I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri 883391870X, 9788833918709

Come descrivere la capacità umana di leggere nella mente degli altri individui, comprendendo in modo immediato i loro pe

587 119 8MB

Italian Pages 260 Year 2008

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri
 883391870X, 9788833918709

Citation preview

Marco Iacoboni

I neuroni specchio Come capiamo ciò che fanno gli altri

1>',

Bollati Boringhieri

Prima edizione 2008

Ristampa settembre 2008

© 2008 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati Stampato in Italia dalla Litografia EST di Venaria Reale (To) ISBN 978-88-339-1870-9 Titolo originale Mirroring People. The New Science o/ How We Connect with Others Farrar, Straus & Giroux, New York 2008 © 2008 Marco Iacoboni Traduzione di Giuliana Olivero Schema grafico della copertina di Pietro Palladino e Giulio Palmieri In copertina, Kissing the War Goodbye in Times Square del Lt. Victor Jorgensen, 1945 © Corbis www .bollatiboringhieri.it

Indice

Ringraziamenti

7

I neuroni specchio II

1.

Se la scimmia scimmiotta Neuro: un prefisso in espansione, 11 2. Sorprese del cervello, 3. I «favolosi quattro», 18 4. Specchi nel cervello, 26 5. So quel che fai, 31 6. So quel che pensi, 33 7. Posso udire quel che fai, 36 8. I neuroni specchio e l'uso di utensili, 39 9. So che mi stai imitando, 43 1.

15

47

2.

Fa quel che Simon dice I. Cellule che copiano, 47 2. Corpi in risonanza, 55 3. Fa quel che dico, non quel che faccio, 60 4. Harry Potter e il professor Piton, 66 5. «Fare presa» sulla mente degli altri, 70

74

3. Afferrare il senso delle parole 1. Vedi quel che dico?, 74 2. Dalla mano alla bocca, 78 3. Blackout nel cervello, 82 4. Il calore del corpo, 85 5. Chiacchiere, 87 6. Rispecchiamento del parlato e di altri suoni, 92

96

4. Guardami, senti cosa provo La testata di Zidane, 96 2. Esseri umani o camaleonti?, 98 Specchi empatici, 103 4. Provo il tuo dolore, 108 5. Empatia materna, 112 1.

3.

6 u5

INDICE

5. Di fronte a noi stessi 1. Sei tu o sono io?, 115 2. Il test di riconoscimento allo specchio, 119 3. Un altro me stesso, 124 4. Momentanee interruzioni del sé, 130 5. Due facce della stessa medaglia, 135

r37

6. Specchi in frantumi r. Piccoli specchi crescono, 13 7 2. Il cervello adolescente, 141 3. Imitazione e autismo, 146 4. L'ipotesi della disfunzione dei neuroni specchio nell'autismo, 150 5. Quando gli specchi si rompono, 151 6. Come riparare gli specchi rotti, 153

r59

7. Super specchi ed elettrodi nel cervello 1. PET, emicrania e onde scure, 159 2. Nelle profondità del cervello umano, 166 3. Il neurone Jennifer Aniston, 169 4. Alla ricerca dei neuroni specchio super, 172

r76

8. Il brutto e il cattivo: violenza e abuso di sostanze 1. Il cattivo: la controversia sulla violenza mostrata dai media, 176 Siamo agenti autonomi? Neuroni specchio e libero arbitrio, 181 '· Il brutto: dipendenza e ricadute, 184

2.

r89

9. Neuroni specchio e marketing r. Neuroshopping, 189 2. Una notte e via: la «scienza istantanea» e il Super Bowl, 196 3. Spot rispecchiati, 201 4. Gli effetti della pubblicità negativa, 206

2w

IO.

Neuropolitica r. Teorie delle attitudini politiche, 210 2. Rispecchiamento nel cervello di chi va matto per la politica, 213 3. Cervello e socialità, 218

222

1 r.

