Giovanni Pico della Mirandola. Mito, magia, Qabbalah 8806198386, 9788806198381

Eccentrico già agli occhi dei contemporanei, Pico è sempre stato un pensatore difficile da collocare. Ricco, esibizionis

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Giovanni Pico della Mirandola. Mito, magia, Qabbalah
 8806198386, 9788806198381

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GIULIO BUSI- RAPHAEL EBGI GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA MITO, MAGIA, QABBALAH

EINAUDI

GIULIO BUSI- RAPHAEL EBGI GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA MITO, MAGIA, QABBALAH

Giulio Busi, Raphael Ebgi

Giovanni Pico della Mirandola Mito, magia, qabbalah

Eccentrico già agli occhi dei contempo­ ranei, Pico è sempre stato un pensatore difficile da collocare. Ricco, esibizionista, uomo di mondo e «dilettante di genio», il Conte della Mirandola è, dopo piu di cinque secoli, una sorta di ospite illustre e scomodo della cultura italiana. Loren­ zo de' Medici, tra i pochissimi che riu­ scirono a confrontarsi con lui (quasi) al­ la pari, lo defini «istrumento da sapere fare il male et il bene» e Pico, di cui tan­ to si è parlato e scritto, ci appare anco­ ra come un enigma. L'Orazione sulla di­ gnità dell'uomo è considerata uno dei te­ sti piu rappresentativi del Rinascimento, ma il resto della sua opera- in tutta la sua lussureggiante erudizione- rimane quasi inaccessibile, tanto ricco da sconcertare e confondere. Con questo libro viene per la prima volta individuata una chiave in­ terpretativa forte, che pone al centro del­ le riflessioni pichiane l'intreccio tra mito, magia e qabbalah: i tre gradini piu alti del­ la scala sapienziale disegnata dal Conte. Dal Bacio al V ino, passando per Bacco, Muse e Veneri, il volume è organizzato come un dizionario, per lemmi, e a ogni voce corrisponde una selezione di brani di Pico sul tema. In un commento appo­ sito si offre poi un'analisi del «Pico visi­ vo», ovvero del rapporto tra le idee del Conte e alcuni capolavori dell'arte quat­ trocentesca. Con lo strumento dell'anta-

Luca Signorelli, Empedocle, affresco, 1499·1502, panico· !are. Orvieto, Duomo. (:G; 2014. Foto Scala, Firenze. Su concessione dell'Opera del Duomo di Orvieto).

logia, Busi ed Ebgi affrontano l' aggro­ vigliata matassa del pensiero di Pico. E riescono a districarla come finora non era ancora successo.

Giulio Busi insegna Cwtura ebraica alla Freie Universitat di Berlino ed è fra i maggiori esperti mondiali di ebraismo medievale e ri­ nascimentale. Per Einaudi ha pubblicato al­ tri quattro Millenni: Mistica ebraica (con Ele­ na Loewenthal), Simboli del pensiero ebraico, Qabbalah visiva e Zohar. Per Aragno ha pub­ blicato La vera relazione sulla vita e i fatti di Giovanni Pico della Mirandola. Collabora con il «Sole 24 Ore». È presidente della Fondazio­ ne Palazzo Bandoni Pastorio. Raphael Ebgi è ricercatore presso la Freie Uni­ versitat di Berlino. Esperto di filosofia dell'U­ manesimo italiano, ha curato per Bompiani l'edizione critica del trattato Dell'ente e dell'u­ no di P ico. Tra le sue recenti pubblicazioni, l'edizione italiana di H. Corbin, Le combat pour l'Ange (Torre d'Ercole).

© 2014 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino www .einaudi.it

Giulio Busi

Raphael Ebgi

GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA MITO, MAGIA, QABBALAH

Giulio Einaudi editore

INTRODUZIONE

A Simonetta sorridente, come la ricordo. Nel libro che hai sfogliato, pagina dopo pagina, e alla penultima hai richiuso, li è rimasto, il tuo segno.

Eccentrico già agli occhi dei contemporanei. Troppo ricco ed esibizionista, un dilettante di genio, difficile da collocare . Il Conte della Mirandola è, a piu di cinque secoli, una sorta di ospite illustre e scomodo della cultura italiana. Lorenzo de' Medi­ ci, tra i pochissimi che riusd a confrontarsi con lui (quasi) alla pa­ ri, lo defini « istrumento da sapere fare il male et il bene »1• Pico, di cui tanto si è parlato e scritto, e che ci appare ancora come un enigma. L' Orazione sulla dignità dell'uomo è considerata uno dei testi piu rappresentativi del Rinascimento, ma il resto della sua opera rimane quasi inaccessibile, velato com' è da uno stile spesso sibillino e da un' erudizione lussureggiante, tanto ricca da sconcer­ tare e intimorire. Nel Commento sopra una canzone d'amore, scritto nel fatidico 1 486, Pico dà una sorprendente definizione della bellezza: Niuna cosa semplice può essere bella. Di che segue che in Dio non sia bellezza perché la bellezza include in sé qualche imperfezione . . . Dopo Lui comincia la bellezza, perché comincia la contrarietà'.

Imperfezione, contrarietà, dissonanze: l'estetica pichiana è mo­ dernissima, e rivoluziona d ' un tratto la lunga tradizione classica dell'armonia. Proprio Pico, che si dichiara seguace di Platone, ri­ nuncia alla fredda perfezione del bello, per avventurarsi in un'e­ sperienza del limite e del creaturale . Questa professione di fede nell' umanità della bellezza è forse il miglior modo per avvicinarsi 1 Lettera di L orenzo de' Medici a Giovanni Lanfredini, 5 ottobre 1 489 (incipit: « Ho inteso con grandissima mia molestia»; Firenze, Archivio di Stato, Mediceo avanti il prin· cipato 5 1 , 538), in Pico, Poliziano e l'Umanesimo di fine Quattrocento. Biblioteca Medicea Laurenziana, 4 novembre · 3 r dicembre 1994, catalogo della mostra, a cura di P. Viti, Firen· ze 1994, pp. 76-78: p. 77. ' G. Pico della Mirandola, Commento sopra una canzone d'amore di Girolamo Benivie­ ni [Commento], in Id., Opere, 3 voli. , a cura di E . Garin, Torino 2004 [Firenze 1 942-5 2'], vol. l. De hominis dignitate, Heptaplus, De Ente et Uno, e scritti vari, pp. 443-581 : p. 496.

