Disney e l'arte. Ediz. illustrata 9788809989696, 8809989694

La presente pubblicazione è dedicata a Disney e l'arte. In sommario: Un nome per sognare; L'ambiente familiare

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Disney e l'arte. Ediz. illustrata
 9788809989696, 8809989694

Table of contents :
Copertina
Sommario
Un nome per sognare
L’ambiente familliare e gli esordi
Topolino e la sua banda
I capolavori: da «Biancaneve» a «Fantasia»
Disney l’americano: i racconti dello Zio Tom
I grandi film: da «Cenerentola» a «Pocahontas»
Disney, fra arte e anatomia
Fra effetti speciali ed elettronica: la Pixar
I parchi di divertimento
Quadro cronologico
Bibliografia

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DISNEY E L’ARTE Marco Bussagli

SOMMARIO

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Un nome per sognare

Topolino e la sua banda

12

I capolavori: da Biancaneve a Fantasia

18

Disney l’americano: i racconti dello zio Tom

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I grandi film: da Cenerentola a Pocahontas

32 40

Disney, fra arte e anatomia

42

OGGI L’ARTE È ANCHE UN AFFARE! OPERE MILIONARIE E INVESTITORI DI TUTTO RISPETTO!

COME PAPERON DE’ PAPERONI, CHE MI HA CONVOCATO AL SUO DEPOSITO!

E IO COSA HO FATTO? CI SONO ANDATO! E PERCHÉ MI INQUADRANO COSÌ? BOH!

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I parchi di divertimento

Quadro cronologico

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Bibliografia

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In copertina: Biancaneve e i sette nani (1937), locandina del film con gli alberi della foresta nella quale scappa Biancaneve, particolare.

VE LO SPIEGO IO, PHILIPPE PAPERIO, IN QUESTA NUOVA PUNTATA DI QUACKSPARTOUT!

8

L’ambiente familiare e gli esordi

Fra effetti speciali ed elettronica: la Pixar

ARTE CONTEMPORANEA! CHE COS’È? CHI LA FA? E SOPRATTUTTO, CHI LA CAPISCE?

Nella pagina a fianco: Bambi (1942), frame con il protagonista del film, particolare.

I-2929-2

Qui sopra: pagina tratta da “Topolino”, n. 2929, 17 gennaio 2012. Testo di Roberto Gagnor, disegni di Vitale Mangiatordi, colori di Mirka Andolfo.

La trasmissione Passepartout di e con Philippe Daverio, direttore di “Art e Dossier”, portò nelle case degli Italiani un modo diverso di avvicinarsi all’arte. I disegnatori Disney hanno trasformato

il protagonista televisivo in Philippe Paperio, esercitandosi nella “traduzione disneyana” della sua fisionomia, secondo una pratica che ha caratterizzato molti personaggi di successo (v. pp. 35, 40-41).

4

UN NOME PER SOGNARE

Edmund Dulac, Fate ed elfi, illustrazione per W. Shakespeare, The Tempest (La tempesta), con quaranta tavole di E. Dulac, Londra 1908.

Se esiste un nome che, ancora oggi, al solo pronunciarlo evoca le più belle immagini della fantasia e fa scoprire Nella pagina a fianco: Walt Disney con i suoi personaggi. «La gente mi chiede come fare a trasformare i propri sogni in realtà. La mia risposta è: fatelo attraverso il vostro lavoro» (Walt Disney).

anche al più agguerrito uomo d’affari o al più freddo e logico intellettuale, oppure al più noioso topo di biblioteca che, in un angolino del suo cuore, sono rimaste intatte alcune briciole di gioia del suo essere stato bambino e della sua capacità di stupirsi, questo è – senza ombra di dubbio – il nome di Walt Disney. Con i suoi personaggi e le sue invenzioni, infatti, Disney ha dato un nuovo volto all’infanzia, tanto che – anche dopo di lui – la dimensione infantile

Studente di legge e dell’École des Beaux-Arts a Parigi, Edmond Dulac (1882-1953) si trasferì a Londra poco più che ventenne. Qui trovò l’ambiente adatto per sviluppare la sua vena creativa. Le sue illustrazioni sono veri e propri quadri che la Leicester Gallery vendeva dopo la loro pubblicazione nei libri stampati con l’editore Hodder & Stoughton.

ha finito per essere identificata con il suo meraviglioso universo di fantasia. In altre parole, il suo marchio è diventato sinonimo di fiabesco e di onirico, in una sorta di equazione che generazioni di persone, in tutto il mondo, hanno considerato scontata e ovvia. Intendiamoci bene, non che prima di lui non fosse riconosciuta la condizione dei bambini come altra da quella degli adulti, anche se con una certa difficoltà, almeno in certe epoche(1). Di sicuro, però, non esisteva – per i piccoli – un mondo così coerente e così articolato come quello che il genio di Walt Disney ha costruito nel corso di decenni. Egli ha lasciato un messaggio e un’impronta – inconfondibili rispetto alle varie altre interpretazioni coeve (per esempio “Il Corriere dei Piccoli” in Italia, The Family Upstairs e The Katzenjammer Kids negli Stati Uniti) – talmente forti da farli diventare il parametro di riferimento per il mondo infantile, come pure per i bambini e i ragazzi, lasciando apparire il resto pallida 5

Cinderella Castle, simbolo del Magic Kingdom Park di Bay Lake (Florida), fondato nel 1971. «Com’è difficile convincere gli uomini con il portafoglio che un sogno può portare guadagno!» (Walt Disney).

quanto inadeguata imitazione(2). Non è un caso che Walt Disney abbia perseguito in modo sempre più deciso questo obiettivo andando a recuperare, studiare e interpretare l’immenso giacimento favolistico che ha così acquisito un carattere “disneyano” del quale non è più possibile liberarsi e dal quale nessuno vuole allontanarsi. In questo modo, Walt Disney è andato a rinnovare tutta la tradizione dell’illustrazione di fiabe, che non è affatto un’arte minore ma vanta figure di eccellenza con cui Disney non solo ha dovuto fare i conti, ma dalle quali ha saputo trarre spunto e ispirazione. Non si 6

potrà negare che alla base dell’invenzione di un personaggio come Campanellino/ Trilli (Tinker Bell della versione originale), disegnata da Marc Davis e utilizzata poi come primo marchio di Disneyland, ci sono le piccole fate con le ali di farfalla o libellula che popolano quel capolavoro di Richard Dadd, pittore d’età vittoriana tanto geniale quanto folle, che è La fortuna del boscaiolo fatato (Londra, Tate Gallery), oppure quelle che comparvero in illustrazioni di ben più ampia diffusione come gli acquerelli e le tempere di Edmund Dulac. È il caso dell’edizione di La tempesta di Wil-

Eduard Riedi, Georg Doltmann, castello di Ludovico II di Baviera a Neuschwanstein (1869).

liam Shakespeare che fece la sua comparsa nel 1908 a Londra, pubblicata dalla Hodder & Stoughton che, dall’originaria vocazione di editore religioso e devozionale, andava verso il mercato letterario e favolistico. Fu in quell’occasione che all’illustratore francese, fra i maggiori della sua epoca, furono commissionate ben quaranta tavole. Fra queste, una rappresenta un allegro stormo di spiritelli e fate che si librano nel cielo notturno. Campanellino è figlia di questa tradizione fiabesca e ancora oggi traccia, con una stella, un arco luminoso intorno al Cinderella Castle che altro non è se non l’interpretazione disneyana del castello di Ludovico II di Baviera a Neuschwanstein, costruito nel 1869 dagli architetti Eduard Riedl e Georg Doltmann, in ossequio a quel “revival” dello stile gotico che aveva fatto la felicità dei nobili e degli studiosi dell’epoca(3). Il re-styling della Disney insistette sullo schema a triangolo del complesso architettonico, ma l’idea delle torri e delle guglie che svettano verso l’alto in una sorta di rocca potente e dolce dove sono conservati i sogni degli uomini deriva da quell’e-

sempio bavarese. Non per nulla, quando il settimanale “Life” dedicò la copertina del numero del 1° ottobre 1971 all’apertura di Disney World, fu proprio il castello che presiede all’ingresso a esserne il protagonista. Già… perché il desiderio di Walt Disney era quello di rendere la fantasia vera e concreta, tanto da poterci camminar dentro, per toccare la felicità e l’impalpabile inconsistenza dei sogni, con le mani. (1) M. Bussagli, I bambini. Rappresentazione fra arte e anatomia, in S. Castri (a cura di), I bambini e il cielo, catalogo della mostra (Illegio, Udine, Casa delle Esposizioni, 28 aprile-30 settembre 2012), Milano 2012, pp. 5-15. Vedi pure: M. Bussagli, M. Cossu, I Bambini, collana “I grandi temi della pittura”, 22, Novara 2006. Sul castello di Ludovico di Baviera: M. Bussagli, Capire l’architettura, Firenze 2005, p. 161. Si veda pure: G. Nader, A magia do império Disney, San Paolo 2007, tr. it. Storia della Disney, Bologna 2010, p. 93. Sul Neogotico anche: Neogotico (s.v.), in N. Pevsner, J. Fleming, H. Honour, Dizionario di architettura, Torino 1981, pp. 456-458. (2) Sugli esempi alternativi a Disney, si veda: M. Bussagli, F. Fossati, Fumetto, collana “XX secolo”, Milano 2003, pp. 173-179. (3) Su Richard Dadd: P. Allderidge, Richard Dadd, New York e Londra 1974. Su Edmund Dulac: C. White, Edmund Dulac, Londra 1976. Sull’editore di Dulac: J. Attenborough, A Living Memory: Hodder and Stoughton 1868-1975, Londra 1975.

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L’AMBIENTE FAMILIARE E GLI ESORDI

La stazione di Marceline, nel Missouri, città in cui passò la sua infanzia Walt Disney.

Nella pagina a fianco: Elias e Flora Disney, genitori di Walt. Di origine irlandese, Elias Disney (1859-1941) nacque in Canada e conobbe Flora Call (1868-1939), che era di origine tedesca, perché l’appezzamento di terra di Arundel, padre di Elias e nonno di Walt, confinava con quello della famiglia Call. Fu un grande amore, al punto che Elias convinse i suoi a seguire Flora ad Acron, in Florida.

Walter Elias Disney nacque a Chicago il 5 dicembre del 1901, quarto di cinque figli, da Flora Call, di origine tedesca, ed Elias Disney, mezzo canadese e mezzo irlandese. All’età di cinque anni si trasferì con la famiglia in Missouri, per raggiungere lo zio Robert che aveva un appezzamento di terra nel comprensorio della città di Marceline, dove pure il padre Elias acquistò una fattoria. Qui, il piccolo Walt passò altri quattro anni della sua vita fino a quando, nel 1910, per problemi di salute del padre, i Disney furono costretti a trasferirsi a Kansas City dove Elias, abbandonata l’attività

agricola, dirigeva una piccola impresa di distribuzione di giornali, nella quale, come strilloni, lavoravano Walt e suo fratello Roy nel tempo libero dallo studio. Elias, però, aveva ancora interessi a Chicago, dove tornò, con la famiglia, dopo qualche anno. Qui Walt s’iscrisse ai corsi serali della prestigiosa Chicago Academy of Fine Arts da cui uscì, nel 1917, con tanto di diploma(4). Con lo scoppio della prima guerra mondiale, fervente patriota, a sedici anni, riuscì a falsificare i propri documenti e si fece reclutare come volontario, prestando servizio nella Croce rossa statunitense da ausiliario. Rimase in Francia fino al 1919 con questo ruolo e, in quel periodo, si divertiva a disegnar caricature di se stesso e dei propri commilitoni, oltre a vignette di cronaca militare che inviava ai giornali americani sperando in una pubblicazione mai avvenuta. Inoltre si rendeva utile disegnando insegne per la Croce rossa e racimolando qualche soldo(5). Quando tornò a Chicago, dopo l’esperienza della guerra, aveva le idee molto chiare: aveva deciso che voleva lavorare nel cinema e, per questo, rifiutò la generosa offerta paterna di entrare, come dipendente prima e 9

Walt Disney nel 1917 come ausiliario della Croce rossa.

come socio poi, nella fabbrica di gelatina che Elias Disney aveva messo in piedi con tanta fatica. Pur sapendo di lasciare il padre con la delusione nel cuore, Walt decise di tornare a Kansas City, dove raggiunse Roy che lavorava alla First National Bank. Qui, pensò che il modo migliore per dar seguito al suo fantasmagorico progetto, fosse passare dalla “porta” della pubblicità. Con questo intento, pieno di speranza, si propose come disegnatore al “Kansas City Star”, il prestigioso giornale sulle cui pagine un giovane Ernst Hemingway, già prima della guerra, aveva pubblicato i suoi primi lavori. Walt andò a colpo sicuro perché lo conoscevano in quanto vi aveva lavorato da strillone all’epoca della piccola impresa paterna. La delusione fu totale perché non vollero neppure vedere i suoi disegni. Fu Roy, allora, che gli indicò lo Studio Pressman-Rubin, consorziato con la Gray Advertising Company ove reclutavano artisti e disegnatori per una nuova agenzia pubblicitaria. Walt fu 10

assunto per realizzare immagini di attrezzi agricoli da vendere e locandine per il teatro del luogo. Fu qui che conobbe Ubbe Ert Iwerks, meglio noto come Ub Iwerks con il quale mise in piedi la prima impresa in proprio per le animazioni, la IwerksDisney Commercial Artists, che fu fondata nel gennaio del 1920, ma ebbe vita breve. Sempre a caccia di lavoro, Walt riuscì a farsi assumere dal Kansas City Film che aveva bisogno di disegnatori per produrre filmati pubblicitari e si tirò dietro anche Ub. Il sodalizio si rinsaldò come pure la voglia imprenditoriale di Walt che, con il suo fraterno amico, prese a produrre cortometraggi animati di un minuto, ispirati alla politica e alle beghe locali che vendeva alla Newman Theater Company. Forte di questi primi successi, fondò, al secondo piano del McConahay Building al 1127 East 31st di Kansas City, la Laugh-O-Gram Films (che si potrebbe tradurre come “arguzia di cece”) fra i cui dipendenti, oltre ad Ub, c’erano nomi che avrebbero fatto grande il cinema americano, come Hugh Hagam e Rudolf Ising fondatori degli studi di animazione della Warner Bros. e della Metro-Goldwin Mayer(6). Gli studi produssero cortometraggi ispirati alle favole di più grande popolarità come Cappuccetto rosso (luglio 1922), Il gatto con gli stivali (novembre 1922), anche col sonoro, e Cenerentola (dicembre 1922), tanto per ricordare i principali, che possono così considerarsi il primo nucleo di soggetti su cui si baserà la fortuna successiva degli studi Disney. L’ultimo filmato prodotto fu Alice’s Wonderland (Alice nel paese delle meraviglie) che aveva una particolarità: metteva insieme i cartoni animati con una protagonista in carne e ossa, la deliziosa Virginia Davis che interpretava l’eroina del racconto di Lewis Carroll. L’idea era geniale, ma il cortometraggio uscì qualche settimana prima di quel luglio 1923, allorché l’impresa di Walt Disney fu costretta a dichiarare il fallimento(7). Quando arrivò a Hollywood, Walt aveva solo quaranta dollari in tasca. A chiamarlo era stato il fratello Roy con il quale, a questo punto, si mise in affari. Così, il 16 ottobre di quell’anno, nel garage dello zio Robert Samuel che, da tempo, si era trasferito da Marceline ad Hollywood, nacquero i Disney Brothers Studios, primo tassello di quella Walt Disney Company che avrebbe conquistato il mondo della cinematografia

