Giuseppe De Luca. Dopo cinquant'anni (1962-2012) 9788862274869, 9788862274876

A cinquant'anni dalla morte, il volume è dedicato alla figura e alla storia di Giuseppe De Luca, sacerdote nato nel

186 53 945KB

Italian Pages 108 [103] Year 2013

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Giuseppe De Luca. Dopo cinquant'anni (1962-2012)
 9788862274869, 9788862274876

Table of contents :
SOMMARIO
1962-2012. Ricordando Giuseppe De Luca
L’editoria e la cultura cattolica da Murri a De Luca
Il progetto di De Luca editoreattraverso il carteggio con Fausto Minelli:contro «lo sciatto pressappochismo di uno stuolo di improvvidi velleitari»
La nascita della casa editrice: «Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi»
Le collane, i protagonisti:Mario Praz, Agostino Lombardo, Gabriele De Rosa, Augusto Campana
Il prete, l’editore lo studioso di storia della pietà
La politica editoriale di De Luca, i rapporti con Massimiliano Majnonie la Banca Commerciale Italiana
Ringraziamenti
Indice dei nomi

Citation preview

GIUSEPPE DE LUCA Dopo cinquant’anni (1962-2012)

SAMANTA SEGATORI

n u o v i s a g g i ·   5.

PISA · ROMA FABRIZIO SERRA EDITORE M MX I I I

NUOVI SAGGI *  5.

GIUSEPPE DE LUCA Dopo cinquant’anni (1962-2012)

SAMANTA SEGATORI

PISA · ROMA FABRIZIO SERRA EDITORE M MX I I I

This page intentionally left blank

Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 203 by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. www.libraweb.net Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 5627 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected] Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 0085 Roma, tel. +39 06 70493456, fax +39 06 70476605, [email protected] * Stampato in Italia · Printed in Italy issn 722-522 isbn 978-88-6227-486-9 isbn elettronico 978-88-6227-487-6

This page intentionally left blank

A m i o p a d re c o n e t e rn a g r a t i t ud i n e «Tutto passa; ma non passa Iddio, né poi passiamo, se siamo con Dio. Sì, tutto muore, e anche noi moriamo: ma la morte non è tanto la fine, quanto è un inizio. Quel che morendo si perde è un guadagno. La morte è la seconda nascita nostra, la nascita più vera e più bella». (Don Giuseppe De Luca, Commenti al Vangelo festivo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1968, vol. II, p. 689)

This page intentionally left blank

SOMMARIO Ricordando Giuseppe De Luca (1962-2012) L’editoria e la cultura cattolica da Murri a De Luca Il progetto di De Luca editore attraverso il carteggio con Fausto Minelli: contro «lo sciatto pressappochismo di uno stuolo di improvvidi velleitari» La nascita della casa editrice: «Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi» Le collane, i protagonisti: Mario Praz, Agostino Lombardo,Gabriele De Rosa, Augusto Campana Il prete, l’editore lo studioso di storia della pietà La politica editoriale di De Luca, i rapporti con Massimiliano Majnoni e la Banca Commerciale Italiana

11 25 40 50 62 68

I molti, agognati finanziatori: i difficili rapporti con la Chiesa La copia dei registri deluchiani delle “Edizioni” Ringraziamenti

75 83 93 96

Indice dei nomi

97

This page intentionally left blank

962-202. Ricordando Giuseppe De Luca

N

ato il 15 settembre 1898 a Sasso di Castalda, paesino lucano in provincia di Potenza, De Luca,

di famiglia contadina e piccolo borghese, ebbe tra gli zii numerosi sacerdoti di notevole statura intellettuale e morale. Tra essi, lo zio materno Vincenzo D’Elia, illuminato educatore di una dirigenza cattolica a livello cittadino, nazionale ed europeo […] nel 1919 sarà incaricato da d. Stur1 zo di fondare ed avviare la locale sezione del PPI .

Sin dalla prima infanzia sentì forte la vocazione al sacerdozio come espressione di quell’amore per la figura di Cristo che segnò tutta la sua esistenza: Volevo essere prete. Questo sì, volevo essere prete. Non lo sapevo io medesimo perché, ma volevo essere prete. Per tutta la giovinezza, questa certezza mi ha seguito: perché mi seguisse, perché fosse così certa, io non lo sapevo né ancora lo so. […] Tanta rocciosa determinazione, a sei anni, come a dodici, come a venti, io non so di dove mi sia venuta. L’ho portata in me, come il 2 volto, come la mia statura .

La volontà espressa dalla madre, Raffaella Viscardi, morta di febbre puerperale, che il figlio diventasse un giorno prete, fu per lui una sorta di input inconscio. Arrivò nel seminario di Ferentino, in mezzo ai padri gesuiti, a soli nove anni; qui conobbe padre Giuseppe Filograssi (professore di Sacra Scrittura nel Leonino ad Anagni dal 1910 al 1912, poi passato a Roma alla Gregoriana) che rimase per lui sempre un fidato consigliere e con il quale condivise incarichi ecclesiastici, viaggi, come quello che nell’estate del 1946 li vide insieme in Val Bregaglia, per ordine del Generale dei Guanelliani, Don Mazzucchi. De Luca giunse a Roma nel 1911, per interessamento dello zio, monsignor D’Elia, figura di spicco nella storia del movimento cattolico e della stampa cattolica nel Mezzogiorno; questi fu, infatti, segretario del vescovo di Monterisi, e «dal 1906, parroco della SS. Trinità di Potenza per più di mezzo secolo, assunse allora in Basilicata il ruolo di esponente di primo piano nell’organizzazione religiosa e civile dei Cattolici, ancora emarginati dal predominante anticlericalismo dei Socialisti e dei 3 Liberali» . Uomo di chiesa Don D’Elia e al contempo giornalista, con importanti amicizie legate al Seminario dell’Apolinnare (Sturzo, Buonaiuti, Pacelli), “educatore e formatore di coscienze”, così è ritratto dal nipote in una lettera del Natale del 1949:

1

Romana Guarnieri, De Luca Giuseppe, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. 1860-1980. Vol. II, I protagonisti, Casale Monferrato (Al), Marietti, 1982, p. 171. 2 Giuseppe De Luca, Vita prima, in Giovanni Antonazzi, Don Giuseppe De Luca Uomo Cristiano e prete (1898-1962), Brescia, Morcelliana, 1992, pp. 409-410. 3 Antonio Cestaro, Don Vincenzo D’Elia (1874-1962): prete-giornalista, «Rassegna storica Lucana», XIX (1999), 29-30, p. 3.

12

samanta segatori

Voi siete stato il sacerdote che mi sarebbe piaciuto di essere a me: aperto a tutte le speranze, amico della buona intelligenza e maggiormente amico della santità; il più onorato e il più spoglio di onori, privo degli agi più elementari, povero come un orfano che abbia il padre nei Cieli e consolato come il padre di tutti, circondato da amici innumerevoli e tuttavia segreto, solitario, silenzioso. La nostra povera Basilicata, voi non l’avete fuggita come ho fatto io e tutti fanno ap4 pena possono: siete restato a Potenza, parroco .

Fu proprio D’Elia, dunque, a comprendere subito la necessità per il piccolo, ma già promettente Giuseppe, di un’educazione e soprattutto di una preparazione più confacente alle sue potenzialità. Fu allontanato, quindi, giovanissimo dalla sua terra, a cui rimase sempre indissolubilmente legato: in una lettera a Baldini del 2 maggio 1930 la ricordava così: Sarà che io ricordo certe giornate di quand’ero infante, e sognavo di lassù «nuovi mondi spuntare»; e i miei primi anni son pieni di malinconia, quella malinconia della terra, magari vaga, ma profonda, e più dentro nel nostro sangue che non tutte le umane e mondane esperienze di poi. […] credo non le sfuggirà questo lato della Basilicata, così intimo, così segreto, e così tristemente 5 dolce .

Il primo incontro del ragazzo con la città eterna fu assai denso: Venni a Roma. Veni Carthaginem. Venni dunque a Roma, e per via, alle stazioni ferroviarie – mi accompagnava il compianto conte Gaetani – gridavano il Corriere della sera e le Canzoni d’oltremare di D’Annunzio: era l’autunno del 1911. […] Entravo nella camerata dei Piccoli, dov’era prefetto il chierico Domenico Tardini. Che stagioni, che stagioni furono quelle, e che giorni, che anni! Chissà se Dio mi darà di poterlo raccontare: quei luoghi, quei volti, quegli ani6 mi, quelle anime .

Percorse le tappe obbligate del seminario minore a S. Apolinnare, nel 1913 del Seminario Vaticano e, in seguito, del seminario maggiore a S. Giovanni in Laterano dove era giunto nel 1914. Gli anni del Seminario non furono per lui di spensieratezza, tanto da apparire spesso ai compagni chiuso in sé e taciturno: «Non studiava le materie d’insegnamento, bastandogli avere ascoltato le lezioni; per contro, in quello che lo interessava, studiava per conto suo, con una furia che non era intesa né dai compagni né dai superiori, i quali ultimi vedevano con sospetto e trepidazione tan7 ta avidità di letture, che si sottraeva a ogni controllo o disciplina» . L’anno trascorso in Vaticano influenzò moltissimo il giovane che iniziò il suo primo innamoramento per quei luoghi che lo rendevano consapevole di avere vicino a sé il “Sovrano”, il papa. Lo colpivano le strade, la grandiosità e la bellezza della capitale: 4

Ivi, p. 9. Antonio Baldini - Giuseppe De Luca, Carteggio: 1929-1961, a cura di Emilio Giordano, prefazione di Carmine Di Biase, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1992, p. 44. 6 G. Antonazzi, Don Giuseppe De Luca Uomo …, cit., p. 81. 7 Romana Guarnieri, Notizia bio-bibliografica di Don Giuseppe De Luca, «Rivista di storia della Chiesa in Italia», XVII (1963), p. 17. Sulla figura di De Luca cfr. Gabriele De Rosa, De Luca, Giuseppe, http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-de-luca_(Dizionario-Biografico)/. (Ultima consultazione 7 aprile 2013). 5

962-202. ricordando giuseppe de luca

13

Ho amato questa Roma, dai giorni che prima vi approdai con una tenerezza senza confronti, dico la Roma di Cristo e de’ cristiani, quella di Pietro, insomma. Né la storia né le storie, né la gloria né le miserie, né i patimenti né le poltronerie me ne hanno mai disamorato: e ora che son vecchio, e non lo dico per civetteria, ora ne vedo con acutezza maggiore tutta la luce e ogni mi8 nima ombra .

Al Laterano, invece, rimase per un decennio, subendo, da giovane seminarista, il fascino di quei luoghi che gli divennero familiari tanto quanto la sua Lucania: La formazione del Seminario Romano, grazie alle norme emanate da Pio X, ricalcava linee tradizionali, le quali, se contenevano non pochi aspetti positivi, denunciavano un marcato distacco dalla realtà della vita che si svolgeva all’esterno delle sacre mura. […] La disciplina vi era meticolosa. Si può dire che tutti i momenti della giornata venivano scanditi con norme da osservare 9 fedelmente .

Nel 1917 ottenne la licenza liceale al «Torquato Tasso»; vasta fu la sua formazione: studiò paleografia e diplomatica presso l’Archivio Vaticano, si iscrisse alla facoltà di Lettere, pur non portando a compimento gli studi intrapresi; negli anni di frequentazione dell’ateneo romano conobbe Vittorio Rossi e Nicola Festa con i quali collaborò nel 1922 all’Edizione Nazionale dell’Africa e delle Familiari di Francesco Petrarca. Proprio per la sua “raffinata” conoscenza della poesia petrarchesca, De Luca nel 1923 propose a Papini di inserire all’interno della collezione curata dallo scrittore fiorentino, «Libri della Fede», un’antologia di salmi e preghiere del Petrarca: Per la fine dell’anno, le darò il Petrarca. Ci saranno le sue preghiere quotidiane, i salmi penitenziali (7) + i salmi confessionali (7) da lui composti, più alcune (non poche né brevi né brutte) preghiere che sono nelle opere sue latine. Io dovrò dare in edizione critica le preghiere e i salmi del P., nell’edizione nazionale che quest’anno incomincerà con l’Africa e seguirà poi con l’epistolario: ho dunque un materiale grande di codici e dati per ricostruire quasi a nuovo 10 l’attività letteraria ascetica del P. .

Dal Festa fu introdotto, inoltre, all’Enciclopedia Italiana presso la quale «tra il 1930 11 e il 1937, dal vol. VI al vol. XXXV, […] pubblicò 170 voci» . Si addottorò il 7 luglio 1921 in Sacra Teologia. Mantenne sempre un’intensa frequentazione con le biblioteche, gli archivi, verso cui era spinto dal grande amore per i libri antichi, per l’erudizione in genere e, in particolare, per quella di stampo ecclesiastico. Fu ordinato sacerdote il 30 ottobre del 1921 dal Card. Pompilj che lo incardinò nella diocesi di Roma, rendendolo così “prete romano”, qualifica di cui egli fu sem8

Giovanni Antonazzi, De Luca «segreto», in *Don Giuseppe De Luca e la cultura italiana del Novecento. Atti del Convegno nel centenario della nascita, Roma, 22-24 ottobre 1998, a cura di Paolo Vian, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001, p. 12. 9 G. Antonazzi, Don Giuseppe De Luca Uomo …, cit., p. 85. 10 Giuseppe De Luca – Giovanni Papini, Carteggio. I, 1922-1929, a cura di Mario Picchi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1985, p. 67. 11 Don Giuseppe De Luca - Giovanni Battista Montini, Carteggio: 1930-1962, a cura di Paolo Vian, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1992, p. 15.

14

samanta segatori

pre estremamente orgoglioso. Per De Luca Pompilj rimase, fino alla morte nel 1931, una figura paternamente presente nei momenti del bisogno. Nel 1923 iniziò il suo apostolato sacerdotale come cappellano dei vecchi, presso le Piccole Suore dei Poveri, a San Pietro in Vincoli, che si protrasse fino al 1948: erano gli anni della sua residenza in via degli Zingari 52. Fu sempre orgoglioso della sua dimensione sacerdotale e in una lettera del 26 luglio 1951 a Benedetto Croce, ribadiva questa sua condizione interiore affermando: «È stato il sogno della mia vita solitaria, essere credente e prete … ed essere uomo 12 che pensa che sente, che conosce e affronta il proprio tempo» . Alla risposta del filosofo datata 29 luglio, commista di ironia e una punta di polemica: «Che cosa vuol dire Don Giuseppe col chiamarsi: prete? – di preti ce n’è 13 d’ogni sorta e ne ho conosciute io stesso le grandi diversità» , egli replicava il 10 agosto, senza esitazione:«rispondo subito che prete può significare un credente sincero, anzi un ministro della religione cattolica; e può nel senso deteriore, significare un uomo divenuto il suo mestiere, fossilizzato, e attento … alla sola apparenza, sia 14 pure non per ipocrisia: Vorrei essere quello e non questo ed è il mio pericolo» . Una scelta, dunque, totalizzante, una naturale dimensione esistenziale da cui non avrebbe mai potuto allontanarsi: «Quand’entrai in seminario, m’insegnarono a non togliermi mai la tonaca, fuorché andando a letto la sera; e anche allora, prima di metterla da un canto nella notte, baciarla. Così, al mattino, prima d’infilarmela, 15 tornare a baciarla» . Apparve, però, spesso agli altri come prete sui generis, fuori dalle righe, lontano dai canoni di una presunta “normalità” sacerdotale. La sua schiettezza, il linguaggio sovente troppo colorito e non condizionato da quella formalità che egli aborrì sempre, lo resero a volte scomodo ed imbarazzante per un ambiente, quello ecclesiastico, in cui dalla forma non si era soliti prescindere. “Facchino di Cristo”: questo era il ruolo del sacerdote per De Luca che si sentì sempre immerso nel suo servizio ad alios, tanto che «persino sul letto di morte, […] incurante delle proprie condizioni, non rimandò nessuno dei molti che lo ricerca16 vano; e a chi tentava di dissuaderlo, rispondeva: - Sono tutte anime da salvare» . Nel 1922 coadiuvò mons. Stornajolo nella catalogazione dei codici dell’Archivio Capitolare di San Pietro. Nel 1923 don Luigi Sturzo lo chiamò a collaborare alla terza pagina de «Il Popolo», organo del Partito Popolare Italiano. Tale partecipazione non si fermò nemmeno davanti al precipitare degli eventi e il conseguente esilio di Sturzo. Il legame tra i due sacerdoti fu molto forte e portò De Luca a rimanergli vicino fino alla morte, svolgendo un ruolo non secondario nei difficili rapporti che Sturzo 12

Lettera di Giuseppe De Luca a Benedetto Croce del 26 luglio 1951, Archivio De Luca ora in Benedetto Croce - Giuseppe De Luca, Carteggio. 1922-1951, a cura di Gianluca Genovese, introduzione di Emma Giammattei, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2010. Da adesso in poi indicheremo con l’acronimo ADL tutta la documentazione consultata presso l’Archivio suddetto. 13 Lettera di Benedetto Croce a Giuseppe De Luca del 29 luglio 1951. ADL. 14 Lettera di Giuseppe De Luca a Benedetto Croce del 10 agosto 1951. ADL. 15 G. Antonazzi, Don Giuseppe De Luca Uomo …, cit., p. 102. 16 Ivi, p. 91.

962-202. ricordando giuseppe de luca

15

ebbe con la Chiesa romana anche e soprattutto dopo il suo rientro in Italia. Attraverso Montini, De Luca cercò di mediare la diffidenza che buona parte della gerarchia ecclesiastica nutriva verso il prete siciliano, a causa dell’atteggiamento di dissenso che aveva assunto nei confronti di alcune posizioni della Democrazia Cristiana. Il politico lo volle, poi, tra i fondatori dell’Istituto intitolato al suo nome come espressione della gratitudine e della stima che nutriva per lui. Nel dicembre del 1924 iniziò la pubblicazione di una collezione intitolata «Piccola Raccolta», edita dalla Federazione Italiana Uomini Cattolici (mentre Tardini ne era assistente generale) che andò avanti fino al volume 20 del 1927. De Luca, in verità, definiva i numeri della collana, opuscoli, volumetti: ne riconosceva, insomma, la natura in qualche modo “modesta”. Dal 1926, poi, si occupò anche del «Bollettino per gli Assistenti ecclesiastici della Gioventù Cattolica Italiana». Nel 1925 ebbe quel tracollo nervoso «le cui conseguenze De Luca si porterà dietro per tutta la vita»; fu un percorso che Vian definisce praticamente opposto a quello dell’amico Giovanni Battista Montini che lo portò «dalla comunità 17 all’individualità» . In verità, più che un percorso, a noi sembra semplicemente un ritorno: De Luca non amò mai l’associazionismo e i movimenti di massa in genere ma pensò all’inizio di poterne fare strumento di diffusione di cultura; si ricredette ben presto. Tornando, poi, alla crisi nervosa, in una lettera del 12 febbraio 1926 a Papini, raccontava con dolore quei momenti: Tutto novembre e dicembre sono stato faccia a faccia con la pazzia; almeno essa mi pareva. Una orribile e totale prostrazione di forze, senza pace e senza luce la mente, acuto spasimo agli occhi e per tutto il cranio: ecco sunteggiati quei due mesi. Immagini se m’era possibile far nulla. Or m’è rimasta una nevrastenia sottile e insidiosa, che mi dà poco fastidio in confronto ai primi at18 tacchi, ma m’impedisce ogni lavoro degno di questo nome .

E ancora, ripercorrendo quel tremendo periodo, in una missiva del 30 agosto 1928: In quel mesto novembre, accasciato e in preda a pensieri terrificanti la mia anima, non potei più restar solo […] una sera verso le 9 bussai alla porta del mio Seminario per ospitalità. Il povero rettore, vero padre per me, […] mi fece preparare una cameretta … Sono stato lì sino al maggio del 1927 […] il cardinale, appena mi vide malato, […] mi prese la mano e disse: Hai voluto cam19 minare per conto tuo, e ti sei rotto la testa. Se mi davi retta …

Uscito dal Seminario, prese possesso della casa che gli spettava come Cappellano presso le Piccole Suore dei Poveri, in via Barnaba Tortolini, 4 (oggi via del Fagutale). Iniziò, quindi, una nuova fase della sua vita; fu allora che con lui andarono a vivere le sorelle Dina e Nuccia e il fratello Luigi. Il 12 ottobre 1927 fu nominato Archivista della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale. Sentì quasi subito una certa insofferenza verso il lavoro burocratico che, in quegli uffici, era costretto a 17

Ivi, p. XIII. G. De Luca - G. Papini, Carteggio …, cit., p. 89. 19 Ivi, pp. 200-201. 18

16

samanta segatori

svolgere: in quei cinque anni più volte se ne lagnò con gli amici. A Prezzolini, all’interno di una lunga lettera datata 4 dicembre 1929, confidava: «Pel Petrarca sono due anni che ho lasciato il Prof. Rossi. Devo far l’impiegato della S. Sede, per aver quel migliaio di lire scarso, che mi serve per me e due sorelline che ho con me e un fratello; scarso ma sicuro. E l’impiego mi ha tolto di poter studiare[…] Prima 20 leggevo il leggibile, m’occupavo di filologia» . Il 4 luglio 1931 a Montini, confessava: «Forse quest’estate mi libero dall’ufficio. 21 Prega il Signore anche tu, Montini, che ci riesca e ci riesca bene» . A quegli anni risale l’inizio di un rapporto molto stretto col cardinal Gasparri (di cui riceveva le confidenze anche in previsione di una biografia che non vide mai la luce) e col cardinal Cerretti, che lo proteggeva e lo favoriva nella sua vocazione per gli studi, guardata, molto spesso, con sospetto dalla Chiesa Romana. Ma il rapporto più intenso fu quello con Domenico Tardini, quel Tardini che allora già “prefetto” accolse De Luca tredicenne all’interno del Seminario. Per questo il sacerdote lucano non smise mai di provare per lui un affetto e un rispetto che in occasione della sua morte lo portarono a scrivere parole toccanti: L’ebbi prefetto in Seminario […] L’ebbi poi professore di sacramentaria, al Laterano. Lo vidi sacerdote, […] lo vidi persino soldato. Lo vidi allora dovunque egli fu. Eppure non ricordo che abbia mangiato una volta a casa mia […] Lo vidi tanto spesso nella sua stanzuccia di professore al Laterano.[…] Non so d’aver mai parlato con lui né di cose, né di uomini, né di faccende […] eppure eppure, egli non disprezzava i miei sogni. […] Con nessuno tanto si apriva, e io non mi apersi mai con nessuno come con lui. Dovevo a lui se a Roma io ero potuto restare così senza 22 onori e senza oneri .

Con il suo aiuto ebbe da subito rapporti e collaborazioni varie con le strutture ecclesiastiche, soprattutto tra gli anni Venti e Trenta; svolse, infatti, un lungo “apprendistato” con l’Azione Cattolica e con i vari movimenti ad essa legati, dal 1923 al 1931. Ebbe sempre a cuore le problematiche gestionali interne alla Chiesa, costante fu, infatti, il richiamo «al ruolo della parrocchia, al problema della formazione del 23 clero, alla predica come momento essenziale della vocazione» . Rimase sempre coerentemente convinto della funzione “spirituale del pensiero”, e per questo motivo si preoccupò che la cultura legata al cattolicesimo si rialzasse dallo stato di torpore e di inerzia che pativa da lungo tempo. Iniziò, proprio per i motivi sopra menzionati, una serie di intense collaborazioni con il quindicinale «Gioventù Nova», organo della gioventù attiva nell’Azione cattolica laziale, mentre Tardini era vice-assistente ecclesiastico della Gioventù Cattolica del Lazio; esordì, infatti, sul n° 9 (4 maggio 1924) con un commento duro con-

20

Don Giuseppe De Luca - Giuseppe Prezzolini, Carteggio (1925-1962), a cura di Giuseppe Prezzolini, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1975, p. 66. 21 D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. 31. 22 Carlo Felice Casula, Domenico Tardini (1888-1961), Roma, Edizioni Studium, 1988, pp. 31-69. 23 Luisa Mangoni, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Torino, Einaudi, 1989, p. 14.

962-202. ricordando giuseppe de luca

17

24

tro le violenze e le devastazioni verso le sedi dell’AC perpetrate da gruppi di squadristi fascisti: Questa lettera e questa offerta, non può passare inosservata per noi. Quando il governo che si chiama, e quando vuole, è realmente un governo forte, si nasconde – è il meno che si possa dire – e ci lascia indifesi; quando per la nostra educazione cristiana e civile ci è impossibile ribattere con la violenza la violenza; quando insomma la nostra innocenza è rimasta sola ed inerme contro l’assalto di bande canagliesche armate e spalleggiate, questa lettera [del Cardinale Gasparri] e 25 questa offerta acquistano per noi un’importanza assai alta .

Nel 1924 con l’esilio di Sturzo, l’attività della stessa AC sembrò affievolirsi, fino a consentire, se non favorire, un vero e proprio assenteismo civile e culturale del mondo cattolico che creò non pochi motivi di preoccupazione in De Luca, da sempre convinto sostenitore della funzione vitale svolta dalla cultura all’interno della società. La Chiesa doveva avere come preoccupazione primaria quella di contribuire alla formazione di giovani in grado di produrre sapere, di essere loro stessi cultura, continuando a coltivare il sogno della creazione di una sorta di élite, foriera di un concetto di studio profondamente rinnovato. Nella seconda metà del 1928 diede vita, seguendo questo ideale di educazione alla cultura, al «Convito Apostolico», una collezione di operette classiche cristiane, edita a cura del «Bollettino per gli AA. [assistenti] EE. [ecclesiastici] delle organizzazioni cattoliche maschili» (di cui De Luca si occupava da tempo): Il Convito Apostolico. È quella collezione che lei sa, e di cui sono per uscire (finalmente!) 5 volumi, e glieli invierò tra giorni. Si tratta di testarelli sacerdotali, di preti a preti, per uso interno. […] una col lezioncina del genere mi dà l’agio di collocarvi qualche testo che mi preme, di fare un po’ di reclame e una buona stampa ai grandi morti dimenticati, e insieme di farmi largo tra una classe di preti, dove poi mi piacerebbe far entrare qualche idea nuova di rinascimento inte26 riore e culturale .

24

Violenze e devastazioni subite anche dal mondo della stampa e di quella periodica in particolare. A Palermo, nel 1924, si tenne l’ottavo e ultimo incontro dei rappresentanti dei giornalisti, dopo di che la FNSI, con la fascistizzazione integrale della stampa, fu sciolta dal regime e incorporata nel sindacato unico che era naturalmente filogovernativo. Moltissime le sedi dei giornali quasi demolite, fino a quando l’attentato a Mussolini del 1926 fu utilizzato come pretesto per giustificare la necessità impellente di sciogliere ogni partito e sopprimere la stampa di opposizione. A tal riguardo cfr. Giancarlo Carcano, Il fascismo e la stampa: 1922-1925. L’ultima battaglia della Federazione nazionale della stampa italiana contro il regime, Milano, Guanda, 1984; Id., Il fascismo contro la stampa, Roma, Federazione nazionale della stampa italiana, Centro di studi e documentazione sul giornalismo, [1979]; Valerio Castronovo, La stampa italiana dall'unità al fascismo, Bari, Laterza, 1984; Riccardo Cassero, Le veline del Duce: come il fascismo controllava la stampa, Milano, Sperling & Kupfer, 2004; Paolo Murialdi, La stampa del regime fascista, Roma-Bari, Laterza, 2008; Pierluigi Allotti, Giornalisti di regime: la stampa italiana tra fascismo e antifascismo (1922-1948), Roma, Carocci, 2012. 25 G. De Luca - G. Papini, Carteggio …, cit., p. 72n. 26 Ivi, p. 233.

18

samanta segatori

In verità il progetto della collana era partito nel 1925; De Luca ne parlava, infatti, già allora, a Papini, chiamandoli “testarelli sacerdotali” e chiedendogli suggerimenti 27 sul titolo da dare alla “collezioncina” . Nel 1927 Raimondo Manzini lo chiamò a collaborare al «Carroccio» e poi nel 1929 lo invitò a scrivere sulla terza pagina dell’«Avvenire d’Italia». Nel ’27, su richiesta di Igino Righetti, iniziò a collaborare a «Studium», rivista della FUCI. Nella fase storica che vedeva il fascismo affermarsi in maniera sempre più totalizzante, in uno scontro aperto con l’Azione Cattolica, De Luca sembrò allontanarsi inesorabilmente dal gruppo e la fine del «Convito» nel 1931 suggellò definitivamente questa dolorosa separazione. In una lettera a Montini del 19 novembre 1930 egli esprimeva tutta la distanza ormai incolmabile con il mondo dell’associazionismo cattolico: Caro Montini, il dissenso – non sarà mai, spero dissidio – che si manifestò ieri tra noi due, continuando io a pensarci sopra, mi sono accorto che è assai più profondo e vasto di quanto lì per lì, parlando, non apparisse. E se per un lato me ne dolgo, per un lato ne son lieto. […] Per me i cristiani, non la Chiesa, soffrono oggi di un perpetuo ingorgo di attività, e non fanno che ridirsi tra loro le medesime cose; mentre l’essenziale tutti lo sanno e basterebbe che si mettessero, senza tante chiacchiere discorsi congressi e azioni cattoliche, a viverlo. Manca loro ogni visione del mondo circostante[…] E nulla è più sterile e infecondo di questo continuo starsi a contare, a parlare, ecc. ecc., mentre la società è pagana. Ma siccome, grazie a Dio, io non sono chiamato né ufficialmente né internamente a occuparmi di queste cose, intendo non occuparmene per nulla, nemmeno fra me e me, pensando.[…] Il giorno 18 nov. 1930 ha segnato la fine di ogni mia velleità riguardo a ciò che poteva essere mia partecipazione alle forme ora vigenti di attività collettiva. […] Voi non perderete nulla, perdendo me; io riguadagno una parte di me che era sempre lì per lì per eva28 dermi e sfuggirmi .

Un incontro datato 18 novembre aveva visto consumarsi tra De Luca e Montini uno scontro assai forte che rappresentava il cozzare violento tra due approcci completamente diversi al cattolicesimo vissuto. La risposta del futuro papa non si fece attendere, il 19 novembre replicava con durezza: Caro De Luca, Addio dunque, e con immensa amarezza. […] Quello che mi rattrista è proprio questo meditato abbandono; non sono i rimproveri all’inferiorità della cosidetta azione, alla sua sproporzione con gli ideali e i bisogni cui mira, alla stessa infedeltà con cui può essere deformata e tradita. Avete giudicato l’azione come un movimento di comando, non avete visto l’implorazione di soccorso rivolta a tutte le anime di buona volontà, di cui respira. L’avete vista languire in sterili conati di conquista, diventati begucce regolamentari interiori e ne siete rimasti sdegnati e delusi. Avete osservato la sua inettitudine a parlare, e commuovere il mondo circostante, e non avete dato fiato alla sua voce, tuono alla sua tromba. Avete applaudito a chi vi rifiutava, avete lasciato nella solitudine chi vi invitava. Se domani la volontà sarà velleità, e il ridicolo sarà l’epilogo della milizia cattolica, non tutta la colpa sarà dei poveri caporali che hanno desiderato e non avuto il comando dei cervelli capaci di darlo [corretto su farlo]. Se la tua solitudine fosse una semplice tattica – ed anche lo è – ed una pura fedeltà al proprio concreto lavoro e alla propria vocazione – e lo 27 28

Ivi, pp. 62-64. D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., pp. 21-22.

962-202. ricordando giuseppe de luca

19

è – non avrei diritto ad alcun lamento. Ma mi sembra enunciata come una teoria […] Tu scegli i libri, io vorrei scegliere le anime. […] Ti ascolterò là discorrere ai lontani, e imparerò come di29 scorrere ai vicini .

La critica di De Luca, in verità, andava ben oltre il mondo dell’Azione Cattolica e delle organizzazioni cattoliche ad essa collegate, era lo scontro tra due mondi, due culture; egli, invero, non nascondeva «la sua antipatia nei confronti del “movimento liturgico”, di autori come Adam e Guardini, che invece suscitano l’interesse di 30 Montini» . La rottura con i gruppi cattolici si consumava in quel preciso momento storico ma i motivi di fondo De Luca li covava dentro di sé da tempo: «il fuoco sacro dello studio è un po’ come quello della santità, si appiglia dove Dio vuole, e 31 non dove noi vogliamo» scriveva presentando la «Piccola Raccolta» nel 1924 . Nel 1931, con la collana «Per verbum ad Verbum» iniziò quella lunga collaborazione con la Morcelliana, su cui più avanti torneremo. «Negli anni che seguono De Luca volge ormai la propria attenzione e cura a piccoli ma battaglieri gruppi di laici, i quali, […] tentano di dare ossigeno in Italia alla dispersa avvilita asfittica cultura dei cattolici, aprendola alle idee, alle problemati32 che, ai dibattiti vivi tra alcuni grandi spiriti della cultura europea» . Collaborò dal 1929 al neonato «Frontespizio», sotto la direzione di Piero Bargellini che, in una lettera del 2 novembre di quell’anno gli scriveva per la prima volta: Reverendo De Luca, si sta compilando un “Lunario infallibile”per l’anno 1930. Papini, Giuliotti, Pellizzari, Hermet, Lisi, Casini, Baroni, Angelini lavorano e reclamano anche la sua collaborazione. Il Lunario avrà: una parte calendario, una parte dedicata alle feste, una alla liturgia, una alla letteratura, una alla storia (faremo tutti i centenari dal 70 a.C. al 1830). A quale parte ella crede di poter lavorare? […] Per saltare di palo in frasca, le voglio dire che quegli appuntamenti bibliografici che fa sull’ “Avvenire d’Italia” sono interessantissimi e che la sua collaborazione sarebbe preziosa anche al “Frontespizio” ora che diventerà un bollettino aperto a tutte le edizioni italiane e straniere. Ma di questo ne riparleremo. Mi risponda per piacere o risponda a Papini dicendo il lavoro che è di33 sposto a fare e a consegnare entro il 20 di novembre .

Fu proprio De Luca, secondo Romana Guarnieri, ad imprimere alla rivista quelle caratteristiche assai peculiari che ne fecero un fenomeno particolare ed unico nel panorama culturale del Novecento. Attorno al foglio, si era unito «un gruppo di giovani letterati cattolici – il gruppo guida era quello del Lunario (Bargellini, Lisi, Betocchi) che si andò man mano allargando». Lavoravano uniti perché motivati da una volontà comune, quella di «togliere alla cultura cattolica la patina di conformismo che la confinava ai margini e aprirla alle esperienze dell’arte e della cultura 34 contemporanee» . Fu, senza dubbio, nello scenario cattolico, la rivista più aperta 29

Ivi, pp. 22-23. Ivi, p. XVII. 31 R. Guarnieri, Notizia bio-bibliografica …, cit., p. 38. 32 Ead., De Luca Giuseppe, in Dizionario storico del movimento cattolico …, cit., pp. 171-178. 33 Piero Bargellini - Giuseppe De Luca, Carteggio. I, 1929-1932, a cura di Giuliana Scudder, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998, pp. 3-4. 34 Ivi, p. VIII. 30

20

samanta segatori

all’incontro con la modernizzazione della cultura, mantenendo quelle solide fondamenta teologiche di cui il prete romano era stato uno dei fautori. De Luca «vide nel Frontespizio una delle vie possibili per portare la cultura catto35 lica fuori dalle sagrestie e agire liberamente accanto e in mezzo alla cultura laica» . Nel 1929 ebbe i primi contatti con Antonio Baldini che lo inviterà, poi, nel 1931 ad apportare il suo aiuto e la sua collaborazione alla «Nuova Antologia». Nel 1936 iniziò poi un’attiva cooperazione con l’«Osservatore romano», curando la rubrica settimanale «La Parola Eterna», a lui particolarmente cara perché occasione unica di essere scrittore sì, ma al contempo prete. Si occupò di storia con Bargellini, di letteratura cattolica con Papini, insomma scrisse incessantemente, usando a volte il suo nome e molto spesso servendosi di 36 pseudonimi , tanto da rendere assai difficile l’individuazione del corpus di tutte le sue pubblicazioni. L’allontanamento del prete romano da Bargellini iniziò durante la guerra. L’ultimo contributo importante alla rivista fiorentina era infatti del febbraio 1939, Il cristiano come un antiborghese e già nel 1934 c’era stato un primo allentamento del rapporto fra i due. Nella mente di De Luca cominciavano a muoversi, sempre più forti, quegli interessi che poi lo portarono all’ideazione delle due grandi ‘creazioni’ della sua vita; nel 1934, infatti, nel suo contributo Le fontane della pietà (pubblicato in agosto) cominciò a prendere forma, seppure in embrione, il progetto a cui lavorò più a lungo: la “storia della pietà”. C’era stato, nel frattempo, l’inizio di un’altra collaborazione importantissima, quella con «Primato», accanto a quel Giuseppe Bottai che fu suo confidente e amico per tutta la vita. Si erano conosciuti probabilmente nel 1938 in una cena in onore di Marino Lazzari, alla quale parteciparono anche Baldini, Papini e Bargellini. Sin dall’inizio degli anni Trenta, De Luca aveva cominciato ad avere contatti frequenti con il Ministero dell’Educazione Nazionale e dal 1932 aveva intrapreso una collaborazione ad una rubrica fissa, «Scrittori contemporanei», all’interno della rivista mi35

Ibidem. Numerosissimi gli pseudonimi dietro i quali nascose la sua identità. Ne citiamo solo alcuni: Alcuino, Don Petronio, Fottivento, Fucinus, Monens, Fuligatto, Il gallo in feccia, Gracimolo, Lazzaro, Ireneo Speranza, Ponziano, Il suonatore di fagotto, Supplizio, Topo di biblioteca, Il cenciaiolo, Il monaco di Tebaide, Scriba, Topo d’archivio, Homo quidam, Gamma. Sull’argomento si rimanda alle riflessioni di: Piero Bargellini, I tempi del «Frontespizio», in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze, a cura di Mario Picchi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998 [Ristampa anastatica dell’edizione del 1963 edita dalla Morcelliana (Brescia)]; Romana Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia (1898-1962), Bologna, Il Mulino, 1974; Luisa Mangoni, Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo: la rivista «Il Frontespizio», in *Modernismo, fascismo, comunismo. Aspetti e figure della cultura e della politica dei cattolici nel ‘900, a cura di Giuseppe Rossini, Bologna, Il Mulino, 1972; U. Massimo Miozzi, Giuseppe De Luca e il «Frontespizio» (1930-1940): il problema degli pseudonimi. Con note di Piero Bargellini,, «Otto/Novecento», 1 (1982), pp. 161-179; Bibliografia di Don Giuseppe De Luca, a cura di Michela Picchi e Donatella Rotundo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005; Samanta Segatori, «Amico di molti, ma quasi che fosse amico di ciascuno in segreto». De Luca tra carteggi e testimonianze, «Esperienze Letterarie», XXXIII (2008) 4, pp. 113-133. 36

962-202. ricordando giuseppe de luca

21

nisteriale «Scuola e cultura». Fu proprio grazie a questi stretti rapporti intrattenuti da De Luca con il Ministero che Bargellini ottenne il posto di ispettore centrale. L’intreccio di relazioni con Lazzari, con la «Nuova Antologia» e Federzoni, il ruolo sempre più importante assunto all’interno dell’«Osservatore Romano» (continuava a curare la rubrica già menzionata «La Parola Eterna», i cui contributi furono poi raccolti nei Commenti al Vangelo Festivo), gli inviti di Frateili a collaborare a «Tribuna» e di Longanesi a intervenire su «Omnibus», portarono De Luca a consolidare fortemente una serie di rapporti politici e culturali. Nel giugno e ottobre del 1938 si sposarono rispettivamente il fratello Luigi e la sorella Dina; a casa con lui rimaneva la sorella Maddalena, detta Nuccia. Nel marzo dello stesso anno ricevette l’incarico da Giovanni Gentile di curare il XVII volume dell’edizione delle opere del Petrarca, contenente i Salmi, le Preghiere e le Postille; lo raccontava all’amico Prezzolini in una lettera del marzo 1938: «Sai che Gentile mi ha chiamato e ha dato a me un vol. dell’ed. naz. del Petrarca? Non mi disprezzare Prezzolini, è vero che tu sei prof. universitario, ma anch’io sono bravo … 37 Scusa la malinconia, ma è quello che c’è di più pulito al mondo» . Ci lavorava ancora nel 1940, perché in un’altra missiva del 29 gennaio, raccontava di occuparsi con “energia” del progetto e appariva felice, poiché l’incarico gli aveva permesso di tornare al suo antico amore: «Ripiglio studi tralasciati da un decennio; e a causa del Petrarca e intorno a lui, come succede, ho ripigliato altre morte fila 38 della mia gioventù tessitrice» . Probabilmente la possibilità di un approfondimento della conoscenza con Bottai e l’invito a collaborare a «Primato», nacquero proprio da questo fitto intrecciarsi di 39 relazioni . In una missiva del 13 marzo 1940 Bottai così si rivolgeva al prete romano: Caro De Luca, Vecchietti mi ha riferito sul colloquio avuto con voi e precisamente sui tanti, e tutti eccellenti, spunti che voi proponete di svolgere per Primato. Vi sarò grato pertanto se voi, come avete promesso a Vecchietti, vorrete collaborare d’ora innanzi assiduamente alla nostra rivista, che ha bi40 sogno del costante e amichevole aiuto di scrittori acuti e preparati come voi .