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GIULIO BUSI

al metodo di lavoro del Conte. Accumulare disarmonie, vivere di contrasti, aumentare all' inverosimile la disparità delle fonti, tale è il progetto del giovane mirandolano. Se si sfogliano le 900 Con­ clusiones, che Pico voleva discutere a Roma, al cospetto di Inno­ cenza VIII, si è presi da una vertigine intellettuale. Filosofi gre­ ci, scolastici medievali, matematici, medici, maghi, astrologhi e cabbalisti: il caravanserraglio delle opinioni non potrebbe essere piu variopinto e affollato. Nessuno , prima di lui, aveva raccolto un campionario di dottrine cosi eterogeneo . C ' è da scommettere che Pico, e i suoi sadali fiorentini - Lorenzo e Poliziano - trovas­ sero « bello » lo spettacolo dei sapienti convenuti a tenzone. Ma non per puro estetismo (anche se, nel tardo Quattrocento, le ra­ gioni estetiche erano ben tenaci) . Il massimo della varietà è qui antefatto indispensabile all'ascesa alla verità. Con gradini presi da tutte le culture, Pico costruisce la sua scala verso il cielo. Alla sommità, oltre la soglia del dicibile, sta il Dio a cui il Conte vuo­ le innalzarsi - non bello ma fonte di ogni bellezza, non luce ma sorgente di ogni luce . Pico è uomo di mondo , rubacuori, elegantone, presuntuo­ so. E, allo stesso tempo, asceta e mistico. Il suo lavoro vive di una prepotente spinta trascendente; tuttavia, finché l ' empireo è ancora lontano, questo aristocratico emiliano ama circondarsi di piaceri mondani, di libri rari e di idee strampalate. Dopo lo schianto delle Conclusiones, vietate dall'Inquisizione e condan­ nate a venir bruciate, Pico si farà si, piu riservato e guardingo . « Vive molto sanctamente et come uno religioso »\ commenta il solito Lorenzo, ma sono parole che mirano soprattutto i nemici romani . Tra i confidenti, o nel recinto delle sue ville, Pico resta fedele alla sua personalità contraddittoria. Non è un caso che, nella prima predica in ricordo di Pico, Savonarola abbia svelato agli uditori un segreto imbarazzante . L ' anima del Conte sareb­ be stata costretta a fermarsi al purgatorio, giacché da vivo non s ' era voluto far domenicano4 • E poi - aggiungevano i sava naro' Lorenzo de' Medici a Giovanni Lanfredini, 19 luglio I 489 (Firenze, A rchivio di Stato, Mediceo avanti il principato 5 1 , 5 1 5), in Pico, Poliziano e l'Umanesimo cit., pp. 66-68: p. 67. ' Savonarola espresse il suo disappunto per i tentennamenti del Conte, appena morto, nella predica tenuta domenica 2 3 novembre 1494: «Orale pro eo: lui fu tardo a non venire alla religione in vita sua, come era spirato, e però è in Purgatorio>> (G. Savonarola, Predi­ che sopra Aggeo. Con il trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze, a cura di L. Firpo, Roma 1965, p. 104; la tirata savonaroliana è riportata anche, in forma piu prolissa, da Gianfrancesco Pico nella Ioannis Pici Mirandulae viri amni disciplinarum genere consu­ matissimi vita, a cura di T. Sorbelli, Modena 1963, p. 8 1 ; cfr. R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, 2 voli., Roma 1 952, vol. I , p. 5 1 , e vol. I I , p. 1 34 , nota 18).

INTRODUZIONE

IX

liani maldicenti - perché conviveva con una donna nel peccato5• Come dire, che anche il piissimo Pico degli ultimi anni non era proprio irreprensibile . E di un mistico che non seppe, o non volle viver da santo, di un intellettuale che non fu chierico, di un irregolare che trasformò la cultura europea vuol parlare questo nostro libro.

« È stato a levato molto inviciato» Uscito da un ambiente di provincia e da una famiglia feudale, piu dedita alle armi che agli ozi letterari, Giovanni deve la voca­ zione intellettuale, oltre che al proprio genio, alle attenzioni e al­ le preoccupazioni di una madre apprensiva. Giulia Baiardo, zia di Matteo Maria, l' autore dell'Orlando innamorato, era donna for­ te e ambiziosa e tanto intraprendente da sostituire nel governo il marito, quando questi fu fatto prigioniero nelle Marche, mentre militava per Sigismondo Pandolfo Malatesta6• Forse fu proprio l' esperienza degli affanni patiti come consorte di un capitano di ventura a far si che Giulia immaginasse per il figlio piu piccolo un futuro senza armi e al riparo dagli strapazzi di guerra. Galeot­ to e Antonio, i due fratelli di Giovanni, crebbero maneschi e fin troppo inclini alle zuffe, tant'è vero che trascorsero la vita a dar­ sele di santa ragione, in liti inesauribili sul dominio del loro mi­ nuscolo Stato, o al soldo delle maggiori potenze italiane. Mentre i primi due ebbero fin da subito tirocinio di armi, Giovanni ven­ ne invece su « molto inviciato », come confidò la madre all' amica Barbara di Brandeburgo, marchesa di Mantova'. A soli dieci an­ ni divenne protonotario apostolico8, il primo passo di una carriera 5 La maldicenza sulla concubina è del savonaroliano Giovanni Sinibaldi: (Ridolfi, Vita cit. , vol. I, p. ' 47 e vol. II, p. 1 33, nota r r) . ' F. Cere t ti, Giulia Baiardo. Memorie e documenti, in >, 3 ( r 878), pp. 2 37-87: p. 268 (lettera del 24 maggio 1 473). ' Id., Giulia Baiardo cit. , p. 224. ,

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GIULIO BUSI

ecclesiastica. C ' è da credere che Giulia lo sognasse già vescovo e, chissà, cardinale . Ben si capisce che appena possibile il Contino si trasferisse a Bologna, per studiare diritto canonico. E la mamma andò, almeno per qualche tempo, con lui. Un po' per seguire il fi­ glio prodigio e un po' per togliersi dalla Mirandola, dove, dopo la morte del marito, i dissapori con Galeotto, che come primogeni­ to voleva dettar legge, erano sfociati in lite aperta9• Che canoni e pandette non andassero poi cosi a genio a Giovanni, lo dimostra la fretta con cui il ragazzo li abbandonò, subito dopo la scomparsa di Giulia, nell ' agosto 1 478. Già nella primavera 1 479 lo troviamo a Ferrara, intento a studi piu spiccatamente umanistici, e anche alla bella vita. A quest' epoca risalgono le prime avventure galanti, prontamente celebrate in versi - piu che decorosi quelli latini, mediocri gli italiani'0• A Ferrara, Gio­ vanni era tenuto nella considerazione che si addiceva a un rampollo dei Pico, famiglia tra le piu in vista dell ' altezzosa corte estense". Dopo i primi entusiasmi anche la capitale del ducato dovette andargli stretta, tant ' è vero che fece i bagagli e s' imbarcò per Pa­ dova. Ai nuovi compagni di studi patavini, il Conte - intelligente, alto, biondo e dandy - parve baciato dalla fortuna. A modo suo, era anche uno sgobbone. Non che frequentasse molto le lezioni, eccezion fatta per quelle di Nicoletta Vernia e Agostino Nifo e di pochi altri12• Se i professori ufficiali lo annoiavano, poteva permet­ tersi maestri privati, e dei migliori. Fu cosi che entrò in confidenza con Elia Del Medigo, un ebreo di Candia che si era fatto un nome come gran conoscitore di Averroè. A Elia Pico commissionò tradu-