Steamboat Willie (1928), terzo cortometraggio della serie Mickey Mouse.

d’animazione e non solo. Walt aveva portato con sé la sua ultima fatica (il corto su Alice) che gli spianò la strada verso la grande distribuzione. Grazie a quel cortometraggio, infatti, nacque la serie intitolata Alice Commedies, con Virginia Davis (trasferitasi a Hollywood con la famiglia) ancora protagonista, che recitò per il rimanente 1924 e per tutto il 1925, mentre, negli anni successivi, fu sostituita da altre attrici bambine. Il successo permise ai fratelli Disney di richiamare in forze la squadra che Walt aveva sperimentato a Kansas City. Era quella l’età d’oro del cartone animato. Margaret Winkler e il fidanzato Charles Mintz, che distribuivano i corti Disney erano gli stessi che avevano spopolato con Felix the Cat (che sarà noto in Italia come Mio Mao) e adesso – per far colpo sull’Universal Picture – chiedevano a Walt e ai suoi un nuovo personaggio. Nacque così Oswald, il protagonista della serie intitolata Oswald the Lucky Rabbit (“Osvaldo, il coniglio fortunato”) che godé subito di grande popolarità. L’episodio che ne decretò il successo fu Trolley Troubles (“Problemi di tram”) del 1927, dove il protagonista, in veste di tranviere, si misurava con una ferrovia capricciosa e con mucche occhialute che non volevano togliersi dai binari. Oswald, però, fu anche la causa della più grave crisi che gli Studios dovettero affrontare dalla loro

fondazione. In modo poco corretto infatti, i coniugi Mintz, da poco novelli sposi, assoldarono tutti i disegnatori della Disney che, di fatto, espropriarono Walt della sua creatura(8). Solo Ub Iwerks resistette alle sirene della Universal Picture a cui Oswald era stato venduto. Gli Studios rischiarono di chiudere, ma – con Iwerks – Walt iniziò a lavorare a un nuovo personaggio per recuperare quella competitività e quella quota del mercato che parevano perdute irrimediabilmente. (4) Walt Disney risulta fra gli allievi eccellenti del School of the Art Institute of Chicago, cfr. L. Krasniewicz, M. Blitz, Walt Disney: a Biography, Santa Barbara 2010, p. XXVI. Sull’infanzia di Walt Disney: G. Nader, op. cit., pp. 11-17. (5) G. Nader, op. cit., pp. 21-22. (6) Ivi, pp. 23-28. Roy Oliver, il fratello di Walt, conosceva bene la Pressman-Rubin perché la ditta era cliente presso la banca in cui Roy lavorava. Per anni si vantò, per facezia, che l’entusiastica accoglienza riservata a Walt fosse dovuta alla sua posizione. Per quanto detto: M. Barrier, The Animated Man: A Life of Walt Disney, Oakland 2007, pp. 18-19. Oggi il McConahay Building di Kansas City è stato salvato dalla rovina e dopo il restauro del 2010 è stato adibito a museo. (7) G. Nader, op. cit., pp. 26-29. La Nader considera Alice in Cartoonland l’ultimo corto prodotto dalla Laugh-OGram Films. In realtà, quello è l’altro nome della serie che si svilupperà poi. Oggi, tutti questi corti si trovano sul web e quello che viene indicato con questa denominazione è, in realtà, Alice Solves the Puzzle, prodotto nel 1925. Sui cortometraggi, si segnala anche il bel sito di Valerio Paccagnella: http://www.ilsollazzo. com/c/disney/ scheda/AliceInWonderland. (8) Per i problemi contrattuali e la vicenda di Oswald il coniglio: G. Nader, op. cit., pp. 40-43. A sostituire Virginia Davis fu prima Margie Gay, seguita da Dawn O’Day che poi cambiò il proprio nome in Anne Shirley e Lois Hardwick moglie poi dell’attore Donald Sutherland. Sul Gatto Felix: M. Bussagli, F. Fossati, op. cit., pp. 113-114.

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TOPOLINO E LA SUA BANDA

Via il gatto, Topolino balla (1929), sesto cortometraggio della serie Topolino.

Nella pagina a fianco: Mickey Mouse, il personaggio dei cartoni animati, icona della Walt Disney Company. Il nome che Walt Disney voleva dare al suo nuovo personaggio era Mortimer. Fu la moglie Lillian a giudicarlo «troppo sdolcinato» e a suggerire Mickey.

Ubbe Ert Iwerks, statunitense, ma olandese d’origine, era il più dotato e talentuoso fra i collaboratori di Walt Disney e, non per nulla, pure quello che aveva avuto lo stipendio più alto: quasi cinque volte superiore rispetto agli altri dipendenti. Anzi, avrebbe avuto anche il ruolo di socio. Del resto, era suo anche quell’Oswald di cui Walt aveva tratteggiato il carattere, scritto le gag e le sceneggiature. L’idea del nuovo personaggio, però, va riferita al genio di Walt Disney. La leggenda narra

che Walt abbia avuto la folgorazione sul treno che da New York lo riportava a Hollywood, insieme alla moglie Lillian, dopo il disastroso incontro con Charles Mintz. In quel viaggio, ripensando ai tempi di Kansas City, si ricordò che – quando si tratteneva fino a tardi – un gruppo di topolini venivano a fargli compagnia infilandosi nel cestino della carta straccia. Uno, che gli era più simpatico degli altri, lo prendeva e lo metteva in una gabbietta sulla scrivania. Così – proseguiva Walt in un racconto narrato centinaia di volte – pensò che un topo sarebbe stato adatto per una nuova serie animata e comunicò a Lillian che l’avrebbe chiamato Mortimer. La donna, però, bocciò la proposta e suggerì Mickey, ossia Michelino. Tuttavia, l’elaborazione grafica fu opera di Iwerks anche se a questa Disney non fu affatto estraneo, come mostrano i bozzetti ancora conservati negli Studios con le indicazioni di Walt. Del resto, da un coniglio a un topo, il passo fu assai breve. Bastò assottigliargli le zampe, la coda e arrotondargli le orecchie per ottenere un nuovo Oswald “rattizzato”. Neppure l’idea del topo era particolarmente originale. In un mondo di cartoni popolato da animali come Oswald, il gatto Felix o Krazy 13

Orazio (Horace Horsecollar), Clarabella (Clarabella Cow) e Minni (Minnie Mouse) si apprestano a trasmettere uno show radiofonico dalla stalla di Topolino, nel cortometraggio The Barnyard Broadcast (1931), Disney Cartoon. Orazio e Clarabella sono ancora legati al mondo rurale statunitense che ricopre, in quegli anni, un ruolo altrettanto importante quanto la dimensione industriale che inizia a essere preponderante. In questo senso i due personaggi interpretano bene queste corde dellÕanimo americano. 14

Cat, un topo non era certo un personaggio inimmaginabile, anche perché Ignaz Mouse, l’antagonista dispettoso di Krazy Cat già esisteva. Fu la costruzione del carattere di Mickey Mouse (il Topolino italiano) la vera novità del personaggio: il suo spirito tipicamente americano di “self made man”, capace di dar corpo all’ideale della persona semplice, leale, sempre pronta a dare una mano e il meglio di sé nel momento del bisogno. Innamoratissimo di Minnie che bacia con trasporto, Mickey Mouse è diventato una sorta di eroe eponimo dell’umanità del XX secolo che ha fiducia nel futuro perché «ha saputo interpretare le aspettative di tutte le età. La sua immagine è comparsa tanto sui piatti per la pappa dei bambini di mezzo mondo, quanto sulle tute mimetiche dei soldati americani che sbarcarono in Normandia nel giugno del 1944» (9). C’era poi, nel disegno ancora acerbo delle prime versioni grafiche, «qualcosa di aerodinamico che rende accettabile l’umanizzazione così sbrigativa del disegno: l’attaccatura dei capelli (simile a una cuffia, riunisce Lindbergh e Mefistofele), gli ovali neri degli occhi, […] soprattutto quei dischi fungenti da

orecchie, che sembrano potersi staccare e rotolare in avanti da un momento all’altro […] Non la caricatura di un animale come il gatto Felix o il topo Ignazio, e nemmeno quella di un uomo, ma uno scattante automa tutto angoli e cerchi»(10). In altre parole, Mickey Mouse aveva nel suo aspetto qualcosa di moderno. Proprio per questo risultava, agli occhi della gente, l’immagine stessa di quell’America dinamica e giovane che era il sogno di tutti. In questo senso, già all’inizio degli anni Venti non erano mancate adesioni statunitensi al movimento futurista che esaltava la modernità, come testimonia la grande arte di Joseph Stella e il suo inno per immagini a New York, trasformata in idolo moderno da adorare col polittico del suo The Voice of the City dipinto fra il 1920 e il 1922 e conservato al Newark Museum di Washington. La realtà, però, era assai diversa dalla fantasia perché l’America si avviava a grandi passi verso il baratro del “Big Crash”, la “grande Depressione” del 1929 da cui, grazie all’iniezione di fiducia del “New Deal”, il “nuovo corso” di Frank Delano Roosevelt, si sarebbe risollevata anche con il contributo di Topolino. Mickey Mouse rap-

Peg Leg Pete, noto in Italia come Pietro Gambadilegno, nel cortometraggio Moving Day (Giornata di trasloco) (1936), Disney Cartoon, è un aggressivo ufficiale giudiziario che obbliga Topolino, Paperino e Pippo (da poco unitosi agli altri due) a sgombrare. Peg Leg Pete nacque nel 1925, al tempo delle Alice Comedies, dalla matita di Ub Iwerks e dall’inventiva di Walt Disney. Concepito originariamente come un orso, divenne definitivamente un gatto con l’avvento di Mickey Mouse. Gambadilegno, infatti, è il principale antagonista di Topolino.

presentava tutto questo e non è un caso che la prima avventura di cui fu protagonista, il cortometraggio Crazy Plane del 1928, fosse ispirato alla grande impresa di Charles Lindbergh che l’anno precedente, con la prima trasvolata atlantica in solitaria e senza scalo, aveva lasciato il mondo a bocca aperta e senza fiato. Il successo venne, però, con Steamboat Willie (“Il vaporetto Guglielmo”), un cortometraggio che aveva un innovativo sistema di sincronizzazione fra la musica, i suoni e le immagini per cui è memorabile la scena in cui Mickey Mouse (che qui indossa già le scarpe, ma non ha ancora i guanti) “suona”, bistrattandolo, il gatto di bordo e lo muta in strumento musicale. L’altra novità di Mickey Mouse è che non nasce da solo, ma subito si presenta affiancato da altri personaggi comprimari, a cominciare da Minnie, la sua dulcinea, che – appena può – bacia con passione, come nel caso del cortometraggio The Fire Fighters (“I pompieri”), uscito nel 1930(11). La pirotecnica coppia Walt e Ub, però, non si accontentò della sola fidanzata e dette vita a una schiera di compagni di avventure e al perfido antagonista, ossia Terrible Tom (poi noto come Peg Leg Peter, il nostro Pietro Gambadilegno), già presente in Steamboat Willie, i quali

avranno, almeno per un certo periodo, pure una vita propria. Così, nel cortometraggio intitolato The Barnyard Broadcast, uscito nel 1931, insieme all’immancabile Minnie, Orazio (Horace Horsecollar) e Clarabella (Clarabella Cow), un cavallo e una mucca un po’ bislacchi, organizzano una singolare emittente radio nella stalla dove, di nuovo, la musica è protagonista. Proprio quando gli Studios stavano raccogliendo i frutti di tutto questo lavoro, nel 1930, Ub Iwerks, il geniale disegnatore, l’amico della prima ora, andò via per lavorare con Pat Powers (l’inventore della macchina per coordinare suono e immagini) e fondare gli Iwerks Studios. Non si possono analizzare qui le ragioni di questo “divorzio” epocale di cui molto si è scritto. Tuttavia, alla base del gesto ci doveva essere la convinzione da parte di Ub che il suo lavoro non fosse apprezzato adeguatamente e, da parte di Walt, la certezza che il suo amico non avesse nulla di cui lamentarsi, visto che era socio al venti per cento della Disney Brothers Productions. I destini di Walt e di Ub – irrimediabilmente – si separarono e, mentre gli Studios di Iwerks fallirono nel 1936, quelli di Disney iniziarono una marcia trionfale verso successi sempre più consistenti che dimostrarono come

15

Qui sopra: Goofy, meglio noto in Italia come Pippo, si esibisce in un esilarante concerto finale nel cortometraggio Mickey’s Amateurs (I dilettanti di Topolino) (1937), Disney Cartoon.

