Foscolo

Table of contents :
Indice......Page 5
La poesia della ribellione......Page 6
Panorama......Page 9
La vita......Page 11
L'ambiente......Page 24
Cronologia
......Page 31
Focus
......Page 37
Il suo mondo e le sue idee......Page 38
Poesie (1803)
......Page 55
Traduzioni poetiche (1803-1807)......Page 62
Dei sepolcri (1807)......Page 65
Le grazie (1812-1822)......Page 74
Le tragedie......Page 80
Tieste......Page 81
Ajace......Page 82
Ricciarda......Page 84
Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802-1817)......Page 86
La traduzione del Viaggio sentimentale e la Notizia intorno a Didimo Chierico (1813)......Page 98
La fortuna e gli influssi......Page 102
Gli influssi su Leopardi......Page 106
Gli influssi su Montale......Page 110
Amici e nemici......Page 115
Approfondimenti......Page 126
I gradi di separazione di Foscolo......Page 127
La fedeltà alla rivoluzione......Page 128
Un amaro bilancio politico......Page 129
L'unica possibile felicità......Page 130
L'incontro di Jacopo con Parini......Page 132
Il destino dell'Italia......Page 133
Alla sera......Page 134
A Zacinto......Page 135
In morte del fratello Giovanni......Page 136
Dei sepolcri......Page 137
L'editto di Saint-Cloud......Page 139
Le tombre degli illustri......Page 141
Le tombre di Troia......Page 142
Dell'origine e dell'ufficio della letteratura......Page 143
Le grazie......Page 144
Il ritratto di Didimo Chierico......Page 146
Lettera a M.A. Fagnani Arese......Page 147
Lettera a Silvio Pellico......Page 148
Opere di Foscolo......Page 150
Testi su Foscolo......Page 151
Zante......Page 153
Pavia......Page 154
Londra......Page 155

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GRANDANGOLO CORRIERE DELLA SERA

GRANDANGOLO LE T T E R A T U R A

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FOSCOLO a cura di Maria Maddalena Lombardi

COBBIEBE DELLA SEBA

Grandangolo Letteratura Voi. 9 - Ugo Foscolo © 2017 O ut of Nowhere Srl © 2017 RCS MediaGroup S.p.A., Milano È vietata la riproduzione dell’opera o di parte di essa, con qualsiasi mezzo, compresa stampa, copia fotostatica, microfilm e memorizzazione elettronica, se non espressamente autorizzata dall’editore. Tutti i diritti di copyright sono riservati. Ogni violazione sarà perseguita a termini di legge. Edizione speciale per Corriere della Sera pubblicata su licenza di O ut o f Nowhere S.r.l. Il presente volume deve essere venduto esclusivamente in abbinamento al quotidiano Corriere della Sera LE GRANDI INIZIATIVE DEL CORRIERE DELLA SERA n. 3 del 17/1/2018 Direttore responsabile: Luciano Fontana RCS MediaGroup S.p.A. Via Solferino 28, 20121 Milano Sede legale: via Rizzoli 8, 20132 Milano Reg.Trib. N. 795 del 16/11/2004 ISSN 1824-92800 Responsabile area collaterali Corriere della Sera: Luisa Sacchi Editor: Martina Tonfoni Concept e realizzazione: O ut of Nowhere Srl Ideazione e introduzioni di Giorgio Rivieccio Focus e pagine scelte a cura di Maria Maddalena Lombardi Biografìa e ambiente a cura di Gabriele Dadati Impaginazione: Marco Pennisi & C. Srl

Indice

La poesia della ribellione

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PANORAMA

La vita L’ambiente Cronologia

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FOCUS a cura di M aria Maddalena Lombardi

Il suo mondo e le sue idee Le opere La fortuna e gli influssi Amici e nemici

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APPROFONDIMENTI

I gradi di separazione di Foscolo Pagine celebri e pagine dimenticate Leggere, vedere, visitare

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LA POESIA DELLA RIBELLIONE

Ugo Foscolo trasportò la letteratura italiana al di sopra dell’abisso tra due secoli, il Settecento e l ’Ottocento; un compito tu tt’altro che facile poiché se il secolo X V III eb­ be in pochissimi anni una fine immediata e irreversibile —in campo non solo storico-politico, ma anche culturale —, rimanendo definitivamente archiviato dalla Rivoluzione francese e dall’età napoleonica, il secolo successivo si pre­ sentò come un’incognita, un mondo tutto da decifrare. Le certezze con cui l ’Ottocento sembrò annunciarsi in segui­ to all’avvento di Bonaparte in Europa furono destinate a frantumarsi presto, in seguito all’inatteso strapotere dell’ex console autoproclamatosi imperatore francese, poi alla sua caduta e infine alla Restaurazione del Congresso di Vienna. E così avvenne per Foscolo —nella cui vita e nella cui ope­ ra Napoleone avrebbe sempre rappresentato una presenza ingombrante - sia negli anni dell’iniziale entusiasmo del giovane letterato, sia in quelli della delusione che ne seguì.

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Greco, italiano, neoclassicista, romantico, esule, poeta, tragediografo, critico, traduttore, patriota, militare: sono le tante fisionomie assunte da Foscolo, ma indissolubili fra loro; tutti aspetti di una stessa realtà. Il Foscolo militare e il Foscolo poeta sono un tu tt’uno; e così la sua «scrittura dell’io» e la coscienza civile, l ’a nima politica e quella este­ tica. Del neoclassicismo Foscolo assorbì l ’amore per l ’antica Grecia, lo stile e gli ideali estetici, ma se ne distaccò per l ’impetuosa presenza nei suoi scritti della storia contempo­ ranea, dell’attualità. Quanto al romanticismo, oggi la cri­ tica tende giustamente a non etichettare, come in passato, un Foscolo “neoclassico”e un Foscolo “rom anticoegli non è né l ’uno né l ’altro ma è certamente uno dei prim i letterati che si possono definire moderni. Soprattutto perché, con la fine delle certezze iniziali, avverte la necessità ininterrotta di alimentare quelle illusioni (l’amore, la poesia, la patria, la bellezza, le sepolture come proseguimento dell’impronta di una vita) di cui non si può fare a meno, a dispetto delle continue delusioni cui si va necessariamente incontro. Non si arrende mai, perché la resa è la negazione della poesia, e viceversa. Il critico Walter Binni ha messo in rilievo, difat­ ti, < d ’intensità con cui egli realizza e supera le premesse del suo tempo», che «assorbe e brucia gli alimenti della cultura letteraria nel suo respiro originale per una propria crea­ zione». Si tratta di una «irrequieta, intensa vitalità senza mediocrità, nella sua tensione a volte persino eccessiva, ma necessaria alla sua poesia». Anche per questo, l ’esilio di Foscolo, e il suicidio del suo

alter ego Jacopo Ortis, non vanno letti come una rinuncia, ma come un “auto-sradicamento” dalla patria e dall’esi­ stenza, la ribellione ultima nei confronti della società, dell ’«odore scomposto della vita, proprio l ’odore e non il profu­ mo» (Enzo Siciliano), sotto le apparenze della motivazione amorosa. Sempre in questa chiave, la filoioga Maria A n­ tonietta Terzoli ha proposto anche una lettura cristologi­ ca dell’O rtis, nella quale il protagonista diviene «vittima consapevole e volontaria, capace di un sacrifìcio salvifico ed espiatorio». Siamo dunque molto lontani dal suicidio del Werther goethiano, il libro considerato iniziatore del ro­ manticismo, al quale /'Ortis viene da sempre accostato. Lo stesso Foscolo scriveva in una lettera: «Werther e Jacopo so­ no per natura differentissimi; il primo sogna, il secondo di­ spera, sia dell’amore che della indipendenza della patria»; ma ciò non gli impedì di inviare il suo romanzo allo stesso Goethe facendolo precedere da una lettera piena di umiltà in cui «forse» riconosceva un’influenza iniziale dell’opera del Francofortese nella sua. Goethe non gli rispose mai. G.R.

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Ugo Foscolo, ritratto dal pittore francese, e suo am ico, Fra n p ois-X avie r Fabre, 1813, B iblioteca Nazionale Centrale, Firenze. Lo scrittore si disse «fie ro e confuso di essere stato ritratto da colui che aveva dipinto Alfieri»

LA VITA

go Foscolo nacque nell’isola greca di Zante (la Zacinto cui dedicherà uno dei suoi sonetti più noti e alcuni versi de Le Grazie), all’epoca possedimento della Repubblica di Venezia, il 6 febbraio del 1778. I genito­ ri sono Andrea, medico di vascello di origini veneziane e nato a Corfù, e Diamantina Spathis, greca. Dopo di lui la coppia avrà altri tre figli: Rubina e i due fratelli poi morti suicidi, Gian Dioniso detto Giovanni (a soli vent’anni, nel 1801) e Costantino Angelo detto Giu­ lio (compiuti i cinquanta, nel 1838, in Ungheria dove era militare di carriera). Il suo nome di battesimo era Niccolò, in onore del nonno paterno, ma egli stesso si ribattezzò ben presto Ugo, forse in onore di un suo avo. La formazione avvenne tra la nativa Zante e il Semi­ nario arcivescovile di Spalato, dove il padre si dovette trasferire nel 1785 per motivi di lavoro. Dopo la morte improvvisa di questi, nel 1788, la madre andò a Venezia

U

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A ndrea A ppiani, ritratto di Ugo Foscolo ve n tiq ua ttre n n e (1 8 0 2 ), all'epoca della prim a edizione m ila n e se dette Ultime lettere di Jacopo Ortis. La data è conferm ata dalia scritta "Teresa", che Foscoto sta incidendo sul tronco, riferim ento alla sua passione per la m og lie di V ince n zo M onti, in seguito, ne avrebbe evocato il nom e per definire il proprio ideate fe m m in e o.

e Ugo e Giovanni tornarono animatissima isola greca. Foscolo rivendicherà sempre le sue origini greche, ma la sua molteplice identità linguistica e culturale non gli impedì di sentirsi idealmente italiano al punto di riba­ dirlo nella dedica alla città di Reggio Emilia della prima edizione dell’ode Bonaparte liberatore: 66 GIOVANE, QUAL MI SON IO, NATO IN GRECIA, EDUCATO FRA DALMATI, E BALBETTANTE DA SOLI QUATTR’ANNI IN ITALIA, NÈ DOVEA NÈ POTEVA CANTARE AD UOMINI LIBERI ED ITALIANI. MA L’ALTO GENIO DI LIBERTÀ CHE M’INFIAMMA, E CHE MI RENDE UOMO, LIBERO E CITTADINO DI PATRIA NON IN SORTE TO CCATA MA ELETTA, MI DÀ I DIRITTI DELL’ITALIANO 95 * U. Foscolo, Alla città di Reggio, dedica di Bonaparte liberatore, 1797

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Nel 1792 la famiglia tornò a riunirsi a Venezia. Dal 1793 Foscolo frequentò le scuole di San Cipriano. Qui insegnavano il latinista Ubaldo Bregolini, il grecista Giambattista Galliccioli e l’abate Angelo Dalmistro, che assecondarono le sue inclinazioni letterarie. Co­ minciò a comporre versi riuscendo a pubblicarne al­ cuni su Vi Anno poetico grazie all’abate Dalmistro. Nel frattempo iniziò, grazie a Morelli, la frequentazione dei migliori salotti veneziani, tra cui quello di Giusti­ na Renier Michiel e della sua rivale, Isabella Teotochi Albrizzi, prima ardente passione del giovane. Conobbe così Ippolito Pindemonte e il poeta Aurelio de’ Giorgi Bertola, ma soprattutto si inserì in un ambiente in­ ternazionale, che recepiva i dibattiti sulla Rivoluzione francese allora in corso. Frequentò anche l’ambiente letterario di Brescia e di Padova, dove conobbe Melchiorre Cesarotti, tradut-

SEPOLCRI C A R >1 E 0« CCO FOSCOLO

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tore dei famosi Canti di Ossian (i celebri poemi che lo scozzese James MacPherson aveva fìnto di scoprire e attribuito a un leggendario bardo gaelico chiamato Os­ sian, e che avrebbero influenzato non poco la nascita della cultura preromantica), per il quale provava pro­ fonda ammirazione. Allo scrittore padovano sottopose nel 1795 una prima stesura della sua tragedia Tieste, che mostrava chiari influssi della drammaturgia di Vit­ torio Alfieri e uno spirito fortemente antitirannico. In questo stesso periodo stilò un Piano di studj per migliorarsi, fondato su «Morale, Politica, Metafisica, Teologia, Storia, Poesia, Romanzi, Critica, Arti» che includeva anche un programma di letture, suoi scritti e abbozzi di future opere cui attendere. Tra i classici da studiare Cicerone, Montesquieu, Rousseau, Locke, Tucidide, Senofonte, Sallustio e i grandi storici ro­ mani; tra gli epici Omero, Virgilio, Dante, Tasso e

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Frontespizio dell'edizione del 1807 dei Sepolcri di Foscolo.

Milton; tra i moderni gli inglesi Thomas Gray, autore della celebre Elegia scritta in un cimitero campestre, e Edward Young, famoso per l’elegia Pensieri notturni, poesie sepolcrali che lo avrebbero molto influenzato, e gli italiani Alfieri e Parini. Senza tralasciare le Sacre Scritture. Stanco della vacuità dei salotti veneziani, soggiornò più volte a Padova dal 1796. Qui pubblicò alcuni arti­ coli sul Mercurio d ’Italia-, l’anno dopo andò in scena a Venezia il Tieste, con un certo successo. I rapporti con Cesarotti, di cui pure aveva seguito lezioni accademi­ che, si raffreddarono: il padre spirituale era disilluso, poiché in Foscolo si accendeva sempre più l’ardore repubblicano. Fu quindi a Bologna, volontario tra i Cacciatori a cavallo della Repubblica cispadana napoleonica, e nella città diede alle stampe l’ode A Bonaparte liberatore-.

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Isabella Teotochi À lb rizzi, letterata, biografa e saggista italiana di origine greca, am ante delle arti e a nim atrice di un noto salotto letterario a Venezia, ritratta da Elisabeth V igé e -Le Brun nel 1792. Fu am ica e confidente di Foscolo per m olti anni, fino alla m orte di lui.

6 6 GALLIA INTUONA E DIFFONDE DI LIBERTADE IL NOME E MARE E CIELO LIBERTÀ RISPONDE. 99 A Bologna fu raggiunto dalla notizia che l’oligarchia ve­ neziana aveva ceduto alle pretese napoleoniche di costi­ tuire un «Provvisorio Rappresentativo Governo», il che lo spinse a tornare in Laguna. Legato all’ala più radicale dei patrioti veneziani, tra i quali figurava anche Vincen­ zo Dandolo, suo intimo amico, Foscolo ricevette la no­ mina a Segretario redattore della Municipalità. Si sareb­ be dimesso, però, dopo che Napoleone, con il Trattato di Campoformio, avrebbe ceduto Venezia - fino a quel momento formalmente libera —all’Austria asburgica. Ebbe inizio così un esilio volontario che lo portò pri­ ma a Firenze e poi a Milano, non senza essere salito sulla tribuna veneziana un’ultima volta «per vomitare tutte le

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imprecazioni possibili contro il generale Bonaparte. Ar­ mato di un pugnale, facendo esclamazioni e contorsioni orribili, lo ha immerso con furore nel parapetto della tribuna, giurando di immergerlo allo stesso modo nel cuore del perfido Bonaparte». A Milano conobbe Giuseppe Parini e divenne amico di Vincenzo Monti. Ebbe con quest’ultimo un rapporto controverso, conflittuale - anche a causa della relazione che avrebbe avuto con sua moglie, l’attrice Teresa Piklerallo stesso tempo, però, ne prese le difese quando Monti fu accusato di essere antirivoluzionario. Il dibattito po­ litico a Milano era acceso ma Foscolo, in continua in­ digenza, nonostante il suo coinvolgimento nel Circolo costituzionale di Milano e nella direzione del Monitore Italiano di Melchiorre Gioia, tornò a Bologna, dove riu-* *

Verbali delle sedute della M unicipalità provvisoria di Venezia, 1797, a cura di A. A lberti e R. Cessi, Zanichelli, Bologna 1928

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sci ad avere un impiego presso il Tribunale. Qui tenne la rubrica “Istruzioni politico-morali” sul Genio Democra­ tico e avviò la pubblicazione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, interrotta dall’avanzata delle armate austro-russe. Tra il 1799 e il 1801 si arruolò nella Guardia Nazio­ nale della Repubblica cisalpina e combattè a fianco dei francesi contro gli austro-russi, riportando diverse feri­ te, fino alla battaglia di Marengo. Partecipò poi alla di­ fesa di Genova assediata. Furono anche anni intensi dal punto di vista letterario: ripubblicò l’ode A Bonaparte liberatore aggiungendovi una premessa molto polemica nei confronti del generale francese, e nel 1800 compose l’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo. Nel 1802 fu al servizio della Repubblica italiana bo­ napartista, e dal 1805, dopo la proclamazione di Napo­ leone a imperatore del Regno d’Italia, fu anche incarica­ to di compilare una parte del Codice militare. Il suicidio

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del fratello Giovanni, avvenuto nel dicembre del 1801 a Venezia - forse per debiti - , lo turbò profondamente. Nel 1803 pubblicò i sonetti che comprendono i suoi ti­ toli più famosi: A Zacinto, In morte delfratello Giovanni, Alla Musa, Alla Sera: 6 6 FORSE PERCHÉ DELLA FATAL QUIETE TU SEI L’IMMAGO A ME SÌ CARA VIENI O SERA! [...] E MENTRE IO GUARDO LA TU A PACE, DORME QUELLO SPIRTO GUERRIER CH’ENTRO MI RUGGE.99 Tradusse la Chioma di Berenice di Catullo - a sua volta traduzione da Callimaco - e vi aggiunse un inno alle Grazie che anticipava il tema del futuro poemetto. Tra il 1804 e il 1806 con incarichi militari fu in Fran-

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L'angelo piangente, cenotafio di Ugo Foscolo a Zante, nella via dove il poeta visse e che oggi

è intitolata a lui. Le sue ceneri si trovano invece nella Basilica di Santa Croce a Firenze,

eia, dove riuscì a dedicarsi ugualmente all’attività lette­ raria. Iniziò un esperimento di traduzione dell’Iliade e rese in italiano il Sentimental Journey dell’inglese Laurence Sterne. A Parigi conobbe Manzoni, più giovane di lui di sette anni, senza che tra loro nascesse alcuna sim­ patia. Dopo il rientro in Veneto - dove fu ospite di Isa­ bella Teotochi Albrizzi e incontrò nuovamente Cesarotti e Pindemonte - nacque l’idea del carme Dei Sepolcri, suscitata dall’editto napoleonico di Saint-Cloud (1804) che prescriveva forti restrizioni alle sepolture, tra cui l’u­ guaglianza delle tombe e l’abolizione degli epitaffi. Continuarono le peregrinazioni e la sua complessa vita sentimentale: fra i suoi amori, oltre a Teresa Pikler, Isabella Rondoni, Antonietta Fagnani Arese (l’«amica risanata» dell’ode famosa che però lo definì «un roman­ zetto ambulante»), l’inglese Fanny Emerytt (dalla quale ebbe forse una figlia, Mary, dal poeta ribattezzata Floria-

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na), Marzia Martinengo, Maddalena Bignami, Quirina Mocenni Magiotti. Il rapporto con la Teotochi Albrizzi sembra invece fosse soltanto platonico. Nel 1809 ottenne la cattedra di eloquenza a Pavia. Dopo l’orazione iniziale - D ell’origine e dell’ufficio della letteratura - e cinque lezioni, il suo insegnamento fu soppresso. Quelli seguenti, a Milano, furono anni di af­ flizione: alla rottura con Monti si aggiunse l’insuccesso della tragedia Ajace alla fine del 1811. Tra il 1812 e il 1813, Foscolo risiedette a Firenze dove, nell 'entourage della Contessa d’Albany, già compagna di Vittorio Al­ fieri, conobbe un periodo di grande creatività letteraria. Tornato a Milano, nel 1814, entrò in rapporti amiche­ voli con gli austriaci vittoriosi su Napoleone; gli venne offerta la collaborazione alla nascente Biblioteca Italia­ na, di cui stese il programma, ma si rifiutò di giurare fedeltà agli austriaci, sottraendovisi con l’esilio e do­

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nando così all’Italia, come disse Carlo Cattaneo, «una nuova istituzione», cioè l’esilio volontario per amore di libertà. Il 12 settembre 1816 giunse a Londra attraverso Germania e Olanda. Fu un periodo meno inquieto dei precedenti: Foscolo si dedicò per lo più all’attività editoriale e giornalistica, frequentò gli intellettuali lon­ dinesi, scrisse saggi critici sulle principali figure della tradizione storico-letteraria italiana. La stesura defini­ tiva dei suoi capolavori - la quarta edizione dell’Or­ tis e l’ultima delle Grazie - potè così concretizzarsi in tranquillità. Nel 1822 ritrovò a Londra, dopo lunghe ricerche, la figlia Floriana (ma alcuni critici sono del parere che egli non ne fosse in realtà il padre); intanto la sua vita dispendiosa iniziò a sommergerlo di debiti e gli procurò anche qualche giorno di carcere, nel 1824. Si trasferì poi con Floriana nel modesto sobborgo lon­

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dinese di Turnham Green, dove la malattia epatica di cui soffriva andò peggiorando. Foscolo morì il 10 settembre del 1827, a causa di un edema polmonare, a quarantanove anni. Fu seppellito nel cimitero di Chiswick, dal quale nel 1871 le ceneri furono trasportate nella chiesa di Santa Croce a Firenze. Di Floriana si persero le tracce; secondo alcuni sarebbe morta pochi anni dopo di lui.

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L’A MBIENTE

HO VISTO L’IMPERATORE - QUEST’ANIMA DEL MONDO - USCIRE A CAVALLO DALLA CITTÀ PER ANDARE IN RICOGNIZIONE; È, IN EFFETTI, UNA SENSAZIONE MERAVIGLIOSA VEDERE UN TALE INDIVIDUO CHE, QUI, CONCENTRATO IN UN PUNTO, SEDUTO SU UN CAVALLO, S’IRRADIA PER IL MONDO E LO DOMINA.*99 Così Georg Wilhelm Friedrich Hegel, massimo rappre­ sentante dell’idealismo tedesco, riassunse l’intero spirito di un’epoca quando potè assistere all’ingresso di Napoleo­ ne Bonaparte con il suo esercito a Jena il 13 ottobre 1806. Non solo per i francesi, ma anche per gli europei “conquistati” Napoleone incarnava infatti la figura del generale che avrebbe spazzato via la storia europea dei secoli precedenti, conclusasi con la Rivoluzione france* F. Hegel, Lettere, trad. R M anganato e V. Spada, Laterza, Bari 1972

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se, per segnare l’alba di una nuova era. L’ultimo quarto del XVIII secolo vide infatti grandi cambiamenti inve­ stire l’Europa e il mondo, che ne trasformarono in pro­ fondità l’assetto politico e sociale. In breve tempo gli spazi più o meno immobili delle grandi monarchie eu­ ropee furono prima minacciati dai venti di fuoco della Rivoluzione, e poi calpestati dalle marce forzate degli eserciti di Napoleone, che in Germania portarono alla fine del plurisecolare Sacro Romano Impero, l’ultima istituzione europea erede dell’Impero romano, e, conte­ stualmente, alla nascita della Confederazione del Reno, la quale, nonostante la vita brevissima, significò una tap­ pa fondamentale per la nascita di quello Stato tedesco che avrebbe visto la luce circa mezzo secolo più tardi. L’ascesa napoleonica ebbe riflessi cruciali sulla storia d’Italia. Nel 1796, a capo dell’Armata d’Italia su vo­ lere del Direttorio, Bonaparte, ambizioso e capace di grande presa sui suoi ufficiali, attraversò le Alpi al passo di Cadibona, divise e sconfisse ripetutamente le forze austriaco-piemontesi, inducendo in breve tempo Vit­ torio Amedeo III di Savoia a sottoscrivere l’armistizio di Cherasco. Se la sanguinosa battaglia di Lodi aprì a Napoleone l’ingresso a Milano già il 15 maggio, la presa di Mantova del febbraio 1797 costò diversi e duri scon­ tri. Cadute anche Modena e Parma, e costretto lo Stato pontificio alla pace di Tolentino, il comandante francese avanzò a Nord fino a minacciare da vicino Vienna e pie­ gare l’Austria alla pace preliminare di Leoben, ratificata

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dal Trattato di Campoformio dell’ottobre di quello stes­ so anno, che sancì la legittimità della Repubblica cisal­ pina (che comprendeva le attuali regioni Lombardia ed Emilia-Romagna e parte del Veneto e della Toscana) e della Repubblica ligure. Un mese dopo Napoleone en­ trò trionfalmente a Parigi, preceduto da enormi ricchez­ ze e opere d’arte trafugate dall’Italia. Bonaparte, che divenne Primo console, si accentrò il potere legislativo, il controllo sull’esecutivo e la pre­ rogativa sulla scelta delle più alte cariche. Nel 1800 riu­ scì a ottenere una vittoria schiacciante sugli austriaci a Marengo; già console a vita per plebiscito dal 1802, nel maggio del 1804 fu proclamato dal Senato “imperatore dei francesi”, con titolo ereditario, incoronazione solen­ ne a dicembre nella cattedrale di Notre-Dame e benedi­ zione di papa Pio VII. Sul suo capo, l’anno successivo, fu posta anche la Corona ferrea custodita nel duomo di Monza, in occasione della proclamazione a re d’Italia. Nel 1806 dichiarò decaduta la dinastia borboni­ ca che governava il Sud d’Italia e nominò re di Napoli suo fratello Giuseppe e i generali André Massena e Jean Maximilien Lamarque quali “garanti” contro le ribel­ lioni antifrancesi (spesso soffocate nel sangue, come nel massacro di Lauria in Basilicata che causò mille morti); Roma era sì sotto il papa, ma i successori di Pietro furo­ no progressivamente privati di legittimazione e i vescovi francesi si posero in aperto contrasto con il Vaticano. Si trattò di una fase destinata ad avere vita breve, in quanto

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con la caduta di Napoleone e il Congresso di Vienna (1815) gli austriaci tornarono a governare parte dell’Ita­ lia centrosettentrionale (fra cui Veneto e Lombardia), in maniera diretta o indiretta, e il Sud della Penisola fu riconsegnato ai Borbone. «Nella vita culturale dell’età napoleonica», ha scritto lo storico Luigi Mascilli Migliorini, «si rende particolar­ mente evidente il carattere di transizione, di passaggio e di contaminazione che, in senso più generale, ha quest’e­ poca, collocata storicamente e idealmente tra la civiltà del Settecento, esauritasi con lo scoppio della Grande Rivoluzione, e la civiltà dell’Ottocento, che per nascere ha, tuttavia, bisogno che le accelerazioni, prodotte dalla Rivoluzione e poi dall’avventura napoleonica, abbiano trovato una loro conclusione. “Due secoli l’un contro l’altro armati”, dirà del XVIII e del XIX secolo Alessan­ dro Manzoni in un verso famoso del suo famosissimo Cinque Maggio, l’ode composta - come si sa - per la morte di Napoleone che della sua figura e della sua azio­ ne fa, appunto, l’elemento di transizione, di mediazione, l’arbitro - come è scritto - che mentre accoglie e liquida la tradizione dell’uno, consente all’altro di prendere for­ ma e coscienza di sé».* «I protagonisti di questa età», prosegue lo storico, «sono, infatti, tutti grandi interpreti di un passaggio, di un traghettamento della modernità europea, quale si era definita grazie all’illuminismo, attraverso la Rivoluzione * L. Mascilli Migliorini, L’età di Napoleone, “Grandangolo Storia”, Corriere della Sera, Milano 2016

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francese e la sua diffusione nell’intero continente. Ba­ sterà citare, nel caso delle arti figurative, il pittore fran­ cese Jacques-Louis David - l’autore del celebre dipinto sull’Incoronazione di Napoleone - che passa da una raffi­ gurazione degli eroi della Rivoluzione piena di richiami al mondo classico, alla rappresentazione, sul finire della sua carriera, dei nuovi eroi della società borghese ritrat­ ti, ovviamente, non più nelle pose e nei colori degli eroi dell’Antichità, ma - è un suo quadro del 1816 - con l’abito scuro del generale deH’Impero e Pari di Francia Maurice-Etienne Gérard. Oppure bisogna ricordare Antonio Canova, il maggiore scultore di quest’epoca ac­ canto al danese Bertel Thorvaldsen, che piega la lezione della statuaria greco-romana appresa nei musei italiani alle esigenze di rappresentazione del nuovo mondo e dei nuovi soggetti che la Rivoluzione ha fatto entrare in scena, a cominciare proprio dal più grande di essi, Napoleone, che riprodurrà in diverse occasioni, tra cui quella celebre in veste di Marte pacificatore conservata, nella sua versione in bronzo, alla Pinacoteca di Brera».* La vita letteraria europea dell’età napoleonica è do­ minata dalla figura di Johann Wolfgang Goethe, che nel 1774 con il suo Werther aveva aperto la strada alle irrequietudini di una nuova generazione e di un nuovo tempo e che, sessantenne negli anni napoleonici, non cessa di interrogarsi - come accade nel suo romanzo Le affinità elettive - sul ruolo dei sentimenti, piuttosto che * L. Mascilli M igliorini, L’età di Napoleone, cit.

