I germani. Genesi di una cultura europea 8843067613, 9788843067619

Il termine "germani" definisce un insieme magmatico di comunità di migranti e agglomerati di etnie legate da u

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I germani. Genesi di una cultura europea
 8843067613, 9788843067619

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Carocci editore

@ Manuali

Il termine "germani" defmisce un insieme magmatico di comunità

di migranti e agglomerati di etnie legate da una medesimafacies linguistica e da una matrice ideologica condivisa e accomunate dall'impatto con il mondo romano e dalla successiva cristianizzazione. La nascita degli antichi germani, la loro società, la religione e i miti di origine, il diritto e la scrittura runica sono oggetto nel libro di un'analisi approfondita, con il contributo sia dell'archeologia sia della storia delle relazioni con celti e romani. Particolare attenzione è rivolta alla formazione dei regni romano-germanici alto medioevali e al lungo processo di evangelizzazione; quest'ultimo, culminato con la conversione e con l'adozione della scrittura alfabetica e del codice manoscritto, si rivelò il vero anticipatore di una rivoluzione culturale di origine monastica che avviò la nascita delle letterature medioevali in volgare, antagoniste dell'egemonia del latino. Marco Battao:! i a è docente di Filologia germanica all'Università di Pisa.

I suoi ambiti

di ricerca comprendono la costituzione etno-linguistica della comunità germanica; la relazione tra i meccanismi di oralità e scrittura e la ricezione della civiltà classica; la mitologia e il diritto; l'epos nibelungico-volsungico e la poesia scaldica.

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Manuali universitari 139 Lingue e letterature stran i ere

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Mareo Battaglia

l

Germani

Genesi di una cultura europea

Carocci editore

la

rista m pa, ottobre 2013

la

edizione, maggio 2013

© copyright 2013 by Ca rocci editore s.p.a., Roma

I m paginazione: l magi n e s.r.L, Trezzo su ll'Adda (MI) ISBN 978- 88-430- 6761-9

Ri produzione vietata a i sensi di legge (a rt. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodu rre q uesto volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Abbreviazioni e simboli Premessa

11

13

1.

Archeologia ed etnicità: i Germani e L'idea di 'Germani'

2.

Celti e Germani

3.

Roma e i Germani daLL'epoca repubblicana aLLe guerre 'marcomanniche' 45

1. 2.

3· 4·

21

37

Le guerre germaniche 48 I limiti economici dell'espansionismo in Germania 52 La seconda fase: l'insurrezione renana e la costruzione del limes Evoluzione della società germanica 56

4.

l Germani neLLe fonti classiche

1.

La società germanica in Giulio Cesare 6 2 I Germani nelle fonti da Giulio Cesare a Cornelio Tacito I Germani nell'opera di Tacito 67

64

DaLLe guerre marcomanniche ai regni romano-germanici

79

2.

3· s. 1.

2.

3· 4·

53

59

Economia, conflitti e fenomeni di immigrazione Economie e culture nomadiche: gli Unni 87 Confederazioni gotiche 88 Signorie e regni romano-germanici 91

79

4.1. Svevi l 4.2. Vandali l 4·3· Ostrogoti l 4·4· Franchi l 4·S· V isigoti l 4.6. Alamanni l

l 4.8. Gepidi l 4·9· Bavari l 4.10. Turingi l 4.11. Longobardi l 4.12. l 4·13.]uti l 4.14. Frisi/Frisoni l 4.1s. Angli

4·7· Burgundi Sassoni

6.

Società e strutture di potere

1.

Le istituzioni dei Germani da Tacito in avanti Testimonianze linguistiche 112 L'assemblea degli uomini liberi 117

2.



109 111

7

l Germani 4· S·

6. 7·

8.

La natura delle clientele germaniche : il comitatus La donna 122 I liberi 124 I semiliberi: leti, !teti, liti, lidi, lazzi 127 Gli schiavi 128

7.

L'èra vichinga

1.

Leadership e potere in Scandinavia L'èra vichinga 136 Fenomeni di espansionismo 140

2.



131 134

8.

Fonti per una religione dei Germani

1.

Caratteri generali 151 Culti principali 154 Divinità femminili 158 Religione e rune 159 Altre fonti letterarie 161 Le fonti letterarie della mitologia nordica Divinità principali 165 I nomi dei giorni della settimana 169

2.

3· 4·

s.

6. 7·

8. g.

119

La cristianizzazione dei Germani

1.

Il processo di conversione

10.

Le rune

149

162

175

181

199



La sequenza runica e i suoi segni:fupark antico o germanico 204 Caratteristiche grafematiche e questione delle origini 207 Il termine 'runa' 213 Lessico runico 218 L'evoluzione grafematica. Iljupark anglo-frisone lfuporc) 218 La rivoluzione grafematica deljupark scandinavo lfupqrk), nordico o recente 2 2 6 Le rune in Italia 235 I nomi delle rune : i Runica manuscripta 236 I nomi delle rune : i Poemi runici 242

11.

Oralità e tradizione ora le

1. 2.

3· 4·

s.

6. 7·

8.

2 49

2.

Oralità e alfabetizzazione nelle società del primo Medioevo Elementi di metrica germanica 2 6 2

12.

Civi ltà deLLa scrittura e ri nascita degli studi

1.

1. 2.

8

267

La letteratura dell'alto Medioevo latino-germanico Italia 276

275

257

I ndice 3· 4· 5·

6.

7· 8.

13. 1. 2.

3· 4· 5·

6.

7· 8.



14. 1. 2.

3· 4· 5·

6.

7· 8.

9· IO. I 1. I2. I3. I4.

Africa vandalica 278 Spagna visigotica 279 Regno dei Franchi 2 8 0 L' Inghilterra anglosassone 282 La 'rinascita' carolingia 2 84 La 'rinascenza' alfrediana 291 Etnogenesi e miti di origine neLLa

Goti 299 Longobardi 301 Franchi 303 Burgundi 304 Baiuvari/Bavari 306 Anglosassoni 306 Sassoni 309 Frisoni 310 Popolazioni scandinave IL diritto germanico

Origo gentis

295

311

317

Le Leges 322 Visigoti 326 Burgundi 328 Ostrogoti 330 Franchi 331 Longobardi 333 Vandali 335 Alamanni 335 Baiuvari/Bavari 336 Sassoni 336 Frisoni 337 Turingi 338 Anglosassoni 338 Scandinavia 341 Bibliografia

347

Indice analitico

377

9

Abbreviazioni e simboli

>

descrizione grafemica descrizione fonetica descrizione fonemica data di morte deriva da diverso da dà origine a

aat. abret. ab t. adan. afr. aind. aingl. airl. aisl. a. n.e. apruss. a s. asl. asv. bav. bret. c elt. cr. dan. finn. fr. frc.-lat. fer. gall.

antico alto tedesco antico bretone antico basso tedesco antico danese antico frisone antico indiano antico inglese antico irlandese antico islandese ante nostra èra (o avanti Cristo) antico prussiano antico sassone antico slavo antico svedese bavarese bretone celtico croato danese finnico frammento franco-latino feroese, feringio gallico

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11

l Germ a n i

germ. go t. gr. ie. ill. ingl. iscriz. isl. i t. itt. lat. lat.-germ. lett. 1gb. lit. mat. mb t. mcimr. mfris. mlat. mned. n.e. ned. norv. port. proto-celt. sl. sv. ted.

germanico gotico greco indoeuropeo illirico inglese iscrizione islandese italiano ittita latino latino-germanico letto ne longobardo li tu ano medio alto tedesco medio basso tedesco medio cimrico, medio gallese medio frisone medio latino, latino medioevale medio nederlandese nostra èra (o dopo Cristo) nederlandese norvegese portoghese proto-celtico sloveno svedese tedesco

Per evitare equivoci, si è deciso di sostituire con il digrafo moderno 'th' il gra­ fema germanico 'p' (il segno runico che esprime il fonema fricativo dentale sordo /S/, cfr. ingl. thin), con l'eccezione del cap. 10 dedicato appunto alle rune. Nei nomi propri e nei titoli di opere letterarie scandinavi si è deciso invece di conservare il grafema antico islandese < Q > , che allora esprimeva il fonema basso, posteriore e labializzato /e/ e che nel tempo è divenuto lte!, oggi trascritto come in tedesco < O > . Salvo casi specifici e voluti, tutte le citazioni dal latino o d a altra lingua stra­ niera sono state tradotte dall'autore.

12

Premessa

Chi è più coraggioso dei Germani ? Chi più audace in una carica? Chi è più avido di armi, per natura, formazione, e in modo esclusi­ vo? Chi più abituato a tutte le sopportazioni, tanto che non copro­ no gran parte del loro corpo e non costruiscono rifugi, nonostante la rigidità del clima? Tuttavia, questi, da uomini molli in battaglia quali Ispanici e Galli e Asiatici e Siri, prima che la legione venga avvistata, cedono a nessun sentimento opportuno se non ali' ira. L. Annaeus Seneca, De Ira, 1.11,3-4

Cosa hanno in comune quelle leghe interetniche che, sessant 'anni prima di Giulio Cesare, mossero dallo Jutland verso la Gallia e la Pianura padana e un sovrano semi-analfabeta promotore di una rinomata rivoluzione culturale ? C 'è una qualche continuità tra il comandante imperiale che inflisse a Roma la più grave sconfitta e le unità di pirati e contadini che, nel sec. v, dalle coste del Mare del Nord si impiantarono in Britannia ? Esiste un'affinità tra la gui­ da spirituale di una comunità cristiana sul basso Danubio, alla metà del sec. IV, il promulgatore di un codice di leggi a Pavia, nel 643, e il pagano sepolto nella cattedrale di Rouen, che nel 9u impose un trattato a Carlo il Semplice ? Cosa collega un omelista e grammatico anglosassone al principe di uno sper­ duto arcipelago del Mare del Nord, cultore di poesia e crociato in Terrasanta ? Comunque li si voglia considerare, Teutoni, Cimbri, Ambroni, Carlo Magno e Arminio, Angli, Sassoni, Frisi, Franchi, Juti e il vescovo tervingio Wulfila, il re longobardo Rotari e il capo vichingo Hr6lfr (Rollone), .iElfric e RQgnvaldr Kolsson erano dei 'Germani '. Questo appellativo di origine ancora non chia­ rita (che non va confuso con l 'etnonimo 'Tedeschi ' ) è un'etichetta con la quale sono stati a lungo identificati raggruppamenti etnici e tribali di origine, natura, organizzazione e composizione assai diverse. Si trattava perlopiù di etnie 'aperte' e non necessariamente dotate di un 'nucleo originario', intorno alle quali si aggregavano, temporaneamente e per interessi comuni, gruppi di origine eterogenea (clan, tribù, profughi), nella condivisione di un'ideologia dominante di appartenenza. L'etnicità non è un fattore biologico, ma piutto­ sto una costruzione culturale e ideologica, alla quale lo stesso pragmatismo romano concedeva un rilievo relativo ; è un fenomeno di elevata flessibilità 13

l Germani

e non un fattore genetico, né un paradigma sommatorio dei tasselli di una mappa del DNA. L'idea di 'purezza' etnica cela sempre finalità assai poco scientifiche e ancor meno nobili. Le prime aggregazioni germaniche si affacciarono alla storia allorché entra­ rono in competizione con gli interessi strategici di Roma nelle regioni tempe­ rate dell' Europa. La letteratura latina ne creò il mito, descrivendone i caratteri di forte arretratezza accanto alle speculazioni dei soliti luoghi comuni greco­ romani di stoltezza, falsità e barbarie esiziali. Ma la storia, a dispetto delle fonti ufficiali romane, ha dimostrato il profondo significato dell'evoluzione e dell'integrazione di questi agglomerati di etnie spesso disunite, oltre che il loro contributo alla salvaguardia della cultura classica e al processo di forma­ zione di un'Europa medioevale. Per avere una semplice idea del senso delle relazioni tra Impero ed etnie ger­ maniche basta considerare alcuni significativi episodi. La battaglia nell'anno 9 della foresta di Teutoburgo (od. Kalkriese), uno dei peggiori disastri della storia romana, ruota intorno a un principe dei Cheru­ schi (Arminio), valoroso comandante al servizio di Roma insignito dell'anela­ ta cittadinanza. Nonostante una forte opposizione interna filo-romana, egli riuscì a riunire una serie di tribù renane e a ritagliarsi un'autonomia territo­ riale tra i regni satelliti alleati di Roma, finendo poi assassinato da parenti ed ex alleati del proprio gruppo etnico. Nel 68-69, gli anni dell'anarchia post-neroniana, la rivolta delle legioni rena­ ne non pagate vide emergere il membro di una nobile famiglia batava roma­ nizzata (Giulio Civile), in cerca di una visibilità politica che non prevedeva alcun rovesciamento della presenza di Roma. Nel 394, dopo l'assassinio di Valentiniano n, il colpo di stato di Teodosio fu favorito dalla sconfitta delle truppe imperiali d'Occidente presso un affluen­ te dell' Isonzo. I due eserciti erano guidati dal comandante delle milizie bar­ bariche d'Oriente e dal responsabile delle forze occidentali: il gotico Gainas e il franco Arbogaste, due Germani. Nel 40 2, a Pollenza (Cuneo), un esercito multietnico romano, al comando del magister militum dell' Illirico, venne assalito durante la messa pasquale da truppe italiche, guidate dal comandante delle forze armate occidentali. Le legioni danubiane reclamavano compensi mai ricevuti e così si erano date al saccheggio della Pianura padana e all'assedio di Milano e Verona. Anche in questa circostanza, entrambe le personalità di altissimo rango dell'ammini­ strazione romana erano di nuovo due Germani: un nobile visigotico (Alari­ co) e un vandalo ( Stilicone), genero di Teodosio. I pochi avvenimenti descritti illustrano, una volta di più, quanto sia sempli­ cistico e fuorviante richiamare l 'immagine delle 'invasioni ' barbariche per spiegare la crisi di un sistema di potere sul quale incombevano l'incapacità di sfruttamento e di distribuzione di risorse limitate e l'inadeguatezza di una ge­ stione controllata dei pressanti flussi migratori. 14

Premessa

Questo libro parla dei Germani, forse i 'barbari' per eccellenza dell'Europa della Tarda Antichità. Si trattava in realtà di un insieme di etnie diverse che condividevano in misura variabile una lingua, certi tratti culturali e più tardi anche un credo cristiano. Costoro riuscirono a impadronirsi di larghe porzio­ ni dell'ex Impero romano, oltre ad aree mai sottoposte a Roma, integrandosi con popoli e culture romanizzati e divenendo gli eredi e gli attori di un'idea di Europa. Dei Germani e della loro cultura sono esaminate, insieme alle origini e alla storia, le credenze e le istituzioni, ma non gli aspetti linguistici, comunque citati diffusamente, né le letterature cui essi diedero vita. Il traguardo è di dare spazio ad ambiti, problemi e punti di vista spesso tralasciati o sommaria­ mente trattati nei manuali. Nel tentativo di approfondire questioni aperte o ritenute già chiuse e di aprirne nuove, mi rendo conto che alla fine sono forse più le domande irrisolte delle risposte effettivamente fornite, ma in fondo proprio questa è una delle finalità della ricerca: suscitare dubbi e interessi più allargati, scatenare domande e alimentare confronti. Le tormentate origini dei Germani vengono affrontate con l'ausilio delle fonti archeologiche (cap. 1), cercando di tratteggiare gli esordi di una serie di micro-culture europee del Bronzo e del Ferro e le reciproche interazioni, av­ venute in rapporto prevalente con i Celti (cap. 2 ) , esponenti di un'egemonia continentale nella prima metà del primo millennio ante nostra èra ( = a. n.e./ a.C.). Ciò che ho cercato di sottolineare è l 'impossibilità di stabilire siti, 'cer­ chie ' o 'culle ' originari, data la natura variabile dei molteplici agglomerati che si riconoscono in una macra-cultura o che da questa sono unificati: che certi reperti (ri)compaiano in siti occupati successivamente da etnie germaniche non ne implica infatti l'originarietà né la continuità diretta. D'altra parte, una cultura archeologica non identifica una cultura etnica, cioè quell'insieme di gruppi umani che in un' interazione reciproca mantengono o sviluppano un' identità oggettiva di rapporti di forza - rispetto ad altri rag­ gruppamenti - cementata dalla condivisione eventuale di una lingua o di riti religiosi, di istituzioni o comportamenti (Fabietti, 1995). Fu il rapporto con i centri di potere celtici, i cosiddetti oppida, a creare le premesse per la for­ mazione di sottoculture satelliti come quelle germaniche, ma fu soprattut­ to l'interruzione di quel rapporto, determinata dalla conquista romana della Gallia, a favorire lo sganciamento dalla potente egemonia celtica e l' inizio di una condivisione di determinati valori autonomi. L'arretratezza economica e culturale delle numerose etnie germaniche, inca­ paci di accumulare su larga scala un surplus accentrato e di utilizzare adeguata­ mente il proprio territorio, garantì loro la possibilità di resistere alla più tarda conquista romana, naufragata sulle difficoltà di individuazione di nuclei ac­ centrati di potere e di sfruttamento delle risorse locali. In aree diffusamente coperte da foreste, ricche di fiumi e di risorse minerarie, ma abitate da gruppi etnici eterogenei e confederazioni ad alto tasso di conflittualità, anche i fat15

l Germani

tori micro- e macra-economici ebbero un ruolo rilevante nel rapporto con l' Impero e la civiltà mediterranea. Questi ultimi, a loro volta, descrissero e in­ terpretarono i Germani, spesso surrettiziamente, in una serie di testimonian­ ze storiche, in versi ed etnografiche, avvalendosi ideologicamente del topos barbarico, come documenta il cap. 4 del libro. L'impatto di Roma (guarnigioni, burocrazia, network commerciale) sull'ar­ ticolata galassia di etnie germaniche, con le relazioni politiche, militari e cultu­ rali che ne seguirono, è oggetto di due capitoli separati (3 e s), che hanno come limite cronologico più recente la costituzione di primitive entità politiche isti­ tuzionalizzate, i regni romano-germanici. L'interruzione a questa epoca della panoramica su etnie, popoli e signorie germanici dell'Europa temperata (con un'unica eccezione) è pressoché concomitante con l'inizio del lungo processo di cristianizzazione (analizzato al cap. 9) ed evita di entrare nei meandri delle singole storie locali dell'Alto Medioevo, al di fuori delle finalità del volume. Il cap. 6 riguarda l'analisi comparata dei dati sulla composizione della società germanica nel corso dei secoli, a partire dalle prime testimonianze di Giulio Cesare fino al quadro che emerge dalle letterature locali in lingua volgare e, più specificamente, dal composito patrimonio giuridico. La redazione scritta delle leggi germaniche (prevalentemente in latino) fu approntata dopo la co­ stituzione dei vari regni alto medioevali e rappresentò il risultato di esigenze molteplici, determinate sia dall'impatto con le popolazioni romano-romanze conquistate (rette dal diritto volgare romano), sia dalla dimensione del tutto inedita assunta dai sovrani germanici, divenuti una vera e propria fonte auto­ noma del diritto. Benché asimmetrico, dal punto di vista della coerenza cronologica con tribù/ etnie e popolazioni germaniche delle origini e dell'alto Medioevo, era altre­ sì indispensabile dedicare un capitolo ( il 7) a un aspetto rimarchevole della tradizione germanica. Mi riferisco alle premesse e alla nascita del fenomeno vichingo, abitualmente associato tra i secoli VIII e XI a una successione di­ sorganizzata di incursioni violente e di razzie sulle coste e negli entroterra limitrofi dell' Europa nord-occidentale. L'epoca vichinga rappresenta, in re­ altà, la fase intermedia di un processo evolutivo che si concluderà nel sec. X I , spostando in avanti di qualche secolo il consueto baricentro cronologico del Medioevo europeo. Si tratta di una fase peculiare delle società germaniche settentrionali, rimaste ai margini della conquista militare romana ma non per questo immuni agli influssi provenienti dal Mediterraneo, così come alla condivisione di numerosi aspetti della cultura degli altri Germani. Una sezione di rilievo (cap. 8) è rivolta alle fonti religiose dei Germani, par­ tendo dalle testimonianze letterarie romane, passando per l'archeologia e i dati dell'iconografia e attraversando la documentazione storiografica alto me­ dioevale, per giungere alla rielaborazione mitografica concepita dagli eruditi scandinavi cristiani dei secc. XII e XIII. Chiude il capitolo un'appendice de­ dicata alla disamina dei nomi dei giorni della settimana. La religione, come 16

Premessa

si può immaginare, ha costituito nei secoli un allettante terreno di interpre­ tazioni (e spesso di aberrazioni) mirate alla conferma di postulati talora assai improbabili o di congetture tese a uniformare i miti locali al tradizionale pa­ radigma indoeuropeo, declinato quasi sempre secondo il canone greco-roma­ no. A questo capitolo ne segue - come anticipato - un altro, che si sofferma su alcune fasi della storia della cristianizzazione dei regni romano-germanici, protrattasi, come talvolta si tende a dimenticare, per più di mezzo millennio, dalle missioni tra i Tervinghi fino alla conversione della Svezia. Il cap. 10 affronta un altro aspetto delicato della cultura germanica nel suo rapporto con le culture alfabetizzate del Mediterraneo: le rune, primo esem­ pio di fenomeno scritturale autoctono, di natura epigrafica almeno fino al sec. I X , ma tuttavia ancora manifestazione intrisa di un'oralità dominante, entro la quale, a mio giudizio, continua a dover essere iscritta. Soltanto con l'espansione della cultura alfabetica latina (veicolata dalla cristianizzazione) si osserva un netto incremento dell'uso delle rune, presumibilmente esempla­ to sull'influsso delle litterae latine e assai limitatamente collegato a procedure magico-sacrali, tanto care agli esoteristi moderni. All'importanza del fenomeno runico, la cui eco talora distorta è forse una delle poche notizie sulla cultura germanica note al pubblico dei non specia­ listi, fanno seguito due capitoli reciprocamente integrati e incentrati a vario titolo sul processo di trasmissione culturale. Il cap. 1 1 concerne i complessi meccanismi di conservazione e divulgazione della memoria culturale di un gruppo (tribù, etnia, insieme di popolazioni) in una cultura non chirografi­ ca come quella dei Germani: tale memoria era trasmessa da secoli in modo efficiente attraverso il canale della parola declamata, fino a che non trovò spazio nelle pagine dei codici manoscritti medioevali. È noto come il cana­ le dell'oralità si giovi di particolari procedure mnemotecniche, attraverso le quali il patrimonio di una comunità viene tramandato ai posteri. Ma in un tale processo si inseriscono solitamente elementi variabili di rielaborazione parziale, i quali, senza necessariamente modificare la portata del messaggio, ne alterano inevitabilmente l'originarietà. Il cap. 12, viceversa, si incentra proprio sul passaggio da quella fase dell'o­ ralità alle prime iniziative di rappresentazione scritta e di letterarizzazione, un processo ben più articolato della semplice ricezione di un alfabeto. In questo caso, si tratta di un trasferimento di dati, memorie, consuetudini e rituali secondo meccanismi strumentali e cognitivi del tutto nuovi rispetto alle tradizionali tecniche dell'oralità e che ebbe luogo attraverso la media­ zione (e il filtro) determinante della cultura ecclesiastica. Il Cristianesimo è una religione basata su un'articolata tipologia di documenti, al centro dei quali emerge in tutta la sua importanza il valore del testo scritto. La nuova fede richiedeva una lingua scritta e un nuovo standard espressivo, che nell'Eu­ ropa occidentale, tra i secc. n e IV, si erano orientati prevalentemente verso la tradizione alfabetica e letteraria latina. Per tale ragione non è casuale che 17

l Germani

nella quasi totalità delle lingue germaniche ancora oggi il verbo che esprime l'azione dello 'scrivere ' derivi dal verbo latino scribere. Il concetto di 'testo' e di cultura 'testuale ' si sviluppò dunque già a partire dal periodo successivo alle variegate forme di iniziativa missionaria, alle quali si sostituì, durante una fase di transizione di alcuni secoli, un'epoca di accresciuta consapevolezza di diffusione mediatica. Quello che seguì, a partire dalla seconda metà del sec. VIII, fu un lento ma progressivo processo di consolidamento della cultura scritta, favorita dalle iniziative di alcuni sovrani per il recupero degli studi classici, le quali hanno ricevuto l'appellativo di 'rinascita' culturale. Oltre che a porre il nuovo mezzo scritto al servizio della Chiesa e della ragion di stato, tali iniziative avviarono un importante momento di rielaborazione del patrimonio culturale più antico, a dispetto delle allusioni ai 'secoli bui' di umanisti come Petrarca o delle invettive antibarbariche di Rabelais. E proprio tra gli esordi letterari delle varie aree germaniche vanno inclusi (benché ancora redatti in latino) quei documenti a carattere storico-cronachi­ stico e fortemente didascalico rappresentati dal genere delle storie di origine 'barbariche ', oggetto del cap. 13. Si tratta di testimonianze composte da chie­ rici che raccolsero, rielaborarono e talora anche inventarono memorie etni­ che e nazionali di epoca diversa e miti di origine. L' impronta di simili opere era incentrata, in stile vetero-testamentario, sulla origo di popoli, genealogie e clan ed era tesa a riconoscere e legittimare a posteriori le nuove dinastie regnanti germaniche, fino ad aggregarne a un disegno divino complessivo an­ che le più antiche fasi storiche p re-cristiane. Chiude il volume il cap. 14, riguar­ dante il diritto germanico nei suoi caratteri generali e nelle singole tradizioni locali e redazioni codicologiche, vere e proprie manifestazioni letterarie di una cultura ormai di fronte a un processo ineluttabile di integrazione. Per quanto fuorvianti e probabilmente non in linea con il pensiero antropo­ logico contemporaneo, nel corso del libro continuerò a usare, pur con tutta la cautela possibile, le etichette 'popolazione', 'tribù' ed 'etnia' per descrive­ re gli eterogenei agglomerati umani del mondo antico e medioevale, ancora privi di quelle rigide barriere linguistiche, politiche e territoriali che oggi li delimitano. Una simile scelta potrebbe sembrare generica, opaca o peggio discriminato­ ria, ma al di fuori di semplici esigenze di praticità non vi è alcun intento di essenzializzare queste etichette. I concetti sopra citati hanno ricevuto, nei decenni, svariate interpretazioni da parte delle scienze umane, le quali evi­ denziano lo iato esistente nella comunità scientifica tra un indirizzo di stu­ dio che tende alla reificazione dell'oggetto di indagine (le comunità descritte dall'esterno) e un altro che ne riconosce la dignità di soggetto, il cosiddetto natives 'point oJview (Li Causi, 2007, pp. 9-10 ). A questo si aggiunga inoltre l 'estrema frammentazione delle condizioni geografiche, economiche e poli­ tiche che uniscono e determinano la nascita di tali aggregazioni (Wenskus, 18

Premessa

1961; Heather, 200 8 ). Pertanto, non si intende appesantire il testo riaprendo questioni che a tutt'oggi restano ancora irrisolte su realtà umane diversificate e che gli stessi Romani, come gli autori del Medioevo europeo, descrissero in misura contraddittoria. Priva di qualsiasi connotazione che esprima un giudizio di valore, il termine 'tribù' è qui impiegato nella sua accezione di 'comunità'. Con questo si in­ tende un'unità sociale determinata, basata su un equilibrio peculiare di clan e lignaggi familiari di entità variabile, in possesso di una pur vaga omogenei­ tà culturale. Tale concetto non sottintende una centralizzazione di potere o aggregazioni politiche permanenti né implica automaticamente un'unità territoriale, dal momento che porzioni o sottogruppi tribali potevano essere stanziati in aree non limitrofe. Problemi analoghi si pongono nell'uso di 'etnia', anch'esso privo di unifor­ mità di giudizi e spesso caricato di pregiudizi ideologici (si pensi al terribile concetto di 'pulizia etnica' ) che niente hanno a che vedere con le entità cita­ te. Qui il termine è usato a un livello di scala più estesa rispetto a 'tribù', ma che sostanzialmente si riferisce a una comunità 'aperta' di costumi, credenze, miti di origine, sistemi sociali e lingua, priva di vincoli di sangue, la quale si autoattribuisce, secondo un'ideologia dominante di appartenenza, caratteri di unicità, diversità e distinzione verso l'esterno (si vedano, fra gli altri, Smith, 1986; Fabietti, 1995; Marazzi, 1998; Siegmund, 2ooo; Geary, 200 2; Goetz, Jarnut, Pohl, 200 3; Li Causi, 2007 ; Aime, 2oo8 ) . Desidero ringraziare Alessandro, Andrea, Chiara 0., Domitilla, Fabio, Giulio, Lisa, Luca C., Luca P., M. Cristina, M. Elena, Romeo, Saverio, Ulderico, le bravissime bibliotecarie della Biblioteca di Lingue e Letterature Moderne 2 e della Biblioteca di Antichistica dell' Università di Pisa, nonché i colleghi del Centro lnterdipartimen­ tale di Servizi Informatici per l'Area Umanistica dell' Università di Pisa. Dedico questo libro, con infinita gratitudine e amore assoluto, alla memoria di mia madre.

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1 Archeologia ed etnicità: i Germani e l'idea di 'Germani'

Il concetto di 'germanicità', nutrito con amore dalla storiografia, d'intesa col Romanticismo, perseguita ancora la storiografia, ben­ ché i postulati di tale idea siano da tempo andati in frantumi [ .. . ] . L o spettro della 'germanicità' continua purtroppo a ossessionare i pensieri di studiosi e politici che seminano demagogia, luoghi al di fuori dei quali quella nozione non è mai esistita. Graus (1965, pp. 2.3-4)

La 'scoperta' dei Germani nella cultura classica è accompagnata da un trava­ gliato patrimonio di informazioni fuorvianti, quando non palesemente false. In larga parte, le rappresentazioni etnografiche del mondo classico obbedi­ vano a un principio etnocentrico, consistente in una reinterpretazione di ele­ menti di altre culture giudicati estranei, se non addirittura devianti rispetto ai canoni autostereotipi della propria civiltà, e indipendenti da una osserva­ zione diretta e obiettiva dei fenomeni. La descrizione dei popoli e della loro origine rappresentava quindi un'occasione strumentale per sancirne - attra­ verso la mancata adesione a valori artificialmente precostituiti - la primitivi­ tà, l' immediata classificazione di 'barbari ' e l'automatico rigetto, rafforzato talvolta anche da valutazioni di natura etica 1• I concetti di 'Germani' e 'germanico' sono in larga parte etichette vaghe di origine erudita, che affiorano per la prima volta in Giulio Cesare (t 44 a.n.e. ) per la necessità propagandistica di distinguere i Germani dai più 'civilizzati ' Galli, altro insieme piuttosto incerto di genti da lui stesso sottomesse. Diversamente dalla polemica di Graus nell'epigrafe sopra citata, ancora condizionata dal dibattito sul nazismo, la fortuna delle due nozioni di 'Germani' e 'germanico' non è dovuta a revival romantici o alla demagogia nazionalista, ma proprio all' ideologia imperiale romana e alle relazioni che ne scaturirono, fatte di conflitti, alleanze, collaborazioni e processi di acculturazione. 1. L'interesse greco verso l'etnografia affiora già nell' Odissea attraverso l'affresco di popoli diversi visitati dal protagonista, benché soltanto con le guerre persiane del sec. v a.n.e. si affini una rappre­ sentazione stereotipa dello straniero attraverso la categoria di 'barbaro'.

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Germani e 'germa n i co'

l Germ a n i

Tacito

Chi fossero stati in origine quei raggruppamenti etichettati come 'Germani' resta un problema controverso, al quale alludeva già Cornelio Tacito (t dopo il 12.0 ) in un celebre e travagliato passo della Germania [ G] (cap. 2. ) 2.. =

Sono incline a ritenere che questi Germani siano indigeni e privi di mescolanze dovute a immigrazioni o contatti amichevoli, poiché in passato coloro che ambivano a nuove sedi non vi arrivavano via terra, ma a bordo di navi, e l'immenso oceano dalla parte opposta del mondo è solcato raramente da imbarcazioni che provengono dalle nostre regioni. E poi, senza tener conto del pericolo di un mare tremendo e sconosciuto chi, lasciate l'Asia o l'Africa o l' Italia, viaggerebbe mai verso la Germania, terra sgradevole, dal clima rigido e triste da abitare e visitare, se non coloro che vi sono nati ? [ ... ] Invece, il nome 'Germania' è di recente attribuzione, poiché quelli che per primi, attraversato il Reno, cacciarono i Galli - e che oggi sono detti Tungri -, allora si chiamavano Ger­ mani. Dunque, poco a poco, prevalse il nome di una tribù e non di tutto il popolo, così che inizialmente, per la paura che incutevano, furono chiamati tutti Germani dai vinti (cioè i Galli), poi anche essi stessi finirono per chiamarsi col nome trovato per loro. Pri me attestazioni

Non è dato sapere da quanto tempo l 'etnonimo latino Germani (gr. Germa­ n oi) fosse in uso precedentemente alla sua prima sicura citazione letteraria, nei Commentarii de bello gallico ( BG, sS-so a.n.e.) di Giulio Cesare, anche =

G i ulio Cesare

se un passo del grammatico greco Ateneo (fine del sec. n ) lascerebbe intuire l 'uso dell'etnonimo Germani in un frammento dello storico Posidonio (ca. So a.n.e.) \ a proposito di presunte consuetudini alimentari ' barbariche '. Poi­ ché però in quella sezione Posidonio si riferiva ai Cimbri (popolazione a suo dire celtica) e ammettendo che Ateneo (il quale, nel sec. n , ben conosceva i Germani) non abbia manomesso il passo originale, resta da chiarire a cosa si riferisse Posidonio, dato che la cultura greca a lungo percepì i Germani come un'entità satellite e spesso indistinta dai Celti. Alla suddivisione del mondo occidentale tra i Celti (a ovest) e gli Sciti 4 (a est) operata dalla cultura greca, i Germani cisrhenani collocati da Cesare a

2.. I riferimenti dalla Germania di Tacito sono tratti dall'edizione di Perl ( 1990 ) . Nel xxx libro delle Storie. Non entro nel merito della controversia circa una precedente men­ zione dell'etnonimo Germani basata sul passo dei Fasti triumphales per l'anno 2.2.2. a.n.e. a pro­ posito della vittoria del console Claudio Marcello a Casteggio contro una coalizione celtica (o celta-germanica): de Gallibus Insubribus et Germ{an (eis)}. Qui il presunto nome dei Germani è una probabile falsificazione dalla propaganda augustea, in luogo di .,...Gaesatis, come sembra emergere dai riscontri letterari coevi in Fabio Pittore, Polibio, Livio e Plutarco (cfr. Luiselli, 1992., pp. 196-7). 4 · Potente raggruppamento di popoli a struttura sociale decentralizzata di presunta origine irani­ ca, noto già a Erodoto, stanziato dal sec. VII a.n.e. tra il Don e il Mar Nero. Elemento fondamen­ tale negli equilibri politici e commerciali nella regione greco-trace, il regno scita venne risucchiato dall'antagonismo di Celti, Traci e Sarmati. 3·

22

1.

Archeologia ed etnicità: i Germa n i e l'idea di 'Germani'

ovest del Reno (BG 2.4 ) e, viceversa, la presenza di insediamenti celtici a est di questo sottolineano l 'intento puramente ideologico di segnare con il corso di un fiume la suddivisione culturale tra Celti e Germani5• A dispet­ to dell'etnonimo celtico, Cesare considerava tuttavia gli Eburones una tribù germanica insediata in area gallica, accanto ad altri gruppi che si identifica­ vano con origini germaniche, come narrato da Tacito nel passo ora citato sui Tungri, a ovest del Reno. Proprio la politica intrusiva di Roma fu responsabile diretta di molti reinsediamenti di etnie germaniche (p.es. degli alleati Ubii sulla sponda sinistra del Reno nei pressi di Colonia, onde isolarne i contatti col resto delle etnie germaniche ostili) o, indirettamente, di successive mi­ grazioni in seguito alle conseguenze della conquista della Gallia (cfr. oltre, cap. 2 ) , come nel caso dell'immigrazione di Batavi (fine sec. 1 a.n.e.) dall'o­ riginario territorio dei Chatti (Tacito, G 29 e Historiae 4). Il successo della tradizionale distinzione etnografica greca fu tale che, ancora agli inizi del sec. VI, lo storico bizantino Zosimo definiva p.es. Juthunghi e Alamanni come Sciti, mentre Procopio considerava l 'etnonimo Franci una sorta di sinonimo di tutti i Germani occidentali, per distinguerli dalla massa delle gen tes Gothicae, alla quale compartecipavano sia etnie germaniche che non germaniche. Una svolta decisiva si deve al sostegno capillare fornito dall'archeologia, con­ centrata sullo studio di ceramiche e argille cotte, sulla dendrocronologia e l' im­ piego del radiocarbonio, sull'archeometria e la paleobotanica. Dal sec. X I X , gli studi archeologici hanno tratto un notevole impulso dal movimento romantico e dalle istanze ideologiche e nazionalistiche a esso collegate, le quali, in contrasto con l' Umanesimo e con la rinascita del mito classico, anelavano a ricomporre le presunte radici 'popolari ' e più autentiche delle culture europee centro-settentrionali. In particolare in Germania, opere come Die Deutschen und die Nachbarstamme di Zeuss ( 1837 ), la Geschichte der deutschen Sprache di ]. Grimm ( 1 848 ) , che trattava in realtà delle lingue germaniche, la Deutsche Altertumskunde di Miillenhoff ( !887-1900 ) o il commento alla German ia di Taci t o di Much ( 19 3 7 ) sottolineavano l' idea di una nazione 'tedesca' ante litteram rappresentata dai Germani, concepiti come un raggruppamento etnico distinto e autonomo, dispiegato su un certo territorio dell' Europa centro-settentrionale. L' ideologia pangerma­ nica ottocentesca e della prima parte del Novecento trovò dunque conforto nei risultati dell'archeologia degli inizi del sec. X I X , tesa entusiasticamente a dimostrare la continuità tra ritrovamenti archeologici e identità etniche e territoriali e propensa a contrassegnare pregiudizialmente ogni reperto non direttamente romano come 'germanico' (Sklenar, 1983, pp. 67-9, 91-6 ) . s. Un'analoga partizione basata su criteri geografici è introdotta da Cesare a proposito delle stirpi galliche, suddivise tra Aquitani, Belgi e Galli veri e propri.

23

l Germa n i e i l

Ro manticismo tedesco

l Germani

G. Kossinna

Capofila di questo orientamento archeologico fu G. Kossinna, allievo di K. Miillenhoff e sostenitore dell'equazione cultura materiale localmente definita

U n ità e disomogeneità

gruppo etnico territorialmente stabilito

all' interno di una data porzione geografica, nella quale trovavano sistemazio­ ne agglomerati di varia grandezza, complessi familiari allargati (clan) e con­ federazioni di entità disomogenea (cfr. Kossinna, 1920 ). Tali aggregazioni venivano frequentemente (e arbitrariamente) fatte discendere dalla penisola scandinava, sulla scorta di una documentazione letteraria di origine erudita alto medioevale. Da simili premesse, Anderson (1938 ) poté completare un'e­ dizione della Germania di Tacito, comprendente la descrizione dettagliata di popoli, etnonimi e spostamenti condotta su basi documentarie alquanto incerte. Le culture venivano in sostanza equiparate a monoliti, pur senza al­ cuna prova del presunto valore etnico dei ritrovamenti, interpretati in modo arbitrario e spesso casuale, con un'idea di migrazione e di continuità dell'etni­ cità del tutto indimostrabile, se non addirittura basata sul pregiudizio razzia­ le, come conferma il largo successo di Kossinna tra gli ideologi del nazismo. Superata la parentesi della Seconda guerra mondiale, l'intero approccio alla cultura germanica ha subito una rielaborazione sostanziale ancora in corso di riconoscimento definitivo, dalla quale emerge grande cautela nel vaglio dei dati spesso ambigui effettivamente a disposizione. Si deve innanzitutto registrare l' impossibilità di identificare i Germani delle fonti classiche con i rappresentanti di una compagine linguistica indoeuropea ben definita (il germanico), benché molti di quei gruppi ribattezzati con tale etichetta par­ lassero una lingua che si definirebbe germanica. Tuttavia l'archeologia, i riti funerari, i si ti di culto, la linguistica e la lessico­ grafia forniscono informazioni ancora troppo frammentarie per ricostruire un quadro unitario della formazione etna- e glottogenetica dei Germani, come si evince dai limiti di un lavoro pur eccellente come il Vocabulaire di Benveniste ( 1969 ) sulle presunte istituzioni delle culture indoeuropee. Un raggruppamento che condivide una cultura materiale precisa indica un certo grado di omogeneità, i cui confini non sono tuttavia assimilabili a quelli di un gruppo etnico (Wenskus, 1961, pp. II 3-42; Hall, 1997, pp. 1 28-42; Heather, 1996, pp. 14-8 ) . Un esempio paradigmatico proviene dalle sepolture nello stile celtico di La Tène (cfr. oltre) tra Senna e Reno, le quali, dense di corredi di armi, dopo l'occupazione romana della Gallia iniziano a modificarsi. A partire dal sec. I, infatti, dali ' area gallica settentrionale pacificata da Roma non emerge più alcuna spada né elmo, presenti ancora soltanto nelle tombe renane più a est, in una regione connotata da un elevato tasso di conflittua­ lità e fortemente militarizzata. Fino al sec. 11, il prestigio del servizio e del 24

1.

Archeologia ed etnicità: i Germani e l'idea di 'Germani'

comando militare per Roma, i donativi e l'esibizione di tale status restarono un valore cruciale per le élite locali. Lo stesso vale per le sepolture 'reali ' o 'principesche ' a inumazione dell'area europea centro-orientale, nei primi tre secoli della nostra èra. Le tombe, separate dai grandi cimiteri comuni a cre­ mazione, mostrano un crescente grado di omogeneità, frutto di relazioni e interscambi tra le aristocrazie barbariche di società a base agraria (Brather, 2004; 2005, pp. 141-7 ). Dal punto di vista della congruenza, l'aggettivo 'germanico' si riferisce con maggiore legittimità alla sfera linguistica, indicando un raggruppamento omogeneo dell'indoeuropeo dalle notevoli affinità con la famiglia itala-cel­ tica e balto-slava e con caratteristiche uniche e peculiari al suo interno, nel quale si tendono a isolare due fasi distinte: 1. lo sviluppo progressivo di un nuovo sistema di opposizione consonantica (e più limitatamente vocalica), dalla seconda metà del I millennio a circa i secc. III-II a.n.e. (i prestiti celtici manifestano gli effetti di tale mutazione, ma non quelli derivati dal latino); 2. la fissazione dell'accento sulla radice di parola (conclusasi verosimilmen­ te intorno al sec. II a.n.e.), capace di generare una serie di fenomeni conca­ tenati, fra i quali la crisi del sistema flessivo e le conseguenti modificazioni a livello sintattico. La formazione delle comunità migratorie del sec. II a.n.e. (fra le quali Cimbri, Teutoni, Ambroni) o delle tribù che Cesare definì German i cisrhenani oppure delle anfizionie (leghe cultuali) tacitiane (Ingaevones, Istaevones, Herminones) o ancora delle enclaves reinsediate da Roma a ovest del limes renano o delle varie 'nazioni' gotiche fu il risultato di processi economici, politici, militari e religiosi, nei quali l'etnicità entrò in gioco in misura alquanto disomogenea. L' identificazione etnica può avere radici territoriali o personali, familiari e religiose, così come allo stesso concetto di etnicità possono essere assegnati valori anche molto diversi; se per Kossinna avrebbe avuto un senso parlare di stoviglie tipicamente 'turinge ' 6, il generale senso di appartenenza a un gruppo e le credenze in antenati e genealogie comuni costituivano per Wenskus (1961) criteri altrettanto topici nella formazione di un concetto condiviso di ethnos. 6. «La cultura non è una categoria aprioristicamente elaborata negli studi fìlosofìci per essere poi introdotta dall'esterno negli scavi archeologici. Le culture sono fenomeni che vengono osservati; chi lavora sul campo rinviene particolari tipologie di strumenti, armi e ornamenti ripetutarnente collocate insieme in tombe e abitazioni di un certo tipo che contrastano con reperti che affiorano in tombe e insediarnenti di un altro tipo : l'interpretazione di quanto osservato viene allora fornita dall'etnografia» ( Childe, 1935, p. 3). 25

Etn icità i llusorie

l Germ a n i

Le cu lture del Ferro celtiche

Nell'Europa temperata, tra l'età del Bronzo7 (ca. IS00-400 a.n.e. ) e quella del Ferro romano ( so a.n.e.-350 ) 8 non si rilevano significative discontinuità di na­ tura archeologica né violente intromissioni o sovrapposizioni di popoli, ma una costante evoluzione tecnologica, una graduale differenziazione sociale e una condivisione di determinate consuetudini economiche, funerarie, religiose, ar­ tistiche e sociali che rientrano nella definizione di 'cultura' : a ben guardare, le differenze tra civiltà del Bronzo e del Ferro sono in realtà di portata limitata9• Si ritiene che alla cultura del Bronzo si sostituì, dal sec. I X a.n.e., una prima civiltà europea p re-romana del Ferro ( il cui sito principe è Hallstatt, Stiri a, ca. 750-450 a.n.e. ) , originata tra Boemia, Baviera e Austria fino a espandersi all'alto Danubio, al Reno e alla Saòne. Dal carattere più spiccatamente celti­ co, integrato da elementi etruschi e delle colonie greche, la successiva cultura di La Tène ( Neuchatel, ca. 450-so a.n.e. ) sorse tra i corsi di Marna e Mosella, espandendosi nei tre secoli successivi alla gran parte d' Europa : intorno al sec. I a.n.e. raggiunse la costa del Mare del Nord e, lungo la Lippe, più a est, gli Erzgebirge ( tra le odierne Germania e Repubblica Ceca) e i Carpazi. L'affermazione dell'uso del ferro ( e dell'acciaio, una lega di ferro e carbonio ) si accompagna alla nuova capacità di ottenere temperature di fusione più alte di quelle del bronzo, favorito nella produzione di utensili e armi per la mag­ giore facilità di lavorazione.

La difficoltà di produ rre acciaio con i metodi allora d i spon i b i li rendeva tuttavia più conve­ niente la fo rgiatu ra in ferro battuto, più debole del bronzo, ma meno costoso, e più facile da affilare. Il b ronzo, i n vece, richiedeva ra me e stagno, sem pre meno reperi bili rispetto al ferro, che può essere affilato con la molatura, mentre il bronzo richiede u n a n uova forgiatu ra. I n assenza di prove documenta rie dell'esistenza di laboratori e i n consi derazione delle piccole dimensioni delle attrezzature rinven ute, si ritiene che la lavorazione avvenisse a opera d i a rtigiani itineranti, c o n a l segu ito le materie prime necessarie.

7· Si è soliti precisare che l'età del Bronzo è testimoniata in Europa centrale attraverso l'introduzione del sistema di rotazione delle colture e dell'irrigazione, lo sfruttamento di animali da soma e la produzione di oggetti di lusso, l'inizio di un commercio marittimo e le culture dei 'tumuli' e dei 'campi di urne'. 8. I limiti cronologici generali utilizzati in questo libro sono : età del Bronzo (ca. zsoo a.n.e.-ca. soo a.n.e.); età del Ferro pre-romano (ca. soo a.n.e.-ca. o/so n.e.); età del Ferro romano arcaico (ca. o/so n.e.-z8o/2.oo n.e.); età del Ferro romano tardo (ca. 8o/2.oo-ca. 3so); età del Ferro germanico arcaico (ca. 3SO-ca. sso); età del Ferro germanico tardo (ca. sso-ca. 700). 9· Accanto alla fìne della pratica dei graffìti rupestri, il repentino peggioramento del clima ebbe ripercussioni, oltre che sull'agricoltura danneggiata dalle piogge più frequenti, anche sull'allevamento e sulla pastorizia, ostacolando il pascolo in autunno e inverno e obbligando a prevedere la custodia del bestiame in luoghi chiusi. Diversamente da quanto si ritiene, la cremazione rimase prevalente e il passaggio all'inumazione non è generalizzato né definitivo, come invece la distruzione rituale del vasellame nelle tombe.

26

1.

FIGURA 1

Archeologia ed etnicità: i Germa n i e l'idea di 'Germani'

Culture celtiche e germaniche n e l sec. l a.n.e.

Nordsee

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Fonte: Bleckmann (2009, p. 71).

Tra 6oo e 300 a.n.e. si inquadra generalmente la nascita della prima cultura p re-romana del Ferro settentrionale, localizzata in bassa Sassonia a Jastorf (Uelzen, Liineburg, tra Elba e Weser), la quale, pur mantenendo certe peculiarità dell'età del Bronzo (p.es. la cremazione in campi di urne) , mostra elementi di derivazione hallstattiana (visibili nella cultura limitrofa di Wessenstedt, 8oo-6oo a.n.e.). Il carattere espansivo di questa cultura, ai margini delle province settentrionali di Hallstatt, ne spiega la compresenza in taluni insediamenti del Tardo Bronzo nordico a sud dello Jutland, sulle isole danesi e in Scania, intorno all ' Oder e fino in Turingia, pur senza manifestare caratteri marcati di uniformità (Keiling, 1978, pp. 87-95 ) . 27

jastorf e le culture del Ferro germaniche

l Germ a n i

Nella cultura di Jastorf, che pure registra fino alla metà del sec. I I a.n.e. cen­ tri urbani analoghi ai borghi fortificati celtici (gli oppida, cfr. oltre) 10, si ri­ levano diversi si ti composti da tumuli privi di depositi di armi e con limitati oggetti di valore modesto, mentre vi sono echi di ceramiche del Tardo Bron­ zo e di Hallstatt (cfr. la tomba reale di Seddin, Brandeburgo) 11• Jastorf e le successive partizioni (Ripdorf, ca. 300-120 a.n.e. =La Tène-C e Seedorf, 120 a.n.e.-o La Tène-D, entrambe in bassa Sassonia, tra Weser e AUer), anticipano la proliferazione di una serie di culture '(germanico-)romane' del Ferro 11 particolarmente floride nel bacino della bassa Elba, Holstein e Meclemburgo, con alcuni elementi coevi presenti in Boemia, Moravia e lun­ go il corso della Saale, dove è possibile osservare la sovrapposizione su una cultura precedente attraverso movimenti migratori di natura circoscritta. Una cultura archeologica non corrisponde necessariamente a una compagi­ ne linguistica omogenea e Jastorf non marca, in alcun caso, l'unica cultura del Ferro associabile ai futuri Germani, né i Germani stessi, se intesi come una comunità di parlanti una prato-lingua che alla data diJastorf era ancora inesistente. I dati archeologici registrano tuttavia la compresenza di una cultura occi­ dentale del Tardo Bronzo situata sulla costa tra Elba, Weser, Reno e Somme che Hachmann, Kossack e Kuhn (1962) ribattezzarono come Nordw estblock (''Blocco nord-occidentale", cfr. oltre, cap. 2), riconducendola ai non meglio precisati Belgae, insediati nella pianura renana e sottoposti, all'epoca delle campagne di Cesare, a un processo di 'germanizzazione ' da parte di un su­ perstrato a guida germanica 13• =

10. A quel periodo vengono fatti risalire gli interscambi di carri cerimoniali e vasellame pregiato quali il Calderone di Gundestrup, bacile argenteo di ben 9 kg riccamente decorato con motivi mitologici, rinvenuto nello Jucland settentrionale. Una cultura agricola con scarse attitudini a una stratificazione sociale importante non avrebbe avuto risorse né interesse a sostenere un raffinato artigianato. 11. I primi oggetti metallici di Jastorf (ganci e lamine di bronzo per cinghie) evidenziano debiti culturali nei confronti di forme hallstattiane, con la cui cultura di origine fu evidentemente forte la spinta per la condivisione della tecnologia del ferro, favorita da una certa ricchezza locale di depositi del minerale (Schutz, 1983, pp. 309-10 ) . 12.. Darzau (bassa Sassonia), Rebendorf(Baden-W.) ecc., cfr. H. Seyer ( 1978 ) , Todd ( 1987 ) . 13. Più internamente, si distinguono ancora, tra i fiumi Lippe e Aller, la cosiddetta cultura di '(Nienburg-/) Harpstedt' (ca. secc. v-n a.n.e., dai forti accenti celtico-hallstattiani) e, più a est, quella delle 'Urne a faccia', tra Pomerania orientale e Vistola. Quest'ultima, dal sec. III a.n.e., è a sua volta alla base di culture tra le quali Przeworsk (tra Vistola superiore e Oder, secc. n a.n.e.-v, conglomerato di elementi celtici in varie tombe di guerrieri, spesso collegata all'origine dei Van­ dali) e O ksywie/ OxhOft, a nord-ovest di Danzica, Godlowski, 1992., secc. III a.n.e.-1 n.e.), alla quale sono poste in relazione le culture di Wielbark/Willenberg (secc. 1-v, a cui viene ricondotto il nucleo originario dei Goti), di Cernjachov (Ucraina-Bielorussia, secc. n-v ) e più a sud, verso il Danubio, di Sintana de Mure� (Romania, secc. Iv-v ).

28

1.

Archeologia ed etnicità: i Germa n i e l'idea di 'Germani'

In ogni caso, l'identificazione etnica di gruppi registrati nelle fonti tardo antiche e alto medioevali con le culture archeologiche resta un'operazione ad alto rischio di insuccesso, così come identificare la cultura materiale di una certa tribù, laddove, viceversa, gli studi specifici propendono ormai verso il riconoscimento degli elementi condivisi, eventualmente riconoscibili come 'germanici'. Tra questi, le antiche necropoli di urne a cremazione ( urn -jìelds, con le ceneri del solo cadavere o anche della p ira funeraria e degli arredi) 14, le inumazioni in sequenza dei secc. IV-V (Reihengriiber, row graves ), con le più antiche di esse poste al centro, o ancora taluni motivi ornamentali, come le decorazioni a nastri intrecciati (Flechtbandverzierungen, interlace ornamentation ), vengono definitivamente riconosciute come 'germaniche', anche se le sepolture di Jastorf sono connotate dalla scarsità di corredi funerari, dal loro esiguo valore e dall'assenza di decorazioni, rispetto alle più ricche tombe celtiche. Le comunità orientali che non utilizzavano frequentemente le urne, o le di­ struggevano sulle p ire funerarie, furono invece le prime ad adottare la pratica (originariamente celtica) di inserire nei corredi le armi, fenomeno raro prima del sec. I a. n.e. e che viene considerato una prova significativa del ruolo privile­ giato di nuove forme clientelari, dedite all'esercizio professionale delle armi 15• L'espansione di questa consuetudine celtica starebbe a indicare la diffusione di ricchezza e di beni mobili di consumo derivata dall'esercizio delle armi e dall'acquisizione e circolazione dei bottini, benché l'espressione di uno status attraverso corredi funerari sontuosi e armi pregiate non sia ignota già all'età del Tardo Bronzo, grazie al contatto con i mercati mediterranei. Questo dato, interpretato come conseguenza dello sviluppo di una élite guerriera (altrimenti nota come comitatus/war-ban d! Gefolgschaft) , già menzionata tra i Celti da Polibio (2.17,12), Posidonio (23) e Cesare (BG 3.22; 6.15, 7.40, soldurii, ambacti) , presuppone figure-guida di una nuova classe dominante, probabilmente basata sul controllo e la gestione dei commerci e dei mercati. In questa circostanza, i mutamenti verificatisi nella scala sociale di gruppi più o meno vasti rappresentano le ricadute di evoluzioni indotte dall'esterno, che non presuppongono la formazione di nuove etnie, un processo generalmente riconducibile all' impatto con realtà sociali più articolate e potenti. Questo fu ciò che accadde alle popolazioni germaniche più occidentali al tentativo di

14. Il culto germanico dei morti non contemplava la costruzione di monwnenti sepolcrali importanti: l'inwnazione, a lungo preferita nell'area orientale (Slesia, Lusazia, Boemia, Turingia) e settentrionale (Luneburgo e Meclemburgo ), cominciò a diffondersi nel resto dell'area germanica a partire dalla tarda età romana del Ferro grazie all'influsso delle province romane di frontiera e, più tardi, del Cristianesimo. 15. Nelle regioni più occidentali, p.es. renane, dove viceversa si impiegavano diffusamente le urne e non si gettavano nelle fiamme i recipienti (lasciando la tomba intatta), la consuetudine precedente venne adottata gradualmente e rare sono le tombe riccamente dotate.

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Corredi tombali

Sepoltu re e società

l Germani

La teoria della 'Cerchia nordica' e i suoi limiti

Formazione delle sotto-culture germaniche

conquista scatenato da Roma verso il 12 a.n.e. (cfr. oltre), in grado di saldare alleanze di clan e di complessi tribali/ etnici più estesi fino alla costituzione di inedite entità politiche allargate (cfr. l'imbarazzo di Cesare nel descrivere l'organizzazione politico-giuridica dei 'suoi ' Germani o le diverse denomina­ zioni adottate dai popoli suebici dell' Elba una volta giunti a Sud : Semnoni, Alamanni, Juthunghi, Marcomanni, Quadi). L'archeologia riconosce come la formazione di alleanze e di realtà politiche sia collegata in primo luogo al mutamento di relazioni sociali e alla forma­ zione di evolute strutture di controllo in grado di favorire forme simboliche di autoidentificazione intorno a nuclei memoriali, storici o familiari, non necessariamente originari. La netta differenza tra le scarne sepolture della cultura di Jastorf e le tombe 'principesche ' della cultura di Przeworsk (p.es. a Liibsow, Pomerania) non è un indicatore dell'assenza o della presenza dell' istituto monarchico, ma di una leadership centralizzata, probabilmen­ te sostenuta da Roma, che i Germani dell'area dell' Elba portarono con sé in Boemia (cfr. Maraboduus rex di Quadi e Marcomanni). Ne consegue pertanto che continuità linguistica e continuità archeologica non sono si­ nonimi. Qualora la seconda fosse semmai in grado di appurare la stabilità di una certa cultura materiale, ciò non dimostrerebbe comunque alcuna co­ stante etnica, come pure, al contrario, la discontinuità nella cultura mate­ riale non è necessariamente associabile a un mutamento della componente etnica (Ament, 1984, p. 43). Stabilito che il nucleo originario della civiltà del Ferro diJastorf comprendeva l'area limitata alla regione orientale di Hannover, lo Schleswig meridionale e il Meclemburgo, il collegamento diretto dei Germani con la cosiddetta 'Cer­ chia nordica' dell'età del Bronzo 16 non può più rappresentare un termine di paragone automatico né forse accettabile; le ragioni di tale negazione vanno ricercate sia nel dato meramente cronologico, sia nella reiterata adesione alla civiltà del Bronzo delle aree limitrofe a Jastorf, sia, comunque, nell' indimo­ strabile centralità di Jastorf come nucleo privilegiato nella formazione della cultura germanica delle origini. Il concetto di cultura 'germanica' resta dunque un valore largamente fitti­ zio che copre una molteplicità di manifestazioni limitate alla condivisione di singoli elementi. In termini generali, i 'Germani' sono associabili a una serie di società etnicamente disomogenee disseminate sul territorio centro­ settentrionale europeo, che, dalla seconda metà del primo millennio a.n.e.,

16. Tra Norvegia e Svezia meridionali, Danimarca, Schleswig-Holstein, Frisia settentrionale, bassa Pomerania e basso Meclemburgo. Laddove non direttamente specificato, con il termine Scandinavia si intende non la penisola ma l'area comprendente le attuali Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda e Famer, dalla quale è esclusa l'area corrispondente all'incirca all'attuale Finlandia, linguisticamente non germanica né indoeuropea.

30

1.

Archeologia ed etnicità: i Germani e l'idea di 'Germani'

concorsero a formare agglomerati fluidi, interagendo in misura non accerta­ bile con i Celti e, più tardi, i Romani. In origine, tali agglomerati, composti come detto da • • •

gruppi aderenti alla cerchia di Jastorf limitate realtà del Tardo Bronzo scandinavo porzioni residuali celtiche tra basso Reno-Weser-Danubio

non si distinguevano presumibilmente da altre comunità confinanti se non per il tempo e l'indipendenza nell'adozione di determinati costumi, ma è probabile che avessero raggiunto un'unità linguistica relativamente diffusa a partire dalla fine del II secolo a.n.e. Dai resoconti di viaggio indiretti del greco Pytheas di Marsiglia (ca. 325 a.n.e.; Pytheas T 25, Roseman, 1994; Gisinger, 1963 ) , riportati in Plinio (NH 37.35 ) , emergerebbe che a nord degli Sciti una zona imprecisata della laguna del Vadehavet/Waddenzee (sul Mare del Nord, tra lo Judand e l'area costiera della Frisia, cfr. fig. 2 ) sarebbe stata colonizzata dai < Guionibus > (lezione altrimenti emendata anche in < Gut(t)onibus > o < Gotonibus > ), confinanti, verosimilmente nello Judand, con l'agglomerato dei Teutones17• Dal sec. III a. n.e. si assiste alla fioritura del sistema celtico degli oppida (cfr. oltre), centri di potere economico e manifatturiero che rispondevano a crescenti richieste di beni coadiuvati da un'efficiente rete commerciale, dai quali emergono tracce significative di materiali di importazione (vino e spezie, attrezzature mediche e strumenti per la scrittura). Ciò spiega, p.es., l'interazione tra i singoli oppida e aree lontane, come la Danimarca e la Svezia meridionale, nelle quali la diffusione nel sec. III a.n.e. di reperti in stile latèniano (fibule, anelli, ornamenti, statuette, vasellame dai motivi seriali) ha raggiunto proporzioni degne di nota: quei manufatti non rappresentano già una forma di interscambio dalle basi ancora fragili, quanto piuttosto dei riadattamenti locali di oggetti di importazione18• Si comprende come queste prime forme di organizzazione economica su 'larga' scala generassero interessi di aggrega17. Se l'ipotesi di un errore del copista fosse vera (Wagner, 1982; Timpe 1991, pp. 86-91 ) , considerata l'improbabilità di una presenza 'gotica' a queste latitudini all'epoca di Pytheas, la congettura .,..Inguiones (in luogo di Guiones) potrebbe essere accostata ai famosi Ingaevones/lngvaeones di Tacito ( Germ. 2) e Plinio (NH 4.96 e 99 ) e parlare a favore di un'etnogenesi non necessariamente germanica di questa celebre anfìzionia (cfr. oltre). 18. Si tratta di oggetti che rispondevano alle richieste di una nuova élite facente capo alle cosiddette 'fattorie signorili', i cui membri (guerrieri a cavallo, sepolti col proprio corredo di armi) mantenevano presurnibilmente legami sociali che oltrepassavano i limiti culturali e geografici della consueta distribuzione commerciale, favorendo un ampliamento della rete di scambi attraverso la quale veniva soddisfatta anche la crescente domanda di manufatti romani (spesso destinati alle sepolture).

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Pytheas

C u ltu ra degli oppido

l Germani

FIGURA 2

L'area del Waddenzee

Mare del Nord

Roma di fronte ai pri m i fenomeni m i gratori

zione, se non di conquista, in aree e microculture limitrofe escluse, o interes­ sate solo marginalmente, dalle ricadute immediate di tali flussi di benessere. Nell'ultima parte del sec. n a. n.e., nel declino della civiltà celtica, Roma si tro­ vò ad affrontare la prima vera ondata di popolazioni in movimento da nord, raggruppamenti misti a probabile guida germanica, i cui nomi ( Cimbri, Teu­ tones,Ambrones e Harudes) sono stati spesso accostati a una probabile origine judandese. Questo eterogeneo flusso di genti cercò di insediarsi tra la Pianura padana, il Norico e il bacino del basso Rodano, infliggendo inaspettati ro­ vesci agli eserciti consolari, fino al loro annientamento da parte del console Mario ( 102 e 101 a.n.e., cfr. oltre cap. 3), dopo il quale il compiacimento delle fonti classiche (Plutarco, Velleio, Floro) sull'entità della strage perpetrata ai loro danni rivela il terrore generato da un nemico sconosciuto e tanto più temibile. Dalla fine del sec. n a.n.e., dunque, ampie zone dell' Europa tem­ perata furono testimoni di spostamenti di portata regionale dal carattere mi­ gratorio di raggruppamenti diversi (Cimbri, Teutoni, Boi, Elvezi, Suebi ecc.), che le fonti dell'epoca definiscono alternativamente Celti o Germani, i qua­ li, a poca distanza dall'ultima guerra punica combattuta da Roma, rimisero in discussione la sicurezza territoriale della penisola italica. Non è possibile stabilire se Cesare avesse un quadro sufficientemente chiaro dell'evoluzione delle società eterogenee a nord delle Alpi, nel secolo precedente al suo attac­ co alla Gallia, anche se i contatti tra Celti, 'Germani ' e Roma avevano luogo da almeno un paio di generazioni. L'antica interazione di genti nell' Europa centro-settentrionale fu però interrotta bruscamente dalla dissoluzione della 32

1.

Archeologia ed etnicità: i Germa n i e l'idea di 'Germani'

vitalità celtica e dal relativo arretramento nei circuiti politici e commerciali di Roma, fattore indiretto di ricostruzione di nuove affinità identitarie. È così possibile postulare che le origini delle culture germaniche siano situa­ bili a ridosso dell'area di transizione 'post-celtica', nella quale l'espansione definitiva dei sottogruppi della civiltà di Jastorf e la loro associazione con parlanti 'germanici ' (fine sec. 1 a.n.e.) sembrano corrispondere ai resoconti delle fonti classiche, laddove l'assenza di tracce esplicite di migrazioni pre­ cedenti potrebbe semplicemente derivare dal livello inferiore delle nuove culture. Cosa erano allora i Germani ? Un popolo ? Un'etnia ? Un'invenzione ? Hachmann (1975, p. II7; Stockhammer, 20II ) sottolinea come l'archeologia, da sola, non sia in grado di stabilire il concetto di 'germanico', potendo definire soltanto leghe o raggruppamenti culturali anonimi 19: una cultura equivale a una rete funzionale di componenti reciprocamente collegati, soltanto alcuni dei quali individuabili dall'archeologia. Le condizioni per dare una risposta efficace restano ancora lontane dall'essere definibili: se è vera la contiguità tra le compagini linguistiche scandinave, sassoni, anglosassoni, franche e gotiche, niente o quasi può dirsi sul rapporto tra queste e quelle di Vangioni, Ubi, Sugambri, Cimbri o Teutoni e se queste parlassero effettivamente un dialetto germanico soltanto perché i Romani li avevano etichettati come 'Germani ' (Hachmann, 1971, p. 29 ). Altrettanto oscuro è capire se i complessi tribali/ etnici ai quali gli storici si riferivano costituissero popoli interi, composti cioè anche da donne, vecchi, bambini e schiavi, o se invece indicassero semplici bande armate in movimento periodico. I gruppi etnici si definiscono sulla base di una tradizione comune condivisa, manifestata tramite fattori quali abbigliamento, decorazione, lingua, religione e strutture sociali, mentre al contempo gruppi etnici diversi possono condividere uno o più elementi restando sempre distinti tra loro. L'etnicità è un fenomeno dinamico, espressione di forti istanze ideologiche e dunque suscettibile di manipolazioni volte a difendere singoli interessi. Barth ( 1969, pp. 10-4) p.es. identifica un gruppo etnico come un insieme di persone che nella reciproca interazione confermano e mantengono un'identità nei confronti di un altro raggruppamento umano di tradizioni diverse 20, mentre Hodder (1982, p. 185) sottolinea il ruolo dell'interazione fra i gruppi antagonisti nello sviluppo dell' identità: l'enfasi simbolica delle varie fazioni è spesso più vitale 1 9· In ogni caso «Già durante il Paleolitico Superiore le aggregazioni delle aree temperate avevano carattere misto» (Childe, 1 9 3 5 , p. 4 ) . 20. Il contesto culturale delle dicotomie etniche sembra dunque scomponibile in due tipi: a ) segnali evidenti, peculiarità cercate o esibite per mostrare un' identità (abiti, lingua, forma delle abitazioni, stile di vita); b) orientamenti nei valori di base (standard morali, di eccellenza, ideologia religiosa) con i quali è giudicata un'azione.

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Quali Germa n i ?

L'i dentità etnica

l Germ a n i

Orga n i s m i segmentari

e marcata durante i periodi di pressione e competizione. Molta strada è stata fatta dai tempi di Wenskus (1961), che sgretolò alla radice l' immagine idea­ lizzata degli antichi nuclei tribali di contadini-guerrieri e che pure segnò un punto di demarcazione fondamentale dal pensiero dominante di allora. Per lui le 'tribù' erano soprattutto unità eterogenee raggruppate intorno ad un nucleo aristocratico, che ne definiva l'esistenza e ne tramandava le tradizioni. Nell'impatto con le società a nord delle Alpi, Roma si trovò ad affrontare organismi fluidi in corso di cambiamento, che intrattenevano da tempo con­ tatti col mondo mediterraneo e con i relativi circuiti commerciali. In questo scenario, il Reno non costituì un confine linguistico né archeologico fin do­ po le conquiste galliche di Cesare, che limitarono fortemente l'interscambio tra gli oppida della Gallia e le culture più povere a nord-est del fiume, ma non impedirono la continuità di fattori culturali (ceramiche a tornio, gioielli in pasta di vetro, attrezzi in ferro, conii celtici) derivati da centri laténiani nel bacino danubiano. Per quello che si lascia intuire, i raggruppamenti (multi-)tribali descritti nel­ le fonti romane erano ordinati in strutture provvisorie, prive di distinzioni nette, che si formavano con finalità commerciali o politiche, o su base reli­ giosa, e potevano durare per periodi anche brevi, come il tempo di una guerra (Hedeager, 1992), secondo un principio aggregativo di tipo 'segmentario' Nel caso di alleanze con Roma, è impensabile che questa non abbia svolto un ruolo diretto nel pilotare le scelte politiche e militari di unità tribali o di etnie : l'infiltrazione di Roma tra i Marcomanni, prima con l'appoggio a Maraboduus e poi a un re-minore (un regulus) straniero come Catwalda o la celebrazione del nuovo re imposto ai Quadi, nel sesterzio di Antonino Rex Qvadis datvs (cfr. fig. 3), sono due esempi. L'approccio ordinatore dell'etnografia classica e medioevale produsse una semplificazione estremamente riduttiva delle variazioni (Germani vs. Celti e Sci ti), con una forte compressione del numero dei raggruppamenti etnici in entità pseudo-statali e regni scarsamente dimostrabili, con un impiego degli etnonimi arbitrario e fuorviante. Lo stesso criterio geografico, collocando i u.

Criteri distintivi

2.1. Il concetto di sistema 'segmentario' delle società arcaiche nella loro evoluzione contiene la nozione di 'segmento' (parentale, di clan, di discendenza), messa a punto alla fine del sec. XIX da É. Durkheim, per indicare società fondate su forme di solidarietà meccaniche e basate sull'interazione di gruppi omogenei, che condividevano credenze e valori affini. L'idea di 'segmento' di Durkheim aveva destato tuttavia forti perplessità, in quanto non approfondiva la natura dei gruppi e dei sistemi derivanti. Ciò fu conseguito con le ricerche dell'antropologia anglo­ americana sulle società tribali dell'Africa centro-settentrionale (E. Evans Pritchard, M. Fortes, P. e L. Bohannan, E. Gellner), che dimostrano come un'organizzazione socio-politica 'acefala', priva cioè di una struttura centralizzata di potere, sia suddivisa per unità minime di segmenti familiari, di discendenza, di clan (egemoni ma senza un dominio assoluto), fino ad arrivare ad agglomerati maggiori come le tribù, qualificate da una natura aggregativa 'aperta' e in origine non irrevocabile.

34

1.

FIGURA 3

Archeologia ed etnicità: i Germa n i e l'idea di 'Germani'

Sesterzio di Antonino

Fonte: http://www.cngcoins.com/Coin .aspx?Coini D=174818.

Germani a nord o a est di fiumi, monti e popoli, si dimostra immediatamen­ te inadeguato. La linguistica e l'archeologia insistono piuttosto nell' indivi­ duare una serie variabile di tratti culturali che un certo agglomerato di genti nell' Europa temperata condivideva con i popoli limitrofi, al punto però di renderne l'identità estremamente articolata, quando non vaga. Nello specifico, la linguistica si è orientata da tempo verso l' individuazione di isoglosse che identifichino raggruppamenti macroregionali molto generici di lingue e culture quali: 1. Germani ( co ) del Mare del Nord; 2. Germani ( co ) del Reno-Weser; 3· Germani ( co ) dell'Elba; 4· Germani ( co ) dell'Oder-Visto­ la; s. Germani ( co ) settentrionali/ settentrionale. Tutto questo ha indotto ormai la ricerca antropologica a considerare i gruppi etnici non tanto ( o non solo ) dal punto di vista materiale, religioso o dei criteri oggettivi, tecnici e artistici, o dei motivi funerari, ma anche attraverso le tracce di autoidentifìcazione, vale a dire la rivendicazione di costituire un certo grup­ po sulla base di un'antica appartenenza, di una comune discendenza o di una storia convergente ( Wenskus, 1961, pp. 14-7, 54-82; Hall, 1997, pp. 17-33 ) , senza disdegnare a priori l'esempio dei miti di origine ( cfr. oltre ) . Che i Germani ne possedessero alcuni è espresso già da Tacito ( G 2 ) , ma è discutibile che i popoli a lui contemporanei continuassero ad aderirvi. Ancora in epoca tardo-antica, i Germani non si sentivano affatto un gruppo etnico unico, ma percepivano sé stessi ancora solo come Batavi, Chauchi, Cheruschi, Hermunduri, Tencteri. La domanda su cosa sia stata una vera cultura germanica continua a generare equivoci e dissenso, tanto da rendere ancora attuale la provocazione di Geary ( 1988, p. VI ) , secondo il quale i Germani rappresenterebbero « la creazione di maggior successo del genio politico-militare di Roma » . 35

2 Celti e Germani

L'immagine tradizionale dell'impatto tra due culture autonome e antagoniste (quella celtica e quella germanica) oggi viene ormai comunemente riletta nei termini di una coesistenza funzionale tra duefacies di diverso prestigio all' in­ terno di un'unica civiltà, variamente aggregate in termini di scambi e influssi economici, relazioni militari e interazioni religiose. Analogamente a quanto osservato nel capitolo precedente, anche il concetto di 'Celti ' rappresenta un'etichetta convenzionale, con la quale identificare i parlanti di un deter­ minato raggruppamento linguistico indoeuropeo, variamente uniti in sotto­ culture affini. Alla metà del I millennio a.n.e. tale etnonimo veniva sempli­ cemente impiegato dalla cultura greca per contrassegnare la metà occidentale dell'ecumene, antagonista di quella orientale dominata dagli 'Sciti ' (cfr. fig. 1 ) , ma l'entità del nucleo originario, il territorio di appartenenza e l'eventuale denominazione iniziale attendono ancora una risposta convincente. Quelle antiche culture celtiche, mai riunitesi in ampie unità politico-terri­ toriali accentrate sotto una monarchia unica, condividono poco o nulla con la lettura retorica che di esse fece il nazionalismo ottocentesco1: i Keltoi o Galatai (i Celti della storiografia greca) e i Germani (di quella romana) non si sarebbero dunque mai percepiti nei termini di 'Celti ' e 'Germani', se non come un insieme di tribù, etnie e leghe economiche, politiche e cultuali. In questo complesso, l'egemonia tecnica, politica e commerciale raggiunta nei principali agglomerati di parlanti una lingua celtica (i cosiddetti oppida, cfr. oltre) rifletteva un livello culturale che sarà raggiunto dai parlanti una lingua germanica solo alcuni secoli più tardi1• I contatti più significativi tra 'Celti ' e 'Germani ' hanno luogo tra la tarda epoca di Hallstatt (secc. VI-IV a.n.e., quella del grande afflusso di ricchezze, delle sepolture principesche e dell'espansione militare ai danni di Etruschi

1. Ancora oggi ravvisabile in una gamma di manifestazioni che vanno dalle comiche avventure di Asterix, eroe positivo dell'omonimo fumetto, a più elaborate manipolazioni politiche e ideologi­ che odierne, altrettanto ridicole. 2. Cfr. le tombe principesche di Hochdorf, in Baviera, e di Glauburg, in Assia, del sec. VI a.n.e.

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Cultu re domina nti e cu lture satelliti

Relazioni celta­ germaniche

l Germani

FIGURA 1

L a tradizionale disposizione degli insediamenti d e i popoli antichi secondo Pytheas di Marsiglia (ca. 325 a.n.e.)

Fonte: R. Seyer (1968).

e Romani) e la metà dell'epoca di La Tène (secc. I I I-I a.n.e., con l'espansione nell'Europa centro-orientale e nei Balcani e la costituzione di aggregazioni mi­ ste - come Cimbri, Teutoni o i Gaesati). L'area interessata dal contatto va dai Sudeti al massiccio del Harz, fino al bacino del Reno, fiume che soltanto Cesare - con un atto politico formale - identificò arbitrariamente come precisa de­ marcazione, legando per la prima volta il concetto di 'Germani' a un territorio. In assenza di tracce migratorie di una certa rilevanza, i dati archeologici non consentono un'identificazione nitida ed esaustiva tra Celti e Germani, come invece è possibile dalle fonti linguistiche. Non è pertanto irragionevole sup­ porre che le principali distinzioni si siano originate nella letteratura etnogra­ fica greco-romana, i cui autori in molti casi intesero i due etnonimi in misura contraddittoria. L'epoca di La Tène coincide con taluni rivolgimenti economici e sociali con­ traddistinti dall'egemonia di aristocrazie militari celtiche. Queste furono re­ sponsabili dell'espansione verso il bacino mediterraneo\ della circolazione di beni di prestigio per le élite guerriere raccolte intorno a nodi commerciali (con un avvio di economia monetaria) e di nuove concezioni religiose. Im-

3· Sacco di Roma e colonizzazione dell'Italia settentrionale, 393 a.n.e.; saccheggio e distruzione del tempio di Delfì, 279 a.n.e.; ingresso in Anatolia, 278 a.n.e.

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2.

Celti e Germani

portanti sepolture connotate in senso marziale iniziano a sostituire le pre­ cedenti tombe aristocratiche, estendendosi verso est fino alle aree di inse­ diamento a maggioranza germanica4 tra Elba e Saale, segnali dello sviluppo locale di una struttura clientelare. A partire dal sec. I I a.n.e., la competizione per il controllo delle risorse e dei traffici aveva favorito un'organizzazione economica e politica ordinata in una rete di rapporti concentrati intorno a nuovi insediamenti fortificati di dimensioni relativamente ampie, definiti da Cesare col termine latino di oppida (Pesche!, 1978; Wells, 2001; Carroll, 2001; Baitinger, Pinsker, 2002; Kruta, 2003). All'iniziale produzione in serie di beni dalla rilevante omo­ geneità, la cultura degli oppida affianca la stupefacente standardizzazione del peso delle monete indigene (coniate dal sec. III a.n.e. su prototipi greci), dalla quale risalta un'economia più complessa basata sull'intermediazione monetaria d'influsso greco-romano. Oggi si considerano ormai queste aggregazioni politico-economiche come il risultato di un orientamento allora in atto, nell'area europea temperata, ten­ dente a creare comunità articolate in grado di rispondere con maggiore effica­ cia a nuove richieste di beni e alla conseguente gestione delle risorse. La con­ centrazione della produzione è spia di un'accresciuta centralizzazione politica tipica delle società latèniane, rispetto a realtà settentrionali meno complesse, basate su comunità sociali più ristrette e disseminate (culture di Jastorf). La conquista romana della Gallia modificò inizialmente soltanto i rapporti di forza nell'area, senza che gli scambi cessassero del tutto, come dimostrano gli straordinari manufatti celtici (o d 'influsso celtico) in ceramica, argento e bronzo, rinvenuti p.es. in Danimarca5• Dal punto di vista politico, nel sec. I a.n.e., la società celtica sembra rispecchiare una struttura organizzata per signorie familiari e clientele, alla cui sommità il rango dei nobili era compo­ sto dalla classe dei guerrieri e da quella più articolata dei druidi (sacerdoti, intellettuali ed esperti di diritto). Diversamente dai dati che emergono dal­ la Britannia, e coerentemente con le informazioni archeologiche sulla fase di trapasso tra i periodi di Hallstatt e La Tène, colpisce l' indefinitezza (o il declino) dell' istituto monarchico ; in alcune etnie (Edui, Arverni, Bellovaci, Remi) esso era stato infatti sostituito da magistrature rappresentative di oli­ garchie locali, mentre in altri agglomerati continuavano invece ad esistere fa­ miglie 'reali ', che vantavano antichi re (Birkhan, 1997, p. 998 ), carica più avanti riesumata da Cesare a favore degli alleati di Roma. 4· Sepolture del tipo 'pomerano' di Li.ibsow (/Lubieszewo, od. Polonia) emergono tra i popoli della Boemia migrati dal bacino dell'Elba, così come la cultura 'carpatica' di Przeworsk caratteriz­ zata dalla deposizione tombale di armi si sviluppa nell'area tra Oder e Warrhe. S· Cfr. i Calderoni di Bra e Gundestrup (fìne sec. II a.n.e.) e forse il Carro votivo di Dejbjerg e l'Anello di Dronninglund.

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Economia e potere politico

Roma nello scacchiere centro-europeo

l Germ a n i

Il B locco nord-occidenta le

Arti gianato e fonti di a pprovvigionamento

Proprio il relativo 'progresso' della civiltà celtica fu un elemento di fatale de­ bolezza di fronte all'aggressione romana. La concentrazione politico-econo­ mica intorno agli oppida permise ai Romani, isolando e catturando le varie cittadelle, di mettere in ginocchio il potere gallico e l'economia sulla quale era basato. Viceversa, l'arretratezza dell'economia germanica, dispersa in aree e centri di potere disseminati su territori talvolta impervi o impraticabili per la macchina da guerra romana, ne alimentò la resistenza, fatta di azioni di guerriglia e di razzia e priva di punti di riferimento precisi. L'idea di una comunità flessibile di tribù eterogenee tra Celti e Germani è alla base di una monografia molto discussa di Hachmann, Kossack e Kuhn ( Viilker zwischen Germanen und Kelten , 1962), che punta l'indice sul ruolo avuto nella nascita dell'appellativo Germani da aggregazioni 'miste ' cisrena­ ne, insediate a ovest del fiume, nella regione della Gallia Belgica, tra parlanti celtici e germanici (Belgae, Menapii, Morini, Nervi, Remii, Treveri, Triboci, Vangiones ecc., cfr. Meid, 1986). All'espansionismo ' belgico' verso le fertili pianure del delta renano corrisponderebbe quindi la nascita dell'etnonimo Germani tra complessi di origine germanica, assoggettati forse di recente a élite celtiche in un periodo non determinabile rispetto alla presenza romana. Tale nome sarebbe stato poi arbitrariamente esteso da Cesare a tutti i rag­ gruppamenti a est del Reno, dando l'impressione che fossero più recenti6• L'annessione da parte di Roma delle ricche regioni celtiche a ovest del Reno e il conseguente distacco dali ' interscambio con le aree nord-orientali segnò, in termini archeologici, la nascita di un insieme di culture autonome, definibili come 'germaniche', connotate da una considerevole arretratezza e da livelli economici assai depressi. L'omogeneità dei primi manufatti di una cultura indigena nord-occidentale (basso Reno-Ems-Weser), ma anche le loro affinità con i prodotti della civiltà del ferro di Hallstatt e soprattutto La Tène (molti dei quali peraltro ancora in bronzo), non può escludere un utilizzo in loco di artigiani celtici, ivi chiamati per lavorare nei giacimenti di lignite e limoni te (idrossidi di ferro e minerali argillosi) disponibili a est del Reno (Schleswig, Ruhr, Harz, Boemia, Slesia), in considerazione dei costi delle importazioni?.