Il numero 1 di “Topolino” per la prima volta nella versione a libretto, uscito nel 1949. In origine “Topolino” aveva l’aspetto di un giornale, così come lo era, per esempio, il “Corriere dei Piccoli” che mantenne sempre questo formato anche quando divenne “Corriere dei Ragazzi”. “Topolino”, invece, acquisì quello di libro, con la costola gialla, il numero e l’anno di edizione. 16

la capacità inventiva e trainante fosse quella di Walt Disney(12). Infatti, il 1934 fu un anno cruciale per la Disney Brothers Productions giacché Mickey Mouse si avviava a divenire un successo planetario, tanto da suggerire agli ingegneri della FIAT di chiamare con il nomignolo di “Topolino” quella che sarebbe stata l’automobile più popolare della penisola, la 500, il che dimostra come il carattere di modernità del “topo” fosse chiaramente percepito anche al di là dell’oceano. Walt, però, non si accontentava e, quell’anno, inventò un altro protagonista dei suoi

cortometraggi che avrebbe eguagliato quasi il successo del primo: Donald Duck cioè Paperino. «La nascita di Donald Duck […] è legata indissolubilmente alla sua voce dal caratteristico timbro un po’ stridulo. Anzi, si può dire che sia nata prima la voce e poi il personaggio perché l’idea venne a Walt Disney ascoltando le imitazioni radiofoniche di Clarence Nash» attore e doppiatore statunitense che, da qui, ricavò il nomignolo di Ducky(13). La prima apparizione di Donald Duck risale, appunto, al 9 giugno 1934 nel corto a colori The Wise Little Hen (“La gallinella saggia”), riduzione filmata della fiaba russa La gallinella rossa che nel 1911 aveva avuto un’edizione americana con illustrazioni di Jessie Willcox Smith allora noto per aver illustrato la fiaba Heidi. Come si vede, anche in queste scelte in apparenza slegate, la conoscenza favolistica di Disney giocò un ruolo tutt’altro che secondario e, del resto, anche la proliferazione di animali nel suo universo animato non poteva prescindere da rimandi alla tradizione classica, come quella di Esopo, oggetto d’iniziative editoriali di tutto rispetto, come quella di Walter Crane che illustrò varie favole in una lussuosa edizione intitolata Baby’s Own Aesop, nota tanto a Londra quanto a New York. Subito Disney capì le potenzialità di quel papero che poteva essere il contraltare di Mickey Mouse. Tanto assennato era il topo, quanto irascibile era il papero il cui nome rimandava a una chiara origine scozzese; il che, di per sé, non faceva che confermarne il carattere. Tuttavia, non è possibile scrivere di Paperino senza fare riferimento a Carl Barks, l’inventore della città di Duckburg, la Paperopoli della nostra infanzia, patria di tutta la genia dei paperi disneyani(14). In meno di cinque anni, insieme a Paperino, era nata quella che tutti definivano la “banda Disney”, la quale, oltre a Minnie, Orazio, Clarabella e Gambadilegno di cui si è già detto, annoverava personaggi come the Pup (1931) il nostro Pluto, affettuoso e fedele cane di Topolino, Goofy (1932), Pippo, il suo più caro amico, un po’ svampito, ma talvolta inaspettatamente acuto, protagonista – insieme a Mickey Mouse – d’innumerevoli avventure che ebbero tutte anche una dimensione fumettistica. Basterà, infatti, ricordare il numero 1 di “Topolino” per la prima volta nella ver-

Dall’alto: “Topolino”, n. 2861, 28 settembre 2010, copertina. La copertina s’ispira soprattutto a due opere celebri di Salvador Dalí. Gli orologi che si sciolgono rimandano a La persistenza della memoria, dipinta nel 1931 e oggi conservata al MoMA - Museum of Modern Art di New York. L’altra fa riferimento a Vestigia ataviche dopo la pioggia, del 1934, appartenente a una collezione privata. Salvador Dalí e Walt Disney nel 1949. In occasione della mostra Salvador Dalí. Il sogno si avvicina (Milano, Palazzo reale, 22 settembre 2010 30 gennaio 2011), il settimanale “Topolino” celebra l’incontro tra l’artista catalano e Walt Disney avvenuto nel 1946 negli Disney’s Hollywood Studios per lavorare alla realizzazione di un cortometraggio ispirato alla ballata del compositore Armando Dominguez dal titolo Destino. Il film però rimase incompiuto per molto tempo, solo nel 2003 la pellicola fu portata a termine da Roy Disney (nipote di Walt).

sione a libretto, uscito nel 1949 in Italia, che si poneva come felice epigono di quella fortunata serie di “strip” quotidianamente uscite su una miriade di giornali americani, a partire dagli anni Trenta. Non è possibile qui scrivere in maniera approfondita dell’importante contributo italiano alla diffusione delle storie disneyane di Topolino e della sua banda che non si limitò a una semplice traduzione dalla madrepatria, ma costituì un apporto originale, con “matite” che crearono nuovi personaggi, come Brigitta, Trudy, Filo Sganga, Atomino Bip Bip e Paperetta Yè Yè, tutti nati dalla fantasia di Romano Scarpa, tanto per fare un esempio. Non solo, ma la dimensione artistica italiana

è stata, anche recentemente, motivo d’ispirazione per le storie di Topolino e la sua banda, segno evidente che – anche dopo la scomparsa del suo fondatore – il punto di riferimento dell’arte costituiva una costante nel mondo Disney. Sarà sufficiente ricordare una storia divertente come Pippo della Francesca e il ritratto del complotto, uscito sul numero 2926 di “Topolino” del dicembre 2011. Del resto, lo stesso Walt Disney aveva interessi artistici ed è noto il suo rapporto con Salvador Dalí, incontrato per realizzare un film comune che non vide mai la luce. A questo episodio realmente accaduto nel 1949 si è ispirato il fumetto intitolato Topolino e il surreale viaggio nel destino, apparso sul numero 2861 del 2010. Non fu, comunque, questa la prima volta in cui l’eroe disneyano si ritrovò catapultato nel mondo di un artista. Non si potrà, infatti, non citare il lungo episodio in cui Mickey Mouse è alle prese con Phantom Blot, l’italiano Macchianera, che si aggirava nel labirintico mondo di Escher(15). Per tutti questi motivi, Mickey Mouse stesso divenne un soggetto d’arte e un personaggio da ritrarre, al pari degli altri grandi della terra interpretati da Andy Warhol, che – dedicandogli un’opera – ne fece una vera icona. (9) M. Bussagli, F. Fossati, op. cit., p. 228. Per la nascita di Mickey Mouse e la sua “leggenda”: O. De Fornari, Walt Disney, Perugia 1995, pp. 15-20. (10) O. De Fornari, op. cit., p. 15. (11) Su Joseph Stella: W. Corn, An Italian in New York in Eadem, The Great American Thing: Modern Art and National Identity, 1915-1935, Berkeley 1999, pp. 135-190. Sulla relazione fra il “New Deal” e le scelte di Walt Disney: M. Ciotta, Walt Disney. Prima stella a sinistra, Milano 2010. (12) Sul ruolo e sul rapporto fra Walt Disney e Ub Iwerks (che poi rientrò a lavorare negli Studios), cfr.: G. Nader, op. cit., pp. 50-51. Si veda pure L. Iwerks, J. Kenworthy, The Hand Behind the Mouse: an Intimate Biography of Ub Iwerks, the Man Walt Disney Called the Greatest, New York 2001, pp. 36-37 e 53-54, dove, sia pur tardivamente, sono riconosciuti i meriti di Ub Iwerks nella creazione grafica di Mickey Mouse. (13) M. Bussagli, F. Fossati, op. cit., p. 98. Sulla “Topolino” si veda: E. Deganello, Fiat 500, Vimodrone 2002. (14) Su Carl Barks: M. Bussagli, F. Fossati, op. cit., pp. 365-366. Per Walter Crane, si veda, per esempio, lo stile art nouveau di una scena come La volpe e la gru (p. 19), nel suo Baby’s Own Aesop, edito a Londra e a New York nel 1887. Una giusta riflessione di Oreste De Fornari (op. cit., p. 21): «I personaggi di Disney hanno l’aspetto fisico degli animali e le motivazioni psicologiche degli uomini, senza diventare mai semplici riproduzioni degli animali e degli uomini che esistono nella realtà». (15) Su Mickey Mouse ed Escher: M. Bussagli (a cura di), Escher, catalogo della mostra (Roma, Chiostro del Bramante, 28 ottobre 2014 - 13 marzo 2015), Milano 2014, pp. 189 e 215. Su Romano Scarpa: L. Boschi, L. Gori; A. Sani, Romano Scarpa - Un cartoonist italiano tra animazione e fumetti, Bologna 1988.

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I CAPOLAVORI: DA BIANCANEVE A FANTASIA

Maestro di Naumburg, Ritratto scultoreo di Uta di Ballenstedt (1250 circa); Naumburg (Germania), duomo, coro. Fu Wolfgang Reitherman, detto Woolie, sbarcato con il padre e la madre nel 1912 a Ellis Island

Più che nei cortometraggi di serie come le ricordate Alice Comedies, oppure nelle Silly Symphony, letteralmente “sinfonie bislacche”, Nella pagina a fianco: Biancaneve e i sette nani (1937), frame con la reginamatrigna che tiene in mano lo scrigno che crede contenga il cuore di Biancaneve.

la dimensione artistica di Walt Disney e la sua capacità di pescare dall’immenso patrimonio dell’illustrazione fiabesca, ma pure della storia dell’arte tout court, emersero nei lungometraggi che ebbero inizio con un evento epocale per tutta la storia del cinema: Snow White and the Seven Dwarfs, titolo italiano Biancaneve e i sette nani. Passare dai corti al lungometraggio non fu né una scelta facile, né voluta, ma obbligata (al di là dell’incontenibile spinta creativa di Walt) perché il gusto del pubblico iniziò a cambiare e la distribuzione faticava a sostenere la pratica di

ed entrato negli Studios nel 1933, a suggerire a Walt Disney di utilizzare i tratti della bella Uta per dare un volto alla regina Grimilde. Gli aveva mostrato la lussuosa edizione del 1924 della serie “Blau Bücher” dedicata alla scultura tedesca medievale.

abbinare il film breve a quello lungo. Si capì che, in poco tempo, il cortometraggio sarebbe rimasto, di fatto, senza mercato. Walt Disney aveva il polso della situazione e si preparò per tempo: Biancaneve fu progettato già nel 1934 per due milioni di dollari d’investimento e distribuito in tutti gli Stati Uniti a partire dal 4 febbraio 1938. In realtà gli Studios stavano rischiando il tutto per tutto e Walt era considerato dai suoi collaboratori un folle; ma i fatti gli dettero ragione e l’opera ebbe un immenso successo. I motivi furono molteplici, a cominciare dalla pluralità di livelli narrativi che s’intrecciavano intorno alla storia principale tratta dalla fiaba dei fratelli Grimm. Disney si allontanò volutamente dai vari modelli iconici che allora andavano per la maggiore, come quello dell’illustratore tedesco Franz Jüttner che, nel 1910, ne aveva pubblicato a Magonza una versione dove l’atmosfera decadente, fra romanico e bizantino, ricalcava quella di certa pittura nazarena(16). Il Medioevo vagheggiato da Walt Disney, invece, guardava a un Neogotico stilizzato e semplificato. C’era stato, poi, un grande lavoro di arricchimento che aveva trasformato i nani in veri comprima19

Franz Jüttner, La matrigna vende la mela a Biancaneve, illustrazione per Schneewittchen (Biancaneve e i sette nani), Magonza 1910. Qui sotto, da sinistra: Biancaneve e i sette nani

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ri, ciascuno con una precisa personalità e una propria caratterizzazione fisionomica. La protagonista guadagnò doti e qualità che andavano dalla capacità di rivaleggiare con il canto degli usignoli all’ingenua bellezza di un volto che ricordava quello di Betty Boop (in quegli anni all’apice

(1937), frame con il personaggio della regina-matrigna;

Biancaneve e i sette nani (1937), frame con il personaggio della strega.

del successo), ma senza la sua malizia e i tratti caricaturali. Non meno importante fu la cura con cui fu immaginata Grimilde, la regina cattiva, la cui bellezza perversa contrastava volutamente con quella ingenua di Biancaneve al punto da sembrare quasi più attraente della vera protagonista. Il modello di riferimento, per questo personaggio, come ha dimostrato Stefano Poggi, fu il Ritratto di Uta di Ballenstedt, che abbellisce il coro del duomo di Naumberg. Margravia di Meissen e moglie di Eccardo II che nel coro l’affianca con una sua statua, condivise il ruolo di modella per Grimilde con attrici hollywoodiane come Joan Crawford, Katharine Hepburn e Gale Sondergaard(17). L’aspetto affascinante ma algido della sovrana doveva poi stridere con le fattezze di vecchia con le quali si sarebbe presentata alla fanciulla per offrirle la fatidica mela. Si rivelava, così, la vera natura di quella donna, solo in apparenza bellissima, ma in realtà una strega come quelle dipinte da Goya sulle pareti della Quinta del Sordo(18). Le invenzioni di Disney per il suo primo lungometraggio non si fermano qui e sarebbe impossibile ricordarle tutte; ma di quella della foresta animata dove Biancaneve fugge terrorizzata, non si può tacere. In un’atmosfera d’incubo, fra tuoni, pioggia, vento e fulmini, i ra-

Francisco Goya, Due vecchi che mangiano la zuppa (1821-1823); Madrid, Museo Nacional del Prado.

mi nodosi degli alberi paiono animarsi e diventare enormi mani minacciose che vogliono ghermire la fanciulla terrorizzata. Disney non era nuovo all’uso degli alberi animati: ne aveva fatto occasione d’intrattenimento con una delle prime Silly Symphony del 1932, intitolata per

l’appunto Flowers and Trees, ossia “Fiori e alberi”, dove questi protagonisti vegetali agitavano come braccia rami frondosi, o allargavano le cavità dei tronchi a mo’ di bocca che si apre, parla o sbadiglia. Con Biancaneve, però, l’elaborazione era molto più matura, certo con reminiscenze

Il dipinto fa parte della serie delle cosiddette “pinturas negras” (pitture nere) dipinte dal pittore aragonese sui muri della propria casa. All’inizio dell’estate del 1935, Walt e il fratello Roy partirono per un viaggio in Europa alla ricerca di spunti artistici per la lavorazione di Biancaneve. A destra: Biancaneve e i sette nani (1937), locandina con gli alberi della foresta nella quale scappa Biancaneve. 21

A destra: Arthur Rackham, illustrazione per J. M. Barrie, Peter Pan in Kensington Park, Londra 1906. In basso: Pinocchio (1940), frame con i personaggi del protagonista e del Grillo parlante. Quella del Grillo parlante nella versione Disney fu la trasposizione dello spirito statunitense nel piccolo personaggio che, a differenza di quello di Collodi, non è perdente; ma guida con positività e fiducia il percorso di crescita di Pinocchio.