' Id., Il conte Antonmaria Pico cit . , p. 24 r . 10 La produzione poetica del Conte è raccolta in G. Pico della Mirandola, Cannina la­ tina, a cura di W. Speyer, Leiden 1964; P. O . Kristeller, Giovanni Pico della Mirandola and bis Sources, in L 'opera e il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola nella storia dell'Umane­ simo, 2 voli. , Firenze 1965, vol. I, pp. 35- 1 3 3 ; Id., Tbe Latin Poems o/Giovanni Pico della Mirandola. A Supplementary Note, in Poetry and Poetics /rom Ancient Greece to tbe Renais­ sance. Studies in Honor ofJames Hutton, a cura di G . M . Kirkwood, I thaca 1975, pp. 185206; Id., Giovanni Pico della Mirandola and bis Latin Poems. A New Manuscript, in «Ma­ nuscripta>>, 2 0 ( 1 976), pp. 1 54-62; G . Pico della Mirandola, Sonetti [Sonetti], a cura di G . D ilemmi, Torino 1994. Vedi anche Antologia della poesia italiana, 3 voli., ed. diretta d a C . Segrc c C . Ossola, vol. Il. Quattrocento-Settecento, Torino 1998, pp. 86-93. 11 Sul trasferimento allo Studio ferrarese e sulle frequentazioni nella città estense ve­ di la le ttera del Conte a Federico Gonzaga del 14 aprile 1479 (incipit: «III ustris et excelse d11minc»), pubblicata da Ceretti, Giulia Baiardo ci t . , p. 225; G. Di Napoli, Giovanni Pico d,·/la Mirandola e la problematica dottrinale del suo tempo, Roma 1965, p. 30. " E . P. Mahoney, Giovanni Pico della Mirandola and Elia Del Medigo, Nicoletta Ver111), e pubblicata da V. Cappi, Di alcune lettere giova­ nili di Giovanni Pico della Mirandola ( r 479-r 483), in , 8 ( I986), pp. I 55-73: p. I 7 I . 1 7 Il primo soggiorno parigino di Giovanni è datato d a molti studiosi tra la tarda esta­ te I 485 e il I 486, anche se questa ipotesi non pare suffragata da alcun documento. Ho esa­ minato la questione, e proposto di anticipare di un anno il viaggio francese del Conte, nel mio L 'enigma dell'ebraico nel Rinascimento, Torino 2007, pp. 36-37 . " Cfr. G. Pico della Mirandola, Apologia. L 'autodifesa di Pico di fronte al tribunale dell'Inquisizione [Apologia], a cura di P. E. Fornaciari, Firenze 20io, p. 324: , IO (I990), pp. I 33-223: pp. I 7I ·94·

INTRODUZIONE

XIII

con credenziali di poeta, precoce e raffinato: è rimasta notizia di una tenzone poetica con Lorenzo, stupito dalla facilità con cui quel ragazzo si muoveva tra versi ed eleganze retoriche. Per la sua ren­ trée del 1 484, il Conte accampava nuove prerogative intellettuali. Non che avesse abbandonato del tutto le Muse, anche se, di­ ceva, aveva dato al fuoco cinque libri di carmi amorosi. Perdita non irreparabile, almeno a giudicare dai componimenti scampati ' all' incendio e giunti sino a noi, e visto il rammarico cortese ma non inconsolabile del Poliziano, che le poesie incendiate le aveva lette ed era, lui si, poeta davvero20• A forza di frequentare le aule degli studi di mezza Italia e di Francia, Pico si era fatto filosofo, s'era impratichito nelle sotti­ gliezze della scolastica, e veniva ora alla fonte della sapienza pla­ tonica. Parlare di Platone voleva dire, in quegli anni, volgersi a Firenze, e a Firenze, guardare a Ficino. Manco a farlo apposta, se vogliamo prestare fede a Ficino, Pico fece il suo ingresso in città « proprio nel giorno e nell 'ora» in cui vedeva la luce la versione ficiniana delle opere platoniche'. Di tanto tempismo è lecito du­ bitare, conoscendo le piaggerie umanistiche, anche se l' idea che il lungo capitolo toscano si apra sotto un segno cosi fortunato è senz 'altro accattivante. Di Ficino, ormai attempato, Pico si professò seguace senza aver la pazienza di diventarlo. Dopo i convenevoli dei primi mesi, i rapporti tra i due ebbero fasi alterne, momenti cordiali uniti a prolungate freddezze, con Marsilio costretto a far buon viso a cat­ tivo gioco, e il Conte incapace di nascondere la propria impazien­ za. Piu che un confronto tra eguali, fu un affronto, anzi una serie di sgarbi inflitti dal giovin signore al piu maturo filosofo, inerme di fronte alla spavalderia e al censo dell' antagonista. Documento eloquente, e fin quasi imbarazzante delle intemperanze pichiane è il Commento sopra una canzone d'amore. Giovanni lo compose nel q86, quando aveva ormai trascorso a Firenze piu di un anno, 20 Poliziano ha dedicato bei versi greci al falò delle liriche pichiane, e li ha accompagna­ ti con una missiva ( Epistolario, I, 7; incipit: « Audio te>>). Cfr. A. Poliziano, Liber epigram­ matum graecorum, a cura di F. Pantani, Roma 2002, pp. 2 r6-2 r, con la proposta di datare l'epistola polizianea al 1 493-94, ovvero dopo la svolta savonaroliana del Conte. 21 , 23 ( I 96J), pp. 2 7 I -90. Ho ricostruito le movimentate fasi dell'affaire nella Vera relazione sulla vita e i fatti di Giovanni Pico Conte della Mirandola, Torino 20IO, pp. 63-7 I , I 69-72 . " Lettera d i Francesco d i ser Barone a Lorenzo de' Medici, I I maggio 1486 (incipit: (Oratio, pp. 2 2·23, § 50). 66 1 3) », opera oltremodo necessaria, se si vuole riportare il tutto alla sua integrità primigenia. Quasi fosse un consumato sensale del cosmo, il mago pichia­ no ricongiunge ciò che è spaiato, celebra le nozze della materia, e unisce ieraticamente maschio e femmina: Come il contadino marita gli olmi alle viti, cosi il mago la terra al cielo, ossia gli enti inferiori alle qualità e alle virtu di quelli superiori"-

È un' altra prova del dominio dell' antropologia nelle Conclusio­

nes. Come l'uomo, secondo il racconto biblico e giusta la sapienza

antica, è all' origine ermafrodito cosi l'essere si numera per cop­ pie, che il divenire ha diviso e che non attendono altro che di ti­ congiungersi. Si cercano, si guardano, si chiamano, in un continuo fremito di reciproca nostalgia . L a volontà fredda d i Origene, che volle farsi eunuco per pen­ tirsene troppo tardi, diviene in Pico desiderio caldo, carica erotica che si solleva dal sensibile verso l'immateriale. 69 Dell'accusa postuma e della difesa dà notizia lo stesso Benivieni in una sua lettera del 1 5 marzo 1 5 1 4 : cfr. P. O. Kristeller, Studies in Renaissance Thought and Letters, Roma 1956, pp. 1 7 1-72; S. Gentile, Pico e Ficino, in Pico, Poliziano e l' Umanesimo cit. , p. 1 47, n. 53- Per una rivalutazione del ruolo della magia nell'Oratio vedi B. P. Copenhaver, Magie and the Dignity o/Man. De-Kanting Pico 's Oration, in The Italian Renaissance in the Twentieth Century, a cura di A. J. Grieco, M. Rocke e F. Gioffredi Superbi, Firenze 2002, pp. 295-320. 7 0 «Magia naturalis licita est et non prohibita, et de huius scientiae universalibus the­ oricis fundamentis pono infrascriptas conclusiones secundum propriam opinionem» (Con­ clusiones, p. 494, n. 9>2). 71 «Et sicut agricola ulmos vitibus, ita magus terram caelo, idest inferiora superiorum dotibus virtutibusque maritat» (Oratio, pp. I I6-q, § 230).

INTRODUZIONE

xxxv

Nel mondo fisico, su cui agisce il mago, regna la voce del de­ siderio. Una voce perfettamente udibile e comprensibile, m a non secondo l e leggi del significato. L' eros della materia precede il linguaggio, è piu carico ed espressivo delle scialbe parole del quotidiano: Le voci non significanti possono di piu, nella magia, di quelle che han­ no significato".

La ragione di tanta efficacia risiede in cielo: Qualsiasi voce ha potere nella magia in quanto è formata dalla voce di Dio".

