Il cibo e la tavola. Ediz. illustrata 8837036612, 9788837036614

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Il cibo e la tavola. Ediz. illustrata
 8837036612, 9788837036614

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Il cibo e la tavola

Electa

I

Dizionari dell'Arte

Silvia Malaguzzi

e

Il cibo la tavola

Electa

I Dizionari dell'Arte collana a cura di Stefano Zuffi

a pagina 2

Paolo Veronese,

Cena in casa di Simone, 1556, Torino, Galleria Sabauda

Coordinamento grafico Dario Taglia bue

Progetto grafico Anna Piccarreta

Impaginazione Paola Forini

Coordinamento editoriale Virginia Ponciroli

Redazione Chiara Guarnieri

Ricerca iconografica Marta Alvarez !rene Giannini

Coordinamento tecnico Andrea Panozzo

Controllo qualità Giancarlo Berti

www.electaweb.it

© G. Errò, A. Warhol by SIAE 2006 © 2006 by Mondadori Electa S.p.A., Milano Tutti i diritti riservati

Sommario

7

Contesti figurativi del cibo

43

Dall'allegoria alla natura morta

65

I luoghi e i rituali del cibo

119

I cibi e le bevande

315

La tavola e i suoi arredi

380

Indice generale

38 1

Indice degli artisti

Contesti figurativi del cibo Antico Testamento Peccato originale Banchetto di Baldassarre Raccolta della manna Banchetto di Assalonne Banchetto di Ester e Assuero Nuovo Testamento Banchetto di Erode Cristo in casa di Simone Cristo in casa di Marta e Maria Cena in casa di Levi Nozze di Cana Parabola del banchetto di nozze Ultima Cena Cena di Emmaus Vita dei santi Sant'Ugo nel refettorio dei certosini Miracoli di san Benedetto Cena di san Gregorio Magno Mitologia Banchetto degli dei Filemone e Bauci Battaglia dei lapiti e dei centauri Letteratura e storia Convito di Platone Banchetto di Cleopatra Novella di Nastagio degli Onesti

...,. Albrecht Diirer, Eva (part.), 1507 circa, Madrid, Prado.

È il primo riferimento al cibo dell'Antico Testamento, ave

all'atto di mangiare è associato il senso del peccato e al tempo stesso l'idea che ingerire un alimento sia un atto di conoscenza.

Peccato originale Dopo che Dio ebbe creato il mondo e con esso l'uomo, pose que­ Fonti

Antico Testamento, Genesi 3, 1-6 Iconografia

Si tratta di uno degli episodi vetero testamentari più spesso rappresentati dall'età medievale in poi, sia in pittura che in scultura

st'ultimo nel giardino dell'Eden dal cui terreno spuntavano albe­ ri di ogni sorta, attraenti per la vista e carichi di frutti buoni da mangiare. Fra questi vi erano, nella parte più interna del giardi­ no, l'albero della vita e l'albero della conoscenza del bene e del male. Dio aveva permesso all'uomo di mangiare i frutti di tutte le piante, ma aveva proibito ad Adamo di cibarsi di quelli del­ l'albero della conoscenza, decretando che qualora egli avesse di­ sobbedito avrebbe senz'altro trovato la morte. Poi il Signore creò la donna perché l'uomo avesse compagnia. Proprio a Eva il serpente, il più astuto degli animali, chiese se il Signore avesse negato loro la possibilità di mangiare i frutti di tutti gli alberi presenti nel giardino, domanda alla quale ella rispose che l'uni­ co albero proibito si trovava nella parte interna di quel luogo, e come il suo frutto portasse conseguenze letali; il serpente disse di non credere all'avvertimento di Dio poiché la proibizione sareb­ be stata da attribuirsi non al pericolo mortale bensì al timore che Adamo ed Eva, una volta mangiato il frutto, avrebbero cono­ sciuto il bene e il male e pertanto sarebbero diventati come Dio. La donna, persuasa dal discorso del serpente, decise di assaggiare i frutti dell'albero proibito, che si rivelarono gustosi tanto da spin­ gerla a offrirne anche all'uomo. Immediatamente essi aprirono gli occhi e rendendosi conto di essere nudi cercarono di coprirsi

� Pieter Pau! Rubens,

Adamo ed Eva, 1598, Anversa, Rubenshuis Museum.

con le foglie di un fico. Scoperta la colpevole disubbidienza Dio cacciò Adamo ed Eva dall'Eden.

Il banchetto rappresenta una manifestazione esplicita di pagana esaltazione. Essa viene interrotta dal terribile manifestarsi di Dio a rivelarne tutto il carattere sacri/ego.

Banchetto di Baldassarre Nel VI secolo a.C. Baldassarre, figlio di Nabucodonosor, era re di Babilonia. Un giorno egli invitò a un solenne banchetto i suoi di­

Fonti

gnitari. Fra i fiumi di vino, egli fece portare i vasi d'oro e d'argen­

Antico Testamento, Daniele 5, 1-30

to che suo padre aveva trafugato dal tempio di Gerusalemme per farvi bere le sue mogli e le sue concubine. Mentre bevevano il vino dai preziosi contenitori, brindando agli dei, apparve una mano che scrisse una frase su una parete della sala. Impaurito dalla singola­ re apparizione il re ordinò di cercare qualcuno capace di decifrare la misteriosa scritta, ma fu impossibile. Intervenne allora la regina, ricordando come esistesse fin dai tempi del precedente regno un sa­ piente, Daniele, dotato di una superiore scienza e intelligenza. l! uo­

mo fu convocato con la promessa di ottenere, in cambio della de­ cifrazione, enorme potere e ogni sorta di ricchezze. Il saggio respin­

se l'offerta senza tuttavia sottrarsi al compito di decrittare l'inquie­ tante scritta. Ricordò al re come suo padre, Nabucodonosor, duro

Iconografia

Si tratta di un tema iconografico non frequente, riscontra bile prevalentemente nella pittura fra XVI e XVII secolo, italiana e fiamminga. Il soggetto offre infatti agli artisti la possibilità di esprimere le valenze teatrali della pittura dell'epoca nell'atmosfera miracolistica della storia

e arrogante, fosse stato deposto dal trono. Quindi lo accusò di es­ sersi comportato a sua volta in modo sacrilego bevendo nei vasi provenienti dalla casa di Dio e inneggiando agli dei pagani invece di glorificare l'Onnipotente. Così il Signore gli aveva annunciato, attraverso la scritta, che era stato fissato un termine al suo regno, che il suo operato si era rivelato insufficiente e che il suo territorio sarebbe stato diviso fra i Medi e i Persiani. Quella stessa notte Bal­ dassarre fu ucciso e del suo regno si impadronì il persiano Dario.

..,. Tintoretto, Convito

di Baldassarre, 1541-1542 circa, Verona, Castelvecchio.

9

Rappresenta, per la tradizione cristiana, un precedente biblico della comunione. Il cibo è strumento della Provvidenza, che si manifesta per salvare la vita e l'anima di chi ha fede.

Raccolta della manna Il popolo di Israele in viaggio, guidato da Mosè e ormai uscito Fonti Antico Testamento, Esodo 16, 1-32 Iconografia Fra gli episodi dell'Antico Testamento la raccolta della manna è un soggetto iconografico che, seppure non frequentissimo, non sembra conoscere limitazioni geografiche. Prevale in genere nella pittura dal XV al XVIII secolo

dall'Egitto, si trovò nel deserto di Sin senza cibo e senza la possi­ bilità di procurarselo. Allora i figli di Israele insorsero contro Mosè e Aronne, il sommo sacerdote, chiedendosi perché il Signo­ re non li avesse fatti morire in Egitto quando ancora potevano mangiare a sazietà, e lamentandosi che sarebbero certo morti di stenti in quell'occasione. Il Signore, udite le lamentele, si rivolse a Mosè promettendogli che ogni giorno avrebbe fatto piovere dal cielo pane sufficiente a saziare ciascun membro della comunità di Israele. Così Mosè riunì tutto il suo popolo per riferire quanto Dio gli aveva comunicato e annunciare che da quel momento vi sarebbe stata carne la sera e pane al mattino per tutti. Alla sera uno stormo di quaglie si posò a terra mentre al mattino, intorno all'accampamento coperto da uno strato di rugiada, gli ebrei tro­ varono il pane del Signore. Secondo gli ordini di Dio ogni giorno ciascuno ne raccoglieva la quantità necessaria per la giornata. Il sesto giorno il Signore aveva predisposto che se ne racco­ gliesse una quantità doppia ri­ spetto ai precedenti, da consu­ mare il giorno del riposo, nel quale egli aveva stabilito che non si effettuasse la raccolta. Il pane aveva l'aspetto del seme di coriandolo ma il gusto della focaccia di miele e fu chiamato

.,.. Maestro della Manna, La raccolta

della manna, 14 70, Douai, Museo della Certosa.

10

manna. Gli ebrei se ne nutriro­ no per quarant'anni fino a quando giunsero alla terra di Cana.

Il banchetto rappresenta il momento in cui il vino toglie ogni capacità di reazione ad Amnon. La sua debolezza permette ad Assalonne di portare a compimento la sua vendetta.

Banchetto di Assalonne Assalonne, figlio del re Davide, aveva una sorella assai avvenente, Tamar, e un altro fratello, Amnon, il primogenito. Un giorno Aro­

Fonti

non, che era innamorato di Tamar, l'aveva attirata nella sua came­

Antico Testamento, II Samuele, 1 3

ra da letto per abusare di lei. Dell'accaduto vennero a conoscenza il re Davide che, pur addolorato e infuriato, non ebbe il coraggio di punire il figlio, e Assalonne. Costui, convinto che il fatto doves­ se essere tenuto nascosto, cominciò tuttavia a nutrire un sordo rancore per Amnon, che si era comportato indegnamente. Passa­ rono due anni e un giorno, in occasione della tosatura delle peco­ re, Assalonne organizzò un banchetto al quale fu invitato anche Amnon. Assalonne aveva concepito un piano di vendetta, infatti dette ordine ai suoi servi di spiare il comportamento del fratello per segnalargli quando fosse ebbro per le libagioni e incapace di

Iconografia

Si tratta di un'iconografia rara che sembra tuttavia comparire con una maggior frequenza nel XVII secolo, quando il linguaggio pittorico si apre alle scenografiche descrizioni di banchetto e al gusto crudo della violenza e dell'evento drammatico

reagire, con lo scopo di colpirlo a morte. Così Amnon venne as­ sassinato durante il banchetto per vendicare l'onore di Tamar. As­ salonne fuggì lontano dal luogo del misfatto, mentre Davide, ad­ doloratissimo per la morte del figlio, trascorse tre anni in lutto.

..,. Mattia Preti,

Convito di Assalonne, 1657 circa, Napoli, Museo di Capodimonte.

11

Il convivio è!'occasione per Ester di realizzare il piano di difesa del suo popolo. Il banchetto rappresenta il momento di distensione che le permette di mettere in atto la seduzione.

Banchetto di Ester e Assuero Nel V secolo a.C. Assuero regnava su centoventisette province Fonti

comprese in un territorio che andava dall'India all'Etiopia. Ripu­

Antico Testamento, Libro di Ester 5, 4-8

diata la moglie Vasti, la scelta del re era caduta su Ester, una bel­

Iconografia

Il banchetto di Ester è un soggetto assai meno frequente dell'incontro fra la regina e Assuero. Con gli altri banchetti biblici ed evangelici, esso è prediletto dai pittori di corte e dalla loro prestigiosa committenza, come pretesto per rappresentarne le abitudini fastose

lissima donna ebrea. Era stato Mardocheo, suo tutore, a propor­ la al re. Egli apparteneva al popolo ebraico e aveva ordinato a Ester di non far sapere che entrambi erano ebrei. Con il passare del tempo Ester si era guadagnata il favore del re e il suo amore. Un giorno fu promosso fra tutti i principi a una dignità superiore un tale Aman, un antisemita che immediatamente prese in odio Mardocheo, non sottomesso alla sua autorità. Indispettito per il comportamento dell'ebreo Aman rivelò ad Assuero l'esistenza fra i suoi sudditi di un popolo sparso che, sottraendosi alle regole co­ muni, metteva a repentaglio l'unità del suo dominio. Il re diede ad Aman pieno potere di agire, così che egli diede inizio a una perse­ cuzione degli ebrei. Disperati Mardocheo ed Ester rivolsero a Dio la richiesta di risparmiare il loro popolo e dopo qualche giorno di preghiera Ester decise di recarsi a chiedere la grazia al suo re. Ina­ spettatamente ella fu accolta con calore e così, raccogliendo tutto il suo coraggio, invitò lo sposo insieme allo stesso Aman a un fa­

'f Giorgio Vasari, Banchetto di Ester e Assuero, 1548 circa,

Arezzo, Museo Statale di Arte Medievale e Moderna.

stoso banchetto. Durante il convito Ester non rivelò le circostan­ ze in cui si trovava né i termini della sua richiesta, ma ripetè l'in­ vito per il giorno dopo e allora fece sapere al re la sua appartenen­ za al popolo ebraico, rivelando di essere, con Mardocheo e l'inte­ ro suo popolo, oggetto di una feroce persecuzione a opera di Aman. Assuero la ascoltò e, sorpreso e sdegnato da quan­ to stava accadendo, prese im­ mediati provvedimenti contro Aman, salvando così il popo­ lo di Ester.

12

Il banchetto conferisce ufficialità alla situazione. Le azioni del re, di Salomè e di Erodiade prendono un corso definitivo per l'impossibilità di venir meno a una promessa fatta pubblicamente.

Banchetto di Erode Il re Erode, consigliato dalla moglie Erodiade, aveva deciso di far imprigionare Giovanni Battista. All'origine dell'iniziativa vi era l'odio della donna nei confronti di quell'uomo che aveva ac­ cusato Erode, con ragione, di essersi comportato in modo ripro­ vevole per aver sposato la moglie del suo defunto fratello Filip­ po. Erodiade, direttamente coinvolta nella denuncia di Giovan­ ni, desiderava intensamente che il marito eliminasse quella sco­ moda presenza con una condanna a morte. A Erode tuttavia quel coraggio mancava, poiché apprezzava la giustizia e la san­ tità di Giovanni, che ascoltava volentieri e di cui seguiva i con­ sigli. Un giorno Erode organizzò un banchetto per festeggiare il suo genetliaco invitandovi principi, ufficiali e notabili della Ga­ lilea. La figliastra Salomè, per allietare i commensali, fu chiama­ ta a esibirsi in danze leggiadre che piacquero tanto al re da invi­ tarla a esprimere un desiderio, affinché potesse esaudirlo. La fanciulla, incerta, si rivolse alla madre e su consiglio di questa chiese la testa del Battista. Erode, che di fronte ai commensali non poteva ritirare la sua pa­ rola, a malincuore fece decapitare il Battista. La testa sanguinan­ te del santo, su un vassoio, fu portata a Salomè e la fanciulla la

Fonti Vangelo di Marco

6, 1 7-29 Iconografia Si tratta di uno dei temi iconografici più diffusi sia nell'arte italiana che in quella europea. Innumerevoli sono infatti le rappresentazioni dell'episodio fra XV e XVII secolo. Gli ingredienti del successo sono numerosi: la bellezza femminile, la scenografia del banchetto, l'eleganza dell'ambiente di corre, la crudezza dell'immagine della testa recisa del Battista e il contrasto prodotto dalla medesima con l'atmosfera magnificente del convito di corte

consegnò alla madre.

..,. Filippo Lippi, Danza di Salomé, dalle Storie

di san Giovanni Battista, 146 O circa, Prato, duomo.

13

Banchetto di Erode

La credenza collocata accanto al tavolo regale mostra, nell'aureo vasellame, il potere economico e il ruolo sociale dei padroni di casa, qualificando nel contempo quello del committente.

Il banchetto è la sede nella quale si perpetra l'uccisione del Battista, che assume pertanto una macabra ufficialità .

.&. Rogier van der Weyden, Decapitazione di san Govanni, dal Trittico di san Giovanni, 1455-1460 circa, Berlino,

Gemaldegalerie.

14

In primo piano, elemento centrale della narrazione, è la decapitazione.

La cena è manifestazione di ospitalità da parte del fariseo. L'invito rivolto a Gesù risulta un atto convenzionale confrontato all'accoglienza della peccatrice, che lo fa oggetto di cure personali.

Cristo in casa di Simone Si narra, nel Vangelo di Luca, che un giorno Gesù fu invitato a mangiare da un fariseo. Mentre era già seduto a tavola soprag­ giunse nella casa del suo ospite una donna, una prostituta nota in città, con un vasetto di olio profumato. Ella si accovacciò ai piedi di Gesù e cominciò a baciarglieli, a bagnarli di lacrime, ad asciu­ garli con i suoi capelli e a ungerli di olio profumato. Il fariseo, che assisteva alla scena, pensò fra sé e sé che se Cristo fosse stato dav­ vero il profeta avrebbe certamente saputo che quella donna era una pubblica peccatrice e si sarebbe sottratto alle sue attenzioni. Gesù allora si rivolse a lui con un'immagine allegorica: "Un cre­ ditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l'al­ tro cinquanta; non avendo essi la possibilità di restituirli condonò il debito a entrambi. Chi di lo­ ro gli sarà stato più ricono­ scente?". Il fariseo senza esita­ zione rispose che certamente il più riconoscente sarebbe stato quello con il debito maggiore e

Fonti Vangelo di Luca 7, 36-50 Iconografia Si trana di un'iconografia fortunata e diffusa sia nell'arte italiana che in quella europea soprattutto fra il Medioevo e il XVII secolo. Moltissime le rappresentazioni fino al Settecento. Gli ingredienti del successo sono quelli tradizionali delle scene di banchetto che permettevano di mostrare interni lussuosi indicando tuttavia, attraverso la citazione e�angelica, il modello morale della peccatrice redenta

Cristo, confermando che la ri­ sposta era giusta, dette spiega­ zione del racconto simbolico. La donna, pur nella sua colpe­ volezza aveva avuto tale slan­ cio di amore da essere perdo­ nata per ogni sua colpa, poiché chi ha molto amato gode del perdono divino. Indi Gesù si rivolse alla donna e le disse: "ti sono perdonati i tuoi peccati" e ancora: "la tua fede ti ha sal-

..,. Gabriel Maelesskircher,

Cena in casa di Simone, XV secolo, Norimerga, Germanisches Nationalmuseum.

vato; va in pace" .

15

Cristo in

casa

di Simone

Crist_o è seduto a capotavola, posto d'onore.

Nel contesto evangelico il vino e il pane sul desco sono da riferirsi all'eucaristia.

.i. Giovanni da Jl,lilano, Cristo in casa di Simone, seconda metà del XIV secolo, Firenze, Santa Croce, cappella Rinuccini. 16

La.cena è la manifestazione dell'ospitalità del fariseo ma nel contempo il luogo in cui Cristo perdona pubblicamente la peccatrice della città.

La chioma e l'unguentario mostrano come il pittore abbia identificato la peccatrice con la Maddalena.

Nella tovaglia perugina vi è un riferimento alla mensa eucaristica, per il frequente uso liturgico di tali tessuti.

In questa iconografia la presenza di cibi e tavole imbandite rappresenta l'ospitalità offerta da Marta al Signore, un'accoglienza che mira a soddisfarne le necessità materiali.

Cristo in casa di Marta e Maria Durante il suo viaggio verso Gerusalemme, Gesù fece tappa in un villaggio dove venne accolto in casa da una donna di nome Mar­ ta. Mentre essa si dava da fare in cucina perché a Gesù fosse of­ ferto un pasto eccellente e un'ospitalità adeguata alla sua impor­ tanza, la sorella Maria (spesso indicata come Maddalena) si sedet­ te ai piedi del Signore per ascoltare la sua parola. Marta indispet­ tita dal comportamento della sorella, che l'aveva lasciata sola a occuparsi delle faccende domestiche, sollecitò Gesù perché egli stesso la invitasse a collaborare, ma egli non lo fece. Inaspettata­ mente infatti rivolgendosi a Marta le disse: "Marta, Marta tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose. Invece una sola è la cosa ne­ cessaria. Maria ha scelto la parte migliore, che nessuno le toglie­ rà". L'episodio biblico è stato spesso utilizzato per rappresentare l'idea filosofica della contrapposizione fra vita attiva e contempla­ tiva, laddove la seconda sarebbe indicata dal Signore come quella

Fonti Vangelo di Luca lO, 39-42 Iconografia Si tratta di un tema evangelico frequente sia nell'arte italiana che nella tradizione pittorica nordica, dove assume tuttavia, dal sesto decennio del Cinquecento, caratteristiche singolari. Esso infatti è spesso nn pretesto per descrizioni di ambienti lussuosi o di cucine traboccanti di alimenti e manicaretti dall'aspetto invitante

giusta e più sicura affinché la sua parola possa essere intesa.

...,. Pieter Aerrsen,

Cristo in casa di Marta e Maria, 1553, Rotterdam, Museo Boymans-Van Beuningen.

17

Cristo in casa di Marta e Maria

Le uova sono un possibile simbolo di Resurrezione.

I.:uva non è solo alimento della mensa ma, rimandando al vino, si riferisce al sangue di Cristo e alla sua Passione.

Marta reca un vassoio di bicchieri, segno della sua ospitalità.

La mensa imbandita rispecchia l'ospitalità offerta a Cristo da Marta.

Cristo indica nella Maddalena colei che ha scelto la via della contemplazione, la via migliore per accostarsi al suo insegnamento.

... Alessandro Allori,

Cristo in casa di Marta e Maria, 1605, Vienna, Kunsthistorisches Museum. 18

Maddalena, inginocchiata ai piedi di Cristo, ne ascolta la predicazione .

La condivisione della mensa rappresenta in questo caso un inequivocabile segnale di familiarità fra Cristo e i peccatori, ha il valore del rituale che avvicina e accomuna gli spiriti.

Cena in casa di Levi Nella città di Cafarnao, mentre Gesù camminava lungo la riva del mare, la gente gli si avvicinava per chiedergli istruzioni. Lun­ go il cammino incontrò Levi, un gabelliere, e gli ingiunse di se­ guido. Questi ubbidendogli gli offrì la propria ospitalità cosic­ ché entrambi si recarono a casa di Levi. Mentre Gesù e i suoi di­ scepoli sedevano a tavola, si erano uniti allo stesso desco molti pubblicani e peccatori che facevano parte del suo seguito. Gli scribi dei farisei, scandalizzati dal fatto che Cristo dividesse la mensa con tale gente, domandarono ai discepoli il motivo di una così incomprensibile promiscuità. Ma udita la domanda egli ri­ spose: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma gli ammalati. Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori" . I n questo episodio evangelico l a condivisione della mensa tra Gesù e i peccatori rappresenta un momento centrale della predi­ cazione cristiana, infatti l'azione, provocando riprovazione, sol­

Fonti

Vangelo di Marco 2, 13-17 Iconografia

I.:opera di Paolo Veronese con questo soggetto sembra rappresentare un

hapax legomenon nell'iconografia cristiana, tanto che è stata formulata l'ipotesi che il riferimento a quell'episodio fosse dovuto alla necessità del pittore di sottrarsi alle critiche di eccesso di profanità per un'Ultima Cena

lecita la domanda dei farisei. Alla domanda il Signore risponde con un insegnamento dottrinario.

...,. Paolo Veronese,

Cena in casa Leui (part.), 1573, Venezia, Gallerie dell'Accademia.