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colte dagli splendidi disegni del grande illustratore di fiabe Arthur Rakham, fino alla Selva dei suicidi di dantesca memo-

ria(19). Il cinema di animazione, adesso, era cambiato per sempre. La seconda opera importante in questo settore fu quella di Pinocchio, il romanzo per ragazzi scritto da Carlo Collodi che era diventato un best-seller nel mondo e che era stato illustrato da Attilio Mussino per l’edizione del 1911, stampata dalla Bemporad-Marzocco di Firenze di cui aveva fatto la fortuna. Le splendide immagini di Mussino coglievano in pieno lo spirito di un toscanissimo Pinocchio, ambientato nei paesini della Lunigiana, fra strade strette, campagna e mare. Pure l’aspetto del burattino di legno, protagonista del romanzo, aveva la fisicità dei ragazzi di allora, magri e segaligni perché non c’era molto da mangiare nell’Italia di quel tempo. Walt Disney stravolse del tutto l’impostazione originale del fiorentino Collodi e ambientò il racconto nel Tirolo. Non si pensi, però, a una scelta arbitraria. Se Geppetto era un falegname così abile da far vivere addirittura un pezzo di legno, doveva appartenere alla terra per eccellenza degli intagliatori in legno. Così, la casa del “papà” di Pinocchio divenne un laboratorio

A destra: Attilio Mussino, Pinocchio, illustrazione per C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, Firenze 1911. In basso, da sinistra: Pinocchio (1940), frame con il personaggio del cocchiere del Paese dei balocchi. La figura del cocchiere di Pinocchio s’ispirò al prototipo di Attilio Mussino (l’Omino di burro), accentuando il suo carattere inglese e rivelando, nei tratti del volto, una chiara ambiguità che lo faceva passare dall’aspetto mellifluo e rassicurante a quello irascibile e addirittura demoniaco. Attilio Mussino, L’omino di burro, illustrazione per C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, Firenze 1911.

stracolmo di giocattoli e di orologi a cucù, tutti di legno. Fu questa una precisa scelta di Disney che ne affidò la realizzazione a Gustaf Tenggren e Albert Hurter i quali non solo si erano già sperimentati con successo nella casetta di Biancaneve, ma sapevano bene cosa dovevano disegnare, visto che il primo era di origine svedese e il secondo di Zurigo, la patria degli orologi. Anche il protagonista fu riveduto secondo le esigenze di Walt che voleva un bambino, non un ragazzo, che potesse giustificare i suoi errori per pura ingenuità, senza quella componente maligna che traspare, invece, dal racconto di Collodi ed è tipica del carattere dei più giovani. Tuttavia, in qualche cosa, Disney tenne presente i suggerimenti iconografici di Mussino. È il caso dell’Omino di burro, il mellifluo postiglione della sciagurata carovana che conduceva i ragazzi scansafatiche al Paese dei balocchi, dove si sarebbero trasformati fatalmente in asinelli. Il carattere all’inglese dell’elegante cocchiere immaginato da Mussino ritorna nel personaggio di Disney che, però, non tarda a rivelare la sua faccia demoniaca. Così il film di Walt Disney è un’opera a sé stante, omaggio al genio di Carlo Collodi che rifulge, però, di quello di Walt Disney. Infatti – all’inizio – non fu capito e venne, nonostante il successo, ritenuto un tradimento del testo originale, piuttosto che un altro capolavoro, come in effetti è. Il fatto è che Walt Disney aveva una consapevolezza ben chiara del mezzo espressivo dell’animazione e sapeva

bene che sarebbe stato un errore pensare a una pedissequa restituzione filmica(20). La maturità raggiunta dal genio di Walt lo spingeva ormai verso un impiego autonomo del cinema animato, di cui vedeva le immense potenzialità che desiderava sfruttare in ogni risvolto.

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Dall’alto: Paul Rason, Paesaggio nabis (1890). Walt Disney, Fantasia (1940), frame con paesaggio (1940). I colori fatati dei paesaggi di Fantasia sono il frutto delle riflessioni cromatiche di Walt Disney e della sua capacità di vedere il mondo con gli occhiali rosa, dalle tele degli esoterici Nabis agli astrattismi di Otto Fischinger che collaborò per qualche tempo con lui.

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Lo avrebbe dimostrato con un altro lungometraggio ancor più rivoluzionario: Fantasia, uscito nei cinema in quello stesso 1940. È stupefacente notare come le motivazioni commerciali e le difficoltà economiche fossero, per Disney, stimolo alla creazione di opere che avrebbero segnato per sempre la storia del cinema.

Bisogna infatti sapere che già alla metà degli anni Trenta era in lavorazione un film dedicato a Mickey Mouse nelle vesti di apprendista stregone, ma che gli alti costi di produzione avevano consigliato di accantonare il progetto, fin quando Walt comprese che, paradossalmente, mirando a un vero lungometraggio, i costi

A destra: Utagawa Hiroshige La diga di bambù vicino al ponte di Ky¯obashi, dalla serie Cento famose vedute di Edo (1857). In basso: Vincent van Gogh, Notte stellata sul Rodano (1888); Parigi, Musée d’Orsay. Gli elementi nipponici non appaiono solo come citazioni dirette, ma sono anche filtrati dalla cultura europea dell’Ottocento francese che aveva dimestichezza con le stampe giapponesi. I colori visionari di Van Gogh, radice di molta pittura occidentale del XX secolo, si accendono nei fotogrammi di Fantasia.

si sarebbero diluiti. Fu questa la ragione economica per cui nacque Concert Feature (“sembianza del concerto”, o meglio, “immagine di concerto”) come si chiamò in origine Fantasia, titolo italiano che poi prevalse, scelto dal distributore del film, la RKO Radio Pictures. In greco, “phantasia”, alla lettera, vuol dire “rappresentazione” ed è questa l’idea che si trova alla base di questa straordinaria opera che, oltretutto, fu la prima ad adottare un sistema stereofonico, proprio perché doveva rappresentar la musica per immagini. Del resto, esperimenti in questo senso ce ne erano già stati, a cominciare dalle ricerche di František Kupka (meglio noto come Frank Kupka), il pittore austro-ungarico che nel 1936 era stato inserito nella grande mostra che si era aperta al Museum of Modern Art di New York, intitolata Cubism and Abstract Art. Di tale tendenza, Disney era di sicuro a conoscenza perché invitò a collaborare a questo progetto un artista e animatore come Oskar Wilhelm Fischinger. Non lontano dalla lezione di Kandinskij, Fischinger si era rifugiato negli Stati Uniti nel 1936 per fuggire all’oppressione nazista. Walt non fu soddisfatto delle proposte e la collaborazione s’interruppe, anche se l’episodio mostra tutta la profonda cultura

degli Studios Disney. Oggi tutto sembra scontato, visto che ci si è abituati alle varie interpretazioni luminose e iconiche dei suoni, da quelle psichedeliche degli anni Settanta del XX secolo, fino al salvaschermo del computer che segue con

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Fantasia (1940), sequenza Una notte sul monte Calvo, frame con Chernabog, il demone della montagna. A destra: “Lokapala” (dinastia Tang, 618-907). I “lokapala” sono i guardiani (o sovrani) delle quattro direzioni dello spazio e, quindi, numi tutelari del cielo e del mondo che presidiano l’universo. Di derivazione indù, li troviamo nella tradizione indiana, cinese, giapponese e coreana, ma pure tibetana e mongola. 26

colori e forme la musica sintetica; ma, allora, era assolutamente rivoluzionario interpretare in questo modo la Toccata e fuga in re minore di Bach. Concepito come un vero evento concertistico dove, oltre alle orecchie, erano protagonisti gli occhi, Fantasia doveva, in origine, essere proiettato in sale cinematografiche che assumevano le modalità di quelle da concerto, con posti prenotati e un quarto d’ora di pausa fra un tempo e l’altro. Le tipologie di rapporto fra musica e immagini erano tre: il commento musicale a un racconto preciso (come l’Apprendista stregone), l’interpretazione della musica attraverso una storia (la Danza delle ore, dove un alligatore maschio s’innamora di un ippopotamo femmina) e la musica pura di cui si è già parlato. Le declinazioni di questi modelli, però, passano anche dall’impiego di citazioni di opere d’arte tutt’altro che secondarie. Così, non sarà difficile scorgere nelle tinte innaturali dei paesaggi popolati da intraprendenti

Fantasia (1940), sequenza Suite dello Schiaccianoci, frame con i funghi trasformati in ballerini cinesi. È del tutto evidente un’attenzione alla grafica di stampo Art Nouveau derivata dalla cultura artistica della Secessione viennese. Il remake di Fantasia nel 2000 volle essere un risarcimento alle incomprensioni da parte di una critica e di un’epoca che non era ancora pronta a comprendere la capacità creativa e innovativa di Walt Disney e la sua attenzione all’arte più contemporanea. A destra: Vasilij Kandinskij, Blu di cielo (1940); Parigi, Musée National d’Art Moderne - Centre Georges Pompidou.

centauri e castigate centauresse (forse esemplate sul modello di Il fauno e la centauressa, scolpiti in bronzo da Augustine Courtet nel 1849 per il Parc de la Tête d’Or a Lione) che si corteggiano al suono della Pastorale di Beethoven, le scelte cromatiche dei Nabis. Nella deliziosa Danza cinese, poi, si scorge una reminiscenza delle soluzioni grafiche di Leopold Stolba e delle sue figure sotto la pioggia. Così, immagini che paiono solo ingenue invenzioni degli Studios sono, in realtà, ricche di riferimenti, come quella dei cinesi con le lanterne che attraversano il ponte sull’acqua, derivate dalle incisioni di Hokusai, dal celebre Battersea Bridge di Whistler e dalla Notte stellata sul Rodano di Van Gogh che pure ispirò altre immagini come quella delle lucciole luminose e varie scene di Danza araba che rimandano, però, anche alla sensibilità cromatica di Odilon Redon. Infine, il mostruoso demone, protagonista di Notte sul monte Calvo (il massiccio nell’Idaho, ma pure il Calvario di Gerusalemme) ha i tratti dei “lokapala”, i terribili signori dello spazio della religiosità buddista giapponese, attribuiti a quel personaggio inquietante dall’illustratore danese Kay Nielsen che collaborò al lungometraggio(21).

(17) S. Poggi, La vera storia della Regina di Biancaneve, dalla Selva Turingia a Hollywood, Azzate 2007, in particolare pp. 41-70. (18) Su Goya e la Quinta del Sordo: S. Borghesi, G. Rocchi, Goya, collana “I Classici dell’Arte”, 5, Milano 2003, pp. 68-69. (19) La Selva dei suicidi è nel Canto XIII dell’Inferno nella Divina commedia di Dante. Per i “debiti” di Walt Disney nei confronti di Doré, si veda: Ph. Kaenel (a cura di), Gustave Doré. L’imaginaire au pouvoir, catalogo della mostra (Parigi, Musée D’Orsay, 11 febbraio-11 maggio 2014), Parigi, pp. 298-330. Su Arthur Rackham: D. Hudson, Arthur Rackham: His Life and Work, (II ed. Londra 1974. Bisogna poi rammentare che due degli animatori dello staff di Biancaneve e i sette nani, ossia Gustaf Tenggren e Albert Hurter, conoscevano l’opera di Arthur Rackham. Sulle Silly Simphony e, in particolare, su Flowers and Trees, che fu il primo cortometraggio a colori, si veda: G. Nader, op. cit., pp. 53-54. (20) Sul Pinocchio di Walt Disney: G. Nader, op. cit., pp. 67-69. Si veda pure O. Fornari, op. cit., p. 52, non del tutto condivisibile. Su Attilio Mussino: A. Faeti, Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l’infanzia, Torino 1972, p. 195. (21) Sui “lokapala”: H. Tanaka (a cura di), Capolavori della scultura buddhista giapponese, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 29 luglio-4 settembre 2016), Milano 2016, pp. 38-139. Kay Nielsen collaborò con la Disney dal 1939 al 1941, in particolare nella Notte sul monte Calvo cui cedette quell’atmosfera orientaleggiante che caratterizzava le sue illustrazioni. In proposito: A. Robin, Walt Disney and Europe, Londra 1999, p. 162. Sui Nabis: S. Salvagnini, I Nabis, fascicolo monografico allegato ad “Art e Dossier”, 304, novembre 2013. Su Stolba: R. Weissenberger, Die Wiener Secession, Vienna 1971, p. 275. Su Kupka: S. Fauchereau, Kupka, Milano 1989; su Fischinger: W. Moritz, Optical Poetry: The Life and Work of Oskar Fischinger, Bloomington 2004. Su Fantasia: O. Fornari, op. cit., pp. 87-91. Si veda pure: G. Nader, op. cit., pp. 70-74.

(16) Su Franz Junter: R. Vierhaus (a cura di), Deutsche Biografische Enzyclopädie, V, Monaco 2006, p. 410. Sui nazareni: K. Gallwitz (a cura di), I Nazareni a Roma, catalogo della mostra (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, 23 aprile-31 maggio 1981), Roma 1981. Su Biancaneve e i sette nani di Walt Disney: O. De Fornari, op. cit. pp. 44-45. Si veda pure: G. Nader, op. cit., pp. 61-65.

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DISNEY L’AMERICANO: I RACCONTI DELLO ZIO TOM

In alto: Bambi (1942), frame con il protagonista del film. Nella pagina a fianco: Dumbo (1941), locandina del film, regia di Ben Sharpsteen.

Diversamente dalle aspettative di Walt Disney, l’enorme sforzo e il grande impegno profuso in Fantasia non dettero il risultato sperato. Sul lungometraggio piovvero critiche da ogni parte e Disney finì, poi, per scusarsi pubblicamente. In realtà ci sarebbero voluti non meno di trent’anni prima che il mondo, affascinato dalle luci psichedeliche degli anni Settanta e dall’Optical Art, riuscisse a capire che quello era un capolavoro, come il remake voluto da Roy Edward Disney (nipote di Walt) nel 2000 ha, finalmente, adeguatamente sotto-

lineato. Va detto che l’enorme delusione non fu senza conseguenze sulle scelte di Walt Disney il quale, abbandonata l’idea di fare dell’animazione un’arte sublime, autonoma, che potesse rivaleggiare con la musica, la pittura e la poesia, ripiegò su realizzazioni d’impostazione più tradizionale, ma non per questo meno importanti come Dumbo (1941) e Bambi (1942). Nel primo si recuperavano, anzi, alcuni elementi di Fantasia come nella sequenza degli incubi vissuti da un Dumbo involontariamente ubriaco, con elefanti rosa trasformati in una ridda di esseri inquietanti e comici insieme. Bambi, invece, era un progetto del 1937, sospeso momentaneamente per permettere agli animatori d’imparare a restituire le movenze di veri animali e non di caricature di questi. Ispirato al romanzo Bambi, a Life in the Woods, scritto dall’austriaco Felix Salten nel 1923, è un altro dei capolavori di Disney; il primo nel quale non ci sono protagonisti umani. Sebbene molto apprezzato, non fu un successo economico, complice lo scenario di guerra in Europa che aveva chiuso i mercati. Anche se senza responsabilità diretta, l’insuccesso influì sulle nuove scelte della Disney che andarono verso prodotti che avessero 29

Arthur Burdett Frost, Comare Volpe tiene Fratel Coniglietto, seduto su una mola da arrotino, per il fazzoletto da collo, illustrazione per Mister Fox, Il triste destino, in J. Ch. Harris, Uncle Remus, His Songs and His Sayings: The Folk Lore of the Old Plantation, New York 1899.

una precisa connotazione americana, per essere graditi al mercato interno. Nacque così Song of the South, – “La canzone del Sud”, ispirata al romanzo di Joel Chandler Harris, Uncle Remus, His Songs and His Sayings: The Folk-Lore of the Old Plantation, noto in Italia come I racconti dello zio Tom – che, però, uscì solo nel 1946, al termine del secondo conflitto mondiale. Di fatto, qui, Disney rispolverò l’antica tecnica che aveva usato per anni con le Alice Comedies, con la quale faceva recitare insieme attori in carne e ossa e cartoni animati. Adesso, però, con il colore, i mezzi ben più ampi e la tecnologia assai più avanzata (anche se ancora lontana dai livelli che avrebbe raggiunto negli anni a venire), il lungometraggio vinse l’Oscar nel 1948 per la colonna sonora e l’attore protagonista. Anche qui, le scelte degli Studios furono molto accurate. Marc Davis, come d’altra parte, gli altri animatori, non s’ispirarono all’edizione del 1881 illustrata da Frederick S. Church e James H. Moser che avevano concesso assai poco alla componente umana dei protagonisti animali del racconto, sicché Brer Rabbit si atteggia soltanto con i modi degli uomini, 30

sedendosi a un tavolo o dando la zampa, ma in realtà è un animale a tutti gli effetti. Il coniglio Brett di Song of the South, il nostro Fratel Coniglietto, disegnato da Marc Davis, al contrario, mantiene la stazione eretta costantemente, si atteggia come un uomo, gesticola e indossa i pantaloni. Proprio come accade nelle illustrazioni di Frost, realizzate per l’edizione del 1899 dei Racconti dello zio Remo, come sarebbe la traduzione letterale. Qui, Comare Volpe indossa la gonna, ha il suo bravo fazzoletto da contadina sulla testa e non esita a prendere Fratel Coniglietto per il collo della camicia per fargli fare quel che ritiene più opportuno(22). L’altra scelta vincente fu quella degli sfondi. Per l’ambientazione e i paesaggi, Walt Disney ricorse a Mary Robinson Brown, meglio nota come Mary Blair, dal cognome del marito che era il presidente della Watercolor California Society e che lavorava con i principali produttori di Hollywood(23). Artista di talento, Mary Blair, che aveva una solida formazione accademica, visto che aveva frequentato il Chouinard Art Institute di Los Angeles, era stata impiegata con successo da Walt Disney nel lungometraggio dedicato a Pinocchio.

