Il contratto sociale

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Il contratto sociale

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Economica Laterza 106 CLASSICI DELLA FILOSOFIA CON TESTO A FRONTE

Jean-Jacques Rousseau

Du contract social

Jean-Jacques Rousseau

Il contratto sociale Traduzione di Maria Garin Introduzione di Tito Magri

Editori Laterza

© 1997, Gius. Laterza & Figli Prima edizione 1997 Settima edizione 2010 Traduzione di Maria Garin del 1971 Introduzione di Tito Magri del 1997 www.laterza.it Questo libro è stampato su carta amica delle foreste, certificata dal Forest Stewardship Council

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel novembre 2010 SEDIT - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-5250-0

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INTRODUZIONE di Tito Magri 1

1. Hobbes, Locke, Rousseau e il contrattualismo Il Contratto sociale è il culmine di un secolo di riflessioni e dibattiti intorno a due idee fondamentali per la filosofia politica moderna. La prima è l’individualismo politico: la volontà degli individui deve essere la fonte ultima della legittimità del potere politico. La seconda è il contrattualismo: le istituzioni politiche vanno valutate in base alla loro genesi ideale nell’accordo razionale di uomini indipendenti. Le istituzioni legittime sono quelle che sarebbero create dagli individui, con il loro consenso libero e razionale2. Il concetto normativo di contratto si incontra nei più diversi contesti teorici: si pensi all’uso che ne fanno Thomas Hobbes e John Locke; o (fra i nostri contemporanei) John Rawls e David Gauthier 3. Le diverse forme di contrattualismo dipendono dalle diverse inter1

Per uno sviluppo più articolato dell’interpretazione della teoria politica di Rousseau qui delineata rinvio alla mia Introduzione a J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, Laterza, Roma-Bari 1992. 2 Lo sfondo filosofico-politico della teoria di Rousseau è ricostruito mirabilmente da R. Derathé, Rousseau e la scienza politica del suo tempo, Il Mulino, Bologna 1993. Per una presentazione d’insieme del pensiero di Rousseau, si vedano P. Casini, Introduzione a Rousseau, Laterza, Roma-Bari 1974 e R. Wokler, Rousseau, Oxford University Press, Oxford-London 1995. 3 Rispettivamente, negli Elementi di legge naturale e politica (1640), nel De cive (1641), nel Leviatano (1651) e nel secondo dei Due trattati sul governo (1689); e in A Theory of Justice, Oxford University Press, Oxford-London 1971 e in Morals by Agreement, Oxford University Press, Oxford-London 1986.

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pretazioni dei due aspetti principali del concetto di contratto: la situazione di partenza in cui sono collocati gli individui (lo stato di natura) e le regole secondo cui si accordano (il contratto vero e proprio)4. Semplificando molto, possiamo distinguere in questa prospettiva un contrattualismo hobbesiano ed uno lockeano. Nel contrattualismo hobbesiano gli individui sono collocati in un’interazione non regolata socialmente (uguaglianza di forze), moralmente (diritto a tutte le cose) e politicamente (nessun potere comune). Il contratto deve sostituire a un conflitto universale e permanente un ordine sociale che garantisca a ognuno la conservazione di sé e un minimo di benessere. Gli individui sono diretti da ragioni strumentali (le leggi naturali) a concludere tale contratto, assumendo obblighi reciproci e creando un soggetto politico (individuale o collettivo) di sovranità assoluta. Nel contrattualismo lockeano la situazione di partenza ha una connotazione morale molto più ricca. Gli individui vivono per natura in una condizione sociale e riconoscono un quadro coerente di leggi morali, da cui ricevono dei diritti esclusivi (libertà e proprietà) e di cui sono giudici ed esecutori. Lo stato naturale presenta però il rischio che il giudizio e l’esecuzione individuale delle leggi naturali scatenino conflitti. Gli uomini si accordano allora per formare un soggetto comune (il popolo) di giudizio e di esecuzione dei loro diritti e per investire un governo di un potere politico limitato e revocabile. Più che le differenze politiche, sono le differenze strutturali fra queste due forme di contrattualismo a interessarci. Il contratto hobbesiano cerca di dare una base razionale agli obblighi reciproci e al potere politico sostenendone la necessità perché la pace e l’ordine sociale siano possibili. Il contratto lockeano assume che l’ordine sociale sia possibile e cerca di regolarlo con il riconoscimento e l’esecuzione consensuale dei diritti e delle leggi morali. Ma queste due forme di contrattualismo vanno incontro a difficoltà simmetriche e gravi. Il contratto hobbesiano è razionalmente instabile: non riesce 4 Sulla logica del contrattualismo si vedano i saggi raccolti in P. Vallentyne (a cura di), Contractarianism and Rational Choice, Cambridge University Press, Cambridge-New York 1991 (in particolare il saggio di P. Danielson, The lockean proviso); sulla struttura e la tassonomia delle forme di contrattualismo si veda il primo capitolo di T. Magri, Contratto e convenzione, Feltrinelli, Milano 1994.

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a fondare il rispetto degli obblighi da parte di individui razionali e autointeressati. Il contratto lockeano è normativamente circolare: il potere legittimo e limitato del popolo e del governo può fondarsi soltanto assumendo una garanzia religiosa per i diritti e per le leggi morali. E non sembra che incoerenza razionale e inconcludenza normativa siano ostacoli sormontabili per queste teorie contrattualiste. Il contrattualismo di Rousseau combina in modo originale e profondo (anche se, in ultima analisi, senza vero successo) queste due prospettive. Riprendendo l’intuizione fondamentale del contrattualismo di Hobbes, Rousseau assegna al contratto il compito di rendere possibile per gli uomini accedere all’ordine sociale. L’accettazione di obblighi reciproci e di un potere comune è razionale in vista dei vantaggi della convivenza e della cooperazione. Ma la possibilità dell’ordine sociale è connessa a un suo determinato assetto normativo: alla giustizia politica. Il conflitto che deve essere risolto dal contratto è determinato dall’ineguaglianza ingiusta che regna fra gli individui, dal tentativo di ognuno di avvantaggiarsi sugli altri e dall’instabilità e precarietà di tutti i rapporti sociali5. Il contratto ha per Rousseau (come per Locke) un contenuto morale specifico. Non è limitato all’istituzione di un potere sufficiente alla pace. Ma il contrattualismo di Rousseau, a differenza di quello di Locke, non mira a realizzare l’esecuzione politica di un sistema di leggi e di diritti naturali già validi ed efficaci. Poiché una connotazione normativa molto forte del contratto sembra richiedere norme morali antecedenti, occorre considerare bene questo punto. Rousseau non rifiuta l’idea di legge naturale. Al contrario, sostiene che la legge naturale spinge gli uomini a conservare se stessi con il minimo danno per gli altri, sviluppando in pietà e in benevolenza l’amore di sé6. Questo è però possibile soltanto in una particolare 5

Questa è, in estrema sintesi, la lezione della seconda parte del Discorso sull’ineguaglianza e del secondo capitolo del Manoscritto di Ginevra (la prima versione del Contratto sociale). Per l’analisi del «progresso» dell’ineguaglianza sono fondamentali R.D. Masters, The Political Philosophy of Rousseau, Princeton University Press, Princeton 1968; V. Goldschmidt, Anthropologie et politique. Les principes du système de Rousseau, Vrin, Paris 1974. Più recente (e meno importante) A. Horowitz, Rousseau. Nature and History, University of Toronto Press, Toronto 1987. 6 Si veda, su questo, R. Derathé, Le rationalisme de J.-J. Rousseau, Puf, Paris 1948; J.B. Noone, Rousseau’s theory of natural law as conditional, in «Journal

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configurazione dei moventi e delle capacità degli uomini: lo stato originario di autosufficienza, isolamento e uguaglianza in cui perseguono i loro bisogni immediati e necessari senza alcuna complicazione cognitiva o sociale. Il punto è che questo stato originario non è la situazione di partenza richiesta dal contratto; mentre la situazione di partenza rilevante per il contratto è tale che in essa gli uomini vivono fuori del governo morale della legge di natura. Un tratto distintivo del contrattualismo di Rousseau è appunto la separazione concettuale fra uno stato originario, in cui gli uomini vivono nell’ordine morale naturale proprio perché sono sottratti ad ogni necessità di entrare in rapporti sociali; e uno stato precedente il contratto, in cui tale necessità sussiste ma in cui viene meno l’ordine morale di natura. La legge naturale e i motivi individuali originari non regolano spontaneamente le convenzioni sociali, perché la società in quanto tale non appartiene alla natura della specie, ma ne costituisce uno sviluppo accidentale. I bisogni e le capacità che sono presupposti dall’istituzione convenzionale della società (bisogni nati dalle relazioni reciproche; conoscenze; razionalità) non fanno parte della natura umana e, quindi, non trovano in essa criterio e misura. Per Rousseau vi è una discontinuità fra natura individuale e interdipendenza sociale. L’individuo naturale è libero dalla necessità di ogni rapporto sociale. La società nasce dal venire meno dell’autosufficienza originaria e finisce col renderla del tutto impossibile. D’altra parte, la dipendenza reciproca nella società, proprio per il suo carattere accidentale, non supera l’indipendenza naturale ma si sovrappone ad essa. Questo dualismo è la causa ultima dei difetti normativi della vita associata: dell’ineguaglianza ingiusta e del conflitto per la superiorità7. Ineguaglianza, ingiustizia e conflitto sono inseparabili dai rapporti sociali e formano la situazione di partenza del contratto. A partire da qui possiamo spiegare la relazione fra Rousseau e gli altri contrattualisti. Il conflitto che precede e motiva il contratto richiede una soluzione morale (e non semplicemente politica, come of the history of ideas», XXXIII, 1972; L. Pezzillo, Rousseau e Hobbes, Slatkine, Genève-Paris 1987; T. Magri, L’ordine sociale, in Storia della filosofia. IV: Il Settecento, a cura di P. Rossi e C.A. Viano, Laterza, Roma-Bari 1996. 7 Sulla contingenza della storia rispetto alla natura si veda H. Gouhier, Filosofia e religione in Rousseau, Laterza, Roma-Bari 1974.

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per Hobbes), perché dipende dall’ineguaglianza ingiusta che segna il corso accidentale della storia. Tuttavia la dimensione morale di tale conflitto non determina direttamente il contratto (come ritiene Locke), perché le norme morali naturali sono inaccessibili per gli uomini indipendenti e divenuti socievoli. La situazione di partenza non include le basi morali e razionali della giustizia politica. Quindi, sebbene le istituzioni sociali in cui vivono gli uomini siano il prodotto delle loro scelte coordinate, questo non è sufficiente per la loro legittimità, perché comunque le scelte degli individui sono influenzate dall’ingiustizia e dal conflitto. Rousseau può allora concludere che sia le istituzioni politiche e sociali storicamente date sia i tentativi di giustificarle (anche da parte dei contrattualisti) sono privi di appropriatezza morale e di stabilità razionale. Ma Rousseau non rinuncia a cercare i «princìpi del diritto politico» (come recita il sottotitolo del Contratto sociale), così come non rinuncia all’individualismo politico e al contrattualismo. Come deve essere allora concepito il contratto, perché il diritto politico abbia senso e sia vincolante? 2. Alienazione e volontà generale Un contratto capace di realizzare il diritto politico e l’ordine sociale giusto deve risolvere il problema dell’ineguaglianza radicata nell’opposizione fra diritto naturale e rapporti sociali. La società è per gli individui una necessità esterna, senza norme che la rendano accettabile, uno stato di cose di cui subire il peso e da cui cercare di trarre un vantaggio sugli altri. Supponiamo, invece, che sia possibile una società in cui tutti realizzano al meglio i loro interessi principali e sono garantiti dall’ingiustizia degli altri e dalla dipendenza nei loro confronti. Rousseau formula proprio in questi termini il problema del contratto: «Trovare una forma di associazione che protegga e difenda con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, mediante la quale ognuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che a se stesso e resti libero come prima»8. Questo accordo (a differenza di ogni altro) potrebbe 8

CS, 21. D’ora in poi userò la sigla CS per riferirmi all’opera rousseauiana in esame, seguita dal numero di pagina di questa stessa edizione.

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essere concluso e rispettato da individui liberi e razionali, per ognuno dei quali l’ingresso nella società sarebbe allora pienamente volontario. La dipendenza reciproca cesserebbe di essere soltanto una costrizione che ognuno cerca di volgere ai propri scopi e diverrebbe una condizione morale entro cui tutti resterebbero indipendenti e realizzerebbero i loro scopi più importanti. Una simile società sarebbe conforme a giustizia, perché riconoscerebbe imparzialmente gli interessi e i diritti di ciascuno. Una società così fondata avrebbe quindi una connessione positiva con la natura individuale. Realizzerebbe valori fondamentali come la libertà e l’uguaglianza: la libertà, che è sia una condizione per la conservazione di sé9 sia una proprietà essenziale della personalità morale10; e l’uguaglianza, senza la quale la libertà non può sussistere. Ma è possibile un ordine sociale che soddisfi queste esigenze morali? La risposta affermativa di Rousseau è legata alla sua concezione della clausola fondamentale del contratto (cioè, della regola di contrattazione che definisce, insieme alla situazione di partenza, la struttura logica del contrattualismo): «l’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità»11. Più in particolare, la formula del contratto deve essere la seguente: «ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e noi, come corpo, riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto»12. Analizziamo attentamente questa clausola. Primo. Gli uomini sono in una situazione di partenza ineguale e conflittuale. In questa situazione un contratto sociale senza alienazione totale sarebbe iniquo e instabile. Rifletterebbe un’ingiustificata ineguaglianza di potere, che gli svantaggiati cercherebbero di rovesciare; o non verrebbe affatto concluso, perché il contrasto di interessi impedirebbe ogni accordo. Se invece il contratto include la clausola dell’alie-

9 «Il primo fine che gli uomini si sono proposti nella confederazione civile è stata la reciproca sicurezza, cioè la garanzia della vita e della libertà di ognuno per opera di tutta la comunità» (Frammenti politici, III [Del patto sociale], 14, in Scritti politici, Laterza, Roma-Bari 1994, vol. 2, p. 239). 10 Cfr. Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini, Parte seconda, in Scritti politici, cit., vol. 1, p. 194. 11 CS, 21. 12 CS, 23.

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nazione totale, gli uomini sanno che le loro posizioni di potere e i loro interessi contrapposti non vengono trasposti nei termini del contratto sociale. Questo contratto è certamente equo, perché elimina ogni base su cui potrebbero avanzare pretese che non sarebbero disposti ad accettare a loro volta13. Poiché, poi, un contratto iniquo è instabile o inaccessibile, l’alienazione totale è necessaria perché il contratto sia razionalmente possibile. Secondo. Ciascun individuo resta, anche nell’ordine sociale, un soggetto naturale di interessi, pronto a imporre agli altri le leggi della società come un giogo e a sottrarsene quando può farlo impunemente. Ogni uomo conserva una volontà naturale particolare, contraria alla sua volontà come cittadino. La clausola di alienazione totale serve, in questa prospettiva, a garantire il rispetto del contratto, attribuendo la massima forza e unità politica alla società14. Perché le condizioni imparziali della società bene ordinata siano efficaci, infatti, gli individui non devono conservare le ineguaglianze di potere precedenti il contratto. Se alcuni potessero decidere della sorte di altri (se persistessero legami di dipendenza personale), la speranza o il timore dell’impunità condurrebbero inevitabilmente all’ingiustizia. Ma se la dipendenza degli individui dalla comunità è completa, allora possono essere tutti costretti a conformarsi alle leggi. L’alienazione totale è quindi inclusa nel contratto come garanzia che alla condotta giusta di ciascuno non corrisponda l’ingiustizia degli altri, una garanzia di reciprocità del rispetto del contratto stesso15. L’alienazione totale è quindi la regola di contrattazione che determina una forma di contratto equa e stabile, dando accesso ai

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CS, 23. Ibid. 15 Un’analisi molto accurata della struttura del contratto politico di Rousseau è offerta da J.B. Noone, Rousseau’s Social Contract. A Conceptual Analysis, Prior, London 1980: si veda anche H. Gildin, Rousseau’s Social Contract. The Design of the Argument, Chicago University Press, Chicago 1983. Un’interpretazione diversa dell’alienazione totale (come una modificazione antropologica che genera un soggetto morale unico da una pluralità di individui) è proposta da M. Reale, Le ragioni della politica. J.-J. Rousseau dal «Discorso sull’ineguaglianza» al «Contratto», Edizioni dell’Ateneo, Roma 1983, e A. Burgio, Uguaglianza interesse unanimità. La politica di Rousseau, Bibliopolis, Napoli 1989. 14

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vantaggi dell’ordine sociale giusto16. Ma qual è il contenuto del contratto, la struttura del corpo politico? Il diritto politico e le istituzioni legittime sono ricondotte da Rousseau a un unico principio: «Solo la volontà generale può dirigere le forze dello Stato secondo il fine della sua istituzione, che è il bene comune»17. Dobbiamo quindi vedere che cosa Rousseau intenda per volontà generale e perché riservi ad essa un ruolo così importante. Il corpo politico, secondo la concezione (sostanzialmente plausibile) di Rousseau, include un soggetto pubblico di decisioni collettive con un ambito (anche molto esteso) di competenze. Inoltre, e corrispondentemente, richiede che tutti i cittadini siano obbligati politicamente, cioè, siano tenuti all’obbedienza, nei confronti di tale soggetto. Nella società politica vi è quindi un’ineguaglianza radicale fra questo soggetto (il sovrano) e tutti gli altri membri. Ma gli uomini entrano nella società politica con un contratto di alienazione totale (quindi su un piano di perfetta uguaglianza) e per conservare la loro uguale libertà. Il concetto di volontà generale è introdotto da Rousseau proprio per risolvere l’apparente contraddizione fra la presenza di un soggetto unico di decisione e di autorità politica e l’uguaglianza della società giusta. Tale soluzione consiste, essenzialmente, nello svolgere fino in fondo l’idea che tale soggetto sia pubblico. La volontà generale è, in primo luogo, la sola forma di decisione collettiva (di tipo legislativo) coerente con la clausola di alienazione totale. La clausola di alienazione totale richiede che tale decisione sia sottratta agli effetti delle ineguaglianze di potere. Ma in questo modo la scelta collettiva riceve proprio i caratteri che Rousseau ascrive alla volontà generale. Primo. La volontà generale richiede che nessuno sia escluso dal processo legislativo. Le decisioni circa le leggi politiche spettano a tutti i cittadini e sono prese dal popolo riunito18. Questo corrisponde, ovviamente, ai termini uguali di accesso alla società politica. Alla stessa uguaglianza si connettono anche il carattere inalienabile e indivisibile della sovranità della volontà generale. Nella so-

16

CS, 47. CS, 35. 18 CS, 59. 17

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cietà fondata sull’alienazione totale la sovranità è indivisibile, perché l’unico potere politico ammissibile è esercitato da tutti i cittadini; ed è inalienabile, perché la volontà di un individuo non può includere o sostituire quella degli altri19. Il potere legislativo conforme all’alienazione totale si realizza quindi attraverso la decisione condivisa di tutti i cittadini, senza esclusioni e senza privilegi, cioè, attraverso la volontà generale. Secondo. L’alienazione totale delimita il tipo di interessi che possono trovare espressione nelle leggi. Eliminate le disuguaglianze di potere in base alle quali si potrebbero fare valere interessi particolari, i soli possibili fattori razionali di legislazione sono degli interessi condivisi. Ma questo è proprio uno dei caratteri fondamentali della volontà generale 20. Si noti che l’interesse comune che rende generale la volontà (e che trova espressione nella legislazione) non è l’interesse della comunità come entità diversa dagli individui che la compongono. Rousseau distingue, com’è noto, fra volontà generale e volontà di tutti21. Ma tale distinzione riguarda due modi diversi in cui la decisione politica aggrega le volontà dei cittadini. Anche la volontà di tutti è una volontà collettiva, una «somma di volontà particolari». Ma le volontà particolari rispecchiano in questo caso interessi esclusivi e contrastanti, rispetto ai quali la volontà collettiva non è che una composizione o un compromesso. Se invece assumiamo l’alienazione totale, la scelta pubblica corrisponde alla volontà generale, cioè ad una decisione collettiva sottratta all’ineguale influenza delle volontà particolari (che pure la determinano). Eliminati gli interessi in conflitto, la legislazione si deve orientare soltanto su interessi comuni; e, quindi, non può che esprimere la volontà generale22. 19

CS, 35-39. CS, 45. 21 CS, 41. 22 Alla volontà generale come procedura legislativa vincolata dall’alienazione totale si riferiscono anche le richieste che i cittadini deliberino sulle leggi senza avere alcuna «comunicazione» fra di loro, cioè, senza formare delle «associazioni particolari» (CS, 41) e addirittura senza «opinare, proporre, distinguere e discutere» (CS, 153-155). Il divieto delle associazioni particolari rafforza l’ugualitarismo del processo legislativo, rendendo impossibile diseguaglianze di potere fra le parti. Il divieto di discussione dovrebbe assicurare che la scelta legislativa non rifletta una trattativa in vista di scopi divergenti; e che, in fondo, non esprima preferenze, ma un giudizio sul vero bene pubblico. 20

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La volontà generale è inoltre il fulcro della teoria dell’obbligazione politica. Le decisioni legislative non devono vincolare i cittadini per sola coercizione, ma in base a considerazioni morali. Tuttavia, secondo il contratto, i cittadini non devono obbedire che a se stessi e restare liberi come prima. Rousseau cerca di superare questa difficoltà impiegando il concetto di volontà generale per distinguere fra obbligo e dipendenza e per connettere obbedienza politica e uguale libertà. La volontà generale definisce, infatti, sia il fondamento dell’obbligo politico sia le condizioni o le restrizioni cui esso è sottoposto. Cominciamo dalle seconde. Nel quadro definito dall’alienazione totale, nessuno può essere tenuto ad agire in vista degli interessi di un altro. I legami di dipendenza personale non supererebbero il vaglio del contratto. Gli individui quindi possono essere obbligati soltanto se l’obbligo corrisponde al loro interesse individuale. Ma questa connessione fra obbligo morale e interesse individuale si può realizzare soltanto se gli uomini non sono obbligati che nei confronti della volontà generale, le cui decisioni sono conformi all’interesse di ciascuno23. Ogni cittadino, obbedendo alle leggi sociali, può così agire secondo la naturale «preferenza che ciascuno dà a se stesso»24, può avere una ragione individuale per l’obbedienza. E questa è una condizione perché vi sia obbligo politico in una condizione di uguaglianza. Possiamo anche dire che gli uomini che hanno accettato l’alienazione totale riconoscono come obbliganti soltanto delle regole giuste, che rispettano imparzialmente gli interessi e i diritti di ciascuno di loro. Quindi soltanto la volontà generale può obbligare i cittadini; e perché i cittadini siano soggetti a obblighi politici, la volontà generale deve essere sovrana nello Stato. La congruenza con l’interesse individuale di ciascuno delimita gli obblighi politici possibili, ma non ne costituisce ancora il fondamento. A questo riguardo dobbiamo considerare in tutta la sua forza la richiesta avanzata da Rousseau che ogni membro della società politica resti libero come prima e obbedisca soltanto a se stesso. La volontà generale permette di capire come la cittadinanza sia una condizione di libertà. Ciascun individuo, in quanto è soggetto 23 24

CS, 43. Ibid.

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alle leggi, è libero perché non obbedisce a nessuno, se non alla sua volontà di cittadino. Non sarebbe libero, cioè non agirebbe secondo la sua volontà, proprio se non si conformasse alla volontà generale legislatrice25. Ma come può questo configurare un obbligo? Il punto è che la volontà generale non è direttamente la volontà dei singoli individui: è la loro volontà in quanto e solo in quanto è la volontà di qualunque cittadino del corpo politico. Nessuno dei cittadini può considerare la volontà generale come estranea. La volontà generale è infatti la stessa in ciascuno dei cittadini, essendo una decisione presa senza tenere conto delle differenti posizioni e interessi. Ma, proprio per questo, non è riducibile alla volontà individuale di nessuno di loro. Ognuno riconosce la volontà generale come propria per la clausola del contratto sociale secondo cui non deve considerare, nelle scelte pubbliche, gli interessi e le circostanze che lo individuano e lo distinguono rispetto a tutti gli altri. Vi è quindi una differenza di principio fra la volontà dei singoli individui e la volontà generale26. È in questo senso che gli individui, partecipando alla definizione della volontà generale, non solo esercitano la loro libertà ma assumono un obbligo. Nell’obbedire alla volontà generale agiscono secondo la loro volontà e quindi sono liberi. Ma agire secondo una volontà riconosciuta come propria è insieme agire in base a un obbligo, se tale volontà resta irriducibile alla volontà individuale di chi agisce. Gli individui, però, riconoscono la volontà generale come propria soltanto in quanto escludono gli interessi e le circostanze che li differenziano da tutti gli altri e che, quindi, li determinano come individui. Assumendo la volontà generale come principio di azione, quindi, gli individui escludono effettivamente dei loro moventi, alternativi a quelli che hanno come cittadini, e, in questo senso, vincolano la loro condotta. In questo modo la volontà generale può costituire il fondamento dell’obbligo politico nelle condizioni stabilite con l’alienazione totale, in cui non si deve obbedire che a se stessi27. 25

CS, 45-47. Possiamo anche dire che vi è una differenza di principio fra la volontà di ciascuno come uomo e come cittadino. 27 Per la storia del concetto di volontà generale si veda il quarto capitolo di A. Postigliola, La città della ragione, Bulzoni, Roma 1992. Si veda (oltre ai testi citati nelle note 2 e 15) anche P. Riley, Will and Political Legitimacy, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1982. 26

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Può essere interessante confrontare la teoria dell’obbligo politico di Rousseau con quelle di Hobbes e Locke. Hobbes fonda l’obbligo politico sulle scelte coordinate degli individui che rinunciano al diritto naturale e concludono un patto di istituzione del potere sovrano. Gli obblighi in generale, e l’obbligo politico in particolare, sono una creazione razionale, volontaria e reciproca degli individui. Locke include i patti e il contratto politico in un quadro normativo naturale, in un sistema di leggi e di diritti già dati. La sua teoria dell’obbligo cerca di individuare un equilibrio fra una fonte volontaria e consensuale e la richiesta della conformità degli atti che lo istituiscono a leggi morali sovraordinate. Comunque, sia per Hobbes che per Locke, le volontà e i rapporti degli individui sono cruciali per ammettere un obbligo nei loro confronti; e in ciò consiste (per molti aspetti) il contrattualismo di questi filosofi. Per Rousseau l’obbligo politico dipende invece dal rapporto degli individui con la volontà generale. L’effetto del contratto sociale non è di creare obblighi reciproci, ma di stabilire una posizione comune in cui gli individui si collocano ai fini della legislazione. Il contrattualismo di Rousseau non assegna un ruolo di principio alla creazione di obblighi per mezzo di patti fra individui. Tali patti, se fossero conclusi nell’ineguaglianza di potere che precede il contratto sociale, sarebbero iniqui e instabili. Se fossero conclusi nella condizione definita dall’alienazione totale, sarebbero superflui (rispetto alle decisioni vincolanti, perché giuste e vantaggiose, della volontà generale). Il contratto interviene soltanto indirettamente, con la mediazione dell’alienazione totale e della volontà generale, a fondare l’obbligo politico. 3. I limiti del contrattualismo di Rousseau: governo e storia Ho ricostruito la teoria di Rousseau esaminando la sua versione dei due tratti fondamentali della logica del contrattualismo: la situazione di partenza e la regola di contrattazione. Rousseau modifica (rispetto a Hobbes e a Locke) la concezione della situazione di partenza, caratterizzandola in termini di ineguaglianza e di ingiustizia. Le parti collocate in essa sono ineguali e mirano all’ineguaglianza; i patti conclusi in vista dei loro interessi e sulla base delle loro diverse posizioni di forza sono iniqui e instabili. Da questa analisi di-

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scende l’esigenza di una regola di contrattazione che superi l’ineguaglianza e sospenda gli effetti delle diverse posizioni di potere. L’alienazione totale deve garantire l’equità e la stabilità del contratto sociale e definire la struttura normativa della società bene ordinata. L’interesse del contrattualismo di Rousseau è enorme. Ma esso non svolge il compito (forse impossibile) che si era posto. Rousseau intende associare nella sua teoria «ciò che il diritto permette» e «ciò che l’interesse prescrive», tenere insieme «giustizia» e «utilità»28. Il collegamento fra razionalità e giustizia politica è la sostanza stessa dell’impresa contrattualista, che Rousseau si propone di ridefinire e di portare a compimento. Ma, una volta introdotti i concetti di ineguaglianza e di alienazione totale, si pone il problema di quali ragioni dovrebbero indurre uomini che occupano posizioni ineguali di forza ad accettare e rispettare termini uguali di associazione. L’ovvia risposta è che soltanto così essi possono mettere termine al conflitto che precede il contratto. Ma è altrettanto ovvio che proprio questo conflitto consente ad alcuni di loro di fare valere i loro interessi, grazie al loro potere superiore. Non si vede, allora, perché non dovrebbero imporre degli accordi che riflettano questi rapporti di forza e pieghino gli altri ai loro interessi. Il contratto che include l’alienazione totale non è, quindi, per loro una scelta razionale e, conseguentemente, non lo è per nessuno. In realtà, la sola società per convenzione razionalmente possibile, all’interno delle condizioni di ineguaglianza che Rousseau presuppone per il contratto di alienazione totale, resta «tirannica o vana»29: tirannica, se i più forti riescono a imporre la loro volontà; vana, se i più deboli riescono a rovesciare le sorti. Né gli uni né gli altri hanno delle ragioni per accettare la clausola di alienazione totale. Ineguaglianza e alienazione totale sono connesse da un punto di vista normativo, perché la seconda può rappresentare una soluzione adeguata del problema morale posto dalla prima. Ma entrano in contraddizione se sono considerate dal punto di vista degli interessi e delle decisioni razionali degli individui. Il patto fondamentale delineato da Rousseau finisce così con il ricadere nella logica delle «false nozioni del legame sociale» che doveva sostituire. 28 29

CS, 5. CS, 23.

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L’intera teoria politica di Rousseau è segnata dalle difficoltà che l’ineguaglianza crea per l’alienazione totale. La complessa teoria del governo sviluppata nel terzo libro del Contratto sociale risponde, in ultima analisi, proprio a un problema di ineguaglianza che sorge nella condizione di uguaglianza stabilita dal patto. Il governo è investito del potere di rendere esecutive le leggi. È quindi sottratto alla reciprocità di obblighi su cui si fonda la giustizia politica e procede secondo decisioni che differenziano cittadini e cittadini. Rousseau distingue rigorosamente fra sovrano e governo proprio per evitare che la particolarità degli atti di governo corrompa la generalità delle volontà del sovrano30. Ma proprio per questo il governo presenta una tendenza inevitabile a degenerare. La struttura normativa del corpo politico richiede che sia un soggetto distinto dal sovrano. Ma come soggetto distinto non può che essere animato da una volontà particolare, che tende prima o poi ad affermarsi contro la volontà generale del sovrano31. La società bene ordinata include quindi un fattore insuperabile di corruzione, dovuto proprio al contrasto fra l’uguaglianza stabilita con l’alienazione totale e il potere ineguale con cui il governo può affermare il suo interesse particolare. Ma i problemi sono ancora più profondi e investono, in ultima analisi, il rapporto fra il principio normativo dell’alienazione totale e del contratto e il corso accidentale della storia degli uomini, segnato dall’ineguaglianza e dall’ingiustizia. Vi è un’ambiguità profonda nel modo in cui Rousseau concepisce l’ipotetico contesto del contratto, la collocazione storica della giustizia politica. Nel Contratto sociale il contratto viene esplicitamente collocato nel «punto» in cui gli ostacoli alla conservazione di sé superano le forze individuali e gli uomini devono lasciare lo stato naturale e cooperare 32. Ma in un simile stato le relazioni fra gli uomini non hanno la configurazione di ineguaglianza e di conflitto presupposta dal concetto di alienazione totale. Soprattutto, non è uno stato che possa presentarsi nel «progresso» dei rapporti sociali a partire dallo stato originario. Una delle idee principali di Rousseau è che la necessità dei rapporti sociali (presupposta dalla decisione di concludere il contratto socia30

CS, 81. CS, 91. 32 CS, 21. 31

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le) coincide con la loro ineguaglianza e conflittualità. I rapporti di dipendenza reciproca per i bisogni sociali sono (al di fuori dell’autentico contratto sociale) altrettante catene. Dunque non vi è nessun «punto» in cui gli uomini siano sotto la necessità di uscire dallo stato originario senza trovarsi già in conflitto per l’ineguaglianza (a causa di essa ed in vista di essa). Questa è, invece, la situazione in cui Rousseau colloca il contratto sociale: uno «stato primitivo» in cui vi sia la pressione degli ostacoli alla conservazione, ma in cui manchi l’ineguaglianza; uno stato da cui occorra uscire, ma che non sia uno stato di guerra. Questa collocazione primitivista del contratto33 è una spia dell’incoerenza profonda che insidia il contrattualismo di Rousseau quando è posta a confronto con la teoria della storia da Rousseau stesso proposta. Il contratto sociale deve condurre a una società libera e uguale che la storia non è riuscita a produrre. Ma le condizioni storiche che dovrebbero essere corrette dall’istituzione della società giusta finiscono con il rivelarsi insuperabili. L’oscillazione di Rousseau fra un contrattualismo razionalista, mirante alla correzione di un’associazione ineguale e ingiusta, e un contrattualismo primitivista, volto alla socializzazione degli individui indipendenti nello stato originario, risulta evidente nella figura del Legislatore. Il Legislatore, in linea di principio, è chiamato a risolvere un problema di razionalità interno al contratto: connettere il punto di vista pratico degli individui e quello collettivo34. Ma, in concreto, l’azione del Legislatore è collocata da Rousseau all’origine delle nazioni, di cui è come il padre: deve alterare la natura umana, facendola passare dall’isolamento alla socialità35. Ma questa è appunto una prospettiva primitivista (secondo cui si tratta di «sostituire un’esistenza parziale e morale all’esistenza fisica e indipendente che tutti hanno ricevuto dalla natura»)36 e trascura completamente gli effetti della socializzazione negativa e dell’ineguaglianza che hanno corrotto lo stato naturale. In realtà, non soltanto la figura del Legislatore, ma anche concetti come quelli di costume

33

Per cui si veda anche CS, 27-29. CS, 55. 35 CS, 57-59. 36 CS, 57. 34

Introduzione

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e virtù civica37 e di religione civile38 – che Rousseau deriva dalla tradizione repubblicana classica rinnovata, nell’età moderna, da Machiavelli – rappresentano un’evasione rispetto ai problemi di razionalità e di giustizia dell’alienazione totale e della volontà generale. La presenza di questi elementi politico-repubblicani all’interno di una struttura contrattualista è uno dei tratti più caratteristici del Contratto sociale. Ma proprio essa indica i limiti logici e normativi che il contrattualismo di Rousseau condivide, per molti aspetti, con le altre forme, classiche e contemporanee, del contrattualismo politico.

37 38

CS, 79. CS, 203-207.

CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE DI ROUSSEAU 1712 Nasce il 28 giugno a Ginevra, da Isaac e da Suzanne Bernard, che muore il 7 luglio. 1720-25 Prima educazione con la zia Suzanne Rousseau e con il pastore Lambercier; apprendista presso l’incisore Abel Du Commun. 1728 Lascia Ginevra e incontra Madame de Warens. A Torino si converte al cattolicesimo. 1729-39 Viaggi in Francia e in Svizzera. Soggiorno con Madame de Warens alle Charmettes. 1740-42 Compone a Lione il Progetto per l’educazione di M. de SainteMarie. Presenta all’Académie des sciences di Parigi il Progetto per una nuova notazione musicale. 1743-44 Segretario del conte P.F. de Montaigu, ambasciatore francese a Venezia. Ritorno a Parigi, dopo una lite con Montaigu. 1745 Incontro e convivenza con Thérèse Levasseur. Viene rappresentata la sua opera musicale Le muse galanti. Incontro con Condillac e Diderot. 1749 Redige gli articoli di musica per l’Encyclopédie di d’Alembert e Diderot. Legge il bando del concorso dell’Accademia di Digione: «Se il rinascimento delle scienze e delle arti abbia contribuito a migliorare i costumi», che gli ispira, in una vera e propria «illuminazione», il primo Discorso e l’insieme dei suoi princìpi. 1750 L’Accademia di Digione premia il Discorso sulle scienze e le arti, che viene pubblicato alla fine dell’anno. 1751

Polemiche sul Discorso e risposte di Rousseau.

1752 Compone l’opera musicale L’indovino del villaggio, rappresentata a Fontainebleau alla presenza del re. Rappresentazione al Théatre

Cronologia

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français della commedia giovanile Narciso, o l’amante di se stesso, per cui scrive un’importante Prefazione. 1753 Lettera sulla musica francese. Nel novembre nuovo bando di concorso dell’Accademia di Digione: «Qual è l’origine dell’ineguaglianza fra gli uomini, e se è autorizzata dalla legge di natura». Inizia a scrivere il secondo Discorso. 1754 Completa il Discorso sull’origine dell’ineguaglianza. Torna al calvinismo e riottiene la cittadinanza di Ginevra. Scrive l’articolo Economia politica per l’Encyclopédie e, forse, il Saggio sull’origine delle lingue (pubblicato postumo). 1755 Pubblicazione del secondo Discorso. Scambio di lettere con Voltaire sul Discorso. 1756 Si trasferisce in una casetta nel parco del castello della Chevrette di Madame d’Epinay. Lavora sugli scritti dell’abate di Saint-Pierre. Scrive la Lettera a Voltaire sulla provvidenza, in polemica con il suo Poema sul disastro di Lisbona (distrutta da un terremoto nel 1755) e, forse, la prima versione del Contratto. 1757 Amore per Madame d’Houdetot, per cui scrive le Lettere morali. Composizione della Nuova Eloisa. Polemica e rottura con i philosophes. Si stabilisce a Montmorency. 1758 Lettera a d’Alembert sugli spettacoli, in risposta all’articolo Ginevra scritto da d’Alembert per l’Encyclopédie. Conclude la Nuova Eloisa. 1759

Lavora all’Emilio.

1760 Lavora all’Emilio e al Contratto sociale. Pubblicazione della Nuova Eloisa. 1761

Conclude l’Emilio e il Contratto sociale.

1762 Lettere autobiografiche a Malesherbes. Pubblicazione, in aprile e in maggio, del Contratto e dell’Emilio, subito condannati a Parigi e a Ginevra. Asilo a Môtiers, nel territorio del re Federico II di Prussia. 1763 Lettera a Cristophe de Beaumont, l’arcivescovo di Parigi che aveva condannato l’Emilio. Rinuncia alla cittadinanza ginevrina, a causa della condanna della Lettera. 1764 Lettere dalla montagna, in risposta alle Lettere dalla campagna scritte dal procuratore generale di Ginevra, Tronchin. 1765 Lascia Môtiers per l’isola di Saint-Pierre nel lago di Bienne e di qui fa ritorno a Parigi. Probabile composizione del Progetto di costituzione per la Corsica.

Cronologia

XXV

1766 Si trasferisce a Londra, su invito di David Hume. Inizia la stesura delle Confessioni. Rottura con Hume. 1767

Ritorna in Francia, in preda a disturbi nervosi.

1768

Viaggia per la Francia. Sposa civilmente Thérèse Levasseur.

1769 Risiede a Monquin, nel Delfinato, dove compone i libri VII-XII delle Confessioni. 1770 Torna a Parigi, dove dà lettura privata delle Confessioni (pubblicate postume). Partecipa alla sottoscrizione per la statua a Voltaire (morto in quell’anno). 1772 Compone le Considerazioni sul governo di Polonia. Inizia la stesura dei dialoghi Rousseau giudice di Jean-Jacques (pubblicati postumi) e delle Lettere sulla botanica. 1774 Entra in rapporti amichevoli con Gluck e riprende a comporre musica: il primo atto di un Dafni e Cloe, e un nuovo spartito per L’indovino del villaggio. 1776 Crisi di delirio di persecuzione. Cerca di deporre il testo di Rousseau giudice di Jean-Jacques sull’altare maggiore di Nôtre-Dame. Comincia a scrivere le Passeggiate di un sognatore solitario. 1778 Muore il 2 giugno a Ermenonville, ospite del Marchese de Girardin. Viene sepolto nell’Ile des Peupliers. Le ceneri saranno trasferite al Panthéon nel 1794.

NOTA AL TESTO

Il contratto sociale o princìpi del diritto politico, pubblicato ad Amsterdam dall’editore Rey, nell’aprile 1762, rappresenta l’esito conclusivo di un progetto concepito diciotto anni prima. Nel 1743-44 Rousseau è segretario dell’ambasciatore francese a Venezia e, osservando i difetti di quel governo così lodato, forma l’idea delle Istituzioni politiche, un’opera che, partendo dall’intuizione che «tout tenoit radicalement à la politique», che la politica è decisiva per la virtù e la felicità dei popoli, avrebbe dovuto affrontare e risolvere tutte le questioni principali della filosofia politica. Il progetto non fu portato a compimento secondo il piano originale che avrebbe dovuto comprendere, oltre all’esposizione dei princìpi del diritto politico, lo studio delle relazioni esterne dello Stato. L’impegno di Rousseau nella stesura di quest’opera fu, quanto meno, discontinuo, e alla fine, intorno al 1758, egli si risolse a ricavarne un estratto, limitato ai fondamenti della teoria politica normativa: il Contratto sociale come lo conosciamo. D’altra parte, possiamo dire che l’intera attività di filosofo politico di Rousseau rappresenta uno sviluppo delle questioni che aveva iniziato a porsi a Venezia (molto prima, quindi, dell’«illuminazione» sulla via di Vincennes del 1749): quale governo è più adatto a formare un popolo virtuoso e saggio? quale governo, per sua natura, è più rispettoso della legge? che cos’è la legge? che cos’è la libertà? Il Discorso sull’ineguaglianza, l’articolo Economia politica, gli scritti sull’abate di Saint-Pierre sono altrettante tappe dello sviluppo e della precisazione delle sue idee sul diritto naturale e sulle istituzioni politiche, che trovano una formulazione definitiva nel Contratto. Per quanto riguarda la redazione del testo pubblicato nel 1762, il problema principale è rappresentato dai rapporti fra la versione definitiva e la prima versione, il Manoscritto di Ginevra. Sappiamo che la redazione del Contratto, iniziata nel 1758 e condotta in parallelo con quella dell’Emilio, era compiuta nell’agosto del 1761 (l’editore ricevette il manoscritto nel dicembre di quell’anno). Già nel dicembre 1760, tuttavia, Rousseau aveva

Nota al testo

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potuto mostrare all’editore Rey un «abbozzo» del Contratto: si tratta allora di stabilire se questo «abbozzo» corrisponda al Manoscritto di Ginevra. Contro questa ipotesi si potrebbe fare valere la datazione al 1756, proposta da C.E. Vaughan (Political writings of Jean-Jacques Rousseau, Cambridge University Press, Cambridge 1915, vol. I, pp. 435 sgg.), in considerazione della discussione che Rousseau conduce, nel secondo capitolo dell’opera, dell’articolo Diritto naturale, scritto da Diderot per l’Encyclopédie e pubblicato nel 1755. Ritengo invece che sia da accettare la datazione (proposta da Robert Derathé) che colloca la composizione del Manoscritto nel 1758-60 e lo identifica con l’«abbozzo» mostrato a Rey, per le seguenti ragioni. Anzitutto, il Manoscritto corrisponde in modo molto stretto al testo definitivo del Contratto, e sarebbe sorprendente che, dopo averlo lasciato incompiuto nel 1756, Rousseau prendesse a scriverne una nuova versione nel 1758-60. Inoltre, nel secondo capitolo del Manoscritto l’autore non critica soltanto Diderot ma anche se stesso. Nell’articolo Economia politica (pubblicato nel 1755), Rousseau, infatti, accoglie la visione della società generale e della legge di natura proposte da Diderot. Il Manoscritto esprime quindi una posizione teorica del tutto diversa da quella del 1755 (forse mediata dallo studio degli scritti dell’abate di Saint-Pierre nel 1756-58), che può legittimamente essere collocata in una fase successiva della sua riflessione. Il Manoscritto e il Contratto vanno quindi visti come due versioni, molto vicine nel tempo, della stessa teoria. Il testo francese del Contratto qui pubblicato è quello dell’edizione in ottavo del 1762, curato da R. Derathé per il vol. III (Du contrat social. Ecrits politiques) delle Oeuvres complètes de Jean-Jacques Rousseau, a cura di B. Gagnebin e M. Raymond, Gallimard, Paris 1964, pp. 348-470.

DU CONTRACT SOCIAL OU PRINCIPES DU DROIT POLITIQUE PAR JEAN-JACQUES ROUSSEAU CITOYEN DE GENEVE

Foederis aequas Dicamus leges. Aeneid., XI

IL CONTRATTO SOCIALE O PRINCÌPI DEL DIRITTO POLITICO DI GIAN GIACOMO ROUSSEAU CITTADINO DI GINEVRA

Foederis aequas Dicamus leges. Aeneid., XI

AVERTISSEMENT Ce petit traité est extrait d’un ouvrage plus étendu, entrepris autrefois sans avoir consulté mes forces, et abandonné depuis long-tems. Des divers morceaux qu’on pouvoit tirer de ce qui étoit fait, celui-ci est le plus considérable, et m’a paru le moins indigne d’être offert au public. Le reste n’est déjà plus.

AVVERTENZA Questo piccolo trattato è estratto da un’opera più ampia, iniziata una volta senza aver valutato le mie forze e abbandonata da un pezzo. Dei diversi brani che si potevano ricavare da ciò che avevo scritto, questo è il più considerevole e mi è sembrato il meno indegno d’essere offerto al pubblico. Il resto, ormai, non esiste più.

LIVRE I Je veux chercher si dans l’ordre civil il peut y avoir quelque règle d’administration légitime et sûre, en prenant les hommes tels qu’ils sont, et les lois telles qu’elles peuvent être: Je tâcherai d’allier toujours dans cette recherche ce que le droit permet avec ce que l’intérêt prescrit, afin que la justice et l’utilité ne se trouvent point divisées. J’entre en matière sans prouver l’importance de mon sujet. On me demandera si je suis prince ou législateur pour écrire sur la Politique? Je réponds que non, et que c’est pour cela que j’écris sur la Politique. Si j’étois prince ou législateur, je ne perdrois pas mon tems à dire ce qu’il faut faire; je le ferois, ou je me tairois. Né citoyen d’un Etat libre, et membre du souverain, quelque foible influence que puisse avoir ma voix dans les affaires publiques, le droit d’y voter suffit pour m’imposer le devoir de m’en instruire. Heureux, toutes les fois que je médite sur les gouvernements, de trouver toujours dans mes recherches de nouvelles raisons d’aimer celui de mon pays!

CHAPITRE I

SUJET DE CE PREMIER LIVRE

L’homme est né libre, et par-tout il est dans les fers. Tel se croit le maître des autres, qui ne laisse pas d’être plus esclave qu’eux. Comment ce changement s’est-il fait? Je l’ignore. Qu’est-ce qui peut le rendre légitime? Je crois pouvoir résoudre cette question. Si je ne considérois que la force, et l’effet qui en dérive, je dirois; tant qu’un Peuple est contraint d’obéïr et qu’il obéït, il fait bien; si-

LIBRO PRIMO Voglio cercare se nell’ordine civile può esservi qualche regola di amministrazione legittima e sicura, prendendo gli uomini come sono e le leggi come possono essere. Tenterò di associare sempre in questa ricerca ciò che il diritto permette con ciò che l’interesse prescrive, perché la giustizia e l’utilità non si trovino a essere separate. Entro in materia senza provare l’importanza del mio argomento. Mi si chiederà se sono un principe o un legislatore per scrivere di politica. Rispondo di no, e che proprio per questo scrivo di politica. Se fossi principe o legislatore non perderei il mio tempo a dire che cosa si deve fare; lo farei o starei zitto. Nato cittadino di uno Stato libero e membro del corpo sovrano, per debole che possa essere l’influenza della mia voce negli affari pubblici, il diritto di votare su di essi basta per impormi il dovere di istruirmi in proposito. Felice, ogni volta che medito sui governi, di trovar sempre nelle mie ricerche nuove ragioni per amare quello del mio paese.

CAPITOLO PRIMO

ARGOMENTO DI QUESTO PRIMO LIBRO

L’uomo è nato libero e ovunque è in catene. Chi si crede padrone degli altri è nondimeno più schiavo di loro. Come è avvenuto questo mutamento? non lo so. Che cosa può renderlo legittimo? Credo di poter risolvere questo problema. Se tenessi conto solo della forza e dell’effetto che ne deriva, direi: Finché un popolo è costretto a obbedire, obbedisca; fa bene a far

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Du contract social

tôt qu’il peut secoüer le joug et qu’il le secoüe, il fait encore mieux; car, recouvrant sa liberté par le même droit qui la lui a ravie, ou il est fondé à la reprendre, ou l’on ne l’étoit point à la lui ôter. Mais l’ordre social est un droit sacré, qui sert de base à tous les autres. Cependant ce droit ne vient point de la nature; il est donc fondé sur des conventions. Il s’agit de savoir quelles sont ces conventions. Avant d’en venir-là je dois établir ce que je viens d’avancer. CHAPITRE II

DES PREMIERES SOCIETES

La plus ancienne de toutes les sociétés et la seule naturelle est celle de la famille. Encore les enfants ne restent-ils liés au père qu’aussi longtems qu’ils ont besoin de lui pour se conserver. Sitôt que ce besoin cesse, le lien naturel se dissout. Les enfants, exempts de l’obéïssance qu’ils devoient au père, le père exempt des soins qu’il devoit aux enfants, rentrent tous également dans l’indépendance. S’ils continuent de rester unisce n’est plus naturellement, c’est volontairement, et la famille elle-même ne se maintient que par convention. Cette liberté commune est une conséquence de la nature de l’homme. Sa première loi est de veiller à sa propre conservation, ses premiers soins sont ceux qu’il se doit à lui-même, et, sitôt qu’il est en âge de raison, lui seul étant juge des moyens propres à se conserver devient par là son propre maître. La famille est donc si l’on veut le premier modèle des sociétés politiques; le chef est l’image du père, le peuple est l’image des enfants, et tous étant nés égaux et libres n’aliènent leur liberté que pour leur utilité. Toute la différence est que dans la famille l’amour du père pourses enfants le paye des soins qu’il leur rend, et que dans l’Etat le plaisir de commander supplée à cet amour que le chef n’a pas pour ses peuples. Grotius nie que tout pouvoir humain soit établi en faveur de ceux qui sont gouvernés: Il cite l’esclavage en exemple. Sa plus constante manière de raisonner est d’établir toujours le droit par le fait1. On pourrait employer une méthode plus conséquente, mais non pas plus favorable aux tyrans. Il est donc douteux, selon Grotius, si le genre humain appartient à une centaine d’hommes, ou si cette centaine d’hommes ap-

Il contratto sociale

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così; se appena può scuotere il giogo lo scuote farà anche meglio; infatti recuperando la libertà in base al medesimo diritto che gliel’ha strappata, o fa bene a riprenderla, o hanno fatto male a togliergliela. Ma l’ordine sociale è un sacro diritto che serve di base a tutti gli altri: tuttavia non ha la sua fonte nella natura: dunque si fonda su convenzioni. Si tratta di sapere quali sono queste convenzioni. Prima di affrontare il problema, devo comprovare quanto ora ho affermato.

CAPITOLO SECONDO

DELLE PRIME SOCIETÀ

La famiglia è la più antica di tutte le società e la sola naturale; anche se i figli restano legati al padre solo finché hanno bisogno di lui per la propria conservazione. Appena questo bisogno cessa, il legame naturale si scioglie. Dispensati i figli dall’obbedienza che dovevano al padre, dispensato il padre dalle cure che doveva ai figli, tutti ugualmente tornano all’indipendenza. Se continuano a restare uniti, non è più naturalmente, ma volontariamente, e la famiglia stessa si mantiene solo per convenzione. Questa libertà comune è una conseguenza della natura dell’uomo. La sua prima legge impone di vegliare alla propria conservazione, le prime cure sono quelle che deve a se stesso, e, appena giunto all’età della ragione, essendo unico giudice dei mezzi appropriati alla sua conservazione, diviene così il padrone di se stesso. Pertanto la famiglia è, se vogliamo, il primo modello di società politica; il capo è l’immagine del padre, il popolo è l’immagine dei figli; tutti essendo nati uguali e liberi, alienano la loro libertà solo per loro utilità. La differenza sta tutta nel fatto che nella famiglia l’amore del padre per i figli lo compensa delle cure che ne prende, mentre nello Stato il piacere di comandare supplisce a quest’amore che il capo non ha per i suoi popoli. Grozio nega che ogni potere umano si fondi sul vantaggio dei governati: cita l’esempio della schiavitù. La sua maniera più costante di ragionare consiste nel fondare sempre il diritto sul fatto1. Si potrebbe forse usare un metodo più conseguente, ma non più favorevole ai tiranni. Dunque, secondo Grozio, non si sa bene se il genere umano appartiene a un centinaio di uomini, o se questo centinaio di uomini

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Du contract social

partient au genre humain, et il paroît dans tout son livre pancher pour le premier avis: c’est aussile sentiment de Hobbes. Ainsi voilà l’espèce humaine divisée en troupeaux de bétail, dont chacun a son chef, qui le garde pour le dévorer. Comme un pâtre est d’une nature supérieure à celle de son troupeau, les pasteurs d’hommes, qui sont leurs chefs, sont aussi d’une nature supérieure à celle de leurs peuples. Ainsi raisonnoit, au raport de Philon, l’Empereur Caligula; concluant assez bien de cette analogie que les rois étoient des Dieux, ou que les peuples étoient des bêtes. Le raisonnement de ce Caligula revient à celui d’Hobbes et de Grotius. Aristote avant eux tous avait dit aussi que les hommes ne sont point naturellement égaux, mais que les uns naissent pour l’esclavage et les autres pour la domination. Aristote avait raison, mais il prenoit l’effet pour la cause. Tout homme né dans l’esclavage naît pour l’esclavage, rien n’est plus certain. Les esclaves perdent tout dans leurs fers, jusqu’au désir d’en sortir; ils aiment leur servitude comme les compagnons d’Ulysse aimoient leur abrutissement2. S’il y a donc des esclaves par nature, c’est parce qu’il y a eu des esclaves contre nature. La force a fait les premiers esclaves, leur lâcheté les a perpétués. Je n’ai rien dit du roi Adam, ni de l’empereur Noé père de trois grands Monarques qui se partagèrent l’univers, comme firent les enfants de Saturne, qu’on a cru reconnoître en eux. J’espère qu’on me saura gré de cette modération; car, descendant directement de l’un de ces princes, et peut-être de la branche aînée, que sais-je si par la vérification des titres je ne me trouverais point le légitime roi du genre humain? Quoi qu’il en soit, on ne peut disconvenir qu’Adam n’ait été souverain du monde comme Robinson de son isle, tant qu’il en fut le seul habitant; et ce qu’il y avait de commode dans cet empire était que le monarque assuré sur son trône n’avait à craindre ni rébellions ni guerres ni conspirateurs. CHAPITRE III

DU DROIT DU PLUS FORT

Le plus fort n’est jamais assez fort pour être toujours le maître, s’il ne transforme sa force en droit et l’obéïssance en devoir. De-là le droit du plus fort; droit pris ironiquement en apparence, et réel-

Il contratto sociale

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appartiene al genere umano, e in tutto il suo libro sembra incline alla prima opinione; la pensa così anche Hobbes. Quindi, ecco la specie umana divisa in branchi di bestiame, ciascuno col proprio capo che lo custodisce per divorarlo. Come un pastore è di natura superiore a quella del suo gregge, anche i pastori di uomini, che sono i loro capi, sono di natura superiore a quella dei loro popoli. Così ragionava, secondo Filone, l’imperatore Caligola, concludendo abbastanza esattamente da questa analogia che o i re erano dèi o i popoli erano bestie. Il ragionamento di Caligola è lo stesso di quello di Hobbes e di Grozio. Prima di tutti loro anche Aristotele aveva detto che gli uomini non sono naturalmente uguali, ma che gli uni nascono per la schiavitù, gli altri per il potere. Aristotele aveva ragione, ma scambiava l’effetto con la causa. Ogni uomo nato in schiavitù nasce per la schiavitù; niente di più certo. Gli schiavi perdono tutto nelle loro catene, perfino il desiderio di liberarsene; amano la loro schiavitù come i compagni di Ulisse amavano il loro abbrutimento2. Quindi, se ci sono degli schiavi per natura, è perché ci sono stati degli schiavi contro natura. La forza ha fatto i primi schiavi; la loro viltà li ha perpetuati. Non ho detto nulla del re Adamo o dell’imperatore Noè, padre dei tre grandi monarchi che si spartirono l’universo come fecero i figli di Saturno che si è creduto di riconoscere in loro. Spero che la mia discrezione sarà accolta con gratitudine; infatti, diretto discendente di uno dei prìncipi, e forse del ramo primogenito, non posso escludere l’eventualità di risultare, a una verifica dei titoli, legittimo re del genere umano. Comunque sia, impossibile negare che Adamo sia stato re del mondo come Robinson della sua isola, finché ne fu il solo abitante; e in quest’impero c’era di comodo che il monarca sicuro sul suo trono non aveva da temere né ribellioni né guerre né cospiratori.

CAPITOLO TERZO

DEL DIRITTO DEL PIÙ FORTE

Il più forte non è mai abbastanza forte per essere sempre il padrone, a meno che non trasformi la sua forza in diritto e l’obbedienza in dovere. Di qui il diritto del più forte, detto, in apparen-

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lement établi en principe: Mais ne nous expliquera-t-on jamais ce mot? La force est une puissance physique; je ne vois point quelle moralité peut résulter de ses effets. Céder à la force est un acte de nécessité, non de volonté; c’est tout au plus un acte de prudence. En quel sens pourra-ce être un devoir? Supposons un moment ce prétendu droit. Je dis qu’il n’en résulte qu’un galimatias inexplicable. Car sitôt que c’est la force qui fait le droit, l’effet change avec la cause; toute force qui surmonte la première succède à son droit. Sitôt qu’on peut désobéir impunément on le peut légitimement, et puisque le plus fort a toujours raison, il ne s’agit que de faire en sorte qu’on soit le plus fort. Or qu’est-ce qu’un droit qui périt quand la force cesse? S’il faut obéir par force on n’a pas besoin d’obéir par devoir, et si l’on n’est plus forcé d’obéir on n’y est plus obligé. On voit donc que ce mot de droit n’ajoute rien à la force; il ne signifie ici rien du tout. Obéissez aux puissances. Si cela veut dire, cédez à la force, le précepte est bon, mais superflu, je réponds qu’il ne sera jamais violé. Toute puissance vient de Dieu, je l’avoüe; mais toute maladie en vient aussi. Est-ce à dire qu’il soit défendu d’appeler le médecin? Qu’un brigand me surprenne au coin d’un bois: non seulement il faut par force donner la bourse, mais quand je pourrois la soustraire suis-je en conscience obligé de la donner? car enfin le pistolet qu’il tient est aussi une puissance. Convenons donc que force ne fait pas droit, et qu’on n’est obligé d’obéir qu’aux puissances légitimes. Ainsi ma question primitive revient toujours.

CHAPITRE IV

DE L’ESCLAVAGE

Puisque aucun homme n’a une autorité naturelle sur son semblable, et puisque la force ne produit aucun droit, restent donc les conventions pour base de toute autorité légitime parmi les hommes. Si un particulier, dit Grotius, peut aliéner sa liberté et se rendre esclave d’un maître, pourquoi tout un peuple ne pourroit-il pas aliéner la sienne et se rendre sujet d’un roi? Il y a là bien des mots

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za, diritto per ironia, ma in realtà stabilito come principio. Ma non ci spiegheranno mai quest’espressione? La forza è una potenza fisica; non vedo quale moralità possa risultare dai suoi effetti. Cedere alla forza è un atto necessario, non volontario; al massimo è un atto di prudenza. In che senso potrebbe essere un dovere? Supponiamo per un momento questo preteso diritto. Dico che ne vien fuori solo un inestricabile garbuglio. Infatti, appena il diritto si fonda sulla forza, l’effetto muta col mutare della causa: ogni forza che soverchi la precedente le succede nel diritto. Appena si può disobbedire impunemente, farlo diventa legittimo; e poiché il più forte ha sempre ragione, si tratta solo di fare in modo di essere il più forte. Ora, che cos’è un diritto che vien meno quando la forza cessa? Se si deve obbedire per forza, non c’è bisogno di obbedire per dovere, e se non si è più forzati a obbedire non ci si è più obbligati. Pertanto, come si vede, il termine diritto non aggiunge nulla alla forza; in questa espressione non significa proprio nulla. Obbedite ai poteri. Se il precetto significa: cedete alla forza, esso è valido, ma superfluo; rispondo che non sarà mai violato. Ogni potere viene da Dio, lo riconosco; ma anche ogni malattia. Vuol forse dire che è proibito chiamare il medico? Se un brigante mi sorprende nella notte, non solo devo consegnargli la borsa per forza, ma sono obbligato, in coscienza, a consegnarla anche se posso sottrargliela? perché, infine, anche la pistola che stringe in pugno è un potere. Riconosciamo dunque che la forza non fa il diritto e che si è obbligati ad obbedire solo ai poteri legittimi. Quindi torniamo sempre al mio problema originario.

CAPITOLO QUARTO

DELLA SCHIAVITÙ

Poiché nessun uomo ha un’autorità naturale sul suo simile, e poiché la forza non produce nessun diritto, alla base di ogni autorità legittima fra gli uomini restano dunque le convenzioni. Se un individuo, dice Grozio, può alienare la sua libertà e farsi schiavo d’un padrone, perché un intero popolo non potrebbe alienare la sue e rendersi suddito di un re? Ci sono qui parecchie pa-

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équivoques qui auroient besoin d’explication, mais tenons-nous-en à celui d’aliéner. Aliéner c’est donner ou vendre. Or un homme qui se fait esclave d’un autre ne se donne pas, il se vend, tout au moins pour sa subsistance: mais un peuple pour quoi se vend-il? Bien loin qu’un roi fournisse à ses sujets leur subsistance il ne tire la sienne que d’eux, et selon Rabelais un roi ne vit pas de peu. Les sujets donnent donc leur personne à condition qu’on prendra aussi leur bien? Je ne vois pas ce qu’il leur reste à conserver. On dira que le despote assure à ses sujets la tranquillité civile. Soit; mais qu’y gagnent-ils, si les guerres que son ambition leur attire, si son insatiable avidité, si les vexations de son ministère les désolent plus que ne feroient leurs dissensions? Qu’y gagnent-ils, si cette tranquillité même est une de leurs misères? On vit tranquille aussi dans les cachots; en est-ce assez pour s’y trouver bien? Les Grecs enfermés dans l’antre du Cyclope y vivoient tranquilles, en attendant que leur tour vînt d’être dévorés. Dire qu’un homme se donne gratuitement, c’est dire une chose absurde et inconcevable; un tel acte est illégitime et nul, par cela seul que celui qui le fait n’est pas dans son bon sens. Dire la même chose de tout un peuple, c’est supposer un peuple de fou: la folie ne fait pas droit. Quand chacun pourroit s’aliéner lui-même, il ne peut aliéner ses enfants; ils naissent hommes et libres; leur liberté leur appartient, nul n’a droit d’en disposer qu’eux. Avant qu’ils soient en âge de raison le père peut en leur nom stipuler des conditions pour leur conservation, pour leur bien-être; mais non les donner irrévocablement et sans condition; car un tel don est contraire aux fins de la nature et passe les droits de la paternité. Il faudroit donc pour qu’un gouvernement arbitraire fut légitime qu’à chaque génération le peuple fût le maître de l’admettre ou de le rejeter: mais alors ce gouvernement ne serait plus arbitraire. Renoncer à sa liberté c’est renoncer à sa qualité d’homme, aux droits de l’humanité, même à ses devoirs. Il n’y a nul dédommagement possible pour quiconque renonce à tout. Une telle renonciation est incompatible avec la nature de l’homme, et c’est ôter toute moralité à ses actions que d’ôter toute liberté à sa volonté. Enfin c’est une convention vaine et contradictoire de stipuler d’une part une autorité absolue et de l’autre une obéissance sans bornes.