6. Le indagini archeologiche in quest'area sembrano indicare che quasi tutti gli insediamenti e la maggior parte degli oppida vennero abbandonati intorno alla metà del sec. I a. n.e., con la conquista romana, e che comunque la loro attività non arrivò alla fine del secolo. 7· Nella lavorazione del bronzo e del ferro, la metallurgia celtica aveva da tempo raggiunto livelli qualitativi tali da imporre un'egemonia manifatturiera su gran parte del resto d'Europa. Dall'area boemo-danubiana verso nord, lungo il bacino di Oder e Vistola, prodotti metallici di varia natura (armi, attrezzi e ornamenti) mostrano i segni di un influsso 'latèniano' che si protrasse fino agli inizi della nostra èra. Molti di questi sono stati rinvenuti in corbiere dell'area danese e tedesca settentrionale, già utilizzate come depositi votivi, grazie al favorevole ambiente anaerobico che contrastava l'ossidazione.

40

2.

Celti e Germani

Accanto all'archeologia, le cui sole indagini non possono fornire che dati limitati, i contatti celta-germanici sono stati indagati anche sul versante linguistico. Qui sembra emergere una serie di relazioni (non particolarmente antiche) che riunisce un sottogruppo indoeuropeo italico-celto-germanico, secondo il paradigma di Krahe ( 1954, 1963, 1964), relativo a un'idronimia condivisa da questa porzione di lingue occidentali, oltre a una serie di isoglosse di natura diversa8• L'analisi dei prestiti germanici dal celtico manifesta gli effetti della Mutazione consonantica germanica9 e per tale ragione stabilisce una testimonianza indiretta per la datazione del fenomeno, laddove, al contrario, i prestiti dal latino sono tutti privi dell'effetto di tale fenomeno. Da ciò si deduce che la modificazione può avere avuto luogo nel periodo intermedio tra l'ingresso dei primi prestiti dal celtico e l'arrivo di quelli dal latino. Un'origine celtica è forse da individuare nel sost. got. andbahts "servo", aingl. ambeht, aat. ambaht ( ted. Amt, Beamter) e aisl. ambdtt "serva, concubina", forme derivate da un corrispondente sost. gall. ambaktos (''seguace, cliente", registrato in Cesare, BG 6.15 < ambactos clientesque >; v. gallese amaeth "servo, contadino"). Tra i prestiti va incluso anche germ. *rik-ija- "potente", cfr. got. reiks ( riks) "signore, principe"; reiki "regno"; reikeis "nobile, distinto, principesco", aisl. riki, aingl. rice, afr. rike id., as. riki, aat. rihhi "regno", cfr. gall. rig- (cfr. -rix), lat. rég-/réx, aind. raja < ie. *RÉG-, in ragione del tipico trattamento celtico in li/ di ie. */e/: qui il prestito germanico non valeva tanto "re, monarca" (un' istituzione a lungo assente tra i Germani, cfr. oltre cap. 6, e comunque indistinta tra i Celti continentali), ma piuttosto "signore, capo" (delle società di Celti o di entità miste a guida celtica), al quale afferivano le comunità subalterne di Germani in una data regione. Nondimeno, le due compagini linguistiche condividono una serie di isoglosse che sembrano indicare sviluppi presumibilmente analoghi a livello istituzionale, sociale e culturale10• Tuttavia, il primato della cultura materiale celtica, riscontrabile nella produzione artigianale germanica più tarda, ha indotto in modo generalizzato a considerare la prima sempre come donatrice (di un termine, di un istituto) verso la seconda, laddove si rilevi una certa convergenza linguistico-culturale (cfr. proto-celt. *letro- ( < ie. *PLE-TRO- ) > airl. lethar, gallese lledr, bret. lezr "pelle, cuoio" > germ. *lethra- > aingl. lether, aat. ledar).

Appo rto della lingui stica diacronica

Prestiti linguistici

=

8. Tra gli altri, alcuni termini per 'mare', 'collina', 'comunità', 'uomo', 'veggente', 'dente'. Insieme di fenomeni consonantici, databili circa tra i secc. IV e I I a.n.e., che distinguono il gruppo linguistico germanico nella famiglia delle lingue indoeuropee. 10. Cfr. p.es. le designazioni per 'libero', 'giuramento', 'ostaggio', 'erede', 'eredità', 'amico', 'parente­ la', 'ragazzo' -'figlio' -'servo', 'figlia', 'guerra', 'vittoria', 'bottino', oltre agli ambiti religioso-spirituale, dell'allevamento e della monta dei cavalli, delle costruzioni, del paesaggio e della natura; per una indagine recente dell'intera problematica, cfr. Hyllested (2010 ). 9·

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l soglosse lessicali

l Germani

Nel ca m po della metallurgia, è dimostrato come le popolazioni germaniche a bbiano acqui­ sito dai Celti una com petenza fi no a llora ignota: p.es. la tecnica d i 'so/dering ' (sorta di salda­ tu ra 'leggera' i n grado di u n i re metalli con temperature di fusione diverse) sembra assimilata dai Germani soltanto dopo il 1 sec. a.n.e. ( Birkhan, 1970, pp. 147-8), così come il prestito germ. *lauòa- (aingl. lead, afr. lcid, m at., m bt. /ot "piom bo") da u n origi nale celtico (cfr. airl. luaide < i e. * PLEUDH-), nonostante i Germani utilizzassero già il piombo, p.es. per eq u i li b ra re l'i mpu­ gnatura delle spade. Va però ricordato che i precedenti contatti linguistici tra i l gruppo delle a ntiche lingue italiche e quello german ico sono alla base di un'a ltra i m portante isoglossa, quella per 'mi nera le', 'bronzo' e 'ra me' ( lat. aes, got. aiz, aat. er, aisl. eir < i e. *Avos-, così come l'agg. i n *-(ijno- derivato: lat. aenus, umbro ahesnes (ablat. pl.), aingl. a?ren, aat., as. erin). I n decifra b i le resta il caso di 'ferro' (celt. */sarno-, proto-celt. */sarno-, a i rl. iarnn, ga llese ha­ iarn, go t. eisarn, a a t., as. lsa(r)n), che Birkhan (1970) e a ltri celtisti ritengono entrato nel gruppo linguistico germanico i n torno alla prima metà del 1 millennio a.n.e., attraverso artigiani celtici. In cam po gi uridico e istituzionale, tuttavia, la ricerca lingui stica non è giunta a risposte definitive, se in ogni ci rcostanza sia valido il paradigma u n i laterale celtofono o se si tratti i n vece di iso­ glosse svilu ppate in comune (cfr. p.es. i casi di aingl. gls(e}l, as. • aat. glsa/, aisl. gisl "ostaggio" e a i rl. gia/1, ga llese gwystl, gall. Con-geistlus (a ntroponimo); got. aiths, aisl. eiòr, aingl. cith, aat. eid "gi uramento" (gr. oitos "fato"), a i rl. 6eth; aat., a s. wini, aingl. wine, aisl. vinr "alleato, parente", ai rl. fine "parentela, fa miglia, tri b ù", gall. Venicarus (antroponimo); aat. hathu-!ha­ du-, ai ngl. heathu-, aisl. hQò "conflitto" (cfr. HQòr, teonimo) e a i rl. cath "battaglia"; oppure got. arbi "eredità, patri monio", aisl. arfr "eredità"/erfi "veglia funebre", aat. arbi, erbi e ai rl. orbe, masch., "erede". Prestiti dal germa n i co sembrano i nvece essere i nomi per 'vela', 'brache' e 'ca m icia' in celtico (ai rl. séo/, siuil, a i n gl. segel; gall. brcica, aat. bruoc, a i ngl. br6k, pl. brec, i n gl. breeches; lat. camisia < gallico < germ. * namithia, aat. hemidi, a i n gl. hemethe).

To ponomastica

È necessario quindi che le più antiche corrispondenze lessicali celta-germa­ niche vengano scrutinate in un articolato contesto diatopico, diastratico e diacronico, nel quale lessicografia e scienze onomastiche contribuiscano a una più precisa definizione dei contatti tra le due comunità, al fine di svelare se si tratti di eredità comuni o di prestiti11• P.es. il nome del Reno potrebbe rappresentare un idronimo attestato in duplice forma in un'area, che diven­ ne zona di massimo contatto tra i due gruppi (*REINOS > celt. *Rénos, gr. Rhénos, lat. Rhén us, germ. *Rinaz, aat. Rin ) , insieme a quelle del Meno (cfr. lat. Moen us vs. ted. Main ) e quella boemo-morava, lungo il Danubio (c el t. *Ddnutj-jos, go t. *Donaw i, aat. Tuonouwa, ted. Donau ) . In altri due casi, la toponomastica può contribuire a chiarire le antiche rela­ zioni tra Celti e Germani. Hercyn ia si/va (BG 6.24,2; 25,1y� designava in-

11. Cfr. i lavori di Polomé (1983), Schmidt (1984, 1986), Untermann (1989), Scardigli (1995), De Bernardo Stempel (2ooo ) 12. «Ma in passato vi fu un tempo in cui i Galli erano superiori ai Germani in valore, li attacca­ vano, e, a causa della numerosa popolazione e della scarsità di terreni, stabilivano colonie oltre il Reno. Così, le zone fertili della Germania intorno alla Selva Ercinia, che vedo nota a Eratostene e ad altri Greci, i quali la chiamano Orcynia, le hanno occupate i Volci e i Tectosagi, che vi si sono insediati>> (BG 6.24,1-3). .

42

2.

Celti e Germ a n i

fatti la catena di bassi rilievi della Germania centro-meridionale ( i Mittel­ gebirge), che dalla Foresta Nera si estendeva verso est. Il nome è di chiara matrice celtica e la vicinanza di Helvetii e Boii ( G 28) fa di loro la fonte più veritiera alla quale potrebbero aver attinto i geografi antichi. Il toponimo però non compare nelle attestazioni germaniche in una forma ravvisabile immediatamente come tale, anche se Tacito ( G 30) riferisce che i Chatti erano originari del Hercynius saltus. L'esistenza di un termine ereditario corrispondente, in una forma germanica, sembrerebbe invece confermata dalla comparsa nelle fonti alto medioevali di Fergunna (anno 8os, a pro ­ posito degli Erzgebirge, le montagne metallifere tra rodierno Land della Sassonia e la Boemia), conosciuta in medio alto tedesco nelle forme . In questo caso c i s i troverebbe d i fronte a u n parallelismo d i forme d a una stessa fonte : ie. *PE�wJuNYO-/-YA-, nella cui radice potrebbe essere espresso il nome della 'quercia', a causa del fenomeno celtico di caduta delrocclusiva labiale ie. *lp l (attraverso una fase intermedia ** l et> l ?, **lphl ?, ** /4/) produce il celt. * *[h}erkunjo-13, anche se revoluzione della stessa consonante i e. *lp l nel germ. * /fl sarebbe in grado di spiegare i derivati germ. occid. *fergun (n)ja14. Un'altra possibilità è che la forma alto tedesca rappresenti una sostitu­ zione consapevole del corrispondente e quasi omofono toponimo celtico. Discorso analogo vale per un altro toponimo cesariano, si/va Bacenis (BG 6.Io,s; la Selva Turingia, i Mittelgebirge occidentali) a proposito delr im­ mensa foresta di 'faggr ( ingl. beech, ted. Buche, dan. b@g, lat. fogus, gr. phagos, phegos) situata al confine dei Suebi, tra Assia orientale, Rhon e Wetterau. Il toponimo è riflesso più tardi nelle forme lat. med. Boconia e aat. Buohhunna, nelle quali r apparente 'difformità' del vocalismo radicale del nome Bacenis (con /al invece dell'attesa **lo/ < ie. *BHAGos) potrebbe spiegarsi non tanto come una plausibile variante celtica (/al < ie. *la/, *lo/, fenomeno opposto al germanico) dell' informatore gallico di Cesare, quan­ to piuttosto come una sorta di riadattamento fonetico del parlante latino, che percepiva germ. */o/, allora in una veste aperta (germ. * [ .J :] , * [ o:] ), come se fosse stata una [a:] . Il lungo contatto tra le due protolingue ha favorito la condivisione (spesso solo per assonanza) di numerosi antroponimi, tra i quali gall. Catumaros e 13. Hercynios skope/Os, in Apollonio Rodio (Arg. 4.638), Horcjnios drymos, in Strabone (Geogr. 4.207 ), Horcjnios drymos, in Tolomeo ( Geogr. 2.11; 7.26). 14. Tradizionalmente collegati a questo toponimo, gli antichi teonimi baltici (lit. Perkunas, lett. Pérk(u)ons, apruss. Perkonis) e slavi (Perunu, Piarun) che esprimono una divinità (guerriera) del tuono e della pioggia (scr. Parjdnya) devono forse più propriamente essere fatti risalire a una radice simile, ma non uguale, "PER- (K) - "colpire". Più controversa resta la testimonianza germanica orien­ tale del got .fairgun i "montagna, catena montuosa" (Schaffner, 2001, pp. 193-4).

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Onomastica

l Germ a n i

lat.-germ. Catumerus ( aat. Hadamar); abret. Clutori(x) e frc.-lat. Chlodericus, aat. Hluderih; gall. Bitu-rix e visig. Quede-ricus; gall. Teuto-boduus e aat. De­ od-pato; gall. Catu-rix e aingl. Heado-ric; gall. -corius e burg. (Gundi)-charius; brit. Cuno-morus e aat. Hun-mdr; gall. Orbius e aat. Arbio; gall. Sego-mdrus e germ.-lat. Segi-merus. Stupisce notare che molti tra i primi capi germanici citati abbiano un nome interamente celtico ( il cimbro Boiorix "re dei Bo i" e, forse, il capo dei Teutoni15 Teutoboduus/-baduus, i.e. * Theuòabaòwaz "guer­ riero della schiera" ) , o in parte ( il suebico Ariovistus, i re marcomannici Ballo­ marus, Catwalda e Vannius, i frisoni Mallorix e Verritus, mentre più incerto sembra il caso di Maraboduus). In questi casi, la ragione va ricercata prin­ cipalmente nel riadattamento fonologico latino di forme germaniche, for­ se mediate da 'interpreti ' celtici, oltre che nel fenomeno sempre più diffuso dell'adozione di nomi stranieri percepiti come esotici, da parte delle classi dirigenti barbariche, a seguito di matrimoni misti16• Per concludere, la linguistica indoeuropea ha sottolineato da tempo le simi­ litudini che intercorrono nel gruppo italico-celto-germanico, sul versante dell'agricoltura, dell'allevamento, della vita sociale e religiosa, prima del di­ stacco dei Protoitalici. In seguito, il gruppo celta-germanico rinsaldò i propri contatti soprattutto nell'ambito della metallurgia, dell'organizzazione socia­ le ( sviluppo di forme clientelari e di una modesta struttura monarchica) e della religione, attraverso la condivisione del culto delle divinità-madri, del dio del tuono e di un nuovo dio della magia, della guerra e delle arti, che si so­ stituirà alla divinità indoeuropea tradizionalmente collegata all'esercizio del potere regale (cfr. oltre, cap. 8 ) .

15. Lo stesso etnonimo è evidentemente basato sulla rad. germ. "theubo- "popolo, gente", forse influenzato da analoghe forme celtiche come airl. tuath "popolo, tribù", gallese tud "popolo, nazio­ ne" della nota radice ie.: cfr. itt. tuzzi- "esercito", trace T(i)outa, illir. Teuta, umbro tuta, osco touto "comunità, stato", apruss. tauto "terra, nazione", lett. tauta, lit. tauta "popolo, nazione". 16. Secondo Cesare, una delle mogli di Ariovisto, fluente nella lingua gallica, apparteneva a una stirpe celtica del Norico.

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3 Roma e i Germani dall'epoca repubblicana alle guerre 'marcomanniche'

Nel riassetto degli equilibri politici, commerciali e militari che seguì il decli­ no dell'egemonia celtica in Europa, grandi alleanze miste a probabile guida germanica sciamarono verso la Gallia, l' Iberia e la Pannonia già celtizzata da Scordisci e Bo i. Una di queste, i Cimbri, penetrò nel Noricum e nella valle del Rodano e dopo aver sconfitto due eserciti romani ( 113 e 109 a.n.e. ) , scatenò una serie di ribellioni tra alcune etnie celtiche da poco sottomesse a Roma, sgominando ancora due eserciti consolari ad Arausio/Orange ( 105 a.n.e. ) per poi insediarsi sul versante gallico delle Alpi. Dopo una breve permanenza nel­ la Gallia Belgica ( 1os-Io2 a.n.e. ) , altre due grandi alleanze, Ambroni e Teutoni, capeggiate da Boiorix, cercarono di insediarsi in Provenza, dove nell'autunno del 102 a.n.e. furono sconfitte alle Aquae Sextiae ( Aix-en-Provence ) da Ga­ io Mario, il quale, rientrato nella Pianura padana, annientò definitivamente i Cimbri ai Campi Raudii ( Vercelli ) , nell'estate del 101 a.n.e. ( Callies, 1971; Demougeot, 1978; Trzaska-Richter, 1991; Timpe, 1994; cfr. fig. 1 ) . Allo scopo di consolidare la Gallia da ulteriori sconfinamenti germanici, nel ss a.n.e., Cesare decise di intraprendere un'azione dimostrativa e intimida­ toria con reparti scelti: passato il Reno tra Confluentes/Koblenz e Bonna/ Bonn, invase il territorio di Ubi, Sugambri e alleati, devastando l'intera area per due settimane1• Rientrato in Gallia, fissò al Reno il confine delle con­ quiste romane\ oltre il quale erano sorte due nuove entità: la Germania e i Germani ( cfr. fig. 2 ) Per la prima volta, l'etnonimo 'Germani' ( dunque non un semplice epiteto ) descriveva un'unità etnica a sé, stanziata su un territorio che da essi traeva dunque il nome: « [ . .] Condrusi, Eburoni, c�rresi, c�mani, i quali con un unico nome sono definiti Germani» (BG 2.4,10; cfr. oltre ) . .

.

1. La regione messa a ferro e fuoco comprendeva tribù satelliti dei centri di potere celtico dissemi­ nati in Europa, società agricole di livello primitivo in corso di evoluzione, che impiegavano ancora massicciamente legno, pelle, vimini e bronzo. 2. BG 4.16-19; Cassio Dione, Hist. Rom. 39·48,3-49,2; Plutarco, Caes. , 22,6-23,1; Svetonio, Caes. , 25; Appiano, Celtica, 18; Cicerone, in Pisonem, 81.

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Cimbri, Teutoni, Ambroni

Significato ideologico e politico del Reno

l Germani

Le guerre celta­ germaniche di Cesare

La grande eco suscitata da lla terri bile e i m provvisa mi naccia germ a n ica scatenò forti reazioni nell'opinione pub blica coeva, ma è sorprendente che lo storico greco Posidonio di Apamea, contemporaneo agli eventi, non abbia fo rnito informazioni u lte riori su lla zona di origi ne di quelle etnie, da lui considerate celti che. Nei confro nti degli eteroge nei agglomerati i n movi mento del sec. 11 a.n.e. (Sciri, Bastarni, Teu­ toni, Ambroni, Cimbri), conti n u ò a va lere, per mo lto tempo ancora, la convinzione di una loro origi ne celtica, i m magine avvalorata, d'altro canto, dalle testi monia nze onomastiche di alcuni condottieri]. Tuttavia, un'epitome a l 97° libro di Tito Livio (in riferi mento a lla sconfitta di una parte dei ribelli di Spa rtaco quae ex Gal/is Germanisque constabat) ind uce a su pporre che i Ro­ mani, agli i n izi degli a n n i 70 a.n.e., d i stin guessero con u n a certa chiarezza i Ga lli dai Germani. La svolta ha luogo soltanto venti anni più tardi, quando G i u lio Cesare e n u mera ben sedici d iversi raggru ppamenti tri bali 'germanici' (BG 1.1-2, 30-54; 4.1-19; 6.9-28). L'i ntrusione di tri b ù suebiche dal bacino d i Neckar e Meno, tra popolazioni, leghe e agglomera ti g i à i n sediati d a tempo su entra m be l e sponde d e l Reno2, v i e n e messa i n relazione, nelle fonti, c o n l e gesta di un capo milita re di gruppi eterogenei, Ariovisto, attivo già dagli a n n i 70 a.n.e. Nell'a n n o 6o a.n.e. egli aveva sottomesso E d u i e Sequani (Cicerone, ad Atticum, 1.19,2), i m possessa ndosi di u n terzo dei loro territori, ci rcosta nza che aveva sollecitato il Senato romano a intimargli la cessazione delle operazioni con tro gli a lleati d i Roma, in cambio del titolo di Rex atque amicus populi Romam'. La ri presa della politica espansionistica d i Ariovisto verso i ricchi oppido celtici rese necessa rio l'i ntervento di Cesare, proconsole delle Galli e, con u n ultimatum che i m poneva la fi ne di n uovi flussi m i gratori a ovest del Reno: il mancato rispetto dei patti scatenò l'u lti mo atto della guerra, che nell'agosto del 58 a.n.e. vicino a M u lhouse, nei Vosgi, vide il massacro dei guerrieri germ a nici e delle relative fa miglie disposte nel tradizionale schieramento ci rcolare di carri. Ariovisto, ferito mortalmente, riu scì a guadare il Reno, scom­ parendo per sem pre dalla scena (BG 1, 53). 1. Cfr. sopra al cap. 2 i già citati Teutoboduus, comanda nte dei Teutones, cad uto a d Aquae Sextiae, i capi cimbrici Boiorix, ucciso a i Campi Raudii, e Gaesorix catturato nello stesso scontro, e ancora Ambiorix, Ca­

tuvolcus e forse Claodicus, mentre d i i n certa attri buzione restano i vari Ariovistus, Van n i us, Ba llomarus, Caesorix, Catwa lda, Ci mberius, Lugius, Ma llorix, Nasua, Verritus. 2. «[ ...] Allora i German i furono costretti a condurre fuori le proprie truppe, schierandosi a intervalli regolari secondo le varie etnie: Ha rudi, Marcoman n i , Tribochi, Vangioni, Nemeti, Sedusi, Sue bi» (BG 1.51). 3. Nel 59 a.n.e.; BG 1.35,2; 43.4; 44,5; Cassio Diane, Hist. Rom. 38.34,3; Pluta rco, Caes. 19.1; Appiano, Celtica 16.

Ricadute della conqui sta romana

L'ingresso di Roma in quell'area nevralgica e l'arbitraria demarcazione del Reno come confine tra Celti e Germani provocarono nuovi squilibri e altret­ tante ripercussioni nei quattro secoli che seguirono. Con l'assoggettamento della Gallia, si acquisiva una regione in parte già integrata nel macra-sistema economico mediterraneo che andava preservata dai pericolosi vicini alle porte dell' Italia. Tale conquista evidenziava l'esigenza di limitare le ondate migratorie incontrollate provenienti da nord e da est (per le spinte dei Sue bi su etnie e tribù limitrofe), rompendo la secolare continuità culturale sulle sponde del Reno e dando corpo all' idea cesariana del fiume come confine primariamente ideologico tra romanitas e barbaritas. L'interruzione della rotta commerciale (pre-romana) dal Mediterraneo alle Ardenne (Riiger, 1996, p. 523) e la fine dell'interscambio sulle due sponde del fiume, sui quali era basato il sistema degli oppida celtici, sancì il collasso di un

3.

FIGURA 1

Ro ma e i Germani dall'epoca repu b b licana a lle guerre 'marcomann iche'

Gli spostamenti principali d i Cimbri, Teutoni e Ambroni

Fonte: it.paperblog.co m.

FIGURA 2

Le etnie germaniche secondo Cesare nel 58 a.n.e. circa

Fonte: R. Seyer (19 68).

47

l Germani

Il controllo dei territori germanici

antico circuito economico e culturale degli agglomerati celta-germanici che nel giro di pochi anni si esaurì3• L'assenza di centralizzazione del potere (eco­ nomico, politico e religioso), la forte riduzione della domanda e la fuga verso piccole comunità disseminate localmente (tipiche della cultura di Jastorf) sono le premesse dello scadimento della produzione manifatturiera fino a un livello domestico ed episodico. La guerra civile che seguì il ritorno di Cesare in Italia (49 a.n.e.), fino all'as­ sunzione del titolo di Augustus da parte di Ottaviano (27 a.n.e.), ostacolò tut­ tavia la messa in sicurezza delle terre a est del Reno, i cui popoli, danneggiati dalla conquista della Gallia, oltrepassavano frequentemente il fiume dandosi al saccheggio. Il rafforzamento dei confini della Gallia richiedeva una solu­ zione al 'problema' germanico che fosse più incisiva delle semplici attività diplomatiche e in questa luce va inteso l' imponente dispositivo dispiegato da Druso a partire dal 12 a.n.e.: l'aumento della pressione militare sui Germani fu in larga parte generata dalla necessità di rafforzare il controllo romano sui centri agricoli e manifatturieri della Gallia. 1. Le guerre germaniche

Da lla difesa all'es pansione

I m patto su lle comun ità locali

Nell'anno 9 a.n.e., dopo tre anni di campagne alterne che avevano raggiunto l ' Elba, l'offensiva romana scatenata da Agrippa e Druso aveva prodotto la sottomissione di Batavi, Frisi, Chauchi, sul bacino costiero, Bructeri, Chat­ ti e Sugambri, sul basso Reno, e dei Cheruschi sulla Weser (cfr. fig. 3). Al successo aveva contribuito la creazione di reti viarie, terrestri e fluviali (con canali tra i corsi principali e la costituzione di una flotta del Mare del Nord). Il limite rappresentato dagli approvvigionamenti costringeva ancora i Romani a ritornare ai quartieri invernali più a ovest, incombenza che motivò in area basso renana la costruzione di oltre un centinaio di postazioni, depo­ siti di rifornimento, centri manifatturieri e di allevamento, che modificarono in modo significativo il rapporto tra Roma e le comunità locali nell'epoca tra Ottaviano e i Flavi (27 a.n.e.-9 0 n.e.). La spedizione navale di Tiberio (4-6 n.e.) giunse fino agli stretti judandesi e con la vecchia tecnica delle intimidazioni e della 'terra bruciata' Batavi e Frisi (sul Mare del Nord), Usipeti, Bructeri, Channenefati e Chattuari (sul basso Reno) e parte dei Chauchi (sulla bassa Weser) furono ridotti di nuo­ vo all'obbedienza, completando la sottomissione dei due clan dirigenti dei

3· L'archeologia ha sottolineato che lo smantellamento dei centri maggiori a est del Reno, taglia­ ti fuori dalla rete commerciale e dagli approvvigionamenti, avvenne in misura progressiva, con rappresaglie e devastazioni provocate dalla guerra gallica e non a causa di un assedio o di una con­ quista violenta. Analoghe ricadute riguardano il quadro religioso e funerario, dal quale emergono sepolture ad incinerazione dai corredi molto più modesti.

48

3.

FIGURA 3

Roma e i Germani dall'epoca repu b b licana a lle guerre 'marco m a n n iche'

Spedizioni di Druso e Tiberio, 12-9 a.n.e.

Nordsee

t11•5•11

(7)

l''"p�v.trl.tr Ol.tuk-"

B E L G I CA

Fonte: Bleckmann (2009, p. 103).

Cheruschi4. I Longobardi furono assoggettati e fu rafforzato il sistema di centri di confine collegati sull' Elba, al di là del quale erano insediare le etnie sue biche di Semnoni e parti di Ermunduri, alle quali fu concesso di stabilirsi più a sud sull'alto Meno. È forse in questo periodo che si afferma l'idea di una conquista ormai imminente di una regione che andava da Vindobona/Vienna alla foce della Weser fino all'Elba e tale da ispirare a Ottaviano la celebre espressione Germaniam pacavi ( « sottomisi la Germania » , Res gestae 26), a cui fa seguito la storiografia propagandistica di Velleio Patercolo (Hist. Rom. 2.1o8) secondo il quale

4· Le due famiglie si riconoscevano in Segeste, padre di Sigismund e capo della fazione filo­ romana, e in Sigimer, fratello di Inguiomer e padre di Arminio e Flavus, i quali, ufficiali di reparti ausiliari dell'esercito romano, avevano ottenuto la cittadinanza romana per meriti mi­ litari.

49

Propaganda e po litica di Ottaviano

l Germani

Crisi di un m odello

Frammentazione dell'u niverso barbarico

«Non vi era più nulla da vincere in Germania, fuorché i Marcomanni » . Re­ stava viva la minaccia di Maraboduus rex dei Marcomanni migrati in Boe­ mia: cresciuto come ostaggio a Roma e in possesso della cittadinanza, egli sfruttò le alleanze con Semnoni e Longobardi, raccogliendo un grande esercito intertribale, contro il quale Tiberio non riuscì a schierare l' impo­ nente dispositivo già pianificato, per l' insurrezione di Chatti, Pannoni e Dalmati5• La nomina del nuovo comandante delle legioni di stanza in Germania, Quin­ tilio Varo, contribuì tuttavia a vanificare la politica imperiale locale, basata su un lento processo di integrazione improntato a una 'naturale ' egemonia culturale romana, attraverso quel formidabile e complesso veicolo che fu l'e­ sercito. Con Varo, l' instaurazione di un regime giuridico e fiscale incurante delle autonomie e delle signorie locali sbilanciava i delicati rapporti di forza ali' interno della società germanica, ancora vincolata a un sistema economico arcaico ma funzionale, con una limitata accumulazione privata delle risorse e una proprietà fondiaria gestita dai clan. In questa scarsa lungimiranza politica, unitamente al malcontento dei reparti ausiliari germanici (discriminati anche economicamente) si tende a identifi­ care una causa di insofferenza, che si consolidò proprio intorno alla figura del principe cherusco Arminio. Già ufficiale romano, con diritto di cittadinanza e rango di eques, progettando forse la creazione di un potentato personale, fu in grado di organizzare una larga alleanza tra le aristocrazie di tribù smem­ brate tra Reno ed Elba6, che nell'anno 9, nella foresta westfalica di Teutobur­ go (od. Kalkriese-Niewedde, Osnabriick), tra Ems e Lippe, trasse in trappola Varo e annientò tre intere legioni, tre squadroni di cavalleria e sei coorti (ca. 2.o.ooo uomini), uno dei peggiori disastri militari della storia romana. Lo stesso Varo morì suicida. La notizia giunse a Roma generando il panico e una vera e propria caccia all'uomo : i Germani della guardia imperiale furono allontanati e la lettera­ tura iniziò a registrare commenti sull'infedeltà e la perfidia di questi ' bar­ bari '. Ma, come in circostanze analoghe, più delle armi romane poterono i conflitti interni. Arminio non attaccò oltre, ostacolato dall'opposizione del partito interno filo-romano, né Maraboduus decise di varcare il Danus. Il piano di conquista dei territori transdanubiani naufragò per l'indisponibilità di forze sullo scacchiere e soltanto grazie alle guerre interne la minaccia marcomanna fu disinnescata per decen­ ni. La linea di fortificazioni si fermò alla Lippe, comprendendo la vasta area della pianura renana a est del Reno, da Bonn verso sud, e la pianura wesrfalica a nord della Ruhr oltre l'Ems, fino al confine con Frisi e Chauchi. Baravi e Frisi erano ancora alleati di Roma, mentre più a est, Chauchi, Chatti, Cheruschi e i Longobardi sull'Elba sembra non costituissero più un pericolo, dopo le ripe­ tute sconfitte e la presenza di fazioni locali filo-romane. 6. Chauchi, Chatti, Bructeri, Sugambri, Tencteri, Angrivari, Amsivari, Charruari, Chamavi, Marsi, Tubanti. 50

3.

Roma e i Germani dall'epoca repu b b licana alle guerre 'marco m a n n iche'

Armi n io e Maraboduus

Le d i ffico ltà m i litari i n contrate rispecch iavano anche l'i n a ffida b i lità delle a llea nze: la man­ canza quasi genera lizzata dell'istituto monarchico e d i u n u n ico i n terlocutore rico nosci uto re ndeva gli accordi s pesso va ni e anche le poche signorie i n terregi onali non erano i m ­ m u n i da conflitti i nte rni fo mentati dagli avversari di q u a lsiasi forma di centra lizzazione. Lo stesso Arminio, cattu rato dal su ocero Segeste e libera to dai seguaci, fu costretto a lla fuga, mentre Segeste, a sua volta prigioniero del clan di Arminio, fu liberato dai Roma­ n i e condotto a Roma a sfilare come 'preda' nel co rteo trionfale d i German ico (Strabone, Geogr. 1.7,4), i n sieme a l n i pote Tu melicus, fi glio di Arm inio, mo rto ostaggio a Rave n n a (An n. 1.58,6). Il periodo tra i l 17 e i l 18 segna la fi ne politica d i Maraboduus, fin ito nel d i segno espansioni stico dei Cheruschi di Arm i n io, vincitore a n c h e dei Batavi di Cha riowalda nel 171. Il desti n o di molti 'imprenditori' della gue rra non ri sparmiò tuttavia neanche Armi n io, che nell'a n n o 20, all'età di 37 a n n i , cadde vitti m a d i una co ngiura fa m i li a re: a lla memoria del più cele b re co mandante germ a n ico rese o n o re lo stesso Tacito, dedicandogli u n i n tero capitolo (Ann. 2.88). 1. Malgrado il sostegno dello zio di Arminio, l nguiomer, Maraboduus è abbandonato dagli alleati (Semnoni e Longobardi) e costretto a fuggire nella vasta Si/va Hercynia, dove è sconfitto e scacciato da una coalizione guidata da Arminio e dai Gutones d i Catwalda: Maraboduus riparerà a Ravenna, esule fino a lla morte, nel 37. Catwalda, insediatosi sulla vasta signoria marcoma nnica, verrà a sua volta a llontanato dall'intervento di Ermunduri e Quadi, che imporranno il nuovo regulus Van n i us.

bio, forse per il reale timore di uno scollamento nella lega che dominava, composta anche di Semnoni, Longobardi e Lugi, tendenzialmente ostili a un'alleanza con un leader dalle simpatie romane. Tutto ciò sottolinea lo scarso livello di coesione (Tacito, Ann. 2.26) e di autoidentificazione di quell' insieme di etnie, le quali, in ordine sparso, dal bacino dell' Elba tornarono a occupare i territori più occidentali dalla Weser, al Meno, al Neckar. La sconfitta produsse un ripensamento della politica romana: a dispetto dei crescenti problemi militarF Ottaviano ampliò il numero di legioni renane, ma da allora, anche psicologicamente, le ambizioni di un controllo territo­ riale fino all' Elba arretrarono di nuovo al Reno di Cesare8•

7· I flussi di ricambio del personale sul campo registravano forti rallentamenti, le condizioni di arruolamento e di disciplina erano particolarmente dure e il divieto di contrarre matrimonio e di acquisire terreni, la durata ventennale del servizio, spesso arbitrariamente prolungata, e i ritardati pagamenti non producevano, di conseguenza, stimoli incoraggianti. 8. Le frequenti ribellioni delle etnie germaniche costringevano Roma a una politica fatta di attività diplomatiche 'sotto traccia' e di spedizioni punitive dagli esiti alterni, come quella vitto­ riosa seppure infausta per uomini e mezzi (Arm. 1.31-7 1; 2..5-2.5) del figlio di Druso Germanico, su Cheruschi, Bructeri e Marsi nella piana di Idistavisio (presso Minden, nel 15), o quella deci­ samente disastrosa ancora di Germanico nel 16, contro Chatti e Bructeri, che gli valse la sostitu­ zione (Ann. 2..2.6).

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l Germ a n i

2. Problemi logistici e disom ogeneità cu lturale

l Limiti economici dell'espansionismo in Germania

Considerate la natura dei luoghi, le condizioni geo-climatiche, l' insufficien­ za del sistema viario9 e le difficoltà dei rifornimenti, l'infiltrazione romana alla metà del sec. 1 proseguiva secondo una linea più attendista, che non di­ sdegnava di ricorrere al compromesso politico. A est del Reno, la mancanza di una centralizzazione economica pur minima (produzione, raccolta, con­ servazione e attività di interscambio) impedì a Roma di accedere direttamen­ te alle fonti di approvvigionamento locale necessarie10• Come rileva Heather (2oo6, pp. 56-7 ), la politica di espansione di Roma si fermò a cavallo di due culture variamente sviluppate:

a) da un lato la 'Cultura degli oppida ' latèniana, fatta di insediamenti di una certa grandezza e di un'economia parzialmente monetarizzata che generava

surplus e sfruttamento da parte di una élite distinta, entrata anche in contatto con la scrittura; b) dall'altro gli epigoni di culture più arretrate (tra le quali Jastorf), con economie di baratto di poco oltre la soglia della sussistenza e un ridotto surplus di risorse, prive di scrittura, con insediamenti umani di entità molto limitata al pari di scarse attività specializzate. Si tratta di due zone culturalmente distinte, che tuttavia non corrispondono alle etichette etnografiche derivate dal metodo di Kossinna (La Tène = Celti vs. Jastorf Germani), giacché aree archeologicamente simili possono pre­ sentare modelli diversi di cultura materiale, frutto di processi di acquisizione (Heather, 2006, p. 57). I popoli non nascono con gli stessi armamenti, vasel­ lame e ornamenti, conservati identici per secoli. Se è vero che i modelli ori­ ginari della cultura di La Tène compaiono in regioni 'celtiche ' e gli equiva­ lenti di Jastorf soprattutto tra i raggruppamenti 'germanici ', ciò non esclude che tribù germaniche possano aver acquisito elementi della cultura materiale latèniana. E al tempo dell'avanzata di Roma verso nord, vari gruppi germa­ nici al confine col mondo celtico (p.es. quelli stanziati alla foce del Reno) =

9· L' individuazione di confìni fluviali, nel Nord Europa, teneva conto di preponderanti esigenze logistiche, spesso ignorate ma fondamentali. Il fabbisogno alimentare di una legione ammontava giornalmente a 7,5 tonnellate di cereali e a mezzo quintale di foraggio per gli animali al seguito (Elton, 1996b): poter muovere merci e uomini per via d'acqua era un sicuro vantaggio, in termi­ ni di sicurezza e di celerità. I territori vicini alle guarnigioni non avevano ancora raggiunto uno sviluppo tale da garantire un bacino di rifornimenti autonomi in loco: agricoltura e allevamento erano ancora arretrati e di portata familiare (Drummond, Nelson, 1994). 10. Non tutte le regioni erano appetibili come la Gallia o il Nord Mrica: aree 'residuali' come la Germania per lungo tempo restarono prede antieconomiche, i proventi delle quali non bastavano a giustificare le spese per la loro conquista e occupazione.

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3.

Roma e i Germani dall'epoca repu b b licana alle guerre 'marco m a n n iche'

avevano sviluppato tratti culturali molto più simili agli antecedenti latèniani che non agli epigoni di Jastorf. Il complesso strategico romano risultava inoltre idoneo per combattere nemici con un'economia controllata, con sedi fisse e depositi concentrati da proteggere, laddove l 'arretratezza dei Germani era data proprio dall'assenza di una struttura politica ed economica centralizzata e dal faticoso reperimento di risorse disseminate sul territorio, senza città o luoghi di controllo, proprio come nel caso dei Daci, dei Sarmati o delle popolazioni nomadiche dell'Africa settentrionale e dell'Arabia. La penetrazione in aree densamente boschive o (semi-)desertiche o di altipiani sconfinati avrebbe avuto un costo altissimo.

3.

Problemi di soste n i b i lità

La seconda fase: L'insurrezione renana e La costruzione del limes

Dalla fine degli anni 20 fino alla morte di Nerone ( 68) e alle lotte per la sua successione, i rapporti romano-germanici sul fronte renano beneficiarono di un sostenuto processo di pacificazione, integrazione e sviluppo1\ laddove nuovi focolai di forte criticità iniziarono a esplodere nella regione danubiana (Boemia, Pannonia, Dacia). Le zone più interne e fertili del delta renano erano al centro di molti interessi, per l'elevato ritorno economico del loro sfruttamento agricolo al servizio delle legioni, e Roma mantenne un controllo strategico sulle terre a est del fiumea. La periodica instabilità oltre le frontiere era più spesso il risultato dei conflitti interni ai Germani (con nuovi rapporti di forza tra raggruppamenti eterogenei spesso manovrati da Roma) e delle ricadute economiche e sociali derivanti dalle relazioni con l' Impero (in cerca di interlocutori rappresentativi). Una conseguenza ne erano i diffusi spostamenti di popolazioni verso l'allettante confine romano, che l' Impero cercava di limitare poiché l'abbandono dei territori era, a sua volta, fonte di nuovi movimenti (Elton, 1996a). Nel 68 le legioni basso renane e della Belgica dense di ausiliari germanici non avevano riconosciuto Galba come imperatore, acclamando invece il loro co­ mandante Vitellio; proprio uno dei capi locali, Giulio Civile (il cui nome è un'efficace testimonianza delle relazioni romano-germaniche), approfittan-

11. Contro le misure fiscali, nel 28 si era registrata una sollevazione tra i Frisi, i quali avevano ricreato una sorta di indipendenza, cancellata nel 47. Nella stessa circostanza, anche i territori dei Chauchi di Gannascus (ex ufficiale romano) subirono devastazioni, così come quelli degli alleati Channenefati, autori di numerose incursioni piratesche sulle coste frisoni e belgiche. 12. Nel 57 i Frisi, guidati da Verrito e Mallorige, avevano occupato alcune di queste aree destinate ai pascoli delle legioni o ai veterani o forse a scopi militari. Sgombrate grazie alla sanguinosa reazione romana, vennero rioccupate dagli Amsivari di Boiocalus, che aveva servito sotto Tiberio e Germanico, ma anche stavolta Nerone negò il permesso e gli Arnsivari furono scacciati anche dai propri territori, fino al loro assorbimento in altre etnie.

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Colonizzazione eco nomica dei confini

Opportu nità del mercenariato

l Germani

ll limes I n origine il termine designava il percorso per le legioni più prossimo a lla frontiera, poi esteso a ll'i ntera catena di fortificazioni di confine. I nclusa dal 1987 nella lista dei patrimoni dell' u N Esco, questa struttura difensiva, iniziata da Ottaviano quando i Germani non costituiva n o a ncora una seria m i naccia, era u n com plesso d i somogeneo che a lternava opere a rtificiali ( pa lizzate, tor­ rette, forti lizi) a ba rriere naturali, tra basso Reno, bacino del Meno, Necka r e alto Danu bio, per una lunghezza di oltre 500 km, da Katwij k ( N L) a Regensbu rg/Ratisbona ( o), tra Assia, Ba­ den-Wurttemberg e bassa Franconia bavarese. La struttura era mirata a contrastare fe nomeni di 'bassa i n tensità' dei pochi popoli adiacenti e ordinata i n u n reticolo di strade a elevata mobi lità e interco n nessione tra le torri di osservazione e le guarnigioni delle retrovie. Questo aveva reso necessario 'libera re' un'a rea estesa dagli i n sediamenti m i sti tra alto Reno, Foresta Nera e Rezia (cfr. fig. 4). Nel suo aspetto defi n i tivo, i l /imes offrì un baluardo di pace effi mero, che nella prima metà del sec. 111 era già stato aggi rato o s u perato da più pa rti. L'operazione di Domiziano sancì l'ufficia lizzazione delle due province di Germania superiore Germania infe­ rior, con Mogontiacum e Colonia Agrippinensis sedi delle ris pettive legazioni. l l /imes venne dismesso su ordine di Ga lliena a partire dal 260 e abbandona to a lla morte di Postu mo (280).

La pace dei Flavi e i l limes

do dell'assenza di Vitellio in marcia verso l' Italia e sfruttando una violenta sedizione dei Batavi13, diede il via all'insurrezione, aggregando una coalizio­ ne di etnie germaniche14 e gruppi di Galli. Civile e i Batavi (ai quali le fonti affiancano una profetessa dei Bructeri, Vèleda) assediarono Vetera/Xanten e Colonia/Koln, assalirono gli Ubi e le tribù fedeli a Roma e depredarono gli avamposti basso renani, continuando lo stato di agitazione anche dopo la morte di Vitellio, con l'intento di ottenere limitate autonomie regionali e commerciali sulle due sponde del fiume15• Le misure intraprese dal nuovo imperatore Vespasiano (t 79) tesero a impe­ dire che truppe ausiliarie si opponessero a popolazioni affini e a ostacolare le rapide carriere di condottieri barbarici all' interno dell'apparato militare romano, come insegnavano i casi di Arminio o Civile. Vespasiano inaugurò così un periodo di pacificazione durato fino alla morte di Antonino Pio (161) e interrotto soltanto da brevi campagne di pacifica-

13. Antico sotto gruppo dei Chatti stabili tosi tra il delta renano e la Waal che beneficiava di alcune autonomie. Si tratta di una di quelle etnie che, alleate di Roma, fornivano truppe ausiliarie guidate dall'aristocrazia o da duces locali. 14. Channenefati, Frisi, Bructeri, Chatti, Chauchi, Cugerni, Tencteri, Usipeti, Lingoni. 15. La rivolta, estesa a parte della Gallia, vide la diserzione di molte unità ausiliarie che si posero sotto il comando di singoli capi tribali, ma non aveva spiccate finalità politiche antiromane e si frammentò in vari focolai di disordini, preda della restaurazione alla resa di Civile (nel 72.). Le ripercussioni però non furono particolarmente severe per i Germani, data l'incapacità romana di reclutare contingenti sufficientemente numerosi. Il depauperamento delle leve obbligatorie intac­ cava l'entità delle legioni, sempre più diffusamente composte di ausiliari barbarici, non del tutto inclini alla disciplina, fedeli soprattutto ai propri condottieri 'connazionali' e in molte occasioni contrapposti ai loro conterranei.

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3.

FIGURA 4

Roma e i Germani dall'epoca repu b b licana a lle guerre 'marco m a n n iche'

ll /imes

zio ne ( 83-85 e 89) delle etnie di Usipeti e Chatti16 a opera di Domiziano (t 96). Il risultato di tali azioni, al di là della nomina di qualche re-cliente, di trionfalistiche emissioni di monete celebrative e dell'appellativo Germanicus conferito al mese di settembre, si tradusse principalmente nell'avvio di una

16. Tra la Si/va Hercynia e il bacino settentrionale del Meno.

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l Germani

costosa opera di edificazione e rafforzamento del limes germanico, fino a ren­ derlo il più lungo confine artificiale dell' Impero.

4.

Strutture elastiche

Roman izzazione delle é l ite

Evoluzione della società germanica

Con queste operazioni, Roma, dopo aver pacificata l'area renana (anche gra­ zie alla deportazione di etnie smembrare) e avervi ridotto drasticamente le legioni, estendeva il controllo verso Oriente ai territori in origine celtizzati del Neckar-Meno, i cosiddetti *decumates agri, tra Foresta Nera, alto Reno e Danubio (Baden-Wtirttenberg e Assia), con la funzione di creare un cusci­ netto politico e un collegamento tra Reno e Danubio17• Per realizzare que­ sto progetto, si agì su due piani: spostando sul fronte danubiano un numero maggiore di legioni e facendo leva sui contrasti fra tribù e confederazioni germaniche, alimentando faide interne e corruzione, oltre a ricorrere alla ri­ chiesta in ostaggio di familiari dei capi germanici (a garanzia dei patti), alla deportazione di intere etnie e a improvvise spedizioni punitive. I dati dell'archeologia indicano che il mutamento del mondo barbarico, per il contatto con quello mediterraneo, aveva avuto inizio in epoca precedente all'espansione cesariana. Da tempo, l'antropologia rimarca come le cultu­ re indigene, a contatto con società espansionistiche, inizino a trasformarsi profondamente ancor prima di una loro eventuale conquista. Nel caso dei Germani, l' idea stessa di 'tribù' solitamente indicata a proposito della loro struttura è una forma di adeguamento di realtà eterogenee alla civiltà ege­ mone di Roma e al relativo sistema amministrativo, che richiedeva confini statici, nomi tribali fissi e rappresentativi e il riconoscimento di élite locali compiacenti. Pur con tutte le dovute cautele, il concetto si ripete nella storia. Studiando il processo di tribalizzazione dei nativi nordamericani, Hill (1996, pp. 12-3) parla di « geopoliticizzazione delle identità culturali indigene » , con l a quale le società coloniali europee ( e statunitensi) forgiarono un' idea 'tribale ' coerente al proprio concetto di stato-nazione, ma molto diversa dal­ la più complessa società locale preesistente. Roma aveva sperimentato con successo forme sofisticate di controllo clien­ telare trovando temporaneamente redditizia la creazione di centri di potere artificiali (regni clienti, petty-kingdoms, Klientel-Randreiche). Questo ga­ rantiva in primo luogo un sostegno a singole fazioni dell'aristocrazia gallo17. Quest'area 'franca', definita da Tacito decumates agros ("territori sottoposti a tributo" ?, "terre­ ni in concessione a fittavoli"?, G 29), rappresenta un caso ancora dibattuto, sia dal punto di vista sociologico (gruppi germanici e celtici reinsediati forse dietro pagamento di decime e con l'obbli­ go di difesa territoriale, con uno status civile ibrido di coloni/genti/es/laeti), sia culturale (le tracce onomastiche che emergono sono per lo più celtiche, anche se vi sono riferimenti archeologici non sporadici alle culture tra Elba e Weser ) .

3.

Roma e i Germani dall'epoca repu b b licana a lle guerre 'marco m a n n iche'

germanica e alle relative ambizioni18, attraverso riconoscimenti cerimoniali e militari romani e un articolato sistema di regali e (prestige-good dependency ) 19, fino a quando, nei secc. II-III, la politica di Roma sembra orientarsi verso l'annessione diretta o verso semplici accordi con élite al di fuori dei confini. Altri gruppi fortemente sostenuti da Roma furono quelli di negotiatores e mercatores locali, mediatori e fornitori su larga scala di merci all'esercito o affittuari di naviglio fluviale, sempre più spesso riuniti in associazioni curiali chiuse in stile romano, con riti e celebrazioni proprie. I loro spostamenti po­ tevano tuttavia essere soggetti a una regolamentazione temporale e geogra­ fica predefinita, spesso sotto il controllo diretto di ufficiali romani. A tutto questo si aggiunga l'impulso verso la bonifica e l'urbanizzazione dei centri di insediamento romano-germanici (coloniae, vici, municipia) riuniti intorno agli accampamenti militari e alle ville dei veterani, che ne amplificavano riso­ nanza sociale e impatto visivo. I nuovi insediamenti sorgevano quasi sempre vicini ad aree occupate dalle tribù e dal momento che le esigenze dei moltissimi militari costituivano il fattore di interscambio economico preponderante, si capisce come intorno alle guarnigioni si andasse creando una fitta rete di mercati e accampa­ menti civiliw. Intorno alle guarnigioni stava nascendo una società mista di frontiera, che sfruttava le opportunità offerte dalla presenza di decine di migliaia di uomini, molti dei quali, congedati, si insediavano in quei territori, divenendo un notabilato amico di Roma2.1• Il diverso grado di in-

18. Alla luce di questi rapporti, si possono spiegare il ridimensionamento del sostegno a Mara­ boduus, l'assassinio di Arminio, l'espulsione di Catwalda o la cacciata di Vannius da parte di una coalizione di Lugi ed Ermunduri, guidata proprio dai due nipoti Sidone e Vangione (Ann. 12.29 ). Nel corso degli anni 20, la lega dei Cheruschi, in fase declinante, è retta dal filo-romano ltalicus, figlio del fratello di Arminio, Flavus. 19. Relativo al significato dei doni di lusso di uso non quotidiano nei centri di potere della civiltà del Ferro (Kristiansen, 1998, pp. 249-52; Williams, 1999; Plourde, 2009 ) . 20. L'elevata liquidità dei soldati (pagati tre o quattro volte all'anno) rivestiva un'importanza vitale per le società sulle due sponde del Reno. Qui i militari spendevano le loro paghe, qui inizia­ rono a sorgere centri manufatturieri metallurgici, di ceramiche, laterizi e vetro. 21. Sui fiumi si svolgevano il trasporto e l 'importante commercio della pietra da costruzione estratta dalle cave, del legno delle foreste e dei generi alimentari. Secondo le stime di Riiger ( 20oo, p. 507 ) all' inizio del sec. n, il fabbisogno dei quasi 4o.ooo soldati presenti nei due di­ stretti militari (Infirior e Superior) imponeva la messa a colcura e a pascolo di ca. 107.000 ettari, per un surplus produttivo di 300 aziende agricole di medie dimensioni. Se si pensa che all' inizio delle campagne in Germania le forze armate assommavano addirittura al triplo di quelle unità, si capisce come la presenza romana abbia inciso in modo dirompente sulla vita economica e sull'a­ spetto del territorio. Il flusso di ricchezza generato fu in grado di produrre un interscambio in uscita (pellicce, cera, legno, ambra, miele, bestiame, schiavi, metalli) ma anche l' importazione di ricercati generi mediterranei (abiti, vetro, specchi, bauli, armi e utensili vari), presenti a nord delle Alpi già dal sec. II a.n.e.

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Reti di sussi stenza e urban izzazione

Una società di frontiera

l Germani

corporazione nei gangli dell' Impero è diventato quindi uno strumento ag­ giuntivo col quale viene oggi valutato il processo di integrazione romano­ germanico : accettazione della presenza romana e dei diseguali benefici concessi; conflittualità tra i gruppi derivante dalla discriminazione economica; alleanze trasversali e trattative con singole élite; crescente potere di ausiliari e ufficiali germanici al rientro nelle tribù; nascita di una committenza locale e di nuovi ricchi legati al commercio con le legioni; frantumazione sociale; espressione culturale dell'integrazione ( scrittura, abitazioni, gusti, ter­ me, sepolture . . . ) . Dali' analisi di questi fattori cruciali emerge come l'influsso di Roma si esten­ desse anche al di là della barriera ideologica del limes, ancorché condizionato da imprescindibili autorizzazioni romane, che garantivano libertà di movi­ mento e di commercio al di fuori dei confini. Pur tuttavia, ampie porzioni delle società germaniche continuavano a resistere, stipulando patti e accordi commerciali e territoriali, salvo poi rinnegarli e riaprire le ostilità, oppure ancora opponendosi apertamente al modello imperiale e contrastando non tanto l'autorità di Roma, quanto l'intrusione nei propri territori, nelle istitu­ zioni tribali e nella cultura locale.

4 l Germani nelle fonti classiche

Le rappresentazioni etnografiche del mondo antico si basavano tradizionalmente sul grado di adeguamento e omologazione ai canoni della civiltà classica da parte dei raggruppamenti etnici stranieri e sull' identificazione di ciò che viceversa in essi veniva surrettiziamente considerato non conforme a valori precostituiti. Così la diversità culturale tendeva inevitabilmente a essere percepita come deviante o più semplicemente 'barbarica', indipendentemente dalla rilevazione diretta di tratti peculiari. Il frutto di tale convinzione autoreferenziale di superiorità radicata nella cultura greco-romana si traduceva nella descrizione esteriore di culture straniere quasi sempre percepite come inferiori. Ciò avveniva sulla base di un insieme di luoghi comuni applicabili a varie realtà umane1, reinterpretate secondo categorie culturali ed etiche espresse dalla stessa tradizione giudicante e che complessivamente prendono il nome di interpretatio (Maier, 2000 ). È dunque comprensibile l'acceso interesse dell'etnografia sul tema dell 'origine dei popoli, della loro antichità e dell'accettazione di determinati elementi prestabiliti, condivisi e organici al funzionamento delle società del mondo antico1• Una simile rappresentazione di stereotipi si traduceva, p.es. in ambito religioso, nella convinzione che le stesse divinità venissero adorate in egual misura dagli uomini, benché sotto nomi diversi. La descrizione di Giulio Cesare sull'assenza di figure sacerdotali tra i Germani (notizia contraddetta nello stesso BG 6.21,1-2) e sulla pochezza delle loro divinità aniconiche (semplici forze della natura identificabili con Sole, Luna e un imprecisato 'Vulcano') 1. Gli ethnographische "Wandermotive di E. Norden, che toccano svariati aspetti di una società. 2. La mancanza di informazioni affidabili e non compromesse dall'ideologia rende le fonti etnografiche antiche assai insidiose: si pensi p.es., nel sec. IV, ad Ammiano Marcellino, il quale pur non avendo mai osservato direttamente gli Unni li descrive per la prima volta non esitando a ricalcare il topos dei nomadi che si alimentano di carne semicruda, 'precotta' sotto la sella dei cavalieri dallo sfregamento prodotto nella cavalcata. Ammesso con riserva che gli Unni vi abbiano fatto ricorso, si tratta in realtà di una pratica di porre strisce di carne sul dorso dei cavalli per alleviarne le irritazioni provocate dalla sella, ancora in uso tra i nomadi asiatici del sec. XIV.

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La interpretatio

l Germ a n i

Attendibi lità delle fonti

tradisce un interesse teso più che altro a screditare l'universo religioso barba­ rico piuttosto che a fornirne un quadro veritiero3• Oltre all'identificazione di teonimi diversi per gli stessi dèi, il problema dell' interpretatio romana (o greca) si estende anche alla discutibile analogia terminologica delle istituzioni sociali: rex/princeps, proceres/ nobiles, ingenui/ plebs, liberti/libertini fanno parte di categorie romane scarsamente perspi­ cue quando sono utilizzate nella descrizione del mondo germanico. Pur di sottolineare a fìni ideologici la primitività di quei popoli, Cesare non esitava ad affìdarsi a informazioni artefatte, come quelle religiose, o a interpretarne capziosamente altre desunte dallo stile di vita e dall'organizzazione econo­ mica (BG 6.21,3): « trascorrono la loro esistenza nella guerra e nella caccia » (Lund, 1990, 1993)4• Come per molte altre culture, anche le fonti originarie relative ai Germani sono assai incerte; non si conoscono per intero le opere di Posidonio e di Plinio, a cui Tacito ha attinto, e non è possibile verifìcarne l'esatta portata all'interno della Germania, né come egli le abbia utilizzate o da chi abbia raccolto altre infor­ mazioni. Col passare dei secoli la situazione non migliora necessariamente e la formazione di singoli raggruppamenti, dal sec. IV in avanti, generò tra gli autori un'immagine ancora più frammentaria del mondo germanico. Per i Greci, ma anche dopo lo stesso Cesare (prima del quale tutti scrivono su notizie indiret­ te), i Germani non erano altro se non una ripartizione delle genti celtiche: la comparsa sul versante greco di Bastarni e Sciri, fìno all'offensiva di Cimbri, Teutoni e Ambroni su quello gallo-italico fu il primo vero contatto diret­ to, sulla base del quale ha inizio la storia dei rapporti romano-germanici5• Grazie a queste etnie, l'etnonimo Germani entrò nella cultura classica, im­ piegato nei suoi esametri già dal poeta epico Furio Anziate, contemporaneo

3· Sarà Tacito il primo a rilevare, accanto a una triade ufficiale, l'esistenza di divinità locali. 4· A questo fine, non risultano estranee le indicazioni peraltro fondate sull'esistenza, nella misteriosa si/va Hercynia, di una fauna stravagante agli occhi romani: grandi alci, gli uri e un bovino dall'aspetto di cervo (BG 6.13,2.6, probabilmente la renna ) . Che i Germani non si dedicassero all 'agricoltura e avessero un vitto consistente di latte, formaggio e carne (BG 6.2.2.) è un topos riecheggiato più tardi in Tacito, ma smentito dall'archeologia ( Todd, 1987, pp. 77-114). s. Alimentati dalla rielaborazione di autori quali Sallustio, Valerio Massimo o Plutarco, che forgiano e amplificano il mito di Cimbri e Teutoni, o Diodoro Siculo, debitore di Posidonio, che confronta i Cimbri e la stirpe mitica dei Giganti, mentre Seneca e Lucano si appropriano delle idee aristoteliche sull'influsso del clima sui popoli; il celebre astrologo Manilio dipinge i Germani nell'atto di tracannare il sangue dei Romani a Teutoburgo e fa della Germania la madre delle specie più feroci di bestie. Ancora Lucano trasforma ilfuror Gallicus di Polibio in un inedito furor Germanicus (Pharsalia 1.2.55-2.57) e Cicerone si compiace della 'lezione' impartita ai Germani di Gallia da Cesare, mentre Ovidio, nell'esilio sul Mar Nero, canta di trionfi ai danni dei Germani e preconizza l'umiliazione della Germania.

60

4.

l Germani nelle fonti classiche

cantore delle guerre cimbriche, a proposito della caciara smodata dei barbari vincitori ad Arausio ( Gallorum Germanorum gentes''). Pytheas di Marsiglia (ca. 3 80-ca. 310 a.n.e. ), secondo Strabone, Diodoro Siculo e Plinio il Vecchio, sarebbe stato autore di una straordinaria spedi­ zione navale (ca. 325 a.n.e.) fino all' isola di " Thylé", nota ai marinai britan­ nici imbarcati, distante 6 giorni di navigazione dalla Britannia in direzione dell' Islanda. È stato il primo a mettere in discussione la tradizionale ripar­ tizione dell' Europa nord-occidentale tra Celtia e Scizia elaborata dall'et­ nografia greca (Ippocrate, Ipparco) , rivelando l'abitabilità delle terre set­ tentrionali. Polibio di Megalopoli (ca. 2oo-ca.120 a.n.e.), statista greco giunto a Roma come ostaggio nel 166 a.n.e., è autore di una Storia in 40 libri, dei quali solo i primi s sono conservati. È il primo a identificare con maggiore precisione i costumi dei Celti e le relative partizioni tribali, anche se sui Galli d ' Italia mutua taluni stereotipi da quelli di Erodoto sui Traci. Posidonio di Apamea, Siria (ca. 135-51 a.n.e.), conoscitore di Pytheas e uno dei massimi autori dell'antichità, le cui numerose opere filosofiche, etnogra­ fiche e storiche non sono purtroppo conservate in forma integrale. Le sue Storie (dal 146 al 96 a.n.e.), che videro la luce nell'So a.n.e. e sono tràdite in forma frammentaria dallo storico Ateneo (secc. 1 1 - 1 1 1 ) , contengono le più antiche informazioni presunte sui Germani (non ancora distinti dai Celti). C. Giulio Cesare (100-44), intellettuale, politico e generale romano, redige verso il 52 a.n.e. i Commentarii de bello gallico, nei quali cita 16 etnie germa­ niche; distingue con chiarezza i Cimbri, predecessori dei Germani di Aria­ visto, e i celtici Elvezi ed è il primo a considerare (arbitrariamente) il Reno come confine geografico occidentale della Germania, senza menzionare al­ cun altro limité. Tutto ciò è giustificato da una motivazione politica tendente a dimostrare il consapevole arresto al Reno delle operazioni di conquista della Gallia (anche se i Celti di La Tène come si è visto abitavano entrambe le sponde del fiume), sottomettendo il ricco e potente mondo gallico, ma tralasciando i più arretrati Germani, immeritevoli di conquista (BG 1.31,5; 6.21,1). La descrizione di Cesare restò comunque isolata: al di fuori delle Res gestae di Ottaviano Augusto, che accoglie la distinzione tra Cimbri e Galli', buona parte di storici e geografi non accettò le nette distinzioni etniche cesariane8• "

6. Diversamente da autori successivi (Pomponio Mela, Chor. 3.2.5, Plinio il Vecchio, NH 4.81, Tacito, G 1.1). 7· Unicamente a Velleio Patercolo, Valerio Massimo, Seneca, Plinio e Plutarco. 8. Da Sallustio, Cicerone, Diodoro, Strabone, Verrio Fiacco, Tito Livio, Dionigi, Giuseppe Flavio fino ai successivi Appiano, Cassio Dione, Zosimo, Giovanni Antiocheno, Orosio. 61

l Germani di Cesare

l Germ a n i

Con il 'cognome ' Germani, Cesare indicava le aggregazioni militari anti-ro­ mane di un insieme di tribù settentrionali di probabile provenienza belgica, regione che ospitava i più bellicosi tra quei Galli che in passato, a suo dire, avevano saputo dimostrarsi più valorosi dei Germani9• Ai Belgi egli ricono­ sceva infatti caratteri germanici di origine transrenana10, coerentemente con la convinzione - da lui stesso contraddetta - che il Reno fungesse da confine etna-politico tra le due culture11• L'antico topos che identificava i confini na­ turali con quelli politici era in questo caso oltremodo falso, giacché ancora in età augustea, molto più a est, in Boemia, i Celti Bai condividevano gli insediamenti con i Marcomanni di Maraboduus.

1. Peculia rità e topoi

Orga n izzazione

La società germanica in Giulio Cesare

Cesare mostra un interesse relativamente modesto per i costumi dei Germa­ ni: non accenna alla loro lingua12. e, a parte alcune dichiarazioni ambigue13 e qualche informazione limitata ai Suebi, le notizie sul livello di civiltà da essi raggiunto si riconducono in prevalenza all'etnografia greca. Tra i pochi giudizi non negativi, vi è il passo dedicato all'educazione dei giovani Ger­ mani alla fatica e al loro tardo debutto nella vita sessuale, garanzia di una corporatura più forte e incorrotta (BG 6.21,3-s). Anche in questo caso, però, vi è il sospetto motivato di un antico pregiudizio della tradizione etnografica riguardante l'influsso climatico sul carattere degli individui, unitamente ad antiche concezioni tabuistiche della sessualità acuite dai rigidi costumi ses­ suali della società romana arcaica14• Un altro importante rilievo riguarda l'organizzazione politica: sconosciuto l'i­ stituto monarchico, tra i Germani occidentali non vi è traccia di un'autorità individuale e non esiste capo/rex/princeps il cui potere si estenda su tutti i clan di una popolazione (civitas); i rappresentanti dei vari nuclei tribali si impegna-

9· « Ci fu in passato un tempo nel quale i Galli superavano per valore i Germani, li attaccavano, e avendo una popolazione più numerosa ma scarsità di terre inviavano colonie oltre il Reno» (BG 6.2.4,1). 10. «La maggior parte dei Belgi discendeva dai Germani, che anticamente avevano attraversato il Reno per via della fertilità dei luoghi e avevano scacciato i Galli che vi abitavano» (BG 2..4,2.). 11. Cfr. tra i molti es.: « [ ... ] sono vicini ai Germani, che abitano oltre il Reno» (BG 1.1); «[ ... ] che abitano [i Germani] oltre il Reno» (BG 1.1,3; 1.2.8); « [ ... ] verso il Reno, al confìne coi Germani» (BG 1.2.7; 1.33; 2..35 ecc.). 12.. Ariovisto avrebbe imparato la lingua gallica dopo lunga permanenza in quelle aree (BG 1.47,4). 13. Cesare insiste a chiamare Gennani le popolazioni ultrarenane, descritte in due excursus analoghi dei libri IV e VI, destando l'impressione che il primo abbia funzionato da fonte per il secondo. 14. Tra questi p.es. il tabù della nudità, elemento che ricompare in BG 4.1,10 e 6. 2.1,5, nella descrizione dell'abbigliamento incompleto dei Germani e nella consuetudine di bagnarsi e lavarsi promiscuamente.

62

4.

l Germani nelle fonti classiche

L'i m pa tto di Cesare coi feroci 'Germani' ( BG 1.33.4; 4.11,4; 13,1; 8.25,5) era avvenuto negli a n n i 50 a.n .e., d u rante l e campagne sul Reno i n feriore - contro U s ipeti e Ten cte ri ( BG 4.1; 4-4 ecc., poi cooptati nei reparti rom a n i ) - e sul Reno su periore contro i l terri bile Ariovisto, arrogante capo (BG 1.31,13; 33,1; 33,5; 42,3) di una forte coalizione di almeno sette etnie (in particolare Sue bi e Marcomanni). Egli registra inoltre Batavi (4.10, tra Reno e Waal), Cheruschi (6.9-10, oltre la si/va Bacenis), Charudi (1.37) e Marcomanni (1.51,2), senza localizzarli, Tribochi e Vangioni (1.51,2, su ll'alto Reno), Treveri (3.12; 4.10, a sinistra, sull'alto Reno) accanto ai Sugambri (4.16-19) e, più a sud, gli Ubi (1.54; 4.16-19). Nel corso dei combattimenti, Cesare riuscì ad acquisire informazioni mi litari, sociali e religiose, in taluni casi riferite soltanto ai Suebi (soprattutto BG 4.1,3-3,2), in talaltri estesi a tutti i Germani (cfr. BG 6.21-23). Dei Suebi gli sono noti i l n umero e l'asprezza, di gran lunga superiori agli altri Germani, e ta lune peculia rità (BG 4.1,3-4): sono organizzati in un reticolo intertribale di un centi naio di insediamenti ( BG 4.1,3-4), separati all'esterno da ampi territori disabitati (BG 4.3,1-2), nei quali consentono ai mercanti di commerciare, con l'esclusione del vino (BG 4.2,1-2; 4.6). Scacciati Usi peti e Tencteri, i Suebi hanno sottomesso gli Ubi e la si/va Bacenis ne segna il confi ne coi Cheruschi. Pur nella permanenza limitata i n un territorio, le ne­ cessità economiche della tribù prevedono che ogni anno si avvicendino nel lavoro agricolo coloro che l'anno precedente abbiano invece combattuto ( BG 5.1,5-7). Dei Germani in generale, Cesare si sofferma sulle u nità miste di fanti e cavalieri (BG 1-48; 5-7) e ritorna sull'abitudine di lasciare i ntorno agli i n sediamenti u n a striscia di sicurezza disabitata ( BG 6.23,1-3).

no nella mediazione delle dispute interne (inter suos, BG 6.23,5), ma sono privi di potere coercitivo. Nessuno è proprietario di terre (BG 6.22,2-4)15, ma ogni anno dei 'magistrati ' riassegnano i terreni a famiglie o gruppi parentali; Cesa­ re cerca di spiegare una simile scelta con il disinteresse a divenire una società stanziale e pacifica, per scongiurare la brama di dimore troppo comode o la cupidigia di denaro, in grado di minare il loro profondo senso di uguaglianza16• Mancano invece prove convincenti in grado di dimostrare la stabilità delle cariche di uno o più capi ed è probabile che questi venissero eletti solo all'approssimarsi delle operazioni belliche. In caso di guerra, si riuniva un consiglio generale di 'capi' (magistrati confederali ? anziani di prestigio o lignaggio ? capi militari precedenti ?) con poteri civili eccezionali e responsabili delle manovre (BG 6.23,4-8 ), ma non l' assemblea dei guerrieri (genericamente accennata)17, mentre è impossibile stabilire se una simile assemblea di maggiorenti si riunisse anche in tempo di pace.

15. L'assenza di proprietà privata delle terre da coltivare suggerisce a Cesare l'idea di una condizione nomadica e di vagabondaggio (BG 6.22,2), tipico retaggio negativo di tradizione greca, parzialmente riecheggiato, mezzo secolo dopo, in Strabone ( Geogr. 7.1,3). 16. Col quale Cesare conclude che la tranquillità della plebe si ottiene al massimo quando questa sia consapevole del valore paritetico dei propri mezzi rispetto a quelli dei capi (BG 6.22,2-4). 17. Quando Cesare attraversò il Reno nel ss a.n.e., fu proprio questo consiglio dei capi che inviò messaggeri affìnché donne, bambini e beni mobili fossero allontanati verso la foresta e tutti i guerrieri venissero in soccorso. Tale episodio potrebbe perfìno negare l'esistenza di un'assemblea dei guerrieri ai tempi di Cesare: BG 4.19,2 parla infatti di concilio, nel quale non sembrano presenti tutti coloro in grado di portare armi (cfr. però, al contrario, BG 6.23,7 ).

Strutture di governo

G uerre e botti n i

l Germani

La donna

Negli scontri non impegnavano i cavalli, montati senza sella e lasciati protetti mentre si combatteva a piedi (BG 4.2,3-5). Le incursioni a scopo di razzia commesse fuori dai confini tribali non sembrano aver generato riprovazione nella società germanica: i progetti ufficiali di spedizione sarebbero anzi accol­ ti, continua Cesare, con favore e partecipazione, tanto che è considerato di­ sonorevole non mantener fede a un tale impegno precedentemente assunto. Il dominio cultuale riconosce alla donna una certa rilevanza pubblica: con­ trariamente a quanto più oltre specificato nel passo sull'assenza di sacerdoti tra i Germani, BG 1.50,4-5 rileva che a figure pubbliche femminili (le cosid­ dette matres, cfr. oltre) era riservato il compito di esprimere presagi e vatici­ nii, anche a proposito di una sfera maschile come la guerra. Resta da appurare la relazione tra questa notizia e quelle riportate da Strabone sulle frenetiche cerimonie delle donne cimbriche ( Geogr. 3.2) e sui presagi che le anziane sa­ cerdotesse dei Cimbri ( Geogr. 7.2,3) avrebbero tratto dallo scorrere del san­ gue dei prigionieri sacrificati. La distanza tra le informazioni di Cesare e Posidonio sulla germanicità dei Cimbri e tra Cesare e Strabone sull'attività cruenta delle loro profetesse ( Ge­ ogr. 7.2,3) confermano che Cesare utilizzò altre fonti etnografiche, accanto a scout celtici, mercanti, ostaggi e prigionieri germanici, come egli stesso dichia­ ra (BG 1.39,1; 1.50,4). Grazie a lui la cultura romana venne definitivamente a conoscenza dell'ampiezza degli insediamenti germanici tra Reno e Danubio, fino alla decisiva invasione di Druso e Ottaviano e all' ingresso della flotta dal Reno nel Mare del Nord, negli stretti danesi.

2.

l Germani nelle fonti da Giulio Cesare a Cornelio Tacito

Tito Livio (59 a.n.e.-17 ), storico romano, autore degli Ab urbe condita libri CXLII, opera frammentaria conservata in brevi riassunti redatti tra i secc. I I I e IV (Periochae) e nella quale al libro 104 si parla di usi e costumi germanici e delle guerre di Cesare contro Ariovisto. Strabone di Amasia, Ponto (ca. 63 a. n.e.-ca. 20 ), storico e geografo al tem­ po di Augusto e Tiberio; molto più informato di Cesare, è autore di una Geografia in 17 libri di grande erudizione, resoconto dei suoi viaggi. Forse influenzato da Cesare, oltre che quasi certamente da Posidonio, Strabone distingue Germani e Germania dai Galli (4.4,2), pur asserendone la simi­ litudine per natura e organizzazione politica: la Germania sembra diffe­ renziarsi solo per la collocazione più settentrionale ma egli non considera i due gruppi etnicamente diversi ( 7.1,2). I Germani sarebbero solo più puri, primitivi e selvaggi dei Celti, inciviliti dalla romanizzazione della Gallia. Influenzato dai topo i del nomadismo, della ferocia e dell'aspetto fisico dei Germani, il contributo di Strabone si indirizza soprattutto sul piano geo­ grafico, con la prima descrizione di fiumi della Germania oltre al Reno (Ems/

4.

l Germani nelle fonti classiche

L'etnonimo Germani

Le prime guerre germaniche (12 a.n.e.-16 n.e.), acca nto alle n u ove i n formazioni di Stra bo ne e a quelle del De chorographia di Pomponio Mela (cfr. oltre), aveva no aggiu nto u n a mole i m pa­ reggia b i le di notizie. Da questo periodo provi ene la testi monianza controversa dell'etnonimo , contenuto nei Fasti triumphales, elenco iniziato nel 12 a.n.e., che registrava a ritro­ so i trionfi collezionati annua lmente dai comandanti rom a n i (cfr. sopra, cap. 1). L'origi ne dei Fasti coincide cu riosa mente con il mome nto più intenso della guerra di conqui sta scatenata da Druso e Ottaviano, ali mentando il sos petto di una probabile sostituzione dell'origi n a ri o etnonimo Gaesati (popolazi one gallica alleata degli l n subri) c o l term i n e Germani (divenuti il nemico per eccellenza). La risposta lettera ria al gra nde progetto di conqui sta della Germa­ nia ebbe a m pi effetti, pu rtroppo com promessi da gravi la cu ne\ e l'u nica fonte dispo n i b i le i n qu esto periodo resta l'opera fortemente ideologica di Velleio. Le guerre germaniche furono inoltre oggetto di una più precisa trattazione storiografica in Aufidio Basso e Plinio i l Vecchio, autori ris pettivamente dei Libri belli Germanici (= Bellum Germanicum) e Bellorum Germa­ niae libri xx (= Bella Germaniae), entra m b i a n dati perd u ti, sa lvo la menzione del lavoro di Pli n i o in Tacito (Ann. 1.6g,2)2. Contestualmente a ll'i na sprirsi della guerra, in pa rticolare dopo la catastrofe di Teutoburgo, la letteratura sui Germani comincia a essere con notata da cre­ scenti espressioni di superiorità se non di disprezzo, nelle quali emergono la ferocia, la slea l­ tà e l'ottusità, a conferma della 'barba rie' che li contraddi stingue. Le Res gestae di Ottaviano Augusto, con i l tema della sotto m i ssione delle stirpi germaniche, o la successiva consuetudine di conferire l'attri buto Germanicus a i vincitori di piccole scara m u cce tri bali, lasciano intendere la manifestazione inedita di un odio nei confronti del nemico, rich ia mato p.es. nella propagan­ da delle legende numismatiche del sec. 1 3• 1. La prima fase delle ostilità è trattata da Tito Livio in libri a ndati perduti, mentre la fase successiva fu regi­ strata in opere storiografiche, anna listiche e memoriali (in larga parte non più conservate) di Cremuzio Cordo, Seneca il Vecchio e degli imperatori Ti be rio e Claudio, di Cluvio Rufo, Vi pstano Messalla, Albi novi ano Pedone. 2. Secondo il ni pote Plinio il G iovane, i n contatto con Tacito, lo zio avrebbe i n iziato a lavorarci dura nte il servi­ zio i n Germania (fino al 47) ed è opinione diffusa che q uest'opera m i rasse a forni re un'immagine com plessiva delle relazioni romano-germaniche, risalendo fino alle guerre contro Cimbri e Teutoni di più di un secolo prima (Luiselli, 1992, pp. 202-5). 3. GERMANIA CAPTA, GERMANICVS CAESAR, DEVICTIS GERM (ANIS) , DE GERMANIS, NERO CLAVDIVS DRVSVS G E RMANICVS I M P.

Amisia, Elba/A/bis, Lippe/Lupia , Saale /Salas , Weser/ Visurgis) e l'introdu­

zione di nuove tribù ( 7. 1 ,3) 1 8• Velleio Patercolo (19 a.n.e.-ca. 31), già ufficiale in Germania, era stato testi­ mone oculare di fatti, luoghi e popoli. Il furore ideologico verso gli autori della carneficina di Teutoburgo infida fortemente le sue Historiae Romanae

18. Bructeri, Chattuari, Chatti, Chauc(h)i, Gambrivi, Longobardi, Lugi, Quadi, Semnoni, Zumi ecc. Nel descrivere dettagliatamente il trionfo di Germanico nel 15, Strabone dà ampio spazio ai nobili prigionieri che sfilano in processione dietro il carro del vendicatore di Quintilio Varo : Segimuntus, figlio di Segeste e capo dei Cheruschi, la sorella Thusnelda, moglie di Arminio, col figlio Thumelicus, e Sesithacus, principe cherusco figlio di Sigimer, zio di Arminio, con la moglie Rhamis; una figlia di Ucromirus, principe dei Chatti, il sugambro Deudorix, figlio di Baetorix, il fratello di Melo e ancora Libes, sommo sacerdote dei Chatti. Segeste, suocero e avversario principale di Arminio, era presente come ospite d'onore.

l Germani

(intorno al 3o), le quali, nonostante l'esperienza diretta, si limitano a un'e­ sposizione assai sintetica, riferendo elementi esteriori dettati dal pregiudizio anti-germanico (la ferocia, la falsità e la scarsa astuzia). Pomponio Mela (sec. I ) , geografo ispanico, è autore di un repertorio di livel­ lo scientifico non elevato (De chorographia) che integra e migliora le infor­ mazioni di Strabone, con il probabile influsso di Erodoto, Posidonio, Cesare e della tradizione ionica. Nel III libro descrive il territorio dei Germani, nel quale aggiunge, accanto al consueto confine renano occidentale, le Alpi, la Vistola, la regione dei Sarmati e la costa del Mar del Nord, indicando lo Jut­ land quale patria di Cimbri e Teutoni, localizzati per ultimi oltre gli Hermio­ nes (3.27). Non manca l'influsso dell'elemento meraviglioso né di stereotipi barbarici come le grandi corporature, il vitto a base di carne e l' incontenibile furore bellico. Plinio il Vecchio (23-79 ), senza dubbio una tra le fonti principali, è impe­ gnato per un ventennio nelle guerre germaniche descritte in venti libri andati perduti. L' opus magnum, la monumentale Naturalis Historia ( NH) (ca. 78) dedicata all'imperatore Tito, reca nel IV libro la descrizione dell' Euro­ pa settentrionale, con la Scandinavia, la penisola jutlandese e le isole frisoni (4.96,7). Dopo una digressione sulla Germania, vi aggiunge i popoli che la abitano, dei quali fornisce una ripartizione in cinque raggruppamenti ( 4.99,3, cfr. oltre), secondo una tradizione mitografica di ampio successo, da Tacito ( Germ. 2) alla letteratura medioevale in latino e nei volgari. Nonostante le ripetute sconfitte subite da Roma, seguite da spedizioni puni­ tive dall'efficacia limitata, la pubblica opinione sembrava ormai adagiata su espressioni semplicistiche di razzismo e di superiorità dell' Impero di fronte alle disordinate aggregazioni germaniche. Laddove Seneca denuncia la fero­ cia dei Germani, per Flavio Giuseppe anche peggiori delle belve, Orazio irri­ de i Sugambri e ne canta la brutalità, così come Properzio per Usipeti e Ten­ cteri, mentre Velleio ritiene i Longobardi il popolo più feroce tra i Germani, a loro volta nati per la menzogna e privi di qualsiasi elemento di umanità; Giovenale si scaglia contro i terribili Cimbri e Marziale contro la rozzezza dei Batavi. A Druso, morto in Germania, ai suoi figli e ai nipoti venne attribuito l'appellativo di Germanicus, nome più tardi scelto da Caligola per il mese di settembre. P. Cornelio Tacito (ss/s6-dopo il u7), storico e politico romano, figlio dell'omonimo governatore della Belgica, è uno dei più attenti conoscitori del mondo germanico. Autore delle Historiae ( Hist. , i cui libri rimasti si incentrano sugli eventi collegati alla guerra civile del 69-70) e degli Anna/es ( = Ann. , descrizione della dinastia giulio-claudia, dalla morte di Ottaviano a quella di Nerone) , egli è altresì autore del De origine et situ Germanitt (l Germanorum) discusso titolo di un piccolo trattato meglio noto col titolo di Germania [ = G] , reso pubblico nel 9 8 (dopo l'uccisione di Domiziano e di =

La redazione della Germania

=

66

4.

l Germani nelle fonti classiche

La Germania

Non sono c h i a re le ragi o n i della composizione di q u esto trattato denso d i riferimenti a lla tradizione etnografica e storica1• La sua natura etnografica, a rricchita di luoghi co m u n i , non è priva di spu nti reto rici né d i pole mica politica, con una stigma tizzazione della so­ cietà ro m a n a : in rea ltà, a n c h e i passaggi a ppa rentemente fi lo-germanici sono del tutto stru mentali e bilanciati dal d i s prezzo e d a i cons ueti commenti dero gatori verso le culture 'barbariche'. Gli acce n n i storiografici n o n sem pre a ggi orn ati su s i n gole etn ie sono desunti forse da P l i n i o e riuti lizzati nella redaz ione di Hist. N o n o sta n te la sua so pravva lutazione, i n u merosi problemi ecdotici, le forzature e le pro b a b i li i n venzioni, la G resta senza d u b b i o l a fo nte principa le di conoscenza dei G e r m a n i (occide n ta l i ) p e r i l sec. 1 e oltre. l suoi 46 c a ­ pitoli possono essere suddivisi i n tre pa rti pri ncipali: a ) c c . 1-5.2: collocazione e origine d i Germ a n i a e G e r m a n i , c o n riferi mento a lla geografi a, a lla purezza razziale, a l l'etnogenesi e a i miti d 'ori gine, ai canti in batta glia su Ercole, a suolo e sottosuolo; b) cc. 5.3-27.1: aspetti della vita quotidiana, politica, gi u ridica, socia le e reli giosa; c) cc. 27.2-46: descrizione d i tri b ù ed etn ie. 1. Ecateo di Mi leto, Erodoto, Teopompo d i Chio, Pytheas, Posidonio, la medicina ionica e la storiografia roma na. Conse rvata a Hersfeld (Assia) in un codice miscellaneo in minuscola carolina dei secc. 1x-x, l'opera era giunta roca mbolescamente a Roma nel 1455, su ord i n e di papa N iccolò v, per scomparire definitivame nte d u ra nte il sacco dei Lanzichenecchi l1527). 1 l testo è noto attraverso copie di umanisti del sec. xv, a eccezione di 8 fogli, rinvenuti nel 1902 in una biblioteca privata di lesi.

