György Lukács: Storia e coscienza di classe-Estetica

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LUIGI CLAVELL JUSTO LUIS R. SANCHEZ DE ALVA

GYORGY LUKÁCS

Storia e coscienza di classe e Estetica

PROSPETTIVE COLLANA CRITICA DI OPERE FILOSOFICHE SCELTE diretta da L. CLAVELL

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Nella stessa collana:

C. C ardona, René Descartes: Discorso sul metodo. A. D el N oce - G. A. R iestra , Karl Marx: Scritti giovanili. G iovanni Sanguineti, Jean-Paul Sartre: Critica della ragione dialettica e Questioni di metodo.

In preparazione: C. F abro, Ludwig Feuerbach: L ’essenza del cristianesimo. M. T abet - A. M aier , K. Marx - F. Engels: « La sacra famiglia » e « L ’ideologia tedesca ».

LUIGI CLAVELL JUSTO LUIS R. SANCHEZ DE ALVA

GYORGY LUKÁCS

Storia e coscienza di classe e Estetica

L. U. JAPADRE EDITORE - L’AQUILA

T r a d u z io n e d i

VALERIA CIUFFOLI GALLETTI

© 1976 by L. U. Japadre editore - L’Aquila Corso Federico II, 49 Stampato in Italia / Printed in Italy

PRESENTAZIONE

In questo volume viene presentata un’analisi critica di due opere di Lukàcs, che potrebbero essere definite l’ini­ zio e la conclusione del suo itinerario nell’ambito del marxi­ smo. Storia e coscienza di classe, l’opera più importante della sua giovinezza in cui si riflette la sua iniziazione al marxismo, offre una interpretazione marxista che trovò una certa risonanza negli ambienti filosofici europei di varie tendenze, giacché presentava un marxismo filosofico, a quei tempi dimenticato, cui avrebbe fatto seguito la pub­ blicazione degli scritti filosofici giovanili di Marx. Que­ st’opera ebbe una notevole influenza sui filosofi ad orien­ tamento esistenzialista e fenomenologico, come Sartre e Merleau-Ponty. Con essa gettò le basi su cui in seguito altri autori costruirono una teoria critica della società; in questo senso, ha influito considerevolmente su Horkhei­ mer, Adorno, Marcuse. Più generalmente questo libro di Lukàcs, respinto dai dirigenti sovietici marxisti, è stato per molti anni il punto di riferimento di quanti dissen­ tivano dalla visione marxista di Stalin e dal suo modo di esercitare il potere. Lukàcs, inoltre, si presentava fornito di una lunga preparazione culturale, non semplicemente politica, e costituiva un possibile interlocutore per i pen­ satori non marxisti. Storia e coscienza di classe rappresen­ tò, in un certo senso, un rinascimento della filosofia al­ l’interno del marxismo. Le successive autocritiche di Lukàcs nei confronti della sua opera giovanile corrono parallelamente alla pro­ gressiva adesione al marxismo ufficiale. Questo cambia­ mento di rotta ha suscitato un minor interesse, poiché non contiene punti originali diversi dagli elementi dialettici di Storia e coscienza di classe. L’opera di maggior peso di questo periodo, e che Lukàcs non riuscì a portare a ter­ mine, è l'Estetica. In essa l’autore affronta, soffermandosi 7

più a lungo, gli studi letterari che non aveva mai abban­ donato, e cerca di trovare uno spazio per l’arte nell’ambito della ermetica visione materialistica del marxismo. Essa costituisce il maggior tentativo dei teorici marxisti in que­ sto senso e, di conseguenza, il giudizio su questo tentativo va al di là dei limiti di quest’opera per proiettarsi, in qual­ che modo, sulla possibilità dell’arte all’interno del marxismo.

L. C.

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NOTA BIO - BIBLIOGRAFICA

Gyòrgy Lukacs nasce a Budapest il 13 aprile 1885 da una famiglia dell’alta borghesia, cui l’imperatore Francesco Giuseppe avrebbe più tardi conferito un titolo nobiliare. Educato in un ambiente aristocratico, parlerà in seguito di « il mio odio derivante dal periodo della fanciullezza, un odio pieno di disprezzo, contro la vita nel capitalismo » (p. IX) '. Fin dagli studi liceali manifesta un grande in­ teresse per i temi letterari e, allo stesso tempo, si entusia­ sma alla lettura del Manifesto del Partito Comunista. Ne­ gli anni 1909-10 si trova a Berlino, dove riceve l’influs­ so di Max Weber e della Filosofia del denaro di Simmel, di cui è discepolo, e si orienta verso una sociologia della letteratura, concepita solo come punto di partenza, ai fini di una vera ricerca in materia estetica, e lasciando da par­ te, il più possibile, il fondamento economico12. Sono di quest’epoca due opere in ungherese, « Storia dell’evoluzio­ ne del dramma moderno» (1909) e «Metodologia della storia letteraria» (1910). Poco dopo scrive anche « L ’ani­ ma e le forme » (1911)3 sotto l’influsso di Dilthey; que­ st’opera piacque molto a Thomas Mann. Nel 1912 co­ mincia a lavorare ad una Estetica, che in realtà sarà l’ul­ timo scritto importante di Lukacs, apparso soltanto nel 1963. I problemi estetici e letterari costituiscono l’interes­ se costante della sua vita intellettuale. In questo primo periodo, Lukacs si muove sotto l’in­ flusso del neokantismo, prima della scuola di Marburgo e poi di quella di Baden. Da Rickert trae origine la sua

1 Storia e coscienza di classe, trad. di Giovanni Piana, 3a ed., Sugar editore, 1970, pagg. LII-418. 2 Cfr. G. Lukacs, Mein W eg zu Marx, (1933) riportato in Marxismo e politica culturale, Torino, 1968, pag. 11-26; pag. 12. 3 Die Sed e und die Formen. Essays, Berlino, 1911. 9

giovanile considerazione della storia che si contrappone alla natura. Vi si rileva anche un atteggiamento di sogget­ tivismo etico. Durante il periodo trascorso ad Heidelberg (19131917) perviene in maniera indiretta all’idealismo hegelia­ no, che per lui acquista una importanza crescente. E ’ lì che riceve l’influenza di Emil Lask, il rappresentante del­ la filosofia dei valori, che ebbe come discepolo anche M. Heidegger. Si tratta di un idealismo oggettivo che in Lu­ kàcs dà luogo a « La teoria del romanzo » (Saggio stori­ co-filosofico sulle forme della grande epica) (1916)4. In quest’opera appare come concetto centrale quello della to­ talità, che poi continuerà a premere nelle opere posteriori. Ritorna poi in Ungheria e approfondisce la conoscenza di Marx, ormai sotto una prospettiva hegeliana diversa dal­ l’avvicinamento realizzato a partire dal 1909 sotto l’in­ flusso di Max Weber e di Simmel. Comincia a vedere Marx non più come uno specialista in economia e socio­ logia, bensì come un filosofo, come « il grande dialetti­ co » 5. Nel 1918, entusiasmato dal recente successo della rivoluzione russa, si iscrive al Partito Comunista ungherese. L’anno dopo ha luogo quella rivoluzione che, dopo varie vicissitudini, si conclude con la presa del potere da parte dei social-comunisti: è la Repubblica dei Consigli presie­ duta da Béla Kuhn; Lukàcs è nominato Commissario del popolo per la cultura. Il periodo che va da questi anni fino al 1929 è definito dallo stesso Lukàcs come il suo pe­ riodo di tirocinio marxista mentre allo stesso tempo, di­ chiara il suo passaggio ad un’altra classe sociale6. Poco dopo, l’intervento militare della Romania re­ stituisce il potere al governo destituito dalla Rivoluzione. Lukàcs fugge a Vienna (1921-22) e poi a Berlino. A Vien­ na prosegue la collaborazione alla rivista Kommunismus\ 4 Die Theorie der Romans, in «Zeitschrift für Aesthetik und Allgemeine Kuntswissenschaft », Bd. 2, 1916, pubblicato poi a par­ te a Berlino nel 1920. 5 Cfr. G. L ukäcs , Mein W e g . . . , trad. it., pag. 13. 6 Cfr. Storia e coscienza di classe, cit., pag. IX. 10

le idee che in essa esprime gli procurano delle critiche da Lenin, che lo accusa di settarismo di sinistra7. In quest’e­ silio si appresta alla pubblicazione di Storia e Coscienza di classe, edita a Berlino nel 1923 8. L’opera suscitò im­ mediatamente polemiche e discussioni. Per porre fine ad esse, nel giugno 1924, il V Congresso della Terza Interna­ zionale comunista condannò il libro come « idealista, re­ visionista e riformista ». In occasione della morte di Le­ nin (1924) pubblica su di lui un saggio, in cui adotta po­ sizioni « ortodosse » 9 ma, ciononostante, deve per il mo­ mento abbandonare la politica e dedicarsi agli interessi letterari. Per molti anni continua a studiare il pensiero marxi­ sta e, nel 1929, è incaricato di redigere le tesi politiche del 2° Congresso del Partito Comunista Ungherese, che agisce nella illegalità. In esse propone la tattica di lottare per una repubblica « democratica », agendo come fronte popolare. Tale strategia non fu approvata e Lukàcs, che non voleva essere espulso dal partito, compì una autocri­ tica puramente esteriore. Interiormente continuò a pen­ sare di avere ragione e più oltre ha affermato che le tesi di Blum (il suo nome di lotta politica) costituiscono il « se­ greto terminas ad quem del mio sviluppo »: con esse « si possono considerare come conclusi i miei anni di apprendi­ stato del marxismo » 10. Nel 1929 effettua il primo viaggio a Mosca. Nel 1931 fa ritorno a Berlino, ma quando i nazisti prendono il po­ tere, ritorna a Mosca, dove rimarrà fino alla fine della se­ conda guerra mondale. In questo periodo, come collabo­ ratore dell’Istituto Marx-Engels, conosce i Manoscritti economico-filosojici di Marx e si propone di analizzare i 7 Su questi punti vid. A. D el N oce, I caratteri generali del contemporaneo: I. Lezioni sul marxismo, ed. Giuffrè, Milano, 1972, pag. 266, nota 18. 8 Geschichte und Klassenbewusstsein, Malik Verlag, Berli­ no, 1923. 9 Lenin. Studien über den Zusammenhang seiner Gedanken, Wien, 1924. 10 Storia . . . , op. cit., pag. XXXV. pensiero politico

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collegamenti filosofici tra economia e politica. Nel 1933, sotto la pressione di Stalin, compie un’altra autocritica a Storia e coscienza di classe: una critica, secondo quanto affermerà poi, unilaterale e con il linguaggio imposto dal­ le circostanze. Nel 1938 torna a denunciare la sua opera come « reazionaria », a causa del suo idealismo, della ne­ gazione della dialettica della natura e per la errata inter­ pretazione della conoscenza come riflesso. L’opera non venne ristampata, ma ebbe diffusione clandestina negli ambienti specializzati. Finita la guerra, nel 1945 torna di nuovo a Budapest, dove insegna storia dell’arte ed estetica presso l’Universi­ tà e collabora con il governo comunista recentemente in­ staurato. Abbandona presto, tuttavia, la vita politica dopo aver criticato la burocrazia staliniana. In questi anni pub­ blica11: « Balzac », «Stendhal», « Z o la» , «Nietzsche ed il fascismo », « Il giovane Hegel e i problemi della so­ cietà capitalistica », « Karl Marx e Friedrich Engels, stori­ ci della letteratura », « Il realismo russo nella letteratura mondiale », « Esistenzialismo o marxismo », « Breve sto­ ria della letteratura tedesca », « Goethe e il suo tempo », « Il significato attuale del realismo critico », « Saggi sul realismo» (1948), «Contributi alla storia dell’Estetica» (1954) e l’opera fondamentale di questo periodo, « La di­ struzione della ragione» ( 1954)I2, che costituisce uno studio storiografico in cui sostiene che la mentalità della civiltà occidentale è la responsabile di tutte le tragedie ed ingiustizie delle sue strutture; critica il neokantismo, la filosofia della vita e la fenomenologia, come forme ir­ razionali, poiché non comprendono la dialettica hegeliana, che sarebbe la razionalità per antonomasia. In questo stu­ dio non manca l’intento politico e si conclude con il nazio­ nalsocialismo di Hitler. Nel 1949 viene nuovamente attaccato dall’ortodossia 11 Esiste una edizione tedesca dell’opera omnia di Lukacs, se­ condo il piano fatto da lui stesso: W erke, Luchterhand, NeuwiedBerlin, a partire dal 1962 (15 voli.). 12 Die Zerstörung der V ernunft, Berlino, 1954. 12

staliniana, che segnala nelle sue opere una « influenza borghese » e « cosmopolita »; Lukàcs compie un’altra au­ tocritica sulla rivista ufficale del partito comunista un­ gherese. Alla morte di Stalin, Lukàcs partecipa al movimento rivoluzionario antirusso dell’ottobre del 1956. Il governo di Nagy gli affida il ministero della Cultura e, quando i carri armati sovietici schiacciano la rivolta, fugge in Iugo­ slavia e poi in Romania. Nel 1957 la rivista francese « Arguments » iniziò a pubblicare delle traduzioni parziali di « Storia e coscienza di classe », al che Lukàcs si oppose con una nuova autocritica13. L’anno dopo, nel 1958, gli viene permesso di fare ritorno al suo paese, giacché « ha commesso errori » ma non « delitti ». Nel 1963 pubblica i due volumi della prima parte dell’Estetica14. L’opera avrebbe dovuto essere completata da altre due parti: la seconda, Opera d’arte e comporta­ mento estetico, per verificare le tesi della prima con delle analisi concrete, e la terza, L ’arte come fenomeno storico­ sociale, sarebbe stata dedicata al condizionamento storico dell’arte. In ogni modo lo stesso Lukàcs avverte che la prima parte costituisce una totalità compiuta, del tutto comprensible anche prescindendo dalle altre che dovreb­ bero seguire 15. Nel 1967, scontento dell’edizione francese di Storia e coscienza di classe 16, scrive una lunga prefazione alla tra­ duzione italiana, in cui pretende di spiegare il senso delle sue precedenti autocritiche, nonché la sua personale valu­ tazione del libro 17. In questo stesso anno, su sua richiesta,

13 Cfr. « Arguments », n. 5 dell’anno 1957. 14 Ä s t h e t i k

I . E ig e n a r t d e s A e s th e tis c h e n , E s te tic a , Torino, 1970. I b i d ., trad. it., voi. I, p. XV. H is to ir e e t c o n sc ie n c e d e c la s se , (trad.) e

Neuwied, 1963;

trad. it. 15 16

presentazione di K. Axelos, ed. de Minuit, Paris, 1960. 17 Questa lunga prefazione occupa le pagg. VII-XLIII della traduzione italiana. 13

viene riammesso nel PC ungherese che lo colmerà di onori fino alla morte, avvenuta il 4 luglio 1971.

L. C lavell

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lavell

STORIA E COSCIENZA DI CLASSE

I n t r o d u z io n e

a. La posizione del Lukàcs giovanile all’interno del marxismo Prima di addentrarci nell’analisi dell’opera è neces­ sario darle, brevemente, una collocazione nell’ambito delle tendenze marxiste dell’epoca. Alla fine del XIX secolo avviene la crisi revisionistica della socialdemocrazia. In campo economico l’opera di Marx si pone come continuazione delle teorie dell’econo­ mia classica (Smith, Ricardo) e da esse riprende la teoria del valore-lavoro. Ma il presupposto di una teoria ogget­ tiva del valore fu respinto dalla Scuola Austriaca e dagli economati appartenenti alla tendenza dell’economia marginalistica '. Questi autori sostenevano che l’uomo non è altro che l’essere individuale immediatamente percepito, e non l’uomo come attività pratica di Marx. Il Partito Socialdemocratico tedesco difese la visione marxista adducendo che la legge del valore è lo strumen­ to per superare l’economia di tipo capitalistico, poiché adotta il punto di vista della totalità sociale e non del pro­ duttore individuale; il giudizio sulla esattezza dell’intuizio­ ne di Marx bisognerebbe compierlo su la base della succes­ siva evoluzione sociale e politica: se la pratica rivoluzionaria trionfa, allora vuol dire che la visione di Marx era giusta. La legge del valore servirebbe a Marx solo per vedere la

1 Per gli elementi storici qui esposti rimandiamo ad A. D el N oce, I caratteri .. ., op. cit., pagg. 243-266.

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contraddizione tra forza produttiva e rapporto di produ­ zione nell’ambito del sistema di produzione capitalistico. Questa risposta, tuttavia, poneva i due sistemi economi­ ci su di uno stesso livello. Allo stesso tempo, la trasformazione dell’economia capitalistica dalla libera concorrenza verso una maggiore direzione da parte dello Stato, con le concentrazioni mono­ polistiche, creò dei seri problemi ai marxisti. Alcuni continuavano a ritenere che il sistema di pro­ duzione capitalistico necessitava di aree dipendenti non capitalistiche. Altri, come Lenin, sostenevano che era pos­ sibile uno sviluppo indefinito del capitalismo, senza neces­ sità di un mercato coloniale; in questo caso, però, la tesi rivoluzionaria pareva perdere il suo punto d’appoggio scien­ tifico: il sistema capitalistico non si autodistruggeva ne­ cessariamente. Rosa Luxemburg si fece portavoce di que­ st’obiezione nel suo libro L ’accumulazione del capitale (1912), sostenendo che se si ammette una crescita illimi­ tata del capitale, cade la base della necessità storica og­ gettiva del socialismo e si ritorna alle incertezze delle scuole premarxiste. La posizione di un futuro che sia autoproduzione rivoluzionaria dell’uomo è, per Rosa Luxem­ burg, una tesi filosofica, che è un riflesso del movimento oggettivo dell’economia; l’economia capitalistica è irrazio­ nale e, pertanto, condannata all’insuccesso, visto che in essa non vi è una produzione per il consumo, ma la produ­ zione per la produzione. Questa focosa difesa del marxi­ smo venne attaccata sia dai socialdemocratici che dai bolscevichi. Il socialismo europeo stava infatti abbandonando la tesi secondo cui la rivoluzione è inevitabile, e tendeva verso posizioni riformistiche al posto della rivoluzione: si tratterebbe solo di trasformare il sistema economico da una forma inumana in un’altra più umana. Dinnanzi a questa tendenza della socialdemocrazia reagisce soprattutto Lenin. Egli non accetta la tesi della Luxemburg ma, allo stesso tempo, sostiene la rivoluzione con analoga energia, con la differenza però di non fondarla sull’analisi econo­ 16

mica, anzi proprio il contrario: si tratta di individuare i punti nodali del sistema economico e sociale da distruggere per poter impostare la rivoluzione. Il proletariato, quindi, può abbattere il sistema capitalistico solo se i rivoluzio­ nari — il Partito — lo educano nella coscienza rivoluzio­ naria. Lenin riscopre Marx e, successivamente, approfon­ disce Hegel: comprende allora che « l’interpretazione ri­ gorosamente atea della dialettica hegeliana » è il marxi­ smo 2. Con il trionfo della rivoluzione russa si viene a creare un clima di euforia tra i marxisti e Lenin appare l’interpre­ te autorizzato, colui su cui cercheranno di appoggiarsi gli altri autori. Questo è l’ambiente in cui muove Lukàcs nei suoi primi anni di marxismo così come vengono narrati in Sto­ ria e coscienza di classe. A differenza della maggior parte degli autori, Lukàcs non si colloca in campo economico, ma in quello filosofico. E ’ interessato, più che dalle conclusoni di Lenin, dal metodo dialettico che gli ha permesso l’analisi concreta del capitalismo posteriore a Marx. Se il metodo marxista consiste nella negazione, è naturale che le diagnosi di Marx siano superate, poiché il capitalismo ha, a sua volta, negato in qualche modo le sue contrad­ dizioni interne. Lukàcs vede la grandezza di Lenin nel suo dominio del metodo dialettico ma, proprio in virtù del metodo, ritiene che neppure la diagnosi di Lenin va con­ siderata come qualcosa di immutabile, visto che la realtà sociale è in costante evoluzione dialettica. Il metodo dialettico è quello che gli consente la for­ mulazione scientifica delle contraddizioni che appaiono nel corso della storia. D ’accordo con Lenin, crede che il capi­ talismo stia superando le varie contraddizioni interne, ben­ ché poi, in realtà, non sia altro che uno spostarle indefi­ nitamente e collocarle a vari livelli, senza mai superarle. Come era da prevedersi, queste idee di Lukàcs venne­ ro viste con preoccupazione dai dirigenti del marxismo uf-

