-

LA COSTRUZIONE DI UNA COERENZA

61

centro motore

percezione

recettore

effettore

FIGURA 3-4 Il principio della copia efferente secondo Hoslt e Millelstaedt. I segnali sensoriali sono trasmessi ai centri nervosi in cui si elabora la �rcezione. Un circuito di coman­ do motore collega questi centri agli effettori (muscoli ) . Ma una copia di questo comando motore è indi­ rizza ta ai centri percettivi al fine di modificare l'informazione sensoriale in funzione dell'azione in corso. Ciò permette di fare anticipazioni sulle conseguenze del movimento senza attendere le informa­ zioni dei recettori.

nazione dei movimenti degli occhi e della testa. In ogni caso, questi dati mostrano che i sistemi sensoriali non sono incapsulati. L'azione influenza infatti la percezio­ ne alla sua fonte.

Sono nel mio letto o sospeso al soffitto? Abbiamo descritto le vie nervose che trasmettono alla corteccia cerebrale il movi­ mento individuato dalla vista. Abbiamo in seguito analizzato come il vestibolo rile­ va il movimento della testa e i meccanismi grazie ai quali la vista è migliorata dal riflesso vestibolo-oculare. Ma le informazioni vestibolari non restano confinate al livello dei primi relais sensoriali. Esse sono anche trasmesse alla corteccia cerebra­ le, dove partecipano a numerose funzioni: percezione cosciente dell'orientamento, movimenti dello sguardo, controllo della pastura, coordinazione dei gesti. Esse conco rrono anche alla costruzione di una percezione coerente delle relazioni tra il corpo e lo spazio. Questo contributo vestibolare alle funzioni cognitive più elevate è stato ignorato fino a poco tempo fa. Tuttavia , alcuni pionieri, per esempio Penfield, l'avevano suggerito. l suoi sogg etti20 riferivano in effetti di provare delle vertigini o delle sensa­ zion i di rotazione, caratteristiche del sistema vestibolare, durante stimolazioni e ettriche della regione temporo-parietale. Si sa anche da tempo che illusioni di d�ssoci azione dal corpo possono comparire durante i periodi di aura, vale a dire d1 pe rdita di coscienza parziale, che precedono spesso le crisi in pazienti che sof­ frono di ep ilessia temporale.2I Questi pazienti possono avere, durante le crisi, la



62

CAPITOlO TRE

nucleo : motore dell'occhio (abducente)

ddl'' ; movimento

vista

NVL

,

� ,

c? i

recenori vestibolari

'

.

.

,

.

.

. . ' .

oeex·+· '

midollo

FIGURA 3 - 5 I neuronivestibolan· secondan· sono influenzati dalla direzione dello sguardo.

Anatomia di un neurone vestibolare secondario (vedi Figura 2.4) che trasmette ai nuclei oculomotori informazioni sui movimenti della testa captati dai canali semicircolari. Per ricostruire l'anatomia di que­ sto neurone, è stato penetrato il suo assone con un microelettrodo di vetro riempito con un marcatore, la perossi dasi di rafano: si è registrata la sua attività e poi iniettato il marcatore che permette di rico­ struire l'anatomia. Si vede la distribuzione dei prolungamenti assonici ai diversi centri del cervello che trattano queste informazioni. Questo neurone è il primo relais sensoriale delle informazioni vestibolari, ma riceve anche segnali dal sistema visivo e dai recettori dei muscoli e delle articolazioni. Riceve anche ddle copie dei comandi motori relativi ai movimenti oculari. Un segnale motore che controlla la dire­ zione ddlo sguardo modifica dunque l'attività di questo neurone sensoriale. L'azione influenza la per­ cezione all a sua fonte ! (Da Benhoz e al tri 1 989). ,

sensazione di essere distesi, contemporaneamente, nel loro letto e sul soffitto, come se il loro corpo si sdoppiasse. La zona responsabile di queste illusioni è localizzata nelle profondità del solco laterale, attorno al gyrus temporale superio·

lA COSTRUZIONE DI UNA COERENZA

63

re, nella parte caudale dell'insula e lungo la regione retroinsulare, intorno all'a­ rea acustica. È noto da tempo che i messaggi d'origine vestibolare contribuiscono agli aspetti cognitivi dello schema corporeo e della rappresentazione dello spazio,22 Nell' uomo, l'esistenza di quest'area corticale "vestibolare" è stata recentemente confermata da metodi di tomografia cerebrale.2l Pazienti con lesioni della zona parieto-insulare presentano delle deviazioni della verticale soggettiva: il mondo app are loro inclinato dalla parte opposta rispetto alla lesione. L'effetto è così potente che fanno delle foto inclinate!24

Basi neurali delle influenze vestibolari sulle funzioni corticali La corteccia vestibolare parieto-insulare (CVPI) è stata identificata nella scim­ mia.2' Si tratta del principale centro di relais in grado di distribuire le informazio­ ni vestibolari al resto della corteccia cerebrale, situato nella parte temporale del solco laterale. Quest'area vestibolare corticale è anch'essa multisensoriale, come i nuclei vestibolari. Non si conoscono proiezioni visive dirette alla CVPI, anche se sono candidate numerose vie visive. Il suo ruolo nella rappresentazione multisen­ soriale del movimento della testa nello spazio è stato confermato da registrazioni dell'attività di neuroni della corteccia di una scimmia durante stimolazioni vestibo­ lari al buio.26 I due terzi dei neuroni di quest'area rispondono alla stimolazione vestibolare. L'altro terzo risponde principalmente a stimolazioni somato-sensoriali del collo e delle spalle. Quasi tutti i neuroni che rispondono alla stimolazione vestibolare sono anche attivati da movimenti della scena visiva e dalla stimolazione somato-sensoriale. La proprietà principale dei neuroni della CVPI è la sensibilità a rotazioni angolari su piani diversi e ai movimenti della scena visiva nella direzione opposta a quella della testa. In altre parole, essi hanno una risposta perfettamente adattata all' individuazione dei movimenti della testa nello spazio, poiché, quando effettuia­ mo una rotazione, mentre la testa si gira verso destra, il mondo visivo gira verso sinistra. Questi dati sperimentali suggeriscono che i neuroni della CVPI codifichino il movimento della testa nello spazio a partire dall'informazione visiva vestibolare e somato-sensoriale, quest'ultima proveniente verosimilmente dai recettori della nuca e del tronco. Si può pensare che una delle operazioni compiute in questa parte della cortec­ cia sia la codificazione del movimento della testa su piani più numerosi di quelli dei nuclei vestibolari. Abbiamo visto che la codificazione optocinetica e vestibola­ re del movimento della testa (attraverso il sistema ottico accessorio) è organizzata secondo la geometria dei piani dei canali semicircolari. Questa selezione geometri­ ca è probabilmente molto utile per assicurare una corrispondenza tra questi due

64

CAPITOLO TRE

tipi di segnali e combinarli a livello del tronco cerebrale. Tuttavia, a livello della corteccia cerebrale, la rappresentazione del movimento della testa deve probabil­ mente essere combinata con dei segnali provenienti dalle aree visive temporali, come MT e MTS che trattano principalmente le informazioni concernenti il movi­ mento visivo. La stretta separazione in tre piani è dunque insufficiente. C'è biso­ gno di una rappresentazione multidimensionale del movimento della testa. Le aree corticali implicate nel trattamento dei segnali vestibolari potrebbero formare, secondo Griisser, un "circuito vestibolare interno"27 nel quale circolano le informazioni riguardanti il movimento della testa nello spazio, e potrebbero mantenere permanentemente attive delle rappresentazioni neurali utili per la simu­ lazione interna dei movimenti e la predizione delle loro conseguenze. La neurofisiologia ha confermato l'importanza funzionale delle influenze vesti­ boiari sulle aree corticali.28 Descriveremo due esempi di influenza dei messaggi vestibolari sulla vista.

Perché l'obelisco sembra verticale quando ho la testa inclinata? I neuroni delle aree visive primarie sono attivati dal confine tra la luce e l'oscurità, dall ' orientamento degli stimoli luminosi e dalla direzione del loro movimento. Li si attiva, per esempio, presentando all ' animale delle barrette luminose. Alla nascita, la maggior parte dei gatti e delle scimmie risponde all'orientamento di queste barre luminose indipendentemente dalla direzione, mentre una minoranza presenta già una preferenza per l'orientamento orizzontale e verticale. Anche qui, di conseguen­ za, si produce una selezione a carattere geometrico fin dai primi relais sensoriali. Questa selettività direzionale è determinata precocissimamente durante un periodo critico che nel gatto, va da tre a dieci settimane.29 Il movimento attivo degli occhi, individuato dai recettori dei muscoli oculari, influenza i neuroni della corteccia visiva e induce una preferenza di queste cellule per linee aventi una data orientazione. Così, la proiezione dei propriocettori dell'occhio (e forse del collo) ai neuroni della corteccia visiva condiziona la loro sensibilità direzionale. Essa sugge­ risce ugualmente che i muscoli dell'occhio costituiscano anche un sistema di riferi­ mento analogo a quello dei canali semicircolari. Dal momento che i piani d'azione dei muscoli degli occhi sono vicini a quelli dei canali, è difficile decidere in modo netto tra queste due ipotesi. Forse l'embriologia risponderà a questa domanda. La propriocezione non è il solo fattore in grado di influenzare la direzionalità dei neuroni della corteccia visiva. In effetti, si è recentemente scoperta un 'influen­ za vestibolare su delle aree prima considerate puramente visive, come V2 : il 40% dei neuroni di quest'area ( che è una delle prime aree visive) è sensibile ai contorni delle forme visive, ma presenta un'attività influenzata dall 'inclinazione della testa.30 La direzione preferenziale del contorno al quale è sensibile ogni neurone ruota infatti in senso inverso al movimento della testa rispetto alla verticale !

LA COSTRUZIONE

DI

UNA COERENZA

65

Questa influenza vestibolare permetterebbe di mantenere invariante l' orientamen­ to dd contorno percepito. È forse grazie a questo meccanismo che, quando inclino la testa, l'obelisco di Piace de la Concorde mi sembra ancora verticale. Non si trat­ ta di un riflesso che fa ruotare il mio occhio (il riflesso vestibolo-oculare di torsio­ ne è d'altronde molto poco attivo), ma di un meccanismo di rotazione mentale delle rappresentazioni visive.

Sistema vestibo/are e riconoscimento dei volti Tutti sappiamo che è estremamente difficile riconoscere un volto quando è incli­ nato di 90 gradi o, ancor più quando è capovolto, mentre l'immagine sulla retina resta del tutto netta. Il lettore sa anche che è assolutamente insopportabile guarda­ re un quadro leggermente storto ! Esiste dunque una sorta di costrizione esercitata dalla gravità sull a percezione delle forme visive. Il ruolo della gravità nella percezione delle forme visive è stato studiato dal nostro laboratorio nel caso particolare della percezione delle simmetrie utilizzando i voli spaziali, che mettono l'uomo in una situazione di microgravità. A terra, quan­ do un soggetto deve dire se una forma è simmetrica o non lo è, lo fa più rapida­ mente se l'asse di simmetria è orizzontale o verticale. Quando l'asse è obliquo, il soggetto impiega un po' più di tempo. Ancora, la simmetria è particolarmente faci­ le a identificarsi quando il suo asse è verticale. Quando gli astronauti della stazione MIR sono stati sottoposti nello spazio a un test di riconoscimento di forme simme­ triche (dei poligoni, per esempio), la verticale perdeva il suo privilegio. Ciò resta ugualmente vero quando si è distesi sulla schiena e la verticale di gravità non è più allin eata su quella dell'asse di simmetria dell'oggetto visivo. L'individuazione otolitica della gravità gioca dunque un ruolo importante nella nostra percezione visiva dell'ambiente.

Una bussola neurona/e? Sedetevi su una sedia girevole. Guardate un oggetto davanti a voi, chiudete gli occhi e ruotate su voi stessi una o due volte. Potrete ugualmente puntare sull'og­ getto con gli occhi chiusi. Un meccanismo neuronale d'origine vestibolare valuta la direzione della testa sul piano orizzontale, la memorizza e la riattualizza durante il movimento. Una delle scoperte più importanti di questi ultimi anni è stata l'esi­ stenza di neuroni la cui scarica è legata alla direzione della testa sul piano orizzon­ tale. Questi neuroni sono stati identificati, nel ratto,H nel talamo, una struttura che tras mette verso la corteccia le informazioni sensoriali, e nel post-subiculum, un nucleo della formazione ippocampica che, come ricorderemo più avanti in detta­ glio, partecip a alla memoria spaziale.

66

CAPITOLO TRE

Questi neuroni segnalano la direzione della testa qualunque sia la posizione dell'animale in una stanza, proprietà che si indica con il termine di " invarianza locale" . Essi costituiscono dunque una bussola interna. Bussola sofisticata, dal momento che indica una grandissima varietà di direzioni ! Uno di questi neuroni, silenziosi quando il ratto dirige la sua testa in varie direzioni, si mette all'improvvi­ so a scaricare quando l'animale si orienta verso il nord, qualunque sia il punto in cui esso si trova nella stanza. Questi neuroni sono tuttavia fortemente dipendenti dall'ambiente visivo locale. Bisogna che l'animale abbia familiarità con la stanza in cui si trova, perché le direzioni preferite da ogni neurone siano ben stabilizzate. Se lo si cambia di luogo, l'animale riorganizzerà i suoi neuroni di direzione. Ma il fatto notevole è che, quando l'animale ha familiarità con un luogo, essi mantengo­ no la loro sensibilità a una direzione data anche nd buio. Dunque partecipano alla memoria spaziale. Le informazioni vestibolari relative alla direzione della testa sono trasmesse dal nucleo vestibolare mediale al talamo dorso-laterale e da qui verso la formazio­ ne ippocampica. Si sa d'altronde che, nell'ippocampo, si trova un'altra categoria di neuroni, le " cellule di luogo" che, indipendentemente dalla direzione della testa, scaricano quando l'animale si trova in un dato luogo. È dunque possibile che la vostra memoria dell'oggetto, nell'esperimento descritto sopra, sia possibile grazie alle informazioni vestibolari che potrebbero riattualizzare le rappresentazioni dello spazio nell'ippocampo. Torneremo su questo argomento nd Capitolo 5 .