Neuroscienze esistenziali e società 1. Neuroni specchio tra di noi, 222 2. Il problema dell'intersoggettività, 225 3. Un nuovo esistenzialismo, 227 4. Neuroscienze e società, 229

233

Bibliografia

253

Indice analitico

Ringraziamenti

Non avrei potuto scrivere questo libro senza l'aiuto, le sollecitazioni e l'appoggio di molti amici e colleghi. Il mio primo e più sentito ringraziamento va aJohn Brockman per l'incoraggiamento costante. Sono riconoscente anche a Katinka Matson, a Mike Bryan e al mio editor, Eric Chinski, per avere contribuito in modo importante a dare forma al testo. Sono stati in molti ad aver letto singoli capitoli delle varie stesure del testo. Sono grato a George Lakoff, Sam Harris, Annaka Harris, Frank Vincenzi, Sally Rogers, Kelsey Laird, Amy Coplan, Lisa Aziz-Zadeh, Elizabeth Reynolds, Julian Keenan, Alan Fiske, John Mazziotta, Giacomo Rizzolatti e Vittorio Gallese per le loro osservazioni, i suggerimenti, le domande. Il libro si basa sulla ricerca svolta nel mio laboratorio negli ultimi dieci anni, ricerca che è stata possibile grazie alla dedizione e all'entusiasmo di colleghi e allievi. Sono debitore in primo luogo nei confronti di Giacomo Rizzolatti e Vittorio Gallese, amici e colleghi eccezionali che hanno preso parte a esperimenti essenziali eseguiti nel mio laboratorio. Anche John Mazziotta, Roger Woods, Harold Bekkering, Marcel Brass, Andreas Wohlschlager, Eran Zaidel, Gian Luigi Lenzi, Patricia Greenfield e Itzhak Fried hanno partecipato a esperimenti cruciali sul sistema umano dei neuroni specchio. Nel suo laboratorio, Mirella Dapretto, mia moglie nonché mia collega, ha condotto una ricerca pionieristica sulle disfunzioni dei neuroni specchio nell'autismo, ricerca alla quale ho avuto la grande opportunità di prendere parte.

8

RINGRAZIAMENTI

Intendo sottolineare i meriti dei miei allievi, che hanno arricchito le mie ricerche in tanti modi diversi. Guidarli e condurre esperimenti insieme a loro è stato illuminante e piacevole: Lisa Koski, Marie-Charlotte Dubeau, Lisa Aziz-Zadeh, Jonas Kaplan, Lucina Uddin, Istvan Molnar-Szakacs, Stephen Wilson, Mare Heiser, Darren Schreiber, lngo Meister, Choi Deblieck, Allan Wu e Roy Mukamel sono stati coinvolti in esperimenti e discussioni infinite sul modo in cui i neuroni specchio modellano il nostro comportamento sociale. Dimostrando capacità direttiva e lungimiranza, J ohn Mazziotta ha creato un'eccezionale struttura per la ricerca, l'Ahmanson-Lovelace Brain Mapping Center, dove è situato il mio laboratorio. Sono grato a John e al centro, e mi ritengo fortunato per poter svolgere la mia ricerca in una struttura di cosl alto profilo mondiale. Ringrazio lo UCLA Semel Institute for Neuroscience and Human Behavior e il FPR-UCLA Center for Culture, Brain, and Development per essere contesti ricchissimi di stimoli, dove tanto spesso ho discusso il ruolo dei neuroni specchio nel comportamento umano. Negli ultimi dieci anni ho tenuto seminari sui neuroni specchio in tutto il mondo. Ringrazio tutte le persone che sono venute a sentirmi, che mi hanno posto domande ed espresso i loro commenti. Costoro hanno contribuito a dare forma agli argomenti che ho trattato nel libro, e a tutti loro va la mia profonda riconoscenza.

I neuroni specchio

;!

A mia moglie Mirella e alla nostra Caterina, ai miei genitori Rita e Antonio.

I.

Se la scimmia scimmiotta

1.