L' atto archetipico di desiderio è dunque quello del Creatore, ed è stato lui, appena scissa l'unità, a richiamarla, evocarla, invocarla. Tutto ciò che è venuto dopo non è che ecolalia del divino, e il mago è colui che meglio di ogni altro imita il suono della creazio­ ne s�nza pretendere di comprenderlo . E la legge fondamentale della conoscenza simbolica, che Pico ha messo in pratica alla perfezione. Quanto meno un atto è semantico tanto piu è prossimo alla scaturigine. In principio è il non-senso, e la faticosa scoperta del significato, che tormenta gli uomini, è una penosa caduta nell 'impotenza. Parlare è perdere di possesso, scri­ vere è dimenticare. Il mago chiama senza denominare, e se scara­ bocchia le proprie invocazioni, usa i characteres, gli arcani segni di un alfabeto celeste: Secondo i principi della filosofia piu segreta, è necessario riconoscere che caratteri e figure hanno piu efficacia nell'opera magica di qualunque al­ tra qualità materiale".

Un con/iteor straordinario, che in toni cosi nitidi non aveva an­ cora trovato espressione nell'umanesimo europeo . La si potrebbe chiamare una rivalsa dell' abracadabra, e Pico parrebbe allora apo­ logeta di ciarlatani. Il distacco e l'imbarazzo, con cui queste parti delle Conclusiones sono liquidate da chi vorrebbe far del Conte un filosofo « serio », la dicono lunga sulla novità - allora e ora - di un simile approccio teorico. Eppure Pico ha ragione, e tratta di magia secondo i crismi dell ' arte. Bisognerà attendere l' antropologia otto­ novecentesca per ritrovare simili tentativi di formalizzare i criteri

72 (Conclusiones, p. 500, n. 9>2 1 ) . " 20). " 24).

XXXVI

GIULIO BUSI

del pensiero magico-metaforico, ma ci si metteranno di mezzo i complessi di superiorità di missionari e positivisti. Per Pico, l'opzione simbolica non è resto primitivo da inven­ tariare e chiudere in un museo, ma via percorribile. Anzi, la via maestra, se la meta è il cielo . Rispetto alla precettistica magica, che ha studiato e forse per curiosità anche un poco praticato - con buona pace di Benivieni - il Conte aggiunge di suo un nuovo complesso concettuale. La scoperta, con cui crede di aver risolto una volta per tutte le aporie del pensiero metaforico, l'arma possente e inaudita che egli vanta nel 1 486, è l'ebraico. Quella ebraica non è una lingua come le altre. Non è di questo mondo, bensi il mondo le appartiene, in quanto creato e mante­ nuto in vita attraverso di essa. Grazie al suo statuto eccezionale, l'ebraico si sottrae al principio di non-semanticità del divino: Nessun nome significante, preso singolarmente e in sé, può avere effetto nell'opera di magia, a meno che non sia ebraico, o dall'ebraico strettamen­ te derivato".

L' ebraico è dunque vox divina, immediata, carica di una poten­ za che è negata a qualsiasi altro idioma mondanq. Per questo, può mediare tra terra e cielo, tra magia e teologia. E il complemento indispensabile all' operazione magica piu alta e punto di accesso ver­ so il dominio sapienziale, che si apre al di sopra della magia stessa. Una simile connotazione della lingua ebraica non è certo in­ venzione del Conte. Fa parte del retaggio biblico, dell' apologetica giudaica e, almeno in parte, anche di quella cristiana. Lingua per­ fetta, sacra, primigenia: tutta la gamma degli attributi superlativi è a portata di mano ben prima delle Conclusiones. Pico è però ben determinato a sfruttare il vantaggio che gli offrono i libri che si è fatto tradurre da Del Medigo e Mitridate . Inventa cosi una scala graduata, la prima del suo genere che si sia vista tra maghi e cabbalisti: Come i caratteri sono propri dell'opera magica cosi i numeri sono propri della cabala, con un punto intermedio tra gli uni e gli altri, che si può stabi­ lire avvicinando agli estremi l'uso delle lettere".

" «Nulla nomina ut significativa, et inquantum nomina sunt singula et per se sumpta, in magico opere virtutem habere possunt, nisi sint hebraica, ve! inde proxime derivata» (ibid. , p. 500, n. 9>2 2). 7 6 25).

INTRODUZIONE

XXXVII

Tra magia e qabbalah, esiste dunque una continuità, che va dal massimo di asemanticità magica (characteres) al massimo di astra­ zione linguistica (gematria, lettere-numeri) . L' alfabeto ebraico, che è strumento della creazione, può essere mosso di tacca in tacca, lungo questa scala immaginaria. Quando è solo grafismo, figura di­ pinta, una lettera ebraica esprimerà l' essenza muta dei characteres; poi, via via, quella stessa lettera potrà trasformarsi in strumento di parola per finire in numero puro. Pico ha cosi innestato l'ebraico sulla pianta antica della magia, e ha reso possibile il passaggio «operativo » tra magia e lingua santa. A ben guardare, ogni veritiera azione magica cattura un rifles­ so dell' eloquio ebraico, lingua materna di Adamo e seme paterno di Dio .

«Fuga di solo a Solo»77 Nel cantiere delle Conclusiones regna un' attività frenetica, un via vai indemoniato di filosofi piu o meno rispettabili e di qual­ che losco figuro sotto falso nome. In tanta, eccitata confusione, un luogo rimane perfettamente calmo, silenzioso. Lo abbiamo scorto, per un attimo, in apertura dell ' Orazione sulla dignità dell'uomo. E la tribuna che, ab aeterno, è stata riser­ vata al contemplator, il centro di tutta la creazione. Punto di par­ tenza e meta finale. Nel progett\) pichiano, la nozione di centro riveste un ruolo fondamentale. E spunto narrativo, ripreso dal racconto del Gene­ si, Eden abitato di sfuggita e subito perduto. E, contemporanea­ mente, è telos del percorso mistico. Non c'è dubbio che, per Pico, il progredire sulla via della co­ noscenza sia in realtà un ritorno. Non solo per conformismo platonico. Si direbbe che, al gio­ vane di 2 3 anni, la gioventu pesi. Nostalgia dei bei tempi andati, per altro mai vissuti, e impostazione euristica di fondo. Le perle le abbiamo dimenticate chissà dove, all'inizio dei tempi, e bisogna riprenderle, viaggiando all'indietro. Se il concetto simbolico di centro primordiale si staglia nitido nella dottrina del Conte, ben piu incerto è se questo ritorno gli sia mai riuscito, non in teoria ma nella prassi. 77 Platino, Enneades, VI, 9, n; cfr. Id., Enneadi, trad. di R. Radice, saggio introdut· tivo, prefazioni e note di commento di G. Reale, Milano 2002, pp. 1 970·7 1 .

XXXVIII

GIULIO BUSI

L'estasi - studiata, proclamata, ambita - si è mai trasformata in esperienza? Il misticismo di Pico è solo ornamento intellettuale o ha un' effettiva dimensione biografica? Il modo migliore per saperlo, almeno nel 1486, è appostarsi vi­ cino al centro del Giardino, e attendere: E se, non contento della sorte di alcuna creatura, si raccoglierà nel cen­ tro della sua unità, fatto uno spirito solo con Dio, lui che fu stabilito sopra tutte le cose sarà superiore a tutte le cose, nella solitaria caligine del Padre".

