Il libro di Gesky 9788862273541, 9788862273558

Il libro di Gesky, finora inedito, è un quadernetto ben conservato di settantacinque pagine non numerate, legato in filo

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Il libro di Gesky
 9788862273541, 9788862273558

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SOMMARIO
IL LIBRO DI GESKY. PRESENTAZIONE - Edda Serra
IL LIBRO DI GESKY - Biagio Marin - manoscritto
IL LIBRO DI GESKY - Biagio Marin - trascrizione

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I L L I B RO D I G ES KY B I A G I O M A RI N a cur a e con la p resen tazi on e di edda serr a

quaderni del centro studi «biagio marin» · 3.

P I SA · ROMA F A BR I ZI O SER R A EDI TORE MMX

QUADERNI DEL CENTRO ST UDI «BIAGIO M A RIN» collana diretta da edda s e r r a 3.

Realizzato grazie al contributo della Fondazione CRTrieste e con la collaborazione dell’Università degli Studi di Trieste e del Centro Studi ‘Biagio Marin’.

I L L I B RO D I G ES KY BIAGIO MARIN a cur a e con la p resen taz i on e di edda serr a

P I SA · ROMA FABR I ZI O SER R A EDI TORE MMX

Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore®. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2010 by Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma e Centro Studi “Biagio Marin”. * www.libraweb.net i s b n 978- 88- 6227 - 3 5 4 - 1 i s b n e l ett roni co 978- 88- 6227- 355- 8

SOMMARIO Edda Serra, Il libro di Gesky. Presentazione Nota del curatore

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Biagio Marin, Il libro di Gesky, manoscritto Biagio Marin, Il libro di Gesky, trascrizione

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IL LIBRO DI GESKY. PRESENTAZIONE Edda Serra 1.

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ta per compiersi un secolo da quando Biagio Marin, studente a Vienna iscritto alla Facoltà di Filosofia dell’Alma Mater Rudolphina, avvia la stesura del Libro di Gesky, cui dedicherà l’intero anno 1913, con due riprese a distanza nel febbraio e nel marzo 1914, precisamente il 21 marzo, nel primo giorno della primavera : un libricino di 74 pagine, dalla copertina verde con una piccola bordura impressa, manoscritto autografo, reso inaccessibile da una chiusura metallica come libro segreto del cuore. Gelosamente conservato, è stato fatto uscire ora dagli eredi del poeta per la sua pubblicazione. Per noi è il primo suo libro in prosa, interamente voluto da lui, completo di presentazione – dedica, e di epilogo – congedo, e di firma ; non certo voluto per la pubblicazione ; ben più tardi sarebbero stati dati al pubblico Grado (1934), Gorizia (1940, 1956), e, postumi, non curati da lui, Gabbiano reale (1991, 2004), La pace lontana, Diari 1941-1950 (2005). Il Libro di Gesky è per noi il primo dei suoi mitici “Diari”, scandito secondo data e luogo (Vienna, Grado, Gorizia), e dai riferimenti al vissuto, selezionati questi secondo il criterio del cuore, quando si riflette “prima di andare a dormire” o a fine giornata. Un diario però che si atteggia a dialogo, con Gesky appunto, interlocutrice muta, ed è prossimo al rapporto epistolare. Perché Gesky è la destinataria, anzi la dedicataria dell’intimo pensiero e degli interessi del giovane Marin, come l’autore a chiare lettere precisa. E su questo dobbiamo fermarci preliminarmente, pena il fraintendimento di buona parte del libro, e nella brevità dell’espressione risuonano propositi molto impegnativi e gravi : la ricerca di sé, della verità della propria anima, che si annuncia lunga e dolorosa. 2. Ma Gesky chi è, e perché proprio Gesky ? L’autore si rivolge a lei in un dialogo fitto, ritmato dall’augurio della buona notte : “dormi bene, cara”, mentre il suo nome potrebbe far pensare ad un amore viennese. Un nome che quasi naturalmente viene fatto di pronunciare all’italiana, pur con quella sillaba finale con tanto di kappa : forse un vezzo leggermente esotico, frutto di istintiva adesione all’atmosfera mitteleuropea instaurata a Grado con l’avvento del turismo.

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Una Gesky che l’autore esplicitamente vede avvolta in una atmosfera di spiritualità bianca (il regno bianco di Gesky), in quanto depositaria delle confidenze d’anima del poeta, e non tutte, solo quelle che urgono ; del resto la quotidianità viennese da lui vissuta è relativamente presente. E di lei non emerge alcun profilo, come per tante figure femminili che affolleranno i Canti de l’isola, a parte i grandi occhi scuri, unica bellezza in un corpo esile e minuto, di bimba, avrebbe ricordato il poeta parlandone con gli amici più intimi. E solo più avanti questo nome si fa volto, per il suo maturare e farsi donna, notato da Marin con tono quasi preoccupato, come a volerla ancora bambina. Confidente ed acerba. A parte la momentanea identificazione di Gesky con la Inge di Fröding, nel corso delle 74 pagine del libro Gesky assume poi il nome di Nera e di Melania, la protagonista di pagine di narrativa mariniana solo qui documentate, un cenno (“ti faccio morire in cinque giorni”), divenuta appunto insieme protagonista e confidente. Segno di un coinvolgimento che la onora e rimanda però alla definizione del ruolo della donna nella creazione letteraria e nella vita di Marin ; i due piani sono inscindibili, tuttavia non sono evidentemente identici, e fanno riflettere sul rapporto tra arte e vita nell’esperienza poetica mariniana. È l’autore stesso che alla fine ci dice l’identità di Gesky : Gemma Apollonio, che sappiamo essere di quattro anni più giovane di Marin (1895-1980), la più piccola della amiche gradesi che facevano capo a Villa Matilde, originaria di Portole, in Istria. Più tardi sarebbe diventata cognata di Marin, avendo sposato il fratello Giacomo. Nel libro compare anche come l’Interdetta. Ma quando Marin ne parla in termini anagrafici espliciti è per dire altro e l’intonazione della pagina è ben diversa e risentita. Alla fine Gesky dovrà subire l’ironia di Marin, e diventerà la borghesina perbenista e vile, simbolo di un moralismo a lui ripugnante, e il disprezzo. Un disprezzo che non tocca solo lei. 3. Quando Marin dà avvio al Libro di Gesky in data 24 gennaio 1913 ha pubblicato da soli tre mesi la sua prima silloge poetica composta nel dialetto di Grado, Fiuri de tapo, con la firma di Marino Marin, dedicandola a Nicoletto (Leto) Olivotto e a Lina Marchesini per le loro nozze (13 ottobre 1912), ed ha alle spalle l’esperienza del soggiorno a Firenze nel 1911 e della Voce. Ed è ai Fiuri de tapo che conviene riferirsi nell’affrontare la lettura dello scritto viennese. I Fiuri de tapo, nell’acerbità dell’opera prima segnata dalla presenza di modelli e dalla varietà di intonazione, sono improntati dalla consapevolezza della fine di un’età di spensieratezza e di libertà, di amicizie e confidenze, di intimità e di amori adolescenziali goduti da un gruppo di coetanei di Grado

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che fraternizzando erano andati crescendo. Sono già ricordo il loro andare a vela per il mare e i loro canti E ‘ndéveno cussì le vele al vento lassando drìo de noltri una gran ssia, co’ l’ánema in t’i vogi e ‘l cuor contento sensa pinsieri de manincunia. […] e ‘ndéveno cantando soto ‘l sol canson, che incòra sora ‘l mar le sbola.

È la poesia di apertura di tutti i Canti de l’isola (1912-1985), cui solo successivamente il poeta ha preposto Mio favelâ graisan ; e di quella prima silloge tuttora ci viene da leggere con godimento Bâte gnifa, Te vogio ben, Luna, liriche improntate già di alcuni caratteri della poetica mariniana matura. Ma i Fiuri de tapo, che segnano appunto con il matrimonio di due di loro la dispersione del gruppo di amici e l’assunzione per ciascuno di nuove responsabilità, vuole essere la rappresentazione del mondo di Grado, la laguna con i suoi abitanti, e dicono il legame di Marin con il suo paese, il mondo di affetti, la nonna, le amiche, “el picolo nio”, di fronte al quale anche le cose cui più tiene perdono di importanza quando ne sia impedito il ritorno, Firenze compresa. Ognuno ha trovato la bocca da baciare, e lui resta solo, mentre si affaccia il presente e nuovo tutto da esplorare. E qui il discorso tocca l’amore e la poesia, come si evidenzia nel dialogo ripetuto con il vecchio poeta di Grado Sebastiano Scaramuzza (i tempi sono cambiati !), e nell’enigmatica composizione Vista mai. È da tempo che la cerca ; ma sta cercando che cosa ? la musa ispiratrice o la donna da amare per sempre ? l’armonia in sé del vivere e del dire ? la bellezza assoluta, quella “grazia” che è dono celeste in un poetare agonico che durerà fino alla morte ? Certo proprio dai Fiuri de tapo emergono i nomi della mitica Villa Matilde, bianca, affacciata sul mare, con la serie delle stanze aperte al sole, tutt’altro che crepuscolare, pronta ad accoglierlo in qualsiasi momento ; e delle sue abitatrici : le sorelle Degrassi, le figlie dell’architetto Vigilio, Caterina (Rina), Dolorosa, Matilde (Tilde), Maria, le “màmole”, e “dona Lina”. Con loro Marin intreccia il rapporto poetico epistolare dei Fiuri de tapo che le vede presenti più volte nel testo : e come nel libro di Gesky, “prima di andare a dormire” rivolge loro il suo saluto e manda un bacio, nominandole una per una. Ultima è ricordata Gesky : […] Prima de durmî vegno â saludave, màmole mie che purassè me amo, e col pinsier me mando un caro “Ave” a dute voltre e a quela che me bramo.

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Ma chi è quella che lui brama sulle altre ? […] un baso su le man a “dona Lina” e un sui vogi a Gema e cussì sia 10-ix-11, 10 ore pom.”

Le ragazze erano tutte innamorate di lui, e Maria che gli aveva fatto osservare che il suo poetare nel dialetto del paese era più bello che in italiano, sarà ripetuto motivo di canto, nella Girlanda de gno suore (1922), e più avanti ancora all’interno del Picolo nio (1969) con la Girlanda per Maria, evocativa di un amore appassionato e casto. Il nome di Maria Degrassi compare anche in un altro documento viennese, un taccuino di appunti in cui Marin elenca le socie del Circolo Canottieri Ausonia, un elenco aperto da Auchentaler Maria (e siamo nell’ambito e nell’atmosfera della secessione viennese), cui seguono i nomi di Maria e di Matilde Degrassi, della sorella Annunziata Marin, e quello di Gemma Apollonio. Ma, a parte questo libro a lei dedicato, il nome di Gemma non sembra ricorrere più nelle opere di Marin, così come delle altre màmole gradesi vi è solo qualche traccia nel libro di Gesky, per di più con riferimento, inaspettato, evidentemente simbolico, al nome di Anima. 4. Il libro di Gesky del resto poco riflette la vita sociale dello studente a Vienna a noi nota da altri suoi scritti : l’incontro con una donna, non prostituta, poco dei suoi studi (un esame di latino), qualcosa sì delle suggestioni culturali : un concerto, non di musica di Beethoven ma la Messa da Requiem di Verdi ; uno spettacolo, e naturalmente l’autore è Ibsen ; una commedia di Biörnson al Burgtheater : “Vino in fiore”; qualcosa – molto poco – delle sue letture, e qui forse c’è l’eco della conoscenza della letteratura francese cui è obbligato; niente delle molte letture condivise di narrativa europea contemporanea con Ervino Pocar che sappiamo intense. Il libro molto ci dice invece delle sue ambizioni letterarie che fanno perno intorno a Gesky-Nera-Melania, variamente idealizzata nella creazione e ricreazione fantastica e letteraria che il diario consente ed il giovane autore si concede e sperimenta. Al centro del libro non sarà più Gesky a ispirare Marin, bensì la signorina Gemma Apollonio la cui madre, impensierita delle idee del giovane poeta intraprendente e dell’ascendenza di lui sulla figlia, provvederà ad allontanare da Villa Matilde e da Grado : Gemma è assente e lontana concretamente quando lui vi ritorna in primavera e per le vacanze estive ; distrutta l’atmosfera di Villa Matilde, e i suoi che più dovrebbero capire, lo osteggiano ; è la loro risposta a lui che con disinvoltura e ingenuità sta parlando di libertà in amore : siamo al