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role equivoche che richiederebbero una spiegazione, ma fermiamoci alla parola alienare. Alienare significa donare o vendere. Ora, un uomo che si fa schiavo di un altro, non si dona, si vende, almeno in cambio del proprio sostentamento; ma un popolo in cambio di che si vende? Un re, lungi dal fornire ai suoi sudditi il sostentamento, trae il proprio esclusivamente da loro, e secondo Rabelais un re non vive di poco. I sudditi regalano dunque la loro persona a condizione che anche i loro averi verranno presi? Non vedo che resti loro da conservare. Si dirà che il despota assicura ai sudditi la tranquillità civile. E sia; ma che ci guadagnano se le guerre in cui la sua ambizione li trascina, la sua insaziabile avidità, le vessazioni dei suoi ministri, esercitano un’azione devastatrice peggiore di quella delle loro eventuali contese? Che ci guadagnano se questa tranquillità medesima è una delle loro miserie? Si vive tranquilli anche in prigione; ma basta questo per trovarcisi bene? I Greci prigionieri nell’antro del Ciclope vivevano tranquilli, in attesa del loro turno di essere divorati. Dire che un uomo si dà gratuitamente è dire una cosa assurda e inconcepibile; si tratta di un atto illegittimo e nullo, per il semplice fatto che chi lo compie non è in senno. Dire la stessa cosa di tutto un popolo significa supporre un popolo di pazzi: la follia non è un fondamento di diritto. Quand’anche ciascuno potesse alienare se stesso, non potrebbe alienare i suoi figli; essi nascono uomini e liberi; padroni della loro libertà sono i soli ad aver diritto di disporne. Prima che giungano all’età della ragione, il padre può in loro nome accettare certe condizioni in vista della loro conservazione e del loro benessere; ma non può darli irrevocabilmente e senza condizione; un simile dono è contrario ai fini della natura e oltrepassa i diritti della paternità. Perché un governo arbitrario fosse legittimo bisognerebbe dunque che a ogni nuova generazione il popolo fosse padrone di accettarlo o di rifiutarlo: ma allora non sarebbe più un governo arbitrario. Rinunziare alla libertà vuol dire rinunziare alla propria qualità di uomo, ai diritti dell’umanità, persino ai propri doveri. Non c’è compenso possibile per chi rinunzia a tutto. Una tale rinuncia è incompatibile con la natura dell’uomo: togliere ogni libertà alla sua volontà significa togliere ogni moralità alle sue azioni. Infine, una convenzione che stabilisce, da un lato, un’autorità assoluta e, dal-

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N’est-il pas clair qu’on n’est engagé à rien envers celui dont on a droit de tout exiger, et cette seule condition, sans équivalent, sans échange n’entraîne-t-elle pas la nullité de l’acte? Car quel droit mon esclave auroit-il contre moi, puisque tout ce qu’il a m’appartient, et que son droit étant le mien, ce droit de moi contre moi-même est un mot qui n’a aucun sens? Grotius et les autres tirent de la guerre une autre origine du prétendu droit d’esclavage. Le vainqueur ayant, selon eux, le droit de tuer le vaincu, celui-ci peut racheter sa vie aux dépends de sa liberté; convention d’autant plus légitime qu’elle tourne au profit de tous deux. Mais il est clair que ce prétendu droit de tuer les vaincus ne résulte en aucune manière de l’état de guerre. Par cela seul que les hommes vivant dans leur primitive indépendance n’ont point entre eux de rapport assez constant pour constituer ni l’état de paix ni l’état de guerre, ils ne sont point naturellement ennemis. C’est le rapport des choses et non des hommes qui constitue la guerre, et l’état de guerre ne pouvant naître des simples relations personnelles, mais seulement des relations réelles, la guerre privée ou d’homme à homme ne peut exister, ni dans l’état de nature où il n’y a point de propriété constante, ni dans l’état social où tout est sous l’autorité des lois. Les combats particuliers, les duels, les rencontres sont des actes qui ne constituent point un état; et à l’égard des guerres privées, autorisées par les établissements de Louis IX roi de France et suspendues par la paix de Dieu, ce sont des abus du gouvernement féodal, système absurde s’il en fut jamais, contraire aux principes du droit naturel, et à toute bonne politie. La guerre n’est donc point une rélation d’homme à homme, mais une rélation d’Etat à Etat, dans laquelle les particuliers ne sont ennemis qu’accidentellement, non point comme hommes ni même comme citoyens, mais comme soldats; non point comme membres de la patrie, mais comme ses défenseurs. Enfin chaque Etat ne peut avoir pour ennemis que d’autres Etats et non pas des hommes, attendu qu’entre choses de diverses natures on ne peut fixer aucun vrai rapport. Ce principe est même conforme aux maximes établies de tous les temps et à la pratique constante de tous les peuples policés. Les déclarations de guerre sont moins des avertissements aux puis-

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l’altro, un’obbedienza illimitata risulta vana e contraddittoria. Non è forse chiaro che non si hanno obblighi di sorta verso colui da cui si ha diritto di esigere tutto, e non basta questa condizione senza corrispettivo, senza scambio, a comportare la nullità dell’atto? Infatti qual diritto potrebbe il mio schiavo accampare contro di me, se tutto ciò che egli ha mi appartiene, e se, essendo il suo diritto il mio, questo diritto mio contro me stesso si riduce a una parola senza senso? Grozio e gli altri ricavano dalla guerra un’altra origine del preteso diritto di schiavitù. Secondo loro, poiché il vincitore ha diritto di uccidere il vinto, questi può riscattare la propria vita a prezzo della libertà; convenzione tanto più legittima in quanto risulta vantaggiosa per entrambi. Ma, evidentemente, questo preteso diritto di uccidere i vinti non deriva in nessun modo dallo stato di guerra. Gli uomini, per il semplice fatto che vivendo nella loro primitiva indipendenza non hanno fra loro rapporti abbastanza costanti da costituire lo stato di pace o di guerra, non sono naturalmente nemici. È il rapporto delle cose, non degli uomini, a costituire la guerra, e, poiché lo stato di guerra non può nascere dalle semplici relazioni personali, ma solo dalle relazioni reali, la guerra privata, o da uomo a uomo, non può esistere né nello stato di natura, dove non c’è proprietà costante, né nello stato sociale dove tutto è soggetto all’autorità delle leggi. I combattimenti particolari, i duelli, gli scontri, non sono atti che costituiscono uno stato; e, quanto alle guerre private, autorizzate dalle istituzioni di Luigi IX re di Francia e sospese dalla tregua di Dio, sono abusi del governo feudale, sistema assurdo, se mai ve ne fu, contrario ai princìpi del diritto naturale e ad ogni buona costituzione politica. La guerra non è dunque una relazione da uomo a uomo, ma una relazione fra Stato e Stato, in cui i privati sono nemici solo per accidente, non come uomini o come cittadini, ma come soldati; non come membri della patria, ma come suoi difensori. Infine, ciascuno Stato può avere per nemici solo degli altri Stati, non degli uomini, poiché fra cose di natura diversa non si può stabilire alcun vero rapporto. Questo principio è anche conforme alle massime stabilite in tutti i tempi e alla pratica costante di tutti i popoli civili. Le dichiarazioni di guerra sono meno degli avvertimenti ai capi che non ai

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sances qu’à leurs sujets. L’étranger, soit roi, soit particulier, soit peuple, qui vole, tue ou détient les sujets sans déclarer la guerre au prince, n’est pas un ennemi, c’est un brigand. Même en pleine guerre un prince juste s’empare bien en pays ennemi de tout ce qui appartient au public, mais il respecte la personne et les biens des particuliers; il respecte des droits sur lesquels sont fondés les siens. La fin de la guerre étant la destruction de l’Etat ennemi, on a droit d’en tuer les défenseurs tant qu’ils ont les armes à la main; mais sitôt qu’ils les posent et se rendent, cessant d’être ennemis ou instruments de l’ennemi, ils redeviennent simplement hommes et l’on n’a plus de droit sur leur vie. Quelquefois on peut tuer l’Etat sans tuer un seul de ses membres: Or la guerre ne donne aucun droit qui ne soit nécessaire à safin. Ces principes ne sont pas ceux de Grotius; ils ne sont pas fondés sur des autorités de poètes, mais ils dérivent de la nature des choses, et sont fondés sur la raison. A l’égard du droit de conquête, il n’a d’autre fondement que la loi du plus fort. Si la guerre ne donne point au vainqueur le droit de massacrer les peuples vaincus, ce droit qu’il n’a pas ne peut fonder celui de les asservir. On n’a le droit de tuer l’ennemi que quand on ne peut le faire esclave; le droit de le faire esclave ne vient donc pas du droit de le tuer: c’est donc un échange inique de lui faire acheter au prix de sa liberté sa vie sur laquelle on n’a aucun droit. En établissant le droit de vie et de mort sur le droit d’esclavage, et le droit d’esclavage sur le droit de vie et de mort, n’est-il pas clair qu’on tombe dans le cercle vicieux? En supposant même ce terrible droit de tout tuer, je dis qu’un esclave fait à la guerre ou un peuple conquis n’est tenu à rien du tout envers son maître, qu’à lui obéir autant qu’il y est forcé. En prenant un équivalent à sa vie le vainqueur ne lui en a point fait grâce: au lieu de le tuer sans fruit il l’a tué utilement. Loin donc qu’il ait acquis sur lui nulle autorité jointe à la force, l’état de guerre subsiste entre eux comme auparavant, leur rélation même en est l’effet, et l’usage du droit de la guerre ne suppose aucun traité de paix. Ils ont fait une convention; soit: mais cette convention, loin de détruire l’état de guerre, en suppose la continuité. Ainsi, de quelque sens qu’on envisage les choses, le droit d’esclave est nul, non seulement parce qu’il est illégitime, mais parce qu’il est absurde et ne signifie rien. Ces mots, esclavage et droit, sont

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sudditi. Lo straniero, re, o privato, o popolo, che ruba, uccide o detiene i sudditi senza dichiarar guerra al principe non è un nemico, ma un bandito. Anche in piena guerra, un principe giusto s’impadronisce, in paese nemico, di tutto ciò che appartiene allo Stato, ma rispetta la persona e i beni dei privati; rispetta dei diritti su cui si fondano anche i diritti suoi. Il fine della guerra essendo la distruzione dello Stato nemico, si ha diritto di ucciderne i difensori finché impugnano le armi; ma appena le depongono e si arrendono, cessando di essere nemici o strumenti del nemico, tornano a essere semplicemente uomini e non si ha più diritto sulla loro vita. Talvolta si può uccidere lo Stato senza uccidere nessuno dei suoi membri: ora, la guerra non dà nessun diritto che non sia necessario al suo fine. Questi princìpi non sono i princìpi di Grozio; non sono fondati sull’autorità di poeti, ma derivano dalla natura delle cose e si fondano sulla ragione. Quanto al diritto di conquista, non ha altro fondamento oltre alla legge del più forte. Se la guerra non dà al vincitore il diritto di massacrare i popoli vinti, questo diritto che non ha non può servir di fondamento al diritto di ridurli in schiavitù. Non si ha diritto di uccidere il nemico se non quando non si può farlo schiavo; il diritto di renderlo schiavo non dipende dunque dal diritto di ucciderlo; è pertanto uno scambio iniquo quello che gli s’impone facendogli pagare con la libertà la vita su cui non si ha nessun diritto. Non è evidente che, fondando il diritto di vita e di morte su quello di ridurre in schiavitù, e il diritto di ridurre in schiavitù sul diritto di vita e di morte, si cade in un circolo vizioso? Persino a voler supporre questo terribile diritto di uccidere tutti, affermo che uno schiavo di guerra, o un popolo soggiogato, non è tenuto assolutamente a nulla verso il padrone, se non a obbedirgli finché vi è costretto. Il vincitore, prendendo un corrispettivo in cambio della sua vita, non gliene ha fatto grazia: invece di ucciderlo senza frutto lo ha ucciso con un utile. Non ha dunque acquistato su di lui nessun’autorità congiunta alla forza; tutt’altro; lo stato di guerra sussiste tra loro come prima, la loro stessa relazione ne è il risultato, e l’uso del diritto di guerra non implica alcun trattato di pace. Hanno fatto una convenzione; e sia; ma questa convenzione, lungi dal distruggere lo stato di guerra, ne implica la continuità. Quindi, comunque si considerino le cose, il diritto di schiavitù è nullo, non solo perché illegittimo, ma perché assurdo e privo di si-

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contradictoires; ils s’excluent mutuellement. Soit d’un homme à un homme, soit d’un homme à un peuple, ce discours sera toujours également insensé. Je fais avec toi une convention toute à ta charge et toute à mon profit, que j’observerai tant qu’il me plaira, et que tu observeras tant qu’il me plaira.

CHAPITRE V

QU’IL FAUT TOUJOURS REMONTER A UNE PREMIERE CONVENTION

Quand j’accorderois tout ce que j’ai réfuté jusqu’ici, les fauteurs du despotisme n’en seroient pas plus avancés. Il y aura toujours une grande différence entre soumettre une multitude, et régir une société. Que des hommes épars soient successivement asservis à un seul, en quelque nombre qu’ils puissent être, je ne vois là qu’un maître et des esclaves, je n’y vois point un peuple et son chef; c’est si l’on veut une aggrégation, mais non pas une association; il n’y a là ni bien public ni corps politique. Cet homme, eût-il asservi la moitié du monde, n’est toujours qu’un particulier; son intérêt, séparé de celui des autres, n’est toujours qu’un intérêt privé. Si ce même homme vient à périr, son empire après lui reste épars et sans liaison, comme un chêne se dissout et tombe en un tas de cendres, après que le feu l’a consumé. Un peuple, dit Grotius, peut se donner à un roi. Selon Grotius un peuple est donc un peuple avant de se donner à un roi. Ce don même est un acte civil, il suppose une délibération publique. Avant donc que d’examiner l’acte par lequel un peuple élit un roi, il seroit bon d’examiner l’acte par lequel un peuple est un peuple. Car cet acte étant nécessairement antérieur à l’autre est le vrai fondement de la société. En effet, s’il n’y avoit, point de convention antérieure, où seroit, à moins que l’élection ne fût unanime, l’obligation pour le petit nombre de se soumettre au choix du grand, et d’où cent qui veulent un maître ont-ils le droit de voter pour dix qui n’en veulent point? La loi de la pluralité des suffrages est elle-même un établissement de convention, et suppose au moins une fois l’unanimité.

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gnificato. I termini schiavitù e diritto sono contraddittori; si escludono a vicenda. Sia da uomo a uomo, come da uomo a popolo, sarà sempre ugualmente privo di senso questo discorso: Faccio con te una convenzione tutta a carico tuo e tutta a vantaggio mio, che io osserverò finché mi piacerà, e che tu osserverai finché piacerà a me.

CAPITOLO QUINTO

COME SI DEBBA SEMPRE RISALIRE A UNA PRIMA CONVENZIONE

Quand’anche concedessi tutto ciò che fin qui ho confutato, i fautori del dispotismo non ne risulterebbero avvantaggiati. Ci sarà sempre una gran differenza tra sottomettere una moltitudine e governare una società. Se degli uomini sparsi, quanto si voglia numerosi, vengono successivamente asserviti ad uno solo, io vedo, in questo caso, solo un padrone e degli schiavi; non ci vedo un popolo e il suo capo; si tratta, se vogliamo, d’un aggregato, non di un’associazione; non c’è in esso né bene pubblico né corpo politico. Quest’uomo, abbia pure asservito la metà del mondo, è sempre un privato; il suo interesse, separato da quello degli altri, è sempre un interesse privato. Se questo medesimo uomo viene a morire, il suo impero, dopo di lui, rimane sparso e senza legami, come una quercia si dissolve e cade in un mucchio di ceneri dopo che il fuoco l’ha consumata. Un popolo, dice Grozio, può darsi a un re. Secondo Grozio un popolo è dunque un popolo prima di darsi a un re. Questo stesso dono è un atto civile, suppone una deliberazione pubblica. Pertanto, prima di esaminare l’atto per il quale un popolo elegge un re, sarebbe bene esaminare l’atto per il quale un popolo è un popolo. Perché quest’atto, essendo necessariamente anteriore all’altro, è il vero fondamento della società. In effetti, se non ci fosse una convenzione anteriore, in che starebbe, a meno di un’elezione unanime, l’obbligo per la minoranza di sottomettersi alla scelta della maggioranza? e in base a che cento individui che vogliono un padrone hanno diritto di votare per dieci che non lo vogliono? La stessa legge della maggioranza dei suffragi è una norma stabilita per convenzione e suppone almeno una volta l’unanimità.

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Du contract social CHAPITRE VI

DU PACTE SOCIAL

Je suppose les hommes parvenus à ce point où les obstacles qui nuisent à leur conservation dans l’état de nature, l’emportent par leur résistance sur les forces que chaque individu peut employer pour se maintenir dans cet état. Alors cet état primitif ne peut plus subsister, et le genre humain périroit s’il ne changeoit sa manière d’être. Or comme les hommes ne peuvent engendrer de nouvelles forces, mais seulement unir et diriger celles qui existent, ils n’ont plus d’autre moyen pour se conserver que de former par aggrégation une somme de forces qui puisse l’emporter sur la résistance, de les mettre en jeu par un seul mobile et de les faire agir de concert. Cette somme de forces ne peut naître que du concours de plusieurs: mais la force et la liberté de chaque homme étant les premiers instrumens de sa conservation, comment les engagera-t-il sans se nuire, et sans négliger les soins qu’il se doit? Cette difficulté ramenée à mon sujet peut s’énoncer en ces termes: «Trouver une forme d’association qui défende et protege de toute la force commune la personne et les biens de chaque associé, et par laquelle chacun s’unissant à tous n’obéisse pourtant qu’à luimême et reste aussi libre qu’auparavant.» Tel est le problème fondamental dont le contrat social donne la solution. Les clauses de ce contrat sont tellement déterminées par la nature de l’acte, que la moindre modification les rendroit vaines et de nul effet; en sorte que, bien qu’elles n’aient peut-être jamais été formellement énoncées, elles sont par-tout les mêmes, par-tout tacitement admises et reconnues; jusqu’à ce que, le pacte social étant violé, chacun rentre alors dans ses premiers droits et reprenne sa liberté naturelle, en perdant la liberté conventionnelle pour laquelle il y renonça. Ces clauses bien entendues se réduisent toutes à une seule, savoir l’aliénation totale de chaque associé avec tous ses droits à toute la communauté: Car, premièrement, chacun se donnant tout entier, la condition est égale pour tous, et la condition étant égale pour tous, nul n’a intérêt de la rendre onéreuse aux autres.

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21 CAPITOLO SESTO

DEL PATTO SOCIALE

Suppongo che gli uomini siano arrivati a quel punto in cui gli ostacoli che si oppongono alla loro conservazione nello stato di natura prendono con la loro resistenza il sopravvento sulle forze che ogni individuo può impiegare per mantenersi in tale stato. Allora questo stato primitivo non può più sussistere e il genere umano perirebbe se non cambiasse il suo modo di essere. Ora, poiché gli uomini non possono generare nuove forze, ma solo unire e dirigere quelle esistenti, non hanno più altro mezzo per conservarsi se non quello di formare per aggregazione una somma di forze che possa vincere la resistenza, mettendole in moto mediante un solo impulso e accordandole nell’azione. Questa somma di forze può nascere solo dal concorso di parecchi uomini; ma, essendo la forza e la libertà di ciascun uomo i primi strumenti della sua conservazione, come potrà impegnarli senza nuocersi o senza trascurare le cure che deve a se stesso? Tale difficoltà, riportata al mio argomento, si può enunciare nei seguenti termini: «Trovare una forma di associazione che protegga e difenda con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, mediante la quale ognuno unendosi a tutti non obbedisca tuttavia che a se stesso e resti libero come prima». Ecco il problema fondamentale di cui il contratto sociale dà la soluzione. Le clausole di tale contratto sono talmente determinate dalla natura dell’atto che la minima modificazione le renderebbe vane e senza effetto; dimodoché, quantunque, forse, non siano mai state enunciate formalmente, son dappertutto uguali, dappertutto tacitamente ammesse e riconosciute; fino a che, essendo stato violato il patto sociale, ciascuno non rientra nei suoi primitivi diritti e riprende la sua libertà naturale perdendo la libertà convenzionale con cui l’aveva barattata. Queste clausole, beninteso, si riducono tutte a una sola, cioè all’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità: infatti, in primo luogo, dando ognuno tutto se stesso, la condizione è uguale per tutti, e la condizione essendo uguale per tutti, nessuno ha interesse a renderla gravosa per gli altri.

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Du contract social

De plus, l’aliénation se faisant sans réserve, l’union est aussi parfaite qu’elle ne peut l’être et nul associé n’a plus rien à réclamer: Car s’il restoit quelques droits aux particuliers, comme il n’y auroit aucun supérieur commun qui pût prononcer entre eux et le public, chacun étant en quelque point son propre juge prétendroit bientôt l’être en tous, l’état de nature subsisteroit et l’association deviendroit nécessairement tyrannique ou vaine. Enfin chacun se donnant à tous ne se donne à personne, et comme il n’y a pas un associé sur lequel on n’acquière le même droit qu’on lui cède sur soi, on gagne l’équivalent de tout ce qu’on perd, et plus de force pour conserver ce qu’on a. Si donc on écarte du pacte social ce qui n’est pas de son essence, on trouvera qu’il se réduit aux termes suivants: Chacun de nous met en commun sa personne et toute sa puissance sous la suprême direction de la volonté générale; et nous recevons en corps chaque membre comme partie indivisible du tout. A l’instant, au lieu de la personne particuliere de chaque contractant, cet acte d’association produit un corps moral et collectif composé d’autant de membres que l’assemblée a de voix, lequel reçoit de ce même acte son unité, son moi commun, sa vie et sa volonté. Cette personne publique qui se forme ainsi par l’union de toutes les autres prenoit autrefois le nom de Cité 3, et prend maintenant celui de République ou de corps politique, lequel est appelé par ses membres Etat quand il est passif, Souverain quand il est actif, Puissance en le comparant à ses semblables. A l’égard des associés ils prennent collectivement le nom de peuple, et s’appellent en particulier Citoyens comme participants à l’autorité souveraine, et Sujets comme soumis aux lois de l’Etat. Mais ces termes se confondent souvent et se prennent l’un pour l’autre; il suffit de les savoir distinguer quand ils sont employés dans toute leur précision.

CHAPITRE VII

DU SOUVERAIN

On voit par cette formule que l’acte d’association renferme un engagement réciproque du public avec les particuliers, et que

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Inoltre, la mancanza di riserve nell’alienazione conferisce all’unione la maggior perfezione possibile e nessun associato ha più nulla da reclamare. Infatti, se i privati conservassero qualche diritto, poiché non vi sarebbe un superiore comune per far da arbitro nei loro contrasti con la comunità, ciascuno, essendo su qualche punto il proprio giudice, pretenderebbe ben presto di esserlo su tutti, lo stato di natura continuerebbe a sussistere e l’associazione diventerebbe necessariamente tirannica o vana. Infine, ciascuno dandosi a tutti non si dà a nessuno, e poiché su ogni associato, nessuno escluso, si acquista lo stesso diritto che gli si cede su noi stessi, si guadagna l’equivalente di tutto ciò che si perde e un aumento di forza per conservare ciò che si ha. Se dunque si esclude dal patto sociale ciò che non rientra nella sua essenza, vedremo che si riduce ai seguenti termini: Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e tutto il suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e noi, come corpo, riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto. Istantaneamente, quest’atto di associazione produce, al posto delle persone private dei singoli contraenti, un corpo morale e collettivo, composto di tanti membri quanti sono i voti dell’assemblea, che trae dal medesimo atto la sua unità, il suo io comune, la sua vita e la sua volontà. Questa persona pubblica, così formata dall’unione di tutte le altre, prendeva un tempo il nome di città 3, e prende oggi quello di repubblica o di corpo politico, detto dai suoi membri Stato, quand’è passivo, Sovrano, quand’è attivo, Potenza, quando lo si considera in rapporto con altre simili unità politiche. Quanto agli associati, prendono collettivamente il nome di popolo, mentre, in particolare, si chiamano cittadini, in quanto partecipano dell’autorità sovrana, e sudditi, in quanto soggetti alle leggi dello stato. Ma questi termini spesso si confondono e vengono scambiati; basta saperli distinguere quando sono usati in tutta la loro esattezza.

CAPITOLO SETTIMO

DEL SOVRANO

Si vede da questa formula che l’atto di associazione racchiude un reciproco impegno tra collettività e privati e che ciascun individuo,

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chaque individu, contractant, pour ainsi dire, avec lui-même, se trouve engagé sous un double rapport; savoir, comme membre du Souverain envers les particuliers, et comme membre de l’Etat envers le Souverain. Mais on ne peut appliquer ici la maxime du droit civil que nul n’est tenu aux engagements pris avec lui-même; car il y a bien de la différence entre s’obliger envers soi, ou envers un tout dont on fait partie. Il faut remarquer encore que la délibération publique, qui peut obliger tous les sujets envers le Souverain, à cause des deux différents rapports sous lesquels chacun d’eux est envisagé, ne peut, par la raison contraire, obliger le Souverain envers lui-même, et que, par conséquent, il est contre la nature du corps politique que le Souverain s’impose une loi qu’il ne puisse enfreindre. Ne pouvant se considérer que sous un seul et même rapport il est alors dans le cas d’un particulier contractant avec soi-même: par où l’on voit qu’il n’y a ni ne peut y avoir nulle espèce de loi fondamentale obligatoire pour le corps du peuple, pas même le contrat social. Ce qui ne signifie pas que ce corps ne puisse fort bien s’engager envers autrui en ce qui ne déroge point à ce contrat; car à l’égard de l’étranger, il devient un être simple, un individu. Mais le corps politique ou le Souverain ne tirant son être que de la sainteté du contrat ne peut jamais s’obliger, même envers autrui, à rien qui déroge à cet acte primitif, comme d’aliéner quelque portion de lui-même ou de se soumettre à un autre Souverain. Violer l’acte par lequel il existe seroit s’anéantir, et ce qui n’est rien ne produit rien. Sitôt que cette multitude est ainsi réunie en un corps, on ne peut offenser un des membres sans attaquer le corps; encore moins offenser le corps sans que les membres s’en ressentent. Ainsi le devoir et l’intérêt obligent également les deux parties contractantes à s’entre-aider mutuellement, et les mêmes hommes doivent chercher à réunir sous ce double rapport tous les avantages qui en dépendent. Or le Souverain n’étant formé que des particuliers qui le composent n’ani ne peut avoir d’intérêt contraire au leur; par conséquent la puissance Souveraine n’a nul besoin de garant envers les sujets, parce qu’il est impossible que le corps veuille nuire à tous ses membres, et nous verrons ci-après qu’il ne peut nuire à aucun en particulier. Le Souverain, par cela seul qu’il est, est toujours tout ce qu’il doit être.

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contrattando, per così dire, con se stesso, si trova impegnato sotto un duplice rapporto: come membro del sovrano verso i privati, e come membro dello Stato verso il sovrano. Ma qui non si può applicare la massima del diritto civile per cui nessuno è tenuto a osservare gl’impegni assunti con se stesso; impegnarsi con se stesso, infatti, è cosa ben diversa dall’impegnarsi con un tutto di cui si fa parte. Va anche notato che la deliberazione pubblica da cui tutti i sudditi possono essere obbligati verso il sovrano, a cagione dei due diversi rapporti sotto cui ciascuno di essi è considerato, non può, per il motivo opposto, obbligare il sovrano verso se stesso, e quindi è contrario alla natura del corpo politico che il Sovrano s’imponga una legge che non può violare. Non potendo considerarsi che sotto un solo e medesimo rapporto, egli si viene allora a trovare nel caso di un privato che contratti con se stesso; di qui si vede come non vi sia e non possa esservi nessuna specie di legge fondamentale obbligatoria per il corpo del popolo, nemmeno il contratto sociale. Il che non significa che tale corpo non possa benissimo impegnarsi verso altri, in ciò che non deroga da questo contratto; infatti, nei riguardi dello straniero, diventa un essere semplice, un individuo. Ma il corpo politico o il sovrano, traendo il proprio essere solo dalla santità del contratto, non può mai obbligarsi, neppure verso altri, a niente che deroghi a quest’atto primitivo, come l’alienare qualche parte di se stesso o il sottomettersi a un altro sovrano. Violare l’atto per cui esiste vorrebbe dire annientarsi, e ciò che è nulla non produce nulla. Non appena questa moltitudine si trova così riunita in un corpo, non si può offendere uno dei suoi membri senza attaccare il corpo; e meno ancora offendere il corpo senza che le parti ne risentano. Così il dovere e l’interesse obbligano ugualmente le due parti contraenti al reciproco aiuto; e gli stessi uomini devono cercare di riunire sotto questo doppio rapporto tutti i vantaggi che ne dipendono. Ora, il sovrano, essendo formato solo dei privati che lo compongono, non ha né può avere interessi contrari ai loro, e quindi il potere sovrano non ha nessun bisogno di garanzie verso i sudditi, perché è impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi membri, e, come presto vedremo, non può nuocere ad alcuno in particolare. Il Sovrano, per il solo fatto di essere, è sempre tutto ciò che deve essere.

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Mais il n’en est pas ainsi des sujets envers le Souverain, auquel, malgré l’intérêt commun, rien ne répondroit de leurs engagements s’il ne trouvoit des moyens de s’assurer de leur fidélité. En effet chaque individu peut comme homme avoir une volonté particulière contraire ou dissemblable à la volonté générale qu’il a comme Citoyen. Son intérêt particulier peut lui parler tout autrement que l’intérêt commun; son existence absolue et naturellement indépendante peut lui faire envisager ce qu’il doit à la cause commune comme une contribution gratuite, dont la perte sera moins nuisible aux autres que le payement n’en est onéreux pour lui, et regardant la personne morale qui constitue l’Etat comme un être de raison parce que ce n’est pas un homme, il jouiroit des droits du citoyen sans vouloir remplir les devoirs du sujet; injustice dont le progrès causeroit la ruine du corps politique. Afin donc que le pacte social ne soit pas un vain formulaire, il renferme tacitement cet engagement qui seul peut donner de la force aux autres, que quiconque refusera d’obéir à la volonté générale y sera contraint par tout le corps: ce qui ne signifie autre chose sinon qu’on le forcera d’être libre; car telle est la condition qui donnant chaque Citoyen à la Patrie le garantit de toute dépendance personnelle; condition qui fait l’artifice et le jeu de la machine politique, et qui seule rend légitimes les engagements civils, lesquels sans cela seraient absurdes, tyranniques, et sujets aux plus énormes abus.

CHAPITRE VIII

DE L’ETAT CIVIL

Ce passage de l’état de nature à l’état civil produit dans l’homme un changement très remarquable, en substituant dans sa conduite la justice à l’instinct, et donnant à ses actions la moralité qui leur manquoit auparavant. C’est alors seulement que la voix du devoir succédant à l’impulsion physique et le droit à l’appétit, l’homme, qui jusques là n’avoit regardé que lui-même, se voit forcé d’agir sur d’autres principes, et de consulter sa raison avant d’écouter ses penchants. Quoiqu’il se prive dans cet état de plusieurs avantages qu’il tient de la nature, il en regagne de si grands,

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Ma non si può dir lo stesso dei sudditi di fronte al sovrano, a cui, nonostante l’interesse comune, niente garantirebbe la loro adempienza agli obblighi se egli non trovasse il modo di assicurarsi la loro fedeltà. In effetti ogni individuo può, in quanto uomo, avere una volontà particolare contraria o diversa dalla volontà generale che ha come cittadino. Il suo interesse particolare può parlargli in modo molto diverso dall’interesse comune; la sua esistenza assoluta, naturalmente indipendente, può indurlo a guardar ciò che deve alla causa comune come un contributo gratuito, la cui perdita nuocerebbe agli altri meno di quanto il pagarlo non costi a lui, e guardando la persona morale che costituisce lo Stato come un ente di ragione perché non è un uomo, godrebbe dei diritti del cittadino senza voler adempiere ai doveri di suddito: ingiustizia il cui diffondersi determinerebbe la rovina del corpo politico. Pertanto il patto sociale, per non ridursi a un complesso di formule vane, include tacitamente il solo impegno capace di dar forza a tutti gli altri, e cioè che chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale vi sarà costretto dall’intero corpo; ciò significa solo che sarà costretto ad essere libero; tale infatti è la condizione che, dando ogni cittadino alla patria, lo garantisce da ogni dipendenza personale; condizione a cui si riconduce il meccanismo e il giuoco della macchina politica e che sola rende legittimi gli obblighi civili, che senza di essa sarebbero assurdi, tirannici e soggetti ai più sfrenati abusi.

CAPITOLO OTTAVO

DELLO STATO CIVILE

Tale passaggio dallo stato di natura allo stato civile produce nell’uomo un mutamento molto notevole, sostituendo nella sua condotta la giustizia all’istinto e conferendo alle sue azioni la moralità di cui prima mancavano. Solo a questo punto, succedendo la voce del dovere all’impulso fisico e il diritto all’appetito, l’uomo che fin qui aveva guardato a se stesso e basta, si vede costretto ad agire in base ad altri princìpi e a consultare la ragione prima di ascoltare le inclinazioni. Ma, pur privandosi in questo nuovo stato di molti vantaggi che la natura gli accorda, ne ottiene in compenso di tanto

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ses facultés s’exercent et se développent, ses idées s’étendent, ses sentiments s’ennoblissent, son âme tout entière s’élève à tel point, que si les abus de cette nouvelle condition ne le dégradoient souvent au dessous de celle dont il est sorti, il devroit bénir sans cesse l’instant heureux qui l’en arracha pour jamais, et qui, d’un animal stupide et borné, fit un être intelligent et un homme. Réduisons toute cette balance à des termes faciles à comparer. Ce que l’homme perd par le contrat social, c’est sa liberté naturelle et un droit illimité à tout ce qui le tente et qu’il peut atteindre; ce qu’il gagne, c’est la liberté civile et la propriété de tout ce qu’il possède. Pour ne pas se tromper dans ces compensations, il faut bien distinguer la liberté naturelle qui n’a pour bornes que les forces de l’individu, de la liberté civile qui est limitée par la volonté générale, et la possession qui n’est que l’effet de la force ou le droit du premier occupant, de la propriété qui ne peut être fondée que sur un titre positif. On pourroit sur ce qui précède ajouter à l’acquis de l’état civil la liberté morale, qui seule rend l’homme vraiment maître de lui; car l’impulsion du seul appétit est esclavage, et l’obéissance à la loi qu’on s’est prescritte est liberté. Mais je n’en ai déjà que trop dit sur cet article, et le sens philosophique du mot liberté n’est pas ici de mon sujet.

CHAPITRE IX

DU DOMAINE REEL

Chaque membre de la communauté se donne à elle au moment qu’elle se forme, tel qu’il se trouve actuellement, lui et toutes ses forces, dont les biens qu’il possède font partie. Ce n’est pas que par cet acte la possession change de nature en changeant de mains, et devienne propriété dans celles du Souverain: Mais comme les forces de la Cité sont incomparablement plus grandes que celles d’un particulier, la possession publique est aussi dans le fait plus forte et plus irrévocable, sans être plus légitime, au moins pour les étrangers. Car l’Etat à l’égard de ses membres est maître de tous leurs biens par le contrat social, qui dans l’Etat sert de base à tous les droits; mais il ne l’est à l’égard des autres Puis-

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grandi, le sue facoltà si esercitano e si sviluppano, le sue idee si ampliano, i suoi sentimenti si nobilitano, la sue anima intera si eleva a tal segno, che se il cattivo uso della nuova condizione spesso non lo degradasse facendolo scendere al disotto di quella da cui proviene, dovrebbe benedire senza posa l’istante felice che lo strappò per sempre di là, facendo dell’animale stupido e limitato che era un essere intelligente e un uomo. Ma riportiamo tutto questo bilancio a termini facili da paragonarsi. In forza del contratto sociale l’uomo perde la sua libertà naturale e un diritto senza limiti a tutto ciò che lo attira e che può raggiungere; guadagna la libertà civile e la proprietà di tutto quanto possiede. Per non ingannarsi a proposito di queste compensazioni, bisogna distinguere con cura la libertà naturale, che trova un limite solo nelle forze dell’individuo, dalla libertà civile, che è limitata dalla volontà generale, e il possesso che è solo il frutto della forza, o il diritto del primo occupante, dalla proprietà che può solo fondarsi su un titolo positivo. Si potrebbe, in base a ciò che precede, aggiungere all’acquisto dello stato civile la libertà morale che sola rende l’uomo veramente padrone di sé; infatti l’impulso del solo appetito è schiavitù e l’obbedienza alla legge che ci siamo prescritta è libertà. Ma in proposito ho gia parlato fin troppo, e il significato filosofico del termine libertà, non rientra, qui, nel mio tema.

CAPITOLO NONO

DEL DOMINIO REALE

Ciascun membro della comunità, nel momento in cui essa si forma, le si offre così come allora si trova, con tutte le sue forze, di cui fanno parte i beni che possiede. Non che con quest’atto il possesso muti natura passando in altre mani e divenga proprietà in quelle del sovrano. Ma, come le forze della città sono senza paragone maggiori di quelle di un privato, così il possesso pubblico è di fatto più forte ed irrevocabile, senza essere più legittimo, almeno per gli stranieri. Infatti lo Stato, in rapporto ai suoi membri, è padrone di tutti i loro beni, per il contratto sociale, che nello Stato serve di base a tutti i diritti; ma non è padrone di fronte alle al-

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sances que par le droit de premier occupant qu’il tient des particuliers. Le droit de premier occupant, quoique plus réel que celui du plus fort, ne devient un vrai droit qu’après l’établissement de celui de propriété. Tout homme a naturellement droit à tout ce qui lui est nécessaire; mais l’acte positif qui le rend propriétaire de quelque bien l’exclud de tout le reste. Sa part étant faite il doit s’y borner, et n’a plus aucun droit à la communauté. Voilà pourquoi le droit de premier occupant, si foible dans l’état de nature, est respectable à tout homme civil. On respecte moins dans ce droit ce qui est à autrui que ce qui n’est pas à soi. En général, pour autoriser sur un terrain quelconque le droit de premier occupant, il faut les conditions suivantes. Premièrement que ce terrain ne soit encore habité par personne; secondement qu’on n’en occupe que la quantité dont on a besoin pour subsister; en troisième lieu qu’on en prenne possession, non par une vaine cérémonie, mais par le travail et la culture, seul signe de propriété qui au défaut de titres juridiques doive être respecté d’autrui. En effet, accorder au besoin et au travail le droit de premier occupant, n’est-ce pas l’étendre aussi loin qu’il peut aller? Peut-on ne pas donner des bornes à ce droit? Suffira-t-il de mettre le pied sur un terrain commun pour s’en prétendre aussitôt le maître? Suffira-t-il d’avoir la force d’en écarter un moment les autres hommes pour leur ôter le droit d’y jamais revenir? Comment un homme ou un peuple peut-il s’emparer d’un territoire immense et en priver tout le genre humain autrement que par une usurpation punissable, puisqu’elle ôte au reste des hommes le séjour et les aliments que la nature leur donne en commun? Quand Nuñez Balbao prenoit sur le rivage possession de la mer du sud et de toute l’Amérique méridionale au nom de la couronne de Castille, étoit-ce assez pour en déposséder tous les habitants et en exclurre tous les princes du monde? Sur ce pied-là ces cérémonies se multipliaient assez vainement, et le Roi catholique n’avoit tout d’un coup qu’à prendre de son cabinet possession de tout l’univers; sauf à retrancher ensuite de son empire ce qui étoit auparavant possédé par les autres princes. On conçoit comment les terres des particuliers réunies et contigues deviennent le territoire public, et comment le droit de

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tre potenze, se non per il diritto del primo occupante che gli viene dai privati. Il diritto di primo occupante, benché più reale di quello del più forte, diviene un vero diritto solo dopo l’istituzione di quello di proprietà. Ogni uomo ha naturalmente diritto a tutto ciò che gli è necessario; ma l’atto positivo che lo rende padrone di qualche bene lo esclude da tutto il resto. Ricevuta la sua parte, deve limitarsi a quella, e non ha più nessun diritto sui beni della comunità. Ecco perché il diritto di primo occupante, così debole nello stato di natura, è degno di rispetto per ogni uomo civile. In questo diritto c’è meno rispetto per la cosa d’altri che non per ciò che non è nostro. In generale, per autorizzare su un terreno qualunque il diritto di primo occupante, si richiedono le seguenti condizioni. In primo luogo, che il terreno non sia ancora abitato da nessuno. In secondo luogo che ci si limiti a occuparne la quantità necessaria per ricavarne di che vivere. In terzo luogo che se ne prenda possesso, anziché con una vana cerimonia, col lavorare alla sua coltivazione, unico segno di proprietà che, in mancanza di titoli giuridici, abbia diritto al rispetto altrui. In effetti, accordare al bisogno e al lavoro il diritto di primo occupante, non è forse spingerlo fin dove si può? Ma è mai possibile non porre dei limiti a tale diritto? Basterà mettere il piede su un terreno comune per pretendere subito di esserne il proprietario? Basterà aver la forza di cacciarne per un momento gli altri uomini per toglier loro il diritto di ritornarvi mai? Come può un uomo o un popolo impadronirsi di un territorio immenso e privarne tutto il resto del genere umano, se non attraverso un’usurpazione che va punita, in quanto toglie agli altri uomini la sede e gli alimenti offerti loro in comune dalla natura? Quando Nuñez Balboa prendeva dalla riva possesso del mare del Sud e di tutta l’America meridionale in nome della corona di Castiglia, bastava quest’atto per spossessarne tutti gli abitanti ed escluderne tutti i principi del mondo? Su quelle basi le cerimonie si sarebbero moltiplicate alquanto vanamente: infatti il re cattolico, stando nel suo gabinetto, non doveva far altro che prender possesso, d’un sol colpo, di tutto l’universo: salvo poi a sottrarre dal suo impero ciò che prima era in possesso degli altri principi. Si capisce come le terre dei privati, riunite e contigue, diventino il territorio pubblico e come il diritto di sovranità, estendendo-

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souveraineté s’étendant des sujets au terrain qu’ils occupent devient à la fois réel et personnel; ce qui met les possesseurs dans une plus grande dépendance, et fait de leurs forces mêmes les garants de leur fidélité. Avantage qui ne paroit pas avoir été bien senti des anciens monarques qui ne s’appelant que rois des Perses, des Scithes, des Macédoniens, sembloient se regarder comme les chefs des hommes plutôt que comme les maîtres du pays. Ceux d’aujourd’hui s’appellent plus habilement rois de France, d’Espagne, d’Angleterre, etc. En tenant ainsi le terrain, ils sont bien sûrs d’en tenir les habitants. Ce qu’il y a de singulier dans cette aliénation, c’est que, loin qu’en acceptant les biens des particuliers la communauté les en dépouille, elle ne fait que leur en assurer la légitime possession, changer l’usurpation en un véritable droit, et la jouissance en propriété. Alors les possesseurs étant considérés comme dépositaires du bien public, leurs droits étant respectés de tous les membres de l’Etat et maintenus de toutes ses forces contre l’étranger, par une cession avantageuse au public et plus encore à eux-mêmes, ils ont, pour ainsi dire, acquis tout ce qu’ils ont donné. Paradoxe qui s’explique aisément par la distinction des droits que le souverain et le propriétaire ont sur le même fond, comme on verra ci-après. Il peut arriver aussi que les hommes commencent à s’unir avant que de rien posséder, et que, s’emparant ensuite d’un terrain suffisant pour tous, ils en jouissent en commun, ou qu’ils le partagent entre eux, soit également soit selon des proportions établies par le Souverain. De quelque manière que se fasse cette acquisition, le droit que chaque particulier a sur son propre fond est toujours subordonné au droit que la communauté a sur tous, sans quoi il n’y aurait ni solidité dans le lien social, ni force réelle dans l’exercice de la Souveraineté. Je terminerai ce chapitre et ce livre par une remarque qui doit servir de base à tout le système social; c’est qu’au lieu de détruire l’égalité naturelle, le pacte fondamental substitue au contraire une égalité morale et légitime à ce que la nature avait pu mettre d’inégalité physique entre les hommes, et que, pouvant être inégaux en force ou en génie, ils deviennent tous égaux par convention et de droit4.

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si dai sudditi al terreno che occupano, diventi a un tempo reale e personale, ponendo i possessori in una posizione di maggior dipendenza e facendo delle loro stesse forze la garanzia della loro fedeltà. Vantaggio che non sembra sia stato avvertito appieno dagli antichi monarchi che, chiamandosi semplicemente re dei Persiani, degli Sciti, dei Macedoni, sembravano considerare se stessi più come i capi degli uomini che come i padroni del paese. Quelli d’oggi si chiamano più astutamente re di Francia, di Spagna, d’Inghilterra, ecc. Così, essendo signori del suolo, sono ben sicuri di dominarne gli abitanti. L’aspetto singolare di quest’alienazione sta nel fatto che la comunità, ben lungi dallo spogliare i privati dei beni che accetta, non fa altro che assicurarne loro il legittimo possesso, mutando l’usurpazione in un autentico diritto e il godimento in proprietà. Allora, essendo considerati depositari del bene pubblico, essendo il loro diritto rispettato da tutti i membri dello Stato, che lo tutela con tutte le sue forze contro lo straniero, i possessori, mediante una cessione vantaggiosa per la comunità e più ancora per loro stessi, vengono, per così dire, ad acquistare tutto ciò che hanno donato. Paradosso facile da spiegarsi con la distinzione tra i diritti del proprietario e quelli del sovrano sul medesimo fondo, come vedremo più oltre. Può anche accadere che gli uomini comincino ad unirsi quando ancora non posseggono nulla, e che, impossessandosi in seguito d’un terreno sufficiente per tutti, ne godano in comune o lo dividano tra di loro, in parti uguali, o in base a certe proporzioni stabilite dal sovrano. Ma comunque avvenga l’acquisto, il diritto di ciascun privato sul suo terreno è sempre subordinato al diritto della comunità sul tutto; altrimenti non vi sarebbe né stabilità nel vincolo sociale, né forza reale nell’esercizio della sovranità. Chiuderò questo capitolo e questo libro con un rilievo che deve servire di base a tutto il sistema sociale. Il patto fondamentale, invece di distruggere l’uguaglianza naturale, sostituisce, al contrario, un’uguaglianza morale e legittima a quel tanto di disuguaglianza fisica che la natura ha potuto mettere tra gli uomini i quali, potendo per natura trovarsi ad essere disuguali per forza o per ingegno, diventano tutti uguali per convenzione e di diritto4.

LIVRE II

CHAPITRE I

QUE LA SOUVERAINETE EST INALIENABLE

La première et la plus importante conséquence des principes ci-devant établis est que la volonté générale peut seule diriger les forces de l’Etat selon la fin de son institution, qui est le bien commun: car si l’opposition des intérêts particuliers a rendu nécessaire l’établissement des sociétés, c’est l’accord de ces mêmes intérêts qui l’a rendu possible. C’est ce qu’il y a de commun dans ces différents intérêts qui forme le lien social, et s’il n’y avoit pas quelque point dans lequel tous les intérêts s’accordent, nulle société ne sauroit exister. Or c’est uniquement sur cet intérêt commun que la société doit être gouvernée. Je dis donc que la souveraineté n’étant que l’exercice de la volonté générale ne peut jamais s’aliéner, et que le souverain, qui n’est qu’un être collectif, ne peut être représenté que par lui-même; le pouvoir peut bien se transmettre, mais non pas la volonté. En effet, s’il n’est pas impossible qu’une volonté particulière s’accorde sur quelque point avec la volonté générale; il est impossible au moins que cet accord soit durable et constant; car la volonté particulière tend par sa nature aux préférences, et la volonté générale à l’égalité. Il est plus impossible encore qu’on ait un garant de cet accord quand même il devroit toujours exister; ce ne seroit pas un effet de l’art mais du hasard. Le Souverain peut bien dire, je veux actuellement ce que veut un tel homme ou du moins ce qu’il dit vouloir; mais il ne peut pas dire; ce que cet homme voudra demain, je le voudrai encore; puisqu’il est absurde que la volonté

LIBRO SECONDO

CAPITOLO PRIMO

LA SOVRANITÀ È INALIENABILE

La prima e più importante conseguenza dei princìpi stabiliti più sopra è che solo la volontà generale può dirigere le forze dello Stato secondo il fine della sua istituzione, che è il bene comune; infatti, se è stato il contrasto degl’interessi privati a render necessaria l’istituzione della società, è stato l’accordo dei medesimi interessi a renderla possibile. Il legame sociale risulta da ciò che in questi interessi differenti c’è di comune, e, se non ci fosse qualche punto su cui tutti gl’interessi si accordano, la società non potrebbe esistere. Ora, la società deve essere governata unicamente sulla base di questo interesse comune. Dico dunque che la sovranità, non essendo che l’esercizio della volontà generale, non può mai alienarsi, e che il sovrano, essendo solo un ente collettivo, non può essere rappresentato che da se stesso; il potere può, sì, essere trasmesso, ma non la volontà. Infatti, se non è impossibile che una volontà privata si accordi su qualche punto con la volontà generale, è impossibile, per lo meno, che questo accordo sia duraturo e costante, perché la volontà particolare tende per sua natura al privilegio, e la volontà generale all’uguaglianza. Ancor più decisamente impossibile che vi sia una garanzia di questo accordo; anche se esso dovesse verificarsi costantemente ciò non sarebbe frutto dell’arte, ma del caso. Il sovrano può, sì, dire: «Io voglio attualmente ciò che vuole quel tale uomo, o almeno ciò che dice di volere»; ma non può dire: «Ciò che quest’uomo vorrà domani, io lo vorrò ancora», poiché è assurdo

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se donne des chaînes pour l’avenir, et puisqu’il ne dépend d’aucune volonté de consentir à rien de contraire au bien de l’être qui veut. Si donc le peuple promet simplement d’obéir, il se dissout par cet acte, il perd sa qualité de peuple; à l’instant qu’il y a un maître il n’y a plus de Souverain, et dès lors le corps politique est détruit. Ce n’est point à dire que les ordres des chefs ne puissent passer pour des volontés générales, tant que le Souverain libre de s’y opposer ne le fait pas. En pareil cas, du silence universel on doit présumer le consentement du peuple. Ceci s’expliquera plus au long.

CHAPITRE II

QUE LA SOUVERAINETE EST INDIVISIBLE

Par la même raison que la souveraineté est inaliénable, elle est indivisible. Car la volonté est générale 5 , ou elle ne l’est pas; elle est celle du corps du peuple, ou seulement d’une partie. Dans le premier cas cette volonté déclarée est un acte de souveraineté et fait loi: Dans le second, ce n’est qu’une volonté particulière, ou un acte de magistrature; c’est un décret tout au plus. Mais nos politiques ne pouvant diviser la souveraineté dans son principe, la divisent dans son objet; ils la divisent en force et en volonté, en puissance législative et en puissance exécutive, en droits d’impôts, de justice, et de guerre, en administration intérieure et en pouvoir de traitter avec l’étranger: tantôt ils confondent toutes ces parties et tantôt ils les séparent; ils font du Souverain un être fantastique et formé de pièces rapportées; c’est comme s’ils composoient l’homme de plusieurs corps dont l’un auroit des yeux, l’autre des bras, l’autre des pieds, et rien de plus. Les charlatans du Japon dépècent, dit-on, un enfant aux yeux des spectateurs, puis jettant en l’air tous ses membres l’un après l’autre, ils font retomber l’enfant vivant et tout rassemblé. Tels sont à pou près les tours de gobelets de nos politiques; après avoir démembré le corps social par un prestige digne de la foire, ils rassemblent les pièces on ne sait comment. Cette erreur vient de ne s’être pas fait des notions exactes de l’autorité souveraine, et d’avoir pris pour des parties de cette autorité ce qui n’en étoit que des émanations. Ainsi, par exemple, on a regardé l’acte de déclarer la guerre et celui de faire la paix comme

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che la volontà si dia delle catene per l’avvenire, e poiché nessuna volontà può consentire a qualcosa che contrasti col bene di chi vuole. Se dunque il popolo promette semplicemente di obbedire, con quest’atto si dissolve e perde la propria qualità di popolo; non appena c’è un padrone non c’è più un sovrano, e da quel momento il corpo politico è distrutto. Ciò non vuol dire che gli ordini dei capi non possano passare per volontà generali, finché il sovrano, libero di farlo, non si oppone. In questo caso, dal silenzio universale dobbiamo presumere il consenso del popolo. Questo punto verrà svolto più diffusamente.

CAPITOLO SECONDO

LA SOVRANITÀ È INDIVISIBILE

La sovranità, per la stessa ragione per cui è inalienabile, è anche indivisibile. Infatti la volontà o è generale5 o non lo è; è la volontà del corpo popolare o solo di una parte. Nel primo caso questa volontà dichiarata è un atto sovrano e fa legge; nel secondo è solo una volontà particolare, o un atto di magistrature; tutt’al più un decreto. Ma i nostri politici, non potendo dividere la sovranità nel suo principio, la dividono nel suo oggetto; la dividono in forza e volontà; in potere legislativo ed esecutivo; in diritto d’imposta, di giustizia e di guerra; in amministrazione interna e in potere di trattare con lo straniero; ora confondono tutte queste parti, ore le separano; fanno del sovrano un essere fantastico costituito di pezzi giustapposti, come se componessero l’uomo di più corpi, di cui uno avesse gli occhi, un altro le braccia, un altro ancora i piedi, e nulla più. I ciarlatani del Giappone – si dice – fanno a pezzi un bambino sotto gli occhi degli spettatori, poi, gettando in aria tutte le sue membra successivamente, fanno ricadere il bambino vivo e ricomposto nella sua unità. Tali sono press’a poco i giuochi di bussolotti dei nostri politici; dopo aver smembrato il corpo sociale con un giuoco di prestigio da fiera, non si sa come, ne rimettono insieme i pezzi. L’errore deriva dal fatto di non essersi formate delle esatte nozioni sull’autorità sovrana, e dall’aver scambiato con parti della sua autorità quelle che erano soltanto sue emanazioni. Quindi, per esempio, si sono considerati atti di sovranità dichiarare la guerra e

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des actes de souveraineté, ce qui n’est pas; puisque chacun de ces actes n’est point une loi mais seulement une application de la loi, un acte particulier qui détermine le cas de la loi, comme on le verra clairement quand l’idée attachée au mot loi sera fixée. En suivant de même les autres divisions on trouveroit que toutes les fois qu’on croit voir la souveraineté partagée on se trompe, que les droits qu’on prend pour des parties de cette souveraineté lui sont tous subordonnés, et supposent toujours des volontés suprêmes dont ces droits ne donnent que l’exécution. On ne sauroit dire combien ce défaut d’exactitude a jeté d’obscurité sur les décisions des auteurs en matière de droit politique, quand ils ont voulu juger des droits respectifs des rois et des peuples, sur les principes qu’ils avoient établis. Chacun peut voir dans les chapitres III et IV du premier livre de Grotius comment ce savant homme et son traducteur Barbeyrac s’enchevêtrent, s’embarrassent dans leurs sophismes, crainte d’en dire trop ou de n’en pas dire assez selon leurs vues, et de choquer les intérêts qu’ils avoient à concilier. Grotius réfugié en France, mécontent de sa patrie, et voulant faire sa cour à Louis XIII à qui son livre est dédié, n’épargne rien pour dépouiller les peuples de tous leurs droits et pour en revêtir les rois avec tout l’art possible. C’eût bien été aussi le goût de Barbeyrac, qui dédiait sa traduction au roi d’Angleterre George I. Mais malheureusement l’expulsion de Jacques II, qu’il appelle abdication, le forçoit à se tenir sur la réserve, à gauchir, à tergiverser, pour ne pas faire de Guillaume un usurpateur. Si ces deux écrivains avoient adopté les vrais principes, toutes les difficultés étoient levées et ils eussent été toujours conséquents; mais ils auroient tristement dit la vérité et n’auroient fait leur cour qu’au peuple. Or la vérité ne mène point à la fortune, et le peuple ne donne ni ambassades, ni chaires, ni pensions.

CHAPITRE III

SI LA VOLONTE GENERALE PEUT ERRER

Il s’ensuit de ce qui précède que la volonté générale est toujours droite et tend toujours à l’utilité publique: mais il ne s’ensuit pas que les délibérations du peuple aient toujours la même rectitude.

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concludere la pace, il che non è esatto, perché ciascuno di questi atti non è una legge, ma solo un’applicazione della legge, un atto particolare che determina il caso della legge, come vedremo chiaramente quando sarà fissata l’idea connessa con la parola legge. Seguendo allo stesso modo le altre suddivisioni si capirebbe che ci s’inganna sempre se si crede di vedere la sovranità divisa in parti, che i diritti scambiati per parti di tale sovranità le sono tutti subordinati, e presuppongono sempre delle volontà supreme rispetto a cui tali diritti hanno solo funzione esecutiva. Sarebbe difficile dire quanta oscurità questo difetto di esattezza abbia gettato sulle decisioni degli autori in materia di diritto politico quando hanno voluto giudicare dei rispettivi diritti dei re e dei popoli in base ai princìpi che avevano stabilito. Ognuno può vedere nei capitoli III e IV del primo libro di Grozio come quest’uomo dotto e il suo traduttore Barbeyrac si impappinino impigliandosi nei loro sofismi, per timore di dire troppo o troppo poco secondo le loro vedute e di urtare gl’interessi che avevano da conciliare. Grozio, rifugiato in Francia, scontento della sua patria, volendo fare la corte a Luigi XIII a cui il suo libro è dedicato, non risparmia nulla per spogliare il popolo di tutti i suoi diritti e per rivestirne i re con tutta l’arte possibile. Anche a Barbeyrac, che dedicava la sua traduzione al re d’Inghilterra Giorgio I, sarebbe piaciuto fare altrettanto. Ma purtroppo l’espulsione di Giacomo II, che egli chiama abdicazione, lo forzava a tenersi prudente, a destreggiarsi, a tergiversare, per non fare di Guglielmo un usurpatore. Se questi due scrittori avessero adottato i veri princìpi, tutte le difficoltà sarebbero state eliminate ed essi avrebbero mantenuto una costante coerenza; ma avrebbero detto la squallida verità e avrebbero fatto la corte soltanto al popolo. Ora, la verità non porta alla fortuna, e il popolo non largisce né ambasciate, né cattedre, né pensioni.

CAPITOLO TERZO

SE LA VOLONTÀ GENERALE POSSA SBAGLIARE

Da quanto si è detto consegue che la volontà generale è sempre retta e tende sempre all’utilità pubblica; ma non che le deliberazioni del popolo rivestano sempre la medesima rettitudine. Si vuo-

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On veut toujours son bien, mais on ne le voit pas toujours: Jamais on ne corrompt le peuple, mais souvent on le trompe, et c’est alors seulement qu’il paraît vouloir ce qui est mal. Il y a souvent bien de la différence entre la volonté de tous et la volonté générale; celle-ci ne regarde qu’à l’intérêt commun, l’autre regarde à l’intérêt privé, et n’est qu’une somme de volontés particulières: mais ôtez de ces mêmes volontés les plus et les moins qui s’entre-détruisent6, reste pour somme des différences la volonté générale. Si, quand le peuple suffisamment informé délibère, les Citoyens n’avoient aucune communication entre eux, du grand nombre de petites différences résulteroit toujours la volonté générale, et la délibération seroit toujours bonne. Mais quand il se fait des brigues, des associations partielles aux dépends de la grande, la volonté de chacune de ces associations devient générale par rapport à ses membres, et particulière par rapport à l’Etat; on peut dire alors qu’il n’y a plus autant de votants que d’hommes, mais seulement autant que d’associations. Les différences deviennent moins nombreuses et donnent un résultat moins général. Enfin quand une de ces associations est si grande qu’elle l’emporte sur toutes les autres, vous n’avez plus pour résultat une somme de petites différences, mais une différence unique; alors il n’y a plus de volonté générale, et l’avis qui l’emporte n’est qu’un avis particulier. Il importe donc pour avoir bien l’énoncé de la volonté générale qu’il n’y ait pas de société partielle dans l’Etat et que chaque Citoyen n’opine que d’après lui7. Telle fut l’unique et sublime institution du grand Lycurgue. Que s’il y a des sociétés partielles, il en faut multiplier le nombre et en prévenir l’inégalité, comme firent Solon, Numa, Servius. Ces précautions sont les seules bonnes pour que la volonté générale soit toujours éclairée, et que le peuple ne se trompe point. CHAPITRE IV

DES BORNES DU POUVOIR SOUVERAIN

Si l’Etat ou la Cité n’est qu’une personne morale dont la vie consiste dans l’union de ses membres, et si le plus important de ses soins est celui de sa propre conservation, il lui faut une force uni-

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le sempre il proprio bene, ma non sempre si capisce qual è; il popolo non viene mai corrotto, ma spesso viene ingannato e allora soltanto sembra volere ciò che è male. Spesso c’è una gran differenza fra la volontà di tutti e la volontà generale; questa guarda soltanto all’interesse comune, quella all’interesse privato e non è che una somma di volontà particolari; ma eliminate da queste medesime volontà il più e il meno che si elidono6 e come somma delle differenze resta la volontà generale. Se, quando il popolo informato a sufficienza delibera, i cittadini non avessero alcuna comunicazione fra di loro, dal gran numero delle piccole differenze risulterebbe sempre la volontà generale e la deliberazione sarebbe sempre buona. Ma quando si formano delle consorterie, delle associazioni particolari alle spese di quella grande, la volontà di ciascuna di tali associazioni diviene generale in rapporto ai suoi membri e particolare rispetto allo Stato; si può dire allora che non ci sono più tanti votanti quanti sono gli uomini, ma solo quante sono le associazioni. Le differenze si fanno meno numerose e il risultato ha carattere meno generale. Infine, quando una di queste associazioni è tanto grande da superare tutte le altre, non avete più come risultato una somma di piccole differenze, ma una differenza unica; allora non c’è più volontà generale e il parere che prevale è solo un parere particolare. Per avere la schietta enunciazione della volontà generale è dunque importante che nello Stato non ci siano società parziali e che ogni cittadino pensi solo con la propria testa7. Tale fu l’unica e sublime istituzione del grande Licurgo. Se poi vi sono società parziali bisogna moltiplicarne il numero e prevenirne la disuguaglianza, come fecero Solone, Numa e Servio. Queste sono le sole precauzioni valide perché la volontà generale sia sempre illuminata e perché il popolo non s’inganni.

CAPITOLO QUARTO

DEI LIMITI DEL POTERE SOVRANO

Se lo Stato o la Città non è che una persona morale la cui vita consiste nell’unione dei suoi membri, e se la più importante delle sue cure è quella della sua conservazione, ha bisogno di una forza

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verselle et compulsive pour mouvoir et disposer chaque partie de la manière la plus convenable au tout. Comme la nature donne à chaque homme un pouvoir absolu sur tous ses membres, le pacte social donne au corps politique un pouvoir absolu sur tous les siens, et c’est ce même pouvoir, qui, dirigé par la volonté générale porte, comme j’ai dit, le nom de souveraineté. Mais outre la personne publique, nous avons à considérer les personnes privées qui la composent, et dont la vie et la liberté sont naturellement indépendantes d’elle. Il s’agit donc de bien distinguer les droits respectifs des Citoyens et du Souverain8, et les devoirs qu’ont à remplir les premiers en qualité de sujets, du droit naturel dont ils doivent jouir en qualité d’hommes. On convient que tout ce que chacun aliéne par le pacte social de sa puissance, de ses biens, de sa liberté, c’est seulement la partie de tout cela dont l’usage importe à la communauté, mais il faut convenir aussi que le Souverain seul est juge de cette importance. Tous les services qu’un citoyen peut rendre à l’Etat, il les lui doit sitôt que le Souverain les demande; mais le Souverain de son côté ne peut charger les sujets d’aucune chaîne inutile à la communauté; il ne peut pas même le vouloir: car sous la loi de raison rien ne se fait sans cause, non plus que sous la loi de nature. Les engagements qui nous lient au corps social ne sont obligatoires que parce qu’ils sont mutuels, et leur nature est telle qu’en les remplissant on ne peut travailler pour autrui sans travailler aussi pour soi. Pourquoi la volonté générale est-elle toujours droite, et pourquoi tous veulent-ils constamment le bonheur de chacun d’eux, si ce n’est parce qu’il n’y a personne qui ne s’approprie ce mot chacun, et qui ne songe à lui-même en votant pour tous? Ce qui prouve que l’égalité de droit et la notion de justice qu’elle produit dérive de la préférence que chacun se donne et par conséquent de la nature de l’homme, que la volonté générale pour être vraiment telle doit l’être dans son objet ainsi que dans son essence, qu’elle doit partir de tous pour s’appliquer à tous, et qu’elle perd sa rectitude naturelle lorsqu’elle tend à quelque objet individuel et déterminé; parce qu’alors jugeant de ce qui nous est étranger nous n’avons aucun vrai principe d’équité qui nous guide. En effet, sitôt qu’il s’agit d’un fait ou d’un droit particulier, sur un point qui n’a pas été réglé par une convention générale et antérieure, l’affaire devient contentieuse. C’est un procès où les particuliers intéressés sont une des parties et le public l’autre, mais où

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universale e coattiva per muovere e disporre ciascuna parte nel modo più conveniente al tutto. Come la natura dà a ciascun uomo un potere assoluto su tutte le sue membra, il patto sociale dà al corpo politico un potere assoluto su tutte le sue, ed è questo medesimo potere che, diretto dalla volontà generale, porta, come ho detto, il nome di sovranità. Ma oltre alla persona pubblica abbiamo da considerare le persone private che la compongono e la cui vita e libertà sono naturalmente indipendenti da lei. Si tratta dunque di distinguere bene i rispettivi diritti dei cittadini e del sovrano8, e i doveri che i primi devono adempiere in quanto sudditi, dal diritto naturale di cui devono godere in qualità di uomini. Siamo d’accordo che quanto, col patto sociale, ciascuno aliena del proprio potere, dei propri beni, della propria libertà, è solo la parte di tutto ciò il cui uso importa alla comunità, ma bisogna anche ammettere che solo il sovrano è giudice di questa importanza. Tutti i servigi che un cittadino può rendere allo Stato glieli deve non appena il sovrano li richiede; ma il sovrano, per parte propria, non può gravare i sudditi di nessuna catena inutile alla comunità. E neanche può volerlo, perché sotto la legge di ragione niente si fa senza una causa, né più né meno che sotto la legge di natura. Gl’impegni che ci legano al corpo sociale sono obbligatori solo in quanto reciproci, e la loro natura è tale che nell’osservarli non si può lavorare per altri senza lavorare in pari tempo per se stessi. Perché la volontà generale è sempre retta, e perché tutti vogliono costantemente la felicità di ognuno, se non perché ognuno riferisce a sé questo termine, ciascuno, e pensa a se stesso votando per tutti? Questo prova che l’uguaglianza di diritto e la nozione di giustizia che ne deriva hanno origine nella preferenza che ciascuno dà a se stesso e quindi nella natura dell’uomo; che la volontà generale, per essere veramente tale, deve essere generale nel proprio oggetto come nella sua propria essenza, che deve partire da tutti per applicarsi a tutti, e che perde la sua naturale rettitudine quando tende a un oggetto individuale e determinato. Perché allora, giudicando di ciò che è altro da noi, non abbiamo a guidarci nessun vero principio di equità. In effetti, non appena si tratta di un fatto o di un diritto particolare, su un punto che non è stato regolato da una convenzione generale anteriore, il caso diventa contenzioso: si ha un processo dove da una parte stanno i privati che vi sono interessati e dall’al-

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je ne vois ni la loi qu’il faut suivre, ni le juge qui doit prononcer. Il seroit ridicule de vouloir alors s’en rapporter à une expresse décision de la volonté générale, qui ne peut être que la conclusion de l’une des parties, et qui par conséquent n’est pour l’autre qu’une volonté étrangère, particulière, portée en cette occasion à l’injustice et sujette à l’erreur. Ainsi de même qu’une volonté particulière ne peut représenter la volonté générale, la volonté générale à son tour change de nature ayant un objet particulier, et ne peut comme générale prononcer ni sur un homme ni sur un fait. Quand le peuple d’Athènes, par exemple, nommoit ou cassoit ses chefs, décernoit des honneurs à l’un, imposoit des peines à l’autre, et par des multitudes de décrets particuliers exerçoit indistinctement tous les actes du gouvernement, le peuple alors n’avoit plus de volonté générale proprement dite; il n’agissoit plus comme souverain mais comme magistrat. Ceci paroitra contraire aux idées communes, mais il faut me laisser le temps d’exposer les miennes. On doit concevoir par là, que ce qui généralise la volonté est moins le nombre des voix, que l’intérêt commun qui les unit: car dans cette institution chacun se soumet nécessairement aux conditions qu’il impose aux autres; accord admirable de l’intérêt et de la justice qui donne aux délibérations communes un caractère d’équité qu’on voit évanouir dans la discussion de toute affaire particulière, faute d’un intérêt commun qui unisse et identifie la règle du juge avec celle de la partie. Par quelque côté qu’on remonte au principe, on arrive toujours à la même conclusion; savoir, que le pacte social établit entre les citoyens une telle égalité qu’ils s’engagent tous sous les mêmes conditions, et doivent jouir tous des mêmes droits. Ainsi par la nature du pacte, tout acte de souveraineté, c’est-à-dire tout acte authentique de la volonté générale, oblige ou favorise également tous les Citoyens, ensorte que le Souverain connoit seulement le corps de la nation et ne distingue aucun de ceux qui la composent. Qu’est-ce donc proprement qu’un acte de souveraineté? Ce n’est pas une convention du supérieur avec l’inférieur, mais une convention du corps avec chacun de ses membres: Convention légitime, parce qu’elle a pour base le contrat social, équitable, parce qu’elle est commune à tous, utile, parce qu’elle ne peut avoir d’autre objet que le bien général, et solide, parce qu’elle a pour garant la force publique et le pouvoir suprême. Tant que les sujets ne sont soumis

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tra la collettività; ma non vedo in esso né la legge da seguire né il giudice qualificato a decidere. Sarebbe ridicolo pretendere allora di appellarsi a un’espressa decisione della volontà generale che può essere solo la conclusione di una delle parti, e che quindi è per l’altra solo una volontà estranea e particolare, portata per l’occasione all’ingiustizia e soggetta all’errore. Quindi, come una volontà particolare non può rappresentare la volontà generale, a sua volta, la volontà generale muta di natura quando ha un oggetto particolare e non può, in quanto generale, pronunciarsi né su un uomo né su un fatto. Per esempio, quando il popolo ateniese nominava o deponeva i suoi capi, decretava una ricompensa all’uno, imponeva un’ammenda all’altro, e mediante una quantità di decreti particolari esercitava il governo in tutti i suoi atti indistintamente; il popolo allora non aveva più una volontà generale propriamente detta; non agiva più da sovrano, ma da magistrato. Questo potrà sembrare in contrasto con le idee più diffuse, ma bisogna lasciarmi il tempo di esporre le mie. Si deve capire di qui che a generalizzare la volontà pubblica è meno il numero dei votanti che non il comune interesse che li unisce; infatti in questa istituzione ciascuno si sottopone necessariamente alle condizioni che impone agli altri; mirabile accordo dell’interesse con la giustizia, da cui le comuni deliberazioni traggono un carattere d’equità che vediamo svanire nella discussione di qualunque caso particolare, per mancanza di un interesse comune che unisca e identifichi la regola del giudice con quella della parte. Per qualunque via si risalga al principio, la conclusione è sempre la stessa: il patto sociale stabilisce tra i cittadini una tale uguaglianza che essi s’impegnano tutti alle medesime condizioni e devono godere tutti dei medesimi vantaggi. Quindi, in forza della natura del patto, ogni atto di sovranità, ossia ogni atto autentico della volontà generale, obbliga o favorisce nella stessa misura tutti i cittadini, dimodoché il sovrano conosce solo il corpo della nazione senza distinguere nessuno dei singoli che la compongono. Che cos’è dunque, propriamente, un atto di sovranità? Non è una convenzione tra superiore ed inferiore, ma una convenzione tra il corpo e ciascuno dei suoi membri; convenzione legittima perché ha per base il contratto sociale, equa perché è comune a tutti, utile perché non può avere altro oggetto che il bene generale, solida perché garantita dalla forza pubblica e dal potere supremo. Finché i sud-

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qu’à de telles conventions, ils n’obéissent à personne, mais seulement à leur propre volonté; et demander jusqu’où s’étendent les droits respectifs du Souverain et des Citoyens, c’est demander jusqu’à quel point ceux-ci peuvent s’engager avec eux-mêmes, chacun envers tous et tous envers chacun d’eux. On voit par là que le pouvoir Souverain, tout absolu, tout sacré, tout inviolable qu’il est, ne passe ni ne peut passer les bornes des conventions générales, et que tout homme peut disposer pleinement de ce qui lui a été laissé de ses biens et de sa liberté par ces conventions; de sorte que le Souverain n’est jamais en droit dé charger un sujet plus qu’un autre, parce qu’alors l’affaire devenant particulière, son pouvoir n’est plus compétent. Ces distinctions une fois admises, il est si faux que dans le contrat social il y ait de la part des particuliers aucune renonciation véritable, que leur situation, par l’effet de ce contrat, se trouve réellement préférable à ce qu’elle était auparavant, et qu’au lieu d’une aliénation, ils n’ont fait qu’un échange avantageux d’une manière d’être incertaine et précaire contre une autre meilleure et plus sûre, de l’indépendance naturelle contre la liberté, du pouvoir de nuire à autrui contre leur propre sûreté, et de leur force que d’autres pouvaient surmonter contre un droit que l’union sociale rend invincible. Leur vie même qu’ils ont dévouée à l’Etat en est continuellement protégée, et lorsqu’ils l’exposent pour sa défense que font-ils alors que lui rendre ce qu’ils ont reçu de lui? Que font-ils qu’ils ne fissent plus fréquemment et avec plus de danger dans l’état de nature, lorsque livrant des combats inévitables, ils défendroient au péril de leur vie ce qui leur sert à la conserver? Tous ont à combattre au besoin pour la patrie, il est vrai; mais aussi nul n’a jamais à combattre pour soi. Ne gagne-t-on pas encore à courir pour ce qui fait notre sûreté une partie des risques qu’il faudroit courir pour nous-mêmes sitôt qu’elle nous seroit ôtée?