La negligenza La costruzione di una percezione coerente delle relazioni tra i corpi e lo spazio dipende da meccanismi nd contempo gerarchizzati e paralleli che combinano le informazioni provenienti dagli organi di senso e i segnali legati all'azione. Non stu­ pisce quindi che una lesione o un deficit a carico di alcuni circuiti inducano una disgregazione di questa coerenza. Un esempio che ricorderemo molto brevemente è fornito dalla negligenza spaziale. I pazienti che hanno una lesione della corteccia parietale destra presentano spesso un deficit della percezione dello spazio. Benché vedano lo spazio per intero, non percepiscono che la metà destra e trascurano la metà sinistra. Da cui il nome di questa malattia: "negligenza spaziale" . Se si chiede loro di disegnare un fiore, essi disegneranno solo i petali di destra; se si chiede loro di disegnare un orologio, riporteranno solamente le ore dalle 12 alle 16; se si chiede loro di dipingere degli oggetti, ne ritrarranno solo metà; infine, mangeranno solo la metà di un piatto di fragole. Non tutti questi sintomi sono presenti contemporaneamente. Si distinguo­ no, in effetti, diversi tipi di negligenza: "personale ", se per esempio si trascura il proprio braccio sinistro; "extrapersonale" , se si trascura di disegnare gli oggetti posti a sinistra nella stanza; " di rappresentazione" , se non si riesce a immaginare la

LA COSTRUZION E DI UNA COERENZA

67

parte sinistra del proprio salotto, del proprio appartamento o della propria città. Si distinguono anche una negligenza "percettiva " e una "motrice". La negligenza motrice consiste, per esempio, nel non servirsi di un arto mentre la sua motilità è intatta. Diversi autori hanno poi osservato che è sufficiente iniettare dell'acqua fredda nell'orecchio sinistro, vale a dire operare una stimolazione vestibolare calo­ rica, per far sparire temporaneamente i fenomeni di negligenza.32 Questo effetto non è dovuto alla deviazione dell'occhio indotta dall a stimolazione. I pazienti affetti da negligenza33 presentano talvolta dei deficit neurologici associati, come l'emianopsia (non vedere una metà del campo visivo) e l'emianeste­ sia (non sentire gli stimoli applicati su una metà del proprio corpo). Questi deficit, apparentemente primari in quanto coinvolgono le strutture primarie delle aree corticali sensoriali, possono anche scomparire dopo iniezione di acqua fredda nel meato acustico, e cioè dopo una stimolazione vestibolare.34 Si ottiene anche una remissione quasi completa, anche se temporanea, dell'emianestesia conseguente a una lesione della corteccia cerebrale destra35 e un miglioramento degli altri deficit della rappresentazione dello schema corporeo. Per esempio, certi pazienti non awertono più il contatto quando si tocca loro la mano. La stimolazione vestibolare restituisce in maniera transitoria la percezione tattile ( Bottini e altri, 1 995 ). Con l'aiuto della tomografia a emissione di positroni è possibile registrare l'attività cere­ brale di questi pazienti. Nel soggetto normale, i segnali tattili e vestibolari condivi­ dono delle proiezioni su neuroni del putamen, dell'insula, delle aree corticali somatosensoriali, della corteccia premotoria e del giro sopramarginale. Alcune delle aree che erano rimaste intatte in questi pazienti sono state attivate dalla sti­ molazione vestibolare nello stesso momento in cui riappariva la sensazione tattile. Gli autori di questo studio concludono: " La corteccia somatosensoriale primaria non ha il primato per la percezione cosciente delle informazioni tattili; piuttosto, esistono nel cervello rappresentazioni sensoriali multiple del corpo e tutte possono contribuire alla percezione" . L a stimolazione vestibolare h a un effetto eccezionale sulla somatoparafrenia. In questa malattia,36 i pazienti rifiutano di attribuirsi la proprietà dei propri arti. Per esempio, consideriamo il caso di una paziente che rifiutava di attribuirsi la �rop rietà del proprio braccio sinistro.37 Diceva: "Questo braccio è di mia madre". E b astata un'iniezione d'acqua nell'orecchio (stimolazione calorica dei recettori vestibola ri) perché questa donna ritrovasse il possesso del suo braccio. Effetto pur­ troppo temporaneo ! Queste osservazioni suggeriscono che la negligenza spaziale, anche se ha mol­ teplici manifestazioni, avrebbe una causa unica legata alla rappresentazione dello schema corporeo. L'efficacia della stimolazione vestibolare potrebbe essere dovuta a uno squilibrio fondamentale indotto dalla lesione e compensato da uno squili­ brio in senso inverso prodotto dalla stimolazione calorica attraverso le vie vestibo­ lari ascen denti sopra descritte, comprese quelle che corrispondono ai "neuroni di direzione della testa" . Se questa ipotesi è esatta, il fatto che la vibrazione del collo,

68

CAPITOLO TRE

la stimolazione transcutanea dei recettori tattili e la stimolazione optocinetica pro­ ducano anch'esse una remissione della negligenza spaziale38 non è allora sorpren ­ dente, vista la convergenza multimodale presente in tutte le stazioni centrali delle vie vestibolari. Abbiamo insistito sul fatto che molte strutture defini te vestibolari sono in realtà strutture multimodali, interessate dall a ricostruzione dell'orienta ­ mento e del movimento della testa nello spazio. Queste considerazioni sono importanti perché danno una base biologica a fenomeni solitamente considerati para psicologici, quali "l'uscita dal corpo" Bisogna denunciare i ciarlatani che approfittano di percezioni strane come questa per sfruttare la credulità e il portafoglio della gente, vendendo queste illusioni come fenomeni soprannaturali. .

La percezione della distanza La percezione della distanza ci fornirà un altro esempio della natura multisensoria­ le della percezione. Anche in questo caso, però, i messaggi che si combinano hanno in parte origine dalle copie corollarie dei comandi motori. La percezione della distanza è in effetti il risultato di messaggi visivi e di messaggi relativi al grado di convergenza dei due occhi. L'azione è utilizzata come informazione sul mondo ! Lorenz aveva avanzato l'ipotesi che i pesci possano valutare la distanza degli oggetti sul fondo del mare grazie alla combinazione delle informazioni visive di disparità (relative cioè alla differenza delle due immagini dell'oggetto rilevate dai due occhi) e di convergenza dei due occhi sull ' oggetto.39 L'idea che la percezione della distanza sia dovuta a un 'interazione multisensoriale è stata formulata anche da Poincaré: "E tuttavia si dice il più delle volte che l'occhio ci dà il sentimento di una terza dimensione, e ci permette in una certa misura di riconoscere la distanza degli oggetti. Quando si cerca di analizzare questa impressione, si constata che si riduce sia alla coscienza della convergenza degli occhi, sia a quella dello sforzo di accomodamento che fa il muscolo ciliare per mettere a punto l'immagine" .40 La percezione della distanza è effettivamente dovuta a una combinazione di informazioni visive e motrici:41 nell'area visiva primaria V l , alcuni neuroni sono attivati dalla disparità delle immagini di uno stesso oggetto rilevate dai due occhi, legata alla distanza dall'oggetto stesso. Mettendo davanti all'animale due immagini piane i cui motivi, chiamati "stereogrammi di Julesz " , riproducono i due punti di vista che i due occhi avrebbero dell'oggetto, si può far variare la distanza apparen­ te dei motivi variando solo il parametro disparità (cioè, dislocazione relativa delle due immagini). Tre specie di neuroni dell'area V l sono attivate rispettivamente quando la scena è situata indietro o in avanti rispetto al punto che l'occhio fissa. Questa sensibilità alla disparità retinica è modificabile tramite un segnale non visivo (extraretinico). In effetti, se si mettono davanti all ' occhio del soggetto dei prismi che awicinano il bersaglio visivo senza cambiare la disparità, i due occhi

lA COSTRUZION E DI UNA COERENZA

69

convergono. Un neurone attivato da un bersaglio visivo a 20 centimetri dall ' oc­ chio, lo è ancora quando esso è a 80 centimetri a causa dei prismi. Questo esperi­ men to dimostra che un segnale legato alla convergenza dei due occhi modula la risposta di questi neuroni. Si misura la distanza misurando anche di quanto gli occhi diventano strabici ! L'origine esatta dei segnali di convergenza è sconosciuta. Si può pensare ai recettori muscolari oculari o a una copia efferente del comando motore di convergenza, in altre parole un messaggio motore, o a una combinazio­ ne di entrambi. In effetti, numerose strutture della corteccia visiva ricevono anche delle informazioni sulla posizione dell'occhio (V l , V2 , MTS, LIP, PO ecc. ). L'idea che delle grandezze, come la distanza, siano costruite da inferenze inco­ scienti, come suggeriva Helmholtz, non è stata ammessa da tutti i filosofi. Anche Merleau-Ponty, il cui pensiero è oggi confermato da numerosi dati sperimentali, si è sbagliato a questo proposito: "Come pretendere " scrive " che la percezione della distanza sia dedotta dalla grandezza apparente degli oggetti, dallo squilibrio delle immagini retiniche, dall ' adattamento del cristallino, dall a convergenza degli occhi, e che la percezione del rilievo sia dedotta dalla differenza tra l'immagine che forni­ sce l'occhio destro e quella che fornisce l'occhio sinistro, dal momento che, se noi ci atteniamo ai fenomeni, nessuno di questi 'segni' è dato chiaramente alla coscien­ za, e non c'è ragionamento là dove manchino le premesse?" .42

La coerenza tra vedere e udire Analizziamo ora la cooperazione tra due altre modalità sensoriali, la vista e l'udito. È noto che si afferra più facilmente un oggetto se, nello stesso istante in cui lo si vede, lo si sente arrivare. Questa cooperazione mette in gioco una struttura parti­ colare del cervello: il collicolo superiore. Si tratta essenzialmente di una macchina biologica che deve riconoscere degli oggetti in movimento e identificare la loro novità a partire da indizi multisensoriali. Racchiude dunque dei segreti importanti sul modo in cui il cervello realizza la fusione multisensoriale e l'estrazione di segna­ li pertinenti. Controlla, tra gli altri comportamenti, le reazioni di orientamento e di evitamento, ed è un magnifico esempio di struttura, nel contempo sensoriale e motrice, che guida l'esecuzione e la correzione di movimenti realizzati da moltepli­ ci effettori come gli occhi, la testa, il tronco e gli arti. Non si può catturare una preda mobile se non mirando davanti al punto in cui essa si trova e correggendo molto rapidamente la traiettoria in caso di errore. ll collicolo è dunque implicato nell'anticipazione e nella predizione motrice. È suscettibile anche di informarci sul modo in cui il cervello giunge a formulare i suoi ordini motori in maniera sufficientemente generica, perché il movimento sia compiuto da effettori differenti (lingua, mano o zampa, piede . . . ) dotati di diffe ­ renti proprietà dinamiche. Il collicolo (dal latino collis, " collina" ) chiamato, nei vertebrati non mammife-

70

CAPITOlO TRE

ri, "tetto ottico", è costituito da due parti simmetriche (da cui l'espressione "i col­ licoli " ) . Si distin guono un collicolo superiore e uno inferiore. Consideriamo il col­ licolo superiore. La sua lesione induce un deficit delle reazioni di orientamento e di cattura di un bersaglio: un gatto con lesione dei collicoli superiori può ancora prendere un topo, ma meno rapidamente. Ecco quindi la sua importanza ecologi­ ca ! È composto da sette strati di fibre nervose e di neuroni, e la sua complessità è tremenda. Si distinguono tuttavia tre strati principali detti semplicemente "superfi­ ciale" , " intermedio" e "profondo" . I suoi neuroni ricevono informazioni da più di venti strutture cerebrali. Le sue afferenze sono principalmente sensoriali visive, propriocettive (diremo anche "somatiche" ) e acustiche. Esso riceve anche numero­ se proiezioni della corteccia e da altre strutture, quali i gangli della base, il cervel­ letto ecc. Altre afferenze le cui funzioni sono poco conosciute provengono da strutture quali il nucleo del rafe, il locus coeruleus ecc. Alcune di esse " possono giocare un ruolo nella modificazione della probabilità di fare un movimento in funzione dell'esperienza passata e dei bisogni immediati dell'organismo " .43 Vediamo anzitutto le risposte visive. Se si sposta una mira luminosa di fronte a un animale, i neuroni del collicolo, come quelli della corteccia visiva, risponderan­ no attraverso una scarica di potenziali d'azione. La loro risposta alla stimolazione visiva è selettiva per una regione particolare dello spazio visivo (è la nozione di campo recettivo). I loro campi recettivi sono larghi. Sono contornati da una zona di inibizione: se si presenta un bersaglio contemporaneamente al centro del campo recettivo e alla sua periferia , la risposta allo stimolo centrale sarà ridotta. La dimensione dello stimolo efficace è, in generale, inferiore a quella del campo recet­ tivo. Alcuni neuroni sono particolarmente sensibili al movimento in certe direzio­ ni. Infine, la presentazione ripetuta dello stimolo induce una assuefazione che si traduce in una estinzione della scarica. Il collicolo partecipa all'individuazione della novità. Se l'animale pone attenzione al bersaglio visivo, la risposta sensoriale è aumentata. Questa amplificazione della risposta a uno stimolo è una prova sup­ plementare del carattere attivo della percezione, e ha ugualmente luogo un attimo prima di un movimento saccadico oculare verso il bersaglio; una prova in più del fatto che l'intenzione di muoversi modifica la sensibilità dei primi relais sensoriali. Negli strati profondi del collicolo si trovano dei neuroni che proiettano al tronco cerebrale e al midollo spinale per indurre dei movimenti oculari verso il ber­ saglio (dei saccadici) (vedi Figura 3 .6). Una proiezione crociata assicura i movimen­ ti di orientamento della testa, degli occhi, del tronco e forse degli arti; un'altra, non crociata, assicura i movimenti di evitamento e di fuga quando un predatore si awi­ cina. Altri neuroni proiettano al talamo e informano senza dubbio la corteccia, attraverso l'intermediazione del talamo, dei movimenti in corso; altri ancora proiet­ tano al collicolo controlaterale, e assicurano certamente la coordinazione delle due parti e giocano un ruolo nelle reazioni agli oggetti che si avvicinano. Questi neuroni sono disposti in maniera tale che la loro localizzazione sullo strato profondo del col­ licolo profondo è in registro con la rappresentazione retinica degli strati superiori.

LA COSTRUZIONE DI UNA COERENZA

71

elettrodi per registrazione

FIGURA 3.6 I neuroni del co//icolo superiore p roiettano ai centri che controllano i movimenti degli occhi e della testa.

Esempio di relazione tra il collicolo e i centri motori del tronco cerebrale che controllano i movimenti e la postura durante l'orientamento dello sguardo verso un oggetto. � stato rappresentato il neurone tetto-reticolo-spinale (NTRS) che collega il collicolo al tronco cerebra­ le. Esso è attivo quando l 'animale orienta il suo sguardo verso un bersaglio visivo. Proietta verso il tron­ co cerebrale su neuroni che attivano i centri motori degli occhi, della testa e forse delle braccia e del tronco. (Da Grantyn, 1989).

