Guerra e pace. La morale cristiana da Giovanni XXIII al Vaticano II, al nostro tempo. Il contributo specifico italiano 9788810406090

Presentazione di Luigi Lorenzetti

303 20 8MB

Italian Pages 175 [176] Year 2011

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Guerra e pace. La morale cristiana da Giovanni XXIII al Vaticano II, al nostro tempo. Il contributo specifico italiano
 9788810406090

Table of contents :
Indice
Abbreviazioni
Presentazione
Introduzione
I - Elementi di teologia positiva
1. La Scrittura e la storia della Chiesa: una panoramica
2. La svolta teologico-pastorale di Pacem in terris e Gaudium et spes
3. Paolo VI
4. Giovanni Paolo II
5. Benedetto XVI
II - La riflessione teologico-morale
SEZIONE I - Il periodo della guerra fredda
1. L'illiceità della guerra e il sogno della pace
2. La legittima difesa
3. Il problema degli armamenti
SEZIONE II - Dalla caduta del muro di Berlino ai nostri giorni
1. Il contenimento della violenza
2. Vendicare la violenza?
3. Prevenire la violenza
Conclusione
Bibliografia
Magistero Pontificio e Conciliare
Organismi ed esponenti della curia romana
Miscellanee di documenti pontificie della curia romana
Magistero episcopale
Vescovi statunitensi
Vescovi tedeschi
Vescovi francesi
Conferenza dei vescovi europei
Vescovi mediorientali
Vescovi italiani
Organizzazioni e movimenti ecclesiali
Autori patristici e medievali
Organizzazione delle Nazioni Unite
Organizzazioni ed enti internazionali
Documenti e dichiarazioni ufficiali del governo degli Stati Uniti d'America
Enti nazionali italiani
Monografie
Opere di consultazione
Articoli di periodici
Contributi di miscellanee
Atti di convegni
Pubblicazioni online

Citation preview

Guerra e P.ace: la morale cristiana da Giovanni XXIII al Vaticano II, al nostro tempo Giulio Cesareo IL CON TRIBUTO SPECIFICO ITALIANO PRESENTAZIONE DI LUIGI LORENZETTI

Giulio Cesareo Guerra e pace: la morale cristiana da Giovanni XXIII al Vaticano II, al nostro tempo

Collana «ETICA TEOLOGICA OGGI» diretta da Luigi Lorenzetti La collana raccoglie una serie di volumi che si propongono di attualizzare il messaggio morale cristiano all'uomo d'oggi; rispondere alla domanda di sen­ so e di progettualità dell'epoca attuale; dialogare con l'etica secolare. 11. Teologia e bioetica, a cura di E.E. Shelp 12. Georgios I. Mantzarides, Etica e vita spirituale 13. Questione energetica e questione morale

14. Giorgio Vendrame, Etica economica e sociale 15. Economia, politica e morale

16. Oltre l'eutanasia e l'accanimento, a cura di V. Salvoldi 17. Carlo Scilironi, Il volto del prossimo 18. Basilio Petrà, Tra cielo e terra

19. Rerum novarum (1891-1991) Enrico Trevisi, Coscienza morale e obbedienza civile Pier Giorgio Rauzi - Luigi Menna, La morte medicalizzata Dottrina sociale della chiesa e ordine economico, a cura di A.F. Utz La virtù e il bene dell'uomo, a cura di E. Kaczynski - F. Compagnoni Mario Zatti, li dolore (nel) creato Religioni ed ecologia, a cura di K. Golser Eric Fuchs, L'etica protestante Paolo Cattorini, La morte offesa Salvino Leone, La medicina di fronte ai miracoli Daniel C. Maguire - A. Nicholas Fargnoli, L'etica come arte e come scienza Renzo Gerardi, Alla sequela di Gesù Simone Morandini, Nel tempo dell'ecologia: etica teologica e questione ambientale Paolo Cattorini, La morale dei sogni Simone Morandini, Il lavoro che cambia Luigi Lorenzetti, Tullo Goffi: dare un 'anima alla morale Eugenio Sarti, L'albero senza radici Paolo Cattorini, 1 salmi della follia Réal Tremblay, Voi, luce del mondo... Leonardo Salutati, Finanza e debito dei paesi poveri André-Marie Jerumanis, L'uomo splendore della grazia di Dio Réal Tremblay, «Ma io vi dico... » José Noriega, li destino dell'eros Paolo Cattorini, Un buon racconto Stefano Zamboni, «Chiamati a seguire l'Agnello» Simone Morandini, Da credenti nella globalizzazione Adriano Bompiani, Dichiarazioni anticipate di trattamento ed eutanasia Etica teologica cattolica nella Chiesa universale, a cura di J.F. Keenan Andrea Mariani, Le speranze e la speranza cristiana Basilio Petrà, La contraccezione nella tradizione ortodossa Paolo Cattorini, Estetica nell'etica Giulio Cesareo, Guerra e pace: la morale cristiana da Giovanni XXlll al Vaticano Il, al nostro tempo

20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50.

GIULIO CESAREO

Guerra e pace: la morale cristiana da Giovanni XXIII al Vaticano Il, al nostro tempo Il contributo specifico italiano

EDIZIONE DEHONIANE BOLOGNA

©2011 Centro editoriale dehoniano via Nosadella, 6 - 40123 Bologna www.dehoniane.it EDB®

ISBN 978-88-10-40609-0 Stampa: Tipografia Giammarioli, Frascati (RM) 2011

A mio padre, ap. Emidio e a quanti sono stati per me icone del volto del Padre

Abbreviazioni

Armi atomiche, batteriologiche e chimiche (armi di distru­ zione di massa) Aggiornamenti Sociali AS La Civiltà Cattolica cc Concilium. Rivista internazionale di teologia Cane. Difesa popolare nonviolenta DPN Dizionario di Teologia della Pace, a cura di L. LORENZETII, DTP EDB, Bologna 1997. Enchiridion della pace, 1: Pio X - Giovanni XXJJJ; 2: Paolo EP VI - Giovanni Paolo 11. Edizione bilingue, EDB, Bologna. EV Enchiridion Vaticanum. Documenti ufficiali della Santa Sede. Testo ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna. EVS Enchiridion Vaticanum. Supplementum: Documenti ufficiali della Santa Sede. Omissa. Indici generali, EDB, Bologna. GMP Giornata Mondiale della Pace GS Gaudium et spes LMD Le Monde Diplomatique NDTB Nuovo Dizionario di Teologia biblica, a cura di P. RossANo G. RAvASI -A. GHIRLANDA, Paoline, Cinisello Balsamo 2001. NDTM Nuovo Dizionario di Teologia Morale, a cura di F. COMPA­ GNONI - G. PIANA - S. PRIVITERA, San Paolo, Cinisello Balsa­ mo 1990. ONU Organizzazione delle Nazioni Unite OR L'Osservatore Romano Populorum progressio pp PT Pacem in terris RdT Rassegna di teologia RTM Rivista di Teologia Morale ABC

-7-

Presentazione

Il pregevole libro, corredato da oltre quaranta pagine di biblio­ grafia, espone un bilancio del pensiero dei teologi morali italiani che, nell'ultimo cinquantennio, hanno dato centralità alla questione pace/guerra. L'intento è verificare se e come la disciplina teologica morale si è aggiornata, ma soprattutto motivare un maggiore impe­ gno per l'avvento di un mondo giusto e pacifico.

Gli eventi del cinquantennio Tra gli eventi che hanno cambiato la storia, due sono all'origine della nuova condizione mondiale. Con la caduta del Muro di Berlino (1989), la pace fondata sull'equilibrio degli armamenti (la cosiddetta deterrenza) perdeva la giustificazione politica. Il disarmo sembrava praticabile su larga scala est-ovest e, così, la possibilità concreta di restituire alla pace un volto non bellicista e di ridurre l'ingiusto diva­ rio nord-sud del mondo. Così, purtroppo, non è stato. La ricerca e l'industria militari hanno continuato a produrre armi nucleari, a per­ fezionare quelle convenzionali. Ingenti risorse sono state sottratte alla causa della giustizia sociale. Il secondo evento è l'irreversibile globalizzazione economica e finanziaria, governata quasi esclusivamente dalle leggi assolute del mercato. Non è difficile riconoscere che l'ultimo cinquantennio presenta uno scenario mondiale di non pace: persistente disuguaglianza tra

-9-

nord e sud del mondo; sconvolgenti migrazioni forzate; conflitto in Medio Oriente e in altre regioni; rapporto conflittuale di etnie, di culture e religioni diverse; espansione del mercato economico/finan­ ziario neo-liberista; sfruttamento e attacchi alla dignità della vita umana a ogni livello; terrorismo e ritorsioni del medesimo stampo; dominante cultura bellicista che pretende di fare giustizia, causando altre e più gravi ingiustizie.