CHAPITRE V

DU DROIT DE VIE ET DE MORT

On demande comment les particuliers n’ayant point droit de disposer de leur propre vie peuvent transmettre au Souverain ce

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diti sottostanno solo a simili condizioni, non obbediscono a nessuno, ma solo alla propria volontà, e chiedere fino a che punto si estendono i rispettivi diritti del Sovrano e dei cittadini, significa chiedere fino a che punto questi possono obbligarsi verso se stessi, ciascuno verso tutti e tutti verso ciascuno. Da ciò si vede che il potere sovrano, assoluto, sacro, inviolabile com’è, non oltrepassa e non può oltrepassare i limiti delle convenzioni generali, e che ciascun uomo può disporre liberamente di ciò che tali convenzioni gli hanno lasciato dei suoi beni e della sua libertà; dimodoché il sovrano non ha mai diritto di gravare su un suddito più che su un altro, perché allora si sconfinerebbe nel caso privato che non è più di competenza del suo potere. Una volta accettate queste distinzioni, è del tutto falso che nel contratto sociale ci sia da parte dei privati alcuna vera rinuncia: al contrario la loro situazione, per effetto del contratto, diventa realmente preferibile a quella di prima; invece di un’alienazione i privati si trovano ad aver fatto soltanto uno scambio vantaggioso tra una maniera di essere incerta e precaria e un’altra migliore e più sicura; tra l’indipendenza naturale e la libertà; tra il potere di nuocere ad altri e la propria sicurezza; tra la loro forza esposta ad essere soverchiata da altri, e un diritto reso invincibile dall’unione sociale. La loro stessa vita, che hanno votato allo Stato, ne riceve continua protezione, e quando la espongono per difenderlo che altro fanno se non rendergli ciò che hanno ricevuto da lui? che altro fanno se non ciò che più spesso e con più danno facevano nello stato di natura, quando, venendo a battaglie inevitabili, avrebbero difeso a rischio della vita i mezzi necessari a conservarla? Tutti, è vero, devono, se occorre, combattere per la patria, ma nessuno ha da combattere mai per sé. Non c’è forse ancora un guadagno nel correre per ciò che garantisce la nostra sicurezza una parte dei rischi che dovremmo correre per noi stessi non appena essa ci fosse tolta?

CAPITOLO QUINTO

DEL DIRITTO DI VITA E DI MORTE

Ci si chiede come i privati, non avendo diritto di disporre della propria vita, possano trasmettere al Sovrano questo stesso dirit-

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même droit qu’ils n’ont pas? Cette question ne paroit difficile à résoudre que parce qu’elle est mal posée. Tout homme a droit de risquer sa propre vie pour la conserver. A-t-on jamais dit que celui qui se jette par une fenêtre pour échapper à un incendie soit coupable de suicide? A-t-on même jamais imputé ce crime à celui qui périt dans une tempête dont en s’embarquant il n’ignoroit pas le danger? Le traité social a pour fin la conservation des contractants. Qui veut la fin veut aussi les moyens, et ces moyens sont inséparables de quelques risques, même de quelques pertes. Qui veut conserver sa vie aux dépens des autres doit la donner aussi pour eux quand il faut. Or le Citoyen n’est plus juge du péril auquel la loi veut qu’il s’expose, et quand le Prince lui a dit, il est expédient à l’Etat que tu meures, il doit mourir; puisque ce n’est qu’à cette condition qu’il a vécu en sûreté jusqu’alors, et que sa vie n’est plus seulement un bienfait de la nature, mais un don conditionnel de l’Etat. La peine de mort infligée aux criminels peut être envisagée à peu près sous le même point de vue: c’est pour n’être pas la victime d’un assassin que l’on consent à mourir si on le devient. Dans ce traité, loin de disposer de sa propre vie on ne songe qu’à la garantir, et il n’est pas à présumer qu’aucun des contractants prémédite alors de se faire pendre. D’ailleurs tout malfaiteur attaquant le droit social devient par ses forfaits rebelle et traître à la patrie, il cesse d’en être membre en violant ses loix, et même il lui fait la guerre. Alors la conservation de l’Etat est incompatible avec la sienne, il faut qu’un des deux périsse, et quand on fait mourir le coupable, c’est moins comme Citoyen que comme ennemi. Les procédures, le jugement, sont les preuves et la déclaration qu’il a rompu le traité social, et par conséquent qu’il n’est plus membre de l’Etat. Or comme il s’est reconnu tel, tout au moins par son séjour, il en doit être retranché par l’exil comme infracteur du pacte, ou par la mort comme ennemi public; car un tel ennemi n’est pas une personne morale, c’est un homme, et c’est alors que le droit de la guerre est de tuer le vaincu. Mais, dira-t-on, la condamnation d’un Criminel est un acte particulier. D’accord; aussi cette condamnation n’appartient-elle point au Souverain; c’est un droit qu’il peut conférer sans pouvoir l’exercer lui-même. Toutes mes idées se tiennent, mais je ne saurois les exposer toutes à la fois.

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to che non hanno. Il problema sembra difficile da risolversi solo perché mal posto. Ogni uomo ha il diritto di rischiare la propria vita per conservarla. Si è mai detto che chi si getta da una finestra per sfuggire a un incendio sia colpevole di suicidio? E si è mai imputato questo delitto a chi muore in una tempesta anche se imbarcandosi ne conosceva il rischio? Il trattato sociale ha come fine la conservazione dei contraenti. Chi vuole il fine vuole anche i mezzi e questi mezzi sono inscindibili da qualche rischio, e anche da qualche perdita. Chi vuol conservare la propria vita a spese degli altri deve anche darla per loro, quando occorra. Ora il cittadino non è più giudice del pericolo a cui la legge vuole che si esponga, e quando il principe gli ha detto: «lo Stato ha bisogno che tu muoia» deve morire; poiché solo a questa condizione ha vissuto sicuro fino allora, e la sua vita non è più soltanto un beneficio della natura, ma un dono condizionato dello Stato. Press’a poco sotto lo stesso angolo visuale può esser considerata la pena di morte inflitta ai criminali: per non esser vittima di un assassino si accetta di morire se assassini diventiamo noi. Con questo patto, lungi dal disporre della propria vita, si pensa solo a garantirla, e non è da ritenere che alcuno dei contraenti premediti allora di farsi impiccare. D’altra parte ogni malfattore che lede il diritto sociale diviene coi suoi misfatti un ribelle e un traditore della patria, cessa di esserne membro violando le sue leggi, e addirittura le fa la guerra. Allora la conservazione dello Stato diventa incompatibile con la sua, bisogna che uno dei due perisca, e quando si fa morire il colpevole lo si mette a morte meno come cittadino che come nemico. Le procedure, il giudizio, sono le prove e la dichiarazione che egli ha rotto il trattato sociale e quindi non è più membro dello Stato. Ora, poiché si è riconosciuto tale, per lo meno risiedendovi, deve essere eliminato o con l’esilio, in quanto ha violato il patto, o con la morte come nemico pubblico; perché un tale nemico non è una persona morale, è un uomo, e in questo caso è diritto di guerra uccidere il vinto. Ma, si dirà, la condanna di un criminale è un atto particolare. D’accordo; quindi questa condanna non appartiene al sovrano; è un diritto che egli può conferire senza poterlo esercitare direttamente. Tutte le mie idee si concatenano, ma non saprei esporle tutte insieme.

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Au reste la fréquence des supplices est toujours un signe de foiblesse ou de paresse dans le Gouvernement. Il n’y a point de méchant qu’on ne pût rendre bon à quelque chose. On n’a droit de faire mourir, même pour l’exemple, que celui qu’on ne peut conserver sans danger. A l’égard du droit de faire grâce, ou d’exempter un coupable de la peine portée par la loi et prononcée par le juge, il n’appartient qu’à celui qui est au-dessus du juge et de la loi, c’est-à-dire au Souverain: Encore son droit en ceci n’est-il pas bien net, et les cas d’en user sont-ils très rares. Dans un Etat bien gouverné il y a peu de punitions, non parce qu’on fait beaucoup de grâces, mais parce qu’il y a peu de criminels: la multitude des crimes en assure l’impunité lorsque l’Etat dépérit. Sous la République Romaine jamais le Sénat ni les Consuls ne tentèrent de faire grâce; le peuple même n’en faisoit pas, quoiqu’il révocât quelquefois son propre jugement. Les fréquentes grâces annoncent que bientôt les forfaits n’en auront plus besoin, et chacun voit où cela mène. Mais je sens que mon coeur murmure et retient ma plume; laissons discuter ces questions à l’homme juste qui n’a point failli, et qui jamais n’eut lui-même besoin de grâce. CHAPITRE VI

DE LA LOI

Par le pacte social nous avons donné l’existence et la vie au corps politique: il s’agit maintenant de lui donner le mouvement et la volonté par la législation. Car l’acte primitif par lequel ce corps se forme et s’unit ne détermine rien encore de ce qu’il doit faire pour se conserver. Ce qui est bien et conforme à l’ordre est tel par la nature des choses et indépendamment des conventions humaines. Toute justice vient de Dieu, lui seul en est la source; mais si nous savions la recevoir de si haut nous n’aurions besoin ni de gouvernement ni de loix. Sans doute il est une justice universelle émanée de la raison seule; mais cette justice pour être admise entre nous doit être réciproque. A considérer humainement les choses, faute de sanction naturelle les loix de la justice sont vaines parmi les hommes; elles ne font que le bien du méchant et le mal du juste, quand celui-ci les

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Del resto la frequenza dei supplizi è sempre un segno di debolezza o di pigrizia nel governo. Non c’è un cattivo che non si potrebbe render buono a qualche cosa. Non si ha diritto di far morire, neppure a titolo d’esempio, se non chi non si potrebbe mantenere in vita senza pericolo. Quanto al diritto di far grazia, o di esentare il colpevole dalla pena stabilita dalla legge e pronunciata dal giudice, spetta solo a chi è al disopra del giudice e della legge, cioè al sovrano; inoltre il suo diritto in proposito non è ben chiaro e molto rari sono i casi in cui usarne. In uno Stato ben governato ci sono poche punizioni, non perché si fanno molte grazie, ma perché vi sono pochi criminali: quando lo Stato è in declino il numero stesso dei delitti assicura la loro impunità. Sotto la repubblica romana né il senato né i consoli tentarono mai di far grazia; il popolo stesso non ne faceva, anche se talvolta revocava il proprio giudizio. La frequenza delle grazie fa prevedere che ben presto i delitti non ne avranno più bisogno, e ognun vede dove questo conduce. Ma sento che il mio cuore mormora trattenendo la mia penna; lasciamo discutere queste questioni al giusto che, immune da colpa, non ha mai avuto bisogno di grazia per sé.

CAPITOLO SESTO

DELLA LEGGE

Col patto sociale abbiamo dato l’esistenza e la vita al corpo politico; si tratta ora di dargli, mediante la legislazione, il movimento e la volontà; infatti l’atto primitivo per cui questo corpo si forma come unità non determina ancora nulla di ciò che esso deve fare per conservarsi. Ciò che è bene e conforme all’ordine è tale per la natura delle cose, indipendentemente dalle convenzioni umane. La giustizia viene sempre da Dio, sua unica fonte; ma, se sapessimo riceverla tanto dall’alto, non avremmo bisogno né di governo né di leggi. Senza dubbio c’è una giustizia universale emanata dalla sola ragione, ma tale giustizia, per essere ammessa tra noi, dev’essere reciproca. A considerare umanamente le cose, mancando la sanzione naturale, le leggi della giustizia sono vane fra gli uomini; esse non fanno che la fortuna del malvagio e il danno del giusto, quando questo le osser-

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observe avec tout le monde sans que personne les observe avec lui. Il faut donc des conventions et des loix pour unir les droits aux devoirs et ramener la justice à son objet. Dans l’état de nature, où tout est commun, je ne dois rien à ceux à qui je n’ai rien promis, je ne reconnois pour être à autrui que ce qui m’est inutile. Il n’en est pas ainsi dans l’état civil où tous les droits sont fixés par la loi. Mais qu’est-ce donc enfin qu’une loi? Tant qu’on se contentera de n’attacher à ce mot que des idées métaphysiques, on continuera de raisonner sans s’entendre, et quand on aura dit ce que c’est qu’une loi de la nature on n’en saura pas mieux ce que c’est qu’une loi de l’Etat. J’ai déjà dit qu’il n’y avait point de volonté générale sur un objet particulier. En effet cet objet particulier est dans l’Etat ou hors de l’Etat. S’il est hors de l’Etat, une volonté qui lui est étrangère n’est point générale par rapport à lui; et si cet objet est dans l’Etat, il en fait partie: Alors il se forme entre le tout et sa partie une relation qui en fait deux êtres séparés, dont la partie est l’un, et le tout moins cette même partie est l’autre. Mais le tout moins une partie n’est point le tout, et tant que ce rapport subsiste il n’y a plus de tout mais deux parties inégales; d’où il suit que la volonté de l’une n’est point non plus générale par rapport à l’autre. Mais quand tout le peuple statue sur tout le peuple il ne considère que lui-même, et s’il se forme alors un rapport, c’est de l’objet entier sous un point-de-vue à l’objet entier sous un autre pointde-vue, sans aucune division du tout. Alors la matière sur laquelle on statue est générale comme la volonté qui statue. C’est cet acte que j’appelle une loi. Quand je dis que l’objet des loix est toujours général j’entends que la loi considère les sujets en corps et les actions comme abstraites, jamais un homme comme individu ni une action particulière. Ainsi la loi peut bien statuer qu’il y aura des privilèges, mais elle n’en peut donner nommément à personne; la loi peut faire plusieurs Classes de Citoyens, assigner même les qualités qui donneront droit à ces classes, mais elle ne peut nommer tels et tels pour y être admis; elle peut établir un Gouvernement royal et une succession héréditaire, mais elle ne peut élire un roi ni nommer une famille royale; en un mot toute fonction qui se rapporte à un objet individuel n’appartient point à la puissance législative. Sur cette idée on voit à l’instant qu’il ne faut plus demander à qui il appartient de faire des loix, puisqu’elles sont des actes de la

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va con tutti senza che nessuno le osservi con lui. Occorrono dunque delle convenzioni e delle leggi per unire i diritti ai doveri e per ricondurre la giustizia al suo scopo. Nello stato di natura, dove tutto è in comune, non devo niente a quelli a cui non ho promesso niente, e riconosco come cosa altrui solo ciò che mi è inutile. Non così nello stato civile in cui tutti i diritti sono fissati dalla legge. Ma infine, che è dunque una legge? finché ci si contenterà di annettere a questa parola solo delle idee metafisiche, si continuerà a ragionare senza intendersi, e quando si sarà detto che cos’è una legge di natura, non sapremo meglio che cos’è una legge dello Stato. Ho già detto che non può esserci volontà generale su un oggetto particolare. Infatti quest’oggetto particolare o è nello Stato o è fuori dello Stato. Se è fuori dello Stato, una volontà che per lui è straniera, non è, rispetto a lui, generale; e se l’oggetto è nello Stato ne fa parte: allora si forma tra il tutto e la sua parte una relazione che ne fa due esseri separati, di cui uno è la parte, e l’altro il tutto meno questa parte; ma il tutto meno una parte non è il tutto, è finché il rapporto dura, non c’è più un tutto, ma due parti disuguali; d’onde deriva che nemmeno la volontà dell’una è generale rispetto all’altra. Ma quando tutto il popolo delibera su tutto il popolo non considera che se stesso, e, se allora si stabilisce un rapporto, è tra l’oggetto intero visto sotto una certa prospettiva, e l’oggetto intero visto sotto un’altra prospettiva, senza nessuna divisione del tutto. Allora la materia su cui si delibera è generale come la volontà che delibera, ed è quest’atto che chiamo una legge. Quando dico che l’oggetto delle leggi è sempre generale, intendo dire che la legge considera i sudditi come corpo collettivo e le azioni come astratte, mai un uomo come individuo o un’azione particolare. Così la legge può ben deliberare che ci siano dei privilegi, ma non ne può assegnare nominativamente a nessuno; può istituire più classi di cittadini, e stabilire anche i requisiti per avere il diritto di appartenere a ciascuna di esse, ma non può specificare che vi deve esser ammesso questo o quello; può stabilire un governo regio e una successione ereditaria, ma non può né eleggere un re né nominare una famiglia reale; in una parola, qualunque funzione che si riferisca a un oggetto particolare non appartiene al potere legislativo. Prospettate così le cose, si vede subito che non c’è più da chiedere a chi spetta far leggi, poiché queste sono atti della volontà ge-

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volonté générale; ni si le Prince est au-dessus des loix, puisqu’il est membre de l’Etat; ni si la loi peut être injuste, puisque nul n’est injuste envers lui-même, ni comment on est libre et soumis aux loix, puisqu’elles ne sont que des registres de nos volontés. On voit encore que la loi réunissant l’universalité de la volonté et celle de l’objet, ce qu’un homme, quel qu’il puisse être, ordonne de son chef n’est point une loi; ce qu’ordonne même le Souverain sur un objet particulier n’est pas non plus une loi mais un décret, ni un acte de souveraineté mais de magistrature. J’appelle donc République tout Etat régi par des loix, sous quelque forme d’administration que ce puisse être: car alors seulement l’intérêt public gouverne, et la chose publique est quelque chose. Tout Gouvernement légitime est républicain9: j’expliquerai ci-après ce que c’est que Gouvernement. Les loix ne sont proprement que les conditions de l’association civile. Le Peuple soumis aux loix en doit être l’auteur; il n’appartient qu’à ceux qui s’associent de régler les conditions de la société: mais comment les régleront-ils? Sera-ce d’un commun accord, par une inspiration subite? Le corps politique a-t-il un organe pour énoncer ces volontés? Qui lui donnera la prévoyance nécessaire pour en former les actes et les publier d’avance, ou comment les prononcera-t-il au moment du besoin? Comment une multitude aveugle qui souvent ne sait ce qu’elle veut, parce qu’elle sait rarement ce qui lui est bon, exécuteroit-elle d’elle-même une entreprise aussi grande, aussi difficile qu’un système de législation? De luimême le peuple veut toujours le bien, mais de lui-même il ne le voit pas toujours. La volonté générale est toujours droite, mais le jugement qui la guide n’est pas toujours éclairé. Il faut lui faire voir les objets tels qu’ils sont, quelquefois tels qu’ils doivent lui paroitre, lui montrer le bon chemin qu’elle cherche, la garantir de la séduction des volontés particulières, rapprocher à ses yeux les lieux et les temps, balancer l’attrait des avantages présents et sensibles, par le danger des maux éloignés et cachés. Les particuliers voient le bien qu’ils rejettent: le public veut le bien qu’il ne voit pas. Tous ont également besoin de guides: Il faut obliger les uns à conformer leurs volontés à leur raison; il faut apprendre à l’autre à connoitre ce qu’il veut. Alors des lumières publiques résulte l’union de l’entendement et de la volonté dans le corps social, de là l’exact concours des parties, et enfin la plus grande force du tout. Voilà d’où naît la nécessité d’un Législateur.

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nerale; né se il principe è al disopra delle leggi, poiché è membro dello Stato; né se la legge può essere ingiusta, perché nessuno è ingiusto verso se stesso; né come si può esser liberi e soggetti alle leggi, poiché esse non fanno altro che registrare le nostre volontà. Si vede pure che, riunendo la legge l’universalità della nostra volontà e quella dell’oggetto, non fa legge ciò che un uomo, chiunque egli sia, ordina di testa propria; persino ciò che ordina il sovrano a proposito di un oggetto particolare, non è una legge, ma un decreto, né un atto di sovranità ma di magistratura. Chiamo dunque repubblica ogni Stato retto dalle leggi, sotto qualunque forma di amministrazione possa essere: infatti solo allora l’interesse pubblico governa e la cosa pubblica è qualcosa. Ogni governo legittimo è repubblicano9; spiegherò in seguito che cos’è governo. Le leggi non sono propriamente che le condizioni dell’associazione civile. Il popolo sottomesso alle leggi deve esserne l’autore: solo a coloro che si associano spetta di stabilire le condizioni della società. Ma come le stabiliranno? lo faranno di comune accordo per un’improvvisa ispirazione? ha il corpo politico un organo per enunciare i propri voleri? chi lo doterà della previdenza necessaria per codificarne gli atti e pubblicarli in anticipo, o come potrà pronunciarli al momento del bisogno? come una moltitudine cieca, spesso ignara di ciò che vuole, perché di rado sa cosa le giova, potrà attuare da sé un’impresa tanto grande e difficile come un sistema di legislazione? Il popolo da sé vuole sempre il bene, ma non sempre lo vede da sé. La volontà generale è sempre retta, ma il giudizio che la guida non sempre è illuminato. Bisogna presentarle gli oggetti come sono, talvolta come devono apparirle; mostrarle la buona strada che cerca; garantirla dalle lusinghe delle volontà particolari; accostare ai suoi occhi i luoghi e i tempi; controbilanciare l’attrattiva dei vantaggi presenti e percettibili col pericolo dei mali lontani e nascosti. I singoli vedono il bene che non vogliono; la collettività vuole il bene che non vede. Tutti ugualmente hanno bisogno di guida; bisogna obbligare gli uni a conformare la volontà alla ragione; bisogna insegnare all’altra a conoscere ciò che vuole. Allora dai pubblici lumi risulta l’unione dell’intelletto e della volontà nel corpo sociale, e di lì l’esatto concorso delle parti e infine la maggior forza del tutto. Ecco di dove nasce la necessità di un legislatore.

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Du contract social CHAPITRE VII

DU LEGISLATEUR

Pour découvrir les meilleures règles de société qui conviennent aux Nations, il faudroit une intelligence supérieure, qui vît toutes les passions des hommes et qui n’en éprouvât aucune, qui n’eût aucun rapport avec notre nature et qui la connût à fond, dont le bonheur fût indépendant de nous et qui pourtant voulût bien s’occuper du nôtre; enfin qui, dans le progrès des tems se ménageant une gloire éloignée, pût travailler dans un siècle et jouir dans un autre10. Il faudroit des Dieux pour donner des loix aux hommes. Le même raisonnement que faisoit Caligula quant au fait, Platon le faisoit quant au droit pour définir l’homme civil ou royal qu’il cherche dans son livre du règne; mais s’il est vrai qu’un grand Prince est un homme rare, que sera-ce d’un grand Législateur? Le premier n’a qu’à suivre le modèle que l’autre doit proposer. Celui-ci est le méchanicien qui invente la machine, celui-là n’est que l’ouvrier qui la monte et la fait marcher. Dans la naissance des sociétés, dit Montesquieu, ce sont les chefs des républiques qui font l’institution, et c’est ensuite l’institution qui forme les chefs des républiques. Celui qui ose entreprendre d’instituer un peuple doit se sentir en état de changer, pour ainsi dire, la nature humaine; de transformer chaque individu, qui par lui-même est un tout parfait et solitaire, en partie d’un plus grand tout dont cet individu reçoive en quelque sorte sa vie et son être; d’altérer la constitution de l’homme pour la renforcer; de substituer une existence partielle et morale à l’existence physique et indépendante que nous avons tous reçue de la nature. Il faut, en un mot, qu’il ôte à l’homme ses forces propres pour lui en donner qui lui soient étrangères et dont il ne puisse faire usage sans le secours d’autrui. Plus ces forces naturelles sont mortes et anéanties, plus les acquises sont grandes et durables, plus aussi l’institution est solide et parfaite: En sorte que si chaque Citoyen n’est rien, ne peut rien, que par tous les autres, et que la force acquise par le tout soit égale ou supérieure à la somme des forces naturelles de tous les individus, on peut dire que la législation est au plus haut point la perfection qu’elle puisse atteindre.

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57 CAPITOLO SETTIMO

DEL LEGISLATORE

Per scoprire le norme costitutive di società che meglio convengono alle nazioni, occorrerebbe un intelletto superiore, che conoscesse tutte le passioni degli uomini senza provarne nessuna; che non avesse alcun rapporto con la nostra natura e che la conoscesse a fondo; la cui felicità fosse indipendente dalla nostra, ma che, tuttavia, volesse di buon grado occuparsi della nostra; che infine, preparandosi nel corso del tempo una gloria remota, potesse lavorare in un secolo e godere in un altro10. Ci vorrebbero degli dèi per dare delle leggi agli uomini. Il medesimo ragionamento che Caligola faceva a proposito del fatto, Platone lo faceva riguardo al diritto, per definire l’uomo civile o regio di cui va in cerca nel Politico. Ma, se è vero che un principe è un uomo raro, cosa sarà di un gran legislatore? Il primo non ha che da seguire il modello che l’altro deve proporre. Questo è l’inventore della macchina; quello l’operaio che la monta e la mette in movimento. Alla nascita delle società, dice Montesquieu, sono i capi delle repubbliche che fanno l’istituzione, e in seguito è l’istituzione che forma i capi delle repubbliche. Chi affronta l’impresa di dare istituzioni a un popolo deve, per così dire, sentirsi in grado di cambiare la natura umana; di trasformare ogni individuo, che per se stesso è un tutto perfetto e solitario, in una parte di un tutto più grande da cui l’individuo riceve, in qualche modo, la vita e l’essere; di alterare la costituzione dell’uomo per rafforzarla; di sostituire un’esistenza parziale e morale all’esistenza fisica e indipendente che tutti abbiamo ricevuto dalla natura. Bisogna, in una parola, che tolga all’uomo le forze che gli sono proprie per dargliene di estranee a lui, di cui non possa fare uso se non col sussidio di altri. Quanto più queste forze naturali sono morte e annientate, quanto più le forze acquisite sono grandi e durevoli, tanto più solida e perfetta anche l’istituzione. Dimodoché, se ciascun cittadino non è nulla, non può nulla se non attraverso tutti gli altri, e se la forza acquisita dal tutto è uguale o superiore alla somma delle forze naturali di tutti gl’individui, si può dire che la legislazione è al vertice della perfezione che può raggiungere.

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Le législateur est à tous égards un homme extraordinaire dans l’Etat. S’il doit l’être par son génie, il ne l’est pas moins par son emploi. Ce n’est point magistrature, ce n’est point souveraineté. Cet emploi, qui constitue la république, n’entre point dans sa constitution: C’est une fonction particulière et supérieure qui n’a rien de commun avec l’empire humain; car si celui qui commande aux hommes ne doit pas commander aux loix, celui qui commande aux loix ne doit pas non plus commander aux hommes; autrement ses loix, ministres de ses passions, ne feroient souvent que perpétuer ses injustices, et jamais il ne pourroit éviter que des vues particulières n’altérassent la sainteté de son ouvrage. Quand Lycurgue donna des loix à sa patrie, il commença par abdiquer la Royauté. C’étoit la coutume de la plupart des villes grecques de confier à des étrangers l’établissement des leurs. Les Républiques modernes de l’Italie imitèrent souvent cet usage; celle de Genève en fit autant et s’en trouva bien11. Rome dans son plus bel âge vit renaître en son sein tous les crimes de la tyrannie, et se vit prête à périr, pour avoir réuni sur les mêmes têtes l’autorité législative et le pouvoir souverain. Cependant les Décemvirs eux-mêmes ne s’arrogèrent jamais le droit de faire passer aucune loi de leur seule autorité. Rien de ce que nous vous proposons, disoient-ils au peuple, ne peut passer en loi sans votre consentement. Romains, soyez vous-mêmes les auteurs des loix, qui doivent faire votre bonheur. Celui qui rédige les loix n’a donc ou ne doit avoir aucun droit législatif, et le peuple même ne peut, quand il le voudroit, se dépouiller de ce droit incommunicable; parce que selon le pacte fondamental il n’y a que la volonté générale qui oblige les particuliers, et qu’on ne peut jamais s’assurer qu’une volonté particulière est conforme à la volonté générale, qu’après l’avoir soumise aux suffrages libres du peuple: j’ai déjà dit cela, mais il n’est pas inutile de le répéter. Ainsi l’on trouve à la fois dans l’ouvrage de la législation deux choses qui semblent incompatibles: une entreprise au-dessus de la force humaine et pour l’exécuter, une autorité qui n’est rien. Autre difficulté qui mérite attention. Les sages qui veulent parler au vulgaire leur langage au lieu du sien n’en sauroient être entendus. Or il y a mille sortes d’idées qu’il est impossible de traduire dans la langue du peuple. Les vues trop générales et les objets trop

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Il legislatore è, sotto ogni aspetto, un uomo eccezionale nello Stato. Se deve esserlo per i suoi talenti, non lo è di meno per il suo ufficio. Non è magistratura, non è sovranità; quest’ufficio che costituisce la repubblica non fa parte della sua costituzione. Si tratta di una funzione speciale e superiore che non ha nulla di comune con l’imperio degli uomini; infatti, se chi comanda agli uomini non deve comandare alle leggi, neanche chi comanda alle leggi deve comandare agli uomini. Altrimenti le sue leggi, servendo alle sue passioni, spesso non farebbero altro che perpetuare le sue ingiustizie, e mai egli potrebbe evitare che mire particolari alterassero la santità dell’opera sua. Quando Licurgo dette alla patria delle leggi, cominciò con l’abdicare alla dignità regale. Era costume della maggior parte delle città greche di affidare a stranieri l’istituzione delle loro. Le moderne repubbliche italiane spesso imitarono quest’uso; quella di Ginevra fece altrettanto e se ne trovò bene11 . Roma, nella sua età migliore, vide rinascere nel suo seno tutti i delitti della tirannide e si vide presso alla fine per aver riunito nelle medesime mani l’autorità legislativa e il potere sovrano. Tuttavia i decemviri stessi non si arrogarono mai il diritto di far passare alcuna legge solo in forza della loro autorità. Nulla di ciò che vi proponiamo – dicevano al popolo – può diventar legge senza il vostro consenso. Romani, siate voi stessi gli autori delle leggi che devono fare la vostra felicità. Chi redige le leggi, dunque, non ha o non deve avere alcun diritto legislativo, e il popolo stesso non può, neanche volendo, spogliarsi di questo diritto incomunicabile, perché secondo il patto fondamentale, solo la volontà generale obbliga i privati e non si può mai esser sicuri che una volontà particolare sia conforme alla volontà generale, se non dopo averla sottoposta al libero suffragio del popolo. Sono cose che ho già detto, ma ripeterle non è inutile. Così si trovano contemporaneamente nell’opera della legislazione due fattori in apparenza incompatibili: un’impresa al disopra delle forze umane, e, per l’esecuzione, un’autorità che non è nulla. Altra difficoltà degna di attenzione. I saggi che vogliono parlare al volgo il loro linguaggio invece del suo non possono riuscire a farsi intendere. Ora, ci sono idee di mille specie che è impossibile tradurre nella lingua del popolo. Sono del pari al di là della sua portata le vedute troppo generali e gli oggetti troppo lontani, e ogni in-

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éloignés sont également hors de sa portée; chaque individu ne goûtant d’autre plan de gouvernement que celui qui se rapporte à son intérêt particulier, apperçoit difficilement les avantages qu’il doit retirer des privations continuelles qu’imposent les bonnes loix. Pour qu’un peuple naissant pût goûter les saines maximes de la politique et suivre les règles fondamentales de la raison d’Etat, il faudroit que l’effet pût devenir la cause, que l’esprit social qui doit être l’ouvrage de l’institution présidât à l’institution même, et que les hommes fussent avant les loix ce qu’ils doivent devenir par elles. Ainsi donc le Législateur ne pouvant employer ni la force ni le raisonnement, c’est une nécessité qu’il recoure à une autorité d’un autre ordre, qui puisse entraîner sans violence et persuader sans convaincre. Voilà ce qui força de tout temps les pères des nations à recourir à l’intervention du ciel et d’honorer les Dieux de leur propre sagesse, afin que les peuples, soumis aux loix de l’Etat comme à celles de la nature, et reconnaissant le même pouvoir dans la formation de l’homme et dans celle de la cité, obéissent avec liberté et portassent docilement le joug de la félicité publique. Cette raison sublime qui s’élève au dessus de la portée des hommes vulgaires est celle dont le législateur met les décisions dans la bouche des immortels, pour entraîner par l’autorité divine ceux que ne pourrait ébranler la prudence humaine12. Mais il n’appartient pas à tout homme de faire parler les Dieux, ni d’en être cru quand il s’annonce pour être leur interprète. La grande âme du Législateur est le vrai miracle qui doit prouver sa mission. Tout homme peut graver des tables de pierre, ou acheter un oracle, ou feindre un secret commerce avec quelque divinité, ou dresser un oiseau pour lui parler à l’oreille, ou trouver d’autres moyens grossiers d’en imposer au peuple. Celui qui ne saura que cela pourra même assembler par hasard une troupe d’insensés, mais il ne fondera jamais un empire, et son extravagant ouvrage périra bientôt avec lui. De vains prestiges forment un lien passager, il n’y a que la sagesse qui le rende durable. La loi judaïque toujours subsistante, celle de l’enfant d’Ismaël qui depuis dix siècles régit la moitié du monde, annoncent encore aujourd’hui les grands hommes qui les ont dictées; et tandis que l’orgueilleuse philosophie ou l’aveugle esprit de parti ne voit en eux que d’heureux imposteurs, le vrai politique admire dans leurs institutions ce grand et puissant génie qui préside aux établissements durables.

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dividuo, non apprezzando altro piano di governo se non quello che si riferisce al suo interesse particolare, capisce difficilmente i vantaggi che deve trarre dalle continue privazioni imposte dalle buone leggi. Perché un popolo al suo nascere potesse capire le grandi massime della giustizia e seguire le regole fondamentali della ragion di Stato, bisognerebbe che l’effetto potesse divenire causa, che lo spirito sociale che deve essere il frutto dell’istituzione, presiedesse all’istituzione stessa e che gli uomini fossero prima delle leggi ciò che devono diventare per opera loro. Quindi il legislatore, non potendosi servire né della forza né del ragionamento, deve per necessità ricorrere a un’autorità d’altro ordine che possa trascinare senza violenza e persuadere senza convincere. Ecco ciò che costrinse, in tutti i tempi, i padri delle nazioni a ricorrere all’intervento celeste e ad attribuire agli dèi la loro propria saggezza, perché i popoli, sottomessi alle leggi dello Stato come a quelle della natura, riconoscendo lo stesso potere nella formazione dell’uomo e in quella della città, obbedissero liberamente e portassero docilmente il giogo della felicità pubblica. Questa sublime ragione che si eleva al disopra della portata degli uomini comuni, è quella le cui decisioni vengon messe dal legislatore in bocca agl’immortali per trascinare mediante l’autorità divina quelli che non si lascerebbero scuotere dall’umana saggezza12. Ma non tutti possono far parlare gli dèi o essere creduti quando si presentano come loro interpreti. La grande anima del legislatore è il vero miracolo che deve far fede della sua missione. Ogni uomo può incidere tavole di pietra o comprare un oracolo, o fingere un segreto rapporto con qualche divinità, o ammaestrare un uccello che gli parli all’orecchio, o escogitare altri mezzi grossolani d’imporre venerazione al popolo. Chi è capace solo di questo potrà anche riuscire per caso a mettere insieme un branco di stolti, ma non fonderà mai un impero, e la sua bizzarra opera perirà ben presto con lui. Da illusori prodigi può nascere un legame passeggero; solo la saggezza può renderlo duraturo. La legge giudaica che ancora vige, quella del figlio di Ismaele che da undici secoli governa la metà del mondo, ancora oggi rivelano i grandi uomini che le hanno dettate, e mentre la superba filosofia o il cieco spirito di parte vedono in essi soltanto dei fortunati impostori, il vero politico ammira nelle loro istituzioni quel grande e possente genio che presiede alle istituzioni durature.

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Il ne faut pas de tout ceci conclure avec Warburton que la politique et la religion aient parmi nous un objet commun, mais que dans l’origine des nations l’une sert d’instrument à l’autre. CHAPITRE VIII

DU PEUPLE

Comme avant d’élever un grand édifice l’architecte observe et sonde le sol, pour voir s’il en peut soutenir le poids, le sage instituteur ne commence pas par rédiger de bonnes loix en elles-mêmes, mais il examine auparavant si le peuple auquel il les destine est propre à les supporter. C’est pour cela que Platon refusa de donner des loix aux Arcadiens et aux Cyréniens, sachant que ces deux peuples étoient riches et ne pouvoient souffrir l’égalité: c’est pour cela qu’on vit en Crète de bonnes loix et de méchants hommes, parce que Minos n’avait discipliné qu’un peuple chargé de vices. Mille nations ont brillé sur la terre qui n’auroient jamais pu souffrir de bonnes loix, et celles mêmes qui l’auroient pu n’ont eu dans toute leur durée qu’un temps fort court pour cela. Les peuples ainsi que les hommes ne sont dociles que dans leur jeunesse, ils deviennent incorrigibles en vieillissant; quand une fois les coutumes sont établies et les préjugés enracinés, c’est une entreprise dangereuse et vaine de vouloir les réformer; le peuple ne peut pas même souffrir qu’on touche à ses maux pour les détruire, semblable à ces malades stupides et sans courage qui frémissent à l’aspect du médecin. Ce n’est pas que, comme quelques maladies bouleversent la tête des hommes et leur ôtent le souvenir du passé, il ne se trouve quelquefois dans la durée des Etats des époques violentes où les révolutions font sur les peuples ce que certaines crises font sur les individus, où l’horreur du passé tient lieu d’oubli, et où l’Etat, embrasé par les guerres civiles, renaît pour ainsi dire de sa cendre et reprend la vigueur de la jeunesse en sortant des bras de la mort. Telle fut Sparte au tems de Lycurgue, telle fut Rome après les Tarquins; et telles ont été parmi nous la Hollande et la Suisse après l’expulsion des Tirans. Mais ces événements sont rares; ce sont des exceptions dont la raison se trouve toujours dans la constitution particuliere de l’Etat excepté. Elles ne sauroient même avoir lieu deux fois pour le mê-

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Da tutto ciò non si deve concludere con Warburton che la politica e la religione abbiano fra noi un oggetto comune, bensì che all’origine delle nazioni una serve di strumento all’altra.

CAPITOLO OTTAVO

DEL POPOLO

Come prima d’innalzare un edificio l’architetto osserva e sonda il terreno per vedere se può sostenerne il peso, così il saggio legislatore non comincia col redigere leggi buone per se stesse, ma esamina prima se il popolo a cui le destina è in condizione di adattarsi ad esse. Per questo Platone rifiutò di dar leggi agli Arcadi e ai Cirenaici, conoscendoli entrambi per popoli ricchi e insofferenti di uguaglianza; per questo si videro a Creta buone leggi e cattivi uomini, perché Minosse aveva dato i suoi ordinamenti a un popolo carico di vizi. Sulla terra hanno brillato mille nazioni che non avrebbero mai potuto tollerare delle buone leggi, e anche quelle che avrebbero potuto, hanno avuto a disposizione, per questo, in tutto il loro corso, un periodo molto breve. I popoli, come gli uomini, sono docili solo da giovani, invecchiando diventano incorreggibili; una volta consolidati i costumi e radicati i pregiudizi, volerli riformare è impresa rischiosa e inutile; il popolo non può neanche sopportare che si tocchino i suoi mali per distruggerli, simile a quei malati stupidi e vili che tremano alla vista del medico. Non che, come in certe malattie che sconvolgono la testa degli uomini privandoli della memoria del passato, non si dia a volte il caso, nel corso della vita degli Stati, di epoche violente, con rivolgimenti che operano sui popoli come certe crisi sugl’individui; l’orrore del passato tien luogo dell’oblio, e lo Stato incendiato dalle guerre civili rinasce, per così dire, dalle sue ceneri e ritrova il vigore della gioventù uscendo dalle braccia della morte. Tale il caso di Sparta ai tempi di Licurgo; di Roma dopo i Tarquini; tale, ai tempi nostri, il caso della Svizzera e dell’Olanda dopo la cacciata dei tiranni. Ma sono eventi rari; sono eccezioni la cui ragione si trova sempre nella particolare costituzione dello Stato ove si verificano. Esse non potrebbero neanche aver luogo due volte presso il medesimo

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me peuple, car il peut se rendre libre tant qu’il n’est que barbare, mais il ne le peut plus quand le ressort civil est usé. Alors les troubles peuvent le détruire sans que les révolutions puissent le rétablir, et sitôt que ses fers sont brisés, il tombe épars et n’existe plus: Il lui faut désormais un maitre et non pas un libérateur. Peuples libres, souvenez-vous de cette maxime: On peut acquérir la liberté; mais on ne la recouvre jamais. Il est pour les Nations comme pour les hommes un tems de maturité qu’il faut attendre avant de les soumettre à des loix; mais la maturité d’un peuple n’est pas toujours facile à connoitre, et si on la prévient l’ouvrage est manqué. Tel peuple est disciplinable en naissant, tel autre ne l’est pas au bout de dix siecles. Les Russes ne seront jamais vraiment policés, parce qu’ils l’ont été trop tôt. Pierre avoit le génie imitatif; il n’avoit pas le vrai génie, celui qui crée et fait tout de rien. Quelques unes des choses qu’il fit étoient bien, la plupart étoient déplacées. Il a vu que son peuple étoit barbare, il n’a point vu qu’il n’étoit pas mûr pour la police; il l’a voulu civiliser quand il ne faloit que l’agguerrir. Il a d’abord voulu faire des Allemands, des Anglois, quand il faloit commencer par faire des Russes; il a empêché ses sujets de jamais devenir ce qu’ils pourroient être, en leur persuadant qu’ils étoient ce qu’ils ne sont pas. C’est ainsi qu’un Précepteur françois forme son élève pour briller un moment dans son enfance, et puis n’être jamais rien. L’Empire de Russie voudra subjuguer l’Europe et sera subjugué lui-même. Les Tartares ses sujets ou ses voisins deviendront ses maitres et les notres: Cette révolution me paroit infaillible. Tous les Rois de l’Europe travaillent de concert à l’accélérer.

CHAPITRE IX

SUITE

Comme la nature a donné des termes à la stature d’un homme bien conformé, passé lesquels elle ne fait plus que des Géants ou des Nains, il y a de même, eu égard à la meilleure constitution d’un Etat, des bornes à l’étendue qu’il peut avoir, afin qu’il ne soit ni trop grand pour pouvoir être bien gouverné, ni trop petit pour pouvoir se main-

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popolo, perché questo può rendersi libero finché è barbaro, ma non lo può più quando la molla della civiltà è logora. Allora le sedizioni possono distruggerlo senza che le rivoluzioni possano rimetterlo in sesto, e non appena le sue catene sono spezzate, cade dissolvendosi e non esiste più. Ormai ha bisogno di un padrone, non di un liberatore. Popoli liberi, ricordatevi di questa massima: «Si può acquistare la libertà, ma non si può mai recuperarla». C’è per le nazioni, come per gli uomini, uno stadio di maturità che devono raggiungere prima di essere sottomesse alle leggi; ma non sempre è facile capire il grado di maturità di un popolo, e un intervento prematuro comporta sempre il fallimento dell’opera. Un popolo può sottomettersi a un ordine fin dalla nascita; un altro neanche dopo dieci secoli. I Russi non saranno mai veramente civili perché sono stati civilizzati troppo presto. Pietro aveva il genio dell’imitazione; mancava del vero genio, di quello che crea traendo tutto dal nulla. Alcune delle cose che fece erano buone, ma la maggior parte erano intempestive. Ha visto che il suo popolo era barbaro, ma non ha visto che non era maturo per la civiltà; ha voluto civilizzarlo quando occorreva solo agguerrirlo. Ha voluto farne senz’altro dei Tedeschi e degl’Inglesi, mentre bisognava cominciare col farne dei Russi; ha impedito per sempre ai suoi sudditi di divenire ciò che potevano essere, persuadendoli che erano ciò che non erano. Così un precettore francese forma il suo allievo perché abbia nell’infanzia il suo momento di splendore e poi, per sempre, sia una nullità. L’impero di Russia vorrà soggiogare l’Europa e sarà soggiogato esso stesso. I Tartari, suoi sudditi o suoi vicini, diventeranno padroni suoi e nostri: questa rivoluzione mi sembra immancabile. Tutti i re d’Europa lavorano d’accordo per affrettarla.

CAPITOLO NONO

CONTINUAZIONE

Come la natura ha posto alla statura degli uomini ben conformati dei termini oltre i quali produce solo giganti o nani, così, quanto alla migliore costituzione di uno Stato, ci sono dei limiti all’estensione che esso può avere, perché non sia né troppo grande per poter essere ben governato, né troppo piccolo per potersi conser-

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tenir par lui-même. Il y a dans tout corps politique un maximum de force qu’il ne sauroit passer, et duquel souvent il s’éloigne à force de s’agrandir. Plus le lien social s’étend, plus il se relâche, et en général un petit Etat est proportionnellement plus fort qu’un grand. Mille raisons démontrent cette maxime. Premièrement l’administration devient plus pénible dans les grandes distances, comme un poids devient plus lourd au bout d’un plus grand levier. Elle devient aussi plus onéreuse à mesure que les degrés se multiplient; car chaque ville a d’abord la sienne que le peuple paye, chaque district la sienne encore payée par le peuple, ensuite chaque province, puis les grands gouvernements, les Satrapies, les Viceroyautés qu’il faut toujours payer plus cher à mesure qu’on monte, et toujours aux dépens du malheureux peuple; enfin vient l’administration suprême qui écrase tout. Tant de surcharges épuisent continuellement les sujets; loin d’être mieux gouvernés par ces différents ordres, ils le sont moins bien que s’il n’y en avait qu’un seul au dessus d’eux. Cependant à peine reste-t-il des ressources pour les cas extraordinaires, et quand il y faut recourir l’Etat est toujours à la veille de sa ruine. Ce n’est pas tout; non seulement le Gouvernement a moins de vigueur et de célérité pour faire observer les loix, empêcher les vexations, corriger les abus, prévenir les entreprises séditieuses qui peuvent se faire dans des lieux éloignés; mais le peuple a moins d’affection pour ses chefs qu’il ne voit jamais, pour la patrie qui est à ses yeux comme le monde, et pour ses concitoyens dont la pluspart lui sont étrangers. Les mêmes loix ne peuvent convenir à tant de provinces diverses qui ont des moeurs différentes, qui vivent sous des climats opposés, et qui ne peuvent souffrir la même forme de gouvernement. Des loix différentes n’engendrent que trouble et confusion parmi des peuples qui, vivant sous les mêmes chefs et dans une communication continuelle, passent ou se marient les uns chez les autres et, soumis à d’autres coutumes, ne savent jamais si leur patrimoine est bien à eux. Les talents sont enfouis, les vertus ignorées, les vices impunis, dans cette multitude d’hommes inconnus les uns aux autres, que le siège de l’administration suprême rassemble dans un même lieu. Les Chefs accablés d’affaires ne voient rien par eux-mêmes, des commis gouvernent l’Etat. Enfin les mesures qu’il faut prendre pour maintenir l’autorité générale, à laquelle tant d’Officiers éloignés veulent se soustraire ou en imposer, absorbe tous les soins publics, il n’en reste plus pour le bonheur du

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vare da sé. Per ogni corpo politico esiste un maximum di forza che non va oltrepassato, e da cui spesso si allontana a furia di ingrandirsi. Più il legame sociale si estende più si allenta, e, in generale, uno stato piccolo è, in proporzione, più forte di uno grande. Mille argomenti dimostrano questa massima. In primo luogo l’amministrazione è resa più faticosa dalle grandi distanze, come un peso diventa più grave all’estremità di una leva più lunga. Diviene anche più onerosa man mano che si moltiplicano i suoi gradi; infatti ogni città ha la sua amministrazione pagata dal popolo; ogni distretto la sua, anche questa pagata dal popolo; e poi ogni provincia, poi i grandi governi, le satrapie, i vicereami, che vanno pagati sempre di più via via che si sale, e sempre a spese del disgraziato popolo; viene infine l’amministrazione suprema che schiaccia tutto. Tanti gravami esauriscono di continuo i sudditi; anziché essere meglio governati da questi differenti ordini, sono governati meno bene che se ne avessero uno solo sopra di sé. Intanto a mala pena restano risorse per i casi straordinari e quando ci si deve ricorrere lo Stato è sempre alla vigilia della rovina. E c’è dell’altro. Non solo il governo ha meno vigore e rapidità nel fare osservare le leggi, impedire le vessazioni, correggere gli abusi, prevenire le imprese sediziose che possono organizzarsi nei luoghi lontani; ma il popolo ha meno attaccamento per i suoi capi che non vede mai; per la patria che è ai suoi occhi sullo stesso piano del mondo; per i suoi concittadini che per la maggior parte gli sono estranei. Le medesime leggi non possono convenire a tante province diverse, che hanno costumi diversi, che vivono sotto climi opposti, che non possono sottomettersi alla stessa forma di governo. Leggi diverse determinano solo turbamento e confusione tra popoli che vivendo sotto i medesimi capi e avendo continue occasioni di comunicare, passano o si sposano gli uni presso gli altri, e, avendo costumi diversi, non sono mai sicuri di possedere sul serio il loro patrimonio. In questa moltitudine di uomini che, senza conoscersi tra loro, si trovano a essere raccolti in un unico luogo dalla sede dell’amministrazione suprema i talenti sono sepolti, le virtù ignorate, il vizio impunito. I capi, oppressi dagli affari, non vedono nulla coi propri occhi; il governo dello Stato è in mano d’impiegati. Infine le misure da prendere per mantenere l’autorità generale, a cui tanti funzionari lontani cercano di sottrarsi o di imporsi, assorbono tutte le cure pubbliche; non ne restano più per la felicità

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peuple, à peine en reste-t-il pour sa défense au besoin, et c’est ainsi qu’un corps trop grand pour sa constitution s’affaisse et périt écrasé sous son propre poids. D’un autre côté, l’Etat doit se donner une certaine base pour avoir de la solidité, pour résister aux secousses qu’il ne manquera pas d’éprouver et aux efforts qu’il sera contraint de faire pour se soutenir: car tous les peuples ont une espèce de force centrifuge, par laquelle ils agissent continuellement les uns contré les autres et tendent à s’aggrandir aux dépens de leurs voisins, comme les tourbillons de Descartes. Ainsi les foibles risquent d’être bientôt engloutis, et nul ne peut guère se conserver qu’en se mettant avec tous dans une espèce d’équilibre, qui rende la compression par-tout a peu près égale. On voit par là qu’il y a des raisons de s’étendre et des raisons de se resserrer, et ce n’est pas le moindre talent du politique de trouver, entre les unes et les autres, la proportion la plus avantageuse à la conservation de l’Etat. On peut dire en général que les premières, n’étant qu’extérieures et relatives, doivent être subordonnées aux autres, qui sont internes et absolues; une saine et forte constitution est la première chose qu’il faut rechercher, et l’on doit plus compter sur la vigueur qui naît d’un bon gouvernement, que sur les ressources que fournit un grand territoire. Au reste, on a vu des Etats tellement constitués, que la nécessité des conquêtes entroit dans leur constitution même, et que pour se maintenir, ils étoient forcés de s’agrandir sans cesse. Peut-être se félicitoient-ils beaucoup de cette heureuse nécessité, qui leur montroit pourtant, avec le terme de leur grandeur, l’inévitable moment de leur chute. CHAPITRE X

SUITE

On peut mesurer un corps politique de deux manières; savoir, par l’étendue du territoire, et par le nombre du peuple, et il y a, entre l’une et l’autre de ces mésures, un rapport convenable pour donner à l’Etat sa véritable grandeur: Ce sont les hommes qui font l’Etat, et c’est le terrain qui nourrit les hommes; ce rapport est donc que la terre suffise à l’entretien de ses habitants, et qu’il y ait autant d’habitants que la terre en peut nourrir. C’est dans cette proportion que se trouve le maximum de force d’un nombre donné de peuple;

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del popolo; a mala pena resta qualcosa per la sua difesa in caso di necessità; e così che uno Stato troppo esteso in rapporto alla sua costituzione sprofonda e crolla schiacciato dal proprio peso. D’altra parte lo Stato deve darsi una certa base per acquistare solidità e resistere alle scosse che non gli mancheranno e agli sforzi che sarà costretto a fare per sostenersi; infatti tutti i popoli hanno una specie di forza centrifuga per cui agiscono di continuo gli uni contro gli altri e tendono a ingrandirsi a spese dei loro vicini come i vortici di Cartesio. Così i deboli rischiano di essere ben presto inghiottiti e nessuno si può conservare se non ponendosi con tutti in una specie di equilibrio che renda la compressione a un dipresso uguale dappertutto. Si vede di qui che sussistono motivi per ingrandirsi e motivi per restringersi, e quella di trovare tra gli uni e gli altri la proporzione più vantaggiosa per la conservazione dello Stato non è l’ultima abilità del politico. Si può dire in generale che i primi, essendo puramente esteriori e relativi, devono esser subordinati agli altri, che sono interni e assoluti; la prima cosa da ricercarsi è una sana e forte costituzione e bisogna far più assegnamento sul vigore che nasce da un buon governo che sulle risorse fornite da un vasto territorio. Del resto, si sono visti Stati costituiti in modo che la necessità di conquista era insita nella loro stessa costituzione, e che per conservarsi erano costretti a ingrandirsi senza posa. Forse erano anche molto soddisfatti di questa felice necessità, che tuttavia mostrava loro, col limite della loro grandezza, l’inevitabile momento della caduta.

CAPITOLO DECIMO

CONTINUAZIONE

Si può misurare un corpo politico in due modi: dall’estensione del territorio e dalla consistenza numerica della popolazione; tra l’una e l’altra misura vi è un rapporto conveniente per dare allo Stato la sue vera grandezza. Sono gli uomini che fanno lo Stato ed è la terra che nutre gli uomini; il rapporto conveniente, pertanto, si ha quando la terra basta a nutrire gli abitanti e gli abitanti sono tanti quanti la terra ne può nutrire. In questa proporzione risiede il maximum di forza di un certo numero di abitanti; infatti, se c’è un ec-

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car s’il y a du terrain de trop, la garde en est onéreuse, la culture insuffisante, le produit superflu; c’est la cause prochaine des guerres défensives; s’il n’y en a pas asses, l’Etat se trouve pour le supplément à la discrétion de ses voisins; c’est la cause prochaine des guerres offensives. Tout peuple qui n’a par sa position que l’alternative entre le commerce ou la guerre est faible en lui-même; il dépend de ses voisins, il dépend des événements; il n’a jamais qu’une existence incertaine et courte. Il subjugue et change de situation, ou il est subjugué et n’est rien. Il ne peut se conserver libre qu’à force de petitesse ou de grandeur. On ne peut donner en calcul un rapport fixe entre l’étendue de terre et le nombre d’hommes qui se suffisent l’un à l’autre; tant à cause des différences qui se trouvent dans les qualités du terrain, dans ses degrés de fertilité, dans la nature de ses productions, dans l’influence des climats, que de celles qu’on remarque dans les tempéraments des hommes qui les habitent, dont les uns consomment peu dans un pays fertile, les autres beaucoup sur un sol ingrat. Il faut encore avoir égard à la plus grande ou moindre fécondité des femmes, à ce que le pays peut avoir de plus ou moins favorable à la population, à la quantité dont le législateur peut espérer d’y concourir par ses établissements; de sorte qu’il ne doit pas fonder son jugement sur ce qu’il voit mais sur ce qu’il prévoit, ni s’arrêter autant à l’état actuel de la population qu’à celui où elle doit naturellement parvenir. Enfin il y a mille occasions où les accidents particuliers du lieu exigent ou permettent qu’on embrasse plus de terrain qu’il ne paraît nécessaire. Ainsi l’on s’étendra beaucoup dans un pays de montagnes, où les productions naturelles, savoir, les bois, les pâturages, demandent moins de travail, où l’expérience apprend que les femmes sont plus fécondes que dans les plaines, et où un grand sol incliné ne donne qu’une petite base horisontale, la seule qu’il faut compter pour la végétation. Au contraire, on peut se resserrer au bord de la mer, même dans des rochers et des sables presque stériles; parce que la pêche y peut suppléer en grande partie aux productions de la terre, que les hommes doivent être plus rassemblés pour repousser les pirates, et qu’on à d’ailleurs plus de facilité pour délivrer le pays par les colonies, des habitants dont il est surchargé. A ces conditions pour instituer un peuple, il en faut ajouter une qui ne peut suppléer à nulle autre, mais sans laquelle elles sont toutes inutiles; c’est qu’on jouisse de l’abondance de la paix; car le

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cesso di terra, la difesa è gravosa, insufficienti le culture, sovrabbondante il prodotto; si ha la causa prossima delle guerre difensive; mentre, se la terra non basta, lo Stato si trova a dipendere dai vicini per supplire alla scarsezza dei prodotti e si ha la causa prossima delle guerre di offesa. Ogni popolo che per la propria posizione non ha che l’alternativa tra il commercio e la guerra è debole per se stesso; dipende dai suoi vicini, dipende dagli avvenimenti; non ha che un’esistenza incerta e breve. O assoggetta altri popoli e muta situazione, o è assoggettato e non è più niente. Può conservarsi libero solo a forza di meschinità o di grandezza. Non è possibile calcolare un rapporto fisso che indichi l’estensione territoriale e il numero degli abitanti reciprocamente sufficienti; ci si oppongono tanto le differenze che si riscontrano nelle qualità del terreno, nei suoi gradi di fertilità, nella natura dei suoi prodotti, nell’influenza dei climi, quanto le differenze che si notano nei temperamenti degli abitanti che, a volte, consumano poco in un paese fertile, a volte molto su un terreno ingrato. Inoltre va tenuto conto della più o meno grande fecondità delle donne, di ciò che il paese ha di più o meno favorevole alla popolazione, della misura in cui il legislatore può sperare di concorrervi con le sue istituzioni; dimodoché egli non deve giudicare in base a ciò che vede, ma in base a ciò che prevede, e non deve tanto fermarsi allo stato attuale della popolazione quanto a quello che essa deve naturalmente raggiungere. Ci sono infine mille occasioni in cui le particolari circostanze del luogo esigono o permettono un’estensione territoriale maggiore di quanto non sembri necessario. Quindi sarà opportuna una grande estensione in un paese di montagna, dove le risorse naturali, cioè boschi e pascoli, richiedono meno lavoro, dove l’esperienza insegna che le donne sono più feconde di quelle di pianura, e dove un vasto declivio offre solo una piccola base orizzontale, la sola che conti per la vegetazione. Al contrario, in riva al mare ci si può restringere, anche in zone quasi sterili, di scogli e di sabbie, perché la pesca può supplire in gran parte agli scarsi prodotti della terra, e perché gli uomini devono vivere meno sparsi per respingere i pirati; d’altra parte, mediante le colonie, il paese si alleggerisce più facilmente dell’eccesso di popolazione. A queste condizioni per istituire una nazione ne va aggiunta una che non si può sostituire a nessuna delle altre, ma senza cui esse risultano tutte inutili: bisogna godere dell’abbondanza e della

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tems où s’ordonne un Etat est, comme celui où se forme un bataillon, l’instant où le corps est le moins capable de résistance et le plus facile à détruire. On résisteroit mieux dans un désordre absolu que dans un moment de fermentation, où chacun s’occupe de son rang et non du péril. Qu’une guerre, une famine, une sédition survienne en ce temps de crise, l’Etat est infailliblement renversé. Ce n’est pas qu’il n’y ait beaucoup de gouvernements établis durant ces orages; mais alors ce sont ces gouvernements-mêmes qui détruisent l’Etat. Les usurpateurs amènent ou choisissent toujours ces tems de troubles pour faire passer, à la faveur de l’effroi public, des loix destructives que le peuple n’adopteroit jamais de sangfroid. Le choix du moment de l’institution est un des caractères les plus sûrs par lesquels on peut distinguer l’oeuvre du Législateur d’avec celle du Tiran. Quel peuple est donc propre à la législation? Celui qui, se trouvant déjà lié par quelque union d’origine, d’intérêt ou de convention, n’a point encore porté le vrai joug des loix; celui qui n’a ni coutumes ni superstitions bien enracinées; celui qui ne craint pas d’être accablé par une invasion subite, qui, sans entrer dans les querelles de ses voisins, peut résister seul à chacun d’eux, ou s’aider de l’un pour repousser l’autre; celui dont chaque membre peut être connu de tous, et où l’on n’est point forcé de charger un homme d’un plus grand fardeau qu’un homme ne peut porter; celui qui peut se passer des autres peuples et dont tout autre peuple peut se passer13; Celui qui n’est ni riche ni pauvre et peut se suffire à luimême; enfin celui qui réunit la consistance d’un ancien peuple avec la docilité d’un peuple nouveau. Ce qui rend pénible l’ouvrage de la législation, est moins ce qu’il faut établir que ce qu’il faut détruire; et ce qui rend le succès si rare, c’est l’impossibilité de trouver la simplicité de la nature jointe aux besoins de la société. Toutes ces conditions, il est vrai, se trouvent difficilement rassemblées. Aussi voit-on peu d’Etats bien constitués. Il est encore en Europe un pays capable de législation; c’est l’Isle de Corse. La valeur et la constance avec laquelle ce brave peuple a su recouvrer et défendre sa liberté, mériteroit bien que quelque homme sage lui apprît à la conserver. J’ai quelque pressentiment qu’un jour cette petite Isle étonnera l’Europe.

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pace, perché il tempo in cui uno Stato riceve i propri ordinamenti è come quello in cui si forma un battaglione, il momento in cui il corpo è meno capace di resistenza e più facile da distruggersi. Si resisterebbe meglio in un assoluto disordine che in un momentaneo fermento, in cui ciascuno si occupa del proprio posto e non del pericolo. Se una guerra, una carestia, una sommossa, sopraggiunge in questa fase critica, lo Stato è infallibilmente rovesciato. Non mancano certo numerosi governi che si sono affermati in queste tempeste; ma allora, a distruggere lo Stato, sono questi medesimi governi. Gli usurpatori determinano o scelgono sempre questi periodi di turbamento per far passare, con l’aiuto del terrore pubblico, leggi distruttive che il popolo non adotterebbe mai a sangue freddo. Nell’ordinamento di uno Stato la scelta del momento è uno dei tratti più sicuri per cui si può distinguere l’opera del legislatore da quella del tiranno. Qual è dunque il popolo adatto a ricever delle leggi? quello che trovandosi ad esser già unito da qualche legame di origine, d’interesse o di convenzione, non abbia ancora portato il vero giogo delle leggi; quello che non ha né costumi né superstizioni molto radicate; che non teme d’essere annientato da un’improvvisa invasione e che, senza entrare nelle contese dei vicini, può resistere a ciascuno da solo, o servirsi dell’uno per respingere l’altro; quello i cui membri possono conoscersi tutti fra loro, e dove non si è costretti a caricare un uomo d’un fardello troppo pesante perché un uomo possa portarlo; quello che può fare a meno degli altri popoli e di cui tutti gli altri popoli possono fare a meno13; che, né ricco né povero, può bastare a se stesso: in una parola, quello che associa la consistenza di un popolo antico alla docilità di un popolo nuovo. A render faticosa l’opera legislativa sono le cose da distruggere più che non quelle da istituire; e a rendere tanto raro il successo è l’impossibilità di trovare la semplicità della natura associata ai bisogni della società. Difficilmente, è vero, tutte queste condizioni si trovano riunite. Perciò si vedono pochi Stati con una buona costituzione. In Europa vi è ancora un paese capace di ricevere una legislazione; è l’isola di Corsica. Il valore e la tenacia con cui questo popolo coraggioso ha saputo riconquistare e difendere la sua libertà meriterebbero proprio che qualche saggio gl’insegnasse a conservarla. Ho non so quale presentimento che un giorno questa piccola isola stupirà l’Europa.

