Il seguito dell'Iliade 9788858759202

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Il seguito dell'Iliade
 9788858759202

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Sommario
Reinventare Omero
INTRODUZIONE
1. Un autore (quasi) sconosciuto
2. Quinto e la tradizione letteraria: fonti e modelli
3. Lingua e stile
4. La metrica
5. Quinto di Smirne e la Seconda Sofistica
6. La tradizione manoscritta
7. La fortuna
IL SEGUITO DELL'ILIADE
Libro Primo
Libro Secondo
Libro Terzo
Libro Quarto
Libro Quinto
Libro Sesto
Libro Settimo
Libro Ottavo
Libro Nono
Libro Decimo
Libro Undicesimo
Libro Dodicesimo
Libro Tredicesimo
Libro Quattordicesimo
NOTE AL TESTO
Libro primo
Libro secondo
Libro terzo
Libro quinto
Libro sesto
Libro settimo
Libro ottavo
Libro nono
Libro decimo
Libro undicesimo
Libro dodicesimo
Libro tredicesimo
Libro quattordicesimo
APPARATI
I. BIBLIOGRAFIA
II. INDICE DEI NOMI NOTEVOLI
III. INDICE GENERALE

Citation preview

QUINTO DI SMIRNE

IL SEGUITO DELL’ILIADE Coordinamento e revisione di Emanuele Lelli

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

Testo greco a fronte in edizione critica

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE Direttore

GIOVANNI REALE

QUINTO DI SMIRNE IL SEGUITO DELL’ILIADE Testo greco a fronte

Traduzioni e note di Lorenzo Bergerard, Cristiana Bernaschi, Nicoletta Canzio, Bruna Capuzza, Enrico Cerroni, Lorenzo Ciolfi, Graziamaria Gagliarde, Daniele Mazza, Eleonora Mazzotti, Antonino Nastasi, Enrico Maria Polizzano, Shanna Rossi Valentina Zanusso Coordinamento e revisione di Emanuele Lelli Apparati a cura di Valentina Zanusso e Graziamaria Gagliarde Premessa di Giovanni Cerri

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi Direttore letterario Mario Andreose Editor Bompiani Eugenio Lio

ISBN 978-88-58-75920-2 © 2013 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Realizzazione editoriale: Alberto Bellanti – Milano Edizione digitale da I edizione Il Pensiero Occidentale marzo 2013

SOMMARIO

Reinventare Omero INTRODUZIONE Libro Primo Libro Secondo Libro Terzo Libro Quarto Libro Quinto Libro Sesto Libro Settimo Libro Ottavo Libro Nono Libro Decimo Libro Undicesimo Libro Dodicesimo Libro Tredicesimo Libro Quattordicesimo NOTE AL TESTO APPARATI

VII XVII

3 65 115 175 219 269 319 373 411 453 493 531 575 621 673 891

REINVENTARE OMERO

Se, raschiato via l’intonaco di una parete in un convento antico, appare come per incanto un affresco trecentesco fino a quel momento sconosciuto, lo storico dell’arte è invaso prima di tutto da un forte senso di ammirazione, poi si dedica a studiarlo con amore, cercando di individuare a quale scuola il pittore possa essersi formato, la tecnica del disegno e l’uso del colore, il soggetto narrativo, gli schemi iconografici di riferimento. Non assume (almeno in prima battuta, e forse mai) l’atteggiamento arcigno del giudice, non si mette a paragonare il nuovo affresco ad opere di Giotto o di Simone Martini, per bollarne gratuitamente l’ingenuità e la debolezza figurativa. Una simile opzione sarebbe da lui considerata a ragione del tutto fuori luogo. Eppure proprio questo è l’atteggiamento con il quale si accostano quasi sempre agli autori cosiddetti ‘minori’ gli storici delle letterature, antiche o moderne che siano: sembrano ritenere loro compito primario evidenziare l’inferiorità del ‘minore’ rispetto ad autori ‘maggiori’, che abbiano affrontato tematiche analoghe con ben altra incisività e potenza. E con ciò si precludono in misura notevole la capacità di comprendere storicamente l’opera in esame; peggio ancora, con la loro autorità finiscono per intimidire il pubblico dei lettori, distogliendolo dal gustare l’opera per quello che è. Questo è accaduto ad esempio anche a Quinto Smirneo, schiacciato dal confronto illegittimo con Omero e Virgilio, magari con Apollonio Rodio, lui che, tra II e III secolo d.C., si era dedicato con intelligenza, impegno e umiltà al recupero di miti al suo tempo quasi perduti, ed era riuscito a comporre un lungo poema, scorrevole e affascinante, giustamente ammirato dai suoi contemporanei e dai Greci delle età successive, per tutto il medioevo. Per apprezzarne il valore nella sua giusta luce, bisogna

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prima di tutto rievocare per grandi linee la storia dell’epica a lui precedente, fin dagli inizi più antichi. Nel corso dell’VIII secolo a.C. si erano andati costituendo ad opera di grandi scuole rapsodiche, e avevano sostanzialmente già preso la forma nella quale oggi li conosciamo, due grandi poemi monumentali, che narravano rispettivamente il mito della Guerra di Troia (l’Iliade) e il Ritorno di Ulisse da quella guerra ormai conclusa (l’Odissea). I due poemi non coprivano però tutto lo spettro dei racconti tradizionali sulla Guerra di Troia e sui Ritorni degli eroi achei; erano invece ciascuno incentrato su un nucleo tematico ben definito. L’Iliade narrava l’ira di Achille, intervenuta a complicare le cose durante l’ultimo anno di quella guerra epocale e decennale; ira duplice e contraddittoria, scatenatasi in un primo momento contro il capo dell’esercito confederale, Agamennone, per una questione di onore; in un secondo momento contro il capo dell’esercito nemico, Ettore, che aveva ucciso in battaglia il suo compagno d’arme e amico più caro, Patroclo. L’Odissea narrava le avventure incontrate da Ulisse durante il lungo viaggio di ritorno in patria per mare, continuamente depistato da tempeste e approdi in terre tanto ignote quanto insidiose, nonché al momento del suo rientro ad Itaca, quando aveva scoperto che la sua casa era occupata e dominata dai principi dell’isola, prepotenti e usurpatori del potere regale. Restavano fuori dal racconto dei due poemi molti miti celeberrimi sia sugli episodi finali della presa di Troia sia sui ritorni di altri eroi achei, non meno travagliati di quello di Ulisse: per fare qualche esempio, gli interventi in soccorso dei Troiani, prima di Pentesilea, regina delle Amazzoni, poi di Memnone, figlio di Aurora; la morte di Achille nella fase finale dell’assedio; la gara tra gli altri eroi per avere in premio la sua armatura e il suicidio di Aiace, posposto ad Ulisse dalla giuria; il furto sacrilego della statua dell’Atena troiana, il Palladio, ad opera di Ulisse e Diomede; lo stratagemma del cavallo di legno, che permise ad un commando acheo di introdursi proditoriamente nella città fortificata e aprirne le porte; la violenza compiuta durante il saccheggio da Aiace d’Oileo ai danni di Cassandra, sacerdotessa di Apollo e

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profetessa; il reincontro denso di tensione emotiva tra Menelao ed Elena, la sposa stupenda che lo aveva lasciato per seguire Paride, fratello di Ettore, provocando così la spedizione punitiva degli Achei e la rovina di Troia; l’uccisione spietata di Priamo, il re vecchio, saggio e giusto, presso l’altare della sua casa, sotto gli occhi disperati della moglie e dei figli, ad opera di Neottolemo, figlio di Achille ormai morto. Storie ben vive nella memoria dei Greci, narrate e rinarrate nei loro conversari, nelle improvvisazioni dei cantori itineranti di fronte ai pubblici folti degli agoni rapsodici, dipinte dai pittori sia in affreschi murali sia su vasi decorati; ancora però non trovavano riscontro in poemi scritti, come invece lo erano ormai i due poemi omerici, considerati dai Greci, fin dalla loro prima elaborazione, testi fondanti della civiltà, memoria del passato, conoscenza del mondo umano e naturale, fonte inesauribile di svago festivo. Per colmare la lacuna, furono allora composti diversi poemi dedicati ai numerosi episodi tralasciati da Omero: I canti di Cipro (sugli avvenimenti che avevano preceduto l’ultimo anno della Guerra di Troia), l’Etiopide ( su Pentesilea e Memnone), la Piccola Iliade e La presa di Ilio (sulla fine tragica di Troia), I ritorni (sui ritorni in patria degli eroi diversi da Ulisse), la Telegonia (sulle avventure di Telegono, il figlio di Ulisse e Circe). Accanto a questi poemi di argomento troiano furono composti nella stessa epoca vari altri poemi dedicati ad altri complessi leggendari: ad esempio, a quello tebano, comprendente Edipodia, Tebaide, Epigoni e Alcmeonide. Siccome nel loro insieme, e in aggiunta all’Iliade e all’Odissea, esaurivano la materia mitica in un giro completo d’orizzonte, furono chiamati ‘poemi ciclici’ o, tout court, ‘Ciclo’ (Kyklos, che significava appunto ‘giro completo’, ‘cerchio conchiuso’). Composti da vari autori tra la fine dell’VIII e la fine del VI secolo a.C., ebbero grande voga ancora per tutto il V secolo, quando i poeti tragici, a cominciare da Eschilo, Sofocle ed Euripide, ne saccheggiarono i contenuti, per trarne la maggior parte delle trame dei loro testi drammatici. La loro attribuzione era volutamente ambigua: da una parte si ricordava l’autore di cia-

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scuno di essi, quello vero o quello ritenuto tale (ad es., l’Etiopide era attribuita ad Arctino di Mileto, la Piccola Iliade a Lesche di Mitilene, ecc.); dall’altra parte erano attribuiti direttamente ad Omero, in omaggio al grande archegeta dell’epica e a significare che quei poemi erano in qualche modo integrazioni e riflessi dell’Iliade e dell’Odissea. Ma, dal IV secolo in poi, divennero bersaglio privilegiato di stroncatura critica. Aristotele ne denunciò la mancanza di unità d’azione, dunque di quella verosimiglianza mimetica che secondo la sua Poetica era la vera essenza della poesia in quanto tale: gli apparivano tutti, a differenza dei due poemi omerici, meri elenchi di episodi non legati fra loro da un nodo problematico unitario. Nel III secolo Callimaco, poeta e teorico di punta del nascente alessandrinismo, vide in essi il prototipo dei poemi “popolari” nel senso negativo del termine, condannati dalla loro stessa lunghezza torrenziale alla sciatteria e alla banalità stilistica. Nel II secolo Aristarco di Samotracia, il più affermato tra i filologi omerici della corte tolemaica, trasformò il giudizio di Callimaco in criterio editoriale, dichiarando ‘spurî’, cioè non autentici, non omerici, tutti quei brani dell’Iliade e dell’Odissea che gli ricordassero lo stile ‘ciclico’, e contrassegnando i versi in questione con una barra orizzontale sulla sinistra del rigo, l’obelós, che voleva dire ‘atetesi’ (athétesis), cioè rimozione di aggiunte posteriori e deteriori al testo autentico di Omero. Questa ‘cattiva stampa’ non restò senza conseguenze sulla loro stessa ‘popolarità’: furono a poco a poco sempre meno recitati negli agoni rapsodici, sempre meno letti dalle persone colte. Dunque, sempre meno copiati! Cominciarono ad essere consultabili solo nelle grandi biblioteche, e non in tutte. Andavano sparendo dal mercato librario. Ancora per qualche secolo continuarono ad interessare solo gli eruditi, gli studiosi di storia dell’epos e i trattatisti del mito (i mitografi). Per esempio, tra gli autori di II-III secolo d.C., sembrano ancora accessibili all’erudito Ateneo e al periegeta Pausania, archeologo, studioso di santuari e rituali. Di lì a poco, andarono del tutto perduti: venivano di tanto in tanto citati ancora da scrittori che però non traevano

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più le notizie che davano su di essi da una lettura diretta, ma da scrittori precedenti, che a loro volta li conoscevano solo di seconda mano. La condanna della critica letteraria di IV-III secolo a.C., confermata dai filologi omerici di III-II (soprattutto da Aristarco), ne aveva compromesso la sopravvivenza stessa, secondo la legge inesorabile che caratterizzava le tradizioni manoscritte, anteriori all’invenzione della stampa: ciò che non interessava nessuno veniva ricopiato sempre meno ed era perciò destinato a sparire. Possiamo dire che i critici letterari antichi si comportarono verso i poeti ‘ciclici’ come i critici moderni si sono comportati nei confronti di Quinto Smirneo: solo che, vivendo questi ultimi nell’era della stampa, non hanno più il potere indiretto di distruggere fisicamente ciò che condannano. Non sappiamo con certezza se Quinto tenesse sott’occhio i poemi ciclici, in tutto o in parte, o se invece li conoscesse solo per citazioni sporadiche di scrittori precedenti: la filologia attuale è propensa piuttosto alla seconda ipotesi. Comunque sia, egli non poté non essere ben conscio che nessuno ormai apprezzava più quegli antichi poemi, che quasi nessuno aveva più la possibilità stessa di leggerli, e che, seppure l’avesse avuta, non lo avrebbe fatto, non ritenendoli degni di attenzione. Gli sembrò paradossale che miti tuttora famosissimi e importanti, perché eternati dalle arti figurative e dall’antica poesia tragica, ancora al suo tempo letta e apprezzata nei teatri, citati incidentalmente dai poeti lirici del passato, non fossero più leggibili in una narrazione estesa e continua, mossa, avvincente, ma casomai soltanto nei riassunti aridi e schematici dei ‘mitografi’, degli eruditi collezionisti di miti, ben lontani da un minimo di animazione, anche soltanto di tipo novellistico. Volle ridare loro vita epica. Colmare la lacuna. Restituire il racconto delle gesta intercorrenti tra Iliade e Odissea. Non intese certo rivaleggiare con Omero, che nel suo poema mostra di considerare modello e maestro assoluto. Ma imitarlo sì, applicare il più possibile quelle ricette che gli sembravano a lui peculiari, fattori certo parziali, ma importanti, del suo successo perenne,

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per dare così ai Greci del suo tempo e forse dell’avvenire un poema che fosse, non geniale come quelli di Omero, ma di lettura piacevole, perché resuscitava poeticamente quei miti perduti. E decise così di comporre il poema che intitolò significativamente, almeno a giudicare dalla testimonianza dei manoscritti, T¦ meq' “Omhron, “I fatti posteriori ad Omero”, posteriori cioè alla fine dell’Iliade. A partire dall’età umanistica, venne citato in latino col titolo di Posthomerica. Ravvivò la narrazione, come aveva fatto Omero, con frequenti dialoghi diretti tra gli eroi, intesi a puntualizzarne le reazioni psicologiche e le intenzioni operative; con altrettanto frequenti “similitudini”, vale a dire paragoni concreti tra gli snodi dell’azione e le esperienze della vita reale e quotidiana. Per quanto riguarda i fatti narrati, dette fondo a tutta la sua preparazione letteraria, utilizzando uno scaltrito intrigo di fonti sia poetiche sia erudite. Ma anche questo lavorìo è stato interpretato malevolmente dalla critica moderna, come controprova di una sua mancanza di inventività e di fantasia, come attitudine all’imitazione pedissequa, alla compilazione priva di originalità, non per quello che è realmente, cioè poesia dotta, arte raffinata. Viceversa i suoi contemporanei e poi i Greci di età bizantina lo apprezzarono giustamente, in ragione del servigio culturale che aveva reso loro. Servigio che ha reso anche a noi, se attraverso la sua poesia possiamo rivivere l’incanto amaro della distruzione di Troia. Omero aveva concluso l’Iliade con il presentimento di quella tragedia epocale e aveva iniziato l’Odissea con la sua rievocazione vibrante. Ma non l’aveva narrata. L’aveva narrata Virgilio nel secondo libro dell’Eneide, che Quinto, esperto anche di lingua e letteratura latina, ben conosceva e amava; ma l’aveva narrata per i parlanti in latino; soprattutto l’aveva narrata solo sinteticamente, come episodio iniziale dell’avventura di Enea. Quinto Smirneo non ambì ad attingere le vette del Parnaso; si limitò a svolgere con onestà un compito artistico ben delimitato. Appunto come un bravo pittore cui fosse stata commissionata una serie di affreschi a tema, destinati a decorare un tempio o un palazzo

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signorile. Nella storia dell’arte non c’è posto solo per Michelangelo o Leonardo, ma anche per Vasari e per Barocci. La presente traduzione italiana del poema ha lo scopo preciso di far partecipi anche noi di quel contributo modesto, ma appassionante, ove lo si legga come letteratura narrativa, senza chiedergli ciò che non è e non pretende di essere. Giovanni Cerri

INTRODUZIONE

La presente introduzione si deve a Emanuele Lelli (paragrafi 1 e 7), Valentina Zanusso (paragrafo 2), Eleonora Mazzotti (paragrafi 3 e 4), Bruna Capuzza (paragrafo 5), Lorenzo Ciolfi (paragrafo 6).

1. Un autore (quasi) sconosciuto Sulla personalità, sul contesto politico, culturale e sociale in cui visse, persino sull’epoca e sul nome dell’autore del poema in quattordici libri intitolato Tà meth’Hómeron, pochissimo possiamo affermare con una certa sicurezza. Che il poema fosse così intitolato e che fosse attribuito già in età bizantina ad un “Quinto poeta” lo testimoniano le citazioni degli eruditi Giovanni Tzetze e Eustazio, entrambi del XII secolo. Kointos è certamente nome di origine romana, ma dall’età imperiale l’onomastica romana è diffusa ormai in tutto il bacino del Mediterraneo. Non vi sarebbe dunque contraddizione con l’appellativo di “Smirneo” che al poeta viene attribuito in alcuni codici, nonché da Tzetze: appellativo, d’altra parte, problematicissimo. È infatti lo stesso poeta ad ambientare “nelle valli di Smirne” la sua iniziazione poetica, in gioventù, mentre pascolava le greggi (12,306-313): una chiarissima ripresa della scena topica dell’iniziazione poetica, con l’apparizione delle Muse e/o di Apollo, che vantava illustri modelli quali Esiodo e Callimaco (palesemente tenuti presenti da Quinto). Che nel brano – pur chiaramente ‘letterario’ – sia introdotto un particolare autobiografico è parso elemento problematico da valutare: se alcuni vi hanno scorto una conferma dell’origine smirneiana del poeta, altri vi hanno visto un omaggio a Smirne come patria di Omero (una tradizione diffusa, nell’antichità, tanto quanto quella dell’origine del poeta da Chio), e dunque un tentativo da parte di Quinto di richiamarsi alla tradizione epica. In questo secondo caso, l’appellativo “Smirneo” sarebbe dunque puramente letterario, e proprio da questo passo sia Tzetze sia i codici avrebbero – impropriamente – desunto un etnico del poeta. La questione è certamente aperta, ma non vanno sottovalutate

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

altre testimonianze – pur ‘interne’ – sulle quali già Kökly, tra i maggiori studiosi di Quinto nell’Ottocento, poneva l’attenzione: una numerosa serie di riferimenti, appunto nel poema, a luoghi della Licia e dell’Asia Minore che potrebbero effettivamente far pensare ad una conoscenza diretta della regione. È vero anche, tuttavia, che la materia iliadica ‘obbligava’ per certi versi il poeta alla descrizione di quei luoghi: dunque anche questo argomento va considerato con la massima cautela. Sembra invece con certezza da rigettare l’ipotesi di chi, fraintendendo un passo di Bessarione, che riportò in Occidente il testo del poema nel XV secolo, attribuì a Quinto un’origine calabrese: “Quinto Calabro” è indicazione che si trova in alcuni codici rinascimentali. Sull’età in cui il poeta visse e operò possiamo forse dire qualcosa di più, attraverso un serrato confronto con altri testi per i quali la cronologia è più sicura. Nonno di Panopoli, l’autore dell’ultimo grande poema epico dei Greci, le Dionisiache, ha palesemente ripreso, nella metà del V secolo, alcuni loci di Quinto; anche Trifiodoro, nel poemetto sulla Presa di Troia, sembra aver chiaramente sfruttato le Postomeriche: pur in assenza di una datazione per Trifiodoro, il suo poema è comparso, nel 1972, su un papiro databile non oltre i primissimi anni del IV secolo (P. Oxy. 2946). Le Postomeriche dunque devono essere anteriori non solo a Nonno, ma almeno all’inizio del IV secolo. A questo terminus ante quem si può aggiungere, con certezza, anche un terminus post quem: da alcuni precisi passi è evidente che Quinto abbia alluso al testo di un poema esametrico sui pesci, Halieutikà, attribuito ad Oppiano di Anazarbo, altro autore di cui poco sappiamo, ma che certo deve aver composto l’opera tra il 176 e il 180, vista la dedica ad un imperatore “Antonino” e a suo figlio: con tutta probabilità Marco Aurelio Antonino e il figlio Commodo. Abbiamo dunque un arco temporale di poco più di un secolo in cui collocare la composizione dell’opera, tra la seconda metà del II secolo (nulla vieta che Quinto possa esser stato contemporaneo di Oppiano: ipotesi che negli studi non sempre viene presa in considerazione, ma che è assai plausibile

INTRODUZIONE

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se si considera che spesso poeti contemporanei si ‘omaggiano’ con citazioni e allusioni, si pensi agli alessandrini o agli augustei) e la fine del III. Si è tentato, peraltro, di restringere ancor di più quest’arco cronologico. Si è detto, per esempio, che la scelta della versione mitica per cui Enea sarebbe il fondatore di Roma e non di Lanuvio (in 13,336-241) non sarebbe stata ammissibile dopo la (ri)fondazione di Costantinopoli come residenza imperiale: dunque non si potrebbe andare oltre il 3301. Si è sottolineato che, sempre nel brano contenente la profezia sulla fondazione di Roma, il poeta non avrebbe potuto tacere la durata millenaria della città se avesse composto l’opera dopo il 248 (millenario di Roma, festeggiato con gran sfarzo in tutto l’impero: ne abbiamo evidenti testimonianze epigrafiche): dunque occorrerebbe retrodatare ancora l’opera a prima del 2482. Altri argomenti appaiono assai più deboli3. Nel 1984 fu scoperto e pubblicato un poemetto in esametri contenente il racconto, in prima persona, della ‘visione’ avuta da un cristiano, Doroteo, a sfondo escatologico (la Visio Dorothei, da P. Bodm. 29). Il testo, assai interessante come testimonianza di poesia greca cristiana, reca in calce la sottoscrizione tšloj tÁj Ðr£sewj Dwroqšou Ku…ntou poihtoà. L’espressione si può interpretare in due modi: “fine della Visione di Doroteo, poeta, (figlio) di Quinto/ di Doroteo (figlio) di Quinto il poeta”. Se nel primo caso la possibilità che un praenomen così diffuso possa conservarci la testimonianza di una famiglia di letterati, in cui Doroteo sarebbe figlio del (famoso) poeta Quinto, appunto il nostro autore delle Postomeriche, appare certamente poco probabile, nel secondo caso occorre riconoscere che l’espressione “Quinto il poeta” ben potrebbe costituire un riferimento al nostro Quinto. Di questo Doroteo nulla sappiamo, ma vi è stato chi ha proposto di identificarlo con un erudito prelato di An1

Vian 1, VIII. Cantilena 2001, 55-56. 3 Vd. la sintesi di Baumbach-Bär 2007, 3-6. 2

IL SEGUITO DELL’ ILIADE

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tiochia, vissuto nel III secolo e martirizzato nell’ultima grande persecuzione sotto Diocleziano (290), di cui dà notizia Eusebio di Cesarea (H. Eccl. 7,32,2-3). Se così fosse, e se il Doroteo cristiano è davvero figlio di Quinto (Smirneo), il poeta delle Postomeriche trova di nuovo una collocazione temporale nella prima metà del III secolo. Il dato sarebbe interessante, oltre che per una conferma della cronologia ‘alta’, soprattutto per ipotizzare un quadro culturale (e umano) più definito e senz’altro consono ai tempi: in una famiglia di letterati, come numerose ne aveva conosciute la tradizione greco-latina (e si pensi, per l’epoca, a Nestore e Pisandro di Laranda, padre e figlio, vissuti sotto i Severi e autori di due poemi epici), a un padre – Quinto – ancora pagano, ma che mostra nel suo poema sinceri e profondi spunti di umanità almeno stoicheggiante, segue un figlio – Doroteo – che si fa cristiano, e offre la sua testimonianza di fede addirittura col martirio. L’ipotesi è suggestiva, e si adatta perfettamente alla temperie del III-IV secolo, uno dei periodi più travagliati dal punto di vista dell’incontro (spesso scontro) tra spiritualità tradizionali e nuove. Ma di pura ipotesi si deve parlare, e la qualità poetica non elevata della Visione di Doroteo è un elemento abbastanza forte, anche se indiretto, per chi afferma che il Ku…ntou menzionato nella sottoscrizione del papiro che ci ha restituito il poemetto non può essere l’autore delle Postomeriche4. Se, in conclusione, non si svaluta del tutto la testimonianza ‘autobiografica’ di 12,306-313, forse confortata dal ricorrere di toponimi licii nel poema, e si considera che un epico come Quinto avrebbe potuto alludere ad un Oppiano, così lontano dal punto di vista del genere letterario, forse proprio perché a lui più vicino cronologicamente e legato da familiarità5, non sembra inopportuno propendere per una datazione assolutamente ‘alta’ di Quinto e dei Posthomerica, sul finire del II secolo o al massimo all’inizio del III. 4

Per tutta la questione vd. Hurst-Reverdin-Rudhart 1984, 47 ss., nonché le doverose cautele di Baumbach-Bär 2007, 6-7. 5 Anabarzo, in Cilicia, non era del resto lontana da Smirne.

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Perché – e per chi – Quinto scrive i Posthomerica? Oltre a quanto è stato detto nella Premessa, va sottolineato che l’età in cui presumibilmente va collocata la realizzazione dell’opera è ancora un’età di grande consumo e circolazione dell’epos tradizionale. Testimonianze epigrafiche di agoni poetici in cui poeti ‘itineranti’ gareggiano con brani propri, durante feste e cerimonie civiche, sono diffuse in tutto il mondo greco, compresa l’Asia Minore (se qui è da collocare l’attività principale del poeta)6: una prima destinazione del poema sarebbe potuta esser stata, dunque, proprio quel pubblico di media cultura che si radunava per le feste e per gli agoni, il medesimo, del resto, che in quell’epoca ascoltava le ‘conferenze’ dei protagonisti della seconda sofistica, e che è ben tratteggiato da Filostrato appunto nelle sue Vite dei Sofisti. Non è mancato chi ha proposto di vedere nei quattordici libri di Quinto singole pièce da ‘recitare’ in diverse performances nelle città dell’Asia Minore7. Se questa tesi sembra arrischiata, non va sottovalutato, tuttavia, il possibile (e certamente plausibile) orizzonte pragmatico del poema, che sicuramente si pone in una dimensione più ‘divulgativa’ e ‘di consumo’ rispetto, ad esempio, alle sperimentazioni virtuosistiche di un Nestore di Laranda, che in quei decenni scriveva una Iliade priva di una lettera, nella quale in ciascuno dei 24 libri mancava una lettera dell’alfabeto. Il poema di Quinto è intenzionalmente lontano da virtuosismi e sperimentalismi: in questo senso è ‘classico’, o meglio ‘classicheggiante’, definizione che meglio si adatta ai Posthomerica, rispetto a quella di poesia ‘scolastica’ che pure spesso si ripete. Nondimeno, se l’intento di Quinto fu divulgativo, la sua arte non è di basso livello: e si può affermare con certezza che l’aspetto così omerizzante, così classico e lontano da virtuosismi delle Postomeriche fu intenzionale, proprio sulla base di quei loci che, invece, dimostrano con evidenza la capacità del poeta di 6

Vd. Cantilena 2001, 58 ss., che rimanda, tra gli altri, ai classici studi di Guarducci 1929 e Robert 1937. 7 Appel 1987.

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‘giocare’ – quando vuole – con il passato letterario, di alludere ai suoi modelli, persino di sovvertire, in taluni casi, Omero. Quando Quinto allude a Oppiano o a Euripide, quando impiega un hapax omerico, il poeta guarda anche ad un pubblico dotto e raffinato, non solo ai suoi lettori amanti di Omero. Una analisi dei modelli, delle scelte artistiche e della lingua di Quinto che metta in luce queste peculiarità sono quanto mai opportune per una valutazione profonda dell’opera.

2. Quinto e la tradizione letteraria: fonti e modelli 2.1. L’epica Proprio Omero è punto di partenza imprescindibile per delineare lo statuto letterario del poema. Lo è per ammissione dello stesso Smirneo che titola la propria opera “ciò che viene dopo Omero”, lo è stato già per i primi commentatori dei Posthomerica che lo definirono Ðmhrikètatoj8, lo è ancora, forse nella maggior parte dei casi in una dimensione negativa, per la manualistica che lo ritrae come un imitatore, più o meno mediocre, dei due poemi omerici. Probabilmente l’obiettivo primario di Quinto era quello di realizzare un’opera che colmasse in maniera unitaria il gap tra l’Iliade e l’Odissea, forse per soddisfare le attese di un pubblico conoscitore di Omero che sentiva l’esigenza di un racconto più organico di quello frammentato nei vari poemi del Ciclo, chissà se a tutti ancora accessibili.9 È questa la prima facies dei Posthomerica: un poema che prende programmaticamente le mosse dalla fine dell’Iliade e si aggancia all’inizio dell’Odissea, senza alcuna soluzione di continuità. L’assenza – o quasi – di uno statuto di opera autonoma balza prepotentemente agli occhi anche dal punto di vista pret8

Questa è la definizione di Costantino Lascaris nella prefazione al manoscritto Matritensis gr. 4686. 9 Vd. Vian 1, XXV.

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tamente strutturale, per la mancanza di un proemio; carattere, come è noto, peculiare del genere. L’incipit dei Posthomerica è di tipo narrativo, e focalizza immediatamente l’attenzione del fruitore su ciò che è avvenuto prima (il funerale di Ettore), piuttosto che su quanto sarà argomento dell’opera, secondo la prassi canonica dell’epica. Questa latente dichiarazione di intenti prosegue per tutto il primo libro, nel quale alcune scene risultano il naturale prolungamento di quelle conclusive dell’Iliade. Così è per il tableaux di Achille ed Aiace che piangono presso la tomba di Patroclo ai vv. 300 ss.: Quinto non si preoccupa di dare alcuna spiegazione della loro assenza tra le fila achee, conscio del fatto che il pubblico sa bene che essi sono ancora afflitti per la morte dell’amico. Difatti proprio in questo frangente li vediamo impegnati alla vigilia del loro rientro in battaglia. Quinto tuttavia non ci spiega chi fosse Patroclo né tanto meno le circostanze della sua morte, dando per assodati questi particolari, come se in realtà li avesse già narrati. Se il primo canto sembra proseguire naturaliter l’intreccio dell’Iliade, l’ultimo allude, in maniera chiara per un lettore di III secolo, al nÒstoj di Odisseo. Nei vv. 628-631 Atena che, adirata per il sacrilego stupro di Cassandra da parte di Aiace d’Oileo, funesta il ritorno degli Argivi, gioisce in cuor suo per la tempesta che Poseidone scaglia contro di essi, ma allo stesso tempo è afflitta per Odisseo, del quale è p£redroj, poiché sa che si accinge ad affrontare ¥lgea poll¦ per lo sdegno dell’Ennosigeo. Questi trasparenti richiami rendono palese l’intima e strutturale interconnessione tra Quinto e i poemi omerici: i Posthomerica si incastonano tra i due, a formare un ponte che completi la narrazione della saga troiana. È ovvio tuttavia, che se l’intento è quello di inserirsi coerentemente ed organicamente tra Iliade ed Odissea dal punto di vista del contenuto, altrettanto coerentemente ciò dovrà avvenire per la lingua, lo stile, i moduli, gli strumenti espressivi. Ciò è innegabile ma, come si cercherà di rilevare più avanti, non avviene in termini di imitazione pedissequa e sganciata tout court dalla temperie in cui vive l’autore, dalla cultura di cui è pregno e dai secoli di produzione letteraria intercorsi

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da Omero, che hanno generato una tradizione profondamente radicata in Quinto, che inevitabilmente si riversa e penetra nelle maglie della sua opera. Come si è già accennato, Quinto Smirneo si serve dei poemi del Ciclo relativi all’impresa troiana. Si tratta di un dato importante poiché, comè noto, essi non ci sono pervenuti, fatta eccezione per gli scarsissimi frammenti editi in ultimo da Bernabè (1987) e per le epitomi di Proclo e di Fozio (nelle rispettive antologie: la Crestomazia e la Biblioteca), entrambi di alcuni secoli posteriori allo Smirneo (V il primo, IX il secondo). Nei Canti Cipri (KÚpria: Procl. 80 Seve.) in undici libri, si narrano gli antefatti della guerra, le nozze di Teti e Peleo, il giudizio di Paride, i travagliati preparativi della spedizione da parte di Menelao e i primi nove anni di guerra. Perno dell’Etiopide (A„qiop…j: Procl. 172 Seve.) attribuita ad Arctino di Mileto, in cinque libri, è la figura dell’etiope Memnone e il suo duello con Achille, ma collateralmente si narrano anche l’impresa di Pentesilea e la morte del Pelide. La Piccola Iliade ('Ili¦j mikr£: Procl. 206 Seve.) attribuita a Lesche di Mitilene, in quattro libri, prende le mosse dalla contesa per le armi di Achille tra Aiace ed Odisseo e narra la follia di Aiace a seguito della sconfitta, follia che lo porta a far strage dei suoi compagni e a suicidarsi. Nel frattempo Odisseo penetra a Troia e, incontrata Elena, con lei si accorda per conquistare la città. Seguono la costruzione del cavallo e il ratto del Palladio, con la falsa partenza dei Danai e l’abbandono del cavallo, carico di Achei, sulle rive dell’Ellesponto. Nella Distruzione di Ilio ('Il…ou pšrsij: Procl. 239 Seve.) anch’essa attribuita ad Arctino, in due libri, si narrano l’episodio di Laocoonte e la distruzione di Troia. Infine oggetto dei Ritorni (NÒstoi: Procl. 277 Seve.) di Agia di Trezene, in cinque libri, sono i travagliati rientri in patria di Menelao, Aiace d’Oileo (che tuttavia naufraga), e Agamennone, che viene ucciso da Clitennestra. Ripercorrere le trame dei poemi è fondamentale per avere un chiaro panorama del materiale epico a disposizione dello Smirneo e per comprendere dal punto di vista strutturale stricto sensu le riprese ma anche le significative variazioni nell’ordo di alcuni avvenimenti

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nonché le innovazioni contenutistiche o la scelta di diverse varianti mitiche. Nei primi quattro libri Quinto sembra seguire piuttosto fedelmente il modello fornito dall’Etiopide. Si può forse dire qualcosa sulla fine del primo libro: gli Achei si avventano sui corpi degli uccisi, spogliandoli, ma il Pelide è ancora affranto per l’uccisione di Pentesilea, della quale ha scoperto la bellezza celata al di sotto dell’elmo. Quinto sembra qui non fornire appigli alla versione più dura del mito, secondo la quale Achille si sarebbe macchiato di necrofilia nei confronti dell’amazzone, una versione, del resto, che non è chiaro (dal riassunto di Proclo) se fosse contenuta nell’Etiopide, come lo è apertamente nell’Efemeride di Ditti Cretese (il fittizio diario della guerra troiana, tràdito sotto il nome di questo misterioso personaggio, che mostra diversi punti di contatto con lo Smirneo). Tersite inveisce contro Achille, schernendone lo spasmodico interesse per il sesso femminile e questi reagisce uccidendolo. Manca, a questo punto della narrazione, l’unico segmento mitico che sembra non essere mutuato dall’Etiopide: la partenza di Achille per Lesbo, al fine di purificarsi (pare attraverso un intervento di Odisseo in veste di sacerdote) dall’omicidio di Tersite, cosa che presuppone la sua assenza durante le gesta di Memnone. Il quinto libro è incentrato sull’episodio con cui si apre la Piccola Iliade: la follia e il suicidio di Aiace, ma nella versione attestata dell’Aiace di Sofocle in cui l’eroe fa strage di buoi e non dei propri compagni (vd. infra). Dal libro VI all’XI il divario tra Quinto e il Ciclo, rappresentato per questi avvenimenti dalla Piccola Iliade, diviene maggiore10. Sembra inoltre che lo Smirneo abbia inglobato tra i propri modelli per questa sezione una fonte mitografica, lo pseudoApollodoro dell’Epitome, che, sebbene sia distante in alcuni tratti, mostra maggiori consonanze rispetto alla Piccola Iliade. 10

Per una dettagliata e puntuale analisi delle divergenze vd. Vian 1959b, 44-47, che si avvale di una chiara tavola di concordanze nella quale è inclusa la fonte mitografica più vicina a Quinto, lo pseudo-Apollodoro.

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In quest’ultima, a giudicare dal riassunto di Proclo, l’arrivo di Neottolemo era collocato dopo la cattura dell’indovino troiano Eleno, il recupero di Filottete, l’uccisione di Paride, ma prima dell’arrivo di Euripilo. Vian (1959, 45) crede che Quinto abbia attinto da vari repertori mitografici in prosa, subordinandoli tuttavia ad un proprio disegno generale: quello di mostrare l’ultimo alleato dei Troiani (Euripilo) prima di narrarne il progressivo ma inesorabile decalage a favore degli Achei. D’altra parte la scelta di anticipare l’arrivo di Neottolemo a quello di Filottete potrebbe essere frutto di un preciso indirizzo ‘artistico’: allo Smirneo doveva sembrare ben più ricca di spunti poetici la vicenda di Neottolemo, che consentiva di indulgere su particolari toccanti e, forse, sulla delicata figura femminile di Deianira11; l’episodio di Filottete, invece, gli appariva forse statico, come de facto risulta anche dai drammi attici, privo di possibili effetti patetici se non per la descrizione dell’eroe provato dal morbo (unico segmento su cui infatti Quinto si intrattiene), e, probabilmente, privo di figure femminili12. Decise così di anticipare l’episodio di Neottolemo a Sciro nel corso del poema, e ad esso dedicò lavorio artistico e cura formale. Conclusa, nel libro VIII, tale sequenza, Quinto trattò per lo stretto necessario l’episodio del recupero di Filottete da Lemno. Per le successive gesta dell’eroe a Troia, tra le quali spicca l’uccisione di Paride (libro X), Quinto aveva a disposizione la Piccola Iliade. Interessanti consonanze strutturali si riscontrano con l’Efemeride di Ditti. Identica è infatti nei due autori la dinamica del combattimento: Paride scaglia la prima freccia, Filottete risponde con un primo colpo che ferisce il nemico solo superficialmente, e subito dopo con un secondo colpo mortale. Forse una fonte comune (proprio la Piccola Iliade?) era alla base di tali 11

Ha particolarmente, e giustamente, insistito su questo aspetto come ‘novità’ dell’epos di Quinto, Calero Secall 1992a, 1992b e 2000; e vd. anche Calero Secall 1994 e 1995a. 12 Sulla scarsa cura formale riservata all’episodio di Filottete cfr. infra, il paragrafo relativo al rapporto con la tragedia.

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analogie che tuttavia vengono meno all’akmè della vicenda: in Ditti (4,19) Paride muore sul campo di battaglia, in una cornice di macabra e spietata crudeltà (Philocteta … [Alexandro] reclamanti per dolorem dextrum oculum perforat ac iam fugientem tertio consecutus vulnere per utrumque pedem traicit); del resto, stando al riassunto di Proclo, anche nella Piccola Iliade il corpo di Paride era oltraggiato (kataikisqšnta) da Menelao, e solo in seguito recuperato dai Troiani; in Quinto invece Paride, ferito dalla freccia avvelenata di Filottete, cerca scampo presso Enone, la sua prima sposa, supplicandola di salvarlo; otterrà però uno sdegnato rifiuto e andrà incontro al proprio destino, salendo sulla pira preparata dai pastori dell’Ida. Solo allora Enone, colta da irrefrenabile rimorso, si precipiterà anch’ella sulla pira, in un estremo atto d’amore per l’antico sposo. Proprio il confronto con il poema del ciclo e con Ditti mette in luce come Quinto sembri aver dunque optato per una variante più patetica rispetto ad una più crudamente realistica. Non a caso tra gli studiosi non è mancato chi (Rhode e Keydell) ha ipotizzato la mediazione di un poema ellenistico per questa impronta marcatamente patetica (l’episodio si trova in effetti anche negli Erotikà di Partenio). Sui più probabili modelli di Quinto si tornerà a breve. Altro segmento mitico già narrato dalla Piccola Iliade e confluito nel libro X è quello relativo al matrimonio di Elena e Deifobo. Secondo una versione del mito, Eleno, indispettito per le nozze, abbandonava i Troiani e si ritirava sull’Ida; catturato da Odisseo, vaticinava agli Achei il ratto del Palladio come condicio sine qua non per espugnare Troia. In un’altra versione, attestata nella Piccola Iliade, Eleno era invece catturato dai Greci precedentemente alla morte di Paride e vaticinava la necessità di ricondurre Filottete a Troia. Quinto non segue nessuna delle due versioni e si limita a riportare sommariamente la notizia della cattura di Eleno, senza fargli assumere alcun ruolo strutturale nel poema (tutte le operazioni e gli episodi di vaticinio, al contrario, sono legati nei Posthomerica a Calcante). L’assedio di Troia del libro XI è la sezione narrativa per la quale abbiamo meno confronti a disposizione, eccezion fatta per

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un unico accenno nel riassunto di Proclo (kaˆ oƒ Trîej poliorkoàntai): pur nell’assoluta scarsità dei raffronti è palese che alcuni dettagli relativi a tecniche di combattimento che Quinto descrive non potessero essere presenti nel Ciclo; è il caso, ad esempio, della testuggine oplitica (358-473), una tattica bellica decisamente seriore. L’ultima porzione della Piccola Iliade presentava la stessa materia del libro XII dello Smirneo, che tuttavia opera un taglio decisivo: non menziona il ratto del Palladio. Il riassunto di Proclo evidenzia un’analogia nelle sequenze narrative: Epeo, su ispirazione di Atena, costruisce il cavallo; Odisseo invita i più valenti tra gli Achei ad entrarvi. Non vi è esplicita menzione in Proclo del fatto che l’inventio della costruzione del cavallo fosse opera di Odisseo, tuttavia potrebbe essere un particolare sul quale Proclo non avvertiva la necessità di soffermarsi data la sua larghissima notorietà. Rispetto al ciclo diverso era inoltre il numero dei guerrieri saliti sul cavallo: trenta in Quinto, tremila nella Piccola Iliade (Apollod. epit. 5,14)13. Altro episodio che non sembra fosse presente nella Piccola Iliade è la teomachia (157-218), una famosa sezione iliadica che Quinto sembra aver voluto condensare e inserire nell’ultimo punto in cui avrebbe potuto inserirla. Forse per creare, come sostiene Vian 3,72, un ulteriore effetto di intensificazione patetica prima della definitiva caduta di Troia. Nonostante Proclo lasci intravedere che il racconto della Piccola Iliade annoverava anche alcune fasi successive alla costruzione del cavallo, fino al suo ingresso in città, è l’epitome della Distruzione di Ilio, che si apriva con le medesime scene, ad offrirci maggiori spunti di confronto con la narrazione smirneiana. Le successione degli avvenimenti si svolgeva in modo analogo: la vista del cavallo abbandonato, le discussioni sul da farsi, l’arrivo di Sinone e il suo discorso ingannatore, il prevalere del parere di chi voleva accogliere il cavallo in città, la creazione di 13

La cifra tràdita dai codici, giudicata iperbolica, è corretta in “tredici” da Severyns.

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un varco nelle mura e l’aggressione dei serpenti a Laocoonte. A questo punto si inseriscono due varianti rispetto al ciclo. La prima riguarda Laocoonte, che nella Distruzione di Troia veniva straziato (diafqe…rw) da due serpenti, assieme ad uno dei suoi figli (così anche in Virgilio); in Quinto invece è dapprima vittima dell’intervento di Atena, la quale lo colpisce con un attacco di tipo epilettico culminante con l’acceccamento, quindi assiste inerme allo strangolamento dei suoi figli per opera di due serpenti; questi ne trascinano con sé i corpi e lasciano Laocoonte e sua moglie in lacrime su un cenotafio eretto dai Troiani. La seconda variante è relativa ad Enea, che, nella Distruzione di Ilio, fugge con i suoi verso l’Ida alla vista del prodigio di cui è vittima Laocoonte, in Quinto invece (libro XIII) abbandona Troia nel corso della sua distruzione (come in Virgilio). Sembra dunque possibile delineare un approccio sfaccettato da parte di Quinto al materiale mitico dei poemi del ciclo troiano. In generale le variazioni che si osservano rispetto ad essi sono di tre ordini: inversioni per conferire pregnanza e rilevanza ad un determinato episodio a svantaggio di un altro, con un obiettivo che si può definire ‘artistico’; tagli di episodi ritenuti probabilmente poco rilevanti o scarsamente fecondi per il gusto dell’autore e dell’epoca; amplificazione, con un orizzonte precipuamente patetico, di altri episodi. Ancor più difficilmente che con l’epica arcaica del Ciclo possiamo ricostruire i rapporti di Quinto con eventuali modelli di epica ellenistica o primo-imperiale. Il genere epico era stato oggetto, in età alessandrina, di un acceso dibattito letterario: Callimaco ne aveva proposto – probabilmente anche sulla scia degli esperimenti di Filita – un radicale rinnovamento nelle forme, nei temi e nella lingua. Con l’Ecale egli divenne l’archegeta di un nuovo genere epico ‘breve’ (solo in età moderna definito ‘epillio’) che ebbe larga fortuna non solo in Grecia, come testimoniano i poemetti di Euforione, Mosco, Bione, fino a Museo e Trifiodoro, ma anche a Roma, se si pensa ad Elvio Cinna e ai neoteroi, a Catullo, e ancora a Claudiano. Apollonio Rodio aveva opposto allo spregiudicato speri-

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mentalismo callimacheo un rinnovamento meno radicale, ma anch’esso deciso, in particolare nei toni e nella lingua: il suo epos metteva al centro temi che accentuavano il pathos nella caratterizzazione del personaggio e offrivano un livello linguistico ricco e innovativo. Accanto alla nuova proposta dell’epillio callimacheo e all’epica rinnovata di Apollonio un’altra epica, più tradizionale, continuava però ad essere prodotta – e apprezzata dal pubblico degli spettacoli, almeno fino al II-I sec. a.C. – un’epica di consumo, spesso con carattere locale ed encomiastico, di cui pochissimo possiamo dire. Un Cleone Curiense aveva scritto anch’egli delle Argonautiche, Riano di Creta, Fedimo di Bisante e Diotimo di Adramitto dei poemi, in molti libri, incentrati sul mito di Eracle. Teolito di Metimna e Neottolemo di Paro scrissero poemi su Dioniso; Antagora di Rodi e Menelao di Ege sulla saga Tebana. Pochissimi versi ci sono pervenuti di tutti questi poemi che spesso sono per noi puri titoli. Si può però rilevare che tra III a.C. e I a.C. il ciclo troiano non fosse tra gli argomenti privilegiati dell’epica mitologica. Le saghe di Eracle e di Dioniso, con le loro avventure spettacolari e quella di Edipo, per il suo alto pathos, offrivano – sembra – la materia più diffusa. Una conferma pare giungere anche dalla testimonianza dei papiri che ci conservano una decina di frammenti anonimi di poesia esametrica, probabilmente ascrivibile a poemi epici prodotti tra II sec. a.C. e II d.C. Ritroviamo qui argomenti riconducibili alla saga di Eracle (P. Hall. 1,182), a scenari orientali (SH 937) o, ancora, alla saga tebana (SH 940). Solo un frammento (CA 3,76) sembra potersi riferire con certezza al ciclo troiano: Astioche, sposa di Telefo, piange forse il destino del marito e del figlio Euripilo a Troia. Se il brano non proviene da un epillio, possiamo scorgere in questa scena un modulo ben presente nei Posthomerica: si pensi ad Aurora che piange Memnone, Teti Achille. Anche per l’epica che possiamo datare tra I e III secolo d.C. si assiste ad un panorama analogo: Soterico di Oasi scriveva un poema su Dioniso, Scopeliano di Clazomene una Gigantiade, un Dioniso (forse) di Samo un’altra Gigantiade e ancora un poema sulla saga dionisiaca (Bassarikà), Pisandro di Laranda una storia

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universale in esametri. Solo un poema, come si è già detto supra, sembra esser stato dedicato alla materia troiana: quell’Iliade priva di una lettera in cui Nestore di Laranda (padre di Pisandro) ‘riscriveva’ il poema omerico omettendo in ognuno dei 24 canti una lettera dell’alfabeto. Una scelta sì omerizzante, per certi versi, ma sicuramente condotta all’insegna di uno spregiudicato sperimentalismo, quasi un divertisement. Sembra dunque che con i Posthomerica Quinto abbia voluto realizzare un’operazione culturale per così dire ‘controcorrente’, non inserendosi nel solco di un’epica ellenistica e imperiale che privilegiava materia patetica e avventurosa, né impiegando la materia troiana all’insegna della detorsio, ma riallacciandosi direttamente ai due modelli per eccellenza di tale ciclo: Omero e Virgilio. Per oltre mezzo millennio, in sostanza, la sola opera giunta integralmente fino ai nostri giorni che ci fornisca la possibilità e l’agio di un confronto più disteso e diffuso con i Posthomerica sono le Argonautiche di Apollonio Rodio. Il poema apolloniano non deve certamente essere considerato un modello strutturale o contenutistico per lo Smirneo dal momento che si occupa di una saga e di un mito diversi, ma sembra permeare profondamente le pieghe del tessuto narrativo, nella lingua e nelle immagini (si pensi ad esempio alle similitudini14). Molti sono i passi in cui il lessico ha alle proprie spalle espressioni e ‘idiomi’ apolloniani (cfr. e.g. 1,21 commento ad loc.). Si noti che in più di un caso Apollonio ripropone moduli omerici, rielaborandoli in maniera originale, variandoli, innovandoli; Quinto si ispira proprio a queste riletture apolloniane di Omero, non direttamente ai loci omerici. Se ne può concludere dunque che in tali passi Apollonio sembra assumere per lo Smirneo il ruolo di medium di Omero, di filtro che a sua volta fornisce a Quinto una lettura dell’epica tradizionale alla luce di uno spirito nuovo, tutto ellenistico (cfr. e.g. 1,210 e commento ad loc.). La presenza apolloniana sembra si possa inoltre avvertire in 14

Per le similitudini ancora fondamentaleVian 1954, 30-51 e 235-43.

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una certa predilezione di Quinto per i personaggi femminili (cui si è accennato a proposito dell’inversione tra le ambascerie a Sciro e a Lemno) e nella scelta di dare spazio, in modo certamente più accentuato rispetto ad Omero, a particolari drammatici e patetici. Il ritratto di Deidamia, prostrata per la partenza del figlio nel VII libro, sembra rimarcare i connotati della Medea apolloniana (4,26-27), riprendendo inoltre una tematica, quella delle lacrime versate sugli oggetti dell’amato assente, centrale nella poesia erotica ellenistica e poi augustea (384-393). Si può infine aggiungere che anche in quei loci per i quali l’ipotesto apolloniano è stato unanimemente individuato, Quinto, pur ispirandosi a questo modello, non rinuncia in ogni caso a variare; si pensi ad esempio all’excursus sul L»mnion kakÒn in 9,338-352, che si rifà chiaramente ad Apoll. Rh.1,607 ss.: è opportuno rilevare però che anche la vicenda di Issipile, accuratamente sviluppata da Apollonio, peraltro ricca di spunti patetici, è taciuta tout court nei versi smirneiani. A lungo discussa è stata la presenza di Virgilio in Quinto. Si passa da una assoluta certezza nell’ispirazione dello Smirneo a Virgilio – nel secolo scorso soprattutto Kakridis 1962 e Keydell 1954 e recentemente Gärtner 2005 e James 2007 – a una più prudente posizione di Vian, che riprende quanto sostenuto già da Heinze, per il quale le divergenze tra i due prevarrebbero sulle somiglianze. La conclusione, peraltro prospettata non unicamente per il rapporto con Virgilio, è l’esistenza di fonti ellenistiche perdute comuni a entrambi. Appare tuttavia interessante notare come il confronto tra i due autori sia stato effettuato su scene ‘topiche’ e moduli che mostrano un precedente ‘incunabolo’ omerico. Più significativo, forse, sarebbe ravvisare consonanze in loci del tutto peculiari di Virgilio, che non abbiano un ‘archetipo’ omerico. Tra queste, è possibile in effetti accostare alcuni brani smirneiani a passi di Virgilio: si tratta però di brevi similitudini, di particolari (per esempio nella scena della tempesta che disperde il ritorno argivo: 14,490-6: cfr. Aen. 1,105-7) che possono denotare, al più, un omaggio del poeta all’epico romano, ma che – con tutta

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probabilità – non sono condotti da Quinto con quell’allusività intenzionale che è ben chiara altrove. Taluni di questi, del resto, appartengono ad una tradizione letteraria anche più antica di Virgilio (per il papavero, ad esempio, si può risalire fino a Stesicoro), e potrebbero essere topici. Ben più probanti sarebbero veri e propri moduli narrativi o sequenze strutturali: si è indicata, in quest’ottica, la consonanza nell’immagine di Enea in fuga con il padre Anchise sulle spalle (13,317-24: Aen. 2,721-4), nella presenza di Sinone, taciuto da(i riassunti de)l ciclo, infine nella scena dei presagi funesti prima della caduta di Troia, che potrebbe esser stata ispirata al finale del primo libro delle Georgiche (i presagi per la morte di Cesare). Anche su alcuni di questi confronti, tuttavia, si possono muovere obiezioni: l’iconografia, ad esempio, poteva giocare un ruolo importante nella diffusione di certi motivi, indipendentemente dai testi più famosi che li ospitavano. Sembra, in conclusione, che la questione rimanga ancora aperta, e che in ogni caso non sia possibile evidenziare un intenzionale e quantitativamente rilevante impiego del poema virgiliano da parte di Quinto, almeno a livello di moduli e strutture.

2.2. L’epica: moduli e strutture Da Omero al Ciclo, da Apollonio Rodio a Virgilio: un’analisi di alcune sezioni del poema, in cui si dispiegano motivi particolarmente ‘canonici’ dell’epica antica, può mettere in evidenza in modo più disteso come Quinto abbia guardato alla tradizione epica. Uno dei moduli ‘topici’ dell’epos è quello dei funerali di un eroe caduto. In Omero la prima parte del libro XXIII è dedicata alle lamentazioni per Patroclo e al suo rogo; nell’Eneide è il giovane Pallante a ricevere gli onori funebri dei Troiani e degli Arcadi. In Quinto tutta la seconda parte del III libro è invece occupata dalle celebrazioni per la morte di Achille. La sequenza tipica che precede il modulo del funerale è la medesima nei tre epici: duello e caduta dell’eroe, scontro per difenderne il corpo,

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recupero e inizio del lamento nel campo amico. In Quinto, caduto Achille, sono Aiace e Odisseo a battersi per difenderne e recuperarne il corpo (212-384). Nel campo greco inizia il planctus sul suo feretro. La sezione del lamento funebre su Achille trae sicuramente diversi spunti dalla sezione iliadica del lamento per Patroclo, e sembra nettamente più sviluppata del modello ‘ciclico’, per quanto possiamo dedurre dell’Etiopide riassunta da Proclo, ove solo Teti “tesseva il threnos” per il figlio (anche in Aen. 11 solo Enea ed Evandro compiono una lamentatio per Pallante). In Quinto, invece, dopo il lamento indistinto dei “molti”, si susseguono quattro lamentationes caratterizzate ognuna da una coloritura particolare: Aiace, che focalizza il ricordo, da compagno di battaglia, sull’aristìa del Pelide; Fenice, suo precettore, traccia il ritratto del parvus Achille; di Agamennone è pregnante il ruolo di comandante che ne accentra l’attenzione sull’esito della guerra, ora che gli Argivi hanno perduto il perno della propria vis bellica (385-513); Nestore infine, con una perentoria esortazione, invita Agamennone a dar l’ordine di compiere le abluzioni sul corpo ed esporlo. A dar vividezza al corpo dell’eroe concorre pure Atena, facendo colare dell’ambrosia dal proprio capo e ridonando all’espressione dell’eroe il cipiglio che le era proprio (come in Il. 18,34-36, ove è Teti che versa ambrosia sul corpo di Patroclo per mantenerne intatto il turgore). Si uniscono al lamento le schiave dell’eroe, tra le quali spicca Briseide, che ricorda il rispetto da sempre ricevuto dall’Eacide (la memoria va al lamento delle ancelle di Patroclo in Il.18,27-31; in Verg. Aen. 11,34-35 sono la servitù e le donne troiane a piangere Pallante) in una straziante lamentatio forse in alcuni sintagmi ispirata alla produzione elegiaca romana: il lamento di Briseide in Properzio (2,9,9-14) e l’omonima eroide ovidiana (514-581)15. Il compianto sul divino Achille si estende alle Nereidi (ancora come in Il. 18,39-40), e alle Muse, accorse alle navi argive; le Muse piangevano Achille al fian15

Ai lamenti femminili dei Posthomerica è dedicato lo studio di Tsomis 2007, 185-207; ma vedi anche: Calero Secall 1992a.

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co di Teti anche nell’Etiopide (582-605). Allo straziante lamento di Teti, che ricorda come suo figlio fosse la sola gioia, a fronte di un matrimonio non voluto con un mortale (606-630)16, fa da controcanto una sorta di consolatio di Calliope “in persona”: Quinto sembra qui voler sottolineare, con un atteggiamento metaletterario, la canonizzazione di Calliope come musa dell’epos, investita pertanto di un’autorità particolare agli occhi dell’autore, che la evidenzia connotandola con l’aÙt» di v. 631. Trascorre la notte, una notte di veglia per Teti (in Verg. Aen. 11,31 è il vecchio precettore di Pallante che veglia), e, all’alba del giorno seguente, si allestisce la pira per l’eroe. Le sue ossa vengono raccolte e deposte in un’urna donata a Teti da Efesto17, quindi interrate nella spiaggia presso l’Ellesponto (656-742). Nell’Etiopide invece, Teti, le Nereidi e le Muse, intonato il lamento sul corpo di Achille, lo trasportano, adagiato sul suo scudo, nell’isola di Leuca. Ancora una volta, però, la presenza del sepolcro di Achille sulle spiagge dell’Ellesponto sarà funzionale ad una drammatica scena in cui Neottolemo, appena giunto a Troia, pregherà sulla tomba paterna (9,46-65). Anche i cavalli di Achille, dono di Poseidone a Peleo per le sue nozze, ne piangono la scomparsa, come avevano fatto per Patroclo in Il. 17,426447, e come aveva fatto il bellator equus Etone per Pallante in Aen. 11,79. Topicamente conseguente ai funerali di un eroe, nell’epos, è una sezione di giochi funebri in suo onore. È questo un caso in cui Quinto guarda in modo ancor più evidente (e allusivo) alla tradizione. Nei giochi funebri in onore di Achille del IV libro il ‘cartone’ è palesemente il XXIII libro dell’Iliade, che funge da vero e proprio ipotesto, innescando una serratissima e tutta alessandrina oppositio in imitando di Quinto godibile attraverso 16

La medesima tematica nello sfogo con Efesto di Il. 18,429-436. L’ennesimo parallelismo con la morte di Patroclo: l’urna ricorda quella in cui quest’ultimo viene deposto in Il. 23,91-92 e 243-244, ricordata anche in Od. 24,74-75, la cursoria descrizione della morte del Pelide nelle parole di Agamennone: nella medesima urna giaceranno le ossa dei due amici. 17

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il raffronto diretto e puntuale con Omero. Accanto ad esso altro modello è il libro quinto dell’Eneide. Sullo sfondo – e tutti da indagare – sembrano poi i versi dedicati da Stazio ai giochi funebri in onore di Ofelte nella Tebaide (6,249-946: gare di carri, corsa, disco, pugilato, pancrazio, spada, freccia). La scena si apre con Teti, la quale ha intenzione di indire i giochi funebri in onore del figlio (65-109). Ella infatti giunge presso le navi velato capite, ed inaugura le celebrazioni. Segue l’orazione commemorativa di Nestore con il ricordo delle nozze di Teti e Peleo e la laudatio di Achille e delle sue gesta, che induce la Nereide a fargli dono dei divini cavalli di suo figlio (110-180). Nell’Iliade un simile premio ‘fuori gara’ per Nestore ai vv. 612-652. Ha luogo la prima gara, la corsa, nella quale si affrontano, rapidi come sparvieri, Teucro Telamonio e Aiace d’Oileo. Quest’ultimo risulta vincitore poiché gli dèi fanno sì che il suo avversario inciampi e prenda una storta alla caviglia. Il modello è nitidamente, come abbiamo ricordato, Il. 23, in particolare i vv. 768-777 (ma cfr. anche Aen. 5,291-361 con una defaillance di Niso che scivola). L’allusione è alessandrinamente rovesciata da Quinto che fa qui inciampare per volere degli dèi l’avversario di Aiace, mentre nell’Iliade era proprio l’Oileo a scivolare per volere di Atena, il cui aiuto era invocato da Odisseo: quasi come se lo Smirneo volesse far prendere una sorta di ‘rivincita’ all’eroe. Il premio in palio sono dieci giumente con i rispettivi vitellini (180-214). La seconda gara, la lotta, vede contrapporsi Aiace Telamonio e Diomede. In Il. 23,700-739 i partecipanti sono lo stesso Aiace Telamonio, che sfida però Odisseo, protagonista di spicco in Omero, ma, come vedremo, intenzionalmente emarginato in Quinto. I due rivali sono pari merito e nessuno riesce a primeggiare in modo definitivo e netto; interviene pertanto Nestore che decreta la parità e l’equa divisione del premio: due schiave lesbie ciascuno. Anche nel modello omerico la lotta, pure articolata in tre round, non conosce un vincitore, il ruolo di ‘mediatore’ è svolto da Achille. Da notare la variatio del bacio pacificatore tra i contendenti, assente nell’Iliade: sfumatura

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tinta di propensione sentimentalistica di sapore squisitamente ellenistico (215-283)18. La competizione successiva è quella del pugilato (centrale in Omero Il. 23, 653-699 e anche in Aen. 5,362-484). La vera e propria gara è preceduta da una inserzione innovativa di Quinto: la candidatura di Idomeneo il quale, poiché nessuno osa combattere con lui, ottiene preliminarmente la ricompensa consistente nel carro e nei cavalli che Patroclo aveva conquistato battendo Sarpedone (Il.16,419-507). Spronati dalle parole di Fenice e Nestore (cfr. in Aen. 5, 389 ss. l’intervento di Aceste) si misurano dunque nel pugilato Epeo e Acamante: il primo è il protagonista anche della gara omerica. Anch’essi dimostrano pari valore e il premio va ad entrambi (così in Omero): si tratta di due crateri d’argento forgiati da Efesto, appartenuti a Dioniso, e, attraverso Toante ed Issipile, ad Achille. I due contendenti vengono infine medicati da Podalirio (che curerà anche Filottete: 216-404). Quinto descrive in modo accuratamente tecnico il trattamento delle ferite, palesando il proprio spiccato interesse per la medicina che appare a più riprese e con spunti diversi nell’intero poema19. È il momento della gara con l’arco (cfr. Il. 23,850-883; Aen. 5,485-540), nella quale si misurano di nuovo Aiace d’Oileo e Teucro (lo stesso protagonista dell’Iliade che lì si scontrava con Merione, scudiero d’Idomeneo). L’obiettivo, fissato da Agamennone, è trafiggere con il dardo il pennacchio di un elmo (in Omero bisogna colpire una colomba che si libra, legata ad una fune). Stavolta ha la meglio Teucro, al quale Teti dona le armi di Troilo, giovane virgulto di Priamo stroncato da Achille (Il. 24,257). Anche in questo caso Quinto sembra voler concedere una sorta di rivincita a Teucro, che in Omero (qualche giorno prima, nel tempo del mito) aveva fallito il bersaglio. Nel lancio del disco (Il. 23,826-849: in Omero è il disco che Achille sottrae ad Eezione dopo averlo ucciso; qui si parla del 18 19

Su questo dettaglio vd. Newbold 1992, 271-283. Sull’interesse di Quinto per la medicina vedi Ozbek 2007.

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disco di Anteo, a lui sottratto da Eracle, il quale lo dona in seguito ad Achille) protagonista è Aiace, il solo che riesca, dato lo straordinario peso dell’attrezzo, a scagliarlo (in Omero troviamo lo stesso Aiace che viene tuttavia superato da Polipete). Ottiene in dono da Teti le armi del divino Memnone, testé abbattuto dal Pelide (436-466). Conclusesi le gare del salto e del lancio del giavellotto (innovazione di Quinto, assenti nel modello iliadico), che vedono primeggiare rispettivamente Agapenore ed Eurialo (467-478), Aiace si fa avanti per il pancrazio, ma alle sue provocazioni nessuno tra gli Achei, neppure l’esperto Eurialo indicato dai compagni, osa farsi avanti. Aiace ottiene così, senza sforzo alcuno, i due talenti d’argento messi in palio da Teti (479-499). In Omero non troviamo riscontro di questa disciplina; ai vv.798-825 c’è invece un più tradizionale duello armato in cui si misurano Aiace e Diomede, con il risultato di parità. Le ultime due competizioni descritte puntualmente sono quelle equestri, in cui risulteranno vittoriosi gli Atridi: carri e cavallo singolo. Nella prima trionfa Menelao, che riceve in dono una tazza d’oro (500-544); nella seconda Agamennone, premiato con la corazza argentea di Polidoro, vince di misura su Stenelo, che riceve anch’egli, dato il proprio valore, delle armi in dono (545588). In Il. 23,258-615 abbiamo la diffusissima descrizione della corsa dei cocchi (sostituita peraltro in Virgilio da una regata). La dispositio narrativa è speculare rispetto al modello, poiché in Quinto è collocata tra le ultime gare e trattata in modo alquanto succinto. In Omero vince Diomede, ma Menelao risulta al centro di una polemica relativa all’ordine di arrivo con Antiloco, al quale cede il proprio premio. Forse anche qui Quinto ha dato la palma della vittoria ad uno dei protagonisti delusi nei precedenti giochi iliadici. Escluso suo malgrado dalle gare è Odisseo (protagonista viceversa in Omero), a causa della ferita infertagli in battaglia da Alcone, nel corso della difesa del corpo di Achille (588-595). Attraverso questo serrato confronto risulta chiara in tale mo-

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dulo la compresenza in Quinto di ispirazione e variazione (spesso more Alexandrino) dell’ipotesto omerico. L’epica è il genere degli eroi: la descrizione delle armi del protagonista, in particolare dello scudo istoriato, ha da sempre impegnato gli autori, da Omero in poi, in brani ecfrastici di particolare impegno artistico, ma non solo. Le rappresentazioni di volta in volta descritte sugli scudi rivestono spesso significati simbolici e offrono altresì uno spaccato di realtà sociale e quotidiana che difficilmente troverebbe posto nella narrazione epica20. Modello di tutti gli ‘scudi’ della tradizione è senz’altro lo scudo che Efesto, su richiesta di Teti, costruisce, insieme alle altre armi, per Achille in Il. 18,468-616; importante a livello ecfrastico è anche il balteo di Eracle in Od. 11,611-612; Enea riceve il suo scudo, anch’esso forgiato da Efesto su richiesta di Afrodite, in Aen. 8,625-731; uno scudo di Annibale è descritto da Silio Italico in Pun. 2,395-452; Nonno, infine, descriverà lo scudo di Dioniso in Dion. 25,385-567. Un poemetto autonomo, del resto, attribuito ad Esiodo, era totalmente dedicato alla rappresentazione di uno scudo: lo Scudo di Eracle21. Nella tradizione dell’ecfrasi di uno scudo eroico – presente tra l’altro anche in altri generi letterari ‘nobili’: si pensi alle sezioni eschilee dedicate alle immagini degli scudi dei duellanti nei Sette contro Tebe – Quinto si inserisce non solo una volta: segno evidente, questo, di un tentativo di amplificazione. Nel libro V è descritto innanzi tutto lo scudo di Achille, e qui il confronto con Omero era obbligato; la descrizione puntuale della decorazione dell’arma occupa i primi cento versi: opere di guerra e opere di pace (mentre in Omero l’opposizione paceguerra era relativa esclusivamente all’evocazione delle due città, cfr. Il. 18,490-540), il convito, la nascita di Afrodite e le nozze di Teti e Peleo, evocate topicamente, come emblema di lieto evento antifrasticamente contrapposto al presente a più riprese 20

Sulla tradizione degli scudi vd. ora: D’Acunto-Palmisciano 2010, nonché Cerri 2010; per Quinto: Baumbach 2007. 21 Claud. In prob. olibr. Cons. 94 ss.

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nel poema all’interno dei libri precedenti (cfr. 3,98-105; 4,4655); la navigazione di Poseidone ed infine Oceano che circonda perimetralmente le scene raffigurate (1-101), come in Omero. Assolutamente nuova rispetto alla tradizione ecfrastica di uno scudo è senz’altro, in Quinto, l’immagine della montagna della Virtù sulla quale si affannano gli uomini, un innesto di chiaro valore simbolico, che si distanzia evidentemente dalle rappresentazioni di tipo mitologico, storico e/o celebrativo degli altri famosi scudi dell’epos: si pensi alla scena di Augustus triumphans ad Azio nello scudo di Enea o, e contrario, alla raffigurazione di Enea che abbandona Didone sullo scudo di Annibale. Nel libro immediatamente seguente si colloca la seconda ekphrasis dedicata ad uno scudo, stavolta quello di Euripilo, che giunge in soccorso dei Troiani. Alla descrizione dell’arma sono dedicati anche qui un centinaio di versi, ma la variatio rispetto allo scudo di Achille è palese, e d’altronde necessaria, data la prossimità delle due sezioni. La saga dalla quale sono tratti gli episodi raffigurati è quella di Eracle, la più presente, come si è visto, negli scarsi frammenti di epica ellenistica: quell’epos romanzesco ed avventuroso che si suppone fosse appunto diffuso anche nell’età di Quinto. Uno dei caratteri di maggior distanza rispetto allo scudo del V libro è senz’altro rappresentato dalla crudezza delle scene e dalla predominanza della figura di Eracle, laddove nello scudo di Achille si registrava una maggior varietà di soggetti ed una prevalente dimensione cosmico-naturalistica, sul modello di quella iliadica. Nello scudo di Euripilo il modello di Il. XVIII sembra dunque passare in secondo piano, forse a favore di quello (pseudo)esiodeo.

2.3. L’epica: Ripresa, variatio, allusione Alla luce di questa indagine si comprende che la relazione tra la prassi artistica di Quinto e l’epica tradizionale, in primis Omero, non si può linearmente sintetizzare nei termini di una pura e semplice o tanto meno pedissequa imitazione. Se negli stilemi, nella lingua, nelle immagini, nei motivi, in generale nell’allure,

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Quinto si ispira evidentemente ad Omero, non mancano affatto nell’opera smirneiana tracce di innovazioni, aggiunte, variationes, o contaminazioni di loci omerici diversi (che saranno opportunamente segnalati nelle note). Più in particolare, sono diverse le modalità con cui Quinto si rapporta al suo principale modello. Ad un primo livello si situano le scelte più fedeli al modello omerico: nello stile, nei motivi, nelle immagini. Quinto adotta innanzi tutto uno degli strumenti principi della dizione omerica: le formule. Questo dato assume un’importanza fondamentale, dal momento che all’epoca dello Smirneo erano assenti le condizioni, legate alla fruizione orale dell’epica arcaica, che avevano giustificato lo sviluppo di questo strumento peculiare dell’epos. Quinto le riproduce dunque ‘artificialmente’, con lo scopo precipuo di imitare la dizione omerica. Nessi formulari omerici ricorrono sin dai primi versi e costellano l’intero poema: si pensi al pšnqoj ¥ex di 1,23 (cfr. Od. 11,195; 17,489; 24,231); al celeberrimo mšlan aŒma che compare per la prima volta in 1,237 (cfr. Il. 4,149; 7,262; 10,298; 18,583; 20,470; 23,806); ad Ñlšqrion Ãmar “giorno fatale” di 1,290 (cfr. Il. 19,294 e 409) ma numerosissimi esempi si potrebbero ancora addurre. Altro strumento peculiare dell’epica arcaica che Quinto ripropone è l’epiteto. Il numero di epiteti di stampo omerico è molto elevato; da Tritogene…a “Tritogenia” (1,128 e passim cfr. Il. 4,515; 8,39; Od. 3,378) e 'Atrutènh (1,514 cfr. Il. 2,157 e in Od. 4,762.) “indomita”, per Atena, ad 'Argikšraunon (2,160 cfr. Il. 19,121) “dal fulmine d’argento”, per Zeus; così pure epiteti di luoghi quali ™ãktimšnh (9,334 cfr. Il. 21,40) con cui si indica in entrambi Lemno, e via dicendo. Uno strumento espressivo tipico dell’epica arcaica è la similitudine: Quinto ne fa largo uso. Anche per le comparazioni di ascendenza omerica molteplici sono gli esempi: basti pensare alla similitudine tra l’eroe che cade in battaglia, abbattuto come un albero, che compare sin dai primi versi (1,488-91, ma anche 11,125 ss. cfr. Il. 16,765-9 ss.) o a quella tra Achille e un leone (vd. e.g. 3,170-77 cfr. Il. 24,572). Allargando lo spettro d’indagine si possono altresì rintracciare alcune immagini o moduli che risultano calchi omerici: si pensi all’immagine della luna e del

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suo ‘corteggio’ di stelle che puntellano il cielo limpido in 1,37 ss. (Il.8,555-556): ma l’elenco sarebbe nutritissimo. Ad un secondo e più articolato livello di elaborazione omerica si pongono aggiunte o amplificazioni di moduli e similitudini o anche creazione artificiale di forme che abbiano un ‘aspetto omerico’ pur non comparendo mai nell’Iliade o nell’Odissea. Si pensi per quest’ultima prassi ad eÙsqenšwn Arge…wn ad inizio del VII libro: un nesso del tutto originale ma dalla facies tipicamente omerica. Anche tra gli epiteti tuttavia, molti sono quelli sconosciuti ad Omero: è il caso ad esempio di baqukn»misa (1,55) “dagli alti schinieri”, riferito all’amazzone Pentesilea o di ºerÒenta (5,634) “scuro” riferito all’argento posto attorno al corpo di Aiace. Le similitudini, in particolar modo, a differenza di quelle omeriche che ricorrono in alcuni casi identiche a se stesse in almeno due loci, sono viceversa estremamente variate da Quinto, anche attraverso l’aggiunta di dettagli: si pensi alla celeberrima similitudine omerica tra l’uomo e le foglie (Il. 2,800; 6,145-149): essa sembra essere particolarmente cara all’autore, poiché compare in 1,345 ove viene ampliata rispetto all’Iliade attraverso il paragone con le gocce di pioggia, ma ancora in 2,536; 3,325; 5,409; 8,230, in formulazioni di volta in volta diverse. Alcune comparazioni si distinguono per espansioni ‘tecniche’ di Quinto, che ne tradiscono forse un interesse o una propensione personale. Un caso peculiare per la similitudine del taglialegna che abbatte “giovane selva” per ricavarne carbone nel nono libro (9,162 ss.) ove lo Smirneo accoglie diverse suggestioni omeriche: cfr. Il. 13,389; 16,482 ma anche Apoll. Rh. 1,1003 (più esplicitamente ripreso in 8,130-136). Il baricentro della similitudine che in Omero si instaurava tra l’eroe abbattuto ed il maestoso albero di pioppo o di quercia, è spostato, così come in Apollonio, sulla massa degli eroi che si accatastano come legna. Ancor più puntuale il parallelismo, inedito, tra il tagliaboschi e Deifobo. Originale la notazione relativa alla produzione del carbone in cui Ferrari 1963 ravvisa un particolare autobiografico. Anche per alcuni moduli o immagini si notano ampliamenti ed aggiunte propriamente smirneiani: si pensi al modulo omerico di qualcu-

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no che “gode vedendo” qualcun altro in battaglia (cfr. Il. 11,73: Eris; 7,214: gli Argivi); qui in 9,182 ss. Teti guarda Neottolemo far strage degli avversari e ne gioisce. Quinto dilata l’immagine aggiungendo una comparazione antitetica: “così come aveva sofferto per il Pelide”. Il terzo e più complesso livello di approccio di Quinto ad Omero è quello che fa emergere in modo più netto la personalità dell’autore, ne mostra l’originalità e la capacità di rielaborazione, la molteplicità di stimoli che sceglie di accogliere. Si tratta della variazione di epiteti, similitudini, immagini, motivi. È certamente il terreno più vasto da indagare poiché le variationes innestate da Quinto sul modello omerico sono di svariati tipi e prevedono: la contaminazione di Omero con Omero, ovvero di diversi passi dei suoi poemi; la contaminazione con materiale diverso dall’epos (tragedia, letteratura tecnica, fonti mitografiche); il gioco tutto ellenistico di allusività intertestuale (anche metaletteraria in alcuni casi, vd. supra), tratto distintivo di una produzione tarda, che ha alle spalle una tradizione consolidata e che si indirizza ad un pubblico scaltrito e letterariamente ‘educato’. È così che l’incipit (1,2) vede immediatamente una variazione dell’epiteto qeoeid»j “simile a un dio” (cfr. Il. 2,623; 2,862; 3,16; 3,30 e passim) in qeoe…keloj; che Tersite, alla fine del primo libro (1,726) apostrofa Achille ‘affascinato’ da Pentesilea con lo stesso termine (gunaikoman»j “che impazzisce per le donne”) con cui Ettore in Il. 3,39 si rivolge a Paride scoperto in compagnia di Elena e non sul campo di battaglia; che il motivo della colomba tra le grinfie di un nibbio in Il.15,236 viene trasformata nel gusto smirneiano in quello di una colomba (Pentesilea) agonizzante tra gli artigli di un’aquila (Achille). Nello stesso orizzonte va letta la ripresa in 9,138 ss. del motivo topico della teichoscopia in cui le donne, tra le quali Elena, e i vecchi notabili di Troia, osservano la battaglia dall’alto delle mura (Il. 3,121-244); è tuttavia marcato, more Alexandrino, l’allontanamento da Omero nell’assenza di Elena: mentre qui è trattenuta in casa dalla vergogna, in Omero è spinta presso le porte Scee dalle parole di Iris, che le infondono il desiderio di rivedere Me-

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nelao. Pregnante il parallelo con Verg. Aen. 8,592-593, e 12,131133, in cui le donne sono menzionate assieme ai vecchi, con la variatio delle torri occupate dagli anziani. Il rapporto tra lo Smirneo ed il poeta di Chio è dunque tutt’altro che lineare e univocamente definibile. Complesso ma senz’altro stimolante è analizzarlo per far emergere gli spunti e gli innesti che arricchiscono e connotano in modo del tutto peculiare alcune strutture dei Posthomerica rivalutandone l’originalità a lungo sminuita.

2.4. La tragedia La grande stagione del dramma attico di V secolo imprime, com’è noto, una svolta decisiva nella cultura e nella letteratura greche. Per dirla con Köchly «heroes mythique epicorum carminum, sed ad temporum proprietatem novo culto exornati, in dramata transferebantur itaque quasi ex inferis revocati denuo in populi gratiam et familiaritatem pervenerunt». Nei secoli successivi la produzione drammatica diviene, sebbene attraverso canali diversi da quelli per i quali originariamente era stata concepita, un inestimabile bagaglio di elaborazioni del mito, al quale gli autori attingono a piene mani, proprio in virtù del principio di travalicamento del limes tra i generi letterari codificati che si afferma a partire dal periodo ellenistico. Anche l’epos è coinvolto in tale fenomeno: un’epica come quella di Apollonio Rodio sarà emblematico prodotto del processo di intarsio e sovrapposizione tra i vari genera a cui si è accennato; genera dai quali non risulta affatto esclusa la tragedia, che al contrario fornisce una vis drammatica di notevole impatto al poema apolloniano e ne amplifica enormemente le potenzialità espressive. Se tuttavia gli studiosi sono unanimemente concordi nel ravvisare l’impronta marcata del dramma attico sulle Argonautiche, un accordo pari non esiste in merito al rapporto tra Quinto e la tragedia e, in caso affermativo, al peso di questo modello. Un ulteriore evidente ostacolo alla valutazione del peso specifico della

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tradizione tragica in Quinto è rappresentato, ovviamente, dalla scarsa percentuale del materiale tragico tràdito integralmente: se appare complesso stabilire se e quanto lo Smirneo abbia attinto da drammi pervenutici (per intero, in veste frammentaria o nei soli argumenta) ancor più ostico, e in taluni casi impossibile, è comprendere quanto possa essere stato mutuato da drammi noti esclusivamente dai titoli o persino del tutto ignoti22. Köchly nei Prolegomena alla propria edizione del 1850 arrivava persino a negare, sulla scorta di Tychsen (1783), qualsiasi ripresa dal modello tragico, e per i drammi supersiti, e per quelli perduti. Sul versante opposto, più recentemente Vian, nella sua edizione (1963-1969) e negli studi ad essa preliminari e collaterali, sembra rivalutare, e forse a volte sopravvalutare, l’influsso tragico in Quinto. In mancanza di uno studio sistematico sull’argomento, fra le dicotomiche posizioni di Köchly e Vian, altri studiosi hanno segnalato o smentito la possibile dipendenza di alcuni passi da varie tragedie. Altri luoghi, altrettanto emblematici, si possono esaminare per evidenziare per quali nuclei mitici Quinto avrebbe potuto rifarsi ad elaborazioni drammatiche. In altri infine lo Smirneo denuncia apertamente la propria ispirazione al modello tragico, eliminando qualsiasi dubbio dei moderni in merito. Un locus per il quale è stato invocato il modello tragico è 2,507 ss.: si tratta della psychostasia, la “pesa delle anime” di Achille e Memnone, nella chiusa del loro celebre duello. Era un motivo già noto all’epica tradizionale (Il. 8,68-77; 22,208-213) e ai poemi del Ciclo (sembra avvenisse pure nell’Etiopide), ma era anche oggetto di un omonimo dramma, purtroppo perduto, di Eschilo (TrGrF F279-280a). La scena si svolgeva pressappoco in questo modo: Teti ed Eos imploravano Zeus di risparmiare la vita ai propri figli; il Cronide non si pronunciava e inviava Ermes a pesare sulla bilancia i destini dei due eroi, ma il piatto 22

Nel classico studio di Hermann (1852) sui drammi perduti di Eschilo, ad esempio, lo studioso negava decisamente che Quinto potesse essere una fonte per ricostruire le tragedie eschilee non pervenute.

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risultava sbilanciato a sfavore di Memnone, il quale infatti soccombeva. In Quinto dapprima Zeus fa apparire a fianco degli eroi due Chere, che tuttavia sembrano visibili solo agli dèi, l’una scura al fianco di Memnone, l’altra chiara accanto ad Achille (507-511). In seguito giunge Eris a pesare le anime dei duellanti, decretando la morte per l’etiope (540-544). Appare alquanto spinoso giudicare in che misura, data la molteplicità delle fonti a sua disposizione, Quinto abbia attinto da Eschilo. Mentre Vian include tra le fonti il drammaturgo (Vian 1,52), Köchly credeva poco probabile che egli fosse a conoscenza della tragedia eschilea. D’altra parte ci si può chiedere se, anche qualora l’avesse conosciuta, avrebbe optato o meno per un’ispirazione ad essa, dal momento che gli scolî omerici lasciano intravedere un giudizio non completamente positivo sul dramma (l’avverbio impiegato, di aristotelica memoria, è faÚlwj “da poco”, vd. TrGrF ad loc.). Ad ogni modo Köchly giudicava prova certa del mancato sfruttamento del modello tragico un particolare chiave: in Quinto il corpo di Memnone, subito dopo la sua morte, viene sollevato dai venti; in Eschilo, secondo la testimonianza fondamentale di Polluce (4,130) che ipotizzava l’utilizzo per questa scena della ‘mechanè del volo’ – il gšranoj –, era sua madre Eos a trasportarlo, per l’appunto in volo, tra le braccia. Un altro segmento mitico su cui molto si è dibattuto è quello oggetto del V canto: l’hóplon krísis, il “giudizio delle armi”. Si tratta della celeberrima contesa tra Odisseo ed Aiace per il possesso delle armi del defunto Achille. Un locus per il quale la gamma delle fonti accessibili allo Smirneo era estremamente ampia e abbracciava svariati generi letterari ed entrambe le culture classiche, quella greca e quella romana. Il primo accenno è nella Nékyia odissiaca (11,543-547). L’episodio è certamente noto a due poemi del ciclo: la Piccola Iliade e l’Etiopide; dà il titolo ad un perduto dramma eschileo (TrGrF F174-178), ma costituisce anche l’antefatto del dramma sofocleo con datazione più alta a noi noto, l’Aiace. A Roma entrambi gli esponenti di spicco della fase arcaica della tragedia, Pacuvio ed Accio, vi dedicano un’opera, dal titolo Armorum iudicium. Il mito si ritrova inoltre nelle Meta-

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morfosi di Ovidio, sulle cui numerose consonanze con Quinto si è esercitata l’acribia della critica.23 In base a questa ricca tradizione, si possono distinguere tre diverse versioni; la prima, attestata anche in Sofocle, vede Aiace imporsi per il possesso delle armi, Odisseo contrapporvisi con fermezza fin quasi allo scontro fisico che sarà scongiurato dall’istituzione di un ‘tribunale’ da parte di Agamennone, formato dai Greci che assegneranno le armi al Laerziade. Le altre due, più articolate, prevedono l’intervento dei Troiani nel giudizio e sono attestate rispettivamente dalla Piccola Iliade e dall’Etiopide: secondo la prima gli Achei inviavano delle spie ad ascoltare i discorsi delle giovani Troiane che stanno appunto parlando dei meriti dei due eroi, assegnando la vittoria ad Odisseo. Nella seconda versione Agamennone chiedeva un parere ad alcuni prigionieri Troiani su chi dei due avesse provocato più dolori al loro popolo; i prigionieri indicavano Odisseo, e l’Atride lo premiava. Quest’ultima è la versione che più si sposa con quella dei Posthomerica. Qui viene istituito un vero e proprio tribunale di prigionieri troiani che sono chiamati a giudicare i meriti dei due eroi reclamati da essi stessi in prima persona, tramite una sofistica contrapposizione di discorsi speculari. A giudizio di Vian (2,9) Quinto sceglie la versione attestata dall’Etiopide poiché è quella che declina ogni responsabilità dei Greci in merito al suicidio di Aiace. Gli argumenta delle arringhe di Aiace ed Odisseo ricordano quelli della Piccola Iliade, che sembra essere la fonte anche per la figura del moderatore: Nestore, laddove altrove (cfr. ad esempio gli schol. ad Od.11, 547) questo ruolo era svolto da Agamennone. Quanto al dibattito infine, questo sembra piuttosto essere stato mutuato dal versante tragico della tradizione (c’era in Eschilo, nell’Aiace di Teodette, nei due drammi di Pacuvio e Accio), dove l’immediatezza espressiva e la léxis agonistiché favoriscono e incoraggiano l’utilizzo di questo strumento. Köchly ha inteso rintracciare nel XIII libro delle Metamorfosi di Ovidio un’ulteriore possibile fonte per le arringhe di Aiace ed Odisseo in Quinto. Di contro Vian che, sostenendo le 23

Vd. Vian 1959b,41-44.

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innegabili assonanze, le imputa altresì ad un cartone comune a Quinto ed Ovidio. L’ultima sezione del canto V è occupata dalla follia e dal suicidio di Aiace con le lamentationes della concubina Tecmessa e del fratello Teucro. La follia insinuata da Atena e il massacro degli armenti achei sono particolari assenti nell’Etiopide, e compaiono per la prima volta nella Piccola Iliade, ma questa versione è resa celebre e diffusa dall’Aiace di Sofocle, tanto da divenire comune a tutte le rielaborazioni teatrali successive.24 In Quinto la descrizione della follia che colpisce Aiace sembra essere piuttosto idealizzata ed edulcorata, depauperata degli elementi che possono risultare sconvenienti: in Sofocle, ad esempio, Aiace massacra dei pastori, che qui invece fuggono intimoriti. Le comparazioni che mettono in luce la straordinaria forza dell’eroe distolgono lo sguardo del lettore dalla distruzione del gregge in atto. Un’ulteriore variatio cronologica in Quinto rispetto a Sofocle: la dilatazione della follia dell’eroe e la dilazione del momento del massacro del gregge che avviene all’alba e non in piena notte. Per la descrizione della follia di Aiace ancora una volta un modello tragico è ravvisato da Vian 2,15 nell’Eracle euripideo (360, 451-55), e la sintomatologia della follia accostata alla descrizione della prostrazione psichica di Medea in Apollonio Rodio (3,761-765) incastonata peraltro, come lì, tra le evocazioni del crepuscolo e dell’alba (3,744-824). Köchly, d’altro canto, è ancora una volta scettico sull’ispirazione ad un dramma: per il suicidio dell’eroe mette in evidenza che nelle perdute QrÍssai eschilee Aiace era detto invulnerabile in tutto il corpo eccetto in un unico punto, particolare taciuto da Quinto. Gli ultimi versi sono dedicati al compianto dei Danai tutti, tra i quali spiccano Teucro (introdotto forse solo in ragione dell’Aiace sofocleo e sulla base di quello interamente modellato, cfr. vv. 510-521 con Soph. Ai. 992-1039) e Tecmessa (487-558). 24

Mentre si ignora se questo elemento fosse presente nelle perdute QrÍssai di Eschilo (TrGrF F83-85), nel quale il F 83 è attribuito ad una rhesis anghelikè che descrive il suicidio di Aiace.

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Uno degli aspetti più ‘tragici’ è rappresentato dalla caratterizzazione di questi ultimi due personaggi: Tecmessa, in misura maggiore, sembra ricalcare il profilo dell’omonimo personaggio sofocleo, come anche Odisseo, del quale, al pari dell’Aiace, emerge spiccatamente la pietas. La divergenza più netta rispetto alla tradizione epica della Piccola Iliade e a quella tragica della pièce sofoclea si può apprezzare invece nell’assenza di una qualsiasi forma di disaccordo tra i Greci intorno alle spoglie dell’eroe, disaccordo incarnato nella tragedia da Agamennone. Un altro passo emblematico del controverso rapporto di Quinto con la tragedia è certamente quello dell’ambasceria a Lemno di Odisseo e Diomede per recuperare Filottete, collocata in 9,323 ss. Si tratta di un modulo, quello dell’ambasceria per il recupero di un personaggio fondamentale al fine della vittoria, che Quinto ha già impiegato nel VI-VII libro: la spedizione degli stessi Odisseo e Diomede a Sciro per condurre a Troia Neottolemo, locus pertanto simillimus all’interno del poema. Per questo segmento mitico lo Smirneo aveva di fronte a sé una tradizione letteraria imponente: oltre alla Piccola Iliade, tutti e tre i grandi tragici attici del V secolo a.C. avevano dedicato a ‘Filottete a Lemno’ un dramma. Il solo integralmente superstite è il Filottete Sofocleo, ma notizie dei perduti drammi di Eschilo ed Euripide ci provengono dalla sÚgkrisij che ne fa Dione Crisostomo nell’orazione 52 e dalla parafrasi del prologo di quello euripideo oggetto dell’orazione 59. Si ricordi inoltre a Roma il perduto Filottete di Accio. Eppure, proprio questo episodio sembra tra i meno curati del poema. Fra gli elementi che possano corroborare tale ipotesi: l’avvio in subordinata quasi in sordina, ex abrupto; l’assenza, per gran parte, di discorsi diretti; la cursorietà dell’incontro tra Filottete e gli ambasciatori; la brevità dei viaggi di andata e ritorno a e da Lesbo. Caratteri, questi, che spiccano con maggior decisione se raffrontati alle medesime fasi dell’ambasceria a Sciro. Nel confronto diretto con i modelli tragici, si nota immediatamente come delle rielaborazioni teatrali Quinto sembri aver fatto poco tesoro a favore del modello epico e in alcuni casi

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mitografico (in primis le consonanze si ravvisano con Apollodoro, particolarmente per l’impiego da parte di Quinto di versioni marginali del mito attestate dall’Epitome). Laconica e quasi meccanica appare la scelta dei due ambasciatori, Odisseo e Diomede, la cui sintesi estrema sembra spiccare ancor di più nel confronto con l’articolazione di questo stesso modulo nel libro VI, dove la scelta di inviare gli stessi Odisseo e Diomede a Sciro è scandita da un dialogo tra il Laerziade e Menelao. Nella composizione dell’ambasciata Quinto opta per il modello omerico: Odisseo e Diomede sono una coppia canonicamente impiegata nella tradizione del ciclo epico per spedizioni e ambascerie (si pensi alla celeberrima impresa notturna di Il. X, al ratto del Palladio, o ancora alla spedizione a Sciro). Nel dramma sofocleo Diomede viene sostituito da Neottolemo: si tratta della principale innovazione del drammaturgo che tuttavia viene ignorata da Quinto. Certamente allo Smirneo appare la scelta più funzionale poiché sfrutta due eroi che sono stati protagonisti della precedente ambasciata a Sciro e li sclerotizza in un ruolo che d’altro canto è già a più riprese attestato dalla tradizione. Il tableaux di Filottete così come si manifesta ai due ambasciatori sbarcati a Lemno, con il suo pregnante e a tratti macabro descrittivismo25, non presenta significativi punti di contatto con la rappresentazione del protagonista nei tre drammi, se non nei particolari che appaiono costanti descrittive, connotati fissi del personaggio (il nutrirsi di uccelli, la purulenza della ferita, lo spasmo da essa provocata, l’olezzo emanato dal piede). L’incontro tra Filottete e i due ambasciatori si svolge in modo alquanto lineare. Innanzitutto è immediato: non appena Odisseo e Diomede sbarcano sull’isola, si imbattono nell’eroe; se certezza non vi è per i perduti drammi di Eschilo e di Euripide, sicuramente non è così in Sofocle, ove il prologo è recitato da Odisseo e Neottolemo in assenza di Filottete. Non vi è alcun accenno a travestimenti dei due Achei necessari ad evitare un 25

La tendenza di Quinto al macabro, che compare a più riprese nel poema, è stata recentemente messa in luce da Ozbeck 2007, 159-183.

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accesso d’ira subitaneo di Filottete, che difatti puntualmente si verifica ma è stemperato dall’intervento di Atena quasi ex machina; il particolare del camuffamento di Odisseo da parte di Atena è noto invece in Euripide, come attesta la parafrasi del prologo condotta da Dione di Prusa (or. 59). Il tratto di maggior distanza tra Quinto e le tre tragedie risulta l’assoluta assenza nel primo di una dimensione direi quasi ‘strutturale’ nei drammi: quella della klop» del “furto” (dell’arco), per dirla con il Crisostomo. In Quinto l’¢p£th, il raggiro, l’inganno, su cui si imperniano le elaborazioni tragiche delle “tre vette”, è radicalmente assente. In fin dei conti le promesse di guarigione fatte da Odisseo e Diomede vengono mantenute; gli eroi non tramano contro Filottete, ma optano per la semplice peiqè (uno strumento che viceversa non appare sufficiente nelle trasposizioni tragiche, proprio perché eliminerebbe qualsiasi conflitto e articolazione ulteriore dell’episodio). Il discorso indiretto stempera notevolmente la carica persuasiva che avrebbe potuto essere impressa a questi versi da un discorso diretto, sulla scia delle molte parenesi ed esortazioni che affollano il poema. Quella del dibattito era viceversa una dimensione che tanta parte aveva nel dramma euripideo, se Euripide, appunto per costruire un agone di dissoˆ lÒgoi innova profondamente nei personaggi introducendo un’ambasceria troiana speculare a quella achea, con un Paride che farà da contraltare a Odisseo nel convincere Filottete a seguirlo. Il solo argumentum che viene filtrato tra quelli che potevano essere alla base delle ‘arringhe’ di Odisseo e Diomede è un tema di deresponsabilizzazione nei confronti dell’abbandono ad opera degli Achei: in realtà esso non deve essere imputato a loro, che anzi si dolgono per l’assenza dell’eroe, ma all’imperscrutabilità della Moira, che assegna il bene e il male a proprio insindacabile giudizio, secondo una volontà per lo più inintelleggibile26. L’immagine è assolutamente analoga a quella di 7,72-75 ove viene parimenti impiegata da Nestore in una consolatio destinata a sollevare Podalirio, pro26

Vd. Garcìa Romero 1985,101-106 e 1986,109-116.

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strato dalla morte di suo fratello Macaone, ma lì delineata con un’articolazione indubbiamente maggiore. La risposta di Filottete è sorprendentemente repentina, il suo convincimento immediato, anche in questo caso in barba alla complessità con cui le pièces di Eschilo, Euripide e Sofocle, giungono alla làsij che tra l’altro negli ultimi due si raggiunge unicamente grazie all’intervento divino (Apate o Atena nel primo ed Eracle nel secondo). In conclusione per l’episodio del nono libro sembra essere stato deliberatamente evitato da Quinto il ricorso al modello tragico che non lascia tracce né contenutistiche né linguistiche. Ultimo locus che sembra viceversa denunciare in modo palese il ricorso ad un modello tragico è l’episodio del suicidio di Enone, prima sposa di Paride, sul rogo del marito, che si situa nel X canto. Questo segmento mitico è assente nel ciclo: nella Piccola Iliade difatti, Paride moriva sul campo di battaglia. Il primo accenno ad Enone è in Apollodoro (ep.5,8-9), dove la sua morte è narrata nella sezione riservata alla discendenza di Elettra. Dopo un primo tentativo di individuazione della fonte da parte di Kehmptzow (1891), che aveva proposto un manuale mitografico, la ricerca dell’ipotesto di questo episodio è stata oggetto di un acceso dibattito tra Noack (1890), il quale supponeva un’ispirazione all’Alexandra di Licofrone, e Taccone (1904-5), Keydell (1931) e Goossens (1932) i quali hanno smentito con decisione questa tesi27. Goossens (1932,683-689) in particolar modo, sembra abbia individuato il modello più convincente: la scena del suicidio di Evadne che si getta sul rogo di Capaneo nelle Supplici euripidee. Puntuali e circoscrivibili risultano i richiami linguistici tra i due episodi: il v. 430 riecheggia Suppl. 1057,1072,1075; per i vv. 435-440 cfr. Suppl. 1038 s.; per il v. 447 cfr. Suppl. 1002 s.; per i vv. 464-468 cfr. Suppl. 1070 s; per i vv. 468 s. cfr. Suppl. 1072; per il v. 481 cfr. Suppl. 1020; per il v. 482 cfr. infine Suppl. 1011. Del resto, è lo stesso Quinto, introducendo una similitudine mitica, a denunciare il proprio modello, more 27

Per un’analisi più puntuale del dibattito vd. Vian 1959b,50-51.

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Alexandrino, immediatamente dopo averlo imitato (479-482): i pastori dell’Ida stupiscono di fronte al gesto di Enone, infatti, come un tempo gli Argivi si erano stupiti vedendo Evadne abbracciata al suo sposo Capaneo; il suicidio di Evadne, peraltro, è un dettaglio originale, creato ex nihilo dal più innovatore tra i tre grandi tragici di V secolo. Tentando di trarre in breve le fila di questo approccio al rapporto tra Quinto e la tragedia, si può concludere che la casistica sembra variegata e sfaccettata: se per alcuni loci può forse essere arduo ipotizzare un richiamo a rielaborazioni tragiche del mito, per altri è assai probabile per alcuni, infine, un raffronto appare imprescindibile. Un elemento che merita di essere sottolineato è, ad ogni modo, l’alessandrina allusione ai modelli, anche a quelli tragici, come nell’ultimo passo analizzato relativo ad Enone-Evadne, che consente ad un lettore scaltrito come quello dei Posthomerica di individuare la fonte verso la quale Quinto indirizza la propria attenzione.

2.5. Altre suggestioni Nel laboratorio di Quinto non ci sono, ovviamente, solo l’epica e la tragedia. Tutti i generi della tradizione letteraria greca sembrano esser stati in qualche modo presenti alla memoria poetica dell’autore, che ha guardato, con tutta probabilità, anche ad alcune precise fonti latine. Benchè le numerose coincidenze con alcuni passi esiodei siano da imputare più alla tradizionale fraseologia epico-omerica che a riprese puntuali, Esiodo offre a Quinto un modello sicuramente insostituibile per epiteti e genealogie di divinità: numerosissimi i casi. Più strutturali le intenzionali imitazioni di passi significativi della Teogonia, quali il racconto proemiale dell’ispirazione poetica (ripreso in 13,306-313) e la scena della Gigantomachia (in 11,415ss.). Forte sembra anche la presenza dello Scudo pseudoesiodeo nella descrizione dello scudo di Achille (libro 5) e soprattutto in quella dello scudo di Euripilo (libro 7). Alcuni passi puntuali, infine, rivelano una palese imitazione

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(2,496-500 da Theog. 836-841; 8,473, chiaramente modellato su op. 825, che tuttavia all’epoca di Quinto era già sentito come proverbio a sé stante). Difficile è indagare il rapporto con la lirica arcaica. Se Quinto leggeva ancora il lungo e famoso carme di Stesicoro sulla Presa di Troia, avrà potuto ispirarvisi su larga scala, stando alle riprese strutturali delle versioni mitiche offerte dalla Tabula Iliaca, che proprio a Stesicoro si ispirava28: Cassandra stuprata nel tempio di Atena, Priamo ucciso davanti l’altare di Zeus Erceo, Etra ritrovata dai nipoti, Polissena uccisa davanti al tumulo di Achille. Per altri spunti, ancora una volta è difficile certificare la ripresa diretta da un passo lirico, vista la (possibile) comune ascendenza omerica: è il caso, ad esempio, della similitudine del giovane guerriero caduto come un papavero falciato, per la quale sarebbe suggestivo pensare ancora a Stesicoro (dalla Gerioneide, S 15,15-7), pur in presenza di Il. 8,302-8. Alcuni luoghi sembrerebbero dipendere da Archiloco, ma di nuovo occorre sottolineare che i passi archilochei in questione sono costituiti tutti da espressioni sentenziose, note – già all’epoca di Quinto – anche per via indiretta o antologica (e.g.: 1,465-6: Archil. fr. 25,2 West). Interessanti, d’altra parte, alcune coincidenze fra la versione mitica proposta da Quinto e quella attestata in alcuni epinici pindarici (vd. 1,505 ~ Pind. Ol. 8,45; 1,820 ss. ~ Pind. Pyth. 6, 28-42). Di Apollonio Rodio si è già parlato: le sue Argonautiche erano uno dei poemi epici ‘innovativi’ più interessanti, e Quinto non potè ignorarli, anche se più che altro a livello linguistico. Gli altri due maggiori poeti alessandrini sembrano invece aver offerto a Quinto spunti marginali. Sono state messe in luce alcune consonanze fra la scena del combattimento di pugilato in 4,284-404 e l’analoga gara fra Polluce e Amico nel carme 22 di Teocrito29: va detto, tuttavia, che si tratta di casi in cui entrambi i poeti avrebbero potuto attingere direttamente e indipendente28 29

Vd. Horsfall 1979, Scafoglio 2005. Gärtner 2005.

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mente al lessico tecnico del pugilato. A Callimaco – al famoso Somnium del Prologo degli Aitia – Quinto guardò sicuramente per la scena già ricordata dell’ispirazione poetica: era un brano diffusamente noto e imitato. Alcune consonanze con gli Inni appaiono anch’esse possibili imitazioni indipendenti di Omero. Altri luoghi, dall’Ecale, sono stati indicati come possibili modelli (9,121: fr. 74 Hollis; 9,313: 7 Hollis): si tratta però di lemmi e iuncturae troppo comuni per poter affermare con una certa probabilità che Quinto si ispirasse al poemetto; più stringente potrebbe essere il confronto fra 7,635 e fr. 115 Hollis: ma in questo caso il tono sentenzioso e la mancanza di una sicura spia linguistica rendono ancora più incerto l’accostamento. Più numerosi, e in diversi casi più linguisticamente stringenti, i confronti con un altro poemetto alessandrino che godè di immensa fortuna in età romana: i Fenomeni aratei. Quinto probabilmente vi attinse in modo diretto per definizioni di stelle, costellazioni, fenomeni atmosferici (1,68 ~ Phaen.; 1,148 ~ Phaen. 790; 1,356 ~ Phaen. 286,291 e ss.; 2,1~ Phaen. 118; 787; 4,74 ~ Phaen. 28;). L’attenzione di Quinto per Arato può essere accostata a quella per altri due autori di poesia di argomento ‘tecnico’: Nicandro, in particolare i Theriakà, e Oppiano, con gli Halieutikà. Soprattutto nelle similitudini, Quinto sembra effettivamente aver alluso a passi dei due poemetti, la cui portata – come modelli puntuali per i Posthomerica – deve essere ancora effettivamente messa in luce30. L’influenza degli Halieutikà su Quinto emerge in particolar modo nell’utilizzo di espressioni tecniche (basti pensare al nesso caratteristico tanuglècini tria…nV [5,255, 439] da confrontare con hal. 3,88), nella inserzione di dettagli specifici, per lo più all’interno di similitudini. Una delle più significative è in 7,569575, un’immagine ripresa fedelmente da Opp. hal. 4,640-6. Si 30

Una rapida disamina dei rapporti tra Oppiano, Nicandro e Quinto è condotta da West 1963, 57-62, e più recentemente sulla presenza di Oppiano nei Posthomerica si è concentrata Kneebone 2007.

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noti lo scarto di Quinto, il quale, passando dal genere ‘tecnico’ a quello eroico, conferisce al lessico una maggiore solennità: e. g. la “torcia” di Oppiano diventa “la forza di Efesto”.31 Non sembra un caso, in conclusione, che proprio i Fenomeni, i Theriakà e gli Halieutikà, poemetti certamente dotti e raffinati ma diffusi anche in ambito scolastico, offrano i maggiori spunti di confronto – a livello di lessico non epico-omerico – con il poema di Quinto. Sulle possibili ispirazioni dello Smirneo dalla tradizione poetica latina il dibattito fra gli studiosi, come si è visto in relazione all’Eneide, è piuttosto acceso: manca però uno studio globale. Ancora una volta, possibili assonanze fra Quinto e alcuni poeti latini sembrano piuttosto derivate da comuni motivi sentenziosi, più che ispirazioni dirette: la similitudine fra uomini e foglie, l’inevitabile oblio di chi non c’è più (entrambi in Prop. 2,15 e 2,13,51s.), l’arcobaleno come indizio di pioggia (Tib.1,4,44); anche un motivo come il princeps saggio che mette ordine nel mondo come Zeus contro i Titani (come in Hor. carm. 3,4,37 ss.) doveva essere diffuso, soprattutto nella propaganda di età imperiale. Il totale scetticismo espresso già dal Köchly, tuttavia – “de poetis latinis breviter dici potest:…nihil dubito quin eos plane ignoraverit” – deve essere superato almeno per Ovidio, tra i pochissimi poeti, del resto, che godettero di fortuna anche nel medioevo bizantino (si pensi alla metafrasi delle Heroides del Planude). Quinto sembra aver tenuto presente Ovidio almeno in due importanti brani: l’agone dei discorsi di Odisseo e Aiace per le armi di Achille del libro V (dal libro XIII delle Metamorfosi) e l’episodio del suicidio di Enone nel libro X (dalla quinta Eroide). In definitiva, emerge chiaramente come il punto di riferimento privilegiato sia costituito, per Quinto, da Omero e dalla tradizione epico-esametrica greca: né poteva essere altrimenti. Alla stessa conclusione si giunge anche se si guarda al livello linguistico del poema. 31

Cfr. Vian 1954, 50, e Kneebone 2007, 286-90 e 300-3.

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3. Lingua e stile Nonostante la sostanziale fedeltà al modello omerico, evidente sul piano linguistico e stilistico, Quinto evita riprese troppo passive e appariscenti di stilemi e formule omeriche, così come rifugge dal narrare scene tipiche in maniera identica rispetto alla fonte, preferendo piuttosto proporre una combinazione originale di espressioni formulari e locuzioni di varia provenienza. Anche questo aspetto dimostra dunque quanto sia riduttivo attribuire a Quinto una mera tecnica centonaria. Infatti, se l’imitazione è senza dubbio presente e se Omero ha un peso preponderante tra i modelli assunti, tuttavia mai l’autore sembra annullare completamente il proprio senso critico, anzi sempre egli appare cosciente delle proprie scelte stilistiche e delle relative motivazioni. Nella Prefazione alla sua editio maior Köchly32 sottolinea soprattutto come l’enorme mole di materiali narrativi tratti dalle fonti più disparate venga da Quinto riversata in una forma epica sostanzialmente uniforme, in larga misura tributaria alla dizione epica. Così alla vastità della materia narrativa, accumulata generosamente senza eccessivi scrupoli di coerenza e omogeneità, si contrappone l’uniformità della veste stilistica, alla quale l’autore sembra in effetti aver dedicato particolare cura. D’altra parte, poiché la dizione omerica è tutt’altro che uniforme, occorrerebbe indicare più precisamente a quale livello di essa Quinto s’ispiri, e Köchly, grande estimatore dell’unità di tono e della semplicità dello stile di Quinto, risolve la questione semplicemente ipotizzando che l’autore si esprima in una sorta di koinè omerica, dalla quale sarebbero banditi tutti i termini e i costrutti troppo arcaici o rari; egli si contrapporrebbe così alla tecnica erudita dei poeti ellenistici, avidi di curiosità lessicali e grammaticali. Tale impostazione è condivisa nelle linee generali anche da Vian33, il quale tuttavia avanza qualche perplessità circa l’oppor32 33

Köchly 1850, XLIX ss. Vian 1959b, 145.

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tunità di elevare tale idea di koinè omerica a principio critico di assoluta validità per emendare il testo, con la conseguenza che l’eccessivo livellamento dello stile, depurando la lingua di qualsiasi asperità, rischia, a suo parere, di trasformare in monotonia l’uniformità della dizione. D’altra parte Vian non si dice nemmeno pienamente convinto della volontà di Quinto di eliminare del tutto le rarità omeriche, dal momento che i Posthomerica presentano più di un caso in cui, pur essendo possibile l’uso di forme più consuete, l’autore sembra aver deliberatamente scelto il termine raro. A titolo esemplificativo Vian ricorda che Quinto, pur evitando di norma l’hapax legomenon, vi ricorre tuttavia nei casi di k£pussen (6,523) e sunocwkÒtoj (7,502), hapax legomena anche in Omero. Parimenti l’espressione potˆ ptolšmoio f£laggaj (1,127), inaccettabile per alcuni editori34 a causa della stranezza dell’astratto per il concreto, si giustificherebbe in realtà sulla base di analogo uso omerico (Il. 13,736 stšfanoj polšmoio), così come qumÕn ›na stšrnoisi balÒntej (6,604) potrebbe essere conservato sulla base di Il. 13,487, contrariamente al parere della maggior parte degli editori, che correggono in ™nˆ stšrnoisi, non riconoscendo come compatibile con gli usi di Quinto l’impiego di stšrnoisi senza preposizione. L’elenco di simili casi è particolarmente ricco e significativo, tanto da dimostrare con sufficiente chiarezza che il poeta, pur attenendosi di norma ad una lingua omerica piuttosto uniforme e standardizzata, talvolta trae da Omero anche termini, costrutti e stilemi rari o arcaici, non rifuggendo nemmeno dal riuso degli hapax legomena omerici35. Tali considerazioni dovrebbero indurre ad una valutazione più completa dello stile di Quinto nonché ad una maggiore prudenza – ed è questo il principale auspicio di Vian – negli interventi testuali. Si è già avuto modo di rilevare come l’imitazione del formulario omerico non si riduca mai nei Posthomerica ad operazione passiva e inconsapevole. Ciò è senza dubbio vero, ma non devo34 35

Köchly 1850, ad loc.; Zimmermann 1889, ad loc. E vd. ora, su tutta la questione, Appel 1994a.

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no sfuggire i casi in cui l’autore incorre in vistosi errori dovuti al fraintendimento della formula o al suo abuso. Il controsenso più appariscente si trova in 4,78, dove Quinto, ispirandosi a Il. 2,144 ss., scrive pÒntoj ... 'Ikar…oio, mostrando di non aver compreso che 'Ik£rioj in Omero è aggettivo e non sostantivo36. Di errori analoghi il poema offre un’ampia gamma. Ad esempio, se si accoglie la lezione tràdita mhtiÒwn in 5,135,338,429,571, anziché emendare, seguendo Rhodomann, in mhtiÒeij (intervento discutibile, dal momento che mhtiÒeij è attestato una sola volta nei poemi omerici, in Od. 4,227, e per giunta lo scolio P indica la varia lectio mhtiÒwnta), ci si imbatte in un errore piuttosto vistoso di Quinto, il quale in questo caso avrebbe interpretato come epiteto un participio che in Omero conserva invece un chiaro valore verbale. Un problema analogo è posto da aÙd»eij in 11,29: il termine, che significa propriamente “dotato di parola umana”, è infatti impiegato da Quinto nel senso participiale di “ancora parlante”, accezione che il poeta ha probabilmente tratto dal non omerico aÙdèwn37. In altri casi il testo dei Posthomerica, quale risulta dalla tradizione manoscritta, può rivelarsi una preziosa fonte di varianti omeriche, che è quanto mai opportuno evitare di correggere, soprattutto se tali varianti sono state eliminate dal testo di Omero. Grazie ad esse diventa infatti possibile farsi un’idea di quella che dovette essere l’edizione dei poemi omerici usata da Quinto. Un caso emblematico è costituito dal verbo qšlw/™qšlw: secondo l’opinione di Aristarco Omero conoscerebbe esclusivamente la forma ™qšlw, sebbene qualche manoscritto conservi occasionali forme senza protesi; le numerose oscillazioni nella tradizione manoscritta dei Posthomerica fra qšlw ed ™qšlw 36

Caso segnalato da Vian 1959b, 155, così come i seguenti esempi di incongruenze ed errori. 37 Anche in questo caso Vian è dell’avviso che debba essere conservata la lezione dei manoscritti contro il parere di molti editori da Hermann in poi (soprattutto Köchly 1850 e Zimmermann 1908), che hanno proposto vari emendamenti volti a far scomparire il valore participiale del termine.

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(3,654; 4,490; 7,215; 14,221) sembrerebbero suggerire che l’edizione dei poemi utilizzata da Quinto presentasse entrambe le forme. La preponderanza del modello omerico nella lingua di Quinto non deve offuscare le altre componenti, che pure sono presenti in misura rilevante: innanzi tutto i Tragici e in secondo luogo la poesia ellenistica. Anche in questo caso dunque gli editori sono chiamati ad una prova di prudenza, dovendo evitare di emendare forme tràdite non omeriche sulla base della loro presunta estraneità alla dizione epica. Un esempio significativo è fornito da 11,169: i manoscritti derivati da H recano qui º…ou 'ApÒllwnoj; Rhodomann propone la correzione „h…ou, confermata da P; Köchly, ritenendo che tale emendamento introduca nel testo un epiteto lirico e non epico, corregge invece in ˜khbÒlou. Vian38 pensa piuttosto che in casi simili il testo tràdito debba essere mantenuto, poiché non si deve escludere a priori che Quinto abbia talvolta deliberatamente scelto equivalenti metrici di epiteti omerici, verosimilmente sotto la suggestione della poesia ellenistica39. Numerosi sono peraltro i vocaboli, i costrutti e le locuzioni che hanno origini non omeriche: sfe con il valore di ˜ (1,110), attestato nei Lirici, nei Tragici e nella poesia ellenistica40; Øphšrioj (2,573), lezione di Y, ben attestato nella poesia ellenistica41; ‡sce intransitivo (9,313), di origine tragica e poi ripreso da un verso dell’Ecale di Callimaco42; eÜdhlon (12,258), non epico ma tragico; e l’elenco potrebbe proseguire. Meritano attenzione anche alcune peculiarità morfologiche. Tra queste è notevole soprattutto la creazione di un accusativo singolare del tipo drÚa, „xÚa, nhdÚa, ÑizÚa, modellato sull’accusativo plurale già omerico in -Úaj, e di un participio teqnaÒt38

Vian 1959b, 168. Nel caso specifico di 11,169 cfr. Call. fr. 18,6 e la nota di Pfeiffer. 40 Call. hymn. 3,197; 4,15. 41 Apoll. Rh. 4,1577; A.P. 6,15,2. 42 Call. fr. 233 Pfeiffer. 39

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con a breve43, analogico di ˜staÒt-, che va a sostituirsi all’omerico teqneît- con sinizesi; forme entrambe indotte dalla ricerca del dattilo, tendenza molto diffusa nella poesia epica tarda, e particolarmente in Nonno. Quinto, inoltre, imitando l’uso di Omero44 e di Apollonio45, crea un numero significativo di nuovi aoristi misti, al tempo stesso sigmatici e tematici: oltre a forme antiche quali b»seto o dÚseto, egli impiega infatti aoristi misti di nuovo conio come ¢pwsšmen (-menai)46, persšmen47, e ™mprhsšmen48. Un’ulteriore caratteristica da rilevare, sulla quale sembra aver esercitato una forte influenza ancora una volta la poesia ellenistica, è l’uso di forme verbali composte in cui i preverbi hanno perso il loro valore proprio: sundeÚsantej (4,213), dove il preverbio risulta avere lo stesso senso perfettivo che si ravvisa in sun£gnumi e surr»gnumi (“completamente”); ™palgÚneske (4,416)49; ™pisk£zw (2,211; 9,449; 10,333; uso comune anche in Apollonio Rodio e Nicandro); ™pisqšnw (4,567; 14,177); ¢mfimšmhle (5,190). Notevole è anche il caso del dativo plurale della prima declinazione: -hij e -aij appaiono come desinenze concorrenti, senza che sia possibile individuare un principio di ripartizione soddisfacente. Per quanto concerne la tecnica formulare e i procedimenti stilistici, il primo dato rilevante è l’abbondante presenza di formule tradizionali dell’epos trattate però con enorme duttilità. Come rilevato da Vian50, Quinto mostra di essere sensibile all’esigenza di modernizzare la tecnica formulare per adattarla a una nuova forma di creazione poetica, destinata alla lettura e non più alla recitazione. L’autore evita pertanto di ripetere le medesime formule in situazioni analoghe, in una continua ricerca di 43

1,821; 2,392,536; 6,250, 7,65. Chantraine 1958, 416-419. 45 Vd. in particolare Apoll. Rh. 2,1062,1067. 46 4,66; 14,99,519. 47 12,20. 48 12,393. 49 Cfr. Nic. Alex. 335. 50 Vian 1959b, 175. 44

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diversità che percorre tutta l’opera nonostante la superficiale apparenza di monotonia. Sul piano lessicale tale procedimento di costante variazione risulta quanto mai evidente, come dimostra un rapido esame del formulario impiegato per descrivere l’Aurora: motivo convenzionale ineludibile per qualunque poeta epico, la rappresentazione del sorgere del giorno appare in Quinto in forme straordinariamente diversificate. L’autore può disporre di un vasto campionario di elementi che combina in vari modi: l’Aurora che sorge dall’Oceano o che si leva al di sopra dei monti, che fa impallidire le stelle, dissipa la notte ed espande la sua luce sul mondo; la terra e l’etere che sorridono al suo arrivo, mentre i mortali tornano alle loro quotidiane fatiche. A questi motivi tradizionali Quinto aggiunge qua e là qualche elemento mitico ornamentale, anch’esso tradizionale, come il letto di Titono, l’antro di Eos o la partenza di Hypnos. Le combinazioni variano nei modi più sorprendenti e i motivi stessi vengono continuamente trasformati, ma soprattutto è la veste linguistica a mutare. A titolo esemplificativo si può ricordare che il sorgere del sole è espresso di volta in volta da ™pÒrouse (1,138), Øpšr ... Ãlqen (2,2), Øperšssutai (2,183), ¢n»ien (2,189), Ãlqen (3,1, cfr. 665), œgreto (4,75) e da altre espressioni ancora. Altrettanto varie e diversificate sono le formule che evocano il calare della notte (8,490; 9,66,432; 12,575), al punto che una sola di esse appare ricorrente (1,119; 7,621 ½nuto d' 'Hèj). Tuttavia il caso di gran lunga più indicativo è costituito dal lessico impiegato per le scene di battaglia, al quale Vian nel suo studio riserva particolare attenzione51. Per evocare il luccichio delle armi o in generale del metallo, Omero usa nove volte una formula del tipo c£lkea (c£lkwi, œntesi) marma…ronta (-ntej); in questi casi Quinto lascia costantemente il verbo nella posizione che esso occupa in Omero, ma fa uso della formula nella veste omerica solo due volte (1,510; 6,197), costruendo per il resto infinite varianti e per giunta sfruttando l’espressività del verbo marma…rw per più o meno ardite comparazioni con lo 51

Ibid. 179 ss.

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splendore della luna (1,150), del lampo (2,207; 6,197; 11,410), del fuoco (6,353; 9,221) o del sole (1,657). Con analogo procedimento Quinto estrae da Omero l’espressione steinÒmenoj nekÚessi (Il. 21,220) – peraltro isolata nei poemi omerici, dal momento che i verbi stšnw/ste…nomai vi compaiono di rado e non entrano mai in formule – e la usa per dare vita a un numero sorprendente di variazioni (1,346, cfr. 3,5; 8,88, cfr. 244; 2,200, cfr. 358,487,555; 3,23, cfr. 8,63; 5,651, cfr. 6,642; 6,646; 9,440; 14,82, cfr. 2,637; 12,487 solo per citare alcuni esempi). Sul modello della formula omerica ™ruqa…neto d' a†mati ga‹a (Ûdwr) (Il. 10,284, 21,21), Quinto crea a sua volta la formula …HLRH zVYUEfRIXSPYUVÚ, che compare cinque volte nei libri 8 e 9 (8,229,420; 9,147,177,529; cfr. 14,319). L’omerico EgQEXMH~ cqën / deÚeto porfuršwi (Il. 17,361) è invece all’origine di sei varianti di Quinto (2,625; 3,22,317; 5,27; 6,354,376); d’altra parte lo schema omerico del tipo HI»SRXSH~ teÚcea fwtîn (Il. 23,15; cfr. 9,570) dà nei Posthomerica tre diversi esiti (6,375; 7,146; 8,275), mentre la formula omerica deàe H~ ga‹an viene usata da Quinto in due soli casi (13,86; 14,279). Alle varianti segnalate se ne devono infine aggiungere alcune più isolate (1,347,387; 8,236; 12,508), con il risultato che nessuna delle innumerevoli combinazioni proposte da Quinto può essere considerata come una formula nel senso omerico del termine, ma si trova piuttosto una vasta gamma di libere variazioni intorno ai tre vocaboli deÚw, aŒma e ga‹a, associati in modi sempre diversi o sostituiti da sinonimi. Mentre nell’Iliade le formule più ricorrenti per la morte del guerriero sono PÁWIH~ gu‹a, gu‹a lšluntai, goÚnat' œlusen, lÚto goÚnata kaˆ f…lon Ãtor e mentre l’Odissea impiega la formula katekl£sqh f…lon Ãtor per evocare un animo distrutto dal dolore, Quinto ricorre poco a lÚw, e quasi esclusivamente accompagnato da un sostantivo indicante il cuore: Ãtor (1,248; 11,84,489), qumÒj (1,762) e soprattutto kšar, nella formula non omerica lÚqh kšar (2,252; 10,236). Al contrario, di kl£w e dei suoi composti, in particolare il non omerico Øpokl£w, si registrano nei Posthomerica numerose occorrenze, sia con il valore

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morale che katakl£w ha in Omero sia in luogo di lÚw per descrivere l’annientamento del corpo o dell’anima ad opera della morte. Con un analogo procedimento di ripresa e variazione la formula P»UIR H{ Sd …]IE T„RXE, impiegata nell’Odissea per evocare gli effetti distensivi del sonno sulle articolazioni (4,794; 18,189), viene riferita da Quinto (1,253) alla morte. Per quanto concerne infine i verbi esprimenti rumore, il caratteristico verso formulare HS»TLWIR H~ TIWÉR ƒV„FLWI H~ XI»GI zT EºXÚnon compare mai nei Posthomerica, mentre è ampiamente rappresentato il verbo œbrace, ma anche in questo caso con una sorpresa: infatti, se Omero presenta sempre il nesso (œ)brace teÚcea, Quinto inverte l’ordine dei termini o spezza la formula. Ne deriva che tra i 24 passi in cui compare il verbo o uno dei suoi composti si registrano soltanto due formule (6,335 = 10,72; 9,296 = 14,464). Si deve inoltre rilevare la scarsa cura dell’autore per la proprietà lessicale, al punto che egli usa con disinvoltura come sinonimi termini che in Omero risultano invece specializzati. Per esempio, dei tre verbi œbrace, œbreme e ‡ace, aventi tutti lo stesso valore metrico, œbreme indica costantemente in Omero il rumore prodotto dal vento o dal mare, mentre Quinto lo impiega anche per il fragore delle armi; „£cw esprime propriamente un suono acuto e squillante, ma Quinto lo impiega indifferentemente, come œbrace, per evocare qualunque genere di rumore52. L’elemento essenziale dello stile formulare è l’epiteto. Quinto ne fa un grande uso, mostrandosi persino più generoso di Omero. La predominanza del materiale omerico è indiscutibile, come dimostra il semplice dato numerico che di tutti gli aggettivi attestati nei Posthomerica ben 720 sono omerici contro appena 220 non omerici. Tuttavia, tale sproporzione, pur essendo appariscente, è meno notevole di quella che si registra per i sostantivi o per i verbi; questo elemento potrebbe essere considerato come indizio del fatto che Quinto ha trovato proprio negli aggettivi un 52

Ibid. 181.

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comodo mezzo per differenziarsi da Omero53, non solo mediante l’ampio uso di forme non omeriche ma anche tramite la reinterpretazione originale di aggettivi omerici. Infatti, dallo studio degli aggettivi di origine omerica dei quali si registrano almeno dieci occorrenze nei Posthomerica, si traggono alcune considerazioni interessanti. Si può constatare, innanzi tutto, che le scelte di Quinto sono state in una certa misura determinate da ragioni metriche, soprattutto per quanto concerne le forme lunghe, che sembrano riscuotere le preferenze dell’autore, secondo una tendenza rilevata anche per gli aggettivi non omerici, tra i quali i più frequenti sono proprio quelli lunghi ™ãptÒlemoj, ™ãsqenšoj, polusqenšoj, ÑbrimÒqumoj, ¢lginÒentoj. Tuttavia le ragioni metriche non sono sufficienti a spiegare le preferenze di Quinto, poiché senza dubbio entrano in gioco anche altre motivazioni non meramente pratiche: per esempio risulta palese l’antipatia dell’autore per i termini precisi e pittoreschi, cui si contrappone la netta predilezione per i vocaboli che esprimono un’idea di immensità, di forza colossale, di coraggio e di terrore. Infine, non può essere privo di significato il fatto che il poeta eviti gli aggettivi formulari omerici più noti e si orienti invece preferibilmente verso quelli meno noti e banali; in questa strategia risulta ancora una volta evidente il consueto intento di diversificazione e variazione. Vian54 conta nei Posthomerica complessivamente 180 formule contenenti un aggettivo o un avverbio, delle quali solo 76 sono omeriche, ma di queste ultime quindici compaiono in Omero solo una o due volte e quindi non possono essere considerate formule in senso proprio. Dunque Quinto ripudia le formule omeriche più comuni e caratteristiche, mentre tende a fare un uso formulare di espressioni e locuzioni varie che Omero impiega solo sporadicamente. L’intento dell’autore di rinnovare il materiale epico ereditato si manifesta di continuo e ad ogni livello. Talvolta egli ripropone le formule omeriche nella loro veste tra53 54

Ibid. 182. Ibid. 186 ss.

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dizionale, vale a dire senza alterarne troppo la forma esteriore, ma ne modifica in modo vistoso il significato: così dall’omerico ¢gakleitÁj basile…hj, usato nell’Odissea come epiteto di Penelope, egli trae la formula al maschile ¢gakleitîn basil»wn (6,181,527; 7,232), attribuendo quindi all’aggettivo un’accezione parzialmente diversa da quella che esso aveva nel modello. In altri casi Quinto conserva lo schema metrico impiegato da Omero, ma all’interno di questo sostituisce l’epiteto tradizionale con un sinonimo meno comune: così la formula poluflo…sboio qal£sshj, della quale si registrano circa dieci occorrenze complessivamente nei poemi omerici e negli Inni, scompare nei Posthomerica sostituita dalle varianti originali barugdoÚpoio qal£sshj (1,320; 7,369; 11,309) e polurroq…oio qal£sshj (7,395). In altri casi infine Quinto modifica la formula omerica ancora più profondamente, al punto da mutare anche il suo valore metrico; procedimento ben rappresentato dalla sostituzione di m£chj ¢kÒrhtoi (Il. 13,639) con ¢kÒrhtoj ÐmoklÁj (1,561; cfr. 7,603) o Øsm…nhj ¢kÒrhtoj (12,279; cfr. 12,87) oppure dalla creazione di numerose varianti metriche (1,223,340; 2,281,514; 6,499,571; 7,123,359; 8,147; 9,300; 14,72) a partire dall’omerico polšmoio ... aƒmatÒentoj. Da quanto detto risulta inoltre che Quinto non si accontenta di innovare rispetto al suo modello, ma tenta continuamente di innovare anche rispetto a se stesso, evitando di usare troppo spesso le medesime espressioni e preferendo piuttosto proporre combinazioni sempre nuove, per cui nella sua opera è relativamente limitato il numero di formule che ricorrano con una frequenza elevata. Questo procedimento di continua ripresa e variazione produce talora un senso di artificiosità e monotonia, ma Quinto non sembra preoccuparsene, ritenendo evidentemente prioritario l’obiettivo della differenziazione dal modello. Infine una trattazione esaustiva della lingua dei Posthomerica non può ignorare le licenze stilistiche e le espressioni ardite, a lungo negate dagli editori e pertanto eliminate dal testo con interventi non sempre condivisibili. Il già menzionato giudizio di Köchly sull’elegante semplicità dello stile di Quinto ha infatti

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suggestionato a lungo gli editori, inducendoli a considerare non autentica qualunque espressione divergesse dalla norma. Diverso approccio ha invece mostrato Vian, per il quale le anomalie riscontrate nel testo, sebbene prese singolarmente possano sorprendere e richiedere una correzione, valutate nel complesso si sostengono e giustificano a vicenda, risultando perfettamente compatibili con lo stile abituale di Quinto55. È infatti innegabile la presenza di anacoluti (1,63 ss., 409-413; 2,371 ss., 379 ss., 471 ss.; 7,586 ss.; 8,15, cui si deve forse aggiungere 5,375 ss.56), peraltro già rilevati e studiati da Zimmermann57, di parentesi, introdotte per lo più da g£r (3,389; 8,35; 10,435; cfr. 5,313), e di brachilogie (7,248; cfr. 1,247; 3,152; 6,336; 9,309 s.; 11,77; 13,37). Non mancano infine altri artifici stilistici, quali l’associazione dell’astratto e del concreto in una stessa espressione (1,221, 621, 736 s.; 5,154, 333; 6,173 s., 377; 7,383, 646, 694 casi per lo più negati e corretti dagli editori, non sempre a ragione secondo Vian58) e l’uso di un verbo d’azione, spesso di nuovo conio, con un soggetto neutro personificato (1,701; 6,405; 8,161, 12,543). In conclusione, dietro l’apparente uniformità dello stile di Quinto, lodato da Köchly in poi per la sua raffinata semplicità, si cela in realtà un complesso lavoro di variazione finalizzato a differenziare il poema dal modello omerico, pur nella sostanziale continuità rispetto ad esso. Tutto ciò mostra quanto l’autore sia debitore nei confronti delle tecniche e dei procedimenti della poesia ellenistica, ben oltre la misura riconosciuta dagli studi, spesso interessati a stabilire un rapporto ideale tra Quinto e Omero senza considerare con adeguata attenzione l’importanza della mediazione ellenistica.

55

Ibid. 201. Vd. Vian 1954, 239; cfr. Il. 18,331 s., che costituisce il modello dell’espressione di Quinto, pur non presentando anacoluto. 57 Zimmermann 1889, 17, 52 ss., 163. 58 Vian 1959b, 207 ss. 56

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4. La metrica Secondo la celebre ricostruzione di Wifstrand59 tre furono i principali stili della poesia esametrica tardo-antica: omericoapolliniano, alessandrino e nuovo. Quinto Smirneo si colloca nettamente all’interno del primo stile, insieme con le Argonautiche orfiche e la Blemyomachia, mentre lo stile alessandrino è rappresentato soprattutto da Dionisio e Oppiano di Anazarbo, e lo stile nuovo da Nonno e dai nonniani. Diversamente Vian60 propone un quadro semplificato, dal quale la poesia esametrica tardo-antica risulta divisa in due grandi tipologie: la modernista e l’arcaizzante, all’interno della quale si situerebbe Quinto Smirneo. Al di là dei diversi approcci, dunque, il dato costante è la collocazione di Quinto all’interno della tradizione omerica e apolliniana, vale a dire all’interno della ‘scuola’ più incline ad accogliere arcaismi e omerismi. Sulla stessa linea si pone del resto anche Köchly, là dove afferma che Quinto, nella metrica come nella dizione, sembra prefiggersi come legge non solo di accogliere qualunque forma consacrata dall’uso omerico, ma addirittura di amplificarla mediante sapienti combinazioni61. Già Rhodomann riconobbe ai versi di Quinto il pregio della eÙruqm…a, non solo sottolineando tale aspetto nella prefazione, ma anche facendo riferimento ad esso a più riprese nel giustificare emendamenti e altri interventi testuali62. Analogamente l’abilità di Quinto nella versificazione viene riconosciuta da Köchly63, il quale ne apprezza l’originalità rispetto al modello omerico, rilevando in particolare la predilezione per la cesura trocaica in terza sede e il frequente ricorso alla correptio Attica quali segni più evidenti dell’autonomia di Quinto da Omero nella costruzione del verso. Nelle pagine seguenti saranno illustrate 59

Wifstrand 1933, 78 in Agosti-Gonnelli 1995, 293. Vian 1986, citato in Agosti-Gonnelli 1995, 293. 61 Köchly 1850, XLIX. 62 Rhodomann 1577, passim. 63 Ibidem. 60

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più dettagliatamente le peculiarità metriche dei Posthomerica con particolare riguardo al rapporto con il modello omerico. Un primo aspetto degno di nota è costituito dallo iato, causa di numerosi problemi testuali risolti di volta in volta in modi diversi: Köchly64, seguendo Hermann65, ha tentato di eliminare il maggior numero possibile di iati; operazione contestata da Keydell66 nelle sue Quaestiones metricae, ma approvata da Zimmermann67, il quale, pur intervenendo sul testo in molto casi, non mette tuttavia in discussione l’esistenza di iati in Quinto, spingendosi anzi sino al punto di suggerire che il poeta ammetta lo iato pressoché in tutte le sedi metriche. Più equilibrata appare la posizione di Vian68, il quale, mettendo in guardia circa il rischio di indebite esagerazioni, opportunamente osserva che uno iato, per poter essere ammesso, non deve essere giustificato soltanto da casi analoghi rilevati in altri autori, ma deve soprattutto essere conforme alla metrica di Quinto. Dopo vocale breve lo iato ha una frequenza piuttosto scarsa: è normale dopo un dativo in -i69 e dopo ti70, dopo una desinenza in -ete71, davanti a originario digamma – (#)¥nax, (#)œoika, (#)¥stu, (#)œrgon etc. – nel secondo trocheo, nella seconda e terza dieresi e nella dieresi bucolica, dopo una desinenza -esqe nel terzo trocheo72, dopo una desinenza -oio davanti al prono64

Ibid. XXXIV ss. Hermann 1805 passim. 66 Keydell 1911 passim. 67 Zimmermann 1913, 4, ad 1,32. 68 Vian 1959b, 212. 69 3, 122 = 7, 434 (primo trocheo); 1, 259; 2, 650; 3, 7, 198, 614; 5, 163; 11, 135 (?); 12, 313 (prima dieresi); 12, 301; 10, 171, 204 (terzo trocheo); lo iato dopo un dativo in -i è inoltre normale nel quinto trocheo e nella quinta dieresi. 70 7, 79 (primo trocheo); 3, 46, 98; 5, 229; 7, 548 (prima dieresi); 1, 25 (se si adotta la correzione di Köchly; cfr. 7, 79); 5, 589; 14, 444 (secondo trocheo); 2, 385 (seconda dieresi); 1,723; 4,49; 12,553 (terza dieresi); lo iato dopo ti è inoltre normale nel quinto trocheo e nella quinta dieresi. 71 3, 169; 12, 236, 545 (prima dieresi); 3,190; 6,443; 12,221 (dieresi bucolica) 72 1, 468, 558; 2, 59; 3, 168; 5, 152; 11, 217; 12, 52 65

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me relativo o all’articolo nel terzo trocheo73, dopo per… nella terza dieresi74 e nella dieresi bucolica75, dopo ™n… nella dieresi bucolica76. Ancora meno frequente è lo iato dopo vocale lunga in tempo debole: esso è generalmente da conservare davanti a punteggiatura forte nella prima dieresi, davanti a ½ nella prima, nella seconda e nella terza dieresi77, davanti a digamma nella terza dieresi78 nonché nell’omerismo oá uƒšoj79; si registra invece un solo caso certo di iato dopo vocale lunga in tempo debole nella dieresi bucolica80 e un solo caso certo nella quinta dieresi81. In conclusione, se si esclude lo iato normale davanti ad antico digamma o dopo i (ti, per… e dativo singolare) nonché qualche formula derivata da Omero e Apollonio Rodio, si può constatare che Quinto ammette lo iato dopo vocale breve soltanto nella prima dieresi, nella cesura trocaica, nella dieresi bucolica e nella quinta dieresi, ma comunque – anche in queste sedi – solo in casi poco numerosi e ben definiti. Quanto allo iato dopo vocale lunga in tempo debole, la sua incidenza è minima, in quanto, eccettuate le occorrenze dopo ½, se ne registrano appena sei esempi, per lo più in formule omeriche conservate senza variazioni82. In secondo luogo, un problema controverso e spesso di difficile soluzione per gli editori è dato dall’aumento sillabico, e in particolare dalla scelta – in molti casi ardua – tra impiego e omissione di esso. L’analisi dei versi di Quinto consente comunque di individuare un insieme di regole, o quanto meno di ten73

1, 699; 8, 225; 10, 211; 11, 26. 2,175 75 12,188 post corr. 76 10,194. 77 Rispettivamente 4,208 e 4,519 (prima dieresi); 10,68 (seconda dieresi); 6,396; 10,69 (terza dieresi). 78 4,130, nonostante vari tentativi di correzione; 4,488. 79 14,181; cfr. Il. 24,122. 80 7,234, garantito da Apoll. Rh. 2,762 e imposto dalla legge di Hermann. 81 14,365, giustificato dal digamma. 82 Per una trattazione più ampia e dettagliata dell’argomento si veda Vian 1959b, 212 ss. 74

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denze, cui egli sembra essersi attenuto con una certa regolarità83. È indubbio innanzi tutto che l’aumento si trova sempre in tempo forte, allungato da due consonanti (come in 9,195 ¥llouj d' œktane), con la sola eccezione di quei verbi che sono privi di aumento già in Omero (sten£cw, stenac…zw, stonacšw, zèsanto, br…qonto, skÚzonto). L’aumento è la regola anche in tempo debole, sempre allungato da due consonanti. Più controversi sono invece i dati relativi all’aumento nella prima breve del dattilo, dove le scelte dell’autore sembrano essere determinate da precise preferenze: l’aumento non si trova mai84 dopo le desinenze -oisi, -hisi, -oio, -ao; nel quarto dattilo la legge di Hermann rende obbligatorio l’impiego dell’aumento, mentre nel terzo piede sono preferite le forme senza aumento; nel quinto dattilo l’aumento è generalmente omesso, ma numerose sono le eccezioni; al contrario all’inizio del verso, dove non si pongono problemi né di cesura né di clausola, prevalgono le forme con aumento precedute da elisione; alcune forme verbali epiche (come pšlen), conformemente alla tradizione, vengono usate senza aumento. Per quanto concerne la frequenza degli spondei – altro carattere interessante per conoscere l’esametro di Quinto – si può constatare che lo spondeo ricorre più spesso in seconda che in prima sede e che questa tendenza si accentua verso la fine del poema. Risulta infatti che l’autore adotta alcuni particolari accorgimenti, soprattutto a partire dai libri 7-8, per sostituire gli spondei con dattili in prima sede, tra i quali l’uso dell’aumento, l’impiego delle forme trocaiche Ümmin e Âmin a inizio verso nonché gli infiniti dattilici in -men, pressoché assenti nella prima parte del poema85 (con l’eccezione di ™lqšmen, abituale in qua83

Cfr. Köchly 1850, XLV-XLVI; Zimmermann 1889, 16, 77, 113, 188; Zimmermann 1908, 10; Vian 1959b, 220 ss. 84 Uniche eccezioni sono 3,726 e 13,180. 85 L’unico caso si trova in 1,92, cui forse si deve aggiungere (pur tenendo conto dei numerosi problemi testuali posti dal verso) 1,647, dove i manoscritti recano o‡sein.