La pace nell'orizzonte biblico ed ecclesiale In questo scenario mondiale, i teologi morali italiani come rispondono alle sfide della pace? Quale soluzione propongono ai conflitti e alle controversie tra i popoli? Come conciliare, da un lato, la necessità di fare giustizia e l'irrinunciabile comandamento della nonviolenza evangelica dall'altro? La legittima difesa non vale forse per gli Stati? Sono domande che vengono da lontano, attraversano la storia delle società organizzate e arrivano fino al nostro tempo. La risposta dei teologi morali italiani si basa su un recuperato collegamento alla s. Scrittura, che è (deve essere) l'anima del pensie­ ro e della vita della Chiesa. Nella prospettiva biblica ed ecclesiale, la pace è oltre la storia, ma non agisce fuori o accanto, ma dentro la storia, quale forza dinamica di perseverante riconciliazione tra i popoli. Tra la pace di Dio - che si rivela pienamente in Cristo Principe della pace - e la pace in terra non c'è estraneità o indifferenza, ma interdipendenza. Così il discor­ so della montagna, che include e supera la mera giustizia, diviene cri­ terio di valutazione di ogni decisione nella sfera privata come in quella pubblica. Alla luce del Nuovo Testamento, che ha nell'evento Cristo il suo centro, si comprende che la via, attraverso la quale Dio educa pro­ gressivamente il suo popolo, è la giustizia che rifiuta la violenza e la guerra. Non si tratta di contrapporre l'Antico al Nuovo Testamento, ma di interpretare il primo alla luce del secondo. In questa prospet­ tiva, la cosiddetta teoria della guerra giusta, sostenuta nel cristianesi­ mo storico dal secolo IV, contraddice il messaggio biblico. È un caso singolare dove la parola di Dio è stata piegata e resa funzionale e strumentale alla cosiddetta realpolitik. Coerentemente, l'insegnamento dei pontefici del cinquantennio, prima che a ripetere l'impossibile giustificazione della guerra, è

-10-

impegnato a definire in positivo la pace sociale e a indicare le vie che vi conducono. Giovanni XXIII (Pacem in terris, 1963) insegna che la società è ordinata e da ordinare secondo quattro valori sociali: verità, giusti­ zia, solidarietà e libertà. Questi sono altrettanti criteri di giudizio sul­ la situazione sociale presente e, insieme, orientativi al futuro della società dalla più piccola alla più grande che comprende l'intera fami­ glia umana. Nell'ordine (disordine) mondiale, Paolo VI (Populorum progres­ sio, 1967) insegna che il «nome nuovo della pace è lo sviluppo». E avverte: «Quando tanti popoli hanno fame, quando tante famiglie soffrono la miseria [ ...], ogni corsa estenuante agli armamenti diven­ ta uno scandalo intollerabile». Un altro nome proprio della pace è la solidarietà (Giovanni Pao­ lo Il, Sollicitudo rei socialis, 1987). La solidarietà, che ha raggiunto il mondo come ultima frontiera, esige che il bene delle nazioni e dei continenti sia realizzato non a danno di altri popoli e nazioni, ma con il bene di ogni altro popolo e nazione. Un'altra via alla pace è la Carità nella verità (Benedetto XVI, 2009). La prima opera della carità conduce alla giustizia e all'attua­ zione del bene integrale della famiglia umana. In conclusione, il magistero cattolico, prima che convergere nella condanna senza riserve della guerra, converge nell'indicare le vie (i principi, i valori) che conducono alla pace e alla giustizia.

Dalla teologia della pace a un'etica normativa della pace Gli ideali della pace, e i nomi (i valori) che la identificano, corro­ no il rischio di restare nella idealità staccata dalla realtà se non si tra­ ducono in un'etica normativa condivisa e condivisibile. Per questo è importante la seconda parte del libro che l'autore dedica alla rifles­ sione teologico-morale. Le acquisizioni di tipo morale sono alti tra­ guardi raggiunti e, insieme, da raggiungere. La guerra non è via alla giustizia. È incancellabile l'affermazione: «È irrazionale pensare (alienum est a ratione) che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia». Così il magistero cattolico nega il collegamento tra guerra e giustizia. La guerra moderna, per l'altissima potenzialità distruttiva, non solo

-11-

quella condotta con le armi scientifiche, ma anche con le armi con­ venzionali, è sproporzionata per qualsiasi causa giusta. Difendere le cause giuste in modo giusto. In questa prospettiva, l'Occidente presenta una situazione paradossale: da un lato, la coscienza collettiva ha maturato una forte e irreversibile contrarietà alla guerra, come non era accaduto in altro periodo della storia; dal­ l'altro, ritorna una politica che considera la guerra uno strumento normale per fare giustizia, squalificando intenzionalmente ogni opposizione, obiezione e modalità alternativa. La lotta al terrorismo è giusta, ma giusta non è la guerra. Il terro­ rismo, infatti, non ha Stati o nazioni: i terroristi si spostano da uno Stato a un altro. Di fatto, la guerra cosiddetta preventiva non ha con­ trastato il terrorismo, anzi lo ha allargato. Non farsi giustizia da sé. Il quadro internazionale, già oggi esi­ stente, rende illegale e ingiustificato il «farsi giustizia da sé». La Car­ ta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite proibisce l'uso della for­ za nelle relazioni tra gli Stati, perché il compito di mantenere o rista­ bilire la giustizia e la pace, è attribuito alla stessa Organizzazione. Non si tratta, però, di un semplice cambio di titolare della guerra, vale a dire di un passaggio dallo Stato nazionale al sovrastato inter­ nazionale e mondiale. Ingerenza umanitaria. Negli ultimi decenni, nel pensiero giuridi­ co e nel magistero cattolico, si è affermato il concetto di ingerenza o intervento umanitario, quale attuazione di solidarietà (non indiffe­ renza) tra i popoli. Questo prevede, come estremo rimedio, il ricorso alla forza delle armi che, tuttavia, si distingue nettamente dalla guer­ ra per i fini e le motivazioni, ma anche per le modalità di realizza­ zione, in quanto è circoscritto negli obiettivi e resta finalizzato a disarmare l'aggressore, impedendo il verificarsi dei cosiddetti rischi collaterali. Purtroppo, le guerre recenti sono state dichiarate falsa­ mente come azioni di ingerenza umanitaria. La cultura bellicista, dopo essersi avvalsa della teoria della guerra giusta, si è rifugiata suc­ cessivamente nella legittima difesa, e ora si serve dell'ingerenza uma­ nitaria.

Prospettive La morale cristiana comprende oggi più di ieri che il vangelo, e la morale che ne deriva, non è spendibile per la guerra. Al contrario, in nome della ragione e della fede, educa le coscienze a trovare la solu-

-12-

zione umana e civile dei conflitti con il ricorso alle istituzioni inter­ nazionali impegnate nel negoziato, nella diplomazia, nel giusto com­ promesso. La vera pace in terra passa solo attraverso la giustizia nel riconoscimento dei diritti umani in ogni angolo della terra. In questa prospettiva, il libro offre un qualificato strumento per motivare l'impegno per la pace e la giustizia che non è uno tra i tan­ ti, ma crocevia e vertice delle questioni sociali, culturali, economiche e politiche. LUIGI LORENZEITI

-13-

Introduzione

In ogni civilizzazione l'uomo ha vissuto la costante tensione tra l'anelito alla pace, alla concordia, alla collaborazione, e il desiderio di possesso, di vendetta, la brama di conquista: già per Eraclito la guer­ ra era l'origine e la madre di ogni cosa. Al di là di ogni razionalizza­ zione, la guerra, con il suo seguito di lutti e dolori, è sempre stata qualcosa di nefasto, sebbene a volte inevitabile. Probabilmente anche per questo i popoli del Mediterraneo vivevano nella nostalgia della mitica età dell'oro, periodo prospero e pacifico, tuttavia irre­ versibilmente terminato: alla pace, infatti, sono sempre associate l'abbondanza, la ricchezza, la gioia, la felicità. Come poter stabilire finalmente una convivenza pacifica tra gli esseri umani? È una spe­ ranza ragionevole o una mera utopia? Anche a queste domande le risposte sono tante e spesso con­ traddittorie: alcuni ritengono che la violenza sia un elemento inse­ parabile dall'esperienza umana e che sia perciò impossibile eradi­ carla dalla storia; altri, invece, hanno via via elaborato possibili cam­ mini di superamento di essa. Anche molti credenti in Cristo hanno offerto il loro contributo, in un cammino ininterrotto da ormai due­ mila anni. Con questo lavoro, allora, vogliamo tirare un po' le fila di ciò che è stato fatto nel contesto teologico-morale italiano dell'ulti­ mo cinquantennio, affinché l'apporto di questa riflessione possa con­ tribuire a un maggior impegno per la pace, alla luce dell'apparte­ nenza a Cristo, Principe della Pace. Diversi teologi italiani si sono occupati di questo tema, tuttavia alcuni autori - e sono quelli a cui faremo costantemente riferimento

-15-

- si sono lasciati coinvolgere davvero in profondità: è il caso di E. Chiavacci, L. Lorenzetti, G. Mattai e G. Trentin. Hanno lavorato con competenza e hanno cercato di offrire risposte alle sfide del nostro oggi: l'interdipendenza internazionale, il ruolo dell'ONU, la scoperta della dignità della persona, ma allo stesso tempo la diffusione della violenza organizzata, lo sviluppo degli armamenti nucleari, lo smisu­ rato squilibrio tra nord e sud del mondo, ecc. Desideriamo esprimere anzitutto la grande ammirazione per la seria ricerca, il coraggio e l'originalità nel lavoro, che ha attinto come a una sorgente agli ideali di Pacem in terris e di Gaudium et spes. Sono da notare, poi, il forte radicamento sociale ed ecclesiale: gli interventi, infatti, sono spesso concepiti proprio come contributo alla riflessione pubblica. 1 Il confronto con la parola di Dio è un elemento decisivo: la vita, l'esempio e la salvezza offerta in Gesù Cristo sono letti come quella luce che illumina l'intelligenza umana, alla ricerca della verità che è il bene. La riflessione e le norme etiche proposte non si presentano, però, come un sistema confessionale, esclusivamente cristiano. Se dovessimo, infatti, situare questa ricerca teologica all'interno del dibattito tra etica della fede e morale autonoma in contesto cristiano, la scelta cadrebbe senz'altro sulla seconda opzione: si tratta, infatti, di una riflessione che sulla base della razionalità umana intende pro­ porre i valori rilevanti, in vista di una piena umanizzazione. 2 E que­ sta ventata di universalità è molto positiva, perché contribuisce a fare della teologia morale un'istanza critica in dialogo con ogni uomo. Il materiale è stato suddiviso in due parti: la prima fornirà le informazioni essenziali dal punto di vista biblico e di storia della teo­ logia e presenterà le dichiarazioni magisteriali più significative; la seconda poi affronterà sistematicamente i temi teologico-morali. Poiché la riflessione morale è anzitutto una risposta di fede alle sol­ lecitazioni della vita, è evidente la diversità tra la riflessione condot­ ta nel periodo della guerra fredda e quella successiva. Proprio per questo, abbiamo deciso di suddividere la seconda parte in due sezio­ ni, che lascino emergere queste specificità storiche e sociali. L'anda­ mento argomentativo seguirà lo schema chiamata-risposta: di fronte

1 Cf. L. LoRENZETII (et al.), «Appello di teologi moralisti contro la guerra», in Avvenire, 28 settembre 2001, 22. 2 Cf. S. BASTIANEL, voce «Autonomia e teonomia», in NDTM 70-82.