19

Cena in casa di Levi

La presenza del coppiere, figura di riferimento per servire il vino ai convitati, sottolinea l'assenza del trinciante, deputato al taglio delle carni.

Uno dei pubblicani taglia un pezzo di carne per servir/o a Gesù con un atto di sollecita familiarità. Essa contravviene alle regole dell'etichetta dell'epoca del pittore, che indicavano nel trinciante l'addetto a tale servizio. 20

Il calice di vetro ancora vuoto, rimandando al vino, rappresenta un riferimento alla Passione di Cristo.

La carne in pezzi dell'animale arrostito si evidenza sul tavolo connette all'idea richiama di Cristo come l'eucaristia. vittima sacrifica/e. Il pane in

La sovrapposizione di due tovaglie bianche sopra un drappo di tessuto operato mostra l'uso dell'epoca di cambiare tovaglia con il susseguirsi delle portate. Tale abitudine denota il tono elegante della cena rappresentata e le esigenze della committenza.

.i. Paolo Veronese, Cena in casa Levi (part.), 1 573, Venezia, Gallerie dell'Accademia.

21

Il banchetto di nozze è il luogo ufficiale ove, di fronte alla moltitudine degli invitati, Cristo compie il suo miracolo. Gesù, seppure indirettamente, assocerà qui il vino al suo sangue.

Nozze di Cana Il primo miracolo di Cristo fu compiuto nella città di Cana du­ Fonti

Vangelo di Giovanni

rante un matrimonio al quale era stato invitato con la madre, la

2, 1-10

vergine Maria, e i suoi discepoli. Essendo venuto a mancare il vi­

Iconografia

no la madre avvertì Gesù di quell'improvvisa carenza ed egli le

Si tratta di un soggetto assai diffuso sia nell'arte italiana che in quella europea frequente dal Medioevo al Settecento. Al di là del contenuto dottrinario tale soggetto svolgeva la funzione di consentire agli artisti ampie e dettagliate descrizioni del banchetto di nozze come usanza diffusa ovunque e pertanto espressione significativa di civiltà, costume e gusto

rispose, con apparentemente incoerenza, che la cosa non lo ri­ guardava poiché ancora non era giunta la sua ora. Maria allora rivolgendosi ai servi ordinò di seguire le istruzioni di Gesù, così sei giare destinate alle abluzioni vennero prese e riempite d'ac­ qua fino all'orlo. Una volta ultimata l'operazione, Gesù chiese agli uomini di attingere una parte di liquido e di portarlo al di­ rettore della mensa perché ne assaggiasse. Dopo aver bevuto l'acqua miracolosamente mutata in vino e ignorandone la natu­ ra straordinaria, il soprintendente espresse allo sposo la sua me­ raviglia poiché, contrariamente a quanto accadeva in genere du­ rante i festeggiamenti di nozze, egli aveva serbato per la fine del banchetto il vino migliore. Appare significativa nell'episodio la risposta che Gesù dà alla madre, solo apparentemente incoeren­ te con la domanda, dal momento che da essa si evince il rappor­ to fra il vino e "la sua ora" , da intendersi come ora del compi­ mento del sacrificio, e pertanto fra il vino e il suo sangue.

� Carlo Bononi,

Nozze di Cana, inizio del XVII secolo, Ferrara, Pinacoteca Nazionale.

22

J

Nozze di Cana

Il vaso non è una semplice . ampolla d'olio, ma un contenitore sacro per via della forma a pellicano, tradizionale simbolo di Cristo.

Il banchetto di nozze è teatro della miracolosa trasformazione dell'acqua in vino operata da Cristo.

Nella testa di maiale è presente un riferimento al peccato del quale esso è simbolo. Nel cigno, prelibato cibo cavalleresco, si deve forse vedere un'allusione all'eucaristia per il candore delle sue piume e per l'abitudine di lavarsi prima di mangiare. Esso si riferisce alla dimensione oltremondana in virtù del suo canto in punto di morte.

Rivolto di spalle, il coppiere porge la coppa del vino miracoloso alla sposa seduta di fronte a lui.

j. Hieronymus Bosch, Le nozze di Cana, 1475-1480

circa, Rotterdam, Museo Boymans-Van Beuningen.

23

Il banchetto nuziale rappresenta simbolicamente il regno dei cieli, nel quale sono ammessi solo coloro che all'invito del Signore rispondono rendendosi disponibili.

Parabola del banchetto di nozze Una parabola evangelica paragona il regno dei cieli a quel re Fonti

Vangelo di Matteo 22, 1-14; Vangelo di Luca 14, 1 6-24

che, avendo organizzato il banchetto di nozze per il figlio, man­ dò i suoi servi a chiamare gli ospiti. Dinnanzi al loro rifiuto il re inviò loro altri servi a ribadire l'offerta. Anche questa volta gli

Iconogtafia

invitati si dichiararono indisponibili e addirittura qualcuno mal­

Si tratta di una rappresentazione rara, forse a causa del fatto che il testo evangelico, soprattutto nella versione di Luca, invitava l'artista a rappresentare i banchettanti come espressione

trattò e uccise i servi incaricati dell'ambasciata. Il re, adirato per

dell'umanità di strada, un'antiestetica folla di

storpi, ciechi e zoppi

l'insensata reazione, inviò il suo esercito a punire i criminali. Ai servi ordinò pertanto che invitassero al banchetto chiunque pas­ sasse per le vie della città. Essi obbedirono e la sala si riempì di com­ mensali; il Vangelo di Matteo narra che quando il re vi entrò, trovò

fra i presenti un uomo che non indossava la veste nuziale. Alla do­

manda sul perché dell'omissione, l'uomo non seppe cosa rispondere e il re ordinò che fosse buttato fuori, poiché "molti sono i chia­ mati e pochi gli eletti". Le nozze rappresenterebbero l'unione di Cristo con la Chiesa, i servi del re sarebbero i profeti, gli invitati in­ disponibili gli ebrei che non rico­ noscendo Cristo come Messia non ne accolsero l'invito. I.:estra­ neo presente nel racconto di Mat­ teo sarebbe poi da interpretarsi come il peccatore che, non essen­

� Domenico Fetti, La

parabola del banchetto, 1620, Dresda, Gemaldegalerie.

dosi pentito dei propri misfatti, non è degno di partecipare al banchetto di nozze ovvero di en­ trare nel regno dei cieli.

24

Durante la cena Cristo riunisce i suoi accoliti per fare importanti rivelazioni. Il cibo ha una straordinaria rilevanza simbolica poiché lo stesso Gesù definisce il pane suo corpo e il vino suo sangue.

Ultima Cena L'Ultima Cena rappresenta l'ultimo convivio che Gesù condivise con i suoi discepoli a Gerusalemme. Il giorno della Pasqua ebrai­ ca Gesù ordinò agli apostoli di organizzare la celebrazione della festa e venuta la sera si sedette alla mensa con i dodici. Durante il pasto disse: "In verità vi dico: uno di voi mi tradirà". Gli aposto­ li, addolorati, presero a interrogarlo su chi potesse essere il tradi­ tore, ed egli rispose dicendo che lo avrebbe tradito colui che aves­ se messo la mano nel piatto insieme a lui. Fu così che Giuda rico­ nobbe se stesso nelle parole del Maestro. Mentre mangiavano Ge­ sù spezzò il pane e lo benedisse chiamandolo suo corpo e offren­ dolo a tutti i commensali, poi prese il calice, gli rese grazie e lo passò ai discepoli perché tutti ne bevessero, chiamandolo suo san­ gue, versato in remissione dei peccati. Affermò poi che mai più in vita avrebbe bevuto del frutto della vite, fino al giorno in cui ri­ congiungendosi con gli apostoli avrebbe potuto di nuovo dissetar­ si con loro nel regno del Padre (Mt 26, 1 7-29). La narrazione del­ l'episodio, sostanzialmente uguale, presenta alcune differenze: nei Vangeli di Marco ( 14, 12-26) e di Luca (22, 7-23) il luogo prescel­ to per consumare l'Ultima Cena viene indicato agli apostoli in cit­

Fonti Vangelo di Matteo 26, 17-29; Vangelo di Marco 14, 12-26; Vangelo di Luca 22, 7-23; Vangelo di Giovanni 13, 21-30 Iconografia Ampiamente diffusa in tutta l'arte occidentale, l'Ultima Cena è uno dei soggetti iconografici più antichi. Già presente nella pittura paleocristiana il tema è pienamente sviluppato nei mosaici bizantini del VI secolo e codificato in uno schema che vedrà molte diverse interpretazioni tna poche modifiche sostanziali nel corso dei secoli

tà da un uomo che trasporta un'anfora d'ac­ qua; nel Vangelo di Giovanni ( 1 3, 2 1 -3 0 ) è Cri­ sto stesso che, preso un boccone dal piatto, lo porge a Giuda per mostrare che egli è il tradi­ tore e lo esorta a far subito ciò che deve, allon­ tanandosi dalla mensa. L'episodio rappresenta l'istituzione del sacramento dell'eucaristia per opera di Cristo stesso.

� Giambattista Tiepolo, L'Ultima Cena, 1 745-1750, Parigi, Louvre.

25

Ultima Cena

È considerata la più antica rappresentazione di Ultima Cena nell'arte occidentale.

La posizione di Cristo

e degli apostoli rispecchia l'uso romano di mangiare in posizione sdraiata adagiati sugli appositi triclini.

.à. Mosaico con l'Ultima Cena, inizio del VI secolo, Ravenna, Sant'Apollinare Nuovo.

26

Il pesce rimanda simbolicamente a Cristo. Nella definizione greca di Cristo come J esus Christos Theou Uios Soter le iniziali di ciascuna parola formerebbero il termine ichrhus che nella stessa lingua significa pesce.

Anziché pane e vino eucaristico, in questa rappresentazione compare l'agnello, la vittima sacrifica/e per eccellenza allusiva al sacrificio di Cristo.

Giuda ripone nel fodero il coltello, simbolo del suo tradimento ormai compiuto .

.l Maestro del Libro di Casa, L'Ultima Cena, 1480 circa, Berlino, Gemaldegalerie.

27

La cena segna il ristoro dei pellegrini ma corrisponde al momento scelto da Cristo per rivelare ai discepoli la sua identità di Signore risorto attraverso la ripartizione del pane benedetto.

Cena di Emmaus Nella settimana seguente la morte del Signore due dei suoi disce­ Fonti Vangelo di Luca 24, 29-33 Iconografia Si tratta di un tema iconografico che pur entrato relativamente tardi nell'iconografia cristiana (circa nel XII secolo) è stato spesso rappresentato per il suo contenuto eucaristico e per essere espressione della Resurrezione. Il tema è particolarmente amato dai pittori veneziani del XVI secolo e dalla pittura secentesca

poli si trovavano in cammino verso il villaggio di Emmaus, non lontano da Gerusalemme. Durante il cammino si affiancò loro un altro viandante e prese a parlare con loro della vicenda di Ge­ sù, del quale lo straniero sembrava ignorare la Passione e la morte. Essi raccontarono all'uomo della loro speranza che Gesù avrebbe liberato Israele e della loro delusione nel vedere che a tre giorni dalla morte sembrava non essere accaduto ancora niente. Solo una cosa non sapevano spiegarsi, ovvero che alcune donne, recatesi al sepolcro di Gesù dopo tre giorni. dal decesso, lo avessero trovato vuoto. Allora il viandante ricordò loro quel­ le profezie che avevano preannunciato la vicenda di Cristo, fino a che, giunti infine al villaggio, egli si accinse a proseguire, ma essi insistettero affinché si fermasse con loro dal momento che era giunta l'ora del tramonto. Quando, seduti a tavola, i compa­ gni di viaggio si prepararono a consumare insieme la cena, il viandante prese il pane e lo benedisse, lo spezzò e lo distribuì, ri­ velando così la sua vera identità come Gesù Cristo in persona. Ap­ pena lo riconobbero egli sparì dal­ la loro vista e a essi non rimase che tornare a Gerusalemme per rac­ contare agli altri ciò che era succes­ so e come Gesù si fosse fatto rico­ noscere per aver benedetto e spez­ zato il pane.

...,. Mathieu Le Nain,

I pellegrini di Emmaus, 1635-1660, Parigi, Louvre.

28

Cena di Emmaus

Nella cena in Emmaus i compagni di viaggio riuniti intorno a Gesù assistono increduli alla rivelazione della sua vera identità attraverso la ripetizione del gesto compiuto durante l'Ultima Cena: la benedizione del pane.

Nel vino vi è un chiaro riferimento al vino eucaristico, sangue di Cristo, ma anche alla funzione della bevanda come strumento di conoscenza per la contemplazione della verità.

Il pane rappresenta in questo contesto, analogamente all'Ultima Cena, il corpo di Cristo.

Agli inizi del Cinquecento il piatto non era sempre uno strumento individuale e sulle mense talora ve ne era uno comune a tutti i convitati. In questo caso rimanda alla patena, il piatto dell'eucaristia.

.! Pontormo, Cena in Emmaus,

1525, Firenze, Uffizi.

29

In un unico episodio sono presenti due aspetti: il ricordo di come il santo aiutò la sopravvivenza di una piccola comunità monastica e l'importanza delle regole alimentari presso i monaci.

SantJUgo nel refettorio dei certosini Di sant'Ugo ( 1 0 53-1 132) , canonizzato a soli due anni circa dal­ Fonti Guigo, Vita di

Sant"Ugo, Acta sanctorum, aprile I Iconografia Tema rarissiino, strettamente connesso al monachesimo certosino, che celebrava sant'Ugo come colui grazie al quale l'ordine era stato fondato

T Francisco de Zubanin, Sant'Ugo nel

la morte, sappiamo che divenne giovanissimo (nel 1 08 0 ) vesco­ vo di Grenoble, dopo due anni di vescovato si ritirò nel mona­ stero di Chaise-Dieu, nella diocesi di Clermont, e vi professò per un anno la regola benedettina. Quindi, per volere di Gregorio VII, egli riprese il governo della sua diocesi, che versava a quel tempo in condizioni di assoluta indisciplina e promiscuità mora­ le, riuscendo infine ad averne ragione. N el 1 08 5 accolse san Bru­ no e i suoi compagni, concedendo loro il sito dove fu eretta la Grande Certosa. Questo primo piccolo nucleo monastico, pove­ rissimo, si nutriva grazie ai cibi che portava il vescovo di Greno ­ ble. Una domenica egli mandò loro della carne; i monaci, che in

refettorio dei certosini,

obbedienza alla regola monastica assai raramente mangiavano

1 630-1635, Siviglia, Museo Provincia! de Bellas Artes.

carne, presero a interrogarsi se fosse il caso di cibarsene, perdi­ più in Quaresima, ma mentre essi discutevano si addormentaro­ no profondamente e rimasero assopiti per lungo tempo. Sant'Ugo intanto era in viaggio, rientrò il mercoledì santo e si re­ cò in visita ai certosini. Con stupore li tro­ vò che si stavano risvegliando dopo il lun­ go sonno che aveva fatto perdere loro il senso del tempo. Durante il sopore collet­ tivo la carne nei piatti era divenuta cene ­ re e i monaci interpretarono il curioso evento come un miracolo: un messaggio superiore per segnalare l'approvazione di­ vina dell'astinenza monacale.

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Dalle storie di san Benedetto emerge il valore ambivalente del cibo, tentazione della gola da una parte e dall'altra luogo di manifestazione del divino.

Miracoli di san Benedetto Vissuto nel VI secolo, san Benedetto è il fondatore dell'ordine benedettino. Egli nacque a Norcia e divenne ben presto un ere­ mita; fondò il monastero di Montecassino, dove scrisse la Re­ gola, alla quale si ispirarono molte delle comunità monastiche occidentali da quel momento in avanti. Nella storia di san Be­ nedetto vi sono alcuni episodi, legati al cibo e alla pratica del digiuno, che hanno trovato nei secoli espressione artistica. La leggenda del santo narra che un prete aveva preparato con cu­ ra il p roprio pranzo pasquale, quando Dio lo avvertì con una visione che a poca distanza san Benedetto s tava soffrendo la fa­ me. Così egli decise di recarsi a trovarlo per dividere il pasto con lui. San Benedetto era un personaggio severo e rigido e la leggenda vuole che gli eremiti suoi compagni fossero scontenti del clima instaurato nella comunità, tanto che un giorno tenta­ rono di ucciderlo facendogli bere del vino avvelenato; ma il san­ to prima di bere benedisse la coppa ed essa si ruppe miracolo­

Fonti Gregorio Magno, Dialoghi, II libro Iconografia Nel Medioevo e nel Rinascimento sono numerosi i cicli affrescati che narrano le vicende della vita di san Benedetto, ma la trattazione più ampia è nel ciclo del monastero di Monteoliveto. I.; intento delle immagini era ricordare ai monaci della comunità la vita esemplare del santo che aveva dato loro la Regola

samente, il liquido avvelenato si perse e Benedetto ebbe salva la vita. Un episodio analogo ebbe luogo con un pezzo di pane av­ velenato. Si narra anche che una volta due monaci della sua co ­ munità uscirono dal monastero per andare di nascosto a man­

T Sodoma, Storie di san Benedetto (part. ) , 1505-1508 circa, Monteoliveto, abbazia.

giare all 'osteria, ma al loro rientro si trovarono davanti san Benedetto gi à a conoscenza del misfatto, che si limitò a riprenderli amorevolmente. Un altro racconto vuole che durante una carestia nel monastero fossero rimasti solo cin­ que pani; Benedetto in quell'occasione fece trovare ai confratelli abbondante farina, miracolosamente giunta nel­ l'atrio del monastero.

31

La cena svolge qui la funzione di celebrare l'unione fra la Chiesa, simboleggiata dalla mensa del santo papa, e Cristo stesso, ricordando la centralità dell'eucaristia fra i sacramenti.

Cena di san Gregorio Magno Papa Gregorio I, noto anche come Gregorio Magno, uno dei Fonti

quattro padri latini della Chiesa, nacque a Roma da nobile fa­

Anonimo monaco di Whitby, vissuto nel VII secolo (F.A. Gasquet, Londra 1904 ); Paolo Diacono, 770-780 (H. Grisar in Zeitschrift fur

miglia. Dopo la morte del padre si avvicinò all'ordine benedetti­

katolische teologie Xl, 1987, pp. 158-173);

no e, lasciata la vita civile e politica, si dedicò a servire la Chie­ sa. Trasformò pertanto il suo palazzo in un monastero e visse lì come un monaco finché divenne papa. Fra le storie legate a que­ sta figura ve n'è una che narra di un convivio miracoloso nella sua dimora. La leggenda vuole che Gregorio fosse solito invita­

Giovanni Diacono,

re a cena dodici poveri in ricordo dei dodici apostoli che sedet­

872-882, Acta Sanctorum, marzo Il

tero con Cristo all'Ultima Cena. Una sera al desco del papa si se­

Iconografia

Si tratta di un tema iconografico assai raro

dette un tredicesimo ospite che si rivelò essere Cristo stesso. Il simbolismo della storia sembra essere abbastanza chiaro !ad­ dove il santo è un papa e come tale rappresentante della Chiesa stessa, mentre Cristo impersona se stesso ac­ colto alla mensa della Chiesa con i suoi dodici apostoli, a ripetere la cerimonia dell'Ultima Cena in tutto il suo va­ lore sacramentale.

� Giorgio Vasari,

La cena di san Gregorio Magno, 1540 circa, Bologna, Pinacoteca Nazionale.

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Sia nella storia di Peleo e Teti che in quella di Amore e Psiche il banchetto è connesso alle nozze, come forma tradizionale e antichissima di festeggiamento.

Banchetto degli dei Un analogo tema iconografico accomuna due differenti miti, entrambi legati alle nozze: quello di Peleo e Teti e quello di Amore e Psiche. Il primo appartiene alla mitologia greca: Peleo era il re di Ftia in Tessaglia, mentre Teti era figlia di Nereo. Zeus e Poseidone si erano disputati la mano di Teti, ma poiché Temi aveva predetto loro che il figlio di Teti sarebbe stato più potente del padre, pensarono che fosse più opportuno farla sposare a un mortale e risolsero di maritarla con Peleo, ma Te­ ti si oppose. Teti cercò di sfuggire agli abbracci di Peleo assu­ mendo continuamente nuove sembianze, finché costui, istruito dal centauro Chirone, riuscì a trattenerla facendola ridiventare dea e sua moglie. Le nozze si svolsero sul monte Pelio e vi assi­ stettero gli dei, le Muse cantarono e ognuno portò i suoi doni. Il mito di Amore e Psiche narra di una fanciulla di grande bel­

lezza, invidiata da Venere che per questo decise di inviarle Cu­ pido con il compito di farla innamorare di un essere insignifi­

Fonti Pindaro, Pythia, ili, 92 sgg.; Apollodoro, 1 70; Catullo, Carmi, LXIV, 31 sgg.; Apuleio, Metamorfosi, IV-VI Iconografia Si tratta di un tema fortunato nell'arte antica e sviluppato nelle elaborazioni pittoriche dal Rinascimento al Settecento, come soggetto di interesse archeologico e ottimo pretesto iconografico per rappresentare fastosi banchetti in rievocazioni mitologiche

cante. Il dio si invaghì di Psiche e ogni sera al tramonto egli si reca­ va a trovarla, imponendole tuttavia di non posare mai lo sguardo su di lui. Psiche accettò, ma un giorno ruppe la promessa, facendo infuriare il suo amante. Amore la abbandonò, ma Psiche non si det­ te per vinta e dopo un lungo peregrinare fu infine perdonata. I

due convolarono a nozze

festeggiando

l'evento con un ban­ chetto divino. Il rac­ conto allegorico sim­ boleggia l'unione del­ l'anima (psyche) e del desiderio (eros).

..,. Giulio Romano,

Matrimonio tra Amore e Psiche ( part. ), 1528 circa, A:iantova, Palazzo Te, camera di Amore e Psiche.

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Banchetto degli dei

È qui rappresentato il banchetto

rustico organizzato dai satiri in onore di Amore e Psiche. Esso si contrappone al banchetto divino illustrando così i due lati dell'amore: quello elevato e quello materiale.

J.. Giulio Romano, Banchetto sull'isola di Citera, 1 527-1530, Mantova, Palazzo Te, camera di Amore e Psiche.

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Nelle figure ibride di uomo e animale vi è un'allusione chiara a/ lato più istintivo della natura umana.

Nella figura del satira Pan, colto nell'atto di porgere una pagnotta a una nuda divinità, si può vedere un riferimento erudito alla convinzione dell'antichità latina che il termine panis derivasse dal nome del dio stesso.

Mercurio è il messaggero mandato dagli dei a interrompere il confuso convito riportandovi così l'armonia dell'ordine superiore.

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Banchetto degli dei

Il nautilus, oggetto ornamentale caratteristico dell'epoca, è usato come calice cerimoniale e identifica nel personaggio cui è posto accanto la divinità maggiore, in questo caso Giove o Nettuno.

Le ostriche, molluschi afrodisiaci e raffinati, qualificano la mensa come buffet nuziale sottolineando la sensualità della scena. I:atmosfera erotica è

rafforzata dalla presenza dei carciofi, ritenuti afrodisiaci.

.6. Hendrik van Balen il Vecchio, Il banchetto degli dei, inizio del XVII secolo, Angers, Musée cles Beaux-Arts.

Al centro la torta illuminata da candele sottolinea il contesto nuziale della scena. I dolci sono infatti cibi tradizionalemente legati ai rituali di celebrazione dei momenti più gioiosi della vita.