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Du contract social CHAPITRE XI

DES DIVERS SYSTEMES DE LEGISLATION

Si l’on recherche en quoi consiste précisément le plus grand bien de tous, qui doit être la fin de tout système de législation, on trouvera qu’il se réduit à ces deux objets principaux, la liberté et l’égalité. La liberté, parce que toute dépendance particulière est autant de force ôtée au corps de l’Etat; l’égalité, parce que la liberté ne peut subsister sans elle. J’ai déjà dit ce que c’est que la liberté civile; à l’égard de l’égalité, il ne faut pas entendre par ce mot que les degrés de puissance et de richesse soient absolument les mêmes, mais que, quant à la puissance, elle soit au-dessous de toute violence et ne s’exerce jamais qu’en vertu du rang et des loix, et, quant à la richesse, que nul citoyen ne soit assez opulent pour en pouvoir acheter un autre, et nul assez pauvre pour être contraint de se vendre: Ce qui suppose du côté des grands modération de biens et de crédit, et du côté des petits, modération d’avarice et de convoitise14. Cette égalité, disent-ils, est une chimère de spéculation qui ne peut exister dans la pratique: Mais si l’abus est inévitable, s’ensuitil qu’il ne faille pas au moins le régler? C’est précisément parce que la force des choses tend toujours à détruire l’égalité, que la force de la législation doit toujours tendre à la maintenir. Mais ces objets généraux de toute bonne institution doivent être modifiés en chaque pays par les rapports qui naissent, tant de la situation locale que du caractère des habitants, et c’est sur ces rapports qu’il faut assigner à chaque peuple un système particulier d’institution, qui soit le meilleur, non peut-être en lui-même, mais pour l’Etat auquel il est destiné. Par exemple le sol est-il ingrat et stérile, ou le pays trop serré pour les habitants? Tournez-vous du côté de l’industrie et des arts, dont vous échangerez les productions contre les denrées qui vous manquent. Au contraire, occupez-vous de riches plaines et des coteaux fertiles? Dans un bon terrain, manquez-vous d’habitants? Donnez tous vos soins à l’agriculture qui multiplie les hommes, et chassez les arts qui ne feroient qu’achever de dépeupler le pays, en attroupant sur quelques points du territoire le peu d’habitants qu’il a15. Occupez-vous des rivages étendus et commodes? Couvrez la mer de vaisseaux, cultivez le commerce

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75 CAPITOLO UNDICESIMO

DEI DIVERSI SISTEMI DI LEGISLAZIONE

Se si cerca di stabilire in che cosa precisamente consiste il bene più grande di tutti che deve essere il fine di ogni sistema legislativo, si troverà che si riduce a questi due principali oggetti: libertà e uguaglianza. Libertà, perché ogni dipendenza particolare è altrettanta forza sottratta al corpo dello Stato; uguaglianza, perché la libertà non può sussistere senza di essa. Ho già detto che cos’è la libertà civile; riguardo all’uguaglianza, non bisogna intendere la parola come se significasse che i gradi di potere e di ricchezza devono essere esattamente gli stessi, ma, quanto al potere, nel senso che esso non deve giungere a nessuna violenza e deve sempre esercitarsi sulla sola base del grado e delle leggi; quanto alla ricchezza, che nessun cittadino deve essere abbastanza ricco da poterne comprare un altro, e nessuno tanto povero da esser costretto a vendersi. Il che suppone, da parte dei grandi, beni e credito limitati, da parte dei piccoli, scarsa avarizia e scarsa avidità14. Quest’uguaglianza, dicono, è una teoria chimerica che nella pratica non può sussistere. Ma, se l’abuso è inevitabile, è questa una ragione perché non si debba almeno regolarlo? Proprio perché la forza delle cose tende sempre a distruggere l’uguaglianza, la forza della legislazione deve sempre tendere a mantenerla. Ma questi obbiettivi generali di ogni buona costituzione devono essere modificati in ciascun paese dai rapporti che nascono tanto dalla situazione locale come dal carattere degli abitanti, e per via di tali rapporti bisogna assegnare a ciascun popolo un sistema particolare di istituzioni che sia il migliore, forse non per se stesso, ma per lo Stato a cui è destinato. Per esempio: il suolo è ingrato e sterile, o il paese troppo ristretto per gli abitanti? Volgetevi all’industria e alle arti, per scambiarne i prodotti con le derrate di cui avete bisogno. Al contrario: occupate pingui pianure e fertili colline? in un buon terreno mancate di abitanti? Dedicate tutte le vostre cure all’agricoltura che moltiplica gli uomini ed eliminate le arti che altro non farebbero se non finir di spopolare il paese ammassandone i pochi abitanti su qualche punto del territorio15. Abitate su rive estese e di facile accesso? Coprite il mare di navi, e coltivate il

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et la navigation; vous aurez une existence brillante et courte. La mer ne baigne-t-elle sur vos côtes que des rochers presque inaccessibles? Restez barbares et ichtyophages; vous en vivrez plus tranquilles, meilleurs peut-être, et sûrement plus heureux. En un mot, outre les maximes communes à tous, chaque Peuple renferme en lui quelque cause qui les ordonne d’une manière particulière et rend sa législation propre à lui seul. C’est ainsi qu’autrefois les Hébreux et récemment les Arabes ont eu pour principal objet la religion, les Athéniens les lettres, Carthage et Tyr le commerce, Rhodes la marine, Sparte la guerre, et Rome la vertu. L’auteur de L’Esprit des loix a montré dans des foules d’exemples par quel art le législateur dirige l’institution vers chacun de ces objets. Ce qui rend la constitution d’un Etat véritablement solide et durable, c’est quand les convenances sont tellement observées que les rapports naturels et les loix tombent toujours de concert sur les mêmes points, et que celles-ci ne font, pour ainsi dire, qu’assurer, accompagner, rectifier les autres. Mais si le Législateur, se trompant dans son objet, prend un principe différent de celui qui naît de la nature des choses, que l’un tende à la servitude et l’autre à la liberté, l’un aux richesses l’autre à la population, l’un à la paix l’autre aux conquêtes, on verra les loix s’affaiblir insensiblement, la constitution s’altérer, et l’Etat ne cessera d’être agité jusqu’à ce qu’il soit détruit ou changé, et que l’invincible nature ait repris son empire.

CHAPITRE XII

DIVISION DES LOIX

Pour ordonner le tout, ou donner la meilleure forme possible à la chose publique, il y a diverses relations à considérer. Premièrement l’action du corps entier agissant sur lui-même, c’est-à-dire le rapport du tout au tout, ou du Souverain à l’Etat, et ce rapport est composé de celui des termes intermédiaires, comme nous le verrons ci-après. Les loix qui règlent ce rapport portent le nom de loix politiques, et s’appellent aussi loix fondamentales, non sans quelque raison si ces loix sont sages. Car s’il n’y a dans chaque Etat qu’une bonne manière de l’ordonner, le peuple qui l’a trouvée doit s’y te-

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commercio e la navigazione; avrete un’esistenza brillante e breve. Il mare bagna sulle vostre coste solo scogli quasi inaccessibili? restate barbari e ittiofagi, vivrete più tranquilli, e sarete forse migliori, certo più felici. In una parola, al di là delle norme comuni a tutti, ogni popolo porta in sé qualche causa che imprime a queste un ordine particolare, rendendo la sua legislazione adatta a lui solo. Così un tempo gli Ebrei, e di recente gli Arabi, hanno avuto per principale oggetto la religione; gli Ateniesi le lettere; Cartagine e Tiro il commercio; Rodi la marina; Sparta la guerra e Roma la virtù. L’autore dell’Esprit des loix ha mostrato con una quantità d’esempi con che arte il legislatore dirige la costituzione a ciascuno di questi oggetti. La costituzione di uno Stato risulta veramente salda e duratura quando si tien tanto conto di ciò che gli si confà da porre un costante accordo sui medesimi punti fra i rapporti naturali e le leggi, limitandosi queste, per così dire, a garantire, accompagnare e rettificare quelli. Ma se il legislatore, ingannandosi a proposito del suo oggetto, assume un principio diverso da quello che nasce dalla natura delle cose, e l’uno tende alla schiavitù, l’altro alla libertà; l’uno alle ricchezze, l’altro all’incremento demografico; l’uno alla pace, l’altro alla conquista, si vedranno le leggi indebolirsi un po’ alla volta, la costituzione alterarsi, e lo Stato agitarsi senza posa fino a che non venga distrutto o mutato e l’invincibile natura non sia tornata ad imperare.

CAPITOLO DODICESIMO

DIVISIONE DELLE LEGGI

Per ordinare il tutto o per dare alla cosa pubblica la miglior forma possibile ci sono da considerare varie relazioni. In primo luogo l’azione dell’intero corpo che agisce su se stesso; ossia il rapporto del tutto col tutto, o del sovrano con lo Stato, rapporto che, come vedremo fra poco, è costituito da quello dei termini intermedi. Le leggi che lo regolano portano il nome di leggi politiche, e si chiamano anche leggi fondamentali, non senza qualche ragione quando sono sagge: infatti, se per ogni Stato esiste solo un tipo di ordinamento buono, il popolo che l’ha trovato deve attenervisi; ma

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nir: mais si l’ordre établi est mauvais, pourquoi prendrait-on pour fondamentales des loix qui l’empêchent d’être bon? D’ailleurs, en tout état de cause, un peuple est toujours le maître de changer ses loix, même les meilleures; car s’il lui plaît de se faire mal à lui-même, qui est-ce qui a droit de l’en empêcher? La seconde relation est celle des membres entre eux ou avec le corps entier, et ce rapport doit être au premier égard aussi petit et au second aussi grand qu’il est possible: en sorte que chaque Citoyen soit dans une parfaite indépendance de tous les autres, et dans une excessive dépendance de la Cité; ce qui se fait toujours par les mêmes moyens; car il n’y a que la force de l’Etat qui fasse la liberté de ses membres. C’est de ce deuxième rapport que naissent les loix civiles. On peut considérer une troisième sorte de relation entre l’homme et la loi, savoir celle de la désobéissance à la peine, et celle-ci donne lieu à l’établissement des loix criminelles, qui dans le fond sont moins une espèce particulière de loix que la sanction de toutes les autres. A ces trois sortes de loix, il s’en joint une quatrième, la plus importante de toutes; qui ne se grave ni sur le marbre ni sur l’airain, mais dans les coeurs des citoyens; qui fait la véritable constitution de l’Etat; qui prend tous les jours de nouvelles forces; qui, lorsque les autres loix vieillissent ou s’éteignent, les ranime ou les supplée, conserve un peuple dans l’esprit de son institution, et substitue insensiblement la force de l’habitude à celle de l’autorité. Je parle des moeurs, des coutumes, et surtout de l’opinion; partie inconnue à nos politiques, mais de laquelle dépend le succès de toutes les autres: partie dont le grand Législateur s’occupe en secret, tandis qu’il paraît se borner à des règlements particuliers qui ne sont que le cintre de la voûte, dont les moeurs, plus lentes à naître, forment enfin l’inébranlable Clef. Entre ces diverses Classes, les loix politiques, qui constituent la forme du Gouvernement, sont la seule relative à mon sujet.

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se l’ordine stabilito è cattivo, perché dovremmo considerare fondamentali quelle leggi che gl’impediscono di essere buono? D’altra parte, in ogni caso, un popolo ha sempre il potere di mutare le sue leggi, anche le migliori; infatti, se gli piace di far male a se stesso, chi può impedirglielo? Il secondo rapporto è quello dei membri fra loro o con l’intero corpo, e tale rapporto deve essere, sotto il primo rispetto, il più piccolo possibile, sotto il secondo rispetto, il più grande; in modo che ogni cittadino si trovi in una perfetta indipendenza da tutti gli altri e in un’estrema dipendenza dalla città, il che si ottiene sempre coi medesimi mezzi, perché solo la forza dello Stato realizza la libertà dei suoi membri. Le leggi civili nascono dal secondo rapporto. Si può considerare una terza specie di relazione tra l’uomo e la legge, quella tra la disobbedienza e la pena, che dà luogo all’istituzione delle leggi penali, che sono in fondo più una sanzione di tutte le altre leggi che non una specie particolare di esse. A queste tre specie di leggi se ne aggiunge una quarta, la più importante di tutte, che non s’incide sul marmo o sul bronzo, ma nei cuori dei cittadini; che fa la vera costituzione dello Stato; che si arricchisce ogni giorno di nuovo vigore; che, quando le altre leggi invecchiano o vengon meno, le rianima o ne fa le veci, conserva il popolo nello spirito della sua costituzione, e sostituisce un po’ alla volta la forza dell’abitudine a quella dell’autorità. Parlo dei costumi, delle usanze, e soprattutto dell’opinione, settore sconosciuto ai nostri politici, ma da cui dipende il successo di tutti gli altri; il grande legislatore se ne occupa in segreto, mentre sembra limitarsi a particolari regolamentazioni che sono solo il sesto della volta di cui i costumi, più lenti a formarsi, costituiscono alla fine l’incrollabile chiave. Fra queste diverse classi di leggi, la sola che interessi il mio argomento è quella delle leggi politiche, che costituiscono la forma di governo.

LIVRE III Avant de parler des diverses formes de Gouvernement, tâchons de fixer le sens précis de ce mot, qui n’a pas encore été fort bien expliqué.

CHAPITRE I

DU GOUVERNEMENT EN GENERAL

J’avertis le lecteur que ce chapitre doit être lu posément, et que je ne sais pas l’art d’être clair pour qui ne veut pas être attentif. Toute action libre a deux causes qui concourent à la produire, l’une morale, savoir la volonté qui détermine l’acte, l’autre physique, savoir la puissance qui l’exécute. Quand je marche vers un objet, il faut premièrement que j’y veuille aller; en second lieu, que mes pieds m’y portent. Qu’un paralytique veuille courir, qu’un homme agile ne le veuille pas, tous deux resteront en place. Le corps politique a les mêmes mobiles; on y distingue de même la force et la volonté; Celle-ci sous le nom de puissance législative, l’autre sous le nom de puissance exécutive. Rien ne s’y fait ou ne s’y doit faire sans leur concours. Nous avons vu que la puissance législative appartient au peuple, et ne peut appartenir qu’à lui. Il est aisé de voir au contraire, par les principes ci-devant établis, que la puissance exécutive ne peut appartenir à la généralité comme Législatrice ou Souveraine; parce que cette puissance ne consiste qu’en des actes particuliers qui ne sont point du ressort de la loi, ni par conséquent de celui du souverain, dont tous les actes ne peuvent être que des loix.

LIBRO TERZO Prima di parlare delle diverse forme di governo, cerchiamo di fissare il senso preciso di questo termine che ancora non è stato spiegato molto bene.

CAPITOLO PRIMO

DEL GOVERNO IN GENERALE

Avverto il lettore che questo capitolo va letto pacatamente, e che io non posseggo l’arte di riuscir chiaro a chi non vuole prestare attenzione. Ogni azione libera è prodotta dal concorso di due cause, una morale, cioè la volontà che determina l’atto, l’altra fisica, cioè il potere che l’esegue. Quando cammino in una direzione, bisogna anzitutto che io voglia andarvi; in secondo luogo, che i miei piedi mi ci portino. Tanto un paralitico che voglia correre, come un uomo agile che non voglia, resteranno dove sono. Il corpo politico ha gli stessi motori: vi si distinguono del pari forza e volontà, questa sotto il nome di potere legislativo, quella sotto il nome di potere esecutivo. Niente vi si fa o vi si deve fare senza il loro concorso. Abbiamo visto che il potere legislativo appartiene al popolo e non può appartenere che a lui. Al contrario, dai princìpi stabiliti in precedenza, è facile vedere che il potere esecutivo non può appartenere alla generalità in quanto legislatrice o sovrana, perché questo potere consiste solo in atti particolari, che non sono di competenza della legge, né, per conseguenza, del sovrano, i cui atti non possono essere che leggi.

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Il faut donc à la force publique un agent propre qui la réunisse et la mette en oeuvre selon les directions de la volonté générale, qui serve à la communication de l’Etat et du Souverain, qui fasse en quelque sorte dans la personne publique ce que fait dans l’homme l’union de l’âme et du corps. Voilà quelle est dans l’Etat la raison du Gouvernement, confondu mal à propos avec le Souverain, dont il n’est que le ministre. Qu’est-ce donc que le Gouvernement? Un corps intermédiaire établi entre les sujets et le Souverain pour leur mutuelle correspondance, chargé de l’exécution des loix et du maintien de la liberté, tant civile que politique. Les membres de ce corps s’appellent Magistrats ou Rois, c’està-dire Gouverneurs, et le corps entier porte le nom de Prince16. Ainsi ceux qui prétendent que l’acte par lequel un peuple se soumet à des chefs n’est point un contract, ont grande raison. Ce n’est absolument qu’une commission, un emploi dans lequel, simples officiers du souverain, ils exercent en son nom le pouvoir dont il les a faits dépositaires, et qu’il peut limiter, modifier et reprendre quand il lui plaît, l’aliénation d’un tel droit étant incompatible avec là nature du corps social, et contraire au but de l’association. J’appelle donc Gouvernement ou suprême administration l’exercice légitime de la puissance exécutive, et Prince ou magistrat l’homme ou le corps chargé de cette administration. C’est dans le Gouvernement que se trouvent les forces intermédiaires, dont les rapports composent celui du tout au tout ou du Souverain à l’Etat. On peut représenter ce dernier rapport par celui des extrêmes d’une proportion continue, dont la moyenne proportionnelle est le Gouvernement. Le Gouvernement reçoit du Souverain les ordres qu’il donne au peuple, et pour que l’Etat soit dans un bon équilibre il faut, tout compensé, qu’il y ait égalité entre le produit ou la puissance du gouvernement pris en lui-même et le produit ou la puissance des citoyens, qui sont souverains d’un côté et sujets de l’autre. De plus, on ne sauroit altérer aucun des trois termes sans rompre à l’instant la proportion. Si le Souverain veut gouverner, ou si le magistrat veut donner des loix, ou si les sujets refusent d’obéir, le désordre succède à la règle, la force et la volonté n’agissent plus de concert, et l’Etat dissout tombe ainsi dans le despotisme ou dans l’anarchie. Enfin comme il n’y a qu’une moyenne proportionnelle entre chaque rapport, il n’y a non plus qu’un bon gouvernement

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La forza pubblica ha dunque bisogno di un agente proprio che la riunisca e la metta in atto secondo le direttive della volontà generale; che serva alla comunicazione dello Stato e del sovrano; che faccia in qualche modo nella persona pubblica ciò che fa nell’uomo l’unione dell’anima e del corpo. Ecco qual è nello Stato la ragione del governo, confuso a torto col sovrano di cui è semplicemente il ministro. Cos’è dunque il governo? Un corpo intermedio stabilito tra i sudditi e il sovrano per la loro reciproca corrispondenza e incaricato dell’esecuzione delle leggi e della conservazione della libertà, tanto civile come politica. I membri di questo corpo si chiamano magistrati o re, cioè governatori, e l’intero corpo porta il nome di Principe16. Quindi chi pretende che l’atto con cui un popolo si sottomette a dei capi non sia un contratto, ha pienamente ragione. In modo assoluto, non è che un mandato, un ufficio in cui, semplici funzionari del sovrano, esercitano in suo nome il potere del quale li ha fatti depositari e che può limitare, modificare e riprendere quando gli pare, essendo l’alienazione di un tale diritto incompatibile con la natura del corpo sociale e contraria al fine dell’associazione. Chiamo dunque governo o amministrazione suprema l’esercizio legittimo del potere esecutivo, e principe o magistrato l’uomo che ha l’incarico di questa amministrazione. Nel governo risiedono le forze mediatrici i cui rapporti compongono quello del tutto col tutto, ossia del sovrano con lo Stato. Si può rappresentare quest’ultimo rapporto con quello degli estremi di una proporzione continua, il cui medio proporzionale è il governo. Il governo riceve dal sovrano gli ordini che dà al popolo, e perché l’equilibrio dello Stato risulti soddisfacente bisogna che, tutto calcolato, il prodotto o il potere del governo preso per se stesso sia uguale al prodotto o al potere dei cittadini che sono sovrani da un lato, sudditi dall’altro. Sarebbe inoltre impossibile modificare uno dei tre termini senza rompere immediatamente la proporzione. Se il sovrano vuol governare, o se il magistrato vuol dare leggi, o se i sudditi rifiutano l’obbedienza, alla regola succede il disordine, l’azione della forza e quella della volontà non si accordano più, e lo Stato dissolvendosi va così a finire nel dispotismo o nell’anarchia. Infine, come in un rapporto vi è un solo medio proporzionale, così, per uno Stato, vi è un solo

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possible dans un Etat: Mais comme mille événements peuvent changer les rapports d’un peuple, non seulement différents Gouvernements peuvent être bons à divers peuples, mais au même peuple en différents temps. Pour tâcher de donner une idée des divers rapports qui peuvent régner entre ces deux extrêmes, je prendrai pour exemple le nombre du peuple, comme un rapport plus facile à exprimer. Supposons que l’Etat soit composé de dix mille Citoyens. Le Souverain ne peut être considéré que collectivement et en corps: Mais chaque particulier en qualité de sujet est considéré comme individu: Ainsi le Souverain est au sujet comme dix mille est à un: C’est-à-dire que chaque membre de l’Etat n’a pour sa part que la dix millième partie de l’autorité souveraine, quoiqu’il lui soit soumis tout entier. Que le peuple soit composé de cent mille hommes, l’état des sujets ne change pas, et chacun porte également tout l’empire des loix, tandis que son suffrage, réduit à un cent millième, a dix fois moins d’influence dans leur rédaction. Alors le sujet restant toujours un, le rapport du Souverain augmente en raison du nombre des Citoyens. D’où il suit que plus l’Etat s’agrandit, plus la liberté diminue. Quand je dis que le rapport augmente, j’entends qu’il s’éloigne de l’égalité. Ainsi plus le rapport est grand dans l’acception des Géomètres, moins il y a de rapport dans l’acception commune; dans la première le rapport considéré selon la quantité se mesure par l’exposant, et dans l’autre, considéré selon l’identité, il s’estime par la similitude. Or moins les volontés particulières se rapportent à la volonté générale, c’est-à-dire les moeurs aux loix, plus la force réprimante doit augmenter. Donc le Gouvernement, pour être bon, doit être relativement plus fort à mesure que le peuple est plus nombreux. D’un autre côté, l’agrandissement de l’Etat donnant aux dépositaires de l’autorité publique plus de tentations et de moyens d’abuser de leur pouvoir, plus le Gouvernement doit avoir de force pour contenir le peuple, plus le Souverain doit en avoir à son tour pour contenir le Gouvernement. Je ne parle pas ici d’une force absolue, mais de la force relative des diverses parties de l’Etat. Il suit de ce double rapport que la proportion continue entre le Souverain, le Prince et le peuple n’est point une idée arbitraire, mais une conséquence nécessaire de la nature du corps politique.

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governo buono. Ma poiché mille avvenimenti possono mutare i rapporti di un popolo, non solo governi diversi possono esser buoni per popoli diversi, ma anche per lo stesso popolo in epoche diverse. Per cercare di dare un’idea dei diversi rapporti che possono regnare fra questi due estremi, prenderò come esempio la consistenza numerica della popolazione, in quanto è un rapporto più facile da esprimersi. Supponiamo che lo Stato sia composto di diecimila cittadini. Il sovrano non può essere considerato che collettivamente e come corpo. Ma ogni singolo, in qualità di suddito, è considerato come individuo; quindi il sovrano sta al suddito come diecimila sta a uno; ossia ogni membro dello Stato partecipa dell’autorità sovrana, pur essendole sottomesso interamente, solo per la decimillesima parte. Se il popolo si compone di centomila uomini la condizione dei sudditi non muta, e ognuno subisce ugualmente tutta l’autorità delle leggi, mentre il suo voto, ridotto a un centomillesimo, ha un’influenza dieci volte minore sulla loro redazione. Allora, continuando sempre il suddito a essere uno, il rapporto del sovrano aumenta in ragione del numero dei cittadini. Ne consegue che più lo Stato si estende più la libertà diminuisce. Quando dico che il rapporto aumenta intendo dire che si allontana dall’uguaglianza. Quindi, quanto più il rapporto è grande nell’accezione dei matematici, tanto meno lo è nell’accezione comune; nella prima, il rapporto considerato secondo quantità si misura dall’esponente, nella seconda, considerato secondo identità, si valuta dalla somiglianza. Ora, quanto minore è il rapporto tra le volontà particolari e la volontà generale, ossia tra i costumi e le leggi, tanto più deve aumentare la forza repressiva del governo. Pertanto, il governo, per essere buono, deve essere relativamente più forte via via che il popolo è più numeroso. D’altra parte, poiché l’ingrandirsi dello Stato offre ai depositari della pubblica autorità più tentazioni e più mezzi di abusare del loro potere, quanta più forza il governo deve avere per tenere a freno il popolo, tanta più ne deve avere a sua volta il sovrano per tenere a freno il governo. Non parlo qui di forza in senso assoluto, ma della forza relativa delle varie parti dello Stato. Da questo doppio rapporto risulta che la proporzione continua fra il sovrano, il principe e il popolo non è un’idea arbitraria, ma una conseguenza necessaria della natura del corpo politico. Risul-

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Il suit encore que l’un des extrêmes, savoir le peuple comme sujet, étant fixe et représenté par l’unité, toutes les fois que la raison doublée augmente ou diminue, la raison simple augmente ou diminue semblablement, et que par conséquent le moyen terme est changé. Ce qui fait voir qu’il n’y a pas une constitution de Gouvernement unique et absolue, mais qu’il peut y avoir autant de Gouvernements différents en nature que d’Etats différents en grandeur. Si, tournant ce système en ridicule, on disoit que pour trouver cette moyenne proportionnelle et former le corps du Gouvernement il ne faut, selon moi, que tirer la racine carrée du nombre du peuple, je répondrois que je ne prends ici ce nombre que pour un exemple, que les rapports dont je parle ne se mesurent pas seulement par le nombre des hommes, mais en général par la quantité d’action, laquelle se combine par des multitudes de causes, qu’au reste si, pour m’exprimer en moins de paroles, j’emprunte un moment des termes de géométrie, je n’ignore pas, cependant, que la précision géométrique n’a point lieu dans les quantités morales. Le Gouvernement est en petit ce que le corps politique qui le renferme est en grand. C’est une personne morale douée de certaines facultés, active comme le Souverain, passive comme l’Etat, et qu’on peut décomposer en d’autres rapports semblables, d’où naît par conséquent une nouvelle proportion, une autre encore dans celle-ci selon l’ordre des tribunaux, jusqu’à ce qu’on arrive à un moyen terme indivisible, c’est-à-dire à un seul chef ou magistrat suprême, qu’on peut se représenter au milieu de cette progression, comme l’unité entre la série des fractions et celle des nombres. Sans nous embarrasser dans cette multiplication de termes, contentons-nous de considérer le Gouvernement comme un nouveau corps dans l’Etat, distinct du peuple et du Souverain, et intermédiaire entre l’un et l’autre. Il y a cette différence essentielle entre ces deux corps, que l’Etat existe par lui-même, et que le Gouvernement n’existe que par le Souverain. Ainsi la volonté dominante du Prince n’est ou ne doit être que la volonté générale ou la loi, sa force n’est que la force publique concentrée en lui, sitôt qu’il veut tirer de lui-même quelque acte absolu et indépendant, la liaison du tout commence à se relâcher. S’il arrivoit enfin que le Prince eût une volonté particulière plus active que celle du Souverain, et qu’il usât pour obéir à cette volonté particulière de la force publique qui est dans ses mains, en

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ta pure che uno degli estremi, cioè il popolo in quanto suddito, essendo fisso e rappresentato dall’unità, tutte le volte che la ragione raddoppiata aumenta o diminuisce, la ragione semplice ugualmente aumenta o diminuisce e quindi il termine medio risulta mutato. Di qui si vede che non c’è una costituzione di governo unica ed assoluta, ma che possono esservi tanti governi diversi per la loro natura quanti Stati diversi per estensione. Se, volgendo in ridicolo questo sistema, si dicesse che, secondo me, per trovare questo medio proporzionale e formare il corpo del governo, basta estrarre la radice quadrata dal numero dei componenti il popolo, risponderei che prendo qui questo numero solo come esempio, che i rapporti di cui parlo non si misurano solo dal numero degli uomini, ma in genere dalla quantità d’azione, che si combina con una molteplicità di cause; che, del resto, se, per esprimermi con meno parole, mi valgo per un momento di termini geometrici, non ignoro, tuttavia, che la precisione geometrica non ha luogo nelle quantità morali. Il governo è in piccolo ciò che è in grande il corpo politico in cui è racchiuso. È una persona morale dotata di certe facoltà, attiva come il sovrano, passiva come lo Stato, e suscettibile di essere scomposta in altri rapporti simili; di qui nasce, di conseguenza, una nuova proporzione, e un’altra ancora entro questa secondo l’ordine delle magistrature, finché non si giunge a un termine medio indivisibile, ossia a un solo capo o magistrato supremo, che ci si può rappresentare in mezzo a questa progressione come l’unità tra la serie delle frazioni e quella dei numeri. Senza andare a impelagarci in questa moltiplicazione di termini, contentiamoci di considerare il governo come un nuovo corpo nello Stato, distinto dal popolo e dal sovrano e intermediario fra l’uno e l’altro. La differenza essenziale fra questi due corpi è che lo Stato esiste per se stesso, mentre il governo esiste solo per il sovrano. Quindi la volontà dominante del principe non è o non deve essere che la volontà generale o la legge, la sua forza non è che la forza pubblica concentrata in lui; non appena egli vuol compiere in proprio qualche atto assoluto e indipendente, i legami che tengono unito il tutto cominciano ad allentarsi. Infine, se accadesse che il principe avesse una volontà particolare più attiva di quella del sovrano, e che per obbedire a questa volontà particolare usasse della forza pubblica che è nelle sue mani, in modo che si avessero, per così dire,

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sorte qu’on eût, pour ainsi dire, deux Souverains, l’un de droit et l’autre de fait; à l’instant l’union sociale s’évanouiroit, et le corps politique seroit dissous. Cependant pour que le corps du Gouvernement ait une existence, une vie réelle qui le distingue du corps de l’Etat, pour que tous ses membres puissent agir de concert et répondre à la fin pour laquelle il est institué, il lui faut un moi particulier, une sensibilité commune à ses membres, une force, une volonté propre qui tende à sa conservation. Cette existence particulière suppose des assemblées, des conseils, un pouvoir de délibérer, de résoudre, des droits, des titres, des privilèges qui appartiennent au Prince exclusivement, et qui rendent la condition du magistrat plus honorable à proportion qu’elle est plus pénible. Les difficultés sont dans la manière d’ordonner dans le tout ce tout subalterne, de sorte qu’il n’altère point la constitution générale en affermissant la sienne, qu’il distingue toujours sa force particulière destinée à sa propre conservation de la force publique destinée à la conservation de l’Etat, et qu’en un mot il soit toujours prêt à sacrifier le Gouvernement au peuple et non le peuple au Gouvernement. D’ailleurs, bien que le corps artificiel du Gouvernement soit l’ouvrage d’un autre corps artificiel, et qu’il n’ait en quelque sorte qu’une vie empruntée et subordonnée, cela n’empêche pas qu’il ne puisse agir avec plus ou moins de vigueur ou de célérité, jouir, pour ainsi dire, d’une santé plus ou moins robuste. Enfin sans s’éloigner directement du but de son institution, il peut s’en écarter plus ou moins, selon la manière dont il est constitué. C’est de toutes ces différences que naissent les rapports divers que le Gouvernement doit avoir avec le corps de l’Etat, selon les rapports accidentels et particuliers par lesquels ce même Etat est modifié. Car souvent le Gouvernement le meilleur en soi deviendra le plus vicieux, si ses rapports ne sont altérés selon les défauts du corps politique auquel il appartient. CHAPITRE II

DU PRINCIPE QUI CONSTITUE LES DIVERSES FORMES DE GOUVERNEMENT

Pour exposer la cause générale de ces différences, il faut distinguer ici le Prince et le Gouvernement, comme j’ai distingué cidevant l’Etat et le Souverain.

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due sovrani, uno di diritto, l’altro di fatto, immediatamente l’unione sociale verrebbe meno e il corpo politico sarebbe disgregato. Tuttavia, perché il corpo del governo abbia un’esistenza, una vita reale che lo distingua dal corpo dello Stato, perché tutti i suoi membri possano agire in armonia rispondendo al fine per cui esso è stato istituito, gli occorre un io particolare, una sensibilità comune ai suoi membri, una forza, una volontà propria che tenda alla sua conservazione. Quest’esistenza particolare presuppone assemblee, consigli, un potere di deliberare e di risolvere, dei diritti, dei titoli, dei privilegi che appartengano esclusivamente al principe e che rendano la condizione del magistrato tanto più onorevole quanto più è faticosa. Le difficoltà stanno nella maniera di ordinare nel tutto questo tutto subalterno, in modo che non alteri la costituzione generale rafforzando la propria, che distingua sempre la sua forza particolare, destinata alla propria conservazione, dalla forza pubblica destinata alla conservazione dello Stato, e che, in una parola, sia sempre pronto a sacrificare il governo al popolo e non il popolo al governo. D’altra parte, benché il corpo artificiale del governo sia il prodotto di un altro corpo artificiale, e abbia, in certo senso, solo una vita fittizia e subordinata, ciò non toglie che possa agire con più o meno vigore e rapidità, godendo, per così dire, di una salute più o meno florida. Infine, senza allontanarsi direttamente dal fine della sua istituzione, può scostarsene più o meno, a seconda della maniera in cui è costituito. Da tutte queste differenze nascono i rapporti diversi che il governo deve avere col corpo dello Stato, a seconda dei rapporti accidentali e particolari da cui lo Stato medesimo è modificato. Infatti, spesso, il governo migliore per se stesso diventerà il peggiore se i suoi rapporti non vengano modificati secondo i difetti del corpo politico a cui appartiene.

CAPITOLO SECONDO

DEL PRINCIPIO CHE COSTITUISCE LE VARIE FORME DI GOVERNO

Per esporre la causa generale di queste differenze bisogna qui distinguere il principe e il governo, come prima ho distinto lo Stato e il sovrano.

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Le corps du magistrat peut être composé d’un plus grand ou moindre nombre de membres. Nous avons dit que le rapport du Souverain aux sujets étoit d’autant plus grand que le peuple étoit plus nombreux, et par une évidente analogie nous en pouvons dire autant du gouvernement à l’égard des Magistrats. Or la force totale du Gouvernement, étant toujours celle de l’Etat, ne varie point: d’où il suit que plus il use de cette force sur ses propres membres, moins il lui en reste pour agir sur tout le peuple. Donc plus les Magistrats sont nombreux, plus le Gouvernement est foible. Comme cette maxime est fondamentale, appliquons-nous à la mieux éclaircir. Nous pouvons distinguer dans la personne du magistrat trois volontés essenciellement différentes. Premièrement la volonté propre de l’individu, qui ne tend qu’à son avantage particulier; secondement la volonté commune des magistrats, qui se rapporte uniquement à l’avantage du Prince, et qu’on peut appeler volonté de corps, laquelle est générale par rapport au Gouvernement, et particulière par rapport à l’Etat, dont le Gouvernement fait partie; en troisième lieu, la volonté du peuple ou la volonté souveraine, laquelle est générale, tant par rapport à l’Etat considéré comme le tout, que par rapport au Gouvernement considéré comme partie du tout. Dans une législation parfaite, la volonté particulière ou individuelle doit être nulle, la volonté de corps propre au Gouvernement très subordonnée, et par conséquent la volonté générale ou souveraine toujours dominante et la règle unique de toutes les autres. Selon l’ordre naturel, au contraire, ces différentes volontés deviennent plus actives à mesure qu’elles se concentrent. Ainsi la volonté générale est toujours la plus foible, la volonté de corps a le second rang, et la volonté particulière le premier de tous: de sorte que dans le Gouvernement chaque membre est premièrement soi-même, et puis Magistrat, et puis citoyen. Gradation directement opposée à celle qu’exige l’ordre social. Cela posé: que tout le gouvernement soit entre les mains d’un seul homme. Voilà la volonté particulière et la volonté de corps parfaitement réunies, et par conséquent celle-ci au plus haut degré d’intensité qu’elle puisse avoir. Or comme c’est du degré de la volonté que dépend l’usage de la force, et que la force absolue du Gouvernement ne varie point, il s’ensuit que le plus actif des Gouvernements est celui d’un seul.

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Il corpo della magistratura può essere composto d’un numero più o meno grande di membri. Abbiamo detto che il rapporto tra il sovrano e i sudditi era tanto più grande quanto più erano numerosi i componenti la popolazione, e per un’evidente analogia possiamo dire lo stesso del governo in rapporto ai magistrati. Ora, la forza complessiva del governo, essendo sempre quella dello Stato, non è soggetta a variazioni: quindi, più esso usa questa forza sui propri membri, meno gliene resta per agire su tutto il popolo. Dunque, più i magistrati sono numerosi, più il governo è debole. Dato che si tratta di una massima fondamentale, cerchiamo di chiarirla meglio. Possiamo distinguere nella persona del magistrato tre volontà essenzialmente diverse. In primo luogo la volontà propria dell’individuo che tende solo al suo particolare vantaggio; in secondo luogo la volontà comune dei magistrati, che si riferisce unicamente al vantaggio del principe e si può chiamare volontà di corpo, che è generale in rapporto al governo e particolare in rapporto allo Stato, di cui il governo fa parte; in terzo luogo la volontà del popolo o volontà sovrana, che è generale, tanto in rapporto allo Stato considerato come tutto, quanto in rapporto al governo considerato come parte del tutto. In una legislazione perfetta la volontà particolare o individuale deve essere nulla; la volontà di corpo, propria del governo, molto subordinata; e quindi la volontà generale o sovrana sempre dominante, regola unica di tutte le altre. Al contrario, secondo l’ordine naturale, queste differenti volontà diventano più attive via via che si concentrano. Perciò la volontà generale risulta sempre la più debole; la volontà di corpo ha il secondo posto; la volontà particolare il primo fra tutti; dimodoché nel governo ogni membro è in primo luogo se stesso, poi magistrato, poi cittadino. Gradazione esattamente opposta a quella postulata dall’ordine sociale. Ciò posto, se tutto il governo è nelle mani di un solo uomo, ecco perfettamente riunite la volontà particolare e la volontà di corpo; di conseguenza quest’ultima raggiunge il più alto grado d’intensità possibile. Quindi, poiché dal grado della volontà dipende l’uso della forza, e la forza assoluta del governo non varia affatto, il più attivo dei governi risulta quello di uno solo.

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Au contraire, unissons le Gouvernement à l’autorité législative; faisons le Prince du Souverain, et de tous les Citoyens autant de magistrats: Alors la volonté de corps, confondue avec la volonté générale, n’aura pas plus d’activité qu’elle, et laissera la volonté particulière dans toute sa force. Ainsi le Gouvernement, toujours avec la même force absolue, sera dans son minimum de force relative ou d’activité. Ces rapports sont incontestables, et d’autres considérations servent encore à les confirmer. On voit, par exemple, que chaque magistrat est plus actif dans son corps que chaque citoyen dans le sien, et que par conséquent la volonté particulière a beaucoup plus d’influence dans les actes du Gouvernement que dans ceux du Souverain; car chaque magistrat est presque toujours chargé de quelque fonction du Gouvernement, au lieu que chaque citoyen pris à part n’a aucune fonction de la souveraineté. D’ailleurs, plus l’Etat s’étend, plus sa force réelle augmente, quoiqu’elle n’augmente pas en raison de son étendue: mais l’Etat restant le même, les magistrats ont beau se multiplier, le Gouvernement n’en acquiert pas une plus grande force réelle, parce que cette force est celle de l’Etat, dont la mesure est toujours égale. Ainsi la force relative ou l’activité du Gouvernement diminue, sans que sa force absolue ou réelle puisse augmenter. Il est sûr encore que l’expédition des affaires devient plus lente à mesure que plus de gens en sont chargés, qu’en donnant trop à la prudence on ne donne pas assez à la fortune, qu’on laisse échapper l’occasion, et qu’à force de délibérer on perd souvent le fruit de la délibération. Je viens de prouver que le Gouvernement se relâche à mesure que les magistrats se multiplient, et j’ai prouvé ci-devant que plus le peuple est nombreux, plus la force réprimante doit augmenter. D’où il suit que le rapport des magistrats au Gouvernement doit être inverse du rapport des sujets au Souverain: C’est-à-dire que, plus l’Etat s’agrandit, plus le gouvernement doit se resserrer; tellement que le nombre des chefs diminue en raison de l’augmentation du peuple. Au reste je ne parle ici que de la force relative du gouvernement, et non de sa rectitude: Car, au contraire, plus le magistrat est nombreux, plus la volonté de corps se rapproche de la volonté générale; au lieu que sous un magistrat unique cette même volonté de corps n’est, comme je l’ai dit, qu’une volonté particulière. Ainsi l’on perd d’un côté ce qu’on peut gagner de l’autre, et l’art du Législa-

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Al contrario, uniamo il governo all’autorità legislativa, facciamo del sovrano il principe e di tutti i cittadini altrettanti magistrati: la volontà di corpo, confusa con la volontà generale, non avra più attività di questa e lascerà alla volontà particolare tutta la sua forza. Perciò il governo, sempre con la stessa forza assoluta, si troverà nel suo minimum di forza relativa o di attività. Si tratta di rapporti incontestabili, che trovano conferma anche in altre considerazioni. Si nota, per esempio, che ogni magistrato è più attivo nel suo corpo di quanto non lo sia ciascun cittadino nel proprio e che perciò la volontà particolare ha molto maggiore influenza negli atti di governo che non in quelli del sovrano; infatti ogni magistrato è quasi sempre incaricato di qualche funzione di governo, mentre ogni cittadino, preso per sé, non ha nessuna funzione sovrana. D’altronde, più lo Stato si estende, più aumenta la sua forza reale, anche se questo aumento non è proporzionale all’estensione; ma, restando lo Stato lo stesso, i magistrati hanno un bel moltiplicarsi: non per questo il governo acquista una maggior forza reale, perché questa forza è la forza dello Stato, la cui misura è sempre uguale. Quindi la forza relativa o l’attività del governo diminuisce senza che la sua forza assoluta o reale possa aumentare. È anche sicuro che il disbrigo degli affari diventa più lento via via che ne sono incaricate più persone; concedendo troppo alla prudenza si concede troppo poco alla fortuna, si lasciano sfuggire le occasioni e, a forza di deliberare, si finisce spesso col perdere il frutto della deliberazione. Ho provato poc’anzi che il governo si indebolisce col moltiplicarsi dei magistrati, e ho provato ora che più il popolo è numeroso più deve aumentare la forza repressiva: ne consegue che il rapporto fra i magistrati e il governo deve essere l’inverso di quello tra i sudditi e il sovrano; cioè che più lo Stato si ingrandisce più il governo deve restringersi, in modo che il numero dei capi diminuisca in ragione dell’aumento del popolo. Del resto io parlo qui solo della forza relativa del governo, non della sua rettitudine. Infatti, al contrario, quanti più sono i magistrati, tanto più la volontà di corpo si avvicina alla volontà generale; mentre sotto un unico magistrato questa medesima volontà di corpo non è, come ho detto, che una volontà particolare. Così si perde da un lato quel che si può guadagnare dall’altro, e l’arte del

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teur est de savoir fixer le point où la force et la volonté du gouvernement, toujours en proportion réciproque, se combinent dans le rapport le plus avantageux à l’Etat. CHAPITRE III

DIVISION DES GOUVERNEMENS

On a vu dans le chapitre précédent pourquoi l’on distingue les diverses espèces ou formes de Gouvernement par le nombre des membres qui les composent; il reste à voir dans celui-ci comment se fait cette division. Le Souverain peut, en premier lieu, commettre le dépôt du Gouvernement à tout le peuple ou à la plus grande partie du peuple, en sorte qu’il y ait plus de citoyens magistrats que de citoyens simples particuliers. On donne à cette forme de Gouvernement le nom de Démocratie. Ou bien il peut resserrer le Gouvernement entre les mains d’un petit nombre, en sorte qu’il y ait plus de simples Citoyens que de magistrats, et cette forme porte le nom d’Aristocratie. Enfin il peut concentrer tout le Gouvernement dans les mains d’un magistrat unique dont tous les autres tiennent leur pouvoir. Cette troisième forme est la plus commune, et s’appelle Monarchie ou Gouvernement royal. On doit remarquer que toutes ces formes ou du moins les deux premières sont susceptibles de plus ou de moins, et ont même une assez grande latitude; car la Démocratie peut embrasser tout le peuple ou se resserrer jusqu’à la moitié. L’Aristocratie à son tour peut de la moitié du peuple se resserrer jusqu’au plus petit nombre indéterminément. La Royauté même est susceptible de quelque partage. Sparte eut constamment deux Rois par sa constitution, et l’on a vu dans l’Empire romain jusqu’à huit Empereurs à la fois, sans qu’on pût dire que l’Empire fût divisé. Ainsi il y a un point où chaque forme de Gouvernement se confond avec la suivante, et l’on voit, que sous trois seules dénominations le Gouvernement est réellement susceptible d’autant de formes diverses que l’Etat a de citoyens. Il y a plus: ce même Gouvernement pouvant à certains égards se subdiviser en d’autres parties, l’une administrée d’une manière et l’autre d’une autre, il peut résulter de ces trois formes combinées une multitude de formes mixtes, dont chacune est multipliable par toutes les formes simples. On a de tous tems beaucoup disputé sur la meilleure forme de

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legislatore sta nel saper determinare il punto in cui la forza e la volontà del governo, sempre in reciproca proporzione, si combinano nel rapporto più vantaggioso per lo Stato.

CAPITOLO TERZO

DIVISIONE DEI GOVERNI

Si è veduto nel capitolo precedente perché le diverse specie o forme di governo si distinguono in base al numero dei membri che le compongono. In questo resta da vedere come avviene tale divisione. Il sovrano può, in primo luogo, fare depositario del governo tutto il popolo o la maggior parte di esso, in modo che tra i cittadini i magistrati siano più numerosi dei semplici privati. A questa forma di governo si dà il nome di democrazia. Oppure può restringere il governo nelle mani di pochi, in modo che i semplici cittadini siano più dei magistrati, e questa forma porta il nome di aristocrazia. Infine può concentrare tutto il governo nelle mani di un unico magistrato da cui tutti gli altri ricevono il loro potere. Questa terza forma è la più comune e si chiama monarchia o governo regio. Si deve rilevare che tutt’e tre le forme, o almeno le prime due, sono suscettibili di gradazione e anche con uno scarto piuttosto marcato; infatti la democrazia può abbracciare tutto il popolo o restringersi fino alla metà. L’aristocrazia, a sua volta, può restringersi dalla metà del popolo fino al numero più piccolo, senza limiti. Lo stesso governo regio è suscettibile di qualche divisione. Sparta, per costituzione, ebbe costantemente due re, e nell’impero romano si sono visti fino a otto imperatori per volta, senza che si potesse parlare di un frazionamento dell’impero stesso. C’è quindi un punto in cui ogni forma di governo si confonde con la successiva, e si vede come, sotto tre sole denominazioni, il governo sia realmente suscettibile di tante forme diverse quanti cittadini ha lo Stato. C’è di più: potendo lo stesso governo, sotto certi rispetti, dividersi in altre parti, una amministrata in un modo, l’altra in un altro, dal combinarsi di queste tre forme può risultare una quantità di forme miste, ciascuna delle quali è moltiplicabile per tutte le forme semplici. In ogni tempo si è molto discusso sulla miglior forma di gover-

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Gouvernement, sans considérer que chacune d’elles est la meilleure en certains cas, et la pire en d’autres. Si dans les différens Etats le nombre des magistrats suprêmes doit être en raison inverse de celui des Citoyens, il s’ensuit qu’en général le Gouvernement Démocratique convient aux petits Etats, l’Aristocratique aux médiocres, et le Monarchique aux grands. Cette règle se tire immédiatement du principe; mais comment compter la multitude de circonstances qui peuvent fournir des exceptions?

CHAPITRE IV

DE LA DEMOCRATIE

Celui qui fait la loi sait mieux que personne comment elle doit être exécutée et interprétée. Il semble donc qu’on ne sauroit avoir une meilleure constitution que celle où le pouvoir exécutif est joint au législatif: Mais c’est cela même qui rend ce Gouvernement insuffisant à certains égards, parce que les choses qui doivent être distinguées ne le sont pas, et que le Prince et le Souverain n’étant que la même personne, ne forment, pour ainsi dire, qu’un Gouvernement sans Gouvernement. Il n’est pas bon que celui qui fait les loix les exécute ni que le corps du peuple détourne son attention des vues générales, pour la donner aux objets particuliers. Rien n’est plus dangereux que l’influence des intérêts privés dans les affaires publiques, et l’abus des loix par le gouvernement est un mal moindre que la corruption du Législateur, suite infaillible des vues particulières. Alors l’Etat étant altéré dans sa substance, toute réforme devient impossible. Un peuple qui n’abuseroit jamais du gouvernement n’abuseroit pas non plus de l’indépendance; un peuple qui gouverneroit toujours bien n’auroit pas besoin d’être gouverné. A prendre le terme dans la rigueur de l’acception, il n’a jamais existé de véritable Démocratie, et il n’en existera jamais. Il est contre l’ordre naturel que le grand nombre gouverne et que le petit soit gouverné. On ne peut imaginer que le peuple reste incessamment assemblé pour vaquer aux affaires publiques, et l’on voit aisément qu’il ne sauroit établir pour cela des commissions sans que la forme de l’administration change. En effet, je crois pouvoir poser en principe que quand les fonctions du Gouvernement sont partagées entre plusieurs tribunaux,

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no, senza considerare che ciascuna di esse è la migliore in certi casi, la peggiore in altri. Se nei diversi Stati il numero dei magistrati supremi deve essere in ragione inversa di quello dei cittadini, ne consegue che, in genere, il governo democratico conviene ai piccoli Stati, quello aristocratico agli Stati di media entità, e quello monarchico ai grandi. Questa regola si ricava immediatamente dal principio; ma come enumerare le molteplici circostanze che possono dar luogo a eccezioni?

CAPITOLO QUARTO

DELLA DEMOCRAZIA

Chi fa la legge sa meglio di tutti come essa va eseguita e interpretata. Sembra dunque non potervi essere costituzione migliore di quella in cui il potere esecutivo sia unito al legislativo; ma è proprio questa unione a rendere il governo sotto certi rispetti insufficiente, perché le cose che devono essere distinte non lo sono, e il principe e il sovrano, essendo la medesima persona, non formano, per così dire, se non un governo senza governo. Non è bene che chi fa le leggi le esegua, né che il corpo del popolo distolga la sua attenzione dalle vedute generali per volgerla agli oggetti particolari. Niente è più pericoloso dell’influenza degl’interessi privati sugli affari pubblici, e l’abuso delle leggi da parte del governo è male minore della corruzione del legislatore, immancabile conseguenza delle prospettive particolari. Allora, essendo lo Stato alterato nella sua sostanza, ogni riforma diventa impossibile. Un popolo che non abusasse mai del governo non abuserebbe mai neppure dell’indipendenza; un popolo che governasse sempre bene, non avrebbe bisogno di essere governato. Volendo prendere il termine nella sua rigorosa accezione, una vera democrazia non è mai esistita e non esisterà mai. È contro l’ordine naturale che la maggioranza governi e la minoranza sia governata. Non si può immaginare che il popolo resti senza interruzione adunato per attendere agli affari pubblici, ed è facile vedere che non potrebbe stabilire delle commissioni allo scopo senza che la forma di governo ne risultasse mutata. In effetti, ritengo di poter porre come principio che quando le funzioni di governo sono ripartite fra parecchie magistrature, le

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les moins nombreux acquièrent tôt ou tard la plus grande autorité; ne fût-ce qu’à cause de la facilité d’expédier les affaires, qui les y amène naturellement. D’ailleurs que de choses difficiles à réunir ne suppose pas ce Gouvernement? Premièrement un Etat très petit où le peuple soit facile à rassembler et où chaque citoyen puisse aisément connoitre tous les autres: secondement une grande simplicité de moeurs qui prévienne la multitude d’affaires et les discussions épineuses: Ensuite beaucoup d’égalité dans les rangs et dans les fortunes, sans quoi l’égalité ne sauroit subsister longtemps dans les droits et l’autorité: Enfin peu ou point de luxe; car, ou le luxe est l’effet des richesses, ou il les rend nécessaires; il corrompt à la fois le riche et le pauvre, l’un par la possession l’autre par la convoitise; il vend la patrie à la mollesse à la vanité; il ôte à l’Etat tous ses Citoyens pour les asservir les uns aux autres, et tous à l’opinion. Voilà pourquoi un Auteur célèbre a donné la vertu pour principe à la République; car toutes ces conditions ne sauroient subsister sans la vertu: mais faute d’avoir fait les distinctions nécessaires, ce beau génie a manqué souvent de justesse, quelquefois de clarté, et n’a pas vu que l’autorité Souveraine étant partout la même, le même principe doit avoir lieu dans tout Etat bien constitué, plus ou moins, il est vrai, selon la forme du Gouvernement. Ajoutons qu’il n’y a pas de Gouvernement si sujet aux guerres civiles et aux agitations intestines que le Démocratique ou populaire, parce qu’il n’y en a aucun qui tende si fortement et si continuellement à changer de forme, ni qui demande plus de vigilance et de courage pour être maintenu dans la sienne. C’est surtout dans cette constitution que le Citoyen doit s’armer de force et de constance, et dire chaque jour de sa vie au fond de son coeur ce que disoit un vertueux Palatin17 dans la Diète de Pologne: Malo periculosam libertatem quam quietum servitium. S’il y avoit un peuple de Dieux, il se gouverneroit Démocratiquement. Un Gouvernement si parfait ne convient pas à des hommes.

CHAPITRE V

DE L’ARISTOCRATIE

Nous avons ici deux personnes morales très distinctes, savoir le Gouvernement et le Souverain, et par conséquent deux volontés

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meno numerose, prima o poi, diventano le più autorevoli; non foss’altro per la facilità di sbrigare gli affari che le porta naturalmente a questo risultato. D’altra parte, quante cose difficili da riunire non presuppone questo governo! In primo luogo uno Stato molto piccolo, in cui il popolo sia facile da radunare e dove ciascun cittadino possa facilmente conoscere tutti gli altri; in secondo luogo una grande semplicità di costumi, che impedisca il moltiplicarsi degli affari e le discussioni spinose; quindi una grande uguaglianza nei gradi e nelle fortune, senza di che l’uguaglianza non potrebbe sussistere a lungo nei diritti e nell’autorità; infine poco o punto lusso, perché il lusso o è frutto delle ricchezze o le rende necessarie; corrompe a un tempo il ricco e il povero, l’uno per via del possesso, l’altro per via della cupidigia; vende la patria alla mollezza e alla vanità; toglie allo Stato tutti i suoi cittadini per asservirli gli uni agli altri e tutti quanti all’opinione. Ecco perché un autore celebre ha assegnato come principio alla repubblica la virtù; che senza la virtù tutte queste condizioni non potrebbero sussistere; ma, per non aver fatto le necessarie distinzioni, quel bell’ingegno ha peccato spesso di inesattezza, talvolta di scarsa chiarezza, e non ha visto che l’autorità sovrana essendo ovunque la stessa, il medesimo principio deve valere in ogni Stato ben costituito, più o meno – è vero – secondo la forma di governo. Aggiungiamo che nessun governo è soggetto a guerre civili e subbugli interni più di quello democratico o popolare, perché nessun altro tende con più forza e costanza a mutar di forma, o richiede più vigilanza e coraggio per essere mantenuto nella forma che ha. È questa sopra tutte la costituzione in cui il cittadino deve armarsi di forza e di tenacia, e dire ogni giorno della sua vita in fondo al cuore ciò che diceva un virtuoso palatino17 alla dieta di Polonia: Malo periculosam libertatem quam quietum servitium. Se ci fosse un popolo di dèi si governerebbe democraticamente. Un governo tanto perfetto non conviene ad uomini.

CAPITOLO QUINTO

DELL’ARISTOCRAZIA

Abbiamo qui due persone morali ben distinte, cioè il governo e il sovrano, e, di conseguenza, due volontà generali, l’una in rap-

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générales, l’une par rapport à tous les citoyens, l’autre seulement pour les membres de l’administration. Ainsi, bien que le Gouvernement puisse régler sa police intérieure comme il lui plaît, il ne peut jamais parler au peuple qu’au nom du Souverain, c’est-à-dire au nom du peuple même; ce qu’il ne faut jamais oublier. Les premières sociétés se gouvernèrent aristocratiquement. Les chefs des familles délibéroient entre eux des affaires publiques; Les jeunes gens cédaient sans peine à l’autorité de l’expérience. De là les noms de Prêtres, d’anciens, de sénat, de Gérontes. Les sauvages de l’Amérique septentrionale se gouvernent encore ainsi de nos jours, et sont très bien gouvernés. Mais à mesure que l’inégalité d’institution l’emporta sur l’inégalité naturelle, la richesse ou la puissance18 fut préférée à l’âge, et l’Aristocratie devint élective. Enfin la puissance transmise avec les biens du père aux enfants rendant les familles patriciennes, rendit le Gouvernement héréditaire, et l’on vit des sénateurs de vingt ans. Il y a donc trois sortes d’Aristocratie; naturelle, élective, héréditaire. La première ne convient qu’à des peuples simples; la troisième est le pire de tous les Gouvernements. La deuxième est le meilleur: c’est l’Aristocratie proprement dite. Outre l’avantage de la distinction des deux pouvoirs, elle a celui du choix de ses membres; car dans le Gouvernement populaire tous les Citoyens naissent magistrats, mais celui-ci les borne à un petit nombre, et ils ne le deviennent que par élection19; moyen par lequel la probité, les lumières, l’expérience, et toutes les autres raisons de préférence et d’estime publique sont autant de nouveaux garants qu’on sera sagement gouverné. De plus, les assemblées se font plus commodément, les affaires se discutent mieux, s’expédient avec plus d’ordre et de diligence, le crédit de l’Etat est mieux soutenu chez l’étranger par de vénérables sénateurs que par une multitude inconnue ou méprisée. En un mot, c’est l’ordre le meilleur et le plus naturel que les plus sages gouvernent la multitude, quand on est sûr qu’ils la gouverneront pour son profit et non pour le leur; il ne faut point multiplier en vain les ressorts, ni faire avec vingt mille hommes ce que cent hommes choisis peuvent faire encore mieux. Mais il faut remarquer que l’intérêt de corps commence à moins diriger ici la force publique-sur la règle de la volonté générale, et qu’une autre pente inévitable enlève aux loix une partie de la puissance exécutive.

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porto a tutti i cittadini, l’altra ai soli membri dell’amministrazione. Quindi, per quanto il governo possa regolare il proprio ordinamento interno come vuole, non può mai parlare al popolo che in nome del sovrano, ossia del popolo stesso; questo non va mai dimenticato. Le prime società si governarono aristocraticamente. I capi delle famiglie deliberavano fra loro degli affari pubblici; i giovani cedevano di buon grado all’autorità dell’esperienza. D’onde i nomi di preti, di anziani, di senato, di geronti. I selvaggi dell’America settentrionale ancora oggi si governano così, e hanno un ottimo governo. Ma via via che la disuguaglianza di istituzione venne prevalendo sulla disuguaglianza naturale, si preferì all’età la ricchezza o la potenza18 e l’aristocrazia diventò elettiva. Infine, il potere trasmesso coi beni di padre in figlio, dando luogo alle famiglie patrizie, rese ereditario il governo, e si videro senatori di vent’anni. Ci sono dunque tre tipi di aristocrazia: naturale, elettiva, ereditaria. La prima si addice solo a popoli semplici; la terza è il peggiore dei governi; la seconda è il migliore: è l’aristocrazia propriamente detta. Oltre il vantaggio della distinzione dei due poteri, ha quello della scelta dei membri; infatti nel governo popolare tutti i cittadini nascono magistrati, mentre nel governo aristocratico i magistrati, ridotti a pochi, diventano tali solo per elezione19. A questo modo la probità, le doti d’ingegno, l’esperienza e tutte le altre ragioni di preferenza e di pubblica stima sono altrettante nuove garanzie di un saggio governo. Inoltre è più agevole tenere le assemblee; gli affari si discutono meglio e si sbrigano con più ordine e diligenza; il credito dello Stato è meglio sostenuto all’estero da venerabili senatori che non da una moltitudine sconosciuta o tenuta in dispregio. In una parola, l’ordine migliore e il più naturale si ha quando i più saggi governano la moltitudine, purché si abbia la certezza che la governeranno per il suo vantaggio e non per il loro; non bisogna moltiplicare inutilmente le sfere di competenza, né fare con ventimila uomini ciò che cento uomini scelti possono fare anche meglio. Ma va rilevato che qui l’interesse di corpo comincia a dirigere meno decisamente la forza pubblica nel senso indicato dalla volontà generale, mentre un’altra inevitabile tendenza toglie alle leggi una parte del potere esecutivo.

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A l’égard des convenances particulières, il ne faut ni un Etat si petit ni un peuple si simple et si droit que l’exécution des loix suive immédiatement de la volonté publique, comme dans une bonne Démocratie. Il ne faut pas non plus une si grande nation que les chefs épars pour la gouverner puissent trancher du Souverain chacun dans son département, et commencer par se rendre indépendants pour devenir enfin les maîtres. Mais si l’Aristocratie exige quelques vertus de moins que le Gouvernement populaire, elle en exige aussi d’autres qui lui sont propres; comme la modération dans les riches et le contentement dans les pauvres; car il semble qu’une égalité rigoureuse y seroit déplacée; elle ne fut pas même observée à Sparte. Au reste, si cette forme comporte une certaine inégalité de fortune, c’est bien pour qu’en général l’administration des affaires publiques soit confiée à ceux qui peuvent le mieux y donner tout leur tems, mais non pas, comme prétend Aristote, pour que les riches soient toujours préférés. Au contraire, il importe qu’un choix opposé apprenne quelquefois au peuple qu’il y a dans le mérite des hommes des raisons de préférence plus importantes que la richesse.

CHAPITRE VI

DE LA MONARCHIE

Jusqu’ici nous avons considéré le Prince comme une personne morale et collective, unie par la force des loix, et dépositaire dans l’Etat de la puissance exécutive. Nous avons maintenant à considérer cette puissance réunie entre les mains d’une personne naturelle, d’un homme réel, qui seul ait droit d’en disposer selon les loix. C’est ce qu’on appelle un Monarque, ou un Roi. Tout au contraire des autres administrations, où un être collectif représente un individu, dans celle-ci un individu représente un être collectif; en sorte que l’unité morale qui constitue le Prince est en même temps une unité physique, dans laquelle toutes les facultés que la loi réunit dans l’autre avec tant d’effort se trouvent naturellement réunies. Ainsi la volonté du peuple, et la volonté du Prince, et la force publique de l’Etat, et la force particulière du Gouvernement, tout

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Quanto poi alle particolari opportunità di realizzazione, non si richiede né uno Stato così piccolo, né un popolo così semplice e retto che l’esecuzione delle leggi tenga dietro immediatamente alla volontà pubblica, come in una buona democrazia. E nemmeno c’è bisogno di una nazione così grande che i capi sparsi per governarla possano, ciascuno nel proprio dipartimento, atteggiarsi a sovrani e cominciare col rendersi indipendenti per divenire alla fine padroni. Ma, se l’aristocrazia esige qualche virtù di meno rispetto al governo popolare, ne esige in più le altre che le sono proprie; per esempio, la moderazione nei ricchi e la capacità di contentarsi nei poveri; sembra infatti che una rigorosa uguaglianza vi sarebbe fuori posto; non fu osservata nemmeno a Sparta. Del resto, se questa forma comporta una certa disuguaglianza di fortune, è proprio perché in genere l’amministrazione degli affari pubblici sia affidata a quelli che più facilmente possono dedicarle tutto il loro tempo, non, come vuole Aristotele, perché i ricchi siano sempre preferiti. Al contrario, importa che una scelta opposta insegni qualche volta al popolo che il merito degli uomini offre ragioni di preferenza più importanti della ricchezza.