In altre parole, se un bersaglio (un uccello, per esempio) appare nel vostro campo visivo, la popolazione di neuroni del collicolo che sarà attivata negli strati superficiali è situata esattamente al di sopra dei neuroni degli strati profondi che bisognerà attivare per eseguire un movimento combinato degli occhi e della testa verso l'u ccello. È per questo che si dice, in breve, che il collicolo contiene due spe­ cie di mappe: delle mappe sensoriali (negli strati superficiali) e delle mappe motri­ ci (negli strati intermedio e profondo) nello stesso registro. . Un gran numero di neuroni negli strati profondo e superficiale del collicolo nspondono a stimolazioni sensoriali. Si sono così trovate tre mappe sensoriali che con divi dono gli stessi neuroni: una mappa visiva ( retinotopica) , una mappa dello spazio sonoro (audiotopica) e una mappa che rappresenta le varie parti del corpo

72

CAPITOLO TRE

(somatotopica) . Queste mappe sono specifiche di ogni specie. Per esempio nel ratto, le vibrisse giocano un ruolo fondamentale nell'esplorazione dello spazio e nella cattura; esse hanno quindi una rappresentazione molto estesa nel collicolo. Nei primati che hanno una fovea, la regione centrale della retina è rappresentata da numerosi neuroni. I campi recettivi relativi a ciascuna di queste modalità senso­ riali sono differenti, e bisogna dunque guardarsi da una visione troppo semplicisti­ ca di queste tre rappresentazioni neuronali dello spazio sensibile. Tuttavia, la cosa più importante è che questi tre domini della percezione condividono una " topia"44 comune: lo spazio retinico. Questa coerenza rappresentazionale è molto importante, essa semplifica consi­ derevolmente la messa in corrispondenza degli spazi esplorati dai vari recettori per permettere il rapido orientamento verso una meta. Nello stesso tempo, vedremo che queste mappe sono la sede di molteplici fenomeni di selezione e di riaggiusta­ mento dinamico che, se studiati più a fondo, permetteranno di comprendere un giorno il carattere predittivo dei movimenti di orientamento. li collicolo è una struttura interessante per comprendere come il cervello trat­ ta il problema della coerenza spaziale e temporale delle informazioni fornite dai diversi sensi. È chiaro in effetti che quando sentite improvvisamente il rumore di una porta che sbatte, leggermente sulla vostra destra e girate la testa bruscamente per orientare lo sguardo verso la porta stessa, avrete bisogno di mettere in corri­ spondenza almeno tre spazi: quello visivo, vale a dire lo spazio retinico sul quale è proiettata l'immagine del vostro appartamento, quello acustico, cioè lo spazio acu­ stico individuato dalle vostre due orecchie, e lo spazio del vostro corpo che dovrà girarsi per guardare la porta che ha sbattuto. Questi aggiustamenti degli spazi reti­ nico, acustico e somatico si realizzano nel collicolo superiore. Vediamo anzitutto un esempio di adartamento tra lo spazio acustico e la vista. Benché sia un'altra struttura, il collicolo inferiore, a ricevere i segnali acustici, anche i neuroni del collicolo superiore sono attivati dai suoni. Non hanno esatta­ mente le stesse proprietà di quelli delle vie acustiche primarie. Questi ultimi, infat­ ti, sono sensibili a bande di frequenza piuttosto ristrette e costituiscono quella che viene chiamata una "mappa tonotopica " , che permette eventualmente all'animale di riconoscere i suoni emessi da animali dello stesso genere, come è il caso dd rico­ noscimento dei colori attraverso le vie visive. In ogni caso non si trova una rappresentazione dello spazio sonoro nelle vie uditive classiche; è nel collicolo superiore che esso è codificato. I suoi neuroni sono relativamente insensibili ai suoni puri. Essi preferiscono suoni complessi come quelli prodotti da battiti di mani, da sibili; in poche parole, dei rumori natu­ rali come quelli che potrebbe emettere una preda o un predatore. Essi sono molto sensibili ai suoni nuovi. La più parte sono biauricolari: rispondono cioè alla stimo­ lazione delle due orecchie. Costruiscono dei campi recettivi spaziali a partire da questa percezione biauricolare tenendo conto degli intervalli di tempo (molto brevi ! ) tra l'arrivo dei suoni alle due orecchie.

LA COSTRUZION E DI UNA COERENZA

73

Bisogna ricordare che esiste un rinforzo reciproco tra le afferenze visive e udi­ e a tiv livello di ogni neurone in cui convergono queste due modalità. Come dimo­ stra re questa cooperazione? Un neurone che risponda alla presenza di un uccello ch e canta attraverso una forte scarica potrà non rispondere a nessuno dei due aspetti dello stimolo - l'immagine dell'uccello o il canto - presentati da soli. Una proprietà fondamentale dell'integrazione multisensoriale nel collicolo è la seg uente: è il campo recettivo a essere la referenza pertinente per l'integrazione multisensoriale, e non lo spazio esterno. La fusione tra i recettori si compie a livel­ lo dello spazio dei campi recettivi e non attraverso la ricostruzione centrale dello spazio cartesiano esterno. Si ritrovano qui delle regole che vedremo più avanti a proposito dei neuroni del putamen45 e dell'area 6 della corteccia cerebrale che sono attivati nel contempo da una stimolazione visiva e da una stimolazione tattile. La mappa uditiva così costituita può essere spostata con i movimenti degli occhi o delle orecchie o portando occhiali prismatici che sfalsano lo spazio visivo rispetto a quello della testa. Perché questa flessibilità e questa influenza dei segna­ li motori sulle mappe neuronali? Supponiamo che un uccello appaia nella zona periferica del nostro campo visi­ vo. Dal momento che la posizione del volatile nello spazio è rilevata sulla retina (in coordinate retiniche), la sua posizione sull a retina dipenderà dall a direzione dello sguardo. Facciamo l'esperimento. Guardate di fronte a voi, con gli occhi ben spa­ lancati ! Se l'uccello appare a 45 gradi a destra e si mette a cantare o a lanciare un gridolino di spavento, le due mappe - visiva e uditiva - coincideranno, e la stessa popolazione di neuroni del collicolo sarà attivata e produrrà lo stesso movimento di orientamento dei due occhi e della testa. Se ora avete la testa dritta davanti a voi ma gli occhi spostati, le due mappe rischiano di non coincidere. L'influenza della direzione dello sguardo sul collicolo consentirà di calibrare di nuovo le due mappe senza che il cervello abbia bisogno di fare dei calcoli complicati. Altre interazioni di natura spaziale modificano i neuroni del collicolo. La risposta a due stimoli provenienti dallo stesso luogo è determinata dalla selezione degli oggetti di interesse sulla base delle configurazioni degli stimoli che li caratte­ rizzano. Un altro meccanismo permette la selezione dei bersagli interessanti: si tratta della depressione che accompagna la presentazione simultanea di due stimo­ li non situati nello stesso punto. In effetti, ogni neurone multisensoriale del colli­ colo ha una zona alla periferia del suo campo recettivo che induce una soppressio­ ne della risposta. Questa proprietà è molto diffusa nel sistema nervoso e nella cor­ teccia visiva: gli si attribuisce una funzione di selezione spaziale. Un altro problema che il cervello ha dovuto risolvere per assicurare la fusione delle informazioni multisensoriali è quello del divario temporale. In effetti le infor­ mazioni sensoriali hanno bisogno di durate differenti per raggiungere il collicolo. Per esempio un suono presentato all'orecchio ci mette circa 13 millisecondi per arrivarci; una carezza circa 25 millisecondi; uno stimolo visivo da circa 40 a 150 millisecon di a seconda dello stato di veglia dell'animale.

74

CAPITO LO TRE

Ma c'è una cosa ancora più difficile. Se un uccello canta su un albero a 50 metri da un gatto, il suono trasportato in aria a 330 chilometri al secondo impie­ gherà circa un decimo di secondo per arrivare al collicolo del felino, mentre la luce, che si sposta a 300.000 chilometri al secondo, arriverà sulla retina quasi istan ­ taneamente. La soluzione utilizzata dal sistema nervoso è quella detta delle " finestre tem­ porali" . È di grande semplicità e di grande flessibilità. Si è constatato in effetti, grazie a registrazioni elettrofisiologiche, che uno stimolo luminoso provoca una scarica che può essere mantenuta per più di 1 00 millisecondi, così che, se un suono arriva dopo parecchie centinaia di millisecondi, può ancora prodursi l'am­ plificazione della risposta. La rete neuronale del collicolo elabora dunque una memoria che mantiene la sensibilità dei neuroni multimodali durante un certo tempo, da cui il nome di "finestra temporale" . Questa finestra temporale spiega senza dubbio i n gran parte i l successo dei predatori. " La presenza di finestre temporali larghe per la convergenza multisenso· riale dà una flessibilità cruciale per individuare e rispondere a stimoli minimi, anche se importanti, presentati a differenti distanze da un animale, e l'esistenza di una depressione massimale quando gli stimoli sono dislocati nello spazio, ma atti­ vati contemporaneamente, permette di concentrare l'attenzione sul più potente, e potenzialmente il più importante, in presenza di elementi di distrazione" .46 Ma il sistema nervoso dispone di altri meccanismi per risolvere il problema del divario temporale. Il cervelletto riceve delle informazioni sensoriali da un grandis­ simo numero di fonti, in particolare dai propriocettori degli arti. È importante per questa struttura poter comparare i messaggi provenienti dai recettori dei piedi, delle braccia e della nuca per esempio, poiché essa è impiegata nella coordinazione dei movimenti, soprattutto attraverso l'organizzazione temporale precisa dei gesti e delle relazioni tra la postura e il movimento, come vedremo più avanti. La soluzio­ ne utilizzata dal sistema nervoso consiste forse nel fare variare la velocità di condu­ zione delle fibre nervose affinché tutti i messaggi arrivino contemporaneamente. I messaggi dei recettori dei piedi, situati a più di un metro di distanza dal cervellet­ to, sono trasmessi più velocemente di quelli dei recettori della nuca situati a una decina di centimetri ! Ma il problema dei divari temporali è talmente importante che il cervello ha senza dubbio trovato numerose soluzioni differenti che dovreb­ bero interessare i robotici !

n visibile e il tangibile Numerosi filosofi hanno insistito sulla cooperazione tra vista e senso del tatto. Merleau-Ponty scriveva: " [. .. ] dobbiamo abituarci a pensare che ogni visibile è ricavato dal tangibile, ogni essere tattile è promesso in un certo qual modo alla visi­ bilità; e che c'è trasgressione, sopravanzamento, non solo tra il toccato e il toccan-

LA COSTRUZION E DI UNA COERENZA

75

te, ma anche fra il tangibile e il visibile che è incrostato in esso, così come, recipro­ cam ente, il tangibile stesso non è un null a di visibilità, non può fare a meno di una esist enza visiva. Poiché il medesimo corpo vede e tocca, visibile e tangibile appar­ tengono al medesimo mondo. È un prodigio troppo poco notato il fatto che ogni movimento dei miei occhi - anzi, ogni spostamento del mio corpo - ha il suo posto nel medesimo universo visibile che attraverso di essi io esploro nei suoi particolari, così come, reciprocamente, ogni visione si effettua in qualche luogo nello spazio tattile" .4 7 Anche Sartre aveva insistito sulle analogie reciproche tra vista e tatto: " l ) una sequenza di sensazioni cinestesiche (o tattili) può funzionare come analogon per una sequenza di impressioni visive. 2) un movimento (dato come serie cinestesica) può funzionare come analogon che il mobile descrive o si suppone descriva, il che significa che una serie cinestesica può funzionare come sostituto analogo di una forma visiva [. .. ] 48 Anche il neuropsicologo Ajuriaguerra, che ha descritto in modo così rigoroso le relazioni tra la madre e il suo bambino, aveva insistito su quest'aspetto nei suoi scritti e durante i suoi corsi al Collège de France. " La percezione non può essere separata completamente né dalla motricità oculare, affermava, né dalla cognizione, né dalla vita affettiva del soggetto. La percezione confermerà il mondo degli ogget­ ti: la conoscenza delle cose e degli esseri non può prodursi senza un'esplorazione: tattile nei ciechi, tattile e visiva nei vedenti. Se si è potuto difendere il fatto che i domini ottico e aprico sono governati da leggi differenti, gli studi eseguiti nei cie­ chi che hanno recuperato la vista mostrano che può esistere un transfert tra le due modalità " . 49 ".

Vedere con la propria pelle L'alfabeto Braille dà ai soggetti ciechi dall a nascita un accesso alla lettura. Nella misura in cui permette loro di costruire una rappresentazione tattile di una pagina di testo, è un esempio di sostituzione sensoriale e di equivalenza tra il tatto e la vista. Questa equivalenza funzionale tra il visibile e il tangibile è stata dimostrata in maniera magistrale dagli esperimenti di Bach-y-Rita�o sull'utilizzazione delle vibra­ zioni come sostituzione visiva nei ciechi. Egli ha messo a punto una tecnica che consiste nello stimolare la pelle con una matrice di piccoli vibratori attivati dall'im­ magine di una telecamera. Si conoscevano le soglie di percezione tattile grazie ai lavori di Mountcasùe sulla sensibilità vibratoria, nei quali venivano confrontate le soglie di attivazione dei recettori cutanei nell'uomo e nella scimmia. La curva di sensibilità alle vibrazioni cutanee ha una forma a campana con un massimo verso gli 80- 1 00 Hz. In effetti, essa dissimula due curve che corrispondono ai due tipi di recettori cutanei attivati dalle vibrazioni: i recettori di Meissner, che hanno un

76

CAPITO LO TRE

massimo di sensibilità verso i 40 Hz, e i recettori di Pacini, particolarmente sensi­ bili verso gli 80- 100 Hz. Queste vibrazioni delicate applicate sulla pelle erano di intensità molto debole; esse agivano principalmente sui recettori cutanei e non provocavano riflessi muscolari né illusioni di spostamento dell'arto sottoposto a vibrazione. Si creava così un'imm agine vibratoria tattile in diversi punti del corpo (mani, ventre, schiena ecc. ) . Fatto notevole, la percezione indotta da queste immagini tat­ tili aveva tutte le proprietà della percezione visiva, come la parallasse, la prospetti­ va, l'effetto di ingrandimento ( quando, per esempio, un oggetto si avvicina al corpo) e la valutazione della profondità. Sono state stabilite, per esempio, molte prove di equivalenza tra percezione tattile e visiva. Se si lanciava una palla di fron­ te al soggetto, anche se la sua immagine ne era proiettata dai vibratori sulla sua schiena, egli la percepiva come se stesse davanti a lui. Inoltre, le immagini percepi­ te in questo modo avevano tutte le proprietà consuete delle immagini visive (paral­ lasse ecc.). Un soggetto cieco può, grazie a questo dispositivo a matrice tattile, gio­ care a una versione semplificata di ping pong e dunque predire le traiettorie di bersagli in movimento nello spazio. Quando la persona che utilizza questa telecamera acquisisce informazioni ser­ vendosi di una matrice posta sul ventre, questo apprendimento persiste con la tele­ camera posta sulla fronte o sulla mano. La ragione di questa equivalenza è che l'immagine non è percepita a fior di pelle ma nello spazio esterno, come si perce­ pisce il suolo all'estremità del bastone e non nel cavo della mano che tiene il pomo, dove si esercita il ritorno di forza. L'immagine è proiettata nello spazio dal cervel­ lo. Quale bella spiegazione di ciò che io intendo per necessità di costruire una teo­ ria proiettiva della percezione ! Questa tecnica è stata utilizzata per aiutare i ciechi dalla nascita a leggere: un piccolo vibratore posto all'estremità del dito proiettava delle lettere sulla pelle. Tuttavia essa si scontra con dei limiti, e non ha sostituito la lettura tramite alfabeto tattile di Braille. C'è senza dubbio nel carattere attivo di quest'ultima un aspetto che non può essere sostituito da tecniche che trasmettono passivamente l'informa­ zione sensoriale. In effetti, benché il soggetto possa manipolare la telecamera per esplorare lo spazio visivo, egli non produce certamente quell'insieme di movimen ­ ti attivi e di sensazioni che realizza il metodo Braille . Ritroveremo più in basso l'importanza dell'esplorazione attiva nella percezione. Questi dati suggeriscono che le informazioni tattili hanno accesso ai centri del cervello che trattano le informazioni visive. Ne abbiamo attualmente la prova ? Registrazioni dell'attività cerebrale nell'uomo5 1 hanno mostrato che i primi relais neuronali che ricevono le informazioni visive nella corteccia cerebrale sono attivati nei ciechi dalla nascita da una stimolazione tattile quando essi cercano di immagi ­ nare un oggetto. Abbiamo visto come il visibile e il tangibile si coniugano nella percezione delle forme e del movimento. Queste due modalità partecipano anche all a percezione

LA COSTRUZIONE DI UNA COERENZA

77

zona dello spazio visivo che attiva lo stesso neurone



FIGURA

3· 7 La vista

e

il tatto.

