Il kitab-i Dede Qorqut. Racconti epico-cavallereschi dei turchi Oguz
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STUDI E TESTI ----------------159 ----------------

ETTORE ROSSI

IL “ KITÀB-I DE DE QORQUT ” RACCONTI EPICO-CAVALLERESCHI DEI TURCHI OtìUZ TRADOTTI E ANNOTATI CON «FACSIMILE» DEL MS. VAT. TURCO 102

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMLII

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STUDI E TESTI ----------------159 ----------------

ETTORE ROSSI

IL “ KITÂB-I DEDE QORQUT ” RACCONTI EPICO-CAVALLERESCHI DEI TURCHI OÒUZ TRADOTTI E ANNOTATI CON « FACSIMILE » DEL MS. VAT. TURCO 102

CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMLI1

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IMPRIMATUR: Die 20 decembria 1961. t Fr. P e t r u s C a n is iu s v a n L i e r d e , Ep. Porphir.

Vie. Oen. Oiv. Val.

Ristampa anastatica - Dini - Modena 1981

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PAETE I IN T R O D U Z IO N E I - Bibliografia degli studi sul «K itàb-i Dede Qorqut». Scopo e lim iti del presente lavoro. Il prim o degli studiosi m oderni che si occupò del K i t à b - i D e d e Q o r q u t 1 fu H einrich F riedrich von Diez, 1 2 l ’orientalista tedesco che G oethe lodò nel W e s tó s tl ic h e r D i w a n per la sua traduzione del K à b ü s n à m e (1811), u n a m em oria sui tu lip an i in T urchia (1815) e i due volum i di D e n k w ü r d ig T c e ite n v o n A s i e n i n K i i n s t e n u n d W is s e n s c h a f t e n (Berlin, 1811-15). A ppunto nel vol. I I delle D e n k w ü r d ig k e ite n , pp. 399457, egli pubblicò, in base al m anoscritto della B iblioteca R eale di D re­ sda, il testo del racconto di Tepegòz (il Ciclope) insiem e con la tra d u ­ zione in tedesco e lo confrontò con il racconto di Ulisse e Polifem o n ell’Odissea, arrivando alla conclusione che il racconto turco fosse indip en d en te d a quello dell’Odissea e derivasse dal patrim onio di leg­ gende orientali dalle quali a suo tem po sarebbe perv en u to al poem a om erico. Al Diez si deve anche u n a copia dell’intero m anoscritto di D resda, che passò alla B iblioteca R eale di Berlino. D opo di lui H . O. Fleischer esam inò il K i t à b - i D e d e Q o r q u t allor­ ché redasse il catalogo dei codici orientali di D resda (nel 1831, vedasi av an ti), m a non ne av v ertì l ’im p o rta n z a e si lim itò a darne u n a b re ­ vissim a descrizione, la stessa a ll’incirca che fu rip e tu ta da W . P e rtsc h nel catalogo dei mss. tu rc h i di B erlino (1889). Theodor N oldeke, che nella sua giovinezza si interessò di cose tu rc h e (vedasi il saggio sulla cronaca di NeSri nella Z D M G , vol. X I I I [1859] e seguenti), nel 1859 copiò l ’intero m anoscritto di D resda con l ’intenzione di pubblicarlo e trad u rlo , m a rinunziò all’im presa tr o ­ vando incom prensibili m olti p u n ti. 3 Nel 1892, a rriv ato Y. B arth o ld

1 Nella traserizione dei vocaboli turchi seguo il sistema corrente nei lavori di turcologia; ù sta per Pn velare («); uso il nuovo alfabeto turco-latino nelle citazioni di libri o articoli usciti in Turchia dopo il 1928. 2 Su H. Pr. V. Diez si veda Fr. Babinger in Die Qesehichtsschreiber der Osmanen und ihre Werlce, Lipsia, 1927, p. 8 , e G. Weil in Festschrift f. Έ. Kühnel, 1928. 3 Queste notizie e le seguenti si desumono dall’articolo di V. B a r t h o l d , Kitabi-Korkud. I. Borba Bogatyria s angelom smerti, in Zapislci Vostscnago Otdielenija Imperat. Busslcago Arh. Obscestva (citato in seguito con ZVO), voi. V ili,

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P a rte P rim a

a Strasburgo per il perfezionam ento in stu d i orientali, il X òldeke gli affidò il m anoscritto esortandolo a com piere l ’opera. I l B arth o ld dopo due anni cominciò a d a r fuori i prim i saggi sul te sto che giudicò subito degnissim o di studio. E gli potè valersi di sussidi m igliori di quelli di cui disponeva il N òldeke e di u n a m igliore conoscenza della lingua e della storia dei T urchi, m a trovò che l ’edizione e la traduzione del K i t à b - i D e d e Q o r q u t era im presa a rd u a anche perchè si conosceva u n unico m ano­ scritto (quello di D resda, del quale era copia fedele recente l’esem ­ plare di Berlino). T u tta v ia è ap p u n to con il B a rth o ld che il K i t à b - i D e d e Q o r q u t viene autorevolm ente p resen tato alla ricerca turcolo­ gica; a lui sp e tta il m erito di averne chiarito il valore letterario , lin­ guistico e storico e di aver dato l’avvio a u n a serie di stu d i che sono continuati fino ai n o stri giorni. I l B arth o ld pubblicò il testo e la trad u zio n e di q u a ttro dei dodici racconti del m s. di D resda (vedasi l ’enum erazione qui av an ti) in q u a ttro p u n ta te nei Z V O , V i l i (1894), X I (1898), X I I (1899), X Y (1904); inoltre negli stessi Z V O , I X (1895) e X IX (1910), pp. 073-077, pubblicò n ò te sulla sopravvivenza della leggenda di Q orqut presso i T urcom anni e su indagini fa tte nel 1908 a D erbend nella ricerca, risul­ t a t a in fru ttu o sa, della to m b a di Q orqut che il viaggiatore Olearius nel 1638 disse essere v e n e ra ta e v isitata . Secondo u n a notizia d atam i dal com pianto Ign. K rackovskij con le tte ra del 1-9-1950 è s ta ta sta m p a ta a B aku nel 1950 u n a traduzione russa del libro di D. Q. con note al testo p rep a ra te dal defunto Y. B arth o ld . X on ho po­ tu to averne c o p ia .*1 L ’interesse destato dagli articoli di Y. B a rth o ld diede origine ad a ltre ricerche e pubblicazioni, in u n prim o tem po solo tr a gli orien­ ta listi russi. A. T um anskij, P o p o v o d u « K i t a b i K o r k u d », in Z V O , I X (1895), pp. 269-272, fece conoscere notizie su « Q orqut A ta » e a ltri personaggi dei racco n ti di D ede Q orqut desum ibili dalle cro­ nache leggendarie S e g e r e t u l - A t r à k e S e g e r e t- i T e r à k i m e di A bü’lGüzï B ahadur. A. D ivaev in Z V O , X (1897), pp. 193-194, scrisse su u n a to m b a d e tta di Q orqut A ta che si tro v a sulla riv a del fiume S irdaria presso la stazione di « K o rk u t » lungo la ferrovia che v a da K azalinsk a TaSkent; e nei Z V O , X I I I (1900), pp. 39-40, pubblicò anche la fotografia della to m b a f a tta nel 1899. P iù ta rd i K. Inostran3-4 (1894), pp. 203-218. Per la vita di V. Barthold si veda M. D o s t o j e v s k ij , W. Barthold. Versuch einer Charakteristik, in Die Welt des Islams, X II. 3 (1931), pp. 89-136. 1 Per studi recenti sul libro di D. Q. usciti a Baku si veda meglio qui avanti, a p. 14.

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Introduzione

ts e v n ei

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X X (1911), pp. 040-046, nell’articolo K o r k u t v i s t o r i j emise l’opinione che il Q orqut dei racco n ti fosse d a id en ­ tificare con u n anonim o capo dei T urchi (Sfuzz (Oguz) ricordato a propòsito di u n a riv o lta dèlie trib ù dei Óuzz nel 548/1153 nella re ­ gione a oriente del Caspio. U n nuovo periodo negli stu d i sul K i t à b - i D e d e Q o r q u t s’a p rì con la pubblicazione a v v e n u ta a Ista n b u l nel 1332/1916 del ms. di B er­ lino (copia del m s. di D resda) a cura di K ilisli Mifiallim R i f a t . L ’edi­ zione, come avrem o occasione di ripetere, n on è del tu tto soddisfa­ cente perchè riproduce la copia di B erlino (con proposte di em en­ dam enti), m en tre sarebbe sta to giusto ricorrere all’originale dresdense, e n o n tien e conto del te n ta tiv o parziale di edizione critica del testo dresdense fa tto dal B arth o ld . T u tta v ia dobbiam o esser g ra ti al K ilisli d i a v e r fa tto conoscere integ ralm en te il K i t à b - i D e d e Q o r ­ q u t e di a v e r ta lv o lta suggerito buoni em endam enti. A l testo, che è in c a ra tte ri arabi, dovevano seguire u n a introduzione bibliografica e u n glossario, che non sono m ai usciti. D al 1916 ad oggi il K i t à b - i D e d e Q o r q u t è sta to oggetto di num e­ rosi studi. J . D eny e C. B rockelm ann hanno fa tto qualche richiam o a l suo testo in lavori gram m aticali, il prim o nella G r a m m a i r e tu r q u e , il secondo negli A l to s m a n is c h e S t u d i e n ( Z D M G , 1919, pp. 1-29). A. X . Sam ojloviè h a esam inato le analogie t r a il racconto di B am si B ey rek e il racconto turcom anno di Boz Oglan nel suo O c e rk p o i s t o r i j t u r k o m e n s k o j l i t e r a t u r y in T u r k m e n i j a , I (1929), pp. 123-167. W . R u ­ b en nel volum e 133 delle F o l k lo r e F e llo w s C o m m u n ic a tio n s (H elsinki, 1944), in appendice a O z e a n d e r M à r c h e n s t r o m e , T e i i I , pp. 193-271 e 274-283, ci h a d ato u n sunto sistem atico dei 12 racco n ti di D ede Q orqut con d o tti raffronti le tte ra ri e folkloristici. 1 I n T urchia il libro di D ede Q o rq u t è sta to stu d iato , discusso e analizzato sotto v a ri a sp e tti nel decorso tre n ten n io di risveglio n a ­ zionale. I l risu lta to di questi stu d i è lontan o d all’essere conclusivo ed esauriente, m a p e r m olti p u n ti è sta to u tile e costituisce la p re ­ m essa di nuove ricerche su problem i storico-letterari e linguistici. Poiché in g ran p a rte si t r a t t a di saggi e articoli di riviste, non m i è sta to possibile darne u n com piuto elenco. E num ero di seguito gli sc ritti che m i è occorso di n otare, raggruppandoli p er autore. F u a d K ôprülü, il rin n o v ato re della critica le tte ra ria tu rc a , nel ZVO,

i le g e n d ie ,

1 I racconti di Dede Qorqut (forse perchè scritti in turco non lotmànlì) non sono stati considerati da E. Saussey, che pure ci ha dato il più bel saggio europeo sul folklore turco nella Littérature populaire turque, Parigi 1936; e nemmeno da O. Spies nell’ottimo studio Tiirkische Volksbiicker, Lipsia 1929.

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P a r te P rim a

fondam entale suo volum e sui prim i m istici nella le tte ra tu ra tu rc a (T iirJc e d e b iy y à tl n d a i l k m u t a s a v v i f l a r , Ista n b u l, 1919), esam inò in u n a lu nga n o ta (pp. 277-282) le trad izio n i leggendarie dei T urchi Oguz d e tte O g u z n à m e , in q u ad ran d o in q u esta tradizione le tte ­ ra ria anche il K i t à b - i D e d e Q o r q u t. P iù p artico larm en te egli esam inò alcuni p u n ti del K i t à b - i D e d e Q o r q u t in due articoli p u b b lic a ti nella riv ista A z e r b a y c a n Y u r t B i l g i s i , I (1932), p p . 17-21 e I I , p p. 84-91: ( D e d e K o r lc u t k i t a b m a a i t n o tla r . I. A l t i n k ü p e l i O g u z b e y le r i; I I . B a s a d im m e le , a y n a lm à le ) . Anche in a ltri saggi egli h a co n tribuito a illu­ stra re argom enti relativ i alla n a rra tiv a popolare e all’epopea dei T urchi ( M e d d a h la r : T ü r le le r d e h a lq h i k à y e g i l i g i ta ' r i h i n e là ' i d b a ‘z i m à d d e le r , in T ü r le iy y â t M e g m i ï a s i , I, 1925, pp. 1-45; O s m a n lila r in e tn ile m e n s e i, in B e lle te n , V II (1943), p p. 219 segg.). In o ltre nelle voci A l p e A z e r i d e W I s l à m A n s i k l o p e d i s i egli h a messo in rilievo il significato storico, letterario e linguistico dei racconti di D ede Q orqut. A b d ü lk ad ir In a n in m olti articoli h a chiarito usi m enzionati o accennati nei racconti di D ede Q orqut, m etten d o a co n trib u to la sua conoscenza delle fonti orientalistiche russe. B icordo di lui: T iirle H a lle B i l g i s i n e a i t m à d d e le r . IY . B i r i n c i i l m ì s e y a h a te d a i r r a p o r , Ista n b u l, 1930. K i t à b - i D e d e Q o r q u t h a q q ln d a , in T ü r le iy y â t M e g m f r a s i , I (1925), pp. 213-219. D e d e K o r le u d

I,

le ita b m d a le i b a z i m o ti f l e r v e

k é lim é le r e

a i t n o tla r .

I X (1937), pp. 139-140; I I , i b i d . , X (1938), pp. 78-80; I I I , pp. 545-547; IV , i b i d . , X I (1938), pp. 519-551; V , i b i d . , X I I I (1919), p p. 168-171; V I, i b i d . , p p . 359-361. Si esam inano la term in o ­ logia tu rc a rela tiv a ai cavalli, le usanze nuziali, i raffronti con l’epo­ pea dei T urchi dell’A sia C entrale, specialm ente dei T urchi d e tti Q azaq-Q irgiz. E s k i T ü r k le r d e v e f o lk lo r d a a n t, in A n k . U n i t . T u r k D i l i v e T a r . C o q . F a k . D e r g i s i , V I (1948), p p . 279-290. D e d e K o r k u t h ik à y e le v i, in O lu s , n. 28 (1939). A ltri stu d i pregevoli sono d o v u ti a imo storico della le tte ra tu ra n a rra tiv a popolare tu rca: P e rte v B aili B o ratav . Egli h a d ato largo spazio all’esam e dei racco n ti d i D ede Q orqut nei suoi libri F o l k lo r v e E d e b i y a t , Ista n b u l 1939, e H a l k H i k à y e l e r i v e H a l k H i k à y e e i l i g i , A n k ara 1946, come se n ’e ra già occupato nella m onografia K ô r o g l u D e s ta m i, Ista n b u l 1931. In o ltre h a pubblicato saggi dei racco n ti di D ede Q orq u t nell’antologia I z a h h H a l k S i i v i A n t o l o j i s i , A n k ara 1943, in collaborazione con H . V. F ira th ; h a contribuito a raccogliere v a ria n ti del racconto di B ey B òyrek nella riv ista Ü lk ü , vol. X -X I (1938); h a analizzato il racconto di Deli D um rul in O r ie n s , IV (1951). Ü lk ü ,

i b i d .,

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Intiodimone

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Lo storico O sm an T u ra n h a p o rta to il suo c o n trib u to allo studio dei racco n ti di D ede Q orqut raccogliendo la versione corrente oggi della leggenda di B ey B ô y rek a B a y b u rt ( Ü lk ü , X [1938], pp. 403-413), h a fa tto riferim ento a D. Q. tra tta n d o del sim bolism o della freccia presso i T urchi ( T iirT d e rd e h u k u k i s e m b o l o la r a k o k , in B e lle te n , X [1945], n. 35, pp. 305-318) e del d iritto fondiario so tto i Selgiuchidi ( T ü r k i y e S e l ç u k l a n n d a to p r a k h u k u k u , in B e lle te n , X I I [1948], n. 47, p. 569 seg.; cfr. R e v u e d e s E t u d e s I s l a m i q u e s , 1948, p p . 25-49). D i H ü sey in ÏTamik O rhun vanno ric o rd ati questi scritti: Ü b e r d a s K i t a b - i D e d e Q o r q u d , in K ó r ò s i C s o m a - A r c h i v u m , I I (1926), pp. 124-134. A n a d o l u d a O g u z b o y l a n , in O lk ü , Y (1935), pp. 189-199. O g u z l a r a d a i r , in Ü lk ü , Y (1935), pp. 102-110. O g u z d e s t a n m a d a i r , in Ü lk ü , V (1935), pp. 412-420. Ecco u n sem plice elenco di a ltri articoli dei quali ho notizia: Çiftçi-O glu Π . X ihal, D e d e K o r k u t b a k k m d a , in A z e r b a y c a n Y u r t B i l g i s i , I (1932), pp. 60-61. M ahm ut B . K osem ihal, D e d e K o r k u t h ik à y e l e r i n d e k i m u s i k i i z l e r i , in Ü lk ü , X I I (1938-39), pp. 394-397; D e d e K o r k u t h a k k in d a , in H a l k b i l g i s i h a b e r le r i, n. 98 (1939); H a l k m u s i k i s i a r a s t i r m a l a r m m m u s i k i t a r i h i n e y a r d i m , a tt i del X Y II I Congresso d i A ntropologia, A n k ara 1939, p. 394 (sul vocabolo q o lc a q o p u z ) . A li B iza Y alm an, G e n u p ta T ü r k m e n O y m a k l a m , I I I , A n k a ra 1933. A h m et Caferoglu, L a c a n z o n e d e l « s a y a g i » n e l l a le tte r a tu r a p o p o ­ la r e d e l l ' A z e r b a i g i a n , in A n n a l i d e l R . 1 s t. S u p e r i o r e O r ie n ta le d i N a ­ p o l i , I X (1936), pp. 45-69 (a p. 45-46, 52 raffronti con D. Q.). L ’a r­ ticolo era uscito in turco nella A t s i z M e c m u a , I (1932), nr. 9-10. M. F a h re ttin Çelik, D e d e K o r k u t K i t a b m d a k i c o g r a f i i s i m l e r , in Ü lk ü , X Y II (1941), n. 101, p p . 449-456; notevole te n ta tiv o di defi­ n ire l ’a re a geografica e i toponim i dei racco n ti di D ede Q orqut. M. Çakir Ü lkütaçrr, D i r e s d e n n u s h a s m a g o r e D e d e K o r k u t h ik a y e l e r i , in Y e n i T ü r k M e c m u a s i , n. 82-85 (1939-1940). Z ah ir Giivemli, D e d e K o r k u t h a k k i n d a n o tla r , in Y e n i T u r k M e c m u a s i , n. 88 (1940). L ’opera più notevole uscita finora in T urchia sul K i t a b - i D e d e Q o r q u t è l ’edizione-trascrizione in c a ra tte ri la tin i di O rhan Çaik G òkyay, professore nel liceo d i G alata Saray. L ’opera s’in tito la D e d e K o r k u t , ab braccia l x x v i i - 1 7 1 pp. in-8° grande, ed è u sc ita a Ista n b u l nel 1938; contiene u n a introduzione storico-bibliografica, il testo in c a ra tte ri la tin i tra s c ritto d all’edizione di K ilisli B if‘a t del 1916 (cioè della copia di Berlino), con n o te di critica del testo e raffro n ti con il m s. di D resda in base a copia fotografica conservata nell’I s titu to d i

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P a r te P rim a

Turcologia dell’U niversità di Ista n b u l; u n glossario (che però non h a i rinvìi al testo) e u n indice dei nom i di luogo e di persona. D opo l ’esperienza f a tta delle difficoltà del testo di D. Q. non oso insistere sui d ife tti dell’edizione-trascrizione del G okyay, in p a rte im pu tab ili alle deficienze del testo (D resda-Berlino), in p a rte all’im precisione del sistem a di trascrizione, in p a rte a errori di stam pa. L ’introduzione, anche se farraginosa, è m olto utile e h a giovato a m e come sarà utile ai fu tu ri studiosi dei racconti di D. Q. Il G okyay h a in oltre curato u n ’edizione leggerm ente m odernizzata nella lingua ed em en d ata in certi passi ad uso dei giovani e del pubblico: B u g ü n k ü d i l l e D e d e K o r lc u t m a s a l l a n , 2a ediz., Ista n b u l 1943. In o ltre h a analizzato la sto ria di Tepegòz in u n articolo ( T e p e g o z e f s a n e s in e d a i r ) nella riv ista O lu s , aprile 1939, n. 15, pp. 231-232. Yi sarebbe orm ai m ate ria anche per uno studio sull’eco che i ra c ­ conti d i D. Q. hanno a v u to nella c u ltu ra dei T urchi in questo ultim o tren ten n io . I racco n ti di D. Q. sono e n tra ti nelle antologie delle scuole m edie e superiori (nell’antologia T ü r k ç e , vol. IY -V p er i Licei, in T a r i h b o y u n c a g iiz é l y a z i l a r pure per i Licei). I l bel racconto di Deli D u m ru l fu probabilm ente il prim o a esser fa tto conoscere in c a ra t­ te ri latin i nella prim a antologia uscita dopo la rivoluzione dell’alfa­ beto: S e g m e Y a z i l a r (1928). N ella pregevole opera di divulgazione della le tte ra tu ra tu rc a p u b ­ b licata d a N ih ad Sam i B a n a rli ( R e s i n i l i t i i r k e d e b i y a t i t a r i h i , Ista n b u l s. d., m a circa 1947) i racco n ti di D. Q. sono bene analizzati e p resen­ ta t i come « pro d o tto incom parabile della novellistica popolare tu rc a » e « i più belli brani epici di t u tt a la le tte ra tu ra tu rc a », notevolissim i per la lingua, la m etrica particolare, l’afflato epico della narrazione, la n o b iltà dei sentim enti espressi, l ’am ore della n a tu ra , la d ig n ità della do n n a e dell’ideale cavalleresco. Si com prende come il tono di a lta poesia e di etica sociale e poli­ tic a dei racconti di D. Q. entusiasm asse il teorico del nazionalism o tu rco Ziyà Gòk Alp (1875-1924). Egli c ita i racco n ti in D. Q. in d i­ verse sue opere, s o v ra ttu tto in T i i r k M e d e n i y y e t i T a ' r i h i , Ista n b u l 1341 ( = 1925-1926), illu stra le usanze dei T urchi Oguz, le loro con­ cezioni e i loro o rdinam enti statali, esalta D ede Q orqut che ritiene, con scarso senso critico, au to re della redazione sc ritta di quei ra c ­ conti, i quali peraltro (e anche questo non è del tu tto accettabile) sarebbero creazione del tu tto popolare (p. 235). I n un altro lavoro ( T ü r k é ü lü g ü n e s a s la r l, A n k ara 1339 = 1923-24) egli a d d ita v a il libro di D ede Q orqut come m odello di lingua sch iettam en te tu rc a , aggiun­ gendo (p. 117): « questo libro è V I lia d e dei Turchi in a n tic a lingua o g u z »; e suggeriva di ristam parlo con a d a tta m e n to dell’o rto g rafia

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In tro d u zio n e

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allora ancora a rab a, poiché la introduzione dell’alfabeto latino venne nel 1928), senza alte ra re il testo. N ella raccolta di poesie in ti­ to la ta A l t u n I S iq (Istan b u l 1924) Z iyà Gok Alp a d a tta v a in versi il racconto di D eli D um rul indicando la fo n te di D. Q. e più av an ti, senza c itare la fonte, rievocava pu re in versi sotto il tito lo A r s l a n B a s a t il racconto dell’eroe che uccise il ciclope Tepegóz, a ttrib u e n ­ dogli anche la tau ro m ach ia che in a ltri racco n ti del D. Q. è a sc ritta a Bugaò H à n e a Q an T urali. N on è in u tile ricordare che Z iyà Gòk Alp era n a tiv o di D iyàrbekir, u n a delle sedi delle signorie turcom anne del see. x v in mezzo alle quali è probabile sia s ta to re d a tto il K i t à b - i D e d e Q o r q u t. A D iyàrbekir Ziyà Gok A lp aveva p resta to orecchio alle trad izio n i popolari; non v ’è dubbio però che il suo in teressa­ m ento p e r D. Q. dipese d all’edizione di K ilisli R if‘a t del 1916. F u a d K ôprülü, che p rim a di afferm arsi come critico e storico della le tte ra tu ra si cim entò felicem ente nell’agone poetico, toccò spesso in poesie giovanili m otivi dei racco n ti di D . Q. intorno al 1916-1918. Trovo tr a le sue poesie: D e l i O z a n (cfr. racconto I I I di D . Q.), A q p i n a r P e r i l e r i (cfr. racconto V ili) , A q i n g i T ü r liü le r i, dove si leggono questi versi: ( im l â ,

E a y d i , e s iti o z a n ! a l s a z i eie! D ü s m a n l a r ië in e d iiS s ü n v e lv e le .