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lunque sede del verso), rappresentati invece da ben sette casi negli ultimi canti86. Quanto allo spondeo in seconda sede, gli esempi considerati evidenziano che il suo uso in Quinto, pur non potendosi dire frequente, non è sistematicamente evitato, mentre si tende ad evitare che lo spondeo del secondo piede sia costituito da parola spondaica87. Le contraddizioni sono tuttavia numerose: in questa sede del verso infatti Quinto alterna forme di polÚj che presentano due brevi nelle prime due sillabe88 a forme con una lunga iniziale89, forme come ¢moibad…hij a forme come ¢moiba…hisi90, e l’elenco potrebbe includere un’ampia gamma di possibilità. Si segnala inoltre che in seconda sede Quinto, pur ricorrendo in linea generale all’aumento sillabico per ottenere un dattilo, ammette anche l’uso della preposizione monosillabica lunga nel tempo debole, dal che si deve dedurre che possono essere conservate nel testo forme come kaˆ qÁke (9,81) o Öj ke‹to (6,440), laddove la comparazione con altri autori – ma anche con altri casi dello stesso Quinto (3,396; 6,550) – potrebbe indurre a emendare91. Altro elemento originale della metrica di Quinto è la scarsa frequenza dei versi a cesura pentemimera (Vian92 ne rileva 1.657 su 8.783), ai quali peraltro egli ricorre solo con particolari accorgimenti, come l’uso, davanti alla cesura, di clausole lunghe, che coprano almeno tre mezzi piedi, con una netta predilezione per le forme dattiliche costituite da aggettivi, participi e avverbi, e con una marcata avversione (comune del resto anche a Nonno) per le clausole spondaiche, delle quali comunque si regi86 6,593; 7,86; 9,27; 11,236; 12,20; 12,236; 13,338. Altri casi interessanti di sostituzione dello spondeo con il dattilo in prima sede sono i seguenti: 2,182 blhcrÒn – 10,19 ¢blhcr£; 2,207 T„RXLáQEVQEfVIWOSR – 8,24; 12,105 p£ntoqe marma…ronta; 1,11 ºd' Óssouj – 2,95 ºd' ÐpÒsaj. 87 Cfr. 7,72 e 9,351. 88 9,136,208; 6,13; 14,608; 3,122; 8,109; 9,158; 14,290,294. 89 11,283,303,429; 13,161; 14,606; 11,324; 3,162; 11,49. 90 Rispettivamente 5,65 e 6,177. 91 Cfr. Vian 1959b, p. 228. 92 Ibid. 230.

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strano complessivamente 125 occorrenze. Sorprende peraltro che, nonostante la scarsa simpatia per le clausole spondaiche, Quinto non sembri evitare sistematicamente la parola spondaica davanti alla cesura, nemmeno quando avrebbe potuto aggirare il problema con una semplice inversione dell’ordine dei vocaboli. Tale elemento dovrebbe pertanto essere incluso in un’eventuale rassegna delle incoerenze riscontrabili nella metrica di Quinto. Davanti alla cesura pentemimera è altresì evitata la clausola giambica, che ricorre complessivamente solo in 105 casi, mentre la clausola monosillabica, frequente in Omero e ancora in Apollonio Rodio e Callimaco, è pressoché assente in Quinto, nel cui poema se ne registrano appena 28 occorrenze. Non amando la clausola giambica, l’autore tende dunque a scrivere con l’aumento nessi del tipo ke…noij ™mšmikt' (3,726), aŒm' ™cÚqh (6,375,507), œnq' œbalon (12,346) o ad allungare la breve davanti alla pentemimera93, conformandosi in questo caso ad un uso già omerico. Per quanto concerne invece la natura e la disposizione delle parole dopo la cesura, se si esclude Nonno, Quinto si colloca al primo posto con Callimaco per la frequenza dei versi nei quali lo spazio compreso tra la cesura e la dieresi bucolica è occupato da una sola unità metrica; tuttavia, mentre Callimaco e Nonno impiegano soprattutto vocaboli lunghi, Quinto ricorre volentieri alla soluzione del gruppo metrico. In secondo luogo, si rileva una sensibile diminuzione del numero delle eftemimere: il 35,5% (meno anche di Nonno, che raggiunge il 36%) contro il 46% di Omero, il 43% di Callimaco, il 42% di Apollonio Rodio e il 56% di Oppiano. Evidentemente la eftemimera viene evitata perché, data la sua vicinanza alla cesura principale, introduce un’asimmetria nel secondo emistichio, alla quale Quinto tenta di porre rimedio combinando la eftemimera stessa con la bucolica. Pertanto nel complesso del poema sono solamente 228 i versi che presentano una eftemimera associata a una pentemimera 93

234.

Vd. e.g. 2,140; 4,226; 7,182,318; 10,69,202; 14,293. Cfr. Vian 1959b,

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senza l’appoggio della bucolica, e le occorrenze si riducono sensibilmente a partire dal IX libro94. Il verso a cesura pentemimera privo di pausa o dieresi nel secondo emistichio, impiegato da Omero ma evitato dalla poesia ellenistica, e in particolare da Callimaco, compare circa 100 volte nei Posthomerica, troppe per pensare a negligenza o a scelta imposta da nomi propri. D’altra parte questo tipo di verso offre a Quinto un duplice vantaggio, consentendogli l’uso sia di parole lunghe sia di emistichi che altrimenti dovrebbero trovare altra collocazione. Sarebbe pertanto un errore ritenere che Quinto impieghi questo genere di verso senza discernimento; egli si mostra anzi cosciente del suo carattere del tutto anomalo e – come dimostrato da Vian95 – ricorre ad esso ogniqualvolta intenda produrre uno speciale effetto o presentare un personaggio con eccezionale maestà96. Si segnala, infine, la notevole frequenza di parole spondaiche dopo la cesura: pur preferendo di norma le due brevi, infatti, egli non sembra ricercare a tutti i costi il dattilo, al punto che talvolta usa la congiunzione ka… pur potendo usare „dš, preposizioni monosillabiche lunghe anziché bisillabiche brevi. Per quanto concerne i versi a cesura trocaica, in essi la cesura è preceduta preferibilmente da parole lunghe, con una notevole presenza dell’anfibraco e del trocheo in clausola, soprattutto quando il primo emistichio presenta una dieresi o una tritemimera. Particolarmente interessanti sono le caratteristiche strutturali del secondo emistichio. Si deve innanzi tutto segnalare la frequente presenza di preposizioni, preverbi posposti o addirittura 94

Cfr. Ibid. 236. Ibid., dove in particolare viene posto in rilievo il caso del verso conclusivo del libro V, composto da sole quattro parole, e vengono segnalati diversi esempi di impiego di tale modulo per produrre effetti di contrasto (5,188), gradazione (13,247) o pathos (3,562; 6,375 s.; 7,243; 10,381), soprattutto nelle suppliche (10,290; 14,162). 96 Vd. e.g. 4,334; 6,181 = 188; 8,291; cfr. inoltre 3,172 ss. 95

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enclitiche a introdurlo97. Il ponte di Hermann risulta abitualmente rispettato, ma con numerose eccezioni, che includono tanto infrazioni gravi (2,410 c£rh d' ¥r' ™tèsion ¼rwj; 4,287 = 5,152 zTIf˜EKIVEfXIVSN¤IR; 8,19 dšoj dš b…hn ¢maqÚnei; 11,28 pšrhse d' ¢n¦ stÒma calkÒj; 11,96 fšrousi d' ¢pe…rona karpÒn) quanto infrazioni apparenti o veniali, quali l’uso di un posposto (enclitico o meno) come seconda breve del quarto piede e l’uso di una preposizione come prima breve del quarto piede. La dieresi bucolica dopo il quarto spondeo è relativamente frequente soltanto dopo un monosillabo o un bisillabo eliso. Alta è la frequenza degli esametri spondaici, pur con una lieve flessione negli ultimi quattro canti. Essi per lo più si concludono con una parola che conta almeno quattro sillabe, sebbene la clausola quadrisillabica sia preferibilmente evitata da Quinto – come rilevato da Köchly98 – e usata solo in condizioni ben determinate. Di norma l’emistichio a clausola quadrisillabica è privo di eftemimera; la parte del verso che si estende dalla cesura mediana alla clausola è occupata da un solo gruppo metrico spesso costituito da un’unica parola; il verso si conclude in tal caso con due parole lunghe che si bilanciano e il cui ritmo corrisponde esattamente a quello che risulta dalla dieresi bucolica. Si deve inoltre constatare che pressoché tutti i versi a clausola quadrisillabica, quando sono privi di eftemimera, tendono ad assumere un ritmo quaternario, con una forte connessione tra i due tronconi, ottenuta mediante unità di senso, pause deboli e omoteleuti. In conclusione, la versificazione di Quinto rivela una discreta abilità: più libera di quella di Callimaco, molto più severa di quella di Omero, essa si distingue per un’eleganza che talvolta sconfina nella mollezza e per una certa propensione alle soluzioni più facili e orecchiabili. L’autore sottomette il suo verso a 97

3,579; 4,409; 5,299; 7,398; 8,178,199 (corr.); 9,1; 11,311; 13,157,438; 6,494. 98 Köchly 1850, XLII-XLVI.

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numerosi vincoli, ma nel contempo si mostra sempre pronto a infrangerli per accogliere omerismi, per produrre speciali effetti o anche semplicemente per trasmettere qualcosa della naturalezza dell’esametro arcaico99.

5. Quinto di Smirne e la Seconda Sofistica Gli studi più recenti sui Posthomerica hanno avuto sicuramente il merito di attirare l’attenzione degli studiosi su un poema e un autore ingiustamente e troppo a lungo trascurati. Si è cercato, in particolare, di collocare l’opera di Quinto nel clima culturale della Seconda Sofistica, il grande fenomeno (non solo) letterario che si snoda tra II e III secolo, dall’Asia Minore a Roma, e che vede protagonista una nuova figura di intellettuale, politicamente più organico al potere di Roma (ma con non poche eccezioni), preferibilmente prosatore, atticista, ma al tempo stesso fautore di uno sperimentalismo letterario all’insegna dell’ironia e del disincanto nei confronti dei modelli e dei ‘grandi’ del passato sul piano dei contenuti, di una spregiudicata retoricizzazione sul piano delle forme100. Secondo questa linea interpretativa, proprio su un linguaggio, uno stile ed una materia fortemente omerizzanti si innestano, in Quinto, elementi riconducibili alla Seconda Sofistica e allo sviluppo della retorica101. Si è detto che lo stesso statuto dell’opera – che si propone intenzionalmente come ‘ponte’ – va ricondotto ad una poetica comune agli autori che si inseriscono in questa corrente letteraria (Bär 2010): Luciano, ad esempio, in chiusura della Storia vera preannuncia al lettore un seguito di altre “storie vere”. Anche la massiccia presenza di excursus ecfrastici andrebbe ricondotta alla medesima temperie cultura99

Cfr. Vian 1959b, 251. Baumbach-Bär 2007, 8-15 ripercorrono sinteticamente questi punti, in funzione di un confronto con Quinto. 101 Secondo Schubert 2007 proprio dopo il I secolo i legami tra retorica ed epica, intercorsi da secoli, si rafforzano. 100

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le, in cui forte è il legame tra la poesia, l’arte delle parole, e le arti figurative, tanto da condurre alla costituzione dell’ekphrasis come genere autonomo. Anche un’analisi strutturale e lessicale dell’episodio della contesa delle armi tra Aiace e Odisseo, narrato nel V libro, lascerebbe pensare alla pratica della pubblica declamazione tipica della seconda sofistica: già Eustazio, del resto, individuava nei quattro discorsi tra i due eroi la presenza di una tetralogia retorica102. Molti autori della Seconda Sofistica, tuttavia, in ciò risentendo in modo determinante dell’influsso della retorica del tempo, sottoponevano i poemi omerici ad una reinterpretazione ironica: nella Storia Vera di Luciano vengono trattate con estrema ironia tematiche come la vexata quaestio della provenienza geografica di Omero o l’autenticità di alcuni versi omerici; l’Heroicus di Filostrato è strutturato sotto forma di un dialogo tra un vignaiolo ed un mercante fenicio che discutono della “vera storia” della presa di Troia, non quella narrata nell’Iliade ma quella di cui è depositario Protesilao, il primo guerriero greco ad essere morto a Troia; nell’Orazione troiana di Dione Crisostomo si sostiene la tesi che Achille fu ucciso da Ettore e i Greci non presero Troia, ma si limitarono a stipulare un trattato di pace. Quinto si tiene invece ben lontano dal porre in discussione la veridicità della narrazione omerica: in questo senso, dunque, la scelta del poeta è veramente una risposta ‘tradizionale’ alle ‘tendenze più innovative’103. Gli apporti innovativi rispetto a Omero consistono, in conclusione, in una rinnovata caratterizzazione morale dei personaggi e degli eventi. La connotazione moraleggiante diviene idealizzazione nel trattamento della figura di Paride, il quale, piuttosto che vile e donnaiolo, figura come degno successore di Ettore (3,186-216). I Greci formano una compagine compatta e disciplinata e, se si escludono il litigio tra Tersite e Achille (1, 741-766) e la contesa per le armi tra Aiace e Odisseo (5,180102 103

Vd. ancora Bär 2010, 296 ss. Sempre Bär 2010, 291.

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316), il campo acheo è dominato da una costante serenità. Futili discordie presto si spengono (1,767-781). Persino Agamennone non trova oppositori e, perciò, non cede facilmente all’ira come nell’Iliade. Tendenze alla riformulazione dell’ideale eroico si affermano già nella poesia ellenistica, che, tuttavia, nel caso di Apollonio Rodio e Euforione, si discosta da Omero per il risalto che viene conferito all’aspetto erotico-sensuale. Quest’ultimo è poco presente in Quinto che si mostra poco propenso alla narrazione di scene erotiche104 e difficilmente si abbandona a preziosismi. In talune occorrenze manifesta, addirittura, un certo pudore105. D’altra parte frequenti sono discorsi edificanti e sentenze morali che si lasciano ricondurre ad un pensiero filosofico di matrice stoica, testimoniato altresì dalla centralità rivestita dal fato e dal ruolo importante di cui è investito Zeus. Tuttavia, sebbene tale Weltanschauung si manifesti nei singoli personaggi ed episodi, non riesce a conformare a sé l’impianto narrativo che si conserva in tal modo omerico. Tale mancanza spiega alcune contraddizioni e incoerenze: l’azione di Zeus non risponde ad un disegno morale, mentre le altre divinità agiscono sotto la spinta di passioni individuali, anziché di una Giustizia superiore; Achille richiede il sacrificio di Polissena al termine di un lungo discorso edificante rivolto al figlio (14,185-222). La penetrazione superficiale dell’insegnamento morale giustifica anche la presenza di alcune scene di crudeltà gratuita, in particolare nello sgozzamento di Polissena da parte di Neottolemo (14,257271) e la violazione del cadavere di Achille da parte dei Troiani (3,208-211). A differenza di Omero, inoltre, il poeta non lascia trapelare il distacco dalle azioni cruente: nel caso dell’uccisione di Polissena, per esempio, non vi è alcuna espressione di dissenso e il valore dell’eroe non è intaccato dall’empietà del gesto. Il rapporto di Quinto con la Seconda sofistica, dunque, non sembra organico, e in ogni caso il poeta non sembra esser stato fautore di quello sperimentalismo propugnato dai protagonisti 104 105

Rare le occorrenze di questo genere: 1,56-61; 3,554-558; 14,17. Vd. 1,622-624; 4,188-192.

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del movimento letterario, mirando piuttosto ad un classicimo – se si vuole ‘di maniera’ – che tuttavia sembra avergli garantito un posto addirittura accanto ai poemi omerici nella storia della trasmissione del testo in età bizantina.

6. La tradizione manoscritta Le particolari vicende legate alla scoperta dell’opera di Quinto Smirneo e alla sua tradizione occidentale sono state oggetto dell’attenzione di diversi studiosi nel corso della seconda metà del secolo scorso. Tra tutti i contributi devono essere senz’altro ricordati quelli fondamentali di F. Vian106, curatore dell’edizione critica pubblicata per i tipi de Les Belles Lettres. «ȀȪȚȞIJȠȞį੻țĮ੿IJ੹ȆȣȡȡȫȞİȚĮ੖ʌȦȢȖİȖȡȐȥȠȞIJĮȚıȠ੿ȝİȜȑIJȦ». Con questa breve frase, estratta da una lettera del Bessarione risalente all’inizio degli anni Cinquanta del XV secolo, il nome di Quinto Smirneo entra nella storia culturale dell’Occidente107. In occasione di una sua visita presso il monastero basiliano di San Nicola di Casole, importante polo culturale a poca distanza dalla città di Otranto108, il Cardinale aveva infatti indi106

Si tratta essenzialmente di Vian 1959a. La lettera, inviata verosimilmente nell’anno 1452, è leggibile ai ff. 243v244r del codice Marc. gr. 527 della Biblioteca Marciana di Venezia; il testo è stato pubblicato in Mohler 1967, 483-484 n. 34, in particolare 484 rr.2-3. Senza che oggi se ne possa comprendere la ragione, lo studioso tedesco ha attribuito alla composizione di Quinto il nome ȆȣȡȡȫȞİȚĮ, facendo leva sulla figura di Neottolemo/Pirro presente nel poema. Siamo oggi dell’opinione che tale nome, non riportato altrove, indicasse piuttosto una qualche altra opera in possesso del Cardinale, a noi ignota. 108 Il monastero di San Nicola, che era stato fondato – o solo restaurato, secondo altre interpretazioni – verso la fine dell’XI secolo, fu distrutto durante l’assalto turco alla città di Otranto tra 1480 e 1481; la sua ricca e preziosa biblioteca subì le stesse tristi vicende del monastero senza che oggi se ne possa individuare o ricostruire la collezione libraria (si consultino Devreesse 1955, 44-48, e Wilson 1967, 53-88, in particolare 73-77). Oltre che dal cardinale Bessarione, sappiamo che diversi libri furono asportati dalla biblioteca dal monaco e umanista Sergio Stiso. 107

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viduato diversi manoscritti di autori allora noti nonché di ignoti; ne era quindi entrato in possesso e aveva ordinato agli scribi suoi collaboratori, nel nostro caso al celebre e attivissimo Michele Apostolio, di provvedere alla realizzazione di nuove copie109. La scoperta bessarionea generò un immediato entusiasmo tra gli eruditi, una vera e propria «reinassance» per il poema di Quinto Smirneo secondo l’immagine di Vian. Un emozionato Costantino Lascaris più volte ritornò su tale importante avvenimento, concentrando l’attenzione sull’ulteriore luce che il “nuovo” testo avrebbe apportato agli studi. Utilizzando il particolare lessico delle Postomeriche per arricchire la casistica del manuale di lingua greca che in quegli anni andava completando, egli contribuì notevolmente al successo del poema. Esemplari sono le parole impiegate per celebrare Bessarione e la sua attività, «ਥʌİȚį੽ਲȝ૵ȞȠੂʌĮȜĮȓIJİȡȠȚȠ੝țȠੈį¶੖ʌȦȢਕʌȑȕĮȜȠȞੑȜȚȖȦȡȒıĮȞ IJİȢ IJȠȚȠȪIJȠȣ ਕȞįȡઁȢ ਥij¶ਲȝ૵Ȟ į੽ İ੝ȡȑșȘ ȝİIJ੹ IJ੽Ȟ ਙȜȦıȚȞ IJોȢ țȠȚȞોȢ ʌĮIJȡȓįȠȢ țĮ੿ ʌİȡȚİıȫșȘ țĮ੿ įȚİįȩșȘ ਫ਼ʌઁ IJȠ૨ ʌȐȞIJ¶ਕȖĮșȠ૨țĮ੿੖ȞIJȦȢıȠijȠ૨țĮ੿IJોȢʌĮȜĮȚȩIJȘIJȠȢਕȞĮțĮȞȚıIJȠ૨ǺȘııĮȡȓȦȞȠȢ IJȠ૨ ȃȚțĮȓĮȢ țĮȡįȚȞȐȜİȦȢ ȝİȖȓıIJȠȣ ਥij¶ਲȝ૵Ȟ ȖİȖȠȞȩIJȠȢ ਙȜȜĮIJİʌȠȜȜ੹ਕȞĮıȫıĮȞIJȠȢțĮ੿IJĮȪIJȘȞIJ੽ȞʌȠȓȘıȚȞİਫ਼ȡȩȞIJȠȢਥȞ IJ૶ȞĮ૶IJȠ૨ਞȖȓȠȣȃȚțȠȜȐȠȣIJ૵ȞȀĮıȪȜȦȞIJ૶਩ȟȦIJોȢʌȩȜİȦȢ ੥įȡȩȞIJȠȣ»; ma ancor più importanti e tuttora significativi gli incitamenti agli umanisti per una assidua e partecipata frequentazione del testo, «ıʌȠȣįĮıIJȑȠȞਗȞİ੅ȘʌȐıૉıʌȠȣįૌțIJȒıĮıșĮȚ ਕȞĮȖȞ૵ȞĮȚțĮ੿ȝĮIJĮįȠ૨ȞĮȚIJȠ૙ȢȕȠȣȜȠȝȑȞȠȚȢ੆ȞĮțȠȚȞ੽ȖİȞȠȝȑȞȘ ȝȘțȑIJȚਕʌȩȜȠȚIJȠȠ੝Ȗ੹ȡįȓțĮȚȠȞIJ੹IJȠ૙ȢਙȜȜȠȚȢȝİIJ੹ʌȩȞȠȣʌȠȚȘșȑȞIJĮਫ਼ʌ¶ਕȝİȜİȓĮȢਲ਼ijșȩȞȠȣȜȒșȘȢȕȣșȠ૙ȢʌĮȡĮįȠ૨ȞĮȚȉĮ૨IJĮIJȠȚ ਕȞĮȖȞȦıIJȑȠȞțĮ੿ȝİIJĮįȠIJȑȠȞIJ૵ȞʌȠȜȜ૵ȞȤȐȡȚȞਕȞĮȖțĮȓȦȞ»110. 109

Come si vedrà in seguito, la copia realizzata da Michele Apostolio è individuabile nell’attuale codice Ambr. D 528 inf. 110 Un punto di partenza per l’indagine sulla figura di Costantino Lascaris è Martínez Manzano 1998. Le frasi riportate sono tratte dall’introduzione all’edizione di Quinto Smirneo curata dall’umanista, il cui testimone più importante è costituito dal codice Matr. gr. 4686, interamente vergato dal Lascaris e sottoscritto il 13 giugno 1496 a Messina (in particolare, PG CLXI, coll. 944-945 D-B; si veda anche Regiae Bibliothecae Matritensis codices gra-

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Come conseguenza delle vicende appena illustrate, tutti i manoscritti delle Postomeriche in nostro possesso sono posteriori alla metà del XV secolo e, filologicamente, sono riconducibili a due differenti famiglie stemmatiche i cui capostipiti non sono purtroppo giunti fino a noi: il codice ritrovato dal cardinale Bessarione (detto Hydruntinus, H, per la provenienza) e un altro ignoto manoscritto identificato genericamente come Y e ben rappresentato dal discendente Neap. gr. II F 10 (detto Parrhasianus, P, dal nome di un suo possessore, il celebre umanista Aulo Giano Parrasio). Questi testimoni hanno un’origine comune (ȍ), come è stato possibile dimostrare attraverso un errore occorso al IV libro del poema111. Dalla differente gestione di tale accidente materiale è stato possibile stabilire che, tra i due discendenti, Y è stato copiato eci manuscripti. Joannes Iriarte illustravit, volumen prius, Matriti 1769, 192196); la sottoscrizione è leggibile al f. 185v: «IJȑȜȠȢIJોȢįȣıİȣȡȑIJȠȣʌȠȚȒıİȦȢ IJȠ૨ȀȠ૘ȞIJȠȣ ਴ȞȀȦȞıIJĮȞIJ૙ȞȠȢ ੒ȁȐıțĮȡȚȢ ਥȟȑȖȡĮȥİȞ ਩IJȘįȪȠțĮ੿ ਦȟȒțȠȞIJĮ ȖİȖȠȞઅȢ ਥȞȂİııȒȞૉIJોȢȈȚțİȜȓĮȢ ਥȟ ਕȞIJȚȖȡȐijȦȞıijĮȜİȡȦIJȐIJȦȞȉĮ૨IJĮIJȠȚ įȚȠȡșȦIJȑȠȞIJ੹ȝ੽ ੑȡș૵ȢȖİȖȡĮȝȝȑȞĮ ਩IJİȚ ਕʌઁșİȠȖȠȞȓĮȢĮȣࢯȢ ਲȝȑȡ઺ȚȖ ੁȠȣȞȓȠȣ (PG CLXI, coll. 941-942, e Regiae Bibliothecae Matritensis…, p. 192; in Martínez Manzano 1998, 39 num. 83, si legge invece ੁĮȞȠȣĮȡȓȠȣ. L’autopsia condotta da Carmen García Bueno, che desidero qui ringraziare, conferma la bontà della lettura riportata nella Patrologia graeca) ȝȘȞȩȢ». Dello stesso tono l’affermazione leggibile nella grammatica del Lascaris: «poesis autem Homericissimi Quinti multo tempore ignota fuit et tanquam exstincta. Sed proprius Bessarion Nicaeas, cardinalis Tusculanus, ille sane quam bonus et ut Homerice dixerim similis Deo vir, plurima in nos et hanc ex Apulia cum servasset volentibus tradidit» (Crasso 1678, 436). 111 A seguito del distacco di un foglio e, conseguentemente, di un’errata ricollocazione dello stesso, i vv. 4,526-573 sono stati trasposti dopo il 5,158a in P (che segnala in margine il problema) mentre il copista di H, pur ripristinando la corretta sequenza, ha inserito per una svista 5,158a tra i vv. 4, 524 e 4, 526. Inoltre, tale accidente ci consente di ricostruire la materialità di ȍ un cui foglio doveva verosimilmente veicolare 48 versi, 24 per ogni singola facciata (per ogni approfondimento, si rimanda a Vian 1, XLVIII-XLIX). Alcuni hanno proposto di identificare ȍ con lo stesso codice riscoperto da Bessarione ma, come ha sostenuto Vian, «cette hypothèse est insoutenable, si on tient compte de la supériorité de Y et de la date à la quelle il à été utilisé par les copistes» (Vian 1, XLIX; si veda inoltre Vian 1959a, 105-107).

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per primo. Tuttavia, questa priorità temporale non comporta affatto che il testo da esso veicolato sia in assoluto il migliore e il più degno di fede: sebbene ricco di omissioni ed errori imputabili all’imperizia del suo scriba, addirittura illeggibile in molti passaggi, H rimane fondamentale per la constitutio textus di Quinto Smirneo. Tale considerazione è inoltre rafforzata dal fatto che il colto copista di Y è spesso intervenuto con alcune personali congetture, talvolta azzardate, per sanare il testo. Dell’archetipo di questo stemma bipartito, ȍ, non siamo purtroppo in grado di ricostruire con un accettabile margine di sicurezza né l’origine né le caratteristiche fisiche. Si può solo ipotizzare che questo risalga al periodo 1260-1280 grazie al confronto con la tradizione di Callimaco, il cui archetipo, anch’esso con la stessa mise en page a 24 versi per pagina, è riferibile a detto periodo; nessun riferimento, invece, per quanto riguarda l’origine del manoscritto. La perturbazione nell’ordine dei vv. 539-578 e 579-618 del XIV libro in tutti i testimoni delle Postomeriche, causata verosimilmente dalla trasposizione di due fogli, ci fa immaginare che l’antigrafo di ȍ «avait vingt vers par page et que les hautes et les bas des feuillets étaient devenus difficiles à lire, lorsque : (ou l’un de ses devanciers) l’a utilisé»112. In conclusione, forniamo qualche informazione sui manoscritti utilizzati per ricostruire il testo presentato in questo volume113. Per il ramo di H abbiamo dapprima: L’Ambros. D 528 inf. (D), la copia eseguita da Michele Apostolio per ordine di Bessarione in un momento imprecisato compreso tra la scoperta del manoscritto e l’anno 1462, terminus ante quem indicato da una nota di acquisto vergata su uno dei suoi fogli. E quindi, dopo che il modello si usurò al punto che alcuni passi risultarono addirittura illeggibili: 112

Vian 1, L, e Vian 1959a, 108-109. Si segnala che i copisti dei codici C, V e R hanno inserito le Postomeriche tra l’Iliade e l’Odissea (inoltre, in R si può leggere anche la Vita di Omero dello Ps. Erodoto, in V gli Inni omerici e la Batracomiomachia); nel Parrhasianus, l’opera di Quinto Smirneo è accompagnata dagli Inni orfici e dagli Inni di Proclo. 113

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Il Vat. Urb. gr. 147 (U), realizzato probabilmente a Londra; Il Vat. Barb. gr. 166 (Q), trascritto a Parigi nel 1476 da Giorgio Hermonyme di Sparta; Il Cantabr. Corpus Christi 81 (C), la copia più recente di un ormai degradato H, realizzata prima del 1468 quando il suo apografo, il Marc. gr. 456 (V), fu registrato tra i manoscritti posseduti dal Bessarione. Un ulteriore apografo di C è identificabile nel Brux. gr. 11400 (B). E gli apografi diretti dello stesso D: Il Laur. 56,29, opera di Giorgio Trivizia; Il Neap. gr. II E 24 (L); Il Matr. gr. 4566, una copia che Costantino Lascaris allestì insieme a diversi altri copisti italiani tra il 1464 e 1465. Tale copia fu poi utilizzata molto nel milieu del celebre umanista e fu antigrafo di altri manoscritti, il più importante dei quali è il già citato Matr. gr. 4686114; Un manoscritto ignoto, b, rappresentato ora dagli apografi Neap. gr. II F 11 (N), Vind. phil. gr. 5 (R) e d, l’antigrafo dell’attuale Scorial. Ȉ II 8 (E) e dell’edizione aldina (Ald.), stampata a Venezia tra il 1504 e il 1505115. Molto più povero il ramo di Y. Oltre al già citato Parrhasianus Neap. gr. II F 10 (P), vergato da un anonimo copista dell’Italia meridionale al quale si deve anche il Sofocle Vat. gr. 2291, abbiamo il Monac. gr. 264 (M)116 e le varianti inserite nei margini e nell’interlinea di N da un anonimo erudito del XVI secolo117 che ci fanno ipotizzare l’esistenza di un’ulteriore copia attualmente perduta. 114

Nella presente edizione si indicano con il siglum Lasc.1 le correzioni del Matr. gr. 4566, con Lasc.2 quelle del Matr. gr. 4686. 115 R e d mostrano molte correzioni in comune le quali lasciano immaginare che siano stati entrambi ricopiati dopo una revisione generale dell’antigrafo b. 116 Questo manoscritto veicola solo una parte del poema (in particolare, le sezioni I,1-IV,10 e l’intero libro XII); ciò potrebbe essere spiegato con una divisione dell’antigrafo in due tomi. 117 Tali interventi saranno indicati come Nr; la collazione eseguita da questo personaggio è incompleta e si arresta alla fine del VII libro.

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7. La fortuna Dopo la scoperta di Bessarione e l’entusiasmo del Lascaris, copie manoscritte dei Posthomerica cominciano a circolare innanzi tutto nell’Italia umanistica, ma anche in Francia: a Parigi un codice ancora manoscritto porta la data del 1473. Angelo Poliziano, nell’ultimo decennio del XV secolo, ne fa già uso per il suo commento alle Silvae di Stazio. Nel 1505 vede la luce la prima edizione a stampa dell’opera, presso i tipi di Aldo Manuzio, che mette a frutto un codice discendente dalla copia di Lascaris, e determina la fortuna dell’epiteto Calaber per Quinto, indebitamente generato, come si è detto, dal luogo di ritrovamento del manoscritto da parte di Bessarione (Otranto faceva parte della Calabria): sotto il nome di Quinto Calabro circoleranno dunque nel Rinascimento europeo i Posthomerica, spesso indicati anche come Paralipomeni a Omero. L’edizione aldina non offriva un testo affidabile, e fu per certi versi peggiorata dall’edizione di Basilea del 1552. Ma la stampa permise a Quinto di divenire, in breve tempo, un autore assai frequentato da poeti e letterati del XVI secolo. Nel 1539 intanto, ad Anversa, vedeva la luce la prima traduzione latina di Quinto, ad opera di Jodocus Velareus. La ‘rinascita’ del poema epico storico e cavalleresco, soprattutto nelle corti signorili italiane del Cinquecento, fu indubbiamente una delle ragioni della fortuna di Quinto. Tasso, Giovabattista Giraldi Cinzio, Giangiorgio Trissino e altri dibattevano, in quel tempo, sulla natura e le forme del poema epico, toccando temi quali le inserzioni avventurose nella trama, la presenza di eroine femminili, l’unità ‘aristotelica’ di tempo e di luogo. Tutti argomenti per i quali Quinto forniva spunti di riflessione. Il Cinzio, in una lettera a Bernardo Tasso, padre di Torquato e anch’egli poeta (del 5 ottobre 1557), dichiara di non aver inserito nel proprio poema Ercole troppe similitudini, come fanno Omero e Quinto Calabro, ma di aver preferito seguire l’esempio del più parco Virgilio. Torquato Tasso, a proposito dell’unità di luogo, adducendo esempi classici in cui l’azione non si svolge in

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un unico luogo ma comprende digressioni in altri contesti, cita Quinto insieme ad Apollonio (Rodio) e Stazio, pur definendoli “non della prima bussola, come Euripide” (Lettera a Luca Scalabrino, 15 ottobre 1576); ancora a proposito dell’unità di luogo nella sua Gerusalemme liberata, afferma: “Se a Quinto Calabro, poeta greco et antico (le quali condizioni, quando tutte l’altre mancassero, gli possono dare molta autorità), è lecito, seguendo Sofocle, far che Filottete sia richiamato dall’isola di Lenno; non cred’io ch’a me sia disconvenevole il richiamar Rinaldo dalle Canarie” (Lett. a Silvio Antoniano, 30 marzo 1576): di nuovo i Posthomerica sono giudicati con una certa diffidenza dal punto di vista artistico, ma degni della massima importanza come fonte e modello epico. Nei Discorsi del poema eroico (III), ancora, sembra giustificare Quinto – da alcuni invece ritenuto “soverchio” – per aver voluto ‘concludere’ in un certo senso l’Iliade fino alla caduta di Troia, come ha inteso fare egli stesso narrando la conquista di Gerusalemme. Tra i detrattori di Quinto, all’epoca, si annoveravano invece Ludovico Castelvetro, commentatore della Poetica aristotelica (1570), e Jacopo Mazzoni, che nel 1587 scrisse una Difesa della poesia di Dante proprio contro i ‘nuovi’ (o meglio: riscoperti) epici. Tasso, in sostanza, non sembra aver disprezzato i Posthomerica e con molta probabilità ne riprese alcune strutture formali (l’episodio del ‘recupero’ di un eroe da un’isola); e forse proprio a Quinto si ispirò per una delle scene più patetiche e famose del poema, la morte di Clorinda uccisa in singolar tenzone da Tancredi: proprio la presenza di un’eroina femminile nel suo poema, del resto, era stato uno dei punti criticati a Tasso, il quale invece, chiedendosi perplesso come mai Omero non ne avesse parlato nell’Iliade (Del giudizio sopra la Gerusalemme da lui medesimo riformata, II), lodava implicitamente Quinto Calabro per averne fatta uno dei protagonisti delle Postomeriche. Se la comunità dei letterati discuteva di Quinto come modello per l’epica, il pubblico delle corti rinascimentali italiane trovò, sul finire del XVI secolo, il primo volgarizzatore del poema. Bernardino Baldi da Urbino (1553-1617), abate umanista e ma-

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tematico, frequentatore della corte dei Gonzaga a Mantova e dei Montefeltro a Urbino, traduttore di Arato e autore egli stesso di poemetti didascalici di argomento matematico e astronomico, realizzò nel 1596 il primo volgarizzamento dei Posthomerica, in endecasillabi sciolti. Nella prefazione al testo, anche Bernardino Baldi apprezza l’arte di Quinto, “il quale con molto giudizio mostra d’essersi guardato da tutte quelle cose che in Omero devono non lodarsi. E pare a me che questi abbia fatto con Omero quello che fece Virgilio con Ennio, da cui prese le cose buone e lasciò le viziose”. Mentre nelle corti italiane Quinto godeva di fortunata divulgazione, e in Francia intellettuali e poeti (da Pellettier a Ronsard) discutevano sul valore di Quinto con pareri contrastanti118, a Jena, in Germania, un umanista luterano professore di Teologia e Storia, Lorenz Rhodomann, preparava la prima edizione criticamente rivista del testo di Quinto. Nel 1577, a Lipsia, vide la luce la sua edizione, con adnotationes di vario tipo e una traduzione latina (non in versi) di Michael Neander, suo collega a Jena: a Rhodomann, che prima di morire rieditò nel 1604 il testo, con numerose migliorie, si devono la maggior parte dei restauri testuali ancora oggi stampati dagli editori. La sua edizione, con le postille critiche di Claude Dausque, gesuita belga canonico di Tournai, del 1614, fu il testo di riferimento fino al XIX secolo119. Non mancavano, tuttavia, giudizi negativi su Quinto: in Francia Adrien Baillet e Pierre Boyle, grandi umanisti e eruditi, pur menzionandolo nelle loro opere enciclopediche, non ne ritenevano pregevole il valore artistico120. Fu all’inizio dell’Ottocento che su Quinto di Smirne si aprì una nuova stagione di intensi studi, soprattutto in ambito tedesco: Thomas Tychsen, professore a Tubinga, nel 1807 offrì un primo studio dei codici; Karl Lehrs, che ricopriva la cattedra di 118

Bouvier 2007, 320-323. L’edizione di Johannes Cornelius de Pauw, del 1734, presentava troppi emendamenti, e non venne giudicata positivamente. 120 Vd. Bouvier 2007, 315-316. 119

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greco a Könisberg, nel 1840 pubblicò un nuovo testo con traduzione latina; persino Gottfried Hermann, a Lipsia, definiva Quinto come uno dei migliori poeti greci121. Nel 1850, dopo un quindicennio di lavori preparatori, il giovane Armin Kökly, allievo di Hermann, pubblicò proprio a Lipsia una monumentale edizione commentata che è rimasta insostituita per oltre un secolo. Volgarizzamenti e traduzioni nelle lingue moderne, intanto, vedevano la luce in Francia (René Tourlet, 1800), in Germania (Jakob Christian Donner, 1866), in Inghilterra (Arthur S. Way, nel 1913). In Italia, vanno menzionate quella dell’abate Eustachio Fiocchi (Pavia 1803), quella di Paolo Tarenghi, un altro abate professore di latino a Vilnius (1809) e quella del Cavalier Luigi Rossi, intellettuale della Napoli borbonica (1825). Anche la poetessa Teresa Bendettini-Landucci, famosa improvvisatrice e animatrice dei circoli arcadi del Granducato di Toscana (era nota con il nome arcade di Amarilli Etrusca), realizzò una traduzione in versi italiani uscita a Modena nel 1815. Tranne alcuni studi dell’italiano Angelo Taccone, docente di greco nell’università di Torino, che realizzò anche versioni del I e del III libro (1910), l’interesse per Quinto e i Posthomerica sembra conoscere un lungo periodo di declino per tutta la prima metà del Novecento, forse anche in ragione dei giudizi poco lunsighieri nelle letterature di riferimento, ad esempio quella dei Croiset in Francia (1899), di Wilamowitz (1907) e ChristSchmidt (1924) in Germania. Occorre dunque arrivare alla fine degli anni cinquanta per assistere ad una ripresa degli studi. È stato François Vian, tra il 1954 e il 1969, ad imprimere una svolta ancora insostituita nell’approccio filologico e culturale al poema di Quinto. Vian, fornendo due fondamentali studi (sul testo e sulle fonti) e l’unica – ancora oggi – edizione critica moderna dell’opera, ha rivalutato l’importanza di Quinto nel panorama dell’epica antica, aprendo nuove strade di ricerca che ancora oggi meritano di essere percorse. In Italia, tra il 1979 e il 1993, Giuseppe Pompella ha realizzato un’edizione critica (poi ristam121

Hermann 1877, 8, 24.

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pata nel 2002 nella Bibliotheca Weidmanniana), con traduzione, che purtroppo non ha goduto di adeguata fortuna. In Spagna, a breve distanza, due traduzioni integrali sono state pubblicate (Calero Secal, 1993; García Romero, 1997), e hanno suscitato un notevole sviluppo di studi. Recentissima è, infine, la nuova traduzione inglese di James (2004). Nonostante l’ingeneroso giudizio di Genette, che in Palimpsestes (1982) ha cursoriamente dichiarato che ben dieci libri dei Posthomerica su quattordici altro non sarebbero che una “interminable et accablante caricature”, negli ultimi anni gli studi su Quinto di Smirne hanno ricevuto un impulso deciso sia per il nuovo approccio – di cui si è parlato – che ha inteso rapportare il poema al milieu della seconda sofistica, sia per le numerose edizioni commentate di singoli libri, alcune già uscite (I,1-219 e XII), altre in preparazione (IX e X). Con questa traduzione integrale italiana, di fatto la prima e unica realmente disponibile al grande pubblico, si intende rimettere in circolazione, anche in Italia, un testo che merita l’interesse del lettore, non solo del filologo, in quanto unico poema epico greco che racconti le vicende dimenticate degli ‘altri’ protagonisti del mito troiano, dall’infelice amazzone Pentesilea al gigante etiope Memnone, dall’Aiace impazzito al temerario Euripilo, dal violento Neottolemo alla passionale Enone.

Questo lavoro è stato ideato e realizzato da giovani e giovanissimi studiosi, di diverse università italiane. Lo dedichiamo a tutti coloro che dànno fiducia ai giovani, in primis a Giovanni Reale.

Quinto di Smirne IL SEGUITO DELL’ILIADE ȀȩȧȞIJȠȢȈȝȣȡȞĮ૙ȠȢ ȉ$ȀǹĬ¶2ȂǾȇȅȃ

LIBRO PRIMO traduzione e note di Nicoletta Canzio

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Eâq' ØpÕ Phle…wni d£mh qeoe…keloj “Ektwr ka… ˜ pur¾ katšdaye kaˆ Ñstša ga‹a kekeÚqei d¾ tÒte Trîej œmimnon ¢n¦ Pri£moio pÒlha deidiÒtej mšnoj ºÝ qrasÚfronoj A„ak…dao: ºÚt' ™nˆ xulÒcoisi bÒej blosuro‹o lšontoj ™lqšmen oÙk ™qšlousin ™nant…ai, ¢ll¦ fšbontai „lhdÕn ptÉssousai ¢n¦ ˜wp»áa pukn£: ìj o‰ ¢n¦ ptol…eqron Øpštresan Ôbrimon ¥ndra, mnhs£menoi protšrwn ÐpÒswn ¢pštamne k£rhna qÚwn 'Ida…oio perˆ procoÍsi Skam£ndrou, ºd' Óssouj feÚgontaj Øpaˆ mšga te‹coj Ôlessen, “Ektor£ q' Çj ™d£masse kaˆ ¢mfe…russe pÒlhá, ¥llouj q' o¿j ™d£áxe di' ¢kam£toio qal£sshj, ÐppÒte d¾ t¦ prîta fšren Trèessin Ôleqron. Tîn o† ge mnhsqšntej ¢n¦ ptol…eqron œmimnon: ¢mfˆ d' ¥ra sf…si pšnqoj ¢nihrÕn pepÒthto æj ½dh stonÒenti kataiqomšnhj purˆ Tro…hj. Kaˆ tÒte 5ermèdontoj ¢p' eÙrupÒroio ˜ešqrwn ½luqe Penqes…leia qeîn ™pieimšnh endoj, ¥mfw, kaˆ stonÒentoj ™eldomšnh polšmoio kaˆ mšg' ¢leuomšnh stuger¾n kaˆ ¢eikša f»mhn, m» tij ˜Õn kat¦ dÁmon ™legce…Vsi calšyV ¢mfˆ kasign»thj, Âj e†neka pšnqoj ¥exen, Titulus Ko…ntou (e„j t¦ add. M) meq' Ómhron in initio Y | tšloj Ko…ntou tîn meq' “Omhron lÒgwn in poematis fine P | Ko…ntou H 1 Ñstša p£nta codd. : corr. Tychsen | kškeuqe Y : kškautai H : corr. Lehrs 3 kat¦ Pri£moio Y | ptol…eqron H 9 mn»santej R : mn»san M | ÐpÒswn ¢pÒ qumÕn ‡aye(n) Vian 11 ºd' ÐpÒsouj Vian 12 kaˆ Ãmar œrusse pol»wn H 14 fšren tškessin R 16 pepÒthto om. H 18 eÙrupÒroio ˜o£wn H 21 mšga a„domšnh H

[L’arrivo di Pentesilea]1 Dopo che Ettore simile a un dio2 fu abbattuto dal Pelide, e la pira l’ebbe consunto e la terra ne racchiuse le ossa, i Troiani pur resistevano in su la rocca di Priamo temendo in cuor loro l’impeto dell’Eacide animo coraggioso; come quando nei boschi i buoi di un fiero leone3 temono l’incontro, e fuggono in preda al terrore rintanandosi a torme4 nel cuore della selva, così essi nella rocca si ritrassero atterriti dall’eroe possente5 rammentando di quanti in precedenza avesse reciso il capo, infuriando lungo le rive dell’Ideo Scamandro; e quanti in fuga avesse trafitto sotto il grande muro; e come avesse abbattuto Ettore e intorno alla città lo avesse trascinato;6 e come avesse dilaniato altri ancora nella distesa del mare mai quieto, quando per la prima volta seminò la morte tra i Troiani. Così, ricordando quei lutti, resistevano in su la rocca; e intorno a loro aleggiava l’affanno penoso come se già Troia ardesse avvolta nel fuoco funesto. E allora dalle correnti del Termodonte ampio corso7 giunse Pentesilea, di divina bellezza vestita, per due motivi, sia perché bramosa di guerra funesta, sia perché stava fuggendo una odiosissima e infausta fama:8 che qualcuno tra il suo popolo con biasimo non la turbasse a cagione di Ippolita, sua sorella,9 per la quale ella più si doleva,10

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DIppolÚthj: t¾n g£r ˜a katšktane dourˆ krataiÚ, oÙ män d¾ ti ˜koàsa, tituskomšnh d' ™l£foio: toÜnek' ¥ra Tro…hj ™rikudšoj †keto ga‹an. PrÕj d' œti od tÒde qumÕj ¢r»áoj Ðrma…nesken, Ôfra kaqhramšnh perˆ lÚmata lugr¦ fÒnoio smerdalšaj qušessin 'ErinnÚaj ƒl£sshtai, a† oƒ ¢delfeiÁj kecolwmšnai aÙt…c' ›ponto ¥frastoi: ke‹nai g¦r ¢eˆ perˆ possˆn ¢litrîn strwfînt', oÙdš nu œsti qe¦j ¢litÒnq' ØpalÚxai. SÝn dš oƒ ¥llai ›ponto duèdeka, p©sai ¢gaua…, p©sai ™eldÒmenai pÒlemon kaˆ ¢eikša c£rmhn, a† oƒ dmw…dej œskon ¢gakleita… per ™oàsai: ¢ll' ¥ra pas£wn mšg' Øpe…rece Penqes…leia. `Wj d' Ót' ¢n' oÙranÕn eÙrÝn ™n ¥strasi d‹a sel»nh ™kpršpei ™n p£ntessin ¢riz»lh gegau‹a, a„qšroj ¢mfiragšntoj Øpaˆ nefšwn ™ridoÚpwn, eât' ¢nšmwn eÛdVsi mšnoj mšga l£bron ¢šntwn, ìj ¼ g' ™n p£sVsi metšprepen ™ssumšnVsin. ”Enq' ¥r' œhn Klon…h Polemoàs£ te DhrinÒh te EÙ£ndrh te kaˆ 'Ant£ndrh kaˆ d‹a Bršmousa ºdä kaˆ `IppoqÒh, met¦ d' `ArmoqÒh kuanîpij 'Alkib…h te kaˆ 'AntibrÒth kaˆ Dhrim£ceia, tÍj d' œpi 5ermèdossa mšg' œgceá kudiÒwsa: tÒssai ¥r' ¢mfišponto dapfroni Penqesile…V. O†h d' ¢kam£toio katšrcetai OÙlÚmpoio 'Hëj marmaršoisin ¢gallomšnh fršnaj †ppoij `Wr£wn met' ™uplok£mwn, met¦ dš sfisi p£saij ™kpršpei ¢glaÕn endoj ¢mwm»toij per ™oÚsaij: to…h Penqes…leia mÒlen potˆ Trèáon ¥stu œxocoj ™n p£sVsin 'AmazÒsin. 'Amfˆ dä Trîej 32 ti œsti Vian : tin’ Hermann 33 ›ponto om. H 40 om. H | mšga laàron U : corr. Tychsen 41 ™n p£ntessi U : corr. Heyne 42 DhriÒnh codd. : corr. Köchly (cf. 230, 258) 45 dham£ceia R : dh ¢m£cea Mac : -ceia Mpc 48 katšrcetai ¢p' oÙlÚmpou codd. : corr. Rhodomann

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giacché l’aveva colpita con la potente asta, senza volerlo, mentre prendeva un cervo di mira; per questo ella giunse alla terra dell’inclita Troia. Inoltre anche a ciò mirava l’animo suo bellicoso: affinché, purificata dall’infelice macchia dell’assassinio, con sacrifici potesse placare le Erinni spaventose,11 le quali, con lei incollerite per la morte della sorella, invisibili12 la incalzavano, giacché sempre esse intorno ai colpevoli si aggirano, né è dato al colpevole sfuggire alle dee. La seguivano dodici fanciulle,13 tutte splendide, tutte bramose di guerra e d’infausto ardore. Pur essendo nobili, erano sue ancelle, ma tutte quante di gran lunga superava Pentesilea. Come quando, nell’ampia volta del cielo, tra le stelle,14 la splendida luna rifulge tra tutte spiccando, allorché il cielo è stato squarciato dalle nubi tonanti, e ha quiete il potente impeto dei venti che spirano furiosi,15 così ella spiccava tra le fanciulle che incalzavano. E v’erano Clonia, Polemusa e Derinoe e ancora Evandra, Antandra e Bremusa la divina e Ippotoe, Armotoe occhi di cielo, Alcibia, Antibrote e Derimachia; infine, dopo queste, Termodossa della lancia assai fiera; tante attorniavano la valente Pentesilea.16 Quale discende dall’Olimpo instancabile Aurora, che dei suoi rilucenti destrieri si compiace, con le Ore riccioli belli; ma su tutte quante che pur sono senza biasimo, rifulge il suo splendido aspetto, tale Pentesilea si mosse verso la città di Troia,17 eminente tra tutte le Amazzoni. Tutt’intorno i Troiani

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p£ntoqen ™ssÚmenoi mšg' ™q£mbeon, eât' ™s…donto ”Areoj ¢kam£toio baqukn»mida qÚgatra e„domšnhn mak£ressin, ™pe… ˜£ oƒ ¢mfˆ prosèp. ¥mfw, smerdalšon te kaˆ ¢glaÕn endoj Ñrèrei, meidiÒws' ™rateinÒn, Øp' ÑfrÚsi d' ƒmerÒentej Ñfqalmoˆ m£rmairon ¢l…gkion ¢kt…nessin, a„dëj d' ¢mferÚqhne par»áa, tîn d' ™fÚperqe qespes…h ™pškeito c£rij kataeimšnh ¢lk»n. Laoˆ d' ¢mfeg£nunto kaˆ ¢cnÚmenoi tÕ p£roiqen: æj d' ÐpÒt' ¢qr»santej ¢p' oÜreoj ¢groiîtai ’Irin ¢negromšnhn ™x eÙrupÒroio qal£sshj, Ômbrou Ót' „scanÒwsi qeoudšoj, ÐppÒt' ¢lwaˆ ½dh ¢paua…nontai ™eldÒmenai DiÕj Ûdwr, Ñyä d' ØphclÚnqh mšgaj oÙranÒj, o‰ d' ™sidÒntej ™sqlÕn sÁm' ¢nšmoio kaˆ Øetoà ™ggÝj ™Òntoj ca…rousin, tÕ p£roiqen ™pisten£contej ¢roÚraij: ìj ¥ra Trèáoi umej, Ót' œdrakon œndoqi p£trhj dein¾n Penqes…leian ™pˆ ptÒlemon memau‹an, g»qeon: ™lpwr¾ g¦r Ót' ™j fršnaj ¢ndrÕj †khtai ¢mf' ¢gaqoà, stonÒessan ¢maldÚnei kakÒthta. ToÜneka kaˆ Pri£moio nÒoj polša sten£contoj kaˆ mšg' ¢khcemšnoio perˆ fresˆ tutqÕn „£nqh. `Wj d' Ót' ¢n¾r ¢lao‹sin ™p' Ômmasi poll¦ mog»saj ƒme…rwn „dšein ƒerÕn f£oj À qanšesqai À pÒn. „htÁroj ¢mÚmonoj ºä qeo‹o Ômmat' ¢paclÚsantoj ‡dV f£oj ºrigene…hj, oÙ män Óson tÕ p£roiqen, Ómwj d' ¥ra baiÕn „£nqh pollÁj ™k kakÒthtoj, œcei d' œti p»matoj ¥lgoj

58 meidiÒwn W : meid…aen d’ Vian : corr. Rhodomann 60 parhi£don codd. : corr. Rhodomann 61 c£rij katakeimšnh R : ™pieimšnh M

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corsi da ogni dove molto si stupivano, quando volsero lo sguardo verso la figlia di Ares instancabile dagli alti schinieri18 simile ai beati, poiché duplice era il suo volto, apparendo ora terribile ora fulgida, quand’ella amabilmente sorrideva,19 e sotto le ciglia dolci gli occhi lucevano simili a raggi di sole; il pudore di rosso le tingeva le gote, sulle quali soave grazia si posava, di coraggio vestita.20 Molto gioiva la folla, che pure fino a poco prima si doleva, come quando i contadini, scorgendo dalla cima del monte un arcobaleno21 che si leva dall’immensa distesa del mare, allorché la divina pioggia bramano, quando le viti agognanti l’acqua di Zeus sono ormai inaridite e finalmente s’oscura la grande volta del cielo, ed essi scorgendo il prezioso presagio del vento e della pioggia ch’è ormai vicina, gioiscono, essi che fino a poco prima sospiravano per i propri campi; proprio così i figli dei Troiani, allorché videro tra le patrie mura la veemente Pentesilea in preda al furor di guerra gioirono; giacché quando l’animo dell’uomo cinge la speranza di un bene, le luttuose sventure si acquietano.

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[Gioia di Priamo, presentimento funesto di Andromaca] Perciò anche l’animo di Priamo, che assai gemeva, e molto era afflitto in cuor suo, un poco ebbe conforto, come quando un uomo che per la cecità molto ha patito e desidera solo rivedere la sacra luce o morire o per mano sapiente d’un medico o d’un dio22 che gli occhi gli rischiari, torna a vedere la luce del mattino; non proprio come prima, tuttavia un poco si consola dalla molta sventura, sebbene il dolore della sciagura permanga

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a„nÕn ØpÕ blef£roisi leleimmšnon: ìj ¥ra dein¾n uƒÕj Laomšdontoj ™sšdrake Penqes…leian: paàron män g»qhse, tÕ dä plšon e„sšti pa…dwn ¥cnut' ¢poktamšnwn. ”Age d' e„j ˜¦ dèmat' ¥nassan, ka… min profronšwj t…en œmpedon, eâte qÚgatra thlÒqe nost»sasan ™eikostÚ luk£banti, ka… oƒ dÒrpon œteuxe pane…daton, omon œdousi kud£limoi basilÁej, Ót' œqnea dVèsantej da…nunt' ™n qal…Vsin ¢gallÒmenoi perˆ n…khj. Dîra dš oƒ pÒre kal¦ kaˆ Ôlbia, poll¦ d' Øpšsth dwsšmen, Àn Trèessi daázomšnoij ™pamÚnV. vH d' ¥r' Øpšsceto œrgon · oÜ pote qnhtÕj ™èlpei, dVèsein 'AcilÁa kaˆ eÙrša laÕn Ñlšssein 'Arge…wn, nÁaj dä purÕj kaqÚperqe balšsqai, nhp…h: oÙdš ti Édh ™ummel…hn 'AcilÁa, Ósson Øpšrtatoj Ãen ™nˆ fqis»nori c£rmV. TÁj d' æj oân ™p£kousen ™åj p£ij 'Het…wnoj 'Androm£ch, m£la to‹a f…l. proselšxato qumÚ: «’A deil», t… nu tÒssa mšga fronšous' ¢goreÚeij; OÙ g£r toi sqšnoj ™stˆn ¢tarbšá Phle…wni m£rnasq', ¢ll¦ soˆ ðka fÒnon kaˆ loigÕn ™f»sei. Leugalšh, t… mšmhnaj ¢n¦ fršnaj; ’H nÚ toi ¥gci ›sthken 5an£toio tšloj kaˆ Da…monoj Ansa. “Ektwr g¦r sšo pollÕn Øpšrteroj œpleto dour…: ¢ll' ™d£mh kraterÒj per ™èn, mšga d' ½kace Trîaj o† ˜ qeÕn ìj p£ntej ¢n¦ ptÒlin e„sorÒwnto: ka… moi œhn mšga kàdoj „d' ¢ntiqšoij tokšessi zwÕj ™èn. `Wj e‡ me cut¾ kat¦ ga‹a kekeÚqei,

95-96 nÁaj ... nhp…h om. M 98 post 99 transp. P, corr. P1 99 dš post 'Androm£ch add. Y | to‹a f…l. om. Y (et W?) : ™Ú H (per coniecturam?) : corr. Köchly 103 ¥gci om. H 109 kekeÚqoi Lasc.1-2

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atroce nascosto sotto le palpebre;23 proprio così il figlio di Laomedonte scorse la terribile Pentesilea; per poco gioì, che certo era ancora assai afflitto per la morte dei suoi figli. Condusse nella sua reggia la donna,24 e di buon cuore la onorava, costantemente, come una figlia che fa ritorno da terra lontana al ventesimo anno.25 Per lei fece imbandire un banchetto con cibi d’ogni sorta, come son soliti fare gl’illustri sovrani, quando, annientate le genti nemiche, compiacendosi per la vittoria, banchettano in festa. Le offrì doni belli e sontuosi, e molti altri s’impegnò a porgerle, se ai Troiani affranti avesse prestato soccorso.26 Ella però fece voto d’una impresa che mai un mortale aveva concepito: avrebbe annientato Achille e mandato in rovina l’ampia stirpe degli Argivi, e ne avrebbe messo a fuoco le navi; sciocca;27 certo non conosceva affatto Achille dalla forte asta, né quanto primeggiasse nella micidiale pugna. Come Andromaca, la valente figlia di Eezione, l’ebbe ascoltata, in cuor suo tali parole disse: «Sciagurata,28 perché ora, colma d’orgoglio, pronunci tali parole? Certo è che non hai la forza per contendere con l’intrepido Pelide, bensì presto sarà lui a recarti sciagura e rovina. Sventurata,29 cosa ti arde nel petto? Di certo ti sono accanto il destino di Morte30 e la volontà della Moira.31 Infatti Ettore era assai più forte di te nella lancia, ma pur valente perì, e molto afflisse i Troiani, che tutti in città vi posavano gli occhi come su un dio; e mentre era in vita era un gran vanto a vedersi, per me e per i suoi nobili avi. Oh, magari m’avesse ricoperto la terra

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pr…n sfe di' ¢nqereînoj Øp' œgceá qumÕn Ñlšssai. Nàn d' ¥r' ¢£speton ¥lgoj Ñizurîj ™s£qrhsa, ke‹non Ót' ¢mfˆ pÒlha podèkeej e‡ruon †ppoi ¢rgalšwj 'AcilÁoj, Ó m' ¢nšroj eânin œqhke kourid…ou, tÒ moi a„nÕn ¥coj pšlei ½mata p£nta». vWj f£q' ˜Õn kat¦ qumÕn ™Åsfuroj 'Hetiènh mnhsamšnh pÒsioj: m£la g¦r mšga pšnqoj ¢šxei ¢ndrÕj ¢pofqimšnoio saÒfrosi qhlutšrVsin. 'Hšlioj dä qoÍsin ˜lissÒmenoj perˆ d…nVj dÚset' ™j 'Wkeano‹o baqÝn ˜Òon, ½nuto d' ºèj. Ka… ˜' Óte d¾ paÚsanto potoà daitÒj t' ™rateinÁj, d¾ tÒte pou dmwaˆ stÒresan qum»rea lšktra ™n Pri£moio dÒmoisi qrasÚfroni Penqesile…V. vH dä kioàs' eÛdesken, Ûpnoj dš oƒ Ôss' ™k£luye n»dumoj ¢mfipesèn. MÒle d' a„qšroj ™x Øp£toio Pall£doj ™nnes…Vsi mšnoj dolÒentoj 'One…rou, Óppwj min leÚssousa kakÕn Trèessi gšnhtai om t' aÙtÍ, memau‹a potˆ ptolšmoio f£laggaj. Kaˆ t¦ män ìj Êrmaine da…frwn Tritogšneia: tÍ d' ¥ra lugrÕj ”Oneiroj ™f…stato patrˆ ™oikèj, ka… min ™potrÚneske pod£rkeoj ¥nt' 'AcilÁoj qarsalšwj m£rnasqai ™nant…on. vH d' ¢…ousa g»qeen ™n fresˆ p£mpan: Ñpsato g¦r mšga œrgon ™ktelšein aÙtÁmar ¢n¦ mÒqon ÑkruÒenta, nhp…h, ¼ ˜' ™p…qhsen ÑázurÚ per 'One…r. ˜sper…., ·j fàla polutl»twn ¢nqrèpwn

111 ™p£qrhsa H 116 mšga om. H 119 dÚsat' ™j W 120 ka… to…h d’ YQLR : d¾ post to…h add. Dsl (=H?), CNE d¾ post ka… add. Usl : corr. Köchly (cf. VI 96) | ™rateinÁj om. QCNR . 133 ™ktšsein H : -šssein U : corr. Castiglioni

LIBRO PRIMO, VV. 110-135

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prima che lui, trafitto alla gola dalla lancia, perdesse la vita! Invece io, sciaguratamente, dovetti assistere a un indicibile dolore, mentre lo trascinavano intorno alla città i veloci cavalli dello spietato Achille, il quale mi ha resa vedova del legittimo marito. Quest’atroce dolore m’accompagna ogni giorno».32 Così pensò in cuor suo la figlia di Eezione belle caviglie, volgendo la mente allo sposo; giacché molto cresce la pena nelle donne dabbene33 alla morte del proprio uomo. Il Sole, intanto, volgendosi nel suo moto in rapide orbite, discese nella corrente del profondo Oceano e il giorno si compiva. Quando furono sazi del bere e del cibo squisito, allora le serve stesero un morbido giaciglio in una stanza nella dimora di Priamo, per l’ardita Pentesilea.

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[Il sogno ingannatore di Pentesilea, le prime imprese in campo] Questa andò a coricarsi e il sonno le si stese sugli occhi, beatamente cingendola. Ma dal sommo del cielo discese, per ordine di Pallade, la forza d’un Sogno34 ingannatore, perché ella, una volta contemplatolo, fosse la rovina dei Troiani e di sé stessa, ardendo di battersi nella prima fila. Così meditava l’abile Tritogenia;35 sotto le sembianze del padre l’angoscioso Sogno le stette accanto, e la incalzava a misurarsi col veloce Achille e a combattere con coraggio contro di lui; ed ella, prestando ascolto, molto gioiva in cuor suo: credeva che quell’ardua impresa avrebbe compiuto quel giorno stesso nella torbida mischia. Sciocca, perché confidò in un sogno funesto, quello del vespro, che schiere di affannati uomini

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

qšlgei ™nˆ lecšessin ¥dhn ™pikšrtoma b£zwn, Ój min ¥r' ™xap£fhsen ™potrÚnwn ponšesqai. 'All' Óte d» ˜' ™pÒrouse ˜odÒsfuroj 'Hrigšneia, d¾ tÒte Penqes…leia mšg' ™nqemšnh fresˆ k£rtoj ™x eÙnÁj ¢nšpalto kaˆ ¢mf' êmoisin œdune teÚcea daidalÒenta, t£ oƒ qeÕj êpasen ”Arhj. Prîta män ‰r kn»mVsin ™p' ¢rgufšVsin œqhke knhm‹daj crusšaj a† oƒ œsan eâ ¢raru‹ai: ›ssato d' aâ qèrhka pana…olon: ¢mfˆ d' ¥r' êmoij q»kato kudiÒwsa mšga x…foj ú perˆ p£ntV kouleÕj eâ ½skhto di' ¢rgÚrou ºd' ™lšfantoj: ‰n d' œlet' ¢sp…da d‹an ¢l…gkion ¥ntugi m»nhj, ¼ q' Øpär 'Wkeano‹o baqurrÒou ¢ntšllVsin ¼misu peplhqu‹a peri gn£mptÍsi kera…Vj: to…h marma…resken ¢£speton: ¢mfˆ dä kratˆ qÁke kÒrun komÒwsan ™qe…rVsin crusšVsin. vWj   män morÒenta perˆ croq q»kato teÚch: ¢steropÍ d' ¢t£lantoj ™e…deto, t¾n ¢p' 'OlÚmpou ™j ga‹an prophsi DiÕj mšnoj ¢kam£toio deiknÝj ¢nqrèpoisi mšnoj baruhcšoj Ômbrou ºä polurro…zwn ¢nšmwn ¥llhkton „w»n. AÙt…ka d' ™gkonšousa di' ™k meg£roio nšesqai doioÝj e†let' ¥kontaj Øp' ¢sp…da, dexiterÍ dä ¢mf…tupon bouplÁga tÒn oƒ ”Erij êpase dein¾ qumobÒrou polšmoio pelèrion œmmenai ¥lkar. TÚ ™pikagcalÒwsa t£c' ½luqen œktoqi pÚrgwn Trîaj ™potrÚnousa m£chn ™j kudi£neiran ™lqšmenai: toˆ d' ðka sunagrÒmenoi pep…qonto ¥ndrej ¢ristÁej, ka… per p£roj oÙk ™qšlontej st»menai ¥nt' 'AcilÁoj: · g¦r perid£mnato p£ntaj.

137 ™xap£thsen Lasc.2 142 ™p' ¢rguršVsin U : -uršoisin H : corr. Köchly 147 œqet' ¢sp…da codd. : corr. Glasewald 149 perign£mptoisi Vian (cf. Arati Phaen. 790 perign£(m)ptwsi) 154 DiÕj sqšnoj Zimmermann

LIBRO PRIMO, VV. 136-165

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incanta nei loro letti, promettendo illusioni in gran numero: questo illuse anche la ragazza incitandola ad affrontare la battaglia. Ma quando sorse Erigenia dalle rosee caviglie, allora Pentesilea, infondendosi coraggio nel cuore, dal letto balzò e le spalle si cinse con armi lavorate,36 che il dio Ares le aveva donato. Per prima cosa intorno alle bianche gambe pose gli schinieri d’oro che bene le calzavano. Dopodiché vestì la variopinta corazza, e intorno alle spalle approntò fiera la grande lama che tutt’intorno era rivestita da un fodero d’oro e avorio; afferrò anche il grandioso scudo, simile al cerchio della luna,37 quando sorge dall’Oceano profonda corrente, piena a metà coi suoi corni ricurvi: così inesprimibile era il suo splendore; attorno alla testa pose l’elmo dal lungo e dorato cimiero.38 Così ella si cinse d’armi fatali;39 era simile a un fulmine che dall’alto dell’Olimpo la forza di Zeus instancabile a terra scaraventa indicando agli uomini la potenza della pioggia dall’eco profonda, o il grido dei venti che urlano senza posa. Subito, mentre si affrettava a uscire dal palazzo, sistemò due giavellotti sotto lo scudo, e afferrò con la destra l’ascia a doppio taglio, quella che le donò Eris40 funesta, perché fosse prodigiosa difesa in una guerra che consuma il cuore. Orgogliosa di quest’arma presto uscì dalle torri, spronando i Troiani a prender parte alla guerra che dà gloria; quelli, subito riuniti, le obbedirono uomini valorosi, che pure fino a poco prima non volevano fronteggiare Achille, giacché questi tutti li aveva fiaccati.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

vH d' ¥ra kudi£asken ¢£sceton: ›zeto d' †pp. kalÚ t' Èkut£t. te tÒn oƒ ¥locoj Boršao êpasen 'Wre…quia p£roj QrÇkhnde kioÚsV xe…nion, Ój te qoÍsi metšprepen `Arpu…Vsi: tÚ ˜a tÒq' ˜zomšnh l…pen ¥steoj a„p¦ mšlaqra ™sql¾ Penqes…leia: lugraˆ dš min ÑtrÚneskon KÁrej Ðmîj prèthn te kaˆ Østat…hn ™pˆ dÁrin ™lqšmen. 'Amfˆ dä Trîej ¢nost»toisi pÒdessi polloˆ ›pont' ™pˆ dÁrin ¢naidša tl»moni koÚrV „ladÒn, ºÅte mÁla met¦ kt…lon, Ój q' …ma p£ntwn nissomšnwn proqšVsi dahmosÚnVsi nomÁoj: ìj ¥ra tÍ g' ™fšponto b…V mšga maimèwntej Trîej ™ãsqenšej kaˆ 'AmazÒnej ÑbrimÒqumoi. vH d' o†h Tritwn…j, Ót' ½luqen ¥nta +ig£ntwn, À ”Erij ™grekÚdoimoj ¢n¦ stratÕn ¢pssousa, to…h ™nˆ Trèessi qo¾ pšle Penqes…leia. Kaˆ tÒte d¾ Kron…wni polutl»touj ¢nae…raj ce‹raj Laomšdontoj ™åj gÒnoj ¢fneio‹o eÜcet' ™j ƒerÕn ºå tetrammšnoj 'Ida…oio >hnÕj ·j ”Ilion a„än ˜o‹j ™pidšrketai Ôssoij: «Klàqi, p£ter, kaˆ laÕn 'AcaiikÕn ½mati tÚde dÕj pesšein ØpÕ cersˆn 'Arhi£doj basile…hj, kaˆ d» min pal…norson ™mÕn potˆ dîma s£wson ‚zÒmenoj teÕn uma pelèrion Ôbrimon ”Arhn aÙt»n q', oÛnek' œoiken ™pouran…Vsi qeÍsin ™kp£glwj kaˆ se‹o qeoà gšnoj ™stˆ genšqlhj. A‡dessai d' ™mÕn Ãtor, ™peˆ kak¦ poll¦ tštlhka pa…dwn Ñllumšnwn oÛj moi perˆ KÁrej œmaryan

168 QrÇkhnde kioàsa codd. : corr. J.C. Struve 172 KÁrej Ópwj codd. : corr. Rhodomann 184 a„pÝ tetrammšnoj Dietsch et Köchly 192 poll£ kak£ W : corr. Lpr et Rhodomann 193 moi om. Y

LIBRO PRIMO, VV. 166-193

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Ma ella irresistibilmente si gloriava; montò dunque a cavallo, bello e molto agile, che la sposa di Borea, Orizia, le aveva dato quand’ella era giunta in Tracia tempo addietro, come dono ospitale, capace di superare le rapide Arpie; dunque montata su di esso abbandonò gli alti tetti della città la valorosa41 Pentesilea: parimenti la incitavano le Chere42 luttuose a partecipare ai combattimenti, dal primo all’ultimo. E intorno i Troiani, con i piedi che non tornano indietro,43 seguivano l’audace fanciulla, numerosi, verso l’orrido scontro a schiere, come pecore44 dietro a un ariete che dinanzi a loro corra mentre queste tutte lo seguono, sotto gli occhi attenti del pastore; proprio così le stavano dietro, da grande forza accecati, i forti Troiani e le Amazzoni dall’animo ardito. Quale la Tritonide, una volta giunta dinanzi ai Giganti, o Eris, che suscita tumulto quando s’avventa sull’esercito,45 tale la veloce Pentesilea si muoveva tra i Troiani. E fu allora che levando al Cronione gli affannati palmi il nobile figlio del ricco Laomedonte innalzò una preghiera rivolto al tempio di Zeus Ideo, che sempre coi suoi occhi Ilio mira: «Ascoltami,46 o padre, e fa’ quest’oggi che il popolo acheo perisca sotto le mani della regina figlia di Ares, e salva concedile il ritorno nella mia dimora per venerare il tuo straordinario figlio, l’impetuoso Ares e lei stessa, perché alle dee celesti somiglia in modo stupefacente, ed è della tua stessa divina stirpe. Abbi pietà del mio cuore, perché molti mali ho patito per la morte dei figli, che più di tutti le Chere mi hanno strappato

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

'Arge…wn pal£mVsi kat¦ stÒma dhiotÁtoj: a‡deo d', ›wj œti paàroi ¢f' a†matÒj e„men ¢gauoà Dard£nou, ›wj ¢d£áktoj œti ptÒlij, Ôfra kaˆ šme‹j ™k fÒnou ¢rgalšoio kaˆ ”Areoj ¢mpneÚswmen». ’H ˜a mšg' eÙcÒmenoj. TÚ d' a„etÕj ÑxÝ keklhgëj ½dh ¢popne…ousan œcwn ÑnÚcessi pšleian ™ssumšnwj o‡mhsen ¢risterÒj: ¢mfˆ dä qumÚ t£rbhsen Pri£moio nÒoj, f£to d' oÙkšt' ¢qr»sein zw¾n Penqes…leian ¢pÕ ptolšmoio kioàsan. Kaˆ tÕ män ìj ½mellon ™t»tumon ½mati ke…n. KÁrej Øpektelšein: · d' ¥r' ¥cnuto qumÕn ™agèj. 'Arge‹oi d' ¢p£neuqen ™q£mbeon, eât' ™s…donto Trîaj ™pessumšnouj kaˆ 'Arhpda Penqes…leian, toÝj män d¾ q»ressin ™oikÒtaj, o† t' ™n Ôressi po…mnVj e„ropÒkoisi fÒnon stonÒenta fšrousi, t¾n dä purÕj ˜ipÍ ™nal…gkion, ¼ t' ™pˆ q£mnoij ma…netai ¢zalšoisin ™peigomšnou ¢nšmoio. Ka… tij …m' ¢gromšnoisin œpoj potˆ to‹on œeipe: «T…j d¾ Trîaj ¥geire meq' “Ektora dVwqšnta, oÞj f£men oÙkšti nîin Øpanti£sein memaîtaj; Nàn d' ¥far ¢pssousi lilaiÒmenoi mšga c£rmhj. Ka… nÚ tij ™n mšssoisin ™potrÚnei ponšesqai: fa…hj ken qeÕn œmmen, ™peˆ mšga m»detai œrgon. 'All' ¥ge, q£rsoj ¥aton ™nˆ stšrnoisi balÒntej ¢lkÁj mnhsèmesqa dapfronoj: oÙdä g¦r šme‹j nÒsfi qeîn Trèessi machsÒmeq' ½mati tÚde». vWj f£to: toˆ dä faein¦ perˆ sf…si teÚcea qšntej nhîn ™xecšonto mšnoj kataeimšnoi êmoij. SÝn d' œbalon q»ressin ™oikÒtej ÈmobÒroisi dÁrin ™j aƒmatÒessan, Ðmoà d' œcon œntea kal£,

195 ™smän ¢gauoà codd. : corr. Spnitzer 206 om. H 208 pÒnon stonÒenta codd. : corr. Rhodomann 216 f£hske P : fšhj ke M 217 stšrnoisi labÒntej codd. : corr. Bonitz 220 sf…si om. H

LIBRO PRIMO, VV. 194-223

19

per mano degli Argivi, nell’abisso della rovina. Abbi riguardo, ora che siamo rimasti in pochi del sangue del nobile Dardano, ora che la città è ancora illesa, perché pure noi possiamo riprender fiato dai penosi assassini di Ares». Così ferventemente pregò.47 Ma a lui un’aquila dall’acuto schiamazzo volò con una colomba tra gli artigli ormai spirata, con impeto, a sinistra;48 e nel petto si sconvolse l’animo di Priamo: credeva che giammai avrebbe visto Pentesilea dalla guerra far ritorno, in vita. E veramente a far ciò s’accingevano in segreto quel giorno le Chere; per questo egli si doleva, affranto nel cuore. Da lontano gli Argivi si stupirono, come videro avanzare i Troiani e Pentesilea figlia di Ares, quelli simili alle belve, quando sui monti alle lanose greggi recano strage luttuosa, lei pari alla furia del fuoco, quando nell’arida macchia infuria con l’incalzare del vento.49 E qualcuno50 tali parole rivolse ai compagni: «Chi mai, dopo la morte di Ettore, ha raccolto i Troiani, che noi credevamo mai più ci avrebbero assaliti? Invece adesso s’avventano assai bramosi di guerra, e qualcuno, nel mezzo, li incita ad agire; diresti che sia un dio,51 perché una grande impresa trama. Ma su, infondendo ardente coraggio nei cuori volgiamo la mente alla forza prudente, perché nemmeno noi quest’oggi lotteremo senza dèi contro i Troiani». Così parlò; quelli, cingendosi di armi lucenti dalle navi uscivano, con le spalle dall’impeto coperte. Insieme balzarono simili alle belve crudeli verso la pugna sanguigna, e insieme indossavano belle armi:

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

œgcea kaˆ qèrhkaj ™ãsqenšaj te boe…aj kaˆ kÒruqaj briar£j: ›teroj d' ˜tšrou crÒa calkÚ tÚpton ¢nhlegšwj, tÕ d' ™reÚqeto Trèáon oâdaj. ”Enq' ›le Penqes…leia Mol…ona Pers…noÒn te E‡lissÒn te kaˆ 'Ant…qeon kaˆ ¢g»nora Lšrnon “IppalmÒn te kaˆ Aƒmon…dhn kraterÒn t' 'El£sippon. DhrinÒh d' ›le LaogÒnon, Klon…h dä Mšnippon Ój ˜a p£roj *ul£khqen ™fšspeto Prwtesil£., Óppwj ken Trèessin ™ãsqenšessi m£coito. Toà d' ¥r' ¢pofqimšnoio Pod£rkeá qumÕj Ñr…nqh 'Ifiklhi£dV: tÕn g¦r mšga f…laq' ˜ta…rwn. Aya d' Ó g' ¢ntiqšhn Klon…hn b£le: tÁj dä di¦ prÕ Ãlqe dÒru stibarÕn kat¦ nhdÚoj, ™k dš oƒ ðka dourˆ cÚqh mšlan amma, sunšspeto d' œgkata p£nta. TÁj d' ¥ra Penqes…leia colèsato, ka… ˜a Pod£rkea oÜtasen ™j muîna pacÝn perim»keá dourˆ ceirÕj dexiterÁj, di¦ dä flšbaj aƒmatošssaj kšrse, mšlan dš oƒ amma di' ›lkeoj oÙtamšnoio œblusen ™ssumšnwj: · d' ¥ra sten£cwn ¢pÒrousen e„sop…sw, m£la g£r oƒ ™d£mnato qumÕn ¢n…h. Toà d' ¥r' ¢pessumšnoio poq¾ *ul£kessin ™tÚcqh ¥spetoj: ·j d' ¥ra baiÕn ¢pÕ ptolšmoio liasqeˆj k£tqane karpal…mwj sfetšrwn ™n cersˆn ˜ta…rwn. 'IdomeneÝj dä Bršmousan ™n»rato doÚrati makrÚ dexiterÕn par¦ mazÒn, ¥far dš oƒ Ãtor œlusen. vH d' œpesen mel…V ™nal…gkioj, ¼n t' ™n Ôressi dourotÒmoi tšmnousin Øpe…rocon,   d' ¢legeinÕn ˜o‹zon Ðmîj kaˆ doàpon ™reipomšnh prophsin: ìj   ¢noimèxasa pšsen, tÁj d' …yea p£nta làse mÒroj, yuc¾ d' ™m…gh poluašsin aÜraij. EÙ£ndrhn d' ¥ra MhriÒnhj „dä Qermèdossan 225 crÒa ca//// P (et Y) 226 ¢phlegšwj codd. : corr. Zimmermann 228 glissÒn te H 229 ka… om. P 232 ™ãsqenšessi m£chtai Köchly 245 ¥spetoj: · codd. : corr. Rhodomann 247 doÚrati tÚyaj Spitzner | post 247 lac. susp. Hermann

LIBRO PRIMO, VV. 224-254

aste, corazze, robusti scudi di pelle ed elmi resistenti; l’uno all’altro il corpo col bronzo fiaccava, duramente, e il suolo di Troia si tingeva di rosso.52 Qui Pentesilea vinse Molione e Persinoo, Elisseo e Antiteo, e il prode Lermo, Ippalmo ed Emonide e il forte Elasippo. Derinoe colpì Laogono, Clonia Menippo, che un tempo da Filaca53 seguì Protesilao, perché combattesse contro i valenti Troiani. Alla sua morte, il cuore si sconvolse a Podarce, figlio d’Ificleo, perché molto l’amava tra i compagni. Subito colpiva la divina Clonia; da parte a parte l’asta massiccia nel ventre le discese, e subito dall’asta le si versò il nero sangue,54 con le viscere tutte. Per lei d’ira s’accese Pentesilea, e Podarce trafisse con l’asta assai lunga nella solida carne del braccio destro, e le vene sanguigne55 recise: lo scuro sangue dall’aperta piaga stillò impetuoso; questi, gemendo balzò indietro, che davvero il dolore gli domava il cuore. Al suo ritirarsi, tristezza sorse ai Filacesi, indicibile; egli dunque, allontanandosi un poco dallo scontro perì presto tra le braccia dei suoi compagni.56 Idomeneo con la lunga asta Bremusa colpiva, al seno destro, e subito le sciolse la vita.57 Ella cadde, simile al frassino58 che sui monti i boscaioli tagliano alla giusta altezza; e parimenti al suo cadere penoso strepito e cupo suono emette; proprio così cadde tra i gemiti, e le sue membra sciolse il destino, e l’anima si mescolò alle veementi brezze.59 Merione poi colpì Evandra e Termodossa

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

emlen ™pessumšnaj Ñlo¾n ¢n¦ dháotÁta, tÍ män ¥r' ™j krad…hn ™l£saj dÒru, tÍ d' ØpÕ nhdÝn f£sganon ™gcr…myaj: t¦j d' ™ssumšnwj l…pen Ãtor. DhrinÒhn d' ™d£massen 'Oálšoj Ôbrimoj uƒÕj œgceá ÑkriÒenti di¦ klh‹da tuc»saj. 'Alkib…hj d' ¥ra Tude…dhj kaˆ Dhrimace…hj ¥mfw kr©t' ¢pškoye sÝn aÙcšsin ¥crij ™p' êmoij ¥ori leugalš.: taˆ d' ºÅte pÒrtiej ¥mfw k£ppeson, …j t' a„zhÕj ¥far yucÁj ¢pamšrsV kÒyaj aÙcen…ouj stibarÚ bouplÁgi tšnontaj: ìj a‰ Tude…dao pšson pal£mVsi dame‹sai Trèwn ‰m ped…on sfetšrwn ¢pÕ nÒsfi kar»nwn. TÍsi d' ™pˆ Sqšneloj kraterÕn katšpefne K£beiron ·j k…en ™k Shsto‹o lilaiÒmenoj polem…zein 'Arge…oij, oÙd' aâtij ˜¾n nost»sato p£trhn. Toà dä P£rij krad…hn ™colèsato dVwqšntoj ka… ˜' œbale Sqenšloio katant…on: oÙd' ¥ra tÒn ge oÜtasen ™ssÚmenÒj per, ¢pepl£gcqh g¦r ÑástÕj ¥llV, ÓpV min KÁrej ¢me…licoi „qÚneskon: kte‹ne d' ¥r' ™ssumšnwj EÙ»nora calkeom…trhn Ój ˜' ™k Doulic…oio k…en Trèessi m£cesqai. Toà d' ¥r' ¢pofqimšnoio p£áj *ulÁoj ¢gauoà Èr…nqh: m£la d' ðka, lšwn ìj pèesi m»lwn, œnqore: toˆ d' …ma p£ntej Øpštresan Ôbrimon ¥ndra. Kte‹ne g¦r 'ItumonÁa kaˆ `Ippas…dhn 'Agšlaon o† ˜' ¢pÕ Mil»toio fšron Danao‹sin Ðmokl¾n N£stV ¥m' ¢ntiqš. kaˆ Øp' 'Amfim£c. megaqÚm., o‰ Muk£lhn ™nšmonto L£tmoiÒ te leuk¦ k£rhna Br£gcou t' ¥gkea makr¦ kaˆ ºáÒenta P£normon

257 l…pen a„èn Rhodomann 259 œgcei ÑxuÒenti Hermann 272 ™ldÒmenÒj per Vian 276 p£ij fullÁoj codd. : corr. Rhodomann 280 fšrwn H 281 Øp’ ¢ntiqš. Vian | Øp' ¢gcem£c. codd. : corr. Rhodomann | post 281 lac. unius versus stat. Köchly 282 ™nšmonto tit£noiÒ te codd. : corr. Pauw (cf. Strab. XIV,1,8) 283 te…cea macr£ P2

LIBRO PRIMO, VV. 255-283

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mentre si gettavano nella mischia luttuosa, a una cacciando l’asta nel cuore, all’altra nel ventre sospingendo la spada; subito la vita la abbandonò. Il terribile figlio d’Oileo abbatté Derinoe ferendola alla gola con la punta dell’asta. Ad Alcibia e Derimachia invece il Tidide mozzò il capo, insieme col collo fino alle spalle, con la lama infelice; così caddero a terra, come due giovenche che un giovane tutt’a un tratto privi della vita mozzando con la scure massiccia i nervi del collo. Così esse caddero, abbattute per mano del Tidide, lungo la piana di Troia, lontano dalle loro teste.60 Dopo di loro Stenelo uccise il valoroso Cabeiro, ch’era giunto da Sesto bramando lo scontro contro gli Argivi; ma mai più fece ritorno in patria. Alla sua morte d’ira s’accese il cuore di Paride, che mirò dritto verso Stenelo; ma pur sforzandosi non riuscì a colpirlo, perché il dardo fu deviato in altra direzione, là dove lo guidavano le Chere implacabili; subito uccise invece Evenore cintura di bronzo che da Dulichio era giunto per contendere coi Troiani. Al suo cadere l’illustre figlio di Fileo rimase sconvolto: immediatamente, come un leone su un gregge di pecore si slanciò,61 e tutti insieme dall’uomo valoroso si ritrassero atterriti. Egli uccise Itimoneo e Agelao, figlio di Ippaso, che da Mileto portavano guerra ai Danai, il primo col valente Naste, il secondo sotto la guida del coraggioso Anfimaco, i quali dominavano su Micale e sulle bianche cime del Latmo,62 le ampie vallate di Branco63 e Panormo marina,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Mai£ndrou te ˜šeqra baqurrÒou, Ój ˜' ™pˆ ga‹an Karîn ¢mpelÒessan ¢pÕ *rug…hj polum»lou ensi polugn£mptoisin ˜lissÒmenoj procoÍsi. Kaˆ toÝj män katšpefne Mšghj ™n dháotÁti: ¥llouj d' aât' ™d£massen Óssouj k…ce dourˆ kelainÚ: ™n g£r oƒ stšrnoisi qr£soj b£le Tritogšneia, Ôfr£ ke dusmenšessin Ñlšqrion Ãmar ™fe…h. Drhsa‹on d' ™d£massen ¢rhpfiloj Polupo…thj tÕn tške d‹a Nšaira per…froni Qeiod£manti micqe‹s' ™n lecšessin Øpaˆ SipÚl. nifÒenti, Âci qeoˆ NiÒbhn l©an qšsan, Âj œti d£kru poulÝ m£la stufelÁj katale…betai ØyÒqi pštrhj, ka… oƒ sustonacoàsi ˜oaˆ poluhcšoj “Ermou kaˆ korufaˆ SipÚlou perim»keej ïn kaqÚperqen ™cqr¾ mhlonÒmoisin ¢eˆ peripptat' Ñm…clh:   dä pšlei mšga qaàma paressumšnoisi broto‹sin, oÛnek' œoike gunaikˆ polustÒn. ¼ t' ™pˆ lugrÚ pšnqeá muromšnh m£la mur…a d£krua ceÚei: kaˆ tÕ män ¢trekšwj f«j œmmenai, ÐppÒt' ¥r' aÙt¾n thlÒqen ¢qr»seiaj: ™p¾n dš oƒ ™ggÝj †khai, fa…netai a„p»essa pštrh SipÚloiÒ t' ¢porrèx. 'All'   män mak£rwn ÑloÕn cÒlon ™ktelšousa mÚretai ™n pštrVsin œt' ¢cnumšnV e„ku‹a. ”Alloi d' ¢mf' ¥lloisi fÒnon kaˆ kÁr' ™t…qento ¢rgalšon. DeinÕj g¦r ™nestrwf©to KudoimÕj lao‹j ™n mšssoisin: ¢tarthrÕn dš oƒ ¥gci eƒst»kei Qan£toio tšloj: perˆ dš sfisi KÁrej leugalšai strwfînto fÒnon stonÒenta fšrousai. Pollîn d' ™n kon…Vsi lÚqh kšar ½mati ke…n. Trèwn t' 'Arge…wn te, polÝj d' ¢lalhtÕj Ñrèrei.

290 Ñlšqrion Ãtor codd. : corr. Rhodomann 298 ¢eˆ om. H | peripšptat' Ñm…clh Vian

LIBRO PRIMO, VV. 284-313

25

le acque del Meandro dal profondo gorgo, che fino alla terra vitifera dei Cari, dalla Frigia ricca di greggi si muove, volgendosi in giri sinuosi.64 A questi fu Megete a dar la morte nella pugna; e altri ancora ne sopraffece, quanti ne raggiunse con la fosca lancia; nel petto audacia gli infuse la Tritogenia, perché ai nemici recasse il giorno fatale.65 Dreseo fu ucciso da Polipete caro ad Ares, che la celeste Neera66 generò all’accorto Teodamante, dopo essersi a lui unita nel giaciglio ai piedi del nevoso Sipilo, là dove gli dèi tramutarono in sasso Niobe,67 la cui lacrima copiosa scende ancora dall’alto dell’assai aspra pietra; e insieme con lei gemono le correnti del rumoroso Ermo e le vaste cime del Sipilo dall’alto delle quali ostile ai pastori sempre aleggia la nebbia; una grande meraviglia essa suscita negli uomini che passano di là, perché davvero pare una donna assai infelice, che per doloroso lutto gemendo innumerevoli lacrime versa. Diresti senza dubbio che sia così, qualora la guardassi da lontano; ma non appena ti avvicineresti, si rivelerebbe un aspro scoglio del Sipilo. Così ella, scontando dei beati l’ira funesta, geme nel duro della pietra, simile a una che ancora s’affligge. Gli uni agli altri strage recavano, e fato atroce, giacché intorno si muoveva il terribile Tumulto nel mezzo delle genti; accanto a lui il tremendo Destino di morte vegliava; intorno a loro le Chere infelici s’aggiravano, recando sciagura luttuosa.68 Di molti nella polvere l’animo si sciolse quel giorno di Troiani e Argivi; infinito strepito risuonava.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

OÙ g£r pwj ¢pšlhge mšnoj mšga Penqesile…hj, ¢ll' Êj t…j te bÒessi kat' oÜrea makr¦ lšaina ™nqÒrV ¢…xasa baquskopšlou di¦ b»sshj a†matoj ƒme…rousa, tÒ oƒ m£la qumÕn „a…nei: ìj tÁmoj Danao‹sin 'Arhá¦j œnqore koÚrh. O‰ d' Ñp…sw c£zonto teqhpÒta qumÕn œcontej:   d' ›pet' ºÅte kàma barugdoÚpoio qal£sshj n»esin Èke…Vsin, Óq' ƒst…a leuk¦ pet£ssV oâroj ™peigÒmenoj, boÒwsi dä p£ntoqen ¥krai pÒntou ™reugomšnoio potˆ cqonÕj ÆÒna makr»n. vWj ¼ g' ˜spomšnh Danaîn ™d£áze f£laggaj: ka… sfin ™phpe…lhse mšga fresˆ kudiÒwsa: «’W kÚnej, o‰ Pri£moio kak¾n ¢pot…sete lèbhn s»meron. OÙ g£r pè tij ™mÕn sqšnoj ™xupalÚxaj c£rma f…loij tokšessi kaˆ uƒ£sin ºd' ¢lÒcoisin o‡setai: o„wno‹j dä bÒsij kaˆ qhrsˆ qanÒntej ke…sesq', oÙdš ti tÚmboj ™f' Ømšaj †xetai a‡hj. PÍ nàn Tude…dao b…h, pÍ d' A„ak…dao, poà dä kaˆ A‡antoj; ToÝj g¦r f£tij œmmen ¢r…stouj: ¢ll' ™moˆ oÙ tl»sontai ™nant…a dhri£asqai, m» sfin ¢pÕ melšwn yuc¦j fqimšnoisi pel£ssw». ’H ˜a kaˆ 'Arge…oisi mšga fronšous' ™nÒrouse, qhrˆ b…hn e„ku‹a. PolÝn d' Øped£mnato laÒn, ¥llote män bouplÁgi baqustÒm., ¥llote d' aâte p£llous' ÑxÝn ¥konta: fšren dš oƒ a„Òloj †ppoj „odÒkhn kaˆ tÒxon ¢me…licon, e‡ pou ¥r' aÙtÍ creië ¢n' aƒmatÒenta mÒqon belšwn ¢legeinîn

325 fresˆ meidiÒwsa codd. : corr. Tychsen 326 æj Pri£moio Vian 329 œssetai: o„wno‹j Vian 336 Khrˆ b…hn Vian 337 barustÒm. ¥llote Pauw (cf. Oppiani Halieut. IV,481; v. 152)

LIBRO PRIMO, VV. 314-340

27

Né tuttavia s’arrestava il grande coraggio di Pentesilea, ma simile a leonessa,69 che per le grandi cime dei monti sui buoi balzi con slancio, lungo una valle dalle alte rocce di sangue bramosa, a ciò assai la spinge il cuore; così allora sui Danai si slanciò la figlia di Ares.

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[Sgomento dei Greci e baldanza di Pentesilea] Questi indietro si ritraevano, col cuore sbalordito; mentre quella li incalzava, simile a un’onda del mare dal cupo fragore dietro alle navi veloci, quando le bianche vele spieghi il vento furioso, e dappertutto echeggiano le cime dell’urlo del mare, che s’abbatte sulla costa dall’ampio lido.70 Così ella inseguendo i Danai ne squarciava le schiere; e li minacciò, assai superba in cuor suo: «Cani,71 voi che pagherete l’oltraggio fatto a Priamo quest’oggi! Nessuno, sfuggendo al mio ardore, gioia ai parenti, ai figli e alle spose recherà. Con la vostra morte giacerete in pasto agli uccelli e alle fiere, e nessun tumulo di terra verrà a ricoprirvi.72 Dov’è l’impeto del Tidide, dov’è quello dell’Eacide? Dov’è quello di Aiace?73 E’ fama che siano i più valorosi; ma non oseranno certo contendere con me, per paura che ne sciolga dalle membra le anime a morte». Così disse, e piena d’orgoglio si slanciò sugli Argivi, simile a una belva74 per violenza. Fiaccò molta gente, ora con la scure dal taglio profondo, ora invece vibrando l’asta appuntita; il variopinto cavallo le portava la faretra e l’arco spietato; se mai avesse bisogno dei dardi penosi e dell’arco nel corso

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

kaˆ tÒxoio pšloito. Qooˆ dš oƒ ¥ndrej ›ponto, “Ektoroj ¢gcem£coio kas…gnhto… te f…loi te, Ôbrimon ™n stšrnoisin ¢napne…ontej ”Arha, o‰ DanaoÝj ™d£ázon ™uxšstVj mel…Vsi. Toˆ dä qoo‹j fÚlloisin ™oikÒtej À yek£dessi p‹pton ™passÚteroi: mšga d' œstenen ¥spetoj ana a†mati deuomšnh nekÚess… te peplhqu‹a, †ppoi d' ¢mfˆ bšlessi peparmšnoi À mel…Vsin Øst£tion cremštizon ˜Õn mšnoj ™kpne…ontej. O‰ dä kÒnin dracmo‹si dedragmšnoi ¢spa…reskon: toÝj d' ¥ra Trèáoi †ppoi ™pessÚmenoi metÒpisqen ¥ntlon Ópwj ste…beskon Ðmoà ktamšnoisi pesÒntaj. Ka… tij ™nˆ Trèessin ¢g£ssato makr¦ geghqèj, æj ‡de Penqes…leian ¢n¦ stratÕn ¢pssousan la…lapi kuanšV ™nal…gkion, ¼ t' ™nˆ pÒnt. ma…neq', Ót' A„gokerÁá sunšrcetai ºel…ou ‡j: ka… ˜' Ó ge mayid…Vsin ™p' ™lpwrÍsin œeipen: «’W f…loi, æj ¢nafandÕn ¢p' oÙranoà e„l»louqe s»meron ¢qan£twn tij, †n' 'Arge…oisi m£chtai šm‹n Ãra fšrousa DiÕj kraterÒfroni boulÍ, ·j t£ca pou mšmnhtai ™ãsqenšoj Pri£moio Ój ˜£ oƒ eÜcetai ennai ¢f' a†matoj ¢qan£toio. OÙ g¦r t»nde guna‹k£ g' Ñpomai e„sor£asqai aÛtwj qarsalšhn te kaˆ ¢gla¦ teÚce' œcousan, ¢ll' ¥r' 'Aqhna…hn À karterÒqumon 'Enuë À ”Erin ºä klut¾n Lhtwpda: ka… min Ñpw s»meron 'Arge…oisi fÒnon stonÒenta balšsqai nÁ£j t' ™mpr»sein ÑloÚ pur…, tÍsi p£roiqen ½luqon ™j Tro…hn nîán kak¦ poll¦ fšrontej: ½luqon ¥sceton ¥mmin ™p' ”Areá pÁma fšrontej, 341 oƒ ¥ndrej Vian 346 ¥spetoj ga‹a H 350 kÒnin dhgmo‹si Van Herwerden cl. Anth. Pal. IX 252,4 356 ¥llwj a„gokerîti P2 366 œrid' À klut¾n codd. : corr. Zimmermann 369 sq. poll¦ kak¦ fšrontej codd. : kak¦ porfÚrontej Vian : corr. Dausque 370 Øp' ”Arei Vian

LIBRO PRIMO, VV. 341-370

29

del sanguinoso scontro. V’erano agili guerrieri al suo seguito, fratelli e amici di Ettore che combatte in prima fila, che esalavano dal cuore lo spirito d’Ares impetuoso, e che fecero a pezzi i Danai con le lance ben lavorate. Questi, simili a foglie leggere75 o a gocce di pioggia, cadevano gli uni sugli altri; e molto la terra infinita ne gemeva, impregnata di sangue e ricoperta di morti.76 Intorno i cavalli, trapassati dalle frecce o dalle lance nitrivano per l’ultima volta, esalando la loro possa. Alcuni si dimenavano stringendo la polvere coi palmi; alle loro spalle balzando i cavalli troiani li schiacciavano a terra insieme agli uccisi come grano da battersi.77 E qualcuno tra i Troiani si stupì con grande gioia in cuor suo, come vide Pentesilea avventarsi sul campo, simile a una buia tempesta, che sul mare infuria, quando nel Capricorno entra l’ardore del Sole.78 Questi allora, con vane speranze, disse: «Amici, come chiaramente è giunta dal cielo quest’oggi una degli immortali, per contendere con gli Argivi, e per recarci aiuto, certo per volontà di Zeus dall’animo forte, il quale forse si è ricordato del valoroso Priamo, che si vanta di discendere da sangue immortale. Io non credo, infatti, a vederla, che costei sia una donna, così animosa, con tali brillanti armi: senz’altro è Atena, o Enyo dall’animo forte, o Eris, o la nobile figlia di Latona! E credo che costei quest’oggi strage luttuosa recherà agli Argivi! Brucerà col fuoco funesto le navi, con le quali tempo addietro giunsero a Troia, portandoci fin troppi mali; sì, vennero a portarci insopportabili mali in onore di Ares.79

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

¢ll' oÙ m¦n pal…norsoi ™j `Ell£da nost»santej p£trhn eÙfranšousin, ™peˆ qeÕj ¥mmin ¢r»gei». vWj ¥r' œfh Trèwn tij ™nˆ fresˆ p£gcu geghqèj, n»pioj: oÙd' ¥r' ™fr£ssat' ™pessÚmenon barÝ pÁma om aÙtÚ kaˆ Trwsˆ kaˆ aÙtÍ Penqesile…V. OÙ g£r pè ti mÒqoio dushcšoj ¢mfˆ pšpusto A‡aj ÑbrimÒqumoj „dä ptol…porqoj 'AcilleÚj: ¢ll' ¥mfw perˆ sÁma Menoiti£dao kšcunto mnhs£menoi ˜t£roio, gÒoj d' œcen ¥lludij ¥llon. ToÝj g¦r d¾ mak£rwn tij ™r»tue nÒsfi kudoimoà, Ôfr' ¢legeinÕn Ôleqron ¢napl»swsi damšntej polloˆ ØpÕ Trèessi kaˆ ™sqlÍ Penqesile…V ¼ sfin ™papssousa kak¦ m»deto, ka… oƒ ¥exen ¢lk¾ Ðmîj kaˆ q£rsoj ™pˆ plšon, oÙdš oƒ a„cm¾ mayid…h pot' œqunen, ¢eˆ d' À nîta d£ize feugÒntwn À stšrna katant…on ¢issÒntwn. QermÚ d' a†mati p£mpan ™deÚeto: gu‹a d' ™lafr¦ œplet' ™pessumšnhj: k£matoj d' oÙ d£mnato qumÕn ¥tromon, ¢ll' ¢d£mantoj œcen mšnoj. E„sšti g£r min [oÛneka Mo‹ra potˆ kleinÕn ÑtrÚnous' 'AcilÁa] Ansa lugr¾ kÚdainen: ¢pÒproqi d' ˜sthu‹a c£rmhj kudi£asken Ñlšqrion, oÛnek' œmelle koÚrhn oÙ met¦ dhrÕn Øp' A„ak…dao cšressi d£mnasq': ¢mfˆ dš min zÒfoj œkrufe: t¾n d' ÑrÒqunen a„än ¥ástoj ™oàsa kaˆ ™j kakÕn Ãgen Ôleqron Ûstata kuda…nous'. vH d' ¥lloqen ¥llon œnairen: æj d' ÐpÒq' ˜rs»entoj œsw k»poio qoroàsa po…hj ™ldomšnh qumhdšoj e‡ari pÒrtij, ¢nšroj oÙ pareÒntoj, ™pšssutai ¥lloqen ¥llV

383 ™pa…sosa D : ™pessumšnh Rhodomann : ™passutšroij J.Th. Struve | post ™pa…ssousa lac. stat. Hermann 384 g' ™j a„cm¾ Vian (cf. XI 77,282) 385 ‡qunen codd.: corr. Vian (post Dausque potä qànen) | nîta dapxe P 388 ™pessumšnwj codd. : corr. Rhodomann | oÙ k£mnato D 389a del. Rhodomann | Ñtrunous' 'AcilÁa Vian 393 min om. P. 395 kuda…nousa „d' codd. : corr. Rhodomann et Dausque

LIBRO PRIMO, VV. 371-398

31

Ma no, mai più tornati in Grecia80 allieteranno la patria, perché una dea ci assiste». Così parlò uno dei Troiani, con gioia nell’animo, sciocco! Certo non s’accorse della grave sciagura incombente su lui stesso, sui Troiani e sulla stessa Pentesilea. Infatti ancora non avevano udito tutt’intorno lo strepito della pugna dal sinistro suono il forte Aiace e Achille distruttore di città;81 ma entrambi s’erano gettati sulla tomba del Meneziade82 memori dell’amico, e gemevano uno qua e l’altro là. Certo uno dei beati li teneva lontani dal tumulto, perché una dolorosa sciagura patissero molti Greci, abbattuti, per mano dei Troiani e della valente Pentesilea. Ella infuriando83 tramava orrori; e le crescevano insieme la forza e l’ardire fino al culmine, né la sua asta mai colpiva invano,84 ma sempre le spalle squarciava ai fuggitivi, o il petto agli assalitori. Di caldo sangue era tutta impregnata, ma le agili membra si muovevano all’assalto; la stanchezza non domava l’animo intrepido; aveva una forza d’acciaio.85 E ancora infatti [poiché la Moira la spingeva dinanzi al glorioso Achille]86 la crudele Sorte la celebrava; stando lontana dallo scontro si gloriava sciaguratamente, perché era sul punto, di lì a poco, di abbattere la fanciulla sotto le mani dell’Eacide; tutt’intorno la copriva la tenebra; di nascosto incalzava la fanciulla, sempre, e verso una disastrosa sciagura la guidava, esaltandola per l’ultima volta. E lei uccideva ora uno ora un altro. Come quando, balzata in un orto rugiadoso, bramosa di erba gradita, in primavera, una giovenca, in assenza di un guardiano, corre ora di qua ora di là

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

sinomšnh fut¦ p£nta nšon m£la thleqÒwnta, kaˆ t¦ män ‰r katšdaye, t¦ d' ™n posˆn ºm£ldunen: ìj ¥r' 'Acaiîn umaj ™pessumšnh kaq' Ómilon koÚrh 'Enual…h toÝj män kt£ne, toÝj d' ™fÒbhse. Trwi£dej d' ¢p£neuqen ¢r»ia œrga gunaikÕj qaÚmazon: polšmoio d' œrwj l£ben `Ippod£meian 'Antim£coio qÚgatra, meneptolšmoio d' ¥koitin TisifÒnou. KraterÍsi d' ØpÕ fresˆn ™mmemau‹a qarsalšon f£to màqon Ðm»likaj ÑtrÚnousa dÁrin ™pˆ stonÒessan (œgeire dš oƒ qr£soj ¢lk»n): «’W f…lai, ¥lkimon Ãtor ™nˆ stšrnoisi baloàsai ¢ndr£sin šmetšroisin Ðmo…ion, o‰ perˆ p£trhj dusmenšsin m£rnantai Øpär tekšwn te kaˆ šmšwn, oÜ pot' ¢napne…ontej ÑázÚoj - ¢ll¦ kaˆ aÙtaˆ parqšmenai fresˆ qumÕn ‡shj mnhsèmeqa c£rmhj. OÙ g¦r ¢pÒproqšn e„men ™ãsqenšwn a„zhîn, ¢ll' omon ke…noisi pšlei mšnoj, œsti kaˆ šm‹n: nsoi d' Ñfqalmoˆ kaˆ goÚnata, p£nta d' Ðmo‹a, xunÕn d' aâ p£ntessi f£oj kaˆ n»cutoj ¢»r, forb¾ d' oÙc ˜tšrh. T… d' ™p' ¢ndr£si lèáon ¥llo qÁke qeÒj; Tî m» ti febèmeqa dhiotÁtoj: ’H oÙc Ðr£ate guna‹ka mšg' a„zhîn profšrousan ¢gcem£cwn; TÁj d' oÜ ti pšlei scedÕn oÜte genšqlh oÜt' ¥r' ˜Õn ptol…eqron, Øpär xe…noio d' ¥naktoj m£rnatai ™k qumo‹o kaˆ oÙk ™mp£zetai ¢ndrîn ™nqemšnh fresˆ q£rsoj ¢tarthrÒn te nÒhma. `Hm‹n d' ¥lloqen ¥lla paraˆ posˆn ¥lgea ke‹tai:

401 'Acaiîn nÁaj codd. : corr. Rhodomann et Dausque 406 tisifÒnhn. KraterÍsi Y : sifÒnhn H : corr. Rhodomann 409 ™pˆ stšrnoisi codd. : corr. Tychsen 419 febèmeqa dhiotÁta Köchly (cf. IX 102) 420 À delevit Pomp.

LIBRO PRIMO, VV. 399-425

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devastando tutte le piante, da poco assai fiorenti, e alcune le ha divorate, altre le ha distrutte sotto gli zoccoli:87 proprio così, mentre assaliva i figli degli Achei nella mischia la bellicosa fanciulla ne uccise alcuni e spaventò altri.

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[Le donne troiane, inorgoglite, vogliono scendere anch’esse in campo] Da lontano le Troiane guardavano le belliche gesta della donna con stupore; e amor di guerra colse Ippodamia, la figlia di Antimaco, moglie dell’intrepido Tisifono. Con ardore e vigore nell’animo tenne un discorso superbo, incitando le coetanee alla luttuosa pugna; superbia le destava coraggio: «Amiche, riponendo un animo valoroso nei petti, simile a quello dei nostri sposi, i quali per la patria contro i nemici combattono, sia per i figli sia per noi, e mai si riprendono dalla pena – anche noi, suscitando ardore nei cuori, impegniamoci nella medesima pugna. Non siamo da meno di giovani gagliardi, bensì quale possa sorge in loro, tale è anche in noi. Uguali sono gli occhi e le ginocchia, pari è ogni altra cosa; comuni a tutti sono la luce e la copiosa aria, né diverso è il nutrimento. Cos’altro di più agli uomini ha concesso il dio? Per questo non fuggiamo la mischia; non vedete una donna superare di molto i giovani più valorosi? E non le sono vicini né i parenti né tantomeno la propria città, ma per un re straniero combatte con ardore, e non si cura degli uomini perché ripone nel cuore il coraggio e un funesto pensiero. A noi tra l’altro stanno altre pene nel cuore,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

tÍj män g¦r f…la tškna kaˆ ¢nšrej ¢mfˆ pÒlhá êlonq', a‰ dä tokÁaj ÑdurÒmeq' oÙkšt' ™Òntaj, ¥llai d' aât' ¢k£contai ¢delfeiîn ™p' Ñlšqr. kaˆ phîn: oÙ g£r tij ÑázurÁj kakÒthtoj ¥mmoroj, ™lpwr¾ dä pšlei kaˆ doÚlion Ãmar e„sidšein. Tî m» tij œt' ¢mbol…h polšmoio e‡h teiromšnVsin: œoike g¦r ™n daq m©llon teqn£men À metÒpisqen Øp' ¢llodapo‹sin ¥gesqai nhpi£coij …ma paisˆn ¢nihrÍ Øp' ¢n£gkV, ¥steoj a„qomšnoio kaˆ ¢ndrîn oÙkšt' ™Òntwn». vWj ¥r' œfh, p£sVsi d' œrwj stugero‹o mÒqoio œmpesen: ™ssumšnwj dä prÕ te…ceoj Ðrma…neskon b»menai ™n teÚcessin, ¢rhgšmenai memau‹ai ¥steá kaˆ lao‹sin: Ñr…neto dš sfisi qumÒj. `Wj d' Ót' œsw s…mbloio mšg' „Úzwsi mšlissai ce…matoj oÙkšt' ™Òntoj, Ót' ™j nomÕn ™ntÚnontai ™lqšmen, oÙd' ¥ra tÍsi f…lon pšlei œndoqi m…mnein, ¥llh d' aâq' ˜tšrhn prokal…zetai ™ktÕj ¥gesqai: ìj ¥ra Trwi£dej potˆ fÚlopin ™gkonšousai ¢ll»laj êtrunon: ¢pÒproqi d' e‡ria qšnto kaˆ tal£rouj, ¢legein¦ d' ™p' œntea ce‹raj ‡allon. Ka… nÚ ken ¥steoj ™ktÕj …ma sfetšroisin Ôlonto ¢ndr£si kaˆ sqenarÍsin 'AmazÒsin ™n daq ke‹nai, e„ m» sfeaj katšruxe pÚka fronšousa Qeanë ™ssumšnaj pinuto‹si paraud»sas' ™pšessi: «T…pte potˆ klÒnon a„nÒn, ™eldÒmenai ponšesqai, scštliai, oÜ ti p£roiqe ponhs£menai perˆ c£rmhj, ¢ll' ¥ra n»ádej œrgon ™p' ¥tlhton memau‹ai, Ôrnusq' ¢fradšwj; OÙ g¦r sqšnoj œssetai nson Øm‹n kaˆ Danao‹sin ™pistamšnoisi m£cesqai. AÙt¦r 'AmazÒsi dÁrij ¢me…licoj ƒppas…ai te 426 tÁ m~ codd. : corr. Spitzner 427 Ôlunq', a‰ dä W : êllunq' R : Ôlunq' Lasc.1-2 : corr. Vian 428 aât' ¢k£chntai Pomp. 434 ™p'¢nagkV H 438 om. P 448 ™n daˆ ke‹nV Rhodomann 451 potˆ om. H 455 šm‹n kaˆ YR

LIBRO PRIMO, VV. 426-456

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e ad alcune i cari figli e gli sposi intorno alla città sono morti; altre piangiamo i padri non più in vita, altre ancora sono afflitte per la morte di fratelli e congiunti; perché nessuna di triste sventura è priva, ma serpeggia il timore che anche il giorno della schiavitù si veda. Per cui non si indugi più a combattere da parte nostra, benché tormentate; perché ben si addice piuttosto nella pugna morire invece d’essere trascinati via per mano di stranieri, con i piccoli figli nella pena della necessità, tra le fiamme della città e senza più i nostri mariti».88 Così parlò, e in tutte il desiderio di luttuosa guerra irruppe. Con impeto fuori dalle mura s’accingevano a marciare in armi, con l’intento di soccorrere la città e il popolo; eccitati erano i loro animi. Come quando nell’alveare molto strepito fanno le api,89 giacché non è più inverno, e si preparano a giungere al pascolo, e non è più gradito a loro rimanere all’interno, subito l’una incita l’altra a uscire fuori; proprio così le Troiane, lanciandosi nella mischia, si incitavano a vicenda; avevano abbandonato le lane e i cestelli, e mettevano le mani sulle penose armi. E certo quelle, fuori dalla città, sarebbero morte coi loro sposi e le valenti Amazzoni, nella pugna, se con prudenza non le avesse trattenute la saggia Teano, rivolgendo loro, nell’assalto, parole prudenti: «Perché mai nell’atroce mischia, bramose di combattere, sciagurate, che mai in passato avete faticato nella pugna, ma inesperte aspirate a una fatica insopportabile, vi scagliate senza senno? Certo non avrete la stessa energia dei Danai, esperti nell’arte della guerra. Al contrario alle Amazzoni la dura pugna, le cavalcate

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

eÜaden ™x ¢rcÁj kaˆ Ós' ¢nšroj œrga pšlontai: toÜnek' ¥r£ sfisi qumÕj ¢r»ioj a„än Ôrwren, oÙd' ¢ndrîn deÚontai, ™peˆ pÒnoj ™j mšga k£rtoj qumÕn ¢nhšxhse kaˆ ¥troma goÚnat' œqhke. T¾n dä f£tij kaˆ ”Arhoj œmen kratero‹o qÚgatra: tî oƒ qhlutšrhn tin' ™rizšmen oÜ ti œoiken: ºä t£c' ¢qan£twn tij ™p»luqen eÙcomšnoisi. P©si d' ¥r' ¢nqrèpoisin ÐmÕn gšnoj, ¢ll' ™pˆ œrga strwfînt' ¥lloj ™p' ¥lla: pšlei d' ¥ra ke‹no fšriston œrgon, Ó ti fresˆn Îsin ™pist£menoj ponšhtai. ToÜneka dhiotÁtoj ¢poscÒmenai keladeinÁj ƒstÕn ™pentÚnesqe ˜în œntosqe mel£qrwn: ¢ndr£si d' šmetšroisi perˆ ptolšmoio mel»sei. 'Elpwr¾ d' ¢gaqo‹o t£c' œssetai, oÛnek' 'AcaioÝj derkÒmeq' Ñllumšnouj, mšga dä kr£toj Ôrnutai ¢ndrîn šmetšrwn: oÙd' œsti kakoà dšoj: oÜ ti g¦r ¥stu d»áoi ¢mfˆj œcousin ¢nhlšej, oÜt' ¢legein¾ g…net' ¢nagka…h kaˆ qhlutšrVsi m£cesqai». vWj f£to: taˆ d' ™p…qonto palaiotšrV per ™oÚsV, Øsm…nhn d' ¢p£neuqen ™sšdrakon. vH d' œti laoÝj d£mnato Penqes…leia: peritromšonto d' 'Acaio…, oÙdš sfin qan£toio pšle stonÒentoj ¥luxij, ¢ll' …te mhk£dej angej ØpÕ blosurÍsi gšnussi pord£lioj kte…nonto. Poq¾ d' œcen oÙkšti c£rmhj ¢nšraj, ¢ll¦ fÒboio: kaˆ ¥lludij ½áon ¥lloi, o‰ män ¢porr…yantej ™pˆ cqÒna teÚce' ¢p' êmwn, o‰ d' ¥ra sÝn teÚcessi: kaˆ šniÒcwn ¢p£neuqen

457 Ós' ¢ndr£sin Lasc.1-2 : ¢nšrej Vian œrga pšnontai R et Zimmermann (post Köchly) 465 fortasse ¥lloi ™p' ¥lla uel ¥lloj ™p' ¥llo Vian 472 kakÕn dšoj codd. : corr. Köchly 479 blosuro‹si gšnussi codd. : corr. Rhodomann 481 ½ien ¥lloj H

LIBRO PRIMO, VV. 457-483

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e quante imprese toccano agli uomini, sono gradite sin dalla nascita; per questo in loro uno spirito guerriero sempre si leva, e non sono inferiori agli uomini, perché la fatica a grande forza elevò l’animo e rese salde le ginocchia. Dicono che lei sia figlia del violento Ares; per cui a una donna contendere con lei non conviene; forse dea immortale è giunta grazie alle nostre preghiere. Medesima è la radice di tutti gli uomini, ma in quanto alle opere chi si volge ad una, chi all’altra;90 ma certo eccellente diventa quell’opera che ognuno compie contando sulle abilità proprie. Per cui state lontane dalla fragorosa pugna, occupatevi dei telai, stando al sicuro nella casa; toccherà ai nostri uomini combattere. Vi sarà ben presto da sperare in qualcosa di buono, perché vediamo la disfatta degli Achei, e un grande vigore sorge nei nostri uomini; non v’è timore di sventura; perché spietati nemici non circondano la città, né vi è la dolorosa necessità per cui tocchi anche alle donne combattere».91 Così parlò, e loro le obbedirono, perché era di molto più anziana. Dunque da lontano guardarono lo scontro. Intanto ancora altre schiere abbatteva Pentesilea; e gli Achei tremavano, e per loro dalla morte luttuosa non v’era scampo; ma come capre belanti sotto le terribili mascelle di una pantera92 trovavano la morte. Ormai nessuna brama di pugna teneva gli uomini, ma solo di fuga; e chi qua chi là scappava, alcuni gettate a terra le armi dagli omeri, altri addirittura con le armi; e senza aurighi

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

†ppoi œsan feÚgontej. 'Epessumšnoij d' ¥ra c£rma œplet', ¢pollumšnwn dä polÝj stÒnoj: oÙdš tij ¢lk¾ g…neto teiromšnoisi: minunq£dioi dä pšlonto p£ntej Ósouj ™k…canen ¢n¦ kruerÕn stÒma c£rmhj. `Wj d' Ót' ™pibr…sasa mšga stonÒessa qÚella ¥lla män ™k ˜izîn cam£dij b£le dšndrea makr¦ ¥nqesi thleqÒwnta, t¦ d' ™k pršmnoio kšdassen ØyÒqen, ¢ll»loisi d' ™pˆ klasqšnta kšcuntai: ìj Danaîn kšklinto polÝj stratÕj ™n kon…Vsi Moir£wn „Òthti kaˆ œgceá Penqesile…hj. AÙt¦r ™peˆ kaˆ nÁej ™nipr»sesqai œmellon cersˆn Ûpo Trèwn, tÒte pou mened»ioj A‡aj o„mwgÁj ™s£kouse kaˆ A„ak…dhn prosšeipen: «’W 'Acileà, perˆ d» moi ¢pe…ritoj ½luqen aÙd¾ oÜasin, æj polšmoio sunestaÒtoj meg£loio. 'All' ‡omen, m¾ Trîej Øpofq£menoi par¦ nhusˆn 'Arge…ouj Ñlšswsi, kataflšxwsi dä nÁaj, nîin d' ¢mfotšroisin ™legce…h ¢legein¾ œssetai. OÙ g¦r œoike DiÕj meg£loio gegîtaj a„scÚnein patšrwn ƒerÕn gšnoj, o† ˜a kaˆ aÙtoˆ Tro…hj ¢glaÕn ¥stu dišpraqon ™gce…Vsi tÕ prˆn …m' `HraklÁi dapfroni, Laomšdontoj ....................................... Êj per nàn telšesqai Øf' šmetšrVsin Ñpw cers…n, ™peˆ mšga k£rtoj ¢šxetai ¢mfotšroisin». vWj f£to: tÚ d' ™p…qhse qrasÝ sqšnoj A„ak…dao:

484 †ppoi ‡san Vian 485 polÚj pÒnoj H 487 ™k…canon prop. Vian 492 Danaîn kšklito codd. : tÒte ke‹to Vian : corr. Pauw 502 meg£loio gegaîtaj codd. : corr. Rhodomann 504 trèwn ¢glaÕn H : Tro…hn Zimmermann 505 lac. stat. Rhodomann | 504 post 505 transp. Zimmermann

LIBRO PRIMO, VV. 484-508

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anche i cavalli erano in fuga; negli assalitori gioia sorgeva, acuto era il gemito dei perduti; e nessuna difesa avevano i tormentati; di breve vita diventavano tutti quelli che lei colpiva, nelle aride fauci della pugna. Come quando una tempesta, piombata con fragore scaglia a terra dalle radici alcune grandi piante abbondanti di fiori, e ne spezza altre dai rami in alto, e questi si riversano gli uni sugli altri nello strepito,93 così il folto esercito dei Danai affondava nella polvere94 per volere delle Moire95 e per la lancia di Pentesilea.

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[Sopraggiungono Aiace e Achille: scontro finale con l’Amazzone] Ma nel momento in cui anche le navi stavano per essere incendiate per mano dei Troiani, allora per caso il prode Aiace udì i lamenti e disse all’Eacide:96 «O Achille, un grido senza fine è giunto alle mie orecchie, come se si avvicinasse una grande pugna. Su, andiamo, perché non avvenga che i Troiani giunti prima alle navi mandino a morte gli Argivi, e con il fuoco distruggano le navi, ché per entrambi doloroso biasimo sarebbe. Non s’addice che i discendenti di Zeus97 disonorino la sacra stirpe dei padri,98 i quali, proprio loro, distrussero con le lance l’inclita città di Troia, prima con l’abile Eracle, di Laomedonte99 ................................................ Come io credo che, anche adesso, sarà compiuto dalle nostre mani, perché straordinaria forza scorre in entrambi. Così parlò, e il saldo vigore dell’Eacide gli obbedì

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

klagg¾n g¦r stonÒessan ™sškluen oÜasin omsin. ”Amfw d' ærm»qhsan ™p' œntea marma…ronta: kaˆ t¦ män ˜ss£menoi katenant…on œstan Ðm…lou: tîn d' ¥ra teÚcea kal¦ mšg' œbrace, ma…neto dš sfin nson qumÕj ”Arhi, tÒson sqšnoj ¢mfotšroisi dîken ™peigomšnoisi sakšspaloj 'Atrutènh. 'Arge‹oi d' ™c£rhsan, ™peˆ ‡don ¥ndre krataië e„domšnw pa…dessin 'AlwÁoj meg£loio, o† pot' ™p' eÙrÝn ”Olumpon œfan qšmen oÜrea makr£, ”Ossan t' a„pein¾n kaˆ P»lion Øyik£rhnon, Óppwj d¾ memaîte kaˆ oÙranÕn e„saf…kwntai: to‹oi ¥r' ¢ntšsthsan ¢tarthroà polšmoio A„ak…dai, mšga c£rma lilaiomšnoisin 'Acaio‹j, ¥mfw ™peigÒmenoi dh…wn ¢pÕ laÕn Ñlšssai. PolloÝj d' ™gce…Vsin ¢maimakštVsi d£massan: æj d' Óte p…ona mÁla boodmhtÁre lšonte eØrÒnt' ™n xulÒcoisi f…lwn ¢p£neuqe nom»wn pansud…V kte…nwsin, ¥crij mšlan amma piÒntej spl£gcnwn ™mpl»swntai ˜¾n polucandša nhdÚn: ìj o† g' ¥mfw Ôlessan ¢peiršsion stratÕn ¢ndrîn. ”Enq' A‡aj ›le Dh…ocon kaˆ ¢r»ion “Ullon EÙrÚnomÒn te filoptÒlemon kaˆ 'Enuša d‹on. 'Ant£ndrhn d' ¥ra Phle…dhj ›le kaˆ Polemoàsan ºdä kaˆ 'AntibrÒthn, met¦ d' `IppoqÒhn ™r…qumon, tÍsi d' ™f' `ArmoqÒhn. 'Epˆ d' Öceto laÕn …panta sÝn Telamwni£dV megal»tori: tîn d' ØpÕ cersˆ

509 Øpškluen oÜasin H : ™pškluen Platt 527 poucandša nhdÚn Y 529 œle d»icon codd. : corr. Pauw | ºdä ¢r»ion H : ½de ¢r»ion Y : corr. Köchly | DhikÒwnt' „d' prop. Vian 533 êleto laÕn H

LIBRO PRIMO, VV. 509-534

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giacché nelle sue orecchie udiva il luttuoso tumulto. Entrambi si lanciarono sulle armi scintillanti; e indossatele si posero a capo della schiera; molto risuonarono le loro belle armi, e in loro infuriava il medesimo coraggio di Ares: una così grande potenza a entrambi, bramosi di guerra, 100 aveva concesso l’Indomita che scuote lo scudo. Gli Argivi si compiacquero, come videro i due potenti simili ai figli del grande Aloeo, i quali si dice una volta sul vasto Olimpo vollero porre grosse montagne, il ripido Ossa e il Pelio dagli alti vertici, per raggiungere con ardore perfino il cielo; così si misero a capo dello scontro esiziale gli Eacidi, grande gioia per gli Achei che li attendevano, entrambi bramosi di annientare la schiera nemica. Molti abbatterono con le loro invincibili lance; come quando le pingui e minute greggi due leoni, domatori di buoi, scoprono nel folto della selva, lontano dai loro pastori, e tutte insieme le sbranano, bevendone il nero sangue fino all’ultima goccia, 101 con le viscere sazieranno il loro ampio ventre; proprio così i due eroi diedero la morte a un’infinita schiera di uomini. Qui Aiace colse Deioco e il bellicoso Illo, Eurinomo amante della guerra e il divino Enieo. Il Pelide invece afferrò Antandra e Polemusa, e anche Antibrote, e dopo Ippotoe sdegnosa, e su queste Armotoe.102 Egli attaccava tutta la schiera insieme col Telamonide ardimentoso; sotto le loro mani

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

pukna… te sqenara… te kathre…ponto f£laggej ˜e‹a kaˆ Ñtralšwj, æj e„ purˆ d£skioj Ûlh, oÜreoj ™n xulÒcoisin ™pispšrcontoj ¢»tew. ToÝj d' ÐpÒt' e„senÒhse dapfrwn Penqes…leia qÁraj Ópwj qÚnontaj ¢n¦ mÒqon ÑkruÒenta, ¢mfotšrwn Êrmhse katant…on, ºÅte lugr¾ pÒrdalij ™n xulÒcoisin Ñlšqrion Ãtor œcousa a„n¦ perissa…nousa qÒrV katšnant' ™piÒntwn ¢greutîn, o† pšr min ™n œntesi qwrhcqšntej ™ssumšnhn m…mnousi pepoiqÒtej ™gce…Vsin: ìj ¥ra Penqes…leian ¢r»ioi ¥ndrej œmimnon doÚrat' ¢eir£menoi: perˆ dš sfisi calkÕj ¢Åtei kinumšnwn. Prèth d' œbalen perim»keton œgcoj ™sql¾ Penqes…leia: tÕ d' ™j s£koj A„ak…dao mxen, ¢pepl£gcqh dä diatrufän eât' ¢pÕ pštrhj: to‹' œsan `Hfa…stoio per…fronoj ¥mbrota dîra. vH d' ›teron met¦ cersˆ titÚsketo qoàron ¥konta A‡antoj katšnanta kaˆ ¢mfotšroisin ¢pe…lei: «Nàn män ™mÁj ¢pÕ ceirÕj ™tèsion œkqoren œgcoj: ¢ll' Ñpw t£ca tÚde mšnoj kaˆ qumÕn Ñlšssein Ømšwn ¢mfotšrwn, o† t' ¥lkimoi eÙcet£asqe œmmenai ™n Danao‹sin: ™lafrotšrh dä mÒqoio œssetai ƒppod£moisi met¦ Trèessin ÑázÚj. 'All£ moi «sson †kesqe ¢n¦ klÒnon, Ôfr' ™s…dhsqe Ósson 'AmazÒsi k£rtoj ™nˆ st»qessin Ôrwre. Kaˆ g£r meu gšnoj ™stˆn ¢r»ion: oÙdš me qnhtÕj ge…nat' ¢n»r, ¢ll' aÙtÕj ”Arhj ¢kÒrhtoj ÐmoklÁj: toÜnek£ moi mšnoj ™stˆ polÝ proferšstaton ¢ndrîn».

540 lugr» om. H 541 œcousa om. H 542 perissa…nousa qorÁ Y : qore‹ H : corr. Köchly 546 ¢Útei om. H 549 ¢pÕ pštrhj om. H 551 met¦ fresˆ W : corr. Nr et Rhodomann 557 ƒppod£moisi tÒte Köchly 558 ™is…desqe codd. : ™is…dhte Lasc.2 : corr. Rhodomann

LIBRO PRIMO, VV. 535-562

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fitte e vigorose falangi cadevano con facilità e in poco tempo, come una selva ombrosa in preda al fuoco, nel folto bosco del monte all’incalzare del vento. Non appena li scorse la valente Pentesilea come fiere impazzanti nel raccapricciante tumulto, si lanciò contro entrambi, come rovinosa pantera balzi nella macchia, con animo distruttore terribilmente muovendo la coda, contro i cacciatori che avanzano, i quali ben protetti dalle armi tengono fronte al suo assalto, confidando nelle lance; così anche i due eroi attendevano Pentesilea, con le lance in resta; intorno a loro il bronzo risuonava ad ogni momento. Per prima scagliò la lunga asta la prode Pentesilea; questa raggiunse lo scudo dell’Eacide, ma deviò spezzata come da uno scoglio; tali erano i doni immortali dell’accorto Efesto. Ella dunque con le mani un violento dardo scagliava contro Aiace, e minacciava entrambi:103 «Ora invano dalla mia mano è partita la lancia, ma penso che ben presto con questo colpo manderò in rovina l’impeto e l’ardore di tutti e due, che menate vanto d’essere i più valorosi tra i Danai; più mite sarà il dolore dello scontro per i Troiani signori dei cavalli. Ma su, venite più vicini a me nella mischia, perché vediate quanto vigore si levi in cuore alle Amazzoni. Anche la mia stirpe è guerriera; né un mortale mi ha dato la vita, ma lo stesso Ares mai pago del clamore di guerra. Per questo il mio impeto è di gran lunga superiore a quello degli uomini».

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

’H mšga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . toˆ d' ™gšlassan. ”Afar dš oƒ ½lasen a„cm¾ A‡antoj knhm‹da pan£rguron: oÙdš oƒ e‡sw ½luqen ™j crÒa kalÕn ™peigomšnh per ƒkšsqai: oÙ g¦r d¾ pšprwto mig»menai a†mati ke…nou dusmenšwn stonÒessan ™nˆ ptolšmoisin ¢kwk»n. A‡aj d' oÙk ¢lšgizen 'AmazÒnoj, ¢ll' ¥ra Trèwn ™j plhqÝn ¢nÒrouse: l…pen d' ¥ra Phle…wni o‡. Penqes…leian, ™pe… ˜£ oƒ ™n fresˆ qumÕj Édeen æj 'AcilÁi kaˆ „fq…mh per ™oàsa ˜h…dioj pÒnoj œsseq' Ópwj ‡rhki pšleia. vH dä mšga ston£chsen ™tèsia doàra baloàsa: ka… min kertomšwn prosefènee Phlšoj uƒÒj: «’W gÚnai, æj ¡l…oisin ¢gallomšnh ™pšessin šmšwn ½luqej ¥nta lilaiomšnh polem…zein, o‰ mšga fšrtato… e„men ™picqon…wn šrèwn. 'Ek g¦r d¾ Kron…wnoj ™rigdoÚpoio genšqlhj eÙcÒmeq' ™kgeg£men: tromšeske dä kaˆ qoÕj “Ektwr šmšaj, e„ kaˆ ¥pwqen ™sšdraken ¢pssontaj dÁrin ™pˆ stonÒessan: ™m¾ dš min œktanen a„cm¾ kaˆ kraterÒn per ™Ònta. SÝ d' ™n fresˆ p£gcu mšmhnaj,   mšg' œtlhj kaˆ nîin ™phpe…lhsaj Ôleqron s»meron: ¢ll¦ soˆ enqar ™leÚsetai Ûstaton Ãmar: oÙdä g¦r oÙd' aÙtÒj se pat¾r œti ˜Úsetai ”Arhj ™x ™mšqen, t…seij dä kakÕn mÒron, eât' ™n Ôressi kemm¦j Ðmart»sasa boodmhtÁri lšonti. –H oÜ pw tÒd' ¥kousaj, Óswn Øpok£ppese gu‹a eÝj prophsin, · d' ¢kam£thj ¢pÕ ceirÕj œssutai À ™pˆ pÒnton ¢pe…riton À ™pˆ ga‹an marma…rwn, tÚ d' ¢mfˆ mšgaj pelem…zet' ”Olumpoj: to‹oj ”Arhj tanao‹o di' ºšroj ¢scalÒwn kÁr œssuto sÝn teÚcessin, ™peˆ mÒron a„nÕn ¥kouse paidÕj ˜Áj: tÚ g£r ˜a kat' oÙranÕn eÙrÝn ™Ònti Aârai muq»santo qoaˆ Boršao qÚgatrej koÚrhj a„nÕn Ôleqron. vO d' æj klÚen, soj ¢šllV 'Ida…wn Ñršwn ™peb»seto: toà d' ØpÕ possˆn ¥gkea k…nuto makr¦ baqÚrrwcmo… te car£drai kaˆ potamoˆ kaˆ p£ntej ¢peiršsioi pÒdej ”Idhj. Ka… nÚ ke MurmidÒnessi polÚstonon êpasen Ãmar, e„ m» min ZeÝj aÙtÕj ¢p' OÙlÚmpoio fÒbhse smerdalšVj steropÍsi kaˆ ¢rgalšoisi kerauno‹j o† oƒ prÒsqe podîn qamšej potšonto di' a‡qrhj deinÕn ¢paiqÒmenoi. vO d' ¥r' e„sorÒwn ™nÒhse patrÕj ™rigdoÚpoio mšga bromšousan Ðmokl»n, œsth d' ™ssÚmenÒj per ™pˆ ptolšmoio kudoimÒn. `Wj d' Ót' ¢p' ºlib£tou skopiÁj perim»kea l©an l£broj Ðmîj ¢nšmoisin ¢porr»xV DiÕj Ômbroj, Ômbroj ¥r' ºä keraunÒj, ™piktupšousi dä bÁssai l£bra kulindomšnoio, · d' ¢kam£t. ØpÕ ˜o…bd. œssut' ¢naqróskwn m£la tarfša, mšcrij †chtai cîron ™p' „sÒpedon, sta…h d' ¥far oÙk ™qšlwn per: ìj DiÕj Ôbrimoj uƒÕj ”Arhj ¢škont… ge qumÚ œsth ™peigÒmenÒj per, ™peˆ mak£rwn medšonti p£ntej Ðmîj e‡kousin 'OlÚmpioi, oÛnek' ¥r' aÙtîn pollÕn ØpšrtatÒj ™sti, pšlei dš oƒ ¥spetoj ¢lk». Poll¦ dä porfÚronta qoÕj nÒoj ÑtrÚnesken ¥llote män Kron…dao mšg' ¢scalÒwntoj ™nip¾n 680 polem…zet' ”Olumpoj HcLLasc.1-2 683 eÙrÝn „Ònti Vian 684 qeaˆ Boršao Vian (cf. I 141; XIII 377) 685 æj k…en codd. : corr. Pierson 692 qamšej potÒwnto codd. : corr. Spitzner 698 ™piktupšousai dä bÁssai Y 699 laàra kulindomšnoio W | ØpÕ ˜o…z. Köchly 707 ¢ll' Óte D

LIBRO PRIMO, VV. 677-707

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simile al terribile fulmine che sempre risuona, scagliato da Zeus: questo dall’indefessa mano si precipita o nel mare senza confini o sulla terra, brillando, e per questo il vasto Olimpo tutt’intorno trema;128 Tale Ares afflitto nel cuore per il vasto aere si precipitò in armi, come udì della triste sorte di sua figlia; a lui infatti, mentre era nell’ampio cielo, le veloci129 auree figlie di Borea riferirono l’atroce fine della fanciulla. E questi, come udì, simile a tempesta si recò sui monti Idei; sotto i suoi piedi erano scosse le ampie vallate e le gole profonde e i fiumi e tutte le immense radici dell’Ida. E certo ai Mirmidoni avrebbe recato un giorno di molte lacrime se lo stesso Zeus dall’Olimpo non lo avesse atterrito con lampi spaventosi e terribili fulmini, che dinanzi ai suoi piedi continui si mossero nell’etere, infuocandosi con orrore. Vedendoli comprese ch’era la minaccia dalla vasta eco del padre altitonante, e si fermò, pur volendosi lanciare nel tumulto della pugna. Come quando dall’alta vetta una grossa pietra la violenta pioggia di Zeus, in un tutt’uno coi venti, stacca: la pioggia o un fulmine, e risuonano le valli al suo rotolare violento, e questo, sotto lo schianto incessante avanza balzando rapidamente, finché non giunge su un luogo piano, e si ferma, pur senza volerlo;130 così l’impetuoso Ares figlio di Zeus, di controvoglia s’arrestò, seppur bramoso, giacché al signore dei beati tutti gli Olimpi parimenti cedono, ché certo tra loro è di gran lunga il più forte, e immensa è la sua potenza. Tra molte inquietudini la mente agitata lo incitava ora, paventando con grande sdegno l’ira terribile

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

smerdalšhn tromšonta prÕj oÙranÕn ¢ponšesqai, ¥llote d' oÙk ¢lšgein sfetšrou patrÒj, ¢ll' 'AcilÁi m‹xai ™n a†mati ce‹raj ¢teiršaj. 'Oyä dš oƒ kÁr mn»saq' Ósoi kaˆ ZhnÕj ™nˆ ptolšmoisi d£mhsan uƒšej omj oÙd' aÙtÕj ™p»rkesen Ñllumšnoisi. ToÜnek' ¢p' 'Arge…wn ˜k¦j ½ien: à g¦r œmelle ke‹sqai Ðmîj TitÁsi dameˆj stonÒenti keraunÚ, e„ DiÕj ¢qan£toio par' ™k nÒon ¥lla meno…na. Kaˆ tÒt' ¢r»ioi umej ™ãsqenšwn 'Arge…wn sÚleon ™ssumšnwj bebrotwmšna teÚcea nekrîn p£ntV ™pessÚmenoi. Mšga d' ¥cnuto Phlšoj uƒÕj koÚrhj e„sorÒwn ™ratÕn sqšnoj ™n kon…Vsi: toÜnek£ oƒ krad…hn Ñloaˆ katšdapton ¢n‹ai, ÐppÒson ¢mf' ˜t£roio p£roj PatrÒkloio damšntoj. Qers…thj dš min ¥nta kakÚ mšga ne…kese mÚq.: «’W 'Acileà fršnaj a„nš, t… ½ nÚ seu ½pafe da…mwn qumÕn ™nˆ stšrnoisin 'AmazÒnoj e†neka lugrÁj   nîin kak¦ poll¦ lila…eto mht…sasqai; Ka… toi ™nˆ fresˆ sÍsi gunaimanäj Ãtor œconti mšmbletai æj ¢lÒcoio polÚfronoj ¼n t' ™pˆ ›dnoij kourid…hn mn»steusaj ™eldÒmenoj gamšesqai. “Wj s' Ôfelon kat¦ dÁrin Øpofqamšnh b£le dour…, oÛneka qhlutšrVsin ¥dhn ™pitšrpeai Ãtor, oÙdš nu so… ti mšmhlen ™nˆ fresˆn oÙlomšnVsin ¢mf' ¢retÁj klutÕn œrgon, ™p¾n ™s…dVsqa guna‹ka. Scštlie, poà nÚ to… ™sti ™å sqšnoj ºdä nÒhma;

711 kaˆ diÕj H 715 e„dÕj ¢qan£toio Y : e„dëj [et ›wj oá s.l.] H : spatio relicto om. C : corr. Pauw 722 mšga add. Tychsen 723 À add. R et Rhodomann | ½kace da…mwn codd. : corr. Spitzner 724 oÜneka lugrÁj codd. : corr. Spitzner 727 mšmbleto æj codd. : corr. Hermann | ¢lÒcoio per…fronoj malit Vian (cf. 10,474) 733 perˆ sqšnoj W : cruc. Vian : pšri L : corr. Spitzner.