All’interno del gruppo si ritrovarono nomi importanti che in parte confluirono nel «Politecnico» di Elio Vittorini e in parte andarono a formare quel nucleo di cattolici comunisti che ebbero in De Luca un amico fidato; basti menzionare Franco Rodano e Adriano Ossicini (leader storico, assieme a Rodano, dei movimenti di sinistra cristiana che si susseguirono dal 1941 al 1945), suo medico personale e grande amico del sacerdote che lo volle accanto a sé sul letto di morte. In quegli anni nascevano le Edizioni di Storia e Letteratura, mentre De Luca si ritirava definitivamente dalla letteratura, rifugiandosi silenziosamente in 37

D. G. De Luca - G. Prezzolini, Carteggio …, cit., p. 177. Ivi, pp. 197-198. 39 L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., pp. 283, 266. 40 Giuseppe Bottai - Giuseppe De Luca, Carteggio: 1940-1957, a cura di Renzo De Felice e Renato Moro, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1989, p. 3. 38

22

samanta segatori

quell’erudizione che lo portò lontano, molto lontano, dagli anni del «Frontespizio» e della «Nuova Antologia». Il 15 marzo 1940 era stato eletto socio ordinario dell’Accademia degli Arcadi; il 12 agosto del 1943 De Luca fu nominato con breve apostolico di Pio XII, prelato domestico di Sua Santità. Nel 1942 sull’«Osservatore Romano» alla rubrica «La Parola Eterna» curata dal 1936, sostituì «Motivi», che poi nel 1944 divenne «Motivi in tema di profughi»; sempre nel 1943-1944 curò altre due rubriche su «Studium», intitolate «Noi, cristiani» e «Noi, fratelli». Nel 1954 creò il bollettino «Mater dei»; dal 1955 al 1962 scrisse sul «Bollettino del Clero». Sempre nel ’55 conobbe il Patriarca di Venezia, Card. Angelo Roncalli, al quale rimase legato fino alla morte: fu Roncalli, diventato papa con il nome di Giovanni XXIII, a fargli visita poche ore prima che De Luca morisse. Il 4 giugno 1960, per il Concilio Ecumenico Vaticano II, fu nominato consultore della Pontificia Commissione Preparatoria degli Studi e dei Seminari; il 5 ottobre 1961 fu riconfermato come membro della stessa Commissione. Nel 1960 un grave lutto colpì De Luca e la sua famiglia: la morte del fratello Luigi in un incidente stradale. Nel febbraio del 1962 fu nominato membro corrispondente della Mediaeval Academy of America. Progettò, sostenuto dal nuovo pontefice, l’unificazione in un solo grande organismo degli archivi delle singole Congregazioni Romane che mettesse a disposizione degli studiosi un immenso patrimonio di notizie: era quello che per anni De Luca aveva vagheggiato. In quello stesso mese, il 18 fu ricevuto per l’ultima volta in udienza dal pontefice, il quale pare gli avesse annunciato la sua nomina a prefetto della Biblioteca Vaticana; gli fu richiesto, inoltre, un «Memoriale», attraverso il quale, presentare un progetto particolareggiato della Fondazione «La Pace». Finalmente, lì, De Luca avrebbe potuto riunire in un’unica sede le sue Edizioni e l’immensa biblioteca privata di oltre 80000 volumi lasciata in eredità alla Biblioteca Apostolica Vaticana. La morte lo colse, proprio quando il sogno sembrava avverarsi, il 19 marzo 1962. Le mille sfaccettature di una personalità variegata come quella di Giuseppe De Luca fanno sì che ricostruire il suo ruolo di editore, prescindendo dal prete, dal giornalista, dal raffinato bibliofilo, dall’uomo di cultura, sia impresa pressoché impossibile perché in lui questi diversi aspetti si sovrapponevano e si intersecavano in maniera inestricabile. In altra sede, con l’ausilio prezioso dei carteggi, abbiamo ripercorso le sue origini, la formazione, i rapporti con gli ambienti ecclesiastici, con la classe intellettuale, attraverso un viaggio tra gli scambi epistolari avuti con l’élite culturale e politica di quegli anni. Il tentativo è stato quello di ricomporre il puzzle, la rete fittissima di relazioni che egli gestì con personalità di rilievo che andavano da Wilmart a Bre-

962-202. ricordando giuseppe de luca

23

mond, da Croce a Dionisotti e Billanovich, da Prezzolini a Branca, da Bottai a Stur41 zo, da De Gasperi a Togliatti e Rodano. Il gigantesco scambio di lettere (oltre mille) tra Don Giuseppe De Luca e l’editore della Morcelliana, Fausto Minelli, ci ha dato, invece, modo di rivivere «una delle storie più interessanti della cultura cattolica del Novecento»; per il futuro editore “romano”, infatti, questo rapporto ha rappresentato un fondamentale momento di crescita, un percorso irto di difficoltà che lo portò, all’inizio degli anni Quaranta, alla creazione di un’impresa editoriale di grande rilievo. Vittore Branca, che gli fu vicino in questa avventura, amava ricordare che «quando si farà storia di questo periodo, […] pochissime personalità potranno stargli accanto per la forza e l’ampiezza dell’azione esercitata nel rinvigorire e nello sprovincializzare gli studi italiani dopo le lunghe chiusure in senso nazionalistico e in senso idealistico». Il termine chiave dell’affermazione di Branca è quello “sprovincializzare” che sarà alla base di tutto il lavoro dell’uomo, del sacerdote e dell’editore. De Luca lavorò incessantemente al «sogno di far cadere i vecchi, rosi e tuttavia resistenti muri divisori tra cultura sacra e profana, e mescolare in un’acqua sola le acque della nostra tradizione». Il concetto di cultura e di editoria proposto era “elitario”, superava la visione di 42 un’editoria di roba grave voluta da Croce e andava, secondo Branca, ben oltre . Il suo concetto di letteratura, cultura e quindi di editoria fu difatti avverso ad ogni schematica restrizione poiché egli non amava le etichette quali quella di “scrittore cattolico”, binomio per lui deleterio, non tanto per lo scrittore, quanto per il cattolico. Secondo Romana Guarnieri, infatti, la letteratura cattolica militante non offriva in Italia in quegli anni molti nomi; né d’altro canto l’attenzione del giovane De Luca si rivolgeva esclusivamente ai cattolici e alla «cultura cattolica», sbandierata sino alla nausea ma paurosamente inconsistente, bensì, già da allora, agli «altri», ai lontani: già il seminarista De Luca si sentiva chiamato non tanto a custodire il gregge quanto ad 43 allargarlo: non soltanto cane da pastore, ma anche animale da preda .

Da preda, sì, perché il “fiuto” di De Luca era cosa nota e lo aiutò non poco in quel tentativo di allargare orizzonti che spesso gli apparivano angusti, legati ad un concetto di cultura che andava assolutamente rivisto anzi, per certi aspetti, completamente rivoluzionato. All’interno di questa visione si collocava, dunque, la sua idea di editoria, ben delineata sin dai primi passi mossi al fianco di Fausto Minelli, nella casa editrice bresciana Morcelliana con cui collaborò a lungo. «Cosa trasmettere al nuovo millennio della figura di un uomo talvolta definito “enigmatico”, certo per la stupefacente 41

S. Segatori, «Amico di molti, ma quasi che fosse amico di ciascuno in segreto» …, cit., pp. 113-133; Ead., Branca tra editoria, riviste e cultura, «Nuovi Annali della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari», XXV (2011), pp. 131-147. 42 Cfr. Ead., Le edizioni di Storia e Letteratura: De Luca e il desiderio di sprovincializzare la cultura italiana in *Nel mondo dei libri. Intellettuali, editoria e biblioteche nel Novecento italiano. Atti del Convegno tenuto a Urbino il 21-22 ottobre 2009, Manziana, Vecchiarelli, 2010, pp. 139-154. 43 R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca …, cit., p. 31.

24

samanta segatori

pluralità di aspetti di una personalità che solo il suo essere “prete romano” sapeva 44 ricongiungere in unità»? Il quesito di Paolo Vian individua il problema cardine delle indagini condotte sul sacerdote, poiché solo ricomponendo le diverse sfaccettature di una personalità così complicata e molto spesso contraddittoria, si può pensare di ricondurre gli opposti ad una sintesi che proponga un ritratto veritiero dell’erudito, dell’uomo di cultura, del letterato, dell’impresario del sapere, dell’editore, del prete e forse di molto altro ancora. Le parole di Adriano Ossicini in questo senso appaiono assai esplicative: fu un singolare curatore di anime, fu un confessore, fu in tutti i sensi un prete […] Egli ha certamente molto più parlato di quanto non abbia scritto, ha certamente molto più mosso di quanto non si sia mosso, sul piano dei rapporti umani, ma tutto questo è chiuso nel segreto delle coscienze e va iscritto nella grande opera religiosa e morale che questo prete ha svolto in contatto 45 con tante persone alle quali ha tanto dato, ma dalle quali spesso ha ricevuto .

Fu, dunque, un importante testimone del Novecento, «uno straordinario uomo di 46 cultura, un filologo, un letterato per certi aspetti anche uno storico» . Tentò di dimostrare che la fede non poteva e non doveva aver paura della cultura; nella letteratura, infatti, egli trovava la strada principe per far rivivere la verità nel sacro, perché era davvero convinto che la ricerca, attuata con impegno e rigore, potesse avere dignità pari alla preghiera. In una lettera a Vittore Branca egli affermava: «La ricerca della verità è come la preghiera: se la si strumentalizza, se la si fa serva di ideologie o di mire di successo 47 la si uccide anzi non esiste una preghiera strumentalizzata» . Rifiutava confini che restringessero il “campo visivo” e ribadiva la volontà ferrea «di far cadere i vecchi, rosi e tuttavia resistenti muri divisori tra cultura sacra e pro48 fana, e mescolare in un’acqua sola le acque della nostra tradizione» . Giuliana Scudder (cresciuta alla scuola di Rodano e introdotta assai presto alla frequentazione di De Luca) ha insistito sulla atipicità del sacerdote-intellettuale che ebbe il merito di essere stato «un prete che distingueva lo scrittore dal cattolico e la 49 politica dalla religione» ; a noi pare che a De Luca non interessassero proprio le categorie “scrittore”, “cattolico”, “politica”, “religione” ma che proprio perché uomo di cultura fuori dagli schemi e alla ricerca di un sapere scevro da ogni tipo di condi-

44

Paolo Vian, Introduzione a *Don Giuseppe De Luca a cento anni dalla nascita. Nuove testimonianze e riflessioni con un’appendice di testi inediti e poco noti, a cura di Paolo Vian, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1998, p. VIII. 45 Adriano Ossicini, Il “colloquio” con Don Giuseppe De Luca. Dalla Resistenza al Concilio Vaticano II, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1992, p. 5. 46 Id., Un dialogo profondo, in *Don Giuseppe De Luca e la cultura italiana del Novecento ..., cit., p. 45. 47 Vittore Branca, De Luca e la presenza del divino nella cultura d’oggi, in *Don Giuseppe De Luca e la cultura italiana del Novecento …, cit., p. 7. 48 G. Bottai - G. De Luca, Carteggio …, cit., p. 9. 49 Giuliana Scudder, Un amico scomodo ma paziente, in*Don Giuseppe De Luca a cento anni dalla nascita …, cit., p. 206.

962-202. ricordando giuseppe de luca

25

zionamento, fu sempre pronto a raccogliere nel suo entourage esempi di intelletti diversissimi tra di loro. Palmiro Togliatti si stupiva di come la mente di De Luca «si fosse travagliata attorno alle stesse opere, agli stessi contrasti di idee e di costume, attorno al contenuto delle stesse riviste e rivistine, persino, che erano state l’oggetto del travaglio nostro, di Antonio Gramsci, mio, di altri giovani ora scomparsi, in anni da oggi tanto 50 lontani» . Egli operava, dunque, «libero e diverso. La sua non era riserva, limite, aristocratico distacco», poiché il suo scopo era quello di costringere i suoi interlocutori a 51 «pensare senza schemi» . Emblematico il passo di una lettera a Montini in cui palesava tutta la sua contrarietà verso alcuni atteggiamenti degli ambienti ecclesiastici e in generale della cultura cattolica: Per la difesa della mia indipendenza e la salvaguardia della mia azione disinteressata, avvicino gente e intavolo discorsi che possono parere, il men che si voglia dire, singolari. Ti prego, qualunque cosa senti di me, di sentire anche me: non voglio essere confuso con quei quattro preti politicanti e quello sciame di chierici in calzoni che sta infestando l’Italia: dove non son prete-prete, 52 sarò forse uno studioso; non però, mai mai, altro !

Lontani eppure vicini i due, anche quando (troppo spesso) la Chiesa tanto amata dal prete romano appariva sorda ai suoi richiami, alle sue richieste di aiuto. A Montini, dunque, confessava sofferenza, stanchezza e, spesso, chiedeva aiuto, non per sé, ma per i suoi progetti, per gli studiosi che prendeva a cuore. In una lettera datata 11 aprile 1950, si rivolgeva a Montini perché intercedesse a favore di Giuseppe Billanovich per la successione a Paolo Arcari presso l’Università Cattolica di Friburgo. Il giovane era, secondo lui, perfetto per l’insegnamento di Letteratura italiana, poiché «studioso di un valore già riconosciuto internazionalmente». Per Billanovich come per decine di altri giovani studiosi egli fu questo, una porta aperta in mezzo a tante sospettose porte serrate, un editore, un prete, un amico che amava ripetere «io son […] per tutti tanto l’uno che l’altro, ma non metto l’una cosa a servizio 53 dell’altra, mai» . L’editoria e la cultura cattolica da Murri a De Luca Cosa spinse De Luca a fondare una casa editrice sua in un contesto storico-politico drammatico come quello in cui nacquero le Edizioni? L’inconsistenza della cultura cattolica, la situazione stagnante dell’editoria ad essa collegata, in poche parole un panorama a dir poco paludoso; la volontà di stampare

50

Ivi, p. 209. Ivi, p. 210. 52 D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., pp. 183-184. 53 G. De Luca - G. Papini, Carteggio …, cit., p. 141. 51

26

samanta segatori

libri di “coltura”, spesso di pura erudizione, libri insomma che nessun altro probabilmente avrebbe mai edito. A smuovere quelle acque aveva contribuito non poco l’azione decisa di Romolo Murri con una serie di iniziative di notevole peso. L’evento che ebbe il ruolo di vero e proprio spartiacque, all’interno del contesto editoriale cattolico, fu la creazione, nel 1898, dell’Unione editrice cattolica italiana, annunciata da Murri e sostenuta, 54 assieme a lui, da altri undici ideatori . Consapevole dell’esiguità delle pubblicazioni di quegli anni, Murri parlava addirittura di una vera e propria “inferiorità di cultura” dell’editoria cattolica e auspicava una sorta di risveglio al quale lavorò costantemente muovendosi, innanzi tutto, all’interno dell’ambiente universitario. La «Vita Nova» rivista di “sociologia, letteratura, cose d’università” era apparsa a Roma nel 1895 con Murri come principale ispiratore ed animatore. L’attività legata al periodico lo costringeva a dedicarsi quotidianamente a problematiche universitarie, tanto da divenire promotore di circoli e gruppi dai quali prese l’avvio la celebre 55 Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI) . Mosso dalla consapevolezza che la stampa cattolica per riacquistare insieme la competitività e la qualità perdute dovesse necessariamente adeguarsi allo scorrere incessante del tempo, tentò (anche con la nascita nel 1899 della Società italiana cattolica di cultura che nel 1904 divenne Società nazionale di cultura) un’opera di «deconfessionalizzazione e di relativa autonomizzazione della cultura e della produ56 zione culturale» . Bisognava, secondo lui, creare una classe dirigente cattolica e al contempo fare sì che la cultura divenisse anche «militanza politica», ponendosi «l’obiettivo del raccordo organico di questa nuova classe dirigente con una propria base popolare ad 57 essa omogenea» . Il programma di Murri precorreva i tempi con un impatto violento sull’asfittica cultura cattolica: Datemi, scrive Murri, un largo sussidio e favore a giovani studiosi che intendano perfezionarsi in argomenti speciali […] datemi una Casa editrice che incoraggi sapientemente e potentemente le pubblicazioni buone; datemi quattro o cinque riviste di diverso genere, bene scritte e larghissimamente diffuse; datemi infine un grande giornale, un giornale vero di cultura e di propaganda di avanguardia […]; datemi infine, per tutto questo, solo pochi milioni ed io vi creo in dieci anni, 58 un grande partito cattolico nazionale .

La nuova consapevolezza della “valenza politica della cultura”, creava una visione dell’editoria che era chiamata a svolgere un ruolo di spiccata rilevanza nella vita di

54

Francesco Traniello, L’editoria cattolica tra libri e riviste, in *Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di Gabriele Turi, Maria Iolanda Palazzolo, Firenze, Giunti, 1997, p. 299. 55 Maurilio Guasco, Murri Romolo, in Dizionario storico del movimento cattolico …, cit., pp. 414-422. 56 F. Traniello, L’editoria cattolica tra libri e riviste …, cit., p. 303. 57 Ivi, p. 300. 58 M. Guasco, Murri Romolo …, cit., p. 417.

962-202. ricordando giuseppe de luca

27

partito; per lui dovevano essere proprio l’editoria e la stampa a rivelarsi capaci di 59 creare «un grande partito cattolico nazionale» . Il modello di editore voluto da Murri, secondo Traniello, concedeva uno spazio prioritario all’ambito della cultura politica e sociale, accordando invece un’importanza minore alla parte più prettamente filosofico-religiosa. Le autorità ecclesiastiche, però, perseguivano lo scopo contrario: rifiutavano in toto la possibilità di un’indagine che facesse proprio quel metodo positivo tanto avversato e combattuto dalla cultura cattolica. Queste le caratteristiche dell’editoria cattolica sul finire dell’Ottocento che si ritrovano quasi invariate nel secolo successivo: «Esasperata frammentazione, anche territoriale […] marcata distinzione per categorie di destinatari, secondo che si trattasse, per esempio di clero o di laici, di ceti colti o di classi popolari, di uomini o di donne o di ragazzi; […] prevalenza di reti di diffusione protette, estranee sostanzialmente alla logica del libero mercato, sebbene in alcuni casi dotate di un vasto 60 retroterra di fruitori» . Una produzione legata da un parte alla liturgia e alla pura devozione, dall’altra a opere che esaltassero il senso pietistico e l’edificazione morale in genere. I preti dal canto loro necessitavano di prodotti editoriali specifici che fungessero da coadiuvante nella loro quotidiana attività pastorale e liturgica. Mentre fino all’unificazione del territorio italiano della produzione religiosa si erano occupate case editrici non necessariamente legate agli ambienti ecclesiastici (la Paravia, gli Eredi Bocca), nei decenni successivi nacquero e proliferarono centri di produzione di tipo religioso che davano vita ad una esperienza nuova, autonoma rispetto al mondo editoriale italiano, con destinatari popolari e con una corrispondente produzione di modesta levatura, ma di non trascurabile importanza. Molti i nomi di queste «tipografie-librerie […] di già consolidata tradizione, come la Marietti e la Speirani di Torino, la Giacomo Agnelli e la Boniardi-Pogliani di Milano, la Queriniana di Brescia, la Gregoriana di Padova, la Fiaccadori di Parma, la Desclée di Roma …, la Emiliani di Venezia, la Vincenzi di Modena, la Calasanziana di Firenze, la 61 San Bernardino di Siena» . A queste realtà si andranno ad affiancare un reticolo di altre minuscole tipografie vescovili, diocesane, insomma di stampo prettamente religioso. Nel primo dopoguerra questa editoria cominciò a sentire più forte il peso dell’isolamento rispetto alla cultura nazionale, divenendo anche drammaticamente cosciente della forte sproporzione rispetto al costante sviluppo del restante mondo laico. Sotto questa spinta nacquero case di primaria importanza, come la Società editrice Vita e Pensiero nel 1918 a Milano, con nomi di spicco quali quello di padre Agostino Gemelli che assunse subito un ruolo quanto mai rilevante, sia per l’ampiezza tematica delle pubblicazioni, sia per i forti collegamenti che seppe conservare nel 59

F. Traniello, L’editoria cattolica tra libri e riviste …, cit., p. 301. Ivi, p. 302. 61 Ivi, pp. 303-304. 60

28

samanta segatori

corso degli anni con “l’associazionismo cattolico” in generale e con l’Azione cattolica in particolare. L’Editrice Studium fu fondata, invece, da Igino Righetti a Roma nel 1928, mentre nel 1921 ad Alba aveva preso il via l’attività della Pia società San Paolo di don Giacomo Alberione che si occupò con particolare interesse della produzione di giornali popolari: è del 1931 la creazione dell’ancora diffusissimo periodico «Famiglia cristiana». Nel 1925 fu costituita a Brescia la Tipografia editrice Morcelliana, legata ai nomi di Fausto Minelli e Giovanni Battista Montini. La sua produzione fu assai diversa dalla milanese Vita e Pensiero, sia per l’evidente disparità numerica delle pubblicazioni, assolutamente inferiori, ma anche e soprattutto per la diversità di visione culturale che la portava ad una moderna apertura verso la produzione d’oltralpe, con la creazione di una collana di spiccato interesse come «Il pensiero cattolico moderno», sempre proiettata verso orizzonti europei; ugualmente importanti le collezioni nate successivamente: «Fides» a cui collaborò anche Igino Giordani e «Per Verbum ad Verbum», diretta da Giuseppe De Luca, che con la Morcelliana ebbe una lunga ed intensa collaborazione. Altre e più profonde furono, tuttavia, le differenze tra la casa bresciana e Vita e Pensiero: innanzitutto il pubblico di riferimento che per la casa milanese rimaneva legato alle istituzioni ecclesiastiche, mentre per l’altra (guidata da personalità di spicco quali Montini, Bevilacqua e soprattutto De Luca) ebbe sempre contatti con la zona più anticonformista della cultura cattolica, a testimonianza, quindi di due vocazioni culturali ed editoriali non collimanti, i cui esiti si sarebbero più vistosamente rivelati negli anni Trenta e nei modi diversi di situarsi nei confronti del regime dopo la Conciliazione… come riflesso di valutazioni, sostanzialmente divergenti, sui compiti e sul ruolo della cultura cattolica in quella crisi del mondo moderno di cui il fascismo era considerato, secondo un giu62 dizio largamente condiviso, l’ambigua ma irreversibile manifestazione .

Non si può fare storia dell’editoria e della cultura cattolica italiana del primo Novecento, però, senza fissare la propria attenzione su due grandi gruppi: il Movimento Laureati e la già citata FUCI (Federazione universitaria cattolica italiana) che conobbe a partire dagli anni Trenta una crescita davvero notevole che la vide triplicare il numero degli iscritti dai 2370 dell’anno accademico ’28/’29 ai 7.055 del ’46/’47. La FUCI sentiva la necessità di muoversi all’interno del mondo cattolico seguendo i parametri di una moderata modernità che garantisse, però, il rispetto di una verità cristiana attualizzata attraverso un progetto culturale forte, attivo e, per quanto possibile, innovativo. La prima importante proposta si mosse dietro ad un gruppo di valenti intellettuali che nel 1925 diede vita a quella Morcelliana già più volte menzionata. 63 La nascita dell’editrice era legata all’ambiente del giornale «La Fionda», fondato a Brescia nel 1918, su iniziativa della locale associazione studentesca, il cui direttore, 62

Ivi, pp. 315-319. Massimo Marcocchi, La nascita della casa editrice Morcelliana, in Editrice Morcelliana. Catalogo storico 1925-2005, a cura di Daria Gabusi, Brescia, Morcelliana, 2006, pp. 9-10.

63

962-202. ricordando giuseppe de luca

29

Andrea Trebeschi, era amico di Giovanni Battista Montini. Collaboratori del giornale furono oltre a Montini, Mario Apollonio, Luigi Bazoli, Mario Bendiscioli, Padre Giulio Bevilacqua, Sandro Capretti, Mario Marcazzan, Giuseppe Cottinelli, Lodovico Montini, Ottorino Marcolini, Don Piero Rigosa. Proprio alcuni dei rappresentanti del movimento cattolico bresciano (Capretti, Cottinelli, Trebeschi) concepirono l’idea di una «Libreria Editrice» il cui primo direttore fu, dal 1924, Vittorio Gatti. Nel ’25, poi, fu costituita la Società Anonima «Libreria Editrice Morcelliana», collegata ai nomi di Capretti e Minelli. L’editrice fu, secondo Montini, «sollecita a stimolare e ad alimentare la cultura, religiosa soprattutto, poi rivolta ad ogni ramo di sapere umanistico, nel campo cattolico dapprima ed in tutto quel raggio poi della società contemporanea che risente e ricerca, non foss’altro a titolo d’informazione, 64 l’influsso del pensiero spiritualista, irradiante dalla luce cristiana» . La casa bresciana si muoveva nel solco tracciato dall’indirizzo culturale delle organizzazioni universitarie che videro e vissero le sue iniziative editoriali in maniera attiva e partecipativa. La cultura cattolica aveva un bisogno immediato ed urgente di uscire dall’angolo in cui si era autoreclusa con la reazione severa ed autoritaria al modernismo proposta dalla Chiesa in quegli anni. Essa doveva tornare, dunque, ad offrire una cultura viva, giovane e propositiva e fare ciò, per la FUCI, significava doversi scrollare di dosso la polvere di un movimento che attraverso figure di rilievo quali quella di Romolo Murri e Luigi Piastrelli aveva vissuto nella chiusura e nell’arroccamento su posizioni di difesa. La necessità di sprovincializzare la cultura cattolica vissuta negli anni Trenta e 65 emblematicamente rappresentata da Don Giuseppe De Luca , portò la FUCI e il movimento culturale cattolico a riallacciare con forza i rapporti con il cattolicesimo francese e con quello tedesco, iniziando una difficile e lenta risalita. La FUCI, dunque, «nell’elaborazione della sua proposta culturale non doveva te66 ner conto [solamente] dell’indirizzo rappresentato dalla Cattolica» ma anche e soprattutto delle linee guida dettate da un’iniziativa che segnò profondamente il moto di rivitalizzazione di quegli anni: «Il Frontespizio» e la posizione al suo interno rappresentata da Giuseppe De Luca. Le idee cardine della Cattolica, invece, erano indissolubilmente legate al suo fondatore, Agostino Gemelli, propugnatore di un tomismo che auspicasse alla realizzazione dell’unione di tutte le forze cattoliche con lo scopo di lavorare assiduamente alla ripresa culturale del cattolicesimo italiano. Era necessario, secondo Gemelli, recuperare le forze perché fosse possibile una penetrazione profonda nella società civile, con un vero e proprio modello politico da proporre e realizzare. Alla gestione Righetti-Montini era, pertanto, affidato l’arduo compito di riuscire a mediare tra le posizioni del movimento legato a Ge64

Renato Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1929-1937), Bologna, Il Mulino, 1979, p. 85. S. Segatori, Le edizioni di Storia e Letteratura: De Luca e il desiderio …, cit. 66 R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica …, cit., pp. 139-140. 65

30

samanta segatori

melli e di quelle che, all’interno della rivista «Il Frontespizio», erano proposte con forza dai vari Bargellini, De Luca, Papini. Questi ultimi erano convinti della necessità di trovare la via migliore per l’accesso ad un dialogo vero e duraturo con la cultura laica (atteggiamento condiviso anche dai fucini), e al contempo tentare di andare oltre l’argine esistente tra la Chiesa e la cultura moderna, così da lavorare strenuamente ad un profondo e stabile rinnovamento della cultura cattolica. La rivista fiorentina doveva fare del «cattolicesimo il perno attorno al quale far ruotare in chiave antihegeliana la cultura italiana durante gli anni del regime fascista ma con una maggiore elasticità e articolazione di propositi rispetto al prevalente 67 integralismo cattolico-fascista di un Gemelli o di un Martire». Non trascurabile era poi il divario tra le posizioni politiche dei movimenti cattolici e quelle legate a De Luca e, con lui, al gruppo della rivista fiorentina: Montini e i fucini rimarcavano l’importanza dell’autonomia dal regime e dai partiti in genere; De Luca, invece, pur lontano da tali fazioni, fu sempre consapevole dell’importanza del ruolo della politica; non ebbe, infatti, alcuna remora rispetto ad un eventuale avvicinamento al fascismo fino a quando pensò che questo potesse facilitare la penetrazione di una vera e propria egemonia culturale cattolica. Renato Moro va oltre questa interpretazione delle posizioni di De Luca e degli uomini del «Frontespizio», rinvenendo in loro una capacità di muoversi non solo «senza una discriminante precisa nei confronti del regime ma – presentando il cattolicesimo come l’elemento che meglio di ogni altro poteva dare un punto di riferimento alla cultura italiana ed anche alla cultura fascista – finiva con il condurre un’operazione culturale, se non rozzamente clerico-fascista, sostanzialmente di 68 supporto ideologico al regime» . De Luca rappresentò, a detta di Bargellini, il vero ispiratore della linea editoriale della rivista fiorentina e, insieme, ai nomi più grossi ad essa legati, in quei primi anni di vita del «Frontespizio», volle da subito trar fuori dalle paratie stagne di una cultura parrocchiale, di sagrestia, tesserata e mummificata da una secolare ripetitività di formule agiografiche e di propaganda, lo spazio per un’intelligenza cattolica più viva, pronta a misurarsi con il meglio della filosofia, della storia e della critica laica69.

Con i Patti Lateranensi fra la cultura cattolica e il fascismo si creò una fitta rete di legami, fino ad arrivare, secondo Luisa Mangoni, ad una vera e propria “simbiosi” 70 tra i due “totalitarismi” . In verità già «l’ascesa al potere di Mussolini e le successive ‘leggi fascistissime’ del 1926 [erano state] gravide di pesanti riflessi […] basti pensare che se nel settembre del 1924 [esistevano] in Italia 21 quotidiani cattolici (22, se si considera anche 67

Sergio Apruzzese, Le riviste cattoliche/2: il primo Novecento, in * Cristiani d’Italia. Chiese, società, stato, 1861-2011, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 2011, p. 1320. 68 Ivi, p. 142. 69 Gabriele De Rosa, Giuseppe De Luca e Giovanni Papini, «Ricerche di storia sociale e religiosa» 29 (1986), p. 169. 70 L. Mangoni, Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo …, cit., p. 372.

962-202. ricordando giuseppe de luca

31

«L’Osservatore Romano»), all’inizio degli anni Trenta ne [restavano] in vita solo 71 cinque». Accanto alla stampa dichiaratamente filo-fascista, infatti, camminava, in mezzo a difficoltà estreme, «una stampa popolare che [viveva] intensamente la sua 72 battaglia contro l’illegalismo delle camicie nere». La Conciliazione fu voluta e realizzata da Mussolini per ridurre al minimo «le possibilità di manovra di quella parte delle gerarchie ecclesiastiche e del clero che era ostile alla sua politica»; per dissipare «le incertezze e le remore verso il regime che ancora erano nutrite da quei cattolici […] che sentivano […] l’influenza dell’atteggiamento generale della Chiesa»; e, infine, ma non per importanza, per dare al fascismo quel carattere “nazionale”, “moderato”, “tradizionale” che il regi73 me assumeva avviandosi verso la Conciliazione . Pur essendo rimasto così come appariva quando ideò e diede vita al fascismo: “ateo, anticlericale e pagano”, nel maggio 1920, durante il secondo congresso dei fasci di combattimento, Mussolini manifestò un primo evidente mutamento di atteggiamento nei confronti della Chiesa e del cattolicesimo. Le motivazioni apparivano evidenti: «Quanto al Papato bisogna intendersi: il Vaticano rappresenta 400 milioni di uomini sparsi in tutto il mondo ed una politica intelligente dovrebbe usare ai fini dell’espansionismo proprio questa forza colossale. Io sono, oggi, al di fuori di ogni 74 religione, ma i problemi politici sono problemi politici». Di lì a pochi mesi avrebbe inneggiato «all’impero spirituale del cristianesimo» e sarebbe diventato «il difensore 75 dell’Italia, dell’ordine, della società borghese e della religione cattolica». Avversi alla pacificazione tra la Chiesa e il regime rimasero, però, in molti, se si pensa che lo stesso Giovanni Gentile affermava che «Chi parla di “conciliazione” o non ama lo Stato o non ama la Chiesa […] La stessa vita religiosa, il suo vigore, non vuole la conciliazione; anzi, il contrario. La vera conciliazione consiste anche qui 76 nell’unità dei contrari, conservati e difesi come tali» . Anche quando, all’indomani dell’11 febbraio 1929, i Patti Lateranensi furono firmati, i rapporti erano e restarono tutt’altro che distesi e «segni di insoddisfazione affiorano nel corso dei mesi successivi tra le gerarchie ecclesiastiche e nello stesso 77 pontefice di fronte alle scelte ormai evidenti del regime». Due anni più tardi il cli71

Mauro Forno, I giornali: ombra e riflesso, in *Cristiani d’Italia …, cit., p. 1457. Ibidem. 73 Renzo De Felice, L’organizzazione dello stato fascista 1925-1929, in Id., Mussolini il fascista, in Id., Mus2 solini e il Fascismo, Torino, Einaudi, 1968, 1995 , p. 383. 74 Emilio Gentile, La Grande Guerra e la rivoluzione fascista, in *Cristiani d’Italia ..., cit., p. 252. 75 Ivi, p. 253. 76 R. De Felice, L’organizzazione dello stato fascista 1925-1929 …, cit., p. 388. 77 Camillo Brezzi, Pio XI e la «delusione» dei Patti Lateranensi, in *Democrazia e cultura religiosa. Studi in onore di Pietro Scoppola, a cura di Camillo Brezzi, Carlo Felice Casula, Agostino Giovagnoli e Andrea Riccardi, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. (271-308): 282. A tal riguardo cfr. anche Pietro Scoppola, La Chiesa e il fascismo durante il pontificato di Pio XI in *Coscienza religiosa e democrazia nell’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1966; *Chiesa e stato nella storia d’Italia. Storia documentaria dall’Unità alla Repubblica, a cura di Pietro Scoppola, Bari, Laterza, 1967; Id., La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, Bari, Laterza, 1971; *I cattolici tra fascismo e democrazia, a cura di Pietro Scoppola e Francesco Traniello, Bologna, Il Mulino, 1975; A tal riguardo cfr. Renato Moro, Giovanni Battista Montini e il 72

32

samanta segatori

ma divenne estremamente teso. L’enciclica Non abbiamo bisogno rappresentò «una esplicita condanna dello stato totalitario dichiarando altresì illecito il giuramento di 78 fedeltà al duce». L’attività dell’Azione Cattolica continuava sempre più energica, con carattere a tratti dichiaratamente antifascista e i Fucini in particolare, sentendosi estranei ed avversi al regime, avvertivano sempre più forte la necessità di un movimento politico cattolico. Un appello firmato da un gruppo di giovani cattolici italiani, in risposta al “Siamo troppo pochi” pronunciato dal Papa al Convegno degli universitari cattolici svoltosi a Roma nel dicembre del 1928, risultava davvero sintomatico del clima vissuto in quel momento storico: Giovane cattolico, che cos’è questa attività politica che il fascismo teme? Il fascismo ha paura della nostra attività politica, parla di atti di vita politica e religiosa come due cose ben distinte. Che cosa intende per Religione il Governo fascista? Sono stati i nostri circoli qualche volta dei covi di politicanti? Nulla di tutto questo. […] il Governo fascista ha sciolto la maggior parte delle nostre associazioni giovanili cattoliche, […] ed i nostri circoli che ancora esistono sono sottoposti ad un enorme opprimente controllo. […] Qualcuno dice che il regime fascista rispetta […] la re79 ligione. […] Il Governo fascista ha profanato, ha fatto un mercato della religione .

L’attività di sorveglianza del regime sul risveglio organizzativo di quei giovani si dipanava ovunque, persino attorno alle varie settimane sociali diocesane o interdiocesane. Le violenze fasciste, perpetrate ai danni delle diverse rappresentanze dell’associazionismo cattolico, erano iniziate già nel 1924, anno in cui il Papa si sentì in dovere di elargire una somma di £ 500000 che permettesse ai gruppi cattolici di risanare i danni materiali subiti. Il 23 luglio del ’29 il Prefetto di Roma emanò un decreto con il quale venivano sequestrate tutte le copie del fascicolo di «Civiltà Cattolica» del 20 luglio, a causa dei toni e dei contenuti di un articolo (Tra ratifiche e rettifiche) giudicato anti italiano e 80 antifascista. Dal canto loro i gruppi e i circoli legati alla FUCI continuarono ad avere, negli anni successivi ai Patti, un atteggiamento univoco nei confronti del regime: molti di loro consideravano addirittura incompatibile la doppia iscrizione alla Federazione e 81 ai GUF.

fascismo, in *Paul VI et la modernité dans l'église. Actes du colloque organise par l’École francaise de Rome (Rome 2-4 juin 1983), Rome, École Française de Rome,1984; Id., Azione cattolica, clero e laicato di fronte al fascismo, in *I cattolici dal Fascismo alla Resistenza, in *Storia del movimento cattolico in Italia, diretta da Francesco Malgeri, 6 v., Roma, Il poligono, 1980-1981; Cattolicesimo e totalitarismo: chiese e culture religiose tra le due guerre mondiali: Italia, Spagna, Francia, a cura di Daniele Menozzi, Renato Moro, Brescia, Morcelliana, 2004; Mauro Forno, La stampa cattolica alla prova del fascismo, «Contemporanea», VI (2003), 4, pp. 751-757. 78 P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo durante il pontificato di Pio XI, cit., p. 403. 79 R. De Felice, L’organizzazione dello stato fascista 1925-1929 …, cit., p. 424. 80 C. Brezzi, Pio XI e la «delusione» dei Patti Lateranensi …, cit., p. 288. 81 S. Segatori, Branca tra editoria, riviste e cultura …, cit., pp. 131-134.