Qui sopra: I racconti dello zio Tom (1946), frame con Comare Volpe e Fratel Coniglietto. La scelta “antropomorfica” degli animali protagonisti dei Racconti dello zio Tom non era affatto scontata perché le prime illustrazioni dell’opera di Harris mostravano figure che mantenevano praticamente inalterata la loro natura ferina.

In Song of the South, l’artista trasfigura i colori accessi della campagna meridionale degli Stati Uniti, stilizzandone le forme e accentuandone l’impatto scenografico, nel quale dovranno agire tanto i cartoni animati, quanto il corpulento James Baskett, lo zio Tom della versione di Walt Disney.

(22) Sull’opera di Harris: W. M. Brasch, Brer Rabbit, Uncle Remus, and the “Cornfield Journalist”: The Tale of Joel Chandler Harris, Macon 2000, in particolare p. 275. L’edizione del 1881 è on line al seguente indirizzo: https:// archive.org/stream/ uncleremus hisson01harr#page/. Su Dumbo e Bambi: G. Nader, op. cit., pp. 70-74. (23) Su Mary Blair: J. Canemaker, The Art and Flair of Mary Blair, New York 2014.

Mary Blaire, bozzetto per I racconti dello zio Tom (1945).

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I GRANDI FILM: DA CENERENTOLA A POCAHONTAS Arthur Rackham, Cenerentola, illustrazione per C. S. Evans (told by), Cinderella (Cenerentola), Filadelfia, Londra 1919. Le versioni di Cenerentola adattate e narrate da Evans furono un successo dell’editoria dei primi decenni del XX secolo anche grazie alle illustrazioni di Arhur Rackham (1867-1939), fra i più grandi illustratori inglesi dell’età vittoriana.

Nella pagina a fianco: Gustave Doré, La prova della scarpetta, illustrazione per Ch. Perrault, Cendrillon (Cenerentola), Parigi 1867. Seguendo un punto di vista decisamente storico, Doré (1832-1883) colloca la scena al tempo di Charles Perrault (1628-1703), l’autore di Cendrillon, ovvero in piena età Luigi XIV.

Il secondo dopoguerra fu caratterizzato dal definitivo trionfo della cultura statunitense (della quale la componente disneyana era parte integrante) che divenne un punto di riferimento nel mondo, per quel che riguardava la musica, la cinematografia (d’animazione e non) e il fumetto. Non è un caso che nel corso della seconda metà del XX secolo, in Italia, il giornale “Topolino”, passato dall’editore Nerbini alla Mondadori venisse trasformato da mensile in quindicinale e poi in settimanale(24). Così, quando nel 1950 nelle sale cinematografiche uscì Cinderella (Cenerentola) si può dire che fosse un successo annunciato, anche se alla Disney tutti sapevano che se non ci

fosse stata adeguata risposta al botteghino, si sarebbe rischiata – per l’ennesima volta – la chiusura. La Walt Disney Production intendeva riprendere il filo del discorso e ricostruire quel rapporto con il pubblico che le precedenti esperienze di Fantasia, Pinocchio e Bambi (troppo crudo e triste per le aspettative dei fan della Disney) avevano appannato. Dal punto di vista dell’argomento, la favola di Charles Perrault era una vecchia conoscenza degli Studios in quanto, già nel 1922, era stata il soggetto di un cortometraggio per la serie delle Laugh-O-Gram che, adesso, pareva particolarmente adatta allo scopo. Prima della versione di Walt Disney, il modello di riferimento per questa favola (come, del resto, per molte altre a cominciare da Cappuccetto Rosso) era Gustave Doré che aveva illustrato l’edizione uscita a Parigi nel 1867 e che aveva ambientato il racconto in un Seicento francese ricco di pizzi e di colletti inamidati col “lattughino”, come mostra la scena della prova della scarpetta. Altre illustrazioni si succedettero nel corso dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento, come quelle di Walter Crane, che 33

Cenerentola (1950), frame con Cenerentola che lava il pavimento. In basso, da sinistra: Beatrix Potter, I topini della sartoria, illustrazione per B. Potter, The Tailor of Gloucester, Londra 1903. Helen Beatrix Potter (1866-1943) fu una delle più importanti scrittrici e illustratrici inglesi di libri per ragazzi. I suoi numerosi libri ispirano il rispetto per la natura e per gli animali, a volte migliori degli uomini. Cenerentola (1950), frame con i topini.

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optò per un neoclassicismo di maniera e le altre di Arthur Rackham che corredò d’immagini la versione narrata e adattata da Cristopher S. Evans, pubblicata nel 1919 a Londra e a Filadelfia(25). Gli animatori Disney scelsero un’età indefinita alla fine del XIX secolo, in una città indefinita che stava fra Londra e Parigi, ma arricchirono la storia di ulteriori elementi narrativi che provenivano direttamente dalla tradizione favolistica inglese. È il caso dei topini che aiutano Cenerentola nel tentativo (del tutto assente nella favola di Perrault) di

realizzare il vestito per il gran ballo. La piccola storia prende spunto dalla novella di Beatrix Potter intitolata The Tailor of Gloucester (Il sarto di Gloucester), illustrata con deliziosi disegni dalla stessa scrittrice. Uscita a Londra nel 1903, la storia racconta di topini che, per gratitudine, aiutano un povero sarto malato a confezionare in tempo il vestito per il sindaco della città(26). I topi della Potter ricordano molto da vicino quelli della Cinderella di Disney e, come quelli, ispirano simpatia e tenerezza. La più bella trovata del film,

A fianco, da sinistra: Arthur Rackham, Alice con il coniglio e il Cappellaio matto, illustrazione per L. Carrol, Alice’s Adventures in Wonderland (Alice nel paese delle meraviglie), Portsmouth 1907. Alice nel paese delle meraviglie (1951), frame con Alice, il coniglio e il Cappellaio matto. In basso, da sinistra: Arthur Rackham, Il Brucaliffo, illustrazione per L. Carrol, Alice’s Adventures in Wonderland (Alice nel paese delle meraviglie), Portsmouth 1907. Alice nel paese delle meraviglie (1951), frame con il Brucaliffo. Eric Larson, che disegnò e animò il Brucaliffo, prese a modello per il personaggio il suo viso. Fu questa una delle prime auto-caricature della storia del cinema animato e fece tendenza nella filmografia disneyana, suggerendo una corrispondenza fra umani e personaggi animati.

però, fu la carrozza ricavata dalla zucca, invenzione geniale di Mary Blair che rinnovò del tutto l’immagine del cocchio, ora distante da quella tradizionale e scontata concepita, per esempio, da John R. Neill, per la Cinderella or the Little Glass Slipper, pubblicata a Chicago nel 1908. Recuperato il favore del pubblico, la Disney si lanciò subito in un’altra impresa il cui soggetto, come questo appena descritto, era ben noto agli Studios visto che, per anni, erano state il loro prodotto di punta. A differenza delle Alice Comedies che si basavano sulla compresenza di attori in carne e ossa e cartoni animati, Alice in Wonderland (che mette insieme entrambi i romanzi di Carroll con protagonista Alice, ossia anche Alice al di là dello specchio) era, invece, un lungometraggio con solo disegni. Della favola di Lewis Carroll, uscì nel 1907 una

ricca edizione pubblicata a Portsmouth negli USA dall’editore Heinemann e illustrata da Arthur Rackham. Il tratto ancora art nouveau del grande disegnatore londinese si allontanava da quello asciutto e spigoloso di Sir John Tenniel che era considerato l’illustratore ufficiale del capolavoro del matematico e romanziere inglese. Fu forse per questo che Rackham ebbe maggior ruolo nel gioco della contaminazione artistica, da cui Eric Larson seppe ricavare uno straordinario Brucaliffo con tanto di babbucce dorate per buona parte delle sue zampette. Alla grande capacità di Ward Kimball, invece, si devono la figura del Cappellaio matto, le scene della tavola e buona parte dei personaggi secondari e folli come il gruppo di “ornitotrombe” che rispecchiano la passione di Kimball per il jazz, trasfigurata dal contagio onirico con

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Qui sopra, da sinistra: Alice nel paese delle meraviglie (1951), frame con una famiglia di ornitotrombe. Queste creature impossibili, mezzo animali e mezzo trombette, ricordano le forme inquietanti dei demoni di Hieronymus Bosch, ma senza l’aspetto diabolico

Qui a fianco: Le avventure di Peter Pan (1953), frame con Peter Pan che entra nella stanza di Wendy. Peter Pan, nella versione Disney, mantiene l’impostazione del personaggio come piccolo elfo selvatico. Anche la scelta della fisionomia fu molto accurata e cadde sul celebre attore bambino, che aveva vinto l’Oscar nel 1950, Robert Cletus Driscoll, meglio noto come Bobby Driscoll. 36

che caratterizza le invenzioni del pittore fiammingo. Basta, infatti, isolare l’ultima sillaba dell’inglese “trumpet” (tromba) per ottenere trombe simpatiche come animali domestici (“pet”). Hieronymus Bosch, Trittico del Giudizio (1482), particolare

del demone con zampogna, Vienna; Akademie der bildenden Künste Wien. In basso, a destra: Francis Donkin Bedford, Peter Pan entra nella stanza di Wendy, illustrazione per J. M. Barrie, Peter Pan e Wendy, Londra, New York 1911.

i mostri musicali di Jheronimus Bosch. D’altra parte, non è difficile scorgere nelle soluzioni adottate anche le tracce dell’intenso, anche se breve, rapporto con Salvador Dalí frequentato da Walt Disney nel 1949, com’è già stato ricordato. Mediata dalla sapienza cromatica di Mary Blair, l’atmosfera di Alice in Wonderland, uscito nelle sale nel 1951, è quella surreale in cui il gusto per il “nonsense” verbale si sposa con quello iconico in personaggi memorabili come lo Stregatto nato, pure lui, dalla matita di Kimball(27). Fu forse questo, il difetto del film, ancora una volta troppo sofisticato per i gusti del pubblico che, tuttavia, subito si riconciliò con la fantasia disneyana due anni più tardi, quando venne proiettato nei cinema Peter Pan. Basato sul celebre romanzo per ragazzi di Sir James Matthew Barrie, intitolato Peter and Wendy, tanto il libro quanto il film raccontano le storie dei piccoli della famiglia Darling, davvero conosciuta da Barrie, che sono coinvolti in un’avventura da sogno a Neverland, l’Isola che Non C’è, dove li guida Peter Pan, umanizzazione fiabesca dello spirito ribelle della condizione di bambini e ragazzi. La versione disneyana della fiaba trae ispirazione dalle illustrazioni di Francis Donkin Bedford che corredarono la prima edizione del 1911, talora seguite da vicino, come nel caso della scena in cui Peter Pan entra

nella stanza di Wendy, mentre in altri casi se ne allontana, come per il personaggio di Captain Hook (il nostro Capitan Uncino), disegnato da Frank Thomas, che si allontana da quella sorta di Capitan Fracassa spettinato disegnato da Bedford(28). Dopo la parentesi “zoocentrica” di Lady and the Tramp (Lilli e il vagabondo) gli Studios ripresero la formula inossidabile della fiaba da reinventare per il sempre più esigente pubblico del XX secolo; fu così la volta di Sleeping Beauty (La bella addormentata nel bosco), proiettato nel 1959 nei cinema. Con sei milioni di dollari d’investimento e quasi dieci anni di lavorazione, fu uno dei lungometraggi più impegnativi della Walt Disney, il cui taglio artistico fu affidato a Eyvind Earle che ora sostituiva Mary Blair. Eyvind, dalla solida preparazione artistica, pittore professionista gratificato, tra l’altro, dall’acquisto di una sua opera da parte del Metropolitan di New York, aveva il gusto per la stilizzazione, come nella sequenza del principe che attraversa la foresta di rovi, vicina alla versione di Rackham nell’edizione della fiaba del 1920, per l’adattamento di Christopher Evans. Del resto, questo processo di semplificazione si percepisce bene nella scena del castello dove la principessa Aurora sta per toccare il fuso. Mentre tutte le illustrazioni, a cominciare da quella di Alexander Zick del 1885 presentano la maga cattiva, Disney concentra l’attenzione solo sulla protagonista e l’oggetto che rifulge di una sinistra luce verde, salvo poi far apparire Malefica, nata dalla matita di Marc Davis(29). Fu questo l’ultimo lungometraggio dedicato alla grande tradizione favolistica europea che aveva fuso insieme le due versioni dei Grimm e di Perrault.

