Il ritorno dei filosofi antichi
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ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI LEZIONI DELLA.SCUOLA DI STUDI SUPERIORI IN NAPOLI 16

EUGENIO GARIN

Il ritorno dei filosofi antichi Ristampa accresciuta del saggio Gli umanisti e la scienza

BIBUOPOLIS

EUGENIO GARIN

Il ritorno dei filosofi antichi Ristampa accresciuta del saggio Gli umanisti e la scienza

BIBLIOPOLIS

ISBN 88-7088-361-2

Copyright © 1994 by Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Napoli, via Monte di Dio 14

L 'Istituto

Italiano per gli Studi Filosofici a Eugenio Garin in occasione dei suoi ottantacinque anni Napoli, 9 maggio 1994

INDICE

Avvertenza Per una nuova 'biblioteca' I. I I . Nuovi testi e nuove traduzioni I I I . Per una 'storia' della filosofia antica: le vite dei filosofi IV. La sapienza antichissima e l'ermetismo V. Platonismo e aristotelismo: dalla comparatio alla concordia V I . Stoicismo, epicureismo e scett1c1smo: verso la nuova fondazione della scienza

9 Il 31 53

67 79 97

Appendice

Gli umanisti e la scienza

1 05

AVVERTENZA

Il testo che qui Ji pubblica riproduce fedelmente un gruppo di lezioni tenute dal 10 al 14 maggio 1982 all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Questo spieghi il tono e l'andamento di un discorso che di proposito intendeva soprattutto 'introdurre' in forma semplice e colloquiale a un importante campo di ricerche, e dare a un tempo un primo ragguaglio di discussioni e indagini in cono. Gli stessi riferimenti bibliografici, che non aspirano ad alcuna completezza, inten­ dono solo offrire qualche indicazione preliminare. Mancano purtroppo i vivaci contributi degli interventi che inte­ grano e arricchiscono l'esposizione e che costituiscono il fascino di una scuola e di un ambiente di eccezione. Mi sia concesso rivolgere, con un grazie sincero a quei miei interlocutori, un fervido augurio a Gerardo Marotta che l'Istituto pmiede , e a Tullio Gregory che dirige la Scuola, perché il loro impegno appassionato raccolga i frutti che merita.

Firenze, gennaio 1 983 EuGENIO GARIN

La ristampa delle lezioni del 1982 riproduce fedelmente non solo il testo

ma

anche le note, che richiamavano le basi su cui quelle lezioni

erano costruite. Il saggio aggiunto in appendice riprende sostanzialmente un testo pubblicato nel 1991 sul



Giornale critico della filosofia italiana» (pp.

341-356). Sono pagine che vogliono richiama,re l'attenzione su un

aspetto fondamentale della rinascita del pensiero antico, ma spesso non sufficientemente messo a fuoco dagli storici.

Firenze, marzo l 994 E. G.

I. PER UNA NUOVA 'BIBLI OTECA'

l. N ella premessa al corso tenuto alla Sorbona nel 196 7, 'Abdu rrahman Badawi sottolineava come, nonostante il di­ battito così vivo nel mondo musulmano fra il nono e il de­ cimo secolo circa il primato delle varie culture, unanime fu costantemente tra gli Arabi il riconoscimento della superiorità dei G reci nella scienza e nella filosofia. «Il flusso delle tradu­ zioni in arabo di opere greche - osservava Badawi - fu così massiccio da imporre tale verità, e i paradigmi della cultura greca ebbero clamorosamente partita vinta. La penetrazione del pensiero greco fu immensa, anche là dove fu più viva la resistenza: nella filologia, nella giurisprudenza, nella teologia. Il miracolo greco è stato riconosciuto da tutti [gli Arabi])) 1• Quanto al mondo occidentale, in esso il patrimonio della cultura antica greco-romana fu cos tantemente presente, supe­ rando gravi momenti di crisi e sconvolgimenti p rofondi anche se alla sua presenza, varia nei tempi, nella misura e nelle forme, contribuì in più casi, e non poco, la mediazione

1

La tranrmission de la philo>ophie grecque au monde arabe,

Paris, Vrin, 1 968,

p. 13; cfr. F. E. PETERS, Aristoteles .trabus. The orientai tranrlations and commenta­ ries on the .tristotelian 'corpus',

Leiden, Brill, 1 968.

Il

araba. Ha scritto una volta, e con grande efficacia, M.-D. Chenu che, come il linguaggio tecnico della Scuola è in buona parte una lingua tradotta (un langage de traduction ) , così «ogni soprassalto [sursaut] del pensiero speculativo è s tato determi­ nato dall'affiusso di traduzioni dal greco o dall'arabo, la cui storia occupa un posto importante nel sottosuolo filosofico e teologico. Si vedano i fenomeni di rinascita del nono, dodice­ simo e tredicesimo secolo; ma si badi [anche] che è sempre Aristotele che viene tradotto, non Platone))2. Il rilievo energico di Chenu sottolinea tuttavia, magan indirettamente, la necessità di distinguere i tempi e i modi di quei 'soprassalti', e se anche in forma paradossale - e per certa parte troppo tendenziosa per essere esatta - richiama all'urgenza di mettere in primo piano un carattere essenziale di quel grande soprassalto che fu l'umanesimo rinascimentale. Non si trattò infatti, allora, di un autore - Platone o Aris to­ tele - e neppure di una cultura, greca o romana. Si trattò di un mondo e di un tempo, di u n universo: tutta l'antichità, non solo greca e romana, ma egizia e caldaica, ebraica e persiana. Si trattò di riconquistare in una dimensione del tempo l' a n t i c o - l'intera umanità operante: poesia e teologia, scienza e filosofia, ed anche la grande prosa storica e il diritto, i monumenti architettonici e le macchine, le statue e i quadri, le tecniche e i costumi, fino agli oggetti domestici le coppe e i gioielli. Non ritornano solo Platone o Epicuro o Plotino o Ermete; ritornano, o almeno si rievocano, tutti, anche Aristotele con i suoi tratti rimasti nell'ombra, o falsati , con i suoi antichi discepoli e commentatori, con il suo Ales­ sandro, con i suoi viaggi e le sue vicende umane. Né importa che quel sapere antico includa falsi e mistifi­ cazioni, e la nuova 'biblioteca' sia piena di apocrifi, e l'an-

2

1950,

Introduction à l'éludt de Saint Thomas d'Aquin, p.