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della ragione nella vita degli uomini, così nella loro di­ mensione privata come in quella pubblica. E lo stesso itinerario sul quale troviamo Ugo Foscolo con le sue Ul­ time lettere di Jacopo Ortis o George Gordon Byron che fa uscire nel 1812 i primi due libri del Pellegrinaggio del giovane Harold, che esprimono il passaggio dalla nitidez­ za della razionalità classicista propria del secolo XVIII alle tempeste emotive del romanticismo ottocentesco. L’obiettivo principale degli autori italiani del primo Ottocento è anche quello di creare una letteratura na­ zionale - come era stato per Dante, molti secoli prima, e per altri ancora - , ma anche una lingua comune, quale elemento costitutivo di un’identità nazionale, sia cultu­ rale sia politica. Emblema di questo periodo è proprio Ugo Foscolo, che non può più essere d’accordo con Napoleone, co­ me era stato da adolescente, ma non può ugualmente sentirsi vicino agli austriaci che rappresentano i vecchi poteri prerivoluzionari e che con l’inizio della Restau­ razione impediscono il procedimento di liberazione, di presa di coscienza nazionale e di indipendenza di cui gli intellettuali italiani, in gran parte, si facevano interpreti. Intanto aveva inizio anche un profondo cambiamento nella società, nel pensiero politico e nell’economia. Dal­ la Rivoluzione francese alla prima metà dell’Ottocento nuovi termini entrarono nel linguaggio europeo, scrive­ va lo storico britannico del Novecento Eric Hobsbawm: “industria”, “industriale”, “classe media”, “classe lavora­

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trice”, “capitalismo” e “socialismo”, “liberale”, “conserva­ tore”, “proletariato”, “crisi economica”. Osservando: «Se si immagina il mondo moderno senza queste pa­ role (cioè senza le cose e i concetti con cui esse si identi­ ficano) ci si può rendere conto dell’enorme portata della rivoluzione che ebbe inizio tra il 1789 e il 1848, che costituisce la più grande trasformazione che si sia avuta nella storia umana». Così proseguiva: LA GRANDE RIVOLUZIONE DEL 1789-1848 FU IL TRIONFO NON DELL’«INDUSTRIA» IN SE STESSA, MA DELL’INDUSTRIA CAPITALISTICA; NON DELLA LIBERTÀ E DELL’UGUAGLIANZA IN GENERALE, MA DI QUELLE DELLA CLASSE MEDIA O DELLA SOCIETÀ «BORGHESE» LIBERALE.* 99 In altri termini, nella prima metà dell’Ottocento gli “in­ gredienti” di questa trasformazione c’erano già tutti, ma agivano in ordine sparso e, per quanto riguarda i proble­ mi politico-economico-sociali, non riuscivano ancora a strutturarsi per raggiungere quella che oggi si definireb­ be una “massa critica”, come avvenne invece nei decenni successivi. Il “socialismo” era all’alba del XIX secolo an­ cora un concetto vagamente utopistico e solo più tardi avrebbe rappresentato la bandiera sotto la quale riunire le rivendicazioni della classe operaia e il pensiero politi­ co di borghesi e intellettuali progressisti. * E. H obsbawm , L ’età della rivoluzione, trad. di O . Nicotra, Rizzoli, M ilano 1999

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PENSIERO

MONDO

1788 Prim o insediam ento perm anente euro­ peo in Australia a Sydney.

1776 II filosofo ed econom ista scozzese Adam Sm ith pubblica l'Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, la sua opera principale, considerata il prim o lavoro che affronta nel suo com plesso i principali aspetti della m acroeconom ia, e ricco di riferim enti filosofici e politici.

1789 La presa delta Bastiglia a Parigi segna l'inizio della R ivoluzione francese.

1781 Im m a nu e l Kant pu b blica la Critica del­ la Ragion Pura, la prim a delle sue tre

1783 La Guerra d 'indipendenza am ericana ha term ine con il Trattato di Parigi, con cui l'Inghilterra riconosce l'indipendenza delle ex colonie britanniche in Am erica.

Critiche.

1793 II re Luigi XVI e ta regina M aria An to ­ nietta vengono ghigliottinati a Parigi. Ha inizio il periodo del Terrore instau­ rato da Robespierre.

1789 II filosofo e giurista britannico Jerem y Bentham pubblica T Introduzione ai prin­ cìpi della morale e della legislazione fon­ dando l’utilitarismo, che teorizza qualun­ que tipo di libertà individuale, religiosa, com m erciale, utile ad aum entare la feli­ cità degli esseri viventi, anim ali com presi.

1799 II Direttorio, regim e che era seguito al Terrore, viene sovvertito da Napoleone B onaparte che con un colpo di Stato instaura il Consolato, nel quale diviene Prim o console.

1791 L'autore politico Th o m a s Paine p u b bli­ ca la prim a parte dei Diritti dell'uomo, testo fondam entale nell’afferm azione dei diritti dell'individuo al di là di ceto, ricchezza, stato sociale.

1801 Si form a il Regno Unito di Gran Breta­ gna e Irlanda con un solo sovrano e un solo parlam ento. I cattolici sono e sclu ­ si dal diritto di voto.

1794 Nei suoi Fondamenti dell'intera dottrina della scienza il filosofo tedesco Jo hann Gottlieb Fichte si pone com e il fonda­ tore dell'idealism o tedesco, che supera la filosofia kantiana afferm ando che la realtà non è qualcosa di esterno a ll'u o ­ m o, m a il prodotto della sua libera atti­ vità spirituale. Fichte teorizzerà anche la superiorità della Germ ania incitando i tedeschi a opporsi alte invasioni na­ poleoniche.

1804 Haiti dichiara ta sua indipendenza dal­ la Francia: è la prim a nazione di popo­ lazione nera a ottenere l'indipendenza dal colonialism o europeo. Napoleone trasform a il Consolato in un im pero, autoproclam andosi im peratore dei francesi. Nello stesso anno p ro m u l­ ga il suo Codice legislativo, al quale si ispireranno m olte nazioni europee. 1885 Netta Battaglia di Trafalgar il co m a n ­ dante inglese Horatio Netson sconfigge la flotta fra n co-sp a gn ola .

1800 In Scozia l’im prenditore Robert Owen dà inizio alle sue riform e sociali nell’ottica di una prim a form a di socia­ lism o. Nonostante il fallim ento delle sue utopistiche riform e, Owen verrà

1812-1815 Dopo la disastrosa Cam pagna di R ussia, N apoleone è costretto alt’e si-

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LETTERATURA E ARTI

SCIENZA ED ESPLORAZIONI

1776 Lo sto rico in g lese E dw ard G ibbon pubblica il prim o volum e della Storia

1777 II chim ico francese Antoine Lavoisier elabora la teoria scientifica sul proces­ so della respirazione basato sull’assor­ bim ento di ossigeno ed em issione di anidride carbonica. Sem pre Lavoisier applica queste conoscenze per deter­ m inare il m e ccanism o fisico della co m ­ bustione, elim inando definitivam ente l'erronea e diffusissim a credenza fon­ data sul flogisto. Nel 1789, Antoine La­ voisier pubblicherà il prim o trattato di chim ica m oderna, scevra dalle antiche concezioni alchim istiche.

del declino e della caduta dell'Impero romano, che diventerà il testo storio­

grafico di riferim ento fino al XX secolo. 1782 Lo scultore Antonio Canova apre il suo studio a Rom a, dove eseguirà le sue opere che rappresentano il vertice della scultura neoclassica. Viene pubblicata la tragedia Saul, rite­ nuta il capolavoro di Vittorio Alfieri, au­ tore che tra l'altro precorre le tem atiche del R isorgim ento italiano.

1781 Lo scozzese Ja m e s W att'perfezio na il m otore a vapore e inventa il regolatore centrifugo, che perm ette al m otore di autoregolarsi. È la prim a applicazione nella storia di un controllo autom atico, da m olti ritenuta l'evento che segna la nascita della cibernetica. L'astronom o tedesco W illia m H erschel scopre il pianeta Urano.

1785 Donatien Alphonse-Franpois de Sade, scrittore e filosofo francese che resterà noto per incarnare il libertinism o nelle sue form e estrem e nonché l’illu m in i­ sm o più radicale, scrive in carcere Le 120 giornate di Sodoma.

1787 W olfgang Am adeus Mozart com pone il Don Giovanni, considerato l'apice della sua produzione operistica.

1783 Vola a Parigi il prim o aerostato con un equipaggio um ano. Viene costruito dai fratelli francesi Ja cque s Étienne e J o se p h -M ich e l M ontgolfier, e ha a bordo due persone.

1792 La filoso fa e scrittrice in g lese M ary W o llston e cra ft, m adre d e ll'a u trice di Frankenstein, pubblica la Rivendicazione dei diritti della donna, opera che fonda di fatto il m ovim ento fem m inista.

1786 L'am ericano Jo hn Fitch brevetta il p ri­ m o battello a vapore funzionante.

1795 Ludw ig van Beethoven com pie la sua prim a apparizione pubblica a Vienna eseguendo il suo Concerto per piano­ forte e orchestra n. 2, che in realtà fu il prim o a essere com posto.

1791 L'Assem blea N azionale francese istitui­ sce il sistem a m etrico. Per la prim a vol­ ta viene form ulato un insiem e di pesi e m isure collegati tra loro destinato a rappresentare il sistem a "universale".

1799 In Egitto viene scoperta la Stele di Roset­ ta che, grazie all'opera dì Jean-Franpois Cham pollion, perm etterà di decifrare i geroglifici egizi.

1794 M arzo. L'am ericano Eli W hitney realizza la m acchina sgranatrice del cotone, destinata a cam biare la storia. Grazie ad essa le piantagioni di cotone si

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MONDO

PENSIERO

[io all'Elba; poi riprende il potere nel periodo dei Cento Giorni m a è sco n ­ fitto definitivam ente a Waterloo dalle forze inglesi di Wellington. Viene m a n ­ dato in esilio a Sant'Elena, dove morirà nel 1821. Al Congresso di Vienna le cinque po ­ tenze vittoriose (Inghilterra, Germania, Austria, Prussia e Russia) sulla Francia napoleonica ridisegnano i confini degli Stati europei.

reputato il fondatore del m ovim ento operaio britannico. 1807 Nella Fenomenologia dello spirito Georg W ilhelm Friedrich Hegel, con­ siderato il m a ssim o rappresentante dell'idealismo tedesco, espone la sua filosofia storicista e idealista fondata sullo sviluppo della conoscenza umana attraverso una dialettica basata su una posizione, una opposizione e una co m ­ posizione.

1 8 1 9 II generale e uom o politico ve n e zue ­ lano Simon Bolfvar libera la Nuova Granada (oggi Colombia, Venezuela ed Ecuador) dal dominio spagnolo. Viene eletto presidente della Colombia.

1810 Viene fondata l’Università di Berlino. Tra i suoi docenti o studenti ci saranno Hegel, Schopenhauer, Marx e Bismarck. La struttura dell'università tedesca di­ venterà un m odello che ispirerà molte università m oderne.

1 8 2 0 In Spagna scoppiano moti insurrezio­ nali, cbe verranno repressi duramente dall'intervento francese nel 1823.

1 8 1 8 II filosofo tedesco Arthur S cho p e n ­ hauer pubblica II mondo come volontà e rappresentazione, in cui enuncia il suo pensiero "pessimista" che, influen­ zato anche dalle religioni orientali, celebra il primato della natura contro lo spirito, dell’irrazionalismo contro il razionalismo, subordinando conoscen­ za e ragione alla volontà, in un m ondo perm eato solo da «d olo re e n oia». La filosofia di Schopenhauer avrà un'in­ fluenza fondamentale sugli sviluppi del pensiero nell’Otto-Novecento e in particolare su Nietzsche e Freud.

1 8 2 0 -1 8 2 2 Nascono le società segrete in Italia, fondate su valori patriottici e liberali, organizzatrici di moti popolari contro le monarchie. A Napoli nasce la Carboneria (Guglielm o Pepe), che si estende in Sicilia e poi nel Lombardo Veneto (Silvio Pellico, Pietro Maroncelli) contro gli Asburgo, in Emilia (Ciro Menotti). I moti vengono duramente repressi e i loro protagonisti uccisi o incarcerati. 1 8 2 2 -1 8 2 9 La Grecia proclam a la repubblica e la sua indipendenza dalla Turchia. Il Brasile acquista l'indipendenza dal Portogallo.

1 8 3 0 Esce, anonimo, Pensieri suda morte e l'immortalità del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach, che si distacca dalla sinistra hegeliana conducendo una profonda critica alla religione ed elaborando una filosofia umanistica, di ispirazione m ate­ rialistica, che influirà molto su Karl Marx.

1 8 2 4 II Messico diviene una repubblica, tre anni dopo aver dichiarato la sua indipendenza dalla Spagna.

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LETTERATURA E ARTI

SCIENZA ED ESPLORAZIONI

1801 Bonaparte attraversa le Alpi è il primo dei dipinti del francese Jacques-Louis David che celebrano il futuro Impera­ tore e rappresentano una delle più alte testimonianze della pittura neoclassica,

moltiplicano negli Stati del Sud e la schiavitù dei neri riprende vigore. 1 7 9 6 II m edico inglese Edward Je n n e r effet­ tua la prima vaccinazione della storia. È un'arma concreta contro te malattie infettive.

1 8 0 8 Johann Wolfgang von Goethe compone ta prima parte del Faust, poema d ra m ­ matico ritenuto uno dei capolavori del­ la letteratura europea. Goethe influirà profondamente anche sulla filosofia tedesca di Schelling, Hegel e Nietzsche.

1798 Lo scienziato inglese Henry Cavendish determina il valore della costante di gravità terrestre. 1800 Alessandro Volta annuncia l'invenzione della pila elettrica.

1 8 2 7 Alessandro Manzoni pubblica i Promessi sposi, considerato la forma più com piu­ ta del romanzo italiano nonché, per l'uso di una lingua nazionale, un modello fon­ damentale per la successiva letteratura.

1 8 0 4 L’inglese Richard Trevithick realizza la prima locomotiva a vapore, poi perfe­ zionata da George Stephenson. 1808 L’inglese John Dalton rende pubblica la teoria atom ica, secondo cui ogni elemento, solido, liquido o gassoso, è com posto da particelle che chiama ato­ mi (dal greco ''indivisibili”) ricordando la stessa ipotesi formulata 2000 anni prima dal filosofo greco Democrito.

1 8 3 2 Giacomo Leopardi termina di comporre lo libaldone, dove risulta centrale il tem a dell'infelicità costitutiva dell'es­ sere umano, intesa com e legge di natura alla guale nessun uomo può sottrarsi. 1 8 4 4 11 compositore francese Hector Berlioz dò alle stam p e il Grande trattato di

1 8 1 8 II m e d ic o fra n ce se R e n é -T h é o p h ile Laennec rende nota l'invenzione del­ lo stetoscopio.

strumentasene e orchestrazione mo­ derne, che inciderà gran d em e n te sulla

m usica sinfonica tardoromantica.

1820 II danese Hans Christian Oersted sco­ pre il fenom eno dell’elettrom agneti­ sm o, aprendo l'era che porterà alle rivoluzionarie invenzioni della dinamo, del motore elettrico e delle radiotelecom unicazioni.

1 8 4 6 11 pittore veneziano Francesco Hayez, autore del famoso Bacio, dipinge / Ve­ spri Siciliani, considerato uno dei m a g ­ giori esempi del romanticismo storico nell'arte ottocentesca.

1 8 2 4 II francese Sadi Carnot pubblica la leg­ ge base della termodinamica.

1 8 4 7 Escono i romanzi JaneEyreii Charlotte Bronté e Cime tempestose della sorella Emily, m assim a espressione del rom an­ ticismo inglese.

1828 II tedesco Friedrich W b h le r presenta la sintesi di una so stanza organica

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MONDO

PENSIERO

1831 Giuseppe Mazzini fonda a Marsiglia la Giovine Italia.

1 8 4 3 II filosofo danese Saren Kierkegaard, pubblica Aut-Aut, il suo testo più im ­ portante. Ritenuto il precursore dell’esi­ stenzialismo, Kierkegaard rifiuta la co­ struzione filosofica universale di Hegel considerando com e categoria primaria l'individuo, il particolare, e l'esistenza rispetto al pensiero e all'essenza.

1833 Nell'Impero inglese viene abolita la schiavitù. 1837 Vittoria di H annover diviene regina di Gran Bretagna e in seguito imperatrice delle Indie. Ha inizio l'Era vittoriana, contraddistinta da una rigida moralità nei costumi e dallo sviluppo della poli­ tica imperialistica inglese.

1 8 4 4 L'inglese Robert Owen pubblica II libro del nuovo mondo morale, testo che afferma i principi del socialismo coo­ perativistico, anche se con connotati utopistici.

1 8 4 8 Scoppiano insurrezioni popolari in A u ­ stria (Vienna); in Francia, dove i rivolu­ zionari ottengono l’abdicazione del re Luigi Filippo d'Orléans e l’instaurazione della Repubblica; in Ungheria, la più sanguinosa, dove le insurrezioni guida­ te dal m ovim e n to nazionalista di Lajos Kossuth vengono duram ente represse dagli Asburgo con l'aiuto della Russia.

1 8 4 8 Esce a Londra il Manifesto del partito comunista, a opera di Karl Marx e di Friedrich Engels, che riassum e i princi­ pi fondamentali del m arxism o: la lotta di classe; la dittatura del proletariato; il raggiungimento dell'autonomia del­ la classe operaia, attraverso il partito comunista, per il rovesciamento del dom inio borghese; il lavoro visto come strum ento non più di arricchimento della società borghese ma rivolto al miglioram ento della società.

1 8 4 8 - 1 8 4 9 Prima Guerra di Indipendenza italiana contro l’A ustria. In molte città (Milano, Venezia, Brescia, Roma) hanno luogo moti popolari contro gli austria­ ci, a Roma contro lo Stato Pontificio. La guerra si conclude con la vittoria dell'Austria e il ritorno degli Asburgo nel Lom bardo-Veneto.

1 8 5 0 Viene fondata a Napoli dal gesuita Car­ lo Maria Curci La Civiltà Cattolica, rivista che si propone la difesa del pensiero cattolico dalle idee liberaliste e laiche del Risorgimento e del m odernism o.

1851 In Francia Luigi Bonaparte (Napoleone III) prende il potere con un colpo di Stato. Restaurerà l'Impero (Secondo Impero).

1 8 5 2 Viene stampato il Catechismo posi­ tivista del filosofo francese Auguste Comte, ritenuto il fondatore del posi­ tivismo e propugnatore del primato delle scienze sulla metafisica attra­ verso la fondazione di una «religione universale» atea e scientifica.

1 8 5 9 S econda Guerra d'in d ip e n d e n za ita­ liana: Francia e Regno di Sardegna contro l’A ustria. La guerra si conclude con la sconfitta di quest'ultima e con l'annessione delta Lombardia al Regno di Sardegna.

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LETTERATURA E ARTI

SCIENZA ED ESPLORAZIONI

1851 Herm an Melville dà alle stam pe Moby Dick, il cui stile rivoluziona il linguag­ gio e la narrativa americana tanto da essere considerato un precursore del m odernism o. È il primo rom anzo m o ­ derno "interpretativo".

(urea), da materie prime inorganiche, dim ostrando che gli esseri viventi sono costituiti dalle stesse sostanze che com pongono la materia inerte senza che ci sia bisogno del "soffio vitale". 1 8 2 9 11 matematico russo Nikolai Lobacevskij elabora la geometria non-euclidea, che stravolge i concetti espressi dal m ate­ matico greco Euclide. Il concetto di geo­ metria euclidea, autóevidente, che forni­ sce l'unica “vera" descrizione del mondo, viene completamente scardinato, come faranno un secolo più tardi Godei con la matematica ed Einstein, il quale m o ­ strerà che l'universo è non-euclideo, in quanto la materia curva lo spazio, con curvature diverse da punto a punto.

1 8 5 7 G u sta ve Fla u b e rt p u b blica Madame Bovary, romanzo che supera la visione romantica della narrativa sentimentale a favore dell'analisi psicologica e della realtà documentaristica della narrazione. Esce la raccolta lirica / fiorì del male di Charles Baudelaire, opera che anticipa il decadentismo e il sim bolism o apren­ do un nuovo corso poetico imperniato sui contrasti laceranti fra bene e male: estasi e disgusto della vita; attrazione della follia e senso di solitudine e fru­ strazione, nel tentativo di «estrarre la bellezza dal m a le».

1 8 4 4 Lo statunitense Sam u e l Morse invia il primo m essaggio con il telegrafo elet­ trico da lui inventato.

1 8 6 0 Esce l'opera dello storico svizzero Jacob Burckhardt La civiltà del Rinascimento in Italia, che farà riscoprire questo pe­ riodo storico-culturale e che costituirà il primo esempio di analisi di un periodo storico anche attraverso la dimensione politica, culturale, artistica e spirituale, in Russia si forma il Gruppo dei Cinque (Balakirev, Cui, Borodin, Musorgskij, R im skij-K o rsa kov) con l'obiettivo di sviluppare un nazionalism o m usicale russo sganciato dal rom anticism o occidentale.

1 8 4 5 II naturalista tedesco Alexander von H um bo ldt pubblica Kosmos, descri­ zione letteraria di tutte te conoscenze scientifiche sull'universo, la Terra e gli esseri viventi. 1 8 5 9 A Titusville, in Pennsylvania, entra in funzione il primo pozzo petrolifero del­ la storia. L’inglese Charles Darwin pubblica L'orì­ gine delle specie, libro-scandalo che propone la teoria della selezione natu­ rale delle specie (uom o compreso), con cui im plicitam ente viene sconfessata la teoria biblica della creazione sim ul­ tanea di tutti gli esseri viventi.

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U SU O MONDO E LE SUE IDEE

el suo celebre scritto Ugo Foscolo e l ’Italia, ap­ parso nella rivista II Politecnico alla fine del 1860 e in volume l’anno successivo, lo studioso e atti­ vista politico Carlo Cattaneo consegnò all’Italia unita un ritratto dell’autore destinato a entrare nell’imma­ ginario collettivo quale campione del Risorgimento italiano, antesignano di tutti i patrioti, nume tute­ lare della riscossa nazionale, e per di più “fondatore” dell’istituzione dell’esilio quale parte integrante della lotta politica nazionale. Il che, sulla scorta dei materiali manoscritti, per fortunose vicende raccolti, e quindi confluiti nell’edi­ zione Orlandini-Mayer delle Opere edite e postume di Foscolo (nel 1850-1862), era un passaggio non solo realizzabile ma, nel particolare contesto in cui Catta­ neo si trovò a vivere e a operare, per più versi quasi obbligato.

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Alla critica novecentesca, e in particola­ re a quella della seconda metà del secolo, sarebbe spettato il compito non facile di sfrondare Foscolo dall’armamentario reto­ rico ormai sedimentato e di pervenire a una lettura ideologicamente più accettabile e motivata. In tale lettura gli elementi di contraddizione avrebbero finito per prevalere sulla coerenza, i giochi di specchi e di mistificazioni perseguiti continuamente dall’autore sarebbero stati svelati e avrebbero preso il sopravven­ to sulla vicenda reale del primo scrittore italiano che a tutti gli effetti possiamo definire moderno. E tuttavia proprio l’immediata ripercussione delle sue relazioni umane e civili sulla produzione letteraria fa di Foscolo - come aveva riconosciuto il critico Mario Fubini - un autore troppo implicato nella propria opera per essere disgiunto da essa: quasi che «il calore di fiamma lonta­ na», residuo delle passioni dominate per il suo alter ego Didimo Chierico, fosse rimasto l’obiettivo da centra­ re piuttosto che una meta raggiunta, tanto per l’autore quanto per la critica. Vi sono alcuni pilastri dell’attività letteraria di Fo­ scolo che agiscono in modo perentorio in tal senso (vedi capitolo “Le opere”). E tuttavia anche la produ­ zione maggiore e più compiuta si trova in continua relazione con una serie di progetti abbozzati, decaduti,

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e poi ripresi o rielaborati, editi oppure inediti, che fan­ no dell’opera foscoliana una delle più imponenti del nostro panorama letterario: si pensi che la benemerita Edizione nazionale iniziata nel 1933 consta di tredici volumi di opere, anche articolati in più tomi, e di die­ ci volumi di Epistolario, l’ultimo dei quali ancora in preparazione. Proprio l’eccezionale mole delle lettere inviate a fa­ miliari, amici, scrittori e politici risulta lo strumento privilegiato da cui osservare l’esistenza e la carriera dello scrittore, configurandosi come un caso pressoché uni­ co di costante palestra ideologica, poetica e stilistica, concepito dall’autore come il palcoscenico, privato ma anche pubblico, da cui trasmettere la propria immagine di uomo e di letterato. «Fin che sarò memore di me stesso», scrive al di­ plomatico prussiano Jakob Bartholdy il 29 settembre 1808, «non oblierò che nacqui di madre greca, che fui allattato da greca nutrice, e che vidi il primo raggio di sole nella “chiara e selvosa” isola di Zacinto, risuo­ nante ancora dei versi con che Omero e Teocrito la celebravano»: una dichiarazione di fedeltà spazio-tempo­ rale alla Grecia e alla classicità, cui mai sa­ rebbe venuto meno, e che di volta in volta sarà il biglietto da visita esibito e imposto nelle alterne e complicate vicende delia sua

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esistenza «raminga» e del suo sperimentali­ smo letterario. Eppure tale certificazione di appartenenza è fondamen­ tale al fine di arginare la mole ottocentesca delle letture risorgimentali e di far emergere la cultura foscoliana in modo più verosimile. Nel 1793, appena giunto, quin­ dicenne, a Venezia, egli si trovò a fare i conti con una realtà culturale che non gli apparteneva e nella quale era deciso a entrare per ottenere un riconoscimento sociale che la modesta condizione di partenza non gli avrebbe garantito. La sua lingua naturale era sicuramente il greco, ma italiana era stata l’istruzione ricevuta a Spalato durante l’infanzia; così in pochi anni, anche grazie all’artificiosi­ tà della lingua della poesia italiana, fu in grado di scri­ vere versi sostanzialmente corretti per una produzione eterogenea e sperimentale, che va dalla lirica polimetri­ ca di stampo tardo arcadico alla tragedia in endecasilla­ bi di matrice alfieriana. Le poesie dell’adolescenza ebbero una circolazione limitata e soltanto manoscritta, mentre i rivolgimenti politici che di lì a poco (1796-1797) sconvolgeranno l’Italia settentrionale e la Repubblica di Venezia lo ve­ dranno precoce protagonista anche nel pubblico agone letterario. Tuttavia, nel momento cruciale della svolta storico-politica rappresentata dalla campagna d’Ita­ lia di Napoleone, il richiamo alla sua origine oscura

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ma esotica, marginale eppure rispettabile in quanto vergine da compromessi, tornerà nella sua prima pro­ va “militante”, la dedicatoria («Alla città di Reggio») dell’ode A Bonaparte Liberatore (1797) in cui il poeta si definisce «nato in Grecia, educato fra Dalmati, e balbettante da soli quattr’anni in Italia» [mentre Na­ poleone conquistava l’Italia settentrionale, nel 1796 Reggio Emilia si liberò dal dominio estense e, con l’aiuto dei francesi, sconfisse gli austriaci proclamando la Repubblica reggiana e adottando per la prima volta il nostro tricolore - ndr]. L’intima consapevolezza di avere progetti ambiziosi e giganti da scalare per guardare lontano (in sostanza tutta la cultura occidentale dalla classicità al Settecen­ to!) gli aveva suggerito già nel 1796 di stilare un Piano di studj (conservatosi in manoscritto autografo e pub­ blicato per la prima volta nel 1842) col quale il giovane letterato tentava di imporsi un’autodisciplina formativa e che costituì sempre per gli studiosi dell’opera foscolia­ na un’interessante testimonianza di “pieni” e di “vuoti”, di obiettivi e di occasioni mancate, presentandosi nella sua veste programmatica già gravido di tutte le con­ traddizioni che sempre avrebbero caratterizzato un in­ telletto per natura incapace di ricondursi a un sistema. L’occasione di immergersi nell’impegno politico e letterario travolge in gran parte i buoni propositi, e so­ prattutto li complica conducendoli verso nuove solle­ citazioni. Quando scrive l’ode A Bonaparte liberatore,

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Foscolo ha diciannove anni e crede davvero che stia co­ minciando un’epoca nuova per le «Itale genti» a cui si rivolge; gli avvenimenti dei mesi successivi segneranno il destino umiliante della Repubblica di San Marco in seguito al Trattato di Campoformio, e anche la singola­ re vicenda dell’entusiasta sostenitore di Napoleone, già deluso dal proprio campione ma ridotto al ruolo di per­ seguitato da parte dell’Austria, con la necessità conse­ guente di trovare nelle file dell’esercito della Repubblica cisalpina una collocazione sociale che gli permettesse di vivere e di scrivere. Non va sottovalutato questo ulteriore aspet­ to della modernità dì Foscolo, questo suo vi­ vere nella propria vicenda esistenziale il mu­ tamento storico in atto con la caduta dell’anc ie n r é g im e :

il ruolo dell’intellettuale, e dello scrittore in particolare, di qui in avanti, e soprattutto nel delicato volgere del secolo, sarà tutt’altro che ovvio, e piuttosto da inventare che da conquistare. La strada per diventare cittadini e non sudditi era lastricata di incognite, ma l’epoca della disillusione non era ancora giunta del tutto. L’incalzare degli eventi (la seconda coalizione, il colpo di Stato del 18 brumaio e la liquidazione del Direttorio, Marengo e il prevalere del Primo console) trascinano il poeta-soldato in un’attività pubblicistica

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frenetica, a cui silenziosamente si accompagna una ca­ rica creativa che nella Milano del 1800 doveva vederlo quale esuberante protagonista. Nell’ambiente composito di tanti profughi che da ogni parte d’Italia erano convenuti a Milano nel caos politico del triennio rivoluzionario, non senza, per lo più, essere passati da Parigi dopo i disastri militari del 1799, un ruolo particolare assunsero, anche in qualità di promotori della propaganda napoleonica, figure co­ me Vincenzo Cuoco, Francesco Lomonaco e Vincenzo Monti. Ai primi due, transfughi della defunta Repubbli­ ca partenopea, si deve essenzialmente la diffusione in area settentrionale dell’opera di Giambattista Vico, di cui nel 1801 viene pubblicata a Milano, a oltre cin­ quantanni dall’edizione napoletana, la Scienza nuova accompagnata dall’Autobiografia. Nello stesso anno, sempre a Milano, Francesco Reina pubblica l’edizione delle Opere del suo maestro Giusep­ pe Parini, comprendente i frammenti inediti di Vespro e Notte e un profilo biografico in cui l’autore veniva tra­ sfigurato in un eccezionale maestro di vita e di libertà. Dagli esuli napoletani derivò nel primo decennio del secolo un fervore di studi vichiani destinato a oltrepas­ sare i limiti geografici e linguistici della cultura italiana. Foscolo, che viveva a stretto contatto con l’ambiente che l’aveva promossa, assorbì la

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lezione di Vico con un’autonomia e una par­ tecipazione sostanziali, facendone il perno della sua prima grande stagione creativa. Dalla Scienza nuova Foscolo desume un’idea centrale, che scivolerà nelle opere dal 1802 al 1807 {Ortis, Poesie, traduzione della Chioma di Berenice e dell’Iliade, Sepol­ cri) e sarà chiarita nell’Orazione inaugurale: nulla resiste al tempo, e quindi in sostanza nulla propriamente esi­ ste, se non viene raccontato. Da greco, Foscolo avvertiva tutta la carica demiurgica delle parole “poesia”, “poeta”, “poetico” (dal grecopoieo, “fare”, “creare”), tanto profuse nel dettato vichiano: e Poesie sarà infatti il titolo della esi­ le raccolta di odi e sonetti (con selezione metrica rivolta a omaggiare gli immediati predecessori, Parini e Alfieri) nella quale concentrerà il proprio ritratto intellettuale, morale e affettivo, fissato simbolicamente all’anno 1800, ma pubblicato tre anni dopo, quando il destino ancillare della Cisalpina sarà già stato decretato in modo definiti­ vo nei comizi di Lione e la fiducia in una rigenerazione politica dell’Italia andava sgretolandosi. Analogamente, il romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802) nelle pagine dedicate alla riflessione sulla natura e sulla storia, i due grandi poli in cui si dibat­ te il genere umano, pone contraddittorie domande cui non vengono date risposte, tanto che l’inquietudine del protagonista si esaspera al punto da non lasciargli altra soluzione che il suicidio.