LIBRO PRIMO, VV. 708-733

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del Cronide, a far ritorno nel cielo, ora a non portar rispetto verso suo padre, ma con Achille a unirsi nel sangue con le mani possenti.131 Dopo il suo animo volse il pensiero a quanti perirono nelle mischie, figli di Zeus, che neppure lui stesso soccorse nella disfatta.132 Perciò dagli Argivi si teneva lontano, perché altrimenti si sarebbe avviato a giacere allo stesso modo dei Titani, colpito dal lugubre fulmine,133 se contro il volere di Zeus immortale avesse ordito altre imprese.134

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[Achille è schernito da Tersite e in un impeto d’ira lo uccide] E allora i bellicosi figli dei forti Argivi veementi spogliarono i cadaveri delle armi insanguinate, qua e là volgendosi. E molto si doleva il Pelide nel guardare nella polvere l’amabile vigore della vergine; perciò terribili angosce gli dilaniavano il cuore, quanto per il compagno Patroclo, da poco caduto.135 Tersite allora lo riprese con parole assai maligne:136 «O Achille, bieco nel cuore, come mai un dio ha ingannato nel petto il tuo animo, a cagione dell’Amazzone sciagurata, che a noi molti mali bramava recare? Infatti a te che hai nel petto un animo da donnaiolo137 lei sta a cuore come una sposa avveduta,138 che con doni nuziali avessi chiesto in moglie, bramoso di sposarla. Oh, magari precedendoti t’avesse colpito con l’asta nella mischia, perché troppo alle donne indulge il tuo animo. E non t’importa più, nel cuore tuo corrotto, di un nobile atto di coraggio, poiché hai visto una donna. Sciagurato! Dove sono ora il tuo vigore e il tuo senno?139

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

PÍ dä b…h basilÁoj ¢mÚmonoj; OÙdš ti onsqa Ósson ¥coj Trèessi gunaimanšousi tštuktai; OÙ g¦r terpwlÁj Ñloèteron ¥llo broto‹sin ™j lšcoj ƒemšnhj, ¼ t' ¥frona fîta t…qhsi kaˆ pinutÒn per ™Ònta. PÒn. d' ¥ra kàdoj Ñphde‹: ¢ndrˆ g¦r a„cmhtÍ n…khj klšoj œrga t' ”Arhoj terpn£, fugoptolšm. dä gunaikîn eÜaden eÙn»». *Á mšga neike…wn: · dš oƒ pericèsato qumÚ Phle…dhj ™r…qumoj. ”Afar dš ˜ ceirˆ krataiÍ tÚye kat¦ gnaqmo‹o kaˆ oÜatoj: o‰ d' …ma p£ntej ™xecÚqhsan ÑdÒntej ™pˆ cqÒna, k£ppese d' aÙtÕj prhn»j: ™k dš oƒ amma di¦ stÒmatoj pefÒrhto ¢qrÒon: aya d' ¥nalkij ¢pÕ melšwn fÚge qumÕj ¢nšroj oÙtidano‹o. C£rh d' ¥ra laÕj 'Acaiîn: toÝj g¦r ne…kee p£mpan ™pesbol…Vsi kakÍsin aÙtÕj ™ën lwbhtÒj: · g¦r Danaîn pšlen a„dèj. Ka… ˜£ tij ïd' e‡pesken ¢rhiqÒwn 'Arge…wn: «OÙk ¢gaqÕn basilÁaj Øbrizšmen ¢ndrˆ cšrhi ¢mfadÕn oÜte krufhdÒn, ™peˆ cÒloj a„nÕj Ñphde‹: œsti qšmij, kaˆ glîssan ¢naidša t…nutai ”Ath ¼ t' a„eˆ merÒpessin ™p' ¥lgesin ¥lgoj ¢šxei». vWj ¥r' œfh Danaîn tij: · d' ¢scalÒwn ™nˆ qumÚ Phle…dhj ™r…qumoj œpoj potˆ to‹on œeipe: «Ke‹sÒ nun ™n kon…Vsi lelasmšnoj ¢frosun£wn: oÙ g¦r ¢me…noni fwtˆ creën kakÕn ¢ntifer…zein: ·j ka… pou prop£roiqen 'OdussÁoj talaÕn kÁr ¢rgalšwj êrinaj ™lšgcea mur…a b£zwn. 'All' oÙ Phle…dhj toi Ðmo…ioj ™xefa£nqhn, Ój seu qumÕn œlusa kaˆ oÙk ™pˆ ceirˆ bare…V plhx£menoj: sä dä pÒtmoj ¢me…licoj ¢mfek£luye, sÍ d' Ñligodran…V qumÕn l…pej. 'All' ¢p' 'Acaiîn 735 gunaimanšessi J.C. Struve. 739 n…kh klšoj codd. : corr. Köchly 740 dä om. W 751 om. H 752 Óph cÒloj codd. : corr. Lehrs 758 creë kakÕn Vian 762 oÜ nÚ ti uel simile pro oÙk ™pˆ ceirˆ prop. Vian

LIBRO PRIMO, VV. 734-764

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Dove la forza di un re senza difetti? Non sai forse quanta pena sia toccata ai Troiani, pazzi per le donne? Perché nient’altro per i mortali è più rovinoso del piacere del letto, che fa impazzire l’uomo anche quando è prudente. Mentre l’impegno segue la gloria: all’uomo valente la fama della vittoria e le opere di Ares sono care, ma ai codardi piace il letto di donne».140 Così diceva, muovendolo a lite, e in cuor suo bruciò d’ira il fiero Pelide. Subito con mano vigorosa lo colpì tra la mascella e l’orecchio; e tutti insieme i suoi denti si versarono a terra, e quello cadde a capo chino; dalla bocca gli colava sangue senza sosta; e subito l’anima vile fuggì dalle membra dell’uomo senza valore. Gioì l’esercito degli Achei; giacché quello molto li biasimava con odiose invettive, pur essendo miserabile: era infatti la vergogna dei Danai, e qualcuno così disse tra gli Argivi rapidi nella pugna: «Non è bene per un uomo misero oltraggiare i sovrani né pubblicamente né in segreto; perché atroce rancore ne segue; è giusto, e Ate punisce la lingua sfrontata, lei che sempre alle sorti fa crescere mali su mali». Così diceva uno dei Danai, e sdegnato in cuor suo il fiero Pelide aggiungeva rivolto a Tersite: «Giaci ora nella polvere, deposte le tue sfrontatezze:141 non è opportuno che un vile contenda con un uomo più virtuoso. Tu già un tempo l’animo del paziente Ulisse provocasti con fastidio, offendendolo senza sosta.142 Ma io, il Pelide, non mi sono rivelato come lui, io che ho posto fine alla tua vita, pur colpendoti con mano non forte; e una morte amara ti ha avvolto, e per la tua viltà perdesti la vita. Ma ora vattene

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

œrre kaˆ ™n fqimšnoisin ™pesbol…aj ¢gÒreue». vWj œfat' A„ak…dao qrasÚfronoj ¥tromoj uƒÒj. Tude…dhj d' ¥ra moànoj ™n 'Arge…oij 'AcilÁi cèeto Qers…tao dedoupÒtoj, oÛnek' ¥r' aÙtoà eÜcet' ¢f' a†matoj ennai, ™peˆ pšlen ·j män ¢gauoà Tudšoj Ôbrimoj uƒÒj, · d' 'Agr…ou „soqšoio, 'Agr…ou Ój t' O„nÁoj ¢delfeÕj œpleto d…ou: O„neÝj d' uƒša ge…nat' ¢r»ion ™n Danao‹si Tudša: toà d' ™tštukto p£áj sqenarÕj Diom»dhj. ToÜneka Qers…tao perˆ ktamšnoio calšfqh. Ka… nÚ ke Phle…wnoj ™nant…on ½rato ce‹raj, e„ m» min katšruxan 'Acaiîn fšrtatoi umej poll¦ parhgoršontej ÐmiladÒn: ìj dä kaˆ aÙtÕn Phle…dhn ˜tšrwqen ™r»tuon. ’H g¦r œmellon ½dh kaˆ xifšessin ™ridma…nein oƒ ¥ristoi 'Arge…wn: toÝj g£r ˜a kakÕj cÒloj ÑtrÚnesken. 'All' o‰ män pep…qonto paraifas…Vsin ˜ta…rwn. O‰ dä mšg' o„kte…rantej ¢gau¾n Penqes…leian 'Atre‹dai basilÁej, ¢gass£menoi dä kaˆ aÙtoˆ Trwsˆ dÒsan potˆ ¥stu fšrein ™rikudšoj ”Ilou sÝn sfo‹sin teÚcessin, ™peˆ Pri£moio nÒhsan ¢ggel…hn proášntoj: · g¦r fresˆn Îsi meno…na koÚrhn ÑbrimÒqumon Ðmîj teÚcessi kaˆ †pp. ™j mšga sÁma balšsqai ¢fneioà Laomšdontoj. Ka… oƒ purkai¾n nh»sato prÒsqe pÒlhoj

773 ™tekto p£ij Y : ™tšketo H : corr. Rhodomann 779 ™rida…nein oƒ ¥ristoi H 783 d~ om. M : te coni. Zimmermann

LIBRO PRIMO, VV. 765-789

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lontano dagli Achei e continua a offendere tra i morti». Così parlò l’intrepido figlio dell’Eacide animo audace. Tra gli Argivi dunque solo il Tidide con Achille era adirato per Tersite caduto, giacché dal suo stesso sangue si gloriava di discendere, poiché questi era del nobile Tideo il forte figlio, e l’altro di Agrio pari a un dio, di Agrio, che fu fratello del divino Oineo; e Oineo ebbe per figlio Tideo guerriero tra i Danai: di questi dunque era figlio il possente Diomede.143 Per questo era in collera per la morte di Tersite. E subito avrebbe alzato le mani contro il Pelide, se i più valenti figli degli Achei non l’avessero trattenuto in molti, placandolo con molte parole; così anche lo stesso Pelide dall’altra parte trattenevano. Certo i più valorosi tra gli Argivi erano pronti allo scontro con le spade, giacché odioso rancore li incalzava, ma quelli avevano dato ascolto ai consigli dei compagni.

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[Gli Atridi restituiscono il corpo di Pentesilea a Priamo. Dolore dei Troiani] Con molta compassione per la nobile Pentesilea i re Atridi, poiché persino loro la ammiravano, la diedero ai Troiani perché la portassero nella rocca della splendida Ilio con le sue armi; allorché ebbero inteso il messaggio inviato da Priamo: egli in cuor suo desiderava porre la fanciulla dall’animo possente, insieme con le armi e il cavallo nel grande sepolcro del ricco Laomedonte. E per lei innalzò una pira, dinanzi alla città

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Øyhl»n, eÙre‹an: Ûperqe dä q»kato koÚrhn pollo‹j sÝn kte£tessin Ósa ktamšnV ™peókei ™n purˆ sugceÚasqai ™ãkte£n. basile…V. Kaˆ t¾n män katšdaye mšnoj mšga `Hfa…stoio, flÕx Ñlo»: laoˆ dä peristadÕn ¥lloqen ¥lloi purkaá¾n sbšssanto qoîj eÙèdeá o‡n.. 'Ostša d' ¢llšxantej ¥dhn ™pšceuan ¥leifa šdÝ kaˆ ™j ko…lhn chlÕn qšsan: ¢mfˆ d' ¥r' aÙto‹j p…ona dhmÕn Ûperqe b£lon boÕj ¼ t' ¢gšlVsin 'Ida…oij ™n Ôressi metšprepe ferbomšnVsi. Trîej d' Êj te qÚgatra f…lhn perikwkÚsantej ¢cnÚmenoi t£rcusan ™Ådmhton perˆ te‹coj pÚrg. ™pˆ proÜconti par' Ñstša Laomšdontoj, Ãra fšrontej ”Arhi kaˆ aÙtÍ Penqesile…V. Ka… oƒ parkatšqayan 'AmazÒnaj Óssai …m' aÙtÍ ˜spÒmenai potˆ dÁrin Øp' 'Arge…oisi d£mhsan: oÙ g£r sfin tÚmboio poluklaÚtoio mšghran 'Atre‹dai, Trèessi d' ™ãptolšmoisin Ôpassan ™k belšwn ™rÚsasqai Ðmîj ktamšnoisi kaˆ ¥lloij. OÙ g¦r ™pˆ fqimšnoisi pšlei kÒtoj, ¢ll' ™leeinoˆ d»ioi oÙkšt' ™Òntej, ™p¾n ¢pÕ qumÕj Ôlhtai. 'Arge‹oi d' ¢p£neuqe dÒsan purˆ poll¦ k£rhna šrèwn o‰ d» sfin Ðmoà kt£qen ºd' ™d£mhsan Trèwn ™n pal£mVsin ¢n¦ stÒma dhiotÁtoj, poll¦ m£l' ¢cnÚmenoi ktamšnwn Ûper: œxoca d' ¥llwn ¢mf' ¢gaqoà mÚronto Pod£rkeoj. OÙ g¦r ™p' ™sqloà deÚet' ¢delfeio‹o m£cV œni Prwtesil£ou: ¢ll' · män ½dh prÒsqen Øf' “Ektori ke‹to daácqeˆj ºÝj Prwtes…laoj, · d' œgceá Penqesile…hj bl»menoj 'Arge…oisi lugrÕn perik£bbale pšnqoj. 786 ¢ggel…hn proiÒntoj YV 792 purˆ sugke…asqai Vian 796 ™pšceuan ¥leifar RLasc.1-2 797 chlÕn qšssan H (et Usl) : qšan Mpc : qšaj Mac 798 Ûperq' œbalon codd. : corr. Köchly 801 par¦ te‹coj Pauw 805 par¦ dÁrin L : perˆ W : corr. Köchly 806 g£r ¢mfˆ H 810 qumÕj Ôlutai codd. : corr. Lasc.2 815 ¢gaqoà kÚronto D : ke…ronto NslEAld.

LIBRO PRIMO, VV. 790-819

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alta, ampia; sopra vi pose la fanciulla con molti beni quanti si addiceva che a una ricca sovrana defunta fossero posti nel rogo.144 Allora la consumò, grande potenza di Efesto, la fiamma edace: le genti, chi da un luogo, chi dall’altro, in fretta spensero la pira con vino odoroso. Una volta raccolte le ossa vi versarono olio in quantità, dolce, e le riposero in un’urna vuota; intorno a queste gettarono il pingue grasso di una vacca che tra le greggi spiccava al pascolo sui monti Idei.145 I Troiani, piangendola come un’amata figlia nel dolore la seppellirono146 lungo il muro ben costruito, in una torre elevata, accanto alle ossa di Laomedonte,147 facendo cosa gradita ad Ares e alla stessa Pentesilea. E vi seppellirono accanto le Amazzoni, quante, con lei venute alla mischia, dagli Argivi furono abbattute: gli Atridi infatti non rifiutarono loro una tomba su cui piangere molto,148 ma concessero ai Troiani bellicosi di trascinarle fuori dal tiro dei dardi, con gli altri caduti. Perché non v’è rancore per i defunti, bensì degni di compassione sono i nemici caduti, quando la vita si perde.149 Gli Argivi, in disparte, davano al fuoco le teste degli eroi che, insieme con quelle, erano stati uccisi o sopraffatti dalle mani dei Troiani, nel baratro della pugna, versando molte lacrime per i caduti; ma più di tutti gli altri si sciolsero in lacrime per il prode Podarce. Egli nella pugna non era inferiore a Protesilao, nobile fratello, ma uno da tempo giaceva ucciso da Ettore,150 il valente Protesilao, l’altro, fiaccato dalla lancia di Pentesilea triste lutto aveva gettato sugli Argivi.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ToÜnek£ oƒ plhqÝn män ¢pÒproqi tarcÚsanto teqnaÒtwn: ke…n. dä pšrix ™b£lonto kamÒntej o‡. sÁm' ¢r…dhlon, ™peˆ qrasÝj œpleto qumÚ. NÒsfi dä Qers…tao lugrÕn dšmaj oÙtidano‹o q£yantej, potˆ nÁaj ™ãprèrouj ¢f…konto A„ak…dhn 'AcilÁa mšga fresˆ kuda…nontej. ’Hmoj d' a„gl»essa kat' 'Wkeano‹o beb»kei 'Hèj, ¢mfˆ dä ga‹an ™k…dnato qespes…h NÚx, d¾ tÒt' ¥r' ™n klis…Vj 'Agamšmnonoj ¢fneio‹o da…nuto Phle…dao b…h: sÝn d' ¥lloi ¥ristoi tšrpont' ™n qal…Vj mšcrij 'Hî d‹an ƒkšsqai.

820 oƒ plhtÝj Y 821 ke…nou dä Lasc.2 826 'Wkeano‹o bebl»kei Y

LIBRO PRIMO, VV. 820-830

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Per questo lungi da lui seppellirono la turba dei morti. Per lui solo invece posero tutt’intorno con gran lavoro un magnifico sepolcro, poiché era intrepido nel cuore. Dopo aver seppellito più in là il misero corpo del vile Tersite,151 si mossero verso le navi dalle belle prue, per onorare con tutto il cuore l’Eacide Achille. Dopo che Aurora splendente si fu ritirata fin sotto l’oceano, e quando intorno alla terra si stese la notte divina, proprio allora nella tenda del ricco Agamennone banchettava la forza del Pelide; e insieme gli altri nobili godevano del convito, fino a quando Aurora divina tornò.152

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LIBRO SECONDO traduzione e note di Shanna Rossi

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AÙt¦r ™peˆ koruf¦j Ñršwn Øpär ºchšntwn lamprÕn Øpär f£oj Ãlqen ¢teiršoj ºel…oio, o‰ män ¥r' ™n klis…Vsin 'Acaiîn Ôbrimoi umej g»qeon ¢kam£t. mšg' ™peucÒmenoi 'AcilÁi: Trîej d' aâ mÚronto kat¦ ptÒlin, ¢mfˆ dä pÚrgouj ˜zÒmenoi skop…azon, ™peˆ fÒboj œllabe p£ntaj, m¾ d» pou mšga te‹coj ØperqÒrV Ôbrimoj ¢n¾r aÙtoÚj te kte…nV kat£ te pr»sV purˆ p£nta. To‹si d' ¥r' ¢cnumšnoisi gšrwn metšeipe Qumo…thj: «’W f…loi, oÙkšt' œgwge perˆ fresˆn oda noÁsai Óppwj œssetai ¥lkar ¢nihroà polšmoio “Ektoroj ¢gcem£coio dedoupÒtoj, ·j mšga Trèwn k£rtoj œhn tÕ p£roiqe: kaˆ oÙd' Ó ge KÁraj ¥luxen, ¢ll' ™d£mh pal£mVsin 'Acillšoj, ú per Ñpw kaˆ qeÕn ¢nti£santa m£cV œn dVwqÁnai: o†hn t»nd' ™d£massen ¢n¦ klÒnon, ¼n per oƒ ¥lloi 'Arge‹oi fobšonto, dapfrona Penqes…leian: kaˆ g¦r œhn œkpagloj: œgwgš min æj ™nÒhsa, Èás£mhn mak£rwn tin' ¢p' oÙranoà ™nq£d' ƒkšsqai šm‹n c£rma fšrousan: · d' oÙk ¥r' ™t»tumon Ãen. 'All' ¥ge frazèmesqa t… lèion ¥mmi gšnhtai, À œti pou stugero‹si macèmeqa dusmenšessin, À ½dh feÚgwmen ¢p' ¥steoj Ñllumšnoio:

1 Øper- codd. : corr. J.C. Struve 6 skopi£askon DC : -…askon YUQ : corr. Rhodomann 15 ¥n codd. : corr. Rhodomann.

[Disperazione dei Troiani per Pentesilea. Priamo annuncia l’arrivo dell’etiope Memnone]1 Poi, quando sulle cime dei monti risonanti2 la chiara luce del sole indistruttibile apparve di sopra, nelle tende i figli possenti degli Achei godevano ancora, assai gloriandosi dell’infaticabile Achille. I Troiani, invece, gemevano nella rocca, e intorno alle torri stavano di guardia, poiché un timore aveva preso tutti: che quell’uomo violento saltasse il grande muro e li uccidesse e bruciasse tutto col fuoco. Allora a quelli, afflitti, parlò il vecchio Timete:3 «Amici, io nel mio cuore non so più capire in che modo potrà esserci una difesa dalla guerra funesta ora che Ettore coraggioso è caduto combattendo, egli che dei Troiani la grande forza era una volta; eppure non sfuggì le Chere, ma fu abbattuto dalle mani di Achille, dal quale, io credo, che perfino un dio sarebbe ucciso se volesse affrontarlo in battaglia; come costei che egli vinse a duello, la quale pure gli altri Argivi temevano, la valente Pentesilea. E infatti era terribile; io stesso, quando la vidi, pensai che una dei beati fosse giunta qui dal cielo a portarci la grazia; ma non era vero.4 Ma ora pensiamo a cosa sia meglio per noi, se combattere ancora gli odiosi nemici o se ormai fuggire dalla città che perisce;

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

oÙ g¦r œt' 'Arge…oisi dunhsÒmeq' ¢ntifer…zein marnamšnou kat¦ dÁrin ¢meil…ktou 'AcilÁoj». vWj ¥r' œfh: tÕn d' uƒÕj ¢me…beto Laomšdontoj: «’W f…loj ºd' ¥lloi Trîej sqenaro… t' ™p…kouroi, m» nÚ ti deima…nontej ˜Áj cazèmeqa p£trhj, mhd' œti dusmenšessi macèmeqa tÁle pÒlhoj, ¢ll£ pou ™k pÚrgwn kaˆ te…ceoj, e„j Ó ken œlqV Mšmnwn ÑbrimÒqumoj ¥gwn ¢pere…sia fàla laîn o‰ na…ousi mel£mbroton A„qiÒpeian. ”Hdh g£r ˜a kaˆ aÙtÕn Ñpomai ¢gcÒqi ga…hj œmmenai šmetšrhj, ™peˆ à nÚ oƒ oÜ ti nšon ge ¢ggel…hn prošhka mšg' ¢cnÚmenoj perˆ qumÚ: aÙt¦r Ó g' ¢spas…wj moi Øpšsceto p£nta telšssai ™lqën ™j Tro…hn: ka… min scedÕn œlpomai enai. 'All' ¥ge tlÁt' œti baiÒn, ™peˆ polÝ lèiÒn ™sti qarsalšwj ¢polšsqai ¢n¦ klÒnon ºä fugÒntaj zèein ¢llodapo‹si par' ¢ndr£sin a‡sce' œcontaj». ’H ˜' Ð gšrwn: ¢ll' oÜ ti saÒfroni Poulud£manti ¼ndanen e„sšti dÁrij, ™Åfrona d' œkfato màqon: «E„ män d¾ Mšmnwn toi ¢rifradšwj katšneusen šmšwn a„nÕn Ôleqron ¢pwsšmen, oÜ ti mega…rw m…mnein ¢nšra d‹on ¢n¦ ptÒlin: ¢ll' ¥ra qumÚ de…dw m¾ sÝn ˜o‹si kiën ˜t£roisi dame…h ke‹noj ¢n»r, pollo‹j dä kaˆ ¥lloij pÁma gšnhtai šmetšroij: deinÕn g¦r ™pˆ sqšnoj Ôrnut' 'Acaiîn. 'All' ¥ge m»te pÒlhoj ˜Áj ¢pÕ tÁle fugÒntej a‡scea poll¦ fšrwmen ¢nalke…V ØpÕ lugrÍ ¢llodap¾n perÒwntej ™pˆ cqÒna, mhd' ™nˆ p£trV

32 A„qiop…an codd. : corr. Rhodomann 51 m¾ dš ti p£trhn codd. : corr. Rhodomann

LIBRO SECONDO, VV. 24-51

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infatti non potremo più opporci agli Argivi finché l’implacabile Achille combatte sul campo». Così disse, e rispose a lui il figlio di Laomedonte:5 «Amico, restanti Troiani e forti alleati, non allontaniamoci dalla nostra patria per paura, e neppure combattiamo ancora con i nemici lontano dalla città piuttosto dalle torri e dalle mura, finché non giunga il forte Mèmnone a capo di innumerevoli tribù di popoli che abitano l’Etiopia dalla gente nera. Ormai, infatti, credo che anch’egli sia vicino alla nostra terra, poiché non da poco a lui ho inviato un’ambasciata, assai travagliato nell’animo; ed egli con gioia mi promise che avrebbe compiuto ogni cosa una volta giunto a Troia; e spero che sia vicino. Su, abbiate ancora un po’ di pazienza, poiché è molto meglio morire con coraggio nella mischia piuttosto che, una volta fuggiti, vivere tra gente straniera, provando vergogna».

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[Polidamante propone di restituire Elena ai Greci: ira di Paride] Così parlò il vecchio; ma al saggio Polidamante non piaceva più la contesa, così pronunciò un chiaro discorso:6 «Se Mèmnone ti promise chiaramente di allontanare da noi la terribile rovina, non mi rifiuto di aspettare il nobile uomo in città; ma nell’animo temo che, venendo, sia abbattuto con i suoi compagni quell’uomo, e che sia di danno anche a molti altri dei nostri; terribile, infatti, si è destata la forza degli Achei. Coraggio, non subiamo, fuggendo lontano dalla nostra città, una grande infamia per una deplorevole debolezza, attraversando una terra straniera; e neppure in patria

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

m…mnontej kteinèmeq' Øp' 'Arge…wn Ñrumagdoà: ¢ll' ½dh Danao‹si, kaˆ e„ bradÚ, lèion e‡h e„sšti kudal…mhn `Elšnhn kaˆ kt»mata ke…nhj, ºmän Ósa Sp£rthqen ¢n»gagen ºdä kaˆ ¥lla, diss£ki tÒssa fšrontaj Øpär pÒliÒj te kaˆ aÙtîn wj oÙ ktÁsin ¢n£rsia fàla dšdastai šmetšrhn oÙd' ¥stu kat»nuke pàr ¢…dhlon. Nàn d' ¥g' ™me‹o p…qesqe ™nˆ fres…n: oÙ g¦r Ñ…w ¥llon ¢me…nona mÁtin ™nˆ Trèessi fr£sasqai. A‡q' Ôfelon kaˆ prÒsqen ™mÁj ™p£kousen ™fetmÁj “Ektwr, ÐppÒte min kater»tuon œndoqi p£trhj». vWj f£to Poulud£mantoj ™Ý sqšnoj: ¢mfˆ dä Trîej Éneon e„sapontej ™nˆ fres…n, oÙd' ¢nafandÕn màqon œfan: p£ntej g¦r ˜Õn tromšontej ¥nakta …zont' ºd' `Elšnhn, ke…nhj ›nek' ÑllÚmeno… per. TÕn dä kaˆ ™sqlÕn ™Ònta P£rij mšga ne…kesen ¥nthn: «Poulud£ma, sÝ mšn ™ssi fugoptÒlemoj kaˆ ¥nalkij, oÙdä soˆ ™n stšrnoisi pšlei mened»ion Ãtor, ¢ll¦ dšoj kaˆ fÚza: sÝ d' eÜceai enai ¥ristoj ™n boulÍ, p£ntwn dä cere…ona m»dea odaj. 'All' ¥ge sÝ män aÙtÕj ¢pÒsceo dhiotÁtoj, m…mne d' ™nˆ meg£roisi kaq»menoj: aÙt¦r oƒ ¥lloi ¢mf' ™mä qwr»xontai ¢n¦ ptÒlin, e„j Ó ke mÁcoj eÛrwmen qumÁrej ¢nhlegšoj polšmoio. OÙ g¦r nÒsfi pÒnoio kaˆ ¢rgalšou polšmoio ¢nqrèpoij mšga kàdoj ¢šxetai ºdä kaˆ œrgon, fÚza dä nhpi£coisi m£l' eÜaden ºdä gunaix…: ke…nVj qumÕn œoikaj: ™gë dš toi oÜ ti pšpoiqa marnamšn.: p£ntwn g¦r ¢maldÚneij qrasÝ k£rtoj». *Á mšga neike…wn: · dä cwÒmenoj f£to màqon 54 kt»mat’ ™k codd. : corr. Zimmermann 56 dhq£ki codd. : corr. Scaliger | fšrontej codd. : corr. Scaliger 57 ™kdÒmen add. Dausque | æj codd. : corr. Rhodomann 59 ™mo‹o codd. : ™mo… Lasc. : corr. Vian | pe…qesqe H : corr. Vian. 61 Ôfelen codd. : corr. Lasc. 64 ™sa…ontej Y : ™p- H : corr. Rhodomann 72 add. Dausque

LIBRO SECONDO, VV. 52-81

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aspettiamo di essere uccisi dal fracasso degli Argivi. Ora, anche se è tardi, ai Danai sarebbe meglio, rendere la nobile Elena e le sue ricchezze, sia quante ne portò da Sparta sia altre, offrendo il doppio per la rocca e per noi stessi, fintanto che le schiere nemiche non si siano ancora divise i beni nostri, e che un fuoco distruttore non invada la città. Su, obbedite a me nel cuore; infatti non credo che un altro dei Troiani vi abbia indicato una decisione migliore. Oh se allora avesse utilmente ascoltato la mia preghiera Ettore, quando lo trattenevo dentro la patria!».7 Così parlò la grande forza di Polidamante; e intorno i Troiani, lo approvavano, ascoltandolo, nel cuore, ma non apertamente parlarono; infatti tutti, tremando, il loro signore rispettavano, ed Elena pure, anche se per lei andati in rovina. E lui, pur essendo valente, Paride attaccò apertamente: «Polidamante, tu sei codardo e imbelle, nel tuo petto non soggiorna un cuore prode ma paura e fuga; ti vanti di essere il migliore in assemblea, ma tra tutti conosci i consigli peggiori. Su, stattene lontano dalla mischia, aspetta seduto nelle case piuttosto; gli altri invece intorno a me si armeranno sulla rocca, finché un rimedio non troviamo, gradito, alla guerra crudele. Lontano dalla fatica, infatti, e dalla guerra penosa per gli uomini non si fa grande la gloria, e neppure l’opera; la fuga piace molto ai fanciulli e alle donne, e tu a queste assomigli. Io non mi fido di te quando c’è da combattere; infatti indebolisci l’impavida forza di tutti».8 Parlò con grande biasimo; e, sdegnato, gli rispose

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Poulud£maj: oÙ g£r oƒ ™nant…on …zet' ¢àsai ke‹noj, ™peˆ stugerÕj kaˆ ¢t£sqaloj ºd' ¢es…frwn ·j f…la män sa…nVsin ™nwpadÒn, ¥lla dä qumÚ porfÚrV kaˆ krÚbda tÕn oÙ pareÒnta calšptV. Tî ˜a kaˆ ¢mfad…V mšga ne…kese d‹on ¥nakta: «”W moi ™picqon…wn p£ntwn Ñloètate fwtîn, sÕn qr£soj ½gage nîin ÑázÚa, sÕj nÒoj œtlh dÁrin ¢peires…hn kaˆ tl»setai, e„j Ó ke p£trhn sÝn lao‹j sfetšroisi daázomšnhn ™s…dhai. 'All' ™mä m¾ toiÒnde l£boi qr£soj, ¢mfˆ dä t£rboj ¢sfaläj a„än œcoimi, sÒon dš moi okon Ñfšlloi». vWj ¥r' œfh: · d' ¥r' oÜ ti prosšnnepe Poulud£manta: mn»sato g¦r Trèessin Ósaj ™fšhken ¢n…aj ºd' ÐpÒsaj œt' œmellen, ™pe… ˜£ oƒ a„qÒmenon kÁr m©llon ™fèrmainen qanšein À nÒsfi genšsqai ¢ntiqšhj `Elšnhj, Âj e†neka Trèioi umej ØyÒqen ™skop…azon ¢p' ¥steoj a„peino‹o dšgmenoi 'Arge…ouj ºd' A„ak…dhn 'AcilÁa. To‹si d' ¥r' oÙ met¦ dhrÕn ¢r»ioj ½luqe Mšmnwn, Mšmnwn kuanšoisi met' A„qiÒpessin ¢n£sswn, ·j k…e laÕn ¥gwn ¢pere…sion. 'Amfˆ dä Trîej ghqÒsuno… min ‡donto kat¦ ptÒlin, ºÚte naàtai ce…matoj ™x Ñloo‹o di' a„qšroj ¢qr»swsin ½dh teirÒmenoi `El…khj perihgšoj a‡glhn: ìj laoˆ kec£ronto peristadÒn, œxoca d' ¥llwn

85 calšptei codd. : corr. Scaliger.

LIBRO SECONDO, VV. 82-106

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Polidamante; infatti non aveva paura di gridargli in faccia, quello; poiché misero e cattivo e sconsiderato è colui che con parole amiche lusinga di fronte, e invece altre cose nel cuore 9 rimesta e di nascosto calunnia chi non è presente. Perciò apertamente affrontò il nobile principe: «O per me il più rovinoso di tutti gli uomini sulla terra, il tuo coraggio ci portò sventure, la tua mente ardì uno scontro interminabile e lo sosterrà, finché non vedrai la patria lacerata insieme alla sua gente. Che non prenda me tale coraggio, ma intorno timore sempre saldo io abbia, e che renda salva la mia casa».10 Così egli parlò; e l’altro nessuna cosa disse a Polidamante; si ricordò, infatti, di quanti dolori aveva arrecato ai Troiani e di quanti ancora stava sul punto di arrecare, poiché il suo cuore infiammato era pronto a morire piuttosto che a stare lontano da Elena simile a dea, a causa della quale i figli Troiani11 lassù facevano la guardia, dall’alta città, aspettando gli Argivi e l’Eacide Achille.

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[Arrivo di Memnone: festeggiamenti per lui a Troia] Ma a questi non molto tempo dopo giunse il forte Mèmnone, Mèmnone degli scuri Etiopi signore,12 il quale giunse a capo di un popolo innumerevole. E intorno i Troiani esultanti lo vedono in città, come marinai che dopo rovinosa tempesta scorgono in cielo, già svigoriti, la luce di Elice rotatoria;13 così le genti gioivano standogli intorno, ma più degli altri

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Laomedonti£dhj: m£la g£r nÚ oƒ Ãtor ™èlpei dVèsein purˆ nÁaj Øp' ¢ndr£sin A„qiÒpessin, oÛnek' œcon basilÁa pelèrion ºdä kaˆ aÙtoˆ polloˆ œsan kaˆ p£ntej ™j ”Area maimèwntej. Tî ˜' ¥moton kÚdainen ™ån gÒnon 'Hrigene…hj dwt…nVj ¢gaqÍsi kaˆ eÙfrosÚnV teqalu…V. 'All»loij d' Ñ£rizon ™p' e„lap…nV kaˆ ™dwdÍ, ·j män ¢ristÁaj Danaîn kaˆ Ój' ¥lge' ¢nštlh ™xenšpwn, · dä patrÕj ˜oà kaˆ mhtšroj 'Hoàj ¢q£naton b…on a„än ¢peires…hj te ˜šeqra ThqÚoj 'Wkeanoà te baqurrÒou ƒerÕn odma ºdä kaˆ ¢kam£tou pšrata cqonÕj ¢ntol…aj te ºel…ou kaˆ p©san ¢p' 'Wkeano‹o kšleuqon mšcrij ™pˆ Pri£moio pÒlin kaˆ prèonaj ”Idhj, ºdä kaˆ æj ™d£áxen ØpÕ stibarÍsi cšressin ¢rgalšwn SolÚmwn ƒerÕn stratÒn, o† min „Ònta ergon, · ka… sfisi pÁma kaˆ ¥sceton êpase pÒtmon. Kaˆ t¦ män ìj ¢gÒreue kaˆ æj ‡den œqnea fwtîn mur…a: toà d' ¢…ontoj ØpÕ fresˆ tšrpeto qumÒj, ka… ˜ kaqaptÒmenoj gerarÚ prosefènee mÚq.: «’W Mšmnon, tÕ män ¥r me qeoˆ po…hsan „dšsqai sÕn stratÕn ºdä kaˆ aÙtÕn ™n šmetšroisi mel£qroij. “Wj moi œti kr»neian, †n' 'Arge…ouj ™s…dwmai Ñllumšnouj …ma p£ntaj Øp' ™gce…Vsi teÍsi: kaˆ g¦r d¾ mak£ressin ¢teiršsi p£nta œoikaj ™kp£glwj, æj oÜ tij ™picqon…wn šrèwn: tî s' Ñ…w ke…noisi fÒnon stonÒenta balšsqai. Nàn d' ¥ge tšrpeo qumÕn ™p' e„lap…nVsin ™mÍsi s»meron: aÙt¦r œpeita mac»seai æj ™pšoiken». vWj e„pën pal£mVsi dšpaj polucandäj ¢e…raj

115 ™xenšpwn Y : œrg’ ™nšpwn H 116 ¢qan£tou Y : aâ ¢n¦ tÒn H : corr. Rhodomann 131 ¢teiršsia Y : ¢pei- H : corr. Rhodomann

LIBRO SECONDO, VV. 107-136

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il Laomedontiade; molto infatti nel suo cuore sperava di dar fuoco alle navi con l’aiuto dei guerrieri Etiopi poiché avevano un re terribile ed essi stessi erano numerosi e tutti ardenti per Ares. Perciò fortemente onorava il nobile figlio di Erigenia con bei doni e gioia copiosa. Conversavano tra loro durante il banchetto e il cibo, l’uno raccontando i capi dei Danai e quanti dolori sopportò, l’altro la vita immortale di suo padre e della madre Eos, infinita, e i flutti14 di Teti e di Oceano la sacra onda15 e poi i confini della terra infaticabile e il sorgere del sole e tutto il viaggio da Oceano16 fino alla città di Priamo e alle cime dell’Ida, e poi di come abbatté con mani forti il sacro esercito dei terribili Solimi, i quali mentre egli veniva lo respingevano, cosa che procurò loro e rovina e insopportabile sorte.17 E tali cose diceva e di come vide razze di uomini innumerevoli; e a Priamo che ascoltava il cuore gioiva nel petto e a lui rivolgendosi parlò con venerando discorso: «O Mèmnone, gli dèi mi concessero di vedere il tuo esercito e te stesso nelle mie stanze. Oh facessero ancora per me che io veda gli Argivi morti tutti insieme sotto le tue lance; e infatti ai beati indistruttibili in tutto assomigli straordinariamente, come nessuno degli eroi della terra; per questo credo che tu farai strage funesta di quelli. Ma ora allieta l’animo nei miei banchetti oggi; poi domani combatterai, com’è giusto».18 Così dicendo, sollevando con le mani un’ampia coppa19

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Mšmnona profronšwj stibarÚ de…dekto kupšll. cruse…., tÒ ˜a dîke per…frwn 'Amfigu»eij “Hfaistoj klutÕn œrgon, Ót' ½geto Kuprogšneian, Zhnˆ megasqenšá: · d' ¥r' êpasen uƒšo dîron Dard£n. ¢ntiqš.: · d' 'Ericqon…. pÒre paid…, Trwˆ d' 'EricqÒnioj megal»tori: aÙt¦r · ”Il. k£llipe sÝn kte£tessin: · d' êpase Laomšdonti: aÙt¦r Ð Laomšdwn Pri£m. pÒren, Ój min œmellen uƒši dwsšmenai: tÕ dš oƒ qeÕj oÙk ™tšlesse. Ke‹no dšpaj perikalläj ™q£mbeen ™n fresˆ Mšmnwn ¢mfafÒwn kaˆ to‹on Øpobl»dhn f£to màqon: «OÙ män cr¾ par¦ daitˆ pelèrion eÙcet£asqai oÙd' ¥r' Øposces…hn kataneusšmen, ¢ll¦ ›khlon da…nusq' ™n meg£roisi kaˆ ¥rtia mhcan£asqai: e‡ te g¦r ™sqlÒj t' e„mˆ kaˆ ¥lkimoj e‡ te kaˆ oÙk…, gnèsV ™nˆ ptolšm., ÐpÒt' ¢nšroj e‡detai ¢lk». Nàn d' ¥ge d¾ ko…toio medèmeqa mhd' ¢n¦ nÚkta p…nwmen: calepÕj g¦r ™peigomšn. macšsqai onoj ¢peiršsioj kaˆ ¢upnosÚnh ¢legein»». vWj f£to: tÕn d' Ð geraiÕj ¢gass£menoj prosšeipen: «AÙtÕj Ópwj ™qšleij metada…nuso, pe…qeo d' aÙtÚ: oÙ g¦r ™gè s' ¢škonta bi»somai. OÙ g¦r œoiken oÜt' ¢piÒnt' ¢pÕ daitÕj ™rukšmen oÜte mšnonta seÚein ™k meg£roio: qšmij nÚ toi ¢ndr£sin aÛtwj». vWj f£q': · d' ™k dÒrpoio meq…stato, bÁ dä prÕj eÙn¾n Østat…hn. “Ama d' ¥lloi œban ko…toio mšdesqai daitumÒnej: †to‹j dš sfin† ™p»luqe n»dumoj Ûpnoj.

137 mšmnona H : -nwn Y 154 corr. R et Scaliger 157 metada…nuo W : corr. Rhodomann 158 se ‰konta codd. : corr. Rhodomann 163 to‹j dš sfin codd. : tac£ dš sfin Rhodomann : to‹sin d’ ‰r’ Peppmüller

LIBRO SECONDO, VV. 137-163

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Mèmnone con gioia salutò, con un pesante calice d’oro, quello che donò l’assennato Zoppo20 Efesto, opera illustre, quando sposò Ciprogenia, a Zeus possente;21 questo poi lo diede in dono al figlio, il divino Dardano; il quale lo donò al figlio Erittonio e da Erittonio passò a Troo magnanimo; poi questi a Ilo lo lasciò con altre ricchezze; questi lo concesse a Laomedonte poi Laomedonte lo diede a Priamo, il quale stava per darlo al figlio; ma ciò un dio non lo permise.22 Di quella coppa bella si stupì nel petto Memnone che la toccava tutt’intorno, e replicò questo discorso: «Non conviene a un banchetto vantarsi senza misura e neppure accordare promesse, ma tranquillamente mangiare nelle stanze ed escogitare piani saggi; infatti se sono valente e forte o se non lo sono lo saprai in battaglia, dove di un uomo si vede la forza. Ma adesso pensiamo a dormire e durante la notte non beviamo, perché fastidioso a chi si accinge a combattere è il troppo bere, come il troppo vegliare».23 Così disse; e il vecchio, ammirandolo, gli rispose: «Tu banchetta come desideri, obbedisci a te stesso; non io infatti ti costringerò se non vuoi. Infatti non è giusto trattenere chi si allontana dal banchetto, né colui che si trattiene cacciarlo di casa; così è la legge tra gli uomini».24 Così disse; allora quello s’alzò da tavola e andò a letto per l’ultima volta. E insieme andarono, a occuparsi del giaciglio, gli altri convitati; e a loro giunse il dolce sonno.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

AÙt¦r ™nˆ meg£roisi DiÕj sterophgerštao ¢q£natoi da…nunto: pat¾r d' ™n to‹si Kron…wn eâ e„dëj ¢gÒreue dushcšoj œrga mÒqoio: «”Iste qeoˆ perˆ p£ntej ™pessÚmenon barÝ pÁma aÜrion ™n polšm.: m£la g¦r polšw mšnoj †ppwn Ôyesq' ¢mf' Ñcšessi daázomšnwn ˜k£terqen ¥ndraj t' Ñllumšnouj. Tîn kaˆ perikhdÒmenÒj tij mimnštw Øme…wn mhd' ¢mf' ™m¦ goÚnaq' ƒk£nwn lissšsqw: KÁrej g¦r ¢me…lico… e„si kaˆ šm‹n». vWj œfat' ™n mšssoisin ™pistamšnoisi kaˆ aÙto‹j, Ôfra kaˆ ¢scalÒwn tij ¢pÕ ptolšmoio tr£phtai mhdš ˜ lissÒmenoj perˆ uƒšoj ºä f…loio mayid…wj ¢f…khtai ¢teiršoj œndon 'OlÚmpou. Kaˆ t¦ män æj ™s£kousan ™rigdoÚpou Kron…dao, tlÁsan ™nˆ stšrnoisi kaˆ oÙ basilÁoj œnanta màqon œfan: m£la g£r min ¢peiršsion tromšeskon. 'AcnÚmenoi d' †kanon ÓpV dÒmoj Ãen ˜k£stou kaˆ lšcoj: ¢mfˆ dä to‹si kaˆ ¢qan£toij per ™oàsin Ûpnou blhcrÕn Ôneiar ™pˆ blef£roisi tanÚsqh. ’Hmoj d' ºlib£twn Ñršwn Øperšssutai ¥kraj lamprÕj ¢n' oÙranÕn eÙrÝn `EwsfÒroj, Ój t' ™pˆ œrgon šdÝ m£la knèssontaj ¢mallodetÁraj ™ge…rei, tÁmoj ¢r»ion uma faesfÒrou 'Hrigene…hj Ûstatoj Ûpnoj ¢nÁken: · d' ™n fresˆ k£rtoj ¢šxwn ½dh dusmenšessi lila…eto dhri£asqai: 'Hëj d' oÙranÕn eÙrÝn ¢n»ien oÙk ™qšlousa.

168 polšwn R et Rhodomann : polšmw W : pollîn Pauw 174 ken codd. : corr. Bonitz 175 ˜lissÒmenoj codd. : corr. Pauw | ºdš H : ½de Y : corr. Rhodomann 182 tanÚsqh H : -sqai Y 183 ¥krhj codd. : corr. Pauw 184 Ój W : ØpÕ P 187 Ûsteroj codd. : corr. Rhodomann

LIBRO SECONDO, VV. 164-189

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[Zeus annuncia agli dèi la fine imminente di Memnone] Intanto nelle case di Zeus tonante anche gli immortali banchettavano; tra questi il padre Cronione, che tutto sa, annunciava i fatti della guerra funesta:25 «Sappiate, dei tutti, che si compirà una grave sventura domani in battaglia; infatti la forza di molti cavalli vedrete presso i carri perire, da entrambe le parti, e uomini morire. Pur afflitto per essi, ciascuno di voi si trattenga, né giunga alle mie ginocchia a pregarmi; le Chere infatti sono spietate anche con noi».26 Così disse in mezzo a quelli che già sapevano tutto, affinché, pur addolorato, ciascuno dalla guerra si allontanasse né a pregarlo per un figlio o un amico vanamente giungesse fin dentro l’Olimpo indistruttibile. E quelle parole del Cronide possente, non appena le udirono, accolsero nei petti, e a contrasto del re nulla osarono dire, perché immensamente essi lo temevano. Rattristati ripararono ciascuno alla sua casa, e al proprio letto; su di essi, sebbene immortali, sulle palpebre il sonno calò, conforto soave.27 E quando sulle cime dei monti inaccessibili balzò splendente nell’ampio cielo Eosforo, il quale all’opera28 sveglia i braccianti che ancora dormono profondamente, proprio allora, via dal figlio possente di Erigenia lucifera29 l’ultimo sonno si dileguò: gli cresce nel cuore la forza e brama oramai di affrontare i nemici. Ma controvoglia Eos saliva nell’ampio cielo.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Kaˆ tÒte Trîej ›santo perˆ croq d»ia teÚch, to‹si d' …m' A„q…opšj te kaˆ ÐppÒsa fàla pšlonto ¢mfˆ b…hn Pri£moio sunagromšnwn ™pikoÚrwn, pansud…V: m£la d' ðka prÕ te…ceoj ™sseÚonto kuanšoij nefšessin ™oikÒtej, oma Kron…wn ce…matoj Ñrnumšnoio kat' ºšra poulÝn ¢ge…rei. Aya d' ¥r' ™pl»sqh ped…on p©n: toˆ d' ™pšcunto ¢kr…si probÒroisin ¢l…gkion, a† te fšrontai æj nšfoj À polÝj Ômbroj Øpär cqonÕj eÙrupšdoio ¥plhstoi merÒpessin ¢eikša limÕn ¥gousai: ìj o‰ ‡san pollo… te kaˆ Ôbrimoi, ¢mfˆ dä ga‹a ste…net' ™pessumšnwn, ØpÕ d' œgreto possˆ kon…h. 'Arge‹oi d' ¢p£neuqen ™q£mbeon, eât' ™s…donto ™ssumšnouj: eqar dä perˆ croq calkÕn ›santo k£rtei Phle…dao pepoiqÒtej. vOj d' ™nˆ mšssoij ½ie Tit»nessi polusqenšessin ™oikèj, kudiÒwn †ppoisi kaˆ …rmasi: toà d' ¥ra teÚch p£ntV marma…reskon ¢l…gkion ¢steropÍsin. Omoj d' ™k per£twn gaihÒcou 'Wkeano‹o œrcetai 'Hšlioj faes…mbrotoj oÙranÕn e‡sw pamfanÒwn, trafer¾ dä gel• perˆ ga‹a kaˆ a„q»r: to‹oj ™n 'Arge…oisi tÒt' œssuto Phlšoj uƒÒj. vWj dä kaˆ ™n Trèessin ¢r»ioj ½ie Mšmnwn ”Areá maimèwnti pane…keloj, ¢mfˆ dä laoˆ profronšwj ™fšponto paressÚmenoi basilÁi. Aya d' omj ˜t£roisin ™pispšrcwn ™kšleuen Ûdatoj ™n purˆ qšntaj ¥far kruero‹o lšbhtaj qermÁnai loàsa… te nškun per… q' e†mata ›ssai kal£, t£ oƒ pÒre paidˆ f…l. ¡lipÒrfura m»thr ™j Tro…hn ¢niÒnti. Qoîj d' ™p…qhsan ¥nakti: ™ndukšwj d' ¥ra p£nta ponhs£menoi kat¦ kÒsmon k£tqesan ™n klis…Vsi dedoupÒta Phle…wna. TÕn d' ™sidoàs' ™lšhse per…frwn Tritogšneia: st£ze d' ¥r' ¢mbros…hn kat¦ kratoj, ¼n ˜£ tš fasi dhrÕn ™rukakšein nearÕn crÒa khrˆ damšntwn: qÁke d' ¥r' ˜rs»enta kaˆ e‡kelon ¢mpne…onti: smerdalšon d' ¥ra teàxen ™piskÚnion perˆ nekrÚ, omÒn t' ¢mf' ˜t£roio daáktamšnou PatrÒkloio cwomšn. ™pškeito kat¦ blosuro‹o prosèpou: briqÚteron d' ¥ra qÁke dšmaj kaˆ ¥reion „dšsqai. 'Arge…ouj d' ›le q£mboj ÐmiladÕn ¢qr»santaj Phle…dhn zèonti pane…kelon, Ój ˜' ™pˆ lšktroij ™kcÚmenoj m£la poulÝj ¥dhn eÛdonti ™ókei. 'Amfˆ dš min mogeraˆ lh…tidej, …j ˜£ pot' aÙtÕj Lšsbon te zaqšhn Kil…kwn t' a„pÝ ptol…eqron Q»bhn 'Het…wnoj ˜lën lh…ssato koÚraj, ƒst£menai go£askon ¢mÚssousai crÒa kalÒn, st»qe£ t' ¢mfotšrVsi peplhgu‹ai pal£mVsin ™k qumoà sten£ceskon ™Åfrona Phle…wna:

526 add. Spitzner 534 corr. Rhodomann 538 omÒn Ót' codd. : corr. Bonitz 542 lšktroio codd. : corr. Rhodomann 545 LÁmnon codd. : corr. Vian

LIBRO TERZO, VV. 523-549

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laviamo e poniamolo sul letto. Non è opportuno disonorare con negligenza i morti per molto tempo». Così impartiva ordini il saggio figlio di Neleo. Dunque egli, incalzandoli, ordinava ai suoi compagni che, dopo aver posto i lebeti pieni di acqua fredda sul fuoco, li riscaldassero, che lavassero il cadavere e lo rivestissero con le belle vesti purpuree che al caro figlio diede la madre quando partì per Troia. Quelli ubbidirono subito al loro signore.

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[Preparazione del rogo. Pianto di Briseide] Dopo aver compiuto ogni cosa con cura, in bell’ordine, collocarono nella tenda Achille morto. La saggia Tritogenia nel vederlo fu mossa a pietà e fece stillare dalla sua testa l’ambrosia40 che si dice preservi a lungo il giovane corpo di quelli colpiti al cuore. Dunque lo coprì di rugiada e lo rese simile a uno che respira. Rese il sopracciglio del cadavere aggrottato quale per l’amico Patroclo morto sul suo severo volto si presentava. Rese il corpo più pesante e più bello a vedersi. Lo stupore prese in massa gli Argivi nel vedere il Pelide in tutto simile ad un vivente, che sul letto disteso era del tutto simile a chi dorme. Intorno a lui le tristi prigioniere, che un tempo egli, conquistata41 la divina Lesbo,42 l’alta città dei Cilici, la Tebe43 di Eezione,44 portò via come prede ancora fanciulle. Piangevano stando lì, mentre si graffiavano il bel corpo e si battevano entrambe le mani sul petto. Di cuore rimpiangevano il benevolo Achille;

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

t¦j g¦r d¾ t…eske kaˆ ™k dh…wn per ™oÚsaj. Pas£wn d' œkpaglon ¢khcemšnh kšar œndon Brishˆj par£koitij ™ãptolšmou 'AcilÁoj ¢mfˆ nškun strwf©to kaˆ ¢mfotšrVj pal£mVsi druptomšnh crÒa kalÕn ¢Åteen: ™k d' ¡palo‹o st»qeoj aƒmatÒessai ¢n¦ smèdiggej ¥erqen qeinomšnhj: fa…hj ken ™pˆ gl£goj amma cšasqai fo…nion. 'Agla…h dä kaˆ ¢cnumšnhj ¢legeinîj ƒmerÒen m£rmaire, c£rij dš oƒ ¥mpecen endoj. To‹on d' œkfato màqon ÑizurÕn goÒwsa: «”W moi ™gë p£ntwn perièsion a„n¦ paqoàsa: oÙ g£r moi tÒsson per ™p»luqen ¥llote pÁma, oÜte kasign»twn oÜt' eÙrucÒrou perˆ p£trhj, Ósson se‹o qanÒntoj: ™peˆ sÚ moi ƒerÕn Ãmar kaˆ f£oj ºel…oio pšlej kaˆ me…licoj a„ën ™lpwr» t' ¢gaqo‹o kaˆ ¥speton ¥lkar ¢n…hj p£shj t' ¢gla…hj polÝ fšrteroj ºdä tok»wn œpleo: p£nta g¦r ooj œhj dmwÍ per ™oÚsV, ka… ˜£ me qÁkaj ¥koitin ˜lën ¥po doÚlia œrga. Nàn dš tij ™n n»essin 'Acaiîn ¥xetai ¥lloj Sp£rthn e„j ™r…bwlon À ™j polud…yion ”Argoj: ka… nÚ ken ¢mfipoleàsa kak¦j Øpotl»som' ¢n…aj seà ¢ponosfisqe‹sa dus£mmoroj. `Wj ÔfelÒn me ga‹a cut¾ ™k£luye p£roj sšo pÒtmon „dšsqai». vWj   män dmhqšnt' ÑlofÚreto Phle…wna dmwÍj sÝn mogerÍsi kaˆ ¢cnumšnoisin 'Acaio‹j muromšnh kaˆ ¥nakta kaˆ ¢nšra: tÁj ™d£áxe T»lefon ºdä b…hn ™rikudšoj 'Het…wnoj Q»bhj ™n dapšdoisi, kaˆ æj KÚknon œktane dourˆ uma Poseid£wnoj „d' ¢nt…qeon PolÚdwron kaˆ Trw…lon qhhtÕn ¢mÚmon£ t' 'Asteropa‹on, a†mati d' æj ™rÚqhnen ¥dhn potamo‹o ˜šeqra X£nqou kaˆ nekÚessin ¢peires…oisi k£luye p£nta ˜Òon kel£donta, Luk£onoj ÐppÒte qumÕn nosf…sat' ™k melšwn potamoà scedÕn ºc»entoj, “Ektor£ q' æj ™d£masse, kaˆ æj ›le Penqes…leian ºdä kaˆ uƒša d‹on ™ãqrÒnou 'Hrigene…hj. Kaˆ t¦ män 'Arge…oisin ™pistamšnoisi kaˆ aÙto‹j mšlpe, kaˆ æj ™tštukto pelèrioj, Êj tš oƒ oÜ tij œsqene dhri£asqai ™nant…on, oÜt' ™n ¢šqloij a„zhîn, Óte possˆ nšoi peridhriÒwntai, oÙdä mèn ƒppas…V oÙdè stad…V ™nˆ c£rmV, k£lle… q' æj DanaoÝj mšg' Øpe…recen, Êj tš oƒ ¢lk¾

139 ¢mbros…hn ™kšreon P D : corr. Rhodomann 140 tr£pon ƒmerÒenta codd. : corr. Scaliger 146 add. Rhodomann 148 œnqen œcwn codd. : corr. Rhodomann 149 ¢rhramšnoij ™pšessi codd. : corr. Zimmermann 151 add. Köchly

LIBRO QUARTO, VV. 138-167

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mentre Efesto accendeva fuoco puro, e attorno le Ninfe ambrosia mescevano in tazze dorate, le Grazie si volgevano alla danza piena di desiderio, le Muse al canto, rallegrandosene i monti tutti e i fiumi e le fiere, si addolciva l’etere eterno e gli antri ameni di Chirone e gli stessi dèi. Questo il nobile figlio di Neleo agli Argivi bramosi di ascoltare per filo e per segno narrò; essi ascoltando si rallegravano. Di Achille fortissimo le opere immortali cantava in mezzo all’assemblea, la gente acclamava volentieri. Prese da ciò le mosse, l’uomo insigne grandemente esaltava con pesate parole, come dodici città di mortali aveva abbattuto nella traversata, undici sul continente infinito, come aveva ucciso Telefo17 e la forza del possente Ezione nelle piane di Tebe, e come aveva tramortito con l’asta Cicno,18 il figlio di Posidone e Polidoro pari agli dèi, e ancora Troilo mirabile e il forte Asteropeo, come molto di rosso colorò le correnti del fiume Xanto e di infiniti cadaveri ricoprì il corso intero risonante, quando di Licaone l’anima liberò dalle membra, vicino al fiume rimbombante; ed Ettore, come lo aveva abbattuto, e come aveva colpito Pentesilea e il figlio divino di Erigenia dal bel trono. Queste storie agli Argivi già esperti egli cantava; e come era straordinario, e nessuno riusciva ad affrontarlo, né nelle gare dei fanciulli, quando i giovani gareggiano nella corsa a piedi, né nella lotta a cavallo né in quella da fermi; in bellezza quanto grandemente superava i Danai, come in lui

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œplet' ¢peires…h, ÐpÒt' ”Areoj œssuto dÁrij. EÜceto d' ¢qan£toisi kaˆ uƒša to‹on „dšsqai ke…nou ¢pÕ SkÚroio poluklÚstoio molÒnta. 'Arge‹oi d' ¥ra p©sin ™peuf»mhsan œpessin aÙt» t' ¢rgurÒpeza Qštij, ka… oƒ pÒren †ppouj ÈkÚpodaj, toÝj prÒsqen ™ãmmel…V 'AcilÁi T»lefoj êpase dîron ™pˆ procoÍsi Kapkou, eâtš ˜ mocq…zonta kakÚ perˆ ›lkei qumÕn ºkšsat' ™gce…V, tÍ min b£le dhriÒwnta aÙtÕj ™sw mhro‹o, di»lase d' Ôbrimon a„cm»n. Kaˆ toÝj mèn Nšstwr Nhl»ioj omj ˜t£roisin êpasen: o‰ d' ™j nÁaj ¥gon mšga kuda…nontej ¢nt…qeon basilÁa. Qštij d' ™j mšsson ¢gîna qÁken ¥r' ¢mfˆ drÒmoio bÒaj dška: tÍsi dä p£sVj kalaˆ pÒrtiej Ãsan ØpÕ mazo‹sin „oàsai: t£j pote Phle…dao qrasÝ sqšnoj ¢kam£toio ½lasen ™x ”Idhj meg£l. perˆ dourˆ pepoiqèj. Tîn pšri doioˆ ¢nšstan ™eldÒmenoi mšga n…khj, Teàkroj m~n prîtoj Telamènioj ºdä kaˆ A‡aj, A‡aj Ój te Lokro‹si metšprepen „obÒloisin. 'Amfˆ d' ¥ra zèsanto qoîj perˆ m»dea cersˆ f£rea, p£nta d' œnerqen … per qšmij ™krÚyanto a„dÒmenoi PhlÁoj ™ãsqenšoj par£koitin ¥ll£j t' e„nal…aj Nhrh…daj, Óssai …m' aÙtÍ ½luqon 'Arge…wn krateroÝj ™sidšsqai ¢šqlouj. To‹si dä shma…neske drÒmou tšloj Èkut£toio

170 ke‹non codd. : corr. Rhodomann 185 perˆ oƒde codd. : corr. Struve

LIBRO QUARTO, VV. 168-193

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si trovasse una forza senza limiti, quando lo incalzò la forza di Ares. Pregava gli dèi di vedere uguale il figlio di lui, che era sulla strada da Sciro circondata dai flutti. Gli Argivi applaudirono al discorso tutto, e la stessa Teti dai piedi d’argento, che gli consegnò i cavalli veloci, che prima ad Achille forte nell’asta aveva dato Telefo, alla foce del Caico, allorchè lui afflitto da una grave ferita curò con l’asta con la quale duellante lo aveva colpito al femore, e aveva spinto dentro la grave punta. E Nestore Nelide ai suoi compagni i cavalli diede; essi li condussero alle navi molto lodando il re divino.

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[La gara di corsa] Teti poi nel mezzo dell’arena pose come premio della corsa19 dieci vacche, che tutte avevano bei vitellini che ne cercavano le mammelle;20 queste una volta la forza dell’invincibile Achille aveva portato dall’Ida, confidando nella sua grande asta. Per esse si alzarono in due, molto bramosi di vittoria; Teucro Telamonio per primo e Aiace, Aiace che brillava tra i Locresi lanciatori di dardi. Attorno alle pudenda legaron subito con le mani i mantelli, tutto di sotto, come è giusto, coprirono vergognandosi di fronte alla sposa del valoroso Pelide e alle altre marine Nereidi, quante con lei erano giunte a guardare le forti gare degli Argivi.21 Per essi indicava il termine della corsa velocissima

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'Atre…dhj ·j p©si met' 'Arge…oisin ¥nasse. ToÝj d' ”Erij ÑtrÚnesken ™p»ratoj: o‰ d' ¢pÕ nÚsshj karpal…mwj o‡mhsan ™oikÒtej „r»kessi: tîn dä kaˆ ¢mf»ristoj œhn drÒmoj: o‰ d' ˜k£terqen 'Arge‹oi leÚssontej ™p…acon ¥lludij ¥lloj. 'All' Óte tšrmat' œmellon ƒkanšmenai memaîtej, d¾ tÒte pou TeÚkroio mšnoj kaˆ gu‹a pšdhsan ¢q£natoi: tÕn g£r ˜a qeÕj b£len ºš tij ¥th Ôzon ™j ¢lginÒenta baqurr…zoio mur…khj. TÚ d' ¥r' ™ncrimfqeˆj cam£dij pšse: toà d' ¢legeinîj ¥kron ¢negn£mfqh laioà podÒj, a‰ d' Øpanšstan o„dalšai ˜k£terqe perˆ flšbej. O‰ d' „£chsan 'Arge‹oi kat' ¢gîna. Par»ixen dš min A‡aj ghqÒsunoj: laoˆ dè sunšdramon, o† oƒ ›ponto, Lokro…, anya dä c£rma perˆ fršnaj ½luqe p£ntwn: ™k d' œlasan met¦ nÁaj ¥gein bÒaj, Ôfra nšmwntai. Teàkron d' ™ssumšnwj ›taroi peripoipnÚontej Ãgon ™pisk£zonta. Qoîj dš oƒ „htÁrej ™k podÕj amm' ¢fšlonto: qšsan d' ™fÚperqe tom£wn e‡ria sundeÚsantej ¢le…fasin, ¢mfˆ dä m…trV d»sant' ™ndukšwj: Ñlo¦j d' ™kšdassan ¢n…aj. ”Alloi d' aâq' ˜tšrwqe palaismosÚnhj ØperÒplou karpal…mwj mnèonto dÚw kraterÒfrone fîte, Tudšoj ƒppod£moio p£áj kaˆ Øpšrbioj A‡aj, o† ˜' ‡san ™j mšsson. Q£mboj d' œcen ¢qr»santaj 'Arge…ouj: ¥mfw g¦r œsan mak£ressin Ðmo‹oi. SÝn d' œbalon q»ressin ™oikÒtej, o† t' ™n Ôressin ¢mf' ™l£foio m£contai ™dhtÚoj „scanÒwntej,

198 leÚsantej codd. : corr. Lasc2. Rhodomann 203 ‰r’ ™gcrimfqe…j P -ifqe…j H : corr. Rhodomann

LIBRO QUARTO, VV. 194-221

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l’Atride, che tra tutti gli Argivi regnava. Li spronava Eris incontaminata; essi dal punto d’avvio subito scattarono, simili a falchi; di loro incerta era la corsa; da ciascun lato gli Argivi guardando gridavano per l’uno o per l’altro.22 Ma allor quando stavano per arrivare bramosi al traguardo, allora a Teucro la forza e le membra bloccarono gli immortali; un dio o il fato lo gettarono su un ramo contrario di mirice ben radicato.23 Lì impigliato a terra cadde, dolorosamente la punta si contorse del piede sinistro, si alzarono gonfie da ogni lato le vene.24 Levarono grida gli Argivi presenti alla gara. Piombò in avanti Aiace contento; accorsero gli uomini, che lo seguivano, i Locresi, subito la gioia entrò nel cuore di tutti; portarono le vacche alle navi, al pascolo.25 E Teucro, i compagni impetuosamente attorniandolo, Lo condussero via che zoppicava. In fretta i medici dal piede levarono il sangue, vi posero legacci26 di lana, dopo averli bagnati di olii, strinsero attorno una fascia27 diligentemente; placarono così le ferite rovinose.

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[La lotta] Altri invece alla lotta superba rapidamente si dedicano, due uomini forti, il figlio di Tideo domatore di cavalli e il valentissimo Aiace. Essi avanzarono nel mezzo. Meraviglia conquistò nel vederli gli Argivi; entrambi erano simili a dèi beati. Come belve si gettarono nella lotta, quando sui monti combattono per un cerbiatto bramose di cibo;

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nson d' ¢mfotšroisi pšlei sqšnoj, oÙdš tij aÙtîn le…petai oÙd' ºbaiÕn ¢tarthrîn m£l' ™Òntwn: ìj o† g'son œcon kraterÕn mšnoj. 'Oyä d' ¥r' A‡aj Tude…dhn sunšmaryen ØpÕ stibarÍsi cšressin ¥gxai ™peigÒmenoj: · d' ¥r' „dre…V te kaˆ ¢lkÍ pleurÕn Øpokl…naj Telamènion Ôbrimon uma ™ssumšnwj ¢n£eiren ØpÕ muînoj ™re…saj ðmon, kaˆ podˆ mhrÕn Øpopl»xaj ˜tšrwse k£bbalen Ôbrimon ¥ndra kat¦ cqonÒj, ¢mfˆ d' ¥r' aÙtÚ ›zeto: toˆ d' Ðm£dhsan. vO d' ¢scalÒwn ™nˆ qumÚ A‡aj ÑbrimÒqumoj ¢n…stato deÚteron aâtij Ðrma…nwn ™j dÁrin ¢me…licon: anya dä cersˆ smerdalšVsi kÒnin kateceÚato kaˆ mšga qÚwn Tude…dhn ™j mšsson ¢Åteen. vOj dš min oÜ ti tarb»saj o‡mhse katant…on: ¢mfˆ dä poll¾ possˆn Øp' ¢mfotšrwn kÒnij êrnuto. Toˆ d' ˜k£terqe taàroi Ópwj sunÒrousan ¢tarbšej, o† t' ™n Ôressi qarsalšou mšneoj peirèmenoi e„j ›n †kwntai possˆ koniÒmenoi, perˆ dä bromšousi kolînai brucmÍ Øp' ¢mfotšrwn, toˆ d' ¥sceta maimèwntej kr£ata sumforšousin ¢teirša kaˆ mšga k£rtoj dhrÕn ™p' ¢ll»loisi poneÚmenoi, ™k dä mÒgoio l£bron ¢nasqma…nontej ¢me…lica dhriÒwntai, poulÝj d' ™k stom£twn cam£dij kataceÚetai ¢frÒj: ìj o† ge stibarÍsin ¥dhn ponšonto cšressin: ¢mfotšrwn d' ¥ra nîta kaˆ aÙcšnej ¢lk»entej cersˆ periktupšonto tetrigÒtej, eât' ™n Ôressi dšndre' ™p' ¢ll»loisi balÒnt' ™riqhlšaj Ôzouj. Poll£ki d' A‡antoj meg£lou stibaroÝj ØpÕ mhroÝj k£bbale Tude…dhj krater¦j cšraj, ¢ll£ min oÜ ti 225 ™pˆ stibarÍsi codd. : corr. Spitzner 226 «xai codd. : corr. Lehrs 228 Øpär muînoj codd. : corr. Köchly 243 qumÕn ™p' ¢ll»loisi H P2 : qumÚ corr. Lehrs : om. P spatio relicto : dhrÒn corr. Köchly 244 dhiÒwntai H -ntej P : corr. Spitzner 248 tetrugÒtej codd. : corr. Heyne

LIBRO QUARTO, VV. 222-251

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entrambe hanno ugual forza, né alcuna cede neppur di pochissimo, perché sono piene di rabbia; così grande e identica forza i due possedevano. Allora Aiace afferrò il Tidide con le mani poderose correndo a soffocarlo; l’altro con forza e furbizia piegando il fianco, il figlio valoroso di Telamone impetuosamente sollevò, al muscolo appoggiando la spalla; così, dato un colpo col piede alla coscia gettò a terra il valente nemico, sopra a lui si stese; gridarono gli altri. Ma molto irato nel cuore Aiace dal forte cuore si alzò, di nuovo bramoso di gettarsi nella dura contesa; subito con le mani terribili si scrollò di dosso la polvere e molto infuriando chiamava il Tidide nel mezzo a gran voce; e questi senza paura gli si fece incontro; e tutt’intorno molta polvere sotto ai piedi dei due si levò. Da entrambe le parti corsero a scontrarsi come tori intrepidi, che sui monti per prender prova della forza invincibile vengano a scontro alzando polvere con gli zoccoli, rimbombano intanto le rupi al muggito di entrambi. Essi, molto bramosi, fanno scontrare le teste ostinate e la gran forza, furiosamente affaticandosi a vicenda, dallo sforzo molto ansimando si lanciano in funesto assalto, molta schiuma si riversa a terra dalle bocche; in tal modo penavano i due con le mani vigorose: di entrambi le spalle e i colli nerboruti risuonavano intorno colpiti dalle mani scricchiolando, come sui monti gli alberi urtano tra loro con i floridi rami. Spesso fin alle possenti cosce del grosso Aiace gettò il Tidide le mani possenti, ma non potè

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‰y ðsai dÚnato stibaro‹j posˆn ™mbebaîta: tÕn d' A‡aj kaqÚperqen ™pessÚmenoj potˆ ga‹an ™x êmwn ™t…nasse kat¦ cqonÕj oâdaj ™re…dwn: ¥llote d' ¢llo…wj ØpÕ ce…resi dhriÒwnto. Laoˆ d' œnqa kaˆ œnqa mšg' ‡acon e„sorÒwntej, o‰ män Tude…dhn ™rikudša qarsÚnontej, o‰ dä b…hn A‡antoj. vO d' ¥lkimon ¥ndra tin£xaj ™x êmwn ˜k£terqe, balën d' ØpÕ nhdÚa ce‹raj, ™ssumšnwj ™fšhke kat¦ cqonÕj ºÚte pštrhn ¢lkÍ ØpÕ sqenarÍ: mšga d' ‡ace Trèion oâdaj Tude…dao pesÒntoj, ™phÚthse dä laÒj. 'All¦ kaˆ ïj ¢nÒrousen ™eldÒmenoj ponšesqai tÕ tr…ton ¢mf' A‡anta pelèrion: ¢ll' ¥ra Nšstwr œsth ™n mšssoisi kaˆ ¢mfotšroisi methÚda: «”Iscesq', ¢gla¦ tškna, palaismosÚnhj ØperÒplou: ‡dmen g¦r d¾ p£ntej Óson proferšstato… ™ste 'Arge…wn meg£loio katafqimšnou 'AcilÁoj». vWj f£to: toˆ d' œsconto poneÚmenoi. 'Ek dä metèpwn cersˆn ¥dhn mÒrxanto katessÚmenÒn per ƒdrîta: kÚssan d' ¢ll»louj, filÒthti dä dÁrin œqento. To‹j d' ¥ra lhi£daj p…suraj pÒre pÒtna qe£wn, d‹a Qštij: t¦j d' aÙtoˆ ™qh»santo „dÒntej ¼rwej krateroˆ kaˆ ¢tarbšej, oÛneka pasšwn lhi£dwn profšreskon ™ãfrosÚnV te kaˆ œrgoij nÒsfin ™ãplok£mou Brish…doj, …j pot' 'AcilleÝj lh…sat' ™k Lšsboio, nÒon d' ™petšrpeto tÍsi: ka… ˜'   män dÒrpoio pšlen tam…h kaˆ ™dwdÁj,   d' ¥ra dainumšnoisi paroinocÒei mšqu larÒn, ¥llh d' aâ met¦ dÒrpon Ûdwr ™pšceue cšressin,   d' ˜tšrh ¢pÕ daitÕj ¢eˆ foršeske trapšzaj. 253 ™pessÚmenon codd. : corr. Pauw 255 dhiÒwntai H : dhÒwntai P : corr. Tychsen 265 ™n codd. : corr. Hermann 267 Óson proferoi P : proferšrestero… P2 H : corr. Zimmermann 272 ¥ra nhi£daj codd. : corr. Pauw 275 nhi£dwn codd. : corr. Pauw 277 nÒoj codd. : corr. Rhodomann

LIBRO QUARTO, VV. 252-281

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sospingerlo indietro, saldo come era sui forti piedi; Aiace, a sua volta, dall’alto assaltando, a terra dalle spalle lo scuoteva, stando ben saldo a terra. Prima in un modo, poi in un altro si affrontavano con le mani. I compagni, da una parte e dall’altra, forte gridavano a vederli, alcuni il Tidide glorioso incitando altri il valore di Aiace. Questi, infine, scosso il possente avversario da ciascun lato, allungata una mano al ventre, con un balzo lo fece rotolare a terra, come una pietra, grazie alla sua incredibile forza; molto rimbombò il suolo di Troia caduto il Tidide, acclamò il popolo. Ciò nonostante il Tidide si levò subito in piedi, bramoso di cimentarsi per la terza volta contro Aiace; ma allora Nestore si mise al centro e disse a entrambi: «Cessate, figli nobili, questa gara superba; sappiamo tutti quanto siete superiori ai restanti Argivi, ora che è morto Achille». Così parlò; essi deposero la lotta. Dalle fronti con le mani detersero il sudore che scendeva; si baciarono l’un l’altro, in amicizia deposero la gara.28 A loro quattro schiave offrì la venerabile tra le dèe, la divina Teti; e stupirono a vederle gli eroi valorosi e audaci, perché tra tutte le schiave splendevano per beltà e nei lavori, eccetto Briseide dalle belle trecce; Achille le aveva predate da Lesbo, in cuore si dilettava di esse; una era ministra di cibo e vivande, un’altra ai convitati serviva il piacevole vino, un’altra dopo il pranzo acqua versava per le mani, ancora un’altra portava via dal banchetto i resti dei cibi.

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T¦j d' ¥ra Tude…dao mšnoj kaˆ Øpšrbioj A‡aj dass£menoi prošhkan ™ãprèrouj ™pˆ nÁaj. 'Amfˆ dä pugmac…hj ðrto sqšnoj 'IdomenÁoj, êrnut', ™pe… oƒ qumÕj ‡drij pšle pantÕj ¢šqlou. TÚ d' oÜ tij katšnanta k…en: m£la g£r min …pantej a„dÒmenoi ØpÒeixan, ™pe… ˜a gera…teroj Ãen. TÚ d' ¥r' ™nˆ mšssoisi Qštij pÒren …rma kaˆ †ppouj ÈkÚpodaj toÝj prÒsqe b…h meg£lou PatrÒkloio ½lasen ™k Trèwn SarphdÒna d‹on Ñlšssaj. Kaˆ toÝj män qer£ponti pÒren potˆ nÁaj ¥gesqai 'IdomeneÚj, aÙtÕj dä klutÚ ™n ¢gîni mšneske. *o‹nix d' 'Arge…oisin ™ãsqenšessi methÚda: «Nàn män ¥r' 'IdomenÁi qeoˆ dÒsan ™sqlÕn ¥eqlon aÛtwj, oÜ ti kamÒnti b…V kaˆ cersˆ kaˆ êmoij, ¢ll' ¥r' ¢naimwtˆ progenšsteron ¥ndra t…ontej. 'All', ¥lloi nšoi ¥ndrej, ™pentÚnesqe ¥eqlon ce‹raj ™p' ¢ll»loisi da»monaj „qÚnontej pugmac…hj, kaˆ qumÕn „»nate Phle…wnoj». vWj f£to: toˆ d' ¢…ontej ™sšdrakon ¢ll»loisin: Ãka dä p£ntej œmimnon ¢nainÒmenoi tÕn ¥eqlon, e„ m» sfeaj šnipen ¢gauoà Nhlšoj uƒÒj: «’W f…loi, oÜ ti œoike da»monaj ¥ndraj ¢ãtÁj pugmac…hn ¢lšasqai ™p»raton, ¼ te nšoisi terpwl¾ pšletai, kam£t. d' ™pˆ kàdoj ¢gine‹. `Wj e‡q' ™n gu…oisin ™mo‹j œti k£rtoj œkeito omon Ót' ¢nt…qeon Pel…hn kateq£ptomen šme‹j, aÙtÕj ™gë kaˆ ”Akastoj, ¢neyioˆ e„j ›n „Òntej,

295 aÛtwj oÜti R et Köchly : oÜtw P : oÜpw H | k£mnonti codd. : corr. Köchly 297 ¢šqlwn codd. : corr. Rhodomann 298 Øp/ codd. : corr. Rhodomann 302 œnispen codd. : corr. Köchly

LIBRO QUARTO, VV. 282-308

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Tidide possente e il vigoroso Aiace, dopo averle divise, le condussero verso le navi dalla bella prua. [Il pugilato] Per il pugilato29 sorse il forte Idomeneo; avanti si fece, perché di ogni gara era esperto il suo animo. Contro di lui nessuno però si presentava; tutti infatti avendone gran rispetto si tiravano indietro, perché era più grande d’età. Per lui allora nel mezzo Teti pose il carro e i cavalli dai piedi veloci, che prima Patroclo potente aveva sottratto ai Troiani, dopo aver ucciso Sarpedone divino. Li diede a un servo da portare alle navi, Idomeneo, ma lui rimaneva nell’inclito agone. Fenice ai forti Argivi allora parlava: «Ora a Idomeneo gli dèi hanno dato un premio illustre così, senza che nulla facesse con forza, mani e omeri, ma senza che si versasse del sangue, onorando l’uomo già grande. Ma, voi altri giovani, preparate la gara, mani esperte di pugilato incrociando tra loro, e rallegrate l’anima del Pelide». Così disse; e quelli uditolo si guardavano tra loro, tutti sarebbero rimasti fermi, rifiutando la gara, se il figlio di Neleo glorioso non avesse loro parlato; «Amici, giusto non è che uomini abili sfuggano alla gara amabile di pugilato, che per i giovani è motivo di allegria, reca gloria dopo la fatica. Oh, se fosse ancora nella membra quella forza quale avevo quando seppellimmo il divino Pelia, io stesso e Acasto, cugini concordi,

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ÐppÒt' ¥r' ¢mf»ristoj ™gë PoludeÚkei d…. pugmac…V genÒmhn, œlabon dš oƒ mson ¥eqlon: ™n dä palaismosÚnV me kaˆ Ð kraterètatoj ¥llwn 'Agka‹oj q£mbhse kaˆ œtresen, oÙdš moi œtlh ¢nt…on ™lqšmenai n…khj Ûper, oÛnek' ¥r' aÙtÕn ½dh pou tÕ p£roiqe par' ¢gcem£coisin 'Epeio‹j n…khj' ºÝn ™Ònta, pesën d' ™kon…sato nîta sÁma p£ra fqimšnou 'Amarugkšoj, ¢mfˆ d' ¥r' aÙtÚ polloˆ qh»santo b…hn kaˆ k£rtoj ™me‹o: tî nÚ moi oÙkšti ke‹noj ™nant…on ½rato ce‹raj kaˆ kraterÒj per ™èn, œlabon d' ¢kÒnitoj ¥eqlon. Nàn dš me gÁraj œpeisi kaˆ ¥lgea: toÜnek' ¥nwga Ømšaj, omsin œoiken, ¢šqlia cersˆn ¢ršsqai: kàdoj g¦r nš. ¢ndrˆ fšrein ¢p' ¢gînoj ¥eqlon». vWj famšnoio gšrontoj ¢n…stato qarsalšoj fèj. uƒÕj ØperqÚmoio kaˆ ¢ntiqšou PanopÁoj, Ój te kaˆ †ppon œteuxe kakÕn Pri£moio pÒlhi Ûsteron: ¢ll' oÜ o† tij ™tÒlmaen ™ggÝj ƒkšsqai e†neka pugmac…hj: polšmou d' oÙ p£gcu da»mwn œpleto leugalšou, ÐpÒt' ”Areoj œssuto dÁrij. Ka… ken ¢nidrwtˆ perikallša d‹oj 'EpeiÕj ½mellen tÒt' ¥eqla fšrein potˆ nÁaj 'Acaiîn, e„ m» oƒ scedÕn Ãlqen ¢gauoà Qhsšoj uƒÒj, a„cmht¾j 'Ak£maj, mšga d' ™n fresˆ k£rtoj ¥exen, ¢zalšouj ƒm£ntaj œcwn perˆ cersˆ qoÍsi, toÚj oƒ ™pistamšnwj EÙhnor…dhj 'Agšlaoj ¢mfšbalen pal£mVsin ™potrÚnwn basilÁa. vWj d' aÛtwj ›taroi Panophi£dao ¥naktoj qarsÚneskon 'EpeiÒn: · d' ™n mšssoisi lšwn ìj eƒst»kei perˆ cersˆn œcwn boÕj nfi damšntoj ˜inoÝj ¢zalšaj. Mšga d' ‡acon œnqa kaˆ œnqa

316 par£ fqimšnou H : peri- P : corr. Spitzner 321 cersˆn fšresqai codd. : corr. Spitzner 332 ¢šxwn et œcwn codd. : ¥exen vel œcen corr. Pauw

LIBRO QUARTO, VV. 309-339

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quando con pari valor col divino Polluce mi battei nel pugilato, presi premio uguale al suo; nella lotta anche il più forte di tutti Anceo sbigottì e mi temette, né osò affrontarmi per la vittoria, perché già lo avevo battuto presso i valorosi Epei pur essendo forte, caduto impolverò le terga presso il tumulo del morto Amarinceo, attorno a lui molti ammirarono la mia forza e possanza; Perciò non volle più egli scontrarsi con me da allora, pur essendo valente, presi il premio senza lotta. Ora mi gravano vecchiezza e dolori; perciò esorto voi, cui conviene, a prendere premi nella lotta con i pugni;30 gloria è per un giovane riportare da una gara un premio».31 Come il vecchio finì il discorso si levò un giovane audace, figlio del magnanimo e divino Panopeo, colui che avrebbe costruito il cavallo nefasto per la città di Priamo, di lì a poco; ma nessuno osava venirgli vicino per il combattimento; non era molto esperto della battaglia sanguinosa, quando la contesa di Ares infuriava. E così, senza versare sudore, il divino Epeo32 stava per portare i doni alle navi degli Achei, se il figlio dell’illustre Teseo non gli fosse venuto vicino, il bellicoso Acamante;33 mostrando gran forza nell’animo, portava nelle snelle mani secche strisce di cuoio, che accuratamente Agelao Evenoride34 avvolgeva attorno al collo, esortando il re. Così i compagni del principe Panopeide incoraggiavano Epeo; egli come leone stette tenendo tra le mani il cuoio secco di bue ucciso con la forza. Molto intanto gridavano qua e là

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

laoˆ ™potrÚnontej ™usqenšwn mšnoj ¢ndrîn m‹xai ™n a†mati ce‹raj ¢teiršaj. O‰ dä kaˆ aÙtoˆ œstan maimèwntej ™nˆ xunocÍsin ¢gînoj, ¥mfw ce‹raj ˜¦j peirèmenoi, e‡ per œasin æj prˆn ™utrÒcaloi mhd' ™k polšmou barÚqoien. Anya d' ¥r' ¢ll»loisi katant…a ce‹raj ¥eiran tarfša papta…nontej, ™p' ¢krot£toij dä pÒdessi ba…nontej kat¦ baiÕn ¢eˆ gÒnu gounÕj ¥meibon ¢ll»lwn ™pˆ dhrÕn ¢leuÒmenoi mšga k£rtoj. SÝn d' œbalon nefšlVsin ™oikÒtej a„yhrÍsin, a† t' ¢nšmwn ˜ipÍsin ™p' ¢ll»lVsi qoroàsai ¢sterop¾n proi©si, mšgaj d' ÑroqÚnetai a„q¾r qhgomšnwn nefšwn, barÝ dä ktupšousin ¥ellai. vWj tîn ¢zalšVsi periktupšonto gšneia ˜ino‹j: anma dä poulÝ katšrreen: ™k dä metèpwn ƒdrëj aƒmatÒeij qaler¦j ™rÚqaine parei£j. O‰ d' ¥moton ponšonto memaÒtej: oÙd' ¥r' 'EpeiÕj lÁgen, ™pšssuto d' a„än ˜Ú perˆ k£rtei qÚwn. TÕn d' ¥ra Qhsšoj uƒÕj ™ãfronšwn ™n ¢šql. poll£kij ™j keneÕn krater¦j cšraj „qÚnasqai qÁke, kaˆ „dre…Vsi diatm»xaj ˜k£terqe ce‹raj ™j ÑfrÚa tÚyen ™p£lmenoj, ¥crij ƒkšsqai Ñstšon: ™k dš oƒ anma katšrreen Ñfqalmo‹o. 'All¦ kaˆ ïj 'Ak£manta bare…V ceirˆ tuc»saj tÚye kat¦ krot£foio, camaˆ dš oƒ ½lase gu‹a. AÙt¦r Ó g' any' ¢nÒrouse kaˆ œnqore fwtˆ krataiÚ, plÁxe dš oƒ kefal»n: · d' ¥r' œmpalin ¢pssontoj baiÕn Øpokl…naj skaiÍ cerˆ tÚye mštwpon, ¥llV d' ½lase ˜‹naj ™p£lmenoj: ·j dä kaˆ aÙtÕj

353 periktupšonto gšneiai codd. : corr. Heyne 358 ™n ¢šql. : ™nˆ qumÚ coni. J.C. Struve, fort. recte 368 æj codd. : corr. J.Th. Struve

LIBRO QUARTO, VV. 340-368

201

i guerrieri esortando la forza dei due eroi valorosi, perchè tingessero nel sangue le mani inflessibili. Essi già stavano feroci nei recinti della gara, entrambi misurando la forza delle proprie mani, se mai fossero agili come un tempo e non si fossero appesantite dalla pratica della guerra. Presto sollevarono l’uno contro l’altro le mani attentamente osservandosi, sulle punte dei piedi avanzando, ginocchio contro ginocchio, tentando per molto tempo di evitare il gran scontro.35 Infine vennero l’un contro l’altro, simili a nubi veloci, che per le furie dei venti scontrandosi a vicenda mandano lampi, grande trema intanto l’etere intanto che le nubi si affilano, profondamente risuonano i turbini. Così risuonavano le mascelle dei due per l’effetto delle pelli secche, il sangue molto scorreva, dalle fronti il sudore misto a sangue arrossiva le guance in fiore. Ma loro furiosamente si battevano bramosi; né Epeo cessava, continuamente avanzava imperversando con la sua forza; il figlio di Teseo, esperto di lotta, spesso fece cadere i forti colpi nel vuoto,36 e avendo aperto da ogni lato un varco con i pugni lo colpì di slancio al sopracciglio, sì da giungere in profondità fino all’osso; scorreva sangue dall’occhio. Ma egli, con mano pesante riuscì a colpire Acamante, alla tempia, a terra gli rovinò le membra.37 Tuttavia Acamante si rialzò subito e balzò sull’uomo vigoroso, lo colpì al capo; l’altro, mentre egli ancora irrompeva, di poco scansatolo, lo colpì alla fronte con la sinistra, con l’altra di un balzo lo percosse al naso; anche Acamante

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

m»ti panto…V cšraj êrege. ToÝj d' ¥r' 'Acaioˆ ¢ll»lwn ¢pšruxan ™eldomšnouj ponšesqai n…khj ¢mf' ™ratÁj: tîn d' ™ssumšnwj qer£pontej ˜inoÝj aƒmatÒentaj ¥far sqenarîn ¢pÕ ceirîn làsan: toˆ d' ¥ra tutqÕn ¢nšpneusan kam£toio morx£menoi spÒggoisi polutr»toisi mštwpa. ToÝj d' ›taro… te f…loi te parhgoršontej ¥geskon ¥ntikruj ¢ll»lwn, Êj ken cÒlou ¢lginÒentoj ™ssumšnwj lel£qwntai ¢ress£menoi filÒthti: ¢ll' o‰ män pep…qonto paraifas…Vsin ˜ta…rwn ¢ndr£si g¦r pinuto‹si pšlei nÒoj ½pioj a„e…: kÚssan d' ¢ll»louj, œridoj d' ™pel»qeto qumÕj leugalšhj. To‹j d' anya Qštij kuanokr»demnoj ¢rguršouj krhtÁraj ™eldomšnoisin Ôpasse doiè, toÝj EÜnhoj 'I»sonoj Ôbrimoj uƒÕj ðnon Øpär kratero‹o Luk£onoj ™ggu£lixen ¢ntiqš. 'AcilÁi periklÚst. ™nˆ L»mn.: toÝj “Hfaistoj œteuxen ¢riprepši DionÚs. dîron, Ót' e„j OÜlumpon ¢n»gage d‹an ¥koitin M…nwoj koÚrhn ™rikudša, t»n pote QhseÝj k£llipen oÙk ™qšlwn ge periklÚst. ™nˆ D…V: toÝj d' ºåj DiÒnusoj ˜Ú pÒren uƒšá dîron nšktaroj ™mpl»saj, · d' ¥r' êpasen `Uyipule…V pollo‹j sÝn kte£tessi QÒaj,   d' uƒšá d…. k£llipen, ·j d' 'AcilÁi Luk£onoj e†neka dîke. Tîn d' ›teron män ›lesken ¢gauoà Qhsšoj uƒÒj, ¥llon d' ºÝj 'EpeiÕj ˜¦j ™pˆ nÁaj ‡alle ghqÒsunoj. Tîn d' ¢mfˆ dedrummšna tÚmmata p£nta ºkšsat' ™ndukšwj Podale…rioj, oÛnek' ¥r' aÙtÕj prîta m~n ™kmÚzhsen, œpeita dä cersˆn ˜Ísi ˜£yen ™pistamšnwj, kaqÚperqe d~ f£rmak' œqhke 371 ¢mf’ ™rateinÁj codd. : corr. Rhodomann 377 ¢ress£menoi filÒthta codd. : corr. Lasc.2 et Tychsen 389 ge add. Rsl et Rhodomann 394 œcesken codd. : corr. J.Th. Struve 396 ¢mfi- codd. : corr. La Roche | tetrummšna codd. : tetrugmšna Lasc.2 : teqrummšna Lehrs : dedrummšna corr. Tychsen 397 aÙtÕj codd. : aÙt¦ coni. Pauw

LIBRO QUARTO, VV. 369-399

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con mossa accorta38 tendeva le mani. Allora gli Achei corsero a staccarli, che ancora bramavano battersi per l’amabile vittoria; i servi di corsa i cuoi insanguinati dalle forti mani liberarono; e i due ripresero il respiro dopo la fatica39 lavando con spugne porose la fronte. Amici e compagni consolandoli li ricondussero l’uno di fronte all’altro, affinchè l’ira dolorosa subito deponessero tornati all’amicizia; e essi ascoltarono le esortazioni dei compagni, perché sempre negli uomini saggi risiede animo placido; si baciarono a vicenda, della lotta funestà si dimenticò l’animo. A loro subito Teti dal volto ceruleo mentre attendevano offrì crateri d’argento,40 due, che Eunio figlio valoroso di Giasone aveva pagato, prezzo per il forte Licaone, al divino Achille nell’isola di Lemno battuta dai flutti; li aveva preparati Efesto per Dioniso molto celebrato come dono, quando questi condusse sull’Olimpo, sposa divina, la splendida figlia di Minosse; che prima Teseo aveva lasciato, pur non volendo, in Dia circondata dai flutti; Il buon Dioniso li regalò a suo figlio Toante, ricolmi di nettare, il quale li recò a Issipile, insieme ad altri doni; lei poi li lasciò al suo figlio divino, che ad Achille li diede al posto di Licaone. Dei due crateri, uno lo ebbe il figlio di Teseo famoso, l’altro il buon Epeo lo spedì alle sue navi contento. Subito le loro ferite, tutte con cura sanò Podalirio,41 egli prima di tutto ne succhiò il sangue, poi con le sue mani le cucì con sapienza, sopra spalmò olii

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ke‹na t£ oƒ tÕ p£roiqe pat¾r ˜Õj ™ggu£lixe, to‹s… per ™ssumšnwj kaˆ ¢nalqša tÚmmata fwtîn aÙtÁmar mogšontoj Øp' ™k kakoà „a…nontai: tîn d' ¥far ¢mfˆ prÒswpa kaˆ eÙkomÒwnta k£rhna tÚmmat' ¢palqa…nonto, kathpiÒwnto d' ¢n‹ai. 'Amfˆ dä toxosÚnhj Teàkroj kaˆ 'Oálšoj uƒÕj ›stasan, o‰ kaˆ prÒsqe drÒmou pšri peir»santo. Tîn d' ¥ra thlÒse qÁken ™ãmmel…hj 'Agamšmnwn ƒppÒkomon truf£leian, œfh dš e: «PollÕn ¢me…nwn œssetai ·j kšrseien ¥po tr…caj Ñxšá calkÚ». A‡aj d' aÙt…ka prîtoj ˜Õn prošhke bšlemnon, plÁxe d' ¥ra truf£leian, ™phÚthse d~ calkÕj ÑxÚtaton. Teàkroj dä mšg' ™gkonšwn ™nˆ qumÚ deÚteroj Âken ÑástÒn, ¥far d' ¢pškersen ™qe…raj ÑxÝ bšloj: laoˆ d~ mšg' ‡acon ¢qr»santej ka… min kuda…neskon ¢pe…riton, oÛnek' ¥r' aÙtÕn plhg¾ ™palgÚneske qooà podÒj, ¢ll£ min oÜ ti bl£yen Øpaˆ pal£mVsi qoÕn bšloj „qÚnonta. Ka… oƒ teÚcea kal¦ pÒren PhlÁoj ¥koitij ¢ntiqšou Trw…loio, tÕn ºiqšwn Ôc' ¥riston Tro…V ™n ºgaqšV `Ek£bh tšken, oÙd' ¢pÒnhto ¢gla…hj: d¾ g£r min ¢tarthroà 'AcilÁoj œgcoj Ðmoà kaˆ k£rtoj ¢p»mersan biÒtoio. `Wj d' ÐpÒq' ˜rs»enta kaˆ eÙqalšont' ¢n¦ kÁpon ØdrhlÁj kapštoio m£l' ¢gcÒqi thleq£onta À st£cun À m»kwna, p£roj karpo‹o tucÁsai, kšrsV tij drep£n. neoqhgši, mhd' ¥r' ™£sV

400 tÕ add. Lsl et J.C. Struve 401 dä ¥r codd. : corr. Zimmermann 408 ˜ codd. : corr. Spitzner 425 tuc»saj codd. : corr. Rhodomann

LIBRO QUARTO, VV. 400-426

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che una volta gli aveva fornito suo padre: con quelli le ferite dei mortali velocemente nel giorno stesso, trovan conforto dal dolore. Sui volti e sulle teste chiomate dei due le ferite guarivano, e i dolori si lenivano.

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[La gara con l’arco] Per la gara dell’arco Teucro e il figlio di Oileo si alzarono, loro che già prima si erano misurati nella corsa. A una certa distanza da essi pose Agamennone forte nell’asta un elmo con setole equine e disse: «Sarà il migliore chi riuscirà con l’acuto bronzo a tagliare la cresta». Aiace subito per primo scagliò il suo dardo, colpì l’elmo, riecheggiò il bronzo acutissimo. Teucro, molto bramando nell’animo per secondo scagliò la freccia, subito tagliò le setole il dardo appuntito; gli uomini molto gridarono nel vedere e lungamente lo festeggiarono, poiché gli doleva ancora molto il piede veloce dopo il colpo di prima, ma non lo 42 impedì nell’indirizzare con le mani la rapida freccia. Allora la sposa di Peleo a lui recò le armi del divino Troilo, che di molto il migliore tra i giovani nella sacra Troia aveva generato Ecuba, ma non godette della bellezza; lui infatti di Achille rovinoso l’asta e insieme la forza privarono della vita. Come quando in un giardino bagnato di rugiada e fiorente in prossimità di una fossa d’acqua una spiga rigogliosa o un papavero, prima che arrivino a maturità, qualcuno tagli con falce affilata, né permette loro

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

™j tšloj ºÝ mole‹n mhd' ™j spÒron ¥llon ƒkšsqai, ¢m»saj keneÒn te kaˆ ¥sporon a‡qopi calkÚ mšllonq' ˜rs»entoj Øp' e‡aroj ¢lda…nesqai: ìj uƒÕn Pri£moio qeo‹j ™nal…gkion endoj Phle…dhj katšpefnen, œt' ¥cnoon, e„sšti nÚmfhj n»ida, nhpi£coisin Ðmîj œti kour…zonta: ¢ll£ min ™j pÒlemon fqis…mbroton ½gage Mo‹ra ¼bhj ¢rcÒmenon polughqšoj, ÐppÒte fîtej qarsalšoi telšqousin, Ót' oÙkšti deÚetai Ãtor. AÙt…ka d' aâte sÒlon perim»ke£ te briarÒn te polloˆ peir»santo qoÁj ¢pÕ ceirÕj „Álai. TÕn d' oÜ tij balšein dÚnato stibarÕn m£l' ™Ònta 'Arge…wn: onoj d' œbalen mened»ioj A‡aj ceirÕj ¢pÕ kraterÁj, æj e„ druÕj ¢gronÒmoio Ôzon ¢pauanqšnta qšreuj eÙqalpšoj ÊrV, ÐppÒte l»ia p£nta kat¦ cqonÕj aÙa…nhtai. Q£mbhsan d' ¥ra p£ntej, Óson cerÕj ™xepot»qh calkÕj ·n ¢nšre cersˆ dÚw mogšontej ¥eiran: tÒn ˜a män 'Anta…oio b…h ˜…ptaske p£roiqe ˜hid…wj ¢pÕ ceirÕj ˜Áj peirèmenoj ¢lkÁj, prˆn kraterÍsi cšressi dam»menai `HraklÁoj: `Hraklšhj dš min ºÝj ˜lën sÝn lh…di pollÍ ¢kam£thj œce ceirÕj ¢šqlion, ¢ll£ min ™sqlÚ Ûsteron A„ak…dV dîron pÒren, ÐppÒt' ¥r' aÙtÚ 'Il…ou eÙpÚrgoio sunšpraqe kÚdimon ¥stu, ke‹noj d' uƒši dîken, · d' ÈkupÒroij ™nˆ nhusˆn ™j Tro…hn min œneiken, †na sfetšroio tokÁoj

427 ºÚ P : ºdš H : corr. Lehrs 428 ™ssomšnoisi P : a„qom- H : a‡qopi calkÚ Lehrs 444 c£lkeoj codd. : corr. Rhodomann 445 ˜£ min codd. : corr. Rhodomann | ¢gka…oio codd. : corr. Rhodomann

LIBRO QUARTO, VV. 427-453

207

di venire a dolce maturazione né di arrivare a nuova semenza, avendoli mietuti vuoti e senza semi col bronzo brillante, quando erano sul punto di di ricevere nutrimento dalla primavera rugiadosa, così il figlio di Priamo, simile agli dèi nella forma, il Pelide uccise, ancora imberbe, di nozze inesperto, che ancora si trastullava di puerilità;43 ma lui la Moira alla guerra terribile aveva condotto quando entrava nella giovinezza gioiosa, allorchè gli uomini forti diventano, il coraggio non manca.

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[Il lancio del disco] Ora anche il disco vasto e grave molti tentarono di gettare dalla mano veloce. Ma nessuno, per come era grave, riuscì a scagliarlo, degli Argivi; il solo fu il bellicoso Aiace, dalla mano forte, come da quercia di bosco un ramo secco, nella stagione d’estate calda, quando le messi induriscono tutte sulla terra mature.44 Stupirono tutti, quanto dalla mano era volato il bronzo, che due uomini con le mani faticosamente innalzavano. Prima lo scagliava solitamente il forte Anteo45 con facilità dalla sua mano, misurando la forza, prima che morisse per le mani vigorose di Eracle; Eracle lo prese per sé con gran preda come premio della mano invitta, ma lo diede in seguito in dono al valoroso Eacide, quando insieme a lui abbattè la gloriosa città di Ilio dalle belle torri; egli lo trasmise al figlio, questi sulle navi veloci lo portò a Troia, perché memore del genitore

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

mnwÒmenoj Trèessin ™ãsqenšessi m£coito profronšwj, e‡h dä pÒnoj peirwmšn. ¢lkÁj: tÒn ˜' A‡aj m£la pollÕn ¢pÕ stibarÁj b£le ceirÒj. Kaˆ tÒte oƒ Nhrhˆj ¢gaklut¦ teÚcea dîke Mšmnonoj ¢ntiqšoio, t¦ kaˆ mšga qh»santo 'Arge‹oi: l…hn g¦r œsan perim»kea p£nta. Kaˆ t£ ge kagcalÒwn Øpedšxato kÚdimoj ¢n»r: o‡. g¦r ke…n. ge perˆ briaro‹j melšessin ¼rmosen ¢pl»toio kat¦ croÕj ¢mfiteqšnta. AÙtÕn d' aât' ¢n£eire mšgan sÒlon, Ôfr£ oƒ e‡h terpwl¾ mšnoj ºÝ lilaiomšn. ponšesqai. O‰ d' ¥ra dhriÒwntej ™f' …lmati polloˆ ¢nšstan: tîn d' ¥r' Øpšrqore pollÕn ™ãmmel…hj 'Agap»nwr s»mata: toˆ d' Ðm£dhsan ™p' ¢nšri makr¦ qorÒnti. Ka… oƒ teÚcea kal¦ pÒren meg£loio KÚknoio d‹a Qštij: tÕn g£r ˜a fÒn. œpi Prwtesil£ou pollîn qumÕn ˜lÒnta katšktane Phlšoj uƒÕj prîton ¢rist»wn, Trîaj d' ¥coj ¢mfek£luyen. A„ganšV d' ¥ra pollÕn Øpšrbale dhriÒwntaj EÙrÚaloj: laoˆ dä mšg' ‡acon: oÙ g¦r œfanto ke‹non Øperbalšein oÙdè pterÒenti belšmn.. ToÜnek£ oƒ fi£lhn polucandša dîke fšresqai m»thr A„ak…dao dapfronoj, ¼n pot' 'AcilleÝj ¢rguršhn kte£tisse balën ØpÕ dourˆ MÚnhta, ÐppÒte Lurnhsso‹o dišpraqen Ôlbion ¥stu.

463 aÙtÕj d' aât' codd. : corr. Vian 464 terpwlÁj codd. : corr. Pauw 465 dhiÒwntej codd. : corr. Lasc2. et Pauw 467 tî codd. : corr. Rhodomann

LIBRO QUARTO, VV. 454-478

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combattesse con i Troiani valorosi più intensamente, potesse misurare la sua forza; Aiace lo scagliò dunque lontano dalla sua mano potente. La Nereide allora gli recò le armi illustri di Memnone divino, che molto ammirarono gli Argivi; erano infatti molto grandi. L’inclito eroe le accolse gioioso; a lui solo, sulle membra vigorose, si adattavano, distese sul corpo enorme. Riprese di nuovo il gran disco,46 affinchè vi si trastullasse, quando voleva allenare la forza.

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[Il salto] Gli altri allora si levarono per la gara del salto.47 Tra essi saltò grandemente Agapenore bravo nell’asta oltre il segno; acclamarono all’uomo che era saltato lontano. A lui le belle armi del grande Cicno offrì la divina Teti; lui, dopo l’uccisione di Protesilao, dopo aver tolto la vita a molti, aveva ucciso il figlio di Peleo: primo tra gli eroi, lutto avvolse i Troiani.

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[Lancio del giavellotto] Nel lancio del giavellotto di molto fu superiore ai gareggianti Eurialo; gli altri lo acclamarono lungamente; dicevano che nessuno lo avrebbe superato, neanche con una freccia alata.48 Per questo a lui una coppa grandissima diede da portar via la madre dell’Eacide guerresco, che una volta Achille, argentea, si era guadagnato, dopo aver colpito con l’asta Minete, quando di Lirnesso distrusse la ricca città.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

A‡aj d' ÑbrimÒqumoj ™eldÒmenoj ponšesqai cersˆn Ðmîj kaˆ possˆn ¢nist£menoj kalšesken ™j mšson šrèwn tÕn Øpšrtaton. O‰ d' ÐrÒwntej q£mbeon Ôbrimon ¥ndra kaˆ ¥lkimon, oÙdš tij œtlh ¥nta mole‹n: p£ntwn g¦r Øpšklase de‹m' ¢legeinÕn ºnoršhn, fobšonto d' ¢n¦ fršna m» tina cersˆ tÚyaj ¢kam£toisin ØpÕ plhgÍsi prÒswpon sugcšV ™ssumšnwj, mšga d' ¢nšri pÁma gšnhtai. 'Oy~ dä p£ntej œneusan ™p' EÙru£l. menec£rmV, ‡dmona pammac…hj eâ e„dÒtej: ·j d' ™nˆ mšssoij to‹on œpoj prošhken Øpotromšwn qrasÝn ¥ndra: «’W f…loi, ¥llon mšn ken 'Acaiîn, Ón k' ™qšlhte, tl»somai ¢ntiÒwnta, mšgan d' A‡anta tšqhpa: pollÕn g¦r probšbhke: diarra…sei dš moi Ãtor, ½n min ™pibr…santa l£bV cÒloj: oÙ g¦r Ñpw ¢ndrÕj ¢p' ¢kam£toio sÒoj potˆ nÁaj ƒkšsqai». vWj famšnoio gšlassan: · d' ™n fresˆ p£mpan „£nqh A‡aj ÑbrimÒqumoj. ”Aeire dä doi¦ t£lanta ¢rgÚrou a„gl»entoj … oƒ Qštij e†nek' ¢šqlou dîken ¥ter kam£toio: f…lou d' ™mn»sato paidÕj A‡ant' e„sorÒwsa, gÒoj dš oƒ œmpese qumÚ. O‰ d' aâq' ƒppas…V memelhmšnon Ãtor œcontej ™ssumšnwj ¢nÒrousan ™potrÚnontoj ¢šqlou, prîtoj m~n Menšlaoj „d' EÙrÚpuloj qrasuc£rmhj EÜmhlÒj te QÒaj te kaˆ „sÒqeoj Polupo…thj. “Ippoij d' ¢mfˆ lšpadna b£lon kaˆ Øf' …rmat' œrussan

485 ¢kam£tVsin codd. : corr. Vian 487 œleusan codd. : corr. Pauw 488 pugmac…hj codd. : corr. Lehrs 491 tšqhpen P

LIBRO QUARTO, VV. 479-504

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[Il pancrazio] Aiace magnanimo, bramoso di combattere con le mani e piedi insieme,49 alzandosi invitava nel mezzo il migliore degli eroi. Essi guardando stupivano di fronte all’uomo vigoroso e forte, né alcuno osò farglisi incontro; paura vile spezzò a ciascuno il vigore: temevano in cuore che colpito qualcuno con le mani instancabili infierisse sul volto con le percosse impetuosamente, ne derivasse all’uomo gran danno. Infine tutti accennarono al valoroso Eurialo, che sapevano esperto del pancrazio; egli venuto avanti questo discorso proferì, temendo l’audace avversario: «Compagni, un altro degli Achei, quale che voi vogliate, sopporterò di affrontare, ma ho paura del grande Aiace; di molto è il più forte; spanderà il mio spirito, qualora lo prenda l’ira durante l’assalto; penso di non tornare alle navi salvo, sfuggito all’uomo invincibile». Ciò detto, risero gli altri; ma nel cuore molto gioì Aiace violento. Prese perciò i due talenti d’argento, che Teti diede a lui per premio senza la gara; ricordò il proprio figlio vedendo Aiace, lutto le invase l’animo.50

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[La corsa coi carri] Gli altri, allora, già con la mente indirizzata alla gara dei cavalli,51 sorsero presto, potente richiamo il premio, primo Menelao, poi Euripilo audace in battaglia, Eumelo e Toante e Polipete simile a dèi.52 Le briglie ai cavalli adattarono e sotto i carri li sistemarono,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

p£ntej ™peigÒmenoi polughqšoj e†neka n…khj. Anya d' ¥r' ™j klÁron xÚnisan bebaît' ™nˆ d…froij cîron ¢n' ºmaqÒent': ™pˆ nÚssV d' œstan ›kastoi: karpal…mwj d' eÜlhra l£bon kraterÍj pal£mVsin. “Ippoi d' ™gcrimfqšntej ™n …rmasi poipnÚeskon, Óppwj tij pro£loito, pÒdaj d' Øpek…nuon aÛtwj, oÜata d' Èrqèsanto kaˆ ¥mpuka deÚont' ¢frÚ. O‰ d' ¥far ™gkonšontej ™lafropÒdwn mšnoj †ppwn m£stion: o‰ dä qoÍsin ™oikÒtej `Arpu…Vsi karpal…mwj zeÚglVsi mšg' œnqoron ¢scalÒwntej, …rmata d' ðka fšreskon ¢pÕ cqonÕj ¢pssonta: oÙd' ¡rmatroci¦j „dšein Ãn oÙdä podo‹in ™n cqonˆ s»mata, tÒsson Øpexšferon drÒmon †ppoi. PoulÝj d' a„qšr' †kane kon…saloj ™k ped…oio kapnÚ À Ñm…clV ™nal…gkioj, ¼n t' ™n Ôressin ¢mficšV prènessi NÒtou mšnoj À ZefÚroio ce…matoj ™gromšnou, ÐpÒt' oÜrea deÚetai Ômbr.. “Ippoi d' EÙm»loio mšg' œkqoron: o‰ d' ™fšponto ¢ntiqšoio QÒantoj: ™p' ¥ll. d' ¥lloj ¢Åtei …rmati: toˆ d' ™fšronto di' eÙrucÒrou ped…oio ........................................ «”Hlidoj ™k d…hj, ™peˆ à mšga œrgon œrexe parf[q]£menoj qoÕn …rma kakÒfronoj O„nom£oio, Ój ˜a tÒt' ºiqšoisin ¢nhlša teàcen Ôleqron koÚrhj ¢mfˆ g£moio per…fronoj `Ippodame…hj. 'All' oÙ m¦n ke‹nÒj ge kaˆ ƒppas…Vsi memhlëj †ppouj ÈkÚpodaj to…ouj œcen, ¢ll' ¥ra pollÕn possˆn ¢faurotšrouj: o‰ g£r t' e‡dont' ¢nšmoisin». ’H mšga kuda…nwn †ppwn mšnoj ºdä kaˆ aÙtÕn 'Atre…dhn: · d' ¥r' Îsi perˆ fresˆ g»qee qumÚ. ToÝj dä mšg' ¢sqma…nontaj ¥far qer£pontej œlusan 506 ™j ped…on P 508 eÜlhra b£lon P : corr. Pauw 509 poipnÚontej codd. : corr. Rhodomann 510 aÙtîn codd. : corr. Rhodomann 511 deÚesan codd. : corr. Pompella 516 Ãn add. Lehrs 524 desunt 48 versus quos, ut vid., non habuit W 527 parf£menoj codd. : corr. Rhodomann 534 · g£r codd. : corr. Pauw

LIBRO QUARTO, VV. 505-535

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tutti affrettandosi, a causa della vittoria che colma di letizia. Subito saliti sui carri giunsero nel largo spiazzo arenoso; al punto di partenza stette ognuno; la briglie assunsero con le mani vigorose. I cavalli, ai carri legati, sbuffavano, chi sarebbe scattato prima, mentre si agitavano, le orecchie drizzarono e di spuma bagnavano il freno. Allora, incitavano l’ambizione dei cavalli dai piedi leggeri con la sferza; essi, simili a rapidi Arpie, saltarono nei cuoi, impazienti, tirandosi veloci i carri che volavano da terra; né vedere si potè le tracce delle ruote, né i segni degli zoccoli, tanto velocemente i cavalli percorsero il tragitto. Fitto pulviscolo salì su per l’aria dalla piana, simile a fumo, o alla nebbia, che sui monti la forza di Noto o Zefiro riversa sulle cime, all’inizio dell’inverno, quando i monti sono irrorati di piogge. I cavalli di Eumelo fecero un gran salto in avanti, seguivano quelli di Toante divino; chi gridava per uno, chi a sostegno di un altro carro; i contendenti venivano avanti per la piana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .53 «dalla sacra Elide, poiché davvero grande gesto aveva compiuto sorpassando il carro veloce di Enomao malevolo, che allora ai giovani morte dolorosa recava, a causa del matrimonio della figlia, la saggia Ippodamia.54 Ma egli, che aveva a cuore l’equitazione tanto veloci non aveva i cavalli, ma molto più deboli nelle zampe; questi erano pari ai venti». Parlò così, esaltando grandemente la forza dei cavalli ed anche l’Atride, il quale gioiva nel petto. I servi liberarono subito i cavalli anelanti

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

zeÚglhj: o‰ dä kaˆ aÙtoˆ ¢ellÒpodaj lÚon †ppouj p£ntej Ósoij ™n ¢gîni drÒmou pšri dÁrij ™tÚcqh. 'Ant…qeon dä QÒanta kaˆ EÙrÚpulon menec£rmhn ºkšsat' ™ssumšnwj Podale…rioj ›lkea p£nta Óssa peridrÚfqhsan ¢p' ™k d…froio pesÒntej. 'Atre…dhj d' ¢l…aston ™g»qeen e†neka n…khj: ka… oƒ ™ãplÒkamoj Qštij êpase kalÕn ¥leison crÚseon, ¢ntiqšoio mšga ktšar 'Het…wnoj, prˆn Q»bhj klutÕn ¥stu diapraqšein 'AcilÁa. ”Alloi d' aâq' ˜tšrwqe mon£mpukaj œntuon †ppouj ™j drÒmon „qÚnontej, ›lonto dä cersˆ boe…aj m£stigaj, kaˆ p£ntej ¢na…xantej ™f' †ppwn ›zonq': o‰ d~ calin¦ genei£sin ¢fr…zontej d£pton kaˆ posˆ ga‹an ™pšktupon ™gkonšontej ™kqoršein. To‹j d' anya drÒmoj: o‰ d' ¢pÕ nÚsshj karpal…mwj o‡mhsan ™ridma…nein memaîtej, e‡keloi À Boršao mšga pne…ontoj ¢šllaij ºä NÒtou kel£dontoj, Ót' eÙrša pÒnton Ñr…nei la…lapi kaˆ ˜ipÍsi, Qut»rion eât' ¢legeinÕn ¢ntšllV naÚtVsi fšron polÚdakrun ÑázÚn: ìj o† g' ™sseÚonto kÒnin posˆ karpal…moisin ™n ped…. klonšontej ¢pe…riton. Oƒ d' ™latÁrej †ppoij omsin ›kastoj ™kškleto, tÍ m~n ƒm£sqlhn tarfša peplhgèj, ˜tšrV d' ™n ceirˆ tin£sswn nwlem~j ¢mfˆ gšnussi mšga ktupšonta calinÒn. “Ippoi d' ™rrèonto: bo¾ d' ¢n¦ laÕn Ñrèrei ¥spetoj: o‰ d' ™pštonto di¦ platšoj ped…oio. Ka… nÚ ken ™ssumšnwj ™x ”Argeoj a„Òloj †ppoj

538 eÙrÚalon codd. : corr. Rhodomann 550 add. Pompella : Rhodomann 553 Ôrinen codd. : corr. Köchly 555 ¢ntšlhn aÙtÍsi H 558 ƒm£sqlV codd. : corr. Lehrs 559 corr. Wernicke

LIBRO QUARTO, VV. 536-563

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del collare; gli altri poi anche sciolsero i cavalli veloci come tempeste, a quanti era toccato di partecipare alla corsa. FrattantoToante divino e Euripilo valoroso curò Podalirio di tutte le ferite che si erano prodotte caduti dal carro. L’Atride gioiva profondamente per la vittoria; a lui Teti bei riccioli assegnò una bella tazza dorata, gran gioiello di Ezione divino, prima che Achille rovinasse l’inclita Tebe.55

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[Corsa dei cavalli] Altri intanto vestirono i cavalli singoli indirizzandoli alla corsa;56 presero con le mani le sferze di cuoio, e tutti saliti a cavallo sedevano; gli animali, intanto, con le mandibole mordevano i freni, emettendo spuma e battevano il suolo con gli zoccoli, bramosi di partire. Si diede l’avvio; essi balzarono dalla linea di partenza impetuosi, impazzendo per la gara; soffiando simili ai venti di Borea o di Noto rumoreggiante, quando scuote il vasto mare con turbini violenti, quando Tuterio57 terribile sorge recando luttuosa rovina ai marinai. Così si lanciaron i cavalli, polvere con i piedi veloci agitando immensa sulla piana. Gli aurighi spronavano ognuno il proprio cavallo, con una mano la sferza spesso agitando, con l’altra agitando sulle mandibole il freno che molto risuonava. I cavalli si affrettavano, un urlo nasceva in mezzo alla gente, immenso, volavano per la vasta piana. E certamente presto il cavallo variegato di Argo,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

n…khsen m£la pollÕn ™fezomšnou Sqenšloio, e„ m¾ ¥r' ™x»rpaxe drÒmou, ped…on d' ¢f…kane poll£kij: oÙdš min ™sqlÕj ™ën Kapan»ioj uƒÕj k£myai ™pšsqene cers…n, ™pe… ˜' œti nÁij ¢šqlwn †ppoj œhn: geneÍ dä m£l' oÙ kakÒj, ¢ll¦ qoo‹o qespšsion gšnoj œsken 'Ar…onoj ·n tšken †ppwn “Arpuia ZefÚr. poluhcši fšrtaton ¥llwn pollÒn, ™peˆ tacšessin ™ridma…neske pÒdessi patrÕj ˜o‹o qoÍsi kataig…si, ka… min ”Adrhstoj ™k mak£rwn œce dîron: Óqen gšnoj œpleto ke…nou, ka… min Tudšoj uƒÕj ˜Ú pÒre dîron ˜ta…r. Tro…V ™nˆ zaqšV. vO dš oƒ mšga possˆ pepoiqëj ÈkÝn ™Ònt' ™j ¢gîna kaˆ e„j œrin ½gagen †ppwn aÙtÕj ™nˆ prètoisin ÑáÒmenoj mšga kàdoj ƒppas…hj ¢nelšsqai. vO d' oÜ t… oƒ Ãtor ‡hnen ¢mf' 'AcilÁoj ¥eqla poneÚmenoj: à g¦r †kane deÚteroj, 'Atre…dhj d~ par»lasen ÈkÝn ™Ònta „dre…V. Laoˆ d' 'Agamšmnona kuda…neskon †ppon te Sqenšloio qrasÚfronoj ºd~ kaˆ aÙtÒn, oÛneka deÚteroj Ãlqe, kaˆ e„ m£la poll£ki nÚsshj ™xšqoren, meg£l. perˆ k£rtei kaˆ posˆ qÚwn. Kaˆ tÒt' ¥r' 'Atre…dV Qštij êpase kagcalÒwnti ¢rgÚreon qèrhka qehgenšoj Poludèrou: dîke d' ¥ra Sqenšl. briar¾n kÒrun 'Asteropa…ou calke…hn kaˆ doàre dÚw kaˆ ¢teirša m…trhn. ”Alloij d' ƒpp»essi kaˆ ÐppÒsoi ½mati ke…n. Ãlqon ¢eqleÚsontej 'AcillÁoj potˆ tÚmb. dîra pÒren p£ntessin. 'Epˆ sf…si d' ¥cnuto qumÕn uƒÕj Lašrtao dapfronoj, oÛnek' ¥r' aÙtÕn ›lkÁj ƒšmenon kraterîn ¢pšruxen ¢šqlwn ›lkoj ¢nihrÕn tÒ min oÜtasen Ôbrimoj ”Alkwn ¢mfˆ nškun kratero‹o poneÚmenon A„ak…dao. 579 œmellen ƒk£nein codd. : corr. Rhodomann 587 'Asteropa…hj P : -a‹an H : corr. Rhodomann 590 ¢eql»s- codd. : corr. J. C. Struve 593 n…khj Platt

LIBRO QUARTO, VV. 564-595

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con Stenelo che lo montava, avrebbe superato grandemente gli altri, se il cavaliere non avesse sbagliato strada, per la piana divagando ripetutamente; né, pur essendo esperto, il figlio di Capaneo potè con le mani piegarlo, perché non ancora era esperto di gare il cavallo; di stirpe non male, ma aveva origine divina da Arione veloce, che aveva generato, di molto migliore tra tutti, l’Arpia a Zefiro rimbombante, dal momento che con le zampe veloci contendeva con le rapide procelle di suo padre; Adrasto lo ricevette in dono dai beati, da cui la sua origine. E il figlio di Tideo lo regalò all’amico Stenelo58 in Troia divina; e questi, fidando nelle zampe, ché era veloce, lo spinse nell’arena e alla gara di cavalli, pensando, arrivando tra i primi, di conquistarsi grand’onore dalla gara. Il cuor suo non ne venne fuori contento, nella gara per i giochi funebri per Achille; arrivò secondo; l’Atride lo superò, lui pur veloce, con l’esperienza. La gente applaudì Agamennone, e il cavallo di Stenelo superbo, e Stenelo stesso, poiché era giunto secondo, anche se spesso fuori pista era andato, smaniando troppo con la forza delle zampe. Allora Teti diede all’Atride che gongolava la corazza d’argento di Polidoro divino, e a Stenelo l’elmo massiccio di Asteropeo, di bronzo, e due aste e una robusta cintura. Agli altri cavalieri e a quanti quel giorno fossero venuti a gareggiare alla tomba di Achille, diede doni. Ma il figlio di Laerte59 prudente si adirò, ché la ferita molesta gli impediva di andare agli agoni del valore, la ferita che gli causò il fiero Alcone quando combatteva attorno al corpo morto dell’Eacide.

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LIBRO QUINTO traduzione e note di Graziamaria Gagliarde

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'All' Óte d¾ polloˆ män ¢phnÚsqhsan ¥eqloi, d¾ tÒt' 'AcillÁoj megal»toroj ¥mbrota teÚch qÁken ™nˆ mšssoisi qe¦ Qštij. 'Amfˆ dä p£ntV da…dala marma…resken Ósa sqšnoj `Hfa…stoio ¢mfˆ s£koj po…hse qrasÚfronoj A„ak…dao. Prîta män eâ ½skhto qeokm»t. ™pˆ œrg. oÙranÕj ºd' a„q»r: ga…V d' …ma ke‹to q£lassa. 'En d' ¥nemoi nefšlai te sel»nh t' ºšliÒj te kekrimšn' ¥lludij ¥lla: tštukto dä te…rea p£nta ÐppÒsa din»enta kat' oÙranÕn ¢mfifšrontai. Tîn d' ¥r' Ðmîj Øpšnerqen ¢peiršsioj kšcut' ¢»r: ™n tÚ d' Ôrniqej tanuceilšej ¢mfepotînto: fa…hj ke zèontaj …ma pnoiÍsi fšresqai. ThqÝj d' ¢mfetštukto kaˆ 'Wkeanoà baqÝ ceàma: tîn d' ¥far ™xecšonto ˜oaˆ potamîn ¢legeinîn kuklÒqen ¥lludij ¥llV ˜lissomšnwn di¦ ga…hj. 'Amfˆ d' ¥r' eâ ½skhnto kat' oÜrea makr¦ lšontej smerdalšoi kaˆ qîej ¢naidšej: ™n d' ¢legeinaˆ ¥rktoi pord£lišj te: sÚej d' …ma to‹si pšlonto Ôbrimoi ¢lginÒentaj ØpÕ blosurÍsi gšnussi q»gontej kanachdÕn ™uktupšontaj ÑdÒntaj. 'En d' ¢grÒtai metÒpisqe kunîn mšnoj „qÚnontej, ¥lloi d' aâ l£essi kaˆ a„ganšVsi qoÍsi b£llontej ponšonto katant…on, æj ™teÒn per. 'En d' ¥ra kaˆ pÒlemoi fqis»norej, ™n dä kudoimoˆ 1 ˜' ¥lloi män corr. Köchly | ¢šqla B 6 kaˆ t¦ mšn H 15 ¥far ™xerc- D 19 q'…ma codd. : corr. Rhodomann 25 œnq'¥ra codd. : corr. Tychsen

[Teti mette in palio le armi di Achille per l’eroe più valoroso dei Greci. Descrizione delle armi e delle raffigurazioni sullo scudo] Ma quando furon terminati i numerosi giochi,1 allora del magnanimo Achille le armi immortali pose nel mezzo la divina Teti.2 Ovunque d’intorno splendevano quanti ceselli il potente Efesto fece abilmente intorno allo scudo dell’ardito Eacide. Per prima cosa erano ben forgiati nell’opra divina il cielo e l’etere; insieme alla terra vi era il mare; vi erano i venti e le nubi, la luna e il sole ben disposti qua e là; erano lavorate le stelle tutte quante in vortice si muovono intorno la volta del cielo.3 Poi parimenti al di sotto di esse infinito si diffondeva l’aere;4 in esso uccelli dai lunghi becchi qua e là volavano: avresti detto che viventi si librassero in volo col soffio dei venti. Tethys poi era intorno effigiata e di Oceano il profondo flutto: e da essi correnti di temibili fiumi prontamente sgorgavano avvolgendosi in cerchio in ogni parte sulla terra. E intorno poi ben forgiati su alti monti leoni terribili5 e sfrontati sciacalli; v’erano poi spaventose orse e pantere; e cinghiali insieme a queste si trovavano impetuosi che sotto possenti mascelle con forte stridore affilavano crudeli zanne ben risonanti.6 V’erano cacciatori dietro a dirigere la smania dei cani, altri a loro volta con pietre e giavellotti veloci si applicavano a colpirli di fronte, così come nella realtà accade.7 V’erano guerre distruttrici di genti, v’erano tumulti

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

¢rgalšoi ™nškeinto. Perikte…nonto dä laoˆ m…gda qoo‹j †ppoisi: pšdon d' …pan a†mati pollÚ deuomšn. ½okto kat' ¢sp…doj ¢kam£toio. 'En dä *Òboj kaˆ De‹moj œsan stonÒess£ t' 'Enuè, a†mati leugalš. pepalagmšnoi …yea p£nta: ™n d' ”Erij oÙlomšnh kaˆ 'ErinnÚej ÑbrimÒqumoi,   män ™potrÚnousa potˆ klÒnon ¥sceton ¥ndraj ™lqšmen, a‰ d' Ñloo‹o purÕj pne…ousai ¢ãtm»n. 'Amfˆ dä KÁrej œqunon ¢me…licoi, ™n d' ¥ra tÍsi fo…ta leugalšou Qan£tou mšnoj: ¢mfˆ d' ¥r' aÙtÚ `Usm‹nai ™nškeinto dushcšej, ïn perˆ p£ntwn ™k melšwn e„j oâdaj ¢pšrreen amma kaˆ ƒdrèj. 'En d' ¥ra +orgÒnej œskon ¢naidšej: ¢mfˆ d' ¥r£ sfi smerdalšoi pepÒnhnto perˆ plocmo‹si dr£kontej a„nÕn licmèwntej. 'Apeiršsion d' ¥ra qaàma da…dala ke‹na pšlonto mšg' ¢ndr£si de‹ma fšronta, oÛnek' œsan zwo‹sin ™oikÒta kinumšnoisi. Kaˆ t¦ män ‰r polšmoio ter£ata p£nta tštukto: e„r»nhj d' ¢p£neuqen œsan perikallša œrga. 'Amfˆ dä mur…a fàla polutl»twn ¢nqrèpwn ¥stea kal¦ nšmonto: D…kh d' ™pedšrketo p£nta: ¥lloi d' ¥ll' ™pˆ œrga cšraj fšron: ¢mfˆ d' ¢lwaˆ karpo‹si br…qonto: mšlaina dä ga‹a teq»lei. A„pÚtaton d' ™tštukto qeokm»t. ™pˆ œrg. kaˆ trhcÝ zaqšhj 'AretÁj Ôroj: ™n dä kaˆ aÙt¾ eƒst»kei fo…nikoj ™pembebau‹a kat' ¥krhj Øyhl¾ yaÚousa prÕj oÙranÒn. 'Amfˆ dä p£ntV ¢trapitoˆ qamšessi dieirgÒmenai skolÒpessin ¢nqrèpwn ¢pšrukon ™ån p£ton, oÛneka polloˆ e„sop…sw c£zonto teqhpÒtej a„p¦ kšleuqa,

27 ˜o‹j NREAld. 31 œnq' H 35 aÙtoà codd. : corr. Ald. 41 met' codd. : corr. Pauw. 44 perikallšoj W : corr. Lasc.2 46 ™pi…keto p£nta H 49 qeodm»t. ™pˆ H 53 dieirgÒmenoi codd. : corr. Dorville

LIBRO QUINTO, VV. 26-55

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dolorosi scolpiti. Tutt’intorno poi perivano uomini misti ai loro veloci destrieri; l’intera piana di molto sangue impregnata pareva sull’infaticabile scudo. V’erano poi anche Paura e Terrore e Violenza funesta, di sangue dolente imbrattate tutte le membra; v’era Contesa rovinosa e le Vendette violente nell’animo, l’una all’indomita mischia gli uomini incitava ad andare, le altre spiravano un fiato di fuoco mortale. Infuriavano intorno amare le Chere, con esse poi si aggirava di Morte il violento vigore; e intorno a esso Battaglie si trovavano dall’orrido strepito, per tutte le quali dalle membra scorrevano al suolo sangue e sudore.8 V’erano ancora effigiate le Gorgoni impudenti;9 intorno ad esse terribili serpi eran lavorate, ai riccioli avvolte, che orribilmente la lingua vibravano. Infinita meraviglia eran così quei ceselli che procuravano agli uomini grande timore, poi che erano simili ad esseri dotati di vita e di movimento.10 Tali dunque della guerra tutte le mostruosità erano effigiate; della pace poi erano a parte le meravigliose opere. D’intorno innumerevoli le stirpi d’infaticabili uomini che belle città abitavano; Giustizia su tutto vegliava; chi all’una chi all’altra opra era intento; intorno i frutteti pesanti di frutti; in pieno fiore la nera terra. Altissimo era scolpito sull’opra divina anche il monte aspro11 della sacra Virtù; v’era qui la dea in persona, salita sulla cima di una palma, tanto sublime da sfiorare il cielo. Intorno al monte dappertutto sentieri sbarrati da fitti rovi12 impedivano agli uomini un agevole passo, onde molti tornavano indietro, sgomenti di fronte all’arduo cammino,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

paàroi d' ƒerÕn omon ¢n»ion ƒdrèontej. 'En d' œsan ¢mhtÁrej ¢n¦ platÝn Ôgmon „Òntej, speÚdontej drep£nVsi ne»kesi, tîn d' ØpÕ cersˆn ½nuto l»ion aâon: ™fespÒmenoi d' œsan ¥lloi polloˆ ¢mallodetÁrej: ¢šxeto d' ™j mšga œrgon. 'En dä bÒej zeÚglVsin Øp' aÙcšnaj a„än œcontej, o‰ män ¢p»naj emlkon ™ãstacÚessin ¢m£llaij briqomšnaj, o‰ d' aâtij ¢rotreÚeskon ¢roÚraj, tîn dä pšdon metÒpisqe mela…neto: toˆ d' ™fšponto a„zhoˆ met¦ to‹si boossÒa kšntra fšrontej cersˆn ¢moibad…Vj: ¢nefa…neto d' ¥speton œrgon. 'En d' aÙloˆ kiq£rai te par' e„lap…nVsi pšlonto: ™n dä coroˆ †stanto nšwn par¦ possˆ gunaikîn: a‰ d' ¥r' œsan zwÍsin ¢l…gkia poipnÚousai. ”Agci d' ¥r' Ñrchqmoà te kaˆ eÙfrosÚnhj ™rateinÁj ¢frÕn œt' ¢mfˆ kÒmVsin œcous' ¢nedÚeto pÒntou KÚprij ™ãstšfanoj (t¾n d' “Imeroj ¢mfepot©to), meidiÒws' ™ratein¦ sÝn ºukÒmoij Car…tessin. 'En d' ¥r' œsan NhrÁoj ØperqÚmoio qÚgatrej ™x ¡lÕj eÙrupÒroio kasign»thn ¢n£gousai ™j g£mon A„ak…dao dapfronoj. 'Amfˆ dä p£ntej ¢q£natoi da…nunto makr¾n ¢n¦ Phl…ou ¥krhn: ¢mfˆ d' ¥r' Ødrhlo… te kaˆ eÙqalšej leimînej œskon, ¢peires…oisi kekasmšnoi ¥nqesi po…hj, ¥lse£ te krÁna… te dieidšej Ûdati kalÚ. NÁej dä stonÒessai Øpär pÒntoio fšronto, a‰ män ¥r' ™ssÚmenai ™pik£rsiai, a‰ dä kat' „qÝ nisÒmenai: perˆ dš sfin ¢šxeto kàm' ¢legeinÕn ÑrnÚmenon. Naàtai dä teqhpÒtej ¥lloqen ¥lloj ™ssumšnaj fobšonto kataig…daj, æj ™teÒn per,

58a PNr : om. H 68 zwo‹sin codd. : corr. Rhodomann 72 meidiÒwn Scaliger et edd. multi 73 œnq' C : Ÿn d' P 77 eÙqalšej ceimînej P 78 ¢peires…oio kekasmšnoi H 80 stonÒentoj Platt

LIBRO QUINTO, VV. 56-84

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pochi invece riuscivano salendo lungo la sacra via con sudore.13 V’erano i mietitori che su un lungo solco avanzavano, affrettandosi con le falci appena affilate: sotto le loro mani si formavano le aride messi; a seguire vi erano molti altri legatori. Si accresceva di molto il lavoro. V’erano anche i buoi che il giogo sempre hanno al collo, gli uni tiravano carri colmi di fasci dalle belle spighe, gli altri invece aravano la terra con facilità, dietro di loro il campo diventava scuro; dopo questi seguivano robusti uomini che portavano pungoli di sprone ai buoi e a mani alterne li sollecitavano: appariva inesprimibile l’opera d’arte.14 C’erano flauti e cetre durante un banchetto; lì, davanti la gente, stavano cori di giovani donne: vive sembravano nelle loro evoluzioni. Da presso alla danza e al lieto convito, con la spuma ancora tra i capelli, sorgeva dal mare Cipride dalla bella corona (volava attorno a lei Desiderio), che sorrideva amabile insieme alle Grazie dalla bella chioma. E c’erano le figlie del magnanimo Nereo a condurre dal mare dalle ampie vie la sorella alle nozze del bellicoso Eacide. Da ambo i lati poi tutti gli immortali festeggiavano sull’alta cima del Pelio; e d’intorno rugiadosi e floridi prati si vedevano, ornati da innumerevoli fiori di prato, e boschi e fonti limpide d’acqua pura.15 Navi gementi16 si portavano sul mare, le une impetuose di traverso, le altre in linea retta procedevano:17 intorno ad esse cresceva l’onda funesta sollevandosi. Marinai sgomenti, qua e là, temendo la tempesta imminente, come nella realtà,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

la…fea leÚk' ™rÚontej, †n' ™k qan£toio fÚgwsin: o‰ d' ›zont' ™p' ™retm¦ poneÚmenoi: ¢mfˆ dä nhusˆ puknÕn ™ressomšnVsi mšlaj leuka…neto pÒntoj. To‹j d' ™pˆ meidiÒwn k»tesin e„nal…oisin ½skht' 'Ennos…gaioj: ¢ellÒpodej dš min †ppoi, æj ™teÒn, speÚdontej Øpär pÒntoio fšreskon cruse…V m£stigi peplhgÒtej: ¢mfˆ dä kàma stÒrnut' ™pessumšnwn, Ðmal¾ d' ¥ra prÒsqe gal»nh œpleto. Toˆ d' ˜k£terqen ¢ollšej ¢mfˆj ¥nakta ¢grÒmenoi delf‹nej ¢peiršsion kec£ronto sa…nontej basilÁa: kat' ºerÒen d' ¡lÕj odma nhcomšnoij e‡donto kaˆ ¢rgÚreo… per ™Òntej. ”Alla dä mur…a ke‹to kat' ¢sp…da tecnhšntwj cersˆn Øp' ¢qan£tVj pukinÒfronoj `Hfa…stoio. P£nta d' ¥r' ™stef£nwto baqÝj ˜Òoj 'Wkeano‹o, oÛnek' œhn œktosqe kat' ¥ntugoj, Î œni p©sa ¢spˆj ™nest»rikto, dšdento dä da…dala p£nta. TÍ d' ¥ra parkatškeito kÒruj mšga bebriqu‹a: ZeÝj dš oƒ ¢mfetštukto mšg' ¢scalÒwnti ™oikèj, oÙranÚ ™mbebaèj: perˆ d' ¢q£natoi ponšonto Tit»nwn ™ridainomšnwn Diˆ summogšontej. ToÝj d' ½dh kraterÕn pàr ¥mpecen: ™k dä keraunoˆ ¥llhktoi nif£dessin ™oikÒtej ™xecšonto oÙranÒqen: ZhnÕj g¦r £speton êrnuto k£rtoj: o‰ d' ¥r' œt' a„qomšnoisin ™oikÒtej ¢mpne…eskon. 'Amfˆ dä qèrhkoj gÚalon parekšklito pollÕn ¥rrhkton briarÒn te, tÕ c£ndane Phle…wna. Knhm‹dej d' ½skhnto pelèriai: ¢mfˆ d' ™lafraˆ moÚn. œsan 'AcilÁi m£la stibara… per ™oàsai.