95.

12

Paris- Montréal, Vrin,

tico rievocato contenga tanto Medioevo - e tanti miti s'in­ treccino di continuo alla storia3• Nel grande mito del 'rina­ scere' gli apocrifi acquisteran no una loro autenticità, i miti si faranno storia e muoveranno la storia. Quello che invece importa davvero, se si vogliano cogliere i tratti distintivi e il carattere innovatore di un'epoca, è sottolineare, di questo diverso ritorno degli 'antichi', la scansione nei vari momenti, nelle forme proprie, nelle interne tensioni, nelle conseguenze profonde e lontane. Importa, giova ripeterlo, distinguere e periodizzare: rendersi conto che ci si trova di fronte, non a un caotico e indiscriminato affollarsi di opere ammucchiate alla rinfusa, ma a un dialogo ben articolato. Così, per fare solo un esempio, a un progressivo approfondimento di Platone 'poli­ tico' fanno riscontro un ripensamento di Aristotele 'morale' e una progressiva riscoperta di Epicuro, mentre al recupero degli scettici è quasi contemporanea una lettura di Euclide e di Archimede 'platonici'. Più tardi una nuova riflessione su Aristotele 'logico' condurrà alla 'scoperta' della Poetica che alimenterà un nuovo di battito sulla narrazione storica e la produzione artistica, mentre la filosofia dell'amore del Simposio platonico andrà a vivificare una concezione della natura in cui la materia reca in sé immanente una forza vitale anima­ trice non priva di echi del poema di Lucrezio. D'altra parte proprio perché non rinascevano solo Platone, o Epicuro, o Lucrezio, ma un intero universo di cultura, in cui l'artista, il filosofo, lo scienziato, l'oratore sono anche cittadini e uomini politici, proprio per questo muta insieme l'immagine del filosofo e dello scienziato. Si ama ritrovare in Senofonte o in Cicerone l'elogio di Socrate, che non scrive trattati ma discorre nell'agorà, e combatte a Potidea, così come in Cicerone si celebra colui - è Leonardo Bruni a dirlo

3 C[r. in proposi!O le giuste osservazioni che [a il BADAWI, op. 7- 12, a proposito dei tanti apocrifi che affollano la letteratura araba.

13

cit.,

pp.

nel Cicero novus - che «solus hominum duo max1ma munera et difficillima adimplevit: ut et in re publica orbis terrarum moderatrice occupatissimus plura scriberet, quam philosophi in otio studioque viventes; et rursus studiis librisque scriben­ dis maxime occupatus plura negotia obierit, guam ii, qui vacui sunt ab omni cura litterarum)). La filosofia è , insieme, scuola politica e superiore conoscenza teorica; «ex eodem philosophiae sacrario et facta ad rem publicam gubernandam et dieta ad scribendum praecipiendumque aliis depro­ mebat))4. In realtà ciò che caratterizza il nuovo emergere di testi antichi in una diversa coscienza dell"antico' non è tanto una loro costante quantità eccezionale, o la scoperta - che pur si dà - di testi prima del tutto ignoti: è il modo dell 'approccio e i l tipo di interessi a cui rispondono. A domande nuove si cercano risposte nuove, che si chiedono paradossalmente al passato proprio perché viene mu tando il senso del presente e del futuro, e quindi il modo di rapportarsi al passato e di considerare la storia. Domande nuove suscitano echi impen­ sati in testi esistenti, ma rimasti muti, che ritrovano ora una loro voce decisiva - che vengono cercati perché in qualche misura erano già stati trovati. Nulla di più erroneo, infatti, della vecchia opinione, dura a morire, di un recupero di classici stimolato da mere curiosità erudite, grammaticali e filologiche: recupero che nel tempo lungo avrebbe avuto con­ seguenze profonde anche sul terreno filosofico e scientifico. Onde la tesi, riproposta tuttora da studiosi egregi, degli uma­ nisti come ' retori' e 'filologi' letterati, che con le loro trascri-



Leonardo Bruni Aretino humanùtisch-philosophische Schriftro mit einer Chrono­

logie seiner Werke und Briefe, herausgegeben und erlautert von Dr. H. Baron,

Leipzig, Teubner, 1 928, p. 1 1 5; ma cfr., a proposito di Socrate, la vita di Giannozzo Manetti nell'edizione di M. MoNTUORI U- MANmus, Vita Socratis, Firenze, Sansoni, 1 974) , e in quella del DE PETRIS (Vita Socratis ti Senecae, Firenze, Olschki, 1 9 79).