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tempo dello sconvolgimento dei costumi, del primo femminismo, e dei proclami sulla libertà sessuale e sul libero amore. E protesta : non sono un Don Giovanni. E aggiunge : non capiscono che il mio bisogno d’amore è fatto di cose semplici, di bisogno di armonia. Di fatto il senso morale che lo anima è di misura diversa da quella della convenzione sociale corrente, borghese appunto, tesa alla conservazione degli status acquisiti attraverso il matrimonio, e, in subordine, dell’amore. Marin ha già in testa l’idea dell’amore come valore primo, e ne discute, ed è lui a scandalizzarsi di chi lo vuole strumento per qualche fine utile. Lui marito ? E per l’utile di chi ? delle donne che con il matrimonio si mettono al riparo, mentre in amore ci si gioca per sempre (v. E anche el vento tase, 1982). Evidente lo scontro già allora in Marin fra libertà e istituzioni e convenzione sociale. Fra moralità e la morale dell’utile e del perbenismo borghese : l’amore come strumento dell’utile è egualmente immorale sia a livello di prostituta sia a livello sociale. E reagisce violento. Insomma uno scandalo nella piccola Grado, così come sarà di scandalo nel primo dopoguerra il suo insegnamento alle Magistrali di Gorizia. E poi lui che cosa sa dare alle donne se non sogni e versi? 5. Il libro si anima però di altre precise presenze femminili : Pina e Mercedes. Giuseppina Marini di Pescia è la giovane donna che ha conosciuto Firenze nel 1911 e sposerà nel gennaio 1915. Si sono conosciuti nella gita al Lago Scaffaiolo ricordata da Giuseppe Prezzolini. Poi lui a Vienna, lei a Parigi da sola, prima di ritrovarsi liberamente loro due in Toscana. E qui il discorso di Marin è di necessario chiarimento. Perché lui appartiene a Pina, non a Gesky, e l’appartenenza è fondata su una realtà di fatto : Pina lo ha accolto per come è, interamente, senza calcolo. È una bella pagina cui segue una divagazione letteraria onirica, immaginando la lotta nei suoi sogni tra una tentatrice Gesky e Pina, e lui chiede di essere liberato. Accanto a Pina, accennata con ferma malinconia, Mercedes Bianchi : era stata il suo primo amore a Gorizia, lui studente del Ginnasio prima di trasferirsi a Pisino (1908), amore non dimenticato, se, quando Mercedes muore, Marin apre una corrispondenza epistolare frequente (1963-1977) con la nipote di lei, Elena Lokar. La raccolta delle lettere è stata pubblicata nel 2003 dalle edizioni Mladika a cura di Remo Faccani, che apre la prefazione citando Montale : il mio sogno di te non è finito. In data 21.vi.1913 Marin con brevi parole annota nel Libro di Gesky : “oggi va sposa Mercedes”, e nella sua prima lettera a Elena, “Mercedes però è sempre viva in me” (22.xi.’63). Ecco Marin avrà questo dono, di contenere in sé tutti gli amori vissuti, consumati o platonici che siano, per trasferirli nella dimensione della poesia.

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Ma per quanto riguarda il Libro di Gesky la conclusione è invece il rifiuto ed il ripudio della donna, da parte di lui che invece si presenta in tutti i Canti de l’isola come il celebratore della donna ; ed il suo giudizio violento coinvolge le stesse pagine da lui prodotte per Gesky, per quel tanto di letterario e di finzione letteraria che contengono. Con il che si ritorna al preambolo e ai propositi lì espressi. 6. Il libro è acerbo, e non facile da leggere, anche per il continuo avvicendarsi di intenzioni che la pagina contiene. Fra i tanti itinerari possibili, il libro ci consente di rivedere la personalità di Marin : quel suo essere “cavo de nenbo”, e “ànema in sghembo”, “ànema violenta”, il suo doloroso stupore di fronte agli “altri” che lui ama e reagiscono alle sue idee che sono di scandalo e non comprendono il suo bisogno di libertà e di assoluto ; il bisogno di amore e di dialogo, ma anche l’ironia beffarda. Marin è allora giovane uomo che può atteggiarsi ad intellettuale nella sua isola, e si trova solo di fronte ad una ricchezza eccessiva di possibilità, di risorse e di pulsioni cui dare un ordine armonico e cerca e si prova e si misura. A Firenze, rispettivamente a Vienna, è il provinciale che non ha le risorse critiche riflesse della cultura borghese cittadina, che per esempio hanno i coetanei triestini. Marin viene da più lontano. Venendo dall’“oscura matrice” alla luce il suo percorso – lento – direbbe Herbert Read nel suo Educare con l’arte, è piuttosto quello di un “plastico” che non di un “visivo”, ed i punti fermi raggiunti sono essenziali e solidi, conquistati nella sofferta elaborazione interiore, vissuti, piuttosto che derivati da acquisizioni mediate. Se riandiamo al preambolo del libro acquista valore quell’annuncio apparentemente retorico, di percorso doloroso : la verità è dura da conquistare; altrettanto e più retorica può apparire anche la pagina finale, aperta al futuro, consapevole di un itinerario poetico letterario prossimo per la sua fatica ad una via crucis. Quel suo libro è un seme da cui può fiorire una croce grande come una vita, egli dice con forte ellissi. “La voglio portare. Dio voglia darci la forza di portarla più in alto”. E se il lettore troverà poco misurata l’intonazione, dovrà pur sempre pensare agli altri cenni di religiosità che il giovane Marin, già dichiaratamente fuori dalla Chiesa, dissemina nei Fiuri de tapo e nello stesso Libro di Gesky ; e basta a ricordarcelo anche solo il risuonare di un “amen” nel testo, che egli aveva fitto nelle orecchie e nel cuore, perché era voce calda della sua isola, e perché ci credeva. È l’amen devoto alla vita che lo porterà a poetare ostinatamente per oltre settant’anni nel dialetto di Grado; un amen che leggiamo a chiusura di ogni quaderno di diario della maturità e della vecchiaia.

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7. Marin si cerca provando e riprovando variamente, arieggiando, immedesimandosi, e le pagine assumono il valore dell’esercitazione letteraria ostinata, ascoltandosi e giudicandosi. Come nel caso della canzone per i canottieri, del tutto inedita, che riproduce : “è brutta”, ma è venuta da sola, e la scrive lo stesso dedicandola a Gesky. Quante altre volte aveva affidato alle ragazze di Villa Matilde le sue poesie per sentirne il giudizio e averne la complicità. Ma l’alternarsi dei registri ed il gioco della finzione letteraria in cui è coinvolta la figura di Gesky (ma poi anche Pina) rende poco agevole la lettura. Cosa che accade anche nei Diari più maturi, e rende difficile in essi una selezione antologica, producendo fragili deduzioni critiche. Analogamente va letto il giudizio di Marin su se stesso, sulla propria moralità, sul proprio vuoto, sulla scarsa capacità di rimare con gli altri. Non è un “pazzo”, è solo un uomo che cerca un’armonia di ordine superiore; anche se proclama con uscite quasi teatrali la sua propensione alla poligamia piuttosto che al matrimonio. Il suo bene è fatto di piccole cose, e di stima più che di sentimentalità; e Pina è la donna fatta per lui. Perciò è da ritenere risolutiva la pagina di forte autocritica del gennaio 1914 : “Io faccio della letteratura della vita : sono un porco e un cretino questa la verità”. Così condanna tutta la “letteratura” che è andato costruendo intorno a Gesky, ed ogni operazione di finzione che non sia vita. Ed è già una scelta di poetica. 8. Ora se il dialogo e la scrittura sono mezzi e occasioni per capire se stessi nella propria identità morale, il libro di Gesky rappresenta per lo stesso Marin il banco di prova del suo scrivere, della sua ambizione di letterato, il suo sperimentare, il suo apprendistato letterario, la ricerca della sua “verità”, di letterato oltre che di uomo. E qui sono due le osservazioni da fare : la presenza dei modelli del tempo per esempio nei suoi tentativi di narratore, oscillando tra D’Annunzio e il gusto dell’«Ave verum» viennese, ma, più diffusa la presenza evidente di modelli espressivi i più vari, da Carducci a Pascoli, a Dante, a D’Annunzio, ai crepuscolari, persino a Pirandello, accanto a qualche toscanismo e a qualche dialettismo. Allo stesso tempo godiamo di antecipazioni, che non hanno ancora la felicità della poesia matura, ma sono da segnalare. Ad esempio il gesto di Gesky che offre a Marin da bere in una situazione raccolta – una casetta nella remota allora Pineta della Rotta – mentre Nicolò con la barca Ardea è a pescare fuori della Punta di Barbacale, quel gesto del mescere e di offrire è già l’idillio della donna di Momiano (località istriana) che molti anni dopo gli offrirà del vino, ed è il momento in cui una donna semplicemente appresta il desco per

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offrire a lui ospite da mangiare e da bere. È l’idillio del gesto semplice, del cuore che lo compie e del cuore che riceve. E ancora voglio citare l’episodio dell’acquisto di splendide rose rosse in un ristorante viennese, belle ma senza odore – come lei, Gemma – e lui – autoironia – si comporta come una vecchia etera malinconica. La pagina è studiata e l’autore insiste troppo sulla ripetizione. Ben diversa la contemplazione splendida di candele accese su di un tavolo per una cena, descritte in una pagina preziosa dei Diari pubblicati nella scelta di Ilenia Marin per La pace lontana. 9. A proposito della sua ricerca di verità di uomo e di scrittore per concludere una poesia di Marin del 1973 può confermare il senso del Libro di Gesky. “Tanti mai versi, e duto incora tase oculto”, e prosegue con una domanda che riguarda direttamente tutti noi “Cu leserà ?” Chi leggerà i silenzi – saprà leggere – nei margini della pagina, negli spazi tra le parole e tra i versi ? E conclude “la gno puisia l’aspeta l’ora più queta, quela dei larghi siti canti”. È ciò che resta della vita, quando uno sia capace di ridurla a poesia. Tanti mai versi e duto incora tase, oculto; tant’ani de culto del dí e incora i zurni xe roversi. Cu leserà i silinsi, tra nota e nota de l’ánema che varda imota drento i so spassï iminsi? Cu sintirà cantâ le pagine nel bianco del margine a fianco de tanto ingrisâ? I gno libri xe tanti la gno puisia l’aspeta l’ora piú queta, quela dei larghi siti canti.

Nota del curatore Il libro di Gesky finora inedito è un quadernetto ben conservato di 75 pagine non numerate, legato in filo e rilegato in pelle colorata, adornato da una piccola bordura lungo gli orli, dotato di chiusura metallica che lo rendeva inaccessibile, come un album di ricordi o libro segreto del cuore. La carta risulta ingiallita. È manoscritto autografo di mano di Biagio Marin, con firma

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autografa, usando lo pseudonimo di Marino Marin. Scritto con inchiostro nero, è datato dal 24.i.1913 Vienna al 21 marzo 1914 (s.l.), scandito all’interno dalle date di stesura del diario che contiene, prevalentemente datate Vienna, ma anche Grado e Gorizia. La grafia di Marin è un corsivo minuto inconfondibile, con solo qualche svolazzo espressivo in più rispetto agli anni successivi, e qualche lettera risulta più ornata e chiusa. La scansione del testo è stata fornita da Alia Englen, nipote del poeta, per la pubblicazione. La ringraziamo. Il documento è ora di proprietà dell’Università di Trieste; e noi ci onoriamo di valorizzarlo. Nella trascrizione sono state lasciate le virgole espressive, intervenendo solo nel caso eventuale di ambiguità; sono stati corretti gli errori ortografici evidenti e solo in qualche caso per usi linguistici oggi dissonanti (proposizioni articolate, apostrofi ). Le date sono state riprodotte secondo l’uso mariniano. È stato eliminato qualche tratto di separazione di parti del testo. Per comodità del lettore è stata apportata in parentesi quadra la numerazione delle pagine assente nell’originale.