86 o‰ d' ›zontej H 87 puknÕn ™russomšnVsi H 88 d' ™pimeidiÒwn PHc d' ™pei eidiÒwn (sic) D : d' œpi kudiÒwn Rhodomann : corr. Vian | kaˆ k»tesin codd. met¦ k»tesin Rhodomann : corr. Vian 101 dšdunto dä codd. : corr. Rhodomann 105 summemaîtej H 108 g¦r ¥speton codd. : corr. Sylburg 110 kalÕn H

LIBRO QUINTO, VV. 85-113

227

abbassavano le bianche vele, onde sfuggire alla morte; altri sedevano intenti a remare: intorno alle navi sospinte dai ripetuti colpi dei remi lo scuro mare biancheggiava. In aggiunta a questi sorridente tra le creature marine era scolpito Ennosigeo: cavalli rapidi come turbini, come nella realtà lo portavano veloci sul mare, dall’aurea frusta sferzati; l’onda si placava sotto la loro corsa, e calmo e piano davanti a loro il mare si faceva. Da ciascun lato, in schiere compatte, intorno al loro signore riuniti, delfini immensamente gioiscono salutando festosamente il loro re: lungo la livida onda del mare18 sembravano realmente nuotare, benché fossero d’argento.19 Ma ancora innumerevoli altre figure erano sullo scudo cesellate con abilità dalle mani immortali dell’abilissimo Efesto. Ogni cosa era coronata intorno dal profondo corso di Oceano, poiché esso era all’esterno, sull’orlo nel quale tutto lo scudo era incardinato e ogni decoro si trovava racchiuso. Accanto allo scudo giaceva poi l’elmo dal grande peso: Zeus vi era effigiato con aria molto adirata, fissato nella volta del cielo; d’intorno gli immortali combattevano schierati al fianco di Zeus contro l’attacco dei Titani. Questi già il fuoco avvolgeva violento; i fulmini incessanti simili a tempesta di neve si riversavano giù dal cielo; immensa si levava la forza di Zeus: i Titani erano effigiati mentre spiravano ardendo vivi. Erano accanto adagiate le piastre della corazza, ampie, infrangibili e forti: queste rivestivano il Pelide. Accanto erano posti gli schinieri enormi; leggeri essi erano per il solo Achille, pur essendo davvero pesanti.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

'AgcÒqi d' ¥sceton «or ¥dhn perimarma…reske cruse…. telamîni kekasmšnon ¢rgurš. te kouleÚ, ú œpi kèph ¢rhremšnh ™lšfantoj qespes…oij teÚcessi metšprepe pamfanÒwsa. To‹j dä parektet£nusto kat¦ cqonÕj Ôbrimon œgcoj, Phli¦j ØyikÒmoisin ™eidomšnh ™l£tVsi, lÚqrou œti pne…ousa kaˆ a†matoj `Ektoršoio. Kaˆ tÒt' ™n 'Arge…oisi Qštij kuanokr»demnoj qespšsion f£to màqon ¢khcemšnh 'AcilÁoj: «Nàn män d¾ kat' ¢gînoj ¢šqlia p£nta telšsqh Óss' ™pˆ paidˆ qanÒnti mšg' ¢cnumšnh katšqhka. 'All' ‡tw Ój t' ™s£wse nškun kaˆ ¥ristoj 'Acaiîn, ka… nÚ kš oƒ qhht¦ kaˆ ¥mbrota teÚce' ›sasqai dèsw, § kaˆ mak£ressi mšg' eÜaden ¢qan£toisin». vWj f£to: toˆ d' ¢nÒrousan ™ridma…nont' ™pšessin uƒÕj Lašrtao kaˆ ¢ntiqšou Telamînoj A‡aj, ·j mšga p£ntaj Øpe…recen ™n Danao‹sin, ¢st¾r ìj ¢r…dhloj ¢n' oÙranÕn a„gl»enta “Esperoj, ·j mšga p©si met' ¥strasi pamfa…nVsi: tÚ e„këj teÚcessi par…stato Phle…dao. ”Hitee d' 'IdomenÁa klutÕn kaˆ Nhlšoj uma ºd' ¥ra mhtiÒwnt' 'Agamšmnona: toÝj g¦r ™èlpei ‡dmenai ¢trekšwj ™rikudšoj œrga mÒqoio: ìj d' aÛtwj 'OduseÝj ke…noij ™pˆ p£gcu pepo…qei: o‰ g¦r œsan pinutoˆ kaˆ ¢mÚmonej ™n Danao‹si.

115 telamîni kekaumšnon D 116 kèph ¢rhramšnh P par- H : corr. Zimmermann 120 ™pˆ codd. : corr. Brodeau 123 kaˆ ¢gînoj codd. : corr. Rhodomann 125 k' ™s£wse codd. : corr. C.L. Struve 127 met' eÜaden codd. : corr. C.L. Struve 134 'IdomenÁ' aÙtÕn H

LIBRO QUINTO, VV. 114-138

229

Dappresso l’indomita spada senza posa splendeva d’intorno d’un aureo balteo ornata e d’un argenteo fodero, su cui s’adattava l’elsa d’avorio che tra i pezzi della divina armatura si distingueva per lo splendente bagliore. Accanto a questi giaceva allungandosi al suolo la possente lancia, legno di Pelio, pari agli abeti dall’alta chioma: ancora esalava l’odore di polvere e di sangue di Ettore.

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[Aiace e Odisseo rivendicano ognuno le armi di Achille. Nestore propone di affidare il giudizio a prigionieri troiani.] E allora in mezzo agli Argivi Teti dal peplo ceruleo divino discorso pronunciò addolorata per Achille: «Or dunque tutte le gare son terminate quante proposi, profondamente afflitta, in onore del figlio defunto. Ma si avanzi colui che ne salvò le spoglie, che è anche il migliore degli Achei, e invero a lui le divine armi e immortali da indossare darò, quelle che tanto piacciono anche ai beati immortali». Così disse; e a queste parole si levarono a contesa il figlio di Laerte e quello di Telamone simile a un dio, Aiace, che di molto a tutti era superiore tra i Danai, quale l’ astro splendido nel cielo luminoso, Espero, che tra tutti gli astri più si distingue:20 simile a esso Aiace si pose accanto alle armi del Pelide. Ne faceva richiesta all’inclito Idomeneo e al figlio di Neleo quindi pure al prudente Agamennone; costoro infatti, pensava, conoscono bene le azioni della gloriosa battaglia; così ugualmente Odisseo in costoro la più grande fiducia riponeva; quelli erano invero i più saggi e irreprensibili tra i Danai.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Nšstwr d' 'IdomenÁi kaˆ 'Atršoj uƒšo d…. ¥mfw ™eldomšnoisin œpoj f£to nÒsfin ¢p' ¥llwn: «’W f…loi, à mšga pÁma kaˆ ¥sceton ½mati tÚde šm‹n sumforšousin ¢khdšej OÙran…wnej, A‡antoj meg£loio perifradšoj t' 'OdusÁoj ™ssumšnwn ™pˆ dÁrin ¢£sceton ¢rgalšhn te. Tîn g£r q' Ðppotšr. dèV qeÕj eâcoj ¢ršsqai ghq»sei kat¦ qumÒn: · d' aâ mšga pšnqoj ¢šxei p£ntaj ¢tembÒmenoj DanaoÚj, perˆ d' œxoca p£ntwn šmšaj: oÙd' œti ke‹noj ™n šm‹n æj tÕ p£roiqe st»setai ™n polšm.. Mšga d' œssetai ¥lgoj 'Acaio‹j, ke…nwn ½n tina deinÕj ›lV cÒloj, oÛneka p£ntwn šrèwn profšrousin, · män polšm., · dä boulÍ. 'All' ¥g' ™me‹o p…qesqe, ™pe… ˜a gera…terÒj e„mi l…hn, oÙk Ñl…gon per: œcw d' ™pˆ g»rao pollÚ kaˆ nÒon, oÛneken ™sql¦ kaˆ ¥lgea poll¦ mÒghsa. A„eˆ d' ™n boulÍsi gšrwn polÚodrij ¢me…nwn Ðplotšrou pšlei ¢ndrÒj, ™peˆ m£la mur…a ode. ToÜneka Trwsˆn ™fîmen ™Åfrosi t»nde dik£ssai ¢ntiqš. t' A‡anti filoptolšm. t' 'OdusÁi, Ón tina d»ioi ¥ndrej Øpotromšousi m£lista ºd' Ó tij ™xes£wse nškun Phlhi£dao ™x Ñlooà polšmoio: dorÚkthtoi g¦r ™n šm‹n polloˆ Trîej œasi neodm»t. Øp' ¢n£gkV, o† ˜a d…khn „qe‹an ™pˆ sf…si poi»sontai oÜ tini Ãra fšrontej, ™peˆ m£la p£ntaj 'AcaioÝj son ¢pecqa…rousi kakÁj memnhmšnoi ¥thj». vWj f£menon prosšeipen ™ummel…hj 'Agamšmnwn: «’W gšron, æj oÜ tij pinutèteroj ¥lloj ™n šm‹n se‹o pšlei Danaîn, oÜt' ‰r nšoj oÜte palaiÒj,

148 oÙdš ti codd. : corr. Rhodomann | ™n Øm‹n H 158a hic habet P ubi continuo 4,526573 leguntur: versum post 4,524 transp. H 159 ºd' Ój W

LIBRO QUINTO, VV. 139-167

231

Allora Nestore a Idomeneo e al figlio divino di Atreo rivolse parola, che entrambi attendevano, a parte dagli altri: «Amici, sciagura grande e insopportabile in questo giorno a noi inviano i beati Celesti, se mai Aiace il grande e l’abile Odisseo ardano a venire a contesa indomita e dolorosa. A chi di essi conceda il dio di ottenere la gloria gioirà nel suo cuore; l’altro invece grande afflizione avrà biasimando tutti i Danai e soprattutto, più di tutti, noi: né più accanto a noi come prima starà in battaglia. Grave pena sarà per gli Achei, se uno di questi lo prenda funesto rancore, ché di tutti gli eroi essi sono i migliori, l’uno in battaglia, l’altro in consiglio. Suvvia! Prestatemi ascolto, poiché sono molto piú anziano, certo non di poco: ho insieme alla lunga età anche il senno, poiché buone e brutte cose in gran numero ho sofferto. Sempre in consiglio un anziano che sa molte cose preferibile è ad uomo più giovane, perché infinite cose conosce. Perciò a Troiani assennati questa causa lasciamo giudicare tra il divino Aiace e l’amante di guerra Odisseo, quale i nemici temano di più e chi abbia salvato le spoglie del Pelide dalla funesta battaglia: prigionieri infatti presso di noi si trovano molti Troiani da poco domati dalla sorte avversa, questi certo un retto giudizio su quelli daranno non favorendo nessuno, poiché ben tutti gli Achei ugualmente essi odiano, rammentando l’orrenda sciagura». A queste parole risposte Agamennone forte di lancia: «Oh vecchio, tra noi nessun altro dei Danai più saggio di te si trova, né giovane né anziano,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

·j f«j 'Arge…oisin ¢nhlegšwj calepÁnai ¢nšra Ón tina tînde qeoˆ metÒpisqe b£lwntai n…khj: oƒ g¦r ¥ristoi ™pˆ sf…si dhriÒwntai. Kaˆ d' ™moˆ œndoqen Ãtor ™nˆ fresˆ taàta menoin•, Ôfra dorukt»toisi dikaspol…hn Ñp£swmen: toÝj kaˆ ¢tembÒmenÒj tij Ñlšqria m»setai œrga Trwsˆn ™ãptolšmoisi, cÒlon d' oÙk ¥mmin Ñp£ssei». vWj f£to: toˆ d' ›na qumÕn ™nˆ stšrnoisin œcontej ¢mfadÕn ºn»nanto dikaspol…hn ™ratein»n. Tîn d' ¥r' ¢nainomšnwn Trèwn ™rikudšej umej ›zont' ™n mšssoisi dorÚkthto… per ™Òntej, Ôfra qšmin kaˆ ne‹koj ¢r»ion „qÚnwsin. A‡aj d' ™n mšssoisi mšg' ¢scalÒwn f£to màqon: «’W 'Oduseà fršnaj a„nš, t… toi nÒon ½pafe da…mwn son ™moˆ fronšein perˆ k£rteoj ¢km»toio; ’H f«j a„nÕn Ómilon ™rukakšein 'AcilÁoj blhmšnou ™n kon…Vsin, Ót' ¢mf… ˜ Trîej œbhsan, ÐppÒt' ™gë ke…noisi fÒnon stonÒent' ™fšhka se‹o kataptèssontoj; 'Epe… nÚ se ge…nato m»thr de…laion kaˆ ¥nalkin, ¢faurÒterÒn per ™me‹o, Ósson t…j te kÚwn megalobrÚcoio lšontoj: oÙ g£r toi stšrnoisi pšlei mened»ion Ãtor, ¢ll¦ soˆ ¢mfimšmhle dÒloj kaˆ ¢t£sqala œrga. 'Hä tÒd' ™xel£qou, Ót' ™j 'Il…ou ƒerÕn ¥stu ™lqšmenai ¢lšeinej …m' ¢gromšnoisin 'Acaio‹j, ka… se kataptèssonta kaˆ oÙk ™qšlont' ™fšpesqai

171 kaˆ d» moi P kaˆ ˜£ moi H : corr. Zimmermann 173 m»sato œrga codd. : corr. Rhodomann 176 dikaspol…hn ¢legein»n Pauw et edd. multi (cf. 318) 181 ½kace da…mwn codd. : corr. Rhodomann 187 per ™mo‹o PU

LIBRO QUINTO, VV. 168-193

233

tu che affermi che contro gli Argivi terribilmente si adiri colui che dei due gli dèi respingano dalla vittoria; sono infatti i migliori quelli che tra loro contendono. E anche a me nel profondo del cuore il pensiero medita queste cose, che ai prigionieri il giudizio affidiamo: di loro lamentandosi uno dei due tramerà distruttive azioni contro i Troiani bellicosi, rancore non serberà a noi». Così parlò; tutti e tre un unanime accordo nei petti serbando pubblicamente respinsero il giudizio amichevole. Rifiutando dunque costoro, i gloriosi figli dei Troiani sedettero al centro, benché prigionieri, per amministrare giustizia e discorde contesa.

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[Discorso di Aiace] Aiace, al centro, fortemente sdegnato, prese la parola: «Odisseo, cuore terribile! Che? La tua mente un dio ha ingannato21 che tu osi misurarti a me in forza invincibile! O affermi che la terribile mischia hai respinto da Achille gettato nella polvere, quando i Troiani gli si fecero intorno, allorché io di quelli strage funesta facevo mentre tu ti acquattavi impaurito? Poiché invero te generò tua madre vile e codardo, tanto più debole di me quanto un cane rispetto a un leone dal forte ruggito; nel petto non hai un intrepido cuore, ma ti curi soltanto di insidia e insolenti azioni.22 Oppure questo hai scordato, quando a Ilio sacra città evitasti di andare insieme agli Achei già radunati, e te che ti nascondevi e non volevi seguirli

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

½gagon 'Atre‹dai; `Wj m¾ êfellej ƒkšsqai: sÍj g¦r Øp' ™nnes…Vsi klutÕn Poi£ntion uma L»mn. ™n ºgaqšV l…pomen meg£la sten£conta: oÙk o‡. d' ¥ra tÚ ge lugr¾n ™pem»sao lèbhn, ¢ll¦ kaˆ ¢ntiqš. Palam»deá qÁkaj Ôleqron, ·j sšo fšrteroj œske b…V kaˆ ™Åfroni boulÍ. Nàn d' ½dh kaˆ ™me‹o katant…on ™lqšmen œtlhj, oÜt' eÙerges…hj memnhmšnoj, oÜtš ti qumÚ ¡zÒmenoj sšo pollÕn Øpšrteron, Ój s' ™nˆ c£rmV ™xes£wsa p£roiqen Øpotromšonta kudoimÕn dusmenšwn, Óte s' ¥lloi ¢n¦ mÒqon o„wqšnta k£llipon ™n dh…wn Ðm£d. feÚgonta kaˆ aÙtÒn. `Wj Ôfelon kaˆ ™me‹o qrasÝ sqšnoj ™n daˆ ke…nV aÙtÕj ZeÝj ™fÒbhsen ¢p' a„qšroj, Ôfr£ se Trîej ¢mfitÒmoij xifšessi di¦ meleástˆ kšdassan da‹ta kusˆ sfetšroisi, kaˆ oÙk ‰n ™me‹o meno…naj ™lqšmenai katšnanta dolofrosÚnVsi pepoiqèj. Scštlie, t…pte b…V polÝ fšrtatoj œmmenai ¥llwn eÙcÒmenoj mšssoisin œcej nšaj, oÙdš ti qumÚ œtlhj Êj per œgwge qo¦j œktosqen ™rÚssai nÁaj; 'Epe… nÚ se t£rboj ™p»ien. OÙdä män a„nÕn pàr nhîn ¢p£lalkej: ™gë d' Øp' ¢tarbšo qumÚ œsthn kaˆ purÕj ¥nta kaˆ “Ektoroj, Ój m' ØpÒeike p£sV ™n Øsm…nV: sÝ dš min de…diej a„e…. `Wj Ôfelon tÒde nîin ™nˆ ptolšm. tij ¥eqlon qÁken, Ót' ¢mf' 'AcilÁi dedoupÒti dÁrij Ñrèrei,

202 Ój ™nˆ W Óss' UC : corr. Rhodomann 217 add. Zimmermann2

LIBRO QUINTO, VV. 194-219

235

trascinarono gli Achei? Avesse voluto il cielo che tu non fossi venuto!23 Per i tuoi consigli l’inclito figlio di Peante nella divina Lemno abbandonammo, lui che tremendamente gemeva;24 e non a costui soltanto oltraggio infelice con macchinazioni hai recato ma anche al divino Palamede procurasti la morte, che di te era migliore in vigore e in saggio consiglio. E ora persino dinanzi a me osi giungere né dei benefici memore, né nel tuo animo rispettando chi di te è molto superiore: io che te in battaglia salvai, un tempo, tremante durante un attacco di nemici, quando gli altri nella mischia solo ti lasciarono, in una turba di nemici, e cercavi la fuga tu stesso. Che la mia ardita forza in quel giorno Zeus stesso avesse fugato con lo spavento dall’alto dell’etere, affinché te i Troiani con le spade a doppio taglio facessero a pezzi, pasto ai loro cani, e al mio cospetto non desidereresti venire, nella tua astuzia fidando. Miserabile! Perché mai, se di esser in vigore molto migliore di altri ti vanti, nel mezzo hai tenuto le navi, né in qualche modo in cuor tuo hai osato, come me, tirar fuori le navi veloci? Poiché invero ti assaliva il timore. Né il terribile fuoco dalle navi tenesti lontano; io invece con intrepido animo fronteggiai e il fuoco e Ettore, che a me cedeva in ogni battaglia; ma tu lo temevi in ogni occasione.25 Oh, questo premio a noi in battaglia qualcuno avesse offerto, quando intorno ad Achille caduto con cupo fragore lotta infuriava!

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Ôfr' ™k dusmenšwn me kaˆ ¢rgalšoio kudoimoà œdrakej œntea kal¦ potˆ klis…aj foršonta aÙtÚ Ðmîs' AcilÁi dapfroni. Nàn d' ¥ra mÚqwn „dre…V p…sunoj meg£lwn ™pima…eai œrgwn. OÙ g£r toi sqšnoj ™stˆn ™n œntesin ¢kam£toisi dÚmenai A„ak…dao dapfronoj, oÙdä män œgcoj nwmÁsai pal£mVsin: ™moˆ d' ¥ra p£nta tštuktai ¥rtia, ka… moi œoike for»menai ¢gla¦ teÚch oÜ ti kataiscÚnonti qeoà perikallša dîra. 'All¦ t… À mÚqoisin ™ridma…nonte kako‹sin ›stamen ¢mf' 'AcilÁoj ¢mÚmonoj ¢gla¦ teÚch, Ój tij fšrterÒj ™stin ™nˆ fqis»nori c£rmV; 'AlkÁj g¦r tÒd' ¥eqlon ¢r»ion, oÙk ¢legeinîn qÁken ™nˆ mšssoij ™pšwn Qštij ¢rgurÒpeza. MÚqwn d' e„n ¢gorÍ creië pšlei ¢nqrèpoisin: oda g¦r æj sšo pollÕn ¢gauÒteroj kaˆ ¢re…wn e„m…: gšnoj dš mo… ™stin Óqen meg£l. 'AcilÁi». vWj f£to: tÕn d' ¢legein¦ parabl»dhn ™nšnipen uƒÕj Lašrtao polÚtropa m»dea nwmîn: «Aan ¢metroepšj, t… nÚ moi tÒsa m¦y ¢goreÚeij; OÙtidanÕn dš m' œfhsqa kaˆ ¢rgalšon kaˆ ¥nalkin œmmenai, ·j sšo pollÕn Øpšrteroj eÜcomai enai m»desi kaˆ mÚqoisin … t' ¢ndr£si k£rtoj ¢šxei. Kaˆ g£r t' ºl…baton pštrhn ¥rrhkton ™oàsan m»ti Øpotm»gousin ™n oÜresi latÒmoi ¥ndrej ˜hid…wj: m»ti dä mšgan baruhcša pÒnton naàtai ØpekperÒwsin, Ót' ¥speta kuma…nhtai:

227 ¥ntia, ka… P ¥rmena, ka… R et Heyne 240 me fÁsqa W : corr. Heyne

LIBRO QUINTO, VV. 220-246

237

Allora via dai nemici e dal doloroso tumulto mi avresti visto portare le armi gloriose alla tenda con lo stesso Achille bellicoso. Ora dunque nell’esperienza delle parole fidando di grandi imprese ti appropri.26 Non hai infatti la forza perché le armi instancabili del bellicoso Eacide tu possa indossare, né l’asta maneggiare con abilità; per me invece son tutte costruite a misura, e a me convien portare le splendide armi, senza disonorare i magnifici doni di un dio.27 Ma perché con male parole a contendere stiamo intorno alle splendide armi di Achille, su chi sia il più forte nella battaglia distruttrice di uomini? Questo infatti come premio guerriero al valore, non alle moleste parole pose al centro Teti dai piedi d’argento. Di parole in assemblea c’è bisogno per gli uomini; io so invero che di te molto più nobile e migliore sono: la mia stirpe è quella del grandioso Achille».28

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[Discorso di Odisseo] Così parlò: e lui con molesta malizia biasimò il figlio di Laerte che mutevoli pensieri meditava. «Aiace che sbraiti senza misura, perché a me tante parole vanamente rivolgi? Da nulla e scellerato e codardo dici che io sono, che di te molto superiore mi vanto di essere in pensieri e parole, cose che agli uomini accrescon la forza.29 Anche infatti un’alta roccia, indistruttibile che sia, con l’ingegno la staccano sui monti i tagliapietre con facilità; con l’ingegno il vasto mare rimbombante i naviganti solcano, quando immensamente si gonfia;

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

tšcnVsin d' ¢grÒtai krateroÝj damÒwsi lšontaj pord£li£j te sÚaj te kaˆ ¥llwn œqnea qhrîn: taàroi d' ÑbrimÒqumoi ØpÕ zeÚglVj damÒwntai ¢nqrèpwn „Òthti. NÒ. dš te p£nta tele‹tai: a„eˆ d' ¢fradšoj pšlei ¢nšroj ¢mfˆ pÒnoisi p©si kaˆ ™n boulÍsin ¢n¾r polÚodrij ¢me…nwn. ToÜnek' ™ãfronšonta qrasÝj p£oj O„ne…dao lšxatÒ m' ™k p£ntwn ™pit£rroqon, Ôfr' ¢f…kwmai ™j fÚlakaj: mšga d' œrgon Ðmîj ™telšssamen ¥mfw. Kaˆ d' aÙtÕn PhlÁoj ™ãsqenšoj klutÕn uma ½gagon 'Atre…dVsin ™p…rroqon. –Hn dä kaˆ ¥llou ¼rwoj creiè tij ™n 'Arge…oisi pšlhtai, oÙd' Ó ge cersˆ teÍsin ™leÚsetai oÙdä män ¥llwn 'Arge…wn boulÍsin, ™gë dš ˜ moànoj 'Acaiîn ¥xw meilic…oisi paraud»saj ™pšessi dÁrin ™j a„zhîn. Mšga g¦r kr£toj ¢ndr£si màqoj g…net' ™ãfrosÚnV memelhmšnoj: ºnoršh dä ¥prhktoj telšqei mšgeqÒj t' e„j oÙdän ¢šxei ¢nšroj, e„ m» oƒ pinut¾ ™pˆ mÁtij ›phtai. AÙt¦r ™moˆ kaˆ k£rtoj Ðmîj kaˆ mÁtin Ôpassan ¢q£natoi, teàxan dä mšg' 'Arge…oisin Ôneiar. OÙdä män æj sÚ m' œfhsqa p£roj feÚgonta s£wsaj dh…ou ™x ™nopÁj: oÙ g¦r fÚgon, ¢ll' …ma p£ntaj Trîaj ™pessumšnouj mšnon œmpedon: o‰ d' ™pšcunto ¢lkÍ maimèwntej, ™gë d' ØpÕ k£rteo ceirîn pollîn qumÕn œlusa. SÝ d' oÙk ¥r' ™t»tuma b£zeij: oÙ g¦r moig' ™p£munaj ¢n¦ mÒqon, ¢ll¦ soˆ aÙtÚ œsthj Ãra fšrwn, m» t…j nÚ se dourˆ dam£ssV

251 ¢nšroj ¢mfipÒloisi codd. : corr. Rhodomann 256 PhlÁoj ™usqenša H 263 ™ufrosÚnV memigmšnoj codd. : corr. Hermann 264 d' e„j codd. : corr. Pauw 273 g¦r moi g' codd. : corr. C.L. Struve

LIBRO QUINTO, VV. 247-274

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con l’astuzia poi i cacciatori domano forti leoni, pantere e cinghiali e anche le altre razze di fiere; e i tori dall’animo violento al giogo sono vinti per abilità30 degli uomini. Con l’intelligenza tutto si porta a termine: e sempre di un uomo insensato nelle azioni tutte e nelle assemblee l’uomo esperto è migliore. Proprio per il mio saggio pensiero l’ardito figlio di Eneo scelse me tra tutti come alleato, perché lo conducessi fino alle guardie: grande impresa nondimeno compimmo entrambi.31 Anche l’inclito figlio del forte Peleo, lui stesso condussi agli Atridi in aiuto.32 Qualora poi anche di un altro eroe qualche necessità agli Argivi si presenti, non certo egli per le tue braccia verrà, o per consigli di altri Argivi, ma io solo degli Achei lui condurrò, persuadendolo con dolci parole, al combattimento dei giovani.33 Grande forza infatti per gli uomini la parola diventa quando alla saggezza si mescola; il vigore invece impotente risulta e a nulla conduce la forza d’un uomo, se ad esso un saggio pensiero non si congiunga. D’altra parte a me ugualmente e forza e consiglio concessero gli dèi, resero agli Argivi un gran vantaggio. Né come tu prima dicesti hai salvato me che fuggivo dall’ostile strepito della battaglia: non infatti fuggii, ma insieme tutti i Troiani all’assalto attendevo fermo; questi si riversavano con ardore slanciandosi, ma io con la forza delle mani di molti l’anima sciolsi. Tu dunque il vero non dici: non certo a me portasti aiuto durante la mischia, ma per te stesso ti fermasti facendoti cosa gradita, affinché nessuno con la lancia ti colpisse

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feÚgont' ™k polšmoio. Nšaj d' ™j mšsson œrussa oÜ ti peritromšwn dh…wn mšnoj, ¢ll' †na mÁcoj a„än …m' 'Atre…dVsin Øpär polšmoio fšrwmai. Kaˆ sÝ män œktosqe stÁsaj nšaj: aÙt¦r œgwge aÙtÕn ¢eik…ssaj plhgÍj ØpÕ leugalšVsin ™j Trèwn ptol…eqron ™s»luqon, Ôfra pÚqwmai ÐppÒsa mhtiÒwntai Øpär polšmou ¢legeinoà. OÙdä män “Ektoroj œgcoj ™de…dion, ¢ll¦ kaˆ aÙtÕj ™n prètoij ¢nÒrousa macšssasqai menea…nwn ke…n., Ót' ºnoršV p…sunoj prokalšssato p£ntaj. Nàn dš seu ¢mf' 'AcilÁi polÝ plšonaj kt£non ¥ndraj dusmenšwn, ™s£wsa d' Ðmîj teÚcessi qanÒnta. OÙdä män ™gce…hn tromšw sšqen, ¢ll£ me lugrÕn ›lkoj œt' ¢mf' ÑdÚnVj perin…setai e†neka teucšwn tînd' Øperouthqšnta daiktamšnou œfhsqa teÚxein aÙt…k' ¥nassan ™ãktimšnhj Salam‹noj 523 lh…d'  n codd. : corr. Rhodomann 524 Ósswn codd. : corr. Vian 526 ¢kam£tVsin codd. : corr. Vian 527 uƒÕn ˜kÒnta D 530 add. Rhodomann 531 ¥eise mšg' P 533 oƒ H o„ P : corr. Spitzner 536 di¦ ce‹rej W | œceusan P 547 m' ›qhkaj codd. : corr. Vian | ˜£ m' (post. loco) add. Rhodomann prÕj coni. Lsl

LIBRO QUINTO, VV. 519-548

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se pure abitino ancora in vita Salamina, quanto di te che sei morto, poiché tu per me eri la gloria».59 Così parlava fortemente gemendo. E con lui gemeva la divina Tecmessa, dell’irreprensibile Aiace compagna, la quale benché fosse prigioniera egli prese sua sposa e di tutto volle che fosse signora di quante cose nella casa le mogli, sposate con dote si occupano presso i mariti legittimi; ed ella conquistata dalle sue invincibili braccia gli diede come figlio Eurisace, in tutto simile al padre.60 Costui ancora piccolo nella culla era stato lasciato; ella invece con lunghi pianti si gettò sull’amato corpo, rannicchiata nella polvere il suo bel corpo rovinava, e disperatamente gridò molto afflitta nel profondo del cuore:61 «Oh me misera! Poiché tu sei morto non ucciso per mano dei nemici nella mischia, ma per tua stessa mano!62 Perciò dolore insopportabile m’assale: mai avrei immaginato di vedere il lacrimevole giorno della tua morte a Troia: ma tutto le funeste Chere hanno dissolto.63 Oh! Mi avesse prima inghiottita l’alma terra, prima di vedere il tuo amaro destino di morte; non mai infatti a me è entrata nel cuore altra peggiore sciagura, nemmeno quando me lontano dalla mia patria e dai genitori strappasti, insieme alle altre prigioniere, me che tanto gemevo, poiché per me, prima regina rispettata, giungeva il giorno della schiavitù. Ma a me né della patria lieta né dei parenti perduti importa, quanto di te che sei morto, perché ogni desiderio esaudivi, o me misera: mi hai fatto tua sposa concorde, e mi dicesti di farmi nello stesso momento regina della ben costruita Salamina

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nost»saj Tro…hqe. T¦ d' oÙ qeÕj ¥mmi tšlessen: ¢ll¦ sÝ nàn män ¥ástoj ¢po…ceai, oÙdš nu so… per mšmblet' ™meà kaˆ paidÒj, ·j oÙ patrˆ tšryetai Ãtor, oÙ sšo koiran…hj ™pib»setai, ¢ll£ min ¥lloi dmîa lugrÕn teÚxousin, ™peˆ patrÕj oÙkšt' ™Òntoj nhp…acoi komšontai Øp' ¢ndr£sin eâ m£la pollÕn ceirotšroij: ÑloÍ g¦r ™p' Ñrfan…V barÝj a„ën paisˆ pšlei kaˆ p»mat' ™p' ¥lloqen ¥lla cšontai. Kaˆ d' ™mä deila…hn t£ca doÚlion †xetai Ãmar o„comšnou sšo prÒsqen, Ó moi qeÕj ìj ™tštuxo». vWj famšnhn prosšeipe f…la fronšwn 'Agamšmnwn: «’W gÚnai, oÜ nÚ sš tij dmw¾n œti q»setai ¥lloj, TeÚkrou œti zèontoj ¢mÚmonoj ºd' ™meà aÙtoà: ¢ll£ se t…somen a„än ¢peires…oij ger£essi, t…somen Êj te qe»n, kaˆ sÕn tškoj, æj œt' ™Òntoj ¢ntiqšou A‡antoj ·j œpleto k£rtoj 'Acaiîn. A‡q' Ôfelon mhd' ¥lgoj 'Acai…di q»kato p£sV aÙtÕj ˜Í ØpÕ ceirˆ dame…j: oÙ g£r min ¢pe…rwn dusmenšwn sqšne laÕj Øp' ”Arei dVèsasqai». vWj œfat' ¢cnÚmenoj kšar œndoqen. 'Amfˆ dä laoˆ o„ktrÕn ¢neston£chsan, ™p…ace d' `Ell»spontoj muromšnwn, Ñlo¾ dä perˆ sf…si pšptat' ¢n…h. Kaˆ d' aÙtÕn l£be pšnqoj 'Odussša mhtiÒwnta ke…nou ¢poktamšnoio, kaˆ ¢cnÚmenoj kat¦ qumÕn to‹on œpoj metšeipen ¢khcemšnoisin 'Acaio‹j: «’W f…loi, æj oÜ pè ti kakèteron ¥llo cÒloio g…netai, Ój te broto‹si kak¾n ™pˆ dÁrin ¢šxei: ·j kaˆ nàn A‡anta pelèrion ™xorÒqunen

550 sÝ män nàn P män m£l' R män H : corr. Rhodomann 554 eâ om. H Ã vel (-si) kaˆ West 556 p©si pšlei H 557 kaˆ dš me codd. : corr. Zimmermann | ¥xetai codd. : corr. Rhodomann 564 ·j œpeto D 570 sf…si pšpt' P

LIBRO QUINTO, VV. 549-576

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al ritorno da Troia. Ciò invece il dio per noi non ha compiuto. Ma tu ora sparito per sempre te ne vai, né più tu hai cura di me e del figlio, che più non rallegrerà il cuore del padre, né al tuo trono succederà, ma altri un vile schiavo ne faranno, poiché non essendoci il padre i figlioletti sono presi in cura da uomini davvero molto peggiori: a causa della funesta condizione di orfano pesante la vita per i figli diventa e sciagure da ogni parte su di essi si riversano. E per me misera presto arriverà il giorno della schiavitù poiché tu sei ormai morto, tu che per me come un dio eri».64

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[Agamennone e Odisseo rincuorano Tecmessa] A lei che così parlava rispose benevolmente Agamennone: «O donna, non più nessun altro ti farà schiava, finché vive ancora Teucro irreprensibile e sono in vita io stesso; ti onoreremo sempre con infiniti doni, ti onoreremo come una dea, e anche tuo figlio, come se ancora fosse in vita il divino Aiace che era la forza degli Achei. Oh se tanto dolore non avesse arrecato all’Acaia tutta quegli di sua propria mano uccidendosi: non infatti lui un’immensa folla di nemici riusciva a vincere sotto i colpi di Ares!».65 Così parlò addolorato nel profondo del cuore. Intorno l’esercito miserevolmente piangeva, riecheggiava l’Ellesponto gemendo, e funesta assalì loro tristezza. Quindi afflizione prese lo stesso astuto Odisseo per la morte di costui e, rattristandosi nel profondo dell’animo, questo discorso rivolse agli afflitti Achei: «Amici, nient’altro esiste ancor peggio dell’ira, che faccia crescere tra gli uomini funesta contesa; quella che anche ora il prodigioso Aiace eccitò

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¢mf' ™moˆ ™n fresˆn Îsi coloÚmenon. `Wj ÔfelÒn moi m» pote Trèioi umej 'Acillšoj e†neka teucšwn n…khn ¢mfeb£lont' ™rikudša, tÁj pšri qumÕn ¢cnÚmenoj p£ij ™sqlÕj ™ãsqenšoj Telamînoj êleto cersˆn ˜Ísi. CÒlou dš oƒ oÜ ti œgwge a‡tioj, ¢ll£ tij Asa polÚstonoj ¼ min ™d£mna. E„ g£r moi kšar œndon ™nˆ stšrnoisin ™èlpei ke‹non ¢last»sein kaq' ˜Õn nÒon, oÜt' ‰n œgwge Ãlqon ™ridma…nwn n…khj Ûper, oÜtš tin' ¥llon ™n Danao‹sin œasa memaÒta dhri£asqai: ¢ll£ oƒ aÙtÕj œgwge qeoudša teÚce' ¢e…raj profronšwj ‰n Ôpassa kaˆ e‡ t… per ¥llo meno…na. Nàn dš min oÜ ti œgwge mšg' ¢cnÚmenon calepÁnai Èos£mhn metÒpisqen, ™pe… ˜£ oƒ oÜte gunaikÕj oÜte perˆ ptÒlioj macÒmhn oÜt' eÙršoj Ôlbou, ¢ll£ moi ¢mf' ¢retÁj ne‹koj pšlen, Âj pšri dÁrij terpn¾ g…netai a„än ™Åfrosin ¢nqrèpoisi. Ke‹noj d' ™sqlÕj ™ën stugerÍ ØpÕ Da…monoj A‡sV ½liten. OÙ g¦r œoike mšg' ¢scal£an ™nˆ qumÚ: ¢ndrÕj g¦r pinuto‹o kaˆ ¥lgea pÒll' ™piÒnta tlÁnai ØpÕ krad…V stereÍ frenˆ mhd' ¢k£chsqai». vWj f£to Lašrtao klutÕj p£ij ¢ntiqšoio. 'All' Óte d¾ koršsanto gÒou kaˆ pšnqeoj a„noà, d¾ tÒte Nhlšoj uƒÕj œt' ¢cnumšnoisin œeipen: «’W f…loi, æj ¥ra KÁrej ¢nhlša qumÕn œcousai šm‹n ay' ™b£lonto lugrÚ ™pˆ pšnqei pšnqoj, A‡antoj fqimšnoio polusqenšoj t' 'AcilÁoj

585 ¥llwn W 587 ¢ll'¥ge H 588 ‰n œasa codd. : corr. Tychsen 590 oÜti codd. : corr. Ald

LIBRO QUINTO, VV. 577-603

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quando contro di me il suo animo era adirato. Oh, non avessero mai i figli dei Troiani per le armi di Achille assegnato a me la vittoria gloriosa, a causa della quale nell’animo irato il figlio nobile del forte Telamone si è dato di sua mano la morte. Ma della sua ira non certo io sono causa, ma un Fato doloroso che lo ha vinto. Se infatti il mio cuore all’interno del petto avesse previsto che costui si sarebbe adirato nel profondo del suo animo, non certo io sarei giunto a contendere la vittoria, nè ad alcun altro tra i Danai avrei permesso che meditasse contesa; ma io stesso, le armi divine prendendo, a lui avrei volentieri accordato e anche quant’altro desiderasse. Ma che si adirasse sdegnato davvero neanche io prevedevo, poiché con lui né per una donna né per una città combattevo né per grandi ricchezze, ma la contesa era sulla virtù per la quale sempre un diverbio riesce gradito agli uomini di senno.66 Ma Aiace che era nobile per un doloroso Fato voluto da un Demone fu ingannato. Non è naturale che sia grande ira in un animo: di un uomo saggio è proprio sopportare nel cuore le avversità, pur numerose che siano, con forte animo e non cedere all’angoscia».67 Così parlò l’inclito figlio di Laerte simile a un dio.

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[Parole di Nestore. Rogo funebre di Aiace] Ma quando furono sazi di pianto e di doloroso lutto, allora il figlio di Neleo ad essi ancora afflitti parlò: «O amici! Quanto spietato hanno l’animo le Chere loro che a lutto crudele lutto hanno aggiunto, con la morte di Aiace e del forte Achille

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¥llwn t' 'Arge…wn ºd' uƒšoj šmetšroio 'AntilÒcou. 'All' oÜ ti qšmij ktamšnouj ™nˆ c£rmV kla…ein ½mata p£nta kaˆ ¢scal£an ™nˆ qumÚ. 'All¦ gÒou l»sasqe ¢eikšoj, oÛnek' ¥meinon œrdein Óssa broto‹sin ™pˆ fqimšnoisin œoike, purkai¾n kaˆ sÁma, kaˆ Ñstša tarcÚsasqai. NekrÕj d' oÜ ti gÒoisin ¢nšgretai, oÙdš ti ode fr£ssasq', eâtš ˜ KÁrej ¢me…licoi ¢mfic£nwsi». ’H ˜a parhgoršwn: perˆ d' ¢nt…qeoi basilÁej ¢qrÒoi ay' ¢gšronto mšg' ¢cnÚmenoi kšar œndon, ka… ˜ mšgan per ™Ònta qoîj potˆ nÁaj œneikan polloˆ ¢e…rantej. Kat¦ dä spe…roisi k£luyan amm' ¢pofaidrÚnantej Ó oƒ briaro‹j melšessi tersÒmenon per…keito sÝn œntesin kon…Vsi. Kaˆ tÒt' ¢p' 'Ida…wn Ñršwn fšron ¥speton Ûlhn a„zho…. P£ntV dä nškun pšri din»santo: poll¦ d' ¥r' ¢mf' aÙtÚ qÁkan xÚla, poll¦ dä mÁla f£re£ t' eÙpo…hta boîn t' ™rikudša fàla ºdš oƒ Èkut£toisin ¢gallomšnouj posˆn †ppouj crusÒn t' a„gl»enta kaˆ ¥speta teÚcea fwtîn Óssa p£roj ktamšnwn ¢poa…nuto fa…dimoj ¢n»r: ½lektrÒn t' ™pˆ to‹si dieidša, tÒn ˜£ tš fasin œmmenai 'Hel…oio panomfa…oio qugatrîn d£kru, tÕ d¾ *ašqontoj Øpär ktamšnoio cšanto murÒmenai meg£loio par¦ ˜Òon 'Hridano‹o, kaˆ tÕ män 'Hšlioj gšraj ¥fqiton uƒši teÚcwn ½lektron po…hse mšga ktšar ¢nqrèpoisi: tÒn ˜a tÒt' eÙrupšdoio purÁj kaqÚperqe b£lonto 'Arge‹oi klutÕn ¥ndra dedoupÒta kuda…nontej A‡ant': ¢mfˆ dš oƒ meg£ sten£contej œqento 605 tij P 611 fr£sasqai codd. : corr. Rhodomann | eâtš oƒ codd. : corr. Rhodomann 614 qo¦j codd. : corr. Köchly 615 kat¦ kaˆ D | spe…ressi codd. : corr. Brodeau 616 amm' ¢pokaq»rantej H amm' ¢po kaqe…rantej P 617 œntesin kaˆ codd. : corr. Vian 622 oƒ dš oƒ D | ti Èkut£toisin Hc kaˆ Èkut£toisin Rhodomann | ¢gallomšnoij D | †ppoij D 626 'hel…ou Hc 631 ˜a pÒt' P ˜a pot' H : corr. Rhodomann 633 meg£ codd. : corr. Rhodomann

LIBRO QUINTO, VV. 604-633

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e tra gli altri Argivi anche del nostro figlio Antiloco.68 Ma non è concesso per i morti in battaglia piangere giorni interi ed essere afflitti nel cuore. Dimenticate l’indegno lamento, poiché meglio è preparare quante cose ai mortali defunti convengono, la pira e il tumulo, e seppellire le ossa. Un morto con i lamenti non si risveglia, né alcuna cosa può intendere, quando le Chere amare lo ingoino».69 Espresse davvero parole di conforto; e i divini re tutti si fecero subito intorno, molto afflitti nel profondo del cuore,70 e Aiace, benché molto grande, velocemente alle navi portarono sollevandolo in molti. Lo coprirono con un sudario avendolo ripulito dal sangue che alle sue forti membra seccandosi era attaccato e alle armi insieme alla polvere. E allora dai monti dell’Ida portarono senza sosta legname i giovani. Dappertutto intorno al morto si affaccendavano:71 intorno a quello posero molta legna, poi molte pecore, stoffe ben lavorate e di buoi nobili razze e poi cavalli velocissimi e fieri delle proprie zampe e oro splendente e innumerevoli armi di eroi quante prima aveva sottratto agli uccisi l’illustre uomo; e su costui posero ambra trasparente, che si dice sia delle sorelle di Helios, autore di tutti i presagi, la lacrima che sopra Fetonte morto versarono piangendo presso le grandi correnti dell’Eridano, e che Helios facendone dono immortale al figlio trasformò in ambra, grande tesoro per gli uomini;72 anche questa sopra la vasta pira allora gettarono gli Argivi all’inclito eroe morto facendo onore, ad Aiace; intorno a lui fortemente piangendo posero

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tim»ent' ™lšfanta kaˆ ¥rguron ºerÒenta ºdä kaˆ ¢mfiforÁaj ¢le…fatoj ¥ll£ te p£nta ÐppÒsa kud»enta kaˆ ¢glaÕn Ôlbon Ñfšllei. 'En d' œbalon kratero‹o purÕj mšnoj: Ãlqe dä pnoi¾ ™x ¡lÒj,  n prošhke qe¦ Qštij, Ôfra qšroito A‡antoj meg£loio b…h: · dä nÚkta kaˆ ºî ka…eto p¦r n»essin ™peigomšnou ¢nšmoio. OmÒj pou tÕ p£roiqe DiÕj stonÒenti keraunÚ 'Egkšladoj dšdmhto kat' ¢kam£toio qal£sshj Qrinak…hj Øpšnerqen, Ólh d' ØpetÚfeto nÁsoj: À omoj zèonta mšlh purˆ dîke qšresqai `Hraklšhj Nšssoio dolofrosÚnVsi calefqe…j, ÐppÒt' œtlh mšga œrgon, Ólh d' ¢mfšstenen O‡th zwoà kaiomšnoio, m…gh dš oƒ a„qšri qumÕj ¥ndra lipën ¢r…dhlon, ™nekr…nqh dä qeo‹sin aÙtÒj, ™pe… oƒ sîma polÚkmhtoj c£de ga‹a: to‹oj ¥r' ™n purˆ ke‹to lelasmšnoj „wcmo‹o A‡aj sÝn teÚcessi. PolÝj d' ™ste…neto laÕj a„gialo‹j: Trîej dä g£nunt', ¢k£conto d' 'Acaio…. 'All' Óte d¾ dšmaj ºÝ kat»nuse pàr ¢pdhlon, d¾ tÒte purkao¾n o‡n. sbšsan: Ñstša d' aÙtoà chlÚ ™nˆ crusšV qÁkan: perˆ dš sfisi ga‹an ceàan ¢peires…hn `Roith…doj oÙc ˜k¦j ¢ktÁj. AÙt…ka d' ™sk…dnanto polusk£rqmouj ™pˆ nÁaj qumÕn ¢khcšmenoi: tÕn g¦r t…on son 'Acille‹. NÝx d' ™pÒrouse mšlaina met' ¢nšraj Ûpnon ¥gousa: o‰ d' ¥ra da‹t' ™p£santo kaˆ ºrigšneian œmimnon, baiÕn ¢pobr…xantej ¢raio‹sin blef£roisin: a„nîj g¦r fobšonto kat¦ fršna m» sfisi Trîej nuktÕj ™pšlqwsin Telamwni£dao qanÒntoj. 634 ¥rguron ƒmerÒenta Pauw 635 ¢le…fato H 637 dä pne…h H 643 Ñlo¾ H 644 ºd' omoj codd. : corr. Rhodomann (vert.) Köchly | omoj codd. : corr. Köchly | fšresqai PD 649 sîma polÚkmhton Nr et C.L. Struve 657 ™sk…dnato H 660 da‹ta p£santo codd.: corr. Köchly

LIBRO QUINTO, VV. 634-663

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prezioso avorio e argento scuro73 e poi anfore d’olio e molte altre cose quante a rinomanza e a splendida opulenza convengono. Infine accesero la potente forza del fuoco: giunse quindi un soffio dal mare, che Teti divina mandava, onde si consumasse la forza del grande Aiace; il quale la notte e il mattino bruciava presso le navi al soffio incessante del vento. Quale un tempo dal funesto fulmine di Zeus Encelado fu abbattuto nell’infaticabile mare sotto la Trinacria, e tutta dalle fiamme fu avvolta l’isola;74 o quale ancor vivo le membra al fuoco diede perché si consumassero Eracle dall’astuto Nesso ingannato, allorché sopportò l’estrema prova, e intero gemeva l’Eta mentre da vivo bruciava, si unì poi all’etere lo spirito lasciando l’eroe magnifico, e fu ammesso tra gli dèi costui, dopo che la terra accolse il corpo molto provato; tale nel fuoco giaceva Aiace, con tutte le armi, ma dimentico ormai della mischia. Numerosa si stringeva una folla sulla spiaggia: i Troiani esultavano, si affliggevano invece gli Achei. Ma quando il bel corpo consumò il fuoco distruttore, allora la pira col vino spensero; e le sue ossa in un’urna d’oro raccolsero; su di esse terra infinita versarono non lontano dal promontorio Reteo.75 Presto si ritirarono presso le agili navi afflitti nell’animo; costui infatti onoravano come Achille. La notte avanzava scura, recando agli uomini il sonno; allora gli Achei prepararono il pasto e attendevano l’aurora, addormentandosi appena, con le palpebre semichiuse; terribilmente infatti temevano in cuore che i Troiani di notte li attaccassero, ora che il Telamonide era morto.

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LIBRO SESTO traduzione e note di Lorenzo Bergerard

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'Hëj d' 'Wkeano‹o ˜Òon kaˆ lšktra lipoàsa Tiqwnoà prosšbh mšgan oÙranÒn, ¢mfˆ dä p£ntV k…dnato pamfanÒwsa, gšlasse dä ga‹a kaˆ a„q»r: toˆ d' e„j œrga tr£ponto brotoˆ ˜e‹a fqinÚqontej, ¥lloi d' ¢llo…oisin ™pócont'. AÙt¦r 'Acaioˆ e„j ¢gor¾n ™cšonto kalessamšnou Menel£ou: ka… ˜' Óte d¾ m£la p£ntej ¢n¦ stratÕn ºgeršqonto, d¾ tÒt' ™n mšssoisin ¢geiromšnoisi methÚda: «Kšklute màqon ™me‹o, qehgenšej basilÁej, æj ™ršw: mšga g£r moi ™nˆ fresˆ te…retai Ãtor laîn Ñllumšnwn o† ˜' ½luqon e†nek' ™me‹o dÁrin ™j ¢rgalšhn, toÝj oÙc Øpodšxetai okoj, oÙ tokšej: polšaj g¦r Øpšklase Da…monoj Asa. `Wj Ôfelon Qan£toio barÝ sqšnoj ¢tl»toio aÙtÚ moi ™pÒrouse prˆn ™nq£de laÕn ¢ge‹rai. Nàn dš moi ¢ll»ktouj ÑdÚnaj ™peq»kato da…mwn, Ôfr' ÐrÒw kak¦ poll£: t…j ‰n fresˆ ghq»seien e„sorÒwn ™pˆ dhrÕn ¢m»cana œrga mÒqoio; 'All' ¥geq', Óssoi œt' e„män ™p' ÈkupÒroisi nšessi karpal…mwj feÚgwmen ˜¾n ™pˆ ga‹an ›kastoj, A‡antoj fqimšnoio polusqenšoj t' 'AcilÁoj: tîn ™gë oÙk Ñpw ktamšnwn ØpalÚxai Ôleqron šmšaj, ¢ll' ØpÕ Trwsˆ dam»menai ¢rgalšoisin e†nek' ™meà `Elšnhj te kunèpidoj, Âj nÚ moi oÜ ti

8 add. Rhodomann 10 fresˆ te…reto P 14 Ôfelen W 15 moi ™poroàsai codd. : corr. Rhodomann 16 ÑdÚnaj ™neq»kato codd. : corr. West

[Menelao mette alla prova l’esercito fingendo di proporre una ritirata] Aurora, lasciati i flutti di Oceano e il letto di Titono, salì al vasto cielo e tutt’intorno si diffondeva luminosa:1 sorrisero Terra ed Etere;2 intanto gli effimeri mortali3 si volsero ai lavori, accingendosi chi ad una cosa chi ad un’altra. Ma gli Achei si riversavano nel luogo dell’assemblea4 al richiamo di Menelao; e quando proprio tutti si furono riuniti nell’accampamento allora egli parlò in mezzo alla folla: «Ascoltate le mie parole, voi re di stirpe divina,5 così dirò: assai mi si strugge il cuore in petto per la perdita delle schiere di soldati che per causa mia sono venuti ad un’aspra contesa: più non li accoglierà una casa né genitori; tanti ne annientò il Fato,6 dispensatore di sorti. Oh se la forza schiacciante dell’irresistibile Morte si fosse abbattuta7 su me prima che qui radunassi l’esercito. Invece il destino mi inflisse dolori che non daranno tregua finché continuo a vedere tanti mali. Chi potrebbe rallegrarsi nell’animo assistendo per così lungo tempo a vane azioni di guerra? Ma noi superstiti, sulle rapide navi8 fuggiamo all’istante! ognuno alla sua propria terra, giacché perirono Aiace e il fortissimo Achille, e dopo la loro uccisione non penso che sfuggiremo alla rovina, saremo bensì soggiogati dai crudeli Troiani per causa mia e di Elena dallo sguardo di cagna,9 la quale in nessun modo

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

mšmbletai æj Ømšwn, ÐpÒte ktamšnouj ™s…dwmai ™n polšm.. Ke…nh d' ¢lapadnot£t. sÝn ¢ko…tV ™rrštw: ™k g£r oƒ pinut¦j fršnaj e†leto da…mwn ™k krad…hj, Ót' ™me‹o l…pen dÒmon ºd~ kaˆ eÙn»n. 'All¦ t¦ män ke…nhj Pri£m. kaˆ Trwsˆ mel»sei: šme‹j d' aya neèmeq', ™peˆ polÝ lèiÒn ™stin ™kfugšein polšmoio dushcšoj À ¢polšsqai». vWj œfat' 'Arge…wn peirèmenoj: ¥lla dš oƒ kÁr kaˆ krad…h pÒrfure perˆ zhl»moni qumÚ, Trîaj Ópwj ÑlšsV kaˆ te…cea makr¦ pÒlhoj ˜»xV Øp' ™k qemšqlwn, m£la d' a†matoj ‹sai ”Arha d…ou 'Alex£ndroio met¦ fqimšnoisi pesÒntoj: oÙ g£r ti z»loio pšlei stugerèteron ¥llo. Kaˆ t¦ män ìj Êrmainen, ˜Í d' ™pi…zanen ›drV. Kaˆ tÒte Tude…dhj ™gcšspaloj ðrt' ™nˆ mšssoij, ka… ˜a qoîj ne…kessen ¢rhpfilon Menšlaon: «’A de…l' 'Atršoj uƒš, t… ½ nÚ se de‹ma kic£nei ¢rgalšon kaˆ to‹a met' 'Arge…oij ¢goreÚeij, æj p£ij º gun¾ tîn per sqšnoj œst' ¢lapadnÒn; 'All¦ soˆ oÙ pe…sontai 'Acaiîn fšrtatoi umej, prˆn Tro…hj kr»demna potˆ cqÒna p£nta balšsqai: q£rsoj g¦r merÒpessi klšoj mšga, fÚza d' Ôneidoj. E„ d' ¥ra tij kaˆ tînd' ™pipe…setai æj ™pitšlleij, aÙt…ka oƒ kefal¾n temšw „Òenti sid»r., ˜…yw d' o„wno‹sin ¢ersipštVsin ™dwd»n. 'All' ¥geq', omsi mšmhlen Ñrinšmenai mšne' ¢ndrîn, laoÝj aÙt…ka p£ntaj Ñtrun£ntwn kat¦ nÁaj doÚrata qhgšmenai par£ t' ¢sp…daj ¥ll£ te p£nta

33 ™n krad…V Köchly, sequ. Vian 35 ¥sV Scaliger, sequ. Pomp. : ¥sai Pauw, Vian 46 mšga klšoj H 47 tînd' ™pit…setai P

LIBRO SESTO, VV. 25-52

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mi è cara come lo siete voi, quando vi vedo perire in guerra. Quella lì, assieme al suo smidollatissimo concubino,10 vada in malora, giacché un dio le tolse il senno dal cuore, quando lasciò la mia casa e il mio talamo.11 Ma di lei si occuperanno Priamo e i Troiani; noi torniamocene indietro poiché è molto meglio sfuggire alla orribile guerra che non il morirvi».12 Così disse, mettendo alla prova gli Argivi,13 ma altre cose il suo cuore 14 meditava nel profondo, preda di gelosia appassionata: sterminare i Troiani, e le grandi mura della città distruggere dalle fondamenta, così da saziare il dio Ares del sangue15 dell’illustre Alessandro caduto nell’eccidio. Non v’è nulla di più tremendo della gelosia. Queste cose così bramava quando si sedeva al suo posto. Allora il Tidide, abile nel maneggiare la lancia, si levò in mezzo a quelli, e tosto venne a lite con Menelao caro ad Ares: «Ah vile figlio di Atreo, perché un doloroso timore t’invade e perché fai tali discorsi agli Argivi, come un fanciullo o una donna – creature dal debole nerbo? Ma non ti obbediranno i più forti tra gli Achei se non dopo aver raso al suolo i bastioni di Ilio, ché dall’audacia nasce grande gloria, mentre la fuga è per gli uomini fonte di biasimo. Se dunque qualcuno, anche tra costoro, obbedirà ai tuoi ordini, subito gli taglierò la testa col ferro scuro, e la getterò in pasto agli uccelli che si librano in cielo. Suvvia, chi ha il compito di suscitare gli ardori degli uomini subito, andando di nave in nave, esorti tutte le schiere ad affilare le lance, a bene approntare gli scudi ed ogni altra cosa,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

eâ qšsqai, kaˆ de‹pnon ™fopl…ssasqai …pantaj – ¢nšraj ºd' †ppouj –, o† t' ™j pÒlemon mem£asin: ™n ped…. d' êkista diakrinšei mšnoj ”Arhj». vWj f£to Tude…dhj: kat'¥r' ›zeto Âci p£roj per. To‹si dä Qšstoroj uƒÕj œpoj potˆ to‹on œeipen, ¢nst¦j ™n mšssoisin, ÓpV qšmij œst' ¢goreÚein: «Kšklutš meu, f…la tškna meneptolšmwn 'Arge…wn: ‡ste g¦r æj s£fa oda qeoprop…aj ¢goreÚein. ”Hdh män kaˆ prÒsq' ™f£mhn dek£t. luk£banti pšrsein ”Ilion a„pÚ: tÕ d¾ nàn ™ktelšousin ¢q£natoi, n…kh dä pšlei par¦ possˆn 'Acaiîn. 'All' ¥ge, Tudšoj uma meneptÒlemÒn t' 'OdusÁa pšmywmen Skàron dä qoîj ™n nhˆ mela…nV, o† ˜a paraipepiqÒntej 'Acillšoj Ôbrimon uma ¥xousin: mšga d' ¥mmi f£oj p£ntessi pel£ssei». vWj f£to Qšstoroj uƒÕj ™Åfronoj: ¢mfˆ dä laoˆ ghqÒsunoi kel£dhsan, ™pe… sfisin Ãtor ™èlpei K£lcantoj f£tin œmmen ™t»tumon æj ¢gÒreue. Kaˆ tÒte Lašrtao p£oj metšeipen 'Acaio‹j: «’W f…loi, oÙkšt' œoike meq' Øm‹n pÒll' ¢goreÚein s»meron: ™n g¦r d¾n k£matoj pšlei ™ssumšnoisin: oda g¦r æj lao‹si kekmhkÒsin oÜt' ¢gorht¾j ¡nd£nei oÜt' ¥r' ¢oidÕj ·n ¢q£natoi filšousi Pier…dej: paÚrwn d' ™pšwn œroj ¢nqrèpoisi.

54 ¢ndr£si ºd' †ppoij Pauw 56 kat¦ d' ›zeto Rhodomann, sequ. Vian, Pomp. 73 pšlei ¢cnumšnoisin Rhodomann

LIBRO SESTO, VV. 53-76

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ed a rifocillarsi – tutti, uomini e cavalli,16 che smaniano per la guerra. Molto presto Ares giudicherà del valore sul campo». Così disse il Tidide e si sedette ov’era prima.

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[Calcante predice ai Greci la caduta di Troia se condurranno in campo Neottolemo] Allora il figlio di Testore17 rivolse loro tal discorso, levatosi nel mezzo, là dov’è uso che si parli: «Uditemi, cari figli degli Argivi che non fuggono il nemico: sapete che io so infallibilmente vaticinare. Già prima dissi che il decimo anno avremmo distrutto Ilio scoscesa: questo adesso compiranno gli immortali e la vittoria è a portata degli Achei. Suvvia dunque, il figlio di Tideo, con Odisseo che non fugge il nemico, mandiamo presto a Sciro su di una nera nave perché, avendo persuaso il possente figlio di Achille, lo conducano qui: allora noi tutti raggiungerà una grande luce». Così disse il figlio del saggio Testore: d’intorno le truppe piene di gioia levarono gridi, poiché il loro cuore sperava che la profezia di Calcante fosse vera, così come la proclamava.

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[Odisseo e Diomede si propongono per l’ambasceria] Allora il figlio di Laerte parlò agli Achei: «Amici, non è il caso di parlarvi ancora a lungo oggi, ché ormai c’è in voi stanchezza ed impazienza;18 so infatti che alle truppe stanche né l’oratore garba né l’aedo che amano le immortali Pieridi: gli uomini desiderano invece brevi discorsi.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Nàn d', Ó per eÜade p©si kat¦ stratÕn 'Arge…oisi, Tude…dao m£lista sunespomšnou, telšsaimen. ”Amfw g£r ken „Ònte filoptolšmou 'AcilÁoj ¥xomen Ôbrimon uma parakl…nant' ™pšessin, e„ ka… min m£la poll¦ kinuromšnh katerÚkV m»thr ™n meg£roisin, ¢pÕ kratero‹o tokÁoj ™lpomšnh kat¦ qumÕn ¢r»oon œmmenai uma». vWj f£menon prosšeipe pÚka fronšwn Menšlaoj: «’W 'Oduseà, mšg' Ôneiar ™ãsqenšwn 'Arge…wn, ½n per 'AcillÁoj megalÒfronoj Ôbrimoj uƒÕj sÍsi paraifas…Vsi lilaiomšnoisin ¢rwgÕj œlqoi ¢pÕ SkÚroio, pÒroi dš tij OÙraniènwn n…khn eÙcomšnoisi kaˆ `Ell£da ga‹an †kwmai, dèsw oƒ par£koitin ™m¾n ™rikudša koÚrhn `ErmiÒnhn kaˆ poll¦ kaˆ Ôlbia dîra sÝn aÙtÍ profronšwj: oÙ g£r min Ñpomai oÜte guna‹ka oÜt' ¥ra penqerÕn ™sqlÕn Øperfi£lwj ÑnÒsasqai». vWj ¥r' œfh: Danaoˆ dä suneuf»mhsan œpessi. Kaˆ tÒte làt' ¢gor»: toˆ d' ™sk…dnant' ™pˆ nÁaj ƒšmenoi de…pnoio tÕ d¾ pšlei ¢ndr£sin ¢lk». Ka… ˜' Óte d¾ paÚsanto koress£menoi mšg' ™dwdÁj, d¾ tÒq' Ðmîj 'OdusÁi per…froni Tudšoj uƒÕj nÁa qo¾n e‡russen ¢peires…hj ¡lÕj e‡sw: karpal…mwj d' ½ia kaˆ ¥rmena p£nta balÒntej, ™n dä kaˆ aÙtoˆ œban, met¦ dš sfisin e‡kosi fîtej ‡dmonej e„res…hj, ÐpÒt' ¢ntiÒwsin ¥ellai ºd' ÐpÒt' eÙrša pÒnton ØpostoršVsi gal»nh. Ka… ˜' Óte d¾ klh‹sin ™p' eÙtÚktoisi k£qissan, tÚpton ¡lÕj mšga kàma: polÝj d' ¢mfšzeen ¢frÒj.

81 e„ ke H : e„ ken recc. 82 ™p… kratero‹o codd.: corr. Zimmermann 85 ™usqenšwn ¢izhîn W : ™usqenšwn ¢rge…wn R et Rhodomann 86a om. H 87 œlqV ¢pÕ Lasc². et Zimmermann | pÒrV dš Zimmermann 88 ƒkšsqai H, recep. Pomp. 101 ¢nt…ai e„sˆn codd., recep. Pomp. : corr. Lehrs

LIBRO SESTO, VV. 77-104

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E ora ciò che decisero tutti gli Argivi nell’accampamento mettiamolo in opera, tanto più che il Tidide mi accompagna. Noi due infatti, se partiamo assieme, del bellicoso Achille condurremo il possente figlio, piegatosi alle nostre parole, quand’anche la madre gemendo assai lo trattenga nel palazzo, aspettandosi che, nato da sì forte genitore, anche il figlio abbia un cuore guerriero». Così parlò, e gli rispose Menelao saggiamente: «Odisseo, grande sostegno dei forti Argivi, se mai il possente figlio del magnanimo Achille, per le tue lusinghe, soccorrevole a chi lo reclama verrà da Sciro, e se qualcuno dei Celesti concederà19 la vittoria, secondo i nostri voti, e io raggiungerò la Grecia, gli darò in isposa la mia illustre fanciulla Ermione e con lei molti e ricchi doni di tutto cuore, giacché non penso ch’egli una donna e un suocero nobili disprezzi con tracotanza». Così disse e i Danai acclamarono le sue parole con grida propizie. Allora si sciolse l’assemblea e quelli si disperdevano diretti alle navi, desiderosi del pasto, che è vigore per gli uomini. E quando si furono abbondantemente saziati di cibo, allora il figlio di Tideo assieme al saggio Odisseo trasse la rapida nave in mare; e, avendovi caricato in fretta tutte le provviste e gli attrezzi, s’imbarcarono anch’essi e con loro venti uomini esperti dell’arte del remare, sia che vènti di tempesta soffino contrarî o che la bonaccia appiani il vasto mare. Quindi, sedutisi ai banchi ben costrutti, battevano l’ampio flutto marino: molta schiuma ribolliva ai lati.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

`Ugraˆ d' ¢mf' ™l£tVsi diapr»ssonto kšleuqoi nhÕj ™pessumšnhj: toˆ d' ƒdrèontej œresson. `Wj d' Óq' ØpÕ zeÚglVsi bÒej mšga kekmhîtej douratšhn ™rÚswsi prÒsw memaîtej ¢p»nhn ¥cqei tetrigu‹an Øp' ¥xoni din»enti teirÒmenoi, poulÝj dä kat' aÙcšnoj ºd~ kaˆ êmwn ƒdrëj ¢mfotšroisi katšssutai ¥crij ™p' oâdaj: ìj tÁmoj mogšeskon ™pˆ stibarÍj ™l£tVsin a„zho…: m£la d' ðka di»nuon eÙrša pÒnton. ToÝj d' ¥lloi män 'Acaioˆ ¢peskop…azon „Òntaj: qÁgon d' a„n¦ bšlemna kaˆ œgcea to‹si m£conto. Trîej d' ¥steoj ™ntÕj ¢tarbšej ™ntÚnonto ™j pÒlemon memaîtej „d' eÙcÒmenoi mak£ressi lwfÁsa… te fÒnoio kaˆ ¢mpneàsai kam£toio. To‹si d' ™eldomšnoisi qeoˆ mšga p»matoj ¥lkar ½gagon EÙrÚpulon krateroà gšnoj `HraklÁoj: ka… oƒ laoˆ ›ponto da»monej „wcmo‹o pollo…, Ósoi dolico‹o par¦ procoÍsi Kapkou na…eskon, kraterÍsi pepoiqÒtej ™gce…Vsin. 'Amfˆ dš oƒ kec£ronto mšga fresˆ Trèioi umej: æj d' ÐpÒq' ›rkeoj ™ntÕj ™ergmšnoi ¢qr»swsin ¼meroi ¢nšra cÁnej Ó t…j sfisin e‡data b£lloi, ¢mfˆ dš min stom£tessi peristadÕn „Úzontej sa…nousin, toà d' Ãtor „a…netai e„sorÒwntoj: ìj ¥ra Trèioi umej ™g»qeon, eât' ™s…donto Ôbrimon EÙrÚpulon, toà d' ™n fresˆ qarsalšon kÁr

105 diepr»ssonto Spitzner, sequ. Vian et Pomp. 109 ¥cqei tetrugu‹an codd. : corr. Tychsen 110 aÙcšnaj ... êmouj codd. : corr. Spitzner 125 ›rkeoj ™ktÒj codd. : corr. Pauw 126 ¼menoi (e†m- P) ¢nšra codd. : corr. Pauw 126a om. H

LIBRO SESTO, VV. 105-129

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Umide vie s’aprivano attorno ai remi di pino20 poi che la nave ebbe preso l’abbrivio; e quelli sudando remavano. Come quando sotto i gioghi i buoi, pur molto affaticati, traggono avanti pieni di ardore un carro di legno che stride pel carico al girare dell’asse e, nello sforzo che li consuma, molto sudore giù per il collo e le spalle è sceso a entrambi fino al suolo, così faticavano ai solidi remi quei forti, e percorrevano a gran velocità il vasto flutto. Gli altri Achei, dalla riva, li guardavano andare e affilavano i dardi terribili e le lance con cui combattevano.

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[Arrivo di Euripilo, figlio di Telefo, in soccorso dei Troiani] I Troiani, senz’aver paura, nella città si preparavano, smaniando per la guerra e pregando i Beati di desistere dalla strage e rifiatare dallo sforzo.21 E poiché desideravano una grande difesa contro la sciagura imminente, gli dèi condussero loro Euripilo della stirpe del potente Eracle:22 lo seguivano molti popoli conoscitori del tumulto di guerra, quanti abitavano presso la foce del lungo Caice, confidando nelle lance possenti. Attorno a lui molto gioirono in seno i figli dei Troiani: come quando, chiuse entro un recinto, le oche domestiche vedono un uomo che getti loro del cibo e tutt’intorno starnazzando coi becchi gli fanno le feste, e l’animo di lui si allieta nel guardarle;23 così dunque i figli dei Troiani si rallegravano come videro il possente Euripilo, il cui intrepido cuore nel petto

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

tšrpet' ¢geiromšnoisin: ¢pÕ proqÚrwn dä guna‹kej q£mbeon ¢nšra d‹on: · d' œxocoj ›speto laîn, ºÚte tij qèessi lšwn ™n Ôressi metelqèn. TÕn dä P£rij de…dekto, t…en dš min “Ektori nson: toà g¦r ¢neyiÕj œsken „Áj t' ™tštukto genšqlhj: tÕn g¦r d¾ tške d‹a kasign»th Pri£moio 'AstuÒch kraterÍsin Øp' ¢gko…nVsi mige‹sa Thlšfou, Ón ˜a kaˆ aÙtÕn ¢tarbšá `HraklÁi l£qrV ˜o‹o tokÁoj ™ãplÒkamoj tšken AÜgh, ka… min tutqÕn ™Ònta kaˆ „scanÒwnta g£laktoj qršye qo» pote kemm£j, ˜Ú d' ‡sa f…lato nebrÚ mazÕn Øposcomšnh boulÍ DiÒj: oÙ g¦r ™ókei œkgonon `HraklÁoj Ñázurîj ¢polšsqai. Toà d' ¥ra kÚdimon uma P£rij m£la prÒfroni qumÚ Ãgen ˜Õn potˆ dîma di' eÙrucÒroio pÒlhoj sÁma par' 'Assar£koio kaˆ “Ektoroj a„p¦ mšlaqra nhÒn te z£qeon Tritwn…doj, œnq£ oƒ ¥gci dèmat' œsan kaˆ bwmÕj ¢k»ratoj `Erke…oio. Ka… min ¢delfeiîn phîn q' Øpär ºdä tok»wn e‡reto profronšwj: · dš oƒ m£la p£nt' ¢gÒreuen: ¥mfw d' ìj Ñ£rizon …m' ¢ll»loisi kiÒntej. ’Hlqon ¥r' Âsto ¢ntiqšh `Elšnh Car…twn ™pieimšnh edoj: ka… ˜£ min ¢mf…poloi p…surej peripoipnÚeskon, ¥llai d' aât' ¢p£neuqen œsan kleitoà qal£moio œrga tituskÒmenai ÐpÒsa dmwÍsin œoiken. EÙrÚpulon d' `Elšnh mšg' ™q£mbeen e„sorÒwsa, ke‹noj d' aâq' `Elšnhn: met¦ d' ¢ll»louj ™pšessin ¥mfw deikanÒwnto dÒm. ™nˆ khèenti.

131 œpleto laîn LLasc.², sequ. Pomp. 135 tške d…h W : d‹a LRLasc² 140 f…lato qumî P (quod delevit P¹) 145 kaq' “Ektoroj codd., serv. Pomp. : corr. Pauw 151 Ãlqon ™j W : corr. Köchly | œnq' ¥ra codd. : corr. Pauw 158 ¢mfi W : corr. Rhodomann

LIBRO SESTO, VV. 130-158

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si compiaceva del loro affollarsi; e dalle porte le donne si stupivano dell’uomo divino, ed egli procedeva surclassando i soldati come un leone montano che passa tra gli sciacalli. Lo accolse Paride; al pari di Ettore lo onorava giacché gli era cugino e discendeva dalla medesima stirpe: lo generò infatti la divina sorella di Priamo Astioche24 poi che fu avvinta tra le possenti braccia di Telefo, proprio colui che all’intrepido Eracle generò Auge dai boccoli belli, all’insaputa di suo padre; e quando era una creatura bisognosa di latte lo nutrì una rapida cerva e lo amò come fosse il suo cerbiatto offrendogli la mammella, per volere di Zeus: non pareva giusto infatti 25 che la prole di Eracle perisse miseramente. Paride quindi, con animo benevolo, il glorioso figlio di costui menava al suo palazzo attraverso la vasta città, costeggiando la tomba di Assaraco, l’alta magione di Ettore e il sacro tempio della Tritonide, vicino al quale erano la dimora e l’altare inviolato dell’Erceo.26 Su fratelli, parenti e genitori gli poneva affettuose domande, e quello tutto gli diceva: così conversavano entrambi andando assieme. Giunsero quindi alla grande e ricca dimora, ove sedeva, simile a dea, Elena vestita della bellezza delle Grazie: quattro ancelle le si affaccendavano attorno, altre invece erano lungi dalla rinomata stanza intente a eseguire quelle opere che spettano ai servi. Elena si stupì assai di Euripilo a vederlo, e così egli di Elena; l’uno con l’altra a parole si salutarono nella dimora profumata.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Dmîej d' aâte qrÒnouj doië qšsan ™ggÝj ¢n£sshj: aya d' 'Alšxandroj kat' ¥r' ›zeto, p¦r d' ¥ra tÚ ge EÙrÚpuloj. Laoˆ dä prÕ ¥steoj aâlin œqento, Âci fulaktÁrej Trèwn œsan ÑbrimÒqumoi: aya dä teÚcea qÁkan ™pˆ cqÒna, p¦r dä kaˆ †ppouj stÁsan œti pne…ontaj Ñozuro‹o mÒgoio: ™n dä f£tnVsi b£lonto t£ t' Èkšej †ppoi œdousi. Kaˆ tÒte nÝx ™pÒrouse, mela…neto d' aa kaˆ a„q»r. O‰ d' ¥ra da‹t' ™p£santo prÕ te…ceoj a„peino‹o K»teioi Trîšj te: polÝj d' ™nˆ màqoj Ñrèrei dainumšnwn. P£ntV dä purÕj mšnoj a„qalÒentoj da…eto p¦r klis…Vsin: ™p…ace d' ºpÚta sàrigx aÙlo… te liguro‹sin ¢rhršmenoi kal£moisin, ¢mfˆ dä form…ggwn „ac¾ pšlen ƒmerÒessa. 'Arge‹oi d' ¢p£neuqen ™q£mbeon e„sorÒwntej aÙlîn form…ggwn t' „ac¾n ¢ndrîn te kaˆ †ppwn sÚriggÒj q'   daitˆ metapršpei ºd~ nomeàsi. ToÜnek' ¥r' Îsin ›kastoj ™nˆ klis…Vsi kšleuse nÁaj ¢moiba…Vsi fulassšmen ¥crij ™j ºî, m» sfeaj Trîej ¢gauoˆ ™nipr»swsi kiÒntej, o† ˜a tÒt' a„peino‹o prÕ te…ceoj e„lap…nazon. vWj d' aÛtwj kat¦ dèmat' 'Alex£ndroio dapfrwn da…nuto Thlef…dhj met' ¢kleitîn basil»wn. Poll¦ d' ¥ra Pr…amÒj te kaˆ ¥lloi Trèioi umej ˜xe…hj eÜconto mig»menai 'Arge…oisin a‡sV ™n ¢rgalšV: · d' Øpšsceto p£nta telšssein. AÙt¦r ™peˆ dÒrphsan, œban potˆ dèmaq' ›kastoj: EÙrÚpuloj d' aÙtoà katelšxato baiÕn ¥pwqen ™j tšgoj eÙpo…hton ÓpV p£roj aÙtÕj ‡auen ºÝj 'Alšxandroj met' ¢gakleitÁj ¢lÒcoio: 161 danaoˆ codd. : corr. Köchly 168 k»deio… [-deo… D] te H : k»deto… te P : corr. Rhodomann 171 ¢rhr£menoi kal£moisin codd. : corr. Zimmermann 173 ™q£mbeon e„sapontej Rhodomann 174 „ac¾n aÙtîn codd., serv. Vian et Pomp. : corr. Rhodomann 181 met¦ kleitîn PD : met' ¢gaklutîn H post corr. : corr. Rhodomann

LIBRO SESTO, VV. 159-188

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Intanto i servi posero due sedili vicino alla padrona; tosto Alessandro vi si sedette e accanto a lui Euripilo. Le truppe invece dinanzi alla città si accampavano, là dov’erano le sentinelle valorose dei Troiani: subito deposero le armi a terra, e accanto i cavalli fecero sostare ancora ansimanti dopo lo sforzo penoso, e nelle greppie gettarono ciò che mangiano i veloci cavalli. Allora sopraggiunse la notte: si oscuravano la terra e il cielo. Essi quindi mangiarono davanti al muro scosceso, Cetei27 e Troiani: un gran parlare si levava tra i banchettanti. Ovunque la forza del fuoco ardente divampava presso gli alloggi: risuonava l’arguta siringa e i flauti composti di canne sottili, e il dolce suono delle cetre aleggiava. Gli Argivi, guardando da lontano, si stupivano del suono dei flauti, delle cetre, degli uomini, dei cavalli28 e della siringa, che si addice al banchetto ed ai pastori.29 Perciò ognuno tra le sue tende ordinò che a turno sorvegliassero le navi fino all’aurora, perché non venissero a bruciarle i gloriosi Troiani che allora banchettavano dinanzi al muro scosceso. E similmente, nel palazzo di Alessandro, il bellicoso figlio di Telefo banchettava con gli illustri principi. A lungo Priamo e gli altri Troiani uno dopo l’altro lo pregavano di battersi contro gli Argivi, secondo il destino crudele; ed egli promise di compiere tutto. Dopo che pranzarono, ognuno andò a casa propria, Euripilo invece andò a coricarsi poco più in là, in una stanza ben costrutta dove prima dormiva il nobile Alessandro con l’illustre concubina:

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ke‹no g¦r œkpaglÒn te kaˆ œxocon œpleto p£ntwn: œnq' Ó ge lšxat' „èn: toˆ d' ¥llose ko‹ton ›lonto mšcrij ™j 'Hrigšneian ™Åqronon. AÙt¦r …m' ºo‹ Thlef…dhj ¢nÒrouse kaˆ ™j stratÕn eÙrÝn †kane sÚn t' ¥lloij basileàsin Ósoi kat¦ ”Ilion Ãsan. Laoˆ d' aÙt…ka dàsan ™n œntesi maimèwntej, p£ntej ™nˆ prètoisi lilaiÒmenoi ponšesqai. vWj dä kaˆ EÙrÚpuloj meg£loij perik£tqeto gu…oij teÚcea marmaršVsin ™eidÒmena steropÍsi: ka… oƒ da…dala poll¦ kat' ¢sp…da d‹an œkeito, ÐppÒsa prÒsqen œrexe qrasÝ sqšnoj `HraklÁoj. 'En män œsan blosurÍsi genei£si licmèwntej doië kinumšnoisin ™oikÒtej oma drakÒntwn smerdalšon memaîtej: · dš sfeaj ¥lloqen ¥llon nhp…acÒj per ™ën Øped£mnato: ka… oƒ ¢tarb¾j œske nÒoj kaˆ qumÒj, ™peˆ Diˆ k£rtoj ™ókei ™x ¢rcÁj. OÙ g£r ti qeîn gšnoj OÙraniènwn ¥prhkton telšqei kaˆ ¢m»canon, ¢ll£ oƒ ¢lk¾ ›spet' ¢peires…h kaˆ nhdÚoj œndon ™Ònti. 'En dä Nemeia…oio b…h ™tštukto lšontoj Ñbr…mou `HraklÁoj ØpÕ stibarÍsi cšressi teirÒmenoj kraterîj: blosurÍj dš oƒ ¢mfˆ gšnussin aƒmatÒeij ¢frÕj œsken: ¢popne…onti d' ™ókei. ”Agci dš oƒ pepÒnhto dšmaj poludeir£doj Ûdrhj a„nÕn licmèwsa: kar»ata d' ¢lginÒenta ¥lla mšn oƒ dšdmhto kat¦ cqonÒj, ¥lla d' ¥exen

191 mšcrij ™p' codd., serv. Pomp. : corr. Vian 194 aÙt…ka Ãsan P : ‡san H : corr. Hermann (aÙt…k' œdusan), Spitzner 201 onma drakÒntej H post corr., recep. Pomp. 205 qeîn sqšnoj codd. : corr. Rhodomann 209 ™pˆ stibarÍsi codd. : corr.Wernicke 210 teiromšnoukraterîjcodd.,serv.Pomp. : corr.Köchly | blosuro‹j dš codd. : corr. Pauw

LIBRO SESTO, VV. 189-214

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era quella infatti una stanza meravigliosa e a tutte superiore; e lì egli andò a coricarsi, mentre gli altri giacquero altrove fino all’arrivo dell’Erigenia dal bel trono.

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[Euripilo si prepara per la battaglia. Descrizione del suo scudo] All’alba dunque il Telefide si levò e raggiunse il grande accampamento assieme agli altri principi che erano ad Ilio. I soldati tosto si armarono frementi e desiderosi tutti di combattere nelle prime file. Così anche Euripilo vestì le sue grandi membra di armi abbaglianti come folgori; e molte creazioni dell’arte gli si allogavano sullo scudo divino,30 tante quante furono le azioni compiute un tempo dall’audace forza di Eracle. V’erano, con le lingue vibranti tra mascelle spaventose, due serpenti che parevano muovere all’assalto infuriando terribilmente;31 ed egli, tenendone uno per lato, li soffocava, pur essendo un fanciullo: aveva impavidi la mente e l’animo, poiché assomigliava a Zeus per la forza fin dal principio. Infatti nessuna progenie di dèi uranî è ignava e priva di risorse, ma un vigore infinito le appartiene fin da quando è nel ventre. Quindi era effigiato il leone nemeo in tutta la sua violenza, dalle robuste braccia del possente Eracle32 stretto vigorosamente:33 attorno alle spaventose mascelle aveva schiuma sanguinolenta e pareva che stesse spirando. Vicino era stato plasmato il corpo di un’idra dai molti colli che vibrava le lingue: le teste sofferenti parte erano state da lui abbattute, parte crescevano

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™x Ñl…gwn m£la poll£. PÒnoj d' œcen `HraklÁa qarsalšon t' 'IÒlaon, ™peˆ krater¦ fronšonte ¥mfw, · män tšmneske kar»ata maimèwnta …rpV Øp' ¢gkulÒdonti qoîj, · dä ka‹e sid»r. a„qomšn.: krater¾ dä kat»nuto qhrÕj Ðmokl». `Exe…hj d' ™tštukto b…h suÕj ¢kam£toio ¢friÒwn genÚessi: fšren dš min, æj ™teÒn per, zwÕn ™j EÙrusqÁa mšga sqšnoj 'Alke…dao. Kemm¦j d' eâ ½skhto qo¾ pÒdaj, ¼ t' ¢legeinîn ¢mfiperiktiÒnwn mšg' ™s…neto p©san ¢lw»n: kaˆ t¾n män crusoio ker£atoj Ôbrimoj ¼rwj ¥mfecen oÙlomšnoio purÕj pne…ousan ¢ãtm»n. 'Amfˆ d' ¥ra stugeraˆ Stumfhl…dej, a‰ män Ñosto‹j bl»menai ™n kon…Vsin ¢pšpneon, a‰ d' œti fÚzhj mnwÒmenai polio‹o di' ºšroj ™sseÚonto: tÍsi d' ™f' `Hraklšhj kecolèmenoj ¥llon ™p' ¥ll. „Õn ™pipro…alle m£la speÚdonti ™oikèj. 'En dä kaˆ AÙge…ao mšgaj staqmÕj ¢ntiqšoio tecn»eij ½skhto kat' ¢kam£toio boe…hj: tÚ d' ¥ra qespes…oio baqÝn ˜Òon 'Alfeio‹o Ôbrimoj `Hraklšhj ™pag…neen: ¢mfˆ dä NÚmfai q£mbeon ¥speton œrgon. 'ApÒproqi d' œpleto taàroj pÚrpnooj, Ón ˜a kaˆ aÙtÕn ¢maim£ketÒn per ™Ònta gn£mpte b…V kratero‹o ker£atoj: o‰ dš oƒ ¥mfw ¢k£matoi muînej ™reidomšnoio tštanto: ka… ˜' · män æj mukhqmÕn ƒeˆj pšlen. ”Agci d' ¥r' aÙtoà ¢mfˆ s£koj pepÒnhto qeîn ™pieimšnh edoj `IppolÚth: kaˆ t¾n män ØpÕ kraterÍsi cšressi

222 add. C.L. Struve 223 ¼ t' ¢legeinÕn codd. : corr. Köchly 224 mšg' ™t…nuto codd. : corr. Bonitz 228 a‰ dš ti Pomp. ut fort. erat in archetypo 232 mšga sqšnoj codd. : corr. Tychsen

LIBRO SESTO, VV. 215-242

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in gran numero per poche che cadevano. La fatica travagliava Eracle e l’audace Iolao, poiché – animi forti ambedue – l’uno tagliava ripetutamente le teste furenti adoprando veloce la falce dentata e ricurva, l’altro le bruciava col ferro ardente: svaniva la potente minaccia della fiera. Di seguito era effigiato, nella sua violenza mai stanca, un cinghiale con le fauci schiumanti: come fosse vero, lo trasportava vivo la grande forza dell’Alcide ad Euristeo. Era stata poi ben modellata una cerva dalle rapide zampe, la quale degl’infelici vicini devastava ogni campo: per il corno dorato l’eroe possente l’afferrava, mentr’essa spirava una vampa di fuoco esiziale. V’erano quindi gli odiosi uccelli Stimfalidi:34 gli uni, colpiti da frecce, spiravano, gli altri, ancora la fuga bramando, si slanciavano per l’aere fosco:35 irato con loro Eracle un dardo dopo l’altro scoccava, simile a chi s’adopra senza risparmio. V’era poi la grande stalla di Augia,36 pari agli dei, modellata con arte sul fondo dell’invincibile scudo di cuoio:37 su di essa il flutto profondo del divino Alfeo il possente Eracle deviava: attorno le Ninfe stupivano dinnanzi all’indicibile impresa. Più lontano c’era un toro spirante fuoco, che, sebbene fosse imbattibile, egli piegò forzandone il corno possente: entrambi i bicipiti infaticabili gli s’erano tesi mentre faceva pressione; e allora pareva che quello lanciasse un muggito. Là vicino, sullo scudo,38 era stata plasmata, vestita del sembiante delle dèe, Ippolita: con le possenti braccia

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daidalšou zwstÁroj ¢mersšmenai menea…nwn emlke kÒmhj †ppoio kat' Èkšoj: a‰ d' ¢p£terqen ¥llai Øpotromšeskon 'AmazÒnej. 'Amfˆ dä lugraˆ Qrhik…hn ¢n¦ ga‹an œsan Diom»deoj †ppoi ¢ndrobÒroi: kaˆ t¦j män ØpÕ stugerÍsi f£tnVsin aÙtÚ sÝn basilÁi kak¦ fronšonti d£oxen. 'En dä kaˆ ¢kam£toio dšmaj pšle +hruonÁoj teqnaÒtoj par¦ bous…: k£rh dš oƒ ™n kon…Vsin aƒmatÒenta kšcunto b…V ˜op£loio damšnta. PrÒsqe dš oƒ dšdmhto kÚwn Ñloètatoj ¥llwn ”Orqroj, ¢nihrÚ ™nal…gkioj Ôbrimon ¢lk¾n Kerbšr. Ój ˜£ oƒ œsken ¢delfeÒj: ¢mfˆ d' œkeito boukÒloj EÙrut…wn memorugmšnoj a†mati pollÚ. 'Amfˆ dä crÚsea mÁla teteÚcato marma…ronta `Esper…dwn ¢n¦ pršmnon ¢k»raton: ¢mfˆ d' ¥r' aÙtÚ smerdalšoj dšdmhto dr£kwn: taˆ d' ¥lloqen ¥llai ptèssousai qrasÝn uma DiÕj meg£loio fšbonto. 'En d' ¥r' œhn mšga de‹ma kaˆ ¢qan£toisin „dšsqai Kšrberoj Ón ˜' ¢k£manti Tufwšá ge…nat' ”Ecidna ¥ntr. Øp' ÑkruÒenti, mela…nhj ¢gcÒqi NuktÕj ¢rgalšhj. vO d' ¥r' Ãen ¢eikšliÒn ti pšlwron, ¢mf' ÑloÍsi pÚlVsi poluklaÚtou 'Apdao e‡rgwn nekrÕn Ómilon Øp' ºerÒenti beršqr.: ˜e‹a dš min DiÕj uƒÕj ØpÕ plhgÍsi dam£ssaj Ãge karhbaršonta par¦ StugÕj a„p¦ ˜šeqra, ›lkwn oÙk ™qšlonta b…V prÕj ¢»qea cîron qarsalšwj. 'Etštukto d' ¢pÒproqen ¥gkea makr¦ Kauk£sou: ¢mfˆ dä desm¦ Promhqšoj ¥lludij ¥lla aÙtÍj sÝn pštrVsin ¢narr»xaj ¢raru…Vj làe mšgan TitÁna: lugrÕj dš oƒ ¢gcÒqi ke‹to 247 ¢ndrofÒroi H (fort. -fÒnoi) 250 k£rh dš min W : corr. Rhodomann 253 ™nal…gkioj Ôbrimoj codd. : corr. Rhodomann 263a om. H 270 ¢narr»xaj …ma gu…hj PU : ¢narr»xaj …ma gu…oij DUslQC, recep. Pomp. : corr. Vian

LIBRO SESTO, VV. 243-271

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smaniando di privarla dell’artistico cinto la trascinava per la chioma giù dal veloce cavallo: in disparte le altre Amazzoni tremavano. V’erano quindi, portatrici di lutti in terra di Tracia, le cavalle di Diomede, divoratrici di uomini: presso le odiose greppie le uccise e con esse il re dai pensieri malvagi. V’era poi il corpo dell’invitto Gerione morto presso i bovi: le teste nella polvere giacevano insanguinate, abbattute dalla violenza della clava. Davanti era stato da lui abbattuto il cane più funesto di tutti, Ortro, simile nell’impetuosa potenza all’empio Cerbero, che gli era fratello: accanto giaceva il bovaro Eurizione copiosamente imbrattato di sangue.39 E v’erano effigiati gli aurei pomi splendenti delle Esperidi sul tronco inviolato:40 attorno ad esso era stato abbattuto un orrendo serpente; esse, chi di qua chi di là, nascondendosi fuggivano l’audace figlio del grande Zeus. V’era poi, assai spaventoso a vedersi anche per gl’immortali, Cerbero, che generò Echidna al mai domo Tifeo nell’antro ghiacciato, presso la Notte nera e tremenda. Era questi un mostro obbrobrioso che, sulle porte funeste dell’Ade sonoro di pianti, respingeva la morta compagnia giù nel nebbioso sprofondo: ma facilmente il figlio di Zeus, sottomessolo a forza di colpi, lo conduceva, vacillante, lungo i profondi flutti dello Stige, con audacia e con forza trascinandolo, contro la sua volontà, in un luogo straniero. Altrove41 erano effigiati i vasti gioghi del Caucaso: e da ogni lato le catene di Prometeo egl’infrangeva assieme alle solide rocce, e liberava il gran Titano. Vicino a lui giaceva funesta

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a„etÕj ¢lginÒenti dšmaj beblhmšnoj „Ú. KentaÚrwn d' ™tštukto polusqenšwn mšga k£rtoj ¢mfˆ *Òloio mšlaqron: œrij d' ÑrÒqune kaˆ onoj ¢nt…on `HraklÁi ter£ata ke‹na m£cesqai. Ka… ˜' o‰ män peÚkVsi pšri dmhqšntej œkeinto, t¦j œcon ™n ce…ressi m£chj ¥koj: o‰ d' œti makrÍj dhriÒwnt' ™l£tVsi memaÒtej, oÙd' ¢pšlhgon Øsm…nhj. P£ntwn dä kar»ata deÚeto lÚqr. qeinomšnwn ¢n¦ dÁrin ¢me…licon, æj ™teÒn per: o‡n. d' amma mšmikto, sunhlo…hnto dä p£nta e‡data kaˆ krhtÁrej ™Åxesto… te tr£pezai. Nšsson d' aâq' ˜tšrwqe par¦ ˜Òon EÙhno‹o ke…nhj ™kprofugÒnta m£chj Øped£mnat' ÑostÚ ¢mf' ™ratÁj ¢lÒcoio coloÚmenoj. 'En d' ™tštukto Ñbr…mou 'Anta…oio mšga sqšnoj, Ón ˜a kaˆ aÙtÕn ¢mfˆ palaismosÚnhj ¥moton peridhriÒwnta Øyoà ¢r£menoj kratera‹j sunšaxe cšressi. Ke‹to d' ™pˆ procoÍsin ™ãrrÒou `EllhspÒntou ¢rgalšon mšga kÁtoj ¢meil…ktoisin Ñosto‹j bl»menon: `HsiÒnhj dä kakoÝj ¢pelÚeto desmoÚj. ”Alla d' ¥r' 'Alke…dao qrasÚfronoj ¥speta œrga ¥mfecen EÙrupÚloio diotrefšoj s£koj eÙrÚ. *a…neto d' nsoj ”Arho met¦ st…caj ¢pssonti: Trîej d' ¢mfišpontej ™g»qeon, eât' ™s…donto teÚce£ t' ºd~ kaˆ ¥ndra qeîn ™pieimšnon edoj. TÕn dä P£rij prosšeipen ™potrÚnwn potˆ dÁrin: «Ca…rw se‹o kiÒntoj, ™pe… nÚ moi Ãtor œolpen

274 ¢mfipÒloio codd. : corr. Rhodomann 281 sunhllo…wto d~ codd., serv. Pomp : corr. Zimmermann 288 kraterÍj sunšaxe Tychsen, sequ. Vian, Pomp. 293 ¥mpecen EÙrupÚloio Vian 297 ™potrÚnwn potˆ dÁrin prosšeipen codd. : transp. Zimmermann 298 Ãtor œwlpen codd. : corr. Spitzner

LIBRO SESTO, VV. 272-298

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un’aquila trafitta da freccia dolorosa. Ed era effigiata la grande potenza dei forti Centauri attorno alla dimora di Folo: l’invidia e il vino eccitavano quei mostri a combattere contro Eracle.42 E gli uni giacevano vinti attorno ai tronchi di pino che impugnavano come strumenti di lotta; gli altri, coi grandi tronchi d’abete ancora combattevano smaniosi, né desistevano dalla mischia. Grondavano di lurido sangue le teste di costoro, colpiti nell’aspra contesa, proprio come nella realtà. Il sangue era mischiato al vino, ridotti a cumulo di rovine tutti i cibi, i crateri e i tavoli ben levigati. Da un’altra parte era Nesso, che, sfuggito a quella battaglia, lungo la corrente dell’Eveno egli atterrò col dardo, adirato per l’amata sposa.43 E v’era effigiata la grande forza del possente Anteo: anch’egli infuriava nella lotta, ma Eracle lo stritolò con le possenti braccia dopo averlo sollevato dal suolo.44 Giaceva poi sullo sbocco dell’Ellesponto dalla bella corrente un orrido mostro marino, da frecce crudeli trafitto: ed egli liberava Esione dalle tristi catene.45 Ancora altre superbe imprese dell’intrepido Alcide rivestivano il grande scudo d’Euripilo. Sembrava pari ad Ares, quando si avventa sulle schiere; e i Troiani intorno a lui gioivano, alla vista delle armi e dell’uomo vestito del sembiante degli dèi. [Euripilo e Paride muovono all’assalto. Infuria la battaglia] Allora Paride gli disse, esortandolo alla pugna: «Mi rallegro della tua venuta: ora il mio cuore si aspetta

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'Arge…ouj m£la p£ntaj Ñozurîj ¢polšsqai aÙta‹j sÝn n»essin, ™peˆ brotÕn oÜ pote to‹on œdrakon ™n Trèessin ™ãptolšmois… t' 'Acaio‹j. 'All¦ sÚ, prÕj meg£loio kaˆ Ñbr…mou `HraklÁoj tÚ mšgeqÒj te b…hn te kaˆ ¢glaÕn edoj œoikaj, ke…nou mnwÒmenoj fronšwn t' ¢nt£xia œrga qarsalšwj Trèessi daozomšnoij ™p£munon, ½n pwj ¢mpneÚswmen: ™peˆ sš ge moànon Ñpw ¥steoj Ñllumšnoio kak¦j ¢pÕ KÁraj ¢lšxai». ’H mšg' ™potrÚnwn: · dš min prosefènee mÚq.: «Priam…dh meg£qume, dšmaj mak£ressin ™oikèj, taàta män ¢qan£twn ™nˆ goÚnasin ™st»riktai, Ój ke q£nV kat¦ dÁrin Øpšrbion º sawqÍ. `Hme‹j d', Êj per œoike kaˆ æj sqšnoj ™stˆ m£cesqai, sthsÒmeqa prÕ pÒlhoj: œpeita dä kaˆ tÒd' Ñmoàmai m¾ prˆn Øpostršyein pr…n g' À kt£men À ¢polšsqai». vWj f£to qarsalšwj: Trîej d' ™pˆ makr¦ c£ronto. Kaˆ tÒt' 'AlšxandrÒn te kaˆ A„ne…an ™r…qumon Poulud£mant£ t' ™ãmmel…hn kaˆ P£mmona d‹on DhpfobÒn t' ™pˆ to‹si kaˆ A‡qikon ·j perˆ p£ntwn PaflagÒnwn ™kškasto m£cV œni tlÁnai Ómilon, toÝj …ma lšxato p£ntaj ™pistamšnouj ponšesqai, Óppwj dusmenšessin ™nˆ prètoisi m£cwntai ™n polšm.. M£la d' ðka k…on prop£roiqen Ðm…lou, profronšwj d' o‡mhsan ¢p' ¥steoj. 'Amfˆ dä laoˆ polloˆ ›ponq', æj e‡ te meliss£wn klut¦ fàla šgemÒnessin ˜o‹si dihrefšoj s…mbloio

300 oÜ pw codd. : corr. Rhodomann 306 pwj ¢napneÚswmen codd. : corr. Rhodomann 311 Ój te codd. : corr. Vian, sequ. Pomp.

LIBRO SESTO, VV. 299-325

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che tutti gli Argivi miseramente vadano incontro a rovina con le navi loro, poiché un cosiffatto mortale non ho mai veduto fra i Troiani o gli Achei bellicosi. E tu, in nome del grande e possente Eracle, cui per imponenza, forza e bellezza lucente somigli, memore di lui e pensoso di imprese di eguale valore, audacemente soccorri i Troiani, dei quali il nemico fa strage, se c’è caso di salvarsi: penso infatti che tu solo dalla città che rovina stornerai le Chere malvagie». Così diceva, spronandolo forte; e l’altro gli rispose con questo discorso: «Figlio di Priamo, animo grande, tu che nella persona somigli ai Beati, certo poggiano salde sulle ginocchia dei numi le sorti di chi muore nella pugna violenta e di chi ne scampa; ma noi – poiché si deve né manca lena a combattere –46 ci ergeremo a difesa della città; e poi anche di questo farò voto, di non tornare indietro se non dopo avere ucciso il nemico o aver trovato io stesso la morte». Così disse coraggiosamente; e molto si rallegrarono i Troiani. E allora Alessandro, l’animoso Enea, Polidamante dalla bella lancia, il divino Pammone e, oltre a questi, Deifobo ed Etico, che di tutti i Paflagoni è il migliore a sostenere l’urto nemico in battaglia, tutti questi, rotti ad ogni fatica, egli scelse perché nelle prime file combattessero i nemici in guerra. Rapidissimamente andarono alla testa della schiera, e prontamente si slanciarono fuor della città. Da ambo le parti le truppe in gran numero venivano dietro: come le nobili tribù delle api,47 al seguito dei duci loro, fuori dell’alveare dal duplice tetto

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™kcÚmenai kanachdÒn, Ót' e‡aroj Ãmar †khtai: ìj ¥ra to‹sin ›ponto brotoˆ potˆ dÁrin „oàsi. Tîn d' ¥ra nissomšnwn polÝj a„qšra doàpoj Ñrèrei aÙtîn ºd' †ppwn, perˆ d' œbremen ¥speta teÚch. `Wj d' ÐpÒtan meg£loio b…h ¢nšmoio qoroàsa kin»sV proqšlumnon ¡lÕj buqÕn ¢trugštoio, kÚmata d' ðka kelain¦ prÕj ºiÒnaj boÒwnta fàkoj ¢poptÚwsin ™reugomšnoio klÚdwnoj, ºc¾ d' ¢trugštoisi par' a„gialo‹sin Ôrwren: ìj tîn ™ssumšnwn mšg' Øpšbrace ga‹a pelèrh. 'Arge‹oi d' ¢p£neuqe prÕ te…ceoj ™xecšonto ¢mf' 'Agamšmnona d‹on: ¢ãt¾ d' œpleto laîn ¢ll»loij ™pikeklomšnwn Ñlooà polšmoio ¢nti£an kaˆ m» ti kataptèssontaj ™nip¾n m…mnein p¦r n»essin ™peigomšnwn macšesqai. Trwsˆ d' ¥r' ™ssumšnoisi sun»nteon, eâte bÒessi pÒrtiej ™k xulÒcoio potˆ staqmÕn ™rcomšnVsin ™k nomoà e„arino‹o kat' oÜreoj, ÐppÒt' ¥rourai puknÕn thleq£ousi, brÚei d' …lij ¥nqesi ga‹a, pl»qei d' aâte kÚpella boîn gl£goj ºd~ kaˆ o„în, mukhqmÕj dš te poulÝj Ñr…netai œnqa kaˆ œnqa misgomšnwn, g£nutai dä met¦ sf…si boukÒloj ¢n»r: ìj tîn ¢ll»loisi metessumšnwn ÑrumagdÕj Èrèrei: deinÕn g¦r ¢Åteon ¢mfotšrwqe. SÝn dä m£chn ™t£nussan ¢pe…riton: ™n dä KudoimÕj strwf©t' ™n mšssoisi met' ¢rgalšoio *Ònoio. SÝn d' œpeson ˜ino… te kaˆ œgcea kaˆ truf£leiai plhs…on: ¢mfˆ dä calkÕj ‡son purˆ marma…reske. *r‹xe d' ¥r' ™gce…Vsi m£ch: perˆ d' a†mati p£ntV

326 ™ssÚmenai kanachdÒn codd. : corr. Köchly 327 perˆ dÁrin codd. : corr. Rhodomann 328 ¥ra nisomšnwn Vian

LIBRO SESTO, VV. 326-354

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si riversano in frotta, quando giunge il dì primaverile, così gli uomini seguivano quelli che andavano alla pugna.48 Un grande fragore si levò in cielo, al passaggio di uomini e cavalli, e risuonarono attorno le immense armature. Come quando un gran vento, levatosi impetuoso, agita e sconvolge l’abisso del mare infecondo, e subito fosche ondate urlanti contro le rive rigettano l’alga tra i ruggiti del flutto, e il fragore s’innalza presso le spiagge infeconde; così l’immensa terra fremette all’irromper di quelli. Gli Argivi dinnanzi al muro si riversarono attorno al divino Agamennone: un grido vi fu delle schiere che mutuamente si esortavano ad affrontare la guerra funesta e a non rimpiattarsi di fronte alla minaccia aspettando presso le navi, mentre gli altri s’affrettavano a dare battaglia. E quindi essi andavano incontro ai Troiani moventi all’assalto, come vitelle49 incontro a vacche le quali tornino alla stalla dal bosco, dopo la fresca pastura, su per il monte, quando i campi lussureggiano, la terra s’empie di mille fiori, i mastelli traboccan di latte vaccino ed ovino, e sorgono gran mugghî qua e là, mentre l’armento si riunisce; e nel mezzo s’allieta il pastore; così, quando si scontrarono, un fragore si levò: gridavano terribilmente dall’una parte e dall’altra. Ed ingaggiarono una battaglia infinita: il Tumulto s’aggirava nel mezzo, assieme alla orribile Strage. Si urtarono scudi di cuoio e lance ed elmi in breve spazio: il bronzo attorno scintillava come fiamma. Il campo fu irto di lance: da per tutto

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

deÚeto ga‹a mšlaina daázomšnwn šrèwn †ppwn t' ÈkupÒdwn o† q' …rmasin ¢mfekšcunto, o‰ män œt' ¢spa…rontej Øp' œgcesin, o‰ d' ™fÚperqe p…ptontej: stuger¾ dä di' ºšroj œssut' ¢ãt». 'En g¦r d¾ c£lkeioj ”Erij pšsen ¢mfotšroisi: ka… ˜' o‰ män l£essin ¢tarthrîj ™m£conto, o‰ d' aât' a„ganšVsi ne»kesin ºd~ bšlessin, ¥lloi d' ¢x…nVsi kaˆ ¢mfitÒmoij pelškessi kaˆ kratero‹j xifšessi kaˆ ¢gcem£coij dor£tessin: ¥lloj d' ¥llo cšressi m£chj ¢lkt»rion ece. Prîtoi d' 'Arge‹oi Trèwn êsanto f£laggaj baiÕn ¢pÕ sfe…wn: toˆ d' œmpalin Ðrm»santej a†mati deàon ”Arha met' 'Arge…oisi qorÒntej. EÙrÚpuloj d' ™n to‹si mela…nV la…lapi nsoj laÕn ™póceto p£nta kaˆ 'Arge…ouj ™n£rize qarsalšwj: m£la g£r oƒ £speton êpase k£rtoj ZeÝj ™p…hra fšrwn ™rikudšo `HraklÁi. ”Enq' Ó ge kaˆ NirÁa qeo‹j ™nal…gkion ¥ndra marn£menon Trèessi b£len perim»kei dourˆ baiÕn Øpär prÒtmhsin. vO d' ™j pšdon ½ripe ga…hj: ™k dš oƒ amm' ™cÚqh, deÚonto dš oƒ klut¦ teÚch, deÚeto d' ¢glaÕn edoj …m' eÙqalšessi kÒmVsi. Ke‹to g¦r ™n kon…Vsi kaˆ a†mati kaˆ ktamšnoisin, œrnoj Ópwj ™riqhläj ™la…hj eÙke£toio ¼n te b…h potamo‹o kat¦ ˜Òon ºc»enta sÚn t' ÔcqVj ™l£sVsi bÒqron di¦ p£nta ked£ssaj ˜izÒqen,   d' ¥ra ke‹tai Øp' ¥nqesi bebriqu‹a: ìj tÁmoj NirÁoj ™pˆ cqonÕj ¥speton oâdaj ™xecÚqh dšmaj ºÝ kaˆ ¢gla…h ™ratein».

363 kratero‹si [-Ási H] l£essi codd. : corr. Pauw 366 ¢pÕ sfewn codd. : corr. Rhodomann 370 corr. Spitzner 377 Ke‹to d' ¥r Köchly, sequ. Vian et Pomp. 378 ™la…hj eÙkte£toio W : corr. Scaliger

LIBRO SESTO, VV. 355-383

297

la nera terra s’intrideva del sangue di eroi trucidati e di veloci cavalli che s’erano ammassati attorno ai carri, gli uni ancora dibattendosi per i colpi di lancia, gli altri cadendo loro addosso: per l’aria corse un grido spaventoso. La bronzea Contesa50 si abbatté su entrambi gli eserciti; e così gli uni con pietre combattevano senza pietà, altri con giavellotti appena aguzzati e con dardi, altri ancora con asce e scuri dal duplice taglio e con spade robuste e lance per lo scontro da vicino:51 ognuno impugnava un diverso strumento di lotta. Per primi gli Argivi respinsero le falangi troiane poco lungi da sé; ma quelli, tornati alla carica, insanguinavano il campo, avventandosi sugli Argivi. Euripilo in mezzo a loro, simile a nera tempesta, attaccava ogni schiera e faceva strage di Argivi audacemente, poiché a lui una forza infinita accordò Zeus, ricompensando il glorioso Eracle. Allora egli colpì anche Nireo,52 un uomo simile agli dèi, che si batteva contro i Troiani; lo colpì con l’asta lunghissima poco sopra l’ombelico. E così cadde a terra; gli uscì sangue; si bagnavano le armi gloriose; si bagnava la bella persona, assieme alle chiome fiorenti. Giaceva nella polvere tra sangue e cadaveri, come il florido virgulto di un tenero ulivo che il fiume violento nella corrente sonora trascina assieme alle sponde smottate, dopo averlo tratto su per tutta la buca fin dalla radice, e dunque esso giace, dopo ch’era stato onusto di fiori:53 così allora sull’immensa pianura si prostrò il bel corpo di Nireo col suo splendore che innamora.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

TÚ d' 'Arge…wn polšej fÚgon œndoqi nhîn, Óssouj EÙrÚpuloj mšg' ™póceto pÁma kul…ndwn. Paàroi d' ¢mf' A‡anta kaˆ 'Atršoj ume krataië m…mnon ™n Øsm…nV. Kaˆ d¾ t£ca p£ntej Ôlonto dusmenšwn pal£mVsi peristrefqšntej Ðm…l., e„ m¾ 'Oilšoj uƒÕj ™Åfrona Poulud£manta œgcei tÚye par' ðmon ¢risterÕn ¢gcÒqi mazoà, ™k dš oƒ amm' ™cÚqh, · d' ™c£ssato tutqÕn Ñp…ssw: Dh…fobon d' oÜthse perikleitÕj Menšlaoj dexiterÕn par¦ mazÒn, · d' œkfuge possˆ qoo‹sin: ‰n d' 'Agamšmnwn d‹oj ™n»rato poulÝn Ómilon plhqÚoj ™x ÑloÁj, met¦ d' A‡qikon õceto d‹on qÚwn ™gce…Vsin, · d' e„j ˜t£rouj ¢lšeine. ToÝj d' ÐpÒt' EÙrÚpuloj laossÒoj e„senÒhse cazomšnouj …ma p£ntaj ¢pÕ stugero‹o kudoimoà, aÙt…ka k£llipe laÕn Óson kat¦ nÁaj œlasse, ka… ˜a qoîj o‡mhsen ™p' 'Atršoj ume krataië pa‹d£ te karterÒqumon 'Oálšoj, ·j perˆ män qe‹n œske qoÒj, perˆ d' aâte m£cV œni fšrtatoj Ãen: to‹j œpi kraipnÕj Ôrousen œcwn perim»keton œgcoj. SÝn dš oƒ Ãlqe P£rij te kaˆ A„ne…aj ™r…qumoj, Ój ˜a qoîj A‡anta b£len perim»kei pštrV k¦k kÒruqa krater»n: · d' ¥r' ™n kon…Vsi tanusqeˆj yuc¾n oÜ ti k£pussen, ™pe… nÚ oƒ a‡simon Ãmar ™n nÒst. ™tštukto Kafhr…sin ¢mfˆ pštrVsi: ka… ˜£ min ¡rp£xantej ¢rhpfiloi qer£pontej baiÕn œt' ™mpne…onta fšron potˆ nÁaj 'Acaiîn. Kaˆ tÒt' ¥r' o„èqhsan ¢gakleitoˆ basilÁej 'Atre‹dai: perˆ dš sfin Ñlšqrioj †staq' Ómiloj

500 d¾ tÒte 'Arge…wn codd. : corr. Spitzner 501 kàma kul…ndwn codd. : corr. Rhodomann 502 ¢mf' a‡anti Pac H : ¢mf' a‡ante Ppc : ¢mf' a‡anta Npc REAld 519 kraipnÕn codd. Pomp. servavit, adverbium id reputans : corr. Rhodomann quem probat Vian 523 oÜ ti k£ptusen codd. : corr. Rhodomann

LIBRO SESTO, VV. 500-528

307

allora molti degli Argivi fuggirono dentro alle navi, tutti quelli che Euripilo attaccava rovesciandovi addosso una grande rovina.71 Pochi attorno ad Aiace e ai due possenti figli di Atreo resistevano nella mischia. E tutti presto sarebbero morti per mano dei nemici, che li avrebbero circondati in massa, se il figlio d’Oileo non avesse colpito il buon Polidamante di lancia presso all’omero sinistro, vicino alla mammella: gli sgorgò sangue, ed egli indietreggiò di poco; allora l’illustre Menelao ferì Deifobo presso alla mammella destra, e questi fuggì coi piedi veloci. Ecco dunque72 che il divino Agamennone sterminò una vasta schiera della moltitudine funesta, ed inseguiva il divino Etico infuriando con la lancia,73 e quello si rifugiava presso ai compagni. Ma quando Euripilo, incitatore di eserciti, li vide tutti insieme ritirarsi dall’orrendo tumulto, subito lasciò andare la gente nemica che stava ricacciando alle navi, e rapido si avventò sui possenti figli di Atreo e sull’audace ragazzo di Oileo, che a correre era molto veloce, ma che anche in battaglia era fortissimo: su di loro si slanciò fulmineo74 con la picca lunghissima. Si unì a lui Paride e l’animoso Enea, che rapido colpì Aiace con un’enorme pietra sull’elmo robusto; ma costui, steso nella polvere, non esalò l’anima, poiché il suo giorno fatale lo attendeva presso agli scogli del Cafareo sulla via del ritorno: e così gli scudieri, cari ad Ares, avendolo afferrato che ancora aveva un alito di vita, lo portarono alle navi degli Achei. Rimasero allora soli gl’illustri re figli di Atreo: attorno a loro si stringeva una torma funesta

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ballÒntwn ˜k£terqen Ó ti sqšne cersˆn ˜lšsqai: o‰ män g¦r stonÒenta bšlh cšon, o‰ dš nu l©aj, ¥lloi d' a„ganšaj. Toˆ d' ™n mšssoisin ™Òntej strwfînt', eâte sÚej mšs. ›rkei º~ lšontej ½mati tÚ Ót' ¥naktej ¢oll…ssws' ¢nqrèpouj, ¢rgalšwj d' e„lîsi kakÕn teÚcontej Ôleqron qhrsˆn ØpÕ kratero‹j, o‰ d' ›rkeoj ™ntÕj ™Òntej dmîaj dard£ptousin, Ó t…j sfisin ™ggÝj †khtai: ìj o† g' ™n mšssoisin ™pessumšnouj ™d£ozon. 'All' oÙd' ïj mšnoj econ ™eldÒmeno… per ¢lÚxai, e„ m¾ Teàkroj †kane kaˆ 'IdomeneÝj ™r…qumoj MhriÒnhj te QÒaj te kaˆ „sÒqeoj Qrasum»dhj, o† ˜a p£roj fobšonto qrasÝ sqšnoj EÙrupÚloio, ka… ke fÚgon kat¦ nÁaj ¢leu£menoi barÝ pÁma, e„ m¾ ¥r' 'Atre…dVsi peridde…santej †konto ¥nthn EÙrupÚloio: m£ch d' ¢…dhloj ™tÚcqh. ”Enqa tÒt' A„ne…ao kat' ¢sp…doj œgcoj œreise Teàkroj ™ãmmel…hj: toà d' oÙ crÒa kalÕn ‡ayen: ½rkese g£r oƒ pÁma s£koj mšga tetrabÒeion: ¢ll¦ kaˆ ïj de…saj ¢nec£ssato tutqÕn Ñp…ssw. MhriÒnhj d' ™pÒrousen ¢mÚmoni LaofÒwnti Paion…dV tÕn ™ge…nat' ™ãplÒkamoj Kleom»dh 'Axioà ¢mfˆ ˜šeqra, k…en d' Ó ge ”Ilion ƒr¾n Trwsˆn ¢rhxšmenai met' ¢mÚmonoj 'Asteropa…ou: tÕn d' Ó ge MhriÒnhj nÚx' œgcei ÑkriÒenti a„do…wn ™fÚperqe: qoîj dš oƒ e‡rusen a„cm¾ œgkata: toà d' êkista potˆ zÒfon œssuto qumÒj. A‡antoj d' ¥r' ˜ta‹roj 'Ooli£dao dapfrwn 'Alkimšdwn ™j Ómilon ™ãsqenšwn b£le Trèwn: Âke d' ™peux£menoj dh…wn ™j fÚlopin a„n¾n

529 Ó t' œsqene codd. : corr. Köchly 533 ¥naktej ¢oll…ssous' W : corr. Rhodomann 537 ™pessumšnwj ™d£izon codd. : corr. Rhodomann 544 ¢r…dhloj ™tÚcqh codd. : corr. Spitzner 557 'Alkimšdhj ™j codd. : corr. Zimmermann

LIBRO SESTO, VV. 529-558

309

di gente che d’ambo le parti lanciava ciò che riusciva a ghermire: gli uni facevano piovere dardi forieri di pianto, gli altri pietre, altri ancora giavellotti. Ma quelli stando nel mezzo ruotavano, come cinghiali o leoni nel centro del recinto quando i signori radunano uomini e crudelmente li fanno girare, procurando loro una fine orrenda per opera di fiere possenti che, stando nel recinto, divorano qualsiasi prigioniero si avvicini:75 così quelli nel mezzo fanno a brani gli assalitori. Ma neppur così avrebbero avuto la forza di salvarsi, pur volendolo, se non fossero giunti Teucro e l’animoso Idomeneo e Merione e Toante e Trasimede, pari ad un dio, i quali prima temevano l’audace forza di Euripilo e sarebbero fuggiti verso le navi, scampando a grave sciagura, se, temendo per gli Atridi, non fossero giunti dinnanzi ad Euripilo: la battaglia fu atroce. Allora contro lo scudo di Enea spinse la lancia di solido frassino Teucro, non attinse però il suo bel corpo: il grande scudo di quadruplice pelle bovina gli allontanò la sciagura, tuttavia, impaurito, arretrò un poco. Quindi Merione si avventò sull’ottimo Laofoonte, figlio di Peone, che generò Cleomede dalle belle chiome presso i flutti dell’Axio; egli raggiunse la sacra Ilio per soccorrere i Troiani assieme all’ottimo Asteropeo; ma Merione lo colpì con la lancia aguzza sopra le pudenda: la punta subito gli strappò i visceri: immediatamente la sua anima si precipitò nel buio. Allora il bellicoso compagno d’Aiace d’Oileo, Alcimedonte, si lanciò verso la schiera dei forti Troiani; e, invocati gli dèi, gettò con la fionda sull’orribile turba nemica

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

sfendÒnV ¢lginÒenta l…qon: di¦ d' œtresan ¥ndrej ˜o‹zon Ðmîj kaˆ l©a peridde…santej „Ònta. TÕn d' Ñlo¾ fšre Mo‹ra potˆ qrasÝn šniocÁa P£mmonoj `Ippas…dhn, tÕn ¥r' šn…a cersˆn œconta plÁxe kat¦ krot£foio, qoîj dš min œkbale d…frou prÒsqen ˜o‹o troco‹o: qoÕn dš oƒ …rma pesÒntoj lugrÕn ™pissètroisi dšmaj diel…sset' Ñp…ssw †ppwn ƒemšnwn: q£natoj dš min a„nÕj ™d£mna ™ssumšnwj m£stiga kaˆ šn…a nÒsfi lipÒnta. P£mmoni d' œmpese pšnqoj: ¥far dš qÁken ¢n£gkh ¥mfw kaˆ basilÁa kaˆ šnioce‹n qoÕn …rma: ka… nÚ ken aÙtoà kÁra kaˆ Ûstaton Ãmar ¢nštlh, e„ m» oƒ Trèwn tij ¢n¦ klÒnon aƒmatÒenta šn…a dšxato cersˆ kaˆ ™xes£wsen ¥nakta ½dh teirÒmenon dh…wn ÑloÍsi cšressin. 'Ant…qeon d' 'Ak£manta katant…on ¢pssonta Nšstoroj Ôbrimoj uƒÕj Øpär gÒnu doÚrati tÚyen, ›lkei d' oÙlomšn. stuger¦j ØpedÚsat' ¢n…aj: c£ssato d' ™k polšmoio, l…pen d' ˜t£roisi kudoimÕn dakruÒent': oÙ g£r oƒ œti ptolšmoio mem»lei. Kaˆ tÒte d¾ qer£pwn ™rikudšoj EÙrupÚloio tÚye QÒantoj ˜ta‹ron ™cšfrona Dhoop…thn êmou tutqÕn œnerqe: perˆ krad…hn dš oƒ œgcoj mxen ¢nihrÒn: sÝn d' a†mati k»kien ƒdrëj yucrÕj ¢pÕ melšwn. Ka… min strefqšnta fšresqai e„sop…sw katšmarye mšga sqšnoj EÙrupÚloio, kÒye dš oƒ qo¦ neàra: pÒdej d' ¢škontej œmimnon aÙtoà, ÓpV min tÚye: l…pen dš min ¥mbrotoj a„èn.

568 corr. Rhodomann 569 šn…ocon qoÕn …rma codd. : corr. Brodeau | šn…ocon qoÕn ennai coni. Zimmermann 576 ØpedÚset' ¢n…aj Vian 580 ˜ta‹ron ™cšmmona codd. : corr. Zimmermann | ˜ta‹ron ™cšmmona dhiotÁta H 582 k»cien ƒdrëj P : k…en ƒdrëj H : corr. Rhodomann 585 ¢kšontej œmimnon codd. : corr. Rhodomann

LIBRO SESTO, VV. 559-586

311

un masso foriero di dolore. Tremarono gli uomini, temendo il sibilo e il masso che si avvicinava. La funesta Sorte lo diresse contro l’audace auriga76 di Pammone Ippaside e, mentr’egli impugnava le redini, lo colpì alla tempia e subito lo sbalzò dal cocchio davanti ad una ruota: il carro veloce, dopo che cadde, gli passò sul misero corpo coi cerchioni, mente all’indietro si gettavano i cavalli:77 un’orribile morte lo fece perire non appena abbandonò la frusta e le redini lontano. Il dolore invase Pammone, ma subito la necessità lo rese insieme signore ed auriga del carro veloce:78 avrebbe allora subíto il suo fato e veduto il giorno estremo, se uno dei Troiani, nella mischia cruenta, non avesse afferrato le redini e salvato il principe già oppresso dalle mani funeste dei nemici. Il divino Acamante, che gli si lanciava contro, fu colpito di lancia, sopra il ginocchio, dal possente figlio di Nestore, e per la ferita rovinosa patì dolori atroci: si ritirò dalla guerra e lasciò ai compagni il tumulto luttuoso: non gl’importava più della guerra. Allora uno scudiero del glorioso Euripilo colpì Deiopite, saggio compagno di Toante, poco sotto la spalla: presso al cuore la lancia dolorosa lo raggiunse: col sangue sgorgava sudore freddo dalle membra. E, giratosi per trarsi indietro, fu ghermito dal forte Euripilo, che gli spezzò i tendini veloci: i piedi, loro malgrado, ristettero là dove lo colpì; la vita immortale79 lo abbandonò.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

'Essumšnwj dä QÒaj nÚxen P£rin Ñxšo dourˆ dexiterÕn kat¦ mhrÒn: · d' õceto tutqÕn Ñp…ssw o„sÒmenoj qo¦ tÒxa t£ oƒ metÒpisqe lšleipto. 'IdomeneÝj d' ¥ra l©an, Óson sqšne, cersˆn ¢e…raj k£bbalen EÙrupÚloio brac…ona: toà dä cam©ze k£ppese lo…gion œgcoj: ¥far d' ¢nec£ssat' Ñp…ssw o„sšmen ™gce…hn: t¾n g£r ¢p' ”Argeoj Ãlqen ØpÕ Sqenšl. basilÁi: tÕn b£len a„ganšV neoqhgšá pollÕn Ñp…ssw feÚgont' ™k polšmoio tucën ØpÕ ne…ata kn»mhj dexiterÁj: a„cm¾ dä di¦ platÝ neàron œkersen ¥ntikru ƒemšnh, par¦ d' œqrisen Ñstša fwtÕj ¢rgalšwj: ÑdÚnV d' ™m…gh mÒroj, œfqito d' ¢n»r. –An dä P£rij MÒsunÒn t' œbalen kaˆ ¢g»nora *Òrkun, ¥mfw ¢delfeioÚj, o† t' ™k Salam‹noj †konto A‡antoj n»essi kaˆ oÙkšti nÒston ›lonto. To‹si d' ™pˆ KleÒlaon ™ån qer£ponta Mšghtoj emle balën kat¦ mazÕn ¢risterÒn: ¢mfˆ dš min nÝx m£rye kak¾ kaˆ qumÕj ¢pšptato: toà dä damšntoj œndon ØpÕ stšrnoisin œti krad…h ¢legein¾ tarfša pallomšnh pterÒen pelšmixe bšlemnon. ”Allon d' „Õn ¢fÁken ™pˆ qrasÝn 'Het…wna ™ssumšnwj: toà d' aya di¦ gnaqmo‹o pšrhse calkÒj: · dä ston£chse: m…gh dš oƒ a†mati d£kru.

616 o‰ d Muk»nhn W, serv. Vian et Pomp. : corr. West 617 õkeon W, serv. Vian et Pomp. : corr. West 619 corr. Pauw 625 corr. Zimmermann 629 corr. Rhodomann 631 mÒnusÒn t' œbalen codd. : corr. Lasc². 638 pelšmize bšlemnon malit Vian (cfr N 443 vl) 639 ‰r Âken ™pˆ W : corr. Rhodomann

LIBRO SESTO, VV. 613-641

315

Gettarono molti nella polvere, benché smaniassero di fuggire dalla lugubre minaccia dell’eccidio funesto. Euripilo uccise l’ottimo Bucolione e Niso e Cromio e Antifo, che Micene abitava, ricca città, mentre gli altri abitavano Sparta: tutti costoro ammazzò, guerrieri assai rinomati. Di quella moltitudine fece perire innumeri schiere di uomini, quanti non ho la forza di cantare, pur volendolo, neppure se avessi un cuore di ferro nel petto.80 Ed Enea uccise Ferete e Antimaco, entrambi venuti da Creta con Idomeneo. Quindi il divino Agenore uccise l’ottimo Molo, che venne da Argo sotto gli ordini di Stenelo:81 lo colpì con un dardo acuminato mentre assai lungi dalla battaglia si ritraeva fuggendo, e lo raggiunse al basso dello stinco destro: la punta tagliò l’ampio tendine, trapassandolo da parte a parte, e spezzò le ossa dell’eroe crudelmente: la morte si mescolò al dolore e l’uomo perì. E subito dopo Paride colpì Mosino e il superbo Forco, due fratelli che erano giunti da Salamina con le navi di Aiace e non fecero più ritorno. Oltre a questi Cleolao, valente scudiero di Meghete, fece morire, colpendolo alla mammella sinistra: da ogni parte la notte maligna lo ghermì e l’anima volò via, ma, dopo che fu abbattuto, il cuore ancora sofferente nel petto palpitando veloce fece oscillare il dardo alato. Un’altra freccia scagliò contro Eezione, di colpo: trapassò all’istante la sua mascella il bronzo: quello gettò un lamento, e il pianto si mischiò al sangue.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

”Alloj d' ¥llon œpefne: polÝj d' ™ste…neto cîroj 'Arge…wn „lhdÕn ™p' ¢ll»loisi pesÒntwn. Ka… nÚ ke d¾ tÒte Trîej ™nšprhsan purˆ nÁaj, e„ m¾ nÝx ™pÒrouse baqe…hn ºšr' ¥gousa. C£ssato d' EÙrÚpuloj, sÝn d' ¥lloi Trèioi umej nhîn baiÕn ¥pwqe potˆ proco¦j SimÒentoj, Âc… per aâlin œqento geghqÒtej. O‰ d' ™nˆ nhusˆn 'Arge‹oi go£askon ™pˆ yam£qoisi pesÒntej, poll¦ m£l' ¢cnÚmenoi ktamšnwn Ûper, oÛnek' ¥r' aÙtîn polloÝj ™n kon…Vsi mšlaj ™kic»sato pÒtmoj.

644 ke tÒte W : ke d¾ tÒte R et Pauw 649 post hunc versum versus 1-42 septimi libri transtulerunt UQ

LIBRO SESTO, VV. 642-651

317

Chi uccise uno, chi un altro: il vasto campo si riempiva degli Argivi che in massa cadevano l’uno sull’altro. Allora i Troiani avrebbero dato fuoco alle navi, se non fosse sopraggiunta la notte portando una profonda oscurità.82 Euripilo, e con lui i figli dei Troiani, si allontanò un poco dalle navi, verso le correnti del Simoenta, dove si accamparono lieti. Invece presso le navi quegli altri, gli Argivi, gettati sulla sabbia, non smettevano di piangere, affliggendosi molto per i caduti, poiché tanti di loro il nero destino raggiunse nella polvere.

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LIBRO SETTIMO traduzione e note di Daniele Mazza

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’Hmoj d' oÙranÕj ¥stra katškrufen, œgreto d' 'Hëj lamprÕn pamfanÒwsa, knšfaj d' ¢nec£ssato nuktÒj, d¾ tÒt' ¢r»ioi umej ™usqenšwn 'Arge…wn, o‰ m~n œban prop£roiqe neîn krater¾n ™pˆ dÁrin ¢nt…on EÙrupÚloio memaÒtej, o‰ d' ¢p£terqen aÙtoà p¦r n»essi Mac£ona tarcÚsanto Nirša q' ·j mak£ressin ¢eigenšessin ™ókei k£lleÈ t' ¢glaÈV te, b…V d' oÙk ¥lkimoj Ãen: oÙ g¦r …m' ¢nqrèpoisi qeoˆ telšousin …panta, ¢ll' ™sqlÚ kakÕn ¥gci par…statai œk tinoj a‡shj: ìj NirÁi ¥nakti par' ¢glaÈV ™rateinÍ ke‹t' ¢lapadnosÚnh. Danaoˆ dš oƒ oÙk ¢mšlhsan, ¢ll£ ˜ tarcÚsanto kaˆ ÈdÚrant' ™pˆ tÚmb., Óssa Mac£ona d‹on ·n ¢qan£toij mak£ressin nson ¢eˆ t…eskon, ™peˆ klut¦ m»dea Édh. 'All' Ót' ¥r' ¢mfotšroij tuktÕn perˆ sÁm' ™b£lonto, d¾ tÒt' ¥r' ™n ped…. œti ma…neto lo…gioj ”Arhj: ðrto d' ¥r' ¢mfotšrwqe mšgaj kÒnaboj kaˆ ¢ut», ˜hgnumšnwn l£essi kaˆ ™gce…Vsi boeiîn. Ka… ˜' o‰ m~n ponšonto polukm»t. Øp' ”Arhi: nwlemšwj d' ¥r' ¥pastoj ™dhtÚoj ™n kon…Vsi ke‹to mšga sten£cwn Podale…rioj. OÙd' Ó ge sÁma le‹pe kasign»toio: nÒoj dš oƒ Ðrma…neske cersˆn ØpÕ sfetšrVsin ¢nhlegšwj ¢polšsqai: ka… ˜' Ðt~ m~n b£le ce‹raj ™pˆ x…foj, ¥llote d' aâte 15 tukt¦ codd. : pukn¦ Lpr : corr. Rhodomann 16 ¥lla g¦r PD : ¢ll¦ g¦r Hc et recc. : ¢ll' Óte d¾ Zimmermann3-4 : corr. Vian | taÙtÕn codd. : cutÕn Zimmermann : corr. Vian 22 Ó ge pÁma H

[Dolore, fra i Greci, per la morte di Nireo e Macaone. Parole di Nestore]1 Allorché il cielo ascose le stelle, e si levò l’Aurora radiosamente splendente, e dileguò la caligine della notte, allora i figli marziali degli Argivi possenti2 si partirono dalle navi, di strenua lotta contro Euripilo vaghi; ma alcuni di loro, in disparte, restavano presso alle navi a seppellire Macaone3 e Nireo, che somigliava agli dèi in eterno viventi per bellezza e per grazia, ma non primeggiava in prestanza;4 né ai mortali gli dèi compiono pienezza d’ogni bene, ma, secondo una sorte, a bene male si affianca:5 così per Nireo sovrano fralezza si univa ad amabile fascino.6 Né lo trascurarono i Danai, ma lo seppellirono e lo piansero sul sepolcro, tanto quanto Macaone divino, che sempre al pari degli immortali beati onoravano, ché consigli sapeva di rinomata saggezza.7 Ma quando il sepolcro ebbero eretto su entrambi,8 nel campo ormai impazzava Ares funesto: si levava da ambo le parti grande clangore e strepito, al frangersi degli scudi sotto le pietre ed i dardi. E quelli pativano ad opera di Ares travaglioso: ma senza sosta, digiuno di cibo, nella polvere prono, molto gemendo giaceva Podalirio.9 Non lasciava infatti il tumulo del fratello: la sua mente agitava il pensiero di perire di propria mano, atrocemente: ed ora portava la mano alla spada, ora domandava

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d…zeto f£rmakon a„nÒn. `Eoˆ dš min enrgon ˜ta‹roi poll¦ parhgoršontej: · d' oÙk ¢pšlhgen ¢n…hj, ka… nÚ ke qumÕn ˜Ísin Øpaˆ pal£mVsin Ôlessen ™sqloà ¢delfeio‹o neokm»t. ™pˆ tÚmb., e„ m¾ Nhlšoj uƒÕj ™pškluen. OÙd' ¢mšlhsen a„nîj teiromšnoio: k…cen dš min ¥llote mšn pou ™kcÚmenon perˆ sÁma polÚstonon, ¥llote d' aâte ¢mfˆ k£rh ceÚonta kÒnin kaˆ st»qea cersˆ qeinÒmenon kraterÍsi kaˆ oÜnoma kikl»skonta omo kasign»toio: peristen£conto d' ¥nakta dmîej sÚn ™pˆ ce‹raj o‡h Mo‹ra t…qhsi kaˆ oÙc ÐrÒws' ¢p' 'OlÚmpou ™j ga‹an prophsi: t¦ d' ¥lludij ¥lla fšrontai pnoiÍ ìj ¢nšmoio: kaˆ ¢nšri poll£kij ™sqlÚ ¢mfecÚqh mšga pÁma, lugrÚ d' ™pik£ppesen Ôlboj oÜ ti ˜kèn. 'AlaÕj d~ pšlei b…oj ¢nqrèpoisi: toÜnek' ¥r' ¢sfalšwj oÙ n…setai, ¢ll¦ pÒdessi pukn¦ potipta…ei: tršpetai dš oƒ a„Òlon endoj ¥llote m~n potˆ pÁma polÚstonon, ¥llote d' aâte e„j ¢gaqÒn. MerÒpwn d~ panÒlbioj oÜ tij ™tÚcqh ™j tšloj ™x ¢rcÁj: ˜tšr. d' ›ter' ¢ntiÒwsi. Paàron d~ zèontaj ™n ¥lgesin oÜ ti œoike zwšmen: œlpeo d' a„~n ¢re…ona mhd' ™pˆ lugrÚ qumÕn œcein. Kaˆ g£r ˜a pšlei f£tij ¢nqrèpoisin 57 œzeen e„sšti H 64 oÙdš ti codd. : corr. Spitzner 66 ¢khcšmenoj P 68 corr. Lascar 69 ™ktelšsantej W : ™ktelšsantaj Bruxell. 2946 et Rhodomann 70 ¼n P : e„j ¼n H : corr. Köchly | tij ›kaston P. 72 Mo…rhj e„j codd. : corr. Rhodomann 74 add. Köchly 77 pnoÁ P : pnoi« H : corr. Bonitz 79 oÙk e„kèj. ¢laÕj d~ Zimmermann | ¥lloj d~ codd. : corr. Lobeck 86 œlpee d' a„~n codd. : corr. Hermann

LIBRO SETTIMO, VV. 57-87

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pianto ancora scorreva e bagnava le gote splendenti. «Padre, ad inesausto dolore è preda l’animo mio, per il fratello sapiente, che nel suo abbraccio mi crebbe, poi che il padre fu assunto in cielo,19 come fossi suo figlio, ed i rimedi ai morbi mi insegnò, ché di cuore m’amava: una la mensa, uno il giaciglio a cui ci ristoravamo, godendo di beni comuni. Ed ora dolore insanabile m’invade:20 più non desidero, poi ch’egli è morto, vedere il dolce lume». Così disse: e il vegliardo rispose all’afflitto: «A tutti gli uomini assegnò il cielo, comune malanno, la perdita di chi si ama:21 la terra anzi ricoprirà noi tutti, ma non avrà, la vita, lo stesso cammino compiuto, né quello che ciascuno desidera, poiché in cielo beni e mali giacciono sulle ginocchia degli dèi,22 alla rinfusa rimestati dalle Moire. E nessuno degli immortali li contempla, ma restano invisibili, avvolti da prodigiosa caligine:23 la mano stende su essi il Destino24 soltanto, e dall’Olimpo, senza uno sguardo, in terra li scaglia.25 E si disperdono per destinazioni diverse, come portati dal soffio del vento: e spesso su un uomo eccellente si abbatte gran rovina, mentre addosso al vile piove ogni bene, senza un disegno. Cieca è la vita degli uomini: per questo non con sicurezza incede, ma con i piedi di frequente incespica; si volge la sua figura mutevole a volte a sventura echeggiante di pianto, altre invece ad un bene.26 Ma mai un mortale vi fu in tutto beato, fino alla fine, da che nacque:27 ciascuno in casi diversi s’imbatte. Ma poiché breve è l’esistenza, non conviene in pena trascorrerla: aspettati sempre caso migliore, né al lutto rivolgere l’animo. Poi, voce circola tra gli uomini

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™sqlîn m~n n…sesqai ™j oÙranÕn ¥fqiton a„eˆ yuc£j, ¢rgalšwn d~ potˆ zÒfon. ”Epleto d' ¥mfw se‹o kasign»t., kaˆ me…licoj œske broto‹si kaˆ p£ij ¢qan£toio: qeîn d' ™j fàlon Ñpw ke‹non ¢nelqšmenai sfetšrou patrÕj ™nnes…Vsin». vWj e„pèn min œgeiren ¢pÕ cqonÕj oÙk ™qšlonta parf£menoj mÚqoisin: ¥gen d' ¢pÕ s»matoj a„noà ™ntropalizÒmenon kaˆ œt' ¢rgalša sten£conta. 'Ej d' ¥ra nÁaj †konto: pÒnon d' œcon ¥lloi 'Acaioˆ ¢rgalšon kaˆ Trîej Ñrinomšnou polšmoio. EÙrÚpuloj d' ¢t£lantoj ¢teirša qumÕn ”Arhi cersˆn Øp' ¢kam£toisi kaˆ œgceï maimèwnti d£mnato d»ia fàla. Nekrîn d' ™ste…neto ga‹a kteinomšnwn ˜k£terqen: · d' ™n nekÚessi bebhkëj m£rnato qarsalšwj pepalagmšnoj a†mati ce‹raj kaˆ pÒdaj. OÙd' ¢pšlhgen ¢tarthro‹o kudoimoà: ¢ll' Ó ge Phnšlewn kraterÒfrona dourˆ d£massen ¢ntiÒwnt' ¢n¦ dÁrin ¢me…licon, ¢mfˆ d~ polloÝj œktanen: oÙd' Ó ge ce‹raj ¢pštrepe dhiotÁtoj, ¢ll' ›pet' 'Arge…oisi coloÚmenoj, eâte p£roiqen Ôbrimoj `Hraklšhj *olÒhj ¢n¦ makr¦ k£rhna KentaÚroij ™pÒrousen ˜Ú mšga k£rteï qÚwn, toÝj …ma p£ntaj œpefne kaˆ Èkut£touj per ™Òntaj kaˆ krateroÝ Ñlooà te da»monaj „wcmo‹o: ìj Ó g' ™passÚteron Danaîn stratÕn a„cmht£wn d£mnat' ™pessÚmenoj: toˆ d' „ladÕn ¥lloqen ¥lloj ¢qrÒoi ™n kon…Vsi dedoupÒtej ™xecšonto. `Wj d' Ót' ™pibr…santoj ¢peires…ou potamo‹o

94 ¥gan d' codd. : corr. Rhodomann | ¢pÕ p»matoj codd. : corr. Rhodomann 97 ¢rgalšwj codd. : corr. Pauw | Ñrnumšnou codd. : corr. Rhodomann 111 krateroà codd. : corr. Rhodomann | da»monoj P

LIBRO SETTIMO, VV. 88-115

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che sempre le ombre dei magnanimi al cielo in eterno durevole si incamminino, alle tenebre quelle dei tristi.28 Fu ad un tempo tuo fratello dolce conforto ai mortali,29 e figlio ad un immortale: credo che la schiera degli dèi abbia raggiunto, per intervento di vostro padre».30 Così parlato, a forza lo sollevava da terra, con detti incoraggiandolo: lo traeva via dal luttuoso sepolcro che si guardava indietro e ancora miseramente gemeva. Giunsero dunque alle navi: intanto pene pativano gli altri Achei ed i Troiani, tremende, per il divampare della battaglia.