La dolcezza del melone, celebrato nell'antichità, rimanda simbolicamente alla dolcezza dell'unione coniugale. All'astice è affidato il compito di ricordare come si festeggino le nozze di due divinità marine.

La cena è espressione di ospitalità, di accoglienza, di carità ancor più preziosa in quanto offerta da chi ha pochi mezzi. Nell'atmosfera di intimità è rivelata l'identità degli ospiti.

Filemone e Bauci Ovidio nelle Metamorfosi narra di una coppia di anziani coniu­ gi che un giorno ospitarono nella loro capanna due pellegrini re­

Fonti

spinti da tutti gli altri abitanti del villaggio. Essi accolsero gli

Ovidio, Metamorfosi, VIII, 621 -704

ospiti a cena offrendo loro prosciutto e verdura del loro orto, formaggio, uova servite nelle stoviglie di terracotta, e ancora pietanze calde, vino e per finire fichi, noci, frutta secca, datteri e prugne, mele e uva e al centro della mensa posero un favo di miele. Durante la cena una ciotola si riempì più volte inaspetta­ tamente e prodigiosamente di vino, mentre l'unica oca che i due possedevano e avevano deciso di sacrificare in onore dell'ospita­ lità cercò rifugio presso i due stranieri, che impedirono ai padro­

Iconografia

Proprio per il parallelismo con la vicenda evangelica della cena in Emmaus, la storia di Filemone e Bauci fu spesso rappresentata nella pittura fiamminga del XVII secolo

ni di casa di ucciderla. Gli ospiti in realtà altri non erano che Giove e Mercurio, come a un certo punto rivelarono. Gli dei, ri­ conoscenti verso Filemone e Bauci, mentre un diluvio stava som­ mergendo l'intera regione li condussero su un monte per salvar­ li. La loro casa, risparmiata, fu tramutata in un tempio, mentre i due anziani ne divennero il sacerdote e la sacerdotessa come avevano richiesto. La morte li colse, secondo la loro preghiera,

T Bottega di Pieter Pau! Rubens, Mercurio e Giove con Filemone e Bauci, 1620, Vienna, Kunsthistorisches lvluseum.

nello stesso momento e furono mutati in quercia e tiglio. Il tema mitologico mostra una certa affinità con la cena in Emmaus, laddove Giove e Mercu­ rio rappresenterebbero Dio padre e Cristo, mentre Filemone e Bauci i due discepoli che sopraggiunto il tramon­ to decisero di offrire ospitalità al­ l'ignoto compagno di viaggio, infine rivelatosi come Cristo.

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Il banchetto, connesso alla celebrazione delle nozze, diviene il teatro di un massacro a causa dell'abuso alcolico di un lussurioso centauro.

Battaglia dei lapiti e dei centauri In un passo delle Metamorfosi di Ovidio si narra come il ban­ Fonti

Ovidio, Metamorfosi, XII, 208-536; Boccaccio, De

genealogia deorum gentilium, IX, XXIX Iconografia

Tema della decorazione di Fidia del frontone del Partenone, la centauromachia compare di tanto in tanto fra i temi mitologici accolti dal Rinascimento. Spesso tnttavia il riferimento al banchetto come lnogo dello scontro sparisce del tutto, lasciando il posto alla cruda descrizione della battaglia

chetto di nozze fra il re dei lapiti Piritoo e Ippodamia si fosse tra­ sformato all'improvviso nella battaglia cruenta e sanguinosa fra i lapiti e i centauri. I lapiti erano i pacifici abitanti della Tessa­ glia e avevano organizzato un ricco convivio per festeggiare le nozze del loro re e della sposa Ippodamia. Al festeggiamento erano stati invitati anche i centauri, ma durante il pasto il cen­ tauro Eurito, ebbro per le ripetute libagioni, improvvisamente fu preso da libidine nei confronti della sposa. Così la festa degene­ rò in una sanguinosa battaglia alla quale presero parte tutti gli invitati. Alla fine i centauri furono cacciati grazie all'aiuto del­ l'eroe Teseo, amico di Piritoo e presente fra gli invitati. La cen­ tauromachia è un tema tradizionale dell'arte greca, assai diffuso fino alla fine dell'ellenismo per essere l'espressione figurativa della vittoria ateniese sui persiani e per il suo conseguente valo­ re allegorico di celebrazione della supremazia della civiltà greca sulla barbarie straniera. Ai lapiti era affidato il compito di rap­ presentare gli ateniesi e pertanto la civil­ tà, mentre ai centauri quello di rappre­ sentare i persiani ovvero la barbarie. Ai centauri, ibridi uomo-cavallo, era colle­ gata l'idea della brutalità della violenza e dell'istinto esaltato a regola .

..,. Piero di Cosimo, Battaglia dei lapiti e dei centauri (part. ), fine del XV secolo, Londra, National Gallery.

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Il ban chetto rappresenta un'occasione per la riunione di un'élite di filosofi impegnati a discutere argomenti profondi in una piacevole e raffinata cornice.

Convito di P lato ne S i tratta d i u n tema iconografico che è in realtà espressione figura­ tiva di una forma letteraria, divenuta filosofica nell'opera platoni­ ca intitolata appunto Convito. La letteratura simposiaca era costi­ tuita dalle opere che registravano le conversazioni che si tenevano nei simposii e che avevano i loro precedenti nelle descrizioni ame­ riche dei banchetti, ma il capolavoro assoluto del genere è l'opera platonica, nella quale un banchetto è teatro di una serie di discor­ si su un argomento filosofico. Forse il banchetto si tenne realmen­ te durante le feste Lenee del 416 a.C.; in quell'occasione gli inter­ venuti si espressero dialogando sul tema dell'amore nelle sue diver­ se forme e complesse accezioni. Durante il pasto, dopo aver consu­ mato le portate, i convitati bevevano il vino secondo una procedu­

Fonti Platone, Convito e Fedro, XLVIII Iconografia Dal punto di vista iconografico l'opera di Feuerbach sembra essere un hapax

legomenon, testimonianza visiva del fascino della Grecia archeologica e della stessa opera platonica nell'erudito Ottocento tedesco

ra concordata. Il vino determinava un certo stato di ebbrezza esta­ tica che era da considerarsi un'esperienza cognitiva, un percorso di conoscenza capace di permettere una sorta di unione con il trascen­ dente. Platone sosteneva che l'esperienza dionisiaca legata al ban­ chetto avesse un ruolo fondamentale nella ricerca della verità.

T Anselm Feuerbach, Il banchetto di Platone, 1 869, Karlsruhe, Kunsthalle.

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Il banchetto della potente regina d'Egitto è qui teatro di una scommessa, evento appositamente organizzato per attuare un piano di seduzione attraverso l'ostentazione di lusso e ricchezza.

Banchetto di Cleopatra Cleopatra fu regina d'Egitto in epoca ellenistica. Per fronteggiare Fonti Plinio, Naturalis

historia, 9, 1 1 9;

l'incombente minaccia romana aveva elaborato una propria strate­ gia politica basata sul magnetismo personale e sul potere inebrian­

Macrobio, Saturnalia, 3, 17, 14- 1 8

te e ipnotico di uno stile di vita lussuoso e di una pompa cerimo­

Iconografia Si tratta di un tema iconografico capace di coniugare molteplici aspetti seduttivi, dalla bellezza fisica della celeberrima regina alla spettacolare magnificenza della sua corte. Per tali motivi esso ebbe fortuna nella pittura manierista, attratta dalle storie più inconsuete dell'antichità, e in quella secentesca e settecentesca interessata alle valenze teatrali dei racconti mitologici ed esotici

lio Cesare, ritardandone così i piani politico-militari, ed ebbe in se­

niale spettacolare. Giovanissima divenne amante del maturo Giu­ guito con il triumviro Antonio un lungo e profondo legame d'amo­ re conclusosi con la morte di entrambi. Uno degli elementi della se­ duzione di Antonio messa in atto da Cleopatra fu un favoloso ban­ chetto, nel corso del quale ella promise che avrebbe speso per l'im­ bandigione oltre dieci milioni di sesterzi, una somma di denaro as­ solutamente spropositata. Così, dopo aver fatto sfilare sulla men­ sa i più succulenti e costosi manicaretti, si fece portare da un servi­ tore un bicchiere d'aceto, si tolse dall'orecchio una delle due ma­ gnifiche perle che indossava e la gettò ostentatamente nel liquido che poi bevve. Il giudice della gara, preoccupato che la regina fa­ cesse lo stesso anche con l'altra, se ne impossessò per conservarla a ricordo dell'impresa. Così, quando i romani conquistarono Ales­ sandria la perla fu divisa in due e andò ad adornare le orecchie del­ la colossale statua di Venere nel Pantheon di Roma.

� Giambattista Tiepolo, Il banchetto di Cleopatra, 1ì40, Londra, National Gallery.

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I[ banchetto è qui un'occasione sociale organizzata da Nastagio affinché l'amata, assistendo alla drammatica apparizione, ceda infine al suo amore.

Navella di Nastagio degli Onesti Tratta dal Decameron di Boccaccio, la novella narra la storia eli Nastagio degli Onesti che un giorno, vagando nella pineta, pensa­

va sconsolato alla fanciulla che ostinatamente resisteva al suo amo­ re. Improvvisamente si trovò spettatore di una drammatica scena: una donna discinta, fuggendo un cavaliere armato, veniva assalita dai cani che l'uomo le aveva aizzato contro e colpita a morte dal feroce cavaliere. La visione in realtà non era reale: le anime inquie­ te del cavaliere e della sua vittima periodicamente riproducevano nella pineta la stessa tragica sequenza. Nastagio, colta l'analogia fra la vicenda e la sua personale situazione, progettò di far assiste­ re allo sconvolgente evento la propria dama, sperando così di con­ vincerla ad accettare il suo amore. Organizzò dunque un banchet­ to durante il quale la scena si presentò davanti agli occhi inorridi­ ti della fanciulla, che decise, vinta dall'ostinazione dell'amante, di

Fonti Boccaccio, Decameron, V, 8 Iconografia Una serie di pannelli usciti dalla bottega botticelliana sembrano essere le uniche rappresentazioni di questo soggetto iconografico; l'ambientazione che gli artisti botticelliani conferiscono al racconto rispecchia l'ambiente di corte del milieu mediceo

concedergli la sua mano. Con un fastoso banchetto di nozze si ce­ lebrò infine il matrimonio di Nastagio e della sua amata.

...,. Bottega di Botticelli, Il banchetto

allestito da Nastagio degli Onesti, 1483 circa, Madrid, Prado.

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Dall'allegoria alla natura Inorta Peccato di gola Senso del gusto Xenia Capricci I secoli d'oro della natura morta Ottocento e natura morta Novecento e cibi Scena di genere e cibo

..,. Camille Pissarro,

La donna dei salumi (part.), 1 883, Londra, Tate Gallery.

La rappresentazione allegorica della gola ha un chiaro valore dottrinario: si tratta di un modello negativo volto a ricordare allo spettatore i rischi che comporta peccare senza pentirsene.

Peccato di gola Il peccato di gola è un segnale del progresso, in quanto la prepara­ Fonti Cassiano, P.L. XLIX, col. 21O; Benedetto, P.L. LXVI, col. 321; Gregorio, P.L. LXXVI, col. 556; Rabano Mauro, P.L. CXII, coli. 1246-1248 Iconografia La gola sembra trovare spesso espressione nelle rappresentazioni medievali del Giudizio universale e nei cicli di vizi e virtù. Ancora diffusa fra Quattrocento e CinqueCento, la rappresentazione della gola compare sia in area italiana che fiamminga

zione sempre più sofisticata dei cibi scandisce le tappe di una cor­ ruzione morale. Alle origini l'assunzione del cibo regolata unica­ mente dal bisogno era contrassegnata da semplicità e parsimonia. Nell'esegesi biblica il peccato originale sembra essere prevalente­ mente interpretato come un peccato di gola, scaturito dal divieto divino di cibarsi del frutto proibito. In accordo a tale visione nel Medioevo domina l'idea che il primo peccato sia stato un peccato di gola e che attraverso la gola tutti i mali siano entrati nel mondo. Il naturale desiderio del cibo nell'uomo costituisce la via maestra per la tentazione e l'accesso privilegiato all'universo del peccato. La gola viene pertanto a far parte del settenario dei peccati capitali, di­ venendo oggetto di citazioni e descrizioni in numerosi scritti esege­ tici. La gola è spesso descritta nelle rappresentazioni infernali in contesti pittorici che illustra­ no il Giudizio universale, ove un certo spazio è dedicato ai dannati e alle loro colpe, o nelle summe pittoriche dottri­ narie con le personificazioni dei vizi e delle virtù. In genere è rappresentata per via allego­ rica con tavole riccamente im­ bandite intorno alle quali stanno assisi i golosi, o è im­ personata da esseri umani

.,.. Taddeo di Bartolo,

Inferno: i golosi, fine del XIV secolo, San Giminiano, chiesa della Collegiata.

corpulenti, dal ventre volumi­ noso, in atto di mangiare. As­ sociati alla gola sono in gene­ re i maiali o i lupi, animali no­ ti per la loro voracità.

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Peccato d i gola

Il maiale, simbolo del peccato, diventa, sotto forma di zampetto e quindi come alimento, rappresentazione emblematica del peccato di gola.

La comoda è un riferimento evidente alla poco dignitosa fine di tanto cibo.

La gola è uno dei sette peccati capitali illustrati nell'opera di Bosch. Connessa con il progresso, la gola, degenerazione del naturale desiderio di cibo, rappresentava una via sicura verso la corruzione morale .

Al maiale e alla sua funzione di simbolo del peccato di gola si riferisce anche la salsiccia, suo prodotto di antichissima tradizione.

.t. Hieronymus Bosch, La Gola, da I sette peccati capitali e i quattro novissimi, 1475-1480 circa, Madrid, Prado.

45

Peccato d i gola

Le focacce sul tetto mostrano la dovizia di provocazioni alimentari del paese della cuccagna, esse si riferiscono a un proverbio fiammingo: "Il tetto è rivestito di focacce" detto di un luogo ave regna l'abbondanza e si vive nella pigrizia.

Attraverso la scelta di personaggi appartenenti a tre diverse categorie sociali, Bruegel allude al paese della cuccagna come oggetto della fantasia collettiva senza distinzioni di rango o di condizioni economiche.

j. Pieter Bruegel il Vecchio, Il paese della cuccagna (part.), 1567, Monaco, Alte Pinakothek.

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L'oca viva è simbolo del peccatore ostinato, pertanto, come alimento, diviene l'emblema del peccato di gola ripetuto senza pentimento.

Nell'uovo, dal quale spuntano le zampe di un pulcino, si vede una umoristica segnalazione dell'ingordigia dei tre, sottolineata dalla presenza del coltello dimenticato nel tentativo di consumare anche quell'uovo troppo vecchio.

Il maiale, simbolo del peccato, allude alla sua funzione alimentare di animale commestibile in ogni sua parte ed emblema della gola.

Il paese della cuccagna è il luogo immaginario ave il cibo abbonda e procurarselo è facilissimo. Esso aveva la funzione di compensare la paura reale all'epoca di carestie e povertà.

L'allegoria dei cinque sensi è un soggetto carico di ambiguità.

Esso illustra la fuzione dei sensi nell'umana fisiologia, ma al contempo ammonisce sugli effetti fuorvianti di tale seduzione.

Senso del gusto È nella filosofia artistotelica che si configurano i cinque sensi co­

me modi distinti di percepire la qualità della realtà esteriore e si elabora l'ipotesi che vi sia una relazione tra vita, anima e perce­ zione. Attraverso il corpo le impressioni sensorie sarebbero il pre­ supposto delle funzioni vitali, ma andrebbero a costituire nel­ l'anima la base per attività intellettuali come fantasia, pensiero e pertanto conoscenza. Il passaggio dalla percezione alla conoscen­ za viene assicurato, secondo Aristotele, dal sensus communis, de­ putato a coordinare tutte le impressioni sensorie. I sensi sarebbe­ ro inoltre classificati gerarchicamente in vista, udito, olfatto, gu­ sto e tatto e avrebbero anche un rapporto con i quattro elemen­ ti: la vista sarebbe collegata all'acqua, l'udito all'aria, l'olfatto al fuoco e il tatto e il gusto alla terra. I.:idea che i sensi siano alla base della conoscenza intellettuale è accolta da tutti gli autori an­ tichi successivi e anche il Medioevo cristiano non si dissocia da tale visione. Tuttavia si configura in quest'epoca anche il concet­ to che quegli stessi sensi, preziosi strumenti umani per la cono­ scenza, siano anche diaboliche armi capaci di tentare l'uomo con­ ducendolo al peccato.

Fonti Aristotele, De sensu sensatu, I, 436, b. l e De anima, II, 5, 416 b. 32; 12, 424 b. 2 1 ; III, l, 424 b. 22; 13, 435 b. 25 Iconografia Assente nell'antichità tale soggetto comincia ad affacciarsi nel Medioevo nella sua forma più didascalica, ma è nella seconda metà del Cinquecento e per tutto il Seicento che esso viene rappresentato soprattutto nell'arte fiamminga sotto forma di scena di vita quotidiana. Dal Settecento in poi i sensi sono ridotti a pure citazioni decorative all'interno di altri contesti

..,. Theodor Rombouts, T

cinque sensi,

inizio del XVII secolo, Gand, Museum voor Schone Kunsten.

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Senso del gusto

La rappresentazione di tre dei cinque sensi è qui espressa nella forma di banchetto gentilizio, impiegando azioni e usi relativi al convito signorile. 48

Il suonatore di liuto,

oltre a rimandare al senso dell'udito, ricorda la pratica di origine antica di rallegrare i conviti con la musica.

Il pavone si riferisce alla natura effimera della bellezza fisica e all'ingiustificata vanità che essa suscita.

Cibo tradizionalmente afrodisiaco, le ostriche evocando il senso del gusto rimandano alla sensualità in genere.

Ancora al gusto si riferiscono le ricche pietanze sul tavolo della gentildonna fra le quali il fagiano. Era infatti uso nei banchetti gentilizi presentare trofei di caccia cucinati e ripiumati che spesso avevano solo uno scopo decorativo.

Al gusto rimandano le provviste alimentari di cacciagione, frutta e verdura di ogni genere collocate senza ordine, a suggerire forse l'idea dell'abuso sconsiderato dei piaceri dei sensi.

• Jan Bruegel il Vecchio, il tatto e il gusto,

L:udito,

1616-1618 circa, Madrid, Prado.

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Si tratta di brani di natura morta dalla duplice funzione, decorativa e rituale. In entrambi i casi gli alimenti esprimono l'ospitalità del padrone di casa.

Xenia La presenza di cibi nell'arte romana è un fatto piuttosto frequente. Fonti Plinio, Naturalis historia, V, 1 5, 1 12; XXVIII, 5 , 27; XXXV, 112; XXXVI, 1 84; Petronio, Satyricon, 72 Iconografia Si tratta di decorazioni parietali o mosaici pavimentali rinvenuti in territorio romano e prevalentemente nelle dimore gentilizie di Roma, Ostia, Pompei ed Ercolano

È possibile che tali inserti nella decorazione di ambienti domestici scaturissero da un intento puramente ornamentale. Tuttavia viene

ipotizzata per tali composizioni anche una più specifica destinazio­ ne cultuale come doni alle divinità o strumenti votivi. Alla catego­ ria delle immagini che dipendevano da una destinazione d'uso van­ no ricondotti quelli che Vitruvio chiama xenia, ovvero nature mor­ te di fiori e frutta, generi alimentari e vasellame che dovevano fun­ gere da omaggi virtuali dei padroni di casa ai loro invitati o, come ipotizzano alcuni storici, da nutrimento simbolico per le ombre presenti. Le fonti letterarie forniscono descrizioni di quelle che Pli­ nio definisce opere di minor pictura, spesso espressioni di virtuosi­ smo pittorico capace di tradurre la realtà in illusionistiche simula­ zioni trompe-l'oeil. Fra le composizioni descritte dalle fonti e pre­ dilette dai greci e dai romani vi erano quelle con canestri di frutta con fichi, pesche e uva, il vasellame di uso domestico o la selvaggi­ na appesa. Un altro genere è la natura morta costituita da spazza­

T Particolare con

frutta e vasi, dalla decorazione di una casa di Ercolano, ante 79 d.C., Napoli, Museo Archeologico.

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tura, le cui origini cultuali lasciarono il posto a una curiosa funzio­ ne decorativa. I resti del pasto raffigurati nei mosaici pavimentali rappresentavano il cibo lasciato alle ombre che popolavano la ca­ sa, ragion per cui era assolutamente sconsigliato raccogliere ciò che cadeva e spazzare il suolo appena alzati da tavola.

Xenia

I brani di natura morta negli affreschi parietali delle case romane avevano una duplice funzione decorativa e rituale, come virtuali omaggi dei padroni di casa ai loro invitati, e nutrimento simbolico per le ombre dei morti.

Nella melagrana bisogna forse cogliere un riferimento al mito di Proserpina di cui simboleggia il ciclico ritorno sulla terra, metafora di resurrezione.

A Vaso di cristallo con frutta, dalla villa di Boscoreale, l secolo d.C., Napoli, Museo Archeologico.

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Nei capricci di Arcimboldi frutta e verdura si integrano nella composizione di volti che simbolicamente illustrano le stagioni. Analogamente, gli animali rappresentano gli elementi.

Capricci Nel Cinquecento il mondo della natura, e con esso i cibi e i na­ Iconografia Si limita all'area asburgica, e in particolare alla corte di Praga della seconda metà del XVI secolo

turalia commestibili, rappresenta un serbatoio infinito di parti­ colari necessari all'elaborazione artistica e tuttavia non suffi­ cienti di per sé a giustificare un prodotto o un genere d'arte. Tut­ tavia nella seconda metà del secolo, presso la corte asburgica (prima di Massimiliano I prima, poi di Rodolfo Il) , è attivo Gio­

vanni Arcimboldi, il geniale creatore di una serie di dipinti aven­ ti per soggetto principale naturalia di ogni genere. Si tratta di singolari prodotti pittorici classificabili come capricci, nei quali 'f Giuseppe Arcimboldi,

L'acqua, 1566, Vienn�

Kunsthistorisches Museum.

gli stessi elementi base del non ancora codificato genere della na­ tura morta - frutta, verdura, animali e altro - venivano impie­ gati per comporre bizzarre immagini antropomorfiche. Dietro a tali costruzioni fisiognomiche dall'aspetto di stilizzati ritratti si celava una sorta di enciclopedia della natura che, rispecchiando il gusto collezionistico delle Wunderkammer dell'epoca, fungeva da inventario della natura conosciuta. Quasi il­ lustrazioni scientifiche, i capricci ricostruiva­ no in un'unica immagine la cultura naturali­ stica dell'epoca presentando anche talvolta le novità botaniche giunte dal Nuovo Mondo, da poco scoperto. Insieme alle necessità illu­ strative, i capricci di Arcimboldi avevano an­ che un intento simbolico: quello di mostrare attraverso la scelta dei naturalia e l' organiz­ zazione in sequenze - quella degli elementi e quella delle stagioni - l'aspirazione del com­ mittente all'universalità, sia nell'esercizio del potere temporale che, sul piano filosofico, nel desiderio di sconfiggere le umane catego­ rie di tempo e di spazio.

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Nella natura morta una primizia, un frutto appena scoperto 0 la descrizione di un menù allusivo a una festa spesso fanno capolino dietro a composizioni apparentemente solo decorative.