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24.i.13 Vienna 1 Qui incomincio il libro di Gesky ; di Gesky perché lo scriverò pensando a lei, e lo scriverò per lei. Sarà invece il libro dell’anima mia. Noi uomini non osiamo denudare l’anima nostra – io lo voglio fare per Gesky, perché un dì che sia, ella sappia cosa è un’anima, intravegga quanto male ci travaglia, impari ad amare l’uomo (non il maschio) come è veramente. Sarà bene, sarà male, non lo so. È triste che la Verità abbia a far male! Amen. 2 Gesky che fai? Aspetto che tu mantenga la tua promessa, che tu mi mandi la tua fotografia e mi scriva. Perché non lo fai? Hai paura vero? Non essere come le altre Gesky. Però è vero ch’io posso farti molto del male Gesky, molto. Forse hai ragione ad aver paura. Un po’ alla volta ti dirò tante cose, cose brutte e belle Gesky. Mi avrai innanzi di te nudo da cima ai piedi. 3 Vedi, io amo tanto la nudità, tanto la fisica che la morale. Si nascondono le deformità di solito Gesky. Ma gli uomini hanno troppo da nascondere per andare nudi. 3 1. manscr incipit p. [1] 2. Un trattino separa il preambolo dal testo 3. manscr, a’piedi ; 3 explicit di p [1] manscr

25.i.13.1 È una giornata chiara e c’è il sole che mi fa l’impressione di essere bagnato. Non sembra una giornata invernale, ma piuttosto primaverile. Con che occhi la vedrò, quando verrà, la prossima primavera? Con che occhi? E se non la vedessi più, se non vedessi che delle piccole cose, e non sentissi più il rinnovellamento? Mi rinnoverò io! O non rimarrò ottuso come lo sono ora!? Vedi Gesky, io guardo da due giorni già la fotografia di voi màmole – una fiorita bianca. Avete per sfondo l’atrio della villa bianca dove ho tanto sognato e goduto. E ci sei anche te. Eppure in due giorni, dall’anima mia non sbocciò un pensiero, un verso, una parola, una parola salvo che fosse di allora, una nota di quel canto grande, che il mare accompagnava in sordina, con le sue mille voci, che il vento rendeva più sonoro, dipingendolo nell’immensa cassa armonica del cielo. Sono ottuso Gesky, non so perché, forse perché ho vissuto troppo – chi sa perché. È tanto che non scrivo un verso e ieri lo volevo fare, l’ho fatto, ma sono stupidi, vuoti, banali.2 Eccoli :

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il libro di gesky Sol d’inverno. Bel sol tu son un giosso palidin. E t’ha la siera smorta. El sielo el ze fra ‘l griso e ‘l selestin. Ze vero – non importa. Tu me comovi i stesso col to rie. El to bon rie bagnao. E se la moca le manincunie E ogni mal sensao. Co vogi novi vego girâ ‘l mondo. La zente ciacolâ. E me vien vogia, el balo in giro tondo. De fâlo in meza strâ.

Come sono arido! È incredibile. Una volta avevo una fantasia calda, sempre in lavoro : sognavo a occhi aperti le più luminose e graziose corbellerie di questo mondo. Ora non più. Divengo un uomo per bene (li chiamano così i filistei), divengo morale e moralista, soffoco in me, me stesso corteggiando, la virtù borghese. Io in fondo sono amorale, senza morale alcuna. L’ho distrutta già da tanto io la morale, nel pensiero. Ne vuoi un esempio? Per questa volta no, un po’ alla volta mi scoprirai. 2 Se tu sapessi che impressione strana provo dinanzi a questa carta bianca! Vedi temo di dire più bugie di quello che non vorrei. Eppoi, un ghigno di ironia, mi fiorisce nell’anima : sai perché? Mi sembra di commettere una buffoneria. Perché infine, che avrò da dirti che meriti di venir scritto? Scriverò tante bestialità dovute alla mia presunzione, alla mia ignoranza, alla confusione provocata da idee mal digerite. Sono un ciarlatano Gesky, uno stupidissimo ciarlatano. Ma non importa, ci sarà anche qualcosa di mio qualche volta, là almeno dove non farò che sognare. Là sarò io. Mi riconoscerai dalle mille voglie, dai mille desideri, folli e osceni, brutti e belli, romantici e classici. Letteratura vedi! È incredibile la cultura 3 come ci falsi, ci inietti nel sangue mille organismi, che ci avvelenano, ci rendono diversi, e ci fanno perdere il nostro io. Talvolta mi vien la voglia di non scrivere nulla, di non parlare, di non pensare per non far della letteratura. 4 È roba da dar della testa nei muri. Io dove sono? Dove è andato il mio Io? Poverino, era così meschino, che gli altri lo soffocarono. Io sono ora un impasto, un conglomerato, un molteplice ibridume. Faccio il morale e sono amorale, passo per intelligente e lo sono così poco, da credermi veramente un cervello “high-life” ; faccio il platonico e sono sen-

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suale in modo incredibile. Ti piace? Non ti spaventar mica sai? Hai da sentirne ancora e di belle. Sai, da bambino ero cleptomane, bugiardo e onanista. Ho cominciato bene, come vedi. Avevo il cuore pregno dei desideri più torbidi di questo mondo. Più tardi, ho sognato più volte di possedere mia matrigna e intanto andavo a confessione ogni settimana. Mi sono masturbato fino ai 18 anni circa, per quanto sapessi che era male, che era una vergogna. Il vizio era più forte di me Gesky. Ho pianto tanto sai, ho anche sofferto per liberarmi ; mi guarirono le donne. E quando ho avuto le reni ben fiaccate, allora diventai un po’ migliore. Allora lo spirito ebbe il sopravvento sulla carne. 5 Ho conosciuto il postribolo – mi batteva un po’ il cuore quando ci andavo, ma ci andavo, ho conosciuto la libidine più turpe, e vi ho trascinato una creatura, che non ci sarebbe mai arrivata. Non era una fanciulla per fortuna, era una donna. Questo è il mio passato di male. Quanto fango vero? L’età dell’innocenza Gesky!!! Vedi, io non scriverei queste cose, se avessi innanzi a gli occhi, la piccola Gesky, la bimba della mia tenerezza. No ; scrivo per me, e per una donna, una donna, che non ha nomi, è la Donna, che m’è sorella, madre, sposa, figliola, la donna dell’Umanità. Alla piccola amica dovrei mandare fiori, sorrisi, sogni, non i cardi spinosi del male. Ma voglio darti questi e quelli, perché anche il male ha fiori belli, e anche i cardi hanno una bellezza, ma più di tutto perché la vita è fatta anche, anzi più di bruttura che di bellezza. 6 Sono solo, è notte alta ; il mio compagno è ad un ballo. Io ho letto Ibsen fino ora. Mi sento male, sono febbricitante, provo un’arsione che l’acqua non estingue. E fuori piove e il vento urla. Però la solitudine è buona, ci fa più forti, più spirituali. Quando io sono con le donne, io divengo come loro – una donniciuola. Ho vissuto troppo con loro – ora sto bene solo. Piccina dormi? Sì di certo. Si dorme bene alla nostra età, vero Gesky? e il ben dormire è un grande grande bene! Addio. 1. manscr incipit p. [2] 2. manscr explicit p. [3] 3. manscr, coltura 4. manscr explicit p. [4] 5. manscr explicit p. [5] 6. manscr explicit p. [6] 7. manscr, incipit p. [7] ; preceduto da un breve tratto di penna separatorio

26-i-13. È la sera di domenica, il vespero è stato opalino, poi ialino - si sta bene soli

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nella stanza calda come un nido. Soli con piccole armonie nell’anima. Quale donna mi darebbe di più, anzi di meglio di questa solitudine? “Sieger werden nur Verzichter” scrisse Ibsen. E vedi, per quanto ci siano dei momenti in cui la rinunzia mi sembra sterile, in cui gli appetiti della carne mi tormentano e quasi vorrei scatenare la bestialità mia, pure sento che questa rinuncia vale molto, sento che su lei si basa la mia vittoria. Ieri sera,1 il mio camerata, è andato a un ballo e s’è divertito, e ebbe poi una ragazza, una peccatrice bionda (non una prostituta), e vedi, quando questa mane venne, e mi raccontò la sua avventura, e mi disse che quella donna era bella e giovane, un secreto rimpianto mi sbocciò nel cuore, il peccato mi parve bello, il sangue mi riscaldò la fantasia, e quasi quasi mi pentii d’avere rinunciato, quasi quasi lo invidiai. E io sapevo a cosa rinunziavo ieri, quando ad onta delle mille preghiere tenni duro e mi rifiutai d’andare. Che valeva dunque la mia rinunzia, se oggi desideravo il peccato? E vedi, il male sì è che io non voglia abbastanza seriamente essere puro, sì è che sono impuro anche io, che amo ancora il peccato perché mi è dolce, bello. Chi me la dà la gioia d’una bella donna nuda, di belle forme bianche? Vedi, dove va la mia rinuncia? Povero Marino, sono ancora troppo2 sensuale e troppo spirituale. Ma pure, quando il sangue non mi ottenebri il cervello, la rinuncia, la solitudine, mi piacciono. Sono un impasto vedi, di buono e cattivo. Se tu sapessi! Senti : anche quest’oggi ero al Museo di Corte. Ogni qualvolta vedo un nudo, una bella donna nuda, nell’anima mi viene un desiderio, ma non so che simile al pianto. Mi sembra di sognare e di essere desto ; il mio pianto dell’anima è desiderio, desiderio di bellezza, di umanità luminosa, ritmica, molle, armoniosa come una sinfonia, la più dolce sinfonia di Beethoven. Anche io vorrei una donna così, così bella per un’ora sola, ma averla, averla tutta, vivere avvolti da un ritmo d’inno, respirarla tutta, sentire ogni linea, ogni curva, l’armonia d’ogni movimento. Non voglio una femmina, no, voglio una donna, una bella donna, una creatura bella insomma. La mia sensualità non mi avvilisce ancora fino alla volgarità, io non sono il maschio in foia, no no,3 io sono l’esteta sensuale, io sono una strana miscela di mistico e di pagano, io sono assetato di bellezza e il male ne ha tanta. Il mio sogno – ascolta – : io vorrei possedere una bimba di quindici, sedici anni, nuova come un’alba di Aprile, fresca come l’acqua dei ruscelli alpini, bella, divinamente bella come un nudo cinquecentesco, con un lieve lieve profumo di femmina bella, con i petti nuovi, rosati in cima come bocciolo di rosa, erti duri, asprigni a mordersi, e bionda la vorrei, d’un biondo carico carico, e vorrei che avesse una bocca bella, dolce a baciarsi, e una dentatura bianca, forte per mordere bene e ridere gioiosamente, come il sole di pri-

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mavera. Gambe ben fatte, alte ; slanciata in alto la vorrei come una colonna ionica, asciutta, quasi efeba. 4 Come la vorrei amare, come la vorrei baciare, e cantare. Senti, mi piacerebbe che mi danzasse dinnanzi, nuda, su un tappeto alto, soffice. La sua danza sarebbe la festa della Bellezza. Questo è il sogno che porto da anni in fondo in fondo del cuore, il sogno che non sarà forse mai più che un sogno. Chi me la dà la bimba mia bella? Chi me la dà? L’hanno dipinta tanti pittori, ma viva, viva, flessuosa, ridente, mia, chi me la da? Il moralista, lo spiritualista, cerca ben di soffocare il bel sogno – ma è lì sempre in fondo al cuore, che piange. 1. manscr, incipit p. [8] 2. explicit p. [8] incipit p. [9] 3. explicit p. [9] incipit p.[10] 4. explicit p. [10] incipit p. [11]

27.i.13. C’è tanto sole Gesky, sole capisci, anche nella mia stanza. Preludi alla primavera. Anche io l’aspetto la primavera, una primavera di sogni e di canti. Senti la linfa che sale, non siamo noi come gli alberi? – sento un desiderio infinito di sogni, una nostalgia di canti melodiosi.1 Che cosa canterò? Io non lo so – il canto vien così, solo, da questo desiderio, da questa nostalgia. Pur che venga. Irruente come una fiumana, che io possa cantare a gola piena – a bocca rotonda. Come invidio d’Annunzio pel suo Canto novo e le sue Laudi. Come mi piacerebbe cantare anche io così, forte, alto, gioiosamente. Certamente hai ricevuta la mia : perché non scrivi? O forse te l’hanno neanche consegnata – era una cartolina con un saluto. Addio. 2 “car le désir n’est pas la puissance, l’amour n’est pas la possession”. T. Gauthier 1. manscr, explicit p. [11] incipit p. [12] 2. Il testo e la citazione sono separati da un breve tratto di penna

28.i.13 Ieri scrissi del mio desiderio di cantare e dopo poche ore nella prefazione ai “Fiori del male” trovai quella proposizione che tanto bene s’addice a me. È bene che mi sia ricordato che il1 desiderio non basta, che io forse sono un impotente. E quel forse ha un valore maggiore di quello che io non creda, anzi certamente maggiore. È sciocco da parte mia voler illudermi : sono un impotente, “cui desiderio avanza”, come dice Pascoli, ecco tutto.