Nerva), durante la prolungata assenza da Roma del nuovo imperatore Traia­ no, impegnato in una campagna tra Pannonia e Germania.

3.

l Germani nell'opera di Tacito

G si distingue dalla tradizione che l'ha preceduta per la descrizione molto più esaustiva della società germanica (cc. 6-2 7) e delle singole popolazioni (cc. 28-46), un dato che tuttavia non risolve il problema delle fonti in Tacito. Pur adeguandosi alla tradizione celebrativa di Roma, il lavoro manifesta una certa apertura nei confronti della cultura dei Germani, solo in parte intac­ cata dai vizi della civiltà romana - dunque sostanzialmente solida e quindi pericolosa. Quando l'opera fece la sua comparsa, gli articolati rapporti di contrapposi­ zione, collaborazione e integrazione con l' Impero avevano plasmato le socie­ tà germaniche più occidentali in misura così determinante da fornire un qua­ dro molto diverso da quello registrato da Cesare centocinquant 'anni prima, anche se i confini politici con Roma restavano i medesimi: le Alpi e il Reno. Etnie germaniche vivevano disseminate sulle due sponde del fiume, alcune di queste intrattenevano alleanze con l' Impero, altre erano state annientate e deportate, altre ancora commerciavano regolarmente con Roma, perfino su base monetaria, e molte fornivano ininterrottamente manodopera militare e una cospicua rete logistica, senza la quale la presenza di Roma nei territori germanici non avrebbe avuto luogo. 67

La società germanica a l tempo di Tacito

l Germ a n i

FIGURA 1

Origi n i

Tuisto e M a n n u s

Etna genesi di ssona nti

Statuetta di schiavo germanico (Petronell-Carnutum, SchloBmuseum)

Dopo la tipica descrizione dei territori, dei confini, dei fiumi e dei mari della Germania, al cap. 1, il trattato si concentra, al cap. 2, su origini e tradizioni locali, ivi compreso l'etnonimo 'Germani '. Tacito utilizza il tema della 'pu­ rezza' etnica, ricorrendo all'immagine di un popolo simile solo a sé stesso per poter vivere in luoghi tanto sgradevoli. Se ne ricorda quindi la discendenza leggendaria dall'antenato primigenio Tuisto (o Tuisco), generato dalla Terra e padre di Mannus, a sua volta pro­ genitore del genere umano. Sembra che padre e figlio siano stati oggetto di canti di tradizione orale - di carattere genealogico e forse eulogistico - fonti storiche per eccellenza in una cultura che non conosce trasmissione scritta. Si tratta, evidentemente, di composizioni metriche che facevano parte del repertorio comune dell'oralità e che comprendevano liste di sovrani, toponi­ mi, divinità, gesta ed eroi19• Di Mannus, si ricorda che è il padre di divinità (purtroppo anonime) caposti­ piti di altrettanti raggruppamenti e leghe cultuali (o anfizionie): lngaevones, Istaevones, Herminones (secondo una versione del mito) o anche di Suebi,

19. La ricerca di un'origine comune è un topos letterario di successo (ben noto a Greci, Sciti, Slavi o Ebrei) fìno a tutto il Medioevo e spesso basato sull'equivoco ideologico dell'analogia tra etnogonia mitica ed etnogenesi storica (cfr. oltre, cap. 13).

68

4.

FIGURA 2

l Germani nelle fonti classiche

Sesterzio d i Marco Aurelio (emesso dopo la guerra marcomannica 172-173)

Marsi, Gambrivii e Vandili (in altre versioni, cfr. cap. 8). Vi sono motivi per ritenere questa triplice suddivisione come un'invenzione romana (o greca), che oggi viene più genericamente identificata con i tre macra-raggruppamen­ ti germanici occidentali10 degli inizi del sec. I. A eccezione dei citati Guiones di Pytheas (cfr. cap. 1 ) , a sostegno della rappresentazione tacitiana sono state chiamate in causa le informazioni desunte attraverso Pomponio Mela11 e so­ prattutto Plinio, il quale registra un analogo mito etnogenetico suddiviso in cinque partizioni11 (NH 4·9 9 , cfr. cap. 8). Ciò che viene celebrato in G 2 sono antiche gesta gloriose e origini divine, ma non divinità oggetto di culto, le quali, in contraddizione con la forma del presente celebrant, restano del tutto ignorate nel prosieguo dell'opera, se­ gnatamente al cap. 9 dedicato ai culti principali. Pur ammettendo che tutti i Germani abbiano aderito a questo paradigma etnogenetico, è molto proba­ bile che al tempo di Tacito tali figure fossero ormai percepite in modo assai evanescente. Tutto ciò tende ulteriormente ad allontanare l 'idea che i vari agglomerati tribali abbiano condiviso un'ipotetica autorappresentazione originaria unica definita attraverso il cognomen 'Germani ' ; questo, per Tacito, è di origine recente e sarebbe stato scelto a rappresentare alcune etnie dal nome un tempo assegnato a una singola tribù cisrenana particolarmente temi bile (i Tungri), sulla cui identità non mancano perplessità. Queste storie di origine diventeranno un genere letterario alto medioevale di successo, allorché gli

20. I Germani del 'Mare del Nord', 'dell'Elba' e 'del Reno-Weser '. 21. Chor. 3.32: «Vi risiedono, oltre gli ultimi Hermiones della Germania, imbri e Teutoni » . 22. Con un richiamo a Ingvteones, Istvteones, Hermiones. Plinio identifica inoltre (4.96,4-6) un sesto gruppo, gli Hilleviones della < Scatinavia >, la Scandinavia, considerata un'isola.

69

L'etn onimo Germani

l Germani

Stereotipi fisici

La guerra

Strutture politico­ mi litari

Antiche e n u ove aristoc razie

intellettuali cristiani di origine germanica le inseriranno di frequente in al­ cune delle prime opere locali (in latino) sulla storia dei singoli popoli, forme di legittimazione a posteriori delle nuove monarchie romano-barbariche (cfr. oltre, cap. 13). Il cap. 3 si incentra sui poemi epici dedicati a un eroe corrispondente all' Er­ cole romano e su canti di battaglia dal timbro crescente e decrescente (barriti o barditi), oltre a ricordare la leggenda del passaggio di Ulisse in quei territo­ ri, con la fondazione di un borgo. I capp. 4-5 sono dedicati all'aspetto fisico dei Germani, descritti secondo lo stereotipo dei popoli del Nord : occhi azzurri, sguardo minaccioso, chiome rossicce, corpi grandi ma forti solo nell'assalto e scarsa resistenza alla fatica del lavoro, insofferenti della sete e del caldo ma capaci di sopportare freddo e fame. Segue una sezione su clima, foreste e prodotti locali di allevamento, suolo e sottosuolo e sulle prime esperienze commerciali con Roma. Ai costumi bellici è dedicato il cap. 6, nel quale spiccano la presunta sem­ plicità delle armi, la insufficiente protezione, la scarsa qualità dei cavalli e la tattica assai primitiva, elementi che sembrano non tener conto dell'esperien­ za acquisita nell'ormai secolare mercenariato a favore dell'esercito romano. Il grande rilievo conferito in quelle società alle virtù militari viene tuttavia riconosciuto e assai apprezzato. Il cap. 7, altro punto cruciale dell'opera non privo di ambiguità, tratta dell'or­ ganizzazione politica e dei valori sui quali si fonda l'ordinamento istituziona­ le: « Scelgono i re per nobilta (di stirpe) ed eleggono i comandanti militari per il loro valore. I re non hanno potere illimitato né arbitrario e i comandanti valgono per l'esempio e non per il comando, suscitando ammirazione se so­ no coraggiosi e si mostrano mentre combattono in prima fila » . I Germani peraltro non usano quasi mai condannare a morte né segregare e solo a par­ ticolari figure di prestigio - che Tacito definisce 'sacerdoti ' - è permesso applicare sanzioni corporali, mandato che essi svolgono come se obbedissero a un comando divino. Difficile è stabilire realmente cosa si intenda con nobilta: probabilmente il 're ' era una figura elettiva espressione di oligarchie familiari, in grado di van­ tare un clan 'reale ' riconosciuto (una stirps regia, come tra Batavi e Cheru­ schi nel sec. I a.n.e.), ma la mancanza dell' istituto monarchico tra i Germani delle origini è un dato confermato ancora per secoli in molte etnie (cfr. cap. 6). Questi leader tribalP\ che mantenevano un carattere rappresentativo a 2.3. Quando nel 59 a.n.e. Cesare aveva conferito ad Ariovisto (rex Germanorum, in BG I .3 I, IO ) il titolo di rex et amicus populi Romani (BG 1.43,4), ciò non aveva comportato alcun riconoscimento politico, oltre all'ufficializzazione di una prerogativa militare. Del rango di rex/princeps potevano fregiarsi solo coloro che erano in grado di vantare nobili natali e dimostrare di discendere da uomini valorosi, militando nelle schiere dei capi e partecipando così alle loro deliberazioni. I

70

4.

l Germani nelle fonti classiche

FIGURA 3 Man iglia di bacile bronzeo raffigurante guerriero marcomanno con 'nodo' suebico (Museo di Musov/Muschau, Moravia)

salvaguardia del prestigio e delle istanze del gruppo etnico, furono presto affiancati dalle figure sempre più dominanti dei comandanti militari (in Tacito : dux/ duces ). Costoro, inizialmente connotati da un' investitura tem­ poranea, intervennero sempre più direttamente nella gestione del potere politico locale : in contatto frequente con l'amministrazione romana, nella quale percorsero talvolta carriere di successo, i capi militari riuscirono a soppiantare gli antichi esponenti della sovranità tribale divenendo i fonda­ tori delle monarchie militari dell'Alto Medioevo : come conferma l 'arche­ ologia, la fase matura dell'età del Ferro romano (ca. 100-ca. 350) coincide con l 'evoluzione delle società tribali in società signorili (Kristensen, 1983; Hedeager, 1992). Il dux, che in Cesare compare soltanto in periodi di guerra, per Tacito può coesistere simultaneamente al rex e niente esclude che in certi casi possa essere stata la stessa persona. Il dux veniva eletto senza una scadenza precisa che non fosse la durata generica di un conflitto : nel 69, durante la rivolta di Civile, per prima cosa i Channenefati elessero un comandante, episodio che suggerisce sia che non avessero un capo militare in tempo di pace, sia che il capo del tempo di pace non fosse il medesimo in tempo di guerra. Con la

nobili natali (insignis nobilitas di G 13.2.) potevano indicare semplicemente il valore militare dimostrato da un avo, indipendentemente dal suo censo : non è specificato se un uomo comune potesse diventare rex/princeps, al tempo di Tacito, ma non è mai menzionato un rex/princeps che non fosse di nobili natali.

71

l Germani

La donna

Reli gione

Divi nazione

crisi degli equilibri tradizionali dei clan e la pressione esercitata dalle nuove aggregazioni militari e clientelari private di carattere permanente e intertri­ bale (il comitatus, cfr. più avanti e al cap. 6), queste figure di imprenditori della guerra videro accresciuti in misura significativa i propri benefici grazie anche al riconoscimento dell'amministrazione romana, che in molti casi li considerava interlocutori privilegiati nelle trattative. È dimostrato come Roma accelerò le carriere di molti capi militari tribali/etnici fino a farne dei re-dipendenti (petty-kings) all' interno dei relativi agglomerati: piutto­ sto che veri e propri domini territoriali, è forse più convincente immaginare forme simili di leadership o signoria locale come modelli di fedeltà persona­ le, in aggregazioni temporanee finalizzate sia allo sfruttamento della guerra e della manodopera militare sia all 'imposizione di un controllo sui traffici in transito, come si desume da molti corredi funerari. Il cap. 8 riprende le parole con le quali si chiudeva il precedente, a proposito dello stretto legame tra la sfera della guerra e della famiglia, identificabile nel­ la presenza delle donne anche nelle retrovie per fornire incitamento, cure e approvvigionamenti. Questa è l'occasione per Tacito di sottolineare il ruolo speciale e quasi sacrale conferito alla donna, qui esaltata nel possesso di virtù che, polemicamente, ormai non si riscontrano nella donna romana. Nel cap. 9 si affrontano le tematiche religiose, dalle quali emerge l'adorazio­ ne generalizzata tra i Germani di una triade divina dalla spiccata impronta classica e priva di riscontri oggettivi. L' interpretazione della religione ger­ manica delle origini (cfr. oltre, cap. 8) ha subito a lungo l ' influsso dei dati provenienti dalla ricca ed erudita mitografia scandinava dei secc. XII-XIII, spesso ignorando i dati archeologici ed epigrafici o equivocando i contributi letterari latini e alto medioevali. Al 'Mercurio' germanico, al quale sono im­ molate vittime umane, si affiancano un 'Marte ' e un 'Ercole', quest 'ultimo probabilmente diverso dall'omonimo eroe, celebrato in canti epici, del cap. 3· Non sembra invece essere esistito un corrispondente di Giove, coerentemen­ te con lo slittamento funzionale di alcuni culti indoeuropei condiviso anche dai Celti, mentre si fa strada l'idea di un insieme di culti locali incentrati soltanto su singole divinità (enoteismo), realmente adorate attraverso culti e sacrifici comprensibilmente descritti in modo inaffidabile4• Il cap. 10 è dedicato all' importante aspetto delle procedure divinatorie, per le quali è noto che più di un imperatore si avvalse di profetesse di origine germanical.5• Qui Tacito ricorda l' interpretazione delle sorti desunta da segni

2.4. In particolare la divinità dei Semnoni, quella delle tribù 'vandaliche', la 'lside' suebica, la dea di alcune tribù dell'Elba e la Madre degli dèi, cfr. cap. 8. 2.5. Svetonio cita la Chatta mulier di Vitellio ( Vita Vitellii 14.5) e la semnone Ganna, in visita a Domiziano ( Vita Domitiani 16,1) - come conferma Cassio Dione (Hist. 67.12.,5,3). Vèleda fu ispiratrice della rivolta delle legioni renane con il batavo Giulio Civile (cfr. sopra, cap. 3 ) : catturata

72

4.

l Germani nelle fonti classiche

incisi su bastoncini di legno, che a lungo ha alimentato tra gli studiosi l'equi­ voco della valenza mantico-magica e religiosa delle rune. Nei capp. II-12 si parla di assisi politico-giuridiche e di amministrazione della giustizia, sottolineando il valore centrale dell'assemblea generale degli uomini in armi di condizione libera ( il thing, cfr. oltre, capp. 6 e 14), in deroga alla quale il consiglio dei capi deliberava per questioni di minore importanza. Tacito non riferisce quale genere di cause venisse dibattuto in queste assemblee, ma è certo che nelle cause penali il colpevole era condannato a risarcire la parte offesa (e i capo tribù) con un certo numero di cavalli o bestiame, in proporzione alla gravità del reato e a seconda delle consuetudini. Le sedute ordinarie erano convocate in periodi di novilunio (la cui importanza è sottolineata anche da Cesare) o di luna piena. Il crescente livello di disuguaglianza sociale al tempo di Tacito non impediva a questo consesso di rappresentare ancora la sovranità popolare, benché alla massa dei partecipanti spettasse ormai solo il diritto di avallare o rifiutare, ma non di presentare alcuna istanza propositiva (di appannaggio aristocratico), né esistono prove che sorreggano l ' ipotesi di un dibattito allargato al di fuori degli interventi tenuti da leader militari o civili. I capp. 13-14 sono invece dedicati a un altro tema rilevante : i sodalizi clientelari, noti anche ai Galli di Cesare. Con l'appellativo comitatus (cfr. cap. 6), Tacito descrive una banda di guerrieri, libera associazione intertribale su base individuale, incentrata su meccanismi di adozione/ dedizione; dalle finalità non pacifiche e priva di un principio di uguaglianza, essa si imperniava su una rigida gerarchia interna e sullo stretto rapporto di fedeltà individuale tra gregario e capo. Questo istituto inizia a svilupparsi nella società germanica fino a rappresentare il nucleo più dinamico nelle aggregazioni super-tribali delle fonti tardo antiche, generando nuove potenti figure di condottieri di eserciti privati nello scenario politico coevo e minando pro­ gressivamente l 'unità etnica e gli equilibri dei clan. Tale rapporto prevede che, in battaglia, sia disdicevole per un capo lasciarsi superare in valore dai subalterni, ma similmente vergognoso per costoro non emulare il coraggio del comandante. L'accumulazione di ricchezza in mani private, dovuta al pagamento di prestazioni militari o alla distribuzione del bottino, comportò l'affermazione di nuove classi sociali e di una crescente sperequazione economica all' interno dei clan : accanto ai nuovi ricchi, gli impresari professionisti della guerra (anche al servizio di Roma), vi erano coloro che entravano nel seguito di un capo, al suo completo servizio, ed erano ricompensati coi frutti di razzie e battaglie. Nelle società arcaiche le occasioni di convivialità sono frequente-

nel n-78, potrebbe essere stata condotta prigioniera a Roma, alla luce di quanto affermano Cassio Dione, Stazio e un epigramma greco rinvenuto ad Ardea.

73

Asse m b lee politico-gi uridiche

Le clientele

N u ovi circuiti economici

l Germani

FIGURA 4

Esecuzioni d i massa durante L e guerre germaniche, particolare della Colonna

Aureliana

Fonte: Coare l l i (2008).

Disparità economiche, di seguaglianze sociali

mente accompagnate da meccanismi di redistribuzione, sotto forma di ban­ chetti e regalie, grazie ai quali sovrani e potenti capi vengono descritti nella poesia germanica con appellativi conseguenti (cfr. oltre, cap. 6). Se in origine il rapporto tra capo e seguaci era temporaneo, per la durata di una scorreria o di una guerra, in Tacito il comitatus ha un carattere permanen­ te e i seguaci rappresentano per il loro condottiero difesa in tempo di guerra e onorabilità in tempo di pace ( G 13). Quanto copioso era il numero dei com­ pagni che poteva mantenere, tanto maggiore era il prestigio sociale che ne veniva al capo, anche in termini di ricadute politiche. Non sembra raro che popoli confinanti inviassero doni di varia natura allo scopo di assicurarsi l' ap­ poggio o la neutralità di un importante sodalizio armato, ivi compresi dona­ tivi in bestiame e cereali, tali da contribuire in concreto al mantenimento del seguito. L'evoluzione del comitatus segna l'inizio del processo di disgrega­ zione delle antiche società germaniche, basate su un livello di accumulazione ridotto, una struttura oligarchica con un basso tasso di conflittualità interna e un sistema ideologico, etico e religioso sostanzialmente condiviso : ciò ebbe luogo attraverso il crescente potere di bande militarizzate e svincolate dal controllo assembleare, uno sviluppo in senso esclusivo degli appartenenti a questi gruppi privati e un carattere trasversale che valicava i limiti dell'antica appartenenza tribale. 74

4.

FIGURA 5

l Germani nelle fonti classiche

Scene d i deportazione, particolari della Colonna Aureliana

Fonte: Coare l l i (2008).

I capp. 15-17 pongono l'accento sulla vita sociale, con riferimenti alle occupazioni quotidiane dei Germani, alle loro abitazioni e al vestiario. Coerentemente col pregiudizio sui feroci 'barbari del Nord', che prediligono la guerra all'agricoltura ( G 14), Tacito sottolinea l'ozio degli uomini in epoca di pace e la delega dei lavori quotidiani a donne e vecchi, così da potersi dedicare alla diplomazia, alle alleanze e alla riscossione di donativi, anche da parte romana. Le dimore, sparpagliate nel territorio, sono assai semplici e quasi sconosciute sono le tecniche di costruzione, la pietra e le tegole. Nonostante i rigori del clima, vestono di pelli animali lasciando buona parte del corpo seminuda, secondo i consueti stereotipi barbarici effigiati su monete, lapidi o bassorilievi. Matrimoni e famiglia sono trattati ai capp. 18-20, nei quali Tacito elogia la sobrietà dei rapporti coniugali, l'acquisto della donna tramite una 'dote ' e altri doni portati dal marito alla moglie e da questa passati ai discendenti. L'autore si compiace della rigida condivisione delle fatiche ( lavorative e belliche ) sopportate in egual misura dalla moglie e simboleggiate da oggetti non voluttuari portati al marito come dote matrimoniale femminile6• La 26. Una coppia di buoi, un cavallo bardato, spada, scudo e framea.

75

Vita quotidiana

Fa m i glia

l Germani

Consuetudi n i giuridiche

Cibo e beva nde

Schiavi

Econ omia

Funera li

donna germanica manifesterebbe austerità, un alto grado di castità e un sano disinteresse alle attrazioni della vita, valori ormai ignoti alla donna romana, viziata e spesso di facili costumi. I limitati casi di adulterio sono subito repressi dal marito in applicazione del diritto consuetudinario, a se­ guito del quale la fedifraga non potrà più sposarsi. Con compiaciuto spirito polemico, si ricorda la monogamia (ma Ariovisto in BG sembra dimostrare il contrario), il divieto presso certe tribù che la donna possa sposarsi più di una volta nella vita e la non limitazione del numero dei figli, che essa allatta direttamente e che cresce con grande semplicità. Il tardo debutto sessuale garantirebbe ai maschi grande virilità (cfr. Giulio Cesare) e alle femmine una solidità fisica che favorisce la nascita di figli forti e resistenti, spesso affidati allo zio materno in una sorta di regime di avunculato non ignoto alla cultu­ ra indoeuropea. Il cap. 2.1 è un richiamo alla sfera del diritto : le inimicizie del singolo sono condivise da ogni membro del clan, benché non esistano contese, anche gravi come un omicidio, che non possano essere risarcite materialmente con reci­ proca soddisfazione delle parti. Si sottolinea, infine, il vincolo sacro dell'ospi­ talità, anche questo un topos barbarico riecheggiato nel mondo indoeuropeo. Consuetudini domestiche, bevande, cibi e divertimenti sono l 'oggetto dei capp. 2.2.-2.4, nei quali dei Germani sono descritti la passione smodata per il gioco e il bere7, l'esibizione sfrontata di virtù e cimenti militari e il rilevante significato sociale del banchetto. Anche la posizione di schiavi e li berti, al cap. 2.5, è analizzata con superiore di­ stacco : i Germani sembra non sappiano come utilizzare al meglio gli schiavi, che trattano come coloni, restando la responsabilità delle incombenze mag­ giori sulle spalle della donna. Eloquente e tipica di una visione denigratoria è infine l'indicazione secondo la quale i li berti, nelle tribù rette da un regime monarchico, avrebbero guadagnato un'autorità addirittura superiore a liberi e nobili. Il cap. 2.6, relativo all'economia, si sofferma sull'assenza di usura, di suddivi­ sione delle proprietà e delle coltivazioni, diversamente dalla testimonianza di Cesare, a proposito della presunta assenza di proprietà fondiaria, contrad­ detta peraltro dall'archeologia. La tipologia delle coltivazioni germaniche sarebbe inoltre responsabile del mancato riconoscimento della stagione au­ tunnale. Nell'avviarsi alla conclusione della seconda parte del trattato, il cap. 2.7 il­ lustra le cerimonie funebri, celebrate senza sfarzo e prive di monumenti di particolare prestigio, tra il pianto delle donne e la memoria delle gesta del defunto coltivata dagli uomini, che non indulgono in comportamenti di di­ sperazione.

l7.

76

In particolare birra d'orzo e, ai confini, vino d'importazione.

4.

l Germa n i nelle fonti classiche

Il cap. 28, infine, apre la lunga parentesi fino alla fine del trattato ( cap. 46), incentrata su singole 'nazioni ' germaniche ( e non ) , con un tributo speciale a Cesare e alla sua menzione dell'antica superiorità dei Galli sui Germani. Pur senza annoverare i popoli che hanno colonizzato l'area dei cosiddetti agri decumates ( cfr. cap. 3), Tacito chiama in causa circa settanta etnonimi, dei quali almeno tre rappresentano soltanto anfizionie (Ingevoni, Istevoni, (H)Erminoni), altri tredici hanno un'origine non germanica�8 e la restante cinquantina è ambigua�9• Dopo Tacito, la storia dei rapporti romano-germanici risentì delle scelte politiche operate da Roma, impegnata adesso molto più severamente sul versante balcanico-danubiano occupato da numerose genti, tra le quali i Germani erano soltanto una delle componenti principali. Lo spostamen­ to dell ' interesse verso nuove minacce a est modificò dunque la portata dell 'attenzione letteraria romana, con la perdita di una storiografia ag­ giornata sul mondo germanico. La migliore testimonianza delle guerre germaniche della fine del sec. n combattute da Marco Aurelio30 è vice­ versa rappresentata sulla Colonna co elide Aureliana ( Coarelli, 2008, modellata sulla Colonna Traiana ) , con scene raccapriccianti di violenza anti-barbarica, esecuzioni sommarie di guerrieri e la cattura di donne e bambini germanici. Tra i secc. II e III, la questione germanica è affrontata da Cassio Diane nella Historia romana ( che va da Enea ali' anno 229), attraverso una narrazione ste­ reotipata di gesta militari, ma senza la pretesa di fornire informazioni di carat­ tere etnografico. Anche la Historia Augusta, raccolta di biografie di imperatori e usurpatori romani, da Adriano (t 138) a Numeriano (t 284) e dedicata a imperatori e cesari dell'epoca di Diocleziano e Costantino I, registra prevalen­ temente scarne notizie di guerre romano-germaniche dei singoli imperatori, non prive di una serie di incongruenze, anacronismi e di dati probabilmente falsificati.

28. Aravisci, Boi, Cartaginesi/Poeni, Elvezi, Esci, Fenni, Nervi, Osi, Parti, Sanniti, Sarmati, Treveri, Veneti. 29. Per ragioni cronologiche non si fa menzione di realtà eterogenee comparse solo più tardi (Alamanni, Baiuvari, Burgundi, Eruli, Franchi, Gepidi, Sassoni, Turingi), laddove le numerose genti orientali sono perlo più registrate nella forma Guthones. 30. Contro Quadi, Marcomanni e relativi alleati settentrionali e orientali - Ermunduri, Iazigi, Bastami, Sarmati, Roxolani, Costoboci.

77

Singole etn ie

5 Dalle guerre marcomanniche .

.

.

.

a1 regn1 romano-german1c1

Non sono chiari i motivi che nel sec. I I scatenarono sul fronte danubiano una inedita catena di movimenti migratori e azioni belliche combinate : ribattez­ zati impropriamente guerre 'marcomanniche' ( bellum plurimarum gentium, secondo la definizione di Historia Augusta, Mare. 22 ) , essi coinvolsero per circa un decennio una ventina di complessi tribali ed etnici. Il delicato equilibrio geo-politico raggiunto in Occidente con la dinastia degli Antonini aveva favorito l'espansione della cultura mediterranea verso settentrione, producendo fenomeni di integrazione e acculturazione non riassumibili in una singola formula1• Alla metà del sec. II, quella stabilità si stava tuttavia avviando verso una crisi ineluttabile (Dietz, 1994), ma la docu­ mentazione scritta che copre questo periodo è troppo lacunosa per osservare l'evoluzione degli agglomerati germanici - documentata in Tacito, ma tra­ scurata nei frammenti di Cassio D ione e in altri storici del sec. III fino ali'e­ poca di Ammiano Marcellino, Agathias e Zosimo. Neanche l'archeologia è purtroppo in grado di fornire elementi con i quali comprendere, nel sec. I I I , le trasformazioni di etnie e confederazioni unificate dalla partecipazione a nuove comunità di culto, amalgamate in complessi sistemi clientelari e alleanze con gruppi dell'a­ ristocrazia militare, • aggregate dall' insediamento di più unità nei pressi del limes •



che soppiantarono la galassia di etnie minori descritte in Tacito o Tolomeo.

1.

Economia, conflitti e fenomeni di i mmigrazione

La forte pressione e le richieste di immigrazione pacifica di intere tribù o di cospicui gruppi e bande di profughi (quasi sempre respinte), diedero vita a I . Il confine della Germania superior era stato addirittura avanzato di ca. 30 krn, col probabile intento di annetterne i fertili territori.

79

La spinta verso i l limes

l Germ a n i

I n c u rsioni 'mi rate'

Marco Aurelio e i Marco m a n n i

una serie di reazioni che andavano da semplici incursioni e razzie a conflitti più prolungati, l'origine dei quali va ricercata nel profondo processo di tra­ sformazione delle culture a est dell' Elba. La minaccia principale non proveniva dagli agglomerati nelle vicinanze della 'fascia di garanzia' a ridosso del limes (spesso regni clienti), ma dalla spinta di intere tribù, talvolta molto lontane, in cerca di terra, che combattevano anche d'inverno e costringevano altri complessi allo spostamento verso sud-ovestl. Nel 166, sconfitti i Parti, l 'esercito imperiale era appena rientrato dall'Arme­ nia (da dove aveva diffuso una grave epidemia) e si era trovato subito ad affrontare un'ondata di incursioni in territorio romano di ca. 6.ooo Lon­ gobardi e Osi, ai quali si unirono Quadi, Sarmati, Jazighi e soprattutto i Marcomanni, il re dei quali, Ballomarus, guidò le trattative di pace che ne seguirono. Il problema maggiore non era dato dal numero degli infiltrati - gruppi scelti, ben armati e conoscitori delle tattiche romane - ma dalla contemporaneità dell'attacco in diversi punti del dispositivo di difesa, elu­ dendo l ' intercettazione romana e riuscendo a penetrare profondamente nei territori interni (poco o nulla fortificati). Gli autori della Historia Augusta sottolineavano l'idea di una 'cospirazione ' barbarica, quando in realtà si trattava dello sfruttamento di una debolezza strutturale percepibile anche dai continui spostamenti di truppe lungo il confine. Nel 168 una nuova coalizione3 aveva varcato il limes e alcuni gruppi erano giunti a devastare Oderzo e ad assediare Aquileia, porta orientale d ' Italia; per la prima volta dal tempo di Cimbri e Teutoni il territorio della peniso­ la italica veniva violato, ma anche in questo caso la minaccia fu disinnesca­ ta e trasformata in una vittoria diplomatica e in una pace effimera (171), alla quale seguirono l'assunzione d a parte d i Marco Aurelio del titolo d i Germanicus (nelle monete coniate per l'occasione) e l a deportazione d i molti Germani (cfr. figg. 1 e 2 ) .

2.. Non sempre Roma aveva opposto dinieghi. Alcune volte aveva favorito l ' insediamento di nuclei tribali, di profughi o deportati, affamati dalle guerre e dalle distruzioni di raccolti e allevamenti, concedendo quote modeste di terra e venendo incontro alla carenza di manodopera agricola. Talvolta era ricorsa al reinsediamento coatto (come nel sec. I ) , ma sempre in ossequio a esigenze di sicurezza, cercando di evitare stanziamenti non controllati almeno fino a tutto il sec. I I I , quando l'ammissione cominciò a essere stabilita sull'onda dell'emergenza, davanti a gruppi troppo numerosi per le forze di frontiera. Gli improvvisi arrivi dalla bassa Elba di Longobardi e Semnoni (sul Danubio e in Pannonia) e dei più orientali Gepidi (in Dacia e Mesia) erano in realtà il risultato degli effetti dello smembramento di alcune leghe orientali, come quella lugico-vandalica (tra Slesia e bassa Vistola), con la migrazione verso l' Ucraina e il Mar Nero dei Gutones (/Goti) e verso sud­ ovest (Pomerania, alto Oder, Carpazi) di raggruppamenti facenti capo ai più tardi Vandali e Burgundi. 3· Quadi, Marcomanni, Ermunduri, Osi, Naristi e Jazighi (Hist. Aug., Marc. 2.2. ) .

80

5.

FIGURA 1

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

Le guerre marcomanniche e i principali obiettivi raggiunti

Castra Regina

Fonte: Bleckmann (2009, p. 159).

La minaccia non fu comunque sventata dai trattati 4: a ogni primavera ripar­ tivano le ostilità e le violenze, senza arrivare a una pace definitiva, che alla fine della seconda guerra 'marcomannica' (177-180) Marco Aurelio cercò di comporre dopo l'importante vittoria di Carnutum ( bassa Austria, 179 ) , dove morì nel marzo del 180. La pace siglata da Commodo ribadiva i consueti pa­ radigmi diplomatici: una 'terra di nessuno' di ca. 16 km dal limes, la fornitura di una leva annua e di derrate alimentari.

Che prevedevano, fra l'altro, la possibilità di riunirsi soltanto una volta l 'anno in un luogo stabilito sotto la sorveglianza di un centurione, di non frequentare i mercati roma­ ni e di non risiedere o pascolare tra s e 10 miglia dal confine, fornendo truppe ausiliarie all ' Impero. 4·

81

l Germ a n i

FIGURA 2 Aureliana

Capi germanici implorano l a grazia a Marco Aurelio, particolare della Colonna

Fonte: Coarelli (2008).

Demografia e flussi mercantili

A parte lana, sapone, pelli, qualche legume e una certa quantità di ambra, è probabile che i Germani abbiano scambiato due merci fondamentali: il bestiame, per l'elevato fabbisogno delle truppe d'occupazione, e gli schiavi, manodopera umana, un articolo di prima necessità per l' Impero, sia in città che nei latifondi5• L'apporto di prigionieri di guerra venduti cominciava a scarseggiare, date le posizioni più difensiviste della politica estera romana, tanto che divenne con­ veniente rivolgersi ai Germani, sia nella loro veste di commercianti di schiavi (di altri Germani, di Slavi ) , sia per la loro disponibilità all'arruolamento ga­ rantita da precise condizioni. Se fino a Tacito i Germani avevano compiuto un significativo progresso cul­ turale, il periodo di crisi tra i secc. n e IV segna un'accelerazione. L'espios. L'archeologia fornisce prove tangibili dell'esistenza di un commercio non limitato in diverse regioni della Germania, garantito nelle clausole di pace con le varie etnie e confermato dall'enorme quantità di monete e armi, suppellettili domestiche e articoli da toilette. 82

5.

FIGURA 3

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

La crisi del sec. 1 1 1 e i movimenti delle confederazioni germaniche

Fonte: Bleckmann (2009, p. 171).

sione demografica, risultato di un accresciuto benessere materiale, rendeva i territori germanici un mercato allettante per il commercio, contribuendo ali'espansione di una manifattura locale che, pur disomogenea e collegata a modelli romani, si stava sviluppando su basi autonome. In questo periodo, il dispositivo militare di Roma inizia a mostrare segnali di cedimento, per le difficoltà di qualsiasi esercito professionale dislocato su confini estesi e per la riduzione dei benefici alle legioni frontalieré rispetto alle truppe di élite costituite in Italia intorno alle città e a difesa dell'imperatore. A partire da Commodo, visti gli elevati costi di mantenimento di forze sul teatro renanodanubiano7, si consolida la prassi dei sussidi pagati ai capi militari barbarici8 per

6. Stipendi ridotti, ferma prolungata, divieto di matrimonio. I fenomeni sono ancora a 'bassa intensità' bellica (guerriglia, infiltrazione e saccheggi) e non antiromani, non collegati cioè a rivendicazioni territoriali significative. Ma Severo Alessandro, quarto imperatore direttamente impegnato sul fronte renano, dopo Domiziano (83), Traiano (98101) e Caracalla (2.13), fu assassinato a Magonza (2.35), durante una rivolta militare. Nel 2.54, nel pieno dell'anarchia politica e militare (2.35-2.84) fermata da Diocleziano, il limes della Germania superior venne più volte oltrepassato, cosl come, nel 2.59, il vecchio limes renano fu travolto insieme a molti centri urbani delle retrovie. 8. Cfr. l'iscrizione di Carnutwn del principe marcomanno SeptimusAistomodius rex Germanorum ( ciL III, 4453), al quale Settimio Severo aveva conferito cittadinanza, sussidi e diritto di asilo. 7·

Crisi dell'apparato milita re

l Germani

disincentivarne atti di aggressione inattesi. Le nuove confederazioni del sec. I I I rappresentavano il risultato della fusione di sottogruppi eterogenei organizzati secondo dispositivi di potere diseguali, con rinnovate tradizioni etniche e nuo­ vi etnonimi: Sassoni, Franchi, Goti, Alamanni (Kulikowsk.i, 2007 ) L'elenco dei conflitti fronteggiati da Roma in un secolo e mezzo testimonia con eloquenza la progressiva perdita di controllo sul fronte renano e a nord del Danubio (Whittaker, 2004; Goffart, 2oo6). .

182

Claudio Albino b locca un'incursione di Frisi nella Belgica

213

Vittoria significativa di Caracalla contro gli Ala m a n n i nei pressi del Meno

233

Ri petuti saccheggi in Ga llia di Chatti e a lleati e di Ala m a n n i in Rezia e Norico

241

Pri ma menzione dei Franchi

254

Ga lliena sti pula u n trattato con le tri b ù che i m perversano i n Gallia

258

I n Gallia settentrionale Aureli ano b locca i saccheggi dei Franchi, che passano i n Spa­ gna, di struggendo Ta rragona e rimanendovi per u n a dozzina di a n n i ; gli Ala m a n n i fa n n o capolino i n Italia

260

Ga lliena scaccia da lla Ga llia a ltre tri bù german iche. Pacificazione dei Franchi

262

Ga lliena combatte i Marco m a n n i di Atta lus, sposandone la fi glia Pipa

264

G ruppi di Ala m a n n i giungono in Rezia, a M i lano, sul Garda, a Pavia, Ravenna e Fa no. Crocus, rex dei Va ndali, si allea agli Ala m a n n i nel saccheggio della Gallia, pri ma di essere catturato e gi ustiziato nella Narbonensis

270

l Franchi passati i n Spagna a rriva no a saccheggiare i l Nord Africa, con d a n n i i n genti

277

La Ga llia è invasa da Franchi, Lugi, Burgundi e Va ndali. Probo li sconfigge, ricacciando resti dei Franchi oltre i l Reno e gli Alamanni oltre i l Neckar

286

Nuove i ncursioni d i Burgu ndi, Ala m a n n i ed Eruli i n Gallia; Massi miano inca rica i l co­ mandante Cara usius di appro n ta re una flotta per la difesa costiera della Belgica; que­ sti, dopo ri levanti successi, u s u rpa i l potere e si autoproc lama i m peratore di Brita n n i a e Gallia settentriona le. alleandosi c o i Fra nchi Sali, ai q u a l i concede terre tra Reno, Mosa e Schelda

288

Atech, un rex dei Franchi, chiede la pace a Massimiano. Bande di l uti, Wa rni, Angli, Sassoni e Franchi razzia no n uova mente le coste del Belgio e della Gallia

290

Massimiano, senza flotta, è costretto ad accordarsi con l'u su rpatore Cara u s i u s per liberare i l delta re nano dai Sali. I l loro rex Gennoba udes negozia la pace con Massi­ miane e accetta i l trasferimento di parte dei Franchi nelle terre dei Nervi e dei Trevi ri

293

Costa nzo caccia i Franchi dalle isole renane e dalla Schelda, ridislocando lon tano dal Reno i su perstiti e assegnando a Chamavi e Frisi terre coltiva bili i n Gallia settentrio­ nale

297

Guerra di Costa nzo contro gli Ala m a n n i , i n vasori della regione della Cham pagne-Ar­ denne

300

Incursione di Costa nzo Cloro in Brita n n i a per cacciare da Lo n d i n i u m i Franchi assoldati nei reparti i m periali di Alectus. a lleato di Carausius. Per a lleggerire la pressione fra nca, Costa nzo rei n sedia varie tri b ù franche assoggettate ( i /a?tl) su a ree coltiva b i li tra Piccardia, Loira e Normandia

84

5.

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

306

Due regu/ifra nchi, Ascari c e Merogaisus, rompono i patti e invadono le terre di Costanzo Clo­ ro intorno a Treviri; Costantino I li sconfigge e li dà in pasto ai leoni nell'anfiteatro della città

3 08

Spedizioni punitive di Costantino 1 tra i Bructeri, con molti prigionieri e violenta reazione della coa lizione ( Bructeri, Chamavi, Cheruschi, Alamanni, Tu ba nti, Va ngioni) oltre il Reno

313

Costa ntino 1 a n n i enta u n a spedizione fra nca che cerca di attraversare il Reno

317

Crispo, figlio di Costa ntino 1, sco nfigge un esercito di Franchi sul Reno

332

Costa ntino 1, sconfitti i Tervi nghi, sta b i lisce con q uesti un fo rmale trattato trente n n a le di a lleanza, che li a ssoggetta al sostegno mi litare dell' I m pero

341

Costante (figlio di Costa ntino 1) caccia i Franchi da lla Gallia dopo un inverno. La Ger­ mania è ormai sotto il controllo di Alamanni, Sassoni e Franchi, coi quali Costante ripristina l'allea nza nel 342

Nonostante l'instabilità interna e la minaccia costante di infiltrazioni, l'in­ sediamento di etnie confederate in territori imperiali a larga maggioranza non germanica si configurava ancora privo di un disegno organico. Durante le guerre tra i successori di Costantino I, la confederazione dei Franchi9 si era ormai insediata sulla sponda sinistra del Reno, tra Waal e Mosa nei pressi di Noviomagus/Nijmegen, e insieme ai Sassoni imperversava sul medio e basso Reno (355); gli Alamanni invece irrompevano ripetutamente in Gallia fino al lago di Costanza: sconfitti sul fronte retico-renano, Valentiniano I ne fece uno stato-cliente a tutti gli effetti, con insediamenti forzati anche in Pianura padana (cfr. fig. 4). Gli studiosi dei fenomeni migratori sono in grado di fornire definizioni an­ che molto diverse per qualificare le forme di spostamento di popoli o aliquo­ te di essi, sia che abbiano carattere temporaneo sia definitivo. È innegabile che l 'insieme di attività umane definite dal termine '(im)migrazione' sia un fenomeno connaturato ad aspettative in prima istanza economiche : la ricerca di sedi o terre migliori, di luoghi di interscambio, l'accesso alle ricchezze. Nel sec. III la relativa prosperità goduta nelle società germaniche insediare ai margini del mondo romano rappresentava un obiettivo assai ambito e di difficile acquisizione da parte di etnie lontane: i nuovi re-clienti amministra­ vano nelle proprie corti i sussidi e le forniture dei Romani, che non eccepi­ vano sui surplus derivanti da eventuali razzie e guerre condotte localmente. La forma migratoria in grandi unità (di genti ed etnie anche diverse) poteva

9· Sotto il cui nome erano comprese gentes quali Sali, Chamavi, Chattuari, Bructeri, Tubanti, Amsivari, Chatti ecc., Amene et al., I99S· Il loro valore militare trova conferma nell'ingresso di molti capi nelle gerarchie militari romane. Nel 378 Mallobaude è nominato comes domesticorum, come di seguito ricopriranno cariche supreme i franchi Merobaude, Bauto, Rikimer, Arbogaste ( impegnati al comando di truppe franche contro Alamanni e Goti ) , l'alamanno Fraomarius, i goti Fravitta, Gainas, Rikimer, Teoderico l'Amalo, Teoderico Strabone, il vandalo Stilicone, il burgun­ do Gundobado, lo sciro Odoacre.

85

N u ove confederazioni m u ltietn iche

Origine dei fenomeni di migrazione

l Germani

FIGURA 4

Franchi e Alamanni n e l sec. IV

Fonte: B leckm a n n (2009, p. 213).

Ideologia ed ethnos

l n sediamenti e riaggregazioni

allora rappresentare un'opportunità economica alternativa, laddove si fosse riusciti a imporre la legge del proprio numero e a strappare accordi favorevoli a Roma o ai suoi alleati. Nel caso dunque degli agglomerati germanici in movimento, nomi e appel­ lativi tribali o confederali attestati nel sec. I non possono essere confusi con quelli di altrettanti gruppi omonimi, i quali a distanza di secoli ( o anche con­ temporaneamente, a distanza di qualche centinaio di chilometri ) risultano citati spesso ambiguamente nelle fonti. La peculiarità di quelle aggregazioni etniche sta proprio nei loro appellativi generici, i quali non indicano alcun ethnos prestabilito, ma piuttosto un'unione elastica di genti, che condividono per un tempo variabile interessi, sentimenti e identità riconosciute e utilizzate dai loro interlocutori ( Gasparri, 1997, pp. 69-77; Pohl, 2oooa, pp. 1-38). I fenomeni migratori di diverse etnie germaniche ebbero modalità eterogenee che non possono essere spiegate con l'etichetta romanocentrica di 'inva­ sioni ' barbariche, specialmente se associate ai concetti altrettanto inappro­ priati di 'crollo' e di 'controllo' dell' Impero romano. Alcuni raggruppamenti erano già al servizio di Roma e avevano beneficiato di ricchezze e territori, altri ci avevano ripensato e volevano tornare ad esserlo o chiedevano di farne parte per la prima volta, altri ancora si spostarono solo dei chilometri neces­ sari a rimpiazzare terre rese sterili dalle proprie scarse competenze agrarie. Il desiderio dei Germani di gran lunga prevalente, che emerge dalle relazioni con l' Impero, sembra essere stato quello di avvicinarsi ai costumi e al ben es86

5.

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

sere di Roma e di poterli condividere, sfruttando debolezze e opportunità di una civiltà peraltro ancora egemone (Hagermann, Haubrichs,Jarnut, 2004 ) . Ciò che resta ancora senza una chiara risposta è se le gentes delle fonti alto medioevali che formarono i regni romano-germanici fossero agglomerati preesistenti ed egemoni rispetto ad altre realtà o se invece fu la costituzione di entità politiche organizzate a guida monarchica (i regni) a favorire la na­ scita e l' autoriconoscimento di quei raggruppamenti che divennero i 'popo­ li'. Per quanto avventuroso sia dare una risposta unica a una simile domanda, è molto probabile che i popoli dell'Alto Medioevo restarono ancora a lun­ go intricate aggregazioni, prive di una vera identità comune ( Goetz, Jarnut, Pohl, 2003, pp. 597-628 ) .

2.

Economie e culture nomadiche: gli Un n i

Un dato inconfutabile è che dalla fine del sec. III i problemi maggiori prove­ nivano quasi sempre da Oriente : a lungo si è creduto di individuare la crisi globale del sec. v nelle steppe del Turkestan cinese, area d'origine dei Hiung­ nu (gli Unni, Hunoi nelle fonti greche). Questo insieme di popolazioni no­ madiche tatare - organizzate su base familiare ed etnica non centralizzata almeno fino alla metà del sec. v era connaturato a una cultura dalle tra­ dizioni economiche e sociali molto più rigide e fragili delle società agricole coeve, tanto che difficilmente avrebbero mutato le loro aree di influenza e di sopravvivenza. Nel corso degli ultimi trent'anni, una serie di elementi quali l'instabilità segui­ ta all'arrivo degli Unni in Occidente, la loro leggendaria ferocia (Ammiano Marcellino 31.2 ) , la pressione sulle tribù confinanti fino all'assoggettamento o alla fuga con un presunto 'effetto domino' sui vicini sono stati riconsiderati con maggiore cautela. Per giunta, in mancanza di una monarchia unitaria fino alla metà del sec. v, non è chiaro come questa aggregazione abbia raccolto tante adesioni di etnie, come sia stata utilizzata dallo stesso Impero romano in cerca di mercenari né come abbia raggiunto una considerevole estensione territoria­ le, per scomparire dalla scena solo un secolo dopo, sopravvivendo soltanto nel­ la letteratura storiografìca10 e in quella epica, in un ciclo di leggende collegate unilateralmente alla figura del suo 'sovrano' più celebre11• La sovrapposizione al dominio gotico in una regione prevalentemente agricola da parte di un'e­ conomia pastorale predatoria e slegata da centri di potere (urbani) si spiega piuttosto con lo scadimento delle condizioni economiche locali e col distacco -

10. Cfr. p.es. le notizie già manipolate di Paolo Diacono. I I. Alla tradizionale interpretazione del nome di Attila come suggestivo diminutivo dal significato "Piccolo padre" (in lingua gotica), già Saussure aveva avanzato l'ipotesi che quel nome potesse piuttosto indicare una carica istituzionale (Caprini, lO IO ) .

87

l Germani

Economia e nomadismo

Attila

Nelle steppe e nelle pia n u re nord-orientali, la comparsa a intermittenza di signorie aggres­ sive dal carattere nomadico era una circosta nza non inconsueta. Queste realtà erano basate su ll'i ntercettazione di ricchezza mobile, e dunque su lla pastorizia e l'a lleva mento a bassi costi d i esercizio, u n i tame nte a lle scorre rie e a ll'i m posizione tri butaria su una rete di po­ poli satelliti. Si giovava no dei fattori della ra pidità e della sorpresa e poteva no disporre di significative risorse alimentari proteiche (carne e latticini), a differenza della dieta vegetale, mediamente piuttosto sca rna, dei contadini europei. Private tuttavia della di spersione terri­ to riale e dell'autonomia e con l'a pprossima rsi dei centri urba n i e di u n a pur limitata interfe­ renza politica centralizzata, tali signorie erano destinate a soccom bere. Attestato verso il sec. 111 tra il Mar Caspio e il Mar d'Azov, per più di un secolo, questo i n sieme di genti era stato i n con tatto con le etnie limitrofe progressivamente dominate, ta nto c h e d a tem po Alani, Sa rmati e i loro sottogruppi, oltre a lle appendici germaniche orientali (Vanda li, Gepidi e G reutu nghi/ Ostrogoti ), aveva no assi m i lato m olti ca ratteri tipici delle cultu re delle steppe. Ciò sembrano suggerire controverse attestazioni a rcheologiche registrate nell'area tra Ucraina, bacino del Dnjestr, Don e Mar Nero ed erose proprio con l'a rrivo degli Unni sul fi n i re del sec. 1v. Con tale data si fa di solito coincidere la fi n e del 'regno' ostrogotico di Erm a n a rico (a ll'i ncirca nell'o­ dierna Ucra i n a ) e l'i nizio del periodo delle grandi m i grazioni tri bali (375-568). In una fase colloca bile tra i l 395 e i l 425, il nucleo principale degli U n n i si era spostato dal Caucaso fi no a lla Pa nnonia, per quasi 2.000 chi lometri. Anch'essi aveva no approfittato della situazione genera le, i n iziando a beneficiare dei tri buti stagi onali previsti per i mercenari e gli a lleati dell' I m pero, col quale colla boraro n o tra 420 e 440. Nel 450, però, il mancato rinnovo degli accordi da parte dell'imperatore Marciano spinse il khan Attila a cercare terre e bottin i più a ovest: la conquista delle città più prospere della Ga llia, tutta­ via, senza un piano politico coordinato non produsse gli effetti sperati. Nel giugno 451, a capo di una coalizione di etn ie germaniche orienta li, Attila fu costretto a ingaggiare la battaglia forse più celebre dell�lto Medioevo, nella piana di Chalons-en-Champagne (in località Campus Mauria­ cus, i Campi Catala u n ici), presso Troyes. Qui una coalizione germa nica fi lo-romana comandata da Ezio riuscì a ottenere una vittoria dal prezzo com u nque a ltissimo, che convinse Attila a riti­ rarsi pri ma verso la Pianura padana e poi di nuovo verso la Pannonia, dove morì due anni dopo.

dai modelli culturali dell'Europa mediterranea, agricola, gerarchica e centra­ lizzata. Il dominio degli Unni si articolò dunque come una lenta infiltrazione in aree sempre meno sicure e non più in grado di offrire garanzie necessarie a insediamenti stabili finalizzati allo sfruttamento del territorio (Heather, 1995).

3.

Confederazioni gotiche

Nonostante le ripetute sconfitte subite in Tracia, Mesia e Macedonia a opera degli imperatori Decio (249-25 1)12. e Claudio 'Gotico' (268-270), l' influenza dei Goti - più tardi suddivisi nei raggruppamenti eterogenei dei Greutun­ ghi/Ostrogoti, a nord-est, e Tervinghi/Vesi(goti), a sud-ovest - si estendeva

12.. Lo stesso Decio, insieme con il figlio, è il primo caso di un imperatore ucciso dai barbari (2.51) ad Abrittus (od. Razgrad, Bulgaria), grazie a una raffinata tattica impiegata dai Tervinghi guidati da Kniva, al quale fu concesso di ritirarsi oltre il Danubio con lauti riscatti annuali.

88

5.

FIGURA 5

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

Gli sposta menti di gruppi orientali del sec.

111

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Fonte: Bleckmann (2009, p. l82).

dalle pianure ucraine di Dnjepr e Don alle coste del Mar Nero fino alla Mesia e alla Pannonia13 (cfr. fig. s). Il primato gotico raggiunto tra le etnie germani­ che orientali trova conferma, dal 2.69, nella consuetudine imperiale di acqui­ sire il titolo di Gothicus (accanto al precedente Germanicus) in occasione di vittorie ai loro danni14. Il loro consistente esodo entro i confini dell' Impero (376) fu gestito da Valen­ te con molta abilità e nuove forze si resero disponibili alla difesa dei Balcani (Heather, 1996). Tuttavia, il malcontento per le condizioni pattuite e la cor­ ruzione tra gli amministratori sfociarono in scontro, all'atto del trasferimen-

13. Le prime migrazioni dei popoli gotici dalla Vistola verso il Danubio e il Don erano inizialmente coincise con l'inizio di una cooperazione stabile con l'esercito romano (Heather, 1998). Il monumento funebre di Motha (Golan siriano), con l'epitaffio in memoria del figlio, fu eretto già nel 2o8 dal comandante gotico di ausiliari Erminus, impegnato contro i Parti, mentre nella celebre iscrizione sasanide di Sapore I a Persepoli, si traccia una distinzione tra soldati germanici e gotici nell'esercito romano di Gordiano I I I (244). 14. La campagna gotica, conclusa nel 369 con una pace siglata tra Valente e Atanarico, rappresentante della confederazione gotica, dette il via a una persecuzione anti-cristiana (36 9-372; cfr. la Passione del protomartire gotico Saba), nella quale è possibile percepire la difesa dell'identità etnica dei Goti nei confronti dell' identificazione con l' Impero attraverso la fede cristiana.

89

Migrazione nei territori costa ntinopolita n i

l Germ a n i

FIGURA 6

L e coalizioni germaniche nella battaglia di Adrianopoli

Fonte: Bleckma n n (2009, p. 227).

Foedus con l' I m pero

to in Tracia per ragioni di sicurezza del contingente gotico. Il 9 agosto 378, l'operazione di rappresaglia condotta dall' imperatore in persona fu respinta da una coalizione gotica (comprendente cavalieri Alani e Unni) guidata da Fritigerno nella piana di Adrianopoli, in Tracia (od. Edirne, Turchia), dove perse la vita lo stesso Valente15 (cfr. fig. 6). Dopo l'ingresso dei Gruetunghi in Pannonia (380), ai Tervinghi nella bassa Mesia fu riconosciuto lo status di 'nazione ' federata (382), inaugurando la creazione di gruppi politici semi-autonomi all' interno dell' Impero e non più soltanto ai suoi confìni16• La natura del patto e dell'insediamento balcanico

15. Dopo aver tagliato fuori dai rifornimenti e ridotto alla fame i Goti, il nuovo imperatore Teodosio I (t 395) dovette accettarne gli insediamenti entro i confini, mentre le ricadute della guerra sull'agricoltura nelle pianure orientali imponevano ai Goti di sciogliere i propri contingenti per un più facile sostentamento. 16. Da un punto di vista giuridico, la forma di accordo sancita dal patto di federazione (foedus) postulava la subordinazione dei gruppi federati alla maestà imperiale romana.

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5.

FIGURA 1

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

La grande migrazione del 406 - Vnd.lon

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Fonte: Bleckmann (2009, p. 239).

non è chiara, data la mancanza di testimonianze: si pensa alla concessione di un regime di hospitalitas17 (e non di vera proprietà terriera) oltre alla conser­ vazione delle leggi tribali, con l'impegno a fornire manodopera agricola e leve militari. Il nuovo capo supremo dei Tervinghi/Visigoti, Alarico, fu abile stra­ tega e politico, infiltratosi nello scenario romano dominato allora dal vandalo Stilicone, tutore di Onorio per l' Impero d'Occidente. Fu dai contrasti di que­ sti due massimi esponenti militari romani (e cristiani) che ebbe origine il cele­ bre 'sacco' di Roma (24 agosto 410 ), in realtà uno dei saccheggi meno cruenti della storia, attuato da un esercito romano-visigotico guidato da Alarico con l'intento di veder riconosciuti riscatti, alte cariche nell'amministrazione e la reggenza delle Venezie, del Norico e della Dalmazia18•

4.

Signori e e regni romano-germanici

4.1. Svevi Sul fronte renano, nella notte di Capodanno del 4o6, un esodo di massa ( in maggioranza Suebi, Alani e Vandali) attraversò il Reno ghiacciato, riversandosi in Gallia e in Iberia (cfr. fìg. 7) e accelerando il rientro delle le­ gioni di stanza in Britannia19•

17. Un istituto giuridico del Tardo Impero di non chiarissima lettura, il quale (a differenza della federazione) concedeva ai raggruppamenti alleati di Roma l 'insediamento su una quota fondiaria di una regione e la fruizione di un terzo delle rendite delle tasse ivi derivate. 18. Oltre alle ricchezze e agli ostaggi trafugati, Alarico decise inaspettatamente anche il rapimento di Galla Placidia, sorella dell'imperatore. 19. La pericolosità delle incursioni impose addirittura il trasferimento della prefettura imperiale da Treviri nella più sicura Arles ( 407): la debolezza della parte occidentale dell'Impero si manifestò

91

l Germani

Povertà delle fonti

Li mitato accentrame nto monarchico

Una parte di quei gruppi, dopo aver imperversato in Gallia, valicò i Pirenei stanzian­ dosi nella penisola iberica per aree di influenza (Thompson, 1982, pp. 137-87; Arce, 2003; Barbero, Loring, 2oos a). Vandali Hasdinghi e Suebi si stanziarono perlopiù a Settentrione e a Occidente, nella regione asturiano-gallega della Gallaecia e della Lusitania, mentre gli Alani si stabilirono nella grande porzione centro-occidentale fino alla Lusitania e i Vandali Silinghi a sud, nella Betica. La parte nord-orientale della penisola, l'antica provincia Tarraconensis, rimase di dominio romano. Le notizie relative al potentato gallego-asturiano dei Suebi (/Svevi, 4II-s8s), incentrato sulle roccaforti di Braga, Lugo, Coimbra e Astorga, sono scarse e frutto della propaganda unilaterale anti-ariana, che ne descrive brutalità e saccheggi continui per tutta la penisola, fino a che Roma non autorizzò una spedizione di Visigoti, Franchi e Burgundi per bloccare definitivamente ogni attività politica e militare. La decisiva conquista della fortezza Bracara Au­ gusta (Braga, 456) da parte del re visigotico Teoderico n e l'uccisione del re Rikiharius segnarono il loro tramonto politico, fino all'annessione al regno visigotico di Toledo (s8s). In realtà, ben poco si conosce dell'organizzazione sveva, se non che la forma monarchica sembra avere avuto un carattere arcaico e poco accentrato. Do­ po Hermericus, Rikila e Rikiharius, il regno mantenne una struttura decen­ tralizzata (la stessa conversione al Cristianesimo sembra avvenuta in modo non programmato), con il predominio di 'signori ' della guerra e la ricerca di compromessi politici con l'aristocrazia ispano-romanica. Forse proprio con l'intento di riavvicinarsi alla nobiltà locale, re Rikiharius si convertì al catto­ licesimo, mentre il resto dei Suebi, alla fine del sec. v, aderiva piuttosto all'a­ rianesimo (non immune da residui pagani), come informano la Chronaca di !dazio, una fonte peraltro poco imparziale, e più tardi la storia dei sovrani germanici in Iberia redatta da lsidoro di Siviglia (Koller, Laitenberger, 1998, cfr. cap. 13). Non sono chiare le circostanze attraverso le quali, nella cul­ tura di Przeworsk (cfr. cap. 1), si formò la federazione dei Vandali, presenti tra Pannonia e Slovacchia fino alla grande migrazione del 406 (Castritius, 2007). Sconfitte in Gallia dai Visigoti ( 419 ), le tribù unificate nella potente alleanza dei Hasdinghi si riunirono al sottogruppo dei Silinghi nella regione betico-andalusa (Liebeschuetz, 2003), dove sono descritti secondo il topos dei brutali saccheggiatori. Quello che è certo è che intorno al 422, insieme a gruppi di Alani (nomadi misti a Sarmati e di origine iranica), iniziarono le prime spedizioni di pirateria navale contro Mauretania (Marocco e Algeria) e Baleari, coordinate dai re e fratellastri Gunderico e Geiserico (/Genserico ) Nel 4.2. Vandali

.

nei quasi venti anni di incursioni e devastazioni in Italia, difesa dal reggente Stilicone, di origine vandalica, che agiva di fatto da dittatore militare.

92

5.

FIGURA 8

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

Le migrazioni vandaliche A tl a n t ls c h � r Ozr•n

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Fonte: Bleckmann (2009, p. 252).

frattempo erano caduti gli ultimi due avamposti romani di Siviglia e Cartage­ na, ma la pressione visigotica e la probabile richiesta di aiuto del comes Afticae Bonifacio (in cerca di autonomia da Roma) consigliarono Geiserico, già co­ mandante romano e fervente ariano, a sfruttare l'opportunità della migrazione per mare in Mauretania e Numidia ( 4 2 9 ), approfittando delle lotte interne a Roma che impedivano a Ezio di provvedere alle difese dei confini (cfr. fig. 8). Dopo un sanguinoso conflitto conclusosi con il riconoscimento dello status di federati dell' Impero da parte di Valentiniano I I I ( n febbraio 435) cessò ogni speranza di riconquistare una delle maggiori province in grado di pro­ durre molto gettito fiscale e il corpo di spedizione raccolto in Sicilia allo sco­ po di rioccupare l'Africa dovette far fronte alla nuova minaccia unnica. Fu così creato un potentato semi-indipendente in parti della Mauretania e della Numidia, il quale controllava Sicilia, Sardegna, Corsica e Baleari La conformazione del territorio, limitato a sud dal deserto, è la ragione della politica espansiva dei Vandali per mare, unici tra i Germani: durante la guer­ ra civile scatenata dall'assassinio di Valentiniano I I I , il 2 giugno 455, truppe

Foedus con l' I m pero d'Occi dente

lO.

20. A Roma sarebbero comunque rimaste, ancora per un decennio, le regioni più ricche e ambite: la Proconsolare e la Byzacena. Il patto tra Roma e i Vandali fu inoltre rafforzato dai legami tra la figlia dell'imperatore e Hunericus, figlio di Geiserico ostaggio a Roma.

93

Terzo sacco di Roma

l Germani

sotto il vessillo vandalico sbarcarono sul litorale romano per riaffermare il rispetto dei precedenti accordi, intraprendendo il terzo e meno conosciuto 'sacco' di Roma, protrattosi per due settimane circa. Malgrado le violente dispute religiose (alimentate da Bisanzio e dalla Chiesa di Roma)11 e i con­ sueti conflitti dinastici, la stabilità del regno fu garantita attraverso alleanze di breve durata con Ostrogoti, Visigoti, Burgundi e con gli stessi Bizantini. La natura etnicamente esclusiva dell'élite governativa vandalica impedì una qualsiasi forma di integrazione controllata e proprio la mancanza di radicamen­ to locale favorì la dissoluzione del regno nel giro di pochi mesi. Sbarcato nel s 3 3 alla testa di un grande esercito bizantino, l'anno successivo Belisario depose, dopo un secolo di storia, l'ultimo sovrano vandalico di Africa: Gelimer. Arrivo in Italia

Politica teodericiana

Fattori critici

Per liberare la Moesia inferior (l'odierna Bulgaria), Costanti­ nopoli e gli interi Balcani dai raid degli Ostra goti, l' imperatore bizantino Zenone stipulò un patto federativo (jòedus) con il loro capo Teoderico, fìglio di Teodemiro, un re già sottomesso agli Unni: ostaggio a Costantinopoli e suc­ cessivamente nominato console, Teoderico fu autorizzato a prendere possesso della prefettura d 'Italia, governata a Ravenna dallo sciro Odoacre, in nome dell' imperatore d'Oriente. Entrato nella penisola da est, nel 489 Teoderico sconfìsse il rivale in una serie di scontri culminati con l'assedio e la caduta di Ravenna (491) e la conseguente proclamazione di re dei Goti d ' Italiall. Nonostante la fìne dell' Impero d'Occidente (476), l' Italia era un paese con un'eccedenza importante di surplus agricolo e un efficiente sistema di tassa­ zione: questa produceva per l 'erario di Ravenna una notevole ricchezza, con la quale Teoderico avviò l'esecuzione di un programma di opere pubbliche. Avendo ricevuto la cittadinanza romana e il titolo diflavius, oltre alla carica di magister militum, egli scelse di mantenere la propria signoria sotto l'egida dell' Impero e conservò buone relazioni col Senato. L'insediamento astro­ gotico in Italia si indirizzò sui grandi centri urbani del potere politico ed economico del Tardo Impero (Ravenna, Pavia, Verona, Milano), con poche tracce nelle aree rurali e nessuna a sud di Roma, come rileva l'archeologia. Analogamente ai Vandali in Africa, e diversamente dai Visigoti di Spagna, nel regno gotico d' Italia non fu mai promossa una vera integrazione tra Ger­ mani e Romani, una scelta che accentuò la debolezza del regno rispetto agli obiettivi bizantini di riconquista, auspicati e favoriti dalla Chiesa romana e da parte dell'aristocrazia senatoriale. L'imprigionamento e la morte di pa­ pa Giovanni I, la difesa dell'arianesimo, la condanna a morte del senatore 4-3· Ostrogoti

2.1. Nei resoconti del vescovo Vittore di Vita, l'etnonimo di Vandali si lega in modo diretto al concetto di violenza. 2.2.. Il riconoscimento dell'imperatore arrivò tuttavia soltanto nel 497 (Heather, 2.003).

94

5.

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

Simmaco e del filosofo Severino Boezio alienarono alla fine l'appoggio delle classi dirigenti romane al governo teodericiano. Alla morte del re in circostanze non chiarite ( 30 agosto 526), il regno astrogotico fu retto per alcuni anni dalla figlia Amalasunta, in nome del figlio Atalarico, fino allo sbarco di un potente esercito bizantino che riconquistò Roma e Ravenna: la reggente fu assassinata in esilio e per quasi trenta anni l' Italia divenne terreno di scontro tra fazioni gotiche, eserciti barbarici e truppe di Bisanzio. Dopo le sconfitte patite, i Goti riguadagnarono il terreno perduto con il nuovo re Totila, che fu infine sconfitto e ucciso in Umbria nel 552: la definitiva sconfitta di Teia nei pressi del Vesuvio (sss) segnò il tracollo finale. La maggior parte dei Goti fu eliminata o ridotta in schiavitù e deportata; i testi scritti vennero distrutti o raschiati e con essi la memoria culturale di un popolo mai divenuto realmente italiano. Dalla seconda metà del sec. III, la Gallia viveva una situazione di elevata instabilità dovuta agli assestamenti di vari agglomerati, tra i quali spiccavano i Franchi, raggruppamento privo di tratti culturali distintivi, nel quale erano confluite molte tribù ed etnie tra Reno, Weser e Mare del Nord, ivi migrate o reinsediate dai Romani con l'umile status di laetP·3• Ciò non impedì a figure locali di primo piano di accrescere il proprio prestigio e di servire con successo sotto le insegne imperiali, tanto da guadagnarsi il favore dell'imperatore Giuliano (361-363), che garantì loro posti di primo piano nell'esercito e l'insediamento nel Sud degli attuali Paesi Bassi (James, 1988; Schmauder, 2003 ) . Nella nuova etnia franca si distinguevano i Ripuarii, che detenevano la regione sul medio Reno (tra Magonza, Bonn e Colonia) e i Salii, più a nord (intorno a Tournai, in Toxandria, e a est della foce dell' Ijssel nel Zuider Zee), notevolmente cresciuti dopo la sconfitta di Attila e ai quali spettava l'amministrazione diretta della provincia Belgica II. Le numerose enclaves, riunite dal salico Clodio (t 448) e da Childerico I (t 481 ) , alleato di Roma, divennero un efficiente strumento di pressione militare con una politica estremamente aggressiva, soprattutto con il dux Clodoveo (Dam, 2005). Nel giro di un ventennio, egli riuscì a unificare gran parte delle tribù e a sbarazzarsi di vari potentati regionali (germanici e romani), della minaccia turingia ( 491 ) , alamanna ( 496 ) e visigotica ( 507), dando vita a

4-4. Franchi

23. La controversa istituzione dei laeti (attestati dal 297 nel panegirico a Massimiano) sembra aver avuto un impatto rilevante nella politica di 'ricollocazione' di immigrati germanici nella Gallia renana. Queste forme di insediamento garantito di gruppi familiari di coloni erano state disegnate per creare zone cuscinetto semi-autonome, controllare da funzionari imperiali (cfr. la Notitia dignitatum) in funzione difensiva, per interrompere il flusso continuo di profughi e migranti. La situazione generale, compromessasi alla fìne del sec. IV, innescò il passaggio a una difesa quasi totalmente in mano a queste unità etniche.

95

Fine del dominio italiano

Espa nsione delle signori e franche

Clodoveo

l Germ a n i

FIGURA g

L a progressiva costituzione d e l regno franco -. '· ...

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536

Fonte: Francovich Onesti (1991).

un'aggregazione politica riconosciuta ufficialmente a Bisanzio da Anastasio I (so8) e, dopo la conversione strategica al cattolicesimo, anche dal papato e dalle élite gallo-romane. Ancora dopo la morte del re (su), il già esteso regno continuò ad essere ampliato dai figli sulle due sponde renane fino alle Alpi, con la sottomissione definitiva della signoria burgunda (5 32-534) e la conqui­ sta della Provenza gotica (536-537) (cfr. fig. 9 ) La continuità del regno franco non fu minacciata dal perenne stato di guerra con i potentati confinanti e col tempo si delinearono tre macra-regioni principali: Au­ strasia, a est del Reno, Neustria, nell'Occidente (più romanizzato ), e Borgogna, al centro-sud. Furono invece le frequenti lotte interne4 e quelle di natura fiscale (su immunità e diritti acquisiti, tra corona, aristocrazia laica ed ecclesiastica) a inde­ bolire il prestigio e la forza della dinastia merovingia, a favore dei Pipinidi. Questi, potente dinastia austrasica responsabile per certe funzioni amministrative della corona, presero il potere nel corso del sec. VIII con Pipino il Breve, comandante e fìglio di quel Carlo Martello che nel 732 a Poitiers (Aquitania) era riuscito a rintuzzare l'attacco saraceno dalla Spagna meridionale, tolta ai Visigoti. .

I n sta bilità interna

Migrazioni e insediamenti

4.5. Visigoti La Gallia meridionale, invece, divenne terra di insediamento di una parte rilevante del grande magma di etnie gotiche, in particolare della con­ federazione dei Vesi/Tervinghi o Visigoti, agglomerato di comunità formatosi

2.4. I numerosi frazionamenti tra i discendenti di Clodoveo furono un elemento costante e arcaico della monarchia merovingia (interrotta da brevi riunifìcazioni, Goetz, 2.003a, 2.003b).

g6

5.

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

in larga parte nella Mesia e transitato in gruppi sparsi attraverso Grecia, Illiria,

Noricum e penisola italica. li gruppo principale, guidato da Ataulfo, successore di Alarico2.s, ottenne il riconoscimento di etnia 'federata' nella Gallia Narbonen­ sis (4 1 3) per i servigi prestati in Spagna contro Alani, Vandali Silinghi e Suebi. L'espansionismo visigotico si indirizzò verso i centri di approvvigionamento di cereali dell'Africa del Nord e poi nella Tarraconense, prima che venisse negoziato il loro definitivo insediamento in Aquitania, secondo una politica già sperimentata coi laeti sul Reno. Dal 418 la regione divenne centro di un'entità politica che si estendeva su tutta la Gallia di sud-ovest fino a Bordeaux, con capitale Tolosa. L'apogeo della potenza visigotica in Gallia si giovò in particolare del fruttuoso rapporto coi ceti mercantili e latifondisti gallo-romani, salvaguardati attraverso una legislazione ad hoc (cfr. oltre); a ciò si aggiungeva il sostegno indiretto dell' Impero, favorevole ad allargare benefici e territori in Gallia (a scapito di altri gruppi etnici germanici), piuttosto che assecondare un'espansione dei Visigoti verso la regione ispanica (Velazquez, 2003). Entrato in conflitto coi potenti regni settentrionali dei Franchi, i cui reguli ambivano ad assoggettare le ricche terre e i nodi commerciali del meridione, il regno di Tolosa giunse all'inevitabile scontro. Nel 507, a Vouillé (a sud della Loira, presso Poitiers), Clodoveo sconfisse Alarico n , con la morte del quale anche il regno tolosano entrò nell'orbita franca. Il primo esperimento di statalità gotica (dotatasi di leggi scritte, cfr. oltre) fu ridotto ali' antica regione della Septimania, sulla costa mediterranea a ovest della foce del Rodano e al di là dei Pirenei. Nella penisola iberica si crearono le basi per un nuovo regno visigotico, le cui sedi principali furono Mérida, Siviglia, Barcellona e soprattutto Toledo. Qui l'integrazione con l'elemento romanzo avvenne in misura pressoché completa e senza lasciare documentazione in volgare. Il passaggio al rito cattolico e alle forti istanze conciliari della corona visigotica (Barbero, Loring, 2oosb, cfr. oltre, cap. 9) non corrispose invece a un atteggiamento di apertura nei confronti della componente ebraica, duramente perseguitata, la quale, in occasione della conquista araba della penisola ( 711-717 ), si schierò dalla parte dei nuovi arrivati. 4.6. Alamanni Gli Alamanni (cioè "tutti gli uomini", noti anche come Juthungi nelle fonti tra il 26o e il 430) sono per lo più il frutto di una migrazione di agglomerati germanici del bacino deli' Elba verso sud, nella Germania superior, già area di Suebi Semnoni ed Ermunduri (Geuenich, 1997, 1998). Citati per primo da Deixippo, in occasione della campagna dell' imperatore

25. Dopo la morte del quale, a Cosenza, ne sposerà la vedova, Galla Placidia, sorella dell'imperatore Onorio (414).

97

Leaders h i p gallica

L'a ntagonismo coi Franchi

Eterogeneità della coalizione

l Germani

Decentra mento politico

Origi n i nord-orientali

Roma e la fi ne del pri mo 'regno'

Il secondo 'regno'

Caracalla (213), dopo la grave sconfitta del 26ol6 essi avevano preso possesso definitivo dei territori sud-occidentali degli Agri decumatesl7• I nuovi occupanti formavano un insieme di realtà tribali, che ancora nel sec. v non sembra essersi unificato centralmente, tanto che Ammiano Marcellino ne descrive una pletora di re, reguli, viceré e comandanti di grado diverso, ciascuno accompagnato dal proprio seguito privato. Malgrado i patti di fedeltà con Roma, le incursioni prolungate nell' Italia centro-settentrionale (268, 271) costrinsero Giuliano ad affrontarli ripetuta­ mente, fino al grande successo riportato ad Argentoratum (Strasburgo, 357), una vittoria che tuttavia non ne limitò l' insidiosità. Nel sec. v si estesero fino a Magonza e minacciarono il regno dei Burgundi (413), divenendo gli arbitri del bacino del medio Reno, come confermato dal rapporto mai del tutto chiarito con gli Unni, che ne attraversarono senza ostacoli i territori alla metà del seco­ lo. Il vero argine fu la nascita della potenza franca, la quale, dalla metà del sec. v fino alla decisiva battaglia di Ziilpich (496), limitò l'espansione alamannica e i relativi insediamenti a un'area equivalente ad Alsazia, Palatinato e Svizze­ ra orientale, l'antica provincia della Rhetia, che dal sec. vn divenne terra di missione irlandese (di Colombano, Gallo, Amand). Il territorio reto-romano­ germanico degli Alamanni, retto da duces supertribali, fu assorbito definitiva­ mente agli inizi del sec. VIII, a opera di Carlo Martello e Carlomanno. Ignoti a Tacito, Tolomeo li collocava originariamente nelle sedi polacche del bacino dell' O der, a est degli antichi Semnoni. Questo ter­ ritorio era caratterizzato da strette relazioni con la cultura goto-vandalica (di Przeworsk), nella quale le tombe di semplici guerrieri prevalgono su quelle principesche (Kaiser, 2004). Insieme ad Alani, Alamanni, Suebi e Vandali, parti dei Burgundi attraver­ sarono il Reno ghiacciato nel Capodanno del 4o6, estendendo in seguito la propria influenza all'area tra Strasburgo, Spira e Worms (413-435) sotto la guida di Gundahar. Il loro antagonismo con gli Alamanni fu sfruttato per un periodo da Roma grazie alla stipula di unjòedus, finché il loro incremento e il successivo espan­ sionismo verso la Belgica vennero giudicati pericolosi per la stabilità dell'area da Ezio, comandante delle truppe romane in Occidente, il quale annientò il 'regno' burgundo con l'impiego di reparti mercenari di Unni (435). Le porzioni residue di ciò che era stato il potentato dei Burgundi furono costrette a migrare in Sapaudia (tra il Rodano e la catena del Giura, nel 443); 4.7. Burgundi

2.6. Celebrata dall'imperatore Postumo con una monumentale stele ad Augsburg. 2.7. Tali territori, sui quali a tutt'oggi non vi è unità di interpretazioni, erano collocati tra medio Reno, limes retico e alto Danubio ed erano stati sgombrati dai Romani probabilmente dietro versamento di tributi.

98

5.

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

come federati, a tutela dei passi alpini, essi ricrearono un'entità politica auto­ noma fra Grenoble e Ginevra e, forti del contributo vittorioso contro Attila (451) e gli Svevi (456), ripresero la spinta espansionistica verso Lione, Vien­ ne, Langres e Auxerre, a spese di Alamanni e Franchi. Tra il 470 e il 500 si colloca il loro apogeo, grazie ai sovrani Chilperico I e Gundobado (Wood, 2003). Nei delicati equilibri politici della ex Gallia, essi riuscirono a espri­ mere, al pari dei Visigoti, due codici giuridici scritti destinati separatamen­ te alle due diverse etnie della regione (Romani e Burgundi, cfr. oltre)l8• li conflitto con la politica aggressiva dei Franchi, alla ricerca di un'egemonia nei ricchi nuclei urbani del Centro-sud, si rivelò disastroso e, persa l'indipendenza col rovinoso scontro ad Autun (532), i Burgundi caddero sotto il protettorato franco per essere definitivamente incorporati nei sotto-regni degli eredi di Clodoveo. Descritto da Jordanes ( Getica 17.94-95), attraverso un argo­ mento para-etimologico, come "i (più) lenti" tra le etnie 'gotiche' nella leg­ gendaria migrazione dalla Scandinavia, l'agglomerato orientale dei Gepidi condivideva (con Goti e Rugi) i tratti archeologici della cultura di Wielbark (cfr. cap. 1): dopo un' iniziale migrazione verso l'Alta Vistola (sec. III), scon­ fitti i Burgundi, essi si stanziarono probabilmente più a sud verso i Carpazi. Travolti dali'ondata migratoria degli Unni, i Gepidi occuparono il bacino dell'alto ThiefS fino alla Transilvania, divenendo una delle etnie di maggior prestigio della coalizione di Attila fino alla sua morte (453). Successivamente furono anche i primi a distaccarvisi, in seguito alla vittoria del re (H)ardarico presso il fiume Nedao (454), contro i resti dell'alleanza fedele a Unni e Ostrogoti. L'autonomia dei Gepidi fu integrata da gruppi di Sciri ( stabilitisi in bassa Austria e Slovacchia), Rugi (nel Noricum) ed Eruli ( in Moravia), mentre ciò che restava degli antichi Quadi e Marcomanni sembra aver trovato colloca­ zione più a sud, in Pannonia. Secondo Procopio, furono spesso avversari di Ostrogoti e soprattutto Longo­ bardi (Pohl, 1997, pp. 87-9 8): le fonti del sec. VI li collocano ancora tra ThiefS e Danubio, tra il 537 e il 551 sede di un dominio politico intorno a Singidunum/ Belgrado e Sirmium/Sremska Mitrovica, fino a quando l' Impero bizantino sti­ pulò un accordo coi Longobardi per espellerli dalla regione (546). Alla disastrosa sconfitta presso Asfeld (552) inflitta loro dai Longobardil9, seguì il tracollo e la sottomissione agli Avari (567 ). Non avendo espresso 4.8. Gepidi

28. Tuttavia, le fonti del sec. v sembrano ignorare per quest'area il termine Burgundia, diversamente dalla precisa indicazione di regnum Burgundiae che essa ricevette dopo la conquista merovingia e l'annessione come partizione autonoma del regno. Ancora nel 507, Cassiodoro impiega il termine Burgundia per indicare soltanto il popolo. 29. Il cui futuro re Alboino uccise Thurisind, figlio del re dei Gepidi Thurismund.

99

C u ltu re germaniche orientali

Di sgregazione del dominio u n n ico

L'a ntagonismo coi Longobardi

l Germani

una prolungata presenza politica in forma accentrata e dinastica, il nome dei Gepidi scomparirà nella storiografia bizantina agli inizi del sec. vn, per rie­ mergere sporadicamente nella letteratura storiografica (cfr. p.es. la Historia Langobardorum di Paolo Diacono, a proposito della migrazione in Italia e dell'episodio di Rosmunda e Alboino). Anche nel caso dei Baiuuarii/Baioarii delle fonti latine ( etnoni­ mo derivato da una radice celtica, cfr. Boii, Boiohaemum, la Boemia) non vi sono al momento notizie sicure sulla loro origine. Lo studio delle sepolture ha rivelato che, al pari degli Alamanni - ammesso che da questi si possano distinguere con certezza -, i Bavari rappresentava­ no un insieme di etnie germaniche dell' Elba30, frammentate tra Danubio e Alpi orientali, Rezia e Noricum, fino alle operazioni di consolidamento dei confini intraprese da Odoacre nel 488 (Stormer, 2002). Numerosi reperti di origine ostrogotica lasciano pensare che il territorio possa aver fatto parte della prefettura d' Italia al tempo di Teoderico. Assenti negli scritti di Cassi odoro e di Eugippio (testimone affidabile di eventi in Rezia e Noricum nel sec. v ) , essi sono invece citati nella tradizione manoscritta dei Getica di Jordanes (Baibaros/Baio(b)ar(i)os) a est dell'area boemo-morava, come gruppo dall'estensione paragonabile a Franchi, Bur­ gundi o Turingi. È probabile che i Bavari abbiano costituito un'entità autono­ ma soltanto dopo l'inizio del sec. VI, in corrispondenza della sottomissione alamanna ai Franchi, e più di recente si è cominciato a collegare l'etnogenesi bavarese con l'iniziativa del re merovingio Teodeberto I (t 548) confinando il passo di Jordanes al livello di una tarda interpolazione codicologica. Il ducato che prese forma fu un amalgama di genti retiche, celtiche e germa­ niche31 non prive di elementi romanizzati e la conversione al Cristianesimo (sec. VII ca.) favorì anche la realizzazione di un codice di leggi, nel quale è riscontrabile l'impronta della nuova fede. Apparentemente privi della tipica monarchia militare alto medioevale, i Baiuvari furono tradizionali alleati dei Longobardi, ai quali fornirono perfino dei sovrani (la dinastia agilolfingia), e ne condivisero in parte le sorti in Italia. La porzione rimasta nel Noricum si trovò direttamente espo­ sta alle incursioni sporadiche di aggregazioni miste, fra le quali gli Avari, scivolando progressivamente sotto il dominio dei Franchi già a partire dal dux Garibald (vassallo di Clotario 1 alla metà del sec. VI), per giungere alla deposizione di Tassilone III da parte di Carlo Magno e alla conseguente annessione (Hardt, 2003).