Regioni della pelle e dello spazio visivo dalle quali un neurone bimodale dd putamen è attivato nella scimmia. Questa cellula scarica quando il dito avanza ed entra nel campo recettivo visivo del neurone, c: anche quando il dito tocca la pelle nel campo recettivo tattile. Quando il dito si avvicina senza tocca· re: la pelle, la scimmia avrà dunque un 'impressione di contatto prima ancora che questo non venga sta· bilito. (Da Gross e G raziano, 1 995 ) .

coerente del proprio corpo e alla realizzazione di referenze multiple legate alle dif­ ferenti parti del corpo. I neuroni di molte zone del cervello: il putamen, l'area cor­ ticale frontale 6 e l'area parietale 7b, rispondono quando un bersaglio appare in certe parti del campo visivo e hanno anche una sensibilità al tatto, vale a dire scari­ cano quando si accarezzano o si sfiorano certe parti della pelle; esse sono dunque "bimodali" .�2 Questi neuroni bimodali hanno delle proprietà affascinanti: per esempio, se un neurone scarica quando si tocca la guancia della scimmia, lo stesso neu ron e scaricherà anche se si avvicina la mano alla guancia senza toccarla. Il " cam po recettivo " spaziale visivo corrisponde al " campo recettivo" tattile (Figura 3.7 ). Si può così provocare l'attività del neurone ponendo la mano o un oggetto in un volume di circa dieci centimetri intorno alla guancia. Questa scoperta implica molti importami significati. Anzitutto, essa confenna l'equivalenza tra stimolazione visiva e tattile. Si capi­ sce ora perché, quando io avvicino la mano alla guancia, sento la mano sulla guan­ �ia P rima ancora che essa mi tocchi realmente. C'è dunque in questa convergenza, 1n questa bimodalità, qualcosa di più profondo di una semplice equivalenza. In questo caso, la percezione visiva non è solamente l'analogo della percezione tattile,

78

CAPITOLO T R E

come negli esperimenti di Bach-y-Rita: essa la anticipa. La prossimità è già cont at. to per anticipazione della zona del corpo che sarà toccata. Una cellula descritta da Gross presentava un campo recettivo tattile sul le sopracciglia e uno visivo delimitato da un cono con il vertice verso il sopracciglio e la base proiettata di fronte al soggetto, nella direzione del suo sguardo. Que sto neurone è dunque attivato da ogni oggetto che si avvicina all'occhio; esso esten de in qualche maniera la superficie recettiva della pelle. La vista è davvero, co me affe rmava Merleau-Ponty, "palpazione tramite lo sguardo". Ma la scoperta di Gross ha un impatto ancora più profondo sulla nostra com. prensione del funzionamento e dei meccanismi di interazione multisensoriale. Vediamo ora le proprietà dei neuroni sensibili alla carezza del braccio. Nel puta­ men, i neuroni bimodali hanno un campo recettivo tattile corrispondente al campo recettivo visivo: se, per esempio, si mette il braccio di una scimmia su un tavolo posto di fronte a lei, il campo recertivo visivo di un neurone il cui campo recettivo tattile sia, per esempio, sul polso, sarà un cono che lega lo sguardo al polso o un volume attorno al polso. Se ora si sposta il braccio della scimmia, il campo recetti­ vo visivo si muoverà per mantenere la stessa relazione spaziale con il braccio. Questa ricalibrazione spaziale è senza dubbio indotta da informazioni propriocet­ tive, ma può essere ottenuta anche utilizzan d o delle copie dei comandi motori.

((To be touched or to touch ? That is the question" Abbiamo insistito più volte sul fatto che il carattere multisensoriale della percezio­ ne include la presenza di segnali che non vengono dai sensi, ma dall'intenzione a muoversi. Il carattere attivo della percezione si manifesta attraverso l'influenza profonda del carattere intenzionale del gesto. Vediamo un esempio. Chiudete gli occhi e, con la mano destra, toccate la vostra mano sinistra. Avvertirete due percezioni molto differenti che si accavallano o si annullano. Facciamo ricorso una volta di più a Merleau-PontyH che fu assolutamente affasci· nato da questa osservazione: " Husserl54 fa appello a un esperimento sul tatto. Quando tocco la mia mano sinistra con la mia mano destra, la mano che tocca afferra la mano toccata come se fosse un oggetto. Ma all'improvviso mi accorgo che la mia mano sinistra si mette a sentire. I rapporti si capovolgono. Facciamo l'e­ sperienza di una sovrapposizione tra I' apporto della mano sinistra e quello aell a mano destra e di un alternarsi delle loro funzioni. Dal punto di vista fisico, la mano resta sempre quello che è, e tuttavia è di/ferente a seconda che sia toccata o tocca n­ te" . Merleau-Ponty ritornerà spesso su quest'esempio che resterà per lui uno dei grandi misteri della percezione. Ho messo in corsivo l'ultima parte della frase, pe r­ ché essa propone molto chiaramente l'idea che la percezione è differente nei du e casi: quello in cui un segmento corporeo è toccato passivamente e quello in cui io è da un movimento del soggetto stesso. La ragione di questa lunga introduzi on e

LA

COSTRUZIONE DI UNA COERENZA

79

6)osofica è data dal fatto che ora abbiamo qualche prova di una differenza di atti­ vità dei neuroni cerebrali in queste due condizioni.

La percezione tattile non è solamente in corrispondenza con la visione, essa è anch e influenzata dal carattere attivo dell'attenzione visiva. In una zona del solco tempo rale superiore (STS) nella scimmia, alcuni neuroni sono attivati quando si acca rezza leggermente la mano della scimmia con una bacchetta, ma se è la scim­ mia stessa che utilizza il bastone, gli stessi neuroni non scaricano più. Il movimen­ to attivo sopprime la trasmissione dell'informazione tattile. Perrett'' attribuisce la spa rizione della risposta al carattere predittivo del contatto e pensa che i neuroni di quest 'area siano molto sensibili a degli stimoli tattili imprevisti. Al contrario, quando è il movimento dell'animale che induce il contatto, un meccanismo di sop­ pressione ancora misterioso inibisce l'attività di queste cellule. Quest'osservazione corrisponde molto bene all'impressione soggettiva che noi abbiamo di un effetto molto ridotto della sensazione di contatto quando tocchiamo noi stessi. "Quando l'esplorazione attiva della scimmia la conduce a entrare in contatto, ripetutamente e in un punto particolare, con un oggetto di struttura e di conformazione partico­ lari, le proprietà tattili dell'oggetto possono essere considerate come 'predette'. n ritorno tattile che risulta dalla presa e dal contatto da parte della scimmia con tali oggetti attesi blocca l'attivazione dei neuroni somatosensibili nell'area STS. Tuttavia, se un nuovo oggetto di struttura e di conformazione differenti viene pre­ sentato nello stesso punto, la stimolazione tattile produce un'attivazione dei neuro­ ni dell'STS " .'6 Questa selettività è valida anche per la vista: le cellule dell'STS sensibili all 'in­ gresso di oggetti esterni nel campo visivo della scimmia, non lo sono più se è il braccio dell 'animale che entra nel campo visivo. Questi effetti non dipendono semplicemente dall'attenzione, ma sono realmente dei fenomeni di soppressione molto selettivi nei confronti di un insieme di proprietà multisensoriali (struttura, aspetto visivo, localizzazione) di una parte del corpo della scimmia o di un oggetto conosciuto. La percezione è selezione e anticipazione. Il futuro dirà quali sono i meccanismi. Questa selezione per anticipazione non è un caso isolato: sono stati infatti osservati numerosi casi di attenuazione degli effetti di stimoli sensoriali quando essi sono dovuti all'attività propria dell'animale. Per esempio, le cellule di Purkinje della corteccia del cervelletto, organo importante per la coordinazione dei gesti, rispond ono molto meno alle stimolazioni cutanee indotte da un movimento dell'a­ nimale piuttosto che a quelle provocate dall o sperimentatore. In generale, l'effetto di una s timolazione sensoriale è ridotto durante i movimenti endogeni. Tuttavia, qua ndo il compito è nuovo o in presenza di uno stimolo inatteso, la sensibilità ridi­ ven ta ele vata. Prochazska, in una rassegna recente, conclude in questi termini: " Ab bia mo esaminato molti esempi di trasmissione sensoriale dipendenti dal com­ pito e dal contesto in un elevato numero di specie e in un elevato numero di com­ I>Ortamenti motori. Da tutto questo, sembra ragionevole concludere che il contro!-

80

CAPITOLO TRE

lo anticipatore dell'efficacia della trasmissione sensoriale, e cioè dell'ampiezza della risposta dei neuroni del sistema nervoso centrale a una data stimolazione sensoria­ le, rappresenti una strategia fondamentale dei sistemi motori" _,7

Ritorno di sforzo e funzioni visuomotorie La cooperazione della vista con altri sensi può estendersi ad altre funzioni proprio­ cettive, per esempio, al senso dello sforzo. Per studiare questa cooperazione, e nella fattispecie il contributo delle informazioni " aptiche " alla percezione visiva delle proprietà degli oggetti, abbiamo costruito un'impugnatura a ritorno di sfor­ zo. Formuliamo prima il problema. Se metto sulla scrivania un paio di occhiali o una penna, posso, grazie alla vista, ottenere un gran numero di informazioni sul volume e la geometria di questi oggetti. Posso anche inferire certe proprietà dina­ miche, come il numero di gradi di libertà, il peso e l'elasticità. Se ora chiudo gli occhi e afferro uno di questi oggetti semplicemente tra due dita, la percezione della forza che l'oggetto esercita sulle mie dita, che è data dal senso aptico (vale a dire, dalla combinazione delle informazioni propriocettive dei recettori della pelle, dei muscoli, dei tendini e delle articolazioni), mi permette di accedere a un gran numero di proprietà dinamiche dell'oggetto: la sua massa, la sua inerzia, il numero di gradi di libertà, la sua viscosità ecc. Si chiama " ritorno di sforzo" questa utiliz­ zazione della forza come informazione da parte del sistema nervoso. Prendiamo un esempio per cercare di capire grazie a quali meccanismi questa cooperazione multisensoriale potrebbe funzionare. Supponiamo che voglia seguire con il dito un piano inclinato per posizionare un tassello in un buco. Il mio cervel­ lo può adottare tre strategie58 per seguire questo piano. Primo, non tener conto delle forze ed effettuare un semplice inseguimento visivo del contorno del piano. Secondo, applicare una forza continua sul piano e rilevare il punto in cui il mio dito perde il contatto quando la forza diviene nulla. Per mantenere il dito a contat­ to del piano, basta controllare l'intensità della forza percepita attraverso il tatto, come avviene con un servocontrollo. Il contatto sarà mantenuto fino al momento in cui trovo il buco. Infine, il mio cervello può adottare una terza strategia: si costi­ tuisce un modello interno della forma dell'oggetto da seguire (in questo caso il piano inclinato) e non impone forze ai muscoli che controllano il dito. Li mantiene anzi poco contratti ( in termini di robotica, si dirà che si tratta di una strategia "flessibile" ) così che una variazione importante della posizione del dito indicherà che mi sono allontanato dalla traiettoria desiderata. In queste condizioni si comprendono quali rispettivi ruoli possono giocare la vista e il ritorno di sforzo in ciascuna di queste strategie: nella prima, la vista è essenziale; nella seconda non interviene affatto, nella terza, serve a costituire un modello interno della traiettoria che permette di anticipare le conseguenze del movimento.

LA COSTRUZIO N E DI UNA COERENZA

81

Vorrei insistere sul carattere essenzialmente predittivo della terza strategia. Il fatto di aver costruito un modello interno della traiettoria permette al cervello di non attendere che il dito percorra tutta la traiettoria per correggere gli errori, ma al contrario di anticipare certe proprietà della traiettoria e di fare delle ipotesi. La percezione diviene allora confronto tra uno stato atteso e uno stato reale. Siamo qui al cuore del concetto che abbiamo intenzione di discutere. Come si può studiare questo genere di processo? Supponiamo anzitutto che questo piano inclinato appaia sullo schenno di un computer e che l'oggetto si spo­ sti con l'aiuto di un manipolatore (joy-stick). Posso dunque domandare al soggetto di seguire l'oggetto con il manipolatore. Si tratta di un compito che si può vedere in tutti i videogiochi nei bar! Ma posso anche inserire un motore tra il manipolato­ re e il sensore che ne misura il movimento. Ogni volta che l'oggetto tocca il piano inclinato sullo schenna, il motore esercita una forza sull'impugnatura del manipo­ latore, in modo da dare l'impressione di una resistenza. Questa forza sarà tanto più intensa quanto più il soggetto preme sul manico. Posso così simulare il ritorno di sforzo esercitato dal piano inclinato sulla mano quando si esegue effettivamente il compito. Questo dispositivo ha mostrato che il cervello utilizza una strategia mista tra le ultime due descritte. Di conseguenza la vista e il senso aptico cooperano in un com­ pito di inseguimento di un profilo, elaborando un modello interno della fanna.

D problema della coerenza e dell'unità della percezione I modelli di interazione multisensoriale sono interessanti poiché permettono di fare delle predizioni sul modo in cui i recettori sensoriali combinano i loro segnali. Ma non risolvono per niente il problema fondamentale, che è quello dell'unità della percezione, in altre parole della coerenza. Nel Capitolo l abbiamo ricordato come l'unità percettiva di un oggetto visibile può e�ere realizzata attraverso la sin­ cronizzazione temporale della scarica dei neuroni che rispondono alle differenti proprietà dell'oggetto stesso. Ma devono essere risolti parecchi problemi per la costruzione di una coerenza, dal momento che le infonnazioni raccolte attraverso i sensi hanno delle proprietà che le separano e rendono difficile la loro fusione. Sono ambigue. È il problema della differenza tra accelerazione in un senso e decele razione nell'altro per i canali semicircolari e gli otoliti; è quello delle accele­ razioni di Corioli per i canali, o del treno per la vezione. Non sono nello stesso sistema di coordinate. I canali giacciono in un sistema di riferimento euclideo fissato alla testa; la vista è nello spazio retinico; la proprio­ cezione degli occhi, del collo, delle membra è nello spazio dei muscoli (dunque lo spazio sensoriale è, in questo caso, interamente legato allo spazio motore); l'udito è nello spazio delle frequenze. Abbiamo visto un esempio di soluzione: la similarità dei piani di rilevazione delle infonnazioni visive e vestibolari.