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I secoli dj oro della natura morta Il genere della natura morta si profila come autonomo già alla fine del Cinquecento, ma è nel secolo seguente che si afferma definitiva­ mente in tutta Europa. Si tratta di opere destinate a una commit­ tenza privata, nelle quali è la natura inanimata a fornire ispirazio­ ne attraverso le forme, i volumi, la materia, il colore e la reazione della luce. L'abilità del pittore sta nel selezionare gli oggetti e com­ porli secondo una disposizione estetica, descrivendoli con gusto il­ lusionistico, ma spesso anche con la volontà di trasmettere un mes­ saggio simbolico. Il cibo entra a far parte da subito di questi con­

Iconografia

Il genere della natura morta con cibi trova ampia diffusione in tutta l'Europa del XVII e XVIII secolo. Esso è diretto a una clientela privata che ne apprezza l'aspetto decorativo e il linguaggio illusionistico e realistico

testi pittorici. All'inizio del Seicento i centri più importanti per tale genere sono Roma e le città dei Paesi Bassi, ma se in Italia la natu­ ra f!Orta sviluppatasi in ambito caravaggesco predilige le composi­ zioni di frutta descritte con impietoso realismo, nei Paesi Bassi essa si codifica in tipologie caratteristiche. Ricorre in quest'epoca il te­ ma della tavola imbandita, dello spuntino frugale, della cacciagio­

T Caravaggio, Canestra di frutta, 1597-1598 circa, Milano, Pinacoteca Ambrosiana.

ne in cucina e dei "dessert", nei qua­ li i dolci sono il soggetto principale. In Spagna, poche tipologie di alimen­

ti raccolti in spazi limitati costituisco­

no il genere denominato bodegon (letteralmente "cantina" o "oste­ ria"), mentre la natura morta fioren­ tina mostra l'influenza dell'illustra­ zione scientifica. Con il secolo succes­ sivo le tipologie della natura morta di cibi si cristallizzano nei fastosi ban­ chetti o nelle composizioni di pochi alimenti poveri ma suggestivi.

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I secoli d'oro della natura morta Le ciliegie sono presenti nella loro accezione di frutti paradisiaci.

La salta dei cibi sul buffet rappresenta il possibile suggerimento di un menù nel contempo reale e simbolico.

L'alzata d'argento con il nobile materiale e la struttura ad alto piede allude alla dimensione superiore del Paradiso, luogo incorruttibile, ricco di frutti spirituali.

Le olive, riferendosi alla simbologia del loro albero nella vicenda biblica di Noè e del Diluvio universale, rappresentano chiari segnali di pacificazione con ·Dio.

I.:insalata, cibo sobrio per eccellenza, nell'esegesi biblica richiama il concetto di penitenza. ... Georg Flegel, Natura morta con fiori, 1630 circa, Stoccarda, Staatsgalerie.

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Nel pollo arrostito si ravvisa un riferimento a Cristo vittima sacrifica/e per la Redenzione del genere umano .

La clessidra rimanda alla funzione del tempo che domina la vita umana e rende i piaceri terreni fugaci ed effimeri.

Alla frutta e agli altri alimenti spetta spesso il compito di celebrare la dimensione della quotidianità antiretorica e ricca di un potenziale estetico innovativo, ma anche provocatorio.

Ottocento e natura morta �.}Ottocento rappresenta un'epoca di radicale rinnovamento del genere della natura morta. Alle cristallizzate composizioni decora­ tive della produzione italiana e fiamminga si vanno infatti oppo­ nendo le innovative risposte scaturite dalla sperimentazione in­ quieta degli artisti francesi. Si assiste all'affermarsi di gruppi di ar­ tisti accomunati da analoghe finalità poetiche ed estetiche e dal de­ siderio di esprimere la loro creatività liberamente, opponendosi al­ le regole rigide dettate dall'Accademia. Presso questi movimenti artistici l'interesse per la natura morta nasce dallo spirito antiacca­ demico, assumendo l'aspetto di una vera e propria reazione al pre­

Iconografia La rappresentazione di nature morte con cibi non costituisce certamente la voce più consistente nella produzione realista o impressionista dell'Ottocento, tuttavia sono assai frequenti soprattutto nella pittura francese

giudizio che voleva i generi organizzati secondo una rigida scala gerarchica. In accordo a questa mentalità si fa strada l'idea, pres­ so il movimento realista e quello impressionista, che ogni aspetto della vita umana meriti la stessa attenzione estetica, inclusi gli og­ getti e dunque i cibi. Nell'estetica dell'impressionismo, marcata

T Pau! Gauguin, Il prosciutto, 1 889, Washington, The Phillips Collection.

dall'intento di fermare nell'opera d'arte l'istante della sensazione visiva, viene de­ dicata agli oggetti un'attenzione del tutto analoga a quella rivolta alla figura uma­ na. Ciò che conta per l'artista impressio­ nista è la possibilità di studiare, catturare e riprodurre l'impressione soggettiva del fenomeno naturale ovvero degli effetti ot­ tici prodotti dalla luce sulle forme e sul colore. Nel nuovo approccio al reale s'in­ serisce il ruolo dei cibi nell'arte dell'Otto­ cento, espressione della libertà dell'artista da vincoli accademici.

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Ottocento e natura morta

Alla frutta e agli altri alimenti spetta il compito di celebrare la semplicità di oggetti d'uso comune e forme della natura in chiave antiretorica, esplorandone il ricco potenziale estetico.

Nella forma delle uova, semplice eppure perfetta, si esprime pienamente la poetica del pittore che traduce le forme naturali in semplici volumi geometrici.

.A. Pau! Cézanne, Natura morta, 1869, Parigi, Musée d'Orsay.

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Il cibo diviene simbolico della società dei consumi, che negli alimenti industrialmente elaborati e proposti nei supermercati vede il segno tangibile della violenza del capitalismo.

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Novecento e cibi Il Novecento rappresenta un capitolo particolarmente variegato nella storia della natura morta. Si tratta infatti di un secolo perva­ so da numerosi movimenti d'avanguardia fra i quali i fauves fran­ cesi, l'espressionismo tedesco, il cubismo e il futurismo italiano, che già nei primi anni del secolo avevano trovato la loro piena de­ finizione. Per le avanguardie del Novecento un termine di riferi­ mento imprescindibile è l'attività matura di Cézanne e la sua atten­ zione per le potenzialità artistiche della natura morta. In accordo a tale lezione, il Novecento abbraccia l'idea che l'opera d'arte debba essere un organismo autonomo dotato di un valore in sé, compiu­ to e parallelo alla natura. Analogamente si va definendo il concet­ to che l'immagine rappresentata nell'opera d'arte possa essere pri­

Iconografia Il tema della natura morta con alimenti, non più discriminato come genere minore, segue nel Novecento la sorte delle correnti d'avanguardia, espandendosi pertanto dalla Francia alla Germania, all'Italia per raggiungere infine gli Stati Uniti nelle elaborazioni della pop art

va di riferimenti alla realtà e l'oggetto sia svincolato dalla necessi­ tà di somigliare a qualcosa di realmente esistente. Per contro, la pit­ tura del Novecento si pone il problema di approfondire le possibi­ lità del mezzo pittorico attraverso un'incessante ricerca su forma e colore e la tendenza ad appiattire la tridimensionalità prospettica, a semplificare le composizioni. Su questi criteri si fonda l'approc­ cio dell'arte del XX secolo alla natura morta in generale e, nell'am­ bito di quel genere, alle opere che rappresentano frutta o altri ali­

T Ani:ly Warhol, 200 Soup Cans, 1962, Carbondale, John &

Kimiko Powers Collection.

menti. Un capitolo a sé è quello rappresen­ tato dalla pop art che, affermatasi negli Stati Uniti all'inizio degli anni sessanta, an­ cor più delle avanguardie sembra essersi dedicata al genere della natura morta. Na­ ta nel momento dell'affermazione del capi­ talismo la pop art, denunciando gli eccessi del consumismo, celebra il cibo industrial­ mente prodotto come espressione primaria del genere di massa, il cui consumo è inco­ raggiato ossessivamente dalla pubblicità. 57

Novecento e cibi Nella pittura futurista la natura morta inuta dalla concezione originaria di vita ferma in oggetto di rappresentazione dinamica.

A Umberto Boccioni, Anguria, 1914, Hannover, Sprengel Museum.

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Le fratture dell'anguria, manifestazione di forze contrastanti, rappresentano l'espressione del dinamismo nella ricerca estetica futurista.

L'affollamento ossessivo degli alimenti rievoca /'esposizione della merce in un moderno supermercato, luogo chiave della società dei consumi.

Le forme identiche ripetute più volte propongono il cibo non più come frutto imperfetto di un processo naturale e artigianale, ma come risultato standardizzato del processo industriale.

.l Erro, Paesaggio alimentare, 1964, Stoccolma, Nationalmuseum.

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Nell'Europa del tardo Cinquecento la pittura di genere ha una considerevole diffusione: in tale contesto al cibo è affidato il compito di parlare di un'intimità domestica scoperta.

Scena di genere e cibo Tra i vari motivi delle nuove predilezioni iconografiche della fine Iconografia Si tratta di un soggetto iconografico fortunatissimo in tutta Europa dalla fine del XVI secolo in poi

del Cinquecento vanno annoverati gli importanti mutamenti re­ ligiosi contemporanei. In Olanda e in alcune aree del protestan­ tesimo, dopo ripetuti episodi di iconoclastia, fu sancita l'elimina­ zione dalle chiese delle immagini a soggetto sacro e l'illegittimità della rappresentazione dei santi. Questo comportò il venir meno della principale fonte di commissioni per gli artisti e la conse­ guente necessità di trovare altri generi di espressione. Tutto que­

T Da vid Teniers il Giovane, Scena di nozze, XVII secolo, collezione privata.

sto accadde in un momento dì particolare prosperità dei Paesi Bassi, mentre era intensa la richiesta di opere d'arte da parte dì una borghesia in forte ascesa economica. La scena dì genere co­ me soggetto pittorico, dunque, si afferma in questo periodo in risposta alle mutate condi­ zioni sociali. La necessità di riflettere l'atmosfe­ ra e le usanze, lo spirito e i sentimenti della nuova committenza è rispecchìata dal riferi­ mento frequente al cibo e al pasto sia come aspetti di intimità familiare che come momenti di vita pubblica o privata. Fra le scene di gene­ re che più spesso menzionano alimenti vi sono le scene di mercato, le scene di cucina e dì bot­ tega, che dalla seconda metà del XVI e per tut­ to il XVII secolo si affacciano con crescente fre­ quenza nelle opere pittoriche dall'Italia alle Fiandre. Nell'ambito delle rappresentazioni del mercato potevano coesistere diversi livelli di to­ no, dalla dimensione grottesca della scena po­ polare a quella lasciva, generata dall'intuitivo legame fra cibo e sesso. Traspariva da quelle opere la sottile denuncia della natura effimera dai piaceri terreni.

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Scena di genere e cibo

Il cibo dolce è spesso associato all'infanzia.

I fanciulli presi dalla strada o ritratti nelle loro umili case sono spesso protagonisti delle scene di genere di Muri/lo.

Il canestro di frutta e di cipolle sottolinea il tono umile e rurale della scena. A Bartolomé Esteban Murillo, Ragazzo che mangia una torta, 1662-1 672, Monaco, Alte Pinakothek.

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Scena di genere e cibo

Il ritratto di famiglia

rappresenta uno dei tratti più caratteristici della pittura nordica fra Cinquecento e Seicento. L'allusione al pasto, rituale domestico che coinvolge tutta la famiglia, ne sottolinea l'intimità.

Il capofamiglia si re/aziona con l'ipotetico osservatore porgendogli un bicchiere quasi a voler/o coinvolgere in un virtuale brindisi.

... Maarten van Heemskerck,

Gruppo di famiglia, 1530 circa, Kassel, Gemiildegalerie.

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Nel cestino di frutta a due piani sembra leggibile il riferimento alla doppia natura allegorica della frutta, simbolo dei piaceri terreni e anche delle gioie dello spirito.

Nel formaggio accanto alla gentildonna, recante fra le braccia il più piccolo dei figli, va forse ravvisato un riferimento alla maternità.

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I luoghi e i rituali del cibo Mercato Bottega Cucina Sala da pranzo e da banchetto Refettorio Taverna Il Caffè Ristorante Colazione Pranzo Cena Picnic Banchetto Carnevale, festa del cibo Preghiera prima del pasto Etichetta Brindisi

...,. Pieter Breugel il Vecchio,

La battaglia fra Carnevale e Quaresima (part.), 1559, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

La nascita del mercato rappresenta un capitolo significativo della storia del commercio del cibo, fin dall'antichità affidato all'attività dei venditori ambulanti.

Mercato Le fiere e i mercati nacquero dall'aggregazione di venditori am­ Significato Ricchezza, sollecitazione sensuale Iconografia Questo soggetto sembra aver trovato espressione soprattutto in alcuni pittori fiamminghi fra i quali Pieter Aertsen, il nipote Joachim Beuckelaer, e nell'opera dell'italiano Vicenza Campi

bulanti, che a scadenze prefissate del calendario civile o religio ­ so si riunivano per commercializzare i loro prodotti. Nella Ro­ ma imperiale il mercato era un vero e proprio specchio della po­ tenza economica dell'Impero, ove si poteva trovare ogni genere di prodotto alimentare, dal più ordinario al più sofisticato. Du­ rante il Medioevo con l'economia feudale l'istituzione sembra temporaneamente tramontare per rinascere tuttavia intorno al XIII secolo con il rifiorire dei nuclei cittadini. Nelle città dal tar­ do Medioevo e fino all'inizio del XIX secolo il mercato svolge un ruolo assai significativo nell'affermarsi di costumi alimentari locali. Dalla seconda metà del XVI secolo e per tutto il XVII le

T Telemaco Signorini, Leith, 1 8 8 1 , Firenze Galleria d'Arte Moderna.

scene di mercato si affacciano con frequenza nelle opere pittori­ che, dall'Italia alle Fiandre. Esse celebrano l'abbondanza deriva­ ta dalla crescente fiducia nel commercio, fonte primaria di ric­ chezza per le nuove classi emergenti. Le scene di mercato rispondono in quest'epo­ ca allo stesso spirito catalogatorio e curio­ so che animava il collezionismo delle ca­ mere di meraviglie. Il XVIII secolo infor­ ma le scene di mercato con un nuovo illu­ ministico senso della sicurezza economica, che si traduce nell'ottimistica sensazione di aver sconfitto per sempre la fame. Una consistente innovazione rispetto alla for­ ma tradizionale è, negli anni ottanta del­ l'Ottocento, la formula del mercato coper­ to, ove l'attenzione del compratore è cat­ turata dalle insegne commerciali apposte sull'esterno degli edifici deputati a que­ st'uso.

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Mercato

Nella pittura nordeuropea le scene di mercato celebrano la ricchezza economica ed esprimono la fiducia nel commercio come fonte di benessere per il paese.

La presenza della gentildonna, che scortata dai domestici si reca personalmente a scegliere il pesce fresco, indica come il mercato giochi un ruolo importante nella cultura locale.

Il pesce è per i paesi fiamminghi una delle risorse alimentari maggiori e il mercato ittico una voce commerciale significativa .

.l ]an van Boeckhorst e Frans Snyders, TI vecchio mercato del pesce ad Anversa, 1630- 1 640 circa, Anversa, Rubenshuis.

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Mercato Lo straccione mette mano alla borsa per estrarne il denaro e rassicurare la venditrice di frittelle di poter pagare la merce richiesta.

Nella presenza delle verdure si deve qui vedere uno specchio delle abitudini alimentari dell'epoca e de/ luogo. Il carciofo, per esempio, era coltivato soprattutto in Toscana.

4 Johann Zoffany, Il mercato della frutta di Firenze, 1775, Londra, Tate Gallery.

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La venditrice che offre il grappolo d'uva con sguardo ammiccante rimanda al frutto come origine del vino, portatore di nutrimento e gioiosa ebbrezza.

La presenza di cesti e borse mostra come il mercato nascesse dall'aggregazione di ambulanti.

Nel clima illuministico settecentesco il mercato fiorentino rappresenta un documento di studio delle abitudini alimentari locali, ed esprime al contempo l'ottimismo del secolo nei confronti del progresso e la convinzione di poter sconfiggere la fame.

Dolci come le ciambelle rimangono per secoli merce tipica dei venditori ambulanti.

Quella ambulante rappresenta una delle forme più antiche di commercio. Anche dopo la nascita del mercato l'attività degli ambulanti non cessa di esistere.

;. Pietro Longhi, Scuola di lavoro, 17 52, Venezia, Ca' Rezzonico.

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Quella del venditore ambulante è certo la più antica forma di commercio, ma le botteghe ove si effettuava la vendita giornaliera degli alimenti esistevano già nella Roma antica.

Bottega Con il declino dell'impero romano e l'affermarsi dell'economia Significato Sollecitazione sensuale, ricchezza Iconografia Il soggetto si afferma nel XVII secolo sia presso i pittori italiani che quelli fiamminghi come parte della scena di genere

feudale si afferma la tendenza a produrre ed elaborare autono­ mamente le materie prime alimentari, con il conseguente decadi­ mento della bottega. Tuttavia intorno al XIII secolo, con il rifio­ rire dell'economia cittadina, essa riacquista importanza. Si mol­ tiplicano in quest'epoca soprattutto gli spacci associati a un labo­ ratorio artigiano come i panifici, le rosticcerie, le pasticcerie, le spezierie e anche le macellerie. Nelle città del Medievo e del Ri­ nascimento le rivendite erano collocate al piano terra degli stessi palazzi, ai piani superiori dei quali risiedevano le famiglie dei commercianti. Nelle vie si susseguivano affiancate l'una all'altra, con aperture ad arco ribassato tamponato in basso da uno o due muriccioli su cui lavoravano gli artigiani o venivano esposte le merci. A volte i muriccioli sporgevano un po' e in questo caso

T .Jcan Beraud, La pasticceria Gloppe sugli Champs-Elysées, 1889, Parigi, Musée Carnavalet.

erano protetti da una tettoia per rendere possibile l'esposizione senza danni. Sono frequenti nei dipinti di quest'epoca, soprattut­ to nei paesi fiamminghi, le immagini di botteghe siffatte, in cui l'esposizione e l'abbondanza delle merci richiama soprattutto l'idea dei piaceri terreni legati ai sensi e le insidie in essi con­ tenute. Le associazioni di più botteghe in un percorso coper­ to rappresentano un punto di passaggio fondamentale del processo graduale che culmi­ nerà nell'Ottocento con la na­ scita del negozio cittadino mo­ derno, completamente chiuso e dotato di vetrine ampie e lumi­ nose con vista dall'esterno del­ la merce esposta.

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Bottega

La macelleria rappresenta l'anomalo teatro di una scena di genere. Le carcasse degli animali, divenute soggetto d'arte, sovvertono i criteri estetici della pittura manierista e la sua ricerca ossessiva del bello, suscitando in chi guarda ripugnanza e raccapriccio .

La rappresentazione della bottega sottolinea l'ambiente popolare e il provocatorio materialismo della scena.

.l Annibale Carracci, La bottega della carne, 1582-1583, Forr Worth, Kimbell Art Museum.

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Bottega

Il corno serviva ai commercianti per richiamare l'attenzione degli avventori.

Nel pane, base dell'alimentazione e mezzo di sussistenza, si può scorgere un segnale della divina Provvidenza. 72

La bottega del fornaio presenta l'aspetto tipico del negozio fra XV e XVIII secolo, con l'apertura ad arco ribassato in parte chiusa dal muricciolo, che funge da espositore per la merce.

Nell'articolata lavorazione del pane si può vedere simbolicamente una allegoria della vita A Job Berckheyde, umana con i suoi Il fornaio, 1681 circa, travagli e difficoltà. Worcester, Art Museum.

Assente dalle case dell'antica Grecia, ave l'elaborazione del cibo era sacralizzata e pertanto pubblica, la cucina come locale adibito alla preparazione delle vivande ha tuttavia una storia antica.

Cucina La cucina romana a partire dal III secolo a.C. era attrezzata in mo­ do analogo all'attuale e poteva costituire, nelle case più umili, il punto di incontro della famiglia e il luogo per consumare i pasti. Nel Rinascimento le cucine signorili si ingrandiscono, arricchen­ dosi di un vasto camino centrale o di più camini a parete destina­ ti alla cottura allo spiedo, ai bolliti e agli spezzatini, muniti di ala­ ri e di una cremagliera a parete con catene a scorrimento per sor­ reggere marmitte e calderoni, con i quali si preparavano i banchet­ ti e i trionfi di cibo che, secondo l'uso dell'epoca, dovevano avere un aspetto fastoso e scenografico. Quasi fosse un laboratorio al­

Significato

Intimità domestica, ricchezza, alchimia

Iconografia

Amato dalla pittura nordica, il tema della cucina compare soprattutto nelle scene di genere fra XVII e XVIII secolo o nelle cene eristiche dello stesso periodo

chemico, la cucina doveva essere posta lontano dagli occhi dei pa­ droni di casa e dei loro ospiti. Proprio in quest'epoca la distinzio­ ne fra formale e informale, fra pubblico e privato si fa più netta, e la creazione gastronomica con il personale specializzato trova luo­ go nella segretezza delle quinte del palcoscenico della vita sociale. La cucina diviene in quest'epoca un soggetto pittorico frequente, ove alla ricchezza delle masserizie e delle provviste alimentari i pit­ tori affidano il compito di celebrare l'abbondanza e con essa i pia­

T Martin Driilling, Interno di cucina, 1 8 1 5 circa, Parigi, Louvre.

ceri dei sensi e la curiosità per le meraviglie della natura. Nell'Otto­ cento, negli appartamenti della bor­ ghesia italiana e francese le cucine sono semplici stanze di servizio for­ nite del necessario, ma destinate a essere frequentate solo dal persona­ le di servizio. Al contrario la bor­ ghesia dei paesi tedeschi, fiammin­ ghi e anglosassoni dota le proprie dimore di cucine ampie e accoglien­ ti, dove è gradevole riunirsi, man­ giare e ricevere in modo informale. 73

Cucina

Nel Cinquecento, con la distinzione fra formale e informa/e, fra pubblico e privato, si crea la necessità di separare nettamente lo spazio della creazione gastronomica da/ luogo del banchetto. La cucina diviene pertanto più spaziosa e strutturata.

La presenza del cigno ripiumato e addobbato documenta l'uso, nei banchetti di quest'epoca, di presentare a tavola simili trofei. Il cigno è caro al mondo cavalleresco per essere emblema, a causa del candore delle piume, di sincerità, purezza e magnanimità poiché combatte solamente se provocato. Il canto del cigno in punto di morte ne faceva un simbolo di virtù oltre la morte fisica. 74

La cottura allo spiedo rappresenta, nelle epoche di grande consumo di carne, una delle più antiche e apprezzate modalità di preparazione.

In quest'epoca la cucina diviene un soggetto pittorico frequente: alla ricchezza delle masserizie e delle provviste alimentari i pittori affidano il compito di celebrare l'abbondanza, il piacere dei sensi e la curiosità per la natura.

.6. David Teniers il Vecchio, La ricca cucina, 1644, l.:Aia, Mauritshuis.

Nei palazzi gentilizi dell'antica Roma varie sale erano destinate alla consumazione dei pasti; dopo la caduta dell'impero romano la sala da pranzo diviene una rarità fino alla fine del XVII secolo.