-16-

a ognuna delle questioni, dopo la valutazione morale, presenteremo delle proposte alternative. Il testo è in ogni caso una sintesi: per questo abbiamo tentato di presentare i numerosi terni nella loro essenzialità: la bibliografia potrà essere un punto di partenza per degli approfondimenti. Certo è evidente la sproporzione tra il testo e la bibliografia. Quest'ultima è frutto della ricerca che ha portato al volume e, a nostro avviso, è essa stessa un contributo interessante per gli sviluppi ulteriori. Con questo lavoro, infatti, non si è solo cercato di riportare i risultati di un dibattito, quanto di inserirsi nel solco secolare della teologia, in una dialettica di fedeltà e novità, che sono in un rapporto di fedeltà creativa. In questo senso, ancora molto può essere fatto per cogliere altri e nuovi aspetti del contributo dei credenti all'edificazione di quell'autentica pace, che è per eccellenza un'opera divino-umana: dono del Padre in Cristo attraverso l'obbedienza dei suoi figli ani­ mati dallo Spirito, che è l'amore. «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Le 2,14).

-17-

PARTE

I

Elementi di teologia positiva

Capitolo 1

La Scrittura e la storia della Chiesa: una panoramica

Affrontare il tema della pace e della guerra nella tradizione bibli­ ca e nella storia della teologia cristiana potrebbe essere oggetto di diversi studi approfonditi, vista la mole di materiale e la notevole complessità delle questioni. Non potendo lanciarci in un'avventura di questo genere, ci limiteremo a fornire alcuni brevissimi accenni utili alla contestualizzazione della tematica. In questo primo momento daremo uno sguardo alla concezione della pace e della guerra che emerge dalla Scrittura: non è possibile, infatti, occuparsi di teologia cristiana senza attingere al deposito del­ la rivelazione che, come afferma il concilio Tridentino, è contenuta nella Scrittura e nella Tradizione della Chiesa. La Bibbia però non è né un manuale di teologia, né un compendio di norme morali: in quanto fonte principale della rivelazione, essa è invece la norma nor­ mante del parlare di Dio; ci permette di capire, in altre parole, cosa significhi credere nel Dio di Gesù Cristo. È dunque uno strumento indispensabile, perché consente di assumere progressivamente lo sguardo che Dio ha sulla realtà e la sua intenzionalità profonda. In questo modo, nonostante i limiti, il teologo può davvero proporre una riflessione etico-teologica, perché illuminata e guidata dalla consape­ volezza credente dell'amore di Dio in Cristo per tutta l'umanità. 1

1 Cf. H.H. SCHMID, Siilorn. La pace nell'Antico Oriente e nell'Antico Testamento, Paideia, Brescia 1977, 94-95.

-21-

La pace nella s. Scrittura Shalom ha un valore semantico molto ricco, talvolta contraddit­ torio, che supera abbondantemente i confini ristretti della sua tra­ duzione nelle lingue moderne: sta a indicare la pienezza di vita, accompagnata dal benessere fisico (salute), dall'amicizia con Dio e dall'abbondanza di beni. 2 Ricorre spesso anche come espressione di saluto e di addio. Dal punto di vista teologico, appare sempre come frutto della benedizione divina verso il popolo che si mantiene fede­ le all'alleanza. Tutto ciò è particolarmente evidente nella letteratura profetica, che individua un vincolo inscindibile tra pace e giustizia: lo shalom non può essere raggiunto con delle astute alleanze politico-militari: esso, al contrario, non può prescindere da un'autentica fedeltà a YHWH e dall'impegno per la giustizia, per la tutela del povero e del­ l'indifeso (Es 22,21; Sai 82). 3 Non è pensabile un'esistenza in pace che non nasca e non si sviluppi in seno a un'esperienza di fede e di continua conversione, sia nella dimensione verticale (verso Dio) che in quella orizzontale (verso l'altro). Sono così elaborati due orientamenti di fondo, non facilmente con­ ciliabili, ma comunque coesistenti all'interno della tradizione biblica. Il primo autorizza il ricorso alla violenza, anche efferata, per ristabili­ re la giustizia violata; il secondo, sebbene minoritario, desacralizza ogni ricorso alle armi e propone, viceversa, l'assunzione di atteggia­ menti nonviolenti ante litteram. 4 In ogni caso, però, sono sempre con­ dannati il ricorso alla violenza gratuita e l'attentato immotivato alla vita umana, perché l'uso della forza serve solo per ristabilire o pro­ muovere la giustizia, qualora le circostanze lo rendano necessario. 2 «La testimonianza delle Scritture ebraiche e cristiane non appare per nulla uniforme rispetto al nostro tema.[...] Il criterio di lettura di marca evoluzionistica, che coordini il tutto dentro uno schema di sviluppo [...] dalla violenza alla nonviolenza, dalla guerra alla pace [...] risulta insufficiente» (G. BARBAGLIO, voce «Introduzione 1. Sacra Scrittura», in DTP 55). 3 «Le sfere della politica, della società, della natura e della religione nella conce­ zione veterotestamentaria della pace sono correlate [...]. Un fallimento nella sfera sociale può [...] avere conseguenze nell'ambito della natura e, in determinate circo­ stanze, può essere punito da Dio con l'invasione di un nemico politico» (SCHMID, Salom, 104-105). 4 «Il quadro di fondo del pensare e del vivere degli uomini della Bibbia [è] [...] quello della giustizia. Tutto si fa per ottenerla, se manca, per difenderla, se esposta ad attacchi; e ogni mezzo è buono per perseguirla» (BARBAGLIO, voce «Introduzione 1. Sacra Scrittura», 57).

-22-

Assistiamo, pertanto, a un incessante rapporto dialettico tra l'a­ zione di Dio, che fa gratuitamente a Israele il dono della pace, e la responsabilità dell'uomo, chiamato a collaborare a quest'opera divi­ na. Lo shalom è così una realtà da edificare all'interno delle conflit­ tuali relazioni umane, la cui realizzazione è però sempre parziale, limitata, secondo quella logica, tanto cara alla teologia biblica, del già e non ancora.

La pace è un valore escatologico e [ ...] trascende di gran lunga tut­ to ciò che la storia può apportare nel suo corso abituale. L'apoca­ littica tardo-giudaica offre un certo punto d'approdo quando, dua­ listicamente, contrappone la pace definitiva e il mondo storico come due realtà ontologicamente diverse [ ...]. La pace divina non può essere semplicemente identificata a priori con quanto mostra la storia.5

La fine delle guerre e delle violenze non sarà che un aspetto di questo generale rinnovamento escatologico che YHWH compirà alla fine dei tempi e che comporterà la riunione di tutti i popoli attor­ no all'unico Dio (cf. Is 56,1-9). La riflessione neotestamentaria, dal canto suo, propone con mag­ gior forza un innalzamento di livello, dando alla pace soprattutto un valore spirituale, che si manifesta primariamente nella riconciliazio­ ne degli uomini con il Padre attraverso suo Figlio morto e risorto (cf. Mc 5,24; Rm 3,21-26). Allo stesso tempo, le comunità cristiane annunciano e testimoniano questa pace ricevuta in dono: «beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9), in modo particolare attraverso l'obbedienza al precetto dell'amore del nemico. Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo pros­ simo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste (Mt 5,39-45).

5 SCHMID,

Siilom, 87-88.

-23-

La legge del taglione è così abrogata e Gesù la rimpiazza con l'in­ vito al perdono, totale e incondizionato, «fino a settanta volte sette» (Mt 18,22). 6 E quest'atteggiamento non è presentato come qualcosa di eccezionale, come una sorta di galateo spirituale riservato a un'é­ lite di perfetti: è un modello di condotta che dovrebbe diventare vita vissuta per ogni discepolo di Cristo, offrendo al nemico l'opportunità di diventare fratello, sull'esempio del Salvatore che redime e giusti­ fica, offrendo se stesso. 7 La concatenazione violenza-giustizia-pace viene dunque rinne­ gata e al suo posto si fa strada la possibilità di gestire le rivalità rinun­ ciando all'affermazione di sé: piuttosto che fare il male, è meglio subirlo! (cf. lPt 3,17).

La riflessione cristiana: la teoria della guerra giusta Gli storici della Chiesa e gli studiosi di patrologia sono ormai concordi nel ritenere che almeno fino alla svolta costantiniana, i cri­ stiani erano chiaramente contrari a ogni coinvolgimento in azioni belliche e rifiutavano pertanto anche la professione militare. Se da un lato, infatti, ai soldati potevano venire richieste pratiche o culti idolatrici, non va dimenticato, dall'altro, che non meno delicata era la questione legata all'esercizio della violenza, in guerra o in tempo di pace, all'uso delle armi e all'uccisione. Stando alle testimonianze della Tradizione Apostolica, 8 l'attività militare era considerata incompatibile con la fede cristiana: poteva svolgerla solo colui che, essendo già militare, si era poi convertito al cristianesimo. 9

6 «Non rispondere alla violenza con altra violenza! Ma non persistere in nessun modo, se torto ti viene fatto, in una inerte passività. Va' incontro al tuo avversario. Rispondi alla sua costrizione o alla sua brutalità con sovrabbondante bontà. In questo modo forse lo puoi conquistare!» (G. LoHFINK, Per chi vale il discorso della montagna? Contributi per un 'etica cristiana, Queriniana, Brescia 1990, 45). 7 Cf. BARBAGLIO, voce «Introduzione 1. Sacra Scrittura», 61-62. Testo importante in questo senso sono i Carmi del Servo sofferente (Is 42,1-9; 49,1-7; 50,4-11; 52,13-53,12). 8 «Il soldato subalterno non uccida alcuno. Se riceve tale ordine, non lo eseguirà e non presterà giuramento. Se rifiuta, sia rimandato» (PSEUDO-IPPOLITO, Tradizione apostolica, 16, a cura di E. PERETTO, Città Nuova, Roma 1996, 119). 9 «Il riconoscimento della funzione pacifica delle autorità politiche non intacca il principio che la professione della fede cristiana e il servizio militare nell'esercito del­ l'imperatore romano sono inconciliabili. ( ...) La ragione decisiva del rifiuto opposto