Spero che questo mio lavoro, 1 il quale riassum e gli stu d i finora com piuti da altri, propone nuovi argom enti di ricerca e fa conoscere u n s e c o n d o m a n o s c r itto dei racconti di D. Q. dopo quello di D resda, che non è più unico, prom uova ulteriori stu d i sia nel cam po turcolo­ gico sia nel cam po delle le tte ra tu re com parate. L a m ia traduzione del libro di D. Q. è criticabile in quanto, p u r essendo com pleta, nella p rim a p a rte contiene i sei racconti del m s. vaticano e nella seconda gli a ltri sei m an can ti nel vaticano, che si tro v an o nel ms. dresdense. H o vo lu to dare sep aratam en te la versione dell’esem plare vaticano non solo perchè m i è sem brato più corretto m a anche per rendere più agevole la consultazione del testo tu rco dato in f a c s i m i l e alla fine. H o cercato però di ovviare a ll’inconveniente di ta le m etodo riferendo in n o ta alla versione del testo vaticano le più notevoli v a ria n ti del

1 Preannunziato nell’articolo Un nuovo manoscritto del « Kitàb-i Dede Qor­ qut », in USO, XXV (1950), pp. 34-43.

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P a r te P rim a

ms. dresdense e dando ai racconti la num erazione dell’esem plare di D resda, che è più am pio e h a già dato occasione a num erosi lavori. R ingrazio gli studiosi tu rc h i (prof. R . A ra t, A hm et Caferoglu, P . N. B o ratav , A bdülkadir In a n , O rhan Saik G òkyay) i quali m i hanno cortesem ente chiarito d u b b i e fornito u tili indicazioni, il prof. G. Garino, che m i h a pazientem ente a iu ta to con l ’invio di libri t u r ­ chi, e in p articolare la B iblioteca V aticana che m i h a fa tto l’onore di accogliere questo libro tr a gli S t u d i e T e s t i . Si deve al benevolo incoraggiam ento del R everendissim o A b ate Anseimo M aria A lbareda, Μ. B ., P re fe tto della V aticana, se non ho lim itato il mio lavoro, come avevo pensato in u n prim o tem po, alla riproduzione in f a c s i m i l e del testo vaticano con n o te in tro d u ttiv e e u n sunto dei racco n ti di D ede Q orqut, m a m i son deciso a d affrontare la fatica della traduzione, in qualche p u n to rim a sta incerta, dell’in tero testo v atican o e dei sei ra c ­ conti con ten u ti in più nel dresdense p er divulgare la conoscenza di questo insigne docum ento di storia e di poesia. I I - I due manoscritti dresdense (-berlinese) e vaticano finora noti. Il loro contenuto; edizioni e traduzioni. Il m anoscritto di D resda fu così descritto da H . O. Fleischer nel suo

C a ta lo g u s

c o d ic u m

m an.

o r ie n t a liu m

B ib lio th e c a e

R e g ia e

D re-

(D resda 1831) al η. 86: « Cod. tu rc . foil. 152, 4° m in., char, neschi scriptus, K i th a b i - D e d e h - Q o r q u d turcica orientali antiquiori illa seu oghuzica dialecto conscriptus. E s t n a rra tio de m otibus in te ­ stinis in te r trib u s Itsch-O ghuzorum e t Tàsch-O ghuzorum versus ae ta te m M uham m edis ortis... N om en libri inde p e titu m est quod in to ta n a rra tio n e m agnae p a rte s su n t Q orqudi cuiusdam , qui vir pius e t sapiens m agnaeque ap u d Oghuzos contribulos a u c to rita tis fuisse d icitur ». Sull’e tà probabile del m anoscritto, che non è d a ta to , il Fleischer non fece alcuna congettura. Il B arth o ld ( Z V O , V i l i , 1894, p. 203) osservò che sopra il titolo, nel prim o foglio del m anoscritto, è a n ­ no tato : « d a ta della m orte di O tm à n P a sa 1 993 » e opinò che il m ano­ scritto risalga all’incirca a quella d a ta 993 Eg. = 1585 d. Or. Avendo a v u to in esame, p er cortesia del prof. R . R ah m eti A rat, u n a rip ro ­ duzione fotografica in microfilm del ms. 86 di D resda, ho co n statato sd e n s is

1 Sicuramente ‘Otmàn Pasa, tìglio di Ozdemir Pasa conquistatore del Ye­ men e di Massaua; fu Gran Vizir so ito Murad III, prese Tebriz ai Persiani nel 1585 ed ivi morì nel 1585.

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Introduzione

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che nessun’a ltra annotazione può a iu tarci a meglio stabilirne l’età. N ell’insiem e, anche p er le ca ra tte ristic h e paleografiche, possiam o ac­ c e tta re l ’attrib u zio n e alla m e tà del see. x v i. I l ms. di D resda com prende 153 fogli n u m era ti in epoca recente con cifre europee. I prim i due fogli del ms. contengono l ’in tito la zio n e 1 K i t à b - i D e d e m Q o r q u t ‘a là U s â n - i t â ' i f e - i O g u z à n , l’annotazione su d e tta sulla m o rte di ‘O tm àn P a sa nel 993/1585, n o te varie di b a d i t , prove di penna. È in n a s h i corrente non bellissimo, su. 13 linee, privo di vocalizzazione fuor che in pochissim i casi. M olti fogli presentano m acchie. I l testo com incia a fol. 2V con la b a s m a l a cui segue l’in tro ­ duzione della raccolta: j e^Lo (jaìu Lc) '

(sic)

*». / y

«J w/

J

·

^1 * S" y j ,

j

i l m an o scritto vaticano, benché contenga so ltan to sei racconti, p er il fa tto di essere m olto c o rretto , scritto d a copista che ev i­ d en tem en te capiva quello che scriveva, e in te ram e n te vocalizzato, è di g ran d e u tilità nella in te rp re ta z io n e d i passi d u b b i del d re ­ sdense 2 e di capitale im p o rta n z a p er l ’esam e linguistico del testo, come è p ro v ato in u n capitolo qui a v a n ti. Le p iù notevoli v a ria n ti risp etto a l dresdense sono segnalate nella tra d u z io n e che diam o p iù o ltre dei racco n ti di D . Q.

X el 1936 in u n giornale di B ak u fu an n u nziato che tr a i mss. del­ l ’Is titu to O rientale di L eningrado era sta to tro v a to u n X I I I racconto della racco lta di D. Q. e se ne p rep a ra v a l’edizione a cura dell’Is titu to 1 Non boy come nei titoli del ms. dresdense; ma alla fine dei racconti tanto il dresdense che il vaticano hanno il termine proprio oguznàme sul quale si veda qui avanti. 2 Qualche esempio è stato portato nel citato mio articolo in BSO, XXV (1950); un compiuto studio in questo senso non può darsi qui.

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P a r te P rim a

di L ingua e L e tte ra tu ra dell’U n iversità d i B a k u .1 N el b o llettino O s t- P r o b lè m e , I I I , nr. 35 (I-IX -1951) è a p p a rsa la versione te d e ­ sca di u n articolo d i D . é a fe ro v uscito sulla P r a v d a d i M osca del 2-Y III-1951. D all’articolo (che denunzia d al p u n to di v ista ideolo­ gico bolscevico il pericolo della p ro p ag an d a f a tta nell’A zerbaigàn in to rn o a ll’epopea di D . Q. a scopo « reazionario » p a n tu rc h ista e borghese-nazionalista) risu ltan o questi d a ti bibliografici: 1) effetti­ v a m e n te G. A rasly e A. D em irgi-Zàde hanno pubblicato a B ak u saggi su D . Q. e l ’A rasly h a cu rato u n a edizione del testo tu rco (non è d e tto in che d a ta e su quale m s.), accentuandone il c a ra t­ te re a ze ri·, 2) nel 1950 la sezione di B a k u dell’Acc. delle Scienze dell’U B SS h a p u b b licato u n a traduzione in russo del libro di D . Q.

A i m an o sc ritti su ric o rd ati si dovrebbero aggiungere due re d a ­ zioni m an o scritte di v a ria n ti del racconto (II I) d i B eyrek tro v a te in biblioteche di Ista n b u l. N e d à am pie notizie, e s tra tti e su n ti Goky a y nel c ita to suo lavoro, pp. l x iv -l x i x . P e r com piutezza si ricordano qui il fram m ento di O g u z n a m e tr o ­ v a to nel codice del S e lg u q n à m e d i Yazigi-Oglu a T opkapi S aray i (Istan b u l) e qualche passo della S e g e r e - i T e r a h im è di E b ü 1-Gàzï B a h a d u r H àn. D i queste opere, che presentano qualche affinità con il testo del libro di D . Q., si rip a rla più a v an ti. I l i - Gli Oguz. La letteratura degli Oguzname I l nom e O g u z ricorre co n tin u am en te nel K i t à b - i D e d e Q o r q u t: già nel tito lo del m s. di D resd a è d e tto ch’esso è scritto « nella lingua della co m u n ità { to 'i f e ) degli Oguz »; nel tito lo del ms. v atican o il libro è p rese n tato come « O g u z n a m e (letteralm en te « libro degli Oguz » meglio d a intendere, come vedrem o, « racconto oguz ») di Q azan e a ltri ». In o ltre in am bedue i m an o scritti i pro tag o n isti dei racconti sono gli Oguz, divisi in I ë O g u z e T a l· O g u z . Π nom e Oguz è simbolo di valore, onestà, re ttitu d in e ; riferendosi u n fa tto o u n ’usanza si suol dire « a l tem po degli Oguz » { O g u z z a m a n in d a )·, i singoli racco n ti sono ch iam ati o g u z n a m e . È quindi necessario dire qualcosa su queste d e ­ nom inazioni avendo d i m ira di precisare il senso che esse hanno nel libro di D. Q. O g u z è u n nom e etnico dei T urchi; gli Oguz facevano p a rte del 1 Cfr. O. §. GrÔKYAY,

Op. d t . ,

p . XVI.

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Introduzione

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regno dei T urchi stan ziati nel see. v n i in A sia Centrale e O rien­ tale nella regione dei m o n ti A itai e del lago B aikal e sono m en­ zionati nelle iscrizioni tu rc h e di quell’epoca tro v a te nella valle dell’O rkhon, affluente del fium e Selenga. P iù tard i, nel see. ix e più decisam ente nel see. x, gli Oguz sono segnalati d a fo n ti arabe più ad occidente delle loro sedi originarie, precisam ente tr a i fium i S irdaria (Y axarte, Seihün) e A m udaria (Oxus, ôeih ü n ) e a oriente del Caspio. Q uesti Oguz (d e tti dagli A rabi Guzz, *1 dai B izantini Ό γ ο ύ ζ ο ι o Ο ΰ ζ ο ή si islam izzarono len tam en te e fornirono il,n e rb o delle forze con le quali i Selgiuchidi (Oguz essi stessi) conquistarono l ’I ra n (sec. xi) e l’A natolia (see. x i-x n ) fondando u n grande im pero che si suddivise i n v a ri regni. N ei secoli x i -x v i quindi O g u z fu il denom inatore com une dei T urchi d ’Occidente; m a q u esta denom inazione (e insiem e ad essa quella di T u r k m e n « T urcom anno ») prevalse presso i nom adi, rim asti più fedeli alle trad izioni e al m odo di v ita dei predecessori. I Selgiu­ chidi fecero passare in secondo ordine la denom inazione etnica r i­ spetto alla denom inazione dinastica (da S e lg iik o S e ló iik fondatore della dinastia). Così più ta rd i gli O tto m an i { ‘■ O sm a n li), fondatori della d in astia che raccolse l ’ered ità dei Selgiuchidi in A sia Minore (dal 1300 circa), v a n taro n o solo p er breve tem po (see. xv) la p a re n ­ te la con gli Oguz, orm ai affievolita nella n uova costituzione sodalepolitica e nella m escolanza etnica seguita allo stabilim ento in A n a­ tolia, per poi d im enticarla del tu tto nelle nuove fo rtu n e dell’Im pero O ttom ano. I l ricordo della tradizione oguza si conservò invece più a lungo fra i T urcom anni nom adi o sem inom adi guerrieri e p asto ri dell’A natolia m eridionale e orientale, del Caucaso e della regione a sud e a oriente del Caspio. A p punto questi O guz-Turcom anni diedero origine nei secoli x iv -x v ai regni dei Q ara Q oyunlu e degli A q Qoyun lu dell’A natolia orientale in mezzo ai quali si ritiene siasi svilup­ p a ta e fissata nella redazione che oggi possediam o, qualunque siano le lo n tan e origini, la tradizione epica dei racco n ti di D. Q. N on è questo l ’unico nè il più antico docum ento dell’epopea degli Oguz. L a B iblioteca N azionale di P arig i (Supplém ent tu rc 1001) possiede l’u nica copia finora conosciuta di u n breve m anoscritto ace­ falo e m utilo, quindi privo di titolo, in c a ra tte ri uigurici, in lingua che h a il c a ra tte re del « turco orientale » { jü n g e r e s o s ttü r k is c h è la definizione provvisoria di B ang e E a c h m a ti), di e tà im precisabile,

i

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1 Nel Dîwân Lugàt at-turk di Mahmüd al-Kasgarï (sec. xi) sono menzionati uzz detti anche Turcomanni.

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P a r te P rim a

forse della fine del sec. x m o dell’inizio del sec. x iy , che suole chia­ m arsi O g u z n â m e « libro di Oguz » ο « leggenda di Oguz » .1 V i si n a rra di Oguz 23*n a to in m aniera favolosa, che beve il prim o la tte m aterno, poi si ciba come gli ad u lti, cresce fo rte e valoroso, cavalca, v a a cac­ cia. D a u n a sposa scesa a lu i d en tro u n a luce dal cielo h a tre figli: G iin (Sole), A y (Luna), T i l d ì z (Stella). D a u n ’a ltra sposa in c o n tra ta ai piedi di u n a p ia n ta h a tre figli: G ò k (Cielo), B a g (M ontagna), B e n i z (Mare). Q uand’è vecchio, m an d a i figli a caccia, i prim i tre vanno ad oriente e tro v an o p er via u n arco ( y a y ) d ’oro, che il p ad re divide fra loro; gli a ltri tre vanno a d occidente e tro v an o p er via tre frecce (o q ) d ’argento, che il p ad re divide fra loro. P rim a di m orire Oguz tiene u n a grande assem blea (q u r u l t a y ) nella quale i prim i tre figli, d e tti B u z u q (Bozoq) siedono alla sua d estra, gli a ltri tre d e tti V e O q (le tre frecce) alla sua sinistra, fa loro raccom andazioni e distribuisce fra loro il suo territo rio ( y u r d ) . Q uesto nucleo centrale della saga dei T urchi d ’O ccidente e del loro eponim o Oguz si com pleta con a ltre notizie leggendarie. I n u n capitolo 8 dell’opera storica in persiano di E a sìd ud-D in (m. 1316)

1 II testo fu pubblicato con traduzione da W. Radlov nel 1890 insieme con Tedizione del Kutadgu Bilik. Successive traduzioni e commenti: R iz a N o u e , Oughuz-Namé. Epopèe turque, Alexandrie 1928; P. P e l l io t , Sur la légende de Uyuz-Khan en écriture ou gure, in T ’oung Tao, XXVII (1930), pp. 247-358; R iz a N o u e , Réponse à un article de M. Paul Pelliot sur VOughouz-Namé, Alexan­ drie 1931; W. B a n g u . G. R. R a c h m a t i , Die Legende von Oghouz Qaghan nei Sitzb. d. Preuss. Akad. d. Wiss., Phil.-Histor. Kl., XXV (1932). Questo ultimo lavoro è stato tradotto in turco: W. B a n g ve G. R. R a c h m a t i , Oguz Kagan L e ­ stant, Istanbul 1936. Una redazione ulteriore delVOguznàme in versi turchi e caratteri arabi, pure frammentaria, adattata alle credenze musulmane, fu trovata recentemente in Tracia e pubblicata da H. N. O e k u n , Bir Oguz efsanesi, nella rivista Ülkü di Ankara, VI (1935-36), pp. 265-275. 2 Sull’etimologia di questo nome e di altri si sono espressi J. Németh, Marquart, Bang ecc.; vedi i citati articoli di H. N. Orkun nelle riviste Csoma-Archi­ vum e Ülkü; una nuova interpretazione ha dato recentemente O. Sinor (cfr. Actes du X X I e Congrès Int. des Orientalistes, Paris 1949, p. 175-176). 3 Ne diede una edizione con traduzione I. N. B e e e z in nei Trudy Vost. Otd. Arheol. Obsc. di Pietroburgo, V (1858), VII (1861). La traduzione di I. N. Berezin è stata ristam pata con note e riferimenti a nuovi manoscritti a cura di A. A. R o m a sk e v ic nelle pp. 493-506 della raccolta Materialy po istorij Turkmen i Turkoraenij, vol. T, Mosca-Leningrado 1939. Secondo il Romaskevic (p. 493, n. 2) la leggenda di Oguz Hàn nella versione pervenutaci attraverso VOguz­ nàme in caratteri uigurici e l’opera torica di Rasid ud-D!n fi sarebbe for­ mata verso il sec. xm accogliendo elementi delle imprese di C'engiz Hàn; il fondo della leggenda sarebbe però costituito da confusi ricordi sui Hàn tu chi occidentali che regnarono nella regione dei Sette Fiumi (Semireca) nei see. vi-vii.