14

zioni, traduzioni e chiose, con i loro studi di ortografia, mito­ logia, epigrafia e altre scienze dell'antichità, avrebbero inciso alla fine anche sullo sviluppo del pensiero. Quasiché un così largo e quasi ossessivo recupero dell'antico eretto a modello di condotta, e contemporaneamente 'imitato' in tutte le opere più appariscenti del vivere e dell'operare - e insieme consacrato nelle grandi forme architettoniche - non presup­ ponga un nuovo modo di intendere l' uomo e il tempo in cui vive, e l'opera sua. È l'immagine stessa dell'antico che cam­ bia perché sono diversi il senso della storia, il concetto del sapere e della ricerca, della filosofia e della scienza, della verità e della conoscenza della verità. Ed è assurdo ritenere che un fenomeno così ampio, destinato a diffondersi in tutta Europa, con profonde e sottili ripercussioni sul piano politico e religioso non meno che sugli 'ideali' educativi dei gruppi dirigenti, possa essere nato senza radici ben più profonde di mere esigenze 'grammaticali' ed 'erudite'5• D'altra parte in un processo durato circa tre secoli, una riconquista del passato provocata da esigenze del presente innestata cioè su motivi urgenti e su bisogni precisi - reagi­ sce di continuo sul presente, e quindi trasforma via via, non solo le forme dell'approccio e dell'acquisizione, ma le i mma­ gini stesse dell'antichità riconquistata (e da riconquistare) , e l'intero rapporto fra presente e passato. Di qui l'intreccio costante, sul piano della scienza, di adorazione di una sa­ pienza antichissima e di coscienza che la verità è figlia del tempo, di esaltazione di una verità totale contemplata alle origini e di consapevolezza che il sapere è conquista faticosa al termine di una lunga caccia. Alla fine i due miti, della visione donata all'inizio e dell'inseguimento estenuante di una

5 Cfr. P. O. KRISTELLER, The Classics and RenaiSJance Thought, Cam­ bridge Mass., Harvard University Pres s , 1 955 (tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1 965).

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ricerca mai del tutto appagata, sembreranno convergere nella splendida quanto ambigua conclusione del De gli eroici furori del Bruno con 'la sua Diana' (>. Avverte il traduttore (p. 1 4 1 ): ccNon abbiamo tradotto che il primo Dialogo, come quello che è dettato da una sana critica, e da una retta filosofia; intralasciando il secondo, che essendo scritto con quelle maniere scolastiche, che ai tempi di Messer Francesco tiranneggiavano gl'intelletti nelle scuole, non si potrebbe a' nostri giorni leggere non solo con diletto, ma nemmeno con pazienza».

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riesce a toccare le radici dei problemi di tutta l'enciclopedia del sapere . Dedicato a Donato degli Albanzani, il testo defini­ sce un atteggiamento di ri bellione contro i 'moderni ' , imbe­ vuti di un aristotelismo di scuola, che tende a ridu rre tutta la cultura umana nei confini di minuti problemi logici e fisici. Conosciamo i nomi dei 'giovani' avversari del Petrarca, con­ servati nelle postille marginali di un codice marciano dell'o­ pera: Leonardo Dandolo, Tommaso Talenti, Zaccaria Conta­ rini, Guido di Bagnolo - veneziani i primi tre, di Reggio Emilia il quarto: un nobile e un mercante, un mi/es e un medicus physicus. Quello che storici anche eminenti non hanno, forse, debi­ tamente messo in evidenza è che le questioni che Petrarca mette in bocca agli avversari riecheggiano con precisione es trema, anche se non senza ironia, testi aristotelici, o pseu­ doaristotelici, di filosofia naturale: dal De generatione animalium ai Problemata, al De mirabilibus auscultationibus. Le battute sugli elefanti, sulla loro vita sessuale e sulla loro intelligenza, sono un montaggio di citazioni quasi letterali. Né può dimenticarsi che proprio Leonzio Pilato aveva tradotto - e la versione si trovava fra i libri del Boccaccio a Santo Spirito - il De mirabilibus auscultationibus 14• Questo è l'Aristotele dei 'mo­ derni' : la logica dei 'barbari Britanni', e l'esperienza fisica polverizzata nelle osservazioni particolari di casi 'mirabili' («Ve! aristotelicum problema ve! de animali bus aliquid [. . .]: ut phenix aromatico igne consumitur ustusque renascitur, ut echinus quovis impetu actam proram frenat [.. .], ut venator speculo tigre m ludit» ) . Giustamente Kristeller h a respinto l'etichetta di 'averroi­ smo padovano' per la dottrina combattuta da Petrarca 15• I n 14 Sulla versione del De mirabi/ibus auscultationibus, cfr. E .

GARIN,

La

cultura filosqfica del Rinascimento italiano, Ricerche e documenti, Firenze, Sansoni,

1 9792,

pp.

29-32.

" Petrarch 's "Averroists": a note in the history of aristote/ianism in Venice,

23

realtà si tratta, più ancora che di uno specifico aristotelismo 'bolognese' o 'veneto', di quell'orientamento fisico e logico prevalente negli Studi trecenteschi, e contro il quale più di una voce si veniva ormai levando, in nome di quelle che diremmo le discipline dell'uomo, le 'scienze morali', e che talora si vogliono presentare, in una classificazione non esatta, c molto equivoca, come retoriche o grammaticali. Pe­ trarca è preciso nella sua reazione, come rigoroso era stato nella caratterizzazione dei suoi avversari: anche se le cose che codesti aristotelici insegnano fossero vere, che ci dicono circa il significato e il valore della vita? ( >, XIV, 1952,

Mélanges Augustin Renaudet, pp. 59-65. In particolare sui barbari Britanni cfr. ora gli atti, a cura di A. Maierù, del simposio del 1 980: English Logic in ltaly in the 14th and 15th Centurie>, Napoli, Bibliopolis, 1 982. 16 De sui ipsius et multorum ignorantia, in Opera, Basileae, per Seb. Hen­ ricpetrum, 1 58 1 , I I , p. 1038. 17 De sui ipsius el multorum ignorantia, in Opera, Il, pp. l 044 e l 05 1 .