Sala da pranzo e da banchetto Il graduale processo di separazione fra il luogo dell'elaborazione del cibo e quello destinato alla sua consumazione comincia nel Rinasci­ mento, anche se Bartolomeo Platina afferma, nel XV secolo, che la mensa deve essere preparata nel modo più consono alle diverse sta­ gioni, d'inverno in luoghi caldi e chiusi, d'estate all'aria aperta e al

Fonti B. Platina, De

honesta voluptate et valetitudine, lib. I, cap. 12

fresco, senza una stanza preposta a quell'unica funzione. I.: evoluzio­

Significato Intimità domestica, aulicità e raffinatezza

Medioevo esso era formato da una mensa appoggiata su due caval­

Iconografia Ambientazione frequente nelle scene di genere fiamminghe. Compare nelle cene eristiche fra XVI e XVIII secolo. Per gli impressionisti diventa una delle cornici prescelte per brani di intimità domestica

ne del tavolo testimonia il mutamento del costume, infatti, se nel letti, facilmente smonta bile, nel Rinascimento diviene un mobile fis­ so, elaborato e massiccio, da collocare in una sala arricchita anche dalla credenza per esporre il vasellame e tenerlo pronto all'uso. Con il Seicento la sala da pranzo si afferma come luogo stabile nella struttura della casa, ambiente intimo nel quale la famiglia si riuni­ sce e riceve; due secoli più tardi essa diviene il locale rappresentati­ vo della nuova agiatezza borghese. Diverse sono le necessità presen­ tate dal banchetto con molti invitati. Nel tardo Medioevo era costu­ me fra le famiglie gentilizie ricevere in strada, disponendo le tavole sotto una loggia, mentre nei castelli feudali i banchetti erano serviti nella sala più ampia del palazzo. Ana­ logamente nelle dimore aristocratiche del Rinascimento il banchetto era or­ ganizzato in uno dei saloni più grandi, ove si allestivano raffinate scenografie e imbandigioni mirabolanti. Rimane costante dall'epoca romana in poi l'uso del giardino come luogo dove consumare pasti ordinari e approntare

...,... Tintoretto,

Cristo in casa di Marta e Maria, 1580 circa, Monaco, Alte Pinakothek.

banchetti durante la buona stagione. 75

Sala da pranzo e da banchetto

Il curioso tavolo mostra come esso sia costituito da una mensa appoggiata su gambe a cavalletto, facilmente smontabile e dislocabile. Tale necessità nasceva dal fatto che non vi era un luogo fisso per consumare il pasto.

Il pesce, come pietanza di una cena evangelica, rappresenta Cristo stesso.

"- Dirck Bouts, Cristo in casa di Simone, 1440 circa, Berlino, Gemaldegalerie.

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Nel pane si deve scorgere un riferimento eucaristico.

È con il XIX secolo e l'affermarsi sociale della borghesia agiata che nasce la vera sala da pranzo, luogo intimo ove riunire la famiglia e accogliere gli ospiti.

La presenza sul tavolo di zuppiere e piatti indica con chiarezza il mutamento nella concezione dell'apparecchiatura. Si affermano in questo secolo servizi di piatti ricchissimi di pezzi e si moltiplicano zuppiere, salsiere, vassoi e altri strumenti sempre più specifici per le diverse pietanze.

4 Mary Ellen Best, Our dining room at York, 1 838, collezione privata.

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Sala da pranzo e da banchetto

Domina la scena la statua di Venere nella nicchia, sottolineando la dedizione ai soli piaceri terreni da parte dei commensali.

La sontuosa sala da banchetto è circolare e riccamente ornata di stucchi e affreschi.

Le ostriche, note per le loro qualità afrodisiache, servite su piatti d'argento mostrano la loro valenza di cibo raffinato e virile.

La presenza del tavolo rotondo, escludendo l'esistenza di un posto d'onore, rimanda allo spettatore l'impressione di un banchetto fra pari oltre che esclusivamente maschile.

.i. Jean-François de Troy, Il pranzo a base di ostriche, 1735 circa, Chantilly, Musée Condé.

78

Dal rinfrescatoio occhieggiano bottiglie che il piccolo formato suggerisce essere di un qualche distillato trasparente, acquavite o gin.

Sottoposto a un rigido regolamento, il rapporto del monaco con il cibo è caricato dei valori simbolici cristiani al massimo dell'intensità.

Refettorio La raffigurazione del refettorio, la sala del convento riservata al­ la consumazione comunitaria dei pasti, aveva la funzione di ri­ cord are al monaco i precetti spirituali connessi al cibo. Si tratta di norme sia dietetiche che comportamentali. Il monastero è il luogo ove il piacere del cibo è istituzionalmente ridotto al mini­ mo, dal momento che fin dalle origini del cristianesimo e in par­ ticolare presso le prime comunità monastiche vigeva la convin­ zione che ogni ricerca di perfezione spirituale dovesse passare at­ traverso la disciplina alimentare fino alla pratica del digiuno. Se­ condo la Regola di san Benedetto, infatti, nulla sarebbe tanto sconveniente al buon cristiano quanto il mangiare troppo, ché appesantirebbe il cuore. È bandita dalla mensa monastica la car­

ne di quadrupedi, consentita solamente ai monaci malati e mol­

Fonti

S. Benedicti Regula, capp. 35, 38, 39, 40; Ugo da San Vittore, P.L. CLXXVI, coli. 949-952 Significato Valore didascalico Iconografia Si tratta di un ambiente spesso dipinto negli affreschi che dal tardo Medioevo in poi illustrano la vita di santi monaci

to indeboliti, poiché, secondo le teorie aristoteliche, la carne sti­ molerebbe la produzione di sperma incoraggiando una sessualità sconveniente a monaci e asceti. Nella Regola anche il contegno è oggetto di prescrizioni assai precise. I monaci devono infatti ser­ virsi reciprocamente e nessuno è dispensato da tale ufficio. Alle mense dei monaci inoltre non deve mai mancare la lettura da

T Beato Angelico, Il pasto dei monaci servito dagli angeli, predella della

Incoronazione della Vergine, 1430 circa, Parigi, Louvre.

ascoltare in assoluto silenzio, da mantenere anche nel porgersi vicen­ devolmente il cibo e le bevande. Ugo da San Vittore parla a lungo della custodia della lingua e degli occhi, ricorda come non si debba comin­ ciare a mangiare prima della bene­ dizione e afferma che chiunque sie­ da alla mensa debba prima di tutto pensare ai poveri, poiché chi nutre il povero nutre Dio stesso.

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Nella Roma antica le tabernae erano osterie cittadine dalla pessima reputazione destinate alla plebe, ave oltre a mangiare si giocava d'azzardo e si esercitava la prostituzione.

Taverna Le tabernae dell'antichità offrivano la possibilità a cittadini e Fonti Jsidoro di Siviglia, P.L. LXXXII, col!. 540-541 ; G . Boccaccio,

Deca1neron;

G. Chaucer, l racconti di Canterbury Significato Socialità popolare, atnbiente equivoco Iconografia l? immagine compare frequente nelle scene di genere dei pittori del nord Europa del Seicento e Settecento

viaggiatori di consumare una pietanza calda ed erano pubbliciz­ zare da insegne commerciali con elencati i piatti della casa e la ce­ lebrazione delle specialità che all'interno facevano mostra di sé sotto forma di dipinti parietali. Nelle tabernae si mangiava sedu­ ti, circondati spesso da prosciutti o altri cibi conservati appesi al soffitto, mentre il vino si beveva naturale o allungato con acqua, e si poteva portare via. Disprezzati dalla buona società pagana, tali locali venivano considerati in epoca cristiana pericolosi luo­ ghi di perdizione per i cittadini e a maggior ragione per i religio­ si. La Chiesa aveva infatti parole di condanna per quei ministri che durante le loro peregrinazioni cedessero all'impulso di entra­ re a mangiare e bere nelle tabernae, a meno che ciò non accades­ se per necessità assoluta. Isidoro di Siviglia nelle Ethymologiae fa

T William Hogarth, La carriera del libertino, la taverna, 1733-1734, Londra, Soane's vfuseum. l

derivare la denominazione latina dal nome delle tavole !ignee di cui la taberna era fatta e la descrive come luogo di frequentazio­ ne esclusivamente popolare. La taverna medievale tuttavia, pur considerata come nell'antichità un posto sordido, era parte inte­ grante della vita cittadina come luogo di svago ed evasione oltre che di utile socializzazione per la circolazione di idee che vi avveniva. Così essa compa­ re spesso nella letteratura medievale co­ me le novelle del Decameron di Boc­ caccio o I racconti di Canterbury di

Chaucer. Nel Cinquecento e nel Seicen­

to la taverna è raffigurata come am­ biente per le scene di genere di gusto popolare, soprattutto presso i pittori fiamminghi che spesso ne arricchiscono le rappresentazioni con salaci allusioni. 80

Taverna

La treccia d'aglio appesa ha una funzione pratica di conservazione dell'ortaggio, ma nel contempo agisce come amuleto contro il maligno.

La taverna è rappresentata sullo sfondo dell'immagine, mentre in primo piano una scena di cucina con la dovizia delle provviste sollecita la vista alludendo al senso del gusto.

Le avances dell'avventore alla cameriera illustrano l'atmosfera licenziosa della taverna, luogo popolare ed equivoco sin dall'antichità.

Simbolicamente l'atto di cucinare rappresenta l'intrigo della mente corrotta e peccatrice, l'ordire della diabolica mezzana.

i. Marten van Cleve, Scena di cucina, 1565, Verona, Castelvecchio.

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Nell'antica Roma vi erano i thermopolii, veri e propri bar con bancone di pietra verso la strada, antecendenti del caffè che nasce in Europa intorno alla metà del X VII secolo.

Il Caffè Le caffetterie sorsero in Europa nel corso del Seicento a imitazio­ Significato

Socialità e vita mondana Iconografia

L'ambientaz.ione in un Caffè è in genere associata alla scena di genere ottocentesca prevalentemente francese e italiana

ne della caffetteria aperta a Costantinopoli nel 1 554. La prima bottega fu forse aperta a Oxford nel 1 650, ma c'è chi sostiene che sia stata Venezia ad avere questo primato verso il 1 640, seguita poi da Marsiglia, da Parigi e da Vienna. Nel XVIII secolo Carlo Goldoni celebrava la popolarità del locale scrivendo una comme­ dia dal titolo La bottega del caffè, a testimonianza del successo della bevanda ma soprattutto dell'ambiente dove essa veniva con­ sumata. In Inghilterra dalle coffee houses settecentesche si svilup­ parono gli esclusivi club aristocratici dove si riunivano i gentiluo­

'f Vincent van Gogh, La terrazza del Caffè in Piace du Forum ad Arles di notte, 1 888, Otterlo, Rijksmuseum Kroller-Miiller.

mini. Significato assai diverso presero i Caffè europei fra la fine del secolo XVIII e di quello seguente. Il Caffè nell'Ottocento è un luogo borghese che si contrappone al salotto aristocratico, ove usa riunirsi la nobiltà dell'Ancien Régime. Quando in epoca post-na­ poleonica le classi sociali si vanno mescolando, la caffetteria è fre­ quentata da un'umanità ormai varia e si trasfor­ ma in uno strumento politico, il luogo ideale ove far circolare le voci ufficiose. Nei Caffè europei i giovani della borghesia con idee rivoluzionarie e liberali si ritrovano per�arlare di politica, di letteratura e arte, e dalla metà del secolo a Pari­ gi, capitale del lusso e del divertimento, esso di­ viene teatro di una mondanità gaudente e co­ smopolita. La vita notturna si concentra al Café cles Anglais, nascono i Café chantant e i Caffè concerto. Amato dai pittori impressionisti, il Caffè rappresenta, nel tardo Ottocento, il luogo caratteristico della vita parigina, ritrovo di intel­ lettuali e artisti, ma democraticamente aperto al­ l'umanità più varia, inclusa quella disperata e al­ colista della tentacolare capitale francese.

82

Il Caffè

In quest'epoca il vino non è più soltanto prodotto dai contadini per uso familiare, ma viene creato da nuove organizzate aziende vinicole. Bottiglie di vetro scuro, che lo proteggono dalla luce, ne garantiscono una migliore conservazione.

A Roma il Caffè Greco,

tutt'ora esistente, fu uno dei primi, rinomato per le sue frequentazioni.

Il tipo di locale prendeva nome dalla nera bevanda che, divenuta di gran moda nel Settecento per le sue caratteristiche eccitanti, era particolarmente apprezzata dagli intellettuali .

I Caffè ottocenteschi erano luoghi di ritrovo di intellettuali e artisti.

.t. Ludwig Passini, Artisti al Caffè Greco, 1 850 circa, Amburgo, Kunsthalle.

83

Il Caffè

Dalla metà del secolo a Parigi, la capitale del lusso e del divertimento, il Caffè diviene il luogo prescelto dalla mondanità gaudente e cosmopolita. Nascono qui i café chantant e i Caffè concerto, ave la musica dilettava gli avventori.

Il Caffè, ritrovo di intellettuali e artisti, era un luogo di fascino indiscusso, perché democraticamente aperto all'umanità più varia. .l Édouard Manet, Angolo del Caffè concerto, 1 877- 1 878 circa, Londra, National Gallery.

QA

� Pierre-Auguste Renoir,

Locanda di Mère Anthony, 1 866, Stoccolma, Nationalmuseum.

Luogo dove il privato e il pubblico si compenetrano in un moderno scambio, il ristorante rappresenta la cornice per spaccati sociali cittadini cari alla pittura dell'Ottocento.

Ristorante Il ristorante nasce in concomitanza con i mercati e le fiere che ob­ bligavano contadini e artigiani a lasciare la casa per più giorni. A Parigi, intorno al 1 760, era un'istituzione per coloro che avevano bisogno di rimettersi in salute: vi si somministrava una sorta di

brodo per corroborare i convalescenti, offrendo al contempo diver­

si menù a un prezzo fisso, serviti in ogni momento del giorno a un tavolo individuale. Uno degli aspetti innovativi del ristorante era proprio la carta del menù, che permetteva una scelta, cui si aggiun­ geva il vantaggio della privacy e della tranquillità. Durante il Ter­ rore i ristoranti divennero luoghi di ritrovo per gli aristocratici pro­ prio grazie alla discrezione che offrivano; sotto l'amministrazione napoleonica persero queste connotazioni per divenire luoghi di pu­ ra degustazione gastronomica. Dopo la Rivoluzione francese ebbe luogo anche una rivoluzione gastronomica, orientata a una sempli­

Fonti A. Brillat Savarin,

La fisiolog ia del gusto (Torino 2002, pp. 156- 1 57) Significato Socialità, vita mondana Iconografia Come il Caffè, anche il ristorante diventa lo sfondo di molta pittura dell'Ottocento italiana e francese, particolarmente interessata alla \�ta cittadina o campestre, privata e pubblica

ficazione della preparazione del cibo. I cuochi impiega­ ti presso le dimore aristocratiche della città, rimasti sen­ za lavoro, crearono spazi pubblici dove la loro arte po­ tesse soddisfare un numero sufficiente di avventori da permettere loro la sopravvivenza. Così i ristoranti pren­ devano le distanze dalle antiche taverne, configurando­ si come luoghi ricercati per pulizia, servizio e raffinatez­ za, ma soprattutto per il tipo di cibo offerto. Brillar Sa­ varin, nel suo trattato ottocentesco, definisce il ristoran­ te un luogo vantaggioso per i cittadini e necessario al­ l'evoluzione della gastronomia. Tutti coloro che se lo potevano permettere vi potevano assaggiare la migliore cucina, quella che nel secolo precedente era stata ap­ pannaggio esclusivo degli aristocratici. Il ristorante è un luogo magico dove si crea l'intersezione fra pubblico e privato, ma la sua immagine si presta anche a simboleg­ giare la solitudine dell'individuo nella società. 85

Ristorante

Dopo la Rivoluzione francese i ristoranti si configurano come luoghi ricercati per pulizia, servizio e raffinatezza nell'arredo, ma soprattutto per il tipo di cibo offerto.

I fiori sul tavolo, decorazione

di antichissima tradizione, rendono assai festoso il pur vuoto locale, dando un senso di serenità al clima di attesa.

La tovaglia bianca fin dall'antichità conferiva pulizia e decoro alla tavola.

,;. Vincent van Gogh, Interno di ristorante, 1 887, Otterlo, Rijksmuseum Kroller-Miiller.

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.,.. Claude Monet, La colazione, 1 868, Francoforte, Stadelsches Kunstinstitut.

Si tratta di un'usanza conosciuta fin dall'antichità sia in Grecia che a Roma, essendo, con il pranzo e la cena, uno dei tre pasti principali che scandivano la giornata.

Colazione I greci consumavano una colazione frugale a base di pane intin­ to nel vino, formaggio o frutta, prevalentemente in piedi e spes­ so fuori casa. Nella Roma antica lo jentaculum, preso in genere fra le otto e le nove del mattino, consisteva in un bicchiere di lat­ te o un biscotto intinto nel vino o in salsa d'aglio con l'aggiun­ ta di fichi o olive; talora era anche a base di formaggio e uova. Presso i cristiani, tuttavia, l'abitudine della colazione venne me­ no, seppure ne resti traccia fra i pasti menzionati dall'esegeta medievale Isidoro di Siviglia, che nelle Ethymologiae lo chiama il primo pasto del giorno, quello che rompe il notturno digiuno. Tuttavia è nel Settecento che l'uso della colazione si afferma e con esso l'abitudine a consumare al mattino bevande calde ac­

Fonti Isidoro di Siviglia, P.L. LXXXII, col. 707 Significato Intimità domestica, raffinatezza, aristocrazia Iconografia Dal XVIII e XIX secolo è menzionata nelle scene di genere di ambiente aristocratico anglo-francesi; citata spesso anche dalla pittura impressionista

compagnate da qualche biscotto. A quest'epoca la colazione è abitudine aristocratica, e dai docu­ menti pittorici risulta spesso servita direttamente in camera da letto o nei piccoli salotti a essa adia­ centi, ambienti caratteristici delle dimore gentili­ zie. Nei dipinti settecenteschi tale consuetudine, proprio per la sua qualità di rituale aristocratico, appare come un riferimento esplicito all'ambiente di appartenenza, vero e proprio specchio di un gu­ sto e di abitudini esclusive. Anche nel secolo se­ guente e fino agli inzi del successivo la colazione riguarda le classi sociali più abbienti, seppure tale abitudine alimentare coinvolga in quest'epoca la facoltosa borghesia dell'industria e della finanza, via via scendendo nella gerarchia sociale. Nella pittura dell'Ottocento la colazione sembra rien­ trare nella celebrazione artistica dell'intimità do­ mestica, come rituale familiare divenuto ormai borghese.

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Colazione I:opera fa parte di un ciclo di sei dipinti intesi a presentare le sfortunate conseguenze di un matrimonio contratto per ambizione e interesse.

Il maggiordomo,

scandalizzato dall'aspetto della coppia, se ne va con i conti non pagati.

;. William Hogarth, Matrimonio alla moda, la mattina, 1744, Londra, National Gallery.

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A quest'epoca la colazione non viene consumata nella sala da pranzo, ma piuttosto nella camera da letto o in stanze attigue.

La teiera d'argento indica, con il ceto sociale della gentildonna, anche la sua nazionalità, dal momento che a quest'epoca il tè era la bevanda nazionale della Gran Bretagna.

La colazione, conosciuta fin dall'antichità come pasto del mattino, rappresenta in questo periodo un rituale prevalentemente aristocratico.

L'argenteria è in massima auge in quest'epoca presso le classi più elevate.

Il protagonista è disfatto da una notte di baldoria.

La colazione, servita in un sa/attino raccolto, rappresenta il raffinato rituale mattutino delle gentildonne settecentesche.

·

La presenza del maggiordomo e della cioccolatiera d'argento sottolineano il rango sociale dei personaggi rappresentati e della committenza.

B oucher è il raffinato interprete della vita aristocratica francese del Settecento.

La forma a campana delle tazze indica che la bevanda servita è la cioccolata, importata in Francia dalla Spagna all'epoca di Luigi XIII e di moda in quest'epoca.

La cioccolata era una bevanda prevalentemente femminile.

.A. François Boucher, La colazione, 1739, Parigi, Louvre. 89

Nell'antichità il pranzo era un pasto sobrio che spesso si consumava fuori casa prima di mezzogiorno, ma poteva essere anche un'occasione per festose riunioni familiari e amichevoli.

Pranzo Prandium per i romani era il primo dei pasti principali, anche se Fonti Isidoro di Siviglia, P.L. LXXXII, col. 707; Rabano Mauro, P.L. CXI, col. 589 Significato Vita, piaceri terreni Iconografia Il pranzo festoso compare spesso nelle immagini dei pittori fiamminghi del Seicento, ma anche come citazione di domestica intimità nell'opera degli impressionisti francesi

in genere si consumava in piedi ed era a base di alimenti sempli­ ci e poco elaborati come verdure, pesce, uova e funghi. In genere dopo il pasto non ci si lavava nemmeno le mani. Lo stesso avve­ niva in epoca cristiana: il pranzo frugale lasciava alla cena il ruo­ lo principale di pasto-rito, in occasione del quale la famiglia si riuniva dopo una giornata di lavoro. Isidoro di Siviglia nelle

Ethymologiae fa derivare prandium dal termine latino che defini­ sce l'apparato digerente e racconta che così veniva chiamato il pasto dei militari prima di andare in battaglia. Da tale abitudine era derivato il detto prandeamus tamquam ad inferos coenaturi ovvero "pranziamo poiché ceneremo agli inferi", alludendo chia­ ramente al rischio di morire in battaglia. Il detto è ripetuto qual­ che secolo dopo da Rabano Mauro che sottolinea, in accordo al linguaggio esegetico medievale, come il pranzo simboleggi la vita

l' Édouard Manet, TI pranzo nell'atélier,

1868, Monaco, Neue Pinakothek.

e il tempo presente, mentre la cena risulta connessa alla morte, alla fine della dimensione terrena; infatti il pranzo, consumato in ore diurne, suggerisce la sua natura solare e pertanto vitale, men­ tre la cena, legata al tramonto, non può che simboleggiare la fine della vita. Già nell'antichità il pa­ sto non era solamente un atto or­ dinario che scandiva la giornata, ma costituiva anche l'occasione per celebrare riti e passaggi, feste comandate e private, eventi e riu­ nioni speciali. A partire dal Me­ dioevo le ore del pranzo potevano essere il momento per l'organizza­ zione di banchetti con ospiti, cele­ brazioni e feste.

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Pranzo

La tipica brocca di peltro

in uso nel Seicento, nei paesi fiamminghi, mostra come i convitati stiano bevendo vino.

La corona sulla testa del personaggio lo individua come il Re fagiolo, del quale veniva celebrata la festa la Dodicesima notte ovvero il 6 gennaio. Un fagiolo veniva cotto dentro a una torta e colui che lo trovava era proclamato re della festa e poteva mangiare e bere a volontà al grido tradizionale di "il re beve!" .

Il personaggio vestito da buffone

offre allo spettatore un calice cerimoniale, come a voler brindare alla sua salute, sottolineando così il clima di festeggiamento della scena.

Seppure pasto secondario rispetto alla cena, anche il pranzo poteva essere occasione di inviti e riunioni amichevoli, come testimonia l'atmosfera allegra del dipinto che rievoca l'idea del pranzo come emblema della vita stessa.

.l Jacob Jordaens, Il re beve, 1640 circa, Parigi, Louvre.