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Ma pur non voglio rinunziare a cantare almeno sottovoce, magari un po’ stonato, quel po’ di melodia che può fiorirmi in cuore. 1. manscr, explicit p. [12] incipit p. [13]

31.i.13 È venuta la tua, appena ricevuta non ho potuto indovinare di chi era. L’annusai, era profumata – una donna, pensai. Guardai la scrittura, una scrittura deliziosa, di donna – il colore della carta, il profumo, mi ricordarono le lettere amorose della mia giovinezza. Sogni d’alba, pensai. Poi l’apersi, era della mia piccola Gesky. Sai, non ti spaventare, anche gli aggettivi possessivi, hanno un valore relativo. Credi sul serio, che mantenendo la promessa avresti fatto male? Sono persuaso che tu stessa non ci credi, come non ci credo io. A proposito, continuerò un’altra volta. Ciao. 1 1. manscr, explicit p. [13]

4.ii.13 1 Ieri era S. Biagio – l’onomastico di Biaseto. Ci hai pensato te? Sembra di no. Ma altri si, ed una amica qui mi regalò della mimosa, di cui amo tanto il profumo delicatissimo. Voglio dirti qualcosa a proposito della tua mancata promessa. Tu certo, piccina, credi, che la tua fotografia avrebbe portato una rivoluzione nella mia anima. Invece non è vero niente. Io voglio [di] 2 molto bene alla mia fidanzata, 3 e questo bene è tanto più saldo, in quanto è dovuto a una relazione spirituale più che ad una relazione sessuale. Ma, c’è un ma – io in fondo, per un’altra ragione amo in generale tutte le belle donne, e in particolare, molte donne, che sono le mie amiche. E ce ne sono alcune che magari potrebbero sostituire la Eletta, e fra queste sei tu e l’Alma. Tu sei, dirò così, una mia sentimentalità a parte, la mia tenerezza extra matrimoniale. Non c’è Dio che salvi, ci sei e basta. Ora ci sono in noi ore d’abbandono nelle quali si commetterebbero volentieri delle corbellerie, ore in cui l’abbandonarci 4 è dolcissimo. Tanto più dolce, quanto più ha il sapore di frutto proibito. Ma questo normalmente non avviene, c’è in noi una forza d’equilibrio che regola tutto. A Natale, io avevo l’anima stanca, avevo bisogno d’abbandonarmi, e poiché Pina non c’era e c’eri te, e tu in fondo mi vuoi bene, perché dovevo rinunziare alla dolcezza d’un po’ di sogno e un po’ di desiderio? Ti sembro

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brutalmente egoista? Prenditela con mamma Natura, che m’ha fatto così. In generale vedi, è solamente la necessità materiale, che ha fatto l’uomo monogamo – noi siamo per natura poligami. Ragioni materiali, corruzioni e moralità sociale, ci fanno rispettare fino ad un certo punto la monogamia. Né io voglio scusare, giustificare il mio modo di vivere – no, non ho bisogno di farlo. La tua fotografia non m’avrebbe che fatto piacere, un gran piacere e nessun male, né m’avrebbe allontanato d’un palmo da Pina, alla quale venni con una continua ascensione spirituale, e con la quale ho fatto in questo senso tanto cammino. Vedi, quando il poeta si risveglierà, allora forse, se si risveglierà, sarà il tuo turno. 5 1. manscr, incipit p. [14] 2. manscr : di : espunto 3. Pina Marin; che sarà sua moglie 4. explicit p. [14], incipit p. [15] 5. explicit p. [15]

11.ii.13 1 Quanti giorni senza dirti una parola Gesky! La lettura di Biörnson, mi fa risognare l’amore, l’amore come cosa nuova, che io non posso più rivivere, con le sue malinconie, con le nostalgie che ti gravano il cuore fino a piangere, con i sorrisi improvvisi, come di sole di primavera fra nuvoloni neri di pioggia, con le canzoni languide, piene di desiderio, e il pianto. Come è lontano quel tempo – l’ho sognato tanto l’amore, ma quello, quello infinitamente dolce, infinitamente mio, non è venuto mai. Anzi era venuto, era venuto proprio come lo volevo – ma appena nato, me l’hanno strozzato. E dopo, ho fatto sì all’amore, ma quello, quello che ancora mi piange nel cuore, non è venuto più. Né verrà più. L’hanno strozzato capisci – lei stessa l’ha strozzato, ed io ero troppo bambino per difenderlo, il mio grande, chimerico amore. In generale io mi fò l’effetto d’un uomo stroncato. La mia precocità m’ha fatto male. 2 Che bella cosa 3 essere nuovi, e amare per la prima volta, e sentire tremarti l’anima sotto quel dolce tormento, e sentire quel male grande, grande, che ti fa piangere e colmo di felicità, e sentire in ogni ora, una nuova rivelazione, una nuova armonia, un nuovo canto, vedere il sole, il cielo , le cose, l’universo, che appena appena ti cape 4 l’anima, tanto l’hai grande, infinita, ricca di desiderio, con occhi nuovi, sentire, che l’anima ti si copre tutta di fiori aulenti, bianchi, come quelli dei mandorli, o dei meli, che bella, dolcissima cosa Gesky. E questo gran bene che io intuisco, che so in altri, io non l’avrò mai, mai Gesky, mai!

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E sai sono arrivato tanto in là da non curarlo l’amore, da sprezzarlo quasi, da sentirlo come una bruttura più che una bellezza. Ho detto : l’amore non è che un coefficiente della vita, e non la vita stessa, e perciò è un male che questo coefficiente abbia valori maggiori degli altri. Il tragico invece è che l’amore può essere anche la vita intera, o meglio la vita tutta, 5 cioè, la morte. Da ciò le tante tragedie amorose che noi non possiamo apprezzare, giudicare, noi borghesi puzzolenti, incapaci di uscire dalla formula della mediocrità. Tante dosi d’amore, tante d’onore, tante d’intelligenza, tante di stupidaggine, tante di bestialità e doppia razione di vigliaccheria, ed eccoti un bravo uomo della nostra società. Così sarò anche io. Anche io sarò così Gesky, anche io, perché un ragazzo serio che ha una fidanzata ha dei doveri, capisci, ha dei ceppi, cento, mille, infinite migliaia di ceppi, che gli impediscono di essere diverso di quello che vuol la formula. 6 E se è sul serio intelligente dovrà sforzarsi a essere tale per evitare modi peggiori. Ti ricordi il letto di Procuste? Un uomo intelligente, come io p.e. si taglia le gambe da solo, prima che gliele taglino 7 gli altri. La libertà, costa rinunzia, ed io non ero degno di lei, non ho mai saputo apprezzarla, epperciò rinunziare – sono un debole, un vile, una formula borghese qualunque. E poi sul serio, non s’ha mica diritto di fare quello che pare e piace. L’equilibrio, la formula, io li predico sempre, e della loro necessità sono convinto. Ma pur qualche volta soffro. L’equilibrio, che io amo, è la negazione dell’artista, del genio, e di tutte le grandi passioni, che affliggono, ma anche fanno grande l’umanità. Sono un filisteo perfetto! Che gioventù tristi viviamo noi, fra libri e quaderni, che amori malsani che sanno di rinchiuso, di muffa e di malizia. Niente c’è di nuovo e perciò niente bello, niente sacro. Addio piccola Gesky. 8 1. manscr, incipit p. [16] 2. explicit p. [16] 3. incipit p. [17] 4. manscr : lettura incerta : empie? 5. explicit p. [18] 6. manscr : formola 7. explicit p. [18] ; incipit p. [19] 8. explicit p. [19]

12.ii.13 1 Che sole Gesky, che bel sole primaverile. Illumina la facciata bianca d’una casa qui di fronte ; vedo tutto quel bianco che i fiori veri fanno risaltare, e poi il tetto nero con i comignoli rossi, e infine il cielo turchino, un po’ sbiadito sì, ma sempre azzurro.

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Sogni, canti – si svegliano lì giù nel cuore. L’anima si sveglia, comincia a muoversi. Come fa bene il sole, la luce! 1. manscr, incipit p. [20]

14.ii.13 1 Oggi ho parlato di te ad un amico e andando via via ricordando t’ho sentita viva, vicina a me. Gli dissi che sarei tanti contento che ti trovassi un bravo giovane che ti sposasse, ma che vorrei fosse un mio amico, perché non vorrei perderti del tutto. Il bene che ti voglio ha tanto del fraterno, per quanto talora mi sembri anche diverso. Però di questo sono certo, che sarei tanto contento se tu potessi esser felice, trovare qualcuno che ti volesse tanto tanto bene, come lo meriti. Povera la mia piccina, che sarà di te? Speriamo che qualcuno scorga dietro lo splendore dei tuoi belli occhi, l’anima tua, l’immenso tesoro della tua 1 anima bambina. Povera la mia bambina! Mi perdonerai vero Gesky d’averti fatto intravedere una volta qualcosa di più dell’amicizia che poi t’ho offerta! Questa sera ho l’anima grave di malinconia, grave di te, del tuo sguardo meravigliato e triste. I tuoi abbandoni puerili, pieni di confidenza, mi cantano nel ricordo una nenia come di sogno. E ora di chi sarai? Dove andrai Gesky? Ricordo la prima volta che t’ho vista, o almeno la prima di cui mi ricordi. Era dopo Natale si doveva ritornare a scuola. S’era a bordo di 2 Grado (oggi si chiama Belvedere), il vecchio piroscafo tutto acciacchi, che con grande travaglio e uno sbuffare asmatico, ci portava ad Aquileia. Ti vedo come allora. Avevi una berettina pelosa, bianca, con un po’ di rosso carminio, e i peli erano disposti in tanti cerchi se non erro. Era tanto freddo, e la bora fischiava. Ad Aquileia, non trovando carrozze, si dovette andare a piedi fino alla Villa Vicentina. E tu eri così piccina, che Leto, Gigi e Pierin, alternativamente ti portavano in braccio. Come eri piccina allora! Ma avevi già i tuoi grandi occhi luminosi. 3 Gesky, 4 ma quando avrai qualcuno che ti vorrà più bene di me, dimenticherai Biaseto, colui che da piccina in su t’ha sempre accompagnata col suo affetto, che è stato il tuo cavaliere, il tuo piccolo protettore? Forse che si. E se questa dimenticanza sarà un vantaggio per te, allora io sarò contento che tu mi dimentichi. Forse senza che lo sappia sono egoista anche in ciò, ma io vorrei non esserlo, vorrei volerti bene come un vero fratello d’anima. Pur che tu sia felice Gesky, che tu abbia la tua vita, io sarò contento di tutto anche di niente. Piccola Gesky, piccola anima, dagli occhi grandi di meravigliata e di sognatrice! Avevo da darti il mio mondo, i miei sogni, la tua felicità, la mia vita – non t’ho dato, non ti darò che dolore. Ma forse no, chi sa, forse no, forse il mio bene non t’ha fatto male! – speriamo.