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integrare. Qui, veramente, l'atteggiamento di Petrarca è radi­ cale, e svela nel chiaro orientamento critico il magistero del Cicero scepticus, ossia di quella messa in discussione non solo di un'enciclopedia, ma di una epistemologia. Osserva ironica­ mente Petrarca che il maggior torto degli aristotelici è q uello di essere pitagorici, ossia dogmatici, devoti de l l ipse dixit e di una visione 'monarchica' della cultura, respingendo la molte­ plicità dei punti di vista, e delle dottrine. Qui il discorso di Petrarca si fa singolarmente penetrante, e ricco di implica­ zioni teoriche di rilievo: «de philosophis et sapientiae amatori­ bus, Aristotelici, seu verius Pythagorici facti sumus, renovato ilio more ridiculo, quo quaerere aliud non licebat, nisi an ille dixisset [ . . . ]. Sed ad Aristotelem revertamur [ . . . ]. Scio eum unitatem principatus posuisse, quam iam antea posuerat Homerus; sic enim ait, quantum nobis in latinum soluta oratione translatum est: 'non bonum multidominium: unus dominus si t, unus imperator' . lste autem: 'pluralitas princi­ patuum non bona, unus ergo princeps' [ .. . ]. Quis hic prin­ ceps, qualisve et quantus, nescisse eum, et qui multa de minimis curiose admodum disputasset, unum hoc et maxi­ mum non vidisse crediderim, quod viderunt multi literarum nescii videntque, luce non altera, sed aliter illustrante)) 18• La '

18

De sui ipsius et multorum ignorantia, in Opera, II, 1042- 1 044 (cfr. Prose, a cura di G. Martelloui ecc., Milano-Napoli, Ricciardi, 1955, pp. 724-25 («da filosofi e amanti del sapere ci siamo trasformati in Aristotelici, anzi in Pitagorici, rinnovato quel ridicolo costume per cui non era lecito cercare se non quanto aveva detto Lui [. . . ]. Ma torniamo ad Aristotele [ . . . ]. So che propugnò l'unità del comando, che già prima era stata propugnata da Omero; il quale dice, infatti, come ci risulta dalla traduzione in prosa di Leonzio Pilato: 'il dominio dei più non è buona cosa: unico sia il signore, unico chi comanda' ( ... ]. Chi sia poi questo principe, e di che genere, io credo non sapesse; e credo che, capace di discutere a lungo con grande interesse di mille cose, non abbia visto questa cosa unica e importantissima, e che pure hanno visto molti privi di cultura: la luce non è diversa, ma

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luce non è diversa, ma illumina i n modo diverso l'oggetto, in prospettive diverse. I n un testo famoso Cusano ricorderà che solo il verus incontractus vùus, che è Dio, è visiOne li bera da condizioni: la nostra vista est ad tempus et plagas mundi, ad ohiecta singularia et crteras conditiones 1 9• Petrarca, che in questo risente fortemente del suo Cice­ rone, insiste sulla varietà delle visioni del mondo, delle filoso­ fie, e q uindi sul limite umano di ciascuna (il visus contractus di Cusano ad tempus et plagas mundi) . Aristotele fu grandissimo riconosce Petrarca - ma fu anch'egli un uomo, non unico ricercatore del vero, ma condizionato dal tempo e dallo spa­ zio: scio maximum, sed [ .] hominem. Soprattutto non fu solo, né c'è solo il suo libro: ((Scio in libris eius multa disci posse, sed et extra sciri aliquid posse credo, et antequam nasceretur, multa aliquos scisse non du bito: Homerum, Hesiodum, Pitha­ goram, Anaxagoram, Democritum, Dyogenem, Solonem, So­ cratem, et philosophiae principem Platonem>>20. Ove sono da sottolineare più cose: la decisa inclusione fra i filosofi dei poeti-teologi; l'esaltazione dei Greci; la contrapposizione di Platone, philosophiae princeps, ad Aristotele, e dei seguaci di Platone agli Scolastici. Platonici, infatti, in qualche misura, ai suoi occhi sono Cicerone e Virgilio, Plotino, Apuleio, Macro­ bio, Porfirio, Ambrogio, Agostino, Girolamo. ((E chi gli negò il primato, nisi insanum et clamosum scolasticorum vulgus?». Molto consapevolmente Petrarca avvia quella comparatio destinata a diven tare uno dei temi centrali del Quattrocento, ma di cui vede tutte le difficoltà e da cui tiene lontana ogni contrapposizione: dif.ficilis atque extimatio anceps est, inter Plato..

illumina la verità in modo diverso») . La sottolineatura dell' ultima frase non è di Petrarca. 19 De visione Dti, 1-2; Scritti filosofici, a cura di G. Santinello, Bologna, Zanichelli, 1980, II, pp. 264·268. zo Opera, Il, p. 1052; Prost, ed. Ricciardi, p. 750.

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nem atque .4.ristotelem. Nello stesso tempo v 1 ene articolando

un programma filosofico preciso fondato su alcuni princìpi destinati a diventare i cardini della fu tura ricerca: l . le dot­ trine filosofiche sono state sempre molte, e costituiscono vi­ sioni diverse, e tutte parziali, della verità, luce non altera, sed aliter illustrante; 2. di qui la necessità di una nuova 'biblio­ teca', di nuovi libri, di un nuovo accesso alle fon ti greche, con traduzioni nuove, non solo di fonti nuove, ma anche di quelle già note, quali le aristoteliche - non tutto Aristotele, infatti, ci è noto, ed anche quello tradotto è stato spesso tradotto male, lui che sappiamo dulcem et copiosum et ornatum [ ], Grecis testibus et Tullio auctore; 3. il linguaggio deve essere chiaro, capace di rendere accessibile a tutti il sapere. Ed è, q uesto, della chiarezza e della comunicazione, insieme col tema della molteplicità delle visioni del mondo, un punto fermo dell'insegnamento pet rarchesco: «summum enim inge­ nii et scientie argumentum claritas. Nam quod dare quis intelligit, dare eloqui potest, quodque intus in animo suo habet, auditoris in animum transfundere. lta verum fit quod his dilectus nec intellectus Aristoteles ait in primo Methaphisice (98 1 b 7]: scientis signum posse docere [OTtJ.tEÌ:OV tali do6toç tò Ouvao-Dm OLOaoxnv Èot(V]». E sottolinea, incal­ zando, che la chiarezza del discorso filosofico non è una veste retorica, perché nessun artificium può rendere chiaro un di­ scorso filosofico che non sia sorretto da concetti chiari: nulla ars tamen de obscuro ingenio claram promet orationem 2 1• Da tutta questa concezione discendono due conseguenze che, di fatto, furono al centro dell' influenza del Petrarca, e che caratterizzarono i suoi ideali discepoli: l . l' urgenza del­ l'apprendimento del greco, com'egli stesso cercò di fare con Barlaam; 2. il recupero di libri antichi per una biblioteca rinnovata, quale egli stesso aveva voluto avviare (Bibliotheca ...