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In tro d u zio n e

in tito la ta Q â m i *i w t - T a v a r i l i fondato su notizie leggendarie si d à l ’u l­ teriore genealogia e discendenza degli Oguz ab b raccian te 24 trib ù ( b o y in turco) così rappresentabile:

1

G-ok

Dag

— — — —

— — — —

1 Bayindur — Beisene ('avalli ur — Cepni —

-μ> &U. B S Si

Buzuq (Bozoq)

' Avsar Qiziq Begdili 1 Qarqin

1

Yildiz

Yazir Doger Dodurga Yaparli

1

Ay

I Qayì I Bayat Alqa E vii : Qara E vii

1

Griin — — —

Oguz

u. ©

■ a >3 ” s co -aj Ó O

Deniz s

n ■■§ σ' 3 ?a ffl >·qadun (moderno qadin); più avanti hatun. 3 budun (budin). Vedasi il glossario. 4 Vedasi il glossario. 6 L atte di cavalla o di cantinella. 1 2

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P a r te S eco n d a

nura corvi che scendevano e salivano; spronò il suo cavallo bedevi e si diresse da quella parte. Quando, signor mio, il giovane era stramazzato da cavallo, i corvi, veduto il sangue, avrebbero voluto posarsi su di lui; ma egli aveva due piccoli cani [65] i quali affrontarono i corvi e non li lascia­ rono posare. Dopo che il giovane stramazzò da cavallo, H izir Elyàs 1 dal cavallo grigio 2 e dalle vesti verdi 3 venne per volontà di Dio presso il giovane, tre volte toccò la sua ferita, gli disse: « N on temere, giovane! non ti verrà morte per questa ferita. Balsamo per la tua ferita saranno i fiori di montagna e il latte di tua madre » e scomparve. Intanto la madre del giovane, correndo, giunse colà, guardò, vide il caro figlio giacere, immerso nel sangue vermiglio. Gridando, parlò in poesia. Vediamo cosa disse: « Il sonno ha gravato i tuoi occhi neri — Aprili, o valoroso! 4 — Le tue dodici piccole ossa 5 si sono rovinate, 6 — Aggiustale, 7 o v a ­ loroso! — La tua anima, dono di Dio, s’è forse involata, 8 — Richia­ mala, o valoroso!9 — Se nel tuo corpo c’è la tua anima, figlio mio, dim ­ melo! — H mio povero capo sia votato in olocausto a te, figlio mio! ». E ancora la signora parlò in poesia: « O m onte Qaziliq! Le tue acque scorrenti non scorrano più! — O m onte Qaziliq! Le tue erbe germoglianti non germoglino più! — O m onte Qaziliq! La tua selvaggina fuggente non fugga più! — Cosa posso sapere io di te, figlio mio? — È stato per colpa del leone ovvero per colpa della tigre? — D a dove sono venute queste sventure? — Se hai ancora vita in corpo, dimmelo, figlio mio! — Il povero mio capo sia votato in olocausto a te, figlio mio! ». La voce toccò l ’orecchio del giovane, levò la testa, guardò in viso la madre e parlò in poesia: «Vieni, signora madre mia, della quale ho succhiato il bianco' latte, — Mia cara madre veneranda dalle trecce bianche! — N on ha colpa il m onte Qaziliq dalle acque scorrenti, — N on maledirlo ! — 1 Personaggio mitico musulmano identificato con il Profeta Elia e con S. Giorgio dei Cristiani. Vedasi Isl. Ansiklopedisi, s. v. Hizir. 2 boz atlu. 3 yesil tonlu. 4 ahi. 5 on ikige sônügek. * òren olmis. 7 Leggo yagsur. 8 seyranda imis. Forse seyran « viaggio » è in relazione con le credenze sul viaggio delle anime. * anid ahi\ Diversa la lezione del ms. dresdense (Kilisli, p. 163; Gokyay, p. 9).

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T rad u zion e d e i d od ici ra c c o n ti d el lib ro d i D e d e Q orq u t

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N on hanno colpa [65v] le sue erbe, — N on maledire le erbe del m onte Qaziliq! — N on ha colpa la selvaggina del m onte Qaziliq, — Non maledirla! — Se hai da maledire, maledici mio padre. Sua è la colpa, suo il delitto! ». E aggiunse: « Mia cara madre! Non morirò di questa ferita. È venuto da me H izir Elyàs dal cavallo grigio, ha toccato tre volte la mia ferita e mi ha detto: « N on morirai di questa ferita: i fiori di m ontagna e il latte della madre saranno balsamo alla tua ferita ». Allora le quaranta fini donzelle si sparsero sulla montagna a rac­ cogliere fiori. La madre si premette il seno una volta, non venne latte; una seconda, non venne latte; una terza con forza, e uscì latte mescolato con sangue. Mischiarono i fiori di m ontagna con il latte, lo posarono sulla ferita del giovane; poi lo bendarono, lo fecero sa­ lire a cavallo, lo presero e lo portarono alla sede (ordu), tenendolo celato a Dirse Hàn. I l piede del cavallo è celere, la lingua dell’ozan è veloce. 1 Mio signore! La ferita del giovane in quaranta giorni guarì compietam ente. Egli potè salire a cavallo, cingere la spada, andare a caccia. Dirse H àn era all’oscuro di tutto; credeva ehe suo figlio fosse morto. Ma i quaranta vili ebbero sentore della cosa, si riunirono, si consul­ tarono e dissero: « Dirse Hàn credeva che suo figlio fosse morto. Ora la faccenda è andata così. Certo ci ammazza tu tti. Andiamo, prendiamo Dirse H àn, leghiamogli le bianche mani a tergo, attac­ chiamogli 2 una corda al collo, prendiamolo, andiamo nel paese degli infedeli ». D ifatti, trovato Dirse H àn ubbriaco, lo legarono, gli attaccarono una corda al collo e, loro a cavallo, Dirse H àn a piedi davanti a loro, picchiandolo e percotendolo, [66] andarono verso il paese degli infedeli. Nessuno sapeva quel ch’era successo a Dirse Hàn; nessuno dei Beg degli Oguz n ’ebbe notizia. Senonchè, signor mio, la moglie del Hàn n ’ebbe sentore, venne davanti a suo figlio e disse in poesia. Vediamo quello che disse: « N on vedi, figlio mio, cosa è accaduto, cosa è accaduto? — La terra è stata sconvolta senza che le dure rocce si siano mosse — Il nemico è venuto addosso a tuo padre senza che il nemico fosse in patria. — Quei quaranta vili, i s e r v i3 di tuo padre, hanno preso tuo

1 C fr. q u i s o p r a , p . 9 3 , 103.

* daqalum (= taqalum). 3 nókerler.

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P a r te S eco n d a

padre — hanno legato le sue bianche mani, hanno attaccato una corda al suo collo — e, loro a cavallo, tuo padre a piedi, l ’hanno fatto camminare — L ’hanno preso e portato nella terra degli infedeli! — Alzati, o figlio! — Prendi con te i tuoi quaranta cavalieri, — Salva tuo padre da quei quaranta vili! — Se anche tuo padre ti ha fatto del male, tu non far del male a tuo padre! ». Il giovane esaudì la parola della madre. Bugac B eg si alzò in piedi, cinse al fianco la fine spada di bruno acciaio, imbracciò il suo forte arco di bianco faggio, impugnò la lancia d’oro, salì sul suo ca­ vallo bedevi e, presi con sè i suoi quaranta cavalieri, andò correndo senza posa dietro suo padre e raggiunse a tergo quei vili. Giunto in un luogo dal quale essi si scorgevano, collocò i suoi quaranta cavalieri in agguato. Anche quei quaranta vili si erano ferm ati in un luogo e bevevano vino rosso e forte. Bugaè Hàn arrivò correndo. Quei quaranta vili videro Bugac H àn, non sap evan o,1 dissero: «Venite, andiamo, prendiamo anche quel cavaliere, ucci­ diamo ambedue insieme ». Dirse Hàn sentì [66v] e disse: « Miei qua­ ranta cavalieri! mercè! non v ’è dubbio che Dio è Uno. 23 Sciogliete le mie mani, datem i in mano il mio q o p u z l 3 io farò tornare indietro quel cavaliere; poi uccidetemi o lasciatemi libero ». Essi sciolsero le mani a Dirse Hàn, gli diedero in mano il suo q o p u z . Dirse Hàn, non sapeva che fosse suo figlio; gli si fece incontro e parlò in poesia. Vediamo, signor mio, cosa disse: « Io ho cavalli bedevi dal lungo collo: — Se m ai tra essi vi fosse una tua cavalcatura, dimmelo, bel cavaliere! — Senza combattere, senza lottare te la darò, tu torna indietro! — Io ho nelle stalle dieci­ mila (tiimen ) ovini: — Se mai tra essi v i fosse [carne da] spiedo per te, dimmelo! — Senza combattere, senza lottare, te lo darò, tu torna in­ dietro! — Io ho nel recinto cammelli rossi: — Se mai tra essi vi fosse tuo carico, dimmelo! — Senza combattere, senza lottare, io te lo darò, tu torna indietro! — Io ho tende dalla sommità d’oro: — Se m ai tra esse v i fosse un tuo padiglione, dimmelo! — Senza combattere, senza lottare, io te lo darò, tu torna indietro! — Io ho spose dal viso bianco e dagli occhi castani: — Se fra loro vi fosse la tua fidanzata, 4 (dim­ melo!) — Senza combattere (senza lottare), io te la darò, tu torna

Non lo riconobbero. baìia amàn! Tanrinun birligine yoqdur guman: formula ricorrente in que­ sti racconti come invocazione per ottenere mercè in nome di Dio. Concedere l'amàn significa lasciar salva la vita. 3 gàlea qopuz. 4 nisànlu. 1 2

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indietro! — Io ho vecchi dalla barba bianca: — Se mai tra loro fosse tuo padre, dimmelo! — Senza lottare (senza combattere) io te lo darò, tu torna indietro! — Se (invece) tu sei venuto per me, bel cavabere! — Io bo ucciso il mio caro figlio, cavaliere! — Dimmi: 1 poveretto! 2 E torna indietro! ». Anche il figlio Bugac H àn allora disse in poesia. Vediamo cosa disse, signor mio: « Tu hai cavalli bedevï dal lungo collo. — E fra essi è la mia caval­ catura. [67] — Non la voglio lasciare ai quaranta Vili. — Tu bai rossi cammelli nel recinto. — E tra essi è il mio carico. — N on voglio la­ sciarli ai quaranta vili. — Tu hai diecimila ovini nelle stalle. — E fra essi è la m ia [carne da] spiedo. — N on voglio lasciarla ai quaranta vili. — Tu bai spose dal viso bianco e dagli occhi neri. 3 — E tra loro è la m ia fidanzata. — N on voglio lasciarla ai quaranta vili. — Tu hai tende dalla sommità d’oro. — E tra esse è il mio padiglione. — Non voglio lasciarlo ai quaranta vih. — Tu hai vecchi dalla barba bianca. — E tra loro è il mio padre dalla m ente smarrita e dal senno perduto. — N on voglio lasciarlo ai quaranta vili ». Così dicendo (Bugac Hàn) alzò il braccio [per far segno] ai qua­ ranta suoi cavalieri. I quaranta cavalieri fecero volteggiare i loro cavalli bedevï, si riunirono attorno a Bugac Hàn. Egli con i quaranta cavalieri spronò avanti il cavallo, accese la lotta, a qualcuno colpì il collo, altri fece prigionieri e Uberò suo padre. Padre e figho insieme si abbracciarono, piansero e si raccontarono le loro vicende; poi ri­ tornarono al loro accampamento. 4 La principessa venne incontro e, vedendo Dirse Hàn insieme con il figho, ringraziò Iddio, offrì v it­ tim e, diede da mangiare agli affamati, fece elemosine, si strinse il figho al petto e lo baciò sugh occhi. Il H àn dei H àn Bayindir diede al giovane trono e signorìa (beglik). D ede Qorqut narrò il raccon to,5 parlò in p o esia 6 e disse questo Oguzndme. 7 Anche q u elli8 vennero in questo mondo e se ne andarono; 9 il 1 degii per di-gil (de-gil). 2 sana yaziq\ dicesi in senso di rimpianto e di commiserazione. 3 gara; meglio nel ms. di Dresda eia (ala) « castani » come nel discorso del padre. 4 oba. 5 boy boyladi. 6 soy soyladi. 7 « Racconto epico » relativo ai tempi degli Oguz. Vedasi l’introduzione, p. 15-21. 8 Cioè i personaggi del racconto. 9 Nel ms. di Dresda (Kilisli, p. 20; Gòkyay, p. 12) continua: « come una carovana sostarono e partirono ».

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termine li ha presi, la terra li ha celati. A chi mai è rimasto il mondo caduco? La fine estrema del mondo che viene e va è il mondo mor­ tale. Quando venga la triste morte, [67v] non (ti) disgiunga dalla (vera) fede! Dio accresca la tua fortuna che si rafforza in saldezza. 1 Iddio Altissimo, cui innalzo lodi, sia benevolo e conceda aiuto! Faccio voti, o signor mio, che gli scuri tuoi m onti terrestri non crollino, le tue grosse piante ombrose non siano recise, le tue chiare 2 acque scorrenti non si dissecchino, le punte delle tue a l i 3 non si spezzino, nell’assalto il tuo cavallo grigio chiaro non inciampi, nel vibrare la tua spada di bruno acciaio non si infranga, nel combattere la tua asta non si frantumi. Tua madre dalle trecce bianche abbia sede in paradiso (behist), tuo padre dalla barba bianca abbia sede in para­ diso (uómaq); la tua lampada, che Dio ha acceso, continui ad ardere. Iddio Onnipotente non ti faccia aver bisogno del vile. 4 Iddio A l­ tissim o, cui innalzo lodi, sia benevolo e ti conceda aiuto, o mio signore!

[ I li] Racconto di Bamsì Beyrek dal cavallo grigio 5 Bayindir Hàn, figlio di Qam Gàn, s’era alzato dal suo posto, aveva fatto piantare sulla terra le sue bianche tende; variopinti baldacchini erano stati elevati al cielo; in mille luoghi erano stati stesi serici tappeti. I B eg degli 16 Oguz e i Beg di Tas Oguz si erano radunati per il convito di Bayindir Hàn. Anche B ay Biire Beg era venuto al convito di Bayindir Hàn. D i fronte a Bayindir Hàn stava Qara Budaq, figlio di Qara Giine, appoggiato al suo arco; al suo lato destro sedeva Uruz Beg, figlio di Qazan; al suo lato sinistro sedeva Tigenek, figlio di Qaziliq Qoga. B ay Biire Beg, vedendo costoro, fece: « ahimè! » e, perduto il senno, portò il fazzoletto al viso e pianse singhiozzando. Allora [68] il sostegno dei forti Oguz, genero di B ayin­ dir Hàn, Salur Qazan, piegato sulle ginocchia, domandò: « B ay Biire, perchè piangi? perchè ti affliggi? ». B ay Biire Beg disse: « Qazan Hàn, come non dovrei piangere? Non ho avuto in sorte figli; non ho avuto in sorte fratelli; Dio è in collera con me. Io piango, o Beg, 1 sagligin sagingìyan devletüîi. Il testo vaticano è qui difficile a intendersi, ma dà miglior senso del testo dresdense (Kilisli, p. 20; Gòkyay, p. 12, 1. 3 d. b.). 2 gamin. 3 qanat; vedasi il glossario. 4 Frase proverbiale. Cfr. Sadi G. K ikimli, op. cit., p. 23. 5 boz atlu. Vedasi la nota avanti. Nel ms. di Dresda il titolo è « Racconto di Bamsi Beyrek figlio di Qam Bùre ».

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per il mio trono, la mia corona. Qualora io cadessi e morissi, nessuno resterebbe al mio posto, nella mia terra ». Qazan disse: « Questo è il tuo desiderio? ». Rispose: « Sì, questo è il mio desiderio. Vorrei avere anch’io un figlio, che stia di fronte a Bayindir, si alzi e renda servizi, ed io, vedendolo, m ’inorgoglisca e mi compiaccia ». Allora i Beg dei forti Oguz alzarono le mani e pregarono dicendo: « Iddio Altissim o dia anche a te un figlio! ». A quel tempo le benedizioni dei Beg erano benedizioni, le loro maledizioni maledizioni; le loro preghiere erano accette. Anche B ay Bïgân si levò dal suo posto e disse: « Anche per me, o Beg, fate una preghiera affinchè Iddio A l­ tissim o dia anche a me una figlia ». I Beg dei forti Oguz pregarono: « Iddio Altissim o dia anche a te una figlia ». B ay Bïgân disse: « Se Iddio Onnipotente mi darà una figlia, siate testim oni che mia figlia sarà fidanzata ( y a v u q li ) per fidanzamento dalla culla ( b e s ik Tcertme) con il figlio di B ay Büre ». Passò qualche tempo, la moglie di B ay Büre Beg restò incinta, dopo qualche tempo nacque un maschio. Anche a B ay Bïgân Hàn Iddio diede una figlia. I Beg dei forti Oguz, [68v] udendo ciò, si ral­ legrarono. B ay Bure chiamò presso di sè i suoi mercanti e diede or­ dine: « Suvvia, mercanti, Iddio Altissimo mi ha dato un figlio; an­ date nel paese dei B u m e portate bei doni e regali propiziatori, in­ tanto che mio figlio crescerà ». I mercanti dissero: « Sta bene, si­ gnore! », fecero le provviste per il viaggio e si misero in cammino. Camminando giorno e notte, arrivarono a Istambul, comperarono per il figlio di B ay Büre Beg un cavallo grigio m arin o,1 un forte arco dalla bianca impugnatura, una mazza a sei coste, una bella spada e si misero in via. Passarono m olti anni e m olti mesi; il figlio di B ay Bure era entrato nel quindicesimo anno ed era diventato tra i B eg un bravo spadaccino, valoroso come aquila. 2 A quel tempo, signori, se un giovane non aveva tagliato teste e versato sangue, non gli ponevano nome. Il figlio di B ay Büre balzò a cavallo e uscì alla caccia. Mentre andava a caccia, arrivò al gregge di suo padre; il capo stalliere (i m r a h o r - b a s i ) gli andò incontro, lo fece scendere da cavallo e lo ospitò. Stavano seduti a mangiare e a bere. Intanto i mercanti si erano fermati al terribile passo ( q a r a d e r v e n d a g z ì) di Pasin. 3 Gl’infedeli m aled etti4 della fortezza di Avnu 5 li 1 de'iz quluni, nato da accoppiamento di cavalla con destriero uscito dal mare. Vedasi il glos ario. 2 Leggo calimli cal qaraqus erdemli. 3 Vedasi nell’introduzione, p. 39. 4 yarimasun, yargimasun. 5 Avnik. Vedasi nell’introduzione, p. 39.

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spiarono. Cinquecento infedeli assalirono i mercanti di sorpresa e li saccheggiarono. Presero il maggiore dei mercanti; il minore fuggì e venne in territorio Oguz, giacché era vicino. Guardò e vide che sul confine 1 degli Oguz era piantato un padiglione variopinto dentro il quale stavano seduti un principe (mïrzâ) bello, giovane con qua­ ranta cavalieri a destra e [69] a sinistra. Π mercante disse (tra se): « U n bravo cavaliere Oguz! suvvia, voglio andare e chiedere aiuto! ». Proseguì, arrivò, si mise la mano al petto, fece il saluto e disse: « Si­ gnor mio cavaliere, ascolta la m ia parola, signor mio cavaliere! Sono dieci anni che noi eravamo partiti dal paese degli Oguz; avevamo portato meravigliose merci per i Beg degli Oguz; ci eravamo fermati al terribile passo (gara dervend agzi) di Pasin, quando cinquecento infedeli della fortezza di Avnu ci hanno assalito, hanno fatto prigio­ niero mio fratello, hanno predato e portato via le nostre merci e i nostri averi; sono venuto da te, portando la mia povera testa in offerta (sadaga) per il tuo bel capo. Cavaliere, aiutami! ». Così di­ cendo, piangeva. Il giovane, che stava bevendo, cessò di bere, la tazza d’oro che teneva in mano cadde a terra. Disse: «Portatem i quello che dico, portatemi le mie vesti e il mio cavallo (veloce come) falco; i cavalieri che mi amano montino a cavallo! ». Il mercante fece loro da guida. Gl’infedeli s’erano sdraiati in un luogo e si dividevano il danaro e la roba. In quel momento arrivò Boz Oglan, 12 leone degli eroi (erenler asiani), assalì con la spada quegli infedeli, uccise gl’in­ fedeli che alzavano il capo, com battè (gaza gìldi), recuperò le merci dei mercanti e tornò indietro. I mercanti dissero: « Signor cavaliere! tu ci hai fatto del bene; vieni ora e prendi quello che ti piace delle merci e della roba! ». L ’occhio del cavaliere cadde sul grigio cavallo marino; anche gli piacquero la mazza a sei punte e l’arco dalla bianca impugnatura; gli piacque anche la spada e domandò (tutto) ciò ai mercanti. [69v] Allora i mercanti rimasero afflitti. Il cavaliere do­ mandò: « Ebbene, mercanti, ho forse chiesto molto? ». I mercanti risposero: «N o, mio signore. Per quanto molto sia, noi ti daremmo tuttavia queste quattro cose che hai chiesto. Ma dobbiamo portarle in dono a un nostro principino ». « Ebbene, chi è il vostro principino? » 1 ug. Sul significato si veda P. W i t t e k , The Bise of the Ottoman Empire, Londra, 1938, p. 24. 2 II nome provvisorio del cavaliere figlio di Bure Beg, del quale fin qui non era occorso il nome. Boz Oglan, vedremo subito qui avanti, riceverà da Dede Qorqut l’appellativo di « Bamsi Beyrek dal cavallo grigio ». « Cavallo grigio » in turco dicesi Boz Atlu (o Boz Ayglrli) e sotto questo nome l’eroe Bamsi Beyrek è pure noto in altre versioni della leggenda. Vedasi anche il titolo del racconto.

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Bisposero: « Il figlio di B ay Biire Beg; a lui dobbiamo portarle in dono ». Il cavaliere battè (le mani), si morse il dito e disse: « Invece di prendere qui con obbligo, è meglio prendere là senza obbligo ». Spinse in corsa il cavallo, si mise in via; i mercanti stettero a guar­ dare, dicendo: « Per Dio, che signore cavaliere, che buon cavaliere! ». Boz Oglan arrivò alle sue tènde presso suo padre. N on riferì (a suo padre) il racconto di ciò che era avvenuto. Il padre venne a sapere che i mercanti partiti tanti anni addietro erano arrivati. B ay Biire B eg si rallegrò, ordinò (che si riunisse) il consiglio ( d i v a n ) , fece driz­ zare il suo padiglione ( s a y v à n ) , fece stendere serici tappeti. Quindi B ay Biire Beg si sedette; alla sua destra sedette il figlio. I mercanti vennero, misero la mano al petto, abbassarono il capo; videro che colui il quale aveva tagliato teste e versato sangue stava seduto al suo fianco. Con il viso prono verso terra, avanzarono e in primo luogo baciarono la mano del cavaliere. Allora B ay Biire Beg s’adirò ( a g ig i a u tti) e disse: « Ebbene, furfanti, forse che, mentr’è vivo il padre, si bacia la mano del figlio? ». « Signore, costui è tuo figlio? ». Bispose: « È mio figlio ». E quelli: « Signore, se non v i fosse stato questo tuo figlio, i nostri beni sarebbero andati in Georgia ». B ay Biire B eg disse: «Allora mio figlio [70] ha tagliato teste e versato sangue? ». « Sì — risposero — ha tagliato teste e versato sangue ». « Allora è (tempo) per imporre il nome a questo giovane? ». « Sì, signore, e anche oltre ». B ay Biire B eg chiamò i B eg degli Oguz, li ospitò, raccontò la storia del figlio. Tutti i Beg approvarono e allora venne Dede Qorqut e impose il nome a quel cavaliere. V e­ diamo quel che disse: « Iddio ti ha dato un figlio, lo conservi! — Quando leverà il greve stendardo, sia sostegno dei Musulmani! — Se varcherà gli scuri m onti che stanno di fronte, Dio Onnipotente dia il valico a tuo figlio! — Se passerà le acque color sangue, dia passaggio! — Quando en­ trerà tra i numerosi infedeli, Iddio Altissim o dia a tuo figlio la buona occasione! — Tu carezzi tuo figlio chiamandolo con il nom e di Bamsam. 1 II suo nome sia Bam si Beyrek 2 dal cavallo grigio (b o z a y g i r li) . — Io gli ho imposto il nome, Iddio Altissimo gli dia vita! ». I B eg degli Oguz alzarono le mani e fecero preghiera dicendo: « Sia fausto questo nome! ». P oi tu tti i Beg degli Oguz montarono a cavallo. Beyrek fece por­ tare il suo cavallo grigio e montò. L’esercito variopinto uscì a caccia

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Letteralmente: « mio Bamsa ». Nel ms. vaticano si alternano le grafie Beyrek e Beryek (e anche Baryik).