4.9. Bavari

C u lture dell'Elba

Magma interetnico

Relazioni coi Longobardi

30. Quadi, Marcomanni, Suebi, Longobardi, Turingi ecc. 31. Alcune sepolture indicano la deformazione dei crani femminili di tipo unnico, come per Bur­ gundi e Turingi.

100

5.

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

A partire dal sec. IV, nel bacino orientale di Saale ed Elba fino alla catena del Harz, l'archeologia tende a riconoscere la formazione di una nuova entità autonoma dei Turingi, arricchita dal contributo di una serie di gruppi nord-orientali messi in movimento dagli Unni e i cui maggiori centri archeologici si situano tra le odierne Hannover e Lipsia. La tradizionale ipotesi di una discendenza diretta dal nucleo principale degli (H)Ermunduri ( Germ. 41) in larga parte confluiti nelle confederazioni alamanne e longobarde, viene oggi ridimensionata, a fronte di elementi che sottolineano un'inaspettata vitalità di componenti celtiche e forse illiriche all' interno del gruppo. In mancanza di fonti scritte affidabili, l'archeologia smentisce l'ipotesi migratoria, in entrata come in uscita, ed evidenzia un forte influsso orientale riscontrabile nelle tipiche deformazioni artificiali dei crani femminili (Castritius, Geuenich, Werner, 2.009)3l. A lungo alleati di Ostrogoti e Unni in Gallia e di Odoacre in Italia (che Jordanes definisce rex Torcilingorum), nel sec. v i Turingi si ritagliarono un potentato con Warni ed Eruli alleato con i Goti d ' Italia dal 507 (al tempo dei reguli Baderico e Hermin(a)frid, quest'ultimo imparentato con Teoderico il Grande). Gregorio di Tours ricorda che Basina, moglie di Childerico e madre di Clodoveo, era la vedova del re turingio Bisinus, mentre Venanzio Fortunato sottolinea l'antica alleanza tra Longobardi e Turingi, rafforzata dai matrimoni di Bisinus e della sorella Radegonda con esponenti della nobiltà longobarda. I conflitti scoppiati un po' ovunque alla morte di Teoderico, culminarono per i Turingi con la sottomissione ai Franchi (531-534, documentata da una missiva di Teodeberto I a Giustiniano), malgrado l'assenza di tracce di conquista militare o distruzioni di centri di potere (Bohme, 1988). Guerrieri turingi risultano aver partecipato alla marcia dei Longobardi verso l' Italia. 4.10. Turingi

Avversari tradizionali di Gepidi, Sciri, Eruli e Rugi e allea­ ti dell' imperatore d'Oriente Giustiniano, i Longobardi poterono insediarsi nel Noricum, a difesa delle incursioni di Alamanni e Turingi (Jarnut, 1982.; Pohl, Erhart, 2.oos ) . Una politica di matrimoni mirata permise loro di creare una rete di alleanze con Turingi, Eruli e Franchi, con la quale estendere la propria influenza su gruppi minori. Sfruttando in modo spregiudicato la loro partecipazione accanto ai Bizantini alla fase finale della guerra contro i Goti d ' Italia, essi entrarono in massa nella dilaniata penisola senza autorizzazioneH, a conclusione

I n flusso u n nico

Tu ri n gi e Ostrogoti

4.11. Longobardi

32.. Che si tratti di mogli o di schiave di origine goto-unnica, il dato indica comunque un prolungato rapporto coi popoli delle steppe o con Germani orientali, da questi influenzati, e confermato dalla notizia della loro grande abilità di cavalieri. 33· Circa 2.oo.ooo uomini dell'esercito 'longobardo' di Alboino (t 572.), composto di Bulgari, Unni, Sarmati, Sassoni, Turingi, Svevi, Gepidi e immigrati danubiani.

101

Arrivo in Italia

l Germani

Forme del dominio

Con flitti religiosi

di un lungo processo di etnogenesi, iniziato nel bacino dell'Elba e proseguito in Pannonia e Moravia (sec. v ) , nel 569. Con tale atto, i Longobardi irrom­ pevano nello scacchiere mediterraneo esercitando un'egemonia politica che alienò loro l'alleanza con Bisanzio, ancora padrona dei territori dell'esarcato di Ravenna e di parti dell' Italia centro-meridionale. Dopo i primi contatti traumatici con la popolazione italiana, fatti di conflit­ ti e confische fondiarie sulla base dell' istituto della hospitalitas, la presenza longobarda si avviò alla pacificazione e all' integrazione a partire dal lento abbandono dell'arianesimo. Resta tuttavia difficile valutarne la portata cul­ turale nei secc. VI e VII sia per l'assenza di testimonianze in volgare sia per la crisi della vita urbana, che in Italia conobbe un tracollo rilevante rispetto ai tempi dell' Impero e dello stesso Teoderico. Il controllo della penisola fu esercitato dalla corona, in Italia settentrionale, Liguria, Toscana e parte delle Venezie, e dai duchi, nelle signorie di Spoleto e Benevento (Jarnut, 2003). Il lungo logoramento nella contrapposizione con la Chiesa filo-franca di Ro­ ma e nei conflitti dinastici tra i vari clan, con travagliare successioni di sovrani, periodi privi di re e una monarchia debole, furono fattori che determinarono la crisi irreversibile del potere longobardo in Italia. Nel 774, con una rapida cam­ pagna, Carlo Magno pose fine al regno dell'ultimo sovrano ed ex suocero De­ siderio, senza tuttavia sradicare apertamente l'elemento longobardo (peraltro minoritario) e preferendo concedere una serie di autonomie e riconoscimenti locali a partire dal proprio titolo di rex Francorum et Langobardorum.

D i somogeneità

4.12. Sassoni

strutturale

n ,

A dispetto della prima e malsicura citazione di Tolomeo (sec.

) l'etnogenesi dei Sassoni, mai riuniti in un regno centralizzato, è verosimil­

mente il risultato di migrazioni di tribù più settentrionali (gli Angli, i Reudi­ gni, gli Aviones, i Suardones, i Nuithones di Tacito, G 40) tra le popolazioni

Espansione costiera

suebiche dell'Elba, Angri, Vestfali, Ostfali, Turingi e Longobardi (Hodder, 1999 ). Fatto salvo il dato linguistico (la radice *saks- indicherebbe una tipica arma locale dalla lama corta), nelle fonti anteriori al sec. VI (Giuliano, Eutro­ pio, Ammiano) l'etnonimo Saxones valeva genericamente "predone, pirata': Sul basso Reno, la loro elevata mobilità è ricordata in frequenti atti di pira­ teria (registrati per il 286 da Eutropio) compiuti da bande alleate ai Franchi, tanto da giustificare l'allestimento di un dispositivo di difese (Litus Saxoni­ cum, cfr. Notitia dignitatum ) sulle coste della Britannia e della Gallia (dalla Loira alla Schelda, dove p.es. Gregorio di Tours colloca i Saxones Baiocaissi) . In quest 'area, l'archeologia ha individuato insediamenti stabili di Sassoni (Springer, 2004), che secondo Venanzio Fortunato sarebbero stati cristianiz­ zati verso il 570 dal vescovo Felice di Nantes. Gli interessi nel bacino dell'El­ ba sono alla base dell'alleanza coi Franchi e della fine del regno turingio (531), ma già Gregorio di Tours considera i Sassoni tributari dei Franchi nel sec. VI, una condizione subalterna che deve aver convinto migliaia di essi a prender parte alla spedizione in Pannonia e poi in Italia con i Longobardi. 102

5.

FIGURA 10

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

Litus Saxonicum

���: J:{:���ei��':d ��!�=�1 �C:,

ntinental coastJ me - Ma.rcae and Grannona - may at this date bave belongod to the defensh·e screen, although their cxact loc:ations have never bee o discoverod • Forts oo the Saxon Shore

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Othcr fons or coastal

S}

tem

towns

Extent of tbe Saxon Sbore system

150

Fonte: johnson (1976) .

Già dal sec. v, la loro composizione subì rivolgimenti importanti, determinati dalla migrazione in Britannia ( insieme ad Angli, Juti, Frisi, Chauchi e altre tribù del basso Reno), con il conseguente ripopolamento di vaste aree tra Elba e Weser da parte di nuclei non identificabili. La rinnovata concorrenza per l 'egemonia della navigazione fluviale e nel Mare del Nord, unitamente alrespansione a sud-ovest verso la Lippe, la Ruhr e la Westfalia, li pose in diretto antagonismo coi Franchi, in un conflitto durato oltre trent'anni e concluso con la durissima conquista carolingia degli inizi del sec. IX. Fino almeno alla sottomissione franca, e alla conseguente conversione forzata al Cristianesimo, la società sassone è ripetutamente descritta nelle fonti coeve in una rigida struttura oligarchica in quattro classi chiuse (cfr. oltre).

Il Mare del Nord

Forse riconducibili agli Eudoses di Tacito, gli Iutae/]uti vengono individuati da Beda (Historia ecclesiastica gentis Anglorum 1.15) tra i primi colonizzatori della Britannia. Dai reperti archeologici ricchi di singolari ceramiche efibulae, gli Juti sembrerebbero essersi insediati prevalentemente in Kent, Hampshire (Wessex) e sull' isola di Wight. Le fonti antecedenti al sec. VI conoscevano gli Eucii/Euthii nelle aree costiere della penisola judandese : Venanzio Fortunato li registra come alleati di bande sassoni nelle incursioni sulle coste franche prima della loro sottomissione da parte di Chilperico I

Ambiguità

4.13. Juti

103

delle attestazioni

l Germani

FIGURA 11

l'area del Mare del Nord

\o

Fonte: Francovich Onesti (1991).

(ca. 561), ma non è certa la loro identificazione coi depositi sacrificali di armi nello Judand dei secc. I I - I I I , così come l'entità della loro permanenza nella penisola. Tuttavia è presumibile che i nuclei superstiti siano stati assorbiti dai gruppi di migranti di origine scandinava che gradualmente occuparono le isole danesi e successivamente lo Judand a partire dal sec. IV (Hamerow,

2oos).

Confusi spesso nelle fonti coi Sassoni per le forti affinità, i Frisoni vivevano dai tempi di Tacito (Frisii maiores e minores) tra Schelda, Mosa, Ems e le aree costiere semi-paludose della Belgica, sul Mare del Nord (dove sono noti anche a Tolomeo). Questo vale almeno fino alle migrazioni verso le Fiandre e il Kent (secc. IV-VI, in risposta sia alla pressione sassone sia per evitare la minaccia delle maree), o ancora verso nord (sec. V I I ) , dopo la partenza di Angli e parte dei Sassoni, occupando la costa fino alla penisola judandese e alle isole prospicienti (cfr. fig. 11 ) . 4.14. Frisi/Frisoni

104

5.

F I G U R A 12

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

Ondate migratorie verso la ex Britannia romana

Fonte: Francovich Onesti (1991).

Assenti nelle fonti anglosassoni e celtiche relative alla colonizzazione dell'isola34, la loro esplicita presenza tra le tribù migrate in Britannia si desume soltanto in un capitolo di Procopio sulla guerra gotica (548, Phrissones); a questa vanno aggiunte testimonianze dal valore più incerto, tra le quali i reperti di ceramiche locali rinvenuti soltanto nel Sud-ovest dell' Inghilterra nei secc. V-VII (un semplice frutto di scambi ?), la presenza di iscrizioni runiche con le tipiche innovazioni linguistiche 'ingevoni' (semplici affinità tipologiche ?) e una serie di ulteriori riscontri linguistici, a fronte viceversa dell' assenza di toponimi frisoni nell' isola. Lo spopolamento del territorio nel sec. v è stato variamente interpretato e le notevoli affinità linguistiche con i dialetti anglosassoni e sassone antico non escludono un flusso di migranti 'di ritorno' dali' isola già colonizzata, come registra p.es. Procopio. Il dominio territoriale di questo gruppo venne ridotto drasticamente dall'espansionismo franco di Pipino di Heristal (fine sec. VII ) , che spinse i Frisoni tra Zuiderzee e Weser verso nord-est, fino al fiume Ejder. Carlo Martello e Carlo Magno li sottomisero e li cristianizzarono definitivamente, pur garantendo loro una limitata autonomia commerciale e giuridica divenuta nei secoli simbolo di un localismo condiviso con grande dedizione.

34· Ma potrebbero esservisi insediati come laeti, al seguito delle truppe ausiliarie romane di Batavi impiegate nell'isola nei secc. II e I I I .

105

Mi granti in Brita n n i a ?

Conflitto coi Franchi

l Germani

FIGURA 13

Le signorie anglosassoni NORTHUMBRIA

DEIRA

frische Se e

Nordsee LINOSEY

MERCIA

MIOOLE

Tamworth

EAST ANGLIA

ANGLIA

J'

\

Sutton Hoo e

Oorchester Taplow

E SSE X Printewell



Canterbury WESSEX

Winchester

KENT

SUSSEX

CORN­ WALL

Kanal

Pevensey

SO

100

1 SO km

Fonte: B leckm a n n (2009, p . 299).

Tra Ba ltico e Mare del Nord

Migrazioni i n Brita n n i a

A un secolo di distanza dalla notizia di Tacito circa un loro insediamento sulla costa occidentale del Baltico ( insieme ai Vtz rini /Warni, G 40), Tolomeo accosta gli Angli più a sud-est (tra Saale e Unstrut) vici­ no ai Turingi, accanto ai quali sono curiosamente ricordati in un corpus di consuetudini giuridiche di epoca carolingia (Lex Angliorum et Werinorum, hoc est, Thuringorum ). Nel ricordare gli insediamenti centro-settentrionali anglici di Merda e Northumbria, Beda ne traccia invece la provenienza dal Sud-est dello Judand, ai piedi dell 'attuale regione tedesca di Angeln. La crisi aperta dali' arrivo degli Unni in Gallia aveva reso necessario il disim­ pegno e il successivo abbandono da parte romana della Britannia, dove, a partire dalla fine del sec. IV, si intensificarono le incursioni di etnie germa­ niche del basso Reno e del Mare del Nord, già da tempo peraltro presenti nei contingenti romani e ora ingaggiate come mercenari dai vari regni celta­ romani in lotta per l'egemonia sull'isola. Diversamente dal mito dell'assalto barbarico agli avamposti della civiltà ro­ mana, tribù germaniche più antiche e nuove coalizioni eterogenee unificate 4.15. Angli

106

5.

FIGURA 14

Dalle gue rre m a rco m a n n iche ai regni ro man o-germanici

L'Europa occidentale verso il 511

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Nordsee

Ostsee

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A E I C tt O E R THORINGER

Mittelmeer REICH D E R VAN D A L E N

Fonte: Bleckmann (2009, p. 271).

da interessi commerciali e militari ampliarono il proprio dominio su varie regioni d eli' isola, attirando gruppi in fuga dali' Europa continentale, in pro­ fonda crisi economica e politica. L' intero fenomeno assunse nei decenni il valore di una migrazione di massa dai caratteri largamente ignoti, che richiese più di un secolo per stabilizzarsi definitivamente35• Il quadro che affiora dalle fonti scritte posteriori ai secc. VII-VIII è quello di un territorio abitato solo in parte e suddiviso per lungo tempo in piccoli regni e domini signorili, dalla Northumbria al Kent (Yorke, 2003; Thacker, 2005; cfr. fig. 13)36• La continuità e la convivenza di questi piccoli regni romano-celta-germani­ ci si giovò di un evidente equilibrio istituzionale tra il potere militare eser35· Ma già verso la fine del sec. VIII l'isola fu investita da W1 nuovo e più sconvolgente movimento migratorio, frutto del composito fenomeno vichingo (cfr. oltre, cap. 7). 36. Bisogna attendere infatti l'egemonia del regno dei Sassoni occidentali (Wessex) di re Alfredo il Grande (t 899) per poter parlare di W1 vero regno W1itario. 107

Creazione di signorie su ll'isola

l Germ a n i

citato dai nuovi migranti e i resti di un apparato burocratico di transizione (duces, comites) ancora ispirato alla scrittura e al diritto romani. Ai nuovi leader veniva conferito l'ampolloso titolo di rex, termine poco marcato per la romanità del sec. v, se non per indicare figure barbariche di spicco, privo di qualsiasi richiamo al passato di Roma e altrettanto indistinto per designa­ re il livello e le prerogative dei vari capi delle rispettive etnie. Le soluzioni politiche adottate nei singoli regni rappresentarono un compromesso for­ male per legittimare ex post situazioni locali, apparati e dinastie molto di­ versi, amalgamati più tardi attraverso la rinascita culturale cristiana mediata da strumenti propagandistici come le 'storie di origine' di popoli e dinastie (cfr. oltre, cap. 13, Wolfram, 1990a; Wells, 1999; Curta, 2005; Wickham, 2005; Noble, 2oo6).

108

6 Società e strutture di potere

La natura eterogenea degli insediamenti tribali, di leghe e coalizioni, tra i secc. I e v, nell'area tra Reno, Vistola e Danubio fu tale da rendere fuorviante ogni congettura che insista su un modello unico di società germanica. Se da un lato non è possibile tracciare l 'estensione politica, etnica o territoriale dell'autorità dei capi germanici, la natura ambigua dello stesso termine rex, col quale vennero identificati i condottieri degli immigrati in armi di Cimbri, Teutoni, Ambroni e SuebP, non accredita particolari prerogative socio-politiche. Né vengono in soccorso le definizioni dei sovrani romano-germanici dell'Alto Medioevo, connotati nelle fonti latine con il medesimo appellativol., inaugurato nel 382 dal trattato fra Teodosio e i Visigoti di Mesia, con il quale l' Impero riconosceva ufficialmente sul proprio suolo strutture politiche straniere. L'antropologia definisce 'società signorile ' ( ingl. chiefdom society) quella comunità che presenta una stratificazione sociale dominata da una élite, mezzi di produzione specializzati, un sistema di redistribuzione di beni di prestigio e un capo che eserciti funzioni politiche e religiose ( Service, 1975; Earle, 1977, pp. 13-29; Sahlins, 1968; Drucker, 1967 ) . Raggruppamenti poco numerosi erano suscettibili di conquista o assorbimento da parte di gruppi maggiori, perdendo forse la propria identità politica, ma conservandone memoria nella tradizione orale. E d'altro canto gli elementi unificanti di un complesso sociale ordinato sul consenso e sull'equilibrio politico ed economico tra numerosi clan sono variabili: dal controllo delle risorse all' identificazione in una leadership politico-militare o religiosa, dalla condivisione di origini comuni alla formazione di una comunità cultuale, linguistica o altro ancora. L'istituto monarchico, nel senso classico di un sovrano con poteri assoluti discendente di una stirpis regia, è stato a lungo ignoto tra le varie tipologie

1. Per Cesare, Ariovisto è rex Germanorum. 2. I sovrani vandalici a Cartagine si fregiavano del titolo di rex Vandalorum et Alanorum, mentre sono noti un rex Sueborum nella Spagna settentrionale del sec. VI, e vari rex Gothorum, rex Franco­ rum e rex Burgundionum nella Gallia, per non parlare del Flavius rex, titolo conferito a Teoderico re dei Goti d' Italia.

10 9

Valore fittizio delle ca te go rie eu ltu ra li del mondo classico

Società sign orili

La monarchia

l Germ a n i

Pecu liarità distinte

Él ite orientali

aggregative alle quali i Germani hanno dato vita. Essi acquisirono la regalità in tempi e modi diversi3, esibendone talvolta perfino forme doppie (come tra Greci, Balti o Celti), secondo quanto rivelano le leggende contenute già nel­ le prime 'storie di origine ' 4 sorte in ambiente monastico (cfr. oltre, cap. 13). Cesare fu forse il primo a saggiare la 'rivoluzione culturale ' celta-germanica: in area renana, raggruppamenti etnici che condividevano un livello culturale ed economico più avanzato rispetto alle periferie del Mare del Nord, della Scandinavia o di quelle orientali, non erano (o non erano più) governati da regimi monarchici, pur in presenza di oligarchie e clan di particolare presti­ gio (Saar, Strauch, 2oos). Sono infatti sporadici i casi di potentati e signorie assimilabili a regimi mo­ narchici familiari, come p.es. Arminio per i Cheruschi o Maraboduus per Quadi e Marcomanni di Boemia, e altrettanto repentina fu la loro elimina­ zione5. Il suebico Ariovisto, Boiocalus degli Amsivari (sec. 1) , il franco Me­ rogaisus (t 306), il visigotico Atanarico (t 381 ) o l'alamanno Chnodomar (t 357) rivestirono cariche probabilmente diverse, dettate da situazioni storiche e contesti socio-politici altrettanto diseguali. Le comunità territoriali del mondo germanico prive di re sembrano essersi rette attraverso la mediazione tra i membri di nuclei influenti e una sorta di 'consiglio' allargato (nominan­ do se necessario dei condottieri, vedi i Sassoni o gli Alamanni), secondo un principio aggregativo di tipo 'segmentario' (cfr. sopra, cap. 1). Tra la fìne del sec. I a.n.e. e la metà del sec. n n.e., la rivoluzione signorile nel mondo germanico arcaico è rispecchiata nelle aree centro-orientali (tra Me­ no, Vistola e Mar Baltico) e solo in seguito anche nel bacino renano. Quelle zone furono le prime a segnalare un'accelerazione in senso oligarchico del tessuto sociale (Steuer, 2003 ) , con insolite tombe a inumazione talvolta ri­ coperte da un tumulo (le cosiddette sepolture di 'Liibsow ' ) , distanti dalle consuete necropoli e dotate di corredi 'principeschi '. Tra questi si segnalano numerosi oggetti d 'importazioné, ai cui fruitori - forse lontani referenti della diplomazia romana - le tribù riconoscevano il ruolo di capi grazie an3·

Rispetto alla pluralità di leader osservata ancora nel sec. I a.n.e., l'organizzazione sociale dei Sassoni del sec. IX (ordinati in una società di classi chiuse) prevedeva p.es. in tempo di guerra l'elezione di un singolo condottiero, diversamente dalla coppia di capi militari rilevata tra Franchi, Alamanni, Angli e Burgundi. 4· Cfr. Ambri e Assi o Raos e Raptos, di stirpe vandalica, Ibor e A(g)io, longobardi, Hengest e Horsa, anglosassoni, o, nelle fonti classiche, Cimberius e Nasua, suebici, Verritus e Mallorix, frisi, Sidone e Vangione, quadici. Nel 42.2. la migrazione vandalica in Africa era comandata dai fratelli Gunderico e Geiserico. S · Da parte di una fazione avversa di congiunti, Arminio, e da parte di Roma, Maraboduus. 6. In argento, bronzo e vetro. In una società arcaica basata sul baratto e sui donativi, anche lo sfoggio di grandi quantità di denarii romani, frutto della prestazione di manodopera militare tem­ poranea con l' Impero, è coerente con l'esibizione di potere e prestigio.

110

6.

Società e strutture di potere

che ai loro buoni uffici. Ma nel periodo in oggetto la scarsità complessiva di ritrovamenti a sostegno sia del significato politico del dono nelle civiltà arcaiche7, sia dell' impatto sociale dei donativi di valore suggeriscono cautela nell'accettare la presunta ripartizione di potere espressa da Tacito (cfr. sopra, cap. 4 e oltre). Dal resoconto di Cesare sembra infatti che la disuguaglianza tra le ricchezze dei singoli fosse decisamente limitata (BG 6.22,4) e che non esistesse proprietà privata della terra, assegnata periodicamente dali' assemblea dei rappresentanti dei clan ai clan stessi. Questi coltivavano e raccoglievano senza apparenti malumori o controversie, sconosciuti all'autore, mentre è invece probabile la pertinenza privata del bestiame. Durante il sec. I a.n.e., in tempo di pace, non è dimostrabile dunque che un capo/rex detenesse un'autorità estesa su tutti i clan di un gruppo etnico : non vi è prova cioè di un'autorità individuale consolidata, mentre esistono tracce che certi raggruppamenti non avessero stabilmente uno o più capi, eletti soltanto ali' approssimarsi di operazioni belliche (p.es. i Visigoti di Wulfila, i Burgundi, gli Eruli, i Sassoni).

1.

G i u lio Cesare

Le istituzioni dei Germani da Tacito in avanti

Scelgono i re per nobiltà (di stirpe ) ed eleggono i comandanti militari per il loro valo­ re. I re non hanno potere illimitato né arbitrario e i comandanti valgono per l'esem­ pio e non per il comando, suscitando ammirazione se sono coraggiosi e si mostrano mentre combattono in prima fila. Peraltro, giustiziare, imprigionare o frustare è con­ cesso solo ai sacerdoti8, i quali agiscono non per punizione o per ordine del coman­ dante, ma come per comando del dio che credono presente fra i combattenti ( G 7 ) .

In questo capitolo, Tacito esprime osservazioni sulla presunta struttura politica dei Germani, sottolineando in modo sibillino come i criteri di nobiltà di stirpe e di virtù militare fossero i valori determinanti nella scelta. Senza precisare attribuzioni specifiche o altre articolazioni per l'esercizio del potere, l'autore si limita a dichiarare che la potestà dei 're ' non è illimitata, mentre quella dei comandanti (che per Cesare venivano nominati in numero variabile allo scoppio della guerra) è collegata alle operazioni militari. La prima impressione che si ricava è quella di una diarchia istituzionalizzata nota alla cultura celto-germanica con due ruoli distinti, ruoli che non escludono a priori che un re potesse ricoprire anche la carica di capo militare né che un comandante potesse appartenere ali' aristocrazia e rivestire (al momento o in futuro) il ruolo di re: in definitiva nobiltà e valore potrebbero semplicemente

Mauss (1923); Gurevic (1968); Miller (1986); Algazi et al. (2003); Curta (2oo6). 8. Con tale etichetta Tacito si riferisce con molta probabilità a una magistratura collegata all'eser­ cizio del diritto consuetudinario, piuttosto che a una carica del dominio religioso.



111

Reges vs. duces in Tacito

l Germani

Aspetti della leaders h i p

corrispondere a due distinzioni funzionali ma non istituzionali, non collega­ te a una ereditarietà dinastica9• Secondo quanto rivela G 1 3.2, un rinomato lignaggio come pure le gloriose gesta di antenati conferirebbero anche a un giovane dignità di capo, condi­ zione che in tal caso sancirebbe un deciso passo avanti verso una realtà do­ minata dal rango e da un'egemonia aristocratica forse non completamente recepiti da Tacito. Resta tuttavia difficile credere che egli non fosse a cono­ scenza della difficoltà della società germanica a esprimere leadership di tipo monarchico, come si evince in: • G 25, a proposito di un presunto primato sociale raggiunto dai liberti tra le popolazioni soggette ai re; • G 44, nella notizia che a est i Gotoni sono retti da regime monarchico più severamente di altri popoli germanici, pur conservando la libertà; oppure ancora, verso il Mar Baltico, come Rugi e Lemoni si distinguano per l' obbe­ dienza al potere regio; sulle coste, infine, i Suioni sembrerebbero assoggettati a un re, il quale disponeva che la sorveglianza delle armi della tribù fosse affi­ data né a nobili, né a liberi o a liberti, bensì a un semplice schiavo.

Ruolo di Roma

I sovrani ai quali Tacito e le sue fonti fanno allusione appartenevano a popo­ lazioni che avevano già intrattenuto relazioni con Roma, sempre disponibile a sostenere 'sovrani' locali solo quando era in grado di imporli direttamente (cfr. G 42.2 ) . Proprio l 'influenza esercitata dali ' Impero sui nobili coman­ danti dei reparti ausiliari barbarici fu forse una causa determinante nello sgretolamento degli antichi equilibri di potere a est del Reno : il successo politico di nuove figure-guida come Arminio, Maraboduus, Giulio Civi­ le, già ufficiali dell'esercito romano, deve molto al sostegno di Roma, dalla quale cercarono di importare nuove forme di comando in società non anco­ ra pronte a recepirle.

2.

*theudan

Testimonianze Linguistiche

Una ricognizione tra le lingue germaniche, allargata a realtà sociali com­ plesse e interdipendenti, può rivelarsi utile nel collegare le informazioni di Tacito alle strutture di potere delle società alto medioevali germaniche ( cfr. Markey, 1986). La forma got. thiudans (cioè thiudans), scelta per tradurre nella Bibbia gotica il gr. basileus ( e impiegata per definire Cristo, re dei Giudei ) , è una carica re9· La centralità del ruolo di dux dipendeva strettamente dalle frequenti operazioni belliche ed è plausibile che si concludesse con la fine della guerra, con la sua morte o con la sua deposizione.

112

6.

Società e strutture di potere

gale (Andersson, 2005 ) 10• Per il germanico si ricostruisce una forma *theuòa­ naz ( < ie. * TEUTA-No-s/ -o-No-s) dal significato "signore, principe, re di un agglomerato territoriale o tribale"11, costruzione participiale indoeuropea in *-no- del tipo lat. tribu-nu-s, domi-nu-s. Un'altra carica è associata agli odierni ingl. king, ted. Konig, dan. kong, sv. kung ( Seebold, Schneider, 2001 ) e deriva da una doppia forma germ. *kuningaz/*kunungaz1\ cfr. aingl. cyning, aat. kuninc/chuninc, aisl. konungr, letteralmente "appartenente a ( o rappresentante di ) comunità di stirpi o clan"13, qui intese nel senso di lat. gens, l'unità etna-politica di base regolata da legami di sangue ( < ie. *GEN- "generare", diffuso in tutta l'area indoeuropea) . Il sostantivo è noto soltanto in area nord-occidentale, mentre è assente nella traduzione gotica della Bibbia14• A questa medesima radice si richiama, p.es., il sost. go t. kindins (che traduce gr. égemon) "governatore, delegato, rap­ presentante" ( altra formazione indoeuropea in *-no- < *éEN- TI-No-s), col quale viene tradotta la carica di Ponzio Pilato, il delegato del popolo romano che ha un mandato per tutta la lega giudaica, che ne è cioè il giudice. È questa forse la carica che ricopriva nel 369 il visigoto Atanarico, nel corso delle trattative per la stipula del patto di alleanza delle varie 'nazioni ' gotiche con l'imperatore d'Oriente Valente, e che le fonti definiscono col titolo di iudex gentis ( Wolfram, 1975 ) . Un ulteriore appellativo per un soggetto collegato alla regalità, ma dai contorni ancora molto confusi, è germ. *rik-ija- "potente", dal quale sembrano derivare go t. reiks ( cioè riks) "signore, principe", reiki "regno" e reikeis "nobile, distinto, principesco"; e ancora, aisl. riki, aingl. rice, afris. rike, as. riki, aat. rihhi "regno", tutti originati dalla rad. ie. *RÉG- attraverso una mediazione

10. Essa è costruita sul germ. *theuho- (got. thiuda, aat. diot(a), as. thiod(a), aingl. theod, aisl. thjoò "popolo, ernia", nell'accezione più vasta e indifferenziata), forse assimilabile all'osco touto "comu­ nità, agglomerato, civitas'', airl. tuath "tribù, popolo': gallico Teuta- (nell'onomastica) e lat. totus "tutto", radice presente anche in area balto-slava. 11. Cfr. as. thiodan, aingl. theoden, aisl. thjoòann, ormai di raro uso poetico e prevalentemente collegata a Cristo. 12.. A un prestito dal germ. *kuningaz risalgono russo, bielorusso, bulgaro kniaz', serbo, croato, sloveno knez "principe, signore': mentre in ceco, polacco e slovacco il sostantivo si è specializzato in "prete" (knéz, ksiqdz, knaz) e "duca" (knez, knlie, ksiqi{, knieia) in opposizione al nome per "re" korol' (bulg. kral, cr. e slov. kralj, ceco krdl, pol. krol), altro prestito costruito su una forma *Karolius, dal nome di Carlo (Magno), il re per eccellenza. Ancora un prestito nelle lingue slave (questa volta da Caesar per il tramite mat. Kaiser) è zar "imperatore': 13. Cfr. germ. *kunja-, got. kuni, aingl. cyn, ingl. kin, aat., as. kunni, aisl. kyn; 1at.genus, gr.génos. 14. Senza ricorrere a improbabili teorie magico-sacrali, si potrebbe pensare a ragioni più funzio­ nali, quali una diversa struttura politica ed economica delle società germaniche orientali - disse­ minate per unità territoriali molto vaste e di affinità etnica variabile - rispetto alle aggregazioni occidentali in stretto contatto con una tradizione celtica in dissoluzione e in competizione con la presenza politico-militare romana.

113

*kuning

*rikija

l Germ a n i

celtica15 (cfr. sopra, cap. 2; Andersson, 2003). La forma pone tuttavia alcune difficoltà:

1. in origine essa non valeva tanto "re, monarca" ( istituzione opaca, se non assente, tra i Celti continentali e i Germani), quanto piuttosto "capo, guida" della signoria celtica, alla quale afferivano le comunità subalterne di Germani in una data regione; 2. il sostantivo deve probabilmente essersi riferito a un predominio di am­ bito militare, senza alcun richiamo a forme rituali, sacrali o comunque tra­ dizionali, visto l'appellativo di rex Germanorum col quale Roma riconosceva Ariovisto, al tempo di Cesare ; 3· più difficile resta capire l 'evoluzione di tale sostantivo tra i Goti del sec. I V : dalla sua traduzione in luogo del gr. drchon ("condottiero, capo, signo­ re", diverso da basileus) non traspare se si tratti di un sovrano territoriale o del rappresentante di una o più tribù (kunja), ipotesi che sembra non riguardare le stirpi renane dominate più direttamente da signorie di tipo militare. Analogamente, anche il rappresentante del potere militare - espresso da Ta­ cito con lat. dux - è restituito in forme diverse nelle varie lingue : *druhtin

*harja-tuga

Altre fi gure

• germ. *druhtinaz, cfr. aingl. dryhten, as. drohtin, aisl. drottinn, aat. truh­ tin16 "leader militare", "capo di una *druhti-"17; con l'adozione del Cristiane­

simo passato quasi ovunque a indicare Cristo; • germ. *harja-tuga- "condottiero di eserciti" ( < germ. *tugjan-, cfr. lat. ditcere), aat. herizogo, aingl. heretoga/folctoga, as. heritogo/folctogo, aisl. hertogi accanto a tyggi "principe", Naumann et al., 1986; Meinecke, Goetz, 1999 ); • germ. *er(i)laz, aingl. eorl "guerriero, eroe, principe", as., aat. erl "uomo", sostantivo che conosce un successo particolare in Scandinava, dove lo jarl è una carica politico-amministrativa suprema (seconda solo al re) , collegata a funzioni militari (Ebel, Diiwel, 2000 ) 1 8 ; • aingl. ealdorman (n)/-mon (composto da mon/man "uomo" e eald "vec­ chio"); ealdor è "anziano", nel senso del prestigio familiare o sociale, "capofa­ miglia; comandante, governatore; centurione ; principe" (Scheyhing, 1971).

Cfr. gall. rig- (cfr. Vercingeto-rix, Boio-rix), lat. reg-/rex, aind. raj. 16. Huneo truhtin, in Hildebrand(s)lied 34 è epiteto per Attila. 17. "Compagnia militare, schiera", cfr. got. gadrauhts "commilitone, guerriero", drauhtinassus "campagna militare", as. druht(folk), aingl. gedreag, aisl. drott, la congregazione di guerrieri, frc.­ lat. dructis (cfr. oltre; Wenskus, 1986). 18. È probabile che il suo impiego nelle aree anglosassoni sottoposte alla legislazione vichinga (il Danelaw) ne abbia favorito l'impiego anche in antico inglese, in luogo del più antico ealdorman. IS.

114

6.

Società e strutture di potere

Si tratta di una carica amministrativa e militare di elevato prestigio (nel poe­ ma Beowulf, ealdor o aldor sono sinonimi di 'sovrano', cyning, theoden ), fino alla sua sostituzione con l' eor! (su influsso del so st. scandinavo )art) a opera del re danese Canuto, sovrano d ' Inghilterra ( 1018-1035 ) 19; aisl. fylkir "comandante di schiere":w, cfr. aingl. gefylce "id.", analogo, co­ me formazione, a un'altra carica nordica, il norvegese hersir "capo, signore di un distretto militare minore" ( < germ. *harisja), cessata nel sec. X I ; aingl. (h ere)wisa, aat. wiso, mat. wise, aisl. visi "comandante"; è plausibile inoltre che uno degli appellativi per designare il primo della schiera, il capo degli uomini che sta innanzi a tutti, fosse l'equivalente del ted. Furst "principe" (aat., as.furisto, aingl.fyrsta , afr.forsta, aisl.fyrsti), un antico superlativo sostantivato (ingl.flrst), corradicale di lat. primus e gr. protos, pas­ sato poi a indicare una figura istituzionalizzata (Meinecke, Wenskus, 1998 ) ; più in generale, restando nell'ambito lessicale della 'nobiltà' (Kuhn, Wiihrer, Authén-Blom, 1973 ) , le lingue germaniche manifestano i derivati della rad. germ. *athala-/*athila-, cfr. got. athal- (conservata soltanto negli antroponimi, p.es. Athal(a)ricus), aat. ada! "stirpe, discendenza; nobiltà", as. aòal-, 1gb. Ad(h)al-, Adi!- (nell'antroponimia, cfr. Adelprandus), aisl. aòal "disposizione naturale, qualità" e ancora aat. ada/i, edili "stirpe, famiglia; no­ biltà", as. aòali "stirpe nobile", aingl. tiòelu (p l.) "(nobili) origini"; viceversa, da una radice germ. *othila- (collegata alla precedente) derivano aat. uodal/-il, as. oòil, aingl. ethel, aisl. oòal "patria, proprietà originaria" e fJÒ!i, eòli "origini; dote; patrimonio, proprietà; terra patria"��. Particolarmente illuminante, infine, è la testimonianza di Ammiano Marcellino ( 2.8.5,14) , il quale, contemporaneo alla traduzione della Bibbia gotica, descrive nel sec. IV la leadership burgunda suddivisa tra un 're' (hendinos), responsabile dell'andamento di una guerra e della prosperità del popolo (e perciò soggetto a deposizione) e un 'sommo sacerdote' (sinistos), forse un antico modello di monarchia rappresentativa evolutosi in un delegato religioso, il cui deficit di valenza politica coincide con la durata a vita dell'incarico, privo di qualsiasi rischio. Sembra pertanto profilarsi l'ipotesi di una progressiva metamorfosi nell'organizzazione del potere delle società agricole germaniche, nelle quali nuove

19. Capo di una contea, ne organizzava la difesa militare e ne amministrava il fìsco reale, con l'a­ iuto del responsabile di contea (scir(e)gerefa, lo "sceriffo"); veniva nominato dal consiglio (witan) dei nobili proprietari terrieri e la sua carica era a vita, benché non automaticamente ereditaria. 20. Sostantivo derivato dafylki ( < germ. *Julk-ja- "popolo, distretto; schiera"). 21. A una costruzione germ. "athal-/athul-inga-, risalgono infìne aat. ediling (di raro impiego) "nobile, aristocratico", il tardo afr. etheling "id.", aingl. ttòeling "principe (reale), nobile, guerriero" e il più tardo (e poetico) aisl. Qolingr "signore, principe': In area basso tedesca si ricordano le forme lat.-germ. adalingus (nella Lex Thurigiorum) ed edhilingus (appartenente alla nobiltà sasso ne, nel resoconto di Nithard), accanto a forme come as. aòal "nobile (di sangue)", aòalboran "nato da stirpe nobile", aòalburdig "id.': aòali e aòalkunni "nobile stirpe" ecc.

115

Hendinos vs. sinistos

Società a gricole e consorterie in armi

l Germ a n i

N uove identità

Sovranità ra ppresentativa e signorie militari

figure di capi di unità militari o migratorie, di estensione variabile e non ne­ cessariamente collegate a una stirpe, si sovrapposero alle tradizionali cariche che erano espressione dell'equilibrio e del compromesso tra clan di spicco, in grado di vantare antichità di origini e discendenze eroiche o 'divine '. Accanto a una simile evoluzione 'interna', dalla fine del sec. IV si deve even­ tualmente aggiungere anche l'impatto dei popoli orientali delle steppe sulla struttura di potere e di controllo delle risorse; conquistate e riaggregate dal fenomeno unnico, masse di profughi senza più aristocrazie, sopravvissuti e deportati modificarono le strutture di base di antiche signorie tribali, origi­ nariamente incentrate sul prestigio e sul consenso di stirpi spesso sterminate o ridotte in schiavitù (Schlesinger, 1968; Leyser, 1968)2.2. Malgrado l'indisponibilità di fonti specifiche, nelle società germaniche tra i secc. I e IV si tendono ormai ad ammettere forme eterogenee di esercizio del potere, dalla coesistenza di modelli diversificati di sovranità all 'assenza di una istituzione di tipo monarchico. All' inizio del sec. I, p.es., Usipeti, Ten­ cteri e Channenefati non avevano re, una carica che costò la vita ad Arminio, vincitore a Teutoburgo, e il potere a Maraboduus13• Lo stesso vale per i Quadi, la cui assegnazione di un re da parte di Antoni­ no Pio fu addirittura celebrata con l'emissione di un conio commemorativo, mentre i Tervinghi di Mesi a (a lungo privi di re dopo la morte di Thori­ smund) erano guidati da reguli tribali e i capi supremi della confederazione venivano eletti solo in occasioni particolari. I 're ' degli Alamanni potevano essere detronizzati (e uccisi); i Gepidi persero più volte i propri sovrani, gli Eruli, secondo Procopio, avevano deliberato di abrogare la carica di re (un primus interpares) e i Sassoni probabilmente non la ebbero mai, malgrado la presenza di molti 'satrapi' individuati da Beda (5.10 ) . Tra i Longobardi d ' I­ talia si conobbero vuoti di potere monarchico e così tra i Franchi merovingi (nei loro vari sotto-regni), come ricorda ancora Beda. Nella Britannia del sec. v, i complessi gruppi di migranti continentali guida­ ti da capi militari si installarono sull' isola in vaste aree lasciate libere, dan­ dosi una forma monarchica unificata solo a partire dai due secoli successivi,

2.2.. Nel caso di agglomerati tribali di vaste dimensioni, questo poteva corrispondere alla creazione di una pletora di capi militari, come alla battaglia di Strasburgo (357 ), con due comandanti supre­ mi (Chnodomar e Serapio, zio e nipote), al di sotto dei quali vi erano cinque reges non meglio or­ dinati gerarchicamente e dieci principi 'di stirpe reale', seguiti da migliaia di uomini di varie tribù, sia pagati, sia raccolti in base a singole alleanze (Ammiano Marcellino 16.12.,2.3-2.6). 2.3. Sconfitti i Romani, Arminio mirò ad acquisire un potere personale ai danni di Maraboduus, il quale, battuto nel 17, fu abbandonato dagli alleati e cacciato dal proprio popolo, a favore del principe 'gotico' Catwalda, che i Romani sostituirono prima con il quadico Vannius e, in seguito, con Sidone e Vangione, suoi consanguinei. L'ostilità all'interno dei Cheruschi fu tale che lo stesso Arminio venne in seguito assassinato dopo dodici anni di egemonia personale e il sostituto, il nipote ltalicus, fu innalzato a 're' dei Cheruschi con l'appoggio romano.

116

6.

Società e strutture di potere

come traspare dagli scarsi riferimenti a figure regali (rex, cyning) rispetto ai più frequenti dux, heretoga, ealdorman, in Beda o nella Cronaca (anglo-)sas­ sonel.4. Interessata in modo indiretto dalla presenza romana, la Scandinavia pre-vichinga (cfr. oltre, cap. 7 ) fornisce dati più rarefatti sull'organizzazione politica e su figure assimilabili alla monarchia, quasi del tutto assenti nelle attestazioni runiche di area nordica. Più tardi, le informazioni di Snorri Stur­ luson sulla Norvegia (Heimskringla, ca. 1230 ) suggeriscono taluni limiti alla effettiva potestà dei re nei secc. XI-XI I I : questi non sembrerebbero essere stati immuni dall'esigenza di consenso da parte di oligarchie locali e assemblee giuridiche regionali (cfr. la Legge del Vastergotland antica, sec. XIII ) , le quali, seppur in linea molto teorica, avrebbero potuto negar loro il sostegno (Foote, Wilson, 1970, pp. 123-45 ) .

3.

L'assemblea degli uomini li beri

Sui problemi di minore importanza decidono i capi; ma anche le decisioni più im­ portanti, sulle quali deve decidere la collettività, sono discusse tuttavia sempre in presenza dei principi. [ ... ] Quando la folla disordinata è placata, si siedono tenendo con sé le armi. Il silenzio viene imposto dai sacerdoti, ai quali in quel momento spetta anche il diritto di punire. Si ascoltano allora il re o il capo, ciascuno in base all'età, la nobiltà di stirpe, il valore militare o l'eloquenza, più per l'efficacia dei discorsi che non per la loro autorità. Se le opinioni non sono condivise, sono ac­ compagnate da un brusio di disapprovazione, ma se sono accettate essi scuotono insieme le lance [ . . . ] ( G I I ) .

Tra le due figure-guida del mondo germanico isolate da Tacito, si inserisce una forma ibrida di consiglio assembleare dai caratteri oligarchici, nel quale prevalgono figure di spicco (optimates, anziani, guerrieri rinomati). Un secolo e mezzo prima, Giulio Cesare aveva registrato un'assemblea dei guerrieri non meglio precisata, sorprendentemente sottomessa a un consiglio confederale dei 'capi' (principes o anziani), riunito, in caso di pericolo, con poteri militari e strategicil.5• Non vi sono prove che confermino le riunioni di questo consiglio di maggiorenti anche in tempo di pace, ma in nessun caso sembra che al tempo di Cesare i capi potessero agire senza il consenso dell'assemblea (Beck et al. , 1982 ) . 24. Swanton (19 82) riconosce p.es. nel poema Beowu/fla testimonianza del conflitto esiziale tra un modello tradizionale di governo (basato su una rappresentazione 'orizzontale' di leadership rafforzata dal consenso tribale) e una 'verticale', di origine mediterranea (nella quale i capi legitti­ mano il proprio dominio attraverso il ricorso alla genealogia e alla religione). 25. Purtroppo Cesare non precisa l' identità di capi e senato degli Ubi, né della delegazione di capi e anziani di Usipeti e Tencteri (in BG 1.43.3; 4.1 1,3 e 13,4 ) . 117

Il thing i n Cesare e Tacito

l Germ a n i

Composizione

Ruoli

Malgrado la crescente disuguaglianza economica e sociale, un organismo as­ sembleare di uomini di condizione libera ( il cosiddetto thing, cfr. oltre, cap. 14), riunito in periodi prestabiliti ( salvo particolari urgenze ) , era dunque ancora attivo al tempo di Tacito. I suoi contorni rappresentativi sono però vaghi: era coordinato da magistrature particolari che Tacito identifica con sacerdotes ( al pl. ) , sotto la cui giurisdizione ricadeva anche l'irrogazione delle pene ( G 7.2.), ma senza il diritto di detenere o limitare la libertà di alcunol6• Seducenti, quantunque enigmatiche, sono le attestazioni linguistiche relative a un'ipotetica figura 'sacerdotale ' prestata ali' ambito giuridicol7: escludendo ogni possibile ingerenza teocratica all'interno del diritto consuetudinario, l 'unica altra spiegazione potrebbe essere quella del controllo sul rispetto di una serie di procedure rituali. Alla fine del sec. I , il consiglio era dominato da figure di spicco dell' aristocra­ zia locale'-8, in grado di promuovere istanze, infiammare dibattiti, esercitare prestigio e persuasione, senza che al resto dell'assemblea spettassero inizia­ tive politiche autonome: essa poteva solo avallare o bocciare le proposte dei maggiorenti ( G I I.I,s-6). Tuttavia, il ruolo di un simile consiglio è descritto ancora come centrale per le questioni di maggiore importanza, laddove su ignote "questioni minori" si sarebbe riunito in via preliminare un non me­ glio definito 'consiglio dei capi '. L'assemblea deliberava, oltre alle questioni belliche, trattati di pace o di alleanza e svolgeva funzioni giudiziarie nei casi ritenuti d 'interesse generale'-9• Proprio la centralità di questo istituto deve essere stata percepita da Roma con ostilità se, per ritorsione contro etnie av­ versarie o indisponibili a trattare, ne proibiva lo svolgimento o lo concedeva

2.6. Al di fuori appunto delle assemblee e forse nelle campagne militari, anche se il passo ( G 7.4) è ambiguo. 2.7. Gli esempi sono : 1. aisl. goòi, orig. "sacerdote" ( < germ. *guòUJa), ricordato anche nelle iscri­ zioni runiche, il quale dopo la colonizzazione dell'Islanda passa a indicare "giudice, rappresentan­ te di una circoscrizione giuridica", una sorta di capo-distretto (sinonimo di hpflingi); a questo so­ stantivo va probabilmente accostata la glossa aat. coting "tribunus", un derivato col suff. -ing del so st. 'dio'; 2.. aat. iwart "sacerdote", lett. "il guardiano della consuetudine", il garante della legge antica (aat. i < germ. *aiwa- cfr. oltre, cap. 14), al quale si accostano i due hapax di medesimo significato, aingl. tiweweard e as. iward. 2.8. Due opere agiografiche sono testimoni di assemblee di capi nei secc. IX-X : Vita Lebuini An­ tiqua 6 (su san Lebuinus/Leofwine/Liafwin, a proposito di un consiglio sassone dalla composi­ zione molto diversa dal passo tacitiano) e Vita Sancti Anskari 2.7 di Rimbert (su sant'Ansgar, a proposito della discussione tra un rex degli Svedesi e i suoi principes) . 2.9. Tradimento, diserzione, codardia e altri reati lesivi della morale del gruppo, tutti puniti con la morte (G 12..1, ma cfr. 3 1.2.). Nel resoconto dell'assemblea di tutte le comunità sassoni a Markloh (sulla Weser), Vita Lebuini antiqua 4 riferisce che ci si riuniva per rinnovare la legge, risolvere controversie e deliberare sulla guerra o sulla pace. Lo stesso vale per l'eterogenea lega alamannica descritta da Ammiano Marcellino, non molto diversa dall'affresco tacitiano.

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6.

Società e strutture di potere

a condizione che fossero presenti propri delegati, come nel trattato imposto da Commodo ai Marcomanni (18o)30•

4.

La natura delle clientele germaniche: il comitatus

Una illustre nobiltà o i grandi riconoscimenti degli antenati conferiscono la dignità di principe anche ai giovani; si aggregano ai capi più maturi ed esperti, senza vergognarsi di comparire nel séguito, che è ordinato in una gerarchia secondo l'arbitrio di chi comanda. Grande è l'emulazione dei gregari per conquistare il primo posto presso il capo, e, fra i capi, avere i seguaci più numerosi e combattivi. In ciò sta il prestigio dei comandanti: essere attorniati sempre da una schiera di giovani scelti, che gli danno onore in tempo di pace e lo difendono in guerra. Tanta rinomanza e gloria non sono limitate alla propria tribù, ma giungono anche alle popolazioni vicine, in base al numero e al valore del seguito: quei capi sono ricercati per mezzo di ambascerie e colmati di doni e spesso con la loro fama decidono le sorti della guerra ( G 13). In battaglia è disonorevole per un capo lasciarsi superare in valore dal seguito e ugualmente per il seguito non eguagliare il coraggio del capo. Inoltre è un' infamia e una vergogna, per tutta la vita, tornare dalla battaglia sopravvivendo al proprio capo; difenderlo, proteggerlo, attribuire alla sua gloria anche i propri eroismi sono l' impe­ gno più sacro: i capi combattono per la vittoria, i seguaci per il capo. Se la tribù in cui sono nati si adagia nell'ozio di una lunga pace, molti giovani nobili raggiungo­ no spontaneamente le tribù che al momento sono impegnate in qualche guerra, sia perché queste genti non amano la pace, sia perché più facilmente si acquista fama in mezzo ai pericoli e soltanto con la forza e la guerra si può mantenere un grande seguito. Dalla generosità del capo pretendono infatti quel cavallo idoneo alla guerra o quella framea vittoriosa bagnata di sangue; poiché cibo e apparecchiature, pur di­ sadorni ma abbondanti, valgono come paga. I mezzi per esser prodighi derivano solo dalle guerre e dai saccheggi. È più difficile convincerli ad arare la terra e ad aspettare il raccolto che a provocare il nemico e a guadagnarsi l'onore delle ferite; a loro sem­ bra anzi segno di ignavia e viltà acquistare col sudore ciò che possono ottenere col sangue ( G 14).

L'esercizio delle armi a tempo pieno e il mercenariato stagionale nelle unità ausiliarie imperiali sotto la guida di leader tribali garantirono un crescente prestigio sociale ai capi militari e alle compagnie clientelari radunate intorno ai più potenti di questi. Non è dimostrabile se tale condizione abbia dato av­ vio a uno scontro istituzionale con i rappresentanti tribali tradizionali, ma è 30. Cfr. p.es. le disposizioni dei Franchi per limitare le assemblee cantonali alamanne (sec. VI ) o le norme decretate per i Sassoni nella Capitulatio departibus Saxoniae (785).

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Tacito

l Germ a n i

Forme clientelari

Natura e relazioni del comitatus

plausibile che ciò contribuì a segnare la crisi profonda di un sistema agricolo­ pastorale di natura localistica. L'antico regime era basato sullo sfruttamento delle terre comuni e sull'equilibrio assembleare degli uomini liberi dei singo­ li clan, tradizionalmente contrari all'accentramento permanente del potere, due elementi che si rivelavano inidonei alle nuove esigenze indotte dall' ag­ gressione romana. L'accumularsi di un' improvvisa ricchezza in circoli ristretti provocava ine­ vitabili ripercussioni a lungo termine sulla struttura tradizionale dei clan, con l'affermazione di una nuova classe sociale. Si trattava della compagnia di uomini che Tacito ribattezza comitatus ( G 14)3\ il seguito di fedeli di un capo. Questa cerchia condivideva la condizione di seguace e di scorta con una disparità di rango3l: una consorteria di guerrieri e guardie private che accompagnava un capo e che da questi traeva in misura non definibile una serie di benefici materiali, variamente desumibili dalle metafore per 'sovrano' o 'principe' della più tarda poesia eroica33• Nelle società del mondo antico, l'esistenza di relazioni politico-economiche sotto forma di associazioni private e verticistiche di natura clientelare è cosa nota. Tempi, luoghi e condizioni anche molto diverse impediscono tuttavia di riconoscere una tipologia standard di aggregazioni analoghe, valida dal patronato romano alla hirò antico norvegese, dalle clientele galliche descritte da Poli bio, Posidonio e Cesare (ambacti, soldurii) alla trustis merovingia, dai fidati homotrdpezoi persiani di cui parla Erodoto alla druzina dei principi kieviani del Medioevo34• Fratellanza militare, fedeltà e reciprocità di doveri, nel racconto tacitiano, sembrano contraddistinguere questa libera associazione autoritaria e gerar­ chica, a base individuale (cfr. Kroschell, 1971). La competizione è la spinta che muove questo nuovo istituto, che lo stesso Tacito tende talvolta a inter­ pretare in misura contraddittoria nelle sue opere storiche (Kristensen, 1983; Timpe, 1988). Schiere di giovani di tribù anche diverse si riuniscono intorno

31. Ted. Ge.folgschaft, ingl. retinue, war-band (Kuhn, 1956; Landolt, Timpe, Steuer, 1998). 3 2.. Le fonti scandinave medioevali distinguono tra drengjar, htJldar e thegnar (Foote, Wilson, 1970, pp. 100-8; Kuhn, 1944). 33· Cfr. aingl. hlaford, lett. "custode del pane", biahgifa "donatore di bracciali/anelli", goldwine gumena "amico prezioso/dorato dei guerrieri", biaga brytta "spezzatore di armille", sincgifa "di­ stributore di tesori", wilgeofo "donatore di desideri"; as. baggeho "dispensatore di anelli", boguuini "amico degli anelli"; aisl. hoddglrtuòr "dispensatore di tesori", hringstrlòi "danneggiatore di anelli/ bracciali", menbrota "spezzatore di gioielli", stiklir seima "distributore/lanciatore di monili", var­ ghollr veitir vingjafo "vorace dispensatore di doni amichevoli", auòskiptir "spartitore di ricchezza", hoddveitir "donatore di tesori/oro". 34· Si tratta di figure accostabili ai vari comites, contubernales,pueri, leudes, antrustiones,fideles, buc­ cellarii, gardingi, saiones,gasindi!gesithas, magas, thegnas, disegualmente attestate nelle fonti lettera­ rie medioevali; cfr. p.es. aingl. secg, as. segg, aisl. seggr < germ. "saKUJ(j)a-1-o-, accostabili a lat. socius.

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6.

Società e strutture di potere

a un 'attore' principale, un capo, per partecipare inizialmente a un'impresa, una razzia, un servizio prestato per le forze armate romane (Olberg, 1983). Alla rivalità tra i partecipanti per occupare il posto più vicino al capo, si af­ fiancava una rivalità tra capo e seguaci per compiere azioni esemplari, oltre a quella tra i vari principes per avere seguiti di comites più forti, anche se le fun­ zioni ambigue di queste figure nell'opera tacitiana rendono incerti i limiti gerarchici di questo rapporto (a coordinate relation, Bazelmans, 1991, p. 104), difficilmente identificabile con le clientele galliche e romane. Benché l'originaria relazione tra capo e seguaci sembri avere avuto una durata limitata alla scorreria (senza paterne dedurre un rapporto di dipendenza permanente o implausibili modelli di vassallaggio), l'ingresso in un comitatus rappresentava concretamente un'occasione di promozione sociale e di arricchimento materiale. Una simile condizione presuppone nuovi possibili scenari ideologici, economici e perfino dell'immaginario religioso (Kaliff, Sundqvist, 2oo6), tali da mettere in discussione i tradizionali equilibri. Nell'amplificare le differenze economiche, i bottini o le ricompense acquisiti (greggi, gioielli, armi, schiavi) modificavano la suddivisione del lavoro ali' interno della comunità, rischiando di fomentare malcontento. Il comitatus risulta dunque il prodotto di nuove forme economiche, basate in prevalenza sullo sfruttamento di un surplus non derivato dali'organizzazione tradizionale. In questo quadro è altresì comprensibile un progressivo spostamento nella percezione dei culti tradizionali, con l'identificazione verso divinità più confacenti al nuovo pathos guerriero nei più giovani membri della società, più direttamente coinvolti con l'esercizio professionale delle armi. Rispetto a quanto indicato da Cesare, il comitatus di Tacito ha ormai caratteri di maggiore continuità ( « onore in tempo di pace, difesa in guerra » ) , oltre la durata di una campagna o di una scorreria, e pur in assenza di cospicui dona­ tivi il capo provvede all'equipaggiamento del seguito35• Il numero stesso dei compagni incide sul prestigio sociale del capo, oggetto di una fedeltà tale da condividerne eventualmente la morte (cfr. BG 3.22 e 7.40 ), tema variamente sviluppato sia nelle letterature germaniche medioevali (la Battaglia di Mal­ don, Beowulf le saghe dei re norvegesi), sia nel diritto ( Witherlagsrttt). Una questione ancora irrisolta riguarda il grado di autonomia di un comitatus rispetto ai clan e all'assemblea tribale, se le attività di questo cioè non 35· La rivoluzione agricola dei secc. I-IV nella fascia temperata dell'Europa (come testimonia il grande incremento dei pollini da cereali a scapito di quelli prodotti da erbe e alberi) è un dato che consente di individuare il pilastro economico sul quale si fondava il mantenimento delle com­ pagnie clientelari di guerrieri: il surplus agricolo, il suo controllo e lo scambio con altri beni. Tra questi vi erano ovviamente i prodotti della metallurgia, soprattutto le armi, che iniziavano a essere realizzate da un artigianato locale (aggirando in tal modo il bando romano alla vendita di armi), accanto a una produzione ancora poco elaborata di ceramica.

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Ricadute socio­ economiche

I n teressi disti nti

l Germ a n i

Ricad ute politiche

rischiassero di procurare problemi al resto della comunità e se quindi si possa ipotizzare che tale organismo si sia inizialmente sviluppato laddove le strut­ ture politiche tradizionali fossero già entrate in crisi. In tal caso, queste nuove aggregazioni private avrebbero finito per supplire a compiti politici, in qua­ lità di fazioni antagoniste in seguito riconosciute come interlocutori privile­ giati dai gruppi vicini - a scapito degli antichi rappresentanti regolarmente scelti dall'assemblea. Con tali premesse, non stupisce che il seguito tendesse ad assumere uno sta­ tus elitario36, con caratteri di una classe autosufficiente e libera dal controllo tribale in grado di incrementare il proprio benessere anche attraverso politi­ che matrimoniali interetniche, controlli dei flussi artigianali e commerciali e alleanze sporadiche con Roma, oltre naturalmente al saccheggio. Per sosten­ tare un seguito numeroso, si rendeva necessaria una politica votata a relazioni dinamiche e aggressive, alternative ai ricchi donativi inviati da popolazioni confinanti onde assicurarsi la neutralità o l'appoggio di un comitatus presti­ gioso37: cavalli scelti, armi, vasi d'argento, ornamenti, bestiame e grano ( ai quali Roma aggiungeva anche donazioni in denaro ) erano divenuti una con­ suetudine che contribuiva ai costi di mantenimento38. s. La donna

Per quanto fuorviante sia considerare la posizione della donna distinta dal proprio status sociale, merita tuttavia soffermarsi brevemente sulla questione. La società germanica era fortemente ancorata a un ordinamento patriarcale, comunque non immune dal rilievo assegnato all'avunculato, quell'istituto indoeuropeo che poggia sul rapporto peculiare tra zio materno e figli della sorella, eventualmente accompagnato da un Josterage ( G 2.0 ) , molto cono-

36. I gregari appartenevano di solito già all'aristocrazia, erano agiati e combattevano di preferenza a cavallo : è difficile immaginare che un libero, non benestante e con pochi servi, potesse permet­ tersi una lunga assenza dalle proprie terre. 37· Quale sia stato il ceto di quei singulis ( G 15-3), che beneficiavano dei doni, non è noto, ma certo anche lnduziomaro (rix dei Treveri) e il suo clan nell'inverno del SS-S4 a.n.e. offrirono (invano) doni a gruppi germanici a est del Reno (BG S·SS,I; 6.2,1): se questi finirono nelle mani di capi di un comitatus non è dimostrabile, ma se così fosse, il comitatus di Tacito sarebbe stato quindi già presente ai tempi di Cesare. 3 8. Dalla bassa Elba fino quasi alla Visto la, l'area che copre bassa Sassonia, Danimarca e Slesia ha evidenziato la deposizione di pregiate suppellettili romane nelle tombe di alcuni capi e delle relative donne; l'epoca risale alla metà del sec. I fino alla fine del II, per interrompersi all'epoca della nascita delle confederazioni del sec. m . Notevole e non casuale è l'uniformità degli oggetti, nei quali si riconosceva l'ideologia di gruppi sociali in forte ascesa. Che tali tombe fossero prive di armi non prova che si trattasse di tribù pacifiche, ma solo che non vigesse l'uso di seppellirle, come risulta per diversi gruppi.

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Società e strutture di potere

sciuto in area celtica e variamente attestato nelle letterature medioevalP9• La posizione della donna in seno alla famiglia era tuttavia centrale, ancorché delimitata da una precisa ideologia che la subordinava alla tutela maschile prevista per i membri giuridicamente non autonomi, il cosiddetto mundio (mund, cfr. Editto di Rotari, c. 204, Fazzini, 1993), termine che può eventual­ mente indicare anche il prezzo di acquisto40 della sposa pagato alla famiglia di origine. Presente sul campo di battaglia ad alleviare fatiche e ferite ( G 7 ), Tacito ne ricorda il ruolo significativo nell'ambito dei vaticini e la sacralità di cui era spesso oggetto, accortamente sfruttata da Roma nello scambio di ostaggi ( G 8). L'oltraggio all' inviolabilità di una donna (specie se in età fertile) o alla simbologia che essa rappresentava (il taglio proditorio dei suoi capelli) costituiva una grave offesa alla stirpe che la tutelava, come risulta dalle elevate sanzioni risarcitorie previste nei codici di Alamanni4\ Baiuvari, Franchi e Longobardi. Proprio il diritto longobardo è una fucina di informazioni sul ruolo femminile, subalterno al marito (che poteva uccidere la moglie, in flagranza di adulterio, 1gb. anagrift), ma mai distaccato dalla stirpe originaria. Quest'ultima si occupava direttamente di lei e della sua difesa, se essa desiderava divorziare o se contestava un'accusa, oltre a disporre delle sue nuove nozze, nel caso in cui la vedova rifiutasse la volontà del successore del marito e suo tutore4Z., due situazioni richiamate nelle letterature germaniche medioevali, in relazione al tema della vendetta di una donna. Dai riscontri dei codici giuridici germanici emerge infine che la donna, benché in posizione secondaria, potesse vantare diritti economici, nell'at­ tività domestica, oltre che ereditari, diritti che il resto della parentela non poteva ignorare, condizione particolarmente valida per l'aristocrazia. No­ nostante i vincoli e le proibizioni di ordine generale e fisiologico imposte loro dalla Chiesa (divieto di comunione durante il ciclo mensile, periodo di 'purificazione' dopo il parto, divieto di accedere direttamente ali' alta­ re ecc.) , la vita conventuale nell'Alto Medioevo rappresentò per le donne un'opportunità economica, politica e culturale di spicco, tanto che nei vari ranghi dell'organizzazione ecclesiastica loro concessi esse acquisirono tal­ volta un prestigio e un potere notevoli.

39· Cfr. p.es. Rolando, Perceval, Tristano, Beowulf, i nipoti del gallico Ambigato o opere quali il

Mabinogion gallese o il Waltharius medio-latino di area alamannica. 40. Il pretium nuptialis, che in alcune leggi antico norvegesi è mundi, nelle leges burgunde wit­ timon, in quelle longobarde meta (o metj'w ), nei codici anglosassoni weotuma; cfr. oltre, cap. 14. 41. Lex Alamannorum 5.1,17 § 6 prevede anche per la donna semilibera (ancilla, lita) un risarci­

mento doppio rispetto al semilibero maschio. 42.. La sposa (e la vedova) sembra avesse avuto la facoltà di ricusare un tutore indegno, a condizio­ ne di assoggettarsi al mund di un altro uomo. Sulle peculiarità della condizione nella Scandinavia medioevale, una buona introduzione è Foote, Wilson ( 1970, pp. 108-14). 123

La donna nel di ritto germ a n ico

l Germ a n i

La limitazione delle fonti e il loro carattere spesso contraddittorio è re­ sponsabile dell'incertezza e dell'ambiguità con le quali viene solitamen­ te rappresentata l 'evoluzione delle società germaniche a partire dalla fine dell' Impero. Il maggiore problema è infatti quello di delinearne l'organiz­ zazione sociale nell'articolato panorama alto medioevale, frequentemente interpretato da due canoni consolidati: l'improbabile identificazione gene­ ralizzata col sistema feudale-vassallatico carolingio o l'altrettanto celebre tripartizione della società (oratores, bellatores, laboratores). Questa fu enun­ ciata per la prima volta nella traduzione del De consolatione philosophiae commissionata da re Alfredo d ' Inghilterra, rielaborata da Adalberone di Laon in un testo poetico abbastanza tardo (ca. 1025 ) e riecheggiata con ca­ lune modifiche funzionali in un poema islandese del sec. X I I I (Rigsthula)43. Vale dunque la pena soffermarsi, di seguito, su alcune categorie che emer­ gono nelle fonti classiche e nella documentazione giuridica del Medioevo germanico. 6. l Liberi

leudis

Numerosi sono i termini che connotano il concetto di uomo 'libero', una ricchezza talvolta impiegata nelle fonti secondo una logica purtroppo non sempre univoca. Le forme frc.-lat. leud(is)lleod(es) ( < germ. *leuòi-)44 sono già attestate nel sec. V I e valgono per "uomo"45 o, indistintamente, "popolo, gente" come si osserva per aisl. ljòr!ljoòr, as. liud, aat. liut (e i femm. as. liudi e aat. liuti > ted. Leute )46• La Lex Gundobada burgunda (cfr. cap. 14 ) sembra invece iden­ tificare con leudes una categoria intermedia tra gli uomini più in vista (opti­ mates) e quelli di rango inferiore (mediocres ) , mentre il diritto franco (Pactus legis Salicae 59, Edictum di Chilperico I 108, Decretum di Childeberto I 2.1 ) e quello visigotico (le integrazioni di Rikisvindo, ca. 654 ) alludono per lo più a figure di prestigio prossime al sovrano (Olberg, 1991, pp. 60-74 ) , forse il personale a servizio di un principe/ del re al quale allude anche Gregorio di Tours (Historiarum libri x ( Hist. ) 2.42, 9.20 ) . In alcuni contesti emerge inoltre la forma franca.frio, lgb.Jrea (femm.) e aingl. fréo ( < germ. *frija-, as., aat. fri, aingl..fri, got.Jreis "libero", in origine forse =

frio

43· Nell'ordinejar/, karl, thnell, vale a dire principi, liberi e servi. 44· Da non confondere con i derivati leude/leudi(s)/leodi "wergeld", nelle Leges; cfr. walaleodi "wergeld di un libero romano, non-germanico" (Pactus legis Salicae 2.7.106). 4S· Cfr. aingl. leod (masch.) "uomo", (femm.) "popolo, gente", leodcyning "re della nazione': leodfruma "capo", leodbisceop "vescovo diocesano", leodgeld "wergeld, risarcimento", leodwitan "con­ siglio dei notabili del popolo". 46. Cfr. lit. lidudis, asl. "l'udu "popolo, gente", prestiti dal germanico.

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6.

Società e strutture di potere

"amato, caro")47, estendibile perfino ai liberti, senza che vi si possano distin­ guere nitide gradazioni sociologiche nelle fonti che li riguardano. A questo sostantivo corrispondono inoltre lgb.ful(c)Jree, :frea e aingl.fo/c.fry efolcfrig. Da germ. *hari-/*harja- "esercito" e *mann-z "uomo", il sost. lgb. (h )arimannus, nella forma latinizzata (o eremannus, sotto un probabile influsso franco), designa ( indipendentemente dal censo) la condizione di guerriero del re (exercitalis), proprietario di terra a pieno titolo senza i caratteri di dipendenza diretta dal sovrano. Gli arimanni si dedicavano alla difesa del territorio in punti nevralgici, senza disdegnare l'impegno politico e amministrativo agli ordini dei duchi: la presenza del sost. femm. arimanna conferma la posizione istituzionale di una classe sempre meno militarizzata in contatto con la politica e le prerogative regie, un'esclusiva dei Longobardi sul suolo italiano. n livello più basso della classe dei liberi, nella società anglosassone, è occupato dal ceorl (ingl. chur{) < germ. *karlaz! *kerlaz, afr. zeri, aat. karl, collegato etimo­ logicamente con aisl. ( hU.S)karl, entrato come prestito nell' aingl. hitscar/48• n ceorl poteva possedere terre e schiavi, partecipava alle assemblee, aveva il diritto di portare armi e il valore del suo riscatto (werge/d) era ben più alto di quello del servo e dello schiavo (theow, thrttll, wealh ), anche se sei volte più basso del nobile di grado minore ( aingl. thegn, ingl. thane). La sua situazione peggiora gradualmente fino a designare, verso il sec. x, un colono in servizio sulle terre dei nobili49• Dalle fonti longobarde dei secc. VIII-IX proviene la figura del gasind(i)us, rango di livello inferiore noto anche in area franca, collegato al comando militare di truppe ausiliarie (o di confine), sul modello del dux tardo romano. La forma aat. gasin do!gi- (got. *gasinthUJa, aingl. gesitha , as. gisiò) è costruita su germ. *sintha "tempo; viaggio" - dunque in origine un membro del seguito50 - e designa un libero di rango superiore al guerriero (harimannus/ exercitalis homo )51. La posizione delgesith(a) nella società anglosassone si col47· Il sostantivo si ricollega al vb. "frijon- "amare" (goc.frijon , aingl .freogan , afr.friaia, aisl .frid) e ai derivati aingl.freond, aat.Jriunt, as.friund, aisi .Jr�ndi (''parente, amico"), ai quali fa riferimento il nome della dea nordica Frigg "la (dea) amata" ( < *Frijjo). 48. Il quale denotava quei liberi (detti anche heimthegar,griòmenn o lausamenn) addetti al servi­ zio (o alla scorta armata) di un piccolo proprietario terriero (bondi) o di un principe scandinavi. 49· Tre sembrano essere state le partizioni del rango di ceorl, benché in una misura poco distin­ guibile: il gen eat "compagno (del nobile"), piccolo notabile di campagna soggetto alla prestazione di servizi minori o al pagamento di una rendita, il kotsetla, non legato a una tassa ma prestatore di numerose servitù, e ilgebur, privo di appezzamenti e completamente al servizio del proprio signore locale, in cambio di protezione. so. Got. sintho "direzione", aat. sind "direzione, percorso", as., aingl., afr. sith "viaggio", aisl. sinn "circostanza, direzione". E al concetto stesso di seguito divino fa riferimento il kisindi nei versi del poema bavarese Muspilli (sec. IX). S I. Si tratta dell'appartenente al seguito di un nobile o comunque vicino alla cerchia del re (fide­ lis), idoneo ad assumere cariche come dux, comes, iudex egastaldus, che nel periodo pose-carolingio poteva slittare verso la piccola nobiltà soggetta a vassallaggio.

125

arimannus

karl

gasindus

l Germ a n i

antrustio

faramannus

loca tra il guerriero semplice (ceorl) e il nobile più inferiore del re (cyninges thegn )5\ riuscendo talvolta a eguagliarne il rango (cfr. Noròleoda laga, le disposizioni per l'area del Danelaw nel sec. X; cfr. in generale Hadley, 2000, pp. 42-93). Il medesimo concetto è espresso in leggi ed editti dei Franchi dalla for­ ma frc.-lat. trustis (t. dominica, t. regia), la compagnia di guerrieri fidati guidata dal * druhtinaz. Si tratta di un termine che ricompare nel derivato frc.-lat. antrustio "uomo del seguito", legato al principe o al re da un patto di fedeltà giurata, oltre che già presente negli appellativi Cantrusteihiae e Andrusteihiae delle iscrizioni sacre alle Matronae (cfr. oltre, cap. 8 ). È forse proprio la sfera lessicale di antrustio a lasciare intuire l'origine di trustis come una costruzione col suff. -st- da germ. *truwo- "fede, fiducia"53 (cfr. aat. trost/trust (masch.), "aiuto, sostegno", aisl. traust "id.", got. trausti "ac­ cordo, alleanza"). L' ipotesi non esclude del tutto che frc.-lat. trustis possa invece rappresentare un riadattamento fonetico romanzo in -st- del cluster germ. /-ht-1 nelle forme tedesche antiche (con e senza mutazione conso­ nantica alto tedesca) *truhtil*druhti54, così come pure la latinizzazione dell'omofono sost. femm. aat. trost "schiera, banda". Dall' iniziale apparte­ nenza generica a un seguito, gli antrustiones sembrano già aver acquisito la posizione rilevante di optimates al tempo dell'Edictum di Chilperico I (metà sec. V I ) , con un risarcimento molto più elevato degli uomini liberi in armi. L'appellativo affine Jaramannus proveniente dalle leggi burgunde si riferi­ sce a persone/guerrieri in movimento, al seguito di un gruppo organizzato55• Nella sua prima parte, il composto si collega direttamente all'area longobar­ da, nella quale lafara56, alla fine del sec. VIII (Historia Langobardorum 2.9 ) , è ormai percepita come un tessuto di alleanze politiche e familiari insediare in un territorio (cfr. i numerosi toponimi italiani con 'Fara' come primo ele­ mento), ipotesi che trova conferma sia nella Passione latina del burgundo san Sigismondo57, sia nella poesia biblica anglosassone, a proposito dell' intero popolo di Israele guidato fuori dall' Egitto da Mosè (se thas fare ltided « il quale condusse questafara » , Genesi 554 ) . 5 2.. Attestato per la prima volta nel codice di legge di Wihtra!d (§ 2.0, inizi sec. vm ) . 53· Cfr. i vbb. got.ga-trauan, aingl. truwian, aat. tru(w)en, aisl. trua "credere, aver fiducia". 54· Da germ. "druhtiz, attestato come in Pactus legis Salicae 13, cfr. franco druht, aingl. dryht, aisl. drott "schiera (di guerrieri), comitatus". 55· Cfr. la Chronica di Mario vescovo di Avenches (metà sec. VI ) , a proposito di Alboino e del suo seguito, che nel 5 6 8 [ ... ] in una fara con le donne e tutto il suo seguito occupò l' Italia » . 56. D a germ. "foran "spostarsi, viaggiare", attestato con molti derivati, dalla ricca radice ie. "PER­ /"POR-/"PIJ- (cfr. Mor, 1971; Murray, 1983, pp. 88-98; Beck, Pfìster, Wenskus, 1991 ) . 57· A proposito dei Burgundofarones, presunto antico nome dei contemporanei Burgundiones. «

12 6

6. 7. l semiliberi:

Società e strutture di potere

leti, l;eti, liti, lidi, lazzi

A partire dal sec. v, nelle antiche province della Germania inferior e supe­ rior, e forse in area danubiana, ma soprattutto in Gallia, la Notitia dignitatum (partibus occidentis ), alcune composizioni panegiristiche e il Codex teodosia­ no registrano insediamenti di coloni ai quali era stato concesso di stabilirsi su territori dell' Impero o comunque controllati da Roma. Si tratta dei cosiddet­ ti laeti (o gentiles) 5 8 , figure dallo status giuridico alquanto controverso, i quali, sotto il controllo di un praefectus laetorum, avevano ottenuto la facoltà di sfruttamento delle regioni occupate, impegnandosi al versamento di tributi e alla fornitura di ausiliari per l'esercito (Giinther, 1971 ) 59• L'appellativo leti e le forme collaterali60 identificano una classe intermedia di 'semiliberi ' in alcune realtà germaniche. Nei cantoni alamanni, il Pactus Alamannorum individua tra i liberi (ingenui) e i servi (servi) la classe dei liti (cfr. Lex Frisionum 1 1.2, 15.4, 20.3 ) , i quali nelle fonti franche compa­ iono come feti. Nella società sassone, forse la più rigidamente suddivisa in caste, lo storico franco Nithard (Historiarum 4.2 ) , è il primo a menziona­ re i tre (principali) ceti con altrettanti appellativi germanici: edhilingui, frilingi e lazzi61• Nel diritto anglosassone, !ttt si ritrova unicamente nelle Leggi di ./Ethelberht (§ 26 ) , mentre la legge dei Turingi, notevolmente in­ fluenzata dalla legislazione franca, individua soltanto le classi del nobile (adalingus), del libero e del liberto, senza alcun altro riferimento a semili­ beri, liti o servi. Nei codici giuridici di Franchi, Longobardi e Anglosassoni, i sost. aingl.freo , franco frio e 1gb. frea identificano la categoria del liberto, un semilibero che agisce sotto la tutela di un patrono61; la sua condizione nella società anglosassS. Cfr. era gli altri Laetus Francus, Laetus Alamannus, Laeti Batavi, Laeti Teutoniciani.

59· La prassi di reinsediamento di profughi, resti di tribù assoggettare o massacrare e gruppi vocacisi alla causa di Roma non è una novità (si pensi alle comunità del basso Reno reinsediate dal sec. I a ovest del fiume, Bacavi, Cugerni, Lingones, Nervi, Sugambri, Ubi ecc.); inaugurata da Cesare e Ottaviano, essa proseguì con Marco Aurelio e Commodo con i Quadi, i Marcomanni e i relativi alleaci. 6o. liti, liti, lazzi, afr. letar; goc.ftalets, bav.ftilaz, aingl.fteolita "liberco': che comprovano il colle­ gamento col verbo 'lasciare, liberare' (germ. "letan, cfr. ingl. to !et, ced. lassen ) . Il vocalismo in -i- di liti si deve con molta probabilità al riadaccamento romanzo nei prestiti di questo lemma, entrato in larino già prima del sec. IV. Le forme aisl. leysingi, lausingi "liberco" sono corradicali al vb. leysa "sciogliere, liberare; pagare" (goc. lausjan , aingl . liesan , as. losian, aac. losen ), a sua volta derivato dall'agg. germ. "lausa- "falso, privo di, sciolto", cfr. ingl. to loose, ced. losen. 61. Ai quali aggiunge, inequivocabilmente, [ .. . ] che in lingua latina valgono per nobili, liberi e servi» . La forma lazzi è un riadaccamento sulla corrispondente forma franca centro-meridionale, in luogo di un acceso .,..lati. 62.. Forme analoghe sono bav. ftilaz, frc.-lac. letus, litus, aingl.fteol4ta, goc. ftalets, aisl. ftjdlsgjaft, «

leysingi. 127

l Germ a n i

sane precede quella dello schiavo (theow, cfr. la disposizione 43 delle Leggi di Alfredo sui giorni di libertà) : egli tuttavia non poteva possedere terra e le Leggi di !ne 3.2. ( 688-695) ne condannavano il lavoro domenicale per un

aldius

signore con la perdita stessa della libertà. Nelle leggi longobarde, il termine si incontra solo al femminile (/rea) per una giovane non sposata, sempre ine­ quivocabilmente legata a una condizione semiservilé3• In alternativa, i Longobardi impiegano la forma (h)aldiusl(h)aldio, (h)aldia rappresentante di una classe considerata dipendente e solo in parte libera64, diversamente dal ful(c)free (aingl. Jolc.freo), l'uomo pienamente libero e af­ francato. Aldius potrebbe tuttavia anche rendere l'equivalente di as. *e/di( os) e aingl. elde!ylde, che nei rispettivi canoni poetici, in contesti marginali, val­ gono genericamente per "uomo"65• Pur in presenza di una propria personalità giuridica66, il rango servile di questi liberti conosceva tuttavia dei limiti, co­ me p.es. la dipendenza da un tutore, analoga al mundio di donne e bambini. Tal une legislazioni riconoscono loro il diritto di 'comprare' una moglie (ver­ sando una cifra ai parenti di lei), ma non la potestà sul mundio della medesi­ ma, che restava di pertinenza della famiglia di origine della sposa. 8. Gli schiavi

Non è possibile stabilire con certezza la diffusione della schiavitù nel mondo germanico e anche nei casi più evidenti, quando non era remunerativo ven­ derli ai mercanti romani, Tacito informa ( G 2.5) che agli uomini 'asserviti ' si chiedeva di fornire beni e servizi al pari dei coloni. Le leggi germaniche non prevedevano l'esistenza di un risarcimento (w erge/d) per i danni a uno schiavo, salvo nei casi di ferimento o uccisione di schiavi altrui, per i quali l'ammenda versata era la compensazione per un danno patrimoniale al pro­ prietario e non per un vero omicidio, giacché lo schiavo, diversamente da un li berta affrancato, non aveva per defìnizione personalita giuridica (cfr. cap. 63. Una glossa del Codex Cavensis 66 esprime in modo indiscutibile la dipendenza: Frea. Id. puel­ la qui in alterius mundium est. 64. Nell'Editto di Rotari (c. 2.35) nessun a/dio può vendere terre o schiavi senza il consenso del patrono, al quale, stupisce, spetterebbe anche il wergeld relativo a eventuali risarcimenti per danni al suo liberto. Questo, tuttavia, ha il diritto di sposare una donna libera (j'ulcfrea). 6s. Nei testi longobardi si distingue però tra una liberta (personalmente dichiarata 'libera') e una a/dia (libera per discendenza familiare, figlia di liberti). 66. Nel Pactus legis Salicae (tit. 117. 1) il loro wergeld è associabile a quello del puer regis o del libertus, vale a dire la metà di un libero (100 solidi); ma altrove, come anche nel diritto sassone e frisone, le sue peculiarità sono assai più sfumate, sia verso la piena autonomia, sia all'opposto verso la maggiore soggezione a un patrono. Con molta chiarezza le fonti alamanne lo considerano in tutto un libertus, condizione che nel diritto dei Franchi Sali, invece, può anche rappresentare un 'romano', un artigiano, un liberto di seconda generazione.