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È evidente che proprio nell’inquietudine insa­ nabile e nella dicotomia ontologica vanno ri­ cercate le più profonde anticipazioni da parte di Foscolo del nichilismo contemporaneo. Come è stato osservato da Enzo Neppi, non è suffi­ ciente identificare il dualismo foscoliano in una con­ trapposizione tra sentimento e ragione; per Foscolo la contraddizione è nell’Essere (o, come dirà Leopardi nel 1826, «il male è nell’ordine»). Come Manzoni, anche Foscolo avverte le contrad­ dizioni del proprio tempo, ma a differenza di Man­ zoni, e invece in linea con Leopardi, egli non trova nel cristianesimo (e nel romanticismo) il serbatoio in cui far confluire il pessimismo. Pur restando legato al materialismo di origine settecentesca, Foscolo non lo convertirà mai in razionalismo: anzi, lo sbigottimen­ to di fronte alla potenza delle passioni e ai guasti che l’istinto produce lo farà inevitabilmente inclinare su posizioni irrazionaliste (e si pensi al sonetto Alla Sera, composto a ridosso dello studio del De rerum natura di Lucrezio). Stante che le passioni sono l’unico vero motore dell’esistenza: 6 6 COSÌ PIACQUE ALLA NATURA CHE ASSEGNÒ L’INQUIETUDINE ALLA ESISTENZA DELL’UOMO, IL QUALE ASPIRA AL RIPOSO APPUNTO

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PERCHÉ NON PUÒ MAI CONSEGUIRLO; PERÒ LANGUENDO LE PASSIONI, RITARDASI IL MOTO DELLE POTENZE VITALI; CESSATO IL MOTO, CESSA LA VITA; ED OGNI NOSTRA TRANQUILLITÀ NON È CHE PRELUDIO DEL SUPREMO E PERPETUO SILENZIO.*99 Unici argini a una materia caoticamente mobile e a una storia dominata dalla violenza sono, dall’Orto, passan­ do per i Sepolcri e giungendo alle Grazie, i sentimenti della compassione e del pudore e l’esercizio della me­ moria, in particolare della memoria poetica. Nella prolusione all’insegnamento di Eloquenza all’Università di Pavia, pronunciata il 22 gennaio 1809, viene affermato il carattere “impegnato” della lettera­ tura e viceversa condannata qualsiasi forma di asser­ vimento al potere da parte del letterato. La sintesi di tale convinzione si condensa nella celebre “esortazione alle stòrie” rivolta agli italiani, destinata ad assumere un ruolo fondante di un nazionalismo che, nei suoi rivoli deteriori, andrà ben lontano dalle intenzioni foscoliane e dal momento storico in cui venne concepita come af­ fermazione del primato della memoria e della letteratu­ ra che le dà voce. Non a caso è stato speso, in modo tanto ardito quan* U. Foscolo, D ell’origine e dell’ufficio della letteratura. Orazione, a cura di E. N eppi, Olschki, Firenze 2005

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to suggestivo - da parte di Neppi - il nome di Walter Benjamin [filosofo e sociologo tedesco della prima metà del Novecento] quale approdo di un pensiero che, an­ che grazie a Foscolo, prende le mosse di fronte alle ro­ vine sparse dopo la Rivoluzione e alfavvio dell’Europa contemporanea. Segno stilistico inconfondibile dell’inquietu­ dine foscoliana, dell’armonia dissonante del­ la sua letteratura, è quello che l’autore stesso definisce «chiaroscuro», con prestito termi­ nologico dall’arte pittorica. Infatti per Foscolo la vera poesia consiste nel «Descri­ vere mai e dipingere sempre» (come afferma nella let­ tera al pittore Francois Xavier Fabre del 1814), poi­ ché descrivere è parlare alla ragione, mentre dipingere è parlare ai sensi, e Omero dipingeva, la sua era una poesia naturale, non artefatta: è questo il classicismo più autentico da recuperare, la sfida della letteratura quale suprema attività creativa; questa è la cesura che segna il dislivello incolmabile tra Foscolo e gli scrittori suoi contemporanei nella Milano capitale del Regno d’Italia. Scrive ancora, a proposito del carme dedicato alle Grazie: «La poesia congiunge l’origine del mondo al suo stato presente ed al nuovo caos della sua distru­ zione. Ma la poesia ha, quanto la pittura, bisogno di

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rappresentazioni particolari, che i logici chiamano idee concrete [...] Deve farti passare dal noto, che mostra evidentemente, all’ignoto a cui tende, facendolo so­ spettare. Ma l’unione di tanti quadri particolari è il più arduo dell’arte. [...] Senza disunione di parti non hai armonia né chiaroscuro; senza unione l’armonia riesce confusa: il primo difetto genera noja, l’altro confonde il lettore. Quindi la rarità della vera poesia lirica, che è il sommo dell’arte».* In una nota pubblicata nella stampa ddY Orazio­ ne inaugurale, realizzata all’inizio del 1809, Foscolo sferra una staffilata aH’ambiente letterario milanese, ove era rientrato dopo la parentesi dell’insegnamento a Pavia e le cui conseguenze determineranno le scelte degli anni successivi: «E che dirò io di quegli scrittori che senza celebrità letteraria, senza onore domestico, senza amore agli studj e alla patria s’accostano a ce­ lebrare le glorie del principe? Infami in perpetuo, se la loro penna potesse almeno aspirare ad un’infame immortalità! Ma vili e ignoranti ad un tempo hanno per principio e fine d’ogni linea che scrivono, il prezzo della dedicatoria [...]».** Ritornano «le lettere prostituite», di cui si duole il Parini che Foscolo, nell’Ortis, fa incontrare con il pro­ tagonista del romanzo. Ma ritornano in un contesto or­ * U. Foscolo, D ell’a rchitettura del carme, Edizione nazionale delle Opere, a cura d i F. Pagliai, G. Folena, M . Scotti, Le M onnier, Firenze 1985 ** U . Foscolo, Dell'origine e dell'ufficio della letteratura. Orazione, cit.

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mai mutato, quando l’agone con l’amico di un tempo, Vincenzo Monti, si sta trasformando in sfida aperta e in lotta senza esclusione di colpi, dalla quale Foscolo è destinato a uscire con le ossa rotte e in una condizione di totale isolamento. Difatti, nella «città, lasciva / D ’evirati cantori allettatrice» (Dei Sepolcri, 73-74), ove proprio agli intellet­ tuali era stato straordinariamente conferito dal regime napoleonico un ruolo di grande responsabilità politi­ ca e amministrativa, ormai non vi era più spazio per una voce dissonante, indignata fino all’esasperazione, polemicamente rivolta a esacerbare il risentimento nei confronti di una classe dirigente che stava perdendo la grande occasione di farsi promotrice di un nuovo corso politico. La disputa si svolse prevalentemente sul piano letterario, con una serie di schermaglie inizialmente relative alla perizia nella traduzione dei primi canti dell’Odissea di Ippolito Pindemonte e con implicita dichiarazione di inadeguatezza rivolta al Monti, il quale, dopo la celebrazione di Napoleone realizzata col Bardo della Selva Nera e con La palingenesi politica, proprio nel 1810 stava dando alle stampe la versione integrale àeW Iliade. Ne seguì un fiume di polemiche che coinvolsero i fedelissimi del Monti e i giovani seguaci di un Foscolo sempre più risentito ed esposto agli attacchi, e che si svolsero prevalentemente sui periodici più importanti

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del tempo come il Giornale Italiano e gli Annali di Scien­ ze e Lettere, ma anche nei salotti privati in cui gravitava il bel mondo politico e intellettuale, e che dal punto di vista letterario si concretizzò con la pubblicazione su­ gli Annali dell’anonimo, ma foscoliano, Ragguaglio di un’adunanza dell’Accademia de’ Pitagorici, disordinato documento dell’indignazione contro il Monti e i suoi seguaci, primo tra tutti Urbano Lampredi. A farne le spese fu ovviamente il più debole, e in particolare un’opera ambiziosa e velleitaria alla quale in questi anni tormentati egli volle affidare la propria insofferenza, la tragedia Ajace. Al di là dell’allarme poli­ tico scatenato, che nel dicembre 1811 la portò a essere ritirata dopo appena due repliche, con provvedimento sicuramente eccessivo rispetto alle intenzioni, il contro­ luce della vicenda di Ajace riflette da vicino il particola­ re stato d’animo del Foscolo, come il protagonista della tragedia pieno di rancore verso un mondo letterario che considerava asservito al potere. Travolto dalla polemica, che con sarcastico disprez­ zo definisce «eunucomachia», risolve di lasciare Milano andando incontro aH’ultima stagione felice della pro­ pria esistenza di letterato; a Firenze, già da tempo elet­ ta e celebrata come la patria ideale, si scatena in una straordinaria operosità la carica artistica, incalzata dai tragici avvenimenti che tra 1812 e 1813 si susseguono sulla scena internazionale. In appendice a una delle opere pubblicate nel perio-

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do fiorentino, la traduzione del Viaggio sentimentale di Laurence Sterne, nasce un nuovo personaggio chiamato Didimo Chierico, a cui Foscolo affida la voce dell’indi­ gnazione morale nei confronti della cultura della capi­ tale del Regno, aggravata dal tracollo dell’astro napoleo­ nico e dall’incertezza dell’avvenire. Sorprendente risultato sarà un pamphlet in lingua la­ tina, già in gran parte realizzato prima del trasferimento a Firenze, ma ripreso dopo il ritorno a Milano e nel 1816 pubblicato in pochissimi esemplari a Zurigo (ma con indicazione Pisa, 1815) col titolo Didymi Clerici prophetae minimi Hypercalypseos liber singularis. Si tratta di un’acre polemica satirica contro l’ambiente letterario milanese, complicata dalla riflessione sui fatti politici del 1815. Il titolo è ricalcato su quello ài Apocalisse, e ne vuole significare l’esatto contrario: “ipernascondimento” “supernascondimento”. La prosa latina si modella su quella dei testi scrittu­ rali, da cui trae il tono profetico e sentenzioso, men­ tre una clavis [chiave interpretativa] riservata a pochi esemplari dell’edizione, svela i nomi dei personaggi che vengono rappresentati in modo grottesco e fatti oggetto di velenoso ed esacerbato disprezzo. Opera di nicchia, I’lp e rc a lis s e segnerà tutta­ via la definitiva rottura tra Foscolo e Milano e tra Milano e Foscolo: la vita della grande capitale romantica era alle sue prime battute

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quando egli approdava in Inghilterra, primo della lunga schiera di esuli che lo avrebbero raggiunto negli anni successivi. Da Londra, nel silenzio totale delle Muse, non smet­ terà mai di guardare all’Italia, in un vortice disordina­ to di imprese editoriali da cui avrebbe dovuto trarre il sostentamento un’esistenza divenuta di anno in anno sempre più desolata. Di fatto escluso dai giochi, mol­ tiplica iniziative che pur nella loro asistematicità lo qualificano come uno dei più acuti critici della lette­ ratura italiana passata e presente: nel 1818 liquida la disputa classico-romantica come un’«oziosa questio­ ne», dalla quale tuttavia, aggiunge, «è pur possibile che il corso della letteratura del prossimo cinquanten­ nio dipenda». Ma è a se stesso che nel 1825 rivolge l’ultimo sguar­ do, impegnandosi con la Lettera apologetica a perorare la propria causa e la propria onestà intellettuale e mo­ rale, malinconico don Chisciotte in lotta contro un mondo che era andato avanti senza di lui. Il testo, con­ cepito dall’autore come premessa a un’edizione della Commedia mai portata a termine, fu rinvenuto nell’ar­ chivio dell’editore Pickering nel 1840 da Giuseppe Mazzini, che lo pubblicherà quattro anni più tardi. Da questo testamento lucido e disperato e dal suo eccezionale editore comincia la storia risorgimentale del Foscolo da cui eravamo partiti e che sicuramente con­

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tribuì a preservare dal naufragio i moltissimi documenti che lo riguardano e che ne hanno fatto uno degli autori italiani più studiati, scandagliati e immancabilmente interpretati alla luce delle vicende storiche da cui i suoi esegeti lo hanno osservato: che poi altro non è che il destino riservato a un classico.

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LE OPERE

POESIE ( ] m )

La storia editoriale delle Poesie prende avvio da un opu­ scolo pubblicato a Genova, presso la stamperia Frugoni, nell’anno V ili dell’era rivoluzionaria (fine 1799) e in­ titolato Omaggio a Luigia Pallavicini, dove - insieme a liriche di Giovanni Fantuzzi, Giuseppe Giulio Ceroni e Antonio Gasparinetti - si trova l’ode, firmata con la si­ gla U.F., dall’incipit I balsami odorati, che verrà ripropo­ sta col titolo A Luigia Pallavicini caduta da cavallo sulla riviera di Sestri nel Giornale dei Letterati di Pisa all’inizio del 1803 (ma con data 1802) e nel volume intitolato Poesie di Ugo Foscolo (Pisa, Dalla tipografia della Società letteraria), preceduta da otto sonetti. Ma già nei successivi mesi dell’anno l’autore allesti­ sce a Milano una nuova edizione, che esce in aprile pres­ so l’editore Destefanis, con l’epigrafe oraziana «Sollicitae

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oblivia vitae» (oblìi di una vita agitata): essa contiene una seconda ode, Alla amica risanata, e tre sonetti in più rispetto alle edizioni pisane {Forse perché della fatai quiete; Né più mai toccherò le sacre sponde; Pur tu copia versavi alma di canto), con ordine mutato e varianti te­ stuali anche significative. Alla fine del 1803 è pubblicata a Milano, dalla tipografia Nobile, un’ulteriore edizione delle Poesie, con il nuovo sonetto Un dì, s’io non andrò semprefuggendo inserito in decima posizione. A entrambe le edizioni milanesi è premessa una de­ dica all’amico e letterato fiorentino Giovanni Battista Niccolini (1782-1861) ove il Foscolo dichiara di «ri­ fiutare tutti gli altri» versi da lui «per vanità giovenile già divolgati»; il che coincide con il rifiuto, già espresso nelle stampe pisane, del Tieste e dell’ode A Bonaparte li­ beratore, vale a dire dei suoi testi più noti del triennio ri­ voluzionario, simboli di una fiducia ormai tramontata. Il titolo Poesie permette la giustapposizione metrica delle due odi, di evidente origine pariniana, che aprono la raccolta, e dei sonetti, in cui il richiamo alle Rime di Alfieri è più scoperto. Nelle odi, l’occasionalità di stampo settecen­ tesco viene superata da una profonda condi­ visione di ideali neoclassici, che conferisco­ no alia parola poetica la facoltà di resistere al fluire del tempo. Così entrambe ie donne celebrate perdono gradualmente le loro ca-

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ratteristiche contingenti per assurgere a sim­ boli di bellezza sublimati dalla letteratura. La fedeltà che Foscolo riservò all’ode alla Pallavicini, omaggio alla nobildonna genovese vittima di una rovi­ nosa caduta da cavallo nel luglio del 1799, e il lavorio correttorio su di essa la qualificano come già maturo esperimento di attualizzazione dell’antico e di fissazione del mito universale della bellezza, che trova nel testo di Alla amica risanata il completamento perfetto. E stata giustamente sottolineata da Donatella Martinelli la pe­ rizia descrittiva dell’ode, soprattutto nella parte centrale riservata alla caduta vera e propria, paragonabile a un «bassorilievo» elegante e decorativo: ma proprio l’alter­ narsi repentino di sequenze dissimili (riferimenti alle divinità antiche, celebrazione della destinataria, descri­ zione plastica dell’incidente, ritorno alla rievocazione mitologica) la affranca dal facile manierismo occasiona­ le e ne giustifica il ruolo di componimento di apertura della grande poesia foscoliana. La destinataria della seconda ode è la nobile mila­ nese Antonietta Fagnani, coetanea del Foscolo e mo­ glie del marchese Marco Arese Lucini: amata dal poeta tra l’estate del 1801 e il marzo del 1803, durante il pri­ mo anno della relazione era stata colpita da una lunga malattia. L’ode esprime il tema della facoltà eternatrice della poesia, che verrà ribadita nei Sepolcri, secondo l’assunto tratto da Orazio nelle Odi. Straordinaria, in

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questa attualizzazione dell’antico, risulta la corrispon­ denza formale delle scelte stilistiche, in particolare del lessico aulico, fitto di latinismi o di parole rietimo­ logizzate, che manifesta nella pratica quell’operazio­ ne di riprodurre in italiano la poesia antica teorizzata nell’ultima strofa. Se il riferimento classico più evidente è l’elegia per l’amata ammalata di Properzio (II 28a), innovativo ap­ pare invece il tema della divinizzazione realizzata dai cantori, che qui si esplica con esempi di donne umane grazie alla fama divenute divine e con l’auspicio che an­ che all’“amica risanata” sia riservata la stessa sorte. Sul piano intellettuale inizia a influire il pensiero di Vico, come dimostra la Considerazione IX dei Discorsi sul­ la Chioma di Berenice risalente allo stesso periodo, in cui viene trattato il tema dell’uso politico dell’apoteosi presso gli antichi. La scelta di riservare ai sonetti la parte più cospicua e meditata della raccolta si presta a osservazioni degne di nota. li messaggio che la serie dei componimenti vuole trasmettere è quello del congedo dal­ la poesia lirica, in quanto troppo gravida di passioni che devono essere contenute da at­ tività letterarie meno introspettive: impegno cui Foscolo si manterrà fedele per il resto della sua carriera letteraria.

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Nondimeno, la scelta del sonetto, cioè della forma me­ trica più diffusa nella lirica italiana, rappresenta l’omag­ gio a una tradizione (dalla quale i letterati successivi si affrancheranno categoricamente, sia Manzoni, sia, con la consueta consapevolezza, Leopardi, autore di un esplicito rifiuto del metro) e la volontà di scriverne un capitolo nuovo, caratterizzato da soluzioni stilistiche inedite e ardite, soprattutto nei testi più tardi. Ciò è apprezzabile dal punto di vista sintattico e retorico (la frequenza di enjambement e di inversioni complica il rapporto tra scansione strofica e sintassi), fonetico, e nell’applicazione della teoria foscoliana del “chiaroscu­ ro”, cioè dell’armoniosa alternanza di immagini cupe e serene, di presente e passato, di storia e mito, che diven­ terà anche in seguito la sua cifra stilistica distintiva. Già la silloge degli otto sonetti delle edizioni pisane è riconducibile a un disegno organizzativo dei testi non basato sulla cronologia compositiva (solo parzialmente ricostruibile tra il 1798 e il 1801), ma su un’ideale au­ tobiografia. Con le edizioni milanesi e l’inserimento dei nuovi sonetti l’architettura si complica e si precisa secondo istanze differenti. L’ideazione di una struttura, di un piccolo ma denso “canzoniere”, rappresenta una novità assoluta nel panorama poetico contemporaneo: pure il modello delle Rime alfieriane, richiamato anche a livel­ lo testuale, era svincolato da qualsiasi preoccupazione d’ordine strutturale.

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Nell’edizione definitiva l’organizzazione dei testi di­ venta circolare e si può sintetizzare come segue. La sillo­ ge si apre col sonetto Forse perché della fatai quiete, il cui titolo vulgato Alla Sera è l’unico, tra quelli con cui sono noti i sonetti “maggiori”, suffragato da un manoscritto non autografo, ma risalente a materiali originali rinve­ nuti in una copia foscoliana della traduzione di Alessan­ dro Marchetti del De rerum natura di Lucrezio. Così pu­ re lucreziana è la matrice ideologica del componimento, nonché l’idea portante della messa a punto intellettuale, suggerita dalla raccolta, quale addio alla poesia, riconfer­ mato in seconda posizione dalla riflessione interiore di Non son chi fui, il cui incipit traduce un’elegia del poeta tardo antico Massimiano: donde la più armoniosa suc­ cessione della celebrazione della lingua latina vilipesa dai francesi di Te nudrice alle muse, ospite e Dea, cui segue di­ rettamente la triade della lirica amorosa {Perché taccia..., Così gl’interi giorni..., Meritamente...). Il sonetto autoritratto {Solcata ho fronte...) apre la seconda parte della raccolta e prelude alla celebrazio­ ne di Firenze {E tu ne’ carmi avrai perenne vita), teatro della storia d’amore in precedenza riferita, ma anche patria della poesia italiana e ultima dimora di Vitto­ rio Alfieri, e dunque in perfetto pendant con la nuo­ va inserzione del sonetto Né più mai toccherò le sacre sponde, a significare la continuità tra le due “patrie”, quella ideale e intellettuale (Firenze) e quella familiare e affettiva (Zacinto).

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Al tema degli affetti familiari si lega il sonetto sulla morte del fratello, in cui ancora una volta coincidono elementi esistenziali (il suicidio del giovane Gian Dioni­ sio, morto l’8 dicembre 1801) e culturali (il compianto di Catullo sulla tomba lontana del fratello nel carme 101, anche testualmente richiamato). In penultima posizione si ribadisce in modo più de­ ciso l’inaridimento dell’ispirazione poetica che aveva animato la giovinezza (Pur tu copia versavi alma di can­ to) e infine il sonetto Che stai Già il secol l ’orma, ultima lascia delimita all’anno 1800 il termine cronologico in cui la piccola autobiografia va letta: tutta l’esperienza descritta viene collocata in quel triennio “repubblica­ no” del quale la vittoria di Marengo rappresentava la fine, ma anche un nuovo inizio di speranze che alla da­ ta di pubblicazione della stampa Nobile (1803) erano definitivamente tradite dai comizi di Lione (gennaio 1802) e dall’imminente evoluzione monarchica del Consolato, in una concezione di ricorsi storici ancora una volta debitrice alle teorie vichiane su cui l’autore stava riflettendo. Piano soggettivo (introspezione) e piano og­ gettivo (storia, cultura), ma anche presente e passato presiedono di volta in volta ai legami che intercorrono tra i testi e preludono al rit­ mo scandito da parti liriche e parti didascali­ che tipico dei S e p o lc ri.

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TRADUZIONI POETICHE (1803-1807)

La storia delle edizioni delle Poesie si svolge a margine di un’attività letteraria di notevole impegno, le cui ri­ sultanze si manifestano nello stesso 1803 con la pub­ blicazione della traduzione in endecasillabi sciolti della Chioma di Berenice, secondo il rimaneggiamento latino operato da Catullo (I sec. a.C.) dei frammenti di Cal­ limaco (IV-III sec. a.C.) riguardanti la favola eziologica della costellazione omonima. L’edizione foscoliana esce nel novembre 1803 presso il Genio Tipografico di Mi­ lano, è dedicata anch’essa all’amico Giovanni Battista Niccolini e comprende quattro Discorsi critici, il testo di Catullo con relativa traduzione e commento e quat­ tordici Considerazioni di carattere erudito e filologico, volte nella sfera pratica ad accreditare la credibilità cul­ turale dell’autore, nella speranza di ottenere un incarico universitario che tarderà a venire. Resta invece ignota ai contemporanei l’attenzione che, nello stesso torno di tempo, Foscolo ha riservato a un altro testo, veramente capitale dal punto di vista ideologico, vale a dire il De rerum natura di Lucrezio, che in questo momento della formazione foscoliana si intreccia con la diffusione nell’ambiente milanese della Scienza nuova di Vico edita nel 1801. Degli studi lucreziani del 1803 sono testimonianza i frammenti Della poesia, dei tempi e della religione di Lucrezio, pubblicati postumi a metà secolo, ma che già hanno lasciato tracce

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considerevoli nei quattro sonetti più tardi e cosiddet­ ti “maggiori” e costituiranno il retroterra ideologico di importanti luoghi dei Sepolcri. La condizione politica contingente, con la deriva au­ tocratica del Consolato, imponeva a chi aveva creduto negli ideali repubblicani del triennio un ripiegamento doloroso e rassegnato su situazioni analoghe della storia passata (il I sec. a.C.) [la fine della Repubblica romana e la dittatura di Giulio Cesare - ndr], di cui si stava assi­ stendo a un evidente “ricorso”. La profondità delle considerazioni di poetica che vengono espresse nei D is c o rs i ne fanno un precoce documento sul tema delia legitti­ mità dell’uso della mitologia più di un decen­ nio prima della polemica classico-romantica. Il mito è elemento fondante nella poesia (Vico) in quan­ to cristallizza passioni altrimenti non dominabili e le tra­ sforma in materia esprimibile in letteratura: nella cultura italiana il mito può e deve essere soltanto quello dell’an­ tica Grecia, perché unico nato dalla sintesi tra religione e storia compiuta da Omero e ciclicamente riprodotta (anche da Callimaco), secondo una catena di cui l’autore si sentirà di qui in poi l’ultimo rappresentante. Anche l’interesse per Omero è legato alla lettura di Vico, la cui ricostruzione del “vero Omero” viene rein­ terpretata da Foscolo in base alla propria esperienza per­

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sonale, che lo poneva alla confluenza di due tradizioni, greca e italiana. Per Vico, Omero rappresenta l’arche­ tipo di ogni espressione, non solo per la sua antichità, ma perché appartenuto a un’epoca dotata più di fanta­ sia che di raziocinio: donde la forza creatrice dei poemi omerici, e in particolare dell’Iliade, composta in un’epo­ ca più remota, quando la Grecia era “giovane”. L’approfondimento della riflessione su Omero deter­ mina in Foscolo la necessità di misurarsi con la lingua greca, fondante e per ciò stesso generatrice di poesia (donde il travaso nella straordinaria sintesi linguistica dei Sepolcri). Il volume intitolato Esperimento di traduzione della Iliade di Omero di Ugo Foscolo è stampato a Bre­ scia da Bettoni, con lettera dedicatoria al Monti datata 1° gennaio 1807: la realizzazione della stampa era avve­ nuta in parallelo a quella dei Sepolcri ed entrambe le pub­ blicazioni avevano visto la luce nel mese di aprile. Alla dedicatoria segue una prefazione intitolata Intendimento del traduttore, in cui Foscolo sintetizza alcune idee por­ tanti che hanno presieduto alla realizzazione del libro. Di seguito si trova la traduzione del primo canto, con a fronte la versione in prosa di Melchiorre Cesarotti (1786) corredata di annotazioni finalizzate a giustificare scelte linguistiche e interpretative confrontate con quel­ le di altri traduttori settecenteschi. Segue la traduzione di Vincenzo Monti, prima esposizione pubblica del ca­ polavoro che vedrà integralmente la luce presso il me­ desimo editore nel 1810. Infine, sono stampati tre brevi

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saggi teorici dei tre autori: in quello di Foscolo Sulla tra­ duzione del cenno di Giove (w. 528-530 del testo origi­ nale) la competenza “naturale” nella lingua greca presie­ de a suggestive osservazioni d’ordine stilistico, secondo le quali nessuna lingua moderna, in quanto razionale, può riprodurre la potenza espressiva della lingua eroica dell’Iliade. La puntualità ossessiva con cui Foscolo affronta i problemi della traduzione contiene in sé le ragioni dell’impossibilità di andare molto oltre rispetto al ful­ mineo risultato del primo canto. Anche se i materiali documentari testimoniano un perdurare degli interessi intorno al testo omerico negli anni successivi e anche durante l’esilio londinese, l’autore non giunse mai a una forma organica del lavoro traduttorio, che si pre­ senta parziale e frammentario (con squarci più o meno estesi dei primi sette canti) riproponendo in altra sede l’impasse compositivo e organizzativo delle Grazie.