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verso l’Aladag. 1 D ’improvviso davanti agli Oguz passò un branco di cervi; Bamsi Beyrek si mise a inseguire un cervo; correndo e inse­ guendo arrivò in un luogo dove, su un prato azzurro, vide piantato un padiglione rosso. Pensò: « D i chi sarà mai questo padiglione, mio Dio? ». Ebbe ritegno (e d e b le n d i ) di andare verso quel padiglione, [70v] poi disse: « D i chiunque sia, io voglio prendere la mia selvaggina ». D avanti al padiglione uccise il cervo; guardò e vide che quel padi­ glione era di Bani Òièek, la figlia di B ay Bïgân, la fidanzata ( a d a h lu ) di Bam si Beyrek. Bani Òièek stava a guardare dal padiglione e disse: « Suvvia, damigelle, questo figlio di furfante vuol mostrare a noi la sua generosità? Andate e chiedete la nostra porzione ». U na donna d etta Qisirga Yinge venne e gli disse: «D à anche a noi la nostra parte! ». Beyrek rispose: « Olà, bambina! io non sono un cacciatore; sono figlio di Beg; è tutto per voi. Non sia vergogna domandare: di chi è questo padiglione? ». Qisirga Yinge disse: « Signor cavaliere! questo padi­ glione è di Bani Òièek figlia di B ay Bïgân ». Beyrek in silenzio ( y a b y a b ) educatamente si ritrasse. Le dam i­ gelle portarono dentro il cervo. Bani (Òièek) disse: « Damigelle! che cavaliere è costui? ». Ed esse: « Per Dio, signora! è un bel cava­ liere dal viso velato ». 2 Bani Òièek allora: « Ah ah! damigelle! mio padre diceva: « Ti ho data a un cavaliere dal viso velato ». Non può essere che sia costui? Chiamatelo, che venga e ci possiamo informare a vicenda ». Lo chiamarono, Beyrek venne, Bani Òièek si mise i calzari e domandò: « Cavaliere, da dove vieni ? ». Beyrek rispose: « Dagli Iè Oguz ». « A chi appartieni tra gli Iè Oguz? ». Beyrek rispose: « Mi chiamo Bam si Beyrek, figlio di B ay Btìre Beg ». « E per quale faccenda, per cosa sei venuto? ». Beyrek disse « Sono venuto a vedere la figlia di B ay Bïgân Beg ». La ragazza disse: « Quella ra­ gazza non è tale [71] da farsi vedere da te. Io sono la damigella di Bani Òièek. Vieni, andiamo insieme a caccia, tiriamo d’arco, fac­ ciamo corse a cavallo, lottiamo; se mi vincerai in queste tre cose, può avvenire che tu superi e vinca anche lei ». Beyrek rispose: « Sta bene! ». Ambedue salirono a cavallo, uscirono nel campo, si lancia­ rono in corsa. Il cavallo di Beyrek passò avanti. Tirarono d’arco, Beyrek sopravanzo. Allora la donzella disse: « Suvvia, cavaliere! Nessuno ha mai superato la mia freccia, nessuno ha mai sorpassato il mio cavallo. Ora, signor cavaliere, vieni e facciamo la lotta (giireS) insieme. Scesero subito da cavallo, si afferrarono a vicenda, si avvin1 Si veda qui sopra, p. 39. Vedasi nel racconto VI il passo ove è detto che quattro cavalieri tra gli Oguz portavano maschera. 2

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ghiarono l ’un l’altro come due lottatori (pahlavàn). Beyrek perdette i lumi, s’attaccò al seno della donzella, la donzella si schermì. Beyrek prese la donzella per il fianco sottile, l’abbracciò e la mise con le spalle a terra. La donzella disse (e il cavaliere sapeva): « Ban! Ciéek, la figlia di B ay Bïgàn, sono io ». Beyrek la baciò tre volte e una volta la morse; si levò dal dito l ’anello, lo donò e lo fece passare nel dito della ragazza, dicendo: « Sia questo, principessa, il nostro segno di fidanzamento (niSàn) ». Bani Òièek disse: « Dal momento che così è avvenuto, ora alzati subito, principe! ». Beyrek rispose: « Sta bene, volentieri! ». Poi, scam biati i saluti, B eyrek fece rito rn o alle sue ten d e. I l p ad re suo dalla b ianca b a rb a gli venne incontro e dom andò: « Cosa hai ve­ d u to oggi alla caccia, figlio? ». B eyrek rispose: « Che cosa devo vedere, p a d re mio signore? Chi h a figlio gli h a fa tto p render moglie (e v e r iir m is )', chi h a figlia le h a fa tto p ren d er m arito (e re v i r iir m iS ) ». Suo p ad re allora: « Figlio m io, bisogna dunque fa rti p ren d er moglie? ». [71v] E il padre: « Figlio, quale ragazza tr a gli Oguz devo prendere e d arti? ». Risponde: « B abbo, prendi e dam m i u n a ragazza che quando io m i alzi an ch ’essa si deve alzare, deve m o n ta re in groppa al cavallo (veloce come) falco, p rim a ch’io raggiunga l ’avversario deve p o rta rm i la testa ; u n a ragazza siffatta prendi e dam m i, babbo! ». I l p a d re disse: « Figlio, tu non hai chiesto u n a ragazza, h ai chiesto u n com pagno e u n (tuo) pari. L a ragazza che tu hai chiesto potrebbe essere B an i Cicek, figlia di B ay B ïgàn ». « Sì, caro babbo dalla b a rb a bianca, quella è la ragazza che io ho chiesto ». Il p a d re disse: « Figlio, quella ragazza h a u n fratello furioso (d e lii), 1 il quale uccide chi v a a dom andare la ragazza; si chiam a Delfi Q arcar ». B eyrek disse: « E allora che dobbiam o fare? ». « Figlio, chiam erem o i Beg dei forti Oguz, li porterem o a casa nostra, farem o secondo il loro parere ». In v ita ro n o t u tt i i Beg dei fo rti Oguz; vennero, m angiarono, b e v e t­ tero, presero a parlare, si consultarono, si dom andarono chi dovesse an d are a far la richiesta della ragazza; trovarono opportuno che andasse D ede Q orqut. D ede Q orqut disse: « Compagni! poiché dite ch’io vada., [andrò, m a] sapete che Delfi Q aréar uccide chi dom anda la ragazza. Alm eno p o rta te dalle stalle di B ayindir Hàn due destrieri, uno dalla te s ta di capra, che sopravanzi, uno dalla te s ta di agnello, baio. 2 Se all’im provviso fosse (necessario) scappare o inseguire, m on­ terò l’uno e spingerò l ’altro ».

delii, moderno deli, significò anche « valoroso, temerario », e « pazzo ». * dori. 1

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A ndarono, p o rtaro n o i (due) cavalli che aveva chiesto 1 a B ayind ir H àn. D ede Q o rq u t m ontò l’uno e spinse l ’altro. [72] A nche Delti Q aròar aveva fa tto p ia n ta re sulla te rra n e ra la sua grande te n d a bianca e il bianco padiglione e sta v a con i com pagni a tira re al b e r­ saglio. D ede Q orqut venne, inchinò il capo, m ise la m ano al p e tto e con la bocca e la lingua fece il bel s a lu to .2 D elü Q aròar rispose: « Su di voi la s a lu te !3 O tu , le cui cose sono a n d a te a m ale, i cui affari sono a n d a ti a rovescio, sulla cui bianca fro n te Dio O nnipo­ te n te h a scritto sventura! Q ui non è v en u to alcuno tr a gli (anim ali) fo rn iti di (due) gam be, nessuno fornito di bocca h a bev u to della m ia acqua. Forse che le tu e cose sono a n d a te a m ale, i tu o i affari sono a n d a ti a rovescio? Che fai qui? ». D ede Q orqut disse: « Sono venuto p e r v arcare lo scuro m onte che s ta di fro n te — Sono ven u to p er p a s­ sare le tu e acque scorrenti — Sono ven u to per stringerm i al tu o largo lem bo e alla tu a s tre tta ascella — Sono ven u to a chiedere « secondo l ’ordine di Dio e la parola del P ro fe ta », 4 la tu a bella sorella più p u ra della lu n a per B am si B eyrek ». A llora Delti Q aròar disse: « A p p restate, suvvia, quello che dico; p o rta tem i le m ie vesti e il m io cavallo (veloce come) falco ». P o r ta ­ rono il suo cavallo nero; D ede Q orqut m ontò sul destriero baio dalla te s ta di agnello e scappò; Delti Q aròar lo inseguì; correndo e fug­ gendo, il destriero baio dalla te s ta di agnello che sta v a so tto Dede Q o rq u t si stancò; D ede Q orqut balzò sul destriero veloce dalla te sta d i capra; corri e corri superarono dieci passi m ontani. D elti Qaròar raggiunse alle spalle D ede Q orqut, im pugnò la spada e fece l’a tto d i v ib rarla su D ede Q orqut. D ede Q orqut disse: « Se v ib ri un colpo, si dissecchi la tu a m ano p er ordine di Dio Altissimo! ». L a m ano di Delti Q aròar che im pugnava la spada restò sospesa in alto. [72v] D ede Q orqut era d o tato di sa n tità (v i l à y e t ) e la sua preghiera era accetta. Delti Q aròar esclamò: « D ede Q orqut, mercè! non v ’è dubbio sull’u n ità d i D io !5 Dede! fa risanare subito la m ia mano! Secondo l ’or­

istiigi per istediigi. II « bel (gôrklü) saluto » è il saluto musulmano. Lo stesso epiteto gòrklii è usato per Maometto, il Corano e le cose sacre dei Musulmani; ha il significato di « venerato » e « santo ». 3 ‘alaykum as-salàm; è la risposta al saluto musulmano (as-salàm ‘alaykum). 4 Tanrinìn buyrugìla, Peygamberüû qavlila, formula di richiesta per fidan­ zamento ancor oggi in uso. Cfr. la moderna commedia Paydos di Cevat F e h m i , Istanbul, 1948, p. 149. Si anche H. Zübeyr Koçay, Türkiye tiirk dügünleri üzerîne mukayeseli malzeme, Ankara, 1944, p. 9 segg. La formula è ripetuta qui avanti a p. 183. 5 Vedasi la nota 2 a p. 110. 1 2

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dine di Dio e la paro la del P ro fe ta 1 darò m ia sorella a B eyrek ». Tre volte gli fece conferm are (la prom essa); quindi pregò e p er ordine di Dio la m ano d i Q arcar diventò com pletam ente sana ( s a b b a s a g ). A llora disse: « Dede, dam m i quello che chiedo per m ia sorella! ». D ede Q o r q u t2 dom andò: « Cosa desideri? ». Delii Q arcar disse: « P o r­ ta m i m ille cam m elli m aschi (b u g r a ) che non abbiano veduto volto di cam m ella ( m a y a ) , inoltre m ille destrieri m aschi ( a y g ir ) che non abbiano m o n ta to cavalla ( q is r a q ) , inoltre m ille cani senza coda e senza orecchie, poi m ille pulci (b iire ) grosse e àncora m ille m ontóni che non, abbiano visto pecora. Se m i p o rte rai quello che ho d etto , p ren d erai la ragazza; se non lo p o rterai, non fa rti più vedere ai m iei occhi, perchè se ti fai vedere ti uccido ». Dede Qorqut tornò, venne alla tenda di B ay Bure Beg. Costui domandò: « Dede Qorqut viene allegro o triste? ». Videro ch’egli veniva ridendo. Gli domandò: « Dede, sei lupo o pecora? » .3 Rispose: « Lupo sono! ». « Come andò che ti sei salvato da Delü Qarèar? ». « Dio Altissimo (mi) ha salvato; ho avuto la grazia (Mmmet) dei santi (erenler) ». Raccontò subito l ’accaduto e disse: « Insomma ho preso la ragazza ». Venne un messo di lieta notizia a Beyrek e alle sue sorelle, si rallegrarono, furono lieti e contenti. B ay Biire Beg disse: « Quanti beni ha chiesto? ». Dede Qorqut rispose: « Il m ale­ detto [ 7 3 ] Delü Qarëar ha chiesto tanti beni da non finire ». B ay Biire Beg domàndò: « Cosa ha chiesto? ». « H a chiesto mille destrieri che non abbiano veduto cavalla, mille cammelli maschi che nonabbian veduto cammella, m ille m ontoni che non abbiano veduto pecora, mille cani senza coda e senza orecchie, mille pulci grosse, dicendo: “Se porti ciò, darò mia sorella, se non lo porti, non farti vedere ai miei occhi, se no ti uccido” ». B a y B ùre B eg disse: « T re di queste cose le troverò io; le (altre) due le tro v e rai tu? ». D ede Q orqut rispose: « S ta bene ». B a y B ùre B eg andò alle stalle dei cavalli e scelse m ille destrieri, andò ai recinti dei cam m elli e scelse mille cam m elli, tr a gli ovini scelse m ille m on­ toni. D ede Q orqut tro v ò m ille cani senza coda e senza orecchie e mille pulci, e venne alla dim ora di B a y B ure Beg. Q uindi li portò alla casa di D elü Q arèar. Costui, inform ato, venne incontro, vide i cavalli e fu soddisfatto, vide i cam m elli e fu soddisfatto, vide i m on­ to n i e fu soddisfatto, vide i cani e rise di gusto (q a s q a s ). « D ove sono, D ede, le m ie pulci? ». Q orqut D ede av ev a conservato le pulci in u n a Per questa formula vedi la nota 4 a p. 118. Nel testo per errore: Qorqurt. quii mi-sin, qoyun mi-sin. Significa: hai avuto successo oppure t ’è an data male? 1 2 3

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P a r te Secon d a

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casa. Disse: « Figlio mio, Delti Qarcar! Quelle sono bestie strane; le ho riu n ite tu tte in u n luogo. A ndiam o, p rendi le buone e lascia le c a ttiv e » .1 P rese Delti Q arcar, lo portò in quel luogo, lo spogliò, lo lasciò nudo, lo m ise nella casa e s te tte ad ascoltare ( d i n d i ) . « P ren d i quelle che t i piacciono — disse — e lascia quelle che non ti piacciono ». Chiuse saldam ente la p o rta. Le pulci affam ate si lanciarono su Delti (Qarcar), che grid av a (b a r b a r b a g ir u r ) [73v] e si lam e n ta v a dicendo: « aiuto! ». I l D ede disse: « Delti Qaròar, lascia la lite! è u n esercito di pulci che ho portato! dopo non dire questo e quello! afferra dunque e prendi, tien i le grasse, lascia le magre! ». « A h m io caro D ede, non sono sceglibili2 le buone e le cattiv e ( y a t l u ) t r a queste. P e r am or di Dio, D ede, a p ri la p o rta ch’io possa uscire! ». I l D ede disse: « P o i di nuovo litigherai con noi. S uvvia dunque attacca! ». 3 Delti Q aròar si alzava ritto 4 e picchiava f o r t e 5 lam entandosi e dicendo: « A iuto, m io caro Dede! ». Il D ede a p rì la p o rta , Delti Q arcar scappò tu tto nudo. Le pulci (lo) a ssa liv a n o ;6 il giorno era freddo. I l D ede disse: « Suvvia, Delti Q arcar, b u tta ti in acqua, salvati! ». Delti (Qarcar), p er salvarsi, si im m erse nell’acqua ghiacciata fino alla gola; a fatica si liberò dalle pulci. Disse: «Mio caro Dede! Dio m aledica le pulci m agre e le grasse! ». Indossò il suo vestito, se n ’andò a casa, attese ai p rep a ra tiv i delle nozze. A l tempo degli Oguz era regola che, quando un cavaliere si spo­ sava, lanciava una freccia; dove cadeva la freccia là piantava la tenda nuziale (gerdek). Beyrek lanciò la freccia e piantò la sua tenda nu­ ziale. La sua fidanzata (adaqlu) gli mandò un m anto (qaftan ) rosso; egli l ’indossò e questo non piacque ai suoi compagni; restarono af­ flitti. Beyrek domandò ai suoi compagni: «Perchè siete rimasti af­ flitti? ». Risposero: « Come non dovremmo essere afflitti dal momento che tu indossi il manto rosso e noi vestiamo il manto bianco? ». B ey­ rek disse ai suoi compagni: « Oggi lo indosso io, domani lo indossi il mio luogotenente. Per quaranta giorni indossatelo a turno (sìravardì), poi datelo a un dervls ». Anch’essi [74] furono contenti. Egli e i quaranta cavalieri stet­ tero a mangiare e a bere. Il maledetto infedele spiò, andò dal signore del castello di Bayburt, gli diede notizia: « A che ristai? B ay Bigàn Nel ms. di Dresda (Gok. p. 31): « prendi le grasse, lascia le magre ». secilegekleyin p a r t , c o n suffisso - leyin « com e, ta le d a »; D e n t , § 1461. Tide dahi-qòr. P o rs e dahl g e ru n d io di daqmaq « a tta c c a r e »? C fr. D e n t , § 406 e § 826. 4 dik dik qalqir. Cfr. D e n t , § 615; qalqur si legge nella poesia di Qaygusuz A b d â l (sec. x v ) che comincia Bir qaz aldum. 5 gai gat uzar (o vurar); si a s p e tte r e b b e cat cat vurur. • biréler iismis. 1 2 3

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JstoWWï.

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Traduzione dei dodici racconti del libro di Dede Qorqut

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Melik h a d a to a B eyrek dal cavallo grigio (b o z a tlu ) la figlia che doveva d are a te ». Im m ed iatam en te con settecento infedeli p a rtì all’attacco. B eyrek sta v a a m angiare e a bere con i suoi q u a ra n ta cavalieri. A m ezzanotte gl’infedeli penetrarono di sorpresa; uccisero il luogote­ nente; B eyrek e i suoi tre n tan o v e cavalieri andarono v ia prigionieri. L ’indom ani fu l ’alba, nacque il sole, il p a d re e la m ad re di B eyrek guardarono e videro che la te n d a nuziale era sp arita. L evarono la ­ m enti, si strapparono le vesti, im pazzirono. Videro che erano r i­ m asti corvi svolazzanti; la te n d a era a n d a ta in fra n tu m i ed era ca­ d u ta a te rra , il luogotenente era sta to ucciso. I l p ad re levò il grosso tu rb a n te , lo lanciò a terra, dicendo: « Figlio, figlio! », singhiozzando e facendo lam enti. L a m adre dalle bianche trecce versò d iro tte lacrim e, si p ian tò le unghie pu n g en ti sul bianco viso, si lacerò le rosee guance, si strappò come canne i capelli neri e piangendo venne alla sua casa, biella casa di B ay Biire H à n d all’au rea finestra entrò il lu tto ( s iv e n ) . Le donzelle e le spose non risero più, la h e n n a (q ln a ) non brillò più sulle loro bianche m ani. Le sette sorelle si to l­ sero gli a b iti bianchi e vestirono di nero; piangevano e singhiozza­ vano dicendo: « O signor nostro fratello, unico fratello, che non hai p o tu to conseguire il tu o desiderio! ». F u d a ta notizia alla fidanzata; Bani Cicek si tolse l ’abito bianco [74v] e v estì l ’abito nero, si lacerò le guance rosee come m ela e piangeva dicendo: « O h padrone del mio rosso velo, speranza della m ia fro n te e del mio capo, m io sovrano e mio cavaliere, cavaliere (dal cavallo) simile a falco, o t u che vidi aprendo gli occhi, che am ai donando il cuore, m io signore Beyrek! ». A sentir ciò, D elù D undar, figlio di Q iyàn Selgùk, si tolse le vesti bianche e v estì di nero; t u tt i i com pagni e gli am ici di B eyrek si to l­ sero le v esti bianche e si vestirono di nero. I Beg dei fo rti Oguz fu ­ rono in grande lu tto ( y a s ) p er B eyrek, p erd ettero la speranza. Passarono sedici anni, non si seppe se B eyrek fosse vivo o m orto. Alla fine il fratello della ragazza, D elù Q arcar, u n giorno andò all’a s­ sem blea ( d iv à n ) del sovrano B ayindir, piegò il ginocchio e disse: « P o te n te sovrano! Se B eyrek fosse vivo, in sedici anni sarebbe v e ­ n u ta notizia di lui o lui stesso sarebbe arriv ato . Mio sultano, se u n cavaliere m i p o rte rà notizia ch’egli è vivo, gli darò m onete d ’oro, se m i p o rte rà notizia ch’egli è m orto, gli darò m ia sorella ». A llora il m aledetto Y alanguq, figlio di Y alangì, disse: « Sultano! io andrò e porterò notizia se è m orto o vivo ». P a rtì; dopo alcuni giorni, poiché B eyrek gli aveva donato u n a cam icia ch ’egli non aveva indossato m a te n u to in serbo, andò, la m acchiò di sangue 1 e la po rtò 1

Nel ms. vaticano qana qoqa bulasdurdi; nel ms. di Dresda qana quna baturdi.