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[Imprese di Euripilo] Euripilo, che Ares nell’indomito cuore eguagliava, sotto alle instancabili mani ed alla lancia bramosa di lotta abbatteva fila nemiche. Ingombra di salme era la terra di morti d’ambe le schiere: ma quello, fattosi strada tra i corpi, arditamente si batteva, lordo braccia e gambe di sangue. Né poneva fine ad amaro scontro: ma abbatté con la lancia Peneleo magnanimo che gli s’oppose nell’amara contesa,31 ed attorno molti altri uccise; e non distoglieva le mani dalla pugna, ma gli Argivi braccava furioso, come un tempo Eracle valoroso sulle alte giogaie di Foloe incalzava i Centauri,32 molto esacerbato nel cuore, e tutti quanti li sterminò, pur se rapidissimi erano e possenti, ed esperti di rovinosa battaglia. Così il folto esercito dei Danai armati di lancia abbatteva slanciandosi: da ogni parte ammassati copiosi giacevano, nella sabbia riversi, i caduti. Come quando allo sfrenarsi di un fiume smisurato

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Ôcqai ¢potm»gontai ™pˆ yamaqèdeï cèr. mur…ai ¢mfotšrwqen, · d' e„j ¡lÕj œssutai ondma pafl£zwn ¢legeinÕn ¢n¦ ˜Òon, ¢mfˆ d~ p£ntV krhmnoˆ ™piktupšousi, bršmei d' ¥ra makr¦ ˜šeqra a„~n ™reipomšnwn, e‡kei dš oƒ ›rkea p£nta: ìj ¥ra kÚdimoi umej ™ãptolšmwn 'Arge…wn polloˆ Øp' EÙrupÚloio kat»ripon ™n kon…Vsi, toÝj k…cen aƒmatÒenta kat¦ mÒqon: o‰ d' Øp£luxan Óssouj ™xes£wse podîn mšnoj. 'All' ¥ra kaˆ ïj Phnšlewn ™rÚsanto dushcšoj ™x Ðm£doio nÁaj ™pˆ sfetšraj, ka… per posˆ karpal…moisi kÁraj ¢leuÒmenoi stuger¦j kaˆ ¢nhlša pÒtmon. Pansud…V d' œntosqe neîn fÚgon: oÙdš ti qumÚ œsqenon EÙrupÚloio katant…a dhri£asqai, oÛnek' ¥r£ sfisi fÚzan Ñozur¾n ™fšhken `Hraklšhj uƒwnÕn ¢teirša p£mpan ¢šxwn. O‰ d' ¥ra te…ceoj ™ntÕj Øpoptèssontej œmimnon, angej Ópwj ØpÕ prîna fobeÚmenai a„nÕn ¢»thn Ój te fšrei nifetÒn te polÝn kruer»n te c£lazan yucrÕj ™papsswn, taˆ d' ™j nomÕn ™ssÚmena… per ˜ipÁj oÜ ti katiqÝj ØperkÚptousi kolènaj, ¢ll' ¥ra ce‹ma mšnousin ØpÕ skšpaj ºd~ f£raggaj ¢grÒmenai, q£mnoisi d' ØpÕ skiero‹si nšmontai „ladÒn, Ôfr' ¢nšmoio kakaˆ l»xwsin ¥ellai: ìj Danaoˆ pÚrgoisin ØpÕ sfetšroisin œmimnon Thlšfou Ôbrimon uma metessÚmenon tromšontej. AÙt¦r · nÁaj œmelle qo¦j kaˆ laÕn Ñlšssein cersˆn ØpÕ kraterÍsin ™pˆ cqÒna te‹coj ™rÚssaj, e„ m¾ Tritogšneia qr£soj b£len 'Arge…oisin

116 yamèdeï cèr. H 125 phnšlwn ™rÚsato P : phnšlewn ™xerÚsanto H 135 yucrÕn Köchly 138 q£mnoisin ØpÕ codd. : corr. Köchly 142 aÙt¦r kaˆ H

LIBRO SETTIMO, VV. 116-143

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rovinano gli argini su contrada sabbiosa,33 d’ambo i lati, per lunghissimo tratto, e quello al flutto si slancia del mare ribollendo nella rovinosa corrente, e tutt’attorno rimbombano le sponde, e dilaga il suo lungo corso gorgogliando sulle frane che si succedono, ogni sbarramento ne è sbaragliato; così dunque gl’incliti figli degli Argivi valorosi in gran numero s’accasciarono nella polvere sotto i colpi di Euripilo, quelli che colse nella sanguinosa battaglia: scamparono quanti salvò gagliardia delle gambe. Ma anche così Peneleo trascinarono dalla mischia dal cupo rimbombo fino alle navi, benché con celere piede badassero a schivare l’odiosa Chera ed un destino spietato. Tutti quanti al riparo delle navi fuggirono: né valsero nell’animo loro ad affrontare Euripilo in battaglia, poiché su loro suscitò misera fuga Eracle,34 per onorare grandemente l’indomito nipote. Quelli dunque al riparo del muro indugiavano, scrutando furtivi, come capre sotto a una rupe,35 impaurite da crudo vento che porta molta neve e gelida grandine col suo freddo soffio,36 e quelle pur bramando il pascolo37 non escono sul dorso del monte in faccia al vento, ma aspettano che passi la tempesta, sotto ricoveri e nelle forre raccogliendosi, e sotto a ombrosi cespugli fanno dimora a gruppi, fino a che non cessino le ardue raffiche di vento; così i Danai attendevano al riparo dei loro bastioni tremando alle cariche del valoroso figlio di Telefo. Ma ormai egli avrebbe rapide navi ed esercito annientato, con le mani possenti atterrando la cinta, se la Tritonide non avesse ispirato valore agli Argivi,

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Ñyš per. O‰ d' ¥llhkton ¢f' ›rkeoj a„peino‹o dusmenšaj b£llontej ¢nihro‹j belšessi kte‹non ™passutšrouj: deÚonto d~ te…cea lÚqr. leugalš.: stonac¾ d~ daïktamšnwn pšle fwtîn. AÛtwj d' aâ nÚktaj te kaˆ ½mata dhriÒwnto K»teioi Trîšj te kaˆ 'Arge‹oi menec£rmai, ¥llote m~n prop£roiqe neîn, Ðt~ d' ¢mfˆ makednÕn te‹coj, ™peˆ pšle mîloj ¢£scetoj. 'All' ¥ra kaˆ ïj ½mata doi¦ fÒnoio kaˆ ¢rgalšhj Øsm…nhj paÚsanq', oÛnec' †kanen ™j EÙrÚpulon basilÁa ¢ggel…h Danaîn, Êj ken polšmoio meqšntej purkaoÍ dèwsi daoktamšnouj ™nˆ c£rmV. AÙt¦r Ó g' any' ™p…qhse: kaˆ ¢rgalšoio kudoimoà paus£menoi ˜k£terqe nekroÝj peritarcÚsanto ™n kon…V ™ripÒntaj. 'Acaioˆ d' œxoca p£ntwn Phnšlewn mÚronto, b£lon d' ™pˆ sÁma qanÒnti eÙrÝ m£l' ØyhlÒn te kaˆ ™ssomšnoij ¢r…dhlon: plhqÝn d' aât' ¢p£neuqe daïktamšnwn šrèwn q£yan ¢khcšmenoi meg£l. perˆ pšnqeo qumÒn, purkaï¾n …ma p©si m…an perinh»santej kaˆ t£fon. vWj d~ kaˆ aÙtoˆ ¢pÒproqi Trèioi umej t£rcusan ktamšnouj. 'Olo¾ d' ”Erij oÙk ¢pšlhgen, ¢ll' œt' ™potrÚneske qrasÝ sqšnoj EÙrupÚloio ¢nti£an dh…oisin: · d' oÜ pw c£zeto nhîn, ¢ll' œmenen Danao‹si kak¾n ™pˆ dÁrin ¢šxwn. Toˆ d' ™j Skàron †konto mela…nV nhˆ qšontej. Eáron d' um' 'AcilÁoj ˜oà prop£roiqe dÒmoio,

153 oÛnek' ™k…canen N : oÛnek' „oc»wnen P : corr. Rhodomann 154 ¢ggel…hn Danaîn P 163 m…hn H : m…h P: corr. Glasewald

LIBRO SETTIMO, VV. 144-170

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sia pur tardi. E quelli senza posa dall’alto della cinta dardeggiando i nemici con strali esiziali li uccidevano uno sull’altro; grondavano le mura di sangue atroce;38 dei morti in battaglia echeggiava il rantolo. Così dunque notte e giorno combattevano i Cetei ed i Troiani e gli Argivi tenaci in battaglia, ora presso alle navi, ora lungo l’alto muro, ché efferato era lo scontro. Ma non di meno per due giorni dalla strage e dalla cruda mischia posarono, poi che giunse ad Euripilo sovrano ambasciata dai Danai, che interrompendo la guerra consegnassero alla pira i caduti in battaglia.39 E quello subito lo concesse; ed il doloroso cozzo cessando, da entrambe le parti i morti seppellirono che giacevano nella polvere. Gli Achei più di tutti Peneleo piangevano, ed un monumento al defunto eressero grande ed alto, che anche i posteri ammirassero:40 in disparte la schiera degli eroi uccisi deposero, afflitti nell’animo per il gran lutto, per tutti unitamente una pira ammassando ed un tumulo. Ugualmente anche i figli dei Troiani lungi seppellivano i morti. Ma la Discordia rovinosa non posò, e ancora spronava il valente vigore di Euripilo a fronteggiare i nemici in battaglia: e quello mai s’allontanava dalle navi, ma restava a suscitare atroce lotta ai Danai.

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[Odisseo e Diomede giungono a Sciro e chiedono a Neottolemo di seguirli a Troia] Quelli intanto giunsero a Sciro, correndo sulla nera nave. Trovarono il figlio di Achille davanti alla sua dimora:

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

¥llote m~n belšessi kaˆ ™gce…Vsin ƒšnta, ¥llote d' aâq' †ppoisi poneÚmenon ÈkupÒdessi. +»qhsan d' ™sidÒntej ¢tarthroà polšmoio œrga metoicÒmenon, ka… per mšga teirÒmenon kÁr ¢mfˆ patrÕj ktamšnoio: tÕ g¦r prop£roiqe pšpusto. Anya dš oƒ k…on ¥nta teqhpÒtej, oÛnec' Ðrînto qarsalš. 'AcilÁi dšmaj perikall~j Ðmo‹on. ToÝj d' ¥r' Øpofq£menoj to‹on potˆ màqon œeipen: «’W xe‹noi, mšga ca…ret' ™mÕn potˆ dîma kiÒntej: e‡pate d' ÐppÒqen ™st~ kaˆ o† tinej ºd' Ó ti creië ½lqet' œcontej ™me‹o di' o‡dmatoj ¢trugštoio». vWj œfat' e„rÒmenoj: · d' ¢me…beto d‹oj 'OdusseÚj: «`Hme‹j toi f…loi e„m~n ™uptolšmou 'AcilÁoj, tÚ nÚ sš fasi tekšsqai ™Úfrona Dhid£meian: kaˆ d' aÙtoˆ teÕn endoj ™…skomen ¢nšri ke…n. p£mpan ·j ¢qan£toisi polusqenšessin ™ókei. E„mˆ d' ™gën 'Iq£khqen, · d' ”Argeoj ƒppobÒtoio, e‡ pote Tude…dao daÈfronoj oÜnom' ¥kousaj À kaˆ 'OdussÁoj pukim»deoj, Ój nÚ toi ¥gci aÙtÕj ™gën ›sthka qeoprop…hj ›nek' ™lqèn. 'All' ™lšaire t£cista kaˆ 'Arge…oij ™p£munon ™lqën ™j Tro…hn: ìj g¦r tšloj œsset' ”Arhi, ka… toi dîr' Ñp£sousin ¢£speta d‹oi 'Acaio…. TeÚcea d' aÙtÕj œgw teoà patrÕj ¢ntiqšoio dèsw, … per foršwn mšga tšryeai. OÙ g¦r œoike qnhtîn teÚcesi ke‹na, qeoà dš pou ”Areoj Óploij nsa pšlei: poulÝj d~ perˆ sf…si p£mpan ¥rhre crusÕj daidalšoisi kekasmšnoj, omsi kaˆ aÙtÕj “Hfaistoj mšga qumÕn ™n ¢qan£toisin „£nqh teÚcwn ¥mbrota ke‹na, t¦ soˆ mšga qaàma „dÒnti œssetai, oÛneka ga‹a kaˆ oÙranÕj ºd~ q£lassa

171 ™gce…Vsin ™Ònta D. 189 soi ¥gci codd.: corr. Köchly 194 aÙtÕj ™gë codd. : corr. Rhodomann 196 qnhtîn teÚcea codd. : corr. Rhodomann vert.

LIBRO SETTIMO, VV. 171-201

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ora dardi e lance scagliava, ora si esercitava coi cavalli dal rapido piede. Gioirono al vederlo partecipe delle opere della guerra spietata, benché grandemente afflitto nel cuore per l’uccisione del padre: lo aveva infatti già appreso. E subito gli andavano incontro, presi da stupore al vederne lo splendido aspetto, identico all’ardimentoso Achille.41 Ed egli prendendo per primo parola disse loro: «Stranieri, ogni gioia a voi che alla mia casa giungete: dite di dove venite, e chi siete, e in cosa abbisognate di me,42 per giungere attraverso gli sterili flutti». Così disse chiedendo: e gli rispose Odisseo divino: «Noi amici siamo di Achille valoroso in battaglia, a cui dicono ti generasse la saggia Deidamia: e davvero noi il tuo aspetto in tutto rassomigliamo a quell’uomo, simile agli dèi possenti. Io sono di Itaca, questi invece di Argo nutrice di destrieri, se mai ascoltasti il nome del Tidide valoroso e di Odisseo dagli scaltri espedienti,43 che sono quest’io che ti sto accanto, giunto in seguito a vaticinio. Ma abbi ormai pietà,44 e vieni a difendere gli Argivi a Troia: così infatti avrà termine la guerra, e doni a te assegneranno infiniti i divini Achei. Per parte mia le armi di tuo padre pari ai numi darò, che molto ti compiacerai di portare.45 Non somigliano infatti ad armi di mortali,46 ma del dio Ares alle armi pari sono: molto oro su di esse è ovunque applicato,47 disposto in decorazioni, e lo stesso Efesto molto andò fiero nell’animo tra gli immortali per aver creato quelle armi divine;48 grande sarà il tuo stupore al vederle, poiché terra, cielo e mare

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

¢mfˆ s£koj pepÒnhtai ¢peires…. t' ™nˆ kÚkl. zÚa pšrix ½skhtai ™oikÒta kinumšnoisi, qaàma kaˆ ¢qan£toisi: brotîn d' oÜ pè pote to‹a oÜtš tij œdrake prÒsqen ™n ¢ndr£sin oÜt' ™fÒrhsen, e„ m¾ sÒj ge pat¾r tÕn ‡son Diˆ t‹on 'Acaioˆ p£ntej, ™gë d~ m£lista f…la fronšwn ¢g£pazon: ka… oƒ ¢poktamšnoio nškun potˆ nÁaj œneika pollo‹j dusmenšessin ¢nhlša pÒtmon Ñp£ssaj: toÜnek£ moi ke…noio periklut¦ teÚcea dîke d‹a Qštij: t¦ d' ¥r' aâtij ™eldÒmenÒj per œgwge dèsw profronšwj, ÐpÒt' ”Ilion e„saf…khai. Ka… nÚ se kaˆ Menšlaoj, ™p¾n Pri£moio pÒlha pšrsantej n»essin ™j `Ell£da nost»swmen, aÙt…ka gambrÕn ˜Õn poi»setai, ½n k' ™qšlVsqa, ¢mf' eÙerges…hj: dèsei dš toi ¥spet' ¥gesqai kt»mat£ te crusÒn te met' ºukÒmoio qugatrÒj, Óss' ™pšoiken ›pesqai ™ãkte£n. basile…V». vWj f£menon prosšeipen 'Acillšoj Ôbrimoj uƒÒj: «E„ m~n d¾ kalšousi qeoprop…Vsin 'Acaio…, aÜrion anya neèmeq' ™p' eÙrša bšnqea pÒntou, ½n ti f£oj Danao‹si lilaiomšnoisi gšnwmai. Nàn d' ‡omen potˆ dèmat' ™ÚxeinÒn te tr£pezan, o†hn per xe…noisi qšmij paratekt»nasqai. 'Amfˆ d' ™mo‹o g£moio qeo‹j metÒpisqe mel»sei». vWj e„pën šge‹q': o‰ d' ˜spÒmenoi mšg' œcairon. Ka… ˜' Óte d¾ mšga dîma k…on k£llimon aÙl»n, eáron Dhid£meian ¢khcemšnhn ™nˆ qumÚ thkomšnhn q', æj e‡ te ciën katat»ket' Ôresfin

202 perˆ kÚkl. codd. : corr. Zimmermann | post hunc v. lac. statuit Köchly 206 nson P : nsa H : corr. Rhodomann 215 ˜Õn om. H 218 ™ukte£n. basilÁi codd. : corr. Platt 224 xe…noio W : xe…noisi(n) R et Tychsen 226 mšga ca‹ron codd. : corr. Vian 227 ka… d¾ Ót' ™j codd. : corr. Köchly | add. Lascaris et Rhodomann 229 Ôressin codd. : corr. Zimmermann

LIBRO SETTIMO, VV. 202-229

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attorno allo scudo son cesellati, e nel cerchio infinito49 figure sono lavorate,50 tutt’intorno, che sembrano muoversi, meraviglia anche per gli immortali; mai, in alcun luogo, simili armi vide prima alcuno dei mortali, né indossò, se non tuo padre che al pari di Zeus onoravano gli Achei tutti, ma io soprattutto avevo caro ed amavo: e il suo corpo, poi che fu ucciso, alle navi portai a molti nemici donando morte feroce; per questo a me diede le sue illustri armi51 la divina Teti, ed a mia volta, pur bramandole, io le donerò di buon grado, quando a Ilio tu giunga. E certo anche Menelao, poi che espugnata la città di Priamo, per nave in Grecia faremo ritorno, farà di te suo genero – sol che tu voglia – per ricompensa: e beni ti assegnerà infiniti, ed oro, insieme alla figlia dalla bella chioma, quanto si conviene porti in dote facoltosa sovrana».52

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[Neottolemo accetta. Timori della madre Deidamia] A queste parole gli rispose d’Achille il valoroso figlio: «Se mi chiamano in seguito a vaticinio gli Achei, già domani navigheremo sui vasti abissi del mare, se lume io possa divenire ai Danai che mi desiderano.53 Ma ora andiamo al palazzo ed all’ospitale desco, che agli ospiti è sacro dovere ammannire. E delle mie nozze gli dèi più avanti avranno cura». Così disse, e faceva strada: e molto al seguirlo si rallegravano. E mentre entravano nell’ampia dimora e nella splendida corte, trovarono Deidamia afflitta nell’animo che si logorava come neve che sui monti si scioglie

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

EÜrou ØpÕ ligšoj kaˆ ¢teiršoj ºel…oio: ìj ¼ ge fqinÚqeske dedoupÒtoj ¢ndrÕj ¢gauoà. Ka… min œt' ¢cnumšnhn ¢gakleitoˆ basilÁej ºsp£zont' ™pšessi: p£oj dš oƒ ™ggÚqen ™lqën muqe‹t' ¢trekšwj gene¾n kaˆ oÜnom' ˜k£stou, creië d' ¼n tin' †kanon ¢pškrufe mšcrij ™j ºî, Ôfra m¾ ¢cnumšnhn min ›lV polÚdakruj ¢n…h ka… min ¢pessÚmenon m£la lissomšnh katerÚkV. Anya d~ da‹t' ™p£santo kaˆ Ûpn. qumÕn ‡hnan p£ntej Ósoi SkÚroio pšdon perinaiet£eskon e„nal…hj, t¾n makr¦ peribromšousi qal£sshj kÚmata ˜hgnumšnoio prÕj ÆÒnaj A„ga…oio. 'All' oÙ Dhid£meian ™p»ratoj Ûpnoj œmarpten oÜnoma kerdalšou mimnhskomšnhn 'OdusÁoj ºd~ kaˆ ¢ntiqšou Diom»deoj, o† ˜£ min ¥mfw eânin poi»santo filoptolšmou 'AcilÁoj parf£menoi ke…noio qrasÝn nÒon, Ôfr' ¢f…khtai d»ion e„j ™nop»n: tÚ d' ¥tropoj ½nteto Mo‹ra ¼ oƒ Øpšklase nÒston, ¢peiršsion d' ¥ra pšnqoj patrˆ pÒren PhlÁi kaˆ aÙtÍ Dhidame…V. ToÜnek£ min kat¦ qumÕn ¢£speton ¥mpece de‹ma paidÕj ¢pessumšnoio potˆ ptolšmoio kudoimÒn, m» oƒ leugalš. ™pˆ pšnqei pšnqoj †khtai. 'Hëj d' e„sanšbh mšgan oÙranÒn. O‰ d' ¢pÕ lšktrwn karpal…mwj êrnunto: nÒhse d~ Dhid£meia, anya dš oƒ stšrnoisi perˆ platšessi cuqe‹sa ¢rgalšwj go£asken ™j a„qšra makr¦ boîsa: ºÚte boàj ™n Ôressin ¢peiršsion memaku‹a pÒrtin ˜¾n d…zhtai ™n ¥gkesin, ¢mfˆ d~ makr¦ oÜreoj a„peino‹o peribromšousi kolînai: 232 add. Rhodomann 237 min ™pessÚmenon codd. : corr. Köchly 241 ˜hgnÚmena codd. : corr. Rhodomann 242 ™p»raton W : ™p»ratoj Lsl et Tychsen 243 kerdalšon W : kudal…mou L : corr. Rhodomann 250 ¥mfece de‹ma codd. : corr. Vian 255 anya d' ™nˆ W : corr. Struve | platÚessi H : plat»essi P : platšessi Rpc Lasc1-2 258 ¢mfˆ d~ makraˆ Hc E

LIBRO SETTIMO, VV. 230-259

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al melodioso soffio dell’Euro ed al sole inesorabile: così ella si consumava per il nobile sposo caduto.54 Ed a lei che ancora era in lutto i re dalla vasta gloria rivolgevano saluti affettuosi: il figlio, fattosi vicino, diceva fedelmente e stirpe e nome di ciascuno,55 ma fino all’alba nascondeva quale necessità li faceva venire, perché di lei, già in preda al dolore, non s’impadronisse lacrimevole angoscia, e a forza di suppliche la partenza non gli impedisse. Subito gustarono del banchetto, e col sonno le forze ristorarono tutti quanti abitavano la terra di Sciro marina, che le ampie onde fan rimbombare del mare all’infrangersi dell’Egeo sulle coste. Ma non afferrò l’amabile sonno Deidamia:56 nella mente aveva i nomi dell’ingegnoso Odisseo e di Diomede divino, che entrambi l’avevano resa vedova di Achille amante della guerra provocandone l’animo ardito, perché venisse alla mischia con i nemici:57 ivi incontrò la Moira inesorabile che gli infranse il ritorno,58 e lutto infinito recò al padre Peleo59 ed anche a lei, Deidamia. Per questo la stringeva nell’animo timore infinito che anche il figlio partisse per il tumulto di guerra,60 e che al lamentoso suo lutto altro lutto non si aggiungesse.61 L’Aurora si levò al vasto cielo. Ed essi dai giacigli velocemente si alzavano: ma se ne accorse Deidamia,62 e subito abbandonandosi sull’ampio petto del figlio penosamente gemeva, spargendo grida al cielo profondo; come giovenca sui monti senza sosta muggendo cerca la sua vitella per le valli, e ampiamente d’intorno risuonano le vette del monte incombente:63

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ìj ¥ra muromšnhj ¢mf…acen a„pÝ mšlaqron p£ntoqen ™k muc£twn, mšga d' ¢scalÒws' ¢gÒreue: «Tšknon, pÍ d¾ nàn soˆ ™åj nÒoj ™kpepÒthtai, ”Ilion ™j polÚdakru met¦ xe…noisin ›pesqai, Âci pole‹j Ñlškontai Øp' ¢rgalšhj Øsm…nhj, ka… per ™pist£menoi pÒlemon kaˆ ¢eikša c£rmhn; Nàn d~ sÝ m~n nšoj ™ssˆ kaˆ oÜ pw d»ia œrga ondaj … t' ¢nqrèpoisin ¢l£lkousin kakÕn Ãmar. 'All¦ sÝ mšn meu ¥kouson, ˜o‹j d' ™nˆ m…mne dÒmoisi, m¾ d» moi Tro…hqe kak¾ f£tij oÜaq' †khtai se‹o katafqimšnoio kat¦ mÒqon. OÙ g¦r Ñpw ™lqšmena… s' œti deàro met£tropon ™x Ðm£doio: oÙd~ g¦r oÙd~ pat¾r teÕj œkfuge kÁr' ¢…dhlon, ¢ll' ™d£mh kat¦ dÁrin, Ó per kaˆ se‹o kaˆ ¥llwn šrèwn profšreske, qe¦ dš oƒ œpleto m»thr, tînde dolofrosÚnV kaˆ m»desin, o‰ s~ kaˆ aÙtÕn dÁrin ™pˆ stonÒessan ™potrÚnousi nšesqai. ToÜnek' ™gë de…doika perˆ krad…V tromšousa, m» moi kaˆ sšo, tšknon, ¢pofqimšnoio pšlhtai eânin kalleifqe‹san ¢eikša p»mata p£scein: oÙ g£r pè ti gunaikˆ kakèteron ¥lgoj œpeisin À Óte pa‹dej Ôlwntai ¢pofqimšnoio kaˆ ¢ndrÒj, chrwqÍ d~ mšlaqron Øp' ¢rgalšou qan£toio: aÙt…ka g¦r perˆ fîtej ¢potm»gousin ¢roÚraj, ke…rousin dš te p£nta kaˆ oÙk ¢lšgousi qšmistaj, oÛneken oÜ ti tštuktai Ñozurèteron ¥llo c»rhj ™n meg£roisin ¢kidnÒterÒn te gunaikÒj». *Á mšga kwkÚousa: p£oj dš min ¢nt…on hÜda: «Q£rsei, mÁter ™me‹o, kak¾n d' ¢popšmpeo f»mhn: oÙ g¦r Øp~r KÁr£j tij Øp' ”Areï d£mnatai ¢n»r: e„ dš moi a‡simÒn ™sti da»menai e†nek' 'Acaiîn, teqna…hn ˜šxaj ti kaˆ ¥xion A„ak…dVsin». 261 ™k pum£twn codd. : corr. Rhodomann vert. 285 oÛneka oÜ codd. : corr. Tychsen | ti om. D 290 ™sti da»menai codd. : corr. Rhodomann | oÜnek' 'Acaiîn codd. : corr. Rhodomann 291 ¥xwn P : ¥xaj H : corr. Rhodomann

LIBRO SETTIMO, VV. 260-291

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così l’alto palazzo riecheggiava dei suoi pianti in ogni recesso, e tutta sconvolta diceva: «Creatura mia, dove se n’è volato il saldo tuo senno? Andare con gli stranieri ad Ilio risuonante di pianto, dove in molti periscono per l’ardua pugna, per esperti che siano di guerra e atroce battaglia? Ed ecco, tu invece sei giovane e per nulla conosci le gesta guerresche che stornano dagli uomini giorno di morte.64 Ma dammi ascolto, resta nelle tue case, che da Troia non giunga alle mie orecchie annuncio di sventura che sei perito nella mischia. Non credo proprio che faresti qui ritorno dallo scontro: neppure tuo padre, neppure lui sfuggì alla Chera funesta, ma soccombette nella lotta - egli che te e gli altri eroi sorpassava, e una dea aveva per madre65 per l’inganno ed i consigli di costoro,66 che te come lui alla mischia fragorosa spingono a navigare. Per questo pavento, ed il mio cuore ne trema, quando tu pure muoia, figliolo, di rimanere sola, in abbandono, a patire pene ignominiose.67 Non v’è infatti per una donna dolore peggiore di quando le muoiono i figli dopo che anche lo sposo è perito, e resta vedovo il palazzo ad opera della morte funesta:68 allora altri si spartiscono le terre, saccheggiano ogni cosa e non rispettano la giustizia,69 poiché nient’altro v’è di più miserevole70 né di più inerme di una donna vedova nel palazzo». Disse tra molto pianto: ed il figlio le rispose: «Coraggio, madre mia, caccia lontano il funesto presagio: nessun uomo senza il volere della Chera cade in battaglia:71 se dunque mi è riservato dal Fato di perire per gli Achei, possa io morire dopo aver compiuto qualcosa di degno degli Eacidi».

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

vWj f£to: tÚ d' ¥gcista k…en gerarÕj Lukom»dhj ka… ˜£ min „wcmo‹o lilaiÒmenon prosšeipen: «’W tškoj ÑbrimÒqumon ˜Ú patrˆ k£rtoj ™oikèj, ond' Óti karterÒj ™ssi kaˆ Ôbrimoj: ¢ll' ¥ra kaˆ ïj kaˆ pÒlemon de…doika pikrÕn kaˆ kàma qal£sshj leugalšon: naàtai g¦r ¢eˆ scedÒn e„sin Ñlšqrou. 'All¦ sÝ de…die, tšknon, ™p¾n plÒon e„saf…khai Ûsteron À Tro…hqen À ¥lloqen, om£ te poll¦ ....................................... tÁmoj, Ót' A„gokerÁi sunšrcetai ºerÒenti 'Hšlioj metÒpisqe balën ˜utÁra belšmnwn Toxeut»n, Óte ce‹ma lugrÕn klonšousin ¥ellai, À ÐpÒt' 'Wkeano‹o kat¦ platÝ ceàma fšrontai ¥stra katercomšnoio potˆ knšfaj 'Wr…wnoj: de…die d' ™n fresˆ sÍsin „shmer…hn ¢legein¾n Î œni sumforšontai ¢n' eÙrša bšnqea pÒntou œkpoqen ¢…ssousai Øp~r mšga la‹tma qÚellai, À Óte Plhi£dwn pšletai dÚsij, ¼n ˜a kaˆ aÙt¾n de…diqi maimèwsan œsw ¡lÕj ºd~ kaˆ ¥lla ¥stra t£ pou mogero‹si pšlei dšoj ¢nqrèpoisi duÒmen' À ¢niÒnta kat¦ platÝ ceàma qal£sshj». vWj e„pën kÚse pa‹da kaˆ oÙk ¢nšerge keleÚqou ƒme…ronta mÒqoio dushcšoj. vOj d' ™rateinÕn meidiÒwn ™pˆ nÁa qoîj Êrmaine nšesqai: ¢ll£ min e„sšti mhtrÕj ™nˆ meg£roisin œruke dakruÒeij ÑarismÕj ™pispeÚdonta pÒdessin. `Wj d' Óte tij qoÕn †ppon ™pˆ drÒmon „scanÒwnta e‡rgei ™fezÒmenoj, · d' ™rukanÒwnta calinÕn

299 post hunc v. lac. statuit Struve 303 ºd' ÐpÒt' codd. : corr. Köchly 305 fresˆn Îsin codd. : corr. Spitzner 307 la‹tma qal£sshj codd. : corr. Rhodomann 308 dÚsij, Anga Rhodomann 309 ¡lÕj ™n d~ codd. : corr. Rhodomann vert. 313 ™ratein¾n codd. : corr. Rhodomann

LIBRO SETTIMO, VV. 292-318

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[Raccomandazioni di Licomede. Partenza di Neottolemo. Il pianto di Deidamia] Così disse: e accanto gli si faceva il vegliardo Licomede, e disse al ragazzo desideroso di scontro: «Figlio dall’animo indomito, simile al padre in prodezza, conosco la tua gagliardia e il tuo valore: tuttavia temo la guerra amara e l’arduo flutto del mare;72 sempre infatti è vicino a morte chi naviga. Ma tu guardati, figliolo, poi che ti imbarcherai nuovamente o da Troia o da altro luogo, dalle molte (insidie?) ................................................ nella stagione in cui col fioco73 Capricorno conviene il Sole,74 lasciandosi dietro il dardeggiante Sagittario, quando i venti suscitano orrida tempesta, o quando verso la vasta corrente di Oceano vanno le stelle di Orione, nella sua discesa verso le tenebre: guardati nell’animo dall’equinozio tremendo, quando si trascinano sui vasti abissi del mare le tempeste, da qualche luogo soffiando sul vasto flutto, o quando tramontano le Pleiadi,75 e temi la stagione in cui si tuffano nel mare, e le altre stelle che suscitano timore agli uomini sventurati al levarsi ed al tramonto sulla vasta corrente del mare». Detto questo, baciò il ragazzo, né tentava di dissuaderlo dal viaggio, desideroso com’era di combattimento fragoroso. Quello amabilmente sorrideva, e si volgeva a raggiungere prestamente la nave: ma ancora lo tratteneva nel palazzo, mentre affrettava il passo, il congedo lacrimoso della madre. Come quando veloce cavallo che brama la via un cavaliere seduto in sella trattiene,76 ma quello i freni che lo arrestano

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

d£ptei ™picremšqwn, stšrnon dš oƒ ¢friÒwntoj deÚetai, oÙd' †stantai ™eldÒmenoi pÒdej o‡mhj, poulÝj d' ¢mf' ›na cîron ™lafrot£toij ØpÕ possˆ tarfša kinumšnoio pšlei ktÚpoj, ¢mfˆ d~ ca‹tai ˜èont' ™ssumšnoio, k£rh d' e„j Ûyoj ¢e…rei fusiÒwn m£la poll£, nÒoj d' ™pitšrpet' ¥naktoj: ìj ¥ra kÚdimon uma meneptolšmou 'AcilÁoj m»thr m~n katšruke, pÒdej dš oƒ ™gkonšeskon:   d~ kaˆ ¢cnumšnh per ˜Ú ™pag£lleto paid…. vOj dš min ¢mfikÚsaj m£la mur…a k£llipe moÚnhn muromšnhn ¢legein¦ f…lou kat¦ dèmata patrÒj. O†h d' ¢mfˆ mšlaqra mšg' ¢scalÒwsa celidën mÚretai a„Òla tškna t£ pou m£la tetrigîta a„nÕj Ôfij katšdaye kaˆ ½kace mhtšra kedn»n,   d' Ðt~ m~n c»rh peripšptatai ¢mfˆ kali»n, ¥llote d' eÙtÚktoisi perˆ proqÚroisi pot©tai a„n¦ kinuromšnh tekšwn Ûper: ìj ¥ra kedn¾ mÚreto Dhid£meia, kaˆ uƒšoj ¥llote mšn pou eÙn¾n ¢mficuqe‹sa mšg' ‡acen, ¥llote d' aâte kla‹en ™pˆ fliÍsi. *…l. d' ™gk£tqeto kÒlp., e‡ t… oƒ ™n meg£roisi tetugmšnon Ãen ¥qurma ú œpi tutqÕj ™ën ¢tal¦j fršnaj „a…nesken: ¢mfˆ dš oƒ kaˆ ¥konta leleimmšnon e‡ pou ‡doito, tarfša min filšeske, kaˆ e‡ t… per ¥llo goîsa œdrake paidÕj ˜o‹o daÈfronoj. OÙd' Ó ge mhtrÕj ¥spet' Ñduromšnhj œt' ™pškluen, ¢ll' ¢p£terqe ba‹ne qo¾n ™pˆ nÁa: fšron dš min Èkša gu‹a ¢stšri pamfanÒwnti pane…kelon. 'Amfˆ d' ¥r' aÙtÚ ›speq' Ðmîj 'OdusÁi daÈfroni Tudšoj uƒÒj, ¥lloi d' e‡kosi fîtej ¢rhršmenoi fresˆ qumÒn, toÝj œce kednot£touj ™nˆ dèmasi Dhid£meia 319 d£knei ™picremšqwn Nauck 331 tetrugîta codd. : corr. Dausque 333 c»rhn Rhodomann 340 meg£laj fršnaj codd. : meg£la Struve : corr. Lehrs 342 tarfša m~n codd. : corr. Struve 348 laoˆ d' codd. : corr. Dausque | ¢nhr£menoi P : ¢neir£menoi H : corr. Zimmerman post Rhodomann (-r£m-)

LIBRO SETTIMO, VV. 319-349

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morde nitrendo, il petto di schiuma gli si bagna, né si arrestano le zampe desiderose di passo, e abbondante, sotto le leggerissime zampe che sull’identico punto fittamente agita, si leva il battito, e tutt’intorno i suoi crini si spargono mentre si sfoga, e il capo in alto solleva soffiando oltre misura, e ne gode l’animo del padrone; così dunque l’illustre figlio di Achille forte in battaglia tratteneva la madre, ma i suoi piedi fremevano: ed ella, pur angosciata, si compiaceva del figlio. Ed egli, dopo baci infiniti, la lasciò sola a piangere penosamente nelle case del padre. Quale presso a un palazzo grandemente sconvolta una rondine77 lamenta i figli screziati che, tra i fitti pigolii, crudele serpente divorò, e lasciò afflitta la madre sollecita, che ora, orbata di prole, vola attorno al nido, ora invece presso ai ben costrutti vestiboli si aggira dolorosamente piangendo i suoi figli: così dunque la sollecita Deidamia si doleva, e del figlio ora baciava il giaciglio,78 con alto lamento, ora invece piangeva sugli stipiti. Nel suo grembo posava ogni gingillo che per lui nel palazzo avevan creato, con cui, piccolo ancora, soleva dilettare l’animo ingenuo; se vicino a sé una lancia abbandonata vedeva, la copriva di fitti baci, e se qualcos’altro gemendo scorgeva del figlio suo bellicoso. Ma quello non più ascoltava il pianto infinito della madre, ma lungi andava alla rapida nave: lo portavano svelte ginocchia, in tutto identico ad astro sfolgorante.79 Attorno a lui venivano con Odisseo bellicoso il figlio di Tideo, e venti altri eroi dall’animo saldo nel petto, i più fidi che aveva nel palazzo Deidamia,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ka… sfeaj ú pÒre paidˆ qooÝj œmenai qer£pontaj: o‰ tÒt' 'Acillšoj uma qrasÝn peripoipnÚeskon ™ssÚmenon potˆ nÁa di' ¥steoj: ·j d' ™nˆ mšssoij ½ie kagcalÒwn. Kec£ronto d~ Nhrh‹nai ¢mfˆ Qštin, kaˆ d' aÙtÕj ™g»qee Kuanoca…thj e„sorÒwn 'AcilÁoj ¢mÚmonoj Ôbrimon uma. vOj d' ½dh polšmoio lila…eto dakruÒentoj, ka… per ™ën œti paidnÒj, œt' ¥cnooj: ¢ll£ min ¢lk¾ kaˆ mšnoj ÑtrÚneskon. `EÁj d' ™xšssuto p£trhj, omoj ”Arhj, Óte mîlon ™sšrcetai aƒmatÒenta cwÒmenoj dh…oisi, mšmhne dš oƒ mšga qumÒj, ka… oƒ ™piskÚnion blosurÕn pšlei, ¢mfˆ d' ¥r' aÙtÚ Ômmata marma…rousin ‡son pur…, toà d~ pareiaˆ k£lloj Ðmoà kruÒenti fÒb. kataeimšnai a„eˆ fa…nont' ™ssumšnou, tromšousi d~ kaˆ qeoˆ aÙto…: to‹oj œhn 'AcilÁoj ™åj p£oj. O‰ d' ¢n¦ ¥stu eÜcont' ¢qan£toisi sawsšmen ™sqlÕn ¥nakta ¢rgalšou pal…norson ¢p' ”Areoj: o‰ d' ™s£kousan eÙcomšnwn. vO d~ p£ntaj Øpe…recen o† oƒ ›ponto. 'ElqÒntej d' ™pˆ q‹na barugdoÚpoio qal£sshj eáron œpeit' ™latÁraj ™ãxÒou œndoqi nhÕj ƒst…a t' ™ntÚnontaj ™peigomšnouj t' ¢n¦ nÁa. Anya d' ¢n' aÙtoˆ œban: oˆ d' œktoqi pe…smat' œlusan eÙn£j q' a‰ n»essi mšga sqšnoj a„~n ›pontai. To‹si d' ¥r' eÙploÈhn pÒsij êpasen 'Amfitr…thj profronšwj: m£la g£r oƒ ™nˆ fresˆ mšmblet' 'Acaiîn teiromšnwn ØpÕ Trwsˆ kaˆ EÙrupÚl. megaqÚm.. O‰ d' 'Acil»ion uma parezÒmenoi ˜k£terqe tšrpeskon mÚqoisin ˜oà patrÕj œrg' ™nšpontej, Óss£ t' ¢n¦ plÒon eÙrÝn ™m»sato kaˆ potˆ ga…V 351 peripoipnÚontej P 358 ÑtrÚnesken H 361 aÙtoà W : aÙtÚ R Ald. 364 oƒ qeoˆ codd. : corr. Köchly 366 œscont' ¢t' ¢qan£toisi P 371 ™nte…nontaj H 372 anya d' ¥r' codd. : corr. Rhodomann | aÙtÕj codd. : corr. Zimmermann | œbh H | o‰ d' œktoqi codd. : corr. Köchly

LIBRO SETTIMO, VV. 350-379

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e li assegnò al figlio, che fossero solerti scudieri;80 essi allora s’affaccendavano attorno al prode figlio di Achille che per la città s’affrettava alla nave. E quello in mezzo a loro incedeva orgoglioso. Si rallegrarono le Nereidi attorno a Teti, ed anche il Chiomazzurra esultava alla vista del valoroso figlio di Achille irreprensibile. Quello già anelava alla guerra lacrimosa, pur ancora fanciullo, glabro in viso: ma valentia e vigore lo spronavano. Dalla sua patria muoveva, simile ad Ares, quando penetra nella mischia sanguinosa furioso contro i nemici,81 l’animo sconvolto d’ira, e terribile è il suo ciglio, e tutt’attorno fa lampeggiare gli occhi al pari di fiamma, e le sue gote, sempre di beltà e insieme gelato terrore rivestite, risplendono al suo incedere, gli dèi stessi ne tremano; tale era il nobile figlio di Achille. E per la città il popolo voti faceva agli immortali,82 che custodissero l’ottimo sire e tornasse dall’ardua guerra di Ares: ed i numi ascoltarono le loro preghiere. Ed egli tutti quanti sopravanzava del seguito. Giunsero alla riva del mare dal cupo rimbombo e trovarono i rematori sulla nave ben polita che si affrettavano a issare le vele sulla nave. E subito vi salirono: e fuori sciolsero le gomene,83 e levarono le ancore, che sempre accompagnano le navi, robusto sostegno. E ad essi navigazione felice concesse lo sposo di Amfitrite, di cuore: molto infatti nell’animo si angustiava per gli Achei, logorati dai Troiani e da Euripilo magnanimo. Essi intanto, seduti ad un fianco ed all’altro del figlio di Achille, lo intrattenevano discorrendo e le gesta del padre narravano, quante meditò durante la lunga traversata e nella terra

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Thlšfou ¢gcem£coio, kaˆ ÐppÒsa Trîaj œrexen ¢mfˆ pÒlin Pri£moio fšrwn klšoj 'Atre…dVsi: toà d' „a…neto qumÕj ™eldomšnoio kaˆ aÙtoà patrÕj ¢tarb»toio mšnoj kaˆ kàdoj ¢ršsqai. vH dš pou ™n qal£moisin ¢khcemšnh perˆ paidˆ ™sql¾ Dhid£meia polÚstona d£krua ceàe, ka… oƒ ™nˆ fresˆ qumÕj Øp' ¢rgalšVsin ¢n…Vj t»keq', Ópwj ¢lapadnÕj ™p' ¢nqrakiÍsi mÒlubdoj º~ trÚfoj khro‹o: gÒoj dš min oÜ pot' œleipe derkomšnhn ™pˆ pÒnton ¢pe…riton, oÛneka m»thr ¥cnuq' ˜Ú perˆ paid…, kaˆ Àn ™pˆ da‹t' ¢f…khtai. Ka… ˜£ oƒ ƒst…a nhÕj ¢pÒproqi pollÕn „oÚshj ½dh ¢pekrÚptonto kaˆ ºšri fa…neq' Ðmo‹a: ¢ll'   m~n sten£cize panhmer…h goÒwsa. Nhàj d' œqeen kat¦ pÒnton ™pispomšnou ¢nšmoio tutqÕn ™piyaÚousa polurrooio qal£sshj: porfÚreon d' ˜k£terqe perˆ trÒpin œbrace kàma: anya d~ d¾ mšga la‹tma di»nue pontoporoàsa. 'Amfˆ dš oƒ pšse nuktÕj ™pˆ knšfaj:   d' Øp' ¢»tV plîe kubern»tV te diapr»ssousa qal£sshj bšnqea. Qespes…h d~ prÕj oÙranÕn ½luqen 'Hèj: to‹si d' ¥r' 'Ida…wn Ñršwn fa…nonto kolînai Cràs£ te kaˆ Sm…nqeion ›doj kaˆ Sigi¦j ¥krh tÚmboj t' A„ak…dao daÈfronoj: ¢ll£ min oÜ ti uƒÕj Lašrtao pÚka fronšwn ™nˆ qumÚ de‹xe Neoptolšm., †na oƒ m¾ pšnqoj ¢šxV qumÕj ™nˆ st»qessi. Parhme…bonto d~ n»souj anya Kaludna…aj: Tšnedoj d' ¢pele…pet' Ñp…ssw: fa…neto d' aât' 'Eleoàntoj ›doj, tÒqi Prwtesil£ou

381 fšrwn kaˆ Óss' codd. : corr. Scaliger. 393 ston£cize codd. : corr. Zimmermann 395 polurrÒoio H : polirrÒoio P : polurrÚtoio Lpc : -rrÒioio R : corr. Rhodomann 397 d¾ om. H | la‹tma di»nuse codd. : corr. Vian 406 qumÕn P 407 anya om. H 408 fa…neto d~ pteleoàntoj codd. : corr. Rhodomann | q' ·n Prwtesil£ou H : q' · h Prwtesil£ou P : corr. Köchly

LIBRO SETTIMO, VV. 380-408

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di Telefo valido nel corpo a corpo,84 e quante sconfitte inflisse ai Troiani presso la città di Priamo, gloria recando agli Atridi; gioiva il suo animo, ché desiderava raggiungere dell’indomabile padre la forza85 e la fama.86 Ma intanto nelle sue stanze, afflitta per il figlio, la nobile Deidamia lacrime echeggianti di gemiti versava, e l’animo nel petto per le improbe cure si scioglieva, come sui carboni morbido piombo87 o frammento di cera: mai era priva di lamenti, e volgeva lo sguardo sul mare sconfinato, poiché una madre è in ambasce per suo figlio anche quando questi si dirige a banchetto. E ai suoi occhi le vele della nave, giunta ormai molto al largo, già erano svanite, e apparivano confuse col cielo:88 ma ella piangeva tutto il giorno gemendo. La nave al largo correva alla spinta del vento appena sfiorando il mare dal vasto rimbombo: d’ambo i lati dello scafo gorgogliava l’onda oscura,89 e svelta fendeva il gran flutto avanzando sul mare. Le cadde attorno l’oscurità della notte: ma navigava governata dal vento e dal pilota, e solcava del mare gli abissi. L’aurora divina si levò al cielo: apparivano a loro le vette montane dell’Ida e Crisa e la sede di Sminteo e il promontorio Sigeo ed il sepolcro del bellicoso Eacide:90 ma non lo indicò il figlio di Laerte, savio consiglio agitando nell’animo, a Neottolemo, perché l’animo suo il lutto non ravvivasse nel petto. Sorpassavano ormai le isole Calidne: lasciavano Tenedo alle spalle; ed ora appariva la sede di Eleonte, dove di Protesilao

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sÁma pšlei ptelšVsi kat£skion a„peinÍsin, a† ˜' ÐpÒt' ¢qr»swsin ¢nercÒmenai dapšdoio ”Ilion, aÙt…ka tÍsi qoîj aÙanetai ¥kra. NÁa d' ™ressomšnhn ¥nemoj fšren ¢gcÒqi Tro…hj: †keto d' Âci kaˆ ¥llai œsan par¦ q…nesi nÁej 'Arge…wn, o‰ tÁmoj Ñozurîj ponšonto marn£menoi perˆ te‹coj Ó per p£roj aÙtoˆ œdeiman nhîn œmmenai ›rkoj ™ãsqenšwn q' …ma laîn ™n polšm.. TÕ d' ¥r' ½dh Øp' EÙrupÚloio cšressi mšllen ¢maldÚnesqai ™reipÒmenon potˆ ga…V, e„ m¾ ¥r' any' ™nÒhse krataioà Tudšoj uƒÕj ballÒmen' ›rkea makr£. QoÁj d' ¥far œkqore nhÕj qarsalšwj t' ™bÒhsen Óson c£de oƒ kšar œndon: «’W f…loi, à mšga pÁma kul…ndetai 'Arge…oisi s»meron: ¢ll' ¥ge q©sson ™j a„Òla teÚcea dÚntej ‡omen ™j polšmoio polukm»toio kudoimÒn. ”Hdh g¦r pÚrgoisin ™f' šmetšroisi m£contai Trîej ™ãptÒlemoi, toˆ d¾ t£ca te…cea makr¦ ˜hx£menoi purˆ nÁaj ™nipr»sousi m£l' a„nîj: nîin d' oÙkšti nÒstoj ™eldomšnoij ¢n¦ qumÕn œssetai: ¢ll¦ kaˆ aÙtoˆ Øp~r mÒron anya damšntej keisÒmeq' ™n Tro…V tekšwn ˜k¦j ºd~ gunaikîn». vWj f£to: toˆ d' êkista qoÁj ™k nhÕj Ôrousan pansud…V: p£ntaj g¦r ›len trÒmoj e„sapontaj nÒsfi Neoptolšmoio qrasÚfronoj, oÛnek' ™ókei patrˆ ˜Ú mšga k£rtoj: œrwj dš oƒ œmpese c£rmhj. Karpal…mwj d' †konto potˆ klis…hn 'OdusÁoj

410 ¢nercÒmenon codd. : corr. Paw 411 ¼lion, aÙt…ka codd. : corr. Brodeau | aÙ£netai P : ¢pan£netai H : corr. Brodeau 427 ™nipr»swsi codd. : corr. Rhodomann

LIBRO SETTIMO, VV. 409-435

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il monumento si erge, ombreggiato da olmi svettanti, a cui, quando levandosi dal suolo giungono a scorgere Ilio, subito si seccano le cime.91

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[Arrivo di Neottolemo a Troia: i Greci riprendono ardore] Il vento spingeva verso Troia la nave mossa da remi: giunse là dove lungo la costa stavano anche le altre navi degli Achei, che allora miserevolmente pativano pugnando presso al muro che un giorno avevano eretto, perché fosse recinto comune alle navi e alle schiere possenti durante la guerra. Ma esso ormai per mano di Euripilo stava per rovinare a terra distrutto, se non avesse all’istante compreso il figlio del possente Tideo che la grande cinta era presa d’assalto. Allora balzò dalla rapida nave e arditamente gridò92 con quanta forza aveva nel petto: «Amici, grande sciagura certo si abbatte sugli Argivi93 quest’oggi: su dunque, vestiamo presto le belle armi e andiamo al tumulto della guerra travagliosa. Già infatti presso ai nostri bastioni combattono i Troiani bellicosi, e appena nel gran muro facciano breccia appiccheranno fuoco alle navi,94 rovinosamente: mai più faremo ritorno, pur bramandolo nell’animo; ma anche noi periremo prima del tempo, e giaceremo a Troia, lontano da figli e spose». Così disse: e quelli rapidissimi si slanciarono dalla rapida nave, tutti insieme: di tutti infatti si impossessò terrore al sentirlo, tranne che di Neottolemo valoroso, poiché pari era al padre nel suo grande ardimento:95 voluttà di lotta lo prese. Svelti andavano alla tenda di Odisseo

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

(  g¦r œhn ¥gcista neÕj kuanopróroio): poll¦ g¦r ™xhmoib¦ par' aÙtÒqi teÚcea ke‹to ºm~n 'OdussÁoj pukim»deoj ºd~ kaˆ ¥llwn ¢ntiqšwn ˜t£rwn, ÐpÒsa ktamšnwn ¢fšlonto. ”Enq' ™sqlÕj m~n œdu kal¦ teÚcea, toˆ d~ cšreia dàsan Ósoij ¢lapadnÕn ØpÕ krad…V pšlen Ãtor. AÙt¦r 'OdusseÝj dÚseq' oƒ 'Iq£khqen ›ponto: dîke d~ Tude…dV Diom»deï k£llima teÚch ke‹na t¦ d¾ Sèkoio b…hn e‡russe p£roiqen. UƒÕj d' aât' 'AcilÁoj ™dÚseto teÚcea patrÒj, ka… oƒ fa…neto p£mpan ¢l…gkioj: ¢mfˆ d' ™lafr¦ `Hfa…stou pal£mVsi perˆ melšessin ¢r»rei, ka… per ™Ònq' ˜tšroisi pelèria: tÚ d' …ma p£nta fa…neto teÚcea koàfa: k£rh dš oƒ oÜ ti b£rune p»lhx . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ....................................... , ¢ll£ ˜ cersˆ kaˆ ºl…batÒn per ™oàsan ˜hid…wj ¢n£eiren œq' a†matoj „scanÒwsan. 'Arge…wn dš min Óssoi ™sšdrakon, oÜ ti dÚnanto ka… per ™eldÒmenoi scedÕn ™lqšmen, oÛnek' ¥r' aÙtoÝj p©n perˆ te‹coj œteire barÝj polšmoio kudoimÒj. `Wj d' Ót' ¢n' eÙrša pÒnton ™rhma…V perˆ n»s. ¢nqrèpwn ¢p£terqen ™ergmšnoi ¢scalÒwsin ¢nšrej oÛj t' ¢nšmoio kataig…dej ¢ntiÒwsai e‡rgousin m£la pollÕn ™pˆ crÒnon, o‰ d' ¢legeinoˆ nhˆ peritrwcîsi, katafqinÚqei d' ¥ra p£nta ½ia, teiromšnoisi d' ™pšpneusen ligÝj oâroj: ìj ¥r' 'Acaiîn œqnoj ¢khcšmenon tÕ p£roiqen ¢mfˆ Neoptolšmoio b…V kec£ronto molÒnti ™lpÒmenoi stonÒentoj ¢napneÚsein kam£toio. ”Osse dš oƒ m£rmairen ¢naidšoj eâte lšontoj, 442 dÚsaq' (-at') codd. : corr. Vian | dÚsaq' o‰ codd. : corr. Rhodomann 444 e‡ruse codd. : corr. Tychsen 449 dš min codd. : corr. Pauw 450 post p»lhx lac. unius v. statuit Tychsen, Vian autem plures vv. deesse putat 450a Phli£j rest. Tychsen | oƒ cersˆ codd. : corr. Rhodomann 460 ™pipneÚsh codd. : corr. Pauw (-n add. Vian) 462 neoptolšmw H

LIBRO SETTIMO, VV. 436-464

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(era infatti vicinissima alla nave dalla scura prora): e invero molte armi di riserva vi giacevano, sia di Odisseo dagli scaltri consigli sia di altri compagni divini, quante agli uccisi avevano preso. Allora chi eccelleva si rivestì di belle armi, mentre peggiori indossarono quelli che debole animo avevano in petto.96 Odisseo vestì dunque quelle che da Itaca aveva portato: diede al Tidide Diomede le splendide armi di cui la forza di Soco un tempo aveva spogliato.97 Il figlio di Achille invece indossò le armi del padre, e in tutto gli appariva somigliante: leggere al corpo si adattarono, ad opera del talento di Efesto, pur essendo per gli altri smisurate;98 a lui tutte quante sembravano lievi le armi: per nulla gli gravava il capo l’elmo99 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ................................................ , ma con la mano, pur tanto alta, agevolmente la sollevava, ancora assetata di sangue. Quanti degli Argivi lo scorgevano non potevano, benché lo bramassero, farglisi vicini, poiché li vessava lungo tutto il muro grave tumultuare di guerra. Come quando nel vasto mare presso solitaria isola,100 lontano da ogni altra gente, confinati si angustiano uomini che contrarie tempeste di vento esiliano da lungo tempo, e gli sventurati si aggirano attorno alla nave,101 ormai consumata ogni vivanda, ma su loro allo stremo prende a soffiare brezza melodiosa: così il popolo degli Achei, afflitto fino ad allora, all’arrivo della forza di Neottolemo si rallegrò102 nella speranza di un sollievo dalla pugna fragorosa. I suoi occhi scintillavano come quelli di leone sfrontato,103

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Ój te kat' oÜrea makr¦ mšg' ¢scalÒwn ™nˆ qumÚ œssutai ¢greutÍsin ™nant…on, o† tš oƒ ½dh ¥ntr. ™pemba…nwsin ™rÚssasqai memaîtej skÚmnouj o„wqšntaj ˜în ¢pÕ tÁle tok»wn b»ssV ™nˆ skierÍ, · d' ¥r' ØyÒqen œk tinoj ¥krhj ¢qr»saj Ñloo‹sin ™pšssutai ¢greutÍsi smerdalšon blosurÍsin Øpaˆ genÚessi bebrucèj: ìj ¥ra fa…dimoj uƒÕj ¢tarbšoj A„ak…dao qumÕn ™pˆ Trèessin ™ãptolšmoisin Ôrinen. O‡mhsen d' ¥ra prîtoj ÓpV m£la dÁrij Ñrèrei ‰m ped…on: tÍ † g£r sfin ™pšpleto † te‹coj 'Acaiîn ˜h…teron dh…oisi kat¦ klÒnon ™ssumšnoisin, oÛnek' ¢kidnotšrVsin ™p£lxesin ºr»reisto: sÝn dš oƒ ¥lloi œban mšga maimèwntej ”Arhi. Eáron d' EÙrÚpulon kraterÒfrona, tÚ d' …m' ˜ta…rouj pÚrg. ™pembebaîtaj, Ñoomšnouj perˆ qumÚ ˜»xein te…cea makr¦ kaˆ 'Arge…ouj ¢polšssein pansud…V. To‹j d' oÜ ti qeoˆ telšeskon ™šldwr: ¢ll£ sfeaj 'OduseÚj te kaˆ Ð sqenarÕj Diom»dhj „sÒqeÒj te NeoptÒlemoj d‹Òj te LeonteÝj any' ¢pÕ te…ceoj ðsan ¢peires…oij belšessin. `Wj d' Ót' ¢pÕ staqmo‹o kÚnej mogero… te nomÁej k£rteï kaˆ fwnÍ krateroÝj seÚousi lšontaj p£ntoqen ™ssÚmenoi, toˆ d' Ômmasi glaukiÒwntej strwfînt' œnqa kaˆ œnqa lilaiÒmenoi mšga qumÚ pÒrtiaj ºd~ bÒaj met¦ gamfhlÍsi lafÚxai, ¢ll¦ kaˆ ïj e‡kousi kunîn ØpÕ karteroqÚmwn seuÒmenoi, m£la g£r sfin ™papssousi nomÁej:

467 ™pemba…nousin Lasc.2 474 prîton codd. : corr. Vian 475 locus corruptus (per fresˆn œlpeto Zimmermann4) 476 met¦ klÒnon Spitzner 492 post hunc v. lac. stat. Rhodomann, post 493 Hc E Ald.

LIBRO SETTIMO, VV. 465-492

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che in alta montagna, l’animo furioso d’ira, si slancia contro ai cacciatori che già nel suo covo stanno penetrando, col desiderio di predare i cuccioli, lasciati soli dai genitori in una valle ombrosa, ma quello dall’alto, da uno sperone scorgendoli, s’avventa sugli esiziali cacciatori orribilmente dalla feroce gola ruggendo: così dunque l’illustre figlio dell’intrepido Eacide la sua ira scatenava sui Troiani bellicosi.

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[Neottolemo si distingue subito in battaglia] Si scagliò allora per primo là dove battaglia infuriava di più nella piana: là † era infatti a loro † il muro degli Achei104 più agevole ai nemici che all’assalto muovevano, ché più deboli spalti vi si reggevano; con lui gli altri andarono, molto bramosi di Ares. Trovarono Euripilo saldo nel cuore, e con lui i compagni all’assalto di un bastione,105 e credevano nell’animo loro di abbattere le lunghe mura e di tutti gli Argivi insieme far strage. Ma non compivano gli dèi il loro voto:106 quelli anzi Odisseo ed il gagliardo Diomede ed il divino Neottolemo e Leonteo illustre107 all’improvviso respinsero dal muro con dardi infiniti. Come quando da un recinto cani e pastori tenaci con colpi e con grida scacciano possenti leoni assalendoli da ogni parte,108 e quelli con sguardo sfolgorante si volgono qua e là, molto bramando nell’animo di sbranare tra le zanne vacche o giovenche, ma pure è respinto dai cani dall’animo saldo il loro assalto, con forza infatti li attaccano i pastori:

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....................................... baiÒn, Óson tij †hsi cerÕj perim»kea l©an. OÙ g¦r Trîaj œa nhîn ¢pÕ nÒsfi fšbesqai EÙrÚpuloj, dh…wn d~ m£la scedÕn ÑtrÚneske m…mnein, e„j Ó ke nÁaj ›lV kaˆ p£ntaj ÑlšssV 'Arge…ouj: ZeÝj g£r oƒ ¢peiršsion b£le k£rtoj. AÙt…ka d' ÑkriÒessan ˜lën kaˆ ¢teirša pštrhn Âken ™pessÚmenoj kat¦ te…ceoj ºlib£toio: smerdalšon d' ¥ra p£nta periplat£ghse qšmeqla ›rkeoj a„peino‹o: dšoj d' ›le p£ntaj 'AcaioÚj, te…ceoj æj ½dh sunocwkÒtoj ™n kon…Vsin. 'All' oÙd' ïj ¢pÒrousan ¢tarthro‹o kudoimoà, ¢ll' œmenon qèessin ™oikÒtej º~ lÚkoisi, m»lwn lhistÁrsin ¢naidšsin, oÛj t' ™n Ôressin ¥ntrwn ™xel£swsin Ðmîj kusˆn ¢groiîtai ƒšmenoi skÚmnoisi fÒnon stonÒenta balšsqai ™ssumšnwj, toˆ d' oÜ ti biazÒmenoi belšessi c£zont', ¢ll¦ mšnontej ¢mÚnousin tekšessin: ìj o‰ ¢munÒmenoi nhîn Ûper ºd~ kaˆ aÙtîn m…mnon ™n Øsm…nV. To‹j d' EÙrÚpuloj qrasuc£rmhj ºpe…lei mšga p©si neîn prop£roiqe qo£wn: «’A deiloˆ kaˆ ¥nalkin ™nˆ fresˆ qumÕn œcontej, oÙk ‰n d¾ belšessi neîn ¥po tarb»santa ºl£sat', e„ m¾ te‹coj ™m¾n ¢pšruken Ðmokl»n. Nàn dš moi, eâte lšonti kÚnej ptèssontej ™n ÛlV, m£rnasq' œndon ™Òntej ¢leuÒmenoi fÒnon a„pÚn: Àn dš pot' ™k nhîn ™j Trèion oâdaj †khsqe, æj tÕ p£roj memaîtej ™pˆ mÒqon, oÜ nÚ tij Ømšaj ˜Úsetai ™k qan£toio dushcšoj, ¢ll' …ma p£ntej ke…sesq' ™n kon…Vsin ™meà Ûpo dVwqšntej». vWj œfat' ¢kr£anton ƒeˆj œpoj: oÙdš ti Édh 498 ÑkruÒessan codd. : corr. Spitzner | ™pessumšnwj codd. : corr. Zimmermann 505 eât' ™n codd. : corr. Köchly 510 ìj ¥r' codd. : corr. Köchly | kaˆ ¢ndrîn codd. : corr. Struve 519 šmšaj W : Ømšaj Hc R 521 ™moà codd. : corr. Spitzner 522 ½dh H : ½dei P

LIBRO SETTIMO, VV. 493-522

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............................................... un poco, quanto pietra smisurata scagliata da una mano.109 Non permetteva infatti ai Troiani di ritrarsi lungi dalle navi Euripilo, anzi molto spronava vicino ai nemici a restare, fino a che prendesse le navi e tutti massacrasse gli Argivi:110 Zeus gli suscitò infatti forza infinita.111 Allora sollevato uno scosceso e tenace masso lo scagliò in corsa contro al muro smisurato:112 terribilmente tremò tutto il basamento dello svettante recinto: terrore afferrò tutti quanti gli Achei che il muro ormai rovinasse nella polvere. Eppure non si ritrassero dal tumulto spietato,113 ma resistevano simili a sciacalli o a lupi, di greggi sfrontati rapinatori,114 che sui monti cacciatori coi cani stanano dalle spelonche per dare ai piccoli lacrimevole morte, appena son nati: ma pur sferzati dai dardi non di un passo arretrano, e restano a difendere i figli; così quelli difendendo le navi e le vite loro resistevano nella pugna. E tutti Euripilo prode in battaglia molto minacciava davanti alle rapide navi: «Ah, vigliacchi che cuore imbelle avete nel petto,115 non riuscireste coi dardi, impaurito, dalle navi a cacciarmi, se il muro il mio impeto non trattenesse. Ma ora, come cani che da un leone fuggono impauriti nella selva, mi attaccate stando al riparo, per scansare ardua strage: ma se mai dalle navi scendiate sul suolo di Troia, come un tempo bramosi di scontro, nessuno vi scamperà da morte dal funebre suono, ma tutti insieme giacerete nella polvere, ammazzati dal mio braccio». Così disse spargendo vane parole: e non sapeva116

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Ótti ˜£ oƒ mšga pÁma kul…ndeto baiÕn ¥pwqe cersˆ Neoptolšmoio qrasÚfronoj Ój min œmelle d£mnasq' oÙ met¦ dhrÕn Øp' œgceá maimèwnti. OÙd~ m~n oÙd~ tÒt' œsken ¥ter kratero‹o pÒnoio, ¢ll' ¥ Trîaj œnairen ¢f' ›rkeoj: o‰ d' ™fšbonto ballÒmenoi kaqÚperqe, periklonšonto d' ¢n£gkV EÙrupÚl.: p£ntaj g¦r ¢nihrÕn dšoj ©rei. `Wj d' Óte nhp…acoi perˆ goÚnasi patrÕj ˜o‹o ptèssousin bront¾n meg£lou DiÕj ¢mfˆ nšfessi ˜hgnumšnhn, Óte deinÕn ™pistenac…zetai ¢»r: ìj ¥ra Trèioi umej ™n ¢ndr£si Khte…oisin ¢mfˆ mšgan basilÁa NeoptÒlemon fobšonto p©n Ó ti cersˆn ›hken: ™j „qÝ g¦r œptato pÁma, dusmenšwn kefalÍsi fšron polÚdakrun ”Arha. O‰ d' ¥r' ¢mhcan…V bebolhmšnoi œndoqen Ãtor Trîej œfant' 'AcilÁa pelèrion e„sor£asqai aÙtÕn Ðmîj teÚcessi: kaˆ ¢mfas…hn ¢legein¾n keàqon ØpÕ krad…V, †na m¾ dšoj a„nÕn †khtai ™j fršna Khte…wn mhd' EÙrupÚloio ¥naktoj. AÙtoà d' ¥lloqen ¥lloj ¢peiršsion tromšontej messhgÝj kakÒthtoj œsan krueroà te fÒboio: a„dëj g¦r katšruken Ðmîj kaˆ de‹m' ¢legeinÒn. `Wj d' Óte paipalÒessan ÐdÕn kat¦ possˆn „Òntej ¢nšrej ¢qr»swsin ¢p' oÜreoj ¢pssonta ce…marron, kanac¾ d~ peribromšei perˆ pštrV, oÙdš ti o‰ mem£asin ¢n¦ ˜Òon ºc»enta b»menai ™gkonšontej, ™peˆ par¦ possˆn Ôleqron derkÒmenoi tromšousi, kaˆ oÙk ¢lšgousi keleÚqou: ìj ¥ra Trîej œmimnon ¢leuÒmeno… per ¢ãt¾n te‹coj Øp' 'Arge…wn. ToÝj d' EÙrÚpuloj qeoeid¾j a„~n ™potrÚneske potˆ klÒnon: à g¦r ™èlpei 527 ¢ll¦ Trîaj codd. : corr. Köchly 534 meneptÒlemon W : NeoptÒlemon R 535 œoiken W : œhken R Ald. 536 ¥rh P 544 a„dëj kaˆ H 549 q»menai codd. : dÚmenai coni. Hermann : corr. Rhodomann 551 ™eldÒmeno… per ¢utÁj codd. : corr. Vian | post hunc v. lac. statuit Köchly 553 oÙ g¦r D U :   Q : À C

LIBRO SETTIMO, VV. 523-553

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che, poco distante, grande sciagura precipitava su di lui per mano di Neottolemo tenace nell’animo,117 che non avrebbe tardato a debellarlo con la sua avida lancia. Questi neppure allora era privo di strenua fatica, e massacrava i Troiani dall’alto della cinta: quelli retrocedevano sotto i colpi pioventi dall’alto, ed erano costretti a stringersi ad Euripilo: tutti infatti erano in balia di atroce terrore. Come quando fanciullini tra le gambe del padre loro118 cercano rifugio, impauriti, dall’esplodere del tuono del grande Zeus tra le nubi, quando tremendamente rimbomba il cielo: così dunque i figli dei Troiani tra gli eroi Cetei presso il grande sovrano accorrevano, in fuga da Neottolemo per tutti i colpi che scagliava; dritta volava infatti rovina e alla cervice dei nemici portava Ares grondante di lacrime. Ed allora, gravati nell’animo dall’impotenza, sembrava ai Troiani di vedere lo stesso smisurato Achille con le sue armi: e il dubbio angoscioso celavano in cuore, che terrore crudele non ne giungesse all’animo dei Cetei e del sire Euripilo.119 Restavano nello stesso punto, con tremore infinito, sospesi tra rovina e gelato terrore: pudore li arrestava e insieme timore doloroso.120 Come quando scosceso sentiero a piedi percorrono degli uomini,121 e scorgono ruscello che dal monte si precipita, e rimbomba il fragore sulla roccia, e non vogliono risolversi a traversare la corrente echeggiante, benché vadano di fretta, poiché sul passo vedono tremanti la morte, e più non si curano della via: così dunque i Troiani indugiavano, pur evitando122 il tumulto, sotto al muro degli Argivi. Ma Euripilo simile a un dio sempre li spronava all’attacco: sperava infatti

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polloÝj dhiÒwnta pelèrion ™n daÊ fîta ce‹ra kame‹n kaˆ k£rtoj: · d' oÙk ¢pšlhge mÒqoio. Tîn d' ¥r' 'Aqhna…h kraterÕn pÒnon e„sorÒwsa k£llipen OÙlÚmpoio quèdeoj a„p¦ mšlaqra: bÁ d' ¥r' Øp~r kefal¦j Ñršwn oÙd' ‡cnesi ga…hj yaàe mšg' ™gkonšousa: fšren dš min ƒerÕj ¢¾r e„domšnhn nefšessin, ™lafrotšrhn d' ¢nšmoio. Tro…hn d' any' ¢f…kane, pÒdaj d' ™pšqhke kolènV Sigšou ºnemÒentoj: ™dšrketo d' œnqen ¢ãt¾n ¢gcem£cwn ¢ndrîn: kÚdaine d~ pollÕn 'AcaioÚj. UƒÕj d' aât' 'AcilÁoj œcen polÝ fšrtaton ¥llwn q£rsoj Ðmoà kaˆ k£rtoj … t' ¢ndr£sin e„j n „Ònta teÚcousin mšga kàdoj: · d' ¢mfotšroisi kškasto, oÛnek' œhn DiÕj amma, f…l. d' ½ikto tokÁi: tî kaˆ ¥trestoj ™ën polšaj kt£nen ¢gcÒqi pÚrgwn. `Wj d' ¡lieÝj kat¦ pÒnton ¢n¾r lelihmšnoj ¥grhj teÚcwn „cqÚsi pÁma fšrei mšnoj `Hfa…stoio nhÕj ˜Áj œntosqe, diegromšnV d' Øp' ¢ãtmÍ marma…rei perˆ nÁa purÕj sšlaj, o‰ d~ kelainÁj ™x ¡lÕj ¢pssousi memaÒtej Ûstaton a‡glhn e„sidšein, toÝj g£r ˜a tanuglècini tria…nV kte…nei ™pessumšnouj, g£nutai dš oƒ Ãtor ™p' ¥grV: ìj ¥ra kÚdimoj uƒÕj ™ãptolšmou 'AcilÁoj laÈneon perˆ te‹coj ™d£mnato d»ia fàla ¢nt…' ™pessumšnwn. Ponšonto d~ p£ntej 'Acaioˆ ¥lloi Ðmîj ¥llVsin ™p£lxesin: œbrace d' eÙrÝj a„gialÕj kaˆ nÁej, ™pesten£conto d~ makr¦ te…cea ballomšnwn. K£matoj d' Øped£mnato laoÝj ¥spetoj ¢mfotšrwqe (lÚonto d~ gu‹a kaˆ ¢lk¾ a„zhîn), ¢ll' oÜ ti meneptolšmou 'AcilÁoj ¥mpecen uƒša d‹on, ™pe… ˜£ oƒ Ôbrimon Ãtor 554 dhiÒwnte D | fîtaj codd. : corr. Rhodomann 557 oÙlÚmpoio (-ou L R) eÙèdeoj codd. : corr. Rhodomann 558 kefalÁj codd. : corr. West. 561 any' ™k…cane codd. : corr. Tychsen 571 diegromšnh... ¢utm¾ codd. : corr. Rhodomann 584 ¥mfece(n) P D : corr. Vian

LIBRO SETTIMO, VV. 554-584

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che quell’eroe poderoso, che molti nella pugna uccideva, stancasse braccio e vigore: ma quello non abbandonava lo scontro.123 Atena vide dunque il loro grave travaglio e lasciò le svettanti dimore dell’Olimpo odoroso:124 passò sopra le vette dei monti né sfiorò terra il suo piede, tanta era la sua premura: la portava il sacro aere con parvenza di nuvola, più leggera del vento. E subito giunse a Troia, e i piedi pose sulla vetta del Sigeo ventoso: di là scrutava il tumulto degli eroi validi nel corpo a corpo: molta gloria donava agli Achei. Allora il figlio di Achille molto primeggiava sugli altri in valore ed in forza, che insieme convenendo agli eroi recano grande onore: quello in entrambi eccelleva, poiché era sangue di Zeus, identico al suo genitore; così, intrepido qual era, molti uccise presso alle torri. Come un pescatore che per mare vada in cerca di preda,125 tramando rovina ai pesci, la forza di Efesto conduce nella sua barca, e al levarsi del fumo risplende sulla nave la luce del fuoco, ed essi dal mare oscuro si affrettano bramosi a vederne per l’ultima volta il fulgore – infatti col tridente dalle lunghe punte li uccide appena affiorano, e si compiace il suo cuore della caccia: così dunque il figlio glorioso del bellicoso Achille presso al muro di pietra abbatteva le schiere nemiche che gli si lanciavano contro. Penavano tutti gli Achei sparsi sui diversi spalti: mugghiavano l’ampia marina e le navi, rimbombavano le lunghe mura sotto ai colpi. Fatica sottometteva le schiere infinita, d’ambo le parti (si scioglievano membra e vigore dei giovani), ma di Achille saldo in battaglia non afferrava il figlio divino, poiché il valente suo cuore

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p£mpan œhn ¥truton: ¢nihrÕn dš oƒ oÜ ti ¼yato marnamšnoio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . mšnoj d' ¢k£manti ™oikëj ¢en£. potamÚ, tÕn ¢peires…h purÕj Ðrm¾ oÜ pot' „oàsa fÒbhse, kaˆ e„ mšga ma…net' ¢»thj `Hfa…stou klonšwn ƒerÕn mšnoj (Àn g¦r †khtai ™ggÝj ™pˆ procoÍsi, mara…netai oÙdš oƒ ¢lk¾ …yasq' ¢rgalšh sqšnei Ûdatoj ¢kam£toio): ìj ¥ra Phle…dao daÈfronoj uƒšoj ™sqloà oÜte mÒgoj stonÒeij oÜt' ‰r dšoj ¼yato goÚnwn a„~n ™reidomšnoio kaˆ ÑtrÚnontoj ˜ta…rouj. OÙ m~n oÙd~ bšloj ke…nou crÒa kalÕn †kane pollîn ballomšnwn, ¢ll' æj nif£dej perˆ pštrV poll£kij º…cqhsan ™tèsia: p£nta g¦r eÙrÝ enrge s£koj briar» te kÒruj, klut¦ dîra qeo‹o: to‹j ™pikagcalÒwn kraterÕj p£oj A„ak…dao fo…ta makr¦ boîn perˆ te…ceo, poll¦ keleÚwn ™j mÒqon 'Arge…oisin ¢tarbša qÚne . . . . . . .................................... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , oÛneka p£ntwn pollÕn œhn Ôc' ¥ristoj, œcen d' œti qumÕn ÐmoklÁj leugalšhj ¢kÒrhton, ˜oà d' ¥ra m»deto patrÕj t…sasq' ¢lginÒenta fÒnon. Kec£ronto d' ¥nakti MurmidÒnej: stuger¾ d~ pšlen perˆ te‹coj ¢ãt». ”Enqa dÚw kt£ne pa‹de polucrÚsoio Mšghtoj ·j gšnoj œske DÚmantoj, œcen d' ™rikudšaj umaj e„dÒtaj eâ m~n ¥konta bale‹n, eâ d' †ppon ™l£ssai ™n polšm. kaˆ makrÕn ™pistamšnwj dÒru pÁlai, toÝj tške oƒ Per…boia miÍ Èd‹ni par' Ôcqaj Saggar…ou, KeltÒn te kaˆ EÜbion: oÙd' ¢pÒnanto Ôlbou ¢peires…oio polÝn crÒnon, oÛneka Mo‹rai 586 post marnamšnoio lac. stat. Köchly et tempt. 588 kaˆ Àn codd. : corr. Struve 595 oÙ m¾n codd. : corr. Zimmermann 597 ºÚthsan codd. : corr. Spitzner 601 ¢tarbša: qÚne oÛneka PD : ¢tarbša oÛneka Hc : lac. statuit Köchly 604 t…qesq' W : t…s(s)esq' L N E Ald. : t…sasq' R 607 gÒnoj œsce H 610 Ôcqhj codd. : corr. Vian

LIBRO SETTIMO, VV. 585-612

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in tutto era infaticabile: crudele neppure lo sfiorava in battaglia126 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . per vigore simile a inesausto fiume dal corso perenne, che sopraggiungere di infinita forza di fuoco mai impaurisce, se pure molto infuria il vento suscitando la sacra forza di Efesto (quando infatti giunga presso alle acque, svigorisce, né la sua possa tremenda è bastante a sfiorare l’acqua infaticabile):127 così dunque al nobile figlio del Pelide bellicoso né spossatezza penosa né timore sfioravano le membra, e sempre sosteneva e spronava i compagni. Neppure un dardo alla sua bella pelle giungeva dei molti che eran scagliati, ma come fiocchi di neve su roccia invano precipitavano fitti: sempre infatti l’ampio scudo faceva schermo, ed il saldo elmo, incliti doni del dio; di essi gloriandosi, il valoroso figlio dell’Eacide percorreva con alte grida la cinta, molto esortando alla lotta gli Argivi, incessantemente128 . . . . . . . . . . . . . . . ................................................ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , poiché di tutti era di gran lunga il migliore, ed era ancora il suo animo di sanguinoso scontro insaziato, meditava anzi del padre suo di vendicare la morte dogliosa. Si compiacevano del sire i Mirmidoni: ma presso al muro risuonava atroce tumulto. Allora uccise ambo i figli di Megete ricco d’oro che stirpe traeva da Dimante,129 e aveva figli di vasta rinomanza, provetti nello scagliare il giavellotto, nel condurre il cavallo in battaglia e nel brandire con maestria la lunga picca, che gli generò Peribea in un medesimo parto presso le rive del Sangario, Celto ed Eubio:130 ma non godettero a lungo dell’infinita ricchezza, poiché le Moire

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paàron ™pˆ sf…si p£gcu tšloj biÒtoio b£lonto. ”Amfw d' æj ‡don Ãmar Ðmîj, kaˆ k£tqanon ¥mfw cersˆ Neoptolšmoio qrasÚfronoj, ·j m~n ¥konti bl»menoj ™j krad…hn, · d~ cermad…. ¢legeinÚ k¦k kefalÁj: briar¾ d~ periqrausqe‹sa kar»n. ™ql£sqh truf£leia kaˆ ™gkšfalon sunšceuen. 'Amfˆ d' ¥r£ sfisi fàla perikte…nonto kaˆ ¥llwn mur…a dusmenšwn. Mšga d' ”Areoj œrgon Ñrèrei, mšsf' Óte d¾ boulutÕj ™p»luqen, ½nuto d' ºëj ¢mbros…h, kaˆ laÕj ¢tarbšoj EÙrupÚloio c£ssato tutqÕn ¥pwqe neîn. O‰ d' ¢gcÒqi pÚrgwn baiÕn ¢nšpneusan, kaˆ d' aÙtoˆ Trèioi umej ¢mpaÚonto mÒgoio dusalgšoj, oÛnek' ™tÚcqh fÚlopij ¢rgalšh perˆ te…ceï ka… nÚ c' …pantej 'Arge‹oi tÒte nhusˆn ™pˆ sfetšrVsin Ôlonto, e„ m¾ 'AcillÁoj kraterÕj p£oj ½mati ke…n. dusmenšwn ¢p£lalke polÝn stratÕn ºd~ kaˆ aÙtÕn EÙrÚpulon. TÚ d' anya gšrwn scedÕn ½luqe *o‹nix, ka… min „dën q£mbhsen ™oikÒta Phle…wni: ¢mfˆ dš oƒ mšga c£rma kaˆ ¥speton ¥lgoj †kanen, ¥lgoj m~n mnhsqšnti podèkeoj ¢mf' 'AcilÁoj, c£rma d' ¥r', oÛnek£ oƒ kraterÕn pa‹d' e„senÒhse. Kla‹e d' Ó g' ¢spas…wj, ™peˆ oÜ pote fàl' ¢nqrèpwn nÒsfi gÒou zèousi, kaˆ e‡ pote c£rma fšrwntai. 'AmfecÚqh dš oƒ, eâte pat¾r perˆ paidˆ cuqe…h, Ój te qeîn „Òthti polÝn crÒnon ¥lge' ¢natl¦j œlqoi ˜Õn potˆ dîma f…l. mšga c£rma tokÁi: ìj · Neoptolšmoio k£rh kaˆ st»qea kÚssen

618 ™qraÚsqh truf£leia codd. : corr. Köchly 621 ¥nuto d' ºëj H : oÜnuto d' ºëj P : corr. Tychsen 625 dusalkšoj W : dusalgšoj B et Pauw. 633 ¢nt' 'AcilÁoj codd. : corr. Spitzner 637 pa‹da codd. : corr. Rhodomann

LIBRO SETTIMO, VV. 613-640

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assai breve assegnarono loro il termine della vita. Così come insieme videro la luce del giorno, pure insieme morirono per mano di Neottolemo prode nell’animo, uno da lancia colpito nel cuore, l’altro invece da masso funesto sul capo: l’elmo, pur saldo, sfondando il cranio s’infranse, e se ne riversò il cervello.131

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[Il vecchio Fenice abbraccia Neottolemo] E tutt’intorno a loro schiere infinite perivano di altri nemici. Durò la grande opera d’Ares fino a che giunse l’ora in cui si sciolgono i buoi, e si compiva il giorno divino, e l’esercito di Euripilo intrepido si ritirava poco lontano dalle navi. Quelli dentro ai bastioni trassero un po’ di respiro, ed anche i figli dei Troiani ebbero sollievo dalla lotta dolorosa, poiché era stata tremenda battaglia presso al muro: e allora, certo, tutti gli Argivi vicino alle navi loro sarebbero periti, se il figlio possente di Achille, in quel giorno, non stornava il grande esercito dei nemici e lo stesso Euripilo. E presto gli si fece vicino il vecchio Fenice,132 e al vederlo stupì, tanto somigliava al Pelide: e grande gioia e infinita pena lo avvolsero, pena al ricordo di Achille dal rapido piede, gioia invece al vederne il figlio possente. E lietamente piangeva, poiché mai le stirpi degli uomini vivono senza lamento, neanche nei trasporti di gioia.133 Lo strinse tra le braccia, come un padre il figlio stringerebbe, che per volontà degli dèi, dopo aver lungo tempo durato dolori, giunga alla sua casa, grande gioia per il padre suo:134 così quello baciava di Neottolemo capo e petto,

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¢mficuqe…j, kaˆ to‹on ¢gass£menoj f£to màqon: «Ca‹rš moi, ð tškoj ™sqlÕn 'Acillšoj Ón pot' œgwge tutqÕn ™Ònt' ¢t…tallon ™n ¢gko…nVsin ™mÍsi profronšwj. vO d' ¥r' ðka qeîn ™rikudši boulÍ œrnoj Ópwj ™riqhl~j ¢šxeto, ka… oƒ œgwge g»qeon e„sorÒwn ºm~n dšmaj ºd~ kaˆ aÙd»n. ”Eske dš moi mšg' Ôneiar: ‡son dš ˜ paidˆ t…eskon thlugšt., · d' ¥r' son ˜Ú patrˆ t‹en ™mÕn kÁr: ke…nou m~n g¦r œgwge pat»r, · d' ¥r' uƒÕj œmoige œsken, Ópwj f»sasken „dèn: «`EnÕj a†matÒj e„men e†nec' ÐmofrosÚnhj». 'AretÍ d' Ó ge fšrteroj Ãen pollÒn, ™peˆ mak£ressi dšmaj kaˆ k£rtoj ™ókei: tÚ sÚ ge p£mpan œoikaj, ™gë d' ¥r ke‹non Ñpw zwÕn œt' 'Arge…oisi metšmmenai: oá m' ¥coj ÑxÝ ¢mpšcei ½mata p£nta, lugrÚ d' ™pˆ g»rao qumÕn te…romai. `Wj ÔfelÒn me cut¾ kat¦ ga‹a kekeÚqei ke…nou œti zèontoj: · kaˆ pšlei ¢nšri kàdoj khdemonÁoj ˜oà ØpÕ ce…resi tarcuqÁnai. 'All£, tškoj, ke…nou m~n ™gë oÙ l»somai Ãtor ¢cnÚmenoj, sÝ d~ m» ti calšpteo pšnqeo qumÒn. 'All' ¥ge, MurmidÒnessi kaˆ ƒppod£moisin 'Acaio‹j teiromšnoij ™p£mune mšg' ¢mf' ¢gaqo‹o tokÁoj cwÒmenoj dh…oisi: klšoj dš toi œssetai ™sqlÕn EÙrÚpulon dam£santi m£chj ¢kÒrhton ™Ònta: toà g¦r ØpšrterÒj ™ssi kaˆ œsseai, Ósson ¢re…wn se‹o pat¾r ke…noio pšlen mogero‹o tokÁoj». vWj f£menon prosšeipe p£oj xanqoà 'AcilÁoj: «’W gšron, šmetšrhn ¢ret¾n ¢n¦ dhiotÁta Ansa diakrinšei krater¾ kaˆ Øpšrbioj ”Arhj». vWj e„pën aÙtÁmar ™šldeto te…ceoj ™ktÕj seÚesq' ™n teÚcessin ˜oà patrÒj: ¢ll£ min œsce 641 ¢gapazÒmenoj codd. : corr. Spitzner 649 ke…n. Pauw 650 ™sm~n W : e„m~n L et Vian : ennai vel œmmen Pauw 653 ‰r codd. : corr. Wernicke 655 ¢mfšcei codd. : corr. Vian 657 · g¦r R : ™peˆ Zimmermann 659 ™gë codd. : corr. Rhodomann 663 dš ti H

LIBRO SETTIMO, VV. 641-671

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strettolo a sé, e queste parole diceva ammirandolo: «Salve, o nobile figlio di quell’Achille che un tempo, piccolo ancora, nel mio abbraccio io crebbi, con ogni cura.135 E quello per il glorioso consiglio degli dèi rapidamente qual fiorente germoglio cresceva, e di lui mi compiacevo, al vederne e figura e voce. Era per me grande conforto: al pari lo avevo di un figlio amato, ed egli nel cuore me onorava come suo padre;136 e davvero io ero suo padre, ed egli mio figlio, come diceva al vedermi: «Di uno stesso sangue siamo, poiché uno solo è a noi l’animo».137 Ma in valore superiore era di molto, poiché agli dèi beati era uguale in corpo e possanza: e tu in tutto gli somigli, ed ecco mi sembra che quello ancora viva in mezzo agli Argivi; per lui acre lutto ogni giorno mi afferra, ed in lacrimosa vecchiaia l’animo mi logoro. Magari la terra riversa me avesse coperto e quello ancora vivesse!138 Onore è pur sempre ad un uomo che uno dei suoi, di sua mano, gli doni sepoltura. Ma, figliolo, se pure io non cesserò di pensare a lui con angoscia nel cuore, tu non tormentare il tuo animo nel lutto. Su, ai Mirmidoni ed agli Achei domatori di cavalli, allo stremo, presta soccorso, per il nobile padre molto sdegno nutrendo contro i nemici: e ne avrai illustre nomea, se debellerai Euripilo mai sazio di lotta; a lui infatti superiore sei e sarai, quanto migliore tuo padre fu del suo sventurato genitore».139 A queste parole rispose il figlio del biondo Achille: «Vecchio, il mio valore nello scontro la Sorte possente giudicherà, ed il fortissimo Ares».140 Detto questo, subito bramava fuori dal muro sortire nelle armi del padre: ma lo tratteneva

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NÝx ¼ t' ¢nqrèpoisi lÚsin kam£toio fšrousa œssut' ¢p' 'Wkeano‹o kaluyamšnh dšmaj ÔrfnV. 'Arge…wn dš min umej ‡son kraterÚ 'AcilÁi kÚdainon par¦ nhusˆ geghqÒtej, oÛnek' ¥r' aÙtoÝj qarsalšouj katšteuxen ™ën ™pˆ dÁrin ˜to‹moj. ToÜnek£ min t…eskon ¢gakleito‹j ger£essin ¥speta dîra didÒntej … t' ¢nšri ploàton Ñfšllei: o‰ m~n g¦r crusÒn te kaˆ ¥rguron, o‰ d~ guna‹kaj dmw…daj, o‰ d' ¥ra calkÕn ¢£speton, o‰ d~ s…dhron, ¥lloi d' onnon ™ruqrÕn ™n ¢mfiforeàsin Ôpassan †ppouj t' ÈkÚpodaj kaˆ ¢r»ia teÚcea fwtîn f£re£ t' eÙpo…hta gunaikîn k£llima œrga: to‹j œpi qumÕn ‡aine Neoptolšmoio f…lon kÁr. Ka… ˜' o‰ m~n dÒrpoio potˆ klis…Vsi mšlonto uƒÕn 'AcillÁoj qeoeidša kuda…nontej nson ™pouran…oisin ¢teiršsi: tÚ d' 'Agamšmnwn pÒll' ™pikagcalÒwn to‹on potˆ màqon œeipen: «'Atrekšwj p£ij ™ssˆ qrasÚfronoj A„ak…dao, ð tškoj, oÛnek£ oƒ kraterÕn mšnoj ºd~ kaˆ endoj kaˆ mšgeqoj kaˆ q£rsoj „d~ fršnaj œndon œoikaj. Tî soˆ ™gë mšga qumÕn „a…nomai: à g¦r œolpa sÍsin Øpaˆ pal£mVsi kaˆ œgceï d»ia fàla kaˆ Pri£moio pÒlha perikleit¾n ™nar…xai, oÛneka patrˆ œoikaj. 'Egë d' ¥ra ke‹non Ñpw e„sor£an par¦ nhus…n, Óte Trèessin ÐmÒkla cwÒmenoj PatrÒkloio dedoupÒtoj: ¢ll' · m~n ½dh ™stˆ sÝn ¢qan£toisi: s~ d' ™k mak£rwn prošhke s»meron 'Arge…oisin ¢pollumšnoij ™pamànai».

676 qarsalšwj codd. : corr. Rhodomann | ›toimoj P : ˜to…mwj N R E Ald. 692 œwlpa H

LIBRO SETTIMO, VV. 672-699

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la Notte, che a sciogliere gli uomini dalle loro fatiche sorgeva dall’Oceano, avvolto il corpo di tenebra. [Ringraziamenti dei Greci e di Agamennone a Neottolemo] I figli degli Argivi al pari di Achille possente lo celebravano giubilanti presso alle navi, poiché di coraggio li aveva colmati la sua prontezza alla pugna. Per questo lo onoravano con insigni omaggi141 dandogli doni infiniti, che farebbero ricco un uomo: chi oro ed argento, chi ancelle, chi bronzo infinito, chi ferro, chi anfore di rosso vino donava, e cavalli dalle rapide zampe, e marziali armi di eroi e manti ben lavorati, splendide opere di donne;142 di essi nel petto godeva il cuore di Neottolemo. E quelli, presso alle tende, del banchetto si davano pensiero, onorando il figlio simile a un dio di Achille al pari dei celesti invincibili:143 a lui Agamennone, molto compiacendosi, tale discorso rivolse: «Veramente sei figlio dell’Eacide prode nell’animo, caro ragazzo, poiché in forza possente, in aspetto, in statura, in audacia e nel senno gli somigli. Così da te grande conforto riceve il mio animo: spero infatti che dalle tue mani e dalla tua lancia le schiere nemiche e la città insigne di Priamo siano annientate, poiché sei identico al padre. Ecco che mi sembra proprio di vederlo presso alle navi, nel giorno in cui minacciava i Troiani, irato per la morte di Patroclo:144 ma quello ormai è tra gli immortali, e dalle sedi dei beati te ha inviato quest’oggi a difendere gli Argivi in rotta».145

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

vWj f£menon prosšeipen 'Acillšoj Ôbrimoj uƒÒj: «E‡qš , ð 'Ag£memnon, œti zèonta k…canon, Ôfra kaˆ aÙtÕj ¥qrhsen ˜Õn qum»rea pa‹da oÜ ti kataiscÚnonta b…hn patrÒj, Êj per Ñpw œssesq', ½n me sÒwsin ¢khdšej OÙran…wnej». vWj ¥r' œfh pinutÍsin ¢rhršmenoj fresˆ qumÒn: laoˆ d' ¢mfišpontej ™q£mbeon ¢nšra d‹on. 'All' Óte d¾ dÒrpoio kaˆ e„lap…nhj koršsanto, d¾ tÒt' ¥r' A„ak…dao qrasÚfronoj Ôbrimoj uƒÕj ¢nst¦j ™k dÒrpoio potˆ klis…aj ¢f…kane patrÕj ˜oà. T¦ d~ poll¦ daoktamšnwn šrèwn œnte£ oƒ parškeinq': a‰ d' ¢mf… min ¥lloqen ¥llai cÁrai lhi£dej klis…hn ™piporsÚneskon, æj zèontoj ¥naktoj. vO d' æj ‡den œntea Trèwn kaˆ dmw£j, ston£chsen: œroj dš min emle tokÁoj. `Wj d' Ót' ¢n¦ drum¦ pukn¦ kaˆ ¥gkea ˜wp»enta smerdalšoio lšontoj Øp' ¢greutÍsi damšntoj skÚmnoj ™j ¥ntron †khtai ™Åskion, ¢mfˆ d~ p£ntV tarfša papta…nei keneÕn spšoj, ¢qrÒa d' aÙtoà Ñstša derkÒmenoj ktamšnwn p£roj oÙk Ñl…gwn per †ppwn ºd~ boîn meg£l' ¥cnutai ¢mfˆ tokÁoj: ìj ¥ra qarsalšoio p£oj tÒte Phle…dao qumÕn ™pacnèqh. Dmwaˆ dš min ¢mfag£santo: kaˆ d' aÙt¾ Brish…j, Ót' œdraken um' 'AcilÁoj, ¥llote m~n qumÚ mšg' ™g»qeen, ¥llote d' aâte ¥cnut' 'AcillÁoj memnhmšnh: ™n dš oƒ Ãtor ¢mfas…V bebÒlhto kat¦ fršnaj, æj ™teÒn per aÙtoà œti zèontoj ¢tarbšoj A„ak…dao. Trîej d' aât' ¢p£neuqe geghqÒtej Ôbrimon ¥ndra EÙrÚpulon kÚdainon ™nˆ klis…Vsi kaˆ aÙto…, 701 add. Rhodomann 702 Ôfra me codd. : corr. Rhodomann (me e praecedentis v. min hic irreptum esse cernens) 705 ¢rhr£menoj codd. : corr. Zimmermann 715 ˜ip»enta codd. : corr. Rhodomann 716 smerd£leoi lšontej P | damšntej P 718 ke‹no spšoj codd. : corr. Rhodomann

LIBRO SETTIMO, VV. 700-729

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A queste parole rispose il prode figlio di Achille: «Magari, o Agamennone, ancor vivo lo avessi raggiunto,146 perché anch’egli vedesse come il suo figlio diletto in nulla disonora il valore del padre, così come penso avverrà, se mi custodiranno i Celesti ignari di pena». Così disse, con la mente ben salda nel cuore prudente; tutt’attorno ammiravano le schiere l’illustre eroe. Ma quando furono sazi di mensa e banchetto, allora il valoroso figlio dell’Eacide prode nell’animo si alzò dal banchetto e andò alla tenda del padre suo. Le molte armi degli eroi massacrati in battaglia qui lo aspettavano: da una parte e dall’altra le prigioniere, orbate del padrone, rigovernavano la tenda, come se ancora vivesse il signore. Come vide le armi dei Troiani e le serve, gemette: desiderio lo prese del padre.147 Come quando per folte macchie e valli coperte d’arbusti il piccolo di un feroce leone ucciso dai cacciatori giunge ad ombrosa spelonca,148 e intorno a sé di continuo scruta la grotta deserta, e frugando con lo sguardo vi vede le ossa ammucchiate di non pochi cavalli o buoi che un tempo quello uccise, e molto si affligge per il genitore: così allora il figlio del valoroso Pelide si rattristò nel cuore. Le serve tutt’attorno lo ammiravano: e la stessa Briseide, fissato che ebbe il figlio di Achille, un istante giubilava nell’animo, ma quello dopo si doleva al ricordo di Achille; il suo cuore da muto stupore era colpito nel petto, come se davvero ancora vivesse l’intrepido Eacide. I Troiani intanto dall’altra parte, pure essi sotto alle tende, lietamente onoravano l’eroe valoroso, Euripilo,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ÐppÒson “Ektora d‹on, Ót' 'Arge…ouj ™d£áze ˜uÒmenoj ptol…eqron ˜Õn kaˆ ktÁsin …pasan. 'All' Óte d¾ merÒpessin ™pˆ glukÝj ½luqen Ûpnoj, d¾ tÒte Trèioi umej „d' 'Arge‹oi menec£rmai nÒsfi fulakt»rwn eádon bebarhÒtej Ûpn..

LIBRO SETTIMO, VV. 730-734

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quanto solevano onorare Ettore divino, quando faceva strage di Argivi 149 salvando la rocca e ogni loro ricchezza. Ma quando ai mortali dolce sonno soggiunse, allora i figli dei Troiani e gli Argivi saldi in battaglia, eccetto le scolte, si addormentarono gravati dal sonno.

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LIBRO OTTAVO traduzione e note di Enrico Maria Polizzano

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’Hmoj d' ºel…oio f£oj perik…dnatai aman ™k per£twn ¢niÒntoj, Óqi spšoj 'Hrigene…hj, d¾ tÒte pou Trîej kaˆ 'Acaiîn Ôbrimoi umej qwr»ssonq' ˜k£terqen ™peigÒmenoi potˆ dÁrin. ToÝj män p£ij ™sqlÕj 'Acillšoj ÑtrÚnesken ¢nti£an Trèessin ¢tarbša qumÕn œcontaj, toÝj d' ¥ra Thlef…dao mšga sqšnoj: à g¦r ™èlpei te‹coj män cam£dij balšein nÁ£j t' ¢maqÚnein ™n purˆ leugalš., laoÝj d' ØpÕ cersˆ dapxai: ¢ll£ oƒ ™lpwr¾ män œhn ™nal…gkioj aÜrV mayid…V: KÁrej dä m£la scedÕn ˜sthu‹ai pollÕn kagcal£askon ™tèsia mhtiÒwnti. Kaˆ tÒte MurmidÒnessin 'Acillšoj ¥tromoj uƒÕj qarsalšon f£to màqon ™potrÚnwn ponšesqai: «Kšklutš meu, qer£pontej, ¢r»ion ™n fresˆ qumÕn qšntej, †n' 'Arge…oisin ¥koj polšmou ¢legeinoà, dusmenšessi dä pÁma genèmeqa: mhdš tij šmšwn tarbe…tw: krater¾ g¦r ¥dhn ™k q£rseoj ¢lk¾ g…netai ¢nqrèpoisi, dšoj dä b…hn ¢maqÚnei kaˆ nÒon. 'All' ¥ge p£ntej ™j ”Area kartÚnasqe Ôfra m¾ ¢mpneÚsV Trèwn stratÒj, ¢ll' 'AcilÁa fa…h œti zèonta metšmmenai 'Arge…oisin». vWj e„pën êmoisi patrèia dÚseto teÚch p£ntoqe marma…ronta: Qštij d' ºg£lleto qumÚ ™x ¡lÕj e„sorÒwsa mšga sqšnoj uƒwno‹o. 4 perˆ codd. : corr. Spitzner 5 add. Rhodomann : < kaˆ > toÝj m~n maluit Köchly 8 ¢maqànai C.L. Struve 11 mayid…h W : corr. Lasc. 20 kartÚnasqai W : -nesqe L et Pauw

[Incitamento di Neottolemo ai Greci]1 Quando si diffonde2 sulla terra la luce del sole che sorge dai confini, laddove c’è l’antro di Erigeneia, allora i Troiani e i forti figli degli Achei si armano a vicenda, impazienti della pugna. Gli uni infatti incitava il valoroso figlio di Achille ad affrontare i Troiani con animo impassibile; gli altri invece il vigore del figlio di Telefo;3 sperava davvero di gettare a terra il muro, di incenerire le navi col fuoco doloroso e di annientare con le sue mani gli eserciti. Ma la sua speranza somigliava ad una brezza, effimera; infatti le Chere, standogli accanto, molto si prendevano gioco di lui che tramava infruttuosi progetti. E allora l’impavido figlio di Achille4 ai Mirmidoni fece un ardito discorso, incitandoli a combattere: «Datemi ascolto, compagni! Con animo bellicoso nel petto diventiamo per gli Argivi sollievo della guerra penosa, sciagura invece per i nemici. Nessuno tra di noi abbia paura; infatti dal coraggio gran slancio nasce per gli uomini, mentre la paura annienta la forza e la mente. Orsù, preparatevi tutti per Ares, affinché l’esercito dei Troiani non si riprenda, ma Achille ancora in vita creda trovarsi tra gli Argivi». Così dicendo si mise sulle spalle le armi paterne, che luccicavano in ogni parte; intanto Teti esultava nell’animo mentre scrutava dal mare la grande potenza del nipote.

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Ka… ˜a qoîj o‡mhse prÕ te…ceoj a„peino‹o ™mbebaëj †ppoisin ˜oà patrÕj ¢qan£toisin. Omoj d' ™k per£twn ¢nfa…netai 'Wkeano‹o 'Hšlioj qhhtÕn ™pˆ cqÒna pàr ¢marÚsswn, pàr, Óte oƒ pèloisi kaˆ …rmasi sumfšret' ¢st¾r Se…rioj Ój te broto‹si fšrei polukhdša noàson: to‹oj ™pˆ Trèwn stratÕn ½ien Ôbrimoj ¼rwj, uƒÕj 'AcillÁoj. *Òreon dš min ¥mbrotoi †ppoi toÚj oƒ ™eldomšn. nhîn ¥po laÕn ™l£ssai êpasen AÙtomšdwn: ·j g£r sfeaj šniÒceuen. “Ippoi d' aât' ™c£rhsan ˜Õn foršontej ¥nakta e‡kelon A„ak…dV: tîn d' ¥fqiton Ãtor ™èlpei œmmenai ¢nšra ke‹non 'Acillšoj oÜ ti cere…w. vWj dä kaˆ 'Arge‹oi mšga kagcalÒwntej ¥gerqen ¢mfˆ Neoptolšmoio b…hn ¥moton memaîtej, leugalšoij sf»kessin ™oikÒtej, oÛj te klon»sV ...................................... chramoà ™kpotšontai ™eldÒmenoi crÒa qe‹nai ¢ndrÒmeon, p£ntej dä purˆ sqšnoj Ðrma…nontej teÚcousin mšga pÁma paressumšnoisi broto‹sin: ìj o† g' ™k nhîn kaˆ te…ceoj ™xecšonto maimèwntej ”Arhi. PolÝj d' ™ste…neto cîroj: p©n ped…on d' ¢p£neuqen ™l£mpeto teÚcesi fwtîn, ºel…ou kaqÚperqen Øp' ºšri marma…rontoj. Omon dä nšfoj emsi di' ºšroj ¢pl»toio pnoiÍsin meg£lVsin ™launÒmenon Boršao, Ãmoj d¾ nifetÒj te pšlei kaˆ ce…matoj Êrh ¢rgalšh, p£ntV dä peristšfei oÙranÕn Ôrfnh:

28 corr. Spitzner 33 fšron W : œferon L R : *Òreon corr. Rhodomann 41 -sei codd. : corr. Pierson post versum lac. coni. Pierson 45 te kaˆ codd. : kaˆ U et Tychsen

LIBRO OTTAVO, VV. 26-52

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Ed ecco che rapidamente si slancia dall’alto muro guidando i cavalli immortali5 di suo padre. Come6 dai confini dell’Oceano sorge il Sole, facendo brillare il meraviglioso fuoco sulla terra, quando ai suoi cavalli e al carro si congiunge l’astro di Sirio, che reca agli uomini un male molto penoso, così contro l’esercito dei Troiani si muove il forte eroe, figlio di Achille. Lo conducevano gli immortali cavalli che a lui, ansioso di cacciare via dalle navi l’esercito, aveva donato Automedonte,7 loro auriga da tempo. I cavalli furono lieti di condurre un loro signore, simile al figlio di Eaco: il loro impavido animo sperava che quell’uomo non fosse inferiore ad Achille. Così anche gli Argivi, rallegrandosi molto, si radunarono intorno alla forza di Neottolemo, muovendosi senza sosta, simili8 alle vespe portatrici di sventure, che, per il tumulto, ................................................ escono dalla tana ansiose di ferire la pelle umana, tutte poi, fremendo per il fuoco, provocano grave rovina agli uomini che si accostino.

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[Infuria la battaglia] Così quelli si riversarono dalle navi e dal muro, bramando Ares. La vasta piana si riempì, e tutto il campo da lontano scintillava per le armi degli uomini, mentre il sole brillava dall’alto, appena sotto il cielo. Come9 una nube incede attraverso l’immenso cielo, sospinta dagli imperiosi soffi di Borea, allorché c’è la neve e la stagione di inverno terribile, quando in ogni punto le tenebre avvolgono la volta celeste;

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ìj tîn pl»qeto ga‹a sunercomšnwn ˜k£terqe nhîn baiÕn ¥pwqe: kÒnij d' e„j oÙranÕn eÙrÝn pšptat' ¢eiromšnh. Kan£cize dä teÚcea fwtîn, sÝn dä kaˆ …rmata poll£: diessÚmenoi d' ™pˆ mîlon †ppoi Øpecremštizon. `E¾ d' ™kšleuen ›kaston ¢lk¾ ¢nihr¾n ™j fÚlopin ÑtrÚnousa. `Wj d' Óte kÚmata makr¦ dÚw klonšousin ¢Átai smerdalšon bromšontej ¢n¦ platÝ ceàma qal£sshj œkpoqen ¢ll»loisi perirrhgnÚntej ¢šllaj, ÐppÒte ce‹m' ¢legeinÕn ¢n' eÙrša bšnqea pÒntou ma…net', ¢maimakšth dä peristšnei 'Amfitr…th kÚmasi leugalšoisi, t¦ d' ¥lloqen ¥lla fšrontai oÜresin ºlib£toisin ™oikÒta, tîn d' ¢legein¾ Ñrnumšnwn ˜k£terqe pšlei kat¦ pÒnton „w»: ìj o† g' ¢mfotšrwqen ™j ”Area sumforšonto smerdalšon memaîtej: ”Erij d' ÑrÒqune kaˆ aÙt». SÝn d' œbalon brontÍsin ™oikÒtej À steropÍsin a† te mšga ktupšousi di' ºšroj, ÐppÒt' ¢Átai l£broi ™ridma…nwsi, kaˆ ÐppÒte l£bron ¢šntej sÝn nšfea ˜»xwsi DiÕj mšga cwomšnoio ¢ndr£sin o† t' ™r…timon Øpär Qšmin œrga k£mwntai: ìj o† g' ¢ll»loisin ™pšcraon: œgcei d' œgcoj sumfšret', ¢sp…di d' ¢sp…j, ™p' ¢nšra d' ½ien ¢n»r. Prîtoj d' Ôbrimoj uƒÕj ™ãptolšmou 'AcilÁoj d£mnat' ™ån MelanÁa kaˆ ¢glaÕn 'Alkid£manta, umaj 'AlexinÒmoio dapfronoj Ój t' ™nˆ ko…lV KaÚn. naiet£eske dieidšoj ¢gcÒqi l…mnhj ”Imbr. ØpÕ nifÒenti paraˆ posˆ Tarb»loio. Kte‹ne dä Kass£ndroio qoÕn posˆ pa‹da MÚnhta ·n tške d‹a Kršousa par¦ procoÍj potamo‹o

67 ™p’ codd. : corr. Vian 71 laÚroi W : corr. Rhodomann : lugroˆ Zimmermann 73 k£montai P D U

LIBRO OTTAVO, VV. 53-82

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così la terra si riempiva di coloro che si scontravano giungendo dalle due file, non troppo lontano dalle navi; e la polvere nell’ampio cielo volava verso l’alto. Rumoreggiavano le armi degli uomini e insieme i numerosi carri; mentre si lanciavano nella mischia nitrivano10 i cavalli. Il proprio coraggio spronava ciascuno, spingendolo a luttuoso tumulto. Come11 quando due venti innalzano grandi onde, rombando spaventosamente sopra l’ampia distesa del mare, scatenando uragani da ogni parte, a vicenda; allorché la funesta tempesta fino nei profondi recessi del mare infuria, e Amfitrite12 invincibile risuona per le crudeli onde, che vanno qua e là, a grandi montagne somiglianti; terribile, mentre essi si alzano da ogni lato, è il rimbombo lungo il mare; così quelli da entrambe le parti andavano ad Ares, con terribile follia. Anche la stessa Eris li eccitava. Essi combatterono simili a tuoni e lampi, che rintronano fortemente nell’aria, quando i venti impetuosi lottano tra loro, e quando, soffiando velocemente, infrangono le nuvole, poiché Zeus è assai adirato con gli uomini che si affannano contro la nobile Themis.13 Così si sfidarono fra loro; e l’asta con l’asta, si scontrava, lo scudo con lo scudo, e l’uomo attaccava l’uomo. Per primo il forte figlio di Achille valoroso in guerra abbatté il valente Melaneo e lo splendido Alcidamante, figli del saggio Alessinomo, che nella profonda Cauno viveva, vicino al limpido lago, sotto l’Imbro coperto di neve, lungo i piedi del Tarbelo.14 Uccise poi il figlio di Cassandro, Menete, rapido nella corsa, che la divina Creusa generò lungo le rive del fiume

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

L…ndou ™ãrre…tao, meneptolšmwn Óqi Karîn pe…rata kaˆ Luk…hj ™rikudšoj ¥kra pšlontai. Emle d' ¥r' a„cmhtÁra MÒrun *rug…hqe molÒnta: tÚ d' ¥r' Ðmîj PÒlubÒn te kaˆ `Ippomšdonta katškta, tÕn män ØpÕ krad…hn, tÕn d' ™j klh‹da tuc»saj. D£mnat Ñloo‹o purÕj katad£mnat' ¢ãtm¾ ˜hid…wj, ™piÒntoj Ñpwrinoà Boršao: ìj toà ™pessumšnoio kathre…ponto f£laggej. A„ne…aj d' ™d£massen 'AristÒlocon menec£rmhn pl»xaj cermad…. kat¦ kr£toj: ™n d' ¥r' œqlassen Ñstša sÝn p»lhki: l…pen d' ¥far Ñstša qumÒj. Tude…dhj d' EÜmaion ›len qoÕn Ój pot' œnaie D£rdanon a„p»essan, †n' 'Agc…sao pšlontai eÙna…, Ópou Kuqšreian ™n ¢gko…nVsi d£massen. –An d' 'Agamšmnwn kte‹nen 'EÅstraton, oÙd' Ó ge QrÇkhn †ket' ¢pÕ ptolšmoio, f…lhj d' ˜k¦j œfqito p£trhj. MhriÒnhj d' ™d£masse Clšmon Peis»noroj uma, ¢ntiqšou +laÚkoio f…lon pistÕn ˜ta‹ron, Ój ˜£ te naiet£eske par¦ procoÍj LimÚroio ka… ˜£ min æj basilÁa perikt…onej t…on ¥ndrej, +laÚkou ¢poktamšnoio kaˆ oÙkšti koiranšontoj, p£ntej Ósoi *o…nikoj ›doj perˆ p£gcu nšmonto a„pÚ te MassikÚtoio ˜…on bwmÒn te Cima…rhj. ”Alloj d' ¥llon œpefne kat¦ mÒqon: ™n d' ¥ra to‹sin EÙrÚpuloj polšessi kak¦j ™pˆ KÁraj ‡alle dusmenšsin. Prîton dä meneptÒlemon katšpefnen EÜruton, aÙt¦r œpeita Meno…tion a„olom…trhn, ¢ntiqšouj ˜t£rouj 'Elef»noroj: ¢mfˆ d' ¥r£ sfin

88 D£mnat’ W : corr. Rhodomann 90 add. Vian 94 kratÕj codd. : corr. Rhodomann 102 add. Rhodomann 103 Limuro‹o corr. Rhodomann (accentum corr. Vian) : ¢mÚroio codd.

LIBRO OTTAVO, VV. 83-112

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Lindo dalla bella corrente, dove dei valorosi Cari sono i confini, e le sommità della Licia gloriosa. Trucidò poi Mori armato di lancia, che era giunto dalla Frigia, e con lui allo stesso modo uccise Polibo e Ippomedonte, trafiggendo l’uno al cuore, l’altro alla clavicola. Faceva strage da una parte e dall’altra, e la terra gemeva per i cadaveri dei Troiani. Alcuni cadevano simili a secchi arboscelli,15 che la vampa di un fuoco distruttore abbatte con facilità, quando spira Borea autunnale; così le falangi cadevano, al suo impeto. Nel frattempo Enea abbatteva il valoroso Aristoloco, colpendolo con una pietra alla testa; e in essa schiacciò le ossa con l’elmo; subito l’anima lasciò il corpo. Il Tidide invece colpì il rapido Eumeo, che un tempo abitava l’alta Dardano, dove di Anchise sono i letti, là dove strinse tra le braccia Citerea. Poi Agamennone uccise Eustrato, e costui non in Tracia tornò più dalla guerra, ma morì lontano dalla cara patria. Merione abbatté Clemo, figlio di Pisenore, caro e fedele amico del divino Glauco, che abitava presso la foce del Limuro,16 laddove gli uomini lo veneravano come un re quando morì Glauco e non regnava più: tutti, quanti abitavano tra la vasta sede di Fenice, l’alta vetta del Massiceto e l’altare della Chimera.17 L’uno colpiva l’altro nella mischia, e in mezzo a questi Euripilo soprattutto le nere Chere gettava su molti nemici. Inizialmente annientò l’intrepido Eurito, in seguito Menezio dal balteo smagliante, entrambi compagni di Elefenore,18 simili agli dèi; e insieme con essi

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

“Arpalon, Ój ˜' 'OdusÁoj ™Åfronoj œsken ˜ta‹roj. 'All' · män oân ¢p£terqen œcen pÒnon oÙd' ™pamÚnein œsqenen ú qer£ponti dedoupÒti: toà d' ¥r' ˜ta‹roj ”Antifoj ÑbrimÒqumoj ¢poktamšnoio colèqh kaˆ b£len EÙrupÚloio katant…on: ¢ll£ min oÜ ti oÜtasen, oÛnek£ oƒ kraterÕn dÒru tutqÕn ¥pwqen œmpese Melan…wni dapfroni tÒn pote m»thr ge…nato p¦r procoÍsin ™ãrre…tao Kapkou, Kle…th kallip£rhoj Øpodmhqe‹j' 'Erul£.. EÙrÚpuloj d' ˜t£roio colws£menoj ktamšnoio 'Ant…f. ay' ™pÒrousen: · d' œkfuge possˆ qoo‹sin ™j plhqÝn ˜t£rwn: kraterÕn dš min oÜ ti d£massen œgcoj Thlef…dao dapfronoj, oÛnek' œmellen ¢rgalšwj Ñlšesqai Øp' ¢ndrofÒnoio KÚklwpoj Ûsteron: ìj g£r pou stugerÍ ™pi»ndane Mo…rV. EÙrÚpuloj d' ˜tšrwqen ™póceto: toà d' ØpÕ dourˆ a„än ™pessumšnoio kat»ripe poulÝj Ómiloj. 'HÚte dšndrea makr¦ b…V dmhqšnta sid»rou oÜresin ™n las…oisin ¢napl»swsi f£raggaj keklimšn' ¥lloqen ¥lla kat¦ cqonÒj: ìj ¥r' 'Acaioˆ d£mnant' EÙrupÚloio dapfronoj ™gce…Vsi, mšsf' Óte oƒ k…en ¥nta mšga fronšwn ™nˆ qumÚ uƒÕj 'AcillÁoj: të d' ¥mfw doÚrata makr¦ ™n pal£mVsi t…nasson ™pˆ sf…si maimèwntej. EÙrÚpuloj dš prîtoj ¢neirÒmenoj prosšeipe: «T…j pÒqen e„l»louqaj ™nant…on ¥mmi m£cesqai; ’H se prÕj ”Aida KÁrej ¢me…liktoi foršousin: oÙ g£r t…j m' Øp£luxen ™n ¢rgalšV Øsm…nV,

113 da…fronoj codd. : corr. Rhodomann 116 colwqeˆj k£bbalen Lasc.2 119 mel W : mail- R et Lasc.2 : corr. Rhodomann 120 ™urrÚtw : P ™urrÚtao : Hc -ta D : corr. Rhodomann 137 add. Bonitz.

LIBRO OTTAVO, VV. 113-140

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Arpalo, che era compagno di Odisseo saggio. Nel frattempo costui era impegnato altrove e proteggere non poteva il corpo del compagno caduto; allora un suo amico, Antifo forte nell’animo, per il morto si sdegnò e mirò a Euripilo di fronte; ma non lo centrò, poiché il forte dardo poco lontano cadde su Meilanione coraggioso, che un tempo la madre aveva partorito nei pressi delle foci del Caico dalla belle correnti, Cleite dalle belle guance, vinta dalla passione per Erilao. Ma Euripilo, adirato per il compagno caduto, saltò subito su Antifo, che si rifugiò, rapido nei piedi, nella massa dei compagni; non lo abbatté la robusta lancia del valoroso figlio di Telefo; doveva infatti morire con pena a causa del Ciclope omicida,19 in futuro, così infatti piaceva all’odiosa Moira. Euripilo si dirige allora verso un’altra parte; sotto la sua lancia cadeva una grande folla, mentre egli irrompeva senza freno.

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[Duello fra Euripilo e Neottolemo] Come grandi alberi,20 caduti per la forza del ferro nelle folte selve, riempiono le valli, stesi da ogni parte confusamente sul terreno; così gli Achei venivano uccisi dalle lance di Euripilo valoroso; finché davanti a lui si parò, molto saggio nell’animo, il figlio di Achille; entrambi le lunghe lance vibravano nelle mani, minacciosi l’uno contro l’altro. Per primo Euripilo rivolse la parola per chiedere: «Chi sei? Da dove vieni a combattere contro di noi? Senza dubbio le amare Chere ti stanno portando nell’Ade: nessuno infatti mi sfuggì nella battaglia tremenda,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

¢ll£ moi Óssoi œnanta lilaiÒmenoi macšsasqai deàro k…on, p£ntessi fÒnon stonÒent' ™fšhka ¢rgalšwj, p£ntwn dä par¦ X£nqoio ˜šeqra Ñstša te s£rkaj te kÚnej di¦ p£nt' ™d£santo. 'All£ moi e„pš, t…j ™ssi, t…noj d' ™pag£lleai †ppoij;». vWj f£menon prosšeipen 'Acillšoj Ôbrimoj uƒÒj: «T…pte m' ™pispeÚdonta potˆ klÒnon aƒmatÒenta ™cqrÕj ™ën æj e‡ te f…la fronšwn ™ree…neij e„pšmenai gene»n, ¼n per m£la polloˆ ‡sasin; UƒÕj 'AcillÁoj kraterÒfronoj, Ój te tokÁa se‹o p£roiq' ™fÒbhse balën perim»kei dour…: ka… nÚ kš min qan£toio kakaˆ perˆ KÁrej œmaryan, e„ m» oƒ stonÒenta qoîj „»sat' Ôleqron. “Ippoi d' o‰ foršousin ™moà patrÕj ¢ntiqšoio, oÞj tškeq' “Arpuia ZefÚr. p£roj eÙnhqe‹sa, o† te kaˆ ¢trÚgeton pšlagoj di¦ possˆ qšousin ¢kronÚcwj yaÚontej, ‡son d' ¢nšmoisi fšrontai. Nàn d' ™peˆ oân gene¾n ™d£hj †ppwn te kaˆ aÙtoà, kaˆ dÒratoj pe…rhsai ¢teiršoj šmetšroio gnèmenai ¢ntib…hn: gene¾ dš oƒ ™n korufÍsi Phl…ou a„peino‹o, tom¾n Óqi le‹pe kaˆ eÙn»n». ’H ˜a kaˆ ™x †ppwn cam£dij qÒre kÚdimoj ¢n¾r p£llwn ™gce…hn perim»keton. vOj d' ˜tšrwqe cersˆn ØpÕ kraterÍsin ¢peires…hn l£be pštrhn ka… ˜a Neoptolšmoio kat' ¢sp…doj Âke fšresqai cruse…hj: tÕn d' oÜ ti prosessÚmenon stufšlixen: ¢ll' …te prën eƒst»kei ¢pe…ritoj oÜreo makrÚ, tÒn ˜a diipetšwn potamîn mšnoj oÙd' …ma p£ntwn ‰y ðsai dÚnatai, · g¦r œmpedon ™rr…zwtai: ìj mšnen ¥tromoj a„šn 'Acillšoj Ôbrimoj uƒÒj. 'All' oÙd' ïj t£rbhse qrasÝ sqšnoj EÙrupÚloio 152 kšn P 157 ¢kr’onÚcwn codd : corr. Rhodomann 160 ¢ntib…hn codd. : corr. Rhodomann 166 prosessÚmenon codd. : corr. Rhodomann 170 ¥tremoj H : ¥tremaj West

LIBRO OTTAVO, VV. 141-171

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ma quanti qui bramosi di guerreggiare davanti a me giunsero, a tutti diedi una luttuosa morte, tremendamente; e di tutti, presso le correnti dello Xanto, le ossa, le carni e ogni cosa si sono spartiti i cani. Ma dimmi: chi sei? Di chi sono i cavalli di cui ti vanti?» Così disse, e il valoroso figlio di Achille rispose: «Perché mi chiedi, mentre mi affretto per la battaglia cruenta, tu che sei mio nemico, ma come se fossimo amici, di rivelarti la mia stirpe, che molti conoscono bene? Sono figlio di Achille dal cuore saldo, che tuo padre in passato mise in fuga, dopo averlo colpito con la lunga asta; e le malvagie Chere della morte lo avrebbero afferrato, se non gli avesse curato in fretta la dannosa ferita.21 I cavalli che mi portano appartengono al mio padre divino, li generò l’Arpia a Zefiro, dopo essersi congiunta con lui: questi corrono anche sul mare infecondo, con le loro zampe, scalfendolo con la punta dello zoccolo, e procedono simili ai venti.22 Ora che hai appreso la stirpe dei cavalli e la mia, anche la mia asta invincibile cerca di saggiare da vicino; la sua origine è nelle cime del Pelio scosceso, laddove ha lasciato il tronco e la casa».23 Disse così, e si lanciò a terra dal carro il glorioso uomo, brandendo la lancia lunghissima. L’altro, dal canto suo, prese con le possenti mani una immensa pietra e la gettò per colpire di Neottolemo lo scudo d’oro; ma non percosse chi lo assaliva, e stette saldo come24 su gran monte roccia immensa che la forza di fiumi impetuosi tutti insieme non riesca a smuovere, giacché è saldamente radicata; così impavido resta sempre il nobile figlio di Achille. Ma l’ardita forza di Euripilo non fu terrorizzata

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¥sceton um' 'AcilÁoj, ™pe… ˜£ min ÑtrÚneske q£rsoj ˜Õn kaˆ KÁrej. `UpÕ krad…Vsi dä qumÕj œzeen ¢mfotšroisi: perˆ sf…si d' a„Òla teÚch œbracen. O‰ d' …te qÁrej ™pÇesan ¢ll»loisi smerdalšoi, to‹s…n te kat' oÜrea dÁrij ¢šxei, ÐppÒte leugalšV limÚ bebolhmšnoi Ãtor À boÕj À ™l£foio perˆ ktamšnou ponšwntai ¥mfw paif£ssontej, ™piktupšousi dä bÁssai marnamšnwn: ìj o† ge sunÇesan ¢ll»loisi dÁrin sumforšontej ¢me…licon. 'Amfˆ dä makraˆ laîn ¢mfotšrwqen ¥dhn ponšonto f£laggej ™j mÒqon, ¢rgalšh dä perˆ sf…si dÁrij Ñrèrei. O‰ d' ¢nšmwn ˜ipÍsin ™oikÒtej a„yhrÍsi sÚn ˜' œbalon mel…Vsi memaÒtej amma ked£ssai ¢ll»lwn. ToÝj d' a„šn ™potrÚnesken 'Enuë ™ggÚqen ƒstamšnh: toˆ d' oÙk ¢pšlhgon ÐmoklÁj, ¢ll£ sfeaj ™d£ozon ™j ¢sp…daj, ¥llote d' aâte oÜtazon knhm‹daj „d' ØyilÒfouj trufale…aj: ka… tij kaˆ croÕj ¼yat', ™peˆ pÒnoj a„nÕj œpeige qarsalšouj ¼rwaj. ”Erij d' ™petšrpeto qumÚ ke…nouj e„sorÒwsa. PolÝj d' ™xšrreen ƒdrëj ¢mfotšrwn: o‰ d' a„än ™kartÚnonto mšnontej: ¥mfw g¦r mak£rwn œsan a†matoj. O‰ d' ¢p' 'OlÚmpou ....................................... o‰ mšn g¦r kÚdainon 'Acillšoj Ôbrimon uma, o‰ d' aât' EÙrÚpulon qeoeidša. Toˆ d' ˜k£terqe m£rnant' ¢km»toisin ™eidÒmenoi skopšloisin ºlib£twn Ñršwn: mšga d' œbracon ¢mfotšrwqe qeinÒmenai mel…Vsi tÒt' ¢sp…dej. 'Oyä dä makr¾ Phli¦j EÙrupÚloio di»luqen ¢nqereînoj

172 ¥speton codd : corr. Van Herwerden 194 post hunc versum lacunam indicaverunt Hc et Rhodomann 199 (-si)n Ûp’ corr. Spitzner : pÚk corr. Zimmermann | makr¦ codd. : corr. Rhodomann

LIBRO OTTAVO, VV. 172-200

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dall’indomito figlio di Achille, poiché lo incitavano il suo essere audace e le Chere. Nei petti l’animo freme a entrambi; smaglianti le armi su di loro riecheggiano. Ed essi avanzarono l’uno contro l’altro, come fiere,25 terribili, quando sui monti scoppia una lotta tra esse, allorché dalla funesta fame colpite nel petto combattono attorno a un giovenco o a un cervo ucciso, entrambe agitandosi, e le valli montane risuonano al loro lottare; così quelli si scontrarono fra loro, portandosi amara contesa. Tutt’intorno ingenti schiere di uomini, da ambo le parti, si affaticavano molto nella battaglia, tra loro funesta cresceva la mischia. I due, somiglianti a rapidi colpi di venti, incrociarono le lance, smaniosi di spargere sangue tra loro. Senza freno Eniò26 li incitava, da vicino; ed essi non frenavano l’impeto, ma si colpivano sugli scudi, e ora l’uno ora l’altro percuotevano le gambiere e gli elmi dall’alta cresta; a volte veniva colpito anche il corpo, poiché un grande impeto spinge i coraggiosi eroi. Eris frattanto si compiace nell’animo mentre li guarda. Copioso sudore scorreva da entrambi; ma, forti, sempre resistono, infatti ambedue sono di sangue divino. Dall’Olimpo gli dèi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 alcuni infatti celebravano il glorioso figlio di Achille, altri il divino Euripilo. Nel frattempo costoro tra di loro combattevano, simili alle cime irremovibili di alti monti; molto risuonavano, di qua e di là, gli scudi colpiti dalle lance. Infine la lunga asta del Pelio attraversò la gola di Euripilo,28

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poll¦ ponhsamšnh: toà d' œkcuto fo…nion amma ™ssumšnwj: yuc¾ dä di' ›lkeoj ™xepot»qh ™k melšwn, Ñlo¾ dä kat' Ñfqalmîn pšsen Ôrfnh. ”Hripe d' ™n teÚcessi kat¦ cqonÒj, ºÚte blwqr¾ À p…tuj À ™l£th krueroà Boršao b…hfin ™k ˜izîn ™ripoàsa: tÒshn ™pik£ppese ga‹an EÙrupÚloio dšmaj, mšga d' œbrace Trèion oâdaj kaˆ ped…on: cloer¾ dä qoîj kateceÚato nekrÚ ¢cro…h kaˆ kalÕn ¢phm£ldunen œreuqoj. TÚ d' ™pikagcalÒwn meg£l' eÜceto karterÕj ¼rwj: «EÙrÚpul', à pou œfhj Danaîn nšaj ºdä kaˆ aÙtoÝj dVèsein kaˆ p£ntaj Ñozurîj ¢polšssein šmšaj: ¢ll¦ soˆ oÜ ti qeoˆ telšeskon ™šldwr, ¢ll' Øp' ™mo… s' ™d£masse kaˆ ¢k£matÒn per ™Ònta patrÕj ™mo‹o mšg' œgcoj, Ó per brotÕj oÜ tij ¥luxen šm‹n ¥nta molèn, oÙd' e„ pagc£lkeoj Ãen». ’H ˜a kaˆ ™k nškuoj perim»keton e‡rusen a„cm¾n ™ssumšnwj: Trîej dä mšg' œtresan e„sorÒwntej ¢nšra karterÒqumon. vO d' aÙt…ka teÚce' ¢poÚraj dîke qoo‹j ˜t£roisi fšrein potˆ nÁaj 'Acaiîn: aÙtÕj d' ™j qoÕn …rma qorën kaˆ ¢teiršaj †ppouj ½ien, omÒj t' emsi di' a„qšroj ¢pl»toio ™k DiÕj ¢kam£toio sÝn ¢steropÍsi keraunÒj, Ón te peritromšousi kaˆ ¢q£natoi katiÒnta nÒsfi DiÕj meg£loio, · d' ™ssÚmenoj potˆ ga‹an

202 -»sqh PHc : –…sqh D : corr. Rhodomann 216 e‡h Lasc2 219 ¢phÚraj H 225 ™ssumšnwj codd. : corr. Rhodomann

LIBRO OTTAVO, VV. 201-225

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con grande sforzo entrando; sgorgò il rosso sangue di lui, impetuosamente; per la ferita l’anima uscì fuori dal corpo, mentre cadde sugli occhi la terribile tenebra. [Morte di Euripilo. Ares accorre in soccorso dei Troiani] Crollò con le armi a terra, come29 alto pino o abete per la violenza del gelido Borea si sradica: un così grande spazio coprì il corpo di Euripilo, e per tanto risuonò il suolo di Troia e la piana; presto un pallore avvolse il cadavere, nero, e spegneva il bel rossore. Orgoglioso per averlo ucciso, molto si vanta il forte eroe: «O Euripilo, davvero le navi dei Danai ed essi stessi hai creduto di distruggere e di annientare miseramente anche tutti noi; ma gli dèi non esaudivano il tuo desiderio, poiché davanti a me ti uccise, anche se eri forte, di mio padre la grande lancia, che nessun mortale riuscì mai ad evitare, quando mi giunge davanti, nemmeno se fosse interamente di bronzo». Disse così, e dal cadavere tirò fuori la lancia molto lunga, rapidamente. I Troiani molto si spaventarono vedendo quell’uomo magnanimo. Ed egli, subito spogliato Euripilo delle armi, 30 le diede ai pronti compagni da portare alle navi degli Achei; con un salto al veloce carro e ai cavalli indomabili tornava; come attraverso31 l’immenso etere si muove lanciato da Zeus infaticabile tra le folgori il fulmine che, quando cade, temono anche gli immortali, eccetto il grande Zeus – precipitando a terra

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dšndre£ te ˜»gnusi kaˆ oÜrea paipalÒenta: ìj · qoîj Trèessin ™pšssuto pÁma korÚsswn: d£mnato d' ¥lloqen ¥llon Ósouj k…con ¥mbrotoi †ppoi. Pl»qeto dä cqonÕj oâdaj, ¥dhn d' ™ruqa…neto lÚqr.: æj d' Óte mur…a fÚlla kat' oÜreoj ™n b»ssVsi tarfša pepthîta cÚdhn kat¦ ga‹an ™ršyV: ìj Trèwn tÒte laÕj ¢£spetoj ™n cqonˆ ke‹to cersˆ Neoptolšmoio kaˆ 'Arge…wn ™riqÚmwn: ïn ¥pleton met¦ cersˆn Øpšrreen amma kelainÕn aÙtîn ºd' †ppwn: m£la d' ¥ntugej ¢mf' Ñcšessi kinÚmenai deÚonto perˆ strof£ligxin ˜Ísi. Ka… nÚ ke Trèioi umej œsw pulšwn ¢f…konto, pÒrtiej eâte lšonta fobeÚmenai À sÚej Ômbron, e„ m¾ ”Arhj ¢legeinÕj ¢rhgšmenai menea…nwn Trwsˆ filoptolšmoisi kat»luqen OÙlÚmpoio krÚbd' ¥llwn mak£rwn. *Òreon dš min ™j mÒqon †ppoi A‡qwn kaˆ *log…oj, KÒnaboj d' ™pˆ to‹si *Òboj te, toÝj BoršV kel£donti tšken blosurîpij 'ErinnÝj pàr ÑloÕn pne…ontaj: Øpšstene d' a„Òloj a„q¾r ™ssumšnwn potˆ dÁrin. vO d' Ñtralšwj ¢f…kanen ™j Tro…hn: ØpÕ d' ama mšg' œktupe qespes…oisin †ppwn ¢mfˆ pÒdessi: molën d' ¥gcista kudoimoà pÁle dÒru briarÒn, mšga d' ‡ace Trwsˆ keleÚwn ¢nti£an dh…oisi kat¦ klÒnon. O‰ d' ¢…ontej qespes…hn Ôpa p£ntej ™q£mbeon: oÙ g¦r ‡donto ¥mbroton ¢qan£toio qeoà dšmaj oÙdä mšn †ppouj: ºšri g¦r kek£lupto. NÒhse dä qšskelon aÙd¾n œkpoqen ¢pssousan ¥dhn e„j oÜata Trèwn

228 ¥lloj codd. : corr. Vian 234 kaˆ ƒdrëj D 242 flÒgioj codd. : corr. Lehrs 244 a„Òlon P 246 qespes…hsin P 252 ºšri d~ kek- codd. : corr. Rhodomann

LIBRO OTTAVO, VV. 226-253

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rompe gli alberi e i monti scoscesi – così velocemente egli attaccò i Troiani sollevando sciagura. Chi cadeva da una parte, chi dall’altra, quanti i cavalli divini incontravano; si affollava la terra di cadaveri, e si tingeva molto di sangue e polvere. 32 Come quando le foglie, a migliaia, dal monte nelle valli cadute fitte si dispongono sulla terra alla rinfusa, così allora un’infinita massa di Troiani giaceva a terra per mano di Neottolemo e dei fieri Argivi: nelle loro mani copioso scorreva il sangue scuro di loro stessi e dei cavalli; in grande quantità le sbarre dei carri si impregnavano di sangue, muovendosi in modo vorticoso. Certamente i figli dei Troiani si sarebbero rifugiati entro le porte, come vitelle che hanno paura di un leone, o cinghiali quando piove, se Ares latore di lutti, smanioso di soccorrere i Troiani amanti della guerra, non fosse venuto dall’Olimpo di nascosto dagli altri beati. Lo portarono in battaglia i cavalli Eto e Flogio, Conabo e ancora Fobo,33 che la terribile Erinni generò a Borea risonante, spiranti fuoco funesto. L’etere smagliante strideva mentre essi volano in battaglia. Celermente Ares giunse a Troia: fortemente strepitava la terra sotto le divine zampe dei cavalli. Giunto in mezzo al tumulto agitò la forte lancia34 e urlando a gran voce ordinò ai Troiani di muoversi contro i nemici in battaglia. Questi udendolo si meravigliavano tutti della voce divina: non scorgevano né il corpo divino del dio immortale, né i cavalli, avvolti dalla nube. Ma intese con certezza la voce divina che giungeva chiara da qualche luogo alle orecchie dei Troiani

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¢ntiqšou `Elšnoio klutÕj nÒoj: ™n d' ¥ra qumÚ g»qhsen kaˆ laÕn ¢pessÚmenon mšg' ¢Åtei: «’A deilo…, t… fšbesqe filoptolšmou 'AcilÁoj uƒša qarsalšon; QnhtÒj nÚ t…j ™sti kaˆ aÙtÒj, oÙdš oƒ mson ”Arhi pšlei sqšnoj ·j mšg' ¢r»gei Âmin ™eldomšnoisi: bo• d' Ó ge makr¦ keleÚwn m£rnasq' 'Arge…oisi kat¦ klÒnon. 'All' ¥ge qumÚ tlÁte, f…loi, kaˆ q£rsoj ™nˆ st»qessi b£lesqe: oÙ g¦r ¢me…nona Trwsˆn Ñpomai ¥llon ƒkšsqai ¢lktÁra ptolšmoio: t… g¦r potˆ dÁrin ”Arhoj lèion, eâte broto‹si korussomšnoij ™pamÚnV, æj nàn Âmin †kanen ™p…rroqoj; 'All¦ kaˆ aÙtoˆ mn»sasqe ptolšmoio, dšoj d' ¢pÕ nÒsfi b£lesqe». vWj f£to: toˆ d' †stanto katant…on 'Arge…oisin: ºÚt' ™nˆ xulÒcoisi kÚnej katšnanta lÚkoio feÚgontej tÕ p£roiqe b…hn stršywsi m£cesqai, tarfša mhlonÒmoio parotrÚnontoj œpessin: ìj ¥ra Trèioi umej ¢n¦ mÒqon a„nÕn ”Arhoj de…matoj ™ktÕj œsan, kat¦ d' ¢nt…on ¢nšroj ¢n¾r m£rnato qarsalšwj: perˆ d' œktupen œntea fwtîn qeinÒmena xifšessi kaˆ œgcesi kaˆ belšessin: a„cmaˆ d' ™j crÒa dànon: ™deÚeto d' a†mati pollÚ deinÕj ”Arhj: Ñlškonto d' ¢n¦ mÒqon ¥lloj ™p' ¥ll. marnamšnwn ˜k£terqe. M£ch d' œcen msa t£lanta: æj d' ÐpÒt' a„zhoˆ meg£lhj ¢n¦ gounÕn ¢lwÁj Ôrcaton ¢mpelÒenta diatm»xwsi sid»r. spercÒmenoi, tîn d' son ¢šxetai e„j œrin œrgon, ÐppÒt' ‡soi telšqousin Ðmhlik…V te b…V te: ìj tîn ¢mfotšrwqe m£chj ¢legein¦ t£lanta msa pšlen: Trîej g¦r Øpšrbion ™nqšmenoi kÁr

258 min H : mhn P : tij R corr. Rhodomann 264 ™pamÚnei U C NEAld. Lasc2 279 diatm»swsi codd. : corr. Rhodomann

LIBRO OTTAVO, VV. 254-283

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la celebre mente di Eleno;35 nel petto gioì e grida a gran voce alla folla che arretra: «Ah vili, perché temete di Achille amante della guerra il figlio valoroso? Anch’egli è mortale, e non ha la stessa forza di Ares, che ha aiutato noi che lo invocavamo; egli grida molto per esortarci a combattere con gli Argivi in battaglia. Orsù, nell’animo siate forti e fatevi coraggio nel petto; penso infatti che per i Troiani non verrà alcun altro migliore aiutante in guerra; nella mischia infatti di Ares che cosa c’è meglio, qualora aiuti i mortali armati, come ora giunge a noi come soccorritore? Ma anche voi ricordatevi della guerra, e scacciate lontano da voi la paura!» Così disse, e quelli si arrestarono davanti agli Argivi; come nei luoghi boscosi i cani davanti ad un lupo, prima fuggiti, concentrano poi la loro per lottare, dopo che il pastore li ha incitati a parole; così i figli dei Troiani nell’aspra mischia di Ares la paura scacciarono, e uomo a uomo, con coraggio, si affrontarono: d’intorno risuonavano le armi degli uomini, colpite dalle spade, dalle lance e dai dardi. Le punte entravano nella pelle, ed era inzuppato di copioso sangue il tremendo Ares; nella zuffa l’uno sull’altro perivano, scontrandosi su ambo i fronti: la battaglia identico esito aveva.36 Come37 quando gli uomini sul pendio di un grande vigneto tagliano col ferro i filari della vite, in fretta, e all’unisono avanza nella gara il lavoro, perché sono pari sia per età sia per forza; così in entrambe le parti i dolorosi piatti della lotta uguali erano. Infatti i Troiani con grandissimo coraggio

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m…mnon ¢tarb»toio pepoiqÒtej ”Areoj ¢lkÍ, 'Arge‹oi d' ¥ra paidˆ meneptolšmou 'AcilÁoj. Kte‹non d' ¢ll»louj: Ñlo¾ d' ¢n¦ mšsson 'Enuë strwf©t' ¢lginÒenti lÚqr. pepalagmšnh êmouj kaˆ cšraj, ™k dš oƒ a„nÕj ¢pÕ melšwn ¸šen ƒdrèj: oÙd' ˜tšroisin ¥munen, ‡sV d' ™petšrpeto c£rmV ¡zomšnh fresˆn Îsi Qštin kaˆ d‹on ”Arha. ”Enqa NeoptÒlemoj thlekleitÕn Perim»dea d£mnaq', ·j o„k…' œnaie par¦ Sminq»ion ¥lsoj. TÚ d' ™pˆ Kšstron œpefne meneptÒlemÒn te *£lhron kaˆ kraterÕn Per…laon ™ãmmel…hn te Men£lkhn ·n tšket' 'Ifi£nassa par¦ z£qeon pÒda K…llhj tecn»enti Mšdonti da»moni tektosun£wn: ¢ll' · mšn o‡koi œmimne f…lV ™n patr…di ga…V: paidÕj d' oÙk ¢pÒnhto: dÒmon dš oƒ œrga te p£nta chrwstaˆ metÒpisqen ¢pofqimšnoio d£santo. Dh…foboj dä LÚkwna meneptÒlemon [te] katšpefne tutqÕn Øpär boubîna tucèn: perˆ d' œgceo makrÚ œgkata p£nt' ™cÚqhsan, Ólh d' ™xšssuto nhdÚj. A„ne…aj dä DÚmanta katšktanen Ój p£roiqen AÙl…da naiet£eske, sunšspeto d' 'Arkesil£. ™j Tro…hn: ¢ll' oÜ ti f…lhn p£lin œdrake ga‹an. EÙrÚaloj d' ™d£masse, balën ¢legeinÕn ¥konta, 'Astra‹on: toà d' amya di¦ stšrnoio pot»qh a„cm¾ ¢nihr», stom£cou d' ¢pškerse keleÚqouj ¢nšri kÁra fšrousa: m…gh dš oƒ e‡data lÚqr.. Toà d' ¥ra baiÕn ¥pwqen ›len meg£qumoj 'Ag»nwr

289 ˜t£roisin P 292 sminq»sion codd. : corr. Rhodomann 298 pÒnon codd. : corr. Köchly 300 del. Lasc.1-2 303 de…manta H | katšpefnen codd. : corr. Rhodomann | ˜a corr. Vian : te H : tij P 306 ¥konti codd. : corr. Köchly

LIBRO OTTAVO, VV. 284-310

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resistevano fidando essi nel vigore di Ares valoroso, invece gli Argivi nel figlio del bellicoso Achille. Si uccidevano a vicenda: rovinosa nel mezzo Eniò si muoveva, imbrattata di sporco sangue le braccia e le mani, mentre dalle membra le colava amaro sudore; e non aiutava gli uni o gli altri, rallegrandosi invece della pari battaglia, rispettando dentro di sé Teti e Ares divino.