21

Opera, II, p. 1049; Prose, ed. Ricciardi, p.

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734.

nostra [ ] non illiterata ), e non solo di codici greci, ma anche di traduzioni latine prima ignote (neque grecos tantum, sed in latinum versos aliquot nunquam alias visos aspicient). Con gli antichi ...

padri latini, con Cicerone e Seneca, i Greci vengono e ver­ ranno costantemente ricercati soprattutto come maestri di filosofia ed esempi di saggezza. Petrarca, infatti, rimane fedele al richiamo socratico della riflessione dal cielo alla terra, perché diventi scuola di moralità ed educazione ai valori. Proprio in Cicerone Petrarca trovava, a un tempo, gli stru­ menti critici per una polemica antidogmatica e l'invito a una filosofia dell'uomo e della vita, de virtute et vitiis, de bonis rebus et malis, piuttosto che de natura et rebus occultis. La stessa antitesi fra Platone e Aristotele poteva alla fine placarsi: rebus congruen­ tes, nominibus differebant. 4. >22. Erano quasi le parole stesse che Cicerone aveva adoperato per indicare il rapporto fra Platone e Socrate, e l'avvicinamento voluto non è senza significato. La presenza costante di Cicerone, così nel Petrarca come in tutto l'umanesimo rinascimentale, non sempre è stata colta in tu tto il suo significato, soprattutto per quello che riguarda la filo­ sofia. Senza dubbio appariva rilevante lo scrittore, l'oratore, l'uomo politico, ma sul terreno filosofico egli rappresentava colui che aveva aperto ai latini i tesori del pensiero greco, che ..

22

Rerum memorandarum libri, IV, 40,

Sansoni, 1943, p. 223.

28

Il , ed. G. Billanovich, Firenze,

aveva tradotto in latino la filosofia, che aveva esposto nei suoi libri le grandi concezioni della vita mettendole a confronto tra loro ( «philosophiam ad illud tempus non nisi greco cognitam sermone primus omnium latinis literis illustravit [ . . . ]. Li­ bros innumerabiles de rebus edidit pulcerrimis») . L'influenza ciceroniana costituirà così, durante alcuni secoli, per un verso lo stimolo a ritrovare le fonti greche, per un altro un agevole accesso alle grandi tesi del pensiero degli Accademici, degli Stoici, degli Epicurei. Come Dilthey dimostrò nei suoi celebri saggi di circa un secolo fa, Cicerone per un verso mediò, per un altro indusse a riscoprire teorie che avrebbero avuto un'in­ fluenza storica immensa specialmente nell'elaborazione del concetto di legge di natura23. D'altra parte non dovrà mai sottovalutarsi il peso di testi come gli Academica, e non tanto per la fo rmazione delle correnti scettiche della Rinascenza, quanto per la matu razione della crisi di una enciclopedia del sapere nel faticoso emergere di una nuova sistemazione delle conoscenze24• Non a caso l'edizione di Basilea delle opere di Francesco Petrarca reca un frontespizio che di per sé costitui sce un documento d'eccezione: «Francisci Petrarchae Fiorentini, Phi­ losophi, Oratoris, et Poetae Clarissimi, Reflorescentis Li tera­ turae Latinaeque Linguae, aliquot seculis horrenda barbarie inquinatae, ac pene sepultae, assertoris et instau ratoris, Opera quae extant omnia. In quibus praeter Theologica, Na­ turalis, Moralisque Philosophiae praecepta, liberalium quo­ que artium Encyclopediam, Historiarum thesaurum, et Poesis

23 scimento

W. DILTHEY, al

secolo

L'analisi dell'uomo e la intuizione della natura dal Rina­

XVIII, t r. it. Sanna, I-I I, Venezia, La Nuova Italia, 1927. l

saggi erano usciti nei voli. IV-XI I I dell'«Archiv Ctir Geschichte der Philoso­ phie>> fra il 1891 e il 1900; e nei «Sitzungsberichte der K. Akad. d. Wissen­ schaften» di Berlino, 1904. 24 CHARLES B. SCHMITT, 'Cicero scepticus'. .4 Stud y of th' lnjl uence of the ',-l.cademica' in the Renaismnce, The Hague, M. Nijhoff, 1972.

29

divinam quandam vim, pari cum sermoms maiestate, co­ niuncta invenies)). Nulla manca: dalla collocazione fiorentina al reflorescere della lingua aliquot seculis inquinata, dalla horrenda barbaries e dalla sepoltura della civiltà alla nuova instauratio, dalla teologia alla filosofia naturale e morale. Quello, tuttavia, che colpisce di più è l'idea della nuova enciclopedia. L'opera del poeta teologo e filosofo è una nuova enciclopedia che con­ giunge al sistema del sapere la forza dell'espressione chiara e solenne. È, di fatto, tutta una concezione della cultura che viene consegnata a mo' d' epigrafe al frontespizio di un'opera destinata a circolare a lungo in tutta Europa.