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P a r te S eco n d a

alla dim ora di B ay in d ir H àn . Costui dom andò: « E bbene, di chi è q u e sta camicia? ». Rispose: « E la cam icia di B eyrek; lo hanno ucciso a l terrib ile passo ( q a r a d e r v e n d ) di Pasin». T ra i B eg degli Oguz non c’era m enzogna; credettero e piansero. Q azan Beg piangeva dicendo: « Mio v eteran o 1 Beyrek! ». Q ara B udaq, figlio di Q ara Giine, [75] piangeva dicendo: « O h mio com pagno B eyrek! ». B ay in d ir H à n disse: « A che piangete? N oi non conosciamo q u e sta cam icia; p o rta te la alla sua fidanzata; essa la riconoscerà bene poiché lei l ’h a cu cita ». A ndarono, p ortarono quella cam icia a Barn Ciéek; essa la vide, la riconobbe, disse: « è quella »; si strap p ò le vesti, si ficcò le unghie nel bianco viso e piangeva dicendo: « O h t u ch’io v id i aprendo gli occhi, che am ai donando il cuore, m io signore B ey ­ rek! ». F u p o rta ta la notizia a suo p a d re e a sua m adre; il lu tto ( s iv e n ) e n trò nella sua casa; si tolsero gli ab iti bianchi e vestirono di nero. I B eg dei fo rti Oguz p e rd e tte ro la speranza p er B eyrek. Y alanguq figlio d i Y alangi prese in sposa la ragazza. Celebrò le piccole nozze ( h ié i d iig iin ) , stab ilì la d a ta p er le grandi nozze ( u lu d iig iin ) . B a y B üre B eg chiam ò presso di sé i m ercan ti e disse: « A ndate, cercate in ogni regione e p o rta te m i notizia se m io figlio B eyrek, brano del m io fegato, luce dei m iei occhi, è vivo o è m orto ». I m ercan ti fecero i p re p a ra tiv i e partiro n o . U n giorno arrivarono a l castello di B a y b u rt di B arasar; p er caso quelli erano i giorni so­ lenni ( a g ir ) degli infedeli e t u t t i stavano a m angiare e a bere; perciò avevano fa tto venire anche B eyrek e gli facevano suonare il q o p u z . B eyrek s ta v a in u n a a lta v e ra n d a (c a rd a q )·, p e r caso vide i m ercanti, li riconobbe e s’inform ò. V ediam o come si inform ò. B eyrek disse: « O carovana, che vieni d a te rra dall’a ria b assa — O carovana, che m o n ti cavalli (rapidi come) falchi dalle lunghe gam be — O caro­ v a n a , dono del signore m io pad re e della signora m ia m adre, — Com­ p ren d i la m ia voce, ascolta la m ia parola, carovana! — Se d o m an ­ dassi del B eg dei fo rti Oguz S alur Q azan, figlio di Ula§, [75v] è vivo, carovana? — Se dom andassi di Delfi D u n d ar, figlio di Q iyan Selgfik, è vivo, carovana? — Se dom andassi di Q ara B udaq, figlio di Q ara Girne, è vivo, carovana? — Se dom andassi di mio pad re dalla b a rb a bianca, è vivo, carovana? — Se dom andassi di m ia m ad re dalle trecce bianche, è viva, carovana? — Se dom andassi delle m ie se tte sorelle, sono vive, carovane? — B an! Ciéek, figlia di B a y B igàn, colei che vidi aprendo gli occhi, che am ai donando il cuore, è nella casa, carovana? — O ppure è a n d a ta (sposa) a qualcuno, carovana?

1

emekdàr.

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T rad u zion e d ei d o d ici r a c c o n ti d el lib ro d i D e d e Q orq u t

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— Vieni, dim m i queste cose, che il m io capo sia (votato in) olocausto a te, carovana! ». A nche i m ercan ti parlarono in poesia. Sentiam o cosa dissero: «Sei vivo, in salutè, m io caro Bam si? — D esiderato p er sedici anni, mio signore Bam si? — Se dom andi del B eg dei fo rti Oguz Qazan Beg, è vivo, Bam si! — Se dom andi di D elü D u n d ar, figlio di Q iyan Selgiik, è vivo, Bam si! — Se dom andi di Q ara B u d aq , figlio di Q ara Güne, è vivo, Bam si! — I grandi Beg hanno deposto gli a b iti bianchi, si sono v e s titi di nero p e r te, Bamsi! — Se dom andi di tu o p a d re dalla b a rb a bianca, è vivo, Bamsi! — Se dom andi di tu a m ad re dalle trecce bianche, è viva, Bam si! — H an n o deposto gli a b iti bianchi, si sono v e stiti di nero p er te, Bamsi! — H o ved u to le tu e se tte sorelle piangere al crocicchio delle sette vie 1 — Le ho viste piangere e dire: “ è an d a to e non to rn a ” — B ani Òicek, la figlia d i B a y Bïgàn, che v edesti aprendo gli occhi e am asti donando il cuore, h a celebrato le piccole nozze, h a stab ilito il term in e p e r le g ran d i nozze — H o visto che v a (sposa) a Y alanguq figlio di Y a ­ langi. [ 7 6 ] — V ola via d al castello di B a y b u rt di B arasar! — Vieni alla tu a te n d a nuziale v a rio p in ta — Se non vieni, perderai B ani Ci6ek, la figlia di B ay B ïgàn, sappilo bene! ». A ppena B eyrek sentì queste am are parole, si m ise a piangere. I suoi q u a ra n ta cavalieri si riunirono in torno a lui. E gli si levò e g e ttò a te rra il grosso tu rb a n te e disse: « Ahi! sapete, m iei q u a ra n ta com pagni, cosa è accaduto? Y alanguq, il figlio di Y alangi, h a diffuso la voce della m ia m orte, nella grande te n d a dalla finestra d ’oro di m io p a d re è e n tra to il lu tto (siven). Le sue figlie e le sue spose sim ili a cigno 2 hanno deposto gli a b iti bianchi e si sono vestite a lu tto . B ani Òicek, colei ch’io vidi aprendo gli occhi e am ai donando il cuore, se l ’è presa (in sposa) Y alanguq figlio di Y alangi ». M entr’egli così diceva, i q u a ra n ta cavalieri piangevano e singhiozzavano. O rbene il principe infedele aveva u n a figlia, la quale a m av a B ey ­ rek; ogni giorno veniva a vederlo. A nche quel giorno venne a v e ­ derlo, guardò e vide B eyrek afflitto. Gli disse: « P erchè sei triste, mio caro cavaliere? A llorché venivo, t i v id i (sempre) lieto; ridevi e suonavi. O ra che ti è successo? ». B eyrek rispose: « Come non dovrei esser triste? Sono sedici an n i d a che m i tro v o prigioniero di tu o padre. H o desiderio di m io p a d re e di m ia m adre; in oltre avevo u n a fidan­ z a ta dagli occhi neri; u n ta le di nom e Y alanguq figlio di Y alangi è Cfr. p. 40. Nel testo vaticano qara «a neve», nel dresdense qaza «a oca, a cigno». Cfr. avanti a p. 157. 1 2

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P a r te S eco n d a

a n d a to a d a r la notizia ch’io sono m orto e s’è preso quella ragazza». A llora la ragazza disse: « Se io ti faccio scendere con u n a corda dal castello e a rriv i d a tu o p a d re e d a tu a m adre, v e rra i a prenderm i com e le g ittim a moglie? ». B eyrek [76v] giurò: 1 « Se arrivo al paese degli Oguz, t i prenderò ». L a ragazza p o rtò u n a corda e fece scendere B eyrek d al castello. B eyrek scese a terra , ringraziò Iddio; andò alla stalla degl’infedeli con l ’id ea di prendere u n cavallo; guardò e vide che il suo cavallo m arino, il grigio destriero, s ta v a lì pascolando. A nche il grigio d e ­ striero vide B eyrek, lo riconobbe, si drizzò sulle due gam be, n itrì. A llora B eyrek lodò il suo cavallo. Vediam o, signore, come lo lodò. B eyrek disse: « L a tu a bella fro n te som iglia a u n ’are n a a p e rta — I tu o i bei occhi som igliano a due gem m e che brillan di n o tte — L a tu a c ri­ n iera è sim ile a intreccio di seta — Le tu e orecchie sono com e fra ­ telli gem elli — L a tu a schiena fa raggiungere a l cavaliere la sua m è ta — Io non t i chiam o cavallo, ti chiam o fratello — T u sei m e­ glio che mio fratello, l’eguale di m e stesso! — (Ti) dico: m ’è c a p ita ta u n ’im presa, compagno! ». I l cavallo alzò il capo, venne d a v a n ti a B eyrek, che gli carezzò il p e tto , lo baciò sugli occhi, fece un balzo e m ontò sopra. V enne d a v a n ti al castello, chiam ò i suoi q u a ra n ta com pagni e li racco­ m andò agli infedeli. V ediam o come li raccom andò. B eyrek disse: « Oh infedele d i sporca religione! — Mi forzavi la bocca, non m i sono saziato! — M’h ai d ato a m angiare bollito di carne di nero porco, non m i sono saziato! — Dio m i h a dato la via, m e ne vado, infedele! — I m iei q u a ra n ta cavalieri sono la m ia consegna, infedele! — Se ne tro v o uno m ancante, ne ucciderò dieci al suo posto — Se ne tro v o m an c a n ti dieci, ne ucciderò cento al loro posto ». (Beyrek) si pose in cam m ino; q u a ra n ta infedeli gli andarono dietro, [77] lo inseguirono, non lo raggiunsero. B eyrek v a e v a arrivò nel paese degli Oguz, guardò e vide u n ozan 2 che cam m inava. B ey ­ rek gli dom andò: « D ove vai, ozari'ì ». L 'ozan rispose: « V ado alle nozze di u n cavaliere ». Beyrek: « D i chi sono le nozze, ozanì ». E l 'ozan: « D i u n tale chiam ato Y alanguq figlio d i Y alangì». B eyrek disse: « L a figlia di chi sposa? ». L ’ozan rispose: « Sposa B an i Ciòek, la fid an zata di H à n B eyrek ». B eyrek: « D am m i il tu o qopuz, t i darò il mio cavallo; conservalo, verrò, lo riacquisterò pagando il prezzo ». L 'ozan disse: « Ecco che ho gu ad ag n ato u n cavallo senza che la m ia 1 a n d ic ti. ‘ Vedasi nell’introduzione, p. 25-27.

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T rad u zion e dei d o d ici ra cco n ti d el libro d i D è d e Q orqut

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voce soffocasse e senza che il mio q o p u z si rom pesse. Lo p orterò, lo conserverò ». B eyrek s’avvicinò a ll’accam pam ento ( o r d u ) di suo padre. G uardò e vide che alcuni p a sto ri am m ucchiavano p ietre sulla stra d a e p ia n ­ gevano. I l Beg disse: « Olà, pastori! se uno tro v a pietre sulla stra d a , le scosta; voi invece am m ucchiate p ietre sulla stra d a e piangete. Q ual’è il m otivo? ». I p a sto ri risposero: « M a t u non conosci il nostro caso! ». B eyrek dom andò: « Q ual’è il vostro caso? ». I pastori: « I l nostro B eg aveva u n figlio; sono sedici a n n i che nessuno sapeva se fosse vivo o m orto; quel m aled etto Y alanguq figlio di Y alangi h a p o rta to la n o tizia che è m orto. O ra stanno a dargli la sua fidanzata; passerà di qui, vogliam o colpirlo e ucciderlo. (Ch’ella) non v a d a (sposa) a Y alanguq figlio di Y alangi, v a d a (sposa) a u n suo p a ri ». B eyrek disse: « Che il v o stro volto sia bianco, che il p an e del vostro fratello m aggiore vi sia lecito! ». A rrivò all’accam pam ento di suo p adre. [77v] T icino alle loro ten d e v ’era u n grande albero. G uardò, vide che la sua sorella m inore p rendeva acqua alla fonte. B eyrek al vederla riconobbe la sua sorella m inore e sentì che p iangeva d i­ cendo: « Signor mio Beyrek! ». B eyrek si sentì m olto triste , non potè tra tte n e rsi, si m ise a pian g ere d iro tta m e n te sì che le lacrim e sgor­ gavano a fiotti. A llora B eyrek parlò in poesia. T ediam o quel che disse: « Oh, fanciulla! — P erchè piangi, perchè ti lam enti, dicendo: 0 m io fratello (maggiore)? — I l mio p e tto brucia, il mio cuore ard e — Forse il tu o fratello (maggiore) è m orto? — I l tu o cuore è bruciato d a grasso bollente — Il tu o povero p e tto sussulta dicendo: fra tei mio (maggiore)! — P erchè piangi, perchè t i lam enti? — Il m io p e tto brucia, il mio cuore ard e — Fanciulla! gli scuri m o n ti che stanno di fro n te — se dom andassi: 1 di chi sono dim ora estiva (y a y l a q )? 2 — 1 cavalli di (tan te) stalle — Se dom andassi: di chi sono cavalcatura? — I cam m elli a lunghe schiere — Se dom andassi: di chi sono carico? — Negli ovili le bianche pecore — Se dom andassi: di chi sono b a n ­ c h etto (s o l e n )? — Il bel padiglione nero — Se dom andassi: di chi è om bra ? — D am m i notizia, fanciulla! — L a povera m ia te s ta sia olocausto a te! ». L a fanciulla disse: « N o n suonare o z a n , non p arla re o z a n — Che giova V o z a n a u n a

1 sorar olsam « se domandassi »; è costruzione caratteristica di questo testo per « vorrei domandare, desidero sapere ». 2 Manca la domanda relativa alle acque, che si trova nel ms. di Dresda, e ricorre nella risposta delle sorelle.

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P a r te S eco n d a

povera ragazza come me? — Se domandi dei m onti scuri, che stanno di fronte, — Sono pascolo estivo di mio fratello maggiore Beyrek. — D a quando mio fratello maggiore Beyrek è partito non sono andata al pascolo estivo. — Se domandi delle fresche acque, — Sono be­ vanda del mio fratello maggiore Beyrek. — D a quando il mio fra­ tello maggiore Beyrek è partito, non ho bevuto. — Se domandi dei m olti cavalli nelle stalle, — Sono cavalcature del mio fratello m ag­ giore Beyrek. — D a quando il mio fratello maggiore Beyrek [78] è partito, — N on ho cavalcato. — Se domandi dei cammelli in lunghe schiere, — Sono carico del mio fratello maggiore Beyrek. — D a quando il mio fratello maggiore Beyrek è partito, — N on ho fatto carichi. — Se domandi delle bianche pecore negli ovili, — Sono ban­ chetto (sòlen) del mio fratello maggiore Beyrek. — D a quando il mio fratello maggiore è partito, — Non ho banchettato. — Se domandi del bel padiglione bianco, 1 — È del mio fratello maggiore Beyrek. — D a quando il mio fratello maggiore Beyrek è partito — Io non ho emigrato ». E ancora la fanciulla disse: « Oh, o z a n , tu sei ven u to varcando gli oscuri m o n ti che stanno di fronte, — N el tu o passaggio non hai in co n trato u n cavaliere di nom e B eyrek? — T u sei v en u to passando le acque stra rip a n ti. — N on h a i in co n trato u n cavaliere di nom e Beyrek? — T u sei v enuto d a c ittà dal nom e solenne. — N on hai in co n trato u n cavaliere di nom e Beyrek? — O z a n l se l ’h a i veduto, dimmelo! — L a m ia povera te s ta sia olocausto p er te, o z a n l ». E ancora la fanciulla disse: « I l mio m o n te scuro che sta di fro n te è crollato. — O z a n l ne hai t u notizia? — L a grande m ia p ia n ta si è spezzata. — O z a n l ne h ai tu notizia? — N el m ondo u n m io fratello è sta to preso. — O z a n l ne hai t u notizia? — Il mio povero p e tto è tra fitto . — O z a n l ne h a i tu no­ tizia? — N on suonare o z a n , non p a rla re o z a n l — Che giova l 'o z a n a m e povera ragazza? — (Qui) d a v a n ti a te c’è festa nuziale. Y a là e can ta, o z a n l ». B eyrek passò oltre; vide che tu tte le sue sorelle v e stite a lu tto erano sedute in disparte; si accostò a loro, chiam ò, si inform ò. V e­ diam o, signor m io, cosa disse: « Donzelle che vi siete alzate di bu o n m a ttin o ,2 — D onzelle, che av ete lasciato il padiglione bianco e siete e n tra te [78v] nel padiglione 1 aghi; più corretto sembra qaralu « nero » del ms. di Dresda, in corrispon­ denza con il precedente discorso di Beyrek. 2 alari sabdh.

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T raduzione dei dodici racconti del libro di D ede Q orqut

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nero, — D onzelle che avete deposto le v esti bianche e a v ete in d o s­ sato le v esti nere, — Che c’è di y o g u r t rappreso 1 come fegato? — Che p an e c’è nel vostro paniere? 2 — Sono tre giorni che viaggio, sono affam ato, saziatem i! — P rim a di tre giorni v i rallegri Iddio! ». Le ragazze vennero, po rtaro n o pane, sfam arono B eyrek. [Poi B eyrek] disse: « Se m ai aveste u n m antello vecchio del [vostro] fratello m aggiore B eyrek, in (pia) offerta ( s a d a g a ) p er la sua te s ta e i suoi occhi, datem elo, ch’io lo indossi e possa an d are alle nozze. Se nella festa nuziale riuscissi ad o tten ere u n m àntello, re stitu irò il vostro ». A ndarono, c’era u n m antello di B eyrek, lo portaro n o , lo indossò: si a d a tta v a alla sua s ta tu ra , alle sue braccia, al suo fianco. A llora la sorella m aggiore lo tro v ò som igliante a B eyrek; i suoi occhi n e ri versarono lacrim e di sangue. P arlò in poesia la sorella m aggiore. V ediam o cosa disse: « Se i tu o i occhi neri non fossero offuscati, — Ti chiam erei, o z a n , fra te i m io m aggiore Beyrek! — Se i neri capelli non coprissero il tu o viso, — Ti chiam erei, o z a n , fra te i mio m aggiore B eyrek. — P e r il tuo cam m inare ondeggiante come leone — P e r il tu o sguardo assorto — Ti trovo, o z a n , som igliante al m io fratello m aggiore B eyrek. — (Mi) h ai rallegrato, o z a n , non (mi) ra ttrista re ! ». L a donzella disse ancora: « N on suonare, o z a n , non p arla re o z a n l — D a quando mio fra ­ tello m aggiore è p a rtito non è ven u to d a noi o z a n — N on h a ricevuto m antello dalle nostre spalle — N on h a ricevuto m ontone dalle corna atto rcig liate ». B eyrek disse (tra sè): « Vedi? queste donzelle m i hanno ricono­ sciuto. Con questo m antello anche i B eg dei fo rti Oguz m i ricono­ scerebbero. [79] Voglio s a p e re 3 chi tr a gli Oguz è mio am ico o n e ­ m ico ». Si levò il m antello dalle spalle, lo g ettò loro dicendo: « N on (so chi) siate voi, nè (chi) sia B eyrek. Mi a v e te d ato u n vecchio m a n ­ tello. Mi a v ete fa tto perdere la te sta , e il cervello! ». A ndò a v a n ti in fre tta , trovò u n a coperta p er cam m elli, la bucò, se la passò al collo e si atteggiò a pazzo. Passò o ltre e venne alla festa nuziale. G uardò e vide che il prom esso sposo, 4 Delfi B u d a q figlio di Q ara Girne, U ruz figlio di Q azan Beg, il capo dei Beg Y igenek e Ser Sem-

1 uyunanda; uyunmaq « raggrumarsi »; dicesi del latte che diventa yogurt. Cfr. Sóz Derleme Dergisi, III. 2 kendir; nei lessici persiani è registrato kandur, vaso di terra per il pane. 3 bileyin dirin ( = ch’io sappia, dico = voglio sapere). Cfr. l’introduzione, p. 83. 4 Yalanguq figlio di Yalangì.

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P a rte Seconda

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süddïn figlio di ô a fle t Qoga, insiem e con Delfi Q arcar fratello della sposa, stavano a tira re d ’arco. B eyrek si ferm ò a vedere gli arcieri. Q uando tira v a Q ara B udaq, diceva: « V iva la tu a mano! ». Se tira v a Y igenek, diceva: « V iva la tu a mano! ». P e r t u tt i i tira to ri diceva: « V iva la tu a m ano! ». Ma quando tira v a lo sposo diceva: « Si secchi la tu a mano! » e soggiungeva: « Porco figlio di porco! che t u possa esser v ittim a p er gli sposi (g ü v e y g ü ) ». Y alanguq figlio di Y alangi [al­ lora] gli disse: « Olà, fu rfan te, figlio di furfante! sp e tta forse a te d i dirm i parole simili? Suvvia, furfante! T endi il m io arco, se no ti uccido! ». B eyrek disse: « S ta bene! », prese l ’arco di quell’individuo, lo tese, lo fece in due pezzi all’im p u g n atu ra. Lo alzò e glielo g e ttò in viso dicendo: « È buono per tira re alle allodole in luogo chiuso! ». Y alanguq figlio di Y alangi, vedendo l’arco a pezzi, m olto si adirò e disse: « A ndate! c’è l ’arco di B eyrek, [79v] portatelo! ». A n ­ darono, p ortarono (l’arco). B eyrek, vedendo il suo arco, ricordò i suoi com pagni e pianse. P rese l ’arco e lo lodò. Vediam o come lo lodò: « O m io forte arco dalla b ianca im p u g n a tu ra — Che acquistai, dando (in cam bio) u n destriero! — O m ia corda a tto r ta che acq u i­ sta i dando (in cam bio) u n toro! — O m iei q u a ra n ta com pagni che, venendo via, ho lasciato in tristo luogo! ». P oi soggiunse: « Con vostro perm esso, Beg, v o ’ ten d ere l ’arco e tira re u n a freccia in vostro onore ». E ra uso di prendere come bersaglio l ’anello dello sposo e tira re ad esso. B eyrek scoccò u n a freccia, colpì, fece in pezzi l ’anello. I B eg degli Oguz al veder ciò sorrisero. Q azan Beg sta v a a g u ard are lo spettacolo, chiam ò B eyrek. L 'o z a n pazzo venne, chinò il capo, pose la m ano al p e tto e disse in poesia. V ediam o cosa disse: « O tu dalla grande te n d a bianca, che si p ia n ta d i m a ttin o in disp arte, — D al padiglione azzurro fab b ricato con raso ( a tla s ) , — D ai m olti cavalli (veloci come) falchi che si snodano in lunghe schiere. — D ai m olti m in istri che chiam ano e am m inistrano la giustizia — M olto generoso quando si v ersa il grasso — Sostegno dei su p erstiti cavalieri — Speranza di noi poveri — Genero d i B ay in d ir H à n — Pupillo dell’uccello piu m ato 1 — Colonna del T firkistan 2 — Leone della stirp e di À m it 3 — Tigre del Q araguq 4 — P ad ro n e del cavallo sauro — P a d re di H à n U ruz — Signor mio Q azan — Com prendi la m ia voce, ascolta la m ia parola! — D i buon m a ttin o vi siete alz a ti — siete e n tra ti nel bianco bosco — A vete tag liato ram i del bianco

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tülü qusun yavrusu. Cfr. l’introduzione, p. 47. Qui vale «paese dei Turchi». Cfr. p. 41. Àmid, nome antico dell’odierna Diyàrbekir. Cfr. p. 33-34. Cfr. p. 40, 41.