2 A. D el N oce, op. cit., pag. 262.

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fidale e poco dopo vennero condannate. Questo è l’atteggiamento di Lukacs che si riflette neila più importante opera del periodo giovanile, Storia e coscienza di classe. Negli scritti della maturità, Lukacs non aggiunge nulla di nuovo al marxismo ufficiale con cui si va sempre più identificando. Alla luce di questa dottrina, egli reinterpreta tutto lo sviluppo del pensiero filosofico moderno e contemporaneo, visto come una lotta tra razio­ nalismo e irrazionalismo, seguendo la concezione comune tra 1 marxisti. Man mano che gli anni trascorrono, si dedi­ ca al compito di reinterpretare dal punto di vista marxista i vari aspetti della cultura; tale progetto sarebbe dovuto culminare, successivamente alla stesura dell’Estetica — che rimane incompiuta — , in una Etica ed una Ontologia dell’essere sociale. Lukacs è passato da un orientamento prevalentemen­ te storico ad uno soprattutto teoretico, pur sempre con­ dizionato dalla sua formazione storicistica. b. Riassunto di « Storia e coscienza di classe » Storia e coscienza di classe riunisce un gruppo di sag­ gi e lavori occasionali scritti da Lukacs tra il 1918 ed il 1922. La maggior parte di questi era già stata pubblicata sotto forma di articoli su riviste. Solo due lavori vennero scritti proprio per la pubblicazione in questo volume: il saggio su La reificazione e la coscienza del proletariato, che ne costituisce il capitolo più importante — ed occupa quasi la metà del libro — e le Considerazioni metodologi­ che sulla questione dell’organizzazione, che trattano del modo di dirigere il partito comunista e sono meno impor­ tanti dal punto di vista filosofico. Attualmente l’opera è preceduta da una lunga prefazione scritta da Lukacs nel 1967 per la traduzione italiana; in essa esprime una valuta­ zione della propria opera nel contesto della biografia in­ tellettuale e della sua evoluzione verso il marxismo uffi­ ciale. Nelle poche pagine introduttive scritte per la prima edizione del volume, Lukacs spiega quale sia il fine che si 18

propone: non pretende di indagare sulla correttezza delle teorie marxiste, ma di limitarsi a far conoscere bene il metodo marxista: « Infatti, ed è questa la convinzione di fondo di queste pagine, ciò che importa è comprendere ed applicare correttamente il metodo marxiano nella sua essenza, senza pensare per questo che esso debba essere ’’migliorato” in un senso qualsiasi » pag. XLVII). L’opera è tutta pervasa da un atteggiamento euforico e di certez­ za nel metodo marxista, che non viene mai messo in di­ scussione. I pochi anni di rivoluzione russa avrebbero brillantemente confermato « tutti i momenti essenziali dell’interpretazione ortodossa (e quindi comunista del marxismo): la guerra, la crisi e la rivoluzione, il cosid­ detto ritmo più lento dello sviluppo rivoluzionario, ed an­ che la nuova politica economica della Russia sovietica, non hanno posto sul tappeto alcun problema che non pos­ sa essere risolto dal metodo dialettico così inteso, e sol­ tanto da esso » (pag. XLVII-XLVIII). A Lukacs sembra che molti marxisti stiano dimenti­ cando il nucleo centrale del metodo, che è la dialettica, e ricorda l’avvertenza dello stesso Marx in una lettera dell’11-1-1868: «Questi signori ted e sc h i... credono che la dialettica di Hegel sia un ’’cane morto” . A questo riguardo Feuerbach ha molte cose sulla coscienza ». Il libro di Lu­ kacs cerca di promuovere almeno una discussione che pos­ sa aiutare a comprendere a fondo il metodo dialettico e purificarlo, realizzando in un certo senso il progetto di Marx di scrivere una dialettica (cfr. Pag. L). « Le vere leggi della dialettica — scrisse Marx a Dietzgen — sono già contenute in Hegel; naturalmente in forma mistica. E ’ necessario togliere di mezzo questa forma ». Quest’opera non gli sembra facile, perché in Hegel appaiono varie tendenze nettamente contraddittorie che è necessario di­ scernere (cfr. pag. L) e, a tal fine, ricorre a Lenin, non so­ lo come politico, ma anche come teorico che « ha portato Yessenza pratica del marxismo ad un grado di chiarezza e di concretezza mai raggiunto prima di lui, traendo questo momento dall’oblìo quasi totale nel quale esso era caduto e rimettendo così ancora una volta nelle nostre mani, me­ 19

diante questo atto teorico, la chiave per una giusta com­ prensione del metodo marxista » (pag. XLVII). Nel primo saggio di Storia e coscienza di classe Lukäcs vuol rispondere alla domanda: Che cosa è il marxi­ smo ortodosso? (marzo 1919) (pagg. 1-35). Secondo il suo punto di vista tale ortodossia « non significa perciò un’ac­ cettazione acritica dei risultati della ricerca marxiana, non significa un ’’atto di fede” in questa o in quella tesi di Marx (. . .). Per ciò che concerne il marxismo, l’ortodossia si riferisce esclusivamente al metodo. Essa è la convinzio­ ne sdentifica che nel marxismo dialettico si sia scoperto il corretto metodo della ricerca, che questo metodo possa essere potenziato, sviluppato e approfondito soltanto nella direzione indicata dai suoi fondatori. Ma anche: che tutti i tentativi di superarlo o di ’’migliorarlo” hanno avuto e non possono avere altro effetto che quello di renderlo su­ perficiale, banale ed eclettico » (pag. 2). Per questo Lukacs affronta qui i materialisti volgari, sottolineando che il metodo dialettico è necessariamente rivoluzionario e che è caratterizzato dalla visione di tutti i fatti dal punto di vista della totalità, che costituisce uno dei concetti caratte­ ristici di questa opera. A tal fine ripassa brevemente le fonti di Marx — soprattuto Hegel — ed i suoi scritti gio­ vanili. Conclude affermando che il ruolo della ortodossia marxista non è quello di custode di alcune tradizioni, ben­ sì quello di annunciare costantemente il rapporto dialetti­ co tra il momento presente e la totalità del processo storico. La polemica con i socialdemocratici e gli altri soste­ nitori della « riforma sociale » (al posto della « rivoluzio­ ne ») prosegue con il secondo saggio Rosa Luxemburg marxista (pagg. 35-59), un articolo scritto nel gennaio del 1921 per la rivista viennese Kommunismus. Lukàcs difen­ de il carattere marxista dell’opera della Luxemburg L ’ac­ cumulazione del capitale, in cui tenta di dimostrare l’im­ possibilità di un accumulazione illimitata del capitale dal punto di vista della totalità, seguendo lo stesso metodo di critica storica di cui si era servito Marx in Miseria della filosofia e Lenin in Stato e rivoluzione. I socialdemocrati­ ci, al contrario, esaminano la realtà sociale dal punto di 20

vista dell’individuo, e di conseguenza, pensano che vi sia­ no delle leggi economiche necessarie indipendenti dall’Uo­ mo (fatalismo economico); dinnanzi ad esse, l’unico cam­ mino di progresso è cercare di migliorare la condotta uma­ na secondo la linea socialista (socialismo etico). Il terzo saggio Coscienza di classe (marzo 1920) (pagg. 59-106) è dedicato alla prosecuzione della ricerca su Marx per meglio determinare le classi. Per Lukàcs quel che con­ ta è la coscienza di classe, che spiega facendo una distin­ zione tra la coscienza che di fatto hanno gli individui e qella che dovrebbero avere secondo il loro ruolo nel proces­ so produttivo (coscienza attribuita de iure). Seguono delle pennellate storiche: nella società precapitalistica non era possibile giungere alla coscienza corretta, e nel capitali­ smo vi può arrivare solo il proletariato; la borghesia, a causa della sua stessa situazione economico-sociale, ha una coscienza sbagliata che, poco a poco si trasforma in co­ scienza falsata, quando si rende conto del suo errore sen­ za volerlo ammettere. Tuttavia la maggiore contraddizione si troverà nella coscienza di classe dei marxisti volgari, dato che, pur essendo proletari, hanno coscienza borghese. La reificazione e la coscienza del proletario (pagg. 107-276) prende la parte centrale del libro. Nel primo capitolo espone « il fenomeno della reificazione »: nel­ l’epoca capitalistica i rapporti tra gli uomini celerebbero la loro realtà autentica sotto la forma « reificata » dei rap­ porti commerciali e delle leggi economiche; questa reifi­ cazione penetra nella parte più intima della mentalità degli uomini e delle scienze, vieppiù specializzate e disumane. « Le antinomie del pensiero borghese » è il titolo del se­ condo capitolo in cui Lukàcs compie un esame della filoso­ fia moderna da Descartes ad Hegel, in cui si raggiunge la meta agognata da tutto quel pensiero, l’unità tra soggetto ed oggetto, ma senza riuscire a determinare in maniera concreta quale sia quel « soggetto-oggetto » della storia. Nell’ultimo capitolo, «Il punto di vista del proletariato », espone la soluzione di Marx alle limitazioni del pensiero hegeliano: Marx avrebbe superato la dualità tra teoria e prassi, avrebbe scoperto che il proletariato è il soggetto 21

della verità o la verità come soggetto, il carattere dialet­ tico della coscienza proletaria, ecc. Per l’analisi critica di quest’opera seguiremo con particolare cura questo saggio, che qui abbiamo riassunto in modo molto conciso. Nel quinto saggio riporta il testo di una conferenza tenuta a Budapest, per l’inaugurazione di un istituto di ricerca per il materialismo storico, ai tempi in cui Lukàcs era Commissario per la Cultura nel governo di Béla Kuhn: II mutamento di funzione del materialismo storico (pag. 277-316). In esso illustra la funzione della dottrina del materialismo storico ora che il proletariato ha conquistato il potere. Secondo lui deve assolvere a due compiti: inter­ pretare con maggior dettaglio tutta l’epoca « pre-capitalistica », chiamata dai marxisti « preistoria dell’umanità », al fine di condurre una più penetrante azione marxista, e studiare come si possa raggiungere il controllo completo dell’economia, in modo che questa non imponga all’uomo le sue leggi ferree ed indipendenti. Lukàcs difende anche la necessità della violenza, persino dopo la conquista del potere da parte del proletariato. Legalità ed illegalità (luglio 1920) (pagg. 317-334) è il titolo del secondo saggio, che è molto breve e che espo­ ne « come sono dunque da intendere i concetti di legalità e di illegalità da parte del pensiero marxista » (pag. 318), dai quali dipende il criterio per decidere se sia meglio che il partito comunista agisca in modo legale o illegale. Lu­ kàcs espone in modo sommario le idee centrali marxiste sulla violenza, sul diritto, sullo stato e sulle ideologie, da cui deduce — concordando con Lenin3 — che il problema posto è una questione puramente tattica, che viene decisa sulla base della necessità del momento. Anzi è meglio ser­ virsi contemporaneamente di mezzi legali ed illegali, affin­ ché i proletari cancellino dalle coscienze il convincimento della legalità dello stato borghese.

3 Cfr. LeniiV, Il sinistrismo. Malattia mortale del comuniSmo, passim (nella trad. inglese di Lawrence and Wishart, voi. 31 delle opere di Lenin, Londra, 1966, pagg. 27-29, 35, 36, 55, ecc.). 22

Seguono poi, nella sesta parte, le Osservazioni criti­ che sulla « Critica della rivoluzione russa » di Rosa Luxem­ burg » (pagg. 335 - 362), scritte nel gennaio 1922. R. Luxemburg aveva criticato in quest’opuscolo vari aspetti della rivoluzione bolscevica come, ad esempio, la soppres­ sione dei diritti, la mancanza di libertà, l’uso del terrore, le depurazioni all’interno del partito, ecc. Anche se l’au­ trice aveva fatto delle rettifiche, Lukàcs vuol mostrare in cosa consista il suo errore,, dato che non gli sembra qual­ cosa di isolato, ma piuttosto una errata valutazione del carattere della Rivoluzione proletaria. R. Luxemburg aveva sopravvalutato sia il potere esterno che la chiarezza in­ teriore che la classe proletaria può avere nella prima fase della rivoluzione; allo stesso tempo sottovalutava l’impor­ tanza degli elementi non proletari, così come il potere del­ le ideologie borghesi all’interno del proletariato. Di con­ seguenza non si rendeva conto del ruolo del partito co­ munista (cfr. pag. 338). Il libro si conclude con un secondo scritto inedito fino a quel momento: le Considerazioni metodologiche sulla questione dell’organizzazione (pagg. 363-418), in cui affronta il tema del ruolo del partito comunista nell’azione del proletariato. I problemi organizzativi erano stati stu­ diati, finora, con poca profondità teoretica; Lukàcs cer­ ca qui di affrontarli secondo il metodo dialettico, e le os­ servazioni che effettua ruotano intorno al fatto che il pro­ letario non giunge in modo meccanico alla coscienza rivo­ luzionaria; tocca al partito la funzione di creare questa coscienza, esigendo dai suoi membri un impegno totale: « la lotta del partito comunista è una lotta diretta all’ac­ quisizione della coscienza di classe del proletariato » (pag. 402) e « sul piano storico, il processo della rivoluzione significa la stessa cosa del processo di sviluppo della co­ scienza proletaria di classe » [ibidem). Lukàcs cerca di mostrare che in tale impegno consiste la vera libertà e che vi sarebbe, inoltre, un rapporto dialettico tra la classe proletaria ed il partito; spiega la necessità di evitare una reificazione del processo rivoluzionario, ecc. Come si può rilevare fin da questo breve riassunto 23

del contenuto, Storia e coscienza di classe è un’opera densa, dalle molte sfaccettature, poiché sono molti i temi in essa affrontati: da quelli più spiccatamente filosofici a quelli più pratici relativi all’organizzazione, seppur sempre a li­ vello speculativo, che spiega la « scomparsa » di Lukàcs dai quadri di comando della vita politica comunista. L’ope­ ra costituisce un prolungamento del pensiero di Marx e Lenin, che cita come indiscussi maestri, dando sempre per scontata la validità delle loro .affermazioni. Lo stile di Lukàcs in quest’opera denota un atteggia­ mento assiomatico — riconosciuto in un certo senso anche da lui stesso nella prefazione del 1967 — e sorprende il succedersi di affermazioni categoriche che, in molti ca­ si, non si cerca nemmeno di dimostrare. Ciò può essere in parte spiegato dal carattere saggistico dei lavori qui riu­ niti, e forse anche dal fatto di essere rivolti soprattutto a lettori che partecipino delle sue stesse convinzioni marxi­ ste; in fondo, però, si tratta di una caratteristica del modo di fare filosofia nell’ambito della coscienza marxista, in cui si affermano dei postulati con la ferma risoluzione di far in modo che poi la realtà si adatti ad essi. Lo stile dell’opera è denso e farraginoso, di difficile lettura. Lo stesso autore riconosce che la sua esposizione non soddisfa le esigenze di sistematicità scientifica e che non è completa, e che, d’altra parte, non ha sostituito quelle caratteristiche con un tono maggiormente divulga­ tivo e popolare. L’insieme degli articoli raggiunge una cer­ ta unità ed uno sviluppo progressivo dei temi, ma non evita numerose ripetizioni. Per tale motivo strutturiamo l’analisi dell’opera sulla falsariga del saggio La reificazio­ ne e la coscienza del proletariato, in cui includeremo i te­ mi dei primi tre articoli e del quinto; gli altri saggi ver­ ranno esaminati successivamente. 1. IL FEN O M EN O D E LL A R E IF IC A Z IO N E

Lukàcs parte dalla convinzione secondo cui, al grado attuale di sviluppo dell’umanità, non vi sono problemi la cui soluzione non debba essere ricercata nella questione 24

ilell’enigma della «merce », trattato da Marx. In sostanza, questo fenomeno « consiste nel fatto che un rapporto, una relazione tra persone riceve il carattere della cosalità e quindi un’« oggettualità spettrale » che occulta nella sua legalità autonoma, rigorosa, apparentemente conclusa e razionale, ogni traccia della propria essenza fondamentale: il rapporto tra uomini » (pag. 108). Questo fenomeno, in virtù del quale i rapporti tra gli uomini verrebbero ma­ scherati soto la forma di « merce » è chiamato da Lukàcs « reificazione ». Da questa angolazione Lukàcs considera le presunte contraddizioni che travagliano l’umanità ed il pensiero moderno, anticipando così, in un certo senso, l’in­ teresse che la filosofia dell’esistenza mostrerà, pochi anni dopo, verso la drammaticità dell’esistenza umana. Lukàcs ritiene di aver influito con questa analisi della reificazione su pensatori come Heidegger, Sartre ed altri, e di aver contribuito a far ammettere il problema dell’alienazione da pensatori « sia borghesi che proletari, orientati a destra o a sinistra dal punto di vista politico-sociale » (pag. XXIII), attraendo così, molti verso il comuniSmo. Tale è la dichiarazione di Lukàcs nella prefazione del 1967, e aggiunge anche che il problema dell’alienazione « viene trattato qui per la prima volta dopo Marx come questione centrale della critica rivoluzionaria del capitali­ smo, riconducendo alla dialettica hegeliana le sue radici sto­ rico-teoriche e metodologiche » (pagg. XXII-XXIII). Taluni critici, in effetti, riconoscono che « il libro di Heidegger Sein und Zeit è una discussione con quello di Lukàcs dal punto di vista di una filosofia dell’angoscia e della morte » 4. « Ora, se raffrontiamo le due opere, risulta innegabile che quella di Heidegger è la versione in termini di gnosi spe­ culativa di quella di Lukàcs. Ma questo non vuol dire af­ fatto un indebolimento. Anzi, in Essere e Tempo si ha la rivincita della gnosi speculativa sulla gnosi rivoluzionaria. Che questa rivincita sia incontrovertibile è provata