Neuro: un prefisso in espansione

Se ci riflettiamo a fondo, cos'è che facciamo per tutto il giorno noi esseri umani? Interpretiamo il mondo, e soprattutto le persone che ci troviamo di fronte. La mia faccia allo specchio, prima immagine Jd mal lino, 11011 è granché, ma quella che si riflette accanto alla mia mi dice che mia moglie si è alzata con il piede giusto. Un'occhiata a mia figlia, undicenne, seduta a fare colazione, mi consiglia di muovermi con cautela e di sorseggiare il mio caffè in silenzio. Quando un collega entra in laboratorio in cerca di una chiave inglese, so che ha intenzione di lavorare alla macchina della stimolazione magnetica, e non di scagliare con rabbia l'attrezzo contro il muro. Se arriva una collega con il viso piegato in una smorfia o in un sorrisetto (la differenza può essere davvero sottile, prodotto di minime variazioni nel modo in cui contraiamo i muscoli facciali) sono automaticamente e quasi all'istante in grado di discernere di quale delle due espressioni si tratti. Tutti noi compiamo ogni giorno decine, centinaia di simili distinzioni. E lo facciamo senza nemmeno pensarci, ci sembra del tutto normale. Invece è davvero straordinario, cosl come è straordinario che appaia tanto normale! Per secoli i filosofi si sono scervellati sulla capacità umana di capirsi reciprocamente. Uno sconcerto più che comprensibile, il loro, non avendo di fatto dati scientifici a disposizione. Negli ultimi centocinquanta anni, psicologi, scienziati cognitivi e neuroscienziati ne hanno avuti abbastanza, di dati scientifici su cui lavorare (e negli ultimi cinquant'anni, moltissimi), eppure

12

CAPITOLO PRIMO

per lungo tempo ancora hanno continuato a scervellarsi. Nessuno era in grado di fornire delle spiegazioni soddisfacenti su cos'è che ci permette di capire quello che gli altri fanno, pensano e provano. Oggi siamo in grado di fornirle, queste spiegazioni: la nostra capacità penetrante di capire gli altri è dovuta a cellule cerebrali chiamate neuroni specchio. Queste sono le cellule che creano i piccoli miracoli della nostra quotidianità, che sono alla base del modo in cui governiamo le nostre vite, che ci legano gli uni agli altri, sul piano mentale e su quello emotivo. Perché, durante le scene deliberatamente strappalacrime di certi film cediamo all'emozione? Perché nel nostro cervello i neuroni specchio ricreano per noi il dolore che vediamo sullo schermo. Entriamo in empatia con i personaggi immaginari, sappiamo ciò che stanno provando, perché noi stessi sperimentiamo quelle identiche sensazioni. E quando vediamo le star del cinema baciarsi? Alcune delle cellule che si attivano in quel momento nel nostro cervello sono le stesse che si attivano quando siamo noi a baciare qualcuno d1e amiarno. Il termine «vicario» non è abbastanza efficace per descrivere l'effetto di questi neuroni specchio. Quando vediamo qualcun altro che soffre o sente dolore, i neuroni specchio ci aiutano a leggere la sua espressione facciale e a farci provare la sofferenza o il dolore di quell'altra persona. Simili momenti, come argomenterò nel libro, sono la base fondante dell'empatia, e probabilmente anche del senso morale, un senso morale profondamente radicato nella nostra biologia. Se vi capita di guardare lo sport in televisione, dovete aver notato le numerose «inquadrature di reazione» riprese fra il pubblico: tifosi congelati nell'attesa, tifosi in pred~ all'entusiasmo durante il gioco, e così via. Inquadrature di questo tipo costituiscono un caso di televisione efficace, perché i nostri neuroni specchio fanno sì che, nell'assistere a queste emozioni, noi le condividiamo. Osservare gli atleti compiere la loro performance equivale a compierla noi stessi. I neuroni specchio che si attivano quando vediamo un giocatore prendere la palla si attivano anche quando siamo noi stessi a prendere una palla. È come se, guardando, stessimo anche noi giocando la partita. Comprendiamo le azioni dei giocatori perché nel nostro cervello abbiamo un modello di quell'azione, un modello basato sui nostri stessi movimenti. Poiché azioni diverse hanno in comune caratteristiche di movimento ana-