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Traduzione dei dodici racconti del libro di Dede Q orqut

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pioppo, siete p a ssa ti oltre — A vete piegato i fianchi (della t e n d a ) 1 — A vete g e tta to (sopra) la sua piccola c o p ertu ra 2 — L ’a v ete ch iam ata “ te n d a nuziale” (gerdek). — I Beg della d e stra sedenti a d e stra — I Beg della sinistra sedenti a sinistra, — I m inistri (in a q ) che stanno 3 sulla soglia — [80] I Beg p artico lari (h a s s ) che stanno nel fondo dissero: “ la v o stra festa nuziale sia felice!” ». A llora Q azan Beg si levò sulle ginocchia e disse: « Suvvia, o z a n pazzo! dom andam i quello che desideri. Vuoi m onete d ’oro? te le darò ». B eyrek rispose: « Se m i lasciassi an d are presso quel p an e che s ta cuo­ cendo, sono affam ato, potessi saziarm i! ». Q azan Beg disse: « L 'o z a n pazzo h a av u to fo rtu n a, (miei) Beg! I l mio regno per oggi sia suo! la ­ sciatelo an d are dove vuole! ». B eyrek andò al pane della festa nuziale e si sfam ò. P oi raggiunse i cibi delle pentole, le versò, g ettò p a rte del bollito a destra, p a rte a sinistra; quello che an d a v a a d e stra lo p ren ­ d ev a la destra; quello che a n d a v a a sinistra lo prendeva la sinistra. A chi h a d iritto tocca il suo d iritto , a chi non h a d iritto re sta il viso scuro. 4 Inform arono Q azan che il pazzo o z a n faceva ciò. Disse: « L a ­ sciatelo fare quel che vuole; v a d a dove vuole; v a d a anche dalle donne! ». R iferirono (ciò) a B eyrek; si alzò, andò dalle donne, scac­ ciò i suonatori di zam pogna, picchiò i suonatori di nacchere, spaccò loro la 'testa; insom m a fece piazza p u l it a .5 A rrivò nel p a d i­ glione dove sedevano le donzelle e le dam e, si mise a sedere sulla soglia. A veder ciò, la moglie di Q azan H an , Borii H a tu n , si adirò e disse: « Olà, fu rfa n te figlio di fu rfan te, ti è forse lecito venire da me senza i convenevoli? ». B eyrek [80v] rispose: « Signora, Q azan Beg mi h a d ato il com ando. N essuno può p a rlare contro di m e ». Borii H a tu n disse: « Y a bene! dal m om ento che è ordine di Q azan Beg, siedi. Ma cosa desideri, pazzo o z a n ì ». B eyrek rispose: « Io desidero che la donzella che v a sposa si alzi e danzi, m en tre io suonerò il q o p u z ». C’era u n a donna di nom e Qisirga Y enge;6 le dissero: «Su, Qisirga H a tu n , alzati e danza; come può conoscerti il pazzo o z a n 6! ». Qisirga Y enge si alzò e disse: « Pazzo o z a n , sono io la fanciulla che v a sposa; suona il tuo q o p u z ed io ballerò! ». B eyrek sapeva che quella era Q isirga Y enge e parlò in poesia. V ediam o quel che disse: 1 Traduco a senso gan bagugin seguendo le osservazioni di A. I n a n in TJlhv, X III (1939), p. 360. Beyrek ha l’aria di canzonare e disprezzare la tenda. 2 Leggo uqgugazin. Vedasi il glossario qui in fine. 3 Nel testo oran da correggere in oturan. 4 Deve essere un modo di dire proverbiale, forse ironico e scherzoso. 5 Letteralmente: alcuni battè, altri fece fuori. 6 Qui so;:ra, p. 117: Qisirga Yinge.

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P a rte Seconda

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« Giuro che non ho m o n ta to gium enta 1 — N on sono m o n ta to e a n d a to in spedizione 2 — D ietro al passo 3 capi cam m ellieri ti guatano — Seguono le tu e tracce dom andando: in quale valle è andata? — G uardano sulla via dom andando: d a quale p a rte a rr i­ verà? — E dai loro occhi colano le lacrim e — T u v a d a loro adunque! — I l tu o desiderio essi lo soddisfano, sappilo bene! — Io non ho n u lla d a dire con te! — Si alzi la fanciulla che v a sposa — E danzi agitando le braccia! ». Qisirga Y enge disse: « Ohibò! pazzo della m alora! Il pazzo p arla come se m i avesse già veduto. Alla m alora! ». A ndò, si sedette al suo posto. Le mogli dei grandi h a n risero di gusto sotto i loro veli d ’oro. Y ’era u n a donna d e tta Bogazga F a tim a. [81] Le dissero: «A lzati donna, danza tu! ». E d essa: « M a questo m a tto funesto forse dirà anche a m e simili parole sconvenienti! ». E quelle: « P resen tan d o ti come ( d iy e ) sposa non v ’è (da tem ere) ». Le fecero vestire u n m a n ­ tello della sposa; venne e disse: « Suvvia, pazzo o z a n l sono io la fa n ­ ciulla che v a sposa! ». B eyrek disse: « Giuro che s ta v o lta 4 non ho m o n ta to gium enta! N on sono m o n tato e an d ato in sp ed izio n e.5 — Io ben ti conosco! D ietro al passo 6 è u n a piccola p ian u ra — Il nom e del vostro cane non è forse B araguq? — Il tuo nom e non è forse Bogazga F a tim a^ iq 7 dai q u a­ ra n ta am anti? — Va, siedi al tu o posto, non danzare! — Se no, ri­ velo i tu o i difetti, sappilo bene! — T en g a la ragazza che v a sposa e danzi! — Io non ho nulla d a dire con te! ». Bogazga F a tim a venne dicendo: « Ohibò! Escono fuori le cose nascoste al venire del pazzo o z a n l Egli tu rb a il nostro dolce convito, ci rinfaccia t u tti i no stri d ife tti e offende il nostro onore in su ltan ­ doci in mezzo alla gente! ». A ndò dalla sposa e le disse: « A lzati, sposa! (vedi) p er cagion tu a cosa ci è accaduto! Am ici e nem ici t u t t i hanno riso di noi. Ya, se vuoi ballare, balla, se non vuoi ballare, bru cia nel­ l ’inferno ». B ani Ciëek pensò: « E a m e cosa dirà? ». E quelle: « Che stai a pensare? Dopo B eyrek sapevi che questo ti sarebbe capitato! ».

qislr qisraq; vi è giuoco di parole con il nome di Qisirga. Nel testo qazavata. Nel ms. di Dresda (Kilisli, p. 62; Gokyay, p. 41) si legge qaravata che potrebbe essere per harabàt « taverna ». 3 Nel testo avgòz ardinda; avgòz: luogo di attesa, passo (della selvaggina). * bu gez bogaz giuoco di parole sul nome della donna: Bogazga. 5 qazavata come sopra. * avgòz ardi. 7 Diminutivo di Fatima. 1 2

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B orii H a tu n dall’a lta s ta tu ra disse: «A lzati, sposa, e danza, che puoi fare? ». B arn Òiòek si alzò, v estì il suo m antello, tirò le m ani en tro le m aniche [81v] p er non farsi v e d e re ;1 prese a danzare, dicendo « Suona, o z a n , sono io la sposa, danziam o! ». B eyrek disse: « Principessa! sei tu , è vero! — D opo che io a n d a i via di qui, avvenne te m p e s ta !2 — M olta neve candida cadde — A rrivò al ginocchio! — N ella casa della principessa non restarono schiave n è serve e la principessa, presa la brocca, andò con il freddo a ll’acqua! — L e sono gelate le dieci d ita delle mani! — P o rta te oro verm iglio, ch ’io possa ornare le sue m ani! — P o rta te argento, ch ’io possa o rn are le sue unghie! — È vergogna che u n a principessa v a d a d ifetto sam en te a nozze ». B an i Ciòek disse: « Olà, pazzo o z a n l P orse che io sono difettosa, che m i a ttrib u isc i difetto? ». Tirò fuori le m ani, rim boccò i bianchi polsi, a p p a rv e al dito l ’anello d ’oro che B eyrek le aveva dato. B eyrek, vedendo l’anello, lo riconobbe e disse: « Principessa! D a quando B eyrek andò via, sei salita di m a ttin o 3 sul colle, fanciulla? — O rie n ta n d o ti4 h ai gu ard ato dai q u a ttro lati, fanciulla? — Ti sei s tra p p a ti come canne i capelli neri, fanciulla? — H a i versato lacrim e am are dai tu o i occhi neri, fanciulla? — Ti sei lacerate con le unghie le guance rosee, fanciulla? — H a i chiesto notizie di B eyrek d a chi veniva e an dava, fanciulla? — H a i p ian to dicendo: oh m io a m a to B am si B eyrek, fanciulla? — Poiché t u v a i sposa, l’anello d ’oro che hai al dito è mio! D am m elo, fanciulla! — L a donzella disse: « D a quando p a rtì B eyrek m olto sono sa lita al m attin o 5 sul colle. — M olto m i sono s tra p p a ti come canne i capelli neri — M olto m i sono lacerate le guance rosee come m e la 6 — M olto ho chiesto notizia a chi veniva e a chi a n d a v a — M olto dagli occhi neri [82] ho v ersato lacrim e am are — M olto ho p ian to dicendo: mio am ato B am si B eyrek. — Il B am si B eyrek che io am ai non sei tu . L ’anello d ’oro non è tuo. N ell’anello vi sono m olti segni. Se vuoi l’anello, dim m i il segno ». A llora B eyrek disse:

Per non mostrare l’anello. II passo è oscuro. Cfr. il glossario qui in fondo alla voce delü. a barn bama. Porse barn persiano « mattino ». 4 alari dutub. ' barn barn. e Nel ms. di Dresda «come mela d’autunno». 1 2

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P a rte Seconda

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« Principessa! non m i alzai io di buon m attino? 1 N on m o n tai sul mio cavallo grigio? — N on uccisi u n cervo d a v a n ti al tu o p a d i­ glione? — N on m i chiam asti tu vicino a te? — Nel tu o cam po non abbiam o noi corso? — E non superò il mio cavallo il tu o cavallo? — T irando d ’arco, la m ia freccia non sopravanzo la tua? — N ella lo tta non t i vinsi io? — E tre vo lte di baciai, u n a ti m orsicai? — N on ti misi l’anello al dito? — N on sono io il B am si B eyrek che tu am asti? ». L a donzella subito lo riconobbe, cadde ai piedi di H à n B eyrek. Anche le donne riconobbero B eyrek e ognuna andò d a u n Beg a p o rta re la lieta novella. Le donzelle posero m an ti sulle spalle di B ey­ rek. T osto B ani óiòek balzò su u n cavallo, andò a p o rta re il lieto annunzio al p ad re e alla m adre di B eyrek. A ppena a rriv a ta , disse a l suocero e alla suocera: « Il tu o scuro m onte dai m olti fianchi 2 era crollato, — N u o v a ­ m ente si è alzato! — Le tu e acque rosse 3 si erano disseccate, — N uo­ vam ente si sono inum idite! — Il tu o cavallo (veloce come) falco era d iv en tato vecchio, — N uovam ente h a d a to u n puledro! — Il tu o rosso cam m ello era d iv en ta to vecchio, — N uovam ente h a d a to un caramellino! — Negli ovili la tu a pecora era d iv e n ta ta vecchia, — N u ovam ente h a dato un agnello! [82v] F in alm en te tu o figlio, desi­ derio di sedici anni, è tornato! Che m i date, suocero e suocera, come prem io della buona novella? ». I l p ad re e la m adre di H à n B eyrek dissero: « Ch’io m uoia p er la tu a lingua, sia olocausto per la tu a testa , m ia cara sposa! — Se m ai fossero bugiarde queste tu e parole, diventino Arare, m ia cara sposa! — Se la tu a notizia è vera, lo scuro m onte che sta d a v a n ti sia tu o pascolo estivo, m ia cara sposa! — Le fresche acque ti siano b evanda, m ia cara sposa! — I cavalli (veloci come) falchi ti siano cavalcatura, m ia ca ra sposa! — I cam m elli in lunghe schiere ti servan d a carico, m ia cara sposa! — I m iei schiavi e le m ie schiave t i siano servitori, m ia cara sposa! — L a m ia grande te n d a bianca ti sia om bra, m ia cara sposa! — L a m ia p o vera te s ta ti sia olocausto, m ia cara sposa! ». In ta n to i Beg, che sentiron (la notizia), si riunirono in to rn o a B eyrek. P oi i Beg e i H à n accom pagnarono B eyrek da suo p a d re e Q azan Beg disse: « B uona novella, Beg! Tuo figlio è to rn a to ». Gli occhi di B ay B ure erano d iv e n ta ti ciechi per il piangere d a quando B eyrek era p a rtito . B a y B tire Beg disse: « Ch’egli è mio figlio B eyrek

alan sabàh. 2 argab argab. 2 qanlw « di sangue ». 1

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10 lo saprò d a questo: faccia sanguinare il suo dito; m acchiate il fazzoletto [con il suo sangue] e strofinate i m iei occhi. Se si apriranno, è [di] B eyrek ». B eyrek fece così, strofinò gli occhi del padre; i suoi occhi si apriroùo. Il p ad re e la m ad re gridando caddero ai piedi del figlio. I l p a d re 1 disse: « Figlio, d a quando tu p a rtisti, il lu tto (S iv e n ) en trò nella n o stra casa dalla finestra d ’oro, [83] le m ie figlie e le m ie spose sim ili a cigno 2 si tolsero gli a b iti bianchi, vestirono di nero ». P iansero, gem ettero, dicendo: « Figlio m io, luce dei m iei occhi ». R ingraziarono Iddio O nnipotente, fecero sacrifici di cavalli, camm elli, ovini, bovini, affrancarono m olti schiavi e schiave. Y alanguq figlio di Y alangi, a v u ta notizia, fuggì per tim ore di B eyrek, si g ettò nel c a n n e to .34B eyrek lo inseguì, appiccò il fuoco a quel canneto. Y alanguq figlio di Y alangi, visto che bruciava, uscì, cadde ai piedi di B eyrek, passò so tto la sua spada; B eyrek perdonò la sua colpa. Q azan disse a B eyrek: « O ra consegui il tu o desiderio! ». * B eyrek rispose: « Mio signore Q azan, non p otrò conseguire il mio desiderio fin che non a b b ia preso il castello e liberato i m iei com ­ pagni ». S ubito Q azan B eg diede u n grido: « I n onore di B eyrek, i B eg e i cavalieri che m i am ano salgano a cavallo! ». I Beg dei forti Oguz si gettaro n o a cavallo e avanzarono dicendo: «A l castello di B ay b u rt! ». 5 Le spie degl’infedeli arrivarono a d a r notizia, anche il principe 6 (loro) rad u n ò i suoi soldati e venne contro. I valorosi Oguz fecero l ’abluzione [rituale] ( d b d e s t) con acqua p u ra, com pirono la preghiera di due prostrazioni (n k ‘a t ), salirono a cavallo, invocarono 11 saluto divino su M aom etto dal bel nom e, sguainarono le spade elevarono il grido « Dio è G rande » e spronarono i cavalli sugli in ­ fedeli. Suonarono le nacchere, squillarono le trom be; gli uom ini di fegato avanzarono, i p oltroni si m isero in disparte; i s e rv e n ti7 si se­ pararono dai Beg, [83] i Beg dai serventi; successe u n finimondo! Il cam po si riem pì di teste. Q azan B ey uccise con la spada sette p rin ­ cipi infedeli; a b b a ttè Sòkli Melik e gli tagliò la testa. D u n d a r a b b a ttè Q ara T ektìr Melik e gli tagliò la testa . Q ara B udaq a b b a ttè Q ara A slan M elik e gli tagliò la testa . B eyrek e Y igenek colpirono con la

Nel testo ana, ma il senso richiede aia. Il ms. dresdense è qui un po’ diverso. Nel testo vat. qara «a neve» nel dresdense qaza («a oca»), Nel testo tana (dana) sazi. Cioè: celebra le nozze! Nel testo è l’espressione curiosa « Castello di Bayburt, dove sei? » (Bay­ burt hisàri qanda-sinl). Analoga di ione si tiova anche nel Battàlnàme. 6 tekiir. 7 nòker. 1 2 3 4 5

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sp ad a il p o rtasten d ard o dell’infedele; lo gettarono a terra. I Beg si riunirono e, Q azan H à n in testa , avanzarono verso il castello. B eyrek arrivò dai suoi q u a ra n ta cavalieri, li trovò salvi, ringraziò Dio; a b ­ b attero n o le chiese, fabbricarono al loro posto m oschee, fecero re ­ citare il b a n , 1 com pirono la preghiera. P o rta ro n fuori e diedero come « quinto » 2 a B ayindir H à n i falchi migliori, il meglio delle stoife, le più belle fanciulle. B eyrek fece il co n tra tto m atrim oniale con la figlia del Melik; 3 la prese e tornò indietro. A rriv ato alla grossa sua te n d a bianca e al bianco padiglione, diede inizio alla festa nuziale. A d alcuni di quei q u a ra n ta cavalieri Q azan B eg diede la sposa, ad a ltri la diede B a y in ­ d ir H àn. Anche B eyrek diede a sette cavalieri le sue sette sorelle; p ian tò padiglioni in q u a ra n ta luoghi e scoccò q u a ra n ta frecce per l’assegnazione a sorte di q u a ra n ta spose. I cavalieri seguirono la freccia. P e r q u a ra n ta giorni e q u a ra n ta n o tti si fece festa. B eyrek e i suoi cavalieri in quelle n o tti conseguirono il loro desiderio. D ede Q orqut fece il racconto, parlò in poesia, suonò il q o p u z , fece allegria e disse questo O g u z n à m e . [V ediam o] quello che disse: « [D ove sono] quei valorosi, ch’io lodo, che dicevano: il m ondo è mio? Li h a presi il term ine, la te rra li h a nascosti. [84] A chi m ai è rim asto il m ondo caduco? L a fine estrem a del m ondo che viene e v a è il m ondo m ortale. Faccio v o ti, signor mio, che gli scuri tu o i m onti te rre stri non crollino, le tu e grosse p ian te om brose non siano recise, tu o p ad re dalla b arb a bian ca ab b ia sede in paradiso (u c m a q ), tu a m adre dalle trecce bianche abbia sede in paradiso (g e n n e t). [Dio] non ti separi d a figlio e da fratello, alla fine non ti stacchi d alla (vera) fede e dal Corano. Coloro che dicono «am en, am en », vedano la visione [beatifica di Dio]. Dio perdoni i vo stri peccati per riguardo all’a ­ mico [di Dio, M aom etto] ». [Π ] Racconto del saccheggio della casa di Salur Qazan U n giorno H à n Qazan, figlio di Ula§, leone degli eroi, pupillo dell’uccello pium ato, 4 speranza di noi poverelli, leone della stirpe di À m it, tigre del Q araguq, padrone del cavallo sauro ( q o n u r ), padre

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baifi, invito alla preghiera dei Musulmani (pe.siano bang). pencik, il «quinto [del bottino]». II signore del castello di Bayburt. Si veda a p. 47.

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Traduzione dei dodici racconti del libro di Dede Q orqut

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di H à n U ruz, genero di B ayindir H àn, signore dei forti Oguz, so­ stegno dei sup erstiti cavalieri, si e ra levato, aveva fa tto erigere n o ­ v a n ta grosse tende. I n n o v a n ta luoghi erano s ta ti stesi variopinti serici tap p e ti; in o tta n ta luoghi erano s ta ti po sti grossi recipienti; erano s ta te collocate in ordine anfore d ’oro; nove ragazze d ’infedeli dagli occhi neri, di belle form e, dai capelli in trecciati all’indietro, dal seno ornato di b o tto n i rossi, dalle m an i colorate di h e n n a (q ln a ) d al polso in giù, facevano bere i Beg degli Oguz offrendo loro le coppe. hTel bere, il vino m ontò alla te s ta di Q azan, figlio di UlaS; si piegò sulle grosse ginocchia e disse: « Com prendete la m ia voce, ascoltate la m ia parola, o Beg! P e r il troppo s ta r sd raiati il nostro fianco si è ap p esantito, per il troppo s ta r ferm i [84v] i n o stri lom bi si sono afflo­ sciati; m oviam oci, Beg, andiam o a cacciare, a falconare, a b b a ttia m o la selvaggina, (poi) torniam o e veniam o al nostro padiglione, m a n ­ giam o e beviam o e passiam ocela in divertim enti! ». U ruz Qoga dalla bocca di cavallo si piegò sulle ginocchia e disse: « F ratello maggiore Qazan! sta bene! M a tu stai al confine della Georgia di infida reli­ gione; chi m e tti a capo del tu o accam pam ento ( o r d u ) ì ». Q azan ri­ spose: « M etto mio figlio U ruz con trecento cavalieri ». S ubito (Qazan) fece venire il suo cavallo sauro e vi m ontò sopra. A ccanto a lui m ontarono a cavallo i Beg dei forti Oguz. 1 Q azan salì a caccia con il suo esercito sull 'A la d a g . O rbene la spia degli infedeli spiò, andò da Sokli Melik a p o rta r notizia; settem ila infedeli scuri su cavalli s tria ti fecero incursione; n o ttetem p o vennero sull’accam ­ pam ento di Qazan. Gl’infedeli assalirono le sue tende dorate, fecero stre p ita re le sue fighe e le sue spose, m ontarono sui suoi cavalli (veloci come) falchi a schiere a schiere, spinsero i suoi cam m elli a file a file, predarono il greve tesoro, fecero prigioniera insiem e con q u a ra n ta fini donzelle Borii H a tu n dalla lunga sta tu ra . (Anche) la vecchia m adre di Q azan Beg andò via appesa al collo di u n cammello. U ruz Beg, figlio di H à n Qazan, insiem e con q u a ra n ta cavalieri andò

1 Nel ms. di Dresda (Kilisli, p. 22) (Gòkyay, p. 13) questo inizio di capoverso è più ampio: « Qazan fece venire il suo cavallo sauro e vi balzò sopra. Dundar montò sul suo cavallo Tôpel Qasga; Qara Gline, fratello di Qazan, fece portare il suo cavallo bedevi celeste e vi montò sopra; Ser Semsüddïn, colui che scon­ fìsse i nemici di Bayindìr Hàn, fece portare il suo cavallo bedevi bianco e vi montò sopra; Beyrek, colui che fuggì dal castello di Bayburd di Parasar, montò sul suo destriero grigio (boz)·, Yigenek, colui che chiamava kesls Qazan dal cavallo sauro, montò sul suo destriero baio. A contarli [i Beg degli Oguz], l’e­ numerazione non si esaurisce. I Beg dei forti Oguz montarono a cavallo. L’eser­ cito variopinto salì a caccia sull’Aladag... ».