4 L. G oldmann, Mensch, Gemeinschaft und 'Welt in der Phi­ losophie I. Kants, Zurigo, 1945, pag. 245. 25

dal fatto che Lukacs, pur senza accennare ad Heidegger, ab­ bia praticamente rinnegato questa sua opera. Si ebbe co­ sì il caso stranissimo che quella che è di gran lunga la più importante opera che il marxismo abbia prodotto do­ po la rivoluzione sia stata rinnegata dal suo autore e da quasi tutti i marxisti. Penso che sia superfluo fermarsi sull’enorme importanza teoretica del fatto. Storia e co­ scienza di classe è la più coerente e rigorosa opera di mar­ xismo hegeliano e antipositivista: con l’opera di Heidegger si ha la vittoria della gnosi speculativa, che infirma il pas­ saggio dalla gnosi speculativa alla gnosi rivoluzionaria, anche se ciò comporta l’abbandono dell’hegelismo » 5. Questa problematica di Lukacs nasce, quindi, nello stesso clima esistenziale ed intellettuale da cui sorgono gli orientamenti della fenomenologia e dell’esistenzialismo6, il che spiega l’interesse per quest’opera mostrato da Mer­ leau-Ponty 7 e da Sartre8. Ciò vuol dire, allo stesso tempo, che il giovane Lukacs è sotto l’influsso della letteratura di Kierkegaard, come si può vedere negli scritti anteriori a Storia e coscienza di classe9. Inoltre, per quanto concer­ ne il concetto di reificazione, sembra sia stato decisivo l’influsso di Bergson; la critica bergsoniana all’intellettua5 A. D el N oce-G. A. R iestra , K a r l M a rx : S c r itti g io v a n ili, « Prospettive », Collana critica di opere filosofiche, ed. Japadre, 1975, pag. 113. 6 Cfr. G. E. R usconi, L a p r o b le m a tic a d e l g io v a n e L u k a c s, in « Rivista di filosofia neoscolastica », LVIII, 1966, pag. 67. 7 M. M erleau-Ponty dedica due capitoli a Lukacs in L e s av e n tu r e s d e la d ia le c tiq u e , Gallimard, Parigi, 1955. 8 A proposito dell’impostazione in Q u e s tio n de m é th o d e (nel 1° vol. de L a c r itiq u e d e la ra iso n d ia le c tiq u e , Parigi 1960) P. F urther arriva a dire in L a p e n s é e d e G. L u k a c s en F ra n c e , « Re­ vue de théologie et philosophie», n. IV, 1961: «Sartre riprende i concetti di totalità, totalizzazione, reificazione, mediazione, senza mai citare l’opera di G. Lukacs in cui tali concetti erano stati com­ piutamente analizzati ed elaborati venti anni prima » (p. 353). 9 Ne L ’a n im a e le fo r m e Lukacs dedica a Kierkegaard uno dei saggi e qualche critico indica nel pensatore religioso danese l’autore fondamentale per il giovane Lukacs. Naturalmente la di­ versità dell’atteggiamento religioso nei due autori è radicale e de­ terminante. 26

1'ismo scientifico anticipa molti punti di quest’opera e Lu­ kacs conobbe quei temi, almeno attraverso Simmel101. La complessa rete di questi fili storici non può far perdere di vista la fondamentale ispirazione marxista del­ l’analisi della reificazione. In effetti, Lukacs parte da una concezione basilare di Marx: « Essere radicali significa cogliere le cose alla radice. Ma la radice dell’uomo è l’uo­ mo stesso » n. Anch’egli segue l’impostazione di Marx secondo cui nell’epoca moderna è venuta alla luce l’essen­ za economica di tutti i fenomeni sociali: l’uomo economico. Secondo Lukacs la merce, che è sempre esistita, è sot­ toposta nell’epoca capitalistica ad un salto qualitativo ri­ spetto ad altre epoche, visto che adesso si è trasformato in « forma universale della strutturazione (Gestaltung) sociale » (pag. 110) e, in tal modo, è emerso il nucelo economico dei fenomeni sociali. Anche nella società preca­ pitalistica le forme sociali avevano una base economica oggettiva, ma i motivi economici non potevano presentarsi in primo piano, poiché erano inestricabilmente uniti alle categorie politiche, religiose, giuridiche, ecc. Restava, co­ sì, nascosta la vera essenza economica e le autentiche for­ ze motrici della storia. Allora prevaleva il rapporto uomo-natura e le forme sociali godevano di una tale permanenza da persistere per­ fino quando ne cessava il fondamento; le leggi economiche, infatti, ancora non esercitavano tutto il loro potere, simi­ le a quello delle leggi naturali, come avverrà invece nel capitalismo. Il passaggio dalla società precapitalistica a quella ca­ pitalistica fu lento e venne caratterizzato dal « ritrarsi del limite naturale » (pag. 290) imposto dal predominio del rapporto uomo-natura. Lukacs illustra uno dei passaggi di

10 Circa l’influsso di Bergson su Lukacs, cfr. L. C olletti, Il marxismo e Hegel, Bari, 1969, pagg. 317-356. 11 K. M arx, Contributo alla critica della filosofia del diritto di Hegel, in Karl Marx Frühe Schriften, I band, Cotta-Verlag, Stoccarda, 1962, pag. 497. 27

questo sviluppo rimandando ad Engels n, per il quale « la monogamia è, ad esempio, la prima forma familiare che non era fondata su condizioni naturali, ma economiche » (pag. 290). « Il ’’ritrarsi dei limiti naturali” cominciò già a portare ogni cosa ad un livello puramente sociale, al li­ vello dei rapporti reificati del capitalismo, pur essendo ancora impossibile una chiara visione di questi nessi » (pag. 294). Lukàcs prosegue nella sua interpretazione materialistico-economica della storia senza troppo curarsi delle gra­ vi falsificazioni che compie in quest’analisi superficiale: « Con il capitalismo, con la soppressione della struttura degli stati {Stand) e con la costruzione di una società, ar­ ticolata in senso puramente economico, la coscienza di classe è entrata nella fase in cui può diventare cosciente » (pag. 77). Queste brevi descrizioni storiche cominciano già a mostrarci qualcosa del metodo di Lukàcs, che non consiste tanto nella dimostrazione scientifica, quanto nel­ la glossa alle affermazioni di Marx, con le sue visioni ge­ nerali della storia di stile hegeliano. E ’ evidente che determinati tipi di rapporti economici si ripercuotono su taluni aspetti del modo di pensare e sulle attività spiritauli dell’uomo. Ma è ben diverso so­ stenere, come fa Lukàcs, che la coscienza umana ed i suoi contenuti — religiosi, morali, culturali, ecc. — siano il risultato diretto dei processi produttivi proprii di una so­ cietà o di un’epoca; questa non è una verifica: implica, invece, una visione puramente materialistica dell’uomo densa di contraddizioni. Queste contraddizioni, tuttavia, possono passare inav­ vertite, giacché il marxismo non è amico della definizione, bensì della determinazione dialettica dei concetti. Perciò, fin dal prologo, Lukàcs avverte: « richiamo l’attenzione del lettore non esperto nella dialettica su un’altra diffi­ coltà indubbiamente inevitabile, che è insita nell’essenza di questo metodo: la questione delle determinazioni con-12

12 Cfr. F. E ngels, Ursprung der Familie, pag. 51. 28

(rituali e della terminologia. E ’ proprio dell’essenza del metodo dialettico il fatto che in esso giungano a soppri­ mersi i concetti falsi, nella loro astratta unilateralità. Quesio processo di soppressione esige tuttavia che si continui ad operare con questi concetti unilaterali, astratti e falsi: essi debbono essere portati al loro corretto significato non tanto mediante una definizione, quanto piuttosto attraver­ so la funzione metodologica che essi ricevono in quanto momenti soppressi nella totalità » (pag. LI). Dobbiamo, tuttavia, aggiungere che questo metodo, nelle mani dei marxisti, porta al sostegno di idee contrad­ dittorie come, ad esempio, una materia che ha coscienza, oppure affermare che l’essere sociale è quello che deter­ mina la coscienza, e allo stesso tempo, che l’uomo è colui che trasforma e determina la natura o la società. I marxi­ sti non si fermano a precisare esattamente cosa intendano per uomo, essere, natura, coscienza, vita, ecc. Non basta sistemare tutto dicendo: « quando dunque i superatori pro­ fessionali di Marx parlano della sua ’’mancanza di preci­ sione concettuale” , di mere ’’immagini” in .luogo di defi­ nizioni, ecc. essi rivelano lo stesso spettacolo di desolazio­ ne della ’’critica hegeliana” di Schopenhauer, del tentati­ vo di dimostrare gli ’’strafalcioni logici” di Hegel: la to­ tale incapacità di comprendere quanto meno l’ABC del metodo dialettico » (pag. LII). Ciò non basta, perché tali affermazioni non soddisfa­ no la necessità dell’intelligenza di vedere come si spiega, in concreto, ad esempio, una materia cosciente. Lukàcs stes­ so indica chiaramente il carattere assiomatico del suo mo­ do di procedere, quando afferma che ogni tentativo di vedere « criticamente » il metodo dialettico comporta un superamento tra metodo e realtà, tra pensare ed essere, e che, pertanto, con questo atteggiamento non si è in con­ dizioni di approfondire quel metodo (pag. 5). Si tratta quindi — e chiudiamo l’inciso — del fatto che Lukàcs interpreta la storia da un punto di partenza iniziale che racchiude molte contraddizioni che egli non risolverà per­ ché le accetta come assiomi. Partendo da alcune caratteristiche proprie della so­ 29

cietà industrializzata, Lukács procede ad infondate genera­ lizzazioni, come quando afferma che adesso la società è articolata in senso puramente economico, dimenticando che vi sono molti altri fattori: religiosi, culturali, ecc. che non sono semplicemente delle sovrastrutture di una situa­ zione economica. Il fatto innegabile che la società indu­ strializzata, per svariate ragioni, è più impregnata di ma­ terialismo, non permette di concludere che l’aspetto eco­ nomico costituisce il carattere basilare dei rapporti tra gli uomini, a meno che, di fatto, non si parta da questo pregiudizio. Quando Lukács afferma che nel capitalismo « l’atti­ vità umana si oggettiva di fronte all’uomo stesso trasfor­ mandosi in merce» (pag. 112), non si deve intendere tale affermazione nel suo senso più ovvio — il lavoratore ri­ ceve un salario per la sua attività — dato che ciò varreb­ be per tutte le epoche; il fatto che in molti ambienti della società industrializzata i rapporti di lavoro abbiano perso parte del loro carattere umano, commercializzandosi di più, porta invece Lukács a parlare di un « salto qualitativo » in virtù del quale il lavoro si sarebbe convertito in « cosa » e in « merce ». Naturalmente Lukács non si sofferma ad illustrare perché si tratta di un salto qualitativo, poiché quest’affermazione è un postulato richiesto dall’applicazio­ ne delle categorie della dialettica hegeliana. Questa ne­ cessità di sottolineare le opposizioni per vedere nella real­ tà la dialettica marxista, porta Lukács anche ad affermare che nella società capitalistica, il lavoro non è più conside­ rato una funzione umana, ma solamente una cosa; ossia conta solamente il prodotto del lavoro (prodotto « oggettivato »), che appare con delle leggi economiche proprie, e i rapporti di merce « diventano per la coscienza reificata gli autentici rappresentanti della sua vita sociale » (pag. 121). Tutta questa analisi segue la falsariga di Marx, se­ condo il quale la forma di merce presenta agli uomini i caratteri sociali del loro lavoro come caratteri oggettivi dei prodotti stessi del lavoro e, pertanto, anche il rapporto sociale dei produttori con il lavoro totale come un rapporto 30

sociale tra oggetti13. Nella misura in cui questa teoria della reificazione prende piede in alcuni difetti reali della società moderna, lien si comprende come il tema della reificazione si sia tra­ sformato in un tema abituale dei saggi sociologici. Lukàcs parla, ad esempio, del « carattere disumanizzato e disu­ manizzante del rapporto di merce » (pag. 120); indica al­ tresì che la trasformazione del lavoro in merce si è veriIicata soprattutto con la razionalizzazione del lavoro, in cui perfino le proprietà psicologiche del lavoro vengono sepa­ rate dalla sua personalità globale, per essere considerate solo dal punto di vista del risultato e dell’efficacia (cfr. pag. 129). La reificazione sarebbe ancora maggiore nei bu­ rocrati, perché la ripartizione del lavoro, nel caso della burocrazia, porterebbe ad una aspiritualita del lavoro e « fa violenza all’essenza umana dell’uomo » (pag. 128): nel lavoratore manuale viene separata la forza di tutta la personalità, mentre nel burocrate si separano dal soggetto le sue facoltà spirituali e la stessa sfera etica (cfr. pag. 129). Questa reificazione « si rivela sino a raggiungere aspetti grotteschi nel giornalismo, dove la soggettività stes­ sa, il sapere, il temperamento, la capacità di* espressione diventa un meccanismo astratto, messo in moto da leggi proprie ed autonome e che è indipendente sia dalla per­ sonalità del ’’possessore” come dell’essenza materiale con­ creta degli oggetti trattati » (pag. 130). Tutte queste espressioni non devono essere intese in senso corrente, ma nel contesto marxista, in cui la spiritualità è solo au­ topossesso ed autocreazione della materia o coscienza sen­ sibile. I reali difetti della società moderna sono interpretati secondo stampi o categorie marxiste, deformandoli radi­ calmente. Così, partendo dall’antropocentrismo materia­ listico di Marx, per il quale l’uomo si identifica con l’a­ zione stessa (« creatrice ») di lavorare — azione collettiva

13 Cfr. K. M arx, Il capitale, trad. italiana, ed. Rinascita, Ro­ ma, 1951, I, 1, pp. 85-86. 31

del genere umano — si comprende come, per Lukàcs, il la­ voro salariato sia una perdita dell’essere umano stesso: il lavoratore « libero » vende liberamente sul mercato la sua forza di lavoro come merce « sua », come cosa che egli « possiede » (cfr. pag. 118). Così avviene l’alienazione del­ l’uomo, giacché l’uomo è, per Lukàcs, la sua attività. Tutte le caratteristiche del lavoro razionalizzato e meccanicizzato non sono giudicate secondo la vera natura limitata dell’uomo, che ha attività ma non si identifica con essa — come ha chiaramente dimostrato S. Tommaso 14 — , bensì sono viste come un’opposizione e una violenza alla volon­ tà di potere dell’uomo, come ostacolo ad un io che preten­ de di essere la sua stessa attività. Ecco perché Lukàcs ha iniziato questo saggio con una frase di Marx: « Essere radicali vuol dire afferrare le cose alla radice. Ma la radice per l’uomo è l’uomo stesso ». La posizione di Lukàcs è una ulteriore conferma del fatto che « il cogito — come ha rilevato Heidegger dopo Fichte e Schelling — diventa volo, che è Wille tur Macht, il quale non rimanda che a se stesso » 15. Dopo tre secoli, il cogito si rivela per quello che era nel suo substrato: volontà di potenza e di domi­ nio assoluto. Affermare che per la « cocienza reificata » — ossia, in pratica per la maggior parte delle persone — gli auten­ tici rappresentanti della vita sociale sono il lavoro con­ vertito in « cosa » e i rapporti di merce, costituisce una generalizzazione falsa. Infatti ogni persona vede che il suo

14 « Unumquodque agit secundum quod est actu. Quod igitur non est totus actus, non toto se agit, sed aliquo sui. Quod autem non toto se agit, non est primum agens: agit enim alicuius participatione, non per essentiam suam. Primum igitur agens, quod Deus est, nullam habet potentiam admixtam, sed est actus purus » (C. G.. lib. I, c. 16). « Agens autem agit secundum quod actu est; unde id solum se toto agit quod totum actu est, quod non est nisi actus infinitus qui est actus primus; unde et rem agere secundum totam eius substantiam solius infinitae virtutis est » {De Potentia, q. Ili, a. 4, c). 15 C. F abro, L ’avventura della teologìa progressista, Rusconi, Milano, 1974, pag. 74. 32

lavoro è più di questo; non pretende che si esaurisca nel­ l’aspetto economico e non ritiene neanche che ogni di­ mensione del lavoro possa ricevere un prezzo. Per trarre dai reali e deplorevoli difetti di una parte della società industriale, le conclusioni di Lukàcs bisogna partire, previamente, da alcuni postulati filosofici. Non è stata la « coscienza » dei proletari che è arrivata a quelle conclusioni ed ai loro presupposti; sono stati: Marx, di estrazione borghese, Engels, di famiglia chiaramente capi­ talistica, e Lenin, di elevata classe sociale. Lo riconosce anche lo stesso Lenin quando dice: « il socialismo scientifico trasse origine dalle teorie filosofiche, storiche ed economiche che furono elaborate da dotti rap­ presentanti delle classi al potere e dagli intellettuali » 16 e quando insiste con forza sul fatto che i proletari non pos­ sono raggiungere da soli quella conoscenza della società; convinzioni di cui anche Lukàcs partecipa. Secondo Lukàcs, il processo di reificazione altera tut­ ta la realtà. Nell’illustrazione di questo punto riprende l’affermazione di Marx: « la proprietà privata non aliena soltanto l’individualità degli uomini, ma anche quella delle cose » 17. Ciò vuol dire che la proprietà privata aliena o reifica tutta la vita sociale che lo Stato si converte in una impresa, dotata di una organizzazione rigorosamente ra­ zionale, in cui è tutto calcolabile. La forma politica dello Stato sorge da una economia determinata in cui, grazie alla trasformazione del lavoro in merce, si ha l’impressio­ ne che tutto sia sottoposto a calcolo razionale (cfr. pag. 114). In tutta questa trasformazione l’uomo si limiterebbe a calcolare correttamente i processi reificati e le leggi economico-sociali indipendenti dall’uomo, invece di essere colui che crea in maniera cosciente la vita sociale (cfr. pag. 127). Si sente qui l’eco delle tesi di Marx su Feuerbach: « Il punto più alto cui giunge il materialismo intuitivo, cioè 16 L enin , Was tun?, in « Ausgewählte Werke », Dietz Verlag, Berlino, 1959, pag. 136. 17 K. M arx-F. E ngels, Ideologia tedesca, trad, it., a cura di F. Codino, Editori Riuniti, Roma, 1958, pag. 223.