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Come sono i tuoi sogni d’alba Gesky? Sono pallidi, o rosei, o di fiamma. Devono essere così, come fiori di melo, bianchi con qualche venatura di carminio 5 verso il centro, il perigonio, credo si chiami. Che cosa commovente, la vita nuova di un’anima come la tua. Se ci penso, una indefinita nostalgia del passato mi prende, nostalgia di terre lontane di fiori, di sogni, di canti lontani ; - lontano – che parola triste, piena di rimpianto di desiderio. Addio piccina. 1. manscr, explicit p. [20], incipit p. [21] 2. manscr : abbordo il 3. explicit p. [21] 4. incipit p. [22] 5. explicit p. [22], incipit p. [23]

16.ii.13. domenica Questa è una di quelle giornate, che bisognerebbe segnare – con che non lo so, ma nell’anima mia c’è qualcosa di profondo che la segna. Sono stato questa mane sul Kahlemberg e sul Leopoldsberg. C’era una nebbiolina luminosa sulle cose – in cielo una cortina di nubi, dalla quale trapelava un po’ di sole scialbo, anzi meglio un po’ di luce antelucana, una chiaria di prealba. Ero con una amica e si parlò nel ritorno tanto di me e di Pina, e della piccola Gesky. E udii parole che mi spaventavano e mi facevan gioire, che mi mettevano nell’anima un tormento nuovo, indicibile. Veramente nuovo non m’è questo tormento no – le parole dell’amica non hanno fatto che denudarmi l’anima, 1 spogliarla, liberarla dalle mille cose che le impedivano il respiro. Che gioia riavere se stessi! Ma anche che dolore, quanto dolore mi circonda. Ho l’abisso intorno di me, un abisso di dolore che mi impedisce di muovermi, che mi stronca le ali, i piedi. Laggiù c’è forse la liberazione – ma bisogna passare su chi ci vuol bene, bisogna spezzare qualche anima, qualche esistenza. E di far ciò io non ho il coraggio né la forza. E poi, temo di non averne il diritto. [G.] 2 Ma quella donna oggi, mi disse parole che non avevo mai intese in bocca di donna. Esistevano sì nell’anima mia, ma in fondo, perché le avevo cacciate lì giù da molto tempo. Parole grandi, contenenti mondi interi, profonde come l’abisso della vita, armoniose come i miei sogni – c’era tutto il mio mondo Gesky, il mondo che cerco di soffocare per diventar un buon borghese, ma che mi geme nell’anima, e che oggi 3 irruppe alla luce, come una fiumana, che abbatta le dighe e inondi i campi all’intorno. Tutta l’anima mia era sommersa in quel mondo,

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dove io potevo ancora sognare, amare, poetare, infrangere cuori e anime, selvaggiamente come un torrente alpino allo sciogliersi delle nevi. Avevo l’anima tremante dallo sbigottimento, dalla paura e dalla gioia. Ho tanta paura Gesky, tanta paura, ma solo così sarò io, Marino sarà Marino e potrà cantare a bocca rotonda, come desidera. E vedi, io non vorrei far male a nessuno ; sembra, che sia il prezzo della nostra gioia quel tanto dolore, nostro e degli altri. Cosa sarà di me? Addio equilibrio. Gesky. Gesky ho paura – ho visto l’abisso di dolore – ci son tante lagrime, ma tante, che se potessi rinuncerei alla mia gioia. Lacrime di donne che t’hanno voluto bene Gesky – che triste cosa! 4 Donne 5 che t’hanno dato tutto quello che ti potevano dare, che ti darebbero l’ultima goccia di sangue, e alle quali ferocemente direi : non basta, non basta. Che cosa terribile Gesky! Vedi, per quanto che con oggi mi sembra incominci per me la via dolorosa, pure con lo spavento, nell’anima c’è una strana gioia. Come m’ha portato in alto oggi quella donna! L’anima mia era tesa tanto che quando arrivai a casa dovetti mettermi a letto. Ero ebbro, stanco, sfinito. C’è tanta luce Gesky laggiù, tanta tanta, ma ho paura, tanta paura, e sono solo, desolatamente solo, e nessuno può aiutarmi. “Libertà vo cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. Ma quelle tante lagrime degli altri …!! 1. manscr, incipit p. [24] 2. Segue una lettera G maiuscola non corretta dall’autore da noi espunta in relazione alla sintassi, presumibile richiamo al nome di Gesky 3. incipit p. [25] 4. explicit p. [25] 5. incipit p. [26]

18.ii.13 1 “Il n’est jàmais trop tard lorsqu ‘on trouve l’amour qui remplit una vie” parole di Nonna Vanna di M. Maeterlink.

Gesky, piccola Gesky, che malinconia, che sentimento di solitudine! Mi sembra d’avere il cuore pieno di tante cose da dire, e non ho nessuno cui dirle. Mi guardo d’attorno, chiamo per nome tutte le donne che conosco, tutti gli uomini amici, e nessuno lo sento nel cuore, nessuno risponde. Sono solo e ho tanta voglia di dire a qualcuno qualcosa. Non so neanche io bene cosa, ma qualcosa di certo poiché nell’anima sento questo languore, questa malinconia che mi strugge. Mi piacerebbe esser innamorato e poetare. Ho tanta voglia di sogni e di ritmi. O che c’è bisogno d’esser innamorato, dirai tu. Hai ragione, sono trullo. Sai, è perché voglio ingannarmi e credere che l’innamoramento mi guarirebbe della mia impotenza. Con tante amiche, sono solo. Perché?

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Forse nessuna mi vuol bene abbastanza. Ciao 2 1. manscr, incipit p. [27] 2. explicit p. [27]

19.ii.13 1 Io sono come colui che aspetti e non sa che cosa. Ogni qualvolta che vengo a tavolino sento più che mai questo vuoto. Un’idea mi passa per la mente – prendo la penna in mano – è sparita. Questa è una gestazione o per me la è finita irreparabilmente. Morto prima di nascere, un mostricciattolo lordo, brutto. Andiamo a gran passi verso la primavera – Pasqua è a un mese di distanza. Mi porterà qualcosa Pasqua? Che strana cosa questa stupida aspettazione di qualcosa di esterno, come se dal di fuori mi potesse venire un bene, il bene che aspetto. Dunque aspetto un bene? Ma no, io non lo so, forse un male, qualcosa che mi tragga da questo vuoto, che mi ridia a me stesso. Ti ripeto che c’è il sole con la solita monotonia. Perché l’unica cosa bella che abbia è il sole, che mi sembra sempre nuovo, che mi commuove un pochino sempre. Mi fa un certo piacere il vedere che sono già le 4 e che c’è ancora il sole, mentre prima di Natale a quest’ora2 accendevo la lampada. Fino a pochi giorni fa, avevo un mondo una fede. Che cosa è nato ora, perché mi sento così vuoto? Quel mondo non mi basta più. Ho bisogno d’un nuovo Dio, d’un nuovo altare, di nuovi pensieri. Che triste sorte! Non credere a quella esclamazione, è stupida rettorica – non ci credo neanche io. La mia sorte è bellissima ; ma io sono un imbecille, ho bisogno di piagnucolare come uno scemo ogni cinque minuti. Basta, ora non lo voglio fare – voglio vivere gioiosamente, cantare gioiosamente, io me ne infischio del bene e del male, di chi piange e di chi ride – peggio per loro se piangono, meglio per loro se ridono. Voglio essere selvaggio con me stesso e con gli altri, senza compassione per tutti. Piccola Gesky addio. 1. manscr, incipit p. [28] 2. explicit p. [28], incipit p. [29]

20.ii.13. 1 Or ora ho scritta una prima canzone – non è niente di bello, così una modulazione di prova, fra me e me, d’un’aria che non so ancora bene. Ma verrà,

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forse, Ça ira, ça ira Gesky mia. L’ho scritta a Maria Dolorosa – lei m’inspira più di tutte, 2 perché ha l’anima più sonora, e quando canto, lei è la mia cassa armonica. Copiare è uggioso, e perciò qua non te la trascrivo. Sei curiosa vero? Mi dispiace per te, questa volta, non c’è niente. Dio santo se questo fosse sul serio un po’ di preludio! Mai ho avuto bisogno di credere nel mio canto come ora. Se potessi cantare sul serio, ma senza stonature e forte, almeno un pochino, tanto da farmi sentire. Ma infine, pur che mi senta io, ma canto vuol essere! Che bellissimo sole Gesky! Ho scritto : Apri l’anima al sol dolce Maria Ch’ei te la empia tutta di splendore Ch’ei te l’accenda col suo grand’ardore E la faccia fiorir di poesia. --------------------------Apri l’anima al sol dolce Maria. 3

E così 4 fai anche tu Gesky. Ma tu non hai tanto senso per la natura come Dolorosa! Ciao Gesky! 1. manscr, incipit p. [30] 2. manscr : si può leggere anche tulli 3. explicit p. [30]; poesia inedita 4. incipit p. [31]

23.ii.13. Conosci tu quel minuetto del Boccherini che la Compagnia delle maschere veneziana fa suonare al principio e alla fine d’ogni atto? È graziosissimo, delicato, carezzevole. E ogni qualvolta mi capita per la testa penso a te ; non so che parentela, che relazione stia fra voi. Certo tu stessa sei un minuetto. Un minuetto come quello del Boccherini, delicato, insinuatosi nell’anima con note di sogno. Sono reduce da una passeggiata con la signora di domenica. C’era tanto sole, anche in me. Ora ho, o sto riavendo il mio equilibrio. La verità non può essere che un’armonia e non una dissonanza. Ma ci sono dissonanze che si sciolgono in armonie. Ora incomincio ad avere un po’ di nostalgia pel mare e per il sole. Speriamo di trovare il tempo bello laggiù, e caldo e allora vogliamo uscire in mare con la Ninfea. Ci rivedremo a Pasqua Gesky!? Addio 1 1. manscr, explicitp. [31]

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25.ii.13. Io avrò un figlio e si chiamerà Glauco e non sarà un nato di donna. Quando nascerà non so. Di lui non conosco finora che la morte. Una bella morte a colui che cercò invano la “Vita”. Ha cercato per tanti anni l’amore, l’amore grande, l’amore che riempie una vita e non lo trovò mai. Nessuna donna fu abbastanza bella, abbastanza armoniosa nell’anima e nel corpo - la sua attesa è infinita. - Ma pure solo non può vivere, solo no ; – Glauco è poeta e sognerà – e lontano dalle donne che non hanno in sé che amaritudine, delle quali ogni bacio è vile, egli sognerà il suo grande amore. I vini più squisiti e 2 l’haschish gli porteranno le più belle fantasie. Là nel peristilio armonioso della sua villa romana, egli vivrà la sua vita di sogno ; le sue canzoni saranno melodiose come il murmure fresco della fontana ; faranno a gara, chi ne canti di più deliziose. Nel peristilio ci sono varie statue bianche. Una è la Venere di Milo. E ci sono fiori nel peristilio, e tante rose incoronano le statue bianche. Così un po’ alla volta egli si avvelenerà. In un pomeriggio d’autunno, quando 3 la natura sembra struggersi di languore e di desiderio, e l’anima sembra voglia dileguare nella luce miracolosa del vespero. Glauco, siederà sulla scalinata esterna della sua villa e guarderà la laguna gradese. La villa sarà a San Marco. E tanto sarà l’ignoto struggimento dell’anima sua, che piangerà. Vele vanno per i canali, Grado arde lontana, canzoni melanconiche e grida vanno al vento, e profumo di rose e di sentor di salsedine. Quella è forse la vita! La verità, la verità quale è? Chi gliela dà la sua verità che gli empia l’anima per sempre? Glauco s’alza ed entra. Nel peristilio l’oro caldo, cupreo del vespero, dà brividi di voluttà alle statue bianche. I fiori impregnano di [profumo] 4 le pietre. La Venere di Milo, nell’ombra guarda divinamente. Glauco vuol morire, vuol morire per trovare il suo grande amore, la sua verità. Vino e poi haschish, ma tanto tanto ; ora Glauco vive. Le statue bianche lasciano gli zoccoli e sorridenti vengono a lui. Una sola resta al suo posto. 5 È la Venere. 6 Lo guarda divinamente melanconica. Lei sola sa il suo tormento, il suo gran male, lei sola può dirgli la verità, la sua grande verità, che gli empia l’animo per sempre. La fontana canta le sue canzoni d’amore ; vanno e vengono tutte le mille bellezze dell’universo, tutte le creature belle che artisti e poeti sognarono e crearono. E tutte gli danno la loro bellezza, la loro armonia – non basta non basta. Un dolore, un immenso dolore lo colpisce. Viene dal cuore, dal cuore malato da tanti gran anni. Che dolore! Poi niente – una ridda infernale, il buio, il caos, – sommerso nel nulla – poi si risveglia – le statue sono sui loro zoccoli, bianche nell’ombra cilestrina. Che gran male e che gran bene. Sù 7 Glauco uno sforzo fino ai piedi di lei. Lì restò, con gli occhi aperti ;