12 8

6.

Società e strutture di potere

14). Nei casi dubbi di reato, per scagionarsi egli poteva essere affidato all'or­ dalia (cfr. cap. 14), ma non poteva comparire in tribunale come indagato o anche solo come teste, eventualità che generava imbarazzi nei casi in cui egli fosse il solo testimone di un reato. Non poteva inoltre contrarre un debito né stipulare contratti, e anche nel caso di matrimonio santificato dalla Chie­ sa non poteva unirsi con una donna di rango superiore, salvo subire pesanti ripercussioni. Nel caso di affrancamento, infine, contava l'identità etnica del padrone che lo aveva reso libero (benché sotto certi punti di vista a lui an­ cora dipendente): l'ex schiavo, ora di condizione semi-servile, era in qualche modo oggetto di un'adozione da parte della comunità nella quale viveva, che gli rendeva uno status identitaria etnico e giuridico. Tra i vari appellativi col­ legati alla condizione servile, vi sono: got. thius (masch.), thiwi (femm.) ( < germ. *the(g)wa-1 *the(g)wjo- ), cfr. aat. theo/deo (masch.) e thiu!diu(wa) (femm.), aingl. theo(w-a) (masch.)/ thewu (e il derivato theowen) (femm.), as. theo- (masch.) lthiu(wi) (femm.), aisl. -thér (suffisso composizionale e il derivato thjonn) ( masch.) l thj ( femm.), run . .,ewaz ( iscriz. di Valsfjord) (masch.)/.,iujoz (iscriz. di Tune) (femm.); • e, derivati dal prestito celtico *amb(i)-aktos, cfr. gallo-lat. ambactus "ser­ vo", mcimr. amaeth "servus arans", cfr. got. andbahts "servo" ( < germ. *anò(a) bahtaz), aingl. ambeht, aat. ambaht (cfr. ted. Amt, Beamter), as. ambahteo/ ambahtman, aisl. ambdtt "serva, concubina" ( < germ. *ambahto), che conti­ nuano come prestiti nelle lingue romanze (ambassade, ambasciata ecc.). •

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7 L'èra vichinga fs acher in gaith in-nocht fufuasnafairggtefindjolt; nf dgor réimm mora minn dond ldechraid lainn ua Lothlind' Codex Sangallensis 904, f. I I 2

La cosiddetta 'èra vichinga' (fine sec. VIII-fine sec. XI) è uno di quegli argo­ menti che, pur molto trattati, restano fonti costanti di insidie. Al primo impat­ to è facile restare invischiati nella congerie di luoghi comuni suscitati dal ce­ lebre poemetto in epigrafe, composto da un monaco irlandese sul margine di un codice contenente una copia delle Institutiones grammaticae di Prisciano. Un po' come accade per Attila, si ha quasi l' impressione che il giudizio generale sia limitato a una descrizione superficiale e un po' riduttiva: questo è almeno ciò che risulta da vari testi di storia medioevale, dal successo riscosso da pubblicazioni periodiche di tono pseudo-scientifico o ancora dai gustosi fumetti di Asterix e Hagar il Vichingo, con gli immancabili (e del tutto fasulli) elmi con le corna, l'ascia e lo scudo rotondo. La tarda conversione al Cristianesimo e di conseguenza alla civiltà della scrittura e la violenza degli attacchi con i quali i Northmanni, "gli uomini del Nord" (Ascomanni, Vareghi, Variaghi, al-Majus - per gli Arabi) o più comunemente vichinghi imposero il proprio controllo in molte regioni europee\ fecero di loro i nuovi campioni della barbarie, feroci epigoni delle culture germaniche delle origini. A partire dai loro esordi storiografici, con la cronaca del saccheggio al mo­ nastero anglosassone di Lindisfarne (8 giugno 793)\ fino a tutto il sec. XI, gli artefici di intense attività commerciali e di pirateria registrati nell' Europa centro-settentrionale vengono genericamente associati con il mondo vichin­ go, sinonimo di terrore e arretratezza. In tal modo, si finisce inevitabilmente per tralasciarne i meriti artistici, poetici, commerciali e perfino di difesa della cristianità bizantina, ignorando spesso il contributo alla storia del Vecchio 1. « È aspro il vento stanotte, sconvolge la cresta bianca dell'oceano, non temo la traversata del mare da parte degli avidi guerrieri di Norvegia». 2. Normandia, Inghilterra, Groenlandia e Russia, che porta ancora il loro nome (cfr. oltre). 3· «In quest'anno terribili segnali si sono manifestati sulla terra di Northumbria, assai spaventosi per la gente; immensi lampi scossero la volta celeste e trombe d'aria e di fuoco e draghi volanti attraversavano il cielo. A questi segni seguì la carestia e dopo non molto, a sei giorni dalle idi di gennaio, le incursioni devastanti dei pagani causarono un danno irreparabile, per razzie e massacri, alla chiesa del Signore nell'Isola Santa » (Cronaca Anglosassone, anno 793).

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Luoghi co muni

l Germani

FIGURA 1

Petroglifi d i imbarcazioni della provincia svedese del BohusUin

Fonte: home.on line.no/-joedavl/vi king/helleristn i nger.htm.

Età del Bronzo

Continente, a quella delle lingue e delle letterature germaniche e della cultu­ ra istituzionale europea, che ancora oggi dà lustro a quel laboratorio di avan­ zata civiltà che sono i paesi scandinavi. Verso la fine dell'età del Bronzo (sec. IV a.n.e.), la Scandinavia meridionale manifestava l'adesione a nuove tecniche di sfruttamento del suolo, oltre ad attestare il commercio dell'ambra, in scala ridotta, e la conservazione di an­ tiche pratiche rituali. Da questo periodo provengono i luri, le caratteristiche trombe rituali di grandi dimensioni e i copiosi graffiti rupestri4, i quali, oltre a possibili figure (semi-)divine, effigiano animali, slitte, e anche imbarcazioni di generi diversi (cfr. fig. 1), dalle forme molto simili alla barca judandese di Hjortspring, affondata ritualmente (secc. IV-I I I a.n.e.) carica d'armi di fat­ tura celtica e rinvenuta nel 1921. Proprio i contorni stilizzati di un'imbarca­ zione sono suscitati in tipiche tombe monumentali circondate da blocchi di pietra, ancora oggi facilmente visibili in tutta la Scandinavia. 4 · A Sjo:elland e Bornholm, in Danimarca; in Bohuslan, Smaland, Uppland, O land e O stergot­ land, in Svezia; in Ostfold, Rogaland, Tmndelag e Vestfold, in Norvegia.

132

1.

L'èra vichi nga

I resti funerari antecedenti all'età del Ferro romano (secc. I-v) , segnati dalla nascita di sepolture comuni, non sembrano avallare l 'esibizione di un rango, quanto piuttosto una continuità ideologica basata su offerte votive comunitarie. Eppure, per Hedeager (2oo8), nella società scandinava meridionale pre-romana, la comparsa di grandi fattorie e di nuove tipologie funerarie lascia intuire la nascita di una élite locale fruitrice di pregevoli manufatti artigianali di influsso celtico, allora ormai in fase di declino. La riorganizzazione di strutture sociali e lo sviluppo di una élite germanica continentale, in grado di rispondere in misura più adeguata alle pressioni romane, funse probabilmente da spinta all'espansione di nuovi modelli economici, di stili, ideologie e classi dirigenti anche in Scandinavia5• Decisamente scarse sono le notizie che provengono dalle fonti classiche sui popoli del Nord: la distanza dai centri d' interesse strategico di Roma ne è certo una causa, quantunque dalle indagini archeologiche risulti una certa vitalità sociale e commerciale. Il primo commentatore fu probabilmente, nel sec. IV a.n.e., il già ricordato Pytheas di Marsiglia (cfr. sopra, cap. 4), astronomo e geografo greco, al quale si deve la descrizione di una mai identificata isola di Thylé6, circondata a nord da un mare gelido quasi gelatinoso, abitata da agricoltori e connotata d'estate dal fenomeno del 'sole di mezzanotte '. Trasmessa in toponimi come < Scatinauia > , < Scadinauia > o < Scandia > (Svennung, 1963; Reichert, 2oo6; Wagner 1994-95), la Scandinavia era ritenuta un'isola nel vasto Golfo Codano (Mar Baltico), nel quale si estendeva anche la Penisola cimbrica (lo Judand), terra di Cimbri e altri raggruppamenti eterogenei, che Plinio (NH 4.96,4-6) considera abitata dagli Hilleviones. Lo stesso Tacito ( G 44) si era soffermato sui Suiones (forse i Suehans di Jordanes, Getica 21, solitamente collegati agli Svedesi del Nord)7 e sui Sithones ( G 45), presunto popolo guidato da una donna, secondo un leggendario topos riconducibile al mito delle Amazzoni e del loro regno, che Adamo di Brema (sec. XI ) colloca ancora sul Baltico. Di quattro "isole Scandie" pars. A partire dall'età del Ferro romano, nello Judand e nella Svezia centro-meridionale si produs­ sero variazioni nella tipologia funeraria, in concomitanza con la cessazione delle offerte votive comuni. La novità consisteva in oggetti lussuosi di importazione romana deposti nelle tombe di guerrieri (come nel periodo precedente), ma anche in sepolture maschili e femminili prive di qual­ siasi richiamo alle armi e distinte da gruppi di tombe più semplici, una circostanza che induce a confermare, anche per la Scandinavia del sec. II, l'evoluzione sociale fotografata da Tacito sul Continente. 6. Situata probabilmente davanti alle coste norvegesi, tra Trondheim e il Nordland, Thylé è citata in Polibio, Strabone, Pomponio Mela, Plinio e Seneca. Eratostene la prese in considerazione per il calcolo del circolo artico, mentre Tolomeo la identificò con le isole Shedand. Collegata al mito greco degli Iperborei, è citata da Virgilio (Georgiche 1.30: tibi serviat ultima Thule), col quale egli augurava a Ottaviano di incrementare le conquiste romane fino alla lontana e favolosa isola. 7· Sviar/ Svear nelle fonti nordiche antiche vs. i Gautar/ G�tar, aingl. Geatas del Centro-sud. 133

Età del Ferro romano

Fonti classiche

l Germani

l Dani

la Tolomeo (2.11-16 ) , la più grande delle quali (verosimilmente la regione della Scania) sarebbe localizzata di fronte alla foce della Vistola. A nord dei Sassoni, nella penisola judandese, egli enumera infine alcuni popoli (Sigulo­ nes, Sabalingi, Kobandi, Chali, Funusi, Charudes), dei quali nient 'altro è noto. Sulla scorta delle testimonianze di Tolomeo, Jordanes ( Getica 3 . 16) menzio­ na < Scandia > / , mentre due fonti longobarde (la Historia Langobardorum e il Chronicum Gothanum) attestano < Scadanan > e < Scate­ nauga > , già richiamate dall'anonima Origo Langobardorum (sec. VIII) 8 • Fino al sec. VI, soltanto l'archeologia fornisce indicazioni sulle società nor­ diche antiche, sulla conflittualità tra piccole signorie e centri di potere dane­ si, svedesi meridionali e norvegesi orientali e sui numerosi sacrifici umani9, conservati grazie al favorevole ambiente anaerobico di antichi stagni dive­ nuti torbiere. Il sec. VI coincide con la prima menzione dei Dani: nell'avvalorare il topos di origine scandinavo di una moltitudine di genti,Jordanes ( Getica 22 ) ne ricor­ da la matrice comune coi Suetidi (Svedesi, forse erroneamente già descritti con l'etnonimo di Suehans) e la stretta relazione con gli Eruli ( Getica 3.23, cfr. anche Procopio, De Bello Gothico 6.14-15 ) . Ancora nel sec. VI, Gregorio di Tours (Hist. 3.3) registra le incursioni in territorio franco del presunto 're ' dei Dani Ch(l)ochilaicus (il personaggio di Hygelac nel poema Beo wulj), anche se il tardo processo di colonizzazione scandinava del resto della Danimarca (Jutland e isola di Fyn) nei secc. IV-V, favorito delle migrazioni dei popoli costieri verso la Britannia, suggerisce forse un'origine frisone di questo per­ sonaggio e del suo seguito.

1. Oro e argento ro mani

Leadership e potere in Scandinavia

Dall 'abbondanza di beni di prestigio romani in Scandinavia si intuisce un diffuso senso di identificazione col mondo mediterraneo o comunque l'affermazione di uno status symbol attraverso l'esibizione e lo scambio di merci straniere. Dalla fine del sec. n si registra un aumento significativo dell ' importazione di argento e oro ; al grande afflusso di monete d 'argen­ to, agevolato dall' inflazione e dalla svalutazione seguita alla crisi econo­ mica della Tarda Antichità, si aggiungeva il transito di cospicue quantità di armi di fattura tardo -romana, sia attraverso i canali del contrabbando, sia forse per il frequente impiego di forza-lavoro militare reclutata in aree

8. Il toponimo potrebbe derivare dal germ. "Skaòinaujo, citato più tardi come Scedenig in Beowulf e Sconeg nella traduzione anglosassone di Orosio, accanto all'aisl. Skdney, ada. Skani, run. sv. é} ské}nu, forme che alludono all'attuale regione svedese meridionale di Scania/Sk:ine. 9· Nelle località di Tollund, Grauballe, Windeby, Borremose, Yde ecc.

134

1.

L'èra vichi nga

limitrofe10• La crescente disponibilità aurea fino al sec. VI fu il fattore de­ terminante per la produzione su larga scala di bratteati (o bratteate )11 spesso incisi con rune (cfr. oltre, cap. 10 ) . Se l'archeologia rivela l 'espansione di prodotti di lusso (oggetti e coppe in oro, manufatti in vetro, gioielli) nelle sepolture 'principesche ' delle isole da­ nesi nei secc. III-IV (cfr. Kristiansen, 2oo8), restano ancora incerti i mecca­ nismi locali che ne hanno determinato l 'esigenza; in altre parole, la grande limitazione di centri di potere definiti per la gestione pianificata delle risorse rende ancora molto difficile riconoscere una corrispondenza tra deposizioni funerarie e sviluppo di centri permanenti di controllo e redistribuzione dei prodotti agricoli e commercialill. Con l'età del Ferro germanica (secc. V-VIII ) tende a mutare anche la prove­ nienza dei manufatti di prestigio, originati adesso in misura maggiore da un artigianato locale o limitrofo, un segnale non secondario che non ha ricevuto a tutt'oggi risposte condivise. Resta dunque irrisolto se il declino dell'influsso romano, il fenomeno unnico e la costituzione di potentati romano-germanici abbiano semplicemente segnato l 'interruzione dei contatti politici e com­ merciali col Nord Europa o se la crisi dei secc. v e VI abbia innescato in Scan­ dinavia la decadenza di ideologie (anche religiose) su cui si fondavano le an­ tiche signorie locali e la creazione di alleanze più allargate (Hedeager, 2oos). Non va dimenticato, come si accennava, che l'improvviso declino di si ti ci­ miteriali e cultuali dell'area judandese - tagliata fuori dai flussi commerciali per l'arrivo degli Unni, a vantaggio della regione svedese -, è collegabile al­ lo spostamento di considerevoli porzioni tribali verso la ex Britannia celta­ romana. Ciò aveva prodotto un ricollocamento di gruppi provenienti dalle isole danesi, da Svezia e Norvegia, attraverso nuove forme di aggregazione

10. Tra le principali testimonianze di questo periodo si ricordano i due siti sacrificali judandesi di Ejsb0l Mose e Nydam, dalle cui paludi emersero due imbarcazioni dei secc. III- IV, di ca. 20 m, cariche di armi e oggetti bellici e in grado di rifornire un piccolo esercito organizzato, con tanto di ufficiali a cavallo, probabilmente una forza di assalto sconfitta dai locali. L'intero equipaggiamen­ to di Ejsb0l era stato ritualmente deformato e reso inutilizzabile. 1 1. Riproduzioni dei secc. V-VII di monete romane con effigi imperiali, riadattate secondo ide­ ologia e stili ornamentali locali e probabilmente utilizzate (come si evince talvolta da certe brevi formule incise) in funzione di amuleti indossati al collo. 12. Tra questi, nel sec. v vi è Eketorpsborg (sull'isola svedese di O land) e, tra i secc. VI e IX, l'iso­ letta di Helgo (sul lago Malaren), fonte straordinaria di solidi romani e bizantini, ricchi oggetti in vetro franchi, fibule germaniche orientali, un attingitoio bronzeo egizio, una statuetta indiana del Buddha del sec. VII e un prezioso pastorale irlandese del sec. IX. A questi vanno inoltre aggiunti i ricchi siti upplandesi di Vendei e Valgarde (sec. VII, dalle forti analogie con la celebre sepoltura 'a nave' di Sutton Ho o, Suffolk) e ancora il po tentato judandese che fu in grado di realizzare, agli inizi del sec. VIII, un articolato sistema difensivo di contrafforti e fossati ( Olmerdige e Danevirke).

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N u ovi nuclei d i potere

Età del Ferro german ica

N u ove rotte commerciali

l Germani

Esigenze delle leaders h i p

politica delle quali il poema anglosassone Beowulfpuò in parte costituire un prezioso documento. Non sarebbe tuttavia corretto ricostruire una situazione di completo isolamen­ to, giacché la creazione della potenza franca dal sec. VII in avanti contribuì al mantenimento di una rete di alleanze integrate da politiche diplomatiche matri­ moniali e religiose, basate su ricchi donativi indirizzati verso le nuove classi diri­ genti che esercitavano il presidio su empori e piccoli centri mercantili marittimi. La struttura patriarcale-clientelare di queste società richiedeva infatti il fre­ quente rinnovo di vincoli di amicizia e di obblighi sociali, con il consueto scambio di generi di lusso o altre forme di beneficio materiale tali da impli­ care il controllo di risorse agricole e uno sfruttamento adeguato dei terreni attraverso un'efficiente struttura gerarchica.

2.

L a pirateria nel Mare del Nord

L'èra vichi nga

Una risposta a questa evoluzione dei rapporti economici interni può essere individuata nella crescente attività marittima (commerciale e piratesca) in­ trapresa da gruppi locali a partire dal sec. VIII, in competizione con le po­ tenze marittime sasso ne e frisone13, due minacce allora in corso di parziale ridimensionamento da parte dei Franchi. Le incursioni per mare, dirette contro porti e centri di smistamento mercan­ tile, non erano una peculiarità dei pirati nordici. Già in epoca romana, esi­ steva un servizio imperiale di polizia marittima sulle due coste della Manica, abbinato alla creazione di un sistema integrato di fortificazioni, dall'eloquen­ te appellativo di litus Saxonicum (cfr. cap. s ). Bande di Sasso n i (e di Frisoni) tormentavano di frequente le coste britanniche e soprattutto galliche (dove sono registrati insediamenti di comunità sassoni) ed è pertanto una forzatura delle fonti l'immagine esclusiva di assalti vichinghi per mare verso inermi co­ munità di monaci o contadini. Quello che differenzia il fenomeno vichingo è il carattere eterogeneo della spedizione (commerciale, piratesca, di merce­ nariato), accanto al quale iniziarono a manifestarsi progressivamente forme politiche di insediamento ad ampio raggio, nella cui analisi su larga scala si tende ormai da tempo a utilizzare il termine 'diaspora'. La diaspora vichinga fu un fenomeno articolato e difficilmente riconducibile a un unico obiettivo, come si rileva nelle saghe islandesi, ma di certo fu sempre condizionato da esigenze logistiche e dali' acquisizione di risorse materiali (cfr. Sawyer, I 9 8 7). I sost. aisl. viking (femm.) e vikingr (masch.) indicano rispettivamente "attivi­ tà (commerciale, piratesca, militare) collegata alla navigazione" e "uomo im­ barcato, commerciante, pirata, guerriero" ( aingl. wicing "pirata") e la relativa etimologia è oggetto di controversie mai completamente sopite. 13. Cfr. l'episodio della Battaglia diFinnsburh nel poema Beowulf(vv. 1o68-1159).

1.

L'èra vichi nga

Origine del termine 'vichingo'

I l più freq uente ricorso al sost. fem m . vik "baia", per spi ega re come i vichinghi fossero co­ loro che navigavano da un'in senatura all'altra o che a b i tavano le baie, se si d i mostrava idoneo per il sostantivo masch i le, risu ltava tuttavia meno calza nte a proposito di viking, la spedizione. Tra le i potesi a lternative vi era il nome della regione del Vfk ( nella q u a le si trova anche Oslo), i l vb. vik( v) a "ritira rsi, devia re" ( l'atto dei predatori dopo l'acq u i sizione del botti no) o u n sost. fem m . vik "virata, deviazione" (de rivato dal vb. vik(J1 a "(re)cedere, abbandonare; muoversi, virare", che ha però un voca lismo breve). L'i potesi di un prestito da ai ngl. wicing, a sua volta dal vb. wician "acca m parsi, i n sediarsi (provvi sori ame nte)", si basa sul sost. ne utro wic, suffisso i n vari topo n i m i i n glesi ( H a mwich, Dunwich) e risalente a l lat. vicus: a parte i d u b b i su un'eve ntuale breve sosta costi era dei predoni, il sost. ai ngl. wic identi fica casomai proprio l'opposto: un i n sediamento sta b i le. Su lla base dell'es pressione a i s l. vika sjavar "un turno di ma re", che indica la d i sta nza o i l tratto coperto tra due turni ai re mi, Daggfeldt (1983) avanza una proposta i n teressa nte i n cen trata s u l sost. fem m . vika (o, meglio, sul vb. vik(J1a), così che vikingr è colui che si a lterna a lla d u ra attività del re mo1• I n ta l c a s o se ne deduce che l'associazione d e i due sosta ntivi i n esa me c o i popoli scandinavi sia u n fatto successivo e secondario forse i n trodotto da fo nti anglosassoni e franche, iden­ tificabili con a ree che s u b i rono maggiormente gli effetti i m m ediati dell'espansione vich i n ga. 1. Questo indurrebbe a concludere con molta probabi lità che il sostantivo sia nato ancor prima dell'uso della vela e dello stesso fenomeno vichingo. Nell'intento di sottolineare l'antich ità d i vlkingr, Daggfeldt ne indivi­ dua l'uso nel poema ai ngl. Widsith (v. 48, wicinga cynn "la stirpe dei vichinghi" e v. 59, mid wicingum "tra i vichinghi"), ma non in Exodus (v. 333, stEwicingas "pirati") né nell'onomastica alto tedesca, senza però dar conto dell'i ncertezza relativa a una datazione di Widsith diversa da quella del codice che lo trasmette (sec. x).

Il sec. VIII scandisce la rivoluzione tecnologica che favorì l'espansione su lar­ ga scala del fenomeno vichingo : questa comprendeva l' innalzamento della prua e della poppa (per non imbarcare acqua), il rafforzamento di una chi­ glia centrale monoblocco (per conferire elasticità in caso di onde violente), e soprattutto l'impiego estensivo della vela. Nessuna delle imbarcazioni rin­ venute fino a quell'epoca rivelava una capacità di navigazione in alto mare : le chiglie erano piatte e lo scafo aveva una struttura semplice, priva di fasciame sovrapposto, inadeguata a sopportare le onde e idonea solo per la navigazione costiera o interna. Non vi è inoltre alcun relitto anteriore al 700 che mostri traccia di velatura, né in Tacito - a proposito delle imbarcazioni dei Suio­ nes ( G 44)14 - né negli antichi disegni rupestri di barche. L'uso della vela comportava poi conoscenze di artigianato tessile per la preparazione di vele resistenti e di carpenteria navale per l'inserimento dell'albero nello scafo, ol­ tre a richiedere perizia nautica soprattutto nella navigazione controvento, il bordeggio, la vera grande scoperta vichinga.

14. «La forma delle loro imbarcazioni differisce dalle altre, poiché la prua offre sempre una fron­ te all'approdo. Non governano con le vele, né dispongono i remi in fila sui fianchi; i remi sono mobili, come talvolta nella navigazione fluviale così che sia possibile remare ora da una parte ora dall'altra, secondo necessità ».

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Acquisizioni tec nologiche

l Germ a n i

Pian ificazione dei raid

Forme pri m i tive di 'globalizzazione' commercia le

Contrariamente alle interpretazioni climatiche o a bizzarre teorie sulla so­ vrappopolazione e alla visione romantica della ferocia, del valore e del co­ raggio per mare e in battaglia dei popoli scandinavi, le aree divenute centro di interesse vichingo - per le incursioni e i commerci, prima, e per gli in­ sediamenti, poi - furono quasi sempre il risultato di scelte accuratamente ponderate, sia per cognizioni geografiche, sia per la conoscenza di regimi e istituzioni politiche ed economiche. Gli obiettivi erano centri di produzione agricola e allevamento (Normandia, Isole britanniche) o comunque zone a contatto con intensi flussi commerciali (Isole britanniche, Russia), dai quali la Scandinavia era stata tagliata fuori da alcuni secoli. La fondamentale motivazione economica di una spedizione si rivela negli alti costi di allestimento e di trasporto marittimo o fluviale, per i quali solo soggetti benestanti erano in grado di partecipare in forma diretta; fu l' aristo­ crazia scandinava a guidare lo sfruttamento dei mercati costieri del Mare del Nord e del Baltico, attraverso l'imposizione del proprio controllo sui traffi­ ci marittimi. Soltanto i nobili potevano permettersi navi ben equipaggiate, con viveri e armi per i partecipanti all' impresa, il proprio seguito personale. Agli altri (piccoli commercianti, artigiani e contadini) restava la possibilità di consociarsi in quell' istituzione che prende il nome difélag5, fusione di sinergie e risorse per un'impresa commerciale : la comproprietà di un battel­ lo, la compartecipazione alle spese di manutenzione e di messa in opera, la condivisione dei guadagni (e delle perdite) risultano ancora espresse in varie iscrizioni runiche del periodo vichingo16• Si trattò di qualcosa di molto simile a un monopolio commerciale esercitato sugli empori dell'Europa settentrio­ nale fioriti dalla metà del sec. VII, epoca risultante dalle analisi dendrocrono­ logiche condotte sulle banchine di legno di porti come Dorestad, Hamwich o Staraya Ladoga17• Dalle incursioni e dal traffico di prodotti locali, l'iniziativa vichinga si reindi­ rizzò verso il commercio su larga scala e fortemente concorrenziale di schiavi e di merci prodotte da altri; fu una vera e propria attività di intermediazione verso basi e mercati 'amici ', estremamente redditizia dal punto di vista sia 15. Composto di aisl.fl ("ricchezza" < germ. *Jehu-, cfr. lat. pecus, pecunia) e del vb. aisl. leggja "mettere, porre': Da questo composto deriva il prestito aingl.feolaga, dal quale discende ingl.fellow. Félagi è il socio, colui col quale si stipula unfllag. 16. Cfr., tra le altre, DR-1 (Hedeby, Judand, fìne sec. x): «Thorulf compagno di Sveinn, eresse questa pietra in memoria di Eirik, suo socio, che morì quando i drengjar assediarono Hedeby; fu comandante e drengr molto valoroso » ; DR-2.79 (Sjorup, Scania, fìne sec. x): «Egli non fuggì a Uppsala, ma continuò a uccidere finché ebbe un'arma tra le mani» ; X UaFv1914;47 (Berezanj, Ucraina, alla foce del Dnjepr nel Mar Nero): «Grani realizzò questo arco (/tomba) in memoria del suo socio Karl » . 17. Quest'ultimo (nell'attuale Russia) era i l principale centro baltico d i smercio dei vichinghi sve­ desi, i cosiddetti rus' !rhos o vareghi/variaghi.

1.

L'èra vichi nga

economico sia politico, grazie anche alla trasformazione della tecnologia na­ vale e a possenti navi da carico, che poco avevano in comune con le temibili navi da guerra vichinghe dell'immaginario medioevale. Quella che si delinea, dunque, è una situazione nella quale le esigenze di un controllo più stabile dei centri di raccolta e smercio resero necessaria la presenza in loco di rappresentanti degli investitori con le proprie scorte armate e in questo processo espansivo fu determinante il ruolo giocato dal­ le aristocrazie e dalle clientele a esse legate (Heather, 2009, pp. SII-3). Le ricchezze prodotte da queste attività scatenarono forti competizioni nelle nuove terre, ma anche in madrepatria divennero ordigni insidiosi nella lotta politica, dimostrando come il nuovo benessere fosse causa di instabilità e di trasformazione. L'afflusso di ricchezza alimentava sempre più gli squilibri nello scacchiere interno e l'aumento di pretendenti accreditati al dominio politico. Pertanto, la ricerca di opportunità di sviluppo anche distanti cominciò a es­ sere considerata allettante, generando il paradosso dell'allontanamento di flussi umani sempre maggiori dalle aree verso le quali stavano convergendo ampie quote di beni, cioè proprio verso quei territori ancora floridi di risorse da conquistare. Ciò non significa rinnegare la tradizionale visione che origina la diaspora vichinga dalle accese convulsioni politiche coeve, in grado di suscitare dissa­ pori, faide ed esili forzati; ma è altresì vero che l'unificazione della Norvegia (dimostrabile solo per le regioni costiere) da parte di Haraldr Chiomabella (o il Chiaro, t 9 33) 1 8 non può bastare da sola a spiegare la diaspora che si concluse con la colonizzazione dell' Islanda, salvo chiamare in causa fatto­ ri politici ed economici determinanti19• Ancora nel sec. IX, durante le pri­ me missioni evangelizzatrici, la Svezia si dibatteva in guerre interne tra i vari reguli regionali, che non furono placate neanche dal potente Horik il Vecchio, signore dell'emporio di Birka sul lago Malaren, la cui dinastia non ebbe continuità. Similmente, anche in Danimarca, il clan reale dello Judand meridionale, autore di imponenti fortificazioni territoriali nel sec. VIII, non resistette alla pressione militare ed economica del regno franco e i successori, come già accaduto in Norvegia, caddero uccisi tra faide inter­ ne ed esterne. La prima figura 'regale ' scandinava connotata da un profilo territoriale e istituzionale minimamente distinto si ha soltanto a partire dal danese Haraldr Gormsson Dente blu (t 985), a quasi due secoli dalla visita del missionario anglosassone Willibrord al regulus danese Ongendus (cfr. Vita Willibrordi 9 ) .

18. Probabilmente per distinguerlo dal padre, Halfdan il Nero o lo Scuro. 19. Come l'espropriazione della terra, dei relativi diritti e delle autonomie alle antiche comunità familiari e territoriali.

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Controllo delle risorse

Di rettrici centrifughe

Le ragioni della dia spora

l Germani

3. Fenomeni di espansionismo O pacità identita ria

Raid in I n ghi lterra

Il processo espansionistico segnato dall'èra vichinga viene talvolta ancora eti­ chettato in termini di flussi nazionali, secondo un paradigma ottocentesco oggi non più accettabile. In assenza di un concetto coevo di stato nazionale e della relativa ideologia fondante, non è possibile concedere identità precise ai partecipanti ai traffici e alle incursioni, attività che, tra i secc. VIII e XI, si indirizzarono a ovest come a est, parafrasando le parole della pietra runica upplandese di Ubby (U 504 ) , nella quale Ketil(fastr) commemorava le gesta del padre, affidandone l'anima al Dio cristiano:l0• Le prime fasi degli spostamenti, registrati nella letteratura cronachistica, qua­ si sempre redatta in latino, indicano l' Inghilterra dal carattere ancora poco organico e il regno dei Franchi come i primi obiettivi di incursioni (dal ca­ rattere inizialmente meno organico) indirizzate verso insediamenti costieri e centri commerciali. Nonostante l'eco di azioni clamorose come l'assedio di Londra, il saccheggio di Parigi o la distruzione di Amburgo, la più celebre impresa passata alla sto­ ria resta forse il raid alla già citata abbazia di Lindisfarne sulla costa orientale della Northumbria ( 793 ) , anche se fin dal 789 sono noti attacchi verso aree più meridionali (p.es. a Portland e Dorchester, nel Dorset), che indussero il re di Mercia Offa a intraprendere misure per rafforzare il sistema difensivo costiero ( 792 ) . A cavallo del sec. IX fu interessata anche la costa occidentale scozzese, con ripetuti raid verso le isole Ebridi, in particolare verso l'importante centro monastico celtico sull'isola di lana ( 795, 802, 8o6 ) , fondato nel 563 da san Colombano. Le isole settentrionali e occidentali e tutta la regione del Caithness:ll caddero sotto il dominio diretto dell'aristocrazia norvegese\ fi­ no a formare, soprattutto nelle Orcadi, un centro politico e culturale di rilie­ vo. Prima ancora che sul continente, l'allargamento della presenza vichinga tocca in questa fase:

a) l' Irlanda, sulle cui coste, dall' 82o ca., si registrarono insediamenti sem­ pre più stabili, con la fondazione di porti commerciali e signorie ( Cork, Li­ merick, Wexford, Waterford, Dublino), attraverso i quali il potere vichingo sull' isola si protrasse fino a ca. il 1014; 2.0. «Ketil(fastr) eresse questo tumulo in memoria di suo padre .Asgautr, che fu a ovest e a est. Dio aiuti la sua anima » ; analogamente, nell'iscrizione del cimitero di Dalum (Vg 197), alcuni fratelli commemorano altri due di loro, dei quali si dice che « uno morì a ovest e l'altro a est » . 2. 1 . I l cui eloquente nome gaelico, Gallaibh, significa "(tra) gli stranieri" (cioè i Norvegesi). 2.2.. Sulle isole Shedand (Hjaldand) e Orcadi (Orkney), che ancora portano un nome scandinavo, si è conservato un dialetto d'impronta nordica (il Norn) fino al sec. XVI II.

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L'èra vichi nga

b) il Galles (dalla metà del sec. IX ) , che non conobbe un'accanita contrap­ posizione e che anzi, salvo alcune fondazioni marittime (p.es. Swansea < Sveins ey "l' isola di Sveinn"), registrò invece alleanze anti-anglosassoni; c) la Cornovaglia, che fin quasi alla metà del sec. I X approfittò dei contrasti tra vichinghi e regni sassoni per mantenere una propria autonomia. A partire dall' 820, per oltre un secolo, si moltiplicano gli attacchi alle coste frisoni e franche, risalendo i fiumi del Nord (Loira, Senna, Mosa ecc.), per giungere ad assediare e saccheggiare centri importanti, come p.es. Parigi, Colonia, Aquisgrana o Amburgo (Jesch, 2004c). La pressione esercitata in questi casi aveva come probabile fine non tanto (o non solo) la richiesta di riscatti, peraltro sempre maggiori, quanto forse proprio l 'esercizio di un diritto di monopolio commerciale sui traffici, attraverso l'imposizione di un riconoscimento politico : in casi limitati tale obiettivo fu avallato per sancire o un dato di fatto o l'assegnazione di un feudol3, come in Normandial4 e nel Danelaw, regione nord-orientale dell' Inghilterra anglosassone (cfr. oltre). Le basi nella Manica o le isole del Tamigi rappresentavano una rete di protezione e supporto logistico determinante, che permetteva di spostarsi e ritirarsi con rapidità dalla Scozia, dal Golfo di Biscaglia o dal Mediterraneo senza dover rientrare in Scandinavia. Allo stesso scopo funsero le basi stabilite nella penisola iberica, fino entro il Millel5• Dalla metà del sec. IX, agli attacchi si accompagnò la permanenza sui luoghi di azione anche durante i mesi freddi, con una sempre maggiore presenza femminile, sintomo di una crescente stabilità degli insediamenti. Soprattutto l ' Inghilterra, i suoi porti e le sue risorse, diventarono l'obiettivo prevalente delle operazioni. A partire dall' 839 una flotta di oltre trecento imbarcazioni approdò alla foce del Tamigi, occupando l'area da Londra a Canterbury, ma è dall'866 che fa la sua comparsa nelle fonti anglosassoni il micel here

23. Come nei casi dell'occupazione stabile del Zeeland, nei Paesi Bassi (837), o per concessione vassallatica di Lotario ai signori danesi Haraldr e Rorik ( 840) e ancora nelle donazioni ai capi mercenari che parteciparono alle lotte tra i discendenti di Ludovico il Pio. 24. Concessa da Carlo il Semplice (911) come ducato autonomo al danese Hrolfr/Rollone, capo di bande di fuoriusciti dall'Inghilterra, più tardi cristianizzati e alleati del regno franco di Neu­ stria, dopo anni di presenza stabile sui porti della Loira e sul litorale della Manica (cfr. gli Annales Bertiniani). 25. P.es. Gij6n, La Corufi.a, Pamplona, Navarra e Lisbona (sec. IX ) , P6voa de Varzim (Portogallo) e Compostela, con l'uccisione del vescovo locale (sec. x), Tui/Tude, Galizia (sec. XI ) , risalendo co­ me di consueto anche i fiumi (Ebro, Tago e Guadalquivir). Famoso è l'attacco a Siviglia (843-844), attestato anche dagli storici arabi Ahmad al-Ya'qubi (a proposito dei «Majus chiamati Rus » ) e da Ibn-Qutiya, oltre all'attacco in Marocco nell'8s9. È tuttavia probabile che ancor prima delle ostilità con la flotta araba del Mediterraneo occidentale nel sec. I X , mercenari vichinghi siano stati impiegati contro gli Arabi da Alfonso 11 di Galizia, già nel 795.

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Raid s u l Contine nte

Processi di colonizzazione

l Germ a n i

FIGURA 2

L e fortezze costiere d e l regno franco s u l Mare d e l Nord n e l sec. I X

Fonte: Sawyer (1982), p. 82.

Il Danelaw

(''la grande armata"), circa 3.000 guerrieri organizzati, tra i quali vi era­ no Yngvarr Senzaossa e Halfdan, figli del celebre Ragnarr Brachepelose, saccheggiatore di Parigi e della Northumbria, commemorato in una cele­ bre saga islandese-6• Nell ' 8 6 6 cadde York e poco più tardi gran parte della Northumbria. Nell' 8 74 Mercia, East Anglia e Londra divennero stabil­ mente aree vichinghe. Solo il Wessex resisteva, benché sotto attacco dall' 870: il nuovo re .IElfred/ Alfredo (soprannominato il Grande dalla successiva storiografia inglese), nonostante vari rovesci militari e il sostegno alterno dei signori locali, riuscì comunque a costituire una flotta minimamente adeguata e ad aggregare un esercito vittorioso a Edington (878). Le condizioni di pace che seguirono:l7 prevedevano di fatto la suddivisione dell' isola in generiche sfere d ' influenza (ma non politiche necessariamente diverse) lungo la linea Tamigi-Lea-Ouse e Wading Street, a nord della qua-

2.6. La tattica tradizionale era di assediare i borghi fortificati e saccheggiarne i dintorni, fino a vendere la pace in cambio di un forte riscatto, il Danegeld. 2.7. Il trattato di Wedmore, stipulato nell'886, col plenipotenziario nordico e re di York Gu­ thormr/Guthrwn (cfr. Whitelock, 1979, pp. 416-7).

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FIGURA 3

L'èra vichi nga

L'Inghilterra anglosassone dopo l'886

Fonte: Barber (1993, p. 129).

le si istituiva un territorio soggetto alla "legge dei Danesi (cioè dei Vichin­ ghi)", il Danelaw (Hadley, 2ooo ) , aingl. *Danalagu28 (cfr. fig. 3). A partire dai discendenti di Alfredo si mise in moto la progressiva conquista del Nord, territori in realtà mai appartenuti alla corona del Wessex. Il culmine fu rag­ giunto nel 937 con re .JEthelstan: questi, dopo essersi garantito il sostegno del re norvegese Haraldr Chiomabella29, nella località imprecisata di Bru­ nanburh (Merda settentrionale ?) ottenne un clamoroso successo30 su una coalizione dei clan di Norvegesi di York e Dublino, di Scozzesi e di Gallesi dello Strathclyde. York tornò nelle mani dei re del Wessex, che, negli anni, ne riaffidarono il controllo a clan vichinghi loro alleati.

28. Termine geo-politico molto vago e fluttuante usato dagli storici anglo-normanni che compare citato per la prima volta (on Deone lag) in due compilazioni giuridiche redatte sotto la supervi­ sione dell'arcivescovo Wulfstan di York, durante il regno di .IEthelred n (le cosiddette Leggi di Edward e Guthrum, tra 1002 e 1008, e il testo noto come VI .JEthelred). 29. Avendo come ostaggio alla propria corte del Wessex il figlio dello stesso Haraldr, Hakon 'fi­ glioccio di .JEthelstan'. 30. Celebrato nei versi del poema antico inglese (Battaglia di) Brunanburh (contenuto all'inter­ no della Cronaca Anglosassone), nei versi del guerriero e scaldo islandese Egill Skallagrimsson e in almeno un'altra composizione poetica latina medioevale.

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l Germ a n i

I n cu rsioni di conquista

Re Canuto e la riconciliazione etnica

Espansione a Oriente

La conquista, tanto celebrata da parte della storiografìa inglese, si rivelò tutta­ via superficiale, giacché l'isola era tenuta in scacco dalle ambizioni contrastan­ ti dei due attori principali di allora, il re norvegese di Dublino O lafr Scarpa e l'avversario Eirikr Asciainsanguinata, ex sovrano norvegese, spodestato e fug­ gito in Northumbria, ora alleato di .JEthelstan e non sgradito a una parte della Chiesa locale. La pacifìcazione politica e sociale anglosassone riprese nel 954 dopo la morte dei due contendenti, giovandosi dell'apporto militare e com­ merciale della composita comunità nordica trapiantata nel Danelaw, in corso di cristianizzazione e di integrazione con la popolazione locale. Ma a partire dal 98o ca., nuove incursioni ripresero a colpire l'isola, guidate dal re di Danimarca Sveinn Barbabiforcuta e dal futuro re di Norvegia O lafr Tryggvason31• Il massacro del giorno di san Brizio di Tours (13 novembre 1002)3� fornì a Sveinn il giusto pretesto : sbarcato nel 1003 alla testa di un grande esercito mercenario, imperversò nell' isola fino alla grande carestia del 1005 e succes­ sivamente fìno alla propria incoronazione come re d' Inghilterra (1013) da parte del consiglio della corona (witenagemot), primo re scandinavo a sedere sul trono locale. Il successore, Knutr/Canuto il Grande, re fìno al 1033, inaugurò una politica di riappacificazione mediata dalla Chiesa d ' Inghilterra e dalle figure più em­ blematiche della classe episcopale (tra le quali Wulfstan di York ed .JElfric di Eynsham), partendo dalla dismissione del grande esercito impegnato da oltre venti anni sull'isola e proseguendo con la redazione di un'articolata raccolta di leggi ( Cnut I e n). Alla sua morte, il regno indebolito fu teatro di rivendi­ cazioni tra clan anglosassoni e nordici, come quella, fallita, del re norvegese Haraldr Siguròarsson l' Implacabile (morto nello sbarco a Stamford Bridge, nel settembre 1066), o quella, riuscita, di Guglielmo il Bastardo, nell'ottobre dello stesso anno a Hastings. Da qui la nuova dinastia erede degli antichi vichinghi insediati in Normandia, ormai cristiana e completamente roma­ nizzata, si insediò sul trono d ' Inghilterra. L'attività commerciale di Danesi e soprattutto di Svedesi nell'area baltica e slava fino a Bisanzio33 ( aisl. Miklagaror) è testimoniata dal sec. VIII pres­ so Staraya Ladoga ( aisl. Aldeigjuborg, un centinaio di chilometri a nord-

31. Le incursioni stagionali erano indirizzate a fiaccare la resistenza del re anglosassone ..tEthelred I I l'Indeciso e ad acquisire nuove porzioni territoriali nell' Inghilterra orientale, attraverso l'asse­ dio organizzato di centri non solo costieri e ingenti richieste di riscatto. 3 2.. Un bagno di sangue nel quale furono uccisi con l'avallo di ..tEthelred moltissimi scandinavi insediati in enclaves a sud del Danelaw. 33· Testimonianze agiografiche parlano di una presenza vichinga nell'arcipelago greco poco pri­ ma della metà del sec. IX. Qui le milizie vichinghe furono per secoli le guardie del corpo dell'impe­ ratore romano d' Oriente e la scorta agli ambasciatori (cfr. gliAnnales Bertiniani a proposito della missione bizantina presso Ludovico il Pio, nell'839).

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1.

L'èra vichi nga

est di San Pietroburgo ), attraverso un progressivo numero di insediamenti di estensione ridotta. Lungo i fiumi russi, fino al Mar Nero e al Mar Ca­ spio, sembra essersi sviluppato un fiorente interscambio col mondo arabo e persiano-samanita, confermato da importanti ritrovamenti numismatici in Scandinavia (provenienti da Baghdad, Il Cairo, Damasco) ; la sua inter­ ruzione a causa delle migrazioni di popolazioni turche (Bulgari e Pecene­ ghi) e dell'esaurimento delle miniere potrebbe addirittura essere posta in relazione con lo spostamento a ovest degli interessi economici delle comu­ nità vichinghe (cfr. Duczko, 2004). Dall'archeologia, dalla runologia, dall'onomastica e dalla Cronaca dei tempi antichi antico slava (nota come Cronaca di Nestore, II13), è possibile desumere il ruolo preponderante delle colonie di vichinghi svedesi nella formazione del futuro khaganato dei Rus', un appellativo forse derivato dal finnico col quale, nelle fonti slave, accanto alle forme Vareghi o Variaghi, sono indicati gli Svedesi34 (cfr. fig. 4). Questi si sarebbero stabilmente insediati nella grande regione a est ( aisl. Garòariki) compresa tra Staraya Ladoga, Novgorod (aisl. Holmgaròr) e Kiev (nota come Ktenugaròr) , in concomitanza con l 'egemonia esercitata dai rappresentanti di spicco di alcuni clan come Rorik/Hroòrékr il Vec­ chio e Oleg/Helgi il Saggio (fine sec. IX-inizi x ) . Alla fine del sec. x viene solitamente fatta risalire la conversione di queste aree al Cristianesimo greco (con re Vladimir, 9 8 7 ), condizione che non impedì ripetuti assedi alla stessa Bisanzio, partner di ricchi trattati commerciali. Una fondamen­ tale descrizione dei mercanti svedesi, del loro stile di vita e dei loro riti sul Volga, verso il 922, proviene da un cronista arabo, Ibn al-Fadlan, il quale disgustato si sofferma dettagliatamente sul funerale di un capo Rus , forse la più preziosa testimonianza del genere oggi conservata. A dispetto della tradizione letteraria delle saghe, che non esclude una data anteriore al sec. x , non vi è traccia sicura di abitati più estesi di qualche monaco eremita nelle Fa!r0er, arcipelago descritto in un testo geografico irlandese dell' 825. In assenza di prove materiali affidabili, l'analisi dei pollini non fornisce garanzie sulle date degli insediamenti; così pure i resti dei numerosi ovini che conferiscono il nome a queste isole, probabilmente colonizzate dai Norvegesi in un'epoca che, in base alle indagini sulle più antiche spore di orzo, si colloca verso il 9oo (cfr. fig. s).

Rus '/Variaghi

'

34· Non è ancora chiaro se Rus' rappresenti l'etnonimo fìnn. ed estone Ruotsi/Rootsi (''Svezia"), a sua volta desunto dal sost. nordico per 'remo' (roòr), oppure ancora il nome della regione del Roslagen (asv. Roplag). Il sost. vteringi (nelle sue derivazioni greche, arabe e slave) è fatto risalire a una forma "wargangja, aingl. wtergenga "che cerca protezione, straniero", 1gb. waregang, franco waregangus (letteralmente, il partecipante a un'associazione che preveda garanzie o chi accompa­ gna qualcosa che va protetto, le merci, cfr. ingl. ware, ted. J.fare).

145

Fce r0er

l Germani

FIGURA 4

Espansione varega n e i territori a est d e l Dnjepr



B U L tiHARS

Bulg�Ar

Fonte: Sawyer (1982, p. 115).

Islanda

In Islanda, invece, la colonizzazione ( aisl. landndm) rappresenta un evento ampiamente celebrato dalla storiografia e dalla letteratura più in generale, che tendono a riconoscervi un momento di riaggregazione politica dai toni quasi epici, in risposta alle controversie sorte dopo l'unificazione della Nor­ vegia di Haraldr Chiomabella e la fine delle autonomie e delle proprietà loca­ li. Dalle analisi condotte col Carbonio-14, sembra che il periodo 8so-87o sia l'epoca principale di insediamento sull' isola da parte di piccoli proprietari e nobili di Norvegia, Inghilterra e Irlanda. Accanto a questi va sottolineata una 14 6

1.

FIGURA 5

L'èra vichi nga

L'espansione dei traffici vich inghi tra i secc. IX e x

Fonte: Bleckmann (2009, p. 312).

significativa componente celtica35, che risulta da contrastate analisi odierne sui gruppi sanguigni e sul DNA. L' isola si dette presto un efficiente sistema di rappresentanza politico-giuridica, per diventare una repubblica oligarchica fino alla conquista norvegese (1 262-1264). Dall' Islanda partirono le navi di Eirikr il Rosso alla scoperta della Groenlan­ dia, toponimo dai forti accenti eufemistici conferito alla grande isola atlanti­ ca dei ghiacci, che arrivò a ospitare, nei suoi due grandi insediamenti ( orien­ tale, Eystribygò, e occidentale, Vestribygò) circa quattromila abitanti. Dalla Groenlandia, non molto tempo dopo la sua colonizzazione, presero il largo verso ovest altri convogli, alla ricerca di quelle terre che si diceva alcuni vi­ chinghi avessero toccato casualmente, durante una tempesta. Probabilmente nel 1002, Leifr Eiriksson approdò alle Isole Baffin ( aisl. Helluland) , al La­ brador ( aisl. Markland) e all'attuale area del Newfoundland ( aisl. Vinland), citata per primo da Adamo di Brema ( ca. 1075 ) . Si tratta in ogni caso di terre che non registrarono mai insediamenti stabili: i pochi casi che si verificarono non ebbero carattere continuativo, anche in considerazione di tecniche na­ vali ancora inidonee a traversate così lunghe e rischiose.

35· Riconoscibile forse in un gran numero di schiavi fuoriusciti e dei discendenti di vichinghi unitisi con Irlandesi.

147

Groenlandia e America del Nord

8 Fonti per una religione dei Germani

In una cultura a oralità primaria, storia, consuetudini, ritualità e mito formano un nucleo inscindibile con gli ideali condivisi di appartenenza e discendenza sui quali si basa il consenso della comunità. Malgrado la frammentaria documenta­ zione, dell'universo religioso dei Germani si sono comunque conservate tracce anteriori alla cristianizzazione. Dal quadro eterogeneo offerto dall'archeologia emergono petroglifi, simulacri lignei e siti sacrificali1, ai quali si affiancano le rap­ presentazioni iconografiche sui bratteati (cfr. oltre, cap. IO ) e la documentazione alto medioevale, spesso ambigua o faziosa, di chierici, missionari o funzionari di corti e cancellerie dei regni romano-germanici. Quando non concerne le repri­ mende contenute nella ricca tradizione penitenziale e omiletica o l'inserimento erudito e antiquario in liste dinastiche (nordiche e anglosassoni), l'accenno a fi­ gure divine risulta parte integrante del genere letterario delle Origines gentium (cfr. oltre, cap. 13), i cui testimoni più eloquenti sono rappresentati dalle storie 'barbariche' in lingua latina�. Altre tracce di antichi teonimi provengono da: • • •

formule battesimali di abiura (abrenuntiatio ); toponimi, spesso di controversa interpretazione; isolate iscrizioni runiche

(Polomé, 1986, 1996a; Reichert, 2002 ) , oltre che dal vasto patrimonio del­ la letteratura mitografìca del Medioevo scandinavo (Polomé, 1987; Simek, 1984). Qui tuttavia l'utilizzo esponenziale di teonimi all'interno di elabora­ ti sintagmi metaforici (le cosiddette kenningar) rappresenta il prodotto più esemplare dell' innovativa arte dei poeti di corte (gli scaldi, dal sec. x ) , sotto­ lineando piuttosto il valore estetico e formalistico di un canone mitologico sempre più distaccato dalla sfera cultuale.

1. Ellmers (1992.); Gladigow (1992.); Schier (1992.); Buchholz (1968); Hultgard (2.003); Simek (2.003); Maier (1998a, 1998b). 2.. Dal Gapt (/"Woòanaz) dei Goti diJordanes al Merovech dei Franchi di Gregorio di Tours, dal Godan/Uodan longobardo in Paolo Diacono, all'Irminsul sassone in Widukind di Corvey, dalla triade svedese di Adamo di Brema al pantheon danese in Saxo Grammaticus.

149

l Germani

FIGURE 1-4

1. Idoli di Euti n ; 2. Idolo d i BroddenbjiErg; 3 . Uomo di 0sterby; 4. Uomo di

Tollund

2

3

4

Fonti: 1. Wolfram (2009); 2. Hachmann (1971); 3. www.p bs.org/wgbh/nova/bog/iron- nf.html; 4. http:// www.p bs.org/wgbh/nova/bog/i ron- nf.htm l.

150

8.

Fonti per u n a reli gione dei Germ a n i

1 . Caratteri generali

In questo panorama articolato, tra i dati archeologici (arcaici) e le attestazioni letterarie (tarde e di influsso cristiano), le uniche altre fonti locali in materia di religione sono costituite da alcune centinaia di iscrizioni epigrafiche a carattere votivo, realizzate tra i secc. n e IV, provenienti in prevalenza dal bacino renano. Si tratta di attestazioni devozionali, nelle quali, ancorché confuse e disseminate sul territorio in misura sporadica, la rappresentazione iconografica si affiancava spesso alla 'conquista' locale di forme di alfabetizzazione latina socialmente prestigiose. Ciò si realizza attraverso la redazione di dediche ed ex voto a dèi e dee celta-germanici qualificati da appellativi latinizzati (es. matres, matronae, cfr. oltre)3 e dunque anche attraverso la mediazione di una lingua straniera. Naturalmente a questa documentazione si associano le testimonianze della tradizione classica, comprensibilmente viziate da luoghi comuni, paradigmi culturali divergenti e malintesi linguistici. Gli autori classici sembrano confermare in larga misura i dati dell'archeologia, avvalorando la preponderanza di culti locali, come nel caso dell'argomentazione tacitiana sul dio eponimo adorato nel bosco dei Suebi-Semnoni ( G 39 ) , sulla dea onorata da un'anfizionia settentrionale sull' Elba (Reudigni, Avioni, Angli e altri, G 40) e sulla divinità vandalica dei Naanarvali ( G 43):

Epi grafia ro mano­ germ a n ica

Anfizionie di Tacito

I Semnoni si considerano i più antichi e nobili fra i Suebi. La conferma della loro antichità è data da un rito sacro. In un'epoca determinata, i rappresentanti di tutti i popoli della medesima stirpe convengono in una foresta, sacra per i riti degli avi e il secolare timore, e là, ucciso un uomo in nome della comunità, danno inizio all'orrendo rito barbarico. La soggezione per quel luogo sacro è espressa anche in un altro modo : nessuno vi è ammesso se non è legato da lacci, simboleggiando così la propria dipendenza dal potere della divinità. In caso di caduta, non è permesso di rialzarsi e rimettersi in piedi: ci si deve rotolare per terra. In ciò tali credenze stanno a significare che da lì la tribù ha la sua origine, che là risiede il dio che regna su tutti e che tutto a lui soggiace e obbedisce ( G 39 ) .

Dio dei Semnoni

Di essi niente vi è di rilevante se non che venerano in comune Nerthus, cioè la madre terra, e ritengono che essa intervenga nelle faccende degli uomini e si rechi in visita tra le genti. In un'isola dell'Oceano, vi è un bosco inviolato e in esso un carro consacrato [alla dèa] , coperto da un drappo; toccarlo è concesso al solo sacerdote. Costui percepisce la presenza della dèa nel profondo del bosco e la segue con molta venerazione mentre è trasportata [sul carro trainato] da vacche. Sono allora giorni di gioia e in festa i luoghi che la dèa si degna di visitare e soggiornare. Non iniziano

Nerthus

3· Gutenbrunner (1936); BauchhenB, Newnann (1978); Newnann (2.001).

151

l Germani

guerre, non prendono armi, ogni strumento è riposto; solo allora sono conosciute la pace e la tranquillità, solo allora sono amate, finché lo stesso sacerdote riconduce al tempio la dèa, sazia della compagnia dei mortali. In un lago appartato vengono poi lavati il carro, il panno e, se vuoi crederci, la dèa stessa: svolgono la mansione dei servi, che lo stesso lago subito inghiotte. Da qui (sorge) un misterioso terrore e una devota ignoranza di ciò che sia quella cosa che soltanto uomini destinati a morire possono vedere ( G 40 ) . Alcis

Presso i Naanarvali si osserva un bosco sacro, sede di un antico culto, al quale pre­ siede un sacerdote adornato in modo femminile ; e chiamano gli dèi, secondo l' iden­ tificazione romana, come Castore e Polluce - medesime le caratteristiche divine -, il nome è Alcis. Non vi sono statue, né tracce che alludano a un culto straniero; li venerano tuttavia come fratelli e come giovani ( G 43).

Enoteismo

Si tratta di un quadro che sembrerebbe confutare il modello artificioso di un pantheon germanico ordinato e condiviso in egual misura (concetto inapplicabile alla cultura germanica delle origini), a favore di culti enotei­ stici (riuniti cioè per leghe cultuali: le anfizionie) al vertice dei quali si col­ locava una sola divinità, pur nella consapevolezza dell'esistenza e dell'ado­ razione di altre figure divine in aree diverse. Tra i Germani non è possibile certificare traccia di un pantheon esteso nel senso classico del termine : !ad­ dove questo compare (nella letteratura scandinava dei secc. XI-XIV) esso è il risultato di operazioni erudite e politico-dinastiche (Polomé, 1992; Timpe, 1992; Beck et al. , 1992). Il tipico atteggiamento della cultura greco-romana, espresso nella /nterpre­ tatio (romana) (cfr. G 43), si traduceva nella convinzione che le divinità di religioni straniere differissero da quelle romane soltanto nel nome, ma che fossero loro intimamente simili o comunque collegate. Nei confronti delle culture straniere, i Romani si richiamavano pertanto a questa forma di inter­ pretazione, la quale, sulla base di singole somiglianze di culto (talvolta solo presunte), credeva di riconoscere i propri dèi nei corrispondenti stranieri, conferendo loro i nomi latini, in virtù del prestigio romano raggiunto tra gli abitanti delle province. Il primo a parlare di 'religione ' germanica fu Giulio Cesare : in un passo teso piuttosto a screditare questa cultura, rispetto ai più 'civilizzati ' Galli da lui stesso conquistati (BG 6.21 ), egli nega l'esistenza di una classe sacerdotale (per contraddirsi tuttavia più avanti, BG 1.50 ) e ne denuncia l 'incapacità di immaginare e rappresentare le divinità in forma antropomorfica, giungendo addirittura a delineare tra i Germani un culto 'vulcanico' altrimenti mai atte­ stato : « I Germani [ . .. ] non hanno druidi che presiedano ai rituali religiosi né si applicano con rigore ai sacrifici. Tra le divinità annoverano soltanto quelle che vedono e dalle quali traggono giovamento, Sole e Vulcano e Luna; degli altri non ne conservano neppure notizia » .

lnterpretatio

G i u lio Cesare

152

8.

Fonti per u n a reli gione dei Germ a n i

Tali affermazioni tuttavia non sembrano raccogliere grandi consensi ma, al contrario, le allusioni di Strabone ( Geogr. 7.2,3) ai cruenti vaticini di anziane profetesse cimbriche ai danni dei prigionieri4 sono confermate da Cassio Diane (Hist. 38,48 ) e Plutarco ( Caes. I9,4 ) a proposito delle 'donne sacre '5 e da Svetonio, sulla Chatta mulier di Vitelli o ( Vita Vitellii, I4,5 ) e sulla semnone Ganna in visita a Domiziano ( Vita Domitiani, I 6,I ) . Secondo Tacito, il quale menziona ripetutamente l'esistenza di una classe sacerdotale ( G 7, IO, n, 40, 43 ) , i Germani riconoscerebbero alle donne sacralità e specifiche qualità divinatorie, citando come esempi la celebre Véleda della tribù dei Bructeri e la sconosciuta Aurinia/Albrinia. Si tratta peraltro di notizie che non possono non essere condizionate dalle ripercussioni della conquista della Gallia sulle antiche società agricole dei Germani e sul relativo immaginario religioso6• Sembra che i Germani non racchiudessero le proprie divinità entro mura di santuari, preferendo consacrare loro boschi e selve ( G IO, 39, 40, 43, 45; Hist. 4.I4; Ann. I.59; I.6I ) , un classico luogo comune della propaganda antibarbarica sul quale si erano espressi p.es. già Erodoto ( 1.I3I, a proposito dei Persiani) o Cicerone (Rep. 3·I4,s. sulla distruzione dei templi ateniesi da parte di Serse), nonché immagine nota ancora a sant 'Agostino (Civ. Dei 4.3I ) . L'origo dei Germani viene invece riprodotta da Tacito in un celebrato mito ( G 2):

Stra bone, C. Diane, Pluta rco, Svetonio

Tacito

Templi

In poemi di antica memoria, la loro unica forma di tradizione storica, [i Germani] celebrano il dio Tuisto(ne), nato dalla Terra. A questi assegnano un figlio, Manno, antenato e fondatore dell' intera stirpe e attribuiscono a Manno tre fìgli, dal nome dei quali sono chiamate Ingevoni le popolazioni più vicine all'Oceano, Erminoni quelle che occupano le terre intermedie, Istevoni le altre. Taluni, invocando l'antichità della tradizione, sostengono che da quel dio [Mannus] ne provengono altri, dai quali derivano altrettanti nomi di genti, i Marsi, i Gambrivii, i Suebi, i Vandilii, nomi questi autentici e antichi.

Tu i sto, Ma n n u s

Che la leggendaria figura di Tuisto e dei discendenti (con l'eccezione di Ing) non ricompaia in testimonianze germaniche volgari indica soltanto che il

Origo pli niana

4· Sgozzati su un calderone, sembra, per esprimere vaticini dal sangue che sgorgava, e poi dilania­ ti, affinché ne venissero osservate le viscere. S· In grado di predire il futuro osservando i vortici nei fiumi e i segni nel flusso delle acque, stabi­ lendo il periodo propizio per battaglie e altri rituali. 6. La militarizzazione delle frontiere galliche, la crisi della società degli oppida e il conseguente rallentamento dell'interscambio tra le culture di La Tène e diJastorf sono fattori che modificaro­ no le strutture originarie delle società germaniche interessate, in direzione di una progressiva evo­ luzione in senso marziale di quelle culture e delle relative divinità. Il servizio ausiliario nell'esercito imperiale costituì inoltre una spinta formidabile di acculturazione per capi e mercenari germanici, mettendoli in contatto con l'apparato religioso e cerimoniale romano.

153

l Germ a n i

mitologema espresso dall'autore era ormai stato largamente abbandonato dai Germani, ma da un semplice confronto risulta chiaro che il passaggio presen­ ta caratteristiche note alla tradizione classica (il topos del miti co progenitore e della triplice discendenza, p.es. in Erodoto) e in precedenza già descritte da Plinio il Vecchio (NH 4·99 ) : Cinque sono i raggruppamenti dei Germani: i Vandili, dei quali fanno parte Bur­ gundi, Varinni, Charini, Goti. Il secondo [gruppo] è rappresentato dagli Inguaeones, dei quali fanno parte Cimbri, Teutoni e le genti dei Chauchi. Vicini al Reno poi [si collocano] gli Istuaeones, dei quali < >. Nel mezzo si trovano gli Hermiones, dei quali fanno parte Suebi, Hermunduri, Chatti, Cheruschi. La quinta parte è formata da Peucini e Bastarni [ . . . ] . •••

Se i teonimi alla base degli Istaevones e Herminones tacitiani non sono stati ancora interpretati in modo soddisfacente, gli lngaevones sembrano discen­ dere da una forma *Ingu-/*Ingwja- (cfr. aingl. lng e aisl. Yngvi/Freyr e Ynglin­ gar, il nome della dinastia svedese). Altre tracce si conservano ancora nel po­ ema anglosassone Beowulf(dove Ingwine "alleati/amici/parenti di Ing" vale per "Danesi") oltre che nel Poema runico anglosassone (sec. XI)7•

2.

La triade taci tiana

Culti principali

Nel descrivere l'immaginario religioso dei Germani, Tacito si limita ad amal­ gamare in modo approssimativo teonimi e frammenti cerimoniali sporadici, informazioni e luoghi comuni derivanti dall'etnografia o altri dati di origine ignota, scegliendo di porre in rilievo gli aspetti più esotici, cupi e brutali delle culture naturalistiche. Il risultato alimenta il consueto stereotipo barbarico oc­ cidentale, del quale i Germani erano forse rimasti i più celebrati rappresentanti. Un esempio è il riferimento all'adorazione dell'ipotetica triade divina ( G 9): Di tutti gli dèi, i Germani onorano soprattutto Mercurio, a l quale i n giorni determi­ nati è permesso compiere anche sacrifici umani. Placano Ercole e Marre immolando animali consentiti. Una parte dei Suebi/(di essi) sacrifica anche a lside. Del senso e dell'origine di questo culto straniero non so dire, se non che il simbolo stesso di una nave liburnica rivela un culto importato. Non ritengono conforme alla maestà degli dèi racchiuderli fra pareti, né raffìgurarli con sembianze umane; consacrano loro boschi e selve e danno nomi di divinità a quell'essenza misteriosa, che solo il senso religioso fa loro percepire.

7· «lng fu visto per la prima volta da uomini presso i Danesi orientali, finché in seguito nuova­ mente migrò sull'onda seguito dal suo carro per andare verso Oriente; quello era il nome che gli Hazdingas diedero all'eroe».

154

8.

Fonti per u n a reli gione dei Germ a n i

Così come l'introduzione quasi identica di Cesare sulla religione dei Galli (BG 6.17,1: «Tra gli dèi onorano soprattutto Mercurio » ) , il passo di Tacito alimenta l'ipotesi di un processo realizzato si ai margini occidentali del mon­ do indoeuropeo, sede di una rivoluzione religiosa che avrebbe collocato sul gradino più alto una divinità secondaria, ai danni del dio supremo indoeuro­ peo della luce e del cielo : *DJÉWS/*DEIWOS. Il nuovo dio è riconoscibile nelle forme aat. Wuotan, as. Wodan, aingl. Woden, aisl. O òinn (it. Odino), riconducibili a germ. *Woòanaz ( < ie. *wAr-)8• Un influsso decisivo, da parte romana, verso l' interpretatio mercuriale di *Woòanaz va ricercato sia nelle analogie col principale dio celtico Lug (al­ tra divinità poliedrica, dio della guerra e della funzione psicopompa, signore della poesia, che usa la lancia e la magia in battaglia), sia con l'introduzione (di origine ebraica) della settimana augustea di sette giorni. Nei primi secoli dell'era volgare, questi iniziarono a essere denominati con gli dèi planetari del mondo romano, cosicché *Woòanaz poté subentrare e affermarsi qua­ si ovunque nel termine locale per 'mercoledì ', sancendo un primato in area germanica occidentale che si tende a individuare verso la fine del sec. I I I (cfr. l'iscrizione < M E RCURIUS REX > , a Nijmegen, Paesi Bassi). Accanto ad alcune iscrizioni runiche tra i secc. V-VII e ai Getica di Jordanes (sec. VI, a proposito del capostipite dei Goti), *Woòanaz/Odino è ricordato in territorio germanico occidentale in alcune attestazioni che ne rivelano le analogie con Mercurio : nei primi secoli dell'èra volgare, p.es., alcune iscri­ zioni dedicatorie latine abbinano al teonimo Mercurius attributi germanici o celtici (tra gli altri Hanninus, Cimbrianus, Leudisius, Gebrinus, Battaglia, 2007), mentre la Vita sancti Columbani (sec. VI ) riferisce che « [i Suebi] chia­ mano il loro dio con il nome di Wodan, quello che per gli altri è Mercurio » , più o meno similmente alla Historia Langobardorum d i Paolo Diacono, nella quale « Wotan [ . .. ] è lo stesso dio che i Latini chiamavano Mercurio, adorato da tutte le genti della Germania » 9• Accanto alle copiose testimonianze letterarie norrene, il dio compare in un incantesimo anglosassone e in uno antico alto tedesco (entrambi del sec. x , Battaglia, 2oo8) e , ancora i n ambito anglosassone, all' interno d i alcune ge­ nealogie reali (sia in Be da sia nella Cronaca Anglosassone) e in un poema gno­ mico cristiano. L'erudito anglosassone .JElfric (t IOIO ) ne registrava la vene8. Cfr. lat. vdtes "poeta", airl..foith "veggente, profeta", mcimr. gwawd "canto, poema", che richia­ mano l'idea della conoscenza estatica e istintuale, non razionale, del poeta e del veggente; cfr. ted. Wut "rabbia, furore" < aat. wuot; go t. wops, aingl. wod "pazzo, invasato", aisl. ohr "poesia''. 9· Ancora Paolo Diacono, in un poema in latino datato 782, sottolinea come il pagano re danese Sigifred non potrà essere più protetto da «Thonar et Waten » per evitare il battesimo : qui la forma è in palese contrasto con il (che lo stesso Paolo ricorda come la divinità suprema dei Longobardi), per via dell'evoluzione del fonema iniziale gemanico /wl in area dia­ lettale romanza.

155

Mercurio gallico e german ico

*Woaa naz

Epi grafia mercuri a le lat.-germ.

l Germani

razione tra i vichinghi nella forma di Odon (DeJalsis diis 140, cfr. Wulfstan DeJalsis dies 72), prendendo atto del primato assoluto di una divinità che, in

*Tiwaz

Mars Thingsus

area scandinava, era ormai venerata come Padre degli dèi e dio della poesia, secondo un'immagine non dissimile dal gallico OgmioS10• Nel presentare la triade del santuario svedese di Uppsala, Adamo di Brema (fine sec. XI) de­ scrive Wodan11 come "il furore", dio della guerra, considerandolo piuttosto il corrispondente di Marce. Secondo Tacito, a questo bellicoso dio era concesso sacrificare in giorni determinati anche vittime umane, particolare del quale non verrà più fatta parola: non è chiaro se il sacrificio umano gli sia dovuto in quanto dio supremo di popoli o in quanto già dio della guerra. *WoCJanaz condivide in qualche misura il dominio sulla sfera dell'oltretomba con il gre­ co Hermes e il Mercurio romano, pacifico dio dell'eloquenza, dei viaggi, dei commerci e dei mercati (cfr. lat. merx), come è riflesso dal sec. n nelle cen­ tinaia di iscrizioni epigrafiche latine in Gallia e Germania (Battaglia, 2007, 2010 ), nelle quali Mercurio è designato con appellativi funzionali tra i quali, p.es., Mercator e Negotiator. Viceversa, il 'Marce ' tacitiano sembra identificabile con aat. Ciu/Ziu, aingl. Tiw, aisl. Tyr ( < germ. *Tiwaz < ie. *DJÉWS/*DEIWOS, il dio supremo indoeu­ ropeo, cfr. gr. Zeus, lat. Iuppiter), oggetto di un progressivo slittamento, sia funzionale (come il lett. Dievs, ormai privato dell'aspetto cosmico), sia se­ mantico, verso l'indistinto significato di "divinità" (sg. e pl.), di itt. sius (sg.) e aisl. tivarr (plur.), ulteriormente evaporato nel relitto culturale aind. Dydu�, divinità minore citata nel �g Veda, al maschile e al femminile. La relativa manifestazione calendariale nelle lingue germaniche ne conferma l'assimilazione a Marte, le cui tracce linguistiche sono conservate ancora nel nome germanico del 'martedì ' (il "giorno del thing", l'assemblea politico­ giuridica dei guerrieri, alla quale potrebbero alludere le due iscrizioni latine dedicate a Mars Thingsus sul Vallo di Adriano, sec. I I I , cfr. oltre). Alla vigi­ lia di una battaglia tra Chatti ed Ermunduri (Ann. 13.57 ), Tacito ricorda la promessa di consacrare le spoglie dell'esercito nemico alle rispettive divinità supreme di Marce e Mercurio (altro esempio di enoteismo germanico) , men­ tre lo stesso Tacito ricorda (Hist. 4.64) Marce come il primo degli dèi fra i Tencteri cisrenani. Nei Getica di Jordanes ( 5.41 ) Marce è il principale dio go­ tico, al quale sono offerte vittime umane, e nel manoscritto 'runico' Vienna, O sterreichische Nationalbibliothek, Cod. 795, < Tyz> è il nome della runa per /t/ (cfr. cap. 1o)11; il primato di questo dio emergerebbe ancora nel sec. IX, in una glossa di area alto tedesca ( < Cyuuari > , peraltro non del tutto certa) 10. Il quale, secondo il greco Luciano di Samosata (t ca. 190, Dialoghi. Ercole, 1-7 ) , conduce una schiera di uomini incatenati per le orecchie alla lingua del dio. 11. Qui in una forma linguistica tedesca settentrionale e non scandinava. 12.. Nella forma (variante scandinava ?) è ricordato nel Poema runico anglosassone 49·

156

8.

Fonti per u n a reli gione dei Germani

riferita ai Suebi in quanto adoratori di Ziu/Marte. Benché confinato in una posizione defilata, la ricca letteratura norrena conserva viva la memoria delle virtù militari del dio Tyr (cfr. oltre), che perde un braccio nelle fauci del lupo Fenrir e viene ricordato in numerose metafore (kenningar) della poesia scal­ dica oltre che nella tradizione agiografica (Klemens saga ). A lungo erronea­ mente riconosciuto nell' iscrizione pre-runica dell' Elmo -E di Negau (cfr. cap. 10 ) , non è chiaro se sia il tema del coraggio o della giustizia a collegare questa divinità all'antico mito indoeuropeo della mutilazione rituale, sottolineato da Dumézil (1959) e in altri saggi dello stesso autore sulla cosiddetta teoria trifunzionalistica della religione indoeuropea e sul parallelismo tra Tyr e il vedico Mitra. La terza grande divinità ricordata da Tacito è 'Ercole ', il tradizionale dio della potenza e della forza associabile a germ. *Thun(a)raz (aat. Donar, aingl. Thunor, as. Thuner, aisl. Th6rr), antichissimo signore del tuono e del fulmine (come Indra, Taranis e Juppiter) che lo rendono paragonabile a Giove, come rivela ancora il nome germanico del 'giovedì' (cfr. oltre). Soltanto in area scandinava, tuttavia, questo dio acquisisce grande successo e venerazione13 come dio della forza e delle grandi gesta. Il suo martello è assimilabile alla clava di Ercole, oltre a essere simbolo di fertilità: nel resoconto del tempio di Uppsala, Adamo di Brema (fine sec. XI ) descrive Th6rr come il dio principale tra gli Svedesi, che presiede il clima e il raccolto e possiede uno scettro analogo a Giove. Nella forma Thunor, il dio è infine ricordato anche in alcune genealogie reali anglosassoni. La triade Donar, Wodan e Saxnot compare invece in una formula antico sassane di abiura al paganesimo del sec. IX (nella quale Saxnot, dio eponimico dei Sassoni, ricorda il Seaxnéat delle genealogie reali anglosassoni), mentre fonti latine dei secc. I X e x ( Chronicon Laurissense, Anna/es Fuldenses, Egin ardo e Widukind di Corvey) registrano la divinità sasso ne Irminsul, che Rodolfo di Fulda descrive nei termini di una « colonna universale che sostiene quasi ogni cosa » (cfr. ted. Saule "colonna"). Tuttavia, l'argomento etimologico del commento di Widukind di Corvey « [ . .. ] sembra probabile l'ipotesi di coloro che ritengono che l'origine dei Sassoni provenga dai Greci, perché Hirmin o Hermis in greco è Marte » richiama alla riflessione sul problema dell' interpretatio e dei relativi limiti, ancora nel sec. x. Dai contorni ancora più incerti, tra le leghe vandaliche a sud della Vistola, è il culto degli dèi Alcis (germ. *Alhéz ?, G 43, cfr. sopra), due giovani fratelli equivalenti ai romani Castore e Polluce, i Dioscuri figli di Zeus della tradizione greca e più in generale indoeuropea. La soluzione meno impervia è che si tratti di un culto della prosperità, le cui divinità tendono ad apparire

13.

Ancora ricordati in ..tElfric, Defolsis diis 12.4-12.5, da cui Wulfstan Defolsis dies 74·

157

*Th u n ( a ) raz

Saxn6t/Seaxneat, lrminsul

Alcis

l Germani

in coppia, più spesso come fratelli ( e gemelli ) : Romolo e Remo, Castore e Polluce, i figli di *Deiv- o di *Perkun14 e gli Asvin indiani15• 3. Divinità femminili

Un ruolo peculiare è assegnato anche alle divinità femminili: per Tacito ( G 9 ) , una parte dei Sue bi sarebbe devota a Iside, culto straniero dalle intense

Nerth u s

commistioni simboliche, durante l 'Alto Medioevo, con talune rappresen­ tazioni mariane. Ancora Tacito (Ann. 4·73) riferisce del bosco sacro di Ba­ duhenna, in Frisia, e del tempio alla dea Tamfana dei Marsi, distrutto dal generale Germanico dopo la battaglia di Idistavisio/Idisiavisio (Ann. 1.5 1), il cui primo elemento (Idis-) è spesso associato sia alle Idisi, controverse figure femminili di un incantesimo alto tedesco del sec. x ( Battaglia, 2.008), sia alle corrispondenti Disir della letteratura antico islandese. Un insolito culto femminile, tramandato da Tacito, è quello in onore di Ner­ thus ( germ. *Nerthuz, G 40 cfr. sopra ) , la presunta madre Terra, una dea apparentemente collegata a un ciclo di riti della fecondità presenti in tutta l 'Europa antica, che ricorre nella forma Terra mater del citato mito lo gema di G 2., come madre di Tuisto ( Battaglia, 2.001). La descrizione di un culto così insolitamente dettagliato è abbinata alle cerimonie in onore di una divinità effigiata da un simulacro e trasportata dalla sua dimora tra i fedeli, a bordo di un carro coperto. Che si tratti di una dea della prosperità sembra sottolineato dalla cessazione di ogni attività umana, lavorativa o bellica, in nome della pace e della festa. Ma l'assenza di sacrifici animali o alimentari e la successiva cerimonia di purificazione (lustratio ) , con il sacrificio dei servi addetti, ne rende i contorni molto meno simili a una divinità della pace, oggetto di « mi­ sterioso terrore e devota ignoranza » che sorgono per ciò che soltanto uomi­ ni condannati alla morte possono vedere. Se il sacrificio umano costituisce la naturale conseguenza della partecipazione al lavaggio - con la visione del contenuto del carro - da parte di semplici schiavi, ciò contraddice comunque la natura 'pacifica' della dea e ne lascia congetturare una più stretta relazione col mondo degli inferi. Del tutto inspiegata, poi, è la fonte attraverso la quale Tacito sia giunto a conoscenza della prassi rituale conclusiva, in assenza di testimoni sopravvissuti all' infuori del sacerdote: ciò suggerisce che le somi,

Li t. Dievo suneliai, lett. Dieva deli; lit. Perkuno sunus, lett. Perkona deli. Il mito della migrazione capeggiata da due fratelli che guidano una parte del loro popolo in nuovi territori da colonizzare e fondano nuovi regni è un'immagine seducente. Il suo impiego in chiave evemeristica è rafforzato dagli esempi di Romolo e Remo, degli svevi Urumundo e Alarico e dei longobardi Ibor e A(g)io (Aggo ed Ebbo in Saxo Grammaticus), dei vandali Ambri e Assi (o Raos e Raptos) e degli anglosassoni Hengest e Horsa, la cui simbologia equina richiama il princi­ pale attributo dioscurico, quello dei già citati Asvin indiani e dei meno noti 'gemelli' irlandesi fìgli di Macha, un puledro e un bambino. 14.

15.

158

8.

Fonti per u n a reli gione dei Germ a n i

glianze col culto della Magna Mater frigia Cybele abbiano fornito a Tacito i tasselli mancanti per la descrizione di un rituale difficilmente noto a un testimone romano del sec. 1. Tra i secc. n e IV si segnala più di un migliaio di iscrizioni epigrafiche contenenti dediche e invocazioni a gruppi di divinità femminili 'minori ' connotate da appellativi quali matronae, matres o matrae (Ihm, 1887; Tovar, 1976; Scardigli, 1989; Battaglia, 2013; cfr. figg. s-8 ) . La Germania basso renana, la Gallia e l' Italia settentrionale sono le regioni privilegiate di questo culto, popolare anche tra i reparti ausiliari dell'esercito romano. Presenti talora anche nell' iconografia - singolarmente o in gruppi -, la loro immagine è collegata a toponimi, etnonimi, idronimi, clan, a certe peculiarità o funzioni identificabili dagli epiteti latinizzati (celtici o germanici) apposti al titolo di matronae ecc.16• Numerose sono le immagini che ritraggono queste divinità-madri nell'atto di portare o allattare neonati, di trasportare canestri di frutta, corni e cesti dell'abbondanza ( cornucopiae), simboli di prosperità e fertilità. Si tratta di divinità apportatrici di salute e benessere per le comunità locali che le adoravano, fino forse a estendere la propria influenza alla sfera dell'aldilà, alla quale talvolta allude la compresenza iconografica di cani. Ancora da iscrizioni lapidarie, provenienti dal bacino nord-occidentale del Reno e in località occupate da legionari di origine germanica, emergono altre divinità prive di un appellativo di identificazione comune. In questo caso, i loro nomi (Baduhenna, Baduhillia, Hariasa, Harimella, Vihansa... ) sembrerebbero piuttosto alludere a una funzione variamente collegata alla sfera militare, ma i seducenti parallelismi alle valchirie e alle disir nordiche, così come alle divinità guerriere celtiche ( Cathubodua, Bodb ), attendono ancora di ricevere un' attenzione priva della consueta patina romantica. Il dato più indicativo che le riguarda resta quello della discontinuità e delle forti istanze localistiche, ancora in contrasto con l'ideologia dei culti unanimemente condivisi tra i Germani.

4.