962-202. ricordando giuseppe de luca

33

Il 1931 vide l’inizio di una serie di atti palesemente ostili nei confronti di tutte le associazioni cattoliche. Alla FUCI veniva impedito lo svolgimento dei convegni di Ferrara e Pavia. Alla fine di maggio arrivò l’ordine di scioglimento delle associazioni giovanili di AC (FUCI e GC), passato dallo stesso Mussolini ai prefetti, al quale si aggiunse la revoca della compatibilità dell’iscrizione al PNF e all’AC. L’insofferenza del regime verso l’organizzazione cattolica era evidentemente causata da ciò che essa rappresentava: «il più vistoso, e praticamente, fino al quando il fascismo non si fu tolta definitivamente la maschera nell’estrema degenerazione nazifascista, il più 82 efficace elemento di resistenza nella legalità e di freno al suo strapotere». Bisognò attendere il 2 settembre perché si giungesse ad un accordo tra i contendenti che vide il ripristino delle attività dell’AC, delle sue ramificazioni giovanili e della compatibilità dell’appartenenza a queste ultime e al Partito Nazionale Fascista. L’accanimento del regime verso l’associazionismo cattolico, con particolare riferimento ai suoi movimenti giovanili, aveva un unico motivo di fondo: la necessità di mantenere il controllo sulla «formazione delle giovani generazioni, di cui il regime totalitario esige[va] l’assoluto monopolio. Ed [era], infatti, il segretario dei gruppi universitari fascisti, Scorza, a fomentare l’odio contro le organizzazioni cattoli83 che». Lo scontro tra la cultura cattolica e il fascismo continuò e a tal riguardo basti ricordare gli interventi con cui più volte Giovanni Gentile attaccò la Chiesa romana ed il papa negli anni Trenta, tanto da portare le autorità ecclesiastiche a decidere, nel 1934, la messa all’indice dell’opera omnia del filosofo siciliano (sorte toccata anche all’opera di Benedetto Croce). A due anni dalla Conciliazione, il Duce, secondo De Felice, era perfettamente consapevole che «la Chiesa non era affatto disposta a confondersi con il regime e ad appoggiarlo incondizionatamente: era pronta a farlo solo fino a quando lo avesse ritenuto utile a se stessa, senza però rinunciare per questo a svolgere in prima persona il proprio ruolo e cercando di allargare progressivamente la sua influenza sulla vita civile e sociale dell’Italia attraverso una sempre più vasta e agguerrita presenza 84 cattolica nel paese» . Un rapporto, dunque, difficile ed evidentemente non “osmotico” che vide consumarsi crisi continue e numerosi scontri, alla base dei quali c’era il tentativo da parte dei “vertici” di gestire un rapporto politico basato su un evidente e reciproco do ut des: già le prime schermaglie, all’indomani della firma degli accordi del Laterano, mettono in luce il fondamentale equivoco che è alla base dell’intesa: da un lato la Chiesa vuole utilizzare il nuovo regime autoritario per una impossibile restaurazione dello stato cattolico e spera di realizzare il 82

Giovanni Battista Scaglia, La Fuci e il movimento laureati di Azione Cattolica nel ventennio fascista, in *Chiesa, Azione Cattolica e fascismo durante il Pontificato di Pio XI (1922-1939). Atti del quinto Convegno di Storia della Chiesa, Torreglia 25-27 marzo 1977, a cura di Paolo Pecorari, Milano, Vita e Pensiero, 1979, p. 1145. 83 Ivi, p. 1147. 84 Renzo De Felice, Gli anni del consenso 1929-1936, in Id., Mussolini il duce, in Id., Mussolini e il Fascismo, Torino, Einaudi, 1974, 19962, pp. 252-253.

34

samanta segatori

suo obiettivo attraverso il Concordato; dall’altro il fascismo, al di là del più immediato obiettivo di rafforzamento del suo prestigio all’interno del Paese ed all’estero, ritiene di poter anch’esso 85 utilizzare l’universalismo cattolico per la sua politica di esasperato nazionalismo.

Fu, quindi, un incessante alternarsi di momenti di pace, di scontro, di ricomposizione, di caute aperture ed improvvise chiusure, di continui e più o meno accesi 86 contrasti . All’inizio degli anni Quaranta, un’altra polemica si scatenò tra il mondo cattolico organizzato e il fascismo. L’accusa questa volta si riferiva alla scarsa partecipazione cattolica alla guerra, additandole una neutralità per il regime inaccettabile. Si rese protagonista della polemica «Critica Fascista» contro la quale, dall’«Osservatore Romano», molte voci si alzarono in risposta; la più dura fu, senza dubbio, quella di Pio Bondioli che, sotto lo pseudonimo de Il Veliero, dalle pagine dell’«Italia», nel maggio del 1942, così contrattaccava: Dall’‘osservazione amorosa’ che ci faceva pavidi e indecisi di fronte alla guerra, Civis è passato alla denuncia di antitalianità. Non ne siamo impressionati. Tutti i salmi finiscono in gloria e tutte le polemiche finiscono – giusto da settant’anni in qua – col gran razzo dell’antipatriottismo clericale. […] Né il sangue che abbiam dato nella ‘guerra romantica’ né la Conciliazione hanno servito. Fa sempre un certo effetto dire che ‘la stampa cattolica, che pure esiste, non sa assumere un 87 tono decisamente nazionale’ .

Dietro lo pseudonimo di Civis si celava Giuseppe Bottai, Ministro dell’Educazione Nazionale dal 1936 al febbraio del 1943. Ciò non toglie che parte di questa cultura ebbe, negli anni Trenta e Quaranta, grosse vicinanze con il regime: e qui torniamo al ruolo svolto dal «Frontespizio», in opposizione al gentilianesimo imperante. La rivista, però, non ebbe mai e soprattutto durante gli anni in cui De Luca ne fu parte integrante, un ruolo prettamente politico, aveva sì, però, «delle finalità che, seppure in ultima istanza, assumevano 88 un significato politico» . Si sentiva, certo, la necessità di intervenire “culturalmente nella società civile” con una vera e propria funzione civilizzatrice. Il rapporto di De Luca con la cultura partiva, dunque, dal suo saldo legame con la Chiesa che era elemento imprescindibile di ogni sua iniziativa, pubblica o privata. La stessa letteratura, dunque, che pure De Luca tanto coltivò, anche attraverso la sua collaborazione al «Frontespizio», rimaneva sempre e comunque in posizione subordinata rispetto alla pura ricerca erudita. Per questo, pure l’ammirazione provata nei confronti dei grandi letterati e dei poeti, poteva, secondo il sacerdote raffinare l’uomo non corromperlo. Intorno al 1934, poi, la rivista vide il graduale allontanamento di De Luca che non riuscendo a trovarla più sufficientemente vicina alle sue esigenze di rinascita del cattolicesimo, intraprese altre vie; nel ’34 in una lettera 85

P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo durante il pontificato di Pio XI, cit., p. 399. Mario Casella, Stato e Chiesa in Italia all’inizio del pontificato di Pio XII. Indagine nell’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, in * Democrazia e cultura religiosa …, cit., p. 340. 87 G. Bottai - G. De Luca, Carteggio …, cit., pp. 93-94n. 88 L. Mangoni, Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo …, cit., p. 372. 86

962-202. ricordando giuseppe de luca

35

all’amico Giovanni Papini, confidava «Senta, io abbandono la letteratura. Parleremo, se lei, come mi promette, continua a volermi bene, parleremo di erudizione 89 ‘pura’» . Fu allora che la rivista iniziò ad assumere sempre più una qualificazione in chiave politica con personaggi quali Barna Occhini e con un Papini sempre più snaturato e vicino al regime. Con una fisionomia perfettamente inserita nella cultura di stampo dichiaratamente fascista, sbiadirà sempre più quell’immagine del «Frontespizio», che, con le sue battaglie letterarie, storiografiche, culturali, era stata tanto cara a De Luca. Allora il periodico cattolico fiorentino, caratterizzato dall’opposizione al comunismo sovietico e dall’ostilità contro il regime hitleriano, intraprese la strada della più “consapevole fascistizzazione”, testimoniata dagli stretti legami con «Battaglie fasci90 ste» e con «Il Secolo fascista» . Emergeva, dunque, con evidenza quanto la campagna che si era proposta di attuare al suo apparire, nell’ormai lontano 1929, si fosse miseramente arenata attorno a toni propagandistici e divulgativi che mettevano in atto una vera e propria opera di promozione catto-fascista; in tale contesto, continuava a muoversi qualche nome sparuto di raffinato letterato come quel Carlo Bo che di lì a poco fu ugualmente costretto ad allontanarsi. I legami “politici” che la cultura cattolica di impronta deluchiana concepiva erano di approccio completamente diverso, poiché, secondo il sacerdote lucano: La verità è che la Chiesa non sente bisogno, in nessuna maniera, d’infatuarsi né di invasarsi delle diverse febbri di teoria politica, che si succedono sugli uomini da un certo tempo; ma neppure le ignora. La sua missione è appunto questa, di svelenirle, medicarle, toglierne non soltanto «il troppo e il vano» ma ciò che v’è di guasto e di malefico. Ed è lo stesso de’ suoi ministri, de’ suoi 91 diplomatici, de’ suoi fedeli. Non ignorano, ma schivano gl’inutili fanatismi .

In una fase successiva, quando la parabola della rivista fiorentina si avviava alla sua conclusione, un ruolo di importanza basilare, nei rapporti tra il regime e la cultura cattolica, fu svolto da quel Giuseppe Bottai, già precedentemente menzionato. Nonostante il rapporto non facile tra la cultura cattolica e il regime, la nomina di Bottai a ministro dell’Educazione Nazionale, nel 1936, aveva acceso molte «speranze 92 negli ambienti cattolici, specie in quelli intellettuali» . Già in passato egli aveva infatti mostrato un particolare interesse per la Chiesa e non solamente perché era particolarmente pronto a recepire ideologie che poi faceva confluire nel lavoro di realizzazione e organizzazione politica dello stato autoritario; l’interpretazione, proposta da Luisa Mangoni, è secondo Renato Moro, riduttiva. Il neoministro capì in realtà fin dall’inizio che la collaborazione con l’intellighenzia cattolica avrebbe enormemente giovato ai suoi progetti, arricchendoli di una visuale ben distante da quella proposta dal regime. Anche i suoi più 89

Gabriele De Rosa, Giuseppe De Luca e Fausto Minelli, «Ricerche di storia sociale e religiosa», 57 (2000), p. 176. 90 Ivi, pp. 405-407. 91 Renato Moro, Introduzione a G. Bottai - G. De Luca, Carteggio …, p. XXX. 92 Ivi, p. XI.

36

samanta segatori

stretti collaboratori furono fautori di questa linea di collaborazione tra cattolicesimo e fascismo: Del Giudice, Padellaro, Lazzari, e poi, quel Gherardo Casini, direttore generale per la stampa al Ministero della Cultura Popolare. La politica della famiglia avallata da Bottai e la sua la riforma della scuola non avevano fatto altro che avvicinare la sua figura ai più alti ambienti ecclesiastici. Con la realizzazione de La Carta della Scuola e della riforma suddetta si crearono e si consolidarono una fitta rete di legami, incontri e collaborazioni tra Bottai e il Vaticano. Fu questo il momento in cui il ministro instaurò, infatti, un rapporto di stretta cooperazione con Tardini, Pizzardo e, probabilmente, in maniera più velata, con De Luca. Secondo Renato Moro: «Bottai, insomma, era venuto via via presentandosi come l’esponente fascista di primo piano che meglio poteva tutelare certe esigenze della 93 Chiesa e dei cattolici» . La posizione di Bottai apparve dunque chiara poiché il ministro fu «l’unico dei grandi gerarchi a non vedere in termini puramente strumentali il proprio rapporto, 94 e quello del fascismo, con la religione» . Non si può certamente dimenticare che la sua figura, oggetto di studio e di revisioni che negli anni si sono sovrapposte numerose, oggi, sulla scia dell’esempio di Renzo De Felice, è ritratta da giudizi scevri da condizionamenti ideologici e politici: Giuseppe Bottai aveva teorizzato e praticato un’idea del fascismo come “rivoluzione intellettuale”: nel duplice senso che quella rivoluzione, da un lato, doveva puntare sull’educazione e sulla cultura per far condividere agli italiani i miti e i valori del fascismo; dall’altro, doveva servirsi a tal fine del contributo degli intellettuali. Ebbene, aderendo ad un Partito Comunista che andava scoprendo proprio in quegli anni le riflessioni carcerarie di Antonio Gramsci sull’egemonia e sugli intellettuali, tanti ex vincitori dei Littoriali o ex collaboratori di «Primato» finivano col trovarsi a fare, sotto la guida di Togliatti, qualcosa di non troppo diverso da ciò che – su opposto fronte 95 politico – avevano iniziato a fare sotto la guida di Bottai .

Il legame tra Bottai e De Luca fu anche, al di là della grande amicizia sviluppatasi successivamente tra i due, lo specchio del rapporto che buona parte della cultura cattolica ebbe con il fascismo e soprattutto con quello che fu da più parti definito il “fascismo buono”. Il sacerdote era già nel 1938 in un rapporto di stretta amicizia con quel Marino Lazzari, direttore generale delle Antichità e Belle Arti, dal quale più volte egli in quegli anni aveva ricevuto incarichi di consulenze per il Ministero. Conosciuto Bottai durante una cena, De Luca ebbe per lui un istantaneo sentimento di stima ed un’eguale attrazione intellettuale: “innamoramento” lo definì il sacerdote, “comu96 nione d’anime improvvisa e profonda” la chiamò il ministro . 93

Ivi, p. XXII. Ivi, p. XXVII. 95 Vito Zagarrio, «Primato». Arte, cultura, cinema del fascismo attraverso una rivista esemplare, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, p. 15; sull’argomento Cfr. Giovanni Belardelli, Il ventennio degli intellettuali. Cultura, politica, ideologia nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2005. 96 R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia …, cit., p. 67. 94

962-202. ricordando giuseppe de luca

37

Seppure provenienti da sponde lontane, secondo Romana Guarnieri i due avevano in comune «un certo nazionalismo, nel senso di risentita coscienza storica della funzione civilizzatrice dell’Italia cristiana nel mondo, esercitata in passato e da pro97 seguire in futuro» . I loro interessi culturali, inoltre, parevano convergere in più punti, come quando ad esempio in una lettera del 15 dicembre del ’41, De Luca confessava a Bottai che attraverso «Critica Fascista», aveva fatto toccare la necessità di un cristianesimo «non d’abitudine e di costume, ma di vita e di costumi in Italia: 98 e cioè di pensiero, d’arte, perché no? Di politica» . Fu certo sempre consapevole di quanto quel momento storico potesse rivelarsi propizio per l’avviarsi di un processo di vera e propria rinascita della cultura cattolica, ma il suo rapporto con il fascismo, così come quello di buona parte della mondo cattolico fu, dunque, intenso, di «collaborazione, vicinanza; non certo quello di a99 desione usato da Luisa Mangoni e che implica un rapporto di tutt’altro genere» . D’altronde lo stesso sacerdote era ben consapevole di essere collocato dai diversi “commentatori” nelle posizioni politiche più disparate se in una lettera del 13 agosto 1943 raccontava alla Guarnieri: «Speriamo che tutto presto passi, ma non sembra. Non passa nemmeno la vociferazione frenetica. Iersera mi telefonò Craveri, genero di Croce, se era vero o no che io assumevo Primato, in seguito a un accordo tra me e Bottai, che avrebbe passato tutto l’altro ieri con me. Smentii risolutamente: intanto, egli aveva l’aria, sentendo, che io mentissi. Poco innanzi, Baldi mi aveva detto: “Sul tuo conto se ne sentono di belle: sei il prete dei rossi” […] Quel che mi 100 sconturba, è questo furore di menzogna. Dove andremo?» . Il clerico-fascismo, da più parti additato a De Luca, appare, dunque, riduttivo e per certi versi fuorviante rispetto al suo particolare concetto di cattolicesimo, fuori dai canoni consueti perché così voluto e vissuto dal sacerdote che, come più volte ribadito, non amava “incanalare” alcunché, né creare frontiere di nessun tipo. Al Croce, per cui nutrì inizialmente una grande ammirazione, rimproverava questa ristrettezza mentale: quando si sentirà più vicino al progetto che gli sta a cuore, cioè di poter configurare o almeno ispirare un modello di moderna intellighenzia cattolica, diventeranno sempre più drastici i suoi giudizi sulla cultura di Croce, in quanto datata, vecchia, senza respiro europeo – “è la cultura di un professore e lettore italiano, molto bravo sulla fine del sec. XVIII” – persino sulla stessa erudi101 zione di Croce: “è un erudito di casa” che recensisce i libri che compra.

97

Ivi, p. 66. G. Bottai - D. G. De Luca, Carteggio …, cit., p. 29. 99 R. Moro, Introduzione, cit., p. XLI. Rapporto ugualmente lontano da quello descritto da Gennaro Sasso, Buonaiuti e De Luca su Croce e il cristianesimo, in Id., Filosofia e idealismo, v, Secondi paralipomeni, Napoli, Bibliopolis, 2007, pp. 477-512. («Passò con spregiudicatezza attraverso politiche diverse, diverse ideologie: forse perché a comportarsi così si sentiva autorizzato dal suo essere […] un prete […] Così fu, entro questi limiti un fascista fervente»). 100 Giuseppe De Luca - Romana Guarnieri, «Tra le stelle e il profondo». Carteggio 1938-1945, a cura di Vanessa Roghi, Postfazione di Emma Fattorini, Brescia, Morcelliana, 2010, pp. 235-236. 101 B. Croce - G. De Luca, Carteggio ..., cit., p. xxi. 98

38

samanta segatori

Da un atteggiamento iniziale di quasi reverenza nei confronti del filosofo napoletano, De Luca passerà negli anni Trenta a rappresentare più volte ‘assetti’ anticrociani. Pur comprendendo, infatti, la “caratura intellettuale” di Croce, sentiva di doverla combattere: «Non condivido – per nulla- nessuna delle sue idee, e tanto meno il 102 suo liberalismo e men che mai il suo antifascismo» . Più volte De Luca si trovò su posizioni opposte rispetto a quelle crociane, basti ricordare il suo duro attacco al filosofo nell’articolo Il Croce e la croce, scritto sotto lo pseudonimo di Fuligatto e pubblicato nel giugno del 1931 su «Il Frontespizio» perché spinto, secondo la Mangoni, un po’ dall’“l’influenza di Papini”, un po’ dalle «sollecitazioni di Bargellini», 103 un po’ dal «clima di polemica antiidealistica del momento» , ma non mosso, invece, dall’ammirazione «che […] provava nei confronti di Croce, la cui “impresa” laica avrebbe desiderato prendere a esempio per la rifondazione della cultura cattolica» – e nella quale secondo Sasso si coglieva «il tarlo della propria inadeguatezza, 104 che produceva odio e dispetto» . La sua grande stima per la Laterza, spesso indicata come modello, fu espressa con vigore e chiarezza nei suoi appunti, nei numerosi epistolari, nei suoi infiniti colloqui con Fausto Minelli, nei rapporti a tratti affettuosi con Elena Croce la quale riconosceva che il sacerdote seppure al contempo «generosissimo e polemico, in tutto e con tutti, […] [era] sempre largo di consiglio e di aiuto, una presenza davvero tutelare» per «le persone di cui si prendeva affettuosamente cura», perché in lui «prevaleva, al di là della fervida polemica culturale, la di105 staccata umanità di un vero religioso» . Lo stesso De Luca in una lettera dell’agosto del 1951 così si rivolgeva a Croce: «La considerazione […] che io ho per lei e l’affettuosa riverenza, sono fuori questione; e vorrei proprio che questo apparisse anche dove, naturalmente, io sento, e penso (orgogliosa parola per me) e mi 106 muovo cercando, in un ordine diverso e lontano, persino opposto» . Dalla linea del «Frontespizio» seguita prima, a quella di «Primato» dopo, la battaglia fu quella comune per il rinnovo di una cultura cattolica che doveva uscire dal ghetto e puntare a diventare protagonista. Così il Don De Luca amico di Bottai, collaboratore di «Primato», di «Critica fascista», diventava l’emblema dell’incontro tra cultura cattolica e cultura idealistica, mediatore di due aree, […] interprete delle “inquietudini” bottaiane, dà corpo alla presenza del mondo cattolico e alla sua progressiva leadership nel panorama politico-culturale del tardo fascismo: ne è un sintomo lampante l’inchiesta di «Primato» sull’esistenzialismo [che] rivela la radicata egemonia cattolica, registrabile ormai nelle istituzioni culturali del fascismo: scuola, università, istituti di cultura, opera107 zioni di prestigio come l’Enciclopedia italiana .

102

Cfr. G. De Luca - G. Prezzolini, Carteggio, lettera a Prezzolini del 29 dicembre 1932, p. 109. G. Bottai - G. De Luca, Carteggio …, cit., p. 105n. 104 G. Sasso, Buonaiuti e De Luca su Croce …, cit. p. 498. 105 Elena Croce, Una presenza tutelare, in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze …, cit., pp. 128129. 106 B. Croce - G. De Luca, Carteggio ..., cit., p. 160. 107 V. Zagarrio, «Primato». Arte, cultura, cinema …, cit., p. 26. Sull’argomento cfr. anche Marco Santoro, L’inchiesta «Le Università e la cultura» sulla rivista «Primato», «Esperienze Letterarie», I (1976), 1-2, pp. 56-75. 103

962-202. ricordando giuseppe de luca

39

La guerra era finita e in un’Italia travolta dalla sconfitta, dalla violenta liquidazione del fascismo, si tentava di ricominciare. La capitale era stata liberata ma la guerra ancora dilaniava l’Italia centrale. Il paese era diviso in due tronconi, ma la città papalina viveva «un clima eccitato […] tornava il gusto della politica, del confronto delle idee. […] Le prospettive che si aprivano ai cattolici italiani erano quindi cari108 che di promesse ma anche di responsabilità». In quegli anni difficili ma densi di aspettative, l’editoria cattolica si muoveva all’interno di una nuova realtà politica e culturale e percepiva l’esigenza di 109 «un’azione comune e coordinata dell’editoria» che ebbe poi come esito l’Unione editori cattolici italiani. Il ruolo dell’editoria secondo Igino Giordani doveva essere quello di ricostruire moralmente e culturalmente un paese «squassato moralmente, lesionato, denutri110 to, e intellettualmente, non meno che materialmente». In questo contesto culturale, politico De Luca tornava con pazienza, a tessere «con immutata fede, la sua tela di sempre, stracciata dall’uragano; questa volta ac111 canto a De Gasperi» . Aveva conosciuto il futuro Presidente del Consiglio probabilmente nel 1938, lo aveva incontrato di nuovo nel 1949. Tentò subito, anche con lui, di tornare nel solco già tracciato negli anni passati, riproponendo l’importanza della ricerca superiore, della cultura nel suo concetto più alto e nobile. In un promemoria che aveva fatto pervenire a De Gasperi nel giugno del 1950, De Luca auspicava la rinascita di un vero e proprio dialogo tra il Presidente e la nazione italiana addormentata, per riuscire nell’intento di «trarla dai “marciapiedi” della stampa marcia». Come? La risposta era ampia ed esauriente: Considerando, 1) che nel sei e settecento l’Italia ebbe una cultura europea […] dal 1900 invece questa cultura, per colpe varie e di varii è venuta decadendo sino allo scomparire; 2) che l’Italia è tuttora un paese ricco d’intelligenza, mentre è forse il paese che la lascia più oziosa; 3) che l’Italia possiede le biblioteche più cospicue di manoscritti e di documenti, come i monumenti e le raccolte d’arte più singolari; 4) […] 5) che oggi il Governo, sorto da una classe senza un passato specifico di studi e di opinione dotta, può tuttavia ereditare l’amore della ricerca […] senza più nessuna faziosità, e facendo anche questa unità dello spirito italiano; 6) che il Governo, mentre affronta e risolve i problemi della scuola, dell’agricoltura, dell’industria, della moneta ecc. deve risolvere i problemi dell’indagine letteraria […] dando le ragioni del nostro vivere, non sul tema religioso e politico che può dividerci, ma sul tema del vero disinteressato; 108

Francesco Malgieri, Gli editori cattolici e il ritorno alla democrazia in Italia: la nascita dell’Ueci, in *Democrazia e cultura religiosa …, cit., p. 351. Sull’argomento cfr. Albertina Vittoria, L’editoria cattolica dall'Unità alla fine del fascismo in * Cristiani d’Italia …, cit. 109 Ivi, p. 353. 110 Ivi, p. 356. 111 R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia …, cit., p. 68.

40

samanta segatori

7) […] 8) Che non potendo l’uno e l’altro Ministero affrontare questo che è un tema propagandistico di tutta una politica, deve affrontarlo il Presidente in persona, al quale fa capo per le scienze il Consiglio Nazionale delle Ricerche; 112 9) […]

Proseguiva De Luca tentando di prospettare il tipo di approccio necessario alla risoluzione dei problemi: un censimento degli enti e delle iniziative di ricerche; una coordinazione dei diversi istituti; uno studio accurato di ciò che occorreva per renderli efficienti. E, quindi, perché «dal vago si discenda al pratico» proponeva che il Presidente agisse immediatamente con: una lettera a tutti i Ministeri perché fornissero i dati in loro possesso delle iniziative di ricerca in itinere; una lettera a tutti i Prefetti e i sindaci delle città più grandi su tutti gli istituti di cultura che fossero sotto la loro circoscrizione; una proposta di nuovi lavori e soprattutto un’esplorazione accurata per comprendere su quali basi finanziarie potesse muoversi il progetto di risanamento e rilancio della cultura proposto. Più volte, poi, tornò fino al 1954 ad insistere con De Gasperi sulla creazione di un Dicastero che fosse al servizio degli studi superiori. Purtroppo di lì a poco, il 19 agosto 1954, il grande statista democristiano sarebbe prematuramente scomparso e con lui parte delle speranze che De Luca aveva nutrito in quegli anni. Il progetto di De Luca editore attraverso il carteggio con Fausto Minelli: contro «lo sciatto pressappochismo di uno stuolo di improvvidi velleitari» Giuseppe De Luca e Fausto Minelli si conobbero nel gennaio del 1930. In una lettera del 3 gennaio Giovanni Battista Montini preannuncia a De Luca: «spero lunedì di 113 passare a trovarti con un Signore della «Morcelliana» e parleremo» . Il “signore”, nato in provincia di Mantova nel 1891 (morto nel 1974), era un dirigente della FUCI, membro attivo PPI (Partito Popolare Italiano), presidente della Banca San Paolo di Brescia dal 1939 al 1964, presidente della UECI (Unione Editori 114 Cattolici Italiani) dal 1950 al 1957 e fondatore insieme ad altri della Morcelliana . Dell’incontro con l’editore De Luca raccontava a Papini in una lettera del 27 gennaio «Poche sere innanzi venne un signore della Morcelliana. E di che vuole che 115 con loro si parlasse? di coltura ascetica e mistica. È un chiodo fisso …» . Montini aveva organizzato l’incontro tra i due perché De Luca accettasse di dirigere una collana che Minelli voleva fosse concepita con delle finalità ben precise. In una lettera del 21 gennaio 1930, l’editore era chiaro al riguardo «Molto Rev. Don G. De Luca, a nome anche degli amici della “Morcelliana”, Le esprimo il nostro grazie per la cortese accoglienza e per l’affidamento datomi di prestarci la sua preziosa col112

Ivi, pp. 72-73. D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., pp. 1-2. 114 Franco Molinari, Minelli Fausto, in Dizionario storico del movimento cattolico …, cit., pp. 561-562. 115 Lettera di Giuseppe De Luca a Giovanni Papini del 27 gennaio 1930, ADL. 113

962-202. ricordando giuseppe de luca

41

laborazione. Il breve tempo della nostra conversazione non ci ha permesso di definire circa la traduzione del trattato di S. Bonaventura “De perfectione ad sorores”. 116 Questi dovrebbe entrare in una collana di carattere ascetico» . In un’altra missiva gli chiedeva poi suggerimenti sul titolo della collezione: «Maestri di vita cristiana». Fu scelto, invece, «Per Verbum ad Verbum» che iniziò ad uscire nel 1931 e si protrasse fino allo scoppio della guerra, tra alti e bassi. De Luca il 2 febbraio, ringraziava, ma poneva dei dubbi sulla metodologia di realizzazione della collana, già palesando una concezione opposta della stessa idea di editoria: Io potrò aver l’occhio alla serie ascetica. Dico “aver l’occhio” e intendo di tenerla presente, e dare, via via che mi occorra, qualche suggerimento. Non avrei avuto difficoltà serie (esitazione, sì) ad occuparmene più da vicino, se, discorrendo con Mons. Montini, non fossimo giunti a una chiarificazione molto notevole, e cioè che mentre loro partono da una preoccupazione pratica, io invece parto da un interesse “scientifico” (se non è superbo usar questa parola); e quindi, natu117 ralmente si farà in modo di aiutarci l’un l’altro, senza cedere troppo né da un lato né dall’altro .

Cosa rappresentasse la Morcelliana all’interno del contesto culturale cattolico è stato già accennato: essa si presentò immediatamente come espressione di un «cattolicesimo, quello bresciano, di robusta ispirazione religiosa e di forte impegno civi118 le» . Come il sacerdote visse la sua esperienza nella casa editrice lombarda si comprende appieno solo attraverso l’immenso carteggio con Fausto Minelli: 1116 lettere scambiate dal 1930 al 1946 che ripercorrono tutto il tortuoso cammino, umano ed intellettuale vissuto dal “prete romano” negli anni della sua intensa collaborazione come consulente editoriale. Fu un periodo segnato nondimeno da una polarità interna alla redazione: da un lato Bendiscioli, proteso a sprovincializzare il pensiero cattolico italiano sollecitando, senza nostalgie restauratrici, l’apertura verso il mondo germanico e inglese. Dall’altro De Luca, mosso sì da una volontà di rinnovamento ma nella prospettiva di una “nuova apologetica” che ravvivasse dall’interno il cattolicesimo romano. Un’opposizione, una “complexio oppositorum”, non priva di lacerazioni, come testimonia il Carteggio De Luca-Fausto Minelli, ma che paradossalmente verrà a sedimen119 tarsi nel tempo come uno stile di lavoro editoriale.

La Morcelliana si mostrò sempre aperta alla cultura moderna, con una particolare attenzione per quella d’oltralpe; lo stesso De Luca prospettava ed auspicava per gli studiosi italiani un’apertura affine a quella di molti paesi europei. L’editrice fornì, senza dubbio, un contributo importante all’accrescimento della cultura italiana nella prima metà del secolo e soprattutto a quell’universo cattolico che per anni aveva vissuto immerso nel più profondo immobilismo, annaspando nello “sciatto pressappochismo” tanto avversato da Giuseppe De Luca.

116

Giuseppe De Luca - Fausto Minelli, Carteggio. I. 1930-1934 a cura di Marco Roncalli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1999, pp. 3-4. 117 Ivi, pp. 8-9. 118 M. Marcocchi, La nascita della casa editrice Morcelliana …, cit., p. 11. 119 Ilario Bertoletti, Idea di un’editrice in Editrice Morcelliana …, cit., p. 5.

42

samanta segatori

Nonostante ciò, la Morcelliana fu, per molta parte, lontana dai concetti di sapere, cattolicesimo ed editoria deluchiani e il carteggio, sin dalle primissime missive, lo testimonia. In una lettera del 23 aprile del ’30 De Luca evidenziava come il volume di Tillman, di cui gli erano giunte le bozze, fosse un esempio di esegesi moderna e non di vera e propria pietà, strumento, dunque, per la pratica devozione. Il sacerdote si trovava su una linea assai lontana rispetto a quella proposta nella casa editrice da Mario Bendiscioli. Il consiglio-proposta con cui concludeva la missiva sarebbe diventato negli anni una sorta di topos: Vorrei […] che nella collezione si curasse di far entrare libri di ogni nazione, fuorché francesi, non perché non ce ne sia di buoni, ma perché tutti non pensano che a quelli. La Morcelliana potrebbe dunque farci un po’ conoscere, in questa collezioncina, oltre gl’italiani, i tedeschi, i fiamminghi, i bizantini, gli slavi, gl’inglesi, gli spagnoli… Vedrà se c’è da scegliere. Mi dica intanto, se è, in massima, d’accordo con me in questo, e se se la sente di porre questo «pregiudizio» in atto. […] Badi, quel che le dico dei «francesi» non è per ostilità. Amo quella coltura assai. Ma è perché la Morcelliana definisca meglio il suo carattere. Ogni libreria dà tutto. Invece ognuna dovrebbe avere la sua specialità … e dunque l’avvenire d’una libreria: avvenire non pecuniario, ma di apo120 stolato culturale. Eppoi, anche pecuniario .

Era coraggiosa la proposta del sacerdote, se si pensa che in un momento in cui l’Italia offriva una vera e propria mitizzazione della cultura francese, egli pensava ad allargare gli orizzonti, ad andare oltre, facendo cadere confini e limiti per lui meramente geografici. Il 24 giugno De Luca tornava alla carica: la collezione era solo ancora nella fase progettuale ed il sacerdote voleva darle sembianze adatte: Per quella benedetta, più ci penso e più mi sembra che o non se ne deve far nulla, o bisogna far cosa di largo respiro e seria. Ci sono troppe collezioni già in Italia, e nessuna che abbia una fisionomia e uno stile: tutte trattano di tutto. La prima cosa, dunque, sarebbe definire i limiti e il volto della progettata serie. – Inoltre, metterci a dar libri devozionali, non mi par serio. […] Dato che la Morcelliana vuol specializzarsi in libri di «pensiero», sarebbe utile che tenesse la parola anche in ascetica. Oggi, mentre all’estero ci son cinque riviste tecniche e parecchie collezioni specializzate, in Italia non c’è nulla. Io ho in animo, per conto mio, d’iniziare una collezione del ge121 nere, ma se la farò per conto mio sarà rigorosamente scientifica .

Minelli appariva sordo alle ragioni scientifiche del sacerdote e il 28 giugno gli rispondeva: «Sono anch’io del parere che la serie dovrebbe imporsi per serietà sotto ogni riguardo e sono sicuro però ch’Ella terrà presente la necessità morale e mate122 riale che il libro abbia una notevole diffusione» . Per il sacerdote era fondamentale lavorare costantemente e rigorosamente per spostare le frontiere segnate nell’Ottocento, andando oltre i confini nazionali, cre-

120

G. De Luca - F. Minelli, Carteggio. I …, cit., pp. 22-24. Ivi, p. 30. 122 Ivi, p. 31. 121

962-202. ricordando giuseppe de luca

43 123

ando anche nel nostro paese un concetto di cultura nuovo, vivo, alto. Minelli, dal canto suo, reagiva riaffermando la dignità di un’editrice che pur preoccupandosi della qualità della produzione, guardava all’idea di un programma di “alta originalità scientifica” come ad un compito troppo arduo se non perfino rischioso. Per anni De Luca continuò la sua opera di convincimento, in una lettera del 29 marzo 1934, parlandogli di Wilmart, vantandone l’opera che avrebbe ambito pubblicare presso la Morcelliana, gli ribadiva: Se lei volesse uscire dalla diretta opera di apostolato a tipo artistico e di pensiero, ed entrare nell’erudizione di gran classe (e Dio sa se me lo auguro e se lo prego!) non potrebbe cominciare meglio, che con il Wilmart, nome di fama mondiale…E così la Morcelliana entrerebbe fra le marche di grandissimo pregio, anche negli studi: come Laterza, Oxford, Champion…ma lei comprende ch’io ce l’ha incoraggio, e come la mia fierezza stia, …non soltanto nel voltare verso Brescia l’ago delle intelligenze giovanili, ma anche quelli dei grandi maîtres e scholars e sa124 vants.

Minelli non volle compiere scelte azzardate, lontane da quello che l’editoria cattolica (seppure di livello alto quale quello della Morcelliana) in quegli anni proponeva. Il prete auspicava alla pubblicazione di opere in latino e alla reticenza di Minelli che lo vedeva come un impedimento alla fruibilità e alla diffusione del prodotto editoriale, rispondeva: «Torno a raccomandare: pensino che il latino non è un lusso. I seminari e il clero sono avidi di lettura e poveri di libri; a Roma c’è molti che non sanno capacitarsi di non poter avere dei testi sempre citati e accessibili solo in colle125 zioni straniere o troppo solenni e grandi. È un problema vivo e vero». Quando alla fine del 1930 il progetto della collezione cominciò a concretizzarsi, De Luca non si limitò a presentare un programma, un motto (“Per Verbum ad Verbum”), ma diede direttive e consigli persino sulla veste tipografica. Il 23 ottobre proponeva a Minelli i nomi di diversi disegnatori (Barberis, Mezzana, Cambellotti) che erano tra i più noti artisti romani cattolici del momento. Per le traduzioni in tedesco, poi, faceva i nomi di Olga Gogala e Alcide De Gasperi che in quel momento lavorava presso la Biblioteca Vaticana. Tornava, quindi, ad insistere sull’uso della lingua latina, poiché grande era la necessità di opere di scienza e non di traduzioni e 126 compilazioni. Allegata, poi, ad una missiva del 7 novembre 1930, De Luca accludeva una sorta di presentazione alla collana nascente: La nostra casa editrice, nell’intento di collaborare alla rinascita e all’affermazione del pensiero cattolico in italia, non poteva prescindere da quella parte eletta che in tale pensiero è la illuminazione della vita interiore: la pietà cristiana, la spiritualità. In proposito, ci si presentavano due vie: o quella dei dotti e dei teologi o quella di certi libri che son molto diffusi tra il popolo, ma non sempre meritano tale diffusione. La Morcelliana, non volendo, per evidenti ragioni, battere né

123

Alberto Melloni, L’editoria religiosa del secondo Novecento: progetti, libri, sogni, mode in *Cristiani d’Italia …, cit., p. 1441. 124 G. De Luca - F. Minelli, Carteggio. I …, cit., p. 463. 125 Ivi, p. 46. 126 Ivi, pp. 54-55.

44

samanta segatori

l’una né l’altra via, vorrebbe aprirne una terza, e dare dei libri che non dispiacciano all’uomo col127 to né alle comuni anime, quando pregano.