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la dea sorrise, sorrise divinamente - una gran luce fu nelle pietre, e Glauco sorrise anche lui e restò lì, morto, con la pupilla luminosa ancora di quel sorriso. Aveva trovato il suo grande armonico amore, la sua eterna Verità. 8 Glauco sarà il mio figliolo non nato da donna, partorito senza dolore. Addio piccola soavissima Gesky. 9 Or ora ho scritto dell’amore di Glauco – poi ho letto Ibsen ed ecco ciò che trovo scritto : “die Brant wird mir genvisslich werden, und dann – Hand in Hand gehen wir gen Osten dahin, no, nach einigen, Helios geboren sein soll ; - in die Einsamkeit, uns zu verbergen. Wie die Gottheit sich verbrigt. Zu suchen den Paradiesesgarten an des Euphrato Ufern, ihn zu finden und da, o Herrlichkeit! - von da aus soll ein neues Geschlecht in Schönheit und Gleichgewicht ausgehen über die Erde da, Ihr schriftgeketteten zweifler, soll das Kaiserreich des Geistes gegründet werden”. L’anelito di Glauco! Il sogno trovato nella realtà della morte. 10 È stata 11 una giornata questa degna dei nostri paesi – il sole era proprio tepido. Sto studiando i verbi latini, ma non ci riesco –. Nel cervello ho un continuo andare e venire d’immagini. Sono in fermento. La villa Matilde con le sue stanze bianche e il riflesso glauco del mare, Gesky, la piccola amica, vele e canali e libri di versi, con i titoli fiammanti, tutte queste cose bulicano continuamente nel mio povero cervello che si sforza di accettare anche comperio comperi compertum e altri simili. Ma invano. La bocca ripete per la centesima volta, meccanicamente comperio ..., ma il cervello è assente ; intanto lui, veleggia in mari d’un glauco mai visto, d’un blu di Prussia trasparente, ville bianche, e palazzi, si specchiano in acque opaline, stanche. Insomma quando avrò fatto questo benedetto esame di latino sarò molto contento. Questa sera vado alla “Messa di requiem” del Verdi. Ciao. 1. manscr, incipit p. [32] 2. manscr : il 3. explicit p. [32], incipit p. [33] 4. manscr : promumo 5. explicit p. 33] 6. incipit p. [34] 7. Lettura incerta. Leggibile In 8. explicit p. [34], incipit p. [35] 9. Al congedo segue uno spazio e un tratto di penna segnala un nuovo stacco 10. explicit p. [35] 11. incipit p. [36]

1.iii.13. 1 Questa sera si parlò fra amici della tristezza che ci procura la morte del primo amore ...! ------------

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- Ho scritto una poesia, bruttina, ma m’è sgorgata proprio improvvisamente dal cervello. È per i canottieri. C’è troppa retorica per essere bella. Ci vorrà del tempo prima ch’io impari [a] scrivere versi italiani miei. Senti la prima strofa : “Io v’amo o miei compagni forti, O belli efebi ilari ed asciutti, Che il remo mai non stanca e non fa morti. Figli del mare così ben costrutti”.1

È quasi la mezza notte. Se domani ho l’estro d’oggi, voglion nascere alcuni versi. Dormi bene piccina. 2 1. Inedito, dello stesso tema, compariva nei Fiuri de tapo 1912 la poesia Passa i canotieri espunta già nei Canti de l’isola 1951 2. manscr, explicit p. [37]

2.iii.13. 1 Ho il cuore torbido d’odio – le donne – femmine bipedi fatte per essere possedute e poi frustate. Che avete da darci? I vostri baci? i vostri amplessi? la vostra lussuria? Siete come le cagne. Anzi siete peggiori delle cagne. Quelle si fanno pregnare e poi vanno per la loro strada almeno, mentre voi ...! Siete come la lupa che dopo il pasto ha più fame che pria. Vi odio, sì vi odio anche se vi desidero, anche se talora il sangue mi brucia dalla voglia dei vostri baci, delle vostre carezze, anche se i vostri petti bianchi mi fanno perdere la ragione. Vi odio vi odio, appunto per questo, perché non mi date di più, e i vostri baci, la vostra carne è amara come il fiele. Bisognerebbe possedervi e poi frustarvi e ridervi in faccia. Che volete da noi? Un marito vero? Crepassero in un momento solo tutti i mariti della terra! Perché se a voi femmine basta un maschio, a noi uomini una femmina non basta, almeno a me non mi basta, io voglio di più che una femmina da far pregna, da mantenere perché prolifichi pacificamente. Femmine, vi odio, perché per un marito vi fate prostitute, fate qualunque azione, anche quella d’ammazzare un uomo. Marito, marito, marito, ecco il vostro desiderio, il vostro sogno, la finalità di tutte le vostre carezze, dei vostri languori, dei vostri spasimi, dei vostri abbandoni. “T’ho dato tutto, devi sposarmi”. Una prostituta patentata mi dà il vostro tutto per poche corone, e voi pretendete la mia vita. Una prostituta non vale una vita! E dire che vi avevo sognate angeli, e che innanzi a voi mi credevo fango. Via da me femmine, io non sono un marito. 2 1. manscr, incipit p. [38] 2. explicit p. [39]

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Grado 9.iii.13. 1 Ieri ho fatto mezza baruffa con tua madre per difendere il mio principio e il mio criterio sul matrimonio. Quando si avvicina una ragazza bisogna sposarla, ecco la sua tesi. Avrei tante cose da scriverti e tante da dirti. Mi sembra così strano che tu non ci sia, qui! E ho sentito dire che neanche a Pasqua verrai. Tu non devi pensare come tutta questa gente Gesky. Sono in villa Matilde, nella prima stanza. Ho piantate qui le mie tende. Alla sera vado da Nicola 2 e mi sembra strano di non trovarti. Forse è bene. Tua madre ha o avrebbe ragione d’aver paura di me per te. Cara Gesky sta’ 3 bene. 1. manscr, incipit p. [40] 2. Nicola probabilmente Leto, dedicatario dei Fiuri de Tapo 3. manscr : stai

Grado 28.iii.13 Villa Matilde. 1 Forse sei morta - chi sa forse per sempre. Il mare ribolle e canta sotto l’impeto del maestrale, gioiosamente. È eternamente giovine lui, nei letarghi invernali ha 2 pensate mille e mille canzoni nuove che ora canta al sole. È venuta un’altra primavera – né io vidi fiorita attorno a me di peschi o mandorli, né in me senti[i] sbocciare canti ventosi, con dentro il turchino del cielo e vele stagliate tra glauco ed azzurro. Desiderio, desiderio ... ma – “le desir ce n’est pas la puissance”. Perchè non sono anche io come il mare? Perchè il maestrale odoroso di primavera e gioventù, non mi fa gioioso come il mare? Ah! Gesky ho un 3 nodo di pianto in gola, e vorrei invece ridere come il sole. Che tormento!!! 1. manscr, incipit p. [41] 2. illeggibile : son? 3. gra cancellato, gran

Vienna 2.v.13. 1 “Wenn der junge Wein blüht, da gärt’s in altere”. Proprio così, ed è per questo forse che questa sera ho aperto questo libercolo per dirti Gesky – nulla – sai son malinconie di vecchi, fermenti dell’anima in queste sere di primavera, della mia vecchia anima!

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“Wenn der junge Wein blüht”. Tu sei, il mio giovane in fiore Gesky ed io sono il vecchio in fermento. Fermento di desideri, e di brame, di malinconie e tristezze. Oggi sei anni in questa istessa notte, parlai per la prima volta d’amore a una donna. Sei anni, quanti Gesky! Allora ero il vino in fiore anche io. Non ti dispiace mica se ricordo, se poso un fiore su una memoria, che m’è dolce ancora. Noi vecchi, facciamo così – ricordiamo. A voi il sole, i succhi della vita, la terra buona – a noi il fermento nel buio delle anime nostre. 2 Non ho altro da dirti – ma m’è triste rimaner solo questa sera, lasciarti andare chi sa per quanto! Sai quel motto è il titolo d’una commedia di Biornson, che ho vista rappresentare questa sera al “Burgtheater”. Addio Gesky piccola e cara. 1. manscr, incipit p. [42] 2. explicit p. [42]

Grado 29.v.13. Ebbene, non importa – facciano pure – temono che io ti attiri a me – vogliono difenderti dal pericolo! Ebbene lo facciano. Borghesi vili e stupidi! Ma non sanno che tutte le loro precauzioni sono vane, non sanno che io so cantare, e il canto vola vola oltre il mare, oltre i monti, che io ti chiamerò se mi garberà, ti chiamerò con voce ch’essi non potranno rattenere, 1 e tu mi udrai, sì Gesky mi udrai e se ti dirò vieni verrai, vero? Lo so, mi credono un don Giovanni. Che me ne importa? Sono vili. Piccola Gesky, sono tanto solo e la gente che più mi dovrebbe 2 comprendere mi dà del pazzo. Ora sono solo ; ho perduta Anima, ho perduta Maria, e forse (Gesky, Gesky, sarà mai vero?) ho perduta anche te. Te, la mia piccola creatura, la mia piccola tenera Gesky dai grandi occhi neri, la bimba tutta occhi e sorrisi luminosi. Non vogliono che ti voglia bene – è pericoloso dicono – il povero, piccolo mio bene, fatto solo di piccole armonie, è un male, è un’avventura, dalla quale bisogna salvarti. E sia. Ma io ti voglio ricordare ancora, ma almeno qui voglio ancora parlare con te e dirti piccole cose, piccola Gemma. Sai il mare è tornato azzurro, è tornata la dolce Estate, o sta per tornare, e c’è tanta armonia e tanto sole – ma – nel mio cuore c’è un’ombra dolorosa, che contrasta con la luce di fuori. Gesky la mia adolescenza, la mia giovinezza, è finita – e gli altri me lo vogliono 3 far sentire. Vedi Gemma, questa sera non ti lascerei mai – m’aggrapperei a te con mani convulse e ti chiederei : “dimmi dimmi Gemma, sei

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come gli altri anche tu? Lo senti tu il mio dolore, il mio bisogno? Tu che sei nuova, puoi cacciarmi perchè non sono un possibile marito?” Tante cose ti vorrei dire – e nessuna ne dirò e serberò per me il mio cruccio e la mia malinconia. Addio – ritorno nella desolata solitudine dell’animo mio. “Dopo dieci anni ...” una novella! 1. sic 2. manscr,explicit p. [43] 3. incipit p. [45]

3.vi.13. 1 C’è stata una serenata in mare – s’era anche noi, anche le màmole. Un vapore quasi ci colava a picco noi dell’ ”Ausonia”. Sera bellissima! Chi sa se qualcuno t’ha ricordato! Io sì. Ciao, dormi bene. 1. manscr, incipit p. [46]

Gorizia 21.vi.13. S’avvicina il giorno in cui ti rivedrò ; come sarai? Mutata? Ci spieranno, ci sorveglieranno, ti preveniranno magari contro di me! Sì lo so! E tu, tu piccola Gesky come sarai? Borghesi vigliacchi! E tutto ciò perchè non sono più un possibile marito! Natale del 1912 non torna più ; fu la nostra prima e forse ultima festa. Addio piccina. P.S. 1 Dimenticavo di dirti : Mercedes Bianchi, il grande mio amore, (primo) della mia adolescenza, è promessa e in settembre si sposa! – 2 Sic transit ...! 1. manscr, incipit p. [47] 2. trattino lungo di separazione, a segnare una chiusura definitiva