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Fin dall'antichità la cena costituiva il pasto più importante della giornata e, pur priva di aspetti formali, essa era per i greci assai più ricca dei due pasti precedenti.

Cena Fonti Isidoro di Siviglia, P.L. LXXXII, col. 708; Rabano Mauro, P.L. CXII, coli. 892-893 c CXI, col. 589; B. Platina, De

honesta voluptate et valetitudine, lib. I, cap. 3 Significato Morte, refezione spirituale, elevate contemplazioni Iconografia È soprattutto fra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento che l'interesse dei pittori si rivolge alla cena, oltre che per il suo valore mistico legato alle cene eristiche, anche per gli effetti di luce artificiale. Con l'Ottocento la cena sarà oggetto delle descrizioni di vita sociale, soprattutto nell'ambiente impressionista francese

� Adam Elsheimer,

Giove e Mercurio presso Filemone e Bauci, 1609- 1 6 1 0 circa, Dresda, Gemaldegalerie.

92

Secondo l'etimologia di Isidoro di Siviglia, il termine latino coe­ na derivava dal fatto di essere un atto comunitario, sintetizzato dal termine greco koinon che significa appunto "insieme" . Se­ condo Rabano Mauro doveva essere consumata in comune e, in contrapposizione al pranzo, rappresentare un rituale vespertin o, inoltre poteva essere letta in chiave mistica come fine della vita. Nell'antica Roma la cena era il pasto principale della giornata, e originariamente aveva luogo nel tardo pomeriggio. Ancora più del pranzo la cena era occasione di inviti, e tale rimase nella so­ cietà cristiana, ove le spettava il ruolo di refezione principale del­ la giornata offrendo un'opportunità d'incontro per famiglia ed eventuali ospiti. L'abitudine fu mantenuta nei secoli successivi e

anche nel quattrocentesco trattato di Bartolomeo Platina la cena

conservava il suo ruolo principale. A differenza degli altri due pa­ sti, questo è un emblema dell'Ultima Cena e della cena in Em­ maus, pertanto le fonti esegetiche gli attribuiscono un valore sim­ bolico che allude a elevate contemplazioni, e in esso si identifica­ va un momento di spirituale refezione, viatico di vita eterna.

Cena

La presenza della statua di Venere ha la funzione di rammentare il legame d'amore fra la regina d'Egitto e il condottiero romano.

La statua di Giunone nella nicchia rimanda alla leggendaria ricchezza di Cleopatra.

I limoni in latino chiamati citrus medica hanno lo scopo di alludere

al cognome dei committenti dell'opera, i Medici.

Il banchetto è il teatro di una scommessa fra Antonio e Cleopatra. Costei promise di spendere una cifra enorme per una sola cena e, per tener fede alla parola data, sciolse una perla dall'inestimabile valore in un bicchiere d'aceto.

Il cane in primo piano ricorda l'uso comune nel banchetto rinascimentale di buttare gli avanzi sul pavimento perché venissero ripuliti dai cani.

Il giudice della gara preoccupato che la regina facesse lo stesso anche con l'altra perla, se ne impossessò per conservarla a ricordo dell'evento . ... Alessandro Allori, La cena di Cleopatra, 1570, Firenze, Palazzo Vecchio, studiolo di Francesco L

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Cena

La luce crepuscolare e la lampada a olio indicano nel tramonto il momento dell'Ultima Cena, conferendo alla composizione un'atmosfera suggestiva e un po' tetra, che richiama l'idea della cena come simbolo di morte.

L'agnello in pezzi nel piatto di portata, tradizionale animale sacrifica/e, allude alla funzione di Cristo, vittima sacrificata per la Redenzione del genere umano.

j. Francesco Bassano, Ultima Cena, 15 90 cirea, Madrid, Prado. 94

Cristo è qui in atto di benedire il pane, simbolo del suo corpo.

La presenza dei coltelli ricorda come essi, proprio per essere armi comuni, siano stati le prime posate individuali a comparire a tavola.

La cena fin dall'antichità rappresenta il pasto principale della giornata, quello che la conclude con un'intima riunione familiare. La storia evangelica ha contribuito a conferire a questo rituale una sorta di aura sacra/e.

La luce della candela, necessaria all'assunzione del pasto che tradizionalmente segue il tramonto, rappresenta per i pittori fiamminghi un interessante stimolo alla resa pittorica della luce artificiale nel buio notturno.

Il piatto di portata di porcellana cinese rappresenta la citazione di un esotico oggetto importato a quell'epoca dai mercanti fiamminghi.

Cristo mostra la sua identità spezzando il pane e ripetendo pertanto il gesto dell'Ultima Cena.

• Matthias Stomer, Cristo a Emmaus, 1630-1640 circa, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.

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Cena

Dal XIX secolo in poi, con l'intensificarsi della vita mondana, la cena diventa un'occasione per incontri eleganti.

Il tovagliolo sulle

ginocchia della gentildonna mostra la conoscenza di una regola dell'etichetta della tavola codificata già dal Rinascimento.

d'argento, contenitore di acqua bollente o bevande calde, indica, alludendo al caffè, la fine del pasto.

.t. Jules-Alexandre Grun, Fine della cena, 1 9 13, Turcoing, Musée cles Beaux-Arts.

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Il samovar

La preziosa tovaglia bordata di pizzo sottolinea l'ambiente elegante mostrando la predilezione per il bianco, da sempre simbolo di pulizia e purezza.

7ol termine francese piquenique si definisce il pasto consumato /urante una passeggiata, all'aperto, al quale ogni convitato ontribuisce mettendo a disposizione cibi e bevande.

Picnic :ra il vero picnic e il pranzo all'aperto vi è una fondamentale dif­ erenza, infatti cenare e pranzare a tavola all'aperto prima del CVII secolo era una consuetudine. Essa derivava dalla mancanza li una stanza destinata in modo univoco alla consumazione dei

Significato Rituale aristocratico e cavalleresco, evasione, divertimento

,asti, oltre che dal piacere del luogo fresco immerso nel verde del

Iconografia

;iardino durante la calura estiva. Tuttavia il vero picnic nasce co­

Il picnic si affaccia

ae stile di pasto legato alla caccia, poiché durante la giornata di port era comune, di tanto in tanto, offrirsi una pausa bevendo e onsumando qualche rinfresco, spesso su una tovaglia diretta­ aente appoggiata sul terreno. Tale costume permetteva un con­ atto con la natura assai stretto, consentendo anche a gentiluomi­ i e gentildonne una maggior libertà rispetto alla tavola, ove l'eti­ hetta imponeva rigide costrizioni formali nel contegno. Nella >ittura del XVIII secolo il riferimento al picnic compare spesso

raramente nelle opere precedenti il Settecento, mentre compare spesso nelle scene di genere di ambiente aristocratico dei pittori francesi, inglesi e fiamminghi del XVIII secolo. Gli impressionisti hanno dato alcune interessanti versioni di tale soggetto

ssociato alle scene di caccia, come svago aristocratico. Il picnic, ituale alimentare che si diffuse nei secoli successivi, figura anche ella pittura impressionista, ove tuttavia rivela un tono dichiara­ lmente differente. Ormai lontano dall'originario collegamento on l'attività venatoria il déjeuner sur l'herbe ottocentesco appa­ e

't' Gustave Courbet, Colazione di caccia, 1858, Colonia, Wallraf-Richartz Museum.

come un sofisticato diver­

imento urbano, abitudine i gentiluomini, artisti e in­ �llettuali desiderosi di eva­ ere dal caotico ambiente irradino.

97

Picnic

L'opera scatenò molte polemiche e da alcune voci dell'epoca fu definita un'offesa al pudore.

Il picnic in riva all'acqua rappresenta un sofisticato rituale urbano, come mostra l'abbigliamento cittadino dei gentiluomini.

La presenza della donna nuda, che non avrebbe destato stupore in un'opera a soggetto mitologico, rappresenta in questo caso una provocazione nel contrasto prodotto con l'abbigliamento dei

.l Édouard Manet, Le déjeuner sur l'herbe, 1 8 63, Parigi, Musée d'Orsay.

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99

Picnic Questo picnic settecentesco mostra l'originario legame del pasto campestre con l'attività venatoria e in generale con la gita fuori porta.

La tovaglia, direttamente appoggiata sul terreno, indica il tono informa/e del pasto consumato a contatto con la natura.

.&. Cari van Loo, Colazione di caccia, 173 7, Parigi, Louvre.

100

Il prosciutto, alimento facilmente conservabile e comodo da trasportare, rappresentava anche in questa epoca un tipico cibo da gita.

� Sarcofago deli sposi, 520 a. C. circa, Roma, Museo di Villa Giulia.

Il

banchetto, conviv.ium in latino, da cum vivere, è l'emblema stesso della vita in comune, nel cui ambito si coltivano i rapporti fra uomo e uomo, ma anche fra uomo e divinità.

Banchetto Nell'antichità il banchetto costituiva un rituale sia sacro, per es­ sere legato a un sacrificio, sia profano. Nel banchetto greco, ma anche in quello etrusco e romano, si mangiava semisdraiati sui triclini ove, senza calzari e con i piedi lavati, i convitati si senti­ vano lontani dalla dimensione terrena e più vicini a quella divi­ na. Presso i cristiani il banchetto sacro, momento cruciale nel rapporto uomo-Dio, si carica dei nuovi valori spirituali connes­ si all'Ultima Cena di Cristo. Le fonti esegetiche medievali sotto­ lineano il significato simbolico del convivio come espressione di un'elezione: a esso infatti possono partecipare solo gli uomini santi che sono stati scelti dal Signore meritando così di sedere al­ la sua mensa. In senso mistico mangiare alla mensa di Cristo si­ gnifica meditare sulle Sacre Scritture, assimilandone il nutrimen­ to spirituale. Nel Medioevo e nel Rinascimento i grandi ban­ chetti gentilizi erano un'occasione per esprimere il potere econo­ mico e sociale dell'aristocrazia, che mostrava nella capacità di organizzare l'evento la propria abilità strategica, la potenza eco­ nomica ma anche il grado di civiltà e di buongusto di cui era do­ tato il signore. Il banchetto appartiene alle consuetudini sociali dell'Occidente in ogni epoca e non sembra esservi momento artistico nel quale esso non compaia, dall'an­

Fonti

Isidoro di Siviglia, P.L. LXXXII, col!. 540, 705-706; Rabano Mauro, P.L. CXI, col!. 573, 587 Significato

Socialità, ufficialità, contatto fra uomo e divino Iconografia

Legato all'arte funeraria etrusca, costituisce un tema anche nella pittura romana. Spunto iconografico per scene evangeliche e bibliche è rappresentato spesso nell'arte del Rinascimento e nel Seicento. Da quel secolo diviene anche ambientazione per scene di genere sia contadine che aristocratiche

tichità al mondo cavalleresco medievale, alle ma­ gnificenti celebrazioni rinascimentali e barocche fino alle ottocentesche illustrazioni di fastose nozze campestri.

101

Banchetto Il rython, bicchiere cerimoniale "antenato " del corno p o torio rinascimentale, rimanda alla parte finale del convito, tradizionalmente dedicata ai brindisi.

La nudità del personaggio lo identifica come una divinità o come un'etera, dal momento che dal banchetto romano le donne, non ritenute all'altezza delle conversazioni, erano escluse, mentre venivano ammesse ancelle ed etere.

"- Affresco con scena di banchetto, da Pompei, I secolo d.C., Napoli, Museo Archeologico. 102

Durante il banchetto, in epoca romana, i convitati stavano sdraiati sui triclini; in tale posizione, staccati dal terreno, in senso stretto e traslato, potevano stabilire un contatto più diretto con la sfera divina.

Nel banchetto cavalleresco di Guglielmo circondato dai suoi baroni, il fratello, il vescovo Oddone, ripete l'atto di Cristo all'Ultima Cena, benedicendo il cibo e le bavande.

Il pesce, riconoscibile, conferisce sacralità al banchetto in quanto simbolo di Cristo.

L'arazzo celebra la vicenda della successione di Guglielmo, duca di Normandia, al re Edoardo sul trono di Inghilterra.

-'. Banchetto dei cavalieri, particolare dell'arazzo di Bayeux, XI secolo, Bayeux, Musée de la Tapisserie.

103

Banchetto Il banchetto di nozze fin dall'antichità rappresenta il rituale celebrativo di una tappa fondamentale della vita sia privata che sociale.

La saliera dorata indica il personaggio d'onore del banchetto nella sposa, le cui fattezze appartengono a Maria de' Medici andata sposa a Enrico IV nel 1 592, lo stesso anno dell'opera.

• Alessandro Allori, Le nozze di Cana, 1592, Firenze, Sant'Agata.

104

I confetti sono da quest'epoca in poi il dolce matrimoniale per eccellenza insieme alla torta nuziale.

Il candido tovagliolo che la sposa tiene in grembo, sottolineando la conoscenza dell'etichetta conviviale dell'epoca, ricorda con il suo candore la purezza come valore matrimoniale.

Si tratta di un banchetto degli ufficiali della milizia civica di Sant'Adriano, rappresentati alla fine della carica in un clima di festosa fratellanza.

l bicchieri alzati mostrano che il pittore ha fermato la scena nel momento del brindisi, rituale che fin dall'antichità costituiva la parte conclusiva del simposio stesso.

La presenza della saliera d'argento, segno di distinzione, accanto al personaggio rivolto verso un virtuale spettatore, mostra come egli possa avere un ruolo primario nella stessa milizia.

4. Frans Hals, Banchetto degli ufficiali della milizia civica di Sant'Adriano a Haarlem, 1627, Haarlem, Frans Hals Museum.

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Banchetto

Il banchetto rappresenta il luogo ave si celebra un momento conviviale della campagna elettorale.

L'opera fa parte di un ciclo di quattro dipinti che illustrano la campagna elettorale. Il tema era stato trattato nella ontemporanea commedia satirica Don Quixote in England, ave i partiti rivali si chiamavano rispettivamente del Vecchio e del Nuovo Interesse.

Nel tono caricaturale sì cela un invito del pittore a leggere la scena in senso metaforico, pertanto l'azione di mangiare, comune alle due fazioni, allude all'avidità di entrambi i partiti.

.&. William Hogarth, La campagna elettorale: il banchetto, 1754, Londra, Soane's Museum.

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La presenza di un grosso osso di bistecca indica in senso traslato le inclinazioni del partito del tavolo rettangolare.

Le ostriche, causa del malessere del personaggio imparruccato, indicando la predilezione alimentare del partito del tavolo rotondo, sottolineando metaforicamente la diversità di vedute delle due fazioni.

Nell'opporsi dei due tavoli, uno rotondo e l'altro rettangolare, si vede la differenziazione dei partiti politici. 107

Banchetto

Il banchetto di nozze si svolge in un frutteto come una sorta di festa campestre. Fin dall'antichità il pasto all'aperto, celebrativo o no, era una consuetudine piacevole e ricercata allo stesso tempo.

Il brindisi rappresenta un atto celebrativo di antica origine. Fra le modalità di brindisi più caratteristiche è l'urtarsi dei bicchieri.

La carne rappresentata nel contesto festoso risulta essere una pietanza prelibata e rara, evidenziando il tono contadino della scena.

A Albert-Auguste Fourie, Festa di matrimonio a Yport, 1886, Rouen, Musée cles Beaux-Arrs.

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Come festa tradizionale degli eccessi alimentari, il Carnevale si contrappone alla Quaresima, tempo di mortificazione della gola, che precede la Pasqua.

Carnevale, festa del cibo Stor icamente il Carnevale presenta una continuità accertata con i Saturnalia: feste in onore di Saturno; lo stesso personaggio bur­ lesco (Carnevale), che viene messo a morte pubblicamente dopo un periodo di dissipatezze, sembra discendere direttamente dal re dei Saturnali. Nel bilancio del ciclo annuale i peccati commes­ si dovevano essere espiati per non gravare sull'anno seguente. La gola era la massima espressione del peccato, che prendeva cor­ po un'ultima volta in rituali eccessi alimentari, in seguito ai qua­ li cominciava il rito di purificazione rappresentato dalla Quare­ sima, un periodo di quaranta giorni di digiuno, che precedeva la festa di Pasqua. Originariamente si trattava di un digiuno asso­

Significato Festa liberatoria, espressione del peccato di gola Iconografia Questo tema appare rappresentato nell'arte fiamminga del XVI secolo, momento di travagli religiosi e di una rinnovata sensibilità verso il Vangelo

luto circoscritto ai giorni del mistero della Redenzione, poi si trasformò in unico pasto da consumare dopo il tramonto, rispet­ toso dell'astinenza dalla carne e per molti secoli anche da uova e latticini. Lo scontro fra Carnevale e Quaresima divenne sog­ getto di celebrazioni popolari, tema allegorico di sacre rappre­ sentazioni sotto forma di contrasti che si svolgevano sulla base di testi di cui esistono molti esempi dal basso Medioevo fino al

T Pieter Bruegel il Vecchio, La battaglia fra Carnevale e Quaresima (part. ), 1559, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

XVIII secolo. Dalla guerra usciva vincitrice la Quaresima e il Carneva­ le in forma di fantoccio o di animale veniva catturato, processato e con­ dannato a morte. La battaglia fra Quaresima e Carnevale giunge a noi anche sotto forma di opera pittorica come espressione di una tradizione popolare. Il significato simbolico co­ mune alla sacra rappresentazione e ai dipinti relativi a questo tema è quello della battaglia del vizio con­ tro la virtù. 109

Si tratta di una pratica cristiana assai diffusa nel tempo e nella cultura occidentale che rappresenta il ringraziamento a Dio per il nutrimento assicurato.

Preghiera printa del pasto La pratica della preghiera prima del pasto sembra radicarsi pro­ Significato Ringraziamento a Dio, insegnamento morale Iconografia Soggetto non frequentissimo, la preghiera davanti al pasto è prevalentemente connessa alla scena di genere e trova espressione nell'arte fiamminga, francese e inglese fra XVII e XVIII secolo

fondamente nell'idea che il cibo non rappresenti solamente uno strumento per il sostegno del corpo ma anche dello spirito, !ad­ dove esso non può prescindere dal trovare albergo nel corpo. Il ci­ bo nella ritualità religiosa pagana e cristiana rappresenta un indi­ scusso tramite simbolico fra l'uomo e Dio. Nell'antichità i sacri­ fici agli dei erano seguiti da un banchetto sacro, mentre le cene fu­ nebri celebravano con la consumazione di alimenti reali l'addio al defunto, esprimendogli l'augurio di poter godere gioie simili nel­ l'aldilà. L'Ultima Cena, il banchetto cristiano per eccellenza, rap­ presenta simbolicamente l'idea del cibo come eucaristia, speranza di redenzione, mentre la benedizione del pane fatta da Cristo non solo è il fulcro della funzione religiosa, ma è significativa sottoli­

1' Nicolaes Maes, Vecchia in preghiera, 1655 circa, Amsterdam, Rijksmuseum.

neatura della sacralità del mangiare. Le norme alimentari giudai­ che che distinguono fra cibi puri e impuri, quelle cristiane, che re­ golamentano la pratica del digiuno e l'astensione dall'assumere carne, sanciscono in termini di valore comporta­ mentale il senso spirituale del pasto. La preghie­ ra prima del pasto è una pratica documentata nell'arte figurativa dei paesi protestanti, poiché nel mondo cattolico ogni preghiera connessa al cibo si risolveva nel rituale della messa, ovvero in chiesa e alla presenza di un ministro del culto. In­ cludendo spesso i fanciulli, immagini di questo genere avevano senz'altro un forte valore dida­ scalico legato all'educazione sui principi religiosi applicati nella quotidianità. Oltre a testimoniare la devozione religiosa dei soggetti rappresentati, la preghiera prima del pasto esprime il senso del cibo come dono divino, espressione materiale di più alti valori spirituali.

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Preghiera prima d el pasto La preghiera prima del pasto, oltre a testimoniare la devozione religiosa del soggetto o dei soggetti rappresentati, rimanda al cibo come dono divino, espressione materiale di un più alto principio spirituale.

La presenza delle due fanciulline sottolinea come immagini di questo genere non fossero solamente fotografie di momenti familiari, ma recassero anche un valore didascalico legato all'educazione sui principi religiosi applicati nella quotidianità.

j. Jean-Baptiste-Siméon Chardin, Il Benedicite, 1746, Parigi, Louvre.

1 11

Rituale comun#ario, il pasto e soprattutto il banchetto, pose fin dalle origini problemi di regolamentazione della qualità e della quantità, ma anche della modalità di assunzione del cibo.

Etichetta Riconosciuto come rituale comunitario, il pasto conviviale segue i Fonti G. Della Casa, Galateo, ca pp. V e

XXIX

Iconografia Sono in genere i banchetti, sacri o profani, i soggetti pittorici che presentano riferimenti all'etichetta contemporanea della tavola

criteri della cultura cortese, nella quale si pone come fulcro della festa signorile. Come rituale aristocratico esso veniva regolato da un rigido cerimoniale gerarchico, che prevedeva spesso la separa­ zione dei sessi e una distribuzione codificata dei posti a tavola. Ri­ spetto al mondo antico il Medioevo occidentale stabilisce definiti­ vamente il modo di mangiare seduti e non più sdraiati, pertanto la tavola rettangolare, ove i commensali si siedono solo dalla par­ te del lato lungo, sostituisce la tipologia orientale di mensa ovale o rotonda. La differenziazione delle posizioni a tavola genera l'idea del posto d'onore da collocarsi al centro del lato lungo o su uno dei lati corti: il capotavola. Le sedie avevano una diversa grandezza in rapporto al ruolo gerarchico di chi le doveva utiliz­ zare: nel banchetto medievale i signori sedevano su alti scranni mentre gli ospiti su sgabelli. Questo concetto poco generoso sarà ribaltato nella tavola rinascimentale, ove i convitati troveranno

T Miniatura dal Livre de Messire Lancelot du Lac, di Gautier

ne ritualistica del posto d'onore. Si configura in quest'epoca l'idea

dc Moap, 1450 circa, Parigi, Bibliothèque Nationale.

non dovesse essere basato sul posto occupato quanto sulla manie­

una loro dignità intorno alla mensa pur nel rispetto della tradizio­ che il criterio di distinzione della persona di alto rango a tavola ra di approccio al cibo. Si fa strada l'idea che la moderazione praticata nell'assunzione del cibo, in origine precetto religioso, fosse anche sino­ nimo di eleganza, laddove il mo­ dello cristiano fondendosi con quello aristocratico unificava le virtù connaturate all'origine con quelle acquisite attraverso i valori cristiani, in un quadro generale di controllo degli istinti.

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Etichetta

Fin dall'antichità i rifiuti erano gettati in terra talora divenendo pasto per i poveri o per i cani.

Una delle espressioni più singolari della natura morta romana sono le cosiddette ryparographiae ovvero pavimenti non spazzati sui quali erano decorati a mosaico resti di cibo.

I pavimenti non spazzati rappresentano il riflesso decorativo di una norma comportamentale di origine cultuale, che vietava di raccogliere ciò che cadeva a terra durante i banchetti o di spazzare il suolo appena alzati da tavola.

4 Mosaico con pavimento non spazzato, II secolo d.C., Roma, Musei Vaticani. 1 13

Etichetta Secondo la parabola evangelica il ricco Epulone fu condannato alla dannazione infernale per aver rifiutato un tozzo di pane a Lazzaro, il povero lebbroso.

L'oca morta è qui simbolo del peccatore incallito destinato alla dannazione.