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P a rte Seconda

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via, legato le m ani e il collo. Sari Qulmaâ, figlio di E ylik, fu ucciso sulla ten d a di Q azan Beg. Q azan era ignaro di questi fa tti. Il té k ü r 1 disse: « (Miei) capi! A Q azan è a ccad u ta u n a s tra n a faccenda! Gli abbiam o preso i suoi beni, la casa il figlio, le figlie e la vecchia m adre dai capelli in tre c ­ ciati! ». [85] U no degli infedeli disse: «A Qazan è rim asto ancora un (possibile) danno ». Sokli Melik disse: « Q ual’è? ». L ’infedele disse: « Al passo di Q apuli Q ara D ervend vi sono diecim ila ovini di Qazan. Se prendessim o quegli ovini, Q azan ne avrebbe gran danno ». Sokli Melik tosto ordinò che seicento infedeli andassero a p o rta r v ia quegli ovini. Seicento infedeli furono scelti e andarono dagli ovini. N ella no tte, m e n tr’era a letto , Q aragiq Coban [ = il p a s to r e ] 2 ebbe u n sogno m olto triste. S p av en tato si alzò; prese vicino a sè i due fra ­ telli Q iyan Gügi e D em iir E kigi, fortificò la p o rta dell’ovile, am m uc­ chiò in tre luoghi pietre come colline, im pugnò la sua fionda ( s a p a n ) dall’im p u g n atu ra colorata. D ’im provviso penetrarono seicento in ­ fedeli. G l’infedeli dissero: « O pastore tris te nella n o tte buia! — O pastore che accende il fuoco m en tre cade neve e pioggia! — Pastore! noi abbiam o incendiato le ten d e dalle finestre d ’oro di Q azan — A bbiam o m o ntato i suoi cavalli a schiere a schiere — A bbiam o spinto i suoi cam m elli a file a file — A bbiam o p o rta to v ia la sua vecchia m adre — A bbiam o fa tto prigioniera (sua moglie) BorH H a tu n dalla lunga sta tu ra e suo figlio U ruz, fru tto del suo cuore! — Pastore! vieni qui d a vicino o d a lontano, china il capo, m e tti la m ano al p e tto , facci il saluto, non ti ucciderem o, ti accom pagnerem o d a Sokli Melik, ti darem o u n a signoria ». Il pastore disse: « N on dire sciocchezze, o cane infedele! — T u che bevi in u n a stessa scodella con il mio cane la m ia brodaglia, rabbioso infedele! — A che v a n ti il cavallo screziato che t i sta sotto? — N on vale per m e il mio caprone dalla te sta screziata, — A che v a n ti il tu o elmo [85v] che ti s ta in capo, cane infedele? — N on vale per m e il mio b e rre tto da notte! — A che v a n ti la tu a lancia, m aledetto infedele? — N on vale per m e il mio bastone! — A che v a n ti le tu e frecce,3 cane d ’infedele? — N on valgono per m e la m ia fionda dall’im p u g n atu ra colorata ». A ppena udito questo, gl’infedeli spronarono i cavalli, scoccarono le frecce. Q aragiq Coban, drago dei guerrieri (e r e n le r e v r e n i) , pose nel cavo della sua fionda le pietre e tirò, uccise q u a ttro o cinque in ­ Principe cristiano. Qui qarigiq coban, in seguito qaragiq coban. Nel ms. dresdense (Gokyay, p. 1515) «le novanta frecce che hai nel tu r­ casso ». 1 2 3

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fedeli. Cadde p a u ra tr a gl’infedeli; uccise con le pietre della fionda trecento infedeli. I suoi fratelli restarono uccisi sul posto. Le pietre del vecchio p asto re si esaurirono; m e tte v a nel cavo della fionda, alla rinfusa, pecore e capre e tira v a , uccideva q u a ttro o cinque infe­ deli alla vo lta. L ’occhio degli infedeli si spaventò, il m ondo p arv e loro angusto. Dissero: « Questo m aledetto p asto re ci am m azzerà tu tti! » e fuggirono. Q aragiq Cohan diede sepoltura ai due fratelli uccisi, am m ucchiò u n a m ontagna di cadaveri degli infedeli. E gli stesso era ferito in u n a o due p a rti; accese il fuoco, lo lasciò «ardere, lo fece c a r­ bonizzare, se l ’applicò alla ferita. P o i si pose a sedere a lato della via, pianse e gem ette. Diceva: « Q azan Beg! sei m orto o sei vivo! H ai notizia di questi fatti? ». I n ta n to Q azan Beg, stando a giacere di n o tte , ebbe u n a triste visione; si svegliò e disse: « Miei Beg! H o fa tto u n b ru tto sogno: “ Il mio falco (s à h l n ) che giuocava nel mio pugno m orì. I n cielo vidi il fulm ine scoppiare sulla m ia te n d a bianca. Vidi u n a spessa nebbia ( p u s a r ì q ) nera calare sul mio accam pam ento (o r d u ), [86] vidi u n nero cam m ello afferrarm i alla nuca, vidi i m iei capelb neri come canne allungarsi, vidi le m ie dieci d ita dal polso in giù insanguinate; dopo che vidi questo sogno, non po tei più dorm ire, non potei più ra c ­ capezzarm i». [Q uindi] disse al fratello: « In te rp re ta questo mio sogno! » [Il fratello] Q ara Gùne disse: « F ratello! la nube n era di cui p a r­ lasti è la tu a signoria; la neve e la pioggia di cui p a rla sti è il tu o eser­ cito. I capelb significano tristezza, il sangue sventura. I l resto non lo posso in terp retare, lo in te rp re ti Iddio in bene ». A llora Q azan disse: « N on spiantare la m ia ten d a, non sciogbere il mio esercito, fratello! Oggi io forzo il [mio] cavallo sauro: fa in u n giorno il viaggio di tre giorni; p rim a del m ezzodì arrivo al mio accam pam ento (y u r d ); se è salvo e in ta tto , prim a di sera torno ». Salì sul suo cavabo sauro, lo spronò, si m ise in via. Y a e va, Q azan arrivò al suo accam pam ento, vide che nell’accam pam ento erano rim a sti [solo] i corvi volanti, erano rim a sti i cani vaganti. A llora Q azan B eg dom andò notizia al suo accam pam ento. Ve­ diam o cosa disse: « O m io accam pam ento cin tato della [m ia] gente e della [m ia] tr i b ù ! 1 — O mio accam pam ento che h a per vicini onagri e vacche selvatiche! —- O mio accam pam ento discosto ( s a p a ) dall’infedele dai cavalb screziati! — O mio bel accam pam ento, d a dove ti hanno assa­ lito gl’infedeb? — È rim asto [il sito] del mio accam pam ento ove era e re tta la m ia te n d a bianca — È rim asto b luogo dove sedeva la 1

Leggo qavum qabla beniim qama yurdum.

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P a rte Seconda

m ia vecchia m adre — È rim asto il bersaglio al quale mio figlio TJruz tira v a le frecce — È rim asto il focolare nel sito della scura cu­ cina! ». Vedendo quello sta to , gli occhi neri di Q azan si riem pirono di lacrim e di sangue; [86v] le sue vene ribollirono, il suo p e tto tris te sussultò, il suo cuore trem ò. Pece avanzare il suo cavallo sauro e si avviò dove erano a n d a ti gl’infedeli. D a v a n ti a Q azan capitò del­ l ’acqua. Q azan disse (tra sè): « L ’acqua h a ved u to la visione d i D i o .1 D om anderò notizie a q u est’acqua ». Vediam o quel che disse: «A cqua, che sgorghi m orm orando dalle ru p i — A cqua che fai ondeggiare le grandi nav i — A cqua che [fosti] lo struggente deside­ rio di H usein 2 — A cqua, [che sei la] dote 3 di ‘Â ’iSa e di F a tim a — A cqua nel cui seno sostano le pecore bianche! — D am m i notizia del mio accam pam ento — Se no t i m ando ora u n a m aledizione » .4 M a l ’acqua non può dare notizia; passò oltre, andò. P e r v ia in ­ contrò il « signore » lupo. 5 Q azan B eg dom andò notizia a l signore lupo. 6 Disse: « Lupo, p er il quale il giorno nasce quando vien la sera buia, — Che ti alzi come guerriero m en tre cade la neve e la pioggia, — Che agiti la coda al vedere la bian ca pecora, — L a cui voce fa stre p ita re i grossi cani, — Che fuggi dopo aver preso il grasso m ontone, — Che divori avidam ente agitando la coda color sangue, — Che fai p assar veloce la n o tte ai p asto ri m u n iti di acciarino — Lupo grigio d al dorso spelato, suvvia! — D am m i n o tizia del mio accam pam ento! — Se no, t i m ando ora im a m aledizione ». M a dal lupo non venne notizia. Passò oltre e andò. P e r v ia vide il cane di Q aragiq Coban. Q azan B eg dom andò notizia anche a lui:

1 Porse si accenna alla Creazione oppure si allude al fatto che le acque ri­ flettono il cielo. * al-Hasan figlio di ‘Ali e di Pàtima e quindi nipote del Profeta Maometto morì d’idropisia a Medina. Suo fratello al-Husain morì di sete nel deserto di Kerbela assalito dalle truppe del califfo di Damasco (680 d. Cr.). 3 Nel vaticano nigàh « sguardo, figura »; sembra migliore la lezione nikàh, del ms. di Dresda (Gokyay, p. 16) poiché l’arabo nikàh « matrimonio » in turco ha anche il senso di « dote matrimoniale ». Per l’acqua considerata come « dote » di Fatima, figlia di Maometto cfr. H. M assé , Croyances et coutumes persanes, Paris, 1938, I, p. 225. 4 Le domande in versi di Qazan all’acqua, al lupo, al cane sono alquanto diverse nel ms. di Dresda; tra l’altro non terminano con la minaccia di male­ dizione. 5 beg qurt. 6 Nel ms. di Dresda (Gokyay, p. 16) segue questa frase: qurt yiizi miibarekdiir « il volto del lupo è benedetto ». Vedasi sopra, p. 46.

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« [Cane], che gridi abbaiando quando si fa sera — Ohe bevi a v i­ d am en te l ’am aro siero ( a y r c m ) nella scodella — Che fai strep ito la n o tte quando viene il ladro — Se h ai n o tizia del mio accam pam ento, dam m ela! — Se no, cane, t i m ando ora u n a m aledizione ». M a u n cane come può d are notizia? I l cane venne, si rannicchiò ai piedi del cavallo di Q azan Beg. Q azan Beg si adirò con il cane, lo b a ttè . I l cane guai e andò p er la v ia ond’era ven u to . Q azan andò dietro al cane; v a e va, arrivò d a Q araguq Coban. V edendo Q a ra ­ guq Coban, Q azan gli chiese notizia. V ediam o, signor m io, cosa disse: « P asto re, che sei triste quando si fa sera — [87] P asto re, che accendi il fuoco sotto la neve e sotto la pioggia — C om prendi la m ia voce, ascolta la m ia parola! — L ’infedele ( g à v u r ) tristo dai cavalli screziati h a saccheggiato il mio accam pam ento. È passato di qui? l ’hai tu veduto? ». I l p asto re disse: « E ri forse m orto? E ri forse finito, o fra tei mio m aggiore (a g a m ) Qazan? L a tu a forza è scem ata, la tu a signoria è cad u ta, la tu a te s ta è assalita d a tris ti affanni! D ove eri andato? L ’infedele tris to dai cavalli screziati h a saccheggiato la tu a te n d a dal te tto bianco, h a fa tto prigioniera B orii H a tu n dalla lunga s ta tu ra , h a fa tto prigioniero tu o figlio U ruz, brano del tu o fegato, fru tto della tu a esistenza; l’infedele h a m o n ta to a schiere a schiere i tu o i cavalli, l’infedele h a spinto i tuoi cam m elli a file a file, l ’infedele h a preso l ’a b b o n d a n te tu o tesoro, è passato di qui ieri sera ( d iin e g iin ) . Io ho v ed u to la vecchia tu a m adre dai capelli in trecciati appesa al collo d i u n cam m ello, ho veduto B orii H a tu n dalla lu n g a s ta tu ra andare a piedi piangendo d a v a n ti agli infedeli, ho v ed u to tu o figlio U ruz, bella luce tr a i principi, legato il collo, prigioniero in m ano degli infedeli ». Allorché il p asto re ebbe d e tto questo, Q azan gettò u n grido, uscì di senno, il m ondo diventò angusto al suo capo. Disse: « Si secchi la tu a bocca, pastore! — V ad a in putrefazione la tu a lingua, pastore! ». I l p asto re disse: « A che ti adiri, fra tei mio m aggiore Qazan? A nche contro di m e sono v e n u ti seicento infedeli; i m iei due fratelli sono c a d u ti uccisi; io ho am m azzato trecen to infedeli, non ho d ato u n a delle tu e pecore agl’infedeli. Sono sta to ferito in tre p a rti. È questa forse la colpa m ia verso di te? ». [In o ltre] disse il pastore: « F ra te i mio m aggiore Qazan! D à a m e il tu o cavallo sauro, d à a m e la tu a sp ad a di bruno acciaio; io andrò, libererò la tu a casa dagl’infedeli ». 1 1 II me. di Dresda (G-okyay, p. 18) di questo capoverso è più ampio: [Inol­ tre] disse il pastore:

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Parte Seconda

Q ueste parole del p astore suonarono m oleste a Q azan, che prese subito a an d are a v a n ti. I l p a sto re corse dietro a Q azan. [87v] Q azan disse: « Figlio mio, pastore, dove (q a n d a ) vai? ». I l p asto re rispose: « T u v ai a riprendere la tu a casa; an c h ’io vado a vendicare il sangue dei m iei fratelli ». Q azan disse: « P asto re, ho fam e. N on h ai nulla ch’io m angi? ». Rispose (il pastore): «H o fa tto cuocere u n agnello; è pronto, favorite! ». Q azan m angiò l ’agnello insiem e con il pastore, poi pensò: « Se ora 10 andassi contro gl’infedeli in com pagnia del pastore, potrebbero dire che se non fossi an d a to con il p asto re non avrei preso gl’infedeli ». Così, preso da gelosia, legò il p astore a u n grosso albero; quindi salì sul suo cavallo e p a rtì. I l pastore gridava dicendo: « F ra te i mio m aggiore Qazan! che farai di me? ». Q azan rispose: « V ado a liberare la m ia casa, poi verrò e t i libererò ». Il p astore disse fra sè: « P rim a che tu ab b ia fam e e che le tu e forze se ne vadano, svelli q u est’albero; se no, i lupi ti m unge­ ranno qui ». Fece uno sforzo, svelse l ’albero con la sua radice, se lo m ise sulla spalla, quindi corse dietro a Qazan. Q azan guardò, vide che il p astore veniva p o rtandosi l’albero sulla spalla. Gli disse: « Che ne farai, pastore, di q u est’albero? ». Il p a sto re rispose: « F ra te i m io m aggiore Qazan! T u com b atterai gl’in ­ fedeli e ti v errà fam e; allora io con questo albero ti cuocerò il cibo ». (Q ueste parole) piacquero a Q azan, scese d a cavallo, baciò in fronte 11 p asto re e disse: « Se Dio m i concederà la m ia casa, ti farò capo stalliere ( a m lr - a h o r b a s i)» . E n tra m b i insiem e si m isero in viaggio e andarono. In ta n to Sòkli Melik insiem e con i capi infedeli sta v a a m angiare e bere e diceva: « Miei capi, sapete quale affronto [88] conviene fare a Qazan? Bisogna far venire la moglie di Q azan, B orii H a tu n dalla lunga sta tu ra , e obbligarla a porgere la coppa ». Borii H a tu n sta v a allora prigioniera in u n a te n d a insiem e con q u a ra n ta donzelle e suo figlio U ruz. Borii H a tu n u d ì quelle parole e le venne il fuoco nel cuore e nel seno; entrò dalle q u a ra n ta fini donzelle e le av v e rtì dicendo: « Se si avvicinano a qualsiasi di voi e dom andano: “ Sei t u la m oglie di Q azan?” , tu tte q u a ra n ta insiem e gridate: “ Sono io” ». T en n e (infatti) u n uom o da

« Dammi il tuo cavallo sauro! — Dammi la tua lancia di sessanta lutami. — Dammi il tuo scudo variopinto! — Dammi la tua spada di bruno acciaio — Dammi le tue ottanta frecce dal tuo turcasso! — Dammi il tuo forte arco dalla bianca impugnatura! — Io andrò contro l’infedele. Di nuovo rinascerò e ucci­ derò! — Mi asciugherò il sangue dalla fronte con la mia manica! — Se morrò, morrò per te! — Se Dio Altissimo concederà, salverò io la tua casa! ».

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p a rte di Sòkli Melik e dom andò: « Chi di voi è la moglie di Q azan Beg? ». D a q u a ra n tu n o venne la voce: « N on sappiam o chi sia ». G l’infedeli inform arono il te k ü r dicendo: « Ci siam o avv icin ati a u n a di loro e d a q u a ra n tu n a p a rti venne la voce: “ N on sappiam o chi sia” ». A llora il m aledetto disse: « Suvvia, an d ate, p ren d ete il figlio di Q azan, U ruz, im piccatelo all’uncino, della sua bianca carne fate q a v u r m a 1 a pezzi; m ette te la d a v a n ti alle q u a ra n ta 1 2 donne; chi ne m ungerà non è lei; chi non ne m ungerà è lei ». B orii H a tu n dalla lunga s ta tu ra udì ciò, andò presso suo figlio, lo chiam ò e gli disse in poesia, Vediam o, signor mio, quel che disse: « Figlio, mio Beg! — Figlio, occhio mio! — Figlio, sostegno della n o stra ten d a dalla finestra d ’oro! — Figlio, fiore delle m ie spose e delle m ie figlie simili a cigno (q a z )l — Figlio, che p o rta i nove mesi nell’angusto mio seno! — Che m isi al m ondo dopo nove m e si.3 — Figlio, cui ho fa tto succhiare il mio bianco la tte , cullando nella culla! — N on sai, figlio, quello che sta accadendo? — O ra gl’infedeli [88v] si sono m alvagiam ente consultati e (il capo) h a detto: “ Im p iccate U ruz, figlio di Q azan, a ll’uncino, fate della sua bianca carne pezzi di q a v u r m a , m ette te la d a v a n ti alle q u a ra n tu n a donne; chi non ne m angerà sappiate che quella è la moglie di Qazan; tira te la , p o rta te la al mio giaciglio, le farò porgere la coppa. O ra che dici tu , figlio? D ovrò io m angiare ( y i y e y i n - m i ) della tu a carne ovvero dovrò e n tra re nel giaciglio del­ l’infedele di sporca religione? D ovrò io m acchiare l ’onore di tuo pad re Q azan Beg, figlio mio? ». A nche U ruz parlò in poesia: « Vieni, signora m adre m ia di cui succhiai il bianco la tte — O m adre m ia, cara anim a m ia, dalle trecce bianche — Lascia, o si­ gnora m adre m ia, che m i im picchino all’uncino, — G u ard ati dal venirm i appresso e dal piangere dicendo: figlio mio! — Lascia che dalla m ia carne estraggano e facciano n era q a v u r m a — L a p o rtino dav an ti alle q u a ra n ta donzelle — B quando esse ne m angino u u brano tu m angiane due — Sì che gl’infedeli di m ala religione non ti rico­ noscano — I n m odo che tu non debba an d are al giaciglio dell’infe­ dele di m ala religione — E non sia obbligata a porgere la coppa — E non offenda l’onore del p a d re mio ( a g a m ) Q azan — G uardati! ». Così dicendo, pianse diro ttam en te; le sue lagrim e sgorgavano a fiotti.