Furono molte le svolte editoriali auspicate da De Luca che a lungo sperò di indurre Minelli a seguire quel percorso coraggioso che avrebbe fatto della Morcelliana un faro, un punto di riferimento per quella che il prete romano definiva “aristocrazia dell’arte e del pensiero”. «Il tentativo di fare della Morcelliana una sorta di casa Laterza della cultura cattolica (“Laterza, Oxford, Champion” sono i modelli) in un’operazione a largo raggio capace di abbattere gli steccati “fra cultura sacra e cultura profana”, lo porta a tene128 re sempre presente, e persino a spiare, quanto fa Croce e i movimenti di Croce» . Ma la Morcelliana rimaneva, comunque, lontana dai sogni editoriali di De Luca che il 4 aprile del ’31 ricordava a Minelli quanto fosse importante che Bendiscioli (in una recensione che doveva pubblicare su «Avvenire») rimarcasse il ruolo che la collezione si proponeva di avere, in altre parole: «sostituire nelle mani di cattolici italiani libri di pietà sciocchi e devozionali: e mettercene, antichi e nuovi, nostrani e 129 stranieri, che sian fatti con intelligenza ed arte» . “Nostrani e stranieri”, sarà un concetto più volte ribadito nello scambio epistolare tra i due: giù i muri divisori tra cultura cattolica e cultura laica, giù i confini geografici, «Non si curi» gli ribadiva in una lettera dell’11 settembre del ‘31, «di far lavorare solo gl’ italiani. Spiritualmente e materialmente, come apostolato e come affare librario, credo si guadagnerebbe a tentar proposte con degli stranieri di gran no130 me» . Negli stessi anni proponeva l’idea (che rimase solo sulla carta) di una scelta di mistici per la Laterza che piacque a Croce che l’8 settembre 1933 gli rispondeva: «La sua idea […] è buona e, da parte mia, la proporrò e sosterrò. Soltanto Lei dovrebbe mandarmi un piano preciso, indicando non solo i testi che andrebbero in ciascun volume, ma l’estensione precisa di questi, che sarebbe non oltrepassassero le 300 131 pagine ciascuno, per non dover mettere prezzi troppo alti. Dunque, ci pensi». In una lettera del 29 agosto 1940 De Luca si rivolgeva al filosofo per la pubblicazione di un lavoro di Angela Zucconi su Ludovico II di Baviera e la Marchesa Florenzi; approfittando dell’occasione sfogava l’evidente disagio vissuto tra le mura della casa editrice bresciana: Trattandosi di un lavoro assai solido e vivo, mi pare sciupato se, come è già accettato dall’editore, lo pubblica Rizzoli; oppure non so un editore cattolico. […] L’avrei proposto a una serie della Morcelliana; ma disgraziatamente siamo immaturi a temi di «sola verità»; facciamo ancora, e faremo chissà per quanto «verità religiosa». Invece di essere cattolici e fare tutto quel che un uomo deve fare, noi preferiamo fare i cattolici e così dispensarci dall’essere qualcosa, 132 qualsivoglia cosa, anche cattolici . 127

Ivi, p. 59. B. Croce - G. De Luca, Carteggio …, cit., p. XXII. 129 G. De Luca - F. Minelli, Carteggio. I …, cit., p. 102. 130 Ivi, p. 153. 131 B. Croce - G. De Luca, Carteggio …, cit., p. 27. 132 Ivi, p. 78. 128

962-202. ricordando giuseppe de luca

45

A sua volta Croce il 2 settembre rispondeva di essere assai desideroso di leggere il lavoro della studiosa ma di essere scettico sulla possibilità di pubblicarlo: «non so se sia il caso che io ne parli al Laterza. Il genere suo è diverso, e, d’altra parte, i volumi che ha pubblicati di storia pur attraente e curiosa come le memorie della Coigny o le conversazioni del Senior gli sono andati male e la vendita è stata scarsissima. Credo che il Rizzoli o il Mondadori abbiano clientela più adatta per la storia aned133 dotica». Troppo distanti, dunque, le posizioni di De Luca e Minelli anche riguardo alla «concezione dell’impegno ecclesiale o civile, se al meridionale De Luca era congeniale la pietà nelle sue forme più tradizionali, al lombardo Minelli quell’attivismo settentrionale catafratto di impegni collettivi, opere sociali e religiose, apostolato di 134 gruppi» e in questa visione deluchiana di attivismo individualista si inseriva il giudizio sull’Azione Cattolica, con la quale per un lungo periodo aveva collaborato, ma che in un secondo momento aveva infilato tra le «chiesine e le chiesuole che se135 parano i cattolici dal partecipare più direttamente al vivere civile» . Ugualmente siderale la distanza delle loro posizioni nei confronti del fascismo. Il sacerdote provò per Mussolini un’iniziale simpatia e vide nel Duce la possibilità di uno sviluppo notevole della cultura cattolica, appoggiata dal regime, attraverso l’intervento e la collaborazione dei vari Bottai e Lazzari; l’editore lombardo fu, al contrario, antifascista con passione, per motivi religiosi, politici che però non lo dispensarono dall’obbligo della tessera fascista che, seppure per spirito di servizio, fu costretto ad accettare. Quale fu, dunque, il filo conduttore comune, o per meglio dire, l’elemento coagulante tra i due? Secondo Marco Roncalli il collante che unì due universi così distanti fu l’amico comune Giovanni Battista Montini che, seppure discretamente, si intravide sempre dietro il loro rapporto. Fu lui a farli conoscere, a creare le basi per un’unione che, al di là delle divergenze di opinioni, fu densa di emozioni, di affetto e colma di risultati importanti dal punto di vista editoriale. Si potrebbe anche aggiungere che ad unirli c’era dell’altro: la passione con cui tentavano vivificare un ‘sapere’ come quello cattolico da anni immerso in una polverosa inoperosità; la volontà ferrea di riscattare il clero italiano da una cultura di “echeggiamento” e di blando e sterile devozionalismo. Per questa comunanza di intenti l’esperienza di collaborazione di De Luca all’interno della casa bresciana fu lunga ed intensa e tra alti e bassi durò quasi fino alla morte del sacerdote. «Per la Morcelliana», infatti, «accanto alla collana «Per Verbum», don Giuseppe avviava, già in quella stessa primavera del ’32, la collana «I Compagni di Ulisse» che insieme ai «Confidenziali», iniziata nel 1935 col polemico motto cristiano «Candidior inte-

133

Ivi, pp. 79-80. G. De Luca - F. Minelli, Carteggio. I …, cit., p. XIV. 135 Lettera di Giuseppe De Luca a Giovanni Papini del 21 febbraio 1933, ADL. 134

46

samanta segatori

rius» rappresentò un forte vivaio di testi italiani e stranieri immessi nella cultura 136 cattolica, con l’intento di rinnovarne dall’interno il gusto artistico e letterario» . Secondo Carlo Bo: Quando Don Giuseppe De Luca ha pensato a quella collana di studi che sarebbe poi diventata ‘I compagni di Ulisse’ […] soprattutto pensava a stabilire un contatto spirituale a rendere viva un’esigenza dell’intelligenza, dell’intelligenza sicura e protetta dalla verità. Aveva infatti raccomandato agli scrittori […] lo scambio delle idee, insomma una vita intera dell’anima. Per la prima volta moriva il pregiudizio, quella famosa riserva iniziale che aveva collaborato a una storia di movimenti intellettuali basata su un immagine non sempre sincera di pietà. Quello che non si voleva più era l’uso anche minimo di un formulario misero e limitato a una matematica di sacre137 stia .

Al suo arrivo alla Morcelliana, egli aveva portato con sé parte dei compagni del «Frontespizio»: Bargellini, Papini, Manacorda. La sua venuta, inoltre, aveva dato alla casa uno spiccato ampliamento degli ambiti editoriali: da una produzione con138 centrata sulla spiritualità cristiana all’orizzonte allargato della letteratura . Il primo numero della collana «Per Verbum ad Verbum» fu San Bonaventura, A le suore su la perfetta vita, a seguire, poi: Benson con L’amicizia di Cristo, Martindale con Lo spirito del Card. Newman, Francesco di Osuna con Via alla mistica (l’abecedario espiritual), Cathrein con L’umiltà cristiana, San Pier Damiani con Precetti ed esortazioni di vita spirituale, per fermarci al 1931 primo anno di produzione. 139 Nel 1932, in una lettera del 7 aprile , veniva menzionata per la prima volta la collana «Outsiders» che successivamente sarebbe diventata «I compagni di Ulisse». Secondo Marcocchi un’esposizione sintetica di quello che la collana in questione doveva rappresentare si trovava in un “programmino” dattiloscritto allegato ad una missiva del 25 marzo del ’32, senza nessuna firma di Minelli, ma allegato ad una sua lettera e quindi evidentemente condiviso nei contenuti: Una collana di brevi ma succosi profili, valutazioni serene ed obbiettive, interpretazioni cattoliche scritte dai migliori autori nostri, degli spiriti che ebbero maggiore influenza sull’orientamento moderno della cultura e del pensiero moderni e la cui opera venne spesso respinta in blocco senza che vi facessero adeguatamente rilevare i lati di profonda umanità e i filoni di vero nascosti sotto la deviazione o la negazione della Verità stessa. – (per. es., a caso: Goethe, 140 Nietzsche, Schopenauer, Dostoevskij, Carlyle, Baudelaire, Gide, Freu, ecc.) .

Fu, dunque, un vero approdo nel campo letterario che vide tra le prime pubblicazioni: Péguy (1933), il Rimbaud di Rops (1936), il Proust (1933), il Baudelaire di Casnati (1936), per citarne solo alcuni. Figure lontane dai canoni consueti della tradizione cattolica, scelte ardite di cui Minelli aveva evidentemente timore, se in una lettera del febbraio del 1935, De Luca si sentiva in dovere di rispondergli: 136

R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia …, cit., p. 92. Carlo Bo - Giuseppe De Luca, Carteggio. 1932-1961, a cura di Marta Bruscia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1999, p. IX. 138 M. Marcocchi, La nascita della casa editrice Morcelliana …, cit., p. 29. 139 G. De Luca - F. Minelli, Carteggio. I …, cit., p. 221. 140 Ivi, p. 210n. 137

962-202. ricordando giuseppe de luca

47

Circa i dubbi per gli outsiders, comprendo. E forse la cosa può nascere dal fatto che si susseguono, una dopo l’altra, figure di nemici: ai quali, anche con il combatterli, si fa onore, e si trovano lettori. Ma è anche non meno vero che s’introduce fra i lettori cattolici varie preoccupazioni di vita di pensiero e d’arte che sin qui restavano loro estranee; e tutto ciò, nei migliori, negli eletti (i soli che contano) apporta una maggiore ricchezza e vivezza di vita pensiero e arte cristiani. Non ti pare? A me pare certo. Del resto, Del resto, se credi opportuno, potresti far così: incominciare a frammettere e interporre fra l’uno e l’altro outsiders qualche figura nostra, di laico (ben inteso). 141 […] Oppure, su una linea parallela, iniziare una galleria di ritratti cristiani. Non ti pare ?

Quanto ai già citati «I confidenziali», collana pensata in quegli anni ma nata effettivamente con le prime pubblicazioni nel 1940, De Luca li proponeva a Minelli in una lettera del 28 settembre del ’35, con queste parole: E ora vengo al grosso. Tu sai che Bernard Grasset ha una sua collezione «pour mon plaisir». Te ne propongo, a te, io una. E bellissima. E già ti ho trovato tre scrittori che, sin qui non nostri, si uniscono a noi; e sono grandi scrittori. Si tratta di libri «religiosi», ma velatamente, e profondamente di quelli che creano, senza provocar reazioni confessionali, stati d’animo nuovi. E mi servo, a questo fine, di Emilio Cecchi, Francesco Flora, Antonio Baldini. […] Ora èccoti l’elenco: Daniel Defoe. Journal of the Plaghe Year […] Tradotto, con ampia introduzione, da Emilio Cecchi. […] Matteo Bandello. Vita di Giovambattista Cattaneo. Tradotta da Francesco Flora. […] Antonio Baldini, Il Petrarca spirituale. […] Non hai che a rispondermi sì e tutto è fatto. […] E non tremare per l’ambiente nostro: nulla l’offenderà, e appena avrà abboccato, non lascerà. […] Ora, se tu accetti, non si è meno cattolici, ma non è più letteratura cattolica. È arte, è storia, è poesia: 142 ed è con Cristo e verso Cristo .

Alcuni sogni svanirono, ma nella collana che vide ugualmente la luce furono pubblicati, tra gli altri, La passione di Cristo di Pea (1940), Mostra personale di Papini (1941), L’odore del pane di Moretti (1942), Confessione davanti allo specchio di Govoni (1943). Alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1945, De Luca progettò, insieme a Minelli, la quarta e ultima collana, quei «I Fuochi» che all’inizio avrebbero dovuto essere “semi di fuoco”, con il motto «ignem veni mittere». Ne parlava, infatti, in una lettera del 25 ottobre del ’45, rassicurando Minelli sul fatto che sarebbero di143 ventati «una gran bella cosa» . La nuova creatura raccolse, a partire dal 1946, volumi dedicati ai testi dei Padri e Dottori della Chiesa, di mistici e di poeti che così De Luca la presentava al pubblico: «Scritti per lo più brevissimi, svelti, racconti, sui quali nessuno porta la sua migliore attenzione, perché, si dice, sono scritti minori: e non sono minori che di mole. Sono forse i maggiori, per intensità, rapidità, potenza. Rassomigliano veramente al fuoco; dove cadono o svegliano altro fuoco o bru144 ciano e ne lasciano il segno». 141

Giuseppe De Luca - Fausto Minelli, Carteggio. II. 1935-1939, a cura di Marco Roncalli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2000, p. 35. 142 Ivi, pp. 114-115. 143 Giuseppe De Luca - Fausto Minelli, Carteggio. III. 1940-1946, a cura di Marco Roncalli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001, p. 291. 144 Ibidem.

48

samanta segatori

L’attività di De Luca alla Morcelliana fu, pertanto, fondamentale e come nella sua avventura all’interno del «Frontespizio», anche nel suo cammino, impervio e spesso frustrante, all’interno della casa bresciana egli fu il De Luca di sempre: il protagonista nascosto, il suggeritore sempre innovativo. Non si stancò mai di insistere sulla scientificità delle pubblicazioni, sulla necessità di dare al lettore studi specifici o meglio specializzati, non traduzioni di opere, ma opere nella loro lingua originale, non traduzioni di classici, quindi, ma classici, perché sono essi a dover essere divulgati e non eventuali traduttori e divulgatori. Avversò sempre le pubblicazioni rozzamente devozionali, liturgiche, poiché fu sempre convinto del valore dei progetti “di indole austeramente scientifica” e provò una vera e propria repulsione per quella “lettera145 tura corrente” in cui in quegli anni, nonostante tutto, si trovò coinvolto. Nell’Introduzione al Carteggio, Roncalli accenna più volte al problema della rottura fra i due uomini di cultura, individuando tra i motivi del loro costante cozzare «le divergenze tra il prete romano che mirava all’erudizione e l’editore bresciano che 146 non ignorava il pubblico dei devoti» . In una lettera del 16 dicembre 1934 Minelli gli faceva notare: Tu calchi un po’ la mano, a base di storicismo e di archeologismo, contro il movimento liturgico – che per me, personalmente e per noi tutti è cosa viva e non storicistica, attuale per forza di unità e potenza di elevazione e non archeologica. – E tu sai quanto la Morcelliana ci tenga a diffondere e ravvivare questo movimento liturgico che per tante e tante anime ha segnato la via di ritorno a Cristo e ai ritornati ha mantenuto il conforto della comunione dei fedeli non ostacolato 147 dalle particolari devozioni dei singoli. […] tieni conto per attenuare certi attacchi .

Cosa, dunque, Minelli amò di De Luca? Certamente ne comprese il valore e apprezzò il quasi infallibile fiuto che gli permetteva di individuare immediatamente autori di valore, con i quali si legava indissolubilmente in un rapporto molto spesso sconfinante nella vera e propria amicizia. Chi era, allora, l’“editore” per entrambi? L’imprenditore lombardo forniva una risposta estremamente chiara nella scaletta d’appunti per la relazione d’apertura al primo Convegno dell’Unione Editori Cattolici Italiani, svoltosi a Canazei nel 1953 e conservata presso l’Archivio Minelli. Il documento non lasciava dubbi già nella formulazione del titolo: L’editore a servizio della persona umana, laddove per persona s’intendeva l’aspetto più prettamente spirituale e per questo insostituibile ed insopprimibile. L’editore al servizio dell’uomo e soprattutto nella sua funzione di mediatore culturale, che agisce “in difesa dell’uomo”, alla ricerca della sua dimensione esistenziale, nel tentativo di evitare quell’estraniamento di cui spesso l’uomo è vittima: L’editoria moderna deve quindi assumersi la responsabilità nel libero moto di ricerca proprio della nostra società di farsi mediatrice non solo quasi meccanica tra l’ingegno dei pochi e l’esigenza dei molti […] L’editore deve formare e sviluppare nella società un tesoro comune in-

145

Ivi, p. 71. M. Roncalli, Introduzione a G. De Luca - F. Minelli, Carteggio. I …, cit., p. XXV. 147 G. Luca - F. Minelli, Carteggio. I …, cit., p. 551. 146

962-202. ricordando giuseppe de luca

49

telligibile di cultura nel quale i più alti valori dello spirito formino oggetto di circolazione e di 148 scambio nel pensiero e nell’azione delle persone, elevando il «costume» .

Parole attuali, quelle di Minelli, che contro “l’idolo moderno del successo” predicava un impegno appassionato affinché «l’editoria aiuti la persona umana a ritrovare nel suo spirito una libertà interiore e una chiarezza di coscienza, resesi tanto più 149 necessarie e attuali in una civiltà di massa come la nostra» . Erano affermazioni che riproponevano il cattolicesimo fervido e attivista in cui egli credeva profondamente; posizioni, dunque, che lo rendevano parte integrante di quell’associazionismo cattolico fucino da cui De Luca si era, invece, gradatamente allontanato. Con il passare degli anni, il sacerdote cominciò ad apparire stanco; più volte le sue lettere all’editore lombardo assunsero un tono duro. Alla fine degli anni Trenta, infatti, stufo a causa di una serie di tentativi falliti, snervato dal doversi adeguare ad un’editoria che, per quanto di valore, non era la “sua editoria”, iniziò a prendere le distanze dalla casa bresciana. «E don Giuseppe dunque limiterà, di fatto, il suo lavoro alla collana dei «Compagni di Ulisse», poi dei «Confidenziali» e – più in là – dei «Fuochi» imboccando solitario quel binario dell’«erudizione» … che lo porterà a 150 fondare le Edizioni di Storia e Letteratura» . In una lettera del 13 marzo del 1937, nelle parole di De Luca c’era un misto di stanchezza, rabbia, delusione: Che diamine vuoi che ti scriva? D’altra parte, un po’ l’ho pure con te. E se tu sei scontento di me, io neppure son troppo contento di te. E penso se la nostra collaborazione non si avvii a finire. Alcune proposte che ti avevo fatte, non ti sei degnato neppure di considerarle. Non è malumore, Minelli. È proprio frutto di riflessione: amara e spietata, ma reale. Capirai: star ogni quindici giorni a produrre cinque idee, perché poi tu le lasci cadere, non mi incoraggia assai. D’altra parte le idee mie sono state pochissimo commerciali, e di scarso successo. Posso aver significato qualcosa per la Morcelliana (la quale, cioè tu, ha significato parecchio per me): ma ora vedo che non si riesce ad andare oltre un po’ di letteratura, un po’ di erudizione : e voi avete le vostre ragioni 151 ma anch’io ho le mie. O ci s’accorda, o ci si separa del tutto. S’intende, salva l’amicizia .

Il loro rapporto andò avanti così, con scontri pieni di sofferenza tra un De Luca stanco dei compromessi e un Minelli che, conscio del valore dell’amico, cercava di non perderlo ma non poteva o forse non riusciva ad andare oltre. In una missiva del 10 dicembre del ’38 gli ricordava: «D’altra parte i tentativi letterari fatti con la Morcelliana ti hanno sempre procurato disinganni e fastidii; se io debbo, come debbo, lavorare con te, sarà meglio, io credo, sul campo strettamente religioso e della cultura religiosa. Bo, Weiss, e altri giovani, in mano nostra non vanno; fuori van be152 nissimo» .

148

M. Roncalli, Introduzione…, a G. De Luca - F. Minelli, Carteggio. I …, cit., p. XVIII. Ibidem. 150 Ivi, p. XXXV. 151 G. Luca - F. Minelli, Carteggio. II …, cit., p. 269. 152 Ivi, p. 379. 149

50

samanta segatori

Il 25 dicembre 1939 provava ancora a definire con pochi tratti il suo sogno: «il nuovo anno avrai vicino vicino il tuo amico […] son cresciuto non solamente per me per i miei, ma per te e la Morcelliana. […] Io vorrei che la Morcelliana divenisse 153 […] casa dell’aristocrazia dell’arte e del pensiero» . Rimase accanto a Minelli ancora per diversi anni, ma la “casa dell’arte” tanto agognata fu costretto a costruirla più in là, altrove e fu, a detta di molti, “una cattedrale”, «un’ideale Accademia degli spi154 riti che più onorano il sapere umano» . La nascita della casa editrice: «Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi» «Qui a Roma, ho voluto e mi è riuscito, con le mie Edizioni, di raccogliere – in un silenzio rigoroso, fuori da ogni strombazzatura – le più grandi menti a un convito 155 della dottrina più alta e rara, ma più silenziosa» . Nel 1947, all’interno del primo dei cataloghi editoriali stampati dalla casa editrice, era lo stesso De Luca ad affermare: Nessuna separazione tra antica e nuova storia, tra letteratura sacra e profana: l’emblema della piccola nave, che con dentro, i due «dolia», e posata sul bordo la colomba e l’olivo, ne orna il frontespizio vuol essere il suo sigillo e il suo augurio: figura e promessa di quella «più sicura nave» che Platone diceva nel Fedone, la nave di un «ragionamento divino». Dove gli uomini si uni156 scono concordi nel servizio del vero, ivi non resterà assente Dio .

Il programma editoriale delle Edizioni era tutto qua, emblematicamente sintetizzato dal suo ideatore e fondatore. Il proponimento, espresso a chiare lettere a Montini il 28 luglio 1945, era quello di far lavorare «insieme maestri sacri e profani su temi di “storia e letteratura”, chiamando a collaborarvi i giovani d’avvenire (Billanovich, Branca, per dirne di tua conoscenza e della tua covata), i non più giovani e di buon nome (Praz, ad es.), e i grandi morti dei quali si curano edizioni postume (es. Wilmart) o raccolte (sono imminenti Monaci, Parodi ecc.)». Poco più avanti non mancava di rimarcare lo scopo fondamentale della serie da cui le Edizioni presero vita: «il vero, il solo fine della collezione, come di tutta la mia vita: far nascere il deside157 rio e, se si può ed Egli aiuta, l’amore di Cristo nella cosiddetta alta cultura» . Al monsignore inviò, sin dall’inizio, i volumi della collana princeps delle Edizioni, dando il via ad una consuetudine che era insieme un atto di stima per l’uomo che rappresentò il suo rapporto più vivo e positivo con la Chiesa, ma anche un’implicita richiesta di aiuto, a cui corrispose, quasi sempre, e non per volere di Montini, un cordiale e freddo silenzio. Questa, l’accoglienza ai primi volumi deluchiani da parte del Santo Padre, attraverso la voce di Giovanni Battista Montini (3 luglio 1946): 153

Ivi, p. 477. Alfredo Schiaffini, Alle origini di «Storia e Letteratura» in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze …, cit., p. 32. 155 G. Scudder, Un amico scomodo …, cit., p. 222. 156 Catalogo editoriale delle Edizioni di Storia e Letteratura del 1947. ADL. 157 G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., pp. 85-86. 154

962-202. ricordando giuseppe de luca

51

Ill.mo e Rev.mo Signore, Come Ella mi suggeriva, ho presentato nella forma dovuta al Santo Padre i primi dodici volumi della Raccolta di Studi e Testi che Ella dirige insieme al Prof. Schiaffini. […] Ella sappia vantaggiosamente trafficare i talenti di cui il Signore L’ha arricchito, dando vita ad una nuova collezione di storia e di letteratura, in cui oltre la severa serietà scientifica è da rilevare la importanza, la novità, la varietà degli argomenti, e da cui traspare, senza artificio apologetico, un’alta intenzione morale e spirituale di dare al sapere cristiano e ai valori religiosi degna e moderna testimo158 nianza .

L’iniziativa di De Luca, come si vedrà più avanti, se formalmente fu motivo di vanto per la Chiesa Romana, ufficiosamente fu guardata sempre, così come il suo ideatore, con diffidenza e sospetto. Il compito delle Edizioni, secondo De Luca, era quello di riportare la cultura cattolica laddove era ormai esclusa, tagliata fuori: «È stato, Beatissimo Padre, il chiodo della mia vita di prete, d’essere presente ed essere prete, là dove di regola il prete non è ricevuto: per questo compito, oltre che per il poco senno e la tentennante salute, non ho mai ricoperto né uffici né cattedre, e ogni mattina ho dovuto studiare 159 il modo di guadagnarmi il pane e i libri per quel giorno». In una missiva del 16 giugno 1947 De Luca forniva a Croce notizie sui titoli della collana Storia e Letteratura, per poi domandargli se fosse possibile inserirvi (non avendo potuto ottenere quella di Vico) la bibliografia di Francesco De Sanctis di Fausto Nicolini: «mi darebbe un grande coraggio, - confidava al filosofo - in questa iniziativa che porto innanzi da anni per l’onore di Italia e per sostenere gli studi più 160 aridi e forse oggi più necessari». Il 23 giugno De Luca ringraziava Croce per avergli promesso di trattare con Laterza per la sospirata bibliografia, a suo parere strumento fondamentale per gli studi critici dell’‘800. Più avanti si sarebbero accordati sull’aggiornamento della bibliografia, per cui all’inizio il filosofo aveva proposto Carlo Dionisotti e poi, essendo quest’ultimo impossibilitato ad accettare il lavoro, cercò tra i giovani dell’istituto. In una lettera del 3 marzo del ’48 comunicava a De Luca di aver individuato la persona giusta: Dora Marra, all’epoca bibliotecaria dell’Istituto Storico e a suo dire “di161 ligentissima”. Di Nicolini De Luca pubblicò invece solo il Commento storico alla seconda Scienza Nuova. Sia «Il Frontespizio», dunque, e gli anni memorabili che erano stati vissuti attorno a quell’esperienza straordinaria, così come le Edizioni furono per De Luca momenti diversi di uno stesso percorso, segnato dal tentativo di realizzare una «letteratura italiana nuova, con spiriti cristiani e d’accento nuovo. Bo critico, Manzù scultore, Lisi e Betocchi nacquero di lì. Poi tutto cadde e nulla è venuto. Sapessi, mio caro

158

Ivi, p. 91. Ivi, p. 114. 160 B. Croce - G. De Luca, Carteggio …, cit., p. 140. 161 Ivi, p. 150. 159

52

samanta segatori

Montini, come sono stanco anche di queste Edizioni, con le quali ho tentato la stes162 sa cosa» . Già Ireneo Speranza, infatti, in un articolo pubblicato sulla rivista fiorentina nel 1932 ricordava ai cattolici: Che è loro dovere, se vogliono uscir di vigliaccheria, seguire le fortune e le sfortune della loro Fede in opere d’invenzione e di poesia, di passione o di calcolo, di storia o di filosofia, di polemica o di contemplazione, dovunque e sempre. Devono rendersi conto di tutto, vagliare e subito chiarire e dominare; altrimenti si accumula, come accade da molti secoli, tutta un’enorme pila di cultura, che noi respingiamo, ma che il mondo continua a divorare, con questo bel risultato: che oggi i cattolici sono in minoranza intellettuale, nel mondo, pur avendo da parte loro la verità, 163 Iddio non fa miracoli per coprire la nostra vigliaccheria .

La cultura non poteva esistere senza un fondamento erudito e i cattolici dovevano impegnarsi al fine di avere armi per combattere che non fossero, ricordava Bargellini, quelle fornite dai loro avversari. De Luca fu, infatti, secondo Branca, lo studioso che visse mettendo la sua vocazione al “servizio totale e disinteressato” della cultura più vera, severa e rigorosa di cui le Edizioni, a loro volta, furono l’espressione più compiuta. Una cultura, dunque, senza confini geografici, vicina al concetto di erudizione settecentesca rappresentato da quel Ludovico Antonio Muratori a lui assai caro. La sua casa editrice rappresentò un’esperienza fondamentale per la cultura italiana perché seppe guardare “oltre” e «lo stesso prestigioso antecedente editoriale di Croce e delle sue collezioni laterziane impallidiva per la stretta osservanza e per la 164 provincialità nazionale in cui si era fatalmente costretto» . D’altro canto, però, De Luca fu sempre consapevole del fatto che l’Italia fosse un paese ancora tragicamente ignorante, per questo in una lettera del giugno 1953, congratulandosi con Alcide De Gasperi per la vittoria elettorale, approfittava immediatamente per ricordargli che la politica doveva necessariamente essere «edu165 cazione degli spiriti migliori, di formazione degl’intelletti» . Era necessario, dunque, scendere in campo e muoversi coinvolgendo musei, archivi, biblioteche, centri di studi, fondazioni, edizioni nazionali, collezioni e riviste scientifiche. Una visione davvero ampia e moderna, in cui, secondo Miguel Batllori, si ritrovavano «la sua profonda italianità, da una parte e […] la sua europeità ed universalità, 166 dall’altra» che gli permisero di dare alla nazione una casa editrice aperta a tutte le culture ed elemento di grande novità, a tutte le lingue: non traduzioni, quindi, ma opere pubblicate nei loro idiomi.

162

G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., pp. 199-200. P. Bargellini, I tempi del Frontespizio, cit., p. 30. 164 Vittore Branca, Due immense vocazioni, in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze …, cit., pp. 59-60. 165 Maria Romana Catti De Gasperi, Don Giuseppe De Luca e Alcide De Gasperi, in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze …, cit., p. 101. 166 Miguel Batllori, Tavola rotonda su Giuseppe De Luca sacerdote e scrittore, «Sociologia», XVI (1982), 23, pp. 185-213. 163

962-202. ricordando giuseppe de luca

53

Non volle mai sentir parlare di “schieramenti” legati alla sua impresa editoriale che desiderò fosse sempre “indipendente” perché De Luca seppure mai apolitico fu, però, sempre convintamente apartitico. In una lettera a Giuseppe Bottai il 15 dicembre 1941, in uno degli impeti di sincerità che gli erano soliti, dichiarava: «Debbo soltanto avvisarti una cosa: ed è questa, che io non servo nulla e nessuno di terrestre: nessuno m’ispira tra i miei, nessuno m’istruisce. Sono solo e solitario, con non altra responsabilità che quella di un uomo il quale ama Cristo e l’Italia, ma non ha in vista particolari interessi né prerogative, anzi le detesta» e più avanti, il 20 gennaio 1942: E ti dirò un giorno (a te ormai dico tutto) come è, questo lavoro; e che cos’è. A te uomo, a te amico: a te ministro, no. Che cosa ti poteri chiedere come ministro? Non ho voluto né un posto né un onore né uno stipendio dalla Chiesa; sarei un bel goffo che poi ne chiedessi allo stato. A me non dovrai farmi professore, non dovrai stipendiarmi, non onorarmi. Su questo spero che 167 siam d’accordo inizialmente .

Parlando poi con Baldini nel maggio 1949 De Luca affermava: «Come pochi e forse come nessuno ho amato l’Italia ma nessuna delle sue fazioni, meno che mai l’imperante; ho amato l’arte, ma insieme la storia e il pensiero; questo amore ho portato come un servizio silenzioso ed estremo; e come l’amore di donna, così la gloria ho duramente, sebbene con il cuore in fiamme e la testa bruciata, respinto di 168 su la mia povera via» . La politica, però, era altra cosa rispetto ai movimenti partitici; essa era apertura alle problematiche storiche, culturali, sociali di cui De Luca volle sempre essere parte integrante. Al sacerdote non interessarono mai le questioni tecniche e i programmi, ebbe a cuore, invece «questioni e […] problemi che sono prima della politica e al di 169 là della politica» . Illuminante al riguardo un appunto risalente del gennaio del 1923: «Nel pomeriggio assisto alla sfilata delle camicie nere […] veggo Mussolini al balcone del palazzo Chigi. Dovessi dir sinceramente la cosa, io non ho trasporto né pel bianco né pel nero, né pel rosso né pel verde […] tutte codeste costruzioni teoriche di partiti non mi germinano spontanee nell’animo e io rifiuto ciò che è depo170 sito estraneo» . Secondo Eduard Fraenkel, ciò che rese De Luca un editore assolutamente unico fu la sua “incommensurabile” umanità, che creava un rapporto originale ed irripe171 tibile tra libro, autore ed editore . «Nel nominare Don Giuseppe membro corrispondente della Mediaeval Academy of America – ricorda Ullman – affermavo che 172 non esisteva alcun parallelo della sua collezione “Storia e letteratura”» . 167

G. Bottai - G. De Luca, Carteggio …, cit., pp. 29, 52. A. Baldini - G. De Luca, Carteggio …, cit., p. 180. 169 R. Guarnieri, Notizia bio-bibliografica …, cit., p. 28. 170 Ivi, p. 29. 171 Eduard Fraenkel, Don Giuseppe De Luca e i suoi libri, in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze …, cit., p. 202. 172 Berthold Louis Ullman, Un nobile spirito e un grand’uomo, in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze …, cit., p. 328. 168

54

samanta segatori

«Guardate il catalogo della sua casa editrice, misurate l’eccellenza di alcuni titoli ma soprattutto la vastità degli interessi, la larghezza dell’accoglienza: a volte si ha l’impressione che De Luca editore si regolasse con gli stessi criteri del lettore De Luca. […] In fondo a De Luca editore è toccato qualcosa che non è toccato neppure 173 a Croce» . Scevola Mariotti citava una frase che rappresenta egregiamente la sua politica editoriale: «Quando ha un libro che nessuno vuol pubblicare, lo dia a me», per questo secondo Giuseppe Prezzolini, amico di tutta una vita, «la casa editrice creata da Don Giuseppe De Luca non è un impegno di capitale, è un impegno di saggezza, di 174 cultura, di civiltà, di fede». L’unico catalogo editoriale che, in quegli anni, poteva vantare una simile ricchezza di personaggi, legati variamente alla storia, alla filologia medioevale e moderna, all’erudizione, alla cultura più alta, era quello della casa editrice Brill d’Olanda. Era il sacerdote in una lettera del 21 gennaio 1961 ad affermare, infatti, parlando con l’amico Prezzolini: Quella che ho sempre profondamente disprezzato è la cultura degli italiani, eterni alunni dei gesuiti come Voltaire […] Il mio sforzo, caro Prezzolini, è stato di rinserire l’Italia nella grande ricerca europea e americana […] io mi sono dedicato a questa storia e a questa letteratura e ho creato, senza dirlo nemmeno a me stesso, questa accademia che ti dirà il mio catalogo. Io – forse il solo con la Brill di Leida – sono oggi l’editore erudito più alto d’Europa e d’America, per la pagina bella, non però ornata (alla Mardersteig); bella d’un tipo suo, come il tipo Plon, Vallecchi (d’un tempo), ecc.; per l’estrema esattezza; per la scelta dei temi, per la grandezza eccezionale 175 degli autori. […] le edizioni sono cosa assai seria .

E proprio con lui spesso si lamentava del peso che comportava il suo mestiere di editore: Prezzolini poteva capirlo sì, ma non fino in fondo: «Tu sai che cosa è un editore, ma non sai che cosa è un editore di libri eruditi. Altro che racconti straordinari di Poe. Comunque son qui al mio tavolo da mattina a sera, e non credo di perdere il mio tempo, anzi la mia vita, né disservire l’Italia, la quale tra Azione Cat176 tolica e Comunismo non fa più altro che parlare megafonicamente» . Don Giuseppe amò i suoi libri perché erano, insieme, prodotto dell’erudizione e dell’arte, frutto non solo del valore dei suoi autori, ma anche della cura tipografica con cui realizzava, insieme al fratello Luigi stampatore e tipografo raffinatissimo, quella “pagina bella”che segnò la storia culturale della Roma del secondo dopoguerra. Luigi aveva sempre rappresentato l’intelligenza pratica della famiglia, ma con quel gusto raffinato che nell’Istituto Grafico Tiberino (con sede a Roma in via Gaeta 14), lo aveva portato a radunare la migliore arte italiana contemporanea. Era diventato il mecenate di pittori e artisti e uno dei più stretti collaboratori di Giuseppe. 173

Carlo Bo, Il capitale di Dio, in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze …, cit., p. 55. Giuseppe Prezzolini, Un amico segreto, in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze …, cit., p. 298 sgg. 175 D. G. Luca - G. Prezzolini, Carteggio …, cit., pp. 274-275. 176 Ivi, p. 235. 174

962-202. ricordando giuseppe de luca

55

Così il sacerdote, in una lettera a Prezzolini del 24 marzo 1960, lo ricordava, «La tragica scomparsa di mio fratello Editore, che dal 1935 a oggi era l’idolo dei nuovi pittori e scrittori, e stampava meglio di Skira, e non i parvenus né gli arrivati, - ucci177 so da un camion, sulla strada di Tivoli: il 17.II.’60» . In quegli anni di attività forsennata Luigi aveva iniziato il suo cammino creando una lunga serie di collane e riviste da lui promosse, o solo stampate, nell’ambito delle edizioni d’arte e della critica politica e letteraria: «Ansedonia», «Lettere d’oggi», «Il costume», «Botteghe oscure», «L’immagine», «Letteratura» che poi diventerà «Arte e poesia», «Commentari», «La casa», «Tempo presente». Particolare successo aveva riscosso la sua collana, «Artisti d’oggi» che con le sue monografie sui pittori e sugli scultori, rappresentò un’interessante novità nel panorama artistico di quegli anni. Luigi collaborò attivamente con la Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma e organizzò mostre di grande importanza presso la galleria «Palma». Fu, infine, tipografo non solo delle Edizioni ma di «Lateranum», della «Nuova Antologia», tanto cara a Giuseppe, degli «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», della rivista «Arte sacra», de «Lo spettatore italiano», rivista bimestrale, uscita a Roma nel 1948, diretta da Raimondo Craveri e vicina all’influenza di Franco Rodano. Si trovò, inoltre, accanto a Giuseppe, come tipografo, per il bollettino «Il buon vecchio» utilizzato poi come modello per quel «Mater Dei» inaugurato nel 1954, di cui Luigi fu stampatore gratuito, per devozione alla Madonna. «Fiero di saper stampare, se era richiesto “come una volta”, e come i migliori stampatori artigiani, aveva però spiccatissimo il gusto dell’esperimento, in tutte le più moderne tecniche. […] nel campo della riproduzione d’arte aveva raggiunto una perfezione che si 178 commisurava al più alto livello non italiano, ma europeo» . Come il fratello Giuseppe, Luigi, aveva trasformato la sua bottega di via Gaeta, in un luogo di cultura, amicizie, incontri. Gabriele De Rosa lo ricordava, così: So bene che cosa Luigi ha rappresentato per la vita artistica romana; so che domani non si potrà scrivere una storia della pittura romana del secondo dopoguerra (da Caporossi a Gentilini a Turcato a Afro), senza ricordare il nome di questo generoso lucano […] collaboratore di Don Giuseppe De Luca, mi trovavo più vicino a Luigi per questioni editoriali. […] «Il Tiberino» era diventato elemento del mio lavoro: non v’era mattina che non chiamassi una o due volte al telefo179 no Luigi De Luca .

Toti Scialoja, poi, in un discorso pronunciato il 5 giugno 1987 in occasione del Premio Nazionale «Luigi De Luca» per il libro d’arte, ne faceva un ritratto toccante: Sappiate che non spettava a me parlare di De Luca come di uno straordinario editore di riviste di cultura, di letteratura, di critica. Uno straordinario editore d’arte. […] Alla sua morte un’ombra si abbatté – sulla Roma della civiltà, della cultura. […] Quella morte segnò la fine di un ciclo, di un’epoca, di una speranza. Mai vidi pianger tanto, e tanti, come al suo funerale. Tutti si ritrova177

Ivi, p. 265. Elena Croce, L’amico dei libri, in *Un editore come De Luca. Con un discorso di Toti Scialoja, due articoli di Giorgio Caproni e Elena Croce; una lettera di Gabriele De Rosa; una biografia di Romeo Lucchese, Roma, Edizioni della Cometa, 1988, p. 25. 179 Gabriele De Rosa, La lealtà di De Luca, in *Un editore come De Luca …, cit., pp. 29-30. 178

56

samanta segatori

vano […] si riconoscevano: […] volti inaspettati – di artisti, di poeti, di critici, di letterati, di uomini di pensiero, di custodi di valori spirituali – anche tu, parevano tutti dirsi, anche tu devi a De 180 Luca, anche a te De Luca ha dato…

Il sacerdote ricordava così il fratello tipografo e stampatore, fino alla tragica morte il 17 febbraio 1960, delle «Edizioni di Storia e Letteratura»: «Dopo Scheiwiller a Mi181 lano, c’era stato Gigi a Roma» . La vera ambizione di De Luca era quella di creare, attraverso la confluenza delle due culture, quella laica e quella cattolica, una nuova generazione di studiosi, che doveva essere allevata tra le mura ideali della sua casa editrice. Le Edizioni avrebbero rappresentato per gli studiosi che erano accolti a Palazzo Lancellotti, al contempo l’ambiente di una rivista, quello di una fondazione, quello di una casa editrice che il sacerdote disegnò muovendosi attraverso un piano di lavoro bipartito su due linee fondamentali: La prima era portare nella casa editrice personalità di spicco dell’erudizione cattolica, quelle a cui De Luca era personalmente legato da antica consuetudine, che con i loro libri avrebbero dato alle Edizioni il contributo di ricerche frutto di una grande tradizione […] si trattava dei Paschini, Wilmart, Oliger, Vaccari. L’altro passaggio essenziale era alternare questi nomi a quelli di studiosi di fama dell’università italiana. L’idea di De Luca, geniale nella sua semplicità, era offrire ai vari Pasquali, Monteverdi, Migliorini, Arangio Ruiz, Bosco, Sapegno, Rostagni di raccogliere i loro scritti minori, garantendo condizioni economiche migliori che altrove, in un momento in 182 cui pubblicare presentava enormi difficoltà .