82

CAPITO LO TRE

Sono sfasate nel tempo. Provate a eseguire un movimento di un dito della mano sincrono con un movimento del piede. Aspettate ! Non cominciate subito ! Noterete che il primo movimento che farete non sarà sincrono. Avrete bisogno di più movimenti per arrivare a una sincronia. In effetti, le informazioni dei recettori dei muscoli del piede arrivano al cervelletto con un ritardo su quelle delle dita della mano che può essere considerevole se si pensa che i messaggi nervosi circola­ no nel midollo a velocità comprese tra l O e 80 metri al secondo. In un uomo ci vogliono dunque tra l O e l 00 millisecondi perché il contatto del piede al suolo sia segnalato al cervelletto, e due volte meno per le dita della mano. Dieci volte meno per la lingua ! Si pensa che il cervello anticipi sui movimenti del piede o ritardi le informazioni provenienti dalle dita delle mani. Ne abbiamo visto qualche sol u zio ne a proposito del collicolo. Non coprono gli stessi ambiti di velocità di movimento. Abbiamo visto che i recettori vestibolari sono molto rapidi e rilevano delle accelerazioni, che la vista è più lenta, che i recettori dei fusi neuro-muscolari hanno dei tempi di risposta estremamente differenti, che ciò vale anche per i recettori tattili, le cui bande pas­ santi sono differenti da quelle della vista, mentre abbiamo visto le relazioni percet­ tive strette che esistono tra il visibile e il tangibile. Infine, i segnali provenienti dai recettori sono spesso disturbati, presentano numerose fluttuazioni aleatorie non in rapporto con la grandezza misurata. Questo disturbo è dovuto alle proprietà chimiche, meccaniche ecc. della transduzione, ma anche a disturbi neuronali introdotti nel corso della trasmissione centrale. Come si vede, il problema della coerenza non è solo un problema di geometria o d i dinamica. Esso suppone dei meccanismi centrali attivi che permettano la rimozione delle ambiguità, il recupero o l'anticipazione dei ritardi differenziali tra i recettori, l'unificazione dei riferimenti spaziali tramite dei meccanismi biologici astuti che non sono solamente i cambi di coordinate. Resta da costruire una vera teoria della coerenza. Partirò dall'idea che la costruzione di una coerenza non è solamente un effet­ to di fenomeni di convergenza, ma il prodotto di un 'attività centrale che dipende dal bagaglio di meccanismi di cui ogni specie dispone a priori. "Mi resi conto " scriveva Marcel Proust "di come non sia soltanto il mondo fisico a differire dall'a­ spetto con cui si manifesta; ogni realtà, forse, è altrettanto dissimile da quella che crediamo di scorgere direttamente e che ci confezioniamo con l'apporto di idee invisibili ma attive, allo stesso modo che gli alberi, il sole e il cielo non sarebbero qu ali li vediamo se a conoscerli fossero creature dagli occhi conformati diversa­ mente dai nostri o dotati, per questa funzione, di organi diversi dagli occhi e tali da fornire, di alberi, cielo e sole, degli equivalenti non visivi" .�9 La percezione è un'interpretazione, la sua coerenza è una costruzione le cui regole dipendono da fattori endogeni e dalle azioni che noi progettiamo. La diffi ­ coltà di fondare una teoria della coerenza, sta nel fatto che senza dubbio non esiste una soluzione coerente unica per ogni percezione. Ci sono spesso diversi modi per ­

LA

COSTRUZIONE DI U N A COERENZA

83

strutturare i dati dei sensi al fine di costruire una coerenza. È senza dubbio qui un o dei grandi segreti della costruzione delle illusioni. Sono stati proposti numerosi modelli matematici per rendere conto delle inte­ razioni multisensoriali, ma pochi sono quelli che hanno insistito sul problema della coerenza. In generale, si accontentano di effettuare una combinazione dei segnali rela tivi ai messaggi sensoriali con degli operatori più o meno predittivi. Droulez e Darlot6° hanno proposto un modello di fusione mulùsensoriale che affronta direttamente il problema della coerenza. L'idea centrale è che il cervello non sia interessato alle grandezze fisiche della meccanica classica, o agli stimoli specifici dei recettori, in se stessi. Il cervell o cercherebbe di ricostruire delle gran­ dezze pertinenti ai fini dei comportamenti e delle azioni dell'organismo. A questo scopo, esso uùlizza il fatto che le informazioni relative al movimento, fomite dalla panoplia dei recettori sensoriali, sono in generale molto ridondanti. In altre parole, lo stesso parametro di movimento può essere calcolato o stimato da numerose combinazioni di recettori, oltre che da un eventuale recettore specializzato. Prendiamo l'esempio della velocità angolare della testa nello spazio durante un movimento. È una grandezza importante perché è la derivata dello spostamen­ to. Si può dunque integrarla (in senso matematico) e ottenere uno spostamento che il cervello utilizzerà sia per attivare dei riflessi stabilizzatori, sia per stimare delle traiettorie, sia ancora per coordinare dei movimenti degli occhi, della testa e delle mani ecc. Secondo il postulato fondamentale del modello di Droulez e Darlot, il cervel­ lo sùma la velocità della testa in almeno due modi. Il primo, diretto, è la misura tramite un recettore specializzato, il canale semicircolare che, abbiamo visto, misu­ ra l'accelerazione angolare della testa sul suo piano, che viene chiamato "il piano orizzontale" . Ma esso trasmette al cervello un segnale di velocità, perché le sue proprietà visco-elastiche ritardano i segnali. È precisamente ciò che fa un filtro integratore. Il secondo, indiretto, è una convergenza multisensoriale di altre gran­ dezze, per esempio la somma della velocità del movimento dell'immagine retinica e di quella dell'occhio nell'orbita. La somma delle due dà dunque una stima della velocità angolare della testa. La misura centrale di questo modello è l'incongruenza data dalla differenza tra i dati sensoriali in ingresso e una predizione del valore della grandezza. Fu propo­ sto per la prima volta nel 1 989 per rendere conto della fusione delle informazioni sensoriali fomite dai canali semicircolari, gli otoliù e la vista. Comilleau-Pérès e Droulez scrivono: " Il fatto che i singoli recettori non diano un'informazione senso­ riale affidabile che entro i limiù molto ristretti (e variabili) del dominio spaziale e temporale, il fatto che la degradazione della misura operata dal disturbo dipenda dal contesto (come per il flusso ottico), e l'esistenza di molteplici interpretazioni dello stesso segnale, suggeriscono che i segnali sensoriali non possano essere tratta­ ti (dal sistema nervoso centrale) come una serie di misure, ma siano assoggettati a stime interne. Proponiamo che i segnali sensoriali non siano utilizzati per sùmare

84

CAPITOLO TRE

direttamente le variabili pertinenti, ma per stimare lo scarto tra le stime interne e le variabili pertinenti " .6 1 Per esempio, sembra che, nel caso della visione, il cervello utilizzi almeno due costrizioni: la continuità e la rigidità. In effetti, gli oggetti che ci circondano sono in generale singolarmente continui (non sono punteggiati). I pittori detti "puntini­ sti" hanno dato una visione della natura che ha senso solo perché è filtrata dalla continuità della percezione ! In più, gli oggetti sono generalmente rigidi. Numerose prove mostrano che il cervello formula queste ipotesi di continuità e di rigidità. Ma le basi neurali della coerenza restano ancora mal comprese. È verosimile che siano dovute in parte alla simultaneità delle attività neurali in diverse parti del cervello.62 Un gran numero di teorie e di fatti sperimentali recenti suggeriscono in effetti che il legame percettivo tra gli elementi della percezione che sono stati ana­ lizzati separatamente in più centri cerebrali potrebbe essere realizzato dalla sincro­ nizzazione temporale, vale a dire attraverso l'attivazione simultanea di parecchi gruppi di neuroni. Questa codificazione tem p orale prende verosimilmente delle forme varie che dobbiamo ancora scoprire.

L'autismo: una disgregazione della coerenza? Vorrei proporre l'idea che la disgregazione, la frammentazione della percezione è all ' origine di numerosi sintomi di alcune grandi malattie che rientrano sia nell'am­ bito della psichiatria che della neurologia. Vorrei a questo proposito presentare qualche riflessione sull'autismo. L'autismo è una malattia dello sviluppo la cui ori­ gine resta sconosciuta e che colpisce bambini molto piccoli. I sintomi principali sono anzitutto un'alterazione qualitativa dell' interazione sociale: il bambino non guarda il suo interlocutore; messo in mezzo a un gruppo, il suo sguardo non si diri­ ge verso le attività e i membri del gruppo. Il suo comportamento lo isola. Presenta in seguito delle alterazioni della comunicazione: praticamente non parla, non scambia sorrisi e non risponde alla mimica che esprime delle emozioni ecc. Infine adotta dei comportamenti stereotipati che ripete instancabilmente fuori da ogni contesto sociale o anche da ogni rapporto con l'attività nella quale è impegnato. Presenta dunque un quadro di perseverazione. Ha ugualmente delle turbe a carico dell'inizio dell'azione e, più in generale, dell'intenzione. Presenta, come i malati parkinsoniani, un blocco dell'avviamento di certe azioni, nel senso che è capacissi-' mo di eseguire il movimento, ma che non si decide a cominciarlo. In maniera più generale, presenta delle turbe dell'anticipazione posturale a carico della mano non motrice, dal momento che se all'improvviso impegna la mano in un'azione, il tono ritorna. Ha turbe visive e uditive. Alcuni di questi bam­ bini possono essere classificati in sottogruppi che presentano con minore intensità. E possibile accostare questi sintomi a vari tipi di disfunzioni, l'inizio del cam­ mino a turbe dei gangli della base, i disturbi della pastura e delle sinergie anticipa-

LA COSTRUZIONE DI UNA COERENZA

85

torie a turbe simili a quelle descritte da Babinski nei cerebellari, le turbe dell'in­ ten zione motrice e la perseverazione ai deficit prefrontali e frontali. Ma è anche possibile che queste turbe abbiano un 'origine comune, attribuibile a un deficit per cui questi bambini si trovano nell'impossibilità di ricollocare gli aspetti locali della loro azione in un contesto globale. Uta Frith, ne L'enigma dell'autismo, presenta numerosi esempi di disgregazio­ ne della coerenza che saranno utili per far capire ciò che qui intendo per coerenza. Cita l'esempio del piccolo Jerry: "Secondo Jerry, tutte le sue esperienze infantili dipendevano dall'uno o dall'altro di due stati: la confusione e il terrore. Il tema ricorrente in tutti i ricordi di Jerry era di aver vissuto in un mondo terrificante, riempito di stimoli dolorosi che gli era impossibile controllare [ . . . ]. Niente gli sembrava stabile: tutto era imprevedibile e strano. Gli esseri viventi gli ponevano dei problemi particolari [ . . ] . Mi piacerebbe formulare qui l'ipotesi seguente: le ripetizioni e le sensazioni che costituivano per Jerry (e per molti individui autistici) delle esperienze strazianti rappresentano le due facce di una stessa medaglia, due aspetti di uno stesso problema sottostante [ . . . ] : si tratta dell'assenza di coerenza centrale. Che cosa accadrebbe se, al posto di avere una percezione coerente del mondo, noi lo percepissimo in forma frammentata? " .6J I bambini autistici svilupperebbero quella che Uta Frith chiama una "coeren­ za locale" . Cita, per esempio, il caso della giovane Elly , la quale aveva costruito un sistema di determinazione dell'ora fondato sull'ombra che il suo corpo proiettava al sole: "Questo esempio suggerisce che Elly sapeva determinare la posizione del sole in un dato momento, a seconda della lunghezza dell'ombra proiettata dal suo corpo; anche se limitato, il procedimento era dunque coerente. Per lei le discre­ panze impreviste contavano molto perché la coerenza del procedimento doveva essere salvaguardata. Questo desiderio insistente di immutabilità costituisce una sorta di coerenza locale che non ha niente a che vedere con la coerenza centrale" .64 Questo esempio è, a mio avviso, molto illuminante, perché Elly disponeva di un procedimento, ma faceva molta fatica a porlo in un contesto più generale, per esempio, considerare dei cambiamenti di fuso orario. È interessante sapere che gli studi di psicologia cognitiva sul problema della decisione mostrano che il nostro apparato cognitivo fa parecchi errori, dovuti in gran pane all'incapacità che abbiamo di uscire da schemi stereotipati, in quanto facciano preferenzialmente riferimento a quella che Uta Frith definirebbe una coe­ renza "locale" , che fatichiamo a modificare in funzione del contesto. La persevera­ zione dei bambini autistici, la loro immutabilità, non è forse che una forma estre­ ma di una serie di comportamenti molto diffusi. Ma l'aspetto più interessante della teoria di Uta Frith, è che lei va più lontano nell'analisi dell'importanza della coerenza: pensa infatti che essa sia necessaria non solo per costruire una percezione del proprio corpo o delle sue relazioni con l' am­ biente, ma anche per elaborare quella che viene chiamata una "teoria della mente" . Questa espressione è stata introdotta dagli psicologi per designare il fatto che noi .

86

CAPITOLO TRE

attribuiamo dei pensieri agli altri, che abbiamo un'idea, una teoria su quanto hanno essi in mente, sull e loro intenzioni ecc. Premack ha mostrato che questa capacità di attribuire dei pensieri agli altri è presente anche nei primati non uman i e ne ha dato numerosi esempi. Uta Frith afferma a proposito del bambino autisti­ co: "Abbiamo postulato che i bambini autistici non abbiamo questa propensione naturale a raggruppare in maniera coerente vaste quantità di informazioni concer­ nenti gli avvenimenti, gli oggetti, le persone e i comportamenti. Così, anche se disponessero delle premesse cognitive che permettono loro di prenderne coscien­ za, non sarebbero in grado di costruire che delle 'piccole' teorie sugli stati mentali , e non una teoria globale del pensiero. I bambini autistici sono dei comportamenti­ sti. Non si aspettano che le persone siano gentili o crudeli. Prendono i comporta­ menti così come sono" .65 Ha ragione a dire che, se il bambino autistico non ha una rappresentazione coerente del mondo, non può costruire una "teoria della mente" dell'altro e dun­ que comunicare con lui. Non è certamente possibile costruire un'ipotesi interna dell'intenzione dell'altro se non si è riusciti a rendere coerente la percezione delle relazioni del proprio corpo con l'ambiente e con tutte le informazioni che contiene. Recentemente la Frith ha completato la sua analisi osservando dei deficit nei bambini autistici in ciò che lei chiama "le funzioni di pianificazione" (memoria di lavoro, controllo delle pulsioni) che sono assicurate normalmente dal lobo frontale della corteccia cerebrale. C'è qui un paradosso, perché se i deficit dei bambini autistici fanno pensare a un deficit del lobo frontale, i pazienti che presentano que­ sto deficit non sono autistici. È possibile che si tratti di una differenza legata allo stadio di sviluppo. Quale che sia la causa, come immaginare che un bambino che non è in grado di mettere il proprio corpo in relazione con l'ambiente, né di produrre una valuta­ zione coerente delle persone che vede davanti a lui, come pensare che un bambino che percepisce solo un universo frammentato, possa avere voglia di parlare, come può un essere il cui cervello è la sede di molteplici incongruenze avere anche solo il desiderio di comunicare con un mondo che non ha identificato e del quale non ha saputo riconoscere un'identità?