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[Neottolemo continua la strage. Atena lo protegge da Ares] Nel frattempo Neottolemo l’illustre Perimede abbatteva, che abitava presso il sacro bosco Sminteo.38 Oltre a lui uccide sia Cestro sia il forte Falero, e il valoroso Perilao e Menalca grande astista, che aveva generato Ifianassa, presso le sacre pendici di Cilla, all’abile Medonte, esperto di costruzioni;39 ma costui era rimasto in patria,40 nella cara terra, del figlio non si giovò; la casa e tutto il suo patrimonio si spartirono gli eredi alla sua morte. Deifobo colpì il forte Licone cogliendolo vicino all’inguine: accanto alla lunga lancia appaiono tutte le viscere, e si squarcia tutto il ventre. Enea uccise Dimante, che un tempo viveva in Aulide; aveva accompagnato Arcesilao a Troia, senza poi poter tornare nella sua cara patria. Scagliando un giavellotto luttuoso, Eurialo uccise Astreo: rapidamente nel suo petto volò la tremenda punta, recise l’accesso allo stomaco, recando all’uomo il suo fato; si mischiò il cibo col sangue. Ecco che poco lontano da lui il magnanimo Agenore41 uccise

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

`Ippomšnhn TeÚkroio dapfronoj ™sqlÕn ˜ta‹ron tÚyaj ™j klh‹da qoîj: sÝn d' a†mati qumÕj œkqoren ™k melšwn, Ñlo¾ dš oƒ ¢mfecÚqh nÚx. TeÚkr. d' œmpese pšnqoj ¢poktamšnou ˜t£roio, kaˆ b£len ÈkÝn ÑostÕn 'Ag»noroj ¥nta tanÚssaj: ¢ll£ oƒ oÜ ti tÚchsen ¢leuamšnou m£la tutqÒn. ”Empese d' ™ggÝj ™Ònti dapfroni DhiofÒntV laiÕn ÑfqalmÒn, di¦ d' oÜatoj ™xepšrhse dexiteroà, gl»nhn dä dištmagen, oÛneka Mo‹rai ¢rgalšon bšloj ðsan ÓpV qšlon: ·j d' œti possˆn ÑrqÕj ¢naska…reske. Balën d' Ó ge deÚteron „Õn laimÚ ™perro…bdhse: dišqrise d' aÙcšnoj naj ¥ntikruj ¢pxaj: tÕn d' ¢rgalšh k…ce Mo‹ra. ”Alloj d' ¥ll. teàce fÒnon: kec£ronto dä KÁrej kaˆ MÒroj, ¢lginÒessa d' ”Erij mšga maimèwsa ½usen m£la makrÒn, ”Arhj dš oƒ ¢ntebÒhse smerdalšon, Trèessi d' ™nšpneusen mšga q£rsoj, 'Arge…oisi dä fÚzan, ¥far d' ™lšlixe f£laggaj. 'All' oÙc uma fÒbhsen 'Acillšoj: ¢ll' Ó ge m…mnwn m£rnato qarsalšwj, ™pˆ d' œktanen ¥llon ™p' ¥ll.. `Wj d' Óte tij mu…Vsi perˆ gl£goj ™rcomšnVsi ce‹ra perirr…yV koàroj nšoj, a‰ d' ØpÕ plhgÍ tutqÍ damn£menai scedÕn ¥ggeoj ¥lloqen ¥llai qumÕn ¢popne…ousi, p£oj d' ™pitšrpetai œrg.: ìj ¥ra fa…dimoj uƒÕj ¢meil…ktou 'AcilÁoj g»qeen ¢mfˆ nškussi. Kaˆ oÙk ¢lšgizen ”Arhoj Trwsˆn ¢mÚnontoj, †™t…nuto† d' ¥lloqen ¥llon laoà ™pa…ssontoj, Ópwj ¢nšmoio qušllaj m…mnei ™pessumšnaj Ôreoj meg£loio kolènh: ìj ¥ra m…mnen ¥trestoj. ”Arhj dš oƒ ™mmemaîti 313 oƒ corr. Spitzner : min codd. 317 ™£nti D 318 add. Rhodomann 320 ÓpV f…lon Köchly 322 ™perro…zhse Köchly 324 mÒron codd. : corr. Pauw 329 Ój te D : Ój Hc R 332 perirr»ssV codd. : corr. Dausque 333 tutqÕn codd. : corr. Köchly 337 ¢mÚnontoj corr. Dausque : ™pamÚnontoj codd. | ™t…nuto corruptum : potidšcnuto West 338 laoÝj ™pa…ssontaj codd. : corr. Rhodomann

LIBRO OTTAVO, VV. 311-340

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Ippomene, valoroso amico del bellicoso Teucro, colpendolo rapido alla clavicola; col sangue l’anima fuggì via dalle membra, e la luttuosa notte lo42 avvolse. Su Teucro piombò il dolore per l’amico morto, e teso l’arco lanciò una rapida freccia contro Agenore; ma non ci riuscì, poiché quello aveva schivato di netto il colpo. Cadde invece su Deiofonte bellicoso che si trovava accanto, all’occhio sinistro, e passò attraverso l’orecchio destro, penetrò nella pupilla;43 perché le Moire spinsero il dardo tremendo dove volevano. Costui, pur ritto sui piedi, barcollava. Ma Eurialo, lanciandogli addosso un secondo dardo, lo colpì alla gola; tagliò in due i nervi del collo trapassandolo da parte a parte; lo raggiunse la Moira funesta. L’uno arrecava la morte all’altro; si rallegravano le Chere e Moro,44 mentre la funesta Eris, molto bramando, gridò a gran voce, e a lei rispose Ares, terribilmente, e nei Troiani infuse grande coraggio, negli Argivi invece sgomento, e rapidamente travolse le falangi. Ma non intimorì il figlio di Achille; costui, resistendo, combatteva con coraggio, e uccise un nemico dopo l’altro. Come45 quando sulle mosche che girano intorno al latte uno, un fanciullo, getta le mani, e quelle dal colpo non forte domate, da ogni parte vicino al recipiente l’anima spirano, mentre il giovane è contento dell’impresa; così allora l’illustre figlio dell’implacabile Achille si rallegrava dei morti. E non si dava pensiero di Ares che difendeva i Troiani; da ogni parte abbatteva i nemici, ogni volta che la folla lo assaliva; come le bufere di vento che assaltano respinge la cima di alto monte, così resisteva intrepido. Con lui impetuoso Ares

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

cèeto ka… oƒ œmellen ™nant…a dhri£asqai aÙtÕj ¢porr…yaj ƒerÕn nšfoj, e„ m¾ 'Aq»nh œkpoqen OÙlÚmpoio qÒren potˆ d£skion ”Idhn. ”Etreme dä cqën d‹a kaˆ ºc»enta ˜šeqra X£nqou, tÒsson œseise: dšoj d' ¢mfšklase qumÕn Numf£wn, fobšonto d' Øpšr Pri£moio pÒlhoj. TeÚcesi d' ¢mbros…oisi pšri steropaˆ potšonto, smerdalšoi dä dr£kontej ¢p' ¢sp…doj ¢kam£toio pàr ¥moton pne…eskon: ¥nw d' œyaue nšfessi qespes…h truf£leia. QoÚ d' ½mellen ”Arhi m£rnasq' ™ssumšnwj, e„ m¾ DiÕj ºÝ nÒhma ¢mfotšrouj ™fÒbhsen ¢p' a„qšroj a„peino‹o bront»saj ¢legeinÒn. ”Arhj d' ¢pec£zeto c£rmhj: d¾ g£r oƒ meg£loio DiÕj diefa…neto qumÒj: †keto d' ™j QrÇkhn dusce…meron, oÙd' œti Trèwn mšmbletÒ oƒ kat¦ qumÕn Øpšrbion: oÙdä män ™sql¾ Pall¦j Øp' ¥konti tÚye kat¦ stom£coio Mšghj: ¢n¦ d' œblusen amma ™k stÒmatoj: tÚ d' aya sÝn ¥lgei Mo‹ra paršsth. Toà d' ¥r' ¢poktamšnoio dÚw qer£pontej 'Epeioà Dhilšwn te kaˆ 'Amf…wn ¢pÕ teÚce' ˜lšsqai Êrmainon: d' aâte qrasÝ sqšnoj A„ne…ao d£mnato maimèwntaj Ñozurîj perˆ nekrÚ. `Wj d' Ót' ™n o„nopšd. tij ™pa…ssontaj ÑpèrV sfÁkaj tersomšnVsi par¦ stafulÍsi dam£ssV, o‰ d' ¥r' ¢popne…ousi p£roj geÚsasqai Ñpèrhj: ìj toÝj ay' ™d£masse prˆn œntea lh…ssasqai. Tude…dhj dä Mšnwna kaˆ 'Amf…noon katšpefnen ¥mfw ¢mÚmone fîte. P£rij d' ›le Dhmolšonta `Ippas…dhn, ·j prÒsqe Lakwn…da ga‹an œnaie p¦r procoÍj potamo‹o baqurrÒou EÙrètao, ½luqe d' ™j Tro…hn Øp' ¢rhiqÒ. Menel£.: ka… ˜ P£rij katšpefne tucën ØpÕ mazÕn ÑostÚ dexiÒn, ™k dš oƒ Ãtor ¢pÕ melšwn ™kšdasse. Teàkroj dä Zšlun emle periklutÕn uma Mšdontoj, Ój ˜£ te naiet£esken ØpÕ *rug…hn polÚmhlon ¥ntron ØpÕ z£qeon kalliplok£mwn Numf£wn, Âc… pot' 'Endum…wna parupnèonta bÒessin ØyÒqen ¢qr»sasa kat»luqe d‹a Sel»nh oÙranÒqen: drimÝj g¦r ¥gen pÒqoj ºiqšoio ¢qan£thn per ™oàsan ¢k»raton, Âj œti nàn per eÙnÁj sÁma tštuktai ØpÕ drus…n. 'Amfˆ d' ¥r' aÙtÍ ™kkšcut' ™n xulÒcoisi boîn gl£goj, oƒ dš nu fîtej

106 x…foj codd. : corr. Rhodomann 107 dišklasen: ¢ll' codd. : corr. Rhodomann 112 ºd' codd. : corr. Rhodomann 115 perˆ stafulÍsi Spitzner 118 mšnonta codd. : corr. Vian 125 zšlin P : zšcin H : corr. Vian 131 ponšousan H 132 g¦r aÙtÍ Pauw | aÙtÁ P : aÙt¾ H 133 oÙdš nu P

LIBRO DECIMO, VV. 106-133

463

non si fosse nettamente incurvata; l’elsa della spada non ebbe più per lui 38 alcuna forza, ma il Fato la spezzò. Allora con un giavellotto lo colpì alla gola Mege; zampillò il sangue dalla bocca: subito al suo fianco con il dolore si presentò la Moira. Ucciso dunque quello, due servitori di Epeo, Deileonte e Anfione,39 di portare via le armi erano impazienti; ma a sua volta l’intrepido e vigoroso Enea, mentre si precipitavano, miseramente li uccideva presso il cadavere. Come quando uno in un vigneto nella stagione del raccolto uccide le vespe che si avventano sui grappoli seccati dal sole, ed esse dunque spirano prima di gustare i frutti;40 così subito li uccise prima che facessero bottino delle armi. Il Tidide massacrò Menone e Anfinoo, entrambi uomini eccellenti. Paride uccise Demoleonte, figlio di Ippaso, il quale un tempo abitava la terra laconia presso la foce del fiume Eurota dalla profonda corrente, e giunse a Troia al seguito di Menelao agile nel combattimento; Paride dunque lo uccise colpendolo con una freccia sotto la mammella destra, e a lui l’anima scacciò dalle membra. Teucro uccise Zeli, illustre figlio di Medonte, il quale aveva la sua dimora sotto la Frigia ricca di armenti,41 ai piedi del sacro antro42 delle Ninfe dalle belle chiome, dove un tempo Endimione addormentato accanto al bestiame la divina Selene osservò dall’alto e discese dal cielo: infatti una violenta passione per il giovane la spingeva, sebbene ella fosse un’immortale senza macchia; tuttora del suo giaciglio si trova una traccia sotto le querce. Intorno ad esso nelle macchie era stato versato latte di mucche, e gli uomini

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

qheànt' e„sšti ke‹no: tÕ g¦r m£la thlÒqe fa…hj œmmenai e„sorÒwn poliÕn g£la, ke‹no d' †hsi leukÕn Ûdwr, ka…, baiÕn ¢pÒproqen ÐppÒq' †khtai, p»gnutai ¢mfˆ ˜šeqra, pšlei d' ¥ra l£onon oâdaj. 'Alka…. d' ™pÒrouse Mšghj *ul»ioj uƒÒj: ka… min ¢spa…rousan ØpÕ krad…hn ™pšrhsen ™gce…V: toà d' ðka lÚqh polu»ratoj a„èn: oÙdš min ™k polšmoio poluklaÚtoio molÒnta ka… per ™eldÒmenoi mogeroˆ dšxanto tokÁej, *ullˆj ™Åzwnoj kaˆ M£rgasoj, o† ˜' ™nšmonto `Arp£sou ¢mfˆ ˜šeqra dieidšoj, Ój t' ¢legeinÚ Mai£ndr. kel£donta ˜Òon kaˆ ¢pe…riton odma sumfšret' ½mata p£nta l£br. perˆ ceÚmati qÚwn. +laÚkou d' ™sqlÕn ˜ta‹ron ™ãmmel…hn SkulakÁa uƒÕj 'OálÁoj scedÕn oÜtasen ¢ntiÒwnta baiÕn Øpär s£keoj: di¦ dä platÝn ½lasen ðmon a„cmÍ ¢nihrÍ, perˆ d' œblusen amma boe…V. 'All£ min oÜ ti d£massen, ™pe… ˜£ ˜ mÒrsimon Ãmar dšcnuto nost»santa f…lhj par¦ te…cesi p£trhj: eâte g¦r ”Ilion a„pÝ qooˆ dišpersan 'Acaio…, d¾ tÒt' ¥r' ™k polšmoio fugën Luk…hn ¢f…kanen ooj ¥neu ¥steoj ¥gci guna‹kej ¢grÒmenai tekšwn sfetšrwn Ûper ºdä kaˆ ¢ndrîn e‡ronq': ·j d' ¥ra tÍsi mÒron katšlexen ¡p£ntwn: a‰ d' ¥ra cermad…oisi peristadÕn ¢nšra ke‹non d£mnant' oÙd' ¢pÒnhto molën ™j patr…da nÒstou, ¢ll£ ˜ l©ej Ûperqe mšga sten£conta k£luyan: ka… ˜£ oƒ ™k belšwn ÑloÕj perˆ tÚmboj ™tÚcqh

134 thlÒqi codd. : corr. Zimmermann 136 †khai Rhodomann 139 ˜£ add. Köchly | ¢eˆ spa…rousan codd. : corr. Köchly 143 fulaˆj P : fÚlaij H : corr. Vian 144 oÙd' ¢legeinÚ PD (= W) : ·j d' ¢legeinÚ Hc : oá ¢legeinÚ Ald. : oá d' ¢legeinÚ Pompella : corr. Zimmermann 147 glaàkon DU 149 êmwn H 150 a„cm¾ ¢nihr¾ codd. : corr. West et Vian 155 ¥neu codd. : corr. Lehrs | d' add. Rhodomann : ˜' add. Rs1

LIBRO DECIMO, VV. 134-161

465

ancora lo guardano con meraviglia: davvero da lontano diresti, osservando, che sia bianco latte, ma quella è una fonte di limpida acqua e, quando questa ha camminato un poco da lontano, deposita sedimenti nel suo letto, e si forma così una superficie di bianca pietra.43 Contro Alceo si scagliò Mege,44 figlio di Fileo, e lo trafisse sotto il cuore sempre palpitante con la lancia: subito ebbe fine la sua amabile vita.45 Né tornato dalla guerra funesta46 poterono accoglierlo, pur bramosi, gli infelici genitori, Fillide dalla bella cintura e Margaso,47 i quali dimoravano presso le correnti del limpido Arpaso, che con il doloroso Meandro48 il corso risonante e i flutti infiniti congiunge, sempre per l’impetuosa corrente infuriando. Un nobile compagno di Glauco, Scilaceo dalla forte asta, il figlio di Oileo lo colpì da vicino, mentre gli si scagliava contro, poco sopra lo scudo; trapassò la larga spalla con la lancia crudele, sgorgò il sangue intorno allo scudo. Ma non lo uccise, poiché il giorno fatale lo attendeva al suo ritorno, presso le mura della sua patria: quando infatti gli Achei rapidi distrussero l’alta Ilio, allora dunque, sfuggito alla guerra, giunse in Licia solo, senza compagni; vicino alla città le donne, radunatesi, riguardo ai loro figli e mariti lo interrogavano;49 ed egli quindi riferì loro della morte di tutti; esse allora tutt’intorno con grosse pietre quell’uomo uccisero né egli godette del ritorno, una volta giunto in patria, ma mentre prorompeva in forti gemiti le pietre dall’alto lo coprirono. E a lui una funesta tomba di pietre fu eretta

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

p¦r tšmenoj kaˆ sÁma krataioà BellerofÒntou TÚ ™nˆ kudal…mV Tithn…doj ¢gcÒqi pštrhj: ¢ll' · män a‡simon Ãmar ¢napl»saj Øp' Ñlšqr. Ûsteron ™nnes…Vsin ¢gauoà Lhto…dao t…etai Êj te qeÒj, fqinÚqei dš oƒ oÜ pote tim». Po…antoj d' ™pˆ to‹si p£oj kt£ne DhionÁa ºd' 'Ant»noroj uƒÕn ™ãmmel…hn 'Ak£manta. ”Allwn d' a„zhîn Øped£mnato poulÝn Ómilon: qàne g¦r ™n dh…oisin ¢teirši soj ”Arhi À potamÚ kel£donti, ·j ›rkea makr¦ dapzei plhmmÚrwn, Óte l£bron ÑrinÒmenoj perˆ pštraij ™x Ñršwn ¢legein¦ memigmšnoj œrcetai Ômbr., ¢šnaÒj per ™ën kaˆ ¢g£rrooj, oÙdš nu tÒn ge e‡rgousin problÁtej ¢£speta pafl£zonta: ìj oÜ tij Po…antoj ¢gakleitoà qrasÝn uma œsqenen Ñfqalmo‹sin „dën kaˆ ¥pwqe pel£ssai: ™n g£r oƒ stšrnoisi mšnoj perièsion Ãen, teÚcesi d' ¢mfekškasto dapfronoj `HraklÁoj daidalšoij. Perˆ g£r oƒ ™n zwstÁri faeinÚ ¥rktoi œsan blosuraˆ kaˆ ¢naidšej: ¢mfˆ dä qîej smerdalšoi kaˆ lugrÕn Øp' ÑfrÚsi meidiÒwsai pord£liej: tîn d' ¥gci lÚkoi œsan ÑbrimÒqumoi kaˆ sÚej ¢rgiÒdontej ™ãsqenšej te lšontej, ™kp£glwj zwo‹sin ™oikÒtej: ¢mfˆ dä p£ntV Øsm‹nai ™nškeinto met' ¢rgalšoio *Ònoio: da…dala mšn oƒ tÒssa perˆ zwstÁra tštukto.

163 tÚ vel tw codd. : corr. Zimmermann | œni codd. : corr. Vian | kudal…mhj codd. : corr. Zimmermann 164 Ñlšqrou codd. : corr. Köchly 167 p©si P | kte‹ne codd. : corr. Rhodomann 172 pštrhj codd. : pštrV Lasc2. : corr. Köchly 180 ™n codd. : corr. Rhodomann 183 pard£liej codd. : corr. Köchly

LIBRO DECIMO, VV. 162-187

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presso il sacro recinto e il sepolcro del forte Bellerofonte nell’illustre Tlos50 vicino alla rupe Titanide;51 ma egli, dopo aver compiuto il giorno fatale con la morte, in seguito per volontà del nobile figlio di Latona fu venerato come un dio, e mai gli viene a mancare l’onore.52

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[Filottete fa strage di Troiani con l’arco. Descrizione della sua faretra] Inoltre il figlio di Peante uccise Deioneo e il figlio di Antenore, Acamante dalla forte asta.53 Domò una grande schiera di altri valorosi guerrieri: infuriava infatti tra i nemici, pari all’invincibile Ares o ad un fiume risonante, che spezza lunghi argini gonfiandosi, quando, agitandosi con violenza intorno agli scogli, giunge dai monti terribilmente54 ingrossato dalla pioggia, essendo già di per sé perenne e dalla corrente impetuosa, né invero lo trattengono i promontori mentre fortemente ribolle; così nessuno all’intrepido figlio del magnifico Peante aveva la forza di avvicinarsi, vedendolo con gli occhi, anche da lontano, poiché nel suo petto un vigore immenso albergava, ed era ornato delle armi del valoroso Eracle, artisticamente lavorate. Sulla sua cintura lucente vi erano orsi spaventosi e crudeli; e intorno sciacalli terribili e pantere che sorridevano in modo sinistro sotto le sopracciglia; vicino a quelle c’erano lupi dall’animo possente, cinghiali dai bianchi denti e vigorosi leoni, che sembravano straordinariamente vivi; intorno da ogni parte si trovavano battaglie con terribile strage: siffatte opere d’arte erano state realizzate sulla sua cintura.55

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

”Alla dš oƒ gwrutÕj ¢pe…ritoj ¢mfekškasto: ™n män œhn DiÕj uƒÕj ¢ellopÒdhj `Erme…hj 'In£cou ¢mfˆ ˜šeqra katakte…nwn mšgan ”Argon, ”Argon ·j Ñfqalmo‹sin ¢moibadÕn Øpnèesken: ™n dä b…h *ašqontoj ¢n¦ ˜Òon 'Hridano‹o bl»menoj ™k d…froio: kataiqomšnhj d' ¥ra ga…hj, æj ™teÒn, pepÒthto mšlaj ™nˆ ºšri kapnÒj: PerseÝj d' ¢nt…qeoj blosur¾n ™d£oze Mšdousan, ¥strwn Âci loetr¦ pšlei kaˆ tšrmata ga…hj phga… t' 'Wkeano‹o baqurrÒou, œnq' ¢k£manti 'Hel…. dÚnonti sunšrcetai ˜sper…h NÚx: ™n dä kaˆ ¢kam£toio mšgaj p£oj 'Iapeto‹o Kauk£sou ºlib£toio parVèrhto kolènV desmÚ ™n ¢rr»kt.: ke‹re dš oƒ a„etÕj Âpar a„än ¢exÒmenon: · d' ¥ra sten£conti ™ókei. Kaˆ t¦ män ‰r teÚxanto klutaˆ cšrej `Hfa…stoio Ñbr…m. `HraklÁi: · d' êpase paidˆ forÁnai Po…antoj, m£la g£r oƒ ÐmwrÒfioj f…loj Ãen. AÙt¦r · kudiÒwn ™n teÚcesi d£mnato laoÚj. 'Oyä dš oƒ ™pÒrouse P£rij, stonÒentaj ÑostoÝj nwmîn ™n ce…ressi met¦ gnampto‹o bio‹o qarsalšwj: tÚ g£r ˜a sun»ien Ûstaton Ãmar. ‘Hke d' ¢pÕ neurÁfi qoÕn bšloj:   d' „£chsen „oà ¢pessumšnoio. vO d' oÙc …lion fÚge ceirîn: ka… ˜' aÙtoà män …marten ¢leuamšnou m£la tutqÒn, ¢ll' œbale KleÒdwron ¢gakleitÒn per ™Ònta

193 blhmšnou PHc : blhmšnon D 194 ™teÒn paÚshto H | mšgaj H om. P : corr. Hermann | ¢šri codd. : corr. Rhodomann 201 ke‹re codd. : corr. Tychsen 207 metÒrouse codd. : corr. Pauw 208 gnamfqo‹o P : gnapto‹o H 210 Øpaˆ R 211 ™pessumšnoio codd. : corr. Rhodomann 212 ¢ll' aÙtoà codd. : corr. Köchly | ¢leuomšnou codd. : corr. Spitzner 213 ka… ˜' œbale codd. : corr. Köchly | œbale codd. : corr. Ald.

LIBRO DECIMO, VV. 188-213

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Con altre immagini era ornata la sua immensa faretra:56 vi era il figlio di Zeus, Ermes dai piedi rapidi come il turbine, nell’atto di uccidere il grande Argo presso le correnti dell’Inaco, Argo che ad occhi alterni si addormentava;57 vi era poi il prode Fetonte, nella corrente dell’Eridano precipitato dal carro: mentre dunque la terra ardeva come nella realtà, volteggiava nero fumo nell’aria;58 Perseo pari a un dio uccideva la terribile Medusa, dove si trovano i lavacri degli astri, i limiti estremi della terra e le sorgenti dell’Oceano dalla profonda corrente, dove con l’infaticabile Sole al tramonto la Notte s’incontra nel lontano Occidente.59 Vi era anche l’enorme figlio dell’instancabile Giapeto, appeso alla cima dell’alto Caucaso in indistruttibili catene; un’aquila gli divorava il fegato, che sempre ricresceva, ed egli sembrava gemere. Tutto ciò dunque fabbricarono le nobili mani di Efesto per il forte Eracle, ed egli le diede da portare al figlio di Peante, poiché era il suo più caro compagno.60 Dunque egli, superbo in armi, domava schiere.

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[Filottete colpisce a morte Paride] Ma ecco che contro di lui si scagliò Paride,61 frecce funeste agitando nelle mani con l’arco ricurvo senza timore: andava infatti incontro al suo giorno estremo. Scagliò dall’arco una rapida freccia; ed esso risuonò, quando balzò fuori62 la freccia. Questa non invano fuggì dalle mani; eppure fallì il bersaglio, poiché Filottete la schivò per pochissimo, ma colpì Cleodoro,63 che pure era guerriero assai illustre,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

baiÕn Øpär mazo‹o, di»lase d' ¥crij ™j ðmon. OÙ g¦r œcen s£koj eÙrÚ, tÒ oƒ lugrÕn œscen Ôleqron: ¢ll' Ó ge gumnÕj ™ën ¢nec£zeto: toà g¦r ¢p' êmwn Poulud£maj ¢p£raxe s£koj telamîna dapxaj bouplÁgi stibarÚ: · d' ™c£ssato marn£menÒj per a„cmÍ ¢nihrÍ: stonÒeij dš oƒ œmpesen „Õj ¥lloqen ¢…xaj: ìj g£r nÚ pou ½qele da…mwn q»sein a„nÕn Ôleqron ™Åfronoj uƒši Lšrnou ·n tšket' 'Amfi£lh `Rod…wn ™n p…oni ga…V. TÕn d' æj oân ™d£masse P£rij stonÒenti belšmn., d¾ tÒte d¾ Po…antoj ¢mÚmonoj Ôbrimoj uƒÕj ™mmemaëj qo¦ tÒxa tita…neto kaˆ mšg' ¢Åtei: «’W kÚon, æj soˆ œgwge fÒnon kaˆ kÁr' ¢…dhlon dèsw, ™pe… nÚ moi ¥nta lila…eai „sofar…zein: ka… ken ¢napneÚsousin Ósoi sšqen e†neka lugrÚ te…ront' ™n polšm.: t£ca g¦r lÚsij œsset' Ñlšqrou ™nq£de se‹o qanÒntoj, ™pe… sfisi pÁma tštuxai». vWj e„pën neur¾n ™Åstrofon ¢gcÒqi mazoà e‡ruse, kuklèqh dä kšraj, kaˆ ¢me…licoj „Õj „qÚnqh, tÒxon dä Øperšscen ¢kwk¾ tutqÕn Øp' a„zho‹o b…V: mšga d' œbrace neur¾ „oà ¢pessumšnoio dushcšoj. OÙd' ¢f£marte d‹oj ¢n»r: toà d' oÜ ti lÚqh kšar, ¢ll' œti qumÚ œsqenen: oÙ g£r oƒ tÒte ka…rioj œmpesen „Òj,

216 …m' êmwn P 225 tita…nwn oƒ H | mšg' ¢Úth P 226 Êj su (sic) P 228 lugroà Köchly 231 add. Dausque 233 dä [d' QCL] a„eˆ codd. : d' Ñlo» Zimmermann2 : corr. Vian 234 Øpaˆ [ØpÕ U Øpär C] mazo‹o HcR | biÁ Hc : oÙbiÁ D

LIBRO DECIMO, VV. 214-237

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poco sopra la mammella, e penetrò profondamente nella spalla. Non aveva infatti l’ampio scudo, che gli aveva tenuto lontana la triste rovina, ma indietreggiava, essendo privo di protezione, poiché dalle sue spalle Polidamante aveva fatto cadere lo scudo, avendone spezzato la cinghia con una scure massiccia; egli retrocedette dunque, pur combattendo con lancia dolorosa;64 ma una freccia funesta piombò su di lui, balzata fuori da altro luogo. Così forse un dio voleva assegnare una morte terribile al figlio del saggio Lerno, che Anfiale generò nella fertile terra di Rodi. Quando dunque Paride uccise costui con un funesto dardo, allora il vigoroso figlio dell’irreprensibile Peante furioso tendeva il rapido arco e fortemente gridava: «Cane,65 quale morte e destino rovinoso io ti darò, poiché brami di misurarti con me! E riprenderanno fiato quanti a causa tua in una triste guerra si logorano: presto vi sarà infatti la liberazione dalla rovina, quando tu sarai morto qui, poiché tu hai procurato loro sventura».66 Dopo aver parlato così, la corda dell’arco ben ritorta vicino al petto tese, l’arco s’incurvò, e un’inesorabile freccia corse diritta, la terribile67 punta sopravanzò l’arco di poco per la forza del valoroso guerriero; grandemente rimbombò la corda dell’arco, quando balzò fuori la freccia dall’orribile suono.68 Né fallì il bersaglio l’illustre eroe; tuttavia non cessò di battere il cuore di Paride, ma ancora in animo era forte, poiché allora la freccia non gli era piombata addosso in una parte vitale,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

¢ll¦ paršqrise ceirÕj ™pigr£bdhn crÒa kalÒn. 'Exaàtij d' Ó ge tÒxa titÚsketo: tÕn dä parafq¦j „Ú ™uglècini b£len boubînoj Ûperqe Po…antoj f…loj uƒÒj. vO d' oÙk oÙranÕn eÙrÝn ¢teiršaj, oÙdän Ðmo…aj ¢ll»laij: morfÍ dä diškriqen ¥llh ¢p' ¥llhj. .................... ..................... š d' ˜tšrh ceimîni kaˆ A„gokerÁi mšmhle: 313 ™ssumšnwj Rhodomann 315 Øpaˆ W 320 ¢ossotÁraj W 324 ™j D 331 ™pšklwsen BLpcR : ™pšklwse W 332 ¢pessÚmenon Köchly 332a ™scati¾n P : corr. Zimmermann2 335 Âci codd. : corr. Rhodomann 336 ™driÒwnto (sic) P : „druÒwnto H 337 poq' Øp' Zimmermann3 338 add. R et Rhodomann 339 morfÁ P : morf¾ H | post hunc versum tres periisse coni. Zimmermann (lac. iam stat. R et Rhodomann)

LIBRO DECIMO, VV. 313-340

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Supplica quella con tutto il tuo slancio, e dunque non a me rivolgi piangente parole compassionevoli e dolorose. Oh, se io avessi nel cuore l’immensa forza di una belva, per sbranare le tue carni e poi tracannare il tuo sangue,84 per tutto il male che mi hai fatto obbedendo alla scelleratezza! Sciagurato, dov’è ora la tua Citerea dalla bella corona? Dove si trova l’infaticabile Zeus, dimentico del genero? Eccoli i tuoi soccorritori! Dal mio palazzo allontànati, flagello doloroso sia per i beati sia per i mortali. A causa tua infatti, malvagio, il dolore prese anche gli immortali, alcuni per i nipoti, altri per i figli perduti. Su, dunque, va’ alla malora fuori dalla mia casa e torna da Elena, è destino che tu, notte e giorno affliggendoti, tubi85 accanto al suo letto, trafitto da lacrimevole sofferenza, finché ella non ti guarisca dai penosi dolori».86 Parlando così lo allontanava, sebbene gemesse, dal suo palazzo, sciocca! Non considerò il proprio destino:87 si accingevano infatti le Chere, morto quello, a inseguire anche lei senza indugio, poiché tale sorte le aveva assegnato il Fato di Zeus. Allora, mentre egli si affrettava oltre le cime dell’Ida boscoso verso la via estrema, dove un terribile destino lo conduceva, mentre penosamente zoppicava88 e grandemente si affliggeva nell’animo, Era lo scorse e nel cuore immortale si rallegrò, seduta sull’Olimpo, dove si trova la vigna89 di Zeus; e vicino a lei sedevano quattro ancelle90 che una volta la splendente Selene, sedotta dal Sole, generò forti nel vasto cielo, in nulla uguali le une alle altre; nell’aspetto furono distinte l’una dall’altra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .91 L’altra ha cura dell’inverno e del Capricorno:

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

tštrasi g¦r mo…rVsi brotîn diame…betai a„ën §j ke‹nai ™fšpousin ¢moibadÒn: ¢ll¦ t¦ mšn pou aÙtÚ Zhnˆ mšloito kat' oÙranÒn. A‰ d' Ñ£rizon ÐppÒsa lo…gioj Asa perˆ fresˆn oÙlomšnVsi m»deto, Tundar…doj stugerÕn g£mon ™ntÚnousa DhifÒb., kaˆ mÁnin ¢nihr¾n `Elšnoio kaˆ cÒlon ¢mfˆ gunaikÒj, Ópwj tš min umej 'Acaiîn ½mellon m£ryantej ™n Øyhlo‹sin Ôressi cwÒmenon Trèessi qo¦j ™pˆ nÁaj ¥gesqai, Êj tš oƒ ™nnes…Vsi krataioà Tudšoj uƒÕj ˜spomšnou 'OdusÁoj Øpär mšga te‹coj ÑroÚsaj 'AlkaqÒ. stonÒenta fšrein ½mellen Ôleqron ¡rp£xaj ™qšlousan ™Åfrona Tritogšneian ¼ t' œruma ptÒliÒj te kaˆ aÙtîn œpleto Trèwn: oÙdä g¦r oÙdä qeîn tij ¢peiršsion calep»naj œsqenen Ôlbion ¥stu diapraqšein Pri£moio ¢qan£thj œmprosqen ¢khdšoj ™mbebau…hj: oÙdš oƒ ¥mbroton edoj ™tekt»nanto sid»r. ¢nšrej, ¢ll£ min aÙtÕj ¢p' OÙlÚmpoio Kron…wn k£bbalen ™j Pri£moio polucrÚsoio pÒlha. Kaˆ t¦ män ìj Ñ£rize DiÕj d£mar ¢mfipÒloisin ¥ll£ te pÒll' ™pˆ to‹si: P£rin d' ¥ra qumÕj ™n ”IdV k£llipen, oÙd' `Elšnh min ™sšdrake nost»santa. 'Amfˆ dš min NÚmfai mšg' ™kèkuon, oÛnek' ¥r' aÙtoà e„sšti pou mšmnhnto kat¦ fršnaj Óssa p£roiqen ™xšti nhpi£coio sunagromšnVj Ñ£rize: sÝn dš sfin mÚronto boîn qooˆ ¢groiîtai

341 diame…retai a„ën West 342 a‰ DC 343 mšdonti codd. : corr. Rhodomann 344 Óp(p)wj codd. : corr. J.Th. Struve | par¦ D 354 pÒliÒj codd. : corr. Brodeau 357 ™mbebau…aj codd. : corr. Lasc. 362 ¥lla dä codd. : corr. J.Th. Struve 366 nhpi£cVsi codd. : corr. Rhodomann

LIBRO DECIMO, VV. 341-367

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l’anno dei mortali, infatti, passa per quattro fasi,92 che quelle governano a turno; ma di ciò in qualche modo Zeus stesso si prenda cura in cielo. Esse dunque conversavano di tutti gli eventi che il Fato funesto nell’animo rovinoso meditava, macchinando le odiose nozze della Tindaride con Deifobo,93 e l’ira molesta di Eleno e la collera per la donna,94 e come i figli degli Achei si accingessero, dopo averlo catturato sugli alti monti, quando era adirato con i Troiani, a condurlo presso le rapide navi,95 e come, su suo consiglio, il figlio del forte Tideo, accompagnato da Odisseo, balzato al di là del grande muro, si accingesse a portare ad Alcatoo96 luttuosa rovina, dopo aver rapito, con il suo assenso, la benevola Tritogenia, la quale fu baluardo della città e degli stessi Troiani;97 no, nemmeno un dio immensamente adirato aveva il potere di devastare la felice città di Priamo finché l’immortale si trovava là di fronte inviolata;98 la sua divina figura non la fabbricarono in ferro degli uomini, ma il Cronide in persona dall’Olimpo la lasciò cadere nella città di Priamo ricco d’oro.

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[Morte di Paride. Viene preparato il suo rogo funebre dai pastori dell’Ida. Disperazione della madre Ecuba] Di questo così conversava la sposa di Zeus con le ancelle, e di molto altro oltre a ciò;99 quando Paride la vita sull’Ida abbandonò, né Elena lo vide tornare. Intorno a lui le Ninfe grandemente gemevano, poiché di lui ancora ricordavano in animo come in passato, da bambino, s’intratteneva con loro riunite;100 con loro piangevano i rapidi bovari,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

¢cnÚmenoi kat¦ qumÒn: ™pesten£conto dä bÁssai. Kaˆ tÒte d¾ Pri£moio polutl»toio gunaikˆ deinÕn 'Alex£ndroio mÒron f£to boukÒloj ¢n»r. TÁj d' ¥far, æj ™s£kouse, trÒm. perip£lleto qumÒj, gu‹a d' Øpekl£sqhsan: œpoj d' ÑlofÚrato to‹on: «”WleÒ moi, f…le tšknon, ™moˆ d' ™pˆ pšnqei pšnqoj k£llipej a„än ¥fukton, ™peˆ polÝ fšrtatoj ¥llwn pa…dwn œskej ™me‹o meq' “Ektora. Tî nÚ se lugr¾ klaÚsomai, e„j Ó kš moi krad…V p£lletai Ãtor. OÙ g¦r ¥neu mak£rwn t£de p£scomen, ¢ll£ tij Asa m»deto lo…gia œrga: t¦ m¾ êfell' ™nÒhsa, ¢ll' œqanon prop£roiqen ™n e„r»nV te kaˆ Ôlb., ™lpomšnh kaˆ œt' ¥lla kakètera qh»sasqai, pa‹daj män ktamšnouj, keraázomšnhn dä pÒlha kaˆ purˆ daiomšnhn Danaîn ØpÕ karteroqÚmwn, sÚn te nuoÝj qÚgatr£j te met¦ Tr.Ísi kaˆ ¥llaij ˜lkomšnaj …ma paisˆ dorukt»t. Øp' ¢n£gkV». vWj f£to kwkÚousa. PÒsij dš oƒ oÜ ti pšpusto: ¢ll' · par' “Ektoroj Âsto t£f. ™pˆ d£krua ceÚwn: tÕn g¦r d¾ tekšwn perˆ p£ntwn t‹e m£lista, oÛnek' ¥ristoj œhn kaˆ ™rÚeto doÚrati p£trhn: toà pšri peukal…maj ¢cšwn fršnaj oÜ ti pšpusto. 'All' `Elšnh m£la poll¦ dihnekšwj goÒwsa, ¥lla män ™n Trèessin ¢Åteen, ¥lla dš oƒ kÁr

373 pšnqei codd. : corr. Köchly2 375 ™mo‹o PD 376 add. Rhodomann : œni Spitzner 379 tÕ p£roiqen Köchly 383 sÚn t' ™nuoÝj P : sÚn t' ™nuoàj D 386 g¦r codd. : corr. Köchly 387 post oÛnek' add. ¥r' H 388 peri- PHc : perˆ D | ¢ca…wn UC : ¢caiîn DQ

LIBRO DECIMO, VV. 368-390

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addolorati nell’animo; gemevano inoltre le gole montane. E allora alla sposa del misero Priamo un bovaro riferì la terribile sorte di Alessandro. Subito, appena udì, il suo cuore fu scosso dal tremito, le sue membra si spezzarono; con tali parole gemette: «Sei morto, mio amato figlio, e a me dolore su dolore101 hai lasciato, dolore eterno cui non si può sfuggire, poiché di gran lunga il migliore degli altri miei figli tu eri dopo Ettore. Perciò infelice ti piangerò, finché nel petto mi batterà il cuore.102 Non senza la volontà dei beati soffriamo queste pene, un qualche Destino macchinava opere funeste. Oh, non avessi io visto tutto ciò,103 ma fossi morta prima in pace e prosperità! Aspettandomi104 ora di assistere ad altri fatti ancora più odiosi: i figli uccisi, la città devastata e incendiata col fuoco dai Danai coraggiosi, e insieme le nuore e le figlie, fra le altre troiane, trascinate via con i fanciulli sotto un destino ineluttabile di cattività». Così diceva gemendo. Lo sposo nulla aveva saputo, ma presso il sepolcro di Ettore sedeva versando lacrime: lui infatti aveva caro più di tutti i suoi figli, poiché era il migliore e difendeva la patria con la lancia; riguardo Paride nulla aveva saputo,105 addolorato nel suo accorto animo.

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[Elena apprende della morte di Paride] Ma Elena, infiniti gemiti ininterrottamente emettendo, alcune parole gridava fra i Troiani, altre il suo animo

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

™n krad…V menšaine: f…lon d' ¢n¦ qumÕn œeipen: «’Aner, ™moˆ kaˆ Trwsˆ kaˆ aÙtÚ oˆ mšga pÁma, êleo leugalšwj: ™mä d' ™n stugerÍ kakÒthti k£llipej ™lpomšnhn Ñloètera p»mat' „dšsqai. `Wj ÔfelÒn m' “Arpuiai ¢nhre…yanto p£roiqen, ÐppÒte so… 'Arge…oisin Øpšrteron êrnuto q£rsoj Pall£doj ™nnes…Vsi dapfronoj ¼ ˜a moloàsa Øsm…nhj ¥gcista mšg' 'Arge…oisin ¥munen ™kpšrsai memau‹a klut¾n Pri£moio pÒlha. Kaˆ tÒt' ¥r' A„ne…an ™rikudša d‹' 'Afrod…th, ¼ ˜a mšga sten£cizen 'Alex£ndroio damšntoj, aÙt¾ ¢pÕ ptolšmoio kaˆ oÙlomšnhj Øsm…nhj ¼rpasen ™ssumšnwj, perˆ d' ºšra ceÚato poulÚn: oÙ g¦r œt' a‡simon Ãen ¢n¦ mÒqon ¢nšri ke…n. m£rnasq' 'Arge…oisi prÕ te…ceoj a„peino‹o. Tî kaˆ ¥dhn ¢lšeine per…frona Tritogšneian ™k qumoà Danao‹sin ¢rhgšmenai memau‹an, m¾ kaˆ Øpär KÁr£j min ›lV qeÒj: oÙdä g¦r aÙtoà fe…sato prÒsqen ”Arhoj Ó per polÝ fšrteroj Ãen. Trîej d' oÙkšt' œmimnon ¢n¦ stÒma dhiotÁtoj, ¢ll' Ñp…sw c£zonto teqhpÒta qumÕn œcontej: ™n g£r sfin q»ressin ™oikÒtej ÈmobÒroisin œnqoron 'Arge‹oi mšga maimèwntej ”Arhi. Tîn d' ¥ra damnamšnwn potamoˆ pl»qonto nškussi kaˆ ped…on: polloˆ g¦r ¥dhn pšson ™n kon…Vsin ¢nšrej ºd' †ppoi: m£la d' …rmata poll¦ kšcunto ballomšnwn. P£ntV d' ¢pere…sion œrreen amma ØetÕj Êj: Ñlo¾ g¦r ™p»ien Asa kudoimÒn. Ka… ˜' o‰ män xifšessi peparmšnoi À mel…Vsi

284 add. C.L. Struve | q£rsoj codd. : k£rtoj Köchly 286 mšt' codd. : corr. Pauw 288-289 transp. Köchly 303 kapped…on codd. : corr. Pauw 304 ¥ndrej „d' codd. : corr. Rhodomann

LIBRO UNDICESIMO, VV. 282-307

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senza sosta; la paura non prendeva nessuno, ma combattevano ben volentieri: l’ardimento trascinava gli uomini verso la pugna. Ma quando nella polvere perirono molti, allora invero agli Argivi sorgeva un ardimento maggiore per volere di Pallade esperta, che essendo giunta nei pressi della battaglia grandemente proteggeva gli Argivi desiderosa di distruggere la città illustre di Priamo. E allora Enea la divina Afrodite, lei che molto piangeva per la morte di Alessandro, essa dalla guerra e dalla rovinosa battaglia rapì velocemente e lo avvolse in una spessa foschia;48 infatti non più era destino per quell’uomo nella mischia combattere gli Argivi davanti alle alte mura. Ella perciò attentamente evitava l’assennata Tritogenia che era desiderosa nel profondo dell’animo di aiutare i Danai, temendo che anche contro le Chere la dea lo colpisse: né infatti in precedenza risparmiò lo stesso Ares che pure era molto più forte.49 I Troiani non più rimanevano sul fronte della battaglia, ma indietro si ritiravano con animo sgomento; infatti su di loro simili a belve carnivore balzarono gli Argivi grandemente smaniosi di Ares.50

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[L’orrore della guerra] Dei cadaveri dei morti ammazzati erano pieni i fiumi e la pianura; infatti caddero nella polvere molti uomini e cavalli; davvero molti erano i carri rovesciati di quelli colpiti. Ovunque sangue infinito scorreva come pioggia; infatti rovinoso il Fato s’abbatteva sulla battaglia. E alcuni dalle spade trafitti e dalle lance

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ke‹nto, par' a„gialo‹sin ¢l…gkion ™kcumšnoisi doÚrasin, eât' ™pˆ qinˆ barugdoÚpoio qal£sshj ¢nšrej ¥speta desm¦ polukm»twn ¢pÕ gÒmfwn lus£menoi sked£swsi di¦ xÚla makr¦ kaˆ Ûlhn ºlib£tou sced…hj, p£ntV d' ¢napl»qetai eÙrÝj a„gialÒj, to‹si dä mšlan potiklÚzetai odma: ìj o† g' ™n kon…Vsi kaˆ a†mati dh.qšntej ke‹nto poluklaÚtoio lelasmšnoi „wcmo‹o. Paàroi dä profugÒntej ¢nhlša dhiotÁta dàsan ¢n¦ ptol…eqron ¢leu£menoi barÝ pÁma. Tîn d' ¥locoi kaˆ pa‹dej ¢pÕ croÕj aƒmatÒentoj teÚcea p£nt' ™dšconto kakÚ peforugmšna lÚqr.: p©si dä qerm¦ loetr¦ teteÚcato: p©n d' ¢n¦ ¥stu œssunt' „htÁrej oÙtamšnwn a„zhîn o„k…a poipnÚontej, †n' oÙtamšnouj ¢kšswntai: toÝj d' ¥locoi kaˆ tškna peristen£conto molÒntaj ™k polšmou: polloÝj dä kaˆ oÙ pareÒntaj ¢Åteun. Ka… ˜' o‰ män stugerÍ bebolhmšnoi Ãtor ¢n…V ke‹nto barÝ sten£contej ™p' ¥lgesin oÙd' ™pˆ dÒrpon ™k kam£toio tršponto: qooˆ d' ™paÅteon †ppoi forbÍ ™picremšqontej ¥dhn. `Etšrwqe d' 'Acaioˆ p¦r klis…Vj n»ess… q' Ðmo…ia Trwsˆ pšnonto. ’Hmoj d' 'Wkeano‹o ˜o¦j Øper»lasen 'Hëj †ppouj marma…rontaj, ¢nšgreto d' œqnea fwtîn, d¾ tÒt' ¢r»ioi umej ™ãsqenšwn 'Arge…wn o‰ män œban Pri£moio potˆ ptÒlin a„p»essan, o‰ d' ¥r' ™nˆ klis…Vsin …m' ¢ndr£sin oÙtamšnoisi

308 kecumšnoisi codd. : corr. Rhodomann 318 aƒmatÒenta codd. : corr. Rhodomann 321 ™j Hc : kat' PD 323 molÒntaj Hc Lpr Ald. Lasc.2 : -ntej PD 324 ¢Úteon codd. : corr. Rhodomann 328 ˜tšrwqi codd. : corr. Tychsen 329 n»essin codd. : corr. Ald.

LIBRO UNDICESIMO, VV. 308-334

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giacevano, simili a tavole di legna sulle spiagge riversate, quando sulla riva del mare fragoroso gli uomini, sciolte innumerevoli funi dai molto resistenti chiodi, sparpagliano in giro i grandi alberi e le assi di una nave dal profondo pescaggio e ovunque ne è piena la vasta spiaggia, su questi il nero flutto si infrange;51 così quelli nella polvere e nel sangue giacevano trucidati, dimentichi della molto lacrimevole guerra.52 Pochi invece avendo fuggito la spietata carneficina rientrarono nella rocca stornando grave sciagura.53 Le mogli e i figli di questi dal corpo insanguinato l’armatura tutta prendevano insozzata di triste lordura; a tutti un bagno caldo era preparato; per la città tutta si precipitavano i medici verso le case dei guerrieri feriti dandosi da fare per curare i feriti; le mogli e i figli gemevano intorno a quelli che erano giunti dalla guerra; anche invocavano i molti che non erano più. E quelli colpiti nel cuore da triste afflizione giacevano profondamente gemendo per il dolore,54 né al pasto per la sofferenza si volgevano; rumoreggiavano i veloci cavalli per il foraggio nitrendo incessantemente. Dall’altra parte gli Achei presso le tende e le navi nelle eguali faccende dei Troiani si affaticavano.

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[L’assedio alle mura] Ma quando Aurora ebbe condotto oltre le correnti di Oceano i cavalli risplendenti e svegliato le stirpi degli uomini, allora i marziali figli dei vigorosi Argivi alcuni andarono verso l’alta città di Priamo, altri nelle tende insieme agli uomini feriti

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

m…mnon, m» pote laÕj ™pibr…saj ¢legeinÕj nÁaj ›lV Trèessi fšrwn c£rin. O‰ d' ¢pÕ pÚrgwn m£rnant' 'Arge…oisi: mÒqoj d' ¢legeinÕj Ñrèrei. SkaiÁj män prop£roiqe pÚlhj Kapan»ioj uƒÕj m£rnaq' …m' ¢ntiqš. Diom»dei. ToÝj d' ¥r' Ûperqe Dh…fobÒj te meneptÒlemoj kraterÒj te Pol…thj sÚn 'Arge…wn pepukasmšnai ¢mfˆ boe…aij kartÚnanto f£laggej: œcon d' ›na qumÕn ™j ¢lk¾n e„j n ¢rhršmenoi. KaqÚperqe dä Trèioi umej b£llon cermad…oisi: t¦ d' æj stufelÁj ¢pÕ pštrhj ga‹an ™pˆ trafer¾n ™kul…ndeto: poll¦ dä doàra kaˆ bšlea stonÒenta kaˆ ¢lginÒentej ¥kontej p»gnunt' ™n sakšessi, t¦ d' ™n cqon…, poll¦ d' ¥pwqe mayid…wj foršonto paragnamfqšnta belšmnoij p£ntoqe ballomšnwn. O‰ dä ktÚpon oÜ ti fšbonto ¥speton oÙd' ØpÒeikon, …te yek£dwn ¢pontej doàpon: œsw d' ØpÕ te‹coj Ðmîj ‡san oÙdš tij aÙtîn nÒsfin ¢feist»kei: sunarhršmenoi d' ™fšponto, æj nšfoj ºerÒen tÒ ˜£ pou perˆ ce…mati mšss. a„qšroj ™x Øp£toio makrÕn dišteine Kron…wn. PoulÝj d' ¢mfˆ f£laggi brÒmoj kanac» q' ØpÕ possˆ nisomšnwn ™tštukto: kÒnin d' ¢p£terqen ¢Átai Ñrnumšnhn m£la tutqÕn Øpär dapšdoio fšreskon a„zhîn metÒpisqe: per…ace d' ¥kritoj aÙd», omon ØpÕ sm»nessi peribromšousi mšlissai: «sqma d' ¢n»ie poulÝ cÚdhn, per…ceue d' ¢ãtm¾ laoà ¢popne…ontoj. 'Apeiršsion d' ¥ra qumÚ 'Atre‹dai kec£ronto perˆ sf…si kudiÒwntej, derkÒmenoi polšmoio dushcšoj ¥tromon ›rkoj. “Wrmhnan dä pÚlVsi qehgenšoj Pri£moio ¢qrÒoi ™gcrimfqšntej Øp' ¢mfitÒmoij pelškessi ˜Áxai te…cea makr£, pÚlaj d' e„j oâdaj ™re‹sai

365 add. Spitzner : om. H : d' P (per coniecturam) 367 ¢rhr£menai codd. : ¢rhr£menoi C.L. Struve unde -ršm- Zimmermann 372 perigna- codd. : corr. Zimmermann 373 ballomšnwn codd. : ballomšnoij Pompella 376 sunarhr£menoi codd. : corr. Zimmermann 379 drÒmoj codd. : corr. Lobeck | d' codd. : corr. C.L. Struve 380 nissomšnwn codd. : corr. Vian 383 peritromšousi codd. : corr. Rhodomann 384 add. Rhodomann

LIBRO UNDICESIMO, VV. 364-390

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l’impeto infinito né di Zeus la pioggia incessante.58 In tal modo, cinte intorno di scudi, degli Argivi le falangi traevano forza: avevano un solo spirito verso il combattimento stretti insieme in un solo corpo. Ma i figli dei Troiani dall’alto li colpivano con dei massi: questi come da una scabra rupe59 sulla terra solida rotolavano; molte lance e dardi funesti e giavellotti che recano dolore si conficcavano negli scudi, altri al suolo, molti invece, passati oltre, erano portati vanamente lontano dai dardi di quelli che lanciavano per ogni dove.60 Ma essi non temevano affatto il frastuono enorme né si arretravano, come se rumore di pioggia ascoltassero;61 fin sotto le mura andavano con passo uguale né qualcuno di loro lontano se ne stava distaccato; si seguivano invece ben stretti insieme, come cupa nube che da qualche parte nel mezzo dell’inverno dall’alto cielo il Cronide distendeva per largo tratto.62 Molto rumore intorno alla falange e frastuono sotto i piedi di quelli che avanzano era suscitato; portavano i venti lontano la molto poca polvere che sopra al suolo si sollevava dietro i guerrieri; risuonava intorno un suono indistinto quale producono ronzando a sciami le api;63 un affanno molto grande saliva, si diffondeva attorno un vapore mentre la schiera respirava. Enormemente nell’animo invero gli Atridi gioivano orgogliosi di quelli, guardando della guerra fragorosa l’intrepida difesa. Smaniarono davanti alle porte di Priamo stirpe divina, assalendo in massa con le asce a doppio taglio, di infrangere le lunghe mura, di abbattere al suolo le porte

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

qairîn ™xerÚsantej. ”Ecen d' ¥ra mÁtij ¢gau¾ ™lpwr»n: ¢ll' oÜ sfin ™p»rkesan oÜte bÒeiai oÜte qooˆ bouplÁgej, ™peˆ mšnoj A„ne…ao Ôbrimon ¢mfotšrVsin ¢rhrÒta ce…resi l©an ™mmemaëj ™fšhke, d£masse dä tl»moni pÒtm. ¢nšraj oÞj katšmaryen Øp' ¢sp…sin, eât' ™n Ôressi ferbomšnaj ØpÕ prîna b…h krhmno‹o ˜agšntoj agaj, Øpotromšousi d' Ósai scedÕn ¢mfinšmontai: ìj Danaoˆ q£mbhsan. vO d' e„sšti l©aj Ûperqe b£llen ™passutšrouj, klonšonto dä p£gcu f£laggej. `Wj d' Ót' ™n oÜresi prînaj 'OlÚmpioj oÙranÒqen ZeÝj ¢mfˆ miÍ korufÍ sunarhrÒtaj ¥lludij ¥llon ˜»xV ØpÕ brontÍsi kaˆ a„qalÒenti keraunÚ, ¢mfˆ dä mhlonÒmoi te kaˆ ¥ll' Ósa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p£nta fšbontai: ìj ¥r' 'Acaiîn umej Øpštresan, oÛnek' ¥r' aÙtîn A„ne…aj sunšceue qoîj œruma ptolšmoio ¢sp…sin ¢kam£toisi tetugmšnon, oÛnek' ¥r' aÙtÚ q£rsoj ¢peiršsion qeÕj êpasen. OÙdš tij aÙtîn œsqenš oƒ kat¦ dÁrin ™nant…on Ôsse balšsqai, oÛnek£ oƒ m£rmaire perˆ briaro‹j melšessi teÚcea qespes…Vsin ™eidÒmena steropÍsin: eƒst»kei dš oƒ ¥gci dšmaj kekalummšnoj ÔrfnV deinÕj ”Arhj kaˆ p£nta katiqÚneske bšlemna kaˆ mÒron kaˆ dšoj a„nÕn ™p' 'Arge…oisi fšronta. M£rnato d' æj ÐpÒt' aÙtÕj 'OlÚmpioj oÙranÒqen ZeÝj ¢scalÒwn ™d£ázen Øpšrbia fàla +ig£ntwn smerdalšwn, kaˆ ga‹an ¢peires…hn ™t…nasse ThqÚn t' 'WkeanÒn te kaˆ oÙranÒn, ¢mfˆ dä p£ntV gu‹' ™lel…zet' ”Atlantoj Øp' ¢kam£tou DiÕj ÐrmÁj: 394 ¢mfotšrVj ™p¢rhrÒta codd. : corr. Vian 401 oÙranÒqi codd. : corr. Zimmermann3 404 post Ósa lac. stat. Köchly eiusque magnam partem explevit : ¢mfˆ parei¦ katask…dnasqai ‡oulon, SmÚrnhj ™n dapšdoisi periklut¦ mÁla nšmonti trˆj tÒson “Ermou ¥pwqen Óson boÒwntoj ¢koàsai, 'Artšmidoj perˆ nhÕn 'Eleuqer…. ™nˆ k»p., oÜreá oÜte l…hn cqamalÚ oÜq' ØyÒqi pollÚ. Prîtoj män katšbainen ™j †ppon khtèenta uƒÕj 'AcillÁoj, sÝn d' Ð kraterÕj Menšlaoj ºd' 'OduseÝj SqšnelÒj te kaˆ ¢nt…qeoj Diom»dhj: bÁ d~ *ilokt»thj te kaˆ ”Antikloj ºdä MenesqeÚj, sÝn dä QÒaj ™r…qumoj „dä xanqÕj Polupo…thj, A‡aj t' EÙrÚpulÒj te kaˆ „sÒqeoj Qrasum»dhj, MhriÒnhj te kaˆ 'IdomeneÝj ¢rideikštw ¥mfw: sÝn d' ¥r' ™ãmmel…hj Podale…rioj EÙrÚmacÒj te TeàkrÒj t' ¢nt…qeoj kaˆ 'I£lmenoj ÑbrimÒqumoj, Q£lpioj 'Amf…macÒj te meneptÒlemÒj te LeonteÚj: sÝn d' EÜmhloj œbh qeoe…keloj EÙrÚalÒj te DhmofÒwn te kaˆ 'Amf…locoj kraterÒj t' 'Agap»nwr, sÝn d' 'Ak£maj te Mšghj te krataioà *ulšoj uƒÒj: ¥lloi d' aâ katšbainon Ósoi œsan œxoc' ¥ristoi, Óssouj c£ndanen †ppoj ™Åxooj ™ntÕj ™šrgein. 'En dš sfin pÚmatoj kateb»seto d‹oj 'EpeiÕj Ój ˜a kaˆ †ppon œteuxen: ™p…stato d' ú ™nˆ qumÚ ºmän ¢nwpxai ke…nou ptÚcaj ºd' ™pere‹sai: toÜneka d¾ p£ntwn bÁ deÚtatoj. E‡ruse d' e‡sw kl…makaj Îj ¢nšbhsan: · d' aâ m£la p£nt' ™pere…saj aÙtoà p¦r klh‹di kaqšzeto: toˆ dä siwpÍ p£ntej œsan messhgÝj Ðmîj n…khj kaˆ Ñlšqrou. O‰ d' ¥lloi n»essin ™pšpleon eÙrša pÒnton §j klis…aj pr»santej, ÓpV p£roj aÙtoˆ ‡auon. To‹si dä koiranšonte dÚw kraterÒfrone fîte 309 ਩IJ' add. Köchly 312 ਫȜİȣșİȡȓȠȣ (scil. ǻȚȩȢ) coni. West 321 Ǽ੝ȡȣįȐȝĮȢ Wernicke 323 ਕȞIJȓȝĮȤȩȢ : : ਕȞIJȓȜȠȤȩȢ NREAld. : corr. Vian 325 ਕȝijȓȝĮȤȠȢ codd. : corr. Vian 331 ਕȞĮʌIJȪȟĮȚ Köchly 334 ʌİȡ੿ codd. : corr. Rhodomann 337 ਥȢ codd. : corr. Rhodomann

LIBRO DODICESIMO, VV. 309-338

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avanti che comparisse la prima barba sulle mie guance,79 quando nelle pianure di Smirne pascevo greggi eccellenti, lontano da Ermo tre volte tanto quanto basti a sentire uno che grida, nei pressi del tempio di Artemide, nel giardino Eleuterio, su di un monte né troppo basso né molto alto.80 Per primo entrò nel cavallo cavernoso81 il figlio di Achille e con questo il forte Menelao,82 Odisseo, Stenelo e anche il divino Diomede; salì Filottete e Anticlo, quindi Menesteo, con questo il magnanimo Toante e il biondo Polipete, Aiace, Euripilo e Trasimede pari a un dio, Merione e Idomeneo, illustri entrambi; con questi Podalirio dalla forte asta ed Eurimaco, il divino Teucro e il possente Ialmeno, Talpio, Anfimaco e il valoroso Leonteo; con questi salì Eumelo pari ad un dio ed Eurialo, Demofonte e il forte Anfiloco e Agapenore, con lui Acamante e Megeste e il figlio del valente Fileo; poi salirono altri, quanti erano di gran lunga i migliori che il ben levigato cavallo poteva raccogliere all’interno. Fra questi per ultimo salì il divino Epeo, proprio lui che il cavallo aveva costruito (perfettamente sapeva sia aprire che chiudere le aperture di questo,83 perciò fra tutti entrò per ultimo).84 Tirò dentro la scala per la quale erano saliti;85 quindi avendo ben fissato il tutto, presso l’apertura sedeva; poi in silenzio rimasero tutti quanti, sospesi tra vittoria e disfatta. Gli altri intanto sulle navi il vasto mare solcavano bruciate prima le tende dove loro stessi avevano riposato.86 Guidandoli, due saggi uomini

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

s»mainon, Nšstwr te kaˆ a„cmht¾j 'Agamšmnwn: toÝj dä kaˆ ™ldomšnouj katab»menai œndoqen †ppou 'Arge‹oi katšruxan, †n' ™n n»essi mšnontej ¥lloij shma…nwsin, ™peˆ polÝ lèion ¥ndrej œrg. ™po…contai, ÐpÒt' e„sorÒwsin ¥naktej: toÜnek' ¥r' œktoqi m…mnon ¢ristÁšj per ™Òntej. O‰ dä qoîj ¢f…konto prÕj ºiÒnaj Tenšdoio: eÙn¦j d' œnq' œbalon kat¦ bšnqeoj: ™k d' œban aÙtoˆ nhîn ™ssumšnwj: ¢pÕ d' œktoqi pe…smat' œdhsan ºiÒnwn: aÙtoˆ dš par' aÙtÒqi m…mnon ›khloi dšgmenoi, ÐppÒte pursÕj ™eldomšnoisi fane…h. O‰ d' ¥r' ™n †pp. œsan dh…wn scedÒn, ¥llote mšn pou fqe‹sqai ÑáÒmenoi, Ðtä d' ƒerÕn ¥stu dapxai: kaˆ t¦ män ™lpomšnoisin ™p»luqen 'Hrigšneia. Trîej d' e„senÒhsan ™p' ÆÒsin `EllhspÒntou kapnÕn œt' ¢pssonta di' ºšroj: oÙd' ¥ra nÁaj dšrkonq' a† sfin œneikan ¢f' `Ell£doj a„nÕn Ôleqron. +hqÒsunoi d' ¥ra p£ntej ™pšdramon a„gialo‹si teÚce' ™fess£menoi: œti g¦r dšoj ¥mpece qumÒn. “Ippon d' e„senÒhsan ™Åxoon, ¢mfˆ d' ¥r' aÙtÚ q£mbeon ˜staÒtej: m£la g¦r mšga œrgon ™tÚcqh. 'AgcÒqi d' aâte S…nwna dus£mmoron e„senÒhsan, ka… min ¢neirÒmenoi Danaîn Ûper ¥lloqen ¥lloj mšsson ™kuklèsanto peristadÒn: ¢mfˆ dä mÚqoij meilic…oij e‡ronto p£roj, metšpeita d' ÐmoklÍ smerdalšV, kaˆ poll¦ dolÒfrona fîta d£ázon

342 ȜĮȠ૙Ȣ Köchly 357 ਙȝijİȤİ codd. : corr. Vian

LIBRO DODICESIMO, VV. 339-364

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indicavano il percorso, Nestore e il bellicoso Agamennone: questi, desiderosi di infilarsi dentro il cavallo, gli Argivi trattennero affinché, rimanendo sulle navi, facessero da guida per gli altri – molto meglio gli uomini si mettono all’opera qualora li sorveglino i capi. Per questo motivo rimasero fuori, pur essendo anch’essi eccellenti.

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[I Greci si ritirano con le navi al Tenedo e bruciano le tende. I Troiani scorgono il cavallo: l’inganno di Sinone] Velocemente raggiunsero le spiagge di Tenedo, gettarono le ancore in profondità e sbarcarono dalle navi con slancio; fuori le gomene fissarono alla costa, poi in quello stesso luogo rimasero tranquilli attendendo ansiosi quando la fiaccola gli fosse mostrata. Gli altri stavano nel cavallo, vicini ai nemici, una volta pensando di morire, un’altra di distruggere la sacra città. E a questi che così meditavano si manifestò Erigenia. I Troiani notarono sulle spiagge dell’Ellesponto87 il fumo che in aria ancora saliva; ma le navi non videro che dall’Ellade dolorosa sventura portarono loro. Felici, tutti quanti si riversarono sulle spiagge, pur indossando le armature – la paura teneva ancora il cuore!88 Si accorsero del ben lavorato cavallo, a questo avvicinandosi con stupore: era di gran lunga un’opera straordinaria! Lì vicino quindi il povero Sinone scorsero89 e, interrogandolo in molti modi sui Danai, chi da una parte chi dall’altra lo circondarono da ogni lato; sulle prime con parole90 gentili lo interrogavano, quindi con minacce terribili. Molto lo scaltro uomo maltrattavano

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

pollÕn ™pˆ crÒnon a„šn. vO d' œmpedon ºÚte pštrh m…mnen ¢teirša gu‹' ™pieimšnoj. 'Oyä d' ¥r' aÙtoà oÜaq' Ðmîj kaˆ ˜‹naj ¢pÕ melšwn ™t£monto p£mpan ¢eik…zontej, Ópwj nhmertša e‡pV, ÓppV œban Danao…, sÝn n»esin ºä kaˆ †ppoj œndon ™rhtÚesken. vO d' ™nqšmenoj fresˆ k£rtoj lèbhj oÙk ¢lšgizen ¢eikšoj, ¢ll' ™nˆ qumÚ œtlh kaˆ plhgÍsi kaˆ ™n purˆ teirÒmenÒj per ¢rgalšwj: “Hrh g¦r ™nšpneuse mšga k£rtoj. To‹a d' ¥r' ™n mšssoisi dolofronšwn ¢gÒreuen: «'Arge‹oi män nhusˆn Øpšr pÒntoio fšbontai makrÚ ¢khd»santej ™pˆ ptolšm. kaˆ ¢n…V. K£lcantoj d' „Òthti dapfroni Tritogene…V †ppon ™tekt»nanto, qeÁj cÒlon Ôfr' ¢lšwntai p£gcu kotessamšnhj Trèwn Ûper. 'Amfˆ dä nÒstou ™nnes…V 'OdusÁoj ™moˆ menšainon Ôleqron, Ôfr£ me dVèswsi dushcšoj ¥gci qal£sshj da…mosin e„nal…oij. 'Emä d' oÙ l£qon, ¢ll' ¢legein¦j spond£j t' oÙlocÚtaj te m£l' ™ssumšnwj ØpalÚxaj ¢qan£twn boulÍsi paraˆ posˆ k£ppeson †ppou: o‰ dä kaˆ oÙk ™qšlontej ¢nagka…V m' ™l…ponto, ¡zÒmenoi meg£loio DiÕj kraterÒfrona koÚrhn». vWj f£to kerdosÚnVsi kaˆ oÙ k£men ¥lgesi qumÒn: ¢ndrÕj g¦r kratero‹o kak¾n ØpotlÁnai ¢n£gkhn. TÚ d' o‰ män pep…qonto kat¦ stratÒn, o‰ d' ¥r' œfanto œmmenai ºperopÁa polÚtropon, omj ¥ra boul¾ ¼ndane LaokÒwntoj: · g¦r pepnumšna b£zwn

369 ੖ʌʌȘ YQC : ੖ʌȦȢ DU 371-378 om. H 373 ਥȞȑʌȞİȣıİ codd. : corr. Köchly 380 ਥȞȞİıȓૉ codd. : corr. Spitzner 389 IJ૵Ȟ : : IJ૵ R : corr. Pauw

LIBRO DODICESIMO, VV. 365-391

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per lungo tempo. Quello, saldo come una roccia91 rimaneva, mostrandosi inflessibile. Ma, infine, le orecchie e il naso gli tagliarono dal corpo tra mille tormenti, cosicché dicesse cose vere su dove fossero i Danai: via con le navi o che il cavallo all’interno li avesse nascosti. E quello perseverando non diede peso al duro scempio e nel cuore sopportò, sebbene fosse provato dalle piaghe e dal fuoco violentemente: Era infatti gli ispirò grande tenacia. Tali cose disse loro, meditando l’inganno: «Gli Argivi con le navi sul mare fuggono, fiaccati dalla lunga guerra e dall’afflizione. Per volontà di Calcante, alla bellicosa Tritogenia un cavallo costruirono per eliminare l’ira della dea assai furiosa a vantaggio dei Troiani. Per il ritorno, su proposta di Odisseo,92 meditavano la mia morte, d’uccidermi in sacrificio davanti al rumoroso mare per le divinità marine.93 La cosa non mi sfuggì: le tristi libagioni e le offerte rituali prontamente evitando,94 per volere degli immortali, mi appiattii ai piedi del cavallo. Quelli, costretti pur non volendo, mi lasciarono lì, rispettando la figlia intrepida del grande Zeus». Così disse con astuzia e non si scoraggiò per le sofferenze: è dell’uomo forte sopportare l’amara necessità!95

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[Discordi pareri dei Troiani. Laocoonte è straziato da Atena] Alcuni nell’esercito gli prestarono fede, mentre altri dicevano che fosse un astuto impostore: erano quelli che condividevano il parere di Laocoonte. Egli infatti, dicendo cose sagge,

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

fÁ dÒlon œmmenai a„nÕn Øp' ™nnes…Vsin 'Acaiîn, p£ntaj d' ÑtrÚneske qoîj ™mprhsšmen †ppon, †ppon dour£teon kaˆ gnènai e‡ ti kškeuqe. Ka… nÚ kš oƒ pep…qonto kaˆ ™x»luxan Ôleqron, e„ m¾ Tritogšneia kotessamšnh perˆ qumÚ aÙtÚ kaˆ Trèessi kaˆ ¥steá ga‹an œnerqe qespes…hn ™lšlixen Øpaˆ posˆ LaokÒwntoj. TÚ d' ¥far œmpese de‹ma, trÒmoj d' ¢mfšklase gu‹a ¢ndrÕj ØperqÚmoio: mšlaina dš oƒ perˆ kratˆ nÝx ™cÚqh: stugerÕn dä kat¦ blef£rwn pšsen ¥lgoj, sÝn d' œceen las…Vsin Øp' ÑfrÚsin Ômmata fwtÒj: glÁnai d' ¢rgalšVsi peparmšnai ¢mf' ÑdÚnVsi ˜izÒqen ™klonšonto: peristrwfînto d' Ñpwpaˆ teirÒmenai Øpšnerqen: ¥coj d' ¢legeinÕn †kanen ¥cri kaˆ ™j m»niggaj „d' ™gkef£loio qšmeqla. Toà d' Ðtä män fa…nonto memigmšnoi a†mati pollÚ Ñfqalmo…, Ðtä d' aâte dusalqša glaukiÒwntej: poll£ki d' œrreon, omon Óte stufelÁj ¢pÕ pštrhj e‡betai ™x Ñršwn nifetÚ pepalagmšnon Ûdwr. Mainomšn. d' ½ikto kaˆ œdrake diplÒa p£nta a„n¦ m£la sten£cwn. Kaˆ œti Trèessi kšleuen oÙd' ¢lšgize mÒgoio: f£oj dš oƒ ™sqlÕn ¥merse d‹a qe»: leukaˆ d' ¢tršmaj œnqa kaˆ œnqa pleur¦ diexèixen ™ãmmel…w Øp' 'Epeioà: baiÕn d' ™xanšdu s…dwn Ûper, ¢mfˆ dä p£ntV Trîaj papta…nesken, ™grhgorÒt' e‡ pou ‡doito. `Wj d' Ótan ¢rgalšV limÚ bebolhmšnoj Ãtor ™x Ñršwn œlqVsi lÚkoj catšwn m£l' ™dwdÁj po…mnhj prÕj staqmÕn eÙrÚn, ¢leuÒmenoj d' ¥ra fîtaj kaˆ kÚnaj, o† ˜£ te mÁla fulassšmenai mem£asi, ba…nei possˆn ›khloj Øpär poimn»ion ›rkoj:

31 ðka codd. : corr. Rhodomann* 36 ¢tremšwj PUQ : ¢tremekšwj DC : Ñtralšwj Lasc.2 39 ™pessumšnouj Ps1H : -nwj P 40 add. Rhodomann* 41 ™ummel…. codd. : corr. West : -…V Rhodomann | 'EpeiÚ codd. : corr. West 42 ™xanšdus' „dën codd. : corr. Lehrs 43 ™grhgorÒtaj codd. : corr. Rhodomann*

LIBRO TREDICESIMO, VV. 24-48

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mostrando agli Argivi il bagliore del fuoco.7 Enormemente a lui il cuore 8 si agitava nel petto, che non lo vedessero i forti Troiani, e subito tutto fosse scoperto; ma questi nei propri letti dormivano l’ultimo sonno appesantiti dal molto vino puro,9 mentre i Greci osservando dal Tenedo s’apprestavano con le navi a salpare.

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[Dopo che Sinone ha dato il segnale, gli eroi scendono dal cavallo] Sinone stesso s’avvicinò al cavallo: chiamò piano, molto piano, affinché nessuno tra i Troiani in qualche modo se n’avvedesse, 10 ma solo i duci dei Danai, lontano dai quali – loro che bramavano combattere – il sonno a sazietà s’era disteso. Quelli che erano dentro lo udivano, però ad Odisseo tutti tesero le orecchie. Egli li incoraggiava a uscir fuori piano e in silenzio; obbedirono quelli a lui che incoraggiava all’ardore e da cavallo a terra fremevano di saltare per mettersi all’opera.11 Ma egli con esperienza fermava 12 tutti quelli che s’erano precipitati; egli stesso con mani veloci senza tremare da una parte e dall’altra del cavallo di legno aprì il fianco,13 sotto gli ordini di Epeo dalla valida asta. Si sporse un po’ sopra le assi, ovunque d’intorno osservava i Troiani, se mai ne vedesse uno sveglio.14 Come quando da tremenda fame colpito nel cuore il lupo desiderando assai il cibo scende dai monti verso l’ampio ovile del gregge, schivando persone e cani, che di proteggere le pecore hanno intenzione, avanza sicuro sulle zampe verso il recinto del gregge,15

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

ìj 'OduseÝj †ppoio kat»ien. 'Amfˆ d' ¥r' aÙtÚ Ôbrimoi ¥lloi ›ponto Panell»nwn basilÁej nisÒmenoi kl…maxi kat¦ st…caj, …j per 'EpeiÕj teàxen ¢rist»essin ™ãsqenšessi kšleuqa †ppon ™j ™rcomšnoisi kaˆ ™x †ppoio kioàsin: o† ˜a tÒt' ¢mf' aÙtÍsi kat»ion ¥lloqen ¥lloi, qarsalšoi sf»kessin ™oikÒtej oÛj te klon»sV drutÒmoj, o‰ d' ¥ra p£ntej ÑrinÒmenoi perˆ qumÚ Ôzou Øpekprocšontai, Óte ktÚpon e„sa…ousin: ìj o† g' ™x †ppoio memaÒtej ™xecšonto ™j Trèwn ptol…eqron ™Åktiton: ™n d' ¥ra to‹si p£llet' ™nˆ stšrnoisi kšar. T£ca d' o‰ män œnairon dusmenšaj . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Toˆ d' …kanen ØpÕ zÒfon ÑkruÒenta

345 oƒ suspectum : d¾ Rhodomann : kaˆ Köchly | post versum 345 lacunam posuit Vian, alii alia temptaverunt 342 kaˆ g£r codd. : kaˆ m£n Zimmermann 346 ¥ndra codd. : Óssa Rhodomann : ¥ndr' § Zimmermann 348 dä min codd. : corr. Rhodomann 352 ˜ poipnÚonta DQCpc : ™pipnÚonta PUCac | oÙdš ti codd. : o‰ dš ti Ls1R Lasc.2 : corr. Rhodomann 355 kic»saj codd. : tuc»saj Zimmermann3 360 HcLR d‹a : dia- PD 362 mšgaj codd. : corr. Köchly 363 par' šmetšrhsi PD : par' Ømetšrhsi Hc : par' Ømetšroisi U : corr. Platt (Köchly praeeunte) 366 ™lafrÒtaton codd. : corr. Tychsen 367 ay’ ¢f- add. Vian : ½dh Rhodomann

LIBRO TREDICESIMO, VV. 343-367

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giacché è figlio di Afrodite dalle belle trecce. Ma anche per altro motivo da quest’uomo allontaniamo le nostre mani, perché per sé all’oro e tra le altre ricchezze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . [che] potrebbero salvare un uomo in fuga per giunta verso una terra straniera, a tutte le cose ha preferito suo padre e suo figlio:73 una sola notte ci mostrò sia un figlio enormemente benigno per l’anziano padre sia un genitore irreprensibile per il figlio». Così disse: quelli obbedirono e come un dio lo guardavano tutti.74 Questi subito dalla propria città era partito, verso dove nella fretta lo portavano i suoi piedi; intanto di Troia gli Argivi ancora devastavano la rocca ben costruita.

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[Menelao di fronte ad Elena] E allora Menelao con la spada funesta Deifobo uccise avendolo sorpreso col capo pesante nel letto di Elena, sventurato.75 Ella invece in fuga precipitosa si nascondeva tra le stanze. Egli mentre il sangue scorreva esultava dell’omicidio, e disse siffatto discorso: «Cane, così io ti ho dato la morte funesta quest’oggi; né ti troverà la divina Erigenia ancora vivo tra i Troiani, anche se ti vanti di essere di Zeus forte tonante il suocero; ma la nera rovina ti prese presso il letto della nostra sposa ucciso penosamente. Oh, se anche prima del maledetto Alessandro che si batteva nella mischia l’anima io avessi allontanato: di certo per me più lieve sarebbe il dolore.76 Ma egli è giunto comunque all’oscurità spaventevole

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

t…saj a‡sima p£nta: sä d' oÙk ¥r' œmellen Ñn»sein šmetšrh par£koitij, ™peˆ Qšmin oÜ pot' ¢litroˆ ¢nšrej ™xalšontai ¢k»raton, oÛnek' ¥r' aÙtoÝj e„sor£v nuktÒj te kaˆ ½matoj, ¢mfˆ dä p£ntV ¢nqrèpwn ™pˆ fàla diher…h pepÒthtai tinumšnh sÝn Zhnˆ kakîn ™pi…storaj œrgwn». vWj e„pën dh…oisin ¢nhlša teàcen Ôleqron: ma…neto g£r oƒ qumÕj ØpÕ krad…V mšg' ¢šxwn zhl»mwn: kaˆ poll¦ perˆ fresˆ qarsalšVsi Trwsˆ kak¦ fronšeske t¦ d¾ qeÕj ™xetšlesse pršsba D…kh. Ke‹noi g¦r ¢t£sqala prîtoi œrexan ¢mf' `Elšnhj, prîtoi dä kaˆ Órkia phm»nanto, scštlioi, o† pote †ke‹no† par' ™k mšlan amma kaˆ ƒr¦ ¢qan£twn ™l£qonto paraibas…Vsi nÒoio. Tî ka… sfin metÒpisqen 'ErinnÚej ¥lgea teàcon: toÜnek' ¥r' o‰ män Ôlonto prÕ te…ceoj, o‰ d' ¢n¦ ¥stu terpÒmenoi par¦ daitˆ kaˆ ºukÒmoij ¢lÒcoisin. 'Oyä dä d¾ Menšlaoj ™nˆ muc£toisi dÒmoio eáren ˜¾n par£koitin Øpotromšousan Ðmokl¾n ¢ndrÕj kourid…oio qrasÚfronoj, Ój min ¢qr»saj Êrmaine ktanšein zhlhmosÚnVsi nÒoio, e„ m» oƒ katšruxe b…hn ™rÒess' 'Afrod…th ¼ ˜£ oƒ ™k ceirîn œbale x…foj, œsce d' ™rw»n: toà g¦r zÁlon ™remnÕn ¢pèsato ka… oƒ œnerqen šdÝn ™f' †meron ðrse kat¦ frenÕj ºdä kaˆ Ôsswn. TÚ d' ¥ra q£mboj ¥elpton ™p»luqen, oÙd' ¥r' …ma pollaˆ lhi£dej sunšponto m£l' ¢cnÚmenai kat¦ qumÒn. AÙtoˆ d' ™ntÕj †konto neîn: ¢ll' oÜ sfisi K£lcaj ›spet' ™peigomšnoisin œsw ¡lÒj, ¢ll¦ kaˆ ¥llouj 'Arge…ouj katšruke: Kafhr…si g¦r perˆ pštraij de…dien a„nÕn Ôleqron ™pessÚmenon Danao‹sin. O‰ dš oƒ oÜ ti p…qonto: par»pafe g¦r nÒon ¢ndrîn Ansa kak». Moànoj d~ qeoprop…aj eâ e„dëj 'Amf…locoj qoÕj uƒÕj ¢mÚmonoj 'Amfiar£ou m…mnen Ðmîj K£lcanti per…froni: to‹si g¦r Ãen a‡simon ¢mfotšroisin ˜Áj ¢pÕ thlÒqi ga…hj PamfÚlwn Kil…kwn potˆ ptol…eqra nšesqai. 'All¦ t¦ m~n metÒpisqe qeoˆ qšsan: aÙt¦r 'Acaioˆ nhîn pe…smat' œlusan ¢pÕ cqonÕj ºd~ kaˆ eÙn¦j ™ssumšnwj ¢n£eiran. 'Ep…ace d' `Ell»spontoj spercomšnwn: nÁej d~ periklÚzonto qal£ssV. 'Amfˆ d' ¥r£ sfisi poll¦ perˆ prórVsin œkeito œnte' ¢poktamšnwn: kaqÚperqe d~ s»mata n…khj mur…' ¢pVèrhnto: katestšyanto d~ nÁaj kaˆ kefal¦j kaˆ doàra kaˆ ¢sp…daj Îsi m£conto ¢nt…a dusmenšwn. 'ApÕ d~ prórhqen ¥naktej e„j …la kuanšhn le‹bon mšqu poll¦ qeo‹sin eÙcÒmenoi mak£ressin ¢khdša nÒston Ñp£ssai.

351 qaàma mšga codd. : corr. Rhodomann 358 add. Pauw 359 lhi£dej Ald. : lh…dej codd. | sunšconto codd. : corr. Rhodomann 364 pep…qonto Zimmermann 365 qeoprop…wn West 369 add. B sl Lasc.2 376 katestršyanto D 377 omsi Rhodomann

LIBRO QUATTORDICESIMO, VV. 351-380

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un dio, grande portento anche per gli uomini che verranno.73 Dietro consiglio di Calcante gli Achei74 con nave veloce la fecero portare al di là dell’Ellesponto; intanto frettolosamente trascinarono in mare le navi, e presero tutte le ricchezze, quante prima, muovendo verso Ilio, ne avevano depredate, assalite le genti, e quante dalla stessa Ilio ne condussero; di queste specialmente si rallegravano, ché erano davvero cospicue; li seguivano, numerose, le donne catturate, molto dolenti nell’animo. Entrarono poi nelle navi;75 ma Calcante non li seguì, mentre si affrettavano verso il mare, e anche gli altri Argivi tentò di trattenere; temeva, infatti, che sugli scogli Caferidi una terribile sventura si sarebbe abbattuta sui Danai. Quelli, però, non obbedirono; ingannò l’animo degli uomini il Fato tremendo. Uno solo, ben conoscendo i vaticinii, Amfiloco, il valente figlio dell’ottimo Amfiarao, rimase con il saggio Calcante; ad entrambi, infatti, era destinato che lontano dalla propria terra verso la città dei Pamfili e dei Cilici viaggiassero.76 Ma queste cose gli dèi le realizzarono più tardi;77 allora gli Achei da terra le funi delle navi sciolsero e rapidamente tirarono su le ancore. Mormorava l’Ellesponto al loro infuriare e le navi erano colpite dal mare.78 Intorno alle navi, a prora, numerose stavano le armi degli uccisi e di sopra segni della vittoria innumerevoli pendevano; incoronarono le navi e le teste, le spade e sugli scudi con i quali avevano combattuto79 contro i nemici. Dalla prora i capi versavano vino nel mare ceruleo, a lungo gli dèi beati pregando di concedere loro un ritorno privo d’affanni.80

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

EÙcwlaˆ d' ¢nšmoisi m…gen kaˆ ¢pÒproqi nhîn mayid…wj nefšessi kaˆ ºšri sumforšonto. A‰ d' ¥ra papta…neskon ™j ”Ilion ¢cnÚmenai kÁr lhi£dej kaˆ poll¦ kinurÒmenai go£askon krÚbdhn 'Arge…wn mšg' ™nˆ fresˆ pšnqoj œcousai. Ka… ˜' a‰ m~n perˆ goÚnat' œcon cšraj, a‰ d~ mštwpa cersˆn ™phre…donto dus£mmoroi: a‰ d' ¥ra tškna ¥mpecon ¢gko…nVsi: t¦ d' oÜ pw doÚlion Ãmar œstenon, oÙd~ p£trhj ™pˆ p»masin, ¢ll' ™pˆ mazÚ qumÕn œcon: khdšwn g¦r ¢pÒproqi n»pion Ãtor. P£sVsin d' ™lšlunto kÒmai kaˆ st»qea lugr¦ ¢mf' ÑnÚcessi dšdrupto: pareiÍsin d' œti d£kru aÙalšon per…keito, kate…beto d' ¥ll' ™fÚperqe puknÕn ¢pÕ blef£rwn. Dšrkonto d~ tl»mona p£trhn a„qomšnhn œti p£gcu, polÝn d' ¢n¦ kapnÕn „Ònta. 'Amfˆ d~ Kass£ndrhn ™rikudša papta…nousai p©sa… min qheànto qeoprop…hj ¢legeinÁj mnwÒmenai:   dš sfin ™peggel£aske goèsaij ka… per ¢khcemšnh stugero‹j ™pˆ p»masi p£trhj. Trèwn d' Óssoi ¥luxan ¢nhlšoj ™k polšmoio, ¢grÒmenoi kat¦ ¥stu perˆ nškuaj ponšonto qaptšmenai memaîtej: ¥gen d' ¢legeinÕn ™j œrgon 'Ant»nwr: paàroi d~ pur¾n polšessi t…qento. 'Arge‹oi d' ¥llhkton ™nˆ fresˆ kagcalÒwntej ¥llote m~n kèpVsi dišprhsson mšlan Ûdwr, ¥llote d' ƒst…a nhusˆ memaÒtej ™ntÚnonto ™ssumšnwj. 'Op…sw d~ qoîj ¢pele…peto p©sa Dardan…h kaˆ tÚmboj 'Acillšoj: o‰ d' ¢n¦ qumÕn ka… per „ainÒmenoi ktamšnwn mnhsqšntej ˜ta…rwn ¢rgalšwj ¢k£conto kaˆ ¢llodapîn ™pˆ ga‹an 381 eÙcÒmenoi codd. : corr. Canter 383 pappa…neskon H 386a om. H 387 ¥mfecon Köchly | ¢gko…nVsin H | pot' ØpÕ W : pote R : corr. Rhodomann 388 œstenen codd. : corr. Köchly | oßte codd. : corr. Köchly 389 ¢pÒproqe n»pion H : ¢pÒproqen ¼pion P : corr. Spitzner 394 ™pˆ H : ™peˆ P : corr. Tychsen 397 sfisin W | ™pegel£aske W 399 ¢nhlegšoj codd. : corr. Rhodomann 401 ¥gon codd. : corr. Lasc.2 402 ¢nt»nwr' W | aÙto… codd. : corr. Bonitz | tštukto D 404 dišprhsan codd. : corr. Rhodomann

LIBRO QUATTORDICESIMO, VV. 381-409

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Ma le loro preci si mescolarono ai venti; lontano dalle navi vanamente si posero nel cielo, tra le nubi. Intanto guardavano verso Ilio, afflitte in cuore le Troiane, bottino di guerra, gemevano e si lamentavano, di nascosto degli Argivi, grande lutto serbando in petto.81 Alcune cingevano le ginocchia con le mani, altre la fronte alla mano appoggiavano, misere; altre ancora i figli82 stringevano tra le braccia; essi non ancora per il dì della schiavitù non ancora s’affliggevano né pei mali della patria, ma alla mammella ponevano l’animo, ché sgombro da cure è l’animo degl’infanti.83 Tutte avevano le chiome sciolte e i loro petti affranti erano graffiati dalle unghie; sulle guance lacrime ristavano, asciutte, mentre altre stillavano, fitte, dalle palpebre. Vedevano la patria sventurata bruciare interamente, e un fumo denso levarsi.84 Tutte poi, volgendo gli occhi verso l’inclita Cassandra, la rimiravano, il vaticinio doloroso rammentando; ma quella rideva dei loro pianti, benché fosse oppressa dai terribili mali della patria. Quanti dei Troiani sfuggirono alla guerra spietata, radunatisi in città, si affannavano intorno ai morti, desiderosi di seppellirli. Li guidava nella triste opera Antenore; pochi posero la pira per molti.85 Gli Argivi, invece, incessantemente gioendo in cuore, talora coi remi solcavano le acque scure, talora si occupavano con ardore delle vele sulle navi,86 speditamente. Presto si lasciarono dietro tutta la Dardania e la tomba di Achille; ma pur essendo negli animi lieti, ricordandosi dei compagni periti, dolorosamente si afflissero e alla terra straniera

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

Ôsse b£lon ™cÚqh perˆ ga‹an, ™p»clusen dä q£lassa: ZeÝj d~ mšg' e„sorÒwn etšrpeto. K…nuto d' eÙrÝj

438 gšnoj codd. : corr. Rhodomann 442 tromšousi codd. : corr. Lasc2 443 prosšeipen W | pat¾r add. Rhodomann : ZeÚj coni. RE Ald. 444 IJȚ codd. : corr. Rhodomann | œgw s' UQ | oßnek' codd. : corr. Rhodomann 446 ¢kam£t+sin R Lasc.2 452 ™lÚsato W : corr. Vian 459 ‰eire codd. : corr. Köchly 461 œcee D | oßrea codd. : ºšra Rhodomann | p©sa d' codd. : p©san Köchly 462 add. Köchly 463 etšrpeto codd. : corr. Rhodomann

LIBRO QUATTORDICESIMO, VV. 436-463

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il figlio di Oileo grave offesa mi fece: non ebbe pietà di Cassandra che verso di me tendeva le mani innocenti ripetutamente, né temette la mia potenza né in cuor suo ebbe rispetto di un’immortale, ma impresa terribile compì.92 Adunque, nell’animo tuo divino non impedirmi di agire come l’animo mio desidera, cosicché anche gli altri giovani tremino al vedere manifestarsi le minacce degli dèi».93 Così disse, e le rispose il padre con dolci parole: «Figlia, non mi ti opporrò riguardo94 agli Achei, anzi, tutte le armi che un tempo, facendomi dono gradito, mi portarono i Ciclopi – le forgiarono con le loro mani infaticabili –95 quelle ti affiderò, assecondando i tuoi desideri; ma tu, con animo coraggioso, tu stessa, suscita una tremenda tempesta contro gli Argivi».96 Così disse, e il lampo veloce, il fulmine fatale, il tuono luttuoso accanto all’intrepida fanciulla depose; molto gioì il suo animo fin nei recessi del cuore. Subito vestì l’egida impetuosa, tutta splendente, indistruttibile, salda, financo dagli immortali ammirata; su di essa è impresso il capo della terribile Medusa, orribilmente; possenti, l’impeto del fuoco inesauribile fieramente spirando, v’erano serpenti incisi sopra.97 Risuonava l’egida tutta sul petto della regina, come quando attraversato dalla folgore rimbomba l’etere immenso.98 Prese dunque le armi del padre, che niun dio impugna, eccetto il grande Zeus; scosse il vasto Olimpo, e le nuvole confuse ai monti. Dappertutto di sopra la notte si riversò sulla terra, e si fece scuro il mare;99 Zeus molto si compiaceva a guardarla. Vibrava il vasto

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

oÙranÕj ¢mfˆ pÒdessi qeÁj: perˆ d' œbracen a„q»r, æj DiÕj ¢kam£toio potˆ klÒnon ™mmemaîtoj. vH d' ¥far ºerÒentoj Øp~r pÒntoio fšresqai oÙranÒqen prošhken ™j A‡olon ¥mbroton ’Irin, Ôfr' 'Anšmouj …ma p£ntaj ™pibr…santaj „£llV ™lqšmenai kranao‹o Kafhršoj œnqen 'Acaiîn nwlemšwj crimfqšntaj ¢noidÁna… te q£lassan leugalšVj ˜ipÍsi memhnÒtaj. vH d' ¢…ousa ™ssumšnwj o‡mhse perignamfqe‹sa nšfessi: fa…hj ken pàr œmmen …m' ºšri kaˆ mšlan Ûdwr. “Iketo d' A„ol…hn, 'Anšmwn Óqi l£bron ¢šntwn ¥ntra pšlei stufelÍsin ¢rhršmen' ¢mfˆ pštrVsi ko‹la kaˆ ºc»enta: dÒmoi d' ¥gcista pšlontai A„Òlou `Ippot£dao. K…cen dš min œndon ™Ònta sÚn t' ¢lÒc. kaˆ paisˆ duèdeka: ka… oƒ œeipen ÐppÒs' 'Aqhna…h Danaîn ™pem»deto nÒst.. AÙt¦r Ó g' oÙk ¢p…qhse, molën d' œktosqe mel£qrwn cersˆn Øp' ¢kam£toisin Ôroj mšga tÚye tria…nV, œnq' ”Anemoi keladein¦ dushcšej hÙl…zonto ™n keneÚ keuqmîni, per…ace d' a„~n „w¾ brucomšnwn ¢legein£. B…V d' œrrhxe kolènhn: o‰ d' ¥far ™xecšonto: kšleuse d~ p£ntaj ™remn¾n la…lapa sumforšontaj ¢»menai, Ôfr' ¢legeinÕn Ñrnumšnhj ¡lÕj ondma Kafhršoj ¥kra kalÚyV. O‰ d~ qoîj êrnunto p£roj basilÁoj ¢koàsai p©n œpoj: ™ssumšnoisi d' ™pesten£cize q£lassa ¥speton: ºlib£toisi d' ™oikÒta kÚmat' Ôressin ¥lloqen ¥lla fšronto. Katekl£sqh d' ¥r' 'Acaiîn qumÕj ™nˆ stšrnoisin, ™peˆ nšaj ¥llote mšn pou ØyhlÕn fšre kàma di' ºšroj, ¥llote d' aâte 468 ¢šllV codd. : corr. Rhodomann 469 œgguqen ¥krwn Zimmermann 470 ¢noid»nasqai codd. : ¢nadÚnasqai Lasc.2 : corr. Rhodomann 471 ¢…ssousa P 472 perignamfe‹sa P | nefšessi codd. : corr. Rhodomann 473 œmmenai H 475 stugerÍsin codd. : corr. Rhodomann | ¢rhr£men' EAld. 479 Óppwj codd. : corr. Rhodomann 481 ¢kam£t+sin Ppc H 482 keladeinoˆ codd. : corr. Rhodomann 484 b…a W : corr. Rpc et Rhodomann 487 ondma codd. : ¥kra Brodeau 490 ¥sceton codd. : corr. Castiglioni 491 g¦r W : d~ LR : corr. Rhodomann

LIBRO QUATTORDICESIMO, VV. 464-493

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cielo sotto i piedi della dea, e rimbombava d’intorno l’etere, come quando Zeus indefesso agogna la pugna. Ella dunque ordinò a Iride immortale di portarsi dal cielo su per il mare tenebroso fino ad Eolo, perché i Venti, tutti insieme, gravidi di tempesta,100 giungessero all’aspro Cafareo, di là dagli Achei incessantemente incalzando, e gonfiassero il mare101 con impeto tremendo infuriando. E quella, uditala, presto si mosse, piegandosi in giù tra le nubi; avresti detto che fosse fuoco, insieme ad aria e scura acqua.102 Giunse in Eolia, là dove dei venti che impetuosamente spirano sono gli antri incastonati nelle aspre rocce,103 cavi e risonanti; lì v’erano le dimore di Eolo, figlio di Ippota. Lo trovò che era in casa con la sposa e i dodici figli; a lui disse tutto quanto Atena meditava contro il ritorno dei Danai. Ed Eolo certo non disobbedì: precipitatosi fuori dalle case con le mani infaticabili colpì il grande monte brandendo il tridente, lì Venti dal suono cupo dimoravano in un vuoto recesso; sempre risuonava il loro sibilo mugghiando acuto. Con violento colpo squarciò il monte;104 quelli subito si riversarono fuori; a tutti ordinò che adunassero una tempesta oscura, finché l’ implacabile flutto del mare agitato ricopra gli scogli del Cafareo. Ed essi rapidamente si mossero prima di aver udito dal re ogni parola; al loro slancio gemeva il mare infinito. Simili a monti inaccessibili i flutti105 di qua e di là si muovevano. Si spezzò agli Achei l’animo in petto, ché le navi a volte106 in alto, per aria, portavano i flutti, altre volte

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

oma kat¦ krhmno‹o kulindomšnaj foršeske bussÕn ™j ºerÒenta, b…h dš oƒ ¥scetoj a„eˆ y£mmon ¢naze…eske dioigomšnoio klÚdwnoj. O‰ d' ¥r' ¢mhcan…V bebolhmšnoi oÜt' ™p' ™retmÚ ce‹ra bale‹n ™dÚnanto teqhpÒtej, oÜt' ¥ra la…fh œsqenon ¢mfˆ kšra lelihmšnoi e„rÚssasqai ˜hgnÚmen' ™x ¢nšmwn oÙd' œmpalin „qÚnasqai ™j plÒon: ¢rgalšai g¦r ™peklonšonto qÚellai. OÙd~ kubern»tVsi pšlen mšnoj e„sšti nhîn cersˆn ™pistamšnVsi qoîj o„»ia nwm©n: p£nta g¦r ¥lludij ¥lla kakaˆ dišceuon ¥ellai. OÙdš tij ™lpwr¾ biou pšlen, oÛnek' ™remn¾ nÝx …ma kaˆ mšga ce‹ma kaˆ ¢qan£twn cÒloj a„nÕj ðrto: Poseid£wn g¦r ¢nhlša pÒnton Ôrinen Ãra kasign»toio fšrwn ™rikudši koÚrV, ¼ ˜a kaˆ aÙt¾ Ûperqen ¢me…lica maimèwsa qàne met' ¢steropÍsin: ™pšktupe d' oÙranÒqen ZeÝj kuda…nwn ¢n¦ qumÕn ˜Õn tškoj. 'Amfˆ d~ p©sai nÁso… t' ½peiro… te kateklÚzonto qal£ssV EÙbo…hj oÙ pollÕn ¢pÒproqen: Âci m£lista teàcen ¢meil…ktoisin ™p' ¥lgesin ¥lgea da…mwn 'Arge…oij. Stonac¾ d~ kaˆ o„mwg¾ kat¦ nÁaj œplet' ¢pollumšnwn: kan£cize d~ doÚrata nhîn ¢gnumšnwn: a‰ g£r ˜a sunwcadÕn ¢ll»lVsin a„~n err»gnunto. PÒnoj d' ¥prhktoj Ñrèrei: ka… ˜' o‰ m~n kèpVsin ¢pwsšmenai memaîtej nÁaj ™pessumšnaj aÙto‹j …ma doÚrasi lugroˆ k£ppeson ™j mšga bšnqoj, ¢meil…kt. d' ØpÕ pÒtm.

495 toi W : ti NEAld. | a„~n codd. : corr. Köchly 496 ¢nadÚeske H 499 ¢mf…kera codd. : corr. Rhodomann (vert.) Tychsen 500 „qÚnesqai Q Lasc.2 502 kubern»toisi H 503 o„»a H 504 dišceuan Spitzner 505 b…ou codd. : corr. Rhodomann 507 pÒtmon codd. : corr. Rhodomann 511 de om. H 512 qal£sshj codd. : corr. Rhodomann (vert.) Pauw 517 ¢ll»loisi(n) codd. : corr. Pauw 518 ™rr»gnunto W : ™perr»gnunto Rpc : corr. Zimmermann 521 ¢meil…c. codd. : corr. Rhodomann

LIBRO QUATTORDICESIMO, VV. 494-521

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come se lungo un precipizio franassero, le trascinavano nell’abisso oscuro, l’immane violenza sempre107 faceva ribollire la sabbia fra le onde che si spalancavano.108 Ed essi, presi da angoscia, né ai remi riuscivano a porre mano, sbigottiti, né avevano né avevano la forza di congiungere all’albero, benché desiderosi, le vele che dai venti erano strappate, né di drizzarle di nuovo per la navigazione; terribilmente, infatti, infuriavano le tempeste. neanche i nocchieri avevano più la forza di governare speditamente con le loro mani esperte il timone delle navi:109 le tremende tempeste disperdevano ogni cosa per ogni dove. Non v’era più speranza di sopravvivere, ché l’atra notte, l’immane tempesta e l’ira crudele degli dèi s’erano levati insieme; Poseidone, infatti, il mare tremendo sconvolse recando onore alla gloriosa figlia del fratello: quella dall’alto crudelmente smaniando, balzò coi fulmini; tuonò Zeus dal cielo, compiacendo in cuore sua figlia.110 D’intorno tutte le isole e la terraferma erano inondate dal mare111 non molto lontano dall’Eubea; ivi soprattutto agli amari dolori altri dolori suscitava il demone per gli Argivi. Pianti e gemiti sulle navi s’alzavano, per gli eroi che morivano; cigolavano le travi delle navi mentre si spezzavano; ché senza posa112 urtandosi le une con le altre, sempre si squarciavano.113 Vane s’accrescevano le loro fatiche;114 alcuni, desiderosi di respingere con i remi le navi che si slanciavano contro di loro: con quegli stessi legni, miseri, caddero nel vasto abisso, d’un amaro destino

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IL SEGUITO DELL’ ILIADE

k£tqanon, oÛnek' ¥r£ sfin ™pšcraon ¥lloqen ¥lla nhîn doÚrata makr£, sunhlo…hnto d~ p£ntwn sèmata leugalšwj: o‰ d' ™n n»essi pesÒntej ke‹nto katafqimšnoisin ™oikÒtej: o‰ d' Øp' ¢n£gkhj n»cont' ¢mfipesÒntej ™ãxšstoisin ™retmo‹j: ¥lloi d' aâ san…dessin ™pšpleon. ”Ebrace d' …lmh bussÒqen, Êj te q£lassan „d' oÙranÕn ºd~ kaˆ anan fa…nesq' ¢ll»loisin Ðmîj sunarhrÒta p£nta. vH d' ¥r' ¢p' OÙlÚmpoio barÚktupoj 'Atrutènh oÜ ti kataiscÚneske b…hn patrÒj: ¢mfˆ d' ¥r' a„q¾r ‡acen. vH d' A‡anti fÒnon kaˆ pÁma fšrousa œmbale nhˆ keraunÒn, ¥far dš min ¥lludij ¥llV ™skšdase di¦ tutq£: per…ace d' ana kaˆ a„q»r, ™klÚsqh d' ¥ra p©sa per…dromoj 'Amfitr…th. O‰ d' œktosqe neÕj pšson ¢qrÒoi: ¢mfˆ d' ¥r' aÙtoÝj kÚmata makr¦ fšronto: perˆ steropÍsi d' ¢n£sshj a‡glh marma…reske di¦ knšfaj ¢…ssousa. O‰ d' ¥poton l£ptontej ¡lÕj poluhcšoj …lmhn qumÕn ¢popne…ontej Øp~r pÒntoio fšronto. Lhi£si d' ¥ra c£rma kaˆ ÑllumšnVsi tštukto: ka… ˜' a‰ m~n katšdusan œsw ¡lÕj ¢mfibaloàsai ce‹raj ˜o‹j tekšessi dus£mmoroi: a‰ d' ¢legeinaˆ dusmenšwn perˆ kr©ta b£lon cšraj, omj …ma lugraˆ speàdon ¢pofq…sasqai ˜Áj ¢nt£xia lèbhj

522 ïn oÙk codd. : corr. R et Rhodomann 523 sunhllo…hnto codd. : corr. Rhodomann 528 ºd' vel ½d' oÙranÕn W 532   d'Į„ȞÒȞ codd. : corr. Pauw | IJİ ȤÒȜȠȞ codd. : corr. Platt 536 aÙto‹j Vian 539-578 post 579-618 habet W : ordinem genuinum restituerunt R (in marg.) et Rhodomann 539 ÑpÒte codd. : corr. Rhodomann 543 ¢legein¦j R et Heyne : ¢legein¦ Pauw 545 ™pofq…sasqai Pac

LIBRO QUATTORDICESIMO, VV. 522-545

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perirono, ché alcuni piombavano da una parte e dall’altra gli ampi legni delle navi, e tutti i corpi115 ne erano stritolati miseramente; alcuni, caduti sulle navi, giacevano simili a cadaveri; altri di necessità nuotavano, abbracciati ai remi ben costruiti; altri ancora galleggiavano su tavole. Mugghiava il mare sin dal profondo, come se mare e cielo e terra116 si fossero mescolati insieme117 in una completa fusione.

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[Morte di Aiace d’Oileo] Intanto dall’Olimpo l’Atritona dal cupo fragore non certo appariva da meno rispetto alla forza del padre: attorno l’etere rimbombava. Volendo ad Aiace arrecare morte e lutto,118 scagliò contro la nave un fulmine119 e all’istante la disperse in piccoli pezzi, sparsi di qua e di là; rimbombavano terra e cielo, mentre Anfitrite si diffondeva, inondandole, su tutte le terre d’intorno.120 Gli uomini precipitarono insieme fuori dalla nave; su di loro,121 vasti flutti si slanciavano; intorno ai fulmini di Atena signora, invece,122 un fulgore scintillava, penetrando tra le tenebre. Quelli, tracannata l’acqua, imbevibile, del mare risonante, spirando l’ultimo respiro, vagavano sulla superficie del mare. Grande fu la gioia delle prigioniere troiane, pur essendo destinate a morire: alcune si immersero in mare, cingendo con le braccia i loro figli, sventurate; altre dolorosamente cercavano con le mani di affondare il capo dei nemici e insieme con essi, infelici,123 agognavano la morte, volendo infliggere ai Danai

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tinÚmenai DanaoÚj. vH d' ØyÒqen e„sorÒwsa tšrpeq' ˜Õn kat¦ qumÕn ¢gau¾ Tritogšneia. A‡aj d' ¥llote m~n perin»ceto doÚrati nhÒj, ¥llote d' aâ ce…ressi di»nuen ¡lmur¦ bšnqh, ¢kam£t. TitÁni b…hn Øpšroplon ™oikèj. Sc…zeto d' ¡lmurÕn ondma perˆ kraterÍsi cšressin ¢ndrÕj ØperqÚmoio: qeoˆ dš min e„sorÒwntej ºnoršhn kaˆ k£rtoj ™q£mbeon. 'Amfˆ d~ kàma ¥llote m~n foršeske pelèrion ºÚt' ™p' ¥krhn oÜreoj Øyhlo‹o di' ºšroj, ¥llote d' aâte ØyÒqen oma f£ragxin ™nškrufen: oÙd' Ó ge ce‹raj k£mne polutl»touj. Pollo… ge m~n œnqa kaˆ œnqa sbennÚmenoi smar£gizon œsw pÒntoio kerauno…: oÜ pw g£r oƒ qumÕn ™m»deto Khrˆ dam£ssai koÚrh ™rigdoÚpoio DiÕj m£la per kotšousa, prˆn tlÁnai kak¦ poll¦ kaˆ ¥lgesi p£gcu mogÁsai. ToÜnek£ min kat¦ bšnqoj ™d£mnato dhrÕn ÑázÝj p£ntoqe teirÒmenon: perˆ g¦r kak¦ mur…a KÁrej ¢ndrˆ perist»santo. Mšnoj d' ™nšpneusen ¢n£gkh: fÁ dš, kaˆ e„ m£la p£ntej 'OlÚmpioi e„j ›n †kwntai cwÒmenoi kaˆ p©san ¢nast»swsi q£lassan, ™kfugšein. 'All' oÜ ti qeîn Øp£luxen Ðmokl»n: d¾ g£r oƒ nemšshsen Øpšrbioj 'Ennos…gaioj, eâtš min e„senÒhsen ™faptÒmenon cerˆ pštrhj +ura…hj, ka… oƒ mšg' ™cèsato. SÝn d' ™t…naxe pÒnton Ðmîj kaˆ ga‹an ¢pe…riton: ¢mfˆ d~ p£ntV

551 potˆ codd. : corr. Köchly 554 eât' codd. : corr. Hermann 556 ØyÒqe nÁa codd. : corr. Köchly 557 dš min œnqa codd. : corr. Spitzner 568 g£r toi codd. : corr. Rhodomann 570 mšga cèsato codd. : corr. Rhodomann

LIBRO QUATTORDICESIMO, VV. 546-571

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una vendetta pari alla loro rovina. Dall’alto osservandole,124 gioiva in cuor suo Tritogenia gloriosa. Aiace ora nuotava aggrappato al legno della nave,125 ora percorreva con le mani le profondità marine,126 simile a indefesso Titano nella forza immane.127 Fendeva le onde del mare con le braccia possenti128 di un uomo magnanimo; gli dèi, osservandolo, stupirono del suo coraggio e della sua forza. I flutti ora portavano il corpo immenso come sulla cima di un alto monte, per aria, ora dall’alto lo facevano precipitare, come in un burrone; ma le sue braccia,129 che grandi fatiche avevano sopportato, non erano stanche. Numerosi di qua e di là130 sibilavano i fulmini, mentre, affondando nel mare, si spegnevano; Non ancora, infatti, nell’animo meditava di consegnarlo alle Chere, la figlia di Zeus altisonante, che pure assai era sdegnata: non prima che molti mali avesse patito e con grandi dolori sofferto.131 Per questo verso l’abisso del mare lo spingeva interminabile sventura in ogni guisa tormentandolo; ché di infiniti mali le Chere attorniarono l’eroe. La necessità gli infuse forza; osò dire che quand’anche gli dèi Olimpi tutti gli si fossero fatti avanti adirati e il mare intero avessero sollevato, ugualmente sarebbe loro sfuggito. Ma al risentimento degli dèi non poté scampare;132 con lui, infatti, si sdegnò il potente Ennosigeo.133 quando lo vide avvinghiato con le mani alla rupe Girea; molto si infuriò con l’eroe. Sconvolse134 insieme il mare e la terra; da ogni parte intorno

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krhmnoˆ Øpeklonšonto Kafhršoj: a‰ d' ¢legeinÕn qeinÒmenai ˜hgm‹nej ™pšbracon o‡dmati l£br. cwomšnoio ¥naktoj. 'Apšscise d' e„j …la pštron eÙrša, tÍ per ™ke‹noj ˜a‹j ™pema…eto cers…: ka… ˜£ oƒ ¢mfˆ p£goisin ˜lissomšnou m£la dhrÕn ce‹rej ¢pedrÚfqhsan, Øpšdrame d' amm' ÑnÚcessi: mormàron dš oƒ a„~n ÑrinÒmenoj perˆ kàma ¢frÕj ¥dhn leÚkaine k£rh l£siÒn te gšneion. Ka… nÚ ken ™x»luxe kakÕn mÒron, e„ m¾ Ó g' aÙtÚ ˜»xaj a‹an œnerqen ™piprošhke kolènhn. Eâte p£roj meg£loio kat' 'Egkel£doio dapfrwn Pall¦j ¢eiramšnh ikel¾n ™pik£bbale nÁson ¼ ˜' œti ka…etai a„~n Øp' ¢kam£toio +…gantoj a„qalÒen pne…ontoj œsw cqonÒj: ìj ¥ra Lokrîn ¢mfek£luyen ¥nakta dus£mmoron oÜreoj ¥krh ØyÒqen ™xeripoàsa: b£rune d~ karterÕn ¥ndra. 'Amfˆ dš min qan£toio mšlaj ™kic»sat' ”Oleqroj ga…V Ðmîj dmhqšnta kaˆ ¢trugšt. ™nˆ pÒnt.. vWj d~ kaˆ ¥lloi 'Acaioˆ Øpèr mšga la‹tma fšronto, o‰ m~n ¥r' ™n n»essi teqhpÒtej, o‰ d~ pesÒntej œktosqe nhîn: Ñlo¾ d' œce p£ntaj ÑázÚj. A‰ m~n g¦r foršont' ™pik£rsiai e„n ¡lˆ nÁej, ¥llai d' ¢nstršyasai ¥nw trÒpin: ïn dš pou ƒstoˆ ™k per£twn ™£ghsan ™pispšrcontoj ¢»tew, tîn d~ di¦ xÚla p£nta qoaˆ sked£santo qÚellai: a‰ d~ kaˆ ™j mšga bšnqoj ØpobrÚciai katšdusan Ômbrou ™pibr…santoj ¢pe…ronoj oÙd' Øpšmeinan

572 oƒ d' ¢legeinÕn codd. : corr. Pauw 573 qeinÒmenoi codd. : corr. Pauw 574 pštra P pštran Psl pštrhn H : corr. Rhodomann 575 tÍ codd. : corr. Köchly | ke‹noj Zimmermann | ™Íj Spitzner 578 mÒrmuron PD : mÒrmuren Hc : corr. Spitzner | Ñrinomšnou PD : ÑrinÒmenon Hc : corr. West 579-618 vide 539 580 ™xšluxe D | ¥r' aÙtÚ codd. : corr. Vian 581 anan codd. : corr. Spitzner 583 ƒkšlhn codd. : corr. Brodeau 585 ple…ontoj H 594 ¢nastršyasai codd. : corr. Köckly 595 ker£twn codd. : corr. Pauw | ™r£ghsan P ReAld. Lasc.2 : ™rr£ghsan H

LIBRO QUATTORDICESIMO, VV. 572-598

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erano scosse le rupi del Cafareo; dolorosamente ferite, mugghiavano le ripe sotto i colpi dei flutti che impetuosamente si levavano per l’ira del dio; spezzò verso il mare un masso135 immane, e a quello s’afferrava Aiace con le mani;136 a lui che insieme con i sassi si volgeva, senza posa, le mani si laceravano, il sangue scorreva di sotto alle unghie;137 gorgogliava sempre sorgendo intorno a lui il flutto,138 la spuma gli imbiancava continuamente il capo e il mento lanoso.139 E certo avrebbe scampato il destino avverso, se a lui il dio,140 squarciata di sotto la terra, non gli avesse scagliato un monte. Come un tempo contro l’immane Encelado la saggia Pallade, sollevata l’isola sicula, la lanciò; e quell’isola arde ancora, sempre, a causa dell’indefesso gigante che spira fumo nel cuore della terra; così sullo sventurato signore141 dei Locresi si abbatté la cima del monte, piombando dall’alto; il forte guerriero ne rimase oppresso. Lo raggiunse nera sventura di morte, schiacciandolo insieme con la terra nel mare infecondo.

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[La tempesta sconvolge altre navi greche] Così anche gli altri Achei erano trascinati sull’immenso abisso, alcuni ancora sulle navi, sgomenti, altri caduti giù dalle navi; funesta sventura su tutti incombeva.142 Alcune navi, infatti, solcavano obliquamente il mare, altre rivolgevano in su la carena; di alcune gli alberi143 furono spezzati alle punte dall’incalzare dei venti,144 di altre tutti i legni distrussero le rapide procelle;145 alcune nel vasto gorgo furono sommerse, gravate da fitta pioggia: non resistettero

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l£bron Ðmîj ¢nšmoisi qal£sshj kaˆ DiÕj Ûdwr misgÒmenon: potamÚ g¦r ¢l…gkioj œrreen a„q¾r sunecšj,   d' Øpšnerqen ™ma…neto d‹a q£lassa. Ka… tij œfh: «T£ca to‹on ™pšcraen ¢ndr£si ce‹ma, ÐppÒte Deukal…wnoj ¢qšsfatoj ØetÕj Ãlqe, pontèqh d' ¥ra ga‹a, buqÕj d' ™peceÚato p£ntV». vWj ¥r' œfh Danaîn tij ™nˆ fresˆ ce‹ma teqhpëj leugalšon. Polloˆ d~ katšfqiqon: ¢mfˆ d~ nekrîn pl»qeq' ¡lÕj mšga ceàma, periste…nonto d~ p©sai ºiÒnej: polšaj g¦r ¢pšptuse kàm' ™pˆ cšrson. 'Amfˆ d~ n»ia doàra barÚbromon 'Amfitr…thn p©san ¥dhn ™k£luye: mšson d' fa…neto kàma. ”Alloi d' ¥llhn kÁra kak¾n l£con: o‰ m~n ¢n' eÙrÝn pÒnton Ñrinomšnhj ¡lÕj ¥sceton, d' ™nˆ pštraij ¥xantej pšri nÁaj Ñázurîj ¢pÒlonto Naupl…ou ™nnes…Vsin. vO g¦r kotšwn m£la paidÕj ce…matoj Ñrnumšnoio kaˆ Ñllumšnwn 'Arge…wn ka… per ¢khcšmenoj mšg' ™g»qeen, oÛnek' ¥r' aÙtÚ dîke t…sin qeÕj anya kaˆ œdraken ™cqrÕn Ómilon teirÒmenon kat¦ bšnqoj. `EÚ d' ¥ra poll¦ tokÁi eÜceq' Ðmîj n»essin ØpÒbruca p£ntaj Ñlšsqai. Toà d~ Poseid£wn m~n ™pškluen: †¥lla† d~ pÒntoj ............................................ ‰y mšlan ondma fšresken: · d' ¢kam£tV cerˆ peÚkhn a„qomšnhn ¢n£eire, dÒl. d' ¢p£fhsen 'AcaioÝj ™lpomšnouj eÜormon ›doj limšnwn ¢fikšsqai:

604 b£qoj codd. : corr. Rhodomann 606 katšfqinon Hc : corr. Rhodomann 610 ™fa… neto : : ™pifa…neto R : corr. West 612 o‰ add. Rhodomann 613 perˆ nÁaj codd. : corr. Tychsen 616 ¢khcšmenon DC 617 dîken H 618 tÚ codd. : corr. Rhodomann 620 toÝj d~ Poseid£wn codd. : corr. Rhodomann | menšklonoj PD : ge menšklonoj Hc : corr. Zimmermann | ¥llo d~ pÒntoj Hc : ¥llo d~ pÒnton D : fort. corruptum et lacunam post uersum recte stat. Köchly et Platt 621 oÙ keimšnhn cerˆ peÚkhn P ¢namšnhn D aÙomšnhn Hc oÙlomšn+ Weinberger | ceirˆ PD perˆ V 622 ¢pe…lhsen PD : ¢pšlhsen Hc : corr. Rhodomann

LIBRO QUATTORDICESIMO, VV. 599-623

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all’impetuosa acqua del mare e di Zeus, ai venti commista;146 ché simile a un fiume fluiva l’etere,147 incessantemente, mentre di sotto infuriava il mare divino. Allora qualcuno disse: «Di certo una tale tempesta s’abbatté sugli uomini, ai tempi dell’immenso diluvio di Deucalione, e la terra fu sommersa dal mare, mentre l’abisso si riversava dappertutto». Così disse qualcuno tra i Danai, sbigottito in cuore per la tempesta orrenda. Molti perirono; d’intorno di morti si riempì la vasta corrente del mare, e tutte si assottigliavano le spiagge; ché molti ne rigettarono a terra i flutti. Dappertutto i legni di nave, copiosi, Amfitrite tonante148 tutta ricoprirono: nel mezzo non v’appariva flutto.149 Chi subì un triste fato, chi un altro: alcuni nel vasto150 mare mentre i flutti erano sconvolti; altri, sugli scogli fracassate le navi, miseramente perirono per volontà di Nauplio. Questi, molto adirato per il figlio,151 mentre la tempesta infuriava e perivano gli Argivi, sebbene afflitto, molto gioiva, ché a lui un dio concesse la vendetta d’improvviso, ed egli vide le schiere nemiche, sfinite, giù nell’abisso del mare. Il padre suo insistentemente pregava di far perire tutti, sommergendoli insieme con le navi. Solo alcune preghiere ascoltò Poseidone152 ................................................ gli oscuri flutti

  • trascinavano con sé . Nauplio [con la mano un pino inaridito153 incandescente sollevò, e trasse così in inganno gli Achei che credettero d’ essere giunti in un porto favorevole all’attracco;

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    a„nîj g¦r pštrVsi perˆ stufelÍsi d£mhsan aÙta‹j sÝn n»essi: kakÚ d' ™pˆ kÚnteron ¥lgoj tlÁsan ¢nihrÍsi prosagnÚmenoi perˆ pštrVj nuktˆ qoÍ. Paàroi d' œfugon mÒron oÛj t' ™s£wsen À qeÕj À da…mwn tij ™p…rroqoj. AÙt¦r 'Aq»nh ¥llote m~n mšg' ™g»qeen, ¥llote d' aâte ¥cnut' 'OdussÁoj pinutÒfronoj, oÛnek' œmelle p£scein ¥lgea poll¦ Poseid£wnoj ÐmoklÍ: Ój ˜a tÒt' ¢kam£toisi perˆ fresˆ p£gcu mega…rwn te…cesi kaˆ pÚrgoisin ™ãsqenšwn 'Arge…wn, oÞj œkamon Trèwn stugerÁj entessi) e abbia poi corretto inserendo la preposizione ™n (™n œntessi). Per la forma ™n teÚcessi cfr. Il. 23,131; Od. 24,496. 17 Cfr. 1,191,195. Dardano, antenato dei Troiani, era figlio di Zeus e della Pleiade Elettra. 18 Il testo è corrotto. Sia Köchly sia Zimmermann esprimono qualche perplessità riguardo k¢ke…nJ a causa della crasi, piuttosto insolita in Quinto, il quale, come Omero, predilige nettamente la forma del dimostrativo senza protesi ke‹noj. Tuttavia – come osserva Vian 1959b, 160 ss.) – nel nostro verso la forma del dimostrativo senza protesi avrebbe comportato di necessità una parola spondaica nel secondo piede, cosa che Quinto evita costantemente, in particolare davanti a ke‹noj (cfr. 4,318; 5,148; 7,196,200; 8,38; 10,134; 13,380). Tali considerazioni dovrebbero indurre a mantenere il tràdito e„ dš oƒ ¨r k¢ke…nJ, che se non altro, grazie alla forma del dimostrativo con la protesi e la crasi, presenta il vantaggio di evitare lo spondeo 12

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    in seconda sede. Più problematico risulta essere invece l’abbreviamento in iato di –J nel terzo piede, di cui non si registrano altri casi in Quinto, anche se esempi di abbreviamento di ke…nJ nella medesima sede metrica non mancano in Omero (Il. 15,45; Od. 19,370). 19 Per la forma tràdita qanšwmen (cfr. gli omerici stšwmen, fqšwmen etc.) un interessante parallelo si trova in Apoll. Rh. 3,464 s. Spitzner corregge invece in telšqwmen, ipotizzando che questa fosse la forma originaria, corrottasi poi in telšwmen e infine in qanšwmen per influenza del vicino qanšein (v. 38). 20 I manoscritti recano mšg', lezione accolta anche da Pompella. L’accostamento del neutro avverbiale mšga al verbo Ñlšsqai risulterebbe però piuttosto anomalo e non darebbe un senso soddisfacente alla frase. Si sceglie pertanto di accogliere, con Vian, la congettura t£c' di Köchly. 21 Dal momento che si è appena descritta l’assemblea troiana, e in particolare la reazione entusiastica dei presenti alle parole di Enea, appare inequivocabile che come soggetto del verbo fr£cqen sono da intendere i Troiani. Si sceglie pertanto di accogliere la congettura ™p' ¢ll»loij di Vian, da interpretare evidentemente nel senso di un assembramento dei compagni “gli uni accanto agli altri” in assetto di battaglia. Il tràdito ™p' ¢ll»louj, “gli uni contro gli altri”, accolto da Pompella, presupporrebbe invece come soggetto i due eserciti, comportando così un troppo brusco salto logico rispetto al verso precedente. Coerentemente con la scelta testuale effettuata, si è optato per la traduzione “gli uni accanto agli altri”, distanziandosi dal “les uns contre les autres” proposto da Vian, espressione che, data l’ambivalenza della preposizione contre, indicante – come l’italiano “contro” – sia prossimità e contatto sia opposizione, potrebbe indurre all’errore di leggere nel testo una scena di scontro tra armate contrapposte. 22 In Omero ¢k£matoj è attributo esclusivo del fuoco (Il. 5,4; 15,598,731; 16,122; 18,225; 21,13,341; 23,52; Od. 20,123; 21,181). Nei Tragici risulta ampliato l’uso dell’aggettivo, applicato ora anche alla forza (Aeschl. Pers. 901) e alla terra (Soph. Ant. 339). Isolato è invece l’impiego – qui documentato da Quinto – di ¢k£matoj come epiteto di persona umana e divina. 23 Per l’uso di tanÚw in questa accezione cfr. Hom. Il. 11,336 (dove compare anche lo stesso oggetto presente in Quinto, m£chn); 14,389; 17,401. Per il nesso m£chn ¢l…aston cfr. Il. 14,57 (cfr. inoltre Il. 2,797; 20,31 pÒlemoj ¢l…astoj; 12,471; 16,296 Ómadoj ¢l…astoj). 24 Per l’intervento di ”Erij, personificazione della discordia, nel combattimento cfr. Il. 4,440; 5,518; 13,73; 18,535, dove la dea compare in coppia con KudoimÒj, Tumulto (in Quinto ”Erij è detta “signora del tumulto”); 20,48. La divinità della discordia era solitamente rappresentata come un genio femminile alato, con connotati simili a quelli delle Erinni (cfr. Hes.