-24-

Tutto questo non ha impedito che in brevissimo tempo le cose cambiassero radicalmente: con l'editto di Milano del 313 e la fine dell'epoca delle persecuzioni, inizia un progressivo avvicinamento tra potere politico imperiale e Chiesa, che porterà con sé delle con­ seguenze molto importanti. Già nell'estate del 314 il sinodo di Arles non solo permette il ser­ vizio militare dei cristiani, ma lo dichiara addirittura un dovere. Esso punisce la diserzione in tempo di pace con l'esclusione dai sacramenti. Sarebbe difficile immaginare una cesura più dramma­ tica nell'etica politica. Quella che prima era considerata l'unica possibilità politica viene ora colpita con la scomunica. 10

Le ragioni di questa scelta sono certamente comprensibili: l'im­ pero non è più un nemico per la fede, anzi esso si va progressiva­ mente costituendo come res publica christiana; è pertanto fonda­ mentale collaborare alla sua difesa, anche militare. L'elaborazione sistematica, poi, attingendo alla tradizione biblica e a quella filosofi­ ca, offrirà gli elementi dottrinali per la giustificazione della nuova prassi attraverso la teoria della guerra giusta. La prima grande riflessione teologica sulla guerra è certamente quella di s. Agostino. 11 Il contesto storico-culturale in cui si sviluppa la sua produzione, che giunge a maturità nel De Civitate Dei, è quel­ lo del progressivo indebolimento dell'impero, ormai sempre più impotente di fronte alle invasioni dei barbari. Scopo di Agostino non è legittimare la guerra, quanto quello di evidenziare il valore supre­ mo della pace, dono di Dio in Cristo, che si compierà definitivamen­ te nell'escatologia, nella Civitas Dei, appunto. 12 È il bene supremo a cui l'umanità possa aspirare; il suo godimento è però sempre minac­ ciato dal peccato che abita il cuore dell'uomo: la violenza e la guer­ ra, infatti, sono tra i frutti più evidenti dell'inclinazione dell'uomo al male in seguito al peccato dei progenitori.

dai primi cristiani al servizio militare sta nella convinzione che l'uccisione di un'altra creatura umana e quindi anche la partecipazione alla guerra sono inconciliabili con il comandamento dell'amore» (W. HuBER - H.-R. REuTER, Etica della pace, Queriniana, Brescia 1993, 59-60). 10 HuBER - REUTER, Etica della pace, 59-60. 11 Cf. HuBER - REuTER, Etica della pace, 64. 12 «Pax omnium rerum, tranquillitas ordinis» (AGOSTINO o 'IPPONA, De Civita/e Dei 19,13).

-25-

Conscio di ciò, il vescovo di Ippona riconosce che è comunque doveroso cercare di edificare la pace possibile, intesa come frutto di una convivenza nella giustizia. Tutto questo è compito primario del­ !'autorità politica, che deve riuscire a mediare tra l'esistenza umana, segnata dal male, e le esigenze di giustizia che generano la pace. 13 Per fare questo, in alcuni casi e alla luce di precisi criteri di discernimento, bisognerà ricorrere anche alla guerra. 14 Presentiamo brevemente que­ sti criteri, che costituiscono il nucleo della dottrina della guerra giusta: l. Conditio sine qua non affinché un conflitto armato sia lecito è che sia motivato da una giusta causa. Solo la necessità di rista­ bilire la pace, di porre fine a gravi abusi o di punire i malvagi può permettere il ricorso alle armi. Il desiderio di vedetta o di ritorsione, la sete di potere e di conquiste sono invece da con­ siderarsi peccaminosi; 2. è possibile prendere in considerazione la possibilità di un ricorso giustificato alle armi solo a patto che esso sia davvero l'extrema ratio, essendo fallita ogni altra strada di risoluzione incruenta; 3. la recta intentio. Il foro interno della coscienza deve essere sinceramente conforme alle motivazioni che hanno legittima­ to lo scontro nel consesso pubblico. È dunque necessario ave­ re un atteggiamento cristiano (che comporta l'amore del nemico) anche quando ci si prepara a uccidere; 15 4. la legitima potestas. Solo l'autorità politica ha il potere di dichiarare e condurre una guerra; i singoli soldati, invece, devono solo obbedire ai legittimi superiori. Nel corso dei secoli, la riflessione si approfondisce e sviluppa, anche alla luce dei cambiamenti storico-sociali, ma la sostanza rima­ ne la stessa. Il contributo specifico di Tommaso, 16 inserito nella sezio­ ne della Summa Theologiae dedicata alla virtù infusa della carità, consiste soprattutto in un primo abbozzo della valutazione del modo

13 Per Agostino è solo l'autorità politica a tutelare la collettività, anche con le armi; il singolo, invece, deve lasciarsi guidare sempre dal precetto dell'amore. 14 La guerra appare come una trasposizione violenta di un processo giudiziario, in cui l'innocente è costretto a impugnare le armi contro il malvagio (cf. A. MESSINEO, voce «Guerra», in Enciclopedia Cattolica, VI, 1235). 15 «Agostino paragona l'uccidere in guerra all'azione di un padre che punisce il figlio. In entrambi i casi il motivo può essere l'amore, giacché a volte soltanto un gesto coercitivo può distogliere il peccatore dal fare il male» (L.S. CAHILL, La tradizione cri­ stiana della guerra giusta. Tensioni e sviluppo, in Cane. 2(2001], 98-99 (300-301]). 16 Cf. TOMMASO o'AourNo, STh 11-11, q. 40. Cf. MESSINEO, «Guerra», 1235.

-26-

di condotta della guerra: si avvia con lui quel processo, portato a compimento all'inizio dell'età moderna con Francisco de Vitoria,17 che stabilirà una netta distinzione tra le condizioni di liceità del con­ flitto in sé e i criteri del debitus modus. I parametri essenziali saran­ no fondamentalmente due: 1. il criterio di proporzionalità, che prende in esame il rapporto tra i mali arrecati e i beni promossi o semplicemente difesi con il ricorso al conflitto; 2. la fondamentale discriminazione tra combattenti e non com­ battenti: questi ultimi non possono essere coinvolti nelle osti­ lità, non devono fungere da bersaglio o essere vittime di incursioni. Abbiamo così individuato il nucleo essenziale della dottrina che possiamo brevemente schematizzare. Due sono gli elementi essen­ ziali: 18 lo ius ad bellum, che comprende i principi agostiniani, a cui si aggiunge quello della ragionevole speranza di successo; e lo ius in bello, che racchiude i criteri del debitus modus nella condotta delle ostilità: la proporzionalità e l'immunità dei non combattenti. La teoria è stata elaborata per limitare la guerra, sottraendola al libero arbitrio del potente di turno, e per ricondurla entro un alveo etico-giuridico a servizio del bene comune: purtroppo è stata pro­ gressivamente trasformata in uno strumento di giustificazione filo­ sofico-teologica di quella calamità che intendeva regolare. La pedis­ sequa ripetizione della dottrina e il mancato aggiornamento alle esi­ genze dei tempi, poi, non hanno favorito un serio contributo della teologia alla causa della riconciliazione tra i popoli: i due conflitti mondiali hanno mostrato, infatti, quanto il diritto, da solo, non basti!

17 Cf. G. Tosi, «La teoria della guerra giusta in Francisco de Vitoria», in M. ScAT­ TOLA (ed.), Figure della guerra. La riflessione su pace, conflitto e giustizia tra Medioe­ vo e prima età moderna, Angeli, Milano 2003, 63-87. 18 Lo sviluppo del diritto internazionale elaborerà una riflessione che, pur par­ tendo dall'alveo della teologia, ne prenderà progressivamente le distanze: cf. HuBER REUTER, Etica della pace, 105-111.

-27-

Capitolo 2

La svolta teologico-pastorale di Pacem in terris e Gaudium et spes

La storia della teologia, e in particolare quella dell'etica sociale, ci ha mostrato che gli input di dichiarazioni magisteriali innovative sono stati dei veri catalizzatori per una ricerca teologica più fedele alla realtà dell'uomo e allo spirito del vangelo. È proprio per questo che la nostra attenzione si soffermerà sulle dichiarazioni magisteria­ li (conciliari e pontificie) che sono state particolarmente significati­ ve nello sviluppo dell'etica della pace contemporanea.

Pacem in terris: «alienum est a ratione...» Il pontificato di Giovanni XXIII segna una svolta radicale nella vita della Chiesa, una sorta di ventata di novità che - attraverso la sua opera e attraverso il concilio Vaticano II - permetterà un vero incontro tra cattolicesimo e mondo contemporaneo. In seguito al suo intervento nella positiva risoluzione della crisi di Cuba, incoraggiato dalla speranza che la cortina di ferro potesse in qualche modo veni­ re indebolita, il papa consegna alla Chiesa l'enciclica Pacem in terris, 1 proponendo un abbandono esplicito di ogni giustificazione della guerra. La novità di Giovanni XXIII è che

1 GIOVANNI

XXIII, Pacem in terris, 11 aprile 1963.

-29-

sposta la discussione sulla costruzione della pace dal terreno intel­ lettuale a quello dell'azione pratica. Egli si rivolge alla coscienza di tutti gli uomini, credenti e non credenti, per dir loro che «la pace è doverosa», che «la pace è possibile» e dipende da ciascuno. 2

Stando, infatti, alle parole del pontefice, la pace è il risultato di rapporti umani fondati sui pilastri della verità, della giustizia, della carità e della libertà. Non ci può essere vera pace, dunque, se non c'è cura e attenzione allo sviluppo di tutta l'umanità secondo criteri di solidarietà e carità, e non secondo quelli della «legge del più forte». L'intuizione fondamentale di questo legame inscindibile tra pace duratura e giustizia sostiene l'assunzione della ricerca del bene comune universale, come lo scopo principale dell'autorità politica e come valore morale essenziale nella gestione della vita sociale: non a caso, infatti, l'espressione «bene comune» ricorre per ben 48 volte nel testo dell'enciclica. La preoccupazione di Giovanni XXIII è quella allora di creare un consenso che superi gli stretti confini confessionali e che possa così rivolgersi a ogni persona di buona volontà: anzi, proprio nella quinta parte dell'enciclica, viene caldamente esortata la collabora­ zione tra credenti in Cristo e uomini ispirati da ideologie a-cristiane o anti-cristiane. Infatti, nel­ la misura in cui il rifiuto della guerra non poteva più conoscere eccezioni, la pace si presentava come patrimonio indivisibile del­ ) 'intera umanità, alla cui costruzione tutti dovevano concorrere. 3

Gli enormi problemi e le terribili minacce che mettono a repen­ taglio la stessa vita umana sul pianeta, richiedono, per la loro risolu­ zione, la fattiva collaborazione di tutti. Tralasciando ora un'analisi approfondita del testo dell'enciclica, ci addentriamo a considerarne il messaggio e le prospettive circa la pace e la guerra, da un punto di vista più specificamente teologico-morale. Il documento tende a mostrare come la pace non può non stabi­ lirsi che su delle relazioni fondate sulla giustizia e sulla carità. La guerra, in effetti, nasce e si sviluppa in situazioni di ingiustizia e può

2 3

J. JosuN, Pace, giustizia e solidarietà, in AS 7-8(2003), 518. G. ALBERIGO, voce «Testimoni. Giovanni XXIII», in DTP 948.