30

II. NUOVI TESTI E NUOVE TRADUZ IONI

l . Mentre, in genere, l'insegnamento del Cicerone 'ac­ cademico' contribuì a mettere in crisi le certezze dogmatiche delle sistemazioni scolastiche, gli Academica priora e posteriora in particolare diventarono presto una fra le letture più significa­ tive degli umanisti. Un'opera che, non a torto, è stata classifi­ cata come la premessa epistemologica di tutta l' enciclopedia ciceroniana, offrirà un arsenale di argomenti per avviare una nuova enciclopedia filosofica, almeno fino alla fitta circola­ zione, che comincerà più tardi, di Diogene Laerzio e, poi, di Sesto Empi rico 1• Mentre nel Medioevo furono assai meno noti di altri scritti ciceroniani, gli Academica, indicati dapprima come Hor­ tensius, sono ben presto collocati da Petrarca fra i propri libri favoriti, ) ; 2. la composi­ zione da parte del Pletone, nella primavera del '39, del fa­ moso testo De dijjerentiis (rtEQL iliv AQLO'to'tÉÀ.T]ç 1tQÒç nM:­ 't{J)Va ÒtaqJÉQE'tat), steso in riva d' Arno ad uso dei suoi amici italiani. «Gli antichi così Greci come Romani - scrive Gemisto - stimavano Platone molto più di Aristotele. La maggioranza dei nostri contemporanei, al contrario, soprat­ tutto in Occidente, immaginano di essere più sapienti degli antichi e ammirano Aristotele più di Platone». La colpa tutta­ via di questa assurda inversione di valori, secondo Gemisto, risale a un Arabo, Averroè; ��è Averroè che li ha convinti, affermando che Aristotele è il capolavoro ultimo e definitivo della Natura in fatto di filosofia [che è una citazione del commento al De anima : "iste homo fuit regula in Natura, et exemplar quod Natura invenit ad demonstrandam ultimam perfectionem hu manam in materiis"]». Non tutti, peraltro, continuava Gemisto, anche in Italia erano aristotelici, o, peg­ gio, averroisti, «e siccome esistono ancora alcuni che preferi­ scono Platone, noi desideriamo dimostrare loro la nostra sim­ patia e correggere gli altri - quelli almeno che non si dimo­ strino troppo litigiosi - esaminando brevemente le differenze fra i due filosofi e mostrando come l' uno sia inferiore all' al­ tro»5 . .

,

s Del D e difltrentiis uso l'ed. condotta sull'autografo, a cura d i B. Lagarde, in «Byzantion», 43, 1973, pp. 3 1 2-343; della replica dello Schola-

86

Orbene, ciò che, a parte ogni altra considerazione, rende di singolare rilievo l'opera del Pletone, è che, anche per la risonanza che ebbe attraverso le polemiche, definì alcune delle posizioni che poi divennero caratteristiche nei platonici italiani. Va aggiunto, d'altra parte, che se, a cominciare dal Ficino e dal Pico, gli I taliani dipesero da lui nella raffigura­ zione della prisca theologia e di una tradizione filosofica unita­ ria da Zoroastro a Proclo, e oltre, egli attinse dagli I taliani l'immagine di un aristotelismo 'avveroistico' empio perché negatore dell 'individualità dell'in telletto e dell'immortalità dell 'anima. Nella risposta alle accuse dello Scholarios, identi­ ficata nella sua stesura au tografa (nel Marciano greco 5 1 7 ) da F. Masai, il Pletone sottolinea l'origine 'fiorentina' dell'opu­ scolo De dif.ferentiis, e il debito nei confronti degli I taliani e dei dotti ebrei, a proposito dell'averroismo. ((Noi componemmo - scrive - questo testo senza cure particolari, durante una malattia, a Firenze. In quei lunghi giorni non potemmo uscire dalla casa dove abitavamo, e naturalmente ci siamo annoiati. È per consolarci di quella noia, e, insieme, per far piacere ai platonici, che abbiamo scritto)). Quanto poi ad Averroè, sog­ giunge: Tu dici che noi calunniamo Averroè, a proposito dell'anima umana, poiché è possibile sentire dai Latini, e da tutti gli Ebrei, chr Averroè non sostiene affatto che lo spirito um ano è corru ttibile. Ma noi, mio

rios, l'ed. del JUGIE nelle Oeuvres romplètes (Paris 1 928- 1 936), IV, pp. 1 - 1 1 6; della risposta del Pletone !"ed. W. GASS, Gennadius und Pletho [ . . . ), Bre­ slau 1844, vol. I I , pp. 54- 1 16. Appartiene a una certa tardiva fortuna cinque­ centesca del De dijfermtiis (oltre l'edizione veneta del testo del 1 540, riprodotta nel '41 a Parigi, e oltre la parafrasi latina del veronese Bernardino Donato del '40, in forma di dialogo, e la nuova traduzione di Giorgio Chariander uscita nel ' 74 a Basilea dal Perna) la traduzione latina di Giulio Angeli da Barga, conservata nel manoscritto 234, lT. 90r-99v, della Universitaria di Pisa, dove l'Angeli insegnò logica e medicina fra il 1 563 e il 1 592.

87

caro, è dagli I taliani più dotti e dagli Ebrei, che abbiamo imparato le teorie di Averroè sull'anima umana; e quello che dice, e come lo dice, noi lo sappiamo, non come te, che chiaramente non ne sai nu lla, sia che tu abbia ascoltato degli ignoranti, sia che tu non abbia compreso quello che hai sentito; il linguaggio di Averroè, infatti , ha in proposito delle finezze che lo rendono difficile a uno spirito grossolano.