SE LA SCIMMIA SCIMMIOTTA

13

loghe e attivano muscoli simili, non dobbiamo necessariamente essere dei giocatori esperti per «rispecchiare» gli atleti nel nostro cervello. I neuroni specchio di un tifoso non tennista si attiveranno mentre guarda un colpo di rovescio perché nella sua vita anche il non tennista ha sicuramente fatto con il proprio braccio altri tipi di movimenti analoghi a quelli del rovescio; i neuroni equivalenti di un tifoso che gioca anche, come posso ad esempio essere io, ovviamente risponderanno con una forza molto maggiore. E se è Roger Federer che sto guardando, scommetto che i miei neuroni scaricano in modo ancora più intenso, essendo io un suo grande tifoso. Senza dubbio i neuroni specchio forniscono, per la prima volta nella storia, una spiegazione neurofisiologica plausibile per forme complesse di cognizione e di interazione sociale. Nell'aiutarci a riconoscere le azioni delle altre persone, i neuroni specchio ci aiutano anche a riconoscere e comprendere le ragioni più profonde che stanno dietro a quelle stesse azioni, le intenzioni degli altri individui. Lo studio empirico dell'intenzione è sempre stato considerato pressoché impossibile, in quanto le intenzioni erano ritenute troppo «mentali» per essere studiate con strumenti empirici. In che modo, poi, sappiamo che gli altri hanno degli stati mentali simili ai nostri? Per secoli i filosofi si sono arrovellati sul cosiddetto «problema delle altre menti», compiendo scarsi progressi. Ora hanno a loro disposizione dei dati scientifici reali su cui lavorare. La ricerca sui neuroni specchio offre loro, e a chiunque sia interessato a come ci si capisce reciprocamente, un considerevole alimento per la riflessione. Pensiamo ali' esperimento della tazza da tè che ho messo a punto alcuni anni addietro, e che discuterò nel dettaglio più oltre. Ai soggetti del test vengono mostrati tre videoclip relativi alla stessa semplice azione: una mano che prende una tazza. In un video, non vi è alcun contesto intorno all'azione, solo la mano e la tazza. In un altro, i soggetti vedono una tavola in disordine, con briciole di biscotti e tovaglioli usati: chiaramente ciò che resta dopo aver preso un tè e gustato dei dolci. Il terzo video mostra il piano di una tavola apparecchiata con cura, evidentemente pronta per il tè. In tutti e tre i video entra in scena una mano che prende la tazza. Non accade nient'altro, perciò l'atto di afferrare la tazza osservato dai