Eccolo, malcontento, di ritorno, il nostro Adamo. Colui che poté esser tutto si è stancato di divenirlo . Vuoi chiudere gli occhi e riguadagnare se stesso, ovvero nulla . Le metamorfosi, tirate per le lunghe, di dottrina in dottrina, di magia in magia, un nome cab­ balistico dopo l ' altro, sono durate per tutte le Conclusiones. Alla fine, è venuto il momento di abbandonarsi all'oscurità. Per capire questo passo decisivo, gettato con noncuranza tra le pieghe retoriche dell ' Orazione , è opportuno richiamare il suo esatto corrispondente, tratto dalle tesi cabbalistiche secondo l'o­ pinione propria: Se Dio è conosciuto in sé come infinito, uno, e secondo se stesso, e se conosciamo che nulla deriva da lui, ma è separazione dalle cose, e chiusura di sé in se stesso, e ritrarsi estremo, profondo e solitario nel rifugio remotissimo della sua divinità, conosciamo anche di lui che si occulta in fondo dell'abisso delle sue tenebre né si manifesta in modo alcuno nell'espandersi e profon­ dersi di sua bontà e splendore sorgivo".

Solo è l'uomo, di ritorno dal mondo, e Solo è Dio, che al mon­ do non vuoi scendere né prestare ascolto. Benché Pico si professi cristianissimo, e su Cristo costruisca una parte rilevante delle Conclusiones, questa caligine abissale e abissalmente indifferente ha ben poco di evangelico. Il solo, che fugge verso il Solo, è metafora, cruda nella sua in­ transigenza, dell'elitarismo mistico di Platino . Compare nella chiu­ sa delle Enneadi, uno dei luoghi d 'elezione dell' estasi tardoantica, che Pico dovette leggere e rileggere con avidità . Non è un caso che

78 > (Oratio, pp. I 2 · I J, § 30) . " 35).

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proprio dallo stesso passo discenda anche l'esperienza della non­ bellezza del divino, su cui il Conte ha modellato la propria estetica: Certo, non entra piu nel novero delle cose belle, perché ormai è al di là del bello, già oltre il coro delle virtu, come uno che si sia introdotto nel sa­ crario del tempio, lasciandosi alle spalle le statue che si trovano nel tempio, le quali saranno le prime che incontrerà uscendo dal sacrario, dopo la visione che ha goduto all'interno e dopo l'unione, non già con una statua o un'effi­ gie ma con il Dio stesso"'.

Solo, non bello, non compassionevole, non benevolo, l' Uno di Platino attende il filosofo nel recesso di un tempio pagano. Le statue accompagnano il contemplante fino alla soglia, e lo accol­ gono all 'uscita. Il Dio pichiano si avvolge di caligine biblica, sabbiosa, aniconica. Certo, il Conte ha fatto tesoro dell'insegnamento dello Pseudo-Dio­ nigi, di quelle pagine della Teologia mistica in cui si spiega che, per av­ vicinarsi a colui che ha posto le tenebre come proprio nascondiglio (Sal. 18, 1 2) , bisogna saper « toglier di mezzo tutto e liberarsi da tutto »81 • L'Areopagita I' aveva chiamata « caligine soprasostanziale nascosta da tutta la luce che brilla negli esseri»82• Pico compie un passo ulteriore, e descrive il Dio che abbandona, Colui che s 'eclissa in « solitaria re­ tractione ». L'espressione val pio di cento indizi. A chiamarlo col suo nome, questo ritrarsi è lo $im$um dei cabbalisti. Non quello vulgata di Luria, di là da venire, ma la versione medievale, che il Conte ben conosceva per averne letto nelle traduzioni di Mitridate. Nel suo commento al Se/er ye!irah, che Flavio traspose in lati­ no e Pico cita in una lettera dell'autunno 1 4868\ cosi scrive Mosè Nachmanide, maestro sefardita del XIII secolo: Sapienza. È la fine di quanto l'uomo può comprendere col pensiero. La tradizione, a questo riguardo, è solo per allusioni, poiché la corona superna, sia Egli benedetto, riempie piu di quanto il cuore possa intuire della sua glo­ ria. Contrasse (�im�em) l'essenza della gloria secondo la misura della superfi­ cie della paroket e dello spazio di un palmo che vi è tra i due cherubini. Sulla superficie del tutto rimase l'oscurità, giacché la mancanza di luce è oscurità. Dalla fonte del tutto si diffuse poi la luce fulgida detta « sapienza»"'.

"' Platino, Enneades, VI, 9, r r ; Id., Enneadi cit. , pp. 1968-69. Pseudo-Dionigi Areopagita, De mystica theologia, l, roooa; cfr. Id., Tutte le opere, trad. di P. Scazzoso, introduzione, prefazioni, parafrasi, note e indici di E . Bellini, Mila­ no 2009, p. 407. 82 Ibid. , II, ro25b; I d . , Tutte le opere cit . , p. 4 1 1 . 83 È la già citata missiva a ignoto destinatario, scritta da Fratta il ro novembre 1486 (incipit: «Quisquis es»; Pico della Mirandola, Opera omnia ci t., pp. 384-86), cfr. Wirszubski, Pico della Mirandola 's Encounter ci t., p. 58. 84 Cfr. G. Busi, Simboli d,el pensiero ebraico. Lessico ragionato in settanta voci, Torino 1 999, p. 393· 81

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La « retractio » pichiana produce una caligine densa e inson­ dabile. E in maniera identica, lo �im�um nachmanideo è fabbrica d'uq.a sola merce, invendibile e inconoscibile: bosheq, « tenebra » . E singolare che nessuno, nemmeno l ' attento Wirszubski, s i sia finora accorto che Pico nasconde Dio in scura stoffa cabbalistica. E ancor meno si è fatto caso a quanto c'è di originale nella rifor­ mulazione pichiana dello �im�um. Se per Nachmanide, e gli altri mistici ebrei dell 'età di mezzo, a ritrarsi con atto imperscrutabile è l 'energia divina, il Conte dupli­ ca il gesto, e lo riverbera nella sfera terrena. « In unitatis centrum suae se receperit». Anche l' uomo si chiude85 dunque, come in una fortezza. Forse per una scorbutica imitatio dei? Molto piu, in ob­ bedienza al fato che grava sul cosmo. Fedele al principio scritturale di « immagine e somiglianza», il Conte fa di Adamo un mimo per­ fetto. Nello stesso posto, allo stesso tempo, con studiata sincronia: ogni gesto umano è replica fedele dell' agire di Dio. I due estremi si toccano, e non per modo di dire. Sono contigui, poggiano sulla stessa base. Il punto mediano della creazione è cen­ tro della sapienza superna e centro dell' uomo. Tutto avviene nel medesimo luogo, poiché vi è un Luogo solo. « Il S anto è il Luogo (maqom) del mondo ma il mondo non è il suo luogo », afferma un'an­ tica massima rabbinica. Non sappiamo se Pico l'abbia letta diretta­ mente, anche se ne conosceva di sicuro l' antecedente in Filone di Ales,sandria, che aveva identificato «topos» con il Verbo e con Dio86• E tuttavia evidente che il Conte crede fermamente nella co­ estensione di umano e divino . Dio è raggiupgibile, alla fine del cammino mistico, se solo si sa dove trovarlo . E vicino, tanto vicino che all'uomo basta ritornare a sé, rinchiudersi nel « centro della propria unità» per poterlo toc­ care. Giacché il Dio inconoscibile, che nessun cielo può contenere, s'è ritirato proprio li, nella stessa tenebra, da Solo a solo.