Ma Averroè, gli Ebrei, e i vari maestri di pietà o di empietà, ritornano di continuo nelle accuse che i due avver­ sari si scambiano. In un testo in cui lo Scholarios accusa duramente il Pletone, e che è conservato autografo nel mano­ scritto XXII, l , della Biblioteca dei Gerolamini di Napoli, non solo la genesi degli 'errori' di Gemisto, ma tutta la sua storia intellettuale è presentata con ricchezza di particolari, in genere confermati dalle fonti. Questi, prima di avere raggi unto la maturità della ragione, dell'edu­ cazione e del giudizio

(1tQLV 'tEÀ.Etw{h)vm 1:4> À.OY4J xai 'tf1 1tat0ElHJEt to tau "ta buv6.!1EL) , anzi prima ancora di fu a tal punto preso dalle opinioni elleniche (twv

xai tfi 'tOU XQLVELV esservisi appressato,

'tà

tÀ.À.f]VLXWV Oo!;wv) , che si curò ben poco di apprendere il cristiane­ ('tÒV 1t6.tQLOV aùt!p XQto'ttaVLOJ.lOV) , salvo quello che

simo dei padri

a tutti ne è palese. Non fu infatti per l'ellenismo della lingua, come fanno tutti i cristiani, che lesse e studiò i libri degli Elleni, e innanzi­ tutto dei poeti, poi anche dei filosofi, ma per seguirne le opinioni. E perciò li seguì. (avendolo

E questo noi sappiamo con precisione

appreso]

da

molti

che

l' avevano

(àxQt�wç)

conosciuto

bene

in

gioventù. Così essendo predisposto, è del tutto normale che, per difetto di grazia divina, da parte dei demoni a cui si era congi unto gli

derivasse

un'inclinazione

ad

aderire

costantemente all' errore,

come accadde anche a Giuliano e a molti altri apostati. Il massimo

('tò. . . XE!pél.À.mov)

dell'apostasia fu raggiunto da lui per l'influenza di

un Ebreo, che egli freq uentò per la competenza che aveva nell'in ter­ pretazione di Aristotele. Era cos tui un seguace di Averroè e degli altri commentatori persiani e arabi dei libri aristotelici, che gli Ebrei hanno reso nella propria lingua. Di Mosè, e delle cose che gli Ebrei credono e praticano per il suo insegnamento, costui non si curava aiTatto. Fu lui che gli espose le teorie di Zoroastro e degli altri . Quest'uomo in apparenza ebreo, in realtà e l lenico, non solo fre-

88

quentò a lungo come maestro, ma lo servì e fu al suo seguito; infatti era molto potente alla corte di quei barbari

'tOU'tWV ailA.fl ) .

Si chiamava

'EÀLOoa[oç.

(tv 'tfi 'tlilv �aQ�clQWV

Così

[Gemisto] divenne

quale fu . Poi tentò di nasconderlo, ma non ci riuscì, e poiché giun­ geva a diffondere le sue idee dalla città dal pio

�aatÀEuç

(Tàç b6�aç)

ai discepoli, fu allontanato

Manuele e dalla chiesa. Su un punto

solo non furono bene ispirati: nel risparmiarlo invece di cacciarlo vergognosamente nelle terre dei barbari

(Elç �clQ�UQOV . . . yf)v) ,

i mpe­

dendogli in qualche altro modo di nuocere6•

In realtà, ed è ciò che più interessa, nel confronto con i 'platonici' italiani, e, più in generale, con gli umanisti, spe­ cialmente toscani, Pletone non separò mai la sua opera di 'filosofo' da quella di riformatore politico e religioso. La 'rinascita' ellenica, sotto il segno di una riconquistata tradi­ zione 'platonica', avrebbe dovuto poggiare su un ritorno degli 'dei della Grecia' . Il Trattato delle Leggi, che la persecu­ zione scatenata dallo Scholarios ha in parte irrimediabilmente distrutto, e che costituisce un testo singolarissimo, si apre con questo sommario: ((Quest'opera contiene: la t e o l o g i a se­ condo Zoroastro e Platone: agli Dei riconosciuti dai filosofi si sono mantenuti i nomi tradizionali degli Dèi della Grecia, ma riconducendo ognuno dal senso meno filosofico che ha acqui­ sito nelle finzioni dei poeti al senso più conforme alla filosofia; la m o r a l e secondo gli stessi saggi, e inoltre secondo gli Stoici; la p o l i t i c a sul modello di quella di Sparta, atte­ nuandone i rigori eccessivi, che la maggioranza non potrebbe sopportare, ma aggiungendo, soprattutto ad uso dei reggitori, la f i l o s o f i a, che è il pregio maggiore delle istituzioni platoniche; il c u l t o ridotto a pratiche semplici e tuttavia sufficienti; la f i s i c a in gran parte secondo Aristotele; infine

6 Per il testo, esumato dal Lambros nel 1 924, cfr. MASAI, P/éthon,

p.

58. Qui è dato secondo l'edizione del Jugie, nella citata edizione delle opere dello Scholarios, vol. IV, p. 1 52.

89

quest'opera accenna anche ai principi della logica, alle anti­ chità greche e a qualche tema di igiene)) 7• Ove, fra le tante cose, c'è appena bisogno di sottolineare l'accettazione dell'A­ ristotele fisico, che ritorna uguale nel Ficino. Solo che nel Pletone il programma riformatore è nettissimo e dominante. Comunque, ed è questo che interessa per definirne l' in­ fluenza sui 'platonici' italiani, insieme con la rilevanza di Zoroastro e degli 'oracoli caldei' , domina in Gemisto il tema di una 'tradizione' ininterrotta di sapienza riposta, solo par­ zialmente consegnata ai testi scritti, e contenente una univer­ sale 'disciplina', legata alle leggi cosmiche, ed unico fonda­ mento per una ideale società umana. C'è un passo capitale della risposta a Scholarios, proprio sull'aurea catena, che Aristotele ha infranto, e che il rinascente platonismo restaura. È un testo che va tenuto presente proprio per in tendere non pochi motivi dell'ispirazione 'platonica' dei circoli ficiniani e pichiani, a cui, se mai, aggiunsero qualche nota nuova, ma solo in parte inedita, ermetismo e kabbalah. Dice dunque Gemisto all 'avversario che ha accusato Platone di non avere sistematicamente esposto u na compiuta dottrina scientifica: C'è una cosa, fra molte altre, che ti sfugge: non è per difetto di conoscenza che Platone non ha scri tto nulla sulle scienze: è perché lui stesso, e prima di lui i pitagorici,