DEI SEPOLCRI ( m i )

Dall’epistolario foscoliano sappiamo che l’idea del car­ me nacque nell’estate del 1806, in seguito ad alcuni col­ loqui con il poeta veneto Ippolito Pindemonte e con la comune amica Isabella Teotochi Albrizzi, durante i quali si trattò il tema del degrado e dello squallore in cui erano lasciati i cimiteri delle città italiane.

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Quando, nel settembre 1806, con l’Editto di SaintCloud [il quale prevedeva, secondo l’intendimento di Napoleone, che le tombe venissero collocate al di fuori delle mura cittadine, in luoghi aperti, e che fossero tutte uguali, per evitare discriminazioni tra i defunti - ndr] era stata estesa in Italia la legislazione igienico-sanitaria sui cimiteri, il componimento doveva essere a uno sta­ dio già avanzato di elaborazione; tuttavia il riferimento esplicito all’editto (che quindi non ne rappresenta l’oc­ casione principale) venne aggiunto ai w. 51-53. Nell’in­ verno del 1807 Foscolo curò personalmente l’edizione del carme, che fu pubblicato nel mese di aprile a Brescia presso l’editore Bettoni, con dedica proprio al Pindemonte, pure chiamato in causa nel componimento. I Sepolcri si inquadrano, sia dal punto di vista lin­ guistico sia tematico, in un contesto culturale assai composito: il precedente più recente e caratteristico è costituito dalla poesia sepolcrale del Settecento ingle­ se, come The Night Piece on Death di Thomas Parnell, i Night Thoughts di Edward Young e i’Elegy Wrìtten in a Country Church-yard di Thomas Gray, tutti tradotti in italiano negli ultimi decenni del secolo; e si ricordi­ no anche, più prossimi cronologicamente, i poemetti di Gabriel-Marie Legouvé (La Sépulture, tradotto nel 1802) e di Jacques Delille (L’imagination, 1806). Più vasta e remota la rete di riferimenti forniti dall’e­ rudizione antiquaria sei-settecentesca, tornata d’at­ tualità nel fervore delle ricerche archeologiche dell’età

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napoleonica. Lo stesso titolo del poema richiama uno dei classici della trattatistica antiquaria in merito alle sepolture, il De Sepulchris Hebraeorum dell’archeologo tedesco Johann Nicolaj, edito a Leida nel 1706, mentre al 1774 risale il Saggio intorno al luogo del seppellire di Scipione Piattoli. Va inoltre tenuto presente il complesso dibattito pubblico che condannava gli eccessi rivoluzionari in materia di sepolture (fosse comuni e anonime ecc.), au­ spicando un recupero della «religion des tombeaux»., ali­ mentata anche dalla valenza “civile” conferita ai sepolcri dalla Scienza nuova di Vico. Foscolo stesso, rispondendo a una polemica recen­ sione dell’abate Aimé Guillon, apparsa sul Giornale Ita­ liano poco dopo l’edizione del carme (22 giugno 1807), dichiara di aver voluto considerare le sepolture «politi­ camente»; di aver avuto lo scopo di «animare l’emula­ zione politica degli italiani con gli esempi delle nazioni che onorano la memoria e i sepolcri degli uomini gran­ di»; di aver voluto «predicare non la resurrezione dei corpi, ma delle virtù». Il componimento è definito carme, cioè una poesia solenne, di carattere religioso e civile, ed è composto in endecasillabi sciolti. Pur essendo comunemente consi­ derato il metro più idoneo a riprodurre l’esametro gre­ co o latino, secondo Foscolo «la dignità dell’esametro è appena adombrata dall’endecasillabo» e ciò comporta nei Sepolcri un’attenzione particolare alla ricerca della

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solennità antica attraverso una grande varietà ritmica (accenti che cadono in sedi diverse da un verso all’al­ tro), frequenti enjambement (che ampliano il confine delle undici sillabe del verso) e l’uso insistito della sinalefe. Tali aspetti metrici si uniscono a una sintassi den­ sa di iperbati, dando luogo a un dettato estremamente difficile, che contribuì a sollevare molte perplessità tra i contemporanei («fumoso enigma» definì i Sepolcri il letterato piacentino Pietro Giordani), e sul quale si è frequentemente soffermata la critica moderna. Ulteriore definizione è data dalla dedica A Ippoli­ to Pindemonte, che configura il componimento come un’epistola in versi: il dedicatario è ripetutamente men­ zionato ed eletto quale interlocutore di un testo certa­ mente nato a margine dei rari incontri del 1806 e del suo progetto già in atto di dedicare un poema in ottave ai cimiteri. Nello stesso 1807 Pindemonte pubblicherà, presso l’editore veronese Gambaretti (insieme alla ri­ stampa del testo foscoliano), una risposta in endecasilla­ bi sciolti indirizzata a Foscolo, in cui afferma che, messo a parte dell’imminente pubblicazione dei Sepolcri, aveva deciso di tralasciare l’impresa dei cimiteri, ormai ai suoi occhi privi di originalità: il che basta a liquidare l’anno­ sa questione di un presunto plagio da parte di Foscolo nei confronti di Pindemonte. L’esame delle informazio­ ni che Foscolo confeziona per i suoi corrispondenti tra settembre 1806 e marzo 1807 (come osservava Franco Gavazzeni) manifesta in effetti un atteggiamento tor­

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tuoso e obliquo, fitto di annunci e di retrodatazioni, certamente finalizzato a vincere una competizione nella quale il mite letterato veronese non aveva peraltro in­ tenzione di gareggiare. La struttura dei S e p o lc r i è assolutamente originale nella nostra letteratura. Il carme appare tutto intessuto di legami analogici, recuperi a distanza, anticipazioni (dette da Foscolo «transizioni») che legano, fuori dal tessuto sintattico, una materia apparente­ mente caotica. Nella Lettera a Monsierur Guillon (1807), scriveva: «le transizioni sono ardue sempre a chi scrive, e sovente a chi legge; specialmente in una poesia lirica, e d’un au­ tore che, non so se per virtù o per vizio, transvolat in medio posita [citazione da Orazio che indica il tralasciare le cose facili da raggiungere - ndr] ed afferrando le idee cardinali, lascia a lettori la compiacenza e la noia di de­ sumere le intermedie».* Il componimento si articola in quattro grandi parti disposte a chiasmo, per un totale di 295 versi: w. 1-90: validità soggettiva del culto dei morti; w. 91-150: ex­ cursus storico sulle forme della pietas; w. 151-212: esaltazione della portata storica ed umana delle manife­ * U . Foscolo, Lettera a monsieur GuiUfon], in Opere. I. Poesie e tragedie, Einaudi-Gallimard, Torino 1994

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stazioni di culto dei morti e affermazione della validità oggettiva del sepolcro, che suggerisce alte idealità civili; w. 213-295: le tombe dei grandi troiani, che ispirarono Omero, producono la funzione eternatrice della poesia, che proprio dalle sepolture trae materia di canto e dona l’immortalità. All’interno delle suddette sezioni si distinguono ulte­ riori sequenze, che articolano il discorso secondo un filo logico stringente e complesso. Il carme si apre con una domanda retorica che aspet­ ta risposta negativa: oggettivamente le tombe non ser­ vono a scongiurare le vicende della materia, e neppure serve la fede cristiana nella resurrezione: tutto ciò che esiste è distrutto dal tempo. Tuttavia, grazie alla tomba ciascuno può illudersi di sopravvivere nell’affetto e nella memoria dei propri cari. Di seguito, viene presa in esame la nuova legisla­ zione, che accomunando indistintamente le tombe, ne compromette il significato nella coscienza civile. Così il Paririi, grande maestro di virtù, non può continuare anche da morto il suo magistero perché è stato sepolto in una fossa comune, senza un monumento che ricordi agli ingrati concittadini la sua onestà e i suoi insegnamenti. Il finale dell’episodio pariniano torna a menzio­ nare gli affetti privati e riconduce alla sfera della sog­ gettività e dei sentimenti, donde si era partiti prima di questa meditazione d’ordine civile, che prelude invece alla sezione successiva.

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A partire dal verso 91, il culto dei morti viene fatto coincidere con l’uscita dell’umanità dallo stato ferino primitivo: è l’ennesima idea che Foscolo desume dalla Scienza nuova di Vico e che sposta l’esegesi del carme ben più in alto rispetto alla riduttiva occasione, che lo stesso Foscolo contribuì a diffondere, dell’editto di Saint-Cloud. Appare qui per la prima volta il motivo del­ la sepoltura discusso non per occasione, ma per speculazione, che rappresenta uno snodo centrale del carme e inserisce l’elemento sto­ rico in una realtà metastorica e universale (il sepolcro è segno di civiltà) desunta da Vico. Avviene peraltro uno stemperamento della filosofia vichiana con quella epicureo-lucreziana, sostenitrice della mortalità dell’anima. Di seguito, Foscolo passa in ras­ segna opposte modalità di culto dei morti, quali le se­ polture all’interno delle chiese e, in generale, tutta la tradizione terrificante sulla morte tipica del cattolicesi­ mo cui si oppongono le forme adeguate e rasserenanti dell’antica Grecia e della moderna Inghilterra, nazioni entrambe civilissime. La semplicità della bara di Horatio Nelson (ricava­ ta da un albero di nave) permette per contrasto di far scattare una polemica attuale e stringente: se manca coscienza civile le tombe, per quanto magnifiche, non

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servono: così i notabili italiani, nessuna categoria esclu­ sa («il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo»), privi di co­ scienza civile, sono già morti pur essendo ancora vivi. La sorte differente che il poeta augura alla propria tomba introduce alla terza sezione del carme (w. 151212), che si apre con la celeberrima evocazione della ba­ silica di Santa Croce in Firenze, nella quale sono conte­ nute le tombe di illustri italiani e che costituisce quindi il presidio della tradizione che alimenta l’amore per una patria ideale, civile e culturale (Machiavelli, Michelan­ gelo e Galileo sanciscono il primato fiorentino nella po­ litica, nelle arti e nelle scienze). Ma Firenze è anche la città di Dante e della famiglia di Petrarca e quindi della letteratura italiana e, da ultimo, è stata la patria di ele­ zione di Alfieri, anch’egli sepolto in Santa Croce. Con un’ardita transizione che fa perno sulla religiosità tutta laica dell’amore per la patria (un Nume parla), si passa alla rievocazione delle tombe dei caduti nella bat­ taglia di Maratona, che suscitavano nei Greci sentimenti di amore patrio. Come segnala lo stesso Foscolo in una nota, la visione allucinata della battaglia, che si ripetereb­ be tutte le notti, deriva da una leggenda tramandata da Pausania e ha lo scopo di esemplificare la potente sugge­ stione esercitata dai luoghi in cui riposano i morti, neces­ saria premessa della parte finale del carme, introdotta dal ricordo dei viaggi compiuti dal Pindemonte nelle isole greche, le quali videro le armi di Achille giustamente re­ stituite dal mare al sepolcro di Ajace suicida.

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Infine, dopo un’apostrofe alle Muse, custodi dei se­ polcri, affinché ispirino la rievocazione degli antichi eroi dell’Iliade, l’ultima sezione (w. 235-295) si apre con la descrizione di Elettra, la ninfa che insieme a Giove diede origine alla civiltà troiana e che in punto di morte chiese al dio fama immortale per sé e per i suoi discendenti: fu così che le tombe divennero depositarie della tradizione e della religione della città. Su di esse veniva Cassandra a piangere l’imminente rovina della sua gente e a preve­ derne la fama immortale nel ricordo dei posteri grazie ai poemi omerici. Viene qui ribaltato il presupposto iniziale: i sepolcri, di per sé destinati alla rovina che coinvolge tutte le cose materiali, grazie ai poeti sono in grado di conservare il patrimo­ nio delia civiltà umana. L’eternità del ricordo ha sì origine da grandi gesta, ma la conoscenza di esse andrebbe perduta se non vi fosse la poesia a renderle immortali (viene ribadito il concet­ to oraziano dell’ode IV 9). Mentre ribadisce la funzione della letteratura quale suprema illusione, Foscolo non deroga alle proprie convinzioni materialistiche, dram­ maticamente riaffermate negli ultimi versi del carme, ove risalta ancora una volta «il senso tragico di una vita concepita priva dell’aiuto di benigne entità ultraterre­ ne, sintetizzato dal contrasto semantico tra “risplende”

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e “sciagure”, che recupera l’ideologia epicureo-lucreziana dell’indifferenza divina nei confronti dell’umanità» (Franco Longoni, Plèiade).

LE GRAZIE

{mi-mi)

Lasciata Milano nell’estate del 1812 per stabilirsi a Fi­ renze, Foscolo fa tappa a Bologna, dove visita Cornelia Rossi Martinetti e il suo giardino all’italiana, ornato di statue neoclassiche. A Firenze alloggia inizialmente in una locanda, ove risiede pure lo storico dell’arte France­ sco Leopoldo Cicognara, amico, sostenitore e interprete di Canova; quasi subito visita in Santa Croce la tomba di Alfieri, realizzata dallo scultore veneto nel 1810. Entra ben presto in familiarità con Luisa Stolberg d’Albany, compagna di Vittorio Alfieri, che gli lascia consultare i manoscritti e i libri del grande tragico; co­ nosce Quirina Mocenni Magiotti, che gli resterà legata da un affetto incrollabile e generoso anche negli anni dell’esilio. In questa che si può definire la stagione più prolifica della sua carriera di scrittore, circostanze an­ che casuali e contingenti inducono Foscolo a tornare su alcuni spunti che almeno da un decennio convivevano con molti altri rimasti lettera morta. Il primo nucleo che si può relazionare all’impresa delle Grazie risale ai quattro frammenti inseriti nel com­ mento alla Chioma di Berenice del 1803, i quali assumo-

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no un carattere di anticipazione solo alla luce di quanto realizzato dieci anni più tardi, non essendo più che un gioco mistificatorio di false traduzioni e imitazioni, fi­ nalizzato a farcire l’esibizione erudita dei commentari. Nella Firenze del 1812 l’entusiasmo per Canova è pal­ pabile: da pochi mesi nella Tribuna degli Uffizi, prece­ dentemente depredata della Venere dei Medici trasferita a Parigi, è stata collocata la sua Venere italica, definita da Foscolo «bellissima donna» che può illudere di «trovare il paradiso anche in questa valle di lagrime». Già il 22 agosto il poeta aveva annunciato a Isabella Teotochi Albrizzi il proposito di comporre un poema sulle Grazie e di dedicarlo a Canova e nel corso del mese successivo realizza la prima redazione dell'Inno, su cui continua a lavorare fino alla primavera del 1813, quan­ do si trasferisce a Bellosguardo. In corso d’opera il pro­ getto cambia, assumendo la configurazione di un carme tripartito in tre inni dedicati a Venere, Vesta e Pallade. A giugno, mentre a Pisa esce la traduzione del Viaggio sentimentale di Sterne, termina la Ricciarda e la invia alla Censura di Milano con i 115 versi del Rito delle Grazie, intitolati Frammento dell’Inno terzo e dedicati alla vice­ regina Amalia. Negli ultimi mesi del 1813 continua a lavorare sul cosiddetto Quadernone, che contiene la maggior par­ te dei frammenti da utilizzare per il carme tripartito e prosegue, dopo essere tornato a Milano, anche per tut­ to l’anno successivo. Per interessamento del Pellico, i

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manoscritti lo raggiungono in Svizzera e lo seguono in Inghilterra, dove vi metterà mano solo nel 1822, quan­ do il duca di Bedford lo invita a partecipare all’elegante volume in cui viene presentata la sua preziosa collezione di sculture antiche e moderne, tra le quali spiccava il se­ condo gruppo delle Grazie scolpito dal Canova. Foscolo pubblica 184 versi inseriti all’interno di una Dissertation on an Ancient Hymn to thè Graces, in cui ripropone in modo più articolato il gioco di specchi tra imitazioni e false traduzioni già adombrato nei frammenti del 1803. Gli studiosi si sono a lungo scontrati col pro­ blema filologico delle G ra z ie , per loro stessa natura caratterizzate da una frammentarietà insanabile. Sostanzialmente sconosciuto ai contemporanei, il car­ me vide la luce secondo un arbitrario montaggio dei frammenti realizzato da Francesco Silvio Orlandini nel 1848, che lo dotò di una organicità inesistente. Dai ma­ noscritti foscoliani si può ricavare una descrizione della trama, basata sui testi effettivamente scritti, ma che ri­ sulta ugualmente artificiosa non essendo mai stata com­ pletata dall’autore. In base agli autografi del Quadernone, essa è così rias­ sumibile: il primo inno (299 versi) è dedicato a Venere che accolse le Grazie portatrici di catarsi e di modera­ zione degli istinti ferini dell’umanità. Nell’inno ritorna

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la celebrazione delle patrie foscoliane, Zacinto e Firen­ ze, con la rievocazione del Boccaccio. Nel secondo inno (350 versi), dedicato a Vesta, tre gentildonne amiche dell’autore, Eleonora Nencini di Firenze, Cornelia Rossi Martinetti di Bologna e Maddalena Bignami di Milano, simboleggianti rispettivamente la musica, la poesia e la danza, compiono un rito presso un altare dedicato alle Grazie sulla collina di Bellosguardo. Nell’inno sono in­ seriti i Versi del Rito, inviati a Milano nel 1812, ove si immagina che la terza sacerdotessa conduca a un altro altare delle Grazie, innalzato in Brianza, un cigno, quale dono votivo della viceregina Amalia per il ritorno del consorte Eugenio dalla campagna di Germania. Il terzo inno (24 versi), dedicato a Pallade, compren­ de solo un’invocazione, dedicata a Canova, dei poeti antichi quali numi tutelari dell’impresa poetica in at­ to. Dai versi compresi all’interno della Dissertation del 1822 si può ricostruire la trama dell’inno a Pallade, che ha il suo fulcro nei cosiddetti Versi del velo-, nell’isola di Atlantide la dea della sapienza ordina ad alcune ancelle di tessere un velo che «come invisibile amuleto» difenda le Grazie «dalla fiamma delle passioni divoratrici» at­ traverso i valori raffigurati dal ricamo: «la Giovinezza, l’Amore Coniugale, l’Ospitalità, la Pietà Filiale, e la Te­ nerezza Materna». Se la frammentarietà e il carattere indefinitamente evolutivo dell’ultima fatica poetica di Foscolo non ne permettono una valutazione ideologica coerente, appare

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tuttavia chiaro l’intento dell’autore di andare oltre l’e­ sperienza Ortis - Sepolcri. La nuova disposizione è reiazionabile innanzitutto con motivazioni intrinseche, prima fra tutte il contro­ canto rappresentato del registro ironico, che negli stes­ si mesi dell’elaborazione delle parti più cospicue del carme ha trovato realizzazione nella Notizia intorno a Didimo Chierico, premessa alla traduzione del Viaggio sentimentale. Secondariamente, la novità rappresentata dalle Grazie non può essere disgiunta dalle tragiche vi­ cende che vanno dall’inizio della campagna di Russia alla sconfitta di Lipsia. Così il poema diviene il luogo della catar­ si dell’ispirazione foscoliana, il balsamo a un’angoscia storica ed esistenziale di fronte alle notizie sconvolgenti sul destino dell’ar­ mata napoleonica. Foscolo intende fare nelle G ra z ie , in ambito letterario, quanto Canova andava facendo in ambito artistico: perveni­ re cioè a un classicismo umanizzato, vissuto e non antiquariale. E se in scultura ciò era possibile attraverso lo studio dell’anatomia associato allo studio degli scultori antichi, in letteratura la palestra in cui esercitare la lingua non poteva essere altro che la traduzione omerica. Infatti, durante l’elaborazione delle Grazie, nel fervore compo­

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sitivo straordinario di questi anni, continua la traduzio­ ne dell’Iliade (si dedica, senza giungere a un compimen­ to accettabile, a secondo, terzo, quarto e quinto canto), realizzando un’osmosi fra traduzione e creazione nell’of­ ficina delle Grazie quale sede restaurativa della classicità. Per questa via Foscolo parte dalle istanze che aveva­ no presieduto all’Urania del Manzoni (1809), che aveva superato il classicismo ornamentale dell’esempio della Musogonia di Monti (1793-1797), sforzandosi di pro­ durre una poesia altamente morale attraverso amabili immagine allegoriche. Comune all’Urania e alle Gra­ zie è la riflessione politica sottesa: che per Manzoni era costituita, nella Parigi del 1809, dalla percezione della parabola discendente a cui il regime napoleonico era avviato e per Foscolo, durante le campagne di Russia e di Germania, dalla presa d’atto di una tragedia ormai consumata. In tale contesto, il ripiegamento era inevitabile e si poteva solo tentare una “poesia della poesia”: il che non era bastato a Manzoni, già avviato dal 1810 alla “con­ versione”, e non basterà neppure a Foscolo, che non riu­ scirà a completare il progetto, anzi non riuscirà neppure a progettarlo in modo soddisfacente; e nondimeno rag­ giungerà nei frammenti composti il vertice della propria maturità letteraria. Che, fuori tempo massimo e lontano anche nello spazio dalle vicende e dalle riflessioni che avevano pre­ sieduto alla fase più intensa dell’elaborazione delle Gra­

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zie, Foscolo ritorni sul carme e realizzi i versi del Velo inseriti nella Dissertation per il duca di Bedford merita un’ultima osservazione. Il Velo (che cinge anche le Grazie del Canova e quasi invisibile accarezza quelle di Raffael­ lo) è nel carme il simbolo di un concetto fondamentale che a partire dall’Ajace si fa strada nella meditazione fo­ scoliana, quello del pudore unito alla compassione. Tale concetto, come sempre nel nostro autore, agisce su due piani sovrapposti: nella vita reale, l’esercizio di compas­ sione e pudore viene messo a fuoco come prerogativa della femminilità cui Foscolo affida il ruolo di argine alla brutalità maschile; in letteratura, esso è costituito dalla forza allegorica delle immagini, unica in grado di stem­ perare quella delle passioni; dal punto di vista stilistico, come già anticipato nei versi dei Sepolcri che lo riguarda­ no, l’autore di riferimento non può essere che Petrarca.

LE TRAGEDIE

Confrontate dal punto di vista quantitativo con tutta la restante opera poetica foscoliana, le tre tragedie in ende­ casillabi sciolti costituiscono senza dubbio la realizzazio­ ne più consistente. Si tratta di testi ormai dimenticati, se non dalle storie letterarie, sicuramente dall’ambito per il quale erano stati scritti, vale a dire la rappresentazione teatrale. Tuttavia, il fatto stesso che alla prima e all’ulti­ ma delle sue tragedie, al Tìeste nel 1797 e alla Ricciarda

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nel 1820, il Foscolo abbia inconsapevolmente lasciato il compito di contenere i termini cronologici editoriali della sua produzione in versi conferisce a queste opere un posto di rilievo nella carriera del nostro autore. Tieste La prima tragedia foscoliana venne rappresentata al tea­ tro Sant’Angelo di Venezia il 4 gennaio 1797, durante l’ultimo carnevale della storia della Repubblica di San Marco. Strutturata in cinque atti, essa risulta ossequiente alle regole pseudoaristoteliche delle tre unità: la scena si svolge nella reggia di Argo nel corso delle ventiquattrore; unitaria è pure l’azione, che rielabora il mito greco dei Pelopidi, indicato da Aristotele come paradigma di rap­ presentazione tragica. Nell’antefatto, Atreo, il tiranno, ha usurpato la promes­ sa sposa Erope al fratello Tieste e lo ha cacciato in esilio dopo averlo sorpreso in flagrante adulterio con la cognata; dalla relazione è nato un bambino, che vive segregato. Do­ po avere attirato il fratello alla reggia, fingendo di piegarsi alle preghiere della madre Ippodamia, Atreo lo invita a un macabro banchetto e gli fa bere il sangue del figlio. Tieste, dopo aver tentato invano di uccidere il tiranno, si suicida. Nonostante l’immaturità innegabile dell’opera, la tragedia ebbe grande successo di pubblico, con ben nove repliche e la pubblicazione nel X volume della raccolta Teatro mo­ derno applaudito (aprile del 1797): l’autore la “rifiuterà”, perché troppo giovanile, nella premessa all’edizione pisana

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delle Poesie, ma nel 1808 essa verrà rappresentata a Milano e, dopo due repliche, bloccata dalla censura in quanto giu­ dicata offensiva nei confronti del governo. Dal punto di vista letterario, agiscono nella compo­ sizione del testo sia XAtree et Thyeste di Crébillon (1707) e Les Pélopides di Voltaire (1771), come lo stesso autore indica in una lettera a Melchiorre Cesarotti, sia il teatro di Alfieri, alla fine del Settecento poco congeniale, per asprezza stilistica, al pubblico veneziano, e che infatti il Foscolo si sforza di stemperare con forme più morbide desunte dalla traduzione dei Canti di Ossian di Cesarot­ ti e dai melodrammi di Metastasio. L’innegabile disarmonia del risultato fa del Tie ste una sorta di prova generale, fallita, di quel «chiaroscuro» inteso come concordia degli opposti che sarà uno dei fondamenti stilistici della poetica foscoliana. Ajace Dopo aver sottoscritto un contratto con la Compagnia teatrale Fabbrichesi fin dal 1809, Foscolo fu travolto nell’anno successivo dalle polemiche letterarie conse­ guenti la rottura con Vincenzo Monti e soltanto alla fine del 1811 riuscì a far rappresentare la nuova tragedia, in un Teatro alla Scala gremito di pubblico: dopo una sola replica essa fu bloccata da un rescritto vicereale diretto al ministro dell’Interno, a causa delle allusioni politiche

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ravvisate. Foscolo si scusò poco dopo col viceré affer­ mando la propria buona fede e impegnandosi a scrivere una nuova tragedia in linea con i desideri del sovrano. La trama di questa lunghissima opera rielabora con qualche libertà le celebri fonti letterarie del soggetto: i poemi omerici, Sofocle, Pindaro e Ovidio. L’eroe greco Ajace, già inviso ad Agamennone per il suo valore, è og­ getto dell’invidia di Ulisse, che pretende come lui l’ere­ dità delle armi di Achille. La frattura che si consuma con il capo dell’esercito acheo rivela rancori più forti e. remo­ ti al di là della contingente questione dell’assegnazione delle armi e culmina in una caduta in disgrazia dell’eroe presso tutti i capi achei. Disperato e convinto di essere stato tradito anche dal fratello Teucro, Ajace si ferisce a morte; mentre agonizza, Teucro riesce a provargli la pro­ pria lealtà, mentre annuncia che il rivale ha ottenuto le armi; le parole finali sono di Agamennone che lamenta il caro prezzo morale del potere. Compaiono nella tra­ gedia altri due personaggi, dotati di una funzione pre­ valentemente dialogica e affettiva, il sommo sacerdote Calcante e l’ex schiava Tecmessa, moglie di Ajace. In questa seconda prova tragica Foscolo, al culmine della propria parabola poetica, ricerca una cifra stilistica autonoma e originale attraverso cui affermare la perso­ nale esclusiva “grecità”, dando attraverso un respiro ver­ sificarono mai fino allora tentato il modello assoluto di una letteratura classica rediviva e alternativa agli equivoci artificiosi del Monti «traduttor de’ traduttor d’Omero».

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Ricciarda La breve tragedia, ambientata in un Medioevo manie­ rato e con personaggi non storicamente esistiti, viene elaborata a Firenze tra l’autunno del 1812 e il giugno del 1813 e si interseca quindi col lavoro sulle Grazie, tanto che il manoscritto che la contiene sarà inviato da Firenze a Milano per essere sottoposto alla Censura insieme a quello dei versi del Rito, dedicati al viceré e alla viceregina. Viene rappresentata a Bologna il 17 settembre 1813. Nel 1820, a Londra, il Foscolo ne cura un’edizione presso il tipografo John Murray, incontrando i favori della critica e del gusto del tempo, certo a causa del suo soggetto così adatto al dominante Gothic Revival, esornativo della celebrazione della gloria nazionale bri­ tannica dopo lo scacco napoleonico. Nel palazzo del principe di Salerno si consuma la tragedia dell’eroina eponima, figlia del tiranno Guelfo, usurpatore dell’eredità del fratellastro Averardo. Tra i due si trascina una lotta trentennale, in cui Guelfo è politicamente sostenuto dal papa e Averardo dall’im­ peratore, e che è complicata dall’amore di Ricciarda per Guido, figlio di Averardo. In scena si svolge l’epi­ logo della vicenda: Averardo sta per espugnare Salerno, ma sotto mentite spoglie e con l’aiuto dello scudiero Corrado si introduce nella reggia e tenta inutilmen­ te una mediazione per proteggere la vita di Guido, nascosto nel sotterraneo adibito a camera sepolcrale.