4 S I S TE M I D I R I FER I MENTO

Si deve all'etologo Galani la descrizione dello scambio di sguardi fra due cani sul punto di saltarsi alla gola, che ci fornirà un'eccellente introduzione al problema dei sistemi di riferimento. Galani si è servito della tecnica messa a punto dall a coreo­ grafa israeliana Eshkol. 1 Questa tecnica consiste nel descrivere, grazie a un insieme di segni inventati da lei, i movimenti dei danzatori secondo tre sistemi di riferi­ mento differenti: un riferimento detto "corporeo" che potremmo chiamare "ego­ centrico " ; un riferimento " ambientale" che resta egocentrico, ma che descrive il movimento in rapporto a riferimenti esteriori legati alla stanza in cui si svolge la danza; e un riferimento " legato ai due partner" , che potremmo denominare " rela­ tivo " , poiché si definisce tramite le relazioni tra i due danzatori. Galani ha descritto il legame straordinariamente rigido che caratterizza lo sguardo di due cani che si osservano prima di saltarsi alla gola. E per questo utiliz­ za l'ultimo tipo di riferimento. Egli mostra come tra gli occhi dei due animali si stabilisca una linea di sguardo rigida quanto una barra d'acciaio, dal momento che al cane dominante basta inclinare la testa all'improvviso per fare cadere l'altro senza neanche toccarlo, in quanto ogni deviazione significa morte per uno dei due. La distanza tra le due teste è, in effetti, fissa, ed è sufficiente una modificazione della posizione relativa di qualche centimetro per permettere l'aggressione fatale. Questa scoperta non sarebbe stata possibile senza l'idea che il sistema di riferi­ mento utilizzato dai cani era solamente relativo: essi dimenticano il loro ambiente, come la Luna e la Terra mantengono un rapporto principalmente legato alla loro reciproca attrazione. Questo capitolo è dedicato a questa domanda: quali riferi­ menti vengono utilizzati dal cervello per organizzare la percezione e l'azione?

Spazio corporeo ed extracorporeo n concetto di sistema di riferimento è legato a quell o di spazio. Le nostre azioni si

svolgono in uno spazio articolato, secondo Griis ser,2 in spazio "personale" , spazio

88

CAPITOLO QUATTRO

"extrapersonale" e spazio "lontano". Ognuno di questi si articola esso stesso in molti sotto-spazi esplorabili tramite meccanismi differenti e che forniscono riferi­ menti distinti. La prima prova sperimentale del fatto che la distinzione tra spazio personale ed extrapersonale aveva una base neurale è stata data da Hyvarinen3 e poi ripro­ dotta da Mountcastle-' e i suoi allievi, i quali hanno evidenziato dei neuroni, situati nella corteccia parietale della scimmia, che scaricano ogni volta che qualcuno pene­ tra con dell'uva nel suo spazio di cattura. La vista dell'uva - di cui l'animale è ghiotto - fuori da tale spazio non è sufficiente a scatenare l'attività di questi neuro­ ni. Lo spazio personale è costituito dallo spazio del sé (egocentrico). È percepito dai sensi interni e localizzato entro i limiti del proprio corpo. Ma bisogna introdur­ re delle distinzioni importanti. Anzitutto, il corpo può essere percepito come un oggetto esteriore, specialmente tramite la vista. La mano che io vedo all'estremità del mio braccio non è necessariamente la mia (abbiamo descritto nel Capitolo 2 il caso di una paziente che negava la proprietà del suo braccio). È dunque necessaria una decisione percettiva per attribuire una parte percepita del proprio corpo al corpo stesso. È il caso degli arti fantasma, che rivelano l'esistenza di rappresenta­ zioni mentali del proprio corpo, di modelli interni del corpo indipendenti dalla sua presenza. Pazienti il cui braccio è stato amputato, lo avvertono ancora perfettamen­ te e sentono anche il movimento della mano. La presenza del corpo può ancora essere ambigua e il soggetto sottomesso a dei fenomeni detti di "autoscopia". Lo spazio della cattura è esso stesso scomponibile in spazio intra-orale e peri­ orale - particolarmente importante durante i primi sei mesi di vita - così come in altri spazi locali legati ad attività particolari di presa. È definito da indici visivi, olfattivi e tattili. In effetti, la percezione del proprio corpo può essere prolungata tramite un attrezzo: per esempio, si avverte la punta della mano come se essa fosse situata all'estremità della matita: il corpo si prolunga nell'attrezzo. Il contatto col suolo è avvertito all'estremità dei trampoli, l'autista di un 'automobile sente le ruote al suolo, ed è ben noto che i piloti sentono le ruote dell'aereo all'atterraggio come se si trattasse dei loro piedi ! Le sensazioni aptiche giocano un ruolo determinante in queste percezioni. Questa proprietà di integrare al proprio corpo degli elementi fisici che esso ha afferrato è molto importante, dal momento che essa condiziona spesso il sistema di riferimento adottato. Una peculiarietà notevole di questa esten­ sione è che l'oggetto viene percepito al suo posto nello spazio extracorporeo e non nel punto di contatto tra oggetto e corpo. Il cervello costruisce dunque un'esten­ sione spazialmente corretta del corpo. Tale capacità di prolungare il corpo e localizzare il punto di contatto è senza dubbio acquisita molto presto, probabilmente già durante il periodo delle mille azioni che il neonato compie per portare gli oggetti alla bocca. Se l'oggetto è lungo, il suo cervello impara a correlare le sensazioni tattili della mano che tiene l'oggetto con quelle della bocca. L'elemento essenziale di questa correlazione m i sembra sia la rigidità dell'oggetto, la quale introduce delle covariazioni di pressio-

S I ST E M I DI R I F E R I M ENTO

89

ne tra le due zone (mano e bocca) stimolate contemporaneamente dall'oggetto. La rigidità supposta degli oggetti è una proprietà importante che si ritrova nella per­ cezione visiva della loro curvatura e della loro forma. Si dice, in questo caso, che il cervello fa una "ipotesi di rigidità" . Il cervello elabora delle ipotesi sul mondo che utilizza per costruire dei modelli interni della realtà. Nel caso del prolungamento tramite un oggetto si può immaginare che nel corso dello sviluppo una semplice correlazione tra due parti del corpo potrà diventare la base per la simulazione di una correlazione tra una parte del corpo ( quella che tiene l'attrezzo) e un punto dello spazio.

Riferimento egocentrico e allocentri�o n concetto di riferimento ha stimolato l'immaginazione di parecchi ricercatori che hanno inventato differenti sistemi, così come i geografi hanno inventato parecchi sistemi di proiezione per realizzare le carte del mondo. La posta in gioco è quella di comprendere quali riferimenti utilizza il cervello e se lo fa nel senso che i mate­ matici danno a questo concetto. Per esempio, è possibile rappresentare la posizione degli oggetti in parecchi modi. Supponiamo che desideriate descrivere le relazioni tra due oggetti in una stanza ( una sedia e un tavolo) e il vostro corpo. Un modo di codificare queste rela­ zioni consiste nel riferire tutto a voi stessi, nel fare cioè una stima della distanza e dell'angolo di ciascuno di questi oggetti rispetto al vostro corpo. Questa codifica­ zione di tipo polare è tipicamente egocentrica. La posizione dei due oggetti può anche essere codificata in coordinate cartesiane utilizzando, per esempio, i due assi formati dal piano frontale e sagittale del vostro corpo o il piano perpendicolare dei canali semicircolari verticali ecc. Questo riferimento resta egocentrico. Un secondo aspetto consiste nell'utilizzare le relazioni degli oggetti tra loro o in rapporto a un riferimento esterno al vostro corpo. Prendete come riferimento la porta della stanza e misurate questa volta la posizione della sedia e del tavolo in rapporto a essa. Non c'è alcun riferimento al vostro corpo: la codificazione sarà detta "allocentrica", centrata cioè su un punto diverso dal corpo. Questa codifica­ zione ha come caratteristica il fatto che ha spostato il riferimento fondamentale nello spazio esterno. Si utilizza spesso anche il termine "esocentrico " al posto di "allocentrico " , dal momento che entrambi hanno un significato simile. La distinzione tra questi due sistemi di riferimento è importante, perché sem­ bra che la maggior parte degli animali sia capace di realizzare una codificazione egocentrica, ma che solo i primati e l'uomo siano veramente in grado di utilizzare la codificazione allocentrica. n vantaggio di quest'ultima è di permettere la mani­ polazione mentale delle relazioni tra gli oggetti senza doverli riferire in permanen­ za al proprio corpo. È questa capacità di riflettere sulla distanza tra il campanile del paese e la stazione di polizia, tra la sinagoga e il pasticciere, di domandarsi se

90

CAPITOLO QUATTRO

una è più grande dell'altra, che caratterizza il cervello umano e apre alle specula­ zioni della geometria. In più, la codificazione allocentrica è invariante in rapporto al mio proprio movimento; si presta perciò bene alla simulazione interna, mentale, degli spostamenti. Appare piuttosto tardi nel bambino, che all ' inizio riferisce lo spazio soltanto al proprio corpo.

I sistemi di riferimento naturali La gravità I canali semicircolari dell'organo vestibolare costituiscono un sistema di riferimen­ to euclideo fondamentale che è forse alla base della nostra percezione geometrica dello spazio. L'abbiamo visto: per la sua stessa struttura, esso fornisce dei riferi­ menti solo per i movimenti propri del corpo. È quindi un sistema egocentrico. La natura ci ha fatto dono di un altro riferimento legato allo spazio esterno: la gravità. Questa forza onnipresente ha, dal nostro punto di vista, molteplici caratte­ ristiche molto importanti. Anzitutto, è costante in entità e direzione in relazione al piano tangente la superficie reale della Terra: è un invariante dello spazio terrestre. Poi, può essere misurata da recettori specializzati: gli otoliti. Infine, essa costituisce una referenza esterna al corpo e, di conseguenza, come afferma Paillard, " un filo a piombo esterno" al quale possono essere riferiti i movimenti del corpo in un siste­ ma di riferimento che egli definisce "geocentrico" . 5 Per mostrare l'interesse d i questo riferimento, esaminiamo i movimenti del corpo di una persona che effettua dei salti complessi, che scende una pista da sci piena di dossi, oppure guardiamo intorno a noi il volo delle cicogne nel cielo, la corsa dei leoni ecc. Questo esame ci rivelerà che la testa, durante quello che André Thomas chiamava " l'equilibrio di lusso" a proposito dei movimenti dello sport o della danza, è stabilizzata in rotazione. Ho scoperto che questa proprietà era valida per l'uomo durante i movimenti quotidiani del cammino, della corsa ecc. Per dimostrarlo, ho disegnato su una serie di fotografie, che Muybridgé aveva scattato a persone in movimento, la linea che congiunge il canto (l'angolo) esterno dell'occhio al meato esterno dell'orecchio (vedi Figura 4 . 1 ) . Questa linea è approssimativamente parallela al piano del canale semicircolare orizzontale. Sfalsando le immagini e sovrapponendo il meato acusti­ co di ognuna di esse, risulta che la testa è notevolmente stabilizzata in rotazione. Abbiamo mostrato, utilizzando delle telecamere collegate a un computer, che, durante la marcia, la testa è stabilizzata in rotazione intorno a posizioni determina­ te dalla direzione dello sguardo. In altre parole, siamo come gli uccelli quando volano o le gazzelle e gli struzzi quando corrono. Se li guardate in un film , vedrete che la loro testa è perfettamente stabile rispetto alla verticale. Sono probabilmen te gli otoliti che calcolano lo scarto dell'inclinazione della testa rispetto alla gravità.ì

S I ST E M I DI R I F E R I M ENTO

91

,r""?\ l

f1GURA

4.1

LA testa

è stabiliuata per controllare la postura e la coo rdinazione dei movimenti.

Disegni di un uomo in corsa. Una serie di fotografie di Muybridge sono state sovrapposte in corrispon· denza di uno stesso punto della testa, situato sul meato uditivo. Si nota che durante la corsa la testa è stabilizzata in rotazione secondo un angolo che dipende dalla direzione dello sguardo. Questa stabiliz· zazione è possibile grazie al sistema vestibolare che valuta l'angolo della testa rispetto alla gravità. La linea retta collega il canto dell 'occhio al meato ddl'orecchio. Essa indica all 'incirca il piano dd canale semicircolare orizzontale.

È come se il cervello creasse una piattaforma stabilizzata per mezzo della quale si effettua la coordinazione dei movimenti degli arti. In questi movimenti comples­ si, i piedi toccano raramente il suolo, cosicché la superficie terrestre non può servi­ re da referenza. Il cervello utilizza l'individuazione della gravità tramite il sistema vestibolare per stabilizzare la testa e creare una piattaforma mobile di riferimento. Il vantaggio di questa soluzione è che i recettori visivi e vestibolari, non dovendo subire rotazioni, sono liberati dal problema della differenziazione gravito-inerziale di cui abbiamo parlato nel Capitolo 2 . Possono dunque cooperare meglio per misurare le traslazioni a partire dalle informazioni del flusso ottico. Lo stesso prin­ cipio è adottato dagli ingegneri che devono controllare il movimento dei satelliti nello spazio. Essi dispongono, sulla massa del satellite, una piccola piattaforma di cui stabiliscono la posizione attraverso un puntamento ottico sulle stelle. L'intervento della gravità nell'organizzazione dei movimenti si compie in momenti particolari dello sviluppo. Se si modifica l'azione della gravità8 in giovani ratti, per esempio, si osserva un ritardo importante nello sviluppo della locomozio­ ne. Esiste dunque un periodo critico per la motricità, circa dieci giorni dopo la

92

CAPITOLO QUATTRO

nascita, durante il quale il sistema nervoso ha bisogno della gravità come referenza per organizzare la coordinazione dei movimenti. Questo esperimento completa i dati9 che hanno dimostrato l'esistenza di un periodo critico nello sviluppo del sistema visivo, durante il quale le informazioni propriocettive sono imponanti per specificare la sensibilità direzionale dei neuroni della coneccia visiva.

La verticale soggettiva come costruzione multisensoriale Uno degli esempi più chiari del carattere essenzialmente multisensoriale della per­ cezione è quello della percezione della verticale. Chiunque di noi può chiudere gli occhi e indicare con grande precisione la direzione della verticale terrestre, vale a dire la direzione della gravità. Al contrario, se ci troviamo in una camera illumina­ ta, inclinata rispetto alla verticale vera, possiamo fare un errore di valutazione dovuto alla percezione della verticale suggerita dagli indizi visivi presenti nella camera, chiamata "venicale visiva ". La visione contribuisce, in effetti, alla perce­ zione della verticale terrestre. Numerosi laboratori hanno mostrato l'influenza della visione sulla percezione della verticale, costruendo delle camere inclinate in cui il soggetto non solo perce­ piva come verticale vera quella della stanza e dunque trascurava in parte le infor­ mazioni otolitiche, ma inclinava anche il suo corpo in maniera inconsapevole per allinearlo alla verticale visiva. Se si mette un soggetto in una stanza buia e si illumi­ na solamente una barra inclinata davanti a lui, egli percepisce la venicale in una direzione intermedia tra la verticale gravitaria e la verticale visiva (effetto Aubert).1 0 Paradossalmente, i soggetti possono percepire la verticale più inclinata della linea visiva (effetto Miiller) 1 1 quando gli angoli sono grandi. Di conseguenza, la perce­ zione della verticale è il risultato di un compromesso multisensoriale. Il cervello utilizza i dati dei recettori vestibolari della vista, della propriocezione, e li compara alle referenze intrinseche della direzione assiale del corpo. Il cervello utilizza anche le informazioni statiche dell'ambiente visivo per l'ela­ borazione della verticale. È ciò che fanno i malati che hanno subito lesioni vestibo­ lari o gli astronauti che utilizzano gli indizi presenti nella stazione spaziale. L'espe­ rimento che segue, realizzato dal nostro laboratorio in collaborazione col Centro nazionale di studi spaziali nel corso di numerosi voli spaziali, ha stabilito il ruolo della vista nella riorganizzazione del controllo sensoriale della postura quando la gravità è assente. 12 Abbiamo chiesto a un astronauta di mantenere una postura ver­ ticale. A terra la cosa è immediata, ma a bordo di una navicella spaziale non ha più senso, perché la verticale non è più indicata dalla gravità. Gli abbiamo dunque chiesto di mantenersi in piedi, perpendicolarmente al pavimento della stazione. Abbiamo però utilizzato un'astuzia sperimentale che consiste nel mettergli davan ti agli occhi una sona di scatola da scarpe illuminata all'interno e fissata alla sua testa. In queste condizioni, egli vedeva il suo ambiente immobile rispetto alla testa.