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il materialismo che non intende la sensibilità come attivi­ tà pràtica, è l’intuizione degli individui singoli e della so­ cietà borghese»18, « I filosofi hanno soltanto diversamen­ te interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo » 19. E ’ per questo che Lukàcs si lamenta del fatto che, con il capitalismo, sia sorto un nuovo tipo di lavoro in cui vi è un’« assenza di volere » nel lavoratore, accentuata dal fat­ to che il suo lavoro è sempre meno « attività » e sempre più contemplazione (cfr. pag. 116). Il processo di reificazione del lavoro raggiungerebbe anche il Diritto. Quest’ultimo si sarebbe convertito in qualcosa di rigido che si pone dinnanzi all’uomo, mentre, in realtà, dovrebbe cambiare continuamente a causa del continuo progresso científico che si ripercuote sull’econo­ mia. Sembra che a Lukàcs non interessi operare, neppure nella critica, una distinzione tra quegli immutabili aspetti del diritto che si rifanno alla legge naturale e le altre di­ sposizioni variabili che cercano di applicare sempre meglio tale legge, a seconda delle circostanze. Egli compie, d’al­ tronde, una generalizzazione di un fatto molto semplice, ossia la imperfezione connaturale ad ogni legge umana. La sua critica potrebbe forse avere valore per il positivi­ smo giuridico e, comunque, deve parecchio al Contributo alla critica della filosofia del diritto di Marx. Prima di addentrarci nell’analisi lukacsiana della bor­ ghesia, varrà la pena rilevare la facilità con cui egli liquidi tutto ciò che ha preceduto la borghesia (religione, cultura, filosofia, istituzioni sociali, ecc.) qualificando il tutto co­ me « feudalesimo » e dandone una misera descrizione dai pochi tratti sociologici ed economici. Non vi è da stupire se ne II mutamento di funzione del materialismo storico metta in evidenza la necessità di studiare meglio tutta l’e­ poca precedente; ma anche qui non vede in questa lacuna 18 K. M arx, T e s i su F e u e rb a c h (9a), si trova in appendice al

volume F. E ngels, f ilo s o f ia

cla ssic a

L u d w ig F e u e rb a c h e il p u n to d ’a p p r o d o d e lla te d e s c a , traduzione di Palmiro Togliatti. Collana

« Le Idee », Editori Riuniti, Roma, 1969, pp. 85-86. 19 K. M arx, I b id e m ( l l a) p. 86. 34

una mancanza di conoscenza, ma solo uno sprone ad ap­ plicare il metodo dialettico a quel che egli qualifica dispre­ giativamente come « preistoria » 20. In ogni caso sarà op­ portuno tenere presente che, in questo, Lukacs si mantie­ ne fedele alla dialettica hegeliana, secondo cui il passato viene sempre eliminato e assunto (superato: la Aufhebung hegeliana) nel presente, in modo tale che basta la critica al presente o al passato più recente per superare tutto quanto è preceduto. k

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Lukacs si accinge così alla critica della società del suo tempo, una società che in molti dei suoi settori non è più vivificata dal cristianesimo e che, nella concezione materialistica della vita, è più prossima a quella di Lu­ kacs che non a quella cristiana. Lo studio della realtà economica, storica, filosofica, ecc. nell’opera di Lukacs vie­ ne sostituito dalla critica alla borghesia; una volta mostra­ tene le contraddizioni interne, presenta il marxismo come il loro superamento. Secondo Lukacs, la borghesia ha la coscienza reificata, e così ritiene che i vari elementi della vita sociale abbia­ no delle leggi proprie ed immutabili, e che l’unico compi­ to sia la loro scoperta e la utilizzazione per i fini della vita sociale. L’unico elemento modificabile del mondo, secondo la borghesia, sarebbe l’uomo, che è libero; così ogni miglioramento della società si ridurrebbe ad un com­ pito etico, ad una riforma dell’uomo. Tuttavia, a Lukacs sembra che questa visione sia inefficace, giacché l’etica ha il difetto di essere solo una mera « istanza », un puro « dover essere » e non qualcosa di realmente attivo. Per Lukacs, la radice di questa visione risiede nel vedere tut­ to da un punto di vista individualistico: in effetti, dal pun20 Alcuni aspetti di questa « preistoria » vengono trattati nella Estetica, in cui fa una sorta di storia della cultura, seguendo lo sche­

ma secondo cui il riflesso delle cose nella conoscenza andrebbe vieppiù disantropomorfizzandosi. Gir. le pagine più oltre dedicate a questo tema, nell’analisi dell’Estetica. 35

;o di vista dell’individuo, il mondo esterno apparirebbe come un qualcosa di estraneo che può essere capito ac celiando delle leggi eterne della natura, ossia, avvolgendo il mondo nella teoria con « una razionalità estranea all’uo­ mo, una razionalità del tutto impenetrabile e sottratta ad ogni influenza da parte delle possibilità di azione dell’in­ dividuo: solo se l’uomo si atteggia verso di esso in modo puramente contemplativo, fatalistico » (pag. 50). La critica di Lukàcs, quindi, si rivolge alla incapa­ cità della borghesia a trasformare il mondo, che deriva dall’adozione di un punto di vista individuale. E’ interes­ sante notare che Lukàcs accusi la borghesia di agire in maniera individualistica, ma non di egoismo od ingiusti­ zia, e richiama altresì l’attenzione, la ripugnanza che gli ispira 1’« etica »; la sua posizione rivela una completa amoralità e sembra che egli abbia ben compreso come nel materialismo marxista non vi sia spazio per la giustizia, poiché questa esige un fondamento assoluto; resta solo la difesa dei propri interessi: in un caso trionfano gli in­ teressi borghesi — « parziali » — , mentre nell’altro quel­ li del proletariato — « totali » — o del genere umano. La maniera borghese di intendere la realtà sociale, afferma Lukàcs, consiste nel suo frazionamento e nella ricerca, in quei frammenti, di leggi fisse ed eterne. Il di­ fetto risiede nel fatto che i capitalisti studiano i fenomeni sociali con i metodi delle scienze naturali: « isolano i fe­ nomeni » dimenticandone il « carattere storico ». Ossia, in modo concreto, dimenticano che i fatti sono un prodot­ to dello sviluppo storico e che, inoltre, quei fenomeni nel­ la forma storica che presentano, sono il prodotto di un’e­ poca storica determinata, quella del capitalismo (cfr. pag. 10). In virtù di questo pregiudizio scientista, la borghesia crede di conoscere sempre meglio le leggi economiche, ma, in realtà, ottiene solo leggi di piccoli settori che poi non riesce ad unificare che in modo accidentale; questa inca­ pacità si evidenzia, secondo Lukàcs, nei periodi di crisi economica, poiché allora il capitalismo si mostra scon­ certato e impotente a dominare la situazione (cfr. pag. 131). L’argomento delle crisi economiche viene sguainato 36

contro il capitalismo numerose volte, anche se oggi giorno è facile vedere (e in parte anche Lukàcs lo vide) che si tratta di un’arma a doppio taglio, poiché le crisi economi­ che nei regimi comunisti sono evidenti e numerosissime. Pur non servendosi di questo termine, Lukàcs cri­ tica con la sua diagnosi ora esposta lo scientismo in gene­ re e la sua applicazione in campo socio-economico da par­ te dei capitalisti e anche dei socialdemocratici e marxisti volgari. Ciò spiega come, nel giugno 1924, K. Kautsky, rappresentante della socialdemocrazia, condannasse l’opera di Lukàcs. Ma è significativo che anche gli stessi comunisti si sentissero accusati di scientismo da Lukàcs. In effetti, la sua critica si rivolgeva ad ogni tipo di scientismo e po­ sitivismo; era una critica radicale dato che, secondo Lu­ kàcs, con la specializzazione si perde la considerazione del tutto; la scienza, nel farsi sempre più scientifica, si trasforma in un sistema formalmente completo di leggi speciali parziali per il quale la materia — l’autentico e concreto substrato della realtà — diventerebbe inafferra­ bile, sia per ragioni di metodo che di principio (cfr. pag. 135). E così, nella misura in cui il comunismo abbandona la dialettica, cadeva in questo positivismo dei fatti isolati denunciato da Lukàcs. La posizione di Lukàcs comporta una distinzione tra uomo e natura, tra scienze umane e scienze naturali; tut­ to questo è in contrasto col marxismo ufficiale che, sulla scia di Engels, riconosce una dialettica nella natura. Lu­ kàcs respinge quest’applicazione del metodo dialettico al­ la conoscenza della natura, opponendosi coscientemente ad Engels. Il metodo delle scienze naturali è analitico, con­ templativo, non ammette la contraddizione e riduce tutti i fenomeni alla loro essenza quantitativa21; esso, pertan­ to, non vale per il mondo storico-sociale, che è caratteriz­ zato dalle contraddizioni dialettiche.

21 Cfr. C. V aiani, L ’« Abbild-theorie » in Gyórgy Lukàcs, ed. Japadre, L’Aquila, 1971, cap. IV « L’abbild-theorie e la polemica contro lo scientismo », pagg. 79-80. 37

Nelle autocritiche a Storia e coscienza di classe Lukàcs aderisce sempre più alla dottrina del marxismo uffi­ ciale e, nella prefazione del 1967, dichiara perfino che la sua opera giovanile rappresenta nella storia della dottrina marxista una tendenza « diretta contro i fondamenti del­ l’ontologia del marxismo. Penso qui a quella tendenza ad interpretare il marxismo esclusivamente come teoria della società, come filosofia del sociale, e ad ignorare o a re­ spingere la posizione in esso contenuta rispetto alla na­ tura » (pag. XVI). Queste rettifiche sono conseguenza di una contrad­ dizione interna del marxismo. In esso si afferma infatti, « una doppia dialettica, la dialettica della natura e la dia­ lettica della storia, le quali dovrebbero evidentemente es­ sere soggette alle medesime leggi di sviluppo: se non che una siffatta identità annienterebbe la distinzione stessa di natura e storia. Ora tale distinzione è indispensabile non solo per la posizione del realismo marxista, ma anche per la fondazione dialettica storica, che è basata anzitutto sul rapporto tra l’uomo e la natura, ch’è il lavoro, e sulla di­ visione del lavoro. ( . . . ) Il marxismo per logica interna è portato ad esasperare prima l'estremo oggettivismo nella conoscenza della natura e poi l'estremo soggettivismo nel­ l’interpretazione della storia ch’è spinta fino al determini­ smo delle leggi economiche. Il disagio, ch’è insanabile perché costitutivo, del mar­ xismo è quello di un dualismo che esige di concludersi in un monismo e di un monismo che pretende di fondarsi e attuarsi mediante un dualismo: la formula è nostra ma equivale alle tensioni, insolute e insolubili, che sono sta­ te indicate nelle stesse posizioni del marxismo nella sin­ tesi di Hegel-Feuerbach, nella diversità (malgrado il co­ mune programma . ..) d’ispirazione fra Marx-Engels, come fra il Marx giovanile e quello del Capitale, e perfino nella differenza ch’è stata indicata nello stesso Lenin ch’è engelsiano nel Materialismo ed empiriocriticismo del 1908 e diventa, dopo la lettura di Hegel negli anni 1914-15, de-

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cisamente hegeliano nei Quaderni filosofici » 22. *

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Tornando alla critica della borghesia, Lukàcs afferma che essa non potrà mai arrivare alla comprensione totale della vita sociale, perché la sua scienza è cieca per quan­ to riguarda la comprensione delle crisi e delle contraddi­ zioni della realtà, non si rende conto del fatto che tali contraddizioni « appartengono piuttosto inseparabilmente all’essenza della realtà stessa, alla essenza della società ca­ pitalistica » (pag. 14). Lukàcs indica alcune delle contraddizioni interne che la borghesia non è capace di risolvere: dal punto di vista sociologico, il capitalismo porta al manifestarsi della lotta dì classe, ma allo stesso tempo cerca di nasconderla; dal punto di vista ideologico, annette tanta importanza alla individualità da generare un individualismo contrario agli individui stessi; nel campo della scienza giuridica, la bor­ ghesia difese il diritto naturale di combattere i privilegia­ ti della società feudale, più tardi, però, ha concluso che li contenuto del diritto è puramente fattuale e che l’insieme delle leggi ha una coerenza meramente formale, infine è arrivata a rinunciare a dare fondamento razionale al dirit­ to e a dire che il suo contenuto è metagiuridico (cfr. pag. 140). Indubbiamente alcune di queste critiche di Lukàcs sarebbero giuste se, invece di riferirle a questo polo dia­ lettico fabbricato dal marxismo — « la borghesia » — , venissero raportate agli ampi strati della soc’età che han­ no incarnato i principi della filosofia immanentistica, dato che, in effetti, negata la metafisica e l’esistenza di Dio, Primo Principio ed Ultimo Fine, scompare il fondamento vero del bene comune e del diritto. Questa precisazione è importante — e, naturalmente, Lukàcs non la ammet­ terebbe — perché, pur essendo a volte le denunce del­

22 C. F abro, Feuerbacb-Marx-Engels. Materialismo dialettico e materialismo storico, La Scuola, Brescia, 1962, pagg. CXVI-CXVIII.

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l’autore generalizzazioni di difetti realmente esistenti in alcuni ambienti e persone, sono tuttavia concepite in funzione di una tattica e interpretano quei difetti — de­ formandoli a radice — con l’ideologia marxista. La borghesia si troverebbe, quindi, in una situazione paradossale, dato che, quando ha appreso in qualche mo­ do le contraddizioni e le lotte che costituiscono la società capitalistica, la sua stessa posizione nell’ambito del proces­ so produttivo le nasconde tali contraddizioni. Così, per esempio, secondo Lukacs, l’ideologia borghese avvertì re ­ sistenza della lotta di classe nel periodo « eroico » del­ l’opposizione al feudalesimo e, in un certo senso, torna ora ad apprenderla — pur senza dirlo apertamente — quando osserva le terribili lotte economiche tra le grandi associazioni (cfr. pag. 281). Questa concorrenza arriva al punto di infondere paura tra i membri stessi della bor­ ghesia, poiché essi ritengono che la vita economica abbia delle sue leggi che s’impongono da sole e non si possono dominare. Come rimedio, invece di sopprimere tali contraddi­ zioni, le nascondono e le fanno slittare verso altri cam­ pi con misure parziali e, in fondo, le accuiscono: non si rendono conto che « il vero limite della produzione capi­ talistica è il capitale stesso » (pag. 83). Lukacs vuol indi­ care con ciò, che vi sarebbe una contraddizione inerente al capitalismo dal punto di vista economico; si mostra, pertanto, d’accordo con la tesi dell’impossibilità dell’ac­ cumulazione illimitata del capitale sostenuta da Rosa Lu­ xemburg e in una qual certa opposizione nei confronti della posizione di Lenin. Lukacs ritiene che « la necessi­ tà storica obbiettiva del tramonto del capitalismo » 23 si veda molto chiaramente applicando il metodo dialettico. Appare soprendente la convinzione con cui Lukacs di­ fende l’impossibilità dello sviluppo illimitato del capi­ talismo, basata su ragioni più filosofiche che non econo­

23 Cfr. R. L uxemburg , L ’accumulazione del capitale, trad. it. di B. Maffi, ed. Einaudi, Torino, 1960, pag. 407. 40

miche. Forse la sua fede in una rivoluzione sociale im­ minente su scala mondiale facilitativa, dal suo personale punto di vista, dei ragionamenti così sbrigativi. 2 . LE ANTINOMIE DEL PENSIERO BORGHESE

Questo è il titolo del secondo capitolo del saggio sulla reificazione. In esso Lukàcs tenta una ricostruzione storica del pensiero filosofico nato nella borghesia, per mostrare come il superamento delle visioni parziali del ca­ pitalismo e la ricomposizione dell’unità non potessero ve­ nire da una speculazione filosofica avente gli stessi limiti della coscienza borghese. Questo lavoro di sintesi avrebbe richiesto una filosofia capace di riplasmare le scienze nella loro struttura interna e di unificarle; al contrario, la filo­ sofia moderna si è limitata ad essere una giustificazione delle costruzioni formalistiche delle scienze particolari (cfr. pagg. 142-143). Lukàcs struttura questa sintesi di storia della filoso­ fia moderna in tre momenti: da Descartes ad Hegel si cerca di superare il dualismo tra soggetto ed oggetto, al­ lo scopo di vedere l ’oggetto come prodotto del soggetto; poi, Hegel, mediante il metodo dialettico, arriva alla iden­ tità tra soggetto ed oggetto, ma senza individuare chi sia in realtà quel soggetto-oggetto; e, infine, Marx che com­ pleta i limiti di Hegel, grazie all’aver visto la realtà dal punto di vista del proletariato, che sarebbe, secondo Lu­ kàcs, il punto di vista della totalità. Lukàcs non pretende di fare, a questo punto, una storia dettagliata della filosofia, ma solo « di portare allo scoperto per mezzo di pochi cenni il nesso tra le questioni di fondo di questa filosofia ed il fondamento d’essere (Seinsgrund) da cui esse si stagliano ed a cui tentano di ritorna­ re in uno sforzo di comprensione » (pag. 146). Si tratta, quindi, di una interpretazione che cerca di afferrare i mo­ menti essenziali dello sviluppo storico. Il filo centrale è formulato chiaramente da Lukàcs: « Il cammino che con­ duce dalla scepsi metodica, dal cogito ergo sum di Descartes, sino a Hobbes, Spinoza e Leibniz, rappresenta uno svilup­ 41

po rettilineo, il cui motivo determinante, che si presenta in varie forme, è la concezione secondo la quale l’oggetto della conoscenza può essere da noi conosciuto per il fat­ to che è nella misura in cui esso è stato prodotto da noi stessi » (pag. 145). Questa dichiarazione dimostra la co­ noscenza del pensiero moderno, da parte di Lukàcs che, in­ fatti, è pervenuto al marxismo dopo un’ampia formazione nella cultura e nella filosofia della immanenza. Si noti, per esempio, come collochi « la rivoluzione copernicana » del­ la filosofia non in Kant, ma in Descartes e nel cogito, come tentativo affinché tutto ciò che è conosciuto sia frutto del soggetto. Naturalmente, a Lukàcs sembra legittima la esigenza di concepire il soggetto come generatore della totalità dei contenuti; il suo unico rimprovero sarà il fatto che que­ gli intenti filosofici non abbiano trovato il cammino reale per condurre a termine tale proposito. Tutto questo ca­ pitolo tende a mettere in rilievo il carattere essenzialmen­ te filosofico del marxismo e prosegue nell’opera di inter­ pretazione della storia della filosofia realizzata da Marx in La Miseria della Filosofia; esso costituisce una critica del­ la filosofia immanentistica, condotta a partire da quell’im­ manentismo prassista e radicale che è il marxismo. L'a priori economicistico, come principio interpretativo, appare accanto alla conoscenza dei pensatori, quando Lukàcs af­ ferma: « la moderna filosofia critica è sorta dalla struttu­ ra reificata della coscienza » (pag. 144), cosa che non si cura mai di dimostrare. La filosofia anteriore a Descartes non è oggetto di attenzione da parte di Lukàcs, se non in maniera indiretta quando ne qualifica i risultati di razionalismo parziale che accettava un elemento « irrazionale » (non deducibile da alcuni principi) nella realtà24. Invece, « l ’elemento nuovo 24 Tale giudizio può meglio essere espresso con la metafisica dell’essere: « En matière de connaissances réelles, on ne raisonne pas à partir des principes, mais en accord avec eux et dans leur lu­ mière, sur la réalité» (E. G ilson , Introduction à la philosophie chrétienne, Vrin, Parigi, 1960, pag. 117). 42

che caratterizza il razionalismo moderno consiste nel fat­ to che esso, con il procedere dello sviluppo, avanza sempre più la pretesa di aver scoperto il principio della connes­ sione di tutti i fenomeni che si contrappongono alla vita dell’uomo nella natura e nella società » (pag. 148). L’elemento nuovo di questo cambiamento è ben indi­ viduato; tuttavia, Lukàcs manifesta una scarsa conoscen­ za delia precedente filosofia, quando la considera toutcourt come un « dogmatismo » che è stato superato dalla filosofia del cogito. Ciò risulta ancora più arbitrario, se possibile, perché Lukàcs, in un certo senso, implicitamen­ te riconosce che nell’origine del cogito non vi è un’eviden­ za, ma un atto di volontà di dominio. Un altro modo di intendere la novità della filosofia moderna consiste nel rendersi conto del fatto che essa ha come modello il « sistema » costruito in modo matema­ tico. Lukàcs afferma che « né la filosofia greca (forse ad eccezione di pensatori molto tardi, come Proclo) né la filosofia medievale conoscono il sistema nel nostro senso; solo l’interpretazione moderna lo introduce nella filosofia. Il problema del sistema nasce nell’era moderna, ad esem­ pio con Descartes e Spinoza, e diventa sempre più, da Leib­ niz a Kant, un’istanza metodologicamente cosciente » (pag. 1,52, nota 11). Una simile testimonianza di Lukàcs formatosi nel­ l’ambiente culturale « sistematico », dovrebbe prevenire contro l’indiscriminato uso della parola « sistema », ove la si usi per designare la metafisica dell’essere. Questa, infatti, avendo come misura la verità delle cose stesse, non pretende mai di aver raggiunto una esauriente cono­ scenza della realtà25. La metafisica, partendo dai gradi dell’essere degli enti per partecipazione, risale fino alla loro Causa, che è 25 « Le temps est venu pour nous de nous accoutumer à une certaine manière de ne pas comprendre qui n’est que modestie de­ vant le pur intelligible. Celui qui comprend tout est en grand dan­ ger de mal comprendre ce qu’il comprend et de ne pas même soup­ çonner l’existence de ce qu’il ne comprend pas » (Ibidem ). 43

l’Essere per essenza. Sia l’essere partecipato che, soprat­ tutto, l’Essere sussistente superano la capacità dell’intel­ ligenza creata. Ecco perché la pretesa di una perfetta com­ prensione costituisce il primo passo che svia la vera co­ noscenza. La metafisica non deduce la realtà a partire da un principio, bensì è l’opposto: a partire dalla realtà ascende alla Causa e, giuntavi, avverte che ha creato il mon­ do liberamente, poiché, altrimenti non sarebbe la Causa Incausata. Il più chiaro modello di scienza deduttiva è la matematica (benché anch’essa non manchi di un mo­ mento di assimilazione di un oggetto reale: la quantità dell’ente) e in tale ambito sorge il sistema. Lukàcs rimanda spesso alla Storia della filosofia del Cassirer nell’indicare i rapporti reciproci tra la nuova scienza e la filosofia moderna: il razionalismo matemati­ co, basato sul carattere scientifico esatto ha influito sul­ la nascita della filosofia moderna. Lukàcs esprime bene la « istanza che il razionalismo avanza nei confronti del pro­ proprio sistema: la istanza che ogni singolo momento del sistema possa essere generato dal suo principio fondamen­ tale e sia esattamente prevedibile e calcolabile sulla base di questo principio» (pag. 153) 26. Potremmo aggiungere che da questo deriva la precipitazione con cui i « sistemi » filosofici post-cartesiani iniziano con l’Assoluto, per de­ durre da esso la realtà storica o scientifica, e prescindo­ no dalla esperienza sensibile. Lukàcs indica nell’identifi­ cazione tra conoscenza matematica formale e conoscenza in genere l’elemento distintivo dell’epoca moderna27. 26 « Descartes n’a pas visé tel ou tel fragment du savoir; il a voulu d’emblée la Sagesse, c’est-à-dire un entendement capable de réengendrer à tout moment, et au gré de ses besoins, le savoir to­ tal; il a toujours dit que non seulement il était plus facile de posséder toutes les sciences à la fois, mais même impossible d’en posséder complètement une seule lorsqu’on voulait la posséder à part » (E. G ilson , Etude sur le rôle de la pensée médiévale dans la formation du système cartésien, Vrin, Parigi, 1967, pag. 183). 27 Alla luce del successivo sviluppo della filosofia moderna ri­ sulta sorprendente la lettura del Discorso sul metodo, in quanto esso mostra come il cogito racchiudesse in sé, almeno parzialmente, 44