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A ciò si aggiunge l’angosciosa alternativa di Ricciarda tra il dovere filiale e il sentimento amoroso. Nel drammatico finale, le truppe di Averardo invadono la rocca; Guelfo, dopo aver cercato di uccidere Guido, si vendica pugnalando a morte la figlia e, disperato, si uccide. Frutto di una concezione più meditata del genere tragico, la Ricciarda presenta contrapposizioni che non si limitano al confronto tra i personaggi, ma sussisto­ no all’interno di ciascuno di essi, travolto da due in­ conciliabili forme d’amore (per il padre e per l’amante Guido e Ricciarda, per il figlio e per la patria Averardo, per la figlia e per il potere Guelfo), di cui Ricciarda è l’unica consapevole, tanto da arrendersi docilmente alla morte ed esprimendo quelle caratteristiche tipiche della femminilità intesa quale superamento della bru­ talità maschile, affidate stilisticamente all’inserzione massiccia di rimandi petrarcheschi. Per quanto riguarda l’inclusione nel corpus foscolia­ no del testo trasmesso da un unico manoscritto e intito­ lato Edippo. Tragedia di Wigberto Rivalta, fu cura di chi scrive dimostrarne l’inattendibilità in un articolo che non venne mai confutato puntualmente, ma solo citato come voce dissonante rispetto a quella ormai vulgata dell’attribuzione al Foscolo.* * M .M . Lombardi, Sull’a ttribuzione al Foscolo dell’«Edippo», tragedia di Wigberto Rivalta, in Studi d i filologia italiana, LIV, 1996

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ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS ( 1 8 0 2 - 1 8 1 7 )

Dopo la soppressione del periodico milanese II Monitore italiano, che aveva di fatto diretto per tutto il corso della pubblicazione, da gennaio ad aprile del 1798, Foscolo si sposta tra Milano, Modena e Bologna, continuando su vari periodici l’attività pubblicistica politica e letteraria. Assunto dal Tribunale bolognese come aiutante del can­ celliere e segretario per le lettere, inizia nell’autunno a stampare presso l’editore Marsigli il romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis, che però lascia incompiuto quando, nella primavera successiva, la seconda coalizio­ ne inizia le ostilità contro la Francia. Arruolatosi come luogotenente partecipa, tra Emilia e Liguria, ad alcune operazioni militari della disastro­ sa campagna del 1799. Intanto, nell’estate dello stesso anno e nella Bologna da poco conquistata dagli austro­ russi, il Marsigli pubblica, con data 1798, il romanzo intitolato Vera storia di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis, frutto di un rimaneggiamento procurato con l’aiuto del giurista e letterato bolognese Angelo Sassoli e all’insaputa dell’autore, che ne rifiute­ rà il coinvolgimento all’inizio del 1801 con una lettera apparsa sulla Gazzetta Universale di Firenze. Proprio a questo punto, infatti, le nuove suggestioni legate all’a­ more per la giovane fiorentina Isabella Roncioni aveva­ no riacceso in lui il desiderio di riprendere (accanto alla lirica amorosa) il romanzo interrotto.

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Dopo il trasferimento a Milano, nella primavera del­ lo stesso anno, l’elaborazione letteraria si interseca alla passione per la nobildonna Antonietta Fagnani Arese (la destinataria dell’ode Alla amica risanata), secondo quanto registra la continua sovrapposizione testuale tra il testo del romanzo e l’epistolario privato. La prima parte delle Ultime lettere di Jacopo Ortis viene edita pres­ so l’editore milanese Mainardi alla fine del 1801, men­ tre nell’ottobre del 1802 il Genio Tipografico di Milano pubblica la prima edizione definitiva. L’immediato successo procura al romanzo incon­ trollate contraffazioni editoriali, nonché il ruolo, anche neH’immaginario dello stesso autore, di testo suo più noto e rappresentativo. Tanto da essere recuperato in due successive edizioni del tempo dell’esilio, la prima uscita a Zurigo nel 1816 (con falsa indicazione «Lon­ dra, 1814» e accompagnata da una mistificatrice No­ tizia bibliografica), la seconda effettivamente a Londra nel 1817, entrambe con lievi o significative variazioni di stile e di contenuto, che attualizzano l’opera in relazione alle importanti vicissitudini esistenziali. L'O r t is può essere considerato il primo ro­ manzo moderno della nostra letteratura. Infatti, se trova i suoi antecedenti europei in romanzi epistolari del secolo XVIII, come La Nouvelle Heloise di Jean-Jacques Rousseau (1761) e I dolori del giovane

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Werther di Goethe (1774), nonché la Pamela (1740) e la Clarissa (1748) di Samuel Richardson, esso filtra i cele­ bri modelli attraverso un’eccezionale esperienza storica, autobiografica e culturale, che gli conferisce attualità e immediatezza esclusive. La sua complessa storia redazionale ed editoriale inizia tradizionalmente con l’indicazione contenuta nel Piano di studj: «Laura, Lettere. Questo libro non è interamente compiuto, ma l’autore è costretto a dargli l’ultima mano quando anche ei noi volesse». La critica primo-novecentesca si è a lungo affannata a trovare riscontri oggettivi tra tale indicazione e il roman­ zo poi realizzato, cosa che interventi più recenti hanno prudentemente concluso di evitare, data l’assenza di ma­ teriali documentari e la fragile attendibilità del catalogo giovanile. In particolare, la discussione ha riguardato il riferimento (in tutte le edizioni del romanzo e a partire dal 1802 quale vera propria inserzione narrativa estra­ nea alla vicenda principale) alla storia di una «Lauretta» impazzita per amore, che ricalca a sua volta un incrocio narrativo presente nel Viaggio sentimentale di Sterne. Il primo Ortis a noi disponibile è quindi a tutti gli effetti costituito dalle lettere numerate da I a XLV (se­ condo il modello delle traduzioni italiane del Werther di Goethe), abbandonate dal Foscolo a Bologna pres­ so l’editore Marsigli, corredate di una conclusione, di estensione pressoché identica alla parte foscoliana, rea­ lizzata da Angelo Sassoli. Marsigli pubblicò l’opera a più

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riprese con successivi emendamenti a partire dal 1799, ma sempre con data all’anno precedente e infine intito­ lata Vera storia di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis, rassicurante in senso sentimentale nei confronti della censura sia austriaca sia francese, ma re­ cante in frontespizio l’epigrafe che resterà identica in tutte le edizioni: «Naturae clamat ab ipso vox tumulo» (La voce della natura geme perfino dalla tomba), dalla traduzione in latino di Paolo Costa dell’Elegy Written in a Country Church-Yard (Elegia scritta in un cimitero di campagna) di Thomas Gray. Controversa e discorde risulta tra gli studiosi la valu­ tazione di quale sia stato effettivamente il ruolo di Sas­ soli e se, e in quale misura, egli abbia potuto disporre di materiali lasciati dall’autore al tipografo e per noi per­ duti. Già in questa prima edizione la parte foscoliana dell’esile trama prevede che il destinatario, qui chiamato «Lorenzo E», pubblichi le lettere inviategli dall’amico Jacopo Ortis (il cognome dei personaggio ricalca, se­ condo la tarda ed esplicita indicazione del Foscolo nella Notizia bibliografica del 1816, quello di Gerolamo O r­ tis, studente friulano ventitreenne, effettivamente suici­ datosi a Padova nel 1796; nel nome è forse ravvisabile un omaggio a Jean-Jacques Rousseau) nel periodo com­ preso tra il 3 settembre 1797 e il 31 maggio 1798. La vicenda si svolge prevalentemente sui Colli Euga­ nei (con solo una minima permanenza del protagonista all’Università di Padova), dove il giovane entra in un

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groviglio sentimentale che vede al centro la giovane ve­ dova Teresa (personaggio e nome forse ispirati da Teresa Pikler, moglie di Vincenzo Monti), madre di una bim­ ba, e il buon Odoardo, da sempre innamorato devoto nonché ricambiato. Mentre un’assenza del rivale svela a Jacopo il proprio amore per Teresa, il suo imminente ritorno lo induce a una fuga, annunciata con una stra­ ziante lettera d’addio indirizzata alla donna. La parte redatta da Sassoli fa proseguire la vicenda con altre dieci lettere e alcune parti descrittive fino al suicidio del pro­ tagonista nella notte del 30 giugno 1798, cui seguono alcune lettere di Teresa e varie annotazioni. Al maldestro coacervo della Vera s to ria , co­ me si è detto, il Foscolo toglierà qualsiasi legittimazione non solo sconfessandone la pubblicazione, ma soprattutto rielaborando­ ne trama, caratteri e stile alla luce di nuove vicende storiche e personali e di un’accresciuta maturità letteraria. Innanzitutto il tempo del racconto si dilata, iniziando l’H ottobre del 1798 (in prossimità della firma del Trat­ tato di Campoformio, avvenuta il giorno 17) e conclu­ dendosi il 24 marzo 1799 con il suicidio del protago­ nista. Le lettere non sono più numerate; il destinatario della quasi totalità delle stesse è indicato come «Lorenzo A.», che assume, nelle parti di raccordo tra le varie epi-

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stole, il ruolo di narratore onnisciente e di alter ego del protagonista. La celebre epistola d’apertura colloca la vicenda nel contesto storico dell’esito, infausto per la Repubblica di Venezia, della campagna napoleonica in Italia, fissando la novità esclusiva dell’Ortis quale romanzo innanzitut­ to politico. Avendo partecipato a Venezia al movimento filofrancese, Jacopo è riparato sui colli Euganei al fine di evitare la persecuzione in vista dell’imminente ces­ sione all’Austria. Qui entra in contatto con la famiglia del «signore di T*», la cui primogenita Teresa è promessa sposa al nobile Odoardo: la condizione della ragazza, oltre alle sue fattezze, stravolgono le caratteristiche della donna amata dell’edizione del 1798, e come variamente dimostrato dall’epistolario sono tese a riprodurre quelle di Isabella Roncioni, l’amore fiorentino del 1801. Jacopo frequenta la casa del signore di T \ cui è stato indirizzato da Lorenzo, in qualità di istitutore della figlia più piccola e si dedica a un’attività letteraria donde de­ riverà il Frammento della storia di Lauretta inserito nella narrazione. Pure il personaggio di Odoardo è sfrondato dalle caratteristiche di bonomia e cordialità del 1798 e assume in modo più netto la tipologia del rivale odioso; l’amore di Jacopo è corrisposto da Teresa, che si scontra con l’impossibilità di contravvenire alla decisione pater­ na di sacrificarla a un matrimonio vantaggioso. Delle tensioni che ne derivano, cui si aggiungono le persecuzioni nei confronti dei filofrancesi, si fa nar­

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ratore Lorenzo, a sua volta esule per le stesse ragioni politiche. La serie delle lettere ricomincia quando Ja­ copo risolve di allontanarsi dal Veneto: qui il racconto si sviluppa seguendo le peregrinazioni del protagonista in varie parti d’Italia: Rovigo, Ferrara, Bologna sono le prime tappe, fino a Firenze, città-mito per eccellenza nelFimmaginario foscoliano, dove risiede per circa due mesi celebrandone natura e cultura come corroboranti della sua condizione infelice. Alla fine di ottobre, eccolo a Milano, altro crocevia di sollecitazioni intellettuali ed emotive, e anch’essa già cristallizzata nel suo ruolo di antagonista degli aneliti di moralità e di riscatto civile. Nel celebre incontro con Giuseppe Parini, narrato nella lettera datata «Milano, 4 dicembre», si concentra la riflessione sugli inganni dell’impegno politico e dell’onestà intellettuale: è il pri­ mo ingresso del celebre poeta come personaggio della letteratura foscoliana, col ruolo di maestro di virtù ci­ vili, condannato all’emarginazione in una realtà storica opportunista e miserabile. Dal febbraio 1799 Jacopo lascia Milano, diretto a Nizza per cercare rifugio in Francia; attraversa la Liguria e da Ventimiglia rivolge una commossa riflessione su se stesso, ma soprattutto mette a fuoco, con sorprenden­ te anticipo storico, un’idea dell’Italia intesa come patria che inaugura il secolo. Giunto a Nizza, non prosegue per la Provenza, ma ritorna verso la pianura Padana; all’inizio di marzo è a Rimini dove viene a sapere che Te­

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resa ha sposato Odoardo: decide allora di recarsi ancora a salutarla un’ultima volta; fa quindi visita alla madre a Venezia, rientra sui colli Euganei e nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1799 compie il gesto disperato, ormai continuamente annunciato nelle lettere precedenti, tra­ figgendosi con un pugnale, come narra Lorenzo in un drammatico resoconto che chiude il romanzo. Nell’estate del 1816, dopo un anno di permanenza a Hottingen (Zurigo), Foscolo pubblica presso la tipogra­ fia zurighese Orell e Fiissli la nuova edizione dell’Ortis e due importanti novità: la lettera datata 17 marzo [1798] e la Notizia bibliografica, che si aggiungono a una sensi­ bile revisione linguistica e stilistica, debitrice della ma­ turità raggiunta nella scrittura prosastica in seguito alla traduzione del Viaggio sentimentale. La lettera del 17 marzo, altrimenti nota come “della servitù d’Italia” rappresenta il più radicale falso ideolo­ gico del romanzo, essendo presentata dall’autore come una reintegrazione nel testo di un passo espunto dalla prima edizione per ragioni di autocensura politica; vi­ ceversa, anche dal punto di vista testuale, la lettera è debitrice dei discorsi Sulla servitù dell’Italia, abbozzati a Milano all’inizio del 1815. Bilancio lucido e drammatico dell’esperienza napo­ leonica e della politica italiana dei primi quindici anni del XIX secolo, la lettera assume i toni profetici che, retrodatati alla fine del secolo precedente, concorrono alla catastrofe finale di Jacopo, presentando il crollo del­

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le illusioni come tratto implicito e ineluttabile della sua generazione. Rispetto all’edizione del 1802, in quella zurighese il destinatario delle lettere di Jacopo si firma per esteso «Lorenzo Alderani» e alla serie delle medesime è pre­ messa l’epigrafe dantesca «Libertà va cercando, ch’è sì cara / Come sa chi per lei vita rifiuta». Nella definitiva edizione, pubblicata a Londra nel 1817 presso l’editore Murray, tale epigrafe sparirà, mentre verrà introdotta la divisione del romanzo in due parti (la seconda inizia con la lettera da «Bologna, 24 luglio»), cui corrispondo­ no altrettanti tomi corredati ciascuno di appendici; in coda al primo si trova una redazione molto più succinta della Notizia bibliografica, mentre in coda al secondo compaiono alcuni capitoli della traduzione del Viaggio sentimentale. Nella sua forma più estesa la Notizia bibliografica rappresenta uno straordinario saggio di mistificazio­ ne, mascherata da scrupolo filologico: essa è presenta­ ta come redatta da tre letterati (uno dei quali, italiano, avrebbe tradotto le parti degli altri due) che esamina­ no la storia editoriale del romanzo, la sua diffusione, la fortuna critica, lo comparano con i modelli settecente­ schi e in particolare col Werther, al fine di sottolinear­ ne l’originalità, ne danno una valutazione morale. Del romanzo goethiano in particolare si vuole sostenere una tardiva, e poco credibile, conoscenza rispetto all’idea­ zione dell’Ortis.

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Lo scoperto intento apologetico conferisce dunque alla N o tiz ia il ruolo importante di au­ tocritica propagandistica da parte di un au­ tore che, all’altezza cronologica in cui il testo venne concepito, doveva trovare, fuori dai confini abituali della propria attività, un nuo­ vo pubblico a cui rivolgersi. Che FOrtis segua in modo compiuto l’itinerario esisten­ ziale dell’autore è anche visivamente ribadito dall’inserimento, in tutte le edizioni a fianco del frontespizio, di un ritratto del protagonista, le cui fattezze ricalcano quelle del Foscolo stesso nelle stagioni della sua vita. La scelta del modello epistolare è motivata sia dal­ la volontà di collegare l’opera a un fortunato filone settecentesco, sia dall’oggettiva mancanza nella lette­ ratura italiana di modelli romanzeschi a cui riferirsi, sia dalla libertà stilistica che tale soluzione concedeva relativamente alla disomogeneità tonale e linguistica, ammissibile in un sistema narrativo orchestrato su let­ tere presentate quale immediata effusione delle passio­ ni del protagonista. Ma la forma epistolare fu subito, e per tutta la vita, lo strumento principale cui l’autore affidò il proprio messaggio, fosse politico, letterario, o esistenziale, rivolto alla costruzione di un “personaggio” che del narcisismo e dell’autocompiacimento faceva una ragion d’essere. Donde la stretta rispondenza nel dettato dell’Ortis tra le lettere di Jacopo e le lettere effettivamen-

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te inviate dal Foscolo negli anni tra il 1797 e il 1802: abbondantissimo in particolare il travaso (impossibile determinare di volta in volta in quale direzione) tra il testo del romanzo e le epistole, in particolare quelle ad Antonietta Fagnani Arese, nelle quali l’autore amava fir­ marsi «il tuo Jacopo», o «il tuo Ortis». Seppure le vicende che interessano Jacopo, e soprat­ tutto le sue peregrinazioni nell’Italia centro-settentrio­ nale, ricalcano effettivamente quelle del giovane Fosco­ lo nel triennio rivoluzionario, le idee politiche si riferi­ scono in modo sempre attualizzante agli avvenimenti storici che in quegli anni si andavano dipanando: se il triennio è visto nel 1802 con gli occhi di chi assisteva alle gesta del Primo console e la lettera del 17 marzo, aggiunta addirittura dopo Waterloo, riveste un ruolo profetico sull’asservimento dell’Italia alle dinamiche internazionali, la passionalità del personaggio permette sempre di guardare agli avvenimenti in modo diretto, identificando l’impegno politico con una scelta esisten­ ziale assoluta e totalizzante non dissimile dall’esperienza amorosa. Proprio la commistione dell’elemento amo­ roso e di quello politico costituisce a tutti gli effetti la cifra distintiva del romanzo fosco­ liano, male intesa dagli interventi critici, pri­ mo fra tutti quello di Francesco De Sanctis, volti a sottolinearne la disorganicità.

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Niente di simile era anche solo concepibile nella lette­ ratura precedente la Rivoluzione e ciò rende l’Ortis dav­ vero l’opera non più di un “suddito”’ ma di un “cittadi­ no”, consapevole della portata storica e civile di qualsiasi scelta culturale in un momento di passaggio ideologico così intenso e composito. Come è stato più volte ribadito, il carattere di Jacopo è quello di un eroe romantico a n te lltte ra m , probabilmente il più radicale della nostra letteratura, indifeso di fronte alle pas­ sioni che lo travolgono. In tale condizione, un ruolo particolare assume lo spet­ tacolo della natura, in cui il sentimento del personaggio di volta in volta trova una proiezione empatica e vitale, suggerendo (tranne in sublimi momenti di rasserenata meditazione) la disillusa consapevolezza di un mecca­ nicismo inesorabile e privo di qualsiasi fiducia provvi­ denziale. Dal punto di vista linguistico, l’obiettivo principale di Foscolo nell’Ortis fu quello di fornire alla letteratura moderna un nuovo modello di prosa; in questo senso la scelta epistolare risponde anche all’esigenza di realizzare un tono colloquiale affrancato dai modelli della tradi­ zione senza derogare alla sostenutezza stilistica. Inoltre, come è stato dimostrato dalla filoioga Maria Antonietta Terzoli, la centralità dei riferimenti alla Sacra Scrittura

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nel dettato del romanzo è la chiave con cui Foscolo per­ viene a un’eloquenza dotata di un «calore» primitivo ma universalmente riproponibile.

LA TRADUZIONE DEL VIAGGIO SENTIMENTALE E LA NOTIZIA INTORNO A DIDIMO CHIERICO (1813) Alla straordinaria stagione creativa del periodo fio­ rentino 1812-1813 appartiene anche la traduzione del Sentimental Journey di Laurence Sterne, che pure re­ cupera le fila di progetti abbozzati e tralasciati nel de­ cennio precedente. Precisamente al 1805, durante la permanenza nella Francia settentrionale al seguito del contingente italiano dell’armata napoleonica, risalgono le notizie relative alla traduzione sterniana, di cui fin dal 1806 Foscolo aveva in animo di realizzare un’edizione. Nel marzo del 1813, dopo vari approcci falliti nei mesi precedenti, egli si accorda infine con il tipogra­ fo fiorentino Molini che nell’estate pubblica a Pisa il Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l ’Italia, corredato in appendice dalla Notizia intorno a Didimo Chierico indicato nel frontespizio e nella dedicatoria ai Lettori quale autore della traduzione. Nella versione del 1813 Foscolo ebbe cura di superare il «gergo anglo­ tosco» di quella, perduta, del 1805 attraverso lo spoglio sistematico di autori tre-quattrocenteschi, del Vocabola­ rio Cateriniano del Gigli e del Vocabolario della Crusca.

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La ricerca era tesa alla selezione di espressioni colloquia­ li e vivaci che conferissero originalità alla traduzione ri­ spetto al modello linguistico inglese e alla versione fran­ cese di Paulin Crassous (1801). La scelta di Sterne e l’invenzione del personaggio di Didimo Chierico sono argomenti di non marginale in­ teresse per la conoscenza del nostro autore. Nel romanziere inglese Foscolo ravvisa il mo­ dello di intellettuale a cui più gradirebbe as­ somigliare. Così lo descrive ai suoi lettori nella dedica che ha come epigrafe i w. 37-38 dell’ode pariniana La recita dei versi («Orecchio ama pacato / la Musa, e mente arguta, e cor gentile»): 6 6 VOLLE [...] INSEGNARCI A CONOSCERE GLI ALTRI IN NOI STESSI, E A SOSPIRARE AD UN TEMPO E A SORRIDERE MENO ORGOGLIOSAMENTE SULLE DEBOLEZZE DEL PROSSIMO. [...] ERA [...] D’ANIMO LIBERO, E DI SPIRITO BIZZARRO, E D’ARGUTISSIMO INGEGNO, SEGNATAMENTE CONTRO LA VANITÀ DE’ POTENTI, L’IPOCRISIA DEGLI ECCLESIASTICI, E LA SERVILITÀ MAGISTRALE DEGLI UOMINI LETTERATI.*99 * U. Foscolo, in Opere. IL Prose e saggi, Einaudi-Gallimard, Torino 1995

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Lo stile stendano, asistematico, ironico e linguisticamente variegato, apparve al Foscolo un banco di prova eccellente per sperimentare le potenzialità di una lingua dalla prosa innovativa e lontana dai modelli tradizio­ nali, soprattutto dal purismo stucchevole e dal troppo facile forestierismo. Pure la molteplicità dei piani narra­ tivi caratteristica dell’originale è intrigante per Foscolo: il SentimentalJourney è infatti presentato come la storia di una voce narrante chiamata Yorick, a sua volta per­ sonaggio del capolavoro di Sterne, The Life and Opinions ofTristram Shandy, ma discendente dell’omonimo buffone di corte dell’Amieto, sul cui cranio emerso dal sepolcro, nella prima scena del quinto atto, il principe danese declama la propria amara e sarcastica rassegna­ zione di fronte all’azione distruggitrice del tempo e al decomporsi della materia. Di qui appare quasi ovvia la creazione di un nuovo a lte r e g o , più riflessivo e disincantato di Jacopo Ortis, portatore di un’indignazione contrassegnata di ironia che richiama il con­ sueto nume tutelare del Parini. Anche se il proposito di porre un filtro alla sua attivi­ tà di traduttore inventando un nuovo personaggio in cui rispecchiarsi risale alle prime prove della traduzione sterniana del 1805 (nelle lettere coeve si fa riferimento a un fantomatico Nathaniel Cookman), la Notizia in-

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torno a Didimo Chierico venne concepita solo poco pri­ ma della pubblicazione. Inoltre, l’invenzione del perso­ naggio è strettamente legata aH’«eunucomachia» [come aveva definito le polemiche che lo avevano travolto a Milano tra il 1811 e il 1812 - ndr] e ha la funzione di stemperarne, a distanza nello spazio e nel tempo, la carica polemica attraverso una sprezzante ironia. Didimo è infatti presentato nella Notizia quale au­ tore di una satira inedita in lingua latina, che nel 1816 Foscolo avrebbe pubblicato in Svizzera col titolo Hypercalypseos liber singularis (Il libro unico dell’ipercalisse) quale definitiva risposta al mondo letterario milanese dopo essersene allontanato per sempre. Rispetto alla meschinità di quell’ambiente, Didimo oppone una straordinaria maturità e una capacità stoica di dominare le passioni lasciandone trapelare soltanto un «calore di fiamma lontana», congeniale a una genera­ le medietas scelta come abito esistenziale («né orgoglioso né umile», «né ricco né povero»), e intellettuale («più disingannato che rinsavito»). Recupera cioè quella dignità pariniana che gli intellettuali milanesi avevano lasciato ca­ dere e di cui Foscolo, al di là del suo appas­ sionato risentimento, si appropria quale uni­ co erede legittimo.

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LA FORTUNA E GLI INFLUSSI

e alterne vicende che caratterizzarono i rapporti di Ugo Foscolo con i contemporanei si ripercossero direttamente sulla sua opera e sulla memoria che la cul­ tura italiana avrebbe serbato di lui, le cui caratteristiche cominciarono a delinearsi aU’indomani della morte.

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Di certo il malinconico epilogo della sua vi­ cenda, se da un lato aveva liberato il cam­ po letterario da una presenza quanto meno ingombrante, dall’altra sarebbe andato a co­ stituire il punto di vista esclusivo da cui l’Ita­ lia della Restaurazione e del Risorgimento avrebbe guardato lo scrittore. Per questo si rivelò inadeguata, e destinata a incidere molto più avanti, l’irriverente biografia che lo storico Giuseppe Pecchio, pure riparato a Londra nel 1823 do­

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po la prima fallimentare stagione dei moti insurreziona­ li in Piemonte e in Lombardia, pubblicò a Lugano nel 1830 e che gli procurò non poche critiche tra amici ed estimatori del poeta. Giuseppe Mazzini, giunto a Londra nel 1837, anche per intercessione di Quirina Mocenni Magiotti divenne il più appassionato ricercatore di documenti foscoliani. Questi andarono ad aggiungersi a tutte le carte rimaste nella casa dell’autore e che, dopo la morte di Floriana (la figlia naturale, vera o presunta, con cui egli visse gli ulti­ mi anni), dal 1844 in poi sarebbero state custodite nella Biblioteca Labronica di Livorno e utilizzate dal gruppo di studiosi guidato da Francesco Silvio Orlandini per le Opere edite e postume, pubblicate tra 1850 e 1862. Altri fondi importanti si formarono nel corso degli anni alla Biblioteca Nazionale e alla Marucelliana di Firenze e in varie altre sedi italiane. intanto, tutto il filone della critica letteraria ottocentesca facente capo alla cultura cat­ tolica, con capofila Niccolò Tommaseo, ac­ comunò Foscolo e Leopardi nel canone dei poeti materialisti cui si contrapponeva il ma­ gistero di Manzoni. Tuttavia, proprio Tommaseo non mancò di riconoscere, al netto delle preclusioni ideologiche, l’elevatezza e la profondità del linguaggio poetico foscoliano.

no

Più rigidamente ideologica fu invece la consacrazio­ ne del Foscolo quale eroe risorgimentale ante litteram che culminò, il 24 giugno 1871, nella traslazione in Santa Croce a Firenze dei resti del poeta dal cimitero del sobborgo londinese di Chiswick. L’avvenimento venne celebrato da Carducci in una canzone, poi in­ serita nella raccolta di poesie Levia Gravia, ove annota: «della poesia del Foscolo della quale tanto più cresce in me l’ammirazione quanto più veggo la materialità me­ tafisica e dogmatica di certi critici affettare una quasi indifferenza o degnazione di occuparsene, bisognerebbe alfine parlare con più sentimento e conoscenza d’arte e con meno declamazioni e preoccupazioni civili, politi­ che e filosofiche»,* indicando con sorprendente anticipo la via che gli studi foscoliani avrebbero intrapreso quasi un secolo più tardi. Allo stesso 1871 risale il saggio di De Sanctis dedica­ to a Foscolo, che confluirà in sostanza nella Storia della letteratura italiana, ove la storicizzazione dell’opera fo­ scoliana appare più distesamente ricostruita, ma conno­ tata secondo una distinzione tra opere riuscite (i sonetti, i Sepolcri) e fallite per eccesso di sentimentalismo (f Or­ tis) o di intellettualismo {Le Grazie). Al canone desanctisiano portò significative correzio­ ni, nel primo Novecento, Benedetto Croce, identifican­ do proprio nelle Grazie la prova di eccellenza del verseg­ giatore. Più orientato in senso psicologico risultò, sem* G. Carducci, Juvenilia e Levia Gravia, Zanichelli, Bologna 1891

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pre a inizio secolo, l’approccio di Eugenio Donadoni, che segnò peraltro una svolta nella lettura antigiacobina del Foscolo maturo, destinata ad avere particolare fortu­ na nel ventennio fascista e a diventare, per opposizione, il punto di partenza di un antifoscolismo militante che ebbe in Carlo Emilio Gadda l’interprete più originale e creativo con il dialogo radiofonico II guerriero, l ’amazzo­ ne, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo, trasmesso nel 1958 e pubblicato l’anno successivo. La discussione che vi si svolge ha lo scopo di dimostrare la polverosa ingenuità e la reboante retorica dei due ammiratori del Fo­ scolo, smontate dalle velenose quanto inec­ cepibili ragioni del detrattore. La base di partenza delle invettive gaddiane è costituita dalla malevola biografia ottocentesca del Pecchio, ma si innesta sulla facile equazione primo novecentesca tra Foscolo e d’Annunzio, altro poeta di armi ed amori e altro bersaglio polemico dell’Ingegnere. Se Gadda difende la «causa del buon senso e della storia contro il cancro della retorica» (come diceva Fran­ co Gavazzeni ne II guerriero), è pure vero che tale defor­ mazione apparteneva più alla critica otto-novecentesca che non all’autore. E in effetti, grazie anche al supporto dell’Edizione nazionale (tredici volumi di opere e dieci di Epistolario pubblicati tra il 1933 e il 1994), la critica

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foscoliana dell’ultimo mezzo secolo si è rivolta a conside­ rare tutto ciò che quella precedente aveva sottovalutato o involuto nella retorica ed è giunta a realizzare una stru­ mentazione testuale ed esegetica che restituisce al Fosco­ lo la sua dignità di letterato e di intellettuale finalmente sgombra dalle pastoie biografiche e sentimentali e da un’attualizzazione ideologica indebita quanto arbitraria. La nuova linea critica e filologica, oltre che nei cu­ ratori dei volumi dell’Edizione nazionale (e ricordiamo Plinio Carli, Guido Bezzola, Gennaro Barbarisi, Gio­ vanni Gambarin, Francesco Pagliai e Mario Scotti) ha trovato i suoi più autorevoli rappresentanti in Franco Gavazzeni, Giuseppe Nicoletti, Franco Longoni, Maria Antonietta Terzoli, e gode tuttora di grande fervore ne­ gli studi di Enzo Neppi e di Chistian Del Vento.