Carne abbrustolita. Sic'. Più sotto correttamente: quarantuno. On ay diyinge, cioè « quando si diceva dieci mesi », vale a dire dopo com pinti i nove mesi. 1 2 3

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Parte Seconda

Borii H a tu n dalla lunga s ta tu ra si b u ttò a d abbracciare suo figlio, si lacerò le guance rosee, si strapp ò i neri capellli, pianse e si lam entò dicendo: « figlio, figlio! » U ruz disse: « A che piangi, signora m ia m adre? — A che gem i m ette n d o ti di fro n te a me? — A che b ru ci il mio cuore e il mio petto? — P erchè m i ricordi i m iei giorni passati? — O h m adre! N el luogo ove sono 1 cavalli arab i [89] non v i sono forse i loro puledri? — L à dove sono cam m elli — N on v i sono forse anche i loro giovani cammelli? — L à dove sono pecore — N on vi sono forse anche i loro piccoli agnelli? — T u sii salva, m io p a d re sia salvo! — N on si può forse tro v a re u n figlio come me? ». M en tr’egli così diceva, la m adre, non potendo più sopportare, si m ise a piangere, cam m inò in fre tta e andò e sed ette con le q u a ­ r a n ta donzelle. Gl’infedeli p ortarono suo figlio in fondo al m acello. H à n U ruz disse: « Mercè, infedeli, mercè! N on v ’è dubbio sulla u n ità d i D io ! 2 L asciate ch’io p arli con la grossa p ia n ta ». U ruz gridando parlò in poesia alla pian ta: « P ian ta! non vergognarti se ti chiam o pianta! — P ia n ta , [che sei] p o rta della Mecca e di M edina! — P ia n ta , [che fosti] culla di Husein. — Mi vogliono im piccare a te, non reggerm i, pianta! — Se m i reg­ gerai, cada su di t e . [il peso del] mio valore, o pianta! 3 — A ddio, m iei cavalli legati schiera a schiera! — A ddio, m iei com pagni che (mi) custodivano come fratelli! — Addio, m iei falchi p a lp ita n ti nel mio 1 Leggendo òlen invece di olan bisognerebbe intendere « ove muoiono... » e così avanti. 2 Formula, cfr. p. 75. 3 Questo capoverso è più ampio nel ms. di Dresda (Kilisli, p. 32; Gokyay, p. 2 1 ): « Pianta, non vergonarti se ti chiamo pianta! — Pianta, [che sei] porta della Mecca e di Medina! — Pianta [che fosti] la verga di Mosè il Parlante [con Dio]! — Pianta, [che sei] ponte sulle acque immense! — Pianta, [che sei] nave dei nerissimi mari! — Pianta, [che fosti] sella del [cavallo] Düldül di ‘Ali re dei valorosi! ·—· Pianta [che fosti] fodero e impugnatura della [spada di ‘Ali detta] Zülflqâr! —· Pianta [che fosti culla] di Hasan e di Hiìsein! — Pianta [che sei bara], terrore sia dell’uomo sia della donna! —· Pianta che a guardarti alla testa sei senza testa. — Pianta che a guardarti al fondo sei senza fondo. — Mi vogliono appiccare a te, non reggermi pianta. — Se mi reggessi, [il peso del mio] valore cada su di te, o pianta! — Nel mio paese, o pianta. — Darei ordine ai miei servi negri indù, — Ti farebbero a pezzi, pianta »! Poi disse: [il seguito è all’incirca come nel ms. vaticano]. Una invocazione molto simile al legno o alla pianta (agno), culla di Hasan e Husein, in una poesia popolare dello sciita P!r Sultan Abdâl (inizio sec. χνι), è citata da N. S. Banarli in Tiirk Edebiyati Tarihi (circa 1947), p. 176.

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Traduzione dei dodici racconti del libro di Dede Qorqut

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pugno! — A ddio, mio levriero, p ro n to a gherm ire! — A ddio, m ia esistenza! non m i sono saziato di signoria! — Addio, m ia vita! non m i sono saziato di gioventù! ». Così dicendo, levando il viso a Dio, invocò intercessore M aom etto dal bel nom e e pianse. I n quel m om ento arrivarono Q azan Beg e Q aragiq Coban. Il p astore aveva la fionda di pelle di bue {d a n a i) di sei 12 anni; i bracci della fionda erano (fatti) di pelo di tre capre; [89v] il fondo di lancio della fionda era (fatto) con il pelo di u n a capra; ad ogni lancio tira v a p ietre del peso di due b a tm a n ; 2 p er tre an n i { ü ë y U a - d a q ) non cre­ sceva erb a nel luogo ove cadeva la p ietra. A dunque Q aragiq Òoban, vedendo l’accam pam ento degli infedeli, non seppe tra tte n e rs i e fece scoccare la fionda. A gl’infedeli, udendo (ciò), diventò angusto il m ondo. Q azan disse: « Ehi! pastore! ab b i pazienza! io voglio chiedere, agli infedeli m ia m adre, che non re sti sotto le gam be dei cavalli! ». L a gam ba del cavallo è celere, la lingua dell 'o z a n è veloce. Q azan dom andò agl’infedeli sua m adre. V ediam o quel che disse; « Ehi! Soldi Melik! tu h ai p o rta to v ia le m ie ten d e dalle finestre d ’oro. E estino a te, (ti) siano om bra! — H a i preso il m io pesante tesoro; ti serva di spesa! — B orii H a tu n e le q u a ra n ta donzelle siano tu e prigioniere! — Mio figlio U ruz e i q u a ra n ta cavalieri siano tuoi prigionieri! — D am m i la m ia vecchia m adre dai capelli intrecciati, quella di cui ho succhiato il bianco la tte , — Io m e ne tornerò senza com battere, rispondim i! ». L ’infedele rispose: « Ehi! Qazan! non ti posso dare ( v e r e m e z in ) la tu a vecchia m adre — L a darò al figlio di Y ayhàn Ke§i§ 3 — D a esso tu a m adre genererà u n figlio — N oi lo farem o (diventare) tu o avversario ». 4 Q aragiq Òoban u d ì questo e disse: « Cane d ’infedele! i m onti scuri che' stanno di fronte sono invecchiati, non danno erbe! — I rossi cam m elli sono d iv e n ta ti vecchi, non danno giovani cammelli! — L a m adre di Q azan B eg è d iv e n ta ta vecchia, non genera figli. — Se desideri prendere u n ram pollo (dalla stirpe) degli O g u z ,5 Sòkli Melik

«Tre» nel ms. di Dresda (Gòkyay, p. 21). Unità di peso (Turchia e Persia) variabile secondo i luoghi e i tempi. Nel sec. XV sotto Uzun Hasan era 1920 dirham = kg. 6,154; nel see. xvx ad Amid era 1580 dirham — kg. 5,064. Cfr. W. Hraz, Das Steuerwesen Ostanatoliens in 15. und 16. Jahrhundert in ZDMG, vol. C (1950), pp. 196-197. 3 Così anche nel ms. di Dresda. 4 Cfr. le osservazioni fatte nell’introduzione a p. 49. 6 Testo un pò diverso nel ms. di Dresda (Gòkyay, p. 22). 1 2

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Parte Seconda

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dia a Q azan sua figlia dagli occhi neri — D a lei nascerà u n figlio — E voi lo farete avversario [90] di Q azan ». In ta n to i Beg degli Oguz, avendo sentito della faccenda di Q azan, s’erano p rec ip ita ti dietro Qazan. I n quel m om ento i Beg degli Oguz arrivarono. Vediam o, mio signore, chi arrivò. Q ara [Giine], fratello di Q azan Beg, quello che l’O nnipotente diede al passo (a g iz ) di Q ara D ere, quello la cui coperta (y a p u q ) della culla era di pelle di nero toro, colui che si ann o d av a sette volte i m ustacchi dietro la nuca, arrivò di corsa e disse: « V ibra la tu a spada, fratello m aggiore, sono arrivato! ». D ietro a lui Delfi D u ndar, figlio di Q iyan Selgfik, colui che arrivando di corsa a b b a ttè il passo ( d e r b e n d ) di D em fir Q apu, che trafisse i guerrieri con la sua lancia di sessanta lu ta m , 1 che fece cadere tre volte d a cavallo cam pioni come Q azan, arrivò e disse: «Vibra la tu a spada, mio signore Qazan; sono a rriv ato ». D ietro a lui Q ara B udaq, figlio di Q ara Giine, colui che a b b a ttè le fortezze di H am id 2 e di M ardin, che fece vo m itare sangue a Q apcaq Melik, arrivò, disse: « V ibra la tu a spada, mio signore Q azan, sono arriv ato ». D ietro a lui Ser Sem suddin, figlio di Gaflet Qoga, colui che sconfisse i nem ici ( y a g ì) di B ay in d ir H an, che fece vo m itare sangue a se tta n ta m ila infedeli, arrivò e disse: « V ibra la tu a spada, mio fratello m aggiore Q azan, sono a rriv ato ». D ietro a lui B eyrek dal cavallo grigio, m ini­ stro 3 di Q azan, oggetto d ’invidia dei fo rti Oguz, speranza di sette donzelle, 4 colui che fece a pezzi il castello di B a y b u rt e venne d a ­ v a n ti alla sua te n d a nuziale v ariopinta, arrivò e disse: « V ibra la tu a spada, fra tei mio m aggiore Q azan, sono a rriv ato ». Dopo di lui [90v] Y ig e n e k ,5 figlio di Qaziliq Qoga, spadaccino valoroso come aquila, dagli orecchini d ’oro, arrivò di corsa e disse: « V ibra la tu a spada, fra tei m io m aggiore Q azan, sono arriv ato ». Dopo di lui U ruz Qoga, dalla bocca di cavallo, al quale non avrebbe coperto le caviglie u n a pelliccia f a tta con la pelle di sessanta capre, arrivò e disse: « V ibra la tu a spada, m io signore Q azan, sono a rriv ato ». Dopo di lui Biyigì Q anlu 6 E m en, colui che vide il volto del P rofeta, colui che fu Com­ pagno 7 tr a gli Oguz, colui che quando si a d irav a gli gocciava sangue d ai baffi, arrivò di corsa e disse: « V ibra la tu a spada, mio signore Misura: un pugno, oppure quattro dita, circa dieci centimetri. Così nel testo per Amid. 3 inaq. 4 Le sorelle; si veda il racconto precedente. 5 Nel testo Yegenek. 6 II soprannome è spiegato qui avanti: « dai baffi sanguinanti ». 7 Cioè uno dei Compagni del Profeta Maometto. Nel ms. di Dresda non v’è questo cenno alla qualità di Compagno di Emen. Si veda sopra, p. 23. 1 2

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Traduzione dei dodici racconti del libro di Dede Qorqut

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Q azan, sono arriv ato ». D ietro a lui Alp E ren, figlio di E y lik Qoga, colui al cui nom e abbaiano i cani, che uscì dal territorio, quello dal viso di cavallo, colui che fece n u o tare i cavalli nell’a c q u a ,1 che prese le chiavi d i c in q u a n ta fortezze, che sposò la fig lia 2 di Ag Melik, fece v om itare sangue a Süfï Sandal Melik, ra p ì le figlie del signore delle S e tte F ortezze ( Y e d i Q a V a ) e le baciò sul collo a u n a a una, arrivò correndo e disse: « V ibra la tu a spada, fra te i mio m aggiore Qazan, sono arriv ato ». A contarli, i Beg degli Oguz, (il conto) non finirebbe (m ai). (Insom m a) vennero tu tti, arrivarono, fecero l ’abluzione ri­ tu a le (à b d e s t) con acqua p u ra, com pirono la preghiera, invocarono il saluto sul bel M aom etto, alzarono il grido: « Dio è G rande », la n ­ ciarono i cavalli sugli infedeli, vibrarono le spade. Suonarono i ta m ­ b u ri fragorosam ente { k ô p ü r k ô p ü r ) , echeggiarono le trom be, successe u n finim ondo. Si svolse u n a trem en d a b a tta g lia , il cam po si riem pì di teste. I cavalli (veloci come) falchi galopparono, caddero i (loro) ferri; furono v ib ra te le spade, si consum arono i loro tagli, furono lan ciate le frecce, si consum arono le loro punte; [91] furono alzati gli stendardi, com batterono (anche) i soldati di scorta, i Beg furono sep arati dai serventi, i serventi dai Beg. A llora accorse dalla d e stra D u n d a r con i Beg dei Ta§ Oguz; dalla sinistra accorse B u d a q figlio di Q ara Giine con i suoi valorosi cavalieri. Accorse Q azan con i B eg degli 16 Oguz, si diresse contro Sòkli Melik, lo colpì, lo g ettò d a cavallo a te rra e gli tagliò il capo di sorpresa, spargendone il sangue verm iglio al suolo. Deli D u n d ar figlio di Q iyan Selgiik affrontò dalla d e stra Q ara T ekür Melik, colpì con la spada il suo fianco destro e lo g ettò a terra. B udaq, figlio di Q ara Giine, venne a v a n ti dalla sinistra, vibrò la sua m azza a sei p u n te alla te s ta di B ugagiq Melik e m andò la sua anim a all’inferno. Q ara Giine, fratello di Q azan, colpì con la spada [l’alfiere d e ljl’insegna 3 e [del]la bandiera 4 degli infedeli e lo gettò a te rra . D odicim ila infedeli furono p assati p er la spada, cinquecento cavalieri degli Oguz caddero [m a rtiri della fede]. I Beg degli Oguz furono vittoriosi. Q azan Beg liberò il suo accam pam ento, il figlio, la m adre, la moglie; si ritro v a ­ rono l ’u n a con l ’a ltra le persone am ate. Q azan Beg salì sull’aureo tro n o e si assise. P e r sette giorni e se tte n o tti m angiarono e bevettero. (Qazan) affrancò q u a ra n ta schiavi e schiave in [ringraziam ento] per

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A fol. 101 (trad, qui a p. 161) la frase è alquanto diversa. Nel me. di Dresda (Gokyay, p. 23) v ’è il nome: Cesine. tug. sanfiaq.

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Parte Seconda

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la v ita (b a à ) 1 di suo figlio U ruz; assegnò te rrito ri (g a la iïlk e ) ai valo­ rosi ( g ila s u n ) , e fo rti cavalieri, d istribuì v esti e stoffe. 2 D ede Q orqut venne, disse il racconto, parlò in poesia, disse questo O g u z n à m e . [91v] Dove sono i signori eroi che ho nom inato? quelli che dicevano: « il m ondo è mio? ». Il term in e (fatale) li h a presi, la te rra li h a nascosti. A chi m ai è rim asto il m ondo caduco? L a fine estrem a del m ondo che viene e v a è il m ondo m ortale. Faccio voti, mio signore, che i tu o i m o n ti te rre stri non crollino, le tu e grosse p ian te om brose non siano recise, le tu e acque scorrenti non si dis­ secchino, le tu e ali non siano spezzate. Dio O nnipotente non ti faccia aver bisogno del vile. I l tu o cavallo grigio non inciam pi nell’assalto, la tu a spada nel v ibrare non s’infranga, la dim ora di tuo p a d re dalla bianca b a rb a sia il paradiso, la dim ora di tu a m adre dalle trecce bianche sia il paradiso, Dio Altissim o perdoni i tu o i peccati. Coloro che diranno « am en » a questa invocazione vedano la visione (bea­ tifica di Dio). [IV ] Racconto della prigionia di Uruz figlio di Qazan U n giorno Salur Q azan, figlio di UlaS, leone degli eroi, pupillo dell’uccello pium ato, 3 speranza di noi poverelli, sostegno dei cav a­ lieri superstiti, p a é a 4 dei fo rti Oguz, avversario 5 di Q an A b q a z ,6 padrone del cavallo sauro, fratello di Q ara Giine, zio paterno di Q ara B udaq, padre di H à n U ruz, si era alzato dal suo luogo, aveva p ia n ­ ta to sulla te rra nera i suoi padiglioni. I n mille luoghi erano s ta ti stesi serici ta p p e ti ed erano s ta ti elevati al cielo vario p in ti baldacchini. N ovecento m ila 7 giovani Oguz si erano ra d u n a ti p er il convito di Q azan. N el mezzo erano s ta te disposte anfore dalla grande bocca; nove ragazze infedeli dagli occhi neri, di belle form e, dai capelli in ­ trecciati, dalle m ani tin te di h e n n a dal polso in giù, dalle unghie labaSina. Vedi l’introduzione, p. 44. Manca qui un particolare che si attendeva e che trovasi nel ms. di Dresda (Gokyay, p. 24): Qazan conferì a Qaraguq Cohan (il pastore) la carica di amirahor busi promessagli, come s’è visto sopra, p. 140. 3 Vedi sopra, nell’introduzione, p. 47. 4 Questo vocabolo di discussa etimologia ricorre solo qui nel ms. vaticano e in altri due luoghi nel ms. di Dresda (Gokyay, p. 3, 70). Significa « sovra­ no ». Cfr. D ent , voce Pasha in Enc. de l'Islam. 6 qarim ta z , 2 [99] arrivò di corsa e disse: « V ibra la tu a spada, mio signore Q azan, sono arrivato! ». D ietro a lui Ser Sem suddin, figlio di Gaflet Qoga, colui che senza perm esso sconfisse i nem ici di Q azan e fece vo m itare sangue a sessan tam ila infedeli, arrivò di corsa e disse: «V ibra la tu a spada, si­ gnor mio Q azan, sono arrivato! ». D ietro a lui B eyrek d al cavallo grigio, m inistro di Q azan Beg, oggetto d ’invidia dei fo rti Oguz, colui che fece a pezzi il castello di B a y b u rt di B arsaru s 3 e andò d a v a n ti alla sua v ario p in ta te n d a n u ­ ziale, arrivò di corsa e disse: « V ibra la tu a spada, mio signore Q azan, sono arrivato! ». D ietro a lui Y igenek, figlio di Q aziliq Qoga, speranza dei fo rti Oguz, dagli orecchini d ’oro, .....4 valoroso come aquila, dalla cin­ tu r a bene av v o lta, arrivò di corsa e disse: « V ibra la tu a spada, mio signore Q azan, sono arrivato! ». D ietro a lui U ruz Qoga, zio m aterno di Q azan, al quale non avrebbe coperto le orecchie u n copricapo fa tto con la pelle di sei capre nè avrebbe coperto le caviglie u n a pelliccia f a tta con la pelle di sessanta capre, dalle braccia e dalle gam be m ostruose, arrivò di corsa e disse: « V ibra la tu a spada, m io signore Q azan, sono arrivato». D ietro a lui arrivò D u n d ar, che lodava le sue v e n tiq u a ttro trib ù . 5 D ietro a lui arrivò D ogiir capo di mille. D ietro a lui arrivò A ruz capo dei D oquz Qoga. 6123456

D e r v e n d i), ta m

Per Àmid. Nella storia dei Selgiuchidi di Ya igi-Zàde (ediz. Houtsma, III, p. 210) è detto che qotas (se d ’oro altun qotas) era un distintivo applicato al collo del cavallo dei valorosi (alp er). 3 Altrove Barasar o Parasar; v. Indice. 4 caya baqsa (?); nel ms. di Dresda (Gokyay, p. 57) cayun ba sa (?). 5 yigirmi dòrt boyin ohsadi; nel ms. di Dresda yigirmi dòri boyun ohsayan Deli Dundar. W. Ruben (op. cit., p. 229) ritiene guasto questo passo perchè (nel me. dresdense) Delü Dundar è nominato due volte nell’enumerazione degli eroi; ma il ms. vaticano distingue Dundar e Delü Dundar. 6 doquz qoga basi (?). 1

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T raduzione dei dodici racconti del libro di D ede Q orqut

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D ietro a lui arrivò E m en, sostegno degli O g u z .1 Se si volesse contare i Beg degli Oguz, non si finirebbe (mai). Arrivarono tu tti, fecero l ’abluzione con acqua p ura, fecero la p re ­ ghiera, invocarono il saluto divino su M aom etto dal bel nom e e senza indugio lanciarono i cavalli sugli infedeli, [99v] vibrarono le spade; fu u n a lo tta (che sem brava il) finim ondo. I l cam po si riem pì di teste; com batterono (anche) i soldati di scorta; i Beg furono sep arati dai (loro) serventi, i serventi dai (loro) Beg. I Beg degli Oguz a tta c c a ­ rono da d e stra con D undar; i valorosi B eg e cavalieri attaccarono d a s in is tra .2 Q azan Beg con i B eg degli Oguz irru p p e al c e n tro ,3 si diresse contro Sokli Melik; trafitto lo , lo a b b a ttè d a cavallo, gli tagliò la te sta . D alla d e stra D u n d a r a tta cc ò Q ara T ekiir M elik,4 lo colpì con la spada, lo a b b a ttè al suolo. D alla sinistra Q ara B u d aq affrontò B ugagiq Melik, e, avendolo tra fitto , lo a b b a ttè al suolo. B orii H a tu n colpì con la spada la sua n e ra insegna, la lasciò a terra. Tekiir [M elik] fu preso, [Sokli] M elik fa tto prigioniero, l ’insegna fu d is tru tta , il suo calcolo 5 fallì. Gl’infedeli scapparono. C inquem ila furono p assati a fil di spada. Q azan e B orii H a tu n s’avvicinarono al loro figlio, lo fecero scendere d a cavallo, lo sciolsero. Si abbracciarono e si salutarono. T recento cavalieri Oguz caddero uccisi. Q azan liberò suo figlio, to rn ò indietro, la spedizione fu ben ed etta. I B eg degli Oguz fecero b o ttin o , vennero a Aqòa Q ala Sürm elü, pian taro n o i padiglioni, p er se tte giorni m an ­ giarono e bevettero. Q azan Beg affrancò schiavi e schiave e diede ai valorosi eroici B eg fortezze e te r r ito r i,6 v esti e stoffe. D ede Q orqut venne, fece festa, disse questo O g u z n d m e per U ruz figlio di Qazan. E d ora dove sono i b ra v i eroi che ho detto? Coloro che dicevano: * il falso m ondo è mio »? Il term ine li h a presi, la te rra li h a nascosti. A chi è rim asto il m ondo caduco? L a fine u ltim a del m ondo che va e viene è il m ondo m ortale! Faccio v o ti, m io signore, che i tu o i m onti te rre stri non siano a b b a ttu ti, [100] le grosse tu e p ia n te om brose non siano recise, le tu e belle acque chiare scorrenti non si dissecchino, le p u n te delle tu e a li 7 non siano infrante; nell’assalto il tu o cavallo non inciam pi, la tu a spada nel v ib rare non si spezzi. Iddio OnniIn Gokyay, p. 57: « Emen, capo dei mille Bügdüz ». II ms. di Dresda (Gokyay, p. 58) aggiunge «con Qara Budaq». diipe depdi (?)· Correggo seguendo il ms. di Dresda (Gokyay, p. 58). leggo ,V wjJ ·

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