Il progetto era già in fieri nel 1941 ma cominciò a svolgere la sua attività nel 1942 accanto ad Alfredo Schiaffini. La presenza al suo fianco di questo grande studioso italiano non era certamente casuale. I precedenti culturali, filologici, ai quali le Edi183 zioni furono naturalmente legate, secondo Dionisotti , erano La storia della tradizione di Pasquali del 1934, l’edizione dei frammenti autografi ariosteschi di Debenedetti del 1937 e la Nuova filologia di Barbi del 1938. Alfredo Schiaffini rappresentava la parte più nobile della tradizione filologica italiana, appartenente alla scuola fiorentina di Parodi. De Luca e Schiaffini, a detta di quest’ultimo, si incontrarono per la prima volta nel 1939, tramite Paolo Toschi. Nacque immediatamente un rapporto di amicizia e stima reciproca che li portò, di lì a poco, alla progettazione di quella Raccolta che darà poi il nome alle Edizioni. Assisteva ai loro incontri Antonio Baldini e qualche volta Amerigo Bartoli, «si ragionava della base che la storia (nel senso largamente comprensivo di erudizione storica, illuminata e solida) doveva fornire a 184 ogni ricerca, letteraria o meno, da accogliere o promuovere» . Bisognava secondo De Luca stampare opere che solitamente gli editori rifiutavano perché “di erudizione esorbitante”. Fondamentale era l’abbattimento di quei muri divisori, corrosi 180

Toti Scialoja, La grande forza di De Luca, in *Un editore come De Luca …, cit., p. 15. D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p 237. 182 L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., pp. 306-307. 183 Carlo Dionisotti, Il filologo e l’erudito, in *Don Giuseppe De Luca. Ricordi e testimonianze …, cit., pp. 146-149. 184 A. Schiaffini, Alle origini di «Storia e Letteratura» …, cit., p. 319. 181

962-202. ricordando giuseppe de luca

57

ma ancora esistenti, tra filologia ed erudizione profana e filologia ed erudizione sacra. Non doveva apparire impossibile: in altri paesi europei (Germania, Inghilterra), quelle barriere erano crollate ormai da tempo. A lungo i due studiosi discussero anche su quello che doveva essere il simbolo, l’emblema della raccolta; fu individuato nella tavola di una memoria di G. Stuhlfauth, Das Schiff als Symbol der altchristlichen 185 Kunst, all’interno della «Rivista di Archeologia cristiana» XIX, del 1942 . Come già ricordato, la navicella doveva rappresentare l’immagine di quella più solida barca di cui Platone parla nel Fedone: la barca di una divina rivelazione. Il primo volume ad essere pubblicato nella collana «Storia e Letteratura. Raccolta di studi e testi» fu, dunque, Tradizione e poesia nella prosa d’arte italiana dalla latinità medievale a G. Boccaccio di Schiaffini e rappresentava emblematicamente la nobile tradizione filologica poc’anzi menzionata. Uscì il 30 dicembre 1943. Il fatto che ad essere pubblicati, successivamente, furono André Wilmart con Le “Jubilus” dit de Saint Bernard, Livarius Oliger con De secta «spiritus libertatis» in Umbria saec. XVI. Disquisitio et documenta e Pio Paschini con Domenico Grimani, cardinale di San Marco (1523), non fu certo una scelta casuale. Pian piano, infatti, «guadagnava peso la storia, ma anche, badando agli uomini, l’apporto di una erudizione ecclesiastica estra186 nea all’ordinamento accademico italiano». La filologia italiana continuava a contribuire all’impresa deluchiana, ma evidentemente non in maniera integrante. Questo campo d’azione era già parte preminente in altre case editrici. De Luca volle sin dall’inizio che le sue Edizioni fossero, invece, non prettamente filologiche (sebbene la filologia fosse uno dei grandi amori della sua vita), né tanto meno accademiche. Credeva nella disciplina, ma era anche perfettamente consapevole dei limiti che essa portava con sé. Le Edizioni dovevano andare oltre, «la sua impresa cristiana e romana […] doveva essere cattolicamente condotta al di là di ogni differenza nazionale e confessiona187 le. […] comune linguaggio, non lingua: niente traduzioni, niente travestimenti». L’erudizione al servizio della verità, questo doveva essere il perno della casa editrice; il tentativo era quello di riunire, liberamente, gli esempi più rigorosi, severi, ricchi della cultura erudita mondiale, creare, dunque, a Roma, il “luogo 188 dell’intelligenza erudita più alta”. Attorno alle Edizioni si raccolse in quegli anni un gruppo di eccellenti studiosi; l’atmosfera e il fascino di quei progetti è resa in maniera memorabile da un ricordo che Giuseppe Billanovich scrisse in memoria di Augusto Campana nel 1995. Il primo incontro tra Billanovich e Campana avvenne nel 1938, presso la Biblioteca Vaticana. L’anno successivo, in casa di Schiaffini, Billanovich conobbe Giuseppe De Luca. Era il momento in cui il prete romano suggellava il passaggio dall’epoca del «Frontespizio» a quella di «Storia e Letteratura», dalle assidue amicizie con Bargelli185

Ivi, p. 320. C. Dionisotti, Il filologo e l’erudito …, cit., p. 147. 187 Ivi, pp. 160-161. 188 A. Schiaffini, Alle origini di «Storia e Letteratura» …, cit., p. 321. 186

58

samanta segatori

ni, Papini, Prezzolini a quelle con Schiaffini, Wilmart e poi Billanovich, Dionisotti, Campana, Sambin. Al suo rientro a Roma, Billanovich conobbe Carlo Dionisotti, Paolo Sambin e quel Cesare Foligno, grande anglista, che a sua volta gli fece conoscere Ullman e Wilkins, entrambi eminenti firme delle Edizioni deluchiane. Nel ’47 Dionisotti iniziò ad insegnare ad Oxford, Billanovich divenne ricercatore a Londra e poi professore a Friburgo, Campana era presso la Biblioteca Vaticana e Sambin in una biblioteca comunale: tutti, comunque, fuori dall’università italiana. Più tardi le cose cambiarono, Campana fu all’Università di Urbino e poi a Roma, Billanovich a Milano, Sambin a Padova. Fu questo il gruppo che lavorò attorno a De Luca, con rigore e passione, seppure con momenti di forte difficoltà. Particolare importanza assunse la figura di Dionisotti (1908-1998), critico, docente in Italia e poi nelle Università di Oxford e Londra, rappresentante di una cultura prettamente laica, conosciuto da De Luca nel 1943 all’Accademia dell’Arcadia (di cui il D. era membro dal ’41), che con la sua «rilettura critica del versante erudito della cultura crociata, aveva fatto dell’“implicita filologia” dell’eredità di Croce un tramite per la “nuova filo189 logia”, quella di Barbi». Luisa Mangoni racconta la sofferenza con cui De Luca accolse la nascita della rivista «Italia medioevale e umanistica» ad opera di quella quaterna d’eccezione (Billanovich, Campana, Sambin, Dionisotti), presso l’editrice Antenore. È Maddalena De Luca, per tutti Nuccia, fedelissima presenza nella vita del fratello sacerdote, a riferire alla biografa l’episodio. Nella ricostruzione della Mangoni Billanovich rinveniva, tuttavia, errori e sviste. Non era vero che al ritorno da un soggiorno in Inghilterra, dove fu ospite di Dionisotti, lo stesso Billanovich metteva al corrente il sacerdote del suddetto progetto di rivista: Billanovich in quegli anni non si recava ma viveva a Londra, Dionisotti a Oxford. Così come, secondo lo studioso, era errata l’ipotesi che De Luca non avesse partecipato nel 1956 al convegno sull’umanesimo a Mendola per ripicca contro i suoi stretti collaboratori: «Italia medioevale e umanistica» non era ancora nata, fu lì silenziosamente ideata: il primo volume della rivista uscì, infatti, nell’autunno del 1958. De Luca ne rimase naturalmente turbato, lo visse inconsciamente un po’ come un tradimento. Il suo successivo incontro con Billanovich fu, comunque, se190 condo lo studioso, pieno dell’emozione e dell’affetto di sempre . Secondo Luisa Mangoni il fatto che quel gruppo di studiosi (Billanovich, Dionisotti, Campana) avesse vissuto la casa editrice romana come un’impresa comune, compattata dalla grande amicizia con il sacerdote lucano, aveva reso lo scontro ancora più duro. Così, «nonostante le assicurazioni di Billanovich che la rivista non avrebbe potuto essere che parte integrante o almeno concomitante» del rapporto simbiotico vissuto fino a quel momento con le Edizioni, la reazione di De Luca fu amara. Intervenne 189

L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., p. 293. Giuseppe Billanovich, Augusto Campana e Don Giuseppe De Luca, in *Testimonianze per un maestro. Ricordo di Augusto Campana, Roma, 15-16 dicembre 1995, a cura di Rino Avesani, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pp. 17-26.

190

962-202. ricordando giuseppe de luca

59

Carlo Dionisotti, con una lunga lettera, in cui rimarcava il ruolo della neonata rivista, tentando di spiegare a Don Giuseppe i motivi per cui la collezione «Storia e Letteratura» non poteva essere adatta ad assolvere il compito che loro si prefiggevano con il periodico, poiché l’impianto della preziosa collezione deluchiana era «tutt’altro che solo la letteratura italiana. Ha ospitato e ospita questa, in quanto può appoggiarla ad altre discipline che sono rimaste più solide. È un rifugio in esilio della letteratura italiana, liberale e magnifico, ma non può passare all’intervento e alla 191 guerra» . Gli confermava, quindi, il loro impegno per le Edizioni e gli faceva notare che da quella rivista potevano svilupparsi una serie di interessanti ricerche che nelle Edizioni avrebbero potuto trovare una “adeguata collocazione”. La risposta di De Luca a Billanovich fu ugualmente dolorosa, tormentata: Tu non ti rendi conto che la vostra progettata raccolta annuale o semiannuale di studii m’impone piuttosto di disarmare la mia povera imbarcazione, come sto facendo, che non di caricarla d’altro. Di «storia e letteratura» che era, bisogna che l’amputi di letteratura. Ho ricevuto l’epistola di Carlo, ma non mi ha detto nulla di nuovo, e la mia tristezza – non vorrei dire amarezza ancora – rimane intera […] Credevo di potervi essere compagno, o avervi compagni, nel comune viaggio; ora le vie divergono: buona fortuna! Mi manca la serenità di darvi, almeno per ora, buoni consigli e suggerimenti utili, se ne avessi avuti; forse dopo ci torneremo a incontrare, 192 ma adesso io temo che a stare insieme si soffra.

Non accettava in nessun modo le motivazioni addotte da Dionisotti che presentava la rivista come il tentativo di accogliere l’eredità di Croce e del «Giornale storico della letteratura italiana», di cui lo stesso Dionisotti fu eccezionale recensore per anni, guadagnando una fama e un’autorità enormi. Il “neonato” periodico per De Luca significava il ritorno all’“altra cultura”, quella che aveva fomentato per secoli la divisione, i “muri rosi” che il prete tentava forsennatamente di abbattere. Sarebbe, così, diventato impossibile agire con le sue Edizioni, perché le acque di quelle due culture confluissero e non rimanessero, seppure affiancate, distinte. L’«Archivio» per il sacerdote doveva rappresentare la rivista in grado di dimostrare che si trattava di una sola cultura, una sola grande verità da seguire, da servire. La stima rimase sempre immutata, ma l’incrinatura provocata da questo scontro aperto non riuscì mai più a rinsaldarsi, soprattutto, secondo Luisa Mangoni, proprio con quel Giuseppe Billanovich di cui De Luca sentì più forte il tradimento perché discepolo e figlio della stessa cultura cattolica di cui insieme a Montini il sacerdote si sentiva rappresentante. Il primo Catalogo delle Edizioni, più volte menzionato, risalirebbe al 1947, anno in cui De Luca fu costretto a rilevare l’impresa anche dal punto di vista finanziario. È il sacerdote a curarlo sin nei minimi particolari: la copia dell’ultima bozza, con le indicazioni riguardanti le modifiche da apportare, ne è la testimonianza lampante.

191 192

L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., p. 312. Ivi, p. 313.

60

samanta segatori

Le Edizioni di «Storia e Letteratura», sorte nell’anno più fortunoso della storia recente, nel 1943, comprendono tre ordini di pubblicazioni: una di testi, rappresentata dall’Archivio Storico per la Storia della pietà, con due collezioni complementari; una di studi, rappresentata dalla serie Storia e Letteratura, con una serie di sussidi di lavoro e quaderni informativi; una di letture, rappresentata dalla serie omonima, Letture I testi raccolti hanno a tema unicamente la Pietà,; gli studi abbracciano invece ogni tema di storia 193 e letteratura; le letture, infine, qualsiasi tema di cultura dell’intelligenza.

In verità nella documentazione d’archivio sono presenti diverse versioni, in francese, inglese, tedesco e latino, di un catalogo editoriale datato 1946 in cui l’intestazione della casa editrice riporta l’indirizzo “via ventiquattro maggio, 10”. Ciò ci porterebbe, dunque, a pensare che ci sia stato un primo catalogo editoriale della casa, uscito nel 1946 di cui erano state preparate le diverse traduzioni e al cui interno si parlava, infatti, di dieci volumi già pubblicati. Il catalogo editoriale del 1947, indicato erroneamente come il primo, riportava, invece, come sede della redazione, dell’amministrazione e del deposito, l’indirizzo di via Lancellotti, 18 che è quello successivo al rilevamento dell’impresa da parte di De Luca e al relativo trasferimento nella nuova sede. L’idea di fornire traduzioni del catalogo in tutte le più importanti lingue europee è indicativo di un approccio culturale assai originale e, comunque, coerente con una visione assolutamente non nazionalistica ma aperta al mondo; tale concetto sarebbe apparso ancora più manifesto nelle parole scritte nel catalogo del ’47: «La collezione «Storia e Letteratura» si propone un compito tanto modesto quanto arduo: offrire a quei che storia e letteratura studiano con propositi di scienza, l’opportunità di pubblicare nella loro lingua i risultati della propria indagine in maniera decorosa insieme e severa». L’espressione, “nella loro lingua”, potrebbe apparire oggi scontata ma nel 1947 rappresentava per la cultura italiana un passo avanti fondamentale, coraggioso, una presa di posizione netta rispetto al nazionalismo propinato per anni dalla cultura di regime. Ogni volume, spiegava ancora De Luca nel catalogo, pur trattando uno o più temi, aveva lo scopo ultimo di proporre “un metodo”, “una tecnica”, “uno spirito”. Le pagine scritte dagli studiosi dovevano essere esemplificative di una “particolare concezione della ricerca erudita”, tale tipologia di indagine doveva essere “natura, anima e per conseguenza limite di tutta la serie” e per questo doveva rimanerne escluso “ogni apporto, fosse pure geniale, di indole diversa”. La presenza dei nomi dei due direttori della collana, sulla copertina e sul frontespizio dei volumi, contrariamente a quanto afferma lo stesso Schiaffini, non si fermava al numero 24, infatti,

193

Catalogo editoriale delle Edizioni di Storia e Letteratura del 1947. ADL.

962-202. ricordando giuseppe de luca

61

assenti nel n. 25 della collana, ricompaiono ancora, certo o per errore o per una già avvenuta stampa delle copertine, nei nn. 26-29, per scomparire definitivamente a partire dal n. 30. Ciò che rimane da capire è se quell’accenno di Schiaffini a una sola guida ormai bastevole e inutile a dichiararsi, non indicasse per caso la consunzione avvenuta non solo del loro rapporto, ma del troppo bel sognato equilibrio tra cultura laica e cultura sacra reso problematico, oltre che dalla 194 società italiana del tempo, dal temperamento accentratore e impetuoso dell’amico sacerdote .

Le motivazioni per cui la direzione della collana rimase nelle mani del solo De Luca sono state ipotizzate su più fronti, ma mai fornite dai due diretti interessati. La separazione tra i due avvenne probabilmente a causa di divergenze nella politica editoriale, prima fra tutti il problema delle lingue originali nei volumi degli autori stranieri. Secondo Romana Guarnieri, infatti: Via via di fatti che le frontiere si riaprivano e le relazioni internazionali faticosamente tornavano a riallacciarsi, si delineò sempre più netta la tendenza di don De Luca ad allargare la collaborazione agli studiosi stranieri, mantenendo ai singoli contributi le rispettive lingue originali. Intendeva – come s’è visto – provincializzare anche per questa via la cultura italiana, togliendola al servaggio della traduzione e collocandola di prepotenza alla confluenza dei maggiori centri di 195 studio del mondo .

Ad allontanare pian piano, ma inesorabilmente Schiaffini dall’impresa editoriale, furono, dunque, da un lato questa impostazione rigorosamente sopranazionale, preziosa per De Luca e non condivisa dal filologo che rimaneva ancora molto legato all’antico nazionalismo; dall’altro il prevalere, all’interno della gestione editoriale, dell’erudizione sulla filologia. Caratteristiche, queste ultime, alla base della diversità e dell’originalità delle Edizioni deluchiane, che avrebbero portato a far sì che l’Italia andasse riprendendo autorità nel mondo degli studi: e la sua voce, nelle grandi biblioteche e nelle grandi librerie umanistiche dei centri universitari d’Europa e di America, era soprattutto la voce di quell’ideale, liberissima accademia che Don Giuseppe, arditamente e austeramente, aveva raccolto nella sua cara navicella. A ognuno di questi accademici di nessuna accademia don Giuseppe 196 aveva dato qualcosa della sua intelligenza e del suo cuore .

Il rapporto con Schiaffini, nonostante le difformità di vedute, rimase sempre ottimo. In una lettera del 14 maggio 1951 il sacerdote affermava: Caro Schiaffini, mi piace mettere in carta quanto io ti ho sempre voluto bene, e di che cosa questo mio povero affetto è composto. È composto d’una stima la quale tu nemmeno immagini, e confina con l’ammirazione, per la tua intelligenza. […] Te e Pasquali, e voi due soli, io vedevo della mia generazione, degni di rinnovare una grande tradizione. […] Io così ti ho visto, da 197 quando leggevo le tue prime cose; così ti vedo e ho continuato a vederti. 194

Giorgio Stabile, De Luca editore, in *Don Giuseppe De Luca e la cultura italiana del Novecento …, cit., p. 347. 195 R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia …, cit., p. 105. 196 V. Branca, Due immense vocazioni …, cit., p. 60. 197 Lettere di amici ad Alfredo Schiaffini, in *Un augurio a Raffaele Mattioli, Firenze, Sansoni, 1970, pp. 292-293.

62

samanta segatori

In un’altra missiva del 10 ottobre 1951 parlava con lui degli ultimi volumi pubblicati: Mio caro Schiaffini, a Calcaterra è stato spedito per pacco, […] il Wilkins in data 6 agosto ’51; […] Ho piacere ti sia piaciuto quel volume, che è il sesto su Petrarca che io ho dato, e ne ho altri tre in serbo. […] Come sarà accolto dalla Scuola italiana, io non so, ma non me ne riprometto fortuna. Sconto la mia qualità di «outsider», così tra i laici come tra i preti; ma non so essere né fare altro. Mi bastano quelle poche amicizie, tra le quali tu resti una delle prime di tempo e di affetto. […] scusami se mi lamento. Tu sei troppo intelligente e mi vuoi troppo bene, per non sentire la precarietà 198 miracolosa del mio lavoro, che è così profondo e forse apparirà domani così alto.

Il sottotitolo «Studi e Testi» si rifaceva, secondo Stabile, alla omonima collana nata ai primi del Novecento presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. De Luca si pregiava del fatto che centri di studi del livello delle Università di Cambridge, Oxford, Londra, così come grandi atenei americani quali quello di Harvard, fossero diventati sottoscrittori della casa editrice romana. Della serie furono pubblicate, fino al n. 100 (Luigi Pareti, Studi minori di storia antica. Vol. III, Storia romana, 1965), due edizioni: una comune e una distinta di 300 copie numerate. Per questo motivo, nei cataloghi, venivano, dunque, segnalati due diversi prezzi; il primo si riferiva all’edizione comune, il secondo all’edizione distinta. Le copie dell’edizione distinta non erano vendute separatamente poiché erano riservate ai sottoscrittori della collana. I nn. 3 e 4 (Livarius Oliger, De secta «spiritus libertatis» in Umbria saec. XVI. Disquisitio et documenta; Pio Paschini, Domenico Grimani, cardinale di San Marco (1523), entrambi editi nel 1943), furono stampati solo in edizione distinta. Le opere esaurite nell’edizione comune presentavano un solo prezzo. Dal n. 101 in poi le due edizioni (comune e distinta) furono unificate. Le collane, i protagonisti: Mario Praz, Agostino Lombardo, Gabriele De Rosa, Augusto Campana Nel catalogo del 1947 erano già presenti una serie di collane, partite quasi contemporaneamente alla “Raccolta” ideata da De Luca e Schiaffini, tutte unite da un’unica aspirazione: «abolire le epoche, distruggere le etichette, annullare i confini 199 reali e fittizi» . Nel 1946 nacque «Letture» che poi diventò nel 1948 «Letture di pensiero e d’arte»; era una serie diretta non agli studiosi ma ai lettori in genere; non era legata ad alcuna periodicità e, per questo, i suoi volumi non venivano numerati. Essa si proponeva «di penetrare non tanto nelle grandi biblioteche e negli istituti scientifici maggio200 ri, quanto tra le gente più colta» .

198

Ibidem. L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., p. 305. 200 D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. 112.

199

962-202. ricordando giuseppe de luca

63

«Nessuna lettura è vana: tutte operano in noi. Spesso operano tanto più a lungo e 201 tanto più a fondo, quanto più sembrano fuggitive e futili» , il senso profondo della celebre affermazione di De Luca, introduceva questa collana inaugurata nel ’47 da Luigi Sturzo con La vera vita e Massimo Petrocchi con Razionalismo architettonico e razionalismo storiografico. Due studi sul Settecento italiano; nel 1948 uscirà il terzo volume, Dalla Res publica christiana agli Stati Uniti di Europa. Sviluppo dell’idea pacifista in Francia nei secoli XVII-XIX, di Armando Saitta. In una lettera del 25 maggio 1948 De Luca confidava a Montini: «Ti mando i primi tre volumi di una serie, che vorrebbe divenire ciò che fu la collez. Bocca al posi202 tivismo, e la Laterza all’idealismo. Dio mi aiuti» . De Luca faceva riferimento alle due famose collezioni, «Grande» e «Piccola Biblioteca di Scienze Moderne», nelle quali Giuseppe Bocca junior pubblicò volumi di sociologia, diritto, storia, filosofia, letteratura, come espressione dell’imperante cultura positivistica. Il riferimento alla Laterza è, invece, legato alle collane nate dall’intensa collaborazione tra Benedetto Croce e l’editore barese che diede vita alle celeberrime serie «Quaderni della critica», «Biblioteca di cultura moderna», «Classici della filosofia moderna», «Scrittori d’Italia». Pare, inoltre, che in quella stessa data De Luca inviasse i tre volumi anche a Domenico Tardini con una richiesta di aiuto presso il pontefice, Pio XII. Sempre del 1947 è la collana «Temi e Testi», presentata dal sacerdote come una collezione che pubblicava in «edizioni agevoli quei testi che, molto vivi, meritano di non restare confinati in raccolte erudite; li pubblica, tuttavia, in edizione critica o criticamente vagliata». La collana «Sussidi eruditi», ugualmente già presente nel ‘47, comprendeva bibliografie ragionate, cataloghi e descrizioni di fondi manoscritti e di fondi stampati, di archivi e biblioteche, in più, spogli ed elenchi. De Luca la inaugurava molto più tardi rispetto ai titoli presentati nel catalogo del 1947 (e rimasti tutti alla fase progettuale), con una pubblicazione dedicata ad un argomento a lui particolarmente caro: la riforma protestante. Il tema era, dunque, per il sacerdote assai “ghiotto”. In Italia se ne erano occupati Piero Chiminelli (Bibliografia della storia della riforma religiosa in Italia, Roma, Bilychnis, 1921; Scritti religiosi dei riformatori italiani del ’500, Torino, Paravia, 1925), Benedetto Croce (Un calvinista italiano: il marchese di Vico Galeazzo Caracciolo, «La Critica», 31, 1933) e Delio Cantimori (Eretici italiani del ‘500. Ricerche storiche, Firenze, Sansoni, 1939). De Luca, in una lettera del 7 settembre 1938 a Montini, notava al riguardo: «una ripresa degli antichi temi di studio un po’ dappertutto, specie sopra la storia religiosa d’Italia e i moti e travagli spirituali che in profondo senza apparire l’han torturata e fatta». L’idea, nonostante il trascorrere degli anni, non era sfumata se nel 1950 finalmente pubblicava come primo volume della collana, A bibliography of the Pioneers of the Socinian – Unitarian Movement in modern Christianity in Italy Switzerland Germany Holland, curato da Earl Morse Wilbur, coadiuvato da Cantimori che ne curava la prefazione. 201 202

Catalogo editoriale delle Edizioni di Storia e Letteratura del 1947. ADL. D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. 107.

64

samanta segatori

Le collane fino ad ora menzionate e «Uomini e Dottrine», di cui ci occuperemo più avanti, erano dirette tutte da Don Giuseppe De Luca. Nel 1949 nacque, invece, «English Miscellany», rivista annuale di studi inglesi (trenta fascicoli in tutto dal 1950 al 1984), la cui direzione fu affidata a Mario Praz (1896-1982); anglista d’eccezione, scrittore e professore, egli insegnò italiano nelle Università di Liverpool (1924-1932) e di Manchester (1932-1934); dal 1934 al 1966 fu professore di Lingue e Letteratura inglese nell’Università di Roma. Collaboratore di importanti riviste italiane ed inglesi, socio nazionale dei Lincei dal 1966, egli fu fedele e duraturo collaboratore del prete lucano. In una lettera a Montini del 6 giugno 1950, De Luca gli annunciava l’invio di «English Miscellany»: «Ti mando in omaggio la rivista che ho, senza apparire, creata agli inglesi, per raccogliere in una serie gli studi inglesi di gente fuori d’Inghilterra. Il governo inglese me n’è stato gra203 tissimo, tangibilmente» . Di questa e di «Studi americani», di cui fu sempre molto fiero, egli parlava con Prezzolini, in una lettera, già citata, del 21 gennaio 1961, «Ho dato all’Università Italiana, che aborro, le prime due riviste di studi inglesi e ameri204 cani» . Del 1950 era la collana «Storia ed economia», inizialmente diretta da Bruno Rossi Ragazzi, capo di gabinetto di Pietro Campilli; quest’ultimo fu collaboratore di Luigi Sturzo nella direzione del Partito Popolare, dal 1946 deputato democristiano, più volte ministro in diversi governi, finanziò la nuova collana deluchiana, la cui direzione passò, successivamente, a Gabriele De Rosa. Nel 1951 vide la luce «Note e discussioni erudite», diretta da Augusto Campana (1906-1995), fondatore, insieme a De Luca, della collana. Campana erudito, filologo, professore di Paleografia e Diplomatica a Urbino dal 1959 al 1965; dal ’65 al 1974 professore a Roma di letteratura umanistica e dal ’74 al 1976 di filologia medievale e umanistica; socio corrispondente dei Lincei, aveva conosciuto De Luca attraverso Antonio Baldini. L’eccellente filologo fu legato da rapporti di amicizia e parentela con Giuliotti, fu ammiratore di Wilmart, rimase accanto a De Luca come uno dei suoi più stretti collaboratori all’interno della casa editrice e diresse la serie sopra citata fino alla morte. La collana, in verità, era già presente nel catalogo del 1947 con il titolo «Informazioni e discussioni. Quaderni di storia e letteratura». Queste le indicazioni fornite nella brevissima introduzione: «dà nell’ambito di poche pagine, quelle informazioni che nel campo erudito sono le più necessarie e le più difficili a raggiungere, essendo di natura pratica e tuttavia utilissima a chi studia». I titoli presenti in questa collezione, perché pronti per la stampa (Stato attuale delle maggiori iniziative erudite in Germania di Hubert Jedin) o in preparazione (I cataloghi dei manoscritti nelle biblioteche italiane di Giuseppe De Luca e Trent’anni di studi eruditi nella Russia sovietica (1917-1947) il cui autore è presente solo con le iniziali N. N.) non furono, invece, mai pubblicati.

203 204

D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. 145. D. G. De Luca - G. Prezzolini, Carteggio …, cit., p. 275.

962-202. ricordando giuseppe de luca

65

Nel 1953 fu inaugurata la collana «Nuovo Mondo», con il sottotitolo, “La storia, le arti, la filosofia negli Stati Uniti d’America”, la cui direzione fu affidata a Mario Cimnaghi. Nel 1956 nacque la nuova collezione dedicata alla «Twelfth Century Logic», affidata alla direzione di Lorenzo Minio-Paluello. Del 1960 era la collana i «Quaderni di cultura francese», diretta da Praz in collaborazione con Marcello Spaziani: diciannove furono in tutto i «Quaderni» dal 1959 al 1981. Frutto della collaborazione tra De Luca e Mario Praz furono poi, tra il 1953 e il 1954, la «Rivista di studi americani» e «Biblioteca di studi americani», la cui direzione fu affidata ad un gruppo di discepoli del Praz, sotto la guida di Agostino Lombardo, uno dei maggiori anglisti italiani; docente di Lingua e Letteratura inglese a Bari, Milano e Roma presso La Sapienza, Accademico dei Lincei, fine conoscitore del teatro shakespeariano e fondatore degli studi americani nell’università italiana. Tra il 1953 e il 1954 erano state poste le basi per una nuova serie, particolarmente importante: quella «Politica e storia» ideata in collaborazione con Gabriele De Rosa che da subito ne assunse anche la direzione. De Rosa (1917-2009), ha insegnato nelle Università di Padova, Salerno e dal 1974 al 1987 in quella di Roma. Nel 1966 fondò a Padova con Angelo Gambasin, Silvio Tramontin, Paolo Sambin, Letterio Briguglio ed altri, il Centro studi per la storia della Chiesa nel Veneto nell’età contemporanea, con sede presso l’Archivio di Stato. Nel 1987 fu eletto senatore della Democrazia Cristiana, nel 1992, fu rieletto senatore e nel 1994 deputato per il Partito Popolare Italiano, presidente dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma dal 1979 fino alla morte nel 2009. Perché questa collana? De Luca, come si è più volte ribadito, aveva sentito sempre nei confronti dei partiti politici una certa lontananza, se non proprio diffidenza, poiché era convinto che attraverso “le formazioni” politiche non si riuscivano a conquistare anime, ma solo gli uomini con le loro ambizioni. Il suo realismo, però, lo rendeva perfettamente consapevole di quanto la politica, al di là delle singole fazioni, fosse cultura e storia: da questa certezza e dal legame speciale con Luigi Sturzo, nacque la collana «Politica e storia». Gabriele De Rosa, fidato collaboratore del sacerdote lucano, curò sin dalla nascita le due serie «Storia ed economia» e «Politica e Storia», alle quali si sarebbe aggiunta negli anni Settanta la «Biblioteca di Storia sociale». Secondo De Rosa a convincere De Luca della necessità di una collana di 205 storia contemporanea (scelta non accademica, non di scuola, né di corrente ) fu appunto il ritorno di Luigi Sturzo che, nel 1946, rientrava dal suo lungo esilio negli Stati Uniti. Grande fu, infatti, il rapporto di vicinanza tra i due sacerdoti e in un momento in cui la Chiesa Romana e le sue gerarchie guardavano con enorme sospetto alle posizioni assunte da Sturzo nei confronti della Democrazia Cristiana, De Luca fu la sua colonna. Mediò, con l’aiuto di Montini, affinché i motivi di profondo attrito si sanassero, o almeno si mitigassero. Non è un caso che nel 1947 volle inaugurare la nuova collana «Letture di pensiero e d’arte» con La vera vita di Sturzo e undici anni dopo, nel 1958, celebrasse l’inizio della nuova collana «Politica e storia» 205

Gabriele de Rosa, De Luca, Sturzo e la Morcelliana, «Humanitas», 4 (2001), p. 485.

66

samanta segatori

con un’altra creatura sturziana: «La Croce di Costantino». Primi scritti politici e pagine inedite sull’azione cattolica e sulle autonomie comunali. L’idea della collana storica poteva essere fatta risalire al 1954 circa, anche se il primo grande volume vide la luce nel 1958, anno in cui fu pubblicata la raccolta degli scritti giovanili di Luigi Sturzo. De Luca si pregiava, infatti, di aver proposto una documentazione non presente neanche nell’Opera Omnia di Sturzo. Le finalità della collana storica voluta da De Luca, furono così, programmaticamente, sintetizzate: «attivare l’indagine in un settore e in un senso nuovissimi nella storiografia italiana più recente; ricercare e individuare le forze ieri ignote e oggi 206 predominanti nella vita pubblica, forze spirituali e anche di organizzazione» . Secondo De Rosa, dunque, il prete lucano al rientro di Sturzo dall’esilio, scelse il compito, sicuramente non facile, di riavvicinare il fondatore del PPI a tutte quelle gerarchie ecclesiastiche che avevano continuato a guardarlo con diffidenza, con l’intento di dimostrare definitivamente che le basi e i principi di fondo dell’iniziativa politica del sacerdote non erano condannabili, almeno dal punto di vista ideale. Insieme agli scritti di Sturzo, nella collana furono pubblicate lettere inedite di Giolitti (Gabriele De Rosa, Giolitti e il fascismo. In alcune sue lettere inedite), scritti di De Gasperi (I cattolici trentini sotto l’Austria), con la consapevolezza di volere attivare l’indagine in un settore ancora poco esplorato, con un taglio assai innovativo per la storiografia italiana più recente; ricercare, dunque, e individuare le forze ieri ignote e oggi predominanti nella vita politica: forze sociali e forze spirituali, forze di organizzazione ma forze soprattutto di formazione del nuovo cittadino nel mondo. Nelle note precedentemente menzionate (presenti in un dattiloscritto) riguardo alla sua collana egli aggiungeva: «I suoi volumi in cui i filoni della pietà si intrecciano con quelli della ricerca sulle grandi forze di organizzazione sociale, costituiscono un contributo, nel loro complesso, originale e vivo per allargare gli interessi e la 207 prospettiva della storiografia moderna» . Sulla serie «Thesaurus ecclesiarum Italiae», abbiamo rinvenuto, nell’Archivio De Luca, un’interessante nota informativa. Nata con il sottotitolo, “Ricerche e sussidi eruditi. Testi e documenti per la storia delle comunità cristiane in Italia”, essa si proponeva di pubblicare testi che esplorassero un mondo per molti versi dimenticato, tentando di colmare gravi lacune nel campo della storiografia cristiana e civile, illustrando la fondazione o le origini delle singole diocesi; l’istituzione e i titoli delle singole parrocchie […] i riti liturgici locali; la letteratura agiografica […] l’attività dei tribunali ecclesiastici, e in special modo quella inquisitoriale; le visite apostoliche, canoniche e pastorali, con particolare riguardo per quelle che prece208 dettero o seguirono immediatamente il Concilio di Trento .

Il filo conduttore era, dunque, la Chiesa cattolica, nella sua quotidiana amministrazione, nelle sue regole, nella sua gestione interna, nelle sue gerarchie, nella sua crescita istituzionale, ben sapendo che gli archivi, spesso dimenticati per secoli, pote206 207 208

Ivi, p. 486. Gabriele De Rosa, documento dattiloscritto. ADL. Nota dattiloscritta. ADL.

962-202. ricordando giuseppe de luca

67

vano rivelarsi vere e proprie miniere di informazioni e notizie, attraverso cui ricostruire un percorso di interesse eccezionale, anche se di non agevole cammino. Doveva costituire, tale collana, un contributo non trascurabile anche allo sviluppo della storiografia civile o generale, in una sorta di mescolanza delle due città agostiniane, quella religiosa e quella civile, «ma anche perché le «chiese» sono le uniche comunità a disporre, insieme, di una propria organizzazione, di una letteratura particolare e di documenti d’archivio, nel primo periodo della storia europea cristia209 na» . A spingerlo all’ideazione di questa originale serie fu ancora una volta la volontà di unificare ciò che rischiava di rimanere irrimediabilmente frazionato, disperso, eccessivamente eterogeneo e che in essa veniva, invece, riunito attraverso un filone di pensiero sì ecclesiastico, ma aperto agli studi laici, purché eruditi. Alla base della genesi del Thesaurus c’era anche il proposito di favorire quella vocazione dotta che fra gli ecclesiastici italiani era spesso mancata e aveva incoraggiato l’affermazione di un clero assai lontano dalla rigorosa erudizione presente in quello francese e tedesco. La collana concretizzava, anche se solo parzialmente, un progetto coltivato da De Luca e papa Giovanni XXIII, riproponendo una tradizione che tra il XVII e il XVIII secolo vide fiorire i più solenni monumenti della cultura storica positiva. Le documentazioni e gli studi di interesse più ampio e, per questo, più difficilmente circoscrivibili entro gli ambiti angusti di una singola diocesi, rientravano in una serie, «Monumenta», ausiliare e parallela alla collana di base. La prima pubblicazione, Le fonti per la storia della Valle d’Aosta, fu curata da Pietro Frutaz Amato e vide la luce nel 1966. Molte furono, poi, le collane progettate e mai realizzate da De Luca, delle quali si rinvengono le tracce nell’Archivio. Nuccia De Luca mi indicò quella che forse nei suoi ricordi ancora vivi destava più rimpianto consegnandomi dei documenti che testimoniavano un progetto di grande interesse, la collana indicata a volte come «Collezione letteraria», altre volte come «Collezione Herder». De Luca nei suoi appunti affermava di volerla realizzare allo scopo «di far provare la nostalgia di Dio agli uomini e farli penetrare nella verità del Cristianesimo, attraverso attestazioni di 210 grandi pensatori e poeti e di maestri della vita spirituale» . Essa avrebbe dovuto avvicinarsi, dunque, a scrittori, poeti, che per la “finezza dei loro pensieri”, avrebbero destato un interesse immediato nei lettori moderni. Una mescolanza di autori stranieri ed italiani, che avessero “di nuovo scoperto religione e Cristianesimo”, a volte perché mistici ed asceti. L’ambito, in una visione editoriale tipicamente deluchiana, non doveva essere ristretto, ma in essa dovevano essere “rappresentati tutti i tempi e tutti i popoli”, seppure con una particolare predilezione per la cultura nostrana. Venivano, quindi, elencati in questa breve bozza di collana, una serie di titoli per lui estremamente interessanti, dal De vita beata di Augustinus, ai Pensées di Pascal, dal Die Christenheit oder Europa di Novalis, al Die ewige Frau di Gertrud V. Le Fort. 209 210

Ibidem. Documenti dattiloscritti, ADL.