GLI INFLUSSI SU LEOPARDI Nelle tre ultime strofe della canzone A ll’Italia (1818), Leopardi immagina il canto del poeta greco Simonide di fronte alla carneficina delle Termopili, drammati­ co controluce nella storia antica della ben più vicina e sconvolgente vicenda del disastro napoleonico in Russia. Nel giustificare, nella dedicatoria indirizzata a Vincenzo Monti, il gioco di occultamento della propria voce in quella dell’antico poeta greco, Leopardi dovette anche aver consapevolezza dell’ambigua ascendenza foscoliana

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di queste stanze, pur senza mai nominare il Foscolo nei suoi scritti pubblicati. Ricomponendo il canto di Simonide, egli accoglieva infatti la concezione stilistica che costituisce l’essenza dei Sepolcri: «Ho desunto questo modo di poesia da’ Greci i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche presentandole non al sillogismo de’ lettori, ma alla fantasia e al cuore».* E infatti, con una “transizione” spiccatamente fosco­ liana, la battaglia delle Termopili occupa interamente il campo dopo la rapida deplorazione della partecipazio­ ne italiana alle imprese napoleoniche. I piani tempo­ rali si confondono, e nel canto di Simonide l’attualità scompare, sostituita dall’antico che solo può riprodurre quell’«affetto nella lirica che cagiona l’eloquenza, e ab­ bagliando meno persuade e muove più, e più dolcemen­ te» (.Zibaldone). L’operazione è condotta da Leopardi secondo il canone stilistico spiccatamente foscoliano del chiaro­ scuro, che dall’accostamento degli opposti produce ar­ monia: «costei ch’ai Sol vi diede» (86) contrapposto a «scuro / Tartaro» (95-96); «amor» (89, iterato in 90) che conduce all’«acerbo fato» (90); e poi gli ossimori di «lieta [...] ora estrema» (91-92), e «ridenti [...] al pas­ so lacrimoso e duro» (92-93), e ancora «morte» come «danza» e «splendido convito» (94-95). Tuttavia, l’ultima strofa della canzone è solo in appa* U. Foscolo, Note a Dei Sepolcri, in Opere. I. Poesie e tragèdie, cit.

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renza tratta di peso dal finale dei Sepolcri: per Leopardi la «tomba» degli eroi morti è effettivamente un’«ara» a cui le madri condurranno i fanciulli affinché traggano esempio di virtù, proprio come Cassandra nei Sepolcri conduceva i nipoti sulle tombe degli avi; ma il concetto qui espresso è l’esatto capovolgimento di quello foscoliano della poesia esternatrice, giacché è Simonide ad augurarsi di ricevere eternità dalla fama degli eroi morti, e non il contrario. La più alta delle illu s io n i foscoliane, insomma, cade all’atto della presentazione di Leopardi sulla scena poetica italiana, nella quale egli si pone con un atteggiamento, se non antago­ nistico, almeno agonistico nei confronti del predecessore. Ciò non toglie che, dal punto di vista testuale, le tracce che la poesia di Foscolo, e in particolare il carme Dei Se­ polcri, lascia nelle canzoni di Leopardi siano molteplici. La seconda strofa della canzone Sopra il monumento di Dante rinvia, per immagini e lessico, alla sequenza dedi­ cata a Santa Croce; il polisindeto dei w. 141-142 richia­ ma ancora i Sepolcri 20-21; «nostre corone al suol fien tutte sparte» del v. 185 incrocia il sonetto Non son chifui, 3-4: «E secco è il mirto, e son le foglie sparte / del lau­ ro», con l’uso di «corone» intese come “glorie poetiche” di Sepolcri, 56; e nel finale della canzone, l’esortazione «Che stai? levati e parti» ricalca f incipit dell’ultimo so­

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netto della silloge foscoliana. La canzone Nelle nozze del­ la sorella Paolina pure richiama a più riprese un passo dei Sepolcri (w. 151-52: «A egregie cose il forte animo accen­ dono / l’urne de’ forti»), sia al v. 11: «Di forti esempi / al tuo sangue provvedi», e al v. 46: «Ad atti egregi è sprone / Amor» e recupera nel finale il tema diffusamente fo­ scoliano della tomba confortata dalle lacrime dei posteri. Nella canzone A un vincitore nelpallone, il tema delle rovine antiche e delle tombe calpestate va riferito al passo della lettera da Ventimiglia dell’Ortis, già menzionata in un appunto dello Zibaldone. Inoltre, le numerose tessere foscoliane rinvenibili nella canzone Alla Primavera o delle favole antiche sono quasi ovvie in un testo tanto connesso ideologicamente col pensiero di Giambattista Vico. Più dialettico diventa il rapporto col linguaggio fo­ scoliano nel Leopardi maturo dei canti pisano-recanatesi, ove spesso stilemi petrarcheschi già variati da Foscolo ven­ gono riportati alla loro forma originaria. Vi sono infine alcune affermazioni sgranate da Foscolo nei suoi scritti teorici che non poterono lasciare indifferente Leopardi. Se la Nota sullo stile dei Sepolcri citata in precedenza è addi­ rittura un postulato per il giovanissimo poeta di A ll’Italia («presentandole non al sillogismo de’ lettori, ma alla fan­ tasia e al cuore»), così nello Zibaldone del 21 luglio 1821 viene richiamato l’articolo foscoliano sulla traduzione dell’Odissea del Pindemonte in cui si parla di «caratteri [...] fondati sulla natura dell’ingegno e del cuore umano». Nota è la valenza della parola “cuore” nella termino-

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logia leopardiana (i canti pisani sono definiti scritti «col cuore»; Monti è poeta «dell’orecchio e dell’immaginazio­ ne, del cuore in nessun modo»): e che proprio Foscolo potesse essere accreditato quale poeta del cuore si intrave­ de in un più tardo appunto (febbraio 1829) ove, dopo la morte di entrambi così torna a parlarne: «Della lettura di un pezzo di vera, contemporanea poesia, in versi o in pro­ sa (ma più efficace impressione è quella de’ versi), si può, e forse meglio, (anche in questi sì prosaici tempi) dir quello che di un sorriso diceva lo Sterne; che essa aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita. Essa ci rinfresca, p. così dire; e ci accresce la vitalità. Ma rarissimi sono oggi i pezzi di questa sorta. Nessuno del Monti è tale».* Rendendo di fatto omaggio al “cuore” foscoliano, non mancò Leopardi di cogliere proprio nel sorriso di Sterne, e quindi di Didimo Chierico, il messaggio più disperato e ironico che lo avrebbe accompagnato di lì in poi, e già fissato pochi mesi prima nello Zibaldone: «Terribile ed awful è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire».

GLI INFLUSSI SU MONTALE Scrive Eugenio Montale in Intenzioni, Intervista imma­ ginaria (1946): «Un poeta non deve sciuparsi la voce solfeggiando troppo, non deve perdere quelle qualità * G. Leopardi, Zibaldone, a cura di G. Pacella, Garzanti, M ilano 1991

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di timbro che dopo non ritroverebbe più. Non bisogna scrivere una serie di poesie là dove una sola esaurisce una situazione psicologica determinata, un’occasione. In questo senso è prodigioso l’insegnamento del Fosco­ lo, un poeta che non s’è ripetuto mai».* La riflessione avviene nel pieno di una fase della poe­ sia di Montale in cui la lezione foscoliana appare più incisiva sia dal punto di vista teorico sia espressivo. Dob­ biamo a Gilberto Lonardi {Il Vecchio e il giovane e altri studi su Montale, Zanichelli, Bologna 1980) la messa a fuoco di un “asse foscoliano” in Montale, in particolare nella produzione che va dall’inizio delle Occasioni {Vec­ chi versi, 1926) alla Bufera (1956), ma con tessere che si affacciano anche negli ultimi Ossi di seppia. Si tratta di quella che Lonardi definisce una «zona di mezzo», in cui un «eros adulto» prende le forme di visitatrici angeliche che, se hanno il loro archetipo nelle donne salutifere del­ lo Stilnovo e nella Beatrice dantesca, vengono descritte e identificate con elementi neoclassici risalenti alle odi foscoliane. La dichiarata necessità di «attraversare d’Annunzio» comprende anche, più indietro nel­ la tradizione italiana, quella di attraversare Foscolo, «il più moderno», secondo Montale, dei nostri poeti ottocenteschi. * E. M ontale, Intenzioni, Intervista immaginaria, in Id., I l secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zam pa, Arnoldo M ondadori Editore, M ilano 1996

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Un primo legame tra i due autori riguarda la conce­ zione della memoria (la “mente” dei cari superstiti nei Sepolcri) quale unico baluardo per la sopravvivenza dei defunti, che, già presente in Vento e bandiere, si dipana fino alla Bufera, da A mia madre, a Madrigali fiorenti­ ni (la sorella) a Voce giunta con le folaghe (il padre), ma senza «la sicura dolcezza foscoliana», perché in Montale la memoria è più inquieta e «accerchiata» (Lonardi) e il tempo non pone tregua alla sua azione divoratrice {Non recidereforbice quel volto). Se i Sepolcri auspicano che si possa vivere «anche sot­ terra», in Vecchi versi le “cose” sono le sole testimonian­ ze «vive d’una / vita che disparì sotterra»; ma come in Foscolo (Dei Sepolcri: «una forza operosa le affatica / di moto in moto»), ai morti «è tolto ogni riposo / nelle zolle: una forza indi li tragge / spietata più del vivere». Come accennato, altro aspetto importante che dalla poesia foscoliana si trasferisce in quella di Montale ri­ guarda l’assunzione dell’oggetto neoclassico come cor­ relativo oggettivo: la donna-dea che appare e scompare per suggerire un’immagine di salvezza è «borghesemente ingioiellata e privatizzata, con quanto di neoclassicismo questo comporta»; gremita, nella poesia delle Occasio­ ni e della Bufera, è la serie degli oggetti-amuleti e dei gioielli da cui tralucono i «barlumi» che segnano un possibile scacco al destino e un’ipotesi salvifica. Ricordiamo Gli orecchini del componimento omoni­ mo (ove peraltro le parole-rima traccia : scaccia - fuggo :

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struggono richiamano direttamente l’ode A Luigia Pal­ lavicini (caccia : traccia) e il sonetto Alla Sera (fugge : strugge), in dittico con le “giade” de La frangia dei ca­ pelli: testo, quest’ultimo, che presenta un diretto travaso ritmico (e per di più sdrucciolo) dall’ode Alla amica risanata: «tenea la casta Artemide» in «trasmigratrice Artemide». Altro amuleto è il topo bianco / d’avorio di Dora Markus, mentre la cappelliera di A Liuba che parte in re­ lazione rimica o fonica con focolare, lare e leggera ripro­ pone un sistema presente nella seconda ode foscoliana: lari —appari - primavera. Altri oggetti si affollano ne Li tuo volo («ti stellano / gli amuleti»; «la mano delle sete / e delle gemme») a contorno della capigliatura femmi­ nile, protagonista irrequieta de La frangia dei capelli co­ me delle odi foscoliane: A Luigia Pallavicini (indocile... chioma) e Alla amica risanata (cascan le trecce... malfide all’aureo pettine). Accomuna queste apparizioni femminili quella che Lonardi definisce una «trascendenza» intrisa di «quoti­ dianità asciutta e non umile», ma dotata di un reper­ torio oggettuale che impreziosendo le protagoniste ne certifica il ruolo metafisico di divinità terrene. Ruolo che nelle Occasioni è riservato alla sede foscolianamen­ te salvifica per eccellenza, il poggio di Bellosguardo, al quale Montale dedica una lunga tripartita sezione pro­ prio nel centro della raccolta. Come nota Dante Isella, uno dei suoi più autorevoli

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esegeti, è appunto in virtù della tradizione foscoliana, e non di un’effettiva familiarità condivisa da Montale, che tra i paesaggi fiorentini proprio Bellosguardo, sede dell’altare delle Grazie nel carme incompiuto, «diventa il luogo deputato di una tesa meditazione poetica sul­ la condizione della vita umana e le cupe minacce della storia»,* con una sovrapposizione formale di rimandi ai Sepolcri (il «corusche» àc\Y incipit-, «le lapidi che hanno veduto / le immagini grandi», come le «egregie cose» cui «accendono» le «urne de’ forti» ancora nei Sepolcri) o alle stesse Grazie («tessitrici celesti», con richiamo alle divinità che tessono il velo delle Grazie dell 'Inno terzo). Nonostante i rinvii testuali si diradino nel Montale più tardo, da S a tu ra in poi, pare in ul­ tima istanza prevalere, come già in Leopardi, quella visione disincantata e ironica sull’as­ surdità dell’esistenza e della storia riconduci­ bile all’amaro sorriso di Didimo Chierico.

* D . Isella, in E. M ontale, Le occasioni, a cura di D . Isella, Einaudi, Torino 1996

AMICI E NEMICI

Vincenzo Monti, poeta, drammaturgo e traduttore (1754-1828). Monti e Foscolo si incontrarono quasi si­ curamente nel 1797, forse a Venezia oppure a Bologna, all’indomani della fuga del poeta romagnolo da Roma in seguito alla decisione di trovare nell’Italia settentrio­ nale, conquistata da Napoleone, la sua nuova sede. A questo punto egli aveva all’attivo opere come la Prosopo­ pea di Pericle, l’ode A l signor di Montgolfier e i poemetti in versi sciolti A don Sigismondo Chigi e Pensieri d ’amore, con trama ricavata dal Werther di Goethe, e aveva già intonato nel Prometeo il versante celebrativo delle glorie napoleoniche. Ma è il poema antirivoluzionario in terzine In morte di Ugo Bassville a rappresentare per il transfuga nell’Italia “giacobina” il reato da cui scolparsi per essere accolto in una società letteraria diffidente nei confronti di un poe­ ta del suo calibro. Nel 1798, per contrastare gli attacchi

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anche formali contro di lui (in febbraio era stata appro­ vata una legge, mai applicata, in cui si vietava l’accesso a qualsiasi carica per chiunque avesse scritto opere an­ tidemocratiche) Foscolo pubblica a Milano l’opuscolo intitolato Esame di Niccolò Ugo Foscolo su le accuse contro Vincenzo Monti, schierandosi in difesa del perseguitato, descritto come vittima di un potere ispirato da mediocri e da invidiosi. E l’inizio di una decennale amicizia, ma anche la fase dell’innamoramento di Foscolo per Teresa Pikler, affa­ scinante ex attrice romana, sposata da Monti nel 1791, alla quale è tradizionalmente attribuita l’ispirazione del personaggio di Teresa nel primo Ortis incompiuto. La familiarità tra i due letterati continua negli an­ ni successivi al ritorno nella Repubblica cisalpina del Monti, divenuto il personaggio più rappresentativo del­ la cerchia di intellettuali che animano la vita cultura­ le milanese, nominato professore di Eloquenza a Pavia tra 1802 e 1803, consacrato cantore del Regno italico [succeduto nel 1805 alla Repubblica - ndr] con II Bar­ do della Selva nera (1806) e impegnato nella traduzione dell’Iliade. Rientrato dalla Francia nel 1806, Foscolo ordisce un’abile operazione di coinvolgimento del Monti nella pubblicazione, presso il tipografo bresciano Bettoni, dell’Esperimento di traduzione della Iliade di Omero, aggregando alla propria traduzione quella di Cesarotti e l’ancora inedito primo canto mondano, col fine di

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assicurarsi, grazie all’implicazione del più famoso lette­ rato del Regno, la contemporanea edizione dei Sepol­ cri. Con l’orazione D ell’origine e dell’ufficio della lette­ ratura, e in generale con l’insegnamento del Foscolo a Pavia del 1809, i rapporti tra lui e Monti si guastano fino ad arrivare all’aperta rottura nell’anno successivo, anche a seguito della recensione alla traduzione dei due primi canti dell’Odissea del Pindemonte, ove di fatto Foscolo demolisce l’Iliade montiana, pure fresca di stampa. E l’inizio dell’«eunucomachia», della polemica tra Foscolo e l’ambiente letterario milanese, che produce il pamphlet foscoliano Ragguaglio d ’un’adunanza dell’A c­ cademia de Pitagorici, pubblicato nel giugno del 1810 e inviato al Monti con una lunghissima lettera nella quale ripercorre tutte le vicende di una contesa desti­ nata a vederlo sconfitto. Sarà la cerchia del Monti a determinare l’insuccesso e le contromisure politiche ai danni deU’Ajace, donde il trasferimento del Foscolo a Firenze prima e in Inghilterra poi. La rottura viene ricomposta almeno intellettual­ mente da Foscolo quando nel 1818 pubblica a Lon­ dra, con la collaborazione e a nome di John Hobhouse, YEssay on thèpresent Literature ofltaly, ove il Monti è sì definito sostenitore dell’«opinione via via dominante», eppure sovente mosso «non solo [...] dall’entusiasmo, ma addirittura dalla sincerità», mentre nella Proposta di alcune correzioni e aggiunte al Vocabolario della Cru-

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sca, che in quegli anni cominciava ad essere stampata, è individuata la sua opera più importante e preziosa, «frutto di una più matura riflessione e indirizzata a più utili scopi». E nondimeno, rivolgendosi a Silvio Pellico a propo­ sito del Conciliatore [la rivista fondata nel 1818 da Pel­ lico con Giovanni Berchet e che assunse un connotato anti-austriaco tanto da essere soppressa l’anno seguente - ndr] il Foscolo esule non manca di rinnovare i segnali della sua diffidenza, chiudendo la celebre lettera del 30 settembre 1818 con queste parole: «Oh guardatevi tutti, guardatevi da Monti! Dillo a Breme in mio nome; digli che si guardi da Monti; e’ v’arderà tutti delle sue sciagu­ rate passioni; v’avvilirà tutti quanti della sua propria vil­ tà; vi sedurrà a tradire l’anima vostra, e gli amici vostri».* Isabella Teotochi Albrizzi, letterata (1760-1836). «Nel salotto veneto di Isabella Teotochi, Ugo Foscolo [nel 1795] sentì il primo forte amore della sua vita. [...] La bellissima donna, che era già oltre la trentina, incorag­ giò la passione del giovane diciottenne, il quale non era né bello, né seducente; e, per soprammercato, povero»,*’ scrivevano Camillo Antona-Traversi e Angelo Ottolini nella loro biografia foscoliana. Originaria di una nobile famiglia di Corfù, Isabella si trasferì a Venezia nel 1776 dopo il matrimonio con * U. Foscolo, Opere, a cura di F. Gavazzeni, Tomo II, Ricciardi, M ilano-Napoli 1981 ** C. Antona-Traversi, A. O ttolini, Ugo Foscolo, Il Corbaccio, M ilano 1927

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Carlo Antonio Marin, studioso di Storia del commercio veneziano, di quindici anni più vecchio di lei, da cui ebbe il figlio Giovanni Battista. Il suo salotto divenne negli anni successivi uno dei più brillanti di Venezia, ove si incontravano letterati come Melchiorre Cesa­ rotti, Aurelio de’ Giorgi, Ippolito Pindemonte. Dopo rannullamento del primo matrimonio, sposò nel 1796 l’inquisitore Giuseppe Albrizzi: al figlio Giuseppe (so­ prannominato da Foscolo “Pippi”), nato nel 1799, Pin­ demonte dedicherà la traduzione dell’Odissea. Nel Frammento di un romanzo autobiografico (edito postumo anche col titolo Sesto tomo dell’io), a cui Fosco­ lo aveva lavorato tra il luglio 1799 e il dicembre 1800, la Albrizzi ispira il personaggio di Temira (nome, già usato per lei da Pindemonte nel poemetto La fata Morgana del 1782, desunto da quello di un personaggio del ro­ manzo erotico Le tempie de Gnide di Montesquieu, del 1725): «A questa sacerdotessa di Venere ho consacrato le primizie della mia gioventù. Ella amava le buone qua­ lità delle donne e sfuggiva senza maldicenza i loro vizii. Viveva e lasciava vivere. Il mistero apriva e chiudeva le cortine del suo letto. Intendi? Il mistero. Era amante per cinque giorni ma amica per tutta la vita».* Il legame rimase effettivamente saldo e l’amicizia tra il Foscolo e Isabella Teotochi non venne mai meno nel­ le complicate vicissitudini dell’esistenza dello scrittore. Nel 1806 Foscolo tornò a visitarla tra Venezia e la villa * U . Foscolo, Frammento di un romanzo autobiografico, in Id., Opere; a cura di F. Gavazzeni, cit.

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di Terraglio, con espliciti ritorni di fiamma desumibili dalla corrispondenza; dai colloqui intrattenuti nel salot­ to della nobildonna con Ippolito Pindemonte deriva, come si sa, l’ideazione dei Sepolcri. L’anno successivo fu pubblicata da Bettoni di Brescia (l’editore dei Sepolcri) la prima edizione dei Ritratti del­ la Albrizzi, una vivace serie di descrizioni di personaggi conosciuti dall’autrice, tra i quali spicca ovviamente il Foscolo: «L’animo è caldo, forte, disprezzatore della for­ tuna, e della morte. L’ingegno è fervido, rapido, nutri­ to di sublimi, e forti idee; semi eccellenti in eccellente terreno coltivati, e cresciuti. Grato alla fortuna avara, compiacesi di non esser ricco, amando meglio esserlo di quelle virtù, che esercitate dalla ricchezza quasi più virtudi non sono. Pietoso, generoso, riconoscente, pare un rozzo selvaggio a filosofi de’ nostri dì. Libertà, independenza sono gl’idoli dell’anima sua. Si strapperebbe il cuore dal petto, se liberissimi non gli paressero i moti tutti del suo cuore».* Il loro ultimo incontro fu a Venezia nel 1812, prima che Foscolo si trasferisse a Firenze e quindi, tre anni più tardi, partisse definitivamente dall’Italia; tuttavia non smisero mai di scriversi, seppure di rado, anche durante gli anni dell’esilio, dichiarando reciproco affetto e ami­ cizia, con commossa sollecitudine da parte di Isabella, che così scrive ad Ugo il 14 febbraio 1824: «Vorrei sen­ tirvi contento; ma pur troppo è vero che uno scrittore * I. Teotochi Albrizzi, Ritratti, a cura di G. Teliini, Sellerio, Palermo 1992

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italiano non è gustato e apprezzato quanto merita che in Italia, perché altrove poco si studia e si conosce la nostra lingua. Che farete in Inghilterra del vostro bellissimo stile, sia che scriviate la prosa o il verso? [...] Ed è uno di quei prodigj che voi solo sapete operare, d’essere tan­ to stimato, quanto siete, all’estero. Qualunque Inglese (uomo di merito, bene inteso) qui arrivi, o di persona o di fama vi conosce perfettamente; ed è per me un piace­ re dolcissimo quello d’intrattenermi di voi».* Quirina Mocenni Magiotti, animatrice di salotti let­ terari (1781-1847). Originaria di una ricca famiglia mercantile di Siena, nel cui salotto passarono i più im­ portanti intellettuali del tempo, fu data in sposa ven­ tunenne a Ferdinando Magiotti di Montevarchi, erede di una nobile famiglia toscana, ma disabile mentale, al fine di garantirgli assistenza e affetto in cambio di una condizione economicamente vantaggiosa per la giovane. Da parte sua Quirina, che la contessa d’Albany de­ scrisse come priva di grazia e di fascino, accettò con rassegnazione il ruolo impostole e scelse di trasferirsi a Firenze, dove, grazie alle conoscenze della famiglia di origine, riuscì a fare del proprio salotto uno dei cen­ tri della vita culturale cittadina. Nel 1812, attraverso i coniugi Cicognara, conosce Foscolo e, dopo una rela* I. Teotochi Albrizzi, in U. Foscolo, Opere edite e postume, Epistolario, voi. I li, a cura di F.S. O rlandini, E. Mayer, Le M onnier, Firenze 1854

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zione amorosa destinata a trasformarsi in una delle sue più durature amicizie, assiste da vicino alla stagione creativa di quegli anni, conquistandosi il suggestivo epiteto dantesco di «donna gentile». Avendo risolto di tornare a Milano nel novembre 1813, Foscolo affida a Quirina gran parte dei materia­ li del lavoro fiorentino («Per carità, conservate i miei libri, parte di me», le raccomanda): non si sarebbero mai più riveduti, ma avrebbero continuato a scriversi e Quirina avrebbe continuato a sovvenzionarlo finanzia­ riamente anche dopo l’arrivo in Inghilterra. E la «donna gentile» una delle destinatarie (insieme a Metilde Viscontini Dembowski e a Susanna Fùssli) di uno dei tre (unici stampati) esemplari della più pre­ ziosa pubblicazione foscoliana, l’antologia intitolata Vestigi della storia del sonetto italiano dall’anno M C C alM D CCC, edita a Zurigo all’inizio del 1816 e conte­ nente ventisei sonetti di altrettanti autori, da Guittone a Foscolo stesso. Intanto, Quirina fin dal 1816 aveva preso, contatti con Silvio Pellico al fine di recuperare i materiali dell’amico rimasti in sua custodia a Milano, per inviarli in Inghilterra; il progetto fallisce e neppu­ re, dopo l’arresto di Pellico (dicembre 1820), ella riesce nell’intento di mettere in salvo libri e manoscritti mi­ lanesi, riuscendo a farne recuperare solo una minima parte dall’amico senese Giulio Del Taja. Dopo la morte di Foscolo, Quirina si investe del compito di conservarne un’immagine più pacificata

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e oggettiva di quella trasmessa dalla biografia di Pecchio, collaborando con le varie imprese editoriali che si aprono negli anni successivi. Niccolò Tommaseo, dietro raccomandazione di Giulio Foscolo, fratello dello scrittore, ricopia e riordina perso­ nalmente i materiali di Quirina e li consegna a Emilio De Tipaldo per un progetto biografico poi fallito e raccolto da Luigi Carrer per l’edizione del 1842; nelle Scelte opere di U. Foscolo (1835), allestita da Giuseppe Caleffi, Qui­ rina riesce a vedere pubblicate le lettere a lei indirizzate, per cui viene rimproverata di vanagloria da Silvio Pellico. Assidua si mantenne la collaborazione con gli edito­ ri successivi, da Mazzini, per questioni più cogenti poi poco puntuale rispetto agli impegni presi, a Orlandini, per l’edizione delle Grazie (1848), a Mayer, che comin­ ciava a raccogliere i materiali per l’edizione curata con lo stesso Orlandini (1850-1862): entrambe imprese che Quirina non potè vedere compiute. Nel testamento a favore della nipote e del marito di lei erano compresi i manocritti e i libri foscoliani, che a fine secolo il pro­ nipote Diego Martelli in parte vendette alla Biblioteca Nazionale di Firenze e in parte lasciò in legato alla Bi­ blioteca Marucelliana. Silvio Pellico, patriota e scrittore (1789-1854). Giunto a Milano assieme alla famiglia nel 1810, entrò insieme al fratello Luigi nell’ambiente letterario facente capo a Vincenzo Monti, ma si legò particolarmente a Foscolo

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proprio nei mesi furibondi dell’«eunucomachia». Affiancò all’attività di letterato quella di precettore presso alcune famiglie milanesi e cominciò l’attività di tragediografo ottenendo un clamoroso successo, desti­ nato a durare nel tempo, con la Francesca da Rimini, rappresentata a Milano nel 1815 (sorprendendo Fosco­ lo, che gli aveva consigliato di «buttarla nel fuoco»). Il carteggio con Foscolo durante gli ultimi anni di permanenza in Italia risulta fitto e affettuoso: Pellico si dimostra discepolo devoto e ansioso di apprendere, e a sua volta Foscolo non lesina consigli e sollecitazioni, in particolare durante la straordinaria stagione creati­ va a Firenze tra 1812 e 1813. Partendo per la Svizzera, Foscolo affida molti libri e manoscritti a Pellico, che continua a intrattenere con lui un interessante carteg­ gio, dimostrando preoccupazione nei confronti del fug­ gitivo durante la permanenza in Svizzera e, più avanti, tentando di coinvolgerlo da lontano nell’avventura del Conciliatore, che egli dirige. Meno limpido risulta nel frangente l’atteggiamento di Foscolo, che inganna l’amico in merito all’effettiva paternità àtWEssay on thè present Literature ofltaly, at­ tribuendolo a Hobhouse, contrariato da una negativa recensione di Ludovico Di Breme, sodale e collabora­ tore di Pellico. Aggregatosi alla Carboneria, Pellico è arrestato alla fine del 1820 e condannato a morte: la commutazio­ ne della pena in quindici anni (poi nove) di carcere,

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che trascorre nella fortezza asburgica dello Spielberg, è all’origine di uno dei più importanti successi della me­ morialistica ottocentesca, Le mie prigioni. Il rammarico per il silenzio forzato con Foscolo, nel frattempo defun­ to, gli ispira nel 1837 un poemetto in ottave, nel quale accanto all’affetto immutato esprime l’auspicio del per­ dono di Dio per la sua anima miscredente.