Religione e rune

La presenza di teonimi germanici è osservabile inoltre in alcune scarne iscrizioni runiche (forse non tutte autentiche), incise talvolta su bratteati 16. P.es.: Ajliae, Ahineh(i)ae, Ahuecaniae, Alaferhviae, Alagabiae, Alaisiagae, Alateiviae, Alaterv(i)ae, Ambiamarcae, Andrusteihiae, Arvagast{i)ae, Aufoniae, Austriahenae, Boudunnehae, Caimineae, Cantrusteihiae, Chuchenae, Euthungae, Fachine(i)hae, Gabiae, Garmangabis, Gavadiae, Gesahe­ nae, Guinehae, Hamavehae, Havae, Hiannanefotae, Iulineihiae, Kannanefotes, Leudinae, Lubicae, Mah(a)linehae, Marsacae, Mediotautehae, Nersihenae, Nervinae, Ollogabiae, Renahenae, Rumane­ hae, Saitchamiae, Suebae, Suleviae, Teniavehae, Textumeihae, Udravarinehae, Vacallinehae, Vatviae, Vatvims, Veterahenai, Veteranehae. Il riferimento a stanzi amenti umani è confermato da certi appel­ lativi 'geografici' quali Treverae (le M. di Treviri) , juhlinae (le M. di Jiilich) o Nemausicae (quelle di Nimes, Francia meridionale).

159

Matranae, matres

Altre attestazioni

l Germ a n i

FIGURE S-8

Matronae, matres: altri particolari iconografici

6

5

8

7

scandinavi recanti contrastate raffigurazioni sacre17• A eccezione dei casi di interpretazione ideogrammatica di talune iscrizioni18, l'elemento religioso

17. Marold (1974); Diiwel (1992.a); Hauck (1992.); Meli (1988); McKinnell, Simek, Diiwel (2.004). 18. P.es. , "g(ebu) a(nsuz)" = "dono-dio"?, Kragehul, Danimarca, sec. VI; "e(hwaz)­ a(nsuz)" = "cavallo-dio" ?, Dischingen, Baden-Wtirttemberg, metà sec. VI?; < ttt> = "Tyr, Tyr, Tyr"?, Lindholm, Svezia, datazione incerta (cfr. cap. 10 ) . 160

8.

Fonti per u n a reli gione dei Germani

si ricava principalmente, pur senza certezza assoluta, nelle forme Gau­ tr ( *Woòanaz/Odino, Illerup, Judand, sec. I I I ) , Frohila ( Freyr ?, Darum, Judand, secc. v-vi ) , owl.l>upewaz (i.e. wulpupewaz Ullr ?, Thorsbjcrrg, Schleswig-Holstein, secc. I I - I I I ) , woduride ( *Woòanaz ?, Tune, Norvegia, secc. IV-v ) , logapore wodan wiguponar ( Loòurr ? l Lo­ ki ?, *Woòanaz, I>6rr ?, Nordendorf, Baviera, secc. VI-VII ) , inguz ( Ing ?/ Freyr ?, Wijnaldum, Frisia, datazione incerta), a[n] su ( "Aso (vocat.)", Over- Hornh ("Th6rr dio del popolo") su una moneta svedese rinvenuta nella località di Kirkby Thore, Westmoreland, dall'eloquente nome scandinavo. Baldr, figlio di O òinn e di Frigg, è il migliore e più bello degli dèi, lumi­ noso e saggio. È destinato a morire per mano dell'incolpevole fratellastro HQÒr (forte ma cieco) su istigazione di Loki, per poi rinascere dopo la fine del vecchio mondo. Baldr è al centro di contrastanti teorie, tra le quali alcune lo considerano addirittura come un rappresentante della sfera della fertilità, associabile in qualche misura al dio Freyr (cfr. oltre). Tyr (cfr. sopra, Marte) appartiene alla stirpe degli Asi e, malgrado Snorri Sturluson lo consideri uno dei figli di O òinn, è un dio sul quale le notizie scarseggiano. Sulla base forse di miti perduti, gli sono ascritti coraggio e saggezza : garante dei patti, come emerge in talune fonti, è il più audace degli Asi, colui che decide la vittoria nel combattimento, l'unico dio che osi nutrire il terribile lupo Fenrir - mentre questi è incatenato - e nelle cui fauci perderà un braccio, come pegno di un accordo31• La sua proverbiale saggezza è nota attraverso il detto « (essere) saggio come Tyr » (cfr. Gylfa­ ginning 25). Heimdallr è una divinità dai contorni opachi: "figlio di nove madri" ( Skdldskaparmd/ 8, da un antico mito marino ?), è il dio della luce e il guardia­ no degli dèi che dimora ai confini di Asgaròr, presso il ponte Bifrpst. Dotato di vista e udito finissimi per poter scorgere gli attacchi dei nemici, non dorme mai e difende l'ordine del cosmo fino alla fine del mondo (Ragnarpk), quan­ do avviserà gli dèi suonando il corno : per questo è il più acerrimo nemico di Loki, figura che più di altre incarna il caos. Alcuni poemi (La profezia della sibilla e Il Carme di Rigr) gli assegnano la genesi delle stirpi, secondo una tradizione altrimenti ignota. Loki è una divinità estremamente ambigua e complessa, della quale non ri­ sulta traccia di venerazione e per la quale si è pensato a una creazione sostan­ zialmente erudita. Compagno di O òinn in varie avventure, procura molti guai agli Asi, che tuttavia si servono della sua astuzia per trarsi d' impaccio. È un dio subdolo che attenta all'ordine cosmico e con la gigantessa Angrboòa concepisce tre figli mostruosi: Hel, la custode del regno dei morti, Fenrir, il gigantesco lupo divoratore di O òinn, e J Qrmungandr, il grande serpe che giace sul fondo dell'oceano, attorcigliato intorno al mondo. Catturato e in­ catenato fino alla fine del mondo per aver subdolamente istigato l'assassinio di Baldr, capeggerà le forze del male nella battaglia finale. 31. Il Poema runico antico norvegese 23 lo definisce «Aso con W1 solo braccio » , mentre il Poema runico antico islandese 29 irbjaz (la/le) ru(na/ne) » Pietra di Noleby (Svezia, Vg-63, secc. VI-vn ) .









213

Negau

Gallehus

l Germ a n i

F I G U R E 12-14

Corno/corni di Gallehus ek H lewagastiz Holtijaz horna tawido «io H. fi glio (o pp. originario) di H o lt preparai ( o pp. a pprontai) i l corno»

12

14

13

Fonte: http://titus.u n i-fra n kfu rt.de/didact/idg/germ/ru nea lp h.htm. F I G U RA 15

Pietra runica di Noleby runofahiraginakudo, runo fa h i raginaku(n)do «dipinsi le rune d'origine divina»

Fonte: http://www.arild- hauge.com/arild- ha uge/se- ru ne-noleby.jpg.

214

10.

FIGURA 16

Le rune

Pietra runica di Sparlosa runoR�aiRrseginukutu, cioè runaR paR!pa?R ra?gin ­ kundu «rune di origine divina» ( i l testo si trova sul margine i n basso a destra)

Fonte: http://sv.wi ki pedia.org/wi ki/Spa rl %C3% B6sastenen.



Pietra di Sparlosa (Svezia, Vg-119, sec. V I I I ) 1 1

1 2. . Nelle due ultime iscrizioni, con raginakundo app. ril!gina- ( < "ragina- "divinità", cfr. aisl. regin, rpgn, e "kuntho "generato, nato, discendente", aisl. kundr, got. -kunds, aingl. -cunde) si ri­ conosce alle rrme nn valore di emanazione divina, cfr. reginkunnom nel carme dell'Edda poetica I Detti dell'Eccelso, str. So.

215

l Germ a n i

F I G U RA 17

Bratteato runico di Tjurko-A

t n R T M R n i- � 't' fi. t f r H f < n R i- M · · H M r M f't' < n i- l M n i- M l n

wurteru nozanwa l hakurne [ ... ], wurte runoz an wa/hakurne «com pose le rune sul grano stra n i e ro [i.e.: oro ] » , con uno dei pri mi esempi attestati d i una metafora poetica: wa/hakurne i n ­ d i c a "gra no celtico (o romano)", cfr. l'etnonimo lat. Vo/cae, germ. * Wa/hoz (cfr. Welsh/Wales), che nelle lingue ge rmaniche i d e n ­ tificava i popoli a s u d -ovest e che nelle varie l i n g u e e u ropee è stato esteso ai parlanti d i lingue rom a n ze (Vallo n i , Valacch i , Vla h i , Olàh, Welschen, Wa lhen)

Fonte: http://ska ldic.a rts.usyd.ed u.a u/db-jpeg.p hp?id =21004&zoom=o.



"runa"

'incidere, tracciare'

Rune e tradizione retorica

Bratteato di Tjurko-A (Svezia, IK-184, secc. v-vii )

Dal sec. IV, il vocabolo è inoltre noto attraverso il got. runa, che traduce il gr. mystérion, boulé, symboulion (''mistero divino ; segreto ; consiglio", quest 'ultimo in got. garuni), connessi con il lato inesplicabile e peculiare della sfera religiosa. Proprio il gotico, primo idioma ufficiale del Cristianesimo germanico e prima lingua germanica decontestualizzata dalla tradizione runica a essere messa per iscritto, potrebbe aver giocato un ruolo decisivo nell'evoluzione semantica del sostantivo in tutte le altre lingue 13• Non va tuttavia dimenticato che nelle più antiche iscrizioni il sost. 'runa' indica non tanto "carattere runico" quanto piuttosto "messaggio, iscrizione" ed è proprio da queste premesse che Morris (1985) cerca di dimostrare l'origine del sost. 'runa' da una radice verbale che esprime il senso del 'tracciare, incidere, grattare ' analoga a ingl. to write, ted. reissen/ritzen e dunque priva di collegamenti con la sfera della magia e del soprannaturale, frutto delle difficoltà esegetiche dei testi runici. Nella letteratura mediolatina è altresì presente il prestito rhuna, con il quale (in un'epistola in versi della fine del sec. VI ) si esprimeva ironicamente l 'erudito italiano Venanzio Fortunato, poeta e consigliere

13. Pur ammettendo l'interessante ipotesi delle due radici omofone in germanico, resta plausibile l'eventualità di un influsso non tanto del gotico, ma di origine gotica, in particolare in quelle aree nelle quali l' impiego delle rune era in via di abbandono, se non già scomparso.

216

10.

Le rune

Sign ificati

U n a testi monianza a sostegno della sospetta d i pendenza sema ntica dal gotico si riscon­ tra nelle fo rme a i n gl. ran "segreto, m i stero, consultazione, bisbiglio", ranian "bisbi glia re", gereonian "bisbigliare, mormorare", aat. runa1 "segreto, conversazione, mormorio", garuni "mistero" (ted. Geraune "mormorio"), runon ( -en) "bisbigliare", a s. riìna "delibera, conve­ gno segreto", giriìni "segreto"; cfr. ancora i derivati vb. i n gl. to round e ted. raunen ("bisbi­ gliare"), i l prestito fi nnico runo "poesia, canto epi co, incantesimo" e le attestazioni a i rl. run "segreto, i n venzione, a rte magi ca", mcimr. rhyn "incantesimo, stregoneria". Si tratta di u n a d i pende nza semantica che, se accertata, fi n i rebbe p e r i n teressare a n c h e a i s l . run "segreto, sapienza segreta" (oltre che "di scorso, consiglio"), il pl. runar "discorsi segreti", il vb. ryna "co n d u rre una conversazione privata, segreta", n o rv. runa "fare un i ncantesimo, vati c i n a re". Fo nte di appassionate con getture è stata i n fi n e la testi monianza di Jordanes ( Getico 24) costituita da lla menzione di got. * Haliurunnae, streghe le quali accoppi atesi nel dese rto con spiriti i m mondi avrebbero generato gli U n n i. I n questo caso, i pretesi para lleli smi con a i ngl. hel(e)ran "negromante, strega/stregone" ( 8eowu/ft63) e le glosse aat. helliruna "ne­ cromanti a", helliruna "pythonicus, necromanticus" e holzrana "strega" ri s u lta n o seducenti qua nto i m m otivati, chiamando piuttosto i n causa u n a fo rma collaterale del vb. germ. * rin­ nan "ca m m i n a re, co rre re". 1. N ella versione alto tedesca della Regula benedettina runstaba vale lat. eulogias "missiva" (Daab, 1959).

alla corte merovingia, in seguito vescovo di Poitiers : « Che la runa barbarica sia dipinta/ricamata sulla tavoletta di frassino, poiché il bastoncino spianato equivale al papiro » ( Carmina 7. 18,19, cfr. Lendinara, 1992), affermazione che di per sé non può né avvalorare r impiego e la conoscenza quotidiani delle rune nella Gallia merovingica, né tuttavia escluderlo a priori, viste : ,

a) l importanza documentaria di una cultura runica locale (soprattutto in area alamannica) tra i secc. VI e V I I I ;

b) le due iscrizioni provenienti dalla zona romanzofona (fibula di Charnay, Meli-4.II scheggia di Arguel) 1 4 ; ) la testimonianza di Gregorio di Tours (Hist. 5·44), secondo il quale re Chilperico I (t 5 84) « Aggiunse inoltre delle lettere alle nostre, p.es. w, come in greco, e ae, the, uui [ ... ] » , i cui segni di seguito aggiunti lasciano intendere, almeno per il terzo e il quarto, forti similitudini con le rune n. 3 � th e n. 8 � w.

c

14. La prima attesta unfupark e la seconda (dal senso non chiarito e probabilmente un falso) è una delle uniche due iscrizioni (l'altra è quella di Nordendorf-A) che invocano il dio germ. '"Woòanaz: arbitagwodanlulgo [ ?h] aiJzejkim.

217

l Germ a n i

4.

Lessico ru nico

Lo stile stesso di incisione rende conto di tutto un vocabolario applicato a tale pratica e riconducibile a forme germaniche. Tra queste: *stahaz "asta, elemento, carattere (grafico)" 1s, *tawjan "approntare, dedicare", *jaihijan "dipingere, tracciare segni", *wurkjan "fare, redigere", "writan "incidere", *reòan "interpretare": queste due ultime beneficeranno del favorevole clima culturale rea­ lizzato dalla cristianità anglosassone finendo per identificare fino all'inglese odierno lo "scrivere (in caratteri latini)" e il "leggere" (quei caratteri). Si vedano inoltre i vbb. aisl. rista "incidere, (ri)tagliare" e rjoòa "dipingere di rosso/sangue" oltre a tutta una serie di verbi legati alla preparazione dei supporti sui quali incidere l' iscrizione: di tali supporti, purtroppo, non si è conservato un lessico particolare, forse con la so­ la eccezione di aisl. kejli "tavoletta runica" ( < germ. "kabija), attestato con questo significato soltanto in area nordica, a partire dal sec. XIII 16• D'altro canto, aisl. bok "libro; supporto ligneo su cui incidere/scrivere", potrebbe rappresentare un prestito cristiano dal vocabolo go t. boka "lettera, scritto" 17, successivamente introdotto nei dialetti germanici (al di fuori del gotico) nel significato di "libro", a seguito della conversione al Cristianesimo. Con aisl. bokstafr ( aingl. bocsttef aat. buohstab) e aisl. bokmdl si fa infatti esplicito riferimento a latinustafr "lettera latina" 18 e latinumdl "latino, lingua della religione", sostantivi che sembrano richiamare già il nome del 'libro' e non quello (originario) del 'faggio' (germ. "bokjon > aingl. bece, ingl. beech e germ. *boko > aingl. boe, aat. buohha, ted. Buche, as. bok, aisl. bok, dan. beg). s. L'evoluzione grafematica. l L fupark anglo-frisone (fu/Jorc)

A partire dal sec. v, sulle sponde del Mare del Nord prende avvio lo sviluppo di una serie innovativa anglo-frisone, testimoniata da vettori di tipologia diversa19, e alla quale, tra i secc. VIII-IX, si affiancò un'ulteriore evoluzione

15. Cfr. l'iscrizione di Gummarp (Svezia, DR-358, sec. VII ) : (h)A�uwolAfA sAte (s)tA(b)A �r(i)a

fff «Hapuwulfar pose tre caratteri...fff [ = ricchezza, ricchezza, ricchezza ?] » . Che il got. boka tra­

duca gr.grdmma, lasciando a "stafi un significato più generico ("elemento"), non basta a screditare l'ipotesi di una cultura runica tra i Goti. 16. Infatti, aisl. speld, spjald "tavoletta scrittoria" ( < germ. "spelda, cfr. go t. spilda, che glossa gr.pi­ nakldion) non dissolve il sospetto di una forte affinità con le tavolette cerate dei Romani, alle quali forse si riferiscono le tabelle di Venanzio Fortunato (cfr. sopra) o le tabulas sulle quali Eginardo narra si esercitasse Carlo Magno: « Cercava anche di scrivere ed era solito tenere sotto il cuscino tavolette scrittorie e biglietti (tabulasque et codicellos) » (Vita Karoli magni imp. 2.5 ) . 17. Come attestato anche dai prestiti in antico slavo. 18. In opposizione, forse, proprio ad aisl. runastafr, il nome del segno runico (aingl. runst.:ef, aat. runstab, mlat. runstaba[s ]). 1 9 . Comprendente, oltre ai consueti oggetti, anelli, monete, croci e cenotafi.

218

10.

FIGURA 18

Le rune

Bratteato runico di Undley (IK-374)

nell'iscrizione X rx F X r H r X r H M M n gif{gò]fa! - m;eg;e medu (o ga[go]ga - maga), le vocali della pri ma parola (una invocazione?, u n urlo d i guerra?, v. gagaga , iscrizione su lla la ncia di Krageh u l-1) sono incise di retta mente unite a lla runa X. /o/ lunga o breve è ra p­ presentata per la prima volta da lla runa F (os) ed /ò!!/ da r (ò!!sc); mél!gél! medu potrebbe riferirsi a llo stesso oggetto e valere per "ri­ compensa dei congiu nti".

Fonte: http://www.british m useu m.o rg/explo re/h igh lights/h ighlight_ob jects/pe_m la/g/gold_bracteate-l.aspx.

visibile in manufatti originati in Northumbria (Parsons, 1999; Bammesberger, Parsons, 2003). L'uso delle rune, nell' Inghilterra anglosassone, si protrasse fin verso la fine del sec. IX, per continuare ancora un secolo in seguito alla colonizzazione scandinava. Il fenomeno viene ormai interpretato come manifestazione di consapevole alterità rispetto al resto della tradizione runica, in considerazione del decisivo influsso esercitato su di essa dalla cultura letterata cristiana 2.o. Si ritiene che, coerentemente con i mutamenti fonologici dei dialetti costieri del Mare del Nord, ilfopark originario abbia evidenziato le prime modifiche tra i secc. V-VI (con una completa redistribuzione dei segni per i fonemi la/, ltt / , l o/ lunghi e brevi) e che le tribù migrate in Britannia abbiano portato con sé gli embrioni di queste nuove tendenze grafemiche riequilibratrici del sistema. Benché la più antica iscrizione con rune anglosassoni sia il Bratteato di Undley (Suffolk, sec. v, rinvenuto nel 1982 e oggi conservato presso il British Museum, Londra, cfr. fig. 18), che evoca i conii di Costantino I - ritratto con l'elmo e sovrastante l' immagine di Romolo e Remo allattati dalla lupa - è solo ai secc. VIII-IX, però, che risale il più anticofupark anglosassone (il cosiddetto

Grafia e fonetica

li

20. Nel ductus, nell'equazione tra la runa n. 15 'r e la , favorita dal nome di Cristo (e preceden­ te di oltre un secolo la più antica testimonianza manoscritta), o nella ipotetica origine della runa 1:1 per , modellata sulla conoscenza della lettera greca iota sottoscritta (cy, q., n) introdotta dai monaci esperti di greco. 21. Cfr. l'iscrizione sulla spada di Arum, Frisia occid. (metà sec. VI?): MMf:Bt=:=Mf:, edre:bodre (o :boda, in virtù di letture controverse dell'ultima runa), un probabile nome proprio, in cui boda vale "messaggero".

219

Scramasax

l Germ a n i

FIGURA 1 9

Spi lla di Malton

Fonte: http://en.wiki pedia.o rg/wi ki/Fi le: British_M useu m_Ma lton_Pi n.j pg.

fuporc), conservato in due documenti: il già citato Scramasax del Tamigi (unica testimonianza epigrafica nel suo genere, qui in forma trascritta da http :/ /en.wikipedia.org/wiki/File :Beagnoth_Seax_Futhorc.jpg)

f u p o r c g w h n i j eo ? p x s t h e ng d

l m

re

a

ce

y

ea

e il manoscritto miscellaneo Codex Vindobonensis 795 (già Cod. Salzburgensis 140), meglio noto come Codice di Alcuino, il quale, accanto ai valori fonetici, propone una lista dei nomi del fuporc, secondo una tradizione manoscritta continentale (cfr. oltre) n: F f fe feoh, 1\ v ur, � d dorn, � o os, R r r�da, k. c cen, 'X g geofu, f> uu uyn, � h haegil, + n naed, l i is, + gg gaer, J i & h ih, t p peord, r l & x ilcs, � s sygil, t t ti, B b bere, M m eh, N m mon, � l lagu, � n & g lug, H d daeg, � oe oedil, r a ac, � ae aes, r ea eor, lìl y yr.

A questi due reperti vanno inoltre aggiunti altri due fuporc incompleti degli inizi del sec. I X : la Spilla di Brandon (Suffolk, 16 caratteri) e la Spilla di

2.2..

220

Il codice tramanda inoltre tre alfabeti gotici accompagnati dalle denominazioni dei caratteri.

to.

Le rune

Peculiarità fonetiche Ferme restando le perplessità sul valore (e sull'impiego) della runa n. 13 (! o t), è sorpren­ dente come dalla quarta runa della sequenza originaria (f = */a/) se ne siano prodotte ben tre, ciascuna testimone di altrettanti fonemi sorti in area ingevone: - n. 4. F = /o/ aingl ds "dio (pagano)" ( < germ. *ansu-), germ. *la/ + CONSON. NAS. + SPIR. SORDA > /(J/; - n. 25. r = /al aingl tic ..quercia" (< germ. *aika-), germ. */ai/ > /d/; - n. 26. � = /re/ aingl resc ..frassino" (< *aska-/-i-),germ. *la/ > /il!/ (salvo dav. a CONSON. NAS. ) . Contro ogni aspettativa, la mancata conservazione dell'antico segno per */al deriva da un modello di riferimento evidentemente diverso dal latino, come già avanzato da Cam pbell (1959, p. 28)'. La preminenza del valore fonetico su quello grafematico sembra comunque confer­ mata dal mantenimento della posizione originaria, rispetto allo spostamento in coda all'antica sequenza delle due nuove rune, i cui nomi testimoniano l'evoluzione anglo-frisone dei fonemi /ti/ (< */ai/, */au/) ed /iS!/ (< *la/, */él/). È immaginabile che la riforma ortografica non abbia avuto luogo prima del passaggio di germ. *la/ f > /re/ (secc. 1v-v), ma è probabile che tali sviluppi possano aver soltanto contribuito a quella riforma, innescata principalmente dal fenomeno lin­ guistico della metafonia palata le e dalle relative ricadute sul sistema morfologic epen. testimoniando l'influsso palatale esercitato dalla li/ nella seconda siLLaba. 2. Proprio queste collocherebbero allora intorno al sec. \1111 la nascita

luogo di

Afa/ton

{ Yorkshire, c&.

fìg.

19), 1 1

caratteri. dei quali i primi 7 seguono la

consueta successione fu }l o r c g, poi la runa n. 8 per l 10 e 11 a z e,

[?] e alle posizioni n. 9,

a indicare con molta probabilità i tre nuovi fonemi anglosassoni,

l 'ultimo dei quali vale

[ce ,..., e] �'.

13. In quest'ultimo caso, anche il pannello S-7 dc:Jla monumc:ntalc Croce di Ruthw�/1 (cfr. oltre), con la breve sequenza z ca u (oppu re y) � }J o (� r r nu� l � f) potrebbe: verosimilmente riprodurre: un prototipo dcUil scric: northumbrica con i nuovi segni ;adomti ( Bammcsbcrgcr. 2006, pp. 184·6).

221

l Germani U n a vera riforma

Fioritura

Croce di Ruthwe/1

Come rileva Parsons ( 1999, pp. 41, 89), i dati archeologici mettono in luce una netta distinzione tra i reperti precedenti la cristianizzazione (circa una quindicina tra i secc. v e VII ) e quelli cristiani: dal punto di vista geografico e cronologico, la notevole omogeneità dei nuovi caratteri runici in tutta l'isola e l'assenza di forme arcaiche continentali lascerebbero concludere che l'innovazione locale rappresenti non tanto il frutto di un graduale processo di adeguamento, ma piuttosto il risultato di una riforma consapevole e standardizzata determinatasi in ambienti cristiani. Rispetto alla consuetudine, la prevalenza del ductus destrorso rivela l'influsso alfabetico latino, ulteriormente apprezzabile in alcune iscrizioni bialfabetiche (sia con doppia incisione, in maiuscola insulare e runica 2.4, sia miste) , come sul Reliquiario di san Cuthbert (secc. VII-VIII ) , che reca incisi in rune e alfabeto latino i nomi dei personaggi biblici ivi effigiati 2.5• I secc. VIII-IX registrano un'esplosione chirografica di rune nelle legende numismatiche l6, fenomeno che si attesta verso le Midlands e la Northumbria, con una specializzazione nella natura dei manufatti incisi: croci e monumenti tombali manifestano l'evidente virata in senso cristiano di una cultura orale in grado di 'prestare ' alla tradizione alfabetica latino-anglosassone due caratteri runici (P e �), per rappresentare i fonemi !SI, /Ò/ e /w/, assenti in latino. Nel caso della specializzazione funeraria della S RUN anglosassone, si osserva che l'epigrafia runica (diversamente da quella in latino) sembra essere cessata verso la fine del sec. IX, all' inizio cioè del periodo della colonizzazione vichinga del Centro-nord, che veicolava una propria peculiare tradizione runografica. L'abbandono coevo della S RUN nell' Inghilterra settentrionale viene quindi comunemente interpretato con il desiderio di evitare qualsiasi commistione simbolica e culturale con i nuovi colonizzatori, ai quali erano attribuiti comportamenti e pratiche incompatibili con la religione cristiana. Un documento esemplare resta la monumentale Croce di Ruthwell (Dumfriesshire, secc. VII-VI I I ; cfr. figg. 2.0-2.2. ) , sulla quale, accanto a scene scolpite ispirate alle Sacre Scritture, ornate da citazioni bibliche in lingua e scrittura latina, sono conservati versi del poema anglosassone noto col

2.4. Cfr. hogback di Falstone, Northurnbria, sec. IX: [+ .. . / . . . ]a[e] [aeftaer] hroethberh[te] becun aeftaer eomae gebidaed der sau[le] "in memoria di Hra:pberht, un monumento in memoria del­ lo zio, pregate per la (sua ?) anima". 2.5. Cfr. croce di Chester-le-Street, sec. x : E�DMVi-D; legende numismatiche del tipo BEOHf' in: + BEOnnaREX, in 3 sceattas di argento del re dell'East Anglia Beonna, sec. V I I I ; anello di Borrow Hill, Lancashire; Manchester (?), sec. IX: EAi-RED e f'XROf' in + IR/) in sedicesima (e u ltima) posizione, seguito, verso la fine del sec. V I l i , da una dra stica sem plificazione formale (a 'bracci corti') delle ru­ ne d i a rea svedese; da qui, verso la metà del sec. x, i n i z i ò ad affermarsi u n a vari a n te più standardizzata e meglio leggi b i le d i origi ne da nese, la q u a le lenta mente si affermò in tutta la Sca n d i navia, sostituendosi a lle varianti regi onali allora in c i rcolazione ( Liest0l, 1981b; Ba rnes, 1987; Kortla ndt, 2003). l.

2. 3. 4· s. 6. 7. 8.

r 1\ l> f R r t l

/{/, /v/ /u/, /w/, /o/, /y/, /�/ /p/, /ò/ !q/, /o/ (dal sec. Xl) /r/ !k/, /g/, !f) k/, / f) g/ !h/, 191 /n/ t i /Ei/, /El

g. 10. 11. 12. 1314. 15. 16.

l t � i � 't' r l

ti\ /au/, /p/, /o/, /�y/

li/, /j/, /e/, /E/ /a/, /E/ /si /t/, Id! !bi /m/ !Il /R/ (!y/ dal sec. x1) l t /ja/, /e/, /El

che risulta dal confronto delle numerose varianti allografiche e dalla pratica anglosassone e scandinava della 'legatura' di rune adiacenti in un unico grafo, oscillazioni che sono forse il risultato di un naturale processo di sperimentazione riscontrabile in altri alfabeti. Dopo alcuni secoli di impiego, le rune uscirono tuttavia di scena, conser­ vandosi nel bacino del Mare del Nord e del Mar Baltico, benché attraverso meccanismi molto diversi. Mentre in area anglo-frisone l'evoluzione del sistema si realizzò ampliando la gamma a 28 (e a 3 3) segni, con caratteri e nomi nuovi, in Scandinavia il numero venne progressivamente ridotto in momenti diversi: a una prima fase, forse con 21 caratteri (cfr. iscrizione di Eggjum), seguì un secondo e più radicale 'taglio' a 16, sacrificando segni superflui o poco impiegati e con nuovi abbinamenti runa-fonema (cfr. Birkmann, 1995; Stoklund, 2006; Nielsen, 1998, 2ooo; Schiilte, 2oo6). La crisi economica e l' instabilità politica del sec. VI, l'interruzione delle rotte commerciali tra Continente e Scandinavia, la drastica riduzione di afflusso 227

I n versione di tendenza

Fase di tra nsizione

l Germani

Riduzione e sem plificazione

Hedeby

d'oro in Nord Europa e il conseguente declino delle iscrizioni sui bratteati coincisero, dal punto di vista d eli'epigrafia runica, con una fase di transizione grafematica, osservabile, fra l'altro, nel gruppo di iscrizioni del Blekinge (sec. VII ?) 2.7, nell'iscrizione di Sparlosa (Svezia, se cc. VIII-IX) e in quella coeva di Eggjum (Norvegia, l'ultima infupark antico). Si ritiene che una simile transizione (visibile in più di una dozzina di reperti) abbia avuto luogo in Scandinavia tra la metà del sec. VII fino a tutto il sec. VIII, accompagnata da sostanziali modificazioni linguistiche (p.es. sincope e metafonia), non sufficientemente registrate dalle testimonianze locali immediatamente precedenti, i bratteati, i quali utilizzavano ancora un Jupark a 24 segni (cfr. Antonsen, 198oa). Il riequilibrio grafo-fonologico prese le mosse a partire dalla soppressione delle rune n. 12 j, n. 13 i/e/ ?, n. 14 p e n. 22 ng - segni problematici per diverse ragioni già nella sequenza originaria del Jupark e dall' inserimento sporadico di una vocale epentetica < A > in taluni nessi consonantici, ma altresì priva di un reale valore fonetico. L' intera operazione rientra in un processo alfabetico innovativo, responsabile di sequenze runiche di forma diversa e semplificata, con una forte connotazione regionale e senza indicazione delle nuove vocali prodottesi. La serie ridotta del fupark nordico è basata sull'abbandono dei fonemi modificati e sulla mancata notazione dei nuovi, mantenendo in tal modo una struttura grafematica conservativa; questo nuovo fupark si dimostra meno flessibile, rispetto a quello anglo-frisone, soprattutto in virtù dell'assenza di una matura cultura testuale latina, affermatasi soltanto con la tarda conversione. Delle 6.081 iscrizioni runiche scandinave, 155 datano l'epoca pre-vichinga (e dunque redatte inJupark germanico), mentre 2.540 sono state realizzate a partire dal sec. XII: ne consegue pertanto che le restanti 3.386 sono composte in Jupark nordico (Jesch, 2001, p. u ) . La molteplicità delle sotto-varianti e la conseguente impossibilità di definire uno standard grafematico del nuovo fupqrk 2.s ne consigliano una descrizione caso per caso (Birkmann, 1995). Fin dalle prime testimonianze emergono due varianti distinte : una a ' bracci lunghi' e un'altra a ' bracci corti ' ; quest 'ultima, malgrado sia considerata il risultato finale di un processo di innovazione grafematica, è documentata però già nel sec. IX, in un'epoca cioè precedente a quella a cui viene fatta risalire l'iscrizione Hedeby-1 (Judand meridionale, su una bacchetta lignea di 16 cm, cfr. fig. 26), capofila della nuova sequenza scandinava.

2.7. Antica provincia danese nella Svezia meridionale, con quattro iscrizioni coeve. 2.8. Analogamente al fuporc anglosassone sopra trattato, anche in Scandinavia si registra l'evo­ luzione del fonema germ. "la/ davanti a consonante nasale (p.es. "ansuz) in un nuovo fonema allungato e arrotondato /q/ (a seguito dell'influsso di germ. " In/ successivamente scomparso).

228

10.

FIGURA 26

Le rune

Fu/Jprk di Hedeby

r�P t kY J t H11JI /1 f r

u k

p

'!

D

� R r

r k

h n i Ast bm l R



t





f

�·

� � � 1 � r r 1

* 1 4 segni al di sotto sono varianti che provengono da altre iscrizio ni di Hedeby e la serie ancora sotto­ stante è una delle varianti svedesi-norvegesi. Fonte: Liest0l (lg8ta, p. 248). FIGURA 27

Pietra runica di Gerlev

Fonte: www.fornsed.es.

Per la variante a 'bracci lunghi', la versione 'classica' è quella della Pietra danese di G0rlev (isola di Sja:lland, inizi sec. x, cfr. fìg. 2.7) l9•

29. Più tarda e alquanto problematica, viceversa, è la testimonianza del frammento del Vaso di pietra oliare di Hedeby (inizi sec. XI), con la semplice sequenza delle prime tre rune, la quale, de-

22 9

G0 rlev

l Germani

FIGURA 2 8

Fu/Jprk di Gerlev

f u �

é}

r

kh

n

i A

s

t

b

m

lR

Fonte: Liest0l (lg8ta, p. 248).

Oltre alla riduzione dei segni e alla semplificazione del numero delle aste di ciascun carattere, l'analisi formale delle serie runiche nordiche o 'recenti ' rivela che :

a) 9 delle 16 rune ( - F 1\ P R 1 1 B r l) appaiono quasi iden­ tiche alle corrispondenti delfupark antico ; b) 2 caratteri distinti esprimono altrettanti allofoni di lal: • la runa n. 4 (traslitterata < q > ) rappresenta l'evoluzione di germ. *la/ in l'li davanti a un originario gruppo consonantico NASALE + S I B I LANTE (p.es. *ans-, cfr. sopra ilfuporc) ; • la runa n. 10 (che in origine indicava un /j/ non più distinto dalla /il) è traslitterata come e descrive una qualsiasi altra lal che oscilla tra una variante non nasalizzata e la nuova ld/ del germanico nord-occidentale prodot­ , , tasi dali antica *l el dell indoeuropeo; fino al sec. XI, 2 rune esprimono le 2 varianti della liquida /r/; c) d) V * � 1 � l esprimono k h j s m R e la stessa runa * è sporadicamente impiegata per rendere < A > ;

e ) 8 caratteri della sequenza originaria (X P t: J'

o W �) non vengono più impiegati; /J nel passaggio dal germanico alle lingue nordiche antiche, la nascita di nuovi fonemi o la perdita di altri, visibile nell'evoluzione del nome delle rune (germ. *wunju- > nordico ant. *ynn), < e > (*ehwaz > jor) e (*opi/a- > @Oil) pone il problema della realizzazione grafica di nuovi fonemi.

stituita di qualsiasi connotazione magica, potrebbe semplicemente rappresentare il sostantivo adan. fup "genitali femminili". Interessante, ancora, è la sequenza rinvenuta tra le iscrizioni riemerse nel 1958 dagli scavi nell'antica colonia dei Rus' di Novgorod. Una di queste (Novgo­ rod- 1, sec. x ) è un frammento di osso di maiale contenente un fupqrk recente, privo dei primi s caratteri, nello stile di Gmlev, salvo per la forma della runa < m > (chiamata in più di un caso a rappresentare fonemi diversi): � * l l f r i � 'Y � � ( k h n i a s t b m l R). =

230

10.

Le rune

Nonostante le molte ipotesi, talora bizzarre, le congetture più convincenti sulla riduzione delfupark individuano il fenomeno nell' interazione di fattori eterogenei, primi fra tutti le ricadute di processi fonetici quali metafonie, fratture, sincopi, lenizioni e il relativo collegamento ai nomi delle singole rune. Ciò poté aver luogo attraverso una consapevole riforma alfabetica attuata da uno o più autori, con l'intento di ridurre il numero dei segni e di semplificarne le forme, sulla base di una sequenza già emendata rispetto agli antichi 24 segni 30• Se da un lato la perdita di certi caratteri runici si affianca all'evoluzione fonetica dei rispettivi nomi, è probabile che la scomparsa delle rune per d e g vada intesa nel senso di una riforma che ha neutralizzato graficamente l'opposizione fonetica C O N S . S O RDA vs. S O N O RA a vantaggio di una opposizione tra C O N S . S P I RANTE vs. N O N S P I RANTE. Un caso di evoluzione estrema difupqrk sono le cosiddette rune di Halsing (la regione svedese più ricca di testimonianze tra i secc. x e X I I ) , nelle quali viene eliminata l'asta principale a favore dei restanti ' bracci' (o 'rami ' ) secondari I l � i. ! l � I - 1 7 � : ' =

f u p r k h n i a s t b m l R

così come nel caso degli eterogeneifupqrk norvegesi del sec. tendenze compromissorie, precipuamente danesi e svedesi r

f

1\

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(-}

6

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20

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.,.

e

Trascrizione altàbetica D b g d e q

h

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l )"

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> .

11.

Oralità e tradizione orale

luoghi più sicuri delle città nei quali si raccoglieva la maggioranza della classe intellettuale del tempo. Fino a tutto il Medioevo, però, il concetto di 'autore' nel senso moderno an­ cora non esiste, giacché lo scriba o il copista (per lo più lo schiavo romano o il monaco medioevale) fungevano da semplici trasmettitori di opere altrui, spesso lungamente tramandate in forma orale, secondo tecniche complesse di esecuzione (anche gestuale) che ne sottolineavano i punti salienti. A Ro­ ma, lo scrivere era stata una realizzazione culturale di elevato prestigio socia­ le, segno di distinzione dalla barbaritas15, anche se i primi ' barbari ' convertiti nel sec. IV a una forma di Cristianesimo, i Visigoti, erano entrati precoce­ mente in contatto con la scrittura e non pochi sembrano essere stati i codici gotici distrutti o riutilizzati dopo la condanna dell'eresia ariana. L'antica contrapposizione romana litterati : illitterati recepita nelle fonti al­ to medioevali ( Grundmann, 1958; Bauml, 1980) non indicava con precisio­ ne figure culturalmente determinate. Se i primi rappresentavano solitamen­ te persone istruite nelle arti liberali (e dunque in latino), il secondo termine copriva una pletora di persone, prevalentemente laici (dal semplice conta­ dino al cantastorie, fino a principi e sovrani), non necessariamente sprov­ viste di cultura quanto piuttosto prive di una fluida competenza scrittoria latina. Ma il massiccio numero di manoscritti redatti in epoca carolingia era il prodotto di scriptoria monastici e scuole cattedrali, così come l'ancor debole attività delle cancellerie reali fino al sec. X I I fu in mano a chierici e diaconi indipendenti dalla corona e in grado di esercitare un influsso pre­ dominante sulla nascita di un canone scrittorio locale. In ragione di questo controllo monopolistico esercitato dal personale ecclesiastico su attività collegate alla redazione di documenti scritti, l'antica differenziazione tese quindi a evolversi, nelle fonti, verso l'antinomia clerici : laici. Una simile condizione rispecchiava l 'esatto contrario di quanto avvenuto nell' Impero bizantino, nel quale l'erudizione laica, la letteratura e la tradizione scien­ tifica pre-cristiane non erano state soppresse, ma anzi rappresentavano le istanze di una potente classe di burocrati laici, litterati ed eruditi dediti al servizio civile. Nella società del primo Medioevo, tuttavia, l 'esame del ruolo della scrit­ tura, intesa nel senso di 'scritturalità' (cioè 'letteratismo', ingl. literacy, ted. Schriftlichkeit)16, la padronanza - in un ambito alfabetizzato - delle cono-

15. Il verbo per 'scrivere', nelle lingue germaniche eccetto l'inglese, deriva non casualmente dalla voce latina. 16. L'uNESCO definisce con literacy «L'abilità di identificare, comprendere, interpretare, creare, comunicare, calcolare e utilizzare materiali scritti e stampati in contesti diversificati. La scritturali­ tà implica un processo di istruzione che consenta a un individuo il raggiungimento degli obiettivi, al fine di sviluppare le proprie competenze e di partecipare attivamente alla società » .

2 59

Litteratus vs. illitteratus

L'i nterazione co l 'testo'

l Germ a n i

Egemonia del lati no

La tradizione in volgare

scenze atte a redigere testi scritti e a interagire con essP7 mette in risalto la difficoltà di applicare le odierne definizioni dell'alfabetismo alla pratica p re­ moderna, come dimostrano gli studi di Clanchy ( 19 79) sulla marginalità della scrittura ancora nel sec. xn. Se è assai incerta la capacità di scrivere in coloro che sapevano leggere, viceversa chi era in grado di (tra-)scrivere non è certo che fosse a suo agio nella lettura e nella comprensione di testi scritti (Green, 1994), senza ovviamente dimenticare il pubblico dei semplici frui­ tori aurali di testi letti e declamati al loro cospetto (Schaefer, 1991; Richter, 1994). 'Leggere ' contemplava normalmente 'recitare ', 'cantare ' o leggere a voce alta davanti a un pubblico di corte, in un refettorio monastico o altro, anche se la lettura silenziosa o, meglio, individuale, non era completamente sconosciuta prima dell'Alto Medioevo. A dispetto dunque delle lodi di Eginardo verso gli 'alacri ' sforzi scrittori di Carlo Magno, ben pochi sovrani e imperatori del Sacro Romano Impero, da Ludovico il Pio a Carlo IV (t 1378), furono in grado di firmare e convalidare un documento con alcune righe di proprio pugno: la maggioranza di essi non andava oltre la compilazione del proprio monogramma. A lungo, le società emerse dai regni romano-germanici furono dominate da élite prive di un ba­ gaglio organico di formazione e la lingua scritta ufficiale (di atti pubblici, leg­ gi, opere bibliche) restava inevitabilmente il latino, che selezionava il proprio pubblico di fruitori. Nei confronti di questa lingua, le parlate volgari non po­ tevano ancora contrapporre un canone ortografico, uno status sovradialettale o un impiego cancelleresco o religioso che ne garantissero il prestigio lettera­ rio18, almeno fino al programma di 'rinascita' culturale carolingia d'impronta alcuiniana (cfr. oltre, cap. 12.) e alle successive iniziative omologhe sotto l'in­ flusso di re Alfredo e della riforma benedettina nell' Inghilterra anglosassone. La crisi e il riflusso di gran parte della cultura laica del sec. VI non implicò tuttavia la scomparsa della tradizione pre-cristiana - romanza, germanica o celtica -, la cui sopravvivenza continuò ad articolarsi in testi fissati in forma non scritta. Il ricco repertorio tematico sembra essersi esplicato in prevalenza attraverso composizioni epico-eroiche (care all'aristocrazia militare in cerca di legittimazione politica e di una memoria condivisa delle proprie origini), senza disdegnare una componente lirica. Alla trasmissione di queste creazio-

17. Ciò che nei più recenti studi sul rapporto tra culture orali e scritte viene indicato con i termini tecnici ingl. textuality o ted. Verschriftlichung, rispetto ai più limitati scripting o Verschriftung, cfr. Oesterreicher (1993). 18. Così Otfrid (t 870 ), monaco a Weissenburg, si rivolgeva al vescovo Liutbert di Magonza nella dedica del suo Liber euuangeliorum, parafrasi biblica in versi in dialetto franco ne renano meridio­ nale : «Infatti questa lingua [dei Franchi] viene considerata rozza, perché dai propri parlanti non è mai stata curata, né in forma scritta, né in altra forma. Perché questi né affidano alla memoria le vicende dei propri antenati, come fanno invece altri popoli, né onorano le loro gesta o la vita come sarebbe giusto ».

260

11.

Oralità e tradizione orale

ni provvedeva l'opera di cantori itineranti19, in molti casi bilingui anche per ragioni professionali. La fissazione scritta (spesso casuale) di materiale eroi­ co, storico-leggendario e successivamente eroico-agiografico, riuscì evidente­ mente ad attrarre l'attenzione dei chierici coinvolti a vario titolo nei processi di costituzione di testi scrittil.o; con ciò fu possibile stabilire punti di contatto e un certo grado di accettazione e di recupero di talune fonti locali ( natu­ ralmente attraverso la mediazione ecclesiastica), favorendo forme iniziali di interazione tra i due ambiti di cultura. Il rapporto oralita vs. scrittura sembra pertanto essersi sviluppato attraverso modalità più elastiche e articolate di una semplice antitesi culturale impermeabile, con nuovi modelli di comunicazione basati su una simbiosi fra l'orale e l'alfabetizzato (Stock, 1987, 1990 ) ; si tratterebbe, in definitiva, di forme di coesistenza forse prive di quella contrapposizione netta postulata da autori come J. Goody, di quel 'Grande solco' contro il quale si schierarono anche altri esponenti della scuola oralista come p.es. R. Finnegan (1973, 1984). Con ciò si intende che illitterati ancorati alla tradizione orale potevano eventualmente conoscere, pur senza saper leggere, i testi biblici e le omelie che venivano letti o recitati in loro presenza, accanto a versioni scritte e rielaborare di antichi canti orali. La scansione più minuziosa delle modalità di trasmissione dell'oralitàl.l e delle fasi salienti che accompagnavano la formazione di un testo oralen produssero risultati significativi pur senza soddisfare la questione metodologica fondamentale: il riconoscimento dei resti autentici della tradizione orale dagli elementi più recenti che l'hanno tramandata nelle letterature germaniche alto medioevali, elementi generati in ambienti che si identificavano col primato dello scritto sul parlato. La trascrizione in volgare di tradizioni e motivi dell'oralità non viene ormai più ascritta all'esigenza di garantirne la memorabilità tra le classi dominanti

19. Denominati nelle fonti adalsangeri, scop, skopj ioculator, mimus, tragicus, satyricus ecc. 20. Si pensi all'inserimento di alcuni poemi eroici in volgare nei codici della Cronaca Anglosasso­ ne, parallelamente a eventi specifici, oppure, all'interno di un codice dell'abbazia di Reichenau, il richiamo ai dodici poemi in volgare germanico (xii carmina Theodiscae linguaformata, Lehmann, 1918, p. 248) e ad altre composizioni indirizzate, secondo il bibliotecario Reginbert, all'insegna­ mento della lingua locale (ad docendum Theodiscam linguam, Lehmann, 1918, p. 260 ). Prive di riscontro, invece, sono le parole di Eginardo nella biografia di Carlo Magno (cap. 29), quando sostiene che il re «Fece redigere e imparare a memoria gli antichi carmi barbarici nei quali erano narrate le gesta e le guerre dei vecchi sovrani». 21. 'Primaria' (è l'oralità pura delle società prive di contatti con qualsiasi forma di simbolizzazione chirografica), 'mista' (che ha un influsso ancora esterno e parziale) e 'seconda' (che si ricrea in con­ testi peculiari, emarginati dalla cultura colta). La quasi totalità della 'letteratura' medioevale, fino a circa il sec. XVI, va riportata agli ultimi due tipi di oralità, che coesistono con fenomeni scritturali. 22. Che Zurnthor ( 1983) riconosce in reazione, comunicazione, ricezione, conservazione e ripe­ tizione.

2 61

Forme i b ride

Vitalità della tradizione

l Germani

e più colte, che erano semplicemente inesistenti. Sia nelle più antiche corti germaniche (nelle quali per molto tempo cantori, spilmen ejoculatores conti­ nuarono a recitare 'prodotti ' dell'oralità), sia nei monasteri (centri di cultura spesso censurati per il favore accordato alle medesime forme di espressione, cfr. Richter, 1994), non si capisce infatti quale interesse potesse motivare la fedele trasposizione scritta di una documentazione di origine p re-cristiana in parte scollegata da quei centri di potere, salvo ipotizzare la prolungata vitalità e il successo della cultura tradizionale, che trovava raramente una 'tribuna' all' interno dei manoscritti. Al già controverso processo di formazione di un poeta - il suo bagaglio di con­ tenuti tradizionali e i mezzi stilistici più congeniali per 'tradurli ' - si aggiungo­ no i problemi della codificazione, delle fonti utilizzate, dell'ambiente culturale e dei relativi protagonisti materiali, attraverso i quali l'opera è stata concepita per la versione scritta e conseguentemente redatta. La messa per iscritto di te­ matiche più o meno tradizionali non diminuisce le domande e le contraddi­ zioni relative ai documenti poetici oggi conservati, in quanto essi risultano una sintesi tra la cultura letterata (e monastica) e quella dell'oralità, dai contorni largamente insondabili. Come se ciò non bastasse, vanno aggiunti due ulteriori ostacoli: l'incapacità di valutare la storia di singole opere scritte (molto spesso conservate in un unico codice), che impedisce di individuare varianti mano­ scritte di rilievo; in secondo luogo, la varietà della tradizione orale di un testo non si arresta automaticamente con la sua codificazione, ma può prosperare anche in seguito, come attestano le complesse vicende manoscritte del Nibe­ lungenlied medio alto tedesco, dell'Edda di Snorri Sturluson o del patrimonio delle ballate popolaresche tardo medioevali. 2.

Allitterazione

Elementi di metrica germanica

La tecnica di versificazione che contraddistingue varie tradizioni germani­ che si basa su tratti peculiari che la differenziano, all' interno del mondo in­ doeuropeo, p.es. da quella greco-latina. Fino almeno all' ingresso normativa della rima nei versi biblici alto tedeschi di epoca post-carolingia, la poesia germanica sembra caratterizzata dali'adozione di un unico metro, incentra­ to sul cosiddetto verso lungo allitterante. Al suo interno, esso contemplava infatti un'unità metrica, semantica e sintattica, intimamente collegata con lo sviluppo di un'accentuazione percussiva proto-sillabica tipica delle lingue germaniche (See, 1967; Kurylowicz, 1966; Heusler, 1956). L'allitterazione (cioè la ripetizione ali' interno del verso del primo elemento sillabico in po­ sizione tonica, sia esso consonante o vocale, e mai suffissi o desinenze) scatu­ risce quindi come elemento demarcativo metrico-linguistico, già osservabile, come accennato, in alcune iscrizioni runiche. Tra queste, la celebre incisione sul corno d 'oro di Gallehus (Danimarca, sec. v, cfr. cap. 10 ) recita: ,

262

11.

Oralità e tradizione orale

EKHLEWAGASTIZHOLTIJAZHORNATAWIDO,

ek hléwagastiz h6ltijaz io H. (figlio di/proveniente da) Holt

i.e.:

h6rna tawido il corno feci preparare

Una simile struttura è formata da due semi-versi o emistichi o cola (rispettivamente a e b) divisi da una cesura e uniti dall'allitterazione, in questo caso basata sul fonema l hl in sillaba accentata, che lega il primo accento del semiverso b (h6rna) agli accenti del semi-verso a (hléwagastiz, h6ltijaz). Ogni semi-verso possiede uno o due punti di accento forte (arsi), che coincide con le sillabe allitteranti, e un numero variabile di sillabe atone (tesi, oltre agli anacrusi, elementi atoni antecedenti il primo arsi, p.es. ek): la metrica germanica non sembra originariamente coinvolta dal principio dell' isosillabismo dei versi2.3, il quale si afferma in misura decisa soprattutto nella poesia norrena (cfr. oltre). Il modello metrico prevedeva un'allitterazione tra consonanti identiche, mentre l'allitterazione vocalica aveva luogo tra vocali diverse, circostanza che ha indotto a postulare la possibilità di un'allitterazione basata non tanto sull'elemento vocalico quanto sul colpo di glottide che ne precedeva la pronuncia. I nessi sk-, st-, sp- allitteravano invece soltanto con sé stessi. Ecco di seguito alcuni esempi: Muspilli 55 (antico alto tedesco): sten ni kistentit, uerit denne stuatago in lant. non vi è (/sarà) più pietra, (quando) il giorno del giudizio giunge(rà) in terra. Heliand 2386 (antico sassone): uuerod bi themu uuatare, thar uualdand Crist... la folla (stava) presso le acque, dove il potente Cristo... (Battaglia di) Maldon 8 (antico inglese): hafoc wiòptes holtes, and to ptere hilde stop. il falco verso il bosco (lasciò volare) e andò incontro alla battaglia. I Detti dell'Eccelso (Hdvamd[) 1 1 1 (antico islandese): ofrunar heyròa ec dtEma, né um rdòom ppgòo rune udii interpretare e non ne tacquero i significati.

I vari elementi di un verso non possiedono il medesimo 'peso' metrico e per­ tanto non partecipano all'allitterazione con identica frequenza. In prevalenza, l'allitterazione colpisce i sostantivi; seguono gli aggettivi, gli avverbi e le forme

23.

L'assenza cioè di variazioni nel nwnero delle sillabe in un certo schema metrico.

2 63

Struttura metrica

l Germani

E. Sievers

La tradizione ora le in Sca ndinavia

Fonti

nominali del verbo (participi e infinito). Sono invece ignorate dall'allittera­ zione le forme enclitiche, che non possono trovarsi in posizione tonica (arsi). Basandosi sul computo sillabico e sull'alternanza delle sillabe atone, Eduard Sievers elaborò così, nel 188s, uno schema comprendente le cinque principali tipologie ritmiche (A, B, C, D, E) della poesia germanica, alle quali se ne aggiunse subito un'altra, uno schema che negli studi di metrica dei decen­ ni successivi conobbe un ampliamento esponenziale delle singole tipologie e sotto-categorie, divenendo di conseguenza uno strumento di lavoro meno fruibile. L'allitterazione trovava inoltre un fecondo impiego anche nell'an­ troponimia, allo scopo di tracciare una discendenza o un'appartenenza ge­ nealogica (cfr. Heribrant, Hiltibrant, Hadubrant, rispettivamente nonno, padre e figlio nel Hildebrand(s)lied), oppure tra fratelli (Hengest e Horsa nella Cronaca Anglosassone, Ambri e Assi, Raos e Raptos, Ibor e A(g)io nella Historia Langobardorum, Gunther, Gernot, Giselher nel Nibelungenlied) 2.4• Una considerazione a parte merita la descrizione dell'oralità nordica antica, interessata dalla cristianizzazione soltanto a partire dai secc. IX-X. Dallo svi­ luppo di una literacy antico islandese e antico norvegese (seconda metà del sec. X I I ) si generò un corpus letterario che rivelava l'intenso sforzo volto alla conservazione del patrimonio tradizionale precedente l'egemonia della scrit­ tura2.5. Nella Scandinavia medioevale coesistevano due realtà diversamente incentrate sulla lingua volgare : la cultura letteraria islandese e la cultura pre­ valentemente orale danese, svedese e feroese. Se la prima rivaleggiava con le letterature continentali, le 'lettere ' danesi e svedesi restarono circoscritte fino quasi al sec. xv, con una prolungata conservazione della cultura orale, a cui fa eco la ricca tradizione delle ballate popolari e delle rune, fenomeni viceversa più marginali in Islanda, dove le rune divennero invece oggetto di studio di una erudita tradizione grammaticale. La narrazione di storie a carattere familiare, storico-politico, religioso, ro­ manzesco o leggendario (le 'saghe ' ) , la poesia di encomio dei poeti di cor­ te (scaldi), liste genealogiche o alcuni poemi mitologici ed eroici nello stile germanico tradizionale (la cosiddetta Edda 'poetica' ) sembrano aver goduto di un processo di gestazione e trasmissione pre-letteraria piuttosto ampio. Salvo qualche eccezione di carattere iconografico, questo nutrito materiale non emerge invece dal vasto patrimonio runico scandinavo, composto pre­ valentemente di epitaffi e di gesta, questioni di proprietà, dichiarazioni di

2.4. La centralità dell'allitterazione è ancora oggi conservata in formule residuali, come modi di dire e locuzioni del tipo ingl.jèw andfar between, hand over head, to escape !ife and limb, rough and ready,friend orfoe, o ted. Feuer und Flamme,flx undjèrtig, mit Herz und Hand, Land und Leute, mit Mann und Maus. 2.5. Rankovié, Melve, Mundal (2.010); Siguròsson (2.007); Quinn (2.ooo); Kellogg (1991); Harris (1983, 1985).

2 64

11.

Oralità e tradizione orale

adesione al Cristianesimo e un certo numero di iscrizioni probabilmente col­ legate alla sfera della magia. Stralci di oralità compaiono nella redazione del corpus islandese di leggi (1118) e nelle storie di colonizzazione dell'isola, per effetto della diaspora norvegese dalla fine del sec. IX (cfr. sopra, cap. 7). Altre testimonianze provengono in­ vece, oltre che dalle più tarde saghe islandesi, dai trattati grammaticali e da un 'manuale' di arte poetica come l'Edda di Snorri Sturluson. Lo straordinario successo del genere poetico scaldico si basava su un canone formale di origine orale di estrema ricercatezza e manierismo molto apprezzato tra le élite nordi­ che, ivi compreso il clero, al cui interno si contavano numerosi scaldi. Benché mai sufficientemente chiarito, molti tra i più antichi scaldi ricordati erano il­ litterati, anche se come già osservato questo non equivale automaticamente a una scarsa erudizione e a un'assenza di competenze grammaticali e lessicali, acquisite e praticate viceversa in forma orale (cfr. l' Irlanda medioevale). Proprio il passato pre-cristiano (e orale) dell'arte scaldica ne garantì il viatico per l'accesso alla cultura testuale, allorché le trascrizioni delle numerose strofe vennero impiegate nelle scuole monastiche per l'analisi metrico-linguistica, al pari dello studio del latino cristiano basato su autori romani pagani e sul relativo patrimonio mitologico classico. L'origine e la trasmissione di questa nuova forma poetica sono saldamente ancorate in contesti ufficiali di oralità, corti scandinave disseminate in Europa occidentale e nell'attuale Russia, assemblee, contese, battaglie e banchetti, nei quali una semplice domanda, un'arguzia o una innocente esternazione potevano generare conseguenze piuttosto serie. Questo stanno a confermare le severe sanzioni che la società nordica ritenne di infliggere alla declamazione di versi amorosi o contenenti affermazioni palesemente false o ritenute diffamatorie (Strom, 1974). Il prestigio dell'oralità nella società nordica medioevale è desumibile da alcu­ ni esempi di elevato valore folklorico e ideologico. La Saga di Porgi/l e Haflidi (inizi sec. XIII ) registra le fastose nozze che nel 1119 unirono i figli di due im­ portanti famiglie islandesi: nel variopinto intrattenimento di musici, gioco­ lieri e cantastorie, si alternano barzellette, battute scurrili, racconti e perfino la narrazione di una saga della quale non resta altra traccia, oltre ad alcune strofe libere improvvisate, che causeranno una sanguinosa faida: C 'erano divertimento e allegria, giochi di vario tipo, danze, incontri di lotta e narra­ zione di storie. La festa durò per sette giorni e sette notti [ . . . ] . Hrolfr di Skalmarnes recitò la storia di Hryngviòr il vichingo e di Olafr re dei guerrieri [ ... ] e quella di Hromundr Gripsson, e tutte con molti versi [ ... ] . Il prete Ingimundr narrò la storia di Ormr di Barrey, comprendente molte strofe e, in chiusura, un poema ben fatto da lui stesso composto; questa saga fu apprezzata in seguito da molti saggi.

La descrizione dell'atmosfera che fa da cornice ai festeggiamenti gioca un ruolo fondamentale. Un uditorio le cui aspettative di intrattenimento e con265

Poesia e di ritto

l Germ a n i

vivialità escludono intenti di erudizione libresca sa apprezzare comunque, accanto alle parodie e alle esagerazioni delle saghe fantastiche, strofe libere declamate e poemi ben confezionati, senza escludere genealogie e racconti agiografici, un ricco patrimonio di oralità non necessariamente messo per iscritto. Lo straordinario talento di Ingimundr e delle sue performances sem­ brano in apparenza non stridere con il ruolo di sacerdote, come già significa­ tivamente sottolineato dalla saga. Agli inizi del sec. X I I I , l' islandese Snorri Sturluson, nel Prologo del menu­ mentale lavoro storiografico Heimskringla, spiegava che le storie di re e uo­ mini importanti inserite nell'opera provenivano da persone bene informate, da genealogie, canti e leggende; questi, seppur forse non del tutto veritieri, erano stati considerati affidabili da anziani e saggi e in tal modo rappresenta­ vano un valore, una verità indiscussa e condivisa. Quasi in contemporanea, Saxo Grammaticus, nell'introduzione ai Gesta Dano rum, ricordava di essersi ispirato, accanto ai testi antichi, alle composizioni eroiche di cui gli Islandesi sono maestri indiscussi, citando alla pari di prove testimoniali le dichiarazio­ ni di singoli sapienti di acclarata perizia, circa gli eventi tramandati. Alla me­ tà dello stesso sec. X I I I , il Prologo dell'anonima Piòreks saga afBern norvegese (la Saga di Teoderico da Verona) sanciva che Se gli uomini desiderano ascoltare i grandi eventi che ebbero luogo in tempi antichi, devono scoprire ciò che non conoscono e poi mandarlo a memoria. Se poi si deside­ rano imparare storie più lunghe e inconsuete, è consigliabile trascriverle, prima che la loro memoria si perda [ .. ] Danesi e Svedesi sono in grado di narrare molti eventi di queste storie e alcune le hanno messe in forma di canti coi quali intrattengono i loro signori: molti dei canti odierni furono composti tanto tempo fa. I Norvegesi hanno conservato molte parti di questa storia, diverse delle quali in versi [ ... ]. Vi sono variazioni nei nomi e nelle gesta degli uomini, ma ciò non sorprende quando molte storie, più o meno della stessa origine, vengono narrate (insieme). Questa saga è costruita intorno alle storie della tradizione tedesca e talune provengono dai poemi di quei luoghi, composti molto tempo addietro per intrattenere i grandi signori [ .. ] . S e prendeste u n uomo per ogni città dei Sassoni, ciascuno saprebbe narrare la storia allo stesso modo, grazie alle loro antiche canzoni (Bertelsen, 19 05-II, pp. 1-2). .

.

.

2 66

12 Civiltà della scrittura e rinascita degli studi

[ . ] per chi guarda prendendo una certa distanza [ .. . ] quella che prevale non è l'immagine della rovina, della rottura, ma quella della continuità. Così la moderna problematica della lunga durata nel­ la storia riduce ulteriormente la nozione di decadenza. In questa prospettiva s'impone come fenomeno fondamentale della storia la continuità, non la continuità immobile, ma la continuità attraver­ sata da trasformazioni, da mutazioni, da crisi. ..

Le Goff ( 1978, pp . 4 17-8)

L'educazione allo studio ( ingl. education, ted. Bildung, frane. culture), colti­ vata attraverso un'istruzione 'scolastica' - per quanto ambiguo ed eteroge­ neo sia il termine 'scuola', tra Antichità e Medioevo -, era stato un valore lar­ gamente condiviso in tutto l ' Impero romano, arrivando a influenzare diverse realtà anche solo parzialmente romanizzate, dalla Renania alla Siria. Il suo nucleo più raffinato, sostenuto con intensità dal patrocinio aristocratico, era dettato da un paradigma prevalentemente letterario, dominato dal recupero dell'ideale ellenistico ispirato alla poesia e al canone tipicamente romano della retorica, attraverso lo studio delle autorità culturali riconosciute. Sul finire dell' Impero, un simile percorso elitario di studi era rafforzato da una percezione diffusa di decadenza dei valori della civiltà greco-romana di fronte all'imbarbarimento della vita sociale e culturale e alla fine dell'egemonia di Roma e della cultura latinocentrica. Come noto, Auerbach (1958)1 partiva da simili premesse nel sostenere che la paralisi dell' istituzione scolastica nell' Occidente europeo tra i secc. VI e XI aveva coinciso con una lunga pausa priva di una lingua di livello letterario e di un pubblico in grado di fruirla. Vi sarebbe stato dunque un mezzo millennio nel quale le classi dirigenti furono del tutto incolte, secondo un'immagine 1. «Vi fu un periodo ininterrotto [ .. . ] , nel quale le classi dirigenti della società non possedevano istruzione, né libri, neanche una lingua nella quale poter comunicare una forma di educazione. Esisteva una lingua colta e una massa di lingue correnti prive di scrittura; una lingua di cultura semplicemente non esisteva » (Auerbach, 1958, pp. 191-l).

2 67

Gli ideali educativi del Ta rdo I m pero

Para lisi scolastica

l Germani

Ruolo del Cristianesimo

Trivio e Quadrivio

La gra m matica

Litteratus vs. illitteratus

che deve il suo successo all'allegoria dei cosiddetti "secoli bui", coniata dagli umanisti per il Medioevo. La crisi della classicità, identificabile coi molti valori sui quali si basava l' Im­ pero romano, aveva origini lontane e in una certa misura connaturate al ruolo egemone di Roma, cui l'espansione del Cristianesimo aveva dato una scossa impetuosa. Fu proprio la nuova fede, col proprio sistema di valori, di organiz­ zazione e trasmissione del sapere, in quell'agglomerato di esperienze centri­ fughe che fu il Medioevo, a fungere da garante e da custode del patrimonio culturale che unisce la filosofia greca al Sacro Romano Impero e alla nascita di un concetto di Europa che travalica il semplice dato geografico. Pur allar­ gatosi a un contesto sociale colto greco e romano, il Cristianesimo era sorto da presupposti critici nei confronti delle cultura letterata ellenistica e giudaica (l'idea del Verbo divino, il contatto intimo dei fedeli con Dio), per divenire una religione legittimata dalla scrittura e dalla predicazione (orale) e rafforza­ ta dalle sue applicazioni teologiche e giuridiche. Già nel sec. I l'educazione e la scuola venivano concentrate con sempre mag­ gior convinzione sullo studio delle arti 'liberali ' � del Trivio e del Quadrivio\ un sistema ritenuto indispensabile alla prosecuzione degli studi in campo filosofico, ma anche alla carriera politica e amministrativa (Harris, 1989 ) . Questo canone educativo indirizzato alle élite romane fu recepito come tale anche nel Medioevo e proseguì con esiti alterni nelle prime scuole monasti­ che (cfr. oltre), a dispetto di una certa diffidenza iniziale, se non ostilità, in parte del clero verso la cultura letteraria4• Lo studio medioevale della grammatica, considerata la base di tutte le arti, fu impartito con crescente regolarità e i contributi di Cicerone e Quintilia­ no vennero arricchiti dalle importanti acquisizioni teoriche di grammatici e critici come Elio Donato e Servio (sec. IV ) , Prisciano e Macrobio (sec. v ) . Accanto al valore immediatamente comunicativo, la letteratura rappresenta­ va potenzialmente il terreno privilegiato di studio della grammatica e della retorica nell'applicazione a fini estetici di registri linguistici diversi. Tuttavia l'ambiguità terminologica greco-romana relativa alla cultura e ali' alfabetizzazione era tale che l'antitesi frequentemente citata litteratus vs. illitteratus (vale a dire la persona istruita in latino e forse in grado di legger­ lo e scriverlo e quella priva di tale facoltà, ma non necessariamente priva di cultura, cfr. cap. I I ) non precisa in modo omogeneo la capacità e la funzione di leggere e scrivere nella società alto medioevale. Non vi è certezza se chi 2.. Seneca (Ad Luci/. 88) distingue le arti liberali (che non tendono al guadagno) dalle arti manuali (come anche la pittura e la scultura). 3· Rispettivamente grammatica, retorica e dialettica e matematica, geometria, musica e astronomia. 4· Cfr. in misura diversa Cesario di Arles, Isidoro di Siviglia, Beda, Lupo di Ferrières o la stessa Regula di san Benedetto contro le letture profane dei chierici.

2 68

12.

Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

era in grado di leggere sapesse anche scrivere, tanto che ormai si tende a non concentrarsi più, come in passato, soltanto sul massimo grado di abilità scrit­ toria, ma piuttosto a soffermarsi sui livelli minimi e intermedi nel panorama eterogeneo e discontinuo della documentazione. La pratica della scrittura (li­ teracy) o la sua assenza ( illiteracy) erano condizioni originariamente derivate dali' adattamento al canone del latino e, di conseguenza, per tutto il Medioe­ vo la fruibilità di testi letterari in volgare dipese strettamente dalle modalità di diffusione e conservazione del patrimonio scritto della latinità (Asperti, 2006, p. 29 ) . In ogni caso, se la scrittura fu appannaggio di una ristretta mi­ noranza, la lettura ad alta voce e la memorizzazione restarono a lungo stru­ menti di supporto fondamentali dell'educazione scolastica medioevale. La nascita di sistemi scrittori non è mai stata un evento neutro : si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale (una 'tecnologia dell'intelletto', secondo Goody, 1977, p. 10 ) , le cui conseguenze favoriscono un nuovo modo di concepire, trasmettere e manipolare informazioni da parte di gruppi ristretti. La scrittura era stata un fenomeno di ibridazione culturale sorto nel vicino Oriente, che traeva origine da istanze governative, dali' accumulazione di merci e dalla rivoluzione commerciale dell'età del Bronzo, in combinazione con le competenze scritturali collegate a pratiche divinatorie. Si tratta dunque di ragioni pragmatiche, piuttosto che teologiche, poetiche o di intrattenimento, e che giustificano, al tempo di Giustiniano, la pletora di figure accostate alla pratica scrittoria (notarii, scriniarii, cancellarii, tabelliones ) S. La capacità di scrivere (literacy) non implica quella di comporre autonomamente testi articolati (la 'scritturalità', nella terminologia letteraria textuality) e, viceversa, la capacità estesa di utilizzare e integrare testi complessi non comporta l'abilità di redigerli fisicamente. Almeno in Occidente, la scrittura restò a lungo una tecnica disgiunta dali' insegnamento della lettura, tanto che ancora alla fine del sec. X I I , nei primi versi del poema alto tedesco Der arme Heinrich, l'abilità di leggere libri da parte del cavaliere Hartmann (von Aue) è considerata una dote straordinaria6• Fino almeno al sec. IV, la percentuale di persone mediamente alfabetizzate fu circoscritta a una cerchia esigua, anche se l'elevata mobilità sociale di liberti e piccoli commercianti suggerisce l'esistenza di centri d'istruzione elementare anche per i più disagiati, accanto ai s. Nel mondo romano, gli impieghi 'pubblici' della scrittura, a carattere fiscale e politico (iscri­ zioni pubbliche, libelli, propaganda numismatica, manifesti elettorali), commemorativo, militare (documenti di servizio, diplomi, congedi) e religioso (redazioni di sortes, dediche, maledizioni) non autorizzano a considerare quella società come un universo governato da relazioni che richie­ devano un impegno diffuso nella redazione attiva di testi scritti. 6. «C 'era un cavaliere talmente istruito l che sapeva leggere nei libri l ciò che vi era scritto » (Paul, Wolff, 1972, p. 1, vv. 1-3). 26 9

Svilu ppo della scrittu ra

Alfabetizzazione e scrittura com plessa

l Germani

Volumi e codici

Pa piro, volumen

Perga mena

Codex

La stessa idea di scrivere è collegata intimamente al concepi mento di uno spazio sta ndar­ d izzato in su pporti materiali adeguati, desti nati a ricevere testi ordinati in u n a sequenza d i pagi ne d i stinte. La storia della scrittura lette ra ria 'ospitata' su vettori qualificati è i n a ugurata dal papiro colti­ vato nel bacino del N i lo e dai cui a lti fusti si creava no i singoli fogli u n iti lungo l'orlo verticale. Il prodotto fi nale era il volumen (< lat. volvere "arrotolare, srotolare"), noto anche come liber, presti gioso contenitore della scrittura lettera ria classica, su cui i l testo veniva dis posto i n colonne trascritte solo all'i n terno e lette srotolando i l rotolo da sinistra verso destra. Un'origi ne a n i m a le con notava i nvece la perga mena (o membra n a o vellum), ricavata da lla scuoiatu ra di a n i mali (so lita mente ovi ni): era molto più reperi b i le del papi ro\ più resistente al clima u mido e in grado di ospita re lo scritto su entra m b i i lati del foglio ( recto e verso, abbreviati con r e v ) . con un i ncremento di quasi sei volte. La pelle era trattata con acqua e calce, depilata, levi gata, spianata, ri petuta mente bagnata, detersa e poi stesa per tracciarvi righe invisi bili s u lle quali disporre lo scritto. Scrivervi sopra era più difficoltoso e la comples­ sità delle operazioni necessarie a lla sua preparazione rendeva il codice perga menaceo u n prodotto assai costoso. In origine codex (< lat. caudex "tro nco, ci occo di legno") identificava una tavoletta i ncava di legno (eventualmente legata i n sieme ad altre tabu/ae o tabel/ae) spalmata con cera di colore scuro, su lla quale si trascriveva no con lo stilo appunti e calcoli. Per estensione, il codex pas­ sava dunque a designare u n com plesso di tavolette, un 'quaderno con le pagi ne' molto simili a ll'idea moderna di 'li b ro'2 (forse già i n teso in una lettera di san Paolo, 2Tm 3.14). A partire dai secc. 1 1 1 -1v, con l'i m piego di fogli di perga mena, ri piegati su sé stessi e cuciti in fascicoli, i l codex s i afferma sul volumen pa piraceo, divenendo i l su pporto preferito anche dalla cultura cristiana. Per tutto l'Alto Medioevo, u n a serie di fattori quali l'a b batti mento della domanda di testi scritti, la minore richiesta di manodopera di copisti, l'alto grado di specializzazione neces­ saria e gli elevati costi di produzione, rese la scrittura attività esclusiva d i cancellerie reali, del notariato e soprattutto dell'orga nizzazione ecclesiastica. l costi e la carenza di materia prima i m po neva no i noltre i l riuti lizzo di codici più antichi o danneggiati, i cui testi venivano 'rasati' per potervi scrivere n uova mente: i l nome tecnico di tali manoscritti è palinsesto (dal gr. palin psest6s "raschiato di n uovo") o codice riscritto. 1. La cui coltivazione crollò dopo la conqu ista a raba dell'Egitto, nel 641. 2. A sua volta un sostantivo derivato da lat. /iber, la pellicola, la scorza di legno su cui si scriveva, la quale, per

estensione, passa a descrivere lo scritto nel suo insieme.

U n a classe i n tellettua le convertita

quali si andò affiancando una categoria eterogenea di figure di semi-analfabeti, in possesso di capacità limitate di scrittura e di comprensione di testi complessi. A partire dal sec. IV, il primato della classicità veniva ormai messo aperta­ mente in discussione dal Cristianesimo, la cui tradizione orientale era lonta­ na dali' idealismo ellenistico degli intellettuali pagani. Rigidamente ancorati alla propria tradizione scritturale e in possesso di un tasso di alfabetismo in proporzione decisamente superiore alla media del periodo7, i cristiani non 7· Eusebio di Cesarea (Vita Constantini 4.36) dà notizia che dopo la fondazione di Costantino­ poli (3 2.4) l'imperatore abbia commissionato cinquanta codici pergamenacei delle Sacre Scritture, per la dotazione delle chiese della città.

270

12.

FIGURA 1

Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

Volumina arrotolo lati e riposti nella capsa

Fonte: Ma risaldi et al. (2011, p. 8).

riconoscevano debiti nei confronti del mondo classico. Eppure, i primi con­ vertiti appartenevano in massima parte a classi sociali poco acculturate8, e molti rappresentanti ufficiali della tradizione classica (p.es. l'imperatore Giuliano) ritenevano anzi il Cristianesimo nemico della cultura, oltre che della religione. Ciò nonostante, a dispetto delle invettive ufficiali, una parte della Chiesa cristiana stava in realtà tentando di sviluppare un interessante esperimento di dialogo con la tradizione pagana foriero di nuove forme di comunicazione e integrazione, attraverso le quali elaborare un proprio canone culturale. Già dal sec. II, membri autorevoli della nuova religione9 avevano dato av­ vio a un contrastato processo di assimilazione di parte della cultura elle­ nistica: il riconoscimento della validità di autori profani, con la loro inte­ grazione nell'esercizio e nella pratica scolastica della Chiesa, suggerirono a P. Brown ( 1 9 7 1 ) la celebre immagine della "conversione culturale della cristianità". Nel dibattito tra Chiesa e cultura pagana, la retorica classica ne fu rivitalizzata grazie a un ambizioso programma di 'rinnovamento' che traeva forza dal confronto tra i rappresentanti di maggior spicco del Cristianesimo con cele-

8. Originato tra i ceti più bassi (schiavi, mercanti e stranieri), il Cristianesimo ricorreva nei suoi testi a una varietà di latino incolta e ibrida, una sorta di lingua creolizzata contigua alla forma parlata, base di quel sermo humilis che diverrà il modello prevalente della prima prosa cristiana, di applicazione liturgica e omiletica. 9· Tra questi, Clemente, Origene, Giustino, Atenagora, Tertulliano, Gregorio Taumaturgo.

271

Confronto con la tradizione retorica

Una n u ova opzione cu ltura le

l Germani

L a letteratura d i fine Impero

Ancora in q uesto periodo, la semplificazione cu ltura le e la crisi del si stema scolastico favo­ rirono la compilazione di: a) o pere di to no en ciclopedico-gra m maticale, come le De nuptiis Philologiae et Mercurii, d i Marziano Capella, a llegoria delle arti liberali celebre i n tutto i l Medioevo, e i l Somnium Scipionis d i Macrobio, di argomento cosmologico; b) commentari o rifaci menti di testi precedenti (quello di Servi o all'Eneide vi rgi liana, quel­ lo di Da rete Frigio, De excidio Troiae historia, all'lfiade, o le favole di Avi ano, di tradizione esopi ca); c) testi giuridico - a m m i n i strativi ( Codex teodosiano, Notitia dignitatum, com posti su man­ dato d i Teodosio 1 1 , e i pri m i codici gi uridici visigotici, burgundi, franchi, redatti i n lati no, cfr. cap. 14); d) i n n i e poesia cristiana (Ambrogio, Prudenzio, Paolino d i Nola, Ennodio); e) poesia epica cristiana (Giovenco, Prudenzio, Mario Vitto re); f) o pere a n n a listiche e storiografiche ( Prospero di Aq uita n i a ) ; g) m a n u a li scientifici e testi d'im pronta e u s o cristiani, c o m e esegesi e sermo n i ; u n caso del tutto a ti pico, i n sé, è la precoce traduzione della Bibbia i n u n volgare germanico (il gotico) a opera del vescovo Wu lfila (fi ne sec. IV).

Crisi delle i stituzi oni educative

brati esponenti della disciplina10• Il frutto di quel travagliato dialogo favorì, almeno in parte, la formazione di una nuova classe intellettuale cristiana (tra gli altri, i futuri santi Eusebio, Gregorio Nazianzeno, Girolamo, Agostino) in grado di comprendere, dialogare e competere con la tradizione preceden­ te sulle tematiche filosofiche e teologiche sollevate dal Cristianesimo stesso (Haren, 1985; Berschin, 1988). La sintesi classico-cristiana dei secc. IV e v, recepita nella cultura patristica e nella più tarda poesia d' ispirazione devozio­ nale, agevolò la sopravvivenza della tradizione retorica del periodo classico11• Pur escludendo quasi del tutto il patrimonio aristotelico e la tradizione scien­ tifica ellenistica (a vantaggio delle correnti del pensiero neoplatonico), tale sintesi funse comunque da nucleo di riferimento per una rinascita culturale e, qualche secolo più tardi, per lo sviluppo delle letterature medioevali. La fase finale dell' Impero, con il passaggio alla sua guida di nuove arista­ crazie dell'apparato militare e burocratico ai danni dell'antico patriziato urbano, segnò l'inizio di una decadenza dell'istituzione scolastica, priva di un disegno educativo globale che andasse oltre la formazione di una classe dirigentell. A questa situazione faceva eco, con l'eccezione forse della carriera 10. Cfr. nel sec. IV Imerio, Temistio, Libanio, Mario Vittorino - poi convertitosi. 11. A questo contribuì anche l'elaborazione di compendi canonici di exempla tratti da autori scel­ ti, cfr. quello del grammatico Arusiano Messio (sec. v ) , compilatore di un florilegio di retorica basato su Virgilio, Terenzio, Sallustio e Cicerone. 12.. Un gesto clamoroso nel panorama dell'educazione era stato la chiusura dell'Accademia Plato­ nica di Atene da parte dell'imperatore Giustiniano (52.9), avversario delle scuole pagane e fautore del loro assorbimento nelle corrispondenti istituzioni ecclesiastiche. Il divieto imposto ai vescovi

272

12.

Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

militare, un lento abbandono dell'impegno civile e istituzionale degli intel­ lettuali cristiani a favore di incarichi in seno al governo della Chiesa, che si avviava a divenire erede di molti valori della civiltà classica. Proprio la continuità del modello educativo del mondo antico nella comuni­ tà ecclesiastica è al centro del De Doctrina Christiana di Agostino (compilato tra 397 e 426), contenente un forte accento dottrinario pur senza rinnegare del tutto le finalità della cultura classica enunciate da Cicerone, in un' appro­ fondita disamina del significato dell'allegoria nelle Sacre Scritture. La rea­ lizzazione di tale progetto fu resa possibile sia attraverso l'azione dei vescovi (capi delle singole diocesi, cfr. cap. 9 ), sia per il tramite delle prime forme coordinate di organizzazione monastica (custode di larga parte del patrimo­ nio classico e direttamente coinvolta nell'attività evangelica), sia ancora per il prestigio e il potere del papa, votato alla difesa dei valori cristiani dell' Impero e per certi versi omologo all'imperatore, col quale condivideva l 'originaria città di residenza13• La Chiesa divenne ovunque l' interlocutore predominante nei rapporti tra le popolazioni delle province e i nuovi conquistatori: così avvenne coi Van­ dali stanziati in Africa (dove a Cartagine furono riaperte perfino le scuole di retorica) e coi Visigoti nel Sud della Gallia e in parte dell' Iberia. D 'al­ tronde, i regni romano-germanici erano stati costretti a ricorrere alle isti­ tuzioni amministrative del vecchio Impero e la formazione di un personale idoneo rese necessaria in diverse regioni la sopravvivenza di scuole private. Fino al sec. VI, si registrano ancora minime tracce di una cultura secolare al di fuori dei monasteri, conservata nell'apparato burocratico dei nuovi pc­ tentati occidentali e nel notariato laico : una pur minima parte dei Mero­ vingi era alfabetizzata, benché non letterata, e Gregorio di Tours informa che il re Chilperico I (t 584) avesse proposto di integrare l 'alfabeto latino con quattro nuovi segni (cfr. sopra, cap. 10 ). Il dibattito culturale conti­ nuò a essere coltivato ancora per un periodo e le prime corti germaniche accoglievano con generosità retori e intellettuali, ai quali affidare anche questioni politiche e burocratiche anche disagevoli, come nei casi di con­ flitto con la controparte romano-romanza. Documenti legali in latino, atti notarili, eredità ecc. venivano ancora redatti da personale laico su papiro, pergamena, legno o terracotta : laddove questo non era possibile, l'unica

di leggere autori profani decretava la fine della scuola antica e il passaggio definitivo a nuove stra­ tegie educative del clero, più direttamente controllato dai vescovi. 13. «Come avvenisse e sotto quali impulsi il passaggio ad un ideale di cultura intellettuale, e re­ lative scuole impregnate di spiriti religiosi cristiani, è un problema molto grave e che non so se persuasivamente in tutto risolto ; risolto, si capisce, come si risolvono i grandi problemi storici, sempre provvisoriamente, in consonanza con i tempi che questi problemi si propongono e cercano di risolvere » (Sestan, 1972., p. 2.1). 273

Capi llarità ecclesiastica e mon opolio cu lturale

l Germ a n i

I l movimento monastico

alternativa restava l ' impegno istituzionale di quegli intellettuali cristiani entrati nei ranghi del clero14• Se l'esplosione delle conversioni tra i popoli germanici per il tramite dell'attività missionaria aveva sancito il riconoscimento dell'organizza­ zione e dell'autorità ecclesiastica in nuove funzioni pubbliche, fu però l 'espansione del movimento monastico a favorire gli studi in Occidente con una certa continuità, pur senza rappresentare ancora una risorsa sta­ bile e coordinata per un rinnovamento culturale. Il recupero di una parte della tradizione retorica e letteraria al servizio dottrinario ed esegetico sanciva in un certo modo il superamento di alcune rappresentazioni ori­ ginarie degli ideali monastici, che, ancora nella biografia di san t 'Antonio, si manifestavano p.es. nel rifiuto del santo a imparare a leggere e scrivere

( Vita Antonii I). Lati no, dottri na e m i ssioni

Ci rcolazione d i testi e copiatura

Person a le monastico

In assenza di traduzioni ufficiali di testi sacri, l' insegnamento elementare del latino garantiva innanzitutto una più corretta propagazione della dottrina cristiana, trasmessa in forma orale o scritta, a seconda del livello culturale e linguistico dei fruitori. I problemi concreti di reclutamento in tempi rapidi di personale ecclesiastico da inviare nelle missioni restringeva di molto il periodo di formazione, ma è certo che, nonostante le resistenze allo studio della letteratura profana, conventi e monasteri si avviavano a divenire i luo­ ghi eletti di trasmissione del sapere. Questo fu reso possibile grazie anche alla crescente attività di copiatura, scambio e vendita di codici manoscritti, spesso prodotti in loco, e all' im­ portanza comunque conferita dalle regole monastiche alla lettura, sia quella comune, ad alta voce, in occasioni conviviali, sia quella individuale, talvolta sopravvalutata. È curioso infatti come la Regula benedettina non faccia riferimento esplicito all'esercizio scolastico, benché registri tra gli oggetti necessari al monaco stilo e tavolette scrittori e ( ss.18-19 ) . Tra i secc. VII e V I I I , le istituzioni monastiche, centri piuttosto eterogenei per formazione, membri e attività svolte15, si candidarono di fatto a divenire la fonte primaria di personale colto o comunque alfabetizzato, al quale i sovrani attingevano per redigere atti e svolgere incarichi amministrativi16•

14. Come dimostrano i casi di Germano di Auxerre, Paolina di Nola, Cesario di Arles, Sidonio Apollinare e altri, le gerarchie ecclesiastiche si avviavano sempre più frequentemente a ricoprire incarichi burocratici d'importanza elevata. 15. L'atto ufficiale di fondazione delle scuole monastiche o episcopali va forse ricercato nella col­ ta tradizione ispano-visigotica, dove il II Concilio di Toledo (52.7) sancì che presso il vescovado potessero essere istruiti sia i futuri chierici, sia i laici, che in diversi casi vennero successivamente imposti a capo delle comunità monastiche dalle famiglie aristocratiche che proteggevano e soste­ nevano economicamente il singolo monastero. 16. Una posizione particolare all'interno del movimento monastico è rispecchiata dal clero irlan­ dese. Facendo seguito alla prestigiosa tradizione di druidi e poeti professionali (jìlid), l'impegno

274

12.

Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

In una fase di profondo declino dell'attività educativa, volta soprattutto all'eruditismo e al culto antiquario delle litterae, l'organizzazione ecclesia­ stica seppe coniugare fede, cultura e pragmatismo, pur senza sconfessare il modello educativo tradizionale della scuola classica. Anzi, essa ne divenne la componente più dinamica in un periodo ininterrotto, raggiungendo il suo apice verso la fine del sec. V I I I , un secolo cruciale che rappresenta il distacco tra educazione elitaria e innalzamento dello standard culturale richiesto dalle missioni (McKitterick, 1995b, p. 681). Nella perdita generalizzata d 'importanza dei centri urbani e del tessuto sociale che alimentava il sistema culturale del mondo antico, le tradizioni locali, l'eventuale contiguità con centri monastici e scriptoria di prestigio e la possibilità di procurarsi testi o tutori validi, ebbero effetti determinanti sulla trasmissione culturale nell'Alto Medioevo, epoca cruciale per lo studio dell' interazione tra oralità, storia e letteratura, proprio grazie all' importanza che andava assumendo il valore della 'testualità' nella società europea. Fu in questo periodo che si produsse l'impiego su vasta scala e il riconoscimento condiviso del testo scritto, con le varie tipologie espressive a esso collegate.

1.

La Letteratura dell'Alto Medioevo Lati no-germanico

Molto diversi furono tuttavia tempi, modi e frutti di questa nuova fioritura culturale, dipendente dalla fisionomia stessa dei singoli centri di formazio­ ne collegati a istituzioni della corona, monastiche, episcopali (annesse cioè a una cattedrale) o presbiteriali (operanti nelle campagne). Se da un lato le élite barbariche si trovarono a convivere con ambienti talora fortemente con­ notati in senso letterato, dall'altro non vi sono prove che vi abbiano reagito sempre favorevolmente, promuovendo in misura significativa l' istituzione scolastica. L'alfabetizzazione, ancora lenta, aveva un carattere funzionale e si rivolgeva a finalità pratiche: in ambito laico, le risposte più importanti ri­ guardavano la codificazione delle consuetudini giuridiche (cfr. cap. 14), gli atti testamentari e di compravendita. Accanto a questa documentazione si andò affiancando il genere storiografico di quel sotto gruppo peculiare che fu l'o rigo gentis (o origines gentium, cfr. cap. 13). L'aristocrazia germanica, per lo più esclusa dall'attività epistolare e dalla fruizione di opere narrative tradizionali in forma scritta, coltivò a lungo i paradigmi della cultura orale, disinteressandosi di una formazione scola­ stica basata sui canoni retorici e grammaticali latini; anche dopo la fusione

dei chierici celtici nelle scuole e nelle ricche biblioteche monastiche fu decisivo. Come risalta dalla letteratura agiografica, il monachesimo irlandese, che abbinava ideali di anacoresi allo studio di teologia, esegesi biblica, grammatica e computo, fu trapiantato in Inghilterra e poi nel continente europeo, fornendo un impulso straordinario verso il rinnovamento culturale.

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Pri m i 'ge neri' letterari

l Germani

Fioritura nord-europea

con le classi dirigenti romanze, la cultura secolare tra i secc. VI e VII rimase un fenomeno di erudizione ristretta, privo di originalità e di innovazione. In quest'epoca, l'agiografia è uno dei canoni letterari che conosce un successo straordinario nelle aree germaniche da poco convertite, in particolare nella Gallia franco-romanza (cfr. Elliott, 1987; Fouracre, 1990 ). Inizialmente coevi agli eventi narrati durante le persecuzioni romane, Atti e Passioni dei martiri furono impiegati con efficacia anche dopo le prime fasi dell'evangelizzazio­ ne. L'obiettivo, oltre che di favorire il culto di santi locali, era di consolidare il nuovo credo tra le comunità di fedeli attraverso forme narrative di in tratteni­ mento poco elaborate su vicende quotidiane, arricchite di elementi esempla­ ri, fantastici e miracolistici (cfr. Jolles, 1930 ). A questo genere, nel tempo, fece eco la fioritura delle Vite di santi non martirizzati, vescovi e monaci, trascritte tra i se cc. IV e v (p.es. la Vita di Antonio, di Agostino, di Martino di Tours) e imperniate sulla resistenza dei santi alle tentazioni o su atti e miracoli da essi compiuti. Con il sec. VII, dopo la lunga egemonia mediterranea si assiste a uno sposta­ mento verso il settentrione dei centri culturali europei di maggior rilievo. Alla sostanziale immobilità dell'Africa (post)giustinianea, faceva eco un' I­ talia devastata dalle guerre goto-bizantine e dal caos suscitato dall'arrivo dei Longobardi, mentre le lotte intestine nei sottoregni merovingi ne avevano largamente paralizzato l'attività culturale, una volta florida. Il Nord della Gallia e della Spagna visigotica stava invece manifestando una crescente atti­ vità intellettuale e letteraria, anche se saranno l' Irlanda celtica e l' Inghilterra anglosassone a dominare per due secoli lo scenario culturale europeo. In par­ ticolare in Inghilterra, l'attività missionaria irlandese, a nord, e quella gallo­ romana, a sud, produssero risultati inaspettati per la rinascita di una nuova latinità, che ebbe il talento maggiore in Beda. 2.

Italia

In Italia, la crisi della cultura tardo-antica iniziò a manifestarsi tra i secc. VI e V I I , dopo le guerre goto-bizantine, la pesante occupazione dei vincitori e l'arrivo dei Longobardi, fino almeno alla loro conversione e all'espansione di centri monastici. Dopo papa Leone I Magno (t 461 ) , interprete di letteratura epistolare e di sermoni, Severino Boezio e Cassiodoro sono le personalità più originali in campo culturale nel periodo d 'oro gotico alla corte ravennate. In quest'epoca affiora una limitata circolazione di opere più antiche copiate su commissione, come nel caso delle Historiarum adversum paganos di Orosio. Boezio (t 526 ) , già console alla corte di Teoderico, re illetterato dei Goti d ' I­ talia, ricoprì importanti incarichi amministrativi e culturali e si interessò alle 27 6

12.

Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

arti del quadrivium17• Cassiodoro (t 583), esponente della corrente aristocra­ tica italiana favorevole alla collaborazione coi Goti, fu consigliere personale e ministro di ben quattro re gotici, redigendo per servizio una quantità vastis­ sima di epistole raccolte in 12 libri ( Vtlriae), che spiccano come modello me­ dioevale di eloquenza e dai quali emergono informazioni su un inaspettato livello di educazione classica e scientifica del re Teoderico18• Accanto a queste due figure si colloca Felice Ennodio (t 5 21), vescovo di Pa­ via, la cui opera spazia tra innologia e agiografia, epistole e lavori pedagogici, recando l' impronta di una retorica classica e profana più vasta dei limiti im­ posti dall'educazione cristiana. Il suo classicismo talora formalistico caratte­ rizzava gli stessi raffinati ambienti aristocratici nei quali si era formato Ve­ nanzio Fortunato prima di emigrare presso le corti merovinge (cfr. oltre). A questo canone si opponevano, nel clima culturale travagliato dalle eresie, gli autori di trattati a carattere teologico ed esegetico, la letteratura agiografica (Eugippio, Gregorio Magno), l'epica cristiana (Aratore) e la storiografia (la Historia Romana di Simmaco, i due frammenti del cosiddetto Anonimo Va­ lesiano, la Historia di Cassiodoro). Alla metà del sec. VI circa, Benedetto da Norcia compose la sua Regula monachorum19, prodotto di un'opzione cultu­ rale di basso profilo e priva di attitudini mondane, con poche letture bibliche e agiografiche destinate ai monaci Papa Gregorio Magno (t 6o4) è invece l 'unico scrittore di rilievo dell'età longobarda in Italia, anni difficili per vio­ lenze e carestie. Fortemente impegnato nel riordino della liturgia e del canto e nella lotta all'arianesimo longobardo (col sostegno della regina bavarese Teodelinda), promosse un' intensa attività missionaria nelle Isole britanniche e in Spagnaz.1• La sua celebre Regula pastoralis (591) punta il dito sul rinnovato :w.

17. Fu autore di quattro trattati (De institutione arithmetica, De institutione musica, De institu­ tione geometrica, De institutione astronomica) e interprete di un revival ellenistico neoplatonico, traducendo lavori di Aristotele, accanto alla composizione di manuali di retorica e di teologia (De Trinitate, Defide catholica ) . Il suo capolavoro resta il De consolationephilosophiae, in s libri, scritto in prigione a Pavia, per un'accusa di tradimento che lo porterà alla morte. Qui Boezio ricostruisce un dialogo immaginario con Filosofia, venuta a confortarlo in cella. 18. Cassi odoro nutrì inoltre interessi esegetici e dottrinari, componendo opere diverse (De anima, Expositio Psalmorum, Complexiones in Epistolas et Acta Apostolorum et Apocalipsin ), accanto alla storiografìa ( Chronicon, Historia ecclesiastica tripartita e la perduta Origo actusque Getarum, sulle storie di origine dei Goti, rielaborata daJordanes, cfr. cap. 13). Il suo lavoro principale sono le Insti­ tutiones, una sorta di enciclopedia letteraria redatta per la comunità monastica nella quale si ritirò dopo l'esilio bizantino al quale fu costretto dopo il 540. 19. Esemplata su una precedente Regula Magistri circolante nella penisola. 20. Non tragga in inganno, nel Prologo della Regula, il riferimento al termine schola, che vale per indicare la comunità monastica al servizio divino, una élite che vive un'esperienza comune alla 'scuola' del Signore, l'unico vero Maestro. 21. Accanto a un numero sterminato di epistole, Gregorio è esegeta e teologo (Moralia in ]ob, Regula pastoralis, Antiphonarium Missae, Expositio in Canticum Canticorum ) , oltre che autore di 277

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ruolo dei chierici come predicatori nelle comunità di riferimento, responsa­ bilità largamente disattesa in Italia come in Gallia: lo straordinario successo di quest 'opera è confermato da diverse traduzioni (dal greco all'antico ingle­ se) e dalla sua imposizione al clero locale da parte di vari sovrani. In questo clima generale, una limitata fioritura culturale prese le mosse nell' Italia set­ tentrionale, con Pavia che fu sede di una scuola avviata a divenire importante centro interculturale tra Isole britanniche, Roma e Oriente.

3.

Africa vandalica

L'Africa dei secc. v e V I , suddivisa tra Romano-africani cattolici e Vandali ariani, divenne il centro di rinnovate dispute letterarie, teologiche e dottri­ narie (per lo più concluse coi concili del sec. IV ) , che reindirizzarono l'atten­ zione culturale di quest 'area verso Bisanzio11• Qui, nella terra di origine di Agostino, dove il pagano Marziano Capella, sulla scia di Varrone, compose la grande enciclopedia delle arti liberali ( il già citato De nuptiis Mercurii et Phi­ lologiae, 410-439 ) e il lusitano Paolo Orosio fu autore delle celebrate Histo­ riarum adversum paganos ( 415 ) , si registrava ancora una limitata tradizione retorica (dalle finalità eminentemente omiletiche) collegata al grammatico Feliciano : ciò fu reso possibile anche grazie al sostegno del re Guntamundo (t 496 ) e a una certa apertura nei confronti della scuola di tradizione latina13• Il termine talvolta impiegato di 'rinascenza vandalica' esprime forse un valore esagerato ma è certo che il successore Trasamundo (t 523 ) , convinto anti­ cattolico, fu un sovrano di spessore intellettuale ammirato dallo stesso Pro­ copio (Riché, 1979, pp. 19-20; Hen, 2007, pp. 59-93 ) e disputò ripetutamente questioni dottrinarie con Fulgenzio (poi esiliato in Sardegna), redigendo addirittura un trattato (Dieta regis Thrasamundi). A distanza dalla polemica teologica locale, talvolta dai toni molto duri, la scuola africana14 (che chiu­ derà solo con la conquista araba, nel 698) riuscì a produrre una pur modesta ripresa letteraria, in forme poetiche di evasione di impronta laica (erotica, gnomica, mitologica ed epica, cfr. la Anthologia latina). Degno di nota infine sembra essere stato il successo accordato al genere letterario degli enigmi, che

oltre 6o omelie. La sua opera più nota in tutto il Medioevo, nonostante il severo giudizio dato da Beda, sono però i Dialogi, 4 libri di natura eterogenea che traggono il titolo da un presunto dia­ logo di Gregorio con un non meglio precisato diacono Pietro. Il I e il III libro comprendono mi­ racoli di santi poco noti, il n è dedicato a san Benedetto e il IV si interessa del destino dell'anima. 2.2.. Non è un caso che i maggiori autori dei secc. v e VI furono proprio teologi (Facondo, Fulgen­ zio, Quodvultdeus, Vigilia, Vittore di Vita). 2.3. Nella quale insegnarono retori di fama (Fausto, Calcidio, Coronato, Pompeo) e si formarono il poeta Lussorio o Fulgenzio, futuro vescovo di Ruspe (Vossing, 1997 ). 2.4. Collegata a figure come Draconzio, Fausto, Coronato, senza dimenticare i lavori dei cronachi­ sti Liberato di Cartagine e Vittore di Tunnuna.

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12.

Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

riscosse un'eco significativa nel Medioevo anglosassone e irlandese, in parti­ colare grazie a una celebre raccolta di Symphosius.

4.

Spagna visigotica

A prescindere dall'attività di intellettuali come Prudenzio, Paciano o Gre­ gorio di Elvira (secc. IV e v) , riferimenti a una 'rinascenza' visigotica in Spa­ gna sono il risultato della proficua interazione tra elementi dell 'aristocrazia germanica al potere e la nobiltà terriera locale, che esprimeva ancora vescovi e uomini di Chiesa, accanto a un limitato influsso esercitato dalla cultura africana15• Alcuni sovrani della corte di To ledo (centro di studi di buon livello per tut­ to il sec. vn ) incentivarono la scrittura e l' insegnamento con l'intento di formare una burocrazia efficiente6• Se il 11 Concilio di Toledo (527) aveva consentito l'accesso alle scuole episcopali anche ai laici, l'obiettivo restava l'e­ ducazione del clero in senso dottrinario e liturgico e poche furono le scuole religiose che divennero cenacoli di cultura. Tra le maggiori figure, si ricordano Martino, vescovo di Braga (t s 8o) e autore prolifico (cfr. il De correctione rusticorum, che stigmatizza le pratiche pagane delle campagne), l'agiografo Ildefonso di Toledo, l'agiografo e teologo Giu­ liano da Toledo (autore di un pamphlet contro gli Ebrei), il poeta e storiogra­ fo Eugenio da To ledo. Non mancano gli studi esegetici (cfr. i commenti alle Sacre Scritture di Giusto di Urgel e Apringio di Beja), gli scritti d 'ispirazione monastica e la storiografia (i Chronica di !dazio e del goto Giovanni di Bicla­ ro), mentre più ridotte sono l'oratoria e l'epistolografia. Con la conversione di Ricaredo al cattolicesimo (589, cfr. sopra, cap. 9), l'integrazione culturale ricevette una brusca accelerazione e la Spagna romano-visigotica si avviò a divenire - fino alla conquista araba nel 7u - un territorio di grande presti­ gio (soprattutto a Siviglia e Toledo), superiore perfino alla Gallia merovingia (Collins, 1990; Velazquez, 1994). Lo scrittore più importante di quest'epoca, uno dei padri della cultura dell'Al­ to Medioevo, è Isidoro vescovo di Siviglia (t 636), enciclopedista, agiografo e consigliere di re Sisebut, che fu attivo in una serie di concili volti a migliora­ re l'opera di cristianizzazione della penisola iberica (Fontaine, 1986, 2ooo ). Autore di una storia dei sovrani di Goti, Vandali e Suebi e di un De natura 25. Sidonio Apollinare (t 486), alto funzionario gallo-romano, poeta ed epistolografo, è forse il miglior testimone del livello culturale raggiunto dal re visigotico Teoderico II (t 466), superiore a quello del successore Eurico, promulgatore (col sostegno del giurista Leone di Narbona) del più antico codice scritto di leggi germaniche. 26. Tra questi i re Atanagild, Ricaredo, Rikisvindo e naturalmente Sisebut (t 62o ?), cultore di poesia e scienza, il sovrano più erudito del suo tempo.

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rerum, Isidoro si ispirava a quella tradizione monastica che cercava di ricrea­ re, nelle scuole episcopali, un'atmosfera di alti studi. In questo egli condivi­ deva maggiori affinità coi grandi centri abbaziali e bibliotecari, in contrasto con la concezione più rigidamente ortodossa, che interpretava le arti liberali soltanto come uno strumento di semplice formazione, ancillare allo studio delle Sacre Scritture. La straordinaria dottrina ed erudizione si rivelano so­ prattutto nel capolavoro in 20 libri Origines seu Etymologiae, vera sintesi en­ ciclopedica medioevale e in assoluto una delle maggiori opere del Medioevo : essa coniugava tradizione classico-cristiana, esegesi biblica e teologia, diritto e storiografia, geografia, medicina e linguistica. L'opera di Isidoro è il risul­ tato del clima eccezionalmente favorevole della Spagna romano-visigotica (Montecchio, 2oo6) che, unificata e convertita, riuscì a produrre prima di altri una forte identità nazionale condivisa alla quale la Chiesa partecipò at­ tivamente e nella quale l'opera dei due fratelli Le an dro e Isidoro si distinse anche attraverso l'organizzazione di due fondamentali concili toletani, il III (589) e il Iv (633). 5. Regno dei Franchi

Sul finire del sec. VI, la crisi europea intaccò anche l'elevato livello cultura­ le che aveva precedentemente caratterizzato la Gallia e il confronto con le coeve Spagna, Africa e parte dell' Italia denuncia la decadenza della cultura letteraria in epoca merovingia. Dalle parole di Gregorio di Tours (Hist. 6.16), sembra che i figli dei sovrani venissero indirizzati all' istruzione scolastica, seppur con una frequenza non accertabile, e che il latino, lingua dei docu­ menti scritti, dei tribunali e della Chiesa, fosse divenuto di uso ufficiale a cor­ te. In particolare il regno di Neustria, a maggioranza gallo-romana, continua­ va a restare l'ultimo baluardo della cultura latina (Wood, 1990 ). Alla scarsa attenzione verso la politica culturale dei primi sovrani, alla politicizzazione e alla mondanizzazione della Chiesa locale dopo la conversione dei Mero­ vingi, va comunque aggiunta la profonda crisi del clero franco, la cui riforma organizzativa e culturale avvenne soprattutto sotto la spinta delle missioni celtiche, non ostili (come invece molta parte del monachesimo occidentale) alle lettere e alla cultura (Simonetti, Vian, 2oo6). La prolungata attività nella burocrazia statale (cancelleria e comandi mili­ tari), accanto agli ambienti notarili e commerciali, costituiva forse il prin­ cipale bacino di formazione di base di quei laici acculturati che emergono dalle fonti merovinge. L' inizio di una controtendenza fu possibile grazie a intellettuali e teologi del sec. v come Vincentius abate di Lérins e Faustus di Riez (ferventi anti-agostiniani nella polemica contro la predestinazione) e al loro avversario Prospero di Aquitania (De gratia Dei et libero arbitrium, Liber sententiarum, Expositio psalmorum); a questi vanno aggiunti gli esegeti Ilario di Arles ed Eucherio di Lione, quest 'ultimo propagatore in Occidente 2 80

12.

Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

dell'esposizione tematica nello stile domanda-risposta; Salviano da Marsiglia ( d'origine germanica) , celebre per un provvidenzialismo filo-barbarico (De gubernatione Dei), Gennadio di Marsiglia, polemista antieretico e biografo, e gli storiografi Sulpicio Severo ( Chronicon, Vita Martini), il già citato Prospe­ ro ( Chronicon) e Mario di Avenches ( Chronicon, fine sec. VI ) , che prende in esame la regione occupata dai Burgundi. Ancora di Burgundi si interessò Avito, vescovo di Vienne, epistolografo e au­ tore di un poema di argomento biblico di oltre 2.500 esametri (De spiritualis historiae gestis, ispiratore, sembra, del Paradise miltoniano ) . L'azione cultu­ rale di Avito in questa tormentata etnia precocemente romanizzata si svolse nella diocesi di Grenoble-Vienne, attraverso un ricco scambio epistolare di argomento politico e teologico. I suoi interlocutori furono il re ariano Gun­ dobado ( cultore del latino ) e il cattolico Sigismund, figlio di Gundobado, impegnato come il padre nell'adeguamento del codice giuridico locale. Una menzione particolare merita Cesario, arcivescovo di Arles (t 543), auto­ re di oltre duecento sermoni dal tono semplice, privi di compiacimento reto­ rico e destinati all'uomo comune, in linea con la pratica benedettina e con i paradigmi estetici del modello agostiniano. Cesario manifestò ferma opposi­ zione alla cultura retorica classica, sottolineando ai fini della predicazione la necessità di un linguaggio semplice (sermo humilis) e privo di elementi arti­ ficiosi, in ossequio al quale egli escludeva completamente le arti liberali dalla sua scuola episcopale di Arles; cionondimeno, al n Sinodo di Vaison (529) egli si impegnò attivamente per la diffusione in ogni parrocchia della lettura, della scrittura e dell' insegnamento delle Sacre Scritture per i futuri chiericP7• Autore di una Regula monastica maschile, egli fu anche il primo a redigerne una per le comunità religiose femminili. Nato presso Treviso, Venanzio Fortunato (t 6oo, vescovo di Poi tiers nel 597) aveva studiato grammatica, retorica e diritto a Ravenna, per trasferirsi nel re­ gno di Austrasia (566), dove ottenne la protezione di vari sovrani, fra i quali in particolare la regina Radegunda2.8• In totale antitesi al progetto culturale di Cesario, e similmente al raffinato Sidonio Apollinare, vescovo di Clermont­ Ferrand, Venanzio rappresenta il tipico cultore di una tradizione erudita2.9

27. Preoccupazioni analoghe anche per i laici lo indussero a impegnarsi per la creazione, soprat­ tutto nelle campagne, di quella forma peculiare di scolarizzazione di base che furono le scuole presbiteriali. Alla (parziale) alfabetizzazione del basso clero è dedicato uno dei canoni del Sinodo di Orléans (sn). che vieta l'ordinamento di sacerdoti illetterati, incapaci di amministrare i sacra­ menti nella formula latina corretta. 28. Moglie turingia di Chlothar/Clotario I, re di tutti i Franchi, poi ritiratasi a vita monastica. 29. I suoi versi ricercati, nel panegirico al re di Neustria Sigibert I o in occasione del matrimonio della principessa visigotica Brunechild col re Sigibert di Austrasia, rivelano una certa dimestichez­ za dei sovrani merovingi e del loro entourage con la versifìcazione latina. Ciò si desume dallo stile elevato ma fluido della sua poetica, in esametri o distici elegiaci, dal ricco corredo retorico e

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e forse il principale modello di quella élite di vescovi letterati, formatisi nei centri monastici di livello elevato, verso i quali la cultura medioevale è forte­ mente debitrice. Numerose opere lo rivelano fine poeta, panegirista, storia­ grafo e agiografo. Lo scrittore più significativo della Gallia del sec. VI resta comunque Grego­ rio, vescovo di Tours (t 594). Di famiglia gallo-romana, egli incarna il decli­ no della Gallia merovingia dell'epoca, con un'istruzione lacuna sa e un latino modesto talvolta giustificato con la sobrietà richiesta alla lingua della Chiesa. È autore di scritti agiografici, di una raccolta di miracoli, di un commento ai Salmi e soprattutto di una sorta di 'storia' dei Franchi (Historiarum Libri x) , dalla Creazione al 592, primo esempio di storia 'nazionale', dai toni in buona parte romanzati e redatti in uno stile dimesso. Chiude l'opera una lista dei vescovi di Tours che comprende sé stesso. Gregorio si sofferma pre­ valentemente su guerre e conflitti interni, alternandoli a episodi edificanti e a miracoli, con un certo talento per l'aneddotica e la narrazione suggestiva. Un maggiore realismo si riscontra soltanto nella descrizione di vicende con­ temporanee, benché inserite nel quadro dell'eterno conflitto tra Bene e Male. Altre figure di rilievo della cultura merovingia del sec. VII furono il crona­ chista detto (Pseudo-)Fredegario (cfr. cap. 13) e i vescovi Desiderio (/Didier) di Cahors, Arnulfo di Metz, Paolo di Verdun, Leodegario (/Leger) di Autun o Audoino di Rouen, tutti con un passato da laici colti. Un'ampia documenta­ zione letteraria proviene infine dal patrimonio di martirologi e agiografie (delle quali la Gallia detiene il primato) e dalla produzione giuridica, verso la qua­ le si indirizzò l'azione dei sovrani Childeberto I I , Clotario I I , Dagoberto I , Clodoveo I e Clodoveo I I , ispiratori di editti e altra documentazione affine. 6. L'I nghilterra anglosassone

Il caso della ex Britannia romana è particolarmente interessante, giacché, co­ me visto, l'evangelizzazione ebbe luogo sia per impulso dell'organizzazione missionaria irlandese, con personale ben alfabetizzato, sia per il tramite della missione gregoriana. Le notizie relative ai manoscritti portati sull' isola dai monaci romani suggeriscono che l' insegnamento del latino e la creazione di centri di studio rientrassero tra le finalità della missione. I primi centri monastici furono fondati dagli Irlandesi più a settentrione, a lana (Ebridi, 563) e a Lindisfarne (Northumbria, 635), mentre la missione romana fu re­ sponsabile della fondazione di Canterbury (Kent, 597-598), più dibattuta è invece l'esistenza di un altro centro di studi forse istituito verso il 632 in East Anglia dal vescovo Felice di Dunwich, già allievo di Colombano in Burgun-

allegorico, religioso e profano, dall'abile capacità di inserimento di episodi fiabeschi o avventurosi oltre al poderoso bagaglio letterario e storiografìco.

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dia. Ma l'evento culturale di maggior impatto fu l'arrivo ( 669 ) di due grandi personalità straniere, Teodoro di Tarso, intellettuale bizantino della Cilicia, e il libico Adriano, sotto la guida dei quali la scuola di Canterbury divenne il centro principale di studi nel Sud dell' isola, accanto al contributo decisivo fornito alla Chiesa settentrionale da personalità come Wilfrith e Benedict Biscop. In pochi decenni, l' Inghilterra divenne un laboratorio culturale di alto profilo (Dumville, 1981 ) , in grado di formare nelle qualificate scuole mo­ nastiche (Jarrow, York, Canterbury, Whitby) un grande numero di studiosi e missionari che propagarono dottrina, storiografia, retorica e scienza in molte missioni continentali nelle quali furono coinvolti. Sacre Scritture, metrica, astronomia, computo e diritto furono le principali aree in cui eccelse la cul­ tura anglosassone, come manifestano la ricca tradizione locale di glosse e i testi ai quali esse sono riconosciute risalire (Sims-Williams, 1990 ). A Can­ terbury veniva persino impartito l' insegnamento di diritto romano, recepito in una fonte come il Breviarium di Alarico I I visigotico (cfr. oltre, cap. 14 ) . In tale contesto si inserisce la compilazione (in antico inglese) del codice di leggi di re .JEthelberht del Kent, conservato in un manoscritto del sec. X I I , ma che si ipotizza sia stato redatto (forse in traduzione da un originale latino) già all' inizio del sec. VII (Keynes, 1990 ) . Aldhelm (t 709 ), allievo di Adriano, abate di Malmesbury e vescovo di Sher­ borne, « il più prodigioso letterato anglosassone » (Lapidge, 1996, p. 247 ) , si distinse come poeta religioso, epistolografo e autore del trattato Carmen de virginitate (ca. 700, riconducibile a modelli biblici e agiografici)30, accanto al quale si segnala inoltre un manuale di arte metrica (De metris et aenigma­ tibus ac pedum regulis), con una sezione incentrata sulla composizione di un cospicuo numero di enigmi, verosimilmente desunti dalla celebre tradizione ascritta all'enigmista Symphosius. Figura di notevole spessore fu inoltre Wynfrith/Bonifacio (t 754, cfr. sopra, cap. 8 ) , vescovo itinerante in Germania, evangelizzatore e organizzatore di conventi; anch'egli fu autore di una raccolta di indovinelli sul tema dei vizi e delle virtù (Aenigmata o De virtutibus et vitiis), oltre a una Ars grammatica ispirata agli scritti di Donato, Prisciano e Virgilio grammatico, a un trat­ tatello di metrica ( Caesurae versuum) e a un numero notevole di epistole, alcune delle quali di struttura metrica. Un altro rappresentante della cultura enigmistica, genere letterario di grande successo nella tradizione locale, fu Tatwine, futuro arcivescovo di Canterbury, autore di una raccolta di 40 ae­ nigmata e di un piccolo trattato grammaticale, basato su fonti diverse dal pre­ cedente di Bonifacio (Prisciano e Consenzio) e arricchito da esempi desunti dal lessico religioso. Altri 6o enigmi furono aggiunti alla raccolta di Tatwine (per giungere al numero canonico di 100 ) da un non meglio noto Eusebio ; le

30. Oltre a elementi tratti da Agostino, Girolamo, Cipriano e Prudenzio.

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integrazioni sono di un livello inferiore e si giovano dell'apporto di un'opera medioevale di grande eco : il Physiologus31• In questo panorama prevalentemente meridionale, la cultura monastica settentrionale, celebre in particolare per l'agiografia (Cuthbert, Wilfrith), ebbe come autore di spicco Beda il Venerabile (t 735, cfr. Hunter Blair, 1970), che Dante cita nel Paradiso ( x , 130-132)32.. Vissuto fra i monasteri di Wearmouth e Jarrow, profondamente debitori delle iniziative di Bene­ dict Biscop, Beda compose una quantità impressionante di opere, conce­ pite e redatte in una forma e in un latino di livello piano e comprensibile, privo dello stile erudito e compiaciuto che contraddistingue Aldhelm33• Il suo più celebre lavoro è di natura storiografica (Historia ecclesiastica gentis Anglorum), 5 libri che si estendono dall'arrivo di Giulio Cesare al 731, che Be da compilò utilizzando un'ampia gamma di storici, ma ricorrendo anche a fonti orali locali per i fatti a lui più vicini. I suoi commenti si alternano o vengono introdotti da aneddoti specifici, senza perdere di vista la misura dei progressi della dottrina e della cultura ecclesiastica, trattati con distacco ed evitando l'eccessiva enfasi. 7. La 'ri nascita' carolingia Riorga n izzazione del regno fra nco

Il sec. VIII segnò una fase di trapasso nel campo degli studi e della trasmissio­ ne culturale, profana come cristiana, messa in moto da un lungo e disomoge­ neo processo di riordino amministrativo, religioso e culturale nel regno dei Franchi. Con l'età carolingia si realizzarono le condizioni che permisero l' affermazio­ ne definitiva di quelle élite ecclesiastiche che i Merovingi al contrario aveva­ no cercato di mantenere ai margini del potere politico e culturale; in questo periodo per la prima volta si concretizzarono con forza l'idea e l'esigenza di

31. Titolo di un'opera di autore ignoto composta probabilmente ad Alessandria d'Egitto, tra i secc. II e IV. Antesignano del genere letterario dei Bestiari, vi si descrivono in chiave allegorica animali e piante (reali e immaginari) collegandoli a qualità e vizi umani, caratteristica propria di svariate tradizioni, ivi comprese quelle bibliche. Il Physiologus si affianca a un altro testo di origine locale che celebra l'abnorme, il pittoresco, le mirabilia: il cosiddetto Liber monstruorum, incentra­ to sulle mostruosità umane, sulle belve terrestri e marine e sui rettili. 32.. «Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro l d' Isidoro, di Beda e di Riccardo, l che a considerar fu più che viro ». 3 3 · I suoi lavori comprendono esegesi e agiografia (traduzione del Vangelo di Giovanni, commen­ to al Genesi, Esodo, Samuele, Re, ai Vangeli di Marco e Luca, ali'Apocalisse; e ancora Vita Cuthberti, Vita San cti Felicis, Martyrologium ) , scienza (De natura rerum, De temporibus liber, De temporum ratione), grammatica (De orthographia, De arte metrica, De schematibus et tropis Sacrae Scripturae) e poesia (Liber hymnorum, Liber epigrammatum, De die iudicii, De virginitate): diversi di questi, oggi perduti, riscossero un'eco significativa anche sul Continente.

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un'Europa unica sul piano politico, culturale e religioso. Realizzato sotto la regia di Bonifacio, il patto tra regno franco e papato (in cerca di un alleato contro Bizantini e Longobardi) spianò la strada al colpo di stato di Pipino il Breve, che nel 751 depose l'ultimo sovrano merovingio, Childerico 1 1 1 34 • Alla presa di potere dei maggiordomi carolingi (di un livello culturale gene­ ralmente inferiore rispetto ai predecessori merovingi) fece seguito la creazio­ ne di un rinnovato tipo di cancelleria e di forme più organiche e omogenee per la registrazione scritta degli atti; questa iniziativa dagli obiettivi decisa­ mente pragmatici si rivelò anticipatrice di una nuova atmosfera di rinnova­ mento, solitamente etichettata con l'appellativo eccessivamente ambizioso di 'rinascita' (concetto coniato nel 1839 da J.-J. Ampère). Preparato dalla spinta missionaria anglo-irlandese sul Continente e dal consistente recupero di parte della classicità nel sistema educativo cristiano, questo processo (più un'espansione che un vero e proprio rinnovamento) rivela lo spostamento dell'epicentro culturale europeo verso un'area più settentrionale, tra Lo ira e Weser. Malgrado le criticità e le contraddizioni, questa esperienza segnò il primo tentativo ufficiale, dalla fine dell' Impero romano, di coordinare la politica culturale all' interno di un nuovo progetto politico, attraverso un indirizzo imposto dall'alto e mirante, tra l'altro, al recupero del latino classico come lingua dei testi ufficiali e al suo definitivo distacco dai volgari (Nelson, 1990 ). Questi ultimi tuttavia non furono esclusi dall' interesse della corona, riuscen­ do lentamente a legittimarsi verso una propria rappresentazione scritta grazie a una più puntuale alfabetizzazione di monaci e diaconi di origine germanica presenti nelle strutture monastiche (Bullough, 1991; Contreni, 1984, 1995a, 199sb; Ganz, 199sb). In poco più di mezzo secolo, la pubblica amministrazione, il diritto, le can­ cellerie e il fisco passarono sotto il controllo di una solida classe burocratica di chierici ed esperti di legge formatisi nelle abbazie e in grado di scalzare i laici dagli uffici regi fino a quasi tutto il sec. X I I I . Oltre che attivi cen­ tri amministrativi e militari, frequentati da ambascerie e ospiti stranieri, le corti ospitavano costantemente studiosi e artisti provenienti da istituzioni religiose, rendendo questi ultimi potenti emanazioni del potere centrale specialmente quando essi facevano ritorno nelle fondazioni monastiche, nelle scuole cattedrali e nelle sedi arcivescovili di competenza, disseminate nei territori del regno. L'intero processo di avanzamento politico, amministrativo e culturale trovò la sua più ampia applicazione grazie al coinvolgimento personale di Carlo Magno, sovrano bilingue ma semi-analfabeta e privo di una vera cultura let-

34· I Franchi divenivano il 'Popolo di Dio' e il loro re (in questo caso Pipino) era paragonato a un novello Mosè o Davide nelle epistole di papi come Stefano II, Paolo I o Costantino II.

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Una rinascita cu lturale

Monopolio clericale

L'i mpegno d i Carlo Magno

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Admonitio generalis, Epistola de litteris colendis

I n flusso i n s u la re

teraria, a dispetto di una biblioteca personale probabilmente non trascurabi­ le (Bischoff, 1981; McK.itterick, 2008, pp. 345-80 ). Il poderoso regno militare che ereditò ristagnava in una crisi culturale fin dali' inizio del sec. V I I I e tale da renderlo imparagonabile ai risultati raggiunti nella Spagna visigotica o in Inghilterra. Sarebbe tuttavia un errore considerare la fioritura letteraria e cul­ turale che ne porta il nome come il fine ultimo dell'attività di Carlo Magno : il sovrano fu costretto in realtà a operare in direzione di una ricostruzione giuridico-amministrativa del regno, che Ladner (1966, pp. 262-5 ) etichet­ ta preferibilmente come rinascita 'istituzionale ' piuttosto che 'culturale'. Nel puntare a questo obiettivo, Carlo trovò un sostegno formidabile nelle frange più dinamiche e colte del clero, che riordinarono gli apparati del po­ tere franco imprimendone una decisa spinta al rinnovamento dottrinario, religioso e culturale, in virtù della loro duplice veste di chierici e insegnanti (Ullmann, 1969, p. n ) . In questo si distinse la nutrita componente di uo­ mini e donne anglosassoni impegnati sul Continente, i quali, in aggiunta alle rispettive attività missionarie, rivitalizzarono gli effetti delle precedenti missioni irlandesi infondendo nella Chiesa franca gli embrioni di una nuo­ va energia artistica e culturale (Story, 2003, pp. 2-4; Picard, 1991; Richter, 1983; Lowe, 1982 ) . L' impegno del sovrano nel promuovere l' istruzione della burocrazia e la for­ mazione del personale si realizzò in due momenti: il primo, con una serie di specifiche iniziative conciliari35 e giuridiche (capitolari, missive), tra le quali la cosiddetta Admonitio generalis ( 23 marzo 789 )36 e la Epistola de litteris co­ lendis (tra 794 e 797 )37 sono due documenti considerati i veri manifesti della riforma, la quale sembra aver subito un'accelerazione dopo la conquista del regno longobardo d' Italia ( 774) . Il secondo momento è costituito dall' at­ tività della scuola di palazzo (Schola palatii o palatina), accademia reale di studiosi priva di finalità scolastiche immediate istituita ad Aquisgrana. L' influenza culturale di Anglosassoni e Irlandesi sulla 'rinascita' fu notevo­ le (cfr. Garrison, 1997; Richter, 1997 ): la loro competenza ermeneutica ed

35· Aquisgrana, 789 e 802., Francoforte, 794, Baviera, 798, Chilon, Tours, Magonza, Arles, 813. 36. Nella quale, pur limitatamente, le disposizioni sulla scuola vennero espresse con chiarezza per la prima volta: monasteri e vescovadi sarebbero dovuti divenire centri nei quali impartire corsi di grammatica, letture di salmi, canto e computo, con particolare attenzione alla correttezza dei testi sacri, la cui copiatura doveva essere affidata a uomini di esperienza. Colpisce il riferimento ( pura­ mente teorico ) all'apertura delle scuole anche ai fìgli dei servi. 37· La quale denuncia la decadenza culturale del clero, sottolineando il rapporto tra for­ mazione letteraria e morale e dettando le norme in materia culturale per vescovi e abati del regno. Nel cap. 1 dell'Epistola l'accento è posto sulla missione dei monaci, 'soldati della Chiesa', l 'importanza dei quali risiederebbe innanzitutto nel «conoscere prima ancora che nel fare » .

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La Scuola patatina

Alla d i rezione Carlo chiamò l'a n glosassone Alcuino (tra 786 e 796), teologo, gra m matico e di­ rettore della scuola epi scopale d i York, espe rto di greco ed ebraico, i l quale esercitò i n quegli a n n i u n i n flusso determinante su lla po litica cu lturale del regno. Oltre che fecondo epi stolo­ grafo, Alcuino fu prolifico autore di trattati teologici e didatti ci, d i poemi e opere agiografiche. Egli si era formato sull'a ntico curriculum delle a rti liberali, secondo la tradizione di Boezio, lsidoro e naturalme nte Beda, motivo per i l quale Carlo gli affidò i l compito di rivedere la Bibbia e riformare la liturgia ( i m ponendo ovunque il rito romano già i n uso nella Chiesa an­ glosassone). i n sostituzione dei tradizionali riti localistici del regno (gallicano, a m brosi ano, mozara bico). Da lla scuola tra n sitarono gra m matici, stori ci, enciclopedisti e teologi di varie regioni del regno: il diacono Pietro da Pisa, maestro di gra m matica a Pavia, e Paolina ve­ scovo di Aqu i leia, teologo e gra m matico; i l teologo visigotico Theod u lf di Toledo, vescovo di Orléans, il teologo e giu rista Agoba rdo, a rcivescovo di Lione, e lo storico e gra m matico longobardo Paolo Diacono, già a llievo di Flaviano a Pavia; i franchi Angilbert, retore e succes­ sivame nte a bate di St. Riquier, l'a nglosassone Beornrad, abate di Echternach e a rcivescovo di Sens, e Adelardo a bate d i Corbie, fondatore dell'abbazia sasso ne di Corvey, mentre dall' I r­ la nda giu nsero i letterati e teologi Cleme nte, che sostituì Alcuino a lla guida della scuola, e D u n ga l, futu ro di rettore della scuola di gra m m atica a Pavia, G i useppe 'Scoto', esegeta b i b lico, poeta di a rgomento cristiano e dotto di enigmi, l'a n o n i m o H i bern icus Exul e Dicuil, a strono­ mo e geografo d i Ludovico i l Piot. 1. Le ricadute culturali del movimento si diffusero nell'Impero attraverso i principali centri monastici ed epi­ scopali: Echternach, Metz, St. Denis, Tours, Corbie e Corvey, Luxeuil, S. Ga llo, Reichenau, Lorsch, St. Wandri lle, Ferrières, Orléans, Auxerre, Pavia, Wessobrunn, Tegernsee e Fulda, cfr. sopra, cap. g.

ecdotica (altra preoccupazione della riforma)38 era tale che molti di essi ven­ nero chiamati a dirigere scriptoria, scuole monastiche e conventi e ad essi ci si rivolse come glossatori e commentatori, per disporre, accanto ai classici, di testi corretti di argomento biblico e liturgico. In particolare, gli Irlandesi giunti sul Continente nel sec. I X lasciarono tracce importanti della propria attività culturale, a conferma della fama che li accompagnava, al punto che , uno di essi (Scottus peregrinus) ritenne necessario specificare in un epistola (tra 854 e 877) la propria scarsa competenza grammaticale39• , L intero processo riformatorio tendente al ripristino del latino classico e di un nuovo standard formale fu in condizione di generare un canone di produzione e trasmissione libraria del tutto rinnovato, dal modo di trattare la pergamena fino alla punteggiatura e alla grafia40• I centri scrittori delle fon3 8. Cfr. Encyclica de emendatione librorum et officiorum ecclesiasticorum, la disposizione di Carlo sulla correzione dei testi destinati agli uffici divini, di datazione incerta. 39· «Non sum grammaticus neque sermone Latino peritus, sed haec epistola quasi mea lingua pro me loquitur » (Perels, Diimmler, 192.5, p. 196). 40. L'espansione della produzione e della circolazione di manoscritti e l'uniformità grafica par­ lano attraverso i numeri: ai circa 2..ooo manoscritti latini conservati fino al sec. VIII fanno eco più di 7.ooo codici dal sec. VIII in avanti, con un significativo aumento delle copie di uno stesso manoscritto. Molte nuove copie rivedute e corrette andarono a sostituire gli antichi esemplari,

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Manoscritti e scriptoria

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FIGURA 2

La Bibbia

Un foglio della Bibbia d i Mordramno

dazioni monastiche insulari divennero i promotori principali di una 'cultura del libro', come bene illustra, nella Vita di san Bonifacio, l'alacre sforzo del missionario di reclutare scribi, lettori, miniaturisti e altri uomini di cultura. Un nuovo tipo di minuscola (Luiselli Fadda, 1994; Ganz, 1995a) si impose sul­ le numerose scritture di origine locale derivate soprattutto dalla semionciale, abbandonando legature e abbreviazioni convenzionali, rispettando gli spazi e introducendo regolarmente la punteggiatura: sviluppata a Corbie poco dopo il 770 (cfr. in fìg. 2 un foglio della Bibbia di Mordramno, 772-778) e introdotta nella cancelleria di corte da Alcuino, prese appunto il nome di carolina. Forse nessun altro elemento come la Bibbia divenne un fattore propulsivo nel programma carolingio: la promozione della sua conoscenza ne sottolisacrificando purtroppo qualsiasi traccia degli originali (p.es. la Regula benedettina, gli sporadici testi greci) oppure favorendo la 'costruzione ' e l'ampliamento di vere e proprie tradizioni letterarie (p.es. la letteratura patristica). Opere ancora fondamentali per lo studio generale del problema restano McKitterick (1989 e 1990).

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Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

nea il valore di summa culturale di un'intera epoca, l'unico contenitore del sapere necessario a una società. Ecco la ragione dell'esplosione senza pari, nel primo ventennio del sec. IX, della richiesta e della produzione di copie della Bibbia, i cui esemplari conservati ne attestano peraltro lo scarso livello di uni­ formità nei vari centri di copiatura disseminati nel Sacro Romano Impero. Fu esattamente questa circostanza a creare le premesse per l'infiltrazione di chierici specializzati in tutti gli scriptoria, dalla fase di copiatura a quella del controllo dei testi. I sempre più diffusi circoli di copisti erano emanazione del basso clero e del personale monastico, il quale acquisì in questa attività gli strumenti per la propria crescita culturale e letteraria: la maggiore richiesta di copie della Bibbia produsse un'espansione inedita della literacy anche ai livelli più bassi (Ullmann, 1969 ) . Non sono chiari i confini sociali entro i quali si realizzò l'ampliamento generalizzato delle strutture di studio : a eccezione delle fondazioni più prestigiose, niente pare escludere che anche i figli dei ceti più bassi potessero seguire un programma minimo di istruzione (in linea con le disposizioni di Admonitio generalis 72), con l'adesione di questi ai ranghi del clero. Per quanto sia difficile pensare a un'organizzazione omogenea, capillare e sempre gratuita di studi, dalle ripetute disposizioni regali, sinodali ed episcopali sulla necessità di limitare l'ammissione alle scuole solo a oblati e aspiranti monaci si desume una presenza non irrilevante di laici nei centri d'istruzione monastici, maschili come femminili41• Da questo profondo fermento furono toccati anche i volgari, al centro di un rinnovato problema di rielaborazione e trasmissione testuale (in senso religioso) che doveva contemplare le esigenze della stragrande massa di il­ litterati. Già la Admonitio generalis aveva previsto la traduzione in volgare dei sacramenti, in particolare il battesimo, e dei riti collegati, nonché delle preghiere principali, « affinché ciascuno sia consapevole di ciò che chiede a Dio » (cap. 70). Il Sino do di Francoforte ( 794) aveva poi sancito la sostan­ ziale uguaglianza tra i volgari germanici e le tre 'lingue sacre ' (ebraico/greco/ latino), segnalando la necessità di tradurre in volgare le parti più importanti di preghiere e omelie4l.. Il distacco definitivo tra lingue volgari e latino venne infine sancito dal xvn Canone del Concilio di Tours (813, a pochi mesi dalla morte di Carlo Magno), con l'obbligo esplicito per i predicatori di tradurre le omelie « in rusticam romanam linguam aut thiotiscam» (cioè in uno dei 41. È Hildemar di Corbie a enW1ciare la distinzione, nel Prologo al commento della Regula bene­ dettina (Expositio Regulae), tra l'insegnamento monastico teso alla disciplina e quello impartito nelle altre scuole clericali, volto all'apprendimento delle arti liberali. Sulla scrittura declinata al femminile, cfr. McKitterick ( 199 1 b) . 42.. Un'esigenza percepita già ai tempi di Bonifacio, il quale ammoniva contro la ripetizione mec­ canica dei testi in latino ( cfr. la Vita di Gregorio di Utrecht ) .

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I struzione e volgari

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Eredità carolingia

L'epoca di Carlo il Calvo

volgari romanzi o germanici, cfr. Braccini, 1998-99; McKitterick, 1991a) per una migliore comprensione dei fedeli, una disposizione ribadita dalle corri­ spondenti delibere dei due concili contemporanei, di Magonza e Reims, e ancora di Magonza nell' 847. Come attestano le misure intraprese dalla corona43, i volgari si avviavano a di­ venire, dopo secoli, veicoli dottrinari pienamente legittimati, attraverso i quali cominciò a farsi strada una timida tradizione letteraria, di genere poetico allit­ terante. È questo il caso di poemi a carattere religioso (Muspilli, Christus und die Samariterin e Wessobrunner Gebet alto tedeschi antichi o la versione sasso­ ne antica del Genesi) e di tono epico o encomiastico (cfr. il Hildebrand(s)lied e il Ludwigslied, alto tedeschi). Anche laddove compare in forma più completa (come nelle due traduzioni bibliche in versi, il sasso ne Heliand e l'alto tedesco Liber Evangeliorum), tale tradizione continua a rivelare fino alla metà del sec. XI un impianto erudito dai contorni ancora discontinui. Che le disposizioni di Carlo Magno siano state disattese non è un caso isolato, ma certo diversa fu la propensione verso la cultura tradizionale di Ludovico il Pio (t 840), istruito nella colta Aquitania e influenzato dall'ascetismo dei chierici del proprio entourage (Depreux, 1993); il volgare in chiesa era ancora limitato a un uso di servizio e il biografo di Ludovico, Thegan, riferisce come il sovrano avesse espressamente vietato a corte la lettura [ ! ] o la recitazione di po­ emi e canti tradizionali a lui noti in gioventù (Gesta Hludowici imperatoris 19 ). A ben guardare, i risultati migliori della 'rinascita' carolingia furono rag­ giunti in realtà nelle generazioni posteriori a Carlo Magno. Sono noti gli interessi teologici dei figli di Ludovico Lotario (t 8ss, educato dall'irlandese Clemente, autore di un capitolare dedicato alle scuole monastiche) e Ludo­ vico il Germanico (t 876, il cui tutore principale fu il celebre studioso Raba­ no Mauro). L'apertura di Ludovico nei confronti dei volgari (nella liturgia e nella messa) è riflesso nella convocazione del Sinodo di Magonza (847), nel quale ribadì le vecchie disposizioni del nonno a Tours nell'813, oltre, forse, al sostegno alla traduzione antico sassone della Bibbia, verso la metà del secolo (Heliand, in forma versifìcata). Egli fu oggetto della dedica di opere di eru­ dizione e parenetiche, tra le quali la traduzione in versi antico franconi della Bibbia (Liber Evangeliorum) da parte del monaco Otfrid di Weissenburg, e un testo in dialetto bavarese sulla fine del mondo (Muspilli), che chiudeva un codice contenente un sermone anti-giudaico di Agostino. Ma soprattutto con il regno di Carlo n il Calvo (t 877 ) il più giovane dei figli di Ludovico il Pio e il più erudito sovrano carolingio che si ricordi (uno dei pochi in grado di scrivere autonomamente) , si assiste a una straordinaria ,

43· Cfr. le parole di Eginardo sull'interessamento di Carlo Magno per la redazione di una gram­ matica della lingua franca e di una raccolta di canti di gesta dei sovrani locali, forse mai realizzate, cfr. sopra, cap. I I.

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Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

L'eredità della 'rinascita' carolingia

Tra gli scrittori di seconda e terza generazione, spiccano lo storico e a n n a li sta E i n h a rt/Egi­ nardo, a llievo d i Alcuino e autore della biografia di re Ca rlo, modellata su lle Vite dei Cesari di Svetonio; Floro di Lione, noto per poemetti epici di ton o b i b lico-evangelico (p.es. i Gesta Christi Domim); Rabano Mauro, abate di Fulda e poi arcivescovo di Mai nz, la persona lità culturalmente più dotata tra gli a llievi di Alcuino, di rettore della scuola mona stica di Fulda e prolifico autore di o pere esegetiche, encicloped iche ( De universo) e linguistiche ( Excerptio De Arte grammatica Prisciam). A q uesti si a ggi ungono Walafrido Stra bone, poderoso intellettua­ le, autore di poemi e cu ltore del genere delle 'visioni' dell'a ldilà ( Visio Wettim); l'epistolografo e gra m matico Lupo di Ferrières; l'a n n a lista e filosofo H i l d u i n di St. Denis, gli esegeti Remigio di Auxerre e Pascasio Radberto, i l pedagogo e poeta i rlandese Sedulio 'Scoto' e l'arcivescovo di Rei m s Hincmar, agiografo ed esperto in materia politico-ecclesia stica; lo storico e croni sta Freculfo vescovo di Li sieux, i gra m matici M i lone di St. Amand e Ei rico di Auxerre, Ma rti n u s H i berniensis di Laon, ma soprattutto l'i rlandese Giova n n i 'Scoto Eriugena', forse i l m aggiore filosofo a lto medioevale.

fioritura di manoscritti, di biblioteche monastiche e di figure intellettuali di alto profilo44• La politica culturale del sovrano è riscontrabile nella crescente produzione di documenti ufficiali, giuridici e notarili, nelle dediche di ma­ noscritti a personaggi laici, nelle notizie sulla consistenza di patrimoni librari di appannaggio aristocratico45 o nelle richieste di prestito avanzate a biblio­ teche monastiche, elementi dai quali traspare una pur minima presenza laica nel processo di trasmissione culturale dei secc. IX-XI. 8. La 'rinascenza' alfrediana

Le fortune continentali della classe intellettuale anglosassone produssero ri­ flessi totalmente inversi in madrepatria. Il periodo che intercorre dalla stesura della Historia ecclesiastica gentis Anglorum ( 731) al processo di rinnovamen­ to alfrediano ( ca. 870) rappresenta uno dei momenti di maggiore criticità nella storia culturale dell'isola, risultato dello spopolamento di un cospicuo numero di eminenti studiosi locali, impegnati nelle missioni patrocinate dai sovrani franchi come abati, maestri, commentatori e glossatori di manoscritti latini o bilingui prodotti sul Continente. Pur orientata verso il riconoscimen­ to del valore dei testi scritti ( politici, giuridici e religiosi ) , la stragrande mag­ gioranza della popolazione restava illetterata e la cultura orale continuava a regnare anche tra i membri dell'aristocrazia e di parte del clero. L'assotti-

44· Il suo interesse per lo studio e i libri è documentato anche dal Capitolare di Quierzy, nel qua­ le, a pochi mesi dalla sua morte, disponeva la spartizione della sua biblioteca tra alcuni monasteri e il figlio Ludovico il Balbuziente. 4S· Nithard, Duodha di Septimania, Matfrid di Orléans, Ekkehard/Heccard di Burgundia, Eberhard del Friuli, Berengario re d'Italia, tra gli altri.

2 91

La crisi a n glosassone

l Germ a n i

Alfredo il Grande

gliamento della produzione letteraria locale in questo lungo periodo46 è un dato palpabile che peraltro precede l'epoca delle incursioni vichinghe e la derivante instabilità politica, fenomeno tradizionalmente chiamato in causa per giustificare questa fase di decadenza letteraria - particolarmente lamentata da re Alfredo47• Beda resta dunque la principale fonte di infor­ mazione sulla trasmissione della cultura e dell' insegnamento nell' Inghil­ terra anglosassone dopo la conversione, oltre a riferire dell' interesse di re e case regnanti per l'educazione dei discendenti più giovani o per l'acquisi­ zione di testi scritti, una preoccupazione, questa, che riaffiora in epistole e biografie di figure come Bonifacio o Alcuino48• Il sovrano certamente più impegnato nella promozione di un progetto cultu­ rale non estemporaneo fu Alfredo il Grande (t 899), re dell'allora egemone Wessex. Purtroppo, la limitata affidabilità delle notizie biografiche che circon­ dano il re, e in particolare dei suoi presunti exploits letterari, non consentono un'interpretazione accurata degli aspetti collegati al risveglio culturale del pe­ riodo. La fonte principale, la Vita ./Elfredi regis (o Vita ./Elfredi regis Angul Sa­ xonum, di Asser, vescovo di Sherborne), è infatti un documento insidioso, sul quale pesano non poche perplessità: oltre alle diverse contraddizioni, il testo esibisce vari richiami svetoniani incentrati sul topos del 're erudito', accostabili alla biografia di Carlo Magno compilata da Eginardo. Alfredo, modello di sal­ dezza morale e di costanza nella fede, era tormentato da malattie, tradimenti, incursioni vichinghe, imbarbarimento culturale e religioso, interpretati come prove divine dalle quali uscì quasi sempre (miracolosamente) vittorioso. L'esaltazione nazionalistica di cui fu oggetto lo vuole, ancora bambino, vin­ citore di un 'libro' di poemi in volgare messo in palio dalla madre per chi fosse riuscito a ripetere per primo quei canti a memoria (cap. 23). Si trattava di un cimento per lui semplice, informa Asser, visto il suo fervore verso i canti tradizionali (cap. 22), accanto al grande interesse verso il libro di salmi, pre­ ghiere e uffici liturgici (in latino ?), che ancora secondo Asser avrebbe porta-

46. Dei principali documenti coevi conservati spiccano una ridotta produzione annalistica e di­ versi atti e diplomi privati, anche se l'ampia attività glossatoria denuncia una circolazione non se­ condaria di testi. Viceversa non è conservata alcuna traccia scritta della lunga egemonia esercitata dal regno di Merda, un segno che i relativi canali di promozione politica e sociale si esprimevano in forme non testuali. 47· Dalle analisi condotte da Morris (1988), i nuovi manoscritti redatti in Inghilterra in tutto il sec. IX risultavano ammontare a poco più di una ventina. 48. Cfr. i casi di Aldfrith di Northwnbria (t 617) e Sigeberht II di Essex e Anglia orientale (t 634) o dei figli di Edwin di Northumbria (t 633), inviati a studiare nei conventi merovingi ai tempi del cugino re Dagoberto ; lo stesso re Wihtrzd di Kent (t 72.5) era analfabeta, a dispetto dell'ema­ nazione di un codice di leggi che porta il suo nome. È noto che Beda sottopose una copia della Historia a Ceo ( l ) wulf di Northumbria (t 764) per un giudizio e che lo stesso Bonifacio inviò dalle missioni continentali epistole e poemetti in latino ai suoi interlocutori.

292

12.

Civi ltà della scrittura e rinascita degli studi

to sempre con sé (cap. 24 ) . Il quadro suggestivo contraddice tuttavia il senso delle successive informazioni, secondo le quali egli sarebbe stato del tutto incapace di leggere fin quando, in età avanzata (ca. 88s-89o ) , riuscì a organiz­ zare intorno a sé un gruppo di studiosi49 per rilanciare una politica culturale e religiosa sul modello di Carlo Magno e Carlo il Calvo50• Senza entrare in una controversia dai margini molto confusi, è plausibile congetturare che Alfredo, acculturatosi durante uno dei periodi storici più tormentati, abbia fatto leva anche sulla cultura per rispondere alla profonda crisi della società anglosassone. Nel rimpianto dell'età aurea (sec. vn), quan­ do il primato della cultura locale attirava gli stranieri, Alfredo denuncia (nel­ le note introduttive alla traduzione della Cura Pastoralis di Gregorio Magno, ca. 890 ) , come adesso fosse invece necessario reclutare al contrario maestri dall'estero. Il deficit di autorevolezza politica e religiosa veniva collegato alla decadenza morale e culturale dei compatrioti ed era ormai difficile trovare chi fosse realmente in grado di comprendere i servizi liturgici che era solito recitare oppure di tradurre una lettera dal latino51• In nome della battaglia per la rinascita civile, Alfredo auspicava quindi che lo studio dei testi più im­ portanti potesse avvenire in lingua volgare, attraverso un diffuso impegno in direzione della traduzione, un'istanza già avvertita da Beda. Tralasciando il problema del concreto coinvolgimento diretto nell'attività di traduzione, l' autopromozione di Alfredo a membro di una pattuglia di intellettuali dedicati al recupero e alla traduzione di testi della tradizione cristiana5� si poneva idealmente in continuità con il programma carolingio (Pratt, 2007, pp. 115-29 ) . Da questo esperimento (che tuttavia rappresentava la premessa più significa­ tiva del rinnovato impulso culturale anglosassone nel sec. IX, Story, 2003 ) , il programma alfrediano se ne distaccava riconoscendo la lingua volgare quale veicolo privilegiato della rinascita. Questo è almeno ciò che risulta dalla serie di traduzioni citate, dali'avvio della composizione della Cronaca Anglosasso­ ne e dalla nuova redazione delle leggi. Proprio in quest'ultima attività, stupi­ sce però la sorprendente riluttanza del sovrano nei confronti della scrittura

49· Il franco Grimbald da St. Bertin, nelle Fiandre, esperto di canto e di teologia, Giovanni, stu­ dioso sassone continentale, il citato Asser, Wa!rferth, vescovo di Worcester ed esperto di Sacre Scritture, Plegmund, arcivescovo di Canterbury, e i chierici merciani .JEthelstan e Wa!rwulf. so. La fìglia del quale,Judith, era stata seconda moglie del padre di Alfredo, .JEthelwulf. s 1. Una preoccupazione ancora molto di attualità, a distanza di poco più di un secolo, nella pre­ fazione di .JElfric alla traduzione del Genesi, a proposito delle difficoltà dei sacerdoti col latino. Da numerosi elementi si intuisce che l'involuzione degli standard culturali preceda le incursioni vichinghe su larga scala del sec. IX. 52. Alfredo è chiamato in causa nella traduzione di testi latini, tra i quali le Historiae adversos pa­ ganos di Orosio, il De consolatione philosophiae di Boezio, la Historia ecclesiastica di Be da, la Cura Pastoralis e i Dialogi di papa Gregorio Magno.

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I struzione di Alfredo

Progra m m a cu lturale

l Germ a n i

ufficiale: nell'introdurre il proprio codice di leggi, Alfredo dichiarava infatti di non averlo voluto pubblicizzare interamente, per timore delle critiche dei posteri53, o più probabilmente perché condizionato dagli esiti ancora incerti della tenuta del proprio regno. Si tratta in realtà di un atteggiamento piutto­ sto sorprendente, contraddetto peraltro dai prologhi di atti e documenti uf­ ficiali, nei quali si ripropone il paradigma carolingio della preminenza dello scritto sul parlato54• Accanto alla promozione della letteratura in traduzione, l'ambizioso 'pro­ gramma' alfrediano sembra aver previsto lo studio serrato del latino per co­ loro che fossero avviati alla vita religiosa e il possesso delle facoltà di leggere e scrivere per l'aristocrazia, progettando una sorta di scolarizzazione per i giovani delle varie classi di liberi. D 'altro canto, non essendo pervenuti do­ cumenti ufficiali circa la sua applicazione pratica, un simile programma restò probabilmente solo una buona intenzione, incapace di produrre una vera società colta e allargata. Lasciando immutato il carattere erudito ed ecclesia­ stico della cultura scritta, esso alimenta viceversa il sospetto di rappresentare piuttosto un documento volto alla promozione della centralizzazione, con una forte asserzione dell'autorità regia. Per poter parlare di una piena e concreta rinascita culturale (e religiosa) si dovrà quindi attendere il secolo successivo e il regno di Eadgar (t 975), pronipote di Alfredo, nel quale gli sforzi della politica alfrediana trovarono una concreta realizzazione grazie al coinvolgimento di personalità di primo piano quali Dunstan di Canterbury, .JEthelwold di Winchester e Oswald di York (e Worcester ). Questi furono i veri ispiratori della riforma benedettina, in virtù della quale la fondazione di un numero elevato di monasteri, scuole cattedrali e canoniche nell'isola garantì la produzione di quasi un migliaio di manoscritti (prevalentemente in lingua latina), fissando norme precise nel campo della produzione libraria.

53· [AfE!. 49.9] «lo, Re Alfredo, riunii queste ( leggi) e ordinai che venissero trascritte molte di quelle che ritenevo più opportune, tra le leggi che i nostri antenati vollero mettere per scritto. E su consiglio dei miei collaboratori ne eliminai altrettante che non mi piacevano, ordinando che venissero conservate in altro modo. Evitai perciò di introdurle avventatamente, poiché non ero certo che sarebbero state gradite dai miei successori » . 5 4 · Come conferma u n secolo più tardi (995) r e h:thelred I I , introducendo u n atto i n difesa d i un suo vassallo: nel sostenere infatti come «qualsiasi accordo venga stipulato a titolo definitivo tra gli uomini, esso deve essere supportato dall'uso delle lettere, poiché la fragile memoria di uomini in punto di morte dimentica ciò che la scrittura delle lettere custodisce» ( Whitelock, 1979, p. 571). 2 94

13

Etnogenesi e miti di origine

nella Origo gentis

Un elemento centrale nella trasmissione della memoria culturale riguarda racconti e miti di origine (di un clan, di una tribù e in seguito di un popolo), divenuti nel tempo un genere letterario, ancorché non autonomo : la origo gentis (o le origines gentium [ OG] ), un'espressione coniata da Bickermann (1952) che ha trovato il suo coronamento definitivo con Grundmann (1965). Al consueto topos di leggendarie migrazioni e colonizzazioni si abbina l'ele­ mento genetico-mitologico richiamato dal sostantivo lat. gens, anche se nelle OG l'accento non è posto tanto sulla consanguineità di un intero gruppo (il genos), ma piuttosto si allude a raggruppamenti eterogenei collegati a un clan prestigioso o da questo riunitP. Per le sue ricadute storiche, culturali e ideologiche, si tratta di un tema impervio sul quale grava una vasta letteratura. Il nucleo di queste narrazioni sembra essere consistito nell'integrazione dei popoli 'barbarici' nel solco dell'eredità greco-romana attraverso lo strumento della cristianizzazione, col quale legittimare le nuove classi dirigenti. Si comprende allora come lo stretto rapporto con la tradizione genealogica sottolinei la centralità di una sezione biblica di spicco come Genesi, il quale poneva il problema della rielaborazione del numero dei popoli discendenti dai figli di Noè, fissato a settantadue ( Gen. 10 ) . Le OG registrano in misura variabile i frutti dell' interazione tra memoria, identità e legittimazione politica�. Si tratta dunque di testi che riproducono miti, valori, percezioni di segmenti del passato e simboli identitari di tradizione orale delle comunità etna-politiche alto medioevali. Considerato tuttavia il valore elusivo e frammentario del concetto di 'appartenenza etnica', si capisce come la fragilità di distinzioni rigorose esigesse - in periodi di crisi di consenso o di adesione a nuove alleanze politiche - frequenti riaffermazioni identitarie delle presunte tradizioni 'tribali '. Variamente filtrate per la prima =

1. Gli esempi più noti si riferiscono ai Vandali Hazdinghi, ai Goti Amali e Balthi, ai BurgW1di GibicW1ghi o ai Franchi Merovingi. 2. I cosiddetti "nuclei di tradizione", Traditionskerne, di Wenskus (1961), che Smith (1986) imma­ gina come "motori del mito" (Mythomoteurs), cfr. Wolfram (199ob).

29 5

Eredità classica

Memoria e legitti mazione

l Germ a n i

Genea logie mitiche

volta in una veste letteraria da parte di intellettuali cristiani, germanici o ro­ mani, le O G hanno importanti antesignani nella tradizione greca o in opere come l'Eneide o l' Origo gentis Romanae3• Il topos di un mitico progenitore, tribale o familiare, unisce la letteratura et­ nografica antica alla galassia della sto rio grafia medioevale, tanto da creare un denominatore comune con le culture 'barbariche ' sulla base del riconosci­ mento dell'antichità di una stirpe come elemento di distinzione. L'interesse per l'etnogenesi4 germanica è attestato a partire da Plinio (NH 4·99 ), nel già citato passo sui cinque grandi raggruppamenti nei quali si dividerebbero le stirpi germaniche ( Vandili, Inguaeones, Istuaeones, Hermiones, Peucini, Ba­ starni, cfr. sopra, c app. 4 e 8) oltre che nel celebre mitologema tacitiano di G 2, a proposito di Ingaevones, Herminones, Istaevones e Marsi, Gambrivii, Suebi, Vandilii, « nomi questi autentici e antichi » . Tacito tratta l'argomento rimarcando l e affinità sul piano religioso, i n ragio­ ne della discendenza divina di un popolo e della sua antichità (origo et reli­ gio), secondo un modello di successo affermato in tutto il Medioevo ( Boll­ now, 1968; Wolfram, 1997; Pohl, Reimitz, 1998) in una serie di documenti similari redatti in area bizantina dal sec. VI, fra i più noti dei quali vi sono la cosiddetta Generatio regum ( o Generatio gentium o Tavola genealogicaftanca, qui citata dal ms. Paris, Bibl. Nat., Lat. 609, sec. IX, Goffart 1983): Tre furono i fratelli dai quali discesero le genti: Ermino, lnguo e !stio. Ermino ha generato i Goti, i Vandali, i Gepidi e i Sassoni. Inguo ha generato i Burgundi, i Tu­ ringi, i Longobardi e i Baiuvari. !stio ha generato i Romani, i Britanni, i Franchi e gli Alamanni

e la versione del m s. h della Historia Brittonum di N ennio, di probabile origi­ ne italiana, modellata sul cod. Reichenau C C X I X (/): Il primo uomo della stirpe di Japhet che giunse i n Europa fu Alanus, con i suoi tre fi­ gli, i nomi dei quali sono Hessitio, Armenon, Negue. Hessitio ebbe poi quattro figli, Francus, Romanus, Britto, Albanus; Armenon ebbe invece cinque figli: Gothus, Va­ lagothus, Gebidus, Burgundus, Longobardus. Negue da parte sua ebbe tre figli: Van­ dalus, Saxo, Boguarus. Da Hessitio derivano quattro popoli, Franchi, Latini, Albani

3· Breve compilazione eziologica sulla storia di Roma da Saturno a Romolo, che sfrutta l' interpre­ tazione mitologica degli eventi storici tipica dell'evemerismo, secondo cui le divinità rappresente­ rebbero prestigiose figure umane poi divinizzate. Si tratta di un'opera anonima composta tra i secc. IV-VI, variamente rimaneggiata e tramandata in due manoscritti del sec. xv. 4· Con etnogenesi si intende un processo indirizzato alla formazione di una società basata sul riconoscimento di rapporti di presunta discendenza diretta, se non di consanguineità, e realizzata attraverso una rielaborazione originata dall'incontro di culture diverse.

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13.

Etnogenesi e miti di origine nella Origa gentis

e Britanni (/Bretoni), da Armenon invece cinque : Goti, Valagoti, Gepidi, Burgundi, Longobardi. Da Negue quattro: Boguari, Vandali, Sassoni e Turingi. Questi sono dunque i popoli sparsi per tutta Europa. Alanus invece, sembra fosse figlio di Fetebir.

Rafforzate da parallelismi vetero-testamentari ( la triplice discendenza di Noè, l'imbarbarimento della società senza re, l'idea di popolo 'eletto' del Pentateuco), dalla para-etimologia e da influssi evemeristici, le OG ricorrono in trattati etnografici, nella poesia eroica, nella cronachistica e in opere sto­ rico-giuridiche collegate a excursus etnografici e/ o alla descrizione di realtà politico-territoriali. Alcune di queste costituivano il nucleo iniziale di varie Historiae cristiane re­ lative ai singoli regni romano-germanici tra i secc. VI-X I I I , periodo nel quale il termine historia contemplava lavori di tono assai diverso5• I risultati si traducono in opere di legittimazione delle nuove classi dirigenti barbariche, che sottolineano consuetudini, fatti e genealogie adombrando una preistoria oscura, dalla quale il singolo popolo si è affrancato attraverso la conversione cristiana per integrarsi nella tradizione storica greco-romana specialmente attraverso il mito di Troia6• Collegate a forme di OG possono talora comparire genealogie che traggo­ no il nome da un antico progenitore o capostipite eponimo ( Merovech, Friso, D an, N6rr, Norix ) di origine ( semi- ) divina7, quando non risalgo­ no addirittura allo stesso Adamo o al Dio cristiano. A prescindere dalla correttezza cronologica e dalle forzature che ne fanno una sorta di fiction medioevale, il ruolo delle genealogie non è irrilevante : la loro trasmissione e la loro adozione da parte di clan e gruppi diversi - attraverso migrazioni, matrimoni o alleanze - rispondono all'esigenza di rafforzare la legittima­ zione monarchica per il tramite di una memoria culturale il più possibile condivisa.

s. Narrativa, agiografia, racconti biblici e materiale omiletico, frammenti liturgici, poemi epici, storie e cronache. 6. Cfr. Hauck (1955); Graus (1989); Borgolte (2.001). Nella cronaca detta di Fredegario, storico di origine burgunda, e nell'anonimo Liber historiae Francorum emerge W1 forte richiamo al mito troiano della origo franca, così come Widukind di Corvey collega i Sassoni ad Alessandro Magno. La glorificazione della dinastia gotica degli Amali, attraverso l'integrazione col mito eterno di Ro­ ma, è all'origine delle (assai dibattute) parole di Cassiodoro, fW1zionario del re Teoderico (Uzriae, 9·2.5,5): « traspose [Cassiodoro stesso] la discendenza (o il passato) dei Goti in forma romana » (cfr. Goffart, 2.oo6, pp. s6-9). 7· In un'epistola a Clodoveo I, il vescovo Avito di Vienne (t s 2.3) ricorda al sovrano la necessità di rinunciare, dopo il battesimo, alle presW1te origini divine dei propri antenati (Ep. xxxxv1), a cui sembra far eco, due secoli dopo (72.5-730?), la lettera del vescovo Daniele di Winchester a Bonifacio (Ep. 2.3) sulla strategia da tenere circa le genealogie basate su false divinità. Le tarde rappresentazioni erudite della tradizione norrena giungono a immaginare due famiglie divine ori­ ginariamente avversarie, ciascuna coi propri discendenti regali.

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Histariae 'barba riche'

l Germani

Historiae barbariche e narrazioni genealogiche De origine actibusque Getarum (o Getico, 551) del goto-biza nti no jordanes, è u n'e pitome mo lto libera del De origine actusque Getarum di Cassi odoro (533), o pe ra di riconciliazione etnica dai to n i talora a d u latori, che si pensa com m i ssio nata da Teoderico re d ' I ta lia. G rego­ rio di To urs (t 594) compila dieci volumi di storie ( Historiarum libri x) . nei quali i Fra nchi sono gli atto ri principali della vicenda. Verso i l 625 lsidoro di Siviglia redige u n a storia di Visi goti, Va ndali e Suebi o, più esatta mente, dei loro sovra ni ( Historia de regibus Gotho­ rum, Wandalorum et Suevorum), esemplata su fo nti dell'a ntichità e presenta ndo in chi ave ( para-)eti mologica l'origine dei Goti. Tre celebri cronache compaiono nei secc. VI I-VI l i : la prima, attribuita convenzionalmente a tale Fredegario ( u n lavoro relativo ai Fra n c h i e i n parte a Ostrogoti, Longobardi e Va ndali), l a seconda, costituita da ll'a n o n i m o Liber histo­ riae Francorum e un'a ltra da lla caotica Cosmographia di JEthicus l ster (seconda metà del sec. V I l i), a lle quali si a ffianca la Origo gentis Langobardorum, q uest'u lti ma riech eggiata nelle più tarde Historia Langobardorum di Pao lo Diacono (796) e Historia Langobardorum codicis Gothani (810). Anco ra i Fra n c h i sono al centro del poema encomi astico In honorem Hludowici Carmen (dedicato da Ermoldo Nigello a Ludovico il Pio tra 826 e 828) e delle Historiae di Freculfo di Li sieux (ca. 830), due lavori quasi coevi a lla Historia Brittonum di N e n n io, redatta u n secolo dopo i l completa mento della HE di Beda (731), o pe ra reli giosa e politica non scevra da elementi leggendari e i n fluenzata dal De excidio et conquestu Bri­ tanniae dello storico celtico G i ldas (sec. VI ). L'origine dei Burgundi è i n vece conte n u ta nelle a n o n i m e Chronica universalis ad annum 741 (ca. 800) e Passio Sigismundi (di poco serio re ed esem plata su Paolo Diacono e Fredega rio). B i sogna attendere i l sec. x e l'avan zata cri­ sti a n i zzazio n e dei Sasso n i , per vederne descritte le origi n i fi no a l 973 da pa rte di Widukind di Corvey (Rerum gestarum Saxonicarum libri tres). Le pri me descriz ioni della storia e delle origi n i dei popoli scandinavi si devon o i n vece al De moribus et a ctis primorum NormanniéE ducum (ca. 1020) di Dudone di S. Quenti n , ai Gesta Normannorum Ducum (ca. 1070) di G u ­ glielmo di j u m i èges, e a i Gestas. Hammaburgensis ecclesiae pontificum (1075) di Ada mo di Brema. A q uesti si affiancano la Historia d i Sve n Aggeen (1185). l'a n o n i m a Historia Norwe­ giae (sec. X l i) , i Gesta Danorum di Saxo Grammaticus (1219) e a lcune genealogie i slandesi (JEttartolur, LangfedgataO; si regi stra n o i n o ltre l'Edda in prosa e la Heimskringla di S n orri Sturluson (1220-30, i prologhi delle quali ra ppresentano il più i m porta nte m a n i festo dell'e­ vemeri smo nordico) e l'a n o n i m a Skjp ldunga saga (sec. XIV), tutte o pe re che rielabora n o i dati origi n ati nella trad izione orale alla luce della cu ltura lette ra ria lati na medi oeva le1• U n contri buto u lte riore a l te ma delle O G sca n d i n ave proviene i n fi n e anche d a opere poeti che q u a li i l 8eowulf a n glosassone o i carmi dell'Edda poetica a ntico i s landese ( Canto di Hyndla e Canzone di Grottl). 1. Una categoria peculiare è rappresentata dalle biografie reali, opere di propaganda modellate sulle Vite dei Cesari di Svetonio: Vita Karoli magni imperatoris di Eginardo, Annalium de gestis Caro/i Magni imperatoris del Poeta Sassone, Gesta Hludowici imperatoris di Thegan e i l già citato Carmen d i Ermoldo Nigello; cfr., ancora, De rebus gestis Alfredi d i Asser ed Encomium Emmae Reginae (vedova d i .tEthelred 11 e moglie del re d'Inghilterra C n ut il Grande).

Il topos migratorio

Le digressioni alto medioevali sulla storia delle origini di un 'popolo' sotto­ lineano frequentemente il topos di uno o più eroi che obbediscono a un'ur­ genza migratoria improrogabile e da un paese lontano (oltremare) raggiun­ gono nuove terre, nelle quali l'unione con i locali avrebbe prodotto nuove e migliori forme di civilizzazione. Alla narrazione di base possono aggiunger­ si elementi accessori, risultato di un'azione primordiale: l 'attraversamento di un mare, di un fiume o di un ponte ; una battaglia vittoriosa; il mancato 29 8

13.