Il fuoco elementare brucia87 Fatte stampare in fretta e furia le Conclusiones da Eucharius (Frank) Silber in Campo dei Fiori - un tedesco di Wiirzburg, buon " > è verbo d'uso per lo piu militare. Cfr., per esempio, M. P. van den Hout, A Commentary on the Letters of M. Cornelius Franto, Leiden 1 999, p. 168. 86 Filone di Alessandria, De somniis, I, 6 1 -63. 8 7 > (Dorez e Thuasne, Pie de la Mirando/e cit., pp. 1 40-41 ) . " I l volumetto dell'Apologia pichiana reca in fine l a data: . Si è molto dibattuto se questo fosse il giorno in cui il Conte termi­ nò di scrivere il testo o quello effettivo di stampa. In un colloquio con il Lanfredini, oratore fiorentino a Roma, Innocenzo VIII si disse convinto che Pico avesse retrodatato il libro. Ma è molto probabile che Pico, che racconta di aver lavorato , abbia voluto dare il massimo di pubblicità al proprio contrattacco, e che quindi il colophon di stampa sia attendibile (cfr. Di Napoli, Giovanni Pico cit . , p. 95; F. Bausi, L '«Apologia», in Pico, Poliziano e l'Umanesimo ci t., pp. 50-53' p. 52). I festeggiamenti per la visita di Ercole

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carattere dell' autore sia perché riprende, e, approfondisce, idee che nelle Conclusiones erano solo abbozzate. E vero che Pico dichiara di sottomettersi alla sentenza, ma bisognerebbe essere ciechi per capire che non ha nessuna voglia di piegare il capo. Passi per il so­ gno della disputa romana, sfumato irrimediabilmente; far la figura dello stupido e miscredente davanti a tutta Europa è però un po ' troppo per il signore di Mirandola e Concordia. Andato a monte un torneo se ne può sempre bandire un altro. E se a Roma lo respingono, scenderà in lizza altrove . A Parigi, per esempio, dove ha buoni amici. Agli inizi di dicembre, Pico si de­ cide finalmente a fare i bagagli. Piu che una partenza è una fuga. (Jualcosa dei suoi progetti oltralpe è arrivato fino in Curia, e In­ nocenza cerca di bloccarlo con le cattive . Lo insegue con un ordi­ ne di cattura, e con la condanna al rogo delle Conclusiones. Manda messi anche in Spagna, per chiudere al ribelle ogni via d ' uscita. La cocciutaggine è valsa al Conte un' accusa di recidiva. Eretico ribel­ le, insomma, e alla macchia. Filippo II di Savoia, signore di Bresse - un tipo piuttosto sini­ stro - l' acciuffa in Delfinato, in esecuzione del mandato pontificio95• Comincia una ridda di raccomandazioni e anatemi, le une , pro­ venienti da vari potentati italiani, volte a far scarcerare il nobile aspirante eretico, gli altri, da Roma, per fulminarlo come reprobo c avvertire chi lo volesse aiutare dei guai che lo aspettano. Filippo, per liberarsi dell'incomodo, prende la via di Parigi, e scodella il carcerato nella prigione dorata di Vincennes . Ci reste­ rà qualche settimana, giusto il tempo per metter tranquilli i nun­ zi che Innocenza VIII ha spedito in Francia, coll'incarico di farsi consegnare il Conte e di riportarlo a Roma96• l d'Este a Roma sono narrati da G. Burcardo,

Alla corte di cinque papi. Diario 148J-I5oG, cura di L. Bianchi, Milano 1 988, pp. I07·9· " La notizia della cattura di Pico era già nota a Roma almeno dal 25 gennaio I 488, quan­ do l'oratore fiorentino Giovanni Lanfredini ne scrisse a Lorenzo de' Medici (la lettera pare perduta, ma abbiamo la risposta di Lorenzo del 29 gennaio: Lorenzo de' Medici, Lettere, XI ( 1 487-88), a cura di M. Meriam Bullard, Firenze zoo4, p. 644, n. I I 58 (incipit: « Per la vostra tenuta>>): ). A Milano, se ne parlava il 27 gennaio (dispaccio dell'oratore estense, Iacopo Trotti, a Ercole I: «harà V. Ex.a inteso che 'l conte Ioann dala Mirandula, fratello de ms. Galeoto, è stato pigliato da Philoppo mons.re in Piamont, se stima che sia per opera del Papa »; F. Ceretti, Giovanni Pico della Mirandola. Spigola ture raccolte da dispacci degli oratori estensi, in >. Pico si fermò a Bologna, e poi, dopo esser stato invitato da Ficino a stabilirsi a Firenze (in· cipit: « Superioribus diebus>>, del 30 maggio q88, in Ficino, Opera omnia cit., pp. 888-89), giunse nella città toscana verso la metà del mese di giugno. 98 Cfr. R. M. Zaccaria e L. Lanza, Lorenzo per Pico, in Pico, Polhiano e l'Umanesi­ mo ci t . , pp. 76-78.

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le lettere ebraiche vi fanno ancora un paio di capriole, e qualche rabbi viene a scompigliare la buona educazione dei Padri della ( :hiesa. Ma sono solo resti, e un poco fiacchi, della ridda cabba­ listica di due anni prima. Anche il genere del commento biblico, in cui l' Heptaplus si agghinda, è ben piu scontato e pacioso della frenesia bacchica delle tesi. Non un cenno alla teologia poetica, silenzio sulla magia, al bando orfici, caldei ed ermetici. S aranno anche state considerazioni di convenienza ad aver spinto Pico a omettere e a tacere. Fatto è che il compasso delle curiosità è piu stretto, quasi chiesastico, a paragone della vena paganeggiante e Lrasgressiva dell' 86. Se il Conte nel q88 tace, nel 1 493-94 arriva forse a ritrattare . Il dubbio è d'obbligo, perché di mezzo c'è la pietà invadente di Gianfancesco, nipote piagnone, Jin troppo desideroso di purgare lo zio dagli errori di gioventu. E Gianfrancesco il curatore delle Dissertationes, lasciate inedite da Giovanni. E guarda caso, proprio in alcuni passi dell'opera antiastrologica, Pico quasi si vergogna dei suoi trascorsi. Non solo gli ammiccamenti alle dottrine degli astro­ loghi, tutto l'esotismo sapienziale delle Conclusiones è sacrificato in un frettoloso mea culpa: Furono dunque, sia gli egizi che i caldei, per quanto almeno io posso con­ getturare, di indole poco adatta al sapere, cosa che si vede anche adesso ne­ gli abitanti di quelle regioni, ai quali, se le vicende han tolto l' abitudine allo studio, non dovevano tuttavia togliere la capacità naturale. Né ci inganni, come una volta ingannò anche me giovinetto, quella sapienza degli egizi e dei caldei, celebrata dagli antichi e anche da Platone, alla quale si è traman­ dato andassero ad attingere per puro amor del sapere Pitagora, Democrito, Eudosso, Platone e altri molti99•

Un discorso un po' confuso, e da provincialotto nutrito di pre­ giudizi, che preferiremmo in bocca al mediocre Gianfrancesco piuttosto che doverlo ascrivere a Giovanni, un tempo cosi aperto agli insegnamenti d'importazione. Del resto, una testimonianza di Piero Crinito, allievo del Poli­ ziano e frequentatore assiduo anche di Pico, ci mostra quest' ulti­ mo mentre difende la sapienza di Pitagora, Mercurio e Zoroastro nientemeno che dagli attacchi di Savonarola, in una memorabile discussione al convento di S an Marco. La data dovrebbe essere suppergiu la stessa delle Disputationes, e ce n ' è dunque abbastan­ za per mettere in forse l' autenticità dell' abiura100• 99 G. Pico della Mirandola, Disputationes adversus astrologiam divinatricem. Libri I-XII [Disputationes], 2 voli., a cura di E . Garin, Firenze 1 946-52, vol. Il, pp. 492-95. Crinito, De honesta disciplina, a cura di C . Angeleri, Roma 1955, pp. 1 04-5 (III, 2). 100