-30-

perfino portare alla distruzione dei rapporti sociali. Il discorso si fa esplicito nella terza parte (PT 39-41) quando, riflettendo sulla maniera di stabilire un'equa e solidale collaborazione tra le varie nazioni, si tocca il tema degli armamenti e del disarmo. L'argomen­ tazione si snoda in quattro tappe: 1. l'enorme quantità di armi prodotte e stoccate è anzitutto uno spreco gigantesco di risorse (finanziarie, scientifiche) che, al contrario, potrebbero essere utilizzate per lo sviluppo delle popolazioni povere; 2. la corsa agli armamenti è una follia, perché si crede di poter garantire pace e sicurezza cercando di superare la potenza militare del proprio avversario: e anche se le armi tacciono, non è possibile per questo parlare di pace; 3. l'uso delle armi nucleari in un eventuale conflitto potrebbe davvero condurre a una catastrofe di dimensioni inimmagina­ bili, mettendo a repentaglio la stessa esistenza umana; «giu­ stizia, saggezza e umanità»4 richiedono dunque la fine della corsa agli armamenti, l'avvio simultaneo e reciproco di un progressivo disarmo e il bando delle armi nucleari; 4. le tensioni e le dispute fra Stati siano affrontate e risolte essenzialmente per via diplomatica, in uno spirito di lealtà e di rispetto della giustizia e del diritto internazionale. Quasi a conclusione del cammino fatto, troviamo al n. 42, al cul­ mine di una sorta di climax argomentativo, una delle affermazioni centrali deìl'enciclica, una vera e propria pietra miliare per la ricer­ ca etico-teologica, un discriminante con cui tutta la riflessione suc­ cessiva dovrà necessariamente fare i conti: l'uso della forza militare per risolvere le controversie internazionali «alienum est a ratione», «è senza senso, è irragionevole»! 5 Risulta dunque definitivamente abbandonata la teoria della guerra giusta e ogni possibile tendenza giustificazionista del ricorso alla violenza bellica. Siamo davanti a una lettura teologale e sapiente della storia: non viene giudicato il passato, ma viene riconosciuto con chiarezza e lucidità che nell'era nucleare è impensabile, irrazionale e illogico credere di ristabilire i diritti violati con la guerra. Ci troviamo davvero davanti a una svolta

4

PT39.

5 La traduzione italiana («per cui riesce quasi impossibile pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia») fa perdere la forza del testo latino.

-31-

epocale: un fondamento così solido come la teoria della guerra giu­ sta viene a essere rimosso con un colpo di spugna, aprendo la strada a un nuovo tipo di riflessione, tesa a proporre modalità più umane nella risoluzione delle tensioni internazionali. Proprio per questo Giovanni XXIII ribadisce la necessità di un'au­ torità internazionale imparziale (non asservita cioè agli interessi di alcune potenze) con competenza universale, che sia in grado di garan­ tire la tutela del bene comune universale e la risoluzione nonviolenta dei problemi. Questa sottolineatura può sembrare banale e scontata ai nostri occhi: se viene letta, però, nel suo contesto storico ed ecclesiale, se ne può davvero apprezzare la portata profetica e innovativa. Con la Pacem in terris viene inaugurata, dunque, una nuova stagio­ ne per la riflessione morale cattolica sulla pace: attraverso di essa il pontefice ha voluto dare uno scossone alla mentalità cattolica e ha dato il la per un nuovo modo di affrontare le spinose questioni di una soli­ dale collaborazione internazionale. Altri temi decisivi, come quello del­ la legittimità della difesa armata, verranno toccati in testi magisteriali successivi quali, in primis, la costituzione pastorale Gaudium et spes.

Gaudium et spes:

la condanna della guerra totale Il Vaticano II è stato certamente una grazia grandissima per la Chiesa: da molteplici punti di vista ha segnato l'inizio di un profon­ do rinnovamento teologico e pastorale e di una radicale ricompren­ sione della missione e del ruolo che la Chiesa ha all'interno della società contemporanea. Le quattro costituzioni conciliari sono poi la «Magna Charta» di questa ventata di aria fresca, di questo soffio del­ lo Spirito. Certamente il testo di Gaudium et spes è stato uno dei più travagliati e proprio la riflessione sulla pace, contenuta nel capitolo quinto della seconda parte ( «La promozione della pace e la comu­ nità dei popoli»), è stata oggetto di molte discussioni, tensioni e rima­ neggiamenti prima della sua approvazione definitiva. Focalizzeremo la nostra attenzione su GS 77-82, che è il fulcro del discorso. 6

6 Cf. G. TURBANTI, Un Concilio per il mondo moderno. La redazione della costi­ tuzione pastorale «Gaudium et spes» del Vaticano Il, il Mulino, Bologna 2000, 58-64. 70-77. 181-209.

-32-

Dopo aver trattato della vita economica e politica all'interno dei singoli Stati, nel capitolo quinto, a causa del complesso scenario internazionale, il concilio riprende «sotto una nuova luce - il bene comune del genere umano - sia i principali temi politici sia quelli economici».7 La costruzione della pace passa necessariamente attra­ verso il riconoscimento della dignità di ogni persona e di ogni popo­ lo: «la pace comincia ad apparire come il frutto del progressivo rico­ noscimento e dell'effettiva garanzia dei diritti fondamentali di cia­ scuno».8 Alla base di tutto, però, c'è il riconoscimento della necessità di guardare al problema con una mentalità nuova, con gli occhi e la mente purificati da una vera conversione al Vangelo, annuncio di pace e di perdono. 9 I numeri 77-78 hanno una funzione introduttiva e fondativa e mettono perciò in risalto le radici biblico-teologiche della pace, così come essa è compresa dai credenti in Cristo. Possia­ mo individuare tre passaggi: 1. va anzitutto sottolineata l'assunzione della categoria biblica di shalom, intesa come pienezza di vita e benedizione: essa comporta amore e fedeltà verso Dio e giustizia e carità verso ogni uomo. Viene così definitivamente abbandonata l'idea della pax romana, della pace come fine delle ostilità; 2. il secondo momento è di indole prettamente cristologica: lo shalom offerto dal Signore Risorto il mattino di Pasqua è un fatto di portata escatologica, ma allo stesso tempo illumina e guida il cammino dell'umanità nel tempo della storia; 3. vengono lodati coloro che scelgono di costruire la pace non attraverso le armi, ma con la forza della nonviolenza, rinun­ ciando alla logica dell'«homo homini lupus». La seconda parte comprende i numeri 79-80 e affronta direttamen­ te le questioni di etica normativa; vengono sviluppati i seguenti punti: 1. il dovere di limitare l'inumanità della guerra. Si abbandona il tono profetico della condanna assoluta della guerra, così come era stata espressa in Pacem in terris: si prende atto, inve­ ce, dell'esistenza dei conflitti armati ma, a causa della poten­ za distruttiva degli armamenti moderni, è più che mai neces7 E. CHIAVACCI, Teologia morale, I: Teologia Morale e vita economica, Cittadella, Assisi 1990, 135. 8 L. PAOLI, «Un nuovo cammino sulla via stretta della pace. Il Magistero cattoli­ co negli ultimi 40 anni», in RTM 133(2002), 54. 9 «Tutte queste cose ci obbligano a considerare l'argomento della guerra con mentalità completamente nuova» (GS 80).

-33-

sario essere in grado di gestire la ferocia dei conflitti, poten­ ziando gli strumenti internazionali di controllo già esistenti e istituendone di nuovi; 2. l'obiezione di coscienza viene accettata, anche se non con par­ ticolare entusiasmo. «Il concilio Vaticano II si pronuncia in modo più cauto, non prende posizione sulla verità oggettiva della decisione dell'obiettore di coscienza», 10 e si limita a rac­ comandare un benevolo trattamento giuridico nei suoi con­ fronti da parte delle entità statali. L'obiezione viene così cita­ ta per la prima volta in un documento magisteriale: non è riconosciuta, però, come un valore evangelico, contrariamen­ te a quanto veniva affermato nei confronti della nonviolenza al numero precedente; 3. a causa della presente situazione dell'umanità, segnata dal peccato e priva di strumenti adeguati per evitare la guerra, bisogna continuare a poter esercitare il diritto alla legittima difesa, poiché uno dei compiti principali dell'organizzazione nazionale è quella di tutelare la sicurezza dei propri cittadini. Difesa, tuttavia, non vuol dire rappresaglia o vendetta: il fine della difesa non rende tutto lecito e, soprattutto, non autoriz­ za l'uso di qualsiasi tipo di arma; 4. anche l'esercito, nella misura in cui la sua azione rientra nella legalità, è una realtà da apprezzare perché finalizzata all'edi­ ficazione della pace; 5. la condanna della guerra totale: «ogni atto di guerra che indi­ scriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato». 11 È l'unica vera condanna espressa dal concilio. La portata del testo si comprende soprattutto alla luce del lungo iter conciliare, in modo particolare nel confronto tra le varie corren­ ti e posizioni: da una parte il card. Feltin e il card. Alfrink, fautori del­ la condanna della guerra nucleare; dall'altro il card. Spellman, vesco­ vo ausiliare di Washington, mons. Hannan e mons. Beck, arcivescovo

10 L. LoRENZEITI, voce « Obiezione di coscienza. Obiezione al servizio militare», in DTP643. 11 «Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa uma­ nità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato» (GS 80).