22.vii.13. 1 2 Ad un mese di distanza! Gesky, chi sa cosa pensi! T’ho sognata questa notte e t’ho dette tante cose in sogno Gesky ; le cose che vorrei dirti. T’ho vista tante volte, ma non t’ho mai guardata. Hai osservato che non t’ho guardata negli occhi come sempre? Ti fai signorina. Sei un po’ sbiancata, con una faccia senza [luce], 3 sfuggente, fatta perchè solamente gli occhi si vedano. Hai due occhi su d’uno stelo sottile di carne. Addio Gesky, forse non più piccola. 1. manscr, incipit p. [41] 2. Data e testo sono allineati : il diario continua come riprendendo la pagina 3. parola dubbia

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17.viii.13. 1 Gesky, senti questa ballata svedese di Fröding come è bella e come fa per me : “Canta la tua canzon piccola Inga. Chè son fasciato di malinconia ed io ti donerò – se tu ti accinga – il mio castello e la ricchezza mia. Tutto il castello in dono e metà del mio regno. La ricchezza? Il castel? Sai tu che sono? Son la mia tenerezza. E la metà del mio regno È lei metà di questa mia tristezza. Paura a te non fa, bimba la mia tristezza e la tristezza è tanta! Te n’offro la metà piccola Inga canta!” Te n’offro la metà piccola Gesky canta! 1. manscr, incipit p. [48]

22.viii.13. 1 Vieni nel cuore talvolta, così come una folata di profumo lieve, reso più tenue dalla lontananza. E questa sera così sei venuta, portata da chi sa qual lontananza nel mio povero cuore! Tu sei l’Interdetta, quella che io non bacerò che nei sogni d’alba, quando il sangue sente la luce dell’alba, i rossori sfumati del sole che ha da venire. E ti voglio più bene in sogno, che in realtà. Forse perchè sei interdetta, sei rimasta, e non ti perdo. Io non ti bacerò mai, mai! Ed è bene. È tanto triste, ma tanto bene! Un velo ti avvolge tutta, e fa ch’io ti possa non vedere ; un vago sentor di mistero avvolge la tua bocca, e si spande intorno a te. Sente di nostalgie verso l’indefinibile. Tu sei tanto gioiosa ed io tanto malinconico! Triste sarebbe l’offerta che t’ho fatta nella pagina antecedente. No, è meglio che me la tenga tutta per me la malinconia, e che tu gioisca come tutte le cose nuove che godono2 del sole, e rida, e canti, o garrisca come una passerotta. Sii felice piccina, godi pur la tua festa, hai ragione. Verrai a me quando sarai triste, e allora cercherò di alleviare il tuo male. E forse non verrai mai. Domenica ti rivedrò. Ma sei più lontana quando ti son vicino.

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Grazie della cartolina mandatami da Barbana. T’avrei ringraziata per lettera, ma poi pensai di non farlo. Addio Gesky! 1. manscr, incipit p. [49] 2. explicit p. [49, incipit p. [50] manscr]

5.ix.13. Venerdì. 1 Sono cinque giorni che penso a quel ballo triste di domenica. Avevo indovinato, la mia tristezza non fa per te, – hai paura – ti soffoca. Ora comprendi troppo e troppo poco. Troppo per esser serena, troppo poco per capirmi, per sentire il mio tormento. Non sei più bimba, nè peranco sei donna. Si lo so, ora t’ho perduta, perduta per sempre. Addio Gesky, piccola cara soave, sogno di bimbo, che non arrivò mai ad essere neppure desiderio – tanto era tenue, tanto era bianco-rosa! Perduta : io non verrò più a toglierti il sole, io non ti farò più smorire il sorriso sulle labbra, io non ti dirò più le parole che ti fanno abbassare gli occhi e pensare e ti gravano sul cuore così che non puoi liberartene e la tua gioia bambina se ne va, e non puoi danzare più e non puoi ridere. Io sarò come gli altri, e tu sarai come le altre. Ma qui almeno, in questo mio regno bianco, piccola Gesky ti parlerò come una volta. 2 Qui parlerò alla mia piccina. Che non muta mai nelle ore più tristi, quando l’anima ha bisogno di riposare fra i sogni, lontano, fra ciò che non esiste. E la mia Gesky non sarà la signorina Apollonio, no, sarà la creaturina mia, tutta mia, che non muta mai, che mi guarda con gli occhioni luminosi come una volta e mi dice cose piccole e care come fanno i bambini. Mio piccolo sogno vieni e ridi e canta. Io non ti turberò con la mia amarezza, no, io non ti dirò nulla, - quella me la masticherò da solo – ma tu ridi, ridi piccola, ch’io abbia nell’anima un po’ di sole, ch’io mi senta commuovere e pianga di struggimento come una volta. Oggi mia più che mai, piccola e cara ti bacio. Ho baciata l’anima mia, me stesso? Forse che sì! 1. manscr, incipit p. [51] 2. explicit p. [51]

7.ix.13 domenica. 1 Vieni, ti vestirò d’un velo verde tempestato di colchici violetti. Tu sarai come quel prato, nel quale ebbi la rivelazione dell’Autunno che viene, dell’Estate che muore. La terra era tepida dopo la giornata di sole ed era trapunta di lingue e stelle violette, su esili steli bianchi, spirituali.

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Erano i colchici, venati di sogno e di nostalgia languida. E c’era un’ombra chiara sulle case, quasi luminosa, come l’ombra dei tuoi occhi Gemma! La terra ancora una volta – l’ultima – si è fata bella per piacere al sole. Ancora una volta prima che se ne vada. E s’è vestita di malinconia tenue, d’un sorriso chiaro un po’ velato però, pieno di sottintesi, e di languore. O piccola Anima, tu vedessi il sorriso di tanti colchici sulla veste verde della terra, che sentivo calda ancora, palpitante come se fosse stata di carne! 2 Come è buona Gemma la terra, come è umana! L’amo tanto, forse più del mare Gemma! Appunto perché è come noi Gemma, come noi uomini, perché soffre e gioisce, perché ha canti e pianti, perché è dolorosamente feconda, perché ha stanchezze ed abbandoni, perciò la amo. Vieni, ch’io veda questi fiori nei tuoi occhi, ch’io veda il tuo sorriso farsi simile al loro, un po’ velato di malinconia, ch’io ti veda coglierli con mani tremanti, questi estremi sorrisi d’un grande amore che muore. Oh! non è la mia anima un colchico? Mi sembra che sì. Vieni, fiorirò la tua anima di colchici autunnali. Tu Gemma – io colchico d’autunno. Gemma di marzo e colchico autunnale, sorriso d’alba, e luce vesperale. Canto novello e canto che già fu speranze e sogni – io pianto e nulla più! 1. manscr, incipit p. [53] 2. explicit p. [53]

12.ix.13. 1 Sei ancora a Grado cara. Tra giorni te ne andrai. E vedi, mi sembra di perderti di più. Mi sembra che fin che tu sei a Grado, ti possiedo sempre un pochino, che sei un po’ mia, un po’ nella mia anima. “La seria” - ! Guido Zotti - !” M’hanno detto, così due parole e un nome! Eppure che strano sentimento di disagio ho provato! Lo so, che deve avvenire un giorno o l’altro, eppur!! Mi portano via Mercedes, il mio primo amore, tra giorni – poi mi porteranno via la piccola Gesky! È questo il mio destino : andare andare, solo, piangendo ridendo o cantando ma andare e solo! Gli altri vi sposano – io non vi darei che baci e canti eppoi l’addio. Con me non c’è da far nulla! Andate care, andate. Io vi canterò il carme nuziale! Ti sei fatta seria? Povera Gemma, piccola e cara! Forse non ancora, ma verrà anche quel giorno. Piccola mia, addio. 2 1. manscr, incipit p. [55] 2. explicit p. [55]

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19.ix.13. 1 Che affare buffo in questo mondo! È molto difficile e noioso sentire il dolore degli altri. Non abbiamo abbastanza il nostro? Sicuro! I pianti mi dan noia, massimo quando nulla ci posso fare! Buffo ... ! 1. manscr, incipit p. [56] ; data aggiunta in spazio ridotto a cifre minute

19.ix.13 1 11.x.13. alle 10 antimeridiane – sabato. Una giornata piena di sole, bella per andare a nozze. Va a nozze Mercedes oggi, e proprio a quest’ora. Io ho scritto 2 il tema di latino questa mane. Che bella cosa però la vita, e questo mondo così caldo ora, con tante foglie gialle che frullano nell’aria limpida e poi vengono giù tremolando o roteando. Ed essere liberi che bella cosa, e giovani ancora, tanto giovani da non poter andare a nozze! Cantiamo cantiamo, – Mercedes va sposa. 3 1. data sulla destra 2. manscr : l’esame cancellato 3. manscr, explicit p. [56]; testo: va a sposa

Vienna 27.x.13. 1 Sono sciolto da ogni legame più forte, dal mondo. Non ho passato né presente. Sono solo e nudo e sterile come uno scoglio in mezzo a un mare infinito. Non ho nessun dolore, nessun desiderio, nessun sogno. Solo solo nel mare della vita, un mare né liscio né tempestoso – ma un po’ mosso, giovine, aspro, canoro. Ho dimenticato l’idillio e l’elegia. Sto formando la mia anima nuova col lavoro. C’è una gran serenità in me! Me ne compiaccio! Si sale – gli altri, che restano giù, divengono piccini piccini ... poi non si vedranno più. Che piacere lavorare e soli. Una mia savia amica, me lo diceva sempre, che non s’ha diritto di cercare altri prima di non aver trovato se stessi! Aveva ragione. 2 1. manscr, incipit p. [57] 2. explicit p. [57]

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1.xi.13. Ognissanti. 1 Ieri sera ho scritto una novella, forse la prima che abbia vita. Glauco e Nera – Marino e Gemma, verità e poesia, realtà e desiderio. Non tarderà molto e sarà pubblicata – chi sa se ti ricorderai, se mi riconoscerai. Se sì, la novella di Nera, ti dirà molte cose che Marino non t’ha mai dette. Forse ti saranno indifferenti e forse no. Eppur vorrei sapere l’impressione che ne avrai. Questa sera è la sera dei morti. Ma tu non sei tra i morti, tu vivi in me e tanto. Tu non lo credi, non lo sai, né in fondo t’interessa di saperlo, visto che non sono un possibile maritino, ma pur è così. In fondo io basto a me stesso. Ho più caro di sognarti mia, che di averti. In te però era ancora l’unica possibilità d’amore. T’ho perduta – e sia! Addio piccola Gesky! 2 1. manscr, incipit p. [58] manscr : Ogni santi 2. explicit p. [58]

2.xi.13. 1 Non posso pensare alla mia sposa, senza che tu venga dal fondo del cuore a cacciarla. Nel momento istesso in cui nella mia anima sto per donarmi a quella che sarà mia moglie, in cui penso : povera Pina, eccomiti, son con te, tu sorgi muta e silenziosa innanzi a me, in me, e allora ritiro la mano pronta al dono e Pina poverina sta a labbra asciutte. Che terribile dualismo! Di chi sono? Io sono ben di Pina, lo so, lo sento – ma non tutto. Tutto di Pina, meno il mio più profondo cuore, meno il mio sentimento più intimo, più delicato, meno il piccolo poeta che è in2 me, il quale è un po’ di tutti, ma innanzi a tutti di Gemma. Sì che quando vorrei donarmi, e tu vieni, mi pare che tu mi colga in flagrante, come un ladro, come uno che dona la roba degli altri, la roba tua. Proprio così piccola Gesky! Che ne dici? Addio cara. 3 1. manscr, incipit p. [59] ; data sottolineata 2. [cancellata] 3. explicit p. [59]

15.xi.13. – un’ora di notte. 1 La notte passata t’ho sognata ; eri vestita con una blusa come all’ultimo ballo, ma con tanti colori vivi. Come ti voglio bene quando ti sogno! Ho lavorato fino adesso, e prima d’andare a letto vengo a salutarti. Ti dispiace? Ho