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Sulla base di questa rapida caratterizzazione, Lukàcs passa all’esame dei tentativi frustrati di realizzare quel­ l’ideale di conoscenza e di dominio della realtà. A questo fine egli rammenta il problema posto da Kant circa la forma ed il contenuto della conoscenza. Kant riesce a de­ durre le forme a partire dall’« Io penso in generale »: grazie ad esse « noi conosciamo e possiamo conoscere, per­ ché le abbiamo generate noi stessi » (pag. 149); tuttavia, non avv'ene la stessa cosa con i contenuti di conoscenza: « l’esserci, l’essere-così dei contenuti sensibili resta una datità che non può essere assolutamente dissolta » (pag. 151). E ’ questo il problema affrontato dalla filosofia classica tedesca: riconosce che vi è un elemento dato « ir­ razionale » e non solo lo cela sotto una costruzione di forme intellettuali proprie del razionalismo anteriore, ma, allo stesso tempo, si sforza per far sì che la datità cessi di essere qualcosa di accidentale e inderivabile a partire da un prin­ cipio. Ossia, la datità viene considerata come uno stimolo per la reinterpretazione del « sistema » di forme intellet­ tuali, cercando di fare in modo che l’elemento « dato » venga « generato » da esse e, quindi dal soggetto. Tra questi tentativi, alcuni cercavano ancora di ri­ solvere il problema della generazione dei contenuti, con l’aiuto dei modelli matematici; altri, invece, cadevano nel

tutto il successivo sviluppo delle filosofie dell’immanenza: « In un certo senso le quattro parti precedenti del Discorso equivalgono ad una ciclopica demolizione radicale per fissare poi le fondamen­ ta della nuova scienza universale: in questo senso sono equivalen­ ti al corso della ’’filosofia moderna” fino a Hegel. A partire dalla quinta parte ha inizio la costruzione, come edificazione a priori del­ la mondanità: processo seguito da Hegel fino ai nostri giorni, so­ prattutto sotto forma di scienza deduttiva ed applicata: ciò spiega, per esempio, perché il marxismo ufficiale ha insistito sempre sul fondamento ’’scientifico” contro i ripetuti tentativi di rilevarne la base filosofica (L ukàcs, Sartre, M erleau-Ponty, A lthusser , ecc.) ». (C. C ardona, René Descartes: Discorso sul metodo , « Pro­ spettive », Collana critica di opere filosofiche scelte, Ed. Japadre, L’Aquila, 1975, pag. 86). 45

dogmatismo, identificando ingenuamente le proprie for­ me di pensiero — che, secondo Lukacs, sarebbero il pro­ dotto dell’essere sociale — con la realtà; altri, infine, ri­ nunciavano a qualsiasi metafisica e si proponevano di co­ noscere i fenomeni dei vari settori, respingendo come non scientifico il problema della conoscenza della totalità (cfr. pag. 157). Questa tensione tra la ricerca di una conoscenza di totalità e la conservazione dell’elemento dato (il concreto, il singolare che appare come qualcosa di puramente fattico) preparò la scoperta del metodo dialettico. Tale tensio­ ne venne vista chiaramente da Fichte, quando disse che si tratta della « proiezione assoluta di un oggetto, del cui sorgere non si può rendere conto e di conseguenza tra la proiezione ed il proiettatp vi è l’oscurità ed il vuoto, cosa che io ho indicato forse un po’ scolasticamente, ma in modo che credo efficace, con l’espressione "projectio per hiatum irrationalem” » Lukacs ritiene che Fichte ha posto il problema in tutta la sua crudità. Dal punto di vista marxista, tutti questi tentativi con­ fermerebbero che la filosofia tedesca classica è sorta in un momento dello sviluppo della coscienza della classe borghese in cui era sì possibile intuire i problemi, ma solo come questioni puramente intellettuali (cfr. pag. 158). Tuttavia questa filosofia ha posto l’esigenza — legittima per Lukacs — « di concepire il soggetto in modo tale che esso posa essere pensato come ’generatore’ della tota­ lità dei contenuti. E nasce anche l’esigenza ( . . . ) di risco­ prire e portare alla luce un livello dell’oggettualità, un li­ vello dell’operare posizionale degli oggetti, nel quale ven­ ga soppressa la dualità di soggetto ed oggetto (di cui la dualità di pensiero ed essere è soltanto un caso partico­ lare), — nel quale dunque il soggetto e l’oggetto arrivino a coinc'dere, siano identici » (pag. 161). Si noti come il tentativo di questa filosofia sia, se-28

28 J. A. F ichte , Wissenschaftslehre (1804), W erke , Neue Au­ sgabe, IV, pag. 288. 46

condo il marxismo, perfettamente centrato, benché poi quei filosofi non siano stati abbastanza radicali da indivi­ duarne la soluzione autentica, che sarebbe proprio il mar­ xismo, secondo cui, come vedremo più oltre, è nell’azione del proletariato che si realizza la identità tra teoria e pras­ si, pensiero ed essere, soggetto ed oggetto. Fin da ora possiamo mettere in rilievo qualcosa di estremamente significativo: l’opposizione del marxismo alle filosofie nate dal cogito cartesiano si muove sul loro stesso piano, con le stesse esigenze ed impostazioni di fondo. Si tratta di una discordia tra membri di una stessa famiglia, e ciò evidenz;a che l’opposizione materialismoidealismo non è decisiva, come pretendono i marxisti, ma costituisce solo una suddivisione nell’ambito della filoso­ fia dell’immanenza29. Non vedere questa matrice comu­ ne, significherebbe « non aver afferrato proprio quell’ori­ ginalità che si attribuisce al cogito rispetto all’essere, os­ sia di non afferrare nella sua estrema purezza la ’’teorici­ tà” nel senso originario di contemplazione o presenza pu­ ra ch’è il ’’lasciar-essere-l’essere” o di attività pura quan­ do sia preso come 1’ ’’attuarsi” o il Wille puro, che sono i due sensi antitetici ma egualmente portati dal cogito i quali, uniti nell’idealismo metafisico, si sono successiva­ mente separati ed ora oppongono fra loro l’esistenzialismo 29 Come si vede, Lukacs qui non accetta la semplicistica suddi­ visione delle filosofie in materialismo ed idealismo, propria del co­ sidetto « principio di Zdanov », eseguito dal marxismo ufficiale e in cui il termine « idealismo » comprende tutte le posizioni che non siano « monismo materialista ». In un’altra opera posteriore, La distruzione della ragione, Lukacs presenta una interpretazione del­ la filosofia moderna diversa da quella qui esposta, e basata sulla contrapposizione razionalismo-irrazionalismo: irrazionalistiche, sareb­ bero tutte le risposte «reazionarie» al problema della lotta di classe; tali speculazioni sarebbero il risultato della situazione eco­ nomica; razionalismo, invece, è il riconoscere il ruolo predominan­ te e architettonico che, con il progresso, vanno raggiungendo le scienze della natura e, allo stesso tempo, vuol dire rompere con la coscienza religiosa e la metafisica. Vid. su questo tema C. V aiani, op. cit., pagg. 148-157 e A. D el N oce, Il problema dell’ateismo, Il mulino, Bologna, 3a ed., 1970. 47

e il marxismo. Ma si tratta di un’opposizione irrilevante sul puro piano del ’’fondamento” ch’è l’atto di coscienza, anche se a rigore l’esistenzialismo possa pretendere un netto vantaggio nella coerenza del principio, la quale va perduta nel marxismo col suo ritorno alla concezione heheliana della verità come un ’’tutto” (la collettività, la classe operaia, l’umanità come un ’’tutto” ) e come un ’’ri­ sultato” (l’eliminazione delle classi, in questo stato). D ’al­ tra parte non si può non riconoscere che se l’esito reale del cogito si attua nella perenne rimozione di ogni conte­ nuto ovvero nel presentarsi del presente, come afferma logicamente l’esistenzialismo, esso è giunto allora ad un risultato diametralmente opposto a quello per cui è stato invocato ossia il fondare l’esistenza di Dio e l’immorta­ lità dell’anima. Perciò nella filosofia contemporanea o si accetta l’annientamento del pensare (e l’essere) o bisogna riconoscere che tocca ricominciare da capo » 30. La filosofia classica tedesca aveva anche cercato una soluzione facendo capo all’attività: secondo Fichte, nell’operare (nella prassi) avviene una unità originaria tra sog­ getto ed oggetto; anche Kant intraprese questa strada nel­ l’etica, ma non assorbì la fatticità nell’ambito del sogget­ to poiché arrivò solamente ad una etica meramente for­ male. Da ciò Lukàcs conclude che, per raggiungere l’iden­ tità di soggetto ed oggetto, non basta cercare di andare al di là dell’atteggiamento contemplativo e « che l’essenza della praticità consiste nella soppressione àe\Yindifferen­ za della forma rispetto al contenuto » (pag. 165). Tale era l’accusa di Marx alla filosofia: di essere meramente con­ templativa, di spiegare il mondo invece di trasformarlo. Il rifiuto dell’atteggiamento contemplativo da parte marxista non è nuovo; è lo stesso che muoveva Descartes a sostituire tutta la filosofia precedente con un’altra che ci avrebbe convertito in « padroni e possessori » della na­ tu ra31. A partire da Bacon e da Descartes tale esigenza si 30 C. F abro, Introduzione all’ateismo moderno, 2a ed., Stu­ dium, Roma 1969, vol. II , pp. 1014-1015. 31 R. D escartes , Discours de la Méthode, en Oeuvres complè48

è fatta più acuta, poiché risponde al moto intimo del pen­ siero immanentistico verso la perfetta autopossessione, che in verità è un attributo divino. Solo Dio è soggetto ed oggetto contemporaneamente, dato che solo in Lui si iden­ tificano Essere, Conoscere ed Essere conosciuto32. Gli en­ ti per partecipazione non si autoposseggono perfettamente ed il loro fine è fuori di loro stessi, è in Dio. Per giungere a Lui devono realizzare varie operazioni: in primo luogo, conoscere rettamente e poi proseguire questa conoscenza amando il Fine Ultimo, e ciò non con una sola decisione, ma con ripetuti atti di volontà. La pretesa identità tra soggetto ed oggetto è il tentativo di eliminare la nostra radicale distinzione tra essenza ed atto di essere, e la con­ seguente composizione tra la nostra sostanza ed il nostro agire33. Il nostro modo di intendere non è lo stesso della conoscenza divina che, al conoscere le cose in se stesso, non ne è misurata da esse, ma le crea. « Ma questa diversità rispetto al modo divino di in­ tendere se stesso, conseguente alla diversità nel modo di essere (noi siamo per partecipazione e Dio è per essenza) è ciò che sembra annullarsi nel cogito: per il quale io pos­ so dire, in qualche maniera, che sono quello che sono. Se io sono il mio pensiero, sono per essenza in tanto in quan­ to penso; e allora, pur con la precarietà dell’atto con cui io mi penso, posso dire, al pari di Dio: ego sum qui sum. Con il principio dell’immanenza evito la mia reale compo-

tes, ed. Adam-Tannery, tomo IV, Parigi, 1897-1909, pagg. 61-62.

« Poiché tali nozioni m.i hanno insegnato che è possibile giungere a conoscenze molto utili per la vita e che, al posto della filosofia speculativa, insegnata nelle scuole, è possibile trovarne una pratica per mezzo della quale, conoscendo la forza e le azioni del fuoco, dell’acqua, dell’aria, degli astri, dei cieli e di tutti gli altri corpi che ci circondano, così distintamente come conosciamo i vari me­ si ieri dei nostri artigiani, potremmo sfruttarle nello stesso modo, per tutti gli usi che le siano propri e, in tal maniera, farci padroni e possessori della natura ». 32 Cfr. S. T ommaso, C. G .t IV, 11. 33 « In nulla enim substantia creata est idem esse et operatio: hoc enim solius Dei est », S. T ommaso , Quodl. X , q. 3, a. 5. 49

sizione tra essenza ed atto di essere, propria di ogni crea­ tura, di ogni ente creato che non esiste di per sé: giac­ ché se io sono perché penso, mi pongo nell’essere al pen­ sare, sono il mio pensiero, io sono il mio creatore » 34. Questo pensare è azione creatrice e, successivamente, il marxismo la identificherà con l’attività pratico-sensibi­ le, dispiegando e concretizzando le virtualità contenute nel cogito cartesiano; si respmge così la contemplazione, in cui l’uomo conosce se stesso come qualcosa di limitato e rac­ chiuso nell’ambito dell’essere. •k ie k

Lukàcs studia anche altre antinomie che portano al­ la dialettica; ad esempio, il materialismo borghese del se­ colo XVIII, in cui « da un lato l’uomo appare come pro­ dotto dell’ambiente sociale, dall’altro ”l’ambiente socia­ le viene prodotto dall’opinione pubblica”, cioè dagli uo­ mini » (pag. 177). Queste contraddizioni tra la natura uma­ na ed il suo rapporto con il mondo e la società, portarono alla luce un nuovo senso della natura umana come « uma­ nità autentica, vera essenza dell’uomo, liberata dalle false forme meccanizzate della società: l’uomo come totalità in sé compiuta, che ha interiormente superato o sta su­ perando la frattura tra la teoria e la praxis, la ragione e la sensibilità, la forma e la materia; e per questo uomo, la tendenza a darsi forma non significa astratta razionalità che lascia da parte i contenuti concreti; per lui, libertà e necessità arrivano a coincidenza » (pag. 179-180). Ecco qui una densa formulazione di quel nuovo As­ soluto umano che nasce con il pensiero moderno. E’ oppor­ tuno ricordare che questo nuovo senso dell’uomo racchiu­ de insolubili contraddizioni che riappaiono in ogni tenta­ tivo di spiegazione coerente. L’identificazione di sensibi­ lità ed intelligenza, per esempio, dà luogo a delle chiare contraddizioni in Feuerbach, prima, e nei marxisti, poi:

34

C. Cardona, Metafísica de la opción intelectual, ed. Rialp

Madrid, 1973, 2a ed., pag. 124. 50

da una parte si pretende di ottenere l’intellegibile a par­ tire dal sensibile, mentre dall’altra, la stessa sensibilità viene concepita come un’intuizione o produzione ormai mediata dall’intelligenza. « Si può ben ammettere che i sensi dell’uomo — e l’aveva affermato già Aristotele ed in un modo più esplicito e pregnante S. Tommaso con la dottrina della partecipazione — si elevino a funzioni ed atti penetrati di spiritualità, ma questo è possibile solo in quanto lo ’’spirito” è presente fin dall’inizio coi sensi ed emerge sui sensi e può contenere, guidare e informare dal­ l’alto le funzioni inferiori che appartengono all’uomo in­ tegrale » 3S. Alcuni autori pretesero di veder realizzato quel As­ soluto nell’arte; Schiller lo vide nel gioco: « l’uomo gio­ ca soltanto quando è uomo nel significato più pieno del termine, ed egli è interamente uomo, solo quando gioca » (pag. 182) 36. Naturalmente, Lukàcs non accetta queste so­ luzioni che portano ad una semplice contemplazione este­ tica oppure ad una mitologia, in cui il soggetto umano è scomposto in varie facoltà (cfr. pag. 184). Lukàcs espone ora la soluzione hegeliana a tutti que­ sti problemi. Hegel presenta un particolare interesse per Lukàcs, poiché ritiene che la critica di Marx ad Hegel sia la continuazione e lo sviluppo diretto di quella che lo stes­ so Hegel aveva mosso contro Kant e Fichte (cfr. pag. 24). Hegel ha trovato un metodo — la dialettica — che lo porta al di là della società borghese, benché i risultati ot­ tenuti da lui o dai suoi epigoni mediante l’applicazione di tale metodo, siano ancora borghesi (cfr. pag. 196). He­ gel, con il metodo dialettico, ha costruito una logica del concetto concreto — diversa dalla logica puramente for­ male — , una logica della totalità, in cui il soggetto non è più un semplice spettatore di una dialettica oggettiva che avrebbe le radici nell’essere e nei concetti, ossia non si li-