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GIULIO BUSI

Nell'ultima parte della sua brevissima vita, il Conte si fa dunque piu misurato e alieno all,a pubblicità, ma non bolso come vorrebbe farci credere il nipote. E vero che la sua esistenza, dopo il ritorno in Italia nel 1488, è tranquilla, per non dire monotona. Nei sei anni che gli restano, non metterà piu piede fuori della Penisola. Si limi­ terà a spostarsi tra Firenze, Mirandola e Ferrara, con frequenti pun­ tate alla sua tenuta di Corbola, sul Pd01• Ozi quieti, e anche noiosi, non fosse per gli amici - Lorenzo, fin che visse, e Poliziano - e per la familiarità, screziata di qualche incomprensione, col Savonarola. Questa del frate domenicano è matassa difficile da sbrogliare. Non si sa bene dove e quando Pico l' avesse incontrato la prima volta. La notizia di un approccio al concilio domenicano a Reg­ gio E milia nel 1 482 poggia su basi insicure, anche se è verosi­ mile che delle gesta del sanguigno predicatore ferrarese il Conte abbia avuta notizia precoce102. Del resto Girolamo era nipote di Michele Savonarola, medico illustre e ben noto nella città esten­ se, dove tutti conoscevano tutti, e in specie le famiglie notabili si tenevano diligentemente d 'occhio. Fatto sta che, secondo la bio­ grafia savonaroliana del cosiddetto Pseudo-Burlamacchi, sarebbe stato proprio Pico a chiedere a Lor�nzo de' Medici di invitare il domenicano a Firenze nel 1 48910}. E sicuro che da Pico vennero denari per il convento di San Marco, oboli su cui il Savonaro­ la faceva conto, e che non dovettero essere di piccola entità104• I due si fermavano a discutere nel chiostro di San Marco - anche di Zoroastro, come nel racconto di Crinito - e Giovanni andava volentieri alle prediche del frate, in compagnia di Ficino, Poli­ ziano e dello stesso Lorenzo105• 101 Cfr. Busi, Vera rela7.ione cit., pp. r 37-4 I , r98-2oo. 102 Cfr. A. Gheradi, Nuovi documenti e studi intorno a Girolamo Savonarola, Firenze

1876, pp. 250-53. 10' Scrive lo Pseudo-Burlamacchi: « acciocché voi crediate che fedelmente e di buon inchiostro vi voglia servire - avrebbe detto Lorenzo al Conte - Vostra Signoria comporrà la lettera in quel modo che vuole e il mio cancelliere la scriverà, e poiché l'arà scritta, del vostro suggello la suggellerà>> (cit. in Ridolfi, Vita cit. , vol. I , p. 44). 1 "' Il sostegno economico di Pico è poi ricordato dallo stesso Savonarola, nella sua lette­ ra del ro marzo '49' a Domenico Buonvicini (incipit: >, 8 (1942), pp. 5-39; S. Tedeschi, Etiopi e Copti al concilio di Firenze, in « Annuarium Histo­ riae Conciliorum>>, 2 1 ( r 989), pp. 380-407; R. C. Trexler, The Journey o/the Magi. Meaning in History ofa Christian Story, Princeton 1997, pp. 1 28-29, che include questa guidata dal Sarteano tra le «Magian Embassies>>. Il 3r agosto 1441 Eugenio IV ricevette la delegazione copta in Santa Maria Novella, mentre incontrò gli etiopi i1 2 settembre. Le visite di etiopi a Roma durante il secolo xv erano per altro piuttosto frequenti: vedi B. Weber, Gli Etiopi a Roma nel Quattrocento. Ambasciatori politici, negoziatori religiosi o pellegrini?, in >, r 1 5 (2002), pp. 1 33·70: pp. 1 56-58; Th. Sullivan, Parisian Licentiates