CAPITOLO PRIMO

soggetti nell'esperimento è esattamente identico. La sola differenza è data dal contesto. I neuroni specchio del cervello dei nostri soggetti rilevano la diversità dei contesti? Sl. Quando il soggetto osserva la mano che prende la tazza senza nulla intorno, i neuroni specchio sono meno attivi. Lo sono maggiormente quando il soggetto guarda entrambe le altre due scene, e particolarmente più attivi di fronte alla tavola apparecchiata. Perché? Perché bere il tè è per noi un'intenzione molto più pregnante di quanto lo sia sparecchiare una tavola. L'esperimento della tazza da tè è oggi molto conosciuto nell'ambito delle neuroscienze, ma non costituisce un risultato isolato: solide prove empiriche indicano che il nostro cervello è in grado di rispecchiare gli aspetti più profondi della mente degli altri (e l'intenzione è certamente uno di tali aspetti) al sottile livello di una singola cellula cerebrale. Ciò è oltremodo notevole, e altrettanto notevole è la spontaneità di questa simulazione: non abbiamo bisogno di trarre inferenze complesse né di elaborare complicati algoritmi. Semplicemente, usiamo i neuroni specchio. Guardando alla questione da un altro punto di vista, i laboratori di tutto il mondo vanno accumulando prove empiriche del fatto che certi deficit sociali, come quelli associati ali' autismo, possono essere dovuti a una disfunzione primaria dei neuroni specchio. In questo libro ipotizzo che i neuroni specchio possano anche essere molto importanti nella violenza imitativa indotta da quella presentata dai media, e alcune evidenze preliminari lasciano credere che i neuroni specchio siano significativi in varie forme di identificazione sociale, tra cui l'appartenenza a un partito politico. Avete già sentito parlare di neuroetica, neuromarketing, neuropolitica? Accadrà negli anni e nei decenni a venire, e la ricerca in questi campi si baserà, esplicitamente o meno, sulle funzioni dei neuroni specchio. Questo libro racconta la storia della ricerca pionieristica, in parte dovuta a un caso di serendipità, che ha avuto come oggetto questa speciale classe di cellule cerebrali, i considerevoli avanzamenti conseguiti nel campo in soli venti anni di ricerca sui neuroni specchio e gli esperimenti assai ingegnosi oggi condotti in numerosi laboratori di tutto il mondo. In sostanza, sono convinto che questo lavoro ci costringerà a ripensare radicalmente gli aspetti più profondi delle nostre relazioni sociali e del nostro sé. Alcuni anni fa,

SE LA SCIMMIA SCIMMIOTTA

15

un altro ricercatore ipotizzò che la scoperta dei neuroni specchio rappresentasse per le neuroscienze ciò che la scoperta del DNA ha rappresentato per la biologia. 1 Si tratta di un'affermazione decisamente forte, dato che in biologia praticamente tutto va ricondotto al DNA. Nei decenni a venire, qualsiasi aspetto delle neuroscienze sarà ricondotto ai neuroni specchio?

2.

Sorprese del cervello

Da quindici anni vivo a Los Angeles e lavoro nel mio laboratorio alla UCLA (University of California, Los Angeles), ma questa storia dovrebbe a buon diritto avere inizio in Italia, e sono felice di poter dire che è proprio cosi: nella fattispecie, comincia nella piccola e splendida città di Parma, celebre per la sua favolosa cucina, in particolare l'omonimo prosciutto e il parmigiano, e per la sua musica. Ora, ali' elenco delle esportazioni parmensi di rilievo mondiale possiamo aggiungere le neuroscienze, poiché è staro proprio nell'università cittadina che un gruppo di neurofisiologi guidato dal mio amico Giacomo Rizzolatti ha individuato per la prima volta i neuroni specchio. Rizzolatti e i suoi collaboratori hanno lavorato con il macaco nemestrino (Macaca Nemestrina), una specie di scimmia comunemente impiegata nei laboratori di neuroscienze di tutto il mondo. Si tratta di animali molto docili, a differenza dei loro parenti più famosi, i macachi reso, che sono un tipo di scimmia decisamente più aggressivo. La ricerca sulle scimmie, in un laboratorio come quello di Rizzolatti, si basa sulle sue potenzialità inferenziali per la comprensione del cervello umano, in generale considerato l'entità più complessa dell'universo conosciuto, e per ottime ragioni. Il cervello umano contiene infatti circa cento miliardi di neuroni, ognuno dei quali può stabilire connessioni con migliaia, persino decine di migliaia, di altri neuroni. Tali connessioni, o sinapsi, sono il mezzo tramite il quale i neuroni comunicano gli uni con gli altri, e il loro numero è ovviamente vertiginoso. Una struttura importante del cervello dei mammiferi è la neocorteccia, cioè la struttu1

Ramachandran,

2000.