-34-

di Liverpool, che «hanno soprattutto insistito sui servizi che la bom­ ba atomica potrebbe rendere e sulla legittima difesa». 12 Si discuteva, infatti, della possibilità di distinguere, a livello di giudizio etico, tra l'uso di un ordigno nucleare sporco (incontrollabile e altamente lesi­ vo) e quello di una bomba pulita, che sarebbe stata viceversa più gestibile. Quest'ultimo tipo di ordigno avrebbe soddisfatto alcuni cri­ teri di proporzionalità e avrebbe potuto essere definito moralmente lecito, in circostanze estreme, praticamente alla stregua degli arma­ menti convenzionali. 13 La scelta finale del concilio sarà il supera­ mento di questa distinzione e la condanna di qualunque uso delle armi di distruzione di massa. Dopo quest'affermazione centrale si passa alla corsa al riarmo e alla deterrenza nucleare: 1. la «corsa agli armamenti» non è valutata dal concilio con par­ ticolare gravità: si riconosce il suo valore dissuasivo ed è, per­ tanto, ritenuta accettabile, in una logica di «male minore». Si evidenziano, tuttavia, anche le contraddizioni di questo inces­ sante incremento del potenziale bellico; con esso, infatti, non è ragionevole pensare al raggiungimento di una stabile pace; 2. la continua produzione, ricerca, investimento di capitale fi­ nanziario e umano nella produzione di strumenti bellici sem­ pre più sofisticati, si dimostra però gravemente ingiusta e in­ tollerabile nei confronti dei poveri del mondo; 3. per quanto riguarda la deterrenza nucleare viene proposta come discriminante, dal punto di vista etico, la distinzione tra il semplice possesso (a fini dissuasivi) di armi di tipo ABC (che è dichiarato moralmente accettabile nella presente situa­ zione storico-politica), e il loro effettivo utilizzo, chiaramente condannato al paragrafo precedente. La deterrenza comun­ que deve essere una realtà provvisoria: il fine da raggiungere è quello di una sicurezza fondata sulla fiducia internazionale. Su queste basi, poi, sarà possibile organizzare un vero e pro­ prio disarmo.

12 H. FESQUET, Diario del Concilio. Tutto il Concilio giorno per giorno, a cura di E. MASINA, Mursia, Milano 1967, 686. 13 «Il problema per l'opinione pubblica non è quello di sapere se una guerra nucleare può essere ingiusta o no. Il problema è che non vi siano più guerre. La Pacem in terris va oltre perché essa giunge fino ad interdire assolutamente le armi nucleari» (card. B.J. ALFRINK, «Intervento in aula conciliare», 10 novembre 1964, in FESQUET, Diario del Concilio, 679).

-35-

Eccoci, così, alla conclusione del discorso di Gaudium et spes sul­ la pace. Al numero 82 vengono proposte alcune priorità, per rag­ giungere l'agognata meta della riconciliazione mondiale, cioè il disarmo e la costituzione di un'autorità internazionale garante di equi rapporti tra gli Stati: 1. se la deterrenza è momentaneamente tollerata, la pace vera, però, chiede lo sviluppo di un vero rispetto tra popoli e nazio­ ni, capace di dare avvio a un progressivo disarmo, multilate­ rale e controllato; 2. viene ripresa la proposta dell'istituzione di un'autorità inter­ nazionale ( o della riqualificazione dell'ONU) garante della solidarietà mondiale e della risoluzione pacifica di eventuali discordie internazionali, perché munita di effettivi poteri e di una completa imparzialità. La necessità di poteri pubblici mondiali si fonda sul valore del bene comune universale, che conduce all'unità e allo sviluppo del genere umano, in quanto famiglia di popoli e persone; 3. il concilio invita, infine, a un impegno per un'adeguata educa­ zione dei giovani e un saggio uso dei mezzi di comunicazione di massa. La pace è fatta da persone che costruiscono ponti tra culture, popoli, religioni: proprio per questo i cattolici sono chiamati a collaborare con tutti gli operatori di pace, perché la guerra sia bandita dalla nostra società. Ecco, dunque, una panoramica su questi numeri di Gaudium et spes: si tratta di un testo breve, tuttavia fondamentale per la teologia morale successiva. La condanna categorica della guerra totale e del­ l'uso delle armi nucleari è senz'altro il cuore del discorso: partendo da qui nascerà una ricca riflessione teologica foriera di ulteriori approfondimenti. A rigor del vero, dobbiamo anche notare, però, che alcune prese di posizione di Gaudium et spes sono alquanto conservatrici rispetto al testo di Pacem in terris: l'affermazione che la guerra è talora un male minore, la mancata condanna della corsa agli armamenti e la fredda accoglienza dell'obiezione di coscienza. 14 La stesura finale è

14 «Dovete servire la causa della pace. [ ...] Servitela e non usate questa nobile insegna per coprire la codardia e l'egoismo, che si rifiuta per sacrificarsi per il bene comune; non indebolite e non pervertite lo spirito rifuggendo dal richiamo del dove­ re e cercando il proprio interesse» (PAOLO VI, Omelia, 4 ottobre 1965).

-36-

frutto, infatti, del compromesso mediato dalla sottocommissione e come ogni compromesso, alla fine, lascia scontenti molti. Se, infatti, a una prima lettura il testo può sembrare molto vicino alla sensibilità dell'ala «pacifista», nella realtà «il primato era consegnato alle frasi prudenziali, alle espressioni possibilistiche, quasi contrapponendole a quelle dichiarative sulle quali erano stati costruiti i singoli para­ grafi».15 Tutto ciò starà alla base delle tensioni della stagione post­ conciliare tra chi si atterrà alla lettera del concilio, con le sue novità e i suoi limiti e chi, riferendosi a Pacem in terris, riterrà necessario andare ancora oltre, nella linea di una maggiore radicalità.

15 G. TURBANTI, Un Concilio per il mondo moderno. La redazione della costitu­ zione pastorale «Gaudium et spes» del Vaticano II, il Mulino, Bologna 2000, 776. «In

alcun luogo [...] il possesso di armi nucleari è condannato come immorale. [ ...] Si nega solamente che la corsa agli armamenti possa essere "una via sicura per costruire una pace stabile"[ ...]. Né si dice che le armi scientifiche sono la causa delle guerre; si dice solo che "dalla corsa agli armamenti i motivi di una guerra minacciano di divenire più gravi"» («Lettera inviata ai Padri il 6 dicembre dalla sottocommissione presieduta da Schoffer», in ivi, 775).

-37-

Capitolo 3

Paolo VI

Papa Montini dichiarò nell'enciclica Ecclesiam suam, documento programmatico del suo pontificato, che la promozione della pace sarebbe stata una delle priorità del suo operato come pontefice e che il dialogo franco e disponibile sarebbe stato il principale vettore di questo messaggio. 1 A lui si deve anche l'istituzione della GMP (1 ° gennaio) e una serie di interventi, sia magisteriali e pastorali che diplomatici, per scongiurare le minacce di nuovi conflitti e per favo­ rire una maggiore concordia internazionale, che inaugurasse un'era di progresso globale. Lo stesso viaggio all'ONU (1965) fu proprio concepito come un sostegno a un miglior funzionamento dell'Orga­ nizzazione, affinché fosse veramente in grado di servire alla causa della pace. 2 Il 6 gennaio 1967 istituisce la Pontificia Commissione «.lustitia et Pax», perché operi fattivamente, nel contesto internazio­ nale, per la diffusione di una stabile pace fondata sulla giustizia. C'è da dire, comunque, che nonostante queste iniziative, il suo maggiore contributo alla causa della pace, almeno dal punto di vista teologico, fu quello che seppe dare attraverso alcune sue dichiarazioni, presen­ ti in vari discorsi e in alcuni testi di particolare spessore dottrinale. Vediamo qui di seguito le principali.

1 2

Cf. PAOLO VI, Ecclesiam suam, 17, 6 agosto 1964. Cf. PAOLO VI, Discorso alle Nazioni Unite, l, 4 ottobre 1965.

-39-

Populorum progressio:

la pace non è separabile dalla giustizia

La riflessione sul magistero di pace di Paolo VI non può non considerare l'enciclica Populorum progressio. 3 Il testo, affrontando il tema dello sviluppo, tocca a più riprese la questione della pace. Prendendo in considerazione la paurosa condizione di sfruttamento economico dei Paesi del Terzo Mondo, ridotti al rango di fornitori di materie prime a basso costo, il pontefice individua in questa macro­ scopica ingiustizia una delle ragioni principali, se non la vera causa scatenante, della maggior parte dei conflitti dell'età contempora­ nea.4 Proprio per questo «lo sviluppo è il nuovo nome della pace»: 5 dove si favorisce una crescita integrale ( culturale, religiosa, morale e economica) dell'uomo, lì nasce la pace. 6 È necessario pertanto promuovere condizioni di vita più degne degli esseri umani perché, oggi più che mai, l'umanità è diventata una grande famiglia e l'uni­ ca strada da percorrere è quella della solidarietà: l'economia deve perciò assumere un orientamento umano e sociale. 7 Di fronte poi alle gravi situazioni di ingiustizia perpetrate da regimi tirannici come le dittature dell'America Latina, Paolo VI ammette, sebbene in via eccezionale, anche la possibilità di un ricorso moralmente lecito all'uso della violenza rivoluzionaria, se ogni altra strada in­ cruenta è risultata inutile. 8 È opportuno segnalare, infine, che la Populorum progressio rap­ presenta una significativa apertura del Magistero di Paolo VI nei confronti dell'obiezione di coscienza: vengono lodate, in effetti, le

3 PAOLO VI, Populorum progressio, 26 marzo 1967. 4 «Le disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e discordie, e mettono in pericolo la pace» (PP 76). 5 pp 87. 6 «Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo» (PP 14). 7 «Combattere la miseria e lottare contro l'ingiustizia è promuovere [...] il pro­ gresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell'umanità. La pace[... ] si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini» (PP 76). 8 «L'insurrezione rivoluzionaria - salvo nel caso di una tirannia evidente e pro­ lungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese - è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine» (PP 31).