35 C. F abro, Feuerbach . . . . op. cit„ pagg. XXXVI-XXXVII. 36 F. Schiller , Ueber die ästhetische Erziehung des M enschen , XV Lettera. 51

mita a contemplare la realtà; Hegel tuttavia, non conce­ pisce l’uomo neppure secondo l’idealismo soggettivo, come un dominatore delle sue facoltà meramente intellettuali. Hegel non cade in nessuno di questi estremi; anzi, nella sua dottrina « il processo dialettico, il dissolvimento del ri­ gido contrapporsi di forme rigide si svolge essenzialmente tra soggetto ed oggetto » (pag. 188). In questo modo cambia completamente la nozione di verità; quest’ultima non è più qualcosa di indipendente cui si deve adeguare il soggetto, ma è soggetto ed oggetto allo stesso tempo. La Fenomenologia dello spirito di Hegel costituisce, per Lukàcs, il tentativo ancora non superato delPutilizzazione del metodo dialettico e in essa è chia­ ramente esposto che « soltanto in questo caso, quando il vero non viene inteso soltanto come sostanza, ma anche come soggetto; quando il soggetto (la coscienza, il pen­ siero) è ad un tempo produttore e prodotto del processo dialettico; quando di conseguenza esso si muove in un mondo che si autocrea e di cui esso è figura cosciente — un mondo che tuttavia gli si impone nella sua piena ogget­ tività; solo allora si può considerare risolto il problema della dialettica e soppressa la contrapposizione tra soggetto ed oggetto, pensiero ed essere, libertà e necessità » (pag. 188). Il pensiero di Hegel costituisce, indubbiamente, un momento decisivo per l’assorbimento della trascendenza nell’immanenza umana ed è questo quel che sembra in­ teressare maggiormente Lukàcs. Egli si sofferma sul nucleo della dottrina hegeliana e l’accetta completamente, anche se ne indicherà i limiti dal punto di vista marxista. Hegel ha convertito la verità nel Tutto, nel processo stesso della ragione dialettica o processo reale del farsi della autocoscienza assoluta. La verità è il processo stes­ so dell’Assoluto, dall’infinito indeterminato e vuoto fino all’infinito concreto che è lo Spirito. Questo processo è la Storia ed è necessario e logico, perché è il pensiero stesso. Il tema centrale della filosofia hegeliana è quello del rapporto tra finito ed Infinito, e si può cogliere solo attraverso il metodo dialettico, ossia, con una concreta 52

penetrazione nelle opposizioni e conciliazioni tra le parti che compongono la totalità. Tutta l’opera di Hegel costituisce il tentativo di de­ scrivere l’itinerario del ritorno della coscienza a se stessa: l’essere, che è il contenuto della verità, è precisamente il divenire dello spirito, e la filosofia, quindi, verrebbe ad essere la coincidenza cosciente con tale sviluppo. E ’ op­ portuno rilevare come l’idealismo hegeliano deformi lo stesso punto di partenza di qualsiasi speculazione, vale a dire l’esperienza evidente di una doppia presenza — del mondo e dell’io — e di un doppio contenuto — la natura e la coscienza — ; lo deforma, perché sopprime uno dei due elementi, trattenendo solo la coscienza37. Dato che il semplice atto di coscienza ha bisogno di un fondamen­ to, Hegel fa ricorso all’Assoluto perché assicuri « dietro le spalle » il divenire della coscienza. Questa soluzione non appare nei marxisti, che vogliono essere più coerenti di Hegel, anche se ciò, poi, li porta a sostenere posizioni prive di ogni possibile fondamento: essi cadono in un fe­ nomenismo che è in contraddizione con le numerose di­ chiarazioni di carattere filosofico che fanno sulla totalità, la dialettica, la verità, ecc. Hegel perviene alla realizzazione dell’ideale dei gran­ di sistematici razionalistici — Spinoza, ad esempio — , benché Lukàcs segnali anche la novità dell’impostazione hegeliana: « l’identità enunciata da Spinoza tra l’ordine e la connessione delle idee e l’ordine e la connessione delle cose sembra essere molto prossima a questo punto di vi­ sta » (pag. 188); in Spinoza, tuttavia, la soggettività veni­ va assorbita nella sostanza; quando Hegel scrive le sue opere, la sostanza ha subito un fondamentale cambiamen­ to di significato, cosicché adesso è la storia a costituire l’or­ dine e la concatenazione delle cose (cfr. pag. 189). E ’ He­ gel a scoprirlo chiaramente e, in questo modo, la scoperta della dialettica è inseparabile dall’aver visto che la realtà

37 Cfr. C. F abro, Giorgio G. F. Hegel: La dialettica , Ed. La Scuola, Brescia, 1960, pp. XIX-XXIII. 53

è la storia, poiché « soltanto il divenire storico sopprime realmente l’autonomia già data e la rigidità delle cose e dei concetti cosali, da essa causata » (pag. 190). Nel divenire storico non vi sono contrapposizioni ri­ gide, ma sempre mutevoli; i poli opposti della tensione dialettica si trasformano costantemente. Quel che più con­ ta per Lukàcs è che con questa concezione si sia ridotta tutta la realtà a storia forgiata dall’azione umana; ci tro­ viamo di fronte ad una realtà che è soggetto ed oggetto al­ lo stesso tempo, il fare dell’uomo sociale nel corso della storia: « se siamo in grado di considerare l ’intera real­ tà come storia (quindi come la nostra storia, dal momen­ to che non ce n’è un’altra), abbiamo allora raggiunto un posto di vista dal quale possiamo comprendere la realtà come nostro « atto » (Tathandlung) » (pag. 191). E ’ interessante notare le espressioni di Lukàcs « se siamo in grado di considerare . . . », « il punto di vista . . . », « possiamo comprendere la realtà . . . »; ci troviamo or­ mai in pieno clima immanentistico, in cui è decisivo ciò che l’uomo pensa della realtà, e non quello che essa è. Al pari di tutta la dottrina marxista, anche Storia e coscienza di classe viene ad essere una costruzione intel­ lettuale fatta allo scopo di far sembrare tutto sottoposto all’uomo, affinché l’essere appaia quale prodotto dell’atti­ vità umana. Questa costante affermazione di Lukàcs non costitui­ sce evidentemente una conclusione, ma un’opzione inizia­ le che condiziona metodologicamente tutto il resto dell’o­ pera ed è chiaramente indicata dal fatto di aver scelto, come frase introduttiva, il motto di Marx: « la radice per l’uomo è l’uomo stesso ». Il suo antropocentrismo spiega il successo di Storia e coscienza di classe tra quei pensa­ tori che sentono quella « passione per l’uomo », caratte­ ristica di ampi strati della filosofia contemporanea, e an­ che l’interesse suscitato tra i seguaci della destra hegeliana. *

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Nonostante tutte queste scoperte, Hegel lascia ancora una importante questione da risolvere: determinare in 54

maniera concreta quel « noi » umano che è il soggetto del­ la storia. Hegel lo ha individuato nello « spirito di ogni popolo » che incarnerebbe lo « spirito del mondo »: la storia è un momento del sistema totale che culmina nello Spirito Assoluto e ciò significa, per Lukàcs, cadere nella « mitologia ». E ’ questa la qualifica — mitologia — di cui Lukàcs si serve sempre, quando si vuole sbarazzare di ogni affermazione di trascendenza: quando l’uomo non ha scoperto la realtà e si sente incapace di dominarla, co­ mincia a concepire delle forze trascendenti per spiegare il mondo, e questa è la « mitologia ». Hegel fa ricorso ad una soluzione mitologica, perché non ha intuito quali sono le forze reali che muovono la storia e, concretamente, l’au­ tentico soggetto della storia — la « verità come sogget­ to » — , che è il proletariato. Ovviamente questa affermazione di Lukàcs è un as­ sioma, che, per lui, non ha bisogno di dimostrazione al­ cuna: « quando Marx ed Engels hanno riconosciuto ”la produzione e riproduzione della vita reale come il momen­ to in ultima analisi determinante nella storia”, hanno in questo modo acquisito anzitutto la possibilità ed il punto di vista per togliere di mezzo qualsiasi mitologia » (pag. 2 5 ).

Non avendo Hegel individuato le vere forze della sto­ ria a causa, in parte, delle condizioni della sua epoca, non potè neppure superare in modo attivo la dualità tra sog­ getto ed oggetto. Hegel raggiunge questa unità solo come filosofo della storia che — post festum, una volta conclu­ so il divenire storico — lo interpreta in maniera unitaria, e acquisisce così coscienza di ciò che lo Spirito Assoluto avrebbe prodotto in modo inconscio. Si tratta di una in­ terpretazione del passato ma non del presente e del fu­ turo e, pertanto, non supera la dualità tra teoria e prassi. Riappare qui, ancora una volta, la critica di Marx a tutta la filosofia speculativa nelle Tesi di Feuerbach. 3. T O T A L IT À E M ETO D O D IA L E T T IC O

Nonostante i suoi limiti, Hegel ha fornito gli istru55

menti che permettono all’uomo di prendere le redini del­ la storia e di non trovarsi trascinato in un mulinello di fatti immediati ed incomprensibili. Questi strumenti, rac­ colti da Marx, sono la categoria della totalità ed il meto­ do dialettico, che in Lukàcs, formano una unità. Si tratta di essere i padroni della storia e non di dare una spiegaz:one del passato come quella degli storici che, mediante schemi o sistemi concettuali astratti, si limitano a raccogliere, ordinare ed analizzare, da spettatori, una massa di fatti empirici colti nella loro immediatezza (cfr. pag. 204). Essi si muovono ancora nell’ambito della co­ scienza immediata — quella dell’uomo comune — in cui si distinguono il mondo e l’io, l’oggetto ed il soggetto, l’es­ sere ed il pensiero, il contenuto e la forma della conoscen­ za. Per arrivare alla verità, secondo Hegel, si dovrebbe su­ perare questo ambito fino a raggiungere un sapere riflessi­ vo in cui appaia la identità del tutto ed il superamento di quelle opposizioni. In realtà quella coscienza immedia­ ta dell’uomo che considera le cose come indipendenti da lui è già una coscienza mediata, è una elaborazione dell’og­ getto realizzata dall’uomo in maniera inconscia. Secondo una formula dello stesso Hegel: « non esiste un sapere immediato. Un sapere è immediato quando non abbiamo coscienza della mediazione, ma esso è immediato » 38. Si tratta, quindi, di non restare prigionieri di una immediatezza apparente in cui i fatti ci si impongono senza nessi tra loro, come qualcosa di irrazionale dato, ma di rag­ giungere una visione mediata dei fatti che ci conduca alla vera immediatezza: l’azione umana. Così Lukàcs dice: « l’uomo può scoprire se stesso come nucleo e fondamen­ to delle relazioni cosalizzate solo in ed attraverso il rifiu­ to della loro immediatezza » (pag. 233). La strada per su­ perare l’immediatezza è la genesi, generazione o costruzio­ ne dell’oggetto: generare la realtà in maniera cosciente. Per questo scopo è necessario, a sua volta, che tutte le ca­

38 G. G. F. H egel, Filosofia

d e lla

religione, in W e r k e , XI,

pag. 158-159 (citato da Lukàcs alla pag. 215 dell’edizione italiana). 56

tegorie in cui è strutturata la esistenza umana appaiano come determinazioni di quell’esistenza e che si capti il nes­ so tra quelle categorie come caratteristiche strutturali del presente e del divenire (cfr. pag. 210). Risulta sospetto — persino nella formulazione quasi contraddittoria — questo tentativo di raggiungere una « immediatezza reale » che sarebbe proprio il frutto della mediazione; di certo, non si tratta di qualcosa di veramen­ te immediato, se è il risultato di una mediazione. Qui av­ viente qualcosa di simile -al famoso « inizio » {Agfang) hegeliano: arriva sempre tardi, poiché quando il soggetto decide quale è l’inizio, in realtà ha cominciato già da tem­ po a conoscere. Ma, inoltre, si presenta l’obbiezione di do­ ver essere la volontà a decidere quale dei risultati dell’o­ perazione mediatrice sia veramente immediato; e l’aspet­ to più curioso di tutto il processo è che ciò che è vera­ mente « immediato » sia proprio l’uomo e, per Lukàcs, i rapporti economici tra gli uomini; tutto ciò, per di più, inteso come escludente di qualsiasi altro fondamento. Tutta la visione della storia che Lukàcs presenterà neil’Estetica partirà anch’essa da questo schema prescel­ to: l’arte, attraverso i secoli, va abbandonando le media­ zioni antropomorfiche per arrivare, con il marxismo, alla riproduzione artistica di ciò che è realmente immediato, ossia i rapporti di produzione. Questa visione unitaria della storia richiede che le cose siano studiate dal punto di vista della totalità. Il concetto di totalità è un punto chiave di tutta la costruzione lukacsiana. Questa categoria gli serve per cri­ ticare la concezione capitalistica e quella del materialismo volgare. La dialettica è una interpretazione della realtà data anche da Hegel: « ciò che è reale è necessario in sé. La necessità consiste in ciò: che la totalità è divisa nelle differenze concettuali, e che questa cosa divisa dà una stabile e perdurante determinatezza, che non è morta, ma

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si produce sempre nella scomposizione » 39. Secondo Lukàcs, la conoscenza del processo storico come totalità porta alla scoperta delle forme strutturali mediante cui avviene l’incontro tra l’uomo ed il suo mon­ do circostante. Solo con l’integrazione dei fatti della vita sociale ad una totalità, come momenti dello sviluppo stori­ co, risulta possibile la conoscenza reale dei fatti. E ’ opportuno notare che una certa ansia di sapere totale appartiene all’intelligenza, che non riposa altro che con la piena evidenza. Tuttavia, questa esigenza viene ri­ dotta dai marxisti ad un piano che non è quello della cono­ scenza dell’essere, a un livello in cui è possibile solo come totalità di coscienza. L’unico Tutto assoluto che esiste è l’Es­ sere Sussistente, Dio, che è Pienezza e totalità d’essere40. L’universo intero non è il Tutto, ma partecipazione d’esse­ re e anche questa non riusciamo a conoscerla esauriente­ mente nell’ambito fisico, e ancor meno in quello umano in cui ogni decisione umana è qualcosa di nuovo e di ori­ ginale, poiché la libertà non è una finzione. L’istanza di totalità trova quindi una risposta nella metafisica dell’es­ sere41 in cui gli enti sono per partecipazione del Tutto (Dio), cui nulla sottraggono e con cui non si confondono42; questa vera dialettica metafisica, che porta alla più pro­ fonda conoscenza di ciò che sono le cose, non esime poi dalla progressiva conoscenza della realtà nei suoi partico­ lari e non elimina neppure la libertà.

39 G. G. F. H egel, L in e a m e n ti d i filo s o fia d e l d i r i t t o , a cura di F. Messineo, ed. Laterza, Bari, 1954, pag. 373. 40 « Sicut autem omnis nobilitas et perfectio inest rei secundum quod est, ita omnis defectus inest ei secundum quod aliqualiter non est. Deus autem, sicut habet esse totaliter, ita ab eo totaliter absistit non esse: quia per modum per quem habet aliquid esse, deficit a non esse» (S. T ommaso , C . G ., lib. I, c. 28). 41 Le linee essenziali di una metafisica della totalità si posso­ no trovare in C. Cardona, M e ta fis ic a d e la o p c ió n in te le c tu a l, op. cit., pagg. 52-78. 42 « Deus non est aliqua pars universi, sed est supra totum universum, praehabens in se eminentiori modo totam universi perfectionem » (S. T ommaso , S u tn m a T h e o lo g ia e , I, q. 61, a. 3 ad 2). 58

In Lukàcs, invece, la pretesa di totalità tocca, da una parte, la situazione metafisica di fondo in quanto, dal punto di 'usta della totalità, per lui tutto è storia econo­ mica, mentre, dall’altra, questa riduzione lo porta a pen­ sare di aver scoperto un corso necessario della storia; nega così la libertà (sminuita ad una semplice « coscienza di ne­ cessità ») e apre la strada ad innumerevoli interpretazioni aprioristiche dei fenomeni storici. Marx e Lukàcs, sulla scia di Hegel, immaginano un tutto in cui sono assorbiti gli elementi parziali, perfetta­ mente collegati gli uni agli altri e che si vanno verificando con una rigida necessità. Lukàcs pretende che l’applicazio­ ne della categoria della totalità non è qualcosa di sogget­ tivo, un modo di valutare, ma la manifestazione della strut­ tura propria degli oggetti stessi (cfr. pag. 214); questa af­ fermazione, però, non cambia il carattere di costruzione teorica dalla sua visione marxista. Per Lukàcs, la totalità costituisce l ’essenza del meto­ do che Marx ha preso da Hegel: l’affermazione di Marx secondo cui « i rapporti di produzione di ogni società for­ mano un intero » 43 costituisce la premessa metodologica e la chiave della conoscenza storica dei rapporti sociali (cfr. pag. 13). Tuttavia è opportuno notare che questa concezione del mondo come totalità nel pensiero marxista è accompagnata da un fenomenismo, anche se Lukàcs cer­ ca, in un certo senso, di non cadervi. Ma il problema con­ siste allora nel sapere che senso ha parlare di un intero organico e strutturato di fenomeni che si riducono a sem­ plici apparenze. Non sembra possibile giustificare una leg­ ge — un senso della storia — che regoli l’articolazione dei fenomeni nell’interno del tutto socio-storico. Affinché Lu­ kàcs vada al di là delle semplici affermazioni, sarebbe ne­ cessario precisare i concetti di fenomeno e di realtà44. *

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43 K. M arx, Miseria della filosofia, trad. it. a cura di F. Ro­ dano, Ed. Rinascita, Roma, 1950, pag. 89. 44 Cfr. C. F abro, Feuerbach . . . . cit., pagg. LXXI-LXXII. 59

Il metodo dialettico non sarebbe altro che la appli­ cazione della categoria di totalità; ossia, consiste non nel cercare di individuare ed analizzare i fenomeni sociali — produzione, distribuzione, consumo, ecc. — , ma nel vedere in tutti questi elementi dei membri di una totalità. Non basta, ad esempio, vedere la interazione tra i fenomeni so­ ciali, considerati come oggetti immodificabili, ma bisogne­ rà vedere il rapporto dei fenomeni con il tutto. Tenendo presente quest’obbiettivo e supponendo che la totalità si identifichi con l’accadere sociale, si cercherebbe la funzione di ogni elemento nella totalità, si andrebbero eliminando le maschere cosificate che nascondono il vero nucleo dei fenomeni ed apparirebbe l’autentico sfondo: i rapporti degli uomini tra loro (cfr. pag. 14-20). Nella borghesia appaiono le scienze autonome, giacché si isolano gli aspet­ ti della totalità; al contrario, nel marxismo non vi è spa­ zio per le scienze autonome, perché domina il punto di vista della totalità. Con la sua insistenza sulla totalità acquistano concre­ tezza le ripetute dichiarazioni di Lukàcs, secondo cui la ortodossia nel marxismo si riferisce solo al metodo. Quest’insistere sul metodo, sul « metodo rivoluzionario », era anche proprio del marxismo ufficiale che aveva condan­ nato Lukàcs, e dell’ala revisionista costituita dalla socialdemocrazia che egli aveva tenacemente combattuto. Tutti affermavano che la ortodossia marxista consiste nel meto­ do; Lukàcs concretizza questa affermazione nella totali­ tà, fino al punto di affermare che « ciò che distingue in modo decisivo il marxismo dalla scienza borghese non è il predominio delle motivazioni economiche nella spiega­ zione della storia, ma il punto di vista della totalità » (pag. 35), e che « il dominio della categoria della totalità è il veicolo del principio rivoluzionario nella scienza » (pag. 36). Nell’autocritica contenuta nella Prefazione, Lu­ kàcs riconosce che nella Storia e coscienza di classe « si tenta di rendere intellegibili tutti i fenomeni ideologici a partire dalla loro base economica, ma l’ambito dell’eco­ nomia viene tuttavia ridotto, essendo ad esso sottratta la sua categoria marxista fondamentale: il lavoro come me60

diatore del ricambio organico della società con la natura » (pag. XVII). Più oltre ci occuperemo dell’assioma secondo cui solo il proletariato può raggiungere la totalità; per ora cer­ chiamo di determinare meglio una caratteristica fondamentale di quella totalità: il divenire. Si tratta della tota­ lità hegeliana nel suo farsi costante. Questo punto è im­ portante affinché non resti nulla di fisso e di stabile che ponga le sue condizioni all’uomo ed al suo agire. Lukàcs riconosce l’origine hegeliana di questa visione e la conti­ nuità tra Hegel e Marx: « Se ora il divenire — per usare la terminologia hegeliana — si presenta come la verità delle cose, ciò significa che alle tendenze di sviluppo della storia spetta un più alto grado di realtà che ai ’’fatti” della mera empiria » (pag. 239). Questa differenza tra « fatti » e « tendenze », con la priorità delle ultime, in Marx ha una importanza capitale, poiché in essa si fonda « l’idea metodologica fondamentale del suo capolavoro: la ricon­ versione degli oggetti economici come cose in rapporti concreti che si trasformano processualmente » (pag. 241). Quel che interessa, quindi, è conoceré le tendenze piutto­ sto che i fatti; ciò che è sostanzile sarebbero le tendenze, e l’aspetto accidentale, i fatti che « non sono altro che parti, momenti del processo complessivo che sono stati se­ parati, irrigiditi ed isolati artificialmente » (pag. 243). In virtù di questo metodo scompare la fissità del­ le forme soc'ali che aveva provocato negli storici la falsa impressione che la vita sociale fosse retta da leggi natura­ li ed eterne. Da ciò erano sorte diverse difficoltà: la sen­ sazione che le forze motrici della storia dominavano la coscienza psicologica degli individui; la difficoltà di spie­ gare i cambiamenti delle forme sociali. Marx aveva risol­ to questi problemi, quando aveva spiegato che i « fatti rigidi » in realtà non sono altro che i rapporti da uomo a uomo, concretizzati in un momento storico e con una og­ gettività relativa solo a quel momento, non con una va­ lidità universale. Come si vede, queste affermazioni di Lukàcs tendo­