68

samanta segatori

Continuava con una serie di altre opere, in totale dodici, che avrebbero costituito l’inizio di un altro ambizioso progetto, nel quale voleva tenersi rigorosamente distante dalle iniziative dei salesiani, per salvaguardare l’originalità delle sue pubblicazioni, assicurandosi che fossero rigorosamente opere mai pubblicate, che ci fosse una tendenza al cattolicesimo, senza però dover essere necessariamente opera di cattolici; la qualità doveva essere di stampo letterario, di avanguardia. Prevedeva due serie, una di testi, l’altra di arte, con una proporzione di tre contro uno, stabiliva addirittura i limiti del compenso agli autori con un minimo di lire 500 per arrivare ad un massimo di lire 1500, con casi rarissimi di lire 2000. Altri sogni mai realizzati giacciono probabilmente nell’Archivio De Luca, altri progetti, altre idee, tutti dettati e guidati dalla sua coerente volontà di erudizione. Il prete, l’editore lo studioso di storia della pietà In una lettera del 21 giugno 1924 Papini parlando a De Luca sembrava pungolarlo su un progetto di cui lo scrittore toscano comprendeva la grande importanza: «Spero che i lavori di manovalanza (traduzioni ecc.) non le tolgano il tempo e l’animo per preparare i maggiori specie quella «Storia della Pietà italiana» che sarà davvero 211 preziosa, e in gran parte una rivelazione» . Fu per De Luca il sogno di un’intera esistenza che riuscì a realizzare solamente in minima parte. A Papini il 12 febbraio del ’26, confidava: «tutti fanno collezioni. Anch’io. Ma io sono degno di compassione: le faccio un po’ per obbedienza, un po’ per svago, un po’ pure per fame. E piango perduto o spezzato quello che era, e bramerei che fosse in avvenire, il mio studio: la storia letteraria della pietà italia212 na» . Erano gli anni della collaborazione con l’Azione Cattolica, gli anni della «Piccola Raccolta», del «Convito Apostolico»: impegni ai quali assolveva con la coscienziosità e la serietà dovute, ma a suo dire, per ordine superiore. In una missiva a Pa213 pini del 29 agosto del ’27, lo definiva l’«opus maximum» dei suoi sogni e il toscano che fu sempre uno dei suoi più accesi sostenitori il 29 luglio 1928 gli ribadiva: La sua ricca lettera mi fece, come tutte le sue, un piacere grandissimo – e soprattutto perché vedo che non ha lasciato il pensiero della Storia della Pietà Italiana, argomento meraviglioso e che lei è preparato quasi provvidenzialmente a trattare: fede sicura con quel tanto di mistico che l’infoca e l’innalza senza traviarla, conoscenza vasta delle fonti, sensibilità esperta, gusto fin quasi 214 troppo raffinato della parola e della musica letteraria, gioventù (cioè tempo innanzi) .

Così anche mentre scriveva a Giuseppe Prezzolini raccontava di lavorare assiduamente sui codici dell’antica pietà italiana, e in una missiva del 28 ottobre del ‘28 gli confessava: «Strettovi da Papini, mi sono determinato a consacrare tutto il tempo che lascia l’ufficio, alla storia letteraria della Pietà Italiana, cioè della conoscenza amorosa di Dio, da Cristo al 1700. Un lavoro enorme. Se pure resterà incompleto, 211

G. De Luca - G. Papini, Carteggio …, cit., p. 48. Ivi, p. 89. 213 Ivi, p. 155. 214 Ivi, p. 197. 212

962-202. ricordando giuseppe de luca

69

non avrò a dolermene. La disciplina è nuova per l’Italia e, oso sperare, anche 215 l’animo che ci si vuol dedicare, è nuovo» . Si era anche convinto che a creare questo stato di lassismo intellettuale e di impegno altalenante avesse contribuito l’atteggiamento diffidente dei suoi superiori e in una lettera a Papini del 30 agosto del ’28 si sfogava così: «A convalidare questo disincantamento perpetuo ha giovato molto il sospetto dei miei superiori, la costante preoccupazione di tenermi … umile, il confessato disegno di sviare dallo studio la mia attività, per spenderla, nei canali burocratici, per i mulini di Santa Chiesa. I superiori ecclesiastici a Roma sono poco entusiasti della semina, sempre rischiosa; 216 preferiscono macinare» . Sul significato da attribuire al termine pietà De Luca era intransigente; in una missiva del 14 aprile del ’29 a Papini si infervorava raccontandogli dell’incontro avuto con Monsignor Faraoni, il quale riflettendo sul progetto di De Luca (che gli era stato presentato da Papini) escludeva categoricamente l’utilizzo del lemma “pietà” poiché sinonimo di “devozioncella”. De Luca si scagliava, invece, contro «chi l’ha ridotto a tale significato» e infiammandosi mentre riferiva l’accaduto all’amico toscano, controbatteva ribadendo che a lui il termine pietà piaceva assai perché «c’è dentro la pietas romana: il più uomo dei poeti latini al più uomo dei suoi eroi e di tutti gli eroi antichi non seppe dar elogio migliore: insignem pietate virum, pius Aeneas…E l’uomo, fatto cristiano, sente la pietas verso il Padre dei Cieli e la Patria eter217 na» . Mons. Faraoni proponeva al sacerdote di realizzare una storia della pietà non italiana, ma nella sua totalità, magari suddividendo il lavoro. De Luca, però, sentiva troppo suo quel progetto per poter accettare di condividerlo con chicchessia: era per lui improponibile quanto far dipingere a due persone diverse lo stesso quadro, ma i dubbi erano molti e nella stessa lettera, li confessava a Papini: Lei sa come io l’avevo concepita. Storia, cioè letteraria, della Pietà, cioè dell’Ascetica e della mistica strettamente prese, Italiana, cioè europea finché il latino fu la lingua d’Europa (sec. X-XI) e rigorosamente geograficamente italiana, di poi. Vari volumi, grossi tutti. […] Intanto la proposta di Mons. Faraoni entra in mezzo. Due volumi, tutta la pietà. Che devo rispondere? Servirebbero per pigliar posizione, mi son detto e gli ho detto; ma pure per pigliar delle cantonate. Come si fa, 218 a mettersi in una cosa così immensa? […] Attendo ciò che lei mi dice .

Se doveva rimanere sogno, dunque, meglio lasciarlo immacolato. Papini condivise. La faccenda si protrasse ancora per diverso tempo ma senza nessun risultato utile. Il vagheggiato progetto della Storia della Pietà Italiana fu, infatti, abbandonato da don Giuseppe che nel 1943 prese la sofferta decisione di sostituirla con un Archivio che raccogliesse attorno al tema della pietà tutti gli studi che ogni nazione ad essa aveva dedicato. Nella primavera del 1944 in una relazione per un convegno organizzato a San Giovanni di Porta Latina dalla rivista «Studium», De Luca per la pri215

D. G. De Luca - G. Prezzolini, Carteggio …, cit., p. 45. G. De Luca - G. Papini, Carteggio …, cit., p. 199. 217 Ivi, p. 232. 218 Ivi, p. 235. 216

70

samanta segatori

ma volta propose il tema della ricerca sull’amore di Dio che sarebbe stato, poi, realizzato e ampiamente discusso nella ricca Introduzione all’Archivio. Nella lettera (già citata) a Giovanni Battista Montini, del 28 luglio del ’45, De Luca gli presentava il primo volume dell’«Archivio Italiano per la Storia della pietà», di 219 oltre 500 pp., in 4° gr. Incominciato ad imprimere nel 1945, questo primo volume fu licenziato per la stampa molto più tardi: il 25 febbraio 1951. Allegato ad una missiva del 5 giugno 1948, De Luca inviava un documento da far pervenire al Santo Padre che ripercorrendo la storia delle Edizioni di Storia e Letteratura, si proponeva come una dignitosissima richiesta di aiuto per l’impresa appena rilevata dal sacerdote. Ricordava che insieme alle Edizioni aveva cominciato «a ordire e tessere le fila de l’Archivio Italiano per la Storia della Pietà, nel quale, sacerdote in incognito, non però travestito, mi proponevo e mi propongo di raccogliere sotto l’insegna della pura ricerca filologica, testi letterari e documenti della pietà, quanto dire della vita religiosa più sincera e intensa, del «fervor caritatis» che dicono i teologi». Continuava, quindi, sottolineando la fervida attività che c’era attorno all’impresa, con un primo volume quasi completo, i primi quattro tomi già pronti per la stampa e altri ancora in piena lavorazione: L’Archivio si accinge a raccogliere gli elementi per una storia della vita religiosa più profonda, sì da riuscire […] l’Archivio dell’amore di Dio. Per raggiungere cotesto scopo con utilità spirituale tra i dotti, […] si è preso la via che solo agl’ignari può sembrare più lunga, non di affrontarli ma di circondarli. Chi non soltanto nella vera religione ma nelle religioni antiche e moderne abbia vissuto con pietà, e di questa pietà abbia lasciato un documento, questo documento è un testo di 220 pietà, e va dunque raccolto .

Nel catalogo editoriale del 1947 De Luca presentava minuziosamente il suo «Archivio» che non doveva essere confuso con una rivista, poiché doveva essere in realtà una raccolta di testi e studi sulla pietà. Cosa egli intendesse con il termine “pietà”, lo avrebbe ampiamente spiegato nell’Introduzione, qui si limitava a sottolineare che «per pietà non viene intesa la religione in largo senso e neppure vagamente il sentimento religioso; ma quella vita religiosa, e quella sola, che, per intensità di tono personale e sincerità immediata di espressione sia divenuta un fatto dominante in 221 un individuo o in una società, in un momento o in un’epoca» . A Croce così presentava la sua creatura il 26 luglio del 1951: «volevo che anche l’Italia fosse presente, e non da meno, in certi studi e su talune vie del sapere. Son cento anni che l’Italia non rispondeva più se non imparaticci, ripetizioni, stramberie, retoricate, o larvate infedeltà, su questi temi. Bisognava tentare, a costo di lasciarci la pelle» e in una missiva successiva del 1 agosto ribadiva: Inviandole l’Archivio, mi è importato soprattutto sottoporre a lei il mio tentativo di porre gli studi religiosi e di storia religiosa in una via nuova, o rinnovata dall’antico; e in pari con la ricerca tedesca, inglese, francese. Ho mirato a una restituzione del lavoro erudito, tra il clero; e a una

219

D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. 86. Ivi, pp. 111-112. 221 Catalogo editoriale delle Edizioni di Storia e Letteratura del 1947. ADL. 220

962-202. ricordando giuseppe de luca

71

restituzione del tema religioso, tra i laici, come tema degno di attenzione in sé e per sé, almeno 222 nella sua storia.

Dopo aver affermato che la raccolta dei testi non avrebbe seguito nessun ordine prestabilito né logico né cronologico, De Luca segnava due caratteristiche fondanti del suo Archivio: - Non è solamente confinato alla nostra religione di cristiani cattolici; - Non è legato a nessuna lingua.

Due aspetti profondamente innovativi se collocati in quel contesto storico, culturale; particolarmente moderna poi, la sua volontà di aprire ad un concetto di pietà che non dovesse conoscere confini confessionali, né tanto meno geografici. L’Archivio escludeva, dunque, nella scelta dei testi da accogliere, studi biografici e trattazioni dottrinali e obbediva a criteri di sola erudizione. Oltre ai 300 esemplari in carta comune, dei volumi doveva essere stampata una tiratura limitata a 50 esemplari numerati, su carta distinta, riservati ai sottoscrittori. In più era prevista una tiratura “particolarissima”, contraddistinta dalle lettere dell’alfabeto greco, destinata invece ai sostenitori. I contributi e i testi dovevano essere stampati nelle lingue originali. Direttamente collegata all’«Archivio», nasceva contemporaneamente la collana «Uomini e dottrine. Biblioteca per l’Archivio Italiano per la storia della pietà»; è ancora il catalogo editoriale del ’47 a puntualizzarci che «La collezione «Uomini e dottrine», biblioteca sussidiaria dell’«Archivio», pubblica quegli studi che, o per la loro natura di biografie o di sintesi, o per la loro mole, non potrebbero trovar luogo nell’«Archivio». La serie è libera da periodicità, non ha una tiratura a parte numera223 ta e accoglie contributi in ogni lingua» . L’importantissima Introduzione al primo volume dell’«Archivio Italiano per la Storia della Pietà», riporta una dedica assai significativa “alla venerata memoria” di tre grandi intellettuali francesi: André Wilmart, Joseph de Guibert, Henri Bremond. Perché quella dedica? De Luca lo spiegava con chiarezza: «ho da dire, e poi avrò finito, perché l’introduzione s’intitola alla memoria di tre francesi […] Io non so quel che sarà l’Archivio, ma se qualcosa sarà, lo debbo principalmente ad essi: all’erudito errante e monaco «stabile», allo scrittore fortunato e fortunoso, al piissimo, paterno e fraterno teologo. All’amicizia loro io non debbo molto, debbo tutto»224. Figure, dunque, basilari nella storia intellettuale del sacerdote lucano, che hanno influito profondamente sulla sua formazione ma di cui è riuscito a recepire contenuti rivisitandoli, poi, in maniera del tutto originale. Questo il motivo per cui secondo Romana Guarnieri era fuorviante la definizione giunta da più parti di un De Luca “Bremond italiano”.

222

B. Croce - G. De Luca, Carteggio …, cit., pp. 159-160. Catalogo editoriale delle Edizioni di Storia e Letteratura del 1947. ADL. 224 Giuseppe De Luca, Introduzione alla Storia della Pietà, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1962, p. 122. 223

72

samanta segatori

La dedica era, secondo la studiosa, molto indicativa; la posizione di Bremond tra i nomi degli altri due studiosi, non appariva per niente casuale: «Bremond sì, certo, ma con l’erudizione, ma con la teologia». De Luca, infatti, proprio attraverso la teologia cercò di correggere l’impostazione dell’opera dello studioso, eccessivamente tendente al modernismo: un vero contraltare, dunque, rispetto alle posizioni bremondiane. Il sentiment religeux di Bremond si muoveva attraverso condizionamenti positivisti e modernisti verso uno psicologismo religioso avversato da De Luca: Considerare quale scienza, o anche soltanto quale materia di scienza, il mondo così mutevole e monotono dei fenomeni psichici, tra il confine della fisiologia e della ragione, è cosa che molti fanno ma noi non faremo […] L’invasione naturalistica, promossa dal positivismo nel campo della psicologia come in quello dell’antropologia e della storia delle religioni, ha ingombrato le menti e le biblioteche d’un materiale incommensurabile ma, ai fini nostri, inservibile. Può testi225 moniare della vita spirituale soltanto lo spirito, non una gretta auscultazione psicologica .

Dello stesso Bremond diede, in seguito, un giudizio rivisto e fin troppo duro: non era un teologo, anzi in un periodo “mosso” della sua vita, egli improvvisò una teologia da letterato, facendo leva sul quel “sentimento religioso” che è una bellissima 226 cosa ma non è la religione . Non storia della spiritualità, dunque, per De Luca, poiché essa è solamente “una provincia” della pietà che non doveva più apparire come concetto astruso o, comunque, indeterminato e vago, ma inserita in una visione limpida, chiara, non fraintendibile. Per questo il sacerdote scelse consapevolmente il vocabolo, ben sapendo che il suo utilizzo sarebbe potuto apparire come un “gratuito neologismo”, e in ogni caso sovraccarico di significati e interpretazioni che negli anni ne avevano causato un vero e proprio ispessimento semantico. Ma che cos’era la Pietà nel suo significato più vero, profondo e nobile, De Luca lo indicava senza possibilità di errore: Riceve qui il nome di pietà non la teoria sola o il solo sentimento dell’una e dell’altra religione in genere, non la sola religiosità vaga, non il solo vertice supremo ed esatto dell’unione mistica, bensì quello stato, e quello solo, della vita dell’uomo quando egli ha presente in sé, per consuetudine di amore, Iddio. La quale descrizione, - descrizione, non definizione – riguarda naturalmente il pieno e il perfetto della pietà, non le approssimazioni. […] Quando l’uomo prova in sé presente Iddio, non in mero concetto o in puro sentimento ma nell’amore, noi diciamo che allora egli è pio: non presente per un attimo, o sebbene lungamente solo per una volta e quasi in un episodio staccato, bensì presente in forza di un abito interiore, continuo e continuato […] Non è pietà una fiammata momentanea, per essere pietà dev’essere come una vita. Si è pii come si è 227 vivi .

L’elemento più originale, per alcuni addirittura geniale, lo si trovava più avanti, quando De Luca nel tentativo di indicare con precisione quello che doveva essere l’oggetto del suo «Archivio», affermava «Dalle letterature monastica, agiografica, 225

Ivi, p. 34. Romana Guarnieri, Pietà, storia e chiesa nella vita e negli scritti di Don Giuseppe De Luca, «Archivio Italiano per la Storia della Pietà», 17 (2004), p. 35. 227 G. De Luca, Introduzione alla Storia della Pietà, cit., pp. 7-8. 226

962-202. ricordando giuseppe de luca

73

liturgica, che abbiamo salutate da lungi, se si discende alla letteratura artistica, ci si para innanzi lo spettacolo stesso: non solo la pietà vive nelle arti, poesia da una parte, cosiddette arti belle dall’altra, ma vi regna: ne è la ispiratrice più ascoltata e 228 l’imperatrice, ne è effettivamente e veramente l’anima, la vita» . La pietà, dunque, per lui, stava alla religione come la poesia alla letteratura, con l’unica grande differenza che poeti lo si è in pochi, mentre pii lo si è o lo si può diventare tutti. La gestazione dell’Archivio, così come risulta dai carteggi, fu immensa: trenta lunghi anni dalla vagheggiata Storia della Pietà di cui più volte colloquiò con Papini, Prezzolini, Minelli, Montini bramandone l’ormai chimerica realizzazione, fino all’approdo verso l’Archivio. Da anni e decenni – tre decenni almeno – quest’Archivio era nei miei pensieri: ha avuto modo, in tanto tempo, per tante stagioni, di sperimentare, provare, saggiare, patire uomini e libri, movimenti e arresti, gesti e gesta del pensiero contemporaneo, dell’arte contemporanea, della indagine erudita. Urgenza lenta e silenziosa, incontri invisibili, campagne e battaglie nell’astratto, risoluzioni senza rumore e protrattesi in pena per anni: tutta una vita, che qualche amico conosce, hanno vissuto queste imminenti pagine, dapprima come una possibile storia della pietà ita229 liana, poi come una serie di apporti eruditi, infine come Archivio .

In quest’esteso arco di tempo maturò il suo progetto frequentando assiduamente quei tre grandi maestri che a più riprese definì “la sua università”. Tra loro, poi, soprattutto di Wilmart, grandissimo erudito, raffinato ed esperto conoscitore “della Civitatis Dei dell’Europa fino all’anno mille”, De Luca subì il fascino e il magistero; da lui imparò a guardare un codice come se fosse «fatto di mura. […] Il manoscritto era per lui la viva voce di un tempo e d’un cuore, di una civiltà e d’un uomo. Il ma230 noscritto per lui aveva una vita in proprio, indipendentemente dal contenuto» . In quegli anni maturò la sua idea, meditando ed elaborando una visione nobilitata della storia, sempre più consapevole della «funzione anche civile e politica della storio231 grafia in genere e della «sua» storia della pietà in particolare» . De Luca sentiva, sulle orme del grande storico Lucien Febvre, l’esigenza fondamentale di «incorporare o reincorporare la teologia nella storia e, per una strada 232 contraria, la storia nella teologia» . Su questo fronte poi particolarmente importante fu il suo incontro con Hubert Jedin che, annoverato tra i più grandi storici della chiesa, giunto a Roma presso la Biblioteca Vaticana nel 1939 per sfuggire alle persecuzioni naziste, divenne amico e frequentatore assiduo di De Luca; assieme, quotidianamente, affrontavano problematiche storiografiche; su di esse, con il suo Girolamo Seripando, Jedin aveva dato una testimonianza importante aprendo «una via

228

Ivi, p. 64. Innocenzo Colosio, Don Giuseppe De Luca storico della spiritualità, «Rivista di ascetica e mistica», 7 (1962), 3, pp. 39-40. 230 Ivi, p. 26. 231 R. Guarnieri, Pietà, storia e chiesa nella vita …, cit., p. 43. 232 Ivi, pp. 42-43. 229

74

samanta segatori

del tutto nuova negli studi di storia della chiesa in Italia, e nessuno più di De Luca 233 sapeva rallegrarsene» . La storia della pietà divenne per lui, con il trascorrere degli anni, una vera e propria missione: in una visione lontana dal concetto di massa tipico della sociologia religiosa, essa era una storia degli uomini studiati nel loro rapporto con dio, quindi, nelle loro manifestazioni di pietà o empietà quotidiana. Si è parlato e si parla della Introduzione alla storia della pietà, come di un grande testo metodologico, una sorta di capolavoro nel suo genere, e sulla scia di quelle pagine felici non pochi storici si sono messi per la strada qui indicata, sicché oggi, più che mai, possiamo dire con le stesse parole di De Luca, che «fuori, tra chi studia, l’idea di pietà è intanto non più un’idea fanciulla, ormai è un’idea madre. Non soltanto presso i profani e i laici, che sono sempre più accoglienti e facili alle idee che vengono, ma persino tra gli austeri teologi, sempre volti al solco che l’aratro ha già fat234 to» .

Il vero grande merito di De Luca, secondo Colosio, fu l’innovazione metodologica: 235 egli creò in un deserto, una nuova disciplina storica, la storia della pietà . Ebbe una grande e armonica visione della realtà e il cardine della sua indagine fu 236 quello della pietà «come tema di vita umana universa» . La storia nella concezione deluchiana proponeva, inoltre, di riscoprire i secoli trascorsi, attraverso una prospettiva di studio assolutamente nuova. Il Cinquecento italiano, ad esempio, aveva nutrito tutta quella pietà europea che in autori quali Caterina da Genova e Battista Varani aveva trovato dei veri capisaldi; eppure, secondo De Luca, leggendo una storia della letteratura italiana nessuno avrebbe mai potuto 237 accorgersene . «La storia della pietà gli consentì di superare il rischio di un cattolicesimo ridotto a puro evento sociale, ma anche ridotto a devozionalismo e a iconografia deteriore e cioè di sottrarre il cristiano al destino di macchina devozionale 238 incapace di comprendere e insieme di credere» . Egli seppe, dunque, riportare la nozione di pietà al suo significato originario, alto ed universale: non una pietà, quindi, liturgica o devozionale, né popolare né d’élite, ma totalizzante nella sua capacità d’investire l’uomo, prima ancora del cristiano. Il prete romano fu, dunque, il 239 primo a riportare la pietà verso la pienezza del suo significato e della sua dignità , nel tentativo «di riscattare il clero italiano da una cultura di echeggiamento e traduzione, e ricondurlo a una dottrina di iniziativa e di coordinazione […]. Dimostrare, nell’umile fatto, che si può essere con l’erudizione più spinta, con la poesia più 240 nuova, ed essere con Cristo e con la Chiesa» . 233

Ibidem. Ivi, p. 17. 235 I. Colosio, Don Giuseppe De Luca …, cit., p. 28. 236 Ivi, p. 29. 237 G. De Luca, Introduzione alla Storia della Pietà, cit., p. 118. 238 Emilio Colombo, Coraggio intellettuale e libertà interiore di De Luca, in *Don Giuseppe De Luca e la cultura italiana del Novecento …, cit., p. 26. 239 Giovanni Antonazzi, Don Giuseppe De Luca e una nuova scienza. La Storia della Pietà, «Studi Cattolici», 89-90 (1968), p. [3]. 240 R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia …, cit., p. 69. 234

962-202. ricordando giuseppe de luca

75

Il 13 giugno del 1951 De Luca spediva a Montini alcuni esemplari (destinati anche a Tardini, Ottaviani e al Conte Galeazzi) del primo e tanto agognato volume dell’«Archivio Italiano per la Storia della Pietà». Per lui si avverava un sogno e, condividendo la gioia immensa di quel momento con l’amico di sempre, scriveva «Quando potrai leggere l’introduzione, tu sei uomo da scoprir subito la mia meta vera, la più lontana in apparenza, la più vicina in affetto: l’amore di Cristo, ma insieme con tutta la scienza e con tutta l’arte. Pazzo desiderio, ma necessario, se lo amiamo davvero. Tutto è Suo, ma perché sta nelle mani de’ suoi nemici? Dobbia241 mo riscattarlo» . La politica editoriale di De Luca, i rapporti con Massimiliano Majnoni e la Banca Commerciale Italiana Il suo faticoso percorso editoriale si rivive anche nel carteggio De Luca – Majnoni e nei registri della Situazione annuale dei volumi in magazzino dal 1943 al 1967. Attraverso gli epistolari e i documenti di archivio si è tentato di ricostruire la storia della casa editrice romana, con i finanziamenti (a volte ottenuti, molto spesso solo agognati), le richieste di aiuto e soprattutto i difficili rapporti con la chiesa di Pio XII. In una lettera del 17 settembre 1947 De Luca confidava a Montini «Ho redento le mie edizioni di Storia e Letteratura: e cioè le ho ricuperate da colui che mi ostinavo a ritenere amico, mentre egli si ostinava a gabbarmi e compromettermi. Ho acquistato tutti i fondi giacenti, e tutto il futuro della serie (compreso l’imminente «Achivio»). Uomini di LARGHI mezzi e di cuore anche più largo mi hanno sostenuto e sostengono: milioni!». Cosa era accaduto? Il finanziamento iniziale della raccolta «Storia e Letteratura» era partito dalla Congregazione dei Padri della Missione con i quali il sacerdote lucano aveva iniziato a collaborare alla fine degli anni Trenta. Le Edizioni di Storia e Letteratura, nei primi anni di vita, furono affidate a Francesco Bossarelli dei Padri della Missione che era responsabile del finanziamento e revisore amministrativo. Con lui, già nel 1937, De Luca aveva stabilito dei contatti per la realizzazione di progetti editoriali. Successivamente, nel ’43, Bossarelli aveva iniziato a contribuire al finanziamento del progetto dell’«Archivio Italiano per la Storia della Pietà». La redazione della collana «Storia e Letteratura» aveva sede in via delle Sette Sale, dove De Luca abitava e lavorava con la sorella Nuccia, mentre la redazione dell’Archivio era affidata a Ro242 mana Guarnieri e all’amica Licia Torti . In una lettera del 28 luglio ’45, De Luca ringraziava Montini per aver aiutato la nomina del Bossarelli in seno alla Commissione dell’Assistenza; continuava, inoltre, comunicando al prelato di avergli spedito 243 la prima pubblicazione della neonata collezione «I Poveri» . Quest’ultima, pensata e organizzata da De Luca, diretta da Enrico Lucatello, era edita dalle Edizioni Liturgiche e Missionarie della Congregazione dei Padri della Missione; da questa col241

D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. 156. Romana Guarnieri, Una singolare amicizia: ricordando Don Giuseppe De Luca, Genova, Marietti, 1998, p. 99. 243 D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., pp. 86-87. 242

76

samanta segatori

laborazione era nata, poi, l’idea di una collana che doveva avere lo scopo di illustrare le opere assistenziali della chiesa: la pubblicazione della serie fu impedita da quello che accadde, poi, nel 1947. In quell’anno, infatti, Bossarelli, la cui gestione economica si era rivelata già assai traballante, fu «coinvolto in scandali finanziari che misero a repentaglio l’esistenza stessa dell’iniziativa, fu ridotto allo stato laicale nel 244 1947» . A salvare l’impresa deluchiana, in quel momento di drammatiche difficoltà, fu Massimiliano Majnoni, presentato al sacerdote probabilmente da Antonio Baldini. Il marchese Majnoni d’Intignano, milanese, nato nel 1894, arrivò a Roma nel 1935, poco più che quarantenne, come direttore della rappresentanza della Comit nella capitale e conobbe De Luca l’anno successivo. Sarebbe trascorso del tempo, dunque, prima che il sostegno finanziario della Comit intervenisse a salvare le Edizioni dall’irreparabile. Il ruolo del nobile lombardo all’interno dell’istituto di credito italiano più importante in quegli anni era particolarmente delicato. «La rappresentanza di Roma era una propaggine quanto mai necessaria […] I compiti di Majnoni erano paragonabili a quelli di un diplomatico: egli rappresentava la banca di fronte 245 ad enti ed istituzioni, al fine di tutelarne e promuoverne gli interessi» . Fu, dunque, Majnoni ad intercedere per le Edizioni presso Raffaele Mattioli, amministratore delegato della Comit dal 1933 al 1960, poi, presidente fino al 1971. Il finanziere, studioso di problemi economici fu, infatti, uno dei più assidui finanziatori della casa editrice. Già prima del tracollo finanziario del 1947 De Luca, preoccupato per la situazione economica delle Edizioni che stentavano a sopravvivere, si era incontrato più volte con Raffaele Mattioli. La situazione era resa ancora più complicata dalla totale incapacità del sacerdote lucano nella gestione amministrativa; cosciente di questi suoi limiti, De Luca, a partire dal 1941, sottoponeva tutte le sue spese a Romana Guarnieri, alla quale venne, inoltre, affidato anche il libretto al portatore sul quale venivano versate le entrate: in assenza della Guarnieri, alla ge246 stione del libretto pensava Giuseppe Sandri, loro stretto collaboratore . In una lettera alla Guarnieri del 14 agosto del 1941, De Luca si lamentava della sua rigidità: «Oggi ho veduto Sandri; gli ho mostrato l’autorizzazione per Storno, io chiedevo mille e cinque, me ne ha concesse mille. Sin qui, nulla. A un certo punto, ha voluto che mettessi in tavola le mie cose economiche; e mi ha stretto, col 1° sett., a contentarmi di 3000 mensili, né un soldo più né uno meno. Il resto, non doveva essere 247 più essere mio, sintanto che non fossi più sereno e libero da creditori» . Nell’ottobre del ’46, Mattioli si preoccupò, su interessamento di Majnoni, di verificare minuziosamente la situazione della casa editrice, facendogli visita di persona. Le condizioni dell’editrice continuarono a peggiorare rovinosamente fino a quando, nel 1947, il dissesto finanziario provocato da Bossarelli si rivelò in tutta la sua 244

Ivi, p. 97. Sebastiano Nerozzi, Documenti di un’amicizia, in Giuseppe De Luca – Massimiliano Majnoni, Carteggio 1936-1957, a cura di Sebastiano Nerozzi, introduzione di Stefano Majnoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, p. XXIX. 246 R. Guarnieri, Una singolare amicizia …, cit., p. 118. 247 G. De Luca - R. Guarnieri, «Tra le stelle e il profondo» …, cit., p. 175. 245

962-202. ricordando giuseppe de luca

77

gravità. Majnoni il 5 gennaio del ’47 confidò a De Luca voci molto gravi che defini248 vano Bossarelli “uno speculatore di valute in grande” . Questi si era, infatti, avventurato alla fine della guerra in speculazioni sconsiderate, con l’intento di salvare dall’inflazione delle somme di denaro (anche consistenti) che erano state lasciate in 249 affidamento da ebrei in fuga a causa delle persecuzioni razziali . La vicenda fu, dunque, grave ed incresciosa e costrinse Don Giuseppe a tentare disperatamente di salvare dalla bancarotta la sua editrice. Majnoni si mosse, dunque, perché De Luca ottenesse da Mattioli un prestito di tre milioni dalla Banca Commerciale Italiana. Lo stesso Mattioli si fece, inoltre, garante per De Luca con il Banco di Santo Spirito, dal quale, attraverso il Dott. Ricceri, funzionario dell’istituto di credito, riuscì ad ottenere un ulteriore prestito di due milioni. De Luca riuscì in questa maniera a salvare le Edizioni dalla liquidazione a cui sembravano destinate. Scomparve, quindi, l’indirizzo di via XXIV maggio, ove avevano sede le Edizioni Liturgiche; il nuovo indirizzo delle Edizioni di Storia e Letteratura divenne quello famoso di via Lancellotti 18, nell’appartamento datogli in affitto da don Pietro Lancellotti, con la mediazione insostituibile di Domenico Tardini. Fu l’inizio di una nuova fase e De Luca cosciente delle difficoltà enormi che avrebbe dovuto affrontare, chiese appoggio su più fronti, partendo dai due amici Montini e Tardini ai quali domandò di intercedere presso il papa, ma di questo torneremo a parlare più avanti. L’impresa sopravviveva fra difficoltà davvero enormi; la vita del prete fu investita come un fiume in piena dalla gestione della casa editrice alla quale collaboravano Nicola Gicca Palli, impiegato presso il Banco di Santo Spirito e Francesco Sapienza per la parte amministrativa; Romana Guarnieri e Nuccia De Luca si occupavano della parte redazionale. Le giornate del sacerdote-editore diventarono ben presto un peregrinare continuo alla ricerca di aiuti, abbonamenti, finanziamenti. Mattioli e Majnoni assunsero in questi anni un ruolo decisivo. In questo tentativo di ricostruire i rapporti intercorsi tra De Luca, Majnoni e Mattioli si sono rivelate particolarmente utili le Carte di Raffaele Mattioli. Prodotte e archiviate presso la Banca Commerciale Italiana, sono suddivise in due distinti rami: da una parte vi sono i documenti della “Segreteria degli Amministratori Delegati” che comprendono gli atti deliberativi di Michelangelo Facconi e Raffaele Mattioli su ogni tipo di affari, gli ordini di servizio e le circolari fondamentali sull’organizzazione interna della Banca, e la corrispondenza a doppia firma con istituzioni e privati. Dall’altra parte, si conservano le ricchissime carte “personali di lavoro” di Raffaele Mattioli (1925-1972), costituite per la maggioranza da fascicoli nominativi di corrispondenza di natura mista, in parte ufficiale e in parte informale, che rappresentano senza ombra di dubbio la frazione di documentazione più interessante.

248 249

S. Nerozzi, Documenti di un’amicizia …, cit., p. XL. R. Guarnieri, Una singolare amicizia …, cit., p. 102.

78

samanta segatori

Tra le carte appartenenti al Fondo “Copia delle lettere della Rappresentanza di Roma”, di specifico interesse la copia digitale delle “Carte personali di Massimiliano 250 Majnoni d’Intignano” poi acquisite dall’Archivio . Il Faldone consta di 147 lettere, 25 biglietti, 9 cartoline, 2 veline e 1 lettera in copia di Majnoni; tutta la documentazione in esame è compresa nell’arco temporale che va dal 1936 al 1957, anno della prematura scomparsa del marchese. Alla luce di questa documentazione la presenza del Majnoni nella vicenda umana ed editoriale di De Luca appariva, dunque, particolarmente significativa, già prima che iniziassero i rapporti di finanziamento della Comit alle Edizioni. Dal carteggio emergono innumerevoli lettere nelle quali si menzionano prestiti spesso di piccole somme: £ 2000 il 21 gennaio del ’43, £ 3000 il 6 marzo dello stesso anno, £ 250 l’11 gennaio del 1945, £ 5000 il 6 giugno: molte di quelle piccole somme furono restituite, molte altre no; Majnoni, infatti, capiva lo strazio quotidiano del sacerdote e spesso lasciava correre. Dopo il dissesto finanziario del luglio del ’47, De Luca, pertanto, ricorse immediatamente all’aiuto del Marchese, con la conseguente entrata in campo di Mattioli. Il 251 sacerdote lucano raccontava in una lettera a Romana Guarnieri del 17 luglio di aver incontrato Mattioli che gli aveva immediatamente prefigurato la possibilità di un prestito ed era andato anche oltre offrendo al sacerdote l’opportunità di creare una società, naturalmente legata alla Comit, in cui far confluire l’impresa editoriale. Il 24 luglio De Luca aveva consegnato a Mattioli un “esposto confidenziale” nel quale descriveva la difficile situazione in cui versava la sua impresa editoriale: Sinora, per una grandissima parte, ho riposato sulle sovvenzioni del p. Francesco Bossarelli, dei Signori della Missione (fondata da S. Vincenzo de Paul). Quest’uomo ha avuto un coraggio e un’amicizia che non potrò mai dimenticare: a lui debbo se ho potuto iniziare. Se non che, egli non ha saputo creare una diffusione di ciò che io producevo […] inoltre, e questo è molto più grave, apparisce coinvolto in un giro (o una voragine?) di speculazioni e di affari, che io ho scoperto con terrore solo quest’anno e che lo ingoieranno di certo, Dio voglia senza scandali e clamori. […] Questo stato di cose mi ha logorato e mi opprime. Il mio lavoro non può restare fondato sull’occasionale. […] Avocherei volentieri a me anche la proprietà di queste iniziative; non a me in persona che non capisco nulla di amministrazione […] Bisognerebbe creare qualcosa di 252 indipendente .

Aveva bisogno, dunque, De Luca di una nuova entità che potesse usufruire di aiuti finanziari (come quelli della Comit), abbonamenti, appoggio da parte degli ambiti ecclesiastici. In verità il tanto atteso sostegno finanziario da parte di Mattioli non fu così immediato, se in una missiva del 2 settembre del ’47 De Luca raccontava a Majnoni:

250

Tutta la documentazione consultata nel settembre del 2006 presso l’Archivio Mattioli di Milano, durante le ricerche della tesi di dottorato di chi scrive (discussa poi nel giugno del 2008) è presente ora anche nel carteggio De Luca-Majnoni, in precedenza citato. Cfr. nota 185. Sull’argomento cfr. Carte di Raffaele Mattioli (1925-1945), a cura di Alberto Gottarelli e Francesca Pino, Torino, Intesa SanpaoloArchivio Storico, 2009. 251 Giovanni Antonazzi, Don Giuseppe De Luca Uomo …, cit., p. 291. 252 G. De Luca - M. Majnoni, Carteggio …, cit., p. 115 n.

962-202. ricordando giuseppe de luca

79

Che cosa dirle dei «fratacci»? Ho dunque riscattato ogni cosa ov’era il mio nome e il mio lavoro. Ma debbo a Gigi entro il sett[embre] e l’ottobre due milioni. Mattioli fu con me cortesissimo; mi consegnò al dott. Cantalupo che mi fece firmare una cambiale per 600.000; così potei dare ½ milione a Gigi (il suo conto era 2.500.000), pagare Nicolini (50.000) e provvedere a qualche altra spesa. Ma lei non ha l’idea del cumolo di impegni che mi è caduto addosso. Mattioli se vuol davvero trarmi d’impaccio, deve procedere a una creazione sollecita dell’Ente, a provvedermi d’un 253 amministratore e delle prime somme non a spizzico .