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un’altra novella in testa con te nel centro. Basta che pensi un po’ a te perché attorno alla tua figurina si formi un’unità d’arte e di poesia. L’ultimo ballo, con tanta tristezza, in cui per la prima volta ti ho veduta e sentita2 donna, femmina da predarsi, sarà il tema. Eri molto bella quella sera e quel volante bianco sulla blusa davanti, ti dava un tono di donna ...! Addio, - tu dormi a tante miglia di qua e chi sa cosa sogni. Del resto 3 non me ne importa. L’importante è che ti sogni io. Dormi bene bella. 1. manscr, incipit p. [60] 2. una “f ” tra “sentita” e “donna” accenna ad una scelta lessicale abbandonata: femmina 3. explicit p. [60]

17.xi.13. 1 Gemma, mi sento tanto mai ricco, ricco di sole e di vento. Ho scritta un’altra novella, – la morte di Nera –. Capisci? t’ho fatta morire. T’ho fatta morire in cinque giorni, e levare nel cielo da mille cuori, da braccia d’eroi. Che bella cosa vivere come vivo ora Gemma. Come ti piacerà quando la leggerai? Cosa penserai? Non vedo l’ora che venga pubblicata la prima. Spero che in un modo o nell’altro ti verrà tra le mani. E chi sa se mi scriverai una parola sola, un solo – grazie, o un : “ho letto”. Chi sa! Probabilmente no. Tu non hai di questi bisogni. Sei in fondo una piccola borghesina vile. Povera piccina, che cose ti dico! – ma pur la è così. 2 1. data sottolineata 2. manscr, explicit p. [61]

23.xi.13. 1 Mi sono comperato tre rose al restaurant, durante la cena ; tre rose! Quanto tempo che non compero fiori! Non hanno odore – ma sono belle , d’un bel colore rosa chiaro, con colori riflessi bianchi. E chi sa perché m’è venuta in mente quella casina che è alla “Rotta”, dove tu ci hai preparato una limonata, mentre Colò, con la Ninfea andava al largo. - Ho comperato tre rose e mi han fatto venire la malinconia ; – come una vecchia etera, dopo tanto tempo, i fiori m’hanno fatto impressione, – una vecchia etera, cui venga il capriccio, di un fiore, e senta tanto rimpianto, e voglia di pianto. Ho comperato tre rose – non hanno odore, ma sono belle – sono un po’ come te piccina! Sono tre borghesine, ben vestite e belline – ma senza anima. Roba da matrimonio in tutte le regole. Eppure mi piacciono! Anche Gemma mi piace! Ciao cara. 2 1. manscr, incipit p. [62] 2. explicit p. [62]

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29.xii.13. 1 L’anno volge alla fine Nera ; va come questa neve, che vien giù, e appena a terra è sciolta – così senza lasciare traccia. Nera, – così ti chiamerò d’ora innanzi, – quanto tempo che non vengo a te! E non già perché ti abbia dimenticata – oh! no! E poiché io non veniva a te, tu sei venuta a me questa notte in sogno. E m’hai lasciata l’anima piena di te, del tuo profumo. Che brutto male è il mio! E sai, ora comincio a ritrovarmi male. I due termini del binomio – Gemma e Pina, non possono più coesistere. Io sono pieno di te. E vorrei darmi tutto a Pina, e non posso. Quando sono per abbracciarla, tu sei là con quei tuoi occhi neri, mi guardi mi guardi, senza una parola, ed io ... ! Nera, Nera, lasciami in pace. Io non ti voglio, capisci non ti voglio, voglio andar per la mia via, voglio essere di Pina tutto intero, perché Pina mi dà anche tanta anima, perché io le appartengo 2 perché le voglio bene. E tu che te ne vieni a fare? Perché ti vieni a far baciar di notte, in sogno quando io non mi posso difendere? Quando non posso mandarti via? Perché vieni di notte e m’avveleni l’anima di te, del tuo profumo di vergine e d’ignota? Quei tuoi occhi assassini, io te li vorrei levare per liberarmi. Io non ti voglio capisci, non ti voglio, voglio Pina ; perché in fondo tu chi sei? Una femmina bellina! - ma a me non basta una femmina, capisci? Povera Nera! Mi guarderesti con quegli occhioni neri, pieni di lacrime, se tu fossi qui! Brrr! Che Dio mi deliberi da simili tentazioni! Ma questa notte in sogno Nera, come eri dolce e mia!Vedi, la neve s’è mutata in pioggia, perché il tempo è dolce. Qua e là qualche fioccherello malinconico. 3 Oggi un’anno – ti ricordi le nostre serate? Senza sapere si facea all’amore! Ed ora dove sei? Chi sa se sei a Grado Nera! Forse non t’han mandata apposta per timore di questo “Don Giovanni”! Se sapessero che impotente sono, e come son bambino in fondo! Nera, tu finirai per morire in me. Mi voglio aggrappare a Pina, impregnarmi di lei, perché per te non ci sia posto. E allor morirai! Ti canteremo quattro canzoncine, e sei morta per sempre! Melania – l’altra Nera – dice bene che dovrei venire a te, che non morrai, ma non è vero. Tanto lei che Pina, dicono : “va bene, ora la sfuggi, ma se un dì tu dovessi incontrarla cosa nascerà?” Nulla, e sai perché? Perché tu non mi vuoi bene a priori, tu mi vorresti bene, se ti facessi mia moglie, ma per me, tu non mi vuoi bene. Voi femmine siete incapaci d’amare di solito. Invece, a un tuo bene serio, io non saprei probabilmente resistere. Ma di ciò non è pericolo. 4 Voi volete bene condizionatamente. Il bene per se stesso, voi non lo conoscete che eccezionalmente. E mi offende il pensiero di essere ridotto in fin dei conti a un mezzo, un istrumento.

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Pina ha questo vantaggio : m’ha voluto bene, e di molto, ad onta delle mie dichiarazioni di ribelle, mi s’è data senza restrizioni, senza riserve di nessuna specie, neanche mentali, ha creduto in me, nel suo amore, e ciò è molto. E perciò io oggi le voglio un gran bene, che non è fatto di sentimentalità, ma di stima. Mancano è vero gli elementi estetici-sensuali, ma non importa, ne farò a meno. Oggi io potrei lasciarla, lei stessa me lo consiglia poverina, per quanto le costi sangue a farlo, e lei non direbbe una 5 sola parola ancora, andrebbe per la sua via, stroncata magari, ma conscia di tutto ciò che da me si ebbe. Orbene, questa è una donna che mi va a genio! L’estetica sensuale mia la getteremo fra i ferri vecchi. Nevica di nuovo. Nera dai grandi occhi dove sei? Dimmi, ci sono io, tra i tuoi pensieri mai? Natale è passato – né da te ebbi un saluto, né da Nicola e Lina! Natale del 1912 non torna più piccina! Il nostro mondo s’è sgretolato, tutto è finito. Io ne ero il centro di gravità, e la sostanza connettrice. – io manco e tutto rovina. – Siamo invecchiati tutti per giunta! Addio piccola Nera, assassina, che vieni di notte a farti baciare, quando non ti posso mandar via. Buona fine – la farai ballando di certo! – e un anno novello migliore! Piccola Nera addio. 6 1. manscr, incipit p. [63] 2. explicit p. [63] 3. explicit p. [64] 4. explicit p. [65] 5. explicit p. [66] 6. explicit p. [67]

1.i.14. 1 È la sera del primo dell’anno. Dove sei? Me l’ha dato buono questa notte prima di tutti una puttana, poi un ubriaco che mi scaraventò in faccia un “prosit Neujahr” fetente di alcool. E tutti due gli auguri li ho accettati di cuore e ho benedetta quella donna e ho benedetto quell’uomo che mi legavano col loro augurio all’umanità, alla gioia e al dolore degli altri. Anno, sei stata te fra le prime a darmi il buon anno. Oggi io vengo, e qui ti bacio lieve e ti dico : buono ti sia l’anno novello Nera. Ma tanto tanto. A me faccio l’augurio di poter liberarmi da te. Liberami Gemma! 2 1. manscr, incipit p. [68] 2. explicit p. [68]

25.ii.14. 1 È passato un anno – non ti ricordo più non ti chiamo più ; sparita. Sono mutato – più triste, più impregnato dell’amarezza che viene dall’esperienza. E non ho canti nel cuore, né sogni turchini. La primavera sta per tornare e mi tormenta le ossa. Ecco tutto ciò che mi porta a 22 anni : generale malessere,

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svogliatezza, e ossa peste. Povero Marino! Sono miserabile – divento sempre più povero, sempre più volgare, sempre più ottuso. Comincio a vedere, ad accorgermi del sudiciume che si chiama umanità, vita. E penso a trovare il modo per star bene fra gli altri, come gli altri. Non sarà difficile. Non ideali, non fede, non orgoglio, ambizione, non religione, non opinioni, non bandiera – niente niente. Sono qui più miserabile che mai. 2 Domani forse sarò anche mascalzone – chi sa! Mi accomoderò nella colpa, mi venderò a ciò che sprezzo. In alto? Ma verso dove? Dio? È morto in me e non ho la forza di farlo risuscitare. Tutto ciò che era buono è morto. Tutto. Gli argini sono abbattuti e la volgarità, la viltà, l’oscenità m’innondano l’anima. E non c’è un solo raggio di sole. E ci si dà alla miseria, ci si butta in fango, senza lotta, anzi con una bestiale libidine di adagiarsi bene sul fango molle, sulla melma viscida. E non c’è salvezza! Tutto all’intorno è così – tutto. Bisognerebbe rinunziare anche a conoscerli gli uomini, per poter salvarsi. Io faccio della letteratura della vita – sono un porco e un cretino. Piuttosto di vivere senza Dio è meglio appiccarsi, soffoccarsi con sterco 3 umano. L’uomo senza Dio è un onanista spirituale – diventa schifoso e abietto. Non studio, non sogno, - niente – vegeto di giorno in giorno, dormo più che mi è possibile. E aspetto di venir trascinato in qualche avventura che poi mi costerà chi sa quante lagrime. Gli angeli che salvano con una buona parola non ci sono. Tu stessa saresti una delle tante femminelle idiote che tirano al basso e la di cui gioia deriva dalla caduta del maschio. Maledetto quell’imbecille, che per primo mentì, dicendo la donna angelo. No le donne non sono punto degli angeli. Fango fango fango – di cui ho piena la bocca, il sangue, il cuore – fango! Anche tu, anche tu, stupida, idiota cretina, fango come le altre, senza un solo raggio di spiritualità, senza una sola parola divina nel cuore, senza anima. Vomito sulla tua memoria. 4 1. manscr, incipit p. [69] 2. explicit p. [69] 3. explicit p. [70] 4. explicit p. [71]

21. Marzo 1914. 1 Lo vogliamo quì sulla carta bianca per piangervi sopra o per la gioia del ricordo, un dì che sia. Abbiamo posto in buona terra, calda di sole un seme, dal quale può fiorire una croce grande come una vita. La vogliamo portare, e Iddio voglia darci la forza di portarla fin in alto sul monte, dove poi potrà venir appeso il figlio dell’uomo. Marino 1. incipit ed explicit di questo congedo con firma autografa sottolineata sono contenuti nella p. 73 del manoscritto. La p. 72 è bianca.

co m p o sto, i n ca r att e r e da n t e m on oty pe, da lla fa b r i zi o s e r r a e d i to r e, pi s a · rom a . i m pr e s s o e r i l e gato i n i ta l i a n ella ti p o g r a f i a d i ag na no, ag na n o pi s a no ( p isa ) . * Settembre 2010 (cz2/fg13)

QUADERNI DEL CENTRO ST UDI «BIAGIO M A RIN» collana diretta da edda s e r r a 1. Bianca Dorato, I lenti giorni. Poesie 1984-2006, a cura di Anna De Simone, presentazione di Giovanni Tesio, pp. 80 con figure in bianco/nero, 2008. 2. Cinquanta poesie per Biagio Marin, a cura di Anna De Simone, presentazione di Edda Serra, pp. 200, 2009. 3. Biagio Marin, Il libro di Gesky, a cura e con la presentazione di Edda Serra, pp. 132, 2010.