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no a provocare la coerente illusione che tutto sarebbe un prodotto dell’uomo e che tutto il divenire storico gli sa­ rebbe sottomesso. Questa illusione arriva ad avere una ap­ parenza di verosomiglianza, solamente ove si postuli una riduzione dall’essere delle cose al fare o al farsi, dall’erre al fieri*5. Il rifiuto dell’essere proposto dalla filosofa cartesia­ na si converte qui in delitto consumato con fredda chia­ roveggenza. Ancora più chiaramente che in Descartes, si postula l’uomo come creatore. Con la riduzione dell’essere al fare o prassi, della realtà a storia temporale, dei fatti a processi, Lukàcs consegue il miraggio dell’uomo come au­ tocreatore; l’uomo, in effetti, gode di capacità attiva: può fare e, in un certo senso, fare anche se stesso in quanto raggiunge, mediante le sue libere azioni, la perfezione cui è ordinato; tuttavia non può fare che qualcosa sia, ma solo trasformarla. L’illusione proposta esige la eliminazione del­ l’essere, in modo che l’uomo resti come causa unica e to­ tale. Naturalmente questa operazione intellettuale implica una violenza all’intelletto e alla volontà. Concretamente richiede la negazione dell’evidenza prima della realtà, di ciò che è, che è il primo conosciuto e quello in cui si ri­ solvono le altre conoscenze4546; richiede pertanto che venga messa a tacere la domanda che sorge spontanea sull’esse­ re del farsi. Il fieri puro senza essere non ha alcun senso e significa un ritorno ad un mobilismo assoluto, sul tipo di Eraclito, ma di conio antropocentrico. Se non vi è essere,

45 « Esse autem est causatum primum: quod ex ratione suae communitatis apparet. Causa igitur propria esserteli est agens pri­ mum et universale, quod Deus est. Alia vero agentia non sunt causa essendi simpliciter, sed causa essendi hoc, ut hominem vel album. Esse autem simpliciter per creationem causatur, quae nihil praesupponit: quia non potest aliquid praeexistere quod sit extra ens smpliciter. Per alias factiones fit hoc ens vel tale: nam ex en­ te praeexistente fit hoc ens vel tale. Ergo creatio est propria Dei aedo». S. T ommaso , C. G., lib. II, c. 21. 46 S. T ommaso , De V entate, q. 1, a. 1: « Illud quod primo intellectus concipit quasi notissimum et in quo omnes conceptiones resolvit est ens ». 62

allora pure il divenire sociale è nulla. La pretesa opposizione tra fatti e tendenze si verifi­ ca solo dal punto di vista antropocentrico adottato da Lu­ kàcs. In realtà non si oppongono, ma costituiscono ele­ menti diversi della realtà: l’essere è il fondamento e, per­ tanto, il soggetto che ha l’essere — l’ente — ha il pri­ mato; il farsi ed il divenire presuppongono qualcosa che abbia l’essere. Ecco perché la causalità del fieri presuppo­ ne, ed è a sua volta causata dalla causa dell’essere; la cau­ sa seconda esercita la sua casualità in virtù della causa prima. Dopo queste considerazioni possiamo ben intendere come Lukàcs concluda con soddisfazione: « l’uomo si è trasformato così in misura di tutte le cose (sociali) » (pag. 243). La parola sociale, tra parentesi, sembra debba in­ tendersi soprattutto in senso esplicativo: il tutto è la so­ cietà, benché indichi allo stesso tempo che Lukàcs non vuol considerare qui i fatti fisici. « La storia non si pre­ senta più come un accadere enigmatico, che si compie ac­ canto all’uomo ed alle cose, che va spiegato ricorrendo al­ l’intervento di poteri trascendenti, oppure che può essere reso significativo solo nel riferimento a valori che lo tra­ scendono. La storia è invece il prodotto dell’attività dell’uo­ mo, rimasto sia pure inconsapevole fino ad oggi » (pag. 245). Con ciò si acquisisce — dice Lukàcs — « una sem­ pre più chiara consapevolezza della storia come scienza universale » (pagg. 245-246). Ogni problema si trasforma in problema storico, in una questione di storia universale, ma con l’avvertenza — dice Lukàcs — che non si tratta di intendere le forme sociali a partire da una successione storica, bensì di vederle come momenti di una totalità che è divenire. Eccoci di fronte allo storicismo hegeliano in cui non vi è spazio per la separazione tra teoria e storia. Se la real­ tà è divenire puro, la scienza suprema è la storia. Così è stato per Hegel e così è per Marx: « Il metodo filosofico di Hegel, che fu sempre — ed in modo particolarmente stimolante nella Fenomenologia dello spirito — nello stes­ so tempo storia della filosofia e filosofia della storia, non è mai stato lasciato cadere in questo punto essenziale da 63

Marx. Infatti, la hegeliana interpretazione dialettica del pensiero e dell’essere, la comprensione della loro unità co­ me unità e totalità di un processo, forma anche l’essenza della filosofia della storia del materialismo storico » (pag. 44). La continuità segnalata da Lukàcs è certa, sebbene per i marxisti il prezzo della loro maggiore radicalità sia la comparsa di nuove contraddizioni come, per esempio, sostenere che il corso della storia abbia un senso — quan­ do si afferma che è pura materia — o che il divenire sia la verità. Hegel, davanti a questi problemi, sentiva ancora l’esigenza di un Assoluto come fondamento; i marxisti met­ tono in chiaro che questa soluzione non è conseguente ed esprimono, così, più chiaramente le ambiguità ed i punti deboli deH’immanentismo hegeliano. Applicando il metodo dialettico alle tendenze del pre­ sente sarebbe possibile, secondo Lukàcs, conoscere la sto­ ria come processo, senza dover aspettare gli avvenimenti in una prospettiva di lontananza, come qualcosa di tra­ scorso: « in ogni momento correttamente compreso in mo­ do dialettico è contenuta la totalità, da ogni momento si può sviluppare il metodo nella sua interezza » (pag. 224). Affinché questa pretesa di Lukàcs abbia un minimo di ve­ rosimiglianza, bisogna ridurre la libertà a necessità seguen­ do l’esempio di Spinoza e di Hegel, e proprio questo farà Lukàcs. Una pretesa tanto arrogante quanto semplicistica: in realtà, quel che offre Lukàcs, è una interpretazione a priori della storia in cui la libertà è pura finzione o appa­ renza. Se la libertà è una realtà e un rischio, allora non ha senso parlare come Lukàcs, di un corso necessario ed univoco della storia. Lukàcs critica quello che si potrebbe chiamare il positivismo sul piano delle scienze storiche, ma la sua soluzione segue anch’essa una linea storicistica, che ammette qualunque arbitrarietà. La cosa più sorpren­ dente è la pretesa di parlare di un senso della storia senza ammettere qualcosa di Assoluto in rapporto al quale si determini il progresso o l’involuzione. Il suo modo di con­ cepire la storia spiega come Lukàcs si senta così sicuro della visione generale di tutta la storia dell’umanità, e che 64

il compito di conoscere il passato si riduca per lui ad una applicazione della chiave interpretativa utilizzata per il presente: la dialettica della lotta di classe. « Soltanto da questo punto di vista la storia diventa realmente storia dell’uomo. Infatti, in essa non accade nulla che non possa essere ricondotto all’uomo, ai rapporti degli uomini tra loro, come ultimo fondamento d’essere e di spiegazione » (pag. 246). Quest’affermazione di Lukàcs è quasi tautologica, poiché una volta operata la ridu­ zione antropocentrica, tutto è ovviamente prodotto del­ l’uomo. Tutto il suo pensiero appare come lo sviluppo di un punto di partenza postulato. *

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Qualificare antropocentrico il sistema di Lukàcs ri­ sulta troppo generico. Per questo egli stesso si cura di evi­ tare la possibile confusione con altri umanismi. In partico­ lare, critica quell’umanismo che colloca al centro una « na­ tura umana », assolutizzando l’uomo invece di considerar­ lo in maniera dialettica; qualifica tale posizione come re­ lativismo dogmatico perché, in fondo, ammette la natura umana come qualcosa di assoluto. Lukàcs, inoltre, ricono­ sce che una volta abbandonato il terreno dialettico l’asso­ luto costituisce il massimo principio accessibile al pen­ siero, in modo che, su questo piano, Socrate trionfa sui sofisti. Secondo Lukàcs si tratta, quindi, di non abbandonare la dialettica, poiché « solo la dialettica storica crea una situazione radicalmente nuova » (pag. 248). Come si vede, in questo punto così fondamentale Lukàcs si trova in un equilibrio quanto mai instabile e cerca di evitare le con­ fusioni che lo circondano. In effetti, dal punto di vista del rigore intellettuale non si vede come sia possibile com­ binare il suo umanesimo con la negazione radicale di una natura umana e con la affermazione che non bisogna assolutizzare l’uomo. Lukàcs, di fatto, afferma ad ogni pas­ so che l’uomo è il fondamento di sé e di tutto il resto, e postula per l’uomo delle caratteristiche proprie di Dio: identità tra teoria e pratica, indipendenza assoluta, ecc. 65

Facendo ricorso all’aggettivo « dialettico » pensa di evi­ tare il dogmatismo; ma in realtà nega unicamente la con­ siderazione metafisica e afferma l’essere dell’uomo come atto di coscienza, come rapporto costitutivo dell’uomo con la natura e con la storia; questo rapporto è il fondamento che non necessita di altro fondamento47; con ciò non si arriva ad un realismo, ma solo ad una visione immanen­ tistica sempre più pragmatica, in cui l’unica cosa che conta è la soluzione delle necessità materiali. Il rapporto che, per sua stessa natura, è un accidente che richiede dei ter­ mini ed un fondamento48, viene innalzato a sostantivo49, intorno a cui ruotano, come qualcosa di secondario, gli estremi del rapporto: l’uomo, la natura e gli altri uomini. Anche in questo caso Lukàcs sostiene la negazione della natura umana proclamata da Marx nelle Tesi su Feuerbach (cfr. pag. 250). Lukàcs si sofferma poi a distinguere la sua posizione da quel che si potrebbe chiamare un umanesimo religioso. In pratica ritiene che il cristianesimo lasci intatta la real­ tà empirica, invece di dominarla, e concepisca l’uomo come un « santo » che deve consumare il superamento interno della realtà esterna, che, in questo modo, è insuperabile. Questa non è secondo Lukàcs, una vera soluzione umani­ sta, poiché nega la « autentica umanità » alla grande mag­ gioranza degli uomini che, essendo incapaci di realizzare quell’ideale, restano esclusi da quel riscatto in cui l’uomo verrebbe ad essere veramente uomo. L’umanesimo di Lukàcs è essenzialmente ateo. Lo dimostra chiaramente la sua ansia di distinguere netta47 Cfr. C. F abro, Feuerbach . . . , cit., pagg. XIX-XX. 48 « Relatio non habet esse naturale nisi ex hoc quod habet fundamentum in re, et ex hoc collocatur in genere » (S. T omma­ so , In I Sent., d. 26, q. 2, a. 2, ad 4); « Omnis relatio realiter in rebus creatis existens acquiritur ex aliquo quod est diversum ab ipsa relatione, sicut aequalitas a quantitate, et similitudo a qualitate » (De Potentia, q. 3, a. 3, ob 7). 49 Non è superfluo segnalate che anche quest’assolutizzazione della relazione è un’usurpazione di una esclusiva di Dio, dato che solo in Lui avvengono rapporti identici all’essenza. 66

mente il marxismo da altre posizioni che — secondo lui — potrebbero somigliargli: il cristianesimo e gli utopismi rivoluzionari. Ambedue sono insufficienti perché accetta­ no una natura umana e negano, quindi, che l’uomo è il fondamento di se stesso. Il nesso visto da Lukàcs tra l’ammettere una natura umana ed il negare che l’uomo è il fondamento di se stes­ so è esatto50; l’errore risiede nella valutazione negativa che Lukàcs dà di questa realtà. L’elaborazione intellettua­ le di Lukàcs è orientata verso il conseguimento del domi­ nio completo del decorso storico da parte dell’uomo. Ecco il perché della sua reiterata critica a quanti accettano, in un modo o nell’altro, delle leggi fisse nell’ordine sociale od una natura umana immutabile. L’atteggiamento di Lukàcs è di ribellione dinnanzi alla limitazione dell’uomo in quanto creatura. Egli cerca di sopprimerla con le sue costruzioni, con una notevole dose di euforia rivoluzionaria che manca, per esempio, nel marxismo pessimista di Sartre51. Lukàcs — contraria­ mente alle illusioni di certi cristiani sul dialogo con i marxi­ sti — è conscio del fatto che il marxismo si oppone a qualsiasi religione. Così, ad esempio, dichiara che: « quan­ do Ernst Bloch pensa che in questo legame della sfera re­ ligiosa con un elemento rivoluzionario dal punto di vista economico-sociale si possa trovare una via per l’approfon­ dimento del materialismo storico « puramente economi­ co », non si rende conto che in questo modo egli trascura proprio l’effettiva profondità del materialismo storico »

50 S. Tommaso lo esprime cosi: « Quicquid est causatum se­ cundum aliquam naturam, non potest esse prima causa illius na­ turae, sed secunda instrumentalis. Sortes enim, quia habet suae humanitatis causam, non potest esse prima humanitatis causa: quia, cum humanitas sua sit ab aliquo causata, sequeretur quod esset sua ipsius causa, cum sit id quod est per humanitatem. Et ideo oportet quod generans univocum sit quasi agens instrumentale respectu eius quod est causa primaria totius speciei » (C. G., lib. II, c. 21). 51 Vid. G. Sanguineti, J. P. Sartre: Critica della ragione dia­ lettica e Questione di metodo, « Prospettive », Collana critica di opere filosofiche scelte, Ed. Japadre, L’Aquila, 1976. 67

(pagg. 253-254). Anche gli utopismi rivoluzionari sono insufficienti, perché lasciano intatta la realtà empirica; il marxismo, invece, modifica la realtà, poiché cambia la co­ scienza che l’uomo ha di essa. 4 . IL PUNTO DI VISTA DEL PROLETARIATO

Quanto si è detto sinora si può comprendere in modo veramente reale, secondo Lukàcs solo dal punto di vista del proletariato perché, solo l’operaio giunge all’autoco­ scienza di essere trattato come una semplice merce e così arriva a rendersi conto della vera realtà della società ca­ pitalistica. Il capitalista, nella sua apparente attività, non si rende conto di essere egli stesso null’altro che un sem­ plice elemento nel movimento delle merci. L’operaio in­ vece, in virtù della sua situazione, è portato ad accorgersi che il modo di produzione capitalistica lo trasforma in pu­ ro e semplice oggetto del processo di produzione e che, pertanto, la visione dei borghesi è una astrazione le cui conseguenze ricadono sul lavoratore. Abbiamo già osservato come questa affermazione sia estremamente gratuita poiché, di fatto, il proletariato non ha creato il pensiero marxista; deve esservi, invece, educa­ to continuamente, poiché, data l’innaturalità di tutta la costruzione non lo afferra compiutamente. D ’altra parte, però, bisogna notare che, paragonato alla profondità del­ l’autentica conoscenza metafisica dell’essere, il marxismo è uno schema semplicistico che permette una rapida assi­ milazione, almeno per quanto riguarda le sue linee fon­ damentali. Proseguendo la sua esposizione, Lukàcs aggiunge che la autocoscienza dell’operaio, che gli consente di scoprir­ si come merce della società capitalistica, equivale a svelare la realtà autentica in modo pratico, ossia si tratta di una conoscenza che trasforma lo stesso oggetto conosciuto: « questa sua conoscenza realizza una modificazione ogget­ tuale, strutturale, nel suo oggetto » (pag. 223). L’operaio può ottenere questa conoscenza perché in lui, a differenza di quanto avviene nel burocrate, la reifi­ 68

cazione non è riuscita a trasformare in merce la sua stessa « essenza spirituale umana ». Solo osservando le condi­ zioni sociali proletarie, Marx sarebbe arrivato a individua­ re in maniera realistica « la verità come soggetto » annun­ ciata da Hegel, il vero soggetto della storia che sarebbe il proletariato. Esiste quindi uno stretto rapporto tra l’analisi della merce, come maschera o feticcio che nasconde la realtà, l’autoconoscenza del proletariato. Questi due elementi co­ stituiscono la radice del nucleo marxista e in essi Lukàcs vede la realizzazione della pretesa conoscenza di tutto il corso e direzione della storia, esclusivamente a partire dal­ l’analisi delle tendenze operanti nel presente. Perciò affer­ ma che « si potrebbe dire, forse con la stessa legittimità, che il capitolo sul carattere di feticcio della merce cela in sé tutto il materialismo storico, l’intera autoconoscenza del proletariato come conoscenza della società capitalistica (e delle società anteriori considerate come gradi rispetto ad essa) » (pag. 224). In questa visione di Lukàcs appare una radicale in­ versione dell’autentica conoscenza di totalità. In effetti, quello che l’uomo può conoscere in ogni momento è la sua situazione metafisica di creatura che fa parte di un uni­ verso creato e che ha un’anima spirituale capace di diriger­ si e di amare liberamente il Fine Ultimo che è Dio o re­ spingerlo, costituendosi in precario fine di tutte le cose. Questa conoscenza sapienziale di totalità è accessibile a tutti gli uomini ed in ogni momento; attraverso essa, si afferra il senso della vita umana nella storia come libera risposta ai doni ricevuti da Dio, Prima Causa. Questa è la vera conoscenza naturale che l’uomo raggiunge attraverso la spontanea accettazione dell’essere delle cose e che viene potenziata gratuitamente da Dio mediante il dono sovran­ naturale della fede. Ma questa conoscenza non si arroga in alcun modo una comprensione assoluta e totale della sto­ ria, perché questa è frutto di una libertà vera e non del determinismo. Abbiamo parlato prima del fatto che per Lukàcs il « sapere mediato » che supera la falsa immediatezza, si 69

raggiunge solo con l’adozione del punto di vista della to­ talità. Lukàcs, d’altra parte, cerca di raggiungere l’identi­ tà tra soggetto ed oggetto e di trovare un soggetto che generi l’oggetto; non di un oggetto qualsiasi, ma della « totalità ». Ecco perché Lukàcs individua il soggetto pro­ duttore della verità — la verità come soggetto — nella « classe » sociale: « soltanto la classe può penetrare me­ diante l’azione la realtà sociale e modificarla nella sua to­ talità » (pag. 51). In virtù della postulata identità tra soggetto ed og­ getto « la totalità dell’oggetto può essere posta soltanto se il soggetto che lo pone è esso stesso una totalità » (pag. 37); si tratta, quindi, dell’esigenza di una totalità come oggetto posto e come soggetto che pone (cfr. pag. 38). Questo ragionamento ha una certa coerenza formale, anche se sorprende immediatamente per la sua mancanza di adeguamento alla realtà; tuttavia il pensiero di Lukàcs si illumina a partire dal cogito che si è andato manifestan­ do sempre più come un « voglio », come « volontà di po­ tere » (Nietzsche)52. Il marxismo cerca di realizzare quel dominio assoluto della terra e trova il mezzo per conse­ guirlo nell’uniformità organizzata della classe, anche se per questo ipotetico dominio deve pagare un prezzo elevato: la perdita della libertà e la dissoluzione completa nella « classe ». L’ansia di trascendenza che Hegel soddisfaceva sen­ tendosi parte dell’Assoluto, Lukàcs la vede realizzata nel­ l’appartenenza ad una classe ed al « genere umano »; una ben misera trascendenza, se si pensa che è la stessa che raggiungono anche gli animali, il cui fine si esaurisce nel bene della specie. Per Hegel, « infatti la verità consiste nel non atteg­ giarsi nell’oggetto come verso qualcosa di estraneo », ma — secondo Lukàcs — lo stesso Hegel ha realizzato tale comportamento solo nell’ambito della pura logica, « nel