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    NOTE AL TESTO

    Theog. 225 ss., Op. 11 ss.). Quinto arricchisce la descrizione di particolari macabri e terrificanti (vd. in particolare i vv. 60-64). Anche in Il. 4,446 l’azione di ”Erij si manifesta primariamente come uno slancio che riunisce tutti i combattenti in un solo luogo (™j cîron ›na; cfr. 10,53 e„j ›na cîron) accelerando lo scontro. 25 Cfr. Il. 4,440, dove FÒboj e De‹moj, come in Quinto, costituiscono il corteggio di ”Erij. Si deve ritenere che anche Quinto, come Omero, immagini ”Erij come la sorella di Ares (cfr. Il. 4,441): solo così si giustifica infatti la relazione di parentela descritta al v. 58, secondo cui la dea sarebbe zia paterna di FÒboj e De‹moj. Dal momento che queste due entità astratte personificate sono generalmente presentate come prole di Ares e dal momento che ”Erij è sorella di Ares, ne deriva necessariamente che la relazione tra ”Erij e la coppia FÒboj - De‹moj si configura come un rapporto zia-nipoti. Altrove sono invece attestate diverse versioni del mito, che vogliono Discordia non sorella ma figlia di Ares (Hyg. Fab. 92; Serv. ad Verg. Aen. 1,27; Apul. Met. 10) o che addirittura annoverano la dea tra le forze primordiali nella generazione della Notte (Hes. Theog. 225 ss.). 26 L’immagine di ”Erij che, piccola in principio, si solleva infuriando fino a toccare il cielo con il capo è già in Omero (Il. 4,442 s., dove, proprio come in Quinto, il verbo korÚssomai appare in nesso con l’aggettivo Ñl…goj; cfr. inoltre Apoll. Rh. 3,294; Theocr. 22,112 s.). 27 Il clamore dei combattenti costitutisce il primo termine della comparazione, ma questo sembra essere dimenticato dal poeta nei versi seguenti. Al v. 72, infatti, al termine di una lunga serie di immagini proposte come termini di confronto, si perde ogni riferimento alle grida dei guerrieri; con un forte anacoluto viene invece introdotto come nuovo termine, in luogo di quello enunciato al v. 66 e rimasto sospeso, il rimbombo della terra battuta dai combattenti. 28 La coppia di termini dšndrea makr¦ kaˆ Ûlh potrebbe designare tanto i grandi alberi contrapposti al bosco ceduo (cfr. Xenoph. An. 1,5,1) quanto gli alberi fruttiferi contrapposti a quelli silvestri (cfr. Thuc. 4,69). Distanziandoci dalla lettura di Vian, propendiamo per questa seconda interpretazione. 29 Gli stessi temi sono associati in un’analoga triplice comparazione in 5,386-389. 30 Cfr. 6,335. L’attribuzione alla terra della qualifica di pelèrh, “portentosa, smisurata, immensa”, è di origine esiodea (cfr. Theog. 159). 31 In Omero Protoenore figura tra i capi beoti (cfr. Il. 2,495). Si noti che la battaglia è rappresentata in modo molto tradizionale, come una semplice successione di aristie individuali. Le gesta dei Greci e dei Troiani inizialmen-

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    te si alternano con regolarità: Enea, Neottolemo, Eurimene (compagno di Enea), Diomede, Paride, Teucro. In seguito prevalgono le vittorie greche. 32 Il Leteo è un fiume di Creta (cfr. Strab. 10,4,11). 33 In Omero e nei Tragici ¢mf…aloj è costantemente epiteto di isole (e.g. Od. 1,386 Itaca; Soph. Ph. 1464 Lemno), per loro stessa definizione “cinte dal mare”; Quinto segue tale tradizione. Altrove (Pind. Ol. 13,40; Xenoph. Hell. 4,2,13; Plut. Mor. 667e) l’aggettivo risulta invece impiegato nell’accezione di “situato fra due mari” o “bagnato da due mari”. 34 Idomeneo, figlio di Deucalione e nipote di Minosse, fu re di Creta e partecipò alla guerra di Troia guidando il contingente cretese. Si distinse nella difesa delle navi e in numerose imprese sul campo di battaglia (cfr. Hom. Il. 2,645 ss.; 3,230 ss.; 7,165; 13,304,445 ss.,500 ss.; 16,345; 17,605 ss.; 23,450 ss.). Particolarmente felice fu il nÒstoj di Idomeneo secondo Od. 3,191, in quanto egli sarebbe riuscito a ricondurre a Creta tutti i compagni scampati alla guerra. 35 Dodici è anche il numero dei Troiani uccisi da Achille sul rogo di Patroclo (cfr. Hom. Il. 23,175 s.). 36 Città situata sul monte Gargaro, a sud della Troade (cfr. Hom. Il. 8,48; 14,292,352; 15,152). Si tratta verosimilmente dell’antica città di Palaea Gargaros, che gli abitanti abbandonarono per fondare Gargara sul golfo di Adramitto (cfr. Etym. Magn. s.v. G£rgaroj; Etym. Byz. s.v. G£rgara; W. Ruge, in RE, s.v. Troas, 550 s.). 37 Un modulo analogo in 1,96,374; 10,329; 13,20,174. 38 Cfr. Il. 16,801-804, dove è Patroclo a ritrovarsi disarmato. 39 Osserva opportunamente Vian (ad loc.) che l’accostamento di Epeo e Anfione a Mege avviene per associazione di idee, in quanto in Il. 13,691 s. Mege è capo degli Epei e compagno di Anfione. L’emendamento 'Epeiîn proposto da Kakridis non è accettabile, poiché accanto a qer£pontej è atteso il genitivo di un nome di persona e non di popolo. 40 Variazione sul tema della comparazione di 8,331-334 (cfr. anche 3,264; 8,41 ss.). Le vespe compaiono come termine di similitudine anche in Omero, ma in contesti parzialmente diversi, dove gli insetti sono evocati o per l’eroica tenacia (Il. 12,167) o per il folto numero (Il. 16,259). 41 L’aggettivo polÚmhloj, qui attributo della Frigia, è usato da Omero in riferimento sia a persone (Il. 2,705 Ificlo; 14,490 Forbante; cfr. anche Hes. Op. 308) sia a luoghi (Il. 2,605 Orcomeno; cfr. Pind. Ol. 1,12, Pyth. 9,6). La sgradevole ripetizione della preposizione ØpÒ nei vv. 126 s. ha indotto diversi editori a emendare il testo, proponendo le correzioni ™nˆ Frug…V polum»lJ (Köchly, Zimmermann) e ¹TäV*VYKfLRTSP»QLPSR(Castiglioni 1921, 49). Tali interventi non sembrano tuttavia opportuni, sia perché

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    NOTE AL TESTO

    aggraverebbero l’errore topografico di Quinto, sortendo l’effetto di situare ancora più nettamente in Frigia una località (l’antro di Endimione) che altre fonti collocano in Caria (vd. n. 42), sia perché la ripetizione di una stessa preposizione è tutt’altro che infrequente in poesia (cfr. Od. 14,533; Hymn. Hom. Dem. 270 s.; Quinto 8,404). 42 Già in Omero (Il. 2,508, ma mai nell’Odissea) z£qeoj è attributo di luoghi, dei quali indica la sacralità e la connessione con il culto degli dèi. Posteriore (A.P. 9,525,7) è l’impiego dell’aggettivo come epiteto di divinità. Gli amori di Selene e del pastore Endimione sono generalmente localizzati in una grotta del monte Latmo in Caria (Strabo 14,1,8; Paus. 5,1,5; cfr. Vian 3, 206). Pertanto le indicazioni topografiche qui fornite da Quinto (ØpÕ Frug…hn) risultano, oltre che scarne, anche inesatte. Stranamente il poeta, che nel libro I descrive con dovizia di dettagli le regioni della Caria e della Frigia (vd. in particolare i vv. 282-286), nel localizzare il celebre antro di Endimione si limita a pochi indizi vaghi e imprecisi. È probabile che egli segua qui una fonte letteraria poco attenta all’esattezza geografica, dalla quale potrebbe aver tratto anche la ekphrasis del lago di latte che secondo la leggenda avrebbe circondato il giaciglio di Selene e del suo amante (cfr. Vian 1959b, 134, il quale ipotizza che tale fonte possa essere Euforione, cfr. fr. 114 Powell). 43 La meraviglia descritta da Quinto in questi versi consiste in un’illusione ottica: quello che da lontano appare come un lago di latte si rivela in realtà essere acqua limpida che sgorga dall’antro per poi solidificarsi in una superficie di candida pietra. Si tratta evidentemente di una sorgente pietrificante (cfr. Strabo 5,4,13; Ov. Met. 15,313 s.; Sen. nat. 3,2,2; 20,3 s.; Plin. 2,226). Il verbo p»gnumi è qui adoperato nell’accezione di “formare un deposito, sedimentare”, ben attestata in ambito scientifico (cfr. Aristot. Mirab. 58; Strabo 13,4,14; cfr. Antig. Mirab. 174 Keller). Diversamente Rhodomann e Pauw, correggendo al v. 136 il tràdito †khtai (con Ûdwr soggetto sottinteso) in †khai (cfr. 1,302 s.), con una sorta di ‘tu generico’ equiparabile ad un impersonale, così intendono: “quando ci si avvicina ad una piccola distanza, le correnti sembrano come solidificate e appare un letto di marmo”. L’illusione ottica sarebbe in tal caso prodotta dal fluire dell’acqua su una superficie di marmo anziché dal deposito formato dall’acqua stessa. L’emendamento †khai non sembra tuttavia opportuno, anche perché – osserva Vian (ad loc.) – porterebbe ad attribuire un senso di vicinanza a baiÕn ¢pÒproqen, che esprime al contrario idea di lontananza. 44 Per Mege, capo acheo figlio di Fineo, cfr. Il. 2,627; 5,69,72; 10,110,175; 13,692, etc. 45 Per il modulo: Il. 13,442-444 e Quinto 2,544. 46 L’aggettivo polÚklau(s)toj non è omerico; lo si trova invece nei Tra-

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    gici, sia pure in due accezioni diverse da quella qui attestata: “molto compianto” (Aeschl. Ag. 1526, Pers. 674; Eur. Ion 869) e “molto piangente” (Eur. Iph. A. 779, Her. 1427). Quinto trae dunque il vocabolo dal lessico tragico, ma ne modifica il significato per poterlo impiegare come attributo della guerra; l’aggettivo è pertanto da intendere qui come “causa di molti lamenti; funesto”. Si noti il raffinato gioco di allitterazioni nel nesso ™k polšmoio poluklaÚtoio molÒnta. 47 Vian (ad loc.) osserva che il nome del padre di Alceo ricorda quello di una popolazione meda (cfr. Ptol. 6,2,5). 48 Il Meandro è un fiume dell’Asia Minore noto nell’antichità per il suo corso sinuoso. Sorprende l’uso dell’aggettivo ¢legeinÒj come epiteto di un fiume (cfr. 5,15; 7,118; cfr. inoltre 10,173); una stranezza che ha indotto a formulare congetture per emendare il testo. Tuttavia l’interessante parallelo omerico di Il. 17,749 (TSXEQÏR ƒPIKIMR‡ ˜{IUVE), giustamente invocato da Zimmermann, costituisce una prova decisiva a favore del tràdito ¢legeinù. Vian 1959b, p. 155 ipotizza che Quinto adotti la stessa interpretazione erronea dell’aggettivo presente nel commento di Eustazio al citato luogo iliadico: t¦ ¢lšgesqai ¥xia kaˆ æj e„pe‹n ¢xiÒloga, “ciò che è degno di essere tenuto in considerazione e per così dire notevole” (Eust. 1126,6). Rimane comunque il problema di tradurre adeguatamente il nesso ¢legeinù Mai£ndrJ. Ci discostiamo dalla traduzione «redoutable», “temibile”, proposta da Vian, che a nostro parere si allontana eccessivamente dall’accezione originaria dell’aggettivo, e proponiamo “doloroso”, più fedele alla lettera del testo greco. Avanziamo altresì l’ipotesi che ¢legeinÒj possa avere qui il senso di “indomito, indomabile”, accezione anch’essa senza dubbio lontana dalla nozione etimologica di dolore, ma compatibile tanto con l’evoluzione semantica del termine quanto con il contesto del passo di Quinto. Il poeta potrebbe infatti serbare qui il ricordo di quei luoghi omerici (Il. 10,402; 23,655) in cui ¢legeinÒj, in questa forma e nella variante ¢lgeinÒj, compare in nesso con il verbo d£mnhmi/dam£zw nel senso di “difficile da domare”; né è da escludere l’ipotesi – inverificabile ma suggestiva – che nell’impiego dell’aggettivo come epiteto del Meandro si possa cogliere una qualche allusione al percorso difficile, sinuoso e imprevedibile del fiume. 49 Cfr. Il. 6,238-240, dove Ettore, giunto presso le porte Scee, viene circondato dalle donne troiane ansiose di ricevere notizie sulla sorte dei loro uomini. 50 Tlù è una felice congettura di Zimmermann, laddove i codici recano tî o tù. La città di Tlos possedeva in effetti un demo intitolato a Bellerofonte e un sepolcro a forma di tempio (forse identificabile con il sÁma di cui parla Quinto) che mostrava una rappresentazione di Bellerofonte. Quinto

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    NOTE AL TESTO

    ha certamente presente Il. 6,194, ma sembra attingere, più che a Omero, a un’opera geografica a noi ignota. 51 La rocca della Titanide doveva essere consacrata a Latona, figlia del Titano Ceo e della Titanide Febe nonché madre di Apollo e Artemide (cfr. Ov. Met. 6,346). Latona e i suoi figli erano infatti patroni dei territori di Pinara e Tlos (cfr. E. Kalinka, Tit. As. Min. II, n. 261b, 11 ss.; C.I.G. 4259). 52 La storia di Scilaceo è altrimenti ignota. Tuttavia i nomi di Scilaceo e Scilace sono ben attestati nell’area della Caria e della Licia (Vian 1959b, 138), e inoltre Erodoto (5,87; 9,5) narra una leggenda ateniese del tutto analoga a quella riferita da Quinto. Questi indizi inducono a ritenere che il poeta abbia tratto il racconto da una fonte celebre. 53 Acamante, figlio di Antenore, è uno dei capi dei Dardani (cfr. Il. 2,823). Quinto si distanzia qui da Omero, che fa morire Acamante per mano di Merione in Il. 16,342. 54 Per l’uso di ¢legeinÒj in riferimento al corso dei fiumi cfr. v. 144 e qui n. 48. 55 La ekphrasis della cintura di Eracle si ispira a Od. 11,609-612, dove si trova un’analoga giustapposizione di scene di vita animale e scene di battaglia e da dove Quinto trae materiale anche per la descrizione dello scudo di Achille (5,17-37). Il poeta immagina la cintura di Eracle ornata di un fregio continuo e la faretra impreziosita da una fila verticale di metope a soggetto mitologico (cfr. Apoll. Rh. 1,721-768; Mosch. Eur. 44-62). Diversamente lo scudo di Achille (libro V) presentava una sola e ampia raffigurazione a scene multiple, e lo scudo di Euripilo (libro VI) un fregio di metope lungo i bordi. 56 Zimmermann corregge ¢pe…ritoj in ¢pe…riton neutro avverbiale (“infinitamente”). La correzione non sembra però necessaria, in quanto l’aggettivo ¢pe…ritoj non crea particolari difficoltà come epiteto della faretra nel senso di “immensa, grande” o, secondo l’interpretazione di Vian, “inesauribile” (cfr. 2,380; 8,164,167). 57 L’uccisione di Argo è rappresentata anche sul canestro di Europa descritto da Mosch. Eur. 55-57. Secondo la versione tradizionale del mito Argo aveva ricevuto da Era l’incarico di custodire Io, di cui la dea era gelosa, e la teneva pertanto legata a un olivo in un bosco sacro, a Micene. Ermes, però, avuto da Zeus l’ordine di liberare Io, sua amante, uccise Argo, i cui occhi furono poi trasportati da Era sulle piume del pavone, uccello a lei consacrato (cfr. Apollod. Bibl. 2,1,2; Hyg. Fab. 145; Prop. 1,3,20; Ov. Met. 1,583-750; Macr. Sat. 1,19,12). Come Ovidio (Met. 1,639 ss.), Quinto ambienta la scena dell’uccisione di Argo sulle rive del fiume Inaco, padre di Io. Il dettaglio degli occhi che si aprono e chiudono alternativamente si trova in Eur. Phoen. 1116-1118 e in Ov. Met. 1,626 s., mentre le altre fonti citate discordano

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    nell’attribuire ad Argo un solo occhio o quattro occhi, due che guardano in avanti, due indietro, o ancora un’infinità di occhi ripartiti su tutto il corpo. 58 Cfr. Apoll. Rh. 4,596-600. 59 Per l’espressione: Arat. Phoen. 695 ™fšlketai ˜sper…h nÚx. Quinto sembra qui interessato più alla localizzazione geografica del mito della Medusa che al mito stesso. La sua fonte principale è Hes. Theog. 274 s., che egli integra e arricchisce con formule e idee tratte da Theog. 265,736-738,743 s.,748-757. 60 Eracle aveva donato il suo arco e le sue frecce a Filottete in segno di riconoscenza. Infatti, quando egli, salito sul monte Eta, vi aveva innalzato un grande rogo per morirvi e aveva ordinato ai suoi servitori di appiccare il fuoco, soltanto Filottete aveva obbedito (cfr. Soph. Ph. 670,801). La leggenda che vuole Filottete servitore o compagno di Eracle è accolta, oltre che da Quinto, anche da molti altri autori (Sen. Herc. Oet. 1717; Dict. 1,14; Philostr. Imag. 17; Hyg. Fab. 257; Schol. ad Apoll. Rh. 1,1207b). Sembra dunque naturale intendere Filottete come soggetto di Ãen al v. 205, e non convince la proposta di Kakridis 1962, 86, n. 1 di considerare invece Peante soggetto, attribuendo non a Filottete ma a suo padre il legame con Eracle (cfr. Apollod. Bibl. 1,9,16; 26; 2,7,7; Steph. Byz. s.v. Qaumac…a; Eust. ad Il. 323,43; Hyg. Fab. 14; Val. Fl. 1,391 ss.; Tzetz. ad Lyc. 50). 61 La narrazione del duello tra Filottete e Paride deriva dalla Piccola Iliade e presenta con il racconto di Ditti diverse analogie che non sembrano essere casuali. Identica è infatti nei due autori la dinamica del combattimento: Paride scaglia la prima freccia, Filottete risponde con un primo colpo che ferisce il nemico solo superficialmente, e subito dopo con un secondo colpo mortale. Tali analogie inducono a ipotizzare l’esistenza di una fonte comune. Tuttavia, mentre Quinto, forse seguendo più fedelmente il modello, immagina che Paride, ferito al basso ventre, conservi forze sufficienti per trascinarsi fino alla dimora di Enone, al contrario Ditti (4,19; cfr. Schol. ad Lyc. Alex. 911) lo fa morire sul campo di battaglia con un’orrenda ferita all’occhio destro e con i piedi trafitti. Il motivo della freccia avvelenata, dunque, non trova spazio nella narrazione di Ditti, dove la morte di Paride viene ricondotta esclusivamente alle ferite, con la conseguenza che l’episodio di Enone risulta a quel punto superfluo e irrazionale nell’economia del racconto. Infatti, nella versione di Ditti (4,21) i Troiani, dopo aver riportato in città le spoglie di Paride, inspiegabilmente le trasportano fuori da Troia presso Enone; condotta incomprensibile, dal momento che l’eroe è ormai morto, e la sua antica sposa non potrebbe più fare alcunché per salvarlo. 62 Si noti lo iato tra ¢pessumšnoio e Ó, che Köchly tenta di eliminare con l’emendamento tó. Il maschile Ó, tuttavia, è necessario dopo „oà, mentre

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    NOTE AL TESTO

    il neutro non avrebbe ragion d’essere. L’avverbio …PMSRè omerico (cfr. Il. 13,410; 16,615). 63 Sebbene Quinto lo presenti come un guerriero illustre, tale Cleodoro è per noi altrimenti sconosciuto. I codici fanno iniziare il v. 212 con ¢ll' e il v. 213 con OEf˜ . Köchly, sulla base di 2,245 s., propone di correggere il testo invertendo gli incipit dei due versi. Vian propone in alternativa di correggere in ¢ll' l’incipit del v. 213, conservando però il tràdito ¢ll' nella sede iniziale del v. 212. La ripetizione di ¢ll' potrebbe essere stata suggerita a Quinto da Il. 8,311 s., forse nella variante attestata da Aristarco (¢ll' Ó ge XSÁQäR…QEVXIƒPP F„PI), che egli sembra assumere come modello per questa coppia di versi. 64 'AniarÒj, nella forma ionica ¢nihrÒj, in Omero è epiteto di persona e vale come “molesto, importuno” (cfr. Od. 17,377, dove il termine qualifica i mendicanti). Qui, riferito alla lancia, l’aggettivo è piuttosto da intendere come “penoso, doloroso” nel senso di “che è causa di dolore”. 65 In Omero è insulto abituale, indicante audacia e sfrontatezza (cfr. Il. 8,423; 13,623; Od. 18,338; cfr. inoltre Il. 1,159). 66 Per i vv. 228-230 cfr. Il. 6,281-285, con le parole di Ettore riguardo a Paride, e 11,380-383, con l’apostrofe di Paride a Diomede. 67 Lugr» è congettura di Vian, fondata sul ricorrere dell’aggettivo come attributo di freccia (cfr. 3,83,437; 11,71) e sulle sue numerose attestazioni (ben 23) in questa stessa posizione metrica. 68 I vv. 231-235 si ispirano direttamente all’episodio omerico di Pandaro (Il. 4,105-126; in particolare cfr. Quinto 10,231 s.,233 ss. e Il. 4,123; cfr. Quinto 10,232 kuklèqh e Il. 4,124 kukloteršj; cfr. inoltre Quinto 10,234 e Il. 4,125). 69 Per la comparazione cfr. 3,267 s.; 7,516; cfr. anche 9,240 ss. 70 Per l’uso del verbo sugklonšw, che vale come “scompigliare”, cfr. Hom. Il. 13,722, dove tuttavia esso è usato all’attivo ed esprime l’azione delle frecce che rompono le file dei Troiani. 71 Endiadi. 72 Per la comparazione cfr. Il. 10,5-8; 12,278-280; 15,170 s.; 19,357 s. 73 Già in Omero (e.g. Il. 4,504; 5,42) il verbo doupšw esprime propriamente il tonfo sordo prodotto dal corpo del guerriero che cade morente; con un naturale sviluppo semantico, passa poi a indicare l’atto stesso del cadere a terra e quindi del morire. 74 Si tratta del diffuso motivo dell’insonnia di un protagonista: cfr. e.g. 3,661. 75 Secondo la tradizione era stata la stessa Enone a profetizzare ciò (cfr. Apollod. Bibl. 3,12,6; Parth. 4; Con. 23), sebbene Quinto attribuisca la pro-

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    fezia a Era (vv. 343 ss.). La leggenda di Enone, della quale non si trova traccia nella Piccola Iliade, che fa morire Paride in battaglia, è menzionata per la prima volta da Ellanico (4 F 29 Jacoby) e ha goduto di enorme favore in età ellenistica in virtù del suo carattere romanzesco; è pertanto verosimile che Quinto abbia tratto ispirazione per il suo racconto proprio da una fonte di quell’epoca. Sembra invece troppo audace l’ipotesi, formulata da R. Keydell (1963, 1285-1286), secondo la quale Quinto avrebbe fedelmente seguito un poema alessandrino, cui si sarebbe ispirato anche per la vivacità e il pathos della narrazione, oltre che per alcuni episodi non attestati altrove, come la digressione sulla già menzionata profezia di Era. Tuttavia, dal momento che le nostre fonti mitografiche (Partenio, Apollodoro e Conone) concordano nella sostanza, malgrado lievi varianti, e dal momento che nulla lascia supporre che l’epoca ellenistica abbia conosciuto una diversa versione del mito, identica a quella proposta nei Posthomerica, è più prudente ipotizzare che Quinto abbia autonomamente elaborato il racconto che trovava nelle sue fonti, apportandovi le modifiche che reputava più opportune nell’economia della narrazione. 76 La rapidità con cui Paride ferito raggiunge la dimora di Enone (vv. 264-269) indurrebbe a credere che questa si trovi a Troia; la stessa idea potrebbe essere suggerita anche, nei versi successivi, dal fatto che la notizia della morte di Paride giunga quasi contemporaneamente a Enone e ai Troiani (vv. 411-414). Tuttavia, poiché non vi sono altri motivi per localizzare a Troia il palazzo di Enone, che tutte le altre versioni della leggenda collocano sull’Ida, si deve ritenere che anche secondo Quinto Enone abiti sull’Ida (cfr. v. 332, dove si dice che il cammino conduceva Paride oltre le cime dell’Ida). In ogni caso – come nota Vian, ad loc. – il poeta evita di fornire indicazioni geografiche e topografiche, forse per non attirare l’attenzione del lettore sulla lunghezza del tragitto che Paride agonizzante avrebbe dovuto compiere, con evidente difetto di verosimiglianza narrativa. 77 Lacuna. Si può ipotizzare che Paride mostrasse qui la sua ferita a Enone. 78 Cfr. 3,763; 11,325. Quinto imita Apoll. Rh. 1,1216. 79 Viene accolta, seguendo Vian, la correzione ™p… proposta da Heyne, laddove i codici recano ØpÒ con una probabile lacuna dopo fres…n. La congettura ™p… presenta il vantaggio di dare un senso soddisfacente al testo, venendo a costituire il nesso sÍsin ™pˆ fres…n, interpretabile come trascrizione epica di ™pˆ so…. Permane tuttavia qualche perplessità sia per l’ellissi del verbo sia perché, accogliendo la correzione, occorrerebbe attribuire a ™p… un’accezione estranea all’epica. 80 Questa è la traduzione se si accoglie l’emendamento ›wj di Spitzner. In alternativa si potrebbe conservare il tradito æj e, con Vian, intendere: «Che il mio vigore e le mie membra fioriscano ancora!». Tuttavia la forma verbale tšqhle e il contesto inducono ad accogliere la correzione ›wj.

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    NOTE AL TESTO

    I vv. 300-304 riecheggiano Il. 9,502-512, dove si trova un’analoga personificazione delle Preghiere. 82 Nella versione di Partenio (4) Paride non si reca personalmente da Enone per supplicarla, ma invia a lei un messaggero per domandarle di correre da lui al più presto e di guarirlo con i suoi poteri. Nonostante la variante del messaggero, Partenio attribuisce comunque a Paride argomenti analoghi a quelli che si trovano nel discorso dello stesso Paride in Quinto: l’accorata richiesta di aiuto e l’invito a dimenticare gli errori del passato, imputabili a una volontà superiore. L’accordo tra Partenio e Quinto su questo elemento essenziale della narrazione costituisce un’ulteriore prova a favore dell’ipotesi che Quinto si sia ispirato direttamente a Partenio o quantomeno a una delle fonti da lui citate, il Perˆ poihtîn di Nicandro e i Trwik£ dello Pseudo-Cefalone di Gergite, quest’ultimo forse pseudonimo di Egesianatte. 83 Il verbo tšrpeo potrebbe essere inteso sia come imperfetto senza aumento (e come tale è stato tradotto) sia come imperativo, nel qual caso il senso sarebbe «godi pure», con un effetto di ironia ancora più feroce (cfr. Il. 9,336 s.). Si è scelta la prima interpretazione perché il vicino participio kagcalÒwn, che descrive senza dubbio una situazione di felicità e benessere, può fare riferimento solo al passato, dato lo stato di estrema pena in cui Paride versa nel presente. 84 Per l’espressione aŒma lafÚssein riferita a belve cfr. Il. 11,176. 85 Il verbo trÚzein indica propriamente il gracidare della rana e il tubare della tortora; come traslato riferito a persona è attestato in Hom. Il. 9,311, dove designa il chiacchierare insistente e molesto. Analogamente in Quinto Enone, con mordace ironia, qualifica come trÚzein il lamentarsi continuo dell’innamorato sofferente in cerca di amorevole conforto. 86 La risposta che Parth. 4 attribuisce a Enone è analoga a questa, altrettanto sarcastica e cruda, con lo stesso invito a rivolgersi all’amata Elena. 87 Cfr. 10,94. 88 Cfr. 9,449. 89 Cfr. Od. 6,293; Apoll. Rh. 3,114,158. 90 Si tratta delle Ore, divinità delle Stagioni, ancelle di Era (cfr. Il. 8,433), qui investite però anche di funzioni celesti. Nei libri I e II Quinto conosce dodici Ore, figlie del Sole, le quali scortano Aurora e sono probabilmente associate ai segni dello Zodiaco, sebbene 2,500-506,594-602 induca ad altra ipotesi. È in ogni caso evidente che qui il poeta s’ispira a una concezione differente, secondo cui le Ore sono nel numero di quattro e presiedono al ciclo stagionale (cfr. Nonn. Dion. 11,484-12,117, che riunisce nella stessa scena questi due diversi gruppi di Ore). La genealogia qui descritta, che 81

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    vuole le Ore figlie di Helios e Selene, non risulta altrove attestata, essendo le divinità delle stagioni tradizionalmente presentate come figlie di Zeus e Temi e sorelle delle Moire (cfr. Hes. Theog. 901 ss.; Pind. fr. 30, Ol. 13,6 ss.; Ov. Met. 2,118; Paus. 2,20,5; 9,35,2; Hyg. Fab. 183; Apollod. Bibl. 1,3,1; Serv. ad Verg. Ecl. 5,48). 91 Lacuna in cui erano presumibilmente menzionati gli attributi delle prime tre Stagioni. 92 Cfr. Arat. Phoen. 581 tetr£si g¦r mo…raij. 93 Il matrimonio di Elena con Deifobo è noto dalla Piccola Iliade e ad esso si allude forse in Od. 4,276; 8,516-520. Secondo alcune versioni del mito (vd. Schol. T ad Il. 8,517; Dict. 4,22) le nozze tra Elena e Deifobo furono un atto puramente politico, mirato a mostrare ai Troiani che non era possibile alcuna conciliazione con i Greci. 94 Eleno, indispettito perché il padre Priamo gli aveva rifiutato la mano di Elena anteponendogli il fratello più giovane Deifobo, si ritirò sull’Ida, deciso a non partecipare più al combattimento. Per l’espressione mÁnin ¢nihr¾n ... / kaˆ cÒlon cfr. Apoll. Rh. 3,337 s. qumalgša mÁnin / kaˆ cÒlon (cfr. anche Il. 15,122 cÒloj kaˆ mÁnij). 95 Quinto segue la versione del mito secondo cui Calcante prescrisse agli Achei di rapire Eleno perché soltanto lui avrebbe potuto rivelare le condizioni che avrebbero reso possibile la conquista di Troia. Eleno allora, rapito dai Greci (e precisamente da Odisseo, secondo Apollod. Epit. 5,9), sarebbe stato indotto a rivelare le condizioni indispensabili per la presa della città, tra le quali il furto del Palladio. In origine, tuttavia, il rapimento di Eleno non era associato alla morte di Paride né le sue profezie avevano alcuna connessione con il Palladio (così nella Piccola Iliade, e cfr. anche Bacchyl. fr. 7 Snell; Soph. Ph. 604-613,1337-1342; Dict. 4,18,21; 5,9; Tzetz. Posthom. 571-579; Id. Schol. ad Lyc. Alex. 143,168,911). La versione seguita da Quinto sembra essere una variante più recente (cfr. Papyrus Ryland 22, in 18 F 1 Jacoby; Apollod. Epit. 5,9 s.; Con. 34; Tryphiod. 45-56; Serv. ad Verg. Aen. 2,166). 96 L’episodio di Alcatoo non è attestato altrove. Secondo il Papyrus Ryland 22 (in 18 F 1 Jacoby) fu Corebo ad essere ucciso. 97 Cfr. Ov. Fast. 6,431; Tryphiod. 55 s.; cfr. inoltre Verg. Aen. 2,163-175. 98 Cfr. la predizione fatta a Dardano secondo Dion. Hal. Ant. Rom. 1,68; cfr. anche Liban. Laudat. 8,2,13 (Förster, t. VIII, p. 230 s.); Schol. BD ad Hom. Il. 6,311,360). Secondo l’Iliou Persis di Arctino (fr. 1 Allen = Dion. Hal. Ant. Rom. 1,69) il Palladio sarebbe stato donato da Zeus a Dardano. Secondo altri (Lyc. Alex. 363 s.; Ov. Fast. 6,419 ss; Apollod. Bibl. 3,12,3 = Tzetz. Schol. ad Lyc. 355; Dict. 5,5) esso sarebbe caduto dal cielo su richiesta di Ilo.

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    NOTE AL TESTO

    La lunga digressione costituita dalle predizioni di Era è tratta senza dubbio da un manuale mitografico analogo a quello di Apollodoro, che in effetti fornisce la stessa cronologia degli avvenimenti (Epit. 5,9 s.,13; al contrario la Piccola Iliade non stabilisce alcuna connessione tra la partenza di Eleno e il matrimonio di Elena e Deifobo) ma che, diversamente da Quinto, contamina la ptwce…a di Odisseo e il furto del Palladio a opera di Odisseo e Diomede. Stranamente nel seguito della narrazione di Quinto non si trova più alcun riferimento agli eventi predetti da Era, se si eccettua una rapida allusione alle avvenute nozze di Elena e Deifobo (13,354 ss.). 100 Cfr. v. 463. Durante la sua adolescenza Paride avrebbe custodito le mandrie di Priamo sull’Ida e avrebbe avuto incontri d’amore con le Ninfe (cfr. Ov. Her. 16,96 e 5,1 ss.). Tale quadro bucolico potrebbe essere stato suggerito a Quinto da Partenio o da una sua fonte (vd. n. 82) che attribuiva a Paride trascorsi pastorali. 101 I codici recano il singolare pšnqei, legittimo dopo ™p… nelle formule cumulative di valore generale del tipo “dolore su dolore” (5,602; cfr. 14,217). Tuttavia, seguendo Vian, si preferisce il plurale, in quanto Ecuba sembra fare riferimento a tutti i suoi trascorsi dolorosi e non alla sola morte di Ettore (cfr. 1,754; 14,272,303,514). 102 Si coglie qui un’eco del lamento di Ecuba sul corpo di Ettore (Il. 24,748-759). Quanto all’espressione, Quinto riprende ai vv. 373 s. i termini impiegati in 2,609 s.; 3,463 s. L’uso di e„j Ó ke con l’indicativo presente costituisce un caso isolato nel poema. 103 Poiché nelle espressioni di rimpianto Omero impiega la forma eolica con la geminata êfelle (vd. e.g. Il. 6,350; Od. 4,472) anziché la forma ionica êfeile, è opportuno conservare êfell' anche in Quinto. Tuttavia, diversamente da Omero, Quinto usa di norma l’indicativo in simili espressioni (cfr. 2,61,323; 4,30; 5,206,218; 10,395,405,428; 12,266; 13,231; 14,300) piuttosto che l’infinito, come se æj (a‡q') êfellon avesse valore avverbiale (solo in 5,194 si conserva la costruzione omerica). 104 Si noti il brusco salto logico e sintattico tra i precedenti ™nÒhsa, œqanon e il participio ™lpomšnh, con un forte effetto di antitesi tra passato e futuro. Per l’idea espressa nei vv. 379 s. cfr. 14,300 s. e Eur. Hec. 230-233. 105 La ripetizione del nesso oÜ ti pšpusto, già usato nella stessa sede metrica in chiusura del v. 385, producendo un effetto di lamentosa litania, dà enfasi al paradosso di un padre che, intento a piangere un figlio caduto, non sa di averne frattanto perduto un altro. 106 Le Arpie, il cui nome secondo l’etimologia popolare è connesso al verbo ¡rp£zw, sono le “Rapitrici” per definizione. Si credeva infatti che rapissero bambini e anime, e talvolta sulle tombe le si raffigurava nell’atto di portare l’anima del morto tra i loro artigli. In Omero (Od. 1,241; 14,371; 99

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    20,77) esse appaiono come spiriti maligni che impersonano i venti tempestosi e a loro si attribuisce il potere di rapire vivi gli uomini e di trascinarli in luoghi ignoti o nell’oltretomba. Una fortunata tradizione rappresenta le Arpie nella forma di uccellacci mostruosi dalla testa femminile e dagli artigli aguzzi (cfr. Hes. Theog. 265; Apollod. Bibl. 1,2,6; 3,15,2; Hyg. Fab. 14; Verg. Aen. 3,209; 6,289; Schol. ad Apoll. Rh. 2,285; Serv. ad Verg. Aen. 3,252). 107 Quinto s’ispira senza dubbio ai lamenti di Elena sul corpo di Ettore in Il. 24; in particolare, il v. 395 s. riecheggia Il. 24,763 s. (æj prˆn êfellon Ñlšsqai), mentre il v. 398 richiama Il. 24,775 (p£ntej dš me pefr…kasin). Si può inoltre cogliere al v. 395 una reminiscenza di Od. 20,77 (cfr. Apoll. Rh. 3,1113 s.). 108 Con acuta analisi psicologica Quinto sottolinea come siano soprattutto le donne di Troia a serbare rancore nei confronti di Elena, da loro giudicata donna infedele e lussuriosa, responsabile della morte dei loro uomini e causa della loro stessa sventura (cfr. 3,200-207). È pertanto significativo che in questo verso le Troiane siano menzionate prima dei Troiani nell’elenco dei nemici di Elena e che il femminile sia impiegato in luogo del maschile nel successivo nesso ¥lloqen ¥llai. 109 Verso lacunoso. La restituzione parziale proposta in apparato da Vian e fondata sui paralleli forniti dai vv. 395 e 428 presenta diversi punti deboli: è sospetta, innanzi tutto, la posizione in cui si verrebbe a trovare ™dam£ssanto, la cui finale breve risulterebbe allungata dalle due consonanti iniziali del seguente stugera…; in secondo luogo il v. 405 verrebbe a costituire un inutile doppione del v. 395. Vian ipotizza in ogni caso che l’intero v. 405 fosse una variante incompiuta, abbandonata dall’autore e inserita erroneamente nel testo dal copista dell’edizione originale. 110 Cfr. Il. 19,301 s., dove le prigioniere troiane piangono apparentemente per Patroclo, ma in realtà per la propria sventura. Al contrario le lacrime versate da Elena sul corpo di Ettore in Il. 24,773 sono sincere. 111 Cfr. 3,206 s. 112 Cfr. Il. 23,60 ke‹to barÝ sten£cwn. 113 I codici recano peristršfetai, a favore del quale si pronuncia anche Van der Valk 1964, 655, osservando che il verbo figura come varia lectio in Il. 5,903. Tuttavia non sembra potersi discutere la correzione peritršfetai, sia perché restituisce la perfetta imitazione di Od. 14,477 peritršfeto krÚstalloj, che costituisce senza dubbio il modello di Quinto, sia perché peristršfetai non darebbe alcun senso alla frase. Del resto la presenza di peristršfetai nei codici si spiega molto facilmente con una banale confusione del copista, o dei copisti, tra tr e str. Si noti che krÚstalloj, solitamente maschile, qui è eccezionalmente femminile, come in Claudiano (A.P. 9,753,1).

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    NOTE AL TESTO

    Il senso dovrebbe essere che l’acqua che discende dalle cime, più esposte al sole, determina a sua volta la fusione delle nevi sottostanti. Quinto riprende qui, innovandola, l’immagine di 3,578 ss., nella quale mescola varie reminiscenze: Od. 14,477; 19,206; Il. 10,7 (e Apoll. Rh. 3,69); Aesch. Pers. 613. Il quadro descritto costituisce infatti una felice variazione della similitudine odissiaca, ma richiama anche le due analoghe comparazioni di 3,579b-581 e 7,229b-231. Tsomis 2007, 202 ravvisa in questo sapiente uso dei modelli un chiaro intento di aemulatio: rielaborare le fonti con originalità e superarle. Ciascuna delle tre similitudini menzionate, come quella qui proposta, si riferisce a una donna (Penelope, Briseide, Deidamia) che è in lutto per la perdita dell’uomo amato. Sottili sfumature differenziano però le tre scene. Nel libro VII dei Posthomerica lo sciogliersi della neve è termine di confronto non delle lacrime, come è invece per Penelope, ma piuttosto dello struggersi di dolore di Deidamia per Achille (7,231 fqinÚqeske). Da questo punto di vista la similitudine è prossima a quella che si incontra qui, dove in effetti l’immagine del ghiaccio che si scioglie è evocata per descrivere lo stato interiore di struggimento di Enone piuttosto che una reazione di pianto. Tuttavia il riferimento al ghiaccio ha nel caso di Enone un significato ulteriore, in quanto allude anche ad una precisa disposizione d’animo della donna: il ghiaccio rappresenta infatti l’intima durezza della sposa tradita e umiliata, la quale irremovibile respinge la supplica del suo uomo; una durezza che però si scioglie nel dolore alla notizia della morte di lui. La circostanza del tradimento subito, con la conseguente scia di rancore e vendetta, è dunque l’elemento che contraddistingue la vicenda di Enone rispetto a quelle di Penelope, Briseide e Deidamia e che conferisce un senso più pieno e profondo all’altrimenti analoga similitudine del ghiaccio. 115 Cfr. Od. 23,212 e Ov. Her. 5,158. Il v. 426 è corrotto. I codici recano pot…, mentre Rhodomann propone la congettura biÒtou, accolta con ampio consenso ma poco soddisfacente, poiché del nesso biÒtou oÙdÒj non si registra alcuna attestazione. Si accoglie qui la congettura di Vian per ™p… (per il per intensivo dopo participio cfr. 1,475,609; 4,270; 7,232; 10,174,284; 13,238,406; 14,213). La genesi dell’errore a partire da ™p… si spiega facilmente: il copista potrebbe aver scritto per aplografia p…, che poi sarebbe stato corretto in pot…. In klutÕn oÙdÒn si coglie un’eco della formula omerica g»raoj oÙdÒj (Il. 22,60; Od. 15,348; cfr. inoltre Od. 15,246; 23,212 per il nesso oÙdÕn ƒkšsqai). 116 Cfr. 1,610 qeoˆ d' ˜tšrwse b£lonto e Hom. Od. 1,234 ˜tšrwj ™bÒlonto qeo…. Si noti che Quinto modifica qui le parole che Penelope rivolge a Odisseo in Od. 23,210b-212. Se infatti la rappresentazione del matrimonio perfetto fornita da Penelope insiste solo sul vivere insieme concordemente sino alla vecchiaia, Enone introduce nel suo discorso due elementi ulterio114

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    ri: la totale comunione d’intenti tra i coniugi (per la quale cfr. le parole di Tecmessa in 5,547 e soprattutto cfr. Od. 6,181-185 per la celebrazione della ÐmofrosÚnh coniugale) e l’idea che gli sposi debbano varcare insieme la soglia della morte. 117 Vian attribuisce alla congiunzione ÐppÒte un valore causale sulla base dell’analogia con 8,281. Tuttavia, data la rarità di tale valore e la sua totale estraneità alla lingua omerica ed epica, si preferisce intendere ÐppÒte nella sua più comune accezione temporale. Enone semplicemente esprime il rimpianto di non essere morta subito quando le si prospettò il destino di essere separata dal suo sposo. 118 La scena del suicidio di Enone è chiaramente modellata sull’analoga scena del suicidio di Evadne nelle Supplici di Euripide. Come è stato messo in luce da Goossens 1932, 679-689, la fitta rete di allusioni e richiami inizia proprio al v. 430, che riecheggia Eur. Suppl. 1057,1072,1075; per il v. 431 cfr. Eur. Suppl. 1025; per i vv. 435-440 cfr. Eur. Suppl. 1038 s.; per il v. 447 cfr. Eur. Suppl. 1002 s.; per i vv. 464-468 cfr. Eur. Suppl. 1070 s.; per i vv. 468 s. cfr. Eur. Suppl. 1072; per il v. 481 cfr. Eur. Suppl. 1020; per il v. 482 cfr. Eur. Suppl. 1011. Del resto è lo stesso Quinto a indicare espressamente il suo modello là dove, ai vv. 479-482, introduce la figura di Evadne come termine di una comparazione. Nota tuttavia Tsomis 2007, 205 che il suicidio di Enone supera per intensità drammatica e grandezza eroica quello di Evadne, in quanto Enone giunge al gesto estremo d’amore, diversamente da Evadne, dopo essere stata tradita e umiliata dallo sposo. Tsomis evidenzia piuttosto le analogie tra il suicidio di Enone e quello di Aiace nel libro V dei Posthomerica: entrambi levano un lamento in forma di monologo (cfr. 5,465-481) prima di togliersi la vita; entrambi, dopo aver subito un intollerabile disonore, vedono nel sacrificio di sé l’unica via per scrollarsi di dosso il disprezzo e riconquistare il klšoj perduto. A suggerire una relazione tra i due episodi contribuirebbe anche la loro collocazione al termine del libro V e del libro X, vale a dire in chiusura rispettivamente della prima e della seconda sezione del poema. Diversamente da Quinto, Parth. 4 e Con. 23 collocano il lamento di Enone nel momento del suicidio. Si osservi che in Quinto il lamento di Enone, estendendosi per appena otto versi, è più breve sia di quelli di Ecuba ed Elena sia di quelli di Briseide (3,551-581) e Tecmessa (5,521-558), ma più intenso e significativo, in quanto prelude al suicidio, presentandolo nel contempo come estrema prova d’amore e via di definitivo ricongiungimento dei due sposi (cfr. Tsomis 2007, 203). Per l’espressione mšga tl»somai œrgon cfr. 5,646 ÐppÒt' œtlh mšga œrgon, detto di Eracle. Tuttavia Tsomis 2007, 204 osserva che l’impresa osata da Enone appare superiore a quella di Eracle in virtù dei suoi moventi psicologici e non fisici: ciò che spinge Enone a maturare il proposito del suicidio è infatti solo il suo intimo stato di dolore,

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    NOTE AL TESTO

    determinato dalla noia della vita, dal desiderio di un definitivo ricongiungimento con lo sposo e dal rimorso per l’aiuto negato. 119 Per la similitudine cfr. A.P. 5,210,2 e Theocr. 2,28 s., dove tuttavia l’immagine della cera sul fuoco è proposta come termine di comparazione per uomini consumati dal desiderio amoroso. La medesima similitudine compare anche altrove in Quinto (7,387 s.), riferita a Deidamia. Tuttavia nell’episodio di Enone l’immagine assolve una nuova duplice funzione: evidenziare il forte effetto che il ricordo del defunto sposo produce sull’emotività della donna e nello stesso tempo preludere alla morte di lei nel fuoco della pira eretta per il marito (cfr. Tsomis 2007, 205). 120 In altre versioni della leggenda il padre di Enone, il dio-fiume Cebreno, giocava un ruolo attivo, vietando alla figlia di curare Paride (cfr. Tzetz. Schol. ad Lyc. 61). 121 L’aggettivo Ðm»qhj vale propriamente “dai medesimi costumi, dello stesso carattere, della stessa indole” (cfr. Apoll. Rh. 2,917). Qui, seguendo Vian, occorrerà intenderlo nel senso di “con la stessa disposizione d’animo”, e quindi “con lo stesso ardore”. 122 Rhodomann propone di correggere il tràdito ¢ntomšnh in ¢ntomšnouj, motivando la sua proposta con la constatazione che l’espressione normale in greco per dire “incontro qualcuno” è ¥nteta… t…j moi, con la persona incontrata soggetto del verbo (cfr. 7,247). La correzione non è tuttavia necessaria, poiché risulta ampiamente attestata anche la diversa costruzione ¥ntoma… (tini) (cfr. e.g. Il. 2,595; 8,412). 123 Cfr. Theocr. 1,83. La fuga clandestina di Enone ricorda inoltre quella di Medea nel libro IV delle Argonautiche (in particolare, per i vv. 446,448 s. cfr. Apoll. Rh. 4,43,47; per i vv. 454-457 cfr. Apoll. Rh. 4,54-65). 124 Per la simpatia che Selene prova per gli amanti, soprattutto se infelici, tema caro alla poesia ellenistica e romana, cfr. App. Verg. Lyd. 42; Philod. in AP. 5,123. 125 Si allude ai trascorsi pastorali di Paride, il quale, esposto sull’Ida a causa di una profezia che lo indicava quale futuro responsabile della rovina di Troia, sarebbe stato allevato da alcuni pastori (cfr. n. 100). 126 Non tutte le fonti concordano sul tipo di morte scelto da Enone (cfr. Apollod. Bibl. 3,12,6; Tzetz. ad Lyc. 57,60; Con. 23; Parth. 4; Ov. Her. 5): le diverse versioni oscillano infatti tra una morte per impiccagione e un più spettacolare suicidio sul rogo funebre dello sposo. Vian 2, 11 ipotizza che l’idea di far morire Enone secondo il modello dell’Evadne euripidea sia stata suggerita a Quinto da Lyc. Alex. 62-66, dove si narra che l’infelice Ninfa si precipitò pÚrgwn ¢p' ¥krwn (quindi da luogo elevato) sul corpo del defunto.

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    Se si eccettua una rapida allusione in Ditti (4,21), l’unica fonte a menzionare il sepolcro comune di Paride ed Enone era lo storico locale Demetrio di Schepsi (Strabo 13,1,32). 128 Il termine zÁloj indica qui un sentimento complesso e difficilmente definibile, un mix di amore ferito, gelosia e odio, quello strano groviglio di emozioni che si produce quando una passione profonda viene tradita, un sentimento provocato dalla dolorosa rottura di un antico legame e pertanto non riducibile a pura e semplice ostilità. Per la particolare accezione, tarda e rara, che assume qui il verbo fšrw, cfr. 12,520. 127

    Libro undicesimo Il libro XI narra i due giorni di battaglia successivi alla morte di Paride, nei quali i greci non riescono comunque a prevalere sugli avversari. Ed è proprio il sostanziale equilibrio tra i due schieramenti la ragione profonda di questo canto: esso deve certificare la situazione di stallo della guerra (“non desistevano in alcun modo dalla triste mischia / né per loro che già da tempo si logoravano a causa di Ares / vi era liberazione dall’affanno: insolubile fatica era sorta” 499-501), per giustificare così lo stratagemma del cavallo di legno, la cui ideazione e costruzione verranno descritte nel canto seguente. La battaglia del primo giorno si svolge nella piana davanti alla città (1-329): dopo alcuni versi introduttivi che ricordano la morte di Paride riallacciandosi al canto precedente (1-19), lo scontro vede inizialmente l’alternarsi di imprese di singoli eroi di entrambi gli schieramenti (20-128), fino all’offensiva troiana guidata da Enea ed Eurimaco incitati da Apollo che compare davanti a loro sotto mentite spoglie (129-206); la controffensiva greca è guidata da Neottolemo, che costringe Afrodite a sottrarre Enea dal combattimento per evitargli il peggio e i Troiani ad attuare una rapida ritirata (207-301); sono descritti il campo di battaglia cosparso di cadaveri e le operazioni di assistenza e medicazione dei feriti (302-329). Il secondo giorno vede l’assedio delle mura di Troia da parte dell’esercito argivo (330501): dopo l’elencazione degli eroi greci a capo delle truppe e dei difensori troiani (330-357), è descritto l’assalto degli assedianti con la tecnica bellica della testuggine e la difesa vincente degli assediati condotta in prima linea da Enea (358-473); Filottete tenta di abbattere Enea, ma invano (474-501). Come si vede in entrambe le due distinte parti della narrazione Enea riveste un ruolo preponderante, tanto che il suo personaggio risulta l’elemento narrativo che dà unità al canto; d’altronde un’accentuazione del ruolo di Enea nell’avvicinarsi alla fine del poema sembra funzionale a preparare l’importante ruolo che egli ricopre durante e soprattutto dopo la presa di Troia in 1

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    NOTE AL TESTO

    quanto fondatore della stirpe romana. Per la battaglia e l’assedio alla città precedente alla costruzione del cavallo sembra che Quinto non disponga di alcun racconto dettagliato da seguire; delle fonti a noi pervenute l’unico accenno dell’assedio si ha nel sommario della Piccola Iliade (Procl. Chrest. 206 Seve. [Bernabé, 74,13]: kaˆ oƒ Trîej poliorkoàntai), ma non sappiamo in che modo Quinto abbia potuto impiegare o meno tale testo. Per questo l’intero libro è composto da scene di ‘genere’ (le aristie dei vari eroi, gli interventi diretti delle divinità in battaglia, i diversi tipi di uccisione dei guerrieri, la polvere che sollevandosi impedisce la vista, la battaglia presso le mura etc.) ispirate quasi esclusivamente a Omero. 2 Per il secondo emistichio cfr. 2,484 e 9,33. 3 Questo genere di rappresentazioni allegoriche è molto frequente in Quinto Smirneo e si trova già in Omero; per questo passo cfr. in particolare Il. 4,439-45. Ma la personificazione di sentimenti, stati d’animo, realtà immateriali – come avviene qui per FÒboj (Paura) e De‹moj (Terrore) – era diventata nel frattempo peculiare nella poesia epica latina d’età imperiale, assumendo caratteristiche sempre più fortemente retoriche e ‘barocche’: cfr. ad esempio Stat. Theb. 7,47 ss. 4 Una tradizione attestata in epoca imperiale localizzava nella città di Araxa, situata presso l’alta valle del fiume Xanto in Licia, il parto di Latona (avvenuto invece secondo la versione più diffusa sull’isola di Delo); il verbo ¢narr»xasa sembra una precisa allusione a questa variante. Per il gesto di squarciare la terra durante le doglie del parto cfr. Apoll. Rh. 1,1129-31. 5 Passi paralleli quali 1,243 e 9,370 invitano a preferire la lezione di W (¢n…h al nominativo) piuttosto che quella di R (¢n…V al dativo). 6 Per l’immagine descritta cfr. 3,158-9 e, come modelli omerici, Il. 5,725; 17,617-8. L’idea invece della lingua che continua a parlare è tratta da Il. 10,457 e tornerà poco dopo riferita a tutta la testa; cfr. a riguardo la nota seguente. Il fatto che un tale raccapricciante dettaglio sia ripetuto nello stesso canto nel giro di così pochi versi è esemplificativo dell’aumento del patetismo e della drammatizzazione tipiche dell’epica d’età imperiale, che spesso si risolve in immagini macabre. Altre situazioni analogamente cruente – con una mano staccata dal corpo che pure sembra continuare a brandire un’asta o a impugnare una cavalcatura – sono descritte più avanti ai vv. 73 ss. e 194 ss. 7 L’ambiguità di genere della parola k£rh – abitualmente neutra tanto nell’epica in generale quanto in Quinto Smirneo, ma sicuramente femminile in 13,241 e oscillante nel passo omerico modello di questo (Il. 10,457) – pone dei problemi testuali. Poiché la lezione ƒemšnon è in evidente contraddizione con il kulindomšnh del verso precedente, a meno di non correggere quest’ultimo in un neutro (senza però l’appiglio dei codici), la scelta di Vian

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    per la lezione ƒemšnou sembra la più opportuna. L’episodio di Piraso contamina Il. 4,517-26 e 10,455-7 (cfr. anche vv. 29-31 e 13,244-5); sulla fortuna del tema vd. Cazzaniga 1963, 637-8. 8 Modulo narrativo che sembra tratto da Il. 5,49-54, ma la variatio di Quinto sostituisce l’abilità nella caccia del modello iliadico con quella nella pesca; per i tre modi di pescare descritti cfr. Opp. Hal. 4,638-9. 9 Eroe greco nominato precedentemente solo in 4,500-2 e 538-40 che farà poi parte del manipolo di greci ospitati dentro il cavallo di legno in 12,319, da non confondere con l’omonimo eroe troiano protagonista del VI e VII libro. 10 Poco soddisfacente appare il tentativo di Zimmermann di correggere b£le con kt£ne al v. 67 e accogliere la lezione dorˆ ... makrù di Brodeau al v. 70 per evitare la lacuna, che invece deve essere postulata. I versi mancanti, probabilmente non pochi, dovevano contenere la prima parte dell’episodio successivo del quale rimane l’impressionistica immagine del braccio mozzato, per la quale la fonte è Il. 5,80 ss. 11 La descrizione delle residue attività vitali dell’arto amputato è un modulo assente in Omero e s’inquadra nel gusto dell’orrido tipico dell’epica tarda (cfr. n. 6), ma qualcosa di simile è già presente in Verg. Aen. 10,3956. Per l’immagine della coda del serpente che tagliata ancora si muove cfr. Lucr. 3,657-8 e soprattutto Ov. Met. 6,555-60, dove è utilizzata in una similitudine con una lingua mozzata (vd. Ozbek 2007, 160-2). 12 I Cetei erano una popolazione della Misia citata anche in Od. 11,521; cfr. Strabo 13,1,70: in Quinto sono al seguito di Euripilo. 13 Secondo Apollodoro (3,12,5) e Ditti Cretese (3,7) Laodoco e Melio sono entrambi figli di Priamo; Melio è attestato variamente come Mšlion, M»lion o MÚlion. In Omero invece è presente un Laodoco figlio di Antenore (Il. 4,87). 14 Per questo modulo cfr. Il. 4,477-8 e 17,301-3. 15 Cioè di Corico, città della Cilicia. In Il. 2,823 Archeloco è il nome di uno dei figli di Antenore. 16 La rupe di Efesto presso Corico e queste palme miracolose non sono altrimenti attestate. Tuttavia Achille Tazio (2,14,5) e Nonno di Panopoli (40,473-5) riferiscono qualcosa di molto simile relativamente ad un ulivo situato presso la città fenicia di Tiro, ulivo che, pur avvolto dalle fiamme, non brucia mai; il fatto che la parola greca Fo‹nix significhi tanto “fenicio” quanto “palma” ha forse comportato in qualche modo il cambiamento di specie arborea che si riscontra nel racconto riportato da Quinto. L’intera storia fa inoltre ovviamente pensare al roveto ardente di Mosè (Ex. 3,2), a

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    NOTE AL TESTO

    maggior ragione se essa ha origine in ambiente fenicio, come osserva Vian 1959b, 141-2. 17 Lo stesso concetto è espresso anche in 2,259; 6,555; 9,194; 13,204-5; per il modello omerico cfr. Il. 22,325. 18 Per questa immagine cfr. Verg. Aen. 9,586-7 (stridentem fundam […] / ipse ter adducta circum caput egit habena). 19 Per l’immagine delle “lunghe file” in cui procedono le gru cfr. Arat. Phaen. 1031-2 e Opp. Hal. 624-5; per l’idea del rumore che terrorizza gli uccelli in un analogo contesto cfr. Verg. Georg. 1,156 (et sonitu terrebis aves). 20 La similitudine trova riscontro in A.P. 7,172 e in Babr. 26, passi in base ai quali Gigli Piccardi 1980 (in una dettagliata analisi di questa similitudine) difende la correzione di Platt accolta da Vian al v. 111 (™p' ¢roÚrV per ™poroÚsV dei codici), intendendo oâroj ¢n¾r ped…oio come un “guardiano dei campi”. 21 Per un modulo analogo cfr. 6,642 e 8,324. 22 È ripresa qui la similitudine presente già in 1,488-91 che ha in Il. 16,765-9 il suo modello omerico. 23 Lo stesso secondo emistichio si trova in Il. 11,413. 24 Eurimaco figlio di Antenore e promesso sposo di Polissena (cfr. 14,321-3) è nominato altrove solo nella descrizione dell’Ilioupersis dipinta da Polignoto presente in Pausania (10,27,3): egli è tra i sopravvissuti al sacco di Troia, fatto che sembra confermato anche dai vv. 140-1. Ciò dimostra tra l’altro come Quinto potesse avere accesso a fonti letterarie di cui noi non disponiamo più e delle quali ignoriamo i contenuti. 25 Cfr. 5,60-5 e 6,107-11 in cui la similitudine è in forma più estesa; per il modello omerico vd. Il. 13,703-8. 26 Questo Polimestore, da non confondere con il re tracio coinvolto nell’uccisione di Polidoro e accecato da Ecuba, non è altrimenti noto. 27 L’episodio, oltre ad altri analoghi (Apollo con Ettore in Il. 16,715 ss. e 17,582 ss.; sempre Apollo con Enea in Il. 17,322 s. e 20,79 ss.), ricorda in particolare Il. 13,43 ss. in cui Poseidone, sotto le mentite spoglie di Calcante, sprona alla battaglia i due Aiaci. 28 Al v. 148 l’uva viene definita “asciutta” (aÙainomšnVj), così come al v. 170 il grano (stavolta il termine è aâon) in una successiva similitudine. Tale attributo si spiega perché l’uva veniva di norma raccolta quando non rimaneva bagnata sulla sua superficie da piogge, in modo da non annacquare il mosto e dunque il vino: un tratto ‘realistico’ di civiltà rurale che può trovare un interessante confronto nelle tradizioni agricole e nel sapere contadino moderno (vd. per esempio in Pitré 1889, 3,193 “chi vendemmia asciutto beve vino puro”). Lo stesso avveniva per il grano.

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    Per questa similitudine cfr. anche 8,41-4 e 10,114-7; senza dubbio essa deve riferirsi non solo ad Enea ed Eurimaco, ma a tutti i troiani. Per questo motivo, e per il fatto che qui Argivi (le api) e Troiani (le vespe) sembrano combattere per un determinato e preciso obiettivo, Vian sospetta che questi versi furono inizialmente scritti e pensati in relazione ad un’altra situazione. 30 L’aggettivo dusqalp»j, derivante da q£lpw (“scaldare”), si trova anche in Il. 17,549 dove però ha il significato opposto, ovvero “gelido”; questo perché il prefisso dus-, pur mantenendo in entrambi i casi l’accezione fortemente negativa che gli è propria, assume in Omero un significato privativo, qui intensivo, risultando così sinonimo dell’etimologicamente contrario eÙqalp»j usato dallo stesso Quinto in un identico emistichio in 4,441 (e con tutta probabilità in 13,243, dove però l’aggettivo è frutto di un emendamento sul testo). Da questa incongruenza, e sulla base di quest’ultimo passo, nasce la correzione di Rhodomann di dusqalp»j in eÙqalp»j. 31 Per quest’immagine cfr. 3,375-8; vi è una certa analogia anche con 8,278-81 in cui protagonisti della similitudine non sono i mietitori, ma chi raccoglie l’uva. Anche qui, come per la similitudine precedente (vd. n. 29), Vian trova che questi versi si addicano di più ad una mischia furibonda e confusa piuttosto che all’aristia di Enea ed Eurimaco. 32 La similitudine qui lacunosa trova un parallelo in 1,277 e 315; cfr. anche Apoll. Rh. 4,486-7. 33 Quinto sembra stabilire un rapporto etimologico tra l’epiteto 'Ih…oj (attestato come variante in Il. 20,152) e il verbo „a…nw. 34 Cfr. n. 28. 35 Per lo spunto di questa similitudine cfr. Od. 18,29. 36 Cfr. nn. 6 e 11. L’immagine ha paralleli soprattutto nell’epica latina: cfr. Lucan. 3,609-17 e 667-8; Stat. Theb. 8,441-4 e soprattutto Sil. It. 4,20912 in cui una mano rimane attaccata a delle redini (vd. Ozbek 2007, 162-3). 37 Per questa cruenta immagine cfr. Il. 4,525-6 e 21,180-1. 38 La similitudine è piuttosto comune (cfr. Od. 22,299-301; Apoll. Rh. 1,1265-9 e 3,276-7; Opp. Hal. 2,521-31), ma l’immagine così realistica dell’aratro sembra essere di Quinto. 39 L’immagine si trova già in 3,359-60 e, prima ancora, in Il. 16,582-3 e 17,755-7. 40 La similitudine riprende Il. 11,305-8; analoga quella che si trova a 8,59-66. 41 La stessa costruzione ellittica si ritrova in Il. 5,819-21. 42 Idea ed emistichio presenti già in 2,525. 43 Questi versi sono una variante del topos della nebbia che aumenta la 29

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    confusione impedendo la vista, per il quale cfr. 8,444-50 e prima ancora il modello omerico in Il. 16, 366 ss. e 648-50 in cui vi è l’intervento di Zeus. 44 L’inconveniente di non riuscire a schivare i colpi per la polvere non è tra quelli evidenziati ai versi 253-4; tuttavia è implicito che vi fosse anche questo problema tra quelli causati dall’oscurità. Il testo tra l’altro non presenta dubbi perché la clausola del v. 262 si trova, quasi uguale, anche in Il. 13,436 e 513. 45 Per l’immagine cfr. 5,107; 7,596-7; 9,71; 10,248-9 e già Il. 12,156 e 19,357. 46 Quinto sembra qui alludere, anacronisticamente, al concetto di TÚch pÒlewj, un’idea che nasce e si sviluppa nel periodo ellenistico soprattutto in Asia minore, fino alla divinizzazione della ‘fortuna’ di ogni singola città (fu celebre in proposito la statua della TÚch di Antiochia, opera dello scultore Eutychides e nota attraverso numerose copie romane, con la dea che presenta il capo coronato dalle mura della città). 47 Vian suggerisce la lezione ƒppod£moij invece della tràdita ƒppom£coij (che potrebbe essere nata per attrazione del contiguo ¢gcem£coisin) sulla base di 1,557; 6,603; 7,661; l’incertezza tra le due lezioni si riscontra anche in Il. 10,431. 48 Afrodite protegge Enea sottraendolo dalla battaglia anche in Il. 5,311-7. 49 Riferimento a Il. 5,855 ss. in cui Ares viene ferito da una freccia scoccata da Diomede, ma indirizzata e guidata da Atena. 50 Per il v. 299 cfr. 1,319; per il v. 300 cfr. invece 1,222; per il v. 301 cfr. infine 7,478 e 8,46. 51 L’immagine sembra una variazione di Apoll. Rh. 1,1003-5, ma trasformata nel suo significato: lì si tratta infatti di alberi abbattuti che vengono messi sulla spiaggia per farli bagnare e quindi poterli meglio lavorare, qui invece di una nave che viene smantellata per poterne riutilizzare il materiale. 52 Il verso ricorre uguale a 3,380 e molto simile a 5,650. 53 Per questo verso cfr. 2,580. 54 Per il v. 325 cfr. 10,276 e Apoll. Rh. 1,1216; per il primo emistichio del verso successivo cfr. invece 7,21-2 e 10,414. 55 Ovvero Stenelo. Quest’ultimo è citato insieme a Diomede anche in 4,574, dove si sottolinea l’amicizia tra i due. Vian 3, 44 osserva giustamente come l’accostamento del figlio di Capaneo (Stenelo) a quello di Tideo (Diomede) in apertura di quest’assalto alle mura di Troia non sia affatto casuale: si tratta infatti dei figli dei due più celebri condottieri dell’armata guidata da Polinice contro Tebe difesa da Eteocle. Quinto, oltre a rifarsi alla teichomachia (libro XII dell’Iliade), vuole dunque alludere qui chiaramente alla vicenda dell’assedio della città da parte dei ‘sette contro Tebe’ e riprenderlo

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    come modello. In particolare si rifà alla narrazione (probabilmente interpolata) presente nelle Fenicie di Euripide (1104 ss.), nella quale si riscontrano esattamente gli stessi temi che si trovano nei versi seguenti: l’elenco delle porte della città e dei condottieri avversari che si affrontano (338-57); l’assedio degli assalitori (358-91); la risposta degli assediati (391-435 con l’aristia di Enea); la controffensiva degli assalitori (436-46 con Aiace in evidenza); la scalata solitaria delle mura da parte di Alcimedonte che riprende il famoso episodio di Capaneo (447-73). 56 L’elenco dei contingenti che si apprestano all’assalto delle mura della città ha i suoi precedenti nella teichomachia omerica (Il. 12,86-107), ma anche in Eur. Phoen. 1104-40 (versi che anche nella molto probabile eventualità di dover essere espunti, furono comunque in ogni caso interpolati in epoca già molto antica). Quinto distingue diversi manipoli perché evidentemente ognuno compie l’attacco alle diverse porte della città: la porta Scea (338), le porte Dardanie (345), le porte che danno verso la piana e le navi (352), quelle sul lato del Simoenta (356), porte che Quinto colloca probabilmente secondo i quattro punti cardinali. Al v. 345 la correzione di „da…hsi con Dardan…Vsin da parte di Vian è giustificata dal fatto che così si hanno gli stessi nomi delle porte che sono presenti in Omero, mentre eventuali porte “Idee” (che dal nome si immaginano rivolte in direzione del monte Ida) non sono altrimenti attestate. Sulla localizzazione delle porte e sul testo adottato vd. Vian 1959b, 116-8. 57 Con evidente anacronismo Quinto qui descrive la celebre formazione a testuggine adoperata dall’esercito romano durante gli assedi (anche se qualcosa di simile si legge già in Il. 16,212-7). Descrizioni di questo tipo si trovano nell’epica latina, in particolare in Verg. Aen. 2,441-4 e soprattutto 9,505-18 e in Lucan. 3,474-86; più che a una ripresa diretta da parte di Quinto di uno di questi modelli e in particolare di Virgilio bisogna però pensare, come suggerisce Vian 3, 47, a una comune fonte ellenistica, probabilmente legata anch’essa alla saga troiana o tutt’al più una Tebaide, che può esser stata indipendentemente modello di Virgilio, Lucano e Quinto. In quest’ultimo sembra forte anche la suggestione dell’episodio in Apoll. Rh. 2,1069-89 in cui gli Argonauti sono attaccati dagli uccelli dell’isola di Ares. 58 Per l’immagine di questa similitudine Quinto contamina diversi passi: Il. 16,212-7, Od. 5,478-80 e Apoll. Rh. 2,1073-5. La successiva formula kartÚnanto f£laggej (v. 366) è esiodea (Th. 676), ma già riecheggiata da Apollonio Rodio (2,1078 e 1087) in versi che Quinto in questo passo ha ben presenti; a riguardo cfr. n. precedente. 59 Per l’immagine della rupe cfr. più avanti il v. 483, 1,549 e Il. 13,137. 60 La costruzione del periodo è un po’ faticosa e non del tutto lineare: la

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    correzione proposta da Pompella (ballomšnoij per ballomšnwn) semplificherebbe decisamente la frase e deve quindi essere tenuta in considerazione. 61 L’immagine riprende e riassume la similitudine presente in Apoll. Rh. 2,1083-9, ma ricorda anche Lucan. 3,482-3 (a riguardo vd. n. 57). 62 Per questa immagine cfr. 2,194 e 198; 8,49; 9,77; come modello omerico cfr. Il. 4,275. 63 Il secondo emistichio riprende Apoll. Rh. 1,879. 64 Per il primo emistichio cfr. 10,18, per il secondo cfr. invece 3,26-28, per l’idea in generale cfr. infine 8,427. 65 Per questa similitudine cfr. 1,696 ss. e 2,379 ss.; l’immagine della roccia che cade distaccandosi è già in Il. 13,137-9. 66 Per la similitudine cfr. 2,379 e, per il v. 403, Hes. Th. 72. Tra parentesi quadre la traduzione dell’integrazione di Köchly, che ha parzialmente colmato la lacuna, per evitare la quale è altrimenti possibile intervenire direttamente sul v. 404 correggendolo, come Vian ha prudentemente proposto; il testo di quest’ultimo suonerebbe “intorno le greggi e i buoi tutti nei boschi fuggono impauriti”. Secondo Pompella invece, sottintendendo dopo Ósa il verbo e„s…n e solo per maggior chiarezza zùa, non è necessario presupporre alcuna lacuna né alcuna correzione al testo tràdito: la traduzione sarebbe “intorno i pastori e tutti gli altri esseri viventi, quanti sono, fuggono impauriti”. 67 Per il secondo emistichio cfr. 7,673. 68 Per questa similitudine con la vicenda della Gigantomachia cfr. Hes. Th. 678-683, dove si narra la Titanomachia (ma Titani e Giganti furono presto assimilati dai poeti); la clausola del v. 416 è invece tratta da Od. 7,206. In epoca imperiale divenne comune l’assimilazione del princeps con Giove che, vincendo sulle forze barbare e distruttive rappresentate da Giganti o Titani, pone ordine nel mondo e sottomette al suo dominio giusto e saggio l’universo (si veda ad esempio Hor. carm. 3,4,37 ss.): non è forse dunque un caso che questa immagine sia stata scelta in relazione all’aristia di Enea, il capostipite della gens Iulia e dunque di tutti gli imperatori di Roma. 69 Vian corregge il testo tràdito perché il termine ¡p£ntV non è attestato altrove in Quinto e potrebbe essersi insinuato per attrazione del p£ntV con cui termina il v. 418. 70 Per i vv. 422-5 cfr. Il. 12,380-1; per il concetto espresso ai 422-3 cfr. poi, nello stesso Quinto, 7,535 e per il secondo emistichio del v. 424 cfr. infine 9,121. 71 Per questa formula cfr. 9,290 e 7,36; una sua variante è riscontrabile al v. 357 di questo stesso canto. 72 La stessa situazione è descritta in Eur. Phoen. 1165-8.

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    Un’espressione simile si trova nelle parole che Apollo rivolge ad Enea in Il. 17,329-30. 74 Il v. 452 è sicuramente corrotto: Vian adotta la correzione proposta da Rhodomann sulla base di 1,160, 12,49 e Apoll. Rh. 2,1074, passi nei quali si riscontra il sintagma œmmenai ¥lkar. 75 Nell’episodio di Alcimedonte Quinto contamina abilmente Il. 12,37886 (l’episodio dell’uccisione di Epicle da parte di Aiace durante la teichomachia) e Eur. Phoen. 1173 ss. (la scalata e la morte di Capaneo). 76 Lo stesso emistichio si trova in 6,281. 77 Lo scontro tra Filottete ed Enea presenta molte analogie con quello tra Merione e Polite in 8,402-19 e prima ancora con quello tra Teucro ed Ettore in Il. 8,300 ss. 78 Per questo secondo emistichio cfr. 14,518 e Apoll. Rh. 1,246. Il canto si conclude sottolineando l’incertezza che persiste sul campo di battaglia e la vanità di quanto sinora accaduto, sia da una parte che dall’altra, così da preparare e giustificare la svolta della guerra che avverrà nel canto seguente con l’ideazione dell’inganno del cavallo. 73

    Libro dodicesimo Nell’ambito del racconto dei preliminari della presa della città di Priamo, il XII libro è interamente dedicato alla narrazione degli eventi relativi allo stratagemma greco del cavallo di legno. L’importanza di questo episodio, diffusamente conosciuto e ripreso nella produzione letteraria ed artistica dell’antichità (un utile prospetto è in Enciclopedia Virgiliana, s. v. Equus Troianus), risiede nella possibilità di scandagliare le fonti del nostro autore, con particolare attenzione al rapporto con l’epica virgiliana (molto utile a tal proposito la tabella e la discussione pubblicate in Vian 1959b 58-71). Su tale questione (che affonda le radici già nel secolo XVI quando, nello spazio marginale di alcuni fogli del codice Parrasiano, un anonimo lettore verga alcuni versi tratti dal secondo libro dell’Eneide), numerose e controverse sono state le opinioni degli studiosi: rinviando ai singoli passaggi per indicazioni e discussione approfondite, ci si limita qui a sottolineare come, nonostante non si sia propensi all’ipotesi di un rapporto diretto tra Quinto Smirneo e Virgilio, permanga ancora un ampio margine di incertezza sulla problematica a causa della nostra scarsa conoscenza – talvolta addirittura ignoranza – dei possibili precursori dei due autori. I versi di questo libro possono essere suddivisi in dieci blocchi compatti, distribuiti con simmetria ed equilibrio tra l’azione achea e la reazione troiana: 1) Prima assemblea degli Achei (vv. 1-103); 2) La costruzione del cavallo di Epeo (vv. 104-156); 3) Theomachia 1

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    (vv. 157-218); 4) Seconda assemblea degli Achei (vv. 219-305); 5) Catalogo dei guerrieri greci (vv. 306-352); 6) La scoperta del cavallo (vv. 353-394); 7) Laocoonte (vv. 395-443); 8) La morte dei figli di Laocoonte (vv. 444-497); 9) Presagi funesti per i Troiani (vv. 498-524); 10) Cassandra (vv. 525-585). Un ricco e puntuale commento di questo libro è in Campbell 1981, al quale soprattutto si rimanda per approfondimenti di natura linguistica o filologica. 2 Quinto Smirneo si differenzia dalla tradizione che attribuiva l’arguzia al solo Odisseo e fa prendere l’iniziativa dello stratagemma all’indovino Calcante (il suo discorso si svolge nei vv. 8-20 e viene completato nei successivi vv. 51-65); sarà comunque Odisseo, già nella sua risposta, a concretizzare l’idea del cavallo ligneo (nell’antichità l’idea di tale strumento è comunemente attribuita al solo Epeo o ad Atena o a Odisseo, ovvero a tutti e tre insieme). 3 Dal momento che la parola ȝોIJȚȢ al v. 9 è una vox media e ha il valore neutro di “piano d’azione”, non c’è affatto bisogno di correggere con Köchly ਲ਼ iniziale, attestato in tutta la tradizione, con țĮ੿; ugualmente è da rigettare l’altra sua congettura ȜĮȠ૙ıȚ poiché la formula usata da Quinto Smirneo si giustifica con quelle di Il. 10,45 e 12,156 (inoltre, le truppe non sono mai opposte agli ufficiali). 4 La forma țĮIJİįȪıİIJȠ, più rara ed attestata solo in quattro occorrenze 1,686, 2,593, 5,335 ed infra 12,329, è da preferire come lectio difficilior alla più comune e ‘normale’ țĮIJİįȪıĮIJȠ. La correzione proposta da Rhodomann non è necessaria in quanto il testo tradito rispecchia molto bene la tecnica compositiva del poeta (un breve prospetto dei loci communes in Vian 1959b 202). 5 Accettiamo nel testo la proposta di Vian įȩȜȠȞ piuttosto che il tradito ȤȩȜȠȞ per un migliore senso del passaggio; il testo potrebbe essere stato corrotto per un’involontaria eco della parola ȤȠȜȦșİȓȢ del v. 13. 6 L’immagine delle colomba predata da un altro uccello è assai comune nella letteratura epica (si vedano, ad esempio, Il. 15,238, 21,493-495 e 22,139-142; Apoll. Rh. 1,1049-1050, 3,541-543, 4,485-487; inoltre, supra 1,198-200 e 572). 7 Nel suo discorso (vv. 25-45), Odisseo anticipa tutti gli avvenimenti che verranno ripresi e sviluppati in questo libro ad eccezione della Theomachia e degli interventi di Laocoonte e di Cassandra; il racconto degli eventi verrà poi ribadito per sommi capi nel corso della seconda assemblea achea (infra 12,218-243). 8 Cfr. infra 12,235-237 e 336-349. 9 Cfr. infra 12,356-357. 10 Il secondo emistichio del verso è accostabile ad Arat. 64. 11 Cfr. infra 12,238-239 e 360.

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    Sulla base del simile 12,383, si accoglie la lezione di Castiglioni ਫ਼ʌĮȜȪȟĮȚ al posto del tradito ȝȚȞ ਕȜȪȟĮȚ (comunque altrettanto accettabile). 13 Cfr. infra 12,375-386. Per il v. 37 accettiamo la lezione di Rhodomann e quella di Vian che offrono un miglior senso al testo; in particolare la forma meno adeguata ਫ਼ʌȠʌȜȒȟĮȢ può essere stata generata da un banale errore di lettura. 14 Cfr. infra 12,361-389 e 421-422. 15 Cfr. infra 13,21-33. 16 Si accetta la lezione leggibile nel codice R e ripresa nell’edizione aldina ȉȡȫİıȚ, più economica della congettura di Hermann, sebbene tale forma non si legga mai in Quinto Smirneo. 17 Lo iato dopo vocale breve al terzo trocheo non deve essere corretto: sono attestati diversi casi di iato dopo la desinenza -İıșİ (supra 1,468 e 558; 2,59; 3,168; 5,152; 11,217) tali da far pensare che si tratti di una particolare caratteristica nell’usus scribendi dell’autore e non di un errore di tradizione. 18 Il testo tràdito presenta un problema metrico in merito alle quantità brevi di alpha nelle parole ȖȐȡ e ਙʌȡȘțIJȠȞ; le correzioni proposte dai diversi editori vanno comunque a detrimento del testo (si veda Vian 1959b, 154155). L’eventuale sequenza breve-lunga-breve della parola ਙʌȡȘțIJȠȞ, mai attestata in Quinto Smirneo, andrebbe tuttavia contro la legge di Hermann. 19 Cfr. supra 7,482, 8,213 e infra 13,527. 20 Cfr. supra 2,349 e infra 12,198. 21 Sebbene da una prospettiva razionalistica tali presagi siano osservabili direttamente da tutti gli Achei, il poeta inserisce un’ulteriore descrizione degli avvenimenti a beneficio del lettore e della spettacolarità del testo. 22 Cfr. supra 2,275 e infra 13,121 e 14,564. 23 La locuzione șȣȝઁȞʌĮȡĮIJȓșȘȝȚ racchiude anche il valore di “disprezzare la vita” (si vedano, ad esempio, Od. 3,74 e similmente supra 2,237). 24 Neottolemo, sostenuto da Filottete, prova ad opporsi all’iniziativa del cavallo schierandosi a favore di un intervento bellico frontale; più che per le accorte parole di Odisseo, la polemica dei due rientrerà solamente a seguito dell’intervento dello stesso Zeus (infra vv. 66-103). Tale episodio riprende quanto scritto da Filostrato (Philostr. Her. 4,3) e, in qualche modo, da Orazio (Hor. Carm. 4,6,13-20) che immagina lo stesso rifiuto di Achille, se egli fosse stato ancora vivo. 25 Zimmermann ha proposto di correggere l’aoristo tràdito con il presente ਕȜİȣȩȝİȞȠȚ: i differenti valori aspettuali dei due tempi (l’aoristo constata un fatto, il presente indica piuttosto un’intenzione) è alla base del rigetto di tale congettura. 26 L’esaltazione dei prodi rispetto a coloro che in battaglia si affidano so12

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    NOTE AL TESTO

    lamente all’inganno riprende il tema utilizzato già da Aiace nel dibattimento per l’attribuzione delle armi di Achille; non a caso, quindi, sarà Odisseo a rispondere al posto dell’indovino al quale il guerriero si era rivolto (in Vian 3 91 n. 4, si evidenzia la similitudine tra il v. 71 e il v. 28). 27 J. Martin ha comparato il secondo emistichio di questo verso con Arat. 529; a noi tale accostamento sembra azzardato. Il doli fabricator Epeos, secondo la definizione che ne dà Virgilio in Aen. 2,264, è presentato in Il. 23,664 e 838 come guerriero esperto nel pugilato e lancio del peso. 28 L’espressione, sebbene abbia qui un significato leggermente differente, ricorda Hes. Op. 14 e 33; è impiegata dal poeta per indicare – forse anacronisticamente – le macchine militari d’assedio. 29 Cfr. supra 4,58 e Od. 8,495, in cui viene impiegato lo stesso verbo per indicare la distruzione della città di Priamo. 30 Sulla base di 3,752, 9,24 e 403, si deve preferire la forma apocopata della parola ĮੇȥĮ. 31 Cfr. infra 12,197-200. 32 Forte è il richiamo alla scena dell’Iliade in cui Zeus, attraverso una folgore, fa desistere Diomede dall’impeto bellico (Il. 8,130-137): in particolare, si confrontino i vv. 93-94 con Il. 8,131-132, i vv. 96-97 con Il. 8,133-134 e i vv. 98-99 con Il. 8,138. Le parole șȐȡıȠȢ e țȐȡIJȠȢ sono sovente confuse tra loro: qui recepiamo la correzione di Lehrs sulla base del secondo emistichio di 12,261. 33 Su proposta di Vian, sarebbe forse da preferire la correzione del nominativo nel corrispondente dativo ਕȖĮııĮȝȑȞȠȚȢ che garantirebbe una migliore concordanza. 34 Nella tradizione Calcante è generalmente riconosciuto come il figlio di Testore come viene detto per la prima volta in Il. 1,69. 35 Atena non solo aveva concesso ad Epeo una straordinaria capacità ingegneristica ma partecipa ora attivamente alla realizzazione del cavallo, così come ricordava già Omero in Od. 8,493. Si confrontino inoltre Eur. Tr. 10-11, Verg. Aen. 2,15, Apollod. Epit. 5,14, Hyg. Fab. 108, Philostr. Her. 11, Tryphiod. 57. Per il racconto del sogno Quinto Smirneo sembra sfruttare diversi passi omerici: Vian accosta i vv. 106-107 con Od. 7,19-20, il v. 109 con Il. 2,20, i vv. 117-118 con Il. 2,48-49 e i vv. 119-120 con Il. 2,50-76. 36 Il passo è di difficile interpretazione in quanto non è chiaro se l’incitamento della dea, ਩ȡȖȠȞ ਥȢ ੑIJȡȪȞȠȣıĮ, sia da collegare alla frase principale (i.e. Atena sarebbe stata vicino al costruttore durante le fasi di progettazione e di assemblaggio) ovvero alla subordinata (i.e. Atena avrebbe partecipato personalmente all’azione, sostenendo gli Achei fin dentro il cavallo). Nell’incertezza, si è preferito proporre una traduzione quanto più neutra possibile.

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    La congettura di Köchly per risolvere i problemi del passaggio più difficile, ਙijĮȡ ਩ȞįȠșȚ ȕોȞĮȚ, non può essere accettata in quanto tende a complicare il testo tràdito. 37 Non riuscendo a cogliere la particolare e ricercata immagine creata dal poeta, M.L. West ha proposto, a torto, di sostituire a ȕȓȘȞ il sostantivo ਙȜțĮȡ ovvero un suo sinonimo. 38 Per giustificare l’evoluzione testuale di questo passo potrebbe essere accettata la ricostruzione di Vian: originariamente il testo non riportava la preposizione ਥț che venne inserita solo in seguito nello spazio marginale; un copista successivo, male interpretando la correzione, inserì tale particella ad inizio verso e la adeguò ortograficamente in ਥȟ. 39 La congettura proposta da Zimmermann per sanare la lacuna iniziale sembra valida: l’avverbio ਙıʌİIJȠȞ, infatti, è usato moltissimo da Quinto Smirneo diversamente dagli altri autori epici, spesso proprio in posizione iniziale del verso (cfr. supra 2,474; 3,248; 7,45; 11,127; 11,374 e infra 12,200; 13,103; 14,490). 40 Molti autori insistono sul particolare della provenienza del legname dal monte Ida (si vedano Eur. Tr. 533, Apollod. Epit. 5,14, Petr. 89,5, Tryphiod. 59-60). Per tale immagine il poeta utilizza liberamente l’episodio della costruzione della pira di Achille: in particolare, Vian accosta il v. 122 a Il. 23,110, i vv. 124-129 a Il. 23,117-120, il v. 130 a Il. 23,114 e 120 e il v. 133 a Il. 23,111. 41 Si noti l’importanza della particella į੻: oltre a creare un effetto di successione ritmica che fa scorrere davanti agli occhi del lettore tutte le fasi della realizzazione del cavallo, ciò permette anche di separare le parti costitutive essenziali da quelle meramente decorative (si veda, ad esempio, il v. 144). È per questo motivo che rigettiamo la congettura di West per il v. 143. 42 Secondo un frammento dell’opera di Arctino e gli scholia al secondo libro dell’Eneide, sembra che fin dall’antichità un filone della tradizione considerava possibile muovere la coda, le articolazioni delle ginocchia e gli occhi. 43 Quest’espressione fa da parallelo, in qualche modo, alla vera e propria dedica ad Atena che era stata incisa all’esterno dell’artefatto, come testimoniano ad esempio Eur. Tr. 536, Apollod. Epit. 5,15, Petr. 89,5 e Hyg. Fab. 108 44 Si apre con questo verso, come intermezzo dell’azione, la Theomachia: si tratta di una scena convenzionale (le fonti sembrano essere identificabili nei poemi omerici e nella poesia esiodea come suggerisce in Vian 3, 215-216 n. 5), un pezzo di bravura del poeta – per altro «l’un des moins réussis de son poème» secondo lo stesso Vian – inserito per preannunciare l’imminente caduta della città di Priamo, così come avviene nei libri XX e XXI dell’Iliade per la morte di Ettore. Gli uomini comunque non si daranno cura

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    degli affanni divini (vv. 184-185); l’unica divinità a non seguire il consiglio di Themis a ignorare le vicende umane sarà Atena (vv. 206-213). 45 Come proposto da Vian (Vian 1959b, 215), correggiamo il testo tràdito con la lezione ʌȠIJȓ (fondata sul confronto di 1,323, 3,755, 6,45, 7,435, 9,449, 10,5, 11,32, 11,6, 12,199 e 14,279) per evitare lo iato dopo vocale breve al terzo trocheo. 46 Cfr. supra 3,408. 47 Si noti qui, e al successivo v. 181, come il preverbo ȣʌȠ- abbia un valore profondamente enfatizzante. A tal proposito, Vian sostiene che «quoique les dieux se trouvent “sur le rives du Xanthe”, leur champ de bataille est infiniment plus vaste que celui des hommes, et c’est tout le pays, terre, mer et montagnes, qui résonne sous leurs coups» (Vian 1959b, 198). 48 Sull’immagine dei venti aggiogati si confronti Nonn. D. 2,420-423; sulla figura di Eone che, già presente in Euripide, guadagna importanza solo in età imperiale (al punto da essere rappresentato anche nelle arti figurative), si veda Vian 1, XVI-XVII, con relativa bibliografia. Poiché Quinto Smirneo utilizza anche in altri passi la parola ਕțȐȝĮIJȠȢ al genere femminile invece del regolare ਕțĮȝȐIJȘ (utilizzato di norma da Esiodo), non ha senso tenere in considerazione la proposta testuale avanzata da Pauw. 49 Sulla base del primo emistichio di 12,96, è preferibile correggere la lezione tràdita con la congettura di Köchly. A rafforzare tale proposta interviene il fatto che, tranne le eccezioni di 9,317 e 11,268, il sostantivo ĮੁșȒȡ è impiegato da Quinto sempre al genere maschile. 50 Sebbene pleonastica rispetto al verbo ਥȟİȤȑȠȞIJȠ del verso successivo, sembra preferibile la congettura ਥț įȑ proposta da Rhodomann. 51 Per tale immagine si confronti Hes. Th. 697-698; per rendere ancor più forte l’enfasi dell’enjambement, accogliamo nel testo la congettura di Köchly che preferisce sostituire all’aggettivo un avverbio. 52 Piuttosto che ਕȞĮȡȡȒȖȞȣȝȚ, “squarciare”, considerato lo sviluppo dell’azione ci si aspetterebbe un verbo come ਥʌȚȡȡȓʌIJȦ, “gettare sopra”, così come nella traduzione. Vian mantiene il testo tràdito supponendo che il poeta avesse avuto in mente un’errata interpretazione di Il. 20,62-63 (Vian 3, 216 n. 4) ma tale giustificazione ci sembra impropria; si veda, inoltre, Campbell 1981, 75. 53 Cfr. supra 4,376-377. 54 Poiché non costituisce un problema per la sequenza metrica, ripristiniamo la grafia comunemente attestata del verbo ȞȓıȠȝĮȚ. Si noti, però, che nei manoscritti di Quinto Smirneo è assai diffusa la forma geminata (in questo stesso libro si vedano i vv. 457 e 463, l’uno con forma scempia l’altro con quella geminata).

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    Cfr. supra 8,356-358. Si apre la seconda assemblea nel campo acheo nella quale si strutturano i dettagli materiali dell’azione. Odisseo, ricalcando il suo precedente discorso (si vedano, in particolare, i vv. 240-241; il figlio di Laerte aggiungerà solo il dettaglio che il cavallo sarà introdotto in città), tenta di prevenire eventuali altre proteste da parte di Neottolemo, facendo leva sull’importanza dell’obiettivo piuttosto che sulla nobiltà delle strategie (vv. 220-242); Sinone si proporrà come volontario per macchinare materialmente la trappola (vv. 243-259), seguito subito dall’anziano Nestore bramoso di entrare in azione (vv. 261-273 e 287-296). L’ardore dei due convince del tutto il figlio di Achille a prendere parte al piano di Odisseo (vv. 274-280 e 298-302). La struttura di questi discorsi paralleli e complementari sembra mutuata dalla tecnica di Apollonio Rodio. 57 Non si sente la necessità di correggere il testo tràdito in quanto nel poema sono usati sia Į੅ țİ sia İ੅ țİ e ਵȞ țİ. Purtroppo, pur rilevando la tendenza del poeta verso l’arcaismo, non si è in grado di valutare quanto tali variationes siano da attribuire a Quinto Smirneo ovvero alla stratificazione di correzioni e glosse successive. 58 Nonostante si creasse un anacoluto, Zimmerman preferiva qui seguire la lezione del codice M, convinto che Quinto Smirneo – così come Apollonio Rodio – considerasse come vera e propria regola compositiva l’uso omerico di porre ਙȖİ įȒ davanti a congiuntivo mentre ਙȖİ Ȟ૨Ȟ davanti a imperativo. Vian, in Vian 1959b, 202, ha però dimostrato come quest’uso non sia sistematico nemmeno nel testo di Omero. 59 Calcante aveva espresso la stessa idea ai vv. 60-65. La congettura di Dausque risolve in maniera semplice ed economica il problema testuale, verosimilmente generato da un errore di lettura. 60 Quinto Smirneo sembra aver sostituito ਥȞIJȪȞȦ ed ਥȞIJȪȞȠȝĮȚ ai verbi ‘omerici’ ਕȡIJȪȦ e ਕȡIJȪȞȦ (per questo passo si confrontino Od. 11,439 e 14,469 e Apoll. Rh. 4,421). 61 Lo iato dopo vocale breve in sede di prima dieresi è comunemente attestato in Quinto Smirneo dopo desinenza -İIJİ (si confrontino qui 3,169 e 12,545). 62 Cfr. supra 12,29-32 e infra 336-352 e 422-443. 63 Cfr. supra 12,32-45 e infra 360-386. 64 La figura e il ruolo di Sinone, strumento di collegamento tra i Greci chiusi nel cavallo e quelli in attesa sull’isola di Tenedo, presentano dei problemi per i diversi sviluppi della tradizione e per la frammentarietà delle fonti più antiche. Sebbene Omero lo citi solo in maniera cursoria e la narrazione proposta da Virgilio nel libro II dell’Eneide costituisca la testimo55 56

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    NOTE AL TESTO

    nianza completa più antica che sia giunta fino a noi, si deve credere che egli fosse un personaggio conosciuto e ben presente nei racconti della saga troiana. Quinto Smirneo non sembra guardare direttamente all’autore latino ma attinge verosimilmente a un bacino di fonti comuni, come fa pensare il radicale rovesciamento della prospettiva filo-troiana del Sinone virgiliano (Vian 1959b, 63-64; vd. anche Enciclopedia virgiliana, s.v. Sinone). 65 Anche in questo caso il poeta fa pronunciare a protagonisti dell’azione una sorta di anticipazione degli eventi, che saranno presentati nel loro sviluppo ai vv. 370-373. 66 Il passo è davvero vicinissimo a Verg. Aen. 2,61-62, fidens animi atque in utrumque paratus, | seu versare dolos seu certae occumbere morti. 67 Nonostante 12,373, accettiamo nel testo la congettura di Köchly confidando sulla fitta ripetizione di parole corradicali ai vv. 253 e 255 (i due vocaboli, come si è già visto, sono stati spesso confusi tra loro). 68 Il senso dell’espressione è garantito dalla lezione tràdita İ੡įȘȜȠȢ, di natura tragica piuttosto che epica (Vian 1959b, 170); inutile la congettura di Köchly. 69 Cfr. supra 6,46. 70 Mentre qui Pelia impedisce a Nestore di partecipare alla spedizione degli Argonauti – forse per i legami di parentela tra i due eroi –, Valerio Flacco (1,380) inserisce il figlio di Neleo tra i partecipanti dell’impresa. 71 Il saggio Nestore utilizza le argomentazioni della vecchiaia per pungolare gli altri Greci nell’orgoglio ed incitarli alla battaglia; egli aveva fatto ricorso al medesimo espediente già in 4,306-310, cui rimandiamo anche per un confronto stilistico. Su proposta di Pauw correggiamo la lezione tràdita, verosimilmente errata per attrazione dell’avverbio precedente; in tal modo è possibile mettere in risalto la variatio tra i due termini complementari e spesso confusi tra loro. 72 Cfr. supra 7,667. 73 Cfr. supra 3,614. 74 Cfr. supra 2,324. 75 Anche se in contesti differenti, un parallelo interessante per il secondo emistichio di questo verso è Il. 4,299. 76 L’immagine della montagna della virtù a rafforzare la morale del ʌȩȞȠȢ (secondo la quale solo attraverso l’impegno e la fatica liberamente scelti si può giungere alla perfezione) si ritrova anche in 5,49-56 e 14,195-200; la prima attestazione di tale allegoria, e quindi il suo incredibile successo (anche nelle arti figurative), si deve ad Esiodo (Op. 289-292). Un ampio commento sulla ripresa del tema da parte di Quinto è in Vian 2, pp. 203-204 n. 3.

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    I guerrieri partecipano all’azione su base volontaria mentre Virgilio (Aen. 2,18) racconta di una selezione per sorteggio. 78 Si deve notare come l’invocazione alle Muse (l’unica in tutto il poema di Quinto; forte è il parallelo con l’invocazione che apre il cosiddetto ‘catalogo delle navi’ di Il. 2,484-493), la giovinezza del poeta e l’ambiente bucolico rientrano tra i classici IJȩʌȠȚ letterari del genere epico (si vedano, a proposito, le sezioni proemiali di Hes. Th. 22-23 e la ripresa callimachea in Callim. fr. 2 Pf., di cui si ha qui una forte eco). Sulla base di questo passaggio autobiografico si è accostato il poeta a Smirne dove – lo stesso Quinto racconta – egli avrebbe ricevuto ancora imberbe l’ispirazione poetica. Tale identificazione non è tuttavia certa sia per l’alta elaborazione poetica del passo che per la rivendicazione dei natali dello stesso Omero da parte della città dell’Anatolia occidentale (era presente in città addirittura un «੘ȝȒȡİȚȠȞ, ıIJȠ੹ IJİIJȡȐȖȦȞȠȢ, ਩ȤȠȣıĮ ȞİઅȞ ੘ȝȒȡȠȣ țĮ੿ ȟȩĮȞȠȞ», come testimoniato in Strabo 14,1,37; si veda anche Cic. Arch. 8, 19). Si veda Campbell 1981, 101. 79 Verosimilmente, dopo ʌȡȓȞ, potrebbe essere caduta la particella Ȗİ come supposto da Hermann sulla base di 6,314 (segnalato in Vian 1959b 219). 80 Lo iato dopo vocale breve in sede di prima dieresi è comunemente attestato in Quinto Smirneo, in particolare dopo la desinenza di dativo singolare -Ț (si veda Vian 1959b, 213). 81 Pur senza proporre correzioni, Platt ha ipotizzato che il verso sia corrotto in quanto infrange la legge di Wernicke (il quarto metron di un esametro non può chiudersi con una parola la cui ultima sillaba è lunga per posizione). Nonostante in Quinto Smirneo questo sia il solo caso di tale infrazione, Vian crede il verso possa spiegarsi come la stridente giustapposizione di due versi omerici, in particolare Od. 11,523 e Il. 6,288 (Vian 1959b, 159). 82 Il poeta riprende l’uso – pressoché costante in Omero – di omettere gli articoli davanti ai nomi propri; l’anomalia di questo verso si basa su 7,483, a sua volta ricalcato su Il. 10,536. 83 In Od. 21,523-525 si attribuisce ad Odisseo la responsabilità di aprire e chiudere l’apertura del cavallo (il v. 525, in particolare, fu criticato da Aristarco in quanto degradava l’eroe all’indegno ruolo di portiere). La strana forma di infinito ਕȞȦǸȟĮȚ potrebbe essere spiegata, oltre che con una corruzione testuale o la fusione con glosse interlineari, con una sorta di strano mix tra i possibili aumenti temporali attestati per questa forma verbale (aumento temporale, aumento con Ș e metatesi quantitativa e doppio aumento; la forma tradita trova comunque un riscontro nel participio ਕȞİ૴ȟĮȢ attestato epigraficamente; si veda Vian 1959b, 172). Il sostantivo ʌIJȪȟ, piuttosto che 77

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    indicare “piega” o “anfratto”, dovrebbe piuttosto significare “battenti” (si veda Poll. 10,24). 84 Le tradizioni antiche e bizantine offrono versioni diverse sugli uomini entrati nel cavallo (si passa dai 3000 guerrieri della Piccola Iliade ai 23 di Tzetze passando per i 50 di Apollodoro); Quinto Smirneo ci offre l’elenco – seppur parziale (si vedano i vv. 327-328) – di trenta capi più il costruttore Epeo, arruolato per l’impresa esclusivamente per ragioni tecniche (non è necessario supporre che il poeta avesse attinto da un qualche catalogo precostituito). In particolare, escludendo gli eroi meglio conosciuti: Anticlo è menzionato solo in Od. 4,284-289 per essere stato bloccato da Odisseo poiché tentato di rispondere ad Elena dall’interno del cavallo; Menesteo è il capo della delegazione ateniese a Troia (Il. 2,546-556); Idomeneo è nell’Iliade uno dei capi più valorosi e uno dei principali membri del Consiglio (Il. 1,145 e 4,250-272) ma Quinto Smirneo si accoda alla tendenza d’epoca imperiale che aveva notevolmente ridotto l’influenza di tale personaggio; Eurimaco è un personaggio altrimenti sconosciuto che potrebbe essere sostituito da tale Euridamante citato da Triphiod. 181; Ialmeno è figlio di Ares e fratello di Ascalapio, capo della delegazione di Orcomeno (Il. 2,512); Talpio e Anfimaco, nipoti di Actore, sono i capi degli Epei (Il. 2,620); Anfiloco è il figlio di Anfiarao menzionato qui in 14,366 (il suo nome è stato ristabilito per congettura); Demofonte e Acamante sono figli di Teseo, le cui vicende saranno qui narrate in 13,496-543. La congettura di Vian per il v. 323 si spiega sulla base della vicinanza tra i due personaggi in Il. 2,620 e, di conseguenza, genera anche la correzione del v. 325: il tutto è facilmente spiegabile con un banale errore di copiatura dello scriba. Per ulteriori approfondimenti si vedano Vian 3, 84-86 e Campbell 1981, 101-109. 85 L’immagine degli Achei che escono dal cavallo per mezzo di una scala è generalmente diffusa anche nelle rappresentazioni figurative; Apollodoro (Epit. 5,20) e Virgilio (Aen. 2,262) parlano invece di corde e funi. 86 Sebbene sia riportato in molte fonti (su tutte si consideri Od. 8,501), l’episodio è ignorato da Virgilio (Aen. 2,25-30) e da Igino (Fab. 108). Universalmente diffusi nelle altre tradizioni sono le successive vicende dell’imboscata presso l’isola di Tenedo sotto la guida congiunta di Nestore ed Agamennone. 87 L’azione passa nel campo troiano con la scoperta del cavallo e il ritrovamento del greco Sinone fino all’ingresso in scena di Laocoonte (vv. 353394). R. Keydell e Ph. I. Kakridis hanno creduto che per questo passaggio il poeta si fosse limitato ad un semplice sommario degli eventi narrati nell’Eneide. Ma, partendo proprio dall’analisi del testo greco, si può notare come la semplicità dell’intreccio, la velocità e i cambi netti dell’azione rientrano perfettamente nello stile di Quinto Smirneo: pur seguendo la tecnica della

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    ripetizione di quanto già accennato, il racconto è completo di ogni elemento logico (anzi, anticipa anche la notizia della partenza dell’esercito greco che Virgilio inserisce solo in Aen. 2,177-182). Inoltre, le similitudini tra i due testi non garantiscono la conoscenza del testo virgiliano da parte di Quinto. 88 In Virgilio, Aen. 26-30, dove la prospettiva dell’autore tende a giustificare e tutelare i vinti, i Troiani appaiono invece più sereni e spensierati. In Quinto Smirneo il verbo ਕȝʌȑȤȦ è costantemente reso con ਕȝijȑȤȦ come anche ai vv. 466 e 555 di questo stesso libro. 89 Per il verso precedente si confrontino le parole di Virgilio in Aen. 2,31: pars stupet innuptae donum exitiale Minervae | et molem mirantur equi. Il poeta latino immagina il ritrovamento di Sinone in un acquitrino lontano dal cavallo, in una maniera certo più poetica ma meno realistica (Aen. 2,57-62). Sul carattere di Sinone e sul suo atteggiamento di fronte ai Troiani si veda Campbell 1981, 117-126. 90 Cfr. Verg. Aen. 2,63-64: undique visendi studio Troiana iuventus | circumfusa ruit certantque inludere capto. La seconda sillaba del primo piede è abbreviata al fine di evitare la sequenza iniziale di due spondei (Quinto Smirneo, dopo aver privilegiato lo spondeo per l’incipit del versi, torna a puntare sul dattilo negli ultimi libri del poema: per tale preferenza «il peut être considéré à ce titre comme un précurseur de Nonnos», secondo Vian 1959b, 226). 91 Per questa immagine, molto frequente in Quinto (2,522-523, 5,461462, 8,197-198 e 338-339) si veda principalmente Il. 15,618-621, 17,434-435 e 747-751, Od. 17,463-464 e Apoll. Rh. 3,1294-1295. 92 Anche in Virgilio (in particolare, si veda Aen. 2,90-100 e 122-123) Odisseo è rappresentato come il promotore del sacrificio di Sinone. 93 Quinto, così come Virgilio, collega la fabbricazione del cavallo alla volontà di placare l’ira di Atena scatenata dal ratto del Palladio (così almeno fanno pensare i passi 12,37-38 e 377-378, poiché il poeta non menziona mai esplicitamente tale motivazione; si confronti Verg. Aen. 2,162-188) e la affianca al sacrificio di Sinone atto a conciliarsi preventivamente le divinità marine. 94 Cfr. Od. 3,445 e Apoll. Rh. 1,409. 95 Cfr. Eur. Her. 1227-1228 e supra 3,8-9. 96 In pochi versi viene introdotto il personaggio di Laocoonte che, sconvolto per l’intervento divino di Atena, sarà presto abbandonato dai suoi concittadini, disposti ad aprire le porte della propria città pur di prevenire ulteriori disgrazie (vv. 395-443). Sul ruolo di Laocoonte, sui rapporti tra la rappresentazione di Quinto Smirneo e quella virgiliana e sulle rispettive fonti, si vedano Vian 1959b, 64-68 e Gärtner 2009. Secondo Od. 8,505-510

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    NOTE AL TESTO

    e Apollod. Ep. 5,16, il dibattito sulla natura del cavallo è successivo all’ingresso di questo nella città. Quinto Smirneo affianca a questa versione la tradizione che prevedeva la discussione nella stessa pianura e la ambienta subito dopo l’interrogatorio di Sinone (12,389-394; Virgilio, in Aen. 2,3256, prevede il tutto prima dello stesso ritrovamento del profugo greco). 97 Cfr. supra 12,94-95. 98 Termini analoghi sono stati utilizzati dal poeta per trattare la follia di Aiace (si veda supra 5,325-328). 99 La similitudine riprende l’immagine impiegata da Quinto Smirneo in 3,578-581, 7, 229-230 e 10,415-416 (per le relative fonti si confrontino Il. 9,13-15, Od. 19,205-208 e Apoll. Rh. 4,1456). 100 L’intervento congetturale di Hermann punta alla soluzione dello iato dopo vocale breve in sede di terzo trocheo, a giustificazione del quale non si è trovato alcun riferimento. 101 Il glaucoma e i successivi improvvisi malanni del sacerdote troiano sono descritti metodicamente e con grandissima precisione, senza che si conoscano ulteriori riferimenti a questo aspetto del racconto. Si può supporre che il poeta abbia qui elaborato indipendentemente questo episodio, forse ispirandosi all’omonima tragedia sofoclea. 102 Simile la situazione in Verg. Aen. 2,228-230: tum vero tremefacta novos per pectora cunctis | insinuat pavor, et scelus expendisse merentem | Laocoonta ferunt; il v. 417 è raffrontabile a 10,305. Il senso di ਝȖİȜİȓȘ è tuttora dibattuto (così in Campbell 1981, 145: «what meaning Quintus attached to this title I should not like to conjecture»). 103 La giustificazione che l’editore Vian fornisce per questo passo, apparentemente semplice, e alla quale peraltro si rimanda (Vian 3, 219-220 n. 3), è completa e convincente. Si noti tuttavia come sia affascinate la proposta di M.L. West per la ricostruzione del periodo secondo il seguente riordinamento dei versi: vv. 419, 418, 421 e 420 (il tutto potrebbe essere giustificato dalla mise en page di un antigrafo su due colonne assai serrate; si veda Vian 1959a, 119-120). 104 La particella ਙȡĮ, congetturata da Köchly e Zimmermann (si veda Vian 1959b, 199), garantisce al passo una migliore consequenzialità. 105 Cfr. Eur. Tr. 537 e Verg. Aen. 2,236-237. 106 Totalmente diversa la versione data nell’Eneide: nel discorso ingannatore di Sinone, viene svelato il progetto acheo di aumentare le dimensioni del cavallo oltre quelle delle mura per evitare che i Troiani potessero portare il dono votivo all’interno della città e ottenere la protezione della divinità; saranno appunto i cittadini di Troia a fare una breccia nelle mura e dotare l’artefatto di ruote (rispettivamente, Verg. Aen. 2,185-188 e 235-236). L’eli-

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    sione congetturata da Köchly provvede ad eliminare il problema metrico al quinto metron del verso. 107 Cfr. Verg. Aen. 2,235. 108 Questa figura, già esperita da Euripide (Tr. 537 ss.), riprende l’alaggio della nave Argo descritto da Apollonio Rodio nel primo libro delle sue Argonautiche. Sulle fonti di questo episodio si veda Vian 1959b, 68-69. 109 Il particolare delle corone non è menzionato da Euripide ed è forse solo accennato da Virgilio con un generico «fronde» (Aen. 2,249); tale aggiunta del poeta rispecchia perfettamente il gusto artistico dell’ornamentazione floreale testimoniato ad esempio dalla produzione pittorica pompeiana. 110 Cfr. Il. 15,368 e qui 6,337-338. 111 Cfr. Plaut. Bacch. 955 e Verg. Aen. 2,234. 112 Cfr. Eur. Tr. 527-530 e 545-547, Verg. Aen. 2,238-239 e i medesimi riferimenti iconografici nelle pitture pompeiane. 113 Si apre con questo verso il racconto della morte dei figli di Laocoonte (vv. 444-497). Il poeta attinge direttamente ad un’antica tradizione (al sacerdote viene risparmiata la vita, i serpenti spariscono nel santuario di Apollo...) senza preoccuparsi di adattare il tema a questa nuova narrazione né fornire spiegazioni al lettore. Da questo momento non si avrà più un’evoluzione nel racconto e Quinto Smirneo procede per episodi giustapposti. 114 A Köchly il verso non sembrò raccordarsi con quanto detto prima e, per tale motivo, egli suppose la presenza di una lacuna prima del v. 447; la bontà del testo è garantita da 14,272 e 625 e, inoltre, da Od. 7,216 (i rapidi cambiamenti di scena e la giustapposizione di elementi diversi fanno invece parte della tecnica compositiva di Quinto Smirneo). Il sintagma IJ૶ į¶ਥʌ੿ ha il valore di formula di transizione come, ad esempio, in 13,251. 115 Un probabile elemento di confronto è rappresentato da Verg. Aen. 2,199. 116 Tifone è il padre di numerose creature mostruose (si veda, ad esempio, Hes. Th. 306-308). Non vengono fornite precise indicazioni topografiche che possano permettere di individuare l’isola dalla quale provengono tali mostri marini (come se il poeta volesse con ciò indicare genericamente un anfratto sottomarino); in Virgilio (Aen. 2,203) e Igino (Fab. 135) i serpenti provengono dall’isola di Tenedo. 117 Cfr. Verg. Aen. 2,203-209 e, forse addirittura meglio, Petr. 89,31. 118 Cfr. Verg. Aen. 2,211-212. 119 Sebbene Struve, seguito poi da Nauck e Zimermann, abbia proposto di correggere il passo sulla base di una presunta contraddizione tra proposizioni principale e subordinata, non sembra necessario apportare tale

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    NOTE AL TESTO

    variazione. Vian, credendo anch’egli nella genuinità del testo, fece notare come in questo caso Quinto Smirneo avesse rielaborato, intrecciandoli, Il. 17,156-157 e Od. 3,104 (Vian 1959b, 153). 120 Sulla locuzione ਗȞ įȑ si veda Vian 1959b, 156-157. 121 L’espressione ricorda Od. 12,257 (ripresa anche in Od. 11,516 e 22,229 e in 7 passi dell’Iliade) dove si narra la morte dei compagni di Odisseo divorati da Scilla. L’immagine manca del tutto in Virgilio ma è presente in Petronio (89, 44-45). 122 Cfr. Petr. 89, 49. In Quinto Smirneo i serpenti marini divorano solamente i giovani figli del sacerdote secondo la tradizione già seguita da Sofocle per il suo Laocoonte, da Licofrone (347) e da Apollodoro (Epit. 5,18); nell’Ilioupersis di Arctino, invece, si narrava della morte dello stesso sacerdote insieme al solo figlio maggiore (tale simbolismo voleva presagire lo sterminio della discendenza diretta della famiglia reale troiana; il cadetto Enea, infatti, abbandona la città). Ancora, Virgilio narra la morte dell’intera famiglia del sacerdote (Aen. 2,212-220): la scena sarà fissata nel marmo del celeberrimo gruppo scultoreo conservato presso i Musei Vaticani. 123 La forma verbale ijĮȓȞİș’, da noi intesa come indicativo presente, potrebbe significare che ai tempi del poeta tale traccia era ancora visibile (stride comunque la mancanza della locuzione ਩IJȚ țĮ੿ Ȟ૨Ȟ che in questi casi il poeta usa spesso). 124 Pur avendo parlato esplicitamente di Atena, qui il poeta ritorna ad una tradizione più antica (si vedano, ad esempio, Apollod. Epit. 5,18, Bacchyl. fr. 9 e Hyg. Fab. 135) che voleva Apollo come suscitatore dei serpenti; Virgilio, invece, parla del tempio di Atena (Aen. 2,225). 125 Cfr. Il. 5,649 e Hes. Op. 133-134. 126 L’immagine dei vv. 489-494 è analoga a quella utilizzata in 7,330-335, le cui fonti sarebbero da identificare con Il. 2,311-316, Mosch. Meg. 21-26, Opp. 1,727-731 e 5,579-586. 127 Il poeta inserisce qui una breve parentesi sui presagi funesti che si manifestano ai Troiani (vv. 498-524). 128 Variazione dell’espressione utilizzata anche in 3,344 e 6,14. 129 Il termine ਥııȣȝȑȞȠȚȠ, contestato da L. Castiglioni, è invece garantito dal confronto con 2,351. 130 Si confronti il racconto di Virgilio sui presagi funesti scatenati dalla stessa Atena contro gli Achei che avevano rapito il Palladio dal tempio della divinità (Aen. 2,172-175). 131 Tra i versi 510 e 511 Köchly ipotizzò una lacuna di un solo verso così come accettato in questa edizione e in quella curata da Pompella.

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    Cfr. Callim. H. 2,6; Nonn. D. 7,317 e 44,21 e, in particolare, Il. 5,749 e Apoll. Rh. 4,41. 133 Cfr. Arat. 1003; il cupo gracchiare degli uccelli notturni richiama intensamente il rumore delle porte che si aprono, così come sembra sottolineare il preverbo nella forma ਥʌİıIJİȞȐȤȠȞIJȠ. 134 Così come al v. 231, il codice M offre la lezione che appare genuina contro i manoscritti PH: l’elemento ਥȞ- è rafforzato – e a sua volta rafforza – dell’incipit del v. 518. Inoltre, l’immagine di animali selvatici che solitamente si nutrono di cadaveri aumenta la negatività del presagio (non ci sarebbe nulla di anormale nel sentire tali bestie ululare all’esterno delle mura cittadine). 135 Ai vv. 500-520 Quinto sviluppa l’elenco degli eventi funesti che sono narrati in Apoll. Rh. 4,1284-1287. Per questa parte si veda Vian 1959b, 6970. 136 Il sintagma ਫ਼ʌઁ ijȡȑȞĮȢ può essere quasi ritenuto formulare e viene di solito impiegato in frasi affermative; per Vian (Vian 1959b, 201) è stato copiato ਥʌ੿ forse per «le tour négatif» della proposizione. 137 Si entra qui nell’ultima sezione di questo libro, quella dedicata alla figura di Cassandra (vv. 525-585). Pur potendosi dilungare sulla vicenda amorosa tra la sacerdotessa e il dio Apollo e, quindi, sulle motivazioni del castigo di lei, Quinto Smirneo passa sotto silenzio tutta la storia e liquida la questione con i generici vv. 527-528. Sul ruolo della profetessa si veda Campbell 1981, 176-178. 138 Il modello di tale immagine è identificabile in Il. 21,573-578, 5,136142, 16,752 e 20,164-173 ed è stato rielaborato già in 5,371, 6,396 (assai vicino al passo di questo libro) e 7,464. Tra i vv. 532-533 è verosimile ipotizzare una breve lacuna testuale, nella quale si sarebbe potuta esplicitare meglio la similitudine (in particolare, sembra mancare un parallelo tra il grido della donna e il ruggito dell’animale). 139 Per Omero il sostantivo ȝİIJȐijȡİȞȠȞ indica la parte superiore del dorso compresa tra le scapole mentre in Quinto Smirneo è utilizzata per indicare la sezione dorso-lombare della schiena, in corrispondenza del diaframma. 140 Dello stile oracolare (si confronti anche il v. 540 di questo stesso libro, ȕોȝİȞ ਫ਼ʌઁ ȗȩijȠȞ) Cassandra inverte la formula ‘classica’ impiegata, ad esempio, in 1,425. ਜ਼ȜİIJȡȠȢ è personificato (si vedano 2,486 e 13,20). 141 Con Vian (Vian 3, 222 n. 3), riteniamo che non sia necessario supporre un lacuna testuale come proposto da Köchly: il relativo ੖ potrebbe riferirsi direttamente ad ੗ȜȑșȡȠȣ del v. 543 – ove non abbia un mero valore riassuntivo. Immaginando un’espressiva gestualità di Cassandra, tutto sembra ben accordarsi. 132

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    NOTE AL TESTO

    In tutto il discorso Cassandra non fa menzione delle sue intenzioni che vengono invece esplicitate nel discorso dell’anonimo troiano e, direttamente, dalle azioni della sacerdotessa come si intuisce dai vv. 568-571 (il tutto sembra verosimile per colei che è stata condannata a non essere mai creduta da nessuno e tenta la persuasione attraverso i fatti; inoltre, si confronti la tecnica narrativa già utilizzata per il discorso di Sinone); si confrontino queste parole con quelle di Teoclimeno in Od. 20,351-357. Dopo il v. 551 Hermann ipotizzò una lacuna testuale di un verso che non ci sembra necessaria. 143 Lo iato dopo vocale breve in sede di quinto trocheo può essere ammesso poiché Quinto Smirneo ne ammette alcuni soprattutto con certe parole (tra le quali, appunto, ੅ʌʌȠȢ: 1,619 e 12,423 dopo desinenza di dativo; qui e 1,624 dopo desinenza -IJȠ). 144 Sulle profezie di Cassandra e le loro relazioni con i modelli, si rimanda a Vian 1959b, 70-71. Tra le congetture proposte per correggere l’inamissibile iato dopo vocale breve al terzo trocheo di questo verso abbiamo scelto quella di Vian: ıijĮȢ, proposto da Köchly, è sistematicamente ignorato dal nostro poeta; l’uso del verbo ਩ʌİȚȝȚ con il dativo (in tal caso ıijȚȞ, avanzato da Rhodomann) è limitato solo a necessità metriche. 145 Sebbene il ricorso omerico alla forma eolica ʌȩȡįĮȜȚȢ fosse stato criticato da Aristarco, Quinto Smirneo sembra utilizzare ugualmente tale espressione. Oltre a questo passo, testimoniato da :, si vedano 1,480, 1,541 (:, corr. in margine P2), 3,202 (Y), 5,19 (P) e 248 e 10,183. 146 Il poeta sembra qui contaminare Il. 17,108-112 e la rielaborazione dello stesso passo che aveva impiegato in 7,486-492. 142

    Libro tredicesimo Il libro XIII narra il sacco di Troia da parte dei Greci, ovvero l’evento culminante di tutta la guerra e quindi dell’intera saga troiana. Dei tre momenti nei quali era tradizionalmente scandita la narrazione della distruzione di Troia (in greco 'Il…ou pšrsij o -PfSY…P[WMN), ovvero il massacro, l’incendio e la spartizione del bottino, questo libro copre il primo e il secondo, mentre il terzo occuperà la prima parte del libro successivo. L’esposizione ha una struttura essenzialmente ‘ad occhiale’: all’interno dell’ampia narrazione collettiva del massacro dei Troiani (1-167), che culmina nell’incendio della città (430-95), si inserisce il racconto di singoli episodi nei quali si compie il destino di alcuni dei principali protagonisti del mito (168-429); conclude il libro, a mo’ di appendice, un’ulteriore sezione in cui il poeta si concentra nuovamente sugli accadimenti di singoli personaggi (496-563). Il 1

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    canto si apre descrivendo l’intera città di Troia in festa, tra danze e banchetti (1-20); durante la notte, sceso il sonno sui Troiani, Sinone dà il segnale: i Greci che sono all’interno del cavallo ne fuoriescono e iniziano a far strage dei nemici, mentre quelli che sono presso Tenedo si ricongiungono ai compagni penetrando anch’essi in città (21-77). Inizia allora il vero e proprio massacro dei Troiani (78-144); durante la battaglia che ne nasce, tuttavia, cadono anche alcuni Greci (145-167). La scena, da generale che era, si stringe ora su alcuni personaggi: Diomede fa strage di nemici, tra i quali Corebo e Ilioneo (168-212); Neottolemo uccide Priamo (213-250); Astianatte è ucciso dai Greci e la madre Andromaca viene condotta in schiavitù (251-290), mentre Antenore viene risparmiato (291-299); Enea fugge dalla città con il padre e il figlio, mentre Calcante profetizza il futuro della sua discendenza (300-353); Menelao uccide Deifobo e ritrova Elena che tuttavia non uccide (354-415); infine Aiace Oileo stupra Cassandra all’interno del tempio di Atena (415-429). Intanto ormai Troia è in fiamme e crolla dalle fondamenta (430-495). Nel frattempo Demofonte e Acamante ritrovano Etra, loro nonna (496-543), mentre Laodice va incontro a una morte prodigiosa (544551); sullo sfondo della città ormai totalmente in preda ai nemici è infine narrato un a‡tion relativo ad Elettra, una delle Pleiadi (551-563). La prima parte del canto – così come il quadro finale con la descrizione dell’incendio di Troia – appare costruita in modo coerente e compatto, nonostante le tre lacune presenti tra il v. 60 e il v. 77 comportino alcune difficoltà nel ricostruire con esattezza la fase della narrazione nella quale si svolgeva in simultanea l’azione dei due diversi contingenti greci, quello che era dentro al cavallo di legno e quello che era sulle navi. Le scene corali presentano dei cataloghi caratterizzati spesso da un ritmo binario o ternario, al fine di variare la narrazione e di dare un’idea quanto più completa dei differenti casi possibili in relazione alle situazioni descritte (così ad es. ai vv. 88-99 alcuni Troiani semplicemente muoiono, altri sono orrendamente mutilati, altri ancora sono trafitti alle spalle mentre fuggono; a vv. 109-122 davanti all’irrompere dei nemici alcune donne rimangono ferme e come inebetite, altre si disperano, altre ancora provano a reagire con coraggio; infine a vv. 146-164 alcuni Troiani provano a difendersi con oggetti di fortuna, altri con armi non convenzionali, altri ancora con armi d’offesa tradizionali). La seconda parte del canto invece è strutturata in modo meno uniforme e si presenta come una serie di scene giustapposte, nonostante il tentativo del poeta di dare un’impressione di continuità adoperando formule di transizione per passare da una vicenda all’altra (vd. vv. 291-2 e 415-9) e ricordando costantemente il quadro generale di devastazione nel quale i personaggi si trovano a muoversi (vd. vv. 173; 207-12; 324-6; 352-3). I singoli episodi sono affiancati da Quinto così da formare dei dittici che trovano ragion d’essere nell’analogia e nel contrasto instaurati da tali accostamenti: così ad un Ilioneo che prega

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    NOTE AL TESTO

    invano di non essere ucciso in virtù della sua vecchiaia si contrappone un altrettanto anziano Priamo che invece desidera morire; se Astianatte, nonostante la sua giovanissima età, viene crudelmente ucciso, Andromaca, nonostante voglia morire anch’ella, viene altrettanto crudelmente risparmiata; Antenore ed Enea sono accomunati dal fatto di essere gli unici troiani che si salvano dalla strage, l’uno per volontà dei Greci, l’altro per volontà degli dèi; infine se Menelao compie finalmente giustizia uccidendo Deifobo e ristabilendo il proprio vincolo matrimoniale con la moglie Elena, Aiace Oileo compie invece la più grande delle empietà stuprando la sacerdotessa Cassandra. Anche nell’appendice finale sembra entrare in gioco lo stesso meccanismo: si descrive il destino di tre diverse donne, tra le quali Laodice ed Elettra sono accomunate dall’inestinguibile dolore per il destino di Troia e dal carattere meraviglioso delle loro storie che da questo dolore trae origine (per l’accostamento tra Etra e Laodice vd. n. 102). Per questo libro Quinto sembra che si sia limitato a riportare e combinare le numerose fonti di cui disponeva, attingendo in modo piuttosto eclettico ad esse. La nostra conoscenza solo sommaria e frammentaria delle saghe epiche arcaiche relative alla distruzione di Troia, la Piccola Iliade attribuita a Lesche e l’Ilioupersis attribuita ad Arctino, non permette un confronto sistematico. La mediazione di opere mitografiche spiega forse perché Quinto a volte si trovi d’accordo con la versione dei fatti che si trovava nella Piccola Iliade, altre invece con quella presente nell’Ilioupersis senza un criterio stabile. L’apporto di queste fonti posteriori ai poemi ciclici ha comportato inoltre la presenza di versioni ‘recenti’ del mito, spesso attestate solo a partire da età ellenistica, quali la decapitazione di Priamo, lo stupro di Cassandra all’interno del tempio, l’episodio di Laodice e il racconto eziologico relativo ad Elettra. Tra questi autori si possono con tutta probabilità inserire Euripide, che sui temi del ciclo troiano aveva costruito molte delle sue tragedie, e Licofrone, che per alcuni passi di questo libro sembra essere una fonte diretta. A lungo discussa è stata la presenza di Virgilio in Quinto. Se soprattutto in passato si è creduto che l’Eneide fosse una delle fonti di Quinto (vd. soprattutto Kakridis e Keydell) e anche recentemente l’ipotesi di una conoscenza diretta di Virgilio da parte del poeta greco è stata rivalutata (vd. da ultimi Gärtner 2005 e James 2007), più prudente e condivisibile appare la posizione di Vian, che riprende quanto sostenuto già da Heinze. Vian costata che le divergenze tra i due prevalgono sulle somiglianze (per altro in parte inevitabili, data l’identità delle vicende narrate) e che quanto di originale è presente nell’autore latino (soprattutto per quanto riguarda in questo libro la figura d’Enea) è invece assente in quello greco. Dunque i punti di contatto, pur presenti, devono essere più verosimilmente ricondotti a fonti ellenistiche comuni a entrambi, ora perdute; d’altro canto le strettissime analogie, formali e lessicali, che, proprio relativamente alla vicenda di Enea, si riscontra-

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    no invece tra Quinto e un testo come Or. Sib. 11,144-62 sembrano confermare quest’ipotesi (Vian 1959b, 55-57; 72-76; 95-101; Vian 3,121-3). Bisogna infine considerare le numerose rappresentazioni figurate che avevano la caduta di Troia come soggetto: da una parte queste possono essere state una fonte diretta d’ispirazione per il poeta, dall’altra sono per noi preziose testimonianze di tradizioni e varianti mitiche conosciute da Quinto e forse presenti in opere letterarie non giunte fino a noi. Tra queste fonti iconografiche un’importanza particolare rivestono le Tabulae Iliacae, e in particolare quella Capitolina (indicata con la lettera A, secondo le sigle, qui utilizzate, stabilite da Anna Sadurska), derivante con ogni probabilità da un prototipo ellenistico, forse un affresco (Sadurska 1964,34), e indicante come una delle proprie fonti letterarie l’Ilioupersis di Stesicoro (Stesich. fr. 205 Davies; la questione dell’effettivo rapporto tra il manufatto e il carme stesicoreo è stata ampiamente dibattuta: basti citare Horsfall 1979 e, da ultimo, Scafoglio 2005). 2 Numerose le attestazioni dei festeggiamenti e delle bevute che precedettero la presa di Troia nelle fonti: Piccola Iliade (Procl. Chrest. 206 Seve.); Ilioupersis (Procl. Chrest. 239 Seve.); Apollod. Epit. 5,17; Eur. Tr. 542-50 e Hec. 914-23; Verg. Aen. 2,265; D. Chr. 11,128; Hyg. Fab. 108,3; Tryphiod. 448-53, 498-502; Tzetz. Posthom. 716-718. 3 L’incipit del verso sembra rifarsi alla frequente formula omerica ïde dš tij e‡pesken che introduce un discorso diretto genericamente riferito a uno tra i tanti (cfr. già 1,750); qui però il discorso diretto inizierà solo al verso 15, con una costruzione ad accumulo quasi anacolutica – di grande efficacia narrativa per descrivere l’ubriachezza – che distanzia di molto il soggetto e il verbo di dire finale. 4 Stesso concetto e parole molto simili in Il. 4,179. Da notare che oltre all’aggettivo …PMSN che vuol dire “invano, inutile” – significato confermato per questo verso anche dal passo omerico menzionato – ve n’è un altro, identico, che invece vuol dire “marino, marittimo”: la coincidenza sembra dare vita a un soggiacente doppio senso per il quale l’esercito è stato condotto dai Danai a Troia “invano” ma anche “per mare”. 5 Con quest’esclamazione Quinto anticipa ciò che sta per accadere: in particolare quest’uso di n»pioj, che si riscontra anche altrove nel poema (cfr. 1,374; 10,94; 10,329; 13,174), risulta una tecnica ben nota all’epica omerica, in particolare nell’Iliade, e come in Omero Quinto la impiega per creare un effetto d’ironia tragica e sottolineare la fragilità e la vanità umana di fronte al destino (Schmitz 2007,68). 6 Vian corregge il verbo tràdito ¢napl»qontaj con ™nipl»qontaj sulla base di 1,527; 2,472; 4,391 e 6,498. 7 Sinone si comporta secondo il piano elaborato in precedenza (cfr.

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    NOTE AL TESTO

    12,42-3). Quinto segue la versione più diffusa: in un’altra tradizione Sinone mandava il segnale verso Tenedo non dalla città, ma dall’alto della tomba di Achille (Apollod. Epit. 5,19; Tryphiod. 510-1); un’altra ancora voleva che il segnale fosse dato da Elena (Verg. Aen. 6,515-9 e Tryphiod. 495-6 e 512-3, dove Elena si aggiunge a Sinone). Per la figura di Sinone in generale vd. invece Jones 1965. 8 La stessa frase si trova più avanti a 14,41-2. 9 L’insistenza sull’ubriachezza dei Troiani e l’idea che per essi si trattava della loro ultima notte dovevano essere topiche: cfr. Petr. 89,62-4, in cui è presente anche l’immagine del sonno che diventa senza soluzione di continuità morte, presente anche qui al v. 125. 10 Secondo il piano prestabilito (cfr. 12,44-5) Sinone avverte i compagni che è l’ora di agire; invece nella tradizione presente in Apollod. Epit. 5,20 (cfr. nota precedente) Sinone si trovava fuori le mura di Troia e i Greci dovevano decidere da soli il momento opportuno per uscire dal cavallo. 11 Il significato del verbo Ðrma…nw, come in 8,43, ha qui un’accezione, non omerica, che è contemporaneamente di desiderio e di movimento (cfr. Vian 1959b, 206). 12 Quinto sembra ispirarsi a Od. 4,283-4, dove, nel racconto di Menelao, Odisseo trattiene lo stesso Menelao e Diomede dal rispondere ad Elena che da fuori il cavallo li chiama. 13 Secondo la versione più comune, seguita da Quinto (cfr. 12,330-4), il cavallo viene aperto dall’interno (Od. 11,525; Apollod. Epit. 5,20; Petron. 89,57; Tryphiod. 539); secondo un’altra tradizione presente in Lycophr. 3407 il cavallo è aperto da Antenore, mentre Sinone dà il segnale a quelli che sono sulle navi; in Verg. Aen. 2,256-9 (seguito da Hyg. Fab. 108,3) invece è Sinone stesso ad aprire il cavallo, dopo aver ricevuto un segnale dai Greci che con le navi giungono da Tenedo. 14 Il gesto di Odisseo qui descritto ricorda, secondo la testimonianza di Paus. 1,23,8, la statua bronzea del “Cavallo di Troia” opera di Strongilione (fine V sec. a.C.), che era presso il tempio di Artemide Brauronia sull’acropoli di Atene: essa infatti rappresentava Menesteo, Teucro e i due figli di Teseo mentre sbucavano dal cavallo. 15 Per questa similitudine cfr. soprattutto Apoll. Rh. 2,123-8. L’immagine ritorna anche ai vv. 72 ss. e 133 ss. e, dal momento che sottolinea una violenza bruta che si accanisce su una preda inerme e indifesa, sembra particolarmente adatta per descrivere l’assalto a tradimento sferrato dai Greci ai Troiani; da notare in questo caso come siano descritti solo i prodromi dell’assalto del lupo, dato che gli stessi Greci non hanno ancora iniziato il massacro. Per il sintagma ¢rgalšV limù (v. 44), che torna al v. 72, cfr. 5,407

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    e 8,177 (dov’è leggermente variato); in quest’ultimo passo si trova anche la stessa clausola bebolhmšnoj Ãtor, già omerica (Il. 9,9). 16 Sono le scale già menzionate a 12,333. I Greci utilizzano delle scale anche in Triphiod. 70 e nella Tab. Il. A e NY (come in altre testimonianze iconografiche); invece in Apollod. Epit. 5,20 e Verg. Aen. 2,262 i Greci scendono con delle corde. 17 La similitudine riprende quella presente in 8,41-4, con la variante (dovuta ai differenti termini di paragone) che lì le vespe uscivano da una parete rocciosa, qui da un tronco d’albero; in Tryphiod. 534-8 è utilizza un’immagine analoga. 18 Lo stesso verbo si ritrova in Od. 8,515, dove si dice che i Greci ƒppÒqen ™kcÚmenoi. 19 Il verso 61, in quanto ipermetro, è corrotto o lacunoso; è più probabile però che vi sia una lacuna, perché la fine del v. 60 lascia intendere che i Greci si dividano in due gruppi, dei quali uno inizia a far strage dei nemici, l’altro invece occupa le porte della città (cfr. Apollod. Epit. 5,20 e Verg. Aen. 2,2657). È inoltre possibile che da un punto di vista codicologico questa lacuna sia da mettere in relazione con quella presente tra i vv. 75 e 76: può darsi infatti che esse siano dovute alla perdita della parte superiore di un foglio dell’archetipo che conteneva sul recto la prima lacuna e sul verso la seconda; la parola dusmenšaj si sarebbe conservata in quanto ‘richiamo’ posto alla fine del fascicolo precedente (Vian 3,116, n. 2). 20 Sul significato degli aggettivi ¥bromoj (v. 68) e aÙ…acoj (v. 70) già discutevano gli antichi a proposito di Il. 13,41, dove si trovano accoppiati nella formula ¥bromoi, aÙ…acoi. Per Aristarco, seguito da Aristonico, l’alfa è intensiva e gli aggettivi significano quindi “rumoroso, chiassoso”; per Apione, e con lui Esichio, l’alfa invece è privativa e il significato è dunque “silenzioso, privo di rumore”. Il passo di Quinto è di per sé (forse volutamente) ambiguo e non è facile scegliere tra questi due opposti significati; tuttavia la situazione descritta (i Greci che nottetempo entrano in città), l’uso che Apollonio Rodio fa dell’aggettivo ¥bromoj (che in 4,153 vuol dire senza dubbio “silenzioso”) e il confronto con Virgilio (Aen. 2,255: tacitae per amica silentia lunae) e Trifiodoro (530-2) fanno propendere per la traduzione adottata. Vian (così come Pompella) preferisce invece il significato opposto, alla luce del confronto con la similitudine di 6,341-7. 21 La similitudine, lacunosa, doveva essere simile a quella dei vv. 44 ss. – con la quale condivide, nel primo verso e nella stessa posizione metrica il sintagma ¢rgalšV limù – e a quella successiva dei vv. 133 ss. Il verbo peripaif£ssw è un hapax. Per il dettaglio dell’assenza del pastore, funzionale in questa circostanza per sottolineare il fatto che i Troiani sono del

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    NOTE AL TESTO

    tutto inermi e indifesi, cfr. in particolare 1,524-7 e, come modello omerico, Il. 15,323-5. 22 Il verso è una variante di 3,173. 23 Una similitudine analoga si trova già a 5,298-9 (per il modello omerico cfr. Il. 15,690-2). Al v. 107 per la grafia ¢natr…zousi cfr. 6,109. 24 Per quest’immagine cfr. Eur. Hec. 933-4: P{GLHäJfPMEQSR³TITPSN lipoàsa. Ma l’intera descrizione delle differenti reazioni delle donne Troiane (vv. 103-123) – quasi un ‘focus’ che s’inserisce nella più vasta sezione relativa al massacro compiuto dai Greci – è una scena ‘di genere’ piuttosto stereotipata: si notino ad esempio le somiglianze con un testo del tutto differente come Ov. Ars 1,119-24 a proposito del ratto delle Sabine, versi preceduti inoltre da una similitudine analoga a quella delle gru qui presente (v. 117: Ut fugiunt aquilas, timidissima turba, columbae). 25 Emistichio quasi identico in Mosch. Eur. 17: la somiglianza non sembra casuale se si confronta anche il verso 16 (in cui Europa si sveglia di soprassalto) con quanto descritto da Quinto al v. 109. 26 Il poeta sembra descrivere esattamente il gesto con il quale era rappresentato il tipo scultoreo della “Venere pudica”, in cui la dea si copre con la mano sinistra l’inguine e con la destra il seno. Quest’iconografia, nata come variante della celebre “Afrodite Cndia” di Prassitele, ebbe un’enorme diffusione nel periodo ellenistico e imperiale, come testimoniato dalle numerosissime statue e copie romane ad essa riconducibile. 27 Affermazione frequente in Quinto: cfr. 2,275; 12,60-1; 14,564. 28 Simile considerazione è presente anche a 14,387-9. I versi relativi agli infanti terminano sicuramente qui: i successivi si riferiscono nuovamente ai Troiani adulti (vd. Vian 3,117, n. 2); data la brevità di questo accenno si può al massimo ipotizzare una lacuna dopo il v. 123. 29 Cfr. n. 9. 30 La similitudine riprende Od. 11,413-5 (passo in base al quale è preferibile la lezione ¢fneio‹o ad ¢fneioˆ); il fatto che il banchetto in Quinto sia offerto al popolo tutto sembra essere un anacronismo dettato dalle usanze del periodo imperiale, come giustamente osserva Vian 3,133, n. 6. 31 Per la similitudine cfr. nn. 15 e 21; i dettagli presenti ai vv. 134-7 sembrano essere un’originale aggiunta di Quinto. 32 Il tema della resistenza troiana (vv. 145-64) è presente anche in altre fonti: Il. Parv. fr. 10 Bernabé; Verg. Aen. 2,366-8; Paus. 10,25,5 (della descrizione dell’Ilioupersis di Polignoto); Dio Chr. 11,29. La formula di passaggio qui presente è molto simile a 2,529-30 e 9,180 e si ispira a Il. 17,363. 33 L’immagine dei Troiani che provano a difendersi utilizzando le suppellettili domestiche come armi di fortuna trova riscontro nell’iconografia,

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    come ad esempio sull’“Idria Vivenzio” (480 a.C. ca., pittore di Kleophrades, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 81669), nella quale è raffigurata Andromaca che combatte con una sorta di bastone. 34 Il testo in questo passaggio è ambiguo: infatti non è chiaro se le dita di costoro sono recise perché istintivamente provano a difendersi a mani nude o se invece sono recise mentre provano a sfoderare le spade per contrattaccare. È più probabile tuttavia che si debba optare per la seconda ipotesi, perché i Troiani di cui qui si parla colpiscono i Greci con “scuri ed agili asce” (v. 151), mentre quelli che adoperano la spada sono nominati solo più avanti (v. 163), secondo un preciso ordine (che vede un’escalation dei mezzi di difesa che va dagli oggetti domestici, alle armi meno convenzionali fino ai veri strumenti bellici; per questa struttura narrativa vd. n. 1): bisogna dunque dedurre che la spada cui si accenna in questi versi è quella di un Greco che tenta l’estrema difesa (Vian 3,118, n. 2). È comunque importante sottolineare che quel che interessa al poeta in questo contesto non è tanto la precisione della descrizione, quanto il quadro generale arricchito dal dettaglio macabro. 35 La scelta della lezione di H (˜t£roio) o di P (˜tšroio) può cambiare sensibilmente il senso della frase: nel primo si tratterebbe di un Greco che per sbaglio colpisce un compagno, nel secondo di un Troiano che colpisce invece un altro tra i Greci. La seconda opzione è preferibile, sia perché la pietra è un’arma di fortuna che nel contesto si addice ai vinti, sia perché in questa sezione si descrive la coraggiosa seppur inutile resistenza troiana. 36 In Virgilio questo spunto, forse tratto da un’analoga fonte ellenistica comune, è maggiormente sviluppato: vi è infatti il racconto relativo al greco Androgeo che si imbatte in Enea e nei suoi credendoli erroneamente dei compagni (Verg. Aen. 2,370-85); per l’immagine dell’accensione delle fiaccole cfr. anche Petr. 89,64. Invece qui è da notare che l’ultima immagine del grande quadro generale della presa di Troia, prima che il poeta si concentri su singoli personaggi, è quella del fuoco delle fiaccole: proprio dal fuoco dell’incendio che ormai divampa in città Quinto riprenderà il racconto (v. 430), chiudendo così il cerchio della sua narrazione. 37 Migdone era il re dei Frigi che abitavano presso il fiume Sangario, nominato anche in Il. 3,186-7; il figlio Corebo era il promesso sposo di Cassandra (cfr. Verg. Aen. 2,341-6 che sembra seguire la stessa fonte di Quinto). Dato che giunse a Troia pochissimo prima della presa della città e vi trovò la morte, si guadagnò una reputazione di sciocco che divenne proverbiale (Euphor. fr. 71 Powell; Eustath. Ad Od. 10,552 [1669,46]; Zenob. 4,58); a ciò forse allude anche l’aggettivo n»pioj al v. 174 (per il quale cfr. n. 5), analogo all’infelix di Verg. Aen. 2,345, anch’esso in principio di verso. Quinto segue la Piccola Iliade nell’attribuire l’uccisione di Corebo a Diomede; è

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    invece ucciso da Neottolemo nell’Ilioupersis di Polignoto in Paus. 10,27,1 e da Peneleo in Verg. Aen. 2,424-6. In Pap. Ryl 22 = 18 F 1 Jacoby invece la morte di Corebo avviene sì per mano di Diomede, ma durante il ratto del Palladio: rimane comunque un’attestazione isolata. 38 Un’espressione molto simile poco dopo al v. 246, ma anche già a 6,377. 39 Nella lacuna quasi sicuramente si faceva menzione della promessa sposa Cassandra: cfr. Verg. Aen. 2,342-3. L’intera episodio è costruito sulla falsa riga di quello relativo ad Otrioneo (Il. 13,363-9; cfr. in particolare i vv. 366-7 con i vv. 175-6 di Quinto), anch’egli ucciso poco dopo il suo arrivo e promesso sposo di Cassandra. 40 Il nome Ilioneo è attestato più volte per uomini troiani (Il. 14,492; Verg. Aen. 1,120; Ov. Her. 16,362). Tuttavia in Il. Parv. fr. 14 Bernabé si nomina un tale Eioneo ucciso da Neottolemo: poiché Quinto segue questa stessa tradizione per l’episodio dell’uccisione di Corebo giustamente Vian avanza l’ipotesi che forse bisognerebbe correggere il testo inserendo il nome Eioneo. 41 La scena di un guerriero greco che uccide un Troiano nonostante le suppliche si trova anche nelle Tab. Il. A, E e G. 42 Per il concetto espresso cfr. Il. 22,325 e, già in Quinto, 2,259; 6,555; 9,194; 11,107; la perifrasi appare piuttosto macchinosa e ha dato quindi molto da pensare agli editori del testo (vd. l’apparato critico), ma vuole in sostanza indicare che il colpo ha trafitto la carotide risultando fatale; il sintagma T³XQSN]YG¢N sorprende in quanto pÒtmoj di per sé significa “destino di morte”, ma in realtà ricalca l’espressione omerica ]YG¢NµPIUVSN presente nel passo succitato e deve essere intesa come sinonimo di quest’ultima. 43 Un figlio di Priamo di nome Deiopite è ucciso da Odisseo in Il. 11,420, (cfr. anche Apollod. Bibl. 3,12,5; Hyg. Fab. 90) ma la Tab. Il. D ricorda un Deiopite ucciso da Neottolemo durante la presa di Troia: si tratta forse della stessa tradizione che si trova qui in Quinto. 44 In Il. 24,250 sono citati in quanto figli di Priamo Pammone, Polite e Antifono (cfr. anche Apollod. 3,12,5; Dict. 2,43; Tzetz. Posthom. 446-7); in Quinto tuttavia invece di Antifono si trova Tisifono. Si potrebbe esser tentati di correggere, ma il nome Tisifono compare già a 1,406, in un verso in cui tuttavia il nome è frutto di una correzione sul testo tràdito. Sulla morte di costoro nessuno parla, fuorché Virgilio relativamente a Polite (Aen. 2,526-32). 45 Il verbo katašnnumi “vestire, coprire” cela forse un doppio senso: l’espressione infatti sembra alludere, oltre alla virtù bellica, anche al fatto che Neottolemo era materialmente rivestito (kataeimšnoj appunto) delle armi che erano state del padre.