16

CAPITOLO PRIMO

radi più recente evoluzione fra quelle del nostro cervello. Proprio qui sta il punto chiave dell' «inferenza»: il cervello del macaco è appena un quarto del nostro per dimensione, e la neocorteccia umana è molto più estesa di quella del macaco, ma i neuroanatomisti concordano sul fatto che, malgrado queste differenze, le strutture dei due tipi di neocorteccia corrispondono relativamente bene. A Parma, l' équipe di Rizzolatti si è dedicata allo studio di un' area contrassegnata come F5, situata in un'ampia regione cerebrale denominata corteccia premotoria, che è la porzione di neocorteccia implicata nella pianificazione, nella selezione e nell'esecuzione di azioni. L'area F5 contiene milioni di neuroni specializzati nella codifica di uno specifico comportamento motorio: azioni della mano, come afferrare, tenere, strappare e, fondamentale fra tutti, portare oggetti (soprattutto cibo) alla bocca. Per tutti i macachi, e per tutti i primati, queste azioni sono basilari ed essenziali cosl come si producono. Noi Homo Sapiens prendiamo e manipoliamo oggetti dal momento in cui cerchiamo a tentoni il pulsante che spegne la sveglia fino a quando ci sistemiamo il cuscino prima di prendere sonno, diciotto ore dopo. Tutto considerato, ogni giorno ciascuno di noi compie centinaia, se non migliaia di azioni di afferramento. In effetti, è precisamente questa la ragione per cui il gruppo di Rizzolatti ha scelto l'area F5 per un'indagine il più aderente possibile alla realtà. Tutti i neuroscienziati mirano a capire il cervello per mera sete di conoscenza, ma abbiamo anche un occhio per obiettivi più pratici, quali le scoperte che potrebbero portare a nuove cure per le malattie. La scoperta dei meccanismi neurofisiologici del controllo motorio della mano nel macaco potrebbe rivelarsi di aiuto per il ripristino della funzionalità manuale in pazienti neurologici. Grazie a un'intensa attività sperimentale, l'équipe di Rizzolatti era pervenuta a una notevole comprensione dell'attività di queste cellule motorie nel corso di vari esercizi di «afferramento» condotti con le scimmie (si chiamano cellule motorie in quanto sono le prime nella sequenza che controlla i muscoli che muovono il corpo). Poi, un giorno di circa venti anni fa, mentre il neurofisiologo Vittorio Gallese si aggirava nel laboratorio in un momento di pausa dell'esperimento in corso, e una scimmia stava tranquillamente seduta sulla sua sedia in attesa del nuovo compito, all'improvviso,

SE LA SCIMMIA SCIMMIOTTA

17

proprio nel momento in cui Vittorio prese in mano qualche cosa (non si ricorda che cosa) sentl una scarica di attività prodursi nel computer collegato agli elettrodi che erano stati chirurgicamente impiantati nel cervello della scimmia. A un orecchio inesperto tale attività sarebbe parsa di tipo statico, ma all'orecchio di un neuroscienziato esperto segnalava una scarica dalla cellula pertinente del1' area F 5. Vittorio pensò subito che si trattasse di una reazione strana. La scimmia stava seduta tranquilla, senza l'intenzione di afferrare nulla, eppure questo neurone connesso ali' azione di afferramento si era attivato. Così narra una delle tante storie relative alla prima osservazione registrata di un neurone specchio. Un'altra coinvolge un collega di Vittorio, Leonardo Pagassi, che avrebbe preso una nocciolina e innescato una risposta neuronale in F5. Un'altra ancora riguarda sempre Vittorio Gallese e un gelato! Sono molte, tutte plausibili, nessuna confermata. Anni dopo, quando l'importanza dei neuroni specchio era ormai acclarata, i colleghi di Parma ripresero in mano i loro appunti di laboratorio, nella speranza di ricostruire con una certa precisione il momento delle loro prime osservazioni, senza però riuscirci. Trovarono fra le loro annotazioni riferimenti a «risposte visive complesse» di cellule motorie della scimmia situate nell'area F5. Ma erano appunti poco chiari, poiché all'epoca i ricercatori non sapevano ancora come utilizzare le loro osservazioni. Né loro né nessun altro neuroscienziato al mondo avrebbe potuto immaginare che le cellule motorie potessero attivarsi puramente nel percepire le azioni di qualcun altro, senza l'implicazione di alcuna azione motoria. Alla luce tanto della conoscenza empirica che della teoria dell'epoca, una cosa del genere non aveva alcun senso: le cellule del cervello della scimmia atte a inviare segnali ad altre cellule anatomicamente connesse ai muscoli non avrebbero dovuto mostrare alcun segno di attivazione mentre la scimmia era completamente ferma, le mani in grembo, e guardava le azioni di qualcun altro. E invece quelle cellule si erano attivate. Alla fin fine, non è così importante che il momento dell' «Eureka!» per i neuroni specchio si sia in realtà distribuito lungo un arco di anni. Ciò che importa è che i ricercatori del gruppo fin da subito si cimentarono con gli strani avvenimenti riscontrati nel loro laboratorio. Ebbero loro per primi una certa difficoltà nel credere