.t. Leandro Bassano, Lazzaro e il ricco Epulone, 1590-1595 circa, Madrid, Prado.

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Il pavone è , emblema della vanità e del carattere effimero dei piaceri materiali.

Nei cani che leccano le ferite di Lazzaro, citazione filologica, si vede il riflesso dell'uso comune all'epoca di lasciare ai cani il compito di ripulire il pavimento dai rifiuti caduti dalla tavola durante il banchetto.

Il protagonista manifesta la propria ingordigia sedendo solo alla tavola allietata da musici.

Questo soggetto, ricorrente nelle sale da banchetto dei palazzi gentilizi, doveva ricordare, con un modello antitetico, la moderazione nel rapporto con il cibo e il dovere signorile di praticare la carità .

I colori crepuscolari del cielo ricordano che la cena è il pasto che chiude la giornata dopo il tramonto.

Alla tovaglia, che mostra regolari piegature a riquadri, è affidato il compito di dare senso di pulizia e purezza alla sacra cena.

Cristo, protagonista dell'Ultima Cena, occupa il posto d'onore, al centro de/ lungo tavolo.

Il pane, simbolo del corpo di Cristo, in evidenza sulla mensa dell'Ultima Cena, esprime chiaramente il suo significato eucaristico.

A Alessandro Allori, Cenacolo, 1582, Firenze, chiesa del Carmine.

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Etichetta Al padrone di casa è attribuito a tavola il posto d'onore, reso evidente dalla maggior altezza dello scranno e dal baldacchino che lo copre secondo un uso tardomedievale.

Alla mostra del vasellame d'oro e d'argento è attribuito il compito di segnalare la ricchezza del

I.:acquamanile con relativa bacinella ricorda l'uso di lavarsi spesso le mani, non solo all'inizio del banchetto ma anche fra una portata e l'altra,. reso necessario dalla consuetudine di mangiare con le mani.

.l Bartholomeus Strobel il Giovane, Il banchetto di Erode, 1625 circa, Monaco, Alte Pinakothek. 116

Il banchetto di Erode è rappresentato come una cena di corte, illuminata dal prezioso lampadario-candeliere che conferisce una suggestiva luce all'intera scena.

Si tratta dell'invito a bere tutti insieme che si fa in genere a un banchetto, accompagnando con le parole il gesto di innalzare il bicchiere in onore di una persona o per celebrare un evento.

Brindisi La denominazione deriva dallo spagnolo brindar che a sua volta deriverebbe dal tedesco bringe dir ovvero "ti offro", espressione trasmessa dai lanzichenecchi alle truppe spagnole. L'usanza è an­ tichissima, se ne trovano tracce nella Bibbia (Ester l, 7-8 e Aba­ cuc 2, 1 5 ) e nei poemi omerici. Nel banchetto greco si mangiava

e si beveva in due momenti distinti e vi era un convitato preposto a sovrintendere alla preparazione delle bevande e all'organizzazio­ ne dei brindisi, volti a celebrare i presenti o le donne amate secon­ do una sequenza prestabilita. Anche nel banchetto romano il brin­ disi diviene uso consolidato, mentre i primi cristiani usavano brin­ dare alla salute di martiri e santi. L'uso sembra poi declinare per diventare nel Medioevo prerogativa dei popoli nordici. Il Rinasci­ mento italiano disapprova la pratica del brindisi, ritenuta stranie­ ra e pertanto barbara. Nel Cinquecento Della Casa dice: "lo invi­ tare a bere

. . .

è verso di sé biasimevole e nelle nostre contrade non

è ancora venuto in uso si che egli non si dee fare e se altri invite­ rà te potrai agevolmente non accettare lo 'nvito e dire che tu ti ar­

Fonti Cicerone, Verrine, II, 1, 66; G. Della Casa, Galateo, cap. XXIX Significato Socialità, celebrazione Iconografia Docwnenti di quest'abitudine sono da rintracciarsi nelle scene di genere dei paesi fiamminghi e francesi del XVII e XVIII secolo

l' Jean-Antoine Watteau,

Attori della Comédie Française, 1 7 1 8, Berlino, Gemiildegalerie.

rendi per vinto, ringraziandolo, oppure assaggiando il vino per cortesia senza altramente bere" . Dalla fine del XVI e poi nel XVII e XVIII secolo l'usanza del brindisi si diffonde in Italia sen­ za più destare riprovazione. Connessi alla pratica del brindi­ si sono anche gesti tradizionali come l'urtare i bicchieri pieni per produrre rumore o sempli­ cemente levare il calice alla salu­ te di qualcuno prima di portar­ lo alla bocca.

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I cibi e le bevande Pane Polenta Carne bovina Maiale e cinghiale Salumi Agnello Pollame e cacciagione Pesce Molluschi Crostacei Latte e burro Formaggio Uovo Verdura Aglio Cipolla Carciofo Insalata Funghi e tartufi Patata Pomodoro Legumi Frutta Mela Melone

_. Vincenzo Campi, Fruttivendola (part.), 1580 circa, Milano, Pinacoteca di Brcra.

Fico Castagna Melagrana Ciliegia Limone Uva Dattero Frutta secca Dolci Miele Zucchero Sale Pepe e peperoncino Olio e olive Aceto Acqua Birra Vino Champagne Assenzio Distillati Cioccolata Tè Caffè

Nel mito greco il pane è sacro a Demetra, divinità collerica e generosa che insegnò al giovane Trittolemo l'arte dell'agricoltura e con essa la coltivazione della spiga.

Pane Fonti Rabano Mauro, P.L. CXII, coli. 1020-1021; F. Picinelli, Mundus Symbolicus ( Coloniae Agrippinae 1687), lib. XV, cap. 18 Significato Ospitalità, eucaristia, carità Iconografia Compare nelle cene eristiche in riferimento all'eucaristia. È spesso anche in rapporto a episodi di ospitalità, incontro fra Abramo e Melchisedek, o evangelici, Cristo in casa di Marta e Maria. È legaro all'iconografia del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Connesso anche alla carità, il pane è spesso citato anche nelle nature morte

I.: invenzione del pane è preistorica e rappresenta una tappa fonda­

mentale nel passaggio dell'uomo da cacciatore ad agricoltore e pa­

store. Al pane i romani attribuivano un'origine divina per la deri­ vazione del termine panis da Pan, il dio silvano che per primo avrebbe cotto i grani donati da Cerere all'uomo: l'immagine di Pan veniva infatti riprodotta sulle forme di pane. Per il pane venivano selezionati i semi migliori, poi macinati con una mola di pietra; la farina ricavata era impastata con acqua e olio e veniva fatta lievi­ tare con impasto fermentato. Nella cultura ebraica, durante l'epo­ ca di Pessach, era proibito mangiare cibo lievitato, pertanto anche il pane doveva essere azzimo ovvero senza lievito. Nel Medioevo il pane, alla base dell'alimentazione, rivestiva una certa sacralità con­ feritagli dal cristianesimo, che lo aveva reso simbolo del corpo di Cristo nel rituale eucaristico quale commestibile sostanza divina offerta al fedele. Se nel Vecchio Testamento è il segno della Provvi­ denza divina (Qo 9, 7), simbolo del sostegno della vita, nel Vange­ lo diviene alimento divino per eccellenza. Negli scritti esegetici me­ dievali il pane è la grazia spirituale concessa a chi pratica le più ele­ vate contemplazioni, è la sacra dottrina, è Cristo stesso. Come fon­ damento dell'alimentazione esso rappresenta anche l'essenza della carità, la consolazione per chi ha fame in senso fisico e spirituale, la comprensione delle Scritture, ma anche talora l'eccessiva affezio­ ne ai piaceri della carne. Per Picinelli il pane, a causa della sua len­ ta e articolata preparazione, rappresenta il travaglio fruttuoso, quello che una volta superato rende più forte lo spirito.

120

Pane Il beato Francesco, dopo aver confessato il cavalier Celano e pregato per quell'anima generosa che lo aveva ospitato alla sua mensa, improvvisamente, lo vede morire.

La tovaglia perugina decorata a bande bianche e celesti, spesso usata per scopi liturgici, presenta la tavola imbandita come una mensa rituale.

Il pesce sul desco rimanda al nome di Cristo.

...,. Joos van Cleve, Ultima Cena, predella del Compianto su Cristo morto, 1530 circa, Parigi, Louvre.

Il pane contrassegnato dalla croce rimanda simbolicamente al pane eucaristico, corpo di Cristo.

.l Giotto, La morte del cavaliere Celano, 1297-1300, Assisi, basilica superiore di San Francesco.

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Pane Dopo aver sconfitto i predatori che avevano attaccato la città di Sodoma e catturato il nipote Lot, rientrando dall'impresa Abramo incontra Melchisedek, re e grande sacerdote di Salem.

Melchisedek va incontro ad Abramo e benedicendolo gli offre pane e vino in segno della sua ospitalità .

.t. Dirck Bouts, L'incontro di Abramo e Melchisedek, particolare del polittico dell'Ultima Cena, 1464-1467, Lovanio, Saint-Pierre.

122

Il /atte, base della pappa per il Bambino divino, rimanda alla maternità della Vergine e alla sua purezza.

La mela rappresenta tradizionalmente il Peccato originale.

Il pane, accanto alla mela, ha il significato eucaristico di corpo di Cristo e simbolo di Redenzione.

.i. Gérard David, Madonna con un cucchiaio da tavola, 1 515, Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts.

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Pane

Il pittore rappresenta

l'ospitalità di Marta e il suo adoperarsi per accogliere il Signore con l'atto di offrirgli una cesta di pane.

Il pane sembra avere la doppia accezione di simbolo di carità, come base dell'alimentazione di ogni civiltà, e di simbolo eucaristico. Nel cesto ricolmo di pane si può vedere un emblema delle opere buone.

La Maddalena in ascolto è indicata da Cristo come colei che ha scelto, con la via contemplativa, il giusto modo di seguire la sua dottrina.

j. Jan Vermeer, Cristo in casa di Marta e Maria, 1654-1656, Edimburgo, National Gallery of Scotland.

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Nel vino bianco, con il riferimento al sangue di Cristo, vi è l'indicazione della bevanda di accompagnamento per il cibo ittico.

Attraverso la benedizione del pane Cristo palesa ai pellegrini di Emmaus la sua vera identità.

Forchette individuali fanno la loro comparsa nel Seicento accanto al coltello, posata personale in uso già dal tardo Medioevo.

Il sale simboleggia la sapienza e la saggezza di Cristo al quale è posto accanto.

Le cozze, con gli altri molluschi, sono simbolo della verità nascosta, pertanto in questo contesto potrebbero rimandare all'identità celata di Cristo.

A Lorenzo Gennari, Cena in Emmaus, 1626-1629 circa, Cento, Pinacoteca civica.

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Pane Si tratta di una delle opere commissionate dai membri dell'Accademia della Crusca fra XVI e XVII secolo. Per tradizione gli accademici assumevano un soprannome legato alla farina, alla lavorazione del pane e ai suoi usi.

Il pane è qui usato in riferimento alla consuetudine di ravvivare i merletti metallici servendosi della sua mollica.

La consuetudine di attribuire agli accademici un nome relativo al pane nasce in accordo a una convenzione stabilita dopo la fondazione dell'istituzione del 1 583, forse per un'esplicita volontà antiaulica di richiamo all'umiltà, alla purezza e al contempo all'alto valore nutritivo del cibo; a queste caratteristiche del resto si ispiravano gli studi linguistici degli accademici.

.&. Anonimo fiorentino, "Pala" di Francesco Ridolfi detto il Rifiorito, 1653, Firenze, Accademia della Crusca.

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Il pane, come il vino nel bicchiere accanto, rimanda al senso del gusto .

Questa natura morta è in realtà un'allegoria dei cinque sensi, celata dall'indicazione dei piaceri sensuali. In essi vi è l'implicita denuncia dei falsi ed effimeri valori.

.i. Lubin Baugin, Natura morta, 1635-1640, Parigi, Louvre.

127

La polenta, come composto di acqua e farina di cereali, è un alimento presente già nella cultura egizia. Si tratta

tuttavia di una polenta fatta d'orzo e non di mais.

Polenta Fonti

Apicio,

De re coquinaria, V, l; Plinio, Naturalis historia, XVIII, 72 e 8 3 ; U. Benzi,

È possibile che il termine "polenta" derivi dalla parola tedesca pol­

len ovvero "fior di farina", ma vi è chi sostiene che discenda dal vocabolo puls, con il quale i latini indicavano una sorta d'impasto

a base di farro menzionato da Plinio e da Apicio. Cereali dello stes­ so tipo o anche orzo, miglio e grano saraceno, sminuzzati in un

La regola della sanità

mortaio, amalgamati in un paiolo con acqua e rimestati fino a cot­

(Torino 1620, p. 579); C. Colombo, Giornale di bordo (Milano 1 985, pp. 78 e 8 1 ); G.B. Barpo, Le delizie e

polente da condire con olio o lardo. Si trattava di un cibo destina­

i frutti dell'agricoltura e della villa (Venezia 1 533, p. 245) Significato

Semplicità, esotismo Iconografia La polenta di cereali

generici compare nelle scene contadine della pittnra fiamminga, mentre qnella di mais è talora presente nell'opera di pittori veneziani come Pietro Longhi

tura ultimata erano impiegati nella cucina contadina medievale per to ai poveri e tale rimase anche quando al posto della farina di fa­ ve, farro o orzo fu introdotto il granturco. Il mais giunse dall' Ame­

rica grazie a Cristoforo Colombo che, nel suo Giornale di bordo,

non manca di parlarne dicendo che ha un sapore gradevole e che costituisce l'alimeno base delle popolazioni del Nuovo Mondo. In Europa tuttavia la cultura del mais cominciò trent'anni anni dopo la sua scoperta. l:anno cruciale per la polenta fu il 1 630, quando Venezia fu colpita dalla peste e dalla carestia; per sconfiggere la fa­ me si ricorse ai cereali e fra questi anche al mais. Nel 1633 Giovan Battista Barpo ne tesseva le lodi e Ugo Benzi parlava del mais in ter�ini elogiativi. l:afferma­ zione definitiva del mais come

ingrediente fondamentale del­ la polenta avvenne nel Sette­ cento e non più come alimen­ to contadino ma come esotica trovata gastronomica dei ceti più abbienti. Da lì la diffusio­

.,.. Giuseppe Arcimboldi, Estate, 1 563, Vìenna, Kunsthistorisches M.useum.

ne fu ampia presso tutte le classi sociali, e in qualche pe­ riodo della storia fra il XIX e il XX secolo fu addirittura l'unico alimento disponibile.

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Polenta

Il festeggiamento ha luogo in una spoglia taverna di campagna.

I boccali-misura sottolineano il tono contadino del festeggiamento.

La base dell'alimentazione contadina fiamminga era costituita da farinate e polentine di cereali misti, soprattutto d'orzo, da cui si ricavava anche la birra, bevanda nazionale e popolare per eccellenza .

.... Pieter Bruegel il Vecchio,

Il banchetto nuziale, 1568, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

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Polenta Le focacce sul tetto rimandano al detto: "il tetto è rivestito di focacce" ovvero vi regna l'abbondanza e lo spreco.

Il pesce allude al

detto: "lì l'aringa non cuoce" ovvero non tutto va come si vorrebbe.

.i. Pieter Bruegel il Vecchio, Proverbi fiamminghi, 1559, Berlino, Gemiildegalerie.

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Le uova rimandano al proverbio: "afferra l'uovo di gallina lasciandosi scappare quello dell'oca " ovvero sbaglia per avidità.

La polenta allude al proverbio: "chi ha rovesciato la polenta non riesce a raccoglier/a tutta " ovvero non si può porre completo rimedio a un danno ormai fatto.

Alle pagnotte va il compito di ricordare il detto: unon riesce ad andare da una pagnotta all'altra " ossia non gli bastano i soldi.

Le procaci signore dall'aspett.o avvenente e dall'abbigliamento popolare hanno indotto la critica a pensare che la scena sia ambientata in un bordello veneziano.

La vita quotidiana che Longhi racconta nelle sue opere lo accomuna a Carlo Goldoni, che nella stessa epoca a Venezia scriveva commedie ispirate allo stesso tema.

La polenta nella Venezia settecentesca rappresenta una pietanza nazionale dalle origini esotiche, ormai da tempo affermata sia nella cucina popolare che in quella aristocratica .

.t. Pietro Longhi, La polenta, 1740, Venezia, Ca' Rezzonico.

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Ha un ruolo centrale sia nell'alimentazione che nei riti propiziatori ed espiatori, poiché presso tutte le antiche civiltà i rituali di invocazione della divinità comportavano l'offerta di carne.

Carne bovina Nell'antichità la carne derivava in genere da sacrifici cruenti di Fonti Isidoro di Siviglia, PL. LXXXII, col. 709; Rabano Mauro, P.L. CXI, col. 591 e CXII, coli. 886·887 Significato Cristo vittima sacrificale, parte materiale dell'essere umano Iconografia Nell'arte fiamminga essa compare spesso connessa a temi evangelici, ma è anche cibo presente nelle scene di genere e nelle nature morte italiane, fiamminghe, francesi e inglesi del XVII e XVIII secolo

animali. Egizi, greci e romani destinavano alla divinità solo una piccola quantità dell'animale ucciso, il resto veniva suddiviso fra i sacerdoti e i fedeli riuniti in sacro convito. Nasce proprio dai ri­

tuali sacrificali l'idea che la macellazione dovesse essere praticata secondo norme religiose codificate e il consumo della carne rigi­ damente regolamentato. La distinzione fra cibi impuri e puri del­ la tradizione pagana, ebraica e islamica viene decisamente negata nel cristianesimo, che tuttavia impone delle restrizioni nel consu­ mo della carne durante la Quaresima. Da un punto di vista misti­ co la carne rappresenta il corpo del Signore nella sua accezione di vittima sacrificale per la Redenzione dell'umanità. In senso nega­ tivo essa allude alla parte materiale dell'essere umano con la sua colpevole inclinazione al vizio e al peccato. Nel Medioevo, la ma­ cellazione cessa di essere una pratica religiosa, ma tagliare la car­ ne resta un fatto pubblico non privo di valenze simboliche e al cuoco stesso è riconosciuta un'aura di sacralità. Esclusa dall'ali­

mentazione dei monaci, essa rappresenta il piatto forte della men­ 'f Claude Monet, Il quarto di carne, 1 884, Parigi, Musée d'Orsay.

sa dei ricchi divenendo una sorta di status symbol. Nel banchetto rinascimentale è oggetto dell'arte spettacolare del trinciante, inca­ ricato di cagliarla pubblicamente e di distribuirla. Scene pittoriche illustrano la centralità della carne nel banchetto rinascimentale. Con il secolo successivo cresce il disgusto per la bestia macellata, sanguinolento cadavere catalizzatore di sentimenti di morte, co­ sì che ogni attività di elaborazione e taglio è rele­ gata alla cucina. Nel Settecento la pratica dell'al­ levamento porterà a miglioramenti tecnici nella selezione delle bestie da macellare e nella conser­ vazione del prodotto; la carne così diverrà un ci­ bo meno pregiato ma assai migliore.

132

Carne bovina

Alla torta recata dall'inserviente spetta il compito di ricordare il contesto nuziale nel quale si svolge il miracolo di Cristo.

Il trinciante è rappresentato nell'atto di tagliare la carne direttamente a tavola, al cospetto della sposa, come spesso usava nei banchetti rinascimentali.

La sposa occupa il posto d'onore che le spetta secondo l'etichetta dell'epoca. Un drappo alle spalle sottolinea il suo ruolo centrale.

.&. Gérard David, Le nozze di Cana, 1500-1503, Parigi, Louvre.

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Carne bovina

La scena evangelica sembra avere un ruolo subalterno rispetto al brano di natura morta posto in primo piano, secondo una consuetudine fiamminga.

Il pesce guarnito da un garofano, simboleggia Cristo, del quale è tradizionale emblema, nella sua accezione di vittima sacrifica/e, cui alluderebbe il rosso fiore.

La brocca da vino di peltro evoca la bevanda contenuta, simbolo del sangue di Cristo.

À Pierer Aertsen, Cristo in casa di Marta e Maria, 1552, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

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Alla carne va attribuito il significato di simbolo del sacrificio di Cristo.

Il pane connesso alla scena evangelica rimanda al significato eucaristico di corpo di Cristo.

La scena evangelica della fuga in Egitto, come spesso accade nella pittura fiamminga, è in secondo piano rispetto al buffet di alimenti.

La carne macellata, esprimendo con l'abbondanza la ricchezza della mensa, rimanda al contempo all'idea di Cristo vittima sacrifica/e per la Redenzione del genere umano.

La presenza del burro nell'apposito recipiente e delle focacce in primo piano mitiga il senso di disgusto suscitato dalla testa di vitello.

i. Pieter Aertsen, Fuga in Egitto, piccola macelleria, 1551, Uppsala, Universitet Konstsamling.

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Carne bovina

Il figlio inginocchiato chiede perdono al padre per essersi allontanato da lui.

L'animale squartato è il vitello grasso, scelto dal padre per celebrare festosamente il ritorno inaspettato del figliol prodigo.

Il pavone, simbolo di vanità e della caducità dei piaceri terreni, rappresentato in forma di cadavere, segnala per contrasto la verità universale ed eterna trasmessa dalla parabola evangelica.

La cacciagione veniva in genere conservata appesa ad appositi ganci, come mostra l'immagine.

.l Francesco Bassano, Il ritorno del figliol prodigo, 1590 circa, Madrid, Prado.

La carne a partire dal Rinascimento veniva presentata in tavola già ridotta in pezzi dal trinciante, un inserviente addetto al taglio delle carni, cosicché dal piatto comune i commensali potessero servirsi direttamente con le mani.

Il particolare

bicchiere chiamato

verre d'amitiè

sottolinea la condivisione dei valori degli ufficiali della milizia.

La tovaglia in tela di fiandra sottolinea la nazionalità dei militari a banchetto, conferendo alla tavola un tono raffinato.

.t. Frans Hals, Banchetto degli ufficiali della milizia civica di San Giorgio a Haarlem, 1 6 1 6, Haarlem, Frans Hals Museum.

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Carne bovina La corona qualifica il personaggio come Re fagiolo protagonista della festa della Dodicesima notte.

La presenza del buffone sottolinea il tono carnascialesco della festa nella quale ogni eccesso gastronomico era consentito.

La carne rappresenta l'espressione della ricchezza della mensa festiva.

-'. Gabriel Metsu, La festa del fagiolo, 1650-1655, Monaco, Alte l'inakothek.

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La carne è l'alimento principe fra quelli esclusi dall'alimentazione durante la Quaresima.

Il calderone segnala l'idea

della cottura ovvero della preparazione della pietanza.

La natura morta indica, nell'associazione degli alimenti e degli strumenti da cucina, l'intento di suggerire il menù per i giorni di grasso ovvero quelli fuori dalla Quaresima.

Chardin fu particolarmente apprezzato dall'enciclopedista Diderot per la sua capacità di riprodurre con realismo illusionistico gli oggetti quotidiani.

.._ Jean-Baptiste-Siméon Chardin, Il menù di grasso, 1 73 1 , Parigi, Louvre.

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Carne bovina

Le autorità francesi proprio a Calais avevano arrestato Hogarth per spionaggio a causa degli schizzi della città che egli aveva fatto.