S I STEMI DI R I F E R I M ENTO

93

Dunque non aveva alcuna informazione visiva sulla posizione del corpo nello spa­ zio. In più, dato che il suo corpo non aveva più peso ma semplicemente una massa, le forze esercitate sui suoi piedi non erano più le stesse, così che egli non poteva più utilizzare la sua " retina tattile di pressione" per valutare la posizione del corpo rispetto al pavimento. Il primo giorno di volo il soggetto si inclinava in avanti in maniera impressio­ nante , ma sosteneva di essere perfettamente dritto e perpendicolare rispetto alla stazione. Nello stesso tempo, si produceva una ridistribuzione del tono dei musco­ li che assicurano la stazione eretta: gli estensori e i flessori della caviglia. Al posto di un'attività tonica degli estensori che, a terra, ci impedisce di cadere in avanti, compariva infatti un'attività tonica dei flessori. Le informazioni combinate di tutti i propriocettori non erano di conseguenza sufficienti per misurare l'angolo del suo corpo, o piuttosto questa misura non era calibrata, lo " schema corporeo" era deformato e l'attività motoria tonica era asimmetrica senza che il soggetto se ne rendesse conto. Dato che il soggetto poteva mantenere una pastura perfettamente perpendicolare quando, levata la scatola, e riacquistava la visione della stazione, si evince che la vista è fondamentale per la ricalibrazione della sensibilità propriocet­ tiva. Qualche giorno dopo lo stesso soggetto, posto nelle stesse condizioni, poteva mantenere una postura perpendicolare alla stazione. Il cervello aveva dunque tro­ vato dei nuovi meccanismi per calibrare la propriocezione. Il cervello cerca di elaborare un sistema di riferimento, estrae dal mondo fisi­ co una grandezza pertinente che semplifica il trattamento neurale delle informazio­ ni sensoriali e guida l'azione. L'azione è agganciata a un sistema di riferimento.

Dei recettorz' della gravità nel ventre? Il cervello dispone dunque di un riferimento egocentrico fondamentale, il sistema vestibolare, che gli permette di utilizzare il "filo a piombo " della gravità. Ma sem­ bra che esso disponga anche di un altro riferimento più misterioso, chiamato "vet­ tore idiotropico" . Si tratterebbe di una percezione innata nell'uomo dell'asse lon­ gitudinale del corpo. Questa referenza interna è stata scoperta attraverso l'esperi­ mento che segue. Si pone un soggetto su di una poltrona che si inclina lateralmente rispetto alla verticale terrestre. Gli si domanda di indicare qual è la direzione della verticale ter­ restre che egli percepisce con gli occhi chiusi. Si constata che essa è leggermente inclinata rispetto alla vera direzione della gravità in quel luogo. La direzione che egli indica è intermedia tra l'asse del corpo e quello della verticale vera, da cui l'i­ dea che la verticale percepita (spesso chiamata "verticale soggettiva " ) sia la risul­ tante di due verticali: quella della gravità misurata dagli otoliti e l'asse del corpo, o vettore "idio tropico" . Mittelstaedt, studiando i meccanismi che potrebbero sottendere la percezione

94

CAPITOLO QUATTRO

della verticale di gravità, o ha considerato che bisognava aggiungere un nuovo senso alla lista di quelli che vi partecipano. Ha in effetti scoperto che anche dei recettori situati nell'addome individuano la gravità. 1 4 Già Ferrier aveva notato que­ sta possibilità: "Abbiamo fino a qui considerato l'influenza delle impressioni tatti­ li, visive, labirintiche sulle funzioni di equilibrio e di coordinazione, e si è visto che l'influenza di ciascuna di esse è suscettibile di una dimostrazione sperimentale. Benché esse siano in apparenza i fattori principali della sinestesia generale, la par­ tecipazione possibile al risultato generale di altri fattori afferenti non è assoluta­ mente esclusa. [ . . ] Mi sembra che ci siano delle buone ragioni per attribuire un'influenza alle impressioni viscerali. Si sa che i gatti e altri mammiferi della spe­ cie felina, dotati tutti della facoltà dell'equilibrio in misura notevole, hanno nel loro mesentere un numero relativamente considerevole di recettori di Pacini, la cui particolare funzione è di trasmettere ai centri sensitivi o afferenti le stimolazioni prodotte dalla pressione. [ . . . ] . Quest'opinione poggia sui fenomeni che si incon ­ trano in una forma dolorosa della dispepsia, caratterizzata da accessi improvvisi di stordimento, descritti da Trousseau con il termine di vertigo a stornato laeso" Y Recentemente, Mittelstaedt è arrivato alla conclusione che questo sistema fisiologico di individuazione somatica della gravità poteva essere situato nei reni o nel sistema vascolare. Solo delle esperienze complementari permetteranno una decisione definitiva. Fermiamoci qualche istante per riflettere in maniera più generale sul problema del carattere multisensoriale della percezione. Il contributo di tanti recettori senso­ riali alla percezione della verticale pone una domanda teorica. Ci sono due modi opposti di concepire l'elaborazione di un percetto unico come la verticale soggetti­ va. Il primo consiste nel considerare che essa è il risultato di un'addizione vettoria­ le di tutte le verticali segnalate dai diversi sistemi sensoriali. È la concezione gene­ ralmente ammessa. Un altro modo consisterebbe nel dire che ci sono una o più strutture cerebrali organizzate in modo da costituire un modello interno della ver­ ticale corporea, o piuttosto dell'asse del corpo, e che è proprio questa organizza­ zione interna, questo "schema corporeo" secondo la concezione di Gurfmkel, 16 a esse re modulato o modificato a seconda della configurazione dei recettori. Benché si possa pensare che in definitiva le due concezioni si possano riunire, esse non implicano affatto la stessa organizzazione neurale. Una va dalla periferia al centro, l'altra dal centro alla periferia. .

L'esperimento del gira"osto La vista non è il solo senso che coopera con i recettori vestibolari per determinare l'orientamento e il movimento del corpo nello spazio. n tatto gioca un ruolo fon ­ damentale che è interessante esaminare, dal momento che rivela la ricchezza di queste interazioni multisensoriali.

SISTEMI DI RIFERIM ENTO

95

La pelle svolge anzitutto un ruolo di rivelatore di asimmetria nel controllo della postura. Rademaker ha stabilito questa funzione dei recettori cutanei. Egli ha anzitutto mostrato che quando un cane - o un cavallo - è steso sul fianco, una serie di riflessi di origine vestibolare (i riflessi di raddrizzamento) innesca automa­ ticamente le coordinazioni motorie necessarie al raddrizzamento dell'animale. Ha anche scoperto che il solo fatto di premere, contro il fianco scoperto dell'animale disteso, un 'asse parallela alla superficie del suolo sopprimeva il raddrizzamentoP L'interpretazione di questa osservazione è semplice. I riflessi di raddrizzamen­ to sono provocati da una asimmetria delle informazioni di origine vestibolare e dalla detezione visiva dell'inclinazione del corpo rispetto alla verticale visiva. Ma quando un 'asse è spinta sul fianco dell'animale, le informazioni tattili fornite dalle pressioni del suolo su un lato e dell'asse sull ' altro danno al cervello delle informa­ zioni simmetriche. Apparentemente, la confidenza del cervello nelle informazioni tattili (gli ingegneri direbbero il "guadagno " , i neurofisiologi "il peso sinaptico" ) è sufficiente per bloccare i riflessi di raddrizzamento. È perché non c'è più congruenza tra le informazioni visive, vestibolari e tattili che la reazione di raddrizzamento è bloccata. Questo vecchio esperimento avvalo­ ra la tesi che ho proposto, vale a dire che il cervello utilizza delle configura zioni di recettori per elaborare una percezione e provocare l'azione. Un'altra dimostrazione è stata apportata da esperimenti spaziali . 1 8 Al suolo, un soggetto era posto davanti a un disco girevole su un piano verticale che indu­ ceva una vezione 19 circolare. Una stimolazione tattile molto modesta sulla spalla , che provocava un'asimmetria tattile, aumentava nettamente lo scarto tra la vertica­ le soggettiva e la verticale percepita. Nello spazio, a bordo della navetta spaziale americana, l'astronauta che, fluttuando si sosteneva solo con i denti, ha provato una vezione considerevolmente più forte e un'impressione che la verticale che percepiva ruotasse con lui. L'assenza di gravit à e di contraddizione tra le informa ­ zioni visive e tattili aumentava la credibilità, per il cervello, di una rotazione del corpo. Ecco ora l'esperimento del girarrosto. Quando un soggetto è steso a letto, non ha alcuna esitazione sulla direzione della verticale. Lackner2° ha avuto l'idea di porre il soggetto in una macchina messa a punto negli anni Cinquanta da alcuni ricercatori dell' aereonautica americana che si interessavano all' individuazione della verticale da parte degli organi otolitici del sistema vestibolare. Questa macchina assomiglia a un girarrosto. I soggetti sono stesi in orizzontale, come se fossero spie­ clini o polli, e girano a velocità costante seguendo un asse di rotazione perpendico­ lare alla gravità terrestre. Quando sono alla luce, con gli occhi aperti, essi percepiscono perfettamente la direzione della rotazione, mentre se si spegne la luce non dispongono che delle informazioni vestibolari e tattili per individuare l'asse della rotazione. Durante l'ac­ celerazione iniziale, i canali semicircolari sono stimolati dall'accelerazione angola­ re, e gli otoliti dalla componente della gravità nei rispettivi piani delle macuie dd-

96

CAPITOLO QUATTRO

l'utriculo e del sacculo. Quindi, dal momento che la velocità di rotazione è costan . te, e l'accelerazione angolare nulla, la risposta dei canali semicircolari si spegne dopo circa venti secondi. Sussiste quindi solo l'individuazione dell'angolo in rap. pono alla gravità data dagli otoliti. Di conseguenza, durante la rotazione a velocità costante solo gli otoliti e la pelle possono contribuire all a percezione della direzio­ ne del corpo rispetto alla venicale. In generale, il soggetto percepisce correttamente l'asse di rotazione al buio. Ma Lackner ha rilevato che basta manipolare le infonnazioni tattili per modificare completamente la percezione dell'orientamento del corpo. Se gli si premono i piedi, il soggetto ha improvvisamente l'impressione di ribaltarsi, ritiene che il suo corpo sia ora venicale e gli sembra di girare su se stesso in posizione eretta. Se gli si esercita una pressione sui glutei, ha l'impressione di essere seduto e di girare su una sedia. Se gli si preme sull a testa, ha l'impressione di un movimento conico il cui venice corrisponde al suo cranio. In altre parole, malgrado il controllo delle pressioni sul lato del corpo, il cervello attribuisce al punto di pressione locale la dignità di un punto d'appoggio che determina il centro di rotazione percepito. In questo caso, le infonnazioni tattili stabiliscono il sistema di riferimento in base al quale si effettua la rotazione. Talvolta il contesto posturale influisce sull'interpretazione delle infonnazioni tattili da pane del cervello. Un esperimento di Gurfinkel illustra bene questa carat· teristica. Mettete la mano piatta su un tavolo e domandate a qualcuno di disegnare sul palmo una " p " con una matita. Mettete ora la mano dietro la schiena e doman· date alla persona di ripetere il disegno. Constaterete che, in quest'ultimo caso, per· cepirete la lettera come una "b" e non come una " p " . In altre parole, la stessa sen· sazione dà una percezione differente, a seconda dell'orientamento della mano rispetto al corpo. U carattere estremamente discontinuo di questi cambiamenti di percezione mostra che il cervello effettua delle vere e proprie decisioni percettive fondate sullo stato di numerosi recettori, che noi chiamiamo "configurazione di recettori".

Riferimenti multipli legati agli arti? È veramente necessario avere un solo sistema di riferimento quando si pianifica un movimento? I riferimenti utilizzati dal cervello sono flessibili e dipendono dal movimento. Per alzare un braccio e puntare il dito verso un bersaglio, il cervello semplifica in maniera notevole il comando, controllando soltanto due variabili cinematiche: l'e· levazione e l'azimut.21 Gli altri aspetti del movimento sono governati da regole che codificano le relazioni di fase tra le parti dell'ano. Quando si sposta un oggetto su un tavolo, l'angolo formato dal braccio e dall'avambraccio e quello formato dal braccio e dal tronco sono covarianti: è sufficiente allora un solo

S I STEMI DI RIFERIM ENTO

97

comando per effettuare i due movimenti. Questa modalità di controllo motorio suppone che il cervello disponga di un riferimento che sarà, per esempio, la verti­ cale del luogo rispetto alla quale saranno calcolate le coordinate polari dell'eleva­ zione e l'azimut. Un altro riferimento utilizzato è un punto di rotazione situato nella spalla . Viene così costituito un sistema di riferimento locale per semplificare la neuro­ computazione, per cui il cervello sceglie un riferimento legato all'arto che effettua il movimento. Ancora una volta, il vantaggio è quello di ridurre il numero di varia­ bili da controllare (i meccanici dicono di " gradi di libertà" , riconducendo il calco­ lo neurale alla sola parte del corpo implicata nel movimento) . L'idea che il cervello possa scegliere molteplici sistemi d i riferimento in fun­ zione del compito e del contesto è illustrata dai neuroni scoperti da Graziano e Gross che abbiamo descritto nel Capitolo 3 . Ricordiamo che essi hanno trovato nel putamen e nella corteccia parietale dei neuroni bimodali i cui campi recettivi visivi e tattili restano in registro nello spazio nel corso di un movimento. Un'interpreta­ zione di questi dati prevede che la codificazione spaziale del movimento e della posizione dei segmenti corporei non sia effettuata secondo un unico sistema di riferimento, come lascia pensare il concetto di riferimento egocentrico. Ci sarebbe, al contrario, una molteplicità di sistemi di riferimento legati a ogni parte del corpo, in uno spazio che sarebbe quello degli occhi, degli arti, del tronco o della testa (vedi Figura 4 .2 ) . La convergenza delle informazioni sensoriali riguarderebbe allora i sensi rile­ vanti per ogni parte specifica del corpo. Per esempio, sui neuroni che codificano parti della testa ci sarà una convergenza di informazioni visive con altre riguardan­ ti i muscoli della nuca che misurano lo spostamento della testa sul tronco, e coi segnali dei recenori vestibolari i quali, anch'essi , misurano il movimento della testa.