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PAGINE CELEBRI

E PAGINE DIMENTIC ATE

LA FEDELTÀ ALLA RIVOLUZIONE E la pagina di apertura de Le u ltim e le tte re d i Jaco p o O rtis (edizione Londra 1817): Jacopo, rifugiatosi sui colli Euganei, dichiara la propria fedeltà alle idee rivoluzionarie e la disperazione sul destino della patria. Da’colli Euganei, 11 Ottobre 1797 Il sacrificio della n o stra p a tria è co n su m a to : tu tto è p e rd u to ; e la vita, sep p u re ne verrà concessa, n o n ci resterà che p e r p ian g ere le n o stre sciagure, e la n o stra infam ia. Il m io n o m e è nella lista d i p ro scrizio n e, lo so: m a v u o i tu ch’io p e r salvarm i d a ch i m ’o p p rim e m i c o m m e tta a ch i m i h a trad ito ? C o n so la m ia m ad re: v in to dalle sue lag rim e le h o u b b id ito , e h o lasciato V enezia p e r evitare le p rim e p ersecuzioni, e le p iù feroci. O r dov rò io a b b a n d o n a re a n c h e q u esta m ia so litu d in e antica, dove, senza p erd ere dagli o c c h i il m io sciagurato paese, p o s­ so a n c o ra sperare q u a lc h e g io rn o d i pace? T u m i fai raccapricciare, L orenzo; q u a n ti so n o d u n q u e gli sventurati? E n o i, p u r tro p p o , n o i stessi italian i ci laviam o le m a n i n el san g u e deg l’italiani. Per m e segua che p u ò . P oiché h o d isp erato e della m ia p a tria e di m e, a sp e tto tra n ­ q u illa m e n te la p rig io n e e la m o rte . Il m io cadavere a lm en o n o n cad rà fra le braccia straniere; il m io n o m e sarà so m m essam en te c o m p ia n to da’ p o c h i u o m in i b u o n i, co m p a g n i de le n o stre m iserie; e le m ie ossa p o se ra n n o su la te rra d e’ m iei p ad ri. Ugo Foscolo "Le ultime lettere di Jacopo Ortis”a cura di G. Gambarin, Le Monnier, Firenze 1970

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PAGINE CELEBRI

E PAGINE DIMENTIC ATE

UN AMARO BILANCIO POLITICO La lettera del 17 marzo, pubblicata per la prima volta nell’edizione di Zurigo dell’Onis (1816), è presentata dall’autore come risalente a una fantomatica prima edizione e in seguito espunta per cautela nei confronti della censura. Si tratta in realtà dell’amaro bilancio politico alla fine dell’epoca napoleonica redatto all’indomani del Congresso di Vienna. 17 marzo L a N a tu ra crea d i p ro p ria a u to rità tali ing eg n i d a n o n p o te r essere se n o n generosi; v en ti a n n i a d d ie tro sì fatti ing eg n i si rim a n e v a n o in e rti e d assiderati n el sopore universale d ’Italia: m a i te m p i d ’oggi h a n n o rid e sta to in essi le virili e n a tie lo ro passioni; ed h a n n o a cq u istato tal te m p ra , che spezzarli p u o i, piegarli n o n m ai. E n o n è sen ten za m e ta ­ fisica questa: la è verità che sp le n d e nella v ita d i m o lti a n tic h i m o rta li g lo rio sa m e n te infelici; v erità d i cui m i so n o a ccertato c o n v iv en d o fra m o lti n o stri c o n c itta d in i: e li c o m p ia n g o insiem e e gli am m iro ; d a che, se D io n o n h a p ie tà d ell’Italia, d o v ra n n o ch iu d e re nel loro secre­ to il desid erio di p a tria - funestissim o! p erc h è o strugge, o ad d o lo ra tu tta la vita; e n o n d im e n o an zic h é a b b a n d o n a rlo , av ran n o cari i pe­ ricoli, e q u e ll’angoscia, e la m o rte . E d io m i so n o u n o d i questi; e tu, m io L orenzo. [...] U n ’altra specie d ’a m ato ri d ’Italia si quereli a d altissim a voce a sua posta. G rid a n o d ’essere stati v e n d u ti e traditi: m a se si fossero arm ati, sarebbe­ ro stati v in ti forse, n o n m ai traditi; e se si fossero difesi sino all’u ltim o sangue, n è i vincitori avrebbero p o tu to venderli, n è i v in ti si sarebbero a tte n ta ti d i com perarli. Se n o n che m oltissim i d e’ n o stri p resu m o n o che la lib ertà si possa co m perare a danaro; p resu m o n o che le nazioni straniere vengano per am ore dell’e q u ità a trucidarsi scam bievolm ente su’ n o stri cam p i o n d e liberare l’Italia! M a i francesi che h a n n o fatto

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ME C E L E B R I

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parere esecrabile la d ivina teoria della p u b b lic a libertà, faran n o d a T im o leo n i in p rò nostro? - M oltissim i in ta n to si fidano nel G iovine E roe n a to di sangue italiano; n a to dove si p arla il n o stro idiom a. Io d a u n an im o basso e crudele, n o n m ’aspetterò m ai cosa utile ed alta p e r noi. C h e im p o rta ch’abbia il vigore e il frem ito del leone, se h a la m e n te vol­ pina, e se n e com piace? Sì, basso e crudele - n è gli epiteti sono esagerati. [...] V idi c o n gli occhi m iei u n a costituzione d em ocratica postillata dal G iovine E roe, p ostillata di m a n o sua, e m a n d a ta d a Passeriano a V enezia perchè s’accettasse; e il tra tta to d i C a m p o F o rm io era già d a p iù g iorni firm ato; e V enezia era trafficata; e la fiducia che l’E roe n u triv a in no i tu tti h a riem p ito l’Italia d i proscrizioni, d ’em igrazioni, e d ’esilii. Ugo Foscolo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis" a cura d i G. Gambarin, Le Monnier, Firenze 1970

L’UNICA POSSIBILE FELICITA Dopo avere baciato Teresa, Jacopo vive un momento di esaltata empatia con il paesaggio circostante e sente con entusiasmo la forza prorompente dell’amore, che dona l ’unica possibile felicità: consapevole della natura effimera del momento nella disillusa realtà contemporanea (solo lafanta­ sia degli antichi riusciva a credere immortali le illusioni, trasformandole in divinità), egli è tuttavia grato di possedere ancora un cuore sensibile e commosso. 15 maggio. D o p o q u e l bacio io so n fa tto div in o . Le m ie idee so n o p iù alte e ri­ d e n ti, il m io a sp e tto p iù gajo, il m io c u o re p iù com passionevole. M i p a re che tu tto s’abbellisca a’ m iei sguardi; il la m e n ta r degli augelli, e il bisbiglio d e ’ zefiri fra le fro n d i so n oggi p iù soavi che m ai; le p ia n te

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si fe c o n d a n o , e i fiori si c o lo ra n o s o tto a’ m iei p ie d i; n o n fuggo p iù gli u o m in i, e tu tta la N a tu ra m i se m b ra m ia. Il m io in g eg n o è tu tto bellezza ed a rm o n ia . Se dovessi scolpire o d ip in g e re la B eltà, io, sde­ g n a n d o o g n i m o d e llo te rre n o , la troverei n ella m ia im m ag in azio n e. O A m ore! le a rti belle so n o tu e figlie; tu p rim o h a i g u id a to su la terra la sacra poesia, solo a lim e n to degli a n im i generosi che tra m a n d a n o d alla s o litu d in e i lo ro c a n ti so v ru m a n i sino alle p iù ta rd e g enerazioni, s p ro n a n d o le c o n le voci e co’ p en sieri sp ira ti d al cielo ad altissim e im prese: tu raccen d i n e ’ n o stri p e tti la sola v irtù u tile ai m o rta li, la P ietà, p e r cu i so rrid e talv o lta il la b b ro d ell’infelice c o n d a n n a to ai sospiri: e p e r te rivive se m p re il piacere fe c o n d a to re degli esseri, senza d el q u a le tu tto sarebbe caos e m o rte . Se tu fuggissi, la T erra d iv er­ re b b e in g rata; gli a n im ali, n e m ic i fra loro; il Sole, foco m alefico; e il M o n d o , p ia n to , terro re e d is tru z io n e universale. A desso che l’a n im a m ia risp le n d e d i u n tu o raggio, io d im e n tic o le m ie sventure; io rid o delle m in a c c e della fo rtu n a , e rin u n z io alle lu sin g h e d ell’avvenire. [ ...] O r n o n è tu tto illusione? tu tto ! B eati gli a n tic h i c h e si credeano d e g n i d e’ baci delle im m o rta li dive d el cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle G razie; ch e d iffo n d e a n o lo sp le n d o re della d iv in ità su le im p e rfe z io n i d ell’u o m o , e ch e tro v av an o il accarezzando gli id o li d ella lo r fantasia!

bello

ed il

vero

Illusioni! m a in ta n to senza di

esse io n o n sen tirei la v ita ch e n el d o lo re, o (che m i sp a v e n ta an c o r p iù ) n ella rig id a e n o jo sa in d o len za: e se q u e sto cu o re n o n v o rrà p iù sen tire, io m e lo stra p p e rò d al p e tto c o n le m ie m a n i, e lo caccerò co m e u n servo infedele. Ugo Foscolo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis" a cura di G. Gambarin, Le Monnier, Firenze 1970

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L’INCONTRO DI JACOPO CON PARINI Si tratta del celebre incontro milanese di Jacopo con Giuseppe Parini, or­ mai vecchio e affaticato, trasformato dallafantasia di Foscolo in indoma­ bile difensore delle alte idealità civili che avevano caratterizzato il trien­ nio rivoluzionario e che la realtà storica aveva inevitabilmente deluso. 4 dicembre [...] Jer sera d u n q u e io passeggiava c o n quel vecchio v en eran d o nel sobborgo orientale della città so tto u n b o sch etto di tigli. Egli si soste­ neva d a u n a p a rte sul m io braccio, dall’altra sul suo bastone: e talora guardava gli storpj suoi piedi, e po i senza dire parola volgevasi a m e, quasi si dolesse d i quella sua inferm ità, e m i ringraziasse della pazienza c o n la quale io lo accom pagnava. S’assise so p ra u n o d i q u e’ sedili ed io con lui: il suo servo ci stava p o co discosto. Il Parini è il personaggio p iù dignitoso e p iù e lo q u en te ch’io m ’ab b ia m ai conosciuto; e d ’altro n d e u n p ro fo n d o , generoso, m ed ita to dolore a ch i n o n d à so m m a elo q u en ­ za? M i p arlò a lu n g o della sua patria, e frem eva e p e r le a n tich e tira n n id i e per la n uova licenza. Le lettere p ro stitu ite; tu tte le passioni lan g u en ti e degenerate in u n a in d o len te vilissim a corruzione: n o n p iù la sacra ospi­ talità, n o n la benevolenza, n o n p iù l’am ore figliale - e p o i m i tesseva gli annali recenti, e i delitti di ta n ti uo m iciatto li ch’io degnerei d i n o ­ m inare, se le loro scelleraggini m ostrassero il vigore d ’an im o , n o n dirò di Siila e di C atilin a, m a di quegli anim osi m asnadieri che affro n tan o il m isfatto q u a n tu n q u e e’ si vedano presso il p atib o lo - m a ladroncelli, trem an ti, saccenti —p iù onesto in so m m a è tacerne. - A quelle p arole io m ’infiam m ava di u n so v ru m an o furore, e sorgeva gridando: C h è n o n si tenta? m orrem o? m a fru tte rà dal n o stro sangue il vendicatore. - Egli m i guardò atto n ito : gli occhi m iei in quel d u b b io chiarore scintilla­ vano spaventosi, e il m io dim esso e pallido aspetto si rialzò c o n aria

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m inaccevole: —io taceva, m a si sentiva ancora u n frem ito rum oreggiare c u p a m e n te d e n tro il m io p etto . E ripresi: N o n avrem o salute mai? ah se gli u o m in i si conducessero sem pre al fianco la m o rte , n o n servirebbero sì vilm ente. - Il Parini n o n apria bocca; m a strin g en d o m i il braccio, m i guardava o g n i ora p iù fisso. Poi m i trasse, com e accen n a n d o m i perch’io tornassi a sederm i: E pensi tu , p ro ru p p e , che s’io discernessi u n b arlu ­ m e di libertà, m i perderei ad o n ta della m ia in ferm a vecchiaja in questi vani lam enti? o giovine d eg n o di p atria p iù grata! se n o n p u o i spegnere quel tu o ardore fatale, chè n o n lo volgi ad altre passioni? [...] Ugo Foscolo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”a cura di G. Gambarin, Le Monnier, Firenze 1970

IL DESTINO DELL’ITALIA Giunto ai confini naturali dell’Italia, Jacopo rijlette sul destino riservato alla tormentata Penisola dalla storia recente, che unita all’ignavia dei suoi abitanti umilia gli antichi splendori del passato. Ventimiglia, 19-20 febbraro [ ...] I tu o i confini, o Italia, son questi! m a sono tu tto d ì so rm o n tati d ’ogni p arte dalla p ertinace avarizia delle nazioni. O ve sono d u n q u e i tu o i figli? N u lla ti m an ca se n o n la forza della concordia. A llora io spen­ derei gloriosam ente la m ia vita infelice p e r te: m a che p u ò fare il solo m io braccio e la n u d a m ia voce? - O v ’è l’antico terrore della tu a gloria? M iseri! n o i a n d iam o og n i dì m e m o ra n d o la libertà e la gloria degli avi, le qu ali q u a n to p iù sp len d o n o ta n to p iù scoprono la n ostra abbietta schiavitù. M e n tre invochiam o quelle o m b re m ag n an im e, i n o stri n e m i­ ci calpestano i loro sepolcri. E verrà forse giorno che n o i p erd en d o e le sostanze, e l’intelletto, e la voce, sarem fatti sim ili agli schiavi dom estici

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degli antichi, o trafficati co m e i m iseri N egri, e vedrem o i n o stri p a d ro n i schiudere le to m b e e disseppellire, e disperdere al vento le ceneri d i q u e’ G ra n d i p e r a n n ie n ta rn e le ignude m em orie; p o ich é oggi i n o stri fasti ci sono cagione di superbia, m a n o n eccitam ento dall’antico letargo. [...] Ugo Foscolo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis'’ a cura di G. Gambarin, Le Monnier, Firenze 1970

ALLA SERA Scritto tra 1802 e 1803, è il sonetto d ’apertura dell’edizione definitiva delle Poesie; il titolo con cui è noto a partire dall’edizione Orlandini (1850) si trova anche in un manoscritto appartenuto al Foscolo e quindi è l’unico della silloge che si possa considerare approvato dall’autore. Scrit­ to a ridosso dello studio del D e re ru m n a tu ra di Lucrezio, il testo esprime con tono combattivo un disperato materialismo e un atteggiamento di empatia con gli elementi naturali, condiviso da alcunepagine dell’Oms. Notevole l’impasto linguistico classicheggiante, attualizzato da una pro­ fonda ricerca fonosimbolica tesa a riprodurre, tra quartine e terzine, la tensione chiaroscurale delle immagini. Forse perchè d ella fatai q u iete T u sei l’im m a g o a m e sì cara vieni O Sera! E q u a n d e ti co rteg g ian liete Le n u b i estive e i zeffiri sereni,

E q u a n d o d al nevoso aere in q u ie te T en eb re e lu n g h e all’universo m e n i S em pre scendi invocata, e le secrete V ie del m io c o r so av em en te tieni.

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V agar m i fai co’ m iei p e n sie r su f o r m e C h e v a n n o al n u lla e tern o ; e in ta n to fugge Q u e s to reo te m p o , e v an c o n lu i le to rm e D elle c u re o n d e m eco egli si strugge; E m e n tre io g u ard o la tu a pace, d o rm e Q u e llo sp irto g u errier ch’e n tro m i rugge. Ugo Foscolo “Opere. 1. Poesie e tragedie"edizione diretta da F. Gavazzeni con la collaborazione di F. Longoni e M .M . Lombardi, Einaudi-Gallimard, Torino 1994

A ZACINTO Comparso per la prima volta nell’edizione Destefanis e quindi risalente anch’esso al 1802-1803, il sonetto celebra l ’isola natale dell’autore e i miti che la riguardano con un movimento sintattico di grande respiro, che si snoda nelle prime tre strofe, riservando alla seconda terzina il ruolo di amaro ritorno alla realtà esistenziale. N è p iù m a i to cch e rò le sacre sp o n d e O v e il m io co rp o fa n c iu lle tto giacque, Z a c in to m ia, che te specchi n ell’o n d e D e l greco m a r d a cui vergine n acq u e

V enere, e fea quelle isole feconde C o l su o p rim o sorriso, o n d e n o n tacq u e Le tu e lim p id e n u b i e le tu e fro n d e L’in c lito verso d i colui che l’acque

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C a n tò fatali, e d il diverso esiglio P er cu i bello d i fam a e di sv en tu ra Baciò la sua p e tro sa Itaca Ulisse.

T u n o n altro ch e il c a n to avrai d el figlio, O m a te rn a m ia terra; a n o i prescrisse Il fato illacrim ata sep o ltu ra. Ugo Foscolo “Opere. I. Poesie e tragedie”edizione diretta da F. Gavazzeni con la collaborazione di F. Longoni e M .M . Lombardi, Einaudi-Gallimard, Torino 1994

IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI La morte delfratello Gian-Dionisio era avvenuta a Venezia l’8 dicembre 1801 dopo una lunga agonia, come il poeta racconta in una lettera a Vincenzo Monti: «La morte deU’infelicissimo mio fratello ha esulcerato tutte le mie piaghe: tanto più ch’ei morì d ’una malinconia lenta, osti­ nata, che non lo lasciò né mangiare né parlare per quarantasei giorni. Io mi figuro i martirj di quel giovinetto e lo stato doloroso della nostra povera madre fra le cui braccia spirò. Ma io temo che egli stanco della vita siasi avvelenato, e la mia sorella mi conferma questa opinione» (in G. Gambarin, Saggi foscoliani e a ltri stu d i, Bonacci, Roma 1978). La stesura del sonetto è però verosimilmente da collocarsi nelprimo semestre del 1803 (infatti compare per la prima volta nell’ultima edizione mila­ nese delle Poesie) ed è da porsi in relazione col lavoro di traduzione della C h io m a d i B erenice [poema di Callimaco tradotto in latino da Catulb —n d r], quale trasposizione in chiave autobiografica di una materia cri­ stallizzata proprio nel carme 101 del co rp u s catulliano.

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M E N T IC A TE

U n d ì, s’io n o n a n d rò sem p re fu g g en d o D i g e n te in gente, m e v edrai se d u to Su la tu a p ie tra , o fratei m io , g em en d o Il fior d e’ tu o i gen til a n n i cad u to .

L a M a d re o r sol suo d ì ta rd o tra e n d o Parla d i m e col tu o cenere m u to , M a io deluse a voi le p a lm e te n d o E sol d a lu n g e i m iei te tti saluto.

S e n to gli avversi n u m i, e le secrete C u re che al viver tu o fu ro n tem p esta, E preg o an ch ’io n el tu o p o rto quiete.

Q u e s to d i ta n ta spem e oggi m i resta! S tran iere g en ti, a lm en le ossa ren d ete A llora al p e tto della m a d re m esta. Ugo Foscolo “Opere. I. Poesie e tragedie” edizione diretta da F. Gavazzeni con la collaborazione di F. Longoni e M .M . Lombardi Einaudi-Gallimard, Torino 1994

DEI SEPOLCRI Nei versi d ’apertura del carme una domanda retorica provocatoriamente esclude qualsiasi utilità pratica delle tombe di fronte all’ineluttabilità della morte. Eppure proprio la tomba è il luogo in cui i vivi possono illudersi di continuare a esercitare l'affetto per i propri cari defunti e di perpetuarne la memoria (vv. 1-15 e 23-40).

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DIMENTIC ATE

A ll’o m b ra d e’ cipressi e d e n tro l’u rn e C o n fo rta te d i p ia n to è forse il so n n o D ella m o rte m e n duro? O v e p iù il Sole Per m e alla te rra n o n feco n d i questa Bella d ’erbe fam iglia e d ’anim ali, E q u a n d o vaghe d i lu sin g h e in n a n z i A m e n o n d a n z e ra n bore fu tu re, N è d a te, dolce am ico, u d rò p iù il verso E la m esta a rm o n ia che lo governa, N è p iù n el cor m i p arlerà lo sp irto D elle vergini M u se e d ell’am ore, U n ico sp irto a m ia v ita ram in g a, Q u a l fia risto ro a’ dì p e rd u ti u n sasso C h e d istin g u a le m ie dalle in fin ite O ssa che in te rra e in m a r sem in a m orte? M a p erch è p ria del te m p o a sè il m o rta le In v id ierà l’i'llusion che sp e n to P u r lo sofferm a al lim ita r d i D ite? N o n vive ei forse an ch e so tterra, q u a n d o G li sarà m u ta l’a rm o n ia del g io rn o , Se p u ò d estarla c o n soavi cure N ella m e n te d e’ suoi? C eleste è q u esta C o rrisp o n d e n z a d ’am o ro si sensi, C eleste d o te è negli u m an i; e spesso Per lei si vive c o n l’am ico estin to E l’estin to c o n n o i, se p ia la terra C h e lo raccolse in fa n te e lo n u triv a, N el suo g rem b o m a te rn o u ltim o asilo P org en d o , sacre le reliquie re n d a D a ll’in su lta r d e ’ n e m b i e dal p ro fan o

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P iede del vulgo, e serbi u n sasso il n o m e , E d i fiori o d o ra ta arb o re am ica Le cen eri d i m o lli o m b re consoli. Ugo Foscolo “Opere. I. Poesie e tragedie”edizione diretta da F. Gavazzeni con la collaborazione di F Longoni e M .M . Lombardi, Einaudi- Gallimard, Torino 1994

L’EDITTO DI SAINT-CLOUD La deprecazione dell’Editto di Saint-Cloud (esteso al Regno d ’Italia nel 1806) costituisce la premessa per stigmatizzare l ’atteggiamento di imme­ more indifferenza già manifestato dai milanesi nei confronti del Parini, defunto nel 1799 e sepolto in unafossa comune, senza neppure una lapi­ de che ne ricordi ilprestigio. Appartiene a questa sequenza una delleparti dei S epolcri più debitrici alla poesia cimiteriale tardo-settecentesca, col ricorso a immagini macabre di plastica efficacia (vv. 51-90). P u r n u o v a legge im p o n e oggi i sepolcri F u o r d e’ g u a rd i p ietosi, e il n o m e a’ m o rti C o n te n d e . E senza to m b a giace il tu o S acerdote, o T alia, che a te c a n ta n d o N e l su o po v ero te tto ed u c ò u n lau ro C o n lu n g o am o re, e t ’a p p e n d e a corone; E tu gli o rn a v i d el tu o riso i c a n ti C h e il lo m b a rd o p u n g e a n S ardanapalo C u i solo è dolce il m u g g ito d e ’ b u o i C h e dagli a n tri a b d ù a n i e d a l T ic in o lo fa n d ’ozi b e a to e d i vivande. O bella M u sa, ove sei tu? N o n sen to

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S pirar l’am b ro sia, in d izio del tu o N u m e , F ra q u este p ia n te ov io siedo e sospiro Il m io te tto m a te rn o . E tu venivi E sorridevi a lu i so tto q u e l tiglio C h ’o r c o n dim esse fro n d i va fre m e n d o P erchè n o n co p re, o D ea, l’u rn a del vecchio C u i già d i calm a era cortese e d ’o m b re. Forse tu fra p lebei tu m u li g uardi V agolando, ove d o rm a il sacro capo D el tu o Parini? A lu i n o n o m b re pose T ra le sue m u ra la c ittà, lasciva D ’evirati c a n to ri allettatrice, N o n p ietra, n o n parola; e forse Fossa C o l m ozzo capo gl’in sa n g u in a il lad ro C h e lasciò sul p a tib o lo i d elitti. S enti raspar fra le m acerie e i b ro n c h i La d e re litta cagna ra m in g a n d o Su le fosse e fam elica u lu lan d o ; E uscir del teschio, ove fuggia la L u n a, L’ù p u p a , e svolazzar su p e r le croci Sparse p e r la fu n erea cam pagna, E l’im m o n d a accusar col lu ttu o s o S in g u lto i rai di che so n p ie le stelle Alle obbli'ate sep o ltu re. In d a rn o Sul tu o p o e ta , o D ea, p re g h i rugiade D a lla squallida n o tte . A hi! sugli e stin ti N o n sorge fiore ove n o n sia d ’u m a n e L odi o n o ra to e d ’am o ro so p ia n to . Ugo Foscolo “Opere. /. Poesie e tragedie” edizione diretta da F. Gavazzeni con la collaborazione di F. Longoni e M .M . Lombardi, Einaudi-Gallimard, Torino 1994

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DIM ENTIC ATE

LE TOMBE DEGLI ILLUSTRI Le tombe degli italiani illustri nelle scienze e nelle arti, custodite in Santa Croce a Firenze, onorano la città che le ospita e infondono sentimenti di grandezza a coloro che le visitano (vv. 151-167). A egregie cose il fo rte a n im o ac c e n d o n o L’u rn e d e’ fo rti, o P in d e m o n te ; e bella E sa n ta fa n n o al pereg rin la terra C h e le ricetta. Io q u a n d o il m o n u m e n to V id i ove p o sa il co rp o d i q u e l g ran d e C h e te m p ra n d o lo scettro a re g n ato ri G li allòr n e sfro n d a, ed alle g e n ti svela D i che lag rim e g ro n d i e d i che sangue; E l’arca di colui che n u o v o O lim p o A lzò in R o m a a’ C elesti; e d i ch i vide S o tto l’etereo p ad ig lio n rotarsi P iu m o n d i, e il Sole irrad ia rli im m o to , O n d e all’A nglo che ta n ta ala vi stese S g o m b rò p rim o le vie del firm a m e n to : Te b eata, gridai, p e r le felici A u re p re g n e d i vita, e p e ’ lavacri C h e d a’ suoi g ioghi a te versa A p en n in o ! Ugo Foscolo “Opere. I. Poesie e tragedie”edizione diretta da F. Gavazzeni con la collaborazione di F Longoni e M .M . Lombardi, Einaudi-Gallimard, Torino 1994

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LE TOMBE DI TROIA Nel finale dei S e p o lc ri, Cassandra, figlia del re troiano Priamo, dotata del dono della veggenza, presagisce la rovina della sua gente e l ’imperituro ricordo che di essa sarà tramandato da Omero, che sulle tombe di Troia distrutta cercherà ispirazione per il proprio canto (vv. 272-295). E voi, p alm e e cipressi che le n u o re P ia n ta n di P riam o , e crescerete ahi p resto D i vedovili lagrim e innaffiati, P roteggete i m iei pad ri: e c h i la scure A sterrà p io dalle d ev o te fro n d i M e n si d o rrà di c o n san g u in ei lu tti E sa n ta m e n te to c c h e rà l’altare. P roteggete i m iei p ad ri. U n d ì vedrete M e n d ic o u n cieco errar so tto le vostre A n tich issim e o m b re , e b ra n c o la n d o P en etrar negli avelli, e ab bracciar l’u rn e, E interrogarle. G e m e ra n n o gli a n tri Secreti, e tu tta n a rre rà la to m b a Ilio raso d u e volte e d u e risorto S p le n d id a m e n te su le m u te vie Per far p iu bello fu ltim o trofeo A i fatati Pelidi. Il sacro vate, P lacan d o quelle afflitte alm e col can to , I P renci A rgivi e te rn e rà p e r q u a n te A b b raccia terre il g ra n p a d re O ceàn o . E tu o n o re d i p ia n ti, E tto re, avrai, O ve fia sa n to e la g rim ato il sangue

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PAGI NE: ' C E L E B R I E P A G I N E D I M E N T I C A T E

Per la p a tria versato, e finché il Sole R isp le n d e rà su le sciagure u m a n e . Ugo Foscolo "Opere. I. Poesie e tragedie”edizione diretta da F. Gavazzeni con la collaborazione di F. Longoni e M .M . Lombardi, Einaudi-Gallimard, Torino 1994