CAPITOLO SESTO

DELLA MONARCHIA

Fin qui abbiamo considerato il principe come una persona morale e collettiva, unita dalla forza delle leggi e depositaria nello Stato del potere esecutivo. Ora dobbiamo considerare questo potere concentrato nelle mani di una persona fisica, di un uomo reale, che è il solo ad aver diritto di disporne secondo le leggi. È ciò che si chiama un monarca o un re. All’opposto di ciò che avviene nelle altre amministrazioni, in cui un essere collettivo rappresenta un individuo, in questa un individuo rappresenta un essere collettivo, dimodoché l’unità morale che costituisce il principe è in pari tempo un’unità fisica in cui si trovano naturalmente riunite tutte le facoltà che la legge riunisce nell’altra con tanto sforzo. Così la volontà del popolo, la volontà del principe, la forza pubblica dello Stato, e la forza particolare del governo, tutto risponde

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répond au même mobile, tous les ressorts de la machine sont dans la même main, tout marche au même but, il n’y a point de mouvements opposés qui s’entre détruisent, et l’on ne peut imaginer aucune sorte de constitution dans laquelle un moindre effort produise une action plus considérable. Archimède assis tranquillement sur le rivage et tirant sans peine à flot un grand Vaisseau me représente un monarque habile gouvernant de son cabinet ses vastes Etats, et faisant tout mouvoir en paroissant immobile. Mais s’il n’y a point de Gouvernement qui ait plus de vigueur, il n’y en a point où la volonté particulière ait plus d’empire et domine plus aisément les autres; tout marche au même but, il est vrai; mais ce but n’est point celui de la félicité publique, et la force même de l’Administration tourne sans cesse au préjudice de l’Etat. Les Rois veulent être absolus, et de loin on leur crie que le meilleur moyen de l’être est de se faire aimer de leurs peuples. Cette maxime est très belle, et même très vraie à certains égards. Malheureusement on s’en moquera toujours dans les Cours. La puissance qui vient de l’amour des peuples est sans doute la plus grande; mais elle est précaire et conditionnelle, jamais les Princes ne s’en contenteront. Les meilleurs Rois veulent pouvoir être méchants s’il leur plaît, sans cesser d’être les maîtres: Un sermonneur politique aura beau leur dire que, la force du peuple étant la leur, leur plus grand intérêt est que le peuple soit florissant, nombreux, redoutable: ils savent très bien que cela n’est pas vrai. Leur intérêt personnel est premièrement que le Peuple soit faible, misérable, et qu’il ne puisse jamais leur résister. J’avoue que, supposant les sujets toujours parfaitement soumis, l’intérêt du Prince seroit alors que le peuple fût puissant, afin que cette puissance étant la sienne le rendît redoutable à ses voisins; mais comme cet intérêt n’est que secondaire et subordonné, et que les deux suppositions sont incompatibles, il est naturel que les Princes donnent toujours la préférence à la maxime qui leur est le plus immédiatement utile. C’est ce que Samuël représentoit fortement aux Hébreux; c’est ce que Machiavel a fait voir avec évidence. En feignant de donner des leçons aux Rois il en a donné de grandes aux peuples. Le Prince de Machiavel est le livre des républicains. Nous avons trouvé par les rapports généraux que la monarchie n’est convenable qu’aux grands Etats, et nous le trouvons encore en l’examinant en elle-même. Plus l’administration publique est nombreuse, plus le rapport du Prince aux sujets diminue et s’approche

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al medesimo movente; tutt’i congegni della macchina sono nella stessa mano; tutto procede verso il medesimo fine; non ci sono movimenti opposti che si annullino a vicenda e non si può immaginare alcuna specie di costituzione in cui uno sforzo minore produca un’azione più considerevole. Archimede che, seduto tranquillamente a riva, tira senza fatica a galla una grande nave è per me l’immagine di un abile monarca che dal suo gabinetto governa i suoi vasti Stati e, immobile in apparenza, fa muovere tutto. Ma se non vi è governo più vigoroso, neanche ce n’è alcuno in cui la volontà particolare abbia maggiore imperio e domini più facilmente le altre; tutto, è vero, procede verso la stessa meta; ma questa meta non è la felicità pubblica, e la forza stessa dell’amministrazione volge senza posa a svantaggio dello Stato. I re vogliono essere assoluti, e da lontano si grida loro che il miglior modo di esserlo è di farsi amare dai loro popoli. Questa massima è molto bella e per certi rispetti anche molto vera. Disgraziatamente nelle corti sarà sempre oggetto di riso. La potenza che nasce dall’amore dei popoli è senza dubbio la più grande; ma è precaria e condizionata; i principi non se ne accontenteranno mai. I migliori re vogliono poter essere malvagi, quando a loro piaccia, senza cessare di essere i padroni. Un predicatore politico avrà un bel dir loro che, essendo la forza del popolo la loro forza, il loro più grande interesse è che il popolo sia fiorente, numeroso, temibile: sanno benissimo che non è vero. Il loro interesse personale è soprattutto che il popolo sia debole, miserabile, e che non possa mai resister loro. Convengo che, supponendo i sudditi sempre perfettamente sottomessi, l’interesse del principe sarebbe che il popolo fosse potente, perché questa potenza, essendo la sua, lo rendesse temibile ai vicini; ma trattandosi soltanto di un interesse secondario e subordinato, ed essendo le due supposizioni incompatibili, è naturale che i prìncipi accordino sempre la preferenza alla massima che torna loro più immediatamente utile. Samuele lo faceva osservare con vigore agli Ebrei; Machiavelli lo ha fatto vedere con evidenza. Fingendo di dar lezione ai re, ha dato di gran lezioni ai popoli. Il principe di Machiavelli è il libro dei repubblicani. In base ai rapporti generali, abbiamo trovato che la monarchia conviene solo ai grandi Stati; ne troviamo conferma esaminandola in se stessa. Più gente è impegnata nell’amministrazione pubblica, più il rapporto tra principe e sudditi diminuisce approssimandosi

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de l’égalité, en sorte que ce rapport est un ou l’égalité-même dans la Démocratie. Ce même rapport augmente à mesure que le Gouvernement se resserre, et il est dans son maximum quand le Gouvernement est dans les mains d’un seul. Alors il se trouve une trop grande distance entre le Prince et le Peuple, et l’Etat manque de liaison. Pour la former il faut donc des ordres intermédiaires: Il faut des Princes, des Grands, de la noblesse pour les remplir. Or rien de tout cela ne convient à un petit Etat, que ruinent tous ces degrés. Mais s’il est difficile qu’un grand Etat soit bien gouverné, il l’est beaucoup plus qu’il soit bien gouverné par un seul homme, et chacun sait ce qu’il arrive quand le Roi se donne des substituts. Un défaut essenciel et inévitable, qui mettra toujours le gouvernement monarchique au-dessous du républicain, est que dans celui-ci la voix publique n’élève presque jamais aux premières places que des hommes éclairés et capables, qui les remplissent avec honneur: au lieu que ceux qui parviennent dans les monarchies ne sont le plus souvent que de petits brouillons, de petits fripons, de petits intrigants, à qui les petits talents, qui font dans les Cours parvenir aux grandes places, ne servent qu’à montrer au public leur ineptie aussitôt qu’ils y sont parvenus. Le peuple se trompe bien moins sur ce choix que le Prince, et un homme d’un vrai mérite est presque aussi rare dans le ministère, qu’un sot à la tête d’un gouvernement républicain. Aussi, quand par quelque heureux hasard un de ces hommes nés pour gouverner prend le timon des affaires dans une Monarchie presque abîmée par ces tas de jolis régisseurs, on est tout surpris des ressources qu’il trouve, et cela fait époque dans un pays. Pour qu’un Etat monarchique pût être bien gouverné, il faudroit que sa grandeur ou son étendue fût mesurée aux facultés de celui qui gouverne. Il est plus aisé de conquérir que de régir. Avec un levier suffisant, d’un doigt on peut ébranler le monde, mais pour le soutenir il faut les épaules d’Hercule. Pour peu qu’un Etat soit grand, le Prince est presque toujours trop petit. Quand au contraire il arrive que l’Etat est trop petit pour son chef, ce qui est très rare, il est encore mal gouverné, parce que le chef, suivant toujours la grandeur de ses vues, oublie les intérêts des peuples, et ne les rend pas moins malheureux par l’abus des talents qu’il a de trop, qu’un chef borné par le défaut de ceux qui lui manquent. Il faudroit, pour

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all’uguaglianza, in modo che tale rapporto è uno, cioè l’uguaglianza stessa, nella democrazia. Il medesimo rapporto aumenta via via col restringersi del governo e raggiunge il suo maximum quando il governo è nelle mani di uno solo. Allora la distanza tra il principe e il popolo viene ad essere troppo grande e lo Stato manca di collegamento. Per formarlo si richiedono dunque degli ordini intermedi, e occorrono prìncipi, grandi, nobiltà che vi prendano posto. Ora nulla di tutto ciò si adatta a un piccolo Stato per cui tutti questi gradi rappresentano una rovina. Ma, se è difficile che un grande Stato sia ben governato, molto più difficile è che sia ben governato da un solo uomo; e ognuno sa cosa succede se il re si crea dei sostituti. Un difetto essenziale e inevitabile, che metterà sempre il governo monarchico al disotto di quello repubblicano, è che in questo il voto pubblico quasi sempre eleva ai primi posti uomini dotati d’ingegno e capacità, che disimpegnano il loro ufficio onorevolmente, mentre nella monarchia quelli che arrivano sono per lo più solo degli imbroglioni da poco, dei farabuttelli, dei piccoli intriganti, a cui le piccole abilità che nelle corti fanno raggiungere i grandi posti, appena ci sono arrivati servono solo a svelare al pubblico la loro inettitudine. In questa scelta il popolo s’inganna molto meno del principe, e un uomo di vero merito in un ministero è quasi tanto raro quanto uno sciocco in un governo repubblicano. Perciò, quando, per un caso felice, uno di questi uomini nati per governare prende il timone degli affari in una monarchia che il pullulare di questi begli amministratori ha mandato quasi in rovina, si è molto sorpresi delle risorse che riesce a trovare, e la cosa fa epoca in un paese. Perché uno Stato monarchico potesse risultare ben governato bisognerebbe che la sua grandezza, o meglio la sua estensione, fosse proporzionata alla capacita di chi governa. È più facile conquistare che governare. Con una leva adeguata basta un dito per smuovere il mondo, ma per sostenerlo ci vogliono le spalle di Ercole. Per poco che uno Stato sia grande, il principe è quasi sempre troppo piccolo. Quando, al contrario, accade che lo Stato sia troppo piccolo per il suo capo – ed è un fatto raro – è mal governato lo stesso, perché il capo, correndo sempre dietro ai suoi grandi progetti, dimentica gl’interessi dei popoli e non li rende meno infelici per l’abuso delle capacità che ha di troppo di quanto non farebbe un capo limitato per il difetto di quelle che gli mancano. Bisognerebbe,

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ainsi dire, qu’un royaume s’étendît ou se resserrât à chaque règne selon la portée du Prince; au lieu que les talents d’un Sénat ayant des mesures plus fixes, l’Etat peut avoir des bornes constantes et l’administration n’aller pas moins bien. Le plus sensible inconvénient du Gouvernement d’un seul est le défaut de cette succession continuelle qui forme dans les deux autres une liaison non interrompue. Un Roi mort, il en faut un autre; les élections laissent des intervalles dangereux, elles sont orageuses, et à moins que les Citoyens ne soient d’un désintéressement, d’une intégrité que ce Gouvernement ne comporte guère, la brigue et la corruption s’en mêlent. Il est difficile que celui à qui l’Etat s’est vendu ne le vende pas à son tour, et ne se dédommage pas sur les foibles de l’argent que les puissants lui ont extorqué. Tôt ou tard tout devient vénal sous une pareille administration, et la paix dont on jouit alors sous les rois est pire que le désordre des interrègnes. Qu’a-t-on fait pour prévenir ces maux? On a rendu les Couronnes héréditaires dans certaines familles, et l’on a établi un ordre de Succession qui prévient toute dispute à la mort des Rois: C’està-dire que, substituant l’inconvénient des régences à celui des élections, on a préféré une apparente tranquillité à une administration sage, et qu’on a mieux aimé risquer d’avoir pour chefs des enfants, des monstres, des imbéciles, que d’avoir à disputer sur le choix des bons Rois; on n’a pas considéré qu’en s’exposant ainsi aux risques de l’alternative on met presque toutes les chances contre soi. C’était un mot très sensé que celui du jeune Denis, à qui son père en lui reprochant une action honteuse disoit, t’en ai-je donné l’exemple? Ah! répondit le fils, votre père n’étoit pas roi! Tout concourt à priver de justice et de raison un homme élevé pour commander aux autres. On prend beaucoup de peine, à ce qu’on dit, pour enseigner aux jeunes Princes l’art de régner; il ne paroit pas que cette éducation leur profite. On ferait mieux de commencer par leur enseigner l’art d’obéir. Les plus grands rois qu’ait célébrés l’histoire n’ont point été élevés pour régner; c’est une science qu’on ne possède jamais moins qu’après l’avoir trop apprise, et qu’on acquiert mieux en obéissant qu’en commandant. Nam utilissimus idem ac brevissimus bonarum malarumque rerum delectus, cogitare quid aut nolueris sub alio Principe aut volueris 20 . Une suite de ce défaut de cohérence est l’inconstance du gouvernement royal qui, se réglant tantôt sur un plan et tantôt sur un

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per così dire, che un regno si estendesse o si restringesse volta a volta a seconda del valore del principe regnante; mentre, avendo le capacità di un senato misure più stabili, lo Stato può avere limiti costanti senza che l’amministrazione vada meno bene. L’inconveniente più sensibile del governo di uno solo è la mancanza della continuità di successione che negli altri due governi costituisce un legame ininterrotto. Morto un re bisogna farne un altro; le elezioni lasciano dei pericolosi intervalli; sono tempestose, e a meno che i cittadini non siano d’un disinteresse e d’una integrità che questo tipo di governo non comporta, le brighe e la corruzione vi hanno la loro parte. È difficile che colui a cui lo Stato si è venduto non lo venda a sua volta e non si rifaccia sui deboli del danaro che i potenti gli hanno estorto. Prima o poi sotto una simile amministrazione tutto diventa venale e la pace di cui si gode allora sotto i re è peggiore dei disordini degl’interregni. Che si è fatto per prevenire questi mali? Si sono rese ereditarie le corone in certe famiglie e si è stabilito un ordine di successione che previene ogni contesa alla morte dei re. Ossia, sostituendo l’inconveniente delle reggenze a quello delle elezioni, si è preferita un’apparente tranquillità a una saggia amministrazione e si è scelto il rischio di avere per capi dei bambini, dei mostri, degl’imbecilli, piuttosto che dover discutere sulla scelta di buoni re; non si è considerato che, esponendosi così ai rischi dell’alternativa, si rinuncia a quasi tutte le probabilità favorevoli. Molto sensata la frase del giovane Dionigi a cui il padre diceva, rimproverandogli un’azione vergognosa: «Io te ne ho dato l’esempio?» «Ah – rispose il figlio – vostro padre non era re». Tutto concorre a privare di giustizia e di ragione un uomo allevato nell’idea che deve comandare agli altri. Ci s’impegna a fondo, a quanto si dice, per insegnare ai giovani prìncipi l’arte di regnare; ma non pare che questa educazione giovi. Meglio sarebbe cominciare con l’istruirli nell’arte di obbedire. I più grandi re che la storia abbia celebrato non sono stati allevati per regnare; è una scienza che mai si possiede tanto male come dopo averla imparata, e la si acquista meglio obbedendo che comandando. Nam utilissimus idem ac brevissimus bonarum malarumque rerum delectus, cogitare quid aut nolueris sub alio principe aut volueris 20. Una conseguenza di questo difetto di coerenza è l’incostanza del governo regio che, regolandosi ora su un piano ora su un altro,

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autre selon le caractère du Prince qui règne ou des gens qui règnent pour lui, ne peut avoir longtems un objet fixe ni une conduite conséquente: variation qui rend toujours l’Etat flottant de maxime en maxime, de projet en projet, et qui n’a pas lieu dans les autres Gouvernements où le prince est toujours le même. Aussi voit-on qu’en général, s’il y a plus de ruse dans une Cour, il y a plus de sagesse dans un Sénat, et que les Républiques vont à leurs fins par des vues plus constantes et mieux suivies, au lieu que chaque révolution dans le Ministère en produit une dans l’Etat; la maxime commune à tous les Ministres, et presque à tous les Rois, étant de prendre en toute chose le contre pied de leur prédécesseur. De cette même incohérence se tire encore la solution d’un sophisme très familier aux politiques royaux; c’est, non seulement de comparer le Gouvernement civil au Gouvernement domestique et le prince au père de famille, erreur déjà réfutée, mais encore de donner libéralement à ce magistrat toutes les vertus dont il auroit besoin, et de supposer toujours que le Prince est ce qu’il devroit être: supposition à l’aide de laquelle le gouvernement royal est évidemment préférable à tout autre, parce qu’il est incontestablement le plus fort, et que pour être aussi le meilleur il ne lui manque qu’une volonté de corps plus conforme à la volonté générale. Mais si selon Platon21 le Roi par nature est un personnage si rare, combien de fois la nature et la fortune concourront-elles à le couronner, et si l’éducation royale corrompt nécessairement ceux qui la reçoivent, que doit-on espérer d’une suite d’hommes élevés pour régner? C’est donc bien vouloir s’abuser que de confondre le Gouvernement royal avec celui d’un bon Roi. Pour voir ce qu’est ce gouvernement en lui-même, il faut le considérer sous des Princes bornés ou méchants, car ils arriveront tels au Trône, ou le Trône les rendra tels. Ces difficultés n’ont pas échappé à nos Auteurs, mais ils n’en sont point embarrassés. Le remède est, disent-ils, d’obéir sans murmure. Dieu donne les mauvais Rois dans sa colère, et il les faut supporter comme des châtiments du Ciel. Ce discours est édifiant, sans doute; mais je ne sais s’il ne conviendroit pas mieux en chaire que dans un livre de politique. Que dire d’un Médecin qui promet des miracles, et dont tout l’art est d’exhorter son malade à la patience? On sait bien qu’il faut souffrir un mauvais Gouvernement quand on l’a; la question seroit d’en trouver un bon.

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secondo il carattere del principe che regna o delle persone che regnano per lui, non può avere a lungo un obbiettivo stabile o una condotta conseguente; instabilità per cui lo Stato è sempre indeciso tra una regola e un’altra, tra un progetto e un altro, e che non ha luogo negli altri governi in cui il principe è sempre lo stesso. Così si vede che in generale, se in una corte c’è più astuzia, in un senato c’è più saggezza, e che le repubbliche si prospettano i fini che perseguono con più costanza e maggiore efficienza, mentre ogni rivelazione nel ministero ne determina una nello Stato, essendo regola comune di tutti i ministri e di quasi tutti i re quella di fare in tutto esattamente l’opposto del predecessore. Da questa medesima incoerenza si ricava anche la soluzione di un sofisma molto familiare ai politici delle monarchie; esso consiste, non solo nel paragonare il governo civile al governo domestico e il principe al padre di famiglia – errore già confutato – ma anche nell’attribuire generosamente a questo magistrato tutte le virtù di cui avrebbe bisogno, e nel supporre che il principe sia sempre ciò che deve essere; supponendo questo, il governo regio è evidentemente preferibile a qualunque altro, perché, senza possibilità di discussione, è il più forte e per essere anche il migliore gli manca solo una volontà di corpo più conforme alla volontà generale. Ma se, stando a Platone21, il re per natura è un personaggio tanto raro, quante volte la natura e la fortuna concorreranno a incoronarlo? e, se l’educazione regale corrompe necessariamente coloro che la ricevono, che si deve sperare da una successione di uomini allevati per regnare? Perciò, confondere il governo regio con quello di un buon re è proprio volersi ingannare. Per vedere che cosa sia questo governo in se stesso, bisogna considerarlo sotto prìncipi limitati o malvagi; infatti o arriveranno tali al trono o il trono li renderà tali. Queste difficoltà non sono sfuggite ai nostri autori, che però non ci fanno caso. Il rimedio – dicono – è nell’obbedire senza mormorare. Dio, nella sua collera, dà i cattivi re, che vanno sopportati come un castigo del cielo. Un discorso edificante, senza dubbio, ma forse più adatto al pulpito che non a un libro di politica. Che diremmo di un medico che promettesse miracoli e la cui arte fosse tutta nell’esortare il malato alla pazienza? Sappiamo bene che quando si ha un cattivo governo bisogna sopportarlo; il problema sarebbe di trovarne uno buono.

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Du contract social CHAPITRE VII

DES GOUVERNEMENTS MIXTES

A proprement parler il n’y a point de Gouvernement simple. Il faut qu’un Chef unique ait des magistrats subalternes; il faut qu’un Gouvernement populaire ait un Chef. Ainsi dans le partage de la puissance exécutive il y a toujours gradation du grand nombre au moindre, avec cette différence que tantôt le grand nombre dépend du petit, et tantôt le petit du grand. Quelquefois il y a partage égal; soit quand les parties constitutives sont dans une dépendance mutuelle, comme dans le Gouvernement d’Angleterre; soit quand l’autorité de chaque partie est indépendante mais imparfaite, comme en Pologne. Cette dernière forme est mauvaise, parce qu’il n’y a point d’unité dans le Gouvernement, et que l’Etat manque de liaison. Lequel vaut le mieux, d’un Gouvernement simple ou d’un Gouvernement mixte? Question fort agitée chez les politiques, et à laquelle il faut faire la même réponse que j’ai faite ci-devant sur toute forme de Gouvernement. Le Gouvernement simple est le meilleur en soi, par cela seul qu’il est simple. Mais quand la Puissance exécutive ne dépend pas assez de la législative, c’est-à-dire quand il y a plus de rapport du Prince au Souverain que du Peuple au Prince, il faut remédier à ce défaut de proportion en divisant le Gouvernement; car alors toutes ses parties n’ont pas moins d’autorité sur les sujets, et leur division les rend toutes ensemble moins fortes contre le Souverain. On prévient encore le même inconvénient en établissant des magistrats intermédiaires, qui, laissant le Gouvernement en son entier, servent seulement à balancer les deux Puissances et à maintenir leurs droits respectifs. Alors le Gouvernement n’est pas mixte, il est tempéré. On peut remédier par des moyens semblables à l’inconvénient opposé, et quand le Gouvernement est trop lâche, ériger des Tribunaux pour le concentrer. Cela se pratique dans toutes les Démocraties. Dans le premier cas on divise le Gouvernement pour l’affaiblir, et dans le second pour le renforcer; car les maximum de force et de faiblesse se trouvent également dans les Gouvernements simples, au lieu que les formes mixtes donnent une force moyenne.

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113 CAPITOLO SETTIMO

DEI GOVERNI MISTI

Propriamente parlando, governi semplici non ce ne sono. Un capo unico deve avere dei magistrati subalterni; un governo popolare deve avere un capo. Quindi, nella partizione del potere esecutivo, c’è sempre una gradazione dai molti ai pochi, con questa differenza: che a volte i molti dipendono dai pochi, a volte i pochi dipendono dai molti. Talvolta si ha una divisione in parti uguali; sia quando le parti costitutive si trovano in una situazione di mutua dipendenza, come nel governo d’Inghilterra; sia quando l’autorità di ciascuna parte è indipendente, ma imperfetta, come in Polonia. Quest’ultima forma è cattiva, perché il governo manca di unità, e lo Stato manca di coesione. È meglio un governo semplice o un governo misto? Problema molto agitato tra i politici, a cui dobbiamo dare la stessa risposta che ho dato poc’anzi a proposito di qualunque forma di governo. Il governo semplice è in se stesso il migliore, per il solo fatto di essere semplice. Ma quando il potere esecutivo non si trovi a dipendere abbastanza da quello legislativo, ossia quando il rapporto tra il principe e il sovrano risulti maggiore del rapporto tra il popolo e il principe, bisogna rimediare a questo difetto di proporzione dividendo il governo; allora infatti tutte le sue parti non hanno meno autorità sui sudditi, e la loro divisione le rende tutte insieme meno forti contro il sovrano. Oppure, per prevenire il medesimo inconveniente, si possono stabilire dei magistrati intermedi che, lasciando il governo indiviso, servono solo a equilibrare i due poteri e a mantenere i loro rispettivi diritti. Allora il governo non è misto, è temperato. All’inconveniente opposto si può rimediare con mezzi analoghi, e, quando il governo è troppo fiacco, istituire delle magistrature per concentrarlo. Lo si fa in tutte le democrazie. Nel primo caso si divide il governo per indebolirlo, nel secondo per rinforzarlo; infatti il maximum di forza e di debolezza si trovano ugualmente nei governi semplici, mentre le forme miste comportano una forza media.

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Du contract social CHAPITRE VIII

QUE TOUTE FORME DE GOUVERNEMENT N’EST PAS PROPRE A TOUT PAYS

La liberté n’étant pas un fruit de tous les Climats n’est pas à la portée de tous les peuples. Plus on médite ce principe établi par Montesquieu, plus on en sent la vérité. Plus on le conteste, plus on donne occasion de l’établir par de nouvelles preuves. Dans tous les Gouvernements du monde la personne publique consomme et ne produit rien. D’où lui vient donc la substance consommée? Du travail de ses membres. C’est le superflu des particuliers qui produit le nécessaire du public. D’où il suit que l’état civil ne peut subsister qu’autant que le travail des hommes rend audelà de leurs besoins. Or cet excédent n’est pas le même dans tous les pays du monde. Dans plusieurs il est considérable, dans d’autres médiocre, dans d’autres nul, dans d’autres négatif. Ce rapport dépend de la fertilité du climat, de la sorte de travail que la terre exige, de la nature de ses productions, de la force de ses habitants, de la plus ou moins grande consommation qui leur est nécessaire, et de plusieurs autres rapports semblables desquels il est composé. D’autre part, tous les Gouvernements ne sont pas de même nature; il y en a de plus ou moins dévorans, et les différences sont fondées sur cet autre principe que, plus les contributions publiques s’éloignent de leur source, et plus elles sont onéreuses. Ce n’est pas sur la quantité des impositions qu’il faut mesurer cette charge, mais sur le chemin qu’elles ont à faire pour retourner dans les mains dont elles sont sorties; quand cette circulation est prompte et bien établie, qu’on paye peu ou beaucoup, il n’importe; le peuple est toujours riche et les finances vont toujours bien. Au contraire, quelque peu que le Peuple donne, quand ce peu ne lui revient point, en donnant toujours bientôt il s’épuise; l’Etat n’est jamais riche, et le peuple est toujours gueux. Il suit de là que plus la distance du peuple au Gouvernement augmente, et plus les tributs deviennent onéreux: ainsi dans la Démocratie le peuple est le moins chargé, dans l’Aristocratie il l’est davantage, dans la Monarchie il porte le plus grand poids. La Monarchie ne convient donc qu’aux nations opulentes, l’Aristocratie aux Etats médiocres en richesse ainsi qu’en grandeur, la Démocratie aux Etats petits et pauvres. En effet, plus on y réfléchit, plus on trouve en ceci de différence entre les Etats libres et les monarchiques; dans les premiers tout s’emploie à l’utilité commune; dans les autres, les forces publique

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115 CAPITOLO OTTAVO

NON OGNI FORMA DI GOVERNO È ADATTA A OGNI PAESE

La libertà, non essendo un frutto di tutti i climi, non è alla portata di tutti i popoli. Più si medita questo principio fissato da Montesquieu, più se ne avverte la verità. Più lo si contesta, più si dà occasione di fondarlo su nuove prove. In tutti i governi del mondo la persona pubblica consuma e non produce nulla. D’onde trae dunque ciò che consuma? dal lavoro dei suoi membri. È il superfluo dei privati che produce il necessario della collettività. Quindi lo stato civile non può sussistere se non in quanto il lavoro degli uomini rende al di là dei loro bisogni. Ora, quest’eccedenza non è la stessa in tutti i paesi del mondo. In parecchi è considerevole, in altri mediocre, in altri nulla, in altri negativa. Questo rapporto dipende dalla fertilità del clima, dal genere di lavoro che la terra richiede, dalla natura dei suoi prodotti, dalla forza degli abitanti, dalla maggiore o minore entità del loro fabbisogno, e da parecchi altri rapporti simili di cui si compone. D’altra parte, non tutti i governi sono della stessa natura; alcuni divorano di più, altri di meno, e le differenze si fondano su quest’altro principio che, più i contributi pubblici si allontanano dalla sorgente, più diventano onerosi. L’onere non va misurato sulla quantità delle imposte, ma sulla strada che devono fare per tornare nelle mani da cui sono uscite; quando questa circolazione è rapida e bene organizzata, che si paghi molto o poco non importa. Il popolo è sempre ricco e le finanze sempre floride. Al contrario, per poco che il popolo dia, se questo poco non gli ritorna, dando sempre non tarda ad esaurirsi; lo Stato non è mai ricco e il popolo è sempre straccione. Ne consegue che più la distanza del popolo dal governo aumenta, più i tributi diventano onerosi; così nella democrazia il popolo è meno gravato, nell’aristocrazia di più, nella monarchia poi, sopporta il maggior peso. La monarchia pertanto conviene solo alle nazioni opulente; l’aristocrazia agli Stati di media ricchezza ed estensione; la democrazia agli Stati piccoli e poveri. In effetti, più ci si riflette, più si trovano differenti in questo gli Stati liberi e gli Stati monarchici; nei primi, tutto è rivolto all’utilità comune; negli altri, la forza pubblica e quella dei privati sono in-

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et particulières sont réciproques, et l’une s’augmente par l’affoiblissement de l’autre. Enfin au lieu de gouverner les sujets pour les rendre heureux, le despotisme les rend misérables pour les gouverner. Voilà donc dans chaque climat des causes naturelles sur lesquelles on peut assigner la forme de Gouvernement à laquelle la force du climat l’entraîne, et dire même quelle espèce d’habitants il doit avoir. Les lieux ingrats et stériles où le produit ne vaut pas le travail doivent rester incultes et déserts, ou seulement peuplés de sauvages: Les lieux où le travail des hommes ne rend exactement que le nécessaire doivent être habités par des peuples barbares, toute politie y seroit impossible: les lieux où l’excès du produit sur le travail est médiocre conviennent aux peuples libres; ceux où le terroir abondant et fertile donne beaucoup de produit pour peu de travail veulent être gouvernés monarchiquement, pour consumer par le luxe du prince l’excès du superflu des sujets; car il vaut mieux que cet excès soit absorbé par le gouvernement que dissipé par les particuliers. Il y a des exceptions, je le sais; mais ces exceptions mêmes confirment la règle, en ce qu’elles produisent tôt ou tard des révolutions qui ramènent les choses dans l’ordre de la nature. Distingons toujours les loix générales des causes particulières qui peuvent en modifier l’effet. Quand tout le Midi seroit couvert de républiques et tout le Nord d’Etats despotiques il n’en seroit pas moins vrai que par l’effet du climat le despotisme convient aux pays chauds, la barbarie aux pays froids, et la bonne politie aux régions intermédiaires. Je vois encore qu’en accordant le principe on pourra disputer sur l’application: on pourra dire qu’il y a des pays froids très fertiles et des méridionaux très ingrats. Mais cette difficulté n’en est une que pour ceux qui n’examinent pas la chose dans tous ses rapports. Il faut, comme je l’ai déjà dit, compter ceux des travaux, des forces, de la consommation, etc. Supposons que de deux terrains égaux l’un rapporte cinq et l’autre dix. Si les habitants du premier consomment quatre et ceux du dernier neuf, l’excès du premier produit sera 1/5 et celui du second 1/10. Le rapport de ces deux excès étant donc inverse de celui des produits, le terrain qui ne produira que cinq donnera un superflu double de celui du terrain qui produira dix. Mais il n’est pas question d’un produit double, et je ne crois pas que personne ose mettre en général la fertilité des pays froids en

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versamente proporzionali, e l’una cresce con l’indebolirsi dell’altra. Infine, invece di governare i sudditi per renderli felici, il dispotismo li rende miserabili per governarli. Ecco, dunque, in ciascuna regione cause naturali in base a cui si può stabilire la forma di governo alla quale la forza del clima la trascina e anche il tipo di abitanti che deve avere. I luoghi ingrati ed aridi, dove il frutto non vale il lavoro, devono restare incolti e disabitati, o popolati solo da selvaggi; i luoghi dove il lavoro degli uomini non rende che lo stretto necessario devono essere abitati da popoli barbari: instaurarvi uno Stato sarebbe del tutto impossibile; i luoghi dove l’eccedenza del prodotto sul lavoro è modesta, vanno bene per i popoli liberi; quelli dove l’abbondanza e la fertilità del terreno danno molto frutto in cambio di poco lavoro richiedono un governo monarchico, per consumare nel lusso del principe l’eccedenza di superfluo dei sudditi; infatti meglio che questo eccesso sia assorbito dal governo piuttosto che dissipato dai privati. Ci sono, lo so, delle eccezioni; ma sono eccezioni che confermano la regola, in quanto prima o poi determinano delle rivoluzioni che riportano le cose all’ordine naturale. Dobbiamo sempre distinguere le leggi generali dalle cause particolari che possono modificarne l’effetto. Quando tutto il Sud fosse coperto di repubbliche e tutto il Nord di Stati dispotici, non sarebbe meno vero che, per effetto del clima, il dispotismo conviene ai paesi caldi, la barbarie ai paesi freddi, e la buona costituzione politica ai paesi intermedi. Vedo pure che, ammettendo il principio, si potrà discuterne l’applicazione: si potrà dire che vi sono paesi freddi fertilissimi e paesi meridionali molto ingrati, ma questa è una difficoltà solo per chi non esamina la cosa sotto tutti i suoi rapporti. Come ho già detto, bisogna tener conto del lavoro, delle forze, del consumo, ecc. Supponiamo che di due terreni uguali uno frutti cinque e l’altro dieci. Se gli abitanti del primo consumano quattro e quelli del secondo nove, l’eccedenza del primo prodotto sarà un quinto e quella del secondo un decimo. Pertanto, essendo il rapporto tra le due eccedenze inverso a quello tra i due prodotti, il terreno che produce solo cinque darà un’eccedenza doppia rispetto al terreno che produce dieci. Ma non si tratta di un prodotto doppio, e non credo neppure che nessuno osi, in generale, attribuire uguale fertilità ai paesi fred-

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égalité même avec celle des pays chauds. Toutefois supposons cette égalité; laissons, si l’on veut, en balance l’Angleterre avec la Sicile, et la Pologne avec l’Egypte. Plus au midi nous aurons l’Affrique et les Indes, plus au nord nous n’aurons plus rien. Pour cette égalité de produit, quelle différence dans la culture? En Sicile il ne faut que gratter la terre; en Angleterre que de soins pour la labourer! or, là où il faut plus de bras pour donner le même produit, le superflu doit être nécessairement moindre. Considérez, outre cela, que la même quantité d’hommes consomme beaucoup moins dans les pays chauds. Le climat demande qu’on y soit sobre pour se porter bien: les Européens qui veulent y vivre comme chez eux périssent tous de dissenterie et d’indigestions. Nous sommes, dit Chardin, des bêtes carnassières, des loups, en comparaison des Asiatiques. Quelques-uns attribuent la sobriété des Persans à ce que leur pays est moins cultivé, et moi je crois au contraire que leur pays abonde moins en denrées parce qu’il en faut moins aux habitants. Si leur frugalité, continue-t-il, étoit un effet de la disette du pays, il n’y auroit que les pauvres qui mangeroient peu, au lieu que c’est généralement tout le monde, et on mangeroit plus ou moins en chaque province selon la fertilité du pays, au lieu que la même sobriété se trouve par tout le royaume. Ils se louent fort de leur manière de vivre, disant qu’il ne faut que regarder leur teint pour reconnoitre combien elle est plus excellente que celle des chrétiens. En effet le teint des Persans est uni; ils ont la peau belle, fine et polie, au lieu que le teint des Arméniens leurs sujets qui vivent à l’européenne, est rude, couperosé, et que leurs corps sont gros et pesants. Plus on approche de la ligne, plus les peuples vivent de peu. Ils ne mangent presque pas de viande; le ris, le mays, le cuzcuz, le mil, la cassave, sont leurs aliments ordinaires. Il y a aux Indes des millions d’hommes dont la nourriture ne coûte pas un sol par jour. Nous voyons en Europe même des différences sensibles pour l’appétit entre les peuples du Nord et ceux du Midi. Un Espagnol vivra huit jours du dîner d’un Allemand. Dans les pays où les hommes sont plus voraces le luxe se tourne aussi vers les choses de consommation. En Angleterre, il se montre sur une table chargée de viandes; en Italie on vous régale de sucre et de fleurs. Le luxe des vêtements offre encore de semblables différences. Dans les climats où les changements des saisons sont prompts et violents, on a des habits meilleurs et plus simples, dans ceux où l’on ne s’habille que pour la parure on y cherche plus d’éclat que d’utilité, les habits eux-mêmes y sont un luxe. A Naples vous verrez tous

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di e a quelli caldi. Supponiamo tuttavia quest’uguaglianza; valutiamo, se si vuole, alla stessa stregua l’Inghilterra e la Sicilia, la Polonia e l’Egitto. Più a sud avremo l’Africa e le Indie, più a nord non avremo più nulla. Per questa uguaglianza di prodotti quale differenza nelle culture! In Sicilia basta grattare la terra; in Inghilterra, invece, quante cure per lavorarla! Ora, dove per ottenere il medesimo prodotto si richiedono più braccia, il superfluo deve necessariamente essere di meno. Considerate inoltre che lo stesso numero di uomini nei paesi caldi consuma molto meno. Il clima impone di esser sobri per star bene; gli Europei che ci vogliono vivere come nei loro paesi muoiono tutti di dissenteria e d’indigestione. Noi – dice Chardin –, a confronto degli Asiatici, siamo delle bestie carnivore, dei lupi. Taluni attribuiscono la sobrietà dei Persiani al fatto che il loro paese è meno coltivato, ma io credo il contrario: che il paese abbondi meno di derrate perché meno ne occorrono agli abitanti. Se la loro frugalità – continua – fosse un effetto della povertà del paese, sarebbero solo i poveri a mangiar poco, mentre in genere mangiano poco tutti; e si mangerebbe più o meno nelle singole province, a seconda della fertilità locale, mentre la stessa sobrietà è diffusa in tutto il regno. Si lodano molto del loro regime di vita, dicendo che basta guardare la loro carnagione per accorgersi di quanto esso sia superiore al modo di vivere dei cristiani. In effetti la carnagione dei Persiani è liscia, con una bella pelle, fine e levigata, mentre la carnagione degli Armeni loro sudditi, che vivono all’Europea, è ruvida, chiazzata, e i loro corpi sono grossi e pesanti. Più ci si accosta all’equatore più i popoli vivono di poco. Quasi non mangiano carne; il riso, il mais, il cuscus, il miglio, la cassava, sono i loro alimenti abituali. In India ci sono milioni di uomini che, per il vitto, non arrivano a spendere un soldo al giorno. Anche in Europa, in fatto d’appetito, vediamo sensibili differenze fra i popoli del Nord e quelli del Sud. Uno spagnolo vivrà otto giorni col pranzo di un tedesco. Nei paesi dove gli uomini sono più voraci, il lusso si rivolge anche ai generi di consumo. In Inghilterra si mostra in una tavola carica di carni; in Italia vi si offrono dolci e fiori a profusione. Anche il lusso del vestire offre analoghe differenze. Nei climi dove i mutamenti di stagione sono rapidi e violenti, si portano abiti migliori e più semplici; in quelli dove ci si veste solo per ornamento si cerca più lo splendore che l’utilità; là gli abiti stessi sono

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les jours se promener au Pausylippe des hommes en veste dorée et point de bas. C’est la même chose pour les bâtiments; on donne tout à la magnificence quand on n’a rien à craindre des injures de l’air. A Paris, à Londres on veut être logé chaudement et commodément. A Madrid on a des salons superbes, mais point de fenêtres qui ferment, et l’on couche dans des nids à rats. Les aliments sont beaucoup plus substantiels et succulents dans les pays chauds; c’est une troisième différence qui ne peut manquer d’influer sur la seconde. Pourquoi mange-t-on tant de légumes en Italie? parce qu’ils y sont bons, nourrissants, d’excellent goût: En France où ils ne sont nourris que d’eau ils ne nourrissent point, et sont presque comptés pour rien sur les tables. Ils n’occupent pourtant pas moins de terrain et coûtent du moins autant de peine à cultiver. C’est une expérience faite que les blés de Barbarie, d’ailleurs inférieurs à ceux de France, rendent beaucoup plus en farine, et que ceux de France à leur tour rendent plus que les blés du Nord. D’où l’on peut inférer qu’une gradation semblable s’observe généralement dans la même direction de la ligne au pôle. Or n’est-ce pas un désavantage visible d’avoir dans un produit égal une moindre quantité d’aliment? A toutes ces différentes considérations j’en puis ajouter une qui en découle et qui les fortifie; c’est que les pays chauds ont moins besoin d’habitants que les pays froids, et pourroient en nourrir davantage; ce qui produit un double superflu toujours à l’avantage du despotisme. Plus le même nombre d’habitants occupe une grande surface, plus les révoltes deviennent difficiles; parce qu’on ne peut se concerter ni promptement ni secrètement, et qu’il est toujours facile au Gouvernement d’éventer les projets et de couper les communications: mais plus un peuple nombreux se rapproche, moins le Gouvernement peut usurper sur le Souverain; les chefs délibèrent aussi sûrement dans leurs chambres que le prince dans son conseil, et la foule s’assemble aussitôt dans les places que les troupes dans leurs quartiers. L’avantage d’un Gouvernement tyrannique est donc en ceci d’agir à grandes distances. A l’aide des points d’appui qu’il se donne sa force augmente au loin comme celle des leviers22. Celle du peuple au contraire n’agit que concentrée, elle s’évapore et se perd en s’étendant, comme l’effet de la poudre éparse à terre et qui ne prend feu que grain à grain. Les pays les moins peuplés sont ainsi les plus propres à la Tirannie: les bêtes féroces ne règnent que dans les déserts.

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un lusso. A Napoli vedrete tutti i giorni passeggiare a Posillipo uomini in giacca dorata e senza calze. Lo stesso dicasi degli edifici: quando non si ha nulla da temere dalle ingiurie del clima si pensa solo alla magnificenza. A Parigi, a Londra, si vuole che l’abitazione sia comoda e calda. A Madrid si dispone di superbi saloni, ma le finestre non chiudono, e si dorme in topaie. Nei paesi caldi gli alimenti sono molto più sostanziosi e succulenti; è questa una terza differenza che deve per forza influire sulla seconda. Perché in Italia si mangiano tante verdure? perché vi si trovano buone, nutrienti, di sapore eccellente; in Francia, dove sono nutrite solo d’acqua, non sono nutrienti, e a tavola non si tengono quasi in nessun conto. Tuttavia non occupano meno terreno e coltivarle costa almeno altrettanta fatica. È un’esperienza acquisita che i grani di Barberia, inferiori, d’altra parte, a quelli francesi, rendono molto di più in farina, e quelli francesi, a loro volta, rendono più di quelli del Nord. Se ne può concludere che una simile gradazione si osserva in genere nella stessa direzione dall’equatore al polo. Ora, non è forse uno svantaggio visibile quello di ricavare dallo stesso prodotto una minore quantità di alimenti? A tutte queste considerazioni diverse ne posso aggiungere una che ne deriva e che le rafforza: i paesi caldi hanno meno bisogno di abitanti che non i freddi e potrebbero nutrirne di più; ne vien fuori una doppia eccedenza sempre a vantaggio del dispotismo. Quanto più si estende la superficie occupata dallo stesso numero di abitanti, tanto più difficili diventano le rivolte, perché non ci si può accordare né rapidamente né in segreto, mentre per il governo è sempre facile sventare i progetti e tagliare le comunicazioni; ma, più un popolo numeroso è concentrato, meno il governo può usurpare i poteri sovrani; i capi deliberano tanto sicuramente nelle loro camere quanto il principe nel suo consiglio, e la folla si raduna nelle piazze tanto prontamente quanto i soldati nelle loro caserme. Il vantaggio del governo tirannico sta dunque nell’agire a grandi distanze. Coi punti di appoggio che si dà, la sua forza aumenta con la distanza come quella delle leve22. La forza del popolo, al contrario, agisce solo quand’è concentrata, estendendosi svanisce e si perde, come succede alla polvere sparsa per terra, che prende fuoco solo granello per granello. Perciò i paesi meno popolati sono i più adatti alla tirannide: le bestie feroci regnano solo nei deserti.

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Du contract social CHAPITRE IX

DES SIGNES D’UN BON GOUVERNEMENT

Quand donc on demande absolument quel est le meilleur Gouvernement, on fait une question insoluble comme indéterminée; ou si l’on veut, elle a autant de bonnes solutions qu’il y a de combinaisons possibles dans les positions absolues et relatives des peuples. Mais si l’on demandoit à quel signe on peut connoitre qu’un peuple donné est bien ou mal gouverné, ce seroit autre chose, et la question de fait pourroit se résoudre. Cependant on ne la résout point, parce que chacun veut la résoudre à sa manière. Les sujets vantent la tranquillité publique, les Citoyens la liberté des particuliers, l’un préfère la sûreté des possessions, et l’autre celle des personnes; l’un veut que le meilleur Gouvernement soit le plus sévère, l’autre soutient que c’est le plus doux; celui-ci veut qu’on punisse les crimes, et celui-là qu’on les prévienne; l’un trouve beau qu’on soit craint des voisins, l’autre aime mieux qu’on en soit ignoré, l’un est content quand l’argent circule, l’autre exige que le peuple ait du pain. Quand même on conviendroit sur ces points et d’autres semblables, en seroit-on plus avancé? Les quantités morales manquant de mesure précise, fût-on d’accord sur le signe, comment l’être sur l’estimation? Pour moi, je m’étonne toujours qu’on méconnoisse un signe aussi simple, ou qu’on ait la mauvaise foi de n’en pas convenir. Quelle est la fin de l’association politique? C’est la conservation et la prospérité de ses membres. Et quel est le signe le plus sûr qu’ils se conservent et prospèrent? C’est leur nombre et leur population. N’allez donc pas chercher ailleurs ce signe si disputé. Toutes choses d’ailleurs égales, le Gouvernement sous lequel, sans moyens étrangers, sans naturalisations, sans colonies les Citoyens peuplent et multiplient davantage, est infailliblement le meilleur: celui sous lequel un peuple diminue et dépérit est le pire. Calculateurs, c’est maintenant votre affaire; comptez, mesurez, comparez23.

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123 CAPITOLO NONO

DEI SEGNI DI UN BUON GOVERNO

Pertanto, quando si chiede in senso assoluto qual è il governo migliore, si pone un problema insolubile quanto indeterminato; o, se si vuole, le soluzioni valide sono tante quante le possibili combinazioni nelle posizioni assolute e relative dei popoli. Ma se si chiedesse per quali segni si può riconoscere che un dato popolo è governato bene o male, sarebbe un’altra cosa, e la questione di fatto potrebbe essere risolta. Tuttavia non trova soluzione, perché ognuno vuole risolverla a modo suo. I sudditi vantano la tranquillità pubblica, i cittadini la libertà dei privati; chi preferisce la sicurezza della proprietà, chi quella delle persone; secondo gli uni il miglior governo è il più severo, altri sostiene che il migliore è il più mite; questo vuole che i delitti si puniscano, quello che si prevengano; per gli uni è bello essere temuti dai vicini, per gli altri è meglio esserne ignorati; c’è chi è contento quando il danaro circola e chi esige che il popolo abbia pane. Anche a mettersi d’accordo su questi punti e altri simili, si sarebbe forse fatto un progresso? Poiché le quantità morali mancano di un’esatta misura, quand’anche ci si accordasse sul segno, come accordarsi sulla valutazione? Per parte mia, mi stupisco sempre che si abbia o si faccia finta di avere difficoltà a riconoscere un segno tanto semplice. Qual è il fine dell’associazione politica? È la conservazione e la prosperità dei suoi membri. E quale il segno più certo che si conservano e prosperano? il loro numero e la densità di popolazione. Non andate dunque a cercare altrove questo contestatissimo segno. A parità di condizioni, il governo sotto cui, senza apporti stranieri, senza naturalizzazioni, senza colonie, i cittadini hanno il maggior indice di popolazione e si moltiplicano di più, è senza fallo il migliore; il peggiore è quello sotto cui il popolo diminuisce e deperisce. Calcolatori, ora sta a voi: contate, misurate, paragonate23.

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Du contract social CHAPITRE X

DE L’ABUS DU GOUVERNEMENT ET DE SA PENTE A DEGENERER

Comme la volonté particulière agit sans cesse contre la volonté générale, ainsi le Gouvernement fait un effort continuel contre la Souveraineté. Plus cet effort augmente, plus la constitution s’altère, et comme il n’y a point ici d’autre volonté de corps qui résistant à celle du Prince fasse équilibre avec elle, il doit arriver tôt ou tard que le Prince opprime enfin le Souverain et rompe le traité Social. C’est là le vice inhérent et inévitable qui dès la naissance du corps politique tend sans relâche à le détruire, de même que la vieillesse et la mort détruisent le corps de l’homme. Il y a deux voyes générales par lesquelles un Gouvernement dégénere; savoir, quand il se resserre, ou quand l’Etat se dissoût. Le Gouvernement se resserre quand il passe du grand nombre au petit, c’est-à-dire de la Démocratie à l’Aristocratie, et de l’Aristocratie à la Royauté. C’est là son inclinaison naturelle24. S’il rétrogradoit du petit nombre au grand, on pourroit dire qu’il se relâche, mais ce progrès inverse est impossible. En effet, jamais le Gouvernement ne change de forme que quand son ressort usé le laisse trop affoibli pour pouvoir conserver la sienne. Or s’il se relâchoit encore en s’étendant, sa force deviendroit tout à fait nulle, et il subsisteroit encore moins. Il faut donc remonter et serrer le ressort à mésure qu’il cède, autrement l’Etat qu’il soutient tomberoit en ruine. Le cas de la dissolution de l’Etat peut arriver de deux manieres. Premierement quand le Prince n’administre plus l’Etat selon les loix et qu’il usurpe le pouvoir souverain. Alors il se fait un changement remarquable; c’est que, non pas le Gouvernement, mais l’Etat se resserre; je veux dire que le grand Etat se dissout et qu’il s’en forme un autre dans celui-là, composé seulement des membres du Gouvernement et qui n’est plus rien au reste du Peuple que son maitre et son Tiran. De sorte qu’à l’instant que le Gouvernement usurpe la souveraineté, le pacte social est rompu, et tous les simples Citoyens, rentrés de droit dans leur liberté naturelle, sont forcés mais non pas obligés d’obéir.

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125 CAPITOLO DECIMO

DELL’ABUSO DEL GOVERNO E DELLA SUA TENDENZA A DEGENERARE

Come la volontà particolare agisce senza posa contro la volontà generale, così il governo esercita uno sforzo continuo contro la sovranità. Più aumenta questo sforzo, più la costituzione si altera, e, non essendovi qui altra volontà di corpo che, resistendo a quella del principe, le faccia da contrappeso, prima o poi deve accadere che il principe finisca col soverchiare il sovrano e col rompere il patto sociale. È questo il vizio intrinseco e inevitabile che fin dalla nascita del corpo politico tende senza posa a distruggerlo, come la vecchiaia e la morte distruggono il corpo dell’uomo. Ci sono due vie generali per cui un governo degenera: quando esso si restringe, o quando lo Stato si dissolve. Il governo si restringe quando passa dai molti ai pochi, cioè dalla democrazia all’aristocrazia e dall’aristocrazia alla monarchia. La sua tendenza naturale è questa24. Se retrocedesse dai pochi ai molti, si potrebbe dire che si indebolisce, ma questo progresso inverso è impossibile. Infatti il governo non cambia mai di forma se non quando il logoramento della sua molla lo rende troppo debole perché possa conservare la forma che ha. Ora, se si rilasciasse ulteriormente estendendosi, la sua forza diventerebbe assolutamente nulla e ancora minori le sue possibilità di sussistere. Bisogna dunque ricaricare e stringere la molla man mano che essa cede, altrimenti lo Stato che sostiene cadrebbe in rovina. Il caso di dissoluzione dello Stato può verificarsi in due modi. In primo luogo quando il principe non lo amministra più secondo le leggi ed usurpa il potere sovrano. Si determina allora un mutamento notevole; non è il governo a restringersi, ma lo Stato; voglio dire che il grande Stato si dissolve e se ne forma un altro dentro di esso, composto solo dei membri del governo, nient’altro ormai che un padrone e un tiranno di fronte al resto del popolo. Dimodoché, nell’istante in cui il governo usurpa la sovranità, il patto sociale è rotto e tutti i semplici cittadini, rientrando di diritto nella loro libertà naturale, sono costretti, ma non obbligati ad obbedire.

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Le même cas arrive aussi quand les membres du Gouvernement usurpent séparément le pouvoir qu’ils ne doivent exercer qu’en corps; ce qui n’est pas une moindre infraction des loix, et produit encore un plus grand désordre. Alors on a, pour ainsi dire, autant de Princes que de Magistrats, et l’Etat, non moins divisé que le Gouvernement, périt ou change de forme. Quand l’Etat se dissout, l’abus du Gouvernement quel qu’il soit prend le nom commun d’anarchie. En distingant, la Démocratie dégénere en Ochlocratie, l’Aristocratie en Oligarchie; j’ajoûterois que la Royauté dégénere en Tyrannie, mais ce dernier mot est équivoque et demande explication. Dans le sens vulgaire un Tyran est un Roi qui gouverne avec violence et sans égard à la justice et aux loix. Dans le sens précis un Tyran est un particulier qui s’arroge l’autorité royale sans y avoir droit. C’est ainsi que les Grecs entendoient ce mot de Tyran: Ils le donnoient indifféremment aux bons et aux mauvais Princes dont l’autorité n’étoit pas légitime25. Ainsi Tyran et usurpateur sont deux mots parfaitement synonimes. Pour donner différents noms à différentes choses, j’appelle Tyran l’usurpateur de l’autorité royale, et Despote l’usurpateur du pouvoir Souverain. Le Tyran est celui qui s’ingere contre les loix à gouverner selon les loix; le Despote est celui qui se met au dessus des loix-mêmes. Ainsi le Tyran peut n’être pas Despote, mais le Despote est toujours Tyran.

CHAPITRE XI

DE LA MORT DU CORPS POLITIQUE

Telle est la pente naturelle et inévitable des Gouvernements les mieux constitués. Si Sparte et Rome ont péri, quel Etat peut espérer de durer toujours? Si nous voulons former un établissement durable, ne songeons donc point à le rendre éternel. Pour réussir il ne faut pas tenter l’impossible, ni se flatter de donner à l’ouvrage des hommes une solidité que les choses humaines ne comportent pas. Le corps politique, aussi bien que le corps de l’homme, commence à mourir dès sa naissance et porte en lui-même les causes de sa destruction. Mais l’un et l’autre peut avoir une constitution plus

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Lo stesso accade anche quando i membri del governo usurpano separatamente il potere che dovrebbero esercitare solo come corpo; non minore infrazione della legge che genera un disordine anche più grande. Si hanno allora, per così dire, altrettanti prìncipi quanti magistrati, e lo Stato, non meno diviso del governo, perisce o muta di forma. Quando lo Stato si dissolve, l’abuso del governo, comunque si presenti, prende il nome comune di anarchia. Volendo distinguere, la democrazia degenera in oclocrazia, l’aristocrazia in oligarchia; aggiungerei che la monarchia degenera in tirannide, ma il termine è equivoco e richiede spiegazione. Nel senso volgare un tiranno è un re che governa con violenza, in dispregio della giustizia e delle leggi. In senso preciso un tiranno è un privato che si arroga l’autorità regia senza averne il diritto. Questo è il senso in cui i Greci intendevano la parola tiranno: la usavano indifferentemente per indicare i prìncipi buoni o cattivi la cui autorità non era legittima25. Quindi tiranno e usurpatore sono due termini perfettamente sinonimi. Per dare a cose diverse nomi diversi, chiamo tiranno l’usurpatore dell’autorità regia, e despota l’usurpatore del potere sovrano. Il tiranno è colui che s’insedia al governo contro le leggi per governare secondo le leggi; il despota è colui che si mette al disopra delle leggi stesse. Quindi il tiranno può non essere despota, ma il despota è sempre tiranno.

CAPITOLO UNDICESIMO

DELLA MORTE DEL CORPO POLITICO

Questa è l’inclinazione naturale e inevitabile dei governi meglio costituiti. Se Sparta e Roma sono perite, qual è lo Stato che può sperare di durar per sempre? Pertanto, se vogliamo creare un’istituzione duratura, non proponiamoci di renderla eterna. Per riuscire non si deve tentar l’impossibile, né lusingarsi di conferire all’opera degli uomini una stabilità che le cose umane non comportano. Il corpo politico, come il corpo dell’uomo, comincia a morire dal momento della nascita e porta in se stesso le cause della propria distruzione. Ma l’uno e l’altro possono avere costituzione più

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ou moins robuste et propre à le conserver plus ou moins longtemps. La constitution de l’homme est l’ouvrage de la nature, celle de l’Etat est l’ouvrage de l’art. Il ne dépend pas des hommes de prolonger leur vie, il dépend d’eux de prolonger celle de l’Etat aussi loin qu’il est possible, en lui donnant la meilleure constitution qu’il puisse avoir. Le mieux constitué finira mais plus tard qu’un autre, si nul accident imprévu n’amène sa perte avant le temps. Le principe de la vie politique est dans l’autorité Souveraine. La puissance législative est le coeur de l’Etat, la puissance exécutive en est le cerveau, qui donne le mouvement à toutes les parties. Le cerveau peut tomber en paralysie et l’individu vivre encore. Un homme reste imbécile et vit: mais sitôt que le coeur a cessé ses fonctions, l’animal est mort. Ce n’est point par les loix que l’Etat subsiste, c’est par le pouvoir législatif. La loi d’hier n’oblige pas aujourd’hui, mais le consentement tacite est présumé du silence, et le Souverain est censé confirmer incessamment les loix qu’il n’abroge pas, pouvant le faire. Tout ce qu’il a déclaré vouloir une fois, il le veut toujours, à moins qu’il ne le révoque. Pourquoi donc porte-t-on tant de respect aux anciennes loix? C’est pour cela même. On doit croire qu’il n’y a que l’excellence des volontés antiques qui les ait pu conserver si longtems; si le Souverain ne les eût reconnu constamment salutaires il les eût mille fois révoquées. Voilà pourquoi loin de s’affoiblir les loix acquièrent sans cesse une force nouvelle dans tout Etat bien constitué; le préjugé de l’antiquité les rend chaque jour plus vénérables; au lieu que partout où les loix s’affoiblissent en vieillissant, cela prouve qu’il n’y a plus de pouvoir législatif, et que l’Etat ne vit plus.

CHAPITRE XII

COMMENT SE MAINTIENT L’AUTORITE SOUVERAINE

Le Souverain n’ayant d’autre force que la puissance législative n’agit que par des loix, et les loix n’étant que des actes authentiques de la volonté générale, le Souverain ne sauroit agir que quand le peuple est assemblé. Le peuple assemblé, dira-t-on! Quelle chimè-

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o meno robusta e adatta a conservarli più o meno a lungo. La costituzione dell’uomo è opera della natura, quella dello Stato è opera dell’arte. Non dipende dagli uomini prolungare la loro vita, dipende da loro prolungare quella dello Stato quanto più è possibile dandogli la miglior costituzione che possa avere. Lo Stato meglio costituito avrà una fine, ma più tardi di un altro, se non intervenga un accidente imprevisto che determini anzi tempo la sua rovina. Il principio della vita politica è nell’autorità sovrana. Il potere legislativo è il cuore dello Stato, il potere esecutivo il suo cervello, che mette in moto tutte le sue parti. Il cervello può essere colpito da paralisi e l’uomo vivere ancora. Un uomo resta imbecille e vive; ma appena il cuore smette di funzionare l’animale è morto. Non è per mezzo delle leggi che lo Stato sussiste, ma per mezzo del potere legislativo. La legge di ieri non obbliga oggi, ma dal silenzio si presume un consenso tacito e si suppongono continuamente confermate dal sovrano le leggi che non abroga, potendo farlo. Tutto ciò che una volta ha dichiarato di volere lo vuole sempre, a meno di revocarlo. Perché dunque si porta tanto rispetto alle leggi antiche? Proprio per questo. Si deve credere che solo l’eccellenza delle volontà antiche abbia permesso che si conservassero così a lungo; se il sovrano non le avesse riconosciute costantemente salutari, le avrebbe revocate mille volte. Ecco perché in ogni Stato ben costituito le leggi, invece di indebolirsi, acquistano continuamente nuovo vigore; il fatto stesso di essere antiche le rende ogni giorno più degne di venerazione; mentre, ovunque le leggi invecchiando si indeboliscono, resta provato con ciò che non c’è più potere legislativo e che lo Stato non vive più.

CAPITOLO DODICESIMO

COME SI MANTIENE L’AUTORITÀ SOVRANA

Il sovrano, non avendo altra forza che il potere legislativo, agisce solo mediante le leggi ed essendo le leggi solo atti autentici della volontà generale, il sovrano non potrebbe operare che quando il popolo è adunato. Il popolo riunito in assemblea! si dirà, che chi-

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re! C’est une chimère aujourd’hui, mais ce n’en étoit pas une il y a deux mille ans: Les hommes ont-ils changé de nature? Les bornes du possible dans les choses morales sont moins étroites que nous ne pensons: Ce sont nos foiblesses, nos vices, nos préjugés qui les rétrécissent. Les âmes basses ne croyent point aux grands hommes: de vils esclaves sourient d’un air moqueur à ce mot de liberté. Par ce qui s’est fait considérons ce qui se peut faire; je ne parlerai pas des anciennes républiques de la Grèce, mais la République romaine étoit, ce me semble, un grand Etat, et la ville de Rome une grande ville. Le dernier Cens donna dans Rome quatre cent mille Citoyens portant armes, et le dernier dénombrement de l’Empire plus de quatre millions de Citoyens sans compter les sujets, les étrangers, les femmes, les enfants, les esclaves. Quelle difficulté n’imagineroit-on pas d’assembler fréquemment le peuple immense de cette capitale et de ses environs? Cependant il se passoit peu de semaines que le peuple romain ne fût assemblé, et même plusieurs fois. Non seulement il exerceoit les droits de la souveraineté, mais une partie de ceux du Gouvernement. Il traittoit certaines affaires, il jugeoit certaines causes, et tout ce peuple étoit sur la place publique presque aussi souvent magistrat que Citoyen. En remontant aux premiers temps des Nations on trouveroit que la plupart des anciens gouvernements, même monarchiques tels que ceux des Macédoniens et des Francs, avoient de semblables Conseils. Quoi qu’il en soit, ce seul fait incontestable répond à toutes les difficultés: De l’existant au possible la conséquence me paroit bonne.

CHAPITRE XIII

SUITE

Il ne suffit pas que le peuple assemblé ait une fois fixé la constitution de l’Etat en donnant la sanction à un corps de loix: il ne suffit pas qu’il ait établi un Gouvernement perpétuel ou qu’il ait pourvu une fois pour toutes à l’élection des magistrats. Outre les assemblées extraordinaires que des cas imprévus peuvent exiger, il faut qu’il y en ait de fixes et de périodiques que rien ne puisse abolir ni proroger, tellement qu’au jour marqué le peuple soit légiti-

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mera! È una chimera oggi, ma non lo era duemila anni fa; gli uomini hanno dunque mutato natura? I limiti del possibile nelle cose morali sono meno ristretti di quel che non pensiamo: a restringerli sono le nostre debolezze, i nostri vizi, i nostri pregiudizi. Le anime basse non credono ai grandi uomini; dei vili schiavi sorridono con aria di scherno alla parola libertà. In base a ciò che si è fatto consideriamo ciò che si può fare; non parlerò delle antiche repubbliche della Grecia, ma la repubblica romana era, mi pare, un grande Stato, e Roma una grande città. Nell’ultimo censimento a Roma i cittadini che portavano armi risultarono quattrocentomila e nell’ultimo censimento dell’impero risultarono più di quattro milioni di cittadini senza contare i sudditi, gli stranieri, le donne, i bambini, gli schiavi. Quali difficoltà si è portati a supporre nel riunire frequentemente l’immenso popolo di questa capitale e dei suoi dintorni! Tuttavia, di rado passavano settimane senza che il popolo si riunisse in assemblea, e spesso parecchie volte. Non solo esso esercitava i diritti sovrani, ma anche parte di quelli di governo. Trattava certi affari, giudicava certe cause; sulla pubblica piazza, tutto questo popolo era quasi altrettanto spesso magistrato che cittadino. Risalendo ai primi tempi delle nazioni si vedrebbe che la maggior parte degli antichi governi, anche monarchici, come quelli dei Macedoni e dei Franchi, avevano consigli del genere. Comunque sia, questo solo fatto incontestabile risponde a tutte le difficoltà: dall’esistente al possibile il passaggio mi sembra valido.

CAPITOLO TREDICESIMO

CONTINUAZIONE

Non basta che il popolo riunito abbia una volta fissato la costituzione dello Stato dando la sanzione a un corpo di leggi; non basta che abbia stabilito un governo perpetuo o che abbia provveduto una volta per tutte all’elezione dei magistrati. Oltre le assemblee straordinarie che casi imprevisti possono richiedere, devono esservene di fisse e periodiche che nessuna ragione possa abolire o aggiornare, in modo che al giorno stabilito il popolo sia convocato per

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Du contract social

mement convoqué par la loi, sans qu’il soit besoin pour cela d’aucune autre convocation formelle. Mais hors de ces assemblées juridiques par leur seule date, toute assemblée du Peuple qui n’aura pas été convoquée par les magistrats préposés à cet effet et selon les formes prescrites doit être tenue pour illégitime et tout ce qui s’y fait pour nul; parce que l’ordre même de s’assembler doit émaner de la loi. Quant aux retours plus ou moins fréquents des assemblées légitimes, ils dépendent de tant de considérations qu’on ne sauroit donner là-dessus de règles précises. Seulement on peut dire en général que plus le Gouvernement a de force, plus le Souverain doit se montrer fréquemment. Ceci, me dira-t-on, peut être bon pour une seule ville; mais que faire quand l’Etat en comprend plusieurs? Partagera-t-on l’autorité Souveraine, ou bien doit-on la concentrer dans une seule ville et assujettir tout le reste? Je réponds qu’on ne doit faire ni l’un ni l’autre. Premièrement l’autorité souveraine est simple et une et l’on ne peut la diviser sans la détruire. En second lieu, une ville non plus qu’une Nation ne peut être légitimement sujette d’une autre, parce que l’essence du corps politique est dans l’accord de l’obéissance et de la liberté, et que ces mots de sujet et de souverain sont des corrélations identiques dont l’idée se réunit sous le seul mot de Citoyen. Je réponds encore que c’est toujours un mal d’unir plusieurs villes en une seule cité, et que, voulant faire cette union, l’on ne doit pas se flatter d’en éviter les inconvénients naturels. Il ne faut point objecter l’abus des grands Etats à celui qui n’en veut que de petits: mais comment donner aux petits Etats assez de force pour résister aux grands? Comme jadis les villes grecques résistèrent au grand Roi, et comme plus récemment la Hollande et la Suisse ont résisté à la maison d’Autriche. Toutefois si l’on ne peut réduire l’Etat à de justes bornes, il reste encore une ressource; c’est de n’y point souffrir de capitale, de faire siéger le Gouvernement alternativement dans chaque ville, et d’y rassembler aussi tour à tour les Etats du pays. Peuplez également le territoire, étendez-y partout les mêmes droits, portez-y partout l’abondance et la vie, c’est ainsi que l’Etat deviendra tout à la fois le plus fort et le mieux gouverné qu’il soit possible. Souvenez-vous que les murs des villes ne se forment que du débris des maisons des champs. A chaque palais que je vois élever dans la capitale, je crois voir mettre en mezures tout un pays.

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legge in maniera legittima senza che allo scopo ci sia bisogno di altra convocazione formale. Ma all’infuori di queste assemblee, che la semplice data rende legali, ogni assemblea popolare che non sia stata convocata dai magistrati competenti in materia, e nelle debite forme, deve essere considerata illegittima e nullo tutto ciò che vi si fa; perché l’ordine stesso di riunirsi deve emanare dalla legge. Quanto alla maggiore o minor frequenza delle assemblee legittime, dipende da tante considerazioni che non riesce facile offrire in proposito norme precise. Solo si può dire, in generale, che più il governo è forte, più spesso il sovrano deve mostrarsi. Mi si potrà obbiettare che questo va bene per una sola città; ma che fare quando lo Stato ne comprende parecchie? Dividere l’autorità sovrana, o concentrarla in una città sola e assoggettarle tutto il resto? Rispondo che non si deve fare né l’una né l’altra cosa. In primo luogo l’autorità sovrana è semplice e una, e non si può dividere senza distruggerla. In secondo luogo, una città, come una nazione, non può legittimamente esser soggetta a un’altra, perché l’essenza del corpo politico è nell’accordo tra obbedienza e libertà, e le parole suddito e sovrano sono correlazioni identiche la cui idea si raccoglie sotto l’unica parola cittadino. Rispondo pure che è sempre un male unire parecchie città in un solo Stato e che, quando lo si vuol fare, non bisogna illudersi di evitarne i naturali inconvenienti. Non bisogna obbiettare l’abuso dei grandi Stati a chi vuole solo Stati piccoli, ma come dare ai piccoli Stati forza sufficiente per resistere ai grandi? Come un tempo le città greche resistettero al gran re, e come più di recente l’Olanda e la Svizzera hanno resistito alla casa d’Austria. Tuttavia, se non si può ridurre lo Stato entro giusti limiti, resta ancora una risorsa; di non tollerarvi una capitale, e di far risiedere il governo a turno in ogni città, riunendovi anche, volta a volta, le assemblee del paese. Fate in modo che il territorio abbia dappertutto la stessa densità di popolazione, diffondetevi in ogni parte i medesimi diritti, portatevi ovunque l’abbondanza e la vita, così lo Stato diverrà a un tempo il più forte e il meglio governato che sia possibile. Le mura delle città – ricordatelo – si fanno con le macerie delle case di campagna. Quando vedo sorgere un palazzo nella capitale mi sembra di veder ridurre tutto un paese a rovine.

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Du contract social CHAPITRE XIV

SUITE

A l’instant que le Peuple est légitimement assemblé en corps Souverain, toute jurisdiction du Gouvernement cesse, la puissance exécutive est suspendue, et la personne du dernier Citoyen est aussi sacrée et inviolable que celle du premier Magistrat, parce qu’où se trouve le Représenté, il n’y a plus de Représentant. La plupart des tumultes qui s’élevèrent à Rome dans les comices vinrent d’avoir ignoré ou négligé cette règle. Les consuls alors n’étoient que les Présidents du Peuple, les Tribuns de simples Orateurs26, le Sénat n’étoit rien du tout. Ces intervalles de suspension où le Prince reconnoit ou doit reconnoitre un supérieur actuel, lui ont toujours été redoutables, et ces assemblées du peuple, qui sont l’égide du corps politique et le frein du Gouvernement, ont été de tous temps l’horreur des chefs: aussi n’épargnent-ils jamais ni soins, ni objections, ni difficultés, ni promesses, pour en rebuter les Citoyens. Quand ceux-ci sont avares, lâches, pusillanimes, plus amoureux du repos que de la liberté, ils ne tiennent pas longtems contre les efforts redoublés du Gouvernement; c’est ainsi que la force résistante augmentant sans cesse, l’autorité Souveraine s’évanouit à la fin, et que la plupart des cités tombent et périssent avant le temps. Mais entre l’autorité Souveraine et le Gouvernement arbitraire, il s’introduit quelquefois un pouvoir moyen dont il faut parler.

CHAPITRE XV

DES DEPUTES OU REPRESENTANTS

Sitôt que le service public cesse d’être la principale affaire des Citoyens, et qu’ils aiment mieux servir de leur bourse que de leur personne, l’Etat est déjà près de sa ruine. Faut-il marcher au combat? ils payent des troupes et restent chez eux; faut-il aller au Conseil? ils nomment des Députés et restent chez eux. A force de paresse et d’argent ils ont enfin des soldats pour asservir la patrie et des représentants pour la vendre.

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135 CAPITOLO QUATTORDICESIMO

CONTINUAZIONE

Nel momento stesso in cui il popolo è legittimamente riunito in corpo sovrano ogni giurisdizione del governo cessa, il potere esecutivo è sospeso e la persona dell’ultimo dei cittadini è altrettanto sacra e inviolabile quanto quella del più alto magistrato; perché dove c’è il rappresentato non c’è più il rappresentante. La maggior parte dei tumulti che si ebbero a Roma durante i comizi derivarono dall’avere ignorato o trascurato questa regola. I consoli a quell’epoca erano solo i presidenti del popolo, i tribuni semplici oratori26, il senato nulla del tutto. Queste pause sospensive in cui il principe riconosce o deve riconoscere un superiore in atto sono state sempre temibili per lui, e queste assemblee popolari, che costituiscono l’egida del corpo politico e il freno del governo, sono state in ogni tempo il terrore dei capi: questi perciò non risparmiano mai né cure, né obbiezioni, né difficoltà, né promesse per distoglierne i cittadini, che, quando sono avari, vili, pusillanimi, amanti della quiete più che della libertà, non resistono a lungo agli sforzi reiterati del governo; quindi, per il continuo aumentare della forza che oppone resistenza, l’autorità sovrana finisce col venir meno, e col tempo la maggior parte degli Stati cadono e muoiono anzi tempo. Ma fra l’autorità sovrana e il governo arbitrario, si introduce talvolta un potere intermedio di cui bisogna parlare.