Qui a fianco, da sinistra: Arthur Rackham, Il principe si fa largo fra i rovi stregati, illustrazione per C. S. Evans (told by), The Sleeping Beauty (La bella addormentata nel bosco), Londra 1920. La bella addormentata nel bosco (1959),

A sinistra: Alexander Zick, La strega e la conocchia, illustrazione per Ch. Perrault, Dornröschen (La bella addormentata nel bosco), Berlino 1885. Qui sotto: La bella addormentata nel bosco (1959), frame con Aurora che sta per toccare il fuso.

frame con il principe che si fa largo fra i rovi stregati. Il controluce e i colori grigi dello sfondo conferiscono ulteriore drammaticità alla scena e permettono d’individuare facilmente la posizione del principe e del suo mantello rosso fuoco che con quelle tinte contrasta. 37

Qui a fianco, da sinistra: Arthur Rackham, Sir Galahad tira fuori la spada a Camelot, illustrazione per A. W. Pollard (a cura di), The Romance of King Arthur and His Knights of the Round Table, New York 1920. La spada nella roccia (1963), frame con Semola (futuro re Artù) che estrae la spada dalla roccia.

In basso, da sinistra: Walter Crane, Bella assiste il principe trasformato in bestia, ferito a morte, illustrazione per [Ch. Perrault], Beauty and the Beast (La bella e la bestia), Londra 1875. La bella e la bestia (1991), frame con Bella che piange il principe agonizzante trasformato in bestia. È a Chris Sanders che si devono i disegni preparatori e l’impostazione ferina scelta per il personaggio della Bestia. Glen Keane, invece, ne raffinò gli elementi andando a studiare gli animali, ormai individuati, allo zoo. 38

Le opere successive s’ispirarono ad altri filoni narrativi, a cominciare da The Sword in the Stone (La spada nella roccia, 1963), ispirato al ciclo dei cavalieri della Tavola rotonda e, in parte, alla bella edizione curata da Alfred Pollard con le tavole di uno splendido Rackham. Con gli anni Novanta del secolo scorso, però, la Disney riprese a produrre fiabe, come nel caso di La Sirenetta (The Little Mermaid) di Andersen e a Beauty and the Beast (La Bella e la Bestia) ispirata alla pellicola di Jean Cocteau del 1946, ben lontana dalla versione un po’ ingenua di Walter Crane che aveva fatto della Bestia un enorme cinghiale. Il

personaggio di Disney uscì dalla matita di Glen Keane, uno dei grandi animatori della nuova generazione. Colto e attento, dichiarò di essersi ispirato all’arte rinasci-

mentale italiana e, in particolare al nonfinito di Michelangelo per rappresentare il passaggio dal bestiale all’umano nelle scene finali del lungometraggio. A Keane si devono anche la realizzazione della ricordata Sirenetta, di Aladdin (“Aladino”, 1992) e Pocahontas (1995). Nel primo caso, però, il genio si deve a un gruppo di disegnatori che combinarono vari spunti, dalle bellissime illustrazioni di Dulac alle fisionomie di Tom Cruise e del caricaturista Albert “Al” Hirschfeld. Quella di Pochaontas, invece, è una storia vera che viene presa a metafora dell’aspirazione al felice incontro di due culture diverse e ostili fra loro. Keane si è occupato direttamente dell’eroina indiana e ne ha trasfigurato le fattezze reali in quelle di una statuaria bellezza dei nativi d’America(30).

Qui sopra, da sinistra: Edmund Dulac, Il genio esce dalla lampada e appare ad Aladino, illustrazione per L. Housman, Stories from the Arabian Nights, Londra 1907. Aladdin (1991), frame con il genio che esce dalla lampada e appare ad Aladino. L’invenzione del genio blu della lampada si deve a un gruppo di disegnatori degli Studios che combinarono vari spunti: dalle bellissime illustrazioni di Dulac fino alle fisionomie di Tom Cruise e del caricaturista Albert Hirschfeld detto Al. A destra: Pocahontas (1995), frame con la protagonista.

Ritratto di Pocahontas, da M. Cowden Clarke, World Noted Women, New York (1883).

(24) “Topolino libretto”, comunemente detto “Topolino”, è un periodico rivolto ai ragazzi che accoglie storie a fumetti i cui protagonisti sono i personaggi Disney. Il fascicolo è nato nel 1949 grazie a Mario Gentilini che, da collaboratore della redazione del “Topolino giornale”, diventa direttore del “Topolino libretto”, che soppianterà l’altro diretto da Federico Pedrocchi. Cfr. L. Boschi, in Topolino Story 1949, Milano, p. 180. (25) L’edizione di Evans si presentava come: C. S. Evans (raccontato da), Cinderella, Londra 1919. Sulla Cenerentola Walt Disney: O. De Fornari, op. cit. pp. 56-57. (26) Su Beatrix Potter, fra topolini e coniglietti: J. Taylor, That Naughty Rabbit: Beatrix Potter and Peter Rabbit, Londra 2002. Su Gustave Doré: Ph. Kaenel, op. cit., 165-172. (27) Sull’Alice di Walt Disney: O. De Fornari, op. cit. pp. 57-58. Su John Tenniel: R. K. Engen, Sir John Tenniel: Alice’s White Knight, Brookfield (Vermont) 1991; Eric Larson e Ward Kimball appartengono alla prima generazione di animatori Disney e, in particolare, all’équipe dei cosiddetti “Nine Old Men”. Su questo “magico” gruppo: J. Canemaker, Walt Disney’s Nine Old Men and the Art of Animation, New York 2001. Su Jheronimus Bosch: M. Bussagli, Bosch. Tavole di diverse bizzarrie, Firenze 2016, in particolare p. 227. (28) Su F. D. Bedford: H. L. Mallalieu, The Dictionary of British Watercolour Artists up to 1920, I, New York 1986 p. 36. La prima edizione di Peter Pan: J. M. Barrie, Peter Pan e Wendy, Londra, New York 1911. Su Frank Thomas: J. Canemaker, Walt Disney’s Nine Old Men, cit., p. 84. (29) Su Marc Davis: J. Canemake, op. cit. p. 78. Su Alexander Zick, si veda sub voce, in Allgemeines Künstlerlexikon. Bio-bibliographischer, X, Monaco 2000, p. 737. Su Eyvind Earle è ancora in corso una mostra presso The Walt Disney Family Museum di San Francisco: I. Szasz, M. Labrie (a cura di), Awaking Beauty: The Art of Eyvind Earle, catalogo della mostra (San Francisco, The Walt Disney Family Museum, Diane Disney Miller Exhibition Hall, 18 maggio 2017 - 8 gennaio 2018), New York 2017. (30) Per i film Disney citati: G. Nader, op. cit., pp. 284-293. Su Walter Crane: L. Delaney, Walter Crane. A Revolution in Nursery Picture Books, in “Books for Keeps”, 185, novembre 2010, pp. 4-5. Anche digital edition: http://booksforkeeps.co.uk/ issue/185/childrens-books/articles/other-articles/ walter-crane-a-revolution-in-nursery-picturebooks. Sul lavoro di Glen Keane, il suo stesso libro: G. Keane, The Art of the Disney Princess, New York 2009.

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DISNEY, FRA ARTE E ANATOMIA N

on si pensi che questo breve testo dedicato al rapporto fra la grande arte della Disney e l’anatomia intesa come disciplina artistica per la rappresentazione dell’immagine dell’uomo, oppure di quella antropomorfa dei vari personaggi a cominciare da Topolino, sia frutto dell’interesse cervellotico e maniacale per simili temi di chi ha scritto queste pagine. Al contrario, nell’ambito dell’animazione, lo studio della figura, delle sue proporzioni e del movimento, è materia quotidiana di confronto per tutti gli operatori che progettano, disegnano e animano un personaggio(1). Del resto, se da una parte questo interesse si manifestava fin dal 1929 con il tentativo di rappresentare gli scheletri in movimento nella prima delle Silly Simphony intitolata The Skeleton Dance – con soluzioni d’assoluta avanguardia per

l’epoca –, dall’altra è da sottolineare quale siano state le problematiche a cui si fece via via fronte nel processo di miglioramento della grafica di animazione. In questo senso, Mickey Mouse fu un grande banco di prova. Il personaggio, fin dall’inizio, si presentava al pubblico con un potenziale espressivo ben più vario ed efficace tanto di Oswald quanto, per esempio, di Felix Cat, per restar nello stesso ambito “animalistico”. Lo dimostra bene un fotogramma come quello di Steamboat Willie nel quale Mickey fischietta tutto soddisfatto al timone del vaporetto e gonfia le gote protundendo le labbra.

Qui sotto: Steamboat Willie (1929), frame con Mickey Mouse che fischietta.

Una conformazione anatomica ben precisa, resa in maniera assai efficace grazie alla stilizzazione dei disegnatori(2). L’altro tema da affrontare era quello di migliorare l’aspetto di Mickey Mouse per renderlo più accattivante e simpatico. Quando uscì sugli schermi, si è già detto, aveva un’aria spigolosa. Per questo, nel 1938, a poco meno di dieci anni dal successo iniziale, Fred Moore, uno dei grandi disegnatori Disney, ebbe l’incarico di rimodellarlo; anche se migliorie ne erano state già fatte nel corso del tempo. Fu questa, però, anche l’occasione per sondarne e migliorarne le capacità espressive come dimostrano gli schizzi che ancora si conservano. Moore fece un lavoro egregio rendendo Topolino più morbido e, soprattutto, nelle proporzioni e nella conformazione più simile a un bambino. Si finiva, così, In basso, a sinistra: Disegni preparatori con lo studio degli atteggiamenti di Mickey Mouse e Minnie (1938) a cura degli Studios Disney. Qui sotto: bimba vestita da Minnie.

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per solleticare quell’istintiva disposizione positiva che emerge naturalmente osservando non solo neonati o bimbi, ma pure i piccoli di tutte le specie evolute, perfino di rettili come tartarughe o coccodrilli. È quello che gli etologi come John Bowlby chiamarono “effetto cucciolo”(3). Testa tonda, occhi grandi e naso piccolo rendono il bambino simpatico, mentre corpo morbido e corto, arti brevi e soffici inducono naturalmente tenerezza e senso di protezione in chi guarda, inibendo l’aggressività dell’adulto. Il Mickey Mouse di Fred Moore rispondeva perfettamente a questi canoni. Se poi si avrà la bontà di confrontare il personaggio con un bambino in carne e ossa, o una bambina, se femminuccia, magari vestita da Minnie, si vedrà che l’effetto è del tutto sovrapponibile. Alla sua prima uscita, il nostro eroe sfoggiava zampette che erano solo un po’ più corte di quelle del “cugino” Oswald che, in quanto coniglio, doveva averle ben più sviluppate. Anche le mani erano una sorta di manopola informe e nera – come quella del Gatto Felix – che, all’occorrenza, mostrava le dita. Si trattava di soluzioni rudimentali che ben presto lasciarono il posto a scarpe, ampiamente giustificate dalla presenza dei calzoncini, e a guanti. Fu quella dei guanti che coprivano una mano a quattro dita una soluzione geniale che semplificava e chiarificava il disegno senza mortificare l’espressività della mano(4). Non per nulla fu adottata dalla quasi totalità dei “cartoonists”, oltre che dall’intera banda Disney (paperi esclusi). Nel corso degli anni, affiancando alla produzione di tipi antropomorfi, caricaturali e

stilizzati come potevano essere Goofy o Donald Duck, quella di personaggi completamente umani, come Biancaneve o Alice, l’interesse verso l’anatomia crebbe. Del resto un primo esperimento, non troppo riuscito per la verità, risale già al 1934, quando uscì il cortometraggio Goddess of Spring (“La dea della primavera”). Il film deve considerarsi una sorta di prova generale per Biancaneve e i sette nani, giacché i disegnatori, sulla base degli errori commessi allora, furono mandati a scuola di anatomia artistica per imparare a rendere più naturali i movimenti che risultavano poco soddisfacenti in quel filmato. Mai investimento fu più redditizio: i personaggi della Disney acquisirono una maturità e una profondità che si riverberò perfino sulle scelte di fisionomia. Basterà confrontare il volto della fata Smemorina (la Fairy Godmother della versione originale) di Cenerentola, uscita dalla matita di Milt Kahl, con quello di Malefica nella Bella addormentata, frutto dell’abilità di Marc Davis, per capire quanto fosse profonda la comprensione del linguaggio corporeo: rassicurante, rotondo e morbido il volto della prima; inquietante, triangolare e ossuto quello della seconda(5). Non di rado, però, la scelta della fisionomia dei personaggi si andò sempre più integrando con quella degli attori che avrebbero dato loro la voce. Non sembri questo un vezzo. Si trattava, invece, del tentativo – riuscito – di completare la personalità della figura; soprattutto se questa era un oggetto antropomorfizzato, come nel caso della teiera (Mrs Brick della versione italiana) del film La Bella e la Bestia, che ha il volto di Angela Lansbury che la doppiava nell’edizione originale. Il medesimo metodo ha guidato la costruzione della

fisionomia di Tockins lo svegliarino e Lumière il candelabro, esemplati sui volti di David Ogden Stiers e Jerry Orbach che hanno dato la voce – rispettivamente – allo svegliarino e al candelabro. Non diversamente, nel film Cars motori ruggenti, del 2006, il protagonista Saetta Mc Queen e il suo amico Carl Attrezzi, Cricchetto, nella versione italiana, hanno la fisionomia di Owen Wilson e Larry the Cable Guy che hanno fornito loro la voce. Con l’avvento di quella che si può chiamare, senza tema di smentita, “l’era digitale” del cinema (e non solo), ci si è abbandonati, poi, a forme di sperimentazione del linguaggio anatomico sempre più ardite, come nel caso di Monster & Co. e in Cattivissimo me del 2010, dove personaggi come i “minions” Stuart e Bob hanno messo a dura prova i canoni della correttezza e della simmetria anatomici, ma non quelli della simpatia. 1)La materia è molto ben esposta in uno studio della Scuola di dottorato in architettura e pianificazione dell’Università di Sassari, cui si rimanda: http://eprints.uniss. it/5137/1/Turri_C_Linguaggi_ dell_animazione_strumenti. pdf. 2)Sui muscoli mimici coinvolti nell’espressione di Mickey Mouse, ossia, principalmente, il buccinatore e l’orbicolare della bocca: M. Bussagli, Anatomia Artistica. Manuale completo. Scheletro. Articolazioni. Muscoli, Firenze 2005, pp. 80-85. 3)In proposito: F. C. P. van der Horst, John Bowlby: dalla psicoanalisi all’etologia, Milano 2012. 4)Sulla mano dei “cartoonists”: M. Bussagli, s.v. Fumetto, in Enciclopedia del Corpo, III, Roma 1999, pp. 647-653: p. 651. 5)Su Milt Kahl, considerato il Michelangelo degli animatori, J. Canemaker, Walt Disney’s Nine Old Men, cit., pp. 68-73. Per Goddess of Spring si rimanda al sito di Valerio Paccagnella.