18

CAPITOLO PRIMO

a questi fenomeni, ma nel tempo si resero conto che quella loro scoperta, se confermata, era potenzialmente rivoluzionaria. Ed ebbero ragione. Venti anni dopo quelle prime registrazioni eseguite nel loro laboratorio, una cascata di esperimenti ben controllati con scimmie e, in seguito, con esseri umani (generi diversi di esperimenti, per la maggior parte; senza aghi conficcati nel cranio!) ha confermato questo fenomeno notevolissimo. Il semplice fatto che un sottoinsieme di cellule del nostro cervello - i neuroni specchio si attiva quando qualcuno calcia un pallone da football, quando vede un pallone che viene calciato, sente il suono prodotto da un pallone quando viene calciato, o anche solo dice oppure ascolta la parola «calcio», apre la via a sbalorditive conseguenze e nuove possibilità di comprensione.

3. I «favolosi quattro»

Oggi sappiamo d1e circa il venti per cenlo Jdle cellule Jdl' area F5 del cervello del macaco sono neuroni specchio; l'ottanta per cento non lo sono. Data questa proporzione, era inevitabile che prima o poi il gruppo di Parma individuasse qualche neurone specchio. Quando ciò accadde, furono testate le principali ipotesi non solo di quel laboratorio, ma dei neuroscienziati di tutto il mondo. Negli anni ottanta del secolo scorso, i neuroscienziati erano radicati nel paradigma secondo cui le varie funzioni compiute dal cervello, che fosse di macaco o umano, si ritenevano confinate in compartimenti stagni. In base a questo paradigma, la percezione (il vedere oggetti, sentire suoni ecc.) e l'azione (raggiungere url pezzo di cibo, afferrarlo, metterlo in bocca) sono totalmente separate e indipendenti l'una dall'altra. Una terza funzione, la cognizione, sarebbe in qualche modo «nel mezzo» fra percezione e azione e ci consentirebbe di pianificare e selezionare i nostri comportamenti motori, di occuparci di cose specifiche per noi rilevanti, di trascurare le questioni non pertinenti, di ricordare nomi ed eventi, e via di seguito. Era supposizione diffusa che queste tre funzioni, interpretate a grandi linee, fossero separate nel cervello. Il paradigma rifletteva la comprensibile tendenza della scienza verso una spiegazione meccanicistica dei fenomeni studiati. Suddividere un feno-

SE LA SCIMMIA SCIMMIOTrA

19

meno complesso in elementi più semplici è in effetti un buon principio guida per l'indagine scientifica, costituisce ancora l'approccio dominante in neurofisiologia e nelle neuroscienze, e in molte aree specialistiche della ricerca funziona bene. Ad esempio, alcuni neurofisiologi della corteccia visiva hanno individuato dei neuroni che rispondono solo alle linee orizzontali del campo visivo, mentre altri codificano solo le linee verticali. Molte cellule cerebrali sembrano essere altamente e minuziosamente specializzate. Tuttavia, i neuroscienziati convinti che i neuroni possano essere così facilmente disposti in categorie (senza sovrapposizioni e scambi !r