CAPITOLO QUINDICESIMO

DEI DEPUTATI O RAPPRESENTANTI

Non appena il servizio pubblico cessi di essere il principale impegno dei cittadini e questi preferiscano servire con la loro borsa piuttosto che di persona, lo Stato è già prossimo alla rovina. Bisogna andare a combattere? pagano delle truppe e restano a casa; si deve andare al consiglio? eleggono dei deputati e restano a casa. A forza di pigrizia e di danaro finiscono con l’avere dei soldati per asservire la patria e dei rappresentanti per venderla.

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Du contract social

C’est le tracas du commerce et des arts, c’est l’avide intérêt du gain, c’est la mollesse et l’amour des commodités, qui changent les services personnels en argent. On cède une partie de son profit pour l’augmenter à son aise. Donnez de l’argent, et bientôt vous aurez des fers. Ce mot de finance est un mot d’esclave, il est inconnu dans la Cité. Dans un Etat vraiment libre les citoyens font tout avec leurs bras et rien avec de l’argent. Loin de payer pour s’exempter de leurs devoirs, ils paieroient pour les remplir eux-mêmes. Je suis bien loin des idées communes; je crois les corvées moins contraires à la liberté que les taxes. Mieux l’Etat est constitué, plus les affaires publiques l’emportent sur les privées dans l’esprit des Citoyens. Il y a même beaucoup moins d’affaires privées, parce que la somme du bonheur commun fournissant une portion plus considérable à celui de chaque individu, il lui en reste moins à chercher dans les soins particuliers. Dans une cité bien conduite chacun vole aux assemblées; sous un mauvais Gouvernement nul n’aime à faire un pas pour s’y rendre; parce que nul ne prend intérêt à ce qui s’y fait, qu’on prévoit que la volonté générale n’y dominera pas, et qu’enfin les soins domestiques absorbent tout. Les bonnes loix en font faire de meilleures, les mauvaises en amènent de pires. Sitôt que quelqu’un dit des affaires de l’Etat, que m’importe? on doit compter que l’Etat est perdu. L’attiédissement de l’amour de la patrie, l’activité de l’intérêt privé, l’immensité des Etats, les conquêtes, l’abus du Gouvernement ont fait imaginer la voie des Députés ou Représentants du peuple dans les assemblées de la Nation. C’est ce qu’en certains pays on ose appeler le Tiers-Etat. Ainsi l’intérêt particulier de deux ordres est mis au premier et au second rang, l’intérêt public n’est qu’au troisième. La Souveraineté ne peut être représentée, par la même raison qu’elle ne peut être aliénée; elle consiste essenciellement dans la volonté générale, et la volonté ne se représente point: elle est la même, ou elle est autre; il n’y a point de milieu. Les députés du peuple ne sont donc ni ne peuvent être ses représentants, ils ne sont que ses commissaires; ils ne peuvent rien conclure définitivement. Toute loi que le Peuple en personne n’a pas ratifiée est nulle; ce n’est point une loi. Le peuple Anglois pense être libre; il se trompe fort, il ne l’est que durant l’élection des membres du Parlement; sitôt qu’ils sont élus, il est esclave, il n’est rien. Dans

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A cambiare in danaro le prestazioni personali sono le preoccupazioni del commercio e delle arti, l’avido interesse di guadagno, la mollezza e l’amore delle comodità. Si cede una parte dei propri profitti per aumentarli più comodamente. Date danaro e presto avrete catene. La parola finanza è una parola da schiavi; è sconosciuta in uno Stato libero. In uno Stato veramente libero i cittadini fanno tutto con le loro mani e nulla col denaro: anziché pagare per esimersi dai loro doveri, pagherebbero per adempierli di persona. Io sono molto lontano dalle idee correnti: credo le corvées meno contrarie alla libertà che non le tasse. Quanto migliore è la costituzione dello Stato, tanto più gli affari pubblici prevalgono sui privati nell’animo dei cittadini. Gli affari privati si trovano anche a essere molti meno, in quanto, offrendo la somma della felicità comune una parte più considerevole a quella di ciascun individuo, il singolo ha meno bisogno di cercarne attraverso attività particolari. In uno Stato bene ordinato, quando c’è da andare alle assemblee, ciascuno ha le ali ai piedi; sotto un cattivo governo nessuno fa volentieri un passo per andarvi: nessuno si interessa a ciò che vi si fa, si prevede che la volontà generale non vi dominerà, e, infine, le cure domestiche assorbono completamente. Le buone leggi spingono a farne di migliori, le cattive ne portano di peggiori. Appena qualcuno, a proposito degli affari di Stato, dice: Che m’importa? lo Stato è da ritenersi perduto. L’intiepidirsi dell’amor patrio, l’attività dell’interesse privato, l’immensità degli Stati, le conquiste, l’abuso del governo hanno fatto escogitare il sistema dei deputati o rappresentanti del popolo nelle assemblee della nazione. È ciò che in certi paesi si osa chiamare il terzo stato. Così l’interesse particolare di due ordini è messo al primo e al secondo posto, l’interesse pubblico solo al terzo. La sovranità non può venir rappresentata, per la stessa ragione per cui non può essere alienata; essa conisiste essenzialmente nella volontà generale e la volontà non si rappresenta: o è essa stessa o è un’altra; una via di mezzo non esiste. I deputati del popolo non sono dunque e non possono essere i suoi rappresentanti, sono solo i suoi commissari; non possono concludere niente in modo definitivo. Qualunque legge che non sia stata ratificata dal popolo in persona è nulla; non è una legge. Il popolo inglese si crede libero, ma è in grave errore; è libero solo durante l’elezione dei membri del parlamento; appena avvenuta l’elezione, è schiavo; è

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les courts moments de sa liberté, l’usage qu’il en fait mérite bien qu’il la perde. L’idée des Représentants est moderne: elle nous vient du Gouvernement féodal, de cet inique et absurde Gouvernement dans lequel l’espèce humaine est dégradée, et où le nom d’homme est en déshonneur. Dans les anciennes républiques et même dans les monarchies, jamais le peuple n’eut de représentants; on ne connaissoit pas ce mot-là. Il est très singulier qu’à Rome où les Tribuns étaient si sacrés on n’ait pas même imaginé qu’ils pussent usurper les fonctions du peuple, et qu’au milieu d’une si grande multitude ils n’aient jamais tenté de passer de leur chef un seul Plébiscite. Qu’on juge cependant de l’embarras que causoit quelquefois la foule, par ce qui arriva du temps des Gracques, où une partie des citoyens donnoit son suffrage de dessus les toits. Où le droit et la liberté sont toutes choses, les inconvénients ne sont rien. Chez ce sage peuple tout étoit mis à sa juste mesure: il laissoit faire à ses Licteurs ce que ses Tribuns n’eussent osé faire; il ne craignoit pas que ses Licteurs voulussent le représenter. Pour expliquer cependant comment les Tribuns le représentoient quelquefois, il suffit de concevoir comment le Gouvernement représente le Souverain. La loi n’étant que la déclaration de la volonté générale, il est clair que dans la puissance Législative le Peuplé ne peut être représenté; mais il peut et doit l’être dans la puissance exécutive, qui n’est que la force appliquée à la Loi. Ceci fait voir qu’en examinant bien les choses on trouveroit que très peu de nations ont des loix. Quoi qu’il en soit, il est sûr que les Tribuns, n’ayant aucune partie du pouvoir exécutif, ne purent jamais représenter le Peuple romain par les droits de leurs charges, mais seulement en usurpant sur ceux du Sénat. Chez les Grecs tout ce que le Peuple avait à faire il le faisoit par lui-même; il étoit sans cesse assemblé sur la place. Il habitoit un climat doux, il n’étoit point avide, des esclaves faisoient ses travaux, sa grande affaire étoit sa liberté. N’ayant plus les mêmes avantages, comment conserver les mêmes droits? Vos climats plus durs vous donnent plus de besoins27, six mois de l’année la place publique n’est pas tenable, vos langues sourdes ne peuvent se faire entendre en plein air, vous donnez plus à votre gain qu’à votre liberté, et vous craignez bien moins l’esclavage que la misère. Quoi! la liberté ne se maintient qu’à l’appui de la servitude? Peut-être. Les deux excès se touchent. Tout ce qui n’est point dans

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niente. Nei suoi brevi momenti di libertà ne fa un uso per cui merita senz’altro di perderla. L’idea della rappresentanza è moderna: ci viene dal governo feudale, iniquo e assurdo governo in cui la specie umana è degradata e il nome di uomo disonorato. Nelle antiche repubbliche, e anche nelle monarchie, il popolo non ebbe mai rappresentanti; il termine era sconosciuto. È decisamente singolare che a Roma, dove i tribuni erano così sacri, a nessuno sia neppur passato per la mente che potessero usurpare le funzioni del popolo e che in mezzo a una tale moltitudine, mai abbiano tentato di far passare un solo plebiscito di testa loro. E si giudichi delle difficoltà che a volte causava la folla da ciò che avvenne al tempo dei Gracchi, quando una parte dei cittadini si trovò a votare stando sui tetti. Dove il diritto e la libertà sono tutto, gl’inconvenienti non contano nulla. Presso quel popolo saggio ogni cosa era riportata alle sue giuste dimensioni: lasciava fare ai suoi littori ciò che i suoi tribuni non avrebbero osato; non temeva che i suoi littori volessero rappresentarlo. Tuttavia, per spiegarsi come mai i tribuni a volte lo rappresentavano, basta pensare come il governo rappresenti il sovrano. Non essendo la legge nient’altro che la manifestazione della volontà generale, evidentemente il popolo non può essere rappresentato nel potere legislativo; ma può e deve esserlo nel potere esecutivo che altro non è se non la forza applicata alla legge. Di qui si vede che, esaminando bene le cose, si concluderebbe che pochissime nazioni hanno leggi. Comunque sia, è certo che i tribuni, non partecipando per nulla al potere esecutivo, non poterono mai rappresentare il popolo romano in base ai diritti della carica, ma solo usurpando quelli del senato. Presso i Greci il popolo faceva da sé tutto ciò che aveva da fare; era continuamente riunito in piazza. Viveva in un clima dolce, non era avido, gli schiavi sbrigavano i suoi lavori, il suo grande impegno era la libertà. Non avendo più gli stessi vantaggi, come conservare i medesimi diritti? I vostri climi più rigidi moltiplicano i vostri bisogni27; per sei mesi dell’anno non ci si può riunire sulla pubblica piazza; le vostre lingue prive di sonorità all’aperto non riescono a farsi sentire; concedete più ai vostri guadagni che alla libertà e temete molto meno la schiavitù della miseria. Ma come? la libertà si può mantenere solo con l’appoggio della schiavitù? Può darsi. I due estremi si toccano. Tutto ciò che non

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la nature a ses inconvénients, et la société civile plus que tout le reste. Il y a de telles positions malheureuses où l’on ne peut conserver sa liberté qu’aux dépends de celle d’autrui, et où le Citoyen ne peut être parfaitement libre que l’esclave ne soit extrêmement esclave. Telle était la position de Sparte. Pour vous, peuples modernes, vous n’avez point d’esclaves, mais vous l’êtes; vous payez leur liberté de la vôtre. Vous avez beau vanter cette préférence; j’y trouve plus de lâcheté que d’humanité. Je n’entens point par tout cela qu’il faille avoir des esclaves ni que le droit d’esclavage soit légitime, puisque j’ai prouvé le contraire. Je dis seulement les raisons pour quoi les peuples modernes qui se crojent libres ont des Représentants, et pour quoi les peuples anciens n’en avaient pas. Quoi qu’il en soit, à l’instant qu’un Peuple se donne des Représentants, il n’est plus libre; il n’est plus. Tout bien examiné, je ne vois pas qu’il soit désormais possible au Souverain de conserver parmi nous l’exercice de ses droits si la Cité n’est très petite. Mais si elle est très petite elle sera subjuguée? Non. Je ferai voir ci-après28 comment on peut réunir la puissance extérieure d’un grand Peuple avec la police aisée et le bon ordre d’un petit Etat.

CHAPITRE XVI

QUE L’INSTITUTION DU GOUVERNEMENT N’EST POINT UN CONTRACT

Le pouvoir Législatif une fois bien établi, il s’agit d’établir de même le pouvoir exécutif; car ce dernier, qui n’opère que par des actes particuliers, n’étant pas de l’essence de l’autre, en est naturellement séparé. S’il étoit possible que le Souverain, considéré comme tel, eût la puissance exécutive, le droit et le fait seraient tellement confondus qu’on ne sauroit plus ce qui est loi et ce qui ne l’est pas, et le corps politique ainsi dénaturé seroit bientôt en proie à la violence contre laquelle il fut institué. Les Citoyens étant tous égaux par le contract social, ce que tous doivent faire tous peuvent le prescrire, au lieu que nul n’a droit d’exiger qu’un autre fasse ce qu’il ne fait pas lui-même. Or c’est proprement ce droit, indispensable pour faire vivre et mouvoir le corps politique, que le Souverain donne au Prince en instituant le Gouvernement.

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rientra nella natura ha i suoi inconvenienti, e la società civile più di tutto il resto. Ci sono condizioni infelici in cui non si può conservare la propria libertà se non a spese di quella altrui, e in cui il cittadino non può essere perfettamente libero senza che lo schiavo sia estremamente schiavo. Questa era la situazione di Sparta. Quanto a voi, popoli moderni, schiavi non ne avete, ma gli schiavi siete voi; pagate con la vostra la loro libertà. Avete un bel vantare la vostra scelta; io ci vedo più viltà che umanità. Non intendo con ciò che si debbano avere degli schiavi o che sia legittimo il diritto di averne; infatti ho provato il contrario. Dico solo le ragioni per cui i popoli moderni, convinti di essere liberi, hanno dei rappresentanti, e perché i popoli antichi non ne avevano. Comunque sia, nel momento in cui si dà dei rappresentanti, un popolo non è più libero; non esiste più. Tutto ben considerato, non credo che ormai sia possibile al sovrano conservare fra noi l’esercizio dei suoi diritti se lo Stato non è molto piccolo. Ma se è tanto piccolo sarà assoggettato? No. Farò vedere in seguito28 come si possa riunire la potenza in rapporto all’estero di un grande popolo con la semplicità costituzionale e il buon ordine di uno Stato piccolo.

CAPITOLO SEDICESIMO

L’ISTITUZIONE DEL GOVERNO NON È UN CONTRATTO

Una volta ben istituito il potere legislativo, si tratta di istituire allo stesso modo il potere esecutivo; infatti questo, che opera solo per atti particolari, non essendo della stessa essenza dell’altro, ne è naturalmente separato. Se fosse possibile che il sovrano, considerato come tale, esercitasse il potere esecutivo, il diritto e il fatto sarebbero talmente confusi che non si saprebbe più che cosa è legge e che cosa non lo è, e il corpo politico così snaturato sarebbe ben tosto in preda alla violenza contro cui fu istituito. Essendo tutti i cittadini eguali per via del contratto sociale, ciò che tutti devono fare tutti possono prescriverlo, mentre nessuno ha diritto di esigere che un altro faccia ciò che lui non fa. Ora, è propriamente questo diritto, indispensabile per far vivere e muovere il corpo politico, che il sovrano dà al principe istituendo il governo.

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Plusieurs ont prétendu que l’acte de cet établissement étoit un contract entre le Peuple et les chefs qu’il se donne; contract par lequel on stipulait entre les deux parties les conditions sous lesquelles l’une s’obligeoit à commander et l’autre à obéir. On conviendra, je m’assure, que voilà une étrange manière de contracter! Mais voyons si cette opinion est soutenable. Premièrement, l’autorité suprême ne peut pas plus se modifier que s’aliéner, la limiter, c’est la détruire. Il est absurde et contradictoire que le Souverain se donne un supérieur; s’obliger d’obéir à un maître c’est se remettre en pleine liberté. De plus, il est évident que ce contract du peuple avec telles ou telles personnes seroit un acte particulier. D’où il suit que ce contract ne sauroit être une loi ni un acte de souveraineté, et que par conséquent il seroit illégitime. On voit encore que les parties contractantes seroient entre elles sous la seule loi de nature et sans aucun garant de leurs engagements réciproques, ce qui répugne de toute manière à l’état civil: Celui qui a la force en main étant toujours le maître de l’exécution, autant vaudroit donner le nom de contract à l’acte d’un homme qui diroit à un autre; «je le vous donne tout mon bien, à condition que vous m’en rendrez ce qu’il vous plaira». Il n’y a qu’un contract dans l’Etat, c’est celui de l’association; et celui-là seul en exclut tout autre. On ne saurait imaginer aucun Contract public, qui ne fût une violation du premier.

CHAPITRE XVII

DE L’INSTITUTION DU GOUVERNEMENT

Sous quelle idée faut-il donc concevoir l’acte par lequel le gouvernement est institué? Je remarquerai d’abord que cet acte est complexe ou composé de deux autres, savoir l’établissement de la loi, et l’exécution de la loi. Par le premier, le Souverain statue qu’il y aura un corps de Gouvernement établi sous telle ou telle forme; et il est clair que cet acte est une loi. Par le second, le Peuple nomme les chefs qui seront chargés du Gouvernement établi. Or cette nomination étant un acte particu-

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Parecchi hanno preteso che l’atto di questa istituzione fosse un contratto fra il popolo e i capi che esso si dà; contratto con cui si stipulavano tra le due parti le condizioni sotto le quali l’una si obbligava a comandare e l’altra ad obbedire. Si converrà – ne son certo – che si tratta proprio di una strana maniera di contrattare. Ma vediamo se quest’opinione è sostenibile. In primo luogo l’autorità suprema non può modificarsi più di quanto non possa alienarsi; limitarla significa distruggerla. È assurdo e contraddittorio che il sovrano si dia un superiore; obbligarsi ad obbedire a un padrone significa rimettersi in piena libertà. Inoltre è evidente che questo contratto del popolo con determinate persone sarebbe un atto particolare. Ne consegue che questo contratto non potrebbe essere né una legge né un atto di sovranità, e quindi sarebbe illegittimo. Si vede pure che le parti contraenti sarebbero sottoposte nel loro rapporto alla sola legge di natura, senza nessuna garanzia dei loro reciproci impegni: il che ripugna in ogni senso allo stato civile. Poiché chi detiene la forza è sempre l’arbitro dell’esecuzione, tanto varrebbe chiamar contratto l’atto di un uomo che dicesse a un altro: «Vi dò tutto ciò che ho a condizione che mi rendiate ciò che vorrete». Nello Stato c’è un contratto solo: quello per cui ci si associa; e quello basta ad escludere ogni altro contratto. Non sarebbe possibile immaginare alcun contratto pubblico che non fosse una violazione del primo.

CAPITOLO DICIASSETTESIMO

DELL’ISTITUZIONE DEL GOVERNO

In che maniera dobbiamo dunque concepire l’atto con cui si istituisce il governo? comincerò col rilevare che si tratta di un atto complesso, ossia composto di altri due atti, cioè l’istituzione della legge e l’esecuzione della medesima. Col primo il sovrano stabilisce che vi sarà un corpo di governo costituito sotto questa o quella forma; ed e chiaro che quest’atto è una legge. Col secondo, il popolo nomina i capi che saranno incaricati del governo stabilito. Ora, questa nomina, essendo un atto particolare,

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lier n’est pas une seconde loi, mais seulement une suite de la première et une fonction du Gouvernement. La difficulté est d’entendre comment on peut avoir un acte de Gouvernement avant que le Gouvernement existe, et comment le Peuple, qui n’est que Souverain ou sujet, peut devenir Prince ou Magistrat dans certaines circonstances. C’est encore ici que se découvre une de ces étonnantes propriétés du corps politique, par lesquelles il concilie des opérations contradictoires en apparence. Car celle-ci se fait par une conversion subite de la Souveraineté en Démocratie; en sorte que, sans aucun changement sensible, et seulement par une nouvelle relation de tous à tous, les Citoyens devenus Magistrats passent des actes généraux aux actes particuliers, et de la loi à l’exécution. Ce changement de relation n’est point une subtilité de spéculation sans exemple dans la pratique: Il a lieu tous les jours dans le Parlement d’Angleterre, où la Chambre basse en certaines occasions se tourne en grand Comité, pour mieux discuter les affaires, et devient ainsi simple commission, de Cour Souveraine qu’elle était l’instant précédent; en telle sorte qu’elle se fait ensuite rapport à elle-même comme chambre des Communes de ce qu’elle vient de régler en grand Comité, et délibère de nouveau sous un titre de ce qu’elle a déjà résolu sous un autre. Tel est l’avantage propre au Gouvernement Démocratique de pouvoir être établi dans le fait par un simple acte de la volonté générale. Après quoi, ce Gouvernement provisionnel reste en possession si telle est la forme adoptée, ou établit au nom du Souverain le Gouvernement prescrit par la loi, et tout se trouve ainsi dans la règle. Il n’est pas possible d’instituer le Gouvernement d’aucune autre manière légitime, et sans renoncer aux principes ci-devant établis.

CHAPITRE XVIII

MOYEN DE PREVENIR LES USURPATIONS DU GOUVERNEMENT

De ces éclaircissements il résulte en confirmation du chapitre XVI que l’acte qui institue le Gouvernement n’est point un contract

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non è una seconda legge, ma solo una conseguenza della prima e una funzione del governo. La difficoltà sta nell’intendere come si può avere un atto di governo prima che il governo esista, e come il popolo, che è solo sovrano o suddito, può diventare in certe circostanze principe o magistrato. Siamo ancora in presenza di un caso in cui si scopre una di quelle stupefacenti proprieta del corpo politico, per cui esso concilia operazioni in apparenza contraddittorie. Questa infatti si realizza per un’improvvisa conversione della sovranità in democrazia; dimodoché, senza nessuna modificazione visibile, e solo per mezzo di una nuova relazione di tutti a tutti, i cittadini, divenuti magistrati, passano dagli atti generali agli atti particolari e dalla legge all’esecuzione. Questo mutamento di relazione non si riduce a una sottigliezza speculativa senza esempi sul piano pratico: è cosa di tutti i giorni nel parlamento inglese, dove la Camera bassa in certe occasioni si trasforma in gran comitato per meglio discutere le questioni, divenendo così semplice commissione, da Corte sovrana che era un momento prima. In modo tale che essa fa poi rapporto a se stessa come Camera dei Comuni, di quanto ha regolato poco prima come grande comitato, e torna a deliberare sotto un titolo su ciò che ha già risolto sotto un altro. Questo è il vantaggio proprio del governo democratico: di poter essere stabilito di fatto da un semplice atto della volontà generale. Dopodiché questo governo provvisorio, se corrisponde alla forma che viene adottata, resta al potere, altrimenti stabilisce in nome del sovrano il governo prescritto dalla legge e così tutto avviene secondo le regole. Non è possibile istituire il governo in nessun’altra maniera legittima e senza rinunciare ai princìpi stabiliti in precedenza.

CAPITOLO DICIOTTESIMO

MEZZI PER PREVENIRE LE USURPAZIONI DEL GOVERNO

Da questi chiarimenti risulta, a conferma del capitolo sedicesimo, che l’atto istitutivo del governo non è un contratto, ma una leg-

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Du contract social

mais une Loi, que les dépositaires de la puissance exécutive ne sont point les maîtres du peuple mais ses officiers, qu’il peut les établir et les destituer quand il lui plaît, qu’il n’est point question pour eux de contracter, mais d’obéir, et qu’en se chargeant des fonctions que l’Etat leur impose ils ne font que remplir leur devoir de Citoyens, sans avoir en aucune sorte le droit de disputer sur les conditions. Quand donc il arrive que le Peuple institue un Gouvernement héréditaire, soit monarchique dans une famille, soit aristocratique dans un ordre de Citoyens, ce n’est point un engagement qu’il prend; c’est une forme provisionnelle qu’il donne à l’administration, jusqu’à ce qu’il lui plaise d’en ordonner autrement. Il est vrai que ces changements sont toujours dangereux, et qu’il ne faut jamais toucher au Gouvernement établi que lors qu’il devient incompatible avec le bien public; mais cette circonspection est une maxime de politique et non pas une règle de droit, et l’Etat n’est pas plus tenu de laisser l’autorité civile à ses chefs, que l’autorité militaire à ses Généraux. Il est vrai encore qu’on ne sauroit en pareil cas observer avec trop de soin toutes les formalités requises pour distinguer un acte régulier et légitime d’un tumulte séditieux, et la volonté de tout un peuple des clameurs d’une faction. C’est ici surtout qu’il ne faut donner au cas odieux que ce qu’on ne peut lui refuser dans toute la rigueur du droit, et c’est aussi de cette obligation que le Prince tire un grand avantage pour conserver sa puissance malgré le peuple, sans qu’on puisse dire qu’il l’ait usurpée: Car en paroissant n’user que de ses droits il lui est fort aisé de les étendre, et d’empêcher sous le prétexte du repos public les assemblées destinées à rétablir le bon ordre; de sorte qu’il se prévaut d’un silence qu’il empêche de rompre, ou des irrégularités qu’il fait commettre, pour supposer en sa faveur l’aveu de ceux que la crainte fait taire, et pour punir ceux qui osent parler. C’est ainsi que les Décemvirs ayant été d’abord élus pour un an, puis continués pour une autre année, tentèrent de retenir à perpétuité leur pouvoir, en ne permettant plus aux comices de s’assembler; et c’est par ce facile moyen que tous les gouvernements du monde, une fois revêtus de la force publique, usurpent tôt ou tard l’autorité Souveraine. Les assemblées périodiques dont j’ai parlé ci-devant sont propres à prévenir ou différer ce malheur, surtout quand elles n’ont pas besoin de convocation formelle: car alors le Prince ne saurait

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ge; che i depositari del potere esecutivo non sono i padroni del popolo, ma i suoi funzionari, e il popolo può assumerli e destituirli quando meglio crede; che, per loro, non è questione di contrattare ma di obbedire, e che, incaricandosi delle funzioni imposte dallo Stato si limitano a compiere il loro dovere di cittadini, senza nessun diritto di discuterne le condizioni. Quando dunque accade che il popolo istituisca un governo ereditario, sia monarchico, attribuendolo a una famiglia, sia aristocratico, attribuendolo a un ordine di cittadini, non è un impegno che assume; è una forma provvisoria che dà all’amministrazione, fino a che non ritenga opportuno di ordinarla diversamente. È vero che si tratta sempre di mutamenti rischiosi, e che non bisogna mai toccare il governo stabilito se non quando divenga incompatibile col bene pubblico; ma questa circospezione è una massima di politica, non una norma di diritto, e lo Stato non è obbligato a lasciare l’autorità civile ai suoi capi, più di quanto lo sia a lasciare l’autorità militare ai suoi generali. È anche vero che, in casi simili, non si potrebbe mai esagerare in fatto di scrupolosa attenzione nell’osservare tutte le formalità richieste per distinguere un atto regolare e legittimo da un tumulto sedizioso, e la volontà di tutto un popolo dai clamori di una fazione. Qui soprattutto non bisogna concedere al caso odioso se non ciò che il diritto in tutto il suo rigore impedisce di rifiutargli; ed è, questo, un obbligo da cui il principe trae grande vantaggio per conservare il potere a dispetto del popolo senza che si possa parlare di usurpazione; infatti, limitandosi in apparenza a fare uso dei propri diritti, ha larghe possibilità di estenderli e d’impedire, col pretesto della pace pubblica, le assemblee destinate a ristabilire il buon ordine; e così si prevale di un silenzio che impedisce di rompere (o delle irregolarità che fa commettere) per supporre, a proprio favore, il consenso di quelli che la paura fa tacere, e per punire quelli che osano parlare. Così i decemviri eletti dapprima per un anno, confermati poi per un altro, tentarono di conservare per sempre il loro potere non permettendo più ai comizi di radunarsi; e con questo facile mezzo tutti i governi del mondo, una volta investiti della forza pubblica, usurpano prima o poi l’autorità sovrana. Le assemblee periodiche di cui ho parlato poc’anzi sono atte a prevenire o differire questa calamità, soprattutto quando non hanno bisogno di convocazione formale; perché allora il principe non

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les empêcher sans se déclarer ouvertement infracteur des loix et ennemi de l’Etat. L’ouverture de ces assemblées qui n’ont pour objet que le maintien du traité social, doit toujours se faire par deux propositions qu’on ne puisse jamais supprimer, et qui passent séparément par les suffrages. La première: S’il plaît au Souverain de conserver la présente forme de Gouvernement. La seconde: S’il plaît au Peuple d’en laisser l’administration à ceux qui en sont actuellement chargés. Je suppose ici ce que je crois avoir démontré, savoir qu’il n’y a dans l’Etat aucune loi fondamentale qui ne se puisse révoquer, non pas même le pacte social; car si tous les Citoyens s’assembloient pour rompre ce pacte d’un commun accord, on ne peut douter qu’il ne fût très légitimement rompu. Grotius pense même que chacun peut renoncer à l’Etat dont il est membre, et reprendre sa liberté naturelle et ses biens en sortant du pays29. Or il serait absurde que tous les Citoyens réunis ne pussent pas ce que peut séparément chacun d’eux.

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potrebbe impedirle senza infrangere apertamente la legge, dichiarandosi nemico dello Stato. Queste assemblee, che hanno per unico oggetto il mantenimento del contratto sociale, devono sempre aprirsi con due formule insopprimibili, da votarsi separatamente. La prima: se piaccia al sovrano di conservare la presente forma di governo. La seconda: se piaccia al popolo di lasciarne l’amministrazione a quelli che ne sono incaricati attualmente. Presuppongo qui ciò che credo aver dimostrato: non esservi nello Stato nessuna legge fondamentale che non possa venir revocata; neppure il patto sociale. Infatti, se tutti i cittadini si riunissero per rompere questo patto di comune accordo, non c’è dubbio che verrebbe rotto in forma assolutamente legittima. Grozio pensa pure che ciascuno potrebbe rinunciare allo Stato di cui è membro e riprendere, uscendo dal paese, la propria libertà naturale e i propri beni29. Ora, sarebbe assurdo che tutti i cittadini riuniti non potessero fare ciò che può fare ciascuno di essi separatamente.

LIVRE IV

CHAPITRE I

QUE LA VOLONTE GENERALE EST INDESTRUCTIBLE

Tant que plusieurs hommes réunis se considèrent comme un seul corps, ils n’ont qu’une seule volonté, qui se rapporte à la commune conservation, et au bien-être général. Alors tous les ressorts de l’Etat sont vigoureux et simples, ses maximes sont claires et lumineuses, il n’a point d’intérêts embrouillés, contradictoires, le bien commun se montre partout avec évidence, et ne demande que du bon sens pour être apperçu. La paix, l’union, l’égalité sont ennemies des subtilités politiques. Les hommes droits et simples sont difficiles à tromper à cause de leur simplicité, les leurres, les prétextes raffinés ne leur en imposent point; ils ne sont pas même assez fins pour être dupes. Quand on voit chez le plus heureux peuple du monde des troupes de paysans régler les affaires de l’Etat sous un chêne et se conduire toujours sagement, peut-on s’empêcher de mépriser les rafinements des autres nations, qui se rendent illustres et misérables avec tant d’art et de misteres? Un Etat ainsi gouverné a besoin de très peu de loix, et à mesure qu’il devient nécessaire d’en promulguer de nouvelles, cette nécessité se voit universellement. Le premier qui les propose ne fait que dire ce que tous ont déjà senti, et il n’est question ni de brigues ni d’éloquence pour faire passer en loi ce que chacun a déjà résolu de faire, sitôt qu’il sera sûr que les autres le feront comme lui. Ce qui trompe les raisonneurs c’est que ne voyant que des Etats mal constitués dès leur origine, ils sont frappés de l’impossibilité

LIBRO QUARTO

CAPITOLO PRIMO

LA VOLONTÀ GENERALE È INDISTRUTTIBILE

Finché parecchi uomini riuniti si considerano come un solo corpo, non hanno che una volontà che si riferisce alla comune conservazione e al benessere generale. Allora tutte le forze che muovono lo Stato sono vigorose e semplici, chiari e luminosi i suoi princìpi; niente interessi ingarbugliati e contraddittori, il bene comune si mostra dappertutto con evidenza e per essere scorto richiede solo il buon senso. La pace, l’unione, l’uguaglianza, sono nemiche delle sottigliezze politiche. Gli uomini retti e semplici sono difficili da ingannarsi per via della loro semplicità; le lusinghe e i pretesti raffinati con loro non hanno successo; non sono neanche abbastanza fini per essere tratti in inganno. Quando, presso il più felice popolo del mondo, vediamo gruppi di contadini regolare gli affari di Stato sotto una quercia e comportarsi sempre saggiamente, come possiamo impedirci di disprezzare le raffinatezze delle altre nazioni, che si rendono illustri e miserabili con tanta arte e tanti misteri? Uno Stato così governato ha bisogno di pochissime leggi, e via via che divien necessario promulgarne di nuove, questa necessità si impone a tutti. Il primo che le propone si limita a esprimere ciò che tutti hanno già pensato, e non c’è bisogno di brigare o di sfoggiare la propria eloquenza per far passare in legge ciò che ognuno ha già deciso di fare appena raggiunta la certezza che gli altri lo faranno al pari di lui. Ciò che trae in inganno coloro che filosofeggiano è che, vedendo solo Stati mal costituiti fin dall’origine, sono colpiti dall’impossi-

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d’y maintenir une semblable police. Ils rient d’imaginer toutes les sottises qu’un fourbe adroit, un parleur insinuant pourrait persuader au peuple de Paris ou de Londres. Ils ne savent pas que Cromwell eût été mis aux sonnettes par le peuple de Berne, et le duc de Beaufort à la discipline par les Genevois. Mais quand le noeud social commence à se relâcher et l’Etat à s’affaiblir; quand les intérêts particuliers commencent à se faire sentir et les petites sociétés à influer sur la grande, l’intérêt commun s’altère et trouve des opposants, l’unanimité ne règne plus dans les voix, la volonté générale n’est plus la volonté de tous, il s’élève des contradictions, des débats, et le meilleur avis ne passe point sans disputes. Enfin quand l’Etat près de sa ruine ne subsiste plus que par une forme illusoire et vaine, que le lien social est rompu dans tous les cours, que le plus vil intérêt se pare effrontément du nom sacré du bien public; alors la volonté générale devient muette, tous guidés par des motifs secrets n’opinent pas plus comme Citoyens que si l’Etat n’eût jamais existé, et l’on fait passer faussement sous le nom de loix des décrets iniques qui n’ont pour but que l’intérêt particulier. S’ensuit-il de là que la volonté générale soit anéantie ou corrompue? Non, elle est toujours constante, inaltérable et pure; mais elle est subordonnée à d’autres qui l’emportent sur elle. Chacun, détachant son intérêt de l’intérêt commun, voit bien qu’il ne peut l’en séparer tout à fait, mais sa part du mal public ne lui paroit rien, auprès du bien exclusif qu’il prétend s’approprier. Ce bien particulier excepté, il veut le bien général pour son propre intérêt tout aussi fortement qu’aucun autre. Même en vendant son suffrage à prix d’argent il n’éteint pas en lui la volonté générale, il l’élude. La faute qu’il commet est de changer l’état de la question et de répondre autre chose que ce qu’on lui demande: En sorte qu’au lieu de dire par son suffrage, Il est avantageux de l’Etat, il dit, Il est avantageux à tel homme ou à tel parti que tel ou tel avis passe. Ainsi la loi de l’ordre public dans les assemblées n’est pas tant d’y maintenir la volonté générale, que de faire qu’elle soit toujours interrogée et qu’elle réponde toujours. J’aurois ici bien des réflexions à faire sur le simple droit de voter dans tout acte de souveraineté; droit que rien ne peut ôter aux citoyens; et sur celui d’opiner, de proposer, de diviser, de discuter,

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bilità di mantenervi un simile ordinamento. Si divertono a immaginare tutte le sciocchezze che potrebbe far credere al popolo di Parigi o di Londra un abile briccone, un parlatore insinuante. Non sanno che il popolo di Berna avrebbe mandato Cromwell al penitenziario e il popolo di Ginevra avrebbe imprigionato il duca di Beaufort. Ma, quando il nodo sociale comincia ad allentarsi e lo Stato a indebolirsi, quando gl’interessi particolari cominciano a farsi sentire e le piccole società cominciano a premere sulla grande, l’interesse comune si altera e trova degli oppositori; l’unanimità non regna più nei voti; la volontà generale non è più la volontà di tutti; sorgono contraddizioni, contese e il miglior parere non passa senza discussione. Infine, quando lo Stato prossimo a rovina continua a esistere solo in forma illusoria e vana, quando il vincolo sociale è infranto in tutti i cuori, e il più vile interesse si adorna sfrontatamente del sacro nome di bene pubblico; allora la volontà generale diventa muta; tutti, guidati da motivi segreti, smettono di pensare come cittadini, facendo conto che lo Stato non sia mai esistito; e sotto il nome di legge si fanno passare falsamente dei decreti iniqui che hanno per fine solo l’interesse particolare. Ne consegue forse che la volontà generale sia annientata e corrotta? No, essa è sempre costante, inalterabile e pura; ma è subordinata ad altre volontà che la sopraffanno. Ciascuno, staccando il proprio interesse dall’interesse comune, si rende ben conto di non poterlo separare completamente, ma la sua parte del male pubblico non gli sembra nulla in confronto al bene esclusivo che pretende di appropriarsi. Prescindendo da questo bene particolare, vuole per il proprio interesse il bene generale con la stessa forza di tutti gli altri. Persino nel vendere il proprio voto per denaro non spegne in sé la volontà generale: la elude. Il suo errore consiste nel cambiare i termini del problema rispondendo a una domanda diversa da quella che gli viene proposta, dimodoché invece di dire col suo voto: È vantaggioso per lo Stato, dice: È vantaggioso per quel tale individuo o per quel tale partito che questa o quella decisione sia approvata. Quindi la legge dell’ordine pubblico nelle assemblee non è tanto di tutelarvi la volontà generale, quanto di fare che essa sia sempre interrogata e che risponda sempre. Qui avrei da fare molte riflessioni sul semplice diritto di votare in ogni atto di sovranità; diritto che niente può togliere ai cittadini; e su quello di opinare, proporre, distinguere e discutere che il go-

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que le Gouvernement a toujours grand soin de ne laisser qu’à ses membres; mais cette importante matière demanderoit un traité à part, et je ne puis tout dire dans celui-ci.

CHAPITRE II

DES SUFFRAGES

On voit par le chapitre précédent que la manière dont se traittent les affaires générales peut donner un indice assez sûr de l’état actuel des moeurs, et de la santé du corps politique. Plus le concert règne dans les assemblées, c’est-à-dire plus les avis approchent de l’unanimité, plus aussi la volonté générale est dominante; mais les longs débats, les dissentions, le tumulte, annoncent l’ascendant des intérêts particuliers et le déclin de l’Etat. Ceci paroit moins évident quand deux ou plusieurs ordres entrent dans sa constitution, comme à Rome les Patriciens et les Plébéiens, dont les querelles troublèrent souvent les comices, même dans les plus beaux temps de la République; mais cette exception est plus apparente que réelle; car alors par le vice inhérent au corps politique on a, pour ainsi dire, deux Etats en un; ce qui n’est pas vrai des deux ensemble est vrai de chacun séparément. Et en effet dans les temps même les plus orageux les plébiscites du peuple, quand le Sénat ne s’en mêloit pas, passoient toujours tranquillement et à la grande pluralité des suffrages: Les Citoyens n’ayant qu’un intérêt, le peuple n’avoit qu’une volonté. A l’autre extrémité du cercle l’unanimité revient. C’est quand les citoyens tombés dans la servitude n’ont plus ni liberté ni volonté. Alors la crainte et la flatterie changent en acclamations les suffrages; on ne délibère plus, on adore ou l’on maudit. Telle était la vile manière d’opiner du Sénat sous les Empereurs. Quelquefois cela se faisait avec des précautions ridicules: Tacite observe que sous Othon les Sénateurs, accablant Vitellius d’exécrations, affectoient de faire en même temps un bruit épouvantable, afin que, si par hasard il devenoit le maître, il ne pût savoir ce que chacun d’eux avoit dit. De ces diverses considérations naissent les maximes sur lesquelles on doit régler la manière de compter les voix et de compa-

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verno ha sempre gran cura di riservare esclusivamente ai suoi membri; ma si tratta di un argomento importante, che da solo richiederebbe un trattato, e in questo io non posso dar fondo a tutto.

CAPITOLO SECONDO

DEI SUFFRAGI

Dal capitolo precedente si vede che il modo di trattare gli affari generali può offrire un indice abbastanza sicuro dello stato attuale dei costumi e della salute del corpo politico. Quanto più accordo c’è nelle assemblee, ossia quanto più i pareri si accostano all’unanimità, tanto più anche si afferma il predominio della volontà generale; ma i lunghi dibattiti, i dissensi, il tumulto, rivelano il dilatarsi degli interessi particolari e il declino dello Stato. Questo appare con meno evidenza quando due o più ordini entrano nella sua costituzione, come a Roma i patrizi e i plebei, le cui contese turbarono spesso i comizi, anche nei tempi d’oro della repubblica; ma si tratta di un’eccezione più apparente che reale; infatti, allora, per il vizio inerente al corpo politico, si hanno, per così dire, due Stati in uno; ciò che non è vero dei due presi insieme, vale per ciascuno di essi separatamente. Infatti, anche nei momenti più tempestosi, i plebisciti del popolo, quando il senato non se ne ingeriva, si concludevano sempre tranquillamente e a grande maggioranza di voti. Avendo i cittadini un solo interesse, il popolo aveva una sola volontà. L’unanimità ricompare all’altra estremità del circolo. Quando i cittadini caduti in servitù non hanno più né libertà né volontà. Allora la paura e l’adulazione mutano le votazioni in acclamazioni; non si delibera più: o si adora o si maledice. Questa era la vile maniera di esprimere le opinioni adottata dal senato sotto gl’imperatori. Talvolta, per fare così, si ricorreva a precauzioni ridicole: Tacito osserva che sotto Otone i senatori, coprendo Vitellio di esecrazioni, nello stesso tempo cercavano di fare un rumore spaventoso, perché, se per caso egli fosse diventato il padrone, non potesse sapere ciò che aveva detto ciascuno di loro. Da queste diverse considerazioni nascono le norme su cui va regolata la maniera di contare i voti e di mettere a confronto le opi-

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rer les avis, selon que la volonté générale est plus ou moins facile à connaître, et l’Etat plus ou moins déclinant. Il n’y a qu’une seule loi qui par sa nature exige un consentement unanime. C’est le pacte social: car l’association civile est l’acte du monde le plus volontaire; tout homme étant né libre et maître de lui-même, nul ne peut, sous quelque prétexte que ce puisse être, l’assujettir sans son aveu. Décider que le fils d’une esclave naît esclave, c’est décider qu’il ne naît pas homme. Si donc lors du pacte social il s’y trouve des opposants, leur opposition n’invalide pas le contract, elle empêche seulement qu’ils n’y soient compris; ce sont des étrangers parmi les Citoyens. Quand l’Etat est institué le consentement est dans la résidence; habiter le territoire c’est se soumettre à la souveraineté 30. Hors ce contract primitif, la voix du plus grand nombre oblige toujours tous les autres; c’est une suite du contract même. Mais on demande comment un homme peut être libre, et forcé de se conformer à des volontés qui ne sont pas les siennes. Comment les opposants sont-ils libres et soumis à des loix auxquelles ils n’ont pas consenti? Je réponds que la question est mal posée. Le Citoyen consent à toutes les loix, même à celles qu’on passe malgré lui, et même à celles qui le punissent quand il ose en violer quelqu’une. La volonté constante de tous les membres de l’Etat est la volonté générale; c’est par elle qu’ils sont citoyens et libres31. Quand on propose une loi dans l’assemblée du Peuple, ce qu’on leur demande n’est pas précisément s’ils approuvent la proposition ou s’ils la rejettent, mais si elle est conforme ou non à la volonté générale qui est la leur; chacun en donnant son suffrage dit son avis là-dessus, et du calcul des voix se tire la déclaration de la volonté générale. Quand donc l’avis contraire au mien l’emporte, cela ne prouve autre chose sinon que je m’étois trompé, et que ce que j’estimois être la volonté générale ne l’étoit pas. Si mon avis particulier l’eût emporté, j’aurois fait autre chose que ce que j’avois voulu, c’est alors que je n’aurois pas été libre. Ceci suppose, il est vrai, que tous les caractères de la volonté générale sont encore dans la pluralité: quand ils cessent d’y être, quelque parti qu’on prenne il n’y a plus de liberté. En montrant ci-devant comment on substituoit des volontés particulières à la volonté générale dans les délibérations publiques, j’ai suffisamment indiqué les moyens praticables de prévenir cet

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nioni a seconda che la volontà generale sia più o meno facile da conoscersi e lo Stato più o meno in declino. C’è una sola legge che per sua natura esiga un consenso unanime: è il patto sociale; infatti l’associazione civile è, fra tutti, l’atto volontario per eccellenza; essendo l’uomo nato libero e signore di se stesso, nessuno può, sotto nessun pretesto, assoggettarlo senza il suo consenso. Decidere che il figlio di uno schiavo nasce schiavo è come decidere che non nasce uomo. Se pertanto, al momento del patto sociale, ci sono degli oppositori, la loro opposizione non invalida il contratto, solo impedisce che essi vi siano inclusi; sono degli stranieri in mezzo ai cittadini. Quando lo Stato è costituito il consenso si esprime nel risiedervi; abitare il territorio significa sottomettersi alla sovranità30. Al di fuori di questo contratto originario, la decisione della maggioranza obbliga sempre tutti gli altri; è una conseguenza del contratto stesso. Ma ci si chiede come un uomo possa esser libero e costretto a conformarsi a volontà diverse dalle sue. Come gli oppositori possono essere liberi e soggetti a leggi cui non hanno acconsentito? Rispondo che il problema è posto male. Il cittadino consente a tutte le leggi, anche a quelle che passano nonostante il suo voto contrario, anche a quelle che lo puniscono se egli osa violarne qualcuna. La volontà costante di tutti i membri dello Stato è la volontà generale; è la volontà generale che li fa cittadini e liberi31. Quando nell’assemblea del popolo si propone una legge ciò che si chiede loro non è precisamente se approvano o no la proposta, ma se questa è, o no, conforme alla volontà generale che è la loro volontà; ciascuno, votando, dice il suo parere in proposito, e dal computo dei voti si ricava la dichiarazione della volontà generale. Quando dunque prevale l’opinione contraria alla mia, ciò prova solo che mi ero sbagliato, e che credevo volontà generale ciò che non lo era. Se la mia opinione particolare si fosse imposta, avrei fatto cosa diversa da ciò che volevo: e allora non sarei stato libero. Questo presuppone, è vero, che tutti i caratteri della volontà generale siano ancora nella maggioranza; quando smettono di esserci, qualunque decisione si prenda non c’è più libertà. Mostrando prima come nelle deliberazioni pubbliche le volontà particolari si sostituivano alla volontà generale, ho indicato a sufficienza con quali mezzi si può prevenire un tale abuso; ne par-

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abus; j’en parlerai encore ci-après. A l’égard du nombre proportionnel des suffrages pour déclarer cette volonté, j’ai aussi donné les principes sur lesquels on peut le déterminer. La différence d’une seule voix rompt l’égalité, un seul opposant rompt l’unanimité; mais entre l’unanimité et l’égalité il y a plusieurs partages inégaux, à chacun desquels on peut fixer ce nombre selon l’état et les besoins du corps politique. Deux maximes générales peuvent servir à régler ces rapports: l’une, que plus les délibérations sont importantes et graves, plus l’avis qui l’emporte doit approcher de l’unanimité: l’autre, que plus l’affaire agitée exige de célérité, plus on doit resserrer la différence prescrite dans le partage des avis; dans les délibérations qu’il faut terminer sur-le-cham l’excédent d’une seule voix, doit suffire. La première de ces maximes paraît plus convenable aux loix, et la seconde aux affaires. Quoi qu’il en soit, c’est sur leur combinaison que s’établissent les meilleurs rapports qu’on peut donner à la pluralité pour prononcer.

CHAPITRE III

DES ELECTIONS

A l’égard des élections du prince et des Magistrats, qui sont, comme je l’ai dit, des actes complexes, il y a deux voyes pour y procéder; savoir, le choix et le sort. L’une et l’autre ont été employées en diverses Républiques, et l’on voit encore actuellement un mélange très compliqué des deux dans l’élection du doge de Venise. Le suffrage par le sort, dit Montesquieu, est de la nature de la Démocratie. J’en conviens, mais comment cela? Le sort, continue-t-il, est une façon d’élire qui n’afflige personne; il laisse à chaque Citoyen une espérance raisonnable de servir la patrie. Ce ne sont pas là des raisons. Si l’on fait attention que l’élection des chefs est une fonction du Gouvernement et non de la Souveraineté, on verra pourquoi la voye du sort est plus dans la nature de la Démocratie, où l’administration est d’autant meilleure que les actes en sont moins multipliés. Dans toute véritable Démocratie la magistrature n’est pas un avantage mais une charge onéreuse, qu’on ne peut justement im-

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lerò ancora prossimamente. Ho anche indicato le norme per determinare il numero proporzionale di voti richiesto per esprimere questa volontà. La differenza di un solo voto rompe l’uguaglianza; un solo oppositore rompe l’unanimità; ma fra l’unanimità e l’uguaglianza ci sono parecchie partizioni diverse in corrispondenza delle quali si può fissare questo numero a seconda della condizione e dei bisogni del corpo politico. Possono servire di regola a questi rapporti due norme generali: una, che quanto più le deliberazioni sono importanti e gravi tanto più l’opinione che prevale deve approssimarsi all’unanimità; l’altra, che più celerità esige l’affare discusso più deve ridursi la maggioranza richiesta nel confronto delle opinioni; nelle deliberazioni che richiedono conclusione immediata la maggioranza di un voto deve bastare. La prima norma sembra più conveniente alle leggi, la seconda agli affari. Comunque, sulla loro combinazione si fondano i migliori rapporti proporzionali per costituire una maggioranza che decida.

CAPITOLO TERZO

DELLE ELEZIONI

Quanto alle elezioni del principe e dei magistrati, che sono, come ho detto, atti complessi, si può procedere in due modi: la scelta e il sorteggio. L’uno e l’altro sono stati impiegati in diverse repubbliche, e ancora oggi, a Venezia, li vediamo intrecciarsi in modo complicatissimo nell’elezione del doge. L’elezione per sorteggio – dice Montesquieu – è di natura democratica. Lo ammetto; ma in che maniera? La sorte – continua – è una forma di elezione che non affligge nessuno; lascia a ciascun cittadino una ragionevole speranza di servire la patria. Ma queste non sono ragioni. Se si bada al fatto che l’elezione dei capi è una funzione del governo e non della sovranità, si vedrà perché il sistema del sorteggio è più rispondente alla natura della democrazia, dove l’amministrazione è tanto migliore quanto meno gli atti si moltiplicano. In ogni vera democrazia la magistratura non è un vantaggio, ma una carica onerosa, che non si può imporre secondo giustizia a un

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poser à un particulier plutôt qu’à un autre. La loi seule peut imposer cette charge à celui sur qui le sort tombera. Car alors la condition étant égale pour tous, et le choix ne dépendant d’aucune volonté humaine, il n’y a point d’application particulière qui altère l’universalité de la loi. Dans l’Aristocratie le Prince choisit le Prince, le Gouvernement se conserve par lui-même, et c’est là que les suffrages sont bien placés. L’exemple de l’élection du Doge de Venise confirme cette distinction loin de la détruire: Cette forme mêlée convient dans un Gouvernement mixte. Car c’est une erreur de prendre le Gouvernement de Venise pour une véritable Aristocratie. Si le Peuple n’y a nulle part au Gouvernement, la noblesse y est peuple elle-même. Une multitude de pauvres Barnabotes n’approcha jamais d’aucune magistrature, et n’a de sa noblesse que le vain titre d’Excellence et le droit d’assister au grand Conseil. Ce grand Conseil étant aussi nombreux que notre Conseil général à Genève, ses illustres membres n’ont pas plus de privilèges que nos simples Citoyens. Il est certain qu’ôtant l’extrême disparité des deux Républiques, la bourgeoisie de Genève représente exactement le Patriciat Vénitien, nos natifs et habitants représentent les citadins et le peuple de Venise, nos paysans représentent les sujets de terre ferme: enfin de quelque manière que l’on considère cette République, abstraction faite de sa grandeur, son Gouvernement n’est pas plus aristocratique que le nôtre. Toute la différence est que n’ayant aucun chef à vie, nous n’avons pas le même besoin du sort. Les élections par sort auroient peu d’inconvénient dans une véritable Démocratie où tout étant égal, aussi bien par les moeurs et par les talents que par les maximes et par la fortune, le choix deviendroit presque indifférent. Mais j’ai déjà dit qu’il n’y avoit point de véritable Démocratie. Quand le choix et le sort se trouvent mêlés, le premier doit remplir les places qui demandent des talents propres, telles que les emplois militaires; l’autre convient à celles où suffisent le bon sens, la justice, l’intégrité, telles que les charges de judicature; parce que dans un Etat bien constitué ces qualités sont communes à tous les Citoyens. Le sort ni les suffrages n’ont aucun lieu dans le Gouvernement monarchique. Le Monarque étant de droit seul Prince et Magistrat unique, le choix de ses lieutenants n’appartient qu’à lui. Quand l’Abbé de Saint-Pierre proposoit de multiplier les Conseils du Roi

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individuo piuttosto che a un altro. Solo la legge può imporre quest’onere a colui sul quale la sorte cadrà. Allora infatti, essendo la condizione uguale per tutti, e non dipendendo la scelta da nessuna volontà umana, non interviene nessuna applicazione particolare che alteri l’universalità della legge. Nell’aristocrazia il principe sceglie il principe, il governo si conserva da sé, e là i suffragi sono ben collocati. L’esempio dell’elezione del doge di Venezia conferma questa distinzione anziché distruggerla: questa forma mista si addice a un governo misto. Perché è un errore confondere il governo di Venezia con una aristocrazia vera e propria. Se là il popolo non partecipa per nulla al governo, è popolo la nobiltà stessa. Una moltitudine di poveri Barnabotti non si è mai accostata ad alcuna magistratura e della sua nobiltà ha solo il vano titolo di eccellenza e il diritto di assistere al Gran Consiglio. Questo Gran Consiglio, così numeroso come il nostro Consiglio Generale di Ginevra, non conferisce ai suoi illustri membri maggiori privilegi di quelli che spettano ai nostri semplici cittadini. È certo che, prescindendo dall’estrema disparità delle due repubbliche, la borghesia di Ginevra corrisponde esattamente al patriziato veneziano; i nostri nativi e i nostri abitanti corrispondono ai cittadini e al popolo di Venezia; i nostri contadini corrispondono ai sudditi di terraferma; infine, comunque si giudichi questa repubblica, fatta astrazione dalla sua grandezza, il suo governo non è più aristocratico del nostro. La differenza sta tutta nel fatto che, non avendo nessun capo a vita, noi non abbiamo lo stesso bisogno di ricorrere alla sorte. Le elezioni per sorteggio avrebbero pochi inconvenienti in una vera democrazia dove una totale uguaglianza, sia di costumi e di capacità, come di princìpi e di fortuna, renderebbe la scelta quasi indifferente. Ma, come ho già detto, vere democrazie non ne esistono. Quando la scelta e la sorte si trovano mescolate, la prima deve coprire i posti che richiedono capacità specifiche, come gli uffici militari; l’altra si addice alle cariche dove bastano buon senso, giustizia, integrità, come le cariche giudiziarie; perché in uno Stato ben costituito queste qualità sono comuni a tutti i cittadini. Nel governo monarchico non hanno luogo né sorteggi né votazioni. Il monarca, essendo di diritto unico principe ed unico magistrato, la scelta dei suoi luogotenenti spetta solo a lui. Quando l’abate di Saint-Pierre proponeva di moltiplicare i consigli del re di

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de France et d’en élire les membres par Scrutin, il ne voyoit pas qu’il proposoit de changer la forme du Gouvernement. Il me resteroit à parler de la manière de donner et de recueillir les voix dans l’assemblée du peuple; mais peut-être l’historique de la police Romaine à cet égard expliquera-t-il plus sensiblement toutes les maximes que je pourrois établir. Il n’est pas indigne d’un lecteur judicieux de voir un peu en détail comment se traittoient les affaires publiques et particulières dans un Conseil de deux cent mille hommes.

CHAPITRE IV

DES COMICES ROMAINS

Nous n’avons nuls monumens bien assurés des premiers tems de Rome; il y a même grande apparence que la plupart des choses qu’on en débite sont des fables32; et en général la partie la plus instructive des annales des peuples, qui est l’histoire de leur établissement, est celle qui nous manque le plus. L’expérience nous apprend tous les jours de quelles causes naissent les révolutions des empires; mais comme il ne se forme plus de peuples, nous n’avons gueres que des conjectures pour expliquer comment ils se sont formés. Les usages qu’on trouve établis attestent au moins qu’il y eut une origine à ces usages. Des traditions qui remontent à ces origines, celles qu’appuyent les plus grandes autorités et que de plus fortes raisons confirment doivent passer pour les plus certaines. Voilà les maximes que j’ai tâché de suivre en recherchant comment le plus libre et le plus puissant peuple de la terre exerceoit son pouvoir suprême. Après la fondation de Rome la République naissante, c’est-àdire, l’armée du fondateur, composée d’Albains, de Sabins, et d’étrangers, fut divisée en trois classes, qui de cette division prirent le nom de Tribus. Chacune de ces Tribus fut subdivisée en dix Curies, et chaque Curie en Décuries, à la tête desquelles on mit des chefs appelés Curions et Décurions. Outre cela on tira de chaque Tribu un corps de cent Cavaliers ou Chevaliers, appelé Centurie: par où l’on voit que ces divisions, peu nécessaires dans un bourg, n’étoient d’abord que militaires. Mais il semble qu’un instinct de grandeur portoit la petite ville de Rome à se donner d’avance une police convenable à la capitale du monde.

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Francia e di eleggerne i membri per via di scrutinio, non si rendeva conto che proponeva di mutare la forma di governo. Mi resterebbe da parlare del modo di votare e di raccogliere i voti nell’assemblea del popolo; ma forse la storia della costituzione romana a questo proposito spiegherà in modo più evidente tutti i princìpi che potrei stabilire io. Non è male che un lettore assennato veda un po’ dettagliatamente come si trattavano gli affari pubblici e privati in un consiglio di duecentomila uomini.

CAPITOLO QUARTO

DEI COMIZI ROMANI

Sui primi tempi di Roma manchiamo di documenti sicuri; è anche molto probabile che la maggior parte delle cose che si raccontano siano favole32; e, in genere, quella che più ci manca è la parte più istruttiva degli annali dei popoli, cioè la storia del loro costituirsi. L’esperienza c’insegna quotidianamente da quali cause nascono le rivelazioni degl’imperi; ma poiché non si formano più dei popoli, per spiegarci come si sono formati in passato non ci resta che affidarci alle congetture. Le usanze che troviamo stabilite attestano almeno che il loro affermarsi ha radice in un’origine. Fra le tradizioni che risalgono a queste origini vanno considerate più certe quelle che trovano appoggio nelle maggiori autorità e conferma nelle ragioni più valide. Ecco i princìpi che ho cercato di seguire nel ricercare come il popolo più libero e potente della terra esercitava il suo potere supremo. Dopo la fondazione di Roma la repubblica nascente, cioè l’esercito del fondatore, composto di Albani, di Sabini e di stranieri, fu diviso in tre classi che da questa divisione presero il nome di tribù. Ognuna di tali tribù fu divisa in dieci curie, e ogni curia in decurie, alla cui testa furono messi dei capi chiamati curioni e decurioni. Inoltre da ogni tribù si trasse un corpo di cento cavalleggeri o cavalieri chiamato centuria: di qui si vede che queste divisioni, poco necessarie in un borgo, in origine avevano solo carattere militare. Ma pare che un istinto di grandezza portasse la piccola città di Roma a darsi in anticipo degli ordinamenti adatti alla capitale del mondo.

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De ce premier partage résulta bientôt un inconvénient. C’est que la Tribu des Albains33 et celle des Sabins34 restant toujours au même état, tandis que celle des étrangers35 croissoit sans cesse par le concours perpétuel de ceux-ci, cette dernière ne tarda pas à surpasser les deux autres. Le remède que Servius trouva à ce dangereux abus fut de changer la division, et à celle des races, qu’il abolit, d’en substituer une autre tirée des lieux de la ville occupés par chaque Tribu. Au lieu de trois Tribus il en fit quatre; chacune desquelles occupoit une des collines de Rome et en portait le nom. Ainsi remédiant à l’inégalité présente il la prévint encore pour l’avenir; et afin que cette division ne fût pas seulement de lieux mais d’hommes, il défendit aux habitants d’un quartier de passer dans un autre, ce qui empêcha les races de se confondre. Il doubla aussi les trois anciennes centuries de Cavalerie et y en ajouta douze autres, mais toujours sous les anciens noms; moyen simple et judicieux par lequel il acheva de distinguer le corps des Chevaliers de celui du Peuple, sans faire murmurer ce dernier. A ces quatre Tribus urbaines Servius en ajouta quinze autres appelées Tribus rustiques, parce qu’elles étoient formées des habitants de la campagne, partagés en autant de cantons. Dans la suite on en fit autant de nouvelles, et le Peuple romain se trouva enfin divisé en trente-cinq Tribus; nombre auquel elles restèrent fixées jusqu’à la fin de la République. De cette distinction des Tribus de la Ville et des Tribus de la campagne résulta un effet digne d’être observé, parce qu’il n’y en a point d’autre exemple, et que Rome lui dut à la fois la conservation de ses moeurs et l’accroissement de son empire. On croiroit que les Tribus urbaines s’arrogèrent bientôt la puissance et les honneurs, et ne tardèrent pas d’avilir les Tribus rustiques; ce fut tout le contraire. On connoit le goût des premiers Romains pour la vie champêtre. Ce goût leur venoit du sage instituteur qui unit à la liberté les travaux rustiques et militaires, et reléga pour ainsi dire à la ville les arts, les métiers, l’intrigue, la fortune et l’esclavage. Ainsi tout ce que Rome avait d’illustre vivant aux champs et cultivant les terres, on s’accoutuma à ne chercher que là les soutiens de la République. Cet état étant celui des plus dignes Patriciens fut honoré de tout le monde: la vie simple et laborieuse des Villageois fut préférée à la vie oisive et lâche des Bourgeois de Rome, et tel

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Da questa prima partizione venne molto presto un inconveniente: che, mentre le tribù degli Albani33 e quella dei Sabini34 restavano sempre stazionarie, la tribù degli stranieri35, per il continuo afflusso di questi, cresceva senza posa, non tardando a superare le altre due. Il rimedio che Servio trovò a questo pericoloso abuso fu di modificare la suddivisione e a quella per razze, che abolì, ne sostituì un’altra tratta dai luoghi della città occupati da ciascuna tribù. Invece di tre tribù ne istituì quattro, ognuna delle quali occupava uno dei colli di Roma portandone il nome. Così, oltre a rimediare alla disuguaglianza presente prevenne quella avvenire; e, perché la divisione non fosse soltanto di luoghi ma anche di uomini, proibì agli abitanti di un quartiere di trasferirsi in un altro; ciò che impedì alle razze di confondersi. Raddoppiò anche le tre antiche centurie di cavalleria e ve ne aggiunse altre dodici, ma sempre sotto i vecchi nomi; mezzo semplice ed assennato con cui finì di distinguere il corpo dei cavalieri da quello del popolo senza suscitare scontento in quest’ultimo. A queste quattro tribù urbane Servio ne aggiunse altre quindici chiamate tribù rustiche perché erano formate dagli abitanti della campagna, suddivisi in altrettanti cantoni. In seguito se ne fecero altrettante di nuove, e il popolo romano, alla fine, si ritrovò diviso in trentacinque tribù; numero che si mantenne immutato sino alla fine della repubblica. Da questa distinzione fra tribù di città e tribù di campagna venne una conseguenza che merita attenzione, perché è l’unico esempio del caso e perché Roma le dovette a un tempo la conservazione dei suoi costumi e l’accrescimento del suo impero. Si crederebbe che le tribù urbane dovessero in breve arrogarsi la potenza e gli onori, non tardando a porre le tribù rustiche in condizione d’inferiorita; invece accadde proprio il contrario. È nota l’inclinazione degli antichi romani per la vita campestre. Traevano questa inclinazione dal saggio fondatore che unì alla libertà i lavori dei campi e le attività militari, relegando per così dire in città le arti, i mestieri, l’intrigo, la fortuna e la schiavitù. Quindi, poiché i personaggi più illustri che Roma avesse vivevano in campagna e coltivavano la terra, si prese l’abitudine di andare a cercare soltanto lì i pilastri della repubblica. Questa condizione, appartenendo ai patrizi più degni, fu onorata da tutti; la vita semplice e laboriosa dei campagnoli fu preferita alla vita oziosa

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n’eût été qu’un malheureux prolétaire à la ville, qui, laboureur aux champs, devint un Citoyen respecté. Ce n’est pas sans raison, disoit Varron, que nos magnanimes ancêtres établirent au Village la pépinière de ces robustes et vaillants hommes qui les défendoient en temps de guerre et les nourrissoient en temps de paix. Pline dit positivement que les Tribus des champs étoient honorées à cause des hommes qui les composoient; au lieu qu’on transféroit par ignominie dans celles de la ville les lâches qu’on vouloit avilir. Le Sabin Appius Claudius étant venu s’établir à Rome y fut comblé d’honneurs et inscrit dans une Tribu rustique qui prit dans la suite le nom de sa famille. Enfin les affranchis entroient tous dans les Tribus urbaines, jamais dans les rurales; et il n’y a pas durant toute la République un seul exemple d’aucun de ces affranchis parvenu à aucune magistrature, quoique devenu Citoyen. Cette maxime était excellente; mais elle fut poussée si loin qu’il en résulta enfin un changement et certainement un abus dans la police. Premièrement, les Censeurs, après s’être arrogé longtemps le droit de transférer arbitrairement les citoyens d’une Tribu à l’autre, permirent à la plupart de se faire inscrire dans celle qui leur plaisoit; permission qui sûrement n’étoit bonne à rien, et ôtoit un des grands ressorts de la censure. De plus, les Grands et les puissants se faisant tous inscrire dans les Tribus de la campagne, et les affranchis devenus Citoyens restant avec la populace dans celles de la ville, les Tribus en général n’eurent plus de lieu ni de territoire; mais toutes se trouvèrent tellement mêlées qu’on ne pouvoit plus discerner les membres de chacune que par les registres, en sorte que l’idée du mot Tribu passa ainsi du réel au personnel ou, plutôt, devint presque une chimère. Il arriva encore que les Tribus de la ville, étant plus à portée, se trouvèrent souvent les plus fortes dans les comices, et vendirent l’Etat à ceux qui daignoient acheter les suffrages de la canaille qui les composoit. A l’égard des Curies, l’instituteur en ayant fait dix en chaque Tribu, tout le peuple romain alors renfermé dans les murs de la ville se trouva composé de trente Curies, dont chacune avait ses temples, ses Dieux, ses officiers, ses prêtres, et ses fêtes appelées compitalia, semblables aux Paganalia qu’eurent dans la suite les Tribus rustiques.