-40-

iniziative tese a convertire il servizio militare in un impegno a servi­ zio della collettività. 9

Le Saint-Siège et le désarmement In occasione della sessione straordinaria dell'ONU sul disarmo, papa Montini invia il suo messaggio all'assemblea; 10 un paio di mesi prima della sua morte, il pontefice torna a rivolgersi all'ONU per promuovere quella pace che aveva indicato come uno degli obiettivi primari del suo ministero. I punti chiave del suo pensiero non si discostano fondamentalmente dalle affermazioni del concilio; li evi­ denziamo qui di seguito: l. la condanna della guerra in quanto strumento irrazionale e immorale di risoluzione delle controversie internazionali: vie­ ne però ribadito il diritto alla legittima difesa armata; 2. la deterrenza nucleare ha effettivamente assolto e può anco­ ra svolgere una funzione importante nel mantenimento del fragile equilibrio tra le superpotenze. Non ci si può però illu­ dere che la paura possa assicurare una tregua perpetua; 3. per ovviare a quest'impasse, si propone la via del disarmo (gra­ duale, controllato e bilaterale), giacché la corsa agli armamen­ ti, oltre a essere un grande rischio per l'umanità tutta, è davve­ ro uno scandalo che priva di risorse le fragili economie dei Pae­ si in via di sviluppo. Gli arsenali atomici vanno dunque sman­ tellati, favorendo l'utilizzo pacifico dell'energia atomica; 11 4. lo strumento princeps per il raggiungimento di questi obietti­ vi è l'ONU, che deve poter essere in grado di fungere da mediatore imparziale nelle contese internazionali.

9 «Ci rallegriamo nell'apprendere che in talune nazioni il "servizio militare" può essere scambiato in parte con un "servizio civile", un "servizio puro e semplice", e benediciamo tali iniziative e le buone volontà, che vi rispondono» (PP 74). 10 PAOLO VI, Le Saint-Siège et le désarmement, 24 maggio 1978. 11 «Il disarmo militare, per non costituire un imperdonabile errore di impossibi­ le ottimismo, di cieca ingenuità,[ ... ] dovrebbe essere comune e generale. Il disarmo o è di tutti, o è un delitto di mancata difesa» (PAOLO VI, Messaggio per la IX GMP).

-41-

Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace Come dicevamo, Paolo VI ha dato inizio alla tradizione della Giornata Mondiale della Pace. Dal 1968, ogni anno, il santo padre offre una riflessione a tutta la Chiesa sulla pace e sui suoi corollari o, viceversa, sulla pace e sulle condizioni che la favoriscono. Si tratta di discorsi appartenenti al genere letterario dell'esortazione e si rivol­ gono a tutti: contengono l'esposizione di un tema che mette in con­ nessione la pace con qualche aspetto particolare della vita, perché essa stessa diventi foriera di pace. Alla base c'è l'idea che la riconci­ liazione e la fratellanza, per essere stabili e durature, devono comin­ ciare dal basso, da una presa di coscienza personale e sociale, affinché la politica le traduca poi in stili di convivenza e di relazione sociale. 12 Il pontefice pone anzitutto l'accento sulla necessità di una rivo­ luzione morale che porti ciascuno a riconoscere nell'altro il volto del fratello. 13 Il primato va, dunque, alla persona, che non deve mai esse­ re vittima dello strapotere di entità politiche, di gruppi, di ideologie; non dimentichiamo, infatti, che proprio in vista di una maggiore col­ laborazione alla causa dei diritti umani, in stretta collaborazione con le Nazioni Unite, la Santa Sede partecipò a tutte le conferenze internazionali promosse dalle Nazioni Unite, ad esempio sullo stato e la promozione della donna, sulla discriminazio­ ne razziale; sulla popolazione, sulla casa è l'ambiente; sui rapporti nord-sud; sull'impiego dell'energia atomica; sulla condizione dei gio­ vani; sui rifugiati; sul diritto del mare; sulla sicurezza e la pace. 14

Accanto all'impegno di papa Montini per la pace, però, non pos­ siamo non notare un mancato sviluppo delle indicazioni di Giovanni XXIII e del concilio. Non è stata per esempio ripresentata chiara-

12 «I reggitori dei pop_oli [ ...] dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sen­ timenti delle moltitudini. E inutile infatti che essi si adoperino con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità,[ ...] odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri» (GS 82). 13 «La pace vera deve essere fondata sulla giustizia, sul senso dell'intangibile dignità umana, sul riconoscimento d'una incancellabile e felice eguaglianza fra gli uomi­ ni, sul dogma basilare della fraternità umana» (PAOLO VI, Messaggio per la IV GMP). 14 T. BERTONE, «Le vie promosse dalla Santa Sede nella promozione della pace», in F. BIFFI (ed.), La pace: sfida all'Università Cattolica, Atti del Simposio fra le Univer­ sità ecclesiastiche e gli Istituti di Studi Superiori di Roma, Roma, 3-6 dicembre 1986, Herder-FIUC, Roma 1988, 655.

-42-

mente la condanna della guerra moderna e anche quando il pontefi­ ce ha prospettato il disarmo, lo ha sempre fatto pensandolo equili­ brato e controllato, senza entrare nel merito del tipo di difesa che fosse lecito mettere in atto. Nella vicenda della guerra in Vietnam, soprattutto alla fine del 1967, molti cristiani chiedono che il papa intervenga per chiedere la pace, perché siano interrotti i bombarda­ menti sulle popolazioni civili del Vietnam del nord. [ ... ] La scelta di Paolo VI è quella di un'equidistanza diplomatica, che si esprime in concreto in un'esortazione alle parti a trovare i punti di una soluzio­ ne al conflitto, offrendo in qualche modo la propria mediazione. 15

Eppure su alcune questioni morali, come quelle dell'etica coniu­ gale,16 erano state assunte posizioni coraggiose, nette e impopolari; di fronte a questi problemi di etica sociale, invece, il pontefice si è tro­ vato particolarmente in difficoltà: un po' per la situazione politica estremamente complessa, ma forse anche per le gravi persecuzioni che la Chiesa stava subendo. È come se non avesse ritenuto ancora maturi i tempi per l'elaborazione definitiva di una nuova etica delle relazioni internazionali e avesse lasciato ancora aperto il campo alla riflessione.17 Proprio per questo, seguendo l'insegnamento del concilio, ha invitato i credenti a servirsi delle indicazioni del magistero per rag­ giungere, all'interno del proprio ambiente culturale, con l'aiuto di tutti gli uomini di buona volontà, le soluzioni che sarebbero sembra­ te più vicine alle esigenze del Vangelo. E questo è certamente molto interessante perché riconosce alla comunità ecclesiale la capacità teologica di inculturare la fede nel proprio contesto di vita. 18

15 M. TOSCHI, «Dalla svolta giovannea alla Guerra del Golfo», in A. CAVAGNA (ed.), I cristiani e l'obiezione di coscienza al servizio militare. Nella Bibbia, nella storia della Chiesa, nella teologia contemporanea, EDB, Bologna 1992, 98-99. 16 Cf. PAOLO VI, Humanae vitae, 25 luglio 1968. 17 Cf. R. Bozzi, «Strategie militari: aspetti filosofico-giuridici», in G. MAGNANI (ed.), Pace, disarmo e chiesa, Piemme-Università Gregoriana Editrice, Roma 1984, 86. 18 «Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola uni­ ca e proporre una soluzione di valore universale.[ ...] Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese, chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell'insegnamento sociale della Chiesa [ ...] per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie» (PAOLO VI, Jet. enc. Octogesima adveniens, 4, 14 maggio 1971).

-43-

Capitolo 4

Giovanni Paolo II

II messaggio per la sessione ONU sul disarmo Un primo momento del magistero di pace di Giovanni Paolo II è certamente il discorso pronunciato a Hiroshima: Ricordare Hiroshima è aborrire la guerra nucleare. [ ... ] Il ricorso alla guerra non è inevitabile o insostituibile. [ ... ] L'umanità è in obbligo verso se stessa di regolare differenze e conflitti attraverso mezzi pacifici.1

L'affermazione è molto chiara e sembra addirittura escludere la legittima difesa armata; alcuni mesi dopo, all'Angelus domenicale, il papa afferma che l'unica scelta moralmente accettabile è quella del disarmo graduale e multilaterale. 2 L'anno seguente, però, invia un messaggio alla sessione dell'ONU sul disarmo e, parlando della dis­ suasione, afferma che

Il, Discorso a Hiroshima, 4, 25 febbraio 1981. effetti scientificamente previsti come sicuri di una guerra nucleare, l'unica scelta, moralmente e umanamente valida, è rappresentata dalla ridu­ zione degli armamenti nucleari, in attesa della loro futura eliminazione completa» (GIOVANNI PAOLO II, Angelus, 5, 13 dicembre 1981). 1 GIOVANNI PAOLO 2 «Di fronte agli

-45-

nelle attuali condizioni, una dissuasione basata sull'equilibrio, non certamente come un fine in sé ma come una tappa sulla via di un disarmo progressivo, può ancora essere giudicata come moralmen­ te accettabile. 3

1. Viene così offerto un tacito riconoscimento dell'equilibrio del terrore, perché impedisce uno scontro diretto tra le superpo­ tenze; 2. la dissuasione è però compresa come la ricerca dell'equilibrio strategico e non come il tentativo di raggiungere la superio­ rità militare; 3. questo stato di cose deve essere temporaneo, in vista del disarmo. Non si può non notare una certa differenza tra questo messaggio all'ONU e le affermazioni precedenti: Giovanni Paolo II ripresenta qui i criteri di valutazione di Gaudium et spes, avallando così suo mal­ grado la logica dei potenti. È proprio evidente la difficoltà ad affron­ tare la realtà della deterrenza: se ne vede la malizia in quanto occa­ sione prossima di peccato, allo stesso tempo però, non si può non rico­ noscerne i benefici e giustificarla, seppur momentaneamente. 4 Questa valutazione è riaffermata anche nell'incontro che si è tenuto in Vaticano il 18 e 19 gennaio 1983, alla presenza di vescovi europei e americani, sotto la presidenza del card. Ratzinger, per valutare la stesura della lettera pastorale dell'episcopato statuniten­ se La sfida della pace, dopo che la sua prima redazione aveva susci­ tato dubbi per le posizioni apertamente pacifiste. 5 Su richiesta dei partecipanti, il card. Ratzinger offre un commento al messaggio del papa all'ONU, affermando tra l'altro che «i pericoli [dello scontro nucleare] non possono essere evitati altrimenti che per mezzo di un solo strumento a nostra disposizione: una dissuasione sufficiente (al giorno d'oggi anche nucleare)». 6 Non essendo stata fornita dal magi-