Gigi era naturalmente il già ricordato fratello Luigi, titolare dell’Istituto Grafico Tiberino, mentre dell’Ente qui menzionato discorreva anche in una missiva a Montini del 17 settembre. Majnoni tornò a caldeggiare la causa di De Luca con Mattioli e a sua volta il sacerdote, in un breve biglietto del 10 settembre, ricordava al banchiere abruzzese: «Urge costituire queste benedette edizioni. Mi occorrono non solo quei pochi (!) milioni che lei sa ma anche un uomo che li sappia maneggiare. La potrei 254 vedere domattina» . Mentre Mattioli indugiava ancora, De Luca veniva a conoscenza della totale contrarietà di Montini e Tardini alla costituzione di un ente che facesse capo alla Comit; era, dunque, costretto a spiegare a Mattioli le indicazioni giunte dalle autorità ecclesiastiche: «evitare l’intrusione di terzi, che i Superiori ecclesiastici mi impongono, propenderei a non creare una società, ma a dichiararmi semplicemente pa255 drone delle Edizioni di Storia e Letteratura. Che ne dice Lei?» . Nonostante il naufragio del progetto societario summenzionato, Mattioli finanziò ugualmente l’editrice con un anticipo di tre milioni, ricevuti da De Luca probabilmente tra l’ottobre e il novembre del 47; Majnoni, infatti, il 22 novembre appuntava nel suo diario che il sacerdote era tornato a chiedere a Mattioli un “allargamen256 to” del prestito concesso . In una lettera a Majnoni del 22 gennaio del ’48, dopo avergli fatto un arguto resoconto della strategia di attacco nei confronti di Mattioli per ottenere il tanto bramato prestito, proponeva all’amico un’idea che avrebbe potuto dispensarlo dal ricorrere a continui prestiti bancari: chiedere a Mattioli di lasciargli assumere come suo prestito l’anticipo di tre milioni e poi chiedere a ognuna delle 10-15 banche maggiori una decina di abbonamenti per gli istituti di studio della provincia, sacri e profani. Si sarebbe arrivati dalle 300.000 alle 450.000 lire per ogni istituto per un totale che poteva variare dai 3.000.000 ai 4.500.000 milioni, non presi in prestito ma ottenuti sotto forma di abbonamenti. In una lettera del 12 gen257 naio del ’48 Majnoni menzionava un incontro con il Marchese Sacchetti, presidente del Banco di Santo Spirito, presso il quale (visto il diniego da parte di Mattioli ad allargare il prestito) intercesse al fine di ottenere un ulteriore aiuto finanziario per De Luca. Più avanti, vista l’attesa, fu ancora Mattioli ad intervenire in favore 258 del sacerdote romano presso Sacchetti, ottenendo un prestito di due milioni . 253

Ivi, p. 118. S. Nerozzi, Documenti di un’amicizia …, cit. XLII. 255 L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., p. 363n. 256 S. Nerozzi, Documenti di un’amicizia …, cit., p. XLIII. 257 G. De Luca - M. Majnoni, Carteggio …, cit., p. 143. 258 L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., p. 344. 254

80

samanta segatori

Le banche avevano anche provveduto ad affidare alle Edizioni, su richiesta di De Luca, un revisore amministrativo; dal 1947 questo compito fu assolto da Tommaso Koch della Comit; successivamente passò a Nicola Gicca Palli del Banco di Santo Spirito. I rapporti con la Banca Commerciale Italiana e con il Banco di Santo Spirito furono sempre estremamente cordiali, tanto che lo stesso De Luca confidava al Majnoni in una lettera del 5 febbraio 1949: «sono con me d’una cortesia singolare. Pago quando posso!»; nella stessa missiva, però, si lamentava per l’onerosità degli interessi pagati: fu lei a trovarmi l’aiuto di Mattioli, e Mattioli mi aiutò lui e mi procurò l’aiuto del Banco di Santo Spirito. […] Mentre questi ultimi erano presi a prestito, e dunque dovevo pagare gl’interessi, quelli della Commerciale non avrebbero dovuto essere considerati come un mio debito, né avrei dovuto pagare interessi. Di fatti, li sto pagando dall’una parte e dall’altra e ammontano a 800.000 an259 nue .

Continuava chiedendo a Majnoni un intervento presso il Marchese Sacchetti per incidere sulla misura degli interessi. I colloqui epistolari di quell’anno furono molto spesso incentrati su questo gravoso problema: la vita per De Luca divenne un’affannosa, quotidiana lotta per la sopravvivenza delle Edizioni di Storia e Letteratura. Il fido con il Santo Spirito era stato rinnovato e rinegoziato a luglio, ma perché gli venisse concessa una piccola riduzione degli interessi, fu stabilita una rata di £ 100.000 che comprendeva interessi e graduale restituzione del capitale prestato. Il 25 ottobre del ’49 Majnoni gli chiedeva chiarimenti sulla decurtazione del debito presso il Banco, comunicandogli che potevano esserci le condizioni per un’ulteriore 260 piccola riduzione degli interessi . Il prete lucano lamentava non di rado, nelle sue missive al Majnoni, l’“incostante” sensibilità del Mattioli e la disparità di trattamento usata nei suoi confronti. Al Croce, infatti, il debito esistente era stato condonato a titolo di aiuto; il 18 novembre del ’48 confidava, infatti, all’amico marchese: «Io in banca non voglio prendere più un soldo. Mi hanno aiutato ma a che prezzo! Certe volte penso che Mattioli (il quale potrebbe pure condonarmele, a titolo di aiuto, come han fatto in misura tanto più cospicua con Croce) è messo su contro di me dal gruppo laico, il quale comin261 cia a preoccuparsi del mio lavoro» . Costante era poi la sua preoccupazione affinché ci fossero quante più sottoscrizioni possibili alle collane, ai periodici. Chiedeva costantemente al Majnoni di fornirgli nominativi di persone interessate e, a tal riguardo, si preoccupava di aggiornarlo quasi quotidianamente. Sempre il 18 novembre continuava: «Se lei vuole che io venga lì quindici giorni, deve trovarmi uno il quale mi faccia, a un tratto, 100 abbonati, non meno, a 50000 lire l’anno. Allora sì che vengo subito a riposarmi […] Quel chimico milanese, a cui voleva affidare suo figlio, e non glielo affida più, potrebbe lei dargli per mia procura

259

G. De Luca - M. Majnoni, Carteggio …, cit., pp. 245-246. Ivi, p. 315. 261 Ivi, p. 221. 260

962-202. ricordando giuseppe de luca

81

la stoccata d’un abbonamento, anzi di 10, anzi di 100? Lo dico scherzando, ma certe 262 ore sono uno straziato e straziante essere» . Ancora il 2 febbraio 1949 affermava: «Continuo nello sforzo di quest’anno: restituire alle Banche, giungere a 200 abbonati, trovare il finanziamento per singoli volumi, non meno di una decina e, Dio volesse, l’Archivio […]. Aspettavo Mattioli, 263 ma ancora non è al passo e al tiro. Povera vita mia, gettata all’accattonaggio!» . Majnoni in una missiva del 3 ottobre del ’48 presentava a De Luca un elenco di ricchi esponenti della borghesia e della nobiltà milanese, ai quali “forse” si poteva pensare di inoltrare richieste di abbonamenti; citava tra gli altri Treccani, al quale non sapeva come arrivare; i Pirelli che definiva, però, notoriamente spilorci; i Marinotti della Snia che erano più propensi a donare all’Azione Cattolica. Proseguiva, poi, con un gruppo di gente ricchissima, tra cui menzionava: Angelo Campiglio, sposato con una delle sorelle Necchi (macchine da cucire) e Alessandro Casati che in genere 264 si rivelava abbastanza generoso se si sapeva agire sulla sua occultata vanità . Il 21 febbraio 1949 il sacerdote raccontava a Majnoni: «A Fontanella Borghese oggi ho incontrato, innanzi alle bancarelle, Alessandro Casati ed Elena Croce, che acquistavano. Non m’è parso vero d’aggredire Casati, che di fatto s’è abbonato. Sto a 265 118!» . Majnoni e Mattioli furono un aiuto robusto e costante per De Luca, non solo attraverso gli appoggi bancari, ma anche e soprattutto con la rete immensa di conoscenze e amicizie per mezzo delle quali il sacerdote lucano riuscì a realizzare una quantità cospicua di sottoscrizioni che garantivano alla casa romana un valido sostentamento. Il 20 luglio del ’49 forniva al marchese un sintetico, ma assai interessante rendiconto sulla situazione economica delle Edizioni: Storia e Letteratura è a questo punto. Debiti: Commerciale: 4 milioni (a Milano) Banco Santo Spirito: 4 milioni, di cui comincio a pagare in luglio 500.000 lire, e poi ogni mese 100.000. Crediti: Fatturati da esigere: oltre 1.500.000 lire Da fatturare, per libri già stampati: oltre 4.500.000 Sussidi diversi da percepire: quasi 2.000.000 Il deposito di oltre 30 volumi (quasi 800 copie per ogni volume) Il British mi finanzia, con 200.000 lire ciascuno, 10 libri l’anno Il British mi finanzia la rivista di cui le invio lo specimen Ho 155 abbonamenti paganti, e una 80ntina in maturazione (ahi come lenta) Ho da pagare 2-3.000.000 a Gigi, ma via via che mi consegna le opere. Sino a tutto giugno, tutti gl’impiegati sono pagati, me compreso. Che altro dirle Marchese? A occhio e croce è tutto. Ma c’è tutta la mia vita che se ne va. Sono nella determinazione, estinti i debiti, di cedere a Nuccia e Romana l’iniziativa, come padrone: son d’accordo tutte e due, e io non faccio il mercante e l’industriale, bensì … il loro impiegato. 262

Ibidem. Ivi, p. 241. 264 Ivi, pp. 208-209. 265 Ivi, p. 259. 263

82

samanta segatori

[..] non si dimentichi che se trova abbonati e soccorritori – anche soccorritori enormi – deve mandarmeli; e, per trovarli, deve cercarli, deve affannosamente cercarli. Liberatemi, liberatemi: 266 ho una gran voglia di scrivere, e sono stanco di fare scrivere agli altri .

La stanchezza per un’impresa al di sopra delle possibilità di un uomo solo, emergeva, nelle ultime parole, in tutta la sua gravosità. L’impegno del sacerdote, di Nuccia e Romana fu in quegli anni davvero assai pesante. La scelta di Majnoni che tra il ’45 e il ’46 maturava il suo distacco dalla Comit, lasciò frastornati i tre protagonisti delle Edizioni; la Guarnieri affranta lo confidava al marchese in una lettera del 2 settembre del ’47 «perché proprio ora ha abbandonato questi suoi figlioli adottivi […] Un tempo (tempo felice) a ogni difficoltà o ansia […] io suggerivo a don Giuseppe “Perché non telefoni al Marchese?” […] Oggi siam soli, soli, soli. Non ci perdiamo 267 d’animo tuttavia, sa; ma tiriamo avanti a denti stretti» . Majnoni non abbandonò mai l’amico; né gli fece in nessun momento mancare i suoi consigli, seguendo da vicino le vicende delle Edizioni, facendosi costantemente aggiornare sulla situazione finanziaria dell’impresa, anche quando, dopo il 1949, il debito con la Banca Commerciale fu considerato a fondo perduto e i tentativi di finanziamento percorsero strade diverse. L’11 agosto del 1949 De Luca gli raccontava: Mattioli mi ha dato 300.000 per un volume (Wilkins) […] Il M[arche]se Talamo, del’italiani all’Estero, ha preso 10 serie; Andreotti, vicepresidente, 15 serie; l’Istruz.[ione] Pubbl[ica] me ne ha prese già 20, ne ordina altre 20 e ne promette altre 20 ancora. Se oggi sono a 181 abbonati, paganti, certi, posso anche dire di averne sicuri altri 40, più 30 che ancora pendono sul ramo e il ramo oscilla troppo alto ma lo afferrerò. L’anno, grazie a Dio, mi si chiuderà sui 250 abbonati, quanto dire che ho già i volumi pagati in tipografia. Aggiunga a questo che oramai ogni volume ha un suo sussidio extra, sulle 200-300.000 lire, e ricaverà che a ogni volume che esce, a) l’ho subito pagato con la vendita immediata; b) mi porta 200-300.000 lire di lucro immediato; c) mi resta in 750 copie che alla media di 2.000 a copia fanno un capitale giacente di 1.500.000 che o prima o poi, trattandosi di libri di studio, sempre esauriti, si incasseranno. (Bisogna togliere il 10% agli autori, spese generali, ecc.). Mi sembra di respirare quasi […] L’altro iersera Vittorio Cini, lettore de’ miei Vangeli, mi ha chiamato; e forse in settembre mi dirà che l’Archivio lo fa lui, 268 dandomi a tal fine un 2 milioni l’anno. Fossati a fine mese verrà a farmi proposte simili .

Fu, però, un alternarsi di alti e bassi, di promesse di finanziamenti spesso non mantenute. Negli anni successivi, nonostante l’amicizia tra De Luca e Majnoni rimanesse salda, il sacerdote dovette muoversi per le sue Edizioni anche in altre direzioni. Nel carteggio, infatti, le notizie sull’andamento finanziario dell’impresa si ridussero moltissimo: dopo il 1953 «cessa ogni riferimento al calvario economico di De Lu269 ca» . L’amicizia no, quella restò intatta fino alla fine.

266

Ivi, pp. 299-300. S. Nerozzi, Documenti di un’amicizia …, cit., p. XLIII. 268 G. De Luca - M. Majnoni, Carteggio …, cit., pp. 303-304. 269 S. Nerozzi, Documenti di un’amicizia …, cit., p. L. 267

962-202. ricordando giuseppe de luca

83

I molti, agognati finanziatori: i difficili rapporti con la Chiesa Il 10 febbraio del ’49, De Luca raccontava a Majnoni di lavorare all’ottenimento di 270 sussidi da parte di Cini, Treccani, Campilli . Tre nomi, probabilmente suggeriti dal ministro e grande amico Giuseppe Bottai, tre speranze per il prete lucano in parte sfumate. Nella missiva sopraindicata, De Luca raccontava, infatti, della risposta negativa di Alfredo Frassati (giornalista e uomo politico) alla sua richiesta di aiuto. Altro insuccesso risultò il tentativo presso Treccani: in un biglietto datato 10 febbraio del ’49 De Luca scriveva: «Alle 16 telefono a Bottai: mi comunica la risposta negativa di Treccani. Così dopo Frassati, ca271 de Treccani. In spem, contra spem» . A cinque mesi dal rientro di Bottai a Roma in un incontro l’ex-ministro aveva fatto i nomi di grosse personalità in grado di aiutare l’impresa dell’amico sacerdote. Erano i nomi di cui parlava anche con Majnoni. Cini era, senza dubbio, il più vicino a Bottai e dopo i primi contatti, De Luca capì che con lui c’erano vere e reali possibilità di collaborazione. Dopo la morte di suo figlio, Cini pensò di fondare un’istituzione culturale in sua memoria; De Luca sperò che potesse in qualche modo essere collegata al suo Archivio: una fondazione per la storia della pietà. In un paio di lettere fattegli recapitare tramite Bottai gli scriveva: «Vorrei affidare la direzione amministrativa a Bottai» e poi «renderebbe testimonianza […] nei più grandi 272 istituti di studio delle nazioni più colte» . Nel gennaio del ’50 De Luca tornò a chiedere l’aiuto di Cini per il finanziamento dell’Archivio e del bollettino bimestrale ad esso collegato, attraverso una fondazione amministrata da Bottai, per la quale erano necessari dieci milioni iniziali e in più un impegno finanziario di altri tre o 273 quattro milioni l’anno . L’accordo non andò in porto, ma Cini non mancò di far avere a Don Giuseppe un aiuto tuttavia consistente di tre milioni (con cui pubblicò il primo volume dell’Archivio), a cui poi, di volta in volta, seppe aggiungere sussidi nei momenti di maggiore necessità. Divenne, in seguito, amico del sacerdote tanto che nell’agosto del 1958, insieme a Massimo Spada, Vittorino Veronese ed Emilio Colombo, creò un’associazione, con il nome emblematico di «Amici delle Edizioni di Storia e Letteratura», per recare un aiuto costante all’amico e alleggerire almeno 274 in parte le preoccupazioni legate alla gestione della casa editrice. Anche Pietro Campilli non deluse le speranze di De Luca. Attraverso l’aiuto del prezioso Bottai, che divenne per il sacerdote un sostegno insostituibile, De Luca 270

G. De Luca - M. Majnoni, Carteggio …, cit., p. 251. G. Bottai - D. G. De Luca, Carteggio …, cit., p. 140n. Vittorio Cini (1885-1977) finanziere, industriale, senatore dal 1934; ministro delle Comunicazioni dal ’43, noto per il suo mecenatismo e i suoi interessi culturali, in rapporti di stretta amicizia con Bottai. Giovanni Treccani degli Alfieri (1877-1961) divenuto famoso per le sue iniziative culturali, fondò nel ’25 l’Enciclopedia Italiana che poi prese il suo nome. Pietro Campilli (1891-1974), presidente del circolo romano della FUCI, dirigente della Gioventù Cattolica, politico con importanti incarichi in ambito bancario, a cui abbiamo già, precedentemente, accennato. 272 Ivi, p. 134n. 273 L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., pp. 355-356. 274 R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia …, cit., p. 111. 271

84

samanta segatori

incontrò Campilli il 18 marzo del ’49 e da lì nacque una fruttuosa collaborazione. Il politico procurò all’editore £ 5.000.000 con cui vennero finanziati i primi dieci vo275 lumi della collana «Storia ed economia», la cui direzione fu, per questo motivo, affidata a Bruno Rossi Ragazzi, economista e cultore di studi storici, capo-gabinetto 276 di Campilli, con il quale De Luca ebbe un rapporto alquanto burrascoso. Il 31 luglio del ’52, scrivendo a Majnoni, gli raccontava: «Massimo Spada mi aiuta sul serio, non con le chiacchiere. Me ne ha dato prova iermattina sborsandomi 3.500.000 di suo, perché l’ufficio non me le avrebbe date che in ottobre. Son cose prodigiose, e io sento di vivere nel miracolo. Ieri l’altro, sono stato un’ora a 277 quattr’occhi con De Gasperi, con infinita apertura». Spada era il segretario amministrativo dell’Istituto per le opere di religione, consulente amministrativo della “Pontificia Opera per la preservazione della fede e per la provvista di nuove chiese in Roma”. I due erano stati presentati da Mons. Tardini e l’amicizia di De Luca si era estesa anche al fratello Filippo, vicedirettore della sede 278 romana della Banca Commerciale Italiana. Successivamente, furono probabilmente i due fratelli a progettare la costituzione di una società per azioni, con l’intervento di un gruppo legato a dei funzionari di un’amministrazione vaticana […] Ma le condizioni erano troppo onerose per don Giuseppe, il quale sarebbe stato esautorato e confinato al ruolo di stipendiato, mentre le Edizioni, rilevate dalla società, sarebbero passate sotto la direzione e l’amministrazione di un comitato, col rischio di snaturarle e persino liquidarle. De Luca nell’incontro del 1 luglio rifiutò di firmare l’accordo. 279 Fu trattato assai duramente e con insinuazioni pesanti.

A questo episodio si riferiva quando parlando con Majnoni il 9 aprile del ’53 affer280 mava: «l’aiuto vaticano è quasi sfumato»: resosi, infatti, conto della trappola, De Luca si preparava a non firmare ciò che avrebbe rappresentato la fine delle sue Edizioni. Più tardi, dopo l’increscioso incontro di luglio, raccontava a Majnoni l’accaduto scrivendogli da Ortisei il 1-2 settembre: «risalgo il tristo buco nel quale mi hanno gettato gli Spada, complice io stesso con la mia leggerezza. Stabilirò la mia casa sopra altro fondamento: creando una compagnia di aderenti che mi dia ogni anno centomila lire: istituti bancari, enti industriali, privati ecc.[…] così mi 281 reggerò senza troppo arrischiare». In un’altra lettera del 7 settembre ’55 c’era un velocissimo riferimento ad un incontro con Luigi Gedda (1902-2000), medico e uomo politico, per anni presidente dei Giovani di Azione Cattolica, poi degli uomini di A.C. e più tardi presidente generale dell’Associazione. Esponente della zona della Democrazia Cristiana più vicina alla Curia e al papa, in accordo proprio con il pontefice, fu tra coloro che insie275

L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., pp. 353-366. Cfr. G. De Luca - M. Majnoni, Carteggio …, cit., pp. 319, 331. 277 Ivi, pp. 405-406. 278 L. Mangoni, In partibus infidelium …, cit., p. 356. 279 G. Antonazzi, Don Giuseppe De Luca Uomo …, cit., p. 249. 280 G. De Luca - M. Majnoni, Carteggio …, cit., p. 427. 281 Ivi, pp. 429-430. 276

962-202. ricordando giuseppe de luca

85

me a Gonella tentarono di condizionare l’azione politica di De Gasperi a favore de282 gli interessi ecclesiastici, su una linea duramente anticomunista. Intorno al 1954, Gedda aveva aiutato economicamente le Edizioni; De Luca in un suo appunto annotava un incontro del 18 agosto in cui il politico chiedeva al sacerdote, come con283 tropartita, di scrivere una storia dell’Azione Cattolica . Progettava, dunque, De Luca senza barriere, senza preclusioni di alcun tipo, in mezzo a mille difficoltà, con l’affanno quotidiano di far sopravvivere le sue Edizioni e ciò che più lo feriva era la consapevolezza che le maggiori difficoltà, i più umilianti silenzi giungessero dalla “fazione” che avrebbe dovuto essergli più amica: la Chiesa. Il no davanti alla proposta di Raffaele Mattioli di costituire un ente legato alla Comit per garantire la sopravvivenza delle Edizioni arrivò da lì. Nel ’49 quando dopo un colloquio con Bottai era nata l’idea di trovare in maniera più agevole i finanziatori, assicurandoli con la direzione culturale di De Luca e quella amministrativa di Bottai, il no arrivò anche questa volta dai suoi superiori ecclesiastici. De Luca, che era sacerdote prima di essere editore, ubbidì. Eppure la Chiesa si era dimostrata già sorda alle sue richieste di aiuto. Al 5 giugno del 1948 risale una lettera indirizzata al Santo Padre, con il tramite di Giovanni Battista Montini, Sostituto della Segreteria di Stato di Sua Santità. La missiva era particolarmente importante, poiché essa, in nove fogli dattiloscritti, forniva una sorta di breve storia delle Edizioni. Partendo dalla nascita, nel 1943, essa ripercorreva tutte le vicissitudini, gli avvicendamenti e i problemi che il prete aveva affrontato per tenere in piedi un’impresa straordinaria per un uomo solo. Iniziai nel 1943 una collezione dal titolo storia e letteratura, nell’intento di soccorrere gli studiosi […] Cominciai, inoltre, a ordire e tessre le fila de l’archivio italiano per la storia della pietà, nel quale, sacerdote in incognito, non però travestito, mi proponevo e mi propongo di raccogliere, sotto l’insegna della pura ricerca filologica, testi letterari e documenti della pietà, 284 quanto dire della vita religiosa più sincera e intensa, del «fervor caritas» che dicono i teologi.

Ripercorreva, poi, quella prima fase in cui “i Signori della Missione” avendo concorso in larga parte al finanziamento della nascita dell’editrice, ne ebbero in mano l’“amministrazione, la proprietà e l’onore”. Ricordava, poi, come nel 1947, fosse stato messo davanti ad una scelta improvvisa: rilevare immediatamente l’impresa che in caso contrario sarebbe stata messa immediatamente in liquidazione. Richiamava alla memoria, dunque, l’intervento di Mattioli, su indicazione di Massimiliano Majnoni, e del Dott. Ricceri, sottolineando come questi signori gli avessero permesso di tornare in possesso della casa editrice, mentre era in condizioni economiche a dir poco disagiate. Per i prestiti concessigli pagava interessi del 9-10%. 282

Ivi, p. 443. G. Antonazzi, Don Giuseppe De Luca Uomo …, cit., p. 279. 284 D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., pp. 109-114. Sul rapporto tra De Luca e il futuro papa e sulla figura del sacerdote lucano più in generale, cfr. anche Arcangelo Sacchetti, Il “prete romano” protagonista nascosto del Novecento. Don Giuseppe De Luca, «Il sangue della redenzione», II (2004), 2, pp. 117-178. 283

86

samanta segatori

«Il fido – spiegava, inoltre, De Luca – non era dato a vuoto, perché il capitale dei volumi da me ricuperato – volumi 25.741– ammontava a un valore di £ 23.577.730 (a prezzo di copertina): valore che detraendone le spese di organizzazione, gli onorari agli autori, lo sconto ai librai e l’interesse alle banche, non rimane certo così al285 to ma è sempre assai più di quanto le banche mi hanno dato» . Le condizioni dell’impresa rilevata erano, pertanto, pessime. De Luca era intervenuto immediatamente attraverso un lavoro che egli definiva di “libreria”: “inserzioni, cataloghi, bollettini, annunzi, campagne di abbonamento ecc.”; le sottoscrizioni erano passate, infatti, da 7 a 84, con una vendita (comprensiva degli abbonamenti) di £ 2.750.559, nel periodo compreso tra il settembre del 1947 e il febbraio del 1948. Rimarcava come il personale a disposizione della casa editrice, per l’amministrazione e la redazione, fosse quello strettamente necessario perché l’impresa non rischiasse la paralisi. Il lavoro, per questo, risultava estenuante e procedeva attraverso una “fatica opprimente”. Nonostante la stanchezza e le difficoltà mastodontiche, De Luca non voleva assolutamente pensare di cedere al fallimento delle Edizioni, poiché, spiegava al Santo Padre «le ragioni che ieri le dettero vita, oggi non sono più un sogno, 286 un’aspirazione, un progetto, sono realtà concreta e operante» . Di cosa avesse bisogno in quel momento, De Luca non tardò a dirlo con chiarezza: Sarebbe opportuno che le mie edizioni raggiungessero seminari più grandi, e cioè le loro biblioteche e i loro professori, soprattutto nelle due Americhe e in Australia, dove è in formazione un clero sinora meno travagliato e decimato che noi nell’Europa; e raggiungessero insieme le grandi 287 biblioteche tedesche, le quali non possono rinascere ma vogliono rinascere .

Indicò una serie di seminari, istituti di cultura ove le Edizioni avrebbero potuto ottenere l’attenzione necessaria, con una serie di abbonamenti che sarebbero risultati vitali per la sopravvivenza quotidiana dell’impresa: Imploro un soccorso, ma solo per questo periodo tanto grave delle mie Edizioni e degli Istituti di studio. […] Ai miei autori verrebbe, da tante copie vendute, un immediato beneficio; compensati a una media del 15%, riscuoterebbero dalle 30 alle 40000 lire ciascuno […] Restituendo subito alle banche il denaro avutone, spegnerei i fuochi divoratori di così cospicui interessi.

Continuava, poi, con un’affermazione che più volte comparve nel carteggio con Montini e che riassumeva il dramma dei suoi “rapporti editoriali” (e non solo) con la Chiesa Romana: «sacerdote, non apparirei sostenuto soltanto da laici». Fu il grande cruccio di don Giuseppe De Luca, l’indifferenza della sua Chiesa all’originale progetto editoriale il cui valore venne riconosciuto ovunque ma non, o almeno, non abbastanza, da quelle autorità ecclesiastiche che non ne compresero mai fino in fondo l’importanza. 285

D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit. Ibidem. 287 Ibidem. 286

962-202. ricordando giuseppe de luca

87

Davanti ad una richiesta di aiuto di quella portata che aveva lo scopo di salvare un’impresa editoriale ormai già avviata, Pio XII rispose inviando, tramite Montini 288 un assegno di £ 50.000, allegato ad una missiva datata 28 luglio. Tentò di nuovo attraverso l’amico Montini al quale il 3 novembre ripeteva: «Occorre e urge aiutarmi, senza che io perda tuttavia la mia indipendenza, della quale in ogni modo nulla avete a temere né economicamente, né idealmente. L’aiuto può essere molteplice: a) se il S. Padre non ha potuto fare 150 abbonamenti, potrebbe farne 100, oppure 50…[…] b) dire al marchese Sacchetti che mi proroghi il fido del Banco di 289 Santo Spirito […] Dammi del noioso, ma aiutami». Presso il Banco intervenne l’amico Majnoni, per le sottoscrizioni si impegnarono Mattioli e Majnoni prima, De Gasperi dopo: per il resto silenzio e indifferenza. Nel ’51 l’allora Presidente del Consiglio aveva donato alle 16 maggiori biblioteche tedesche un abbonamento alla collana «Storia e Letteratura», in ricordo della visita 290 a Roma del cancelliere tedesco Adenauer . Tra i due si stabilì, quindi, una stretta collaborazione: De Luca lo assistette per la stesura del discorso pronunciato in onore degli ottanta anni di Sturzo e più volte negli anni successivi lo coadiuvò in tal 291 292 senso. In una missiva del 22 dicembre del ’48 c’era un appunto sull’impegno di Montini ad intercedere presso Tardini per far ottenere un finanziamento a De Luca di 12.000.000: rimase, naturalmente, sulla carta. In una lettera a Montini del 22 settembre del 1949 il tono cominciava a mostrare una mistura di stanchezza e rabbia, insieme forse per la prima volta ad un tono di sfida che sembrava quasi voler essere da monito: Mia cara Eccellenza, se mai fu necessario e urgente un aiuto per me, e se l’aiuto vuol essere tempestivo, sarebbe questa, io credo, l’ora buona. […] Molto mi aiutano a ciò uomini e istituzioni del laicato, non sempre nostri. Debbo a loro, oltre che al mio duro lavoro d’ogni giorno e alla mia angoscia mai intermessa, se l’opera ha sopravvivenza e avanza. Perché non potrei contare sopra un aiuto anche da parte sacra […]? Non mi sembra cosa indifferente che proprio coloro, i quali, alla chiesa italiana negano ogni attenzione agli studi disinteressati e tacitamente l’accusano di spendersi per intero sull’azione a scadenza immediata e politica, debbano e possano vantare su di me dei diritti e dire, che loro e soltanto loro mi sostengono. Mi piacerebbe e sarebbe assai bello poter rispondere che io, in quel modo che ai temi profani molti temi inserisco i quali sono sacri, così anche i soccorsi li ricevo non da una sola parte, bensì dall’una parte e dall’altra. (Senza dire che, ove per stanchezza io mi ritraessi, come più d’una volta penso di fare, sopraffatto dalla stanchezza e dalle strettezze, l’opera mia cadrebbe tutta sul suolo degli altri e non sul nostro, perché loro è l’apporto economico al mio lavoro). Torno a dire, mi pare una cosa non indifferente, che io non debba essere aiutato solamente da profani. […] V.E. conosce quanto io son miserabile, e come volentieri mi disfarei di tanta pena, passandola a chi me la domanda, per farsene un lucro cospi293 cuo e un’arma affilata .

288

Ivi, p. 117. Ivi, p. 123. 290 R. Guarnieri, Don Giuseppe De Luca tra cronaca e storia …, cit., p. 128. 291 Ibidem. 292 D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. 128. 293 Ivi, pp. 135-136. 289

88

samanta segatori

Coglie nel segno Paolo Vian quando sottolinea come questo passaggio delicatissimo per le Edizioni deluchiane che vide il sacerdote costretto a chiedere apertamente aiuto alla Chiesa, gli rivelò una realtà di immensa solitudine: «La verità è che De Luca, col suo sogno di «far nascere il desiderio e l’amore di Cristo nella cosiddetta 294 alta cultura», nel mondo ecclesiastico romano (e non solo romano) è un isolato». Rari sono i rapporti come quello con Giovanni Antonazzi al quale, spinto anche dal reciproco e duraturo affetto, rivolgeva una quasi quotidiana richiesta di aiuto non certo esecrabile se si pensa che «l’economo del Collegio Urbano, poi (dal 1951) il segretario amministrativo della potente Congregazione di Propaganda Fide non poteva non rappresentare una figura importante per un prete sempre affamato di finanziamenti per i suoi sogni eruditi ed editoriali. Nelle lettere – accanto allo scambio di volumi – non sono dunque rare le […] tracce di prestiti, che Antonazzi concede a De Luca (così avvenne, per esempio, nel luglio 1951, settembre 1957, ottobre 1959, gennaio 1960) per cifre anche consistenti, a sostegno della sempre periclitante barca delle Edizioni di Storia e Letteratura» e De Luca conscio dell’aiuto ricevuto non esitava a definire Antonazzi in una lettera del 2 novembre 1957 suo 295 «banchiere in extremis» . Antonazzi aveva, inoltre, svolto un ruolo di primaria importanza quando le Edizioni nel 1953 avevano vissuto quel momento di vero e proprio dissesto economico e si era ipotizzata la creazione di «una società per azioni con l’intervento di un 296 gruppo legato a funzionari di un’amministrazione vaticana»: il prete lo ricambiò pensando addirittura di «affidare l’editrice alla direzione amministrativa di Don Giovanni, ricevendone però sempre un fermo rifiuto per il paradossale motivo di non voler perdere l’amicizia di De Luca, incapace di sopportare un rigido criterio 297 amministrativo che invece Antonazzi sentiva evidentemente necessario». De Luca era, dunque, l’ultimo superstite di quella stagione dell’erudizione avviata dal pontificato di Leone XIII e per questo i suoi interlocutori erano tutti all’interno della cerchia degli intellettuali. Tutti gli agganci in ambito ecclesiastico, seppure numerosi, erano ben lontani dal rappresentare rapporti con una comunanza di interessi. Montini, Tardini e poi Antonazzi furono tra le rare (se non uniche) vere amicizie: con loro si sfogava, a loro chiedeva aiuto, ma dietro di loro c’era l’ombra lunga di una chiesa che spesso guardava De Luca con sospetto. Quando all’indomani della lettera del 5 giugno, sopra ampiamente citata, la risposta alla richiesta di aiuto di De Luca fu l’assegno di £ 50000, non potevano esserci dubbi sull’interpretazione. 294

Paolo Vian, Avvio alla lettura, in D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. XXI. Id., «La nostra amicizia si svolgerà libera, quanto più alta e ampia quanto più profonda». Giovanni Antonazzi, Giuseppe De Luca e le Edizioni di Storia e Letteratura, «Archivio Italiano per la storia della Pietà», XXI (2008), pp. 221-239: 225-226. Sull’argomento oltre al più volte citato G. Antonazzi, Don Giuseppe De Luca Uomo …, cit. Cfr. anche Francesca Brunetti - Paolo Vian, Fra Morlupo e Propaganda Fide: un profilo bio-bibliografico di Giovanni Antonazzi (1913-2007), «Archivio Italiano per la storia della Pietà», XXI (2008), pp. 241-283. 296 Ibidem. 297 Ivi, p. 233. 295

962-202. ricordando giuseppe de luca

89

La Chiesa non riteneva l’impresa deluchiana inseribile negli interessi primari, appa298 riva al contrario «pura accademia, inutile evasione, forse negativa diversione». Montini apparve imbarazzato, quasi mortificato e lo rivelò usando (nella lettera del 28 luglio ’48) per la prima volta, una frase indicativa di tutto il suo disagio: «Mi 299 dà l’ordine pertanto di rimetterLe la modesta somma che Le accludo». Era un ordine, dunque, ma Montini definendolo tale, prendeva le distanze, seppure attraverso il freddo e formale linguaggio degli apparati ecclesiastici. Nonostante ciò, il sacerdote lucano non si arrese mai; portò sempre avanti con convinzione la sua strategia di persuasione e Montini fu il suo tramite nel tentativo di mitigare i rapporti certamente non facili con Pio XII. Non arrivarono mai aiuti considerevoli ma l’assistenza e l’amicizia del futuro papa per De Luca rimasero sempre fondamentali. L’8 maggio del ’51 gli faceva recapitare “un piccolo obolo personale”, a dimostrazione del desiderio di aiutarlo in altra maniera, “ben più effi300 cacemente”. De Luca ricevette il dono, (£ 100.000) con gioia e gratitudine. Non era la somma, comunque esigua per le sue necessità, a colpirlo, ma il gesto simbolico non solo dell’amico, ma di quello che Montini rappresentava. C’era, dunque, una parte della Chiesa, seppure esigua, che comprendeva l’importanza della sua impresa. «Sei dei pochissimi prelati alti che amano i libri»: De Luca lo diceva 301 all’amico Montini il 28 luglio del ’45. Questa volta, però, arrivato l’obolo, il prete romano andò oltre, confidando commosso all’amico: «Tu hai capito il mio sogno, che sto avverando […] hai voluto, personalmente tu, inviarmi un’offerta, più che cospicua, insigne: quale da nes302 sun privato mi è mai giunta». Al 6 agosto del ’59 era datato un altro amaro sfogo all’amico e il tono di De Luca appariva particolarmente stanco: È bene, infatti, che tu lo sappia: io sono ora come allora povero in canna. Nessuno sollecita per me, mai, un soccorso congruo che mi tolga da questa mia condizione di scrivere con una mano, con l’altra mendicare: vecchio sonatore ambulante, napoletano…Veggo le diecine, le centinaia di milioni volteggiare di qua, di là, a destra, a sinistra, per questo, per quello; ma un milione, uno solo, a me che debbo trovare una cinquantina l’anno, resta sempre, non una grazia, bensì un mi303 racolo. Morrò sui gradini della chiesa, fuori, sul limitare.

Il rifiuto del resto del mondo alle sue richieste d’aiuto poteva colpire l’editore; l’indifferenza della Chiesa lo lasciava “stremato dentro”, dilaniato come uomo, come prete e faceva emergere disperata tutta la solitudine, nella quale la Chiesa romana lo aveva scientemente recluso, per questo confidava a Montini: «E forse, prima o poi, addirittura esploderò, con un centinaio di pagine che ho sempre volu304 to scrivere, e non ho potuto, perché mi pareva di non dovere». 298

Ivi, p. XXIII. D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. 117. 300 Ivi, pp. 152-153. 301 Ivi, p. 87. 302 Ivi, pp. 153-154. 303 Ivi, p. 231. 304 Ivi, p. 234. 299

90

samanta segatori

Non esplose De Luca, perché il suo essere sacerdote superò ogni ostacolo, ogni momento di sconforto e di rabbia e fino alla fine seguì il consiglio dell’amico Montini che, in una missiva del 14 dicembre, lo esortava così: «Non ti perdere d’animo, caro eremita della cultura ecclesiastica; cotesta non è solo la tua sorte, cioè la tua croce; è la tua missione, come quella di voce che grida nel deserto: qualcuno 305 l’ascolterà, e sarà allora voce precorritrice». La situazione cambiò radicalmente, quando nel 1958 salì al soglio pontificio papa Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli. Egli inaugurò una nuova era 306 nella storia della Chiesa cattolica grazie alle coraggiose scelte di rinnovamento e fu per Giuseppe De Luca una presenza amica, la fine di un calvario. I rapporti tra il sacerdote lucano e il nuovo papa erano incominciati molto prima della salita al soglio pontificio di Roncalli, basti pensare che il carteggio tra i due ebbe inizio l’8 dicembre del 1945. L’allora nunzio apostolico da poco promosso presso la sede di Parigi, scriveva a De Luca per chiedergli una copia del volume sul cardinale Bonaventura Cerreti. Si conobbero personalmente quando, rientrato in Italia Roncalli perché promosso patriarca di Venezia nel 1953, De Luca nel 1955 si recò nella città lagunare, su invito di Vittorio Cini per presentare una relazione su La civiltà veneziana nel Trecento. Fu in quella occasione che Don Giuseppe conobbe Loris Francesco Capovilla, già segretario di Roncalli, che funse in quegli anni da trait d’union tra i due per esplicita volontà del futuro papa. Io mi intrattenevo con lui, tra l’altro, perché il Papa me l’aveva affidato. So che è quasi incomprensibile ciò che affermo, ma così stavano le cose: affidato a me che valevo poco, poco potevo, a me che mi sentivo soverchiato dal suo intelletto e dalla sua cultura, dalla sua esperienza e conoscenza di persone e di eventi. Aiutarlo come, in un mondo per me nuovo, complicato, insidioso ad ogni passo? L’ho aiutato con l’ascolto, la solidarietà, la pazienza, e con l’obolo che ottenevo 307 brevi manu dalla liberalità del Papa.

Il loro rapporto divenne pian piano di una sincera e salda amicizia in cui non mancavano gli sfoghi di Don Giuseppe, le confidenze, le riflessioni sulla debolezza dei suoi nervi, sulla pesantezza della vita che conduceva schiacciato dagli impegni, dalle amicizie e dalla gestione delle sue Edizioni.