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e molle dei borghesi di Roma; un uomo che in città sarebbe stato solo un disgraziato proletario, nel lavoro dei campi, diventava un cittadino rispettabile. Non a caso, diceva Varrone, i nostri magnanimi antenati posero in campagna il vivaio di quegli uomini robusti e valorosi che in tempo di guerra li difendevano e in tempo di pace li nutrivano. Plinio dice positivamente che le tribù rustiche erano onorate a cagione degli uomini di cui si componevano; mentre, in segno d’ignominia, si trasferivano nelle tribù urbane i vili che si volevano umiliare. Il sabino Appio Claudio, essendosi venuto a stabilire a Roma, fu colmato di onori e iscritto in una tribù rustica che prese poi il nome della sua famiglia. Infine gli schiavi affrancati entravano tutti nelle tribù urbane, mai nelle rurali; e non vi è in tutto il periodo repubblicano un solo esempio di nessuno fra questi liberti che, pur essendo divenuto cittadino, sia giunto a una magistratura. Era un principio eccellente, ma fu spinto così lontano che finì col derivarne un mutamento e certo un abuso nella costituzione. Per prima cosa i censori, dopo essersi arrogati a lungo il diritto di trasferire arbitrariamente i cittadini da una tribù all’altra, permisero alla maggior parte di iscriversi in quella che preferivano; concessione che certamente non portava nessun vantaggio e che sottraeva alla censura una delle sue maggiori forze. Inoltre, i grandi e i potenti facendosi iscrivere tutti nelle tribù di campagna, e restando i liberti divenuti cittadini in quelle urbane con la plebaglia, le tribù in genere non ebbero più né luogo né territorio, e si trovarono tutte così mescolate che si potevano distinguere i membri di ciascuna solo ricorrendo ai registri, in modo che l’idea contenuta nella parola tribù passò da un significato reale a un significato individuale, o meglio diventò quasi una chimera. Accadde pure che le tribù urbane, essendo più a portata di mano, si trovarono spesso a essere le più forti nei comizi e vendettero lo Stato a chi si abbassava a comprare i voti della canaglia di cui erano composte. Quanto alle curie, poiché chi le aveva istituite ne aveva create dieci per tribù, tutto il popolo romano allora compreso tra le mura della città si trovò ad essere composto di trenta curie, ciascuna coi suoi templi coi suoi dèi, i suoi funzionari, i suoi sacerdoti e le sue feste dette compitalia, simili ai paganalia istituiti in seguito nelle tribù rustiche.

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Au nouveau partage de Servius ce nombre de trente ne pouvant se répartir également dans ses quatre Tribus, il n’y voulut point toucher, et les Curies indépendantes des Tribus devinrent une autre division des habitants de Rome: Mais il ne fut point question de Curies ni dans les Tribus rustiques ni dans le peuple qui les composait, parce que les Tribus étant devenues un établissement purement civil, et une autre police ayant été introduite pour la levée des troupes, les divisions militaires de Romulus se trouvèrent superflues. Ainsi, quoique tout Citoyen fût inscrit dans une Tribu, il s’en fallait beaucoup que chacun ne le fût dans une Curie. Servius fit encore une troisième division qui n’avait aucun rapport aux deux précédentes, et devint par ses effets la plus importante de toutes. Il distribua tout le peuple romain en six classes, qu’il ne distingua ni par le lieu ni par les hommes, mais par les biens: En sorte que les premières classes étoient remplies par les riches, les dernières par les pauvres, et les moyennes par ceux qui jouissoient d’une fortune médiocre. Ces six classes étoient subdivisées en 193 autres corps appelés centuries, et ces corps étoient tellement distribués que la première Classe en comprenoit seule plus de la moitié, et la dernière n’en formoit qu’un seul. Il se trouva ainsi que la Classe la moins nombreuse en hommes l’étoit le plus en centuries, et que la dernière classe entière n’étoit comptée que pour une subdivision, bien qu’elle contînt seule plus de la moitié des habitants de Rome. Afin que le peuple pénétrât moins les conséquences de cette dernière forme, Servius affecta de lui donner un air militaire: il inséra dans la seconde classe deux centuries d’armuriers, et deux d’instruments de guerre dans la quatrième. Dans chaque Classe, excepté la dernière, il distingua les jeunes et les vieux, c’est-à-dire ceux qui étoient obligés de porter les armes, et ceux que leur âge en exemptoit par les loix; distinction qui plus que celle des biens produisit la nécessité de recommencer souvent le cens ou dénombrement. Enfin il voulut que l’assemblée se tînt au champ de Mars, et que tous ceux qui étoient en âge de servir y vinssent avec leurs armes. La raison pour laquelle il ne suivit pas dans la dernière classe cette même division des jeunes et des vieux, c’est qu’on n’accordoit point à la populace dont elle étoit composée l’honneur de porter les armes pour la patrie; il falloit avoir des foyers pour obtenir le droit de les défendre, et de ces innombrables troupes de gueux dont brillent aujourd’hui les armées des Rois, il n’y en a pas un, peut-être, qui n’eût été chassé avec dédain d’une co-

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Quando Servio introdusse la nuova suddivisione, non potendo questo numero di trenta dividersi ugualmente tra le sue quattro tribù, non volle manometterlo e le curie indipendenti dalle tribù diventarono un’altra suddivisione degli abitanti di Roma. Ma non si parlò di curie né a proposito delle tribù né a proposito della popolazione che le componeva, perché, essendo le tribù diventate istituzioni a carattere puramente civile, ed essendo stati introdotti nuovi ordinamenti per la leva delle truppe, le divisioni militari di Romolo divennero superflue. Quindi, benché ogni cittadino fosse iscritto in una tribù, non era affatto detto che fosse iscritto in una curia. Servio aggiunse una terza suddivisione che non aveva rapporto alcuno con le due precedenti, e che per le sue conseguenze diventò la più importante di tutte. Distribuì tutto il popolo romano in sei classi, con un criterio che non si fondava né sul luogo né sugli uomini, ma sui beni: dimodoché le prime classi comprendevano i ricchi, le ultime i poveri, e le medie quelli di media condizione economica. Le sei classi si suddividevano in altri 193 corpi detti centurie, e questi corpi erano ripartiti in modo che la prima classe da sola ne comprendeva più della metà, mentre l’ultima formava un corpo unico. Così accadde che la classe che includeva meno uomini fosse quella che includeva più centurie, e che l’ultima classe nella sua totalità venisse contata per una centuria sola, pur contenendo, da sola, più della metà degli abitanti di Roma. Perché il popolo si rendesse meno conto delle conseguenze di quest’ultima forma, Servio affettò di darle un’aria militare inserendo nella seconda classe due centurie di armaioli e nella quarta due di strumenti di guerra; in ciascuna classe, eccetto che nell’ultima, distinse i giovani dai vecchi, cioè quelli che erano obbligati a portare le armi da quelli che, per legge, ne erano esentati per età; distinzione che, più di quella dei beni, comportò la necessità di rinnovare spesso il censimento o conteggio; volle infine che l’assemblea si tenesse al campo di Marte e che quanti erano in età di servizio militare vi partecipassero portando le loro armi. La ragione per cui nell’ultima classe non seguì il medesimo criterio di divisione in giovani e vecchi, è che alla plebaglia di cui essa si componeva non si accordava l’onore di portare le armi per la patria; bisognava avere dei focolari per ottenere il diritto di difenderli; e nelle innumerevoli accolte di pezzenti per cui brillano oggi gli eserciti dei re non c’è forse nessuno che una coorte romana non

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horte romaine, quand les soldats étoient les défenseurs de la liberté. On distingua pourtant encore dans la dernière classe les prolétaires de ceux qu’on appelait capite censi. Les premiers, non tout à fait réduits à rien, donnoient au moins des citoyens à l’Etat, quelquefois même des soldats dans les besoins pressants. Pour ceux qui n’avoient rien du tout et qu’on ne pouvoit dénombrer que par leurs têtes, ils étoient tout à fait regardés comme nuls, et Marius fut le premier qui daigna les enrôler. Sans décider ici si ce troisième dénombrement étoit bon ou mauvais en lui-même, je crois pouvoir affirmer qu’il n’y avoit que les moeurs simples des premiers Romains, leur désintéressement, leur goût pour l’agriculture, leur mépris pour le commerce et pour l’ardeur du gain, qui pussent le rendre praticable. Où est le peuple moderne chez lequel la dévorante avidité, l’esprit inquiet, l’intrigue, les déplacemens continuels, les perpétuelles révolutions des fortunes pussent laisser durer vingt ans un pareil établissement sans bouleverser tout l’Etat? Il faut même bien remarquer que les moeurs et la censure plus fortes que cette institution en corrigèrent le vice à Rome, et que tel riche se vit relégué dans la classe des pauvres, pour avoir trop étalé sa richesse. De tout ceci l’on peut comprendre aisément pourquoi il n’est presque jamais fait mention que de cinq classes, quoiqu’il y en eût réellement six. La sixième, ne fournissant ni soldats à l’armée ni votants au champ de Mars36 et n’étant presque d’aucun usage dans la République, étoit rarement comptée pour quelque chose. Telles furent les différentes divisions du peuple romain. Voyons à présent l’effet qu’elles produisoient dans les assemblées. Ces assemblées légitimement convoquées s’appelaient Comices; elles se tenoient ordinairement dans la place de Rome au champ de Mars, et se distinguoient en Comices par Curies, Comices par Centuries, et Comices par Tribus, selon celle de ces trois formes sur laquelle elles étoient ordonnées: les Comices par Curies étaient de l’institution de Romulus, ceux par Centuries de Servius, ceux par Tribus des Tribuns du peuple. Aucune loi ne recevait la sanction, aucun magistrat n’étoit élu que dans les Comices, et comme il n’y avait aucun Citoyen qui ne fût inscrit dans une Curie, dans une Centurie, ou dans une Tribu, il s’ensuit qu’aucun Citoyen n’était exclu du droit de suffrage, et que le Peuple romain était véritablement Souverain de droit et de fait.

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avrebbe cacciato con disprezzo quando i soldati erano i difensori della libertà. Tuttavia anche nell’ultima classe si distinsero i proletari da quelli che si chiamavano capite censi. I primi, che non erano del tutto nullatenenti, davano almeno cittadini allo Stato, e qualche volta anche soldati, in caso di necessità urgente. Quanto a coloro che non avevano nulla del tutto e che potevano solo essere censiti per teste, erano considerati proprio niente, e Mario fu il primo che si degnò di arruolarli. Senza stare a decidere qui se questo terzo censimento fosse per se stesso buono o cattivo, credo si possa affermare che solo la semplicità di costume dei primi Romani, il loro disinteresse, la loro inclinazione per l’agricoltura, il loro disprezzo per il commercio e per l’avidità di guadagno, potevano consentire di metterlo in pratica. Dove mai troveremo un popolo moderno presso cui la vorace avidità, lo spirito inquieto, l’intrigo, i continui spostamenti, gl’incessanti rivolgimenti delle fortune potrebbero lasciar durare vent’anni un simile assetto senza mettere a soqquadro tutto lo Stato? Va anche sottolineato che a Roma i costumi e la censura, più forti di questa istituzione, ne corressero il vizio, e ci furono dei ricchi che si videro relegati nella classe dei poveri per aver fatto troppa pompa della loro ricchezza. Da tutto ciò è facile capire perché quasi mai si fa menzione di più di cinque classi, per quanto in realtà ce ne fossero sei. La sesta, non fornendo né soldati all’esercito né votanti al campo di Marte, e non svolgendo quasi nessuna funzione nella repubblica, raramente contava per qualche cosa. Tali furono le diverse suddivisioni del popolo romano. Vediamo ora che effetto producevano nelle assemblee. Queste assemblee legittimamente convocate si chiamavano comizi; si tenevano ordinariamente nella piazza di Roma o al campo di Marte36, e si distinguevano in comizi per curie, comizi per centurie e comizi per tribù, a seconda di quella delle tre forme in base a cui erano ordinati; i comizi per curie erano istituzione di Romolo, quelli per centurie di Servio, quelli per tribù dei tribuni del popolo. Non c’era legge che venisse sanzionata, non c’era magistrato che venisse eletto se non nei comizi, e, non essendovi nessun cittadino che non fosse iscritto in una curia, in una centuria o in una tribù, ne veniva di conseguenza che nessun cittadino era escluso dal diritto di voto e che il popolo romano era davvero sovrano di diritto e di fatto.

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Pour que les Comices fussent légitimement assemblés et que ce qui s’y faisoit eût force de loi il faloit trois conditions: la première que le corps ou le Magistrat qui les convoquoit fût revêtu pour cela de l’autorité nécessaire; la seconde que l’assemblée se fît un des jours permis par la loi; la troisième que les augures fussent favorables. La raison du premier règlement n’a pas besoin d’être expliquée. Le second est une affaire de police; ainsi il n’étoit pas permis de tenir les Comices les jours de férie et de marché, où les gens de la campagne venant à Rome pour leurs affaires n’avoient pas le temps de passer la journée dans la place publique. Par le troisième le Sénat tenoit en bride un peuple fier et remuant, et tempéroit à propos l’ardeur des Tribuns séditieux; mais ceux-ci trouvèrent plus d’un moyen de se délivrer de cette gêne. Les loix et l’élection des chefs n’étoient pas les seuls points soumis au jugement des Comices: Le peuple romain ayant usurpé les plus importantes fonctions du Gouvernement, on peut dire que le sort de l’Europe était réglé dans ses assemblées. Cette variété d’objets donnoit lieu aux diverses formes que prenoient ces assemblées selon les matières sur lesquelles il avoit à prononcer. Pour juger de ces diverses formes il suffit de les comparer. Romulus en instituant les Curies avait en vue de contenir le Sénat par le peuple et le Peuple par le Sénat, en dominant également sur tous. Il donna donc au peuple par cette forme toute l’autorité du nombre pour balancer celle de la puissance et des richesses qu’il laissoit aux Patriciens. Mais selon l’esprit de la Monarchie, il laissa cependant plus d’avantage aux Patriciens par l’influence de leurs Cliens sur la pluralité des suffrages. Cette admirable institution des Patrons et des Cliens fut un chef-d’oeuvre de politique et d’humanité, sans lequel le Patriciat, si contraire à l’esprit de la République, n’eût pu subsister. Rome seule a eu l’honneur de donner au monde ce bel exemple, duquel il ne résulta jamais d’abus, et qui pourtant n’a jamais été suivi. Cette même forme des Curies ayant subsisté sous les Rois jusqu’à Servius, et le règne du dernier Tarquin n’étant point compté pour légitime, cela fit distinguer généralement les loix royales par le nom de leges curiatae.

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Per conferire legittimità alla riunione dei comizi e perché ciò che vi si decideva avesse valore di legge occorrevano tre condizioni: la prima che il corpo o il magistrato che li convocava rivestisse l’autorità necessaria allo scopo; la seconda che l’assemblea si tenesse in uno dei giorni permessi dalla legge; la terza che gli auspici fossero favorevoli. La ragione della prima regola non ha bisogno di essere spiegata; la seconda rientra nella costituzione; così non era permesso tenere comizi nei giorni di festa e di mercato, quando la gente di campagna, venendo a Roma per i suoi affari, non aveva tempo di passare la giornata sulla pubblica piazza; per mezzo della terza il senato teneva a freno un popolo fiero e irrequieto, e temperava opportunamente l’ardore dei tribuni turbolenti; ma questi trovarono più d’una maniera di aggirare l’ostacolo. Le leggi e l’elezione dei capi non erano le sole cose sottoposte al giudizio dei comizi; avendo il popolo romano usurpato le più importanti funzioni del governo, si può dire che nelle sue assemblee si regolasse la sorte dell’Europa. Tale varietà di questioni dava luogo alle diverse forme che le assemblee assumevano a seconda della materia di cui dovevano decidere. Per giudicare di queste diverse forme basta paragonarle. Romolo, istituendo le curie, aveva in mente di tenere a freno il senato per mezzo del popolo e il popolo per mezzo del senato, mantenendo su tutti uguale dominio. Con questa forma accordò dunque al popolo tutta l’autorità del numero per far da contrappeso a quella della potenza e delle ricchezze che lasciava ai patrizi. Ma in conformità dello spirito della monarchia lasciò, tuttavia, una posizione di vantaggio ai patrizi per via dell’influenza dei loro clienti sulla maggioranza dei suffragi. Quest’ammirabile istituzione, dei patroni e dei clienti, fu un capolavoro di politica e d’umanità, senza cui il patriziato, tanto contrario allo spirito della repubblica, non avrebbe potuto sussistere. Solo Roma ha avuto l’onore di offrire al mondo questo bell’esempio, che non ha mai dato luogo ad abusi e che tuttavia non è stato mai seguito. Essendo questa medesima forma delle curie durata sotto i re fino a Servio, e non essendo stato considerato legittimo il regno dell’ultimo Tarquinio, ne venne la consuetudine di distinguere in generale le leggi regie col nome di leges curiatae.

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Sous la République les Curies, toujours bornées aux quatre Tribus urbaines, et ne contenant plus que la populace de Rome, ne pouvoient convenir ni au Sénat qui étoit à la tête des Patriciens, ni aux Tribuns qui, quoique Plébeyens, étoient à la tête des citoyens aisés. Elles tombèrent donc dans le discrédit, et leur avilissement fut tel, que leurs trente Licteurs assemblés faisaient ce que les comices par Curies auraient dû faire. La division par Centuries était si favorable à l’Aristocratie qu’on ne voit pas d’abord comment le Sénat ne l’emportoit pas toujours dans les comices qui portoient ce nom, et par lesquels étoient élus les Consuls, les Censeurs, et les autres Magistrats curules. En effet des cent quatre-vingt-treize centuries qui formaient les six Classes de tout le Peuple romain, la première Classe en comprenant quatrevingt-dix-huit, et les voix ne se comptant que par Centuries, cette seule première Classe l’emportait en nombre de voix sur toutes les autres. Quand toutes ses Centuries etoient d’accord on ne continuoit pas même à recueillir les suffrages; ce qu’avoit décidé le plus petit nombre passoit pour une décision de la multitude, et l’on peut dire que dans les Comices par Centuries les affaires se régloient à la pluralité des écus bien plus qu’à celle des voix. Mais cette extrême autorité se tempéroit par deux moyens. Premièrement les Tribuns pour l’ordinaire, et toujours un grand nombre de Plébeyens, étant dans la classe des riches balançoient le crédit des Patriciens dans cette première classe. Le second moyen consistoit en ceci, qu’au lieu de faire d’abord voter les Centuries selon leur ordre, ce qui auroit toujours fait commencer par la première, on en tiroit une au sort, et celle-là37 procédoit seule à l’élection; après quoi toutes les Centuries appelées un autre jour selon leur rang répétoient la même élection et la confirmoient ordinairement. On ôtait ainsi l’autorité de l’exemple au rang pour la donner au sort selon le principe de la Démocratie. Il résultoit de cet usage un autre avantage encore; c’est que les Citoyens de la campagne avoient le temps entre les deux élections de s’informer du mérite du Candidat provisionnellement nommé, afin de ne donner leur voix qu’avec connoissance de cause. Mais sous prétexte de célérité l’on vint à bout d’abolir cet usage, et les deux élections se firent le même jour. Les Comices par Tribus étaient proprement le Conseil du peuple romain. Ils ne se convoquoient que par les Tribuns; les Tribuns y étoient élus et y passoient leurs plébiscites. Non seulement

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In periodo repubblicano le curie, sempre limitate alle quattro tribù urbane e composte ormai dalla sola plebaglia di Roma, non erano all’altezza né del senato, che era alla testa dei patrizi, né dei tribuni che, pur essendo plebei, erano alla testa dei cittadini abbienti. Caddero dunque nel discredito e la loro degradazione fu tale che i trenta littori riuniti facevano ciò che sarebbe stato compito dei comizi per curie. La divisione per centurie era talmente favorevole all’aristocrazia che non è facile afferrare a prima vista le ragioni per cui il senato non sempre usciva vittorioso dai comizi che portavano questo nome e da cui erano eletti i consoli, i censori e gli altri magistrati curuli. In effetti, poiché delle centonovantatré centurie che formavano le sei classi di tutto il popolo romano la prima classe ne comprendeva novantotto e i voti si contavano solo per centurie, la sola prima classe superava tutte le altre per numero di voti. Quando tutte queste centurie erano d’accordo non si continuava neanche a raccogliere i voti; la decisione della minoranza passava per decisione della maggioranza, e si può dire che nei comizi per centurie a risolvere le quistioni era molto più la maggioranza di scudi che non quella di voti. Ma una tale eccessiva autorità si temperava con due mezzi. In primo luogo, appartenendo i tribuni, di solito, e sempre un gran numero di plebei alla classe dei ricchi, essi venivano a bilanciare il credito dei patrizi in questa prima classe. Il secondo mezzo era questo: invece di far votare subito le centurie secondo il loro ordine, il che avrebbe sempre comportato che si cominciasse con la prima, se ne tirava una a sorte e questa37, da sola, procedeva all’elezione; dopodiché tutte le altre centurie, chiamate un altro giorno secondo il loro numero d’ordine, ripetevano la stessa elezione e per lo più la confermavano. Si toglieva così l’autorità dell’esempio al grado per affidarla alla sorte, secondo il principio della democrazia. Da tale uso veniva anche un altro vantaggio: che i cittadini della campagna avevano il tempo di informarsi, tra le due elezioni, del merito del candidato nominato provvisoriamente, in modo da non dare il loro voto se non con cognizione di causa. Ma col pretesto della rapidità l’uso finì con l’essere abolito, e le due elezioni si tennero nel medesimo giorno. I comizi tributi erano propriamente il consiglio del popolo romano. Li convocavano solo i tribuni che vi venivano eletti e vi facevano passare i loro plebisciti. Non solo il senato non vi godeva al-

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le Sénat n’y avoit point de rang, il n’avoit pas même le droit d’y assister, et forcés d’obéir à des loix sur lesquelles ils n’avoient pu voter, les sénateurs à cet égard étoient moins libres que les derniers Citoyens. Cette injustice étoit tout à fait mal entendue, et suffisoit seule pour invalider les décrets d’un corps où tous ses membres n’étoient pas admis. Quand tous les Patriciens eussent assisté à ces Comices selon le droit qu’ils en avaient comme Citoyens, devenus alors simples particuliers ils n’eussent guère influé sur une forme de suffrages qui se recueilloient par tête, et où le moindre prolétaire pouvoit autant que le prince du Sénat. On voit donc qu’outre l’ordre qui résultoit de ces diverses distributions pour le recueillement des suffrages d’un si grand Peuple, ces distributions ne se réduisoient pas à des formes indifférentes en elles-mêmes, mais que chacune avoit des effets relatifs aux vues qui la faisoient préférer. Sans entrer là-dessus en de plus longs détails, il résulte des éclaircissements précédents que les Comices par Tribus étoient les plus favorables au Gouvernement populaire, et les Comices par Centuries à l’Aristocratie. A l’égard des Comices par Curies où la seule populace de Rome formoit la pluralité, comme ils n’étoient bons qu’à favoriser la tirannie et les mauvais desseins, ils durent tomber dans le décri, les séditieux eux-mêmes s’abstenant d’un moyen qui mettoit trop à découvert leurs projets. Il est certain que toute la majesté du Peuple Romain ne se trouvoit que dans les Comices par Centuries, qui seuls étoient complets; attendu que dans les Comices par Curies manquaient les Tribus rustiques, et dans les Comices par Tribus le Sénat et les Patriciens. Quant à la manière de recueillir les suffrages, elle étoit chez les premiers Romains aussi simple que leurs moeurs, quoique moins simple encore qu’à Sparte. Chacun donnoit son suffrage à haute voix, un Greffier les écrivoit à mesure; pluralité de voix dans chaque Tribu déterminoit le suffrage de la Tribu, pluralité de voix entre les Tribus déterminoit le suffrage du peuple, et ainsi des Curies et des Centuries. Cet usage étoit bon tant que l’honnêteté régnoit entre les Citoyens et que chacun avoit honte de donner publiquement son suffrage à un avis injuste ou à un sujet indigne; mais quand le peuple se corrompit et qu’on achetta les voix, il convint qu’elles se donnassent en secret pour contenir les acheteurs par la défiance, et fournir aux fripons le moyen de n’être pas des traîtres. Je sais que Cicéron blâme ce changement et lui attribue en partie la ruine de la République. Mais quoi que je sente le poids que doit avoir ici l’autorité de Cicéron, je ne puis être de son avis. Je

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cuna autorità, ma nemmeno aveva il diritto di presenziare, e, sotto questo rispetto, i senatori, costretti ad obbedire a leggi che non avevano potuto votare, erano meno liberi degli ultimi cittadini. Si trattava di un’ingiustizia del tutto fuori posto, che bastava da sola a invalidare i decreti di un corpo in cui non tutti i suoi membri erano ammessi. Quand’anche tutti i patrizi avessero assistito a questi comizi, in conformità del diritto che ne avevano in quanto cittadini, partecipando in qualità di semplici privati non avrebbero influito su una forma di suffragio in cui i voti si raccoglievano per teste e dove l’ultimo dei proletari contava quanto il principe del senato. Si vede dunque che queste partizioni, oltre all’ordine che ne risultava per la raccolta dei voti d’un così grande popolo, non si riducevano a forme indifferenti per sé, ma ognuna aveva degli effetti relativi ai criteri che la facevano preferire. Senza entrare a questo proposito in maggiori dettagli, dai chiarimenti che precedono risulta come i comizi tributi fossero i più favorevoli al governo popolare, e i comizi centuriati all’aristocrazia. Quanto ai comizi curiati, dove la maggioranza era formata dalla sola plebaglia romana, servendo solo a favorire la tirannia e i disegni loschi, dovettero cadere in discredito, dato che anche gli elementi sediziosi si astenevano da un mezzo che scopriva troppo i loro progetti. È certo che tutta la maestà del popolo romano si trovava esclusivamente nei comizi centuriati, i soli che fossero completi: infatti nei comizi curiati mancavano le tribù rustiche e nei comizi tributi il senato e i patrizi. Quanto alla maniera di raccogliere i suffragi, presso i primi Romani era semplice come i loro costumi, anche se meno semplice di quella spartana. Ognuno dava il proprio voto ad alta voce, e un cancelliere, via via, prendeva nota; la maggioranza di voti entro ciascuna tribù determinava il suffragio della tribù, la maggioranza di voti tra le tribù determinava il suffragio del popolo, e così delle curie e delle centurie. Quest’uso era buono finché fra i cittadini regnava l’onestà e ognuno si vergognava di dare pubblicamente il suo voto a un’opinione ingiusta o a una persona indegna; ma quando il popolo si corruppe e si comprarono i voti, convenne votare in segreto in modo che la diffidenza tenesse a freno i compratori e che i furfanti si vedessero offrire il modo di non diventare traditori. So che Cicerone biasima questo mutamento attribuendogli in parte la rovina della repubblica; ma, pure avvertendo il peso che deve avere in proposito l’autorità di Cicerone, io non posso essere del-

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pense, au contraire, que pour n’avoir pas fait assez de changements semblables on accéléra la perte de l’Etat. Comme le régime des gens sains n’est pas propre aux malades, il ne faut pas vouloir gouverner un peuple corrompu par les mêmes loix qui conviennent à un bon peuple. Rien ne prouve mieux cette maxime que la durée de la République de Venise, dont le simulacre existe encore, uniquement parce que ses loix ne conviennent qu’à de méchans hommes. On distribua donc aux Citoyens des tablettes par lesquelles chacun pouvoit voter sans qu’on sût quel étoit son avis. On établit aussi de nouvelles formalités pour le recueillement des tablettes, le compte des voix, la comparaison des nombres, etc. Ce qui n’empêcha pas que la fidélité des Officiers chargés de ces fonctions38 ne fût souvent suspectée. On fit enfin, pour empêcher la brigue et le trafic des suffrages, des Édits dont la multitude montre l’inutilité. Vers les derniers temps, on étoit souvent contraint de recourir à des expédiens extraordinaires pour suppléer à l’insuffisance des loix. Tantôt on supposoit des prodiges; mais ce moyen qui pouvoit en imposer au peuple n’en imposoit pas à ceux qui le gouvernaient; tantôt on convoquoit brusquement une assemblée avant que les Candidats eussent eu le temps de faire leurs brigues; tantôt on consumoit toute une séance à parler quand on voyoit le peuple gagné prêt à prendre un mauvais parti: Mais enfin l’ambition éluda tout; et ce qu’il y a d’incroyable, c’est qu’au milieu de tant d’abus ce peuple immense, à la faveur de ses anciens règlements, ne laissoit pas d’élire les Magistrats, de passer les loix, de juger les causes, d’expédier les affaires particulières et publiques, presque avec autant de facilité qu’eût pu faire le Sénat lui-même.

CHAPITRE V

DU TRIBUNAT

Quand on ne peut établir une exacte proportion entre les parties constitutives de l’Etat, ou que des causes indestructibles en altèrent sans cesse les rapports, alors on institue une magistrature particulière qui ne fait point corps avec les autres, qui replace chaque terme dans son vrai rapport, et qui fait une liaison ou un

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lo stesso parere. Penso, invece, che, per non aver fatto abbastanza mutamenti del genere, si affrettò la perdita dello Stato. Come il regime dei sani non va bene per i malati, così non bisogna voler governare un popolo corrotto con le medesime leggi che convengono a un buon popolo. Niente prova meglio questo principio della durata della repubblica di Venezia, il cui simulacro esiste ancora unicamente perché le sue leggi convengono solo a uomini malvagi. Si distribuirono dunque ai cittadini delle tavolette usando le quali ognuno poteva votare senza che si sapesse qual era la sua opinione. Si stabilirono anche delle formalità per la raccolta delle tavolette, il conteggio dei voti, il confronto dei numeri, ecc. Il che non impedì che l’onestà degli ufficiali incaricati di queste funzioni38 apparisse spesso sospetta. Infine, per impedire i brogli e i traffici dei suffragi, si fecero degli editti e il gran numero dei medesimi ne dimostra l’inutilità. Verso gli ultimi tempi si era spesso costretti a ricorrere a espedienti straordinari per supplire all’insufficienza delle leggi. A volte si supponevano dei prodigi – ma questo era un mezzo che poteva incutere rispetto al popolo, non a coloro che lo governavano; a volte si convocava bruscamente un’assemblea, senza dar tempo ai candidati di ordire i loro intrighi; a volte si andava avanti a parlare per tutta una seduta, quando si vedeva il popolo, conquistato, pronto a prendere una decisione sbagliata. Ma infine l’ambizione eluse tutto; ed è incredibile che, in mezzo a tanti abusi, questo popolo immenso, grazie agli antichi regolamenti, non tralasciasse di eleggere i magistrati, di approvare le leggi, di giudicare le cause, di sbrigare gli affari privati e pubblici quasi con la stessa facilità che avrebbe potuto dimostrare il senato stesso.

CAPITOLO QUINTO

DEL TRIBUNATO

Quando non si può stabilire un’esatta proporzione fra le parti costitutive dello Stato, o quando cause non eliminabili ne alterano senza posa i rapporti, si istituisce una magistratura speciale, che non fa corpo con le altre, che ricolloca ogni termine nel suo vero rapporto e che funge da legame o termine medio sia fra il principe

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moyen terme soit entre le Prince et le Peuple, soit entre le Prince et le Souverain, soit à la fois des deux côtés s’il est nécessaire. Ce corps, que j’appellerai Tribunat, est le conservateur des loix et du pouvoir législatif. Il sert quelquefois à protéger le Souverain contre le Gouvernement, comme faisoient à Rome les Tribuns du peuple, quelquefois à soutenir le Gouvernement contre le Peuple, comme fait maintenant à Venise le conseil des Dix, et quelquefois à maintenir l’équilibre de part et d’autre, comme faisoient les Éphores à Sparte. Le Tribunat n’est point une partie constitutive de la Cité, et ne doit avoir aucune portion de la puissance législative ni de l’exécutive, mais c’est en cela même que la sienne est plus grande: car ne pouvant rien faire il peut tout empêcher. Il est plus sacré et plus révéré comme défenseur des loix, que le Prince qui les exécute et que le Souverain qui les donne. C’est ce qu’on vit bien clairement à Rome quand ces fiers Patriciens, qui méprisèrent toujours le peuple entier, furent forcés de fléchir devant un simple officier du peuple, qui n’avoit ni auspices ni juridiction. Le Tribunat sagement tempéré est le plus ferme appui d’une bonne constitution; mais pour peu de force qu’il ait de trop il renverse tout: A l’égard de la foiblesse, elle n’est pas dans sa nature, et pourvu qu’il soit quelque chose, il n’est jamais moins qu’il ne faut. Il dégénère en tirannie quand il usurpe la puissance exécutive dont il n’est que le modérateur, et qu’il veut dispenser les loix qu’il ne doit que protéger. L’énorme pouvoir des Éphores, qui fut sans danger tant que Sparte conserva ses moeurs, en accéléra la corruption commencée. Le sang d’Agis égorgé par ces tirans fut vengé par son successeur: le crime et le châtiment des Éphores hâtèrent également la perte de la République, et après Cléomène Sparte ne fut plus rien. Rome périt encore par la même voye, et le pouvoir excessif des Tribuns usurpé par degrés servit enfin, à l’aide des loix faites pour la liberté, de sauvegarde aux Empereurs qui la détruisirent. Quant au Conseil des Dix à Venise, c’est un Tribunal de sang, horrible également aux Patriciens et au Peuple, et qui, loin de protéger hautement les loix, ne sert plus, après leur avilissement, qu’à porter dans les ténèbres des coups qu’on n’ose apercevoir. Le tribunat s’affoiblit comme le Gouvernement par la multiplication de ses membres. Quand les Tribuns du peuple romain, d’abord au nombre de deux, puis de cinq, voulurent doubler ce

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e il popolo, sia fra il principe e il sovrano, sia, quando è necessario, tra entrambe le parti contemporaneamente. Questo corpo, che chiamerò tribunato, ha la funzione di conservare le leggi e il potere legislativo. Serve qualche volta a proteggere il sovrano contro il governo, come facevano a Roma i tribuni del popolo; talvolta a sostenere il governo contro il popolo, come fa ora a Venezia il Consiglio dei Dieci; e talvolta a mantenere l’equilibrio da una parte e dall’altra, come facevano gli efori a Sparta. Il tribunato non è una parte costitutiva dello Stato e non deve partecipare in alcuna misura né al potere esecutivo né a quello legislativo, ma proprio in questo il suo potere è più grande: perché non potendo far nulla può impedire tutto. Come difensore delle leggi è più sacro e riverito del principe che le esegue e del sovrano che le promulga. Lo si vide molto chiaramente a Roma, quando quei fieri patrizi che disprezzarono sempre il popolo intero, furono costretti a piegarsi davanti a un semplice funzionario del popolo, che non aveva né auspìci né giurisdizione. Il tribunato saggiamente temperato è il più valido sostegno di una buona costituzione; ma se appena la sua forza è in eccesso rovescia tutto; quanto alla debolezza non è nella sua natura, e purché esso sia qualcosa non è mai meno di quel che dev’essere. Degenera in tirannia quando usurpa il potere esecutivo di cui è soltanto il moderatore, e vuole assicurare l’esecuzione delle leggi che ha solo il compito di proteggere. L’enorme potere degli efori, che non comportò pericoli finché Sparta conservò i suoi costumi, quando cominciò la corruzione ne accelerò il processo. Il sangue di Agide sgozzato da quei tiranni fu vendicato dal suo successore: il delitto e il castigo degli efori affrettarono in ugual misura la rovina della repubblica e dopo Cleomene Sparta non fu più niente. Anche Roma perì allo stesso modo e il potere eccessivo dei tribuni, usurpato gradualmente, finì col servire, insieme alle leggi fatte per la libertà, alla salvaguardia degli imperatori che la distrussero. Quanto al Consiglio dei Dieci a Venezia, è un tribunale di sangue ugualmente spaventoso per i patrizi e per il popolo, che, lungi dall’offrire alle leggi un’alta protezione, non serve più, dopo il loro svilimento, se non a commettere nelle tenebre azioni che si preferisce ignorare. Il tribunato, come il governo, si indebolì per il moltiplicarsi dei suoi membri. Quando i tribuni del popolo romano, che in origine erano due, poi cinque, vollero raddoppiare questo numero, il se-

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nombre, le Sénat les laissa faire, bien sûr de contenir les uns par les autres; ce qui ne manqua pas d’arriver. Le meilleur moyen de prévenir les usurpations d’un si redoutable corps, moyen dont nul Gouvernement ne s’est avisé jusqu’ici, seroit de ne pas rendre ce corps permanent, mais de régler des intervalles durant lesquels il resteroit supprimé. Ces intervalles, qui ne doivent pas être assez grands pour laisser aux abus le tems de s’affermir, peuvent être fixés par la loi, de manière qu’il soit aisé de les abréger au besoin par des commissions extraordinaires. Ce moyen me paroit sans inconvénient, parce que, comme je l’ai dit, le Tribunat ne faisant point partie de la constitution peut être ôté sans qu’elle en souffre; et il me paroit efficace, parce qu’un magistrat nouvellement rétabli ne part point du pouvoir qu’avoit son prédécesseur, mais de celui que la loi lui donne.

CHAPITRE VI

DE LA DICTATURE

L’inflexibilité des loix, qui les empêche de se plier aux événements, peut en certains cas les rendre pernicieuses, et causer par elles la perte de l’Etat dans sa crise. L’ordre et la lenteur des formes demandent un espace de tems que les circonstances refusent quelquefois. Il peut se présenter mille cas auxquels le Législateur n’a point pourvu, et c’est une prévoyance très nécessaire de sentir qu’on ne peut tout prévoir. Il ne faut donc pas vouloir affermir les institutions politiques jusqu’à s’ôter le pouvoir d’en suspendre l’effet. Sparte elle-même a laissé dormir ses loix. Mais il n’y a que les plus grands dangers qui puissent balancer celui d’altérer l’ordre public, et l’on ne doit jamais arrêter le pouvoir sacré des loix que quand il s’agit du salut de la patrie. Dans ces cas rares et manifestes on pourvoit à la sûreté publique par un acte particulier qui en remet la charge au plus digne. Cette commission peut se donner de deux manières selon l’espèce du danger. Si pour y remédier il suffit d’augmenter l’activité du gouvernement, on le concentre dans un ou deux de ses membres; Ainsi

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nato li lasciò fare, con la piena certezza di tenere a freno gli uni per mezzo degli altri; e così, di fatto, accadde. Il miglior modo di prevenire le usurpazioni d’un corpo tanto temibile, mezzo che finora nessun governo ha escogitato, sarebbe di non farne un corpo permanente, ma di stabilire degl’intervalli durante i quali restasse soppresso. Questi intervalli, che non devono essere abbastanza lunghi da lasciare agli abusi il tempo di consolidarsi, possono essere fissati dalla legge in modo che sia facile, occorrendo, abbreviarli per mezzo di commissioni straordinarie. Mi pare che questo mezzo non presenti inconvenienti, perché, come ho detto, il tribunato, non facendo parte della costituzione, può essere tolto senza che essa ne soffra; e mi pare un mezzo efficace, perché un magistrato con una carica ripristinata da poco non parte dal potere del suo predecessore, ma da quello che la legge gli accorda.

CAPITOLO SESTO

DELLA DITTATURA

L’inflessibilità delle leggi che impedisce loro di piegarsi agli avvenimenti, può, in certi casi, renderle perniciose e determinare per loro mezzo la rovina dello Stato in crisi. L’ordine e la lentezza delle forme richiedono un lasso di tempo che a volte le circostanze rifiutano. Si possono presentare mille casi a cui il legislatore non ha provveduto, e rendersi conto che non tutto si può prevedere è una forma di previdenza quanto mai necessaria. Non bisogna dunque voler rafforzare le istituzioni politiche fino a togliersi il potere di sospenderne l’effetto. Persino Sparta ha lasciato dormire le sue leggi. Ma solo i pericoli più gravi possono controbilanciare quello di alterare l’ordine pubblico, e il sacro potere delle leggi non va mai arrestato se non quando si tratta della salvezza della patria. In questi casi rari e manifesti si provvede alla sicurezza pubblica con un atto speciale che ne affida l’incarico al più degno. Quest’incarico si può dare in due modi, secondo la specie del pericolo. Se per fronteggiarlo basta intensificare l’attività di governo, lo si concentra in uno o due dei suoi membri; quindi non si altera l’au-

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ce n’est pas l’autorité des loix qu’on altère mais seulement la forme de leur administration. Que si le péril est tel que l’appareil des loix soit un obstacle à s’en garantir, alors on nomme un chef suprême qui fasse taire toutes les loix et suspende un moment l’autorité Souveraine; en pareil cas la volonté générale n’est pas douteuse, et il est évident que la première intention du peuple est que l’Etat ne périsse pas. De cette manière la suspension de l’autorité législative ne l’abolit point; le magistrat qui la fait taire ne peut la faire parler, il la domine sans pouvoir la représenter; il peut tout faire, excepté des loix. Le premier moyen s’employait par le Sénat Romain quand il chargeoit les Consuls par une formule consacrée de pourvoir au salut de la République; le second avoit lieu quand un des deux Consuls nommait un Dictateur39; usage dont Albe avoit donné l’exemple à Rome. Dans les commencements de la République on eut très souvent recours à la Dictature, parce que l’Etat n’avoit pas encore une assiette assez fixe pour pouvoir se soutenir par la force de sa constitution. Les moeurs rendant alors superflues bien des précautions qui eussent été nécessaires dans un autre tems, on ne craignoit ni qu’un dictateur abusât de son autorité, ni qu’il tentât de la garder au-delà du terme. Il sembloit, au contraire, qu’un si grand pouvoir fût à charge à celui qui en étoit revêtu, tant il se hâtoit de s’en défaire; comme si c’eût été un poste trop pénible et trop périlleux de tenir la place des loix! Aussi n’est-ce pas le danger de l’abus mais celui de l’avilissement qui fait blâmer l’usage indiscret de cette suprême magistrature dans les premiers temps. Car tandis qu’on la prodigoit à des Élections, à des Dédicaces, à des choses de pure formalité, il étoit à craindre qu’elle ne devînt moins redoutable au besoin, et qu’on ne s’accoutumât à regarder comme un vain titre celui qu’on n’employoit qu’à de vaines cérémonies. Vers la fin de la République, les Romains, devenus plus circonspects, ménagèrent la Dictature avec aussi peu de raison qu’ils l’avaient prodiguée autrefois. Il étoit aisé de voir que leur crainte étoit mal fondée, que la foiblesse de la capitale faisait alors sa sûreté contre les Magistrats qu’elle avoit dans son sein, qu’un Dictateur pouvoit en certains cas défendre la liberté publique sans jamais y pouvoir attenter, et que les fers de Rome ne seroient point forgés dans Rome même, mais dans ses armées: le peu de résistance que firent Marius à Sylla, et Pompée à César, montra bien ce

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torità delle leggi, ma solo la forma della loro amministrazione. Se poi il pericolo è tale che l’apparato delle leggi costituisca un ostacolo a difendersene allora si nomina un capo supremo, che faccia tacere tutte le leggi e sospenda momentaneamente l’autorità sovrana. In simile caso la volontà generale non lascia dubbi ed è evidente che il popolo vuole anzitutto che lo Stato non perisca. A questo modo si sospende l’attività legislativa senza abolirla; il magistrato che la fa tacere non la può far parlare; la domina senza avere il potere di rappresentarla; può fare tutto eccetto che leggi. Il primo mezzo era usato dal senato romano quando, con una formula consacrata, incaricava i consoli di provvedere alla salvezza della repubblica; il secondo entrava in funzione quando uno dei due consoli nominava un dittatore 39; uso di cui Alba aveva dato l’esempio a Roma. Agl’inizi della repubblica si fece spesso ricorso alla dittatura, perché lo Stato non aveva ancora un assetto abbastanza stabile per potersi reggere sulla forza della costituzione. Dato che i costumi rendevano allora superflue molte precauzioni che in altri tempi sarebbero state necessarie, non si temeva, né che un dittatore abusasse della sua autorità, né che tentasse di conservarla al di là del termine. Sembrava, al contrario, che un potere tanto grande fosse di peso a chi ne era investito tanto si affrettava a liberarsene; come se tenere il posto delle leggi fosse stato un servizio troppo faticoso e pericoloso. Quindi non è il pericolo di abuso, ma quello di svilimento che fa biasimare l’uso smodato di questa magistratura suprema nei primi tempi. Infatti, sprecandola per elezioni, consacrazioni e cose di pura formalità, c’era da temere che incutesse meno rispetto quando ce n’era bisogno e che si finisse col guardare come un vano titolo quello che veniva adoperato solo in vane cerimonie. Verso la fine della repubblica i Romani, divenuti più circospetti, limitarono l’uso della dittatura con la stessa scarsezza di ragioni con cui, in altri tempi, ne avevano fatto sperpero. Era facile vedere che il loro timore era poco fondato; che la debolezza della capitale costituiva allora la sua garanzia contro i magistrati che aveva in seno; che un dittatore poteva, in certi casi, difendere la libertà pubblica senza poter mai attentare ad essa e che le catene di Roma non sarebbero state forgiate entro la stessa Roma, ma nei suoi eserciti: la scarsa resistenza opposta da Mario a Silla e da Pompeo a Cesare

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qu’on pouvoit attendre de l’autorité du dedans contre la force du dehors. Cette erreur leur fit faire de grandes fautes. Telle, par exemple, fut celle de n’avoir pas nommé un Dictateur dans l’affaire de Catilina; car comme il n’étoit question que du dedans de la ville, et, tout au plus, de quelque province d’Italie, avec l’autorité sans bornes que les loix donnaient au Dictateur il eût facilement dissipé la conjuration, qui ne fut étouffée que par un concours d’heureux hasards que jamais la prudence humaine ne devoit attendre. Au lieu de cela, le Sénat se contenta de remettre tout son pouvoir aux Consuls; d’où il arriva que Cicéron, pour agir efficacement, fut contraint de passer ce pouvoir dans un point capital, et que, si les premiers transports de joye firent approuver sa conduite, ce fut avec justice que dans la suite on lui demanda compte du sang des Citoyens versé contre les loix; reproche qu’on n’eût pu faire à un Dictateur. Mais l’éloquence du Consul entraîna tout; et luimême, quoique Romain, aimant mieux sa gloire que sa patrie, ne cherchoit pas tant le moyen le plus légitime et le plus sûr de sauver l’Etat, que celui d’avoir tout l’honneur de cette affaire40. Aussi futil honoré justement comme libérateur de Rome, et justement puni comme infracteur des loix. Quelque brillant qu’ait été son rappel, il est certain que ce fut une grâce. Au reste, de quelque manière que cette importante commission soit conférée, il importe d’en fixer la durée à un terme très court qui jamais ne puisse être prolongé; dans les crises qui la font établir l’Etat est bientôt détruit ou sauvé, et, passé le besoin pressant, la Dictature devient tirannique ou vaine. A Rome les Dictateurs ne l’étant que pour six mois, la plupart abdiquèrent avant ce terme. Si le terme eût été plus long, peut-être eussent-ils été tentés de le prolonger encore, comme firent les Décemvirs celui d’une année. Le Dictateur n’avoit que le temps de pourvoir au besoin qui l’avoit fait élire, il n’avoit pas celui de songer à d’autres projets.

CHAPITRE VII

DE LA CENSURE

De même que la déclaration de la volonté générale se fait par la loi, la déclaration du jugement public se fait par la censure; l’opi-

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mostrò chiaramente cosa ci si poteva aspettare dall’autorità interna contro la forza esterna. Fu un grave errore che li portò a gravi sbagli. Tale, per esempio, quello di non aver nominato un dittatore al tempo della congiura di Catilina; infatti, trattandosi di cosa che riguardava solo l’interno della città e, al massimo, qualche provincia d’Italia, un dittatore, con l’autorità illimitata che le leggi gli accordavano, avrebbe facilmente dissipato la congiura, soffocata solo da un felice concorso di circostanze su cui la prudenza umana non avrebbe mai dovuto contare. Invece il senato si contentò di rimettere tutto il suo potere ai consoli; di conseguenza Cicerone, per agire efficacemente, fu costretto ad oltrepassare questo potere in un punto capitale e, se i primi trasporti di gioia fecero approvare la sua condotta, in seguito, giustamente, gli si chiese conto del sangue dei cittadini versato contro le leggi; rimprovero che non si sarebbe potuto fare a un dittatore. Ma l’eloquenza del console trascinò tutti; ed egli stesso, benché romano, amando più della patria la propria gloria, non cercava tanto il modo più legittimo e sicuro di salvar lo Stato quanto quello di avere per sé tutto l’onore dell’impresa40. Così fu giustamente onorato come liberatore di Roma, e giustamente punito per la violazione delle leggi. Per brillante che sia stato il suo richiamo, è certo che si trattò di grazia. Del resto, di questo importante incarico, comunque conferito, è necessario fissare la durata a una scadenza molto breve e assolutamente improrogabile; nelle crisi che lo fanno istituire, lo Stato si trova a essere in breve distrutto o salvato e, passata la necessità urgente, la dittatura diventa tirannica o vana. A Roma i dittatori, durando in carica solo sei mesi, per la maggior parte abdicarono prima di questo termine. Se il periodo fosse stato più lungo, forse sarebbero stati tentati di prolungarlo ancora, come fecero i decemviri per quello di un anno. Il dittatore aveva solo il tempo di provvedere alla necessità che lo aveva fatto eleggere, non quello di pensare ad altri progetti.

CAPITOLO SETTIMO

DELLA CENSURA

Come la volontà generale si manifesta attraverso la legge, così il giudizio pubblico si manifesta per mezzo della censure; l’opinione

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nion publique est l’espèce de loi dont le Censeur est le Ministre, et qu’il ne fait qu’appliquer aux cas particuliers, à l’exemple du Prince. Loin donc que le tribunal censorial soit l’arbitre de l’opinion du peuple, il n’en est que le déclarateur, et sitôt qu’il s’en écarte, ses décisions sont vaines et sans effet. Il est inutile de distinguer les moeurs d’une nation des objets de son estime; car tout cela tient au même principe et se confond nécessairement. Chez tous les peuples du monde, ce n’est point la nature mais l’opinion qui décide du choix de leurs plaisirs. Redressez les opinions des hommes et leurs moeurs s’épureront d’ellesmêmes. On aime toujours ce qui est beau ou ce qu’on trouve tel, mais c’est sur ce jugement qu’on se trompe; c’est donc ce jugement qu’il s’agit de régler. Qui juge des moeurs juge de l’honneur, et qui juge de l’honneur prend sa loi de l’opinion. Les opinions d’un peuple naissent de sa constitution; quoique la loi ne règle pas les moeurs, c’est la législation qui les fait naître; quand la législation s’affoiblit les moeurs dégénèrent, mais alors le jugement des Censeurs ne fera pas ce que la force des loix n’aura pas fait. Il suit de là que la Censure peut être utile pour conserver les moeurs, jamais pour les rétablir. Etablissez des Censeurs durant la vigueur des loix; sitôt qu’elles l’ont perdue, tout est désespéré; rien de légitime n’a plus de force lorsque les loix n’en ont plus. La Censure maintient les moeurs en empêchant les opinions de se corrompre, en conservant leur droiture par de sages applications, quelquefois même en les fixant lorsqu’elles sont encore incertaines. L’usage des seconds dans les duels, porté jusqu’à la fureur dans le royaume de France, y fut aboli par ces seuls mots d’un édit du Roi; quant à ceux qui ont la lâcheté d’appeler des Seconds. Ce jugement prévenant celui du public, le détermina tout d’un coup. Mais quand les mêmes Édits voulurent prononcer que c’étoit aussi une lâcheté de se battre en duel; ce qui est très vrai, mais contraire à l’opinion commune; le public se moqua de cette décision sur laquelle son jugement étoit déjà porté. J’ai dit ailleurs41 que l’opinion publique n’étant point soumise à la contrainte, il n’en faloit aucun vestige dans le tribunal établi pour la représenter. On ne peut trop admirer avec quel art ce ressort, entièrement perdu chez les modernes, était mis en oeuvre chez les Romains et mieux chez les Lacédémoniens.

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pubblica è quella specie di legge di cui il censore è ministro, ed egli non fa che applicarla ai casi particolari a somiglianza del principe. Pertanto il tribunale censorio, anziché essere l’arbitro dell’opinione del popolo, ne è soltanto l’espressione, e appena si scosta di qui le sue decisioni sono vane e senza effetto. È inutile distinguere i costumi di una nazione dagli oggetti della sua stima; tutto ciò dipende dallo stesso principio e necessariamente si confonde. Presso tutti i popoli del mondo, a decidere della scelta dei loro piaceri non è la natura ma l’opinione. Correggete le opinioni degli uomini e i loro costumi ritroveranno spontaneamente la loro purezza. Si ama sempre ciò che è bello o che si trova tale, ma è su questo giudizio che ci s’inganna; si tratta dunque di regolare questo giudizio. Chi giudica dei costumi giudica dell’onore, e chi giudica dell’onore trae la sua legge dall’opinione. Le opinioni di un popolo nascono dalla sua costituzione; benché la legge non regoli i costumi, a farli nascere è la legislazione; quando la legislazione perde vigore, i costumi degenerano, ma allora il giudizio dei censori non riuscirà là dove la forza delle leggi è fallita. Ne consegue che la censura può essere utile per conservare i costumi, mai per restaurarli. Istituite dei censori quando le leggi sono forti; appena hanno perduto il loro vigore, ogni speranza è perduta; nulla di legittimo mantiene la sua forza quando le leggi non ne hanno più. Le censura conserva i costumi impedendo alle opinioni di corrompersi, conservandone la rettitudine con sagge applicazioni, talvolta anche fissandole quando sono ancora incerte. L’uso dei padrini nei duelli, portato alla follia nel regno di Francia, vi fu abolito da queste sole parole d’un editto del re: Quanto a coloro che hanno la viltà di chiamare dei padrini; questo giudizio, prevenendo quello del pubblico, lo determinò di colpo. Ma quando i medesimi editti vollero sentenziare che era una viltà anche battersi – cosa verissima, ma contraria all’opinione comune – il pubblico si burlò di tale decisione su cui il suo giudizio era bell’e fatto. Ho detto altrove41 che, l’opinione pubblica essendo libera da costrizione, il tribunale istituito per rappresentarla deve esserne del tutto immune. Non si potrebbe mai eccedere nell’ammirare l’arte con cui questa forza, del tutto smarrita dai moderni, era messa in opera dai Romani e più dagli Spartani.

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Un homme de mauvaises moeurs ayant ouvert un bon avis dans le conseil de Sparte, les Éphores sans en tenir compte firent proposer le même avis par un Citoyen vertueux. Quel honneur pour l’un, quelle honte pour l’autre, sans avoir donné ni louange ni blâme à aucun des deux! Certains ivrognes de Samos souillèrent le Tribunal des Éphores: le lendemain par Édit public il fut permis aux Samiens d’être des vilains. Un vrai châtiment eût été moins sévère qu’une pareille impunité. Quand Sparte a prononcé sur ce qui est ou n’est pas honnête, la Grèce n’appelle pas de ses jugements.

CHAPITRE VIII

DE LA RELIGION CIVILE

Les hommes n’eurent point d’abord d’autres Rois que les Dieux, ni d’autre Gouvernement que le Théocratique. Ils firent le raisonnement de Caligula, et alors ils raisonnoient juste. Il faut une longue altération de sentiments et d’idées pour qu’on puisse se résoudre à prendre son semblable pour maître, et se flatter qu’on s’en trouvera bien. De cela seul qu’on mettoit Dieu à la tête de chaque société politique, il s’ensuivit qu’il y eut autant de dieux que de peuples. Deux peuples étrangers l’un à l’autre, et presque toujours ennemis, ne purent longtemps reconnaître un même maître: Deux armées se livrant bataille ne sauroient obéir au même chef. Ainsi des divisions nationales résulta le polythéisme, et de là l’intolérance théologique et civile qui naturellement est la même, comme il sera dit ci-après. La fantaisie qu’eurent les Grecs de retrouver leurs Dieux chez les peuples barbares, vint de celle qu’ils avoient aussi de se regarder comme les Souverains naturels de ces peuples. Mais c’est de nos jours une érudition bien ridicule que celle qui roule sur l’identité des Dieux de diverses nations; comme si Moloch, Saturne et Chronos pouvoient être le même Dieu; comme si le Baal des Phéniciens, le Zeus des Grecs et le Jupiter des Latins pouvoient être le même; comme s’il pouvoit rester quelque chose commune à des Êtres chimériques portant des noms différents! Que si l’on demande comment dans le paganisme où chaque Etat avait son culte et ses Dieux il n’y avoit point de guerres de Re-

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Avendo un uomo di cattivi costumi espresso un giusto parere nel consiglio di Sparta, gli efori, senza tenerne conto, fecero ripetere la stessa proposta da un cittadino virtuoso. Che onore per l’uno, che vergogna per l’altro, pur senza esprimere lode o biasimo per nessuno dei due! Certi ubriachi di Samo lordarono il tribunale degli efori; l’indomani un pubblico editto concedeva ai Sami di essere screanzati. Un vero castigo sarebbe stato meno severo di una simile impunità. Quando Sparta ha sentenziato su cosa è o non è onesto, la Grecia accetta i suoi giudizi senza appello.

CAPITOLO OTTAVO

DELLA RELIGIONE CIVILE

In origine gli uomini non ebbero altri re che gli dèi, né altro governo se non quello teocratico. Ragionarono come Caligola, e allora ragionavano bene. Occorre una lunga alterazione di sentimenti e di idee per potersi decidere a prendere come padrone il proprio simile illudendosi che ci si troverà bene. Dal solo fatto che Dio veniva posto a capo di ogni società politica derivò che ci furono tanti dèi quanti popoli. Due popoli stranieri l’uno all’altro e quasi sempre nemici non poterono riconoscere per molto tempo il medesimo padrone: due eserciti che si combattono non potrebbero obbedire allo stesso capo. Quindi dalle divisioni nazionali risultò il politeismo e di lì l’intolleranza teologica e civile che, naturalmente, sono la stessa cosa, come si dirà in seguito. L’idea originale che ebbero i Greci, di ritrovare i loro dèi presso i popoli barbari, venne dall’altra, che pure avevano, di considerarsi come i sovrani naturali di quei popoli. Ma, ai nostri giorni, è proprio un’erudizione ridicola quella che verte sull’identità degli dèi delle diverse nazioni; come se Moloch, Saturno e Chronos potessero essere lo stesso Dio; come se il Baal dei Fenici, lo Zeus dei Greci e il Giove dei Latini potessero essere lo stesso; come se potesse restar qualcosa di comune a esseri chimerici che portano nomi diversi. Se poi si chiede come nel mondo pagano, dove ogni Stato aveva il suo culto e i suoi dèi, non c’erano guerre di religione, rispon-

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ligion? Je réponds que c’étoit par cela même que chaque Etat ayant son culte propre aussi bien que son Gouvernement, ne distinguait point ses Dieux de ses loix. La guerre politique était aussi Théologique: les départements des Dieux étoient, pour ainsi dire, fixés par les bornes des Nations. Le Dieu d’un peuple n’avoit aucun droit sur les autres peuples. Les Dieux des Païens n’étoient point des Dieux jaloux; ils partagoient entre eux l’empire du monde: Moïse même et le Peuple Hébreu se prêtaient quelquefois à cette idée en parlant du Dieu d’Israël. Ils regardoient, il est vrai, comme nuls les Dieux des Chananéens, peuples proscrits, voués à la destruction, et dont ils devoient occuper la place; mais voyez comment ils parloient des divinités des peuples voisins qu’il leur étoit défendu d’attaquer! La possession de ce qui appartient à Chamos votre Dieu, disait Jephté aux Ammonites, ne vous est-elle pas légitimement due? Nous possédons au même titre les terres que notre Dieu vainqueur s’est acquises42. C’était là, ce me semble, une parité bien reconnue entre les droits de Chamos et ceux du Dieu d’Israël. Mais quand les Juifs, soumis aux Rois de Babylone et dans la suite aux Rois de Syrie, voulurent s’obstiner à ne reconnaître aucun autre Dieu que le leur, ce refus, regardé comme une rébellion contre le vainqueur, leur attira les persécutions qu’on lit dans leur histoire, et dont on ne voit aucun autre exemple avant le Christianisme43. Chaque Religion étant donc uniquement attachée aux loix de l’Etat qui la prescrivoit, il n’y avoit point d’autre manière de convertir un peuple que de l’asservir, ni d’autres missionnaires que les conquérans, et l’obligation de changer de culte étant la loi des vaincus, il faloit commencer par vaincre avant d’en parler. Loin que les hommes combattissent pour les Dieux, c’étoient, comme dans Homère, les Dieux qui combattoient pour les hommes; chacun demandoit au sien la victoire, et la payoit par de nouveaux autels. Les Romains, avant de prendre une place, sommoient ses Dieux de l’abandonner, et quand ils laissoient aux Tarentins leurs Dieux irrités, c’est qu’ils regardaient alors ces Dieux comme soumis aux leurs et forcés de leur faire hommage: Ils laissoient aux vaincus leurs Dieux comme ils leur laissaient leurs loix. Une couronne au Jupiter du Capitole étoit souvent le seul tribut qu’ils imposoient. Enfin les Romains ayant étendu avec leur empire leur culte et leurs Dieux, et ayant souvent eux-mêmes adopté ceux des vaincus en accordant aux uns et aux autres le droit de Cité, les peuples de ce vaste empire se trouvèrent insensiblement avoir des multitudes

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do che ciò avveniva proprio per questo: che, avendo ogni Stato il proprio culto come il proprio governo, non distingueva i suoi dèi dalle sue leggi. La guerra politica era anche guerra teologica: le circoscrizioni degli dèi erano, per così dire, delimitate dai confini delle nazioni. Il dio d’un popolo non aveva alcun diritto sugli altri popoli. Gli dèi pagani non erano dèi gelosi; dividevano tra loro l’impero del mondo; persino Mosè e il popolo ebreo si prestavano talvolta a quest’idea parlando del Dio d’Israele. Consideravano, è vero, come del tutto privi di valore, gli dèi dei Cananei, popoli proscritti, votati alla distruzione, di cui gli Ebrei dovevano prendere il posto; ma guardate come parlavano delle divinità dei popoli vicini che avevano la proibizione di attaccare: Il possesso di ciò che appartiene a Chemosh vostro dio, diceva Jefte agli Ammoniti, non vi è forse legittimamente dovuto? Al medesimo titolo noi possediamo le terre che il nostro Dio vincitore ha conquistato42. Si trattava – mi pare – di una parità senz’altro riconosciuta fra i diritti di Chemosh e quelli del dio d’Israele. Ma quando gli Ebrei, sottomessi ai re di Babilonia, e in seguito ai re di Siria, vollero ostinarsi a non riconoscere altro dio oltre il loro, questo rifiuto, considerato come una ribellione contro il vincitore, attirò loro le persecuzioni di cui si legge nella loro storia e di cui non si vede altro esempio prima del Cristianesimo43. Essendo dunque ciascuna religione legata unicamente alle leggi dello Stato che la prescriveva, l’unico modo di convertire un popolo consisteva nell’assoggettarlo, i soli missionari erano i conquistatori, ed essendo l’obbligo di mutar culto la legge dei vinti, prima di parlarne bisognava cominciare col vincere. Anziché essere gli uomini a combattere per gli dèi, erano, come in Omero, gli dèi a combattere per gli uomini. Ciascuno domandava al suo dio la vittoria e la pagava con nuovi altari. I Romani, prima di prendere una piazzaforte, intimavano ai suoi dèi di abbandonarla, e quando lasciavano ai Tarantini i loro dèi irati era perché allora consideravano questi dèi soggetti ai propri e obbligati a render loro omaggio. Ai vinti lasciavano i loro dèi come le loro leggi. Spesso il solo tributo che imponevano era una corona a Giove Capitolino. Infine, i Romani avendo diffuso con l’estendersi del loro impero il loro culto e i loro dèi, e avendo spesso adottato essi stessi quelli dei vinti accordando agli uni e agli altri il diritto di cittadinanza, i popoli di quel vasto impero si trovarono ad avere un po’ alla vol-

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de Dieux et de cultes, à peu près les mêmes partout; et voilà comment le paganisme ne fut enfin dans le monde connu qu’une seule et même Religion. Ce fut dans ces circonstances que Jésus vint établir sur la terre un royaume Spirituel; ce qui, séparant le sistème théologique du sistème politique, fit que l’Etat cessa d’être un, et causa les divisions intestines qui n’ont jamais cessé d’agiter les peuples chrétiens. Or cette idée nouvelle d’un royaume de l’autre monde n’ayant pu jamais entrer dans la tête des païens, ils regardèrent toujours les Chrétiens comme de vrais rebelles qui, sous une hypocrite soumission, ne cherchoient que le moment de se rendre indépendans et maîtres, et d’usurper adroitement l’autorité qu’ils feignoient de respecter dans leur foiblesse. Telle fut la cause des persécutions. Ce que les païens avoient craint est arrivé; alors tout a changé de face, les humbles Chrétiens ont changé de langage, et bientôt on a vu ce prétendu royaume de l’autre monde devenir sous un chef visible le plus violent despotisme dans celui-ci. Cependant, comme il y a toujours eu un Prince et des loix civiles, il a résulté de cette double puissance un perpétuel conflit de juridiction qui a rendu toute bonne politie impossible dans les Etats chrétiens, et l’on n’a jamais pu venir à bout de savoir auquel du maître ou du prêtre on étoit obligé d’obéir. Plusieurs peuples cependant, même dans l’Europe ou à son voisinage, ont voulu conserver ou rétablir l’ancien sistème, mais sans succès; l’esprit du christianisme a tout gagné. Le culte sacré est toujours resté ou redevenu indépendant du Souverain, et sans liaison nécessaire avec le corps de l’Etat. Mahomet eut des vues très saines, il lia bien son sistème politique, et tant que la forme de son Gouvernement subsista sous les Caliphes ses successeurs, ce Gouvernement fut exactement un, et bon en cela. Mais les Arabes devenus florissants, lettrés, polis, mous et lâches, furent subjugués par des barbares; alors la division entre les deux puissances recommença; quoiqu’elle soit moins apparente chez les mahométans que chez les Chrétiens, elle y est pourtant, surtout dans la secte d’Ali, et il y a des Etats, tels que la Perse, où elle ne cesse de se faire sentir. Parmi nous, les Rois d’Angleterre se sont établis chefs de l’Eglise, autant en ont fait les Czars; mais par ce titre ils s’en sont moins rendus les maîtres que les ministres; ils ont moins acquis le droit de la changer que le pouvoir de la maintenir; Ils n’y sont pas législateurs,

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ta una quantità di dèi e di culti, press’a poco gli stessi dappertutto; ed ecco in che modo il paganesimo finì con l’essere nel mondo conosciuto una sola ed unica religione. Fu in tali circostanze che Gesù venne a stabilire sulla terra un regno spirituale, e questo, separando il sistema teologico dal sistema politico, ruppe l’unità dello Stato causando le divisioni interne che non hanno mai cessato di agitare i popoli cristiani. Ora, poiché questa nuova idea d’un regno dell’altro mondo non poté mai entrare in testa ai pagani, essi guardarono sempre i cristiani come veri ribelli che, sotto un’apparenza di sottomissione ipocrita, cercavano solo il momento buono per rendersi indipendenti e padroni e per usurpare abilmente l’autorità che fingevano di rispettare finché erano deboli. Di qui le persecuzioni. Il timore dei pagani si è avverato; allora tutto ha mutato aspetto: gli umili cristiani hanno mutato linguaggio e ben presto si è visto il preteso regno dell’altro mondo diventare, sotto un capo visibile, il più violento regno dispotico di questo mondo. Tuttavia, essendovi sempre stati un principe e delle leggi civili, da questo doppio potere è risultato un perpetuo conflitto di giurisdizione che ha reso impossibile qualunque buona costituzione politica negli Stati cristiani, e non si è mai potuto venire a capo di sapere a chi si era obbligati ad obbedire, se al padrone o al prete. Parecchi popoli tuttavia, anche in Europa o nelle vicinanze, hanno voluto conservare o restaurare il vecchio sistema, ma senza successo; lo spirito del cristianesimo si è impadronito di tutto. Il culto sacro è sempre restato, o è tornato a essere, indipendente dal sovrano e senza necessario legame col corpo dello stato. Maometto ebbe vedute molto sagge; congegnò bene il suo sistema politico e, finché la forma del suo governo duro sotto i califfi suoi successori, questo governo fu davvero uno e sotto questo rispetto buono. Ma gli Arabi, divenuti fiorenti, colti, civili, fiacchi e vili, furono assoggettati dai barbari; allora la divisione tra i due poteri ricominciò; benché tra i maomettani sia meno appariscente che tra i cristiani, tuttavia c’è anche tra loro, soprattutto nella setta di Alì; ci sono Stati, come la Persia, dove non cessa di farsi sentire. Tra di noi i re d’Inghilterra si sono messi a capo della Chiesa e altrettanto hanno fatto gli czar; ma con questo titolo se ne sono resi ministri più che non padroni, acquistando più il potere di conservarla che non il diritto di modificarla. Non vi sono in veste di

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ils n’y sont que Princes. Partout où le Clergé fait un corps44 il est maître et législateur dans sa partie. Il y a donc deux puissances, deux Souverains, en Angleterre et en Russie, tout comme ailleurs. De tous les Auteurs Chrétiens le philosophe Hobbes est le seul qui ait bien vu le mal et le remède, qui ait osé proposer de réunir les deux têtes de l’aigle, et de tout ramener à l’unité politique, sans laquelle jamais Etat ni Gouvernement ne sera bien constitué. Mais il a dû voir que l’esprit dominateur du Christianisme était incompatible avec son sistème, et que l’intérêt du Prêtre serait toujours plus fort que celui de l’Etat. Ce n’est pas tant ce qu’il y a d’horrible et de faux dans sa politique que ce qu’il y a de juste et de vrai qui l’a rendue odieuse45. Je crois qu’en développant sous ce point de vue les faits historiques on réfuteroit aisément les sentiments opposés de Baile et de Warburton, dont l’un prétend que nulle Religion n’est utile au corps politique, et dont l’autre soutient au contraire que le Christianisme en est le plus ferme appui. On prouveroit au premier que jamais Etat ne fut fondé que la Religion ne lui servît de base, et au second que la loi Chrétienne est au fond plus nuisible qu’utile à la forte constitution de l’Etat. Pour achever de me faire entendre, il ne faut que donner un peu plus de précision aux idées trop vagues de Religion relatives à mon sujet. La Religion considérée par rapport à la société, qui est ou générale ou particulière, peut aussi se diviser en deux espèces, savoir la Religion de l’homme et celle du Citoyen. La première, sans Temples, sans autels, sans rites, bornée au culte purement intérieur du Dieu Suprême et aux devoirs éternels de la morale, est la pure et simple Religion de l’Evangile, le vrai Théisme, et ce qu’on peut appeler le droit divin naturel. L’autre, inscrite dans un seul pays, lui donne ses Dieux, ses Patrons propres et tutélaires: elle a ses dogmes, ses rites, son culte extérieur prescrit par des loix; hors la seule Nation qui la suit, tout est pour elle infidelle étranger, barbare; elle n’étend les devoirs et les droits de l’homme qu’aussi loin que ses autels. Telles furent toutes les Religions des premiers peuples, auxquelles on peut donner le nom de droit divin civil ou positif. Il y a une troisième sorte de Religion plus bizarre, qui donnant aux hommes deux législations, deux chefs, deux patries, les soumet

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legislatori, ma solo di prìncipi. Dovunque il clero costituisce un corpo44 esso è, nel suo paese, padrone e legislatore. Ci sono dunque due poteri, due sovrani, in Inghilterra e in Russia, come in tutti gli altri posti. Fra tutti gli autori cristiani il filosofo Hobbes è il solo che abbia penetrato esattamente il male e il suo rimedio, e che abbia osato proporre di riunire le due teste dell’aquila e di ricondurre tutto all’unità politica senza cui non ci sarà mai né un governo né uno Stato ben costituito. Ma ha dovuto rendersi conto del fatto che lo spirito dominatore del Cristianesimo era incompatibile col suo sistema e che l’interesse del prete sarebbe stato sempre più forte di quello dello Stato. E a far odiare la politica hobbesiana non è stato tanto ciò che includeva di orribile e di falso, quanto ciò che c’era di giusto e di vero45. Credo che sviluppando da questo punto di vista i fatti storici sarebbe facile confutare gli opposti sentimenti di Bayle e di Warburton, uno dei quali pretende che nessuna religione sia utile al corpo politico, mentre l’altro sostiene il contrario: che il Cristianesimo ne è il più valido sostegno. Al primo si potrebbe provare che nessuno Stato mai fu fondato senza prendere a base la religione; al secondo che la legge cristiana, in fondo, è più nociva che utile a una salda costituzione dello Stato. Per farmi intendere compiutamente mi basterà precisare un pochino le troppo vaghe idee di religione relative al mio argomento. La religione considerata in rapporto alla società, che è o generale o particolare, può a sua volta dividersi in due specie, cioè la religione dell’uomo e quella del cittadino. La prima, senza templi, senza altari, senza riti, limitata al puro culto interiore del Dio supremo e agli eterni doveri della morale, è la pura e semplice religione del Vangelo, il vero teismo, e ciò che si può chiamare il diritto divino naturale. L’altra, riconosciuta in un solo paese, gli dà i suoi dèi, i suoi propri patroni tutelari; essa ha i suoi dogmi, i suoi riti, il suo culto esteriore prescritto dalle leggi; al di fuori della sola nazione che la segue, per essa non ci sono che infedeli, stranieri, barbari, e i diritti e i doveri degli uomini non vanno al di là dei suoi altari. Tali furono tutte le religioni dei primi popoli, a cui si può dare il nome di diritto divino civile o positivo. C’è una terza specie di religione, più bizzarra, che dando agli uomini due legislazioni, due capi, due patrie, li sottomette a dove-

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à des devoirs contradictoires et les empêche de pouvoir être à la fois dévots et Citoyens. Telle est la Religion des Lamas, telle est celle des Japonais, tel est le christianisme Romain. On peut appeler celle-ci la religion du Prêtre. Il en résulte une sorte du droit mixte et insociable qui n’a point de nom. A considérer politiquement ces trois sortes de religions, elles ont toutes leurs défauts. La troisième est si évidemment mauvaise que c’est perdre le temps de s’amuser à le démontrer. Tout ce qui rompt l’unité sociale ne vaut rien: Toutes les institutions qui mettent l’homme en contradiction avec lui-même ne valent rien. La seconde est bonne en ce qu’elle réunit le culte divin et l’amour des loix, et que faisant de la patrie l’objet de l’adoration des Citoyens, elle leur apprend que servir l’Etat c’est en servir le Dieu tutélaire. C’est une espèce de Théocratie, dans laquelle on ne doit point avoir d’autre pontife que le Prince, ni d’autres prêtres que les magistrats. Alors mourir pour son pays c’est aller au martyre, violer les loix c’est être impie, et soumettre un coupable à l’exécration publique c’est le dévouer au courroux des Dieux; sacer estod. Mais elle est mauvaise en ce qu’étant fondée sur l’erreur et sur le mensonge elle trompe les hommes, les rend crédules, superstitieux, et noie le vrai culte de la divinité dans un vain cérémonial. Elle est mauvaise encore quand, devenant exclusive et tyrannique, elle rend un peuple sanguinaire et intolérant; en sorte qu’il ne respire que meurtre et massacre, et croit faire une action sainte en tuant quiconque n’admet pas ses Dieux. Cela met un tel peuple dans un état naturel de guerre avec tous les autres, très nuisible à sa propre sûreté. Reste donc la Religion de l’homme ou le Christianisme, non pas celui d’aujourd’hui, mais celui de l’Evangile, qui en est tout à fait différent. Par cette Religion sainte, sublime, véritable, les hommes, enfants du même Dieu, se reconnoissent tous pour frères, et la société qui les unit ne se dissout pas même à la mort. Mais cette Religion n’ayant nulle relation particulière avec le corps politique laisse aux loix la seule force qu’elles tirent d’ellesmêmes sans leur en ajouter aucune autre, et par là un des grands liens de la société particulière reste sans effet. Bien plus; loin d’attacher les coeurs des Citoyens à l’Etat, elle les en détache comme de toutes les choses de la terre: je ne connois rien de plus contraire à l’esprit social.