3 GIOVANNI PAOLO

II, Messaggio alla Il Sessione speciale delle Nazioni Unite per

il disarmo, 8, 7 giugno 1982. 4 Cf. G. TRENTIN, voce «Difesa. Deterrenza», in DTP 304. 5 CONFERENZA EPISCOPALE USA, La sfida della pace, 3 maggio 1983. 6 «La réunion de Rome des 19-20 Janvier», in La Documentation Catholique, 24 luglio 1983, (1856), 714. La traduzione è nostra. «Bisogna applicare al problema della dissuasione [...] dei principi morali generali che sono intimamente legati a quelli che riguardano l'utilizzo delle armi nucleari, nella misura in cui la dissuasione consista essenzialmente, in fin dei conti, nella minaccia (o nell'intenzione dichiarata) di ricorre-

-46-

stero una nuova dottrina, dunque, il punto di riferimento continua a essere la teoria della guerra giusta. 7

Dalla promozione dei diritti umani al no a ogni guerra Seppure la deterrenza sia un'amara necessità per impedire la guerra, il papa è convinto che la chiave di volta per la costruzione della pace siano i diritti umani, i beni fondamentali della persona in comunità: della loro promozione la Chiesa si fa carico, perché l'an­ nuncio del vangelo è agente di autentico progresso. Proprio per que­ sto la libertà di coscienza e la libertà religiosa diventano un tema ricorrente dei messaggi del 1 ° gennaio: esse sono, infatti, il compi­ mento dell'uomo, perché il senso dell'agire umano è la ricerca della verità.8 «La pace si riduce al rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo [ ...], mentre la guerra nasce dalla violazione di questi diritti».9 Queste considerazioni si traducono in un sempre maggior rifiuto di qualunque giustificazione dell'uso della forza militare; non per niente, nella Centesimus annus il pontefice tesse le lodi della nonvio­ lenza, che era riuscita a far crollare un sistema che sembrava desti­ nato a durare per sempre. 10 Il disarmo riveste a questo punto un ruo­ lo chiave, perché è il segno e l'effetto di questa ritrovata fiducia tra est e ovest, ma soprattutto perché permette di destinare molte più risorse allo sviluppo dei Paesi poveri, fondando così la pace interna­ zionale sulla solida roccia del bene comune.

re eventualmente, come ultima opportunità, ali 'uso di armi nucleari [...) oppure nel sem­ plice possesso delle medesime anni, con la conseguenza di potersene servire» (ibidem). 7 Cf. «La réunion de Rome des 19-20 Janvier», 714. «E sarebbe allo stesso modo esagerato leggere le affermazioni del concilio sulla guerra e la pace come la rinascita di un sostegno della scelta pacifista, perché soltanto nei primi quattro secoli del cri­ stianesimo esisteva una certa forma di opposizione al servizio militare» (ibidem). La traduzione è nostra. 8 «La libertà dei singoli e delle comunità di professare e di praticare la propria religione è un elemento essenziale della pacifica convivenza degli uomini» (GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXI GMP). 9 GIOVANNI PAOLO II, Redemptor hominis, 17, 4 marzo 1979. 10 «Le lotte che hanno condotto al crollo del marxismo insistono con tenacia nel tentare tutte le vie del negoziato, del dialogo, della testimonianza della verità, facen­ do appello alla coscienza dell'avversario e cercando di risvegliare in lui il senso della comune dignità umana. [... ) Che gli uomini imparino a lottare per la giustizia senza violenza» (GIOVANNI PAOLO Il, Centesimus annus, 23, 1 maggio 1991).

-47-

Di fronte all'invasione irachena del Kuwait, allora, il papa afferma con chiarezza che l'ordine internazionale va ristabilito attraverso la mediazione dell'ONU. Proprio per questo, il rapido intervento del Consiglio di Sicurezza è interpretato come un motivo di speranza e come l'indizio di una nuova disponibilità nel gestire le crisi in manie­ ra collegiale e incruenta.11 La posizione vaticana non è motivata da un'aprioristica condanna della lotta armata; anzi, venne ricordato che la guerra può essere legittima solo se è l'ultima ratio; nel caso del Kuwait la guerra doveva essere evitata perché la comunità internazio­ nale ha ancora a disposizione dei mezzi coercitivi incruenti. 12 A distanza di circa dieci anni, di fronte alla nuova invasione anglo-americana dell'Iraq, il papa riafferma l'inopportunità della guerra, questa volta, però, basandosi anche sulla sua illiceità giuridi­ ca, poiché l'ONU non ha concesso nessuna autorizzazione all'uso della forza. La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta del­ l'umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l'esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell'uo­ mo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi. 13

La critica ufficiale alla strategia statunitense della guerra preventi­ va si fonda, infine, anche sulla consapevolezza che il diritto internazio­ nale, e in primis la carta dell'ONU che regola il ricorso alla forza mili­

tare, è uno strumento indispensabile a cui è necessario prestar fede, per evitare di piombare in un selvaggio bellum omnium contra omnes. 14 11 «È molto difficile che la guerra porti un'adeguata soluzione ai problemi inter­ nazionali e che, anche se una situazione ingiusta potesse essere momentaneamente risolta, le conseguenze che con ogni probabilità deriverebbero dalla guerra sarebbero devastanti e tragiche» (GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Presidente degli Stati Uniti d'A­ merica G. Bush, 15 gennaio 1991). 12 «Noi non siamo pacifisti, non vogliamo la pace ad ogni costo. Una pace giusta» (GIOVANNI PAOLO Il, Discorso alla Parrocchia di S. Dorotea- Roma, 17 febbraio 1991). «Il Pontefice non ha predicato [...] una condanna di ogni uso della forza militare in nome del Vangelo, ma ha affermato[ ...] l'esigenza di tendere all"'assoluta proscrizio­ ne della guerra" e la "necessità" di evitare "questa guerra"» (L. AccAITOLI, «Il Papa», in D. DEL Rm (ed.), La pace sprecata. I/ Papa, la Chiesa e la guerra nel Golfo, Piem­ me, Casale Monferrato 1991, 73). 13 GIOVANNI PAOLO Il, Discorso al Corpo Diplomatico, 4, 13 gennaio 2003. 14 Cf.J.-L. TAURAN, Intervento al Convegno: «La Chiesa e l'ordine internazionale», 2c,[documento WWW], accesso: URL: accesso: 12 dicembre 2006).

-.48-

I conflitti etnici e l'ingerenza umanitaria Già nell'estate 1991, a pochi mesi dalla fine della guerra del Gol­ fo, scoppiava il primo dei conflitti balcanici. Il dramma principale è il continuo coinvolgimento dei civili: bisognava perciò trovare un modo per impedire queste sistematiche stragi. Il papa sostiene allo­ ra la necessità di un intervento internazionale che potesse disarma­ re i contendenti, portare soccorso alle popolazioni e ridare fiato al dialogo. 15 «Secondo la dottrina tradizionale della Chiesa la guerra giusta è solo q__uella di difesa. Ogni popolo deve avere il diritto di difendersi». 16 E espresso qui un certo abbandono della teoria della guerra giusta, rimpiazzata dalla legittima difesa e dal suo corollario che è l'intervento umanitario.17 La sola differenza con la legittima difesa tout court è che il difensore non è stato a sua volta attaccato: si getta nella mischia perché la vittima non ha la forza di farlo e l'in­ differenza sarebbe sinonimo di connivenza. 18 Può richiedere anche l'impiego della forza, qualora le parti non siano disposte a deporre le armi; rimane, però, chiaro il dovere di salvaguardare la propor­ zionalità tra il bene da promuovere e il male (phisicum) che l'inter­ vento (specie se con mezzi militari) porta con sé. L'ideale sarebbe di poter usare soltanto mezzi nonviolenti, ma non è detto che essi sia­ no sempre adeguati. Sebbene l'ingerenza umanitaria sia giuridicamente molto proble­ matica, da un punto di vista etico-teologico è molto più accettabile, soprattutto perché si riallaccia all'insegnamento di Pacem in terris, che auspicava un impegno internazionale per la tutela dei diritti

15 «La coscienza dell'umanità [ ...] chiede che sia reso obbligatorio l'intervento umanitario nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli e di interi gruppi etnici» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Conferenza inter­ nazionale sulla nutrizione, 5 dicembre 1992, 3); la traduzione italiana è nostra. 16 GIOVANNI PAOLO II, Intervista, in J. GAWRONSKI, «lo, Papa dei due mondi: l'O­ vest e l'Est», in La Stampa, 2 novembre 1993, 2. Cf. GIOVANNI PAOLO Il, Discorso al Corpo diplomatico, 16 gennaio 1993, 4. 17 «Una guerra di aggressione è intrinsecamente immorale.[ ... ] I responsabili di uno stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi» (PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 2 aprile 2004, LEV, Città del Vaticano 2004, 500). 18 «Disarmare l'aggressore non si configura solo come un diritto dell'aggredito, ma come dovere di chiunque voglia sostenere la causa della pace» (L. PAOLI, «Un nuo­ vo cammino sulla via stretta della pace. Il Magistero cattolico negli ultimi 40 anni», in RTM 133(2002]. 55).

-49-

umani. Essa va così configurandosi come la versione aggiornata del­ la guerra giusta: qualora tutti gli strumenti diplomatici e le altre solu­ zioni nonviolente siano falliti o appaiano ragionevolmente inefficaci, è doveroso arrestare l'aggressione anche con la forza militare. La sovranità nazionale, infatti, non è assoluta; gli unici valori irrinuncia­ bili sono il bene comune universale e i diritti umani: se essi sono gra­ vemente minacciati, bisogna intervenire. La scelta dell'intervento deve però essere soggetta a un attento discernimento, affinché non diventi una scusa per giustificare politiche guerrafondaie.

Il terrorismo e lo