52 Cfr. C. F abro, L ’avventura della teologia progressista, Ru­ sconi, Milano, 1974, pag. 181. 70

pensiero liberato da ogni rapporto concreto con l’essere, nella logica » (pag. 268). Ma quel che Hegel non poteva raggiungere, è nelle mani del proletariato che, costituendo una « classe », può realizzare una azione in cui l’uomo non trova limiti. Orbene, tale conoscenza-prassi del proletariato è esat­ ta, perché s: tratta dell’unica classe in cui la conoscenza di sé coincide con la conoscenza della totalità: il proleta­ riato sarebbe soggetto ed oggetto della propria conoscen­ za e della società, sarebbe il « soggetto del pensiero della società» (pag. 51) e, allo stesso tempo, avrebbe un peso sufficiente da poter prendere le redini del divenire, elimi­ nando così l’impotenza delle ideologie e delle classi socia­ li che accettano il fatalismo delle leggi economiche e si ac­ contentano di propugnare un’etica di pure intenzioni (cfr. pag. 51). *

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Da queste considerazioni è andato emergendo il con­ cetto di « coscienza di classe » cui Lukàcs dedica uno dei saggi. Ogni uomo avrebbe un tipo di coscienza a seconda del suo posto nel processo produttivo; Lukàcs precisa, pe­ rò, che ad ogni classe o gruppo corrisponde de iure un ti­ po di coscienza consono a tale posto. Al proletariato cor­ risponde de iure una coscienza corretta — benché, di fat­ to, non tutti i proletari la abbiano — perché può appren­ dere la totalità sociale. Al contrario la borghesia, proprio per la sua situazione, ha una coscienza falsa, ma, analoga­ mente al proletariato, è una classe destinata al potere, per­ ché anch’essa può organizzare tutta la società a partire, o in funzione, dei suoi interessi, seppur con minor lucidi­ tà e coscienza storica. Vale la pena di notare come Lukàcs veda tutta l’aLa borghesia ebbe, all’inizio, una coscienza sbagliata sto modo le sue forze si vanno sminuendo,perde la coscienzione umana, dei borghesi e dei proletari, come frutto od espressione dell’egoismo, senza lasciare spazio alcuno ai fini specificatamente umani e nobili: fare le cose per 71

amore di Dio, Principio e Fine di tutto l’essere, e per ser­ vire gli altri. Non vi è spazio per l’amore in un pensiero fondato sul primato della negatività che è il motore della dialettica. Negando l’esperienza quotidiana, Lukàcs vede l’individuo come semplice elemento di una classe, sotto­ posto alla forza dell’egoismo che non è evitabile né si deve evitare. Lukàcs si limita a sostituire quel che si potrebbe chiamare un egoismo privato — della « borghesia » — con un egoismo delle pretese di totalità. La coscienza del proletariato non è altro che l’espres­ sione di una necessità storica: « Il proletariato ’’non ha nessun ideale da realizzare” . ( . . . ) Infatti, essa stessa non è altro che la contraddizione divenuta cosciente dello svi­ luppo sociale » (pag. 234). Lukàcs vede arrivata l’ora dell’umanesimo: solo ora che, con il proletariato, il nucleo dell’essere è stato scoper­ to come « divenire sociale », l’essere può apparire come prodotto, finora incosciente, dell’attività umana e questa attività può apparire come Yelemento determinante della trasformazione dell’essere (cfr. pag. 26). La borghesia ed il proletariato sono le due uniche classi « pure », perché cercano di dominare tutta la socie­ tà. La piccola borghesia, invece, non guarda alla società come totalità ed è solo una classe intermedia che tende ad attenuare le differenze. C’era da aspettarsi questa os­ servazione tipica del marxismo, che tende a semplificare la realtà secondo lo schema dei poli estremi della dialettica. Secondo questo stesso schema gli agricoltori avrebbero di fatto una coscienza inadeguata ed opposta ai loro pro­ pri interessi. La borghesia ebbe, all’inizio, una coscienza sbagliata; ma, nella misura in cui il suo ordinamento sociale genera il proletariato ed una evidente lotta di classe, comincia a nascondere questa realtà e lotta per falsare non solo la sua coscienza, ma cerca anche di fare in modo che le altre clas­ si non acquisiscano una chiara coscienza della loro situa­ zione. Lukàcs, con entusiasmo messianico, pensa che questa coscienza falsata sminuisce la forza della borghesia, perché 72

ormai « non crede più in buona fede » nella sua missione storica come avveniva invece nella lotta contro il feudale­ simo. Lukacs considera la storia ideologica della borghe­ sia come una lotta disperata contro la comprensione della vera essenza della società che essa stessa ha creato, e con­ tro i pochi borghesi che accettano tale conoscenza. In que­ sto modo le sue forze si vanno sminuendo, perde la coscien­ za di classe, va ponendo riparo alla situazione come può, ad esempio, con una economia pianificata che Lukacs giu­ dica — con notevole semplificazione — una capitolazione della coscienza di classe borghese di fronte al proletariato. Lukacs, nella sua euforia, vede il proletariato diriger­ si al potere mediante 1’« arma decisiva »: la « verità sull’es­ senza della società ». Tuttavia è preoccupato per l’offu­ scamento del carattere dialettico della coscienza proleta­ ria, come è avvenuto per i marxisti volgari e i socialdemo­ cratici, definiti « socialtraditori ». Non basta avere coscien­ za di merce; tale coscienza deve essere dialettica, ossia una coscienza in cui non vi sia separazione tra teoria e prassi, tra soggetto ed oggetto. Questa coscienza è la verità inte­ sa in modo hegeliano come divenire storico, la « verità del processo come soggetto » (pag. 53). In essa la totalità co­ nosce se stessa e si attua in modo che il proletariato di­ venta il portatore del processo dialettico della coscien­ za (cfr. pag. 234). ★

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La maniera dialettica di intendere la coscienza di clas­ se costituisce uno dei punti caratteristici della posizione di Lukacs nell’ambito del marxismo. Egli ripete più volte le sue affermazioni, cercando di eliminare ogni visione etica che consisterebbe nel conoscere la società, nel dia­ gnosticarne le deficenze rispetto ad un ideale e nel porre i mezzi per migliorare la situazione. Per Lukacs quésta soluzione costituisce il rifugio degli uomini che sono im­ potenti a dominare e assoggettare tutta la realtà; equivar­ rebbe a concedere un primato all’essere sul pensare, alla contemplazione sull’azione, alla realtà sul metodo; in de­ finitiva vorrebbe dire accettare nuovamente la metafisica (cfr. pag. 5). 73

Non si tratta, dunque, di conoscere e poi agire. Un’ap­ plicazione pratica può aiutare a comprendere la posizione di Lukàcs: il proletariato agisce in quanto conosce la pro­ pria situazione, e conosce la propria situazione in quanto lotta contro il capitalismo (cfr. pag. 52). Se dimentichia­ mo per un attimo il circolo vizioso della precedente af­ fermazione, è caratteristico del metodo dialettico mante­ nere questa tensione tra due affermazioni opposte senza concedere un primato all’una sull’altra. L’equilibrio tut­ tavia è instabile. Ecco perché il materialismo ha accettato la teoria della conoscenza come un riflesso nel cervello dei processi materiali, per assicurare in qualche maniera il « realismo ». Tale è la posizione di Engels nel suo Antidühring (1878) e di Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo (1909), che Lukàcs qualifica di materialismo volgare: « Rickert definì una volta il materialismo un platonismo di segno rovesciato. A ragione. Infatti, finché il pensiero e l’essere mantengono la loro vecchia e rigida contrapposi­ zione, finché essi restano immodificati nella struttura loro propria, ed in quella dei loro reciproci rapporti, la conce­ zione secondo la quale il pensiero è un prodotto del cer­ vello e concorda perciò con gli oggetti dell’empiria, non è meno mitologica di quella della rimemorazione e del mon­ do delle idee » (pag. 266). La polemica è diretta in particolare contro Engels; lo accusa di non aver compreso bene la funzione della teo­ ria, perché ha dimenticato l’interazione più essenziale: « il rapporto dialettico tra soggetto ed oggetto nel pro­ cesso storico » (pag. 4). In questo modo la dialettica ces­ serebbe di essere rivoluzionaria e non porterebbe ad una modifica della realtà. Per Lukàcs questo è decisivo, dato che la prima cosa da comprendere è che « la dialettica ma­ terialistica è una dialettica rivoluzionaria » (pag. 2). Il pun­ to di appoggio della critica di Lukàcs ad Engels sarebbe co­ stituito dalla conversione della filosofia in prassi realizzata da Marx nelle sue Tesi su Feuerbach (cfr. pag. 267). Tutta questa polemica costituisce il nucleo caratteristi­ co della posizione di Lukàcs in Storia e coscienza di classe. 74

( onte abbiamo detto, negli anni successivi abbandonerà la ..uà posizione per adattarsi alla dottrina ufficiale del partito. Nella prefazione del 1967, vede nel suo pensiero giovanile una tendenza « contro i fondamenti dell’ontologia del mar­ xismo » (pag. XVI); in essa si evidenzia una concezione della coscienza del proletariato che non è una « realizza­ zione materialistica che sia in grado di superare le costru­ zioni intellettualistiche idealistiche: si tratta piuttosto di un hegelismo più hegeliano di Hegel » (pag. XXIV). Con altre parole sue: « si rivela l’influenza dell’eredità hegelia­ na non elaborata coerentemente in senso materialistico, e quindi non superata » (pag. XXI). Quest’idealismo si ri­ flette, sempre secondo la sua autocritica, nell’aver negato la conoscenza come riflesso delle cose; nel 1967 invece accetta il primato del conoscere sull’operare, quando so­ stiene che « la praxis può soddisfare la teoria ed esserne il criterio solo perché alla sua base si trova, ontologica­ mente, come presupposto reale di qualsiasi proposizione teleologica reale, un rispecchiamento che si ritiene corret­ to della realtà » (pagg. XXVI-XXVII). Non è facile chiarire compiutamente questo punto, perché tra i marxisti se ne danno diverse interpretazioni Si possono, tuttavia, segnalare alcuni punti salienti. In genere i filosofi che si sono avvicinati al marxismo par­ tendo da Hegel, accentuano la dialettica e non ammettono la conoscenza come riflesso della realtà, allontanandosi co­ sì dal marxismo ufficiale; per esempio J. P. Sartre53, M. Merleau-Ponty54, il marxismo critico di Goldmann o Bloch. Altri, come Lukàcs, hanno finito per rinunciare a quella pretesa identità tra teoria e prassi. Lukàcs critica Engels ma non Lenin, perché il Lenin maturo, dopo lo studio di Hegel, cerca di ridurre l’ecces­ sivo naturalismo della Dialettica della natura di Engels. Tutti e tre, tuttavia, si basano sulle Tesi su Feuerbach di Marx. Queste curiose divergenze sono la manifestazione

53 J. P. Sartre, Critica della Ragione dialettica. 54 M. M erleau-P onty, Les aventures de la dialectique. 75

del fatto che il marxismo tenta un equilibrio, impossibile da un punto di vista rigoroso, tra materialismo e dialetti­ ca. In realtà questi due punti si oppongono e ciò spiega le divergenze all’interno della scolastica marxista, a secon­ da si accentui l’uno o l’altro aspetto. « Il materialismo dia­ lettico manca perciò di un’adeguata dottrina della cono­ scenza: esso nella proporzione in cui si dichiara per il sensismo, per la sensibilità e quindi per l’immediatezza, si allontana dalla dialettica, e nella misura in cui afferma la dialettica, ponendo la verità come ’’risultato” nel senso di negazione dell’immediatezza, si allontana da ciò che è stato detto il fondamento vero, la realtà vera ch’è per de­ finizione la realtà sensibile » 55. Eccoci al nocciolo delle difficoltà filosofiche del mar­ xismo esaminato nei suoi principi. Il marxismo ha risolto il cogito nell’essere umano, sensibile e temporale, perché questo era il seme nascosto nella formulazione cartesiana del principio di immanenza. Tale riduzione si plasma, pe­ rò, in una dottrina che è un intrico di affermazioni assio­ matiche slegate, dispari e addirittura opposte. Queste con­ traddizioni possono passare inavvertite a livello di conce­ zioni economiche, sociali o politiche, ma non a livello di principi56. Non è possibile toccare tutti i punti, ma sarà suffi­ ciente notarne alcuni come, ad esempio, la ambiguità del concetto di materia cui Marx concede attributi contrad­ dittori come si può vedere nei seguenti binomi dai poli opposti: essere-pensiero, energia naturale-spontaneità spi­ rituale, forma umana essenziale-intelligenza, passività-atti­ vità, influsso altrui-l’effetto proprio, sentire e voler-sapere, cuore-testa, oggetto-soggetto, prassi-teoria, uomini-criti­ ci, società reale-universalità astratta, tu-io. La disparità tra le proprietà concesse alla materia è evidente: ad esempio tra passività e forza umana essenziale o tra oggetto e pras­ si, tra cuore ed influsso di un altro. La materia è a volte

55 C. F abro, Feuerbach . . . , cit., pag. LXIV. 56 Ibidem, pag. CXIV. 76

elemento attivo, altre passivo57. Questa stessa ambiguità si presenta nella prima Tesi su Feuerbach, in cui questi viene criticato per non aver concepito l’attività umana come attività oggettiva, come prassi: « Feuerbach vuole oggetti sensibili, realmente di­ pinti dagli oggetti del pensiero: ma egli non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva»58. Il pro­ blema risiede nell’interpretazione di questa « attività og­ gettiva » (gegenständliche Tätigkeit), perché con essa Marx vuol fuggire dal materialismo volgare in cui la cosa è in­ dipendente dal cognoscente, ma anche dall’idealismo che risolve le cose in prodotto di coscienza59. Ecco perché alcu­ ni autori interpretano Marx come un sostenitore di una attività che si orienta a trasformare una realtà previa og­ gettiva, riducendo la sua posizione ad una conoscenza pra­ tica, mentre altri, come il Lukàcs giovane, tendono a sot­ tolineare l’aspetto maggiormente idealista di attività crea­ trice o di conoscenza che produce l’oggetto. La difficoltà risiede nei vari aspetti che Marx pretende di unificare in quella attività umano-sensibile60. Lukàcs piuttosto che insistere sulla materia in gene­ re, si concentra sulla considerazione della realtà sociale come un insieme di rapporti di produzione materiale. La­ scia nell’ombra la sua concezione dell’uomo e della mate­ ria. Questa oscurità è fondamentale per poter sfuggire al­ le incompatibilità tra materia e ragione dialettica (ossia alle contraddizioni insite nell’identificazione della materia con il processo dialettico della ragione discorsiva) e per poter difendere il materialismo utilizzando surrettiziamente alcuni tratti spirituali dell’uomo (la mediazione della co­ 57

I b id e m ,

pagg. XLVIII-XLIX.

58 K. M arx, T e s i su F e u e rb a c h , cit., pag. 81. 59 Cfr. C. V aiani, L ’a b b ild -th e o r ie . . . , cit., pagg. 24-27. 60 « Il s’agit de l’activité de l’homme sensible, l’activité humaine-sensible, de celle qui se manifeste dans ce tout qu’est l’homme agissant dans la nature matérielle. Cette activité, constitutive de la réalité ( W i r k lic h k e it , au sens très fort du vocabulaire hégélien), est équivalentement la praxis selon Marx » (J. C alvez, L a p e n ­ sé e d e K a r l M a r x , Parigi, 1956, pag. 138 s.). 77

scienza) senza i quali non sarebbe possibile operare con il metodo dialettico. Il marxismo cerca di collocare ad uno stesso livello le seguenti interazioni (dette dialettiche): delle varie par­ ti della natura tra di loro, degli uomini con la natura, e degli uomini tra loro, applicando questo terzo modello ai due precedenti, il che vuol dire un uso surrettizio del­ la spiritualità. Potremmo dire che Lukàcs ne è cosciente quando rifiuta il primo aspetto — dialettica della natura — e insiste sul tezo. Opta quindi per la dialettica della storia, ma in mezzo ad una discreta confusione. In effet­ ti, l’interazione uomo-natura è ben diversa da quella tra gli uomini, dato che la natura si trova su di un altro pia­ no e si comporta in modo passivo. Inoltre la dialettica tra gli uomini è difficile da comprendere quando il sog­ getto della libertà è solo il genere umano o la classe e non ogni individuo61. *

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Ma torniamo ad alcune caratteristiche della dialettica di Lukàcs. Il primo punto si basa sulla « concezione del­ la realtà come un ’’complesso di processi”, la concezione secondo cui le tendenze evolutive della storia rappresen­ tano una realtà superiore, la vera realtà rispetto alle fatticità rigide e cosali dell’empiria, pur emergendo dall’em­ piria stessa, e quindi senza essere al di là di essa » (pag. 267). Queste tendenze della realtà sono frutto della co­ scienza umana : « Una situazione nella quale i « fatti » parlino univocamente prò o contro una determinata dire­ zione dell’azione, non è mai esistita, non può esistere e non esisterà mai » (pag. 32). E ’ la coscienza umana — la coscienza di classe — quella che trasforma la realtà: « non si deve dimenticare: soltanto la coscienza di classe dive­ nuta pratica del proletariato possiede questa funzione tra­ sformatrice » (pag. 270). Si tratta pertanto di scoprire nella realtà le tendenze

61 Cfr. C. F abro, Feuerbach . . . , oit., pag. LXV. 78

ili ogni momento: « il criterio della verità consiste nell’in­ contro con la realtà. Tuttavia, questa realtà non è per nul­ la identica all’essere empirico fattuale. Questa realtà non