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ri contraddittori mettendoli nell’impossibilità di essere a un tempo devoti e cittadini. Tale è la religione dei Lama, dei Giapponesi, del Cristianesimo romano. Si può chiamarla la religione del prete. Ne risulta, una specie di diritto misto e privo di socialità che non ha nome. Politicamente considerate queste tre specie di religione hanno tutte i loro difetti. La terza è così evidentemente cattiva che baloccarsi a dimostrarlo sarebbe tempo perso. Tutto ciò che spezza l’unità sociale non vale nulla. Tutte le istituzioni che mettono l’uomo in contraddizione con se stesso non valgono nulla. La seconda è buona in quanto riunisce il culto divino e l’amore delle leggi e, facendo della patria l’oggetto dell’adorazione dei cittadini, insegna loro che servire lo Stato significa servirne il dio tutelare. È una specie di teocrazia in cui non si deve avere altro pontefice che il principe né altri sacerdoti oltre i magistrati. Allora, morire per il proprio paese vuol dire andare al martirio; violare le leggi, essere empio; sottoporre un criminale alla pubblica esecrazione, votarlo alla collera degli dèi; sacer estod. Ma è cattiva in quanto, fondandosi sull’errore e sulla menzogna, inganna gli uomini, li rende creduli e superstiziosi, e annega in un vano cerimoniale il vero culto della divinità. È cattiva anche quando, divenendo esclusiva e tirannica, rende un popolo sanguinario e intollerante, in modo che respira solo uccisione e massacro e crede di compiere un’azione santa uccidendo chiunque non ammetta i suoi dèi. Ciò mette un tal popolo in uno stato naturale di guerra con tutti gli altri, molto nocivo alla sua propria sicurezza. Resta dunque la religione dell’uomo, cioè il Cristianesimo, non quello d’oggi, ma quello del Vangelo, che è tutt’altra cosa. Per questa religione santa, sublime, verace, gli uomini, figli di uno stesso Dio, si considerano tutti fratelli, e la società che li unisce non si discioglie neppure con la morte. Tuttavia questa religione, mancando di qualunque relazione particolare col corpo politico, lascia alle leggi la sola forza che traggono da se stesse senza arricchirle di nessuna forza nuova e perciò uno dei grandi vincoli della società particolare resta privo di azione efficace. Ma c’è ben altro: anziché suscitare nei cuori dei cittadini un senso di attaccamento per lo Stato, li distacca dallo Stato come da tutte le cose della terra: non conosco nulla di più contrario allo spirito sociale.

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On nous dit qu’un peuple de vrais Chrétiens formeroit la plus parfaite société que l’on puisse imaginer. Je ne vois à cette supposition qu’une grande difficulté; c’est qu’une société de vrais chrétiens ne serait plus une société d’hommes. Je dis même que cette société supposée ne seroit avec toute sa perfection ni la plus forte ni la plus durable: A force d’être parfaite, elle manqueroit de liaison; son vice destructeur seroit dans sa perfection même. Chacun rempliroit son devoir; le peuple seroit soumis aux loix, les chefs seroient justes et modérés, les magistrats intègres, incorruptibles, les soldats mépriseroient la mort, il n’y auroit ni vanité ni luxe; tout cela est fort bien, mais voyons plus loin. Le Christianisme est une religion toute spirituelle, occupée uniquement des choses du Ciel: la patrie du Chrétien n’est pas de ce monde. Il fait son devoir, il est vrai, mais il le fait avec une profonde indifférence sur le bon ou mauvais succès de ses soins. Pourvu qu’il n’ait rien à se reprocher, peu lui importe que tout aille bien ou mal ici-bas. Si l’Etat est florissant, à peine ose-t-il jouir de la félicité publique, il craint de s’enorgueillir de la gloire de son pays; si l’Etat dépérit, il bénit la main de Dieu qui s’appesantit sur son peuple. Pour que la société fût paisible et que l’harmonie se maintînt, il faudroit que tous les Citoyens sans exception fussent également bons Chrétiens: Mais si malheureusement il s’y trouve un seul ambitieux, un seul hypocrite, un Catilina, par exemple, un Cromwell, celui-là très certainement aura bon marché de ses pieux compatriotes. La charité chrétienne ne permet pas aisément de penser mal de son prochain. Dès qu’il aura trouvé par quelque ruse l’art de leur en imposer et de s’emparer d’une partie de l’autorité publique, voilà un homme constitué en dignité; Dieu veut qu’on le respecte; bientôt voilà une puissance; Dieu veut qu’on lui obéisse; le dépositaire de cette puissance en abuse-t-il? c’est la verge dont Dieu punit ses enfants. On se feroit conscience de chasser l’usurpateur, il faudroit troubler le repos public, user de violence, verser du sang; tout cela s’accorde mal avec la douceur du Chrétien; et après tout, qu’importe qu’on soit libre ou serf dans cette vallée de misères? l’essenciel est d’aller en paradis, et la résignation n’est qu’un moyen de plus pour cela. Survient-il quelque guerre étrangère? Les Citoyens marchent sans peine au combat; nul d’entre eux ne songe à fuir; ils font leur

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Ci dicono che un popolo di veri cristiani formerebbe la società più perfetta che si possa immaginare. In questa supposizione non vedo che una grande difficoltà: che una società di veri cristiani non sarebbe più una società di uomini. Arrivo a dire che questa supposta società non sarebbe con tutta la sua perfezione, né la più forte né la più duratura: a forza d’essere perfetta, mancherebbe di coesione; il suo vizio distruttore sarebbe nella sua stessa perfezione. Ognuno farebbe il suo dovere; il popolo sarebbe sottomesso alle leggi; i capi sarebbero giusti e moderati; i magistrati integri, incorruttibili; i soldati disprezzerebbero la morte; non ci sarebbe né vanità né lusso; tutte cose molto belle, ma guardiamo più in là. Il Cristianesimo è una religione tutta spirituale, dominata unicamente dalle cose del cielo; la patria del cristiano non è di questo mondo. Egli fa il suo dovere è vero, ma lo fa con profonda indifferenza per l’esito buono o cattivo dei suoi sforzi. Purché non abbia nulla da rimproverarsi, poco gl’importa che tutto vada bene o male quaggiù. Se lo Stato è fiorente, osa appena godere della felicità pubblica, temendo di inorgoglirsi della gloria del proprio paese; se lo Stato decade, benedice la mano di Dio che grava sul suo popolo. Perché la società fosse pacifica e l’armonia si mantenesse bisognerebbe che tutti i cittadini, nessuno escluso, fossero del pari buoni cristiani; ma se sfortunatamente si trovasse tra loro un solo ambizioso, un solo ipocrita, come un Catilina o un Cromwell, certamente avrebbe la meglio sui suoi devoti compatrioti. La carità cristiana non permette facilmente che si pensi male del prossimo. Non appena avesse trovato con qualche astuzia il segreto d’ingannarli impadronendosi di una parte dei pubblici poteri, ecco un uomo già costituito in dignità; Dio vuole che sia rispettato; eccolo in breve diventare un’autorità; Dio vuole che gli si obbedisca. Il depositario di questo potere ne abusa? è la verga con cui Dio punisce i suoi figli. Ci si farebbe scrupolo a cacciare l’usurpatore: bisognerebbe turbare la quiete pubblica, fare violenza, versare del sangue; tutte cose che mal si accordano con la mansuetudine del cristiano; e infine che importa se siamo liberi o schiavi in questa valle di miseria? L’essenziale è che si vada in paradiso, e la rassegnazione è solo un mezzo di più per andarci. Si entra in guerra con lo straniero? senza difficoltà i cittadini vanno a combattere; nessuno di loro pensa alla fuga; fanno il loro

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devoir, mais sans passion pour la victoire; ils savent plutôt mourir que vaincre. Qu’ils soient vainqueurs ou vaincus, qu’importe? La providence ne sait-elle pas mieux qu’eux ce qu’il leur faut? Qu’on imagine quel parti un ennemi fier, impétueux, passionné peut tirer de leur stoïcisme! Mettez vis-à-vis d’eux ces peuples généreux que dévoroit l’ardent amour de la gloire et de la patrie, supposez votre république chrétienne vis-à-vis de Sparte ou de Rome; les pieux chrétiens seront battus, écrasés, détruits avant d’avoir eu le temps de se reconnaître, ou ne devront leur salut qu’au mépris que leur ennemi concevra pour eux. C’étoit un beau serment à mon gré que celui des soldats de Fabius; ils ne jurèrent pas de mourir ou de vaincre, ils jurèrent de revenir vainqueurs, et tinrent leur serment: Jamais des Chrétiens n’en eussent fait un pareil; ils auraient cru tenter Dieu. Mais je me trompe en disant une République Chrétienne; chacun de ces deux mots exclud l’autre. Le Christianisme ne prêche que servitude et dépendance. Son esprit est trop favorable à la tirannie pour qu’elle n’en profite pas toujours. Les vrais Chrétiens sont faits pour être esclaves; ils le savent et ne s’en émeuvent guère; cette courte vie a trop peu de prix à leurs yeux. Les troupes chrétiennes sont excellentes, nous dit-on. Je le nie. Qu’on m’en montre de telles? Quant à moi, je ne connois point de troupes chrétiennes. On me citera les croisades. Sans disputer sur la valeur des Croisés, je remarquerai que bien loin d’être des Chrétiens, c’étoient des soldats du prêtre, c’étoient des Citoyens de l’Eglise; ils se battoient pour son pays Spirituel, qu’elle avoit rendu temporel on ne sait comment. A le bien prendre, ceci rentre sous le paganisme; comme l’Evangile n’établit point une Religion nationale, toute guerre sacrée est impossible parmi les Chrétiens. Sous les Empereurs payens les soldats chrétiens étoient braves; tous les Auteurs Chrétiens l’assurent, et je le crois: c’étoit une émulation d’honneur contre les troupes payennes. Dès que les Empereurs furent chrétiens cette émulation ne subsista plus, et quand la croix eut chassé l’aigle, toute la valeur romaine disparut. Mais laissant à part les considérations politiques, revenons au droit, et fixons les principes sur ce point important. Le droit que le pacte social donne au Souverain sur les sujets ne passe point, comme je l’ai dit, les bornes de l’utilité publique46. Les sujets ne doivent donc compte au Souverain de leurs opinions qu’autant que ces opi-

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dovere, ma poco si appassionano a vincere; più che a vincere sono bravi a morire. Vincitori o vinti, che importa? la provvidenza sa meglio di loro qual è il loro bene. Si può immaginare quanto partito può trarre dal loro stoicismo un nemico fiero, impetuoso, appassionato. Metteteli a confronto con quei popoli generosi che l’ardente amore della gloria e della patria divorava. Supponete la vostra repubblica cristiana di fronte a Sparta o a Roma. I cristiani, con la loro pietà, saranno battuti, schiacciati, distrutti prima di avere avuto il tempo di raccapezzarsi, o dovranno la loro salvezza solo al disprezzo che il nemico concepirà per loro. Era un bel giuramento, a me pare, quello dei soldati di Fabio: non giurarono di vincere o di morire; giurarono di tornare vincitori; e mantennero il giuramento. Mai dei cristiani avrebbero osato un simile giuramento; avrebbero creduto di tentare Dio. Ma sbaglio a parlare di repubblica cristiana: i due termini si escludono a vicenda. Il cristianesimo predica solo servitù e dipendenza. Ha uno spirito troppo favorevole alla tirannide perché essa non ne approfitti sempre. I veri cristiani sono fatti per essere schiavi, lo sanno e non se la prendono; questa breve vita per loro ha troppo poco valore. Le truppe cristiane – si dice – sono eccellenti. Lo nego. Me ne facciano vedere di siffatte. Per parte mia di truppe cristiane non ne conosco. Mi citeranno le crociate. Senza discutere il valore dei crociati, osserverò che, ben lungi da essere dei cristiani, erano dei soldati, dei preti, dei cittadini della Chiesa; si battevano per la sua patria spirituale che essa, non si sa come, aveva reso temporale. A guardar bene, questo rientra nel paganesimo; poiché il Vangelo non istituisce una religione nazionale, tra i cristiani è impossibile qualunque guerra santa. Sotto gl’imperatori pagani i soldati cristiani erano valorosi; tutti gli autori cristiani lo assicurano ed io ci credo; era una gara d’onore contro le truppe pagane. Non appena gl’imperatori furono cristiani questa emulazione finì, e quando la croce ebbe cacciato l’aquila tutto il valore romano disparve. Ma, lasciando da parte le considerazioni politiche, ritorniamo al diritto e fissiamo i princìpi su questo punto importante. Il diritto che il patto sociale conferisce al sovrano sui sudditi non oltrepassa, come ho detto, i limiti della pubblica utilità46. I sudditi non devono dunque render conto delle loro opinioni al sovrano se non

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nions importent à la communauté. Or il importe bien à l’Etat que chaque Citoyen ait une Religion qui lui fasse aimer ses devoirs; mais les dogmes de cette Religion n’intéressent ni l’Etat ni ses membres qu’autant que ces dogmes se rapportent à la morale, et aux devoirs que celui qui la professe est tenu de remplir envers autrui. Chacun peut avoir au surplus telles opinions qu’il lui plaît, sans qu’il appartienne au Souverain d’en connoitre: Car comme il n’a point de compétence dans l’autre monde, quel que soit le sort des sujets dans la vie à venir ce n’est pas son affaire, pourvu qu’ils soient bons citoyens dans celle-ci. Il y a donc une profession de foi purement civile dont il appartient au Souverain de fixer les articles, non pas précisément comme dogmes de Religion, mais comme sentiments de sociabilité, sans lesquels il est impossible d’être bon Citoyen ni sujet fidèle47. Sans pouvoir obliger personne à les croire, il peut bannir de l’Etat quiconque ne les croit pas; il peut le bannir, non comme impie, mais comme insociable, comme incapable d’aimer sincèrement les loix, la justice, et d’immoler au besoin sa vie à son devoir. Que si quelqu’un, après avoir reconnu publiquement ces mêmes dogmes, se conduit comme ne les croyant pas, qu’il soit puni de mort; il a commis le plus grand des crimes, il a menti devant les loix. Les dogmes de la Religion civile doivent être simples, en petit nombre, énoncés avec précision sans explications ni commentaires. L’existence de la Divinité puissante, intelligente, bienfaisante, prévoyante et pourvoyante, la vie à venir, le bonheur des justes, le châtiment des méchants, la sainteté du Contract social et des loix, voilà les dogmes positifs. Quant aux dogmes négatifs, je les borne à un seul; c’est l’intolérance: elle rentre dans les cultes que nous avons excluds. Ceux qui distinguent l’intolérance civile et l’intolérance théologique se trompent, à mon avis. Ces deux intolérances sont inséparables. Il est impossible de vivre en paix avec des gens qu’on croit damnés; les aimer seroit haïr Dieu qui les punit; il faut absolument qu’on les ramène ou qu’on les tourmente. Partout où l’intolérance théologique est admise, il est impossible qu’elle n’ait pas quelque effet civil48; et sitôt qu’elle en a, le Souverain n’est plus Souverain, même au temporel: dès lors les Prêtres sont les vrais maîtres; les Rois ne sont que leurs officiers. Maintenant qu’il n’y a plus et qu’il ne peut plus y avoir de Religion nationale exclusive, on doit tolérer toutes celles qui tolèrent

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nei limiti in cui tali opinioni interessano la comunità. Ora allo Stato importa molto che ogni cittadino abbia una religione che gli faccia amare i suoi doveri, ma i dogmi di questa religione non interessano né allo Stato né ai suoi membri se non in quanto si riferiscono alla morale e ai doveri che chi la professa è tenuto ad adempiere verso gli altri. Ciascuno può, quanto al resto, avere le opinioni che vuole senza che al sovrano spetti di esserne messo al corrente: infatti, poiché l’altro mondo non è di sua competenza, quale che sia la sorte dei sudditi nella vita futura non è affar suo, purché siano buoni cittadini in questa. C’è dunque una professione di fede puramente civile di cui spetta al sovrano di fissare gli articoli, non proprio come dogmi di religione, ma come sentimenti di socievolezza, senza cui è impossibile esser buoni cittadini o sudditi fedeli47. Senza poter obbligare nessuno a credervi, può bandire dallo Stato chiunque non vi creda; può bandirlo, non come empio, ma come asociale, come incapace di amare sinceramente le leggi, la giustizia, e di sacrificare, se occorra, la propria vita al dovere. E se qualcuno, dopo aver riconosciuto pubblicamente questi medesimi dogmi, si comporta come se non ci credesse, sia punito con la morte; ha commesso il più grave dei delitti; ha mentito davanti alle leggi. I dogmi della religione devono essere semplici, poco numerosi, enunciati con precisione e senza spiegazione o commento. L’esistenza della divinità, potente, intelligente, benefica, previdente e provvida; la vita futura, la felicità dei giusti e la punizione dei malvagi; la santità del contratto sociale e delle leggi; ecco i dogmi positivi. Quanto ai dogmi negativi, li riduco a uno solo, che è l’intolleranza: essa rientra nei culti che abbiamo escluso. Sbagliano, secondo me, quelli che distinguono l’intolleranza civile dall’intolleranza teologica. Sono due intolleranze inseparabili. Impossibile vivere in pace con persone che riteniamo dannate. Amarle vorrebbe dire odiare Dio che le punisce; dobbiamo necessariamente convertirle o perseguitarle. Impossibile che l’intolleranza, dovunque è ammessa, non abbia qualche effetto civile48; e non appena ne ha, il sovrano non è più sovrano, nemmeno sul piano temporale: da quel momento i veri padroni sono i preti e i re sono soltanto i loro funzionari. Ora che non vi sono più, né possono esservi, religioni nazionali esclusive, bisogna tollerare tutte quelle che tollerano le altre, nei

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les autres, autant que leurs dogmes n’ont rien de contraire aux devoirs du Citoyen. Mais quiconque ose dire, Hors de l’Eglise point de Salut, doit être chassé de l’Etat; à moins que l’Etat ne soit l’Eglise, et que le Prince ne soit le Pontife. Un tel dogme n’est bon que dans un Gouvernement Théocratique, dans tout autre il est pernicieux. La raison sur laquelle on dit qu’Henri IV embrassa la religion romaine la devroit faire quitter à tout honnête homme, et surtout à tout prince qui sauroit raisonner.

CHAPITRE IX

CONCLUSION

Après avoir posé les vrais principes du droit politique et tâché de fonder l’Etat sur sa base, il resteroit à l’appuyer par ses relations externes; ce qui comprendroit le droit des gens, le commerce, le droit de la guerre et les conquêtes, le droit public, les ligues, les négociations, les traités etc. Mais tout cela forme un nouvel objet trop vaste pour ma courte vue; j’aurois dû la fixer toujours plus près de moi.

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limiti in cui i loro dogmi non contrastano in nulla coi doveri del cittadino. Ma chiunque osi dire: Non c’è salvezza fuori della Chiesa deve essere cacciato dallo Stato, a meno che lo Stato non sia la Chiesa e il principe il pontefice. Un tale dogma va bene solo in un governo teocratico; in tutti gli altri è pernicioso. La ragione che – si dice – spinse Enrico IV ad abbracciare la religione romana, dovrebbe farla abbandonare a qualunque galantuomo, e soprattutto a ogni principe che sapesse ragionare.

CAPITOLO NONO

CONCLUSIONE

Dopo aver fissato i veri princìpi del diritto politico e aver cercato di fondare lo Stato sulla sua base, resterebbe da consolidarlo per mezzo delle sue relazioni estere; questa trattazione comprenderebbe il diritto delle genti, il commercio, il diritto di guerra e le conquiste, il diritto pubblico, le leghe, le negoziazioni, i trattati, ecc. Ma tutto ciò costituisce un nuovo argomento, troppo ampio per la mia vista corta; avrei dovuto guardar sempre più vicino a me.

NOTE*

* Si restituiscono qui le note di Rousseau (N.d.C.)

1 «Les savantes recherches sur le droit public ne sont souvent que l’histoire des anciens abus, et on s’est entêté mal à propos quand on s’est donné la peine de les trop étudier». Traité manuscrit des intérêts de la Fr[ance] avec ses voisins, par M.L. M[arquis] d’A[rgenson]. Voilà précisément ce qu’a fait Grotius. 2 Voyez un petit traité de Plutarque intitulé: Que les bêtes usent de la raison. 3 Le vrai sens de ce mot s’est presque entièrement effacé chez les modernes; la plupart prennent une ville pour une Cité et un bourgeois pour un Citoyen. Ils ne savent pas que les maisons font la ville mais que les Citoyens font la Cité. Cette même erreur coûta cher autrefois aux Carthaginois. Je n’ai pas lu que le titre de cives ait jamais été donné aux sujets d’aucun Prince, pas même anciennement aux Macédoniens, ni de nos jours aux Anglois, quoique plus près de la liberté que tous les autres. Les seuls François prennent tout familièrement ce nom de Citoyens, parce qu’ils n’en ont aucune véritable idée, comme on peut le voir dans leurs Dictionnaires, sans quoi ils tomberoient en l’usurpant dans le crime de Lèze-Majesté: ce nom chez eux exprime une vertu et non pas un droit. Quand Bodin a voulu parler de nos Citoyens et Bourgeois, il a fait une lourde bévue en prenant les uns pour les autres. M. d’Alembert ne s’y est pas trompé, et a bien distingué dans son article Genève les quatre ordres d’hommes (même cinq en y comptant les simples étrangers) qui sont dans notre ville, et dont deux seulement composent la République. Nul autre auteur François, que je sache, n’a compris le vrai sens du mot Citoyen. 4 Sous les mauvais gouvernements cette égalité n’est qu’apparente et illusoire; elle ne sert qu’à maintenir le pauvre dans sa misère et le riche dans son usurpation. Dans le fait les loix sons toujours utiles à ceux qui possèdent et nuisibles à ceux qui n’ont rien: D’où il suit que l’état social n’est avantageux aux hommes qu’autant qu’ils ont tous quelque chose et qu’aucun d’eux n’a rien de trop. 5 Pour qu’une volonté soit générale il n’est pas toujours nécessaire qu’elle soit unanime, mais il est nécessaire que toutes les voix soient comptées; toute exclusion formelle rompt la généralité. 6 Chaque intérêt, dit le M[arquis] d’A[rgenson], a des principes différenns. L’accord de deux intérêts particuliers se forme par opposition à celui d’un tiers. Il eût pu ajouter que l’accord de tous les intérêts se forme par opposition à celui de chacun. S’il n’y avoit point d’intérêts différents, à peine sentirait-on l’intérêt commun qui ne trouveroit jamais d’obstacle: tout irait de lui-même, et la politique cesseroit d’être un art. 7 Vera cosa è, dit Machiavel, che alcune divisioni nuocono alle Republiche, e

1 «Le dotte ricerche sul diritto pubblico spesso altro non sono che la storia degli antichi abusi, e si è ostinato fuori proposito chi si è dato da fare per studiarli troppo», Traité manuscrit des intérêts de la Fr[ance] avec ses voisins par M.L. M[arquis] d’A[rgenson]. Ecco esattamente ciò che ha fatto Grozio. 2 Vedi un trattatello di Plutarco intitolato: Che le bestie fanno uso della ragione. 3 Il vero senso di questa parola presso i moderni è andato quasi completamente perduto; i più prendono per una città un centro urbano, e per un cittadino chi abita nel medesimo. Non sanno che a fare il centro urbano sono le case, mentre la città la fanno i cittadini. È un errore che in altri tempi costò caro ai Cartaginesi. Non ho mai letto che il titolo di cives sia stato attribuito ai sudditi da nessun principe, nemmeno ai Macedoni, nell’antichità, o, ai giorni nostri, agl’Inglesi – benché più vicini alla libertà di tutti gli altri. Solo i Francesi prendono molto familiarmente questo nome di cittadini, perché non ne hanno nessuna idea precisa, come si può vedere dai loro dizionari; altrimenti, usurpandolo, cadrebbero nel delitto di lesa maestà. Questo nome, per loro, indica una virtù e non un diritto. Quando Bodin ha voluto parlare dei nostri cittadini e borghesi, è caduto in un pesante equivoco scambiandoli tra loro. D’Alembert, invece, non si è sbagliato e nel suo articolo Genève ha ben distinto i quattro ordini di uomini (anzi, cinque, includendovi i semplici stranieri), che vi sono nella nostra città, e di cui due soltanto compongono la Repubblica. Nessun altro autore francese, che io sappia, ha capito il vero significato del termine cittadino. 4 Sotto i cattivi governi quest’uguaglianza è solo apparente ed illusoria; non serve che a mantenere il povero nella sua miseria e il ricco nella sua usurpazione. Di fatto le leggi sono sempre utili a chi possiede e nocive a chi non ha nulla. Perciò lo stato sociale giova agli uomini solo in quanto posseggano tutti qualcosa e nessuno di essi abbia qualcosa di troppo. 5 Perché una volontà sia generale non sempre è necessario che sia unanime, ma è necessario che si tenga conto di tutti i voti; ogni esclusione formale rompe la generalità. 6 Ogni interesse, dice il M.[archese] d’A.[rgenson], è regolato da princìpi diversi. L’accordo tra due interessi particolari si basa sull’opposizione a quello di un terzo. Avrebbe potuto aggiungere che l’accordo di tutti gl’interessi si fonda sull’opposizione all’interesse di ciascuno. Se non ci fossero interessi diversi, appena si avvertirebbe l’interesse comune, che non troverebbe mai ostacolo: tutto andrebbe avanti da sé e la politica cesserebbe di essere un’arte. 7 Vera cosa è, dice Machiavelli, che alcune divisioni nuocono alle Repubbli-

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alcune giovano: quelle nuocono che sono dalle sette e da partigiani accompagnate: quelle giovano che senza sette, senza partigiani si mantengono. Non potendo adunque provedere un fondatore d’una Republica che non siano nimicizie in quella, hà da proveder almeno che non vi siano sette. Hist. Fiorent., L. VII. 8 Lecteurs attentifs, ne vous pressez pas, je vous prie, de m’accuser ici de contradiction. Je n’ai pu l’éviter dans les termes, vu la pauvreté de la langue; mais attendez. 9 Je n’entends pas seulement par ce mot une Aristocratie ou une Démocratie, mais en général tout gouvernement guidé par la volonté générale, qui est la loi. Pour être légitime il ne faut pas que le Gouvernement se confonde avec le Souverain, mais qu’il en soit le ministre: alors la monarchie elle-même est république. Ceci s’éclaircira dans le livre suivant. 10 Un peuple ne devient célèbre que quand sa législation commence à décliner. On ignore durant combien de siècles l’institution de Lycurgue fit le bonheur des Spartiates avant qu’il fût question d’eux dans le reste de la Grèce. 11 Ceux qui ne considèrent Calvin que comme théologien connoissent mal l’étendue de son génie. La rédaction de nos sages Édits, à laquelle il eut beaucoup de part, lui fait autant déshonneur que son institution. Quelque révolution que le temps puisse amener dans notre culte, tant que l’amour de la patrie et de la liberté ne sera pas éteint parmi nous, jamais la mémoire de ce grand homme ne cessera d’y être en bénédiction. 12 E veramente, dit Machiavel, mai non fù alcuno ordinatore di leggi straordinarie in un popolo, che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate; perché sono molti beni conosciuti da uno prudente, i quali non hanno in se raggioni evidenti da potergli persuadere ad altrui. Discorsi sopra Tito Livio, L. I, c. XI. 13 Si de deux peuples voisins l’un ne pouvoit se passer de l’autre, ce seroit une situation très dure pour le premier et très dangereuse pour le second. Toute nation sage, en pareil cas, s’efforcera bien vite de délivrer l’autre de cette dépendance. La République de Thlascala enclavée dans l’empire du Mexique aima mieux se passer de sel, que d’en acheter des Mexicains, et même que d’en accepter gratuitement. Les sages Thlascalans virent le piège caché sous cette libéralité. Ils se conservèrent libres, et ce petit Etat, enfermé dans ce grand empire, fut enfin l’instrument de sa ruine. 14 Voulez-vous donc donner à l’Etat de la consistance? rapprochez les degrés extrêmes autant qu’il est possible: ne souffrez ni des gens opulents ni des gueux. Ces deux états, naturellement inséparables, sont également funestes au bien commun; de l’un sortent les fauteurs de la tirannie et de l’autre les tirans; c’est toujours entre eux que se fait le trafic de la liberté publique; l’un l’achette et l’autre la vend. 15 Quelque branche de commerce extérieur, dit le M[arquis] d’A[rgenson], ne répand gueres qu’une fausse utilité pour un royaume en général; elle peut enrichir quelques particuliers, même quelques villes, mais la nation entière n’y gagne rien, et le peuple n’en est pas mieux. 16 C’est ainsi qu’à Venise on donne au collège le nom de sérénissime Prince, même quand le Doge n’y assiste pas. 17 Le Palatin de Posnanie père du roi de Pologne Duc de Lorraine.

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che, e alcune giovano: quelle nuocono che sono dalle sette e da partigiani accompagnate, quelle giovano che senza sette, senza partigiani si mantengono. Non potendo adunque provedere un fondatore d’una repubblica che non siano inimicizie in quella, ha da proveder almeno che non vi siano sette (Ist. fiorent., l. VII). 8 Lettori attenti, ve ne prego, non abbiate fretta di accusarmi qui di contraddizione. Vista la povertà della lingua, non ho potuto evitarla nei termini; ma aspettate. 9 Con questo termine non intendo solo un’aristocrazia o una democrazia, bensì, in genere, qualunque governo guidato dalla volontà generale, che è la legge. Per essere legittimo, il governo non deve confondersi col sovrano, ma esserne il ministro: allora la monarchia stessa è repubblica. Questo sarà chiarito nel prossimo libro. 10 Un popolo diventa celebre solo quando la sua legislazione comincia a decadere. Non sappiamo per quanti secoli le istituzioni di Licurgo abbiano fatto la felicità degli Spartani prima che nel resto della Grecia si parlasse di loro. 11 Quelli che considerano Calvino solo come un teologo non capiscono la vastità del suo genio. La redazione dei nostri saggi editti, nella quale ebbe molta parte, gli fa altrettanto onore quanto la sua istituzione. Qualunque rivoluzione il tempo possa portare nel nostro culto, finché l’amore della patria e della libertà non sarà spento fra noi, la memoria di questo grande uomo non finirà mai di essere benedetta. 12 È veramente, dice Machiavelli, mai non fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in un popolo, che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate; perché sono molti beni conosciuti da uno prudente, i quali non hanno in sé ragioni evidenti da potergli persuadere ad altrui (Discorsi sopra Tito Livio, l. I, cap. XI). 13 Se di due popoli vicini l’uno non potesse fare a meno dell’altro, la situazione sarebbe molto dura per il primo e molto pericolosa per il secondo. Qualunque popolo saggio, in un simile caso, si affretterà a fare di tutto per liberare l’altro da questo rapporto di dipendenza. La repubblica di Thlaxcala, incuneata nell’impero del Messico, preferì fare a meno del sale piuttosto che comprarlo dai Messicani o, perfino, riceverlo gratuitamente. I saggi Thlaxcaltechi videro il tranello che si nascondeva sotto tale liberalità. Si mantennero liberi e questo piccolo stato, incastrato in quel grande impero, finì con l’essere lo strumento della sua rovina. 14 Dunque, se volete conferire solidità allo stato, fate in modo di ravvicinare quanto più è possibile i due estremi: non tollerate né la gente opulenta né gli straccioni. Sono due condizioni, naturalmente inseparabili, ugualmente funeste al bene comune; dall’una escono i fautori della tirannide, dall’altra i tiranni; il traffico della libertà pubblica avviene sempre fra di esse; l’una la compra e l’altra la vende. 15 Qualche ramo del commercio con l’estero, dice il M.[archese] d’A.[rgenson], non diffonde se non una parvenza di utilità a vantaggio di un regno in generale; può arricchire qualche privato, e anche qualche città, ma la nazione nel suo complesso non ci guadagna nulla, e il popolo non ne trae giovamento. 16 Così a Venezia si dà al collegio il nome di serenissimo principe, anche quando il doge non vi assiste. 17 Il palatino di Posnania, padre del re di Polonia duca di Lorena.

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18 Il est clair que le mot Optimates chez les Anciens ne veut pas dire les meilleurs, mais, les plus puissants. 19 Il importe beaucoup de régler par des loix la forme de l’élection des magistrats: car en l’abandonnant à la volonté du Prince on ne peut éviter de tomber dans l’Aristocratie héréditaire, comme il est arrivé aux Républiques de Venise et de Berne. Aussi la première est-elle depuis longtemps un Etat dissout, mais la seconde se maintient par l’extrême sagesse de son Sénat; c’est une exception bien honorable et bien dangereuse. 20 Tacite: Hist., L. I. 21 In Civili. 22 Ceci ne contredit pas ce que j’ai dit ci-devant L, II, chap. IX. Sur les inconvénients des grands Etats: car il s’agissoit là de l’autorité du Gouvernement sur ses membres, et il s’agit ici de sa force contre les sujets. Ses membres épars lui servent de points d’appui pour agir au loin sur le peuple, mais il n’a nul point d’appui pour agir directement sur ces membres-mêmes. Ainsi dans l’un des cas la longueur du levier en fait la foiblesse, et la force dans l’autre cas. 23 On doit juger sur le même principe des siècles qui méritent la préférence pour la prospérité du genre humain. On a trop admiré ceux où l’on a vu fleurir les lettres et les arts, sans pénétrer l’objet secret de leur culture, sans en considérer le funeste effet, idque apud imperitos humanitas vocabatur, cum pars servitutis esset. Ne verrons-nous jamais dans les maximes des livres l’intérêt grossier qui fait parler les Auteurs? Non, quoi qu’ils en puissent dire, quand malgré son éclat un pays se dépeuple, il n’est pas vrai que tout aille bien, et il ne suffit pas qu’un poète ait cent mille livres de rente pour que son siècle soit le meilleur de tous. Il faut moins regarder au repos apparent, et à la tranquillité des chefs, qu’au bien être des nations entières et surtout des etats les plus nombreux. La grêle désole quelques cantons, mais elle fait rarement disette. Les émeutes, les guerres civiles effarouchent beaucoup les chefs, mais elles ne font pas les vrais malheurs des peuples, qui peuvent même avoir du relâche tandis qu’on dispute à qui les tirannisera. C’est de leur état permanent que naissent leurs prospérités ou leurs calamités réelles; quand tout reste écrasé sous le joug, c’est alors que tout dépérit; c’est alors que les chefs les détruisant à leur aise, ubi solitudinem faciunt, pacem appelant. Quand les tracasseries des Grands agitaient le royaume de France, et que le Coadjuteur de Paris portoit au parlement un poignard dans sa poche cela n’empêchait pas que le peuple François ne vécût heureux et nombreux dans une honnête et libre aisance. Autrefois la Grèce fleurissoit au sein des plus cruelles guerres; le sang y coulait à flots, et tout le pays était couvert d’hommes. Il sembloit, dit Machiavel, qu’au milieu des meurtres, des proscriptions, des guerres civiles, notre République en devînt plus puissante; la vertu de ses citoyens, leurs moeurs, leur indépendance avoient plus d’effet pour la renforcer que toutes ses dissensions n’en avoient pour l’affaiblir. Un peu d’agitation donne du ressort aux âmes, et ce qui fait vraiment prospérer l’espèce est moins la paix que la liberté. 24 La formation lente et le progrès de la République de Venise dans ses lagunes offre un exemple notable de cette succession; et il est bien étonnant que depuis plus de douze cents ans les Vénitiens semblent n’en être encore qu’au second terme, lequel commença au Serrar di Consiglio en 1198. Quant aux anciens

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18 È manifesto che il termine optimates presso gli antichi non significa i migliori, ma i più potenti. 19 È molto importante regolare con leggi la forma di elezione dei magistrati; infatti, abbandonandola alla volontà del principe, non si può evitare di cadere nell’aristocrazia ereditaria, come è accaduto alle repubbliche di Venezia e di Berna. Così la prima è da un bel pezzo uno Stato in dissoluzione, mentre la seconda si conserva per l’estrema saggezza del suo senato; è un’eccezione molto onorevole e molto rischiosa. 20 Tacito, Hist., l. I. 21 In Civili. 22 Questo non contraddice a ciò che ho detto prima (l. II, cap. IX) sugl’inconvenienti dei grandi Stati, perché là si trattava dell’autorità del governo sui suoi membri, mentre qui si tratta della sua forza contro i suoi sudditi. I suoi membri sparsi gli servono come punti di appoggio per agire a distanza sul popolo, ma non ha nessun punto d’appoggio per agire direttamente sui membri stessi. Quindi, in un caso, la lunghezza della leva ne fa la debolezza, nell’altro, la forza. 23 Ci si deve fondare sullo stesso principio per giudicare quali secoli meritino la preferenza per la prosperità del genere umano. Si sono troppo ammirati quelli in cui si son viste fiorire le lettere e le arti senza penetrare il segreto oggetto della loro cultura, senza considerarne l’effetto funesto, idque apud imperitos humanitas vocabatur, cum pars servitutis esset. Non scorgeremo mai nelle massime dei libri l’interesse grossolano che fa parlare gli autori? No, per quante ne dicano, quando, nonostante il suo splendore, un paese si spopola, non è vero che tutto vada bene, e non basta che un poeta abbia centomila lire di rendita perché il suo secolo sia il migliore di tutti. Bisogna guardar meno alla quiete apparente e alla tranquillità dei capi che al benessere delle nazioni intere, e soprattutto delle classi più numerose. La grandine devasta qualche cantone, ma di rado porta la carestia. Le sommosse, le guerre civili, spaventano molto i capi, ma non sono la vera disgrazia dei popoli, che possono persino avere un po’ di tregua mentre si disputa su chi sarà il loro tiranno. Le loro prosperità o le loro calamità reali nascono dalla loro condizione permanente; quando tutto resta schiacciato sotto il giogo, allora tutto deperisce; allora i capi, distruggendoli a loro agio, ubi solitudinem faciunt, pacem appellant. Quando le contese dei grandi agitavano il regno di Francia e il coadiutore di Parigi andava in parlamento con un pugnale in tasca, questo non impediva al popolo francese di vivere felice e numeroso in un’onesta e libera agiatezza. In altri tempi la Grecia fioriva in mezzo alle guerre più crudeli; il sangue vi scorreva a fiotti e tutto il paese era coperto di uomini. Sembrava, – dice Machiavelli – che in mezzo ai delitti, alle proscrizioni, alle guerre civili, la nostra repubblica diventasse più potente; la virtù dei suoi cittadini, i loro costumi, la loro indipendenza avevano più efficacia nel rinforzarla che non tutti i suoi dissensi nell’indebolirla. Un po’ di agitazione dà impulso alle anime e ciò che fa veramente prosperare la specie è meno la pace che la libertà. 24 La lenta formazione e il progresso della repubblica di Venezia nelle sue lagune offre un esempio notevole di questo processo e davvero è sorprendente che dopo oltre dodici secoli i Veneziani sembrino essere ancora solo al secondo stadio, che cominciò col serrar di consiglio nel 1198. Quanto agli antichi duchi

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Ducs qu’on leur reproche, quoi qu’en puisse dire le squitinio della libertà veneta, il est prouvé qu’ils n’ont point été leurs Souverains. On ne manquera pas de m’objecter la République Romaine qui suivit, dirat-on, un progrès tout contraire, passant de la monarchie à l’Aristocratie, et de l’Aristocratie à la Démocratie. Je suis bien éloigné d’en penser ainsi. Le primier établissement de Romulus fut un Gouvernement mixte qui dégénéra promptement en Despotisme. Par des causes particulières l’Etat périt avant le tems, comme on voit mourir un nouveau-né avant d’avoir atteint l’âge d’homme. L’expulsion des Tarquins fut la véritable époque de la naissance de la République. Mais elle ne prit pas d’abord une forme constante, parce qu’on ne fit que la moitié de l’ouvrage en n’abolissant pas le patriciat. Car de cette manière l’Aristocratie héréditaire qui est la pire des administrations légitimes, restant en conflit avec la Démocratie, la forme du Gouvernement toujours incertaine et flottante ne fut fixée, comme l’a prouvé Machiavel, qu’à l’établissement des Tribuns; alors seulement il y eut un vrai Gouvernement et une véritable Démocratie. En effet le peuple alors n’étoit pas seulement Souverain mais aussi magistrat et juge, le Sénat n’étoit qu’un tribunal en sous-ordre pour tempérer ou concentrer le Gouvernement, et les Consuls eux-mêmes, bien que Patriciens, bien que premiers Magistrats, bien que Généraux absolus à la guerre, n’étoient à Rome que les présidents du peuple. Dès lors on vit aussi le Gouvernement prendre sa pente naturelle et tendre fortement à l’Aristocratie. Le Patriciat s’abolissant comme de lui-même, l’Aristocratie n’étoit plus dans le corps des Patriciens comme elle est à Venise et à Gênes, mais dans le corps du Sénat composé de Patriciens et de Plébéiens, même dans le corps des Tribuns quand ils commencèrent d’usurper une puissance active: car les mots ne font rien aux choses, et quand le peuple a des chefs qui gouvernent pour lui, quelque nom que portent ces chefs, c’est toujours une Aristocratie. De l’abus de l’Aristocratie naquirent les guerres civiles et le Triumvirat. Sylla, Jules César, Auguste devinrent dans le fait de véritables monarques, et enfin sous le Despotisme de Tibère l’Etat fut dissout. L’histoire Romaine ne dément donc pas mon principe; elle le confirme. 25 Omnes enim et habentur et dicuntur Tyranni qui potestate utuntur perpetua, in ea Civitate quae libertate usa est. Corn. Nep., in Miltiad. Il est vrai qu’Aristote, Mor. de Nicom., l. VIII, c. 10 distingue le Tyran du roi, en ce que le premier gouverne pour sa propre utilité et le second seulement pour l’utilité de ses sujets; mais outre que généralement tous les auteurs grecs ont pris le mot Tyran dans un autre sens, comme il paroit surtout par le Hiéron de Xénophon, il s’ensuivroit de la distinction d’Aristote que depuis le commencement du monde il n’aurait pas encore existé un seul Roi. 26 A peu près selon le sens qu’on donne à ce nom dans le Parlement d’Angleterre. La ressemblance de ces emplois eût mis en conflit les Consuls et les Tribuns, quand même toute juridiction eût été suspendue. 27 Adopter dans les pays froids le luxe et la mollesse des Orientaux, c’est vouloir se donner leurs chaînes; c’est s’y soumettre encore plus nécessairement qu’eux. 28 C’est ce que je m’étois proposé de faire dans la suite de cet ouvrage, lorsqu’en traitant des relations externes j’en serois venu aux confédérations. Matière toute neuve et où les principes sont encore à établir.

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che si rimproverano loro, checché risulti dallo squittinio della libertà veneta, è provato che non sono stati loro sovrani. Non si mancherà di obbiettarmi la repubblica romana che, mi si dirà, seguì il processo esattamente opposto, passando dalla monarchia all’aristocrazia e dall’aristocrazia alla democrazia. Ma sono ben lontano dal pensarla così. La prima istituzione di Romolo fu un governo misto che degenerò rapidamente in dispotismo. Per cause particolari lo Stato perì anzi tempo, come si vede morire un neonato prima d’aver raggiunto l’età adulta. L’espulsione dei Tarquini fu la vera epoca della nascita della repubblica. Ma questa, agl’inizi, non assunse una forma stabile, perché si fecero le cose a mezzo col non abolire il patriziato. A questo modo, infatti, l’aristocrazia ereditaria – che tra le amministrazioni legittime è la peggiore – restando in conflitto con la democrazia, la forma di governo sempre incerta e fluttuante non venne fissata, come ha provato Machiavelli, se non con l’istituzione dei tribuni. Solo allora ci fu un vero governo e una vera democrazia. In effetti il popolo allora non era solo sovrano, ma anche magistrato e giudice, il senato era solo un tribunale in sottordine col compito di temperare o concentrare il governo, e i consoli stessi, benché patrizi, benché primi magistrati, benché generali assoluti in guerra, a Roma non erano che i presidenti del popolo. Ma fin da quel tempo si vide il governo seguire la sua china naturale e tendere fortemente all’aristocrazia. Poiché il patriziato si aboliva in qualche modo da sé, l’aristocrazia non era più nel corpo dei patrizi, come è a Venezia e a Genova, ma nel corpo del senato, formato di patrizi e di plebei, e anche in quello dei tribuni, quando questi cominciarono ad usurpare un potere attivo: infatti, le parole non mutano le cose, e quando il popolo ha dei capi che governano per lui, qualunque nome portino questi capi, si tratta sempre di un’aristocrazia. Dall’abuso dell’aristocrazia nacquero le guerre civili e il triumvirato. Silla, Giulio Cesare, Augusto divennero di fatto dei veri monarchi, e infine, sotto il dispotismo di Tiberio, si ebbe la dissoluzione dello Stato. Perciò la storia di Roma non smentisce il mio principio; anzi lo conferma. 25 Omnes enim et habentur et dicuntur tyranni qui potestate utuntur perpetua, in ea civitate quae libertate usa est (Corn. Nep., in Miltiad.). È vero che Aristotele (Mor. Nicom., l. VIII, c. 10) distingue il tiranno dal re in quanto il primo governa per la sua propria utilità e il secondo soltanto per l’utilità dei sudditi; ma, a parte il fatto che in genere tutti gli autori greci hanno preso il termine tiranno in un altro senso, come si vede soprattutto dal Gerone di Senofonte, dalla distinzione di Aristotele conseguirebbe che, dall’inizio del mondo in poi, non sarebbe ancora esistito un solo re. 26 Press’a poco nel senso che si dà a questa parola nel parlamento d’Inghilterra. La somiglianza delle cariche avrebbe creato un conflitto tra consoli e tribuni quando anche ogni giurisdizione fosse stata sospesa. 27 Adottare nei paesi freddi il lusso e la mollezza degli orientali significa volersi dare le loro catene; significa assoggettarvisi in modo anche più irreparabile di loro. 28 Mi ero proposto di farlo nel seguito della presente opera, quando, trattando delle relazioni con l’estero, sarei arrivato alle confederazioni. Materia del tutto nuova e i cui princìpi sono ancora da stabilire.

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29 Bien entendu qu’on ne quite pas pour éluder son devoir et se dispenser de servir la patrie au moment qu’elle a besoin de nous. La fuite alors seroit criminelle et punissable; ce ne seroit plus retraite, mais désertion. 30 Ceci doit toujours s’entendre d’un Etat libre; car d’ailleurs la famille, les biens, le défaut d’azile, la nécessité, la violence, peuvent retenir un habitant dans le pays malgré lui, et alors son séjour seul ne suppose plus son consentement au contract ou à la violation du contract. 31 A Gênes on lit au-devant des prisons et sur les fers des galériens ce mot Libertas. Cette application de la devise est belle et juste. En effet il n’y a que les malfaiteurs de tous états qui empêchent le Citoyen d’être libre. Dans un pays où tous ces gens-là seraient aux Galères, on jouiroit de la plus parfaite liberté. 32 Le nom de Rome qu’on prétend venir de Romulus est Grec, et signifie force; le nom de Numa est grec aussi, et signifie Loi. Quelle apparence que les deux premiers Rois de cette ville aient porté d’avance des noms si bien relatifs à ce qu’ils ont fait? 33 Ramnenses. 34 Tatienses. 35 Luceres. 36 Je dis, au champ de Mars, parce que c’étoit là que s’assembloient les Comices par centuries; dans les deux autres formes le peuple s’assembloit au forum ou ailleurs, et alors les Capite censi avoient autant d’influence et d’autorité que les premiers Citoyens. 37 Cette centurie ainsi tirée au sort s’appeloit prae rogativa, à cause qu’elle étoit la première à qui l’on demandoit son suffrage, et c’est de là qu’est venu le mot de prérogative. 38 Custodes, Diribitores, Rogatores suffragiorum. 39 Cette nomination se faisoit de nuit et en secret, comme si l’on avoit eu honte de mettre un homme au-dessus des loix. 40 C’est ce dont il ne pouvoit se répondre en proposant un Dictateur, n’osant se nommer lui-même et ne pouvant s’assurer que son collègue le nommeroit. 41 Je ne fais qu’indiquer dans ce chapitre ce que j’ai traité plus au long dans la Lettre à M. d’Alembert. 42 Nonne ea quae possidet Chamos deus tuus tibi jure debentur? Tel est le texte de la vulgate. Le P. de Carrières a traduit. Ne croyez-vous pas avoir droit de posséder ce qui appartient à Chamos votre Dieu? J’ignore la force du texte hébreu; mais je vois que dans la vulgate Jephté reconnaît positivement le droit du Dieu Chamos, et que le traducteur français affaiblit cette reconnaissance par un selon vous qui n’est pas dans le Latin. 43 Il est de la dernière évidence que la guerre des Phociens appelée guerre sacrée n’était point une guerre de Religion. Elle avoit pour objet de punir des sacrilèges et non de soumettre des mécréants. 44 Il faut bien remarquer que ce ne sont pas tant des assemblées formelles, comme celles de France, qui lient le clergé en un corps, que la communion des Eglises. La communion et l’excommunication sont le pacte social du clergé, pacte avec lequel il sera toujours le maître des peuples et des Rois. Tous les prêtres qui communiquent ensemble sont concitoyens, fussent-ils des deux

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29 Purché beninteso non lo si lasci per eludere il proprio dovere dispensandosi dal servire la patria nel momento in cui ha bisogno di noi. La fuga, allora, sarebbe criminale e punibile; non sarebbe più un ritirarsi, ma un disertare. 30 Questo deve sempre intendersi di uno stato libero; perché d’altronde la famiglia, i beni, la mancanza d’asilo, la necessità, la violenza, possono trattenere un abitante nel paese contro la sua volontà; allora il suo semplice soggiorno non presuppone più il suo consenso al contratto o alla violazione del contratto. 31 A Genova si legge sulla facciata delle prigioni e sulle catene dei galeotti la parola libertas. È un’applicazione del motto bella e appropriata. In effetti, a impedire al cittadino di essere libero, non ci sono che i malfattori di tutte le condizioni. In un paese dove tutti costoro fossero in galera si godrebbe della più perfetta libertà. 32 Il nome Roma, che si pretende derivato da Romulus, è parola greca e significa forza; anche il nome Numa è greco, e significa legge. Ci sembrerà verosimile che i due primi re di questa città abbiano avuto in anticipo dei nomi così appropriati a ciò che hanno fatto poi? 33 Ramnenses. 34 Tatienses. 35 Luceres. 36 Dico al campo di Marte, perché era là che si riunivano i comizi per centurie; nelle altre due forme il popolo si adunava al forum o altrove, e allora i capite censi avevano altrettanta influenza e autorità dei primi cittadini. 37 Questa centuria così tirata a sorte si chiamava prae rogativa, perché era la prima a cui si chiedeva il suffragio; di là è venuto il termine prerogativa. 38 Custodes, Diribitores, Rogatores suffragiorum. 39 Questa nomina si faceva di notte e segretamente, quasi ci si vergognasse di mettere un uomo al disopra delle leggi. 40 Di questo non poteva esser sicuro proponendo un dittatore, non osando nominarsi da sé e non potendo aver la certezza che il suo collega lo nominasse. 41 In questo capitolo non faccio che accennare quanto ho già trattato più diffusamente nella lettera a d’Alembert. 42 Nonne ea quae possidet Chamos deus tuus tibi jure debentur?; così il testo della Volgata. Il P. de Carrières ha tradotto: Non credete di aver diritto di possedere ciò che appartiene a Chemosh vostro dio?. Ignoro la forza del testo ebraico, ma vedo che nella Volgata Jefte riconosce positivamente il diritto del dio Chemosh e che il traduttore francese indebolisce questo riconoscimento con un secondo voi che nel testo latino non c’è. 43 È assolutamente evidente che la guerra dei Focesi detta guerra sacra non era una guerra di religione. Essa si proponeva di punire dei sacrileghi, non di sottomettere dei miscredenti. 44 Bisogna mettere bene in rilievo che a legare il clero in un corpo non sono tanto delle assemblee formali come quelle di Francia quanto la comunione delle chiese. La comunione e la scomunica sono il patto sociale del clero, patto con cui esso sarà sempre padrone dei popoli e dei re. Tutti i preti uniti nella comunione sono concittadini, fossero pure dei due estremi del

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Note

bouts du monde. Cette invention est un chef-d’oeuvre en politique. Il n’y avoit rien de semblable parmi les Prêtres païens; aussi n’ont-ils jamais fait un corps de Clergé. 45 Voyez entre autres dans une lettre de Grotius à son frère du 11 avril 1643 ce que ce savant homme approuve et ce qu’il blâme dans le livre de Cive. Il est vrai que, porté à l’indulgence, il paroit pardonner à l’auteur le bien en faveur du mal, mais tout le monde n’est pas si clément. 46 Dans la République, dit le M[arquis] d’A[rgenson], chacun est parfaitement libre en ce qui ne nuit pas aux autres. Voilà la borne invariable; on ne peut la poser plus exactement. Je n’ai pu me refuser au plaisir de citer quelquefois ce manuscrit quoique non connu du public, pour rendre honneur à la mémoire d’un homme illustre et respectable, qui avoit conservé jusques dans le Ministère le coeur d’un vrai citoyen, et des vues droites et saines sur le gouvernement de son pays. 47 César plaidant pour Catilina tâchoit d’établir le dogme de la mortalité de l’âme; Caton et Cicéron pour le réfuter ne s’amusèrent point à philosopher: ils se contentèrent de montrer que César parloit en mauvais citoyen et avançoit une doctrine pernicieuse à l’Etat. En effet voilà de quoi devoit juger le Sénat de Rome, et non d’une question de théologie. 48 Le mariage, par exemple, étant un contract civil, a des effets civils sans lesquels il est même impossible que la société subsiste. Supposons donc qu’un Clergé vienne à bout de s’attribuer à lui seul le droit de passer cet acte; droit qu’il doit nécessairement usurper dans toute Religion intolérante. Alors n’est-il pas clair qu’en faisant valoir à propos l’autorité de l’Eglise il rendra vaine celle du Prince qui n’aura plus de sujets que ceux que le Clergé voudra bien lui donner. Maître de marier ou de ne pas marier les gens selon qu’ils auront ou n’auront pas telle ou telle doctrine, selon qu’ils admettront ou rejetteront tel ou tel formulaire, selon qu’ils lui seront plus ou moins dévoués, en se conduisant prudemment et tenant ferme, n’est-il pas clair qu’il disposera seul des héritages, des charges, des Citoyens, de l’Etat même, qui ne sauroit subsister n’étant plus composé que des bâtards? Mais, dira-t-on, l’on appellera comme d’abus, on ajournera, décrétera, saisira le temporel. Quelle pitié! Le Clergé, pour peu qu’il ait, je ne dis pas de courage, mais de bon sens, laissera faire et ira son train; il laissera tranquillement appeler, ajourner, décréter, saisir, et finira par être le maître. Ce n’est pas, ce me semble, un grand sacrifice d’abandonner une partie quand on est sûr de s’emparer du tout.

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mondo. Quest’invenzione è un capolavoro politico. Non c’era niente di simile tra i sacerdoti pagani; e così non hanno mai formato un corpo ecclesiastico. 45 Vedete tra l’altro in una lettera di Grozio a suo fratello, dell’11 aprile 1643, ciò che questo dotto approva e ciò che biasima nel De Cive. È vero che, incline all’indulgenza, egli sembra perdonare all’autore il bene in grazia del male, ma non tutti sono così longanimi. 46 Nella repubblica, dice il M.[archese] d’A.[rgenson], ciascuno è perfettamente libero in ciò che non nuoce agli altri. Ecco il limite invariabile; impossibile fissarlo in modo più preciso. Non mi sono saputo negare il piacere di citare qualche volta questo manoscritto, anche se sconosciuto al pubblico, per rendere onore alla memoria di un uomo illustre e rispettabile, che aveva conservato perfino nel ministero il cuore di un vero cittadino, nonché vedute rette e sane sul governo del suo paese. 47 Cesare difendendo Catilina cercava di affermare il dogma dell’immortalità dell’anima; Catone e Cicerone per confutarlo non si divertirono a filosofare; si contentarono di dimostrare che Cesare parlava da cattivo cittadino proponendo una dottrina perniciosa per lo Stato. In effetti ecco di cosa doveva giudicare il senato di Roma, e non di una questione teologica. 48 Il matrimonio, per esempio, essendo un contratto civile, comporta effetti civili senza cui è perfino impossibile che la società sussista. Supponiamo dunque che un determinato clero riesca ad attribuirsi in esclusiva il diritto di approvare questo atto, diritto che deve necessariamente usurpare in ogni religione intollerante. Allora, non è chiaro che, facendo valere a questo proposito l’autorità della chiesa, renderà vana quella del principe che non avrà più altri sudditi oltre quelli che la chiesa vorrà accordargli? Padrone di unire o no in matrimonio le persone a seconda che abbiano o non abbiano tale o tal altra dottrina, che ammettano o no tale o tal altro formulario, che gli siano più o meno devote, non è chiaro che il clero, osservando una condotta guardinga e tenendo duro, resterà il solo a disporre delle eredità, delle cariche, dei cittadini, dello stato stesso, che non potrebbe sussistere composto di soli bastardi? Ma, direte, si chiamerà in giudizio per abuso, si citerà, si decreterà, ci si appellerà al tribunale laico. Che pietose illusioni! Il clero, se appena ha un po’, non dirò di coraggio, ma di buon senso, lascerà fare e andrà per la sua strada; tranquillamente lascerà che chiamino in giudizio, che citino, che decretino, che si appellino al tribunale laico, e finirà con l’essere il padrone. Non è – mi pare – un gran sacrificio rinunciare a una parte quando si è sicuri di impadronirsi del tutto.

INDICI

INDICE DEL «CONTRATTO SOCIALE» Avvertenza

3

LIBRO PRIMO

I. II. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX.

Argomento di questo primo libro Delle prime società Del diritto del più forte Della schiavitù Come si debba sempre risalire a una prima convenzione Del patto sociale Del sovrano Dello stato civile Del dominio reale

5 7 9 11 19 21 23 27 29

LIBRO SECONDO

I. II. III. IV.

La sovranità è inalienabile La sovranità è indivisibile Se la volontà generale possa sbagliare Dei limiti del potere sovrano

35 37 39 41

226

V. VI. VII. VIII. IX. X. XI. XII.

Indice del «Contratto sociale»

Del diritto di vita e di morte Della legge Del legislatore Del popolo Continuazione Continuazione Dei diversi sistemi di legislazione Divisione delle leggi

47 51 57 63 65 69 75 77

LIBRO TERZO

I. II. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX. X.

Del governo in generale Del principio che costituisce le varie forme di governo Divisione dei governi Della democrazia Dell’aristocrazia Della monarchia Dei governi misti Non ogni forma di governo è adatta a ogni paese Dei segni di un buon governo Dell’abuso del governo e della sua tendenza a degenerare XI. Della morte del corpo politico XII. Come si mantiene l’autorità sovrana XIII. Continuazione XIV. Continuazione XV. Dei deputati o rappresentanti XVI. L’istituzione del governo non è un contratto XVII. Dell’istituzione del governo XVIII. Mezzi per prevenire le usurpazioni del governo

81 89 95 97 99 103 113 115 123 125 127 129 131 135 135 141 143 145

Indice del «Contratto sociale»

227 LIBRO QUARTO

I. II. III. IV. V. VI. VII. VIII. IX.

La volontà generale è indistruttibile Dei suffragi Delle elezioni Dei comizi romani Del tribunato Della dittatura Della censura Della religione civile Conclusione

151 155 159 163 179 183 187 191 207

INDICE DEL VOLUME Introduzione di Tito Magri

VII

1. Hobbes, Locke, Rousseau e il contrattualismo, p. VII - 2. Alienazione e volontà generale, p. XI - 3. I limiti del contrattualismo di Rousseau: governo e storia, p. XVIII

Cronologia della vita e delle opere di Rousseau

XXIII

Nota al testo

XXVI

Il contratto sociale

1

Note

209

Indice del «Contratto sociale»

225