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Nel dipinto, che costituiva lo scomparto centrale di un polittico per la chiesa di San Giorgio di Ferrara, l'occhio è catturato dalle due tavole della legge - « tabelle biscornute d'intenzione mosaica»1\ come le defini Longhi - che recano il decalogo in ebraico, nella forma abbreviata dei diversi comandamenti17 (figura z ) . D a chi sono state suggerite l e tavole? Difficile pensare che sia­ no farina del sacco di Tura. La caccia alla soffiata ebraizzante è 1 1 fficialmente aperta, e il primo sospettato è Pellegrino Prisciani (circa 1 435 - 1 5 1 8) , storico ufficiale degli Este, astrologo, consi­ gliere, insomma un eclettico, protagonista per decenni della scena intellettuale ferrarese. Dato il prestigio di cui l'umanista godeva a corte, e considerati i suoi precedenti interventi nella realizzazione di opere pittoriche (celebre, e studiatissima, è la sua partecipazione al progetto di Schifanoia) , è lecito supporre che anche nel caso di un lavoro cosi importante come la Pala Roverella Prisciani abbia detto la sua. L'uso dell'ebraico offre per altro un buon indizio a favore di un simile coinvolgimento. Di cose ebraiche Prisciani s 'interessava assai, e per di piu aveva familiarità con un erudito ebreo, Avraham Farissol, un oriundo d' Avignone molto informato, curioso e duttile. In I talia, Avraham era attivo almeno dal 1 470. Lo troviamo dapprima a Mantova18, mentre nel 1 47 3 è sicuramente a Ferrara, ove termina la copia di un manoscritto con traduzioni ebraiche di Aristotele19• Nella città estense risiedeva per altro, dai primi anni Sessanta, suo padre Mordekay, esperto di musica, tanto da essere definito, nei documenti ferraresi, « Angelo dal Chitarrino ». Oltre a suonare e a copiare codici, Mordekay-Angelo ebbe la passione del gioco d ' azzardo20, mentre Avraham si guadagnò la stima dei i11 Theo!ogy, A.D. IJ 73 - 1500. A Biographica! Register, 2 voli. , Leiden 2004-r r, vol. I I , pp. �87-88. Mori nel 1474. Non si hanno documenti certi sulla data di esecuzione della Pala. La maggior parte degli studiosi ritiene che sia stata eseguita dopo la morte di Roverella. Cfr. M. Molteni, Cosmè Tura, Milano 1 999, pp. I I 1 - 1 2; J. Manca, Cosmè Tura. The Li/e and Art o/ a Painter in Estense Ferrara, Oxford 2000, p. u5. 16 R. Longhi, Officina Ferrarese 1934 seguita dagli Ampliamenti 1940 e dai Nuovi am­ pliamenti I94D-I9JJ, Firenze 1 956, p. 25. 1 7 Sul testo delle tavole cfr. anche C . Cieri Via, Il tempio come «focus iustitiae». La l'ala Rovere/la di Cosmè Tura, in La corte e lo spazio. Ferrara estense, a cura di G. Papagno e A. Quondam, Roma 1 982, pp. 577-91 , tavola 208. La scritta ebraica è segnalata da Ronen, Iscrizioni ebraiche ci t . , p. 6o7; G. B. Sarfatti, Hebrew Script in Western Visua! Arts, in « Ita­ lia>>, 1 3 - 1 4 (200 1 ) , pp. 451 -547 = pp. 543-44, n. 247. " Vedi D . B . Ruderman, The Wor!d o/a Renaissance ]ew. The Li/e and Thought o/Abra­ bam ben Mordechai Farissol, Cincinnati 1 9 8 1 , pp. 1 2- 1 3 . 1 9 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 88. 3 2 . ,. S u Angelo (o Agn.olo, ebr. Mordekay) >, Campbell afferma paradossalmente che le lettere incise nella pala Jimostrano « [the] association of writing with violence, which underlies the imagery of the painting>> (p. 1 20). Campbell stesso si trova del resto in difficoltà nel conciliare la propria teoria con la politica degli Este ( « I n the light of the resolute . . . protection by the Este of their Jewish subjects, i t can be seen that any form of anti-Jewish gesture or utterance . . would have had a charged politica! significance>>) e ipotizza pertanto che il polittico fosse cripticamente rivolto ai convertiti ebrei di Ferrara (pp. 1 2 3-25). L'ipotesi è assai difficil­ mente sostenibile, se si considera che nella Ferrara del settimo decennio del Quattrocento la presenza ebraica si riduceva a poche famiglie e che un simile >, in Dizionario biografico degli italiani, vol. LVI , Roma 2oo r , pp. 452-55. " Su Gianfrancesco, nato nel 1 469, vedi C. B . Schmitt, Gianfrancesco Pico della Mi­ randola (r469-r5JJ ) and bis Critique ofAristotle, The Hague 1967. " Lo stesso Giraldi salvò a malapena la pelle, come riferisce nella dedica postuma del De re nautica al suo defunto protettore: > (L. G. Giraldi, Opera om­ nia, Basileae r 580, p. 639). ,. A. Luzio, Un pronostico satirico di Pietro Aretino, Bergamo 1900, p. 8: >, cosi la descrive l'inventario redatto alla morte di Lorenzo il M ilgnifico (E. Mi.intz, Les collections des Médicis au xv siècle. Le musée, la bibliothèque, le mohilier, Paris-London r 888, p. 78). " H. Locher, Domenico Ghirlandaio. Hieronymus im Gehduse. Malehrkonkurrenz und ( ;,•hlertenstreit, Frankhtrt am Main 1 999, pp. 63-66, ha analizzato con cura le differenze di .unbientazione tra il dipinto di Detroit e quello fiorentino. " Cfr. Ronen, Iscrizioni ebraiche ci t., p. 6o9: >, 44 ( r 984), pp. 207-r y pp. 2 1 3- 1 4 e 2 1 5, nota 26 (ove la decifrazione è attribuita a S. C. Reif). L'interpretazione che Kemp dà dell'ebraico è ripresa, senza discussione, da Locher, Domenico Ghirlandaio. Hieronymus im Gehiiuse ci t., p. 95; ]. K. Cadogan, Dome­ nico Ghirlandaio. Artist and Artisan, New Haven 2ooo, p. 2 r6. 46 Il 1 4 giugno 1 480, Giovanni si fa rappresentare, con atto del notaio Antonio da Carpi di Ferrara, da un certo Andrea Bisacchi. Nel documento il nostro Contino, appena diciassettenne, si fregia già di una sfilza di titoli: « Reverendus in Christo pater Johannes de Pici de Mirandula filius . . . Protonotarius Apostolicus et Comes Concordie ac Rector et Administrator Plebis curate Sancti Jeminiani de Massa Diocesis Mutine>> (V. Cappi, Gio­ vanni Pico della Mirando!..• tra i rettori della chiesa curata di Massa Fina lese, in E. Grimaldi, Massa Finalese e la sua antica Pieve. Pagine di storia e di vita massese, San Felice sul Panaro 1 985, p. q r ) . Il 9 ottobre 1 480, Pico scrive a Federico Gonzaga per essere esentato dal dazio, « accadendomi andare a Padoa in studio>> (Id., Di alcune lettere giovanili di Giovanni Pico della Mirandola ( r 479-r 483 ) , in « Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi>>, 8 ( r 986), pp. 1 55-7 2: p. r 66). Il r 6 dicembre dello stesso anno ottiene le patenti con i privilegi di studente (G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, Mo­ dena q8r-86, vol. IV, p. 97). Per precisione cronologica va detto che - come ha rilevato R. Lightbown, Sandra Botticelli, Berkeley - Los Angeles 1 978, vol. II, p. 39 - la data r48o sull'affresco del Ghirlandaio è ovviamente da intendersi in stile fiorentino, e indica quindi il periodo che va dal 25 marzo r 48o al 24 marzo r 48 r . " Del Medigo afferma di aver composto le due dissertazioni sull'intelletto materiale « su_ richiesta del Principe [Pico] » e di averne completato il testo ebraico alla fine del mese di Seva( 5242 (gennaio 1 482): Paris, Bibliothèque nationale de France, ms hébr. 968, cc. 79r- r nr (cfr. S. Munk, Mélanges de philosophiejuive et arabe, Paris r859. p. 5 1 0, nota r ; Cassuto, Gli Ebrei a Firenze cit. , p. 265, nota 4). " È indubbio che Giovanni fosse capitato a Firenze precedenza, forse già nel r 479· Lo provano: i) una lettera al Poliziano, non datata ma probabilmente del 1 482: « Cum superiori­ bus annis Florentiae essem, amatorias elegias quattuor apud te reliqui >> (Pico della Mirandola, Opera omnia cit. , vol. I, p. 372); ii) un'epistola pichiana al Ficino, anch'essa senza data ma del 1 482 (giacché la risposta è del 15 dicembre di quell'anno): >, 2 [ r 883], pp. 7 r - ro r : p. 72).

PICO VISIVO

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a noi. Lo stemma del giovin signore, con tanto di cappello eccle­ siastico nero, campeggia sull' incunabolo delle opere di Macrobio uscito dai torchi di NicolaJenson, a Venezia, nel 1 47261 • Nel tardo Quattrocento, chi voleva far l ' elegante, nonostante le invenzioni moderne, doveva portare i libri a stampa dal miniatore, affinché li impreziosisse con capilettera e fregi, togliendo loro l' anonima­ to operaio del torchio. Cosi fu fatto per Giovanni, e si assoldò un bravo illustratore, che aveva appreso l' arte a Ferrara e lavorava già per il fiore della nobiltà e dell ' alta borghesia in quel di Venezia. Un artista dallo stile gentile, che popolava le pagine di « delicati putti . . . languidi sa tiri . . . draghi con perle in bocca»62• Giovanni adole­ scente si sarà perso in questo mondo figurato, tanto da imparare ad amare, oltre alle parole, i tratti di penna e pennello del suo Mae­ stro miniatore, di cui non conosciamo il nome. Sappiamo però che il Conte lo predilesse, tanto da continuare a servirsene anche dopo il 1 478, quando gli mori la madre. Si rivolse a lui per impreziosire le Vite parallele di Plutarco, uscite sempre per Nicholas Jenson, a Venezia, nel 1 478-7963 e due anni dopo gli affidò la miniatura di un codice con la Storia naturale di Plinio il Vecchio. Tra le com­ mittenze artistiche di Pico, è senz ' altro questa la piu importante c ambiziosa che ci sia giunta. L' « operazione Plinio» aveva preso l' avvio a Ferrara, con Nicolò Mascarino, un amanuense di buona reputazione64• Il 1 6 agosto 1 48 1 , Mascarino completava l ' ultima carta della copia manoscritta - erano in tutto 458, un gran lavoro - con la firma e il nome del mecenate, « ad instantiam M(agnifi)ci Comitis Joannis de la Mirandola»65 • Poi qualcuno - Pico stesso? 61 Cambridge, Trinity College Library, Trin. VI. I 8. 5 2 ; cfr. L. Armsrrong, Il Maestro di l'ico. Un miniatore veneziano del tardo Quattrocento, in