ritenevano opportuno non

scrivere su tali questioni, ma trasmetterle a viva voce ai loro disce­ poli, nella convinzione che sarebbero stati più sapienti se avessero avuto tali conoscenze dentro di sé, e non nei libri. I nfatti, poco ci si cura di un possesso duraturo nell'anima, quando si im magina di possedere la scienza nei li bri. Ma siccome, secondo le circostanze, la buona e la cattiva fortuna introducono nella nostra attività scienti­ fica interruzioni nu merose, e talora lunghe, è u tile scrivere, perché in tal modo si offre una sorta di memoria a coloro che non possono dedicarsi alle scienze senza in terruzione. Per questo Platone mede­ simo ha lasciato delle note, ma solo sui principi della logica, della

7

Traité des lois, ed. Alexandre, pp. 2-4.

90

fisica, dell'etica, della teologia. Platone, è vero, insegnò così la filosofia: e tuttavia non era la sua filosofia che comunicava, ma quella dei discepoli di Zoroastro, che era a rrivata fino a lui a ttraverso i Pitagorici. Pitagora, infatti, aveva frequentato in Asia i maghi discepoli di Zoroa­ stro ed era stato così iniziato alla sua filosofia. Ora, secondo Plu tarco e altri, Zoroastro è più antico 5 mila anni dei Troiani. Se questo poi non è senz'altro accettabile, deve almeno essere il più antico di quelli che si chiamano in genere i saggi e i legislatori, fa tta eccezione per Menes [Min], poco saggio legislatore. Del resto, anche in Egitto i sacerdoti hanno accettato di preferenza le teorie di questo stesso Zoroastro, e sono queste dottrine che li hanno resi celebri. Per quanto concerne i riti della loro religione, restarono fedeli alle istituzioni di Menes che erano senza valore, e per questo si resero ridicoli. Che poi Platone sia stato adepto di questa filosofia, ce lo provano gli Oracoli della tradizione di Zoroastro che sono sopravviss u ti fino a noi. Sono in realtà in tutto e per tutto in accordo con le opinioni di Platone. Platone non trasmette dunque nei suoi dialoghi che i principi della filosofia, e cioè quanto è strettamente necessario e riguarda le questioni fond amentali. Quanto al resto, egli lasciava a i suoi discepoli il compito di continuarlo in base ai principi e a quanto gli avevano sentito inse­ gnare. Aristotele, al contrario, frequentò sì le lezioni di Platone, ma poi,

sotto il pretesto della filosofia, in realtà praticò la

sofistica;

dominato

dalla vanità, volle divenire capo di una setta person ale. Per questo turbò e corruppe i principi della filosofia, tramandati da Platone, e venuti a lui dalla lontananza dei tempi. Del resto, quello che aveva ricevuto dalla bocca di Platone lo considerò come proprietà privata,

e

lo mise per scritto, introducendovi per di più non pochi errori. Siccome poi si era occu pato oltre modo di cose lontane dai principi

e

prive di

importanza, pub blicò una grande quantità di opere, avendo inventato questa quattordicesima specie di sofisma: im pressionare le persone poco istruite con la massa dei propri scritti. La filosofia, a dir vero, si contrae in poche parole, e tratta poche cose. Tratta i principi dell 'es­ sere, e chi li avrà afferrati alla perfezione sarà capace di giudicare quanto possa venire a conoscenza dell'uomo8.

m

Bessarione, nell'In calumniatorem Platonis, allorché scenderà polemica col Trapezunzio per difendere insieme Platone e 8

Cit. in MASAI, Pléthon,

pp.

1 36- 1 37. 91

il Pletone, citerà la seconda epistola platonica: scribendum est per ambages atque aenigmata, e a lungo insisterà sul 'silenzio pitagorico' riportando per intero la lettera di Liside a I pparco (e proprio dal suo libro la riprenderà Copernico) . Col Pletone Bessarione ripeterà: «Plato nihil de primis supremisque rebus aut quam paucissima et ea pero bscure hac causa scripsit, quod rem tantam multitudini communem facere non liceret, longeque sanctius esset haec toto animo colere et venerari)). Infatti, «praestat si praeceptoris ore percepta assidua medita­ tione animo revolvantun>, il che, soggiunge Bessarione, anche i Druidi volevano. Quanto poi all'aurea catena, il Pletone nelle Leggi venne formulando tesi largamente diffuse fra i 'platonici'. Fra i legislatori e i saggi più antico di tutti fu Zoroastro; seguono Eumolpo, Minosse, Licurgo, Ifito e Numa. Ai Bramani in India e ai Magi della Persia seguono in G recia i Cureti, i sacerdoti di Dodona, Tiresia, Chirone. I sette sapienti trasmi­ sero le loro dottrine a Pitagora, a Platone e poi a tutti i loro allievi, Parmenide, Timeo, Plutarco, Plotino, Porfirio e Giam­ blico. «Tutti essendosi trovati d'accordo nella maggioranza delle questioni e nelle più importanti, sembrano avere dettato le loro opinioni agli uomini più saggi venuti dopo di loro. Noi li seguiremo senza cercare di modificare le loro tesi su que­ stioni così grandi, e senza accogliere nessuna delle novità moderne di qualche sofista. Fra i saggi e i sofìsti esiste infatti questa differenza capitale: i saggi esprimono opinioni sempre in armonia con le credenze più antiche ('toùç j.lèv oa