305

Ivi, p. 235. Sull’argomento cfr. la ricca bibliografia presente in http://www.treccani.it/enciclopedia/giovannixxiii_(Enciclopedia-dei-Papi)/ (ultima consultazione 7 aprile 2013); Giuseppe Alberigo, Dalla laguna al Tevere: Angelo Giuseppe Roncalli da San Marco a San Pietro, Bologna, Il Mulino, 2000; Alden Hatch, Giovanni XXIII: un uomo chiamato Giovanni. Con il testo integrale delle encicliche Mater et magistra e Pacem in terris e il discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II; prefazione di padre Giuseppe Valentini S. J, Milano, Mursia, 2002; Marco Roncalli, Giovanni XXIII : Angelo Giuseppe Roncalli, una vita nella storia, Milano, Oscar Mondadori, 2007; Alberto Papuzzi, Papa Giovanni: la chiesa, il Concilio, il dialogo. In appendice la Mater et magistra, la Pacem in terris e il discorso di apertura del Concilio, Roma, Donzelli, 2008; Giuseppe Ormenese, Vita virtuosa e partecipazione liturgica: la formazione spirituale e intellettuale di Angelo Giuseppe Roncalli, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2012. 307 Loris Francesco Capovilla - Giuseppe De Luca - Angelo Giuseppe Roncalli, Carteggio. 1933-1962, a cura di Marco Roncalli, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006, p. XVI. 306

962-202. ricordando giuseppe de luca

91

Ciò che appariva davvero assurdo a Capovilla era il paradosso di un uomo che pure pressato mattina e sera dalla gente, quella altolocata e quella dell’ospizio, in dialogo ininterrotto con creature bisognose di tutto, sempre con la penna in mano, alla fin fine egli era un uomo solo. Col trascorrere del tempo e il crescere della dimestichezza, mi convinsi non soltanto che era solo, sofferente e turbato, ma che lui per primo tendeva la mano, avrebbe voluto afferrarne altre 308 per non smarrirsi.

In una missiva del 4 agosto 1961 confidava al segretario del papa di aver doppiamente sofferto per la morte di Domenico Tardini; al prelato lo legavano, infatti, i ricordi, il suo arrivo a Roccantica nel ritiro dei giovani seminaristi di cui Tardini era allora prefetto, la prima messa, i colloqui. La sua morte aveva causato in lui una grande sofferenza, acuita dalla durezza mostrata negli ultimi tempi nei suoi confronti: Negli ultimi anni non era più lui; negli ultimi giorni fu con me durissimo. Era l’uomo del mio sacerdozio, ed è voluto morire così, aspro e quasi iracondo. Perché non capisco. Egli sapeva, come nessuno a Roma (e lo sa il santo padre, lo sa lei), che io ho lavorato a un sogno eroico, di dare nelle mie Edizioni un luogo, qui a Roma, all’intelligenza erudita più alta; sapeva che la mia biblioteca ( 75.000-80.000 pezzi) è unica in Europa, come biblioteca d’un privato. […] gli chiesi 309 quasi presago di queste ore, di vederlo; fece rispondermi duramente.

Qui come altrove in questo carteggio a tre De Luca parlava dei suoi grandi progetti, delle sue difficoltà. In alcune carte risalenti alla metà degli anni Cinquanta, si trovavano tracce di un progetto nuovo, quello di una casa editrice su basi diverse che prevedesse un’ampiezza e uno spettro più vasto rispetto a quello delle Edizioni di Storia e Letteratura. Un appunto di De Luca riconducibile a quel momento storico recitava: Mi sembra il caso di tentare una casa editrice come Bocca per il positivismo, come Laterza per l’idealismo, come Einaudi per il comunismo, diretta a quei 30-50.000 italiani colti che leggono Croce, Einaudi, Bacchelli; d’ispirazione cristiana, non però casa editrice cattolica per cattolici. Avviare la produzione con ritmo lento ma via via più accelerato, su tre correnti particolari: a) i testi più gloriosi della preghiera e del pensiero cristiano. Abbiamo tutta roba devozionale e l’Italia ha un’università cattolica ma di materie profane. Dov’è una nostra Lovanio? una nostra Nimega? un nostro Istituto Cattolico? Il laicato nostro non conosce in Italia istituti di studi religiosi superiori: facciamo almeno una casa editrice per cui si diano libri religiosi non come oggetti di devozione, ma come libri e libri di cultura vera, solida, concreta. b) testi della politica dai più antichi ai più moderni, delle dottrine politiche cristiane, delle dottrine ed esperienze dei cattolici nell’ottocento europeo ed americano. c) i testi più preziosi e meno scolastici, meno universitari, pensiero filosofico, così antico come moderno; sì da scuotere l’opinione italiana e orientarla. d) 310 pagine di nuova poesia e sul più nuovo delle arti.

A Giovanni XXIII il 24 giugno del ’59 chiedeva esplicitamente aiuto per le sue Edizioni: 308

Ivi, p. XVII. Ivi, p. 126. 310 D. G. De Luca - G. B. Montini, Carteggio …, cit., p. 204. 309

92

samanta segatori

Debbo portare cioè, dal 1940, ogni anno, ogni giorno, le Edizioni di Storia e Letteratura, in tutta la loro estensione: redazione, sovvenzioni, stampa, vendita libraria, biblioteca. Le quali edizioni mi costano poco più poco meno di 50 milioni l’anno, somma cospicua per un prete che non è altro che un prete, nemmeno è professore; somma di cui recupero una metà scarsa per via delle vendite, il resto tocca a mendicarlo «a frusto a frusto». Potrebbe la Santità Vostra – per dirla… papale papale – con un solo tratto di penna sollevare di sopra le mie spalle la ponderosissima croce, cancellandomene i debiti che trascino, mettendo qualcosa nelle mie bisacce per un buon tratto d’avvenire. […] se la santità vostra mi mandasse un aiuto, congruo ai venti anni di lavoro, agli oltre duecento libri pubblicati, a quella ideale accademia che, nel silenzio più assoluto, fuor d’ogni vanità mi si è venuta a raccogliere intorno. […] Ho tanto sofferto, tanto aspettato e aspettato invano, che in certe ore mi domando persino se io sono ancora del gregge e se il pastore mi 311 vede più .

Nella lunghissima lettera De Luca, conscio di avere davanti il giusto interlocutore presentava al Santo Padre un progetto importante, la realizzazione di un sogno di cui rendeva minuziosamente nota. A Santa Maria della Pace doveva nascere una scuola Giovanni XXIII tra le cui mura si dovevano ritrovare insieme: - un pensionato di preti, da 10 a 15, «che studiano per tre anni archivistica presso l’Archivio Vaticano» e poi paleografia, diplomatica, scienze storiche. Dando, dunque, a quei sacerdoti le necessarie competenze, si poteva pensare di creare un unico archivio di tutti gli archivi delle congregazioni romane che avrebbe permesso la realizzazione di una storia della curia romana. - «Una congregazione, meglio ancora un oratorio di donne, le quali al Signore consacrassero l’intelligenza nell’esercizio dell’erudizione e nell’ascesi della ricerca filologica, senza con ciò obbligarsi minimamente né a una vita comune né a pecu312 liare stato di vita». - Una sede di convegni dotti e realizzati in modo da spaziare sulle più alte competenze internazionali, a numero chiuso. - Il venerdì e il sabato importanti incontri di “vita spirituale”. Il grande progetto avrebbe permesso a De Luca di inserire all’interno di questa scuola-pensionato per sacerdoti già laureati in teologia, le sue Edizioni e la sua immensa biblioteca; eppure, nonostante tutto fosse sulla carta strutturato sin nei minimi particolari e, quindi, pronto a partire, rimase irrealizzato. Già nel 1960 in una lettera a Tardini, De Luca ringraziava il prelato per avergli procurato l’appoggio di Massimo Spada, attraverso il quale si doveva costituire una società civile all’interno del Vaticano che avrebbe messo in salvo le Edizioni, sollevando De Luca dal loro peso amministrativo. Di tutto ciò nulla si concretizzò, da un lato per la precoce morte del prete lucano e dall’altro, secondo Romana Guarnieri, poiché «l’entourage del Papa eccetto il segretario Capovilla non era in grado di 313 capire i progetti deluchiani» .

311

Ivi, pp. 65-67. Ivi, p. 73. 313 Ivi, p. XXVIII. 312

962-202. ricordando giuseppe de luca

93

La Copia dei registri deluchiani delle “Edizioni” 314

L’esame della copia dei registri delle “Edizioni”, curati da Giuseppe De Luca, ci ha portato all’interno di un mondo di rapporti, di collaborazioni e di finanziamenti. La Situazione annuale dei volumi in magazzino, era suddivisa in due grossi tomi. Il primo conteneva: i resoconti di «Storia e Letteratura», nelle versioni “distinta” e “comune”; «Storia ed economia», sempre nelle due versioni; «Politica e storia» e «Letture di pensiero e d’arte». Il secondo includeva, invece, l’«Archivio italiano per la Storia della Pietà», «Sussidi eruditi», «Temi e testi», «Uomini e dottrine», «English Miscellany», «Note e discussioni erudite», «Nuovo Mondo», «Studi americani» (volumi e rivista), «Commenti al Vangelo», «Twelfth Century Logic», «Edizioni maggiori». Le tirature previste per le diverse collane rivelavano nella loro limitatezza, il carattere erudito, d’élite della casa romana. Si passava da volumi come quelli di Praz con una tiratura di 1010 copie, a quelli di Della Volpe con 1550, di Del Re con 1200, fino a tirature che nella stessa collana, «Letture di pensiero e d’ arte», non superavano mediamente le 700 copie. «Politica e storia» aveva volumi come quelli di Malvestiti che conobbe una tiratura di 2960 copie, di De Gasperi con 1500, ma mediamente ci si manteneva intorno ai 1000 esemplari. «Storia ed economia» passava poi da volumi con una tiratura di 1800 copie, come quelli di Einaudi, ad altri come quelli di Saitta la cui tiratura si aggirava intorno al centinaio. Così «Storia e Letteratura» si muoveva tra Momigliano con una tiratura di 1044 copie, Mohrmann 1702, Fraenkel 1900 e volumi che mediamente non superavano le 700 copie. Per le due ultime collane menzionate, un discorso a parte andava fatto per l’edizione “distinta” che vedeva tirature che andavano dalle 250 copie alle 300-315, con un picco di 416 per l’Ullman del 1955. Dai registri constatiamo, inoltre, che la stampa dei volumi dal 1943 al 1947 fu quasi sempre affidata alla tipografia “Propaganda Liturgica e Missionaria”, probabilmente legata ai Padri della Missione. Dal 1949 in poi cominciò a comparire l’Istituto Grafico Tiberino che faceva capo a Luigi De Luca. Da notare che, ad esclusione delle edizioni distinte, dal ’49 al ’52, accanto alla tiratura di molti volumi c’era questa dicitura: “700 di cui 284 perdute dall’Istituto Grafico Tiberino”; ancora “800 di cui 390 perdute dall’Istituto Grafico Tiberino”. La presenza costante di questa indicazione ci ha portato a pensare che il “perdute” fosse una maniera elegante o diplomatica per indicare le copie trattenute da Luigi De Luca. Il motivo? Forse il prestito oneroso fatto al fratello Giuseppe in occasione del dissesto economico del ’47, dunque una sorta di pagamento sotto forma di scambio. Per i finanziamenti esterni, invece, «Storia e Letteratura» oltre a volumi che vedevano il contributo 314

Tutti i dati editoriali forniti in questo paragrafo sono stati estrapolati dalla copia dei registri della Situazione annuale dei volumi in magazzino. 1943-1967. ADL.

94

samanta segatori

dell’autore per la stampa come nel caso di Federico da Montefeltro, Lettere di stato e d’altro (1470-1480), del 1949; troviamo sussidi procurati dall’autore come nel caso di Fausto Nicolini, Commento storico alla seconda Scienza Nuova, pubblicato sotto gli auspici del Banco di Napoli che per ogni volume (due in tutto) contribuì alla stampa con £ 250.000. Più avanti sempre nel 1949 troviamo Sergio Baldi, Studi sulla poesia popolare d’Inghilterra e di Scozia, finanziato per la stampa dal British Council con un sussidio di £ 157.300; Roberto Weiss, Il primo secolo dell’umanesimo. Studi e testi, con un contributo stampa di £ 229.200 dell’Università di Londra; nel 1961 Eric W. Cochrane, Tradition and Enlightenment in the Tuscan Academies (1690-1800),di cui vennero stampate 700 copie per De Luca e 1500 copie da contratto per l’University Press Chicago. Situazione analoga nelle altre collane, con diversi volumi in cui c’era il contributo dell’autore e alcuni finanziamenti esterni. Il British Council, ente britannico per le relazioni culturali con l’estero, appariva spesso nel “Registro”come finanziatore delle pubblicazioni deluchiane; lo stesso Don Giuseppe, infatti, in una lettera al Majnoni del 20 luglio 1949 affermava: «Il British mi finanzia, con 200000 lire ciascuno, 10 libri l’anno». Lo troviamo, infatti, come finanziatore, nella collana «Letture di pensiero e d’arte» in diversi volumi: nel 1950, con un sussidio identico di £ 173.100 per tutte le pubblicazioni, finanziava: Nemi D’Agostino, Christopher Marlowe; Anna Maria Crinò, Le traduzioni di Shakespeare in Italia nel Settecento; Agostino Lombardo, La poesia inglese dall’estetismo al simbolismo; Giorgio Melchiori, Michelangelo nel Settecento inglese. Un capitolo di storia del gusto in Inghilterra; Mario Praz, Cronache anglosassoni, nei due volumi del ’50 e ’51. Anche la rivista «English Miscellany» fu sovvenzionata dallo stesso ente, attraverso l’allora direttore del British Jan Greenless che De Luca aveva conosciuto tramite Mario Praz. Così per gli anni ’50, ’51, ’52 troviamo rispettivamente sussidi di £ 173.100, 339.105, 433.000. Per quanto riguarda l’USIS, United States Information Service, centro statunitense d’informazioni culturali, compariva nei registri, come finanziatore, per la pubblicazione dei volumi delle collane «Nuovo Mondo» e «Biblioteca di Studi americani». Troviamo, infatti, finanziamenti per Frederick J. Hoffman, Il romanzo in America. 1900-1950 (somma non indicata) nel ’53; nel ’54 John I. H. Baur, Le arti figurative in America. 1900-1950 (£ 745.000); Louise Bogan, La poesia in America. 1900-1950 (£ 700.000); Edmond M. Gagey, Il teatro in America 1900-1950 (£ 1.400.000); nel ’55 Ray B. jr. West, Il racconto in America. 1900-1950 (£ 630000); nel ’56 William Van O’Connor, La critica letteraria in America. 1900-1950 (£ 525.000); nel ’57 Antologia della critica americana del Novecento, a cura di Morton Dauwen Zabel (contributo stampa £ 200.000) e Allen Tate, Saggi (£ 1.000.000). Per altri volumi della medesima collana non è indicata la somma del finanziamento, ma un numero di copie fornito all’Usis che ci fa pensare, comunque, ad un sussidio da parte dell’ente americano. Per la «Biblioteca di Studi americani» risultano finanziamenti a Biancamaria Tedeschini Lalli, Henry David Toreau del 1954 per £ 622.000; nel ’57 Glauco Cambon, Tematica e sviluppo della poesia americana e Agostino Lombardo, Realismo e simbolismo. Saggi di letteratura americana contemporanea ricevono entrambi un sussidio di £ 462.500. Per la rivista «Studi americani» nel ’55 e nel ’56 compare un finanziamen-

962-202. ricordando giuseppe de luca

95

to di £ 625.000, nel ’61 si menzionano copie consegnate all’ente senza indicazioni su eventuali finanziamenti. Per concludere, nel secondo volume dei Commenti al Vangelo festivo (1952) di Giuseppe De Luca troviamo un finanziamento di £ 400.000 di Massimo Spada. A testimoniare il rapporto di grande collaborazione che si instaurò immediatamente tra De Luca e papa Giovanni XXXIII, troviamo un finanziamento di £ 1.200.000 per il volume di cui il pontefice fu autore: Il Cardinale Cesare Baronio (1961). Le Edizioni di Storia e Letteratura, come peraltro dimostrano le tirature limitate delle pubblicazioni, non si sono certo mai imposte, e questo per dichiarato desiderio del fondatore, come una casa editrice di vasta circolazione. L’analisi dei Registri denota una situazione di vendite molto spesso insufficiente: il volume di Schiaffini ebbe una tiratura di 1736 copie nel ’43: a distanza di anni, nel 1967, giacevano in archivio ancora 71 copie; il Wilmart del 1944, con una tiratura di 1070 copie, vedeva nel 1967, in magazzino, 731 copie; il Billanovich, pubblicato nel ’46, con una tiratura di 3045 copie, vedeva, nel 1967, in magazzino 2466 copie; Oliger del 1950, stampato in 1888 copie, vedeva, nel 1967, in magazzino, 1498 esemplari. I casi come quelli appena citati a titolo puramente esemplificativo, furono sicuramente molti, così come appare evidente che per altre edizioni le vendite siano state sicuramente più fruttuose. Ciò che qui preme sottolineare è che nell’ottica di Don Giuseppe De Luca gli Schiaffini, i Wilmart, gli Oliger erano e rimanevano dei grandi successi perché si era riusciti, come sempre, a pubblicare cultura, erudizione, quella erudizione che per motivi prettamente commerciali spesso veniva ignorata. In questa prospettiva è necessario guardare alle Edizioni di Storia e Letteratura, almeno fino a quando fu il sacerdote lucano a guidarle. L’impresa caparbiamente voluta da Don Giuseppe De Luca fu, infatti, per quello sparuto gruppo umano una fatica fisicamente e intellettualmente straordinaria. Le 315 Edizioni da lui ideate e guidate fino alla morte sono entrate nella storia come un’esperienza editoriale particolarissima il cui cammino, faticosamente irto di difficoltà, abbiamo in questa sede tentato di ricordare, nello sforzo di ribadire il ruolo di primaria importanza che quest’uomo “irregolare e difforme” svolse come editore e uomo di cultura in anni drammaticamente difficili.

315

A tal riguardo cfr. Edizioni di Storia e Letteratura. Catalogo storico 1943-2010. Nel cinquantenario della morte del fondatore Giuseppe De Luca, a cura di Samanta Segatori; premesse di Tommaso Codignola e Luisa Mangoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012.

96

samanta segatori Ringraziamenti

I ringraziamenti prendono il via dal Prof. Marco Santoro, mio tutor nella tesi di dottorato, da cui questa pubblicazione trae le sue origini e anche questa volta convinto sostenitore della pubblicazione del mio lavoro. Un enorme grazie al Dott. Massimo Menna lettore paziente e attento; al Dott. Alberto Gottarelli e alla Dott.ssa Francesca Pino dell’Archivio Storico di Banca Intesa per l’amabilità e la competenza con cui hanno prestato aiuto alle mie ricerche. La consueta infinita riconoscenza alle amiche (Paola, Valentina e Rita in particolare), che mi hanno incoraggiato nei momenti di scoramento facendo sì che questa pubblicazione vedesse la luce. Una seconda dedica, infine, davvero colma di affetto alla cara Antonella, compagna indimenticabile, presenza amica e rassicurante che mi ha insegnato l’autoironia e il coraggio di guardare avanti nonostante il male.

962-202. ricordando giuseppe de luca

97

Indice dei nomi

Tra virgolette basse si riportano titoli di riviste, collezioni e rubriche.

Adam Karl, 19 Adenauer Konrad, 87 Agnelli Giacomo, casa editrice, 27 Alberigo Giuseppe, 90n Alberione Giacomo, 28 Allotti Pierluigi, 17n Angelini Cesare, 19 «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 55 «Ansedonia», 55 Antonazzi Giovanni, 11n, 12n, 13n, 14n, 74n, 78n, 84n, 85n, 88, 88n Apollonio Mario, 29 Apruzzese Sergio, 30n Arangio Ruiz Vincenzo, 56 Arcari Paolo, 25 «Archivio Italiano per la Storia della pietà», 59, 60, 69, 70, 71, 72, 73, 75, 81, 82, 83, 85, 93 «Arte e poesia», 55 «Artisti d’oggi», 55 Avesani Rino, 58n «Avvenire d’Italia», 18, 19, 44 Bacchelli Riccardo, 91 Baldi Sergio, 37, 94 Baldini Antonio, 12, 12n, 20, 47, 53, 53n, 56, 64, 76 Bandello Matteo, 47 Barberis Mario, 43 Barbi Michele, 56, 58 Bargellini Piero, 19, 19n, 20, 20n, 21, 30, 38, 46, 52, 52n Baroni Augusto, 19 Bartoli Amerigo, 56 Basaldèlla Afro, 55 Batllori Miguel, 52, 52n Baudelaire Charles, 46 Baur John I. H., 94 Bazoli Luigi, 29 Belardelli Giovanni, 36n Bendiscioli Mario, 29, 41, 42, 44 Benson Robert Hugh, 46 Bertoletti Ilario, 41n Betocchi Carlo, 19, 51 Bevilacqua Giulio, 28, 29 «Biblioteca di cultura moderna», 63

«Biblioteca di Storia sociale», 65 «Biblioteca di studi americani», 65, 94 Billanovich Giuseppe, 23, 25, 50, 57, 58, 58n, 59, 95 Bo Carlo, 35, 46, 46n, 49, 51, 54n Bocca Giuseppe jr., 63 Bogan Louise, 94 «Bollettino del Clero», 22 «Bollettino per gli AA. EE. delle organizzazioni cattoliche maschili», 17 «Bollettino per gli Assistenti ecclesiastici della Gioventù Cattolica Italiana», 15 Bonaventura da Bagnorea, santo, 41, 46 Bondioli Pio, 34 Boniardi-Pogliani, casa editrice, 27 Bosco Umberto, 56 Bossarelli Francesco, 75, 76, 77, 78 Bottai Giuseppe, 20, 21, 21n, 23, 24n, 34, 34n, 35, 35n, 36, 37, 37n, 38, 38n, 45, 53, 53n, 83, 83n, 85 «Botteghe oscure», 55 Branca Vittore, 23, 24, 24n, 50, 52, 52n, 61n Bremond Henri, 71, 72 Brezzi Camillo, 31n, 32n Briguglio Letterio, 65 Brill, casa editrice, 54 Brunetti Francesca, 88n Bruscia Marta, 46n Buonaiuti Ernesto, 11 «buon vecchio, Il», 55 Calasanziana, casa editrice, 27 Calcaterra Carlo, 62 Cambellotti Duilio, 43 Cambon Glauco, 94 Campana Augusto, 57, 58, 62, 64 Campiglio Angelo, 81 Campilli Pietro, 64, 83, 83n, 84 Cantimori Delio, 63 Caporossi Riccardo, 55 Capovilla Loris Francesco, 90, 90n, 91, 92 Capretti Sandro, 29 Caproni Giorgio, 55n Carcano Giancarlo, 17n Carlyle Thomas, 46 «Carroccio», 18

98

samanta segatori Defoe Daniel, 47 Del Giudice Riccardo, 36 Del Re Niccolò, 93 Della Volpe Galvano, 93 Desclée, casa editrice, 27 Di Biase Carmine, 12 Dionisotti Carlo, 23, 51, 56, 56n, 57n 58,59 Dostoevskij Fedor, 46

«Casa, La», 55 Casati Alessandro, 81 Casella Mario, 34 Casini Gherardo, 36 Casini Tito, 19 Casnati Francesco, 46 Cassero Riccardo, 17n Castronovo Valerio, 17n Casula Carlo Felice, 16n, 31n Caterina da Genova, 74 Cathrein Viktor, 46 Catti De Gasperi Maria Romana, 52n Cecchi Emilio, 47 Cerretti Bonaventura, cardinale, 90 Cestaro Antonio, 11 Champion, casa editrice, 43, 44 Chiminelli Piero, 63 Cimnaghi Mario, 65 Cini Vittorio, 82, 83, 90 «Civiltà Cattolica», 32 «Classici della filosofia moderna», 63 Cochrane Eric W., 94 Codignola Tommaso, 96 «Collezione Herder», 67 «Collezione letteraria», 67 Colombo Emilio, 74, 83 Colosio Innocenzo, 73, 74, 74n «Commentari», 55 «Compagni di Ulisse, I», 45, 46, 49 «Confidenziali», 45, 47, 49 «Convito Apostolico», 17, 18, 68 «Costume, Il», 55 Cottinelli Giuseppe, 29 Craveri Raimondo, 37, 55 Crinò Anna Maria, 94 «Critica Fascista», 34, 37, 38 «Critica, La», 63 Croce Benedetto, 14, 14n, 23, 33, 37, 37n, 38 Croce Elena, 38, 38n

Facconi Michelangelo, 77 «Famiglia cristiana», 28 Faraoni Giuseppe, 69 Fattorini Emma, 37n Febvre Lucien, 73 Federico da Montefeltro, 94 Federzoni Luigi, 21 Festa Nicola, 13 Fiaccadori, casa editrice, 27 «Fides», 28 Filograssi Giuseppe, 11 «Fionda, La», 28 Flora Francesco, 47 Florenzi-Waddington Marianna, 44 Foligno Cesare, 58 Forno Mauro, 31n, 32n Fraenkel Eduard, 53, 53n, 93 Francesco di Osuna, 46 Frassati Alfredo, 83 Frateili Arnaldo, 21 «Frontespizio, Il», 19, 20, 22, 29, 30, 34, 35, 38, 46, 48, 51, 57 Frutaz Amato Pietro, 67 «Fuochi, I», 47, 49

D’Agostino Nemi, 94 D’Annunzio Gabriele, 12 D’Elia Vincenzo, 11, 12 De Felice Renzo, 21n, 31n, 32n, 33, 33n, 36 De Gasperi Alcide, 23, 39, 40, 43, 52, 66, 84, 85, 87, 93 De Luca Dina vedi Rotundo De Luca Dina De Luca Luigi, 15, 21, 22, 54, 55, 79, 93 De Luca Maddalena, 15, 21, 58, 67, 75, 77, 81, 82 De Rosa Gabriele, 12n, 30n, 35n, 55, 55n, 62, 64, 65, 65n, 66, 66n De Sanctis Francesco, 51 Debenedetti Santorre, 56

Gabusi Daria, 28 Gagey Edmond M., 94 Galeazzi Enrico Piero, 75 Gambasin Angelo, 65 Gasparri Pietro, cardinale, 16, 17 Gatti Vittorio, 29 Gedda Luigi, 84, 85 Gemelli Agostino, 27, 29, 30 Genovese Gianluca, 14 Gentile Emilio, 31n Gentile Giovanni, 21, 31, 33 Gentilini Franco, 55 Giammattei Emma, 14 Gicca Palli Nicola, 77, 80

«Edizioni maggiori», 93 Einaudi, casa editrice, 91, 93 Emiliani, casa editrice, 27 «English Miscellany», 64, 93, 94 Eredi Bocca, casa editrice, 27, 63, 91

962-202. ricordando giuseppe de luca Gide André, 46 Giolitti Giovanni, 66 Giordani Igino, 28, 39 Giordano Emilio, 12 «Giornale storico della letteratura italiana», 59 Giovagnoli Agostino, 31 Giovanni XXIII, papa, 22, 67, 90, 90n, 91, 92 «Gioventù nova», 16 Giuliotti Domenico, 19, 64 Goethe Johann Wolfgang, von, 46 Gogala Olga, 43 Gonella Guido, 85 Gottarelli Alberto, 78, 96 Govoni Corrado, 47 Gramsci Antonio, 25, 36 «Grande Biblioteca di Scienze Moderne», 63 Grasset Bernard, 47 Gregoriana, casa editrice, 27 Guardini Romano, 19 Guarnieri Romana, 11, 12n, 19, 19n, 20n, 23, 23n, 36n, 37, 37n, 39n, 46n, 53n, 61, 61n, 71, 72n, 73n, 74n, 75, 75n, 76, 76n, 77, 77n, 78, 82, 83n, 87n, 92 Guasco Maurilio, 26n Guibert Joseph de, 71 Hatch Alden, 90n Hermet Augusto, 19 Hoffman Frederick J., 94 «immagine, L’», 55 Istituto Grafico Tiberino, casa editrice, 54, 54, 79, 93 «Italia medioevale e umanistica», 58 «Italia», 34 Jedin Hubert, 64, 73 Koch Tommaso, 80 Lancellotti Pietro, 77 «Lateranum», 55 Laterza, casa editrice, 38, 43, 44, 45, 51, 63, 91 Lazzari Marino, 20, 21, 36, 45 Le Fort Gertrud V., 67 Leone XIII (Vincenzo Gioacchino dei conti Pecci), papa, 88 «Letteratura», 55 «Lettere d’oggi», 55 «Letture di pensiero e d’arte», 62, 65, 93, 94 «Libri della Fede», 13 Lisi Nicola, 19, 51 Lombardo Agostino, 62, 65, 94

99

Longanesi Leo, 21 Lucatello Enrico, 75 Lucchese Romeo, 55n Ludovico II di Baviera, 44 «Maestri di vita cristiana», 41 Majnoni Massimiliano, 75, 76, 77, 78, 78n, 79, 79n, 80, 80n, 81, 82, 82n, 83, 83n, 84, 84n, 85, 87, 94 Majnoni Stefano, 76n Malgeri Francesco, 32n Malvestiti Piero, 93 Manacorda Guido, 46 Mangoni Luisa, 16n, 20n, 21n, 30, 30n, 34n, 35, 37, 38, 56n, 58, 58n, 59, 59n, 62n, 79n, 83n, 84n, 95 Manzù Giacomo, 51 Marcazzan Mario, 29 Marcocchi Massimo, 28, 41, 46, 46n Marcolini Ottorino, 29 Marietti, casa editrice, 27 Marinotti, imprenditori, 81 Mariotti Scevola, 54 Marra Dora, 51 Martindale Cyril Charles, 46 «Mater Dei», 22, 45 Mattioli Raffaele, 76, 77, 78, 78n, 79, 80, 81, 82, 85, 87 Mazzucchi Leonardo, 11 Melchiori Giorgio, 94 Melloni Alberto, 43n Menozzi Daniele, 32n Mezzana Corrado, 43 Migliorini Bruno, 56 Minelli Fausto, 23, 28, 29, 38, 40, 41, 41n, 42, 42n, 43, 43n, 44, 44n, 45, 45n, 46, 46n, 47, 47n, 48, 48n, 49, 49n, 50, 73 Minio-Paluello Lorenzo, 65 Miozzi U. Massimo, 20 Mohrmann Christine, 93 Molinari Franco, 40 Momigliano Arnaldo, 93 Monaci Ernesto, 50 Mondadori, casa editrice, 45 Monteverdi Angelo, 56 Montini Giovanni Battista vedi Paolo VI, papa Montini Lodovico, 29 Morcelliana, casa editrice, 19, 23, 28, 29, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 48, 49, 50 Moro Renato, 21n, 29n, 30, 31n, 32n, 35, 35n, 36, 37 «Motivi in tema di profughi», 22 «Motivi», 22

100

samanta segatori

Muratori Ludovico Antonio, 52 Murialdi Paolo, 17n Murri Romolo, 25, 26, 27, 29 Mussolini Benito, 17n, 30, 31, 33, 45, 53 Necchi, imprenditori, 81 Nerozzi Sebastiano, 76n, 77n, 79n, 82n Nicolini Fausto, 51, 79, 94 Nietzsche Friedrich, 46 «Noi, cristiani», 22 «Note e discussioni erudite», 64, 93 Novalis (Hardenberg Friedrich Leopold von), 67 «Nuova Antologia», 20, 21, 22, 55 «Nuovo Mondo», 65, 93, 94 O’Connor William Van, 94 Occhini Barna, 35 Oliger Livarius, 56, 57, 62, 95 «Omnibus», 21 Ormenese Giuseppe, 90n «Osservatore Romano», 20, 21, 22, 31, 34 Ossicini Adriano, 21, 24, 24n Ottaviani Alfredo, 75 Oxford, casa editrice, 43, 44 «Outsiders», 46, 47 Padellaro Nazareno, 36 Palazzolo Maria Iolanda, 26n Paolo VI, papa, 13n, 15, 16, 16n, 18, 18n, 19, 25, 25n, 28, 29, 30, 40, 40n, 41, 45, 50, 50n, 52, 52n, 56n, 59, 62n, 63, 63n, 64, 64n, 65, 70, 70n, 73, 75, 75n, 77, 79, 85, 85n, 86, 87, 87n, 88, 88n, 89, 89n, 90, 91n Papini Giovanni, 13, 13n, 15, 15n, 17n, 18, 19, 20, 25n, 30, 35, 38, 40, 40n, 45n, 46, 47, 58, 68, 68n, 69, 69n, 73 Papuzzi Alberto, 90n Paravia, casa editrice, 27 Pareti Luigi, 62 Parodi Ernesto Giacomo, 50, 56 «Parola Eterna, La», 20, 21, 22 Pascal Blaise, 67 Paschini Pio, 56, 57, 62 Pasquali Giorgio, 56, 61 Pea Enrico, 47 Pecorari Paolo, 33n Pellizzari Tebaldo, 19 «Per verbum ad Verbum», 19, 28, 41, 43, 45, 46 Petrarca Francesco, 13, 16, 21, 62 Petrocchi Massimo, 63 Piastrelli Luigi, 29 Picchi Mario, 13n, 20n Picchi Michela, 20n

«Piccola Biblioteca di Scienze Moderne», 63 «Piccola Raccolta», 15, 19, 68 Pier Damiani, santo, 46 Pino Francesca, 78n, 96 Pio XII (Pacelli Eugenio), papa, 22, 63, 75, 87, 89 Pirelli, imprenditori, 81 Pizzardo Giuseppe, 36 Platone, 50, 57 Plon, casa editrice, 54 Poe Edgar Allan, 54 «Politecnico, Il», 21 «Politica e storia», 65, 93 Pompilj Basilio, cardinale, 13, 14 Praz Mario, 50, 62, 64, 65, 93, 94 Prezzolini Giuseppe, 16, 16n, 21, 21n, 23, 38, 38n, 54, 54n, 55, 58, 64, 64n, 68, 69n, 73 «Primato», 20, 21, 36, 37, 38 «Quaderni della critica», 63 «Quaderni di cultura francese», 65 Queriniana, casa editrice, 27 Riccardi Andrea, 31 Ricceri Enrico, 77, 85 Righetti Igino, 18, 28, 29 Rigosa Piero, 29 «Rivista di Archeologia cristiana», 57 Rizzoli, casa editrice, 44, 45 Rodano Franco, 21, 23, 24, 55 Roghi Vanessa, 37 Roncalli Angelo Giuseppe vedi Giovanni XXIII, papa Roncalli Marco, 41n, 45, 47n, 48, 48n, 49n, 90n Rops Daniel, 46 Rossi Ragazzi Bruno, 64, 84 Rossi Vittorio, 13, 16 Rossini Giuseppe, 20n Rostagni Augusto, 56 Rotundo De Luca Dina, 15, 21 Rotundo Donatella, 20n Sacchetti Arcangelo, 85n Sacchetti Giovanni Battista, 79, 80, 87 Saitta Armando, 63, 93 Sambin Paolo, 58, 65 San Bernardino di Siena, casa editrice, 27 Sandri Giuseppe, 76 Santoro Marco, 38n, 96 Sapegno Natalino, 56 Sapienza Francesco, 77 Sasso Gennaro, 37n, 38, 38n Scaglia Giovanni Battista, 33n

962-202. ricordando giuseppe de luca Scheiwiller, casa editrice, 56 Schiaffini Alfredo, 50n, 51, 56, 56n, 57, 57n, 58, 60, 61, 62, 95 Schopenauer Arthur, 46 Scialoja Toti, 55, 55n, 56n Scoppola Pietro, 31n, 32n, 34n Scorza Carlo, 33 «Scrittori contemporanei», 20 «Scrittori d’Italia», 63 Scudder Giuliana, 19n, 24, 24n, 50n «Scuola e cultura», 21 Segatori Samanta, 20n, 23n, 29n, 32n, 95n Skira, casa editrice, 55 Spada Massimo, 83, 84, 92, 95 Speirani, casa editrice, 27 «Spettatore italiano, Lo », 55 Stabile Giorgio, 61n, 62 «Storia e Letteratura. Raccolta di Studi e Testi», 50, 51, 53, 57, 59, 60, 75, 85, 87, 93 «Storia ed economia», 64, 65, 84, 93 Stornajolo Cosimo, 14 «Studi americani», 65, 94 Studium, casa editrice, 18, 22, 28, 69 Stuhlfauth G., 57 Sturzo Luigi, 11, 14, 17, 23, 63, 64, 65, 66, 87 «Sussidi eruditi», 63, 93 Talamo Atenolfi Giuseppe, 82 Tardini Domenico, 12, 15, 16, 36, 63, 75, 77, 79, 84, 87, 88, 91, 92 Tate Allen, 94 Tedeschini Lalli Biancamaria, 94 «Temi e Testi», 63, 93 «Tempo presente», 55, «Thesaurus ecclesiarum Italiae», 66, 67 Tillman Klemens, 42 «Tribuna», 21 Togliatti Palmiro, 23, 25, 36 Toreau Henry David, 94 Torti Licia, 75

101

Toschi Paolo, 56 Tramontin Silvio, 65 Traniello Francesco, 26n, 27, 27n, 31n Trebeschi Andrea, 29 Treccani Giovanni, 81, 83, 83n Turcato Giulio, 55 Turi Gabriele, 26n «Twelfth Century Logic», 65, 93 Ullman Berthold Louis, 53, 53n, 58, 93 «Uomini e dottrine», 64, 71, 93 Vaccari Alberto, 56 Valentini Giuseppe, 90n Vallecchi, casa editrice, 54 Varani Battista, 74 Veronese Vittorino, 83 Vian Paolo, 13n, 15, 24, 24n, 88, 88n Vico Giambattista, 51 Vincent de Paul, santo, 78 Vincenzi, casa editrice, 27 Vincenzo de Paul, santo, vedi Vincent de Paul, santo Viscardi Raffaella, 11 «Vita Nova», 26 Vittoria Albertina, 39n Vittorini Elio, 21 Voltaire (Arouet François-Marie), 54 Weiss Roberto, 49, 94 West Ray B. jr., 94 Wilbur Earl Morse, 63 Wilkins Ernest Hatch, 58, 62, 82 Wilmart André, 22, 43, 50, 56, 57, 58, 64, 71, 73, 95 Zabel Morton Dauwen, 94 Zagarrio Vito, 36n, 38n Zucconi Angela, 44

com po s to i n c ara tt er e da nt e m o no t y pe dal la ® fa briz io serra editor e , pi sa · r oma impr es so e ril ega to i n i ta lia n e lla t i p o g ra fi a d i a g n a n o , a g n a n o p i s a n o ( p i s a )

* Ottobre 2013 (cz2/fgz)

Tutte le riviste Online e le pubblicazioni delle nostre case editrici (riviste, collane, varia, ecc.) possono essere ricercate bibliograficamente e richieste (sottoscrizioni di abbonamenti, ordini di volumi, ecc.) presso il sito Internet:

www.libraweb.net Per ricevere, tramite E-mail, periodicamente, la nostra newsletter/alert con l’elenco delle novità e delle opere in preparazione, Vi invitiamo a sottoscriverla presso il nostro sito Internet o a trasmettere i Vostri dati (Nominativo e indirizzo E-mail) all’indirizzo:

[email protected] * Computerized search operations allow bibliographical retrieval of the Publishers’ works (Online journals, journals subscriptions, orders for individual issues, series, books, etc.) through the Internet website:

www.libraweb.net If you wish to receive, by E-mail, our newsletter/alert with periodic information on the list of new and forthcoming publications, you are kindly invited to subscribe it at our web-site or to send your details (Name and E-mail address) to the following address:

[email protected]