DELL’ORIGINE E DELL’UFFICIO DELLA LETTERATURA Nel cuore dell’Orazione inaugurale all’insegnamento di Eloquenza all’Università di Pavia, Foscolo esprime il suo debito al sensismo settecen­ tesco, a Locke e a Rousseau: nella naturale predisposizione all’inquietudi­ ne risiede l ’origine dell’operosità, ma anche della perenne insoddisfazione del genere umano. L’atarassia non è praticabile, poiché destino dell’uomo è quello di seguire le proprie passioni. IX . Q u a li sieno i p rin c ip j e i fini e te rn i d ell’universo, a n o i m o rtali n o n è d a to di conoscerli n è d ’indagarli: m a gli effetti lo ro ci si pale­ san o sem p re certi, sem p re c o n tin u i; e se po ssiam o ta lo r querelarcene, tro v ia m o sovente nella n o stra esperienza co m p e n si d i consolazione. L’u m a n o genere tu rb a coi tim o ri la v o lu ttà dell’o ra ch e fugge, o la disprezza p e r le speranze ch e in g a n n a n o ; si d u o le della vita, e tem e d i p erd erla, e anela di p e rp e tu a rla m o re n d o : o n d e g g ia m e n to p e re n n e d i speranze e d i tim o ri, a g itato o g n o r p iù d a ll’im p e to d el desiderio e dagli a lle tta m e n ti della im m a g in a z io n e . C o si p ia c q u e alla n a tu ra che assegnò l’in q u ie tu d in e alla esistenza d ell’u o m o , il q u ale aspira sem pre al riposo a p p u n to p erch é n o n p u ò m ai conseguirlo; p e rò , la n g u e n d o le p assioni, ritardasi il m o to delle p o te n z e vitali; cessato il m o to , cessa la vita; ed o g n i n o stra tra n q u illità n o n è che p re lu d io d el su p re m o e p e rp e tu o silenzio. E b e n p o sso n o starsi, e sta n n o (p u r tro p p o !) nei

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PAGINE CE LE BRI E PAGINE

DIM ENTIC ATE

fo rse n n a ti passioni senza ragione; m a la rag io n e senza affetti e fa n ­ tasm i sarebbe facoltà in operosa; e o g n i filosofia riescirà su b lim e c o n ­ tem p la z io n e a ch i p ensa, u tile applicazio n e a ch i p u ò volgerla in p rò d e m o rta li, m a in in tellig ib ile e in g iu sta a ch i sente le passioni ch e si v o rra n n o correggere. Ugo Foscolo “D ell’origine e dell'ufficio della letteratura, Orazione”introduzione edizione e note di E. Neppì, Olschki, Firenze 2005

LE GRAZIE Si tratta dei primi versi della seconda redazione de Le G razie (1812), la cosiddetta «bella copia» dell’Inno monopartito, con invocazione alle Grazie, alle quali sul colle fiorentino di Bellosguardo si erige un altare, cui si invita Antonio Canova, artefice della recente statua della dea Ve­ nere (collocata agli Ujfizi nello stesso 1812), che sta mettendo mano alla realizzazione di un gruppo raffigurante le tre divinità intermedie «dotate della beatitudine degli dei, ed abitatrici invisibilifra’mortali, per diffon­ dere sovr’essi i favori de’Numi». L E G R A Z IE CARME A D A N T O N IO C A N O V A

INNO PRIMO VENERE C a n ta n d o o G razie degli eterei pregi D i che il cielo

v a d o rn a , e della gioja

C h e v ereco n d e voi d a te alla terra,

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Belle vergini! a voi chieggio l’arcana A rm o n io sa m e lo d ia p ittric e

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D e lla v o stra beltà; sì che all’Italia A fflitta di regali ire straniere Voli im provviso a rallegrarla il carm e. N ella convalle fra gli aerei poggi D i B ellosguardo ov’io c in ta d ’u n fo n te

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L im p id o fra le q u e te o m b re d i m ille G io v in e tti cipressi alle tre dive L’ara in n alzo , e u n fatid ico la u re tto La p ro teg g e d i te m p io , al vago rito V ien i, o C a n o v a, e agl’in n i. A l c o r m e n fece

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D o n o la bella D e a che tu sacrasti Q u i su l’A rn o alle belle arti cu sto d e, E d ella d ’im m o rta l lu m e e d ’am b ro sia L a sa n ta im m a g o sua tu tta precinse. Forse (o ch’io spero!) artefice di n u m i

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N u o v o m eco d arai sp irto alle G razie C h e o r d i tu a m a n so rg o n d al m a rm o : an ch ’io P in g o , e la v ita a’ m iei fa n ta sm i ispiro; S d egno il verso che su o n a e ch e n o n crea; P erchè F ebo m i disse: io F id ia p rim o

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E d A pele g u id ai colla m ia lira. Ugo Foscolo “Opere. I. Poesie e tragedie" edizione diretta da F. Gavazzeni con la collaborazione di F. Longoni e M .M . Lombardi, Einaudi-Gallimard\ Torino 1994

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IL RITRATTO DI DIDIMO CHIERICO Sono alcuni stralci del ritratto di Didimo Chierico, /a lte r ego al quale Foscolo dal 1813 affida con disincantata ironia leproprie considerazioni sull’esistenza e sull’umanità. X I. O ra dirò de’ suoi co stu m i esteriori. Vestiva d a prete; n o n p erò as­ sunse gli o rd in i sacri; e si faceva chiam are D id im o d i n o m e , e chierico di cognom e; m a gli rincresceva sentirsi d a r dell’abate. F u o r dell’uso d e’ preti, com piacevasi della com p ag n ia degli u o m in i m ilitari. V iaggiando p e rp etu am en te, desinava a tavola ro to n d a c o n persone di varie nazio­ ni; e se ta lu n o (com ’oggi s’usa) professavasi cosm opolita, egli si rizzava senz’altro. S’addom esticava alle p rim e; b e n ch é con gli u o m in i cerim o ­ niosi parlasse asciutto; ed a ricchi pareva altero; evitava le sette e le c o n ­ fraternite; e seppi che ricusò d u e p a te n ti accadem iche. U sava p e r lo p iù ne’ crocchi delle d o n n e , p e r ch’ei le reputava più

liberalmente dotate dal­ la natura di compassione e di pudore; due forze pacifiche le quali, diceva D id im o , temprano sole tutte le altreforze guerriere delgenere umano. [...]

X II. D issi ch e teneva chiuse le sue passioni; e qu el p o c o che n e tra ­ spariva, pareva calore d i fiam m a lo n ta n a . A ch i gli offeriva am icizia,

che la colla cordiale per cui l’uno si attacca all’altro, l’aveva già data a que’pochi ch’erano giunti innanzi. R a m m e n ta v a v o ­

lasciava in te n d e re

le n tieri la sua v ita passata, m a n o n m ’accorsi m ai ch’egli avesse fiducia n e ’ g io rn i avvenire o che ne tem esse. C h iam avasi m o lto o b b lig a to a u n d o n Iacopo A n n o n i cu rato , a cu i D id im o aveva altre v o lte servi­ to d a chierico nella p a rro c c h ia d ’In verigo, e sta n d o fu o ri d i p atria, carteggiava u n ic a m e n te c o n esso. M ostravasi gioviale e co m p assio ­ nevole, e b e n c h é fosse alloram ai in to rn o a’ tre n fia n n i, aveva asp etto assai giovanile; e forse p e r q u este rag io n i D id im o tu tto c h é forestiero, n o n era g u a rd a to dal p o p o lo d i m a l’o cch io , e le d o n n e passan d o gli

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so rrid ev an o , e le vecchie si sofferm avano a ccan to a u n a p o rtic c iu o la a d isco rrere seco, e tu tti i b a m b in i, d e ’ q u ali egli si com piaceva, gli

più con gli occhiali, che col telescopio-, e disprezzava c o n ta c itu rn ità sì sd eg n o ­

co rrev an o lietissim i a tto rn o . A m m ira v a assai; m a diceva egli,

sa d a far g iusto e irreconciliabile il rise n tim e n to degli u o m in i d o tti. Aveva p e ra ltro il c o m p e n so d i n o n p a tire d ’invidia, la quale, in chi a m m ira e disprezza n o n tro v a m ai luogo. Ugo Foscolo “Notizia intorno a Didimo Chierico ”in “Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l ’Italia. Traduzione di Didimo Chierico - Opere. li. Prose e Saggi”edizione diretta da F Gavazzeni con la collaborazione di G. Lavezzi, E. Lombardi, M .A. Terzoli, Torino, Einaudi-GaUimard, 1995

LETTERA A M .A.FAGNANI ARESE Un esempio di lettera amorosa, tra le innumerevoli che Foscolo scrisse sia all’Arese tra il 1801 e il 1803, sia a molte altre destinatarie nella sua vivace esistenza sentimentale. L u n e d ì all’alba T u sei così d iv e n u ta p a d ro n a d i m e, che, se tu m i lasciassi, io n o n avrei altro rifugio che la m o rte. O h m ia ten era amica! Q u a n to p iù io veggo che tu m ’am i, ta n to p iù s o n o c o stretto ad a m arti. O g n i g io rn o io credo d i am are q u a n to io p iù posso, ep p u re og n i g io rn o che passa lascia nel m io cu o re u n ’altra ferita p ro fo n d a , u n a necessità, u n furore di adorarti, d ’invocarti, d i p ia n g e re ... io n o n so quasi cosa m i d ic a ... m a s’io p o ­ tessi tra sfo n d e rti tu tta la m ai a n im a, e m o stra rti queste lagrim e, e c o n ­ fo n d erle alle t u e . .. o! io sarei felice; te m o talvolta che tu n o n conosca abbastanza il m io am ore... o im è, lasciam i; p erch é m ai d a ieri m a ttin a il p ia n to è c o n tin u o su q uesti occhi? io n o n esagero, m ia A n to n ie tta ; m a io an ch e q u a n d o sono stato a m a n te infelice n o n h o m ai ta n to lagrim a-

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to q u a n to in q uesti giorni. E p iù io p ian g o , e p iù h o voglia d i piangere. E tu t u . .. p erch é io n o n so com e ricom pensare l’am o re che tu m i hai m o strato ; io desidero d i soffrire, di stru g g erm i, e d i avere u n ’a n im a, se fosse possibile, m ille volte p iù ard e n te p e r consecrarla tu tta a te sola. L asciam i... n o n posso c o n tin u a re : b iso g n a che m ’a b b a n d o n i a m e stesso... q u a n te cose io m ed itav a d i scriverti! m a adesso n o n so co n ce­ p irn e alcuna. T o rn erò . A d d io . C o m e q u e sta le tte ra è bagnata! co n v ie­ ne ch’io la trascriva. C o n tu tto ciò n o n capirai forse q u ello che ti h o s c r itto ... so n o q u asi fu o ri di m e ... n o n posso p iù . [...] Ugo Foscolo “Lettere” in “Opere. Tomo I I ”a cura di F. Gavazzeni, Ricciardi, Milano-Napoli, 1981

LETTERA A SILVIO PELLICO Sono alcuni brani di una lunghissima lettera scritta dalUnghilterra a Sil­ vio Pellico, e in particolare ove Foscolo si sofferma sulla futilità delle po­ lemiche letterarie italiane; l ’auspicio che il nuovissimo C o n c ilia to re non continui la trita abitudine implica la previsione che la censura finisca, come effettivamente accadrà, di far tacere l’impresa degli amici milanesi, alla quale promette tuttavia di collaborare. E ast-M oulsey, 3 0 se tte m b re 1818 [ ...] Silvio m io. C o m e concilierete voi il C o n ciliato re e l’in g eg n o e l’a n im o v o stro , p arlo d i te e d el D .r R asori, [G iovanni R asori, m ed ico e p a trio ta , co llab o rato re del

Conciliatore - ndr] c o n la C ensura? C o ­

m e concilierete c o n la d ig n ità d ’u n gio rn ale letterario le m eschinelle su p erb iette, le m alig n e tte invidie d e’ letterati? C o m e m ai scanserete le allusioni che c h iu n q u e n o n pen sa n é sen te co m e voi v o rrà p u re trovare e far trovare (anche d o p o

l’imprimatur della C en su ra) al G overno? -

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M a q u esti so n o m in im i ostacoli verso del m aggiore d i tu tti, ed è: che ta lu n o o ta lu n i degli scritto ri p re p o n d e ra n ti v o rra n n o lodare sé stessi e gli am ici, e biasim are n em ici, e fare (com e p u re la s’è fa tta sem pre) la le tte ra tu ra u n p retesto d ’Eunucomachia. E d i sì fatte esperienze n ’ab ­ b ia m o o ram ai d a secoli - m a l’esperienze fu ro n o p iù conv alid ate d a c e n t’a n n i in q u a d o p o la istitu z io n e di varii g io rn ali in Italia; e i loro vizii in e re n ti alla divisione delle n o stre province, e alla v en alità ed um iliazio n e, e rabbia im p o te n te della n o stra le tte ra tu ra critica a n d a ­ ro n o sem p re p iù p eg g io ran d o - fin o al pessim o, ed ab b iettissim o ve­ lenosissim o fra tu tti gli altri, il

Poligrafo - C o sa sia il G io rn a le istitu ito

p o i dagli A ustriaci, ove m i d ic o n o ch e ab b ia scritto an ch e il M o n ti, n o n so; n o n m ’è in c o n tra to m ai d i vederlo. [...] . A m o ri d i p a rte , Silvio m io , e ran co ri, e gelosie, e cabale so n o an ch e n e’ G io rn a li d ’In g h ilterra; m a il lo ro scopo è m aggiore; p e rò sono assai m e n o risibili — trattasi a ch i avrà il governo ed il m in iste ro , se gli

Whig, o se i Tory - tra tta si d i lib ri m assicci, liberi, e lib e ra m e n te

g iu d ic a ti - Però gl’in c o n v e n ie n ti n a tu ra li a sì fa tta im p resa letteraria so n o p iù tollerabili —M a in Italia d i che si tratta? d i lodare il so n e tto p ro p rio , e d egli am ici, e m alig n are a o g n i m o d o , e c a lu n n ia re se a D io piace i n em ici. L’ab ate [D i B rem e] m i m a n d a v a u n a circolare, e in ta n ­ to scriveva filippiche agli Inglesi p e r in fa m a rm i. Bei m o d i - santissim i m o d i - e tu tti n o stri, p u r tro p p o , d i

conciliarci II C o n te C o n fa lo n ie ri

m i p arlò a n c h ’esso e m i rip a rlò is ta n te m e n te p e rc h ’io p u r aiutassi, co m e potessi, il

Conciliatore; [ ...] d a che tu , Silvio m io , e R asori, e

S ism o n d i [Jean C harles L é o n a rd S im o n d e d e S ism o n d i, e c o n o m ista e le tte ra to svizzero -

ndr] ci avete p a rte , farò che d i ta n to in ta n to

a b b ia te a lcu n i m iei artic o le tti, - e lascio d ’o ra in p o i a te l ’a rb itrio di sta m p a rli, o no; d ’allungarli, accorciarli, e farne in tu tto e p e r tu tto a tu a p o sta. [ ...] Ugo Foscolo "Lettere’in "Opere. Tomo I I ”a cura di F. Gavazzeni, Ricciardi, Milano-Napoli, 1981

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LEGGERE, VEDERE, VISITARE

BIBLIOGRAFIA

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Opere a cura di F. Gavazzeni, tomi l-ll, Ricciardi, M ilano-Napoti 1974-1981

Opere. I. Poesie e tragedie edizione diretta da F. Gavazzeni, collabor. di F. Longoni e M.M. Lombardi, EinaudiGatlimard, Torino 1994

Opere. II. Prose e Saggi edizione diretta da F. Gavazzeni, collabor. di G. Lavezzi, E. Lombardi, M.A. Terzoli, Einaudi-Gallimard, Torino 1995

161

Poesie a cura di M. Palumbo, Rizzoli, Milano 2010

Sepolcri, Odi, Sonetti a cura di D. Martinelli, Mondadori, Milano 1987

Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l'Italia a cura di M. Bulgheroni e P. Ruffilli, testo inglese a fronte, Garzanti, Milano 2009

TESTI SU FOSCOLO Foscolo fra erudizione e poesia di M. Scotti, Bonacci, Roma 1973

Ugo Foscolo. Storia e poesia di W. Binni, Einaudi, Torino 1982

Appunti sulla preistoria e sulla storia dei “Sepolcri” di F. Gavazzeni, in “Filologia e Critica", XII, 3 ,1 9 8 7

Venezia e il noviziato di Foscolo di C. Dionisotti, in ld„ "Appunti sui moderni", il Mulino, Bologna 1988

Il libro di Jacopo. Scrittura sacra nell’«O rtis » di M.A. Terzoli, Salerno Editrice, Roma 1988

Introduzione a Foscolo di M. Cerruti, Laterza, Rom a-Bari 1994

162

Semantica e metrica dei «S ep o lcri» del Foscolo di 0. Macrì, 2a ed. corr. e aumentata, Buizoni editore, Roma 1995

Foscolo. Persuasione e retorica di L. Caretti, Nistri-Lischi, Pisa 1997

Per una caratterizzazione linguistica della poesia neoclassica di L. Serianni, in "Neoclassicismo linguistico", a cura di R. Cardini e M. Regogliosi, Bulzoni, Roma 1998

Ugo Foscolo di M.A. Terzoli, in "Storia della letteratura italiana”, diretta da E. Malato, voi. VII “Il primo Ottocento", cap. VII, Salerno Editrice, Roma 1998

Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo di C.E. Gadda, introduzione di F. Gavazzeni, Garzanti, Milano 1999

La lingua di Ugo Foscolo di S. Telve, m odulo 368, Italian Culture on thè Net, 2003 (sito w ww .icon.it)

Ugo Foscolo. Tra le folgori e la notte di A. Granese, Edisud, Salerno 2004

Foscolo di G. Nicotetti, Roma, Salerno Editrice, Roma 2006

Foscolo. Profili di storia letteraria di M. Palumbo, il Mulino, Bologna 2010

163

Introduzione a Ugo Foscolo di C. Del Vento, Classici Italiani, Treccani, Roma 2012

La scuola di Cesarotti e gli esordi del giovane Foscolo di C. Chiancone, Edizioni ETS, Pisa 2013

W EB http://foscolo.letteraturaoperaomnia.org/index.html www.treccani.it/enciclopedia/ugo-foscolo_(Dizionario-Biografico) www.zanteisland.com/it/monumenti-zante.php www.cesareangelini.it/studi_foscolo_pavia.html

FILM Le ultime lettere di Jacopo Ortis, di Peter Del Monte, Italia 1973

LUOGHI D’INTERESSE Zante L a casa natale del p o eta, nell’isola greca dell’arcipelago delle Ionie, d is tru tta p arz ia lm e n te dai b o m b a rd a m e n ti d u ra n te la S eco n d a guerra m o n d ia le , è stata d e fin itiv am en te rasa al suolo d a u n te rre m o to nel 1953. In via Foscolo (Foskolou) 54 si tro v a u n m onumento c o m m e ­ m o rativ o su cu i è p o sta u n a sc u ltu ra raffigurante u n angelo p ian g en te.

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Venezia N e l Campo de le gate, nel sestiere d i C astello , u n a ta rg a ric o rd a gli a n n i ch e il p o e ta passò in la g u n a d u ra n te l’adolescenza: «D al 1 7 9 2 al 1 7 9 7 / tra lib eri stu d i / q u i m a tu rò la triste e a rd e n te gio vinezza / d i / U g o Foscolo». A llo stesso m o d o in Corte di Ca’ M ichiel —oggi S an M a rc o 2 4 0 7 - fu o ri d a lla d im o ra ch e fu d i Isabella T e o to c h i A lbrizzi, ch e vi te n n e sa lo tto , p o ssia m o leggere: «In q u e s ta casa te n n e d im o ra / Isabella T e o to c h i A lbrizzi / 1 7 6 0 - 1 8 3 6 / il c u i cenacolo v e n n e / fre q u e n ta to d a a rtisti / e le tte ra ti d ’e p o c a / tra i q u a li / U go F oscolo e L o rd B yron».

Treviso La Villa Albrizzi Franchetti, c o stru ita n ell’u ltim o v e n te n n io del d i­ ciassettesim o secolo, era la residenza della fam iglia A lbrizzi. È q u i che Foscolo m a tu rò l’ispirazione u tile alla stesura del carm e

Dei Sepolcri.

La d im o ra fu m o lto d a n n e g g ia ta d u ra n te la P rim a g u e rra m o n d iale. N e l 1973 fu v e n d u ta alla p ro v in c ia d i Treviso ch e l’h a p o i concessa al­ la F o n d a z io n e C assam arca. L’in d irizzo è via T erraglio 2 0 3 , Preganzio.

Pavia N e l celebre a te n e o pavese F oscolo o c c u p ò p e r p o c o - dal m arzo 1 8 0 8 all’a u tu n n o successivo - la c a tte d ra d i e lo q u en z a. R iu scì a te ­ n e re u n solo ciclo d i lezioni: la p ro lu sio n e si te n n e il 2 2 g en n a io 1 8 0 9 e fu se g u ita d a u n fo lto p u b b lic o . N e l Cortile delle Statue d e ll’U n iv e rsità d i Pavia, in C o rso d i S tra d a N u o v a 6 5 , u n a la p id e ne fa m e m o ria : «Ad U go F oscolo / in g e g n o p e r e su b eran za irre q u ie to / le tte ra to filologo p o e ta / c h ia m a to n e l M D C C C V I I I alla c a tte ­ d ra / d ’e lo q u e n z a ita lia n a e la tin a / in q u e sta u n iv e rsità / vi tr a ttò e

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ch iarì c o n isp ira to d ire / le p iù rip o ste bellezze / d e’ s o m m i m a e stri del su b lim e e lo q u io / p e r te n e rissim o a m o r di p a tria / m o rì esule e po v ero in te rra stra n ie ra / Il m u n ic ip io pavese / al g e n io sv e n tu ra to / P .Q .M .». N e i m esi in cui era p ro fesso re Foscolo a b itò in casa Bon-

fico in b o rg o O le a rio , oggi d iv e n ta ta v ia U g o F oscolo. N e l 1 9 0 9 è sta ta in sta lla ta u n a ta rg a che recita: «U go Foscolo / d a to agli italian i il liberale c a rm e fatid ico / q u i l’a n n o M D C C C I X p o s a n d o / d o p o i tu m u lti d ella giovinezza / alla p a tr ia n u o v e fo rm e d i e lo q u e n z a e d i critic a / a sé n u o v a glo ria e l’esilio ap p restav a - C e n to a n n i d o p o l’A te n e o e la c itta d in a n z a posero».

Firenze La Villa dell’Ombrellino fu e d ificata n e l 1 3 7 2 sulla c o llin a d i B el­ lo sg u ard o , a su d -o v est d i Firenze. D a l 1815 a p p a rte n n e alla c o n tessa T eresa S pinelli A lbizi che, o ltre a farla ris tru ttu ra re , fece in stallare u n a s tru ttu ra in ferro a fo rm a d i o m b re llo cinese d a c u i h a o rig in e il n o m e . N e i secoli e b b e o sp iti illu stri: d al 1 6 1 7 al 1 6 3 1 , G alileo G alilei, ch e vi scrisse il

Dialogo sopra i due massimi sistemi del mon­

do. U g o F oscolo vi so g g io rn ò n el 1 8 1 2 -1 3 m e n z io n a n d o la n e ll’in n o Vesta, il se c o n d o in n o del p o e m e tto Le Grazie. L’in d irizzo è piazza B ello sg u ard o 11. N e lla chiesa d i Santa Croce, d o p o il sesto altare, si tro v a la tomba di Ugo Foscolo, d ello scu lto re A n to n io B erti, dove Foscolo fu tra sfe rito c o n c e rim o n ia p u b b lic a n el 1871.

Londra A l su o arrivo F oscolo so g g io rn ò al Sablonniere Hotel, u n a lb erg o in L eicester S q u are (d e m o lito n el 1870) g estito d all’ita lia n o P agliano. D a l se tte m b re 1 8 1 7 all’ap rile 1 8 1 8 visse in E dw ardes S q u are e n el

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g iu g n o 1 8 1 8 affittò u n c o tta g e a E a st M oulsey. N e l 1 8 1 9 si trasfe­ rì in u n p ic c o lo a p p a rta m e n to so p ra u n n eg o zio d i te ssu ti in N e w B o n d S treet 154 e n el 1 8 2 2 affittò il Digam m a Cottage v ic in o R eg e n t’s Park. P erseg u itato d ai c re d ito ri, d o p o aver d ila p id a to l’e re d ità della figlia F lo rian a, fu c o stre tto a trasferirsi d a p p rim a in 15 R ussell Place, F itzro y S quare, e in fin e n ella su a u ltim a casa in Turnham

Green. L’edificio fu d e m o lito n el 19 0 1 . Q u i m o rì il 10 se tte m b re 18 2 7 . Il fu n e ra le si te n n e il 18 se tte m b re e fu sep p e llito al Chiswick

O ld Cemetery. N e l 1871 le sue c en eri fu ro n o traslate a Firenze. A C h isw ic k rim a n e u n c e n o ta fio c h e reca q u e sta iscrizione: «This s p o t w h e re fo r fo rty -fo u r years th è R elics o f U g o F oscolo R e p o se d in h o n o u re d C u s to d y w ill b e fo r ever h e ld in g ra te fu l R e m e m b ra n c e b y th è Ita lia n N a tio n . / F ro m th è sacred g u a rd ia n sh ip o f C h isw ic k to th è h o n o u rs o f S a n ta C ro c e in F lo re n c e th è G o v e rn m e n t a n d P eo p le o f Ita ly h ave tra n s p o rte d th è re m a in s o f th è w e a rie d C itiz e n P o e t 7 th J u n e 1871». Si ric o rd a in fin e H olland H ouse, villa ch e era p o s ta n e l q u a rtie re K e n sin g to n . S o tto il terzo b a ro n e d i H o lla n d e su a m o g lie E liz a b e th d iv e n n e u n c e n tro c u ltu ra le m o lto a ttiv o . T ra gli o s p iti si a n n o v e ra n o i ro m a n z ie ri W a lte r S c o tt e C h a rle s D ic k e n s, i p o e ti T h o m a s C a m p b e ll e S am u el R ogers, m a a n c h e lo sto ric o J o h n A lien . O g g i rim a n e so lta n to l’ala o rie n ta le e alc u n e p a rti d e l p ia n o te rra . L’a n n e sso ch e c o stitu iv a la sala d a b allo estiva è og g i u n ris to ra n te e la lim o n a ia (o ran g ery ) è d iv e n ta ta u n o spazio esp o sitiv o . F oscolo fu in tr o d o tto n e l sa lo tto d a G iu se p p e B in d a e in iz iò a fre q u e n ta re il lu o g o c o n v e rs a n d o c o n L o rd e L a d y H o lla n d in ita lia n o o francese. C o n o b b e q u i l’e d ito re J o h n M u rray , ch e ri­ p u b b lic ò n e l 1 8 1 7

Le ultime lettere di Jacopo Ortis.

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2017 a cura di RCS M ediaG roup S.p.A. presso iSfltar Grafica Veneta, Trebaseleghe (PD) Printed in Italy

È s t a t o n e c e s s a rio a t t e n d e r e la s e c o n d a m e t à d e l N o v e c e n t o a f f in c h é la f i g u r a d i U g o F o s c o l o , t r a m a n d a t a d a ll a c r i ti c a o t t o c e n t e s c a c o m e q u e ll a d e l n u m e tu t e l a r e d e l R i s o r g i m e n ­ t o it a li a n o , a n t e s i g n a n o d i t u t t i i p a t r i o t i , v e n is s e s f r o n d a t a d aH ’a r m a m e n t a r i o r e t o r ic o . D i c e r t o , F o s c o lo è s t a t o u n c o m ­ b a t t e n t e n e l s e n s o le t te r a le e p o e t i c o d e l t e r m i n e , m a , a l d i là d e l l ’a m o r p a t r i o , lo è s t a t o n e i c o n f r o n t i d e ll a v ita , d e lle v ic e n d e s t o r ic h e c u i h a p r e s o p a r t e , d e lle m ille tr a v e r s ie p e r ­ s o n a li v is s u te in s e g u e n d o c o s t a n t e m e n t e o g n i illu s io n e p o s s i­ b ile p u r s a p e n d o c h e d i e t r o c ia s c u n a si c e la v a u n i n e v i ta b i le d i s i n c a n t o . D o t a t o d i u n a v i t a l i t à s e m p r e al d i s o p r a d e lle r ig h e (c u i n o n e r a e s t r a n e a u n a f o r m a d i a u t o c o m p i a c i m e n ­ to ) sia n e lla s u a v i t a s ia n e lla s u a o p e r a , h a s c r i t t o c o n l ’Ortis il p r i m o r o m a n z o it a l i a n o c h e , a t t r a v e r s o la p o e t i c a d e l d o l o r e ir re q u ie to d i p ro ta g o n is ta e a u to r e , h a a b b a n d o n a to s c h e m i e s t il e m i n e o c la s s ic i p e r p r o i e t t a r s i v e r s o la m o d e r n i t à .

Maria Maddalena Lombardi è dottore di ricerca in Italianistica e insegna nelle scuole secondarie superiori. Si è occupata delle tragedie di Ugo Foscolo e ha curato con Franco Gavazzeni e Franco Longoni il primo volume delle Opere di Ugo Foscolo (Einaudi-Gallimard, Torino 1994). Ha allestito con Franco Gavazzeni un commento ai C anti di Giacomo Leopardi (Rizzoli, Milano, 1998) e ha collaborato alla nuova edizione critica dei medesimi (Accademia della Crusca, Firenze 2006). Durante l’at­ tività svolta presso l’Accademia della Crusca (1999-2004) ha realizzato l’edizione del­ le Postille alla Crusca “Veronese”di Vincenzo Monti (Accademia della Crusca, Firenze 2005, premio Moretti 2007).

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