La selezione dei riferimenti Tutti i dati che precedono suggeriscono il fano che il cervello non utilizza un solo sistema di riferimento, ma molteplici, in funzione del compito da realizzare e degli indizi sensoriali utilizzabili o essenziali. Nella scimmia, i neuroni della corteccia temporale partecipano al riconosci­ mento dei volti. n L'immagine retinica del volto è anzitutto scomposta in frammen­ ti i quali seguono i principali canali delle vie visive primarie che, come abbiamo visto, dissociano colore, forma, movimento ecc.; successivamente, altri neuroni ricostituiscono i tratti del volto. Alcuni sono attivati dagli occhi, altri dai capelli, altri ancora dal naso ecc. È in seguito realizzata una combinazione di questi tratti che viene inviata a neuroni che rispondono ai volti, ma che sarebbero anche sensi­ bili a comportamenti, quali per esempio, la direzione dello sguardo. Questa capa­ cità di individuare la direzione dello sguardo è fondamentale per la scimmia, per-

98

CAPITO lO QUATTRO

PROP

."'"','

���----.,, .. . roneccia l"'rinole -

)

·

_

��EZIONE



· ETIORI . . ··· · / / VESTIBOLARI . .-··

..

,

,•

'

'

•----------------

VISTA

conceda pft'rolori• vmtrale

spazio visuo- motore centrato sulle

del corpo

parti spazio visuo-motore centrato

sulle parti

dd corpo

spazio ambientale FJGl'M .p

1/ cervello utiliua dei n/m'menti multipli.

Le informazioni fornite dai recettori sensoriali (propriocettori, recettori vestibolari, vista) con vergon o nella concccia p a riet ale , dove sono integrate con numerosi altri segnali che riguardano i movimenti e le: azioni pianificate. Le azioni sono in �guito codificate in relazione a sistemi di riferimento molto diver­ si, che corrispondono a spazi molteplici relativi al corpo o all'ambiente, ovvero a spazi inte rn i di memo­ ria. ( Da Gross e Gra zi ano , 1995 ) .

ché è senza dubbio associata all 'identificazione delle intenzioni del congenere: aggredirà o si comporterà amichevolmente? In questa sequenza di elaborazione dell 'immagine del volto, quest'ultimo viene ricostruito a poco a poco in tutto il suo significato.2� Si trovano in effetti dei

S I STEMI DI R I F E R I M ENTO

99

neuroni che rilevano se il volto è di profilo o di fronte ecc. Al livello seguente, il volto è situato nel contesto del corpo, per cui esistono neuroni che scaricano quan­ do il volto è associato a un corpo posto di fronte o di profilo ecc. Infine, altri neu­ roni scaricano quando il volto è familiare: si accede dunque a un livello cognitivo che mene in gioco la memoria. Fino a qui, il volto, anche quando viene collocato in un contesto, è tranato secondo riferimenti centrati sull'osservatore. Perret ritie­ ne che la molteplicità dei neuroni che rispondono allo stesso volto visto da punti differenti, o con differenti profili del corpo, permetta al cervello di configurare l'attività di neuroni che rispondono a un volto dato, quale che sia l'angolo sotto il quale lo si vede. Ci sarebbe qui un livello di astrazione che diviene indipendente dal sistema di riferimento nel quale il volto è stato percepito. Si potrebbe anche immaginare che esistano dei riferimenti costruiti in relazio­ ne con l'azione, per esempio legati a un oggetto, a uno scopo ecc. La molteplicità delle rappresentazioni possibili permetterebbe al cervello di costruire dei riferi­ menti ad hoc. Questa ipotesi resta da verificare, ma sarebbe straordinariamente feconda se fosse corretta. Essa spiegherebbe in parte la nostra capacità di fare della geometria, che è spesso la facoltà di cambiare mentalmente il punto di vista sugli oggetti e sul mondo. Kosslyn e i suoi collaboratori ritengono anche che le relazioni spaziali categoriali (davanti, dietro, sopra ecc.), che permettono di rendere inva­ rianti certe relazioni tra gli oggetti o le parti del corpo, siano codificate da mecca­ nismi differenti dalle relazioni spaziali metriche che specificano delle distanze.

I n/erimenti relativi I sistemi di riferimento non sono utilizzati soltanto per stabilire la relazione tra il corpo e lo spazio. Arbib24 ha formulato l'idea che uno " spazio di opposizione" tra il pollice e le altre dita sia utilizzato nei compiti di afferramento di oggetti (vedi Fi­ gura 4.3 ) . Anch'egli rifiuta la tesi di un riferimento fondamentale unico al quale siano riferiti tutti gli altri. Scrive: " Il compito della percezione non è quello di rico­ struire un modello euclideo dell'ambiente. La percezione è orientata verso l'azione, in quanto combina stimoli attuali e conoscenze memorizzate al fine di determinare un decorso dell'azione appropriato all'azione in corso" .25 Fondandosi sui risultati di Jeannerod,26 che ha mostrato che la forma della mano si adatta all a dimensione e all'orientamento dell'oggetto che sta per essere afferrato già nel momento in cui il movimento è avviato, egli suggerisce che il riferimento utilizzato dal cervello sia relativo, in quanto include essenzialmente le relazioni fra le dita (spazio di opposi­ zione) che stanno per afferrare l'oggetto: " Non c'è uno spazio assoluto unico rap­ presentato in una parte del cervello, solo un accoppiamento degli spazi sensoriali e motori per produrre un movimento e per portare a termine uno scopo " .27 Il riferimento può dunque essere costituito da relazioni tra parti del corpo. Può essere anche costruito attivamente: per esempio, ho detto sopra che la testa è

100

r•

.� :

,_,., e

bnccio

FIGL'RA

4·3 Come a/ferrare

un



l

i •

CAPITO LO QUATTRO

movimenta b.Jiiotico



J

--IO

-·�·� deL

..,_

l

.

········

+

oggetto.

ll cervello scompone in tre le caratteristiche visive dell'oggetto da afferrare: la sua localizzazione, le sue dimensioni e il suo orientamento. Anche le operazioni neuronali si scompongono in un movimento di trasporto della mano in vicinanza dell'oggetto, un adattamento delle dita alle dimensioni dell 'O(!I!etto. e una rotazione della pinza

di presa a seconda dell 'orientamento dell 'ogge tto.

(Da Arbib, 1 98 1 ).

utilizzata come piattaforma inerziale stabilizzata durante i movimenti complessi e soprattutto quando non c'è riferimento al suolo. In questo caso, il cervdlo utilizza la gravità per stabilizzare la testa, che può allora servire da referenza per la coordi­ nazione degli arti. Abbiamo insistitol8 sul fatto che il sistema di riferimento di un movimento dipende dal compito. Quando tengo un bicchiere pieno di champagne camminando o piegandomi in avanti, devo necessariamente riferire il suo movi­ mento alla direzione della gravità per non versarlo. Ma quando voglio leggere un libro camminando, lo scopo dei miei movimenti sarà di minimizzare il movimento rdativo tra la pagina e la mia retina, per cui riferirò il movimento della mia mano a quello della mia testa. Ma si deve anche immaginare che il cervello costruisca una serie di riferimenti in relazione alle varie fasi di uno stesso movimento.29 È il caso del salto in pedana illu strato nella Figura 3.3. Bisogna allora costruire una nuova fisiologia, che esami-

S I STEMI DI R I F E R I M ENTO

101

ni questi cambiamenti rapidi, queste oscillazioni da un sistema di riferimento all ' al­

tro. Questa flessibilità deve essere iscritta nella struttura stessa del sistema nervoso, tanto essa risulta fondamentale.

Rz/erimenti espliciti e impliciti: la teoria del punto equilibrio I dati che riguardano il modo in cui il sistema nervoso tratta il problema dei riferi­ menti non sono numerosi. È interessante a questo proposito citare le idee che sono uscite dal modello detto "del punto di equilibrio" di Bernstein. Feldman, a Mosca, ha recentemente ripreso questa teoria30 e le ha dato un 'espressione forma­ le a sua volta ripresa da parecchi gruppi occidentali, come quello di Bizzi al MIT. Questa teoria ci interessa, dal momento che è al cuore del problema dell'anticipa­ zione e del modo in cui il cervello simula la realtà esterna in maniera implicita o esplicita. Il modello di Feldman si basa sull'esame del funzionamento dei motoneuroni (i neuroni che comandano la contrazione dei muscoli). È ben noto che la scarica del motoneurone è legata al potenziale elettrico della sua membrana. Normalmen­ te questa è polarizzata (l'interno ha un potenziale negativo rispetto all'esterno del neurone). Un comando centrale o l'influenza dei recettori sensoriali può depolariz­ zarla e ponarla fmo alla sua soglia di scarica. Il motoneurone produce allora dei potenziali d'azione che provocano la contrazione del muscolo. I modelli classici di controllo del movimento (chiamati "modelli a" ) suppon­ gono che un comando centrale regoli direttamente la scarica del motoneurone. Feldman , al contrario, suppone che il cervello regoli una variabile indiretta: la soglia di scan'ca del motoneurone, vale a dire il valore del potenziale di membrana al quale il neurone scarica. Perché è interessante? Perché questo permette anche di regolare la posizione del braccio. Come? Se il mio braccio è in una data posizione, normalmente i fusi neuromuscolari scaricheranno e attiveranno il muscolo che si contrarrà in via riflessa. Ma, se ho cambiato la soglia di scarica, in modo che per questa stessa lunghezza del muscolo il motoneurone, anche se è depolarizzato dai recettori sensoriali, non scarica più, il mio braccio resterà immobile. Questa varia­ bile À. che regola una soglia è dunque equivalente a una posizione, a un angolo del braccio; essa ha, dice Feldman, una dimensione spaziale, e la posizione è ottenuta attraverso la regolazione delle variabili À. dei due muscoli antagonisti. Lo spazio non ha dunque bisogno di essere rappresentato in maniera esplicita, secondo que­ sta teoria; esso è implicitamente contenuto nella regolazione della soglia. Questo aspetto si ricollega alle teorie di Viviani e di Flash riguardanti le proprietà morto­ genetiche, creatrici di traiettorie geometriche, della legge della scossa minima (minimum jerk, Capitolo 6). Feldman mostra che questa ipotesi, seppure fondata sul funzionamento di un neurone, ha un impatto sul problema generale dei riferimenti rispetto ai quali sono

1 02

CAPITOLO QUATTRO

organizzati i movimenti: "Questi risultati teorici possono essere compresi in termi ni di fisica. Il movimento di un corpo è definito come un cambiamento di posizio­ ne rispetto a un altro oggetto, quadro di riferimento o sistema di coordinate. Ma il principio gahleiano della relatività del movimento è implicito nel concetto di qua ­ dro di riferimento: il movimento può anche essere indotto da uno spostamento del quadro di riferimento. La soglia À può essere infatti considerata come il punto d'o­ rigine di un quadro di riferimento per la mobilizzazione dei motoneu ron i . Spostando À, il livello di controllo specifica un nuovo punto di riferimento e pro­ d uce il movimento. Così, degli spostamenti del quadro di riferimento posizionale sottendono il controllo del movimento, mentre l'attivazione dei motoneuroni e la produzione delle forze sono una conseguenza di questo processo".3 1 La comunità scientifica è attualmente divisa sulla validità del modello. Esso ci offre tuttavia un buon esempio del fatto che dobbiamo essere pronti ad accogliere delle teo rie del controllo del movimento, n·n unciando all'tdea che lo spazio è esplici­ tamente rappresentato nel cervello, anche Sl' esso è percepito come tale a livello cosciente. È interessante constatare l'evoluzione delle idee sui sistemi di riferimento, che ha fatto passare da una concezione monolitica di un riferimento unico a quella di una flessibilità di riferimenti legati al compito. Un'illu strazione di questa evoluzio­ ne potrebbe essere individuata nelle straordinarie statue dei quattro personaggi del Bernini - i quattro fiumi - in piazza Navona a Roma. Lo scultore ha completa­ mente decentrato la fontana rispetto all a sua colonna centrale, dando ai suoi per­ sonaggi dei riferimenti d'azione straordinariamente variati, che rinviano a un uni­ verso relativo a ciascuno di essi. Dobbiamo allora far fronte a un problema più generale e assolutamente fon­ damentale: quello della natura dell'ego. In effetti, se non c'è un solo riferimento egocentrico ma molteplici rappresentazioni del corpo, allora bisogna costruire una teoria che spieghi l' unità della percezione del proprio corpo. Bisogna spiegare come questi differenti sottosistemi neuronali locali sono integrati in un sistema corporeo. Ecco una grande domanda attualmente senza risposta. La situazione della nostra scienza assomiglia un po' alla situazione politica del mondo. Dopo le ideologie che volevano imporre un modello unico, assistiamo a una vera esplosione di nazionalismi. Non ci sono più riferimenti unici, ma, al con­ trario, siamo attratti dalla molteplicità delle culture. Come arriveremo a ritrovare un pianeta che tenga conto nel contempo delle particolarità e di ciò che si può definire "l'unità dell'uomo"? Ecco la grande sfida, che è anche quella delle scienze ­

del cervello !

5 U N A MEMOR IA PER PR E D I RE

"Il movimento percepito allo stato nascente è sempre un movimento che va da qualche parte. Cosa assurda per il fisico che definisce il movimento

non tramite il t ermine verso il quale va, dai suoi antect'denti. Il movimento percepito è piuttosto un movimento che va dal suo punto d'arrivo al suo punto di parten:r.a". 1

ma

Maurice Merleau-Ponty

La percezione è, per definizione, multisensoriale: essa utilizza dei sistemi di riferi­ mento labili e molteplici adattati all'azione in corso; è predittiva: in effetti, i recet­ tori misurano delle derivate, ma anche il cervello, come vedremo, contiene una biblioteca di prototipi di forme, di volti, di oggetti, e forse di movimenti, di siner­ gie; vedremo inoltre in che modo la natura ha trovato delle leggi semplificatrici nelle proprietà geometriche, cinematiche e dinamiche dei movimenti naturali. Ma la percezione è predittiva anche, e forse soprattutto, grazie alla memoria. Dal momento che la memoria serve anzitutto a predire le conseguenze dell'azione futu­ ra evocando quelle dell'azione passata. 2 Fin a che punto i dati recenti della psicologia, della neurofisiologia e della neuropsicologia ci permettono di definire meglio il ruolo della memoria nelle rela­ zioni tra percezione e azione? La neuropsicologia moderna distingue diversi tipi di memoria che sono attivati in parti differenti del cervello (vedi Figura 5 . l ) . La memoria può essere dichiarativa, implicita, di lavoro, episodica, procedurale, a breve termine, a lungo termine, iconica, topografica, spaziale, semantica, lessicale, motoria ecc. Vengono compiuti degli sforzi notevoli dai neuropsicologi e dai neu­ rofisiologi per comprendere l'organizzazione neurale di queste molteplici sfaccet­ tature della memoria. In realtà, la memoria è una proprietà fondamentale del cer-

104

CAPITO LO C I NQUE

MEMORIA

/� �

DICHIARATIVA ( ESPLICITAI

FA T11

/ /



NON DICHIARATIVA

l

tiMPLICITA)---

'\.. '\..

A VVENIME..'IITI

PPRENDIMENTO

NON ASS