Qui a fianco: La bella addormentata nel bosco (1959), frame con la strega Malefica disegnata da Marc Davis. A sinistra: Cenerentola (1950), frame con la fata Smemorina disegnata da Milt Kahl.

Qui a fianco: La bella e la bestia (1991), frame con Mrs Potts (Mrs Brick nella versione italiana), la teiera, e Chip (Chicco nella versione italiana). A destra: Angela Lansbury, l’attrice che ha ispirato la fisionomia di Mrs Potts nel film La bella e la bestia. Monster & Co. (2001), frame con James P. “Sulley” Sullivan e Mike Wazowski.

Qui sotto: Larry the Cable Guy e Owen Wilson, gli attori che hanno ispirato la fisionomia di Saetta Mc Queen e Carl Attrezzi “Cricchetto” (a sinistra) nel film Cars motori ruggenti dando anche la voce ai rispettivi personaggi.

A destra: Cars motori ruggenti (2006), frame con Carl Attrezzi “Cricchetto”, e Saetta Mc Queen. 41

FRA EFFETTI SPECIALI ED ELETTRONICA: LA PIXAR

In alto: The Three Caballeros (1945), frame con Donald Duck (Paperino) e Josè Carioca. Josè Carioca, il pappagallo verde, nacque per essere l’immagine simbolo del Brasile nei mediometraggi che Walt Disney concepì per illustrare il viaggio di Paperino nel paese più grande dell’America Latina. Scansafatiche, è l’animale tipico del Brasile. Josè (o Zoè, come lo chiamano lì familiarmente) fu disegnato da Ivan Saidenberg, brasiliano anche lui. Nella pagina a fianco: frame da Mary Poppins (1964).

Gli interessi di Walt Disney – già nell’ambito degli anni Quaranta – si dilatarono in tutte le direzioni della galassia cinematografica, per poi espandersi ulteriormente con il mezzo televisivo e, oggi, con quello digitale e la rete. Furono i documentari sulla natura la prima occasione per la Disney di uscire dal seminato dell’animazione, a cominciare da Seal Island, l’isola delle foche, voluto da Walt a seguito di una vacanza in Alaska con la figlia, che vinse l’Oscar come miglior documentario nel 1949 e diede inizio alla serie True-Life Adventures, nota in Italia come La natura e le sue meraviglie(31). Il modello del documentario, infatti, divenne una delle nuove chiavi di lettura anche per rinnovare l’animazione. Memorabili quelli nei quali Pippo spiega in maniera auto-ironica, per esempio, come si debba giocare a golf o a calcio, oppure come ci si debba allenare per sciare da veri cam-

pioni. Non per nulla, Pippo è protagonista dell’episodio El Gaucho Goofy, dove – da par suo – Pippo spiega e insegna i segreti di quell’antico mestiere nel mediometraggio Saludos amigos del 1943. Qui, poi, nell’episodio Aquarela do Brasil (o “Acquerello del Brasile”), che è quello finale, Paperino e Josè Carioca, il pappagallo brasiliano, sono disegnati davanti agli occhi dello spettatore insieme al panorama circostante, e ci conducono alla scoperta delle meraviglie paesaggistiche e culturali di quel paese sudamericano. Soddisfatto dalla risposta del pubblico, forte dell’esperienza dell’Alice Comedies, Walt Disney reinventò l’idea stessa di documentario geografico, unendo insieme personaggi in carne e ossa e cartoni, nel caso del film successivo, ispirato al primo: The Three Caballeros. Qui ai due precedenti personaggi venne aggiunto, come “new-entry”, Panchito, un galletto messicano che usa le pistole come se fossero strumenti musicali(32). Le nuove tecniche di ripresa e l’abilità degli Studios permettevano effetti prima inimmaginabili che Walt Disney utilizzò con risultati straordinari in quell’altro classico della sua produzione che fu Mary Poppins. Tratto dai romanzi per ragazzi della scrittrice australia43

Mary Poppins (1964), frame con Mary Poppins e i pinguini camerieri. In basso, da sinistra: Pomi d’ottone e manici di scopa (1971), frame con il professor Emelius Brown che arbitra la partita di calcio degli animali di Naboombu. Il film fu proiettato nei cinema degli Stati Uniti nell’ottobre del 1971 e un anno più tardi nelle sale italiane. Va notata la capacità degli Studios di mescolare la modernità tecnica del montaggio, l’antica magia della fiaba e le suggestioni culturali come quelle ravvisabili nella scelta grafica dei titoli, realizzati con lo stile del celebre Ricamo di Bayeux. Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988), frame con il detective Eddie Valiant che guida il taxi Benny accompagnato da Roger Rabbit.

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na Pamela Lyndon Travers, il lungometraggio della Disney presenta sequenze di grande suggestione quando la protagonista e Bert, il suo amico spazzacamino, magistralmente interpretati da una mitica Julie Andrews e da Dick van Dyke, entrano nei disegni che lo stesso Bert, improvvisato pittore da strada, aveva colorato sul marciapiede del parco. Questo gusto per l’interazione fra attori veri (“live action”) e cartoni animati si protrarrà anche dopo la scomparsa di Walt Disney, con un progetto che, però, lui stesso aveva impostato: Bedknobs and Broomsticks, uscito in Italia nello stesso 1971 con il titolo Pomi d’ottone e manici di scopa. Sebbene prodotto dopo la scomparsa di Walt Disney, era stato però,

di fatto, da lui immaginato e programmato, sicché pareva perfetto per ribadire il carattere di quella che, al di là di tutto, era un’azienda. A ispirarne le immagini furono i disegni di Joan Kiddell-Monroe, che illustrò la prima edizione del libro da cui fu tratto il film, stampata a Londra nel 1945 da J. M. Dent & Sons Ltd. Il film contiene scene memorabili come quella in cui il professor Emelius Brown arbitra la partita di calcio degli animali di Naboombu, oppure discute non troppo amabilmente con re Leonida, il leone che, come un despota, governa l’isola(33). Gli effetti speciali ebbero un incredibile incremento di qualità con l’avvento dell’elettronica che la Disney impiegò in maniera massiccia e importante in un lungometraggio come Tron (1982) dove la computer grafica ebbe un ruolo unico per quell’epoca. Grazie a questa nuova metodica l’universo virtuale scoperto da Kevin, il protagonista, assunse una nitidezza altrimenti inarrivabile che ricorda,

In senso orario: Tron (1982), frame con Alan Bradley / Tron e Kevin Flynn / CLU. Tron (1982), frame con la gara di due “Light Cycle”. La “Light Cycle” è una creazione di Tim Burton, animatore, disegnatore, scrittore e regista cinematografico, lo stesso che rinnovò l’immagine della Batmobile nel film Batman del 1990. Queste motociclette di luce, come dice il nome, non fanno curve, ma girano ad angolo retto, lasciando dietro di sé, nella finzione, una scia che è un impenetrabile muro di energia. Toy Story (1995), frame con Woody e Buzz Lightyear. Lo sceriffo Woody Pride, letteralmente “Orgoglio legnoso”, come dice il nome, esprime l’anima americana dei pionieri che costruirono gli Stati Uniti e, quindi, la tradizione. Buzz Lightyear, invece, rappresenta il futuro e la tecnologia. Il suo nome, letteralmente “Ronzio di anni luce”, è in realtà un omaggio a Edwin Eugene Aldrin Jr., detto Buzz, uno dei tre uomini dell’equipaggio che per primo mise piede sulla Luna nel luglio 1969. Gli Incredibili (2004), frame con il gruppo familiare dei supereroi, protagonisti del film.

nelle gare fra le due motociclette “Light Cycle”, suggestioni futuriste, collocate, però, entro una grafica che solo Maurits Escher aveva saputo anticipare in quei termini. L’elettronica apriva davvero inimmaginabili possibilità e garantiva una qualità mai raggiunta prima, anche se gli effetti erano già noti agli Studios. Così, l’uscita di un altro capolavoro come Who Framed Roger Rabbit (Chi ha incastrato Roger Rabbit, 1988), fu considerato una vera rivoluzione. Su questa linea, nel 2006, la Disney acquistò la Pixar Animation Studios, fondata nel 1986 da Steve Jobs(34). Gli Studios quindi, ora, potevano produrre capolavori come Toy Story e film di grande effetto visivo come Gli incredibili che – pur nel solco della tradizione di Walt Disney – potevano rinnovare completamente il linguaggio cinematografico.

(31) In proposito: B. Thomas, Walt Disney: An American Original, New York 1976, pp. 213-214. (32) Su Saludos Amigos e The Three Caballeros: D. Adams, Saludos Amigos: Hollywood and FDR’s Good Neighbor Policy, in “Quarterly Review of Film & Video”, 24, 3, 2007, pp. 289-295. (33) Joan Kiddell-Monroe (1908-1972) si dedicò all’illustrazione dei poemi omerici e a fiabe e leggende orientali. Con l’idea di allestire un piano alternativo al progetto di Mary Poppins che incontrava difficoltà nel rapporto con l’autrice del romanzo, Pamela Lyndon Travers, contraria all’idea del musical con attori e cartoni, Walt acquistò i diritti dei romanzi della scrittrice inglese Mary Norton. Non voleva trovarsi impreparato nel caso che la trattativa con la Travers fosse giunta a un punto morto. Le cose, però, andarono al di là di ogni rosea previsione con Mary Poppins e i diritti delle opere della Norton rimasero nel cassetto fino a quando, dopo la scomparsa del suo fondatore, la Disney ebbe necessità di proseguire con un’opera che fosse nel solco di Walt. Cfr.: G. Nader, op. cit., pp. 130-131. (34) Per la vicenda della Pixar e i rapporti con Steve Jobs: G. Nader, op. cit., pp. 207-210. Per Roger Rabbit: O. De Fornari, op. cit., pp. 98 e 120. Il film fu coprodotto dalla Touchstone e dalla Amblin di Steven Spielberg. Sull’arte digitale, si veda poi: B. Wands, Art of the Digital Age, Londra 2006, in particolare per quanto riguarda le animazioni digitali e video: pp. 142-163.

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I PARCHI DI DIVERTIMENTO L

’evento che lo folgorò, nell’idea di costruire un parco di divertimento, fu per Walt la visita alla Republica de los niños (“Repubblica dei bambini”) in Argentina, che era stata inaugurata nel 1951. In realtà, il progetto aleggiava nella testa di Disney già da tempo, visto che pensava a un Mickey Mouse Park dove grandi e piccini potessero divertirsi. La prima bozza risale al

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1948, ma ci mise più di un anno prima di renderla concreta. Anzi, sembrava che stesse perdendo tempo, visto che la sua occupazione principale era quella di farsi trasportare dal trenino in miniatura che attraversava l’immenso giardino della sua casa di Los Angeles. La differenza fra Disneyland, “la terra di Disney”, inaugurata il 17 luglio 1955, e gli altri parchi-giochi era che, qui, si poteva

entrare nel regno della fantasia del suo fondatore e vedere dal vero i beniamini che il pubblico aveva ammirato sugli schermi. Come dire: guardate che non ho raccontato frottole! Cercate Biancaneve? Eccola! Volete Peter Pan? È accanto a voi; non ve ne siete accorti? Così Disneyland si arricchiva di volta in volta dei vari personaggi che facevano il loro ingresso dal mondo della celluloide

a quello concreto delle cose, in un circolo virtuoso che alimentava la fantasia e la serenità di tutti. Quando Walt fondò Disneyland, sperava che divenisse un modello per il mondo e così fu. Quando si pensa al parco di divertimenti per eccellenza, si pensa a quello, con le sue filiazioni più o meno recenti come Disney World e Disney World Resort(*). Per questo è stato imitato da tutti; talvolta con

L’ingresso di Disneyland. «Ero stanco di occuparmi di disegni» (Walt Disney).

grande intelligenza come nel caso del Parc Astérix, inaugurato nel 1989 a qualche chilometro da Parigi, dove gli ammiratori del piccolo Gallo e dei suoi compagni d’avventura possono vederli “dal vero”. Esempi ci sono anche in Italia, sia pure senza tematiche particolari, come Gardaland, vicino a Verona o Vesuviuslandia a Napoli, oppure Rainbow Magic Land, a Valmontone, a ridosso di Roma. Sono

tutte “filiazioni” disneyane, risultato di un’idea precisa di Walt e cioè che i sogni per essere belli davvero, devono essere veri e concreti. Infatti, non c’è nulla di più rassicurante del fatto che esista un posto al mondo dove la felicità sia garantita al modico prezzo del biglietto d’ingresso. (*) Su Disneyland e i parchi Disney: G. Nader, op. cit., pp. 89-114; 132-158.

Dall’alto: una fase del progetto di costruzione di Disneyland, nella periferia di Los Angeles, in California. «È divertente fare l’impossibile» (Walt Disney). Walt Disney a Disneyland nel 1955 circa. «E pensare che tutto è cominciato con un topo!» (Walt Disney).

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QUADRO CRONOLOGICO AVVENIMENTI STORICI E ARTISTICI Theodore Roosevelt viene eletto presidente degli Stati Uniti. Prima trasmissione radio transoceanica di Gugliemo Marconi. Muore Giuseppe Verdi. Nasce Ubbe Ert Iwerks, collaboratore di Disney.

1901

A Dresda nasce Die Brücke; a Parigi si forma il gruppo dei Fauves. Picasso inaugura il Periodo rosa.

1905

Terremoto di San Francisco. Theodore Roosevelt premio Nobel per la pace.

1906

Picasso dipinge Les demoiselles d’Avignon, manifesto del cubismo.

1907

Inizia la Rivoluzione messicana. Adolf Loos costruisce Casa Steiner a Losanna. Henri Matisse dipinge La Danse. Primo acquerello astratto di Kandinskij.

1910

Ingresso degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale (1914-1918). Inizio della Rivoluzione russa.

1917

Si diploma alla Chicago Academy of Fine Arts.

23 marzo. Benito Mussolini fonda a Milano i Fasci di combattimento. Pace di Versailles e trattato con le condizioni per la Germania sconfitta.

1919

È in Francia come ausiliario della Croce rossa.

AVVENIMENTI STORICI E ARTISTICI

Elias Disney acquista un terreno a Marceline in Missouri, vi costruisce una fattoria e vi si trasferisce con la famiglia.

VITA DI WALT DISNEY 1928

Nasce Walt Elias, quarto di cinque fratelli, da Flora Call ed Elias Disney.

Crolla la Borsa di New York. Quel giorno passa alla storia come “Black Tuesday” (martedì nero), oppure “Big Crash” (grande crollo). Ha inizio la Grande depressione economica mondiale.

La famiglia Disney si trasferisce a Kansas City.

Conosce Ubbe Ert Iwerks, detto Ub, e fonda con lui la IwerksDisney Commercial Artists.