Etnogenesi e miti di origine nella Origo gentis

ricongiungimento dei migranti, un elemento esterno che interrompe parte dell'esodo e altro ancora. Tali divagazioni fungono altre volte da introduzione a uno scritto agiografi­ co sulla vita e sul culto di un santo locale : un'origine 'etnica' declinata secon­ do modelli classici conferiva ulteriore dignità a un santo e di conseguenza al suo popolo, integrato appieno nella storia cristiana. Rudolf di Fulda intro­ dusse la Translatio sancti Alexandri ( 86s ) con un'ampia parentesi dedicata agli antichi Sassoni rimasti sul Continente, così come il contemporaneo Lu­ po di Ferrières (nel prologo sulla migrazione di Angli, Sassoni e altri alleati che precede la Vita Wigberti) o Hildegar di Meaux ( 870 ) che utilizza l' origo burgunda per spiegare il nome di san Burgundofaro. Nelle leggende di origine, i popoli germanici sono fatti provenire dalla Scizia o dalla Pannonia, da Troia o dalla Scandinavia, ma mai dal continente ger­ manico (Reynolds, 1983 ) : nella Chronica di Fredegario, la terra di origine dei Longobardi si troverebbe in Germania (tra il Danubio e l 'Oceano, 3.65 ) e tuttavia viene chiamata « Scathanavia » . Nella Historia Langobardorum, Paolo Diacono riconosce che i Longobardi discendono da selvaggi popoli germanici, ma non dice se essi possano essere considerati tali: anzi, dopo il capitolo iniziale, di Germani non se ne parla più. Nei racconti di origine è impossibile stabilire la genuinità dei vari miti, i qua­ li, secondo i meccanismi di qualsiasi tradizione orale, avevano subito già im­ portanti modificazioni al momento della loro trascrizione. Restano tuttavia i nomi e i frammenti disarticolati di storie che non potranno mai essere rico­ struite (Goffart, 1988 ) , ma mancano ancora risposte convincenti e condivise sul significato letterario e politico di questi testi, sul loro presunto valore di testimonianze memoriali o sul rapporto fra classe intellettuale monastica e trasmissione culturale nel corso dei secoli: basti pensare al mito dei Burgundi annientati sul Reno dai mercenari unnici di Ezio ( 435 ) , che fu alimentato e amplificato, un secolo più tardi, dai nuovi gruppi dirigenti burgundi sorti dopo la deportazione dei superstiti in Gallia. ,

1. Goti

L'opera che tratta più direttamente della OG gotica è il De origine actibusque Getarum di Jordanes ( 551, cfr. Mommsen, 1882. ) , epitome della più densa e quasi omonima Origo actusque Getarum ( 52.6-s33, 12 libri oggi perduti) di Cassiodoro, funzionario personale di Teoderico, poi abate di un importante centro monastico in Calabria. Nella versione di Jordanes, i Goti, condotti dal re Berig, intorno al 1490 a.n.e. [sic ! ] , dalla Scandinavia all'odierna costa del­ la Pomerania ( Gothiscandza), dopo cinque generazioni si sarebbero spostati verso la "Scizia" (cioè l' Ucraina) sotto il re Filimer. Questi avrebbe ordinato 299

l Germ a n i

l semidei Anses

Scandinavia

la cacciata delle streghe haliurun (n)ae, le quali, accoppiatesi nel deserto con spiriti immondi, avrebbero generato gli Unni8• Canti eroici e genealogici celebrano la nobile stirpe degli Amali, tra i quali alcuni eroi e semidei: i vittoriosi A(n)ses, il cui nome evoca importanti ana­ logie con la famiglia divina nordica degli Asi (cfr. sopra, cap. 8). Da ciò che si può presumere, Cassiodoro (e quindiJordanes) deve essersi giovato anche di fonti orali, dirette e indirette, forse spezzoni di canzoni eroico-genealogiche che circolavano allora tra i Goti d ' Italia e che egli stesso potrebbe aver inte­ grato nell' introdurre la figura eponima di Ostrogotha, antesignano dei Goti orientali. L'etnonimo 'Ostrogoti ' è infatti raro e tardo : il poeta Claudiano è il primo a usarlo nel 399, seguìto nel sec. v dal vescovo e poeta gallo-romano Sidonio Apollinare, ma scarso è il suo impiego nelle fonti bizantine tra i secc. V-VI, come pure nella ricca documentazione amministrativa dello stesso Cas­ siodoro ( Vtzriae), che è tra i primi viceversa ad adottare l'etnonimo 'Visigoti'9• Come anche per Anglosassoni e Longobardi, l' OG gotica prende il via da una leggenda di migrazione marittima dalla Scandinavia, terra di grande prestigio e patria fittizia di innumerevoli etnie, dalla quale, secondo il classico stereo­ tipo della sovrappopolazione, alcune di esse sarebbero state a sorte costrette a migrare (Goffart, 2oos). Le tre leggendarie imbarcazioni salpate rappre­ sentano altrettante popolazioni gotiche giunte sulla riva opposta del Baltico: i Goti orientali, gli occidentali e i 'ritardatari', i Gepidi, il nome dei quali deriverebbe per Jordanes ( Getica 17.94) dall'aggettivo che significa "pigro". La genealogia leggendaria di Jordanes è basata su diciassette generazioni, esattamente come i sovrani intercorsi tra Enea e Romolo nella tradizione romana. Si ricordano tre capostipiti (Humli, Ostrogotha e Amal), i quali rappresentano etnogenesi gotiche diverse10 dopo Gaut: dal pronipote Amal 8. Getica 24 (cfr sopra, cap. IO). La leggenda contiene lontani echi che rimandano al mito cristia� no (o forse tardo giudaico) degli angeli caduti. 9· Dopo gli Amali di origine divina, un altro illustre clan era quello dei Baltha, il cui nome è interpretato daJordanes (29.I46) come "i temerari" («dell'eroica famiglia dei Baltha, la seconda per nobiltà dopo gli Amali, la quale da tempo aveva ricevuto questo appellativo per l'audacia, giac� ché Baltha vale 'temerario' » ). Da un punto di vista etimologico, le numerose definizioni Got(h)i, Guti, Gutones, Gautar, Getar, Geatas, Gudas ecc. derivano da una rad. germ. "gaut� "versare, di� spensare", dalla quale discendono un teonimo (aisl. Gautr, aingl. Geat) e due sostantivi poetici, per 'stallone ' (aisl. goti) e per 'uomo, guerriero' (aisl. goti, pl.gotnar). Io. « I4.79 Il primo di questi eroi fu Gapt [cioè Gaut] , il quale generò Hulmul; Hulmul generò Augis; Augis generò colui che fu chiamato Amai, dal quale discende l'origine degli Amali. Amai generò Hisarna, Hisarna quindi generò Ostrogotha; Ostrogotha generò Hunuil, Hunuil generò Athal; Athal generò Achiulf e Oduulf, Achiulf poi generò Ansila ed Ediulf, Vulruulf e Hermene� rig; Vultuulf generò Valaravans, Valaravans generò Vinitharius; Vinitharius generò Vandiliarius. - I4.8o Vandalarius generò Thiudemer, Valamir e Vidimir, Thiudimir generò Theodericus; Theo� dericus generò Amalasuenrha, Amalasuenrha generò Athalaricus e Matesuentha da suo marito Eutharicus ».

300

13.

Etnogenesi e miti di origine nella Origo gentis

trae il nome la stirpe degli Amali, così come osservato in Tacito ( G 2 ) per Ingevoni, (H)erminoni e Istevoni. Per spiegare l'origine del popolo gotico, Isidoro di Siviglia (t 636) ricorre invece alla para-etimologia applicata al topos vetero-testamentario della discendenza da Magog, figlio di Japhet, figlio di Noè (Etymol. 9.n). Il culto delle genealogie riuscì a conservarsi nella tradizione letteraria attra­ verso l'inserimento nel modello sto rio grafico cristiano, che concorse a ce­ mentare lo spirito di appartenenza intorno alle élite barbariche alto medioe­ vali durante il processo costitutivo di entità politiche allargate. 2. Longobardi

Dopo la fugace e ammirata descrizione resa da Tacito ( G 40 ) , i primi racconti pre-etnografici dei Longobardi sono contenuti nella Origo gentis Lango­ bardorum [ =OGL], un succinto testo anonimo che giunge sino al regno di Perchtarit (t 688) e nel quale Rothari è anche qui il diciassettesimo sovrano. OGL è tramandata in tre manoscritti successivi del codice di leggi longobarde, mentre nella Historia Langobardorum [=HL] di Paolo Diacono OGL è divenuta il Prologo al l' Editto di Rotari11, secondo la consuetudine di tramandare insieme le opere dell'eredità memoriale longobarda (Pohl, 2ooob). OGL evidenzia talora problemi di ricezione e di arbitraria reinterpretazione da parte dei copisti, ivi compreso il parziale inserimento in alcuni codici dei successori di Perchtarit. La leggenda vuole che nell' isola di Scadanan1l i Winnili fossero giunti sotto la guida dei giovani Ibor e Agio e della sacerdotessa Gambara, loro madre. All'imposizione di un tributo da parte dei due re dei Vandali, Ambri e Assi, Ibor e Agio rispondono con le armi. I Vandali si affidano allora a Godan (Wuotan/Wodan/Odino), il quale dichiara di voler concedere la vittoria all'esercito che vedrà per primo al sorgere del sole. Gambara invece si rivolge a Frea (Friia/Frigg), moglie di Wodan, la quale consiglia uno stratagemma. Le donne dei Winnili, all'alba, avrebbero dovuto disporsi in modo da coprire il viso dei guerrieri coi propri capelli, come se fossero una barba. Il mattino seguente Frea sposta il letto di Wodan verso est, da dove il dio, scorgendo i guerrieri di Ibor e Agio, chiede chi siano quegli uomini dalle 'lunghe barbe '. Risponde allora Frea che, così come il dio aveva forgiato un nuovo nome per i Winnili, adesso avrebbe dovuto concedere loro anche la vittoria. Redatta in un periodo di conflitti interni, la OGL rivela un interesse non casuale sul tema dell'identità, che ne deve aver fatto uno strumento di pro-

11. Prologum edicti, quem rex Rothari de Langobardorum legibus composuit. 12.. Forse una delle tante forme per Scandinavia (cfr. Scandia, Scandza insula, Scatinauia).

301

OGL e HL

Scadanan

Wodan e Friia

l Germ a n i

paganda durante fasi delle contese dinastiche italiane, piuttosto che una semplice operazione letteraria (Pohl, 2ooob ). Il richiamo al doppio con­ dottiero e al regime di doppia monarchia (cfr. sopra, cap. 6) non è un ele­ mento inedito (cfr. già Rom o lo e Remo) e anzi riaffiora in alcune leggende germaniche di etnogenesi, migrazione e conquista di nuovi territori13• La riesumazione di memorie mitologiche tra clan (o Jarae, Cingolani, 1995) antagonisti emerge qua e là nei richiami genealogici dei vari sovrani: al primo re storico, Agilmund, e al successore, considerato per discendenza un gugingus, succede Walthari/Gualthari, della dinastia dei Lethinges, se­ guito da Audoino e Alboino, per discendenza ungausus (cfr. il Gaut delle dinastie gotiche), e poi Clefi e Authari, per discendenza peleos (l beleos) e così via. Completata invece a Montecassino alla fine del sec. VIII, la HL, che tratta dalle origini all'apogeo di Liutprando (t 744), si basa su una serie di fonti perdute o liberamente rielaborate14, assorbendo la discendenza scandinava di OGL15• L'antefatto mitologico di Wodan e Frea (qui privi di qualsiasi elemento scandinavo) è liquidato da Paolo Diacono come ridiculafabula (forse citazione ciceroniana, cfr. ad Herennium), e integrato da alcuni rac­ conti di migrazione e di figure fantastiche, come i guerrieri cinocefali e le Amazzoni (cfr. Pohl, 2004)16• Accanto al mito di origine trasmesso da HL, nessun'altra traccia sembra invece ricondurre a Sceaf che, secondo il poema anglosassone Widsith 32b, avrebbe regnato sui Longobardi (Sceaf[weold] Longbeardum, cfr. oltre).

13. Il tema è attestato in Tacito nei riferimenti ai capi suebici Italicus e Sidone (Hist. 3.12,2), Si­ clone e Vangione (Ann. 12.29), e ai frisi Verritus e Mallorix (Ann. 13.54); Ammiano ne parla a pro­ posito dei fratelli Gundomadus e Vadomarius, reguli alamannici (Rer. gest. 14.10,1); Cassio Dione (Hist. 71.12,1) ricorda i fratelli vandalici Raos e Raptos; Beda (HE 1.15) e la Cronaca Anglosassone (anno 449) i fratelli sassoni Hengest ("stallone") e Horsa ("cavallo"). Il grado di parentela, in que­ sti casi, può forse sottolineare con maggiore forza la prevalenza del legame di sangue sul rapporto giuridico -gerarchico. 14. Fra queste la OGL, la Historia di Secondo di Non (o di Trento), gli Annali di Benevento e poi Beda, Gregorio di Tours e Isidoro di Siviglia. 15. Tuttavia, laddove OGL colloca il conflitto originario in Scadanan, per poi migrare in Golaida, Anthaib, Bainaib e Burgundaib, nella HL i Winnili si scontrano coi Vandali nella nuova terra di Scoringa, spostandosi poi in Mauringa, toponimi che potrebbero verosimilmente discendere da altre versioni orali (Harrison, 2008). Da qui la migrazione prosegue in Golanda, Antha(i)b, Banthaib, Vurgundaib, toponimi controversi talora accostati, con l'eccezione dell'indecifrabile Anthaib, alle terre di Goti, Bavaresi (Baiuvari) e Burgundi. 16. A questi tasselli dell'etnografia classica fa eco Fredegario (3.65), il quale, dopo aver ricollocato la terra di provenienza dei Lo ngo bardi (la Scathanavia) tra il Danubio e il grande mare (il Baltico?, il Nero? cfr. 3.1 per i Franchi), trasforma i Vandali, gli acerrimi nemici, nei temibili Unni, sconfìtti i quali i Longobardi guadagnano le sedi 'storiche' in Pannonia.

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13.

Etnogenesi e miti di origine nella Origo gentis

3. Franchi

Dalla metà del sec. III, una frastagliata federazione di tribù del bacino del basso Reno priva di tratti culturali distintivi (cfr. sopra, cap. s ) si riconosce nelle fonti classiche sotto l'etnonimo 'Franchi'. La rielaborazione di un passato indistinto viene consolidata attraverso un'altrettanto leggendaria migrazione che passa per l'identificazione con i Troiani (secondo Fredegario, forse sulla scorta di Ammiano)17, concorrenziale a quelle con Romani, Macedoni e Sicambri/Sugambri; non è ignoto, infine, l' immancabile filone della provenienza scandinava. Già Tolomeo (sec. n) accostava la stirpe dei Merovingi ai Marvingi, che il Geografo Ravennate (secc. VI-VII ) collocava tra Elba e Danimarca, men­ tre Gregorio di Tours (sec. V I) si richiamava al clan dei Hugi/Hugones ( i Chauchi?) e a l gruppo dei Sugambri (etnonimo p o i esteso a i Merovingi), che il poeta Claudiano ( fine sec. IV ) associava al Reno (o all' Elba). Nel sec. IX , il poeta Ermoldo Nigello (In honorem Hludowici Carmen 4 . 13-18) rie­ suma una tradizione che vuole i Franchi contigui ai Danesi, versione con­ fermata dal cronista Freculfo di Lisieux (Historiarum Libri XII, ca. 830 ), il quale introduce la provenienza scandinava accanto alla leggendaria origine troiana. Nella cornice cristiana della storia intesa come lotta tra Bene e Male, i dieci volumi dell'opera di Gregorio di Tours privilegiano la visione diretta dei fat­ ti. Tra questi spiccano alcuni capitoli sulle migrazioni in Gallia di Vandali, Goti e Unni, per poi passare alla celebrazione dei Franchi e dei loro re cat­ tolici, ai quali non viene risparmiata la menzione di infamie e stragi (libro n). Tra queste ultime è compresa la lotta senza quartiere tra le due principali attrici politiche del sec. VI, la visigota Brunechild (moglie di Sigibert I di Austrasia) e Fredegunda (concubina e poi moglie di Chilperico I di Neu­ stria), nella quale si è voluto riconoscere lo spunto principale della leggenda nibelungico-volsungica. Il topos della migrazione per mare e la stretta relazione con i Sicambri/Sugambri18 sono due nuclei narrativi, i quali, sia in Gregorio di Tours (Barlow, 1995), sia nella Chronica di Fredegario ( 668-670) e nella continuazione di quest 'ultimo (ilLiber historiae Francorum [ LHFJ, 727 ), si riallacciano alla =

17. Ammiano è il primo a far riferimento a una tradizione di esuli troiani che colonizzarono la Gallia: «Si racconta anche che alcuni Troiani, dopo la distruzione di Troia, in fuga dai Greci, si sparsero ovunque e occuparono queste terre [la Gallia], allora disabitate », Rer. gest. 15·9·5· 18. Tra le interpretazioni letterarie sull'identità tra Franchi e Sicambri (che Venanzio Fortuna­ to e Gregorio di Tours considerano una élite franca) alligna anche un filone onomastico: per il bizantino Joannes Laurentios Lydos (metà sec. VI ) , i Sygambroi deriverebbero l'etnonimo da un condottiero franco (hegemon Phraggoi), laddove in lsidoro di Siviglia (Etym. 9.2..101) è al contrario il nome 'Franchi' a derivare da un capo militare.

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Molteplicità dei miti

Troia

l Germani

Pa nnonia

I l Minota u ro

Scandi navia

saga della diaspora troiana (e al mito di Roma), complice il successo in Occi­ dente della traduzione latina (sec. v) del De excidio Troiae di Darete Frigio19• Tra le tappe della migrazione troiana, la Sicambria è localizzata in Germania (cfr. la Cosmographia di Aethicus lster, sec. VIII) o in Pannonia (LHf}, nella quale i fuggiaschi Priamo e Antenore avrebbero fondato la città di Sicambria, prima di migrare verso il Reno. In Fredegario, dopo i due re Priamo e Friga (da cui deriva il popolo dei Frigi), il primo grande sovrano dei Sicambri sul Reno sarebbe stato un certo Francio10• In un simile collegamento ideologico che saldava Romani e Franchi, l' inserimento di una diaspora troiana permet­ teva dunque alla storiografia e alla leggenda di farsi anche politica (Anton, 2ooo; Garrison, 2ooo; lnnes, 2ooo; McKitterick, 2000 ). Su influsso di Gregorio di Tours (2.9 ), a sua volta debitore di Tacito, Fredega­ rio (3.9) riferisce dell'origine dei Merovingi, combinando il mitico antenato Mero con la figura storica di Merovech, eroe eponimo della dinastia fondata in realtà da Chlodio, del cui rapporto con Merovech Gregorio tace. Dopo Giona di Bobbio ( 640 ), Fredegario è il secondo a parlare di Merovingi ( ) intendendo i re della dinastia franca, elemento accolto definitiva­ mente solo nel sec. VIII dal LHF. Merovech sarebbe stato concepito dalla moglie di Chlodio durante un bagno, fecondata da un animale marino, il *Quinotaur011, evidente richiamo - al di là dell'errore del copista - al mito del re cretese Minos (col toro sacrificale, l'af­ fronto a Poseidone e la storia del minotauro ), ben noto alla letteratura gallo­ romana del sec. VI (cfr. Avito di Vienne, Remigio di Reims, Aureliano di Arles). Un filone letterario di epoca carolingia non recede tuttavia da un altro topos di origine consolidato, la Scandia/Scandinavia, dalla quale Freculfo di Li­ sieux, Rabano Mauro ed Ermoldo Nigello fanno discendere il popolo franco. 4. Burgundi

Burgundorho/m?

Ricordati da Plinio come vicini dei Vandali e situati da Tolomeo tra Oder e Vistola, i Burgundi sono menzionati tra i vittoriosi avversari di Attila nella battaglia dei Campi Catalaunici (452), mentre il richiamo alla provenienza scandinava (da Burgundarholm, l' isola di Bornholm) ha un ruolo soltanto nella tradizione agiografica dal sec. VIII. Diversamente dalle storie di migra­ zione di Goti, Longobardi o Anglosassoni fino alla costituzione dei relativi

19. L'origo troiana e i riferimenti alla Turchia sono recepiti in una 1W1ga serie di opere storiogra­ fiche, che vanno da Ammiano (Rer. gest. IS·9·S) a Paolo Diacono (HL 6.23), fino a Vincenzo di Beauvais (Speculum Historiale 2.66), cfr. Ewig (1998). 20. Forse quel Francus che nella raccolta degli Excerpta latina Barbari (secc. VI-VII ) è inserito tra i discendenti della lista dei re albani di Roma. 21. Cioè il Minotauro, «Bistea NeptW1i Quinotauri similis» .

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13.

Etnogenesi e miti di origine nella Origo gentis

regni non esistono tracce di una primitiva OG dei Burgundi alla quale colle­ gare l'elenco dei quattro ultimi sovrani ( Gibicha, Godomar, Gislahar, Gun­ dahar), inserito nellaLex Burgundionum (cfr. oltre, cap. 14 ) al pari del corpus di leggi longobarde. Grande incertezza riguarda il destino del regno sul Reno annientato dagli Unni, alleati di Ezio ( 435 ) : l'epopea che ne seguì andò a formare il nucleo della tradizione nibelungico-volsungica, condivisa dall'élite burgunda dopo la sconfitta e la deportazione nell'enclave in Alta Savoia (cfr. sopra, cap. 5 ) . Fu forse in questo nuovo regno (annientato definitivamente dai Franchi nel 534 ) che nacque e fu coltivata l'unica versione che celebri le gesta burgunde, rielaborare nel poema medio alto tedesco Nibelungenlied. Ammiano informa che i Burgundi si sarebbero alleati a Valentiniano I, nel segno di una presunta discendenza romana comune, elemento che affiora tal­ volta nelle procedure pattizie dei Romani coi popoli alleati: resta comunque un dato di fatto che quattro reguli burgundi ( Gundiok, Chilperico I, Gun­ dobad, Sigismund) abbiano ottenuto il titolo supremo di magister militum, un elemento che può aver favorito il nucleo ideologico alla base del mito romanocentrico. Orosio (t 420 ca.)u utilizza un argomento para-etimologico (ripreso da lsidoro, Fredegario e dall'agiografia) per spiegare il nome di questa etnia attraverso i relativi insediamenti sul Reno (burgi), fin dai tempi di Tiberio. L'interpretazione di Gregorio di Tours del re Gundiok come discendente del re gotico Atanarico, persecutore di cristiani, non ha fondamento storico se non un riferimento più che probabile all'arianesimo burgundo coevo. A una catastrofica e altrimenti ignota guerra coi Gepidi fa infine riferimento Jordanes ( Getica 17.97 ). Fonti agiografiche dei secc. VIII e IX (Passio Sigismundi, Vita Faronis, Vita II Gangulfi) trattano in modo diverso la leggendaria migrazione dalla Scandinavia e il passaggio dal regno sul Reno a quello in Savoia, senza peraltro fornire alcuna notizia dell'antica catastrofe provocata dagli Unni e dai Romani. La Passio Sigismundi, che introduce analogie cristologiche nella morte di Sigismund ( 523, primo sovrano medioevale a essere proclamato santo), è debitrice in larga parte di Orosio, salvo per la presunta origine scandinava, la quale viene più spesso accostata a fonti longobarde e a Fredegario, come pure le notizie sulle stragi perpetrate in Gallia dai Burgundi e parallele a quelle dei Longobardi in Italia�\

22. Debitore del Chronicon di Girolamo (ca. 380), che si basa su quello di Eusebio (ca. 320). 23. La storia delle origini della Passio Sigismundi fu ripresa nella Vita II Gangulfi, oltre che, in forma modificata, nella Chronica universalis, ritenuta più tarda. Hildegar di Meaux presenta una versione diversa nella Vita Faronis, nella quale il nome del santo Burgundofaro e la provenienza familiare sono alla base dell'excursus sulla origo burgunda. Il tema dell'origine scandinava qui è assente, laddove si dà voce alla già descritta versione para-etimologica di Orosio.

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Nibelungenlied

Burgi

Sca ndi navia

l Germani

La rappresentazione delle origini dei Burgundi non ha dunque autonomia narrativa, ma è tramandata in opere che ne trattano la storia in forma di di­ gressioni secondarie: si deve infatti attendere il sec. IX (una traduzione antico inglese di Orosio) per aver notizia di una presunta migrazione dei Burgundi dali' isola baltica di Bornholm. Le leggende di origine burgunde si distaccano dalle altre OG, in quanto non manifestano alcuna consapevolezza etnica ar­ caica che distingua questo raggruppamento dagli abitanti della valle del Ro­ dano, dove l'etnia venne reinsediata alla metà del sec. v. Il quadro che emerge non evidenzia alcuna contrapposizione culturale, affidata ormai soltanto ai dati dell'ono mastica e dell'archeologia. 5. Baiuvari/Bavari Armenia

Norico

Le notizie leggendarie sulla OG bavarese hanno origine dalla metà del sec. XII, nella Vita Altmanni episcopi Pataviensis 2.8, che ricorda una migrazione di Ba­ vari guidata da Bawarus, dall'Armenia alle sedi danubiane (Graus, 1975, pp. 109-11 ) . L'origine armena (ricordata anche nel poema alto tedesco Annolied 2.0, inizi sec. x n ) si spiega probabilmente con l'errata ricezione dell'antico mi­ tologema tacitiano di G 2., a proposito del progenitore degli Erminoni. Il tema si iscrive nel canone dell'eroe eponimico e della saga genealogica della conquista (o forse riconquista) di un territorio precedentemente colonizzato: in questo caso si trattava del Norico, dal nome del progenitore Noricus, talora considerato un figlio di Ercole (o di re Alamannus, nella Chronica di Johannes Aventinus, ca. 1530 ) altre volte riconosciuto (nella forma Norix) come il discen­ dente di Bawarus. Tra le storie locali dei Bavari nel Basso Medioevo si annovera quella registrata nella Kaiserkronik (vv. 662.2.-7135 ) , a proposito del duca Adel­ ger (in altre fonti Theodo) e della sua lotta di liberazione dal giogo romano. ,

6. Anglosassoni

Dalla seconda metà del sec. v si andò intensificando un costante movimento migrato rio verso la ex Britannia romana, il cui consolidamento richiese quasi due secoli. Durante tale periodo non sembra che le nuove comunità di immi­ grati germanici si siano amalgamate in nuclei confederali molto estesi (come dimostra la cristianizzazione dell'isola) e parlare di un regno 'anglosassone ' prima del sec. IX è improprio. Si ritiene che le zone originarie dei migranti si trovassero lungo la costa del Mare del Nord, tra la penisola judandese e gli insediamenti sassoni alla foce della Senna l.\ mentre l'archeologia conferma la presenza sull' isola anche di agglomerati franchi e turingi; in ogni caso, sa2.4. Aree che Beda (HE 5.9) riteneva abitate da Fresones, Rugini, Danai, Hunni, antiqui Saxones, Boructuarii. Egli stesso è consapevole dell'eterogeneità della nuova popolazione.

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13.

Etnogenesi e miti di origine nella Origo gentis

rebbe inesatto immaginare che nel corso del sec. VI il Canale non venisse abitualmente attraversato in entrambe le direzioni. Tuttavia, la più celebre rappresentazione della OG anglosassone è ricondotta da Beda (HE 1) soltanto a tre gruppi, Angli, Sassoni e Juti, una semplificazione già presente nei toni spesso faziosi dello storico gallese Gildas (sec. VI) :ls. Al racconto di Gildas, Beda aggiunse il topos dei due capi dei migranti, Hengest e Horsa, inserendoli in una genealogia i cui antenati furono ricondotti fino a Wodcen:l6 e a Géat, apparentemente distinti. Simili ricostruzioni genealogiche sono tramandate nelle dinastie dei sovrani anglici di Northumbria, in continuità sia con le leggende continentali (soprattutto longobarde), sia con la Historia Brittonum di Nennio (sec. IX) , sia ancora con ranonima Cronaca Anglosassone ( ASC), d,ispirazione alfrediana, risalente alla fine dello stesso secolo (North, 1997, pp. 11 1-32; Harris, 2001). Questa riassume le migrazioni come un insieme cronologicamente ordinato di storie di origine , del! insediamento, in una successione che vede arrivare per primo Hengest nel Kent, .IElla nel Sussex, Cerdic nel Wessex e Port a Portsmouth:l7• Ma la partecipazione di gruppi minori rispetto ai più celebrati fondatori dei regni anglosassoni è comunque suggerita dalla cosiddetta Tribal Hidage (fine sec. VIII ) , lista catastale di 34 popoli insediati a sud del Humber: redatta in onore di re Offa di Mercia, essa conferma che i primi regni costituivano unità molto più piccole rispetto a quanto riferito da Nennio e nellaASC. In misura simile alla OG burgunda, ma diversamente dalle OG gotiche, longa­ barde e in parte franche, le testimonianze di Gildas, Beda e della ASC con­ , , , centrano ! attenzione sull arrivo e lo stanziamento nell isola. Dalla letteratu­ ra volgare più tarda riaffiorano invece informazioni e genealogie precedenti: i poemi Beowulf Finnsburh, Deor, Widsith, collegano dinastie anglosassoni a , figure dell epica germanica. La tradizione letteraria locale attinse molti elementi dalla narrazione migratoria, con la rielaborazione dei temi biblici del viaggio e delresilio del popolo di Israele, elemento di similitudine e di distinzione delle tribù anglosassonP8•

Topos delle tre tri b ù

=

25. De excidio et conquestu Britanniae. L'opera ricorda come i Sassoni, chiamati a difendere i Bri­ tanni da Pitti e Sco ti, sarebbero giunti sull'isola a bordo di tre imbarcazioni sulle quali viaggiavano le tre tribù, un topos non inedito già presente inJordanes. 26. HE 1. 15: «Vi erano poi i figli di Wictgisl, figlio di Witta, figlio Wecta, il cui padre era Woden, dal cui lignaggio ebbe origine la stirpe di molti regni » . 27. Quest'ultimo caso, i n c ui l'antroponimo è stato desunto d a un toponimo, è un palese falso. La ASC, con un susseguirsi approssimativo di storie di migrazione e insediamento, è il risultato della fase politica e ideologica contemporanea alle incursioni vichinghe durante il regno di Alfredo del Wessex. 28. I poemi Genesis ed Exodus, in particolare, collegano il racconto biblico alla leggendaria mi­ grazione locale, che già Beda aveva sfruttato nel tracciare l'analogia tra popolo di Israele e Anglo­ sassoni: il nuovo popolo eletto di Inghilterra (come già i Franchi, Garrison, 20oo) nell'accettare precocemente il Cristianesimo entrava a pieno diritto nella storiografia cristiana.

30 7

Analogie vetero­ testa mentarie

l Germ a n i

Waden

Scyld e Sceaf

Il collegamento tra storie bibliche e miti di migrazione autoctoni è partico­ larmente evidente nel poema Exodus, nel quale la narrazione biblica diven­ ta storia della migrazione verso la Galilea e il Mar Morto, cosicché anche il brano vetero-testamentario può fungere da OG. Come il popolo d' Israele attraversò il Mar Rosso per raggiungere la terra promessa, così gli Anglosas­ soni attraversarono il Mare del Nord per raggiungere la loro terra 'promessa', da dove, secoli dopo, una lunga serie di missionari ripartì per evangelizzare i Germani continentali in nome di un'origine comune - altro topos dell'agio­ grafia coeva. L'impronta etnica di Be da restò generalmente conservata nelle generazioni di storici posteriori alla nuova temperie culturale seguita alla conquista nor­ manna del 106619• Qui vale la pena soffermarsi sulla riabilitazione ideologica di Woden, la cui rinnovata interpretazione evemeristica ne fa un re30 (quando non addirittura il nono discendente da Adamo), nella genealogia dei sovra­ ni d' Inghilterra di JElred31• Più esplicitamente, Simeone di Durham lo cita come progenitore di cinque genealogie regali anglosassoni (Kent, Mercia, Wessex, Bernicia, Deira), nella prima delle quali è addirittura avo di Hengest e Horsa31• Il prestigio raggiunto infine dal personaggio dell' epos anglonorreno Scyld (cfr. Scyld Scefing in Beowul/J è dimostrato dal suo inserimento in un'altra serie di fonti genealogiche. Tra queste vi sono la Vita di re Alfredo, composta da Asser, nella quale un certo Sceldwea è tra gli antenati del celebre sovrano, al pari della ASC, che sotto l'anno Sss indica Sceaf e Sceldwea/Scyldwa tra i progenitori di re JEthelwulf; la Chronica di JEthelweard invece enuclea Scef e Scyld in discendenza diretta nella dinastia del Wessex, mentre William di Malmesbury (Gesta regum Anglorum) vi include Sceldius e Sceaf. La trasmis­ sione delle memorie genealogiche fa parte di un contesto culturale votato non tanto alla semplice conservazione del patrimonio tradizionale, quanto piuttosto a una integrazione onorevole con la tradizione cristiana, con l'in­ tento di legittimare e fondere in un'unica versione ufficiale storia, politica e religione (Frank, 1991, pp. 92.-5; North, 1997; Anlezark, 2.002.).

2.9. Tra questi, .JEthelweard, Simeone di Durham, Henry di Huntingdon, William di Malmesbury o .JElred di Rievaulx, inclini al recupero del tradizionale mito troiano franco-normanno (Harris, 2.003, pp. I3I- S 6). 30. Rex multitudinis barbarorum, nella versione latina dellaASC di h'.thelweard (ca. 980); U-0den, qui tantae auctoritatisfuit apud suos, nella Genealogia regum Anglorum di h'.lred (us 3). 31. « [ ... ] Woden, il quale fu figlio di Fredewald, il quale lo fu di Freolof, [ ... ] che fu di Geta, [ ... ] che fu di Sem, di cui fu padre Noè, il padre del quale fu Lamech, [ ... ] del quale lo fu Enos del quale lo fu Seth, il quale fu figlio di Adamo, padre di tutti » , cfr. Patrologia Latina 1 9 5 : 7 17A-B. 32.. «Voden generò Vecta, che generò Witta, che generò Wictgisl, che generò Horsa e Hengest », Deprimo Saxonum adventu I.

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13.

Etnogenesi e miti di origine nella Origo gentis

7. Sassoni

Di una OG sasso ne Rudolf di Fulda è il primo a parlare nella Translatio sancti Alexandri (ca. 86s), seguita più tardi dal resoconto di Widukind di Corvey (Rerum gestarum Saxonicarum, 965), dagli Anna/es di Quedlinburg (1030 ca.) e da fonti posteriori. Rudolf sostiene sorprendentemente l'ipotesi di una 'migrazione di ritorno' e cioè che i 'nuovi ' Sassoni, separatisi dai popoli migrati in Britannia, rien­ trarono in Continente sbarcando sulla bassa Elba presso la località di Ha­ duloha/Hadeln, alla ricerca di aree da colonizzare. Qui si sarebbero trovati al centro di un conflitto tra i Franchi di Teoderico/Thiotric e i Turingi di Irminfrith/(H)erminafrid, contro il quale il capo sassone Hathagat/Hadu­ got decide di schierarsi, ottenendo dal re franco, dopo la vittoria, le terre per i suoi. Per Rudolf, le rigide consuetudini matrimoniali sassoni avrebbero lo scopo di ostacolare la commistione coi popoli vicini (concetto desunto pro­ babilmente da Tacito) e con le classi inferiori, ipotesi rafforzata dall'inedita notizia della suddivisione in caste chiuse (cfr. cap. 6), delle quali però, come pure sull'origine dell'etnonimo, non si fornisce alcuna giustificazione. Dal canto suo, Widukind introduce l'immagine dei Sassoni attraverso un amalgama di gesta eroiche integrate dalla tradizione biografica carolingia. Egli cita due diverse leggende di origine (dalla Scandinavia o dai Macedo­ ni di Alessandro Magno), tendenti a rafforzarne visibilità e prestigio già dall'antichità. Dopo l'arrivo alla foce dell'Elba, territorio degli ostili Turingi, i Sassoni sarebbero giunti a un compromesso, da dove Widukind prosegue descrivendo uno stratagemma mirato all'acquisizione fraudolenta di terre e simbolo di un conflitto che legittimerà la nuova origo33• Dopo un intermezzo desunto da Beda, sulla migrazione in Britannia sotto la guida di Hengest e Horsa (cfr. sopra) , la OG di Widukind continua con una nuova leggenda che coinvolge il franco Teoderico, figlio illegittimo del re di Austrasia, e il turingio Irminfrith in una guerra di successione. L'aspirante Teoderico invia messaggeri ai Sassoni, con la promessa di conceder loro ter­ re dei Turingi in cambio di un'alleanza contro questi; di fronte alla nuova alleanza e all'incombente sconfitta, Irminfrith invia il fedele Iring da Teode­ rico, il quale si accorda segretamente anche col messaggero turingio, contro i Sassoni. Ma questi ultimi, venuti a conoscenza dell' inganno, attaccano a sorpresa i Turingi e guidati da Hathagat ottengono una schiacciante vittoria con la quale rafforzano l'antica alleanza (tradita) coi Franchi, ricevendo de

33· Alle trattative di pace che seguono, gli inermi Turingi sono uccisi dai Sassoni, armati dei lun­ ghi coltelli tradizionali, dai quali l'autore, in una disamina para-etimologica, deriverebbe l'etno­ nimo («l coltelli nella nostra lingua sono detti sahs, dal quale prendono il nome i Sasson i » , 1.7 ) .

30 9

Antichi e n uovi Sasson i

Sca ndi navi a e Macedonia

Fra n c h i e Tu ringi

l Germ a n i

iure le terre conquistate con la forza34• lrminfrith è ucciso a tradimento dal suo uomo di fiducia, lring, d 'intesa con Teoderico, a sua volta ucciso per non aver ottemperato ai patti. Pur dubitando di questa versione, Widukind ricorda comunque la leggenda della fuga di Iring, dal quale prenderebbe il nome la Via Lattea. Negli Anna/es di Quedlinburg, la descrizione della guerra franco-turingia è probabilmente mutuata dalla storiografia franca, nella quale le ostilità ri­ salirebbero all'accusa di illegittimità avanzata da Irminfrith a Teoderico35• Seguono la sconfitta dei Turingi, il ritorno nelle zone d 'origine, e la stipula dell'alleanza tra Franchi e Sassoni, con la promessa di terre tra Saale e Un­ strut36. L' origo macedone dei Sassoni è inoltre fortemente accentuata nella leggenda di Altmann di Passau (sec. XI) e in Gottfried di Viterbo (sec. XII) , mentre altri temi della origo sassone sono rielaborati anche nella Origo gentis Swevorum (sec. XIII ) , il cui autore si richiama all'esaustiva Chronica di Frutolf di Michelsberg (fine sec. XIII) . A tutt'oggi, non è possibile stabilire il reale grado di dipendenza della OG sasso­ ne da una qualsiasi forma di tradizione orale, ma difficilmente gli eventi narrati possono produrre un'idea lineare dell' etnogenesi sasso ne nel sec. VI, tra leggen­ de di migrazione in Britannia e altre basate invece sul ritorno dali' isola (ancora nel sec. VIII, Aethicus Ister sostiene l'origine ultramarina dei Sassoni, giunti nel Nord della Germania a bordo di imbarcazioni); a ciò si aggiungano infine le analogie tra Teoderico il franco e Teoderico Amalo, re degli Ostrogoti d' Italia e nonno di Amalaberga sposata con Irminfrith. Le versioni della OG sassone rivelano il quadro politico dei secc. IX e x, con le ripercussioni ideologiche dell'assoggettamento culturale al modello franco del Sacro Romano Impero. 8. Frisoni

Nel corso della rivolta anti-spagnola nei Paesi Bassi (1568), il tema dell'anti­ chità delle origini ebbe forti ripercussioni sulle spinte autonomistiche locali. Nel tentativo di affrancarsi dal predominio della potente regione di Holland, e in opposizione al mito degli antichi Batavi, tra le comunità dei Frisoni ini­ ziano a circolare (nei secc. xv-xvii ) opere più antiche di origine orale rela-

34· Da tale vittoria deriverebbe l'ordinamento classista locale, ancora applicato ai tempi di Widu­ kind, un topos derivato verosimilmente dalla Translatio. 35· Gregorio, Fredegario e LHF datano i fatti all'anno 532, ma cfr. anche Venanzio Fortunato, De excidio Thuringiae. 36. In questi annali riemergono i contrasti tra Sassoni e Franchi, forse indizio di un rapporto mai gradito dai clan sassoni che controllavano il monastero di Quedlinburg. Varianti della leggenda, per lo più basate su Rudolf o Widukind, ricorrono inoltre in autori del sec. XI (Adamo di Brema, Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum, Frutolf di Michelsberg, Chronica universalis) e negli Anna/es di Scade, sec. XII.

310

13.

Etnogenesi e miti di origine nella Origo gentis

tive a storia e origo locali37• Anche in questo caso, si tratta di creazioni tese a rafforzare il sentimento di identità etnica, che vanno ad affiancarsi ai lavori tardo medioevali di carattere giuridico incentrati sulla peculiarità del diritto frisone nei confronti del regno carolingio. Nei primi due libri di un ambizio­ so progetto di storia locale, Suffridus Petrus (t 1597) introduce da fonti orali tardo medioevali le figure dei re ed eroi Friso, Saxo e Bruno (capostipiti ri­ spettivamente di Frisoni, Sassoni e Angli), collegandoli a Sem, figlio di Noè. Friso compare di nuovo nella cronaca di Martinus Hamconius (Frisia seu de Viris Rebusque Frisiae Illustribus Libri Duo, sec. xvn ) : egli avrebbe regnato su una antichissima comunità frisone impiantata nel Nord dell' India, da do­ ve sarebbe migrata ai tempi di Alessandro Magno. Dopo aver servito sotto il grande re, i coloni sarebbero rientrati in patria, dove Friso avrebbe inaugura­ to una dinastia regale. g. Popolazioni scandinave

Per la sua tarda conversione, la Scandinavia fu una delle ultime realtà europee a entrare nel novero della comunità erudita latino-cristiana, mantenendo molto più a lungo i tratti di un passato legato a una tradizione orale larga­ mente condivisa. L'adeguamento ai canoni deli' eredità classica avvenne tuttavia piuttosto rapidamente, con la rielaborazione dei miti locali attraverso la lente greco-romana dell' interpretatio e del collegamento al mito troiano. A questi si aggiunse, con il consolidamento dei regni nordici (secc. x-xi) , una nuova ideologia sull'origine divina di capostipiti e sovrani locali, in grado di produrre versioni distinte sia localmente sia fuori dalla Scandinavia, come sembrano dimostrare p.es. le fonti anglosassoni. Si tratta dunque di un'ope­ razione che privilegiava le origini di singoli clan aristocratici (e non tanto dei popoli stessi, come nelle OG precedenti) attraverso l 'inserimento evemeristico nelle diverse genealogie di antiche divinità 'declassate ' al rango di eroi. Le Appendici alla Saga di 6/dfr il Santo (le cosiddette Viòbretir 6/dfi saga), inserite nel ms. Flateyjarbok (3.246), testimoniano la tendenza a identificare un eroe o una singola divinità pre-cristiana con ciascun regno scandinavo : « Re Olafbattezzò tutto il regno ; egli distrusse tutti gli idoli e gli dèi, come Th6rr, dio degli Inglesi, Odino, dio dei Sassoni, e Skjold, dio degli Scani, Freyr, dio degli Svedesi, e Godorm, dio dei Danesi ». Per quanto riguarda la Danimarca e il suo popolo le notizie sono confuse : se nel resoconto anglosassone dei viaggi di Ohthere e Wulfstan il toponimoDe­ nemearc comprende le isole danesi e la regione della Svezia sud-occidentale, ma probabilmente non lo Judand, la letteratura annalistica carolingia defini-

Thet Freske Riim, Tractatus A/vini, Rerum Frisicarum Historia, Gesta Fresonum, Hoe dae Fre­ sen Roem wonnen (Buma, Gerbenzon, Tragter-Schubert, 1 9 9 3 , pp. 430-41, s o6- ss ).

37·

311

Troia

Genealogie divinizzate

l Germ a n i

Dani, Daci e Goti

Skjold

sce quasi sempre le genti a nord del fiume judandese Ejder come Northman­ ni, più raramente D ani/Deni38• Viceversa, la tradizione erudita dei monasteri franchi settentrionali recupera l'eredità di Jordanes identificando la Danimarca con l'antica Dacia dei Daci, che Guglielmo di Jumièges (Gesta Normannorum Ducum, ca. 1o6o) ritiene 'gotici ' per nobilitare la discendenza dai Goti dei Danesi di re Dan39• Il Chro­ nicon Lethrense (ca. uSo), che registra notizie inedite su fatti e sovrani dell'e­ poca pre-cristiana desunte dal folklore e dall'oralità, ricorda la genealogia del re Ypper di Uppsala, coi figli N6rr (re di Norvegia), 0sten, re di Svezia, e Dan, re di Danimarca, l'unico al quale l'autore aggiunga dettagli genealogici. Anche nei Gesta Normannorum (titolo più diffuso del De moribus et actis primorum Normaniae ducum, inizi sec. XI) , Dudone di S. Quentin rielabo­ ra una OG genericamente scandinava secondo un'ideologia carolingia tesa al recupero della tradizione gotica (Carozzi, 1996)40, attingendo, fra gli altri, a Virgilio, Paolo Diacono e Widukind di Corvey Il gentilizio Skjpldungar, noto soprattutto alle fonti islandesi, fa riferimento ai membri di una leggendaria famiglia reale danese, quando non all'intero popolo. La Historia brevis regum Dacie di Sven Aggesen ( n8s ) , uno dei più antichi testi storiografici danesi che copre gli eventi tra gli anni 300-u8o, introduce la storia della presunta dinastia locale degli Skjpldungar, fondata da SkjQldr/Scioldus e dai figli Frotho e Haldanus e proseguita con Helgi e Hr6lfr 'kraki', ponendosi in contrasto con il precedente Chronicon Lethrense, che richiamava invece un'origine da Dan, secondo altre tradizioni locali41•

3 8. Etnonimo che Ermoldo Nigello (In honorem Hludowici Carmen 4.11) ritiene di antica origi­ ne. Eloquente è il passo di Eginardo ( Vita Karoli magni imp. 14), dal quale si evince che Nordman­ ni fosse l'appellativo corrente per quei pirati altrimenti noti come Dani e tuttavia, al precedente cap. 12, lo stesso autore aveva sottolineato come Nordmanni fungesse da iperonimo per due etnie distinte: Danesi e Svedesi, come sembra confermare anche la Vita di Ansgar scritta da Rimbert verso 1' 870 (Garipzanov, 2008, p. u6). 39· Il fatto che anche Guglielmo di .&belholt (Genealogia regum Danorum, ca. uSo) inserisca il mitico Dan alle origini della monarchia danese suggerisce un possibile influsso isidoriano (Etymo­ logf4 9.2,72: «l Danai prendono il nome dal re Danaus» , riferendosi tuttavia ai Danai greci). 40. Similmente alla coeva identificazione dei Goti coi Geti e dei Franchi coi Frigi, i Dani (acco­ munati ai Danai delle fonti greche) discenderebbero dai Daci balcanici- dunque riconducibili al consueto topos di origine troiana - per essere in tal modo accostabili ai Goti (cfr. anche Anna/es Ryenses 1: «Dani [ ... ] intraverunt venientes de Gothia » ). Il primo re sarebbe allora stato Dan, figlio di Humbul!Humbla, tra i cui discendenti il quarto fu SkjQld. 41. La figura di SkjQldr/Scioldus progenitore dei Danesi, in concorrenza con Dan, riemerge altrove secondo un modello genealogico presumibilmente originato nelle colonie vichinghe del Danelaw e più tardi concretizzatosi in una leggendaria genealogia danese dei primi del sec. XII e nella perduta Skjpldunga saga (sec. XIII?). Porzioni di quest'ultima sono conservate nel ms. Flateyjarbok (sec. XIV) e nell'epitome latina di Arngrimur J6nsson (sec. XVI), per il quale la dinastia non discenderebbe da Dan, come in Saxo Grammaticus, ma da Scioldus, figlio di Odino (Guònason, 1982, p. 3).

312

13.

Etnogenesi e miti di origine nella Origo gentis

Il riadattamento latino della Skjpldunga saga presenta diversi punti in comune con il resto della tradizione islandese relativa al mito della stirpe (semi-) divina degli Asi. Provenienti dali'Asia e insediatisi in Scandinavia, questi erano guidati da O òinn/Odino, il quale pose il figlio SkjQld come sovrano nella terra dei Danesi (da cui l' etnonimo Skjpldungar) e l'altro figlio lngo (cfr. Yngvi-Freyr o lngunar-Freyr) a capo degli Svedesi (da cui l'etnonimo Ynglingar). Nell' Edda in prosa di Snorri, Scialdun/SkjQldr, discendente di Tror/Th6rr, è sia un antenato del saggio re Odino, sia un suo discendente (Prologo§ 9 e Skdldskaparmdl; cfr. Ynglinga saga; cfr. Bruce, 2002, pp. ss-68 ). Ancora il Prologo dell' Edda di Snorri ( 1o-u ) ricorda che insieme al possente seguito Odino, anch'egli diciassettesimo discendente dal fondatore (re Trar/ Th6rr)4\ appena giunto in Sassonia impose tre dei suoi figli (con i relativi discendenti) a capo della Sassonia orientale (il figlio Veggdegg), della Westfalia (il figlio Beldegg) e della Francia (Siggi, progenitore della dinastia dei Volsunghi/ Vplsungar). Passato nel Reiògotaland (lo Judand), Odino ordinò come re dei Danesi il figlio SkjQldr, dal quale sarebbe discesa la già citata dinastia. L'attività di ribattezzare le regioni attraversate e di dotarle di nuovi re (i propri figli) non si ferma: raggiunta la Norvegia e la Svezia, Odino ne assegnerà il comando ai figli Slnir, 3I4-S Flavi, 48, 54 Flaviano, 287 Flavio Giuseppe, 6I, 66 Flavus, 49, s 7 Floro di Lione, 32, 29I foedus, 90, 93-4, 98, 320 Folkmar/Poppone, I96 Foresta Nera, 43, 54, s6 Fornjotr, 3IS Forseti, I68 Forum (o Liber) judiciorum, 327-8 Franchi, I3, 77, 84-6, 92, 95, 97, 99-I03, 105, no, n6, 119, I23, 126-7, I36, I40, I49, I84, I88-93, 260, 280-2, 284-5, 2956, 298, 302-s, 307, 309-Io, 3I2, 3I4, 320, 324, 326, 33I-2, 335-8 Franchi Ripuari, 320, 325-6 Franchi Sali, 84, 128, 320, 326 Franci, 23 Francia, IS9· I6I, 202-3, 3I3-4, 329-3I Francoforte, 286, 289 Franconia, 54, I87 Francus, I96, 304 Fraomarius, 8s Fravitta, 85 Frawaradaz, 232 Frea (Friia/Frigg(a)), 125, I6s-8, I72, 30I-2 Freculfo di Lisieux, 29I, 298, 303-4 (Pseudo-) Fredegario, 297-9, 302-5, 3IO, 3I4 Fredegunda, 303 Fredewald, 308 Freilaubersheim, Germania, 2I3 Freising, I87 Freolof, 308 Freyja, I62, I64-5, I67-8 Freyr, IS4· I6I-2, I64, I66-7, I72, 203, 311, 3I3-S Friallaf/Friòleifr, 3I3

I ndice ana litico

Fricco, 161-2, 167 Friga, re, 304

Garda, 84

Frigedteg!Frijatac, 172 Frigi, 304, 312 Frisi{i)/Frisoni/Fresones, 13, 48, so, 53-4, 84, 103-s. 110, 136, 184, 192-3, 306, 310-1, 319, 337 Frisia, 30-1, 158, 161, 181, 185, 187, 191-4, 203, 207, 219 Friso, 297, 311 Fritigern/Fritigerno, 90, 178, 250 Fro (Fm), 167 Froso, 198 Frosta, 343 Frotho, 312 Frugarden, 232 Frutolf di Michelsberg, 310 Fulco di Reims, 252 Fulda, Germania, 193, 242, 287, 291 Fulgenzio, 278 Funusi, 134 Furio Anziate, 6o Fyn, Danimarca, 134, 204

Garibald, 100 Garmangabis, 159 Garonna, 183

Gabiae, 159 Gaesati, 22, 38, 65 Gaesorix, 46 Gainas, 14, 85 Gaio, 326 gairethinx, 318, 333 Gaiba, 53, 238, 242 Gallaecia/Galizia, Spagna, 92, 141, 183 Galla Placidia, 91, 97 Gallehus,Judand, 213-4, 251, 262 Galli, 13, 21-3, 42, 46, 54, 61-2, 64, 73, 77,

152, 155

Gallia, 13, 15, 23-4, 32, 34, 39-40, 45-6, 48,

52, 54, 60-1, 64, 84-5, 88, 91-2, 95-7, 99· 101-2, 106, 109, 127, 153· 156. 159· 184-5· 209, 217, 250, 273, 276, 278-So, 282, 299, 303, 305, 327, 331 Gallieno Publio Licinio Egnazio, 54, 84 Gallo/Gallus, santo, 98, 186 Gambara, 301 Gambrivi, 65, 69, 153, 296 Ganna, 72, 15 3 Gannascus, 53 Gapt/Gaut/Géat, 149, 300, 302, 307

Garoariki, 145

Gautar/ G(I)tar/ Géatas, 133, 300 Gavadiae, 159 Gebidus, 296 Gefn, 1 6 8 Geiserico/Genserico, 92-3, 110, 3 3 5 Geismar, Germania, 187, 194 Gelimer(o), 94, 250 Gennadio di Marsiglia, 281 Gennobaud(es), 84 Geografo Ravennate, 303 Gepidi, 77, So, 88, 99, 101, 116, 181-2, 2967, 300, 305 Germani, 13-7, 21-5, 28, 30, 32-5, 37-8, 402, 45-6, 48, so, 52-4, s6, 59-70, 72, 75-6, 8o, 82, 86, 93-4, 101, 110-1, 114, 149, 1524, 159· 175-7· 179-80, 186, 201, 250, 254· 299· 308, 317, 319-20 Germania, 22-3, 26, 42-3, 45, 49-50, 52, 54, 57, 6o-1, 64-9, 79, 82-3, 8s, 97, 127, 15s-6, 159· 171, 193· 200-4, 213, 244· 283. 299· 304, 310, 318 Germano di Auxerre, 184, 274 Germanus, 189 Gèrnot, 264 Gerolamo, santo, 177, 212, 272, 283, 305 Gerusalemme, 224 Gesahenae, 159 Gera, 308 Geti, 312 Ghent, Belgio, 238 Gibicha, Gibicunghi, 295, 305 Giganti, 6o, 163-5. 167 Gij6n, Spagna, 141 Gildas, 298, 307 Ginevra, 99, 184 Giona di Bobbio, 162, 171, 186, 304 Giovanni I, papa, 94, 182 Giovanni Antiocheno, 61 Giovanni Crisostomo, 180 Giovanni di Biclaro, 182, 279 Giove, 72, 157, 161, 170-1, 176, 184, 187 Giovenale Decimo Giunio, 66

l Germ a n i

Giovenco Decimo Giunio, 2 72 Giselher, 264 Gislahar, 305 Giudei, 112 Giuliano da To ledo, 279 Giuliano Flavio Claudio, 95, 98, 102, 271,

279 Giuseppe 'Scoto', 287 Giustiniano Flavio Pietro, 101, 179, 181,

183, 269, 272, 322, 333 Giustino I, 182 Giusto di Urgel, 279 Gizurr fsleifsson, 343 Glauburg, Germania, 37 Glavendrup, Danimarca, 166, 232 Godan/Wuotan/Wodan/Odino/Uodan, cfr. WOòanaz (Odino) Godomar, 305 Godorm, 311

Golaida!Golanda, 302 Gordiano III (Marco Antonio Gordiano),

89 G0rlev, Danimarca, 229-31 Gorm, 196, 233, 235 G6rr, 315 Goslar, Germania, 204 Go t( h) i/Gotoni/ Guthones/ Gudas/ Guti,

28, 77, So, 84, 85, 88-90, 94-5, 99, 101, 109, 112, 114, 149, 154-5, 178-81, 183, 202, 218, 231, 250, 276-7, 279· 295-300, 302-4, 312, 328, 330 Gothia, 179, 312 Gothiscandza, 134, 299 Gothus, 296 Godand, 232, 345 Gottfried di Viterbo, 310 Grdgds, 343-4 Grani, 138 Grauballe, Danimarca, 134 Graziano Flavio, 179 Greci, 42, 6o, 68, 110, 157, 257, 303 Grecia, 97, 251, 256-7 Gregorio di Elvira, 279 Gregorio di Tours, 101-2, 124, 134, 149, 162, 184, 217, 273, 280, 282, 298, 302-5, 310 Gregorio di Utrecht, 193, 289 3 86

Gregorio Magno, papa, 181, 188-90, 194,

277-8, 293

Gregorio Nazianzeno, santo, 272 Gregorio Taumaturgo, 271 Grenoble-Vienne, Francia, 99, 184, 281 Grimbald da St. Bertin, 293

Grimualdi Leges (!Novellae), 334 Grinda, Svezia, 232 Gripsholm, Svezia, 251 Groenlandia, 131, 147, 197, 202, 341 Grumpan, Svezia, 204-7 Guadalquivir, 141 Gudme, Isola di Fyn, Danimarca, 204 Guglielmo di ..tEbelholt, 312 Guglielmo diJumièges, 298, 312 Guglielmo il Bastardo, 144

Guinehae, 159 Guiones, 31, 69 Gulen, 343 Gullinborsti, 167 Gummarp, Svezia, 218 Gundahar, 98, 305 Gundeperga, 189 Gunderico, 92, 110 Gundestrup, Danimarca, 28, 39 Gundiok, 305 Gundobad(o), 85, 99, 182, 184, 281, 305,

328-30 Gundomadus, 302 Gunnar di Viborg, 345 Guntamundo, 278 Gunther, 264

Gutalagh, 345 Guthormr/Guthrum, 142-3 Hadubrant, 264 Haòulaikaz, 232 Haduloha! Hadeln , Germania, 309 Hafliòi Masson, 265, 343 Hagia Sophia, Bisanzio, 202 Hakon il Buono!Aòalsteinjòstri, 143, 162,

196. 343 Hakon Siguròarson, 314 Haldanus, 312 Halfdan il Nero (o lo Scuro), 139, 314 Halitgar di Cambray, 196 Hallestad, Svezia, 232 Hallr, 314

I ndice ana litico

Hallstatt, Austria, 26-8, 37, 39-40 Halsing, Svezia, 231

Halsingelagh, 345 Hamavehae, 159 Hampshire, Inghilterra, 103, 189 Hamwich, Inghilterra, 137-8 Hanala, 250 Hannover, 30, 101 Haraldr Klakk, 141, 196 Haraldr Chiomabella (o il Chiaro), 139,

143, 146, 314-5 Haraldr Gormsson Blatand (Denteblu/ Dente azzurro) di Danimarca, 139, I9S-

6, 233, 235 Haraldr Siguròarsson l' Implacabile, 144 Hariasa, 159 Harimella, 159 Harpstedt, 28 Hartmann (von Aue), 269 Harudi/ Harudes, 32, 46 Harz, 38, 40, 101 Hasdinghi/Hazdingas, 92, 154, 295 Hastings, Inghilterra, 144 Hathagat/Hadugot, 309

Havae, 159 Hedeby, Danimarca, 138, 228-9 Heimdallr, 164, z66 Heime, 257

Hel, 164, z66 Helgi Eyvindsson i l Magro, 163, 195 Helgo, Svezia, 135 Heligoland, Frisia tedesca, 194

hendinos, us Hengest, IlO, zs8, 2SI, 264, 302, 307-9 Henry di Huntingdon, 308 Hercynia silva/Hercynius saltus/Orcynia, 42-3, sz, ss. 6o Hereberhct, 236 heretoga, II4, II7 Heribrant, 264 Hermegisclus, 250 Hermenegild, 183 Hermenerig, 300 Hermericus, 92 Hermes, zs6, 257 Hersfeld, Germania, 67 Hessitio, 296 Hiannanefatae, 159

Hibernicus Exul, 287 Hildegar di Meaux, 299, 305 Hildemar di Corbie, 289 Hilderico, 182 Hildesheim, Germania, 191 Hilduin di St. Denis, 291

Hilleviones, 6 9, 133 Hiltibrant, 264 Hincmar di Reims, 162, 291 Hirmin/Hermis, 157 Hisarna, 300 Hjortspring, Danimarca, 132 Hlaòir/Lade, 314 Hlothh�re, 340 Hochdorf. Germania, 37 HQÒr, z66 Hrenir, 1 64-5

hp/dar, 120 Holland, 310 Holstein, Germania, 28, 30, 161, 203 Holt, 214, 263 Horik il Vecchio, 139, 196 HQrn, z 6 8 H0rning, Danimarca, 232 Horsa, IIO, zs8, 264, 302, 307-9 Hrodbert, 187 Hrrepberht, 222 Hrolfr di Skalmarnes, 26 s Hrolfr 'kraki', 312 Hrolfr/Rollone, 13, 141 Hromundr Gripsson, 265 Hryngviòr, 265

HugilHugones, 303 Hulmul, 300 Humber, 307 Humbul!Humbla, 312, 314 Humli, 300 Hunericus, 93 Hunuil, 300 Hygelac, 134 lazigi, 77 Iberia, 45, 91-2, 180, 273 Ibn al-Fadlan, 145, 163, 198 Ibor, IIO, zs8, 264, 301 !dazio, 92, 180, 279

!disi, 158 Idistavisio/Idisiavisio, SI, 158 3 87

l Germ a n i

ICJunn, 168 lesi, 67 Ijssel, 95, 332 Ilario di Arles, 280 Il Cairo, 145 Ildeberto di Lavardin, 258 Ildefonso di Toledo, 279 Ildegario, 251-2 Illerup, Danimarca, 161, 201, 203 Illiria, 97 Ilmen, lago, 231 Imerio, 272 Induziomaro, 122 lne, re, 191, 340-1

Ing, 153·4, 161, 203 Ing(u)o/Ingvi (cfr. Freyr, Yngvi- lngunar- ) , 296, 313, 315 lngeld, 251 lngelheim, 196

lngevoni/lngaevones/lnguaeones, 25, 31, 68, 77· IS3·4· 167, 296, 301 Inghilterra, 131, 140, 146, 189, 196-7, 200, 203, 235, 275·6, 286, 292, 307, 314, 3189, 344 Ingimundr, 265-6 lnguiomer, 49, SI Inguiones, cfr. Guiones lngund (/lnguna), 183 lnnocenzo III, 325, 344 lnnocenzo IV, 325 lnsubri, 6s lona, Scozia, 140, 191, 282 lpparco, 61 lppocrate, 61 lring, 309-10 Irlanda, 146, 179, 195, 235 Irlandesi, 147, 282, 286-7 lrminfrith/(H)erminafrid, 309-10 lrminsul, 157, 193-4 lside, 72, 154, 158 lsidoro di Siviglia, 92, 170, 176, 183, 242, 268, 279·80, 287, 298, 301·3· 305, 326 Islanda, 30, 146, 195· 7, 264, 314, 341-2 Israele, 126, 307 Istevoni/lstaevones/Istuaeones, 25, 68, 77, IS3·4· 296, 301 !stio, 296 38 8

Italia, 48, 83·4, 92, 94, 100-2, 182-3, 188-9,

202, 235· 276-8, 334 ltalicus, 57, n6, 302

iudex gentis, II3 Jamtland, Svezia, 198 Japhet, 296, 301

jarl, II4·s, 124, 342 Jarrow, 283-4 Jarsberg, Svezia, 213

Jastorf. Germania, 27-31, 33, 3 9, 48, 52-3,

153

Jazig(h)i, 8o Jelling, Danimarca, 196, 232-5 Joannes Laurentios Lydos, 303 Johannes Aventinus, 306

]onsbok, 343 ]prò, 16s Jordanes, 99·101, 133·4, 149, ISS·6, 162, 164, 181, 217, 250, 277· 298·300, 305, 307, 312, 330 ]prmungandr, 166 ]ptunheimr, 164 juhlinae, 159 Jiilich, 159 Juppiter/Zeus, 156·7, 171-2 Juchungi, 23, 30, 97 Juti/luti/Eucii/Euthii, 13, 84, 103, 307 Jutland, Danimarca, 13, 27·8, 31-2, 66, 104, 106, 133·4· 138·9· 161, 196, 203·4· 213, 228, 232, 313, 345 ]yske Lov, 345 Kadmos, 257 Kannanefotes, 159 Kari, 315 Karlich, Germania, 161, 203 Katwijk, Paesi Bassi, 54

Keltoi/Galatai, 37 Kent, 103·4, 107, 189-90, 282, 307·8, 325, 339•41 Ketil(fastr), 140 Keuren, 338 Kiev/Kttnugaròr, 145 Kilian, 187 Kindasvindo, re dei Visigoti, 327 Kirkby Thore, Inghilterra, 166 Kj0levik, Norvegia, 232, 251

I ndice ana litico

Klotho, Lakhesis e Atropos, I 6 8 Kniva, 8 8 Knut Iv, 344 Knut vi, 3I3, 344 Kobandi, I34 Konungsbok, 343 Korpbron, Svezia, I 6 6 Kragehul, Danimarca, I6o, 20I, 203, 2I9 Kylver, Svezia, 204-6 Labrador/Markland, I47 La Corufla, Spagna, I 4I Lamech, 308 Lancashire, Inghilterra, 222 Landolin, I86 Lanfrido/Lantfrid, 335 Langres, Francia, 99 Lanzichenecchi, 67 La Tène/Latène, Svizzera, 24, 26, 28, 38-

40, 52, 6I, IS3 Latini, ISS. 296 Leandro, I83, 280 Lebuinus/Leofwine/Liafwin, santo, 118,

I93· 236 leges Danorum, 344 Leges Henrici Primi, 34I Leida/Leiden, 24I, 24 7 Leifr Eiriksson, I47 Lemoni, 112 Lente(i)ldis, I84 Leodegario (/Leger) di Autun, 282 Leone I Magno, 276 Leone di Narbona, 279 Leonzio, 242 Leovigildo, 327 Lérins, Francia, 280

Lethinges, 302 Leudinae, I s 9 Lex Alamannorum, I23, 326, 335 Lex Anglorum et Werinorum, Io6, 338 Lex Baiuwariorum, 3I9, 326, 335-6 Lex Francorum Chamavorum, 326 Lex Frisionum, I27, 326, 337-8 Lex Ribuaria, 324, 326, 33I-2, 338 Lex Romana Burgundionum, 305, 326, 330 Lex Romana Ostrogothorum, 328 Lex Romana Visigothorum, 326 Lex Salica, 318-20, 326, 329, 331-3

Lex Saxonum, 326, 337 Lex Thuringiorum, 115, 326 Lex Visigothorum, 326-7, 333 Libanio, 272 Liber Constitutionum (o Lex Burgundionum o Lex Gundobada), I24, 326-7, 329 Liberjudiciorum, cfr. Forum judiciorum Liberato di Cartagine, 278 Libes, 6 s Licinio, I79 Liguria, 102, 333 Limerick, Irlanda, I40 Lindholm, Scania, Svezia, I6o, 203 Lindisfarne/Holy Island, Inghilterra, I3I, I40, I9I, 282 Lindk;rr, Danimarca, 204 Lingones/Lingoni, 54, I27 Lione, 99, 287, 328 Lippe/Lupia, 26, 28, so, 6s, I03 Lipsia, IOI Lisbona, I4I Liudger, santo, I93-4, 2SI Liudhard, I90 Liutbert di Magonza, 260 Liutprandi Leges, 334 Liutprando, 302, 333 Liuvigild, I83 Livio Tito, 46, 6I, 64-6 Loòurr, I6I, I6s, 203 loi Gombette, 329 Loira, 84, 97, I02, I4I, I84, I89, 285, 33I Loki, I 6 I, I64-6, 203 Londinium/Londra, 84, I40-2, 2I9 Longobardi, 49-5I, 6s-6, So, 99-Io2, 116, 123, us, I27-8, ISS· I82-3, I8s, I88, 276, 285, 296-302, 304-5, 324-7, 333, 339 Longobardus, 296 Lorsch Germania, 287 Lotario, I4I, I96, 290 Lotherus, 3I4 Lubicae, IS9 Liibsow (/Lubieszewo), Polonia, 30, 39, 110 Lucano Marco Anneo, 6o Luciano di Samosata, IS6 Ludovico il Balbuziente, 29I Ludovico il Germanico, 290 Ludovico il Pio, I4I, I44, I96, 25I, 260, 287, 290, 298 389

l Germ a n i

Lug, ISS Lugi, SI, 57, 65, S4 Lugius, 46 Lugo, 92 Luna, 59, I52, I69 Lund, Scania, Svezia, 232 Lupo di Aquitania, 250 Lupo di Ferrières, 26S, 29I, 299 Lupo di Troyes, IS4 Lusazia, 29 Lusitania, 92, IS3 Lussemburgo, IS4 Lusso rio, 27S Luxeuil/Luxovium, IS6, 2S7 Maastricht, Belgio, I92 Macedoni, 303, 309 Macedonia, SS, 309 Macha, ISS Macrobio, 26 S, 272 Magnlis VI il Multatore, 344 Magnlis Eriksson, 344-5 Magog, 30I Magonza/Mainz, S3, 95, 9S, IS6, ISS, I93·

I96, 2S6, 290-I Magrè, 2II

Mah{a)linehae, I59 Malaren, lago di, Svezia, I35· I39· 19S Mallobaude, Ss Mallorige/Mallorix, 44, 46, 53, 110, 302 Malmesbury, 2S3 Malt, Danimarca, I66 Malton, Inghilterra, 220-I Manchester, 222 Manilio Marco, 6o

Manno/Mannus, 6S, I53· 250 Mar Baltico, Io6, 110, 112, I33· I3S, 227, 300, 302 Mar Caspio, SS, I45 Mar d 'Azov, S S Mar Morto, 30 S Mar Nero, 22, 6o, So, SS-9, I3S, I45· 302, 3I5 Mar Rosso, 3 o S Mar(e) del Nord, I3, 26, 3I, 35, 4S, 64, 66, 69, 95· I03-4· I06, 110, I36, I3S . 142, I72, I9I, 202, 206, 2I S-9, 227, 306, 30S, 3IS, 33S, 34I 39 0

Maraboduus, 30, 34· 44· so-I, 57· 62, 110,

112, 116 Marcello Marco Claudio, 22 Marciano, imperatore d'Oriente, SS Marco Aurelio, 69, 77, So-2, I27 Marcomanni, 30, 34, 46, so, 62-3, 77, So,

S4, 99· IOO, 110, 119, 127 Mardoll/Maròoll, I6S Mario di Avenches, 126, 2SI Markloh, Germania, 11S Marmoutier, Francia, IS7 Marna, 26 Marocco, 92, I4I

Mars Thingsus, I56, I7I, 3IS Marsacae, I59 Marsi, so-I, 69, I53· ISS, 296 Marsiliana, Marina di Albegna (GR), 209-

IO Marte, 72, I54· I56-7, I6I-2, I66-7, I70-I, IS4, 3IS Martino di Braga, I62, ISo Martino di Tours, I77, IS4, 276 Martinus Hamconius, 311 Martinus Hiberniensis di Laon, 29I Marvingi, 303 Marziale Marco Vale rio, 6 6 Marziano Capella, 2 72, 2 7S Massimiano Erculio Marco Aurelio Vale-

rio, S4, 95 Massimo d i Torino, ISo

Matesuentha, 300 Matfrid di Orléans, 29I Mauretania, 92-3

Mauringa, 302 Meclemburgo, Germania, 2S-3o Mediotautehae, I59 Mediterraneo, I6-7, 46, I4I, ISo, I9I Meldorf. Germania, 20I Mellito, I9I Melo, 65 Menapii, 40 Menelao, 253 Meno, 42, 46, 49, SI, 54-6, S4, 110, I9I Merda, Inghilterra, 106, I40, I42-3, 292, 30S, 340-I Mercurio, 72, I54-6, I65, I70-I, I76, IS4 Mérida, 97 Mero, 304

I ndice ana litico

Merobaude, Ss Merogaisus, Ss, uo Merovech, 149, 297, 304 Merovingi/Merohingi, 273, 2So, 2S4, 303-

4 Mesia, Bulgaria, So, SS-90, 97, 109, u6,

I7S Metz, Francia, 2S2, 2S7

Miògaròr, 164-5 Midlands, 222 Milano, 14, S4, 94, 179 Milone di S. Amand, 291 Minden, Germania, 51, 191 Minos, 304 Mirabilia, 176, 2S4 Mittelgebirge, 43 Mjpllnir, z6s Moesia inferior (od. Bulgaria), 94 Moire, z6S Mojbro, Svezia, 232-3 Montecassino, 302 Moravia, Repubblica Ceca, 2S, 71, 99, 102 Mordramno, 2SS Mosa, S4-5, 104, 141, 192 Mosè, 126, 2S5, 325, 336, 340-1 Mosella, 26 Motala, Svezia, 204, 206-7 Mocha, S9 Mulhouse, Francia, 46 Mi.inster, Germania, 191, 193 Murbach, Germania, 1S7 Muspell, 163 Muspellsheimr, z63-4 Naanarvali, 151-2 Nani, 164, 167, 169 Nanna, z6S

Narbonensis, S4 Naristi, So Nasua, 46, uo Navarra, Spagna, 141 Neckar, 46, sz, 54. 56, S4 Nedao, 99 Negau, Negova/Zenjak, Stiria-Slovenia,

157· 212-3 Negue, 296-7

Nemausicae, 159 Nemeti, 46

Nennio, 251, 296, 29S, 307 Nerone Lucio Domizio Enobarbo, 53, 66

Nersihenae, 159 Nerthus, ISI, zsS, I67 Nerva Marco Cocceio, 67 Nervi, 40, 77, S4, 127

Nervinae, 159 Neuchacel, Svizzera, 26 Neudingen/Baar, Germania, 213 Neustria, 96, 141, zSs, 2So, 332 Newfoundland/ Vlnland, Canada, 147 Nibelunghi, 257 Niccolò v, papa, 6 7 Nicea/lznik, Turchia, 179-So Nienburg, Germania, 2S

Niflheimr, 163-4 Nilo, 270 Ninian, 1S9 Nithard, us, 127, 19S, 291 Nj9ròr, 162, 164, 167, 314-5 nobilitas, 71 Noè, 295, 297, 301, 30S, 3II, 315 Noleby, Svezia, 213-4 Nordalbingi, 337 Nordendorf, Germania, 161, 203, 217 Nordgau/Palatinato, Germania, 9S, 1S7 Nordmanni/Northmanni, 131, 312, 341 Noròri, 164 Norico/Noricum, 32, 44-5, S4, 91, S7, 99101, IS2-3, IS7. 306 Noricus, 306 Norix, 297, 306 Normandia, S4, 131, 13S, 141, 144, 195, 197, 341-2 Norne, 165, 169 Norr, 297, 312, 315 Northumbria, Inghilterra, 106-7, 131, 140, 142, 144, 190-1, 219, 222, 251, 2S2, 307 Norvegesi, 140, 143, 145, 266 Norvegia, 30, II7, 131-2, 135, 139, 144, 146, 161, 196-7, 200, 202-3, 20S, 213, 22S, 232, 235, 312-5, 343-4 Novgorod/Holmgaròr, 145, 230 Noviomagus/Nijmegen , Paesi Bassi, Ss, 155 Nuithones, 102 Numeriano Marco Aurelio, 77 Numidia, Algeria, 93 Nydam, Danimarca, 135, 201 39 1

l Germ a n i

Oddi, Islanda, 3I4 Oder, 27-S, 35, 39-40, So, 9S, 304 Oderzo, So Odoacre, Ss, 94, Ioo-I 0Òr, ISS, I65, I 67-S

Oduulf, 300 Offa di Merda, I40, 307, 339-4I O hthere, 3 I I Oksywie/Oxhofc, Polonia, 2S 6Iafr il Santo, 311, 344 6Iafnii Skotkonung, I7S, I9S Olafr Haraldsson, I97 6lafr Scarpa, I44 Olafr Tryggvason, I44· I9S· I97 Oland, Svezia, I32, I3S· 345 Oleg/Helgi il Saggio, I4S

0/logabiae, IS9 Onorato, I77 Onorio, 9I, 97, IS9, 22I OnundJakob, I9S optimates, 117, I24, 126 Orazio Fiacco, 6 6 Orcadi/Orkney, I40, I9S· I97, 3I4-S Origene, ISo, 27I Orléans, 1S5, 2S1, 2S7 Ormr di Barrey, 265 Orosio Paolo, 6I, I34· I62, ISI-2, 276, 27S, 293, 305-6 Osi, 77, So Osio, 137 Osnabruck, Germania, so, I93 0sten, 3I2 0sterby, Danimarca, ISO Ostergocland, Svezia, I32, 19S, 204, 231 Ostfali, 102, 337 Ostfold, Norvegia, I32 Ostgotalagh, 345 Ostrogot(h)i, SS, 94, 99, IOI, ISI-2, ISS, 29S, 300, 3IO, 324, 32S, 330 Ostrogotha, 300 Oswald di York, vescovo, 294 Oswald, re di Northumbria, I90-I Oswy, re di Northumbria, 190 Otfrid di Weissenburg, 260, 290 Over-Hornba::k, Danimarca, I6I, 203 Ovidio Nasone Publio, 6o 0vre Stabu, Norvegia, 20I Oxford, 23S, 242 39 2

Paciano, 2 79 Pacomio, I77

Pactus Alamannorum, I27, 326 Pactus Legis Alamannorum, 3 3 s Pactus legis Salicae, I24, 126, 12S, 33I Paderborn, Germania, I9I, I93 Paesi Bassi, 95, 141, ISS· IS4, 3IO, 3IS Palladio, vescovo, I79 Pamplona, Spagna, I4I Pannoni, so Pannonia, 45, 53, 67, So, SS-90, 92, 99, 102, IS2-3, 299· 302, 304 Paolino, vescovo di Aquileia, 2S7 Paolino di Nola, I77• 272, 274 Paolino di York, I91 Paolo I, papa, 2S5 Paolo Diacono, S7, IOO, I49· ISS· I62, IS9, 2SI, 2S7, 29S-9, 30I-2, 304, 3I2 Paolo di Verdun, 2S2 Paolo Giulio, 326, 330 Papiniano, 326 Parche, I6S Parigi, I4o-2, 2SI, 344-5 Parti, 77, So, S9 Pascasio Radberto, 29I Passau, Germania, IS7, 3IO Patrizio, santo, I79· IS9 Pavia, I3, S4, 94, IS9, 235, 277-S, 2S7, 333 Peada, re di Merda, 190 Peceneghi, I4S Penda, re di Merda, I90-I Perceval, I23 Perc(h)tarit, 1S9, 30I Persepoli, Iran, S9 Persiani, IS3 Petrarca Francesco, I S Peucini, IS4· 296 Piccardia, Francia, S4 Picti, I77, IS9, I9I Pietro da Pisa, 2S7 Pipa, S4 Pipinidi, 96 Pipino II di Heristal, I92 Pipino III il Breve, 96, 105, ISS, 2S5, 324, 332 Pirenei, 92, 97, IS3 Pireo, G reeia, 2 3 6 Pirmin, I62, I87

I ndice ana litico

Pitti, 307 Platone, 256 Plegmund, 293 Plinio il Giovane, 6 s Plinio il Vecchio, 3I, 6o-I, 65-7, 6 9, I33·

IS4· I67, 296, 304 Plutarco, 22, 32, 45-6, 6o-I, IS3 Poeta Sassone, 25I, 29S Poitiers, Francia, 96-7, ISS, 2I7, 2SI Polibio di Megalopoli, 22, 29, 6o-I, IlO,

I33 Pollenzo/Cuneo, I4 Pomerania ( Gothiscandza), 2S, 30, So, 299 Pompei, 2I2 Pompeo, 27S Pomponio Mela, 6z, 6s-6, 69, 133 Ponte Milvio, zSs Ponto, 64 Ponzio Pilato, 113 Port, Inghilterra, 307 Portland, Inghilterra, I40 Portsmouth, Inghilterra, 307 Posidonio di Apamea, 22, 29, 46, 6o-I, 64,

66-7, IlO Postumo Marco Cassianio Latinio, 54, 9S P6voa de Varzim (Portogallo), I4I Priamo, 304, 315

principes, 117-S, 121 Principum Beneventi Leges, 334 Prisciano, 131, 242, 26S, 2S3 Prisco di Panion, 250 Probo Marco Aurelio, S4 Proconsolare, 93 Procopio di Cesarea, 23, 99, 105, 116, I34· I62, IS2, ISS-9, 250, 27S, 330 Properzio Sesto, 6 6 Prospero di Aquitania, I79, 272, 2So-I Provenza, 45, IS2 Prudenzio, 272, 279, 2S3 Przeworsk, Polonia, 2S, 30, 39, 92, 9S Puglia, 235 Pytheas di Marsiglia, 3I, 3S, 6z, 67, 69, 133 Quadi, 30, 34, SI, 6s, 77, So, 99-zoo, 110,

116, 127 Quedlinburg, Germania, 309-IO Quierzy, Francia, 291

Quintiliano, 2I2, 26S Quodvultdeus, 27S Rabano Mauro, I62, 242, 290-I, 304 Radagaiso, zS2 Radegonda, IOI, zSs, 2S1

Ragnarpk, 163, I66 Ragnarr Brachepelose, I42 Rallinge, Svezia, I62 Ramsund, Svezia, 232 Raos e Raptos, 110, zsS, 264, 302 Ratchis, 3 3 3

Ratchis Leges, 334 Ratisbona/Regensburg, 54, IS7 Ravenna, SI, S4, 94-5, I02, 2S1, 334 Razgrad, Bulgaria, S S Rebendorf. Germania, 2S Redbad/Radbod, I92 Redwald, re dell'Anglia orientale, I90 Reginbert, 261

Reguli, Ss, 97-S, IOI, 116, I39· I7S, IS9, 302, 305 Reichenau, Germania, IS7, 242, 252, 26I, 2S7, 296 Reiògotaland, 313 Reims, 290, 33I Remi, 39-40 Remigio di Auxerre, 29I Remigio di Reims, 304 Remo, ISS, 2I9, 224, 302 Renahenae, IS9 Renania, 1S4, 267 Reno, 22-4, 26, 2S, 31, 34-5, 3S, 40, 42, 456, 4S, so-2, 54, 56-7, 6I-4, 67, 69, S4-5, 9I, 9s-s, Io2-3, Io6, Io9, n2, I22, I27, 154· 159· IS4, zS6, 191, 299· 303-s. 32S, 332, 33S Repubblica Ceca, 26 Reudigni, I02, ISI rex, 30, 34, 4I, 46, so, 6o, 62, 70-I, S3-4, 101, 10S-9, III, II4, 117-S Rezia/Rhetia, 54, S4, 9S, zoo, zS6-7, 209 Rhamis, 6s Ribe, Danimarca, I96 Ricaredo, 1S3, 279 Riez, 2So Rikiharius, 92, zSz Rikimer, Ss 393

l Germ a n i

Rikisvindo, I24, 279, 327 Rimberto, I62 Rimini, ISo Ripdorf, Germania, 2S Ripuari/Ripuarii, 95, 320, 325-6, 332 Risbyle, Svezia, 232

Riuchten, 33S Riurikovo Gorodisce, Russia, 23I Rodano, 32, 45, 97-S, IS3-4, 306, 327-S Rodoald, I S 9 Rodolfo di Fulda, IS7 Rogaland, Norvegia, I32 R9gnvaldr Kolsson, I3, 3I4 Rok, Svezia, 23I, 25I Rolando, I23 Roma, I3-6, 23-s. 30-5, 3S-4o, 45-6, 4S, so-

4· s6-S, 6I, 66-7, 70, 72-3, 77, So, S3-4, S6-7, 9I-5, 9s, Io2, IoS, 110, 112, 114, 11S, I22-3, I27, I33, ISO-I, ISS, I9I, 235, 259, 267-S, 27S. 296-7, 304 Romani, I9, 3I, 33, 3S, 40, 46, 4S, SI, 6o, Ss, 94-s. 9S-9. 116, IS2, I79· ISS, 2IS, 296, 303-s. 3I4, 323, 327-30, 334 Romanus, 296 Romolo, ISS, 2I9, 224, 296, 300, 302 Rorik/Hroòrékr il Vecchio, I4I, I4S Roslagen/Roplag, Svezia, I4S Rosmunda, IOO Rot(h)ari, I3, IS9, 30I, 333-4 Rother, 257 Rouen, Francia, I3, I97• 2S2 Roxolani, 77 Rozenica, Croazia, I6S Rudolf di Fulda, 299, 309-Io Rugi, 99, IOI, 112, ISo-2 Rugini, 306 Ruhr, 40, so, I03 Rumanehae, I s 9 Rus', I3S, I4S· I63, I9S, 230, 345 Russi, 257 Russia, I3I, I3S, I9S· 202, 235, 265, 345 Ruthwell, Scozia, 205, 22I-4, 2SI Saale/Salas, 2S, 39, 6s, IOI, Io6, 3IO Saba, S9 Sabalingi, I34

sacerdotes, 11S S