Nel monaco, la cui corpulenza mostra l'avidità di cibo, si deve ravvisare la Francia e il cattolicesimo, indicando così nella contesa per la carne l'allegoria della battaglia franco­ inglese per il possesso di Calais.

La scena caricaturale mostra due personaggi che si contendono un pezzo di manzo presso la porta della città di Calais.

Il pezzo di carne individuabile come roast-beef è il simbolo dell'identità nazionale inglese.

4 William Hogarth, Alla porta di Calais, 1 748-1749, Londra, Tate Gallery.

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Oggetto d'alterne fortune, la carne di maiale rappresentò sempre un'importante risorsa per i ceti sociali più umili, anche per la sua caratteristica d'essere commestibile in tutte le sue parti.

Maiale e cinghiale Gli egizi ritenevano il maiale portatore di lebbra e ai porcari era proibito l'ingresso nel tempio; nell'antica Grecia invece la carne di maiale primeggiava e nell'Odissea il porcaro Eumeo è chia­ mato divino. Gli etruschi e i romani mangiavano sia carne di maiale che di cinghiale. Nella cultura ebraica e in quella islami­ ca il maiale era considerato animale immondo e alimento impu­ ro. Nel Medioevo i maiali rappresentavano una risorsa impor­ tante per i contadini che li allevavano, anche perché erano com­ mestibili in tutte le loro parti. Le salsicce prodotte con la carne di maiale erano già conosciute in età romana come tomacula o

lucanica, e apprezzate anche nella cucina medievale. Nel Cin­ quecento il maiale diventa carne destinata ai più poveri. Anima­ le sacro a sant'Antonio, il maiale è spesso raffigurato in pittura

come attributo del santo, mentre è spesso associato alla gola nel­

la pittura fiamminga o nelle scene di genere. Nell'iconografia cristiana, in accordo all'esegesi medievale, rappresenta il pecca­

to: infatti come il maiale ama rivoltarsi nel fango, così il pecca­ tore si crogiola nella sporcizia dei suoi peccati; per questo stesso motivo è emblema del­

l'invidia, poiché nei mali altrui trova soddisfazione. Rappre­ senta inoltre l'avarizia poiché, come un vecchio avaro, in vita

Fonti Omero, Odissea, XN, 87-134 e XX, 302-314, 335-364, 475-48 1 ; Isidoro d i Siv iglia, P.L. LXXXTI, col. 428; Rabano Mauro, P L. CXI, col. 206 e CXII, col. 1 064; F. Picinelli,

Mundus Symbolicus (Coloniae Agrippinae 1687), l ib. V, cap. 41 Significato Peccato di gola Iconografia Compare nelle rappresentazioni del peccato in genere e della gola in particolare nell'arte italiana e fiamminga del XV e XVI secolo. Presente anche nelle scene di genere e nelle nature morte con mense imbandite, sia sotto forma di animale che come prodotti da esso derivati . Soprattutto vivo è legato all'iconografia di sant'Antonio

non è utile a nessuno, mentre da morto è di grande giova­ mento, ed è emblema della morte stessa poiché solo con es­ sa egli perde la sua natura spor­ ca e materiale, esattamente co­

..,. Giu;eppe Arcimboldi, Il cuoco, 1570 circa, collezione privata.

me accade all'uomo. 1 41

Maiale e cinghiale Sono chiaramente leggibili il ceppo e il coltello che caratterizzano la scena come macellazione.

Appare espressa nel rilievo l'importanza della coscia di maiale come pezzo da mangiare appena macellato o conservato sotto forma di prosciutto, sin dall'antichità romana.

;. Il macellaio, particolare del rilievo con insegne di bottega, I secolo d.C., Ostia, Museo Ostiense.

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La donna nera rappresenta forse l'eresia, il rospo la stregoneria e l'uovo l'ostia sacrilega della demoniaca celebrazione.

Si tratta di Sant'Antonio abate, uno dei fondatori del monachesimo occidentale e asceta capace di resistere alle tentazioni inviategli da Satana.

La presenza del maiale trova giustificazione nel fatto di essere l'animale sacro a Sant'Antonio, ma in questo caso è simbolo di peccato. Il musica con testa di maiale sta infatti partecipando a una sorta di messa nera.

.t. Hieronymus Bosch, Le tentazioni di sant'Antonio (part.), dal Trittico delle tentazioni, 1515, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga.

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Maiale e cinghiale

Quest'opera è uno dei buffet di Snyders, allievo di Rubens specializzato nell'allestire mense cariche di selvaggina e cibi prelibati dirette a una committenza raffinata.

I carciofi rispondono alla volontà del pittore di selezionare cibi rari e prelibati e fra questi le primizie vegetali.

Allude alla caccia il cane che si affaccia da sotto il tavolo.

Il cinghiale rappresenta un'ambita preda di caccia. Nella celebrazione dell'arte venatoria si palesa la destinazione aristocratica dell'opera.

Nell'astice si deve vedere una preda ittica già all'epoca non comune.

.t. Frans Snyders, Scena di cucina con giovane uomo, 1630-1640,

.,.. Anne Vallayer Coster, Natura morta con prosciutto, 1 767,

Monaco, Alte Pinakothek.

Berlino, Gemaldegalerie.

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Il prosciutto nasce dalla scoperta di quanto. fosse facile separare la coscia del maiale dal resto del corpo e di come, una volta staccata, potesse essere conservata affumicata o sotto sale.

Salumi Una leggenda dei Pirenei narra di un maiale caduto in un ruscel­ lo salato che, recuperato qualche tempo dopo, fu trovato buonis­ simo; si originò così questa modalità di conservazione. Ne elogia­ no le qualità Marziale e Petronio, mentre Apicio ne suggerisce il consumo accompagnato con fichi secchi. Varrone testimonia che a Roma il prosciutto era un prodotto di importazione provenien­ te dalla Gallia. Il Medioevo è un periodo d'oro per tale alimento che, in quanto prodotto conservato, costituiva una risorsa dispo­ nibile per tutto l'anno. Si elaborano e si perfezionano in que­ st'epoca anche altre forme di affettati come il salame e la morta­ della, creata a Bologna ma ben presto esportata in altri paesi eu­ ropei. Richiestissimi dai signori, gli affettati sono ottimi integra­ tori della mensa contadina e anche durante il Rinascimento com­ paiono sulle mense dei banchetti più sontuosi. Sulla tavola rina­ scimentale, accanto all'arte dei trincianti e degli scalchi preposti al taglio e al servizio delle carni, si elabora anche l'arte di affet­ tare prosciutto, salame e mortadella in modo armonioso ed ele­ gante, secondo una precisa liturgia e una spettacolare gestualità. Non diminuisce la passione per il prosciutto neppure nei secoli seguenti e nel Settecento diviene un antipasto alla moda nonché

Fonti Varrone, De re rustica, 2, 4, 10; Apicio, De re coquinaria, VII, 9; Marziale, Epigramnzi, XIII, 54; Petronio, Satyricon, 56, 8; 66, 7 e 70, 2; B. Platina, De

honesta voluptatc et valetitudine, lib. VI, cap. 172; V. Cervio, Il trinciante (Firenze 1980, pp. 1 07-108) Significato

Il prosciutto,

derivato del maiale, è un emblema dd peccato di gola Iconografia Prosciutto salame e mortadella compaiono con una certa frequenza nelle nature morte e nelle scene di genere fra XVII e XIX secolo

un comodissimo alimento da picnic. Nell'Otto­ cento il prosciutto, che fino a quel momento era un cibo fatto in casa, diventa un prodotto commerciale e come tale raggiunge le mense cit­ tadine della borghesia emergente. In quanto prodotto dal maiale, il prosciutto si associa al­ la simbologia dell'animale dal quale deriva, e con esso salame, pancetta, mortadella e lardo, assai meno comuni nell'iconografia pittorica; pertanto esso rappresenterebbe il peccato in ge­ nerale e in particolare quello di gola.

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Salumi Il pranzo festoso si svolge all'interno di una casa, intorno a un tavolo il cui posto d'onore, il capotavola, è riservato al padrone di casa.

La padella appoggiata in terra conferisce alla scena un tono popolare, in contraddizione con il bel tappeto posto sul tavolo e parzialmente coperto dalla tovaglia bianca.

.6. Jan Steen, r.;allegra famiglia, 1668, Amsterdam, Rijksmuseum.

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Il prosciutto rappresenta il cibo della festa, l'alimento conservato da serbare per le occasioni migliori.

La bambina che dà il biberon al fratellino più piccolo sottolinea il tono familiare della scena e del festeggiamento.

La birra, bevanda nazionale di molti paesi del nord Europa, rappresenta quella di maggior consumo nelle taverne.

Fin dall'antichità la taverna fu ritenuta luogo popolare e licenzioso ma anche locale nel quale era possibile divertirsi in libertà. La danza dei contadini sembra sottolineare l'atmosfera informa/e di questa taverna fiamminga .

Fra i cibi tipici offerti fin dall'antichità in questo genere di locale vi sono gli insaccati. Qui si tratta curiosamente di una mortadella, affettato inventato a Bologna alla fine del Medioevo ma ben presto diffuso in tutta Europa.

.l Jan Steen, Festa all'osteria (part.), 1674 circa, Parigi, Louvre.

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Salumi La natura morta mostra nella scelta degli alimenti la volontà del pittore di suggerire un menù ideale forse per una merenda.

La brocca di coccio indica il tono modesto e umile dei cibi e della natura morta da essi composta.

Il salame, fra i possibili derivati del suino, è sempre stato considerato come il più popolare; ne esistono vari generi, ciascuno dei quali risulta riconducibile a una zona geografica precisa. Questo mostra l'aspetto del salame milanese.

.&. Giacomo Ceruti, Natura morta con salame, metà del XVIII secolo, Milano, Pinacoteca di Brera.

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Il titolo stesso dell'opera suggerisce l'idea che il pittore, nell'associazione del pane con gli affettati, abbia voluto proporre un menù.

Il coltello affiancato dalla forchetta suggerisce un richiamo a un'etichetta ormai evoluta, che esclude il contatto diretto delle mani con il cibo.

Raffinati bicchieri ad alette di vetro soffiato sottolineano l'eleganza dell'ambiente e del virtuale consumatore dello spuntino.

Circondati da oggetti raffinati, gli affettati stessi perdono la loro connotazione di cibo popolare per divenire alimenti senza classe sociale.

A Christian Berentz, Lo spuntino elegante, 1717, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica.

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Salumi

In epoca romana il prosciutto migliore veniva importato dalla Gallia; il prosciutto francese vanta pertanto origini antiche, rappresentando per Manet una sorta di gloria alimentare nazionale.

Il piatto d'argento con la sua preziosità testimonia il gradimento del prosciutto presso l'abbiente borghesia parigina.

"- Édouard Manet, Natura morta con prosciutto, 1875-1878, Glasgow, Art Gallery.

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Nell'Ottocento il prosciutto diviene un prodotto commerciale consumato sia in campagna, come da tradizione, che in città. Come tale entra nei costumi alimentari borghesi dei quali diviene "cibo-simbolo".

Cibo della Pasqua ebraica, l'agnello entrò fin dalle origini nei costumi alimentari cristiani come vittima sacrifica/e simbolica della Passione del Redentore.

Agnello La carne di agnello appartiene già alla gastronomia greca, nella quale la pastorizia aveva un ruolo preminente. Nell'Iliade si par­ la spesso di agnelli e capretti prima inteneriti con la fiamma in un bacile bronzeo, poi infilzati da Achille stesso negli spiedi e cotti su un letto di braci. Certamente presente nella cucina etru­ sca, della quale purtroppo non abbiamo documenti scritti, rap­ presenta una prelibatezza anche in quella romana; tuttavia l'agnello è soprattutto l'animale sacrificale per eccellenza presso

i popoli del vicino Oriente e tra gli ebrei. È significativa l'immo­

lazione dell'ariete in luogo di !sacco nella storia di Abramo, che nel mostrare il valore sacrificale tradizionale dell'animale riflet­ te una fase fondamentale nello sviluppo delle civiltà primitive, con la sostituzione della vittima umana con quella animale. L'episodio fu interpretato come prefigurazione del sacrificio di Cristo, che si offrì come vittima designata per la Redenzione del­ l'umanità, e proprio grazie a questo rapporto con la tradizione

Fonti Omero, Iliade, IX, 264-290; Rabano Mauro, P L. CXII, col. 855; F. Picinelli,

Mundus Symbolicus

(Coloniae Agrippinae 1687), lib. V, cap. l Significato Vittima sacrificale Iconografia L'agnello compare spesso associato alla figura di Cristo nei t:ontesti evagelici come l'Ultima Cena e la cena in En1maus o in riferimento alla celebrazione della Pasqua ebraica

ebraica esso venne adottato dal cristianesimo primitivo come simbolo del Messia e della sua missione sacrificale. Negli scritti esegetici di Rabano Mauro l'agnello è paragonato a Cristo, poi­

ché come l'agnello dall'immacolata purezza viene immolato nei

riti sacrificali, così Cristo è ucciso senza colpa. Ma l'agnello è

T Francisco Goya, Natura morta con testa d'agnello, 1 808-1 8 1 2 circa, Parigi, Louvre.

anche emblema degli apostoli e in genere di

tutti coloro che sono semplici e innocenti ov­ vero gli uomini santi e i peccatori redenti. An­ che secondo Picinelli l'agnello, vittima sacrifi­ cale, rappresenta l'innocenza oppressa e l'uo­ mo giusto paziente e maltrattato. Per gli ebrei l'agnello è il cibo della Pasqua ebraica; per i cristiani diviene il cibo dell'epoca in cui si

commemora la Resurrezione, talora sostituito anche dalla carne di pecora o di capra.

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Agnello Cristo stesso indica, nella riconoscibile testa d'agnello, il suo emblema.

Posto accanto a Giuda il coltello allude al tradimento.

.6. Jacopo Bassano, Ultima Cena, 1546-1548, Roma, Galleria Borghese.

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L'agnello, animale sacrifica/e, prefigura il sacrificio di Cristo, vittima designata per la Redenzione del genere umano.

Il frutto ricorda

la mela, esprimendo la valenza di simbolo del Peccato originale.

L'agnello, animale sacrifica/e L'insalata servita con l'agnello è interpretata per eccellenza, simboleggia dall'esegesi scrittura/e come simbolo di penitenza. Cristo, vittima sacrifica/e per la Accostata all'agnello, simbolo di Cristo, rappresenta Redenzione del genere umano. il sentimento di contrizione necessario a lavare il crimine dell'uccisione del Signore.

.l Rembrandt, Cena in Emmaus, 1648, Parigi, Louvre.

La tovaglia, simbolo di purezza, sembra estendere l'ampiezza dell'alone luminoso irradiato da Cristo risorto, nell'atto di palesare la sua identità ai pellegrini di Emmaus.

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Agnello

La Pasqua per gli ebrei era la festa della liberazione dalla schiavitù d'Egitto. Il sacrificio dell'agnello pasquale rappresenta l'evento più solenne della festa: l'agnello veniva dissanguato sull'altare e il sangue raccolto in appositi catini d'oro e d'argento.

La scena rappresenta la celebrazione domestica successiva al sacrificio.

A Alessandro Franchi, La celebrazione della Pasqua, 1876, Prato, duomo, cappella Vinaccesi.

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L'ambiente arreddato con gusto neoclassico conferisce un tono aulico e anticheggiante alla scena.

Durante il convito pasquale la carne delfagnello veniva consumata completamente.

La storia del pollame come alimento si perde nei millenni; sappiamo che se ne consumava nell'Egitto dinastico, a Creta e poi in Grecia e nella Roma antica.

Pollame e cacciagione I romani mangiavano ogni tipo di pollame, la cacciagione e anche il pavone, che proveniva dalle Indie, ed era giunto a Roma attra­ verso la Grecia. Per i romani presentare questo uccello cotto e ri­ coperto delle sue splendide piume sulla mensa era segno di ricchez­ za e distinzione: nel XV secolo Platina descrive minuziosamente come cuocere il pavone e presentarlo a tavola ripiumato. È possi­ bile infatti che a quell'epoca pavoni e cigni, pur preparati come le

altre carni, avessero solo una funzione decorativa e simbolica. Il pollame è accettato sia dalla cucina islamica che da quella ebraica e accolto dalla cucina cristiana senza riserve; nel Medioevo esso ha un suo dignitoso ruolo sulla mensa del signore feudale, dove com­ pare insieme alle altre carni. Anche l'oca era apprezzata; nel Rina­ scimento i portoghesi importarono la faraona dall'Africa, mentre l'esotico tacchino venne introdotto da Cortés dal Nuovo Mondo. Durante l'Illuminismo polli e oche d'allevamento furono privile­ giati rispetto alla selvaggina ossia a fagiani, pernici e altri volatili, un tempo apprezzati trofei di caccia. Nei documenti letterari e pit­ torici fra il XV e il XVIII seco­ lo ogni volatile possiede un suo simbolismo specifico, tut­

Fonti Rabano Mauro, P.L. CXI, coli. 247-248; B. Platina, De

honesta voluptate et valetitudine, lib. VI cap. 1 50; F. Picinelli, Mundus Symbolicus

(Coloniae Agrippinae 1687), lib. IV Significato Vittima sacrificale, abbondanza, ricchezza Iconografia Compaiono nei contesti di banchetti sacri o profani, in scene di cucina e di mercato, nelle nature morte con grandi buffet sia nell'arte fiamminga che italiana del XVIl e XVIII secolo. Il pollame appare talora citato anche nelle cene eristiche

tavia spesso nell'iconografia cristiana esso assume il signifi­ cato generico di carne, riferi­ mento a Cristo, vittima sacrifi­ cale.

...,. Giuseppe Arcimboldi, Il giurista, 1 566, Stoccolma, Nationalmuseum.

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Pollame e cacciagione Una coppia di anziani coniugi ospitò nella propria capanna due pellegrini respinti da tutti gli altri abitanti del villaggio. Gli ospiti si rivelarono essere Giove e Mercurio.

L'unica oca che i due possedevano e avevano deciso di sacrificare in onore dell'ospitalità cercò rifugio presso i due stranieri, che impedirono ai padroni di casa di uccider/a .

.6. Bramantino, Filemone e Bauci, 1490, Colonia, Wallraf-Richardtz Museum.

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Il tema mitologico mostra una certa affinità con la cena di Emmaus laddove Giove e Mercurio rapresentefebbero Dio padre e Cristo mentre Filemone e Bauci i due pellegrini.

Un possibile doppiosenso va forse colto nell'atteggiamento equivoco fra la donna anziana e il galletto, metafora di giovane e virile baldanza.

Nelle scene di mercato sono spesso presenti riferimenti lascivi e allusioni sessuali.

Analogamente la giovane donna dall'ampia scollatura tiene in grembo un tacchino guardando lo spettatore con fare ammiccante.

Le diverse età delle donne sembrano tuttavia voler ricordare a chi guarda la natura effimera dei piaceri sensuali e lo sfiorire della gioventù.

j. Bartolomeo Passarotti, Le venditrici di pollame, 1577 circa, Firenze, Fondazione Longhi.

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Pollame e cacciagione

Nello sfondo, secondo un tipico espediente fiammingo, è appena leggibile la citazione della parabola del banchetto. La critica ha sottolineato come tale espediente avesse lo scopo di mostrare la difficoltà della ricerca spirituale nella vita terrena, ave l'uomo è distratto dai piaceri materiali.

Con la varietà degli alimenti si sollecita il piacere della vista nella contemplazione dell'abbondanza.

"' Joachim Anthonisz Uytewael,

Scena di cucina, 1605, Berlino, Gemaldegalerie.

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La cottura allo spiedo era la più frequente per il pollame e per la cacciagione; fin dall'antichità, infatti, tale pratica contribuiva alla spettacolarità del banchetto.

Nel Cinquecento la cucina rappresenta una sorta di laboratorio alchemico nel quale si opera la trasformazione del cibo dietro alle quinte del teatro del banchetto.

Il gancio in ferro battuto con le sue decorative volute rimanda alla dispensa virtuale o reale di un palazzo gentilizio.

.l Cesare Dandini, Natura morta con cacciagione, 1 640-1650, Firenze, Uffizi.

Nei due "germani appiccati", trofei di caccia, si deve forse vedere il riflesso degli interessi venatori di un aristocratico committente.

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Pollame e cacciagione

In questa natura morta l'associazione dei cibi descrive un possibile pasto, individuando nel contempo l'identità gastronomica fiamminga.

Pasticci di carne dall'aspetto esterno di torta erano assai apprezzati dalla gastronomia rinascimentale. Il tacchino proveniente dal Nuovo Mondo era stato importato in Spagna nel Cinquecento e di lì diffuso nel resto dell'Europa.

.l Pieter Claesz, Natura morta con pasticcio di tacchino, 1 627, Amsterdam, Rijksmuseum.

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Il tacchino ripiumato rispecchia la consuetudine rinascimentale di spennare, arrostire gli animali per presentar/i a tavola ripiumati. Spesso gli uccelli così trattati avevano una funzione puramente decorativa e non venivano consumati.

Il fiore d'arancio nel becco del tacchino induce a pensare che l'opera celebri un'unione coniugale.

Le ostriche, alimento ritenuto afrodisiaco, sono il cibo di mare più caratteristico dei Paesi Bassi.

Il sale e il pepe sono condimenti necessari a una corretta degustazione delle ostriche e simboli degli aspetti saporiti e piccanti del matrimonio .

L'abitudine a cibarsi di pesce è antichissima. Egizi, fenici e cartaginesi, popoli di navigatori, erano consumatori di pesce, così come greci, etruschi e romani che lo conservavano in salamoia.

Pesce Agli ebrei era consentito mangiare il pesce con le squame quale au­ gurio di fecondità. I primi cristiani ne mangiavano sia fresco che secco, conservato sotto sale. Nel Nuovo Testamento è narrata la parabola dei pani e dei pesci in accordo alla quale Gesù sfamò la folla che lo aveva seguito benedicendo cinque pani e due pesci, che si moltiplicarono. Frutto della Provvidenza, il pesce è qui indivi­ duato come cibo cristiano, nel tempo diventato cibo penitenziale per eccellenza, consentito laddove era proibita la carne. L'abitudi­ ne a cibarsi del pesce perdura nel Medioevo e nel Rinascimento grazie anche al fatto che, essiccato e conservato sotto sale, poteva resistere meglio della stessa carne. Testimonianze pittoriche e lette­ rarie mostrano come sin dall'epoca paleocristiana il pesce rappre­ senti simbolicamente Cristo. Infatti il termine greco ichthus può es­ sere inteso come l'acrostico composto dalle cinque lettere inziali della definizione ]esus Xristos Theou Uios Soter ovvero Gesù Cri­ sto figlio di Dio Salvatore. Negli scritti esegetici del Medioevo il pe­ sce è simbolo di Cristo, e degli uomini intesi come anime poiché i predicatori sarebbero rappresentati dai pescatori. È anche simbolo

del battesimo perché come il pesce non può vivere senza acqua, co­

sì il cristiano non può essere tale senza il battesimo.

Fonti

Apicio, De re coquinaria, X; Rabano Mauro, P.L. CXI, coli. 237-238 e CXII, col. 1030 Significato

Cristo figlio di Dio, Salvatore Iconografia

Come allusione a Cristo il pesce compare anche nelle cene eristiche o in altri conviti sacri. Riferimento puntuale è invece il pesce nell'iconografia del miracolo della moltiphcazione dei pani e dei pesci. Frequente nelle scene di mercato e di cucina fra XVI e XVII secolo, compare anche in varie specie nei