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    Ovvero Zeus “protettore del recinto”, cioè della casa; è lo stesso altare che Quinto aveva detto a 6,147 “inviolato”, facendo un implicito riferimento a quanto sarebbe avvenuto in questo passo (vd. Schmitz 2007,71), perché è qui che secondo la versione comune del mito viene ucciso Priamo (cfr. n. 53). 47 Il riferimento è ovviamente al riscatto del corpo di Ettore da parte di Priamo narrato nel canto XXIV dell’Iliade; in particolare il verso 233 riprende Il. 24,502 48 La forma ¥ason deriva dal verbo ¥w “saziarsi” e non ¢£w “sconvolgere, ingannare” (cfr. v. 429) come potrebbe sembrare a prima vista. Si tratta probabilmente di una forma ‘distratta’ per motivi metrici; per forme analoghe riconducibili al verbo ¥w vd. Chantraine 1968 s.v. «sai. 49 Differente il racconto in Verg. Aen. 2,507-11 e 533-46 in cui Priamo, armatosi, rimprovera aspramente Neottolemo per il suo comportamento, paragonando l’umanità del padre in occasione della restituzione del corpo di Ettore con la crudeltà del figlio (un topos che si trova anche in Dio Chr. 11,154 e Tryphiod. 636-39), per poi tentare una vana difesa. Più in generale in Virgilio la scena dell’uccisione di Priamo è tratteggiata in modo molto più patetico e Neottolemo è decisamente dipinto come crudele e spietato, differentemente che in Quinto dove in pratica egli esegue gli ordini dell’anziano re (su questo punto cfr. Ferrari 1963, 44-5). 50 Per questo verso cfr. Eur. Alc. 301, in cui lo stesso concetto è espresso con parole molto simili. 51 Il sostantivo k£rh è qui femminile alla luce del v. 244, ma è comunque coniugato come indeclinabile; Bonitz preferisce la correzione k£rhn, ma si tratta di una forma non altrove attestata in Quinto. Sulla questione cfr. anche 11,58-9 e relativa nota. 52 Per il secondo emistichio cfr. 4,441, verso in base al quale è stato emendato il tràdito eÙelpšoj in eÙqalpšoj; a riguardo cfr. anche 11,156 e relativa nota. 53 Nella versione corrente che fa capo all’Ilioupersis (Procl. Chrest. 239 Seve.; cfr. Eur. Tr. 16-7; Hec. 23-4; Paus. 4,17,4; Dict. 5,12; Tryphiod. 6346) Neottolemo trafigge Priamo con la lancia o la spada (come in Tab. Il. A) presso l’altare di Zeus; nella Piccola Iliade (Il. Parv. fr. 16 Bernabé; Paus. 10,27,1) il re viene trascinato via dall’altare e ucciso presso il palazzo; in Pacuvio infine Pirro-Neottolemo conduce Priamo fuori dal palazzo fino alla tomba di Achille a Capo Sigeo e lì lo uccide per poi decapitarlo (Pac. fr. inc. 33 Ribbeck3; cfr. Sen. Tr. 139-40). Virgilio sembra contaminare queste tre versioni: in Aen. 2,550-8 Priamo viene trascinato presso l’altare, trafitto al fianco con la spada e poi decapitato (cfr. anche Iuven. 10,267-70 dove a Priamo è mozzata la testa presso l’altare di Giove). Quinto si attiene alla 46

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    tradizione più comune dell’Ilioupersis, ma sostituisce al colpo di lancia o di spada la più cruenta decapitazione. 54 Cfr. n. 38. 55 Considerazioni di questo tipo relativamente alla morte di Priamo dovevano essere topiche: un’affermazione molto simile si trova ad es. in Cic. Tusc. 1,85. 56 Differenti erano le versioni sulla morte di Astianatte: nelle raffigurazioni vascolari, forse a partire dall’Ilioupersis stesicorea (cfr. Stesich. fr. 202 Davies), è ucciso da Neottolemo vicino a Priamo, subito prima di quest’ultimo (basti come esempio l’“Idria Vivenzio” già citata alla n. 33); più comunemente però nelle altre fonti Astianatte era precipitato dalle mura di Troia, sempre per mano di Neottolemo (cfr. Il. Parv. fr. 21 Bernabé e Paus. 10,25,9), o per mano di Odisseo (cfr. l’Ilioupersis in Procl. Chrest. 239 Seve. e Tryphiod. 644-6); in questo secondo caso alcuni autori, a partire da Euripide, attribuiscono la decisione dell’uccisione del figlio di Ettore (e di tutta la sua prole) all’assemblea degli Achei, che avrebbe deciso in questo senso su istigazione di Odisseo, e la morte sarebbe avvenuta dunque all’indomani del sacco della città (cfr. Eur. Tr. 709 ss.; più sommari Ov. Met. 13,415-7, Apollod. Epit. 5,23, Hygin. Fab. 109 e ancora Paus. 10,25,9; diverso ancora Sen. Tr. 524 ss. e 1063 ss. in cui la decisione è presa dopo una profezia di Calcante e Astianatte precede Odisseo lasciandosi cadere da solo giù dalle mura). Quinto opta per una versione intermedia: Astianatte viene buttato giù dalle mura il giorno stesso della presa di Troia, escludendo quindi una riunione per deciderne il destino, ma la sua morte è attribuita all’intera collettività greca. Nei versi di Quinto vi è in particolare un’evidente reminiscenza di Il. 24,734-8 in cui già Omero prospettava questa morte per Astianatte. 57 Il dettaglio è presente anche in Eur. Tr. 570-1; 782-4 e Paus. 10,25,9, mentre in Il. Parv. fr. 21 Bernabé, Astianatte è strappato dal seno della nutrice e non della madre Andromaca. L’immagine risente senza dubbio di Il. 6,400 e 467, in cui Astianatte si trova in braccio alla nutrice, e 6,483 in cui invece il bimbo viene dato in braccio alla madre. 58 Per l’immagine della vitella sottratta alla madre cfr. 7,257-9 e 14,25860; per quella dell’arrivo inatteso dei leoni invece cfr. 9,240-4; per l’espressione catšontej ™dwdÁj cfr. v. 45 (catšwn m£l' ™dwdÁj). 59 Verso identico a 5,531 e quasi uguale a 3,462. 60 Per la vicenda l’uccisione del padre (e dei fratelli) di Andromaca da parte di Achille cfr. Il. 6,414 ss; per le parole d’amore per il marito Ettore cfr. in particolare Il. 6,429-30. 61 Per l’espressione ¹T³]MSR }QQIREM †PP[R cfr. Il. 3,42; per l’idea espressa cfr. Eur. Hec. 375-8 e Her. 1291-2.

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    Accade qui quanto Ettore in Il. 6,454-5 sperava non accadesse mai: Quinto riprende chiaramente il passo, utilizzando anch’egli il verbo ¥gw e contrapponendo al “giorno della libertà”, l’™leÚqeron Ãmar del passo iliaco, il “giorno della servitù”, doÚlion Ãmar, un’espressione speculare alla precedente presente già in Omero poco dopo i versi succitati (v. 463). 63 L’ambasceria di Menelao e Odisseo, cui accenna Omero in Il. 3,20524 e 11,138-42, era raccontata nei Canti Ciprii (cfr. Procl. Chrest. 80 Seve.) e fu oggetto di una tragedia di Sofocle, l’ `Elšnhj ¢pa…thsij. I due erano stati ospiti di Antenore (Il. 3,205-8 citato da Paus. 10,26,7; Tzetz. Antehom. 154-63), il quale inoltre li salvò dopo che l’assemblea troiana, su consiglio di Antimaco, aveva deciso non solo di non restituire Elena, ma anche di uccidere gli ambasciatori (Il. 11,138-42 e Apollod. Epit. 3,28-9). Cfr. anche Herodt. 2,118,2-3 (e 120 con le personali considerazioni dello storico), in cui però la storia dell’ambasceria si inserisce all’interno della variante del mito che voleva che Elena si trovasse in Egitto durante la guerra di Troia. 64 Secondo il racconto di Pausania nell’Ilioupersis di Polignoto la casa di Antenore aveva una pelle di leopardo appesa sulla porta, affinché i Greci la riconoscessero (Paus. 10,27,3), un dettaglio che era già presente negli Antenoridi di Sofocle in accordo con la testimonianza di Strabo 13,1,53 (cfr. anche Eustath. ad Il. 3,204 e 207 [405,10 ss. e 27 ss.]). In Il. Parv. fr. 12 Bernabé, Odisseo mette in salvo il figlio di Antenore Elicaone che era ferito, invece in Apollod. Epit. 5,21 risparmia, insieme a Menelao, un altro figlio di Antenore, Glauco. A partire da questi fatti gli autori ellenistici fecero di Antenore un traditore (cfr. Sisenn. fr. 1 HRR; Dion. Ant. Rom. 1,46,1; Lycophr. 340-3; schol. ad Lycophr. 340; Alessandro d’Efeso in Ps.-Aur. Vict. Orig. 9,1), cosa che invece non avviene in Quinto, sebbene, insieme alla moglie, Antenore sia nel numero dei ‘moderati’ (cfr. 1,447 ss.). Nessun accenno inoltre sulla sua dipartita da Troia verso l’Italia dove avrebbe fondato Padova (cfr. Liv. 1,1,1-3). 65 Per questo quadro della presa di Troia cfr. Dio Chr. 11,29-30. 66 L’atteggiamento realistico di Enea descritto da Quinto si accorda con il racconto di Dion. Ant. Rom. 1,46-47 che segue la versione di Ellanico (FGrHist 4 F 31), mentre in Virgilio Enea tenta una difesa folle e disperata (Aen. 2,314 ss.) e solo l’intervento della madre Venere (in Quinto nominata appena al v. 326) lo convince ad abbandonare la patria (Aen. 2,594 ss.). Nell’Ilioupersis invece Enea lasciava Troia alla vigilia del sacco della città (cfr. Procl. Chrest. 239 Seve. e Soph. fr. 406 Radt relativo al perduto Laocoonte, dove Afrodite esortava a partire prima della rovina non Enea, come in Virgilio, ma Anchise), mentre nella Piccola Iliade Enea era addirittura fatto prigioniero dai Greci (Il. Parv. fr. 21 Bernabé: cfr. anche Simias, fr. 6,4-6 Powell). 62

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    NOTE AL TESTO

    Per questa stessa clausola cfr. 2,218; 8,51 e 9,72; essa è tratta da Arat. Phaen. 977. 68 Il passo, caratterizzato da un forte anacoluto (vv. 318-22) e da un verbo sottinteso (quello che regge il sintagma ¡palÁj … ceirÕj), presenta una sintassi piuttosto ampia e complessa, che ha provocato gli emendamenti e le correzioni dei filologi, ma il testo tràdito è probabilmente da conservare, perché la sintassi così barocca di questi versi vuole elevare lo stile al fine di sottolineare il momento drammatico e fondamentale della fuga di Enea, exemplum di pietas. L’immagine di Enea che si carica il padre sulle spalle e che tiene il figlio per mano (del quale non è ricordato il nome) si trova anche con parole piuttosto simili in Or. Syb. 11,148-9 e nella raffigurazione dell’“Idria Vivenzio” menzionata già nella n. 33; in Virgilio invece il quadro è arricchito dalla presenza della moglie Creusa, mentre si ricorda il nome del figlio, Iulo, ed Anchise porta con sé i Penati (Verg. Aen. 2,721-5; cfr. anche Ov. Fast. 4,37-8). 69 Per l’immagine del fuoco e delle armi che lasciano incolume Enea cfr. Or. Sib. 11,150-1 (con 5,9 e 12,9), L. Cassius Hemina, fr. 5,16-9 HRR (= schol. Veron. ad Aen. 2,717) e soprattutto Verg. Aen. 2,632-3 (e 664-5); il tema ebbe ovviamente grande fortuna nella letteratura augustea (cfr. Prop. 4,1,43-4; Hor. Carm. Saec. 41-4; Ov. Met. 15,441 e 861-2; Fast. 4,799-800; Pont. 1,1,33-4). Si veda inoltre anche Lycurg. Contra Leocratem, 95-6 in cui si narra una storia analoga relativa ad un uomo che, a seguito dell’eruzione dell’Etna, mette in salvo il padre tra le fiamme e la lava, senza che questa lo raggiunga “perché sotto la protezione divina”. 70 La profezia di Calcante si rifà in parte alle parole di Poseidone in Il. 20,302-8, nelle quali il dio afferma che è destino che Enea scampi alla distruzione della città e perpetui la stirpe troiana. In Virgilio l’intervento di Calcante non è invece presente, anche perché il concetto era già stato espresso prima del racconto del sacco di Troia nella profezia di Giove in Aen. 1,257 ss.; in Ov. Met. 15,436 ss. vi è una profezia pronunciata però da Eleno, figlio di Priamo, direttamente ad Enea. Il secondo emistichio del v. 333 è quasi identico a quello di 11,216. 71 Quinto segue una tradizione, anteriore a Virgilio, secondo la quale Enea fonda direttamente Roma e non Lanuvio; cfr. ad es. Sall. Cat. 6,1; Dion. Ant. Rom. 1,72; Dio Chr. 11,138. 72 La divinizzazione di Enea, col nome di Giove Indigete, è ampiamente attesta negli autori di epoca augustea: cfr. Verg. Aen. 12,794-5; Ov. Met. 14,581-608; Liv. 1,2,6; Diod. 7, fr. 5,2 Dindorf; Dion. Ant. Rom. 1,64,4-5 in cui Enea è venerato con la definizione generica di qeÕj cqÒnioj. I vv. 340-1 sono molto simili a Or. Sib. 11,159-61. 73 Parole molto simili nel descrivere il comportamento di Enea in con67

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    fronto a quello degli altri si trovano in Lycophr. 1263 ss. e in Varr. fr. 9 Mirsch (= schol. Veron. ad Aen. 2,717), secondo il quale Enea ed altri Troiani asserragliatisi nella cittadella avevano ottenuto dai Greci un ‘lasciapassare’ per scappare dalla città e perciò portavano via con sé quel che potevano. 74 Secondo un’altra tradizione (Xen. Cyneg. 1,15; Lycophr. 1263-72; Alessandro d’Efeso in Ps. Aur. Vict. Orig. 9,1; Diod. 7, fr. 4 Dindorf; Aelian. Var. Hist. 3,22; Apollod. Epit. 5,21, tradizione contestata però da L. Cassius Hemina, fr. 5 HRR) i Greci lasciano andare Enea non perché spronati da una profezia, ma perché colpiti dal suo affetto filiale, un aspetto questo comunque ben sottolineato anche nelle parole di Calcante (vv. 344-9). 75 L’episodio segue la versione corrente dell’Ilioupersis testimoniata da più fonti; in Verg. Aen. 6,494-530 invece Elena, sottratte le armi a Deifobo, fa entrare Menealo nella casa affinché lo uccida, mentre secondo Hyg. Fab. 240 Deifobo è ucciso da Elena stessa. 76 Allusione al combattimento tra Menelao e Paride narrato in Il. 3,34082; per il secondo emistichio cfr. 8,439. 77 Per il secondo emistichio cfr. Il. 5,205, quasi identico. 78 Quinto allude qui a una strage di nemici che appare incongruente rispetto al racconto, visto che Menelao sorprende Deifobo che dorme nel suo letto insieme alla moglie soltanto; la confusione è forse dovuta al ricordo di Od. 8,517-20, in cui Menelao ed Odisseo affrontano una dura battaglia davanti alla casa di Deifobo. 79 Allusione al giuramento che aveva preceduto il duello tra Menelao e Paride in Il. 3,264-301 (cfr. in particolare il v. 379 con Il. 3,299); sull’ineluttabilità della punizione divina per la violazione di questi patti cfr. le parole di Agamennone rivolte a Menelao in Il. 4,158-68. In questi versi Quinto presenta la distruzione di Troia come l’inevitabile conseguenza di una successione di cause ed effetti (su questo punto vd. Schmitz 2007, 72-3). Al verso 380, come osserva Vian, invece di ke‹no, tra cruces, ci si aspetterebbe p£gcu “del tutto”, che in questa stessa posizione metrica con il verbo lanq£nomai “dimenticarsi” si trova già in Il. 16,538 e Od. 10,236. 80 La correzione del tràdito dÒmoio in dÒmoisi proposta da West restituirebbe la costruzione abituale con la quale la parola mÚcatoj è usata in greco, ma osserva Vian che mÚcata in Quinto è sempre sostantivo (cfr. 6,477 e 7,261). 81 L’immagine, con Elena che grazie alla sua bellezza (e all’aiuto di Afrodite) placa d’un tratto l’ira di Menelao, ha accenti quasi elegiaci: cfr. ad es. Ov. Am. 2,5,45-50. 82 La versione più comune del mito voleva che Elena, rifugiatasi pres-

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    so il tempio di Afrodite, disarmasse Menelao mostrandogli il seno che egli avrebbe dovuto trafiggere (Il. Parv. fr. 19 Bernabé; Ibyc. fr. 296 Davies; Eur. Andr. 628-31; Tab. Il. A e NY e, con distorsione comica, Arist. Lys. 155-6). Anche Virgilio sembra rifarsi a questa tradizione, ma in Aen. 2,567-9 Elena si trova presso il tempio di Vesta. Differente invece Stesich. fr. 201 Davies in cui sono gli Achei tutti che, mentre si accingono a lapidare Elena, desistono vinti dalla sua bellezza (sulla discordanza tra Stesicoro e Tab. Il. A su questo punto vd. Scafoglio 2005,115-6). Diverso ancora il racconto presente in Dict. 5,14 in cui, nonostante Aiace, supportato dai più, proponga di uccidere Elena, Menelao (con l’aiuto di Odisseo) riesce a convincere i Greci a perdonarla. Quinto s’ispira alla versione più diffusa, ma ambienta la scena nella casa di Deifobo e non nel tempio di Afrodite, rendendo però determinante l’intervento diretto della dea. Per un’analisi dettagliata delle fonti relative all’incontro tra Elena e Menelao vd. Ruiz de Elvira Prieto 2001,319-28. 83 La scena dell’inganno di Menelao nei confronti del fratello sembra dovuta all’influenza delle Troiane di Euripide (Vian 3,126), in cui Menelao dice davanti a tutti e alla stessa Elena che l’avrebbe uccisa per poi non farlo (come sanno bene gli spettatori che conoscono il mito e come è accennato anche dal coro verso la fine ai vv. 1114-5), rendendo così vana la requisitoria contro Elena di Ecuba, che teme un “ritorno di fiamma” di Menelao per la moglie (terzo episodio: 860-1159). Alla luce delle fonti a nostra disposizione questa versione appare dunque una rielaborazione originale di Quinto (come sottolinea Ruiz de Elvira Prieto 2001,325-6); la costruzione narrativa tuttavia sembra un po’ impacciata, come dimostra la presenza improvvisa e ingiustificata di Agamennone sulla scena, menzionato in precedenza soltanto nel contesto di un catalogo convenzionale al v. 211 e privo di un ruolo specifico e peculiare durante il sacco. 84 Nelle parole di Agamennone in difesa di Elena sono utilizzate le medesime argomentazioni addotte dalla stessa Elena in Eur. Tr. 919-65, che consistono nella sostanza nel dare la colpa di tutto a Menelao; le stesse saranno impiegate nel prossimo libro, quando a difendersi sarà Elena stessa (14,155-64). Il verso 412 riprende da molto vicino Il. 3,164, in cui Priamo addossa la responsabilità della guerra agli dèi: era questo d’altronde l’argomento abitualmente usato per stornare la colpa da Elena (cfr. Od. 23,222; Eur. Andr. 680; Verg. Aen. 2,601-3). 85 Nella tradizione più antica Aiace si limitava a trascinar via con la forza Cassandra dal tempio dove si era rifugiata, violando così il diritto d’asilo proprio dei luoghi sacri: vd. Procl. Chrest. 239 Seve., dove prendendo Cassandra Aiace trascina via anche la statua di Atena; Alc. fr. 298,20-1 Voigt; l’Ilioupersis di Polignoto in Paus. 10,26,3 (cfr. anche Paus. 5,11,6 e 19,5); Eur. Tr. 70; Verg. Aen. 2,403-6; Dict. 5,12 (cfr. anche Tab. Il. A). Lo stupro

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    è attestato solo più tardi ed è sempre associato all’immagine della statua che volge altrove lo sguardo: cfr. Lycophr. 348-64 (che sembra essere qui fonte diretta di Quinto; cfr. Vian 3,123-4); Apollod. Epit. 5,22; Strabo 6,1,14; Callim. fr. 35 Pf. (per un’analisi dettagliata sulle fonti letterarie e iconografiche relative a questo episodio vd. Mazzoldi 1997). Per la clausola del v. 429 cfr. Apoll. Rh. fr. 12,5 Powell e, più in generale, per il concetto espresso Lycophr. 403-7. 86 La stessa epanalessi si trova in Il. 21,350-6; un’immagine simile dell’incendio della città si trova in Verg. Aen. 2,310-2, dove la drammaticità della situazione è resa con l’anafora di iam. 87 La topografia abbozzata qui da Quinto, con il palazzo di Priamo, il tempio di Apollo e quello di Atena situati nella città alta (ovvero Pergamo), è corrispondente a quella omerica (vd. Vian 1959b, 118-9) e riscontrabile anche nelle Tab. Il. A, NY, Ti e E. Inoltre il dettaglio relativo alle camere da letto del palazzo di Priamo, presente anche in Virgilio (Aen. 2,503-5 dove se ne specifica il numero), non è puramente esornativo, ma deve essere visto in chiave quantitativa, per dare un’idea delle dimensioni della rovina: sono cinquanta quelle dei figli e dodici quelle delle figlie secondo Il. 6,242-50. 88 L’immagine del vinto che preferisce uccidere la propria famiglia e poi sé stesso piuttosto che cadere nelle mani dei nemici ricorda da vicino il celebre gruppo scultoreo del “Galata suicida” (230-220 a.C. ca.) noto attraverso una copia d’epoca romana conservata nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps. 89 La correzione di Vian del tràdito ½ripen (probabilmente insinuatosi nel testo dal v. 449) in ½rtuen si basa su Od. 3,152; 16,448; 20,242-3. 90 La stessa dimenticanza da parte delle donne troiane si riscontra in 12,468-9. 91 La correzione di Vian del tràdito bo¾ in boÍ è giustificata da 3,706-7 e presuppone di intendere ka… (v. 461) come avverbio e Hä(v. 462) con un senso avversativo marcato, senza alcuna necessità di postulare una lacuna dopo il verso 460. 92 Per un’affermazione analoga cfr. 14,611. 93 Queste parole sono un ricordo di Hes. Th. 697-8. 94 Lo spunto per questa scena è tratta, secondo Keydell 1963,1291 dalla similitudine presente in Il. 19,375-8. Il discorso qui pronunciato dall’anonimo osservatore ha un carattere definitivo: il destino di Troia è ormai compiuto (su questo punto vd. Schmitz 2007, 70-1). 95 Lo stesso concetto è espresso in Hes. Op. 3-8; per quanto riguarda il

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    destino delle città nello specifico cfr. invece Herodt. 1,5,4 (in un passo subito successivo al ricordo della guerra di Troia). 96 Il poeta riprende e amplifica la similitudine già presente a 4,552-5 che s’ispira ad Arat. Phaen. 402 ss. 97 Il tema di questa similitudine è caro a Quinto: cfr. 1,207-10; 5,387-9; 8, 89-91; 10,68-71. 98 Nei poemi del ciclo i figli di Teseo ritrovavano la nonna Etra tra le prigioniere dopo la presa della città: cfr. Il. Parv. fr. 20 Bernabé; Ilioupersis, fr. 6 Bernabé; Procl. Chrest. 239 Seve.; Paus. 10,25,7; Dict. 5,13 e la raffigurazione presente sull’“Idria Vivenzio” già menzionata alla n. 33. Invece, oltre che in Quinto, l’incontro avviene durante il sacco di Troia anche in Apollod. Epit. 5,22 e nella Tab. Il. A e NY. Cfr. anche Hellan. FGrHist 4 F 143 secondo il quale i due andarono a Troia con il solo scopo di liberare Etra. Per una lettura ‘politica’ di questo passo in Quinto cfr. Schubert 2007,347-55, secondo il quale l’episodio può voler significare un passaggio di consegne da Troia ad Atene, in attesa che la supremazia torni agli eredi dei Troiani, ovvero a Roma. 99 La forma verbale ¢l£lukto (piuccheperfetto da £lÚssw), presente anche in 14,24, è un arcaismo che non si trova in Omero e che Quinto ha forse tratto da uno dei poemi del ciclo che si sono persi. 100 Quinto ricorda qui, condensandolo, il mito secondo il quale Teseo, con Pirotoo, rapì Elena per farne la sua sposa (per questo Etra è detta da Quinto sua “suocera”), ma essa fu liberata dai Dioscuri, suoi fratelli, che, invasa l’Attica e saccheggiata Afidna (dove Elena si trovava), trassero in schiavitù Etra, che divenne ancella di Elena: cfr. Apollod. Bibl. 3,10,7; Epit. 1,23; Diod. 4,63; Plut. Thes. 31-4; Paus. 1,17,5; 2,22,6; 5,19,3. Anche Omero in Il. 3,143-4 ricorda Etra come schiava di Elena. 101 La similitudine rielabora spunti già presenti in 1,86-7 e 7,635-9; per il sintagma laoˆ fhm…xwsi (v. 538) cfr. Hes. Op. 764. Al v. 541 Vian corregge il tràdito ™pwmadÒn (“sulle spalle”, che qui non dà alcun senso) in ™nwpadÒn, presente già a 2,84, che regge il dativo paisˆ (v. 540) al quale è posposto come in Apoll. Rh. 4,1415. 102 Questa versione del mito di Laodice è tarda: cfr. Euphor. fr. 72 Powell; Lycophr. 316-22, 497; Apoll. Epit. 5,25; Tryphiod. 660-3; Tzetz. Posthom. 736. In particolare Quinto sembra ispirarsi a Licofrone (vd. Vian 3, 123-4); lo stesso accostamento, senza ragione apparente, di questo episodio a quello precedente sembra suggerito dall’Alessandra, in cui Etra e Laodice sono messe in relazione laddove il poeta afferma, secondo la versione erotico-attica del mito, che quest’ultima aveva avuto un figlio da Acamante (Lycophr. 495 ss.). Per un’analisi dettagliata delle fonti antiche e dei diversi filoni mitici relativi a Laodice vd. Ciampa 2009.

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    Elettra era una delle sette Pleiadi. Anche questa storia si trova solo in autori postclassici: Ov. Fast. 4,177-8; Hyg. Fab. 192; schol. A ad Il. 18,486; Eustath. ad Il. 18,485 (1155,56); schol ad Arat. Phaen. 256 e 259; Serv. ad Georg. 1,138. Al v. 553 per la forma ¢nhnamšnhn proposta da Vian per correggere quella tràdita cfr. A.P. 9,307,1. 104 Parole simili circa le Pleiadi in Arat. Phaen. 258. 105 Viene sottolineata l’impotenza di Zeus di fronte alla caduta di Troia perché egli era il padre di Dardano, capostipite della stirpe troiana. 106 Quinto, dicendo “forse” e “o anche no”, esprime scetticismo sulle vicende di Laodice ed Elettra; una certa presa di distanza è d’altronde rimarcata anche dalle forme verbali introduttive “raccontano” e “dicono” (™nšpousin v. 545 e fasi v. 551), che in quanto generiche e impersonali sono già di per sé dubitative. Si aggiunga poi che esprimeva dubbi sull’autenticità del mito di Laodice narrato da Euforione già Pausania in 10,26,8. 107 Il sintagma pe…rata c£rmhj, “il nodo della battaglia”, sembra una variante di n…khj pe…rat(a), “il nodo della vittoria”, presente in Il. 7,102. 103

    Libro quattordicesimo La narrazione del libro XIV si articola in due sezioni: nella prima parte vengono narrate le vicende immediatamente successive alla vittoria degli Achei, nella seconda il viaggio di ritorno. La vicende di distribuiscono temporalmente in tre giorni. Il primo giorno, dopo aver depredato la città di ogni ricchezza, i Troiani si impadroniscono delle prigioniere troiane sull’esempio dei capi degli Achei che si erano già divisi la preda: Cassandra era stata consegnata ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo, Ecuba ad Odisseo. Elena segue Menelao nelle sue case. Il fiume Xanto, insieme con il monte Ida e il fiume Simoenta, piange la devastazione della città. Sazi delle razzie, i Greci fanno ritorno alle navi. Al banchetto, in cui un aedo rievoca le gesta gloriose dei guerrieri Achei, seguono i sacrifici agli dèi. Giunta la notte, Elena, attribuita la responsabilità della sua fuga esclusivamente a Paride, si unisce in amore con Menelao. Segue la scena dell’apparizione di Achille in sogno al figlio Neottolemo. L’eroe, dopo una lunga esortazione ad osservare sempre l’etica eroica, comanda al figlio di convincere gli altri Troiani a sacrificare Polissena sul proprio tumulo. Il secondo giorno, convinti i Greci, Polissena viene sacrificata tra la disperazione della madre Ecuba. Gli Achei, tornati alle navi, compiono sacrifici agli immortali. Placatasi finalmente l’ira di Achille con il sacrificio di Polissena, col favore dei venti decidono di tornare in patria. Prima di partire assistono alla trasformazione di Ecuba in cagna. Calcante e Amfiloco, presagendo ai compagni le sventure future, 1

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    si rifiutano di partire con loro. Il viaggio di ritorno, infatti, arreca ai Greci sofferenza e lutti. Atena, adirata con Aiace Telamonio per la violenza da questo compiuta su Cassandra, prega il padre Zeus di concederle una giusta vendetta sugli Achei tutti. Il terzo giorno, quindi, con l’aiuto di Eolo la dea scatena violente tempeste in cui periscono molti Greci. Muore anche Aiace, abbattuto da un masso che Poseidone gli fa piombare addosso. Infine, Nauplio, con l’aiuto del padre Poseidone, smuove con violenza i flutti, che si abbattono, distruggendolo, sul muro eretto dagli Argivi contro gli assalti dei Troiani. Al termine della furiosa procella, gli Achei superstiti riprendono la navigazione. I modelli letterari principali del XIV libro sono rappresentati dai due poemi omerici. Nell’ambito del genere epico, inoltre, importanti sono i rapporti intertestuali che intercorrono tra il poema e le Argonautiche di Apollonio Rodio. Un ruolo rilevante occupano poi le tragedie, in particolare le Troiane e l’Ecuba di Euripide, in misura minore l’Agamennone di Eschilo, e la Polissena di Sofocle, pervenutaci frammentaria. Notevoli somiglianze si riscontrano anche con modelli latini, in particolare l’Eneide di Virgilio e la tragedia senecana Agamennone. 2 Tale genealogia è presente in Esiodo (Theog. 123), in cui la Notte è figlia di C£oj. 3 Per l’immagine dei torrenti in piena si veda anche 2,345 ss. L’immagine degli alberi strappati dalla violenza delle acque si trova già in 6,378-381. 4 L’impiego del possessivo oŒo implica che per le giovani era stato già scelto un futuro sposo. 5 Come anche in Euripide, a questo punto della narrazione Elena fa ancora parte del bottino di guerra, sebbene le spetti il primo posto tra le prigioniere (Eur. Tr. 895 ss.) 6 Per ¢l£lukto si veda supra 13,499. 7 In Quinto è omessa la scena dell’assegnazione delle prigioniere troiane ai capi Achei. Tale scelta narrativa discende probabilmente dalla volontà di conferire maggiore risalto e pathos alla sofferenza delle Troiane. L’elenco delle prigioniere compare già nelle Troiane euripidee (Tr. 247 – 259: Cassandra; 271-291: Andromaca; 860 ss.: Elena) 8 Per il modulo cfr. Il. 4,721. 9 Vian adotta la grafia peritr…zousi (H) contro la grafia di P che riporta peritrÚzousi in ragione del fatto che questa «semble plus correcte» (Vian 2, 71, n. 4). Oltre che per il presente passo, i manoscritti tramandano la grafia trÚzw, tetrugèj in 4,428; 6,109; 7,331; 10,326; 13,107; 14,265, mentre tr…zw solo in 12,431; 14,36. Secondo l’editore francese tranne 10,109, in cui trÚzw è garantito da Omero, è probabile che nelle altre occorrenze sia da preferire tr…zw. TrÚzw, infatti, non è mai attestato in relazione ad oggetti, se non in un passo, peraltro dubbio delle epistole di Filostrato, in cui è riferito

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    al rumore delle scarpe (Philostr. 37); tr…zw, invece, assume in taluni autori di età imperiale, ma già in Callimaco (fr. 260,68 Pf.), il significato di “cigolare”. Sebbene il termine di paragone iniziale sia costituito dalle scrofe e dai loro cuccioli, nell’ultima parte della metafora il poeta pone in evidenza il parallelo tra l’atteggiamento affranto delle scrofe e quello delle prigioniere, così come dimostra l’impiego al v. 35 del pronome taˆ. Mi pare ragionevole, quindi, la correzione della lezione dei codici, ¢ȜȜ»ȜȠȚıȚȞ, in ¢ȜȜ»Ȝ+ıȚȞ (Pauw, seguito da Vian). Pompella, al contrario, mantiene la lezione tradita. 10 M.L. West propone di correggere ™pesten£conto in ™nesten£conto oppure in Øp’ ™sten£conto. Quest’ultima è congettura poco plausibile, poiché la cesura eftemimere cadrebbe dopo la preposizione. L’altra appare capziosa, poiché il preverbio ™pˆ ricopre qui una funzione di tipo causale. 11 Medesimo modulo in 13,25. 12 Cfr. Il. 14,184 ss. Sulla scorta del passo omerico Rhodomann e Pauw correggono la lezione tràdita Øpšnerqe in ™fÚperqe. 13 Viene qui ricordato il celebre episodio degli amori di Ares e Afrodite (Od. 8,266-369). In particolare per il v. 49 si veda Od. 8,269, mentre per il v. 50 Od. 8,296. Il tono della narrazione omerica è modificato da Quinto in senso moraleggiante. 14 Cfr. Od. 7,71: OEiPEÏRSgQfR˜EUI¶RÊNIeWSV³[RXIN. Nell’Odissea l’espressione è impiegata in riferimento agli onori e alla considerazione che non solo la famiglia, ma anche tutti i Feaci, riservavano alla sposa di Alcinoo. 15 Le argomentazioni dell’Elena di Quinto possono essere accostate a quelle del personaggio euripideo dell’omonima tragedia per quanto riguarda la pretesa incolpevolezza e l’attribuzione di tutte le responsabilità a Paride. Esse riprendono, del resto, il discorso pronunciato da Agamennone nel libro XIII (vv. 409 ss.). Notevoli, tuttavia, sono le differenze rispetto al modello tragico: mentre nelle Troiane gli Achei richiedono a Menelao di punire la sposa adultera, ed egli per parte sua adotta con lei l’atteggiamento duro di un soldato, nei Posthomerica il re di Sparta le concede presto il perdono, cedendo alla volontà di Afrodite. Secondo Vian tali differenze rispetto alla tragedia si spiegherebbero con l’adozione da parte di Quinto di un’altra fonte, ossia dell’Ilioupersis di Stesicoro. Il fascino irresistibile emanato da Elena (v. 57 ss.) doveva essere, infatti, un tratto caratteristico anche dell’eroina stesicorea, come mostra uno scolio al v. 1287 dell’Oreste euripideo, secondo il quale nell’opera di Stesicoro gli Achei, alla vista di Elena, lasciarono cadere le pietre con cui si accingevano a lapidarla (fr. 201 Page). Anche la riconquista di Elena, narrata nel libro XIII, presenta analogie con la versione del mito che le Tabulae Iliacae attribuiscono a Stesicoro, e poi ripresa da Ibico. 16 Per la metafora si confronti Apoll. Rh. 3,1399-1403. L’impiego dell’ao-

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    NOTE AL TESTO

    risto gnomico ceÚato è stato posto in dubbio. Per un uso simile dell’aoristo gnomico cfr. supra 6,460. 17 Il tema della compassione della natura è comune presso i poeti, i romanzieri e i retori di età ellenistica. Si veda ad esempio il canto di Tirsi contenuto nell’idillio teocriteo (1,66 ss.) e il canto funebre per Adone di Bione di Smirne (v. 33). 18 Quinto attinge qui a diverse immagini omeriche (Il. 3,3; 8,556; 17,756). Il grido dei corvi era considerato presagio di pioggia (cfr. Theophr. Sign. 16 e Arat. Phaen. 963-966). 19 La lezione dei codici, gšnoj, non dà senso. La correzione mšnoj è paleograficamente più semplice di sqšnoj. Il termine, generico, designa la forza o la potenza (cfr. supra 1,389; 562). È impiegato solo in riferimento agli dèi (cfr. 8,470; 11,143; 13,560). Il secondo emistichio si ritrova identico in un inno orfico a Zeus come citato da Plut. mor. 436 d. 20 Cfr. Il. 1,458 e in particolare Il. 1,462. Vian considera Ðmîj un avverbio (“in mezzo a pezzi di legno”), Rhodomann una preposizione (“assieme a pezzi di legno”). 21 La lezione tràdita, Øpšsth, non dà senso, poiché il termine in Quinto significa solo “promessa” (cfr. 1,91; 3,501). Glasewald propone opportunamente di correggerla in Øpštlh (cfr. 3,571; 5,342; 12,388). 22 Cfr. 5,562. 23 Cfr. Il. 22,393 (ºr£meqa mšga kàdoj). Si assiste qui al consueto procedimento, tipico dell’epica postomerica, dell’imitatio Homeri cum variatione: viene ripresa la formula omerica ma mutandone sia la forma sia la posizione nel verso. 24 Gli aedi cantavano improvvisando ciascuno per un gruppo di convitati, senza seguire un ordine stabilito, ma assecondando l’impulso del momento. Quinto coglie quest’occasione per fornire al lettore un quadro cronologico degli eventi della guerra. 25 Vian integra la lacuna presupponendo che Quinto in questo punto seguisse Od. 21,406: ¢n¾r fÒrmiggoj ™pist£menoj kaˆ ¢oidÁj. 26 EÙnom…h designa qui “concordia, pace” come in Pind. Pyth. 5,67; A.P. 6,195 (Archia). In Esiodo il termine è associato a e„r»nh (Theog. 902). 27 Evidente richiamo all’iliadica mÁnij di Achille. 28 Cfr. 1,12. 29 Per la medesima clausola si veda Il. 21,59. 30 Vi è qui una lieve incoerenza con quanto narrato in precedenza, giacché nel dodicesimo libro, v. 337, si era narrato che le tende erano andate in fiamme al momento della falsa partenza da Tenedo (12,337).

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    La scena ricorda l’incontro tra Penelope e Odisseo narrato in Od. 23,296. 32 Si confronti con il discorso di Medea in Apoll. Rh. 4,1021. 33 Per la medesima clausola cfr. supra 6,84. 34 La lezione dei codici, ¢ll’ Šscomen è dubbia per quattro ragioni: 1. si tratta di una forma di congiuntivo breve non attestata altrove nel poema; 2. ‡scw non sembra adattarsi al contesto. In Omero, infatti, ¥lgea è sempre retto da p£scw; 3. nei Posthomerica ‡scw è attestato solo una volta in un passo probabilmente ispirato all’Ecale callimachea (vd. 9,313); 4. l’esortazione che segue all’imperativo mšmnhso inizia al verso 167, che si apre, appunto, con la congiunzione esortativa ¢ll¦. La correzione di Lehrs, quindi, non pone soluzione al problema indicato al punto 4, mentre quella di Bonitz (…X zT„WGSQIR , accolta anche da Vian, ha il vantaggio di basarsi su passi omerici (vd. Il. 24,7; Od. 10,458 etc.). 35 Per la clausola cfr. Hes. Theog. 751. La “dimora di Lete” costituisce un topos: cfr. A.P. 7,25,6 (Simonide); Trag. Adesp. fr. 372 K.-Sn. 36 Per la medesima clausola cfr. 9,424. 37 Per il topos della gioia mista a lacrime si veda 1,84-85; 7,635-636; 13,540-543. 38 L’immagine dell’edera che si avvolge alla vite come metafora dell’amplesso amoroso non è attestata altrove nella poesia pervenutaci. Da Teocrito (1, 29-31) si deduce che i tralci rampicanti di edera costituivano un motivo decorativo (cfr. Gow 1952, 7). Virgilio imita il passo teocriteo, introducendo il particolare nuovo dell’intreccio dell’edera con la vite (Buc. 3, 38-39; cfr. Coleman 1977, 114). La ricorrenza dell’immagine in contesti ecfrastici trova conferma in Nonno di Panopoli (Dion. 19,130-131), in cui è impiegata in riferimento alla decorazione di un cratere scelto da Dioniso come premio per i giochi funebri in onore di Stafilo. Come in Virgilio, anche in Nonno, l’edera è associata alla vite. 39 Cfr. 2,163; 4,72; Ûpnoj ¢p»mwn varia la formula n»dumoj Ûpnoj. 40 Cfr. 12,109 e già Il. 2,20 (sogno di Epeo); Il. 23,68 (apparizione dell’ombra di Patroclo). Nella Piccola Iliade Neottolemo vede suo padre in sogno durante la notte passata sulla tomba del defunto. Secondo la tradizione più diffusa, invece, l’ombra di Achille si manifesta di giorno a tutti i Greci dopo la presa di Troia per reclamare il sacrificio di Polissena. Questa è la versione del mito presente in Simonide (fr. 557 Page) e nei tragici (Eur. Hec. 37-41, 92-97; 107 ss.), ripresa in ambito latino da Ovidio (Met. 13, 441447) e Seneca (Tr. 167-202). Quinto contamina le due versioni: Achille si manifesta solo a suo figlio mediante un sogno. 31

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    NOTE AL TESTO

    Si tratta di un motivo topico, cfr. 23,66-67. Si veda anche Seneca, Tr. 182-189. 42 L’imperfetto †kanen equivale spesso all’aoristo Ãlqe (cfr. supra 3,153, 232, 368; 4,579 (corr.); 6,192; 7,153; 8,265; 10,77; 11,61; 13,174, 679. Si tratta di un aoristo gnomico, quindi non necessaria risulta la correzione di Zimmermann in †kanei. 43 Cfr. Od. 5,190: kaˆ g¦r ™moˆ nÒoj ™stˆn ™na…simoj. 44 ƒRL{\L?RAU Vian accoglie la correzione di Köckly. La correzione è suggerita dalla constatazione che il verbo ¢pašxw, tramandato dai codici, è attestato solo in Semonide (fr. 7,85). 45 Sull’albero della Virtù si veda 5,20 ss. 46 ¥nqesin e„arino‹si compare in clausola in Omero (cfr. Il. 2,89). Per ¥nqesi po…hj si veda Od. 9,449; Hes. Theog. 576 e i luoghi paralleli citati da M.L. West ad loc. Il paragone della vita umana all’esistenza effimera dei fiori è accennato già in 7,44. Il paradigma è evidentemente il celebre passo del sesto libro dell’Iliade in cui Glauco paragona gli uomini alle foglie (Il. 6,146-149). Ad esso si rifà anche Mimnermo in un celebre passo (fr. 2 W.) 47 Secondo Vian il verso è certamente corrotto, poiché Quinto non impiega mai kat¦ qumÒn in luogo di ¢n¦ qumÒn, se non per esigenze metriche. Perciò lo studioso accoglie la correzione di Zimmermann, potˆ qÚmbon, che avrebbe anche il pregio di rendere più lineare la sintassi della frase. Noi, come Pompella, riteniamo opportuno mantenere la lezione tràdita. 48 La mancanza di funzionalità del discorso di Achille all’interno del contesto narrativo ha indotto gli studiosi a supporre che nella prima stesura del poema esso fosse collocato all’interno della visita di Neottolemo alla tomba del padre, narrata nel libro nono (cfr. Vian 3,160-161). In particolare risulta fuori luogo l’esortazione al valore che Achille rivolge al figlio: essa sarebbe stata opportuna prima dello scontro con Euripilo, ma non dopo la presa di Troia, e, quindi, al termine della guerra. Inoltre, le parti in cui si struttura l’allocuzione non risultano ben collegate tra di loro: all’argomentazione iniziale, incentrata sulla necessità di improntare la condotta alla perfezione morale, ne segue un’altra volta a ribadire l’importanza dell’¢ret» e della gloria. Quest’ultima è integrata da una serie di esortazioni alla moderazione e alla bontà che poco di adattano all’ideale dell’ ¢ret» eroica e che sembrano essere tratte piuttosto da un manuale di etica stoica (cfr. Vian 3,162). 49 Si confronti con la scena dell’allontanamento dell’ombra di Patroclo (Il. 23,100 ss.). Per simili espressioni in clausola cfr. 3,781; 4,111; 5,396; 8,10; 9,525. 50 Di nuovo una lieve discordanza con quanto narrato in precedenza: Achille, compiuta l’apoteosi prende qui dimora presso i Campi Elisi, mentre 41

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    nel terzo libro andava a vivere sull’isola di Leuke. Tale tradizione compare per la prima volta in Ibico e Simonide (sch. Apoll. Rh. 4,814-815) per poi essere ripresa in età ellenistica da Apollonio Rodio (4,811-815). Probabilmente è proprio da quest’ultimo che la mutua Quinto. Tracce se ne trovano anche in Lychophr. 174 e Apollod. 5. 51 Nella seconda Olimpica Pindaro accenna ad una via di Zeus che porta direttamente alla dimora di Crono (v. 77). 52 Per il significato di eÙrwe…j si veda 9,47. 53 Cfr. 6,205-207. L’assunzione di Achille fra gli dèi era stata annunciata da Poseidone a Teti alla fine del III libro (v. 770 ss.), ma i mortali non ne avevano avuto ancora notizia. 54 Per la medesima immagine si veda Eur. Hec. 205-208. Per altre ricorrenze di un’analoga metafora nel poema si veda 7,257-259; 13,258-263, e segnatamente 13,261 ss. e 14,260. 55 L’espressione briarù ØpÕ ceim£ti è evidentemente corrotta. Per sanarla Zimmermann la corregge in briarù ØpÕ cerm£ti, servendosi di un hapax reperibile in Esichio, che gli permette di conservare l’aggettivo al maschile. Vian, invece, propone di correggere in cerm£j, vocabolo ben rappresentato in tragedia e nella poesia ellenistica. È costretto così, tuttavia, a correggere anche l’aggettivo, accordandolo al femminile. 56 Spargšw è documentato come variante di sparg£w solo in Esichio. L’oscillazione tra la flessione in –šw e quella in -£w si rinviene già in Omero (cfr. Chantraine 1958, 361). Diversi esempi di tale fenomeno sono ravvisabili anche nella lingua poetica di età ellenistica e imperiale (cfr. lofšw in Apollonio Rodio; sulšw in Teocrito e lo stesso Quinto in 1,17). Per tale problematica in Nonno si veda Keydell 1959, 51. 57 Per una similitudine analoga cfr. Od. 20,14-15 e Opp. Hal. 1,719-723. Per la medesima forma cfr. 6, 358. 58 Cfr. Hes. Theog. 660; ™p…olpa è un hapax. Dausque lo corregge nell’omerico ™p…elpta. In realtà, come fa osservare Vian, si tratta di una formazione linguisticamente plausibile (cfr. la coppia ™p…memptoj-™p…momfoj) che Quinto potrebbe aver attinto ad un testo a noi non pervenuto. 59 'Adeuk»j è normalmente epiteto della sorte, mentre qui è associato alle figlie di Ecuba, che patiranno una sorte di tal fatta. La correzione di Köchly non è abbastanza pertinente, poiché l’aggettivo ¢eik»j si applica segnatamente a cose piuttosto che a persone (cfr. 2,270). 60 Cfr. Ov. Met. 13,501-504. L’allusione alle nozze prossime non è un topos. Come si apprende ai vv. 320-323, Polissena era stata promessa a Eurimaco. 61 Cfr. 5,537-538.

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    NOTE AL TESTO

    Per il modulo cfr. 10,373. L’oscillazione tra laukan…h (P) e leukan…h (H) è presente anche nei manoscritti di Apollonio Rodio (Arg. 2,192) e già nella tradizione manoscritta di Omero in cui il secondo termine costituisce una varia lectio. 64 Nei vv. 313-315 Quinto reimpiega formule usate in precedenza. Cfr. 13,203; 2,544; 10,140; 14,281 (modificata); 10,102. 65 Cfr. 1,744-745 e 11,69-70; ØpÕ ha qui valore avverbiale. 66 Polissena, promessa sin dall’infanzia a Eurimaco, era cresciuta non con la propria famiglia, ma con quella dello sposo. Uso singolare che può essere accostato al costume romano di promettere le giovani prima che avessero raggiunto l’età nubile. 67 In 8,429 ss. Ganimede era stato deificato. I codici oscillano tra ƒerÕn (W), ƒer¦ (B) ƒrÕn (REAld). Nessuna delle tre forme può accordarsi con il successivo dèmata. Plausibile ed economica la correzione di Rhodomann, ƒr¦. Per quanto concerne dèmata, Vian in apparato propone di leggere dîma te, ma stampa la lezione tràdita. Dal verso si desume che il giovinetto assurto tra gli dèi doveva possedere un santuario sull’acropoli di Troia. 68 'Atrutènh è epiteto di Atena. 69 La prima parte del verso fino alla cesura trocaica è formulare in Quinto (cfr. 7,238). 70 Il banchetto è sempre associato ai sacrifici per gli dèi. 71 I vv. 339-340 sono intessuti di formule apolloniane: cfr. Apoll. Rh. 1,705,714; 1,249; 4,381, 1600. Per il problema testuale posto dal verso 339 riguardo all’impiego di qumhd»j rispetto al corrispettivo apolloniano qum»rhj si veda Vian 1967, 256-257. 72 Cfr. Il. 2,319: l©an g£r min œqhke. Nel secondo libro l’espressione compare all’interno della rievocazione da parte di Odisseo del portento divino cui assistettero i Greci radunati in Aulide, prima della partenza per Troia. Poseidone, adirato con i Feaci, impone la medesima metamorfosi prodigiosa alla nave di questi (cfr. Od. 13,161-4). 73 Il mito della metamorfosi di Ecuba in cagna è ben attestato. Cfr. Eur. Hec. 1259-1273; Apollod. 5,23. Della trasformazione in pietra, tuttavia, non si trova traccia altrove nella letteratura pervenutaci. 74 Il verso si ritrova quasi identico in 9,325. 75 Nella narrazione della partenza dei Greci Quinto reimpiega formule già presenti nella narrazione della partenza di Odisseo per Sciro (cfr. 6,98100). 76 Nel poema ciclico Nostoi Calcante cammina a piedi fino a Colofone e muore lì, Amfiloco lo segue, ma si ferma in una città della Cilicia. Il mito di Calcante contenuto nei Nostoi si colloca all’origine delle leggende sulla 62 63

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    fondazione del santuario oracolare di Klaros. La tecnica della prolessi, così come dell’analessi, è ampiamente utilizzata nel poema di Quinto. A proposito si veda Schmitz 2007. 77 Un’espressione simile si rinviene anche in un frammento di Callimaco: kaˆ tàQ~RÊNžQIPPIQIXà crÒnon ™ktelšesqai (fr. 12,6). Il poeta ricorre ad un espediente narrativo mediante il quale l’onniscienza della Musa diviene pretesto per l’anticipazione di eventi. Il verso callimacheo si ritrova identico nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (1,1309), variato in 4,1216. L’identità non è puramente casuale, ma si tratta verisimilmente di un omaggio del giovane Apollonio verso il poeta già illustre (cfr. Ardizzoni 1967, 272). È probabile che il modello di Quinto vada ricercato in Apollonio Rodio, piuttosto che in Callimaco, se non altro per la contiguità di genere letterario. 78 Cfr. Arat. 287. La clausola periklÚzonto qal£ssV si ritrova al v. 512. 79 ‘Hisi si riferisce a doàra kaˆ ¢sp…daj, ma concorda nel genere con il termine più vicino. 80 Il passo è intessuto di reminiscenze apolloniane, riconducibili in particolare all’episodio della partenza della nave Argo (371 ~ Arg. 1,533 ss.; 372 ss. ~ Arg. 525; 373 ~ Arg. 541; 379 ~ Arg. 534). 81 Cfr. Eur. Hec. 939-940. 82 Cfr. Apoll. Rh. 3,706; 4,695. Si veda anche la nota di Köchly, ad loc. 83 Per la costruzione qumÕn œcein ™pˆ tini si veda supra 7,87. Per il verso si confronti 13,123. 84 Il fumo che si leva dalle rovine di Troia è topico, cfr. Aesch. Ag. 818 kapnù d' ¡loàsa nàn œt' eÜshmoj pÒlij, Eur. Tr. 8: ¿ nàn kapnoàtai, Hec. 1215, Verg. Aen. 2,609; 3,3, Sen. Ag. 459; Tr. 105 ss. 85 Secondo Vian aÙtoˆ ha un valore restrittivo attestato anche altrove nel poema (cfr. 3,352). Quinto accoglie qui la versione del mito secondo la quale Troia non cesserà di esistere dopo la distruzione achea, proprio grazie ai pochi compagni di Antenore. 86 Le correlative ¥llote ... ¥llote segnalano una successione temporale. 87 L’immagine della terra che si allontana per i naviganti è frequente nella poesia latina (cfr. Sen. Ag. 444 quantum recedunt vela fugente notat; Verg. Aen. 3,72 provehimur portu terraeque urbesque recedunt; Ov. Met. 6,512 admotumque fretum remis tellusque repulsa est, 8,139, 11,466; Lucan. 5,467; Val. Fl. 2, 8 ss.; Stat. Theb. 1,549. 88 Tenšdoj, Cràsa e K…llh sono nominate di seguito in Il. 1,37-39. In Omero Chryse, così come Cilla e Tebe, si collocavano in fondo al golfo di Adramytte, mentre qui si ergono sulla costa occidentale della Troade, a nord di capo Lecton, vicino ad una Kille, che sembra non essere mai esistita. 89 L’espressione formulare makr¦ kÚmata,“alti flutti”, in Omero inserita

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    NOTE AL TESTO

    nella descrizione del mare in tempesta (cfr. Il. 2,144), è qui impiegata in un contesto di bonaccia. Si tratta del ben noto fenomeno della perdita del valore significativo della formula, procedimento caratteristico della dizione formulare omerica (si pensi all’uso di oÙranÒj ¢sterÒeij in scene ambientate di giorno). 90 Diverse sono le reminiscenze apolloniane: v. 404: Arg. 1,540,552; 405 ~ Arg. 563 ss.; 406-415 ~ Arg. 580-585; 416-418 ~ Arg.451, 542 ss. Kakridis 1962 fa notare come i vv. 416-418 richiamino Sen. Ag. 440-41 ss.: sulcata vibrant aequora et latera increpant / dirimuntque canae caerulum spumae mare. Il contrasto cromatico tra l’oscurità del mare e il candore della schiuma è spesso impiegato in riferimento al mare: cfr. Eur. Hel. 1501 ss.; Cic. Prognost. fr. 3 B.; Lucr. 2, 766 ss.; Verg. Aen. 8,671-2: haec inter tumidi late maris ibat imago / aurea, sed fluctu spumabant caerula cano. 91 Cfr. Hes. Op. 197-200. La presenza dell’indefinito tij indica che a„dëj non è personificata. La descrizione di Atena del declino dell’umanità rievoca il mito esiodeo delle razze contenuto negli –Erga. La quinta e ultima generazione, quella del ferro, nel poema esiodeo è proiettata nel futuro, mentre Atena qui la traspone nel presente. Per un’analisi dei rapporti intertestuali tra Esiodo e Quinto nel discorso di Atena si veda Carvounis 2007, 241-257. 92 La violenza di Aiace Oileo su Cassandra è narrata in 13,420-429. 93 La stessa concezione è espressa da Apoll. Rh. 2,250: ¢r…zhloi g¦r ™picqon…oisin ™nipaˆ ¢qan£twn. 94 Rhodomann, seguito da Vian, corregge la lezione dei codici oßneka in e†neka sulla base del fatto che la prima ricorre solo quattro volte, a fronte delle ventisei della seconda. 95 Cfr. Hes. Theog. 503-505. 96 La scena del dialogo tra Atena e Zeus si trova per la prima volta in Quinto. In alcuni passi dell’Odissea si fa riferimento al ruolo svolto da Atena nell’ostacolare il ritorno dei Greci (Od. 1,326-327; 3,130-200; 4,499-511; 5.108-109), ma non viene spiegato il motivo della sua ira. Accenni al dialogo tra Zeus e Atena sono presenti nello Pseudo-Apollodoro (Apollod. Epit. 6,5) ed Euripide (Tr. 78-79). Nella costruzione dell’episodio il poeta si rifà a scene omeriche di divinità offese che si rivolgono a Zeus, in particolare a Poseidone che si lamenta con il signore degli dèi dopo che i Feaci hanno riportato Odisseo a Itaca (Od. 13,128-158). 97 Cfr. Hes. Theog. 503-505. 98 Cfr. 4,351 ss.; 7,352. 99 Vian propone la correzione q£lassan in virtù del fatto che in Quinto ¢clÚw ha sempre valore transitivo (e.g. 1,598).

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    L’Iride (l’arcobaleno) che sorge dal mare è presagio di burrasca, come vuole la credenza popolare antica e moderna: nell’immaginario popolare, infatti, l’arcobaleno beve l’acqua del mare per poi emetterla sotto forma di pioggia. L’arcobaleno che sorge sulla terra porta invece il bel tempo. 101 I vv. 468-470 non presentano una sintassi lineare. Si è probabilmente in presenza di una corruzione. Per ovviarvi Köchly, seguito da Pompella, suppone una doppia lacuna, una dopo il v. 468, l’altra dopo il v. 469, mentre Platt e Zimmermann traspongono il v. 473 dopo il v. 538. Un’altra possibilità consiste nell’emendare la lezione dei codici ai vv. 468 („£llV in luogo di ¢šllh e 469 œgguqen ¥krwn in luogo di Ÿnqen ¢caiîn). 102 Alcuni fisici antichi credevano che i colori dell’arcobaleno corrispondessero a quelli di tre elementi naturali: acqua (blu scuro), fuoco (rosso), aria (bianco). Si veda a tal proposito Metrodoro nello scolio ad Arat. Phaen. 940; Maas 1958, 516 (sub ¥llwj); Keydell 1931, 66. 103 StugerÒj non è epiteto consono alle rocce, perciò viene generalmente accolta la correzione che ne fa Rhodomann, stufelÒj, frequentemente impiegato in tal senso (cfr. e.g. 1,295). 104 Vian corregge brucomšnh in brucomšnwn. Per la clausola cfr. Arat. Phaen. 642. 105 Cfr. Od. 5,295-296,304-305; 10,47; Verg. Aen. 1,82-84. In particolare per il v. 490 si confronti Apoll. Rh. 2,169: }RUEQ~n ºlib£t_ ™nal…gkion oßreÈ kàma. Per l’utilizzo della medesima fonte vd. 8,65. 106 Cfr. Od. 5,297; Apoll. Rh. 2,561; Verg. Aen. 1,82-84. Vd. anche supra 3,402 e 9,76. 107 Cfr. Verg. Aen. 1,106 ss.; Seneca, Ag. 499-500; Achill. Tat. 3,2,5. Per i rapporti intertestuali fra il poema di Quinto e l’Eneide virgiliana si veda James 2007, 145-158 e Gärtner 2005. 108 Il sommovimento della sabbia è tratto topico delle tempeste antiche, cfr. A.P. 9,290; Theocr. 7,58; Sall. Iug. 78,3; Hor. Carm. 3,17,10; Ovid. Met. 11,489, Tr. 1,4,6. 109 L’inettitudine dei marinai dinanzi alla tempesta è un altro luogo comune nella descrizione di tempeste, cfr. Il. 15,624 ss.; Od. 5,297; Eur. Tr. 692 ss.; Apoll. Rh. 2,561; 4,1699 ss; Theocr. 22,18; Verg. Aen. 1,91 ss.; Val. Fl. 1,621; Stat. Theb. 3,29 ss; 5,383 ss. 110 Mediante i tuoni Zeus esprime compiacimento per l’azione della figlia. Un comportamento simile da parte del padre degli dèi, questa volta nei confronti di Dioniso, è attestato anche in un inno a Dioniso, databile al III sec. d.C., in cui si narra la lotta del dio contro Licurgo, vv. 18 - 29 (aƒ OYOREi WAIP„KM^SR ¹T¶ F?VSRAX®WM UEQIfEMN / Yd{SN €VK  ƒfAHLPE (M¶N 100

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    NOTE AL TESTO

    mšga kuda…nontoj). Cfr. Page 1942, 522, n. 129, v. 16-18 (= Heitsch 1964, Ia,173). 111 Cfr. supra, v. 373. 112 SunwcadÕn è un avverbio in -adÒn derivato dal grado o di Ÿcw. È impiegato per indicare un’azione ripetuta nel tempo o perpetrata in un contesto di contiguità spaziale. Il primo significato è attestato in Esiodo in cui si traduce, quindi, come “continuamente” (Theog. 690). Il secondo significato è testimoniato unicamente in questo passo di Quinto. Rhodomann e Lehrs lo traducono come “nell’urtarsi”. Per un’accezione simile si confronti l’avverbio sunochdÒn presente in un epigramma dell’Antologia Palatina (9,343). L’immagine della collisione delle navi è di matrice tragica (cfr. Aesch. Ag. 654-657). 113 Le navi si urtano le une con le altre in Od. 10,122 ed Aesch. Ag. 654 ss., ma una descrizione particolareggiata della scena si rinviene solo in questo passo di Quinto e in Sen. Ag. 497 ss. Probabilmente i due autori attingevano ad una fonte per noi perduta (cfr. Tarrant 1976, 270). 114 La seconda parte del verso a partire dalla cesura trocaica si ritrova identica in 11,501: pÒnoj d' ¨prhktoj Ñrèrei. Il modello si rinviene in Apoll. Rh. 1,246. 115 Il sintagma formulare che occupa la seconda parte del verso a partire dalla cesura trocaica si rinviene, con la variazione della desinenza casuale di p£ntwn, in 6,281 e 11,472. Nel primo caso riferito a e‡data, nel secondo a Ñstša. Tutte e tre le occorrenze sono inserite in contesti cruenti di uccisioni e morte. 116 La mescolanza di mare e terra in caso di tempeste è un topos presente anche in Verg. Aen. 1,133 ss. 117 Per il participio sunarhrÒta cfr. 13,136. 118 La lezione dei codici a„nÒn te cÒlon è probabilmente un errore di copiatura dettato dalla reminiscenza di iuncturae analoghe (cfr. e.g. 9,493). 119 La prima parte del verso fino alla cesura trocaica è di matrice odissiaca (Od. 12,415 = 14,305 la formula è posizionata qui nella seconda parte del verso). Nella tragedia di Seneca Atena si limita a distruggere la nave di Aiace (Ag. 533-538). 120 Anfitrite è la personificazione del mare. Cfr. 8,63 e 14,609. 121 Cfr. Od. 12,417;419: zRH~ qee…ou plÁto: pšson d' ™k nhÒj ˜ta‹roi/ kÚmasin ™nforšonto, qeÒj ¢poa…nuto nÒston. 122 Il motivo dell’improvviso fulgore generato dai fulmini in caso di tempesta si rinviene anche in Verg. Aen. 1,90; Sen. Ag. 494-496; Achill. Tat. 3,2,2. 123 Il sintagma formulare o† d' ¢legeinoˆ ricorre anche in 7,458 e 11,102. 124 Nell’Agamennone di Seneca, invece, le prigioniere troiane non bra-

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    mano vendetta, ma accomunate ai Danai dal medesimo destino di sventura, rivolgono agli dèi le stesse preghiere dei vincitori (cfr. Sen. Ag. 511 eadem superos Troes et Danai rogant). 125 La morte di Aiace non si configura solo come punizione per un’offesa alla divinità, bensì anche come un delitto che si carica di implicazioni morali riguardanti il genere umano. In nessun’altra opera letteraria pervenutaci si incontra una descrizione così approfondita della morte dell’eroe. Per costruirla Quinto si serve degli elementi tradizionali di questo mito: la tempesta suscitata da Atena, la lotta di Aiace per raggiungere la rupe girea, la sfida lanciata agli dèi e il conseguente intervento di Poseidone. 126 La descrizione del tentativo di Aiace di salvarsi a nuoto è modellata su analoghe scene di cui è protagonista Odisseo in Od. 5,370-375; 14,310-312. I correlativi ¥llote mšn…†PPSXIH~ segnalano la successione temporale delle due azioni. Per il medesimo uso si veda supra, vv. 404-405. 127 B…hn Øpšroplon œcontej si rinviene come clausola in Hes. Theog. 670. 128 Cfr. Sen. Ag. 541-542: fluctusque rumpit pectore et navem manu / complexus ignes traxit etc. 129 Cfr. supra, vv. 490 ss. e inoltre 8,59 ss. 130 Cfr. Sen. Ag. 532 ss. Il destino di Aiace è tratteggiato in maniera simile anche nell’inno a Dioniso già menzionato (vv. 21-24). 131 Si confronti l’inno a Dioniso già citato (vv. 26 ss.). 132 Nell’Odissea Proteo, interrogato da Odisseo, rievoca, anche qui in maniera indiretta, le estreme parole di superbia che costarono la vita ad Aiace (Od. 4,504). In Seneca esse vengono pronunciate, in accordo alle modalità del discorso tragico, da Aiace stesso (Sen. Ag. 544-552). 133 Per la reazione di Poseidone al vanto di Aiace si veda Od. 4,405. 134 Cfr. supra 4,405 ss.; Sen. Ag. 544. In Omero Poseidone è alleato di Aiace; infatti, proprio grazie all’aiuto del dio, nonostante la distruzione della nave da parte di Atena, riesce a salvarsi. Solo quando i suoi superbi attacchi agli dèi suscitano l’ira di Poseidone, allora questi spezza la roccia alla quale l’eroe si era aggrappato, facendolo annegare. Seneca e Quinto, invece, seguono la versione del mito che doveva essere accolta nei Nostoi, ed è presente in Euripide, secondo la quale Atena distrugge la nave di Aiace con l’aiuto di Poseidone (cfr. Apollod. Epit. 6,6; Eur. Tr. 77-94; schol. ad Il. 13,66 (= Call. fr.35 Pf.); Philostr. Imag. 2,13. 135 Confrontando le lezioni di H (pštrhn) e della prima mano di P (pštran), Rhodomann, seguito da Vian e Pompella, corregge in pštron. 136 Nell’Odissea si precisa che Poseidone spezza la rupe colpendola con il tridente (Od. 4,506: aÙt…k' œpeita tr…ainan ˜lën cersˆ stibarÍsin). Cfr. anche Sen. Ag. 553 (tridente rupem subruit pulsam pater); in Quinto non è

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    NOTE AL TESTO

    menzionato il tridente, ma viene impiegato lo stesso verbo che si trova in Omero per indicare l’azione con cui Poseidone fende la roccia, ¢posc…zw (ibid. 507: ½lase Gurga…hn pštrhn, ¢pÕ d' œscisen aÙt»n. Cfr. anche Sen. Ag. 555 (soluitque montem; quam cadens secum tulit). Köchly e Zimmermann, sulla base della correzione di Rhodomann, correggono tÍ per in toà per intendendo questo come un pronome relativo. Vian, invece, mantiene la lezione dei codici, poiché lo interpreta come avverbio relativo (“à l’endroit même”). La correzione di Zimmermann, ke‹noj, non è ammissibile, dato che si verrebbe a creare uno spondeo al secondo piede, accuratamente evitato da Quinto. La lezione tràdita, inoltre, trova un parallelo in Omero (cfr. Il., 4,819). A tal proposito si veda Vian 1959b, 160, 174, 241. 137 Similmente si ferisce Odisseo una volta approdato all’isola dei Feaci (cfr. Od. 5,434-35: ìj toà prÕj pštr+si qrasei£wn ¢pÕ ceirîn /˜MRSi ƒT{HVYJUIRX¶RH~Q{KEOÁQ zO„PY]IR  138 Il verso è corrotto. Le soluzioni per sanarlo sono essenzialmente due: la prima consiste nell’accogliere la lezione di Hc e quindi far riferire il participio ÑrinÒmenon a kàma e, in conseguenza di ciò, accogliere la lezione di Hc anche per il verbo mormÚrw, ossia mÒrmuren, avente come soggetto kàma. È questa la soluzione adottata da Pompella. In tal modo il verso 578 descriverebbe l’azione dei flutti, separata da quella dell’¢frÕj, e si deve, perciò, apporre una virgola dopo kàma. La seconda consiste in due correzioni: una applicata al verbo mormÚrw (mormàron Spitzner), l’altra al participio di Ñr…nw (ÑrinÒmenoj West). In base a quest’ultima soluzione, invece, i versi 578 e 579 verrebbero a creare un unico periodo. 139 Cfr. Il. 5,599 (¢frù mormÚronta); 18,403; 21,325; Apoll. Rh. 1,542. 140 Cfr. Od. 4,502 ss. La formula omerica che qui ci si attenderebbe non è ka… nÚ ken, bensì ¢ll¦ kaˆ ïj, perciò si è pensato ad una possibile lacuna dopo il v. 579. Si tratta tuttavia di un’ipotesi confutata dalla tradizione manoscritta: l’archetipo W presenta lo stesso numero di versi dei manoscritti pervenutici. L’unica anomalia è costituita dall’assenza del soggetto nella protasi e„ ... ™piprošhke. Per eliminarla Vian, seguito da Pompella, corregge ¢r’ dei codici in Ö g’. 141 È questa una variante del mito della morte di Aiace presente con qualche differenza, oltre che in Quinto, nell’Agamennone di Seneca. Vi accenna anche Virgilio all’inizio dell’Eneide (Aen. 1,41). Essa affonda le radici nelle Tifonomachie e Gigantonomachie tarde, infatti Aiace è qui assimilato ad Encelado, il gigante su cui Atena scagliò l’isola di Sicilia (Apollod. 1,6,2. L’episodio della morte del gigante ritorna anche in 5,641; 643, sempre in riferimento ad Aiace. In realtà la rappresentazione secondo la tipologia del gigante in guerra con gli dèi è frequentemente applicata agli eroi colpevoli

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    di empietà, come ad esempio Capaneo in Aesch. Sept. 423-425. Si veda a proposito Carvounis 2007,248-254. Cfr. Sen. Ag. 556. 142 Cfr. 9,290. 143 I vv. 593-595 scaturiscono da una rielaborazione di Od. 9,70-71 (aƒ Q~R€TIMX zJIVSRX zTMO„VWMEMdWXfEH{WJMR/ tricq£ te kaˆ tetracqà dišscisen ‡j ¢nšmoio) e Od. 12,409-410 (dWXSÁ H~ TVSX³RSYN €VVL\  ¢nšmoio qÚella/ ¢mfotšrouj, ƒstÕj d' Ñp…sw pšsen, Ôpla te p£nta). Per una descrizione simile si veda supra, 5,81. Per il presente passo si confronti anche Verg. Aen. 1,104-105 (franguntur remi; tum prora avertit et undis / dat latus: insequitur cumulo praeruptus aquae mons); Achill. Tat. 3,1,3. 144 La distruzione delle navi ad opera di raffiche di vento è topica. Si veda Theocr. 22,13-14; Sen. Ag. 503-506. Per il secondo emistichio del v. 595 cfr. supra 1,537. I codici hanno la lezione ™k ker£twn, corretta da Pauw in ™k per£twn. Pompella ritiene di poter salvare la lezione tràdita intendendo kšraj come albero della nave, o piuttosto, l’estremità. 145 Cfr. Verg. Aen. 1,122-123: vicit hiemps; laxis laterum compagibus omnes / accipiunt inimicum imbrem rimisque fatiscunt; Achill. Tat. 3,2,3. 146 Cfr. Sen. Ag. 490. Il motivo dell’interazione della pioggia con il mare è topico (cfr. Aesch. Ag. 656; Eur. Tr. 78 ss.; Apoll. Rh. 2,1115-1117; Arat. Phaen. 936; Verg. Aen. 1,129. 147 Per un paragone simile cfr. supra 2,624. 148 Cfr. supra v. 535. 149 L’immagine del mare completamente occupato da cadaveri e resti di navi è di matrice tragica (cfr. Aesch. Pers. 419-421, Ag. 659 ss.; Eur. Tr. 84, 91). Un’ulteriore reminiscenza dell’Agamennone eschileo si rinviene anche al v. 628 (vd. nota ad loc.). 150 Vian, nonostante metta a testo la lezione dei codici ¥llhn, preferirebbe ¥ll+, intendendo quest’ultimo come avverbio di luogo. 151 Il figlio di Nauplio è Palamede. Quinto ricorda la vendetta di Odisseo contro Palamede già in 5,197 ss. 152 La lezione dei codici non dà senso. Il pronome iniziale deve essere corretto in toà (Rhodomann). La prima parte del verso è stata probabilmente modellata sulla base di Od. 4,505; XSÁH~ Poseidáwn meg£l’ œkluen aÙd»santoj (Zimmermann); ¥lla potrebbe essere stato letto male dal copista in luogo di En]E(Köchly) oppure ¢mfˆ (Platt). Zimmermann propone una correzione più massiccia prima in ‰KGM H~ T„RXEN (1889) e successivamente in †PPSH~T„RXEN(1913). Il v. 620 non si lega sintatticamente a quello successivo, tanto che Köchly e Platt, seguiti da Vian, ipotizzano una lacuna dopo il v. 620. È chiaro, tuttavia, che il poeta racconta di come le

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    NOTE AL TESTO

    navi, dopo essersi disperse, vengano ricondotte a riva perché si espongano alla vendetta di Nauplio. 153 Probabilmente ¢kam£tV, proposto da Zimmermann, è la congettura migliore per sanare la lezione tràdita, che in P e D è evidentemente corrotta. Come osserva Vian, tuttavia, sarebbe opportuno correggere con il femminile ¨kamatoj, quindi ¢kam£t_. È questa, infatti, la forma che ordinariamente ricorre in Quinto, sostituita da ¢kam£th solo per necessità metrica (vd. Vian 1959b, 167). Pompella preferisce mantenere la lezione trasmessa da Hc, aÙomšnhn, participio concordato con peÚkhn. 154 La prima parte del verso fino alla cesura trocaica è formulare in Quinto (cfr. supra 9,229). La stessa idea della salvezza divina da una tempesta è espressa in Aesch. Ag. 661-663. 155 In Omero Poseidone è adirato con i Greci perché questi non avevano compiuto sacrifici in suo onore in occasione della costruzione del muro (Il. 7, 446-453; 12,6) La dizione del verso mostra reminiscenze omeriche, in particolare dell’Odissea (si confronti per esempio il v. 631 con Od. 1,4: poll¦ d’ Ó g’ ™n pÒnt_ p£qen ¥lgea Ón kat¦ qumÒn). 156 Il passo è corrotto. Kaˆ tÒssh è stato variamente corretto, ma nessuna delle correzioni appare soddisfacente (vd. apparato). Inoltre la presenza del t’ al verso successivo ha indotto Köchly e Vian a supporre una lacuna dopo il v. 642. Le soluzioni per evitarla consistono o nell’eliminazione dell’enclitica (Tychsen) o nella correzione di e„sšti al v. 642 in e„sšpeson. 157 Cfr. 10,173. 158 Vian corregge la lezione unanime dei codici ™selqšmenai in ™pelqšmenai, poiché il preverbio ™s- conferisce al verbo un significato più appropriato a descrivere l’immissione dei flutti nel mare, nonché conforme all’usus scribendi del poeta, rispetto ad ™pi-: provvisto del primo il verbo viene a significare “attaccare”, “aggredire”, mentre provvisto di ™s- “entrare in” (cfr. 3,466; 5,280; 7,359; 13,53;14,139). 159 Cfr. 13,548 ss.; 14,581. 160 La sintassi del verso non è lineare. Zimmermann corregge l’espressione zO H~ UIQ{UP[R in ›H~ U{QIUPE in cui qšmeqla è nominativo cui sarebbe legato il genitivo epesegetico Dardan…hj (codd. Dardan…h). In realtà l’espressione è garantita da 2,232 e 6,35. Tychsen propone di correggere la sola congiunzione copulativa (™k te qemšqlwn) Vian preferisce supporre una lacuna dopo il verso. 161 La lezione tràdita ™k qinîn pone due ordini di problemi: a. in Omero il sostantivo q…j non è mai retto dalla preposizione ™k; b. è termine sinonimico dell’a„gialÒj presente nel verso seguente. Rhodomann corregge sulla base di una clausola omerica (Od. 10,515). In Omero ›ktoqi è impiegato

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    solo come preposizione unita al genitivo; kat’›ktoqi non è mai attestato, ed in sé risulta oscuro anche nel senso. Abbiamo preferito considerare il testo insanabile piuttosto che accogliere, come fa Vian, la pur ingegnosa congettura di Tychsen, poiché, in tal caso, si correggerebbe, in maniera metodologicamente discutibile, con un hapax. 162 I versi sono intrisi di reminiscenze omeriche, in particolare 632 ss ~Il. 12,17 e 7,459 ss.; 634 ~Il. 12,7-8; 637 ss. ~ Il. 12,25; 639 ss.12, 17,24-25; 640 ss. ~ 12,18-19; 645 ~12,18 e 7,463; 647-654 ~ 12,31 e 7,462. Le allusioni ad Omero informano gran parte della dizione del poema, come si è avuto modo di mostrare anche altrove nel commento. Esse non solo si configurano come componente necessaria e, per così dire, genetica, dell’opera, in quanto appartenente al genere epico, ma assolvono anche la funzione programmatica di conferire a questa lo statuto di ‘poema omerico’, in cui vengono narrate le vicende intercorse tra la fine dell’Iliade e l’inizio dell’Odissea. I Posthomerica, infatti, intendono porsi come raccordo tra i due grandi poemi omerici. 163 Mentre Omero si sofferma sull’aspetto portentoso dell’intervento di Poseidone, Quinto lo descrive in termini naturalistici, assimilandolo ad una conseguenza di eventi naturali catastrofici, inaugurati da un terremoto e conclusi da una marea che, inondando la pianura troiana, impedisce ai fiumi di riversarsi in mare. Egli si inserisce in tal modo nel filone esegetico di impronta naturalistica che ebbe come esponenti più significativi Eraclito (Alleg. homer. 38) e Dione di Prusa (11,76).

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    II

    INDICE DEI NOMI NOTEVOLI a cura di Graziamaria Gagliarde e Valentina Zanusso*

    A ACAMANTE. Figlio di Teseo, gara di pugilato con Epeo, 4,323-404. Entra nel cavallo, 12,326. Con suo fratello Demofonte, ritrova sua nonna Etra durante il saccheggio di Troia, 13,496-543. ACAMANTE. Guerriero troiano, figlio di Antenore, ferito da Trasimede, 6,574-578. Ucciso da Filottete, 10,168. ACHILLE. Figlio di Teti e Peleo. Infanzia: Appartiene alla stessa stirpe di Aiace, 5,236. Nasce da Zeus come Ulisse, 5,290. Allevato da Fenice, 3,463-479; 7,642-652. Riceve la lancia fabbricata da Chirone, 1,592-593. Sposa Deidamia e ne ha come figlio Neottolemo, 7,183184. Si unisce alla spedizione contro Troia su consiglio di Odisseo e Diomede, 5,256-257; 7,243-247. Le sue prime imprese: Conquista dodici città insulari e dodici città nella Troade, 1,13-14; 14,128-129. Ferisce Telefo, in seguito guarisce la sua ferita, 4,151-152, 173-177; 8,150-153; 14,129-130. Uccide Cicno, 4,153, 469-471; 14,131. Conquista Tebe e uccide Eezione, 3,545-546; 4,152-153; 542-544; 13,275276; 14,130. Prende Lirnesso e uccide Minete, 4,475-478. Conquista dei prigionieri a Lesbo, 3,544-545; 4,274-277. Si impossessa del bestiame di Enea sull’Ida, 4,181-184. Uccide Troilo, 4,153-155, 419435. Cattura Licaone, gli restituisce la libertà dietro riscatto, 4,383393; in seguito lo uccide, 4,158-159. Si adira contro gli Argivi quando gli tolgono Briseide, 14,132, 215-216. Uccide Polidoro, 4,154. Massacra i Troiani presso lo Scamandro, 1,9-10; 4,156-158. Uccide Asteropeo, 4,153-155. Uccide Ettore e trascina il suo corpo intorno Troia, 1,1, 12, 111-114; 2,10-15; 4,160; 13,276; 14,133. Organizza i giochi in onore di Patroclo. Le ultime imprese: Piange Patroclo e si allon* Le autrici hanno curato rispettivamente le voci dalla A alla G e dalla I alla Z. Per maggiori dettagli si rimanda all’Index di Vian 3, 237-278.

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    tana dalla battaglia, 1,376-380. Al richiamo di Aiace, prende le armi e si lancia in combattimento, 1,494-528. Il suo scudo è danneggiato dalla lancia di Pentesilea, 1,547-550. Sconfigge Pentesilea, 1,574591. Combatte contro Pentesilea e la uccide, 1,592-621 (cf. 2,16-20; 4,160; 14,134). Si prende gioco della sua vittima, 1,643-653. Spoglia Pentesilea e, scoprendo la sua bellezza, si rincresce di averla uccisa, 1,654-674. Il suo dispiacere, 1,718-721. Si espone al sarcasmo di Tersite 1,722-740. Uccide Tersite, 1,741-747 e ne offende il cadavere, 1,755-765. Diomede lo provoca, 1,766-781. La sua vittoria è celebrata dagli Argivi, 1,825-830; 2,1-4. È temuto dai Troiani, 2,10-20; 9799. Conduce gli Argivi in battaglia, 2,202-211. Uccide Talio e Mente, 2,228-229. Altre imprese, 2,229-234. Viene a sapere della morte di Antiloco, 2,388-394. Incontra Memnone, 2,395-410. Risposta alla sfida di Memnone, 2,430-451.Combatte contro Memnone e lo uccide, 2,452-544 (cf. 4,161;14,134-135). Incalza i Troiani, 2,547-548. È celebrato dagli Argivi, 2,632. L’indomani riprende il combattimento per vendicare Antiloco, 3,10-11. Sue imprese, 3,21-31. È ferito alla caviglia da Apollo, 3,53-66. Maledice Apollo, 3,67-82. Estrae la freccia, 3,83-85. È celebrato da Era, 3,114-124. Riprende il combattimento, 3,138-163. Uccide Oritaone, Ipponoo e Alcitoo, 3,151-160. Le sue ultime minacce, 3,164-175. La sua morte, 3,175-185. Dopo la sua morte: Paride vuole impadronirsi della sue spoglie, 3,190-211. Aiace e gli altri Achei combattono intorno al suo corpo, 3,212-384 (cf. 5,183-186, 219-222, 285-288). Il suo corpo è riportato al campo greco, 3,385-391. I Greci piangono sulle sue spoglie, 3,399-513. Il corpo è lavato, 3,514-543. I prigionieri e le Nereidi lo compiangono, 3,544-671. I funerali, 3,672-742. I suoi cavalli piangono su di lui, 3,544-561. Teti e le Nereidi continuano a compiangerlo, 3,766-787. Diventerà un dio e regnerà su un’isola del Ponto Eussino, 3,773-779. È celebrato da Nestore, 4,146-168. Descrizione delle sue armi, 5,1120; 7,194-205. Suo figlio Neottolemo gli assomiglia, 7,177, 445-451, 538, 726-727; 8,37; 9,7a; 12,287-288. Ulisse e Diomede ricordano le sue imprese, 7,377-381. Fenice pronuncia il suo elogio, 7,642-666. Neottolemo lo compiange, 7,713-722. Briseide lo piange ancora, 7,725. Neottolemo visita la sua tomba, 9,46-65. Gli Achei vincitori celebrano le sue imprese, 14,127-135. La sua ombra appare a Neottolemo e ordina il sacrificio di Polissena, 14,179-245. La sua ombra ritorna ai Campi Elisi, 14,222-226. Avendo suscitato una tempesta, è

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    venerato come un dio dagli Argivi, 14,246-256. Polissena è sacrificata sulla sua tomba, 14,257-271, 304-315. È celebrato dai Greci, 14,330. La flotta greca si lascia dietro la sua tomba, 14,406-407. ADE. 2,650; 3,71, 157, 198, 774; 6,263, 429; 7, 52; 8,139; 9,12, 51; 13,201. AFRODITE. Sposa di Efesto, 2,139. È sorpresa nelle braccia di Ares, 14,47-54. Compagna di Ares, 1,667. Sorge dal mare, circondata da Desiderio e dalle Grazie, 5,69-72. È amata da Anchise, 8,97-98. Preserva la bellezza di Pentesilea dopo la sua morte, 1,666-668. Protegge Paride, 10,318. In suo riguardo, Teti distoglie Neottolemo da Enea,11,240-242. Piange Paride, 11,288. Porta via Enea dalla battaglia, 11,288-297. Fa deviare una freccia destinata a Enea, 11,479-480. Protegge la fuga di Enea, 13,326-332, 343. Impedisce a Menelao di uccidere Elena, 13,389-402. Elena le assomiglia, 14,45-57. Protegge Elena, 14,69-70. Riconcilia Menelao ed Elena, 14,152-153. AGAMENNONE. Figlio di Atreo e capo degli Achei. Festeggia nelle sue tende, 1,828. Piange Achille, 3,491-504. Nestore lo invita a far procedere alla cerimonia funebre per Achille, 3,514-525. Obedisce a Nestore, 3,526-530. Inferiore per eloquenza a Nestore, 4,127. Decide lo scopo della corsa, 4,193-194. Fissa l’obiettivo del tiro con l’arco , 4,407-409. È scelto come arbitro da Aiace e Odisseo, 5,134138. Si consulta con Nestore e Idomeneo, 5,139-176. Si intrattiene con Menelao, 5,413-432. È maledetto da Aiace, 5,472-475. Conforta Tecmessa e piange Aiace, 5,559-568. Conduce i Greci in combattimento, 6,336-337. Accoglie e si complimenta con Neottolemo, 7,687-699. Uccide Eustrato, 8,99. Autorizza Priamo a seppellire i morti, 9,34-36. Le sue imprese, 9,203-205. Accoglie Filottete, 9,486516. Uccide Melio, 11,85. Comanda con Nestore la flotta greca che si imbosca a Tenedo, 12, 338-344. Durante il saccheggio di Troia uccide il figlio di Damastore, 13,211. Dissuade Menelao dall’uccidere Elena, 13,406-414. Prende Cassandra come prigioniera, 14,20. Riceve l’ordine di sacrificare Polissena dall’intermediario Neottolemo, 14,209-222, 239-245. AGAPENORE. Capo arcade, 4,465-69; 12,325.

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    AGENORE. Nobile troiano, 3,212-16; 6,624-30; 8,310-13; 11,8689, 188-200, 348-51. Ucciso da Neottolemo, 13,216-17. AIACE. Figlio di Telamone, nipote di Eaco. Viene da Salamina, 6,632-633. Conquista Tecmessa e la fa sua sposa, 5,521-527; 540-549. Le sue imprese passate, 5,200-217, 268-281. Vinto da Odisseo alla lotta durante i giochi offerti in onore di Patroclo, 5,313-316. Piange Patroclo e resta in disparte dalla battaglia, 1,376-378. Invita Achille ad andare in combattimento, 1,494-528. Il suo gambale è danneggiato dalla lancia di Pentesilea, 1,563-567. Lascia ad Achille l’onore di uccidere Pentesilea, 1,568-572. Combatte per riprendere il corpo di Achille, 3,217-227. È sconfitto da Glauco, 3,237-266. Si scatena nella battaglia, 3,267-277. Uccide Glauco, 3,278-282 (cf. 14,135-136). Ferisce Enea, 3,286-288. Ferisce Paride e lo minaccia di morte, 3,329-348. Mette in rotta i Troiani, 3,349-381. Piange Achillle, 3,427-459. Invita gli Achei a celebrare dei giochi in onore di Achille, 4,88-100. La sua morte è vicina, 4,100-102. Affronta Diomede nella lotta, 4,215-283. Trionfa alle prove del disco e del pancrazio, 4,436-464, 479-499. Rivendica contro Odisseo le armi di Achille, 5,128-138. Pronuncia due discorsi di difesa davanti al tribunale, 5,180-236, 291-305. Sconfitto, si dispera e rientra nella sua tenda, 5,318-332. La sua follia, 5,352394. Massacra gli armenti degli Achei, 5,395-439. Crede d aver ucciso Odisseo e lo ingiuria, 5,440-450. Atena pone fine al suo delirio, 451455. Si lamenta e poi si taglia la gola con la sua spada, 5,456-486. Gli Achei si lamentano della sua morte, 5,487-598. Nestore invita i Greci a dargli sepoltura, 5,599-611. Gli Achei preparano il corpo e lo bruciano, 5,612-652. Lo seppelliscono presso il capo Reteo, 5,653-663. AIACE. Figlio di Oileo, capo dei Locresi. Vince Teucro nella corsa, 4,185-209. È vinto da Teucro nella prova del tiro con l’arco, 4,405-419. Tiene testa a Euripilo, 6,502-503. Ferito da Enea, lascia il combattimento, 6,521526. Ha per compagno Alcimedonte, 6,556. Ferisce Scilaceo, 10,147-150. Scaglia i suoi dardi contro i Troiani appostati sulle mura di difesa, 11,440-446. Perde il suo compagno Alcimedonte, 11,447-473. Fa violenza a Cassandra nel tempio di Atena, 14,435-439. La sua nave è affondata da Atena, 14,530-535. Nuota nel mare in tempesta, 14,532-564. Sfida gli dèi, 14,565-567. Poseidone lo seppellisce sotto una montagna presso il capo Cafareo, 14,568-589 (cf. 6,523-524).

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    ALCIMEDONTE. Nobile locrese, 6,556-67; ucciso da Enea 11,447-73. AMAZZONI. Accompagnano Pentesilea, 1,53. Seguono Pentesilea nel combattimento, 1,177-178. Si esercitano dall’infanzia alla lotta, 1, 456-460. Sono sepolte accanto a Pentesilea, 1,804-805. Fuggono dopo la vittoria di Eracle su Ippolito, 6,244-245. ANCHISE. Padre di Enea. È stato amante di Afrodite, 8,97-98. Suo figlio lo carica sulle proprie spalle per portarlo lontano da Troia, 13,317-319, 327, 348-349. ANDROMACA. Figlia di Ezione e vedova di Ettore. Piange Ettore e rimprovera a Pentesilea la sua temerarietà, 1,98-117. Suo figlio Astiannatte le è tolto, 13,252. Piange suo figlio, 13,258-289. È portata come prigioniera, 13,290. È la prigionieradi Neottolemo, 14,21. ANFILOCO. Figlio di Anfiarao, 12,325; 14,365-69. ANFITRITE. Sposa di Poseidone, 7,374. Designa il mare, 8,63; 14,535, 609, 644. ANTENORE. Capo troiano, padre di Acamante e Eurimaco, suocero di Euridamante. Implora Zeus, 9,8-23. La sua dimora è risparmiata dagli Achei perché egli aveva dato a sua volta ospitalità a Menelao e a Ulisse, 13,293-299. Da sepoltura a Polissena, compagna di Eurimaco, 14,320-326. Con alcuni sopravvissuti dà sepoltura ai Troiani dopo la presa di Troia, 14,399-402. ANTEO. 4,445-47; 6,285-88. ANTILOCO. Figlio di Nestore. Difende suo padre contro Memnone, 2,244-247. È ucciso da memnone, 2,247-259. Nestore tenta invano di vendicarlo, 2,260-344; in seguito fa ricorso ad Achille, 2,388395. Achille è in collera per la sua morte, 2,400, 447-448; 3,10-11. È pianto dagli Argivi, 2,633. È seppellito dai Pilii, 3,2-7. Nestore conserva il suo ricordo, 3,516-517; 5,601-605, 7,45-50. APOLLO. Dio di Crisa, 7,402 e di Sminte, 8,292, 14,413. Possiede un santuario a Pergamo, 12,481, 517. Uccide Tizio, 3,392-398. Pasce i buoi di Laomedonte, 3,109-113. Canta alle nozze di Teti, 3,98-105. Proibisce ad Achille di attraversare la cinta delle mura di Troia, 3,30-

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    95. Ferisce a morte Achille, 3,60-62. È maledetto da Achille, 3,68-82. Ritorna all’Olimpo, 3,86-95. Subisce i rimproveri di Era, 3,96-138. I Troiani invocano il suo aiuto, 4,40-42. Protegge i Troiani, 8,399401. Allontana Deifobo dal campo di battaglia, 9,256-263. Discende dal cielo a soccorso dei Troiani, 9,291-300. Poseidone gli impedisce di uccidere Neottolemo, 9,300-323. Sotto le spoglie di Polimestore, incoraggia Enea ed Eurimaco, 11,129-144. Gioisce alla vista degli Achei in fuga, 11,168-179. Il suo santuario di Pergamo è incendiato, 13,433-434. Si allea a Poseidone per distruggere il muro degli Achei, 14,639-641. ARES. Sposo o amante di Afrodite, 1,667. Le sue armi, 7,196-197. Viene sorpreso in flagrante adulterio con Afrodite, 14,47-50. È vinto da Atena, 3,420-421; 11,296-297. Padre di Pentesilea, 1,55, 461, 561, 585, 641 (cf. 187, 206, 318). Le dà la sua armatura, 1,140-141. Vuole vendicare la sua morte ma ne è distolto da Zeus, 1,675-715. Incoraggia i Troiani, 8,239-266, 284, 290, 326-329, 336-337. L’intervento di Atena e di Zeus lo obbliga a ritirarsi in Tracia, 8,342-356. Aiuta Enea a difendere le mura, 11,412-414. Diversi guerrieri sono a lui paragonati, 2,212-213; 3,420-421; 6,294; 7,98, 359-364; 9,218-221; 10,170. ARPIE. 4,569-71; 8,154-57. ARTEMIDE. 1,366, 663-65; suo tempio a Smirne, 12,312. ASCLEPIO. 6,422-24; 7,91-92. Padre di Podalirio, 9,466. ASTEROPE. Capo dei Peoni, ferito da Achille, 3,609-10; 4,155. Le sue armi sono donate a Stenelo, 4,587-88. ATENA. Possiede un tempio a Troia, 6,146. Lotta contro i Giganti, 1,179. Seppellisce Encelado sotto la Sicilia,14,582-585. Trionfa su Ares, 3,420-421; 11,296-297. Invia un sogno ingannevole a Pentesilea, 1,124-128. Pentesilea le è paragonata, 1,179, 365. Dà forza ad Achille e Aiace, 1,513-514. Versa dell’ambrosia sul corpo di Achille, 3,533-540. Invia Follia ad Aiace per proteggere Ulisse, 5,360-364. Caccia Follia lontano da Aiace, 5,451-452. Discende dall’Olimpo per proteggere gli Achei, 7,556-563. Discende dall’Olimpo per opporsi ad Ares, 8,342-351. Per ordine di Zeus lascia la battaglia, 8,356-358. Placa il rancore di Filottete, 9,404-405. Fa levare un vento favorevo-

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    le alla nave di Filottete, 9,436-437. Restituisce la salute a Filottete, 9,483-485. Il suo simulacro a Troia è rubato da Diomede, 10,353360. Protegge gli Argivi, 11,283-287. Il cavallo di legno è costruito in suo onore, 12,37-38, 237, 377-379. Guida Epeo nella costruzione del cavallo, 12,83, 104-116, 147-148. Epeo la invoca dopo aver portato a termine la sua opera, 12,151-156. È attaccata da Ares, 12,172-173. Fa tremare la terra sotto Laocoonte e lo rende cieco, 12,395-415. Invia due giganteschi serpenti per uccidere i figli di Laocoonte, 12,447480. Gioisce del sacco di Troia, 13,417-419. Riprova il sacreilegio commesso da Aiace figlio di Oileo nel suo tempio, 13,420-429. Ottiene da Zeus il permesso di punire Aiace figlio di Oileo e gli Achei, 14,419-448. Riceve la folgore da Zeus e scatena la tempesta, 14,449465. Invia Iride presso Eole,14,466-479. Fa imperversare la tempesta con l’aiuto di Zeus e di Poseidone,14,505-511. Folgora la nave di Aiace, 14,530-534. Gioisce della punizione dei Danai e prolunga quella di Aiace, 14,546-547, 557-561. Si inquieta delle prove che attendono Odisseo, 14,628-631. ATRIDI. Agamennone e Menelao, arruolano Odisseo suo malgrado, 5,193-194. Achille viene in loro soccorso, 5,256-257 (cf. 7,380381). Odisseo è loro consigliere, 5,275-277. Hanno pietà di Pentesilea e permettono ai Troiani di seppellire le Amazzoni, 1,782-786, 806-808. Tengono testa con pochi uomini ai Troiani e poi a Euripilo, 6,502-504, 516-519. Sono accerchiati, 6,527-537. Sono liberati da un contrattacco degli Achei, poi ripiegano, 6,538-602. Inviano un’ambasceria presso Filottete, 9,333-336. AURORA. Vedi EOS. AUTOMEDONTE. Cocchiere di Achille e Neottolemo, 8,33-35; 9,213-16, 224-30.

    B BOREA.Vento di Tracia. Sposo di Orizia, 1,167. Padre dei cavalli di Ares, 8,241-244. Eolo gli ordina di soffiare sulla pira di Achille, 3,702-704. Legato al carro di Zeus, 12,192. Cf. Anche 1,625; 4,552; 5,409; 6,485; 6,485; 8,50, 91, 205; 11,228, 232; 13,396.

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    BRISEIDE. Prigioniera e concubina di Achille. Achille è estremamente irritato quando gli viene sottratta, 14,215-216. Piange sul corpo di Achille, 3,551-581. Taglia le sue trecce in suo onore, 3,687-688. Si commuove alla vista di Neottolemo, 7,723-727.

    C CALCANTE. Indovino greco, figlio di Testore. Consiglia agli Achei di assicurarsi l’aiuto di Neottolemo, 6,57-70. Predice la presa di Troia, 7,474-477. Annuncia che Troia non sarà presa se non con l’aiuto di Filottete, 9,325-332. Invita gli Achei a escogitare uno stratagemma per penetrare dentro Troia, 12,1-20. Approva il piano di Odeisseo, 12,46-65. Neottolemo critica la sua iniziativa, Odisseo l’approva, 12,66-83. La sua scienza è celebrata dagli Achei, 12,100-103. Predice il destino di Enea, 13,333-350. Fa portare Ecuba nel Chersoneso dopo la sua metamorfosi, 14,352-353. Predice invano ai Greci la tempesta a Capo Zefirio,14,360-365. Conquista con Anfiloco la Panfilia e la Cilicia, 14,365-369. CAPANEO. Guerriero greco, 4,566; 10,479-82; 11,338. CASSANDRA. Figlia di Priamo, profetessa. Predice la rovina di Troia, 12,525-551. Derisa e scacciata dai Troiani, 12,552-575. Ammirata dai Greci nascosti nel cavallo, 12,576-579. Si allontana dal cavallo, 12,580-585. Aiace figlio di Oileo le fa violenza, 13,421-429 (cf. 14,435-439). Prigioniera di Agamennone, 14,20. I Troiani riconoscono troppo tardi la saggezza dei suoi ammonimenti, 14,395-398. CERBERO. Cane guardiano degli Inferi. Fratello di Ortro, 6,253354. Figlio di Tifeo e di Echidna, riportato sulla terra da Eracle, 6,260-268. CENTAURI. 6,273-82; 7,107-11. CHAOS. Padre dei Destini o Moire, 3,756. Accoglie la Notte nel suo seno, 14,2. CHIRONE. Centauro. Fabbrica la lancia di Achille, 1,593. Il suo antro sul Pelio, 4,143.

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    CICNO. Figlio di Poseidone ucciso da Achille, 4,153-54, 468-71; 14,131.

    D DARDANO. Figlio di Zeus e di Elettra, padre di Erittonio e iniziatore della dinastia di Priamo, 1,195-196; 2,139-141; 9,19-20; 13,557558; cf. 10,93; 11,425; 12,520. DEIDAMIA. Figlia di Licomede, sposa di Achille e madre di Neottolemo, 7,184. Piange Achille, 7,228-231. Inquieta per suo figlio, cerca di trattenerlo, 7,242-287. Suo figlio la conforta, 7,287-292. Si dispera alla partenza di Neottolemo, 7,15-346; 384-393. Dà a Neottolemo una scorta di venti uomini, 7,346-353. DEIFOBO. Figlio di Priamo. Accompagna Euripilo al combattimento, 6,318. Fugge, ferito da Menelao, 6,508-509. Uccide Licone, 8,330-302. Esorta i Troiani, 9,80-110. Uccide Ippaside, 9,149-156. Sue imprese, 9,157-179. Incontra Neottolemo, 9,210-255. È salvato da Apollo, 9,256-263. Sposerà Elena, 10,344-346. Insieme a Polite, difende le Porte Scee, 11,339-344. Ucciso da Menelao nel letto di Elena, 13,354373. DEMOFONTE. Figlio di Teseo. Con suo fratello Acamante ritrova sua nonna Eetra durante il sacco di troia, 13,496-543. DERINOE. Amazzone uccisa da Aiace di Oileo, 1,42, 230, 258-59. DESTINO, FATO. 1) Aisa: 1,104, 389-395; 2,236; 3,331, 374, 487; 5, 582, 594; 6,13; 9,502; 10,107, 331, 344-347, 396; 11,272, 306; 12,171172, 564-565; 13,279-280; 14,364-365. La sua onnipotenza: 3,649654; 11,273-277; 13,473-477; 14,97-100. Keres: 7,289; 10,286-287; 11,296; 13,234-235; 14,293-294, 563-564. Durante il combattimento si pongono accanto ad Achille e Memnone, 2,508-516. Moira, Moirai: 1,492-493; 2,362-361; 3,755-762; 4,433-434; 5,332; 6,561-562; 7,247-249, 612-613; 8,127, 319-320, 323; 10,97-98, 109; 11,140-141, 185. La loro onnipotenza, 7,67-84; 9,414-422, 499-508; 13,494-495, 558-561. DIOMEDE. Capo greco, figlio di Tideo. Ottiene per i Greci l’aiuto

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    di Achille, 7,243-247. Si lascia conquistare dai doni di Glauco, 3,258262. Uccide Alcibie e Derimachea, 1,260-266. Vorrebbe vendicare suo cugino Tersite, 1,767-781. Chiama i DAnai al combattimento, 4,82-88. Convinto da Aiace, accetta di artecipare ai giochi in onore di Achille, 4,88-109. Affronta nella lotta Aiace figlio di Telamone, 4,215-283. Prende da parte Menelao e chiama i Greci al combattimento, 6,39-56. È inviato con Odisseo in ambasceria presso Neottolemo, 6,64-67, 77-83. La sua partenza, 6,96-115. Parte in ambasceria a Sciro,7,169-411. Al suo ritorno convince i suoi compagni a prestare soccorso agli Argivi, 7,419-431. Respinge i Troiani dalle mura, 7,482-485. Uccide Eumeo, 8,96-98. Le sue imprese, 9,203-205. Con Odisseo è inviato in ambasceria presso Filottete, 9,333-447. Insieme a Odieeso penetra dentro Troia, uccide Alcatoo e conquista il palladio, 10,350-354. Uccide Corebo, 13,168-177. Uccide Euridamante, 13,178-180. Uccide Ilioneo, 13,181-207. DIONISO. È raccolto da Teti, 2,438-439. Gli dona un’anfora, 3,373378. È divinizzato, 3,772. Sposa Ariadne e tramanda a suo figlio Toa due crateri che aveva ricevuto da Efesto, 4386-393. DISCORDIA. Personificata, 1,159-60, 180-81, 366. Sullo scudo di Achille, 5,31-33. Interventi in battaglia: 2,460, 540-41; 6,359; 7,16567; 8,68, 191-92, 325-26; 9,146-47, 324; 10,53-65; 11,8-10, 162-63; 13,563.

    E ECUBA. Sposa di Priamo. Madre di Troilo, 4,420. Piange Paride, 10,369-385. Demofonte e Acamante pensano di riconoscerla, 13,500503. Prigioniera di Odisseo, 14,21-29. Piange su Polissena, 14,272303. Trasformata in cagna, pietrificata e trasportata nel Chersoneso, 14,347-353. EEZIONE. Re di Tebe e padre di Andromaca, 1,98, 115; 3,546, 13,266; 14,129-30. EFESTO. Fabbrica opere d’arte, 1,548-550; 2,136-140, 455-456; 3,738; 4,386-388; 5,3-5, 98; 7,198-200, 447; 10,204-205. Assiste alle

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    nozze di Teti, 4,138. Sorprende Afrodite nelle braccia di Ares, 14,4754. Possiede in Cilicia una roccia ardente, 11,92-98. ELENA. È rapita da Teseo, 13,519. È rapita da Paride, 10,286-288, 308-312; 12,547-548; 13,379. Gli Achei combattono per lei, 9,89; 13,412, 469-470. Polidamante domanda che sia loro restituita, 2,5358; Paride rifiuta, 2,96-99. È maledetta da Menelao, 6,22-29. Riceve Euripilo, 6,151-161. Si rattrista profondamente della morte di Paride, 10,389-407 (cf. 363). Sposerà Deifobo, 10,344-346. Sposa di Deifobo, fugge davanti a Menelao, 13,354-358. Fermata, è protetta da Afrodite e da Agamennone, 13,385-415. Prigioniera di Menelao, 14,39-70. Perdonata da Menelao, 14,149-178. ELENO. Figlio di Priamo; esorta i Troiani, 8,252-67; 10,344-60; 11,348-51. ENCELADO. Gigante. Viene folgorato da Zeus, 5,641-643. È sepolto sotto la Sicilia da Pallade, 14,582-585. ENEA. Capo troiano, figlio di Anchise e di Afrodite. Combatte per impadronirsi delle spoglie di Achille, 3,212-216. Salva il corpo di Glauco, 3,286-292. Mette fuori combattimento Aiace figlio di Oileo, 6,520-526. Colpito da Teucro, batte in ritirata, 6,545-548. Malgrado Polidamante, consiglia l’offensiva, 10,26-45. Uccide Arpalione e Illo,10,74-83. Uccide Bremone e Andromaca, 11,41-51. È incoraggiato da Apollo, 11,129-145. Le sue imprese, 11,145-183. È evitato da Neottolemo, 11,238-243. È tolto dalla battaglia da Afrodite, 11,288-297. Respinge gli assedianti, 11,393-439. Uccide Alcimedonte, 11,457-473. Sfidato da Filottete, non raccoglie la provocazione, 11,490-497. Durante il sacco di Troia si batte coraggiosamente, poi abbandona la città portando con sé suo padre suo figlio, 13,300-353. Fonderà Roma e diventerà immortale, 13,336-343. ENIÒ. Divinità della guerra. Pentesilea le è paragonata, 1,365. È raffigurata sullo scudo di Achille, 5,29-30. Interviene nei combattimenti, 2,525; 8,186-187, 286-290, 425-426; 11,8-10, 152-153, 237238; 12,437-438; 13,85. ENONE. Prima moglie di Paride, 10,261-63. Rifiuta di aiutarlo, 10,263-331. Piange Paride, 10,411-89.

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    EOS. Dea del giorno, figlia della Notte, sposa di Titono e madre di Memnone. Pentesilea le è paragonata, 1,48-51. Protegge Memnone, 2,289-290. Paragone tra Eos e Teti, 2,414-429, 616-620. Memnone si vanta di essere suo figlio, 2,417-419. Piange Mamnone e lo fa portare via dai Venti, 2,549-552. Discende dal cielo e piange suo figlio tutta la notte, 2,593-627, 634-639. Zeus le ordina di ritornare in cielo, 2,640641. Fa seppellire suo figlio, 2,642-643. Trasforma gli Etipi in uccelli, 2,643-657. La morte di Achille la rallegra, 3,665-667. EPEO. Figlio di Panopea. Combatte al pugilato contro Acamante, 4,323-404. È incaricato di costruire il cavallo, 12,81-83. Atena gli fa visita in sogno, 12,104-121. Costruisce il cavallo e lo dedica ad Atena, 12,133-156. Sale nel cavallo e chiude le porte, 12,329-334. È celebrato dagli Argivi, 14,87-88. ERA. Rimprovera Apollo per la morte di Achille, 3,96-138; rimprovera Zeus di favorire i Troiani, 4,48-56. Coinvolta in vario modo, 5,397-402; 10,334-62; 12, 438-39; 13,417-19. ERACLE. Conquista Troia, 1,503-505. Conquista il disco di Anteo che dona a Peleo, 4,445-451. Insieme ad Auge genera Telefo, 6,120, 137-142. Sfida i Centauri, 7,107-111. Le sue opere sono raffigurate sullo scudo di Euripilo, 6,198-293. Costruisce l’arco di Filottete, 9,395-397. Dà le sue armi a Filottete, 10,179-205. Le sue spoglie sono bruciate sull’Eta, 5,644-649. È divinizzato, 3,772. ERINNI. 1,29-32; 3,169; 5,31-33, 454-55, 471-75; 10,303; 11,9; 12,547-49; 13,382. ERMES. 3,699; 10,189-91. ERMIONE. Figlia di Elena e Menelao, 6,89-92; 14,162. ESEPO. Personificato, fiume della Troade, 2,587, 606. Ha delle ninfe come figlie, 2,590. ESPERIDI. 2,418-19; 6,256-59. ETICO. Guerriero Paflagone che fugge davanti ad Agamennone, 6,319, 511-12.

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    ETIOPI. Sottoposti a Memnone, 2,100-110. Partecipano al combattimento, 2,190-201, 215-227, 355-367, 467-489. Accompagnano i Venti che portano le spoglie di Memnone, 2,570-582. Seppelliscono Memnone, 2,642-643. Sono trasformati in uccelli, 2,463-655. ETTORE. Figlio di Priamo e sposo di Andromaca. Lotta contro Aiace e contro Odisseo, 5,215-217, 282-284. È protetto da Apollo, 3,49-50. È ucciso da Achille e trascinato intorno alle mura di Troia, 1,1-2, 12, 105-107, 579-582; 2,10-13, 447-448; 4,160; 8,401; 13,234; 14,133. È pianto da Andromaca, 1,98-117. Paride eredita i suoi cavalli, 3,192-199, 339. È pianto da Priamo, 10,385-388. Per rancore contro di lui gli Achei massacrano suo figlio Astianatte, 13,251-257. Cf. 1,212, 342, 579; 3,151, 253; 4,30-31; 5,120, 6,133, 145; 7,730; 10,375. EURIALO. Capo greco. Vincitore al lancio del giavellotto, 4,472478. Rifiuta di affrontare Aiace figlio di Telamone al pancrazio, 4,487-495. Uccide Astreo, 8,306-309. Uccide Melete, 11,108-120. EURIMACO. Figlio di Antenore, 11,129-45, 154-83; 14,321-23. EURIPILO. Figlio di Telefo, re dei Cetei. Arriva a Troia, 6,119132. È ricevuto da Paride, 6,133-191. Si prepara al combattimento, 6,191-199. Descrizione del suo scudo, 6,200-293. Conversa con Paride, 6,294-315. Marcia al combattimento, 6,315-335. Tra le sue altre imprese, uccide Nireo e Macaone, 6,368-435. Attacca gli Atridi e i loro compagni, 6,513-544. Finisce Deiopite, 6,579-586. Incoraggia i Troiani, 6,599-609. Riporta nuovi successi e uccide Peneleo, 7,98-127. Mette in fuga gli Achei, 7,128-141. Assale il muro degli Achei, 7,416418, 479-482, 494-502. Sfida i Greci, 7,511-525. Tenta di mantenere la coesione dell’armata troiana contro Neottolemo, 7,526-555. Le sue imprese: uccide Eurito, Menezio, Arpalo ma non riesce ad abattere Antifonte, 8,108-133. Incontra Neottolemo ed è da lui ucciso in combattimendto singolo, 8,134-218. È seppellito dai Troiani, 9,40-45.

    F FOLLIA. Atena la invia ad Aiace, 5,360. Si impossessa di Aiace, 5,404-405. Ritorna allo Stige, 5,451-455.

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    FENICE. Precettore di Achille, 3,467-79; 7,642-52; lo piange, 3,460-90, 9,64-65. Durante i giochi funebri, 4,293-300; con Neottolemo, 7,630-67. FEREO. Guerriero di Pilo, 2,278-300, 342-44. FILEO. 1,276; 10,318; 12,326. FILOTTETE. Figlio di Peante. Abbandonato a Lemno, 5,195-96. Il recupero dell’eroe, 9,328-443. A Troia, 9,444-528. Parenesi ai Greci, 9,535-40. Contro Paride, 10,51-52, 206-41. Aristie, 10,167-241; 11,474-96. Giudizio sul cavallo, 12,84-103; 317.

    G GANIMEDE. Intercede presso Zeus in favore di Troia, 8,429-443. Il suo santuario a Troia, 14,325-326. GIASONE. Ricordato per vicende precedenti alla spedizione di Troia, 4,383, 391-93; 12,267-70. GIGANTI. Lottano contro Atena, 1,179. Sono folgorati da Zeus, 11,415-419. Cf. 2,517-518; 3,725; 14,584. GIUSTIZIA. Personificata, 4,136-37; 5,45-48; 12,202-14; 13,299, 376-78. GLAUCO. Re della Licia, figlio di Ippoloco. Combatte contro Diomede, poi si riconcilia con lui, 3,258-261. Lotta pe conquistare le spoglie di Achille, 3,214. Attacca Aiace figlio di Telamone e lo sfida, 3,237-266. Ucciso da Aiace, 3,278-285. Le sua spoglie sono messe sulla pira e Apollo le porta via per seppellirle in Licia, 4,1-12. GRAZIE. Assistono alle nozze di Teti, 4,140. Accompagnano Cipride, 5,72. Cf. 6,152.

    I IDOMENEO. È a capo del contingente cretese. Prende parte alla lotta contro le Amazzoni ferendo Bremusa, 1,247-53. Nella gara di pugilato ottiene un premio senza combattere, 4,284-99. Invocato da

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    Aiace, 5,134-39. Soccorre gli Atridi, 6.539. Contro Euripilo, 6,59093. Nel cavallo di legno, 12,320. IPPOLOCO. Padre di Glauco, 3,237, 278; 4,1. IPPOTOE. Amazzone uccisa da Achille, 1,44, 532. IRIDE. Messaggera degli dèi, 12,193-95; 14,466-79.

    L LAERTE. Padre di Ulisse, 3,296 passim. LAOCONTE. Contro l’ingresso del cavallo a Troia, punito da Atena che causa la morte dei suoi due figli, 12,390-415, 444-97. LAOMEDONTE. Padre di Priamo, 1,83, 183; 2,26, 107, 143-45. Al suo servizio Apollo, 3,109-12. Tomba, 1,788, 802. LATONA. Madre di Apollo e Artemide. Difesa da Apollo contro Tizio, 3,392-98. Roccia a lei consacrata, 10,163. Parto, 11,21-26. LOCRESI. Popolo guidato da Aiace d’Oileo, 4,187, 208; 11,447, 469; 14,424, 585. LICII. Popolo proveniente dall’Asia Minore, 3,270; 4,12. LICOMEDE. Padre di Deidamia, nonno di Neottolemo, 7,292-314.

    M MACAONE. Figlio di Asclepio, fratello di Podalirio, medico dello schieramento acheo. Ucciso da Euripilo, compianto dai compagni, 6,391-497. Funerali, 7,5-17. Divinizzazione, 7,87-92. MEDUSA. Uccisa da Perseo, 10,195-98. Raffigurata sull’egida di Atena 14,454-56. MEGETE. Capo del contingente di Dulichio, 1,276-90. Perde lo scudiero Cleolao, 6,634. Ferisce diversi guerrieri troiani, 10,107-09, 138-46; 13,212. Nel cavallo, 12,326.

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    MEMNONE. Figlio di Eos, capo degli Etiopi, alleato dei Troiani, 2,30-37. Ricevuto a Troia da Priamo (2,111-162), fa il suo esordio in battaglia il giorno successivo (2,183-214). Aristìe: 2,235-42, 243-59, 278-387. Combattimento con Achille, psychostasìa e successiva morte 2,388-548. Trasportato dai venti sulle rive dell’Esopo, 2,549-92. Pianto dai Troiani, da Eos, funerali: 2,593-655. Donazione delle sue armi ad Aiace, 4,457-62. MENELAO. Figlio di Atreo, fratello di Agamennone. Ospite di Antenore, 12,295-96. Vincitore alla corsa dei carri, 4,500-44. Sulla follia di Aiace dibatte con Agamennone, 5,413-32. Mette alla prova gli Achei, 6,5-38. Contro Diomede, 6,39-55. Promette Ermione a Neottolemo, 6,84-92. Contro Deifobo (6,508-09 e 13,354-84) e Archeloco (11,91-98). Nel cavallo, 12,315. Con Elena, 13,385-415; 14,17-19, 149-79. MERIONE. Capo del contingente cretese. Aristìe: 1,254-57; 6,540, 549-555; 8,101-07, 402-08, 409-19; 11,91. Nel cavallo, 12,320. MUSE. Scendono dall’Elicone per piangere Achille, incitare i poeti a cantarne le gesta e consolare Teti: 3,594-96, 644-57, 662-64, 785-86. Invocate dal poeta, 12,306-12. MIRMIDONI. Popolo giudatoo da Achille e Neottolemo, 1,689; 2,547; 3,422, 686, 712, 719, 742; 7,605, 661; 8,13; 9,64; 11,224, 347.

    N NEOTTOLEMO. Figlio di Achille e Deidamia. Richiamato dai Greci su consiglio di Calcante, 6,64-67, 79-83, con la promessa di sposare Ermione (figlia di Menelao), 6,85-92. Ambasciata a Sciro per condurlo a Troia, 7,169-434, condotta da Diomede ed Odisseo, che gli dona le armi di suo padre, 7,445-51. Giunto a Troia, scende immediatamente in campo contro Euripilo, 7,452-630. Accoglimento argivo, 7,630727. Aristie in battaglia, contro i Troiani ed Euripilo 8,5-343. Parenesi e festeggiamenti nel campo argivo, 8,365-498. Visita alla tomba del padre, 9,46-65. Aristìe: 9,186-94; 10,84-96; 11,20-40, 207-46, 345-47, 433-35. Contro Deifobo, 9,210-90. Contro Apollo, 9,291-324. Accetta lo stratagemma del cavallo, 12,66-103, 274-305, 314-15. Fa strage a

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    INDICE DEI NOMI NOTEVOLI

    Troia: 13,213-50. Fa schiava Andromaca, 14,21. Achille gli appare in sogno, 14,179-227. Nel sacrificio di Polissena, 14,228-315. NEREO. Padre di Teti e delle Nereidi, piange Achille, 2,435, 498 passim; 3,669-70. NEREIDI. Figlie di Nereo. Accanto a Teti, 3,661-62, 766-68, 78687; 4,191-92; 5,535-37. Con Prometeo, 5,338-45; con Neottolemo in partenza per Troia, 7,353-54. NESSO. Causa la morte di Eracle, 5,645 ed è da lui ucciso, 6,283-85. NESTORE. Figlio di Neleo e padre di Antiloco e Trasimede. Piange la morte di Antiloco che si sacrifica per lui, 2,244-66. In campo contro Memnone e Meneclo, 2,300-369. Consigliere degli Achei: per la sepoltura di Achille, 3,514-25; nel concorso d’eloquenza, 4,11880; nella disputa tra Aiace e Diomede, 4,264-69; nei giochi funebri, 4302-23; nel giudizio delle armi, 5134-76; nella sepoltura di Aiace, 5,600-12; nella consolatio a Podalirio, 7,28-96; nella decisione di sospendere il combattimento, 8,451-78; nella questione del cavallo, proponendosi come volontario, dissuaso poi da Neottolemo, 12,260302. Assume il comando con Agamennone della flotta di Tenedo, 12,338-44, annuncia ai Greci il ritorno, 14,336-46. NIREO. Figlio di Aglaia. Ucciso da Euripilo, 6,372-94. Lotta per il suo corpo, 6,442-97. Funerali, 7,5-17. NOTTE. Personificata, 2,625-26; 6,262; 14,2. NINFE. Nel bosco sacro vicino alla tomba di Memnone, 2,588-91. Presso la tomba di Glauco, 4,9-11. Alle nozze di Teti, 4,138-39. Ad Eraclea, 6,470-91. All’Atmo, 10,127. Al funerale di Paride, 10,364477. Piangono i figli di Laoconte, 12,459-60. Piangono la rovina di Troia, 14,71-74.

    O OCEANO. Personificato, 1,119, 148, 826; 2,117, 119, 208, 419, 663; 3, 656, 748; 4,62; 5,14, 99-101, 367, 395; 6,1; 7,303, 673; 8,28, 46364; 10,197, 436; 11,330, 417-18; 12,160-61, 190; 14,1.

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    INDICE DEI NOMI NOTEVOLI

    ODISSEO. 5,186-222, 253-84. Contro Tersite, 1,759-60. Scontro con Aiace per lo scudo, 5,128-38, 237-91, 306-21. Protetto da Atena, 5,355-64. Contro Aiace, 5,440-81. Piange Aiace, 5,571-98. Lotta per il cadavere di Achille, 3,296-308. Ambascerie con Diomede: da Neottolemo, 6,64-115; 7,169-411, da Filottete, 9,333-447. Furto del Palladio, 10,350-54. Aristìe: 9,79-81; 11,352-54, 358-61. L’inganno del cavallo, 12,21-65, 73-84, 218-43, 316. Nel cavallo, 13,34-53. Riceve Ecuba in schiava, 14,21-22. Poseidono sconvolge le sue navi, 14-629-31. OINEO. Padre di Tideo, 1,771-72; 5,235. ORE. Le dodici figlie del Sole, personificate, 1,50-51; 2,501-06, 594-604, 657-61; 4,134-36; 10,336-43. ORIONE. Personaggio: 5,404. Costellazione: 5,368; 7,304.

    P PALAMEDE. Ucciso da Ulisse e vendicato da suo padre Nauplio, 5,197-99, 14,614. PAMMONE. Figlio di Priamo, scorta Euripilo in battaglia, 6,317. Perde il suo cocchiero, 6,561-67. Salvato da un Troiano, è infine ferito da Neottolemo, 6,568-73, 13,213-14. PAURA. Personificata: figlia di Ares, 10,57; destriero di Ares, 8,242; allegoricamente, 5,29-30; 10,57-58; 11,12-13. PAFLAGONII. Popolo proveniente dall’Asia Minore, 6,319, 472. PARIDE. Figlio di Priamo, 10,365-66, 463. Ratto di Elena, 13,412, 414; 14,155-58. In battaglia: 1,270-75; con Polidamante, 2,67-69; parenesi e ferimento, 3,186-212, 332-48; con Euripilo, 6,133-91, 297316; in battaglia, 6,520-643; 10,119-222. Ferito a morte da Filottete, cerca aiuto da Enone, muore presso l’Ida, 10,223-45, 253-35, 361363. Lo piangono: le Ninfe, i bovari, Ecuba, Elena ed Enone, 10,364431; i Troiani, 11,1-5; Afrodite, 11,288. PATROCLO. Pianto e vendetta di Achille, 1,176-79, 721; 2,447-48; 3,538-39; 7,697. Giochi in suo onore, 5,313-16.

    INDICE DEI NOMI NOTEVOLI

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    PELEO. Padre di Achille, sposo di Teti, 3,99-109, 468-72, 758-59; 4,49-54, 449-51, 131-43; 5,73-79, 339-40; con Eracle nella prima presa di Troia, 1,503-05; 4,449-51. Alla morte di Achille, 3,450-58, 48389; 7,248-49. PANELEO. Capo del contingente beotico, ferito da Euripilo, 7,104-6. Difesa del corpo e funerali, 7,124-27, 158-60. PENTESILEA. Figlia di Ares, regina delle Amazzoni, 1,22-32. A Troia, 1,18-97. Con Andromaca, 1,98-137. Vestizione delle armi e presagio funesto prima della battaglia, 1,138-204. In campo: 1,20546, 312-41, 353-75, 380-402, 403-93. Con Achille, 1,538-629, 64374. Pianto di Ares, 1,675-76. Consegna del suo corpo da parte degli Achei ai Troiani, 1,782-810. PLEIADI. 2,604-05, 665; 5,367-68; 7,308-09; 13,551-58. PODALIRIO. Figlio di Asclepio e fratello di Macaone. Cura i feriti, 4,396-404, 538-40; 9,461-68. Vuole vendicare Macaone, 6,455-91. Nel cavallo, 12,321. PODARCE. Figlio di Ificlo, 1,233-37. Ucciso da Pentesilea, 1,23846; funerali, 1,814-22. POLEMUSA. Amazzone, 1,41, 531. POLITE. Figlio di Priamo, 8,403-19; 11,339-44; ucciso da Neottolemo, 13,214. POLIDAMANTE. Nobile troiano, 2,41-63, 67-93. In battaglia, 6,317, 505-07; 11,60-66; consigli sulla difesa di Troia, 10,8-45. POLIDORO. Figlio di Priamo ucciso da Achille, 4,153-54, 585-86. POLIPETE. Tessalo, 1,291-306; alla corsa dei carri, 4,500-03. Nel cavallo, 12-318. POLISSENA. Figlia di Priamo, 14,209-22, 239-328. POSEIDONE. Costruì le mura di Troia, 8,394. Con Teti, 3,766-82. Sullo scudo di Achille, 5,88-96. Protegge Neottolemo, 7,354-57;

    946

    INDICE DEI NOMI NOTEVOLI

    9,300-23. Onora Achille, 14,247-52. Onora Atena, 14,507-08, 56889. Contro Odisseo, 14,629-31. Contro gli Achei, 14,632-55. PRIAMO. Figlio di Laomedonte. Con Pentesilea, 1,74-92, 118-22, 182-204, 646-48, 785-92. Con Memnone, 2,26-41, 106-61. Con Euripilo, 6,182-84. Assedio al suo palazzo, 13,159-61. Strage dei suoi figli, 13,21316. Ucciso da Neottolemo, 13,220-50. Pianto da Ecuba, 14,25-27. PROMETEO. 5,338-44; 6, 268-72; 10,199-202. PROTESILAO. Figlio di Ificlo, ucciso da Ettore, 1,815-18; 4,469-71; 7,408-11.

    S SCAMANDRO. Personificato, 11,246; 12,459; 14,71-82. SELENE. 10,127-37, 336-39, 454-57. SIMOENTA. Personificato, 11,246; 12,460; 14,82-83. SINONE. Guerriero greco che inganna i Troiani, 12,243-59, 36094, 418-22. Dà ai Greci il segnale, 13,21-33. Acclamato dai Greci, 14,107-114. SOLE. 2,208-10, 501-06; 8,28-31; 10,337-43. STENELO. Figlio di Capaneo ed Evadne, 1,267-73. Nella corsa dei cavalli, 4,563-88. In battaglia, 11,81-84, 338-39; 12,316.

    T TELEFO. Figlio di Eracle e padre di Euripilo, 4,151-52; 6,135-42; 7,379-80; 8,150-53; 14,129-30. TERMODOSSA. Amazzone uccisa da Merione, 1,46, 254-57. TERSITE. Guerriero greco, 1, 722-81, 823-24. TESEO. Figlio Etra, 4,388-89; 12,508-11, 518-19. TETI. Nereide, sposa di Peleo e madre di Achille. Onorata dagli

    947

    INDICE DEI NOMI NOTEVOLI

    dèi, 2,435-44. Nozze con Peleo, 3,99-127; 4,49-54, 128-43; 5,73-79, 339-40. Piange Achille, 3,582-685, 661-64. Con Poseidone, 3,77683. Indice giochi in onore di Achille, 4,92-117. Celeebrata da Nestore, 4,128-43. Premia i vincitori dei giochi, 4,172-84, 272-83, 28890, 381-96, 418-35, 457-69, 468-71, 475-78, 496-99, 542-44, 585-88. Mette in palio le armi di Achille, 5,1-5, 121-28, 419. Con Neottolemo, 7,353-54; 8,24-25, 493-96; 9,182-83; 11,240-42. Aiuta la flotta greca, 13,62-63. TETIDE. Sposa di Oceano, 2,117; 3,748; 5,14; 11,418. Con Era, 5,397-98; con Zeus, 12,160-61. TEUCRO. Figlio di Telamone e fratello di Aiace. Nella gara di corsa, 4,185-214, 405-35. Piange Aiace, 5,500-21, 561. In battaglia, 6,435-52, 545-48; 8,314-23; 10,125-37; 11,99-107, 356-57. Nel cavallo, 12,322. TIFONE. 5,484-85; 12,450-52. TISIFONO. Figlio di Priamo, 1,404-06, ucciso da Neottolemo, 13,215. TITANI. 1,714; 5,103-09; 8,461-69; 12,180; 14,550. TITONO. Sposo di Aurora, 2,494; 6,2-14, 135. TOANTE. A capo degli Etoli. Nella corsa dei carri, 4,500-04, 52223. Curato da Podalirio, 4,538-40. In campo, 6,540, 580, 587-89; 11,90. Nel cavallo, 12,318. TRASIMEDE. Figlio di Nestore, fratello di Antiloco, 2,267-300, 342-44; 6,540, 574-78. Nel cavallo, 12,319. TROILO. Figlio di Priamo ucciso da Achille, 4,135-55, 419-35.

    V VENTI. Personificati, trasportano il corpo di Memnone, 2,550-91. Sulla pira di Achille, 3,699-718. Portano il corpo di Glauco, 4,6-9. 12,163; 14,468-89. VIRTÙ. Personificata, 5,49-56; 14,195-200.

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    INDICE DEI NOMI NOTEVOLI

    Z ZEFIRO. Personificato, 3,750-51; 4,569-72; 8,154-55; 10,250, 417; 12,192. ZEUS. Contro i Titani, 1,714; 5,103-09; 8,461-69. Contro Tifone, 5,484-85. Contro i Giganti, 5,641-43, 11,415-19. Contro Capaneo, 10,482. Con Telefo, 6,139-41. Con Teti, 5,339-40. Coinvolto nella guerra di Troia, 1,711-12; 3,635-36, 10,359-60; 11,272-77; 13,558-61; 14,98-100. Non accoglie la preghiera di Priamo, 1,182-204; impedisce ad Ares di vendicare Pentesilea, 1,690-715. Impedisce agli dèi di scendere in campo, 2,164-82; 8,351-54. Pesa i destini di Achille e Memnone, 2,507-11. Invocato da Aurora, 2,609-22, 640-41. I Greci lo accusano di favorire Troia, 3,446-49, 499-503. Rimproverato da Teti per la morte di Achille, 3,611-30. Onora il corpo di Achille, 3,696-701. Dissidi con Era, 4,48-61. Favorisce Euripilo, 6,370-71; 7,497. Invocato da Antenore, 9,8-30. Interviene in battaglia, 9,26465; 10,47-52; 11,257-59; 12,93-100. Riconduce a concordia gli dèi, 12,189-218. I ritorni dei Greci, 14,419-65.

    III

    INDICE GENERALE

    REINVENTARE OMERO, di Giovanni Cerri

    VII

    INTRODUZIONE 1. Un autore (quasi) sconosciuto 2. Quinto e la tradizione letteraria: fonti e modelli 2.1. L’epica 2.2. L’epica: moduli e strutture 2.3. L’epica: ripresa, variatio, allusione 2.4. La tragedia 2.5. Altre suggestioni 3. Lingua e stile 4. La metrica 5. Quinto di Smirne e la Seconda Sofistica 6. La tradizione manoscritta 7. La fortuna

    XVII XXII XXII XXXIII XXL XLIV LIII LVII LXVIII LXXVI LXXIX LXXXIV

    IL SEGUITO DELL’ILIADE

    LIBRO PRIMO traduzione e note di Nicoletta Canzio

    L’arrivo di Pentesilea Gioia di Priamo, presentimento funesto di Andromaca Il sogno ingannatore di Pentesilea, le prime imprese in campo Sgomento dei Greci e baldanza di Pentesilea Le donne troiane, inorgoglite, vogliono scendere anch’esse in campo Sopraggiungono Aiace e Achille: scontro finale con l’Amazzone

    5 9 13 27 33 39

    950

    INDICE GENERALE

    Pentesilea cade. Commozione di Achille di fronte al corpo dell’Amazzone Ares adirato per la morte della figlia Achille è schernito da Tersite e in un impeto d’ira lo uccide Gli Atridi restituiscono il corpo di Pentesilea a Priamo. Dolore dei Troiani

    47 51 55 59

    LIBRO SECONDO traduzione e note di Shanna Rossi

    Disperazione dei Troiani per Pentesilea. Priamo annuncia l’arrivo dell’etiope Memnone 67 Polidamante propone di restituire Elena ai Greci: ira di Paride 69 Arrivo di Memnone: festeggiamenti per lui a Troia 73 Zeus annuncia agli dèi la fine imminente di Memnone 79 I primi scontri: gesta di Memnone 81 Memnone abbatte Antiloco mentre difende il padre Nestore 83 Achille, spronato da Nestore, si lancia contro Memnone 93 Sgomento dei Troiani per la morte di Memnone. Angoscia della madre Eos 105 Metamorfosi degli Etiopi in uccelli 111

    LIBRO TERZO traduzione e note di Cristiana Bernaschi

    I Greci, addolorati, seppelliscono Antiloco. Achille è sotto le mura di Troia, ma Apollo gli intima di fermarsi Achille sdegna le parole di Apollo, che gli scaglia un dardo al tallone Morte di Achille Paride si gloria della morte di Achille. Si accende la mischia intorno al corpo dell’eroe: resistenza di Aiace Anche Odisseo difende il corpo di Achille Aiace ferisce Paride: i Troiani si ritirano I lamenti funebri di fronte al corpo di Achille: i Mirmidoni e Aiace Fenice Agamennone

    117 119 121 129 137 141 145 149 151

    INDICE GENERALE

    951

    Nestore Preparazione del rogo. Pianto di Briseide La disperazione di Teti. Calliope la rincuora Il rogo di Achille Posidone rincuora Teti e promette per Achille onori divini

    153 155 159 165 171

    LIBRO QUARTO traduzione e note di Enrico Cerroni

    Reazioni dei Troiani alla morte di Achille Dolore di Era in cielo e sconforto nel campo greco Teti indice giochi atletici per onorare il figlio Achille Premio a Nestore per il suo valore nei discorsi e nel canto La gara di corsa La lotta Il pugilato La gara con l’arco Il lancio del disco Il salto Lancio del giavellotto Il pancrazio La corsa coi carri Corsa dei cavalli

    177 179 183 185 189 191 197 205 207 209 209 211 211 215

    LIBRO QUINTO traduzione e note di Graziamaria Gagliarde

    Teti mette in palio le armi di Achille per l’eroe più valoroso dei Greci. Descrizione delle armi e delle raffigurazioni sullo scudo Aiace e Odisseo rivendicano ognuno le armi di Achille. Nestore propone di affidare il giudizio a prigionieri troiani Discorso di Aiace Discorso di Odisseo Replica di Aiace Controreplica di Odisseo. I prigionieri troiani assegnano a lui la vittoria

    221 229 233 237 241 243

    952

    INDICE GENERALE

    Aiace sconvolto dall’ira Aiace medita di uccidere Odisseo e gli Atridi, ma Atena lo rende folle e l’eroe fa strage di bestiame Aiace, sconvolto dal disonore, si uccide Dolore di Teucro e disperazione di Tecmessa sul corpo di Aiace Agamennone e Odisseo rincuorano Tecmessa Parole di Nestore. Rogo funebre di Aiace

    243 247 253 255 261 263

    LIBRO SESTO traduzione e note di Lorenzo Bergerard

    Menelao mette alla prova l’esercito fingendo di proporre una ritirata Calcante predice ai Greci la caduta di Troia se condurranno in campo Neottolemo Odisseo e Diomede si propongono per l’ambasceria. Arrivo di Euripilo, figlio di Telefo, in soccorso dei Troiani Euripilo si prepara per la battaglia. Descrizione del suo scudo Euripilo e Paride muovono all’assalto. Infuria la battaglia Euripilo abbatte Macaone. Continua la mischia cruenta Idomeneo colpisce Paride. Ma Euripilo e Enea fanno strage di Greci

    271 275 275 279 285 291 299 313

    LIBRO SETTIMO traduzione e note di Daniele Mazza

    Dolore, fra i Greci, per la morte di Nireo e Macaone. Parole di Nestore Imprese di Euripilo Odisseo e Diomede giungono a Sciro e chiedono a Neottolemo di seguirli a Troia Neottolemo accetta. Timori della madre Deidamia Raccomandazioni di Licomede. Partenza di Neottolemo. Il pianto di Deidamia Arrivo di Neottolemo a Troia: i Greci riprendono ardore Neottolemo si distingue subito in battaglia Il vecchio Fenice abbraccia Neottolemo Ringraziamenti dei Greci e di Agamennone a Neottolemo

    321 327 331 335 341 349 353 363 367

    953

    INDICE GENERALE

    LIBRO OTTAVO traduzione e note di Enrico Maria Polizzano

    Incitamento di Neottolemo ai Greci Infuria la battaglia Duello fra Euripilo e Neottolemo Morte di Euripilo. Ares accorre in soccorso dei Troiani Neottolemo continua la strage. Atena lo protegge da Ares I Troiani si chiudono entro le mura della città Ganimede supplica Zeus di risparmiare Troia. Zeus avvolge la città con una nube e i Greci si ritirano nel loro campo

    375 377 383 389 395 401 405

    LIBRO NONO traduzione e note di Valentina Zanusso

    Antenore supplica Zeus di soccorrere i Troiani che soccombono a Neottolemo Tregua per seppellire i caduti; Neottolemo di fronte alla tomba del padre Deifobo esorta i compagni: si riaccende la battaglia Duello tra Neottolemo e Deifobo Intervento di Apollo e Poseidone Calcante predice la caduta di Troia se Filottete tornerà fra i Greci. Odisseo e Diomede partono per Lemno per recuperare l’eroe Odisseo e Diomede convincono Filottete a seguirli a Troia Filottere arriva nel campo greco. Podalirio guarisce la sua ferita Incontro con Agamennone Filottete esorta i compagni alla battaglia

    413 415 417 427 429 435 437 443 447 449

    LIBRO DECIMO traduzione e note di Eleonora Mazzotti

    Polidamante vorrebbe ritirarsi nelle mura, ma Enea spinge di nuovo i Troiani in battaglia Filottete fa strage di Troiani con l’arco. Descrizione della sua faretra

    455 467

    954

    INDICE GENERALE

    Filottete colpisce a morte Paride La notte pone tregua alla battaglia. Paride cerca aiuto da Enone Enone rifiuta sdegnosa di curare Paride Morte di Paride. Viene preparato il suo rogo funebre dai pastori dell’Ida. Disperazione della madre Ecuba Elena apprende della morte di Paride Smarrimento di Enone, che si getta sul rogo di Paride in fiamme

    469 473 477 481 483 485

    LIBRO UNDICESIMO traduzione e note di Antonino Nastasi

    Si riaccende la mischia dopo la morte di Paride Apollo sprona Eurimaco ed Enea Enea e Neottolemo L’orrore della guerra L’assedio alle mura

    495 503 509 515 517

    LIBRO DODICESIMO traduzione e note di Lorenzo Ciolfi

    Calcante invita i Greci a escogitare un inganno per espugnare Troia. Odisseo propone di costruire un cavallo di legno Esitazione di Neottolemo e di Filottete I segni di Zeus convincono tutti a realizzare l’inganno. Atena ispira Epeo a costruire il cavallo Gli dèi in discordia muovono a contesa fra di loro. Zeus li ferma Il piano di Odisseo. Sinone si offre volontario per ingannare i Troiani Si scelgono gli eroi che entreranno nel cavallo I Greci si ritirano con le navi al Tenedo e bruciano le tende. I Troiani scorgono il cavallo: l’inganno di Sinone Discordi pareri dei Troiani. Laocoonte è straziato da Atena I Troiani conducono il cavallo entro le mura Laocoonte insiste nel suo parere: un mostro mandato da Atena ne divora i figli Presagi funesti in città. Cassandra

    533 537 539 543 547 551 557 559 563 563 567

    955

    INDICE GENERALE

    LIBRO TREDICESIMO traduzione e note di Antonino Nastasi

    I Troiani banchettano credendo di aver finalmente respinto i Greci Dopo che Sinone ha dato il segnale, gli eroi scendono dal cavallo Arrivano i Greci dal Tenedo. Inizia la strage Diomede fa strage di Troiani e uccide l’anziano Ilioneo Neottolemo uccide Priamo Il piccolo Astianatte è gettato da una torre. Disperazione di Andromaca Antenore e Enea riescono a lasciare Troia Calcante predice il destino di Enea e la fondazione di Roma Menelao di fronte ad Elena Aiace d’Oileo viola Cassandra rifugiatasi nel tempio di Atena L’ultima notte di Troia Etra, madre di Teseo, incontra i nipoti Laodice ed Elettra

    577 579 583 589 593 595 599 601 603 607 609 613 617

    LIBRO QUATTORDICESIMO traduzione e note di Bruna Capuzza

    Troia in fiamme: i Greci trascinano via i prigionieri Elena fra i Greci Festeggiamenti per la vittoria Elena e Menelao Neottolemo riceve in sogno Achille, che gli chiede di sacrificare Polissena sulla sua tomba Sacrificio di Polissena e disperazione di Ecuba I Greci si preparano alla partenza Ecuba è trasformata in cagna. Partenza dei Greci Atena, sdegnata per la violenza subita da Cassandra, scatena contro i Greci una tempesta Morte di Aiace d’Oileo La tempesta sconvolge altre navi greche

    623 625 629 633 635 643 647 647 653 661 665

    956

    INDICE GENERALE

    NOTE AL TESTO Libro primo Libro secondo Libro terzo Libro quarto Libro quinto Libro sesto Libro settimo Libro ottavo Libro nono Libro decimo Libro undicesimo Libro dodicesimo Libro tredicesimo Libro quattrodicesimo

    675 700 712 720 734 745 756 780 786 814 833 841 856 873

    APPARATI I. Bibliografia

    893

    a cura di Valentina Zanusso

    II. Indice dei nomi notevoli a cura di Graziamaria Gagliarde e Valentina Zanusso III. Indice generale

    927 949