Iosif Vissarionovicˇ Džugašvili, detto Stalin, è nominato segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Benito Mussolini marcia su Roma e inizia in Italia il Ventennio fascista.Primo congresso a Mosca dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).

1922

Fonda, al secondo piano del McConahay Building di Kansas City, la Laugh-O-Gram Films. In questo stesso anno inizia la produzione di cortometraggi come Cappuccetto rosso e Cenerentola.

Felix Salten scrive il romanzo Bambi, a Life in the Woods da cui sarà tratto il cartone animato di Disney.

1923

La Laugh-O-Gram Films produce Alice’s Wonderland con attori e cartoni. È il suo ultimo film. La società fallisce per debiti. Walt si trasferisce a Hollywood per consigliarsi col fratello Roy. 16 ottobre. Nascono i Disney Brothers Studios, con sei dollari di capitale sociale.

1924

Inizia la fortunata serie delle Alice Comedies, cortometraggi con attori bambini e cartoni animati che durerà fino al 1927.

1927

Nasce Oswald the Lucky Rabbit, “Osvaldo il coniglio fortunato”, che ebbe subito successo e mise gli Studios nelle condizioni di competere con gli altri protagonisti del disegno animato, come Felix the Cat.

Debutta sullo schermo al Colony Theatre di New York il primo cortometraggio Steamboat Willie che ha come protagonista Mickey Mouse. Il nuovo personaggio degli Studios, pensato da Walt Disney e disegnato da Ub Iwerks, sostituì Oswald, non più utilizzabile per questioni legali dovute allo sfruttamento dei diritti.

1929

1930

1920

Muore Vladimir Il’icˇ Ul’janov, detto Lenin.

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VITA DI WALT DISNEY

Ub Iwerks lascia i Disney Brothers Studios e fonda gli Iwerks Studios.

S’insedia il presidente eletto degli Stati Uniti d’America Frank Delano Roosevelt che dà avvio a un vasto e radicale programma di riforme economiche e sociali noto come “New Deal”, ossia un “nuovo patto” per il rilancio degli States che ebbe benefici effetti e fu perseguito fino al 1937. Fine del Proibizionismo in America.

1933

Il cancelliere Adolf Hitler si attribuisce il titolo di Führer a seguito della morte di Paul von Hindenburg, presidente del Reich.

1934

Frank Delano Roosevelt vince nuovamente le elezioni. Edoardo VIII succede a Giorgio V sul trono d’Inghilterra. Vittorio Emanuele III assume il titolo di imperatore d’Etiopia. Ha inizio la guerra civile spagnola. S’inaugurano le Olimpiadi di Berlino. Edoardo VIII abdica e gli succede il fratello Giorgio VI. In Italia viene messa in vendita la 500 FIAT, detta “Topolino”. L’architetto americano Frank Lloyd Wright inizia a costruire Casa Kaufmann, meglio nota come la Casa sulla cascata, a Bear Run. Salvador Dalí realizza La Venere a cassetti.

1936

L’impero giapponese attacca la Cina. Picasso dipinge Guernica, ispirato a un drammatico episodio della guerra civile spagnola.

1937

Anteprima di Snow White and the Seven Dwarfs (Biancaneve e i sette nani) al Carthay Circle Theatre di Hollywood.

Conferenza di Monaco. Vi partecipano Hitler (Germania), Mussolini (Italia), Chamberalin (Gran Bretagna) e Daladier (Francia). Sul primo numero della rivista “Action Comics” appare la storia d’esordio del personaggio a fumetti Superman.

1938

Muore la madre di Walt, vittima di una fuga di gas nella propria casa di Hollywood. Esce in Italia Biancaneve e i sette nani.

Fa la sua prima apparizione Donald Duck, il nostro Paperino, protagonista del cortometraggio a colori intitolato The Wise Little Hen (“La gallinella saggia”), riduzione filmata della fiaba russa La gallinella rossa.

AVVENIMENTI STORICI E ARTISTICI

VITA DI WALT DISNEY

Muore Pio XI. Il 2 marzo è eletto papa Pacelli, Pio XII. Hitler occupa la Cecoslovacchia: è l’inizio della seconda guerra mondiale. Compare sulle pagine del n. 27 di “Detective Comics”, Batman, il personaggio inventato da Bob Kane. Ultima apparizione di un disegno animato di Betty Boop.

1939

Frank Delano Roosevelt vince nuovamente le elezioni. Chamberlain si dimette e diventa primo ministro inglese Winston Churchill. Benito Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia.

1940

Iniziano le deportazioni ebraiche nei campi di sterminio. Offensiva tedesca su Mosca. L’aviazione giapponese attacca la base statunitense di Pearl Harbor determinando l’ingresso in guerra degli Stati Uniti.

1941

Inizia la deportazione ebraica dal Ghetto di Varsavia.

1942

Prima a New York di Bambi.

Resa delle truppe naziste a Stalingrado. Arresto di Mussolini. In Italia, con il maresciallo Badoglio, firma dell’armistizio con gli Alleati e inizio della guerra civile. Mussolini viene liberato dai tedeschi.

1943

Tra quest’anno e il 1945 la Walt Disney Production è impegnata produrre cortometraggi di propaganda per le forze armate, attività che però generò un debito di cinque milioni di dollari a totale carico degli Studios.

Frank Delano Roosevelt vince nuovamente le elezioni.

1944

Churchill, Stalin e Roosevelt a Jalta disegnano i nuovi confini del mondo. S’insedia il trentatreesimo presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman. Nasce l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Fucilazione di Mussolini. Suicidio di Hitler. La Germania nazista firma la resa. Gli Stati Uniti sganciano la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Il Giappone firma la resa. Fine della seconda guerra mondiale. Lo scultore inglese Henry Moore realizza in bronzo Gruppo di famiglia.

1945

Gli Stati Uniti iniziano a sviluppare la tecnologia della bomba atomica all’idrogeno, nota come “bomba H”. Nasce l’Op art, ossia l’Optical Art, ovvero quella corrente astratta che usa colori e linee per rendere effetti ottici al limite dello scherzo percettivo.

AVVENIMENTI STORICI E ARTISTICI 1951

Esce in contemporanea a Londra e a New York Alice in Wonderland (Alice nel paese delle meraviglie, uscito in Italia il 6 dicembre).

S’insedia il presidente degli Stati Uniti d’America Dwight D. Eisenhower. L’architetto francese Le Corbusier lavora al palazzo del Parlamento a Chandigarh, in India.

1953

Prima a New York di Peter Pan (Le avventure di Peter Pan, uscito in Italia il 16 dicembre). Si tratta dell’ultimo film distribuito dalla RKO, prima che venisse fondata una propria casa di distribuzione. Walt e Roy fondano la Buena Vista Film Distribution Company.

La Repubblica Federale Tedesca entra nella NATO, l’organizzazione del Patto atlantico. Robert Rauschenberg realizza il celebre Bed, un letto sporco di colore. Jasper Johns completa a encausto la sua famosa Flag che rappresenta la bandiera americana.

1955

Prima a Chicago di Lady and the Tramp (Lilly e il vagabondo, uscito in Italia il 15 dicembre). Inaugurazione di Disneyland. Va in onda in televisione la prima trasmissione della serie The Mickey Mouse Club.

1959

Esce nelle sale americane Beauty Sleeping (La bella addormentata nel bosco, uscito in Italia il 1° dicembre), a fronte di un investimento di cinque milioni e trecentomila dollari.

1961

Esce One Hundred and One Dalmatians nei cinema americani (La carica dei 101, uscito in Italia il 30 novembre) a fronte di un investimento di quattro milioni di dollari.

1962

Va in onda in bianco e nero la versione italiana di The Mickey Mouse Club nota come Il club di Topolino.

Viene assassinato il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. S’insedia il vice-presidente Lyndon B. Johnson. Diffusione del movimento statunitense della Pop Art (Warhol, suo esponente di punta, fonda ora la sua Factory). Primo esempio di Video Art a opera di Nam June Paik.

1963

Viene proiettato nelle sale americane The Sword in the Stone (La spada nella roccia), a fronte di un investimento di tre milioni di dollari.

L’agenzia spaziale americana (NASA) lancia il primo satellite geostazionario per telecomunicazioni. Rauschenberg trionfa alla Biennale di Venezia.

1964

Esce nei cinema statunitensi Mary Poppins. Il costo del film fu di quattro milioni e quattrocentomila dollari. Esce nelle sale italiane La spada nella roccia.

Primi bombardamenti americani sul Vietnam del Nord.

1965

Mary Poppins vince sei premi Oscar. Il 2 ottobre il film esce in Italia.

Prima foto della terra da una sonda in orbita lunare.

1966

Walt Disney muore all’età di 65 anni e dieci giorni.

Guerra dei sei giorni tra Israele e gli stati di Egitto, Siria e Giordania.

1967

Prima a New York di Jungle Book (Il libro della giungla), ispirato al romanzo per ragazzi di Rudyard Kipling. Fu l’ultimo film seguito direttamente da Walt Disney che morì durante la produzione.

Snow White and the Seven Dwarfs vince l’Oscar.

A New York la prima di Pinocchio, il film di animazione tratto dal capolavoro di Collodi. Debutto di Fantasia in un numero limitato di sale che aderivano al programma Fantasound, ossia che adottavano un protocollo da sala da concerto. Per ripianare i debiti con le banche di oltre quattro milioni di dollari nasce la Walt Disney Production come società per azioni. Un assetto finanziario mantenuto fino a oggi. Ub Iwerks torna a lavorare presso gli Studi Disney.

VITA DI WALT DISNEY

Fantasia esce nelle sale italiane. Prima a New York di Dumbo.

1948

Esce in Italia Bambi.

1949

Salvador Dalí e Walt Disney progettano un film insieme che non vedrà mai la luce.

1950

Prima a New York di Cinderella (Cenerentola, uscito in Italia l’8 dicembre).

È eletto presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. Yuri Gagarin è il primo uomo lanciato nello spazio. Costruzione del Muro di Berlino. Roy Lichtenstein esegue le sue prime tele imperniate sulle immagini dei fumetti.

1967-2017 In questi cinquant’anni, la Walt Disney Production è riuscita ad aggiornare, senza tradire, la lezione di Walt e la sua straordinaria capacità creativa.

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BIBLIOGRAFIA Corredare il testo di una bibliografia completa su Walt Disney è un’impresa impossibile, oltre che inadatta a questa sede. Ci si limiterà, perciò, a riportare i testi principali e quelli che si sono consultati. Non saranno presenti i titoli delle opere, pure consultate, e citate in nota, che non siano di stretto argomento disneyano. Una bibliografia ragionata che prende in considerazione i primi testi, dagli anni Trenta fino al 1995, sta in O. De Fornari, Walt Disney, Perugia 1995. A questa si rimanda per una disamina approfondita che contempla anche le varie posizioni critiche non sempre positive. Tuttavia, fra le pubblicazioni stampate prima del 1995, non si possono non citare alcuni testi, a cominciare da R. Field, The Art of Walt Disney, New York 1942, che è la prima monografia sulle creazioni del genio statunitense. Uno dei primi libri usciti in italiano, invece, è P. Zanotto, L’impero di Walt Disney, Padova 1966. Non si può, poi, dimenticare la biografia scritta da B. Thomas, Walt Disney: An American Original, New York 1976, più volte ristampata, che si era avvantaggiata della collaborazione della famiglia e dei documenti da questa resi noti. Il libro ha avuto un’edizione italiana: B. Thomas, Walt Disney, Milano 1980. Per quanto riguarda l’apporto italiano alla creatività Disney, che meriterebbe un capitolo a sé stante, si rammenta, a titolo esemplificativo: L. Boschi, L. Gori, A. Sani, Romano Scarpa - Un cartoonist italiano tra animazione e fumetti, Bologna 1988. Per quanto riguarda i singoli personaggi, un testo di riferimento può essere: J. Grant, Encyclopedia of Walt Disney’s Animated Characters, New York 1993, aggiornato nelle edizioni successive. Una menzione particolare va riservata a M. Eliot, Walt Disney. Hollywood’s Dark Prince, New York 1993, la cui ricerca è poi stata tradotta in italiano l’anno successivo e recentemente ristampata nel 2004 (Walt Disney. Il principe nero di Hollywood, Milano 1994). Il testo, attraverso una meticolosa ricerca documentale, presenta aspetti della biografia di Walt Disney che rivelano debolezze e fragilità mutate, grazie al suo genio, in altrettante opportunità creative, di profonda umanità. Dopo il 1995, si possono ricordare le seguenti opere: O. De Fornari, Walt Disney, Perugia 1995; S. Dave, Disney A to Z: the Official Encyclopedia, New York 1996; P. Ferraiuolo, Disney and the Bible, Camp Hill 1996; S. Watts, The Magic Kingdom: Walt Disney and the American Way of Life, New York 1997; P. Brandon, Making the Millennium: the Celebration of a Lifetime at The Walt Disney World Resort, New York 1999; M. Bussagli, s.v. Fumetto, in Enciclopedia del Corpo, III, Roma 1999, pp. 647-653; T. Connellan, Inside the Magic Kingdom: Seven Keys to Disney’s Success, University of Michigan, Ann Arbor 1999; A. B. Green, H. E. Green, Remembering Walt: Favorite Memories of Walt Disney, New York

REFERENZE FOTOGRAFICHE Tutte le immagini appartengono all’Archivio Giunti a eccezione di: p. 3 (cortesia Disney Italia); p. 4 (© Alfred Eisenstaedt/The LIFE Picture Collection/Getty Images); p. 5 (© The Morgan Library & Museum/NY/Scala, Firenze); p. 6 (© Gary Burke/Getty Images); p. 7 (© Brian Lawrence/Getty Images); p. 8 (© Bettmann Archive/Getty Images); p. 9 (© Eddie Brady/Getty Images); seconda di copertina, pp. 11-12, 17b, 20b, 28, 29 (© WALT DISNEY PICTURES/Album/Contrasto);

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pp. 13, 38c (© Keystone Pictures USA/MONDADORI PORTFOLIO); p. 18 (© WALT DISNEY PRODUCTIONS/ OLYCOM); pp. 20c, 22b, 23c, 35b, 36d, 37b, 41c, 41f (© Walt Disney Co./ Cortesia Everett Collection/ CONTRASTO); copertina, pp. 21b, 26a, 31a, 34ab, 35c, 38b, 41ab, 41d, 42, 44ac, 45ab (© Everett Collection/ CONTRASTO); p. 36c (The Granger Collection, New York/Archivi Alinari, Firenze); p. 26b (© DEA/G. DAGLI ORTI/DeAgostini/ Getty Images); pp. 26a, 37c (© COLLECTION CHRISTOPHEL/MONDADORI PORTFOLIO); pp. 39b, 41e,

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